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Annale 2014
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COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
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DOI:
22826033
9788898392209
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Finito di stampare nel luglio 2015 presso Atena.net Srl, Grisignano di Zocco (VI).
annale
2014
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COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Bologna 2015
Direzione
Marica Tolomelli
Co-Direzione
Tiziana Lazzari
Coordinatore di redazione Vittorio Caporrella ([email protected])
Redazione
Alice Bencivenni, Claudio Bisoni, Paolo Capuzzo, Maria Pia Casalena,
Davide Domenici, Mirco Dondi, Cristiana Facchini, Maria Teresa
Magnani, Clizia Magoni, Gaetano Mangiameli, Karin Pallaver, Matteo
Pasetti, Paola Rudan
Gian Paolo Brizzi (Università di Bologna), Alberto De Bernardi
(Università di Bologna), Massimo Donattini (Università di Bologna),
Marcello Flores (Università degli Studi di Siena),
John Foot (University College, Londra), Giovanni Geraci (Università di
Bologna), Massimo Montanari (Università di Bologna), Mauro Pesce
(Università di Bologna), Lourenzo Prieto (Università di Santiago di
Compostela), Paolo Prodi (Università di Bologna), Dominic Rathbone
(King’s College, Londra), Maria Salvati (Università di Bologna),
Assistente di redazione Francesca Stanzani
Redazione web
Julian Bogdani, Erika Vecchietti (BraDypUS Editore)
Peer review
double-blind peer review da parte di due esperti esterni. Per ulteriori
informazioni: http://www.storicamente.org/peer_review_it.htm.
all’indirizzo: http://www.storicamente.org/list_reviewers.pdf.
Contatti e proposte
Storicamente, Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di
Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2, Bologna I-40124,
Italy. Indirizzo e-mail: [email protected]
Questo volume è l’edizione annuale a stampa dei saggi
apparsi sull’e-journal Storicamente, realizzato con il contributo del
Dipartimento di Storia Culture Civiltà - Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Gian Paolo Brizzi
Autorizzazione
Tribunale di Bologna n. 7593 del 9 novembre 2005.
annale 2014
indice
DOSSIER
La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta,
a cura di Marie-Anne Matard-Bonucci,
Patrizia Dogliani
La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta.
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 11
Grégoire Le Quang
Les années de plomb en Italie: la peur, miroir de la violence
politique . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 15
La violence des ultrà au tournant des années 1970:
une violence politique? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 47
Romain Legendre
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence . . . . . . . . . . . .
p. 71
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie . . . . . .
p. 99
Un “printemps romain?”: il «movimento ‘77» visto dalla
stampa francese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 123
STUDI E RICERCHE
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e
Ruanda e i problemi del dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 155
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in
Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 191
FONTI E DOCUMENTI
Ottavio D’Addea
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di
Michele Sindona. La Prima relazione del commissario liquidatore
p. 221
Rebellion, Resistance and Revolution Between the
Old and the New World: Discourses and Political
Languages, a cura di Angela De Benedictis
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the
New World: Discourses and Political Languages.
An Introduction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 267
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the
English Revolution . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 283
Insurrections, Bank and Private Contracts: How Society shaped
the Constitutional Order during the American Revolution . . . . .
p. 307
Nova Totius Terrarum Orbis: Modern theory of sovereignty
and the neutralization of Atlantic Disobedience . . . . . . . . . . . . . .
p. 323
Bolívar’s Discurso de Angostura and the constitution of the
people . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 337
COMUNICARE STORIA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 351
Cesarina Casanova
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna.
A proposito di Delitto e perdono di Adriano Prosperi . . . . . . . . .
p. 381
Fabio Bego
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del
post-comunismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 395
DIBATTITI
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi
sociologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 425
dossier
La vioLenza poLitica
neLL’itaLia degLi anni
Settanta
La violenza politica nell’Italia
degli anni Settanta.
Presentazione
Patrizia Dogliani
Univ. di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà
Marie-anne MatarD-Bonucci
Univ. Paris 8, Département d’Histoire, France
violenza riemerge in ricerche recenti, soprattutto dall’interesse suscitato
scono la società e la politica dell’Italia in epoca contemporanea. Parte
integrante di un’Europa novecentesca messa alla prova della brutalità
sa”, di cui gestisce a lungo il monopolio. Da almeno un quindicennio,
numerose ricerche hanno permesso di analizzare queste manifestazioni.
di violenza coloniale; altre hanno esplorato la questione della criminalità
organizzata e più recentemente il periodo etichettato come “Anni di
piombo”.
Il programma di ricerca tiene conto della pluralità delle espressioni della
violenza, cercando di coglierne ragioni e origini storiche, contestualizzandole in realtà politiche, sociali ed anche locali, che implicano attori
12
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
progetto di ricerca triennale in corso presso l’École Française de Rome,
in collaborazione con le università francesi di Grenoble edi ParisVIII e
l’Università di Bologna, è quello di uno studio dell’impatto di queste
violenze sui processi democratici e sui processi di democratizzazione
attraversati dall’Italia nel corso del XX secolo. Agli storici e alle storiche che stanno partecipando a questo progetto in incontri periodici (il
primo tenutosi a Parigi presso l’Université de Paris VIII a Saint-Denis
nell’aprile 2013; il prossimo a Roma presso l’EFR nel novembre 2014)
in cui si discutono i risultati di ricerche in corso o di studi recenti, sono
state poste alcune domande di fondo. E’ stato loro chiesto di analizzare
come le forze politiche e le istituzioni democratiche si sono confrontate
con la violenza politica e sociale nell’Italia liberale e poi repubblicana.
meno stretto) dei valori democratici. E ancora: in quale misura pratiche
è stato loro suggerito di interrogarsi su come settori della società si sono
mobilitati contro alcune forme di violenza politica e criminale per difendere con tale azione anche principi democratici di base.
leggi d’emergenza e rispetto del diritto, tra repressione e mantenimento
delle libertà fondamentali, in una prospettiva che non fosse solo d’ec-
politiche che l’hanno creata e la molteplicità delle tradizioni intellettuali
e civili che l’hanno ispirata.
Dunque questi primi studi, e altri che qui seguiranno, aiutano a confrontare fenomeni violenti di natura diversa, e il funzionamento dell’impianto democratico basato su attitudini e funzionamenti, a volte ricorrenti, a volte divergenti perché derivati da un cumulo di esperienze
PATRIZIA DOGLIANI, MARIE-ANNE MATARD-BONUCCI
La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta. Presentazione
13
cresciute in seno alla società civile: dall’antifascismo alla mobilitazione
nella lotta contro il terrorismo sono stati in parte riutilizzati contro la
pentito, organizzazione di processi collettivi, ecc.). Anche nella memoria pubblica, è da segnalare questa comunanza, sancita nel 2007 dalla
terrorismo”. Il progetto intende inoltre aiutare a comprendere varianti
ed intensità delle diverse culture politiche che hanno generato violenze
minate per gli anni Settanta.
Les années de plomb
en Italie : la peur, miroir
de la violence politique
grégoire le Quang
Univ. Paris 8, UFR Textes et société, EA1571 Centre de
recherches historiques, Saint-Denis, France
Gli anni Settanta in Italia sono associati ad un clima di paura, evidente nelle note espressioni quali “Gli anni di piombo”, “terrorismo” e “strategia della tensione”. Ma come
intensità e tempi? Tali paure devono sia essere contestualizzate all’interno della vasta
violenza politica nell’Italia degli anni Settanta: alcuni gruppi, ricorrendo a approcci
di paura.
-
the Cold War, but the political violences in the 1970’s in Italy are also particular: some
16
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
introduction
ce, volontiers représenté de manière romanesque ou romantique (parmi
, sorti en 2009), parfois saisi dans toute son horreur («Le
viol», monologue de Franca Rame racontant en 1975 son agression [Fo,
pas moins de 13 000 attentats en 13 ans (de 1969 à 1982) sont recensés,
pour un total de 362 victimes1 [Della Porta, Rossi 1984], une vague de
violences sans équivalent dans le monde occidental contemporain, tant
par son intensité que par sa durée. Ce phénomène est d’autant plus incontournable que les acteurs ont produit, consciemment ou à leur corps
défendant, des images marquantes qui ont traversé les décennies: photographies de manifestations à l’allure insurrectionnelle, cadavre d’Aldo
Moro dans une 4L, wagons éventrés et corps enveloppés de draps blancs
alignés sur des quais de gare [Almeida (d’) 2010, 209-231]. La référence
à la peur est du reste explicite dans une série de dénominations largement employées: «terrorisme», «stratégie de la tension», «années de
plomb» voire «années de l’inquiétude2» [Colarizi 2010, 127-131]. Aul’Italie des années 1970, mais qui ne permettent pas d’entrer dans les
détails de cette peur, considérée comme une évidence.
ont généré des peurs diverses, et plus globalement des réactions de la
société civile comprise de la manière la plus large possible, confrontée
aux «terrorismes», n’a pas encore été entreprise3. C’est que la peur, cet
1
néofascistes.
2
3
stragi, les massacres perpétrés par les bombes
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
17
élément central dans la compréhension des années 1970 en Italie, reste
démonter? D’une illusion rétrospective, comme semble le dire Éric Vial:
«s’il n’y avait pas eu de morts, manifestants ou policiers, on parlerait de
folklore, plus pris au sérieux en France que sur place» [Vial 1999, 377]?
tion du «climat» de ces années: c’est celui d’«années de plomb», de plus
en plus couramment utilisé jusque dans des travaux historiques [Lettieri
von Trotta, Die bleierne Zeit, sorti en 1981, et est donc rétrospectif, renvoyant à l’origine seulement à la deuxième partie de la décennie. Cette
expression concourt donc à réduire une décennie de luttes sous toutes
ses formes à l’image d’une société uniformément victime des violences
politiques, des «extrémismes», dont on a tendance à ne retenir que les
éléments les plus saillants.
Le fait que la violence politique ait été de prime abord étudiée sous
l’angle des acteurs des violences, ou des causes qui ont permis l’irruption
phénomène des violences politiques a touché précisément l’Italie plutôt
qu’un autre pays, explique aussi la relégation au second plan de la question de la peur. Celle-ci est souvent englobée dans l’étude du «terrorisme» et le «terrorisme» lui-même est le plus souvent réduit à un usage
tique de son environnement social, pointe une violence «pathologique»,
assimilée à une dégénérescence du militantisme. C’est une lecture qui
externalise les questions de la violence politique. Étudier le problème des
violences politiques «au miroir de la peur», c’est au contraire chercher à
valoriser une approche globale du phénomène des violences politiques
et de sa réception, du contexte qui a permis l’émergence du «terrori-
Marie-Anne Matard-Bonucci à l’Université de Paris 8 et d’Angelo Ventrone à l’Université de Macerata.
18
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
sme» en tant que phénomène social complexe. Il s’agit en particulier de
comprendre comment la société italienne dans son ensemble a vécu au
compagne la prise de conscience d’un danger réel ou imaginé, d’une
menace». Ce qui prime donc, quand on parle de peur, c’est la sensation
de menace, et non la qualité, réelle ou imaginaire, petite ou grande, du
danger. On pourrait même dire qu’il y a, avant même la peur, un imagiquand le danger a été «imaginé», mis en image. On a peur de ce qui a
été construit socialement comme une menace: la peur a donc ontologiquement une dimension collective.
Aristote, dans l’Éthique à Nicomaque [De Courcelles 2006], donne une
core on voit le rôle de l’imaginaire, et l’aspect un peu irrationnel de la peur,
qui, si elle n’est pas contenue, devient envahissante: on peut s’attendre à un
malheur, de quelque nature qu’il soit, à chaque instant. Le problème posé
par la peur est donc lié aussi à la faculté de se rassurer et/ou d’être rassuré;
tivités, confrontées à la nécessité de rassurer [Febvre 1956]. Ce qui pose,
(ce qui ne va pas de soi, en Italie, pour nombre d’intellectuels).
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
19
Le contexte des années 1970, particulièrement en Italie, est propice à
une prolifération d’imaginaires de peur de natures variées. Ce contexte
idéologique, lié en particulier à un climat de Guerre froide qui se prête
à la diabolisation de l’ennemi, aux suspicions de complots4, permet de
comprendre que ces peurs dominantes dans les années 1970 sont en partie conditionnées par des représentations héritées. Certains événements,
notamment l’attentat du 12 décembre 1969 à Piazza Fontana à Milan,
est lu par les uns, dans un premier temps, comme la concrétisation du
danger anarchiste, et par les autres comme la manifestation d’un dangereux doppio Stato aux mains des activistes néofascistes, et comme la
première manifestation de la «stratégie de la tension5».
Du côté de l’opinion conservatrice, la matrice principale des peurs politiques est l’anticommunisme, sur lequel se construit une bonne partie
de la rhétorique de la DC et de la droite de la DC. Sa première cible
est le Parti communiste italien, soupçonné en permanence de «double
jeu», c’est-à-dire d’être, malgré son apparent soutien aux institutions
de Moscou, œuvrant en sous-main pour soutenir une subversion antidémocratique. On peut d’ailleurs se demander jusqu’à quel point ce
n’est pas en partie ce soupçon qui pousse le PCI à surenchérir dans son
attitude légaliste dans les années 1970. Les peurs générées par la for(souvent appelés cinesi, «chinois», par la presse), sont aussi liées à cet
anticommunisme.
, notamment les communications de Vanessa Codaccioni:
Travailler sur la criminalisation d’une organisation partisane: le cas des “complots”
communistes, et de Pascal Girard:
.
4
5
glais «The Observer» le 14 décembre 1969, puis largement repris ou critiqué en Italie.
20
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Mais il existe en parallèle un soupçon spéculaire présent dans les milieux
de gauche: le soupçon de collusion entre la DC, le «parti américain», et
la CIA, qui, par anticommunisme, soutiendrait des tentatives de coup
d’État antidémocratiques sur le modèle de celui des colonels d’avril 1967
en Grèce. Cela donne lieu à une véritable «paranoïa du coup d’État»
[Della Porta 2010], qui pèse sur les espoirs de la gauche d’arriver au
pouvoir légalement et démocratiquement. Une nouvelle fois, cette peur
est un héritage, au moins de la deuxième moitié des années 1960, avec
les trois tentatives de coup d’État en 1964 (Piano Solo, révélé au public
en 1967), en 1970 (
) et en 1974 (Golpe bianco). À chaque
fois, ces actions sont plus conçues comme des actes d’intimidation que
comme de véritables tentatives de coups d’État [Guerrieri 2008], provoquant de larges campagnes de presse qui tentent d’éclaircir le mystère
inquiétant qui les entoure. Le but de ces actions semble bien être de
répandre l’idée que des réseaux anticommunistes puissants sont prêts à
(ré)agir en cas de victoire de la gauche ou de forts mouvements sociaux,
donc dans un but d’intimidation.
Les travaux de Guido Panvini [2009] montrent que le climat de peur
existe avant le début de la «stratégie de la tension», que l’on date généralement de l’attentat de Piazza Fontana le 12 décembre 1969. Dans cette
optique, «la peur d’un coup d’État a été un élément important dans la
6
». Ce climat de peur
est toutefois loin d’être homogène: Guido Panvini cite ainsi des témoignages qui relativisent cette crainte du coup d’État, comme cet article
du journal trotskiste
datant du 15 mars 1969: «En ce
qui nous concerne, nous ne croyons pas que la situation rende possible
la version la plus sombre d’une répression généralisée, et encore moins
croyons-nous que l’Italie soit à la veille d’un coup d’État7».
6
-
fuso clima di tensione»: Panvini 2009, 61.
7
di una repressione generalizzata e ancor meno crediamo che l’Italia sia alla vigilia di un
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
21
-
violent. La volonté de faire peur s’inscrit dans ce dessein, dans le cadre
tion d’extrême-droite,
, en témoigne. Un de
ses mots d’ordre, scandé au cours des manifestations, après l’accentuation de la répression en Turquie en mars 1971, est: «Ankara, Athènes,
et maintenant au tour de Rome!»8. Dans ce cas, la référence au contexte
géopolitique mondial est interprétée comme une menace exhibée ou
combattue, de la même manière que les militants de la gauche radicale
brandissent la menace des guerres révolutionnaires, au Vietnam comme
en Amérique du Sud. La radicalisation politique entraîne une volonté de
faire peur et de menacer l’ennemi d’élimination.
la peur, un objet pour les sciences sociales
Travailler une émotion comme la peur ne va pas de soi: Raymond Aron
historiciser. On aurait là un objet mobile et sans consistance, qui échapperait presque à l’empire des mots. Pourtant, la peur n’est pas un objet
colpo di Stato»: Panvini 2009, 64.
8
22
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
d’histoire neuf, et l’histoire des représentations a cherché à inscrire la
compréhension des mécanismes des émotions et des sentiments, dont
la peur, dans l’évolution des sociétés et des rapports politiques. Lucien
Febvre [1956], a joué le rôle de précurseur, en tentant de cerner l’articulation des peurs matérielles et eschatologiques au Moyen-âge.
Histoire sociale mais aussi politique, donc, tant il est vrai que la gestion
de la polis
l’origine, à l’organisation du besoin de sécurité, dans ce que Jean Delulement les individus pris isolément, mais aussi les collectivités et les civilisations elles-mêmes sont engagées dans un dialogue permanent avec
la peur» [Delumeau 1978]. Depuis cet ouvrage fondamental de Delumeau, de nombreuses études ont insisté sur le rôle des représentations
religieuses9 ou populaires10. Ces travaux montrent que la peur, loin d’être
seulement une réaction, est un acteur majeur de l’Histoire.
La peur est également un objet d’étude en plein renouveau pour les
sciences sociales, en particulier les sciences politiques, autour de la question des «émotions collectives». Dans un article récent, Isabelle Sommier
[2010] souligne que les théoriciens de l’action collective (en particulier
Charles Tilly et, pour la situation italienne, Sidney Tarrow [1990]) ont
eu tendance, en cherchant à comprendre les raisons qui poussent certains
groupes à se rebeller, à organiser des contestations, à rejeter le secteur des
émotions. L’accent a donc été mis sur les logiques rationnelles, supposant de la part des acteurs un calcul en fonction de la situation politique
et institutionnelle. Cette perspective avait le mérite de tenter d’expliquer
9
10
[1990].
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
23
pourquoi, dans des situations vécues comme injustes, certains groupes
avaient la volonté d’organiser des révoltes et d’autres non, rompant aussi
avec une explication des luttes ou des violences en terme de «frustration».
Or les émotions sont aussi un fort facteur de radicalisation, de mobilisation. Les groupes militants s’organisent ainsi non seulement quand la
situation de crise ne semble pas permettre d’amélioration dans le cadre
d’un fonctionnement institutionnel et politique habituel, mais bien aussi
positive. La peur elle-même peut engendrer dans un premier temps une
pensation» [Sommier 2010, 195], facteur de violence, de radicalisation.
Les travaux de Joanna Bourke [2003; 2006], dans une perspective histoet cultures de peurs collectives. L’étude concerne à la fois les représentations liées à des menaces sociales comme l’apparition de maladies inconnues ou la peur des extraterrestres, que l’«hystérie» anti-communiste
aux États-Unis, les ravages liés aux violences de guerre, et le terrorisme.
Une nouvelle fois, la peur apparaît déconnectée de la dangerosité de la
menace: la construction sociale d’un danger, et la peur qui en résulte,
sont le résultat d’évolutions culturelles complexes.
La manière dont se cristallisent les émotions semble donc bien une piste
d’étude pour comprendre les violences politiques, à la fois dans le contexte du micro, des dynamiques culturelles individuelles façonnées en
partie par des logiques de groupe, et dans des interactions avec la société,
en terme de débat public.
Tracer plus précisément les contours de ces émotions collectives implique pour l’historien de tenter de multiplier les angles d’approche. La
peur reste un objet fragmenté, qui ne laisse pas forcément beaucoup de
24
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
souvenirs de cette peur.
Les sources institutionnelles peuvent permettre de cerner la manière
dont les appareils de l’État réagissent à des épisodes de violence politique. À ce titre, les rapports des préfets, envoyés au cabinet du ministre
de l’Intérieur, sont une source privilégiée pour étudier la manière dont
ces hauts fonctionnaires mettent en forme la réalité, dans une vision qui
notamment la bourgeoisie conservatrice11. Les sources émanant des archives des partis politiques et les archives parlementaires conservent les
de la peur, mais aussi, peut-être, de l’instrumentaliser. La presse est aussi
peur: les médias constituent une source incontournable par leur capacité
à développer une lecture des événements qui contribue à mettre en forpubliés ou oraux sont un complément irremplaçable, même s’ils por1998, 25].
qui ne renvoient pas aux mêmes objets de peur, qui ont des connotations diverses et parfois contradictoires en fonction, notamment, des
pas statiques et évoluent au cours de la décennie; en particulier, elles
accompagnent la succession d’actes de violence qui ont pour but de
11
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
25
: une nouvelle stratégie de peur spec-
12
taculaire
Les années 1970 voient la naissance de nouveaux acteurs qui se donnent
comme objectif explicite d’utiliser la peur comme arme politique. Il y
a peu de textes programmatiques, mais ces stratégies connaissent des
La première forme de violence politique qui se manifeste a pour matrice la droite radicale. Elle agit par anticommunisme d’abord, mais vise
aussi, au-delà, une transformation de la société dans un sens autoritaire
et l’établissement d’un pouvoir fort. Une note, trouvée par un journali13
en 1974 dans les papiers de l’Aginter
ste de l’hebdomadaire
Press à Lisbonne, fausse agence de presse qui est en réalité un groupe
informel lié au régime de Salazar et aux centrales terroristes néofascistes,
notamment en Italie à Ordine Nuovo ou Avanguardia Nazionale, permet
d’éclairer l’arrière-plan idéologique de la mise en place de cette violence
extrême. Signé par un ancien de l’OAS, ce document, rédigé en français,
s’intitule «Notre action politique». On y lit notamment:
Nous pensons que la première partie de notre action politique doit être
de favoriser l’installation du chaos dans toutes les structures du régime.
[…] Cela apporte une situation de forte tension politique, de peur dans
le monde industriel, d’antipathie envers le gouvernement et tous les partis […]. À partir de cet état de fait nous devrons rentrer en action dans le
publique et d’indiquer une solution et de montrer la carence et l’incapacité de l’appareil légal constitué.
12
13
, «L’Europeo», 11, 2009.
26
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Ce document objective les fondements de ce qui a été appelé dès 1969
la «stratégie de la tension». Son objectif est de créer une situation de
désorganisation, provoquant l’impression que l’État est incapable de
protéger. Cette désorganisation devrait amener l’opinion publique à demander des mesures fortes de limitation des libertés publiques. Dans ce
cas, la peur tire son origine moins de la menace d’être atteint dans son
intégrité physique, personnelle, que de la perspective d’une destruction
d’un document non daté qui ne peut nullement être considéré comme
un programme d’action, ce document porte la trace de la matrice idéologique de la méthode du «stragismo14» appliquée en Italie, de manière
discontinue et par des groupes pas nécessairement coordonnés, de 1969
à 1980, et des répercussions politiques recherchées.
climat de peur par de nouvelles techniques de guerre non-conventionde droite nationaliste et anticommuniste. Celle-ci dispose de relais dans
les services secrets et l’armée, dont une manifestation bien connue est
le colloque organisé par l’Istituto Alberto Pollio en mai 1965 à Rome,
au cours duquel des anciens membres de l’OAS viennent détailler de
nouvelles techniques de «guerre révolutionnaire» impliquant le meurtre
de civils innocents au cours d’attaques terroristes massives. Le groupe
Ordine Nuovo, fondé par Pino Rauti en 1954, joue un rôle important
dans la théorisation et la mise en pratique de ces stratégies. On peut
lire ainsi dans les Quaderni di Ordine Nuovo sous la plume de Clemente
Graziani, un des leaders d’Ordine Nuovo, que le combat contre le communisme «implique la possibilité de tuer, des vieux, des femmes, des
enfants. Ces formes d’intimidation terroriste sont, aujourd’hui, non seulement considérées comme valables, mais, parfois, absolument nécessai-
14
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
27
res pour la réalisation d’un objectif précis15». Un autre groupe, celui de
la revue
similaires la pratique des attentats, la comparant aux bombardements
de certaines villes pendant la Seconde Guerre mondiale dans le but de
démoraliser l’ennemi [Guzzo 2008, 50].
entre guerre et paix, civils et militaires, et entraîne véritablement une
«brutalisation» de toute la société, considérée comme un vaste champ de
bataille. Vincenzo Vinciguerra, poseur de bombes néofasciste condamné pour le massacre de Peteano16, dans un entretien avec le journaliste
Sergio Zavoli [1992], revendique d’ailleurs cette «guerre contre l’État»
selon des méthodes «non-orthodoxes», qui a «pour objectif les cerveaux,
les consciences, les cœurs et les âmes des hommes, et non les territoires17». Il s’agit bien de techniques d’«intimidation terroriste», dont le but
est de faire peser une menace, de prendre en otage la société tout entière,
Le moyen pour atteindre cet objectif passe par la mise en œuvre d’attentats frappant à l’aveugle, provoquant des massacres non revendiqués
qui ont pu être imputés aux organisations d’extrême-gauche. Le recours
à l’homicide s’inscrit alors dans une volonté de choquer par des actions
spectaculaires. Dans la pratique, cela a fonctionné à la perfection pour
les bombes du 12 décembre 1969 à Milan et à Rome, mais, très vite,
notamment grâce à la mise en place d’une
-
midazione terroristica sono, oggi, non solo ritenute valide, ma, a volte, assolutamente
necessarie per il conseguimento di un determinato obiettivo»: Panvini 2009, 23.
15
biniers qui étaient venus pour inspecter le véhicule. Vincenzo Vinciguerra s’est rendu
à la justice spontanément en 1979 et a assumé la responsabilité de l’attentat.
16
17
uomini, non i territori»: Zavoli 1992, 190.
28
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
te18, l’origine réelle des bombes devient manifeste. Le massacre de Piazza
della Loggia, à Brescia le 28 mai 1974, est du reste revendiqué par Orstragista
après 1974, qui frappe pourtant encore une fois en août 1980 à la Gare
de Bologne.
L’objectif de cette «stratégie de la tension», qui consiste paradoxalement
à «déstabiliser pour stabiliser» [Rayner 2010, 41], a fonctionné partieljeures qu’apporte Enrico Berlinguer à la démarche de rapprochement
du Parti communiste avec la Démocratie chrétienne, passé à la postérité
sous le nom de «compromis historique», dans une série d’articles parus
dans le mensuel communiste
en septembre et octobre 1973
Berlinguer explique que la stratégie de rapprochement avec les grandes
forces démocratiques du pays, socialistes comme démocrates-chrétiens,
est la seule manière de mener une politique progressiste, la virulence des
forces conservatrices en Italie excluant l’arrivée au pouvoir de la gauche. Ce mouvement en direction du parti au pouvoir porte la trace des
conséquences psychologiques du coup d’État au Chili contre Allende en
1973, mais aussi de la «stratégie de la tension» menée depuis plusieurs
années dans la péninsule. On pourrait toutefois nuancer cet argument,
ge politique entamé, qui s’inscrit dans le cadre d’une stratégie de long
terme. Toutefois, le fait que cet argument soit reçu, qu’il ait un certain
poids, montre qu’une peur d’une réponse radicale contre-révolutionnaire en cas d’une arrivée au pouvoir du PCI par les voies légales reste très
présente.
De manière contemporaine à la «stratégie de la tension», se mettent
[1970], publié anonymement, est important. Il a connu un grand succès et a popularisé l’expression «stratégie de la tension»,
en pointant la responsabilité de certains secteurs des appareils d’État – d’où son titre
provocateur.
18
29
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
. Il s’agit notamment des Gruppi d’Azione Partigiana (GAP) de Feltrinelli, qui se
forment en 1970, puis des Brigades Rouges (BR), qui naissent aussi au
cours de l’année 1970. Cette lutte armée révolutionnaire se met en place
plus progressivement et de manière ciblée, nominative et revendiquée,
pensée comme la vitrine publicitaire d’un combat dans le but d’obtenir
un écho médiatique.
L’origine de la lutte armée mise en place par la gauche radicale permet
d’en comprendre la nature: les rapports de force au sein de l’usine en
sont la matrice. Les BR, par exemple, naissent comme réponse à une
situation vécue comme une domination exercée par le chef, le cadre
sur l’ouvrier, avec l’idée de dépasser les cadres traditionnels de la lutte
syndicale. C’est particulièrement vrai pour la première phase d’activité
des BR, avant la début de la phase dite «insurrectionnelle» (1974-75). Le
témoignage de Prospero Gallinari [Levi Boucault 2011], membre de la
première heure du groupe armé, présente les premières actions des BR
comme la tentative de peser dans l’alternative suivante: «c’est l’ouvrier
qui doit craindre le contre-maître ou c’est le contre-maître qui doit
craindre l’action des BR?», dans une sorte de système d’intimidation
réciproque, la peur devant changer de camp.
Qu’est-ce qui est à l’origine de cette peur à l’usine? Une analyse de
Robert Linhart [1978, 67-68] décrit la peur comme faisant «partie de
l’usine»:
19
duellement, chez l’un ou l’autre. […] Mais, avec le temps, je sens que je
me heurte à quelque chose de plus vaste. La peur fait partie de l’usine,
elle en est un rouage vital. Pour commencer, elle a le visage de tout cet
appareil d’autorité, de surveillance et de répression qui nous entoure:
gardiens, chefs d’équipe, contremaîtres, agent de secteur. […] Pourtant,
19
dirigé par Simone Neri Serneri [2012].
30
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
la peur, c’est plus encore que cela: vous pouvez très bien passer la journée
entière sans apercevoir le moindre chef […], et malgré cela vous sentez
l’angoisse toujours présente, dans l’air, dans la façon d’être de ceux qui
vous entourent, en vous même.
C’est donc un ensemble de mesures de contrôle, de sanctions allant jusqu’au licenciement, de mesures de rétorsion prises contre les ouvriers
pèse sur les ouvriers et pour les plus politisés, peut motiver un passage à
une lutte violente contre le système de l’usine.
Les premières actions des BR se situent dans cette volonté de renverser
le rapport de force psychologique dans l’environnement de travail, qui
se traduit par des actions de sabotage dans les usines, ou des attaques
matérielles (contre les voitures des cadres) ou physiques (agressions).
Dans tous les cas, ces attaques sont revendiquées par des tracts. La peur
a alors un visage pédagogique: lors du premier enlèvement organisé par
les BR, qui concerne un dirigeant d’une unité de production de Siepancarte autour du cou, qui porte l’inscription: «Rien ne restera impuni!
En frapper un pour en éduquer cent!» [Matard-Bonucci 2010, 20]. La
BR. Cette tactique se situe toujours dans un usage ciblé de la peur, et
non d’une peur aléatoire. En ce qui concerne Macchiarini, par exemple,
la cible est choisie avec soin parmi les cadres les plus intransigeants; il est
aussi suspecté de sympathies avec le MSI. L’objectif est donc de soumet-
La volonté de revendiquer l’acte avec le maximum d’écho conduit à développer une sorte de stratégie publicitaire, caractérisée par une
phraséologie, un langage stéréotypé qui forment les fameux «communiqués» des BR et qui participent d’un «marketing» de la peur. Plusieurs
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
31
études signalent le caractère répétitif des textes produits par les acteurs
des groupes armés pratiquant la violence dans un but «révolutionnaire»
et le succès de leur stratégie de communication, depuis l’essai précurseur d’Alessandro Silj [1978] jusqu’à l’ouvrage récent d’Angelo Ventrone [2012]. Un numéro de la revue Storia e problemi contemporanei, codirigé par A. Martellini, A. Tonelli [2010] souligne, lui aussi, la nécessité
qui est en soi un enjeu de pouvoir essentiel. La revendication des actes
de violence devient un rituel, passant souvent par un tract laissé dans une
cabine téléphonique indiquée par appel anonyme à la rédaction d’un
ou les personnes, au nom d’une légitimité supérieure et contraire à celle
représentée par l’État. L’impression de peur n’est donc pas donnée par
une menace qui frappe au hasard, mais au contraire par l’usage d’une
violence qui se donne comme rétablissant une justice authentique.
Les slogans ou logos (comme l’étoile à cinq branches) concourent à
donner une visibilité médiatique, ainsi que l’attention des BR à la mise
trouvailles les plus fortes est le lieu où le cadavre d’Aldo Moro a été retrouvé, Via Caetani à Rome, à
mi-chemin entre les sièges des
partis communiste et démocrate-chrétien, phrase répétée
en boucle dans les médias puis
dans les livres d’histoire, mais
géographiquement totalement
inexacte!
La maîtrise de la communicade photographies qui ampliple de la photographie du juge
Le juge Mario Sossi, «Il Messaggero», 24 avril 1974.
32
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
reprise par les journaux, comme le quotidien romain Il Messaggero, en
témoigne.
Cette photographie, en une du quotidien romain, est emblématique de
la stratégie du quotidien, qui porte une attention particulièrement grande aux événements et à la chronique des «années de plomb» et tend à
théâtraliser les faits de violence20. Elle représente le juge Sossi assis bras
ballants, mal rasé, dans une attitude résignée, un drapeau des BR avec
son étoile distinctive en arrière-plan. L’hématome présenté par Mario
Sossi renforce le statut de victime, même s’il a été reçu accidentellement
au moment de l’enlèvement. À propos de cette photographie, Mario
Moretti, le chef du groupe, a ce commentaire: «l’objectif est de faire la
photo, pour le montrer à un moment où il n’est plus le maître» [Levi
Boucault 2011]. L’objectif donc est moins l’enlèvement en soi que le
de pouvoir inversé. Cette démarche ne s’inscrit déjà plus dans un rapport de peur qui est personnel (faire peur à Sossi, et au-delà aux autres
juges) mais démontre la volonté d’envoyer un message plus général, en
se constituant symboliquement comme une force concurrente à celle de
l’État «bourgeois» (logique renforcée par les «procès» intentés aux captifs). Donc de faire peur à une autre échelle.
Cette peur, qui est pensée comme pédagogique, implique une utilisation calculée de la violence, qui ne doit pas entraîner de condamnation
massive de la part de la population, et doit donc être mesurée. Prospero
Gallinari, par exemple, raconte [Levi Boucault 2011] de quelle façon
de la fusillade. Le terme utilisé par Gallinari en italien est strage, référence limpide aux massacres perpétrés par les néofascistes. On peut y lire
ments de l’époque, se reporter à l’ouvrage de Vittorio Emiliani [2013], ancien journaliste puis directeur du quotidien.
20
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
33
une claire volonté de prendre de la distance par rapport à une stratégie
précisément à l’angle où a eu lieu l’embuscade – et qu’un brigadiste est
allé, dans la nuit, crever ses pneus pour éviter le risque d’ajouter à la liste
une victime considérée comme innocente.
Cette économie de la violence ne renvoie toutefois pas à un scrupule
moral, mais seulement à une volonté de contrôler le message véhiculé
ment aurait pu avoir lieu lors de la promenade matinale quotidienne de
Moro accompagné d’un seul garde du corps, mais que les modalités de
l’attaque de Via Fani ont été déterminées en fonction de la volonté de
mais pas d’un massacre de n’importe qui. La stratégie de la peur est bien
peur ciblée.
La stratégie de la peur est donc une stratégie de communication qui
manipule les émotions, dont le but est moins d’atteindre physiquement
que psychologiquement. La «stratégie de la tension» et la violence diffusée par la lutte armée pratiquée par la gauche radicale renvoient à
tion du système (le chaos), de l’autre une peur ciblée qui vise à contraindre, sinon à «convertir» personnellement. Dans les deux cas, l’arme
de la peur se présente comme un recours, une solution «non conventionnelle», une transgression. Mais cette arme n’existe pas en l’absence
de relai médiatique.
34
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Diffuser la peur dans l’«opinion publique»: la peur, objet coconstruit
La question de la réception dans les médias est d’autant plus importante que la violence «terroriste» est une «forme de violence spectacu-
peur, dans la société? Comment juger de l’état de l’«opinion publique»?
Comment évaluer le rôle des médias, qui apparaissent à la fois comme
«faire l’opinion»?
Il faut préciser que ce concept d’«opinion publique» pose problème:
il semble renvoyer à une catégorie rigide dans les sources, en tant
qu’«opinion» à laquelle il faut s’adresser. C’est particulièrement vrai
dans l’optique des préfets, dont une des tâches traditionnelles est de faire remonter la température d’une «opinion publique» assez homogène.
Dans un des comptes rendus mensuels du préfet de Pescara adressé au
Ministère de l’Intérieur le 18 juillet 197021, par exemple, l’auteur note
inquiétante et désordonnée de la vie nationale et sociale, et s’adresse à la
conscience de tous pour rétablir la discipline et l’ordre». Le préfet se fait
ici porte-parole des préoccupations d’une «opinion publique» qui renvoie probablement plutôt à la frange de l’électorat en demande d’ordre.
L’«opinion publique» ainsi entendue est donc liée à une vision en termes
d’ordre public qui explique que les préfets se préoccupent beaucoup des
«émotions» populaires.
Archivio Centrale dello Stato, Ministro dell’Interno, Gabinetto del ministro, 19671970, Busta n. 426, Fascicolo n. 16995/94, Relazioni mensili delle prefetture: «L’opinione pubblica, in uno, è ormai sgomenta per l’andamento inquieto e disordinato della
vita nazionale e sociale, e reclama alla consapevolezza di tutti disciplina e ordine».
21
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
35
Pierre Bourdieu, que «l’opinion publique n’existe pas» [Bourdieu 1984],
c’est-à-dire qu’elle n’existe pas en tant qu’objet d’étude homogène
qu’on «décrit» par des sondages, mais qu’on la construit de cette manière. En réalité, il n’y a pas d’«opinion publique» monolithique, mais
plutôt une sphère publique (fragmentée). Il ne s’agit donc pas de partir à
la recherche de l’«opinion publique» à travers la presse, mais de chercher
à comprendre comment celle-ci contribue à la mettre en forme. En quoi
mais en même temps à fournir des cadres d’analyse qui permettront de
rassurer, de décrypter la réalité?
La question de la «perception sociale du terrorisme» est abordée par Marica Tolomelli [2006] dans son étude comparée des terrorismes allemand et italien, et plus précisément «les modalités, les attitudes et les
sentiments par lesquels les sociétés, respectivement italienne et allemanl’État». L’auteure étudie les modalités complexes de construction d’un
problème dans la «sphère publique» qui font que certains dysfonctionnements sont perçus comme des problèmes et d’autres non (pauvreté,
exclusion des minorités, chômage). «Réception» sociale est donc synonyme de construction d’une problématique dans la «sphère publique»,
entendue comme un ensemble d’éléments de médiation, intermédiaires,
entre les citoyens et le pouvoir politique. Les acteurs de cette sphère publique sont d’une grande variété: partis politiques, lobbies, mouvements
collectifs, jusqu’aux individus. Dans ce cadre, la sphère médiatique est
essentielle dans sa contribution à «faire» l’opinion.
Dans la perspective d’une «opinion publique» construite dans une tension (politique) pour «faire l’opinion», les médias occupent une position
36
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
centrale. Les études qui ont abordé ce point22 se concentrent pour des
raisons de commodité sur les éléments les plus saillants, et notamment
sur l’enlèvement d’Aldo Moro, feuilleton de cinquante-cinq jours qui a
concentré l’attention de tous les médias italiens. Il convient pourtant de
chercher à examiner les dynamiques de la violence politique depuis leur
apparition dans la «sphère publique» italienne, en distinguant la manière
dont sont perçus les actes imputables à la violence néofasciste ou au «terrorisme rouge».
L’attentat qui a frappé la Banca dell’Agricultura de la Pizza Fontana à Milan, le 12 décembre 1969, est l’événement inaugural d’une suite de viola presse dès décembre 1969, de «stratégie de la tension». Cette stratégie
de la violence indiscriminée mûrit pourtant dans les milieux d’extrêmeattribuable aux groupe néofascistes très actifs (Panvini 2009) marque
également ces années. L’attentat de décembre 1969 ne peut donc pas
être considéré comme un événement sans précédents. Pourtant, son caractère spectaculaire et extrêmement meurtrier tranche avec les épisodes
de violences connus auparavant et s’impose comme le point de départ
d’une «stratégie», et d’une saison de peur d’intensité inédite.
Un exemple de précédent peut être donné avec le double attentat à la
bombe le 25 avril 1969 à la Foire internationale de Milan et à la gare
des dégâts matériels. Encore une fois, rien de commun avec la violence
meurtrière qui se déchaîne au moment de l’attentat de Piazza Fontana
qui, bien que n’étant pas un coup de tonnerre dans un ciel serein, est
perçue comme un acte inaugural, dont le caractère spectaculaire s’impose d’emblée, ce dont se fait écho la sphère médiatique nationale. Les
pour «L’Unità», un article d’un cinquième de page avec une petite pho-
22
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
37
tographie en une du journal. Dès le lendemain, on ne trouve plus trace
de l’événement dans le journal. Le traitement de l’événement est très
factuel et mesuré, ne comprenant ni attaque contre les auteurs présumés,
ni appels à la répression étatique, comme si la violence contre les personnes était le fait d’une catastrophe naturelle. La tonalité est purement
descriptive.
En revanche, les bombes du 12 décembre 1969 ont un impact extrême«Corriere della Sera» du 13 décembre, le lendemain de l’attentat, titre:
«Réaction émue de tout le pays. Énorme impression dans la capitale. Le
gouvernement réuni d’urgence». Il poursuit:
chœur de pressions, en provenance de tous les milieux politiques, pour
la chaîne des crimes qui se succèdent depuis maintenant trop longtemps.
les attentats perpétrés à Rome est préoccupante. La violence ne peut pas
rester impunie, si on ne veut pas que le tissu démocratique du pays se
dissolve».
Cet article, première réaction au lendemain du drame, met bien l’accent
sur sa dimension énorme, hors-norme. Tout concourt à laisser penser
que l’acte est exceptionnel, malgré l’inscription dans une «chaîne des
violences»: la focale est d’emblée placée à l’échelle nationale. Contrairement aux bombes de la Foire internationale de Milan, qui étaient décrites en termes d’abord locaux, on a ici la «réaction» de «tout le pays», de
la «capitale», du «gouvernement», avec une précision croissante vers les
lieux cruciaux du pouvoir. En somme, l’idée que tout le pays est touché,
contrairement aux attentats d’avril, donne l’idée de destruction imminente de l’État, des institutions, bien plus que d’une peur personnelle,
individuelle.
de l’«opinion publique» bien plus vaste. Les journaux parlent de l’événement et de ses conséquences pendant des semaines. Cette déstabilisation
38
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
majeure est donc due là encore à la transgression de la violence homicide, mais c’est la reformulation médiatique qui donne son potentiel
destructeur à la propagande par la peur.
Le rôle des photographies a souvent été souligné [Almeida (d’) 2010],
présentant notamment les scènes d’attentat comme des théâtres de guerre. En revanche, un autre outil rarement mentionné mais concourant à la
dramatisation de la reformulation médiatique est le dessin, comme celuici, publié lui aussi le lendemain de la bombe de Piazza Fontana à Milan.
Représentation de l’explosion de la bombe à la Banca Nazionale dell’Agricoltura sur la Piazza Fontana, Milan, «Il Corriere della Sera», 13 décembre 1969.
perspective redouble l’idée du piège infernal, les détails comme les corps
plicative explicite, est un moyen de montrer ce que la photographie ne
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
39
peut représenter, dans l’optique de produire un choc émotionnel.
Contrairement à la violence fasciste, qui avance masquée mais in medias
res, la violence issue de l’extrême-gauche émerge en douceur, et frappe
par grands coups d’éclat seulement à sa période de maturité. Il n’y a pas
de choc inaugural, et les grilles d’analyse se construisent progressivement. La généralisation du terme «terrorisme» est liée à l’émergence des
actions des groupes armés d’extrême-gauche dans le discours médiatique, très progressive.
On peut tenter de mener une étude quantitative autour de deux quotidiens dont les archives ont été numérisées et sont accessibles en ligne:
«L’Unità»23 et «La Stampa»24. Le graphique ci-dessous modélise le nombre d’articles qui comprennent à la fois le terme «paura» et celui de «terrorismo», par année.
Nombre d’articles contenant les mots «paura» + «terrorismo» dans les quotidiens «L’Unità» et «La
Stampa» de 1966 à 1984.
23
24
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Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
associé à l’expression de son corollaire: la peur. Malgré l’attentat de Piazdépart d’un recours à ce terme. En revanche l’explosion constatée à partir de 1978 met en évidence que le «terrorisme» est associé à la lutte
armée de la gauche radicale avant tout. C’est la généralisation des actes
de violence, la multiplication des agressions physiques qui conduit à
les journaux de manière de plus en plus massive, à mesure que se produit
une escalade de la violence symbolique à la violence directe (gambizzazione) puis de la violence directe à l’homicide, qui assure une visibilité médiatique sans précédent, mais en proportion de la notoriété de la
victime. Une escalade peut-être rendue nécessaire par la nécessité de se
rendre visible médiatiquement, et donc de frapper plus directement la
communauté par la peur. On passe de 4 articles comprenant ces deux
termes en 1969 à 193 en 1979 pour «La Stampa», de 1 en 1970 à 561 en
1979 pour «L’Unità». Il faut signaler toutefois que certains articles peuvent éventuellement être relatifs à des phénomènes de «terrorisme» et de
«peur» dans des contextes étrangers, mais le nombre d’articles dans l’absolu reste en soi témoin de la «peur» en général médiatisée par les grands
quotidiens. D’autre part, la date clé de 1978 semble bien correspondre à
la conjoncture italienne.
Malgré le fait qu’on ne puisse pas interpréter dans le détail ces articles en
l’absence d’un dépouillement systématique, le constat d’une utilisation
comparable du terme «terrorisme» s’impose à partir de 1974, et plus
encore à partir de 1978, avant de connaître une décrue lente mais bien
repérable. Partant de l’hypothèse classique qui veut que plus un terme
est répété, plus il est considéré comme important, il faut constater un intense travail de l’«opinion publique» dans le sens d’une formulation de la
peur, d’une mise en mots et en images, en musique pourrait-on dire, en
dans ce que le linguiste Patrick Charaudeau [2006] appelle un «procédé
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
41
de focalisation, qui consiste à amener un événement sur le devant de
médiatique, le sujet qui informe étant légitimé par avance (contrat de
communication), le propos véhiculé prend encore plus d’importance au
point de faire oublier d’autres nouvelles possibles. Il impose une ‘’thématisation’’ du monde». La mise en scène médiatique du phénomène du
«terrorisme» concourt donc à la mise en forme de l’espace public, à la
pourrait ainsi formuler deux hypothèses contradictoires: d’un côté, la
prolifération d’articles, de grands titres, de photographies, de dessins,
d’émissions radiophoniques et télévisuelles conduit probablement à une
surexposition de ce qui est présenté comme le danger majeur pour la
société italienne; d’un autre côté, cette reformulation médiatique peut
contribuer à cerner, à poser des mots sur une menace, et donc à forger
des expressions qui peuvent permettre de combattre la peur de l’inconnu
avant le caractère non légitime de leur violence; y répondent des réafde reprendre en main la sécurité des citoyens, d’où la mise en place de
-
commun fédérateur. La question d’un épuisement de la logique terroriste peut donc se poser au début des années 1980.
Le concept de «terrorisme» s’impose donc en tant que catégorie d’analyse, construction qui ne cadre pas tout à fait avec la périodisation des
violences elles-mêmes, en décalé et plus sensible à la violence émanant
de la lutte armée de gauche. Les médias, de leur côté, apparaissent comme une composante nécessaire de cette spectacularisation.
42
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
conclusion
La peur renvoie à l’étude d’un imaginaire social et politique, autant qu’à un
mode opératoire, une modalité (violente, antidémocratique) de peser dans le
débat public, et c’est cette recherche de mise en place d’un climat de peur
maîtrisé qui fait la caractéristique des violences politiques pendant les «années
de plomb». D’où leur caractère spectaculaire, et donc de violence médiatique, de violence exposée, dont la face cachée est une peur multiforme.
Les années 1970 ont été des années de transition, entre l’apparition d’une
forme de pression politique par la violence spectaculaire d’un côté et la
mise en place d’outils qui ont permis de faire décroître la peur de l’autre,
et policier), un langage, une capacité à rassurer, à combattre justement
la peur sur son propre terrain. C’est ce qui arrive, principalement à partir
de 1978, notamment après l’événement clé de l’enlèvement et de l’assassinat d’Aldo Moro, puis après l’assassinat du syndicaliste Guido Rossa
en janvier 1979. Le discours des syndicats, l’unanimité des partis et des
médias (jusqu’à
) dans la condamnation de la lutte armée
amène une décrue nette.
La notion d’«opinion publique» prend une importance majeure au seuil
«terrorisme», toile de fond sans laquelle, à l’image de l’écran de cinéma
support de projection, il ne se passe rien. Si, comme le dit Stendhal, «un
roman est un miroir qui se promène sur une grande route»25, une étude
sur la peur est un miroir qu’on promène sur la grande route des violences politiques, permettant de préciser leurs contours souvent laissés dans
l’ombre.
25
à vos yeux l’azur des cieux, tantôt la fange des bourbiers de la route. Et l’homme qui
porte le miroir dans sa hotte sera par vous accusé‚ d’être immoral! Son miroir montre
la fange, et vous accusez le miroir! Accusez bien plutôt le grand chemin où est le
bourbier, et plus encore l’inspecteur des routes qui laisse l’eau croupir et le bourbier se
former»: Stendhal 1927, 232.
43
GRÉGOIRE LE QUANG
Les années de plomb en Italie : la peur, miroir de la violence politique
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La violence des ultrà au
FaBien archenBault
Maître de conférences en histoire contemporaine
Université de Limoges
Faculté des Lettres et Sciences humaines
Between the late 1960s and early 1980s, football-related acts of violence tended to multiply
impressively in Italy. These crimes were perpetrated by new groups of tifosi, the self-styled
‘ultras’, who claimed this verbal and physical violence, and made it a key part of their identity. These groups sometimes even considered violence as the counterpart or the continuation,
within the stadium and on account of the game, of the social and political violence that was
expanding in Italy during the « Lead Years » decade. Was this violence truly political? This
is the question this paper attempts to answer.
introduction
Le 28 octobre 1979, Vincenzo Paparelli, tifoso de la Lazio, est touché par
un fumigène tiré par les tifosi de la Roma massés dans la Curva Sud du
Stade olympique de Rome, alors qu’il mange paisiblement un panino en
attendant le début du derby entre les deux équipes capitolines. Atteint en
entre groupes de supporters antagonistes.
Il convient de prime abord de rapprocher cet événement dramatique
48
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Striscione del gruppo ultrà Autonomia Bianconera della Fossa dei Campioni (Juventus).
Da : Daniele Segre, Ragazzi di stadio, Milano : Mazzotta editore, 1979, p. 44.
de faits advenus ailleurs sur le continent au même moment, et d’en rendre compte en l’inscrivant dans un phénomène transnational, celui du
développement du hooliganisme. Sur ce terrain, les recherches disponibles sont principalement le fait de sociologues qui, depuis le milieu des
années 1980, ont cherché à répondre à une demande sociale liée à une
violence croissante dans les stades. Ce sont des chercheurs britanniques
qui se penchent les premiers sur la question, en s’attachant à expliquer
de la Coupe d’Europe des clubs champions – la rencontre, opposant le
FC Liverpool à la Juventus de Turin, se solde par 39 morts. Les raisons
se, en voie de déstructuration politique et syndicale dans le cadre de la
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
49
Si des épisodes de violence ont également cours en Italie, ils obéissent
années 1960, c’est-à-dire plus précocement qu’ailleurs en Europe, à de
nombreux incidents qui émaillent les rencontres des séries A et B (heurts
porters, dans les stades puis en dehors, aux abords de ces derniers mais
aussi lors des déplacements, dans les gares et les trains). Tous ces actes de
violence sont perpétrés par des groupes de tifosi d’un genre nouveau, les
ultrà, dont l’émergence est concomitante. On commence à parler d’ultrà
à Gênes en 1971, lorsque qu’un noyau de tifosi de la Sampdoria expose
Siamo gli ultrà
La presse popularise ensuite ce qui se voulait une allusion explicite à
comme les gardiens d’un héritage, le club, et n’hésitent pas à en contester le président s’ils estiment que celui-ci n’est pas à la hauteur de sa
charge ou lorsque leurs espérances de victoires sont déçues. En ce sens,
défenseurs de l’honneur de l’équipe. Les ultrà italiens ne se pensent donc
pas comme les homologues des hooligans anglais, dont le seul but est la
casse – leur nom renvoie au Hooley’s Gang, une bande de voyous d’orie
siècle.
À l’origine, le terme a donc pour les acteurs sociaux liés au monde du
football, qu’ils soient supporters ou journalistes, une acception proprement politique, dimension qui s’est progressivement estompée depuis.
Ainsi, les études menées par des groupes de sociologues dirigées par An-
de cette violence des tifosi dans le contexte occidental, en Angleterre
bien sûr, mais également en Allemagne de l’Ouest, aux Pays-Bas, en
Belgique, en Espagne et en France. Ces chercheurs étaient avant tout à
la recherche des caractères communs à toutes ces réalités nationales, qui
50
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
voire de coercition, menée au niveau européen par la collaboration entre
les forces de maintien de l’ordre et l’échange de leurs expériences. On
peut en ce sens parler d’une autonomie de la sphère sportive qui, dans
le cas du football, culture de masse puissante à l’échelle du continent,
aurait engendré une forme de violence qui lui serait propre.
Retraçant la genèse des phénomènes étudiés, ces mêmes sociologues
fondir leur propos, que cette violence semblait alors entretenir un lien
Antonio Roversi établit ainsi un parallèle entre les actes de violence sociale et politique et l’augmentation des actes de violence liés aux matchs
de football. Il établit par exemple une courbe restituant l’augmentation quantitative de la violence footballistique dans les années 1970 et la
compare à celle des épisodes de terrorisme noir puis rouge et noir mise
brusquement en 1982. Cette coïncidence ne constituant pas son objet
d’étude, Roversi la délaisse et lègue aux historiens du temps présent une
hypothèse de travail [Roversi 1990]. Loin d’être autonome, comme le
veut la doxa de la sociologie du sport, le monde du football n’aurait pas
été, en Italie, coupé du mouvement social. Autrement dit, la violence
liée au calcio
que entre violence footballistique et politique au tournant des années
1970, en mettant l’accent sur trois points. Quelle est, tout d’abord, la
sont composés à la fois d’ouvriers spécialisés, c’est-à-dire des soutiers du
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
51
miracle économique massés dans les centres urbains industrialisés du
Nord et du Centre, et d’étudiants. Tous en outre sont des jeunes, à savoir
les enfants de la croissance démographique de l’immédiat après-guerre,
ce qui invite à s’interroger sur la pertinence d’une lecture en termes de
processus de dénonciation et de légitimation.
Il s’agira de questionner l’idée que la violence multiforme liée au football serait la transposition dans la sphère du supportérisme des modalités
années 1970. Comment passe-t-on d’une violence spontanée, que l’on
jeu, propre aux deux premières décennies de l’après-guerre, à une violence organisée et politisée, celle des groupes d’ultras, contemporaine
tifo, et à une violence légitimée, qui
En Italie, la fede calcistica qui s’exprime chaque dimanche, à travers le sfogo, langage propre à un rituel du tifo
l’identité urbaine. Il faut toutefois se garder de toute illusion rétrospecd’une puissante culture partagée. Ainsi, dans l’immédiat après-guerre,
même en ville, la plupart des tifosi ne se rendent que rarement au stade,
car le prix des billets était trop élevé et le niveau de vie trop médiocre.
Dans la décennie 1950, les meilleures journées de championnat ne ras-
52
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
enceintes de Milan, Turin et Rome [Papa, Panico 2000, 43]. Lorsqu’on
désire tout de même aller au stade, on s’adresse aux propriétaires des bars.
Ceux-ci remplissent la fonction dévolue aux responsables du Dopolavoro
de la période fasciste, celle de revendre les billets, à laquelle s’ajoute désormais celle d’organiser les déplacements en voiture, en bus ou en train
lorsque l’équipe locale joue à l’extérieur. Les tifosi se regroupent autour
office de capo tifosi de la zone, et ils s’acheminent vers le stade sous sa diceux des quartiers ou des paroisses de la ville. Le nom de ces derniers
est écrit sur les bannières, parfois suivi d’une formule d’encouragement,
aux couleurs du club, en dehors de circonstances exceptionnelles, à
l’exemple de la tribune des tifosi du Torino lors du derby contre la Juventus, en décembre 1951, présentée dans La Gazzetta dello Sport comme
un mare di bandiere
un épisode décrit comme extraordinaire, dans la mesure où il s’agit sans
doute, après la période de deuil consécutive à l’accident de Superga, de
manifester la pérennité du club [Dietschy 2004]. Ce sont donc plutôt
groupes de tifosi
une profusion de chants, le public reste plutôt silencieux. Il se contente
Alè, alè
libre cours au sfogo, ce cri qui libère, à l’exemple du tifoso de la Roma
qu’interprète Vittorio Gassman dans I Mostri de Dino Risi en 1963.
Ces supporters défendent leurs couleurs avec acharnement et leur passion n’exclut pas des débordements violents. Les incidents, limités au
stade ou à ses alentours, sont généralement provoqués par le refus de décisions arbitrales sur le terrain. En 1947 par exemple, un groupe de tifosi
Fedelissimi dei Grigi
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
53
dans un bar du quartier des Orti, pourchasse à la fin d’un match l’arbitre qui est sauvé in extremis grâce à l’intervention de l’armée [Dericci
1973, 301]. Les associations de tifosi
de la police, qui n’hésite pas à les dissoudre. C’est par exemple le sort
de l’association du quartier romain de San Lorenzo en 1959, en raison
d’une accusation de complicité avec l’un de ses membres, le charpentier
Quinto Fioravanti, qui était rentré sur le terrain pour asséner un coup de
poing à l’arbitre du match Roma-Alessandria [Impiglia 1998, 49]. Les
de tifosi
c’est-à-dire reconnue par les clubs, ne prend le relais des groupes informels qui se rassemblaient à l’échelon des quartiers ou des paroisses
et qui exportaient au stade les divisions territoriales de la ville. À Rome,
classes moyennes et de la petite bourgeoisie, artisans, commerçants et
employés [Impiglia 1998, 48].
tifo
1950. Avec la hausse du niveau de vie, consécutive au décollage économique qui a essentiellement lieu entre 1958 et 1963, la fréquentation des
stades devient plus accessible. Entre 1953 et 1963, le nombre de spec1
. Dans les années 1960, environ sept
chaque année, pour un total de douze-treize millions de spectateurs,
tifosi font une percée spectaculaire. C’est à l’initiative d’Angelo Moratti
qu’est créé en 1960 un groupe de tifosi sous la dépendance directe du
conseil d’administration de l’Inter, l’Inter Club Moschettieri [Papa, Panico
2000, 87]. La même année apparaissait le Gruppo Simpatizzanti Juventus
1
Voir Almanacco illustrato del calcio 1963-1964, 12.
54
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
di Torino, dont le siège social se trouvait alors, pour peu de temps, au bar
multiplient rapidement et sont fédérées sous l’égide des clubs. Ces derniers les reconnaissent comme des interlocuteurs et des intermédiaires
pour tout ce qui a trait à l’organisation des matchs (déplacements, vente
des billets, des produits dérivés...). Elles se transforment ensuite en structures autonomes, qui disposent de leurs locaux propres et quittent progressivement les bars tout en gardant un ancrage géographique dans le
territoire urbain2
centaines de milliers de tifosi et sont rapidement confrontées à la rivalité
de nouvelles formes d’agrégation, les groupes d’ultras.
tifosi car ce
sont des structures autonomes, détachées du corps urbain et ne revendiquant aucun ancrage territorial. Elles sont majoritairement composées
d’hommes jeunes, âgés de 15 à 35 ans. Les premières, les Boys de l’Inter
et la Fossa dei Leoni du Milan AC, sont fondées en 1968. Suivent, faisant parfois explicitement référence aux formations politiques d’extrême
gauche, les Comandos Rossoblu à Bologne en 1969, puis les Ultrà de la
Sampdoria de Gênes en 1970 et en 1974 les Brigate Rossonere et Settembre
Rossonero au Milan AC, les CUCS (Commando Unitario Curva Sud), les
Tupamaros et les Fedayn à la Roma, etc. [Pozzoni 2005, 119-209]. Le
groupe des Brigate Rossonere, dont le nom évoque l’organisation terroriste, a été fondé par des militants d’extrême gauche qui considèrent leur
tifo pour le Milan AC comme une forme de militantisme prolongeant
leur engagement politique. Ceux de Settembre rossonero à Milan et des
Fedayn à Rome se réfèrent, quant à eux, à la lutte des Palestiniens.
Stricto sensu, le premier de ces groupes autonomes, celui des Fedelissimi,
2
suel Inter Club
1963 Hurrà Juventus, Forza Milan! et Biancazzurri
naissent Alè Torino et, au mois de septembre, Forza Bologna
Alè Verona.
-
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
55
fut créé à Turin en 1956, alors que se précisait la possibilité de fusionner
ment du drame de Superga). Mais il ne s’agissait pas d’un groupe d’ultras
à proprement parler, car si son recrutement subsumait les appartenances
territoriales et si sa fondation résultait d’une initiative de la base des tifosi
et non de l’intervention du club (au contraire, puisque les Fedelissimi
s’opposaient aux projets de la direction de fusion avec la Juventus – d’où
leur nom), sa composition en revanche, intergénérationnelle, était comparable à celle d’une association de supporters classique du début des années 1960. Certaines mouvances au sein des Fedelissimi connaissent ensuite, au cours des années 1960, une évolution assimilable à la naissance
du mouvement ultra (autonomie radicale vis-à-vis du club et très fort
rajeunissement des membres) alors que la majorité se «reterritorialise». Il
reste que cette structure hybride fut la première à élaborer les nouvelles
formes d’expression du tifo, appelées à se généraliser une décennie plus
tard. Mais ces nouvelles formes restèrent exceptionnelles et isolées, et
ne furent pas reprises par les tifosi de l’autre club de la ville (certes bien
moins nombreux à se déplacer au Stade communal). En ce sens, dans
l’immédiat après-guerre, Turin semble constituer une exception dans la
culture du tifo en Italie. À l’avant-garde du processus d’industrialisation
des références et des comportements culturels.
Les groupes d’ultras ne sont pas à proprement parler des structures politiques, bien que leur politisation soit avérée. Ainsi, les Boys de l’Inter
sont nés de la scission provoquée par des militants du Fronte della gioventù, organisation de jeunesse du MSI, au sein des associations de tifosi
de l’Inter, elles-mêmes organisées par l’un des dirigeants du club, par
ailleurs député néo-fasciste, Francesco Servello. Certains membres des
Fedelissimi
tionnent à l’occasion des banderoles au contenu politique et font parfois
le coup de poing avec les participants aux réunions publiques du MSI,
par exemple à Bergame en 1964 [Calligarich G. 1965]. Sont ainsi jetées,
56
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
entre 1968 et 1975, les bases d’une carte géopolitique du tifo ultrà. La
nature de cette politisation fait débat. D’aucuns soulignent son caractère
traordinaire machine à fabriquer des oppositions, une propension à penser le monde sur un mode binaire [qui] viennent consolider les frontières
littérature de type journalistique, de son côté, avance en général l’idée
que l’opposition entre clubs de gauche et de droite a pu fonctionner à
3
.
On pourrait formuler l’hypothèse qu’il s’agit là en fait d’une construction culturelle comparable à la rivalité entre Gino Bartali et Fausto
Coppi, dont Stefano Pivato a montré le caractère imaginaire. Dès 1946
commencèrent à apparaître sur les murs et les routes du Giro d’Italie des
Viva Coppi comunista, abbasso Bartali democristiano
Viva il Fronte popolare, viva Fausto Coppi » [Pivato
1985, 46]. Fausto Coppi n’était pourtant pas communiste, puisque, pour
attribue la transposition en termes politiques de la rivalité sportive entre
campionissimo va a Bartali come l’ideale umiliazione di uno dei simboli più popolari
dell’Italia cattolica e democristiana […] in un periodo in cui [la
] si
avviava a divenire egemonic[a] e ad emarginare le sinistre dalla vita politica e sociale del paese [Pivato 1985, 48].
