continua - Fausto Biloslavo

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continua - Fausto Biloslavo
Università Cattolica Del Sacro Cuore
di Milano
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA / SOCIOLOGIA
Corso di Laurea in Linguaggi dei Media
LA PRIMAVERA LIBICA E LA GUERRA
DELL'INFORMAZIONE
RELATORE
LAUREANDO
Prof. Marco LOMBARDI
Giorgia PERLETTA
matr. 3801527
Anno accademico 2011-2012
“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo
la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il
potere della televisione non sarà pienamente scoperto.”
Karl Popper
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INDICE
1.
2.
3.
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ASCESA E DOMINIO DI GHEDDAFI
1.1
Il colpo di stato e l'ascesa politica del Colonnello Mu'ammar Gheddafi
1.2
La politica petrolifera e i rapporti economici con l'occidente
- 13 -
1.3
Nuovo dialogo con l'Italia: gli accordi tra i due stati nel protocollo “Jalud-Rumor”
- 15 -
1.4
Il libro verde e la società senza stato. La Jamāhīriyya
- 16 -
1.5
L'islamizzazione della Libia e le accuse di terrorismo internazionale
- 22 -
LA GUERRA LIBICA E LA RIVOLUZIONE MEDIATICA
-8-
- 27 -
2.1 Le premesse delle insurrezioni nel mondo arabo e l'uso strategico di internet
- 27 -
2.2 La Primavera libica - Testimonianza diretta: intervista a Lorenzo Cremonesi
- 31 -
2.3
Dalla conquista di Tripoli alla morte di Gheddafi. La fine della guerra
- 44 -
LA TV ARABA AL JAZEERA E LA DISINFORMAZIONE
- 49 -
3.1 Le televisioni arabe e la nascita di Al Jazeera
- 49 -
3.2 Gli interessi del Golfo Persico dietro i network panarabi
- 52 -
3.3 L'informazione della guerra in Libia e le bufale mediatiche – Testimonianza diretta: intervista a Fausto
Biloslavo
- 54 -
3.4
Gli effetti della disinformazione e l'intervento occidentale
- 61 -
3.5
Cosa nasconde la copertura mediatica di Al Jazeera
- 65 -
CONCLUSIONE
- 70 -
NOTE
- 72 -
BIBLIOGRAFIA
- 77 -
SITOGRAFIA
- 79 -
-3-
INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dalla volontà di inserire nell'analisi storica della Primavera araba, alcuni
elementi che l'hanno caratterizzata, determinata e che hanno aperto un dibattito plurale di voci sulla
entità dei singoli condizionamenti. Le manifestazioni del mondo arabo contro i longevi e repressivi
regimi di potere hanno riempito le piazze mediorientali e nordafricane dai primi mesi del 2011,
creando un'enfasi giovanile, laica (seppur limitata alle fase iniziale) e inconfutabilmente legata alla
voglia di cambiamento e all’impossibilità di riscatto sociale.
L'ondata rivoluzionaria ha provocato un effetto domino a partire dalla Tunisia, Egitto, Algeria, Siria,
sconvolgendo gli antichi assetti istituzionali, e nello stato libico, la sovversione del regime Gheddafi
è stata affiancata da una sanguinosa guerra civile che ha richiesto il necessario e decisivo intervento
armato delle Nazioni Unite e si è protratta per otto mesi.
Una rivoluzione c'è stata.
Il risveglio delle masse in territori duramente oscurati dalla censura governativa, dalle repressioni
delle forze armate e dalla scarsa parvenza democratica, ha suscitato l'interesse internazionale che,
grazie all'utilizzo dei nuovi media, si è reso più consapevole di quanto stesse accadendo nel vicino
Oriente.
Internet ha avuto un ruolo importante in questa Primavera, in forme e pesi differenti negli stati
coinvolti, ha saputo fungere da catalizzatore del malcontento diffuso e largamente condiviso dai
vari strati sociali. Si è fatto quindi portavoce di una “contro informazione” che operasse contro lo
schermo fittizio della stampa locale filo-governativa. Nelle prime fasi delle insurrezioni, i giovani
hanno potuto diffondere messaggi, video, scatti fotografici in rete così da valicare non solo i confini
della dittatura e della censura statuale, ma anche quelli della limitazione d'espressione cui erano
soggetti nelle loro nazioni. La disoccupazione giovanile, la frustrazione popolare, l'ineguale
distribuzione delle ricchezze hanno determinato lo scoppio del conflitto, che ha tratto linfa vitale dal
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desiderio primordiale di apertura, di visibilità, di comunicazione, partito dai ragazzi istruiti
desiderosi di prendere in mano il proprio destino ed essere attivamente partecipi e protagonisti della
loro storia.
Una rivoluzione mediatica.
Le televisioni panarabe gestite dalle monarchie conservatrici di Arabia Saudita e Qatar hanno
utilizzato il loro impianto mediatico come arma nel conflitto, gestendo l'informazione (talvolta del
tutto falsa) fino a determinare l'immaginario internazionale collettivo volto a favore del risveglio
popolare.
In questa tesi viene preso in esame il caso libico, controverso per il suo esito sanguinoso e il solo
che ha mobilitato le forze NATO per porre fine ad una guerra che ha schierato il tribalismo locale e
le forze militari filo-governative “l'un contro l'altra armate”.
Nel primo capitolo è stata affrontata una panoramica storica che vuole focalizzare la figura del
Colonnello Mu'ammar Gheddafi, padrone indiscusso dello stato nordafricano per 41 anni.
L'analisi effettuata rende chiara la sua ascesa al potere, le sue idee in termini di politica estera e
interna e le delicate relazioni di Tripoli con l'occidente, per meglio delineare la cornice politicosociale della Libia all'alba della rivoluzione.
Le premesse per lo scoppio di una rivolta sono insite nell'alto tasso di insoddisfazione popolare
derivato dall'amministrazione sui generis del Ra'is che per un quarantennio aveva esercitato la sua
completa supremazia sulle strutture sociali, fino a renderle inesistenti.
Il secondo capitolo esamina la rivolta libica del 2011 attraverso lo sguardo dei media che l'hanno
raccontata, distaccandosi da una prospettiva esclusivamente storica. I social network, i blog e i
messaggi on line sono stati utili per diffondere oltre la censura statuale le rivendicazioni popolari,
finalizzate a detronizzare Gheddafi. E' stata fatta un'analisi empirica sulla copertura della guerra
civile scandagliando le pagine web e i blog degli attivisti libici in esilio che hanno prodotto
informazione libera ma talvolta poco affidabile.
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Preziosa, al fine di avere una visione più completa, è stata la testimonianza ricevuta da due inviati
speciali italiani in Libia: Lorenzo Cremonesi e Fausto Biloslavo, le cui rispettive analisi e
deduzioni, conferiscono all'argomentazione generale una rispondenza diretta.
Il terzo capitolo è dedicato al ruolo decisivo dei network panarabi Al Jazeera e Al Arabya che hanno
accompagnato i ribelli libici durante la rivoluzione e hanno utilizzato la copertura mediatica per
creare una risonanza internazionale alla sanguinosa repressione civile. Gli interessi geopolitici delle
due monarchie del Golfo sono stati celati dunque dietro l'informazione distorta, spesso priva di fonti
e talvolta inesatta, rivelatasi determinante per l'ingresso armato delle Nazioni Unite nel conflitto.
Con la comparazione di documenti, articoli, testimonianze, è stata dimostrata l'entità
delle “bufale di guerra”diffuse dalla rete di Doha, di cui sono stati individuati i limiti deontologici e
professionali.
L'uso strategico dei media è stato uno degli aspetti più discussi e controversi della Primavera libica
conclusa dopo otto mesi con la morte di Gheddafi e il riemergere del tribalismo locale.
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1. ASCESA E DOMINIO DI GHEDDAFI
Nel cuore del Mediterraneo, tra il Maghreb e il Mashreq, la Libia. Paese arabo nordafricano a
maggioranza religiosa musulmana, esportatore mondiale di petrolio, antica colonia italiana.
Le diversissime tribù che abitano e convivono, non senza ostilità, nei principali centri abitati, hanno
origini e identità profonde, radicalizzate e ben distinte tra loro. Il legame etnico-tribale che unisce
queste famiglie e il forte senso d'appartenenza derivante dalla matrice islamica è maggiore di quello
nazionale.
Tripolitania, Cirenaica e Fezzan sono le 3 regioni autonome che compongono l'architettura di
questo stato, tagliato in due orizzontalmente dal deserto libico-nubiano, attraversato per lo più da
popolazioni di beduini nomadi.
Dopo essere stata una colonia italiana a partire dai primi riconoscimenti internazionali nel 1911, la
Libia ottenne l'indipendenza il 1° gennaio 1951 ed entrò nella Lega Araba costituendosi come uno
stato federale.
Dal secondo conflitto mondiale uscì come un paese molto povero economicamente, con un
territorio costellato di mine antiuomo che laceravano la popolazione. Gli aiuti di Gran Bretagna e
Stati Uniti erano dunque necessari e fondamentali per ripristinare un assetto di una (seppur precaria)
stabilità sociale e incentivare un'apparente ripresa economica. In cambio, le due macro potenze
impiantarono le loro basi militari nei punti strategici del territorio libico durante la Guerra Fredda.
Con il trattato del 1956 La Libia ottenne l'indipendenza dal governo italiano. Le proprietà degli
italiani furono mantenute (immobili e soprattutto terre da colonizzare), in cambio Roma avrebbe
contribuito finanziando la ripresa economica del paese nordafricano.
Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Senussi fu il primo re di Tripoli e guidò dal 1951 al 1969 una
monarchia corrotta e inetta; nipote di colui che fondò la consistente confraternita islamica Senussita
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(“Tariqa“, dall’arabo “confraternita”, nata in Cirenaica a metà del XIX secolo, seguita
maggiormente dai beduini, si batteva per contrastare e respingere i ripetuti tentativi di conquista da
parte degli italiani.)
La corruzione dilagante della monarchia aveva accentuato il divario sociale, accrescendo
favoritismi e insieme risentimenti popolari. Contro una politica repressiva, una povertà largamente
diffusa tra il popolo, si alzavano le proteste dei libici, specialmente dalle frange studentesche che
promuovevano scioperi e manifestazioni in tutte le principali città del Nord.
In questo periodo storico-politico nasce e si forma una figura che sarà destinata a segnare la
coscienza del popolo libico e non solo.
La più recente storia della Libia si snoda attorno l'eccentrica figura del colonnello Mu'ammar alGheddafi, il più longevo regnante di un territorio arabo.
“Un dittatore che ha per 42 anni guidato uno dei regimi più violenti della regione. I libici non hanno
potuto mai definire la propria identità o decidere il proprio futuro, né ai tempi della monarchia di
Idris (1951-1969) né sotto il regime di Gheddafi.”1
In quei 42 anni sono mutati drasticamente gli assetti politici interni, sociali ed economici della
Libia. E' cambiata la politica estera, il ruolo della nazione nel panorama internazionale, la
stratificazione della società, la costituzione, il sistema giuridico e la bandiera nazionale.
1.1 Il colpo di stato e l'ascesa politica del Colonnello Mu'ammar Gheddafi
Muʿammar Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhāfī nasce probabilmente nel 1946 nell'ambiente
povero e privo di ogni agio di una delle più numerose tribù nomadi e beduine della Libia
occidentale: i Qadhadhfa. E' difficile risalire esattamente al suo periodo di nascita in quanto solo
dopo gli anni '50 verrà introdotto l'obbligo di registrazione delle nascite.
Durante gli anni di Sirte il giovane Mu'ammar frequenta i primi studi, si avvicina alla religione
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musulmana con la lettura metodica del Corano, a cui si dedica dopo essere stato ripetutamente
emarginato dagli altri ragazzi per le umili origini del suo ceppo familiare. Non solo. Entra anche in
conflitto con la popolazione cittadina, distinta dagli usi più tradizionali di quelli beduini.
Con l'annuale spostamento dei gruppi nomadi nella regione del Fezzan, territorio adatto all'apertura
di nuovi pascoli, Gheddafi segue la sua famiglia che si stabilisce provvisoriamente a Sebha , luogo
in cui frequenterà il ginnasio. L'ambiente in cui il giovane studente si immerge sarà determinante
per la sua formazione intellettuale. L'islamismo, il nazionalismo arabo e la lotta d'indipendenza
africana nei riguardi dell'imperialismo sono quegli ideali e argomenti di cui sente discutere e
riflettere. Le notizie del vicino Egitto approdano grazie alle trasmissioni radiofoniche del Cairo:
“Voce degli arabi”, Sawt al-'Arab, programma che diffonde i moniti della rivoluzione egiziana e
incita all'unità dei popoli arabi contro le forze coloniali. Il ra’is d'Egitto Gamāl ʿAbd al-Nāṣer è
l'eroe indiscusso del mondo arabo e il detentore del progetto di liberazione dei paesi sottomessi al
giogo coloniale2.
Proprio grazie alla radio Gheddafi conosce gli avvenimenti del suo tempo, come la più nota e
risonante invasione franco-israeliana in Egitto per la riconquista del Canale di Suez (1956). Nello
stesso periodo mette in piedi dalla città di Sebha alcune manifestazioni di protesta che inneggiano
all'unità dei paesi arabi e alla loro indipendenza.
La dirigenza libica era la meno progressista e più dipendente dalle potenze occidentali. Corrotta e
inefficace, diventa per questi motivi il bersaglio del nuovo progetto panarabo coltivato da Gheddafi.
E' la figura di Nasser che ispira in Lui l'ideologia che porterà alla cospirazione.
Con il ritiro di Damasco, la Repubblica Araba unita (formatasi nel 1958 tra Siria ed Egitto) venne a
dissolversi e il progetto del ra'is egiziano sfumò in moniti lanciati a tutti gli arabi affinché
procedessero alla realizzazione di questo disegno politico. La guerra dei 6 giorni scatenata da
Israele comportò l'umiliazione di Nasser, la crisi dell'unità araba e lo scoppiare di molte
manifestazioni nelle città libiche, duramente represse dalla polizia governativa. Anche quella
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capeggiata da Gheddafi venne sedata ma fin da questo episodio si denota il suo spirito
rivoluzionario e anti-governativo. Fu espulso infatti da tutte le scuole del Fezzan e dopo aver
trascorso a Misurata due anni in cui le letture affinarono le sue idee politico-rivoluzionarie, entrò
nell'Accademia Militare di Bengasi. E' il 1965 quando nasce il primo nucleo della società segreta
degli Ufficiali Liberi Unionisti, il movimento eversivo rivoluzionario composto da persone
provenienti da ogni estrazione sociale, dal ceto medio a quello rurale, da famiglie poco prestigiose,
ed era distinto in due frange.
La maggioranza confluiva negli Ufficiali Liberi dotati di un Comitato Centrale. L'altra, civile,
puntava a mutare l'amministrazione e fu dotata di un comitato popolare che raggruppava i membri
delle cellule di importanti città libiche. Sarà la condotta etica e il rigore morale uniti alla forte
determinazione, a far apparire Gheddafi leader indiscusso della cospirazione.
Sfruttando il clima di scarsa adesione dell'esercito ad una monarchia in disfacimento, il giovane
Mu'ammar con un colpo di stato, rovesciò il vecchio e stanco Re Idris e conquistò la capitale
politica, Tripoli.
Il gruppo degli Ufficiali Liberi, nato nella clandestinità dell'accademia in cui il giovane di Sirte si
era addestrato, si raccolse attorno a questa figura eccelsa in astuzia e dalle abilità militari
straordinarie. Le prospettive erano quelle di creare un futuro migliore per la Libia lontano dalla
dipendenza alle potenze occidentali con il fine ultimo di rompere definitivamente con il passato3.
L'ideologia degli Ufficiali Liberi si nutriva dunque di quel nazionalismo arabo sbandierato dal
rivoluzionario re d'Egitto Nasser, il quale voleva unire tutti i paesi del mondo arabo sotto una sola
bandiera, per riconsegnare a questo popolo lo splendore e la grandezza di un tempo.
“Dite al presidente Nasser che abbiamo fatto questa rivoluzione per lui. Può prendere tutto ciò che
abbiamo e usarlo insieme alle altre risorse del mondo arabo nella battaglia (contro Israele e per
l'unità araba)”4.
La notte del 1° settembre 1969 ebbe luogo ”l'Operazione Gerusalemme” e già dalle prime ore del
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mattino, Tripoli e Bengasi furono conquistate dal gruppo di Gheddafi e i maggiori esponenti del
vecchio regime furono tolti dai loro incarichi. La sola fonte di informazione e di comunicazione
verso l'esterno che aggiornava sugli spostamenti interni era la radio, controllata dagli Ufficiali. Il
nuovo governo si fece conoscere grazie a questo strumento, presentandosi come Consiglio del
Comando Rivoluzionario e mantenendo ancora l'anonimato dei suoi componenti.
L'8 settembre il giovane Mu'ammar appena ventisettenne divenne colonnello grazie ai meriti che gli
vennero riconosciuti nella rivoluzione, si pose a capo delle forze armate e presidente del CCR,
detenendo in pratica tutti i poteri.
Iniziò così la grande manovra politico istituzionale che rese la Libia uno stato fortemente
controllato dal suo Leader e dalla compagine governativa.
Mentre scorrono le settimane “Le Monde” scrive che “la fisionomia del nuovo regime libico si
precisa. Nazionalista e riformista all'interno, anti-imperialista e panarabo in politica estera”5.
Nel giro di pochi giorni, tutte le potenze internazionali riconobbero il nuovo organo politico.
Il regime si pose a capo di una epurazione della vecchia élite aristocratico-monarchica ancora
presente sul territorio, gli ufficiali senussiti furono rimossi dall'esercito regolare e furono introdotti i
comitati popolari. Per svecchiare l'antico assetto istituzionale della monarchia di Idris, furono
eliminati ostacoli e mediatori politici che si ponevano tra il popolo e la guida del paese. L'esercito
fagocitava nuovi adepti rendendo le accademie militari istituzioni privilegiate.
Il suo pensiero politico non si limitava alla sola Libia, il Colonnello si faceva portavoce di un
disegno molto più grande, quello panarabo inizialmente nasseriano, che avrebbe proiettato il
territorio libico su scala mondiale. Nonostante la collegialità sbandierata, Gheddafi era il solo a
prendere le decisioni, fin dall'esordio politico. Iniziò a monopolizzare i rapporto coi giornalisti
facendoli attendere anche settimane prima di concedersi alle loro interviste. La strumentalizzazione
della stampa risultava una delle sue migliori abilità e sarà infatti finalizzata alla creazione del
proprio mito.
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Di questo alone magico e surreale scrissero molti giornalisti:
Arminio Savoli in un articolo apparso sull'Unità dell'8 Marzo 1970 “Il mitra e il Corano”
scrisse: “Sono dodici come gli apostoli, i nuovi dirigenti della Libia repubblicana. Sono figli di
beduini poveri e nomadi, di agricoltori e macellai, di preti venerati per il rigore religioso e il santo
zelo”
Bernardo Valli su “Il Giorno” del 23 Gennaio 1970 “Edificano una Libia puritana”: “Nella caserma
di Bab al'Aziziyyah, il colonnello Gheddafi dorme su un lettino da campo, senza materasso, senza
lenzuola. Il palazzo reale troneggia vuoto al centro di Tripoli come un'inutile torta orientale decorata
da torri simili ad elmi di Saladino”.
