il paziente cefalalgico

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il paziente cefalalgico
ROBERTO STERZI
SUNTI DI NEUROLOGIA
Indice
1. IL PAZIENTE CON CEFALEA
2 IL PAZIENTE CON CRISI EPILETTICHE
3. IL PAZIENTE CON SINCOPE
4 IL PAZIENTE CON ICTUS O CON TIA
5 IL PAZIENTE CON MORBO DI PARKINSON O PARKINSONISMI
6 IL PAZIENTE CON DEMENZA
7 IL PAZIENTE CON SCLEROSI MULTIPLA
8 IL PAZIENTE CON NEUROPATIA PERIFERICA
- INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE (per approfondire gli argomenti: voci e links)
- TABELLA DELLE SIGLE E DEGLI ACRONIMI
1. IL PAZIENTE CON CEFALEA
La cefalea è un sintomo molto frequente. Si distinguono: cefalee primarie (emicrania, cefalea tensiva, cefalea a
grappolo), che rappresentano la maggior parte dei casi e hanno caratteristiche tipiche; e cefalee secondarie ad altre
patologie, più rare. In questi ultimi casi, la presenza di cefalea improvvisa, caratterizzata da un dolore mai accusato in
precedenza e di elevata intensità, richiede l’ avvio immediato del paziente ad un centro ospedaliero per escludere gravi
patologie che potrebbero costituire pericolo di vita.
Tabella 1 - DOMANDE DA PORRE PER LA DIAGNOSI DI CEFALEA
 Vi è familiarità?
 Qual è l’età d’insorgenza?
 La cefalea è ricorrente oppure occasionale, a insorgenza improvvisa?
 Quali sono le caratteristiche di sede, irradiazione e qualità del sintomo?
 Qual è la durata della crisi cefalalgica?
 Vi sono sintomi premonitori (aura)?
 Quali sono i sintomi di accompagnamento?
 Qual è il comportamento del paziente?
 Sono riconoscibili fattori scatenanti?
 A quali farmaci è sensibile il dolore?

1.1. Cefalee Primarie
1.1.1. Emicrania
L’emicrania è una cefalea ricorrente con attacchi della durata di 4-72 ore se non trattati, tipicamente caratterizzati da
dolore pulsante a localizzazione spesso unilaterale, di intensità medio- forte, peggiorato da attività fisica di routine e
associato a nausea e fotofobia. Più frequente in giovani donne con un rapporto di 3:1 rispetto al sesso maschile. L’età
più interessata è quella fra l’adolescenza e l’età adulta. Può comparire anche nell’infanzia e accompagnarsi a dolori
addominali. E’ frequente la familiarità. Le crisi sono scatenate da fattori occasionali (stress, cambiamenti bruschi di
temperatura esterna, consumo di alcool, ecc.) o dal ciclo mestruale. L’emicrania “classica” (con aura) si accompagna
a disturbi visivi (scotomi, emianopsia, fotopsie), a parestesie locali e al volto o a disturbi del liguaggio. Nei casi di
maggior gravità, con crisi frequenti la malattia è invalidante. Il maggior fattore di aggravamento è rappresentato
dall’abuso di farmaci, che può condurre a cefalea cronica.
La diagnosi è clinica e si basa sui caratteri di familiarità e sulle cause di crisi e le loro caratteristiche. Gli esami di
laboratorio e strumentali sono nella norma. Nella d.d. vanno considerate: le altre cefalee primarie e altre più rare cefalee
secondarie quali masse intracraniche, meningite, pseudotumor cerebri, emorragia sub aracnoidea, malformazioni
arterovenose, trombosi dei seni venosi, neurite ottica, glaucoma acuto, sindrome dell’articolazione temporomandibolare, sinusiti. Nel soggetto anziano vanno considerate le s. osteovertebrali, le nevralgie, l’arterite temporale, il
glaucoma e le forme espansive.
Terapia
Trattamento dell’attaco acuto: La terapia va somministrata il più precocemente possibile, ai primi sintomi prodromici:
la tempestività è essenziale e il paziente va opportunamente istruito.
Nei casi lievi è sufficiente il riposo e un analgesico minore (FANS) accompagnato a benzodiazepina.
Nelle forme di modesta intensità si preferiscono gli agonisti recettoriali di 5 HT1, i triptani (tabella 1).
Il Sumatriptan è il primo introdotto in commercio. Si preferisce la via orale, ricorrendo alla forma iniettoria solo in casi
ribelli; la dose massima consigliata è di due iniezioni da 6 mg o 200 mg in compresse nelle 24 ore. L’assunzione è
preferibile a stomaco vuoto e può essere ripetuta non più di una volta nelle 24 ore; inoltre, va sottolineato il rischio di
importanti interazioni con i betabloccanti e gli IMAO e l’insorgenza di dolori ischemici e di altri effetti secondari (s. da
triptani).
Tabella 2 - I TRIPTANI
- Almotriptan (Almogran, Almotrex) cpr 12,5 mg,
- Eletriptan (Relpax) cpr 20 mg o 40 mg
- Frovatriptan (Auradol,Rilamig) cpr 2,5 mg
- Rizatriptan (Maxalt, Rizaliv, Trizadol) cpr 5 mg o 10 mg;
- Sumatriptan (Imigran, Imigran spray nasale): cpr 100 mg, 1 f 300 mg s.c.;
- Zolmitriptan (Zomig, Ponesta) cpr 2,5, spray nasale 5 mg 0,1 ml
In alternativa si può ricorrere a un preparato a base di ergotamina (Diidergot, Cafergot, Virdex) come vasocostrittore,
(facendo attenzione al rischio di ergotismo) o all’indometacina (Indoxen, Difmetre).
Nel caso di vomito è quasi sempre efficace la metoclopramide (o altro procinetico per via iniettoria)
Nelle forme minori risponde bene l’associazione salicilato-metoclopramide (ASA MTC), efficace anche sul vomito per
cui solo nei casi di maggiore gravità sarà opportuno ricorrere ai preparati antiemetici, ondasetron (Zofran): cpr 4-8 mg e
fl 4-8 mg e analoghi.
Sono attualmente in sperimentazione nuovi farmaci antagonisti del recettore per il peptide correlato al gene della
calcitonina (CGRP), quali telcagepant e olcegepant, che avrebbero efficacia simile ai triptani e non avrebbero effetto
vaso costrittivo.
La terapia ottimale può essere indirizzata dalla valutazione MIDA (Migraine Disability Assessment), che consente di
stabilire sulla base di un questionario il grado di invalidità provocato dalla malattia.
Trattamento profilattico: In tutti i casi è comunque raccomandabile una vita regolare con sufficienti ore di sonno, la
rinuncia all’alcool e al fumo, una particolare attenzione ai farmaci (estrogeni, nitriti e vasodilatatori in genere, ecc.) e
alla dieta evitando formaggi, cioccolato, alcolici, vino rosso, noci e nocciole, tonno, spinaci, pomodori e agrumi.
La terapia farmacologica è indicata in tutti quei casi che presentano un numero di attacchi emicranici mensili superiore
a tre, oppure quando in presenza di un numero ridotto di crisi queste abbiano una durata di 48-72 ore oppure quando la
terapia dell’attacco non sia attuabile per la presenza di effetti collaterali o controindicazioni specifiche.
Il repertorio farmacologico è ampio, la risposta ai singoli farmaci è tuttavia è individuale:
- Betabloccanti - Propranololo (Inderal cpr da 40 e 80 mg) e l’atenololo (cpr da 100 mg). In genere il propanololo viene
utilizzato con aumenti graduali al dosaggio fra 40 e 120 mg/die.. E’controindicato nell’asma bronchiale, nel diabete,
nella BPCO e nella depressione.
- Antidepressivi triciclici – Agiscono come inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina. Il più usato è
l’amitriptilina (Laroxyl, Adepril, Triptizol cpr 10 mg o 25 mg, gtt 1gtt=2mg) che al dosaggio di 30-50 mg al giorno
risulta particolarmente efficace. L’effetto terapeutico si osserva in genere dopo due-quattro settimane di terapia ed è
potenziato dall’associazione con i betabloccanti. Sono controindicati nel glaucoma.
- Calcioantagonisti – agiscono sul tono vascolare, riducono la vasocostrizione agli stimoli noradrenergici.
La flunarizina (Flugeral, Flunagen, Fluxarten, Sibelium, cpr 5mg o 10 mg) va prescritta al dosaggio di 5 mg al giorno
per circa tre mesi. Effetti collaterali da non sottovalutare sono rappresentati dalla depressione e dal parkinsonismo, per
cui questi farmaci non vanno prescritti ai pazienti depressi e a quelli di età superiore a 50 anni. Inoltre non è
consigliabile prescriverli a pazienti in sovrappeso perché stimolano l’appetito.
- Anticonvulsivanti - Il primo utilizzato in ordine di tempo è stato l’acido valproico (Depakin cpr 200 mg o 500 mg,
cpr RP 300 mg o 500 mg, bust 100 mg o 250 mg o 500 mg). Alla dose di 750 e 1500 mg al giorno si è dimostrato
efficace nel ridurre la frequenza delle crisi emicraniche. Attualmente si preferisce il topiramato (Topamax cpr 25 mg o
50 mg o 100 mg) che al dosaggio tra 75 e 100 mg al giorno dà buoni risultati nel trattamento profilattico dell’emicrania,
soprattutto nelle cefalee croniche.
- Antiserotonici come pizotifene (Sandomigran), cpr 0,5 x 3/die o più oppure metergolina (Liserdol): cpr 4 mg x 3/die
oppure metisergide (Deserril): cpr 2-4 mg/die.
- 5-idrossitriptofano (Tript OH): cpr 100-200 mg x 2/die: agisce come precursore della serotonina.
1.1.2. Cefalea “a grappolo”
La cefalea “a grappolo” è una forma relativamente rara (prevalenza 55 per 100.000 ) che colpisce soggetti maschi di
media età (30-50 aa) senza precedenti familiari emicranici. Le crisi sono caratterizzate da brevi attacchi (15-180 min)
di dolore lancinante unilaterale periorbitario e sovraorbitario associati a sintomi autonomici che si verificano che
insorgono a orari fissi (per lo più notturni o dopo il pasto) e si rinnovano quotidianamente o a intervalli più brevi, per
alcune settimane o mesi (periodo del cluster), per poi recedere spontaneamente consentendo lunghi periodi (anche anni)
di benessere. Caratteristica della crisi la comparsa di rinorrea, lacrimazione, rossore, edema palpebrale, congiuntivite e
s. di Horner dallo stesso lato. Il fumo di sigaretta è un possibile fattore di rischio.
Appartengono allo stesso gruppo nosologico l’emicrania parossistica che ha minore durata e una maggiore frequenza
delle crisi, è più frequente nel sesso femminile e presenta una risposta completa all’indometacina e che può anche
presentarsi in forma cronica; e la Cefalea unilaterale di tipo nevralgico di breve durata con iniezione congiuntivale e
lacrimazione (SUNCT: Short-lasting unilateral neuralgiform headache attacks with conjunctival injection and tearing)
caratterizzata da attacchi di dolore unilaterale, di durata nettamente inferiore a quanto osservato in qualsiasi altra cefalea
primaria. Nella maggior parte dei casi si associano lacrimazione intensa e iperemia congiuntivale omolaterali.
Diagnosi - .E’ soprattutto clinica. Gli studi di imaging: sono indicati se l'esame neurologico è anormale. Vanno escluse:
emicrania; emorragia subaracnoidea (“peggior mal di testa mai sperimentato”); dissezione dell'arteria carotide o della
vertebrale; meningite; ipertensione intracranica idiopatica benigna; nevralgia occipitale maggiore; massa intracranica
(cefalea subacuta e in peggioramento; herpes zoster; arterite temporale; nevralgia del trigemino; emicrania parossistica
(risponde drammaticamente a indometacina); cefalea unilaterale neuralgiforme con iniezione congiuntivale e
lacrimazione (SUNCT: gli attacchi durano secondi).
Trattamento dell’attaco acuto:
- ossigenoterapia (6-10 l / minuto tramite maschera nonrebreathing per 15 minuti)
- sumatriptan fl 6 mg per via sottocutanea o per spray nasale, eventualmente da ripetere non più di 2 volte
- zolmitriptan spray nasale può abortire cefalea a grappolo entro 30 minuti
Terapia profilattica:
- verapamil (Isoptin) 120 mg per via orale 3 volte al giorno per 2 settimane
- melatonina 10 mg per via orale ogni notte per 2 settimane
- capsaicina applicata alla narice ipsilaterale per 7 giorni
- topiramato 50-125 mg/dì in due dosi per due-tre settimane
Nelle forme croniche o in quelle non responsive ai precedenti farmaci è indicato:
- litio carbonato (Carbolithium cpr 150 e 300 mg) alla dose di 900 mg/die,
- prednisone (50-60 mg al dì), metilprednisolone ev (500-1000 mg/dì) o desametasone (Decadron) per non più di due
settimane. Di solito gli steroidi vengono utilizzati nei casi più gravi e con attacchi ad alta frequenza e il loro utilizzo in
ogni caso non deve superare il periodo delle tre settimane.
- Nei casi refrattari al trattamento e con durate prolungate può essere consideratra l’opzione chirurgica
stimulazione bilaterale del nervo occipitale (migliora ma non elimina le crisi); rizotomia percutanea stereotassica con
radiofrequenze
1.1.3. Cefalea tensiva
Si tratta del tipo più comune di cefalea primaria (circa 30% episodica; 3-3% cronica). Si distinguono due forme:
episodica e cronica. Nella forma episodica, la più frequente, la cefalea è ricorrente. La forma cronica, nella quale la
cefalea è presente per più di 15 giorni al mese e per più di tre mesi, può causa un grave peggioramento della qualità
della vita e un’elevata disabilità. La cefalea è caratterizzata da un dolore che dura da minuti a giorni di tipo costrittivogravativo e di intensità lieve o moderata. Tipicamente la localizzazione è bilaterale e la distribuzione del dolore a
casco. A differenza dell’emicrania non c’è vomito e solo talvolta è presente una lieve nausea. Interessa prevalentemente
donne di media età e si accompagna spesso a una serie di disturbi somatoformi (s. colon irritabile, dispepsia, s.
premestruale, fibromi algia, s. fatica cronica, nevralgia facciale atipica). Fattori scatenanti sono stress, superlavoro,
eccesso di fumo; come nell’emicrania vi può essere un collegamento con i cicli mestruali. Si associano di frequente
disturbi di ansia e, più raramente, una modesta depressione. In taluni casi si associa ad emicrania.
La diagnosi si basa sulla deposizione del paziente, Nelle forme a insorgenza recente va considerata la possibilità di una
cefalea secondaria, soprattutto di forme neoplastiche intracraniche e di accompagnamento dell’ipertensione (rare,
malgrado una credenza comune). Sono inoltre da valutare le possibilità di una sintomatologia provocata da patologie
locali (colonna cervicale, occhi, seni facciali, infezioni delle prime vie respiratorie, ecc.): anche in questi casi farmaci e
abitudini alimentari possono avere un ruolo scatenante. Spesso queste diverse cause si sommano.
È buona norma, se la sintomatologia persiste, eseguire un esame oftalmoscopico, un accurato esame dei punti di
riferimento dei seni paranasali e delle altre strutture craniche e, nel dubbio, eseguire una TAC, anche se spesso il valore
dell’esame è esclusivamente rassicuratorio per il paziente.
Trattamento dell’attaco acuto: l'uso di analgesici andrebbe limitato a 2-3 volte alla settimana, documentando su un
diario il numero di crisi e il consumo di farmaci. Andrebbe evitato l’uso di analgesici in combinazione o di oppioidi. I
vari analgesici appaiono di pari efficacia. Si utilizzano di preferenza ibuprofene (Brufen, Cibalgina Moment,) 200-800
mg per via orale, ripetibile; ketoprofene (Fastum, Orudis cps 50 mg o 200 mg RP, supp 100 mg, fl 100 mg);
naprossene (Momendol, Synflex cpr 250 mg o 500 mg); nimesulide (Aulin cpr 100 mg o bust 100 mg) aspirina 500
mg o 1000 mg o il paracetamolo 500 mg o 1000 mg per via orale; acido mefenamico (Lysalgo cps 250 mg).
Per quanto riguarda i bambini e le donne in gravidanza anche in questo tipo di cefalea è consigliabile utilizzare il
paracetamolo al dosaggio di 500 mg al giorno per le donne e secondo il peso nei bambini.
Si ricorda che i triptani non sono di alcuna utilità nel trattamento dell’attacco cefalalgico tensivo.
Terapia profilattica: Va prescritta solo nel caso di cronicizzazione, poiché nella maggioranza dei casi un buon
colloquio con il medico di fiducia è più utile di tante prescrizioni di farmaci. E’ importante invitare il paziente a
mantenere un diario della cefalea. In tutti i casi è raccomandabile una vita regolare con sufficienti ore di sonno L’uso
dei farmaci è comunque più efficace se affiancato a counseling per lo stress o a psicoterapia. Se si utilizzano i farmaci è
consigliabile iniziare con bassi dosaggi incrementando la dose ogni 1-2 settimane fino al controllo della cefalea o alla
comparsa di effetti collaterali. L’effetto terapeutico viene raggiunto in 2-3 mesi. La terapia va mantenuta per circa sei
mesi e poi scalata gradualmente. Gli antidepressivi sono considerati il trattamento di prima scelta e possono migliorare
la cefalea e ridurre il consumo di analgesici nella cefalea cronica.
- I triciclici (TCA) hanno una buona efficacia: amitriptilina (Laroxylcpr 10 mg o 25 mg o gtt 20 ml 4%) 75 mg / die o
nortriptilina (Noritren cpr 10 mg o 25 mg) 75 mg / die per via orale. . In genere i risultati positivi iniziano a
manifestarsi dopo due tre settimane di trattamento.Il farmaco è controindicato nei soggetti con glaucoma ad angolo
chiuso, ritenzione urinaria, aritmia.
- Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) pur essendo meno efficaci dei TCA possono
migliorare la cefalea: Fluvoxamina (Dumirox, Fevarin, Maveral cpr 50 mg o 100 mg) al dosaggio di 50 mg/die;
Fluoxetina (Prozac cpr 20 mg; Paroxetina (Daparox, Seroxat, Sereupin cpr 20 mg; Dropaxin gtt 1 gtt=0,5 mg) e
Sertralina (Tatig, Zoloft cpr 50 mg o 100 mg) . La Duloxetina (Cymbalta, Xeristar cpr 30 mg o 60 mg) appartenente
alla classe degli inibitori della ricaptazione della serotonina e noradrenalina (SNRI) può essere utilizzata al dosaggio di
60 mg/di (iniziando con 30 mg per i primi sette giorni). Anche la mirtazapina (Remeron15-30 mg / die) può ridurre la
durata e l'intensità mal di testa.
- I Miorilassanti possono dare buone risposte terapeutiche se associati ad altri tipi di farmaci: tizanidina (Navizan,
Sirdalud cpr 2mg o 4 mg o 6 mg).
- Anche le cure fisiche quali l'agopuntura, gli esercizi di flessione cranio-cervicale e il biofeedback possono essere
efficaci per la cefalea tensiva cronica.
1.1.4. Altre cefalee primarie
Si considerano cefalee primarie la forma trafittiva (fitte dolorose transitorie localizzate al capo, che si manifestano
spontaneamente, in assenza di una patologia), quelle associate a particolari eventi (da tosse, da attività fisica, da
attività sessuale, ipnica) e un piccolo gruppo che pone problemi di diagnosi differenziale quali la Cefalea primaria ''a
rombo di tuono'' che, con le precedenti va differenziata dall’emorragia subaracnoidea, l’emicrania continua (cefalea
persistente strettamente unilaterale che trae beneficio dal trattamento con indometacina) e la New Daily-Persistent
Headache (che si differenzia dalla cefalea di tipo tensivo cronico per il fatto di essere caratterizzata da un andamento
quotidiano sin dall'esordio e per manifestarsi solitamente in soggetti con anamnesi negativa per cefalea).
1.1.5. Nevralgie facciali
Sono manifestazioni dolorose a carico della faccia: la diversa localizzazione dovrebbe rappresentare una divisione netta
rispetto alle cefalee, ma in qualche caso possono insorgere equivoci diagnostici.
Per la diagnosi, appaiono indispensabili le indagini neuroradiologiche (TAC, RMN) onde evidenziare forme
sintomatiche. Talvolta l’angioRM ad alta definizione del tronco encefalo può evidenziare il conflitto tra nervo trigemino
e strutture vascolari. Per queste forme è infatti essenziale escludere la Sclerosi Multipla, una neoplasia della fossa
posteriore e la neurolue. Nella Nevralgia posterpetica, oltre al precedente dell’Herpes Zoster, manca lo scatenamento
della crisi a seguito di stimoli locali ed è invece spesso presente una perdita locale di sensibilità. In questo caso la
terapia è analoga a quella delle altre nevralgie.
- Nevralgia del trigemino, è la forma più nota, caratterizzata da dolore unilaterale del volto, lancinante, tipo scossa
elettrica, limitato al territorio di distribuzione di uno o più rami della seconda e terza branca del nervo trigemino, più
spesso la mascellare, che non supera mai la linea mediana. Le fitte durano da pochi secondi a circa due minuti e si
possono ripetere a distanza di pochi minuti. Possono essere scatenate dalla stimolazione di punti trigger (nel lavarsi,
radersi, truccarsi, lavarsi i denti, masticare etc.) ma possono anche prodursi spontaneamente. Sono più spesso interessati
i soggetti maschi intorno ai 50 anni di età.