De leur côté, les sociologues qui s’intéressent au mouvement ultra comme Giorgio
Triani, Alessandro Dal Lago ou Roberto Moscati émettent un doute sur la réalité de
3
Moscati 1992, 43; Triani 1990, 147].
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
57
d’un imaginaire culturel lui aussi structuré par de fortes oppositions politiques. La nouvelle culture de masse portée par le tifo est devenue assez
puissante pour être le support de représentations qui la dépassent, susceptibles d’être acceptées et relayées par l’ensemble de la société. L’antagonisme politique entre deux équipes d’une même ville, qui s’exprime à
l’occasion de chaque derby, devient dès lors un topos que l’on cherche à
valider en permanence, notamment à Milan, Turin et Rome.
Dans ce dernier cas, l’opposition en termes politiques s’appuie sur la
superposition partielle de l’identité territoriale et des orientations électoque celle de Rome, les bastions de la tifoseria de la Roma, Garbatella et
Cela permet par exemple au capo tifosi de la Garbatella, Sergio Terenzi,
service militaire terminé, Terenzi s’inscrit au PCI au début des années
Diventai un militante comunista, oltre che romanista. Le due militanze si associavano bene ». Il ajoute qu’il travaillait à l’usine, à l’Ottica di
Negli anni ’50 un
operaio laziale non l’ho conosciuto » [Impiglia 1998, 196]. Or, on dispose
du témoignage d’un autre ouvrier de la même usine, Bruno Roscani.
Lui aussi communiste, mais tifoso
Sì, io so’ laziale e comunista
engagements sur le même plan, puisqu’il explique le fait d’encourager la
Lazio par la volonté de se distinguer du secrétaire local de la fédération
Contrariaramente a quello che ci hanno
sempre raccontato, il quartiere [di Ponte Milvio] era laziale. Riflettendoci bene,
è che Pallotta era il romanista. Era romanista e federale del Fascio. Per cui, il
quartiere, secondo me, era laziale per reazione antifascista
footballistiques à partir des années 1970. Pour les générations d’avantguerre, la politisation du tifo
le cas pour Palmiro Togliatti, qui meurt en 1964, sereinement juventino,
58
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
ou pour Maurizio Ferrara, né en 1921, tifoso de la Lazio. Pour sa part,
Luca Pavolini, né en 1922, rédacteur en chef de l’Unità de 1946 à 1962
puis de Rinascita de 1966 à 1970, sépare nettement les sphères politique
et footballistique, point sur lequel il rejoint Giulio Andreotti :
Interrogato se non temesse che la dichiarata fede romanista potesse
alienargli la simpatia e il voto dei romani e dei ciociari di parte biancoazurra, Giulio Andreotti rispose senza esitare: «In queste cose non si
transige». Perfetto, onorevole. Saluto con rispetto un avversario che (in
queste cose) sa essere rigoroso [Pavolini 1982].
Luciano Lama, le secrétaire général de la CGIL, explique quant à lui
l’origine de son supportérisme par les rivalités entre Bologne et la Romagne :
Sono romagnolo. Sono juventino, da sempre, per tradizione e passione
lora come oggi intercorreva tra le due componenti regionali dell’Emiliatifare Juventus [Lama 1982].
Il mio amore romagnolo per la Juventus, che persiste in maniera vistosa
ancora oggi, e la scelta di questa squadra «del cuore» non vennero mai
intaccati neanche dai possibili simbolismi che nella squadra bianconera
si potevano rintracciare, come ad esempio quello d’essere la rappresentativa, in campo sportivo, di proprietà della più grande industria italiana,
pur sempre [Lama 1982].
La pertinence de l’oxymore «militant du PCI-tifoso de la Juventus» établie par Gianfranco Calligarich en 1965 n’est donc pas validée par tous4.
4
la squadra del padrone ! » [Calligarich G. 1965].
Perché, alla fine, non si può tifare
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
59
méridionaux à Turin montre que le choix entre les deux clubs du Torino et de la Juventus traduit plutôt la place occupée dans la hiérarchie
deux générations et tifosi du Torino, de l’autre, des ouvriers spécialisés
récemment immigrés et juventini
syndiqués et leur vote va au PCI, tandis que les autres n’adhèrent dans un
Squarotti 1992]. Par ailleurs, Paul Dietschy indique que les autorités
fascistes, pourtant très attentives à la symbolique politique, n’exigèrent
jamais que le maillot grenat du Torino fût changé, le podestà et le préfet
n’ayant pas été, semble-t-il, perturbés que l’on agitât le drapeau rouge
du club sous leur nez [Dietschy 1993]5. Identités urbaines, sociales et
politiques se superposent donc, dans un entrelacs de représentations contradictoires et antagonistes.
Toujours est-il que l’imaginaire participe à la construction de la réalité.
Ainsi, le deuxième élément important dans la constitution de la culture
de masse du tifo, la parole, est introduit par le politique. En 1969, à Turin, le chœur des Fedelissimi chante pour la première fois une scie antijuventina dans une veine anti-patronale promise à un bel avenir dans les
/ al servizio del padrone / O Juve nera, lava i piedi / Di tutti quelli
même année, les Comandos Rossoblu scandent le premier slogan jamais
entendu dans le stade communal, rebaptisé Stadio Dall’Ara, à l’occasion
Boys, carogne, tornate nelle fogne 1997, 42]. Il est directement transposé du répertoire politique et de l’antienne qu’on peut entendre lors des manifestations de l’extrême gauche
Fascisti, carogne, tornate nelle fogne ». De la même façon,
5
Dans le fond, la couleur rouge ne constitue pas un problème pour le fascisme. Les
régime.
60
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
l’hymne des Brigate Rossonere entonné à partir de 1975 reprend l’air de
la chanson qu’avait composée Fausto Amodei en 1960, Per i morti di
Reggio Emilia
Tifosi rossoneri, / tifosi milanisti, / teniamoci per mano / in questi giorni
tristi. / Di nuovo giù a Marassi / di nuovo al Comunale, / tifosi rossoneri
abbiamo prese, ma non siamo vinti. / È ora di rifarsi, / è ora di lottare, /
rassi, / spariamo al Comunale, / e adesso siete voi che andate all’ospedale.
/ Spariamo negli stadi / dell’Italia intera / siamo della Brigata Rossonera
[Giuntini 2006, 129].
Le sfogo initial, celui qui libère le tifoso de la Roma dans I Mostri de Dino
Risi en 1963, est canalisé et domestiqué. Le stade devient un des lieux et
se trouve plus sur le terrain mais dans les tribunes, où des tifoserie s’opposent politiquement, rivalisent de chants, de banderoles et de drapeaux.
du tifo
de confrontation. Mais en se l’appropriant, les tifosi l’ont profondément
transformé. L’exemple de Bologne suggère que les chants supplantant
des années 1960. Pourquoi les tifosi n’ont-ils pas eu besoin plus tôt de ces
où la ville intervenait et organisait le stade, où n’apparaissaient que les
-
-
politique. Cela concerne surtout la génération née après la guerre, qui
investit le football de ses aspirations et de ses attentes, se crée des héros
et ne craint pas de faire le coup de poing pour les défendre.
61
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
calcistica
Cette hypothèse d’un lien intime entre cultures et militantismes politique et footballistique, entraînant le déploiement d’une violence qui
ne se réduit pas à un simple teppismo, n’a pas encore donné lieu à une
recherche exhaustive. Celle-ci serait possible à partir de la masse des
sources imprimées produites par les groupes d’ultras (tracts, brochures,
revues, littérature secondaire), sources éclatées géographiquement, d’un
travail imposant de repérage et de collecte. La constitution d’un corpus d’archives orales à partir des témoignages des anciens membres de
groupes d’ultras, pour la plupart forcément encore en vie, serait quant
à elle essentielle. Les études d’une nouvelle génération de sociologues
et d’essayistes divers, publiées au cours de la dernière décennie [Ferreri
mais elles mériteraient d’être systématisées dans l’optique de réaliser une
prosopographie, une biographie collective des ultras de gauche comme
de droite actifs dans les années 1970. Dans l’état actuel des connaissances, l’historien ne dispose que de traces ténues et éparses permettant
de rendre compte de l’apparition du phénomène puis de ses métamorphoses et de ses contradictions. Trois exemples, situés respectivement
qu’ils soient un ancien étudiant milanais, un journaliste de la gauche
extra-parlementaire ou bien des ultras du Torino et de la Juventus.
Dans son autobiographie Ricordi di fonderia, Walter Mandelli, le responsable fédéral de la squadra azzurra, se souvient ainsi des incidents au
Sull’aereo che ci riportava a casa ci dissero che a Fiumicino c’era una
folla enorme, che continuava a crescere e a farsi minacciosa, tanto che si
62
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
pensò anche di far atterrare l’aereo in un altro aeroporto. Poi però non se
ne fece nulla, salvo fermare l’aereo in fondo alle piste. I pullman erano
invase da gente che urlava e cercava di «prenderci». Vidi un fantoccio che
si prese un pugno in testa. E anche dopo, attorno all’albergo, bruciarono
delli 1997, 80-81]
Mais Mandelli se demande aussitôt si cette colère ne s’explique pas par
l’activisme, pour lui insolite, d’étudiants qui « sfoggiavano il distintivo
con l’effigie di Mao Tse Tung », parmi les manifestants les plus déchaînés.
La présence de militants maoïstes ne doit pas étonner si l’on suit, par
exemple, Nando Dalla Chiesa qui, dans l’un de ses ouvrages, décrit le
mouvement social et les prouesses sportives des joueurs de l’équipe nac’est le jeu d’attaque pratiqué par la squadra azzurra lors des prolonsous la chape de plomb du catenaccio
si era rivoluzionata [...]
era diventata un’altra cosa ». Une fois abandonnée la défense à outrance,
l’ethos democristiano del rinvio e della furbizia tartufesca era uscito distrutto, quella notte, nell’inconscio dei spettatori
Il gioco era stato straordinariamente in sintonia con lo spirito della generazione che dava l’assalto al cielo. [...] Perché sul campo si era giocato con
lo spirito del Sessantotto. O, più precisamente, come la generazione del
Sessantotto avrebbe voluto giocare e vincere la sua epica partita sociale e
politica. [...] Continuando a liberarsi di ogni retaggio piccolo-borghese,
cambiando se stessa nella lotta, battendo il nemico anzitutto «dentro di
sé». E certo si può dire che essa in quell’occasione, sia pure da tifosa, fece
ciò che aveva sempre sognato e che avrebbe sognato ancora per un po’
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
63
On voit bien ici comment les étudiants, qui ont le sentiment de former
une génération homogène, fondée sur des idéaux d’égalité et de solidarité, se reconnaissent collectivement dans un épisode sportif. Dès lors, ils
ne peuvent pardonner à l’encadrement de la squadra azzurra la tactique
quel quattro-a-tre in cui », toujours sesi fusero giovinezza, amicizie [...] speranze nuove e la
prima, meravigliosa constatazione che con il coraggio, nella vita, si può anche
vincere à proclamer sa foi catholique – il sera d’ailleurs élu député démocrate
chrétien en 1987 –, il devient pour certains un symbole de la contestation sociale.
Loin de rejeter le tifo dans la sphère de l’aliénation, comme c’est le cas par
exemple en France à la même époque6, les gauchistes italiens semblent
publiés dans leur presse sont ainsi contaminés par le politique. En témoigne par exemple un article de Gianni Riotta publié dans Il Manifesto
en 1976. Rendant compte du match Juventus-Catanzaro, il occulte tout
détail technique et se concentre sur la description des acteurs. Catansquadretta di provincia » qui défie sans illusion la Juventus,
la vecchia signora del calcio italiano, squadra nobile e titolata
groupes de tifosi
cable, qui acceptent la défaite de leur équipe, et les tifosi de la Juventus,
Voir par exemple le groupe montpelliérain de la revue Quel corps ?, animée par
Jean-Marie Brohm.
6
64
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Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
sont identifiés comme le groupe des dominants dont on dénonce les
gli Agnelli, che comprano i
giocatori meridionali per farli applaudire dalla folla dei «terroni» che si stringe
nei posti popolari ». Pendant le match, un tifoso de Catanzaro pénètre sur
le terrain, après que des joueurs de la Juventus ont agressé un des adverragazzino di circa quattordici anni. [...] È magro ed esile,
al collo una lunga sciarpa gialla e rossa, i colori della sua squadra che
non ha mai vinto nulla. Entra in campo correndo goffo e sbilenco, come
Con calma, sette o otto agenti gli
si fanno addosso e cominciano a bastonarlo con i manganelli e i calci dei mitra,
mentre è sul prato, immobile ». Les autres tifosi de Catanzaro se révoltent
l’ordre, selon un schéma classique de provocation/solidarité/répression.
Au passage, Gianni Riotta lance une pique contre l’Unità che trova il
modo di scherzare sui candelotti sparati dritti verso gli occhi della gente
dirigeants de la Juventus assument quant à eux la figure emblématique
de l’oppresseur, assimilé au fascisme, et Gianni Agnelli prend les traits
Il ragazzino viene trascinato via, per i piedi, fin sotto la tribuna centrale, dove sta la
poltrona dell’Avvocato [...]. La gente grida «fascisti, fascisti». [...] Parte un
lungo e caloroso applauso verso i poliziotti, si grida «avete fatto bene»
répression policière envahit le stade, désormais protagoniste des luttes
sociales et politiques. Cela justifie qu’il faille désormais choisir son camp
La Juventus è adesso in testa al campionato con otto punti, e forse vincerà lo scudetto. Magari il Catanzaro tornerà in serie B e per i signori
della tribuna torinese non ci saranno più spettacoli di pestaggio da applaudire. Dicevamo che ognuno può tifare per chi vuole, per l’Inter, il
domenica 31 ottobre, quarta di campionato, bisognava gridare «forza
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
65
ou de tifosi anonymes, victimes de la violence arbitraire du pouvoir. La
place importante occupée par le football dans la formation du paysage
symbolique de la société italienne est telle que les violences liées au
calcio sont interprétées à l’aune d’une violence sociale et politique plus
large dont elles deviennent la métaphore.
d’entretiens réalisés par le photographe et documentariste Daniele Segre
avec des ultras du Torino et de la Juventus entre 1977 et 1979. À l’origine
du projet se trouvent la municipalité de Turin, redevenue communiste
assessore au sport, à la jeunesse
et au temps libre. Il s’agissait en premier lieu de réaliser une exposition
photographique sur le mal-être de la jeunesse turinoise, appréhendé par
le biais de portraits d’ultras des deux clubs de la capitale piémontaise.
Daniele Segre, qui avait réalisé en 1976 un premier documentaire sur
la question de la drogue (Perché droga) et un autre en 1978 sur les ultras juventini (Il potere dev’essere bianconero), accompagne les clichés de
transcriptions de ses discussions avec la vingtaine de jeunes qu’il a photographiés au Stadio comunale. L’ensemble est publié en 1979 dans un
ouvrage, Ragazzi di stadio [Segre 1979] qui constitue une source fondamentale pour les chercheurs, sociologues ou historiens, voulant étudier
le mouvement ultrà italien. En ce qui concerne la perspective adoptée
ici, la politisation du tifo est revendiquée avec force dans plusieurs témoignages recueillis entre 1977 et 1979. Ainsi, que l’on soit du Toro
ou de la Juve, la gauche, voire l’extrême gauche, semblent majoritaires
dans les deux curve
la situazione attuale vede una maggioranza sinistroide, un po’
confusa perché c’è gente del PCI, di Lotta Continua, dell’Autonomia
.,
il fatto che ci accomuna è
di essere tutti quanti di sinistra
., 30]. Pour certains ultras, la continuité entre les deux formes de militantisme, politique et footballistique,
66
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
relève de l’évidence. Par exemple, aux yeux de Gianni (Juventus, Fossa
il fatto che gridiamo
allo stadio alcuni slogan che possono ricordare, diciamo pure, manifestazioni
politiche di sinistra, è una cosa abbastanza naturale, che viene abbastanza
spontanea, sia perché sono slogan orecchiabili che si possono gridare in tanti,
e poi perché è una cosa naturale, no ? Viene naturale gridare le stesse cose che
possiamo gridare per esempio in piazza
.
s’il devait choisir entre participer à une manifestation ou aller au stade,
il résoudrait le dilemme en optant sans aucune hésitation pour la première solution [Ibid., 38]. De ce point de vue, l’étude des formes et des
motivations du supportérisme footballistique contribuerait à enrichir la
connaissance des évolutions à l’œuvre dans le champ strictement politique qui débouchent sur le movimento de 1977. Par exemple, toujours
una volta noi, almeno una parte di noi, era simpatizzante
di Lotta Continua, diciamo pure fino all’anno scorso [1976]. Ultimamente
invece, secondo me, c’è stata una evoluzione, una maturazione che è venuta
fuori dalla discussione tra di noi. […] Noi, sí, siamo simpatizzanti per l’Autonomia Operaia,
Ibid., 36]. Plus loin,
Gianni décrit un processus de radicalisation l’amenant à légitimer une
discutibilissima comune »7.
Dans le même temps cependant, ces militants d’extrême gauche tiennent
à préserver l’autonomie de la sphère footballistique. Si le calcio est poliquando si entra nello stadio si dimentica totalmente
7
Da qualche tempo è in atto una precisa azione revisionistica,
a tutti i livelli, sia di centro che di sinistra, definiamola sinistra che però secondo me non è
neppure sinistra. A questa riforma non si sono sottratti neppure quei gruppi che fino a qualche
anno fa si definivano rivoluzionari, tipo il PDUP o anche Lotta Continua, Avanguardia
Operaia e compagnia bella. E noi, come altra gente, ce ne siamo resi conto e quindi ci siamo
adeguati : cioè non potevamo accettare quella linea […]. Quindi abbiamo trovato giusto credere in qualcosa di più radicale, e questo si è espresso dapprima in modo abbastanza confuso,
non sapevamo neanche noi che cosa volevamo, e poi invece, via via il movimento operaio si è
sviluppato, con varie forme di lotta […]. Il fatto di rispondere alla polizia che spara, sparando, è una cosa abbastanza normale, io la trovo giusta, una forma di lotta giusta senz’altro al
cento per cento, in quanto viviamo in uno Stato di polizia
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
67
il fattore politica e la politica effettiva diventa il gioco dei giocatori in campo »
[Ibid., 28] –, la violence qui se déploie au stade relève uniquement de loultras
noi non abbiamo mai
detto : picchiamo questo perché è di destra o quello perché è di sinistra » [Ibid.,
21]. De son côté, Anna (Torino, Ultras Granata, 17 ans, lycéenne) souQuello che succede fuori dallo stadio non c’entra affatto. Se io voglio
fare casino perché non mi va la situazione politica, mi stanno sul culo i fascisti, vado al corteo e picchio i fascisti. Ma allo stadio non è che dica : «Mannaggia, non ho picchiato i fascisti al corteo, picchio allo stadio» Ibid., 28]. Ces
chez des militants patentés, la violence proprement calcistica ne semble
parfois alimentée que par des mécanismes de défense du groupe face à
ses ennemis, qu’ils soient de Turin ou d’ailleurs. En ce sens, les analyses
de Desmond Morris sur le fonctionnement avant tout tribal des groupes
de supporters anglais [Morris 1981], celles de Christian Bromberger
concernant le déroulement de la partita dans les années 1980 à Turin et
la bataille à Milan, se trouvent confortées. D’autres témoignages suscités
par Daniele Segre s’inscrivent dans ce schéma. Ainsi, Cosimo (Juventus,
Fossa dei Campioni, 17 ans, charpentier) explique qu’il n’est plus un
tifoso mais un teppista
ans vivant de menus larcins au jour le jour, illustre son soutien à la Juventus par un slogan fasciste, tout en précisant qu’il aurait tout aussi bien
Autonomia Juventina […], lotta armata per la rivoluzione Ibid.,
126]. On pourrait en conclure que la politisation du tifo ultra n’aurait
en 1979 et il indique que jusqu’en 1977, on faisait bien de la politique
dans la curva Adesso uno saluta con il saluto romano, l’altro con la P38,
basta ! Abbiamo escluso la politica perché serve solo a mandarci uno contro
68
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
l’altro, mentre è meglio stare tutti uniti. Abbiamo escluso il discorso politico
[Ibid.
décennie 1970 est du reste concomitant de l’épuisement du mouvement
social dans la société italienne et s’accompagnera très vite d’une baisse
drastique des actes de violence liés au football. Ce serait l’indice que le
teppismo
-
Au tournant des années 1970, le tifo est devenu en Italie une culture
puissante et transversale, dont la génération de l’après-guerre s’est emparée et qu’elle a contribué à modeler. L’émergence de structures d’encadrement échappant aux catholiques et aux communistes, les groupes
extrémistes composés d’ultras, en ont transformé les modalités d’expresà la métaphore politique, tandis que l’appartenance aux équipes et l’admiration portée aux héros de ce sport ont été remises en cause et redéconceptions coexistent, se superposent parfois, se contredisent souvent.
Tout tifoso se sent néanmoins dans l’obligation de se positionner vis-àvis du nouveau discours développé autour du football pour l’accepter
ou le rejeter. Alors que l’autonomisation de la culture est généralement
des références et des comportements de la culture du tifo se développe
ainsi en Italie en reprenant les catégories du politique. À ce titre, le football éclaire l’articulation singulière et déterminante qui s’instaure dans
ce pays entre culture de masse, culture populaire et culture politique
Il resterait à mener une enquête systématique pour explorer tous les arcanes de cette politisation du tifo des ultras et de la revendication de
69
FABIEN ARCHENBAULT
La violence des ultrà
l’usage de la violence qui en découlait. Violence verbale essentiellement,
mais aussi physique de plus en plus souvent au cours de la décennie
1970, dirigée contre les autres groupes d’ultras, considérés comme des
adversaires politiques, et contre les forces de l’ordre, perçues comme instruments d’oppression. Les exemples développés ici valident en partie
l’hypothèse formulée par Antonio Roversi, celle d’une violence footbaltuelle du pays, l’apaisement de cette dernière entraînant le déclin de
l’autre. En témoignerait rétrospectivement l’évolution de la situation itatique perdure, elle perd en grande partie sa dimension politique et tend
à se conformer à ce qui advient dans le reste de l’Europe occidentale, où
les processus de politisation sont demeurés extrêmement rares.
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70
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
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Cosa Loro. Le discours des
repentis sur la violence
roMain legenDre
Université Paris 8, Ecole Doctorale Pratiques et théories du sens, 2 rue de la Liberté, 93526 Saint-Denis
Cedex, France.
I “pentiti” (o “collaboratori di giustizia”) contribuirono concretamente alla lotta contro la
mafia siciliana. In ogni caso, il loro discorso obbedisce a codici interni all’organizzazione,
basati in particolare su un’etica della violenza, oltre che legittimati dalla convergenza di
interessi tra Cosa Nostra e una parte di membri delle istituzioni.
“Repenters”, better called “collaborators of justice” contributed effectively to the fight against
the sicilian mafia. However, their speech obeys internal codes to the organisation, based in
particular on an ethics of the violence, besides legitimized by the convergence of interests
between Cosa nostra and a part of the istitutions’ members.
introduction
Le repentir (pentitismo), la collaboration avec la justice1, dans une acdes années 1970 pour les anciens membres des groupes terroristes. Elle
1
(thèse de doctorat en cotutelle franco-italienne).
-
72
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
sure d’exception adoptée principalement dans le cadre de la lutte contre
d’application judiciaire dans le but de la normaliser. La thématique se
par souci de clarté on s’attachera ici aux collaborateurs de justice issus de
l’organisation sicilienne. La notion même de discours devra être entendu
au sens foucaldien. Dans cette acception sont favorisées les structures de
sens implicite, indirectes, autoréférentielles, procédurales, qui ont donc
tendance à se présenter comme «objectives», «partagées», «nécessaires» et
«indiscutables» [Foucault 1969; 1975].
par la suite employé. Le terme de «repentir» qui sous-entend la volonté
de racheter une faute morale n’apparaît nullement dans le code pénal
noncé à la lutte armée, reconnaissant au passage un activisme contrepût faire preuve d’une quelconque repentance. De fait, un collaborane pas être un repenti, attribuant au terme une connotation péjorative
[Dino 2006b]. Certains, comme Pietro Aglieri et Gaspare Spatuzza ont
cependant fait montre d’une volonté de reconversion spirituelle. Nous
reviendrons plus avant sur les termes de la loi encadrant la collaboration
avec la justice.
vantage à un massacre à sens unique, les Corleonais ont pris le contrôle
de l’organisation. Il faut entendre par là tous les clans ralliés à Totò Riina
et Bernardo Provenzano, et pas seulement la Famille (terme qui désigne
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
73
prit l’ascendant sur l’organisation et se présenta en quelque sorte comme
dans l’Histoire de l’Italie. Il convient toutefois de nuancer son importance tant «l’opinion publique, les politiques et les journalistes et, parfois,
même les enquêteurs adorent imaginer un chef tout puissant (capo dei
capi
Santino, 1991], ce déchaînement de violence est en tous les cas à l’origine des premières défections, à partir de 1984. Il faut cependant rappeler
permirent la tenue de procès [Lupo 1993]. De la même manière, Paolo
plus ancien qu’on ne le dit, puisqu’au cours des années 70 du siècle
confessions de membres d’associations criminelles» [Pezzino 1991, 424].
Les travaux d’Umberto Santino en font également état. Au nombreux
confident, source régulièrement invoquée par la police et qui fut popularisée par le roman de
Leonardo Sciascia, Le jour de la chouette (1961). Le rapport «161» (13
rapports étroits avec l’organisation ou de simples soldats de Cosa nostra.
Il permit de reconstituer en partie les dynamiques internes à l’organiprogressivement, ce qui n’empêcha pas les nombreuses polémiques sur
leur instrumentalisation réelle ou prétendue.
Contorno, vinrent ensuite renforcer l’acte d’accusation du premier Maxiprocès intenté à Cosa nostra reconnue dès lors comme une organisation
criminelle structurée de manière pyramidale (février 1986-décembre
74
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
en janvier 1992. Salvatore Lupo précise à ce sujet que «si cela a été la
fut semblable avant et qu’elle l’est encore aujourd’hui […] dans la londécentralisation se sont cycliquement alternées […]» [Lupo 2010, 12].
stratégie d’attaque frontale envers l’Etat italien, le contraignant de fait à
réagir. Pour autant cette réaction n’exclut pas l’existence de convergence
tants de l’État. Il ne faut pas non plus éluder les assassinats de certains
de ces représentants ayant eu lieu auparavant et avec l’assentiment de
toutes les Familles. Notons par ailleurs que «la stratégie des Corleonais
visait probablement à faire coïncider la réalité de l’organisation avec sa
légende: une super-organisation avec un chef tout puissant» [121]. Dans
le (selon l’expression d’Umberto Santino), un «ensemble d’organisation
territoriales» indépendantes les unes des autres mais ayant en commun
au de relations ad hoc [Lupo 2010]. Raimondo Catanzaro note quant
relations sociales renforce l’impossibilité de créer des structures organices profondément ancré socialement et disposant de liens étroits avec le
système de pouvoir politique» [Catanzaro 1988, 57]. La prise de contrôle des Corleonais provoqua donc une rupture qui se manifesta par un
déchaînement de violence.
Une nouvelle vague de collaboration vit le jour en 1992 suite à une
nouvelle escalade terroriste et plus particulièrement après les attentats
contre les juges Falcone (23 mai 1992) et Borsellino (19 juillet 1992) et
à la réponse étatique qui s’ensuivit. Avant même ces attentats et suite aux
-
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
75
nisation choisirent également de se ranger du côté de l’État: Francesco
de Catane Antonino Calderone (1988).
Selon Salvatore Lupo, du fait de l’escalade de la violence durant les
«années de Plomb», «il fut facile […] de comprendre que la violence créé un consensus, qu’elle permet d’exercer le pouvoir et de traiter
avec, en somme que la violence paye» et c’est durant le passage entre les
stration beaucoup plus vaste, comme une contagion entre deux sphères,
la violence politique [des «organisations armées de la gauche révolutionnaire» et de la droite néo-fasciste] et la violence criminelle; comme
un échange de modèles, de valeurs […] entre les deux: un phénomène
complexe et tortueux […]. Tel fut le contexte culturel et politique dans
notamment de Cosa nostra, qui fut «le signal le plus dramatique» de
ce renforcement. Reste que cette «hybridation de la violence» avait des
présentèrent comme des intermédiaires entre l’État italien et ces orgavisage ambivalent d’une organisation conservatrice venant à se comporter comme une organisation révolutionnaire, par la méthode et non par
-
répressifs élaborés durant les «années de Plomb» furent réutilisés contre
procès) tandis que certains membres des institutions participèrent à la
Carlo Caselli et le général Carlo Alberto Dalla Chiesa par exemple).
À travers cette présentation on s’attachera à expliquer de quelle manière
-
76
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
si aux stratégies discursives mises en place par ces criminels à travers
leur collaboration avec l’État. Leur discours à usage interne devenant
dès lors un discours public entrant dans une caisse de résonance médiatique, remis en forme selon des critères subjectifs qui tiennent beaucoup
«système cohérent, dynamique, de représentations du monde social, une
chaque société à des moments donnés de son histoire» [Khalifa 2013,
fondées sur l’exaltation de la violence s’adressent à de nouveaux interlocuteurs. Ce phénomène de collaboration a notamment donné naissanla question de l’inévitable contamination des discours. On peut légitices, la parole des collaborateurs ayant fondé ce genre éditorial ne s’est
Ce phénomène de circularité apparaît éclairant mais son analyse reste
néanmoins complexe.
Après avoir présenté le contexte de production de ces discours, on évoen se demandant dans quelle mesure elles participent d’un processus
de légitimation a posteriori
de dresser une typologie des argumentaires et de dégager d’éventuelles
drée par l’État, soit une violence institutionnalisée qui se pose comme
laborateurs de justice, bien souvent victimes des vengeances transverphénomènes de violence, qui a un impact sur la société civile.
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
77
le contexte de production d’un discours sur la violence
n’aident pas à comprendre le phénomène du repentir», Lupo 1993, 296.
Notons tout d’abord que la loi sur les collaborateurs de justice fait totalement abstraction de la notion de repentir. Il s’agit d’un terme journalistique, repris par la suite par nombre d’acteurs judiciaires. L’État italien n’a
jamais posé la repentance comme condition préalable à la collaboration.
L’usage même du terme est le produit d’une confusion sémantique2.
La loi n. 82 du 15 mars 1991 est le résultat d’une longue maturation,
elle vit le jour malgré de nombreuses polémiques, dans une atmosphère
les faits, elle reprit en grande partie les normes établies par la loi Cossiga
de janvier 1980, entrée en vigueur pour permettre l’abandon de la lutte
armée de la part des membres d’organisations révolutionnaires (les Brigades Rouges en tête). Entre-temps, la loi du 15 novembre 1988 avait
attribué au Haut Commissaire pour la coordination de la lutte contre la
gnage contre les organisations criminelles» [Gruppo Abele 2005, 112]
(collaborateurs et témoins de justice donc, les premiers étant d’anciens
un crime perpétré par un ou plusieurs membres d’une organisation criminelle). Un programme de protection inspiré du modèle américain fut
vit également le jour, sous la tutelle du ministère de l’Intérieur. Outre
la protection du collaborateur et de ses proches, la loi prévoyait en substance des réductions de peine (une condamnation à perpétuité étant par
exemple commuée en peine de 12 à 20 ans de prison) en contrepartie de
pentitismo et pentimento, voir Dino 2006. Pour une approche analytique similaire au sujet des «années de
Plomb», voir Sommier 2000.
2
78
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
du 13 février 2001 (n. 45). Entre autres changements, le collaborateur
dispose désormais de 180 jours pour transmettre toutes les informations
en sa possession3.
A travers la collaboration, l’État entend briser un cercle de violence en
substituant à la vendetta traditionnelle la justice, ce qui est fondamental
car, selon le collaborateur Antonino Calderone4, «un homme d’honneur
ne demande justice à personne, surtout pas à l’État, il doit être capable
de se faire justice lui-même» [Arlacchi 1992, 189]. Dans un tribunal
où la phase de débat doit permettre la constitution de la preuve, les collaborateurs sont en mesure de révéler tout ce qu’ils savent. Ils se posent
également comme des victimes d’une violence qu’ils ont par ailleurs
s’agit en quelque sorte d’un second rite de passage après celui de l’afjustice s’inscrit aussi et surtout «dans une logique pragmatique de résultats répressifs notables» [Dino 2006b, XVI].
leur vie ils choisirent de se ranger du côté des institutions. La stratégie
d’attaque frontale envers l’État participa d’un déchaînement de violence
qui parut incontrôlé. Surtout, elle rendit l’organisation plus visible et
fait de donner la preuve de son existence en recourant aux attentats à la
bombe, on peut donc parler d’une nouvelle stratégie de communication. L’organisation, qui peut être décrite comme «relativement» secrète,
3
-
2005.
4
le sud de la France, où il s’était réfugié suite à l’assassinat en 1979 de son frère, Giuseppe
mort d’Enrico Mattéi, président de l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
79
c’est-à-dire dont le caractère secret est relatif [Simmel 1996], décidait de
se donner à voir de manière éclatante. A ce sujet, Salvatore Lupo a rappelé que «la société secrète joue toujours sur deux tableaux […] si elle
s’organise en secret, elle sait par ailleurs qu’elle pourra jouir d’une certaine impunité en obtenant un consensus dans l’opinion publique. Pour
cela elle reste attentive à ce que son langage interne se maintienne en
apparaissant notamment comme une forme de légitimation.
Suite aux conclusions du premier Maxi-procès et avant les attentats conl’avons dit de collaborer, permettant la tenue de nouveaux procès malgré
de drogue, faisaient eux partie des clans vainqueurs. Gagnés par le doute
et craignant pour leurs vies ils décidèrent néanmoins de collaborer. C’est
me qui permit ces défections.
La troisième vague de collaboration, après les attentats de 1992, regroustra ne pouvait plus assurer leur protection mais au contraire décider de
Tels furent tout du moins les arguments invoqués. Il convient évidemment d’en déceler la forte dimension instrumentale. Ils purent également
prendre en considération les conditions de la collaboration suite au pas
franchi par leur prédécesseurs, conditions peu restrictives du point de
vue du contenu des discours. Ils connaissaient par ailleurs ces discours
«hyper-puissance» de la part des collaborateurs de justice, perception
qu’ils transmettent «essayant de nous faire raisonner avec leurs instru-
80
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
ments interprétatifs de boss et soldats» de l’organisation [Lupo 2010,
153].
Des stratégies discursives basées sur une éthique
de la violence?
cacement la violence, plus il se hisse en haut de l’échelle de l’honneur
cier d’une réputation sociale, il [doit] être considéré comme un homme
de respect; et cette considération sociale vient d’une habilité démontrée
l’enrichissement illicite une raison d’institutionnalisation» [Catanzaro
pouvoir et la conquête de richesses, en somme la mobilité sociale [Catanzaro 1988; Matard-Bonucci 1994]. Il convient donc d’appréhender
cette violence dans le temps long de l’Histoire puisque, loin d’être un
processus de formation de l’État national italien et les caractéristiques de
la modernité étatique» [Matard-Bonucci 1994].
Lors de la première vague de collaboration, Buscetta et Contorno afl’avènement des Corleonais. Leurs discours faisant grand usage du terme
une éthique de la violence. Comme l’ont démontré de nombreux cherfaitrice, pratiquant une violence légitime, en opposition à une nouvelle
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
81
couramment relayée par la presse, se basant elle-même sur des enquêtes
parlementaires et judiciaires, et ce bien avant leur collaboration. Il conles années 1950 et que Buscetta fut très actif dans ce secteur. Il est par
Antonino Calderone distinguait tout d’abord les homicides communs
tion: «s’il faut éliminer un homme sur le territoire d’une famille pour
punir une erreur normale, d’ordinaire administration, comme une consbirritudine], le représentant décide, le chef de dizaine
fait suivre, et cet homme n’est plus» [Arlacchi 1992, 27]. L’important
étant selon lui de savoir qui était tué, pour quelle raison et par quelle
«Si on ne sait pas qui a tué quelqu’un ou si on le sait d’une manière erronée alors plus personne n’est sûr de rien, pas même de sa propre vie. Et
c’est ce jeu qu’ont pratiqué ces diaboliques, ces malhonnêtes Corleonais.
toutes ces déclarations dans le cadre d’un ouvrage-entretien.
Tommaso Buscetta5 reste le collaborateur de justice le plus important
Commission réunissant les principales Familles et prenant des décisions
5
entre l’Amérique du Sud et les États-Unis. Arrêté au Brésil le 22 octobre 1983, il fut
extradé vers l’Italie l’année suivante et se décida à collaborer avec la justice. Il fut d’un
point de vue judiciaire le premier du genre et ses révélations contribuèrent grandement
à la tenue du premier Maxi-procès de Palerme en 1986. Il dévoila notamment la structure organisationnelle de Cosa nostra. On parla à ce sujet de «théorème Buscetta». Il
de la protection des services fédéraux américains. Il est mort aux Etats-Unis le 2 avril
2000.
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impliquant tout l’organisation. La presse parla de Cupola et ce terme fut
par la suite repris par certains collaborateurs. Buscetta fut aussi le plus
médiatique, devenant le collaborateur «par antonomase» [Dino 2006b],
consacrés, dont trois prenant la forme d’entretiens écrits en grande partie
à la première personne (en 1986, 1994 et 1999). Le premier, écrit par
Enzo Biagi, est à l’origine du genre éditorial déjà évoqué.
Buscetta, personnage charismatique selon ses propres dires mais aussi
ceux de ses divers interlocuteurs, apparaît par ailleurs intéressant car ses
mait ainsi que de nombreuses idées de Cosa nostra étaient défendables
mais que les Corleonais les avaient perverties et par là même détruites.
Les valeurs originelles auraient été trahies, provoquant selon lui «la violence gratuite, la traîtrise, le double jeu, les trahisons et les assassinats
les valeurs de l’amitié, de la famille, du respect de la parole donnée, de la
solidarité et de l’omertà, en un mot le sens de l’honneur […]. La violence gratuite et sournoise, la tromperie, le double jeu sont venus après […]
dans les années 70 et 80 […] avec la trahison des anciennes valeurs […]»
d’écrire avec son emphase habituelle: «la justice de Buscetta n’est pas la
nôtre»6. Dans les faits, le collaborateur de justice produisit des discours
puisque la capacité à se conformer à des standards de violence ou bien
plus encore à les surpasser, permet de «faire carrière» dans l’organisation,
tandis que ceux qui se montrent incapables d’une telle audace sont plus
généralement en retrait ou bien demeurent tout simplement victimes
de leurs concurrents. La violence est imposée comme une «norme de
6
Tre notti con il boss, «Panorama», 19 ottobre 1986.
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
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régulation de la compétition de marché» [Catanzaro 1988, 260]. Elle
nomique et politique, elle est d’abord présentée comme une menace,
avant d’être exercée si nécessaire. L’historien Eric Hobsbawm l’a donc
théorisée comme «extorsion contrôlée».
Salvatore Cucuzza7, qui collabora à partir de 1992, reprit une partie des
éclairante car en ne situant pas précisément cet «alors», le collaborateur
renvoie de fait à un temps non-historique et révèle par là même le caractère instrumental de ce discours, l’invention d’une tradition. Chaque
tradition est «inventée», c’est-à-dire qu’elle dérive d’une réélaboration
[Hobsbawm, Ranger 1983]. Ici en l’occurrence cette «invention» sert à
Salvatore Contorno8, qui collabora concomitamment avec Buscetta,
partageant la même cellule à Rome lors des premiers mois, résuma la
situation de la manière suivante lors du premier Maxi-procès: «Cosa
nostra est devenue Cosa nostra personnelle». Manière d’expliquer que
l’organisation ne défendait plus les intérêts communs selon lui. Tout en
prenant avec beaucoup de distance ces considérations, il faut rappeler
que les Corleonais s’en prirent aux familles de leurs ennemis en général
7
révélations sur le meurtre de Pio La Torre et sur la «strage della circovallazione» durant
8
tain. Réfugié à Rome pour échapper à la mort il fut arrêté et entreprit alors de collaborer. Il permit aux enquêteurs de reconstituer certaines dynamiques de la seconde guerre
par la suite d’autres séjours en prison pour des délits mineurs.
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et à celles des collaborateurs de justice en particulier. Buscetta perdit
ainsi douze membres de sa famille, Contorno plus d’une vingtaine. Ces
vengeances transversales participèrent d’un déchaînement de violence
révélant davantage que par le passé la plasticité des valeurs de l’organisation. Ce déchaînement rendit sceptiques de nombreux observateurs
quant à l’existence réelle d’une structure dotée d’un organe décisionnaire. La violation permanente des règles apparaissant clairement dans
les révélations des collaborateurs, il fallait en conclure, selon certains
contradicteurs, que celles-ci n’existaient pas. Pourtant «le manque de
la violation de la loi ne nous amène pas à conclure que la loi n’existe
pas […] leurs règles sont orales […] vaguement énoncées» [Lupo 2008,
239-240] et donc d’autant plus faciles à piétiner. Toujours pour parler de
puissance criminelle» [Santino 2006, 70].
Giovanbattista Ferrante9, issu de la troisième vague de collaboration,
expliqua lui que la violence était appréhendée de manière pragmatique
lui aurait déclaré «ne vous inquiétez pas parce que ce n’est pas beau à
voir mais on s’y habitue» [Gruppo Abele 2005, 299]. Il ajoutait «Le discours a toujours été très doux, toujours graduel». manière de parvenir
Cancemi10 tint un discours similaire en évoquant le crime commis en
9
implication dans les attentats de Capaci et Via d’Amelio, tout en faisant des déclarations très importantes concernant les assassinats de Salvo Lima, Rocco Chinicci, Antonio Cassarà et Roberto Antiochia.
10
-
de premier ordre. Il fut également précieux dans le cadre des procès sur les attentats de
Capaci et Via d’Amelio.
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
85
homicide comme s’il s’agissait d’un acte commun. Vittorio Mangano,
membre de la Famille Porta Nuova, lui aurait déclaré «moi et quelques
autres souhaitons que tu y ailles [...] la chose m’a été présentée ainsi, de
manière très légère» [260].
ne plus partager «les aspects les plus criminels gratuits» [280]. C’est uniquement à partir du recours systématique au terrorisme qu’il opère cette
distinction. Son discours semble avant tout démontrer que cette escalade
rendre vulnérable. Il ajoutait «quelqu’un qui tue un bébé ne peut pas
parler de sens de l’honneur». Faisant en cela référence à Giovanni Brusca. De fait, la troisième vague de collaboration permet de démontrer la
fuite en avant de Cosa nostra et le recours à une violence accrue. Brusca11, qui réalisa un ouvrage-entretien avec le journaliste Saverio Lodato
Santino Di Matteo12
sujet de l’attentat de Capaci. Il répondit par voie de presse aux déclarations de Cucuzza en contestant la nature de son crime, déclarant au sujet
nommé «l’étrangleur de chrétiens». Au cours de l’ouvrage-entretien avec le journaliste
Saverio Lodato, il avoua quelques 150 meurtres, il fut notamment celui qui déclencha
l’explosion lors de l’attentat de Capaci, dans lequel moururent Giovanni Falcone, sa
femme Francesca Morvillo et trois membres de leur escorte. Arrêté en 1996, il entreprit aussitôt une collaboration qui se révéla instrumentale, ce qui lui valut d’être
inculpé pour calomnie. Il fut néanmoins réintégré au programme de collaboration et
obtint des contreparties comme la liberté conditionnelle en échange de certaines informations. Il a récemment été interrogé dans le cadre du procès actuellement en cours à
Palerme, concernant des complicités entre Cosa nostra et des membres des institutions.
Sa collaboration est certainement la plus polémique étant donné l’ampleur des crimes
commis et les modalités de ses prises de parole successives.
11
12
à ce sujet.
86
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de l’enfant: «Je n’ai pas tué un bébé. Allez voir la date de naissance»13.
se transformer, à opérer des mutations dans la continuité. La distinction
que la tactique des Corleonais créa un sentiment d’insécurité dépassant
furent gagnés par la crainte qu’ils avaient auparavant inspiré, redoutant
l’exécution par un clan adverse ou l’arrestation. Gaspare Mutolo14, qui
collabora à partir de 1992, avoua ainsi «j’avais peur […] peur d’être
assassiné, même en prison […] j’avais peur pour ma famille»15. Dans
tous les cas une certaine éthique de la violence se fait jour, qui évolue
instrumental apparaît avec évidence dans la mesure où les discours évoluent en fonction des évènements. Il ne faut cependant pas exclure un
me «forme culturelle, historiquement conditionnée, d’agissement po-
sur la nature de l’ordre social et l’existence humaine, en se réappropriant
des valeurs communes qui font sens» [Santoro 2007, 27] et permettent
par là même l’obtention d’un consensus social [Santino 2006].
Comme l’a rappelé la sociologue Alessandra Dino, «le choix d’un
symbole de la part d’un sujet est lié à une volonté précise d’insérer ses
13
14
récemment témoigné dans le cadre du procès qui se tient actuellement à Palerme.
15
teur», 14 octobre 2011.
Mafia italienne. Le crépuscule des repentis, «Le Nouvel Observa-
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
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utilisés et mis en commun des répertoires d’action bien précis» [Dino
2010, 240]. C’est notamment dans cette optique qu’il faut analyser les
fondements religieux d’une éthique sur la violence, qui tend à élever le
cer une forme de violence divine lorsqu’ils commettent des homicides
[35]16. Ils se dotent par ailleurs d’une nouvelle identité qui s’accompagne
de la création de liens de fraternité rituelle [Paoli 2000; Dino 2010].
Cette radicalité constituerait à la fois la force et la faiblesse de Cosa nostra. Lorsqu’ils cessent de croire en ces valeurs, pour diverses raisons, les
se tourner vers l’État [Dino 2006b]. Ainsi Francesco Marino Mannoia17
xion car je suis fatigué d’une appartenance à Cosa nostra qui m’a causé
un grave trouble intérieur et une profonde crise de conscience»18.
quèrent pour la plupart une erreur stratégique à travers le recours au
Nostra a débuté avec la mort des deux magistrats, Falcone et Borsel-
16
-
17
De nouveau arrêté en 1985, il décida de collaborer en 1989 suite à l’assassinat de son
frère Agostino. Sa prise de parole lui valut de perdre sa mère, sa sœur et sa tante. Il fut
le premier collaborateur issu des clans vainqueurs. Parmi ses révélations, il faut surtout
évoquer celle relative aux rencontres entre son boss, Stefano Bontate et le sénateur Giu-
18
La “cantata” di Mannoia, «L’Ora», 6 décembre 1989.
88
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lino. Là s’est terminée Cosa nostra, parce que le consensus populaire
qu’elle avait avant était très fort, après cela a été terminé, complètement»
[Gruppo Abele 2005, 279]. Au sujet de l’attentat contre Giovanni Falcone, Giuseppe Marchese19 déclara «quelle chose ignoble ils ont fait, ils ont
fait sauter la moitié de l’autoroute, il y aurait pu y avoir d’autres morts»
[314]. Ce n’est donc pas tant l’assassinat du juge qui le dérangeait, que
le mode opératoire employé. Giovanni Drago20 collabora lui aussi après
avoir remis en doute cette stratégie. Au sujet des crimes passés il évoqua
une logique interne à Cosa nostra: «j’ai toujours tué parce qu’ils étaient
mes adversaires. Si je ne l’avais pas fait moi, ils s’en seraient chargés. Je les
voyais comme mes adversaires» [293]. Cucuzza et Mutolo tinrent également ce discours. Ce dernier déclara notamment «Je n’avais pas le choix.
J’appartenais à une organisation où la principale vertu est l’obéissance
et où les ordres doivent être exécutés. Je me sentais autorisé, légitimé
même, à commettre des crimes. Mon État, c’était Cosa Nostra»21. Là
encore, une logique interne à l’organisation fut presque unanimement
ne semblent à aucun moment prises en considération dans leurs déclarations comme s’il était uniquement question de Cosa nostra, de «leur
chose» (cosa loro) et qu’elle se présentait comme un anti-état.
Au sujet de la dénomination, on peut également noter que «dans le
le groupe et son identité tend à devenir collective», d’où le nom «notre
chose» [Dino 2010, 71]. Il faut cependant rappeler que l’organisation
so dei Mille alliée aux Corleonais. Il a notamment dénoncé les meurtriers de l’homme
politique Salvo Lima et admis sa responsabilité dans le meurtre du policier Giuseppe
Montana.
19
20
la condamnation de tout son clan et a également témoigné contre Giulio Andreotti et
lors du procès sur l’assassinat de Salvo Lima.
21
teur», 14 octobre 2011.
Mafia italienne. Le crépuscule des repentis, «Le Nouvel Observa-
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
89
sur son ennemi permit avant tout aux autorités américaines de le quad’un ouvrage très vendu, Valachi Papers, écrit par le journaliste Peter
Maas (1971).
Pour en revenir à la notion d’anti-état, le lien semble en réalité inextridonc pas un anti-état mais plutôt «l’expression du politique dans la subalternité» [Santoro 2007]. Un manque de légitimité a notamment conle but de réduire des oppositions politiques, aboutissant par là même à
la remise en cause du monopole de la violence légitime qu’il était censé
détenir [Weber 1971]. Ce n’est pas tant son absence qui est en cause dans
le développement de l’organisation en Sicile, mais bien les modalités de
sa formation et de son fonctionnement [Catanzaro 1988; Lupo 1993;
Matard-Bonucci 1994].
Bien souvent il n’y a donc pas de repentance car le sentiment de légititoujours le résultat d’une stratégie obéissant à de vastes raisons utilitanégligent consciemment ou inconsciemment l’interdépendance historique entre l’organisation et l’État italien ? Reste que, d’une manière
générale, on condamne un excès de violence, pas son usage comme
Bien que cette appréciation de l’excès de violence varie sensiblement
struction d’un certain discours qui tend à s’uniformiser, à se lisser. Au
à un moment donné. Ils produisent une parole sur un marché linguisti-
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des discours, une nomenclature dont les contours auraient été également délimités par la couverture médiatique. Des pratiques «nouvelles»
considérées comme une perversion des idéaux de l’organisation seraient
connu les institutions, les collaborateurs ne se contentent pas de décrire
ment. De cette manière, l’interférence consensuelle avec l’État se situe
également au niveau des discours.
un discours de contre-violence encadré par l’état?
Le discours, les mots, restent la seule arme à disposition des collaborateurs de justice. Leur savoir sur l’organisation, énoncé clairement devant
un juge, détient un potentiel de destruction. Plusieurs phénomènes de
violence s’imbriquent car à travers leurs révélations ils décrivent la vio-
de peine tandis que ceux qui ont préféré garder le silence subissent des
peines exemplaires, notamment le régime 41bis, l’incarcération à l’isoplus à révéler, ils sont en théorie favorisés dans le cadre des contreparties prévues pour leur collaboration, au détriment des simples soldats
de l’organisation. Ces dispositions légales ont provoqué de nombreux
débats sur l’égalité de la peine, et démontrent un autre aspect d’une
médiation informelle sans cesse à l’œuvre entre les organisations criminelles et l’État.
A travers la collaboration se pose la question du contrôle du discours.
potentialités symboliques du dialecte» [Di Piazza 2010, 39], langage par
partie liée avec l’État. À ce titre, le dialecte apparaît comme un langage
ROMAIN LEGENDRE
Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
91
illégitime du point de vue juridique et judiciaire. Le code pénal, surnommé code Rocco, (en vigueur de 1930 à 1988, remplacé par la suite
par le code Vassalli) stipulait de fait que les dépositions au cours d’interposait dès lors la question de l’authenticité. Le cas se présenta de manière
concrète lors du témoignage de Salvatore Contorno au cours du premier
comptes avec ses anciens coreligionnaires. «J’ai été contraint de devenir
un traître comme ils m’appellent. Mais ce sont eux les traîtres. Ce n’est
abandonna cette stratégie lors des procès suivants, s’exprimant dès lors
pas le maîtriser. La justice peut donc être tentée de laisser une certaine
la preuve mais ce faisant elle s’expose à la manipulation.
Pour en revenir aux déclarations de Contorno, il faut noter qu’il existe
impossible de la refuser: «parce que celui-là ensuite ils doivent le tuer,
ils ne peuvent pas le laisser en vie parce qu’il sait cette chose et il ne fait
pas partie de Cosa nostra» [Gruppo Abele 2005, 260]. Il peut donc y
à plusieurs personnes se voit confronté à une violence psychologique qui
donc être contraint. Les révélations de Melchiorre Allegra22, collaborateur de justice de la période fasciste, abondent en ce sens: «A ce moment
22
en juillet 1937. Il révéla alors l’existence et le fonctionnement de l’organisation appelée
ont parlé, tel Salvatore D’Amico. Pour toutes ces observations: Lupo 1993.
92
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compris que j’avais déjà été mis au courant de trop de secrets, y compris
ceux concernant l’activité criminelle, et que je ne pouvais pas ne pas
accepter si je voulais sortir vivant de cette réunion» [50].
Leonardo Vitale23, qui reste à ce jour considéré comme le premier repenti stricto sensu
ordonna d’accomplir un homicide, il se senti obligé d’obéir. Il déclara
que généralisation.
Vitale comme Allegra décidèrent en tous les cas de briser le silence alors
se de parole constitua aussi une échappatoire. Reste qu’ils prirent cette
décision à des moments où le phénomène de collaboration n’était délimité ni juridiquement ni médiatiquement. Quel que soit le contexte, la
démarche peut constituer une libération et s’apparenter à une forme de
contre-violence, dans le sens de réponse à la violence de l’autre. Du reste,
diée en ce sens dans la philosophie sartrienne.
23
-
mentalement, il fut condamné et enfermé dans un asile psychiatrique à l’issue d’un
procès au cours duquel toutes les personnes qu’il avait accusé furent acquittées pour
nisation. Ce dernier fut d’ailleurs assassiné en représailles. Surnommé le «Valachi des
dans une embuscade alors qu’il sortait de la messe, il mourut des suites de ses blessures
Tommaso Buscetta et Salvatore Contorno.
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
93
-
pour accumuler des capitaux de manière illégale, le collaborateur, de par
Il est néanmoins bien souvent question de contre-violence ou de contreles Corleonais (responsables de l’assassinat de nombre de ses proches)
tout en épargnant dans une certaine mesure Gaetano Badalamenti, boss
nombreux rapports de police à ce sujet. Les juges lui concédèrent ce
point pour des raisons pratiques. Il «révéla des choses tellement importantes, tellement innovantes […] qu’elles incitèrent les enquêteurs à ne
pas insister sur l’invraisemblance de certaines de ses interprétations, en
particulier celles rattachant la dégénération de Cosa Nostra à la férocité
et au sadisme de Riina» [Lupo 2010, 5].
Suite à l’augmentation du phénomène, cette contre-violence fut encadrée avec peine par les structures étatiques puisque certains collaborateurs admis au programme de protection retournèrent en Sicile pour
vengeances transversales envers d’autres membres de l’organisation (ainsi Balduccio di Maggio ou encore Giuseppe Ferone).
À travers leurs révélations les collaborateurs cherchaient donc à empêcher
diverses formes de violence à leur encontre tout en l’exerçant sur les
par souci d’authenticité, laissa une certaine liberté dans le contenu des
tandis que ses limites structurelles ne parvinrent à empêcher la récidive et les entorses au programme de collaboration. Les discours furent
retranscrits, mis en forme, par la magistrature puis par la presse, créant
94
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bien souvent, une partie du sens nous échappe.
conclusion
Les collaborateurs de justice ont permis d’acquérir une connaissance
inédite de Cosa nostra, de son organisation, de ses rituels, nous donnant
à voir «une violence [devenue] d’une manière programmatique instrud’organisation adéquates à ses buts criminels» [Pezzino 1991, 425]. Mais
à travers leurs révélations ils ne se départent pas d’un langage interne et
autour d’une violence tolérable/tolérée [Dino 2006a]. Le détachement
manence d’un attachement aux valeurs morales de l’organisation, qui
participe de processus d’acculturations, de nombreux criminels de droit
société civile. En somme, bien que considérés comme des «infâmes», les
collaborateurs ne trahissent pas totalement l’organisation.
Leur prise de parole, faite de déclarations brutes et parfois brutales, gage
apparent d’authenticité, tend également à se conformer à un discours
gique d’appartenance et tend à s’adapter à un marché linguistique. Il
tieux à travers une collaboration stratégique, comme Giovanni Brusca
ou Giuseppe Ferone, tandis que d’autres ont été instrumentalisés par la
magistrature et les forces de police, comme ce fut le cas pour Vincenzo
Scarantino.
Plus globalement, le changement de stratégie de l’organisation, associé
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Cosa Loro. Le discours des repentis sur la violence
95
dix. Cette nouvelle stratégie s’est caractérisée par une plus grande compréhension à l’égard des collaborateurs, les incitant parfois à se rétracter,
le tout dans un contexte de normalisation commode pour Cosa Nostra
comme pour l’État. La politique d’enfouissement engagée par Bernardo Provenzano (1995-2006) a pu faire croire à un retour aux valeurs
prétendument originelles, prises comme existantes puisque défendues
par nombre de collaborateurs. Ces derniers eurent par ailleurs beaucoup
moins à révéler et ce qui restait à dire concernait surtout les liens entre
plus forte précisément lorsque les révélations atteignirent ce point critipolitique fustigeant la propension des magistrats à s’immiscer dans ses
dans une logique d’opposition binaire, ceci bien que la magistrature
soit une partie organique de l’État. L’usage considéré, à tort ou à raison, comme instrumental des collaborateurs de justice, a pu alimenter les perceptions complotistes (dietrologie) de la réalité, une perception
nourrie par la couverture médiatique et les discours politiques. Toutes
les collaborateurs de justice. Quoi qu’il en soit, même lorsque la parole
vers la collaboration. Il ne s’agissait cependant pas d’un contrôle objectif
que et aléatoire.
elle a pu être considérée à tort comme un hypersystème, soit un système
plus important qu’un premier considéré, ici en l’occurrence l’État italien, notamment parce qu’elle créait les conditions de l’insécurité pour
se présenter ensuite comme protectrice. Le recours aux attentats a provoqué une réaction étatique s’inscrivant dans une logique de l’urgence
96
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Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
et il a notamment été question d’un état de guerre. Or, «l’état de guerre
entités d’états homogènes, bien qu’en opposition et présuppose justeconsidérer» [Pezzino 1991, 419-437]. En somme, les catégories interprétatives de la classe politique et de la presse ont alimenté une ambiguïté parfois destinée à éluder certaines compromissions.
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Weber M. 1971, Économie et société, Paris: Plon.
Théoriser la violence politique
à l’extrême droite en Italie
Pauline Picco
Univ. Paris-Sorbonne (Paris IV), France
mostrare il divario esistente durante l’intero periodo tra le teorizzazioni ideologiche del-
a costruire l’immagine del martirio di destra.
during the whole period between right-wing ideological theorizations and the violent
100
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
introduction
valent en Europe, elle s’organise principalement, et ce jusqu’au début des
années 1980, autour du Movimento sociale italiano (MSI) [Ignazi 1998;
Tarchi 1995; Parlato 2006]. Créé en décembre 1946, le MSI rassemble
une multitude de groupes, mouvements, partis, fronts créés au sortir de
la guerre et se réclamant de manière plus ou moins explicite du régime
fasciste. S’il ne participe à aucun gouvernement dans l’après-guerre, le
MSI est toutefois loin d’être une force négligeable dans le paysage politique italien. De 1953 à 1968, il recueille, lors des élections législatives,
une moyenne de 5,5% des voix à l’échelle nationale, tandis qu’en 1972,
l’implantation du MSI et plus généralement de l’extrême droite dans la
péninsule. Les deux principaux groupes extraparlementaires italiens, Ordine nuovo et Avanguardia nazionale1, véritables pôles d’attraction pour
plusieurs générations de militants qui ne se reconnaissent pas dans la politique du MSI, sont, comme ce dernier, essentiellement implantés dans
le Latium, dans le Sud de la péninsule, en Sicile. Ils possèdent également
quelques bastions en Vénétie – Padoue par exemple – et dans les grandes
villes du Nord telles que Milan.
L’extrême droite est marquée, des années 1950 au début des années
1980, par le recours à l’action violente comme mode d’action polititutélaires dont elle se réclame ainsi qu’à son positionnement anti-intel-
1
Avanguardia Nazionale est créé en 1959 par Stefano Delle Chiaie. Il
gouvernement italien en 1976. Le centro studi Ordine Nuovo est fondé en 1954 par
Pino Rauti. En 1968, il est rebaptisé Centro politico Ordine Nuovo.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
101
ment de rue contre les gauchistes ou les forces de l’ordre (essentiellement
durant la deuxième moitié des années 1970), au terrorisme des stragi,
qui nourrissent, dans les représentations et mentalités collectives, l’image
d’une extrême droite par nature, violente [Rao 2006; 2008].
Or, en matière de militantisme et d’engagement politique, les comportements sont eux alimentés par les discours. Étudier les théories de la
violence politique à l’extrême droite, implique de s’intéresser aux pratiques langagières, à l’idéologie, aux référents historiques, culturels et
symboliques qui, aux yeux des militants, légitiment, au moins au sein
ne et la conduit à former une communauté ghettoïsée au sein d’un
système dont elle réfute la légitimité, est fondamental pour comprendre
les dynamiques violentes qui l’animent [Germinario 2005].
Conformément à l’approche de Philippe Braud reprise par François Audigier et Pascal Girard, nous intégrerons à notre étude sur ces théories
de la violence politique à l’extrême droite, non seulement les violences
«physiques», «tangibles» (celles des coups portés et reçus) et «matérielles»
mais également, «la violence des discours, des mots, des images, des po-
discours est agissant» [Audigier, Girard 2011, 10]. Le discours, comme
l’action violente ne peuvent toutefois pas être dissociés du contexte dans
lequel ils ont été produits et c’est dans une perspective diachronique
que nous nous attacherons à historiciser le phénomène: un contexte
de guerre froide et d’émancipation des peuples colonisés qui nourrit
un imaginaire, des représentations fantasmées et un discours d’extrême
droite sur l’Autre, au sein d’une société italienne fortement clivée politiquement et idéologiquement [Jesi 1993]. Outre le contexte international et national, il conviendra également de rappeler les phénomènes
d’héritages et de recompositions – idéologiques, politiques, militantes
102
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
de jeunes militants entrer en politique. Marqués par le mouvement de
77, ils se placent en rupture avec le MSI et avec certains héritages traditionnels de l’extrême droite d’après-guerre. Ils témoignent également de
ques violentes d’une frange de l’extrême droite [Guerrieri 2005].
Si l’on considère, avec Michel Foucault, que la politique est l’exercice de
la guerre par d’autres moyens, on se trouve alors, lorsque l’on traite de la
violence politique, au cœur du patrimoine culturel, idéologique et politique de l’extrême droite [Catanzaro 1990]. Les formations politiques
parlementaires et extraparlementaires qui la composent développent en
la transformant en pratique militante à part entière» [Audigier, Girard
2011, 17].
Le discours porté par ces groupes s’articule autour de grands thèmes
qui témoignent de la prégnance d’une violence symbolique et verbale
recours régulier à la violence physique. La défense d’un anticommunisme viscéral, la dénonciation du système démocratique capitaliste et
bourgeois et le rejet de la République résistancialiste italienne, la défense
de l’Occident, portée par un discours raciste et antisémite, constituent
l’armature idéologique du discours violent partagé par l’ensemble de
l’extrême droite d’après-guerre.
C’est sur le décalage entre le discours et ses pratiques que nous porterons
notre attention.