Alcuni giornalisti lo interrogano sulle ragioni interne che portarono al colpo di stato:
“Abbiamo voluto liberare il nostro popolo da un regime di diseguaglianza, di oppressione e
corruzione. La Libia è ricca ma tecnologicamente arretrata, è un paese sottosviluppato. Dopo la
rivoluzione la Libia si batte per la libertà di altri popoli non liberi. E' un paese progressista in più”6.
L'11 Dicembre 1969 fu promulgata dal CCR una Costituzione provvisoria in cui lo stesso Consiglio
si pose come la più alta autorità del Paese col compito di nominare il Consiglio dei Ministri,
legiferare e dettare le politiche dello Stato. Il Consiglio dei Ministri, di seguito, ebbe il solo compito
di discutere i progetti di legge e presentarli poi al Consiglio Rivoluzionario.
Il colpo di Stato non aveva tuttavia reso la Libia un paese completamente libero ed indipendente. I
principali obiettivi che il CCR si poneva di raggiungere erano infatti: l'eliminazione delle basi
straniere presenti sul territorio libico e la nazionalizzazione delle principali compagnie petrolifere
operanti in Libia, per riacquistare l'effettiva proprietà delle ingenti risorse energetiche del Paese.
Questa fase verrà chiamata dagli storici “Seconda Indipendenza”7.
Il primo intervento fu la liquidazione delle basi straniere, britanniche e statunitensi, e l'uso del
petrolio come arma finalizzata ad influenzare le decisioni delle grandi potenze economiche
mondali. Emerge fin dalle prime decisioni la figura di un leader carismatico e controverso. Il
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Colonnello utilizzò le piazze delle principali città libiche per dare sfogo alla sua retorica roboante,
dai toni violenti e aspri, per annunciare gli obiettivi del suo governo. In questo modo Egli dava ai
suoi progetti la legittimazione popolare e si mostrava dinanzi le potenze straniere come il portavoce
della volontà del popolo.
“Gheddafi è il filosofo carismatico trascinatore di uomini e la forza propulsiva che spinge la
rivoluzione libica da un'iniziativa all'altra, soprattutto nell'ambito della politica estera(...) I suoi
ripetuti successi finanziati dalla ricchezza petrolifera] della Libia e rafforzati dalla sua
spregiudicatezza gli hanno confermato che il destino gli ha concesso un ruolo da protagonista nel
mondo arabo (…) Un uomo indispensabile nella Repubblica Araba Libica”8.
1.2 La politica petrolifera e i rapporti economici con l'occidente
La Libia era uno dei maggiori paesi produttori di petrolio del continente africano, ma a beneficiare
di questa enorme ricchezza erano le compagnie straniere petrolifere operanti sul suo suolo.
Gheddafi incaricò l'ufficiale Abdessalam Jalud affinché iniziasse una serie di negoziati con Gran
Bretagna e Stati Uniti i quali individuavano il ritiro delle basi militari dalla Libia come una
condizione necessaria per il mantenimento dei rapporti amichevoli con il paese.
Nel giro di pochi mesi vennero ultimati i termini del ritiro anglo-americano.
A termine del Marzo 1970 sarebbe stata sgomberata la base militare britannica di El-Adem. Nel
Giugno dello stesso anno sarebbe stata evacuata dall'esercito statunitense quella di Wheelus Field.
Le due macro-potenze occidentali accettarono la rimozione delle loro basi militare convinti che ciò
avrebbe aperto una nuova pagina di rapporti con la potenza in auge, stabilendo contatti economici
vantaggiosi. Gheddafi, in realtà, considerò queste trattative il primo passo verso una indipendenza
esplicita dall'occidente e lanciò una strategia nuova nella gestione delle risorse petrolifere.
Il Colonnello iniziò riducendo la produzione delle compagnie che non accettavano le condizioni del
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nuovo governo libico e che finirono in gran parte nazionalizzate9.
Successivamente alla minaccia di ridurre la produzione petrolifera della compagnia statunitense
Occidental di oltre il 50%, il 1° Settembre 1970 , ad un anno dal colpo di stato, fu stabilito un
accordo con questa che di fatto aumentava il prezzo ufficiale del greggio. Tutte le compagnie
straniere attive in Libia iniziarono a trattare singolarmente col governo e ciò permise di esercitare di
volta in volta pressioni ora di svantaggio, ora più permissive, alle singole aziende. La Libia entrò
nel novero dei massimi produttori mondiali di petrolio. La compagnia di bandiera libica controllava
oltre il 70 % della produzione di greggio. Solo le piccole e medie aziende straniere che accettarono
il diktat del governo restano sul suolo arabo e continuarono ad essere viste e trattate come “gentili
concessioni” fatte dal governo libico. Il rialzo dei prezzi continuo infastidì i rappresentanti delle
maggiori compagnie petrolifere che sollecitarono accordi generali tra gli stati membri
dell'Organization of the Petroleum Exporting Countries (associazione di 12 paesi fondata nel 1960
per negoziare con le compagnie petrolifere aspetti relativi alla produzione di petrolio, concessioni,
prezzi) per evitare negoziati separati con i singoli produttori.
L'accordo di Teheran del 1971 nato sotto la spinta dello shah iraniano Mohammed Reza Pahlavi
che convocò nella sua capitale una conferenza dell'OPEC, prevedeva un aumento ufficiale del
greggio di 35 centesimi di dollaro al barile e una rivalutazione anche in base alla qualità del petrolio
estratto. Solo gli stati del Golfo furono completamente favorevoli all'accordo. La Libia rispose con
l'Accordo di Tripoli, scritto nello stesso anno, nel quale venne sancita l'obbligatorietà delle
compagnie di sottostare alle imposte governative libiche. Questo patto permise allo stato
nordafricano di ottenere numerosi vantaggi economici ma di fatto si formò un bipolarismo in
materia economica che spacco l'OPEC e vide l'opposizione di Teheran e la politica petrolifera di
Iran e Stati del Golfo contro Tripoli. Pian piano tutte le grandi compagnie furono nazionalizzate, la
Occidental, la Oasis Group. Il 51% fu nazionalizzato e il restante fu fagocitato dagli interessi della
National Oil Company, gestita dal governo libico.
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L'infrazione della regola del prezzo ufficiale, la minaccia dei tagli alla produzione, i negoziati
individuali, furono le strategie spregiudicate che mise in atto il governo Gheddafi in materia di
politica petrolifera. I petroldollari che giungevano vennero utilizzati poi per il potenziamento
militare. La Libia divenne in poco tempo un vero e proprio stato armato. In questo modo il
Colonnello si assicurava un ruolo di potenza regionale nel mondo arabo e africano che gli avrebbe
permesso una maggior influenza tra i movimenti nazionalisti islamisti. Dimostrerà, in oltre, di
utilizzare il petrolio come arma per minacciare e ricattare i vari paesi esteri, come anche lo Stato di
Israele, nemico storico della causa panaraba10. L'antagonismo verso Israele era di fatto uno dei
principali motivi per gli accordi libico-sovietici per la fornitura di armi al regime di Tripoli. La
questione palestinese era in oltre uno dei più sentiti obiettivi della politica estera di Gheddafi.
1.3 Nuovo dialogo con l'Italia: gli accordi tra i due stati nel protocollo “JaludRumor”
L'insediamento del nuovo governo fece vacillare i legami storici tra lo stato nordafricano e l'Italia.
Nell'estate del 1970 il Ra'is Gheddafi emanò delle leggi che comprendevano la confisca dei beni
degli italiani (e degli ebrei) presenti in Libia e l'espulsione dei membri della numerosa comunità.
“E' inaccettabile che all'usurpatore sia permesso di cavarsela senza danno, che al carnefice del
popolo e al saccheggiatore delle sue ricchezze sia consentito di rimanere con il frutto delle sue
razzie”11.
Il trattato italo-libico del 1956 che regolava tutte le questioni tra Roma e Tripoli e che decise
l'indipendenza libica, fu revocato. L'Italia si trovò quindi a dover reintegrare nel proprio sistema
economico e sociale coloro che il regime di Tripoli aveva reso privi di ogni proprietà. Ma
difficilmente il governo arabo sarebbe riuscito a far fronte alla mancanza del personale tecnicoamministrativo italiano. Il ministro degli Esteri Aldo Moro propose al Colonnello una cooperazione
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tra i due stati: per lo sviluppo del paese, per la costruzione di impianti industriali e la realizzazione
di lavori pubblici, il governo italiano, avrebbe fornito manodopera qualificata nei settori tecnologici
e petrolchimici. D'altra parte gli italiani avrebbero avuto dei vantaggi nell'approvvigionamento di
petrolio libico. La nuova politica collaborativa tra i due paesi fu sancita dal protocollo “JaludRumor” che determinava l'operazione italiana in territorio libico. Molte società iniziarono ad
investire in Libia, realizzando imprese per lo sviluppo del territorio arabo, opere strutturali,
costruzione di acquedotti. Caso che merita d'essere evidenziato è quello dell'AGIP. Un nuovo
accordo prevedeva la concessione di ricerca AGIP su quattro nuove diverse aree per una superficie
complessiva di circa 44 mila chilometri quadrati sulle due piattaforme continentali e di circa 100
mila km nelle due in Cirenaica”12.
Le spese iniziali sarebbero state gestite dalla società italiana, ma nel caso di scoperta di nuovi
giacimenti, la National Oil Company si sarebbe fatta carico dell'AGIP partecipando ai costi di
investimento. Nel 1975 sarà l'ENI guidato dalla presidenza di Pietro Sette a stipulare nuovi accordi
e un progetto di cooperazione economica con Tripoli: in cambio dell'assistenza tecnica per la
gestione degli impianti, la compagnia petrolifera italiana avrebbe ricevuto una serie di vantaggi che
garantivano alla società italiana uno status preferenziale in determinati progetti di sviluppo libici.
1.4 Il libro verde e la società senza stato. La Jamāhīriyya
L'ampio progetto politico di Gheddafi venne esposto in una serie di interviste, articoli e discorsi dai
forti accenti retorici. I meccanismi burocratici sofferti dal sistema, l'impedimento della popolazione
di partecipare direttamente alla rivoluzione del Paese, il potere delle classi tradizionali divennero il
punto di partenza per una riflessione politico-economica che il Colonnello definì “La terza teoria
Universale”. Questa riflessione muoveva i passi contro il marxismo in primis ed il capitalismo in
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secondo luogo e confluì in un volume di modeste dimensioni che, nato nel '73, vide la luce nel 1976
col nome di Libro Verde, dall’arabo Kitab al-akhdar
Il Libro Verde segna un sorta di Rivoluzione Culturale in linea, non tanto contenutistica, quanto più
formale, col Libretto Rosso redatto e diffuso una decina d'anni prima dal governo comunista cinese
con i pensieri del presidente Mao Zedong. Era il manifesto della linea politica, economica e sociale
che si sarebbe perseguita.
Fu definito dal Ra'is la “Soluzione definitiva” per dar voce al popolo, per far riappropriare i libici
delle proprie risorse economiche e per sviluppare un'azione di svecchiamento delle strutture sociali
presenti. Venne imposto come testo scolastico in Libia, ma fu anche tradotto in moltissime lingue e
diffuso grazie ad un organismo internazionale dotato di mezzi straordinari per la stampa e la
diffusione, la propaganda e l'organizzazione del dibattito sui suoi contenuti.
La struttura interna si dipana in tre capitoli: “La soluzione del problema della Democrazia <Il potere
del Popolo> ; “La soluzione del problema economico <Il socialismo>” ; “Base sociale” <Terza
teoria universale>”
I capitoli sono suddivisi in paragrafi molto brevi che esaminano, in modo del tutto soggettivo e
personale, varie tematiche inerenti all'argomento centrale. Nella prima parte vengono esaminate le
strutture governative con l'assunto iniziale per cui il popolo resta sconfitto in ogni suo tentativo di
detenere il potere. La democrazia esce sempre sconfitta da questa lotta, il parlamento rappresenta
dunque il popolo ma non realizza il “governo del popolo”. E' definito una “rappresentazione
ingannevole” in virtù del fatto che “le dittature più feroci conosciute nel mondo si sono costruite
all'ombra dei parlamenti”.
I partiti vengono visti come “la dittatura contemporanea” e la lotta di classe porta al potere una sola
parte della popolazione rivelandosi quindi dannosa per tutte le altre. Il referendum è “inganno della
democrazia” in quanto “coloro che dicono “Sì” e coloro che dicono “No” non esprimono in realtà la
loro volontà, ma sono imbavagliati dal concetto obbligato della democrazia moderna” (…) “Ciò
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rappresenta il più crudele e il massimo del coercitivo sistema dittatoriale”.
La libertà di stampa viene considerata erroneamente valore positivo in quanto “non è
democraticamente ammissibile che una persona fisica possegga un mezzo qualsiasi di diffusione o
di informazione pubblica” Da ciò Gheddafi vuole dimostrare come la stampa libera faccia parte di
un sistema oppressivo, di controllo e di falsificazione della realtà.
La risposta del Colonnello è la realizzazione di una democrazia popolare, non diretta, che si basi sui
comitati e sui congressi popolari. Al vertice era stato istituito infatti un Congresso Generale del
Popolo seguito da un Comitato popolare generale (una sorta di Consiglio dei Ministri che di fatto
non possedeva alcuna autorità indipendente). Seguivano Congressi popolari di base col compito di
nominare Comitati popolari di base che si occupavano dell'amministrazione locale.
Il sistema di governo che venne a crearsi era destinato a ridurre drasticamente l'opposizione al
regime: le attività politiche furono limitate ai Congressi popolari di Base e le decisioni sugli esteri
furono escluse dalla loro sfera di competenza.
La seconda parte del Libro manifesto di Gheddafi affronta il problema economico. I lavoratori,
sostiene il Ra'is, devono “abolire la burocrazia del settore pubblico e la dittatura del settore privato”
assumendo il controllo diretto sulle imprese economiche. Egli mirò ad una ripartizione radicale
delle ricchezze eliminando completamente la proprietà di determinati beni economici. Questo è il
chiaro riflesso della Società senza Stato verso cui tendeva il regime. Gli individui e le famiglie non
dovevano possedere beni usati per lo sfruttamento di altri cittadini libici o “più case” il che avrebbe
comportato che un altro libico venisse privato del domicilio. La ricchezza della nazione doveva
essere condivisa in modo equo, l'uguaglianza dei cittadini era un cardine nella nuova azione
governativa. Tutte le abitazioni non occupate vennero nazionalizzate. Il lavoro salariato venne
abolito in quanto simbolo dello sfruttamento delle imprese per le quali lavoravano: “Il salariato è,
rispetto al padrone che lo assume, simile allo schiavo; anzi egli è uno schiavo temporaneo, e la sua
schiavitù è in funzione alla sua schiavitù contro una paga corrisposta dal datore di lavoro.”
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Questo rese commercianti e piccoli operatori del tutto passivi dinanzi la vita economica del paese.
A fine 1980 le industrie più importanti furono consegnate ai Comitati di Produzione di Base, gruppi
scelti di lavoratori all'interno di ciascuna impresa. Solo l'industria legata al petrolio e le banche non
furono annesse a questi Comitati. Il ruolo dei commercianti fu abolito. Le terre coltivabili
appartenevano al settore pubblico e coloro che le prendevano in affitto potevano usufruire
solamente di ciò che era necessario al loro fabbisogno: “La terra non appartiene a nessuno. Però è
ammesso ad ognuno di usufruirne per proprio utile lavorandola, seminandola (…) senza impiegare
alcuno al di fuori di lui con paga o senza e al solo scopo di soddisfare i proprio bisogni”
Le imprese private chiusero ovunque e furono sostituite da supermercati statali, la libera professione
fu abolita e a rischio caddero le caste di professionisti come quella degli avvocati. Il sistema
bancario smise tuttavia di funzionare in modo efficiente e si trasformò in un deposito di fondi. Tutti
i beni erano controllati dallo Stato, inclusi quelli di prima necessità come i generi alimentari13.
La terza sezione del Libro Verde osserva la struttura e gli elementi che compongono la società
libica. L'analisi passa in rassegna gli elementi fondamentali quali: la famiglia che “per il singolo è
più importante dello Stato”; La tribù “che è famiglia dopo essersi allargata per l'arrivo dei figli”.
Gheddafi dirà anche che “Il nucleo familiare è superiore socialmente a quello tribale, e il gruppo
tribale è superiore socialmente a quello nazionale, e la collettività nazionale è superiore a quella
mondiale in quanto a rapporto, a benevolenza, solidarietà e utilità”. La nazione che per l'individuo
“è “ombrello” politico razziale più vasto di quello sociale che la tribù fornisce ai suoi membri”, per
poi approdare alla condizione della donna, diversa per caratteristiche “fisico-genetiche” dall'uomo;
Una riflessione concerne anche i temi delle minoranze, i negri, l'istruzione, le arti, la musica, gli
spettacoli, e lo sport14.
I principi esposti nel libro verde vogliono dimostrare che la società politica è in grado di
organizzarsi “naturalmente” secondo di essi, senza la necessità di uno statuto. Nel 1979 viene di
fatto abolita la costituzione emanata nel '69, poiché nell'ideologia del Colonnello, in questo tipo di
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struttura politica vi era celata l'affermazione del dominio di persone o gruppi sugli altri. Anche i
partiti e le organizzazioni politiche, considerate fonte di separazione e divisione interna, vennero
aboliti in virtù di una completa libertà di espressione del popolo.
Dopo l'era della repubblica viene annunciata il 2 Marzo 1979 nella città di Sebha l'“era delle
masse” e Gheddafi rinominò la Libia Al-Jamahiriyya al-'arabiyya al-libiyya ash-sha'biyya alishtirakiyya (La Jamahiriyya araba libica popolare socialista).
Il CCR fu formalmente abolito e il controllo politico del paese fu assegnato ad un sistema
complesso di congressi e comitati popolari, mentre il Leader indiscusso prese i titoli di qa'id (guida
spirituale e politica della comunità) e mu'allim (maestro), appellativi che erano stati Nasseriani.
Formalmente Gheddafi rinuncia a tutte le cariche di cui è in possesso, anche quella di segretario del
Comitato Generale del Popolo e davanti alla legge è considerato un cittadino proprio alla pari degli
altri. Ma in realtà conserva un fortissimo potere attraverso il controllo dell'esercito, dei servizi di
sicurezza, del Consiglio superiore della pianificazione, dell'orientamento nazionale e dell'ufficio di
collegamento dei Comitati rivoluzionari, vero cardine del potere illimitato.
Il paese venne letteralmente tappezzato di manifesti con slogan del regime quali “Nessuna
rappresentanza al posto del popolo”; “Comitati popolari dappertutto” “Associati, non salariati”
In questo periodo Gheddafi volle risolvere due problemi interni alla Libia: La penuria d'acqua e la
mancanza di manodopera. Per provvedere alla prima elaborò un ambizioso progetto che prevedeva
la costruzione di un “Grande fiume artificiale” che, sfruttando le riserve fossi d'acqua del Fezzan
avrebbe arricchito principalmente i territori più a Nord della Tripolitania (e solo in parte minore
della Cirenaica). Aprì le porte del Paese agli stranieri, che vennero a coprire il 50% della forza
lavoro.
Fu dato forte impulso all'industria, alle vie di comunicazione, si svilupparono raffinerie, fabbriche,
migliorò la condizione degli ospedali, ma non tutti i progetti furono redditizi.