La terapia deve essere medica almeno nelle fasi iniziali. La carbamazepina (CBZ), alla dose di 400-1200 mg al dì, è
efficace nel 60-70% dei casi. L’oxcarbazepina (OXC), derivato della CBZ e più maneggevole, alla dose di è tra 6001200 mg/die,. è efficace nel una elevata percentuale di pazienti resistenti al trattamento. Va controllata la sodiemia per
il rischio di iponatriemia soprattutto negli anziani. Anche il gabapentin (900-2400 mg/die) e la lamotrigina (900 ed i
1800 mg/die) si sono rivelati efficaci Per ragioni sconosciute in una elevata percentuale di casi con lunga storia di
malattia si manifesta una resistenza ai farmaci o si manifestano intollerabili effetti collaterali. In questi casi il
trattamento chirurgico diventa l’unica opzione possibile. Le principali tecniche chirurgiche sono la decompressione
microvascolare, la gammaknife, la termorizotomia percutanea, e la microcompressione con palloncino del ganglio di
Gasser. I trattamenti chirurgici presentano comunque un rischio di recidive e la dimostrazione della loro efficacia non
deriva da trial randomizzati. Gli effetti collaterali degli interventi sono rari e per la maggior parte transitori.
- Nevralgia del glosso-faringeo è più rara ed è caratterizzata da violento dolore parossistico localizzato all’orofaringe,
alla base della lingua, alla fossa tonsillare. Può essere accompagnata da abbondante salivazione: i caratteri di insorgenza
e di scatenamento sono simili a quelli della nevralgia trigeminale. È sempre unilaterale ed è scatenata da deglutizione e
colpi di tosse. La nevralgia glossofaringea è quasi sempre legata ad un conflitto tra un ramo arterioso ed il nervo nel suo
tragitto verso il forame giugulare. La terapia medica è analoga a quanto indicato per la precedente.
- Nevralgia occipitale È caratterizzata da dolore nella regione occipitale, solitamente unilaterale, a fitte che si
sovrappongono spesso ad un dolore meno intenso ma continuo. È legata a traumi del nervo grande occipitale,
compressioni radicolari da processi artritici e tumori. La terapia ricalca quanto indicato nella NT ma possono essere
utilizzati anche blocchi nervosi con anestetici locali Nei casi resistenti si può ipotizzare la sezione della 2a e 3a radice
cervicale.
- Dolore Facciale Atipico indica un dolore che non corrisponde a una distribuzione anatomica di un nervo e che può
riconoscere varie cause, comprese quelle funzionali.. Può derivare dalle strutture superficiali e profonde del massiccio
facciale, quali le forme di origine temporomandibolare (s. di Costen). La diagnosi può essere molto difficile e richiede
la collaborazione degli specialisti e del radiologo per la diagnosi e dello psicoterapeuta per il trattamento: gli abituali
analgesici sono spesso, infatti, inefficaci, benché gli antidepressivi possano alleviare la sintomatologia.
1.2. Cefalee secondarie
Le cause di cefalea secondaria sono molto numerose (tabella 3) per cui è opportuno un approccio sistematico. Mentre
le caratteristiche cliniche dell’emicrania e della cefalea a grappolo sono di per sé diagnostiche; e altrettanto può dirsi per
l’emorragia sub aracnoidea, per la nevralgia del trigemino e del glosso faringeo, le forme combinate e le cefalee
secondarie sono di più difficile riconoscimento e, in questi casi, si impone un approfondimento diagnostico. Va, infatti,
sottolineato che queste forme secondarie hanno caratteri clinici definiti riferiti all’organo primitivamente interessato, ma
l’edema cerebrale, benigno o secondario a neoplasie cerebrali, ha caratteri clinici poco definiti, per cui in tutti i casi
sospetti (soggetti anziani o di media età, senza precedenti anamnestici di cefalea e con cefalea gravativa di recente
insorgenza, soprattutto notturna senza altre cause) è consigliabile eseguire una TAC.
Nell’emorragia sub aracnoidea, la cefalea è fortissima (worst headache ever), terebrante, a localizzazione occipitale (“a
colpo di pugnale), ma il dolore si estende rapidamente a tutto il capo e successivamente al collo con un quadro
meningeo, di frequente si associa il vomito e un graduale torpore sino alla perdita di coscienza. In questi casi è
imperativo eseguire tempestivamente una TAC.
Altre possibili cause di cefalea secondaria sono: arterite temporale; ipertensione endocranica benigna; tumori
endocranici; glaucoma e patologie oculari; sinusite e patologie infiammatorie a carico dell’orecchio; patologie della
colonna cervicale; encefaliti, meningiti, meningoencefaliti. In questi ultimi casi è indicato l’esame del liquor.
Uno dei problemi diagnostici più delicati è il sommarsi di più cause nello stesso soggetto, ad esempio cefalea da
tensione, spondiloartrosi cervicale; sinusite; abuso di farmaci.
Tabella 3 - CLASSIFICAZIONE IHS DELLE CEFALEE SECONDARIE
 Cefalea attribuita a:








trauma cranico e/o cervicale
disturbi vascolari cranici o cervicali
disturbi intracranici non vascolari
uso di una sostanza o sua sospensione
infezione
disturbi dell’omeostasi
disturbi di cranio, collo, occhi, orecchie, naso, seni paranasali, denti, bocca o
altre strutture facciali o craniche (articolazione temporomandibolare)
disturbo psichiatrico
2. IL PAZIENTE CON CRISI EPILETTICHE
Caratteristiche cliniche e classificazione
Una singola crisi epilettica può verificarsi in occasione di un danno cerebrale acuto o di eventi patologici sistemici,
quali esposizione a particolari sostanze, febbre e astinenza da sostanze da abuso. La prima crisi di norma non richiede
un trattamento cronico con farmaci antiepilettici (FAE).
Epilessia definisce invece una condizione caratterizzata dalla presenza di crisi epilettiche che si ripetono
spontaneamente nel tempo, sebbene anche in questo caso si possano riconoscere situazioni facilitanti o stimoli
determinanti. Le crisi, pur avendo manifestazioni cliniche che possono essere le più varie, durano in generale pochi
minuti terminando spontaneamente; si possono però ripresentare a distanza variabile l’una dall’altra.
La classificazione semeiologica differenzia fra crisi epilettiche generalizzate e parziali.
Le crisi generalizzate si accompagnano sempre a perdita di coscienza e hanno origine contemporaneamente in entrambi
gli emisferi cerebrali. possono essere convulsive o non convulsive.
- Le assenze sono crisi generalizzate non convulsive caratterizzate da brevi (meno di 10 secondi) e improvvise
sospensioni della coscienza. Le assenze si possono accompagnare a strizzamento degli occhi o piccoli
movimenti dei muscoli facciali. Quando queste assenze si accompagnano al tipico quadro
elettroencefalografico caratterizzato da punte onde a tre cicli, al secondo siamo in presenza di assenze tipiche o
“petit mal”. Quando la durata delle crisi è maggiore, non si evidenzia un quadro elettroencefalografico tipico
e/o persiste, dopo la crisi, uno stato confusionale post critico, le assenze vengono definite atipiche.
- Le crisi generalizzate convulsive possono presentarsi con crisi tonico cloniche o “crisi di grande male”,
caratterizzate da una iniziale contrazione tonica di tutti i muscoli, cui seguono una fase clonica e una atonica e
un periodo post critico più o meno lungo caratterizzato da una restrizione della coscienza. Altre crisi
generalizzate sono: le crisi miocloniche, caratterizzate da brevi contrazionimuscolari bilaterali che non si
accompagnano a perdita di coscienza; le crisi toniche simili alle crisi miocloniche, ma con una durata
maggiore della contrazione muscolare, che si possono accompagnare a perdita di coscienza; le crisi atoniche,
che consistono in perdite del tono muscolare bilaterali e sincrone che causano la caduta del paziente e si
possono accompagnare a perdita di coscienza.
Le crisi parziali hanno origine in una zona localizzata del cervello (focus epilettico) e vengono definite
crisi parziali semplici quando non si accompagnano a perdita di coscienza.
crisi parziali complesse se si accompagnano invece a perdite di coscienza.
La scarica epilettogenica può propagarsi dalla zona di origine di crisi parziali e coinvolgere entrambi gli emisferi
generando così crisi parziali con secondaria generalizzazione. Le manifestazioni cliniche delle crisi parziali dipendono
dall’area di origine della scarica epilettogena: secondo l’International Classification of Epileptic Seizures (Tabella 4)
possono essere divise in crisi con manifestazioni motorie, sensitive, autonomiche e psichiche.
La classificazione eziopatogenetica distingue fra:
• Epilessie idiopatiche o primarie. Possono essere sia generalizzate che focali, spesso età-dipendenti, geneticamente
determinate, non associate a patologie neurologiche. Di solito sono ben controllate dalla terapia farmacologica e alcune
forme guariscono anche spontaneamente con l’età. Le crisi appaiono spesso facilitate o scatenate da fattori esogeni,
quali la privazione di sonno o la stimolazione luminosa intermittente.
• Epilessie sintomatiche. Sono l’espressione di una lesione strutturale, congenita o acquisita, stabile o evolutiva del
sistema nervoso centrale (SNC). Possono essere ereditarie, come nel caso della sclerosi tuberosa, o acquisite come nel
caso degli esiti di traumi cerebrali da parto, traumi cranici postnatali ed episodi cerebrovascolari acuti. Possono essere
farmacoresistenti, soprattutto nel caso di encefalopatia epilettica del bambino.
• Epilessie criptogenetiche. Si tratta di forme a causa non identificabile, ossia tutte le situazioni in cui l’epilessia è
considerata la conseguenza di una lesione del sistema nervoso centrale, ma in assenza di uno
specifico substrato anatomopatologico.
La classificazione riconosce anche l’esistenza disordini caratterizzati da crisi indotte da stimoli specifici come nel caso
dell’epilessia fotogenica (epilessie riflesse).
Le crisi sintomatiche acute rappresentato la risposta acuta ad un danno cerebrale meccanico, vascolare, metabolico o
tossico. Il riconoscimento della natura sintomatica di queste crisi può permettere di prevenire ulteriori episodi ed evita,
in ogni caso, i pericoli per il paziente connessi con una erronea diagnosi di epilessia.
Tabella 4 - CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DELLE CRISI EPILETTICHE
I. Crisi Parziali (focali, locali)
A. Crisi parziali semplici
1. con segni motori
2. con sintomi somatosensitivi
3. con segni o sintomi autonomici
4. con sintomi psichici
B. Crisi parziali complesse
1. con inizio parziale semplice seguito da restrizione della coscienza
2. con restrizione della coscienza dall’inizio della crisi
C. Crisi parziali con secondaria generalizzazione
1. parziali semplici con secondaria generalizzazione
2. parziali complesse con secondaria generalizzazione
3. parziali semplici con evoluzione in parziali complesse e secondaria generalizzazione
II. Crisi generalizzate (convulsive o non convulsive)
A. Assenze
1. assenze tipiche
2. assenze atipiche
B. Crisi miocloniche
C. Crisi cloniche
D. Crisi toniche
E. Crisi tonico-cloniche
F. Crisi atoniche (crisi astatiche)
III. Crisi epilettiche non classificate
Da: Commission on Classification and Terminology of the International League Against Epilepsy 1981.
Problemi di diagnostica differenziale
Il principale problema diagnostico è quello di stabilire se l’episodio o gli episodi in questione siano effettivamente di
natura epilettica. Le condizioni che più frequentemente possono confondersi con una crisi epilettica sono le sincopi e le
cosiddette pseudocrisi o crisi psicogeniche.
La sincope (v. oltre) è una sindrome caratterizzata da improvvisa e transitoria perdita di coscienza e del tono posturale.
Il ritorno alla normalità è, come nelle crisi epilettiche, spontaneo e senza segni neurologici residui. La sincope è in molti
casi preceduta da sintomi e segni, quali apprensione, nausea, sudorazione, simili a quelli che possono precedere anche le
crisi epilettiche (aura epilettica).
Le pseudocrisi sono un disturbo psichiatrico che, secondo il DSM-IV, fanno parte dei disturbi di conversione e cioè un
sintomo o un deficit a carico di una funzione sensitiva o motoria che suggerisce la presenza di una patologia
neurologica o internistica. Le pseudocrisi epilettiche sono motivate da fattori psicologici ma, pur essendo precedute da
situazioni di conflitto o di stress, non sono intenzionalmente simulate dal paziente. La loro diagnosi richiede
innanzitutto la esclusione di tutte le condizioni internistiche e neurologiche che potrebbero giustificare la sintomatologia
epilettica. Le pseudocrisi possono avere manifestazioni bizzarre che non sono coerenti con quanto è noto circa
l’anatomia e fisiologia dei circuiti nervosi e non si accompagnano ad adeguate modificazioni all’EEG. Di particolare
utilità per la diagnosi differenziale può essere il monitoraggio del paziente con video EEG.
Altre condizioni che possono, anche se meno frequentemente, entrare in diagnosi differenziale
sono: 1) disturbi tossico-dismetabolici; 2) disordini cardiovascolari; 3) disturbi del sonno; 4) emicrania; 5) amnesia
globale transitoria; 6) discinesie parossistiche; 7) nevralgia del trigemino; 8) spasmo facciale.
Percorsi diagnostici
La diagnosi si fonda su una approfondita descrizione degli episodi, confermata da indagini strumentali che si avvalgono
essenzialmente di tecniche neurofisiologiche e neuroradiologiche.
(1) Esami neurofisiologici - L’elettroencefalogramma (EEG) è l’esame diagnostico più importante per il paziente
epilettico e fornisce elementi importanti ai fini della classificazione sindromica della malattia. La presenza di
anomalie intercritiche di significato epilettico in genere conferma la diagnosi clinica, sebbene la loro assenza
non la escluda. Si deve infatti ricordare che una percentuale rilevante di pazienti (10-20%) non presenta
alterazioni intercritiche all’EEG e che queste peraltro possono essere presenti anche in pazienti non epilettici.
Una diagnosi definitiva di epilessia può essere fatta quando la crisi si verifica nel corso di una registrazione
EEG e le caratteristiche del tracciato sono correlabili con i segni e sintomi abituali delle crisi stesse. In alcuni
casi le crisi possono essere provocate (ad esempio con la fotostimolazione) direttamente nel laboratorio di
elettroencefalografia ma, quando le crisi abbiano una frequenza sufficientemente alta, l’ EEG continuo con
videoregistrazione è lo strumento diagnostico più efficace. L’apporto della registrazione videoEEG è
fondamentale sia per la definizione delle crisi che ai fini della diagnosi differenziale nelle manifestazioni
parossistiche non epilettiche. E’ inoltre indispensabile per i candidati al trattamento chirurgico dell’epilessia.
(2) Esami neuroradiologici forniscono i dati più rilevanti nella classificazione eziologica delle epilessie. In
quest’ambito, l’esame di prima scelta è la risonanza magnetica (RM), che può fornire anche elementi specifici
per la diagnosi di quadri malformativi. La tomografia computerizzata (TC) ha un ruolo complementare a
quello della RM, essendo in grado di evidenziare le calcificazioni patologiche nei tumori cerebrali o nelle
patologie infettive e restando l’esame di prima scelta per lo studio della struttura ossea. Esami con
radiotraccianti, quali PET e SPECT, possono mostrare aree funzionalmente iperattive, solitamente
corrispondenti alla sede del focolaio epilettico, o ipoattive, in genere legate ad un’area lesionale.
Convulsioni febbrili
Sono crisi sintomatiche acute generalizzate tonico-cloniche che si presentano tra i 3 mesi e i 5 anni di età (in media nel
secondo anno di vita), nel corso delle prime ore di un episodio febbrile e in seguito ad una rapida elevazione della
temperatura corporea. Le convulsioni febbrili sono generalmente brevi e il paziente ritorna alla normalità senza che sia
necessario alcun intervento. Le convulsioni febbrili hanno una prognosi benigna ma possono anche essere la modalità di
presentazione di una sindrome epilettica.
Il trattamento delle convulsioni febbrili ha come obiettivo quello di prevenire la loro ricorrenza e la futura comparsa di
una epilessia. La probabilità che le crisi ricompaiano nel corso di un altro episodio febbrile è particolarmente alta e
compresa fra il 30% e il 40%. La maggior parte dei bambini (60%) che hanno avuto convulsioni febbrili non presenta
altri fattori di rischio per epilessia e hanno una probabilità di avere una epilessia pari a quella dei bambini che non
hanno mai avuto convulsioni febbrili. Il rischio di sviluppare una epilessia aumenta in modo significativo se il bambino
che ha avuto convulsioni febbrili presenta anche un esame neurologico anormale, se sono presenti anomalie di sviluppo
o una familiarità per epilessia, oppure se la convulsione febbrile è stata focale, ha avuto una durata superiore ai 15
minuti o si sono verificati più episodi in una sola giornata. Dato che nella maggioranza dei casi le convulsioni febbrili
sono un fenomeno benigno, l’uso dei farmaci antiepilettici come profilassi delle convulsioni febbrili non appare
giustificato. Solo se vi sospetta una sindrome epilettica, e a giudizio del neuro pediatra, potrebbe essere indicata la
terapia con farmaci anticomiziali. Più ragionevole è una terapia intermittente con diazepam rettale o orale all’inizio di
ogni episodio febbrile. Non esiste poi nessuna necessità di trattare un primo episodio di convulsione febbrile dato che,
anche senza alcun trattamento, la convulsione tenderà, nella maggioranza dei soggetti, a non ripresentarsi.
Crisi sintomatiche acute
1- Traumi cranici. Convulsioni precoci (entro 7 giorni dall’episodio) si verificano approssimativamente nel 35% dei casi di trauma cranico. La presenza di ematomi intracranici, deficit neurologici focali, amnesia post traumatica
di durata superiore alle 24 ore, la presenza di fratture delle ossa craniche e un’età inferiore ai 5 anni sono tutti fattori
associati ad un’ aumentata incidenza di crisi epilettiche precoci. La gravità del trauma cranico influenza anche la
probabilità che il soggetto, passata la fase acuta, manifesti crisi epilettiche. Le evidenze sin qui disponibili portano a
concludere che un trattamento antiepilettico di profilassi nel trauma cranico è controindicato. L’uso di farmaci
antiepilettici può invece essere efficace nel prevenire la comparsa di crisi nella fase acuta dopo un trauma cranico
severo o moderato in soggetti che presentano un alto rischio di crisi epilettiche quali la familiarità, fattori pre e
perinatali, etc.
2- Abuso o la sindrome da astinenza da alcool. Non vi sono evidenze che l’uso di farmaci antiepilettici possa ridurre
il rischio di crisi epilettiche in crisi da astinenza da alcool: in questi casi è più indicato l’uso di benzodiazepine per
sedare il paziente. Le crisi epilettiche possono presentarsi anche in conseguenza di una
eccessiva assunzione di alcolici. In questi casi il trattamento e.v. con 2 mg di lorazepam riduce significativamente il
rischio di ricorrenza della crisi epilettica nel corso delle successive sei ore.
3- Altre cause. Vanno considerate l’assunzione di neurolettici, le infezioni dell’SNC, le condizioni di disequilibrio
elettrolitico, l’ipoglicemia e l’eclampsia che costituisce sempre una situazione di emergenza che richiede un ricovero
d’urgenza. Una o più crisi epilettiche possono essere sintomatiche di una neoplasia del sistema nervoso centrale ma è
raro che un tumore cerebrale si presenti con una o più crisi epilettiche come unico segno e sintomo. Tuttavia, le tecniche
di neuroimaging evidenziano un tumore in circa il 10% dei pazienti che hanno subito una prima crisi epilettica.
Prima crisi isolata
Va ricordato che una prima crisi isolata non permette di porre la diagnosi di epilessia che, per definizione, richiede la
ricorrenza delle crisi. La probabilità che una prima crisi rimanga isolata è stata stimata in modo variabile a seconda dei
differenti studi e varia fra il 30% e il 60%, il che sta a significare che in una considerevole percentuale di soggetti la
prima crisi epilettica rimarrà un episodio isolato. Per questo motivo è consigliabile considerare l’inizio di un trattamento
antiepilettico, una volta esclusa la presenza di lesioni significative del SNC, solo quando il soggetto ha presentato
almeno due crisi. Nel caso siano occorse due o più crisi epilettiche - e si siano escluse tutte le possibili cause di crisi
sintomatiche acute - si può concludere che il paziente è affetto da epilessia
Terapia
La terapia medica è solitamente indicata dopo la seconda crisi epilettica: il trattamento è infatti efficace non solo nel
controllare le crisi ma può anche guarire la stessa epilessia. Obiettivo del trattamento è ottenere un completo controllo
della ricorrenza delle crisi. La terapia antiepilettica viene iniziata con un solo farmaco, di preferenza con
farmaci“classici” (fenobarbital, difenilidantoina, carbamazepina o valproato di sodio), dei quali sono meglio noti
vantaggi e svantaggi, a posologia gradualmente crescente, finché le crisi non scompaiono o compaiono al contrario
effetti indesiderati. Non esistono evidenze conclusive circa una sostanziale diversa efficacia dei differenti antiepilettici.