Dans un premier temps, il s’agira d’étudier les théories et modèles d’extrême droite porteurs d’une violence verbale et symbolique. Ensuite,
nous nous pencherons sur les vecteurs et supports de ces théorisations:
timations théoriques des pratiques politiques: la construction d’un
martyrologe.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
103
théories et modèles d’extrême droite: violence verbale et
symbolique
Le «mythe» fasciste constitue, pour les extrêmes droites italiennes nées
de la défaite de 1945, un ressort puissant d’explication du réel et de moportées par l’action violente du fascisme, de ses acteurs, de ses combats,
de ses récits façonnent profondément les représentations militantes de
l’extrême droite italienne et sa façon d’appréhender et de dire la violence. L’imaginaire politique de plusieurs générations de militants appartenant aux extrêmes droites parlementaires et extra-parlementaires
est pétri, au moins jusqu’au milieu des années 1970, de références au
personnelle de certains membres du MSI et d’Ordine Nuovo au sein des
institutions du régime fasciste ou de la République de Salò, la prégnance
d’une éducation reçue sous le
marquent profondément cette
première génération qui forme les instances dirigeantes et représentatives des extrêmes droites italiennes dans l’après-guerre.
une construction identitaire marquée par l’héritage combattant des luttes fascistes
Comme le soulignait Franco Ferraresi, la «source principale de matériel
mythique» pour l’extrême droite des années 1950 aux années 1970 est
celle du «fascisme historique, mais de façon sélective» [Ferraresi 1995,
70]. Pour Philippe Braud, «le travail de mémoire […], nécessairement
sélectif (…) crée en creux la catégorie de ce qui est oubliable parce
l’extrême droite italienne «a toujours préféré la pulsion révolutionnaire du fascisme à sa dimension restauratrice et ordinatrice, cette dernière étant considérée comme le signe que le fascisme s’était rendu aux
intérêts constitués» [Ferraresi 1995, 64].
104
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Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
scisme républicain, les militants d’extrême droite entretiennent une relation sentimentale structurante à l’égard des combats «héroïques» des
combattants de Salò, de la Xa Mas du Prince Borghese, de la légion
Charlemagne, de ceux qu’ils considèrent comme leurs frères d’armes
et dont ils se doivent de poursuivre le combat pour une Europe unie.
légionnaire», à cet «ordre de combattants et de croyants», ne peut que
demeurer constitutive d’un imaginaire violent, caractéristique d’une
identité en tension.
C’est un fascisme combattant qui est exalté: le squadrisme de 1919-
est celle du militant révolutionnaire2, le promoteur du squadrisme du
début des années 1920, le conquérant de la corne de l’Afrique, et le chef
de la RSI. «Il Secolo» exalte d’ailleurs bien davantage3
vement restreinte dans ses numéros. Dans le quotidien du MSI, c’est un
Mussolini «protecteur des juifs»4 qui est célébré durant le procès d’Adolf
2
Per una grande battaglia, «Ordine Nuovo», V (3-4), mars-avril 1959, 129-132.
3
dépouillés systématiquement (de janvier 1961 à décembre 1968 puis juillet-décembre
1969; janvier-mars 1970; octobre-mars 1972; janvier-avril 1973).
4
molte migliaia di ebrei, «Il Secolo d’Italia», 19 avril 1961; Salvati dall’Italia gli ebrei in
Croazia, «Il Secolo d’Italia», 10 mai 1961, 8;
questione ebraica, 12 mai 1961, 5;
zione contro gli ebrei”, 4 juillet 1961, 5;
,
«Il Secolo d’Italia», 5 juin 1962.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
105
Eichmann à Jérusalem5, alimentant ainsi le «mythe du bon italien»6 [Bidussa 1993] créé dans l’après-guerre et unanimement partagé, à droirévolutionnaire, de la chemise noire, du Mussolini fondateur des
italiani di combattimento7 et instigateur de la «Marche sur Rome»8 est
portée aux nues. Il est présenté, grâce au rappel du thème de la «victoire
mutilée», comme le défenseur de l’honneur de la patrie italienne9. C’est
également le «martyr» de «l’Idée» qui est célébré et dont la mort est tran10
.
les combattants de Salò. Cette mystique du combat perdu et héroïque
de la RSI est réinvestie et réactualisée tout au long des années 1960, notamment grâce au combat OAS [Rossi 2010, 21-39]. Étonnamment, le
passé fasciste italien, guerrier, colonial, se dit davantage dans les colonnes
du Secolo que dans celles de revues émanant de groupes plus radicaux.
Ce décalage s’explique sans doute par la volonté du MSI de se rattacher
symboliquement au passé fasciste. Il trouve également un élément d’exOrdine Nuovo,
davantage enclin à se les réapproprier, les référents mythiques du national-socialisme. Les ordres chevaleresques des chevaliers teutoniques, le
5
solde par la condamnation à mort de l’accusé.
6
exempts de toute responsabilité dans la persécution antisémite du fait de leur prétendu
humanisme naturel. Mis en place dès la Libération, ce mythe n’a été véritablement
, «Il Secolo d’Italia»,
23 mars 1968, 3. Les faisceaux italiens de combat sont fondés à Milan le 23 mars 1919
par Mussolini.
7
8
, «Il Secolo d’Italia», 27 octobre 1963, 3.
, «Il Secolo d’I-
9
talia», 22 octobre 1964.
10
Il giorno del Suo martirio, «Il Secolo d’Italia», 28 avril 1966, 3.
106
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Saint Empire romain germanique, le code traditionnel saxon, la division
Charlemagne participent de l’exaltation de l’Europe d’Hitler qui aurait
glaises et la menace russe»11. En outre, Ordine Nuovo se réapproprie et
daté mais datable du milieu des années 1960, publié par les sections
padouanes des groupes extraparlementaires Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo et le groupe d’Ar12 se réclame ouvertement de cet héritage et
Le 8 mai 1945, les soldats du Grand Reich national socialiste cessaient de
combattre. Nous, qui, avec orgueil, considérons les héritiers de la Répucamerati allemands en publiant le dernier bulletin de guerre du Commandement suprême allemand: mus non par un sentiment – absurde
que les hommes de l’Axe cherchèrent, il y a vingt ans, à réaliser au sein
du NOUVEL ORDRE européen. […]. Nous adhérons DE FAÇON
INCONDITIONNELLE aux termes ideologiques de la lutte au sein de
laquelle périrent le Régime fasciste et le IIIe Reich.
Les vainqueurs ne doivent pas se bercer d’illusions, pour nous avoir écraser sur le plan de la force militaire et politique.
Vingt ans après, nous avec tous ceux qui ont été divisés par les démocraties bourgeoises et bolchéviques: NOUS RESTONS DEBOUT13.
stituent un panthéon étranger et alternatif pour l’extrême droite italienne, telles que Corneliu Codreanu (garde de fer roumaine), Léon
11
, «Ordine Nuovo», I
(2), 1970, 49-54.
12
13
Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria EzAr-Ordine Nuovo-Giovane Europa.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
107
Degrelle (rexisme belge), Jose Antonio Primo de Riveira, Otto Skorzeny, tous étroitement liés aux expériences fascistes européennes font
l’objet d’une profonde admiration et contribuent à nourrir le discours
role donnée, la totalité de l’engagement, la foi en l’Idée sont célébrées
et elles contribuent à constituer un modèle de «soldat politique» conçue
En vertu d’un idéal aristocratique assumé, le soldat politique d’extrême
droite est présenté, en défenseur héroïque de la camaraderie, d’une
FUAN, organisation universitaire du MSI publie des extraits de textes
fondateurs du fascisme14. Les vertus régénératrices de la guerre sont
rappelées et la référence à un idéal viril systématiquement invoqué tandis
que dans une perspective sorélienne, la violence est perçue comme un
processus créateur. L’action est parée, tout au long de notre période, de
15
tandis qu’un sens supérieur est conféré à la mort
célébré que lorsqu’il est perdu d’avance. En 1955, Pino Rauti écrit ainsi
à ce propos: «un bon combattant n’est pas celui qui lutte sachant qu’il
va gagner, mais celui qui sait rester à sa place, même quand la bataille
est perdue»16.
tent un rôle mobilisateur fondamental pour toutes les générations qui
se succèdent au sein de cette extrême droite minoritaire et ghettoïsée,
14
Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria
Ezzelino di Padova, Busta 27, Incarto ciclostilato del gruppo universitario S. Marco
«La dottrina del fascismo», Padova, Anno accademico 60/61. L’opuscule rassemble des
extraits de
, de
et des
.
15
entre prisonniers
16
.
Tradizione, reazione e Stato, «Ordine Nuovo», I (2), mai 1955.
108
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
des années 1950 au début des années 1980. Outre ces référents idéoloviolent d’extrême droite, la violence politique est également pensée par
les principaux théoriciens, idéologues de l’extrême droite d’après guerre:
Evola et Freda.
evola et Freda: la violence du discours des idéologues
L’itinéraire politique d’Evola illustre l’intensité de la violence du propos
élaboré par ce philosophe, né en 1898, antimoderne et traditionaliste,
tisémitisme fasciste [Germinario 2001]. Théoricien d’un antisémitisme
«spirituel», il est le fervent défenseur d’une supposée «aryanité» des Italiens durant les années 1930 et participe aux principales publications racistes fascistes. Il rédige notamment l’introduction à l’édition de 1937 des
Protocoles des Sages de Sion17
du régime. Il publie en 1950 son ouvrage Orientamenti [Evola 1950] destiné aux jeunes «qui ne s’étaient pas laissés entraîner par l’écroulement
général» puis, en 1953, un essai intitulé Gli uomini e le rovine [Evola
1953] dans lequel il prône la mise en place d’un État organique au sein
duquel le politique primerait sur l’économique. Il défend une conception antibourgeoise, héroïque et guerrière de la vie qu’il expose notamment dans son ouvrage publié en 1961, Cavalcare la tigre [Evola 1961],
sumé pour le peuple au nom d’un antiégalitarisme qui nourrit son refus
«mystique union d’hommes supérieurs» [Ferraresi 1984, 25].
Disciple d’Evola, Freda contribue, à partir de 1963, à donner un ca-
17
I protocolli dei Savi anziani di Sion, Rome, La vita italiana, 1937.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
109
dre théorique à la violence physique militante qui constitue un référent
fondamental pour l’extrême droite extraparlementaire, durant les années
contribuant notamment à la vulgarisation de la pensée d’Evola. Mais il
s’oppose fermement à une interprétation défaitiste du concept d’apolitia développé par Evola [Evola 1961], c’est à dire le refus de s’insérer
dans le système politique de l’époque: il comprend l’engagement politique comme une «forme de vie héroïque», de «guerre sainte». On
trouve en germe, dans la critique de Freda de Chevaucher le tigre, la
tisystème, exprimée clairement dans
, dont
l’apport théorico-doctrinal est fondamental pour l’extrême droite en ce
qu’il participe de son «décloisonnement idéologique» [Lebourg 2010,
45]. Un bref rappel chronologique est ici nécessaire pour comprendre
dans quel contexte s’inscrit la parution de l’ouvrage majeur de Freda
[Freda 1969]. L’année 1969 est marquée
en Italie par la poursuite des contestations estudiantines et ouvrières de
«l’automne chaud» et par la recomposition politique et idéologique de
l’extrême droite.
L’élaboration doctrinale de Freda, son discours antibourgeois, sont
progressivement complétés par un discours anticapitaliste nourri d’un
antisémitisme féroce qui, constitue un passage fondamental dans son
itinéraire, comme le souligne Franco Ferraresi [Ferraresi 1995, 102]. À
trême gauche devient net» [Panvini 2009, 41], Freda devient le prin-
révolutionnaire de gauche et envisage d’en faire une synthèse avec la
pensée révolutionnaire de droite, dans une stratégie de lutte contre le
système. L’Europe serait, selon ses propos, «esclave des Etats-Unis et
de l’URSS» [Freda 1969, 10]. Il propose non seulement un discours
antibourgeois mais également anticapitaliste, et il formule l’hypothèse
110
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
d’une solidarité théorique avec l’extrême gauche, en lutte contre le
«système». Guido Panvini souligne, à propos de cette stratégie qu’il
n’est pas évident de tracer une «ligne de démarcation nette entre une
réelle stratégie révolutionnaire et la mise en scène d’une provocation»
[Panvini 2009, 100].
Freda inscrit son action au sein d’une logique subversive et appelle à la
destruction du système par la lutte violente. Dans la deuxième moitié
des années 1970, il a ainsi indéniablement contribué à l’accentuation
des tensions politiques en donnant à une génération de jeunes militants
d’extrême droite une réponse – l’appel révolutionnaire à la subversion du
système – à des aspirations violentes que le MSI, parti parlementaire, ne
pouvait et ne réussissait plus à contenir. Freda est l’un des seuls «leaders
génération d’activistes qui, entrée en politique très jeune – souvent dès
14 ou 15 ans, passe à la lutte armée dans les années 1977-1978. L’approche générationnelle est ici particulièrement pertinente. Ces militants
ture avec la génération précédente, tout en se réappropriant une partie
du discours d’extrême gauche, celui du «spontanéisme armé» [Ferraresi
1995, 283] porté notamment par les Nuclei armati rivoluzionari dont les
activistes ont été formés politiquement au sein du FUAN de via Siena à
Rome18 [Ferraresi 1995, 306; Bianconi 2005; Cingolani, 1996].
L’extrême droite italienne se réapproprie, dans l’après-guerre, des mythologies fascistes qui contribuent à la formation d’une culture politique qui
droite italienne d’après guerre est indissociable des formes les plus radicritiquant la pensée évolienne, Freda propose, dans les années 1970, aux
jeunes militants des franges les plus radicales de l’extrême droite italienne
18
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
111
un modèle violent de subversion du système: son ouvrage
constitue un jalon théorique fondamental pour la génération qui fait, à l’extrême droite, le choix du passage à la lutte armée dans
la deuxième moitié des années 1970.
revues, maisons d’édition, tracts et bulletins internes et violence politique: diffuser un discours violent
assurée par ces théoriciens d’extrême droite, elle l’est également par les
revues et maisons d’édition étroitement liés aux groupes extraparlementaires de droite, principaux supports de la théorisation de la violence
politique, auxquels s’ajoutent l’apport des bulletins internes de certaines
organisations, ou encore les tracts revendiquant des attentats, essentielledu discours, le recours à l’action violente.
groupe Ordine Nuovo19
aux articles traitant de la race, du racisme et de l’antisémitisme, elles
se distinguent en cela de celles du MSI, qui, loin d’assumer l’héritage
idéologique antisémite fasciste, défendent le «mythe du bon italien». Le
20
stico-sémite et le monde indo-germanique» , conceptions qui relèvent
19
Ordine Nuovo entre 1955 et 1971: «Ordine Nuovo» et «Noi europa». Nous avons eu
accès à la collection complète des numéros de «Noi europa» et avons pu consulter
quarante-cinq numéros d’«Ordine Nuovo, mensile di politica rivoluzionaria». Sur la
base d’informations recueillies auprès de témoins et à la lecture de la revue, nous avons
toutes les raisons de supposer que notre recherche s’est fondée sur l’étude des trois
quarts environ des numéros parus.
20
paginé.
Il “mito” razzista del nazismo, «Ordine Nuovo», I (1), 1955, non
112
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
e
siècle, fondée sur l’antithèse entre sémites et aryens»
tous les stéréotypes antisémites pour dénoncer la prétendue subversion
juive. Le révolutionnaire, le banquier, le capitaliste juif, «l’internationale
judéo-maçonnique» sont par la suite remplacés, à la faveur des indépendances nationales africaines et asiatiques, par une haine raciste qui se
structure davantage autour de la dénonciation du spectre afro-asiatique.
À partir de 1960, les articles sur la «menace» afro-asiatique, sur le «racisme nègre»21
l’impérialisme, sur le soutien aux luttes européennes en Afrique ainsi
que sur le combat pour la défense de l’Occident occupent une place
centrale au sein de la revue. Par un déplacement rhétorique habile qui
voit «l’Algérie française» transformée en «Algérie européenne», Ordine
Nuovo se réapproprie le combat OAS, et contribue à alimenter, en Italie,
le mythe du légionnaire, le mythe du «para». Le mythe OAS, doublé
de celui des «paras» de la Légion étrangère, perdure dans les années
1960 et sa postérité s’étend jusque dans les années 1970 où il réapparaît
d’extrême droite. La culture du refus qui imprègne les mentalités des
parlementaires de ce milieu explique en partie l’adhésion au mythe et
l’écho qu’il trouve dans ses périodiques. La notion de résistance, qui se
manifeste plus particulièrement à l’égard du «système», est ainsi au cœur
de la construction politique et culturelle des individus qui gravitent au
sein de l’extrême droite [Picco 2013, 152-201].
Ordine Nuovo se réapproprie également la notion d’Eurafrique, l’Afrique
21
, «Ordine Nuovo», VI (2),
mai 1960, 68-72; Aryas, Colonialismo e imperialismo nella polemica con il PCI, «Ordine Nuovo», VII, février-mars 1961, 6-10; Graziani Clemente,
dia e crisi della civiltà contemporanea, «Ordine Nuovo», VIII (1), mars 1962, 23-30.
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
113
étant considérée comme «l’espace vital»22 de l’Europe. Le groupe reprend
à son compte le «problème africain»23 et refuse «d’abandonner» l’Afrique
aux populations indigènes.
Dans une perspective décadentiste évidente, ON développe un discours raciste qui vise à «défendre l’homme blanc» contre «un nouveau
Poitiers»24
partheid d’Afrique du Sud et de Rhodésie dont ils réfutent le caractère
intrinsèquement violent et discriminatoire25. C’est donc à une «communauté de combat» du peuple blanc contre le spectre fantasmé de l’invasion afro-asiatique qu’ON se rattache.
discours centré sur la violence. Les éditions d’Ar de Freda, dès le milieu
des années 1960 puis, au début des années 1970, les éditions Europa de
idéologique violent. Les Éditions d’Ar réservèrent une place particulière
à la traduction d’ouvrages antisémites et négationnistes: Freda joue un
minario 2001b; Goldstaub 1996] tandis qu’il s’attache à republier les
Protocoles des sages de Sion ou le Diario dal carcere de Codreanu [Codreanu 1970]26. Codreanu occupe d’ailleurs une place centrale au sein
Contributo alla battaglia per l’Ordine Nuovo europeo, «Ordine Nuovo», VIII (1),
mars 1962, 57-60.
22
23
, «Ordine Nuovo», VI (2),
mai 1960.
24
, «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet
1964, 8.
, «Ordine Nuovo», VI (2),
mai 1960; Rauti Pino,
, «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet
1964;
, «Ordine Nuovo», X (5-6), juin-juillet 1964, 73; Il mondo indoeuropeo, «Ordine Nuovo», I (3), décembre 1970, 63.
25
Protocoles des Sages de Sion publiée
après la Seconde Guerre mondiale en Italie. Protocolli dei savi anziani di Sion, Padova:
Edizioni di Ar, 1971.
26
114
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
du panthéon militant de la jeune génération militante qui fait de l’action
violente un mode d’action politique à part entière à partir de 1978.
vendication et
, le bulletin de liaison entre prisonniers politiques
de modèles théoriques pour une frange militante qui a fait le choix, à la
racistes, antisémites, qui témoignent de la violence de l’idéologie de cette frange radicale de l’extrême droite. Ces groupes sont toutefois loin
d’assumer les pratiques politiques violentes qui accompagnent les «mots»
qu’ils emploient et l’idéologie à laquelle ils se réfèrent. Pour le MSI comme pour les groupes extraparlementaires, les légitimations théoriques
des pratiques de violence politique s’articulent, après 1969, autour de la
construction d’un martyrologe d’extrême droite.
légitimations théoriques des pratiques politiques: la construction d’un martyrologe (1969-début des années 1980)
L’attentat de Piazza Fontana, le 12 décembre 1969, constitue indéniablement un tournant dans l’histoire de l’Italie d’après-guerre mais également dans l’histoire de l’extrême droite italienne. Dès lors, et jusqu’au
début des années 1980, l’extrême droite parlementaire et extraparlementaire légitime le recours à l’action violente par une stratégie de
victimisation systématique: condamnée au ghetto politique, l’extrême
droite italienne ne s’adonnerait à la violence physique qu’en réponse aux
attaques gauchistes et à la répression exercée par un système «pourri»,
«corrompu et corrupteur».
Parallèlement, le MSI connaît, au début des années 1970, une mutation majeure de son message politique, des symboles qu’il véhicule et
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
115
mémoires qu’il invoque. La prise de fonction d’Almirante à la tête du
parti, suite à la mort de Michelini au printemps 1969, entraîne la tranun «parti militant qui mise tout sur la mobilisation constante et sur sa
capacité à contrôler la rue» [Ignazi, 1998, 145]. Le parti entretient, à
l’égard du système politique, comme de l’usage politique de la violence,
native au système» tandis qu’il participe aux consultations électorales et
le; il exalte ses militants au courage et insiste sur la nécessité de contester
la domination de la rue par les forces de gauches mais se défend d’exalter
le recours à la violence. C’est en réalité le tiraillement d’un parti entre
insertion dans un système parlementaire et une aspiration révolutionnaire toujours invoquée, jamais abandonnée et qui implique l’usage de
la violence qui est ainsi mise à nue. Les discours de Giorgio Almirante,
ve d’une identité écartelée. Lors du cours de formation des jeunesses du
parti organisé par le MSI à Cascia en 1970, Almirante aurait, lors de son
discours d’ouverture adopté «un ton explicitement révolutionnaire, justement pour donner la preuve à certaines forces économiques du Nord
que le MSI est prêt à se battre dans les rues»27, contre les forces de gauche.
sme, il n[e serait] plus possible de s’en remettre au consensus électoral,
qui demeure désormais stationnaire, mais il [serait] nécessaire de passer
à l’action directe avant que d’autres ne le fassent»28. Il ajoute qu’une telle action devrait «conduire à une véritable “révolution” qui fasse jaillir
27
di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997, Allegato 299, APP-mi,
teriale su Brendao Eugenio, Santos Alberto, Munoz Alvarez», Nota segreta del SISMI,
15 settembre 1970 (Ga71).
28
116
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
des résultats analogues à ceux acquis en Grèce, Espagne et Portugal»29.
siennes les aspirations des groupes les plus fervents de l’extrême droite,
jusqu’ici désunis, au moins en apparence»30. Almirante, dont la teneur
et adoucit ses propos quelques jours plus tard, «suscitant des doutes sur
terme qui ne désignerait pas «un soulèvement violent de masse ou des
expériences de type “squadriste”». Il envisagerait la révolution «dans le
sens plus strictement politique et organisationnel du terme, c’est à dire
un renouveau moral» pour le pays et sa jeunesse31. L’auteur de la note
du
(SISMI) souligne le «changement de langage du parlementaire et ses précisions plus
modérées» qui ont «donné l’impression qu’il a été frappé par les réactions
négatives suscitées dans l’opinion publique et dans les milieux politiques
32
. C’est toute l’ambigüité du
rapport du MSI à la violence, invoquée en privé, réfutée en public, qui
apparaît ici.
L’ambiguïté fondamentale du parti à l’égard de l’usage de la violence ne
l’empêche pas de se doter, dès 1963, d’une structure militante paramimanifestations et autorisée à faire usage de la violence. L’existence des
volontari nazionali est symptomatique de la double ambivalence du MSI
à l’égard de l’action violente et à de ses franges extraparlementaires33. Di29
30
teriale su Brendao Eugenio, Santos Alberto, Munoz Alvarez», Nota segreta del SISMI,
23 settembre 1970 (Ga71).
31
32
33
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
117
rigée par Alberto Rossi, cité en première partie, la nouvelle organisation
«naquit sur l’impulsion explicite du secrétaire national Michelini avec
de “garde prétorienne” directement à ses ordres, service d’ordre lors des
congrès»34. La vacance du pouvoir suscitée par la maladie de Michelini
permet aux volontari nazionali de s’adonner à l’envi à l’usage de la violence, avant la reprise en mains opérée par Almirante dès son accession
de contrôle, à les renforcer et il donne, pour ce faire, «la charge au prof.
Signorelli, [personnalité subversive s’il en est au sein de l’extrême droite
italienne] d’organiser des équipes spéciales et secrètes, avec pour mission
35
. C’est donc bien une structure
meut Almirante. Sans prétendre faire du MSI une centrale du terrorisme
noir, il n’est pas exclu qu’une partie des militants d’extrême droite qui
tion violente des volontari nazionali.
Almirante se défend des accusations qui portent sur l’extrême droite et
son usage de la violence en faisant des distinctions de vocabulaire qui
paraissent peu convaincantes. Aux «guerriers» de gauche, il oppose les
«combattants» de droite qui se réclament de la tradition de «l’arditismo»,
en opposition avec le «vandalisme et le terrorisme». Selon lui, «l’arditismo [serait] volontaire non mercenaire, […] ouvert non clandestin, cho-
di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997, Allegato 167, APP-mi,
fascicolo «MSI», Nota da fonte Aristo del 7 novembre 1963.
zione di perizia del consulente Aldo Giannuli del 12 marzo 1997 (incarico del 21 01
1996), 186.
34
35
zione di perizia del consulente Aldo Giannuli, 12 marzo 1997, Allegato 182, APP-mi,
bilmente del febbraio 1971), non protocollato.
118
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
généreux et courageux, il ne se dédie[rait] ni à la méthode de la violence systématique, ni à l’embuscade, au vandalisme, au terrorisme». Si
Almirante constate qu’une «véritable guerre civile» est en cours dans le
pays, il défend ses jeunes militants d’en être responsables par un subterfuge rhétorique plus que douteux36. L’état de «guerre civile» supposé
violentes perpétrées quotidiennement à Milan ou Rome par ses militants
les plus actifs.
En outre, la violence, est systématiquement théorisée comme défensive
tout en en appelant à l’exaltation d’un idéal viril constitutif de la construction identitaire d’extrême droite. Imputer la violence au système
participe d’un processus de victimisation prégnant dans la rhétorique et
cieraient des protections judiciaires ou étatiques. En décembre 1969, un
bulletin interne d’Ordine Nuovo
de droite» destinée à pallier les carences de la défense mise en place par
l’État contre l’extrême gauche. Le texte ajoute «par rapport à d’autres,
dans le milieu de la criminalité politique et sociale, nous sommes des
débutants, timides et ingénus qui ont encore beaucoup, mais beaucoup
à apprendre!»37. Le texte n’est pas dénué d’une certaine ironie lorsque
l’on sait que ce sont de véritables arsenaux qui furent saisis en 1966-1967
par la police italienne dans le Nord de l’Italie auprès de militants d’Ordine Nuovo38 et que le groupe fut directement impliqué dans la strage de
36
ROS Roma, Discorso ai giovani del segretario nazionale Almirante.
37
Freda, nella sede delle Edizioni di Ar di Freda, nella dimora di Freda, nella libreria Ezzelino di Padova, busta 26,
, Bollettino interno del centro studi «Ordine Nuovo» del MSI, I (7), dicembre 1969.
38
DCPP, Archivio di Gabinetto, Lettera «riservata personale doppia busta» del ministero
PAULINE PICCO
Théoriser la violence politique à l’extrême droite en Italie
119
Piazza Fontana en 1969. L’arrestation de Freda puis de Rauti sont ensuite
au prix d’un renversement rhétorique et symbolique particulièrement
ignoble que l’extrême droite tente de se disculper des accusations qui
pèsent, à juste titre, sur elle.
En réponse à cette persécution d’un «antifascisme militant» et à la ghettoïsation dont ils s’estiment les victimes, l’extrême droite construit progressivement, tout au long des années 1970, un véritable martyrologe
qui viserait à rappeler, face aux silences du système, les victimes oubliées
du système et du gauchisme. C’est un panthéon militant qui se constitue
detta è sacra», l’un des ressorts fondamentaux de l’action violente39. Les
tracts de revendication d’homicides perpétrés par les Nar de 1978 à 1982
témoignent de l’importance de la vengeance et des relations personnelnat du magistrat Mario Amato est sur ce point, tout à fait explicite. Ses
mum qu’[ils] puiss[ent] faire est de venger les camerati tués ou en prison
[…] parce que la vengeance est sacrée»40. La nature des actions violentes
celles des générations précédentes.
L’extrême droite, parlementaire et extraparlementaire est marquée, des
années 1950 au début des années 1980, par la prégnance de discours et
de pratiques violentes, qui sont fondamentalement constitutifs de son
identité. Tandis qu’elle se réapproprie un héritage fasciste particulièrement violent, elle se réfère également, sur le plan organisationnel, aux
dell’Interno, DGPS, div. AA. RR, Sezione Terza ai signori questori della Repubblica,
17 maggio 1966, (Ga95).
39
point, particulièrement explicites.
40
120
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
modèles de l’OAS ou, plus tard, à celui du Cuib de Codreanu41. Si le
discours et l’action violentes sont relativement assumés par les militants
de ses franges extraparlementaires, comme en témoigne l’exemple d’Avanguardia Nazionale ou d’Ordine Nuovo, dans son soutien aux luttes
des peuples de «race blanche», il n’en va pas de même au sein du MSI,
qui s’attache progressivement à se détacher de l’héritage fasciste et se
pose en parti de l’ordre. Cette stratégie électorale est toutefois mise à
mal par l’ambiguïté fondamentale que le parti entretient avec la violence, systématiquement théorisée dans sa version défensive. Malgré ces
les prouesses rhétoriques d’Almirante, le parti voit ses franges les plus
radicales lui échapper et faire de la lutte armée, la principale expression
de sa violence politique.
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Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
,
il «movimento ’77» visto
dalla stampa francese
Margherita Morini
Univ. Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà
L’articolo analizza le percezioni e le rappresentazioni della stampa francese rispetto al «movimento ’77» in Italia. Si indagherà secondo quali immagini e attraverso quale lessico il
fenomeno contestatario italiano è stato recepito nella sfera pubblica oltralpe. Con l’emergere
di alcune tematiche, su tutte quella relativa alla violenza politica, metteremo in evidenza
il sovrapporsi della sensibilità e delle culture del contesto che le recepisce. Gli avvenimenti
europei contemporanei agli eventi, diventeranno quindi termini fondamentali con i quali confrontare la nostra analisi.
The paper investigates how the French press represents the Italian «movement of ’77». Firstly,
it focuses on the images and the vocabulary used to describe this phenomenon. Second, the
article demonstrates the overlapping between some specific topics, in particular political violence, and the French social context which assimilates them. Then the contemporary European
events will become the basic terms to compare our analysis.
124
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
introduzione
Paris mars 1977. La France s’ennuie, les travailleurs travaillent, les étudiants étudient. Paris est aussi triste que les temps gris gris1
L’Italie, qui n’a jamais été aussi politisée, bouillonne de passions2
di febbraio Luciano Lama, il segretario della più grande organizzazione
sindacale italiana (CGIL), è stato espulso dall’università di Roma. Gli
Indiani metropolitani invadono le strade con il viso dipinto, l’esperienza delle radio libere è nel pieno della propria espansione, un diverso
linguaggio rompe i codici linguistici tradizionali, destruttura l’abituale
sti, sui muri. L’11 marzo a Bologna, nel corso di alcuni scontri tra manifestati e forze dell’ordine vicino all’università, lo studente Francesco
Lorusso, militante di Lotta Continua, viene ucciso. In Italia aveva preso forma un movimento di giovani eterogeneo e ambiguo. In Francia,
[Sirinelli, Vandebussche, Vavasseur-Desperriers 2003].
Al centro di questa ricerca è stato messo l’interesse della stampa francese
per la particolarità del contesto italiano e le percezioni che oltralpe si
ebbero di quello «strano movimento di strani studenti»3. La ricerca si
basa sullo spoglio giornaliero di alcuni dei principali organi d’informazione francesi. Inizialmente si è proceduto attraverso l’analisi di Le
Figaro e di Le Monde, rifacendosi al criterio della maggior tiratura e
1
2
L’exemple italien, «Libération», 3 Mars 1977, 2.
«Eppur, si muove...», «Le Monde», 6/7 Mars 1977, 3.
3
condizione della precarietà il connotato fondamentale della massa giovanile che
animava le contestazioni [Lerner, Manconi, Sinibaldi 1978].
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
125
della maggior vendita dei quotidiani su scala nazionale [Eveno 2010].
Successivamente si è scelto di ampliare l’orizzonte d’analisi alla presse
périodique. Non si può infatti dimenticare il grande successo di vendita
e l’importante spinta al rinnovamento del sistema d’informazione francese, di cui gli hebdomadaires furono protagonisti. Mentre i quotidiani
erano fortemente in crisi, ispirandosi al modello dell’americano Times, i
settimanali d’approfondimento vissero un momento di forte espansione
e dinamicità sia a livello di rinnovamento della propria produzione, sia a
livello di allargamento del proprio pubblico. Secondo i criteri della magsono analizzati L’Express, Le Nouvel Observateur e Le Point. I giornali e i
periodici citati si contraddistinsero per una linea editoriale indipendente,
al di fuori della stretta connotazione ideologica, che invece caratterizzava la presse militante e quella d’opinion nel trattare il tema scelto [Blandin
2007; Daniel 1988; Devreux, Mezzasalma 2004; Jeanneney 2001; SaintVincent 2006; Thibau 1978]. Come contraltare al puro carattere inforvisione anche de L’Humanitè, di Libération, di Rouge e de L’Humanite
Rouge. Questi quotidiani esprimevano posizioni profondamente diverse
in merito a quello che stava succedendo Oltralpe. Ognuno secondo la
propria inclinazione, rappresentavano le sensibilità del mondo partitico
e movimentista orientato a sinistra, maggiormente toccato dall’esperienza italiana del ’77 [Samuelson 1979].
, anche quella oltralpe ricerca dalle prime
contestazioni studentesche un paragone con i fatti avvenuti nel maggio
4
dell’ordine e manifestanti avvenuti nel marzo, il confronto con il maggio si pone come paradigma interpretativo della contestazione italia-
4
[2006, 22].
126
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
na. Le numerose testimonianze degli animatori stessi del «movimento»
rimarcano la radicale alterità rispetto alla mobilitazione di nove anni
prima. La netta consapevolezza di trovarsi davanti a un contesto sociascontro frontale di alcune sue componenti. L’immagine della presunta
continuità tra la contestazione del ’68 e il fenomeno del ’77 ricercata oltralpe, viene decisamente meno con l’assassinio di Francesco Lorusso. Se
dunque si ha l’impressione che «con le giornate di marzo il fossato [tra
movimento e altri soggetti sociali] scavatosi nel febbraio viene riempito,
non solo metaforicamente, da una insormontabile barricata» [Grispigni
2006, 38], la percezione che se ne ha in Francia è la medesima.
Fino all’uccisione del giovane militante di Lotta Continua, lo spazio
d’analisi è occupato dall’esplosione della contestazione in tutte le sue
sfaccettature: gli studenti, les indiens con il volto dipinto e le componenti
più vicine all’Autonomia organizzata. Mentre il contesto italiano si de, «le vieux fond anarchiste
remonte sous toutes les formes, pittoresques ou violentes, de la dérision
et de l’agitation à la base»6.
5
del mondo contestatario. Quelle anti-autoritarie, creative e desideranti,
criticano attraverso il linguaggio e il comportamento le categorie stesse
della politica. Quelle più orientate dall’ortodossia marxista avevano rie7
.
Con il corso del tempo questa compresenza scompare. L’immagine
dei «cousins italiens de Mai 68», che dall’inizio di febbraio «animent la
De graves incidents à Rome ont mis aux prises forces de l’ordre et extrémistes de
gauche et de droite, «Le Monde», 4 Février 1977, 3.
5
6
«Eppur, si muove...», «Le Monde», 6/7 Mars 1977, 3.
7
Nouvel Observateur», 12 Mars 1977, 49.
Révolte à l’Italienne, «Le
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
127
révolte des universités comme une commedia dell’arte8», viene progressivamente oscurata. Prendono sempre maggior spazio le cronache della
contrapposizione frontale con il Pci, con le forze di polizia, con l’estrelizzo della violenza. La consapevolezza che quello che stava accadendo
oltralpe non era l’espressione di un «printemps romain», ma piuttosto di
un «automne dans toute l’Italie9», si accompagna alla descrizione della
composizione sociale del «movimento» e delle pratiche messe in atto per
la sua espressione.
Nel corso del seguente articolo vedremo come, lungo tutto il 1977,
sempre con maggiore attenzione e crescente interesse [Argenio, 2014],
una serie di immagini e di percezioni sono utilizzate nella sfera pubblica
francese per cogliere il fenomeno italiano nella sua particolarità [Som’77 non possa essere ridotta ad un semplice fenomeno preliminare alla
radicalizzazione della violenza politica sviluppatasi in Italia nell’ultimo
triennio degli anni Settanta10. Allo stesso tempo però, per la sua composia dal punto di vista concreto, dei protagonisti che vi presero parte, sia
dal punto di vista teorico, rispetto alle rivendicazioni e alle istanze di cui
si faceva portatore. É all’interno di questa complicata rete, composta da
punti di contatto e vicinanza tra idee, militanti e pratiche, ma anche da
dell’illegalità di massa e della violenza [Falciola 2013]. Questi fattori, soprattutto in rapporto ai media [Dondi 2008], tendono ad egemonizzare
e oscurare le ragioni e le istanze «altre» di quello «strano movimento».
È proprioin relazione ad alcune tematiche, quali la violenza politica e la
8
9
1 e 8.
10
Les Cousins italiens de Mai 68, «L’Express», 14 Mars 1977, 100.
L’Italie des travailleurs et celle des «exclus», «Le Monde», 13/14 Mars 1977,
128
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
risposta dello Stato, che risultano evidenti il gioco di specchi, l’intreccio
e il sovrapporsi della sensibilità e delle culture del contesto che le recepisce [Della Porta 1995; Tarrow 1995]. L’esperienza e lo scenario non
solo francese, ma anche europeo contemporaneo agli eventi, diventano
dunque termini fondamentali con i quali confrontare l’analisi della percezione francese [Lazar, Matard-Bonucci 2010].
Sfera pubblica
Per lo svolgimento di questa ricerca si sono rivelate particolarmente utili le osservazioni che preliminarmente analizzano la sfera pubblica in quanto spazio fondamentale per i processi di formazione dell’opinione. Se pensiamo alla sfera pubblica
come a un «sistema di intermediazione tra cittadini e sistema politico» [Tolomelli
trollo nel rapporto tra Stato e Società», risulta importante focalizzare l’attenzione sugli aspetti che ne caratterizzano il funzionamento e l’organizzazione in una
moderna società democratica [Anania 2008, Habermas 2011, Tolomelli 2006].
Considerando quindi l’opinione come un fenomeno socialmente costruito [Braud
2000, Laborie 1988], collettivo e dinamico, che si caratterizza come un aggregato
di sentimenti e di attitudini davanti a un evento [Delporte, Mollier, Sirinelli 2010,
584-588], la nostra attenzione si indirizza naturalmente verso i sistemi di rappresentazione e di comunicazione attraverso i quali i fatti sono costruiti, trasmessi e
ricevuti. Per questo motivo si è scelto, nella ricerca, di dare importanzaall’analisi
del discorso pubblico costruito sui media, utilizzando come fonte di primaria importanza l’analisi della stampa.
Pci e «movimento»: lo scontro frontale
A partire dalla seconda metà del marzo 1977 appare in primo piano la
questione della violenza. Centrale diviene la descrizione del tentativo
d’isolamento dell’Autonomia operaia e di riassorbimento della contestazione da parte della sinistra istituzionale e dell’estrema sinistra. Il «movimento» non sembra però essere disposto a pagare il prezzo dell’abbandono della sua autonomia ideologica, politica e di lotta, seppur
conservando forti contraddizioni.
L’innalzamento del livello dello scontro può essere considerato uno dei
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
129
fattori che contribuisce a creare fratture sempre maggiori all’interno del
fenomeno contestatario e al progressivo allontanamento della partecipazione al variegato milieu dell’autonomia sociale. In maniera direttamente
proporzionale, le azioni dell’Autonomia organizzata, nelle sue varianti
romana, padovana e milanese, si impongono e oscurano altre manifestazioni [Grispigni 2006, 42-43]. L’attenzione francese infatti si focalizza
anime del «movimento». Questo è ridotto a strumento e contenitore di
un’aspra opposizione nei confronti del Pci; mentre sembra opportuno
sottolineare che, per la novità della sua composizione sociale, di fatto si
proponeva praticamente e teoricamente come «altro» rispetto ai modelli
classici d’azione politica. Se possiamo condividere l’idea che il ’77 in
Italia fu caratterizzato da una contrapposizione esplicita e frontale tra il
Pci e un movimento sociale [Grispigni 2006, 23], la ricezione di questo aspetto sembra essere la chiave interpretativa prediletta dalla stampa
francese.
Già a partire dal febbraio, a seguito della «cacciata» di Lama dall’unicaratteristiche di primo piano. Nelle settimane seguenti la contrapposizione al «compromesso storico» e alla torre eburnea della politica delle
– e nelle – istituzioni, la cronaca delle giornate dell’11 marzo a Bologna
«movimento». L’aspetto dell’analisi sociale ed economica degli «esclusi»,
componente femminista, le voci che si levano «pour réclamer moins de
discours, moins d’idéologie, “une nouvelle façon de faire de la politi11
vengono
progressivamente adombrati per focalizzare l’attenzione sulla radicalità
delle posizioni delle parti coinvolte.
11
8.
L’Italie des travailleurs et celle des «exclus», «Le Monde», 13/14 Mars 1977,
130
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
L’attenzione per la violenza degli scontri ci restituisce l’idea di due fazioni opposte: da un lato la compattezza dei partiti politici nella denuncia
degli atti violenti e, dall’altro, le immagini delle «barricate» del «movimento» e del gesto a indicare la P38, che si alzano entrambe contro
la repressione dello Stato. Il lessico usato dalla stampa francese tende
ad enfatizzare e a sottolineare la radicalità di questa contrapposizione:
rimanda alla sfera semantica della battaglia, le città sono sotto assedio,
il «movimento» si avvale di pratiche di guerriglia, le manifestazioni si
traducono in battaglie frontali12. Les visages masqués delle cronache non
sono più quelli degli indiani, ma quelli dell’Autonomia operaia. Il dibattito interno al Pci riportato da inizio febbraio, sulle necessità di autocritica rispetto alla posizione nei confronti del movimento studentesco13,
scompare di fronte alla necessità di condannare le violenze e di fronteggiare quella «menace de désordre» che già il corrispondente di Le Figaro
sottolineava con evidente condanna a inizio marzo14.
Quello che dunque traspare dalle analisi è soprattutto un’incomprensione di fondo tra due mondi e una sostanziale incomunicabilità. In
modo particolare, la polarizzazione viene veicolata dalle notizie riportate da quei quotidiani o settimanali più vicini al Pci e al «movimento». All’interno delle innumerevoli espressioni utilizzate per descrivere i
fatti legati al contesto italiano, spicca un reiterato ricorso all’immagine
cui quest’espressione è entrata in circolazione in Italia, oltralpe essa non
indica solamente una nuova ondata di violenza politica destabilizzante
12
La bataille de Rome, «Libération», 14 Mars 1977, 1, 8-9;
Padovani M., Le temps des enragés, «Le Nouvel Observateur», 22 mars 1977, 35; Solé
R., «Vive le sacrifice!», «Le Monde», 25 Mars 1977, 5 e Lancontre R., Italie: situation
pré-révolutionnaire, «Le Figaro», 16 mars 1977, 13.
La direction du P.C.I. Fait l’autocritique de sa politique étudiante, «Le Monde»,
22 Février 1977, 5.
13
14
1 Mars 1977, 13.
Italie: la contestation étudiante inquiète le parti communiste, «Le Figaro»,
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
131
allo scopo di favorire l’instaurazione di un regime di tipo autoritario.
«Strategia della tensione» è declinata in «stratégie de la terreur», con riferimento a tutte le azioni di stampo violento eindica l’accusa principale
che il Pci muove nei confronti del «movimento»15.
Se osserviamo gli ambienti che potremmo ricondurre alla sinistra del
Pcf, la percezione dell’incomunicabilità e dell’incomprensione tra Pci e
«movimento» si esplicita nella narrazione degli scontri contro i poliziotti, contro l’austerità e il compromesso storico16. Se osserviamo invece le
pagine dell’Humanité,
do movimentista» italiano, si riporta la condanna da parte del partito di
democratica contro i lavoratori, contro i sindacati e contro i comunisti,
celata sotto il malcontento e le inquietudini legittime degli studenti17. La
litico tra le due parti, viene trasmessa attraverso il dualismo democrazia/
resistenza.
Si nota ad esempio come lo shock legato ai disordini di Bologna, vetrina
del comunismo emiliano, sia interpretato dalla sinistra tradizionale nei
termini di un attacco diretto alle istituzioni: il compito del Pci è quello
di presidiarle e vigilare sull’ordine democratico. Il 16 marzo, giorno nel
quale nel capoluogo emiliano si tiene una manifestazione indetta da
Pci e sindacati, e a cui partecipano unitariamente tutti i partiti dell’arco
costituzionale, al «movimento» viene negato l’accesso in piazza. Antoine
Acquaviva, corrispondente in Italia per l’Humanité, introduce la giornata
collocando idealmente da un lato «des P38 et un projet inavouable»18,
dall’altro «des hommes, des femmes, de tous âges, de toutes confessions,
15
Le temps des enragés, 27 Mars 1977, «Le Nouvel Observateur», 35.
L’absence du PCI, «Libération», 14 Mars 1977, 8-9; Id., Le Pci en
appelle au maintien de l’ordre, «Libération», 16 Mars 1977, 9.
16
17
18
La révolte des étudiants, «l’Humanité», 14 Mars 1977, 11.
Italie: les P.38 et les hommes, «l’Humanité», 16 Mars 1977, 9.
132
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
d’opinions diverses, invités à se dresser dans un même élan contre un
retour éventuel à un passé, lequel, malgré le prénom du “Duce” qui l’incarnait (Benito Mussolini), n’avait rien de bénir et ne fut nullement une
bénédiction pour les Italiens». Contro la «violence subversive» e le azioni
19
», per
sottolineare lo sforzo di riassorbire il «movimento» in una prospettiva
comune ad operai e lavoratori. L’analisi è incentrata sul saldo ruolo del
Pci, schierato a difesa di un’idea di democrazia opposta, senza alcuna
esitazione, a quella della violenza scandita dai cortei del «movimento» e
praticata dal «partito della P38».
Al contrario, negli ambienti gauchisti, assumono una certa rilevanza la
problematica e il ruolo delle radio libere, sulle quali si concentra spesso l’attenzione della stampa francese. Mezzi d’espressione trasversali del
«movimento» nelle diverse città, Radio Città Futura e Radio Alice sono
i simboli della resistenza contro cui si scaglia la manovra di controllo del
ministero dell’interno, intento a varare nuovi pacchetti legge «liberticidi» volti al ripristino dell’ordine20. Al centro della critica è esplicitamente
il ruolo del Pci e il compromesso storico. La rivolta studentesca infatti
rimette in causa tutta la politica dei partiti. In modo particolare si scaglia contro il governo «Berlingotti»21
19
1977, 8.
Italie: la puissance pacifique des travailleurs, «l’Humanité», 19 Mars
L’épreuve de force le pouvoir et les radios libres, 16 Mars 1977, 9 e Calvi
F., Italie: le gouvernement envisage de nouvelles mesures répressives, 19 Mars 1977, 10
entrambi «Libération».
20
21
Andreotti. All’indomani delle elezioni del 20 giugno 1976, la Democrazia Cristiana,
confermandosi nuovamente come primo partito, si poneva alla guida di un governo
parte dell’esecutivo monocolore democristiano, si impegnavano a non provocarne
la caduta, a patto di essere consultati rispetto alle politiche governative. Da questo
accordo, nelle manifestazioni, i cortei della contestazione inneggiavano al nome di
Berlinguer a quello di Andreotti attraverso lo slogan «Berlingotti».
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
133
economico e sociale di cui i comunisti vengono ritenuti sostenitori.
Rispetto alla questione delle violenza, Libération sottolinea come potrebbe essere il carattere militare e politico di alcune azioni dell’area
dell’Autonomia organizzata a spaccare il «movimento». Le cronache
delle assemblee generali riportano questa frattura interna, anche se la
noranza. La questione della violenza divide. Le divisioni non fanno altro
che procrastinare le decisioni e lasciare spazio all’azione autonoma.
Si esprime dunque, sulle pagine del giornale più vicino al ’68 francese,
come la rottura della vetrina del compromesso storico mostri il modo
in cui i sindacati siano concentrati solamente nella difesa di quelli che
22
, e mostri inoltre, l’inadeguatezza del Pci, «partagé entre le souci de garder le contact avec le
“mouvement des exclus” et sa volonté de faire respecter” l’ordre démocratique et républicain”»23.
La stessa condanna politica e strategica alle scelte del Pci viene lanciata
dalla presse militante trotzkista e maoista. Nella visione radicale dell’Humanité Rouge [Bourseiller 2003], la «juste violence révolutionnaire» è
l’unica scelta da compiere per contrapporsi al revisionismo e al socialfascismo del Pci e delle organizzazioni sindacali24. Nelle pagine di Rouge,
non – di dare risposte soddisfacenti alle nuove problematiche del lavoro e dell’occupazione25. L’analisi è ancora una volta ridotta alla portata
politica e allo scontro con il Pci. La grande attenzione posta al richia-
22
Rome: nouveau face à face, «Libération», 24 Mars 1977, 11.
23
Le Pci en appelle au maintien de l’ordre, «Libération», 16 Mars 1977, 9.
L’Italie est proche, 17 Mars 1977, 2 e Le PCI avec les Flics, «l’Humanité Rouge» 18
Mars 1977, 2.
24
25
Quels liens avec le mouvement ouvrier?, «Rouge», 8 Mars 1977, 3.
134
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
mo della necessaria unità tra studenti e lavoratori [Salles 2005] sembra
non far cogliere la radicale alterità professata dal «movimento» stesso.
In modo simile a quanto osservato per l’Humanité, la violenza viene
vista, anche in questo caso, come una variante, messa in atto da parte di
alcune componenti deviate dello Stato, della «strategia della tensione»26
e come ostacolo principale all’unitarietà della componente operaia e
studentesca. Il pericolo per il condizionamento delle azioni minoritarie
e avventuriere è molto elevato27.
ordine pubblico, violenza politica e paradosso italiano
«La France n’est pas l’Italie, et les révoltes continuent à jouer un rôle
marginal dans la vie sociale française»28. La particolarità italiana, descritta con una certa frequenza, non poteva essere paragonata con il contesto francese, dove, non solo la discontinuità con il ’68 era evidente, ma
l’esercizio della violenza politica era relegato a atti individuali e isolati
dell’ultra-gauche. La sua teorizzazione inoltre non aveva nulla a che fare
con l’ambiente politico e culturale dell’autonomia [Artières, ZancariniFournel 2008; Zancarini-Fournel 2008].
L’importante copertura mediatica data al «movimento» da tutte le fonti
maggio. Il carattere di accresciuta violenza che connota queste giornate,
lità praticata da alcune frange dell’autonomia fa cambiare segno alla
Les obsèques de Francesco Lorusso se sont déroulées dans Bologne en grève,
«Rouge», 15 Mars 1977, 3.
26
27
e 3.
28
Le samedi de révolte des étudiants italiens, «Rouge», 14 Mars 1977, 1
La France n’est pas l’Italie, «Libération», 7 Juin 1977, 4.
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
135
descrizione della révolte à l’italienne.
In primo luogo si riduce lo spazio concesso ai protagonisti stessi del
«movimento», mentre rimane costante la tendenza ad enfatizzare la quotidianità di una violenza praticata, che crea uno scenario di guerriglia
urbana. Nonostante l’analisi della violenza proveniente dal «movimento»
e dall’Autonomia organizzata venga sempre tenuta distinta rispetto a
quella praticata dai gruppi armati, si sovrappone la percezione simultanea dei diversi fenomeni. Si parla infatti di «trois formes de violence
(criminelle, terroriste et contestataire)»29. Caratteristiche costanti sono: la
ricorrenza della formula «stratégie de la tension» e l’emblema della foto
del giovane autonomo mascherato che spara durante gli scontri del 14
le, sia rispetto alle posizioni dei partiti, del ministro degli Interni e del
governo, impegnati nel preservarlo e tutelarlo, sia rispetto alle tematiche
interne al «movimento», che lo declinano in chiave di risposta repressiva
[Della Porta 1995; Della Porta D., Reiter H. 1998; Falciola 2013]. In
azioni e delle istanze dell’area più vasta dell’autonomia: l’innalzamento
del livello di scontro le oscura e tende a far eclissare le rivendicazioni e la
soggettività di un intero movimento.
In secondo luogo, eccezione fatta per la stampa più vicina alla sensibilità
comunista, osserviamo la critica e le perplessità condivise, con toni più
verno, alla costante dialettica e al rapporto tra Pci e Dc, al ruolo dell’opposizione che viene eclissata o giudicata essere stata lasciata in mano ai
movimenti estremisti30.
Al centro dunque la consapevolezza di una violenza politica crescente in
29
La démocratie chrétienne déçoit ses partenaires, «Le Monde», 1 Juin 1977, 4.
Les formations politiques sont impuissantes face à la montée
des désordres, «Le Monde», 18 Mai 1977, 2.
30
136
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
Italia, la sua normalizzazione nella descrizione di un clima di tensione,
ma anche la contrapposizione sempre più marcata tra due Italie: una
di palazzo e una di strada. La violenza sembra essere, oltre che manifestazione politica di una parte, anche un fattore esistenziale, naturale e
connotato di una certa mancanza di progettualità, indagato e recepito
come non indiscriminatamente legato, o in continuità, con i fenomeni della lotta armata. A tal proposito, ci sembra opportuno sottolineare
che dalle pagine di Le Monde emergono alcune perplessità rispetto alla
lenza. Secondo il corrispondente estero infatti, non è semplice cogliere
la paradossalità della situazione italiana, nella quale i problemi di ordine
pubblico e la crisi economica convivono con uno stile di vita tranquillo
e normale di milioni di italiani. La descrizione apocalittica di alcune
solamente nell’analisi di una delle facce di un paese profondamente contraddittorio31.
Il paradosso, le continue contraddizioni e la distanza evidente tra contesto italiano e contesto francese non fanno diminuire l’interesse per la penisola. Questa sembra essere considerata dagli osservatori oltralpe come
un laboratorio politico e sociale verso cui guardare per comprendere
anche l’evoluzione possibile – o meno – della società francese. In questo
un’immagine dell’Italia mediata rispetto ad un contesto «altro». L’ipotesi
che spesso i giornali oltralpe «abbiano spiegato l’Italia con la Francia
e la Francia con l’Italia» [Margotti 2003, 451-478], risulta ancora più
evidente a partire dall’estate del 1977, quando alcuni settori delle sfere
pubbliche dei due paesi si intersecano attraverso polemiche e dibattiti
proprio sulla questione italiana.
31
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
137
l’appello degli intellettuali francesi e la repressione in italia
Le “socialisme à visage humain” à ces derniers mois, révélé brutalement
une classe ouvrière et un prolétariat jeunes refusant de payer le prix de la
crise d’un côté, projet de partage de l’État avec la démocratie chrétienne
(la banque et l’armée à la D.C., la police, le contrôle social et territorial
au P.C.I.) au moyen d’un véritable parti “unique”: c’est contre cet état
de fait que se sont révoltés ces derniers mois les jeunes prolétaires et les
dissidents intellectuels en Italie32.
Il 29 giugno 1977, a pochi giorni dall’accordo per un programma limitato di governo tra i sei partiti dell’arco costituzionale, compare su Le
Monde
e indirizzata alla conferenza di Belgrado, per sensibilizzare l’opinione a
proposito della repressione che si sarebbe esercitata in Italia «contre les
militants ouvriers et la dissidence intellectuelle en lutte contre le compromis historique33». Gli intellettuali francesi attaccano frontalmente la
scelta politica del compromesso storico, in quanto simbolo della nuova
strategia europea del «socialismo dal volto umano»: da un lato il controllo repressivo delle spinte rivoluzionarie di giovani e operai e dall’altro la
spartizione dello Stato con il partito reazionario di maggioranza [Dosse
F. 2010]. La repressione e la criminalizzazione del dissenso diventano i
temi principali attraverso i quali si sviluppa il discorso pubblico francese
sull’Italia.
Nella primavera precedente avevano già destato delle perplessità alcuni
provvedimenti presi dal ministro degli Interni e dai prefetti in merito
Une pétition sur la répression
da Yvon Bourdet, Christian Bourgois, François Châtelet, Geneviève Clancy, Pierre
Clementi, David Cooper, Gilles Deleuze, Michel Foucault, Gerard Fromanger,
Philippe Gavi, Roger Gentis, Félix Guattari, Daniel Guérin, Georges Lapassade,
Jérôme Lindon, Olivier Reault d’Allonnes, Denis Roche, Jean-Paul Sartre, Philippe
Sollers, Jean-Marie Vincent.
32
33
138
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
ai divieti di manifestare imposti a Roma e a Bologna, all’azione contro
alcune radio libere, alla risposta dello Stato e alla repressione poliziesca.
Si erano incominciate a sovrapporre alcune immagini di una possibile
somiglianza tra le pratiche della Germania Federale e quelle dell’Italia [Terhoeven 2012] 34. Inoltre, i temi della repressione e delle misure
contro il terrorismo, inseriti nello scenario internazionale della Guerra
Fredda, connessi alle problematiche del vicino Portogallo, della Germania Federale e della costruzione di una solida collaborazione tra i paesi
dell’Europa occidentale, erano argomenti dibattuti anche all’interno di
altri stati e inseriti all’ordine del giorno degli incontri interstatali europei35.
Franco Berardi (Bifo)
Insieme ad altri leader del movimento bolognese e animatori di Radio Alice, il 14
marzo ’77 Bifo veniva colpito da un mandato di cattura internazionale per istigazione a delinquere e partecipazione ad associazione sovversiva. Francesco Berardi,
spostatosi prima a Roma e poi a Milano, si recò a Parigi dove, grazie ad una rete
Moulier-Boutang e l’ambiente autonomo francese del gruppo Camarades, conobbe Felix Guattari. Il 7 luglio il magistrato bolognese Bruno Catalanotti, grazie
anticipando la domanda d’estradizione da parte delle autorità italiane, grazie al
ricorso dell’avvocato Georges Kiejman, la Chambre d’accusation parigina gli concesse la libertà provvisoria [Dosse 2010, 289-303].
A distanza di alcuni mesi, quando l’attenzione per il «movimento» e il
contesto italiano sembrano in parte diminuire, l’intervento diretto degli
Morte accidentale di tre anarchici? Reazioni della sinistra
italiana alla «notte della morte di Stammhein», in Cornelißen C., Mantelli B., Terhoeven
P. (eds.) 2012, Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in
Italia negli anni Sessanta e Settanta, Bologna, il Mulino, 295-327.
34
Aucun pays d’Europe ne peut se désintéresser de notre lutte contre la criminalité,
«Le Monde», 13 Mai 1977, 7.
35
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
139
intellettuali e la notizia dell’arresto a Parigi di Franco Berardi (Bifo),
animatore di Radio Alice, fanno da volano per una serie di articoli, interventi e interviste sulla situazione italiana, che si prolungano per tutta
l’estate del 197736.
L’attenzione francese non si concentra più sulle cariche della polizia o
sugli agenti in borghese durante le manifestazioni, ma sulle indagini
delle procure italiane. In merito a tali argomenti, ad animare e a promuovere la discussione pubblica sono soprattutto lo stesso Bifo e Feun’Italia, dove forte era la repressione contro il dissenso politico, si sviluppa a partire dalle interconnessioni tra i due e dall’alto grado di esposizione e spazio mediatico che essi trovano. Guattari, punto di riferimento
avvia a Parigi la formazione del Cinel: Collettivo di Iniziativa per Nuovi
nella sensibilizzazione anche sui casi italiani. L’esperienza della radio liportante diviene il coinvolgimento francese nell’affaire Berardi. All’Italia
un nuovo tipo di comunicazione nata dal, e nel, «movimento» contro
.
37
di Bifo stesso38, l’analisi della situazione politica da parte dei commen-
36
ad alcuni giornali. In modo particolare sono Le Monde, Libération, Rouge e Le Nouvel
Observateur
37
Radio Alice, c’est le diable!, «Libération», 5 Juillet 1977, 15.
Le Monde: Boggio P., Sortir du rêve de la
libération par le P.C.I, «Le Monde» 13 Juillet 1977, 2; cfr. la lunga intervista riportata su
Rouge: Freiman D., C’est un “complot” contre la démocratie!, «Rouge», 26 Juillet 1977, 8
38
140
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
tatori esteri evidenzia, come uno dei problemi principali dell’Italia, la
mancanza di alternanza parlamentare e di soluzioni che permettano un
ricambio politico39. D’altro lato, a difesa dell’establishment italiano, ma
soprattutto delle decisioni prese dal Pci, si levano, tra le altre, le voci di
Renato Zangeri, sindaco di Bologna, città che, per la sua lunga storia
ma come simbolo del compromesso e della risposta alla contestazione40
ed Ugo la Malfa, presidente del partito Repubblicano41. Tutti unanimemente invitano gli intellettuali francesi in Italia, per mostrare la «veri42
del senso comune. Inoltre a prendere parola sarà il
ministro Cossiga che durante il mese di luglio renderà noto il numero
di detenuti per violenza politica43.
un lato le istanze del «movimento», fatto coincidere con l’ala trasversale
e creativa dell’autonomia, dall’altro la risposta giudicata repressiva – o
meno, a seconda del punto di vista adottato – dello Stato e del Pci, tradotta in concreto attraverso le indagini giudiziarie. L’attenzione per la
questione della violenza dell’Autonomia operaia organizzata, i limiti e le
divisioni che questa comportava all’interno del «movimento», sembrano
scomparire dall’orizzonte interpretativo.
Da luglio possiamo notare come la contestazione prodotta dal «movi-
e Radio-Alice c’est le diable, «Rouge», 27 Juillet 1977, 8.
39
2.
La Chambre discute l’accord des six partis, «Le Monde», 13 Juillet 1977,
Que les intellectuels français viennent voir l’état de siège à Bologne» déclare au
«Monde» le marie de la Ville, «Le Monde», 13 Juillet 1977, 2.
40
En prônant la rupture entre la DC et le PCI les intellectuels français veulentils la guerre civile dans l’Italie? Demande M. La Malfa, «Le Monde», 15 Juillet 1977, 2.
41
Un “comité démocratique et antifasciste” invite à Bologne les intellectuels
français, «Le Monde», 16 Juillet 1977, 20.
42
43
Le ministre italien de l’intérieur publie le compte des détenus pour violence
politiques, «Le Monde», 19 Juillet 1977, 26.
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
141
mento» venga, senza soluzione di continuità, rappresentata con le dichiarazioni rilasciate dagli attori coinvolti attorno all’appello degli intellettuali e al fermo di Bifo a Parigi, e presentata quindi come dissidenza
al compromesso. Se nei mesi passati la dinamica della contestazione era
descritta in termini di contrapposizione tra esclusi e garantiti dal mondo
del lavoro, ora la prospettiva sembra in parte mutata. Non si parla più di
esclusi, ma di dissidenti, contro un sistema che perseguita per motivazioni politiche e reati d’opinione44.
Possiamo notare inoltre come la rappresentazione e l’analisi del rapporto
sul programma comune tra PS, PCF e le dinamiche di politica interna
alla Francia45. Le problematiche sollevate in estate sembrano contribuire
a dare una rilevanza extra-nazionale alle tematiche italiane. L’episodio
tizie relative alla situazione italiana però verranno oscurate dagli affaires
Astudillo e Croissant46 che occuperanno, durante tutto l’autunno, il discorso pubblico francese.
44
Juillet 1977, 9.
Un des animateurs de radio alice arrêté à Paris, «Libération», 9/10
Le compromis historique italien face à son opposition, «Libération», 22
Juillet 1977, 10-11. E ancora Freiman D., Euro-répression par l’Euro-communisme?,
«Rouge», 16/17 Juillet 1977, 2 e Moravia: «Un appel schématique et provocateur», «Le
Nouvel Observateur», 1 Août 1977, 37.
45
46
particolare di Andreas Baader, nell’estate del 1977 diviene protagonista di un caso
giudiziario che coinvolge la Francia e la Germania Federale. Accusato dalle autorità
tedesche di essere complice delle attività dei suoi clienti, colpito da alcune sanzioni
professionali, Croissant sceglie nel luglio 1977 di lasciare il suo paese per recarsi in
da parte delle autorità tedesche. La domanda, che sarà soddisfatta nel novembre dello
stesso anno, suscita oltralpe una vasta mobilitazione a favore dell’avvocato e una grande
attenzione da parte dei giornali.