La strategia di politica estera, il giro economico che ruotava attorno al petrolio libico permise
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stabilità economica al Paese, ma il progetto interno non solo si dimostrò contraddittorio, ma fece
emergere risentimenti tra coloro i quali si sentirono ancor più traditi e derubati dall'azione
governativa della Jamahiriyya. La ridistribuzione delle ricchezze, la nazionalizzazione del
commercio, la chiusura forzata di attività commerciali, l'esproprio di beni e terreni gestiti poi dallo
Stato furono le cause principali di una disapprovazione ingente e crescente al regime. I Comitati
rivoluzionari nati dalla scissione col Congresso Generale Popolare, rispondevano direttamente a
Gheddafi che ne regolava l'attività. Questi penetrarono a fondo nelle istituzioni pubbliche, nei
comitati popolari e nella polizia con il ruolo di mantenere sicurezza e di fatto rafforzando il
controllo da parte del Colonnello. Il loro compito fu quello di proteggere la rivoluzione, sradicare
l'appropriazione indebita di fondi, coordinare le elezioni dei comitati popolari, il che, ovviamente,
garantiva un controllo parziale anche su queste classi, e a partire dagli anni 80 assunsero controllo
della stampa e della propaganda.
Ricevettero anche il potere di creare tribunali basati sul “diritto rivoluzionario”, incentrato non più
sul diritto islamico della Shari'a (che contrastava con i propositi di governo poiché, ad esempio,
tutelava la proprietà privata e poco si adattava alla mutevolezza del regime che con ogni mezzo
aggirava le istituzioni formali).
Gheddafi finì per controllare ogni organo sociale. Deteneva il potere politico e l'autorità decisionale,
agiva con un forte gioco di pesi sui comitati e si creò attorno un gruppo fedelissimo utilizzato come
strumento per assicurare la sopravvivenza del suo regime. Ai cittadini Libici venne, di fatto,
“confiscata” ogni ricchezza che ingrassò le tasche dei governanti e delle élite che gravitavano
attorno al Ra'is. La vecchia borghesia conservatrice si affiancò in termini di dissenso e di speranze
tradite al clero musulmano, cui erano stati sottratti i benefici e i privilegi, e questa fu un'ulteriore
dimostrazione del risentimento che emergeva tacito (per ora) e da ogni strato sociale, nei confronti
della “repubblica delle masse” libica.
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1.5 L'islamizzazione della Libia e le accuse di terrorismo internazionale
Un elemento fortemente incisivo è quello religioso dell'Islam, che rappresenta un valore di identità,
di unità e di liberazione del paese. La religione musulmana è un elemento irrinunciabile
dell'arabismo poiché fa parte della sua radice etno-culturale e non solo. Fu anche utilizzata dal
governo come elemento di legittimazione delle strategie governative.
“ L'Islam ha una vocazione universale, è la fonte di ogni progresso e di tutte le scienze, è più
progressista di qualsiasi ideologia rivoluzionaria; ha stabilito i principi di una società concepita al
servizio tanto dell'individuo che della collettività; ha scoperto prima di ogni altro i diritti dell'uomo
e del lavoratore, la soppressione delle classi”15.
“Legga il Corano- risponde al giornalista Eric Rouleau per spiegare la scelta islamica- vi troverà le
risposte a tutte le domande: L'unità araba, il Socialismo, i diritti di successione, il posto che
dovrebbe competere alla donna nella società (…) I popoli, compresi russi e comunisti si
convertiranno all'Islam se si prendono la briga di leggere il Corano con intelligenza e spirito
aperto”16.
Gheddafi ripristinò una religiosità fondamentalista a tutti gli effetti. Introdusse il Corano a legge
della Società, venne abolita la Shari'a, sistema giuridico musulmano che prevedeva spesso pene
corporali e punizioni pesantissime (sovvertita infatti in quasi tutti i paesi musulmani dal Diritto
Occidentale) e furono prese cospicue distanze nei confronti degli hadith, l'insieme di tradizioni
relative alle parole e agli atti del Profeta Maometto confezionati dalla classe religiosa di sacerdoti
degli ulama.
L'età Gheddafiana del primo decennio venne chiamata “Fondamentalismo di stato” che “occupa
tutto il terreno di un eventuale fondamentalismo di contestazione, assicurando al paese un periodo
di benessere e tranquillità”17. Fra gli altri elementi che caratterizzarono l'islamizzazione della Libia
è importante sottolineare l'adozione della bandiera verde dell'Islam come emblema nazionale e
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l'istituzione della zakat, ossia dell'elemosina obbligatoria dei musulmani,
utilizzata anche per
finanziare l'azione di propaganda dell'Islam nel mondo ad opera dell'associazione politica Da'wa
Islamiyya (gruppo armato islamico sciita).
Ma Gheddafi ha promosso anche un “arabismo” radicale: Il ritorno all'arabo come lingua ufficiale e
unica studiata nelle scuole di tutto lo Stato.
Il rapporto stretto tra il governo libico e i movimenti estremisti palestinesi, l'opposizione agli
accordi di Camp David (Trattato israelo-egiziano del 1978 che mirava a stabilire i rapporti fra i
paesi arabi e lo stato di Israele) e gli aiuti economici e militari all'OLP (L'Organizzazione per la
liberazione della Palestina) consolidarono l'immagine della Libia come “stato canaglia” agli occhi
delle potenze occidentali, e soprattutto quella americana lesse una stretta connessione di Tripoli con
il terrorismo internazionale.
La “nazionalizzazione della battaglia” contro Israele veniva vista da Gheddafi un bottone che
legava il progetto di unità araba, da sempre ambito, e l'opposizione alle potenze occidentali che si
erano intromesse negli affari del Medio Oriente minando l'unità dei suoi abitanti.
Il presidente americano Reagan, che lo considerò “nemico pubblico numero uno degli interessi
strategici americani nel Mediterraneo”18 e il Ra'is iniziarono un violento braccio di ferro, in cui non
furono risparmiati spargimenti di sangue.
Tripoli e Bengasi furono bombardate il 15 Aprile del 1986 dopo che alcuni agenti segreti libici
furono accusati di aver organizzato e guidato tre attentati terroristici: agli aeroporti di Roma e
Vienna simultaneamente il 27 Dicembre del 1985 e quello alla discoteca “Le Belle” di Berlino
Ovest il 5 Aprile dell'anno successivo.
Reagan sperava in una uscita di scena da parte del Leader libico dopo l'umiliazione subita e dopo
l'inasprimento delle pressioni internazionali sulla sua condotta politica. Ma erroneamente il
presidente statunitense seppe leggere la storia appena scritta. Gheddafi, dopo un periodo di stallo,
radunò forze militari attorno il suo arsenale rafforzando il potere e l'autorità del proprio regime.
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Nel Dicembre del 1988 fu condotto un attentato nella cittadina di Lokerbie in Scozia (270 vittime )
e nel deserto del Ténéré in Niger nel settembre dell'anno seguente. La Libia si rifiutò di presentare
ad un tribunale internazionale i presunti colpevoli e ciò fece scattare la mossa delle pesanti sanzioni
contro il Paese.
L'Onu impose un embargo molto duro allo stato Nordafricano con la risoluzione 748.
Nello stesso periodo fu rinvenuto un enorme lago sotterraneo che si estendeva nel sottosuolo
sahariano per un'area di 88 mila chilometri quadrati che avrebbe potuto distribuire le risorse idriche
in tutta la fascia costiera libica. Fu quindi costruito questo acquedotto immenso nel giro di 7 anni.
Seguì la sospensione dell'embargo petrolifero e la riabilitazione della Libia sul panorama politico
mondiale.
Negli anni '90 il grande progetto di unità araba, dapprima nasseriano e coltivato poi dal Colonnello
sfumò davanti ad una riduzione della rappresentanza libica nella Lega Araba al Cairo, e fu cosi
sostituito da un altro disegno: l'unità africana. Il suo sogno di porre la Libia prima come giuda di
una unità arabo-islamica e, successivamente, del continente africano fece sì che vennero stretti i
rapporti economici e politici con i paesi sahariani. Gheddafi assunse la presidenza di una Comunità
tra i paesi del Sahel e del Sahara (Sudan, Ciad, Niger, Mali, Burkina Faso) per realizzare gli Stati
Uniti d'Africa. Anche questo progetto non ebbe un esito positivo. I capi di stato infatti ritennero più
importante convogliare gli sforzi ai casi umanitari: le condizioni gravissime in cui versava la
popolazione somala e quella del Darfur. La proposta fu respinta dalla maggioranza e svanirono tutti
tentativi di creare il grande impero africano con a capo il regime di Tripoli.
Il malcontento degli oppositori e dei prigionieri si affiancò alle milizie fondamentaliste. Nel 1996
infatti, a Bengasi, scoppiò una rivolta islamica contro il Colonnello guidata dalle forze armate del
un gruppo religioso estremista FIG (Fighting islamic group) a cui si legarono manifestando i
detenuti dei carcere di Al Kuwaifya. Per i primi la scintilla che scatenò gli scontri fu l'arresto di un
leader del movimento Khaled Al Sha' che avrebbe rivelato importanti notizie sull'organizzazione e
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sui depositi di armi in seguito a torture. Per i secondi fu la minaccia di essere trasferiti nel
penitenziario di massima sicurezza di Tripoli, Abu Sailm, gestito dalle forze speciali di Gheddafi.
La maggior parte dei detenuti in fuga era stata condannata per aver partecipato alle rivolte contro il
Ra'is scoppiate a Bengasi e in altre due cittadine della Libia orientale nei mesi precedenti.
L'attacco ai ribelli fu immediato da parte dell'esercito: navi da guerra, elicotteri e truppe furono
inviate per sedare l'insurrezione. Il regime negò l'esistenza delle rivolte, affermando che non vi
fosse alcuna opposizione contro il Colonnello e che tutte le carceri fossero state distrutte negli anni
passati. I media furono strumentalizzati a favore del potere nonostante il numero delle vittime fosse
considerevole: sedici tra i governativi e i sette tra i fondamentalisti sommati ad una stima di 100
morti durante le prime manifestazioni19.
Un evento cruciale per comprendere i successivi contrappesi tra le potenze internazionali fu
l'attentato al World Trade Center dell'11 Settembre 2001 per mano di fondamentalisti islamici legati
al gruppo terroristico di al-Qa'ida. Il Colonnello fin da subito appoggiò la lotta al terrorismo
condotta dal presidente americano in carica George W Bush, ma le potenze occidentali non
prestarono fede alla sua totale estraneità dagli attacchi. Forse era il solo modo per la Libia di
riallacciare rapporti con Europa e Stati Uniti e ottenere una riabilitazione della propria immagine
sulla scena internazionale.
Il regime libico destava non pochi sospetti agli occidentali per la scarsa democratizzazione in cui
versava il paese. Il governo di Tripoli era uno dei più dispotici e repressivi del mondo arabo: il
monopolio delle decisioni politiche, la scarsa partecipazione politica, la repressione degli oppositori
e la censura dei mezzi di informazione, delinearono quella di Gheddafi una dittatura a tutti gli
effetti. Iniziarono quindi nell'ultimo decennio del regime a nascere e svilupparsi dei movimenti
d'opposizione che volevano uno stato più libero, delle elezioni democratiche e delle riforme
egualitarie. Le ambizioni dei personaggi politici, spesso la scarsa capacità organizzativa, le rivalità e
le divisioni interne ai vari movimenti, non delinearono questi gruppi come una reale minaccia per la
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Jamahiriyya, e tanto meno una valida alternativa per il Paese.
I bollori popolari intanto venivano sedati dall'interno con l'esercito e i media, strumentalizzati dal
regime, non erano in grado di denunciare la condotta del Colonnello, occultando l'insoddisfazione
popolare del ceto medio.
La connivenza con la dittatura di Tripoli era non solo mediatica ma anche da parte delle potenze
occidentali che avevano bisogno di Gheddafi sia per le forniture di petrolio, sia per arrestare il vento
del fondamentalismo islamico che minacciava l'avanzata in Occidente.
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2. LA GUERRA LIBICA E LA RIVOLUZIONE MEDIATICA
2.1 Le premesse delle insurrezioni nel mondo arabo e l'uso strategico di internet
“ Tunisia & Egypt help Libya with our cause. United we stand, divided we fall”20.
Così appare sulla pagina Twitter di un ragazzo libico che si firma con lo pseudonimo di Doma, il 17
Febbraio 2011.
In un breve testo di poche parole, lanciato nel mondo del web, è racchiuso uno spaccato storicopolitico non trascurabile e sicuramente determinante del panorama contemporaneo.
L'anno 2011 è stato scandito, segnato e scosso da una serie di rivoluzioni popolari, nate e
sviluppatesi nel vicino mondo arabo. I paesi del Nord Africa e del Medio Oriente sono insorti
contro i loro governi di stampo autoritario che per lunghi anni hanno ingessato la mobilità sociale,
destrutturato le gerarchie e privato la popolazione di qualunque accessibilità alla grande macchina
politico-decisionale.
Dalla Tunisia è partita l'ondata di insurrezioni antigovernative che, con un effetto domino di
fortissima portata, si è estesa a macchia d'olio in Algeria, Egitto, Libia, Bahrein, Yemen, Giordania,
Siria, Gibuti lasciando che la eco del dissenso risuonasse anche in Arabia Saudita, Mauritania,
Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco.
Sulla rete hanno fatto il giro del Mondo le immagini, i video amatoriali, i messaggi su Twitter,
Facebook, sui blog. Si è parlato infatti di una rivoluzione mediatica, quindi strutturata mediante le
vie di comunicazione più nuove, vista, vissuta e commentata on-line, in diretta, ovunque.
Una rivoluzione che ha unito alla rivendicazione dei diritti democratici del popolo, la forza dei
media, necessaria non solo per fuggire dalla censura interna, ma anche nel condizionare l'opinione
pubblica internazionale e le politiche estere che hanno preso parte alla Primavera araba.
Nelle piazze di tutto il mondo arabo nordafricano e mediorientale si è riversato un movimento
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nuovo, costituito dalla classe media, da giovani istruiti che volevano partecipare alla vita pubblica
attivamente, che rivendicavano maggiori libertà e diritti, che con scarse prospettive di trovare
lavoro e crearsi un futuro dignitoso, inneggiavano al mutamento.
Il motore delle prime mobilitazioni è stato il gruppo dei giovani istruiti che avevano studiato
all'estero, che guardavano ai modelli occidentali proposti dalle tv satellitari entrate a fatica nei vari
stati. Gli slogan erano di stampo puramente occidentale.
Ecco l'anima celata dietro questa Primavera. Le premesse erano quelle di un risveglio laico,
svincolato dall'ideologia religiosa islamica contro l'oppressione, le ingiustizie sociali e l'inefficienza
delle classi governative autoritarie e tradizionaliste.
Le proteste che hanno incendiato il Maghreb nascono in Tunisia, nel Dicembre 2010, quando un
ragazzo di 26 anni Mohamed Bouazizi si dà fuoco il 17 dello stesso mese, disperato di fronte alle
ingiustizie sociali che attanagliavano il paese: la polizia aveva confiscato i suoi beni di venditore
ambulante senza alcuna spiegazione.
Un'ondata di proteste ha preso coraggio da questo gesto e, dopo numerose manifestazioni, ha
determinato un cambiamento di regime spodestando il 14 Gennaio il presidente Zayn al-Abidin Ben
Ali, in carica dal 1987.
“Algeria: Come nella vicina Tunisia molti ragazzi sono scesi in piazza per manifestare, in
particolare contro l'aumento del prezzo del cibi. (..) seguendo l'esempio di Bouazizi sette algerini
hanno tentato il suicidio dandosi fuoco. Le proteste però non hanno subìto una escalation
paragonabile a quella tunisina. (…) ma la popolazione continua a lamentarsi della corruzione, della
burocrazia e della mancanza di riforme politiche”21.
Da ciò emerge quando forte sia stato il confronto con i paesi vicini, tutti accomunati tanto dalla
stessa insoddisfazione verso le condizioni di vita disagiate, quanto dalla voglia di riscatto.
Mona Eltahaway, giornalista egiziana residente a New York scrisse sul The Guardian che “i 29
giorni di rivolta popolare in Tunisia sono stati una vera Rivoluzione. E' stata la prima volta in cui gli
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arabi hanno rovesciato un dittatore. Alcuni paesi hanno ignorato la situazione (…) Mu'ammar
Gheddafi, il dittatore libico, è stato quello che ha illustrato meglio i timori dei leader arabi. Il suo
discorso ai tunisini può essere riassunto così: Ho paura di quello che è successo al vostro paese22.
Proprio in questo discorso, il giovane libico Hassan al-Jahmi, esiliato politico in Svizzera dal 2006
per aver tentato di organizzare un movimento di opposizione al regime sul sito internet di Yahoo,
lesse le paure del Ra'is nel contenere una rivoluzione in casa propria, e creò la pagina Facebook
“Rivolta del 17 Febbraio. Giornata della collera”23. Le insurrezioni popolari divamparono dalla
scintilla tunisina anche in Piazza Tahrir: venticinquemila manifestanti scesero nelle strade del Cairo
per chiedere riforme politiche e sociali. La manifestazione si trasformò in uno scontro aperto con le
forze dell'ordine provocando 4 vittime. Due giorni dopo i principali social network, tra cui Twitter e
Facebook, furono oscurati per iniziativa delle autorità per evitare che le notizie facessero il giro del
mondo24. L '11 Febbraio dopo 18 giorni di proteste, il presidente egiziano Hosni Mubarak lascia la
sua carica rivestita per 30 anni affidando tutti i poteri all'esercito che, prontamente, scioglie il
parlamento e sospende la costituzione. “Gli egiziani hanno mostrato al Mondo che un movimento
rivoluzionario può spezzare i legami col passato e dare vita ad una nuova realtà(...) Il movimento di
protesta usava Twitter e Facebook, ma hanno portato in piazza milioni di persone che non hanno
mai toccato un computer in vita loro”25. Come afferma Augusto Valeriani, insegnante di “Mass
Media e Politica Internazionale” all'Università di Bologna, “i blogger hanno fatto da connettori di
queste rivoluzioni, diventandone la leadership organizzativa, una nuova élite politica che viene dalla
cultura della rete, l'elemento cruciale delle rivolte degli ultimi mesi”26.
Si è parlato quindi di “Web revolution” ma da questa definizione sono emerse molteplici e distinte
opinioni. Philip Seib, direttore di un prestigioso centro di ricerca dell'Università della California,
sostiene che i new media abbiano avuto un ruolo, ma non determinante. In parte ciò è dovuto al
fatto che internet non fosse così diffuso in quelle regioni così come lo è nei paesi più sviluppati.
La televisione è stato lo strumento prevalente.
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Robert McNab della Scuola Navale della California caldeggia l'idea che i social network siano stati
utili, “ma quanto al modo in cui la gente ha condiviso video e informazioni in Egitto, Tunisia e
Libia, ciò è avvenuto più attraverso sms che twitter”27, per la problematica dell'oscuramento della
rete da parte dei governi.
Distanti da un punto di vista unico e particolare, si può però sostenere il ruolo, se non determinante,
influente e caratterizzante, dei New Media in questa Primavera. Il successo delle manifestazioni e
degli slogan inneggiati, la risonanza internazionale che queste rivoluzioni hanno avuto, non solo è
circoscrivibile alla mera sovversione dei regimi autoritari causata dal bollore popolare. I social
network, i blog, le pagine Twitter hanno svolto un ruolo importante nell'incoraggiare la
partecipazione, nel promuovere nuove forme di informazione e condivisione durante un conflitto,
nel diffondere oltre i confini statuali le immagini e le notizie di quanto stesse accadendo senza
filtro.