La monoterapia di pazienti di nuova diagnosi è in grado di controllare completamente le crisi epilettiche nel 60-70% dei
casi. In caso di insuccesso terapeutico con il primo farmaco utilizzato, si può sostituirlo oppure associarlo ad un
secondo farmaco. Solo in caso di insoddisfacente risposta ai farmaci classici, è corretto impiegare le nuove molecole
(felbamato, gabapentin, lamotrigina, fosfofenitoina sodio, topiramato, tiagabina, levetiracetam, oxcarbazepina,
zonisamide), i cui costi sono più elevati e la cui efficacia non si è dimostrata superiore. Ciononostante i particolari
profili di tollerabilità di un nuovo farmaco lo potrebbero far preferire ad un farmaco tradizionale nel caso di singoli
pazienti Nelle prime fasi di terapia, vanno effettuati controlli clinici e di laboratorio ravvicinati;l’efficacia del farmaco
viene valutata nell’arco di settimane o mesi, secondo la frequenza critica. La valutazione del livello ematico dei
farmaci antiepilettici (vedi Tab.) può diventare necessaria nel caso di comparsa di effetti collaterali, quando le crisi non
siano controllate o quando si sospetti un difetto di compliance da parte del paziente. E’ buona norma affidare la gestione
del paziente allo specialista neurologo o ad un centro per l’epilessia. Infatti, malgrado i buoni risultati della terapia
farmacologica una parte dei pazienti non risponde alla terapia: questi pazienti sono definiti farmacoresistenti. La quota
di farmacoresistenza rispetto all’intera popolazione di epilettici varia a seconda dei diversi studi ma una stima
ragionevole è pari al 15-20%. I criteri diagnostici per la farmacoresistenza non sono ancora stati univocamente definiti,
ma gli specialisti sono d’accordo nel definire intrattabile una epilessia se il paziente ha ancora crisi epilettiche che
creano disagio al paziente malgrado abbia utilizzato differenti farmaci antiepilettici appropriati. Nel caso di una
epilessia farmacoresistente può essere presa in considerazione la terapia chirurgica.
Quando, in un paziente epilettico, le crisi siano state controllate dalla terapia farmacologica per almeno due anni si può
invece considerare la sospensione definitiva del trattamento. I farmaci andranno lentamente sospesi, uno per volta e
immediatamente riassunti nel caso di ricomparsa delle crisi.
La scelta del farmaco deve essere effettuata sulla base dell’inquadramento sindromico e del tipo di crisi, oltre che dal
profilo degli effetti indesiderati, dall’età e dalle preferenze del paziente e dall’eventuale concomitanza di altre
patologie.
- Nei pazienti affetti da epilessia con crisi parziali e crisi secondariamente generalizzate, i farmaci di prima
scelta sono carbamazepina (CBZ), fenitoina (PHT) e acido valproico (VPA). Di più recente
commercializzazione è la oxcarbazepina (OXC), che presenta molte analogie con la CBZ, ma minor incidenza
di effetti idiosincrasici, migliore tollerabilità individuale e assenza di induzione enzimatica, a fronte di un costo
superiore a quello della CBZ. Fra i nuovi farmaci, il vigabatrin (GVG) viene riservato solo a casi particolari
(sindrome di West ed epilessia sintomatica di sclerosi tuberosa), dopo la rilevazione di danni visivi in una
percentuale significativamente alta di soggetti trattati; molto utilizzati e autorizzati per l’uso in monoterapia
sono lamotrigina (LTG) e topiramato (TPM); gabapentin (GBP), tiagabina (TGB) e levetiracetam (LEV)
vengono anch’essi utilizzati in politerapia nelle epilessie farmacoresistenti. Può risultare utile associare alla
terapia il clobazam (CLB), per arrestare un transitorio peggioramento o per controllare un paziente con crisi
numerose durante una variazione terapeutica; il felbamato non viene più utilizzato dopo che si sono verificati
alcuni casi letali di anemia aplastica.
- Nei pazienti con epilessia generalizzata idiopatica, il farmaco di prima scelta è il VPA, che permette un
controllo completo delle crisi di assenza, miocloniche o tonico-cloniche in un’altissima percentuale di casi.
Nelle assenze piccolo-male dell’infanzia, la terapia di prima scelta è rappresentata dall’etosuccimide (ESM).
Nei rari casi di epilessia generalizzata farmacoresistente, si possono utilizzare fenobarbital (PB), LTG,
benzodiazepine (BDZ).
Effetti collaterali dei farmaci antiepilettici Di rilevante importanza sono quelli acuti idiosincrasici, che possono
minacciare la vita del paziente; fra questi, i più comuni sono rappresentati dalle dermatiti da CBZ, PHT, LTG e più
raramente da PB, che possono configurare una sindrome di Stevens-Johnson e una grave dermatite esfoliativa
(sindrome di Lyle); CBZ, ESM, felbamato possono provocare un’anemia aplastica e un’epatite tossica – anche grave –
può essere associata all’utilizzo di CBZ, VPA e PHT. La prescrizione di un antiepilettico deve pertanto rispondere a
precise indicazioni e la sua introduzione deve essere controllata. Vi sono poi effetti collaterali dose-dipendenti, che
interessano spesso il SNC (Cefalea, vertigini, visione confusa, diplopia, nistagmo, atassia, etc) e l’apparato digerente
(Gastralgia, nausea, vomito, etc) e sono comuni a numerosi farmaci. Si riconoscono infine effetti indesiderati da terapia
cronica (Alterazioni cognitive, iponatriemia, ipertrofia gengivale, periartrite scapolo-omerale, m. di Dupuytren, etc)
Una condizione che risulta problematica in corso di trattamento con farmaci antiepilettici è la gravidanza. I figli di
donne con epilessia in trattamento con farmaci antiepilettici hanno un rischio di malformazioni raddoppiato. Vi sono
evidenze che i farmaci antiepilettici possano avere effetti teratogenici, ma non è chiaro se l’aumentato rischio di
malformazioni sia legato al trattamento o al fatto che l’epilessia, per sé, aumenta il rischio di malformazioni. Quando
una donna epilettica desidera una gravidanza si deve tentare di ridurre le dosi e/o il numero degli antiepilettici prima del
concepimento. È meglio non modificare il trattamento in donne già in gravidanza in quanto il potenziale effetto
teratogenico si esplica durante i primi tre mesi e l’occorrenza di crisi nella donna può danneggiare il feto. La frequenza
delle crisi può variare durante la gravidanza e i dosaggi dei farmaci debbono essere adeguati di conseguenza. Dopo il
parto i livelli ematici dei farmaci antiepilettici possono aumentare: quindi i dosaggi dovranno essere ridotti quando si
verificano effetti collaterali. Non esistono controindicazioni al trattamento antiepilettico in donne in corso di
allattamento a meno che il bambino non divenga incapace di succhiare a causa dell’eccessiva sedazione.
Tabella 5 - FARMACOCINETICA DEI FARMACI ANTI-EPILETTICI
____________________________________________________________________________________________________________
Principio attivo
Dosi medie
al dì
Dosi
Livelli plasmatici
terapeutici
(μg/ml)
Emivita
plasmatica
(ore)
Legame
proteico
(%)
Metabolismo
________________________________________________________________________________________________
Carbamazepina
B: 20-30 mg/kg
2-3
4-12
(CBZ)
A: 15-25 mg/kg
Etosuccimide
B: 20-40 mg/kg
2
40-80
(ESM)
A: 15-30 mg/kg
Fenitoina B:
6-13 mg/kg
2-3
10-25
(PHT)
A: 4-7 mg/kg
Fenobarbital
B: 4-6 mg/kg
1-2
15-40
(PB)
A: 2-4 mg/kg
Primidone B: 15-25 mg/kg
2-3
15-40 (PB)
5-18
(PRM)
A: 10-15 mg/kg
10-15 (PRM)
Valproato B: 20-50 mg/kg
2-3
40-100
4-12
(VPA)
A: 20-40 mg/kg
Clobazam B: 5-15 mg/die
2-3
10-50
(CLB)
A: 10-30 mg/die
Clonazepam
B: 0.05-0.2 mg/kg
2-3
A: 1-4 mg/die
Gabapentinm
Bt: 10-30 mg/kg \
3
4-16*
(GBP)
A: 900-2400 mg/die
Lamotrigina ¸
100-400 mg/die
1-3
2-20
(LTG)
Levetiracetamm
1000-3000 mg/die
2
20-60
(LEV)
Oxcarbazepina
Bt: 15-60 mg/kg
2-3
5-50
(OXC)
(I infanzia)
10-OH-carbazepina
10-50 mg/kg
(II infanzia)
A: 900-3000 mg/die
Tiagabina ¸
30-50 mg/die
3
5-70*
(TGB)
Topiramato
B: 5-9 mg/kg
2
4-25*
(TPM)
A: 200-600 mg/die
Vigabatrin
B: 40-100 mg/kg
A: 500-3000 mg/die
5-26
75-80
Epatico
30-60
No
Epatico
7-42
70-95
Epatico
75-120
45-60
Epatico
0-20
85-95
Epatico
Epatico
85
Epatico
20-80
85
Epatico
5-9
No
Renale
15-30
55
Epatico
6-8
No
8-10
40
Epatico
4-5
95
Epatico
18-23
15
Renale
4-7
No
Idrolisi ematica
Renale
________________________________________________________________________________________________
3. IL PAZIENTE CON SINCOPE
La sincope è una breve perdita di coscienza associata alla perdita del tono posturale a risoluzione spontanea (in qualche
secondo o qualche minuto) dalla quale il paziente si riprende in modo completo. E’ causata da un’ipossia cerebrale
conseguente a ridotta perfusione. Il paziente non ha, in genere, sintomi premonitori; ricorda l’inizio della crisi, che
abitualmente si verifica con la caduta improvvisa a terra. Il paziente appare pallido, sudato e non ha perdita del tono
sfinterico.
Studi di coorte suggeriscono che circa il 40% della popolazione adulta ha subito un episodio sincopale che interessa
maggiormente le donne, forse perchè più propense degli uomini a segnalare tale episodi. Benchè la sincope possa
verificarsi nei giovani e anche in età pediatrica, l'incidenza è maggiore nei soggetti oltre i 75 anni e questa tendenza
coincide con l'aumento della prescrizione di farmaci vasoattivi e con la crescente incidenza di aritmie cardiache nella
popolazione anziana. Benchè la rapida risoluzione, anche a fronte di una presentazione drammatica, possa al momento
essere rassicurante, le cause di una sincope possono essere molto importanti e vanno comunque ricercate con
attenzione.
Classificazione
Vanno distinte le cause cardiache, gravate da prognosi peggiore, da quelle non cardiache, neuro riflesse o da
ipotensione arteriosa (Tabella 6). Nel Framingham Heart Study la causa più frequente è risultata la sincope vasovagale
(21.2%), seguita dalle cause cardiache (9.5% ), dall’ipotensione ortostatica (9.4% ), dalla sincope situazionale (da tosse,
minzionale, etc: 7.5%), dagli effetti dei farmaci (6.8%). L’epilessia è stata diagnosticata nel 4.9% delle presunte sincopi
mentre un ictus mentre un TIA sono stati riconosciuti nel 4.1%. Nel 36.6% non è stato possibile identificare una causa.
Tabella 6 CAUSE DI SINCOPE
1. Sincope riflessa (neuro-mediata)
Vasovagale
- mediata da stress emotivi, paura, dolore, vista del sangue
- mediata da stress ortostatici
Situazionale
-tosse, starnuti
-stimoli gastrointestinali (deglutizione, defecazione, coliche)
-minzione (post-mincturion syncope)
-post-esercizio
-post-prandiale
-altri (suonare strumenti a fiato, sollevare pesi, risate)
S. del seno carotideo
2. Sincope da ipotensione ortostatica
Insufficienza autonomica primaria
- insuff. autonomica pura, atrofia multi-sistemica (s. Shy-Drager), M. di Parkinson, demenza con corpi di Lewy.
Insufficienza autonomica secondaria
- diabete, amiloidosi, uremia, lesioni spinali, tabe
Ipotensione ortostatica da farmaci
- antipertensivi, vasodilatatori, neurolettici, antidepressivi, betabloccanti, antiaritmici, diuretici
Deplezione del volume ematico
- emorragia, diarrea, vomito
3. Sincope Cardiaca
Aritmia come causa primaria
-Bradicardia
- Disfunzione del nodo del seno
- Blocchi A-V
- Cattivo funzionamento del pacemaker
- Tachicardia
- Sopraventricolare (torsione di punta)
- Ventricolare (idiopatica, secondaria a cardiopatie strutturali)
- Aritmie farmaco-indotte
Patologie strutturali
- Cardiache
- stenosi aortica e stenosi ipertrofica subaortica
- infarto miocardico
- cardiomiopatia ipertrofica
- masse intracardiache (mixoma, tumori, etc)
- tamponamento pericardico
-disfunzione protesi valvolari
Altre cause
- embolia polmonare
- ipertensione polmonare
- dissezione aortica
Diagnosi
Il principio guida della valutazione è quello di:
(1) differenziare la sincope da altre cause di perdita transitoria di coscienza; in pratica TIA ed epilessia.
La sincope differisce dal TIA in quanto sono presenti segni neurologici e la perdita di coscienza nel TIA non è
frequente, tranne che in quello vertebrobasilare e nella sindrome del furto della succlavia. La sincope deve
essere anche differenziata da una crisi epilettica dove si osserva incontinenza, perdita di tono degli sfinteri,
convulsioni tonico-cloniche, cianosi, rovesciamento degli occhi e morsicatura della lingua: gli attacchi si
manifestano qualsiasi sia la posizione del paziente all’atto della crisi. La confusione successiva all’episodio è
indicativo di epilessia.
(2) differenziare le cause più benigne di sincope da quelle potenzialmente gravi, ossia quelle cardiache.
La sincope cardiaca comporta, infatti, un alto tasso di mortalità in tutte le fasce d'età, il doppio circa rispetto
alle altre cause e i pazienti con sincope cardiaca vanno immediatamente ricoverati in ospedale. Rappresentano
fattori prognostici negativi quelli riassunti nell’acronimo CHESS (storia di insufficienza cardiaca –C,
ematocrito <30%-H, anomalie ECG-E, dispnea-S, pressione sistolica <90 mmHg al triage-S).
I cardini della valutazione dei pazienti con sincope, che possono fornire una diagnosi iniziale nel 66% dei casi, con una
accuratezza diagnostica del 88%, sono: (1) anamnesi dettagliata, (2) ECG completo a 12 canali (3) misurazione della
pressione in posizione eretta
(1) L’anamnesi e l’esame obiettivo hanno l'importante ruolo duplice di facilitare la diagnosi e di permettere la
stratificazione del rischio (Tabella 7). A questo fine ci si potrà avvalere, quando l’evento si verifica in luogo
pubblico e in presenza di osservatori, della descrizione delle manifestazioni e degli indizi relativi all’episodio
quali le circostanze precipitanti, ad esempio uno sforzo o un dolore. La sincope si manifesta spesso a seguito
di uno stress, di un dolore violento, per ingestione eccessiva di alcolici o una temperatura elevata. L’età del
soggetto è un elemento prezioso per la diagnosi: le forme senili riconoscono cause cardiache o
cerebrovascolari e possono manifestarsi all’atto della minzione o a seguito di un colpo di tosse, mentre nei
soggetti giovani prevalgono le forme cosiddette vaso-vagali, caratterizzate da una brusca caduta pressoria con
bradicardia per alterata regolazione del sistema autonomico.
(2) L’ECG permette l’individuazione di aritmie o di patologie cardiache, quali l’infarto del miocardio.
(3) La misurazione della pressione in posizione eretta individua l’ipotensione ortostatica, definita come un calo
della pressione arteriosa sistolica di 20 mmHg o pressione diastolica di 10 mm Hg entro tre minuti di standing,
è un’importante causa di sincope nei pazienti anziani, soprattutto se affetti da diabete o da patologie che
compromettono il sistema nervoso autonomo, come il M. di Parkinson.
Nel caso si sospetti una sindrome del seno carotideo, può essere effettuato un massaggio del seno carotideo, che deve
essere praticato con prudenza nei soggetti anziani per la potenziale pericolosità. La manovra riproduce la sindrome, più
frequente nella maturità e provocata dall’ipereccitabilità del seno carotideo. Nel caso di un’involontaria stimolazione
(camicia dal collo troppo stretto, pressione nella rasatura, brusco movimento del capo), si verifica una risposta di tipo
ipotensivo o bradicardizzante o mista che determina la sincope.
Quando queste prime valutazioni non forniscono indicazioni il paziente andrà attentamente studiato dal punto di vista
cardiovascolare e neurologico, per escludere le cause ricordate in tabella: ecocardiogramma, ecodoppler dei tronchi
sopraortici, studio elettrofisiologico, EEG, ecc. Il tilt test è utile per la diagnosi di sincope riflessa neuro-mediata ed è
indicato se la sincope è ricorrente e una causa cardiaca è improbabile e per differenziare la sincope neuro-mediata dall’
ipotensione ortostatica.
Malgrado una completezza di indagine in oltre un terzo dei casi sfugge la causa della sincope. La ricerca di chiari
sintomi premonitori (presenti spesso nell’epilessia), la durata della perdita di coscienza (più protratta nella stenosi
aortica) sono, con la bradicardia, indizi preziosi per l’iter diagnostico. Tra le cause va considerata anche la possibilità di
una crisi di panico e di iperventilazione.
Terapia. È legata alla causa della sincope: la correzione di una cardiopatia, l’applicazione di un pace-maker.
Nella sindrome vasovagale e in quella del seno carotideo, il paziente dovrà essere educato a evitare gli avvenimenti
scatenanti e rassicurato sulla prognosi.
Tabella 7
DIAGNOSI DI SINCOPE
Caratteristiche anamnestiche
Diagnosi suggerita
Le "5P"
Precipitanti:
Ambienti caldi e affollati, dolore, stress emotivo,
paura, esercizio fisico, disidratazione (farmaci o malattia),
attività specifiche (tossire, ridere, mingere, mangiare)
Movimenti della testa, colletto stretto, rasatura
Durante l'esercizio fisico, o non precipitante evidente
Prodromi:
Stordimento, vertigini, visione offuscata
Nausea, sudorazione, dolori addominali
Nessuno
sincope cardiaca
Dolore al petto, dispnea, o nessun prodromo
Déjà vu, jamais vu
Palpitazioni:
Posizione:
In piedi prolungata
Improvvisi cambiamenti di postura
Posizione supina
Post-evento (sintomi):
Nausea, vomito, affaticamento
Recupero completo immediato
Sincope vasovagale, ipotensione
ortostatica, sincope situazionale
Sindrome del seno carotideo
Aritmie, cardiopatia strutturale
Sincope vasovagale, ipotensione
ortostatica
Sincope vasovagale
Sincope vasovagale nelle persone anziane,
Sincope cardiaca
Epilessia
Aritmia
Sincope vasovagale, ipotensione
Ipotensione ortostatica
Aritmie, cardiopatia strutturale
ortostatica
Sincope vasovagale
Qualsiasi causa, comune nell’aritmia
Aspetto:
Pallore, sudorazione
"Blue"
Sincope, piuttosto che epilessia
Epilessia
Movimenti anomali:
Deboli contrazioni ipotoniche durante la perdita di coscienza
(scosse miocloniche)
Scosse ritmiche preceduto da rigidità o posture anomale
Sincope (qualsiasi causa)
Epilessia
Palpebre:
Non resistenza all’apertura
Resistenza all’apertura
Epilessia o sincope
Pseudocrisi, sincope psicogena
Stato mentale:
Prolungata confusione, amnesia retrograda
Disorientamento transitorio
Amnesia della perdita di coscienza
Epilessia
Comune nella sincope neuro-mediata
Sincope neuro-mediata nelle persone anziane
Altri:
Incontinenza sfinterica
Morsicatura della lingua
Non specifica, ma insolita nella sincope
Epilessia
Patologie associate
Pre-esistente malattia cardiaca
Diabete, M di Parkinson, sindromi parkinsoniane,
dipendenza da alcol, terapia sostitutiva renale
Ipertensione
Storia familiare di morte cardiaca improvvisa
Sincope cardiaca
Ipotensione ortostatica
Droga sincope neuro-mediata,
l'ipotensione ortostatica
Sindromi ereditarie del QT lungo e
corto, di Brugada, displasia aritmogena del
ventricolo destro, malattia cardiaca strutturale
Parry SW, Tan MP. An approach to the evaluation and management of syncope in adults. BMJ. 2010 Feb 19;340:c880. doi:
10.1136/bmj.c880.
4 IL PAZIENTE CON ICTUS O CON TIA
L’ictus cerebrale è la terza causa di morte e rappresenta la principale causa di invalidità e la seconda causa di demenza.
Circa il 20% dei pazienti colpiti da ictus cerebrale decede entro il primo mese dall’evento ed oltre il 30% sopravvive
con esiti invalidanti. Ogni anno in Italia si verificano poco meno di 200.000 nuovi ictus, circa l’80% (155.000) sono
nuovi episodi mentre il 20% (39.000) colpiscono soggetti già precedentemente affetti. Circa l’80% delle persone colpite
da ictus cerebrale è affetto da eventi di tipo ischemico, le emorragie intraparenchimali rappresentano il 15-20% mentre
le emorragie subaracnoidee sono meno del 3% del totale. L’età media è complessivamente più elevata (>70 anni) per gli
ictus ischemici, l’ictus emorragico colpisce soggetti leggermente meno anziani mentre le emorragie subaracnoidee
colpiscono età più giovanili, con picco tra i 45 ed i 50 anni.
Per ictus cerebrale s’intende l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo
attribuibile a insufficiente apporto di sangue, di durata superiore alle 24 ore. L’ictus si distingue dall’attacco ischemico
transitorio (Tia) per la durata dei sintomi (meno di 24 ore) e per il fatto che il Tia può essere anche retinico. Questo
intervallo di tempo, tuttavia, è convenzionale poiché i sintomi di un
Tia durano in genere meno di un’ora, di solito qualche minuto; inoltre i Tia sono spesso seguiti da ictus nelle ore o nei
giorni successivi e la transitorietà può indurre un falso senso di sicurezza. Va quindi considerato come un vero ictus. Il
punteggio ABCD2 (Tabella 8) può aiutare a discriminare i TIA ad alto rischio.
In ogni caso il paziente con ictus va indirizzato immediatamente al più vicino centro dotato di stroke unit mediante
trasporto in urgenza con il sistema 118.