142
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
il convegno di Bologna e l’autunno ’77
La polemica estiva sulla repressione in Italia, suscitata da alcuni intellettuali francesi, non si ferma sulle pagine dei principali giornali. L’ipotesi,
ventilata durante l’estate, di una grande manifestazione dove darsi appuntamento per discutere le tematiche sollevate, prende forma concreta
nel grande convegno nazionale sulla repressione organizzato a Bologna
tra il 23 e il 25 settembre. In questi giorni, il capoluogo emiliano è
invaso da tutto il composito universo del «movimento ’77», che aveva
caratterizzato l’ondata contestataria ai suoi esordi: dall’Autonomia organizzata e dalla sinistra extraparlamentare, alla componente femminista, a
ogni impulso autoritario, agli Indiani Metropolitani, agli omosessuali. Il
«movimento» sembra essere tornato a manifestarsi nella sua magmaticità
anche nella percezione francese. La vigilia della manifestazione è segnata dalle polemiche franco-italiane in merito al ruolo e l’atteggiamento
del Pci e dell’amministrazione della città47. Felix Guattari psicanalista,
militante politico d’estrema sinistra, riferimento teorico insieme a Gilles
Deluze per il «movimento» e Maria-Antonietta Macciocchi, ex esponente del Pci, trasferitasi a Parigi dopo essere stata esclusa dalle liste elettorali per le politiche del 1972, professoressa di psicologia a Paris VIII,
prendono nuovamente parola sulle pagine di Le Monde, ritornando sui
temi dell’appello48. La «democrazia autoritaria» diviene centrale nell’analisi dei due. Il ragionamento è allargato a livello europeo. Si invitano non
solo i marginali e i gauchisti, ma in primo luogo le diverse componenti
-
Bologne: la Mecque du terrorisme, «Le Figaro», 13
Septembre 1977; Solé R., La rentré s’annonce difficile pour les communistes et les
démocrates chrétiens, «Le Monde», 14 Septembre 1977, 6; Étrange rendez-vous à Bologne,
«l’Humanité», 23 Septembre 1977, 1 e 8 e Solé R., La municipalité de Bologne a demandé
que les forces de l’ordre soient discrètes, «Le Monde», 24 Septembre 1977, 4.
47
48
Septembre 1977, 7.
Au-delà du «compromis historique», «Le Monde», 21
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
143
dro squisitamente nazionale, per coinvolgere «l’ensemble des militants
socialistes et communistes de bonne foi». Gli interrogativi in merito alla
politica d’alleanza con la borghesia, intrapresa da un certo numero di
constituerait-il la forme la plus-achevée de l’intégration capitaliste?49».
alla denuncia del luglio non sia sottesa un’analisi indistinta dei diversi
di esercitare repressione50.
Al contrario delle aspettative e dei timori della vigilia, il trascorrere delle
logna en état de siège di marzo, in un palcoscenico per quello che viene
descritto da un lato come un grande happening51, dall’altro come una lezione di democrazia e di dialogo impartita dal Pci, dal sindaco Zangheri
e da tutta la città52.
torna nelle pagine analizzate, anche la questione della violenza si rid’analisi. Di fronte all’accoglienza della città, il tema della repressione,
motivo fondante del ritrovo di Bologna, sembra passare in secondo piano rispetto alla questione delle fratture interne che la scelta dell’esercizio
della violenza provoca. L’isolamento e la presa di distanza dai sostenitori
delle «camarades p38» non solo vengono auspicate, ma si pongono come
49
Un nouvel appel d’intellectuels français, «Le Monde», 24 Septembre 1977, 4; Solé R.,
M. Jean-Paul Sartre exprime sa solidarité aux manifestants, «Le Monde», 24 Septembre
1977, 4; Revel J.-F., Les parrains de la violence, «L’Express», 18 Septembre 1977, 93 e
Sciascia L., Y-a-t-il une répression en Italie?, «Libération», 22 Septembre 1977, 10-11.
50
Le P.C.I. S’efforce de maintenir un climat de dialogue avec les contestataires, «Le
Monde», 25/26 Septembre 1977, 5; Bouguereau J.-M., La Bologne du P.C.I est devenue
la capitale des exclus, «Libération», 24/25 Septembre 1977, 8.
51
52
Leçon de démocratie à Bologne, «l’Humanité», 26 Septembre 1977, 10.
144
Storicamente 10 - 2014
Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
quesiti fondamentali per la prosecuzione del percorso movimentista53. Ci
blematiche, diverse aspettative per una svolta politica del «movimento»:
«L’impression générale est que l’avenir de l’extrême gauche italienne se
joue pendant ces trois jours à Bologne. Réussira-t-elle à atténuer ses divisions pour constituer une grande force révolutionnaire à la gauche du
P.C.I.?54». E ancora, «les journée de Bologne devraient être pour ce mou55
».
Il bilancio conclusivo del colloque è dunque, agli occhi della stampa
francese, alquanto incerto. Al coro unanime che si leva rispetto all’atteggiamento di dialogo e di ospitalità dimostrato dall’amministrazione
tuali, più centrali nella denuncia della repressione nella fase preparatoria.
La conclusione della tre giorni inoltre, lascia invariata la frattura e la divisione di un fenomeno contestatario che si conferma non avere la forza
di durare che lo spazio di una primavera56.
Bologna è solo un fulmineo e intenso lampo [Grispigni 2006, 54;
Ginsborg 1989, 516], simile nella sua rappresentazione al febbraio e al
marzo 1977. A partire da ottobre, con il ritorno degli scontri di piazza,
la trêve delle diverse anime
del «movimento» si interrompe. Anche a livello di ricezione mediatica, le
giornate di settembre sembrano essere le tappe conclusive di un percorso e di un tentativo di espressione delle forze di «tous ceux qui refusent
la société actuelle, ne se reconnaissent pas dans le parti communiste et
L’extrême gauche entre le P38 et la non violence, «Le Monde», 23 Septembre
1977, 1 e 6; Bouguereau J.-M., La Bologne du P.C.I. est devenue la capitale des exclus,
«Libération», 24/25 Septembre 1977, 8.
53
Le P.C.I. S’efforce de maintenir un climat de dialogue avec les contestataires,
25/26 Septembre 1977, «Le Monde», 5
54
La Bologne du P.C.I. est devenue la capitale des exclus, «Libération»,
24/25 Septembre 1977, 8.
55
56
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
145
s’assimilent à des marginaux57», iniziato nel febbraio precedente. L’attesa
per la nascita di una nuova opposizione viene spezzata, senza una prospettiva politica non sembra esserci altra alternativa che il ritorno alle
armi58. La manifestazione di piazza coinciderà sempre più spesso con lo
del giovane autonomo che spara negli scontri del maggio milanese. La
violenza armata è messa al primo posto come problematica che riguarda l’Italia. Questa, espressa dagli opposti estremi, torna ad essere unica protagonista nella rappresentazione di un paese esasperato da quella
più spazio d’espressione le istanze creative, le diverse forze e sensibilità,
anche in contrapposizione tra loro, che avevano dato al «movimento»
stesso un’ampiezza straordinaria.
conclusioni
Il «trinomio» violenza, repressione e ordine pubblico ha giocato un
mento». Quando parliamo di violenza politica, non possiamo però non
considerare quanto sia stata importante l’evoluzione del contesto italiano
ed europeo.
L’autunno 1977 è segnato oltralpe dal clamore suscitato da alcuni avvenimenti tedeschi: dal rapimento Schleyer al suicidio nel penitenziario di
Stuttgart-Stammheim dei principali animatori della Raf (Rote Armee
Fraktion). In Francia diviene centrale il discorso sull’affaire Croissant59,
avvocato tedesco rifugiatosi oltralpe e successivamente estradato, molto
57
58
1977, 57.
59
Les quarante mille de Bologne, «Le Nouvel Observateur», 10 Octobre
146
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Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
discusso per il ruolo di difensore di Andreas Baader. Già nel 1977 possiamo notare come la pratica dell’estradizione, le sue implicazioni politiche
e sul discorso pubblico assumono un’importanza particolare in relazione ai soggetti e alle azioni che riguardano il terrorismo e la violenza
del 197960. Nell’autunno del 1977 l’attenzione è ancora incentrata sulle
nuove azioni dei gruppi che praticano la lotta armata, a partire ad esempio dall’uccisione di Carlo Casalegno.
Ad estendere il discorso pubblico sulla repressione e il terrorismo al più
ampio livello europeo sono prima di tutto gli stessi intellettuali mobilitatisi per la questione italiana. Guattari, prendendo parola su Libération,
volontà di coinvolgimento diretto dell’«opinione pubblica» francese in
merito al caso Croissant61. Di fronte al «phénomène Baader» e al possibile
emergere del fenomeno terroristico, secondo modalità ben più eclatanti
rispetto alla violenza politica osservata in seno al movimento italiano,
l’attenzione per un eventuale sviluppo europeo di questi fenomeni è alta.
Assistiamo da un lato alla denuncia compatta ed esplicita delle pratiche del gruppo tedesco, dall’altro ad una altrettanto importante attenSchleyer e dall’affaire Croissantpotrebbero comportare. In questo quadro
si inserisce la proposta, lanciata nel dicembre dello stesso anno, da parte
del presidente della Repubblica Giscard d’Estaing per la costruzione di
uno spazio giudiziario europeo62.
affaire Croissant vedi, Israël L. 2012. Per un
approfondimento del tema in contesto italiano si veda Malatesta M. 2012.
60
61
1977, 9.
Felix Guattari écrit à Bernartd Henry Levy, «Libération», 8/9 Octobre
62
da quello che viene considerato un restringimento del diritto d’asilo, fondamentale
per la storia politica della Francia Repubblicana. La sola posizione a difesa delle
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
147
Paragonato al caso tedesco, che diventa il modello del sistema repressivo per eccellenza63, il caso italiano64 quasi scompare nell’analisi oltralpe,
mentre la Francia viene evidenziata nella sua particolarità, ovvero nel
mancato passaggio ad una violenza politica quantitativamente e numericamente eclatante. Rispetto a questa tematica, sono soprattutto i
del – e sul – mondo gauchista, al centro dell’attenzione per le divisioni
rispetto alle posizioni sul caso Baader-Schleyer65. L’idea che più ricorre,
seguendo le testimonianze dei protagonisti francesi di quel mondo che
si ricollega sempre all’esperienza del Mai ’68, può essere ben riassunta
dalle parole di Michel Le Bris, vecchio direttore della Cause du peuple: «Nous avons tout exploré, nous sommes allés jusqu’au bout et nous
avons croisé des trajectoires aussi folles que celles de Badeer. Mais nous
avons chaque fois choisi l’autre chemin66». Per quanto riguarda la percezione che oltralpe si ha del proprio rapporto con la violenza politica post
’68, a nove anni di distanza, si nota una netta conferma della consape-
proposte del presidente e dell’eventuale collaborazione europea, che faciliterebbe il
processo d’estradizione tra paesi membri della CEE, è da «Le Figaro». Cfr. ad esempio:
Lecerf J., Daussy J., Il faut créer l’Europe judiciaire pour lutter contre le terrorisme, «Le
Figaro», 6 Décembre 1977, 1 e 9; Bouguereau J.-B., La course à l’anti-terrorisme,
«Libération», 6 Décembre 1977, 9; Un “espace judiciaire européen” bafouant le droit
français, «L’Humanité», 6 Décembre 1977, 7; Giscard plaide pour une répression accrue,
«L’Humanité rouge», 7 Décembre 1977, 1.
63
1977, 6.
Le pire moyen de faire l’Europe, «Le Monde», 2 Novembre
64
discutable (mais qu’il fut très vite impossible de discuter sur un plan rationnel) de
moyens d’information et de nos leaders politiques, une vague de violence armée la plus
meurtrière de son histoire récente, pourtant déjà très chargée dans ce domaine», Revel
J.-F., Le principe de Pifano, «L’Express», 28 Novembre 1977, 120.
Rouge nei confronti delle
azioni della Raf, Brossat A., Tout ce qui nous sépare de R.A.F., «Rouge», 17 Octobre
1977, 6-7.
65
66
Les gauchistes se démarquent, «L’Express», 31 Octobre 1977, 91.
148
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Dossier. La violenza politica nell’Italia degli anni Settanta
volezza di una sorta di eccezionalità francese [Dreyfus-Armand, Frank,
Levy, Zancarini-Fournel 2000; Sommier 2003].
in questo contesto di denuncia e discussione su pratiche legate al tervicino al «movimento ’77», che pur esercitava una certa pratica vio-
parte integrante del «movimento», che ne esprime la profondità67, trova
le sue radici nella violenza sociale espressa dai lavoratori precari, dagli
d’espressione delle contraddizioni dell’universo degli esclusi. Successi-
degli elementi che sembra destare particolare attenzione è il possibile
legame tra «diversi gruppi terroristi»68. Ritorna l’utilizzo dell’espressione
«strategia della tensione», per indicare l’aumento e la ripresa ciclica della
Movimento e terrorismo
Emblematica in questo senso è la ricostruzione, a seguito della morte di Carlo
donc avoir trouvé une terre d’élection en Italie», ricostruisce l’organizzazione secondo tre livelli. All’apice troviamo le «parti en armes», mentre le diverse componenti studentesche, marginali, disoccupate e proletarie, riconducibili all’«universo
‘77» vengono in parte incluse ad un livello intermedio, formato da «militants non
clandestins souvent armes, et qui se rassemblent autour de l’Autonomie», e in parte
al gruppo di Lotta Continua, non risolute nel condannare le azioni terroriste, ma
neanche necessariamente attive in quel senso. Padovani M., Morale et violences des
Brigades rouges, «Le Nouvel Observateur», 31 Décembre 1977, 42.
67
13.
L’emargination politique, «Libération», 26 Septembre 1977, 12-
Le Figaro a veicolare per primo questa
lettura, Bollaert R., L’Italie face à la violence armée, «Le Figaro», 23 Septembre 1977, 2.
68
MARGHERITA MORINI
Un “printemps romain?”: il «movimento ’77» visto dalla stampa francese
149
violenza politica in Italia, indipendentemente dalla sua natura e dai suoi
attori, sia nell’analisi di Le Figaro, sia nell’analisi dell’Humanité. A partire dall’autunno le immagini della P38 e dell’Autonomia organizzata si
confondono sempre più, a volte sovrapponendosi, con le analisi sul terrorismo. Per tutto l’inverno successivo la sovrapposizione di questi temi,
delle analisi e dei dibattiti sulla lotta armata, sul coinvolgimento delle
masse e sulla clandestinità, diventano dominanti. Per quello che riguarda il «movimento», al centro del discorso pubblico francese rimarrà solo
l’Autonomia organizzata, tendente a esprimersi sempre più solamente
in termini di scontro politico con lo Stato. Questo processo si accelererà
a seguito del rapimento Moro. Nonostante il tentativo di elaborazione
sintetizzabile nel celebre slogan di Lotta Continua «né con lo Stato né
con le Br», la cronaca delle giornate della prigionia del presidente della
Dc chiuderà ogni possibile spazio d’azione, ma soprattutto ogni spazio
mediatico, rimasto alle istanze «altre» di quel magmatico universo.
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studi e
ricerche
Corpi di donne in guerra.
La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda
e i problemi del dopoguerra
Sara Valentina Di PalMa
Univ. Siena, Dipartimento Scienze sociali,
politiche e cognitive
L’articolo analizza la violenza sessuale nei conflitti in Bosnia e Ruanda durante gli anni ’90.
In primo luogo, si discuterà le locuzione di “conflitti etnici” e si mostrerà come la definizione
etnica di queste guerre sia fuorviante, in quanto essa occulta la costruzione di un nazionalismo basato sull’uso del corpo femminile come simbolo della nazione. In secondo luogo si
esaminerà come, sia in Bosnia sia in Ruanda, la violenza si incentrò non solo sui corpi delle
donne, ma collegò nazionalismo, genere, corpo sessuato e sessualità allo scopo di compromettere il futuro del gruppo nemico nel dopoguerra. In terzo luogo, mi limiterò a descrivere
come nei postumi dei conflitti i programmi di recupero non sono adeguati, escludendo molti
sopravvissuti, che sono emarginati, stigmatizzati, messi sotto silenzio, e quindi sottoposti a
nuove violenze.
This article studies sexual violence in the 1990s conflicts in Bosnia and Rwanda. First I will
show how the ethnic definition is misleading, since it hides what is really the construction
of nationalism, implemented through the use of the female body as a symbol of the nation.
Second, I will examine how this violence interconnects nationalism, gender, gendered-body
and sexuality with the aim of affecting the future of the enemy group. Thirdly, I will describe
how, in the conflicts’ aftermaths, recovery programmes are not adequate and exclude many
survivors, who are marginalized, stigmatized and silenced and thus subjected to new violence.
156
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
introduzione
Questo articolo si occupa della violenza sessuale, incluso lo stupro di
1
e in Ruanda, e della
2
situazione postbellica. I due case studies sono interessanti per la strumentalizzazione del corpo femminile allo scopo di annientare il nemico, in
una competizione politica di movimenti nazionalisti i quali prendono
piede attraverso la sessualizzazione dei cittadini: uomini combattenti
per la patria versus donne silenziose, complici o nemiche da annientare
[Richter 2003, 35].
ne che sarà qui discussa contestualizzando la preparazione di entrambe
in relazione alla violenza sessuale e al suo rapporto con il nazionalismo;
descrivendo le conseguenze della violenza nel dopoguerra di entrambi
i paesi.
La comparazione tra i due case studies nasce da diverse considerazioni:
entrambi sono stati genericamente inclusi tra le “nuove guerre” degli
anni Novanta (un’altra etichetta che sarà analizzata in questa sede) in
di massa e il loro uso come arma bellica, senza comprenderne però appieno la portata in termini di intenzionalità a colpire non solo il gruppo
na”. Gli accordi di Dayton del 1995, a seguito della guerra di dissoluzione della Jugoslavia, hanno previsto la divisione di questo Stato, ex Repubblica Federale Socialista
Jugoslava di Bosnia e Herzegovina, in due entità dall’ampia autonomia ma ancora
prive di personalità giuridica internazionale e vincolate dal veto parlamentare dell’Alto
Commissariato ONU, la Federazione Bosnia e Herzegovina (abitata soprattutto da
musulmani di Bosnia e croati) e la Republika Srpska (abitata prevalentemente da ser-
1
internazionale, unica eccezione a Dayton).
2
genocidio rwandese Sibomana 1998, Gourevitch 2000, Dallaire 2003, Grill 2005 e
Scaglione 2010.
157
SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
nemico ma anche il suo possibile recupero postbellico e il nuovo uso del
corpo delle donne in questa strategia bellica. In entrambi i casi, inoltre,
sono stati istituiti due tribunali internazionali ad hoc che hanno comdi stupro di guerra e nel tentativo di tutelarne i bersagli [Gaeta 2006],
anche se ambedue i tribunali hanno incontrato poi grandi problemi in
locali. Entrambi i case studies mostrano poi la discrepanza tra una giurisprudenza innovativa a livello internazionale e l’incapacità delle Nazioni
-
causa del parziale riconoscimento delle vittime o del loro sfruttamento
nel nuovo modello nazionalista.
In primo luogo, si discuteranno le locuzioni di “nuove guerre” e di “confuorviante, in quanto essa occulta la costruzione di un nazionalismo
basato sull’uso del corpo femminile come simbolo della nazione. Secondariamente si esaminerà come, sia in Bosnia sia in Ruanda, la violenza
incentrò non solo sui corpi delle donne, ma collegò nazionalismo, genere, corpo sessuato e sessualità allo scopo di compromettere il futuro del
gruppo nemico nel dopoguerra. La ricerca si occupa di questi due case
studies per mostrare come il nazionalismo fu sessualizzato in entrambi
i paesi, e come «collegare l’etnicità al genere e all’eterosessualità ren-
esclusero molti sopravvissuti alla violenza sessuale, i quali furono marspesso fu limitato loro l’accesso alle cure mediche e psicologiche, mentre
158
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
vecchi e nuovi perpetratori li sottoposero a ulteriori vessazioni.
Questo lavoro fa propria la messa in discussione dell’attenzione di una
parte del post-femminismo alla sola interiorità femminile e alla psicologia delle vittime di stupro cristallizzata in un paradigma interpretativo
statico, e sposa invece la tesi femminista che vede la violenza sessuale
come un fenomeno in cui la donna non è soltanto una vittima passiva.
Secondo un certo post-femminismo, infatti, la prospettiva e la narrativa
femminile appaiono immutabili nel tempo e lo stupro è visto solo come
legato alla violazione dell’integrità della donna [Marcus 1992; Brown
1995], senza considerarlo anche una violazione dell’onore della famiglia e della comunità. Si ritiene qui inoltre che la parola “vittima” debba essere riconsiderata in relazione all’esperienza della donna non solo
durante lo stupro ma anche dopo, tenendo presenti gli aspetti politici,
sociali e psicologici della violenza, della sopravvivenza e del recupero
[Mardorossian 2002, 747-48, 754]. Le donne possono infatti trovare
proprie strategie di reazione, e considerare l’esperienza della violenza
sessuale che hanno vissuto non solo secondo le categorie di “vittima” e
di “sopravvissuta”. Tale discorso si lega direttamente alla questione dello
sfruttamento delle storie di violenza sessuale all’interno della nuova me-
etnicità e nazionalismo, identità e memoria nel dopoguerra, analizzando
le memorie di donne sopravvissute allo stupro di massa e ad altre violenze sessuali e poi di nuovo vittimizzate dalle società postbelliche. Queste
donne, intervistate da altre donne e da associazioni femminili e femministe consapevoli dell’uso nazionalistico delle donne prima, durante e
dopo la guerra, raccontano una storia di violenza ma anche di reazione.
politico contro l’imposizione al silenzio o contro la manipolazione della
159
SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
vicenda nel nuovo nazionalismo del dopoguerra.
zione di stupro in guerra e sui diritti umani delle donne [Vitucci 2007;
dalla giurisprudenza internazionale con il processo Akayesu presso il
Tribunale Penale Internazionale di Arusha (International Criminal Tribunal for Ruanda, ICTR) nel 1998 allo scopo di evitare l’ambiguità
delle diverse interpretazioni legali e culturali, mutevoli nel tempo e nelle
società che le utilizzano [Bourke 2007, 405-409; Green 2004, 102]3.
Viene qui dunque sposata la tesi secondo cui
il Tribunale considera lo stupro come forma di aggressione, i cui elementi centrali non possono essere ridotti alla descrizione meccanica di
oggetti usati e di parti del corpo. […] La violenza sessuale non si limita
estorsioni e altre forme di attacco che provochino paura o disperazione
la violenza sessuale nelle “nuove guerre” e
Nel corso del XX secolo, la popolazione civile è stata sempre più coinvolta a colpire le società nemiche. Attaccare le donne, in particolare,
ternazionale a Roma il 17 luglio 1998 (Rome Statute of the ICC, 4). Solo nel 2008
3
stupro in guerra, inteso come «a tactic of war to humiliate, dominate, instil fear in,
disperse and/or forcibly relocate civilian members of a community or ethnic group».
[United Nations Securi
160
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
è divenuto sempre più comune allo scopo di umiliare il nemico attra-
Laustsen 2005]. Il Novecento ha vissuto paradossalmente, accanto a una
crescente sensibilità per i diritti delle donne [Bartoloni 2002; Rossi-Doria 2004; Salvatici 2007] di cui la IV Conferenza Mondiale delle Donne
di Pechino nel 1995 è solo un esempio, la loro negazione de facto: le
donne continuano ad essere anzi sempre più spesso «trofei e target di
guerra» [Agosín 2001, 2] e la divisione tra sfera pubblica e privata mina
usate come mezzo di genocidio contro minoranze, di snazionalizzazione e in politiche di estirpazione di popoli e di deportazione, come mostrano diverse ricerche recenti sul genocidio armeno condotto nel corso
cui l’umiliazione sessuale fu usata prima per intimidire e poi per assimilare donne armene come mezzo di genocidio [Derderian 2005, 8]. Di
nuovo, durante la Prima Guerra Mondiale l’esercito bulgaro stuprò donne serbe nel processo di snazionalizzazione del popolo serbo [Bianchi
2008], e anche in seguito stuprare la donna del nemico fu usata come
tattica e non solo per vendetta come in Germania nel 1945 [Beevor
2007, 419-435], o per disonorare il nemico come durante la Partizione
tra India e Pakistan [Menon e Bhasin 1998, 41; Menon 2004]. Lo stupro
di massa divenne persino un’arma di guerra con l’occupazione dell’armata giapponese a Nanchino nel 1937 [Chang 1998, 85-98].
litari attaccano i civili e non altri soldati), lo stupro di massa in guerra è
aumentato, facendo delle donne le vittime intenzionali delle guerre. Tale
processo è culminato con le cosiddette “nuove guerre” [Kaldor 1999],
l’instabilità mondiale degli anni Novanta fu caratterizzata da diverse
161
SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
guerre locali e regionali, in cui un nazionalismo in crescita e le codi gruppi di persone in competizione per il potere e per le risorse, un
incremento delle vittime civili a causa di un mutato rapporto tra civili
e militari, e un nuovo ruolo degli eserciti professionali. I concetti sia di
“guerre etniche” sia di “nuove guerre” sono tuttavia problematici. La teoria delle nuove guerre è stata messa in discussione su base quantitativa
contestando il fatto che il numero di vittime civili sia cresciuto dopo il
1989 [Melander, Öberg e Hall 2009], e mentre potrebbe essere valida per
alcune aree come i Balcani, essa non rende tuttavia conto di altri tipi di
sibile alla questione di genere, in quanto non tiene in considerazione la
crescente violenza contro le donne in guerra [Copelon 1995] oggetto di
questo saggio.
la sessualizzazione dei corpi femminili in Bosnia e in ruanda
Guardando a concetti come il primitivismo e il tribalismo [Vidal 1996,
oggetto in questo studio. La guerra di dissoluzione della ex Jugoslavia
(1991-1995) ricevette da subito una grande attenzione per i suoi “stupri
etnici”, e ugualmente diverse analisi del genocidio rwandese hanno sottolineato la questione etnica [Bruneteau 2004, 218-220] e la «trappola
tribale» [Glover 2001, 123].
Si tratta in realtà di una distorsione linguistica [Macedo 2000, 21]: l’etichetta etnica, infatti, non spiega entrambi i casi, caratterizzati il primo
dem 2006], e da una lotta per il potere politico ed economico attraverso
politiche nazionaliste il secondo. Il terreno per il genocidio rwandese del
1994 fu preparato in precedenza dalla guerra civile (1990-1994) con una
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Studi e Ricerche
31-32, 136-142], mentre la dissoluzione della ex Jugoslavia dipese dal
crescente nazionalismo negli anni Ottanta a causa soprattutto della crisi
dell’economia e poi del collasso economico causato da contraddiziostatale, dalla crescente competizione tra le Repubbliche della Federazione, dall’accrescersi delle contrapposizioni socioeconomiche tra mondo
contadino e proletario, rurale e montano da un lato e realtà borghesi
urbane dall’altro [Ramet 2006, 285-323, Rumiz 2011, 102].
In entrambi i paesi, l’uso massiccio della violenza sessuale in guerra fu
preparato dalla costruzione prebellica del nazionalismo attraverso poli-
verso simboli e metafore aventi come oggetto il corpo della nazione
versus il corpo esterno dei nemici. La violazione di un popolo passa attraverso la violazione delle proprie donne, e questo spiega perché, dopo
la morte del presidente della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia,
Josip Broz Tito, nel 1980, crebbero le accuse (false) di stupri perpetrati
dagli albanesi del Kosovo (una delle due provincie autonome della Repubblica di Serbia, dichiaratasi unilateralmente indipendente dalla Serbia
nel 2008 senza che la Serbia a oggi la riconosca) contro donne, e persino
contro uomini – lo stupro come possesso e umiliazione del corpo del
Nations 1994, 56].
sta”, in altri termini la politicizzazione dello stupro, visto come parte di
un complotto albanese per costringere i serbi ad andarsene dal Kosovo
[Bracewell 2000, 563-565]. Il nazionalismo serbo venne presto imitato dal regime croato di Franjo Tudjman, ed entrambi si rifacevano ai
movimenti nazionalisti ottocenteschi che collegavano la mascolinità e
le politiche espansionistiche aggressive dell’epoca imperialista attraverso
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
la metafora della nazione madre e della santità e inviolabilità del corpo
della patria, le cui frontiere dovevano essere protette dalla violenza altrui
[Blom, Hagemann, Hall 2000; Banti 2005a; Banti 2005b].
Si trattava, in altre parole, di un nazionalismo di genere costruito dalla
commistione di genere e sessualità con razza, etnicità e classe [Yuval-
silenzio l’esplosione di pretese nazionaliste – non solo nella ex Jugoslatraverso un processo di «homogenizacia nacije», l’omogeneizzazione di
ogni singola nazione. Questo processo mirava a nascondere, dunque, le
svariate ragioni per le tensioni economiche e sociali riconducendole alla
sola causa etnica e a slogan retorici [Janigro 1999, 20].
Simile fu quanto accadde nei primi anni Novanta in Ruanda, dove il nasualizzazione dei corpi delle donne. I media, in particolare, crearono una
propaganda basata sull’odio per le donne del gruppo nemico: il giornale
Kangura pubblicò nel dicembre del 1990 un articolo intitolato Richiamo
alla coscienza degli Hutu, la cui quinta parte conteneva i tristemente noti
cosiddetti Dieci comandamenti Hutu che istruivano gli Hutu a marginaTutsi in patria, con i Tutsi fuoriusciti a seguito della presa del potere nel
1973 del dittatore Hutu Juvénal Habyarimana e organizzati nel Fronte
riportare la democrazia nel paese. La costruzione politica del nemico era
infatti iniziata con la decolonizzazione, ed era basata su teorie razziali
razziste importate dalle potenze occidentali durante l’epoca coloniale
tedesca e belga, e dai missionari. Gli europei avevano infatti costruito la
che tra Hutu e Tutsi, creando in questo modo e quindi cristallizzando,
attraverso l’istituzione di un’identità etnica basata su carte di identità per
i locali, la divisione tra i due gruppi [Vidal 1996, 336-337]. Prima della
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Studi e Ricerche
mente socioeconomica [Mukagasana 2011, 18].
Il primo dei Dieci comandamenti attaccava le donne Tutsi viste al servizio
del “nemico” (ovvero i Tutsi che combattevano la dittatura rwandese dal loro esilio all’estero, i Tutsi nel paese accusati di sostenerli, e gli
Hutu moderati ritenuti troppo critici nei confronti del governo razzista
rwandese), e altri quattro “comandamenti” riguardavano le donne e la
strumento sessuale usato dagli uomini Tutsi per distruggere gli uomini
Hutu, ammaliandoli e irretendoli [ICTR-99-52-T, 45-47]. Le donne
Tutsi erano descritte con la parola Ibizungerezi, che in Kinyarwanda
poi nella stampa svariati fumetti, destinati a un pubblico illetterato, i
quali dipingevano le donne Tutsi come oggetto sessuale a disposizione
degli uomini Hutu, i quali venivano incitati a stuprarle per far perdere
loro la supposta arroganza, e per “assaggiarle”. Altri mostravano le donne Tutsi come sessualmente impegnate con il generale ONU Roméo
nuda e a letto con altri politici, o con serpi che le uscivano dal seno
[Chrétien 2002, 336, 368; ICTR-99-52-T, 68-69].
Tutto ciò preparò la via alla futura violenza, che non risparmiò neppure
donne non Tutsi, non solo le Hutu moderate, ma più genericamente ragazze molto giovani e molto belle, senza tenere in considerazione alcuna
la loro appartenenza etnica [de Brouwer 2005, 13]. La sessualizzazione
tortura e di un sadismo volto a mutilare parti del corpo, come i seni quali
2004, 227, 237].
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
lo stupro di massa per attaccare il futuro di un popolo
In Bosnia come in Ruanda, lo stupro di massa fomentato dal nazionalismo non fu usato solo come arma diretta di guerra, ma anche con lo
scopo di attaccare il futuro del gruppo nemico tentando di impedirne
Ruanda. Da qui la seconda ragione della comparazione tra i due paesi:
e la violenza contro le donne secondo una prospettiva qualitativamente
diversa. Questo fu in parte riconosciuto dalla giurisprudenza internazionale: i due tribunali penali internazionali ad hoc, quello per la ex
Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia,
ICTY) e per il Ruanda (ICTR) hanno compiuto passi importanti, stabilendo che lo stupro e il genocidio erano correlati: il massacro di Srebrenica fu genocidio [ICTY IT-98-33-A, 87]; lo stupro venne usato in
Bosnia per costringere la popolazione ad andarsene [U.N S/1994/674/
Add.2 1994, 10] e come crimine contro l’umanità [ICTY IT-96-23T&23/1-T, 281-283]; lo stupro fu atto di genocidio in Ruanda a Taba,
dove «la violenza sessuale fu parte integrale del processo di distruzione
[…] del gruppo Tutsi nel suo complesso. […] distruzione dello spirito,
della volontà di vivere, e della vita stessa» [ICTR-96-4-T, 176-177].
I tribunali non stabilirono tuttavia la correlazione innovativa, secondo
ne e lo scopo di lasciare una ferita permanente nel dopoguerra di questi
nemica, le donne furono stuprate, deliberatamente infettate con l’HIV
e mantenute in vita [Sperling 2006, 645; Sharlach 2002, 117; Donovan
2002, s17]. Lo stupro di massa organizzato nei campi di stupro o nelle
cosiddette “stanze delle donne” in Bosnia fu a sua volta qualcosa di nuovo; le sue origini si trovavano sia nel vecchio concetto della donna come
simbolo della nazione, sia nella costruzione nuova dello stato nazione
attraverso lo stupro come arma bellica incisa sui corpi delle donne.
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Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
Costringere le donne stuprate a generare bambini ha un valore simbolico potente: le donne diventano «strumento di comunicazione»
un’altra religione» [Héritier 1996, 15] o bambini della «etnia del nemico» [U.N S/1994/674/Add.2 1994, 11] e fu usuale/normale/sistematico
[Nahoum-Grappe 1996, 192]. Le Nazioni Unite stabilirono inoltre che
donne di tutti i gruppi nazionali furono stuprate nel corso delle guerre
di dissoluzione della ex Jugoslavia, ma non c’è alcuna «equivalenza morale nell’analisi» [U.N S/1994/674/Add.2 1994, 9]: lo stupro delle donne
musulmane di Bosnia fu usato come strategia militare attraverso la diffamazione simbolica della cultura e della religione del nemico – con l’analogia, ad esempio, della deliberata crudeltà e umiliazione nell’uccidere
le vittime tagliando loro la gola con un gancio da macellaio [Goytisolo
2001, 22], come fossero bestie da macellare.
Ci fu dunque un’auto riproduzione della violenza, con una violenza
patriarcale, strutturale, di base, su cui poté innestarsi una nuova vio-
violenza simbolica, mostrando come nella strategia della guerra contro
le donne il controllo diretto sul
un controllo indiretto attraverso il corpo, una dominazione di potere ottenuta plasmando la relazione tra le donne e la loro comunità attraverso
gravidanze forzate, come in Bosnia, o l’infezione di HIV e AIDS, come
in Ruanda.
a quando non poterono più abortire [Cacic-Kumpes 1995, 13; Rezun
«cetnico» [Thomas e Ralph 1999, 204], come emerge ad esempio dalle
parole di una donna detenuta nel campo di concentramento serbo di
Omarska: «Mi dissero […] che dovevo generare un serbo – allora sarei
stata diversa anch’io» [Helsinki Watch 1993, 164]. Questo nasce dalla
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
concezione patriarcale dell’appartenenza di un bambino al gruppo etcon il gruppo nazionalista cetnico deriva dalla Seconda guerra mondiale [United Nations 1994, 59], quando il nome creato per designare
jugoslavi, perlopiù serbi, fedeli al monarca jugoslavo (esiliato dall’occupante nazionalsocialista) e impegnati nella lotta contro la Wehrmacht, ma
anche contro i partigiani comunisti di Josip Broz Tito e contro i nazionalisti croati ùstascia, nella formazione dell’Esercito jugoslavo in patria.
Come sottolinea Salzman, «il mito genetico culturale e patriarcale» è
condiviso da tutti i gruppi nazionali in causa, e «la stessa pratica di stuprare e di mettere incinta le donne come forma di genocidio deriva non
solo da come i perpetratori fanno proprio il mito genetico e culturale,
ma anche da come le vittime, le loro famiglie e le loro comunità accetche nella cultura musulmana una donna non vergine e stuprata non
è maritabile e non può essere una madre, e che anche nella sua stessa
possa sposarsi, e viene nascosto anche se è accaduto ad una donna più
matura, per preservare il matrimonio» [Helsinki Watch 1993, 178].
Proprio come le gravidanze forzate furono la strategia bellica contro la
con HIV e AIDS furono attuate in Ruanda, dove a molte donne i perpetratori dissero che «sarebbero morte lentamente e di una morte estenuante per AIDS» [Sharlach 2000, 99]. La presenza massiccia di stupratori infetti da HIV, che contagiarono le donne intenzionalmente e non, causò
una rapida crescita del numero di vittime positive all’HIV: almeno il 67
per cento delle donne Tutsi stuprate contrasse infatti il virus [Amnesty
International 2004, 3]. Questo fu un altro modo di usare la violenza sia
sessuale sia simbolica sulle donne, pensate come contenitori, in questo
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Studi e Ricerche
solo di contagiare le donne ma anche di impedire la ripresa della loro
e del genocidio. Neppure gli uomini furono risparmiati dalle infezioni
volute, come nel caso di P. il quale fu costretto ad un rapporto sessuale
con una donna ritenuta positiva all’HIV [African Rights 2004, 19].
Come conseguenza dello stupro di massa, anche in Ruanda crebbe il
numero di bambini nati dallo stupro, ma qui non si trattò del risultato
di una politica di gravidanze forzate [Sharlach 2000, 100]. Tuttavia,
vennero chiamati in Bosnia, enfants de mauvais souvenir (bambini dei
cattivi ricordi) o “bambini non voluti” in Ruanda – furono simili in
entrambi i paesi: quando le donne non poterono abortire, generarono
[Human Rights Watch 1996, 4], e raramente accettati dalle madri e da
loro cresciuti.
seguenze dell’accettazione di un bambino nato da stupro sono serie. Il
bambino avrà, in un certo senso, un’identità completamente falsa e di
stenza spesso solitaria delle sopravvissute a stupro, i bambini poterono
anche divenire la loro unica compagnia, come nel caso di C.: «Quando
restai incinta, inizialmente mi vergognavo. Ma oggi devo ammettere
che questa bambina è la mia unica gioia. L’ho chiamata Umumararungu Diane, colei che cura la mia solitudine» [Mukagasana e Kazinierakis
2008, 62].
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
il dopoguerra: il silenzio e nuove violenze
infatti almeno quattro grossi problemi che le sopravvissute a stupro dovettero fronteggiare, tutti connessi al silenzio imposto e tutti portatori
di nuove violenze su queste donne: un supporto psicologico e sanitario
inadeguato per persone che, prima di tutto, avevano bisogno di parlare e
di essere ascoltate e quindi curate; la mancanza di giustizia, una protezione legale carente, sia dei diritti civili delle donne sia contro violenze
sopravvissute all’interno della nuova identità collettiva nazionalista postbellica.
recupero, che divennero invece spesso un altro modo di mettere a tacere
i sopravvissuti, negando loro comprensione della violenza che avevano
zare la loro situazione, al di là della richiesta di dimenticare per contribuire al processo di pace, o dell’usarli di nuovo come simbolo della nazione
violata [Mannergren Selimovic 2010, 57-61].
Si segue qui l’idea di Siri Hustvedt secondo la quale «tutti i pazienti hanloro malattia» [Hustvedt 2010, 36], e si ritiene quindi che lasciare che le
donne raccontino le proprie storie sia già parte del processo di sostegno
psicologico cui spesso le donne hanno un accesso limitato. L’assistenza
parzialmente e minata dalla stigmatizzazione familiare e comunitaria,
soprattutto si basa su una diversa e discriminante valutazione della violenza sessuale rispetto ad altri traumi di guerra.
cure mediche o che vivono in aree remote sono di fatto escluse [CEC
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Studi e Ricerche
2008, 18; Avdibegovic et. al. 2008] e marginalizzate per quanto riguarda
l’assistenza legale. Nella Republika Srpska, una sopravvissuta a violenza
per accedere all’assicurazione medica e alle cure, mentre per i veterani
sico [RS Law N. 25/93, n. 46/04 e 53/04 Art. 4]. Nella Federazione di
Bosnia e Herzegovina, le vittime della violenza sessuale in guerra sono
equiparate alle vittime civili [FBiH Law n. 39/06 Art. 5] e i civili sono
discriminati rispetto ai veterani di guerra, ricevendo un rimborso massimo del 70 per cento rispetto a quanto accordato ai veterani [FBiH Law
n. 39/06 Art. 9].
al. 2007] sia in Ruanda [Mukamana e Brysiewicz 2008; Human Rights
AIDS durante e dopo il genocidio, non solo perché molte donne furono
stuprate ed infettate, ma anche a causa delle condizioni igieniche carenti e della mancanza di infrastrutture adeguate nel dopoguerra [African
Rights 2004, 30; UNAIDS/WHO 2008, 11-12].
sessuale in sé, l’infezione all’HIV è legata alla stigmatizzazione e alla
marginalizzazione sociale ed economica. Molte donne non possono affrontare i costi delle cure per l’AIDS [Mukagasana e Kazinierakis 2008,
10], e nel timore del risultato di un test dell’HIV e del giudizio della comunità di appartenenza, diverse sopravvissute non vanno neppure a fare
il test, come ricorda A.: «Non ho mai fatto il test; peggiorerebbe soltanto
la mia situazione» [African Rights 2004, 50]. I. conferma i pregiudizi
contro le donne stuprate ed infettate dall’HIV: «Non sono accettata nella mia comunità […] la gente è molto cattiva con me» [de Brouwer e
Hon Chu 2009, 83], mentre G. fu persino costretta ad andarsene di casa,
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Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
mini sono sospettosi e ritengono che le sopravvissute abbiano in qualche
modo collaborato con i perpetratori allo scopo di aver salva la vita [Amstuprate o non vogliono intraprendere una relazione con una ragazza
stuprata durante nel genocidio – anche a causa della stigmatizzazione
dello stupro in una società in cui per tradizione la donna è sottomessa al
marito e alla sua famiglia [Polidori 2009, 169], e della vedova accusata
della morte del consorte [Gbikpi 2006]. Ad esempio M.O. racconta che
il suo compagno ha accettato di iniziare ad uscire con lei dopo che lei
gli ha giurato, mentendo, di non essere stata violentata durante il genocidio [de Brouwer e Hon Chu 2009, 39].
Questo è solo uno dei problemi, ma in entrambi i case studies ve ne
psicologico e le medicine, sarei morta. […] Non posso dormire senza
pillole. […] Ho bisogno di aiuto», confessa T., nella Republika Srpska,
3]. I traumi delle donne riguardano principalmente sindrome da stress
post-traumatico, disagi psichici (depressione, ansia, somatizzazione, difdiovascolare, ma anche diabete, problemi alla tiroide, sindrome psico
di Kigali, Dr. Emile Rwamasirabo, le vittime di stupro non cercano cure
mediche perché si vergognano troppo, mentre il dottor Etienne Mubarutso, ginecologo presso l’ospedale universitario di Butare, sottolinea:
«si cura la malattia diretta, ma psicologicamente non vengono guarite.
Continuano a tornare lamentando crampi e dolori, ma non hanno alcun
psicologico» [Human Rights Watch 1996, 72-73].
casi tacciono, sentendo che le cure ricevute sono inadeguate ad attenuare il loro dolore e che la società in cui vivono, e persino la loro stessa
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Studi e Ricerche
[Doni e Valentini 1993, 34], o di una tredicenne curata nell’ospedale da
un ginecologo, anche lui ex prigioniero del campo di concentramento
Un secondo, grave problema fronteggiato dalle donne che hanno subito
violenza sessuale concerne la giustizia. Le donne che hanno testimoniato, sia davanti ai due tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia
e per il Ruanda sia presso le corti locali, sono spesso minacciate e intimidite; non vengono adeguatamente protette e la loro identità è stata
spesso resa pubblica. Le donne di Bosnia si sentono abbandonate, dato
economico per aver corso dei rischi andando a testimoniare [Lombezzi
2006], mentre il programma di protezione dei testimoni dell’ICTY non
segue le donne al loro ritorno a casa. Alcuni criminali sono ancora liberi
giustizia. In Ruanda, diversi sopravvissuti sono stati picchiati o uccisi
1997, che «il programma di protezione dei testimoni è debole e di scarsa
stimonianza e mette a repentaglio la giustizia» [Amnesty International
1998, 6].
Arusha e alle corti locali dei gacaca sono ben noti a quanti hanno accusato con la loro testimonianza [de Brouwer e Hon Chu 2009, 71] e i soliberati e minacciano le donne che li hanno accusati, e per questo alcuni,
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
gacaca, perché le persone che ho
accusato vengono rilasciate e non capisco il senso di correre il rischio di
e Hon Chu 2009, 56]. P. aggiunge che «i gacaca portano più lacrime che
sorrisi» [de Brouwer e Hon Chu 2009, 77]. Anche l’indennizzo ecodono della propria vittima in cambio di denaro o di beni, senza sentirsi
peraltro davvero in colpa e pentiti [de Brouwer e Hon Chu 2009, 63].
I processi per crimini sessuali sono pochi rispetto alla mole dei testidi un’armata paramilitare serba, lo stupro non fu nemmeno incluso tra
i capi d’accusa nonostante diverse donne avessero testimoniato di essere
state stuprate da lui in persona a Višegrad [ICTY IT-98-32/1-T, 2007,
18]. L’ICTR è stato criticato invece per aver sottovalutato i testimoni,
come nel processo a Sylvestre Gacumbitsi, il borgomastro (la più alta
carica a livello locale) del comune di Rusumo – l’imputato fu giudicato
colpevole di genocidio e di crimini contro l’umanità, ma fu assolto da
tre capi d’accusa di stupro dalla Camera d’Appello, la quale ritenne vi
[ICTR-2001-64-A, 34-35; Rushing et al. 2006, 38-39]. Una capacità
di indagine scarsa, e una conseguente impossibilità di incriminare per
violenza sessuale, portarono ad uno scandalo nel cosiddetto processo
Cyangugu – in cui, nonostante le prove, non fu incluso alcun capo
d’accusa per stupro. Quando al processo alcune vittime testimoniarono
re in considerazione le prove per un crimine che non compariva tra le
imputazioni [Nowrojee 2005, 14-17]; il processo si chiuse nel 2004 con
l’assoluzione di due imputati su tre [ICTR-99-46-T, 208].
Il terzo problema fronteggiato dalle sopravvissute è la mancanza di una
protezione statale legale adeguata, non solo sulla violenza di genere, ma
anche nell’implementazione dei diritti delle donne. Sebbene questo sia
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Studi e Ricerche
una questione aperta per tutte le donne in generale, le sopravvissute sono
più vulnerabili, come evidenziano alcuni dati del 2005 per il Ruanda:
il 31 per cento delle donne che hanno subito violenza sessuale è stata
soggetta a violenza domestica dopo il genocidio, perlopiù per mano del
partner, perché era troppo malata, debole o psicologicamente sottoposta
2006, 177]. Anche in Bosnia, la violenza di genere non è tenuta in grande considerazione nella complessa situazione postbellica, caratterizzata
da gravi violazioni dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il
diritto alla proprietà e al ritorno nelle proprie case – come stabilito dalla
Law property implementation del 2000 dell’Office of the High Representative (OHR), organismo istituzionale ad hoc responsabile dell’implementazione degli accordi di Dayton nella loro parte civile. Tale situazione
ricade sulla discriminazione femminile nella disposizione delle proprietà, nella reintegrazione socioeconomica dopo la restituzione delle
abitazioni, nell’accesso al mondo del lavoro e nella violenza domestica
ta» [Refugee Women’s Resource Project and Asylum Aid 2002, 15].
C’è infatti un legame diretto tra l’incremento della violenza domestica e
la guerra da poco conclusa, a causa di problemi nella reintegrazione delle famiglie, dell’accresciuta violenza tra gli uomini combattenti durante
to parallelo nelle strutture sociali o giuridiche volte a proteggere dalle
violazioni in questi diritti umani elementari» [Open Society Institute
2007, 11], nonostante per legge i diritti delle donne siano garantiti nella
Federazione di Bosnia e Herzegovina – con una legge sull’uguaglianza
tra generi nella sfera pubblica e privata e contro la discriminazione basata sul genere [O.G. 16/03] emanata dopo anni di lotte da parte di Ngo
femministe, e con una legge sulla protezione dalla violenza domestica
[O.G. 22/05, 51/06], mentre l’articolo 222 del Codice Penale sanziona
la «violenza nella famiglia» [O.G. 6/03, 37/03, 21/04, 69/04, 18/05].
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Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
La Republika Srpska, a sua volta, punisce la violenza domestica, come
riportato nel Codice penale [O.G. 22/00] e nella legge sulla violenza
domestica [art. 208, O.G. n. 118/05, 17/08], ma le donne soggette a
violenza domestica non sono riconosciute come aventi diritto a misure
di protezione sociale, e le Case di Accoglienza per donne che aiutano le vittime non sono riconosciute come enti di protezione sociale
In maniera analoga, in Ruanda c’è un dislivello notevole tra il sistema giuridico e l’implementazione delle leggi. La Costituzione del 2003
(art. 10, 11, 16, 46 e 47) protegge tutti i cittadini dalla discriminazione
[We-Actx for Hope 2007, 2-3]. Nel paese vi è stato un lungo dibattito parlamentare sulla violenza di genere [Draft Law 2006], sfociato in
una legge sulla prevenzione della medesima e sull’incriminazione dei
perpetratori [Legge 59/2008]. Il governo ha istituito un telefono amico
54-63]; diversi sono gli “sportelli per la violenza di genere” nelle stazioni
di polizia e nell’esercito, e di recente il Ministro per la Promozione di
Genere e Famiglia ha creato un Piano Nazionale Strategico per il Genere [MIGEPROF 2009].
La Legge rwandese sul Genocidio del 2004 (una delle tante Leggi sul
Genocidio passate dal Parlamento dal 1996) riconosce lo stupro e la violenza sessuale come atti di genocidio, mentre la Legge sul Genocidio
del 2008 assicura alle testimoni dei gacaca consulenti esperti in trauma
tribunale locale, nonché l’assenza di compensazione economica, pone
a rischio le condizioni di vita delle sopravvissute. La stigmatizzazione
sociale nella comunità di appartenenza, la mancanza di giustizia, l’inadeguatezza delle cure sanitarie, problemi economici e una nuova vittimizzazione da parte degli ex perpetratori hanno indotto diverse donne a
prostituirsi in cambio di cibo [Amnesty International 2004, 9].
stupro: lo sfruttamento delle loro storie. Per quanto riguarda la ex Ju-
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Studi e Ricerche
goslavia, questa strategia non fu funzionale solo al mito prebellico dello
[Cockburn 2001], quando ogni donna violata fu rapidamente trasformata nel simbolo della nazione violentata, nonché nell’uso nazionalista
o riguardo la chiamata nazionalista ad essere madri per la patria [Bracewell 1996] secondo la credenza patriarcale per la quale la maternità è
il ruolo naturale della donna [Yuval-Davis 1996]. Ora, infatti, la nuova memoria pubblica e collettiva postbellica, incentrata sugli uomini e
patriarcale, usa le donne stuprate per costruire un nuovo dopoguerra
da ogni gruppo nazionale a proposito delle proprie vittime di stupro,
ritenute più numerose di quelle degli altri gruppi, e una crescente commiserazione vittimista, senza sottolineare invece il ruolo attivo di reazione delle donne alla violenza e la loro prospettiva anti-nazionalista non
nel dopoguerra.
Come scrive Andrea Petö a proposito degli stupri perpetrati dai soldati
diversi sistemi di verità a seconda dell’epoca e del narratore» [Petö 2003,
131]. La narrazione postbellica sulla Bosnia sfrutta l’argomento dello
stupro, ancora una volta, per incrementare il numero delle proprie vit-
il dopoguerra: strategie di reazione
Mantenere le donne nel silenzio, o vittimizzarle per utilizzarne la violo stesso atteggiamento paternalista attuato nei loro confronti, contro il
quale una prima forma di consapevolezza consiste nella rottura del si-
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SARA VALENTINA DI PALMA
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopoguerra
lenzio per riconquistare l’autostima innanzitutto, e secondariamente per
può essere «sovversivo» [Richter 2003, 42] per chi vuole manipolare la
memoria [Janigro 2003]. Lo esprime bene tra gli altri E. scegliendo di
raccontare ad un’altra sopravvissuta: «Abbiamo una storia simile e per
Non a caso, una prima fase di narrazione ha riguardato la creazione di
gruppi di ascolto per donne – l’ascolto come pratica del femminismo
[Richter 2003, 53] – che hanno subito violenza, e solo in un secondo
tempo l’apertura della testimonianza ad un pubblico comunque seleziodegli oppressi: «la liberazione: non un dono, non una conquista propria,
ma un processo in mutuo svolgimento» [Freire 1970, 43-72].
no ancora troppo arduo parlare intervengono narrazioni giornalistiche
e novelle basate su storie vere, come quella della giornalista Slavenka
violenza: «Desiderava raccontare ma le risultava impossibile farlo...Non
riusciva a smettere di tremare. Capii allora per la prima volta che la sua
storia era proprio in quello che non riusciva a dire. E dovevo trovare un
a nudo in prima persona attraverso il racconto, diverse organizzazioni e
associazioni femministe hanno iniziato a raccogliere testimonianze di
vittime di violenza nella guerra di dissoluzione della Jugoslavia, spesso
opponendosi ai nuovi nazionalismi attraverso gruppi di donne di diverse
ad esempio Donne in Nero di Belgrado il Network delle Donne della Ex
Jugoslavia. La loro azione è volta da un lato a reinserire narrative marginalizzate nella memoria collettiva, dall’altro a demolire lo stereotipo
della donna come vittima passiva di stupro e, nel caso delle donne di
Bosnia, come vittime musulmane facili della società rurale patriarcale.
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Studi e Ricerche
Con il loro lavoro, tali gruppi sottolineano invece come le donne abbiano vissuto esperienze che vanno oltre il loro essere corpi in guerra
96], e come a ben vedere le vittime della violenza maschile siano donne
e basta, indipendentemente da qualsiasi connotazione nazionale o religiosa [Richter 2003, 23-24].
di genere in guerra ha comportato la nascita di gruppi di donne dediti
al miglioramento delle condizioni di vita a livello locale e a combattere
la discriminazione postbellica, da Pro-femmes Twese Hamwe, una piattaforma rwandese che raggruppa diverse associazioni, a Medica Zenica in
Bosnia – già attiva nell’accoglienza delle donne stuprate e rilasciate dai
campi di concentramento a gravidanza avanzata, e che si dichiara, non a
caso, femminista e anti-nazionalista [Helms 2003, 117] e che opera nella
delicata sovrapposizione tra passata violenza di guerra e violenza postWomen’s Resource Project and Asylum Aid 2002, 29].
Diversi sono infatti gli episodi di donne maltrattate e abusate psicoloin guerra [Amnesty International, 2009, 59], e fornire loro assistenza
farne, da vittime di stupro in guerra e dopo, cittadine consapevoli dei
propri diritti e contrarie alla “domesticazione” nei ruoli tradizionali di
protettrici della casa e della famiglia [Rener 2003, 69].
conclusioni
I diversi fattori che concorrono, in entrambi i case studies, a vittimizzare
nuovamente le donne che hanno subito violenza sessuale durante i consui meccanismi di intervento che entrambe le società devono attuare
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per implementare i diritti delle donne e sollevano alcune questioni sulla
violenza di genere in sé, indipendentemente dal contesto bellico.
sessuale in quanto tale, e quindi sulla condivisione delle tradizioni patriarcali nel rapporto tra i generi dominante anche in altre aree del mondo e in contesti di pace, vale la pena di ricordare, in breve, come la violenza sessuale sia possibile all’interno della violenza strutturale propria
è concepito in relazione all’uso che gli uomini ne fanno [Corbin 1989,
VII]. Il possesso del corpo permette di stabilire precise gerarchie, e non
minio maschile, attraverso comportamenti stereotipati nella costruzione
sociale della virilità attraverso il corpo dell’uomo. La violenza sessuale
dipende dunque da come la mascolinità si rapporta al potere [Giddens
della donna come proprietà maschile [Brownmiller 1993, 24] e che si
[Shorter 1977].
Sulla base di tali considerazioni, si comprende come l’aggressione sessuale vada collocata in rapporto al potere attraverso l’esibizione della
virilità dell’aggressore, in contesti in cui oggetto della violenza sono
quanti esulano dal modello virile e omofobo dominante – principalmente le donne, ma anche uomini appartenenti a categorie discriminate
quali omosessuali, travestiti, detenuti [Vigarello 1998, 248-9].
Negli ultimi decenni è cresciuta l’attenzione internazionale per la violenza sessuale come arma di guerra, a fronte di un interesse meno marcato per le forme di violenza di genere più ‘quotidiane’. Sembra che l’atdi violenza, sia la somiglianza tra la violenze contro le donne non solo
in guerra ma anche dopo, come i casi del Ruanda e della Bosnia moprobabilmente un’accresciuta consapevolezza delle conseguenze sociali
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Studi e Ricerche
di tale violenza per la società nel suo complesso, piuttosto che un timore
per l’impatto della violenza sulle donne in sé e per sé. Diversi studiosi
hanno applicato il concetto di “continuum della violenza” alla questione
della distinzione tra guerra e pace [Cockburn 2004], chiedendosi se la
violenza contro le donne sia davvero diversa dalla “normale” violenza
di genere, o piuttosto un mero esacerbarsi della stessa, e se la violenza di guerra sia peggiore della “normale” violenza nel dopoguerra, per
concludere che «non c’è dopoguerra per le donne. La violenza continua
ad esserci perché le sue cause sottese rimangono intatte» [Pillay 2001].
Tale continuum è stato chiamato in causa, non a caso, anche durante le
guerre balcaniche degli anni Novanta, sulla questione se lo stupro fosse
un problema di sicurezza collettiva o individuale [Hansen 2001].
Vedere la violenza sessuale come arma di guerra è comunque utile a
svelare l’uso politico e strategico della violenza stessa come tattica di
dominio [Boesten 2010]: se le comunità delle vittime acquisissero tale
consapevolezza, le donne potrebbero evitare di tenere in privato la colpa
la violenza sessuale come tattica di dominio è saldata al contesto bellico
piuttosto che allo stupro in sé, il mancato riconoscimento della natura
politica della violenza ne fa il mezzo più potente per dominare le donne
di posizione forte contro la violenza di genere in sé, non solo riguardo la
giustizia e la protezione delle vittime ma anche nella implementazione
della legislazione interna, può avviare il sovvertimento della concezione
patriarcale delle donne come cittadine inferiori.
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Ethnicity in Former Yugoslavia (1986-1994), Nijmegen, NL: University of Nijmegen.
– 2001, The Body of the Other Man. Sexual violence and the Construction of Masculinity,
Sexuality and Ethnicity in Croatian Media, in Moser C.O.N., Clark F.C. (eds.) 2001,
Victims, Perpetrators or Actors? Gender, Armed Conflict and Political Violence, London
and New York: Zed Books, 69-82.
– 2007, The Body of War. Media, Ethnicity, and Gender in the Break-up of Yugoslavia,
Durham and London: Duke University Press.
la Prima guerra mondiale e
l’uso pubblico della storia
in lituania: i nuovi cavalieri
teutonici
anDrea griFFante
Vytautas Magnus University, Department of Political
Sciences and Diplomacy, Gedimino g. 44, LT-44240
Kaunas, Lithuania
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, la mobilitazione delle masse rappresentò un compito a cui, seppur per ragioni differenti, né le forze imperiali, né le élite intellettuali nazionali
dell’Impero zarista poterono sottrarsi. Simboli ed elementi delle diverse mitologie nazionali
furono impiegate come strumenti di mobilitazione culturale. A questo fine, gli intellettuali
lituani impiegarano ampiamente la memoria della battaglia di Grünwald (1410) e dei “Cavalieri teutonici”. Allorché l’occupazione tedesca ebbe inizio, la categoria di “brutalità teutonica” iniziò a essere utilizzata per dar senso a un conflitto di dimensioni mai viste prima.
At the outburst of the First World War, the mobilization of masses represented, even if for
different reasons, an unavoidable goal for both the Imperial powers and national intellectual
groups operating in the Tsarist Empire. Symbols and elements of national mythology were
often used as cultural mobilization instruments. Lithuanian intellectuals based their mobilization work mainly on the memory of the Battle of Grünwald (1410). When the German
occupation began, the Lithuanians used the category of “Teutonic bestiality” to make sense
of their experience.
Il presente lavoro è stato realizzato grazie al finanziamento del Consiglio Lituano delle
Scienze (contratto n. LIT-6-8). La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con
l’Istituto Lituano di Storia.
192
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
Quando, nell’estate del 1914, l’Impero zarista iniziò a mobilitare le proprie forze dopo la dichiarazione di guerra della Germania, l’avvicinarsi
1
con un misto
di sconcerto e speranza. Per la gran parte della popolazione la guerra
rappresentava una minaccia in grado di sconvolgere gli equilibri di un
sistema economico ancora in larghissima misura legato a un’agricoltura
di sussistenza. La chiamata alle armi rappresentò un elemento di destrutturazione delle comunità rurali, lasciate alla cura quasi esclusiva di
donne e anziani. Con occhi diversi guardava all’avvicinarsi della guerra
la giovane intellighenzia
ter strappare per i territori della cosiddetta Lituania etnica uno statuto
colo, l’idea di un territorio autonomo era balenata nei programmi dei
moderni partiti politici lituani. Nel 1905, l’idea era stata ribadita nelle
Didysis seimas), la prima grande kermesse dell’intellighenzia lituana svoltasi a Vilnius nel dicembre del
1905 [Motieka 1996].
La formulazione di richieste politiche non era stata un evento subitaneo,
ma l’approdo di un percorso durato vari decenni. Nella prima metà del
XIX secolo il revival lituano era stato l’oggetto di un interesse di carattere elitario. Sebbene proprio elementi della classe colta, specialmente
appartenenti al clero cattolico, fossero stati i protagonisti della relativa
1
-
la popolazione di lingua lituana costituival’1,8% della popolazione totale nel governaKaunas. La popolazione di lingua lituana dominava nelle aree rurali dei governatorati
del totale), mentre rappresentava solo il 19,8% della popolazione nel governatorato di
Vilnius dove a dominare era la popolazione bielorussa (62,9%). Si consideri, tuttavia,
che ancora alla vigilia della guerra il bilinguismo e il trilinguismo risultavano estrerisultava estremamente debole e non necessariamente legata all’identità linguistica.
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
193
secolo, il movimento visse il suo punto di svolta nella seconda metà del
secolo. Negli anni successivi all’insurrezione polacca del 1863-64, esso
trovò nella stampa periodica uno dei suoi principali luoghi di discussione e crescita. Com’è noto, la stampa svolge un ruolo di fondamentale
derson 1991] e dei vari miti attorno ai quali il discorso nazionale viene
tità e dell’alterità era avvenuta sottolineando l’esistenza di un territorio etnicamente unitario [Sahlins 1996, 266] e corrispondente alle terre
occupate dal Granducato di Lituania di epoca medievale, di fatto rendendo la Polonia e i polacchi – storicamente e territorialmente legati al
Granducato – i principali esponenti dell’alterità. A causa della mancanza
di un proprio libero sistema educativo [Gellner 1997], delle limitazioni
imposte delle autorità dell’Impero alla sfera pubblica e della conseguente
impossibilità per i lituani di monumentalizzare la propria memoria nello
stampa rimase il principale luogo di elaborazione del discorso nazionale
nuovamente lo spazio di manovra dell’intellighenzia
mento con cui i lettori cercarono di dotare di senso avvenimenti la cui
portata non aveva pari nella memoria comunicativa [Assmann 1997]2.
2
-
l’attenzione prestata al rapporto tra la memoria storica e le aree multiculturali (Viltativamente minore si è rivelato l’interesse rivolto al processo di memorializzazione
-
194
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
Nonostante il processo politico che a partire dalla seconda metà del
1914 portò alla nascita dello Stato nazionale Lituano sia stato l’oggetto
di vari studi3, le strategie discorsive utilizzate dagli intellettuali lituani
blica tra l’estate del 1914 e l’inizio dell’occupazione tedesca nell’estate
dell’anno successivo non hanno incontrato l’attenzione degli studiosi. Il
presente intervento intende colmare almeno parzialmente questo vuoto.