La circolazione di messaggi, video e fotografie in tempo reale, ha definito una aggregazione veloce
tra i giovani delle piazze, istruiti e ben consapevoli dei propri mezzi, soprattutto di quelli
tecnologici.
Dietro l'apparente cambiamento e la volontà di costruirlo, si sono insediate però le incapacità delle
popolazioni arabe di creare nuovi sistemi politici e del tutto democratici. Veicolare le informazioni e
rompere le barriere della censura interna, non ha generato successivamente un progetto politico
solido e concreto. Questo spiega l'esito delle rivolte con sistemi di governi transitori del tutto
dissimili dagli slogan inneggiati e da quelle strutture democratiche tanto attese. Caduti i dittatori è
infatti riemersa l'ossatura dei vecchi regimi, si è palesata la presenza dei fondamentalisti e dei
movimenti islamici radicali e la loro minaccia di prendere il potere politico. I giovani che hanno
mobilitato la rete non sono stati fautori di un cambiamento vero e proprio, non hanno sviluppato
un'alternativa di governo valida, gettando l'opinione pubblica internazionale in una grossa sfiducia
nei frutti della rivoluzione.
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Ma la diffusione di informazioni e notizie via etere, l'accesso ai contenuti e la possibilità di
“postare” e condividere video, messaggi, di scrivere in prima persona gli avvenimenti, di rendere
consapevoli gli stati internazionali delle atrocità commesse dai rispettivi governi, di esprimere un
parere, influenzare un gruppo di pensiero, è stata una grande rivoluzione. In paesi in cui la censura,
il controllo sulla stampa e la limitazione di accesso alla rete sono condizioni permanenti, una reale
conquista democratica è stata infatti quella di aver informato con immagini e video, e diffuso
all'estero come all'interno, la realtà di ogni paese che stava cambiando.
I popoli sono stati fatti consapevoli, le masse si sono mobilitate e l'esercito non è riuscito a bloccare
questi impalpabili, virtuali, gruppi che si organizzavano e condividevano idee su internet.
Il controllo dei regimi dittatoriali, tradizionalisti, incentrati sulla limitazione oppressiva della libertà
individuale non è arrivato lì dove non esistono confini di espressione e di pensiero: il web!
Una importante considerazione di cui tener conto è che non si è trattato di un movimento omogeneo
in quanto diversi erano sia le strutture che le problematiche sociali.
La competizione e la collaborazione tra le tribù, in arabo “asabiyya”, ha influenzato il movimento
rivoluzionario, rendendo più violente le insurrezioni negli stati autoritari, Libia, Siria, Yemen, e
meno in quelli dinastici dove le monarchie, pur controllando le ricchezze del paese, godevano di
maggior legittimità e sostegno popolare (Marocco, Giordania, Arabia Saudita). Negli stati nazionali
come Egitto e Tunisia, le strutture istituzionali e l'esercito hanno preso il controllo rapidamente e
hanno cercato di governare il periodo di transizione fino alla creazione di un nuovo regime. Tutti
hanno chiesto l'appoggio dell'Occidente che non è rimasto estraneo né marginale agli eventi, dati i
grandi interessi economici in quegli stessi territori e la forte nel respingere i radicalismi e i
fondamentalismi religiosi28.
2.2 La Primavera libica - Testimonianza diretta: intervista a Lorenzo Cremonesi
Dal 2009 al 2011 la Freedom Of The Press Index (organizzazione non governativa statunitense che
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opera con lo scopo di misurare il livello di libertà di stampa e di indipendenza editoriale raggiunto
da ogni nazione del mondo) ha giudicato la Libia lo stato più censurato del Nord Africa.
La situazione libica si è distinta rispetto quella di Egitto e Tunisia e degli altri paesi coinvolti
dall'ondata insurrezionale popolare. Ha preso forza e ha alimento la sua rivendicazione
rivoluzionaria grazie al risveglio del Maghreb ma subito è stato possibile scorgere differenze e
peculiari condizioni che avrebbero portato ad un esito del tutto inaspettato. Nello stato di Tripoli è
stata combattuta una guerra civile tra la popolazione e le forze militari di Gheddafi. L'intervento
delle Nazioni Unite si è rivelato fondamentale.
E' il mese di Febbraio quando a Bengasi iniziano le proteste contro il Ra'is. Partono dalla Cirenaica,
roccaforte legata alla vecchia monarchia del re Idris che nel '57 aveva portato l'indipendenza nel
Paese. In questi luoghi ad Est di Tripoli confluivano anche gli ex militanti jihadisti libici in ritorno
dall'Afghanistan e i gruppi islamici duramente repressi dalla politica anti-terroristica del
Colonnello. Il nucleo profondo delle rivolte libiche è nato in questa regione ricca di petrolio e dei
principali giacimenti che offrono ricchezza allo stato; si è generato a partire dai risentimenti
popolari e da quelli delle famiglie che avevano subito vittime per mano del regime.
La Libia mostrava una situazione del tutto sui generis. La spaccatura interna tra Cirenaica e
Tripolitania e
le divisioni fra le tribù storicamente avverse, sono riemerse al seguito delle
contestazioni popolari aggravando il bilancio delle vittime e generando una situazione confusa,
caotica e priva di chiare interpretazioni.
Si è formato un fronte militare che ha tagliato verticalmente la Libia tra Est e Ovest, fra i ribelli che
avanzavano verso Tripoli assediando le città del Golfo Sirtico e i fedeli al regime che operavano una
opposizione violenta e procedevano a far indietreggiare gli insorti.
Gheddafi poteva godere dell'appoggio del suo clan, i Qadhadhfa, che dominando Sirte, la sua
natale, gli consentivano di perpetuare il controllo nei territori occidentali, ricchi di numerose basi
militari.
- 32 -
Una vera e propria cortina di ferro, caduta per molti giorni sulla città di Misurata, ha messo in
evidenza la debole identità nazionale, la frammentazione interna e la scarsa coesione civile e
sociale, la difficoltà di creare un movimento unitario che lasciasse sperare nella formazione di una
democrazia effettiva all'indomani delle insurrezioni. Già da questi dati si comprende come la rivolta
sia stata caratterizzata non solo dal generale senso di insoddisfazione popolare, ma anche
dall'opposizione atavica delle famiglie. La guerra civile era, con queste premesse, inevitabile.
Il 15 Febbraio la polizia interviene per sedare una manifestazione pacifica a Bengasi, creata per
contestare l'arresto di Fethi Tarbell, un avvocato e attivista per i diritti umani che voleva il rilascio
degli oppositori del regime detenuti nel carcere di massima sicurezza Abu-Salim. In quel
penitenziario 1.200 prigionieri furono massacrati e uccisi dai militari nel 1996. Le famiglie non
ricevettero mai i corpi e non potettero neppure concedere una sepoltura dignitosa ai loro familiari
uccisi, in conformità con la legge islamica. Per questo motivo ogni Sabato le donne si riunivano in
una piazza di Bengasi per piangere tutte le vittime e i loro figli29.
Dalla rete partì l'iniziativa dei blogger, quindi, di creare una protesta più grande, incoraggiata dalle
recenti insurrezioni nel mondo arabo. Emblematica fu la scelta del giorno 17 Febbraio, in ricordo
delle vittime di una manifestazione sedata con la violenza che, nel 2006, si era riunita per protestare
contro la pubblicazione in Europa di sacrileghe vignette sul profeta Maometto e che si trasformò poi
in un gesto politico di dissenso nei confronti del Colonnello Gheddafi.
“Il giorno della collera” era stato istituito. Non bastarono le intimidazioni da parte dei funzionari di
Stato, e nonostante i media libici non abbiano inizialmente trattato la vicenda, Internet è stato
fondamentale per aver fatto circolare la notizia e trasmesso lo spirito tra i partecipanti.
In questo panorama, già incendiato dalle rivolte di Tunisia ed Egitto, nascono i primi gruppi di
riferimento on-line ad opera degli attivisti libici situati all'estero. Fuori dai confini la facilità
d'accesso alla rete e l'assenza di censura garantiva loro piena libertà di espressione. In Libia, invece,
era spesso difficile collegarsi ad internet, le vie di comunicazioni venivano controllate e spesso
- 33 -
sabotate dai fedeli del Ra'is.
Preziosa è la testimonianza diretta di Lorenzo Cremonesi* inviato speciale del Corriere della Sera
in Libia che aggiunge al susseguirsi degli eventi, un particolare e personale punto di vista.
“Il ruolo di internet e dei social network in Libia è stato marginale rispetto agli altri paesi
come Tunisia e Egitto. Gheddafi, aveva potuto imparare da ciò che era accaduto nei paesi
vicini e operare in tempo per bloccare il pieno possesso di internet , Facebook e Twitter,
impedendo cosi i rapporti.
Un ruolo più importante è stato quello dei telefonini e degli sms che ci si poteva mandare
all'interno del paese. Il Comitato Nazionale di Transizione ha cercato infatti di riaprire le
telefonia e le vie dei comunicazione. Per il mondo arabo la comunicazione è stata
fondamentale: i ragazzi si sentivano padroni del proprio destino.” *
Il giovane Hassan al-Jahmi, esiliato in Svizzera, crea la pagina Facebook “17 Febbraio, Giornata
della collera”. In una intervista rilasciata alla teleweb Youdem30 racconta come avesse già provato
nel 2006 a creare una pagina web su Yahoo che incitasse alla mobilitazione contro il regime. Ma
non funzionò. Scoperto dovette fuggire in esilio. Seguendo le vicende del suo paese, si rese conto
della grande possibilità dei libici all'alba del 2011. Dall'estero avrebbe potuto creare un contenitore
di idee e contenuti libero dalle censure e utile per la diffusione delle notizie. Le rivolte che avevano
incendiato il Maghreb vennero viste come la condizione giusta in cui operare nuovamente. Hassan
racconta come, appena dopo aver creato la pagina, 500 persone vi aderirono. In questa sono stati
raccolti album fotografici che scandiscono il cammino delle rivolte, mostrano la marcia dei ribelli,
gli scatti delle città assediate, di quelle liberate. Le didascalie commentano. Tutti possono
partecipare al dibattito libero.
- 34 -
Le pagine dei social network e i blog proliferarono fuori dallo stato libico: a Londra si forma un
gruppo di opposizione che gestisce una pagina chiamata “Libya Feb. 17” in cui si commenta e si
condividono articoli, video e immagini della guerra in Libia.
Le agitazioni popolari vennero fin da subito viste come una vera e propria minaccia al regime della
Jamahiryya. Secondo l'emittente Al-Jazeera, a Bengasi, l'esercito avrebbe sparato contro la folla.
Il bilancio delle vittime, secondo, Human Right Watch, era giunto a 84 a soli due giorni dopo la
grande manifestazione.
Altri siti internet iniziarono ad offrire il loro spazio virtuale per la discussione su quanto stesse
accadendo in quei giorni e su cosa avrebbe innescato il 17 Febbraio. Il “Libyan Youth Movement”,
in arabo Shabab, era il gruppo di giovani attivisti che si costituisce nel Gennaio per diffondere la
consapevolezza sulle proteste previste per il mese successivo. Non è un partito politico, né viene
finanziato dall'esterno e si diffonde su varie piattaforme: blog, account su Facebook e Twitter.
La comunicazione è stata la vera protagonista delle rivolte con la novità di essere libera e svincolata
dai controlli governativi. Su quelle pagine vengono riportate breaking news sugli avvenimenti nel
loro ordine cronologico:
“Gov’t truck trying to run over protestors in Libya"; “Protests in Libya from last night (Feb 17th)"
"Libyan government faxes Libyana employees telling them to rally in support of government:”
”After protests erupted in the streets of towns across the eastern region of Libya, the question
remained all day, where were the people of Tripoli?”, "Protests ignite in the capital city of Tripoli”
Assieme vengono scritti commenti sugli stessi avvenimenti: “The city’s inhabitants were hesitant in
the early hours of the “Day of Rage” fearing the threat is close to home and within reach of their
livelihoods and families. Eye witnesses on the ground reported the atmosphere in Tripoli was
“business as usual.” More reported of the growing number of pro-Gadaffi protesters closing off key
areas of the city such as the Green Square. In an attempt to intimidate anti-government protesters,
helicopters flew over the city and the government sent threatening text messages to all Libyan
- 35 -
mobile service users. These efforts were not enough to stop the people.”
“Each citizen, city and town in Libya will and must face themselves and choose whether they will
hide or stand up to the injustices, corruption, and brutality of the regime. This evening Tripoli faced
that decision and by the looks of it, it has chosen no more. Tripoli has shed its fear”31
Durante le manifestazioni in Cirenaica, nella capitale Tripoli, in Piazza Verde, Gheddafi aveva
intanto organizzato una manifestazione pro-governativa con l'intento di intimidire le proteste
dell'Est. È quanto riportato sullo stesso sito del Libyan Movement.
Sono anche postati video amatoriali e alcuni trasmessi dall'emittente araba Al-Jazeera. Delle testate
internazionali, c'è una grossa quantità di video: BBC World News, CNN, Euronews, lanci delle
agenzie Reuters, Associated Press, articoli del Telegraph, Indipendent, Time, Washington post.
Nel “Giorno della Collera” che incitava una manifestazione pacifica nel cuore di Bengasi,
l'intervento della polizia determinò lo scontro immediato.
Davanti al quartier generale della polizia si radunano tra i 500 e i 600 manifestanti.
Si stava compattando un gruppo omogeneo, laico, di professori universitari, medici, studenti,
commercianti, impiegati sceso in piazza per rivendicare i propri diritti. In occidente la diffusione
delle notizie era anche finalizzata a sensibilizzare l'opinione pubblica alla nobile causa della
rivoluzione contro un regime autoritario e fortemente repressivo.
“A Bengasi il 19 Febbraio si sentiva il desiderio di apertura. I ragazzi volevano apparire, volevano
farsi vedere, volevano essere come gli occidentali. C'era la volontà di cambiamento, ma nessuno
ancora pensava a quello politico, nessuno parlava di Democrazia. All'inizio si credeva che si
potesse aprire un dialogo con il governo, o magari con Saif Al Islam, il figlio di Gheddafi , che
incarnava la parte moderata”.*
Dopo aver preso il controllo di Bengasi, i manifestanti vengono continuamente aggrediti dalle forze
- 36 -
dell'ordine che hanno il compito esplicito di reprimere con la forza ogni insurrezione. I golpisti
iniziano ad assalire le caserme e si impossessano di artiglieria leggera, carri armati e di basi aeree.
In un rapido susseguirsi di dichiarazioni della famiglia Gheddafi che annuncia la ferma volontà di
non lasciare il potere, l'ondata di protesta raggiunge anche la capitale Tripoli, che cadrà in mano agli
insorti solo successivamente. Molti alleati del regime si affiancano ai ribelli, ex militari e alleati
politici. Ma la controffensiva del Colonnello inizia ad organizzarsi.
“Gheddafi stava già inviando anche da noi i suoi mercenari più terribili” -sostenne un membro
dell'esercito di stato, il quarantottenne Salah Obedi- “Giovani africani del Ciad, Mali,Senegal,
Sudan, Congo. Gente abituata ad uccidere per soldi (…) è stato allora che abbiamo preso in mano il
nostro destino. Abbiamo capito che potevamo essere liberi, non abbassare il capo contro il riscatto
dell'intimidazione. Abbiamo aperto le caserme, distribuito armi e munizioni alla gente. L'ordine è
quello di “usare ogni arma pur di fermare le rivolte”32.
Molti ufficiali e soldati si affiancano a questo manipolo di ragazzi male addestrati e male
equipaggiati che avanzavano scomposti senza un preciso ordine.
La guerra civile era imminente.
Intanto in tempo reale vengono diffuse notizie, video e immagini dalle pagine web. Il Colonnello,
consapevole del pericoloso mezzo di internet, soprattutto alla luce di quanto accaduto nelle rivolte
tunisine e egiziane, chiude la rete ed oscura gli accessi ad internet. Alcune linee hanno ricominciato
a funzionare solo dopo il 28 Febbraio.
In questi giorni crebbe sempre più l’ostilità al potere del Colonnello e la volontà di raccontare il
risveglio popolare libico.
Un giovane ventottenne, Mohammed Nabbous, iniziò ad usare il satellite per la divulgazione di
notizie ed immagini alle tv di tutto il mondo. Con livestrem.com la diffusione giungeva sul web.
Nabbous ha partecipato personalmente alle rivolte, con un cellulare ha filmato le proteste, gli
scontri, registrato il rumore degli spari e le ha divulgate on-line. Nonostante Gheddafi avesse chiuso
- 37 -
internet, il giovane ragazzo trovava sempre un modo per collegarsi alla rete anche grazie alle
competenze acquisite in passato con una piccola azienda di informatica33.
“Quando i ribelli hanno occupato il palazzo di giustizia, lui ha portato lì tutte le sue attrezzature
senza pensarci due volte”. Ha anche sostenuto che senza questa web tv non sarebbe mai esistito il
movimento vincente dei ribelli34.
Nabbous è stato uno dei volti principali del citizen journalism della Primavera Libica. Ha fornito
materiali importanti alle televisioni internazionali, ha riportato i filmati amatoriali che venivano
realizzati lungo le strade delle rivolte.
Il 19 Marzo sceso per le vie di Bengasi con il solito intento di documentare, fu colpito mentre
filmava gli scontri, forse per mano di un cecchino, da una raffica di colpi d'arma da fuoco,
testimoniati da un ultimo video da lui stesso realizzato35.
“Gheddafi aveva operato un controllo stretto sulla stampa e sulla comunicazione. Inviava
ai giornalisti portavoce che dichiaravano palesemente il falso, fingevano. Dall'altra parte
della Libia però c'era l'anarchia. Si poteva scrivere tutto ma era molto pericoloso. La
libertà di informazione si giocava ad un prezzo elevatissimo”.*
Il 5 Marzo viene fondato il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) che rappresenta il gruppo
variegato degli insorti. Nasce a Bengasi, capitale della Cirenaica e della rivoluzione, per gestire le
attività politico economiche delle città liberate e, dopo il crollo del regime, avrebbe assunto il
compito di guidare il paese verso delle libere elezioni. E' un comitato esclusivo fondato e gestito da
31 membri, alcuni dei quali parte della vecchia guardia e fedeli al Colonnello passati poi dalla parte
dei ribelli. Proclamatosi “unico rappresentante legittimo della Repubblica Libica” il CNT ha diffuso
i suoi obiettivi anche attraverso una pagina in rete: http://www.ntc.gov.ly/ . A capo del governo
transitorio viene posto Muṣṭafā ʿAbd al-Jalīl, ex ministro della giustizia sotto il regime di Gheddafi.
- 38 -
Non pochi dubbi quindi sono emersi circa l'effettivo mutamento istituzionale inneggiato dalle
rivolte.
Il regime continuava a perdere di credibilità e soprattutto di legittimità agli occhi dei paesi
internazionali. Il 10 Marzo bombarda Brega, poi riconquista Zawiyah e Bin Jawad.
In un clima di violenti scontri e col crescente numero di vittime provocate dall'artiglieria
governativa, le forze occidentali si sentono chiamate in causa e non restano a guardare il
disfacimento interno della Libia.
L'ONU vota la risoluzione 1970 con la quale viene decretato l'embargo contro il Paese per bloccare
(senza riuscirci realmente) i rifornimenti che finivano nelle mani della controffensiva.