Tabella 8 - ABCD2 (Age, Bloodpressure, Characteristics, Duration, Diabetes) SCORE PER IL RISCHIO DI
ICTUS DOPO TIA
(Basso rischio < 4 Moderato rischio 4-5 Alto rischio > 5)
Eta’ ≥ 60 anni
Pressione arteriosa
sistolica ≥ 140 o
diastolica ≥ a 90
Caratteristiche TIA
ipostenia monolaterale
afasia senza ipostenia
Durata
≥ 60 minuti
10-59 minuti
Diabete
1 punto
1 punto
2 punti
1 punto
2 punti
1 punto
1 punto
Percorso diagnostico
Il medico deve chiedersi:
1. “Si tratta davvero di ictus?” Vanno escluse altre patologie che esordiscono con sintomatologia focale (tumori
cerebrali, ematoma sottodurale), mediante la TAC, possibili cause di errore diagnostico, soprattutto quando non è
effettuabile un’anamnesi accurata.
2. “È un’ischemia o un’emorragia?” la distinzione è necessaria quando implica una scelta terapeutica (trombo lisi,
anticoagulanti, antiaggreganti) anche in questo caso la TAC è dirimente
3. “Dove? In che territorio?” E’ importante l’identificazione clinica del territorio vascolare (circolo anteriore, parziale
o totale; circolo posteriore o vertebro-basilare; lacune sottocorticali) ovvero dalla diagnosi di sede, utile soprattutto
nell’ictus ischemico (Tabella 9). Benché la concordanza con gli esami strumentali (TAC e RMN), soprattutto per gli
ictus lacunari, non sia risultata ottimale in tutti gli studi, la distinzione non ha solo ragioni classificatorie: i quadri di
sindromi di tipo lacunare hanno una prognosi migliore.
Tabella 9 – CLASSIFICAZIONE OCSP (OXFORDSHIRE COMMUNITY STROKE PROJECT) PER LA SEDE
LESIONALE DI ICTUS, si basa principalmente sui sintomi iniziali espressione della sede lesionale:
 jnfarto totale circolazione anteriore (TACI): emiplegia controlaterale alla lesione; emianopsia controlaterale alla



lesione; nuovo disturbo di una funzione corticale superiore (per esempio afasia o disturbo visuospaziale
jnfarto parziale circolazione anteriore (PACI): deficit sensitivo/motorio + emianopsia; deficit sensitivo/motorio +
nuova compromissione di una funzione corticale superiore; nuova compromissione di una funzione corticale superiore
+emianopsia; deficit motorio/sensitivo puro meno esteso di una sindrome lacunare (per esempio la monoparesi); deficit di
una nuova funzione corticale superiore isolata
infarto lacunare (LACI) senza afasia, disturbi visuospaziali, e senza compromissione definita del tronco encefalico e
della vigilanza. Deve coinvolgere almeno metà faccia e l'arto superiore o l'arto superiore e quello inferiore e viene distinto
in: ictus motorio puro: deficit motorio puro; ictus sensitivo puro; ictus sensitivo motorio; emiparesi atassica (incluso la
sindrome della mano goffa-disartria e la sindrome atassia omolaterale-paresi crurale)
infarto circolazione posteriore (POCI) : paralisi di almeno un nervo cranico omolaterale con deficit motorio e/o
sensitivo contro laterale; deficit motorio e/o sensitivo bilaterale; disturbo coniugato di sguardo (orizzontale o verticale);
disfunzione cerebellare senza deficit di vie lunghe omolaterali; emianopsia isolata o cecità corticale
4. “Per quale causa?” Per l’ictus ischemico si dovrebbe tentare di distinguere fra tre principali sottotipi (tabella 10):
aterosclerosi dei vasi di grosso calibro (per esempio, stenosi carotidea o placche dell’arco aortico); cardioembolia (per
esempio, presenza di fibrillazione atriale, endocardite, alterazioni valvolari); occlusione dei piccoli vasi (Tia o ictus
lacunari). Per l’emorragia si dovrebbe distinguere fra sedi tipiche per le forme associate ad ipertensione (nuclei della
base, talamo, cervelletto, ponte) e quelle atipiche (da malformazioni vascolari, aneurismi, tumori). Questa distinzione
può influenzare l’approfondimento diagnostico, l’identificazione dei fattori patogenetici e prognostici e le decisioni
terapeutiche soprattutto in senso chirurgico
Tabella 10 - CLASSIFICAZIONE TOAST (Trial of Org 10172 in Acute Stroke Treatment) PER I SOTTOTIPI DI
ICTUS: si basa sui sintomi clinici, nonché de i risultati di ulteriori indagini,
 trombosi o embolia dovuta ad aterosclerosi di un grande arteria,
 embolia di origine cardiaca,
 occlusione di un vaso sanguigno piccolo
 altra causa determinata (dissecazione arteriosa,arterite, trombosi venosa, etc)
 causa indeterminato (nessuna causa identificata, o indagini incomplete).
5. “Quanto grave?” -La quantificazione dei deficit si avvale di scale che considerano i principali segni clinici
conseguenti all’ictus, quale la National Institute for Health-Stroke Scale (NIHSS: tabella 11). Le scale di disabilità più
usate sono la scala di Barthel e la scala di Rankin modificata (Tabella 12).
Tabella 11 - ITEMS DELLA SCALA NIHSS (National Institute oh Health Stroke Scale)-PER LA GRAVITA’
DELL’ICTUS- (Punteggi: 0= esame normale; 1-7 = deficit neurologici lievi; 8-14 = deficit moderati; ≥15 = deficit gravi)
1. Livello di coscienza: (a) vigilanza; (b) orientamento (c) comprensione ed esecuzione di ordini semplici
2. Sguardo
3. Campo visivo
4. Paralisi facciale
5. Motilità dell’arto superiore (a) sinistro; (b) destro
6a. Motilità dell’arto inferiore (a) sinistro; (b) destro
7. Atassia degli arti
8. Sensibilità
10. Disartria
11. Inattenzione
(http://nihss-neurosapienza.trainingcampus.net/uas/modules/trees/windex.aspx)
Tabella 12 - SCALA DI RANKIN MODIFICATA PER LA DISABILITA’ DOPO ICTUS 0.Nessuna sintomatologia
 1.Nessuna disabilità significativa malgrado i sintomi: è in grado di svolgere tutte le attività e i compiti abituali
 2.Disabilità lieve: non riesce più di svolgere tutte le attività precedenti, ma è autonomo/a nel camminare e nelle
attività della vita quotidiana
 3.Disabilità moderata: richiede qualche aiuto nelle attività della vitan quotidiana, ma cammina senza assistenza
 4.Disabilità moderatamente grave grave: non è più in grado di camminare senza aiuto né di badare ai propri
bisogni corporali
 5.Disabilità grave: costretto/a a letto, incontinente e bisognoso/a di assistenza infermieristica e di attenzione
costante
(www.rankinscale.org/italian.shtml)
Nella raccolta dell’anamnesi particolare attenzione va posta all’assunzione di farmaci, alcool e droghe, ai disturbi del
ritmo cardiaco (rischio di embolie) e alla situazione vascolare, al diabete (coma ipoglicemico e iperglicemico) e a
eventuali traumi ed epilessia. Nell’esame obiettivo, con particolare attenzione alla presenza di un soffio carotideo,
indicativo di una stenosi, ai disturbi del ritmo, allo stato di coscienza.
Gli esami diagnostici da considerare sono i seguenti:
- Esami ematochimici - vanno prescritti con particolare attenzione a glicemia e a profili coagulatorio
- Elettrocardiogramma – può essere corredato di ecocardiogramma se necessario
- TAC cerebrale- rappresenta la metodica di elezione in fase acuta perché facilmente eseguibile e ampiamente
disponibile. Oltre a visualizzare subito l’emorragia, si possono osservare nella fase acuta dell’ictus ischemico
segni importanti ai fini prognostici e terapeutici (segno dell’iperdensità dell’arteria cerebrale media, ipodensità
precoce, presenza di segni indiretti di edema).
-
-
-
-
-
Risonanza magnetica convenzionale – Non indicata nella fase acuta. Tuttavia la RM si è dimostrata più
sensibile della TAC nella valutazione dell’ictus in fase subacuta quando diviene possibile evidenziare meglio
anche piccole lesioni tronco-encefaliche o lesioni lacunari.
Risonanza magnetica di diffusione, di perfusione, RM-spettroscopia permettonoi di valutare la presenza di
alterazioni di segnale in fase precocissima e di stimare l’area ancora vitale (penombra ischemica), sono
utilizzate in alcuni centri per l’indicazione a trombolisi.
Diagnostica neuro-sonologica - L’eco-color Doppler dei tronchi sopraortici rappresenta una metodica
semplice, a basso costo, riproducibile, non invasiva, in grado di documentare con sufficiente accuratezza in
pazienti con ictus anche acuto una patologia stenosante od occlusiva a carico dell’arteria carotide interna. Con
la metodica transcranica è possibile fornire informazioni sulle modificazioni della velocità di flusso che
possono aver luogo a livello dei segmenti del sifone, dell’arteria cerebrale media, dell’arteria basilare, delle
arterie cerebrali anteriore e posteriore e delle comunicanti.
Angio-RM e Angio-TAC - rappresentano le metodiche attualmente utilizzate per lo studio dei tronchi epiaortici
e dei distretti intracranici, anche se presentano ancora alcune limitazioni, specie nella corretta identificazione
del grado di stenosi arteriosa e nella valutazione delle alterazioni della parete vasale. Nella fase acuta possono
essere utili nel sospetto clinico di trombosi dei seni venosi, di dissecazioni arteriose o di sanguinamenti da
malformazioni o di aneurismi.
Angiografia cerebrale - L’angiografia cerebrale, non scevra da rischi e attuabile in strutture altamente
qualificate, è praticabile nella fase iperacuta dell’ictus, in casi selezionati di pazienti candidati a trattamento
fibrinolitico intra-arterioso o nei casi di sospetta dissecazione dei tronchi sovra-aortici.
Terapia dell’ictus ischemico nelle prime ore
Tre terapie si sono dimostrate efficaci nel trattamento dell’ictus ischemico acuto:
 trombolisi con alteplase.
 ricovero in stroke unit
 trattamento con aspirina
La trombolisi è l’unica specifica per le prime 4,5 ore e ha trasformato in modo radicale l’approccio al paziente con
ictus, tanto che tale patologia è oggi considerata una vera e propria emergenza medica, con tutte le implicazioni
organizzative che ciò comporta. L’alteplase si somministra alla dose di 0.9 mg/kg ev (massima dose consentita 100 mg)
di cui 10% da somministrare in bolo e la restante parte in infusione per un’ora. Sia pure a fronte di un aumento delle
emorragie intracraniche, per ogni 100 pazienti trattati con l’alteplase ev, circa 11 in più rispetto a coloro che non
vengono sottoposti a trombolisi, sopravvivono senza invalidità,
Per Stroke Unit si intende una unità di ricovero chiaramente delimitata all’interno di un ospedale, dedicata alla cura dei
pazienti colpiti da ictus cerebrale acuto e, soprattutto, organizzata in senso multidisciplinare con medici, infermieri,
fisioterapisti esperti e dedicati alle malattie cerebrovascolari. Il ricovero in stroke unit, rispetto al ricovero nei reparti
tradizionali, evita 1 decesso ogni 16 trattati, 1 istituzionalizzazione ogni 13, 1 perdita di indipendenza ogni 14. Le
Stroke Units spesso sono dotate di attrezzature per il monitoraggio dei parametri vitali tra i quali la pressione arteriosa,
il ritmo cardiaco e la traccia ECG, l’ossimetria, il ritmo respiratorio e la temperatura corporea. Il paziente viene
precocemente e regolarmente mobilizzato prevenendo così sia le lesioni cutanee da pressione sia le patologie articolari
da immobilizzazione; l’identificazione di obiettivi riabilitivi sussiste quindi già nel periodo di acuzie e cioè
immediatamente dopo il ricovero nella struttura dedicata. Durante tutta la degenza il paziente con ictus cerebrale viene
controllato con precisione per quanto concerne le capacità di alimentarsi ed idratarsi riducendo così il rischio di squilibri
metabolici e le infezioni respiratorie “ab ingestis”. L’utilizzo del catetere vescicale è limitato ai casi strettamente
necessari e per il più breve tempo possibile. Le complicanze settiche vengono, nei limiti del possibile, prevenute e
comunque tempestivamente identificate e trattate, così come viene regolarmente fatta la profilassi delle trombosi venose
profonde e quindi della loro principale complicanza ovvero la tromboembolia polmonare acuta. La terapia riabilitativa
viene iniziata non appena le condizioni del paziente lo consentono.
L’Aspirina (300 mg/die) è indicato in fase acuta per tutti i pazienti con ictus ischemico ad esclusione di quelli candidati
al trattamento trombolitico (nei quali può essere iniziato dopo 24 ore) o nei quali vi sia indicazione a terapia
anticoagulante (per i quali va mantenuto un INR tra 2,0 e 3,0).
Prevenzione dell’ictus
Sia la prevenzione primaria che quella secondaria dell’ictus si basano sull’identificazione dei fattori di rischio (tabella
13). Fondamentale è l’adozione di stile di vita sani: astensione dal fumo, consumo moderato di alcool, dieta equilibrata,
povera di sale e di grassi saturi (possibilmente di tipo “mediterraneo”), riduzione dell’eccesso ponderale, esercizio fisico
(anche solo mezz’ora di camminata a passo spedito, o fare le scale a piedi ogni giorno). L’adesione a questi
comportamenti determina una riduzione consistente del rischio di ictus.
Tabella 13- I FATTORI DI RISCHIO PER L’ICTUS CEREBRALE
Non modificabili
Età
Familiarità
Sesso
Modificabili ben documentati:
• ipertensione arteriosa;
• alcune cardiopatie (in particolare, fibrillazione atriale);
• diabete mellito;
• iperomocisteinemia;
• ipertrofia ventricolare sinistra;
• stenosi carotidea;
• fumo di sigaretta;
• eccessivo consumo di alcool;
• ridotta attività fisica;
Modificabili meno documentati:
• dislipidemia;
• obesità;
• sindrome metabolica;
• alcune cardiopatie (forame ovale pervio, aneurisma settale);
• placche dell’arco aortico;
• uso di contraccettivi orali;
• terapia ormonale sostitutiva;
• emicrania;
• anticorpi antifosfolipidi;
• fattori dell’emostasi;
• infezioni;
• uso di droghe;
• inquinamento atmosferico
Nella prevenzione secondaria dei TIA e dell’ictus ischemico non cardioembolico è indicato il trattamento
antiaggregante con ASA 100 mg/die, o clopidogrel 75 mg/die,o ticlopidina 500 mg/die, oppure con l’associazione ASA
50 mg/die più dipiridamolo a lento rilascio (Aggrenox) 400 mg/die. L’associazione di ASA e clopidogrel non è indicata
perché comporta un aumento dei rischi emorragici senza aumento dei benefici presumibili. Nelle forme
cardioemboliche, soprattutto se associate a Fibrillazione atriale, sono indicati i farmaci anticoagulanti(con INR
compreso fra 2 e 3), in relazione al punteggio CHADS2-VASC (tabella 14). Nel caso di stenosi carotidea superiore al
70% è indicata l’endoarteriectomia carotidea.
Tabella 14- PUNTEGGIO CHA2DS2-VASC PER IL RISCHIO EMBOLICO NELLA FA
(Un punteggio totale: 0=basso rischio, 1= rischio moderato >= 2 = rischio elevato)
Insufficienza cardiaca congestizia / disfunzione ventricolare sinistra
Ipertensione
Età ≥ 75 anni
Diabete mellito
Ictus / TIA / TE
Malattia vascolare (prima MI, PAD, o placca aortica)
Di età compresa tra 65-74 anni
Sesso categoria (vale a dire di genere femminile)
Score
=1
=1
=2
=1
=2
=1
=1
=1
Emorragia subaracnoidea
L’emorragia subaracnoidea è provocata dalla rottura di una malformazione vascolare (aneurismi o malformazioni
artero-venose) e si manifesta in modo improvviso,senza prodromi, con una cefalea fortissima, terebrante. Spesso la
localizzazione iniziale è occipitale (“a colpo di pugnale), ma il dolore si estende rapidamente a tutto il capo e
successivamente al collo con un quadro meningeo. Frequente il vomito e un graduale torpore sino alla perdita di
coscienza; più raramente si osservano anche deficit neurologici.
La diagnosi si basa sulla subitaneità e la gravità del quadro, sull’assenza di familiarità e di localizzazione:
in ogni cefalea che corrisponde a queste caratteristiche è imperativo eseguire tempestivamente una TAC. Una
minoranza di casi TAC negativa richiede la puntura lombare che dimostra un liquor xantocromico e l’assenza di reperti
meningitici. Il successo della terapia (oltre 30% di mortalità) dipende dalla tempestività diagnostica
Terapia. Esige l’immediato ricovero. Le opzioni terapeutiche prevedono l’intervento chirurgico di esclusione mediante
clip metallica dell’aneurisma e la occlusione dell’aneurisma con microspirali mediante procedura neuroradiologica.
5 IL PAZIENTE CON MORBO DI PARKINSON
Caratteristiche cliniche e classificazione
La malattia di Parkinson (MP) è una malattia neurodegenerativa la cui caratteristica principale è la progressiva perdita
dei neuroni dopaminergici della substantia nigra mesencefalica..La diagnosi richiede la presenza dei seguenti sintomi:
(1) tremore a riposo,
(2) bradicinesia o rallentamento dei movimenti,
(3) rigidità della muscolatura;
(4) nelle fasi più avanzate, perdita dei riflessi posturali.
L’esordio è insidioso, spesso inizialmente asimmetrico, essendo colpito un solo lato. Il paziente lamenta
compromissione della destrezza manuale, difficoltà nelle attività della vita quotidiana, come spogliarsi o alzarsi dalla
sedia o guidare l’ auto, senso di fatica, rigidità muscolare, tremore alle mani, lentezza nei movimenti e cambiamento
nella scrittura (micrografia). Si associano inoltre un atteggiamento
in flessione del tronco e la scomparsa delle sincinesie pendolari delle braccia (inizialmente da un lato) durante la
marcia. La malattia all’esordio non è quindi facilmente diagnosticabile per l’aspecificità dei disturbi. Con il progredire
della malattia i segni motori divengono sempre più evidenti e compare difficoltà nel cammino mentre il tremore può
tendere ad attenuarsi (tabella 15).
Tabella 15 - SCALA HOEHN E YAHR - STADI DELLA MALATTIA DI PARKINSON
1:
sintomatologia monolaterale (tremore, rigidità);
2:
sintomatologia bilaterale sopra descritta associata ad alterazione dell’eloquio, modificazioni
posturali e andatura anomala);
3:
sintomatologia bilaterale ingravescente associata a difficoltà di equilibrio. Il paziente è
ancora autosufficiente;
4:
il paziente non è autosufficiente;
5:
il paziente necessità di una sedia a rotelle o è incapace di alzarsi dal letto
Il M. di Parkinson va distinto dalle forme di Parkinsonismo secondario e dalle forme degenerative associate
all’interessamento di aree e di neurotrasmettitori più ampi di quelli coinvolti nella malattia idiopatica (Tabella 16).
Tabella 16 - CLASSIFICAZIONE DEI PARKINSONISMI
Primario (idiopatico)
• Malattia di Parkinson
Secondari (sintomatici)
• Iatrogeno (fenotiazine, butirrofenoni, metoclopramide,
reserpina, alfa-metil-dopa, etc.)
• Infettivo (postencefalitico, sifilide, malattie da prioni)
• Metabolico (degenerazione epatocerebrale, ipossia, disfunzione
delle paratiroidi)
• Strutturale (tumori cerebrali, idrocefalo, traumi)
• Tossico (monossido di carbonio, disulfiram, cianide, manganese,
MPTP, etc.)
- Vascolare
Parkinson plus
• Degenerazione cortico-basale
• Emiparkinson-emiatrofia
• Sindromi con associata demenza
- Malattia di Alzheimer
- Malattia a corpi di Lewy diffusi
• Atrofia multisistemica
• Complesso Parkinson-demenza-SLA di Guam
• Paralisi sopranucleare progressiva
Malattie degenerative ereditarie
• Forme genetiche di Parkinson
- Autosomiche dominanti (incluse mutazioni alfasinucleina)
- Autosomiche recessive (incluse mutazioni parkina)
• Atassie spinocerebellari
• PKAN (Pantothenate-Kinase Associated Neurodegeneration)
• Huntington giovanile
• Malattie mitocondriali
• Neuroacantocitosi
• Malattia di Wilson
Nel corso della malattia circa un terzo dei pazienti mostra depressione, allucinazioni prevalentemente visive e demenza.
La presenza di questi disturbi nelle fasi iniziali della malattia è invece una indicazione che probabilmente non si tratta di
morbo di Parkinson ma di una sindrome parkinsoniana.
Problemi di diagnostica differenziale
La diagnosi differenziale che più frequentemente si pone è quella con il tremore essenziale
dove però il tremore non è a riposo ma intenzionale e posturale e dove la storia familiare può
suggerire una ereditarietà autosomica dominante.
Poiché i segni tipici del M. di Parkinson sono caratteristici anche di numerose altre malattie del Sistema Nervoso
(sindromi parkinsoniane), queste andranno sempre sospettate quando i segni sono spiccatamente simmetrici, è poco
evidente il tremore, siano presenti altri segni o sintomi neurologici e i problemi dell’equilibrio si manifestano
precocemente nel corso della malattia. Benchè nelle fasi iniziali vi possa essere una risposta alla levodopa, di regola
queste forme sono poco o nulla sensibili alla levodopa.