Mi focalizzerò, in particolare, su come le scelte di campo fatte dall’éli-
ma come esse abbiano attualizzato alcuni luoghi della master narrative
storica lituana che in quegli anni l’intellighenzia stava elaborando. Attraverso l’ausilio della stampa periodica del tempo cercherò di illustrare
i suoi primi mesi divennero il paradigma utilizzato per interpretare la
successiva occupazione tedesca dei territori zaristi riorganizzati nel cosiddetto Ober Ost.
il presente del passato: la guerra come mito
Nell’ultimo quarto del XVIII secolo, la Repubblica nobiliare polaccolituana (Rzeczpospolita
dipendenza venendo smembrata e incorporata dagli Imperi asburgico,
prussiano e russo. Le spartizioni del 1775, 1793 e 1795 non posero semil punto di partenza di una lotta tra i vari gruppi che ne contendevano
la tradizione politica e culturale che si protrasse per tutto il XIX secolo.
Da un lato, i diversi contesti politici in cui le varie parti della Repubblica
3
1959.
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
195
furono inserite ne condizionarono i rispettivi sviluppi socioeconomici e
politici. Dall’altro, il venir meno dei vincoli cetuali provocò il progressivo sfaldamento del tradizionale principio di cittadinanza fondato sull’esistenza di una nazione politica nobiliare nel rispetto delle appartenenze
regionali e, in certa misura, linguistiche [Kiaupa et al. 2000]. Nei territori toccati all’Impero russo, i cambiamenti sociali ed economici furono
se politica della Rzeczpospolita e l’apparato imperiale. Fu in particolar
modo dopo le insurrezioni del 1863-64 che le misure politiche adottate
dalle autorità imperiali non mirarono più solo al contenimento dell’elemento polacco (e specialmente del ceto possidente), ma misero in pratica azioni variamente indirizzate all’acculturazione dei gruppi etnici che
proprio in quel periodo stavano formando una propria distinta identità
so interessava il movimento nazionale lituano che in quel torno d’anni
stava rielaborando la propria identità su base etnoculturale. Nonostante
nella prima parte del XIX secolo il movimento nazionale lituano avesse
già vissuto un primo sviluppo tra ristrette élite colte, le misure adottate
dai centri del potere zarista dopo le insurrezioni del 1863-64 (in primis, l’ukaz
di validità del divieto di stampa del lituano in caratteri latini (18641904)4 che il movimento nazionale lituano ampliò la propria base sociale
[Hroch 1985, 86-97] entrando, a cavallo tra XIX e XX secolo, nella sua
fase di elaborazione politica. Tra l’ultimo decennio del XIX secolo e lo
4
territori dell‘Impero russo, il suo utilizzo non cessò. I principali luoghi di produzione della stampa lituana in caratteri latini divennero le cittadine lituane della Prussia
clandestinamente nei territori lituani dell’Impero russo grazie all’attività dei knygnešiai
di validità del divieto sono state edite in Prussia orientale ben 2.687 pubblicazioni in
lingua lituana e caratteri latini, delle quali 2.000 destinate ai lituani dell’Impero russo.
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Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
al proprio interno i maggiori raggruppamenti che sarebbero diventati
la spina dorsale del sistema politico dello Stato lituano interbellico. Accanto alla sinistra, che già prima della guerra si diede organizzazione
partitica (Partito Socialdemocratico Lituano e Partito Democratico di
Lituania), crebbero in quegli anni attorno a riviste quali «Draugija»,
«Viltis» e «Vairas» la destra nazionalista di Antanas Smetona e il nucleo
del futuro Partito Cristiano Democratico [Gaidys 1991; Miknys 1991,
A partire dagli anni ’80 del XIX secolo la stampa clandestina in caratteri
latini era diventata il principale luogo di elaborazione delle basi culturali e ideologiche del movimento nazionale lituano [Krapauskas 2000].
Dopo la relativa liberalizzazione delle strutture politiche dell’Impero zarista di inizio ‘900 e la legalizzazione della stampa in caratteri latini, i
periodici divennero, assieme alle rappresentazioni teatrali inscenizzate
con crescente frequenza specialmente in ambito rurale, uno dei principali strumenti per la nazionalizzazione delle masse contadine [Maknys
lituano e polacco stava raggiungendo picchi mai toccati in precedenza
[Merkys 2006], i giornali e le inscenizzazioni teatrali divennero mezzi
cente delle insurrezioni del 1794 e del 1863-64 dei memorabilia capaci
di ravvivare il senso di appartenenza dei vari strati sociali a una stessa
comunità nazionale, i lituani ricercarono le radici storiche della propria
identità in un’epoca molto precedente.
La coscienza storica del movimento nazionale lituano si sviluppò infatti
attorno a un centrale lieu de mémoire
ducato di Lituania dei secoli XIII-XIV. Quello medievale aveva rappresentato, secondo i membri del movimento, l’unico vero periodo di gloria
legami con la Polonia ne decretassero la progressiva “polonizzazione”
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
197
età dell’oro, l’attenzione dell’intellighenzia
colare insistenza sulla Battaglia di Grünwald (1410). La battaglia, vinta
da un esercito di coalizione russo-lituano-polacco, aveva rappresentato
l’apice dell’opposizione del Granducato alle incursioni dei Cavalieri teuso lituano, tuttavia, la memoria della battaglia sottolineava altri aspetti.
Seguendo le logiche interne alla master narrative nazionale, la battaglia
veniva letta non tanto come l’evento che grazie al quale le terre di Poloniche, quanto piuttosto come la massima vittoria riportata delle truppe
lituane di Vytautas, il granduca fautore di una rinnovata autonomia del
Granducato dalla Polonia di Ladislao Jagellone e in cui il nazionalismo
2002]. La vittoria riportata contro i Cavalieri teutonici veniva pertancondottiero lituano di sempre. Non minore, d’altro canto, poteva dirsi
l’importanza della battaglia per la memoria storica polacca. Nel discorso
polacco di inizio Novecento, tuttavia, la battaglia di Grünwald rimaneva
uno dei momenti di gloria dello Stato lituano-polacco. Ad essere il vero
perno di quell’avvenimento e il suo principale protagonista era stato non
un condottiero, ma lo Stato che l’unione personale tra i ducati lituani e la
corona di Polonia (Unione di Kreva, 1385) aveva creato e di cui l’esercito
era espressione.
Sebbene per buona parte del XIX secolo la costante minacciosa presenza della questione polacca aveva rappresentato uno dei fondamentali
problemi cui i centri di potere dell’Impero zarista avevano spesso rispocambiamento di tattica. Nell’agosto 1914 la necessità di assicurarsi la
fedeltà dei polacchi spinse il Capo di stato maggiore dell’esercito russo
a emettere un comunicato con cui i polacchi venivano incitati a unirsi
198
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Studi e Ricerche
alla lotta contro la Germania. In cambio, veniva promessa ai polacchi
l’unione di tutte le loro terre sotto lo scettro dello zar con la garanzia
e religioso. Non è certo un caso che in tale comunicato gli alti ranghi
dell’esercito russo si rivolgessero ai polacchi non in termini di generica
fedeltà politica, ma richiamandosi alla certezza che «[…] ancora non s’è
5
. Sebbene
il riferimento non facesse mistero della reinterpretazione in chiave panslavista della battaglia del 14106, la memoria di Grünwald rappresentaavrebbe potuto rinunciare.
Se il riferimento alla battaglia di Grünwald iniziò con rinnovato vigore
-
di potervi annettere le terre etnicamente lituane della Prussia orientale,
già nell’agosto 1914 i lituani espressero la propria fedeltà all’Impero con
la cosiddetta “Dichiarazione ambrata” (Gintarinė deklaracija
tivamente, anche in essa non mancarono né i riferimenti alla battaglia
di Grünwald, né all’unione di lituani e «slavi» contro i comuni nemici
I riferimenti a Grünwald e all’alleanza con gli “slavi” presenti nella Dichiarazione erano senza dubbio più il risultato del calcolo politico che
Jo Šviesybės vyriausiojo komandieriaus atsišaukimas į lenkus, «Rygos garsas», 6 (19)
agosto 1914, n. 62.
5
6
avrebbe giocato per la vittoria di Grünwald un ruolo centrale. Quella di Grünwald,
secondo la lettura panslavista, era stata solamente la prima difesa in ordine di tempo
contro un pericolo immanente – quel Germanesimo che dopo il 1870-71 aveva cominciato a minacciare l’Europa e da cui ancora a inizio XX secolo la Russia si ergeva
a difensore nei confronti del mondo slavo.
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
199
Non sarebbe tuttavia corretto ridurre l’apporto del mito in un momen-
infatti, i riferimenti alla battaglia di Grünwald apparvero sulla stampa
periodica lituana con una certa frequenza. A livello di comunicazione
master narrative
luogo dell’epopea nazionale rappresentava un importante strumento per
mondiale con la battaglia di Grünwald, gli intellettuali lituani cercarono di inserire negli schemi di una normalità scandita dalle tappe della
teleologia nazionale un evento le cui atrocità non avevano precedenti, se non con la sola parziale eccezione della guerra russo-giapponese
sonanza con la master narrative elaborata nei decenni precedenti e di
fatto condivisa senza rilevanti distinzioni da tutte le parti della società
7
, i ducati lituani medievali – della
cui tradizione il movimento nazionale si considerava l’esclusivo erede
legittimo – vennero presentati come il modello del massimo equilibrio
raggiunto tra le due entità metastoriche di oriente e occidente incarnate
“teutoni”/”tedeschi” e i “russi”.
7
maggioranza, sostenitrice di un’idea di Lituania come unità etnicamente coesa e storicamente assorbita dalla Polonia dopo l’Unione di Lublino (1569), e un‘esigua minoranza, che pur riconoscendo la Lituania come un conglomerato etnico guardava ai
secoli di vita comune del Granducato di Lituania con la Polonia come alla premessa
per un nuovo concetto di cittadinanza su base territoriale. La corrente di maggioranza
poteva dirsi la pressoché totale detentrice del monopolio della carta stampata e della
comunicazione sociale nel suo complesso. Sul piano delle interpretazioni del passato
storico, i sottogruppi di tale maggioranza – destra clericale, nazionalista e sinistra –
200
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
D’altro canto, se al massimo della sua potenza il Granducato di Lituania
seppe resistere alle spinte di polacchi e russi grazie alla propria particolare capacità di sintesi politico-culturale, i polacchi vennero nuovamente
additati come i “colpevoli” del progressivo indebolimento di dette qualità lituane, poiché dalla salita di Ladislao Jagellone al trono di Polonia
diedero inizio alla “polonizzazione” dello Stato [Dovydaitis 1914b]. Nel
to, a mettere in guardia dalle manovre dei vicini, possibilmente volte
a impedire la concessione dell’autonomia alla Lituania etnica a guerra
terminata [Kraujalis 1914b]. La sottolineatura della posizione mediana
dei lituani tra oriente e occidente trasformava, invece, la linea del fronte
nel campo a-storico del loro stesso secolare martirio. «Le nazioni slave e
i tedeschi – scrisse nel 1914 l’intellettuale cattolico Pranas Dovydaitis –
sono eterni e inconciliabili nemici. L’una non può guardare ai successi
economici e di altro carattere dell’altra senza provare sentimenti d’invidia e vendetta. La crescita dell’una è legata all’annientamento dell’altra»
[Dovydaitis 1914a]. In una simile situazione, l’attualizzazione di alcuni
momenti centrali dell’epopea del medioevo lituano rendevano onore alle
Grünwald. Quest’ultima, piuttosto, veniva presentata con accenti nuovi
come un’opera lasciata incompiuta da secoli e che i lituani, contrastando
i nuovi crociati tedeschi, avevano l’onorevole compito di portare a termine nel secolo XX8. Nel complesso, la nuova chiamata alle armi articolatasi sulla stampa periodica lituana si mosse tra due poli complementari.
ruralismo di sapore patriarcale degli inviti a difendere la terra dei padri
(come entità economica e morale) [Bakšys 1914] dall’avanzata dei deturpatori della civiltà. La partecipazione attiva dei lituani all’incipiente
Guerra mondiale diventava una nuova tappa nella costruzione dell’equi-
8
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
201
un’entità autonoma lituana sarebbe stata coronamento e garanzia. La
nazione stessa era poi chiamata a farsi protagonista in prima persona
della nuova pagina dell’epopea nazionale non solo attraverso il ricordo
del proprio passato, ma per mezzo della memorializzazione del proprio
presente, annotando memorie e pensieri da inviare alle redazioni dei
giornali e raccogliere in appositi archivi [Bugailiškis 1914; Landsbergis
1914; Papentis 1915].
l’attualizzazione del mito: i lituani, i tedeschi e la guerra
Il processo di attivazione e attualizzazione della memoria storica dei
lituani, d’altro canto, fu accompagnato da un accurato aggiornamento
dell’immagine dell’alterità tedesca. Nei fatti, tale aggiornamento consistette nel tentativo di razionalizzare il legame esistente tra i Cavalieri
teutonici e l’Impero tedesco entro l’ampio recinto della categoria astoriun quadro in cui la classe politica tedesca risultava essere, per matrice
genetica, l’origine stessa di una tirannia di cui erano state vittime prima
i tedeschi, poi l’Europa9.
cazione tedesco fu illustrato come la prima tappa del nuovo percorso
che aveva portato al disvelamento della violenza prussiano-teutonica.
In consonanza con un habitus iscritto nel loro plurisecolare patrimonio
politico, gli Hohenzollern «[...] ottennero la guida della Germania non
perché la loro cultura o la loro civiltà superasse in qualche misura quella
loro spada, in una parola sola, delle loro guerresche attitudini» [Noreika
1914]. La forza bruta iscritta nel patrimonio politico dei prussiani si era
dunque riversata prima di tutto sui loro stessi connazionali. Tuttavia,
9
Kaip atsirado Vokietija, «Šaltinis», 8 settembre (26 agosto) 1914.
202
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Studi e Ricerche
a trasformarla in un pericolo reale per tutta l’Europa non era bastata la
siani. La nascita del pangermanesimo, l’ideologia che aveva fatto dei
tedeschi un nuovo «popolo eletto» [Vailokaitis 1915b], appariva piuttosto come l’escrescenza della grandiosa crescita industriale del paese
[Abraitis 1914]. In presenza di una secolare cultura politica improntata
alla violenza, la nascita di una grande potenza industriale, che del genio
prussiano appariva come l’indubbio frutto, non poteva, secondo gli osservatori lituani, che condurre a una rinnovata corsa agli armamenti e a
un nuovo ciclo espansivo all’insegna dell’empietà [Markauskas 1914b].
Seppur legata a un passato che ne tratteneva già in nuce tutti i caratteri
salienti, la Germania appariva, tuttavia, come lo specchio di una nuova era e, ancor più, di una nuova Europa tesa tra il pauroso clamore
della tecnologia e l’invidiato sviluppo dello stato-nazione. Grazie alla
tecnologia, le dimensioni della distruzione causata dalla macchina bellica si erano dilatate in una misura precedentemente inimmaginabile.
Se la tecnologia, tuttavia, risultava caratterizzata da una fondamentale
neutralità morale che la rendeva uno strumento che l’uomo poteva utilizzare per il proprio sviluppo socioeconomico, ad essere incriminata
La guerra meccanizzata che l’Impero tedesco aveva scatenato incarnava
pertanto l’escrescenza della malvagità teutonica indirizzata alla narcisistica realizzazione di un sé collettivo10 a detrimento delle nazioni vicine.
Se la guerra mondiale era dunque nuova in quanto a mezzi impiegati,
ma non in relazione alla volontà di chi la guerra l’aveva causata, mutati erano, invece, i soggetti che ai nuovi Cavalieri teutonici si potevano e volevano opporre. Per la prima volta nell’era moderna, infatti,
lato, nonostante alcune nazioni (prima tra tutte quella tedesca) avessero
già ben dimostrato nel corso del secolo precedente di essere coese, la
10
Kur artimo meilė? «Aušra», 29 ottobre 1914.
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
203
guerra era parsa un particolare stimolo alla sintesi per tutte le nazioni europee [Markauskas 1914a]. In svariate occasioni i colonnisti feceesercitò nei confronti delle diverse anime politiche degli stati coinvolti.
in Russia, Francia, Inghilterra e Germania, riferiva un commentatore,
mondiale un’autentica guerra delle nazioni («tautų karas») [Vailokaitis
confermava implicitamente le aspettative riposte in una veloce vittoria
russa. Come i tentativi di coordinare le varie correnti politiche lituane nell’autunno 1914 dimostrano, l’intellighenzia lituana – specialmente
conservatori e clericali – vedeva nell’unità sovrapartitica il prerequisito
di qualsiasi possibile successo politico dei lituani. Accanto a tali auspici di unità politica, che conseguirono un parziale successo solo dopo
l’invasione tedesca dell’estate 1915, la novità di una guerra tra nazioni
si presentava come l’inevitabile epilogo delle dispute iniziate in tutta
Europa (e fuori di essa) nel corso del XIX secolo. Una guerra di nazioni
rappresentava – anche concettualmente – l’ultimo atto della vita di quegli stessi stati multinazionali che della guerra erano i protagonisti. Al di
là della sua matrice tecnologica, pertanto, la guerra era nuova in quanto
vero epilogo dell’ancien régime e prologo di un nuovo ordine mondiale
dominato da soggettività nazionali. L’idea fu ben espressa nel febbraio 1915 di Juozas Vailokaitis. In un intervento pubblicato settimanale
Šaltinis
come anche gli imperi che godettero della massima fama e del massimo rispetto tra i propri cittadini inevitabilmente perirono per mano dei
segnava la raggiunta vecchiaia di alcuni stati e la prima giovinezza di
quelle forze che nel corso del XIX secolo erano cresciute e che, durante
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Studi e Ricerche
ambrata la barbarie tedesca [Vailokaitis 1915a]. Nella fattispecie, con
come l’atto dovuto dei sudditi nei confronti del loro zar, ma come il
contributo volontario dei membri di un’individualità nazionale interessata e attivamente impegnata alla difesa dei propri interessi comunitari
[Paparnis 1914]. Gli interessi nazionali, appunto. Per quanto non esplicitamente dichiarato, nel concetto di interesse nazionale presente sulla
stampa riecheggiò chiaramente una critica del rapporto tra centro imperiale, nazioni presenti nel territorio dell’Impero e i loro diritti positivi.
Non può certo meravigliare che le critiche fossero rivolte alle potenze
nemiche di Germania e Austria-Ungheria, mentre la Russia rimaneva al
di fuori della discussione grazie alle misure di autocensura adottate dalle
testate stesse. La critica passava, invece, attraverso la citazione di casi in
cui il rapporto tra centro e periferia pareva essere esemplare: «[Il colonialismo inglese] non ha introdotto limitazioni alla religione, alla lingua e
nemmeno alla possibilità di governare il proprio paese, ma ha solamente
preteso che venissero acquistati i prodotti inglesi e che all’Inghilterra venisse venduto quanto eventualmente prodotto» [Kraujalis 1914a]. Se, tra
le righe, è possibile leggere una critica alle opposte tendenze tenute dalle
autorità zariste nei confronti dei lituani dopo la rivolta del 1863-64, essa
non toccava l’Impero come forma di stato, ma i rapporti tra il centro e
le sue componenti nazionali intese come soggettività politico-culturali.
Essa cioè evidenziava il nocciolo di un nuovo possibile patto politico tra
l’apparato burocratico imperiale e le nazioni quali depositarie del potere
di rappresentanza degli individui, sottolineando ancora una volta come
la concessione dell’autonomia alle nazioni dell’impero costituisse l’unica
via per un rinnovato patto tra lo stato e i suoi cittadini. Implicitamente,
tale riequilibrio tracciava il nuovo limite tra potenze europee: da un lato,
gli imperi multinazionali in cui la forza dello Stato si accorda alla cooperazione economica tra i suoi cittadini e al rispetto dei diritti positivi
delle nazioni; dall’altro, le potenze accentratrici – l’Impero tedesco in
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
205
primis – in cui la potenza economica rappresenta il risultato di un’omologazione forzata e una spinta all’espansionismo imperialistico.
to dei rapporti sociali esterni e interni allo Stato. Se la guerra era stata il
risultato dell’azione di «[...] industriali, possidenti terrieri e, in generale,
classi dominanti [...] totalmente incuranti dei bisogni delle classi inferiori» [Markauskas 1914c] e delle masse di contadini tedeschi senza
mutamento di quella struttura sociale che la Germania aveva ereditato
dalla Prussia e di cui il paese era la massima espressione storica. Al suo
sulla convinzione che il fondamentale apporto alla vittoria della Russia
zarista sarebbe arrivato proprio dalle giovani nazioni presenti nell’imai polacchi rendevano oramai evidente, non sarebbe più stato rinviabile
[Markauskas 1914d].
Dal mito alla realtà: l’esperienza dell’occupazione tedesca
Fino alla nuova
avanzata tedesca sul
fronte orientale nella primavera-estate
del 1915, il mito e
la sua attualizzazione rappresentarono
un utile strumento
per rendere relativamente familiare alle
Cittadina lituana in fiamme durante l’avanzata tedesca, 1915
(fonte: Lietuvos dailės muziejus: http://www.epaveldas.lt/vbspi/
biRecord.do?biRecordId=9267)
206
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
masse contadine un evento senza precedenti. Ma se attraverso l’utilizzo
del mito e della sua attualizzazione la classe intellettuale lituana avedella Germania, il mutamento della situazione e l’inizio dell’occupazione tedesca scombinò irrimediabilmente gli scenari prospettati. Per
circa 500.000 abitanti di quelli che erano stati i Territori del Nord-ovest
dell’Impero russo, l’estate del 1915 coincise con l’emigrazione verso le
regioni centrali della Russia11. Per questi ampi strati di popolazione – tra
cui circa 250.000 lituani – si trattò dell’inizio di un periodo di “esilio”
che rese tuttavia possibile lo sviluppo di un reticolo di strutture educative, assistenziali e burocratiche di dimensioni mai viste prima. Seppur tra
restrizioni notevolmente maggiori, il periodo dell’occupazione tedesca
del cosiddetto Ober Ost rappresentò un’analoga occasione per la popolazione rimasta in loco. Va però notato che mentre per i lituani dislocati
in Russia il periodo dell’occupazione tedesca fu principalmente un’occasione di formazione civica e politica, per chi rimase nell’Ober Ost
il quotidiano rapporto con l’amministrazione militare e civile tedesca
degli occupanti. Su questo ultimo punto concentrerò la mia attenzione.
Se nell’estate del 1914 la guerra aveva rappresentato un evento concreto e palpabile solo per le popolazioni residenti a ridosso della linea del
fronte, l’inizio dell’occupazione e l’insediamento delle nuove strutture
amministrative tedesche tra la tarda primavera e l’autunno del 1915 resero concretamente chiara a tutti la natura degli avvenimenti che stavano
interessando il resto dell’Europa e del mondo. Nonostante, come abbiamo visto, le ragioni della guerra venissero principalmente rinvenute
nell’imperialismo tedesco e nel suo sviluppo tecnologico-industriale, la
Ober Ost) trasferitisi nelle
regioni centrali della Russia, solo 350.000 circa poterono far ritorno nel neonato Stato
indipendente lituano tra il 1918 e il 1923. Molti rifugiati videro il loro ritorno reso
11
pericolosamente gli equilibri etnici dello Stato: Balkelis 2004.
AndreA GriffAnte
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fascinazione per uno Stato che nel giro alcuni decenni era riuscito a
crearsi e a salire ai vertici economici e politici d’Europa poteva essere
sazionale se confrontata al grado di arretratezza della Russia zarista e ai
suoi crescenti problemi sociali. L’avanzata dell’esercito tedesco, tuttavia,
fu decisiva per cancellare ogni residua fede nei buoni frutti della “civiltà
tedesca” e ravvivare l’immagine del nemico come l’epigono dei Cavalieri teutonici e dei loro rudi modi. Il sacerdote Kazimieras Pakalniškis
[1940, 105] espresse nel suo diario il contrasto tra le residue speranze e
l’esperienza diretta dell’occupazione nei termini di un amaro disincanto
trare in precedenza:
Prima della guerra avevo letto sulla stampa lituana e polacca del grande
timor di Dio dei tedeschi, di tutte le loro associazioni e organizzazioni
deputate all’innalzamento dello spirito e delle condizioni materiali della
gente, delle loro vivaci e solenni assemblee annuali. Ero convinto che
quei cattolici tedeschi dovessero essere, nella loro vita di ogni giorno,
delle persone eccezionali, un vero esempio per i cattolici di tutte le nazioni. È passato più di un anno da quando vivo nel “territorio di occupazione tedesca” (Im besetzen Gebiete). Mi è capitato di vivere per più
tempo tra i soldati tedeschi. Tra di loro v’erano sia cattolici che prote[...] Quando c’era da derubare la nostra gente, da violentare donne e
vano dai loro colleghi protestanti. I cattolici bavaresi erano i più violenti
e crudeli di tutti i soldati, gli stessi tedeschi li chiamavano i “cosacchi di
Germania”.
Nella diaristica e nella memorialistica delle classi popolari (e, a dire il
vero, non solo delle classi popolari) l’accostamento tra nuovi occupanti
e Cavalieri teutonici venne declinato in termini ancora meno mediati.
nel 1937 argomentava l’occupazione tedesca nei termini di una vendetta
anni dell’occupazione, i soldati dell’esercito tedesco apparvero simili a
208
Storicamente 10 - 2014
Studi e Ricerche
“belve” (žvėrys) che «depredarono la nostra terra e [...] nel peggiore dei
introdussero «nei confronti degli abitanti l’ordine della crudeltà tedesca e
i modi del governo teutonico [...]» basato sulla «[...] rapina e l’uccisione
principali ragioni. In primo luogo, nell’Ober Ost le forze di occupazione
tutta l’economia di guerra tedesca. Le requisizioni del bestiame e dei
assunsero ben presto un carattere massiccio – avevano esattamente il
doppio obiettivo di soddisfare, almeno in parte, i bisogni dell’esercito
requisizioni vere e proprie e alla miriade di balzelli introdotti col passare
propria totale discrezione e spesso non lesinando atti di gratuita violenza
vo oggetto dell’interesse tedesco. Durante gli anni dell’occupazione, le
foreste divennero l’oggetto di uno sfruttamento sistematico senza precedenti che defraudò parte del territorio di una delle sue principali fonti
economiche. Tuttavia, ad essere oggetto e strumento dello sfruttamento
furono soprattutto gli abitanti locali utilizzati vieppiù come forza lavoro gratuita. La tendenza all’utilizzo forzato dei civili nelle attività ecoCorvée a cadenze più o meno regolari nei manieri
fatti propri dalle forze militari tedesche divennero una consuetudine cui
2012]. Il volume della popolazione impegnata per periodi consecutivi in
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
209
servizi di lavoro – di fatto, veri e propri lavori forzati – nell’Ober Ost o in
Germania aumentò considerevolmente tra il 1916 e il 1917. Obbligati a
prestar servizio in campi di lavoro sguarniti di qualsiasi più elementare
norma igienica per mesi o addirittura anni, ammassati in locali malsani,
malnutriti e spesso malati, migliaia di abitanti dell’Ober Ost esperirono
dell’universo morale lituano. Non tenendo conto delle festività religiose
che caratterizzavano il calendario di una società agraria come quella lituana, i vari servizi di lavoro obbligatorio scardinarono la distinzione tra
tempo sacro e tempo profano. Similmente, lo spazio sacro si ritrovò ad
essere materialmente violato dalla presenza tedesca12.
La popolazione fu inoltre oggetto di un controllo che superò di gran
lunga le restrizioni conosciute durante il periodo zarista. Enormi limitazioni furono imposte alla libera circolazione delle persone sul territorio,
vincolando i movimenti alle nuove entità amministrative (Bezirke) o
al nullaosta delle autorità. In un periodo caratterizzato da requisizioni,
razionamento dei generi alimentari e da una progressiva mancanza di
beni di prima necessità, le limitazioni alla mobilità resero gli approvviprovigionamento diminuirono la razione media degli abitanti di Vilnius
a sole 805 calorie giornaliere e a un aumento della mortalità dal 2,2%
12
con mio grande stupore che la nostra chiesetta era stata trasformata in una scuderia.
Puzzava di urina di cavallo e le pareti erano state tutte rosicchiate dai cavalli. Anche se
il locale era stato ripulito dallo sterco, l’odore di sterco era molto intenso». Situazioni
smili erano molto comuni in tutto il territorio di occupazione.
210
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Studi e Ricerche
del 1915 al 8,13% del novembre 191713. Nel complesso, tale situazione
trasformò gli anni dell’occupazione tedesca dei territori dell’Ober Ost in
«[...] una dei peggiori e più tristi periodi della nostra storia» durante il
vicini d’occidente che si consideravano i portatori di cultura per l’orien-
conclusioni
Le brevi considerazioni presentate in queste pagine sono probabilmente
le l’immagine dei tedeschi come dei nuovi Cavalieri teutonici sia stata
tunno del 1914 l’immagine era stata utilizzata con il malcelato obiettivo
di mobilitare la popolazione nella convinzione di una veloce vittoria
russa, in seguito all’avanzata dell’esercito tedesco e alla successiva occupazione essa divenne un paradigma in grado di spiegare e render ragione
della durezza delle misure adottate dagli occupanti.
Va tuttavia detto che per quanto l’esperienza del periodo 1915-1918
e lo stereotipo violento del tedesco rimase chiaramente impressa nella
memoria degli abitanti che subirono sulla propria pelle le conseguenze
dell’occupazione, essa divenne nel corso del dopoguerra la vittima di
nostri giorni. Le ragioni possono essere ricondotte a tre ordini di fattori.
In primo luogo, l’esperienza dell’occupazione tedesca riguardò solo una
parte dei futuri cittadini della Repubblica di Lituania nata nel 1918 e fu
pertanto patrimonio della memoria comunicativa di una sola parte della
nuova nazione politica. Per le decine di migliaia di persone rimpatriate
13
ne alla Lietuvos Taryba del novembre 1917.
-
AndreA GriffAnte
La Prima guerra mondiale e l’uso pubblico della storia in Lituania: i nuovi Cavalieri teutonici
211
rimase associata all’evacuazione nelle regioni interne dell’Impero zarista
nelle proprie abitazioni. Fino allo scoppio rivoluzionario, le comunità
emigrate in Russia poterono condurre una vita nei limiti del possibile
normale e con una libertà d’azione – ad esempio in campo educativo e
In secondo luogo, la disputa lituano-polacca relativa alla regione di Vilnius e la sua presenza nell’agenda internazionale per tutti gli anni ’20 e
’30 rese il ruolo dell’occupazione tedesca meno centrale per la memoria
collettiva rispetto a quanto non lo fossero la Polonia (la Rzeczpospolita) e
i polacchi. Proprio in questi ultimi la master narrative storica lituana aveva individuato i principali nemici della nazione, storicamente impegnati
In terzo luogo, nel corso del dopoguerra la memoria della dolorosa
occupazione tedesca e l’immagine dei tedeschi come nuovi Cavalieri
luogo della memoria dello Stato lituano indipendente: la battaglia di
Grünwald. Ad essa, nella sua accezione di vittoria dei lituani (e non di
un esercito plurinazionale) sui tedeschi e al loro principale condottiero,
Vytautas, fu dedicato il massimo risalto nello spazio pubblico lituano per
tutto il periodo interbellico. Se le impellenze dell’agenda politica dello
Stato nazione lituano spiegano le ragioni dell’oblio di questa pagina di
storia del Baltico orientale, esse non ne possono più rappresentare una
ne di un piccolo tassello di una problematica complessa che solo ora, a
cent’anni di distanza gli storici professionisti hanno iniziato a studiare.
212
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Studi e Ricerche
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Giorgio Ambrosoli e il
fallimento della Banca privata
italiana di Michele Sindona.
La Prima relazione del commissario
liquidatore
ottaVio D’aDDea
Univ. Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
Alla fine degli anni Sessanta, il banchiere Michele Sindona introduce nell’economia italiana
nuovi strumenti che nascondono un sistema globale basato sul controllo di società finanziarie con sede in paradisi fiscali in Europa. Nel 1972 avvia la fusione di Banca unione con
Banca privata finanziaria per creare la Banca privata italiana. Nel 1974, anche a seguito del
fallimento della Franklin National Bank, naufraga il tentativo di innalzare il capitale della
Finambro e rifinanziare la Banca privata italiana. Nella “Prima relazione”, qui pubblicata e
analizzata, il liquidatore Giorgio Ambrosoli ricostruisce le cause e le responsabilità di Sindona nel crack bancario che porteranno ai processi per bancarotta in Italia e negli Stati Uniti.
At the end of the Sixties the banker Michele Sindona introduces in italian economy new tools
to hide a comprehensive system based on the control of financial companies in tax havens in
Europe. In 1972 he merged in Italy Banca Unione with Banca Privata Finanziaria in Banca
Privata Italiana. In 1974, following Franklin National Bank failure too, also fails both the
attempt of refinancing Finambro and Banca Privata Italiana. The liquidator of Banca Privata
Italiana Giorgio Ambrosoli reconstructs the causes of failure reacting to crack bank to process
for bankruptcy against Sindona in Italy and in the States.
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Fonti e Documenti
Dall’impero di Sindona ai castelli di carta: il contesto della
Prima relazione
Il 24 settembre 1974, il presidente della Camera Sandro Pertini denuncia
in apertura di seduta che il Parlamento è stato tenuto all’oscuro dell’affare Sindona e che il governo ha steso un velo pietoso sulla questione.
Lo stesso giorno, al pomeriggio, nelle stanze della Banca d’Italia, viene
decisa la liquidazione coatta della Banca privata italiana. La sera del 24,
un funzionario di Bankitalia convoca per l’indomani Giorgio Ambrosoli ad una riunione con il governatore Guido Carli, il suo nome è stato
segnalato in via Nazionale dall’avvocato Storoni e dal professor Tancredi
Bianchi che presiede il collegio dei sindaci del Banco di Roma [Ambrosoli 2009, 76]. L’avvocato Ambrosoli, esperto in procedure fallimentari,
spera di poter lavorare assieme ad altri componenti del gruppo di tecnici
ormai collaudati che si sono occupati della liquidazione della Società
liana dal dopoguerra – ma nel corso della riunione apprende di dover
svolgere la funzione di “unico commissario liquidatore”. Prima di insediarsi nella sede milanese della banca in via Arrigo Boito 10, Ambrosoli
chiede l’aiuto di Pino Gusmaroli, esperto di mercato borsistico e degli
avvocati Tino e Pollini (cfr. Prima Relazione del Commissario liquidatore
della Banca Privata Italiana, II. 2.d.5).
Accettare l’incarico di liquidare un istituto bancario con una vocazione
liano sulla politica e sulla collettività. La stesura della Prima relazione
affaire Sindona,
il primo atto pubblico di una vicenda che è stata gestita in gran parte a
dei rumors
Sindona, per abbagliare o confondere tanto gli operatori di borsa quanto
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
223
gli ignari risparmiatori.
La liquidazione coatta della banca di Sindona coinvolge la rete di rapporti internazionali che il banchiere di Patti ha pazientemente costruito con i banchieri londinesi Hambro e la Continental Illinois Bank
and Trust Company, guidata da David Kennedy segretario del Tesoro
nell’amministrazione Nixon. La storia professionale di Sindona era nata
come attività di esportazione di capitali all’estero e si era potenziata con
l’acquisto dei pacchetti di controllo della Banca unione e della Banca
re – poi banchiere di grido – ha come costante l’attività internazionale.
L’attività bancaria di Sindona si sposta verso l’estero per la fondazione di
società di controllo del gruppo ma anche per rapporti con istituti banIl successo repentino del sistema Sindona suscita invidie e sospetti sull’origine dei capitali che hanno contribuito a formare questo impero inacquisto in Italia nel ’71, Guido Carli, governatore della Banca d’Italia,
vedrebbe un ingresso massiccio di capitali stranieri, assegnando a Sindona una posizione dominante:
Il grande disegno fu concepito nel 1971. Sindona mirò all’acquisizione
del controllo della Centrale e della Bastogi e alla loro fusione, all’acquisizione del controllo della Banca nazionale dell’agricoltura. [...] Se il programma fosse stato realizzato si sarebbe costituita una delle maggiori,
una concentrazione di potere esorbitante la capacità di controllo di un sistema formato dall’intreccio di disposizioni vetuste, concepite agli albori
del capitalismo italiano [Carli 1995, 236].
Ed ancora:
combinando acquisti privati e acquisti sul mercato, il più delle volte
acquisire il controllo della Italcementi, quindi dell’Immobiliare, quindi
224
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Fonti e Documenti
della Riunione adriatica di sicurtà, dell’Assicurazione italiana, della Banca provinciale lombarda, del Credito commerciale, dell’Istituto bancario
italiano [Carli, Cantoni 1979, VII-XXIII].
Accettando il suo incarico di commissario liquidatore Ambrosoli entra
nel pieno dello scontro che si consuma tra capitale nazionale e spinte
scista e brasseur d’affaires come Sindona [Panerai, De Luca 1975, 65].
Le operazioni che Ambrosoli si appresta a ricostruire seguono un corso
ra dell’istituto di Sindona: tempi frenetici nei cambi di divisa proiettati
su scala internazionale – se non globale, alla velocità delle borse e delle
per la mancanza di organi di controllo alla stregua della Security Exchange Commission (Sec) statunitense le cui mansioni sono svolte dalla Banca
d’Italia e successivamente dalla Consob (che vede la nascita in seguito al
crack delle banche sindoniane). La dislocazione del gruppo rende difitaliana non possiede strumenti per inseguire patrimoni all’estero sotto
forma di aziende o scatole che contengono società che fungono da mera
merce di scambio1
sindoniano delle aziende, negli incroci azionari che il banchiere costruisce alle spalle di ignari risparmiatori.
to dei suoi istituti bancari e per alcune operazioni non autorizzate che
il settembre dello stesso anno il governatore Carli dà l’avvio ad un’ispezione che denuncia gravi irregolarità nella contabilità di Banca unione
e Banca privata italiana: gli ispettori della Banca centrale propongono
1
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
225
il commissariamento dell’istituto secondo quanto previsto dall’articolo
57 della legge bancaria. Nonostante molte voci di critica – compresa
quella dello Ior che vedrebbe toccati i propri interessi, Carli decide di
segnalare alla magistratura le irregolarità che costituiscono degli illeciti
penali, ma non avvia il commissariamento delle banche sulla scorta della
suo modus operandi.
gi2, Sindona aveva iniziato a concentrare la sua attività nel mercato statunitense dove poteva giovarsi dell’appoggio dei circoli massonici italo
americani legati a Cosa Nostra [Lupo 2008, 249] e della “sponda” antimiliardi che gravitano tra Banca privata, Banca unione e Privat Kredit
Bank, Fasco e Amicor (società riconducibili a Sindona), viene acquistato nel ’72 il pacchetto di controllo della Franklin New York Corporation [Spero 1980], proprietaria della Franklin National Bank (II.1.c.2).
Anche se il banchiere si concentra sui mercati esteri lavora attivamente
per riorganizzare le partecipazioni italiane: la Edilcentro-Sviluppo, la
Banca di Messina, la Generale immobiliare e le banche milanesi.
Sindona progetta di rilanciare il suo gruppo attraverso un aumento di
2
nella scalata dell’Italcementi, della Banca nazionale dell’agricoltura e in quella della
Bastogi. Il comportamento di Carli è contraddittorio: se da un lato ostacola e blocca
to straordinario quali l’applicazione dell’articolo 57 della legge bancaria che avrebbe
portato al commissariamento degli istituti bancari del banchiere di Patti. Carli agisce
in tutti e tre i casi su un terreno diverso da quello istituzionale con l’uso di strumenti
abnormi. Per l’Italcementi fa sapere che gli è gradita la continuità del gruppo di controllo. Per la Banca nazionale dell’agricoltura interviene con una lettera che diviene di
fa conoscere il suo dissenso all’entrata di capitale straniero agli Hambro e, favorendo
il progetto di fusione proposto da Cuccia, fa valere il possesso di azioni della Banca
d’Italia. Con questi espedienti il governatore si sforza di garantire lo status quo: cfr.
Commissione Sindona, Relazione di minoranza, 32-33.
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Fonti e Documenti
capitale della Finambro (II.1.g.5; II.1.i.1; II.1.i.2)3, da un milione di lire
(capitale minimo per la quotazione di un’azienda) a 160 miliardi, ma
l’aumento deve essere approvato dal Comitato Interministeriale per il
Credito e il Risparmio (Cicr). Con il ricavato della vendita di società
non strategiche – di cui il gruppo possiede la maggioranza – e dalla
cessione di quote eccedenti il 51% di alcune altre, vorrebbe dar vita a
una holding di respiro europeo, ma la caduta del governo Andreotti nel
forti pressioni politiche, Ugo La Malfa, ministro del Tesoro del nuovo
esecutivo presieduto da Mariano Rumor, non accorda l’autorizzazione
all’aumento di capitale che dovrebbe passare dal Cicr. La Procura della
Repubblica di Roma aveva informato il 21 settembre in via riservata il
ministro del Tesoro e il governatore che era stata presentata una denuncia dalla quale risultava che la Finambro aveva negoziato titoli in Borsa
prima dell’autorizzazione. Bankitalia precisò che la richiesta di aumento
di capitale della Finambro escludeva anche per il futuro contrattazioni
3
milione di lire sottoscritto per il 50% da Maria Sebastiani e per la restante quota da
Cosimo Viscuso. La società non gravitava all’atto della sua costituzione nell’orbita di
Sindona anche se Viscuso era compreso nel circuito di interessi del gruppo. Solo in un
secondo tempo Sindona se ne interessò direttamente perché gli serviva uno strumento
rante l’assemblea straordinaria della società viene approvato un aumento di capitale da
un milione a 500 milioni di lire; essendo stato accertato che il capitale era stato depositato nelle casse sociali nel corso della stessa assemblea si dispone un ulteriore aumento
da 500 milioni a 20 miliardi, tale aumento sarebbe stato attuato dopo le autorizzazioni
previste dalla legge.
L’assemblea straordinaria del 3 agosto del ’73 deliberò l’aumento da 20 a 160 miliardi
operazioni della società ed in particolare l’acquisto del pacchetti di maggioranza dell
Società Generale Immobiliare Spa e della Moneyrex Euro Market Brokers.
Il diniego del ministro del Tesoro del 15 luglio 1973 esclude il rilascio di autorizzazioluglio del ’74 il tribunale di Milano revoca l’omologazione della deliberazione d’assemblea straordinaria del 3 agosto ’73 perché «irragionevole e contraria a norme di ordine
dell’omologazione: Commissione Sindona, Relazione di minoranza, 108.
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
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.
Nel marzo del 1974 la Franklin dà le prime avvisaglie di crisi. Il banchiere corre ai ripari chiedendo al Tesoro un altro aumento di capitale
questa volta per la Banca unione che vuole fondere con la Banca privata.
La partita sembra volgersi a suo favore con la nomina di Barone (vicino
alla corrente di Giulio Andreotti) ad amministratore delegato del Banco
di Roma. Sindona chiede al Banco la concessione di un prestito di 100
milioni di dollari per la Generale Banking Corporation, garantendolo
con il 51% delle azioni della Banca unione e da titoli della Generale immobiliare5. L’operazione va in porto, Sindona convince i vertici del Banco, Ventriglia e Guidi, che il 20 giugno autorizzano il versamento della
una prima tranche (rivelatasi illegittima per mancanza di autorizzazione
e perché transitata attraverso il Banco di Roma Nassau). Voci sempre
più insistenti denunciato perdite ingenti nelle società di Sindona a causa di irregolarità nelle procedure contabili, il Banco di Roma concede
la seconda tranche del prestito, si scatena un dibattito politico che vede
un’interrogazione parlamentare (D’Alema-Peggio, 5 luglio). L’unica alternativa al fallimento secondo il governatore sarebbe un’acquisizione
da parte del Banco di Roma d’altra parte già impegnato con il prestito.
Nel luglio dello stesso anno uno stuolo di dirigenti del Banco di Roma
si insediano nella Banca unione ma la Banca privata resta in mano a
Sindona che ne ha fatto la parte operativa del suo sistema. L’intervento
dei funzionari del Banco di Roma non consente di appurare con tempestività la situazione che viene documentata dai rapporti degli ispettori
4
4
Relazione di minoranza, 102.
5
che ha prodotto secondo le stime del commissario uno sbilancio tra attivo e passivo
di 168 miliardi (IV.1.c) (che rivalutati superano ampiamente il miliardo di euro). Solo
la procedura di liquidazione permette di contenere i costi. La gestione ordinaria si sarebbe trovata esposta a passività per 472 miliardi e mezzo con uno sbilancio di più di
191 miliardi. Alla stima di 168 miliardi Ambrosoli aggiunge il rischio di forti multe
valutarie ma anche la presenza di ingenti masse di capitali depositati in banche estere
che applicano tassi di interesse pari o superiori a quelli interbancari.
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Fonti e Documenti
di Bankitalia. Quando i vertici del Banco di Roma comunicano a Carli
la gravità della situazione e l’irreversibilità del danno chiedono nel contempo un indennizzo di 35-40 miliardi per il servizio reso alla stabilità
del sistema. A seguito dell’autorizzazione ministeriale, la Banca d’Italia
Banco di Roma e il governatore si fanno più pressanti perché emerge in
tutta la sua gravità la situazione in cui versa l’istituto.
Il 28 agosto il Banco di Roma comunica che la Banca privata italiana
cinquecento intestatari i cui nomi sono registrati nel misterioso “tabulato dei 500”. Il governatore dispone che tali depositi siano restituiti per
salvare la credibilità del sistema su cui incombe lo scandalo delle banche
3 settembre Ventriglia comunica a Carli che il disavanzo dell’istituto di
Sindona ammonta a 168,4 miliardi di lire.
I vertici di Bankitalia propongono a Sindona di vendere la Banca privata italiana al prezzo simbolico di una lira ottenendone un secco ridi interesse nazionale6 che coinvolgerebbe il Banco di Roma, la Banca
commerciale, il Credito italiano e l’Istituto mobiliare italiano per dare
6
struzione industriale (Iri) nel ’33 come risposta alla grave crisi economica dei primi
anni Trenta in Italia. Le banche di interesse nazionale erano i tre maggiori istituti di
credito in Italia: Banca commerciale italiana (conosciuta come Comit), il Credito itapali imprese coinvolte nello sforzo bellico, costruendo inoltre delle holdings
e acquistando le loro stesse azioni in borsa. Si veniva a creare -secondo la nota formula
emersa con la politica monetaria di Mussolini e la conseguente crisi di borsa del ’29.
da la soluzione del problema che si era creato attorno al rapporto tra imprese e banche,
risolto con la creazione dell’Iri. L’istituto ottenne dalla Banca d’Italia i capitali necessateresse nazionale»), controllando nel contempo le imprese possedute da queste banche.
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
229
vita alla Banca d’Oltremare. Il progetto naufraga per l’opposizione del
presidente dell’IRI Petrilli7 che non vi intravede carattere di utilità in
settembre si rende necessaria la dichiarazione di fallimento dell’Istituto.
La Relazione del commissario liquidatore è un documento di sintesi che
nasce dai «diari tenuti dal commissario e dal consulente della procedura»
e racchiude il lavoro svolto nei primi sei mesi di incarico (I.1; II.1.d.1).
Dalla sua lettura emergono problematiche che ne fanno un documento
da leggere storicamente a più livelli.
L’istituto bancario di cui si occupa Ambrosoli ha una storia singolare
quanto lo sono le modalità con cui ne entra in possesso Michele Sindona. La Banca privata italiana è il frutto della fusione di Banca privata e
annovera al suo interno una clientela più selezionata della seconda (dove
il direttore Ugo De Luca può sperimentare nuove tecniche nell’ampliamento del portafoglio). Le due banche registrano una crescita vertiginosa
dopo pochi semestri della nuova amministrazione. I canali principali di
l’attività della sua banca anche fra i dipendenti delle sue aziende. Una coraggiosa e moderna politica di compartecipazione dei dipendenti unita
ad un’alfabetizzazione sugli strumenti bancari (condotta a volte dentro
gli stabilimenti delle proprie aziende) permettono a Sindona di mostrare
le potenzialità del sistema bancario con tassi di interesse maggiori che
nei più tradizionali libretti di risparmio postale. In questo modo i due
istituti si garantiscono introiti freschi e continui dai propri dipendenti, avendo a disposizione una massa critica di capitali da far fruttare in
7
230
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Fonti e Documenti
li della Milano del dopoguerra, questa quota del portafoglio clienti la
Sindona sferra il suo attacco in direzione della Banca unione controllata
dalla Bastogi, dai Feltrinelli e dallo Ior [Simula 1974, 80]. Il controllo del
piccolo istituto bancario lo lega agli azionisti storici come lo Ior che ne
controllano il capitale e che apprezzano l’anticomunismo militante del
banchiere di Patti. La famiglia Feltrinelli gli cede le sue quote nell’Unione per la prossimità tra i pacchi azionari dello Ior che erano motivo di
disagio per la parentela con l’editore Giangiacomo Feltrinelli. L’ultima
prestigiosa tipologia di clienti è costituita dagli enti pubblici che possono
giovarsi di tassi di credito agevolati. Non tutti ricevono lo stesso trattamento. Altro canale è dato dalle partecipazioni azionarie con l’Istituto
per le opere di religione che gli cede una parte del pacco azionario ma
8
.
di re Mida che concede dividendi mai visti e che trasforma in oro tutto
quello che tocca. Vi sono due Sindona, quello pubblico – che ha costruito sapientemente il suo impero dal nulla, oggetto del chiacchiericcio
un po’ risentito dei colleghi banchieri, della stampa specializzata e degli
operatori di Borsa, e il secondo che viene smascherato a partire dal lavoro
che lo porta al tracollo. Accertare il passivo della Banca privata italiavuote, quale sia il disavanzo reale, confrontare la realtà contabile – appurando le posizioni di credito di soggetti giuridici e non – salvando nel
8
1971.
I soldi me li dà il fattorino, «L’Espresso», 22, 30 maggio
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Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
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contempo la credibilità del sistema citata nel testo in quattro occasioni
(II.1.b; II.1.c.1). Il commissario liquidatore spiega nell’introduzione:
il fallimento di una banca agente con l’estero è fatto ben diverso dal
fallimento di una azienda industriale per importante che sia. La sola interruzione del lavoro il distacco dei contatti elettrici denunziano e costifallimento mentre, per contro, non basta il decreto di messa in liquidazione a fermare la vita di una azienda di credito i cui rapporti con i terzi
sono in tale continua mobilità anche dopo sei mesi dall’accertamento del
dissesto da far sentire ancor vivo l’organismo a chi in esso opera anche
se per liquidarlo (I.1).
L’impero di Sindona nel marzo del 1974; adattamento da «Corriere della Sera», 9 ottobre 1974.
La vita di un istituto bancario è simile a quella di un organismo vistituenti arrivando agli organi e ai tessuti. Anzitutto le risorse umane
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Fonti e Documenti
che permettono alla macchina-organismo di funzionare. La procedura
di liquidazione non si limita ad accertare lo stato di passivo e a “far di
conto” per rendere quanto dovuto ai creditori, ma si pone nell’ottica di
una continuazione delle attività in essere. All’atto del suo insediamento
la banca possiede un organico di 587 (II.1.d.1) dipendenti distribuiti su
quattro sportelli, a dimostrazione della strategia di Sindona che tendeva
ad accentrare le attività del gruppo [La Ferla 1976]. La dimensione delle
Ambrosoli trova una posizione irregolare e confusa nella contabilità
dell’istituto. Grazie all’aiuto delle banche di interesse nazionale – che
dichiarano da subito la disponibilità ad assumere i dipendenti della
Banca privata italiana accollandosi un contingente di 230 impiegati
(II.1.d.3), decide di non procedere a licenziamenti per fruire di una
maggiore collaborazione del personale (IV.1.c). Al contrario vengono
licenziati 14 dirigenti che avevano a carico degli avvisi di reato emessi
dal pubblico ministero.
La dislocazione degli istituti in soli quattro sportelli, a fronte del volume
di capitali gestiti, indica uno spostamento del baricentro delle attività
del gruppo in altri sistemi societari complessi. Il commissario parla di
«mobilità del sistema», non solo perché il lavoro della banca è basato
sulla movimentazione di capitali, ma per la rete che intrattiene al di fuori
-
controllare il maggior numero di società sfruttando il meccanismo della
maggioranza dei pacchi azionari. Il controllo non è mai diretto ma passa
per molteplici passaggi. La relazione di Ambrosoli rende conto di questo
meccanismo elusivo.
Liquidare in maniera tradizionale la banca equivarrebbe ad eliminare la
vitalità di un organismo che fa parte del tessuto economico del paese. La
procedura dovrebbe restituire quanto dovuto ai creditori ma la banca in
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
233
questione è un organo che dà lavoro e che è in comunicazione costante
con altri sistemi. Da qui la lunghezza del rapporto che si occupa prima di
ricostruire questa comunità di intenti, poi di procedere alla liquidazione.
La complessità della contabilità delle due banche non permette di fornire dei calcoli attendibili. Il ragionier Fignon dopo sei mesi di inteso
lavoro non può che fornire delle stime (anche per il fatto che durante
la liquidazione le società legate alla banca e la Fasco AG sono ancora in
attività). Ambrosoli dirama un comunicato per tranquillizzare il ceto
creditorio ed evitare turbative di mercato (II.1.a.1). Risolve il problema
della liquidazione di borsa che in Italia aveva cadenza mensile rassicurando il Comitato degli agenti di cambio.
Il commissario cerca la collaborazione delle banche di interesse nazionale temendo che il prolungarsi della formazione dello stato passivo
richiederebbe tempi assai lontani rispetto ai sei mesi previsti dalla normativa, con il rischio che le banche debbano surrogare i crediti che poi
la liquidazione sarebbe costretta a contestare. Nel fare questo assicura
alle banche che i crediti nei quali si fossero surrogate sarebbero stati
iscritti nello stato passivo. Ambrosoli chiede inoltre di essere autorizzato ad eseguire i contratti di cambio in essere presso la banca. Vengono
compensati tutti i contratti ritenuti validi per assicurare la credibilità del
sistema anche in deroga alla convenienza nelle procedure di liquidazione (II.1.c.1). Già dopo due mesi la mole e i ritmi di lavoro sostenuti gli
consentono di liquidare i primi creditori dell’istituto (II.1.b.2).
Vengono esclusi dalla surroga del credito coloro che sono ritenuti responsabili del dissesto o ancora coloro che avessero legami con il precedente gruppo di controllo della Banca privata italiana (II.1.b.3).
Nel corso delle procedure Ambrosoli appura come siano stati concessi
interessi particolari ad alcuni clienti dell’istituto. Sembrando «iniquo e
pericoloso» applicare gli interessi al tasso legale, li uniforma al tasso impostato dal Calcolatore del Centro contabile della banca. Questa scelta
richiede uno sforzo da parte delle banche del consorzio che si accollano
234
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Fonti e Documenti
settembre e la data della surroga (II.1.b.4). Le banche di interesse prendono in surroga anche i crediti degli agenti di cambio che si sono esposti
per via della particolare organizzazione del mercato italiano (II.1.a.1).
Non si dà esecuzione a contratti con banche estere, come per la Franklin
Bank di New York nonostante la fama dell’istituto (II.1.c.2), o come nel
caso della Bank of Nova Scotia (II.1.c.3) o dello Ior che viene escluso
dallo stato passivo della banca.
moniano la presenza di ben 4.674 titolari per 7.019 rubriche (II.1.e.1), a
questi si aggiunge un notevole numero di titoli di possesso di residenti
in Italia (II.1.e.5).
Nei caveaux dell’istituto sono custoditi materialmente molti titoli di società appartenenti al gruppo Sindona o ritenute tali. Ambrosoli decide
consegna alle società in posizione di debito nei confronti dell’istituto. La
gestione delle posizioni della Mediolanum Management Co. (II.1.f.1)
e della Finabank (Banque de Finacement di Ginevra) (II.1.f.2) risulta di
za della società di gestione del fondo (la restante parte è posseduta da
Italswiss e da Finabank). Temendo che le autorità lussemburghesi potessero revocare le autorizzazioni al fondo la cui gestione era acefala,
Ambrosoli convoca l’assemblea per la ricostituzione del Consiglio –
banche i crediti nella gestione Mediolanum. La Banca privata italiana
possiede il 37,51% del capitale di Finabank (parte residua è posseduta
dallo Ior, dalla Fasco – sempre posseduta da Sindona – e dall’EdicentroSviluppo). Complicandosi la procedura per pendenze legali con il tribunale di Milano e per l’interesse a subentrare di alcuni istituti, decide di
liquidare compensando debiti e crediti con l’istituto elvetico.
La Banca d’Italia aveva diramato un comunicato stampa per il consorzio
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Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
235
delle banche di Interesse nazionale per la surroga a depositanti e creditori, che consentiva di frenare turbative nel mercato azionario nazionanazionale» (II.2.b). Una parte importante della Relazione si occupa del
recupero crediti di aziende legate alla Banca privata italiana in quanto
società appartenenti al gruppo Sindona. Ambrosoli, «stante la crisi economica e il blocco nei crediti ancora in atto nell’ottobre ’74», decide di
non sciogliere i rapporti con aziende e società per non decretare il loro
fallimento. Nel rapporto sono citati i casi più eclatanti di indebitamento
societario che coinvolge un numero di operai e dipendenti che tocca le
grande quantità di aziende acquistate e poi fuse per creare delle corporate.
La gran parte di queste aziende (alcune delle quali quotate) versavano in
pessime condizioni, come risulta dal loro indebitamento con gli istituti
di sua proprietà. Accelerando l’indebitamento di aziende produttive si
contribuiva ad impoverire il tessuto industriale in varie zone d’Italia.
I legami tra le aziende del gruppo e gli istituti bancari avevano il comsottoscrizioni di capitale della Finambro. In questo modo era possibile
spostare agevolmente grandi masse di capitali attraverso i corridoi societari che partivano dalle banche, passavano per l’acquisto delle società,
del gruppo. Questo approccio viene seguito da Sindona anche nel caso
di società in accomandita come la Mabusi o la Gadena (II.1.g.5). Le
società erano trattate come merce di scambio ma con maggior spregiudicatezza era trattato l’indebitamento societario a discapito delle riforme
o delle ristrutturazioni nei sistemi produttivi. Sindona acquista società
rubrica «credito verso l’estero»)(II.1.h) che portano al crack del sistema
e che assumono un peso sempre maggiore nel suo lavoro di liquidatore
sopravanzando la semplice procedura amministrativa.
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Fonti e Documenti
Una ricostruzione del funzionamento del sistema Sindona.
Le banche fuse nella Banca privata italiana (II.1.h):
Le banche estere, come semplici intermediarie, non erano tenute a ri-
A complicare la ricostruzione vengono inserite nel circuito societario
ne dei movimenti. Alla luce delle scoperta del meccanismo dei depositi
dallo stato passivo della Amincor Bank legata tramite questo meccanismo allo Ior vaticano9.
9
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237
rappresentano le trame più nere della storia di Sindona. Si prestano ad
11
,
attività illegali, da provvigioni e tangenti ai partiti10
nella strategia della tensione in quel più vasto arco cronologico che è la
-
dum sul divorzio del 1974.
L’ultima e più spericolata impresa di Sindona che risulta dalla Relazione
è l’operazione di aumento di capitale della Finambro che è costretta a
rimborsare i sottoscrittori quando appare chiaro che non sarebbe arrivata l’autorizzazione dal Cicr.
La credibilità del sistema che sta tanto a cuore di Ambrosoli è salvata
dalla trasparenza e dalla coscienza che emerge nella stesura della relazione, che inizia a delineare un quadro destinato a cambiare, che non
permetterà al «gruppo che aveva il controllo dell’azienda di scaricare su
terzi le conseguenze del dissesto» (VI.1).
aveva depositati a sua volta in divisa straniera (dollari e marchi) presso la Banca unione sulla base di un contratto stipulato in Italia tra Banca unione e Ior che esigeva il
risarcimento dalla liquidazione perché l’operazione in questione era solo una modalità
esecutiva. In questa sezione Ambrosoli spiega che l’Amincor è legata a livello azionario
alla Banca privata, quindi di proprietà di Sindona. Secondo il comunicato di Bankitalia
erano esclusi tutti gli attori corresponsabili del dissesto, comprese le banche conniventi
al sistema Sindona; da qui il diniego di Ambrosoli che riconosce una posizione creditoria ad Amincor Bank negandola allo IOR: Novembre S. 1995.
Commissione Sindona, audizione di Edoardo Ruggiero del 1° ottobre 1981, doc.
XIII N.2 septies/4, 746 ss. La testimonianza di Ruggiero è incentrata sui fondi neri
derivanti dagli interessi non dichiarati ad enti pubblici come la Gescal.
10
International
Criminal Police Organization di Washington alla Criminalpol di Roma. cit. in Lombard, Soldi truccati, I segreti del sistema Sindona, Milano, Feltrinelli 1980, pp.15-16.
11
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Fonti e Documenti
Fonti
Relazione del Commissario liquidatore della Banca privata italiana, 1975, Archivio Banca
Privata Italiana, 1335, presso Archivio della Camera di Commercio di Milano.
Documentazione allegata alla relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso eventualmente connesse (Leggi 22 maggio 1980, n. 204, e 23 giugno 1981, n. 315) trasmessa
alle Presidenze delle Camere il 27 ottobre 1982: resoconti stenografici delle sedute della
Commissione
Ambrosoli U. 2009, Qualunque cosa succeda, Milano: Sironi.
Carli G. 1995, Pensieri di un ex governatore, Edizioni Studio Tesi: Pordenone.
Carli G., Cantoni 1979, 1973-74, Il terremoto monetario, Etas libri: Milano.
Commissione Parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e
amministrative a esso eventualmente connesse, Relazione di minoranza 1982
del Senato, ora disponibile in Dossier Sindona, Milano: Kaos, 2005, 30 ss.
De Luca U. 1971, I soldi me li dà il fattorino, «L’Espresso», 30 maggio 1971.
Flamigni S. 2005, Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2, Milano: Kaos.
Garruccio R. (ed.) 2004, Le grida: memoria, epica, narrazione della Borsa di Milano,
1945-1995, Soveria Mannelli: Rubettino.
La Ferla M. 1976, A Sindona lascio una foto ricordo, ‹«L’Espresso», 26 gennaio 1976.
Lupo S. 2008, Quando la mafia trovò l’America, Storia di un intreccio internazionale,
1888-2008, Torino: Einaudi.
Novembre S. 1995, La fatica della legalità, «Micromega», (1): 142-154; ripubblicata
in Robiglio C. (ed.) 1997, Ambrosoli: Nel rispetto di quei valori, Novara: Interlinea
Edizioni, 79-96.
Panerai P., De Luca M. 1975, Il crack, Sindona la Dc, il Vaticano e gli altri amici, Milano:
Mondadori.
Simula G. 1974, L’Impero Sindona: ascesa e crollo, «Politica ed economia», 1974, (5): 79-88.
Stajano C. 2010, Un eroe borghese, Torino: Einaudi.
Spero E. 1980, The failure of the Franklin National Bank. Challenge to the International
Banking System, New York: Columbia University Press; trad. it, Spero E. 1982, Il
crollo della Franklin National Bank. Una sfida al sistema bancario internazionale, Bologna: Il Mulino.
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Documento. testo commentato della Prima relazione del
commissario liquidatore della Banca privata italiana (1975) di
giorgio ambrosoli
-
Indice
Le sezioni indicate con i punti di sospensione entro parentesi quadrate
[...] non sono presenti in questo testo
Parte I
1. PREMESSA
2. CONSEGNE:
a) Nomina
b) Consegne
c) Situazione patrimoniale di consegna
d) Primi provvedimenti
Parte II
1. ATTIVITÀ DELLA LIQUIDAZIONE
a) Liquidazione di Borsa
1) Risoluzione riporti settembre e ottobre.
2) Contratti a termine [...]
3) Compravendite per contanti [...]
5) Premi [...]
7) Titoli Banca Unione [...]
8) Conclusioni
b) Consorzio per le surroghe nei crediti di depositanti
1) Trattative
2) Comunicato
3) Creditori esclusi
4) Gli interessi
5) Depositi banche estere
6) Riporti e compravendita a termine
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Fonti e Documenti
7) Conclusioni
c) Operazioni in cambi
1) Rapporti a scadere
2) Operazioni non eseguite
3) Nova Scotia
d) Organico e personale
1) Organico
2) Filiale di Roma
3) Contatti con le banche di interesse nazionale
4) Dirigenti
5) Collaboratori
e) Titoli
1) Di terzi a dossier
2) Titoli venduti e non girati
3) Titoli del gruppo
4) Titoli di proprietà
5) Titoli esteri di residenti
6) Titoli italiani di non residenti
f) Partecipazioni
1) Mediolanum Management Co.