Dopo soli 6 giorni dalla risoluzione delle Nazioni Unite, l'Unione Europea disconosce il governo
libico, lo priva di ogni legittimità e si apre al Consiglio ad interim. Continua intanto l'avanzata della
controffensiva di Gheddafi che marcia verso Bengasi e assedia la città di Misurata. L'intervento
della Francia, con il riarmo e la presa di posizione al fianco dei ribelli, unita alla risoluzione 1973
approvata dal consiglio di sicurezza dell' ONU del 17 Marzo si rivela decisiva. Viene ordinato un
immediato “cessate il fuoco” e istituita una no-fly zone sul territorio per impedire il massacro dei
civili con i cacciabombardieri governativi. Fu una mossa strategica poiché impedì l'avanzata dei
lealisti ormai giunta alla città di Bengasi e colpì i mezzi corazzati dell'esercito libico. I ribelli non
sarebbero stati in grado di opporsi alla controffensiva per questo l'operazione delle Nazioni Unite si
rivelò fondamentale nel determinare l'esito del conflitto.
Le forze occidentali erano pienamente coinvolte: gli stati membri alla “Coalizione dei volenterosi”
composta da Italia, Stati Uniti, Francia, Danimarca, Spagna e Regno unito lanciarono l'offensiva
“Odissea all'alba” il 19 Marzo. Una pioggia di missili venne lanciata su Tripoli, bombardamenti,
esplosioni in varie zone della città, furono attuati per prevenire gli attacchi contro i civili e
indebolire le milizie governative nella loro resistenza alla no-fly zone36.
Alla coalizione si
aggiunsero anche Canada, Norvegia, Svezia, Polonia, Lituania, Finlandia, Qatar e gli Emirati Arabi
- 39 -
Uniti.
Apparentemente l'obiettivo principale della NATO sembrò quello di proteggere la popolazione. Si
univa a questo aiuto umanitario quello militare e economico ai ribelli. Dietro le buone cause si
giocavano infatti gli interessi geopolitici delle potenze occidentali. La Francia, e da ciò emerge
anche come l'Eliseo si affiancò espressamente agli insorti, attaccò le basi terresti di Gheddafi che si
spingevano verso Est nella riconquista della la Cirenaica. Invano fu ogni tentativo del Ra'is di aprire
patti di riconciliazione con i rivoltosi libici.
Tutte queste notizie circolano dentro e fuori il Paese. Le vittime continuano a crescere
numericamente. Sono necessari gli aiuti umanitari. Fondamentale si rivela anche qui l'uso dei nuovi
mezzi di comunicazione. Sulle pagine internet circolano gli appelli per soccorrere i feriti della
guerra civile.
“Anticipating the media and communication blackout in Libya we quickly set up a database of
contacts across the country so as to pass information from the ground in real time.
We are here to awaken our people from the unjust oppression and remove the ring of corruption and
despotism, and provide stability and security of the Libyan citizen. This page will give us all a
chance to share our views and opinions on the future of Libya.”
Questo è quanto riportato sulle informazioni del gruppo Shabab. Un movimento che si propone
quindi di condividere e diffondere delle opinioni e dei pensieri sul futuro della Libia, ma non si
limita a questo. Sul sito vengono riportate interviste, articoli dei giornali internazionali: Telegraph,
Euronews, Irish Time, BBC, in cui la fonte viene sempre citata, video di ciò che sta accadendo
come quello che mostra la rivolta del 28 Febbraio a Misurata. Questi filmati sono amatoriali e
registrano il marchio di Youtube, altro canale fondamentale in questa rivoluzione mediatica. Sono
postati messaggi di esortazione al popolo libico alla resistenza, a mantenere viva la protesta nelle
piazze, ad aumentare le manifestazioni pacifiche.
“In this historic period through which our beloved country passes and under these difficult
- 40 -
circumstances in which Gaddafi’s tyrannical regime sheds the blood of the innocent, who have
demanded through peaceful and civilized means the most basic of rights, a dignified life, but have
been met with hired mercenaries and live ammunition, we declare the following”
“We support the efforts made by our brethren in the east of the country, as they seek to form an
interim national council that represents the magnificent uprising of February 17th. We reiterate our
support for their representation of this uprising in all parts of the country until our national territory
is liberated in its entirety. We completely reject any form of negotiation with this criminal regime,
which has made permissible the taking of Libyan souls and has not hesitated to hire mercenaries to
murder our proud people. We call for peaceful demonstrations in all of our nation’s mosques
following the upcoming Friday prayers”37.
Nello stesso sito sono anche presenti le trascrizioni dei comunicati stampa (tradotti in inglese
dall'arabo) dell'Human Rights Watch, l'associazione non governativa che si occupa della difesa dei
diritti umani e riporta anche le violazioni delle leggi di guerra e delle leggi umanitarie internazionali
nelle situazioni belliche.
I corrispondenti della Croce rossa utilizzavano questa piattaforma virtuale per divulgare gli appelli
finalizzati ad interventi repentini e all'aiuto dei civili lesi negli scontri.
“Dear All, this is urgent. We have 5 critically wounded patients amongst them one case of spinal
injury with complete paralysis of his lower half. THEY REQUIRE AN URGENT RESCUE
MISSION IMMEDIATELY. The region of Yefren is under complete siege since the 3rd of April and
does not have the luxuries of medicine and doctors let alone the basic human necessaties of food
and water. We request for an urgent rescue mission now. Press please do your best to assist in this.
We expect nothing less than a prompt response to both our calls.”38
È l'appello per aiuti umanitari alle vittime della regione nord occidentale dello Ifren.
Vengono lanciati appelli per necessità di prim'ordine: aiuti per i feriti o case di civili bombardate:
“Appeal to UN Secretary General Ban Ki-Moon for urgent rescue of 10,000 people trapped in
- 41 -
region of Yefren, Nafusa Mountains, Libya 29may 2011”
“Dear Secretary General Ban Ki-Moon, this letter is an appeal for your urgent action in light of the
severe conditions faced by our brothers and sisters in the region of Yefren (including towns of
Yefren, Al-Gala and Kekla) situated in the Nafusa Mountains of Libya which has been under
complete siege for the past 7 weeks, commencing on April 3rd, 2011. Approximately 7,000 to
10,000 civilian men, women and children have been trapped here facing torture, starvation, disease,
and relentless attacks by Gaddafi forces inflicting both severe physical and psychological harm on
this population”.
Emerge anche un duro giudizio sul regime:
“Gaddafi has forcibly denied the Amazigh people their culture and language, banning it from public
use; exercising the strict censorship, discrimination, and incarceration of anyone who defied this.
(…) In the past 48 hours, 2 civilians have died from a heart attack.In the past 24 hours, 3 civilians
have been killed, with 10 injured and now require urgent medical attention. (...)
“The brutality of the Gaddafi forces in these regions and in all Libyan regions must not go
unimpeded. We implore upon the UN, the NTC, NATO and all international humanitarian agencies
involved to uphold the United Nations Security Council Resolution 1973 and take all necessary
action to protect civilian lives”39.
Gli scontri tra rivoltosi e affiliati del governo continuano.
La Corte Penale internazionale espone un mandato d'arresto per “crimini contro l'umanità” nei
confronti di Gheddafi e del figlio Sayf al-Islam nel Giugno del 2011.
Misurata è la città simbolo della resistenza. Interi quartieri sono stati messi a ferro e fuoco dalle
milizie governative che assediarono per due mesi le vie della città prima che questa potesse
considerarsi liberata. Duemila morti. 1.300 mutilati e mille feriti il bilancio finale di questa città
martire. “Sembra di entrare a Grozny, a Baghdad, a Kabul, nella Beirut della guerra civile: case
sbriciolate, carri armati carbonizzati, negozi incendiati, palazzi sventrati dagli obici, casse di
- 42 -
munizioni ed elmetti abbandonati, caserme e ospedali crivellati di colpi. Su un lungo muro dipinto
di bianco, i thowar hanno scritto centinaia di nomi: i caduti della “città degli eroi” (…) “Ma
Misurata è in ginocchio. Non c’è carburante. Il cibo e l’acqua sono scarsi. Mancano i medicinali. I
combattenti, con le loro armi e le loro jeep, sono andati al fronte, verso Sirte o verso Bani Walid.
Lasciandosi alle spalle una città fantasma”40.
Con l'intervento della NATO, i ribelli sono stati protetti dalle forze militari occidentali. I lealisti ,
invece, erano vulnerabili e sempre meno pronti al contrattacco.
Trovandosi nei villaggi pro-Gheddafi, i ribelli distrussero le case e i quartieri, procedendo ad una
vera e propria “pulizia etnica” nei confronti delle popolazioni rimaste fedeli al Ra'is. Un esodo di 50
mila persone fuggite dalle città di Nafusa, sud di Tripoli, 35.000 libici di pelle scura costretti ad
abbandonare la città di Tawargha, una piccola cittadina una trentina di chilometri a est di Misurata. Le
città sono state completamente distrutte, le abitazioni incendiate, saccheggiati gli ospedali, gli
abitanti sono stati attaccati indiscriminatamente, e soprattutto, ad essere colpiti, sono stati gli
abitanti di pelle scura, additati come mercenari pagati dal Colonnello, provenienti dal Sahel
d'Africa. In verità, molti degli abitanti nella regione di Tawargha sono discendenti delle vittime
delle razzie a caccia di schiavi organizzate in larga scala dai mercanti arabi della costa per secoli
sino alla metà dell' Ottocento nel cuore dell'Africa sub-sahariana. Libici a tutti gli effetti, figli di
libici, tra le vittime più deboli del caos e delle incertezze in cui è scivolato il Paese41.
“Ciò che mi ha fortemente stupito è che in Libia ho visto un grande razzismo anti-africano diffuso
tra le masse arabe. Non solo. C'erano anche arabi della costa schierati contro gli arabi
dell'interno, le tribù frammentate e molto ostili tra loro. Gheddafi aveva rafforzato il regime e le
milizie contro i ribelli arruolando i “nemici dalla pelle scura” ma non sempre erano mercenari
africani.
Quando la rivolta vince i villaggi vengono attaccati. Le popolazioni di Misurata attaccano
- 43 -
pesantemente Tawargha, vicino Sirte, da cui si erano mosse le truppe dei fedeli che avevano
assediato la città simbolo della resistenza libica. Sono state bruciate case, è stata distrutta ogni
cosa che si potesse distruggere. I morti sono stati innumerevoli, centinaia, migliaia addirittura.
I villaggi arabi pro lealisti sono stati massacrati. Nafusa è stata attaccata dai berberi, la comunità
nemica di Gheddafi che dichiara da sempre la sua autonomia culturale. Li le città sono state
addirittura svuotate.”*
2.3 Dalla conquista di Tripoli alla morte di Gheddafi. La fine della guerra
Le colonne dei ribelli incedono, si ingrandiscono affiancate dall'aviazione militare occidentale, dai
rifornimenti di Parigi, Londra e Washington, pur essendo un gruppo disorganizzato e privo di una
reale conoscenza della guerriglia.
Il 21 Agosto la situazione per il regime sembra ormai compromessa: i ribelli sono alle porte di
Tripoli. Alcuni soldati dell'esercito si sono arresi, nonostante Gheddafi avesse incoraggiato anche i
cittadini a difendere la capitale. Sui palazzi di diversi quartieri si vede la bandiera del Consiglio
Nazionale ad interim ma si combatte ancora. Al Jazeera trasmette il seguente messaggio: “Le forze
ribelli sono in pieno controllo dei quartieri di Tajura, Suq al-Jumaa, Arada e al-Sabah nella capitale
Tripoli. Combattimenti sono ancora in corso nei quartieri di Ben Ashhour, Fashlom e Zawiyat alDahmani”42
La Nato intanto procede a bombardare il quartier generale del Colonnello, contribuendo in modo
decisivo alla vittoria degli insorti. L'epilogo della Jamairiyya è vicino, alcuni parlano addirittura di
ore. I ribelli assumono il controllo della tv di stato poi senza alcuna opposizione il 23 agosto 2011
conquistano Bab al-Aziziya, la residenza di Gheddafi. La capitale Tripoli è “liberata”. Una città che
a lungo che ha vissuto nel terrore, con i copri fuoco e le manifestazioni pro-regime molto spesso
- 44 -
organizzate e messe in piedi dai lealisti. I tre giorni di combattimento hanno provocato più di 400
morti e duemila feriti.
Il CNT viene riconosciuto dalle potenze occidentali. Ormai è solo un conto alla rovescia fino alla
cattura del Ra'is, fuggito nella nativa Sirte. Sulla stessa città iniziarono i bombardamenti NATO
dopo 3 giorni. I soldati governativi vengono fatti prigionieri e sulla testa del Colonnello viene posta
una taglia di 1,7 milioni di dollari.
Dopo due mesi d'assedio, la città di Sirte cade in mano ai ribelli. Si cerca il Colonnello. Ovunque.
Nel primo pomeriggio del 20 Ottobre, la tv araba Al-Jazeera e le agenzie stampa, trasmettono la
notizia della cattura del Colonnello Gheddafi proprio in quella città natale in cui si era nascosto dal
21 Agosto, poco prima della caduta di Tripoli. Anche il figlio Mutassim che si trovava con lui, verrà
catturato e in seguito giustiziato.
Il Ra'is ha cercato di fuggire ma i guerriglieri l'hanno catturato vivo, grazie al sostegno della NATO
che aveva intercettato il suo spostamento con un blindato. In una sparatoria che vede l'uno contro
l'altro i fedeli e i membri del CNT con il gruppo dei ribelli, sono stati girati dei video amatoriali. In
questi si può vedere il corpo del Ra'is nei suoi ultimi istanti di vita, sotto il linciaggio dei suoi
avversari. Insanguinato e percosso, lo si vede accerchiato da un gruppo di giovani che urlano,
agitano in alto le loro armi, le pistole, i fucili. Gli istanti prima della sua morte vengono filmati e
registrati. Poi un fermo immagine sul suo volto sfigurato. E' la fotografia realizzata da Philippe
Desmazes dell'agenzia France Press. In seguito Al Jazeera manda in onda i video della cattura e
della esecuzione, che in poche ore fanno il giro del mondo.
Il volto di Gheddafi, accerchiato dai ribelli, è l'ultima immagine che resta di questa guerra durata
nove mesi. Ma non è la sola. Accanto ci sono quelle dei festeggiamenti, dell'ondata di gioia che si
riversa nelle piazze di tutto il paese. Uomini e donne con lo sfondo di paesi interamente bersagliati
dalle bombe, colpiti, saccheggiati, palazzi distrutti, hanno in mano il tricolore simbolo della
rivoluzione, l'antica bandiera della Libia sostituita da quella verde della Jamahiryya durante la
- 45 -
dittatura. E forse finisce con quell'immagine anche la speranza di un futuro democratico ambito che
stenta ancora oggi ad essere chiaro.
La foto di un uomo massacrato dal suo stesso popolo è quello che resta di un dittatore sanguinario
che con la repressione forzata, un ingente arsenale militare, la censura, aveva governato e
spadroneggiato in Libia per più di quarant'anni.
E' caduto sotto un colpo d'arma da fuoco sganciato da un giovanissimo ragazzo tra i ribelli, il
diciottenne che è stato chiamato Ahmed Al-Shedani. La fonte della BBC comunica che il ragazzo
avrebbe preso la pistola d'oro dello stesso Ra'is e con quella avrebbe poi sparato il colpo letale.
Sul sito del Libya Youth Movement viene postata questa frase: “This moment will forever go down
in history… GADDAFI IS DEAD. For the videos and images that made history”.
E viene segnalato il nome del ragazzo che avrebbe ucciso il Colonnello:
“The killer has been named as Ahmed Al Shebani, according to Al Arabiya. He says when he found
Khadafy
the
onetime
despot
was
crouching
in
a
hole
with
a
golden
pistol”43
La guerra libica terminò con un bilancio delle vittime di 15.000 caduti e con l'esecuzione di
Gheddafi. La sua morte pose fine al conflitto, ma non ad una situazione di caos e confusione
dilaganti in cui la Libia sarà destinata a trovarsi in futuro. Con la spaccatura tra Cirenaica e
Tripolitania sempre più netta ed evidente e il riemergere delle rivalità tribali, la democrazia tanto
combattuta e desiderata sembra lontana dalla sua reale attuazione. Lontana soprattutto per un
popolo lungamente e forzatamente diseducato a ragionare, convivere e relazionarsi con questo
schema politico.
“Si assiste ora ad una divisione del paese, ad una cantonizzazione. Si rischia di creare una
situazione simile a quella dell'Afghanistan con molti sovrani. Le citta di Zintan e Misurata
voglio rimanere milizia armate, vogliono l'autonomia deal paese. Per quanto riguarda il
fondamentalismo islamico, invece, per ora è solo un fattore decisamente marginale. Per
- 46 -
ora” *
La fase di Transizione non ha giocato positivamente per questo popolo desideroso di libertà
politiche e sociali. Il CNT di fatto è stato composto da persone molto vicine al regime, legate ad una
mentalità ancora autoritaria. La rivoluzione in sé ha portato la fine della dittatura di Gheddafi, ma di
certo non ha preparato il popolo che l'ha combattuta ad un'alternativa valida e concreta. Il Blogger
Andrea Matiz, esperto di Relazioni internazionali che opera a Bruxelles, sostiene che la vera
rivoluzione in Libia sia stata quella di “Youtube”, il “video-sharing”. Quindi la possibilità di far
accedere chiunque al dibattito, condividendo un video. Si può avallare l'ipotesi che per un popolo
così fortemente limitato nella sua possibilità espressiva e partecipativa, la rete libera di Internet e di
Youtube, si è definita la sola grande democratica conquista. Matiz sostiene ancora come il video
reporter sia diventato ognuno che in termini chiari sia stato capace di produrre informazione non
filtrata da altre persone. Mentre le televisioni satellitari e straniere erano facilmente accusabili di
essere complici del complotto internazionale, Youtube è riuscito a sfuggire da questa accusa. Vicino
al popolo, facilmente accessibile, ha mostrato tutti i video amatoriali che hanno raccontato gli
scontri, le battaglie e filmato gli avvenimenti. Una vera e propria fonte di informazione44.
La sola rivoluzione realmente tale per il popolo libico è stata quella mediatica: ha permesso la
visibilità e la diffusione di notizie oltre i confini, evento davvero innovativo. Ma questo non è stato
affiancato da un dibattito politico autentico e realizzabile, gettando ombre sulla reale positività
della rivolta. Sul concetto di “Primavera mediatica” è importante citare quanto sostiene Lucio
Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica Limes: “Nei paesi arabi i media di influenza
prevalente sono le tv satellitari, come Al Jazeera e Al Arabiya. Queste tv sono state veri attori
politici, basti pensare allo schermo di piazza Tahrir, e sono state usate dalle opposizioni ai regimi,
diffondendo spesso anche una quantità di disinformazione”45.
- 47 -
“Le tv arabe hanno avuto un ruolo fondamentale perché hanno amplificato gli scontri,
hanno avuto un ruolo strategico nella copertura della guerra. Al Jazeera ha adottato
un'agenda specifica: sminuiva le notizie del regime influenzando l'opinione pubblica
internazionale. E' stata usata chiaramente come mezzo di intervento nel conflitto”.*
- 48 -
3. LA TV ARABA AL JAZEERA E LA DISINFORMAZIONE
3.1 Le televisioni arabe e la nascita di Al Jazeera
Nel mondo arabo l'informazione è sempre stata filo-governativa, gestita e controllata dai governi in
carica. Stampa e canali televisivi sono stati legati fin dalla loro nascita ad un codice d'onore che
promuovesse la fratellanza tra le nazioni di cultura araba.