La paralisi progressiva sopranucleare è caratterizzata dalla presenza di una limitazione dei movimenti coniugati degli
occhi in particolare dei movimenti verso l’alto. Il tremore che accompagna il movimento e la dissinergia sono
particolarmente evidenti nella atrofia olivo-ponto-cerebellare. I segni piramidali caratterizzano la degenerazione nigrostriatale; la presenza precoce di demenza e allucinazioni è caratteristica della malattia con corpi di Levy; la disprassia e
i disturbi sensitivi sono caratteristici della degenerazione cortico-basale, mentre la disautonomia caratterizza la
sindrome di Shy Dreger. Questi sintomi e segni di accompagnamento della sintomatologia parkinsoniana possono, nelle
sindromi parkinsoniane, comparire solo in un secondo tempo ed è quindi fondamentale che venga attuato un attento
follow-up del paziente. La forma rigida della malattia di Huntington (corea cronica progressiva, ereditaria conatetosi,
dolori e parestesie al tronco, disturbi psichici e demenza) e, più raramente, la malattia di Wilson possono somigliare ad
un parkinsonismo. È ancora da tenere presente la possibilità che il parkinsonismo sia conseguente all’esposizione a
sostanze tossiche quali il manganese o l’MPTP
Ulteriore importante causa di Parkinsonismi è dato dalle lesioni vascolari del tronco e dei nuclei della base.
Va ricordato che una sindrome parkinsoniana jatrogena clinicamente indistinguibile dal classico morbo di Parkinson
può essere provocata dall’assunzione di alcuni farmaci che bloccano i recettori dopaminergici e in particolare i recettori
D2. Tra questi ricordiamo: i neurolettici (Aloperidolo, Clorpromazina,Trifluoperazina, etc.), Metoclopramide e
Proclorperazina, Bloccanti la sintesi di dopamina (Alfametilparatirosina, Alfametidopa), Reserpina, Flunarizina e
Cinarizina. L’uso degli inibitori del reuptake della serotonina (Fluoxetina, Sertralina, Paroxetina) può provocare
acatisia.
Percorsi diagnostici
La diagnosi rimane essenzialmente clinica e il percorso diagnostico del paziente si basa fondamentalmente su una
accurata indagine clinica. I presidi strumentali sono di scarsa utilità e il neuroimaging è
generalmente normale. Qualora si sospetti o si voglia escludere una malattia neurologica che si
accompagna a sintomi parkinsoniani, saranno invece indicati tutti gli approfondimenti diagnostici
appropriati per la malattia che si sospetta. Una TC dell’encefalo può essere utile nella fase iniziale per
escludere molte delle cause secondarie di parkinsonismo (es. neoplasie, idrocefalo, parkinsonismo vascolare). La RM
dell’encefalo è spesso utilizzata nella diagnostica differenziale dei parkinsonismi, in quanto oltre a dare informazioni
simili a quelle della TC sebbene più dettagliate, permette talvolta di osservare delle alterazioni caratteristiche dei
cosiddetti parkinsonismi plus. Sono disponibili metodiche per lo studio del versante presinaptico nigrostriatale (es. PET
con 6-[18F]-fluoro-L-dopa (F-DOPA); SPECT con 123I-FP-CIT): consentono di ottenere utili informazioni sulla
eventuale degenerazione dei terminali dopaminergici nigrali, rendendo possibile differenziare in fase precoce un
parkinsonismo degenerativo, nel quale l’esame risulta positivo, da un tremore essenziale o da un parkinsonismo
iatrogeno caratterizzati da una sostanziale integrità del sistema nigrale.
Prognosi
La malattia di Parkinson è ingravescente col tempo, la sua progressione è più rapida nei casi ad insorgenza giovanile e
nelle forme in cui all’esordio non predomina il tremore. Malgrado la scoperta della levodopa abbia sostanzialmente
aumentato l’aspettativa di vita dei pazienti, la loro mortalità è ancora superiore a quella della popolazione generale. La
comparsa di demenza è poi un segno prognosticamente molto sfavorevole.
Terapia
1. Levodopa
Il trattamento della malattia di Parkinson si basa sostanzialmente sull’uso della levodopa. Per evitare gli effetti sistemici
la levodopa viene associata agli inibitori delle decarbossilari (benserazide: Madopar dispersibile 100mg+25mg;
divisibile 200mg+50mg; carbidopa:Sinemet 100mg+25mg; 250mg+50mg). L’emivita plasmatica della levodopa è di 12 ore. Già da alcuni anni sono in commercio delle formulazioni di levodopa a rilascio controllato (Madopar
100mg+25mg RP; Sinemet 100mg+25mg RM, 200mg+50mg RM), studiate al fine di prolungare l’emivita del farmaco
consentendo una stimolazione dopaminergica più continua. Purtroppo gli studi clinici non hanno confermato
l’aspettativa e le indicazioni attuali limitate (es. somministrazione serale per l’acinesia notturna). I dosaggi della
levodopa sono variabili a seconda che essa
venga utilizzata in monoterapia o in associazione con altri farmaci ed a seconda della fase di malattia, e variano in
media tra i 300 ed i 1500 mg/die, in 3-6 somministrazioni giornaliere
Malgrado il trattamento con levodopa sia all’inizio estremamente efficace nel controllare la sintomatologia, a lungo
termine, la levodopa mostra purtroppo, una ridotta efficacia e si possono manifestare le fluttuazioni motorie. Queste
sono inizialmente caratterizzate da blocchi per una riduzione della capacità motoria del paziente dopo un certo tempo
dall’assunzione dell’ultima dose di levodopa. La risposta motoria si ripristina all’assunzione della nuova dose e il
paziente alterna periodi in cui è in grado di muoversi (periodi ON) a periodi in cui è parzialmente o totalmente
impossibilitato ad eseguire movimenti (periodi OFF). Le fluttuazioni motorie si accompagnano spesso a movimenti
discinetici involontari che generalmente sono in concomitanza, ma non necessariamente, con il raggiungimento dei
massimi livelli ematici di levodopa (peak-dose effect). Nelle forme avanzate di malattia, la relazione temporale tra
fluttuazioni motorie, discinesie e assunzione di levodopa tende a scomparire e i tempi di comparsa della sintomatologia
tendono a divenire imprevedibili. Queste fluttuazioni, sconosciute in era pre-levodopa, sono da alcuni considerate come
la conseguenza di una sorta di effetto tossico del farmaco. Per questi motivi alcuni preferiscono riservare l’uso della
levodopa solo ai pazienti in cui la sintomatologia sia divenuta particolarmente severa. Questo atteggiamento non è
condiviso da altri sulla base della considerazione che la levodopa è il trattamento più efficace nel controllare la
sintomatologia parkinsoniana e quindi non prescrivere il farmaco al paziente significa limitarne pesantemente la qualità
di vita. Le evidenze a supporto dell’uno o dell’altro atteggiamento sono estremamente contradditorie. Alcuni studi
hanno evidenziato una peggiore prognosi in associazione con l’utilizzo precoce della levodopa nel corso della malattia,
mentre altri hanno addirittura sostenuto una migliore aspettativa di vita.
Nei pazienti con fluttuazioni motorie può essere utile la levodopa metilestere (Melevodopa e carbidopa, Sirio cpr
effervescenti 12,5+125 mg o 25+100 mg) profarmaco dotato di maggiore solubilità e quindi più velocemente
assorbibile (30 minuti dalla somministrazione).
2. Farmaci dopamino-agonisti
Sono farmaci che agiscono direttamente sui recettori dopaminergici striatali. Si differenziano tra loro sostanzialmente
per la derivazione (ergot o non-ergot), l’affinità differente verso i diversi sottotipi di recettori dopaminergici e l’emivita
plasmatica (Tabella 17). Sono generalmente meno tollerati rispetto alla levodopa. Gli effetti collaterali più frequenti
sono rappresentati da nausea, vomito, ipotensione ortostatica, sonnolenza diurna, edemi agli arti inferiori. Tali effetti,
frequenti all’inizio della terapia, possono essere contrastati con una lenta titolazione del farmaco (1 mese o più) e con
l’associazione di domperidone 10-20 mg x 3/die. I vantaggi che ne giustificano attualmente l’impiego clinico sono la
minore incidenza di complicanze motorie in monoterapia nella fase iniziale di malattia rispetto alla sola levodopa; la
dimostrata l’efficacia di tali farmaci nel ridurre le complicanze motorie qualora siano utilizzati in fase avanzata di
malattia in associazione alla levodopa. I derivati non ergot sono i più maneggevoli e i più usati (Pramipexolo,
Mirapexin cpr 01,8 mg o 0,7 mg; Ropinirolo Requip cpr 0,25 mg, 0,5 mg, 1 mg, 2 mg, 5 mg). Entrambe i farmaci
necessitano di una titolazione del dosaggio partendo dalle posologie più basse in dosi refratte tre volte al dì. Per
entrambi sono attualmente disponibili formulazioni a rilascio prolungato che permettono la monosomministrazione
quotidiana (Mirapexin cpr R.P. 0,26 mg, 0,52 mg, 1,05 mg, 2,1 mg, 3.15 mg; Requip cpr R.P. 2 mg, 4 mg, 8 mg). Un
approccio differente è costituito dalla Rotigotina per via transdermica (Neupro cerotti 2mg, 4 mg, 6 mg, 8 mg). Il
dispositivo si applica una sola volta al giorno. La dose minima iniziale (2 mg/24h) viene aumentata gradualmente di 2
mg/24 h alla settimana sino ad un massimo di 8 mg/24 h.
Tabella 17 - I FARMACI DOPAMINOAGONISTI
Emivita Affinità
Dosaggio
(h)
recettoriale
giornaliero
(mg)
Ergot
Bromocriptina
3-6
D2
Cabergolina*
65
D2
Lisuride
2-3
D2
Pergolide
15
D2>D1
Diidroergocriptina
12-16
D2
Non ergot
Apomorfina
0.5
D2/D1
Pramipexolo
10
D2
Ropinirolo
6
D2
 Possibile la monosomministrazione giornaliera
Inibitori delle COMT
15-50
2-6
0.6-1.5
1.5-5
40-120
1-6
0.375-4.5
6-20
Sono farmaci che bloccano le catecol-O-metiltransferasi, enzimi coinvolti nel metabolismo della levodopa,
determinando un aumento dell’emivita di quest’ultima. Sono attualmente in commercio due differenti farmaci,
l’entacapone (Comtan cpr 200 mg), inibitore reversibile delle COMT periferiche, ed il tolcapone (Tasmar cpr 100 mg),
che presenta anche una azione sulle COMT centrali. L’indicazione all’utilizzo dell’entacapone, al dosaggio di 200 mg
per ogni somministrazione di levodopa giornaliera, è attualmente il trattamento dei pazienti con fluttuazioni motorie (in
particolare fenomeni di ‘fine dose’). E’ disponibile la combinazione di levodopa/carbidopa/entacapone a differenti
dosaggi (Stalevo 50/12,5/200; 75/18,75/200; 100/25/200; 125/31,25/200; 150/37,5/200; 200/50/200 mg). Tra i rari
effetti collaterali il più frequente è la diarrea. Il tolcapone, al dosaggio di 100 mg x 3/die, presenta le stesse indicazioni
terapeutiche dell’entacapone. È prescritto un monitoraggio periodico della funzionalità epatica dei pazienti in terapia
con tolcapone per la sua potenziale epatotossicità.
Inibitori delle MAO-B
La Selegilina è un inibitore irreversibile delle MAO-B, con scarsi effetti sulle MAO-A, che determina un aumento
dell’emivita della dopamina a livello cerebrale. Viene prescritta al dosaggio di 10 mg/die, è efficace in monoterapia nel
controllo della sintomatologia parkinsoniana in pazienti in fase iniziale di malattia, anche se tale effetto è di ridotta
entità. E’ stata recentemente introdotta la Rasagilina (Azilect cpr 1 mg). Va evitato l’uso di questi farmaci in
concomitanza con gli inibitori del reuptake della serotonina.
Antagonisti del glutammato
L’amantadina, presenta molteplici meccanismi d’azione: antagonista dei recettori glutammatergici NMDA,
anticolinergico, è in grado di influire sul rilascio e sul re-uptake della dopamina a livello presinaptico e di influenzare
l’affinità dei recettori dopaminergici postsinaptici. L’amantadina (Mantadan cpr 100 mg) alla dose di 200-400 mg/die
può essere utile nel controllo della sintomatologia parkinsoniana in monoterapia in fase iniziale di malattia o in aggiunta
ad altre terapie in fase avanzata. Attualmente l’indicazione maggiore all’utilizzo di tale farmaco è comunque
rappresentata dal trattamento delle discinesie farmaco-indotte. Gli effetti collaterali principali sono la comparsa di
allucinazioni o stati confusionali, in genere in soggetti con un deterioramento cognitivo.
Stimolazione cerebrale profonda
Il trattamento chirurgico della MP trova attualmente indicazione nei pazienti in fase avanzata di malattia, con
fluttuazioni motorie e discinesie a carattere invalidante e non responsive alle modificazioni terapeutiche
farmacologiche. Le tecniche più recenti prevedono il posizionamento a livello del nucleo subtalamico di
elettrodi intracerebrali connessi ad un pacemaker esterno ed in grado di determinaren una inibizione funzionale tramite
una stimolazione elettrica continua ad alta frequenza. Questa consente di ottenere
un ottimo controllo di tutti i sintomi cardinali della malattia (tremore, rigidità e bradicinesia) associato ad una
nettariduzione o scomparsa delle fluttuazioni motorie e delle discinesie.
Strategie terapeutiche
In fase iniziale di malattia i farmaci attualmente utilizzati sono i dopaminoagonisti o la levodopa in monoterapia, che
presentano una maggior efficacia sintomatica rispetto agli altri farmaci (amantadina, selegilina). I fattori che permettono
di orientare la scelta verso uno o l’altro dei due farmaci sono l’età del paziente e le richieste funzionali dello stesso, in
quanto pazienti di età avanzata (quindi più a rischio per la comparsa di effetti collaterali) o con richieste funzionali
elevate (es. attività lavorativa) verranno preferibilmente trattati con levodopa in monoterapia, mentre soggetti giovani o
con minori esigenze funzionali inizieranno una monoterapia con dopaminoagonisti.
Con la progressione della malattia si giungerà successivamente ad una associazione della levodopa con i
dopaminoagonisti ed al progressivo incremento del dosaggio di tali farmaci.
La fase avanzata di malattia, come specificato in precedenza, è caratterizzata dalla comparsa di fluttuazioni motorie e
discinesie. I provvedimenti terapeutici da intraprendere quando compaiono le fluttuazioni motorie consistono
nell’ulteriore incremento del dosaggio di dopaminoagonisti e della levodopa, con aumento del numero di
somministrazioni di questa nell’arco della giornata, e nell’inserimento di inibitori delle COMT e delle MAO-B. Qualora
si presentino dei fenomeni on-off può risultare indicato anche l’utilizzo di boli di apomorfina sc. Il trattamento delle
discinesie si avvale a sua volta di diversi provedimenti, quali la riduzione del dosaggio della levodopa con
frazionamento di questa nell’arco della giornata, l’eventuale incremento compensatorio del dosaggio dei
dopaminoagonisti, l’utilizzo di amantadina e/o di clozapina. Se tali provvedimenti non sono sufficienti ad ottenere un
controllo soddisfacente della malattia e delle complicanze motorie può essere tentata l’infusione sc continua di
apomorfina nelle ore diurne. L’infusione tramite pompa di levodopa in formulazione liquida mediante utilizzo di PEG è
una ulteriore possibilità terapeutica.
Nel caso si manifestino disturbi psicotici in pazienti parkinsoniani i farmaci indicati sono la clozapina, in genere
utilizzata a bassi dosaggi (25-50 mg alla sera) e la quetiapina (25-100 mg/die). La clozapina, molto efficace, presenta
anche un effetto positivo sulle discinesie, ma ha lo svantaggio rispetto alla quetiapina di richiedere un monitoraggio
periodico dell’emocromo (rischio di leucopenia). In pazienti selezionati può essere proposta la stimolazione cerebrale
profonda.
6. IL PAZIENTE CON DEMENZA
Definizione
La demenza è caratterizzata dalla presenza di deficit di più funzioni cognitive, in particolare la memoria, di entità tale
da interferire con la capacità del soggetto di svolgere con la consueta abilità le attività della vita quotidiana. Si associa
ad alterazioni del comportamento. Le cause di demenza sono numerose, suddivise variamente secondo le caratteristiche
eziologiche (forme reversibili e non reversibili), il tipo di danno biologico (forme degenerative, vascolari, metaboliche,
ecc.), la sede prevalente della lesione anatomica cerebrale (demenza corticale vs sottocorticale). Un deterioramento
cognitivo più o meno marcato può anche derivare da patologie extracerebrali (demenze secondarie).
Epidemiologia
Le demenze rappresentano la quarta causa di morte negli ultrasessantacinquenni e una della principali cause di disabilità
negli anziani, responsabile di oltre la metà dei ricoveri in residenze sanitarie assistite. La prevalenza aumenta con l’età
e, anche per effetto della maggior longevità, è maggiore nel sesso femminile. Si stima che l’incidenza annua in Italia per
1.000 persone di età superiore a 65 anni, sia intorno all’11.9; mentre la prevalenza si aggira intorno al 6.4% per le
persone di età superiore a 65 anni. La maggior parte delle persone ammalate di demenza vive con i familiari, su cui
ricade il maggior carico della malattia.
Diagnosi
La diagnosi di demenza richiede le seguenti valutazioni:
1) anamnesi verificata anche con un famigliare; esame obiettivo generale e neurologico;
2) valutazione delle comorbilità; verifica di cause potenzialmente reversibili di demenza;
3) valutazione dei sintomi cognitivi MMSE (tabella 18) batteria neuropsicologica estesa,
4) valutazione dei sintomi comportamentali
5) valutazione livello di disabilità funzionale con scale di valutazione adeguate (ad es. BADL, IADL);
6) indagini generali (emocromo, elettroforesi, azotemia, glicemia, elettroliti, TSH, B12, elettroforesi, transaminasi,
es. urine), strumentali (ECG, Rx torace) e neuroimaging (TC, RMN);
7) identificazione nosografica della demenza secondo criteri diagnostici consolidati;
8) informazione del paziente e dei famigliari care giver; verifica della possibilità di un progetto di cure.
Tabella 18 - MMSE (Mini Mental State Examination)
Punteggio: <= 18 = grave compromissione delle abilità cognitive; da 18 a 24 = compromissione da moderata a lieve, 25 =borderline; da 26 a 30 =
normalità cognitiva.
 In che anno siamo? (0-1)
 In che stagione siamo? (0-1)
 In che mese siamo? (0-1)
 Mi dica la data di oggi? (0-1)
 Che giorno della settimana è oggi? (0-1)
 Mi dica in che nazione siamo? (0-1)
 In quale Regione italiana siamo? (0-1)
 In quale città ci troviamo? (0-1)
 A che piano siamo? (0-1)
 Far ripetere: “pane, casa, gatto”. La prima ripetizione dà adito al punteggio.
Ripetere finché il soggetto esegue correttamente, max 6 volte (0-3)
 Far contare a ritroso da 100 togliendo 7 per cinque volte:
- 93
- 86
- 72
- 65.
Se non completa questa prova, allora far sillabare all’indietro la parola:
MONDO: ODNOM(0-5)
 Chiedere la ripetizione delle tre parole precedenti (0-3)
 Mostrare un orologio ed una matita chiedendo di dirne il nome (0-2)
 Ripeta questa frase: “tigre contro tigre” (0-1)
 Prenda questo foglio con la mano destra, lo pieghi e lo metta sul tavolo (0-3)
 Legga ed esegua quanto scritto su questo foglio (chiuda gli occhi) (0-1)
 Scriva una frase (deve ottenere soggetto e verbo) (0-1)
 Copi questo disegno (pentagoni intrecciati)* (0-1)
Caratteristiche cliniche
I principali sintomi neuropsicologici caratteristici della demenza sono elencati di seguito:
- Amnesia - Compromissione della memoria con preservazione dell’analisi percettiva. Si distingue in base alla
relazioni fra eventi ed esordio in amnesia retrograda (mancata rievocazione di eventi precedenti all’esordio della
malattia) e amnesia anterograda (mancata rievocazione di fatti successivi all’esordio della malattia, che si traduce
nell’incapacità di fissare nuove informazioni). Il deficit mnestico può interessare la memoria di lavoro, con una
riduzione della capacità di riprodurre stringhe o percorsi di limitata estensione nel breve termine, o causare la perdita
dell’accesso o del recupero di informazioni nell’archivio a lungo termine. Infine il deficit può interessare la memoria
dichiarativa e, in questo caso, colpire il ricordo degli eventi personali (memoria episodica) o il patrimonio delle
conoscenze acquisite (memoria semantica). Raramente il difetto interessa la memoria implicita, concernente
l’acquisizione o la rievocazione di attività motorie o la riattualizzazione di eventi emotivamente carichi.
- Afasia - Disturbo di comprensione e produzione linguistica. La lesione nei destrimani adulti è emisferica sinistra.
L’afasia non è riconducibile a una compromissione motoria o sensoriale. I deficit afasici necessitano di indagini
testisti che appropriate per la loro definizione.
- Alessia è il disturbo della lettura mentre agrafia è la compromissione della scrittura.
- Acalculia – perdita della capacità di fare calcoli, anche elementari, sia a mente che per iscritto.
- Aprassia - Disturbo del movimento in assenza di paralisi o deficit sensoriali. Caratteristica è la dissociazione
automatico-volontaria: il paziente aprassico esegue un gesto nel contesto adeguato ma non su richiesta. Agnosia Compromissione del riconoscimento oggettuale, modal-specifica, non giustificabile da disturbi percettivi elementari
o dell’attenzione.
- Eminegligenza spaziale unilaterale (Neglect) - Incapacità di attendere a stimoli dello spazio controlaterale alla
lesione cerebrale. Prevalentemente associata a danno emisferico destro.