2) Finabank - Banque de Financement - Ginevra.
3) Banca di Messina
4) Immobiliare Rattazzi
5) Centenari & Zinelli S.p.A
6) Finrex
7) Illsa Viola
9) Leasing Italiana
10) Interbanca
11) Varie
12) Realizzo partecipazioni
g) Recupero crediti
1) Venchi Unica
2) Smeriglio
3) Maga
4) Microel
5) S.a.s. diverse
6) Kaitas, Wescon, Teracon
7) Società diverse del gruppo Sindona.
h) Crediti verso l’estero
2) Diversi
i) Operazioni particolari
1) Finambro
2) Finarco
3) Interbanca
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Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
4) Franklin
5) Amincor Bank
Parte III
1. SITUAZIONE GIURIDICA DELLA PROCEDURA
a) Tribunale Civile
1) Istanza di insolvenza
2) La sentenza
3) Opposizione Fasco
b) Tribunale Penale
1) Testimonianze
2) Costituzione parte civile
3) Sequestri
4) Prima relazione
5) Prof. Devoto
6) Polizia Tributaria
c) Giudizi diversi avanti il Tribunale Regionale Amministrativo
Parte IV
1. SITUAZIONE PATRIMONIALE
a) Accertamento del passivo [...]
b) Accertamento dell’attivo [...]
d) Motivi della formazione dello sbilancio
Parte V [...]
1. CONTO ECONOMICO DELLA LIQUIDAZIONE [...]
Parte VI
1. CONCLUSIONE
241
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Fonti e Documenti
Parte i
Questa relazione12 viene stesa dal Commissario Liquidatore al termine dei
primi sei mesi dalla data del decreto che ha posta in liquidazione coatta amministrativa la Banca Privata Italiana e viene stesa soprattutto utilizzando i
diari tenuti dal Commissario e dal Consulente legale della procedura. Rileggere ora tali diari, è per l’estensore rivivere le ore tutte di quel periodo ma la
relazione, per necessità di sistematica e di sintesi, mai potrà rendere se non in
minima parte l’impegno di tutti coloro che hanno collaborato in questi mesi
non poca parte ha avuto nella vita economica del Paese negli scorsi anni. Soprattutto la relazione non potrà in alcun modo rendere ciò che l’estensore ed i
suoi collaboratori hanno provato e cioè che il fallimento di una banca agente
con l’estero è fatto ben diverso dal fallimento di una azienda industriale per
importante che sia. La sola interruzione del lavoro il distacco dei contatti eletza dichiarativa del fallimento mentre, per contro, non basta il decreto di messa
in liquidazione a fermare la vita di una azienda di credito i cui rapporti con
i terzi sono in tale continua mobilità anche dopo sei mesi dall’accertamento
del dissesto da far sentire ancor vivo l’organismo a chi in esso opera anche se
per liquidarlo.
Prima di iniziare la relazione, il sottoscritto sente il dovere di dar atto che alla
sua attività ha collaborato, con massima disponibilità, il Comitato di Sorveglianza i cui membri hanno operato non solo come componenti di un Organo
di Controllo ma come collaboratori primari partecipando con impegno quotidiano all’attività della procedura. Del pari, l’estensore deve dichiarare che solo
e soprattutto dal personale della Banca Privata Italiana, gli ha consentito di
svolgere il primo periodo di attività ottenendo certi risultati che, altrimenti,
semplice funzione autorizzativa la procedura e che sia gli organi centrali della
tegrale del documento (aut. n° 2/2014) e Luca Castiglioni, responsabile dell’ Archivio
della Camera di Commercio di Milano per la disponibilità e la collaborazione nella
pubblicazione della Relazione del Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana
conservato nell’Archivio Banca Privata Italiana.
12
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Banca d’Italia che quelli della sede di Milano sono stati prodighi sempre di
consigli e suggerimenti.
I.2.a) Nomina. Con decreto 27.9.1974 il Ministro per il Tesoro ha disposto la
liquidazione coatta amministrativa della Banca Privata Italiana: in pari data il
Governatore della Banca d’Italia ha con proprio decreto nominato Commissario Liquidatore l’Avv. Giorgio Ambrosoli e membri del Comitato di Sorveglianza13 i Sigg. Avv. Giovanni Demaria, Dott. Bruno Pasquali e Dott. Alberto
componenti del Comitato di Sorveglianza si presentava alla sede dell’Istituto:
dichiarava all’Amministratore Delegato Rag. Giovan Battista Fignon che, in
forza del decreto sopracitato, egli prendeva possesso dell’azienda e chiedeva la
consegna dei documenti e della situazione patrimoniale della Banca.
I membri del Comitato di Sorveglianza si riunivano ed eleggevano a
Presidente del Comitato il Dott. Bruno Pasquali.
Il Commissario, d’accordo con il Rag. Fignon convocava quindi i componenti
del disciolto Consiglio d’Amministrazione il giorno 11.10.1974.
I.2.b) Consegne. In tale data, presenti quasi tutti i componenti del disciolto
Consiglio di Amministrazione nonché i Sindaci14, il Rag. Fignon dava lettura
di una propria relazione dichiarando peraltro che il Consiglio non era in grado
di rassegnare la situazione economico-patrimoniale. Il Commissario Liquidatore accettava con riserva le dichiarazioni del Rag. Fignon e, presente il notaio,
venivano iniziate le operazioni di consegna dei libri sociali e di inventario.
. Solo in data 25.10, il Rag. Fignon era in grado di rassegnare una situazione economico-patrimoniale alla
data del 27.9.74, situazione che peraltro era accompagnata da riserve tali da
parte dello stesso Rag. Fignon da renderla assai poco convincente.
Da tale situazione emergevano i seguenti dati in milioni:
13
riconoscimento di diritti dei terzi, sulla vendita dei beni mobili e immobili e sulla distribuzione di acconti ai creditori.
14
tali a funzioni di vigilanza.
-
244
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Fonti e Documenti
Attivo:
[...]
Tale situazione, come già era denunciato dall’Amministratore Delegato all’atto
stato possibile stendere una situazione che tenesse conto esattamente di partite precedentemente non contabilizzate e l’esistenza di notevoli scompensi era
sede di ben 75 miliardi.
I.2.d) Primi provvedimenti.
creditorio.
ro appoggiati per l’incasso a banche vicine alle sedi della Banca Privata Italiana
e alla apertura delle cassette di sicurezza.
Parte ii
II.1.a) Liquidazione di Borsa.
II.2.a.1) Risoluzione riporti15 settembre e ottobre. Non appena insediatosi, il Com16
di settembre. Emergeva però che la banca già in data 27.9, prima che fosse noto il decreto del Ministro, aveva consegnato alla stanza di compensazione i titoli relativi
alla liquidazione del mese borsistico di settembre (L’arretratezza del mercato
azionario italiano).
Appariva quindi evidente l’inapplicabilità dell’art.76 L.F.17 alle operazioni di
15
16
saldo di titoli e liquidi tra i contraenti, avviene, di norma, l’ultimo giorno di ogni mese
solare: Garruccio 2004, 306 ss.
17
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
245
compravendita ed ai riporti di settembre in
quanto la banca aveva già adempiuto alla
propria obbligazione di consegna dei titoli che erano già stati girati ai terzi e vantava semplicemente crediti verso la stanza
di compensazione18. Si riteneva quindi che
i contratti a termine in essere all’atto della messa in liquidazione e che avrebbero
dovuto scadere il successivo 31.10.74. La
decisione di considerare eseguiti e di non
risolvere i contratti di Borsa di settembre,
ancora a sei mesi di distanza sembra esatta
dal punto di vista giuridico e anche opportuna nell’interesse generale perché ha evitato il prevedibile trauma di Borsa. Il Comitato degli agenti di cambio peraltro nutriva
gravi timori per le conseguenze che sarebdella risoluzione dei contratti di Borsa e dei
riporti di ottobre e tali timori furono superati solo dopo lunghe sedute anche notturne con gli organi di Vigilanza e grazie alla
estensione agli agenti di cambio del meccanismo che la Banca d’Italia aveva predisposto per evitare che il dissesto della Privata
creasse panico tra i risparmiatori in Italia e
discredito nei rapporti internazionali.
[...]
II.2.a.8) Conclusioni. L’applicazione delle
norme della legge fallimentare alle openon ha determinato eccezioni delle controparti e ciò soprattutto per l’avvenuto intervento del Consorzio tra le Banche di Interesse Nazionale che si è immediatamente
Comunicato per il ritiro effetti e apertura
cassette di sicurezza.
18
per facilitare la regolamentazione dei rapporti di debito e di credito originati (fra le
appartenenti al gruppo) dagli assegni bancari emessi dai titolari dei depositi in conto
corrente.
246
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Fonti e Documenti
surrogato nei crediti degli agenti di cambio.
Modeste le contestazioni di clienti.
. All’atto della nomina del Commissario Liquidatore, la Banca d’Italia aveva diramato un
comunicato stampa con il quale annunciava che le Banche di Interesse Nazionale si sarebbero consorziate per surrogarsi a depositanti e creditori della
Banca Privata Italiana: tale comunicato ha avuto immediata eco positiva tra i
clienti tant’è vero che neppure nei primi giorni della liquidazione si sono avute
manifestazioni di panico dei depositanti stessi, neppure si sono avute proteste
dall’estero il che dimostra che, grazie ai provvedimenti disposti dalla Banca
stata salvaguardata e tutelata.
II.1.b.1) Trattative. Si imponeva però, a giudizio del Commissario Liquidatore,
dare al più presto esecuzione a quel comunicato e non rinviarne l’attuazione a
Amministrazione uscente denunciava nel rassegnare la situazione patrimoniale
tuata solo in termini assai lontani rispetto a quelli previsti dalla legge.
Di qui la necessità immediatamente sentita di contatti con le Banche di Interesse Nazionale per avviare le operazioni di surroga da parte loro nelle posizioni
dei depositanti e dei correntisti.
Fare ciò prima del deposito dello stato passivo comportava però il rischio che
le banche di interesse nazionale venissero a surrogarsi in crediti che poi la liquidazione avrebbe potuto contestare e per la liquidazione comportava il grave
onere di dover operare non solo per formare il passivo ma, prima ancora, per
assicurare in qualche modo che le banche del consorzio e che i crediti nei quali
si fossero surrogate sarebbero poi stati iscritti nello stato passivo.
II.1.b.2) Comunicato.
Il 30.10, a soli 30 giorni dall’inizio della liquidazione, era raggiunto l’accordo
tra le banche di interesse nazionale e la liquidazione circa le modalità dell’intervento del consorzio.
I creditori avrebbero ricevuto dal Commissario le comunicazioni del credito
previste dall’art. 76 L.B. (la spedizione delle relative raccomandate era iniziata
il 28.10) e, come da comunicato che sarebbe apparso sui principali quotidiani,
i creditori avrebbero potuto con tali lettere chiedere ad una delle banche di
interesse nazionale di surrogarsi nel loro credito.
Le banche avrebbero rimesso le domande di surroga e le lettere di comunicazione di credito al Liquidatore il quale le avrebbe restituite previa apposizione
di credito era autentica, riservandosi quindi di contestare il credito ove fossero
emersi, prima della formazione dello stato passivo, circostanze nuove tali da
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
247
Comunicato delle Banche di Interesse
Nazionale.
Comunicato 29.10.1974 del Commissario Liquidatore ai creditori (Il Giornale,
29/10/1974).
modo che le banche del consorzio per quanto possibile non fossero esposte a
surrogarsi in crediti poi non ammessi.
mano a mano che le operazioni di addebito o di accredito erano eseguite.
27 febbraio 1975, la maggior parte dei creditori aveva già ottenuto dal consorzio somma pari al loro credito tanto è vero che le banche del consorzio
risultavano iscritte come creditrici, dirette e per intervenuta surroga, per ben L.
380.000.000.000 sui 416.900.000.000 del totale del passivo.
II.1.b.3) Creditori esclusi. Il comunicato della Banca d’Italia aveva chiarito che
della surroga potevano giovarsi solo creditori e depositanti che non avessero
avuto legami di sorta con il precedente gruppo di controllo della Banca Privata Italiana.
248
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Fonti e Documenti
Erano quindi esclusi i fornitori,
i professionisti, i dipendenti e gli
enti o persone che, indicate in un
elenco informale predisposto dal
Rag. Fignon, erano in qualche
modo legate al precedente gruppo
di controllo dell’azienda o potevano in un certo modo essere correcazione di credito doveva peraltro
essere inviata anche a tali creditori
e con le Banche di Interesse Nazionale fu quindi convenuto che il
Liquidatore avrebbe apposto sulle
lettere relative a tali crediti un timbro con il quale avanzava formale
riserva di contestazione del credito
onde consentire alle banche di ri19
.
II.1.b.4) Gli interessi. L’intervento delle banche del consorzio ha
operato sul credito, e cioè sul capitale e sugli interessi maturati sino
Timbro per particolari riserve sui creditori
alla data della liquidazione: sembrò iniquo e pericoloso calcolare
gli interessi al tasso legale e ciò perché per molti il tasso era stato concordato per
iscritto e si decise quindi di calcolare gli interessi in base al tasso già impostato,
conto per conto, dal Calcolatore del Centro Contabile.
II.1.b.5) Depositi banche estere. Particolari problemi sono sorti per fare in modo
che le banche estere potessero giovarsi della surroga per i loro depositi prima
20
dei saldi, operazione che avrebbe richiesto ancora mesi.
19
una cifra di 17 miliardi attirandosi le antipatie di chi aveva permesso un rimborsato
per la banca vaticana nel luglio del 1974 allorché fu disposto il «cordone sanitario» che
escludeva il rimborso di banche e società legate per via diretta e non al gruppo Sindona
[Cfr. Stajano 2010-9, 106].
20
spuntano le operazioni che si sono svolte nel ciclo operativo che si è concluso. La spun-
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
249
La Banca Privata Italiana intratteneva conti con dette banche, i conti “nostro”, la spunta dei quali non
in modo che la intervenuta surroga
nel credito per deposito avvenisse
spunta dei conti “nostro”.
I crediti in valuta sono stati convertiti ovviamente in lire mentre
le banche di interesse nazionale,
a loro volta, hanno riconvertito
in valuta i crediti all’atto del pail 27.9 e la data della surroga non
è stata posta a carico delle banche
estere in quanto l’onere è stato assunto dal consorzio.
II.1.b.6) Riporti e compravendita a
termine.
Come si e detto, il consorzio ha
operato surrogandosi nei crediti
degli agenti di cambio e dei clienzione dei contratti di riporto e di
compravendita a termine, il che ha
relative alla liquidazione di borsa
senza particolari conseguenze sul
mercato come altrimenti avrebbe
solvenza di agenti di cambio. Le
decisioni relative ai riporti furono Comunicato Banca d’Italia Milano per operazioni di
portate a conoscenza degli ope- Borsa (Il Sole 24 ore, 11/10/1974).
ratori mediante comunicato della
sede di Milano della Banca d’Italia.
II.1.b.7) Conclusioni. Merito della Banca d’Italia e delle banche di interesse nazionale è di aver posto in essere il meccanismo di surroga e di averlo reso ope-
denza delle scritture contabili rispetto alle operazioni eseguite.
250
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti
rante con estrema immediatezza rispetto alla data della liquidazione, malgrado
liana. Merito della liquidazione è l’aver voluto quella immediatezza di intervento delle banche del consorzio il cui sforzo organizzativo e il cui rischio ha
ripagato, operando in modo che il 100% dei crediti per i quali è intervenuta la
surroga fossero ammessi allo stato passivo: le pochissime eccezioni sono state
irrilevanti quanto al numero e come percentuale.
II.1.c.1) Rapporti a scadere. Il comunicato della Banca d’Italia che accompagnò
il decreto di messa in liquidazione della Banca Privata Italiana precisava che lo
stato di liquidazione non doveva pregiudicare la credibilità del sistema all’estero e, in linea con tale principio, il sottoscritto chiese di essere autorizzato ad
eseguire i contratti di cambio in essere, alla loro scadenza. Alla data del 27.9
erano ancora aperti contratti a termine in cambi per L. 726.951.098.826 come
controvalore di valuta a ricevere e L. 734.926.130.830 come contro valore di
valuta a consegnare.
Autorizzato dalla Banca d’Italia ad eseguire detti contratti ex art. 72 L.F., aneseguito per compensazione tutti i contratti ad eccezione di quelli non ritenuti
validi e, salvo alcune contestazioni per il ritardo nella esecuzione di operazioni
zione da parte della Vigilanza, le banche estere non possono che dar atto della
perfetta esecuzione dei contratti che, stante lo stato di liquidazione, la banca
avrebbe potuto non onorare.
bilità del sistema e non di convenienza per la liquidazione tant’è vero che, per
operazioni eseguite dalla liquidazione ammonta a L. 10.039.969.027, tenuto
già conto della prevedibile perdita sulle operazioni ancora a scadere dopo il 31
marzo.
II.1.c.2) Operazioni non eseguite. Per i contratti in essere non stipulati con le banche estere si è invece dichiarata la risoluzione e ciò per economia della procedura: purtroppo si trattava di contratti non rilevanti per numero e importi. Del
pari non si è data esecuzione ai contratti stipulati con le banche estere che per
qualche ragione erano sospetti di irregolarità: si tratta di due contratti in essere
con la Franklin National Bank di New York per un totale di $ 20.625.000.=
II.1.c.3) Nova Scotia. Particolare attenzione fu dedicata al contratto in essere tra
la Banca Privata Italiana e la Bank of Nova Scotia, contratto che detta banca aveva prima della liquidazione disconosciuto, dichiarandosi in un secondo
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
251
tempo invece come contropartita.
Per quanto la precedente gestione avesse ritenuto di non eseguire il contratto
in forza del primo diniego della banca estera, il Liquidatore ha ritenuto dar
ne reclamava l’esecuzione.
II.1.d.1) Organico. L’azienda, il 27.9.74, operava su tre sportelli in Milano e uno
a Roma: nei quattro ambienti di lavoro operavano 587 dipendenti dei quali 14
dirigenti, 74 funzionari, 447 impiegati e 52 commessi e ausiliari. Lo stato di
liquidazione rendeva necessario sia ridurre i costi del personale sia accentrare
il più possibile l’attività anche perché la troppo recente fusione avvenuta il l°
agosto 1974 non aveva ancora consentito il formarsi di un organico unitario
e funzionale.
II.1.d.2) Filiale di Roma. Fu subito disposta la chiusura di una agenzia in Milano
di via Verdi abbandonando i diversi locali nei quali prima si svolgeva il lavoro.
II.1.d.3) Contatti con le banche di interesse nazionale. Era materialmente impossibile utilizzare appieno i dipendenti il cui mantenimento in servizio imponeva
inoltre ingentissimi costi alla procedura. Le banche di interesse nazionale, che
già all’atto della messa in liquidazione dell’azienda avevano dichiarato la loro
disponibilità ad assumere i dipendenti della Banca Privata Italiana, non vennero
impiegati trovò collocazione presso le banche del consorzio.
II.1.d.4) Dirigenti. Poiché il Pubblico Ministero aveva emesso avvisi di reato a
carico di molti dirigenti della Banca Privata, il sottoscritto provvide in un primo tempo a sospenderli e poi a licenziarli esonerandoli dal prestare in servizio
il periodo di preavviso.
Alla data del 31.3.1975 erano ancora in forza alla Banca Privata Italiana 294 difunzionari 52, impiegati 213, commessi 15.
II.1.d.5) Collaboratori. Il Commissario Liquidatore aveva avvertita la necessità
di avvalersi di propri collaboratori ed a tali funzioni chiamava per le questioni
legali l’avv. Sinibaldo Tino dello studio del prof. avv. Arturo Dalmartello (che
avrebbe poi difeso la procedura nelle maggiori controversie), il prof. Vittorio
Coda per il controllo della contabilità generale e per guidare quella della liquidazione; il sig. Giuseppe Gusmaroli per le questioni relative ai titoli ed alla
Borsa.
Presso la Banca Privata Italiana erano già operanti come consulenti il dott.
Iginio Chiesa, il dott. Ugo Grazia, il dott. Armando Lafronte, il dott. Luciano
Masi, già funzionari del Banco di Roma nonché l’avv. Romeo Cornetta; tut-
252
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Fonti e Documenti
ti erano invitati a rimanere al loro
posto ma a dicembre per altro il
dott. Masi cessava la propria collaborazione.
II.1.e.1) Di terzi a dossier
lissima apparve sin dall’inizio la sila mole di lavoro svolta negli ultimi anni, si era costituito un grave
arretrato.
La fusione tra i due istituti aveva
inoltre creato ulteriori complicalaborazione tra i dipendenti delle
due banche che prima operavano
con diversi metodi di lavoro.
-
Comunicato per restituzione titoli (Il Sole 24 ore,
21/12/1974).
contabilità titoli delle due banche:
stema contabile già adottato dalla
Banca Unione ma impostato sulla
base del programma meccanogra-
di inventario per accertare la materiale consistenza dei titoli e venivano mano
a mano formati i dossier clienti ma era praticamente impossibile completare
fossero state perfezionate.
Poiché i titolari dei dossiers erano ben 4.674, e per numero 7.019 rubriche,
occorreva decidere se costringere i clienti a rivendicare i titoli o se, avendo
la Banca la semplice detenzione di essi, era possibile consegnare i titoli allo
sportello a semplice richiesta. Fu deciso per tale procedura che ha consentito di
limitare lo stato passivo all’accertamento dei crediti e la decisione fu senz’altro
opportuna perché ha reso possibile il deposito tempestivo dello stato passivo e
la consegna dei titoli frazionata nel tempo favorendo ovviamente casi particolari per i quali l’impossibilità di disporre dei titoli sino all’avvenuto deposito
dello stato passivo avrebbe costituito grave danno. Tale il caso ad esempio della
Mediolanum Management Co. società di gestione di fondo di investimento i
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Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
253
cui titolari erano depositati presso la Banca Privata in quanto la Commissione
di controllo lussemburghese sui fondi minacciava la revoca dell’autorizzazione
ove i titoli fossero rimasti bloccati.
La consegna ai clienti ha avuto inizio nel successivo gennaio come comunicato anche con avviso sui giornali.
II.1.e.2) Titoli venduti e non girati. Dal grave ritardo dell’esecuzione di operazioni poste in essere precedentemente alla liquidazione era derivato che molti
dagli stessi: si rese quindi necessario chiedere alla Vigilanza autorizzazione a
regolarizzare tali operazioni.
II.1.e.3) Titoli del gruppo. Nei caveaux erano custoditi molti titoli di società
appartenenti al gruppo Sindona o ritenute tali.
rie e fu quindi deciso di consegnare i titoli di proprietà agli enti non debitori e
II.1.e.4) Titoli di proprietà. Il disordine amministrativo in atto al 27.9 è dimostrato dal fatto che solo oggi, dopo oltre sei mesi dalla messa in liquidazione,
prietà al 27.9, mentre è ancora in fase di quadratura la contabilità riguardante
le azioni. Nel conto titoli di proprietà che non era stato mai quadrato erano inclienti e per clienti e conseguentemente, non essendo mai stato fatto un invenII.1.e.5) Titoli esteri di residenti. Alla data della messa in liquidazione della Banca
Privata Italiana esistevano 670 dossiers di residenti italiani, proprietari di titoli
esteri. A tutti i clienti era stata inviata lettera circolare chiedendo loro di indicare la banca agente presso la quale desideravano fossero trasferiti i dossiers
relativi ai titoli di loro proprietà.
Dopo aver ricevute le disposizioni dei clienti sono state interpellate le banche
ti estere alle quali fare pervenire i titoli. Alcune banche hanno notevolmente
ritardato le loro risposte sia per questioni burocratiche sia per altro e alcune
ancora devono dare risposta ma comunque la consegna dei dossiers è in corso.
II.1.e.6) Titoli italiani di non residenti. I clienti titolari erano 310 per 2.000 dossiers per Investimenti legge e Investimenti Conto Capitale. Per il trasferimen-
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Fonti e Documenti
clienti, si è dovuto trasmettere alle varie società i titoli per i frazionamenti oppure intrattenere le banche per conoscere se erano in grado di ritirare i titoli
II.1.f.1) Mediolanum Management Co. La Banca Privata Italiana possiede il 51%
della società di gestione del fondo investimento Mediolanum (il residuo 49%
è posseduto per 34% dalla Italswiss S.p.A. e per il 15% dalla Finabank di Ginevra).
Questa partecipazione ha particolarmente preoccupato la liquidazione perché
sia i titoli che la liquidità del fondo erano depositati presso la Privata e non era
da escludere che le autorità lussemburghesi potessero revocare le autorizzazioni al fondo.
La società di gestione era per di più acefala stanti le intervenute dimissioni della
maggioranza del Consiglio. Il Commissario ha quindi provveduto a far convocare la assemblea per la ricostituzione del Consiglio ed a trasferire ad altro
istituto di credito le azioni del fondo per evitare il pericolo di revoca dell’autorizzazione ottenendo poi, per il Mediolanum e la società distributrice che le
banche di interesse nazionale si surrogassero nei crediti relativi alla gestione del
Mediolanum. La partecipazione è in carico per L. 31.806.150 ed è stata stimata
dai periti in L. 188.000.000.
Sono in corso diverse trattative a prezzi assai più alti del valore di perizia.
II.1.f.2) Finabank - Banque de Financement - Ginevra. La Banca Privata Italiana
è proprietaria del 37,51% del capitale sociale di tale istituto di credito svizzero
che opera a Ginevra: parte del residuo capitale è detenuto dall’Istituto Opere
di Religione, parte dalla Fasco AG e dall’Edilcentro Sviluppo Cayman. La partecipazione è in carico al valore di L.1.432.742.600, mentre i periti lo scorso
dicembre valutavano la quota Banca Privata Italiana in L. 3.750.000.000.= Tra
la Privata e la Finabank erano in essere numerosissimi rapporti, alcuni diretti
compensazioni avrebbe potuto comportare perdite patrimoniali per la Finabank e conseguentemente minusvalore per la quota di proprietà per la Privata.
Si ritenne quindi in un primo momento di attendere gli sviluppi della situazione prima di eccepire formalmente la compensazione, riconoscendo provvicietà collegata alla Immobiliare Roma, contestazioni che e ora portavano per la
Finabank la perdita di circa 30 miliardi.
A quel punto il Liquidatore doveva considerare in linea prioritaria la posizione
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Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
255
creditoria rispetto a quella azionaria e quindi ha sciolta la riserva compensando
debiti e crediti con la banca svizzera.
Il Banco di Roma era inizialmente interessato al rilievo della quota della Finabank di proprietà della procedura ma poi non avendo ottenuto il benestare
dalle autorità elvetiche, ha dichiarato di non avere più interesse all’acquisto e
poco dopo è intervenuta la contestazione da parte dell’Edilcentro.
procedura è ora all’esame del Tribunale di Milano a seguito dell’opposizione
contro l’esclusione dal passivo proposta dalla banca svizzera.
La liquidazione ha interesse a sostenere la tesi assunta perché gli consente di
recuperare dalla Finabank in ogni caso la somma di L. 5.500.000.000, importo
superiore a quello attribuito dai periti alla quota di proprietà.
È da rilevare poi che i crediti Finabank che la liquidazione ha compensato,
sono, a detta della stessa banca, depositi da essa eseguiti presso la Banca Privata
per conto di terzi.
Questi mandanti però sarebbero solo in parte cittadini stranieri e molto depositi apparterrebbero invece a cittadini italiani dei quali alcuni addirittura legati al
gruppo Sindona. Poiché la banca mandataria è tenuta a rimborsare i mandanti
bank, al momento, non subisce conseguenze patrimoniali dalla compensazione
È evidente che se il Tribunale di Milano convalidasse la compensazione effettuata dalla procedura, la Finabank non potrebbe non riconoscersi debitrice
niali negative.
Il patrimonio invece è compromesso dalla avvenuta contestazione delle operacome si è detto, una perdita di 30 miliardi, cifra che supera il valore patrimoniale dell’azienda.
II.1.f.3) Banca di Messina. La Banca Privata detiene il 72% circa del capitale
azionario di tale banca che opera in provincia di Messina e dispone di raccolta
di 36 miliardi e di 16 sportelli. Il capitale residuo è posseduto da privati. Il Consiglio di Amministrazione fu ricostituito nel periodo in cui il Banco di Roma
ha gestito la Banca Privata Italiana e la Banca di Messina non ha subito scosse
dal dissesto dell’azionista di maggioranza.
I periti non hanno ancora terminato il loro lavoro ma la valutazione dovrebbe
essere intorno ai 3,5 miliardi: la partecipazione è in carico per L. 1.037.459.680
e sono in corso trattative per la cessione ad altro istituto di credito.
II.1.f.4) Immobiliare Rattazzi
di evitare di dover chiedere autorizzazione alla Banca d’Italia per investire in
immobili da adibire alla propria sede di Roma.
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Il pacchetto azionario della Rattazzi peraltro non era intestato alla Banca PriGeminal.
Con un giro di prestiti normale solo per il sistema in uso alla Privata, era stato
acquistato dalla Immobiliare Rattazzi un immobile in Roma nonché l’intero
pacchetto di un’altra società immobiliare che possedeva una palazzina pure a
Roma.
Privata la quale vantava crediti nei suoi confronti per L. 3.030.250.294.=
Poiché le azioni della Rattazzi erano custodite presso la Banca Privata e il petitoli e la possibilità di rientrare nel credito.
Ora sono in corso trattative per la vendita della partecipazione che i periti valutano peraltro meno del credito della Banca Privata verso la Rattazzi.
II.1.f.5) Centenari & Zinelli S.p.A. Il possesso del 54% del capitale è pervenuto
alla Privata Italiana a seguito della risoluzione dei riporti in essere al 30.9.74
ed il prezzo di carico delle n. 6.749.500 azioni è quindi di Lire 410 cad. pari
appunto alla quotazione di Borsa del 30.9. Purtroppo tale valore non risponde
nari & Zinelli e indicano in L.200 il valore unitario delle azioni rappresentando
peraltro che anche tale valore è ipotetico.
L’azienda produce tessuti elastici, cinture, occupa 450 dipendenti ed è quotata
alla Borsa di Milano. Ha fatturato nel 1974 circa 7 miliardi.
II.1.f.6) Finrex
è venuta a possedere il 58% del capitale azionario di tale società immobiliareLa partecipazione è in carico ai prezzi, di borsa del 30.9 pari a L. 13.500 per
azione. È in corso la stima da parte dei periti.
II.1.f.7) Illsa Viola
liana è venuta a possedere azioni pari al 28% del capitale al prezzo di carico di
L. 2.800 per azione. L’azienda opera nel settore metallurgico e la maggioranza
è posseduta dalla Famiglia Orlando. Il titolo è quotato alla Borsa di Milano. È
in corso la valutazione peritale.
II.1.f.8) Trafilerie. La Banca Privata possiede il 12,70% del capitale di tale società
ed il pacchetto è pervenuto a seguito della risoluzione dei riporti.
Il prezzo di carico è di L. 1.030 per azione ed è in corso la perizia.
L’azienda opera nel settore metalli ed è quotata alla Borsa di Milano.
II.1.f.9) Leasing Italiana. La banca possiede il 12% del capitale di tale società che
è debitrice di L. 854.501.854 per anticipazioni di conto corrente.
Allo stato non si può formulare nessuna previsione di realizzo della parteci-
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pazione che è in carico per L. 75
milioni in quanto si ritiene più
importante recuperare il credito.
II.1.f.10) Interbanca. La Privata è
partecipe dell’Interbanca S.p.A. in
quanto, possiede n. 45.000 azioni
ordinarie pari al 2,5% delle stesse
azioni che, rapportate al capitale,
sociale, ne rappresentano l’1,25%.
È in corso la perizia e si prevede
di poter cedere la partecipazione
ad un valore superiore al prezzo di
carico di L. 77 milioni.
II.1.f.11) Varie. La Banca Privata possiede altre partecipazioni di
minoranza (Mediocredito Regionale Lombardo, Istituto Centrale
Banche e Banchieri, ecc.) di non
rilevante entità che si procederà a
realizzare nel tempo e nei modi
migliori.
II.1.f.12) Realizzo partecipazioni.
La liquidazione ha posto in vendi- Comunicato per vendita partecipazioni (Il Giorno,
6/3/1975).
ta le partecipazioni come le proprietà immobiliari con un sistema
misto tra la trattativa privata e la gara, sistema che si auspica debba dare buoni
risultati: della decisione di vendere le partecipazioni è stata data ampia pubblicità sui giornali onde interessare il maggior numero possibile di operatori.
.
La situazione rassegnata dal cessato Consiglio evidenziava impieghi della Banca Privata Italiana verso clienti Italia per L. 167.564 milioni oltre i crediti già
La messa in liquidazione dell’azienda comportava lo scioglimento dei rapporti
Si è peraltro tenuto in considerazione che le richieste di immediato rientro,
stante la crisi economica e il blocco nei crediti ancora in atto nell’ottobre 74,
che avrebbero potuto comportare gravi conseguenze per le aziende.
Nei limiti del possibile si è quindi cercato di impegnare i clienti in graduali
rientri nei casi in cui dagli stessi veniva riconosciuto, oltre al debito per capitali,
l’addebito di interessi superiori a quelli chele Banche di Interesse Nazionale
riconoscono alla liquidazione sui c/c della procedura.
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Fonti e Documenti
Al 30.3.75 il rientro era già stato peraltro notevole ammontando a L. 55.000
milioni cui si aggiungono gli interessi maturati.
Parte dei crediti era vantata verso società del gruppo tutte debitrici di ingenti
importi: qui di seguito si esaminano alcune tra le maggiori partite creditorie.
II.1.g.1) Venchi Unica. Si tratta di un’azienda del gruppo Sindona in quanto il
capitale di controllo era detenuto dalla Turis Holding. La Venchi si trovava
esposta verso la Privata al 27.9 per L. 2.014 milioni ed appariva subito che
di un’azienda già di grosso prestigio, che occupa ben 2.000 dipendenti e le cui
e si operò anzi per suscitarli.
Molti contatti si ebbero con il Presidente della Regione Piemonte, Operto, con
l’Assessore all’industria Conti, sedute con gli esponenti della Barilla, della Ferrero, della Pantanella che mostravano qualche interesse all’acquisizione.
Finalmente la Turis trovò un gruppo, del quale peraltro ben poco si conosce, che rilevò il pacchetto azionario e sembra intenzionato ad un rilancio
dell’azienda. Gli esponenti di tale gruppo hanno preso contatto con la procedura proponendo un piano di rientro graduale nella intera esposizione garanII.1.g.2) Smeriglio. Altro ingente credito la Banca Privata vanta verso altra società del gruppo, la S.I.S. Smeriglio, che è debitrice di L.2.304.000.000.=
La situazione era analoga a quella della Venchi Unica per che qualunque tentativo della Privata avrebbe potuto comportare il dissesto dell’azienda che occupa
nei diversi settori ben 2.029 dipendenti. Anche in questo caso è ora intervenuto
un gruppo disposto al rilievo della società o almeno di alcune delle ditte che
fanno capo alla S.I.S (alcune dovrebbero essere rilevate da un ente pubblico).
Gli esponenti del nuovo gruppo azionario che ha rilevato il pacchetto di maggioranza da un’altra società del gruppo Sindona hanno promesso di prendere
contatti con la liquidazione per proporre un piano di rientro.
II.1.g.3) Maga. Si tratta di un’azienda del gruppo Sindona che produce, o meglio avrebbe dovuto produrre, macchine automatiche per la lavorazione del
gelato.
L’azienda che è debitrice verso la Banca Privata di ben L. 849.691.705, ha effettuato investimenti per la progettazione di tali macchine e ora non è in grado
di operare. Il credito è considerato di dubbio realizzo e se non interverranno
fatti nuovi non è improbabile il fallimento.
II.1.g.4) Microel. Si tratta di una piccola azienda del gruppo Sindona che occupa
140 dipendenti e produce apparecchiature elettriche. Essa è esposta verso la
Banca Privata per lire 1.152.869.309 e, in quanto unica azionista delle immobiliari Orbillia ed Enosse per L. 673.875.359.=
I crediti, data la situazione particolare della società, sono praticamente inesigi-
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
259
bili e l’unica interessata al mantenimento dell’azienda sembra essere una ditta
pure legata al gruppo Sindona.
La liquidazione era propensa ad acquisire per una lira il pacchetto azionario,
ma l’aggravarsi della situazione patrimoniale ha reso assai incerta tale operazione per il timore che la procedura possa essere strumentalizzata dagli Amministratori.
II.1.g.5) S.a.s.21 diverse. La procedura vanta ingenti crediti verso alcune accomandite legate al gruppo e precisamente:
Mabusi 1.209 milioni
Menna 1.161 milioni
Kilda 1.157 milioni
Sapital 1.243 milioni
Gadena 1.165 milioni
sottoscrizioni di capitale nella Finambro S.p.A. e che hanno poi rinunziato ai
crediti verso la predetta società.
Era evidentemente possibile chiedere il fallimento di tali società completamente prive di contenuto patrimoniale ma la liquidazione peraltro si è resa conto
che il fallimento delle s.a.s. avrebbe comportato revoca delle rinunzie ai crediti
verso la Finambro e quindi probabilmente il fallimento della Finambro stessa.
L’ente che aveva dato a garanzia prima e in vendita poi al Banco di Roma
le azioni della Immobiliare Roma. Tale complessa situazione meritava quindi
particolare attenzione perché era evidente che chi aveva interesse a non consentire che la Finambro fallisse doveva intervenire a tacitare i creditori delle
s.a.s. Sembra ormai appurato che il Banco di Roma si sia impegnato a tacitare
i creditori delle s.a.s. e pertanto il credito dovrebbe essere recuperato.
II.1.g.6) Kaitas, Wescon, Teracon. Si tratta di società del gruppo (debitrici verso
la Banca Privata per complessive lire 2.536 milioni) attraverso le quali si è operato sul mercato azionario, particolarmente Wescon e Teracon, per la difesa del
come accomandatarie delle società citate al paragrafo precedente: è evidente
che chi tacitasse i creditori di quelle, dovrebbe fare in modo che anche queste
II.1.g.7) Società diverse del gruppo Sindona. Oltre ai crediti sopracitati, la Privata
vanta crediti verso diverse aziende legate al gruppo: Coprel, Finanzitalia, Istituto Editoriale Italiano e altre.
La liquidazione ha seguito le trattative intercorse tra le società proprietarie ed i
propri crediti e ne ritiene almeno in parte possibile il recupero.
21
260
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti
.
II.1.h.1) Depositi fiduciari
mento dello sbilancio negativo della procedura, hanno i cosiddetti depositi
a loro volta dette somme a determinati enti.
Le banche estere, come semplici intermediarie, non erano tenute a rispondere
La banca, servendosi generalmente di alcune banche svizzere legate in modo
De Barry, Banque Vernes, Banque Dreyfus, Finabank e soprattutto Amincor
Bank) a far tempo dai primi del 1974, ha posto in essere un ulteriore passaggio
cosiddette “società ponte” Idera e Arana22.
zioni ed il recupero delle somme.
Malgrado tale espediente, non dovrebbe essere impossibile il recupero di parte
che debitori erano partecipati del gruppo che aveva sottoscritto capitale o prestiti di tipo obbligazionario.
Enti interessati a questo tipo di operazioni sarebbero:
Interlakes Canada Holding $ 6.397.000.=
Helleniki Techniki $ 4.000,000.=
Uranya Hellas $ 1.500.000.=
San Faustin Panama $ 935.000.=
Edilcentro Sviluppo Int.-Cayman $ 13.500.000.=
Edilcentro Sviluppo Int.-Nassau $ 22.300.000.=
C.I.G.A. Hotels $ 10.000.000.=
S.A. di Lussemburgo per $ 158.177.000: allo stato pero manca qualsiasi eleemerge unicamente l’Arana.
L’indicazione dell’Arana – e della Capisec ove si provasse essere questa l’ef-
22
che si divertiva a creare nomi di fantasia per le sue società che suscitassero l’altrui curiosità alla ricerca della loro origine.
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
261
della banca.
valuta a favore di società debitrici della Privata, altri ancora nascondevano utili
in cambi distratti all’estero.
debitori, la liquidazione ha voluto accertare sia la regolarità delle operazioni
poste in essere dalle banche che evidentemente non erano estranee al rapporto
dura di liquidazione delle lettere con le quali la Privata aveva dato il mandato
Per la descrizione e l’esame di tutti questi rapporti si rinvia ovviamente alle
relazioni che il Commissario farà alla Procura della Repubblica: qui basti dire
che la liquidazione ha ritenuto di poter eccepire la compensazione tra i crediti
delle banche estere sopracitate e le somme che risultavano a loro depositate
lasciando ad esse di contestare, se ne avevano legittimità, la non compensabilità
delle cifre.
Solo l’Amincor, la Finabank e la Privat Kredit Bank tra le banche interessate, vantavano crediti verso la Banca e nei loro confronti la compensazione ha
operato: mentre la Finabank e la Privat Kredit Bank hanno proposto opposil’Amincor non ha proposto reclamo il che comporta che la procedura ha già
recuperato senza alcuna azione L. 4.500 milioni degli importi che l’Amincor
vata verso la Capisec e l’Edilcentro potrebbero avere anche conseguenze per ora
addirittura imprevedibili.
II.1.h.2) Diversi. La Privata vanta crediti verso banche estere in dissesto e preBank.
cordo con la Finabank pure creditrice, ha consentito a postergare il credito per
evitare il fallimento e consentire una liquidazione ordinaria più vantaggiosa per
i creditori avendo il titolare messo a disposizione il suo patrimonio personale.
Per il credito verso la Israel British Bank (L. 3.040 milioni) si è proceduto
giudizialmente con sequestro in Zurigo. Si prevede un recupero di L. 700/800
milioni.
.
II.1.i.1) Finambro. La Finambro – l’ultima e più spericolata impresa di Sindona
262
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Fonti e Documenti
– fu costretta a rimborsare i sottoscrittori dell’aumento di capitale dopo che
apparve chiaro che tale aumento non sarebbe mai stato autorizzato dal CICR.
Essa quindi nell’agosto 1974 versò alla Privata L. 15.900 milioni conferendo
mandato alla banca di curare il rimborso dei prenotati.
La banca ha eseguito solo parzialmente il mandato in quanto il 27.9.74 era
ancora depositata nel conto Finambro la somma di L. 753.339.552. La liquidazione ha ritenuto risolto il mandato ed ha quindi ammesso al passivo chirografario23 la società per il residuo saldo del suo c/c. La Finambro ha reclamato
asserendo che il proprio credito deve essere considerato debito di massa ma non
si vede come possa sostenere tale tesi.
II.1.i.2) Finarco. Si tratta di una brutta copia dell’operazione Finambro, realizzata dall’operatore di Borsa Pagliarulo e da alcuni esponenti del mondo politicoLa Finarco aveva deliberato di aumentare il proprio capitale sociale e, prima di
ottenere l’autorizzazione prescritta, aveva raccolto sottoscrizioni di terzi. La Finarco in un primo tempo aveva depositato presso il Banco di Sicilia le somme
conti. Le sottoscrizioni di terzi venivano versate sul c/c della Finarco la quale
però dispose degli importi prelevandoli dal c/c anche se si era impegnata con i
propri clienti a non farlo: di qui molte azioni dei sottoscrittori contro la Banca
Privata che a loro avviso non avrebbe dovuto consentire alla società di prelevare
dal conto.
II.1.i.3) Interbanca. Questo Istituto, cui tra l’altro partecipa per l’1,25% la Banca Privata, ha fatto conoscere di essere stato richiesto dalla Franklin Bank del
rimborso di US. Dols. 15 milioni, deposito che l’Interbanca ha negato in quanto essa avrebbe agito come semplice intermediaria trasmettendo all’Amincor
Bank l’importo ricevuto dal la Franklin: l’Amincor avrebbe poi a sua volta
plessi rapporti tra Banca Unione e Amincor, compare un deposito di Amincor
di quell’entità ma non è possibile che la Federal Reserve, quale curatrice della Franklin o l’Interbanca possano validamente avanzare pretese nei confronti
della liquidazione.
II.1.i.4) Franklin. La liquidazione ha avuto contatti con esponenti della Federal
Reserve e della Security Exchange Commission che indaga sull’attività di Sindona in U.S.A. e sulle attività della Franklin Bank.
Detti contatti peraltro non sono andati oltre uno scambio di informazioni e di
reciproca promessa di collaborazione anche perché da parte italiana si è avuta
l’impressione che i rappresentanti della Federal Reserve mirassero più che altro
23
-
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
263
a trovare argomenti per sostenere pretese creditorie verso la Banca Privata Italiana che non intende invece riconoscere operazioni con la Franklin ritenute
II.1.i.5) Amincor Bank. Apparvero subito evidenti gli stretti rapporti intercorsi
sono talmente incrociate che l’Amincor chiese di essere ammessa al passivo per
mandosi per contro creditrice dell’Amincor per L. 71.421,9 milioni e l’Amincor non si è opposta all’esclusione dal passivo. Il recupero del credito peraltro
liquidazione volontaria (I depositi dello Ior presso l’Amincor Bank).
Parte iii
III.1.a.1) Istanza di insolvenza. In data 1.10.74 il Commissario liquidatore presentava ricorso al Tribunale di Milano, perché lo stesso, con sentenza, dichiarasse lo stato di insolvenza della Banca Privata, attese le gravissime perdite patrimoniali già denunciate dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del
20.9.74.
III.1.a.2) La sentenza. Il Tribunale sentiva il Rag. Fignon già Amministratore
Delegato e chiedeva il parere del ministro per il Tesoro: in data 14.10.74 con
sentenza n.70 dichiarava lo stato di insolvenza della Banca.
III.1.a.3) Opposizione Fasco (La reazione di Ambrosoli al sistema Sindona). Nei
termini di legge la Fasco ha presentato opposizione alla sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza ed il Liquidatore, avuta autorizzazione dalla Banca
d’Italia, si è costituito in giudizio con il patrocinio del prof. avv. Arturo Dalmartello: la causa è tutt’ora pendente ma si avvia alla decisione in quanto il
Tribunale non ha accolto le istanze istruttorie dell’opponente.
.
III.1.b.1) Testimonianze. Appena dichiarata l’insolvenza, il Liquidatore era interrogato dal Pubblico Ministero dott. Viola.
III.1.b.2) Costituzione parte civile. Il Liquidatore poi, in data 13 marzo 1975 si
264
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti
e costituito parte civile contro tutte le persone all’epoca indiziate di reato per i
fatti connessi al dissesto della banca e nei confronti delle quali il Pubblico Ministero aveva già disposto il ritiro del passaporto, indagini di Polizia giudiziaria
e perquisizioni domiciliari.
III.1.b.3) Sequestri. In data 8.3.75 il Liquidatore ha inoltre presentato al Pubblico Ministero ricorso perché fosse disposto, a carico degli indiziati di reato,
sequestro conservativo penale e venisse iscritta ipoteca sui loro beni.
III.1.b.4) Prima relazione. In data [sic] il sottoscritto ha poi depositato una prima relazione al Giudice Istruttore con alcuni documenti di ritenuta rilevanza
penale.
III.1.b.5) Prof. Devoto. Per l’assistenza nel procedimento penale, la liquidazione
III.1.b.6) Polizia Tributaria. Molti e continui i contatti con militari della Polizia
Tributaria che da mesi, su mandato del Giudice penale, esaminano i documenti sequestrati agli imputati24.
. Il
decreto del Ministro per il Tesoro è stato impugnato dalla Finarco S.p.A. avanti al Tribunale Regionale Amministrativo del Lazio; al Tribunale Regionale
Amministrativo della Lombardia si sono invece rivolti con ricorso la Fasco ed
alcuni piccoli azionisti.
In tutti i giudizi la liquidazione ha ritenuto di non doversi costituire in quanto il ricorso è rivolto non all’attività della procedura, ma agli atti che l’hanno
costituita.
[...]
Parte iV
[...]
di L. 449.230 milioni ammonta quindi a L. 168.100 milioni e in in tale ipotesi,
24
ro Guido Viola comandato dal maresciallo Novembre.
-
OTTAVIO D’ADDEA
Giorgio Ambrosoli e il fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona
265
importi loro riconosciuti.
deve tener poi conto da una parte che la notevolissima liquidità, tutta depositata presso le banche a tassi pari o superiori a quelli interbancari, frutta ingenti
interessi e, dall’altra, che le spese della procedura, soprattutto per il personale
incideranno notevolmente.
La necessità di non suscitare, per quanto possibile, controversie con i dipendenti, ha indotto la liquidazione ad evitare il ricorso al licenziamento che è stato
disposto unicamente per i dirigenti e solo per alcuni funzionari ed impiegati.
Soprattutto nei primi mesi, tale decisione ha indubbiamente comportato un
costo maggiore di quello che si sarebbe potuto avere ove si fosse potuto licenziare parte dei dipendenti. Peraltro, l’esperienza di società già facenti capo del
gruppo Sindona, l’Edilcentro, dimostra che il maggior costo è stato quantomeno relativo e ciò perché il non aver disposto licenziamenti ha consentito di
avere una più ampia collaborazione del personale.
Si ritiene poi opportuno rilevare che, quanto sopra esposto in ordine al passivo
cedura di liquidazione ha permesso di contenere il prevedibile sbilancio tra attivo e passivo in L. 168.100 milioni: una gestione ordinaria, per contro, si sarebbe
trovata probabilmente esposta a passività per L. 472.500 milioni (L.417.000
milioni stato passivo + L. 14.000 milioni crediti esclusi e non reclamati + L.
41.500 milioni opposizioni) e quindi lo sbilancio sarebbe stato in tal caso di
ben L. 191.370 milioni.
[...]
Si ripete comunque che le cifre tutte sopra esposte sono suscettibili di ampie variazioni in quanto attualmente non possono formularsi che previsioni di
massima.
Parte Vi
La mole del lavoro svolto appare solo in parte dalla presente relazione e, per
quanto essa venga redatta a diversi mesi dall’inizio della procedura, non è an-
266
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti
cora possibile disporre di un quadro completo e le previsioni sono suscettibili
Le dimensioni dell’Istituto, la quantità dei rapporti in essere, il continuo intervento della stampa sui fatti che hanno attinenza con la banca, l’attività direttamente e non svolta dal gruppo che aveva il controllo dell’azienda per scaricare su terzi le conseguenze del dissesto, le implicazioni politiche del caso, sin
dall’inizio facevano ritenere che solo un lungo e paziente lavoro avrebbe potuto
fornire all’Organo di Vigilanza e al Magistrato un preciso quadro dell’entità
del dissesto e delle cause dell’insolvenza.
Se le particolari condizioni interne dell’azienda, la complessa situazione della
bilizzate, erano note per essere già state evidenziate dalle ispezioni della Vigilanza e a tutto ciò si aggiungono i problemi conseguenti ad una fusione deliberata ma attuata solo formalmente, i problemi emersi a seguito dell’avvenuta
risoluzione dei riporti che hanno comportato il trasferimento alla procedura
le carenze della presente relazione e meglio valutare lo sforzo compiuto dagli
organi incaricati che sono consapevoli di operare in una procedura nella quale
diretto è l’interesse dello Stato.
relazione.
Il Commissario Liquidatore
Avv. Giorgio Ambrosoli
Milano, 23 giugno 1975
Rebellion, Resistance and
Revolution Between the
Old and the New World:
Discourses and Political
Languages. An Introduction
angela De BeneDictiS
Univ. di Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
The first section of the introduction begins by providing a presentation of the nature and
objectives of the workshop which took place from October 2-3 and concludes with a synthesis
of the contributions of John Donoghue, Raffaele Laudani, Matteo Battistini and Paola Rudan. The second section discusses on some of the questions addressed during the introduction
to the workshop that took place on October 2 (Neither disobedient nor rebels: arguments
from the laws between the Old and the New World), through a reading of some English
and French sources from the ends of the 17th and 18th centuries: the anonymous History of
Self Defence, in requittal to the history of passive obedience (1689); Algernon Sidney,
Discourses concerning Government (1698); James Murray, Fast Sermons (1781); Théophile Mandar, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport
des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires (1793).
Nella prima parte dell’introduzione vengono presentate in primo luogo la natura e lo scopo
del workshop che si tenne nei giorni 2-3 ottobre 2013, e in secondo luogo una sintesi dei
quattro contributi di John Donoghue, Raffaele Laudani, Matteo Battistini e Paola Rudan.
Nella seconda parte sono riprese alcune delle problematiche affrontate nella introduzione
al workshop il giorno 2 ottobre (Neither disobedient nor rebels: arguments from the
laws between the Old and the New World), attraverso la lettura di alcune fonti inglesi e
francesi di fine XVII-fine XVIII secolo: l’anonima History of Self Defence, in requittal
to the history of passive obedience (1689); Algernon Sidney, Discourses concerning
Government (1698); James Murray, Fast Sermons (1781); Théophile Mandar, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport des insurrections avec
la liberté et la prospérité des empires (1793).
268
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
Translated by Stephen Devins Marth
This collection of essays comes as the result of the international workshop Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New
World: Discourses and Political Languages held at the Department of History and Culture at the University of Bologna, 2-3 October 2013.1
The workshop was the culmination of a biennial project with the same
name carried out by our research unit in Bologna as part of the 2009
PRIN project,2 Between Europe and America: circulation of economic ideas,
political addresses and revolutionary models, XVIII-XIX centuries
by the Ministry of the Universities and Research. Coordinated by Antonino De Francesco (University of Milan), the group brought together
research units from the University of Turin, the University of Basilicata,
and the University of Catania.
The workshop format asked presenters to focus their talks around one
or more sources they consider to be fundamental to research on the
workshop’s theme. As such, also the essays here follow the same organizational scheme and have appropriately been published in the section
“Sources and documents”.
Of the six presentations made at the workshop, only four could be included at the present time: those of John Donoghue (Loyola UniverUniversity of Bologna), Matteo Battistini (Department of Social and
Political Sciences, University of Bologna), Paola Rudan (Department of
History and Culture, University of Bologna), together with the present
introduction. Unfortunately the papers by Luca Cobbe (University of
Macerata) and Pierre Serna (Paris, Institut d’Histoire de la Révolution
française) could not be elaborated for publication here. However, I men-
1
2
bellion-resistance-and-revolution-between-the-old-and-the-new-world-discoursesand-political-languages.
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
269
ticipated, together with others, such as Antonino Di Francesco, who
coordinated the PRIN 2009 research group on a national level,3 Karl
Härter (Max-Planck-Institute for European Legal History, Frankfurt
am Main), Maurizio Ricciardi (Department Political and Social Scienand Culture, University of Bologna).
by the Bologna unit of the PRIN 2009 this introduction will look at
each paper with the objective of individuating the problems and/or
sistance (the so-called “right to resistance”) put forth by those accused
of sedition or rebellion in the form of disobedience toward government;
not so much in the great revolutions (English, American, and French)
as in the numerous forms (all of them I would say) of tumults, rebellions
and revolts which took place between the middle of the 14th century and
the middle of the 19th century and which have long been the subject of
historiographic research. Such an investigation can be carried out in
the political-juridical language of the arguments made in defense of
communities accused of the crime of rebellion, as well as through the
interpretation and reinterpretation of certain wars, rebellions and revolutions from the Early Modern period up until the beginning of the 19th
century.
Let’s have a brief look at the themes investigated in each of the papers. In
John Donoghue’s Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during
3
opolitics in Europe and the Atlantic world, edited by Serna, De Francesco and Miller
[2013].
270
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
the English Revolution4 the author underlines the central importance of
the Atlantic dimension for the English Revolution, demonstrating how
the experiences of groups from the English colonies who had settled
in Rhode Island in the mid-1630s and returned to England during the
mulation of arguments on liberty and slavery — arguments which for
many years historiography considered to be typical of the 19th century.
Each of the three types of arguments on liberty analyzed by Donoghue
(liberty of conscience, liberty of the body and liberty of commerce) is
presented in opposition to slavery, understood as economic restriction,
political tyranny, as well as religious persecution. The abolition of slavery understood as the privation of personal liberty was proposed as one
of the points of the constitution of Rhode Island and was approved in
1647, the same year in which the Levellers presented their Agreement of
the People in England. In both cases the radical puritan and republican
groups’ campaigns for liberty demonstrate, for Donoghue, how the Atslavery into a protest of and, then, campaign against the rise of economic slavery in the colony of Rhode Island.
Nova Totius Terrarum Orbis: Modern Sovereignty and the Neutralization of Atlantic Disobedience,5 proposes interpreting Thomas Hobbe’s Leviathan and John Locke’s Treatise of Government
through the lens of the Atlantic, using the spatial concepts of “Land” and
“Sea” as examples of two modern political philosophies: “Land” being
the civilized and ordered world of the European system of sovereign
med into the extraordinary event of revolution; the “Sea”, then, is the
sorder are potentially inherent conditions of politics, and power operates
4
5
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
271
two represent opposing conceptions of modern sovereignty, in which
the problem of the relationship liberty/slavery in its political dimension
(already discussed in Donoghue) plays a fundamental role. For Hobbes, sovereignty through contractualism (the voluntary renouncement
of man’s natural rights) neutralizes the type of liberty that threatens
the Imperium, symbolized by the uncivilized people of America. On
the other hand, for Locke, sovereignty in no way entails the voluntary
renouncement of the natural rights of man, neither in the colonial context in which power is the result of conquest, nor in the political space of Europe. Here the natural inclination of man toward disobedience
(which can also entail exercising the right of resistance) may only be
overcome if the political power guarantees men exceptional conditions
of security and protection. In both cases, in Hobbes and in Locke, the
political power of the European state necessitates and assumes that it be
Matteo Battistini’s essay (Insurrection, Bank and Contracts: how Society shaped the Principles of the Constitutional Order during the American
Revolution)6 investigates the problem of rebellion during the American
Revolution, not so much with reference to the protests that led to the
Declaration of Independence, but rather with regard to the numerous cases
of rebellion that took place during the 80s, as well as their impact on
Congress, because of their relevance for the overall process of institutionalizing constitutional order during the revolution. Such a perspective reveals, for example, how the peasants of Massachusetts (1779) and
Pennsylvania (1784) — the self-proclaimed true heirs of the Revolution
— peacefully, and then violently, opposed the national elite; an elite that
did not approve of any form of resistance to the type of representative
government which the former English colonies had become. Two different concepts of popular sovereignty were at play in the opposition of
6
272
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
the peasants’ interests with those of the banks and merchants. One of
the protagonists of the American revolution, Thomas Paine, responded
to the requests of the peasants of Pennsylvania with his Dissertations on
Government, the Affairs of the Bank and the Paper Money (1786), claiming
that while rebellion against the English crown might be legitimate that
against the republic was not. The republican representative system, in
which changing social and economic practices are continuously institutionalized, did not leave any space for insurrection, because the system as such absorbed any of the revolutionary principles of popular
sovereignty.
Paola Rudan’s Bolívar’s Discurso de Angostura and the Constitution of
the People,7 investigates the political experiences and speeches of Simon
Bolívar in relation to the imperial European perspective which saw Venezuela as part of the West, placing the problem of the relationship
South America. Rudan does this through a close analysis of the Discurso de Angostura, presented at the opening of the General Congress
of 1819, convened to outline and draft a new constitution for the Republic. Due to the eruption of civil war after the declaration of independence, the constitution promulgated in 1811 never entered into
law. Rudan’s analysis demonstrates that, in this case, the relationship
to the experience of the American and French Revolutions. In Bolivar’s
Venezuela the constitution could not be the product of the constituent
will of the people, as the still needed to be formed by the constitution.
Spanish absolutism had reduced the Americans to passive citizens; the
Republic still needed to transform them into active citizens capable of
the subject of the revolution, and the citizens, who were called upon to
take the place of the subjects of the Spanish imperial order, had to be
7
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
273
created through a process of institutionalization and constitutionalization. Bolívar’s understanding of the liberty necessary and indispensable
for such a transformation (including the liberation of the slaves) brought
together the concepts of Montesquieu and Rousseau in a dialectical relationship. The constitutional model that would serve to overcome the
by Jeremy Bentham.
In the presentations of Luca Cobbe (The Atlantic Refraction of David
Hume’s Political Thought)8 and Pierre Serna (Mandar ou comment penser
la résistance sans violence durant l’été 1792?) obedience and rebellion, resistance and constitution — the themes central to the essays summarized
above — were repeatedly referenced in their respective examinations of
with regard to their evaluation and judgment of the above mentioned
questions as well as to the American Revolution and constitution.
In order to properly summarize the set of arguments covered by the Bomy introduction to that workshop gives us an idea: Neither disobedient
nor rebels: arguments from the laws between the Old and the New World — I
will start with a text that was central to the presentation of Pierre Serna:
Théophile Mandar’s Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique,
sur le rapport des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires.9
Here I will only discuss the third, and by far longest, section of the
work: 214 pages10 out of a total of 608. The section is subdivided in 34
chapters with the addition of one containing Mandar’s observations on
the six chapters immediately preceding it. In this third part, which con-
8
2014.
9
dar’s text, see Serna 2009 (Italian trans. Serna 2013).
10
-
274
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
nifestations: insurrection, sedition (sédition), uprising (émeute) or revolt
(révolte). It is worth noting here that for Mandar revolts do not occur in
the context of a free people.11
The third chapter examines cases which necessitate insurrection and the
le nom d’insurrection à toutes les conjurations qui tendent à ameliorer
l’homme, la patrie et l’univers») and rebellion («Alors, le mot odieux de
rebellion restera consacré à designer toutes les atteintes violentes portées
aux loix d’un pays, par le factieux dont elles éclairent la perversité»)12,
nifeste que dans l’absence des loix, ou du moins durant leur sommeil:
la rebellion frappe tantôt la loi, tantôt le dépositarire de la loi ou le législateur. L’insurrection s’annonce avec l’esprit de paix, résiste au despotisme, parce qu’il anéantit la paix, et ne prend les armes que pour forcer
ses ennemis à la paix»).13
When Mandar, after citing some examples from ancient history — Solon, Brutus, Lucretia, Virginia, examples commonly used for such a
discussion — speaks of the most just forms of resistance, referencing
also the revocation of the Edict of Nantes by Louis XIV («qui coûta
a la France l’exil ou la mort de deux cents mille hommes»), he makes
protestants, c’étoit du côté des catholiques, que devoit éclore le germe
généreux d’une insurrection; l’opprimé qui se défend dans une monar-
11
12
13
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
275
chie absolue, a trop l’aire d’un rebelle; il faut que ce soit le citoyen même
14
pant le pouvoir». For lack of space I will not discuss the passage’s content with regard to the Catholic-Protestant relationship, even though it
would certainly be merited. Instead, I will limit myself to underlining
lue, a trop l’aire d’un rebelle» can be considered together with that of a
few pages before «le mot odieux de rebellion restera consacré à designer
toutes les atteintes violentes portées aux loix d’un pays, par le factieux
dont elles éclairent la perversité».15 In an absolute monarchy, Mandar tells
us, those who are oppressed and defend themselves appear too much
as rebel. The hateful word “rebellion” must indicate only those violent
attacks on the laws of a country by sectarians, the perversity of whom is
manifested in those very acts.
Why ‘rebellion’ is a hateful word16 is explained at much greater length
several pages and 31 chapters later. Returning to the French translation of Algernon Sidney’s Discourses concerning Government a little less
than one hundred years after their first publication
that «Le soulevement de toute une nation ne mérite point le nom de
rebellion».17 The importance for Mandar of the tradition of English revolutionary texts from the 17th century during the French Revolution,
Sidney’s Discourse were the subject of a very interesting, recently published essay, in which there is also brief mention of the problem addressed
14
15
16
pratique des droits de l’homme, Mandar had written «liberté avoit été bannie de toute
surface de la terre, la raison étoit considérée comme une rebellion»: Mandar 1793, 20,
n. 1.
17
default/images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion1.pdf).
276
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
in Mandar’s Chapter XXIX18 [Quastana 2014, 22].
Reading Mandar, who references Sidney, or better yet, reading Sidney
directly («The General revolt of a Nation cannot be called a Rebellion»
is section XXXVI of the third chapter of Discourses)19, after having read
texts written long before Sidney that were the expression of events and
problems long preceding the English Revolution20, it is impossible not
to recognize an age-old problem, despite it being expressed in Sidney’s
which it had at the time) by Mandar.