I media lasciavano uno spazio marginale, talvolta del tutto inesistente, alle opposizioni politiche,
diffondendo quindi un' informazione faziosa e incompleta e le dittature esercitavano una stretta
morsa sul flusso dei contenuti.
Prima della guerra del Golfo (1990/91) l'Egitto controllava il monopolio radiotelevisivo nel Medio
Oriente. In seguito agli accordi di Camp David del 1978 in cui il presidente egiziano Sadat stipulò
un trattato di pace con Israele che ponesse fine alle ostilità tra i due paesi, il Cairo fu cacciato dalla
Lega Araba ed emerse la potenza mediatica Saudita. Grazie ad potenziale finanziario ingente
derivante dal petrolio l'Arabia Saudita creò la sua forza mediale che si caratterizzava per una scarsa
professionalità e per forti condizionamenti religiosi provenienti dagli ambienti wahabiti (corrente
islamica improntata sul rigore religioso delle dottrine coraniche) su cui si reggeva la legittimità del
governo degli al Saud.
I canali ancora miravano a proporre un servizio nazionale che puntasse verso l'islamizzazione e a
quell'unitarismo religioso simbolo del potere politico.
Solo con l'invasione del Kuwait entrarono i media americani, la CNN e i canali satellitari sugli
schermi delle televisioni arabe. Il pubblico era quindi scisso tra le menzogne delle tv di stato
controllate dal governo e le notizie provenienti dai network europei, caratterizzati da prospettive
occidentali.
I primi canali satellitari e le reti private hanno spezzato il duopolio egiziano-saudita esistente fino a
- 49 -
quel momento.
Il panorama cambia drasticamente con la nascita della televisione satellitare qatarense Al Jazeera,
un fenomeno innovativo dell'informazione araba che vuole competere con la concorrenza
internazionale sullo stesso territorio.
Si tratta della prima emittente all news panaraba, capace di mettere in comunicazione l'audience di
tutto il mondo arabo, che apre alle opposizioni politiche e alla partecipazione, e fa con la libertà
d'espressione la propria fortuna. E' la prima a stabilire un contatto con le masse nel mostrare la
società con occhi arabi, dando spazio alle voci ingabbiate dalla censura politica e per questo viene
giudicata, fin dal suo esordio, pericolosa ed estremista.
Nasce nel Novembre del 1996 a Doha, capitale dello stato del Qatar da dove trasmette e viene
subito inglobata tra i media arabi di mobilitazione, come era stata la radio Voice of the Arabs del
presidente egiziano Nasser46.
E' fondata dall'emiro Hamad bin Khalifa al Thani che nello stesso anno, dopo aver deposto il padre ,
un vecchio khalifa conservatore wahabita, senza alcuno spargimento di sangue, è spinto da una idea
di modernizzazione del paese: abolisce il ministero dell'informazione, parla di elezioni politiche e
crea la nuova televisione grazie all'impiego di 137 giornalisti della versione in arabo della Bbc, con
l'intento di rompere il monopolio saudita sui mezzi di informazione e imporsi nella politica estera
medio orientale.
La rete si pose come braccio della politica estera del piccolo stato affacciato sul Golfo Persico, teso
alla modernizzazione e alla democratizzazione, nota che ha fatto molto discutere e sorgere dubbi
legittimi.
“E’ vero: i giornali del Qatar non criticano mai la famiglia dell’emiro. Al Jazeera fa anche
propaganda. Ma se era detestata allo stesso modo da Mubarak, dai sauditi, da Assad, dagli israeliani
e i neocon dell’amministrazione Bush ne volevano bombardare la sede, qualcosa significherà. Il
Qatar paga, arma e sostiene politicamente tutte le Primavere arabe ma in Bahrain ha mandato i
- 50 -
soldati a sostenere la normalizzazione imposta dai sauditi. E’ l’ambiguità che in politica cerca di
connettere moralità, interesse nazionale e ideali”47.
Le oligarchie arabe temettero la nuova emittente per la sua apertura, per la libertà d'espressione e i
toni forti utilizzati nei confronti degli stati arabi, ma anche per il largo seguito che riceveva dalle
masse.
Lo stato egiziano prima e la monarchia saudita hanno costituito il fulcro dell'informazione nel
mondo arabo tra gli anni 70 e 90. Poi è subentrata prepotentemente Al Jazeera e il Qatar si è
immerso nell'universo mediatico, capovolgendo gli schemi. Doha è la base del nuovo canale
d'informazione che non solo dà voce alle opposizioni ma crea anche un dibattito autentico per i
telespettatori. I corrispondenti provengono da varie nazionalità, diverse ideologie e politiche. Di
conseguenza circolano idee che superano il localismo e la censura regionale. La forza dei canali
panarabi risiede proprio nella possibilità di discutere e di informare in modo libero, al di fuori della
dittatura opprimente e nel creare un'opinione pubblica che si interessi del mondo arabo e delle
politiche dei vari stati.
Le tv satellitari hanno dato voce ad un risentimento che covava da tempo. Il mondo arabo e i salotti
internazionali hanno visto la guerra, o meglio, hanno preso parte al dibattito su quella guerra che Al
Jazeera soprattutto e Al Arabya di seguito, avevano costruito sul reale conflitto.
La capacità dei dittatori arabi di controllare i media si è affievolita con la nascita del network di
Doha e col“ suo stile aggressivo (che) ha ispirato gli spettatori mediorientali. Le rivoluzioni nel
mondo arabo sono state un'inevitabile conseguenza.”48 “E' diventata uno strumento di
emancipazione politica e di mobilitazione”49.
I broadcast arabi miravano soprattutto a fornire un sentimento d'unione tra i paesi accomunati dalla
stessa cultura e lingua. I canali transnazionali avevano lo scopo di fare propaganda, espressa
secondo lo stile nasseriano, e quindi utilizzare i mass media come arma di politica estera della
regione. L'importanza strategica dei media emerge fin dalla loro nascita: erano i mezzi principali
- 51 -
per parlare ai pubblici e persuaderli al concetto di rivolta.
Il sistema mediatico panarabo non segue più le vecchie élite e le dichiarazioni rilasciate nelle loro
conferenze stampa. I giornalisti hanno un nuovo ruolo, attivo, quello di commentare gli accadimenti
senza rimanere nell'ombra del potere governativo. I grandi fatti nazionali prendono il posto del
localismo e il mondo arabo ha una voce e una risonanza grandissima in tutto occidente.
A questo spirito di libertà professionale si è però affiancato un forte grido ideologico del canale che
di fatto ha generato una tendenza estremista. Il sostegno alla rivoluzione contro i regimi arabi ha
delineato Al Jazeera come un'emittente partecipe al moto di rivolta. La forza dei mezzi di
comunicazione nei casi di conflitto può determinare anche l'esito della guerra, così come è accaduto
nella guerra civile in Libia.
3.2 Gli interessi del Golfo Persico dietro i network panarabi
Al Jazeera si è interessata nel creare un dibattito e un forum politico alternativo, libero; ha coperto
e informato su tutti i conflitti maggiori degli ultimi anni: Afghanistan, Palestina, Iraq.
La rete è stata accusata d'essere filo-americana perché nell'emirato risiedeva il 5° comando della
flotta statunitense (controllo di Washington sul Medio Oriente) poi accusata di islamismo per aver
diffuso i video-messaggi di Osama bin Laden, e ancora, di interferire troppo negli affari del mondo
arabo.
Ha attuato una copertura militare in Libia a sostegno dell'intervento militare della Nato, ha gonfiato
la risonanza delle manifestazioni di Piazza Tahrir al Cairo, si è fatta portavoce del popolo che
scendeva in piazza contro il proprio regime. Eppure la cautela con cui ha trattato gli eventi in
Barhein dimostra la volontà della rete i mantenere lo status quo nel Golfo persico. Quindi l'interesse
politico governativo si insinua più o meno silenzioso dietro la sbandierata libertà di informazione.
Emerge così il ruolo politico della testata giornalistica e la forte influenza nel condizionare
- 52 -
l'opinione pubblica.
Grazie all'utilizzo di una lingua comune i canali panarabi hanno superato le barriere dei dialetti
regionali e si sono diffuse in un bacino ben più ampio raggiungendo un vasto pubblico. Proprio in
questo più ampio spazio si giocano gli interessi delle due potenze petrolifere50.
Gli interessi geopolitici del Qatar sono rivolti verso tutto il mondo arabo. Egitto, Tunisia, e in modo
profondo in Libia, la rete qatarense ha esercitato una forte incisione che ha riflesso i motivi
ideologici, politici ed economici dell'emirato.
Come prima istanza c'è la volontà del Qatar di avere più risonanza a livello internazionale e più
considerazione e riverenza nel mondo medio orientale.
In secondo luogo il desiderio, condiviso con l'Arabia Saudita e portato avanti da entrambe, seppur
in modo diverso e talvolta contrastante, di ristabilire correnti sunnite salafite e neo-wahabite nei
territori musulmani. Le dottrine religiose sono fortemente importanti in queste monarchie e la
legittimità stessa del loro potere risiede proprio nella corrente pura e rigorosa del wahabismo.
Controllare l'area islamica medio orientale e nordafricana consentirebbe loro di estendere il credo
dei due governi del Golfo Persico ed esercitare un'influenza maggiore in un territorio più esteso.
Al Arabya, di proprietà saudita ha sempre sostenuto la sua completa obiettività durante le
rivoluzioni, mentre il network del Qatar si è espressamente allineato alle file degli insorti. Questa
duplice tendenza riflette gli interessi dei due governi nelle loro rispettive politiche estere.
La rivalità dei due canali determina la scelta delle notizie: l'una più indulgente e morbida nei
confronti dei regimi, l'altra più attiva e combattiva nella condanna degli stessi.
Il caso della rivolta sciita scoppiata in Bahrein non è stata trattata da nessuna delle due emittenti.
La causa è da rinvenire nella maggioranza sunnita del Qatar e dell'Arabia Saudita che ha fatto
gettare ombra su un’ insurrezione contro i propri fondamenti religiosi. Emerge quanto il giornalismo
arabo non sia stato indipendente dalle linee politiche dei governi in cui ha le proprie basi.
- 53 -
3.3 L'informazione della guerra in Libia e le bufale mediatiche – Testimonianza
diretta: intervista a Fausto Biloslavo
Le televisioni satellitari hanno contribuito enormemente alla diffusione di notizie valicando i limiti
della censura dei regimi regolari e spingendosi oltre quelli della rete internet, periodicamente
oscurata durante le Primavere arabe. Non solo. I network si imponevano di raggiungere una
parvenza di obiettività riconosciuta tanto nel mondo arabo quanto a livello internazionale. La
clamorosa scoperta di nuovi mondi oltre quelli limitanti del panorama arabo, avvenne tramite la
televisione infatti, a partire dagli anni 90. Un'apertura al resto del globo, ai diversi modi di vita, a
stili differenti di convivenza sociale, religiosa, culturale, una novità che offrì anche l'aspettativa e il
desiderio di cambiamento. La televisione presenta anche la pubblicità, la voglia di viaggiare, di
consumare, criticare. La scelta dei media, di fruire di tali stimoli, sono stati un fulcro importante per
il formarsi di uno spirito collettivo teso alla rivolta, alla volontà di scegliere il proprio destino in
modo individualistico e non più familiare legato a clan e tribù o a governi troppo rigidi e
restrittivi51.
Nella guerra in Libia i media sono stati utilizzati come armi del conflitto da entrambi gli
schieramenti coinvolti, favorendo spesso la diffusione di notizie del tutto inesistenti.
Accanto al ruolo dei social network che facevano circolare video e messaggi fuori dai confini
statali, c'erano i network arabi da un lato e le dichiarazioni di Gheddafi dall'altro che miravano a
controllare le informazioni. Per questo motivo, sul terreno della disinformazione e della
propaganda, si è giocata la guerra dell'informazione.
Una diffusione di notizie false e non verificate, basate su nessun accadimento reale hanno fatto il
giro del mondo, diffondendo nell'immaginario collettivo una realtà sulla Libia parzialmente
incongruente.
La responsabilità è ricaduta sulle televisioni satellitari panarabe che, ritenute abbastanza neutrali in
- 54 -
un primo momento, hanno distorto l'informazione a favore delle forze antigovernative.
La verosimiglianza delle notizie diffuse contro Gheddafi, già noto alla comunità internazionale per
la sua dittatura spesso additata di spregiudicatezza e repressione forzata, ha contribuito ad
alimentare la rivolta dei ribelli e ha determinato l'intervento delle Nazioni Unite, interessate
soprattutto a spodestare il Ra'is, un personaggio troppo controverso.
Le notizie rimbalzavano dalla rete internet alla televisione grazie agli oppositori libici stabiliti in
Europa. Senza troppa accuratezza nella verifica di queste informazioni, in poco tempo sui canali
internazionali e sulle pagine dei quotidiani circolavano immagini e notizie del tutto inattendibili.
“Al Jazeera si è dimostrato non meno di altri uno strumento che partecipa alla guerra
dell’informazione e della disinformazione (...) nel caso della Libia, ha attirato l’intervento militare
occidentale. Molti giornalisti di quella tv satellitare che si sono dimessi perché si è oltrepassati la
linea dell’accettabile” (…) “Dalle immagini sui telefonini ho visto maltrattamenti dei prigionieri da
entrambe le parti ed ho quindi capito che la realtà, anche quella che noi giornalisti raccontavamo,
era completamente distorta. Anche le informazioni della stessa Al Jazeera, da cui riprendevamo le
notizie, erano completamente sbagliate”52.
In tempi di guerra la manipolazione delle notizie può incidere fortemente sull'idea di schierarsi a
favore o contro di una delle due parti coinvolte. E così anche in Libia tale meccanismo ha
determinato l'esito della guerra. In parte. Se non altro la disinformazione promossa dal network di
Doha, tesa a favorire i ribelli, ha posto le basi per creare un pretesto per l'intervento internazionale.
La guerra umanitaria delle Nazioni Unite ha utilizzato le false notizie anche per accreditare il suo
interventismo in Libia quando il solo scopo fosse detronizzare Mu'ammar Gheddafi dopo oltre
quarant'anni di regime.
L'etica del giornalismo porta il lettore dei quotidiani e il telespettatore dei telegiornali a considerare
vera in modo assoluto qualsiasi notizia. Durante i conflitti specie in quelli più attuali, tuttavia,
l'informazione è sempre più assoggettata dagli interessi dei vari schieramenti, a quelli politici in
- 55 -
particolare celati dietro le grandi macchine della comunicazione. Ai media è stato affidato un ruolo
chiave nel processo di informazione dei conflitti poiché vengono strumentalizzati per condizionare
l'opinione pubblica ad un determinato immaginario della guerra.
A questo proposito è di grande rilievo riportare la testimonianza diretta di Fausto Biloslavo^,
corrispondente di guerra e inviato in Libia per il quotidiano “Il Giornale”.
Come giornalista specializzato nelle zone in conflitto è interessante conoscere il suo punto di vista
per evidenziare in che modo la guerra di Libia sia stata combattuta anche dai media, scesi affianco
l'entusiasmo dei rivoluzionari e della censura e controllo del regime.
“Fin dall'inizio ho detto che, accanto alla guerra vera, c'era la guerra della disinformazione e
della propaganda puntata a far crollare Gheddafi. Per cui quando sono giunto a Tripoli mi
aspettavo una situazione completamente diversa e invece mi sono trovato di fonte al fatto che molte
delle cose che erano state dette e scritte fin dai primi giorni erano false e di questo mi sono reso
conto anche nei due mesi in cui sono rimasto in Libia. Se è vero che c'è stata disinformazione e
propaganda da parte dei rivoluzionari, lo stesso è accaduto da parte del regime, in egual maniera
solo meno incisiva e con un effetto minore.”^
Il 17 Febbraio la rete televisiva Al Arabya diffonde tramite twitter la notizia di un massacro che ha
colpito oltre diecimila morti con i bombardamenti su Tripoli e Bengasi da parte dell'esercito
regolare. In poco tempo viene diffusa da Parigi da un presunto membro libico della Corte Penale
internazionale, Sayyid al-Shanuka.
Il consiglio di sicurezza dell'Onu si riunisce proprio in seguito a questa (falsa) notizia.
I satelliti militari russi non rilevarono nulla dalle loro postazioni; nessun testimone. Nessun video
che mostrasse il massacro in corso o immagini che riproducessero il “genocidio” che intanto
- 56 -
sconvolgeva e inorridiva l'opinione pubblica. La smentita non verrà mai diffusa nei giorni seguenti
dalla stessa corte penale.
Chiaro è quindi l'esempio per evincere come l'informazione sia stata falsificata durante le rivolte
arabe e sia stata utilizzata per fini propagandistici di uno schieramento (e dell'altro).
Non c’era alcuna prova empirica che dimostrasse l’ingente massacro comunicato da Al Arabya .
“Si diceva che a Tripoli, dove c'è stato nei primissimi giorni uno scoppio di rivolta sedata
immediatamente con una dura repressione, i MIG di Gheddafi avessero bombardato il centro
cittadino. Noi abbiamo girato in lungo e in largo, abbiamo visto i segni della rivolta, i rivoltosi che
avevano preso d'assalto alcuni palazzi come il ministero degli interni, ma certo non c'erano segni di
bombardamenti aerei sul centro della città”^
L'altra bufala mediatica trattava del ritrovamento di “fosse comuni”. La notizia è lanciata sotto
forma di accusa il 22 Febbraio dal sito “One day on Earth”53 e successivamente dal sito web del
quotidiano britannico Telegraph. Le immagini sono quelle di tante fosse rudimentali scavate nella
sabbia di Tripoli l'una accanto all'altra. La descrizione parla di cimiteri improvvisati e sepolture
d'emergenza creati ad hoc per seppellire le vittime degli oppositori di Gheddafi. La terribile e
scioccante voce, aggravata dal bilancio delle vittime (10.000 secondo le tv arabe) è testimoniata da
video ed immagini che definiscono atroce la situazione che in Libia si fa sempre più incontrollabile.
La pubblica opinione inorridisce. Scattano le voci degli aiuti umanitari, si chiede un'azione
internazionale contro il governo di Tripoli per contrastare i crimini contro la vita e contro l'umanità
di cui Gheddafi e i suoi ufficiali si sono resi artefici.
I principali quotidiani italiani titolano le prime pagine con la notizia della sconvolgente scoperta:
- 57 -
“Fosse comuni a Tripoli. Diecimila le vittime, cinquantamila i feriti” L'Unità; “Libia. L'orrore della
fosse comuni- Al Arabya:diecimila morti” A Tripoli. le vittime seppellite sulla spiaggia” Il
Messaggero; “inferno Libia. Migliaia di morti” La Stampa; “La spiaggia ora è un cimitero” Il
Corriere della Sera; “La Libia in un bagno di sangue. Già diecimila morti, fosse comuni a Tripoli”
La Repubblica;54
“Una delle bufale più grandi è stata quella delle fosse comuni sulla spiaggia di Tajura che in realtà
non esistevano. Si trattava di un normale cimitero, che abbiamo poi visto con i nostri occhi, dove
probabilmente i familiari avevano sepolto delle vittime della repressione del regime ma di certo non
erano le fosse comuni in cui venivano nascosti i corpi degli oppositori” ^
I video diffusi erano del tutto anacronistici. Risalivano infatti a riprese fatte nell'Agosto 2010 e
mostravano un'operazione di rinnovamento del terreno, una procedura abituale e ripetuta,
generalmente a scadenza decennale, nel mondo islamico: si trattava infatti dello spostamento dei
resti umani dal cimitero di Sidi Hamed ad un altro per far posto ai più recenti defunti55.