- Sindrome disesecutiva (frontale) – Caratterizzata dall’incapacità di criticare e/o pianificare strategie per eseguire un
compito, di passare da un concetto o da un comportamento a un altro, di inibire comportamenti automatici incongrui
e reazioni emotive inadeguate, intensificazione dell’attenzione automatica e deficit dell’attenzione volontaria.
I sintomi non cognitivi assumono notevole importanza nella gestione clinica
-
Alterazioni dell’umore (depressione, euforia, labilità emotiva)
Ansia e agitazione psicomotoria
Alterazioni della personalità (indifferenza, apatia, disinibizione, irritabilità)
Psicosi (deliri paranoidei, misidentificazioni, allucinazioni)
Agitazione (aggressività verbale o fisica, vocalizzazione persistente)
Disturbi dell’attività psicomotoria (vagabondaggio, affaccendamento afinalistico, acatisia)
Sintomi neurovegetativi (alterazioni dei ritmi sonno-veglia, dell’appetito, della condotta sessuale)
Nelle fasi avanzate va considerata la perdita dello stato funzionale
• Sindrome da immobilizzazione
• Infezioni (vie urinarie, polmonari, sepsi)
• Malnutrizione
• Cadute e fratture
• Tromboflebiti e embolie polmonari
• Lesioni da decubito
• 80% dei decessi per complicanze broncopolmonari
Diagnosi differenziale delle demenze
Benchè la Malattia di Alzheimer sia il tipo più comune di demenza (60-70%) va considerata l’eventualità che si tratti di un’altra
patologia dementigena. La Tabella 19 riassume i criteri utilizzati per la diagnosi differenziale.
Tabella 19 . DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE PATOLOGIE DEMENZIALI
Malattia di Alzheimer - si caratterizza per un esordio con sintomi prevalentemente amnesici e disorientamento temporo-spaziale. Il
decorso è graduale con compromissione delle attività della vita quotidiana e disturbi comportamentali.
Demenza vascolare - si distinguono diverse forme:
• multinfartuale: Conseguenza di infarti multipli e completi, generalmente nel territorio di distribuzione, corticale o
sottocorticale, dei grossi vasi;
• da singoli infarti strategici: Conseguenza di singoli infarti in aree cerebrali funzionalmente importanti per le prestazioni
cognitive (giro angolare, proencefalo basale, talamo ecc.);
• da patologia dei piccoli vasi: Conseguenza di lesioni ischemiche diffuse a carico dei vasi di piccolo calibro che irrorano la corteccia
o le strutture sottocorticali;
• da ipoperfusione: Conseguenza di un danno ipossico acuto;
• da lesione emorragica: Conseguenza di lesioni emorragiche intraparenchimali (amiloidosi cerebrale) o extraparenchimali
(ematoma subdurale cronico, emorragia subaracnoidea).
Demenze fronto-temporali, inclusa la demenza di Pick: Rappresenta un gruppo di demenze caratterizzato dalla preminenza di
sintomi disesecutivi, comportamentali e del linguaggio con una relativa migliore conservazione della memoria recente. Forme di
degenerazione focale (con sintomi neurologici specifici progressivi): Afasia progressiva, atrofia corticale posteriore progressiva.
Demenze associate a segni neurologici (in particolare extrapiramidali) in fase precoce
Demenza con corpi di Lewy: La demenza si accompagna spesso a segni extrapiramidali; la sintomatologia è fluttuante, con
allucinazioni visive complesse che, se presenti in fase iniziale, sembrano il sintomo più specifico, frequenti anche disturbi del sonno.
Malattia di Parkinson: La demenza complica il quadro della malattia di Parkinson nelle sue fasi avanzate (30%).
Paralisi sopranucleare progressiva: La demenza complica nel 70-80% questa rara sindrome prevalentemente extrapiramidale
(parkinsoniana) - dall’inizio preminenti deficit dei movimenti coniugati oculari.
Degenerazione cortico basale: Quadro di demenza con parkinsonismo; rispetto alla demenza con corpi di Lewy è più evidente
l’aprassia.
Atrofia multisistemica: Di tipo parkinsoniano e di tipo cerebellare.
Malattia di Huntington: A esordio tra il terzo e il quinto decennio, caratterizzata da corea, disturbi della personalità e delle
capacità cognitive, sintomi psichiatrici.
Creutzfeldt-Jakob, Gerstman-Straussler e altre malattie da prioni: Demenze rarissime; devono essere riconosciute per il rischio di
trasmissione dopo esposizione a tessuti contaminati; i segni motori possono diventare preminenti in fase avanzata.
Demenze secondarie ad altre patologie (vanno riconosciute perché spesso trattabili)
Malattie ereditarie: Sindrome di Down, sindrome di Hallervorden Spatz, M. di Wilson;
Stati carenziali: Sindrome di Korsakoff (deficit di tiamina), deficit di vitamina B12, folati, grave malnutrizione;
Sostanze tossiche: Alcol, farmaci, metalli pesanti, solventi organici;
Patologie internistiche: Gravi insufficienze epatica, renale, respiratoria, cardiaca; malattie endocrine (tiroide, paratiroidi, asse ipofisisurrene), porfiria, ipoglicemia, chetosi, disturbi idroelettrolitici;
Patologie infettive del sistema nervoso centrale: Meningiti ed encefaliti di varia eziologia, AIDS dementia complex,
neurolue,Whipple;
Patologie infiammatorie del sistema nervoso centrale: Sclerosi multipla e malattie demielinizzanti, connettiviti, sarcoidosi,
vasculiti;
Patologie neurologiche occupanti spazio: Tumori, ascessi cerebrali, igroma, ematoma sottodurale;
Altre lesioni neurologiche: Idrocefalo normoteso, traumi cranici, sindromi paraneoplastiche, demenza dialitica.
Mild Cognitive Impairment (MCI)
E’ uno stato intermedio tra l’invecchiamento normale e la demenza ed è caratterizzato da un deficit cognitivo limitato
senza impatto sulla vita quotidiana. La classificazione attuale prevede pattern diversi di compromissione cognitivocomportamentale (forme amnesiche e non amnesiche). Non vi è chiarezza sull’inquadramento nosologico perché non
tutti gli MCI evolvono in malattia di Alzheimer. Tuttavia i soggetti con MCI presentano un tasso di trasformazione in
malattia di Alzheimer superiore a quello dei soggetti normali (10-12% all’anno contro un tasso di 1-2%
rispettivamente).
Malattia di Alzheimer (MA)
La deposizione di beta-amiloide, la costituente fondamentale delle placche senili, ha un ruolo fondamentale nella
patogenesi. La malattia si manifesta con insufficienza cronico progressiva delle strutture cerebrali sovra-tentoriali
deputate alla produzione e al controllo del comportamento. Il quadro neuropsicologico è caratterizzato da un prevalente
e iniziale disturbo della memoria episodica con disorientamento
temporo-spaziale. Segue un impoverimento delle funzioni attentive e esecutive mentre il deterioramento cognitivo
interferisce con lo svolgimento delle attività quotidiane e spesso si associa a alterazioni comportamentali. La morte è
secondaria alla disidratazione o alla sepsi.
Terapia della Malattia di Alzheimer
È importante distinguere fra terapia dei sintomi non cognitivi e terapia dei disturbi cognitivi. Il trattamento dei disturbi
cognitivi, a sua volta, prevede molteplici strategie, dalla terapia “sintomatica”, il cui scopo è il miglioramento
temporaneo del quadro clinico, a terapie più ambiziose, miranti a rallentare il decorso della malattia, ritardarne l’esordio
o, addirittura, a prevenirne l’insorgenza.
Trattamento dei sintomi cognitivi
Gli studi clinici controllati non hanno documentato alcuna efficacia dei farmaci cerebroattivi (vasodilatatori, quale
nicergolina, o nootropi, quali piracetam, aniracetam, oxiracetam). Essenzialmente, la terapia dei sintomi cognitivi della
MA si basa attualmente solo su agenti “colinergici” e su modulatori dell’attività glutammatergica.
Nel tentativo di aumentare la disponibilità di acetilcolina a livello centrale sono state utilizzate strategie diverse. In
sostanza, gli unici farmaci colinergici attualmente utilizzati nel trattamento della MA sono alcuni inibitori
dell’acetilcolinesterasi: donepezil, rivastigmina e galantamina, tutti e tre di efficacia analoga. A questi si è aggiunta la
memantina, un antagonista parziale di un sottotipo di recettori (NMDA).
Tabella 20 - TERAPIA STANDARD DEI SINTOMI COGNITIVI DELLA DEMENZA
Classe
Inibitori delle
acetilcolinesterasi
Nome
Donepezil
Dosaggio Stadio di malattia
Commenti
Dose di partenza:
Lieve-moderato
5 mg/die
anche grave)
Dosi efficaci:
5-10 mg/die
Rivastigmina
Dose di partenza:
Lieve-moderato
1,5 mg x 2/die
anche grave)
Dosi efficaci:
3-6 mg x 2/die
Galantamina
Dose di partenza:
4 mg x 2/die
Dosi efficaci:
8-12 mg x 2/die
Dose di partenza:
2.5 mg x 2/die
Dose efficace:
10 mg x 2/die
NMDA
antagonisti
Memantina
Antiossidanti
Vitamina E
1000 IU x 2/die
Dose efficace:
Lieve-moderato
(probabilmente
anche grave)
Vantaggi: monosomministrazione quotidiana;
(probabilmente eccellente tollerabilità a 5 mg/die
Svantaggi: > incidenza di disturbi del sonno e di
debolezza muscolare (a 10 mg/die) rispetto a
galantamina e rivastigmina
Vantaggi: indicata nella variante a corpi di Lewy
minori disturbi del sonno
Svantaggi: titolazione lenta per disturbi
gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea);
possibile calo ponderale
Profilo simile a quello della rivastigmina
Da moderato a
grave
Vantaggi: buona tollerabilità (anche in
associazione con anticoline-sterasici), ma di
effetto più modesto.
Svantaggi: rischio di transitoria agitazione e
confusione (cautela nei pazienti con disturbi
comportamentali o variante a corpi di Lewy
della MA!)
Moderata Recente segnalazione di aumentata mortalità
(in soggetti non dementi).
Questi farmaci hanno un effetto modesto, variabile, in media, dai 2 ai 5 punti di differenza su scale con un punteggio
che varia da 0 a 70 punti, tra i pazienti trattati con il farmaco e quelli in placebo dopo un follow-up di sei mesi. Tali
farmaci pur efficaci, hanno un impatto modesto ma non del tutto trascurabile sulla storia naturale della malattia.
L’effetto complessivo è, in media, una stabilizzazione dei sintomi per circa sei mesi - un anno per una malattia che,
generalmente ne dura circa dieci.
Nell’assenza di sicure evidenze che attestino differenza di efficacia, i criteri di scelta dell’anticolinesterasico sono
costituiti dalla facilità di somministrazione (solo per donepezil è prevista la monosomministrazione quotidiana) e dalla
comparsa di effetti avversi. Rivastigmina e galantamina sono maggiormente gravate da effetti secondari
gastrointestinali di tipo colinergico (nausea, vomito, diarrea), che però possono essere ridotti con un incremento di
dosaggio graduale, mentre donepezil è a maggior rischio di induzione di debolezza muscolare e disturbi del sonno.
Nella pratica clinica è spesso problematico decidere se e quando sospendere l’inibitore dell’acetilcolinesterasi, anche
perché la sospensione brusca può provocare un peggioramento. Con tutti e tre gli anticolinesterasici comunemente più
utilizzati, entro circa sei settimane dalla sospensione il modesto vantaggio rispetto al placebo viene perso quasi
completamente, dimostrandosi così che l’effetto di questi farmaci è puramente sintomatico.
La memantina in monoterapia o in associazione con anticolinesterasico (donepezil) per una durata da tre a sei mesi
hanno dimostrato di essere efficace nei pazienti con MA da moderata a grave. In questi studi, la memantina si è
dimostrata generalmente ben tollerata, più degli anticolinesterasici.Tra i potenziali eventi avversi, i più disturbanti sono
la comparsa di agitazione psicomotoria e di transitoria confusione. In sostanza, sembra trattarsi di un farmaco più
maneggevole degli inibitori dell’acetilcolinesterasi, ma di efficacia anche più modesta.
Trattamento dei sintomi non cognitivi
La maggior parte dei pazienti che sono affetti da demenza sviluppa durante il decorso della malattia sintomi non
cognitivi quali depressione, ansia, agitazione, deliri, allucinazioni, insonnia. La presenza di questi sintomi deve essere
attentamente monitorata ed eventualmente trattata, perché la loro gravità e durata sono associate a progressione più
rapida del deterioramento cognitivo e ad aumento del tasso di istituzionalizzazione. Purtroppo, i farmaci comunemente
utilizzati per il trattamento dei sintomi non cognitivi hanno importanti effetti avversi quali, ad esempio, ipersedazione,
disinibizione, parkinsonismo, acatisia, facilitazione di cadute. Pertanto, prima di intraprendere qualsiasi intervento
farmacologico, è opportuno esplorare la possibilità di strategie di intervento alternative.
Insonnia - È utile in prima istanza mantenere il paziente il più possibile sveglio durante le ore diurne, evitando
sonnellini pomeridiani, ridurre l’assunzione di liquidi dal primo pomeriggio, trattare un’eventuale ipertensione arteriosa
concomitante con farmaci diversi dai diuretici, che favorirebbero risvegli notturni. Solo quando tutte queste strategie
dovessero fallire è opportuno il ricorso a farmaci, tra i quali i più comunemente utilizzati sono trazodone (Trittico cpr
25 mg, o 50 mg o 75 mg 100 mg), gli ipnoinducenti non benzodiazepinici (Zolpidem: Stilnox cpr 10 mg,
Zopiclone:Imovane cpr 7.5 mg, Zaleplon: Sonata cpr 5 mg o 10 mg) o le benzodiazepine a media emivita
(Lormetazepam: Minias cpr 1 mg o 2 mg o gtt 2,5 mg/mL, Temazepam: Normison cpr 20 mg). Infatti, l’uso di
benzodiazepine ad emivita medio-lunga o lunga (e.g., diazepam o nitrazepam) ne aumenta il rischio di accumulo (per
diminuita efficienzadel catabolismo farmacologico nell’anziano) con conseguente ipersedazione diurna, mentre l’uso di
benzodiazepine ad emivita molto breve (e.g., triazolam) è stato associato a risvegli precoci e a fenomeni paradossi di
maggiore ansia nelleore diurne (effetto “rebound”).
Disturbi psicotici (deliri, allucinazioni), ansia e agitazione- Solo i neurolettici hanno un’indicazione ben definita. Stante
la generale transitorietà e, spesso, relativa modestia dei sintomi “psicotici” nel decorso della MA, il trattamento con
neurolettici si impone solo quando tali disturbi sono distruttivi per il paziente o per chi se ne prende cura. Quando si
opta per l’intervento farmacologico, è opportuno incominciare con la dose più bassa possibile, incrementandola
lentamente e attestandosi alla minima dose efficace. Una volta ottenuto il controllo dei sintomi, l’eventuale sospensione
del farmaco deve essere periodicamente riconsiderata,previa graduale diminuzione del dosaggio I neurolettici
tradizionali (e. g., aloperidolo: Serenase cpr 1 mg o 5 mg o 10 mg; gtt 2mg/2mL o 5 mg/2mL) vengono preferiti ai
neurolettici “atipici” (risperidone, olanzapina, quetiapina), non solo per i costi più contenuti, ma anche in seguito alla
segnalazione di aumentato rischio di mortalità per eventi cardio- e cerebrovascolari in soggetti trattati con risperidone
od olanzapina rispetto a quelli in placebo, anche se questi farmaci sono meno gravati da effetti avversi di tipo
extrapiramidale. Per il trattamento dell’agitazione psicomotoria si possono utilizzare le benzodiazepine ad emivita
medio-breve (e.g. oxazepam: Serpax cpr 15 mg o 30 mg).
Depressione - Va considerata nella diagnosi differenziale tra MA accompagnata da depressione reattiva e depressione
primaria condizionante un sensibile rallentamento cognitivo. Demenza e depressione non sono, infatti,mutuamente
esclusive, e sintomi depressivi sono rilevabili nel 40-50% dei pazienti affetti da MA. Un trattamento antidepressivo in
un paziente affetto da MA è giustificato non solo in ragione della sofferenza del paziente, ma anche del recupero di una
migliore autonomia funzionale alla risoluzione dei sintomi depressivi. Gli antidepressivi di scelta sono gli inibitori della
ricaptazione della serotonina (ad es., fluoxetina, paroxetina, sertralina, citalopram), preferibili rispetto ad antidepressivi
tradizionali come l’amitriptilina per minori effetti indesiderati di tipo anticolinergico.
7. IL PAZIENTE CON SCLEROSI MULTIPLA
La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica multifocale e demielinizzante del Sistema Nervoso
Centrale (SNC) che colpisce il cervello, il midollo spinale ed il nervo ottico. La maggior parte dei casi si presenta
nell’intervallo di età tra i 15 e i 50 anni, con un picco di incidenza a 30 anni e colpisce maggiormente il sesso
femminile con un rapporto di circa 2:1.
In base al decorso clinico si distinguono principalmente tre forme:
- recidivante-remittente (RR),
- secondariamente progressiva (SP)
- primariamente progressiva (PP).
La forma RR è di gran lunga più frequente (85% all’insorgenza, 55% complessivamente) e spesso esita nella forma SP
(50% nei 10 anni successivi alla diagnosi). Una frequente modalità di presentazione della SM è la sindrome
clinicamente isolata (CIS), caratterizzata da diversi quadri clinici sintetizzabili come: sindrome midollare, sindrome
troncoencefalica e neurite ottica. Le recidive (attacchi o esacerbazioni) evolvono in genere in modo subacuto (giorni o
settimane), sebbene occasionalmente vi possano essere manifestazioni ad esordio acuto. Il decorso tipico ha un acme
entro un paio di settimane, seguito da un recupero parziale o completo (specialmente nelle fasi iniziali della malattia) in
un periodo non superiore a tre mesi. Alla RMN le recidive correlano con lo sviluppo di lesioni che captano il gadolinio,
espressione della distruzione della barriera ematoencefalica. La forma PP, più frequente negli esordi dopo i 40 anni, è
caratterizzata fin dall’esordio da un decorso cronico-progressivo e rappresenta circa il 15% dei casi.
Sintomi e segni
Le recidive nelle forme RR possono manifestarsi con svariati sintomi, suggestivi di una sofferenza del SNC. Alcuni
sintomi e segni si manifestano più comunemente (neurite ottica, oftalmoplegia internucleare, vertigine, segni sensitivi
midollari, ipostenia, atassia), altri sono rari (corea, distonia, sintomi precoci di disfunzione corticale come afasia,
aprassia e agnosia). Talora i pazienti manifestano difficoltà nella destrezza della mano (disfunzione lemniscale per
lesione a livello cervicale e del tronco) e tipicamente riportano una ipersensibilità al calore. I sintomi possono infatti
essere influenzati da differenze circadiane della temperatura corporea, dal ciclo mestruale, dalla temperatura
ambientale, dalla febbre e dall’esercizio fisico (fenomeno di Uhthoff ). I pazienti con SM mostrano una grande
affaticabilità che si differenzia dall’affaticamento dopo esercizio muscolare. I casi con decorso primariamente
progressivo si presentano tipicamente con un quadro
di mielopatia cronica progressiva, sebbene possano esservi quadri di atassia progressiva, sindromi troncoencefaliche o
demenza.
.
Diagnosi
La diagnosi di SM si basa principalmente su criteri clinici (danno neurologico multifocale che soddisfa i requisiti della
disseminazione spaziale e temporale) e richiede la valutazione di un neurologo esperto, anche in considerazione della
complessità diagnostica differenziale sostenuta dalle innumerevoli condizioni neurologiche e mediche che possono
mimare la SM. La diffusione di metodiche diagnostiche strumentali come la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), ha
permesso di migliorare la sensibilità e la specificità della diagnosi. I criteri di Mc Donald (tabella 21) si basano
sull’utilizzo di RMN per dimostrare la disseminazione nel tempo delle lesioni anche in assenza di sintomi evidenti
della malattia, permettendo così di anticipare la diagnosi e identificano tre categorie diagnostiche: SM certa, SM
possibile e non SM. La RMN rappresenta, infatti, un’ indagine altamente sensibile per la diagnosi di SM e per
monitorizzare l’andamento della malattia nel tempo. Lo studio dell’encefalo e del midollo spinale permette la
definizione delle lesioni, che si presentano come multiple aree di aumentato segnale (“iperintense”) nelle immagini
pesate in Tlungo (T2, DP, FLAIR) . Nelle immagini pesate in T1 dopo somministrazione di mezzo di contrasto
paramagnetico (Gd), la positività indica un danno della barriera emato-encefalica e quindi di lesione infiammatoria
attiva. Le alterazioni di segnale evidenziate con la RMN sono l’espressione di vari gradi di demielinizzazione,
infiammazione, gliosi, edema e perdita assonale.