That which Sidney — and as a consequence also Mandar, around 100
years later — immediately underlines as the foundational problem at the
beginning of the chapter is quite simply the question of legitimate selfdefense in the face of oppression by an unjust and arbitrary government,
as well as the criminalization of that legitimate self-defense by imposing
false names on things: «As impostors seldom make lies to pass in the
world, without putting false names upon things, such as our author
[i.e. Robert Filmer, Patriarcha] endeavour to persuade the people they
ought not to defend their liberties, by giving the name of rebellion to
the most just and honourable actions that have been performed for the
preservation of them; and to aggravate the matter, fear not to tell us that
rebellion is like the sin of witchcraft».21
people’s liberty as rebellion, and comparing it to the sin of witch-craft:
i.e. the highest level of human lèse majesté (rebellion) is equal to the
18
-
dia/1882/debenedictis_rebellion1.pdf.
19
images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion2.pdf
20
Benedictis 2007) and which I had the opportunity to further develop during the PRIN
2009 project: De Benedictis 2013a; De Benedictis, Härter 2013.
21
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
277
highest level of divine lèse majesté, witchcraft — as Sidney well knew
— being equated with heresy.22 One can verify the prevalence of such a
from Sidney’s: the anonymous penned History of Self Defence, in requittal to the history of passive obedience (1689),23 in which the expression,
OF WITCH-CRAFT») appears in capital letters and is connected with
its original source, the Old Testament. In its discussion of numerous
opinions in favor of passive obedience and against self-defense, the history noted: «I cannot here but take notice of a Passage of Scripture that
has been egregiously wrested by our Non-resistance Men, that which
was spoken by the Prophet Samuel to Saul upon his not obeying the
Command of God when he was ordered to destroy the Amalekites, viz.
REBELLION IS AS THE SIN OF WITCH-CRAFT, which has been
used by them as an Argument for Non resistance till it’s become Thredbare; and yet any ordinary capacity may see the weakness of it, since the
Rebellion here immediately spoken of was not that of Subjects against
a Prince (tho’ none will deny that, that which is really Rebellion is undoubtedly a great sin) but that of King Saul against God: So that is very
far fetch when used for an Argument against whatever those Gentlemen
are pleased to interpret Rebellion».24
Of the «great principle of Self-defence» the anonymous author had
written, not too much earlier, «is the only Bulwark against Slavery and
Tyranny», and that for this all those in favor of it were condemned by
22
in the age of common law, Mario Sbriccoli’s book Crimen laesae maiestatis. Il problema
del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, remains fundamental and
indispensable: Sbriccoli 1974.
tention. Source available at: http://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1882/debenedictis_rebellion1.pdf
23
24
278
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
the Non-resistance Men «as Rebellious, Seditious, Enemies to Kings,
&c.».25
The tone and arguments of the History
pamphlet that John Donoghue uses as a central source for his essay.
The text, Simplicity’s Defence Against Seven-Headed Policy, was written by Samuel Gorton[[notes]][[/notes]].26
across the Atlantic in 1636 in search of freedom of religious conscience,
Gorton was condemned of sedition for having refused to conform to
clerical Puritan orthodoxy and was exiled from Massachusetts two years
later. Gorton provides a narrative of his trial in the form of a pamphlet
containing the court records, publishing it in London in 1644 as a full
account of his self-defense against the arbitrary action of the Massachusetts government.
To locate traces of similar arguments in support of self-defense, which
I tried to express with the title of my introduction to the Workshop
of October 2013 Neither disobedient nor rebels: arguments from the laws
between the Old and the New World, we must look back to the numerous
revolts, rebellions, and tumults that preceded, were contemporary to or
came after (one thinks here of Matteo Battistini’s paper) the great Ame-
nations, divine law) on which it was possible to construct arguments on
legitimate resistance. Here, I cannot go without mentioning an extraordinary source which I have analyzed elsewhere.27 Written in relation
to the Catalan rebellion, the Noticia Universal de Cataluña is the juri-
25
Transatlantic Discourses of Freedom and
Slavery during the English Revolution), as well as in Donoghue 2013, 151-153.
26
27
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
279
actions taken by the Catalans in order to defend themselves from their
oppressive government as rebellion.
Many other examples from the concreteness of history — the importanessay in relation to the XVI Chapter of the Second Treatise) — could be
used to show that within that concreteness, disobedience and resistance
have consistently been conditions inherent to politics, even in the “Land”
Europe. Demonstrating the importance and uninterrupted presence of
those stories in history is not, however, a proposal or argument in favor
of a “continuistic” vision of history — on the contrary. The task at hand
in English Puritan thought between the end of the Elizabethan period
«the re-emergence of resistance theory» [Burgess 2001, 185] in particular moments of history. It is an investigation which cannot be carried
out primarily «in terms of influence … or in terms of continuity» [185].
The task is rather «to understand the conditions that activate a dormant
body of discourse or theory» [185].
Legal language on rebellion has always contained, due to its casuistic
nature, a «contentious discourse»,28 in which one debated whether or
not the instance at hand involved legitimate or illegitimate resistance. In
concluding, I’ll cite just one more example, in reference to the American Revolution, in this case judged positively by an English Dissenter. In
one of his Fast Sermons, the minister James Murray claimed in 1781 that
which in another context Algernon Sidney had already written almost
a century before and which Théophile Mandar would write almost a
decade later, citing Sidney: «Those who obey the fundamental laws of
government cannot be rebels, though it is manifest that legislators that
28
280
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
make laws contrary to natural justice and the law of God may be guilty
of rebellion. … It is well known that there were no laws in existence that could make them [our brethern in America] rebels a few years
ago; they were only created such, by the modern omnipotence of the
parliament».29
The jurist Barolus of Sassoferrato had written something similar more
than four centuries earlier (obviously without referring to the fundamental laws of government, nor to the modern omnipotence of the parliament) in his comment to the constitution issued by Henry VII to
punish the Italian cities that opposed him, identifying every form of
disobedience and resistance as rebellion and in doing so giving birth to
the secular form of the crime of lèse majesté.30
Sources
Mandar Th. 1793, Des insurrections. Ouvrage philosophique et politique, sur le rapport
des insurrections avec la liberté et la prospérité des empires, Paris: De l’imprimerie des
directeurs du cercle social. Rue du Théâtre Français, Masson.
Murray J. 1781, Sermons for the General Fast Days, London: Printed for J. Adams, No.
10, Great Turnstile, Holborn; and sold by T. Axtell, at the Royal Exchange; and all
other Booksellers in Town and Country.
Seller A. 1680, The History of self-defence, in requital to the history of passive obedience,
London: Printed for D. Newman at the Kings-Arms in the Poultrey (available on
EEBO).
Sidney A. 1698, Discourses concerning government... published from an original manuscript
of the author, London: Printed, and are to be sold by the booksellers of London and
Westminster (available on EEBO).
29
Bradley 1990, 155-157.
30
bibliographies.
ANGELA DE BENEDICTIS
Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
281
references
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Belissa M. et alii (eds.), La république des droits naturels, Paris: Editions Kimé.
282
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
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Transatlantic Discourses of
Freedom and Slavery during
the English Revolution
John Donoghue
Loyola University Chicago, Department of History
Three themes in the discursive history of freedom and slavery during the English Revolution
are explored here: the liberty of conscience, the liberty of the body, and the liberty of commerce. In the contests waged to define these liberties, contending factions of revolutionaries
refashioned their opponents’ concepts of freedom as forms of bondage. Although explored in
discrete fashion by historians, these discourses of religious, bodily, and commercial liberty
hardly operated independently from one another. Indeed, they became increasingly entangled
as the Revolution reached its imperial turn (ca. 1649-1655), accompanied as it was by the
rise of the slave trade in the West Indies and debates over the nature of «free trade» that circulated between England and the colonies. Ultimately, to recover the entangled nature of these
languages of liberty and their importance in the Revolution’s history of ideas, we must move
beyond England itself and into the wider Atlantic world to grasp the material contexts that
conditioned the Revolution’s discursive history.
Nel saggio sono esaminati tre temi nella storia del discorso su libertà e schiavitù durante la
Rivoluzione inglese: la libertà di coscienza, la libertà del corpo, la libertà di commercio. Nei
contesti in cui questa libertà vennero definite, fazioni contrastanti di rivoluzionari riformularono i concetti di libertà dei loro oppositori come forme di servitù. Gli storici hanno già in
parte analizzato questi discorsi di libertà religiosa, corporale e commerciale, che però non erano
indipendenti l’uno dall’altro. In verità essi si intrecciarono in maniera crescente quando la
Rivoluzione raggiunse la sua svolta imperiale (ca. 1649-1655), accompagnata come fu dall’inizio del commercio degli schiavi nelle Indie occidentali e da dibattiti sulla natura del «libero
commercio» che circolava tra Inghilterra e colonie. Perciò, per scoprire la natura intrecciata di
questi linguaggi della libertà e la loro importanza nella storia delle idee della Rivoluzione, è
necessario andare oltre la stessa Inghilterra e addentrarsi nel più ampio mondo atlantico per
comprendere i contesti materiali che condizionarono la storia del discorso della Rivoluzione.
284
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
In recent decades, the so-called Cambridge School has produced some
of the most exciting work on the intellectual history of early modern
Europe. Historicizing the study of political thought, these scholars have
employed close linguistic analysis to deconstruct the competing and
tingencies of discursive political traditions. In essence, the practitioners
of the Cambridge School have illustrated the fruitlessness of attaching
historically transcendent meaning to political concepts, which can be
understood in their various permutations in time and over time, but
never beyond time. Perhaps the best work done by historians working
in the age of the English Revolution (ca. 1640-1660). Their studies of
the Revolution have shown us how «liberty» was rarely understood or
discussed in its own right in the mid-seventeenth century. Instead, contemporaries constantly resorted to the language of slavery, a seemingly
sion here focuses on three discourses of liberty in the wider discursive
history of freedom and slavery in the age of the English Revolution: the
liberty of conscience, the liberty of the body, and the liberty of commerce. Although all the revolutionaries prized these liberties, no conceptual
consensus existed regarding either their ideological substance or their
proper political applications. In the discursive contests the revolutionanents’ views of freedom as the harbingers of bondage. Crucially, these
discourses on the liberties of consciences, bodies, and commerce hardly
operated independently from one another, although their interdependence during the Revolution has attracted little scholarly attention. Indeed, they became increasingly entangled as the Revolution reached its
imperial turn (ca. 1649-1655), accompanied as it was by the rise of the
slave trade and debates over the nature of «free trade».
JOHN DONOGHUE
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution
285
To recover the history that explains both the entangled nature of these languages of liberty and their historical importance requires a historiographical intervention. As a growing body of literature has demonstrated, the English Revolution was not merely an English, British,
most Cambridge School studies of the Revolution contain themselves
to European sources, its languages of liberty were not merely European
transmissions; instead, they were generated by the circulation of ideas
and experience within a wider historical geography that encompassed
the Atlantic world. The observation involves more than mere spatial
considerations. I argue here as I have elsewhere that broadening our view
of the Revolution’s impact from the national to the Atlantic yields rich
authentic Atlantic context can help us recover the origins of abolitionist
thought, an event that most historians place in the eighteenth century.
Wedded as it was in the mid-seventeenth century to a transatlatic radical
republican program, abolitionism represented perhaps the most important breakthrough in the early modern history of ideas, although for
reasons discussed below, the existence of this breakthrough, let alone its
tual historians.
Atlantic crossing to America in 1636 seeking «liberty of conscience in
respect to God» following his experience with religious persecution in
Old England. But on the afternoon of October 14, 1643, Gorton was
forced to endure what he thought he had left behind, as soldiers from
Massachusetts burned Shawomet, the village that Gorton had founded
in Rhode Island, to the ground. Five years before, Gorton and several
of his comrades had been exiled from Massachusetts for «sedition» after refusing to conform to puritan clerical orthodoxy. In their Rhode
Island exile, Gorton and his followers vowed to protect their liberty of
conscience by leaving religious belief and practice free from magiste-
286
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
rial restriction. But fearing heretical corruption from such a «fountain
of error», the Massachusetts government deputed its militia to destroy
Shawomet and arrest Gorton and his confederates. Early that November, after a forced march in shackles to Boston, the Massachusetts Court
punished the dissenters to a year of bondage and hard labor in chains.
Although popular protest in the Bay Colony against Gorton’s «enslasecution was far from over; indeed, it could not be contained to the
colonies. To seek justice, Gorton transformed his colonial persecution
to London to plead before the Revolutionary Parliament for a colonial
charter to promote religious tolerance in New England.
While in London, Gorton wrote a pamphlet that he entitled Simplicity’s Defense. Published in 1646, the work recounted the Shawomet attack and the Boston trial. Here Gorton described how the government
of Massachusetts had acted arbitrarily, ruling as a law unto itself and
against the laws of both God and Old England. As «freeborn Englishmen in America», England’s ancient constitution protected the colonists’ property and bodies from wanton violence and warrantless captivity. But instead of living under «the laws of our native country (which)
should be named amongst them, yea those ancient statute laws», Gorton
observed that Massachusetts had made his community subject to «pretended and devised laws (which) we have stooped under, to the robbing
and spoiling of our goods, the livelihood of our wives and children».
He saluted Winthrop as the «Great and Honoured Idol General» who
by the «sleights of Satan» endeavored «to subject and make slaves» of all
those within and without his jurisdiction. But despite their appeal to
English law, as antinomians, Gorton and his followers believed that their
by remaining obedient not to puritan clerics and magistrates, but to «the
law that God had written on our hearts», which they discerned through
their consciences as guided by scripture and the holy spirit. «Now the
287
JOHN DONOGHUE
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution
rule is evident», Gorton wrote,
but to a man as a brother, then to every brother, and if to every brother,
whether rich or poor, ignorant or learned, then every Christian in a
Parliament man, and rule, and that not only in New England but in
Old, and not only in Old, but in all the Christian world; down with all
1
Simplicity’s Defense Against Seven-Headed Policy (Lon80-83
the pretence of law and religion, have done nothing else, but gone about to establish themselves in ways to maintain their own vicious lusts, we renounce their
diabolical practice, being such as have denied in their public courts that the laws
of our native country should be named amongst them; yea, those ancient statute
speaking according to the language of them; in the meanwhile, breaking open
our houses in a violent way of hostility, abusing our wives and our little ones, to
take from us the volumes wherein they are preserved thinking thereby to keep us
ignorant of the courses they are resolved to run, that so the vitiosity of their own
wills might be a law unto them; yea, they have endeavored, and that in public
expressions, that a man being accused by them, should not have liberty to answer
for himself, in open court… But the God of vengeance, unto whom our cause is
referred, never having our protector and judge to seek, will shew himself in our
deliverance out of the hands of you all; yea, all the house of that Ishbosheth and
Meribbosheth, nor will he fail us to utter and make known his strength wherein
we stand, to serve in our age and to minister in our course, today, and to-morrow;
and on the third day, can none deprive us of perfection… the Lord never gives a
name as an empty title, but according to the nature of the thing named, so that if
he speak, I have said ye are gods, of any besides himself, it is to declare, that they
have not only the name but the very nature of the god of this world; and therefore
he saith, they shall die even as Adam, who aspired and usurped the place of God…
1
288
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
No man, no king, no court could rightfully claim to limit the divine
sovereignty of the discerning liberty with which God had endowed his
creation. When man-made authorities, such as the Massachusetts court,
ruled arbitrarily over their fellow creatures, they not only violated English law, they usurped the very sovereignty of God. In New England,
as Gorton wrote, such tyrannical hubris bound not only the consciences of the people, but their bodies as well. The radical’s days in chains
as a convict laborer made his testimony to bondage in the Bay Colony
personal.
The transatlantic circuit through which Gorton tendered his petition
and thus his radical reformation mission would impact the struggle for
liberty of conscience in Revolutionary England. Gorton’s foe, Edward
among the political elite of New England, left for London to make
Massachusetts’ case against the radicals. Countering the latter’s argument that the Bay Colony had violated any colonists’ liberty of conscience, Winslow argued instead in his own pamphlet, Hypocrisy Unmasked
(1647), that puritan clerics and magistrates were the absolute champions
of liberty of conscience. It was proper, just, and necessary, he argued,
for godly ordained authorities to protect the people’s consciences, and
thus the commonwealth as a whole, from spiritual corruption and error;
to allow antinomians such as Gorton and company to persist in their
heresies would promote sedition and pollute the spiritual estate of the
commonwealth. As Winslow wrote in Hyprocrisy Unmasked, «the Civil Magistrate is the minister of God, a Revenger to execute wrath on
such evil doers and those tender consciences who follow the light of
ton had, as religious toleration, but as the liberty to worship God free
from corruption and error in an orderly commonwealth commanded by
godly magistrates. He bolstered this line of thought by drawing atten-
JOHN DONOGHUE
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution
289
While residing
in the City, Gorton had attracted the ire of more moderate puritans by
2
in the New Model Army. Antinomian radicals, the Levellers had fostered the most successful popular republican program of the Revolution,
organizing a mass movement based in London that forged links with
the provinces and the military. Their program strove for a religiously
tolerant constitutional settlement to the English Revolution based on a
democratic franchise. When Winslow republished Hypocrisy Unmasked
in 1649, he retitled it, The Danger of Tolerating Levellers in a Civil State.
In the new edition, Winslow cautioned the English that just as Gorton
and his like had seditiously undermined the authority of God’s anointed
in America, he and his Leveller allies would do the same vis-à-vis Parliament and the puritan clergy in England. Winslow did not exaggerate
the Leveller threat; mass meetings and unruly protests in London and
mutinies in the New Model Army, occasioned by petitioning campaigns gathering tens of thousands of signatures, forced the army high
command, at the behest of Parliament, to crush the Levellers, which it
did so through waves of arrests and executions.3
The Danger of Tolerating Levellers in a Civil State (LonThe danger of tolerating levellers in a civil state, or, An historicall narration of the
dangerous pernicious practices and opinions wherewith Samuel Gorton and his
levelling accomplices so much disturbed and molested the severall plantations in
New-England : parallel to the positions and proceedings of the present levellers in
Old-England : wherein their severall errors dangerous and very destructive to the
peace both of church and state.
2
3
movement, see Donoghue 2013, 170-197.
290
Storicamente 10 - 2014
Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
Soon after its violent repression of the Leveller movement, the English
state, via the newly established Revolutionary Republic, embarked upon
ded the colonial conquest of Ireland (1649), the armed subjugation of
Royalist colonies in the West Indies and the Chesapeake (1651), and a
tury naval wars against its most potent maritime rival. But the Republic
turned to legislation as well as force of arms to bring its Atlantic emwhich opened up what its authors called a «free trade», a long-held goal
Maurice Thomson and Martin Noell, two slave traders and absentee
plantation owners with estates in the Chesapeake and Caribbean, the
existing English trading monopolies in the nation’s Atlantic colonies.4
A Collection of Acts
and Ordinances of General Use, Made in Parliament… in Two Parts (LonFor the increase of the shipping and the encouragement of the navigation of this
nation, which under the good providence and protection of God is so great a means of the welfare and safety of this Commonwealth: be it enacted by this present
or commodities whatsoever of the growth, production or manufacture of Asia,
Africa or America, or of any part thereof; or of any islands belonging to them, or
which are described or laid down in the usual maps or cards of those places, as well
of the English plantations as others, shall be imported or brought into this Commonwealth of England, or into Ireland, or any other lands, islands, plantations, or
territories to this Commonwealth belonging, or in their possession, in any other
ship or ships, vessel or vessels whatsoever, but only in such as do truly and without
fraud belong only to the people of this Commonwealth, or the plantations thereof,
as the proprietors or right owners thereof; and whereof the master and mariners
are also for the most part of them of the people of this Commonwealth, under the
4
the Navigation Act, see Farnell 1964, 439-454; Armitage 2000, 100-124; Leng 2005,
933-954.
JOHN DONOGHUE
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution
291
penalty of the forfeiture and loss of all the goods that shall be imported contrary
to this act; as also of the ship (with all her tackle, guns and apparel) in which the
said goods or commodities shall be so brought in and imported; the one moiety to
the use of the Commonwealth, and the other moiety to the use and behoof of any
person or persons who shall seize the goods or commodities, and shall prosecute
the same in any court of record within this Commonwealth.
While all merchants saw commercial expansion as vital to English empire-building, the exact nature of the «free trade» clamored for in England and the colonies remained in dispute. As Dudley Digges wrote in
1615 «well-minded merchants like Hercules in the cradle» would make
England «a staple of commerce for all the world to advance the reputation and revenue of the Commonwealth».5 In 1641, at the outset of
the English Revolution, Henry Robinson urged Parliament to help the
nation’s merchants make «England the Emporium or Warehouse from
whence other Nations may bee furnished with forraine commodities».6
Commerce was clearly described as crucial for English empire-building,
ned in an international, seventeenth century debate about the nature of
imperial «free trade». Hugo Grotius sparked the debate in 1609 with the
publication of Mare Liberum. Here, the Dutch jurist argued that unlike
landed territory, the sea could not be divided into politically exclusive
dominions; it was in the interest of each state, and thus of humankind
in general, to leave the seas to open navigation and thus unrestricted
commerce.7 John Selden, taking the opposite tack in his 1635 book,
Mare Clausum, found that England’s imperial destiny lay in circumscribing English waters, both in Europe and in ports abroad, to English
commerce, to protect English sovereignty and the prosperity that such
5
6
7
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sovereignty assured when applied to England’s watery dominions.8
The English free trade debates of the Revolutionary era fell along the
ideological fault lines established by Grotius and Selden. In a 1651 pamphlet entitled The Advancement of Merchandize, Thomas Violet argued
that free trade should end merchant monopolies among English merchants and allow foreign merchants to trade in English ports at home
and abroad. He warned Parliament that «we must match the Dutch at
their own weapons, and give them as great privileges, as they have given
to our Clothiers [...] and by this way you will make England truly the
Empress of the Sea, when every Sea-Port-Town will be an Amsterdam».9
A year later, the Republic’s propagandist in chief, Marchmont Nedham,
sought to bolster public support for the Navigation Act and by virtue
the naval war with the Dutch by translating Selden’s two volume Mare
Clausum into English under the title, Of the Dominion, or Ownership, of
the Sea.
Free trade under the auspices of the Navigation Act pleased English
merchants who had wished to do away with pre-existing commercial
monopolies. The Act, however, proved equally unpopular with English
sugar planters in the West Indies, who had depended on Dutch mercommodities came in human form in the way of enslaved Africans.
Without Dutch slave traders, as the planters knew, the wildly lucrative
sugar boom on Barbados would never have exploded. The Council and
Assembly of Barbados responded to the Navigation Act with a Declaration that they published not in London but in The Hague, obviously
to reach their Dutch commercial allies in the most direct fashion possible. The Declaration
sing to obey the Act, particularly the clause forbidding «all Forraigners
8
Selden’s argument.
9
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293
from holding any commerce with the inhabitants of this Island». For the
islanders, restricting commercial liberty in this way was economically
unfeasible. According to the Declaration, they had depended upon «the
Dutch for their subsistence». They would, furthermore, never «be so ungratefull to the Dutch for former help as to deny them or any other Nation the freedome of our Ports and Protection of our laws». Moreover, as
the colonists observed, the Dutch sold «us [commodities] much cheaper
to us then [the merchants] of our own nation». The Barbadians also felt
that the Navigation Act was as politically unjust as it was economically
destructive. The colonists had settled Barbados without any assistance
lives even though the colonists had «no representatives no persons there
chosen [by them] to propose or consent». The Declaration concluded by
calling for «free trade both at home & abroad», a customary liberty that
they argued had long been enjoyed by all «true Englishmen» [Declaration
1651, 1-5].10
A Declaration Set forth by the Lord Lieutenant General (and) the Gentlemen
of the Council and Assembly
Shall we be bound to the Government and Lordship of a Parliament in which we
have no Representatives, or persons chosen by us, for there to propound and consent to what might be needful to us, as also to oppose and dispute all what should
tend to our disadvantage and harm? In truth, this would be a slavery far exceeding
which hath brought us thus far out of our own country, to seek our beings and
livelihoods in this wild country, will maintain us in our freedoms; without which
our lives will be uncomfortable to us… By the abovesaid Act… [foreign] nations
island; although all the ancient inhabitants know very well, how greatly they have
it would have been for us, without their assistance, ever to have inhabited these
places, or to have brought them into order; and we are yet daily sensible, what
necessary comfort they bring to us daily, and that they do sell their commodities
a great deal cheaper than our own nation will do; but this comfort must be taken
10
Declaration 1651, 1-2.
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from us by those whose will must be a law to us: but we declare, that we will never be so unthankful to the Netherlanders for their former help and assistance, as
to deny or forbid them, or any other nation, the freedom of our harbors, and the
protection of our laws, by which they may continue, if they please, all freedom of
The planters also knew that English slave traders within and outside Parliament had written the bill in part to promote their own investments,
and so the planters regarded the Navigation Act as the height of corruption that had «enslaved» them to a regime of grasping regicides. Having
established their arbitrary government in England through the sword,
the Revolutionaries had violated the rights of free born Englishmen in
the colonies to protect the property they had accumulated through «free
restricted commerce. Here we see how partisans in the Navigation Act
a discursive pattern that also marked the struggle over liberty of conscience. But free trade discourse revolved around a common economic
For both merchants in England and English planters in the West Indies,
free trade meant the freedom to trade slaves.11
the age of the English Revolution becomes even more illuminating when,
in circum-Atlantic fashion, we move from England and Barbados and
back to Rhode Island. In 1652, as the debates over free trade and, by virtue, the future of the English slave trade, began in earnest, Samuel Gorton
steered legislation through the Rhode Assembly to end slavery and slave
trading in the colony. As the ordinance stated,
«whereas there is a common course practiced amongst English men to
buy negers to that end they may have them for service or slaves forever;
11
Gragg 1995, 65-84; Menard 2006.
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for the preventing of such practices among us, let it be ordered, that
black mankind or white being forced by covenant bond, or otherwise be
set free as the manner is with the English servants». The law also prohi-
twice the going rate for a slave in Barbados; in this way, the assembly
informed by knowledge of slavery and slave trading around the Atlantic.
become «common course amongst Englishmen to buy negers to have
them as slaves forever.12
Records of
the Colony of Rhode Island and Providence Plantations in New England, 1636-1663
Ordered, whereas there is a common course practiced amongst English men to
buy negers to that end they may have them for service or slaves forever; for the
preventing of such practices among us, let it be ordered, that no black mankind
or white being forced by covenant bond, or otherwise, to serve any man or his
assigns longer than ten years, or untill they come to be twenty four years of age, if
they be taken in under fourteen, from the time of their coming within the liberties
of this colony. And at the end or term of ten years to set them free, as the manner
is with the English servants. And that man that will not let them go free, or shall
sell them away elsewhere, to that end that they may be enslaved to others for a long
time, he or they shall forfeit to the colony forty pounds.
The Acts
and Orders of Rhode Island. The whole body of the colony’s freeman
had met in their separate towns, where they participated in drafting,
deliberating, and ratifying the constitution, which rejected the ancient
constitutional mix of monarchical, aristocratic, and democratic forms of
government, stating explicitly «that the form of government established
12
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is democratical; that is to say, a government held by ye free and voluntary consent of all, or the greater part of the free inhabitants». Although
democracy was commonly held to be the gateway to anarchy in the
early modern period, the Acts and Orders declared that far from having
democracy «prove an anarchy and so a common tyranny», the Rhode
Islanders believed that «popular» government prevented anarchy by malaw, thus ensuring against the lawlessness of arbitrary government.13
While historians of republican thought in the English Revolution have
radicalism with Leveller republicanism. Putting the Acts and Orders
in Atlantic context is particularly revealing in this regard. The Rhode Islanders established their constitution in 1647, the same year that
the Levellers proposed their own, called the Agreement of the People,
which like its colonial counterpart, combined the ideals of religious toleration with democratic republicanism. Linking the radical republican
programs that unfolded diachronically in Old and New England, we
see how the Atlantic dimensions of Leveller ideology carried the struggle against political slavery into a protest against the rise of economic
hardly be understated, as it undid the classical link between slavery and
republican liberty, with the former providing the material foundations
for the latter to thrive. Indeed, in the midst of the English Revolution’s
imperial turn, the classical inheritance of the slave-holding republic was
over a century later by the framers of the Constitution of the United
States. While many southern delegates to the Constitutional Convention sought to guard against their political «enslavement» by ensuring
their liberty in the property of their slaves, the colonial radicals of the
13
JOHN DONOGHUE
Transatlantic Discourses of Freedom and Slavery during the English Revolution
297
a reformed commonwealth.
In conclusion, the discourses of liberty of conscience, liberty of the body,
and commercial liberty evolved in a historically interdependent fashion,
circulating around the Atlantic world within the wider discourse of
freedom and slavery that characterized the political culture of Revolutionary England and its colonies. From the magistrate’s perspective,
Samuel Gorton’s liberty of conscience, once made a civil liberty, would
enslave the body politic to the arbitrary power of democratic seditionists
bent on the anarchic project of usurping the divinely ordained prerogatives of the puritan magistracy. But from Gorton’s perspective, the puritan magistracy’s discretionary power to enforce religious conformity
on behalf of the public good actually usurped the divine sovereignty of
the believer’s conscience. From the perspective of Gorton and the antinomian radicals of Rhode Island, only democratic forms of government
could protect the divine prerogative of universal religious freedom.
Complete liberty of conscience was critical for antinomians, as spiritual
experimentation provided the way to discern the true path to reformasedition, producing in Gorton’s own words, a condition of political «slavery» that had led the court to claim «dominion over bodies» via hard
labor in chains as the ultimate means to preserve its own misguided
notion of religious liberty. Turning to the debate over the Navigation
antithetical imperial policies regarding mercantile competition. But the
contentious discourse that evolved from a shared political language nonetheless promoted a common, commercially lucrative goal: free trade
in any discursive guise would promote slave trading. Transcending the
rhetorical dialectics that wed English liberty to the slave trade via the
promotion of free trade, radical Rhode Islanders tried to abolish the slave
trade, viewing it not as a form of commercial liberty, but as a threat to
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republican liberty. In the end, without an Atlantic perspective on English Revolutionary discourse, recognition of such a milestone in early
modern political thought remains impossible.
Finally, the Atlantic context that illuminates the abolitionist dimensions
of radical republican discourse in the English Revolution also sheds light
on the limitations of the linguistic turn in the study of political thought.
emphasis that historians of the Cambridge School of political thought
have placed upon language, as if it more than anything else can reveal
the mutability and historically transient meanings of terms like freedom
and slavery. Although it has contributed invaluably to our understanding of the history of ideas in the early modern period, the Cambridge
the discursive realm, using it as a mere metaphor for the condition of
subjection to political tyranny. Yet the Revolutionary period marked the
rise of plantation slavery in the English Atlantic; not coincidentally, the
discourse of freedom and slavery in the free trade debate occasioned by
be conducted in the West Indies. Colonial radicals in Rhode Island transcended this debate by passing an abolitionist law that conveyed their
belief that the tyranny of chattel slavery would corrupt the virtue of
republican liberty in a just commonwealth. To be grounded in any kind
of authentic reality, the history of political thought in the English Revolution, like the history of any political event, must take into account
material contexts as well the linguistic and high political. Without broadening the contextual universe of discursive analysis, we risk reducing
the history of freedom and slavery in the English Revolution to the
interplay of rhetorical devices, when it ultimately produced the original
attempt to equate republican liberty with the end of chattel slavery.
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Insurrections, Bank and
Private Contracts:
How Society shaped the Constitutional Order
during the American Revolution
Matteo BattiStini
Univ. di Bologna,
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Looking at the revolutionary context of Pennsylvania, the essay analyzes the continuous
movement of rebellions during the American Revolution in order to highlight the process of
institutionalization of the constitutional order, namely the changeable power relationship that
shaped society. The essay reconstructs: 1) the battle for free trade and freedom of property and
the resulting rising of the mercantile class as a national elite; 2) the mercantile political project
of ordering society by creating a national system of public credit based upon the institution of
the public debt and the foundation of the first national bank; 3) the vicissitudes of the bank
by analyzing
(1786), one of the most underrated pamphlets of Thomas Paine. By this way, the essay shows
how the principle of popular sovereignty and the language of rebellion were intended to be
institutionalized as part of the constitutional order that was formalized in 1787-88.
Il saggio analizza i movimenti di ribellione verificatisi durante tutto il periodo della Rivoluzione americana, con particolare attenzione al contesto rivoluzionario della Pennsylvania,
allo scopo di evidenziare il processo di istituzionalizzazione dell’ordine costituzionale e in
specifico le mutevoli relazioni di potere che diedero forma alla società. Il saggio ricostruisce: 1)
la battaglia per la libertà di commercio e di proprietà, e il conseguente sorgere della classe mercantile come élite nazionale; 2) il progetto politico mercantile di ordinamento della società
attraverso la creazione di un sistema nazionale di credito pubblico basato sulla istituzione del
debito pubblico e la fondazione della prima banca nazionale; 3) le vicissitudini della banca
attraverso l’analisi di uno dei più sottovalutati pamphlet di Thomas Paine, Dissertations of
(1786). In tal modo il saggio
mostra come si intendesse istituzionalizzare il principio della sovranità popolare e il linguaggio della ribellione in quanto parte dell’ordine costituzionale formalizzato nel 1787-1788.
308
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introduction
Historiography has adressed the question of rebellion during the Amefounding of the United States: the protests against imperial taxation
that led to the Declaration of Independence; and the insurrections that
Declaration elaborated the Lockean theory of legitimate
sidered as self-evident truths, by referring to the Scottish Philosophy of
Common Sense. In the second case, historians have reconstructed the
Shays’ and Whiskey Rebellions in order to underline their role in caof democracy», «tyranny of majority» or «anarchy».
of the language of rebellion and the principle of popular sovereignty
that were spread by the Declaration. The farmers of the western counties
of Massachusetts and Pennsylvania proclaimed themselves to be the
true heirs of the Revolution. Like the patriots, they said, they opposed
unjust taxation levied by a distant and unresponsive legislature. They
voiced their objections through peaceful protests, including petitions
and instructions to the assembly, and the calling of county conventions.
Like the revolutionaries of 1776, they resorted to more violent measures – such as closing courts and taking up arms – only when previous
national elite leading the reaction to the insurrections conceived that,
overthrow of a representative government could never be sanctioned.
By circumventing representative institutions and procedures, extralegal
popular action threatened the very basis of the Declaration, namely the
principle of popular sovereignty. Thus, both the Shays’ and Whiskey
Rebellions became a symbol of the need for a stronger Union throu-
MATTEO BATTISTINI
Insurrections, Bank and Private Contracts
309
ghout the United States. The state militias that President Washington
called into national service against the «whiskey rebels» issued a warning
to all who invoked insurrection against the new constitutional order.1
In this view, such events were considered as isolated constituent moments
that explained the Declaration of Independence, the drafting of the fedeAmericans rebelled on numerous occasions during all the revolutionary
age, particularly during the Eighties, the so-called “critical period” of
the Revolution. Far from agreeing with the national elite that the thirsegment – farmers, artisans and journeyman – of society considered the
states not attentive enough to the will of the majority. They heavily
order to regulate commerce, control prices, seize properties and bring
about debt and tax reliefs: they “used” representative institutions in order
to force legislatures at local and state level to their will.2
construct this continuous movement of rebellions and its ongoing relation with Congress and state legislature in order to cast light on the
social and political forces that fueled the making of Union. From this
perspective, I will pay less attention to the drafting of the federal Constitution in the national convention – that is to say the constitution as a
written text – than to the very basis of the process of institutionalization
of the constitutional order during the Revolution, namely the changeable power relationship that shaped society. First, I will reconstruct the
battle for free trade and freedom of property and the resulting rising of
the mercantile class as a national elite. Second, I will analyze the mercantile political project of ordering society by creating a national system
1
2
ton 2007.
-
310
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of public credit based upon the institution of the public debt and the
of the bank through Dissertations of Government, the Affairs of the Bank
and Paper Money (1786), one of the most underrated pamphlets of Thomas Paine – author of the bestsellers Common Sense (1776) and Rights of
Man (1791-1792), I will show how the principle of popular sovereignty
and the language of rebellion were intended to be institutionalized as
part of the constitutional order that was formalized in 1787-88 [Battistini 2012].
the rising of the Mercantile class
Faced with the economic crisis of the American Revolution – the problematic funding of the war and the necessary printing of paper money, which highly depreciated the continental currency causing prices
of commodities to soar – a campaign for price regulations was launched
thern states, acting together in regional conventions, which had popular support. In 1779, the depreciation of paper currency was mainly
responsible for the renewed demand for regulation by town meetings.
The city of Philadelphia led this new wave of regulation. On May 12th,
the First Company of Philadelphia Artillery presented a memorandum
to the city assembly, reviewing the rise in prices since 1776 and referring to possible popular actions. As the threat of violence mounted,
the radical leaders of Philadelphia called for a mass meeting on May
25th. The meeting appointed a committee to carry out price reduction.
Intended to work as «discretionary power […] for the redress of temporary evils» [Pennsylvania Packet, June 29, 1779], the committee could
exceed constitutional bounds and interfere in economic exchanges. In
the September 10th extraordinary edition of the Pennsylvania Packet, the
committee argued that free trade had de facto implied «a right to extort
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Insurrections, Bank and Private Contracts
311
and a power to enforce that extortion». For the merchants, «freedom of
trade» had meant «freedom of extorting […] forestalling, monopolizing
and engrossing». The committee declared these practices to be «repugnant to every principles on which society and civil governments are
founded» [Pennsylvania Packet, September 10, 1779].
At the end of August 1779, Philadelphia merchants demanded the repeal
of regulation. Their memorandum – signed by merchants and lawyers
such as Robert Morris and James Wilson – emphasized the argument
that «the limitation of prices is in the principles unjust, because it invades the law of property, by compelling a person to accept less in exchantheir vision of society and conception of individual freedom:
It is true they [merchants] were prompted by the love of gain, but whanecessities of the people [Pennsylvania Packet, September 10, 1779].
By setting love of gain at the very center both of individual freedom
and general welfare of the people, merchants could justify free trade as
regulation. Moreover, they could demand a leading role in economy
and society for themselves. By claiming their superior degree in society,
they aimed, in turn, to raise their level of national political leadership.
In several writings (Essays on Free Trade and Finance, 1779; Dissertation
on the Political Union and Constitution of the Thirteen United States of
North America, 1783), Pelathia Webster, one of the signers of the memorandum, voiced the merchants’ economic and political ambitions by
arguing that there was no «another body of men, whose business of life,
and whole full and extensive intelligence, foreign and domestic [...],
and whose particular interests are more intimately and necessarily connected with the general prosperity of the country».3
-
3
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ces, Philadelphia merchants forced the Committee to stop its activities.
The demise of the city Committee and the reluctance of the state goof early October 1779. With the failure of institutional channels for the
expression of popular grievance, resentments against the merchants exploded into insurrection. On October 4, a militia group began to march
into the center of the city, making its way to the house of James Wilson,
the rich merchant and important lawyer who later became a member of
the national convention and Supreme Court justice. The insurrection
was suppressed by state government troops. The riot can be considered a turning point: it split rural farmers groups from urban artisans
groups, and – most importantly – the radical leadership of Pennsylvania
politics from popular activity, it set therefore the tone for the rise of
the mercantile class.4 What result was the crystallization of sentiment
among members of the Continental Congress in favor of free trade, and
the emergence of Robert Morris as the political leader of the national
mercantile elite. The proposal – advanced by Webster among others – of
appointing a Superintendent of Finance was adopted. In May 1781, the
Continental Congress elected Morris as Superintendent.
the Mercantile Political Project of national Finance
The Superintendent’s Report on Public Credit of July 29, 1782, most clearly expressed the political project of the mercantile elite.5 The plan
took up the question of how best to found a new State in the world of
European States. Funding the war was not simply a national problem,
4
5
an atlantic percpective, also in relation to role played by Alexander Hamilton in the
early American process of state-building: Battistini 2013.
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Insurrections, Bank and Private Contracts
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Morris suggested. The economy of the American nation had to be considered in the context of the international market. Given the war against
the British, the need for loans, both domestic and foreign, was more
and more pressing. But, American citizens and foreigners – moneyed
men and governments, in particular the French and Dutch – would trust
Congress with money only if they were certain of being repaid. Morris proposed therefore to center the states’ war debts in the Continental Congress. Following the experience of Eighteenth century England,
he aimed at funding debt by committing taxes to pay the interests on
the debts without an obligation to discharge the principal. Merely by
paying interest regularly, new monies from domestic and foreign creditors could be expected.
Yet, there was an obstacle to this plan. This method of funding public
debt would increase the power of Congress, power that was restricted
by the Articles of Confederation. Morris advanced therefore a two-fold
reform that would shape both politics and society. On the political end,
the reform added political centralization to a vision of society based on
free trade. The reform aimed at giving Congress the power to collect fe-
statehood, the power of taxation. On the end of society, the method of
bank, the Bank of North America.
Funded by French loans and American merchants’ subscriptions, the
bank was more than just a commercial bank for private transactions. It
was also intended to serve as a national bank, holding government funds
and issuing notes that Morris hoped would serve as medium of exchange. When Congress incorporated the subscribers by recognizing them
as a corporation «able and capable in law», it gave them de facto power
to control both money lending and the quantity of money in circulation. Thus the bank could do more than manage the war debt. In his
Report, Morris argued that the bank was positioned to «distribute pro-
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perty into those hands which could render it most productive». As Morris explicitly pointed out before the Congress, the bank «would supply
the Want of Credit to the mercantile Part of Society» [Morris 1973-99,
6:62-63, 70]: regular interest payments would put capital into the hands
of the merchants who were the creditors of public debts and making
the debt transferable would create a market, nation-wide in scope, for
intangible property, thus solving the problem of a lack of credit. This
explains why, from his point of view, no distinction should be made
between investment and speculation, because the accumulated funds of
intangible property would serve as capital that would be invested, thus
creating more wealth in which the larger population would ultimately
share [6:56-58]. The mercantile interest would then become the general
interest of the nation.6
legitimate and consolidate the accumulation of capital scattered across
society.
«Method of Administration». It was not only a matter of economic accounting. Most important, it would have a constituent political meaning
addressed to the state governors – the administration of the public debt
trust
referred to the Lockean theory of the relationship between government
and proprietors (in this case the proprietors were the creditors of the public debt), and the word confidence was related to the individual hope of
of administration was therefore intended to foster both trust between the
government and the creditors, and confidence, not only among creditors,
but also among debtors and all other economic forces of society. Thus,
trust and confidence were perceived as the necessary social and political
6
MATTEO BATTISTINI
Insurrections, Bank and Private Contracts
315
would neutralize the principle of popular sovereignty and the language
of rebellion: the system of public credit and its method of administration
were the double institutional solution to the problem of overcoming the
«inevitable unruliness of a great revolution».
In his opinion, the government would be obeyed and the society would
be ordered only if the system of public credit would be shaped by, and
would shape, the power relationship that marked society, namely only
if the supremacy of mercantile interest and the mercantile principles
of free trade and freedom of property would be institutionalized in the
and have discouraged merchants’ economic activities, the method of
administration would favor the pursuit of private interest and would reand in the national government: «Being more Respectable», national
government would consequently be «better obeyed» [Morris 1973-99,
1:397-400; 3:84-88; 4:376].
We can therefore conclude that the national system of public credit not
only consolidated mercantile interest and the rising of mercantile naframed – constitutional order, paving the way for the making of the
Union. But, in order to move from the Confederation toward the federal
Constitution, such mercantile national elite should again face popular
revolts, such as the one that led to the dismantling of the national bank
in Pennsylvania.7
7
316
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the government and the affair of the Bank
Starting in 1784, a new wave of popular protests, in particular by the
farmers of Pennsylvania’s western territories, forced the state legislature
to issue policies of price regulations, tax and debt relief. Moreover, a new
committee was instituted for the control of the economy. The committee presented the Assembly with a document in which it was argued
that the national bank was responsible for the «accumulation of enor-
the economy: reducing the supply of money; restricting credit; raising
while ensuring that creditors received a substantial return on what they
had loaned. Some men were forced to sell their property to cover their
debts, others saw their property foreclosed on. The restriction of credit
limited access to capital to a small circle of merchants, and frustrated
workers’ ambitions to achieve economic independence by acquiring
land or a workshop [Paine 1945, 2:387-388].
The mercantile class answered the document by publishing pamphlets
in which it was argued that the repeal of the law, which had established
the bank at state level, represented a constitutional problem: how to conjugate the revolutionary principle of popular sovereignty with the need
for a nationwide method of administration.8 One of the most important
pamphlets was Dissertations on Government, the Affairs of the Bank and
the Paper Money (1786) in which Thomas Paine answered the farmers’
leaders by adressing the question of rebellion. John Smilie and others,
who later would be protagonists of the antifederalist campaign against
vored an «extreme accumulation of wealth» which was against «democracy,» rebellion was legitimate. In order to oppose such arguments, the
8
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317
on sovereignty and rebellion. Paine argued that any government was
based on an uncontrolled power that controlled everything, namely the
sovereign power. What changed was therefore where sovereignty rested:
while in despotic monarchies sovereignty was the title of the crown, in
republics it belonged to the people. However, popular sovereignty did
not imply an “indiscriminate use” of political power. It instead implied
a “constitutional and legal” method.
Paine explained that power should be exerted only in accordance with
sentation, namely «electing and deputing a certain number of persons
to present and act for the whole»; from above, through «the administration of the republic» that should be directed by principle of «right
and justice» in order to achieve the «public good». Paine explained that
public good was not «a term opposed to the good of individuals», but
it was «the good of every individual collected». From this perspective, the legislature could not only enact general laws that «have universal operation, or apply themselves to every individual». The legislature
could also issue acts that operated in certain cases and on some parts or
groups of society, namely it could negotiate agreements and contracts
interest of the nation, as in the case of the bank. In this view, the «public
ting interests of society by the legitimate procedures of representation
and administration. This double movement, from above and below, exrebellion against the crown was legitimate, in the republic rebellion was
illegitimate: the continuous process of institutionalization of social and
economic practices and interests through the system of representation
and administration left «no room for insurrection, because it – such
system – provides and establishes a rightful means in its stead» [2:368372, 375-376].
318
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denounced the fact that the popular protests forced the state Assembly
to issue policies – not only the repeal of the bank law, but also measures
for price regulation and tax and debt relief, such as the issue of paper
money – that impaired private contracts. Such policies gave to the state
government too much power, namely the power to violate the right of
property: «there can be no such power in a republican government, the
people have no freedom, and property no security where this practice
can be acted» [2:374, 380-381]. Since no law could revoke a private
contract, such acts were to be considered as «unconstitutional» and posthe bank should be under the jurisdiction of courts [Ford 1998; Foner
1977]. In this view, Paine elaborated the same threefold constitutional
argument that it could be read in the pamphlets of the mercantile class,
such as Considerations on the Bank of North America (1785) by James
Wilson: the supremacy of the continental law that instituted the bank
on the law that incorporated the bank at state level; the primacy of the
constitution on the law and the principle of constitutionality; the competency limit of legislative power and the role of judiciary in ensuring
private contracts and property rights. The repeal of the state law of the
bank forced therefore Paine and the mercantile class to elaborate a constitutional conception of the Union more fully and coherently than ever
before, paving the way to the overcoming of the confederal boundaries
to the national sovereignty.
In conclusion, by reading Paine’s Dissertations in the broad context of
continuous popular insurrections, the foundation of the United States
cial transactions, credit and debt) and interests (landed and mercantile)
-
MATTEO BATTISTINI
Insurrections, Bank and Private Contracts
319
tion as process”: a political process that shaped and was shaped by the
changeable power relationships of society; that absorbed the revolutionary principle of popular sovereignty and the language of rebellion into
“rightful” representative and administrative procedures; and – most importantly – opened constitutional room for legitimating the mercantile
political project. The federal Constitution did not only restrict the range of states’ power on commerce and enlarge both the constitutionally
protected domain of human economic agency and the sovereign national power of regulating domestic and foreign market [Edling 2003].
The national convention also resolved to write creditor language into
the Constitution by prohibiting the states from rescuing debtors and
the mercantile class played a crucial role in translating «the inevitable
unruliness of a great revolution» into «constitutional and legal reason».
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Insurrections, Bank and Private Contracts
321
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Nova Totius Terrarum Orbis:
Modern theory of sovereignty and the
neutralization of Atlantic Disobedience
raFFaele lauDani
Univ. di Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
The essay offers an Atlantic reading of Thomas Hobbes’ Leviathan and John Locke’s Second Treatise of Government based on the spatial concepts of “Land” and “Sea”. «Land»
is considered as the spatial principle of a terracentric conception of politics, in which politics
is viewed as static, and order exists only when conflict is neutralized. «Sea», on the contrary,
is the spatial principle of a maritime conception of politics, in which politics is viewed as
fluid, and order is shaped in an endless, changing, and conflicting movement of powers and
agents. From this perspective, modern sovereignty emerges as a process of reterritorialization
of politics.
il saggio si propone di fornire una lettura “atlantica” del Leviatano di Thomas Hobbes e
del Secondo Trattato sul governo di John Locke attraverso i concetti spaziali di “terra” e
“mare”. Il primo è il principio spaziale di una concezione terracentrica della politica, in cui
quest’ultima è vista come statica e l’ordine esiste solo quando il conflitto è neutralizzato. Il
secondo, invece, è il principio spaziale di una concezione marittima della politica, nella quale
la politica è vista come e l’ordine è il risultato di un movimento conflittuale tra poteri e attori.
Da questo punto di vista, la sovranità moderna emerge come un processo di riterritorializzazione della politica.
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
Sea and land as political categories
In the following pages, I will venture in an Atlantic reading of Thomas
Hobbes’ Leviathan and John Locke’s Second Treatise of Government. For
this goal, I will use the spatial concepts of “Land” and “Sea”, as examples
of two modern political logics. «Land» will be considered as the spatial principle of a terracentric conception of politics, in which politics
«Sea», on the contrary, as the spatial principle of a maritime conception
To better understand the spatial implications of these two competing
modern visions of politics, we can preliminary look at two very famous
and coeval XVII century Dutch world maps, both entitled Nova Totius
Terrarum Orbis Geographica ac Hydrographica Tabula and created, as their
title suggests, with the revolutionary ambition of producing a «new map
of the whole earth», a new representation of the world, of its «land» and
of its «sea». One is the 1639 planisphere by Claes Janszoon Visscher’s
(also known as “Piscator”), one of the most prominent and celebrated
cartographers of the XVII century. Here, the Atlantic Ocean is not represented in the traditional ptolemaic style as the end of the world, the
western edge of a world which is essentially European and terrestrial. It
is on the contrary the very core of the map, the hub of the incredibly
wide network of communication that has become the world. In addition, Europe – often represented in the medieval and early modern
cartography as a queen ruling over the known world – has been reduced
to a peripheral and quite small portion of this transatlantic world linked
together and dominated by the sea.
To be honest, Piscator’s map was less new than what its title suggests,
since it was based on the model of the truly innovative 1570 Ortelius’
Orbis Terrarum. However, its title expresses the complete awareness of
this new and modern representation of the earth and of the complexity
RAFFAELE LAUDANI
Nova Totius Terrarum Orbis
325
of a world that has suddenly become «atlantic». The same is true for the
other «Nova Totius Terrarum Orbis», created in 1630 by Hendrik Hondius. Here, the earth is clearly divided into two worlds, the old and the
new, confronting each other as «equals». Thanks to the incorporation of
the ancient oriental enemy into the old world, Europe is again big and
strong: a great power on earth. Most importantly, the centrality of the
Atlantic Ocean has disappeared, split and shadowed by the two impressive terrestrial spaces of Europe and the colonial world.
Now, from a spatial perspective, modern theory of sovereignty can be
considered a victory of Hondius’ conception of the world over Ortecontain and supersede the sensation of «displacement», or, in Deleuze
and Guattari’s words, the «deterritorialization» of politics caused by the
disturbing and uncanny «discovery» of politics’ natural movement. Two
fundamental theoretical strategies characterize this process of reterrito-
among equals, able to transform a naturally wild and disordered world
in a political space populated by sovereign states. The other strategy,
which constitutes Locke’s most original spatial contribution to modern
political theory, is the division of the world into two qualitatively difce and disturbance are (potentially) an immanent condition of politics,
and power operates in the form of the government over an unstable and
European system of sovereign states, where politics is supposed to be arevent of revolution.
326
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
hobbes
Recent historiography has shown how English Civil Wars – the historical background of the fathers of modern theory of sovereignty –
were more than national or English, involving in one single theatre
of confrontations the new territories of the Americas and the Caribbean. Similarly, great attention has been given to Locke’s interest in
England’s colonization of America, underlying the deep existing connection between liberalism and colonialism. However, Hobbes’ political
biography is itself in many ways an Atlantic life as well. Since 1619, he
(Bermuda) Companies on behalf of his patron, Lord Cavendish, and he
was assigned by the Virginia Company to administrative jobs, such as
answering letters of complaint from settlers, formally becoming one of
its shareholders in 1622 [Aravamudan 2009; Jessen 2012]. Refractions
of this Atlantic experience, though rare, can be found, such as in the
frontispiece of De Cive. Here, Libertas (liberty) takes the form of a poor,
sickly, and nasty Algonquian warrior who is confronted with Imperium
(political power) in the form a (European) queen with sword and scales. This image suggests the precariousness of natural liberty and the
necessity of abandoning it, but it equally represents the uncertain and
precarious exercise of Imperium caused by the wild irruption of liberty
in human relations. State sovereignty, we know, will be Hobbes’ answer
to this problem.
Similarly, the theoretical abstraction of Hobbes’ description of the state
of nature in Leviathan is interrupted only in one case, when America is
used as an example of the savage present condition of humanity:
It may peradventure be thought there was never such a time nor condition of war as this,; and I believe it was never generally so, over all
the world: but there are many places where they live so now. For the
savage people in many places of America, except the government of
small families, the concord whereof dependeth on natural lust, have no
government at all, and live at this day in that brutish manner, as I said
before. Howsoever, it may be perceived what manner of life there would
RAFFAELE LAUDANI
Nova Totius Terrarum Orbis
327
be, where there were no common power to fear, by the manner of life
which men that have formerly lived under a peaceful government use to
degenerate into a civil war1.
in early modern Europe regarding the incivility of Native Americans
[Gerbi 1973; Kupperman 1995; 2000], Hobbes’ discourse is not implying any real superiority on the side of Europeans. Rather, America
is, for Hobbes, the image of the present miserable and uncivil condition
of all humanity. If Europeans really want to keep up with their alleged
superior civilization, they must act rationally and submit themselves to
the existing political powers (i.e., territorial states), as if they were the
This is true for the inland bellum omnium contra omnes, but also for all
In such condition there is no place for industry, because the fruit thereof
is uncertain: and consequently no culture of the earth; no navigation,
nor use of the commodities that may be imported by sea; no commodious building; no instruments of moving and removing such things as
require much force; no knowledge of the face of the earth; no account
of time; no arts; no letters; no society; and which is worst of all, continual fear, and danger of violent death; and the life of man, solitary, poor,
nasty, brutish, and short2.
Although the «importation of that which may be had abroad, either by
Exchange, or by just Warre, or by Labour» is for him an essential part
of the «Nutrition and Procreation of a Common-wealth»3, the «immoderate greatnesse» of some of «the great number of Corporations» that
operate in the colonial trade – their growing independence and power
-
1
2
3
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mes in the entrayles of a natural man»4. Only the «art» of law and stafrom other «criminal» maritime activities, such as piracy, mutiny, and all
other forms of resistance to and within colonial settlements. What makes them legitimate is, in other words, their «incorporation» within the
state (the model being, of course, the system of royal charters).
State sovereignty is then the condition of possibility of maritime capitalist development and, more generally, the only way to create order in a
world that has become Atlantic (intended here as the spatial epitome of
the wider commercial and colonial routes of rising global capitalism). In
spatial terms, we know from the frontispiece of Leviathan that soverei-
and makes possible the existence of one people and its peaceful cohabitation [Bredekamp 1999; Bertozzi 2007]. Although based on the model
of the European system of international relations, this logic operates on
a planetary scale, making the whole world a space entirely populated by
sovereign states.
contractualism. In fact, he distinguishes between «sovereignty by institution» (created by agreement) and «sovereignty by acquisition» (created
by the imposition of force, through conquest). However, according to
are based on «voluntary servitude», since it is not victory that gives the
right to the conqueror over the conquered, but the «pact» following the
conquest with which the conquered consigns and submits to the conqueror, acknowledging the power of the conqueror and authorizing all
his actions to keep his life in return.
4
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329
And in case the master [the sovereign by acquisition], if he [the colonized] refuse, kill him, or cast him into bonds, or otherwise punish him
for his disobedience, he is himself the author of the same, and cannot
accuse him of injury5.
After the pact, the multiplicity of (public and private) actors and centers
of power that freely live and circulate in the new global political space
– e.g., companies, colonies, and charters – are phagocytized by the State, reabsorbed within its terracentric logics as external projections of its
sovereignty. They continue to exist, but they are no longer a source of
instability for order. They are now what Hobbes calls «subject systems»,
«parts» of the Commonwealth, «body politics» subordinated to the State:
«The variety of bodies», Hobbes explains in chapter XXII of Leviathan,
diversity; but also by the times, places, and numbers, subject to many
limitations»6. One typical example of these numerous subject systems is
«the government of a province», where the word «province» means for
Hobbes «a charge or care of business, which he whose it is committeth
to another man to be administered for and under him; and therefore
when in one commonwealth there be diverse countries that have their
laws distinct one from another, or are far distant in place, the administration of the government being committed to diverse persons, those
countries where the sovereign is not resident, but governs by commission, are called provinces»7
Hobbes as «numbers of men sent out from the Common-wealth, under
a Conductor, or Governour, to inhabit a Forraign Country, either formerly voyd of Inhabitants, or made voyd then, by warre», whose rights
5
6
7
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and authority «dependeth wholly on their License, or Letters, by which
their Sovereign authorized them to Plant»; or also as «Procreation, or
Children of a Commonwealth»8, because they operate as a subordinate
function of (state) sovereignty.
Under the shadow of Leviathan, the Atlantic political space is governed
by one single political logic, the (European) logic of state sovereignty.
In cartographic terms, it is as if, in the very moment they are created,
the borders of European sovereign states, and their capacity to neutralize the intrinsically political and plural materiality of society, extend
themselves outside their territorial limits through the functioning of
sovereign extraterritorial articulations (both private and public). As a
consequence, Sea returns to political irrelevancy, a mere geographical
locke
If Hobbes’ strategy to reterritorialize politics is unitary (meaning the
political actors), Locke’s seems to be dual. Contractualism is supplemen-
chapter of the Second Treatise dedicated to conquest and colonial power
– a chapter as important in the economy of the book as the most famous
and celebrated chapter V, on property. Here, the general abstraction of
the argument for the foundation of civil government is, from the beginning, suspended by the irruption of history and its concreteness:
Though governments can originally have no other rise than that before
mentioned, nor polities be founded on any thing but the consent of the
8
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331
with, that in the noise of war, which makes so great a part of the history
of mankind, this consent is little taken notice of: and therefore many
have mistaken the force of arms for the consent of the people, and reckon
conquest as one of the originals of government9.
We are suddenly informed here that the long and detailed analysis of the
foundation of civil government, its internal articulation, and its liberal
they are simply a fantasy, a wishful desire that has never taken place in
the history of humanity, which is governed, on the contrary, by force
and usurpation. State sovereignty and government by consent become
an ought to be:
But conquest is as far from setting up any government, as demolishing
an house is from building a new one in the place. Indeed, it often makes
way for a new frame of a common-wealth, by destroying the former;
but, without the consent of the people, can never erect a new one10.
ought to be to create a functioning state sovereignty, is precisely the dismantlement of Hobbes’
vereignty by institution and sovereignty by acquisition – we could say
between state and colonial sovereignty. According to Locke, Hobbes’
argument is inconsistent: even if one admits that the conquered consensually submit to the conqueror, one would still have to consider «whether promises extorted by force, without right, can be thought of as
consent, and how far they bind» since «the law of nature […] cannot
oblige me by the violation of her rules: such is the extorting any thing
from me by force». His answer is obviously negative: «the government
of a conqueror, imposed by force on the subdued, against whom he had
9
10
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no right of war […] has no obligation upon them»11. In the colonial
context, where power is the result of a conquest, there is then no voluntary giving up of man’s natural rights. In fact, «whatsoever another gets
from me by force, I still retain the right of, and he is obliged presently
to restore»12. Sovereign power depends then exclusively on the conqueror’s ability to force, «with a sword at their breasts», the conquered «to
stoop to his conditions, and submit to such a government as he pleases
god shall give those under their subjection courage and opportunity» to
13
.
However, Locke makes clear that this recognition of the precariousness
of sovereignty in colonial contexts is «the best fence against rebellion,
and the most probable means to hinder it» in state contexts14: historical
evidence, he explains, demonstrates that «the people generally ill treated
and contrary to right» that «are made miserable», are ready «upon any
occasion to ease themselves of a burden that sits heavy upon them», since «the will of man [is] inwardly obstinate, rebellious, and averse from
all obedience»15. To make (European) men obedient and thus renounce
their natural inclination to disobedience, it is therefore necessary that
(European) political power is considered a space with guaranteed exceptional conditions of security and protection, as in the case of the newborn government by consent emerged in England at the end of the civil
wars.
of sovereignty needs the diversity of the new world as a place where all
the vices of the old world – or, more precisely, all the vices that the old
11
12
13
14
15
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humanity has discovered with the «discovery» of the new world – can be
externalized and localized. Mirrored in the colonial world, Europe (the
European system of sovereign states) can become the political space of
an exception in human history that, because of its exceptional capacity
to secure and protect man’s vital needs, can require exceptional conditions of obedience: voluntary servitude (what is needed to stabilize politics). This does not mean that colonial power is illegitimate per se. On
the contrary, the legitimate (European) aspiration to acquire and defend
property – to be intended in the double meaning of land and human
beings – in the naturally and immanently turbulent territories of the
new world makes in some ways necessary the overt and «despotic» exercise of power. However, the exercise of this particular form of sovereign
ce of the colonial world.
logics: the rational and consensual one of state power, and the unrestrained and coercive one of colonial power, both legitimate in their
from considering as asymmetrical the relationship between the two political spaces that compose the (north) Atlantic world. As he explains
in chapter V of the Second Treatise, «in the beginning all the world was
America»16, a colony, an undisciplined space characterized by domination and attempts to withdraw from it. With the emergence of the rule
of law, the modern civilized European man is succeeding in escaping
this destiny and changing «so great a part of the history of mankind».
Europe in the moral position of dominating the world:
There cannot be a clearer demonstration of anything than several nations of the Americans are of this, who are rich in land and poor in all
16
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the comforts of life; whim nature, having furnished as liberally as any
other people with the materials of plenty, i.e., a fruitful soil, apt to produce in abundance what might serve for food, raiment, and delight; yet,
for want of improving it by labour, have not one hundredth part of the
conveniences we enjoy, and a king of a large and fruitful territory there
feeds, lodges, and is clad worse than a day labourer in England17.
However, the primacy of the European state needs and presupposes its
continuing mirroring in the colonial world. It does not really exist without this other political space.
Sources
Hobbes T. 1651, Leviathan, capp. XIII, XX, XXII, available online at: http://oregonstate.edu/instruct/phl302/texts/hobbes/leviathan-contents.html
Hobbes T. (1651) 1839-45, The English Works of Thomas Hobbes of Malmesbury (coll.
and ed. by W. Molesworth), London: Bohn.
Locke J. 1689, Second Treatise of Government, capp. V e XVI, available online at: http://
oll.libertyfund.org/titles/222
reference list
Aravamudan S. 2009, Hobbes and America, in D. Carey, L. Festa (eds.) 2009, The Postcolonial Enlightenment: Eighteenth-century Colonialism and Postcolonial Theory, Oxford:
Oxford University Press, 37-70.
Bertozzi M. 2007, Thomas Hobbes. L’enigma del Leviatano (1983). Un’analisi della storia
delle immagini del Leviathan, «Storicamente», 3, no. 12. DOI:10.1473/stor399.
Bredekamp H. 1999, Thomas Hobbes visuelle Strategien: Der Leviathan: Urbild des modernen Staates (Acta humaniora), Berlin: Akademie Verlag.
Galli C. 2011, Spazi politici, Bologna: Il Mulino.
Gerbi A. 1973, The dispute of the New World: the history of a polemic, 1750-1900,
Pittsburgh: University of Pittsburgh Press.