I media occidentali giungono in Libia per verificare l'evoluzione degli scontri e l'attendibilità delle
notizie diffuse. Altissimi però sono i rischi e tante le difficoltà per raccogliere i dati. Sono
impossibili verifiche approfondite e complessive, gli spostamenti e le comunicazioni sono
estremamente difficili. Gli stessi giornalisti dichiarano di reperire informazioni parziali e sommarie,
senza possibilità di poterle controllare.
“La grande difficoltà è anche quella che talvolta le notizie dirette non ce ne sono. Noi siamo gli
occhi della guerra però se non ci permettono di vedere la guerra è chiaro che non possiamo avere
informazioni complete e dirette”56.
A proposito di questa dichiarazione fatta dalla Libia in un video-messaggio, Biloslavo commenta:
- 58 -
“Io sono stato molto tempo a Tripoli, ho girato per tutta la Libia e sono andato anche in alcune
roccaforti dei ribelli. Però più si andava avanti col conflitto più era difficile lavorare perché il
regime libico imponeva uno stretto controllo sulla stampa per cui, mentre all'inizio si riusciva ad
uscire dall'albergo e andare a vedere autonomamente con l'aiuto di qualche coraggioso tassista o
interprete libico, pian piano è diventato tutto molto restrittivo e difficile. Ci facevano vedere quello
che volevano loro anche se le volte che hanno cercato di rifilarci una serie di bufale, come i
bombardamenti da parte del regime, era facile scoprirli.
Dalla parte dei ribelli c'era una grande anarchia ed era un grande pericolo lavorare. La guerra
era fatta un po' di terre di nessuno per cui molti giornalisti sono stati catturati, altri sono stati
uccisi per cui non era facilissimo operare al meglio ma indubbiamente c'era più libertà di
movimento.
C'è stato, non da subito ma col passare del tempo, un giro di vite soprattutto da parte del regime
che si rendeva conto di perdere il controllo sia della situazione sia sulla stampa internazionale che
in realtà non aveva mai avuto.”^
Un'altra vicenda da annoverare tra le “bugie di guerra” è stata quella sui mercenari. Gheddafi
avrebbe pagato uomini provenienti dall'Africa sub-sahariana, dal Ciad e dal Sudan, nella seconda
fase del conflitto per combattere contro gli insorti. Mercenari addestrati unicamente per uccidere i
civili e i ribelli, identificati dal colore più scuro della pelle.
Il modo in cui si è parlato del ruolo dei mercenari è di una importanza strategica per comprendere
quanto l'informazione sia stata volta, in questo caso, a sostegno degli insorti. Nelle file delle forze di
sicurezza libiche vi erano da decenni gruppi di mercenari provenienti dall'Est Europa e dalla Russia;
solo durante la controffensiva del regime ne furono impiegati altri, assoldati nelle capitali africane.
- 59 -
Alcuni erano presenti sul territorio, arruolati per combattere e pagati per questo. Lo dimostrano le
manifestazioni pro regime che sfilavano nella capitare immobilizzata dal coprifuoco e dai militari
rimasti fedeli al Ra'is.
“Sicuramente c'erano dei mercenari ma non eserciti di “mastini della guerra” come veniva fatto
credere. Per le stesse testimonianze che ho raccolto, alcuni clandestini che in Libia erano in
numero enorme, addirittura milioni di persone, venivano presi e arruolati con la forza. Ma la
grande bufala è stata quella dei poliziotti e soldati libici che venivano in particolare dal Fezzan, la
regione più sfortunata e povera, il cui colore della pelle è scuro come quello degli africani
dell'Equatore ma sono libici come tutti gli altri. Proprio da questa regione provenivano gli
arruolamenti nella polizia. Catturati, venivano accusati di essere mercenari ma in realtà molti di
loro, che ammettevano di esserlo sotto tortura, erano semplicemente soldati o militari libici che
combattevano”. ^
La diffusione di questa notizia, infatti, ha creato in Libia un atteggiamento di profonda ostilità verso
gli uomini con la pelle più scura. Gli africani venivano visti con sospetto, bastonati, espropriati dei
propri beni, malmenati e accusati d'essere a servizio del regime. La caccia all'uomo di colore ha
scatenato l'esodo non solo dei rifugiati ma anche dei cittadini libici provenienti dalle regioni
meridionali.
Per denaro uomini africani erano giunti a Tripoli e avevano ingrossato la massa dei fedeli al regime,
contribuendo a creare una solida controffensiva. Alcuni testimoni, però, hanno riferito di aver visto
questi “mercenari” e poi dichiarato che si trattava di semplici operai. Lavoravano nei cantieri edili e
spesso venivano dalle regioni del Sahel. Erano scambiati per mercenari non solo per il colore della
pelle, ma anche perché, sotto esortazione dei proprietari, avevano risposto all'attacco dei ribelli
libici che volevano mettere a ferro e fuoco gli interi cantieri57. Altri sostennero che, parte delle
- 60 -
manifestazioni pro Gheddafi, non fossero gestite dai mercenari africani, quanto più furono
organizzate dagli stessi cittadini libici stremati dalla guerra civile; straccati volontariamente dalle
file dei ribelli, confidavano in un ritorno al regime come unico mezzo per cessare il fuoco e porre
fine al lungo conflitto.
Il giornalista investigativo americano Wayne Madsen, in ritorno da Tripoli, sostenne di aver visto
aggregazioni spontanee di lealisti, di fedeli al Colonnello.
“There are actually some people who originally joined the opposition, but with the NATO attacks
they figured ‘OK, we may not be happy with Gaddafi but at least he is a Libyan national’ and some
of them have actually gone back to support Gaddafi,” he states. “There has also been a general
amnesty where some rebels have gone back to support Gaddafi. We saw spontaneous pro-Gaddafi
demonstrations on the roads from the Tunisian border into Tripoli... These were not shields paid by
the government.”58.
La confusione dilagante ha contribuito certamente a generare un’ informazione distorta.
3.4 Gli effetti della disinformazione e l'intervento occidentale
La disinformazione ha manipolato le reazioni dell'opinione pubblica internazionale che con un
effetto a catena ha inveito contro i crimini del sanguinario Colonnello Gheddafi. Le risorse
energetiche e la forza geostrategica della Libia accelerano gli interventi occidentali di condanna e
sempre più viene appoggiata l'ipotesi di un intervento umanitario.
Si è trattato quindi di una vera e propria battaglia mediatica che ha posto l'Occidente a prendere
parte nel conflitto e intervenire per condannare l'azione di contenimento da parte delle autorità
libiche. La guerra mediatica mossa dai network panarabi e riversata nei canali occidentali puntava
verso un unico scopo: dimostrare che tutto il popolo libico e non solo quello della Cirenaica si
stesse mobilitando contro il Ra'is e che questo si stesse di conseguenza armando contro la
- 61 -
popolazione. Al Jazeera e Al Arabya si sono fatte promotrici delle insurrezioni, perdendo
l'oggettività professionale che è fondamento di un canale che dà informazione e diventando
responsabile della distorsione dei fatti. La rete di Doha è stata accusata di aver manipolato i dati,
aumentato il numero dei morti a dismisura, aver trasmesso video e immagini relativi a proteste in
altri paesi spacciandole per foto delle manifestazioni antigovernative.
Questo è stato determinante per l'intervento militare occidentale in Libia.
“La Libia è stata la prima rivolta araba veramente lunga e sanguinosa, uno scontro armato
durissimo con molti morti sul terreno, con poi l'intervento armato occidentale. I grandi network
soprattutto in lingua araba, Al Arabya, Al Jazeera in particolare, da dopo il 9/11 si sono mobilitati
su vari fronti, (l'Iraq, l'Afghanistan) sempre in termini di opposizione ad un intervento occidentale.
Al Jazeera è di fatto la televisione del Qatar e ha la sede della direzione a Doha, e in Libia, più che
ancora in altri conflitti negli ultimi 10 anni ha preso parte al conflitto con l'arma dei media,
utilizzata in tutte le guerre di oggi. E gli interessi dei suoi padroni l'hanno utilizzata anche molto
bene a tal punto che per la prima volta in assoluto da dopo l'11 Settembre, quando la loro linea
editoriale era contraria all'attacco in Iraq, alla presenza NATO in Afghanistan, sono riusciti a
favorire e ad attirare l'intervento occidentale. In questo caso in Libia con l'obiettivo di abbattere il
regime”.^
La notizia sui bombardamenti su Tripoli e i diecimila morti è stata data per vera proprio perché
diffusa da un'emittente araba giudicata indipendente, seppur questa non godesse di piena
attendibilità a livello internazionale. Gli Stati Uniti in particolar modo ritenevano il canale dedito
alla propaganda contro le guerre in Afghanistan e in Iraq, o anche portatrice del messaggio
fondamentalista islamico. I video messaggi di Osama Bin Laden infatti venivano trasmessi solo
dalla televisione qatariane.
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La presa di posizione dell'America in Libia è stata completamente diversa. Le forze intelligence
presenti sul territorio erano ben consapevoli di quanto stesse accadendo e della gonfiatura mediatica
offerta dai canali panarabi. Dietro la dichiarazione dalla “guerra umanitaria” che poggiava la sua
legittimazione sui dati manipolati (e a tutti noti) diffusi da Al Jazeera si celava l'interesse politico ed
economico delle politiche occidentali.
Si è trattato quindi di una vera e propria campagna di disinformazione finalizzata a giustificare
l'intervento con fini umanitari.
Le tv arabe sono state molto utili alle forze della coalizione per giustificare l'intervento nello stato
nordafricano. Nell'opinione pubblica si rafforzava l'idea di una “guerra umanitaria” necessaria per
fermare il “bagno di sangue” che il Colonnello stava creando, nonostante nessun filmato
accreditasse ogni notizia diffusa, nessun testimone potesse davvero raccontare i fatti così come Al
Jazeera li stesse trasmettendo. Nell'immaginario collettivo si era inculcata fortemente l'idea del
carnefice da fermare a tutti i costi. Questo favoriva l'interventismo delle Nazioni Unite. E dietro
questo si celavano i veri motivi del conflitto in Libia.
Il ruolo dei media è stato decisivo. “L'uso di Twitter e la presenza di blogger ha reso il controllo
dell'informazione molto più difficile. Ormai basta che in un blog si riporti una voce di presunti
massacri per mettere in moto una campagna mediatica (…) La disinformazione è stata troppo
massiccia. Sulla base di tutte queste informazioni sbagliate Sarkozy, improvvisamente celere, salta
su e decide che Gheddafi è un criminale di guerra, e non per i quarant’anni di potere precedenti, ma
per le fesserie dette e scritte nel giro di una settimana“59.
La stampa ha delegittimato in poco tempo un regime che aveva trovato il suo equilibrio con le
potenze internazionali.
L'informazione nei casi di conflitto è molto spesso una vittima e viene strumentalizzata e raramente
controllata. Le agenzie stampa vennero aggirate nelle fasi della guerra civile libica. Tutto il mondo
ha ribattuto le notizie, spesso faziose e incongruenti, di Al Jazeera e Al Arabya. Il bilancio delle
- 63 -
vittime venne ingrandito, molti accadimenti vennero riferiti con esagerazione e finalizzati a creare
un clima d'opinione favorevole alla sovversione del regime e all'intervento occidentale. I “dieci mila
morti”, i falsi filmati sulle “fosse comuni”, la marcia dei ribelli verso Tripoli, i caduti, le vittime tra i
civili, gli stupri da parte dei mercenari di Gheddafi.
Tutte notizie completamente false. Il network di Doha creò sul sito inglese una chat dedicata alle
testimonianze on-line sugli eventi. La quasi totalità dei partecipanti non era residente del paese. Le
informazioni giungevano dallo Youth Libian Movement, sito d'opposizione con sede a Londra.
Facebook e Twitter sono stati i catalizzatori della voglia di cambiamento delle piazze. Si sono
rivelati strumenti fondamentali per la diffusione delle notizie, ma non sempre attendibili e
verificabili. Per questo anche internet è stato additato come strumento di disinformazione.
“Il fattore internet è uno ma non l'unico e non quello determinante. Sicuramente è l'aspetto più
innovativo. Per la prima volta le scintille di queste rivolte arabe scaturiscono attraverso la rete e i
social network. La primissima manifestazione a Bengasi il 17 Febbraio è stata indubbiamente
annunciata e propagandata attraverso Facebook da un ragazzo libico che viveva in esilio sul lago
di Ginevra in Svizzera e che ha lanciato quest'idea. La gente l'ha seguito ed è scesa in piazza.
Una delle prime cose che il regime ha fatto è stata quella di chiudere completamente internet in
tutto il pese. L'unico punto dove si riusciva a collegarsi era il famoso Hotel Rixos, l'hotel dorato dei
giornalisti dove ovviamente tutto era sotto controllo: i messaggi, la rete.
C'è stato un forte ruolo dalle immagini postate su Youtube, talvolta drammatiche, poco
comprensibili o fuorvianti che però davano l'idea della rivolta e del caos. Sicuramente non è
bastato questo. Il fatto fondamentale è stato che la Libia viveva da quarant'anni con Gheddafi e
prima o poi doveva cambiare. Il fattore è stato che si sono schierati forti media, network
internazionali e in lingua araba, c'è stato l'intervento occidentale altrimenti i rivoluzionari non
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avrebbero mai vinto anzi sarebbero stati schiacciati in un bagno di sangue. E quindi si è arrivati
alla caduta di Gheddafi, al linciaggio e alla sua morte.” ^
Il fine ultimo di questo polverone mediatico fittizio era spodestare il dittatore. L'intervento
umanitario, infatti, resta in alto nella bilancia che pesa le vere motivazioni di guerra: l'inquinamento
delle notizie voleva creare consenso attorno alla rivolta stessa. E sostituire Gheddafi.
Emerge dal fatto che la Francia, forza occidentale promotrice della guerra in Libia, con lo scoppio
delle rivolte non abbia cercato di stipulare negoziati col Ra'is, ma subito lo ha giudicato colpevole
dei crimini contro l'umanità e si è allineata con gli insorti. Lo stesso aiuto francese ha garantito ai
ribelli la forza militare necessaria per continuare la rivolta e contrastare i lealisti, nettamente
favoriti.
3.5 Cosa nasconde la copertura mediatica di Al Jazeera
Il ruolo delle televisioni del mondo arabo si è così configurato un altro campo di battaglia, in cui la
falsificazione delle notizie ha giocato a favore dei libici anti-Gheddafi.
Sulle mura di Bengasi compariva la scritta Al Jazeera= Freedom. E di certo questo non indica la
totale estraneità e l'indipendenza del canale, sempre ribadita, in un panorama arabo in cui la
comunicazione soggiace ai governi. La politica del Qatar, territorio in cui è nata e da cui trasmette
la rete, ha influito sulla linea editoriale della testata nella copertura delle rivolte arabe, in Libia
soprattutto. La propaganda informatica e la battaglia mediale vede i suoi perché nella politica
dell'emirato e nei legami economico-politici con gli stati internazionali.
Negli anni successivi l'11 Settembre 2001 il network qatarense aveva diffuso i messaggi video del
terrorista sunnita Osama Bin-Laden e per tanto gli veniva additato il ruolo di portavoce del
- 65 -
messaggio fondamentalista islamico. Durante la seconda guerra del Golfo, i diplomatici statunitensi
avevano cercato di stipulare degli accordi segreti col direttore della rete araba Wadah Khanfar per
una copertura filo-americana dell'invasione contro Saddam Hussein.
Da alcuni dispacci di Wikileaks sono stati rivelati i legami tra l'ex direttore e la diplomazia
statunitense risalenti al periodo della guerra in Iraq (20 Marzo 2003).
“Al Jazeera is under intense scrutiny in the Middle East over its varying coverage of the Arab
Spring revolts. Although the network is nominally independent — many people contend that its
coverage of the region still reflects the views of its Qatari owners.
Al Jazeera played an early and influential role in covering — some would say encouraging — the
unrest in Tunisia and Egypt last winter. It was even more aggressive in its focus on the regime of
Col. Muammar el-Qaddafi and the struggles of what it called “freedom fighters” in Libya, where
Qatar came to play a major role in supporting the rebellion.”60.
In un primo momento la direzione di Al Jazeera rifiutò di cooperare con gli States, in quanto tale
richiesta non era coincidente con la sua linea editoriale e non conforme alla deontologia
professionale. La copertura della testata giornalistica di Doha della guerra in Iraq di fatto incendiò il
sentimento anti-americano. Solo successivamente, agli occhi degli statunitensi, ottenne credibilità e
fiducia per un suo cambiamento editoriale.
La libertà di cui godeva rispetto alle televisioni arabe controllate dai regimi conferiva veridicità alla
sua informazione e un forte legame di fidelizzazione fu instaurato con l'audience occidentale. La
rete d'altra parte, secondo quanto emerge dai documenti di Wikileaks e dagli accordi segreti fatti
con il governo americano, censurava le immagini violente che raffiguravano le vittime della guerra,
i bambini mutilati e i civili caduti durante gli scontri.
La voce anti-americana e panaraba lasciò spazio ad un tipo di informazione più filo-occidentale. Fu
proprio la direzione del network a favorire tale cambiamento. Resi pubblici i dispacci dal sito di
Julian Assange, il direttore, che restò indiscusso per 8 anni, rassegnò le sue dimissioni durante il
- 66 -
mese di Settembre 201161. Le cause furono probabilmente anche quelle legate all’accusa di mancata
obbiettività della rete nel seguire le rivolte divampate nello stesso anno.
Il direttore Khanfar fu poi sostituito da un membro della famiglia reale del Qatar, lo sceicco Ahmed
bin Jassim bin Mohammed Al Thani, abolendo tutti i tentativi di rendere credibile il canale grazie
all'autonomia dei finanziamenti privati e non solo statali.
Al Jazeera continuava però ad essere indispensabile nella copertura del risveglio arabo. Il
disinteresse e il problema logistico delle altre testate internazionali, i difficili legami col mondo
arabo e le ristrettezze economiche, hanno fatto emergere la rete di Doha come unico interlocutore
delle rivolte e fonte indispensabile di notizie. Il suo primato mediatico durante i conflitti del 2011
nel mondo arabo si è basato sulla capacità di dare voce al popolo, mantenendo l'apparente aspetto di
competenza e professionalità duramente conquistato nel decennio passato agli occhi dell'audience
internazionale.
In Libia, allo scoppio delle rivolte, il Colonnello Gheddafi criticò la copertura mediatica che
l'emittente arabo stava dando della ribellione. Prudente è invece stata, almeno nei primi sviluppi, la
copertura delle insurrezioni in Siria, alleato del Qatar, nonostante la violazione dei diritti civili a cui
assisteva62.
E' facile identificare la rete con il governo in cui ha sede e con la sua estensione della politica
estera. Il network dell'emirato è per buona parte responsabile dello scoppio delle insurrezioni della
Primavera libica in quanto ha creato un clima internazionale favorevole all'intervento militare. Ha
avuto un ruolo di primo piano nel sostenere la causa dei ribelli. Doha, dopo aver annunciato che la
compagnia petrolifera nazionale avrebbe acquistato greggio degli insorti, fu la prima capitale araba
a riconoscere il Consiglio Nazionale ad interim di Transizione e ha contribuito a convincere la Lega
Araba ad appoggiare l'imposizione della no-fly zone.