L’esame liquorale permette di evidenziare la presenza di sintesi intratecale (presenza di bande oligoclonali nel liquor e
non nel siero o elevato IgG index). L’esame del liquor cerebrospinale non aggiunge una significativa specificità alla
diagnosi di SM, ma riveste una certa importanza nella diagnosi differenziale
Tabella 21 - CRITERI DIAGNOSTICI PER LA SM
( McDonald et al: Recommended Diagnostic Criteria for MS. Ann Neurol 2001; 50: 121-127)
Attacchi
Lesioni
Obiettive
RMN
Requisiti supplementari per la diagnosi
2 o più
2 o più
Nessuno, saranno sufficienti i segni clinici
[segni supplementari sono desiderabili, ma devono essere compatibili con la SM]
Disseminazione nello spazio alla RMN3, 4 o esame del liquor positivo e due o più lesioni
alla RMN compatibili con la SM o, clinicamente, un ulteriore attacco che interessi una
sede differente
Disseminazione nel tempo alla RMN o, clinicamente, un secondo attacco
Disseminazione nello spazio alla RMN3, 4 o esame del liquor positivo e 2 o più lesioni
(monosintomatico) alla RMN compatibili con la SM e
Disseminazione nel tempo alla RMN o, clinicamente, un secondo attacco
Esame del liquor positivo
e
Disseminazione nello spazio dimostrata alla RMN da 9 o più lesioni cerebrali T2
o 2 o più lesioni midollari o 4-8 lesioni cerebrali e 1 midollare
o PEV positivi con meno di 4 lesioni cerebrali più 1 lesione midollare
e
Disseminazione nel tempo alla RMN o progressione continua per 1 anno
2 o più 1
1
1
2 o più
1
0
(progressione e
dall’insorgenza)
1
I potenziali evocati rilevano una alterazione di conduzione lungo le vie nervose: visive (PEV), del tronco encefalo
(BAER), somatosensitive (PESS) e motorie (PEM). Nel percorso diagnostico della SM essi acquisiscono un ruolo di
rilievo nella determinazione di un danno neurologico multifocale nei pazienti che non presentano sintomi e segni clinici
riferibili al sistema funzionale indagato. Sulla base delle
evidenze scientifiche i PEV rappresentano il test neurofisiologico più accreditato per la diagnosi di SM.
.
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale della SM può essere più agevole nei pazienti con SM RR che presentano
una storia clinica tipica (es. perdita del visus monoculare, diplopia, fenomeno di Lhermitte o di Uhthoff, segni sensitivi
midollari, fatica, recidive postpartum), una evoluzione subacuta remittente e reperti di imaging, neurofisiologici e
liquorali congrui, pongono scarse difficoltà diagnostiche. In molti pazienti la diagnosi può essere complessa,
particolarmente in presenza di difficoltà nella raccolta anamnestica, di comorbilità psichiatrica o nei casi con decorso
primariamente progressivo. Tra le patologie da considerare per
la diagnosi differenziale vi sono disturbi metabolici e nutri zionali, malattie immuno-mediate o infettive, patologie
vascolari, genetiche, anomalie strutturali della fossa cranica posteriore e midollari, patologie psichiatriche e
neoplastiche. In particolare vanno considerate la sindrome di Sjögren, la malattia di Behecet, la neuropatia ottica
ereditaria di Leber e la neuromielite ottica o malattia di Devic. La neurite ottica, che è spesso il primo segno di una
sclerosi multipla, deve essere differenziata dalle neuriti ischemiche del nervo ottico, dal papilledema causato da
un’ipertensione intracranica, dalla carenza di vitamina B12 e dalla arterite temporale (arterite a cellule giganti). Anche
la mielite trasversa può essere un primo segno di sclerosi multipla: in questo caso però, a differenza ad esempio della
mielite trasversa di origine vascolare, la compromissione è spesso parziale e presenta caratteristiche di minore
bilateralità e simmetria.
Prognosi
La maggior parte delle persone affette da SM sviluppa una progressione graduale con una disabilità neurologica
permanente dopo 10-30 anni dall’esordio. La disabilità è determinata da gravi difficoltà di movimento, paralisi,
problemi visivi, disturbi vescicali, disfunzione sessuale e intestinale, difficoltà cognitive, fatica e sindromi dolorose.
Nella pratica clinica la misura della disabilità viene determinata con l’uso di specifiche scale, la più diffusa delle quali è
la scala EDSS (Expanded Disability Status Scale). L’attesa di vita dei pazienti è ridotta di sette anni rispetto alla
popolazione normale ed è tanto più diminuita quanto maggiore è la disabilità indotta dalla malattia. L’evoluzione della
malattia o il suo esordio di tipo cronico progressivo sono segni prognostici molto negativi. Quando la malattia esordisce
con la neurite ottica la sua prognosi è migliore rispetto ai casi che vedono coinvolto il sistema cerebellare o piramidale.
Terapia
I farmaci che attualmente trovano una indicazione per il trattamento della SM sono caratterizzati da un meccanismo di
azione a diminuire l’infiammazione e a migliorare il recupero neuronale. Questi farmaci vengono definiti “modificanti
il decorso di malattia” (DMT). Non vi sono attualmente terapie ottimali
per una neuroprotezione in grado di interferire con le alterazioni progressive neurodegenerative della SM, né che
promuovano la rimielinizzazione o che costituiscano una cura definitiva. I trattamenti della SM si basano su farmaci
immunomodulanti o immunosoppressori.
Terapie modificanti il decorso di malattia (DMT)
I pazienti con SM recidivante-remittente attiva (2 recidive cliniche negli ultimi due anni) vengono trattati con i farmaci
immunomodulanti, che esplicano la loro azione influendo a livello della complessa regolazione del sistema
immunitario.. L’interferone beta (INFb) è il primo trattamento registrato con l’indicazione di modificare la storia
naturale della malattia, avendo dimostrato di ridurre le frequenza delle ricadute cliniche in pazienti affetti da SM RR.
Sono disponibili le seguenti formulazioni:
- IFNb-1b (Betaferon) 8 MUI sc a dì alterni,
- IFNb-1a (Rebif ) in 2 formulazioni 22 o 44 μg sc a giorni alterni 3 giorni alla settimana,
- IFNb-1a (Avonex ) 30 μg, 1 fl im alla settimana.
Un altro immunomodulante dispensato dal SSN è
- glatiramer acetato, GA (Copaxone), 1 fl sc ogni giorno.
In Italia questi farmaci sono dispensati a carico del SSN direttamente dai Centri autorizzati dalle Regioni in base a
normative ministeriali ed alla nota 65 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
Un problema correlato alla terapia con interferone è rappresentato dallo sviluppo di anticorpi neutralizzanti. Essi
compaiono dopo un periodo variabile da 6 mesi a 2 anni e sono ritenuti responsabili della scarsa risposta ai farmaci.
Dopo trattamenti prolungati è stata segnalata la possibilità di sviluppare anticorpi anche contro il glatiramer acetato. Il
GA è in genere considerato più tollerato, ma richiede somministrazioni più frequenti (quotidiane). Il follow-up del
trattamento con interferoni richiede controlli ematici periodici per monitorizzare eventuali effetti collaterali a livello
ematologico, epatico o tiroidei; tali controlli non sono necessari con il GA. Per quanto riguarda gli interferoni, la
somministrazione intramuscolare determina in genere minori rezioni cutanee, ma può raramente causare ascessi
muscolari. L’accettabilità del trattamento è migliore effettuando una titolazione lenta e con l’utilizzo contemporaneo di
paracetamolo o ibuprofene per ridurre la sindrome simil-influenzale associata alla terapia.
Il trattamento con IFNb o con GA ha sostanziali limitazioni: il loro effetto clinico a lungo termine è incerto,
l’effetto di tali farmaci sul danno assonale è probabilmente limitato. I dati disponibili suggeriscono
comunque che l’interferone beta può essere più efficace se somministrato precocemente nel decorso della malattia,
forse anche dopo la prima manifestazione clinica.
Altri farmaci utilizzati per il trattamento di pazienti con SM RR in peggioramento o con SM SP sono:
- Mitoxantrone (Novantrone) che ha dimostrato efficacia nel ridurre la progressione della disabilità e le esacerbazioni
cliniche. Il farmaco viene infuso per via endovenosa (12 mg/m2 ogni tre mesi) . Il problema di tossicità più importante
è costituito da una insufficienza cardiaca da moderata a severa, che è stata riportata quando la dose cumulativa supera i
140 mg/ m2 (<1% dei trattati). Per il rischio di difetti alla nascita, è consigliata l’esecuzione di test di gravidanza prima
di ogni dose di somministrazione.
- Azatioprina (cpr 50 mg, dose di 2.5 mg/Kg, per os) è ampiamente utilizzata in Europa come farmaco
immunosoppressore nella SM, pur non essendo registrata con tale indicazione specifica. Il farmaco è efficace nel ridurre
il numero di pazienti con ricadute, a due anni. Circa il 10% dei soggetti non è in grado di tollerare dosi terapeutiche di
azatioprina per la comparsa di effetti collaterali quali intolleranza gastroenterica,
tossicità epatica e depressione midollare.
-Ciclofosfamide (Endoxan fl 1 g-500 mg) può essere somministrata come terapia in bolo ev ( dose nel range 0.75-1
g/m2) secondo vari schemi. Spesso si inizia con trattamenti mensili per 3-12 mesi, quindi ogni 3-6 mesi nell’anno
successivo. Gli effetti collaterali comprendono una mielosoppressione, nausea, perdita di capelli, irregolarità mestruali e
perdita di fertilità, infezioni e cistite emorragica. Il rischio di effetti avversi aumenta con una dose totale cumulativa di
80-100 g.
- Natalizumab (Tysabri), recentemente è stato approvato. Si tratta di un anticorpo ricombinante umanizzato anti-a4integrina prodotto in una linea cellulare murina mediante la tecnologia del DNA ricombinante. È indicato come
monoterapia disease-modifying nella sclerosi multipla recidivante-remittente ad elevata attività in pazienti con
un’elevata attività della malattia nonostante la terapia con interferone-beta o con forme gravi ad evoluzione rapida.
L’uso di Tysabri è stato associato ad un aumentato rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Altri farmaci DMT in fase di registrazione sono Rituximab e Ocrelizumab, anticorpi monoclonali ricombinanti diretti
contro l’ antigene CD2 dei linfociti B. Di particolare interesse è il Fingolimod (Gilenya), un agonista del recettore S1P (
sfingosina 1-fosfato ), prima terapia orale approvata negli Stati Uniti per le forme recidivanti di sclerosi multipla che ha
dimostrato un’efficacia superiore ad interferon beta-1a IM con una riduzione delle ricadute di circa il 50% ad un anno.
Recenti segnalazioni di una relazione fra Insufficienza venosa cerebro-spinale e sclerosi multipla con la possibilità di un
trattamento di angioplastica venosa della giugulare non hanno trovato conferme definitive negli studi clinici
internazionali.
Trattamento delle ricadute
Le ricadute tendono spontaneamente al miglioramento, anche senza terapia, ma circa il 40% lascia deficit residui. Il
trattamento più accettato consiste in un ciclo di 3-5 giorni di corticosteroidi ad alte dosi, vi sono buone evidenze che
questo trattamento migliori il tasso di recupero, ma non l’esito a lungo termine
Terapia sintomatica
Accanto alla DMT è importante intervenire sui sintomi specifici della malattia utilizzando una combinazione
individualizzata di interventi riabilitativi e farmacologici in base al grado di collaborazione ed i bisogni del malato e del
caregiver.
Spasticità
Un primo approccio deve essere diretto a (1) ricerca dei fattori scatenanti che possono avere peggiorato la spasticità,
quali infezioni delle vie urinarie, dismenorrea, ulcere da decubito, assunzione di antidepressivi serotoninergici e (2)
utilizzo di un programma di fisioterapia che includa una mobilizzazione completa, stretching, esercizi aerobici e di
rilassamento. In seconda istanza si deve considerare
l’uso dei farmaci:
 Baclofene (Lioresal cpr 10-25 mg): GABA agonista, particolarmente utile per gli spasmi flessori e estensori. Si
inizia con la dose di 5 mg 2 volte al giorno aumentandola lentamente fino al raggiungimento del beneficio
clinico o alla comparsa di effetti collaterali quali sonnolenza, ipostenia e vertigini. La dose solitamente efficace
è di 30-90 mg/die. Va fatta attenzione alla riduzione eccessiva della spasticità, poichè alcuni pazienti diventano
più deboli quando la spasticità viene ridotta. Bisogna inoltre evitare la sospensione improvvisa per la possibile
comparsa di allucinazioni, agitazione o crisi comiziali.

Tizanidina (Sirdalud cpr 2-4-6 mg): agonista b-adrenergico centrale, indicato nei pazienti che non tollerano il
Baclofene e nei pazienti con paresi grave. Si inizia con la dose di 2 mg la sera da aumentare quindi di 2 mg
ogni 3 giorni, in dosi frazionate, fino alla riduzione della spasticità. La dose efficace è di 8-16 mg/die, con dose
massima di 36 mg. Gli effetti collaterali comprendono sedazione, ipotensione ortostatica, secchezza delle fauci
e aumento degli enzimi epatici. L’associazione dei due farmaci può permettere di ridurre la spasticità
utilizzando dosi inferiori.
 Dantrolene sodico (Dantrium cps 25-50 mg): impedisce il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmico dei
muscoli, è indicato per la grave spasticità nei pazienti che non hanno risposto al Baclofene e alla Tizanidina.
La dose è di 25 mg al giorno da aumentare a intervalli settimanali sino a un massimo di 100 mg 4 volte al
giorno. Gli effetti collaterali comprendono ipostenia muscolare, fatica, epatotossicità.
 Diazepam (Valium per via orale 2-15 mg/die, 10 mg ev per casi acuti di spasmi) e Clonazepam (Rivotril 0.5-1
mg os) possono essere entrambi efficaci per ridurre la spasticità e gli spasmi notturni utilizzando basse dosi
serali associate a Baclofene o Tizanidina.
 La Clonidina (Catapresan cp 0.15-0.3 mg) alla dose di 0.15-0.6 mg può essere associata al Baclofene in quanto
non causa ipostenia, ma va monitorizzata la comparsa di ipotensione posturale.
Nei pazienti con grave spasticità o spasmi dolorosi, che non tollerano la terapia per os, viene proposta la
somministrazione di Baclofen intratecale che richiede l’impianto chirurgico di una pompa di infusione in una tasca
sottocutanea dell’addome.
Disturbi urinari
I tre quadri patologici più comuni di disfunzione vescicale nei pazienti affetti da SM sono:
• iperreflessia del detrusore (vescica piccola e spastica con incapacità di riempimento);
• areflessia del detrusore (vescica flaccida e di grandi dimensioni con incapacità di svuotamento);
• iperreflessia del detrusore con dissinergia sfintere-detrusore.
Di fronte a un paziente con disturbi urinari si deve dapprima escludere una infezione delle vie urinarie, raccogliere una
anamnesi accurata dei sintomi (tenesmo vescicale, esitazione iniziale, frequenza minzioni, nicturia), e invitare il
paziente a tenere un diario delle 24 ore in cui descrivere la frequenza delle
minzioni e il volume urinario. Dovrà inoltre essere misurato il residuo postminzionale mediante ultrasonografia. In un
secondo tempo, se il residuo postminzionale è maggiore di 100 ml o se il paziente lamenta un flusso intermittente o un
dolore dorsale alla minzione, vi è l’indicazione a
eseguire esami urodinamici.
La scelta del trattamento deve essere individualizzata e generalmente si basa su tre diversi percorsi terapeutici:
1) iperreflessia del detrusore senza significativo residuo postminzionale (< 100 ml) risponde a farmaci
anticolinergici:
• Ossibutinina cloridrato (Ditropan cpr 5 mg alla dose di 2.5- 5 mg 2-3 volte al giorno, fino a un
massimo di 5 mg 4 volte al giorno); gli effetti collaterali sono secchezza delle fauci, stipsi, visione
offuscata. Prescrivibile con nota 87 AIFA.
• Tolterodina (Detrusitol cpr film 1-2 mg 2 volte/die), meglio tollerata per minori effetti
collaterali.
I due farmaci possono essere associati, un sovradosaggio può causare ritenzione urinaria.
2) dissinergia del detrusore-sfintere con elevato residuo urinario (>150 ml) risponde a una associazione di
farmaci anticolinergici e autocateterizzazione intermittente.
3) areflessia del detrusore viene trattata con autocateterizzazione intermittente.
Varie tecniche di riabilitazione del pavimento pelvico hanno lo scopo di aumentare la consapevolezza di zone corporee
poco rappresentate a livello corticale e di aumentare la statica pelvica. Per la disfunzione vescico-uretrale è talora
indicato un trattamento combinato di riabilitazione e stimolazione elettrica.
Disfunzione intestinale
Può essere associata a quella vescicale o anche manifestarsi in modo isolato; più frequentemente è caratterizzata da
stipsi collegata all’immobilità e all’uso di anticolinergici. L’assunzione adeguata di liquidi, l’utilizzo di sostanze che
aumentano la massa fecale (crusca, ispagula tegumento, sterculia) o di emollienti può migliorarare il problema. Nei casi
di incontinenza fecale, oltre ad agenti che aumentano la massa fecale ed un programma di evacuazione regolare, può
essere utile l’utilizzo di farmaci anticolinergici, ad esempio Imipramina (Tofranil cpr 10-25 mg fino a 25 mg 4
volte/die).
Disfunzione sessuale
Molto comune nei pazienti con SM è dovuta direttamente a lesioni organiche del SNC ma è anche secondaria a fattori
psicologici, alla fatica, al dolore, agli spasmi, alla disfunzione vescicale e intestinale e agli effetti collaterali delle
terapie. I disturbi devono essere valutati anche in ambito specialistico
ginecologico e/o urologico.
Nei maschi, per quanto riguarda la disfunzione erettile vengono utilizzati con beneficio gli inibitori dell’enzima
fosfodiesterasi tipo V:
- Sildenafil, (Viagra cpr 25-50-100 mg) alla dose di 50-100 mg un’ora prima del rapporto sessuale.
- Tadalafil (Cialis cpr 10 mg)
- Vardenafil (Levitra cpr).
Recentemente vi è stata la segnalazione di casi di neuropatia ottica ischemica non arteritica dopo somministrazione di
farmaci anti-impotenza; La nota 75 prevede unicamente la prescrivibilità di Alprostadil (Caverject iniettabile) con
l’indicazione per lesioni permanenti del midollo spinale. Questo farmaco, costituito da prostaglandina E1, viene
iniettato nei corpi cavernosi ed è considerato di seconda scelta, quando vi siano controindicazioni al trattamento orale.
Nell’impossibilità di un trattamento farmacologico sono utilizzabili altri presidi locali (pompe ex vacuo) o protesi
chirurgiche.
Nelle donne, oltre ai motivi secondari prima elencati, manifestano spesso difficoltà alla lubrificazione vaginale e nel
raggiungere l’orgasmo. Devono essere considerati il trattamento del dolore, la lubrificazione con creme vaginali, il
miglioramento della sensibilità con il raffreddamento delle regioni genitali e l’addestramento del partner a tecniche di
esplorazione corporea.
Fatica
È un sintomo frequente nei pazienti con sclerosi multipla, non direttamente correlato alla disabilità fisica, con eziologia
multifattoriale. Dapprima è utile una valutazione psicologica del paziente alla ricerca di una eventuale depressione o
disturbi del sonno,quindi un approccio fisioterapico e di terapia occupazionale
per apprendere strategie per migliorare l’efficienza. È molto importante ottimizzare l’idratazione e la nutrizione; sono
consigliati il fitness aerobico, il raffreddamento con aria condizionata, docce rinfrescanti, bevande fredde,
l’abbigliamento, l’utilizzo di antipiretici in caso di febbre, lo sviluppo di prassi routinarie di riposo e sonno. Per quanto
riguarda la terapia farmacologica gli strumenti a disposizione sono pochi e parzialmente efficaci.
- Amantadina (Mantadan cpr 100 mg) è il farmaco più usato, alla dose di 200 mg/die; somministrato a metà
mattina e metà pomeriggio; è ben tollerato, il beneficio può diminuire con il tempo, per cui può essere utile
periodicamente una vacanza terapeutica di 2-3 settimane. Gli effetti collaterali possono comprendere cefalea,
sintomi gastrointestinali, incubi, livedo reticularis.
- Modafinil (Provigil cpr 100 mg) viene utilizzato alla dose di 100-200 mg/die, al mattino; come effetti
collaterali sono segnalati disturbi gastrointestinali e stimolazione del sistema nervoso centrale con ansia e
insonnia.
- Fluoxetina, come altri antidepressivi inibitori selettivi della serotonina, è utile se vi è una sottostante
depressione. Recentemente sono stati segnalati effetti benefici della acetil-L-carnitina in un trial di confronto
con la amantadina.
- Aspirina, alla dose di 1300 mg, è stata studiata con dati relativamente incoraggianti.
Tremore e atassia
Sono sintomi disabilitanti, manifestati in circa il 10-15% dei pazienti, con scarsa risposta alla terapia farmacologica
- Clonazepam (Rivotril cpr 0.5 mg) alla dose serale di 0,5 mg aumentabile fino a controllo del tremore o alla
comparsa di eccessiva sedazione è il trattamento più efficace.
- Primidone (Mysoline cpr 250 mg) raramente tollerato;
- Propanololo (Inderal ) specialmente in caso di anamnesi di tremore familiare;
- Carbamazepina (Tegretol) soprattutto se coesistono altri sintomi che beneficiano dal trattamento;
- Ondasetron (Zofran) il cui utilizzo è limitato da scarsa efficacia, cefalea, costipazione e alto costo
- Gabapentin (Neurontin cps 100-300-400 mg con dose giornaliera fino 1800-2400 mg).
La terapia occupazionale e la fisioterapia possono essere utili a fornire strumenti per l’adattamento (ortesi per il polso e
deambulatori).
Sintomi parossistici
I sintomi parossistici possono essere motori quali la distonia parossistica, la miochimia facciale e l’emispasmo facciale
o sensitivi quali parestesie anche dolorose, il prurito, la nevralgia trigeminale. La terapia di scelta è con farmaci
antiepilettici (Carbamazepina, Lamotrigina, Fenitoina, Gabapentin,
Topiramato), più recentemente è stato utilizzato il Misoprostolo (Cytotec cpr 200 mcg) alla dose di 200 mg 3
volte/die. Nel 3-5% dei pazienti con SM possono presentarsi crisi comiziali che sono generalmente ben controllate con
basse dosi di antiepilettici standard.