Gli aiuti medici e l' intervento umanitario del Qatar si sono affiancati a quello militare e alla
fornitura di armi con oltre 400 milioni di dollari a disposizione ai ribelli per le spese belliche.
- 67 -
Per avvicinarsi ai mercati europei e instaurare nuovi scambi commerciali, il Qatar premeva anche a
controllare lo stato nordafricano poiché costituiva una importante risorsa negli scambi commerciali
con il vecchio continente grazie alla sua ricchezza di riserve petrolifere.
Dal punto di vista mediatico l'emirato arabo fornì la base, le infrastrutture e gli stupendi ai
giornalisti della LibyaTv, il primo canale satellitare d'opposizione.
Già durante il mese di Settembre, poche settimane prima della cattura di Gheddafi e della
conseguente fine della guerra, fu inviata dalla stessa capitale qatarense una task force di specialisti
dell'informazione affinché visionasse il sistema della stampa libica e con il compito di formare la
nuova classe di giornalisti. Lo stato nordafricano era completamente privo di un sistema mediatico
trasparente e professionale, causa la forte stretta sui media operata nei 40 anni dal regime del
Colonnello. I finanziamenti di Doha hanno reso possibile la nascita di un nuovo sistema di
comunicazione e hanno fornito infrastrutture, training per i giornalisti e una cornice giuridica per la
stampa. Il Consiglio Nazionale di Transizione ha presentato successivamente il nuovo comitato
della stampa della Libia, finanziando anche lo spostamento della LibyaTv nel territorio di Tripoli. I
vertici massimi restano tuttavia qatariani, anche per il forte peso esercitato dal Qatar durante i nove
mesi del conflitto.
Il nuovo profilo della Libia post Gheddafi voleva essere definito a partire dal suo sistema mediale e
il forte peso dell'emirato arabo che in territorio libico ha messo radici ben profonde, è insito nei
finanziamenti offerti e tesi allo sviluppo di una nuova classe professionale dedita a fare
un'informazione libera senza censura.63,64
I canali panarabi Al Jazeera e Al Arabya hanno fatto da risonanza alle rivolte, ma in seguito nei
territori delle rivoluzioni sono state soppiantate dalla proliferazione di canali privati. La
localizzazione delle televisioni vede la nascita di 14 canali in Libia, di una ventina in più in Egitto.
Cambia il particolarismo: alcuni canali trasmettono con il dialetto locale e fanno servizi di province.
Questo sviluppo di canali favorisce la frammentazione delle voci: pro e anti-regime, canali islamici.
- 68 -
La liberalizzazione non è stata seguita da leggi per la tutela dei giornalisti, e in questo modo è
mancata la verifica dei dati, delle fonti, si è assistito alla diffusione di notizie non sempre
attendibili, molto lontane dalle vere inchieste giornalistiche e sempre più vicine al sensazionalismo,
al populismo, alla volontà di raccogliere le masse. Il pubblico di Al Jazeera e di Al Arabya si è reso
consapevole degli interessi politici che le due emittenti panarabe celano.
Da ciò nasce il dubbio sulla veridicità dei messaggi trasmessi, dell'effettiva rispondenza tra realtà e
notizie. La crescita di canali privati mette in allerta i conservatori, coloro che temono che una libertà
mediale possa di nuovo sovvertire l'ordine, essere quindi responsabile e partecipare alle
rivoluzioni65.
- 69 -
CONCLUSIONE
La Primavera di Libia è nata con i migliori propositi: spodestare un tiranno e abbracciare un
mutamento politico-istituzionale, idealmente democratico e di stampo filo-occidentale.
Forgiata dall'esperienza tunisina e egiziana, la Libia non ha esitato a schierare in trincea l'arma dei
media, di internet e dei social network, che seppur in misura minore rispetto ai due stati
nordafricani, hanno diffuso l'informazione oltre i confini statuali e hanno influenzato l'opinione
pubblica internazionale avvicinandola alla causa degli insorti.
A una prima lettura, la rivoluzione c'è stata.
Dopo 8 mesi di guerra civile combattuta tra lealisti e ribelli, l'intervento militare della NATO si è
rivelato decisivo per guidare il manipolo di giovanissimi inesperti all'ars militari alla cattura del
Ra'is, caduto sotto il linciaggio del suo stesso popolo.
Con lui, nonostante l'illusione fulminea che qualcosa fosse davvero cambiato, è caduta la speranza
di un vero mutamento, di una autentica rivoluzione che avrebbe reso lo stato di Tripoli più
egualitario e garante di un futuro concreto ai suoi giovani.
Quanto emerge dall'analisi svolta è l'irriducibile forza mediatica che ha influenzato e determinato
gli eventi di questo risveglio popolare. I social network e le reti panarabe hanno combattuto a fianco
degli insorti per opporsi alla propaganda del regime, alla disinformazione operata dai media di stato
e alle dichiarazioni del Colonnello tese a sminuire l'ingente portata delle rivolte.
Al Jazeera, seguita dai blog degli attivisti libici in esilio e dal concorrente saudita Al Arabya, ha
costruito una macchina di guerra attraverso la diffusione di notizie incongruenti con la realtà, create
ad hoc per stimolare la reazione dell'Occidente. Il fine comune e ultimo era cacciare Gheddafi dalla
scena politica.
Esaminando le “bufale mediatiche” e i messaggi riportati sui siti on-line e sui social network,
garanti di una libertà d'espressione spesso macchiata dall'inesattezza dei contenuti, vengono in
- 70 -
superficie i molteplici interessi di ogni elemento che ha preso parte, in modo più o meno diretto, al
conflitto libico. Nei quartieri di Tripoli, dopo la sua liberazione nel mese di Agosto, sventolava la
bandiera del Qatar, portavoce dei ribelli e loro alleata nella sovversione del regime.
L'entusiasmo iniziale, l'apertura ricercata dai ragazzi istruiti, la loro presa di posizione forte contro
il regime, il combattimento via etere attraverso internet, ha lasciato lo spazio ad interessi più grandi:
quelli europei diffusi sotto la falsa voce di “intervento umanitario” e quelli delle monarchie del
Golfo.
Resta oggi, la Libia, un paese instabile, spaccato al suo interno dal tribalismo locale, diviso da una
pluralità di voci e schieramenti politici ben distanti dalla formula democratica che l'Occidente
credeva utopisticamente di trovare all'alba del “dopo Gheddafi”.
Partendo dal sostrato storico e analitico sulla Libia prima delle agitazioni popolari e sulle
contraddizioni della Jamāhīriyya governata dal Colonnello, in questi capitoli è stato approfondito il
ruolo dei mezzi di comunicazione, la loro funzione dinamica e attiva, e la loro utilità pratica oltre la
semplice copertura del conflitto.
Forse la sola rivoluzione è stata quella dei media che da spettatori degli eventi non solo hanno preso
parte al dibattito contestatario in corso, ma sono stati addirittura soggetti attivi nel condizionarne gli
esiti futuri.
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NOTE
1. Issander el Amrani, The Arabist. Internazionale N. 912. 26/08/2011
2. Cricco, Cresti “Gheddafi i volti del potere” Carocci Editore, Roma. 2011 p.27
3. D.Vandewalle. “Storia della Libia Contemporanea” 2007 P. 95
4. M.Heikal. The road to ramadan, NY, Quadrangle NYTimes book co 1975 p.70
5. Le Monde “Durcissement en Libye” 19/11/1969
6. Luigi Pestalozza “Dinamismo e coerenza della Repubblica Libica” “Rinascita” 21
Novembre 1969
7. A. Del Boca. “Gheddafi. Una sfida dal deserto” 1998 Editori Laterza.P 39
8. NARA RG 59, SNF 1970-73, POL 15-1 LIBYA, Airgram from the American Embassy in
Tripoli to the Dipartment of state: “Libya. An assessment of two years of Revolution”.
Tripoli 30/09/1970, confidental
9. Cricco, Cresti “Psicogeopolitica di Gheddafi” Limes “La guerra di Libia”. L’Espresso
Roma 2/2011
10. Op. Cit
11. NARA, RG 59, SNF 1970-1973, 2395, POL 17 IT, Telegram from Aem. Tripoli to SecState
Recent Speeches”, Tripoli, 15/03/1973, com.
12. “Relazioni
Internazionali”, 9 , 2/03/1974, p264
13. D.Vandewalle. Ibidem.
14. Tutti i passi tratti da: Mu'ammar al-Gheddafi, Libro Verde. Ventunesima ristampa Anno
1994, numero 1424. Centro internazionale ricerche e studi del libro verde TripoliGiamahiria libica.
15. Noel Jeaudet “troisième théorie” et la révolution culturelle Le Monde 1/09/1976
16. A. Del Boca. Ibidem. P 65-65
17. Bourgat F, “Il fondamentalismo islamico”, SEI, Torino 1995 p 31.
18. Cricco, Cresti Ibidem P.33
19. Corriere della Sera “Libia, rivolta islamica Da Bengasi "fatwa" contro il Colonnello”
1/04/1994
Archivio
storico
http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/01/Libia_rivolta_islamica_co_0_9604012871.sh
tml
20. https://twitter.com/#!/Doma
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21. BBC “Da Rabat ad Amman” Gran Bretagna. Internazionale. N 881. 21/27 Gennaio 2011
22. M. Eltahawy “Tunisia. The first Arab revolution” The Guardian 16/01/2011
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/jan/16/tunisia-first-arab-revolution-ben-ali
23. ( ‫انتفاضة‬17 ‫ فبراير‬2011‫ لنجعله يوم للغضب في ليبيا‬- ) https://www.facebook.com/17022011libya
24. T. Toniutti "Il Cairo, la rivolta è sul web. Oscurati Twitter e Internet" La Repubblica.
25/01/2011
http://www.repubblica.it/esteri/2011/01/25/news/egitto_la_rivolta_sul_web_oscurato_il_sito
_dell_interno-11643750/
25. Adel Iskandar, Al Masry al Youm. “Senza Definizioni”. Egitto. Internazionale. N. 885. 18
Febbraio 2011
26. C. Bartoli “Internet e la Primavera Araba”. La Perfetta Letizia 11/08/11
http://www.laperfettaletizia.com/2011/08/internet-e-la-primavera-araba.html
27. Op Cit.
28. C. Jean. “Il secondo risveglio arabo e le lezioni della Libia” Limes “La Guerra di Libia”
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29. G. Resta “Libia: quale verità sul massacro nel carcere di Abu Salim nel 1996?” La
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http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/vociglobali/grubrica.asp?ID_blog=286&I
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30. http://www.youdem.tv/doc/223087/libia-daiblog-alla-piazza-verso-la-libert.htm
31. http://archive.libyafeb17.com/
32. L. Cremonesi “E i soldati cambiarono fronte” Corriere della Sera 23/02/ 2011
33. C. Hoges “La centrale dei ribelli” Der Spiegel. Internazionale. 11 Marzo 2011
34. Op. Cit
35. http://it.euronews.com/2011/03/19/ucciso-a-bengasi-il-blogger-mohammed-nabbous/
36. Il Sole24ore redazione on-line "Operazione Odissea all'alba in Libia – Gheddafi: siamo
pronti a una guerra lunga- le forze del Ra'is" 19/03/2011
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-03-19/1745-iniziano-operazioni-militari184519.shtml.
37. https://www.facebook.com/LibyanYouthMovement
38. http://www.shabablibya.org/news/february-2011/week-commencing-february-282011/message-from-tripoli
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39. http://www.shabablibya.org/news/press-release/correspondence-with-red-cross-forimmediate-aid-for-injured-civilians-in-yefren-al-qala-and-kikla-with-no-response-2
40. G. Porzio “Misurata, 2 Settembre” Reportages- Giovanni Porzio Reporter
http://www.giovanniporzio.it/portfolio-item/misurata-libya-august-2011/
41. L. Cremonesi “Nei villaggi pro-Gheddafi dove è passata la pulizia etnica” Corriere della
Sera.it 27/02/2012 http://www.corriere.it/inchieste/nei-villaggi-pro-gheddafi-dove-passatapulizia-etnica/7c93a99e-616d-11e1-8325-a685c67602ce.shtml
42. Il Post Redazione on line “La presa di Tripoli” 21/08/2011
http://www.ilpost.it/2011/08/21/che-cosa-succede-a-tripoli/
43. Op. Cit.
44. S. Cerami "Primavera araba, la Rete non basta. Adesso ci vuole la politica" Linkiesta
11/09/2011 http://www.linkiesta.it/primavera-araba-yuotube
45. E. Boria “Primavera araba: i social network sono nemici della democrazia” Limes
13/10/2011 http://temi.repubblica.it/limes/i-social-network-nella-primavera-araba-sononemici-della-democrazia/27809
46. A. Della Ratta “Al Jazeera. Media e società arabe nel nuovo millennio” Milano Mondadori
2005
47. U. Tramballi “My friend the Amir” Slow News Il Sole24ore 14/04/2012
http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/slow-news/2012/04/my-friend-the-amir.html
48. Lawarence Pintak “Telerivoluzioni arabe” Stati Uniti Internazionale 904 1/07/2011
49. R. Khouri, direttore istituto Issam Fares Università americana di Beirut e columnist del
quotidiano libanese The Daily Star (Op. Cit)
50. Op Cit.
51. L. Cremonesi “Il futuro comincia dal Maghreb” L'Europeo RCS N. 3, 2012.
52. E. Oliari “Libia. Una guerra fatta soprattutto di disinformazione” 14 Luglio 2011. Notizie
Geopolitiche http://www.notiziegeopolitiche.net/?p=19
53. http://www.onedayonearth.org/profiles/blogs/mass-burial-tripoli-libyafeb?xg_source=activity
54. La storia siamo noi “Guerra, bugie e tv” http://www.youtube.com/watch?v=hPej4Ur_tz0 .
55. P. Sensini. “Libia 2011” Jaca Book spa, Milano. 2011
56. F. Biloslavo dalla Libia http://www.youtube.com/watch?v=hPej4Ur_tz0
57. T. Bucci “Karim Mezran, saggista: «Anche gli arabi manipolano i media»” 6/05/2011
Liberazione.it http://www.liberazione.it/news-file/Interviene-Karim-Mezran--saggista---
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Anche-gli-arabi-manipolano-i-media----LIBERAZIONE-IT.htm
58. Qatar Wakeup Call “Zionist Al-Jazeera's Propaganda and the Reality in Libya” 18/06/2011
http://qatarise.blogspot.it/2011/06/zionist-al-jazeeras-propaganda-and.html
59. T. Bucci. Op Cit
60. D. D. Kirkpatrick “After Disclosures by WikiLeaks, Al Jazeera Replaces Its Top News
Director” The New York Times 20/09/2011
http://www.nytimes.com/2011/09/21/world/middleeast/after-disclosures-by-wikileaks-aljazeera-replaces-its-top-news-director.html?_r=3
61. Op. Cit.
62. L. Canali “Buon compleanno Aljazeera, 15 anni da tv militante” 7/11/2011 “Israele più
solo, più forte”. Limes L’espresso Roma 5/2011
63. L. Declich “Il Qatar in Libia e la Libia in Qatar” Limes “Israele più solo, più forte”
L’Espresso Roma 5/2011
64. A. Safira “Il Qatar mette radici (mediatiche) in Libia” Limes 11/02/2012
http://temi.repubblica.it/limes/il-qatar-mette-radici-mediatiche-in-libia/31262
65. V. Mazza “La primavera delle tv arabe” http://lettura.corriere.it/la-primavera-delle-tv-arabe/
 Lorenzo Cremonesi è un inviato speciale del Corriere della Sera specializzato in zone di
conflitto. Segue da 25 anni le questioni mediorientali. Dal 1988 al 2001 è stato
corrispondente per lo stesso quotidiano italiano da Gerusalemme. Negli anni Novanta
come inviato ha seguito le guerre in Iraq, Afghanistan, Libano, Pakistan. Nel 2005 viene
sequestrato e poi rilasciato a Dir al-Balah (Gaza) da un commando di miliziani delle
Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, gruppo militante palestinese. In una conferenza tenuta
nell'Università Cattolica di Milano il 3 Maggio 2012 espone il suo concetto di inviato
come “giornalista che sta nel posto caldo, in cui avvengono i fatti. Mangia la polvere di
quel luogo. Non può esserci un vero racconto stando fuori dai territori in cui avvengono i
fatti”
 Fausto Biloslavo è uno degli inviati speciali italiani con maggior esperienza nelle zone
di conflitto. Dal suo esordio come pubblicista nel 1982 in Libano in cui, appena
ventenne, seguì l'invasione israeliana, ha raggiunto i luoghi più caldi della terra
raccontando i maggiori e i più dimenticati conflitti. Nel 1983 è cofondatore dell'agenzia
- 75 -
stampa Albatros e inizia a specializzarsi sui reportage di guerra. Tratta soprattutto le
dinamiche centro asiatiche, medio orientali e africane: Iraq, Pakistan, Filippine, Somalia,
Sudan, Uganda, Kenia, Angola, Balcani, Libano, Giordania, e soprattutto si specializza
sulla guerra in Afghanistan dove si recherà spesso per seguire in prima linea il lungo
conflitto contemporaneo.
Nel 1988 per realizzare un servizio sui mujaheddin, viene catturato dai governativi e
rimarrà nelle carceri di Kabul per 8 mesi.
Scrive per i quotidiani “Il Giornale”, “Il Foglio” e con la rivista “Panorama”. Collabora
con altre testate nazionali e saltuariamente con le redazioni televisive realizzando servizi
sul posto. Ha scritto numerosi libri sui suoi reportage.
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BIBLIOGRAFIA
Bourgat F. “Il fondamentalismo islamico”, SEI, Torino 1995
Cricco, Cresti “Gheddafi i volti del potere” Carocci Editore, Roma 2011
Della Ratta A. “Al Jazeera. Media e società arabe nel nuovo millennio” Mondadori, Milano 2005
Del Boca A. “Gheddafi. Una sfida dal deserto” Laterza. Roma Bari 1998
Gheddafi M. “Libro Verde” Centro internazionale ricerche e studi del libro verde TripoliGiamahiria libica. 1994, N. 1424.
Heikal M. “The road to Ramadan”, NY, Quadrangle NYTimes book co 1975
Internazionale “La prima rivoluzione araba” N 881. 27 Gennaio 2011
Internazionale “Rivoluzioni” N. 885. 18 Febbraio 2011
Internazionale “La Libia brucia” N. 886 3 Marzo 2011
Internazionale “Nella mente dei robot” N. 888 11 Marzo 2011
Internazionale “Quello che internet ci nasconde” N. 904 1 Luglio 2011
Internazionale “La Battaglia di tripoli” N. 912. 26 Agosto 2011
Internazionale “Dopo Gheddafi” N. 921 3 Novembre 2011
L'Europeo “Il vento del Maghreb” N.3 RCS Milano Marzo 2012
LIMES “La guerra di Libia”. N 2 L'espresso. Roma 2011
- 77 -
LIMES “Israele più solo, più forte” N.5 L'espresso Roma 2011
LIMES “Protocollo Iran” N.1 L'espresso Roma 2012
Paolo Sensini. “Libia 2011” Jaca Book spa, Milano. 2011
Vandewalle D. “Storia della Libia Contemporanea” Salerno Editrice. Roma 2007
- 78 -
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