Depressione
La depressione maggiore è descritta con percentuali variabili nei vari studi, in circa il 40% dei pazienti; nel 22% vi è un
disturbo di adattamento con umore depresso. La fatica ed il deficit di memoria e concentrazione sono comuni sia alla
depressione sia alla SM e quindi son poco utili per identificarla. Sintomi più predittivi sono: deflessione dell’umore
grave e persistente, anedonia, apatia, anoressia, disturbi del sonno, sconforto, pessimismo. Alcuni farmaci utilizzati per
la SM possono ulteriormente influire negativamente sulla depressione (Baclofene, Benzodiazepine). Vi sono evidenze
che supportano l’utilizzo di farmaci antidepressivi per il trattamento della depressione maggiore nella SM. Nella scelta
del farmaco, oltre all’attenzione per gli eventuali effetti collaterali negativi si può considerare la possibilità di trattare
contemporaneamente altri sintomi (fluoxetina utilizzata anche per la fatica, altri antidepressivi migliorano l’insonnia),
selezionando il trattamento in base ai possi bili vantaggi globali sul quadro clinico del singolo paziente. Alcuni studi
hanno valorizzato l’efficacia di terapie psicologiche di supporto con strategie cognitivo-comportamentali. È da
sottolineare infine l’importanza del complesso rapporto tra lo stesso neurologo ed il paziente, con costante attenzione
all’impatto emotivo della malattia.
Disturbi del sonno
I disturbi del sonno sono tre volte più comuni nei malati di SM che nella popolazione generale. Nella SM si può
manifestare l’intero spettro delle anomalie del sonno. Devono essere riconosciute e trattate le cause secondarie che
contribuiscono all’insonnia: effetto collaterale di varie terapie sintomatiche utilizzate (Amantadina, Modafinil,
Baclofene, Fluoxetina); cause psichiatriche: ansia, agitazione, depressione, psicosi e insonnia psicofisiologica. Sono
inoltre molto comuni i risvegli dovuti a disfunzione vescicale o spasmi muscolari. Nel caso si rendesse indispensabile
un intervento farmacologico sono preferibili gli ipnoinducenti non benzodiazepinici (Zolpidem: Stilnox cpr 10 mg,
Zopiclone:Imovane cpr 7.5 mg, Zaleplon: Sonata cpr 5 mg o 10 mg) o le benzodiazepine a media emivita
(Lormetazepam: Minias cpr 1 mg o 2 mg o gtt 2,5 mg/mL, Temazepam: Normison cpr 20 mg). Nei malati di SM si
possono manifestare sonnellini diurni, latenze di addormentamento e risvegli notturni. Vi è frequentemente la
manifestazione di movimenti periodici delle gambe e apnea da sonno centrale. Questi problemi possono contribuire
alla fatica diurna. La terapia consiste nella Levodopa, cominciando con circa 50 mg alla sera, con incrementi graduali.
Alternative sono fornite da altri dopamino- agonisti. È anche utile ridurre la caffeina e la nicotina, e correggere una
eventuale carenza di ferro. La sindrome da apnea ostruttiva è associata usualmente a russamento, restless sleep,
sudorazioni notturne, cefalea al risveglio e eccessiva sonnolenza diurna. Essa è resa più probabile dalla presenza di
lesioni bulbari. Lo studio polisonnografico permette di individuare i casi in cui è utile una assistenza respiratoria
(CPAP).
Disartria e disfagia
Questi disturbi sono particolarmente invalidanti, la prevalenza si aggira intorno al 30%. Non vi è terapia farmacologica,
salvo il trattamento dell’ipersalivazione, del singhiozzo o dei sintomi da reflusso gastro-esofageo. La gestione dei
sintomi deve essere affidata ad una équipe multidisciplinare che comprenda l’ortofonista, il laringoiatra e il fisiatra.
Dolore
Se il dolore è causato dalla riduzione della motilità o da movimenti anomali, prima di ricorrere ai farmaci va valutato il
trattamento fisiatrico con mobilizzazione passiva, esercizio fisico, o altre procedure da non prescrivere, comunque, di
routine (ultrasuoni o laserterapia). Se il trattamento non farmacologiche fallisce, si possono utilizzare gli appropriati
farmaci analgesici o la stimolazione nervosa transcutanea (TENS) oppure i farmaci antidepressivi. Le
raccomandazioni delle linee guida europee sul trattamento farmacologico del dolore neuropatico centrale della SM
comprendono come trattamenti di prima linea pregabalin e gabapentin. Il tramadolo può essere considerato
come trattamento di seconda scelta, gli oppioidi come trattamento di seconda o terza scelta. Se gli altri trattamenti
falliscono possono essere considerati i cannabinoidi.
8. IL PAZIENTE CON NEUROPATIA PERIFERICA
Definizione
Le neuropatie periferiche, caratterizzate dalla compromissione del sistema nervoso periferico dalle cellule midollari,
alle radici e ai nervi, si classificano in base ai seguenti criteri:
Tabella 22 – CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE NEUROPATIE PERIFERICHE
Etiologia:
- genetiche
- acquisite (autoimmuni; carenziali e metaboliche; infettive; tossiche (ad es.,farmaci)
Estensione:
- Forme asimmetriche, -mononeuriti (la sintomatologia si esprime su un’area innervata da un unico nervo) e
mononeuriti multiple ( i tronchi nervosi interessati sono più di uno, colpiti in modo asimmetrico e ciascuno con
la sua proiezione), spesso associate a vasculiti sistemiche, a compressione o intrappolamento, a malattia da
siero o post vaccinali, lebbra, rabbia, Herpes Zoster);
- Forme simmetriche: polineuriti (interessamento diffuso, simmetrico e contemporaneo dei nervi periferici), che
riconoscono una molteplicità di cause (v. tabella)
Tipo di lesione:
- Demielinizzanti (se colpita prevalentemente la mielina),
- Assonali (se l’interessamento primario è dell’assone o del corpo cellulare)
Semeiologia:
- sensitive,
- sensitivo-motorie
- motorie
- autonomiche
Decorso:
- acute,
- subacute,
- croniche o
- recidivanti
Diagnosi
Nel caso si sopetti una neuropatia periferica ci si devono porre le seguenti domande:
1) Si tratta di una mononeurite oppure di una mononeurite multipla o di una polineurite?
2) Si tratta di una forma acuta o cronica?
3) Quale ne è la possibile causa?
Il primo quesito è di facile soluzione considerando la distribuzione della sintomatologia eventualmente
integrata dalla elettromiografia. Per la soluzione del secondo quesito vale l’anamnesi, tenendo conto che le forme
iniziali acute possono cronicizzare e che grande importanza diagnostica ha l’andamento progressivo o
fluttuante della sintomatologia. La risposta al terzo quesito può essere molto semplice nel caso di forme secondarie a
patologie o eventi noti, ma può essere solo presuntiva negli altri casi. Il quadro clinico si può manifestare con disturbi
esclusivamente motori come nella Sclerosi Laterale Amiotrofica (Malattia del Motoneurone), dove domina l’atrofia
muscolare progressiva, capricciosa nelle sue localizzazioni, a evoluzione fatale, oppure con forme esclusivamente
sensitive, come la neuropatia distale sensitiva diabetica, dove sono in primo piano disestesie e parestesie. Spesso però i
disturbi sensitivi e motori si sovrappongono (forme miste). Le cause delle principali neuropatie sono illustrate nella
tabella 23.
Tabella 23 - CAUSE DELLE PRINCIPALI NEUROPATIE PERIFERICHE
POLINEUROPATIE EREDITARIE
PNP ereditarie sensitivo motorie (HMSN)
HMSN I e II o malattia di Charcot-Marie-Thoot
Neuropatia ereditaria con paralisi da compressione
PNP ereditarie sensitive, sensitivo-autonomiche
PNP in corso di malattie metaboliche ereditarie
PNP associata a porfiria
Leucodistrofia metacromatica
PNP amiloidosica familiare
Malattia di Refsum
POLINEUROPATIE ACQUISITE
Polineuropatie immunomediate
Poliradicolonevrite acuta o S. di Gullain-Barrè
PNP infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP)
PNP motoria a blocchi multipli
PNP in corso di crioglobulinemia
Polineuropatie dismetaboliche e disendocrine
PNP diabetica
PNP uremica
PNP da mixedema
PNP carenziali
PNP alcolica
PNP da deficit vitaminico: vit. B12 e nutrizionali (beriberi, pellagra), s. da malassorbimento
Polineuropatie tossiche
PNP da farmaci ((isoniazide, fenitoina, idralazina, amitriptilina, etc.)
PNP da sostanze tossiche (arsenico, piombo, tricloroetilene acrilamide, pesticidi, etc.)
PNP paraneoplastiche (polmone)
Polinolineuropatie in corso di malattie dei connettivi
Neuropatia in corso di Panarterite nodosa
Sindrome di Churg Strauss
Polinolineuropatie infettive
PNP in corso di infezione da HIV
PNP difterica
PNP in corso di malattia di Lyme
PNP della malattia critica
L’EMG permette di valutare nel singolo caso le componenti neurogene, miogene o miste. La Sclerosi Laterale
Amiotrofica (SLA) è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che colpisce selettivamente i motoneuroni e
non può essere classificata a rigore come una neuropatia periferica, ma va ricordata come esempio di una forma motoria
pura per la presenza, accanto all’atrofia muscolare, di crampi, fascicolazioni, iperreflessia, disturbi della deglutizione e
della parola che rendono il paziente inabile, malgrado l’integrità dei processi intellettivi.
Un’altra causa da tener presente è la carenza di vit. B12 e di acido folico di cui la neuropatia può essere il primo segno
clinicamente evidente. Numerosi farmaci (tabella 24) possono provocare delle polineuropatie. La neuropatia può
manifestarsi nel quadro di una sindrome paraneoplastica e di una paraprotidemia, come il mieloma e la
crioglobulinemia o di una amiloidosi primitiva e secondaria. Queste forme possono manifestarsi diversamente, spesso
come mononeuriti multiple con interessamento dei n. cranici, disestesie, sindromi neurovegetative. La diagnosi si basa
sulla correlazione della sintomatologia neurologica con una condizione di base, spesso misconosciuta, che va
accuratamente ricercata.
Tabella 24 - FARMACI POTENZIALMENTE RESPONSABILI DI
POLINEUROPATIE
• amiodarone
• etionamide
• piridossina
• amitriptilina
• glutetimide
• sali d’oro
• cisplatino
• fenitoina
• sulindac
• cloramfenicolo
• idralazina
• taxolo
• colchicina
• isoniazide
• l-triptofano
• dapsone
• metronidazolo
• vidarabina
• doxorubicina
• mexiletina
• vincristina
• etanbutolo
• nitrofurantoina
L’attenzione del medico di famiglia nei confronti di una neuropatia periferica deve essere richiamata dalla deposizione
di un’evidente diminuzione di forza con iporeflessia agli arti inferiori; l’EMG e l’ENG permettono di distinguere
l’interessamento neurogeno da quello muscolare e le lesioni demielinizzanti, caratterizzata da un aumento della velocità
di conduzione, da quelle assonali.
Paralisi di Bell
Si tratta di una mononeurite che interessa il nervo facciale e la muscolatura corrispondente, connessa con
l’infiammazione del nervo entro il canale facciale in relazione con infezioni dsa virus erpetici (HS, VHZ) o per cause
infiammatorie di origine ignota. L’inizio è improvviso, sempre unilaterale, con paralisi della muscolatura facciale
superiore e inferiore di un lato associata a perdita unilaterale del gusto nella parte anteriore della lingua (disgeusia) e
iperacusia con diminuzione della tolleranza al rumore (per interessamento della chorda tympani). Nella grande
maggioranza dei casi si ha un completo recupero in tre settimane, in alcuni casi il recupero richiede mesi, mentre solo
nel 15% residuano sequele (paresi permanente, sincinesie, emispasmi facciali). In questi casi non è da escludere
l’intervento chirurgico di decompressione. Va, in ogni caso, protetta la cornea, dato il lagoftalmo unilaterale, causa di
gravi complicanze oculari.
Terapia – Sulla base delle evidenze disponibili è possibile che gli steroidi (prednisolone 25 mg due volte al giorno per
10 giorni a scalare) siano efficaci nel trattamento della paralisi di Bell, accelerando il recupero e incrementando la
probabilità del recupero completo. Controversa è l’utilità degli antivirali in aggiunta alla terapia. La vitamina B12 per
via intramuscolare sembra invece avere qualche efficacia. Trattamenti complementari includono la protezione
dell’occhio con colliri o pomate e bendaggio notturno
Malattia di Guillain-Barré,
Si tratta di una poliradicolonevrite sensitivo-motoria, prevalentemente motoria, demielinizzante, probabilmente dovuta
ad una reazione crociata con una componente antigenica che rimane
solitamente ignota. In circa il 50% dei casi l’esordio è preceduto da un episodio simil influenzale e nel 20% da una
enterite acuta. La sintomatologia è caratterizzata inizialmente da parestesie distali che si estendono prossimalmente
nell’arco di pochi giorni, accompagnate da un ingravescente deficit di forza, inizialmente distale. I sintomi sensitivi
possono essere assai lievi o anche mancare. La debolezza muscolare interessa simmetricamente gli arti, di solito prima e
più gravemente quelli inferiori ma raramente può iniziare
da quelli superiori e non risparmia i muscoli prossimali. Sono assenti disturbi sfinterici. Vi è caratteristicamente
areflessia. I nervi cranici sono interessati con paralisi del nervo facciale mono o bilaterale, disfonia e disfagia da
interessamento del IX e X nervo cranico. Se la paresi interessa la muscolatura respiratoria si può rendere necessario il
ricovero in una unità di terapia intensiva. Il peggioramento avviene nell’arco di 2-4 settimane e nelle forme più gravi
può portare ad una tetraplegia flaccida, areflessica. Nella maggior parte dei casi (oltre 80%) si osserva una restitutio ad
integrum.
La diagnosi è principalmente clinica e si basa sui seguenti criteri:
1) esordio acuto,
2) prevalenza dei sintomi motori,
3) interessamento di almeno due arti,
4) areflessia,
5) simmetria dei disturbi.
L’esame del liquor mostra un incremento delle proteine oltre i 45mg/100 ml in assenza di aumento
della cellularità (dissociazione albumino-citologica).
I reperti caratteristici dell’EMG sono indicativi di una patologia demielinizzante: blocchi di conduzione motoria e
rallentamento delle velocità di conduzione motorie. La presenza di segni di denervazione è un indice prognostico
negativo,
Terapia - I trattamenti di scelta sono la plasmaferesi (PEX) o la somministrazione ev di immunoglobuline iperimmuni
ad alte dosi. La plasmaferesi è un trattamento aspecifico in quanto rimuove tutti i fattori implicati, a diversi livelli, nel
processo patogenetico. Deve essere iniziata il prima possibile, in particolare entro due settimane dall’esordio dei
sintomi, ma si è dimostrata parzialmente efficace anche se iniziata dopo un mese. Deve essere ripetuta a giorni alterni
per un totale di 3-5 sedute. Le immunoglobuline ev (IVIg) si sono rivelate altrettsnto efficaci come la PEX. Devono
essere eseguite entro due settimane dall’esordio dei sintomi. La dose più utilizzata è di 0.4 g/kg/die per 5 giorni di
trattamento.
Nelle fasi acute è importante l’assistenza assidua al malato e la correzione dei disturbi che accompagnano la sua
sintomatologia; particolare attenzione va posta ai parametri vitali e alle alterazioni elettrolitiche: ipo e iperpotassiemia,
ipo e ipercalcemia, ipomagnesemia. Come pure è essenziale è la sorveglianza ospedaliera del malato onde intervenire
con la respirazione assistita in caso di insufficienza respiratoria. Ai fini del recupero è molto utile un’assistenza
fisioterapica e, al bisogno, una precoce riabilitazione.
Polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica
La CIDP (Chronic demyelinating inflammatory neuropathy) una polineuropatia sensitivo-motoria infiammatoria, ad
andamento cronico progressivo o recidivante, a probabile patogenesi immunomediata, la cui eziologia è ignota. In
alcuni casi vi è una associazione con una gammopatia monoclonale di incerto significato. È più frequente nei pazienti
diabetici e deve essere distinta dalla classica neuropatia diabetica per la possibilità di essere trattata. Condivide con la
Sindrome di Guillain Barrè alcune caratteristiche cliniche e patologiche.
Terapia - Gli steroidi, le immunoglobuline ad alte dosi (IVIg), e la plasmaferesi (PEX) si sono rivelate ugualmente
efficaci in studi controllati sia singoli che di confronto tra le varie terapie (IVIg contro prednisone).Trattandosi di una
patologia cronica, con periodiche riacutizzazioni o con andamento progressivo, la somministrazione di IVIg o
l’esecuzione di cicli di PEX deve essere protratta nel tempo. Gli steroidi sono assai meno costosi, facilmente reperibili,
ugualmente efficaci, ma presentano importanti effetti collaterali quando usati a dosi piene (prednisone 1-1.5 mg/kg) per
periodi protratti. Nei pazienti che non rispondono vengono utilizzati l’Azatioprina (2 mg/kg/die), la Ciclosporina A, il
Micofenolato mofetil (2 g/die).
L’approccio al paziente dovrebbe essere individualizzato. Devono essere valutati i costi, la durata del trattamento, gli
effetti collaterali, la facilità di reperimento delle cure e la possibilità di frequenti controlli clinici.
Fra le forme secondarie, alcune sono di particolare interesse per la frequenza con cui si manifestano e l’importanza che
possono assumere nell’evoluzione clinica del malato. Anzitutto le neuropatie diabetiche (vedi Tab. 9), che
costituiscono uno degli aspetti più rilevanti della patologia di base, soprattutto per le forme dolorose. Poiché il diabete
mellito ha una prevalenza dell’1-2% la neuropatia diabetica, in una delle sue molteplici forme è la più frequente
neuropatia periferica nei paesi industrializzati. Si ipotizzano 2 meccanismi patogenetici principali: una alterazione dei
vasa nervorum con conseguente danno ischemico ed una alterazione del metabolismo del glucosio con accumulo di
polioli nell’endonevrio. Il mancato compenso glicemico e la durata della malattia sono i principali fattori di rischio. Si
possono classificare le neuropatie diabetiche in neuropatie simmetriche e neuropatie asimmetriche.
Tabella 20 - NEUROPATIE DIABETICHE
Neuropatie asimmetriche
 oftalmoplegia diabetica con paralisi oculomotoria dolorosa acuta
 mononeuropatia acuta (sciatico)
 mononeuropatia multipla asimmetrica, dolorosa, a prevalenza motoria con atrofia muscolare (quadricipite)
 radicolopatia dolorosa con disetesie e perdita di sensibilità segmentaria: tipico reperto EMG
Neuropatie simmetriche
 neuropatia diabetica prossimale, simmetrica, progressiva
 neuropatia sensitiva distale, simmetrica con dolore e parestesie (forma con atassia e pseudotabe e
 forma con accentuati disturbi vegetativi)
Terapia. Il controllo glicemico è il cardine del trattamento della neuropatia diabetica. I pazienti che ricevono un
trattamento insulinico intensivo volto a raggiungere valori normoglicemici
(Hb glicosilata A1c < 7%) hanno una probabilità di sviluppare una neuropatia diabetica, nei 5 anni seguenti, inferiore
del 64% rispetto ai pazienti che ricevono un trattamento tradizionale (Hb glicosilata A1c > 9%). Nonostante però un
controllo glicemico ottimale un quarto dei diabetici sviluppa lo stesso una neuropatia periferica clinicamente
evidenziabile.
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7. IL PAZIENTE CON SCLEROSI MULTIPLA
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http://www.guillain-barre.com
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SIGLE E ACRONIMI UTILIZZATI NEL CAPITOLO
5 HT1= recettore 1 della serotonina
ABCD2 = Age, Bloodpressure, Characteristics, Duration, Diabetes
ASA MTC= salicilato-metoclopramide
BADL=basic activity daily living
BAER = potenziali evocati del tronco encefalo
CBZ = carbamazepina
CGRP= peptide correlato al gene della calcitonina
CIS = SM con sindrome clinicamente isolata
CLB = clobazam
COMT= catecol-O-metiltransferasi
DMT = disease modifying treatment
EDSS = Expanded Disability Status Scale
EMG= elettromiografia
ESM = Etosuccimide
FANS=farmaci antinfiammatori non steroidei
GABA= acido gamma-aminobutirrico
GBP = gabapentin
GVG = vigabatrin
IADL=instrumental activity daily living
IMAO=inibitori monoaminoossidasi
IFNb =Interferone beta
IVIg = immunoglobuline per via endovenosa
LEV = levetiracetam
LTG =lamotrigina
MA=malattia di Alzheimer
MAO = monoaminoossidasi (tipo A o B)
MCI = Mild Cognitive Impairment
MIDA =Migraine Disability Assessment
MMSE=Mini Mental State Examination
MP = malattia di Parkinson
NIHSS=National Institute oh Health Stroke Scale
OXC = Oxcarbazepina
PB = Fenobarbital
PEM == potenziali evocati motori
PESS= potenziali evocati somatosensitivi
PEV= potenziali evocati visivi
PEX = plasmaferesi
PHT = fenitoina
PP = SM primariamente progressiva
PRM = Primidone
RMN (RM) =risonanza magnetica nucleare
RR = SM recidivante-remittente
SLA = sclerosi laterale amiotrofica
SM = sclerosi multipla
SNC=sistema nervoso centrale
SP = SM secondariamente progressiva
SSRI= inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (
SUNCT=Short-lasting unilateral neuralgiform headache attacks with conjunctival injection and tearing
TAC=tomografia assiale computerizzata
TGB= tiagabina
TIA = transient ischemic attack
TPM = topiramato
VPA = acido valproico