17
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Nova Totius Terrarum Orbis
335
Kupperman K.O. (ed.) 1995, America in European Consciousness, 1493-1750, Williamsburg: Omohundro Institute of Early American History and Culture.
Kupperman K.O. 2000, Indians & English: Facing Off in Early America, Ithaca: Cornell
University Press.
Jessen M.H. 2012, The State of the Company, «Journal of Intellectual History and Political Thought», 1: 56-85.
Laudani R. 2011, Disobbedienza, Bologna: Il Mulino.
Bolívar’s Discurso de
Angostura and the constitution
of the people
Paola ruDan
Univ. di Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
This introduction provides a close reading of Simón Bolívar’s Discurso de Angostura
(1819) as an attempt to understand the relationship between revolution and constitution
within the frame of the civil war which inflamed Venezuela after the declaration of independence. While constitution is usually conceived by modern political thought as the act which
puts an end to revolution by formalizing the constituent will of the people, in South America
it emerges as a device to realize the preconditions of the revolution itself.
Questa introduzione offre una lettura del Discurso de Angostura (1819) di Simón Bolívar
come un tentativo di comprendere il rapporto tra rivoluzione e costituzione nella cornice della
guerra civile esplosa in Venezuela subito dopo la dichiarazione d’Indipendenza. Mentre il
pensiero politico moderno concepisce la costituzione come l’atto che pone fine alla rivoluzione
formalizzando la volontà costituente del popolo, in America Latina essa emerge come strumento per realizzare le precondizioni della costituzione stessa.
Together with the Carta de Jamaica (1815), Simón Bolívar’s Discurso de
Angostura contains the most exhaustive exposition of his political and
constitutional thought. The Discurso was presented by the Libertador at
the opening of the 1819 General Congress of Venezuela, the institution
charged with the task of providing a new constitution for the Republic.
enacted due to the bloody civil war which exploded after independence
was declared. In order to face this exceptional situation, in 1813 Bolívar
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gostura, was that of renouncing to the Congress the supreme power he
had been consigned with until then [Masur 1987]. Bolívar’s explanation
concerning the past and the future of the South American Republic he
lead, and his Proyecto de Constitución:
No ha sido le época de la República, que he presidido, una mera tempestad política, ni una guerra sangrienta, ni una anarquía popular: ha
sido, sí, el desarrollo de todos los elementos desorganizarores: ha sido
si la inundación de un torrente infernal que ha sumergido la tierra de
Venezuela.
In Angostura, Bolívar had to understand the «infernal» overlapping
between the war against Spain and the civil war in order to govern and
to neutralize its causes. With this aim in view, he moved «por la senda del Occidente», rearticulating the western tradition of political and
constitutional thought within the particular South American context
[Castro Leiva 1984; Rudan 2007]. To stress this legacy, however, does
not lead us to either point out an uninterrupted continuity between the
18th-century revolutions and the South American one, or to conceive
of a neat progression from the feudal imperial society and the absolute
State towards the revolutionary establishment of constitutionally orgaexperience allows a questioning of the relationship between revolution
and constitution: while the latter is usually conceived as the result of the
former, as the act which puts an end to revolution by formalizing the
constituent will of the people, in South America it emerges as a device
to realize the preconditions of the revolution itself. The constitution, in
other words, is not the product of the constituent will of the people, since it should produce the people who is supposed to will the constitution.
In summarizing the ends of the declaration of Independence, in Angostura Bolívar clearly adopted the language of the 18th-century revolu-
PAOLA RUDAN
Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people
339
tions:
Amando lo mas útil, animada de lo mas justo, y aspirando á lo mas
perfecto al separarse Venezuela de la Nación Española, ha recobrado su
Independencia, su Libertad, su Igualdad, su Soberanía Nacional. Constituyéndose en una República Democrática, proscribió la Monarquía, las
distinciones, la nobleza, los fueros, los privilegios: declaró los derechos
del hombre, la Libertad de obrar, de pensar, de hablar y de escribir. […]
El primer Congreso de Venezuela ha estampado en los anales de nuestra
lejislatura con carácteres indelebles, la Majestad del Pueblo dignamente
espresada al sellar el acto social mas capaz de formar la dicha de una
Nación.
In Bolívar’s words, independence coincides with the subversion of the
whole institutional and legal structure of the ancient régime, the abrogation of feudal privileges and of the monarchical form of government
and the assumption of the rights of man and of national sovereignty as
the foundation of the new republic. However, in Venezuela the rights of
man did not have the unifying power of self-evident truths as was the
case in North America, while the civil war actually denied the very exi-
revolutionary discourse by stressing the presence of the imperial past
even within the independent States:
nuestra suerte ha sido siempre puramente pasiva, nuestra existencia
para alcanzar la LIbertad, quanto que estábamos colocados en un grado
inferior al de la servidumbre. […] La España […] realmente había privado [la America] del goce y exercicio de la tiranía activa; no permitiéndonos sus funciones en nuestros asuntos domésticos y administración
interior. Esta abnegación nos había puesto en la imposibilidad de conoscer el curso de los negocios públicos: tampoco gozábamos de la consideración personal que inspira el brillo del poder á los ojos de la multitud,
y que es de tanta importancia en las grandes Revoluciones. […] Uncido
el Pueblo americano al tripe yugo de la ignorancia, de la tiranía y del
vicio, no hemos podido adquirir ni saber, ni poder, ni virtud.
340
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Fonti e Documenti. Rebellion, Resistance and Revolution Between the Old and the New World
With these words, Bolívar developed the explanation of the internal
Carta de Jamaica where – besides the condition of ignorance concerning «la ciencia
del gobierno y administracion del Estado» – he also pointed out the
economic subordination of the South-American people: they «no ocupan otro lugar en la sociedad que el de siervos proprios para el trabajo
y cuando mas el de simple consumidores» while even this status was
surrounded with «restricciones chocantes: tales son las prohibiciones del
cultivo de frutos de Europa, el estanco de las producciones que el rey
monopolize, el impedimento de las fábricas que la misma Península no
posee»1. The Libertador was denouncing not only the whole history of
by the Bourbon reformers since the middle of the 18th century. The
centralization of political power had been necessary in order to enact
the system of the «comercio libre y protegido»2 [Fisher 1996; Schwartz
1983] whose aim was that of granting the economic modernization of
the metropolis while avoiding the social transformation that it would
have determined. Through a system of monopolies inspired by the British Navigation Acts, the imperial government claimed to provide «la
protección de los fabricantes naturales y extranjeros, y su premio […]
guardándose mis providencias para que no perjudique á la nobleza», as
the ‘Prime minister’, Conde de Floridablanca, declared in his Instrucción Reservada3 [Rudan 2009]. The new economic course of the Empire was then to be enforced through an administrative reorganization
of the Imperial government [Barbier 1977; Kuethe and Blaisdell 1991]
and by a «recolonization of Indias», that is the «hispanization» of the himetropolis in order to strengthen its control over the colonies [Garriga
1
2
3
PAOLA RUDAN
Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people
341
2002, 781-821]. In denouncing imperial politics, Bolívar was interested
legislators towards their true task, i.e. that of ‘constituting the citizen’:
Un pueblo pervertido si alcanza su libertad, muy pronto vuelve a perderla; porque en vano se esforzarán en mostrarle que la felicidad consiste en
la práctica de la virtud; que el imperio de las leyes es más poderoso que
nas de las leyes; que el ejercicio de la justicia es el ejercicio de la libertad. Así, legisladores, vuestra empresa es tanto más ímproba cuanto que
tenéis que constituir a hombres pervertidos por las ilusiones del error, y
por incentivos nocivos. La libertad dice Rousseau, es un alimento suculento, pero de difícil digestión. Nuestros débiles conciudadanos tendrán
que enrobustecer su espíritu mucho antes que logren digerir el saludable
nutritivo de la libertad.
The link established by Bolívar between liberty and morality along
the path of Rousseau’s thought is crucial here [Scocozza 1978; Herren
1994]. According to the Author of the Social Contract, «To renounce
our freedom is to renounce our character as men […]. It is incompatible
with the nature of man; to remove the will’s freedom is to remove all
morality from our action»4. Thus, Rousseau established a conception of
self-determination as something possible only insofar as the law is internalized by the citizens, and this self-determination would be impossible
in a condition characterized by personal dependency and domination. A
free obligation can be realized only through the coincidence between the
particular wills of the individuals and the general will of the people, and
every individual who wants the general will is obeying only to himself.
However, Rousseau maintains a distinction between the will of all, that
is the sum of individual wills, and the general will willed by the people as
a unitary subject, since not every man is able to recognize his real good.
In order to be moral, man should silence his passions and transcend its
4
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immanent nature [Riley 1982, 99-100].
Once it is displaced from its ideal dimension and applied to the contradictory reality of Bolívar’s present time, Rousseau’s discourse is particularly useful for highlighting the Libertador’s understanding of liberty.
As he wrote in a letter to General Francisco de Paula Santander in 1821,
Bolívar believed that
el pueblo está en el ejército, porque realmente está, y porque ha conquistado este pueblo de mano de los tiranos; porque además es el pueblo
que quiere, el pueblo que obra y el pueblo que puede; todo lo demás es
gente que vegeta con más o menos malignidad, o con más o menos patriotismo, pero todos sin ningún derecho a ser otra cosa que ciudadanos
necesario desenvolverla para que no nos vuelvan a perder esos señores5.
Paradoxically, while he denies the practicability of Rousseau’s discourse,
for liberty are willing to be free. So, in 1816 he accordingly freed those
habrá, pues, más esclavos en Venezuela que los que quieran serlo»6. The
liberation of slaves, therefore, is not only necessary in order to empower
the army, but also as a symbolic turn which demonstrates to every individual that the possibility of freeing himself exists. This means that the
practicing their republican virtue. Citizenship, therefore, is not regarded
as something which depends on being born on Republican soil, but
on the choice of liberty. This same logic explains the aim of Bolívar’s
constitutional project for Venezuela. There he moved from the problem of the civil war and the lack of political unity that was completely
5
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Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people
343
underestimated by the authors of the 1811 republican constitution. In
fact, they had established a federal form of government based on the assumption that «las bendiciones de que goza son debidas exclusivamente
a la forma de gobierno y no al carácter y costumbres de los ciudadanos».
In proposing a centralized government, on the contrary, Bolívar believed
that «nuestra Constitución Moral no tenía todavía la consistencia necetativo, y tan sublime cuanto que podía ser adaptado a una República de
Santos». The constitution, the formal organization of the State, should
the circumstances, times and men which constitute it. This constitutional principle is clearly derived from Montesquieu, although it produces
another paradox at the crossroad between theory and practice, as in
fact virtue is conceived by Montesquieu as the principle of the Republican government. How is it possible, then, to establish a republican
government in a context where civil war is the symptom of an almost
complete lack of virtue in the people? An answer could be found just in
Montesquieu’s doctrine, insofar as he did not conceive virtue as a given
condition. Rather, virtue is the result of human nature as acting within
particular circumstances, which necessarily determine the life and action of a particular form of government. From this point of view, nature
is both the result and the condition of the relationship among things
Spirit of the laws. This dynamic conception of nature,
however, becomes secondary in Montesquieu’s climates theory, since it
«renaturalizes» nature and is, therefore, inconsistent with the modern ar7
[Postigliola 1992, 77]. Bolívar’s
perspective is therefore much more similar to that of Helvétius, who
was critical of Montesquieu’s approach. According to Helvétius, the relationship between the form and the content of government is inverted:
7
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. This conception helps to
explain why, according to Bolívar, the condition of the American peolitical order. The American people have lost even their desire to be free
since they have been subjected to the Spanish despotism. Accordingly,
a change in the form of government will allow to change the people
which is no longer conceived as the subject of the revolutionary process,
but rather as the forthcoming result of a constitutional revolution.
When Bolívar wears the gown of the legislator, therefore, he is not the
exceptional man who is able to know the general will of the people, as
conceived by Rousseau, but the one who must grant the coincidence
between private and public interest by acting upon human passions. The
constitution, then, is not the result of the revolutionary process, nor
8
Rather, the constitution is a disciplinary device which should realize the
revolution by creating its condition of possibility in future times. In this
perspective, human passions are not anymore a source of corruption,
but a tool to govern the individuals: the creation of the Orden de los Libertadores, the distribution of rewards and honors for the most virtuous
soldiers, the public ceremonies organized to celebrate their virtue and
to inspire citizens to emulate their virtuous behavior are only one of the
many examples that can be taken from Bolívar’s experiment. However,
the most striking aspect of his project of constituting the citizen is his
Poder moral, included in the constitution he drafted for Venezuela in
1819, and his Camara de Censores, proposed to the constitutional Congress of Bolivia in 1826 [Battista 1987]. Through these foundations, the
principle of the republican order, virtue, is institutionalized and the individual is subjected to laws prescribing the behavior that is required by
the Republican order as a whole. Virtue is embodied by some peculiar
characters – the father, the soldier, the worker, the enlightened man –
8
PAOLA RUDAN
Bolívar’s “Discurso de Angostura” and the constitution of the people
345
of its constitutional organization.
This process of building the republican individual explains Bolívar’s
conception of citizenship. In Angostura, he stated that
ses en un estado, en que la diversidad se multiplicaba en razón de la
propagación de la especie. Por este solo paso se ha arrancado de raíz la
cruel discordia.
The acknowledgement of individual rights is not only a revolutionary
discourse, but also a means to break the bonds of the colonial legacy.
Against the social structure of the ancient régime left untouched or used
by the Bourbon reformers to strengthen their domination on the colonies, Bolívar’s objective is that of turning the constitution, based on
equality, into an instrument of individualization the aim of which is to
thus reducing them to something which is politically irrelevant. For
the same reason, in his 1819 and 1826 constitutional drafts he does not
establish proprietary limits for the entitlement of political rights. Rather,
cuidadano. Citizenship, therefore, is conceived as a disciplinary device which aims at determining the
«nature» of the individual according to the imperative established by the
republican order. If Spanish absolutism reduced the Americans to passive citizens, so the Republic will turn them into active citizens, at least
Thus, Bolívar followed the path laid out by Jeremy Bentham, which
9
. Both
believed that the constitution of a state should realize a system of government «que produce mayor suma de felicidad posible, mayor suma
de seguridad social y mayor suma de estabilidad política». Yet, while for
9
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Bentham the constitution was to improve and organize, manage and
«maximize» social forces and dynamics already existing, and to protect
them from contradictions that may emerge from within society itself,
like indigence [Rudan 2013], for Bolívar the constitution has to ma«un cuerpo político y aun se podría decir [...] un sociedad entera». The
constitution as a code, as the formal legal organization of the State, depends entirely upon the disciplined and disciplining process of constituting the individuals. Thus, looking at the recollection of his experience
provided by Bolívar in the Discurso de Angostura
to conceive of the constitution as «the end» of the revolution, to recall
Napoleon’s famous words10 [Schnur 1983, 97; Ricciardi 2001, 90]. The
constitution is not the expression of the constituent will of a unitary
subject founding the new, independent, sovereign State [Schmitt 1928;
Galli 2010, 589]. Rather, the ‘people’ which was assumed as the subject
of the revolution and the citizens who were called to take the place of
the subjects of the former imperial order were to be created through a
process of institutionalization and constitutionalization which is one of
the most important features of the Bolivarian experience.
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Sources
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PAOLA RUDAN
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comunicare
Storia
Da Algeri a Santiago del Cile.
Circolazione delle idee e controrivoluzione
nello spazio Atlantico
Mirko giancola
Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales
(EHESS)
Il saggio analizza la circolazione delle idee in materia di “guerra irregolare” tra Francia, Stati
Uniti e Cile dopo la Seconda guerra mondiale. Il contesto internazionale della guerra fredda
è caratterizzato dall’emergere della guerra irregolare come paradigma dei conflitti moderni.
L’impiego di tecniche eterodosse da parte dei movimenti di guerriglia provoca il disorientamento
degli eserciti professionali, inducendoli alla ricerca di soluzioni in grado di stabilizzare la situazione. Più che dimostrare le origini di ciascuna dottrina, il saggio analizza la loro derivazione
da un complesso circuito di sistematizzazione teorica, risultante da una tensione continua tra
elaborazione locale e circolazione globale. La presenza di elementi comuni in diversi contesti
nazionali, malgrado l’assenza di una comprovata volontà di collaborazione ufficiale tra paesi,
mostra la capacità di circolazione delle idee attraverso canali diversi da quelli istituzionali.
L’obiettivo di questo studio è di analizzare le dinamiche di tale circolazione nell’ambito della
contro-rivoluzione e di considerare il ruolo delle reti sociali nei processi di comunicazione.
This essay focuses on the circulation of ideas on ‘irregular warfare’ matters between France, the United States and Chile, after World War II. The international environment of the
Cold War is characterized by the emergence of irregular warfare as the paradigm of modern
conflicts. The employment of heterodox techniques of guerrilla provokes the disorientation
of professional armies, who start looking for measures to stabilize the situation. More than
showing the origins of each doctrine, our aim is to discuss the fact that these doctrines are the
product of a complex process of theoretical analysis resulting from a tension between local
elaboration and global circulation. The fact that common elements can be found in different
national contexts despite the inexistence of any formal collaboration between countries, demonstrates that ideas can circulate through non-institutional channels. In the light of this, the
objective of this study is to evaluate the dynamics of such circulation in the field of counterrevolution, and to look at the networks underlying this process of communication.
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introduzione
librio internazionale basato sul principio del bipolarismo e dettato dai
ritmi dello scontro a distanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Sulle
ceneri di un’Europa devastata dalla guerra, i popoli di quello che allora
tà di autodeterminazione contro vecchi e nuovi imperi. Accecati dal
“Sol dell’avvenire”, i cui raggi sembravano minacciosamente superare
la “Cortina di ferro”, i dominatori di un tempo confondono quelle che
sono espressioni di una volontà di liberazione nazionale con manovre
1
s’impongono come paraeserciti regolari e forze ribelli. Disorientati dalle tecniche elaborate dai
guerriglieri, gli eserciti professionali si mettono alla ricerca di soluzioni
in grado di stabilizzare la situazione.
Oggetto di questo studio sono per l’appunto le dottrine di guerra irregolare o, come veniva chiamata allora: “guerra contro-rivoluzionaria”2.
zioni preliminari. La nostra ricerca parte dal presupposto che ciascuna
delle diverse dottrine analizzate non nasca in un ambiente asettico, ma
all’interno dell’ambiente militare internazionale. All’interno di questo
1
sulla popolazione(i) interessata(e). La guerra irregolare predilige un approccio indiretto
e asimmetrico, anche se può utilizzare l’intera gamma delle risorse militari e non, al
Department of Defense Dictionary of Military and Associated Terms, Washington DC, 8
Nov. 2010.
Department of Defense Dictionary of
Military and Associated Terms, Washington DC, 8 Nov. 2010.
2
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
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centri spazio-temporali in cui il processo di elaborazione teorica si accentua a causa delle necessità contingenti: è il caso del Sud-est asiatico
anni successivi. Il nostro studio sarà dunque dedicato alla circolazione
delle idee in materia di guerra irregolare tra Francia, Stati Uniti e Cile
Si tratta naturalmente di un caso esemplare che non accampa in alcun modo pretese di completezza ma che speriamo possa fornire un
utile spunto di ricerca in questo settore di studi. D’altra parte, la scelta
del soggetto è stata condizionata anche da una serie di fattori legati
ad eventi odierni, che hanno riportato al centro dell’attenzione i temi
qui proposti. Da una parte, le dichiarazioni rilasciate dall’ex membro
dei servizi segreti francesi Paul Aussaressess3 sull’utilizzo della tortura da
parte dell’esercito francese hanno scosso l’opinione pubblica d’oltralpe,
riaprendo la ferita mai rimarginata della Guerra d’Algeria. Dall’altra, l’ual terrorismo” alla “primavera araba”, rendono estremamente concrete e
militari cileni, si tratta di un terreno in gran parte inesplorato in cui lo
sguardo degli studiosi, nella migliore delle ipotesi, non supera la prospettiva continentale.
All’interno del saggio, un’attenzione particolare è riservata agli attori
di questo processo di circolazione del sapere. Si tratta di gruppi relativamente ristretti di esperti, ma caratterizzati da una forte mobilità gemostrare in questa sede non è tanto la paternità o le origini di ciascuna
dottrina, quanto il loro derivare da un complesso circuito di sistema-
3
L’accablante confession du général Aussaresses sur la torture en Algérie, «Le Monde», 3
Mai 2001.
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tizzazione teorica, risultante da una tensione continua tra elaborazione
locale e circolazione globale. La presenza di elementi comuni in diversi contesti nazionali malgrado l’assenza di una comprovata volontà di
delle idee attraverso canali diversi da quelli istituzionali. Concentrare
l’attenzione sugli agenti di tale scambio di idee richiede tuttavia degli
proccio relazionale” sfruttando idee e suggestioni della “social network
analysis”4. Si tratta di una metodologia elaborata in ambito sociologico,
che tuttavia crediamo si riveli estremamente utile all’interno di studi sto“tradizionali” scoraggia la ricerca. Ancora una volta le risorse a nostra
disposizione hanno impedito la realizzazione di una ricerca completa
ed esaustiva in questo senso; abbiamo ritenuto tuttavia utile mostrare
qui presentata.
Dal Vietnam all’algeria: l’impero di fronte alla decolonizzazione
della Terza Repubblica e del regime di Vichy inizia la costruzione della
Quarta Repubblica, nel segno di una forte instabilità accentuata dalla
problema fondamentale è quello di determinare il ruolo delle Forze Armate all’interno del nuovo scenario politico del Paese; tema di non facile
social network analysis (analisi delle reti sociali) è una metodologia sociologica fondata sulla teoria delle reti, la quale concepisce le relazioni sociali in termini di
«nodi» e «legami». I nodi corrispondono solitamente agli attori sociali all’interno delle
reti, ma possono anche rappresentare delle istituzioni e i legami sono le relazioni che
intercorrono tra di essi.
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
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soluzione, considerando la scarsezza dei fondi a disposizione e il risentimento nutrito verso le Forze Armate da larghi settori della società civile,
che gli attribuiscono la responsabilità dei traumi subiti durante l’ultimo
bra aprire nuove prospettive agli uomini d’arme francesi [Doise-Vaisse
1992]. In un’atmosfera politica e culturale di patriottismo esacerbato
una causa “patriottica” piuttosto che come il relitto di un passato in decadenza. Imbevuti della retorica della “missione civilizzatrice” [Ranalet-
mento proveniente dall’esterno [Ruscio 1995].
nisce per delegare alle Forze Armate il compito di raggiungere i suoi
principali obiettivi: sicurezza e integrità territoriale, re-indirizzamento
economico e ristabilimento del prestigio internazionale. Nel corso degli
della politica governativa, a veri e propri “decisori” nella gestione dei
territori occupati. La tendenza verso una maggiore autonomizzazione e
politicizzazione delle Forze Armate trova un incentivo nelle rivolte crescenti presso le colonie; di fronte a tale situazione, i vari governi si mostreranno piuttosto permissivi nei confronti d’iniziative personali e for-
l’esigenza di un rinnovamento del sistema di difesa e di addestramencambiate dopo il 1939, tanto nell’aspetto strategico-materiale quanto in
quello concernente la dimensione dottrinaria. Da tale esigenza prende
avvio il processo di elaborazione teorica che porterà alla nascita della
Doctrine de la Guerre Révolutionnaire (DGR).
La Guerra d’Indocina rappresenta un punto di svolta in questo senso.
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La guerra vera e propria scoppia nel Dicembre del 1946, quando in seguito al bombardamento del porto di Haiphong da parte della Marina
Francese, i Viêt Minh sferrano un attacco volto a riprendere il controllo
della città di Hanoi, da cui era stata proclamata l’indipendenza l’anno
precedente e che nel frattempo era stata recuperata dall’Esercito francese.
lare vietnamita, creato dai Viêt Minh, il quale riesce progressivamente
a imporre una guerra di guerriglia, sfavorevole all’esercito francese. A
delle dinamiche della Guerra Fredda. In seguito alla guerra di Corea,
l’attenzione del fronte anticomunista si dirige verso l’estremo oriente.
La Francia cerca di far passare agli occhi dei suoi alleati quella che è di
fatto una guerra coloniale, per una lotta contro il comunismo globale, in
difesa dell’Occidente. In tal modo inizia il coinvolgimento statunitense
nelle questioni vietnamite.
di quanto possano apparire a un primo sguardo. Se Inghilterra e Francia
mirano a ristabilire il loro controllo nella regione, perduto durante la
Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti mettono in opera una politica
più fumosa, cambiando spesso alleanze e campo di battaglia. L’atteggiamento statunitense irrita il comando francese, preoccupato di «evitare
2008]. Benché nell’ambito di una collaborazione di fondo con l’alleato statunitense, l’Armée cerca dunque di formare in maniera autonoma
un proprio sistema di contro-guerriglia, che vedrà la luce col nome di
Groupement de Commandos Mixtes Aéroportés (GCMA). Come spiegato
dal colonnello Trinquier, la missione del GCMA «era ricalcata su quella
del Service Action durante la guerra ’39-’45, in altre parole: creazione di
maquis5
5
destini.
-
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
357
sione» [Trinquier 1976].
In ogni caso, nonostante la superiorità tecnica e strategica, l’esercidi Diên Biên Phu rappresenta un vero e proprio trauma per i militari
[Ruscio-Tignères 2005]. Incapaci di comprendere gli eventi, i militari
francesi cominciano a leggerli in maniera distorta, reinterpretando la
ria. Piuttosto che nella volontà di liberazione dei popoli colonizzati o nei
mutamenti della politica internazionale – che rendevano assolutamente
anacronistica la continuità degli imperi coloniali – i militari cercano le
canza di sostegno da parte della popolazione francese e, soprattutto, in
un presunto ritardo dell’esercito nell’adeguarsi alle tecniche di combat-
lanciano nello studio delle opere di Mao e Ho Chi Minh, persuadendosi
di aver fatto una scoperta sensazionale: la Guerre Révolutionnaire6.
Secondo i teorici della DGR, la Francia sarebbe coinvolta in una nuova
nenti» e «Totali»7. Tale guerra si combatte infatti su tutto lo spazio del
è nemmeno nel tempo e ciò in ragione del fatto che l’aggressione psicologica, che ne costituisce l’elemento predominante, non distingue tra
6
2522/1: Conférences et exposés, La guerre révolutionnaire, Conferenza tenuta a Lione da
un veterano della guerra d’Indocina, sept. 1958.
Instruction provisoire sur l’emploi de l’arme psychologique,
approvato dal generale Ely, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, 29 Luglio
1957.
7
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tempo di pace e tempo di guerra. Totale è poi da intendersi nel senso di
“totalità umana”, poiché la battaglia si estende ai cuori, agli spiriti, alla
volontà degli uomini. Secondo una famosa massima di Mao, «la popolazione civile rappresenta, per gli eserciti, ciò che l’acqua rappresenta per
i pesci» [Tse-Tung 1964]. Se la natura della nuova guerra appare relativamente semplice nelle sue caratteristiche principali, l’individuazione
del nemico lo è in misura ancora più grande. Si tratta del Comunismo
Internazionale, visto come una sorta di mostro marino che dal quartier
generale di Mosca allungherebbe i suoi tentacoli sui popoli del Terzo
Mondo. Troviamo qui, probabilmente, l’abbaglio più grande dei teorici
della Doctrine de la Guerre Révolutionnaire, ossia la convinzione che quazazione, insurrezione nazionale, rivoluzione religiosa ecc. – la sua radice
sia sempre la stessa: l’azione del Comunismo Internazionale guidato da
Mosca, che sfrutta in maniera utilitaristica i popoli del Terzo Mondo per
portare a termine il suo piano di conquista del mondo [Ruscio 1995].
Una volta compresa la natura intima della strategia comunista, si trattaDoctrine de la Guerre Révolutionnaire, elaborata in maniera simmetrica a quella
che si riteneva fosse la strategia comunista. Lo studioso americano Peter
Paret parla a questo proposito di «immagine dello specchio», sottolineando il divario esistente, all’interno del pensiero militare francese di
quegli anni, tra una visione della rivoluzione assolutamente limitata e
l’elaborazione di una teoria controrivoluzionaria estremamente precisa e
dettagliata [Paret 1964]. La nuova dottrina s’impone a metà degli anni
Cinquanta come il principale paradigma dottrinario all’interno dell’esercito francese.
Ma se da una parte la Guerra d’Indocina rappresenta il momento del
trauma e della presa di coscienza, cui seguono i primi tentativi di risposta da parte dell’esercito francese, è nella Guerra d’Algeria che possiamo
osservare una completa realizzazione dei principi della DGR. Incapace
di contenere la rivolta capeggiata dal Front de Libération National (FLN),
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
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il governo parigino delega progressivamente ai militari la condotta delle
operazioni. La nomina del generale Salan a capo delle operazioni nel
1956 mobilita un largo contingente di veterani della Guerra d’Indocina,
per lo più convinti sostenitori della DGR. È il generale Aillard, a capo
dei militari di stanza ad Algeri, a fornirci una descrizione piuttosto eloquente del lavoro svolto dall’esercito francese nella capitale algerina, in
occasione di una conferenza tenuta presso la sede parigina della NATO
nel 1957.
Una prima fase, denominata di «Distruzione» consiste innanzitutto nello smantellamento e nella soppressione delle reti politico-amministrative
ribelli. Distruggere tali organizzazioni multi-tentacolari vuol dire restituire la libertà alle popolazioni controllate, liberarle dal condizionamento
di tutte le forze legali poste sotto un comando unico: Forze Armate, polizia e servizio d intelligence. In secondo luogo occorre procedere all’annichilamento dei gruppi armati ribelli che hanno il compito precipuo
di organizzare attentati e operazioni spettacolari contro le forze legali, al
mostrare la propria forza demoralizzando le forze legali. La distruzione
di tali bande, da condursi secondo un piano essenzialmente militare, ascomporta nel caso di terreni accidentati o all’interno di un centro urbano. A tali esigenze si potrà rispondere con un’adeguata organizzazione
delle truppe, dividendosi in unità combinate appoggiate dall’aviazione
Una volta assolti tali compiti si passerà alla fase di «Costruzione» ossia al
sociale. Secondo il generale Aillard ciò richiede innanzitutto una ricostruzione di una rete di rapporti con la popolazione e di un rapporto di
della popolazione, creazione di gerarchie all’interno della società, so-
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mi educativi, lo stabilimento di un sistema di autodifesa e l’impiego di
forze ausiliari autoctone, a combattere la battaglia contro la rivoluzione
[Déon 1959].
All’interno di tale strategia, un ruolo centrale è rivestito dalla dimensioteorica della DGR. Benché il concetto di “Guerra psicologica” permeasse tutti i settori dell’esercito francese, ad essa era dedicata una divisioArmée, denominata 5° Bureau. Nella guerra
d’Algeria, tale divisione svolge due compiti essenziali:
ԥ Action psychologique, consistente nel mantenere uno stato di benessere
ԥ Guerre psychologique
versario, attraverso la sottrazione dei propri sostenitori e l’abbattimento
del morale delle proprie truppe [Sourys 1959].
Naturalmente gli incarichi del 5° Bureau potevano coinvolgere diversi
momenti e aspetti della guerra. I suoi membri parteciparono a diversi
tipi di operazioni, dagli attacchi a punti chiave del FLN, al rastrellamendegli avversari catturati. Su quest’ultimo aspetto, considerato di centrale
importanza in una guerra che si riteneva soprattutto ideologica, si cond’Algeria. Generalmente, si riteneva che la rieducazione di un prigioniero richiedesse un totale isolamento dal mondo esterno; per questo
una volta catturati, i prigionieri algerini erano internati in appositi campi. Tali campi erano parte integrante del sistema giudiziario inaugurato durante la guerra stessa, all’interno della quale il normale apparato
giudiziario pareva inadatto a fronteggiare le condizioni introdotte dalla
Guerre Révolutionnaire.
I campi in questione erano di due tipi:
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
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ԥ Centre de triage et de transite (CTT), utilizzato come punto di raccolta
e smistamento dei prigionieri;
ԥ Centre d’hébergement.
Nei CTT vi era una prima divisione dei prigionieri, secondo il loro
coinvolgimento nella lotta rivoluzionaria, sulla base della quale erano
raggruppati in tre gruppi: Rossi, direttamente inviati a processo; Bianchi, liberati «nell’ambito delle possibilità»; Rosa, contro i quali non vi
erano prove certe di coinvolgimento, ma che tuttavia rimanevano soggetti pericolosi. I membri di quest’ultima categoria erano inviati nei
centres d’hébergement, dove si cercava di convertirli pienamente alla causa
francese [Paret 1960]. Il sistema dei campi era supervisionato da un presubordinati provenivano generalmente dal 5° Bureau. Di centrale impor-
rieducazione di un gruppo di prigionieri. Il primo passo nel processo di
rieducazione consisteva nel “disintegrare l’individuo”; il prigioniero era
isolato, le sue paure e i suoi sensi di colpa erano portati alla luce e manipolati dal monitor, il quale lo spingeva a rinnegare il proprio passato e a
riconoscere i propri errori. Tale fase di lavage de crâne, era seguito da un
periodo di bourrage de crâne, durante il quale si cercava di far assimilare ai
prigionieri, il punto di vista delle Forze Armate sulla storia, la cronaca e
po disciplinato di prigionieri convertiti alla causa francese, con i quali
partecipava attivamente alla campagna contro il FLN.
la ribellione algerina un focolaio rivoluzionario di matrice marxista –
tocca il suo apice nel 1957 con la cosiddetta Battaglia di Algeri, dove
si pone in atto un’opera di repressione sistematica della guerriglia che
I successi militari ottenuti in Algeria oscurarono, almeno agli occhi dei
militari, il fallimento politico della questione algerina. Persuasi di esse-
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Comunicare Storia
re ormai gli unici in grado di gestire la situazione contro un governo
paese, con la formazione dell’organizzazione militare clandestina Organisation de l’Armée Secret (OAS), processo che culmina nel tentativo di
putsch del 1961. La neonata Quinta Repubblica guidata dal generale De
dell’indipendenza.
In quegli stessi anni, all’applicazione pratica della nuova dottrina si acfa della DGR la protagonista assoluta della letteratura militare francese
degli anni Cinquanta8. I veterani delle guerre d’Indocina e Algeria cominciano a mettere in ordine le loro esperienze, ricavandovi saggi spe[Trinquier 1961]. Tuttavia, l’egemonia della DGR, unitamente alla forte
politicizzazione delle Forze Armate, costituisce un ostacolo sulla strada
della riorganizzazione dello stato avviata dal presidente De Gaulle. Bisogna liberarsi dei propagandisti della DGR al più presto e ristabilire la
a tale corrente da parte loro, si sentono irrimediabilmente traditi dalla
madrepatria e sono ben disposti ad allontanarsene, almeno in maniera
provvisoria. In questo senso, la richiesta di esperti di guerra non convenzionale rivolta dagli Stati Uniti al governo francese all’inizio degli anni
Sessanta arriva nel momento più opportuno [Robin 2004].
gli Stati uniti: gli allievi si fanno maestri
Prima di analizzare la collaborazione franco-statunitense in tema di
guerra irregolare, riteniamo utile una breve digressione sulla politica
8
litaire générale».
-
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
363
quale si inserisce il contributo francese. Quando nel Gennaio del 1961
il neoeletto presidente John Fitzgerald Kennedy fece il suo ingresso alla
Casa Bianca, il pericolo rappresentato dalle guerre irregolari era già considerato molto seriamente a Washington. Il processo di decolonizzazione che attraversa il mondo negli anni Cinquanta imprime una dinamica
nuova al corso della Guerra Fredda. Particolari preoccupazioni suscitano
nel Dicembre del 1957, secondo cui l’Unione Sovietica avrebbe ben presto superato gli Stati Uniti in termini di aiuto ai paesi in via di sviluppo.
La risposta a tale minaccia viene trovata nell’impiego delle Forze Armate dei paesi in via di sviluppo, come corridoio principale di trasmissione
di riforme socio-economiche e di sviluppo [McClintock 1992].
Nel 1959 viene dunque creata la Banca Interamericana di Sviluppo
(IDB), mentre il Dipartimento di Stato sviluppa un programma di assistenza militare rivolto a favorire un’integrazione di sicurezza interna e
sviluppo economico. È la nascita della National Security Doctrine (NSD)
nella sua versione nord-americana, perno ideologico dell’amministrazione Kennedy. L’evolversi degli eventi sulla scena politica internazio9
che il suo governo si mostri particolarmente sensibile ai problemi legati
Taylor, nominato suo consigliere, Kennedy e soprattutto il nuovo segretario della difesa Robert McNamara, arriverà a stabilire una priorità della
strategia contro-rivoluzionaria su quella nucleare, considerata eccessivamente rischiosa [Freedman 1983]. Questa nuova attitudine porterà
all’avvento di quella che Blaufarb chiama «era della contro-insurrezione»
9
come più tardi quando si troverà ad esprimersi sulla questione Algerina, il presidente
americano aveva mostrato un atteggiamento fortemente anticoloniale. Ciò lo rendeva
particolarmente sensibile a quella che si supponeva essere una strumentazione sovietica
dei movimenti di liberazione nazionale.
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Comunicare Storia
[Blaufarb 1977].
di esuli cubani addestrati dalla CIA di conquistare la parte sud-ovest
Castro – accresce le preoccupazioni del governo che cerca di correre ai
ripari istituendo una commissione d’inchiesta sull’accaduto, presieduta
da Maxwell Taylor. Dal comitato Taylor emerge, nel gennaio del 1962,
lo Special Group (Counter-insurgency) [SG (CI)], incaricato di svolgere
un’attività di sorveglianza sulle azioni insurrezionali, considerate al pari
delle guerre convenzionali10. L’attività del gruppo si dirige inizialmente
verso i soli territori del Laos e della Thailandia, rivolgendo più tardi la
sua attenzione all’America Latina e al Medio Oriente. In marzo, un altro
memorandum
della difesa, una formazione in tema di contro-insurrezione11. Nell’ambito di un’accelerazione nella formazione alla guerra irregolare, la priorità assegnata allo sviluppo economico dei paesi in via di sviluppo è confermata dalla nomina di Walt Whitman Rostow – celebre economista
che aveva preso parte al Piano Marshall – come consigliere aggiunto alla
sicurezza nazionale. Altra tappa fondamentale in questo processo di “sostegno” dei governi amici è la creazione dell’Office of Public Safety (OPS)
sotto la direzione dell’ex OSS Byron Engle12. Tale organismo svolgerà
un ruolo essenziale in termini di formazione delle forze di polizia alleate,
in particolar modo in Vietnam e America Latina, attraverso l’International Police Academy creata nel 1963.
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12
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
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sulle Special Forces13, sostenute con forza dal presidente Kennedy che
si reca appositamente a Fort Bragg, ribattezzata per l’occasione Special
Warfare Center (SWC). Fort Bragg si conferma dunque come tempio
una serie di agenzie civili che apportano un bagaglio di conoscenze
Sessanta lo Special Operations Research Office (SORO), che realizza numerosi studi teorici sulla contro-insurrezione per conto del centro di
Johns Hopkins University diventa Reserch Analysis Corporation (RAC),
che stipula un contratto con l’esercito e mobilita una serie di esperti civili della guerra non convenzionale, il cui ruolo sarà analizzato più avanCorporation, anch’essa impiegata nella ricerca
teorica in materia contro-insurrezionale. L’amministrazione Kennedy
taria all’interno delle Forze Armate statunitensi, un pilastro della difesa
nazionale americana. Ne risulta un complesso contro-insurrezionale articolato in tre settori: politico (CIA e Special Group (CI)), militare (Fort
Bragg) e universitario (SORO, RAC e RAND). I tre settori lavorano in
simbiosi con l’obiettivo di recuperare il ritardo, denunciato da Kennedy
e dai suoi collaboratori, in materia di guerra non convenzionale. È su
hoc, che va ad installarsi l’apporto della cultura francese alle teorie di
contro-insurrezione statunitensi.
In realtà primi episodi di collaborazione militare tra Stati Uniti e Francia
in materia di guerra irregolare risalgono ai primi anni Quaranta [Tenenbaum 2009]. Già nel corso dell’occupazione nazista della Francia,
gruppi misti franco-britannico-americani chiamati Jedburghs si erano
adoperati nell’organizzazione di operazioni di guerriglia in appoggio
Development of Counter-guerrilla Forces. Feb 3, 1961.
<http://www.jfklibrary.org/Asset-Viewer/B3leMaWRSkOnvMDbjd00Cw.aspx>
13
366
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Comunicare Storia
alla resistenza francese [Irwin 2008]. Tale collaborazione si rinnova e
proprio in questa regione che secondo lo storico della guerra irregola-
la dottrina di contro-insurrezione che ne deriva [McClintock 1992].
Questa prassi di collaborazione serve a intessere una rete di amicizie e
conoscenze tra i soldati dei due eserciti, che si rivelerà fondamentale nel
momento in cui si tratterà di sviluppare un’azione congiunta contro il
nemico comune rappresentato dal Comunismo. Tuttavia, lo “scambio
atlantico” in tema di guerra irregolare non si limita alla sola collaborazione militare su campi di battaglia comuni. Si tratta piuttosto di una
dinamica complessa che si articola su di un piano politico, militare e
culturale, in cui l’apparato civile riveste un’importanza pari se non superiore ai militari stessi.
Sul terreno istituzionale, ad aprire la strada all’attività di collaborazione
franco-americana sono una serie di accordi bilaterali, i quali prevedevano dei periodi di addestramento dei soldati di un paese negli istituti del
dell’École Supérieure de Guerre proprio negli anni in cui questa si costituisce come il principale vettore di trasmissione della DGR [Péries 1999].
Uniti a metà degli anni Cinquanta, chiamati a svolgere delle conferenze
sul tema della guerra irregolare, come fu il caso di Roger Trinquier e
Charles Lacheroy. Tuttavia, è a partire dal 1952, con la creazione della
Officiers de liaison instructeurs (OLI), che si stabilisce un vero
e proprio canale di trasmissione sulla guerra irregolare tra la Francia e gli
anni Cinquanta il generale de Bary – aggiunto militare presso l’ambasciata francese negli Stati Uniti – pensa di sfruttare a vantaggio del pro-
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
367
prio paese le conoscenze accumulate dall’esercito francese in Indocina e
Algeria, lanciando l’idea di una serie di seminari sulla guerra irregolare
da tenere nei centri di addestramento militare statunitensi. Nel 1961 è
Paul Aussaresses – ex Jedburgh, veterano d’Indocina e Algeria, dove lavorava per i corpi speciali francesi – a essere nominato OLI nel centro di
Fort Benning e più tardi a Fort Bragg [Aussaresses-Deniau 2008].
Uniti proviene dal mondo accademico statunitense, dove ben presto nasce un forte interesse per la guerra non convenzionale, specie durante
questo tipo di ricerche. Tra i diversi istituti che nei primi anni Sessanta sono impegnati nella realizzazione di analisi e ricerche sulla guerra
irregolare, la RAND Corporation rappresenta sicuramente il caso più
importante [Long 2006]. È presso questo istituto che lavorano alcuni
tra i principali analisti statunitensi della DGR – spesso ex militari di
origine francese – quali Constantin Melnik e David Galula. Tuttavia, il
personaggio chiave in questo senso è senza dubbio Bernard Fall, unanimemente considerato come il principale esperto statunitense delle due
guerre del Vietnam, il cui prestigio nel mondo accademico statunitense
[Gosha-Vaisse 2003].
li statunitensi mostreranno negli anni successivi le loro doti di maestri.
A partire dagli anni Sessanta un intenso programma di addestramento
di militari stranieri sarà messo in atto da parte del governo americano,
deciso a giocare d’anticipo sullo scacchiere degli equilibri internazionali. Le dottrine elaborate in questo periodo saranno quindi trasmesse
ai militari dei paesi alleati che provvederanno a integrarle nei rispettivi
ambienti nazionali. Tradizionalmente, la politica estera americana si era
mossa in un’ottica di “integrità continentale”. Il Tratado Interamericano de
Asistencia Reciproca
successivi rivelano la strategia di “difesa emisferica” che gli Stati Uniti
368
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Comunicare Storia
questo periodo tuttavia, ritenuto ormai improbabile un attacco diretto
dell’URSS sul continente americano, gli Stati Uniti concentrano i loro
sforzi verso il mantenimento dell’ordine interno agli stati latinoamericani [Veneroni 1973]. Spaventati dal ripetersi dell’esperienza cubana, che
territorio americano, gli USA avviano una politica di re-orientamento
delle forze armate in funzione contenitiva delle tendenze progressiste
presenti in America Latina. Si tratta di una politica ad ampio raggio
conosciuta con il nome di Flexible Reponse [Taylor 1960], che va dalla
promozione di politiche di sviluppo all’attività di propaganda anticomunista; dall’addestramento di militari latinoamericani sulle tecniche
della guerra non convenzionale alla vendita di armamenti; dalle pressioni
economiche per mezzo di organismi internazionali ad atti di sabotaggio
e promozione di governi favorevoli agli interessi degli USA [Kornbluh
2003].
la
: tra tradizione locale e
Le responsabilità degli Stati Uniti nella vita politica dei paesi latinoamericani tra gli anni Sessanta e Settanta è innegabile e generalmente acnumerosi analisti a farne la causa esclusiva del fenomeno del militarismo
in America Latina. In tal modo si sono spesso ignorati i fattori endogeni
su tali contesti [Roquié 1982]. In tal senso il caso del regime militare cileno è illuminante. L’11 Settembre 1973 il governo progressista di
Salvador Allende è rovesciato da un colpo di stato militare guidato dal
generale Augusto Pinochet. L’intensa partecipazione degli Stati Uniti
nell’organizzazione e nello sviluppo del golpe è largamente documentato
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
369
e dimostra il ruolo fondamentale degli USA nel determinare questa fase
politica del Cile14. Ben più trascurato è il processo di evoluzione interna
dell’esercito e della società cilena nella seconda metà del ventesimo secolo. L’analisi di tale processo rivela tutto il peso delle dinamiche locali
nello sviluppo politico e sociale del paese andino. Allo stesso modo, tale
consentendoci di smontare alcuni luoghi comuni su questo tema. Su
questa scia si pongono gli studi di Genaro Arriagada Herrera, il quale
rivela l’esistenza di una componente anticomunista presente all’interno
dell’esercito cileno ben prima dell’avvio delle politiche di condizionamento degli USA [Arriagada Herrera 1986]. Allo stesso modo, alcuni
brillanti studi realizzati dalla Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales (FLACSO) hanno rivelato l’inconsistenza del mito di un presunvigilia del golpe del 1973 si parlasse di “eccezione cilena” rispetto alla
tendenza d’interventismo mostrata da gran parte delle Forze Armate latinoamericane [Varas-Aguero-Bustamante 1980].
no i semi della controrivoluzione. L’apparato dottrinario che in questi
anni domina il pensiero delle Forze Armate in America Latina – e che
proprio nel Cile di Pinochet trova uno dei suoi momenti di maggior
cristallizzazione – prende il nome di Doctrina de la Seguridad Nacional
paragonabile a quella dedicata alla DGR. Tuttavia, alcuni brillanti saggi
di studiosi latinoamericani [Comblin 1979], nonché le testimonianze
delle vittime del regime raccolte dalle commissioni parlamentari istituite al momento del ritorno alla democrazia15, ci permettono un confronto
Operations with
respect to Intelligence Activities, Covert Action in Chile 1963-1973, GPO, Washington
DC, Dic. 1975.
14
15
Informe de la Comision Nacional de Verdad y Reconciliacion (Informe Rettig), Se-
370
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Comunicare Storia
interessante con le teorie elaborate dai francesi e dagli statunitensi nei
due decenni precedenti. Anche qui, come nel caso statunitense, vi è la
presenza di evidenti analogie tra le pratiche degli organismi di repressione cileni e le teorie proposte dai teorici francesi della DGR. Nel suo
pioneristico studio sulla DSN, José Comblin individua quattro concetti
principali intorno ai quali si articola la dottrina: gli Obiettivi Nazionali, la Sicurezza Nazionale, il Potere Nazionale e la Strategia Nazionale
stilare una lista di Obiettivi nonostante le diverse declinazioni nazionali,
tali obiettivi presentano una sorprendente generalità e somiglianza tra di
loro. Ciò è dovuto al fatto che nella DSN tale lista trae origine dalla strategia di guerra e non viceversa. Di conseguenza, l’obiettivo principale
resta l’annientamento del nemico comunista, rispetto al quale gli altri
obiettivi agiscono in maniera strumentale. In generale essi si possono
raggruppare in tre categorie:
L’appartenenza al complesso dei valori occidentali, siano essi indicati
col nome di democrazia, umanesimo o cristianesimo;
L’idiosincrasia nazionale;
Sovranità e indipendenza territoriale, autodeterminazione, integrità
nazionale.
La Seguridad Nacional è invece il concetto che sta alla base dell’omonima
dottrina; in essa si può riassumere l’insieme degli obiettivi nazionali. Si
tratta di un concetto che rimane tuttavia abbastanza vago; il brasiliano
Seguridad Nacional è
la garanzia fornita dallo Stato per la conquista o la difesa degli obiettivi
nazionali, malgrado gli antagonismi e le pressioni [avverse]» [Gurgel
1975]. Si tratta dunque della capacità della Nazione, grazie ai mezzi forniti dallo Stato, d’imporre il perseguimento dei propri obiettivi naziona-
cretaria de Comunicacion y Cultura, Santiago, 1991. Informe de la Comisión Nacional
sobre Prisión Política y Tortura (Informe Valech).
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
371
comprendere la natura di tale concetto, al di fuori del contesto della
Guerra Fredda. In sostanza la sicurezza nazionale è pensata in diretta
opposizione al pericolo comunista, costituendosi come la capacità dello stato di opporsi a tale pericolo, ovunque esso si presenti. In forza di
tale opposizione, la Seguridad Nacional apporta dei cambiamenti radicali
ciale. Essa elimina innanzitutto ogni distinzione qualitativa tra utilizzo
i mezzi utilizzati per conseguirli passano in secondo piano. In nome
della sicurezza sparisce la frontiera tra guerra e diplomazia, in una fusione di strategie che vanno dall’uso della violenza diretta alla pressione
economica e psicologica. Allo stesso modo perdono di validità i limiti
tracciati dalla Costituzione, qualora questi costituiscano un ostacolo al
raggiungimento della sicurezza nazionale. In secondo luogo, scompare
la distinzione tra nemico esterno e interno; il nemico è sempre lo stesso
ed utilizza le risorse della nazione contro lo stato incaricato di amminiventiva; l’imperativo di sicurezza legittima l’uso della violenza preventiva
in vista di un pericolo futuro. La sicurezza nazionale interessa dunque
ogni ambito del vivere associato; il germe della sovversione può nascondersi in ogni angolo della nazione e in ogni angolo va combattuto
ed annientato; tanto nella vita politica come in quella economica, nel
come Potere Nazionale, che costituisce il terzo elemento della DSN.
«Il Potere Nazionale è lo strumento della Politica Nazionale per raggiungere gli Obiettivi Nazionali» [Gurgel 1975]. Si tratta, insomma,
dell’insieme di risorse di cui dispone lo Stato per imporre la sua volontà,
costituita dal raggiungimento dei propri obiettivi. O, come spiega il
generale Pinochet nel suo manuale di geopolitica,
La forza organizzatrice della vita associata, nel senso più ampio, che
372
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Comunicare Storia
ha lo Stato; il potere comprende l’organizzazione della popolazione per
esercitare il dominio sullo spazio e sulla massa umana ubicata nei limiti
dello Stato, per mettere in pratica, in forma essenzialmente dinamica, la
volontà dello Stato [Pinochet 1974].
Il potere nazionale si articola in quattro componenti: politico, militare,
economico e psicosociale [Comblin 1979]. Queste quattro categorie
costituiscono l’insieme degli strumenti di cui dispone lo Stato per imporre la sua volontà. Ora si tratta di articolarli in un piano organico che
permetta di raggiungere la sicurezza nazionale e con essa gli obiettivi
nazionali. Tale è il compito della Strategia Nazionale.
niamo la Strategia Nazionale come «l’arte di preparare ed esercitare il
litica Nazionale» [Gurgel 1975]. Peculiarità della strategia della DSN è
che cade la distinzione tra l’ambito civile e quello militare; i due campi
si fondono in una totalità indistinta che vede l’egemonia dell’elemento militare su quello politico. Questi sono gli elementi costitutivi della
azione di governo. A partire dalla metà degli anni Sessanta, si aggiunge
un quinto elemento, frutto del nuovo orientamento della politica economica degli Stati Uniti.
Nel 1968 il segretario di stato statunitense Robert McNamara pubblica
un libro intitolato The Essence of Security
è sviluppo e senza sviluppo non c’è sicurezza. Un paese in via di sviluppo e che non progredisce non conquisterà mai un livello accettabile di
sicurezza per la semplice ragione che non può spogliare i propri cittadini della loro natura umana» [McNamara 1968]. Le parole del segre-
studioso americano Lars Schoultz, gli Stati Uniti hanno sempre individuato le cause di tale instabilità nei due poli del comunismo e della
povertà [Schoultz 1987]. Nel tentativo di costruire un’azione congiunta
in grado di rimuovere alla radice le cause della sovversione, la presidenza
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
373
Kennedy diede avvio a una serie di iniziative – Alleanza per il Progresso,
Civic Action, politica di aiuti economici ai paesi in via di sviluppo – volti
militare dei movimenti insurrezionali. L’enfasi posta dal segretario di
stato statunitense sul tema dello sviluppo ebbe delle ripercussioni evidenti sui teorici latinoamericani della DSN, i quali giudicarono necessario perseguire una conciliazione tra sviluppo e sicurezza, ordine e
progresso. L’analisi delle diverse sfumature e implicazioni della politica
economica statunitense nei confronti dell’America Latina in questi anni,
benché interessante, esula dallo spazio della nostra ricerca. In questo saggio ci limiteremo dunque ad analizzare la dimensione della sicurezza,
focalizzando la nostra attenzione sulle caratteristiche della politica di
repressione messa in atto dal regime di Pinochet.
Sergio Arellano Stark il compito di guidare un gruppo di militari incaricato di “accelerare” il corso della giustizia nelle province settentrio“Carovana de la muerte”, percorse le province del nord lasciandosi alle
spalle sessantotto cadaveri, di cui quattordici non furono mai ritrovati,
avviando la lunga lista di Desaparecidos16 del regime [Verdugo 1989]. La
Carovana della Morte non fu altro che l’inizio di una strategia del terrore che culminerà con la creazione della Direcion de Inteligencia Nacional
(DINA), istituzionalizzata con il Decreto Legge n. 521, il 14 Giugno
16
noamericani, il cui corpo fu fatto sparire nel nulla dopo la morte. La Commissione
dera la scomparsa forzata la privazione della libertà di una o più persone, in qualsiasi
forma, commessa da agenti dello Stato o da persone o gruppi di persone che attuino
con l’autorizzazione, l’appoggio o l’acquiescenza dello Stato, seguita dalla mancanza
recapito della persona, di modo che s’impedisce l’esercizio dei ricorsi legali e delle garanzie processuali pertinenti››: Inter-american Convention on Forced Disappearance of
Persons, <http://www.oas.org/juridico/spanish/tratados/a-60.html>.
374
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Comunicare Storia
che istituzionalizzare il modus operandi della Carovana, costituendosi
come un organismo di repressione itinerante che rispondeva delle proprie azioni direttamente al Presidente. Fonti americane fanno risalire la
fondazione della DINA agli stessi membri della Carovana, dalla quale
si sarebbe preso spunto per una riorganizzazione del servizio segreto
cileno17.
La DINA, sotto la direzione del tenente-colonnello Juan Manuel Contreras Sepulveda, fedelissimo del regime e strettamente legato al presidente Pinochet, si trasformò ben presto in un’istituzione onnipotente.
Già nel Decreto 527 gli articoli 9, 10 e 11, coperti dal segreto, davano
segrete per raggiungere i propri obiettivi. Come notava un funzionario dell’Intelligence militare americana: «Non sembra esserci restrizione
alcuna alle operazioni d’intelligence che possa avviare il direttore. In
ganizzazione che è già in piena attività»18. Ben presto la DINA divenne
celebre per la sua brutalità e la sua onnipotenza. «Nessun giudice di nessun tribunale, e nessun ministro del governo fa una sola domanda su di
un caso concreto se la DINA dice di esserne incaricata» avrebbe riferito
una fonte cilena all’agente statunitense della difesa William Hon19.
Nel Giugno del 1975, i servizi americani erano riusciti ad ottenere un
organigramma del temibile servizio cileno. Stando a tale rapporto, il
servizio si sviluppava su di una complessa rete di divisioni operative operanti sia dentro che fuori il Cile20. A capo della DINA vi era il tenente
colonnello Manuel Contreras, che fonti della DIA attestano come uomo
estremamente intelligente e capace, di totale dedizione al regime e so17
Informe segreto sul generale Arellano Stark, 5 Genn. 1975.
Official Decree on the Creation of the National Intelligence Directorate (DINA),
2 Lug. 1974.
18
19
DINA, Its Operations and Power, Informe per la DIA, 8 Febbr. 1974.
Organization Diagram of the Directorate of National Intelligence (DINA), 17
Giu. 1975.
20
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375
prattutto al Presidente Pinochet. Al momento del golpe, il colonnello
Contreras era a capo della scuola d’ingegneria militare si Tejas Verde,
situata a un centinaio di chilometri da Santiago. Nei giorni successivi
al colpo di stato, Contreras trasformò il centro nel Campamento de Prisoneros n. 2, che diverrà il prototipo per i futuri centri di detenzione e
tortura della DINA. Sotto la sua direzione, la DINA si rese responsabile
rete di campi segreti di detenzione, l’uso sistematico della tortura, la
sparizione di centinaia di cileni.
In generale tutti questi centri operavano alla stessa maniera: ricevevano,
bendati, i prigionieri, dopo che questi erano stati catturati presso il loro
domicilio o direttamente in strada, caricati su di una Ford Falcon senza
distintivo alcuno. Una volta entrati nei centri di detenzione, le vittime
erano sottoposte a terribili sessioni di tortura, allo scopo di ottenere informazioni utili ad annientare la resistenza di cui si riteneva facessero
parte. Ciascun centro aveva la sua “specialità”; Londres 38 ad esempio,
usava sequestrare familiari delle vittime e torturarle dinanzi a queste,
Villa Grimaldi invece, era conosciuta per le cosiddette casas Chile, casse
di legno molto piccole dove i prigionieri venivano rinchiusi. A queste
vanno aggiunte violazioni sessuali di ogni genere nonché la pratica di far
sparire nel nulla i corpi delle persone assassinate [Garcia Castro 2002].
Al di là delle inquietanti similitudini nei metodi e tecniche di tortura
e di controllo della popolazione, i militari cileni riescono a conquistare
ciò cui i loro colleghi francesi più ambivano e che agli statunitensi non
era concesso nemmeno di sperare: la gestione politica dello Stato. Nel
caso del Cile non si tratta di ristabilire l’ordine in una colonia, come nel
caso di Indocina e Algeria per i francesi, o di favorire i propri interessi
politici ed economici, come nel caso del Vietnam per gli Stati Uniti. La
guerra in Cile è volta alla ricostruzione totale della nazione; l’obiettivo,
per dirla con le parole del generale Pinochet, era quello di «cambiare la
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Comunicare Storia
mentalità ai cileni»21.
Tuttavia, le evidenti analogie tra le politiche di repressione del regime
cileno e le teorie francesi pongono un interrogativo riguardo alla dinamica della loro trasmissione, laddove mancano prove documentate di
una volontà istituzionale di collaborazione tra le due realtà quale quella
riscontrata nel caso degli Stati Uniti. Cercando una spiegazione a tale
quesito, abbiamo seguito percorsi alternativi che ci permettessero di rintracciare la presenza di un contatto tra quelli che abbiamo visto essere
testimonianza del generale Aussaresses in questo senso si è rivelata fondamentale. Si è già accennato al lavoro del generale francese negli istituti
militari statunitensi, tra cui lo Special Warfare Center a Fort Bragg, nel
North Carolina. Gran parte dei soldati che seguivano i suoi seminari
sulla guerra non convenzionale a Fort Bragg era di origine latinoamericana22 [Aussaresses-Deniau 2008]. Di fatto lo SWC è una scuola di élite,
ed è lo stesso Aussaresses a rivendicare con un certo orgoglio il fatto che
la maggior parte dei suoi allievi assumerà, negli anni successivi, posti
di responsabilità presso le Forze Armate e presso i governi dei propri
paesi23. Altri diverranno a loro volta istruttori presso istituti specializzati
School of Americas (SOA) [Robin
dei militari latinoamericani – e il Centro d’istruçao na Selva a Manaus, in
Brasile, dove periodicamente terrà seminari lo stesso Aussaresses a partire
dal 1973, quando lavora a Brasilia in qualità di aggiunto militare presso
lena a meno di un anno dall’instaurazione del regime militare. Cfr. Junta de Gobierno,
Declaracion de Principios del Gobierno de Chile, 11 Mar. 1974.
21
22
Cile e Venezuela, secondo quanto dichiarato dal generale francese.
23
Bragg e più tardi capo del Centro Nacional de Informacion (CNI), servizio segreto cileno che sostituisce la DINA dopo la sua dissoluzione nel 1977.
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
377
l’ambasciata francese.
Si sono dunque analizzati gli elenchi dei diplomati della SOA nei primi anni Sessanta, alla ricerca di corrispondenze che comprovassero l’esistenza di un contatto tra i militari cileni che nella decade successiva andranno a integrare gli organismi di repressione del regime e la
tradizione dottrinaria francese veicolata dagli statunitensi. L’analisi di
tali elenchi rivela l’assoluta preponderanza di soldati cileni tra gli allievi
del centro24. Seguendo poi la carriera di questi militari, scopriamo che
la maggior parte di essi assumerà successivamente incarichi di rilievo
nei servizi segreti – in particolare nella Dirección Nacional de Inteligencia (DINA) – e in generale negli apparati di repressione del regime di
Pinochet [Giancola 2011]. Interrogato esplicitamente dalla giornalista
cese nella DSN cilena, l’ex capo della DINA Manuel Contreras è restio a mettere in questione l’autonomia dottrinaria del passato regime,
ma ammette di essere un grande ammiratore dell’OAS e di aver inviato
regolarmente dei gruppi di militari al suo servizio presso il centro di
parte, una semplice analisi del modus operandi della DINA rivela come
questi sia sorprendentemente simile alle istruzioni fornite dal colonnello
Trinquier nel suo libro La Guerre Moderne [Trinquier 1964]. Rintracciaquello cileno, le analogie tra i due complessi dottrinari appaiono meno
stupefacenti. Si tratta ora di capirne la dinamica di comunicazione e di
valutare il ruolo dei personaggi coinvolti nel processo di trasmissione.
24
378
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Comunicare Storia
conclusioni
In questo lavoro si è cercato di ricostruire il processo di elaborazione
di tre diverse teorie di guerra non convenzionale, elaborate nel corso
della seconda metà del secolo passato. Abbiamo mostrato come tali dottrine siano strettamente vincolate tra loro, instaurando un rapporto di
comunicazione triangolare, dai risvolti estremamente interessanti. Innanzitutto, la presenza di numerose analogie tra gli apparati dottrinari
francese e cileno malgrado la mancanza di un contatto diretto tra le due
realtà, getta una nuova luce sul ruolo degli Stati Uniti nell’indottrinamento delle Forze Armate latinoamericane. Di fatti nel caso del Cile qui
analizzato, gli Stati Uniti non fanno che “traghettare” oltre il canale di
modello di circolazione del sapere in materia di repressione, che vede
l’instaurarsi di un rapporto triangolare tra Francia Stati Uniti e Cile,
con gli Stati Uniti in funzione di mediatore tra le altre due realtà. Applicando su scala continentale le teorie del sociologo americano Mark
Granovetter [Granovetter 1973], osserviamo come in questo senso gli
Stati Uniti costituiscano un ponte tra il mondo della difesa francese e
cilena, attraverso cui la DGR approda nel paese andino.
In secondo luogo, focalizzando l’attenzione a livello micro-sociale osserviamo come in realtà i pilastri portanti di tale ponte non poggino
tanto nell’apparato istituzionale della difesa statunitense, quanto nella
rete di contatti amicali e professionali stabilitisi tra soldati francesi, statunitensi e cileni. Ciò mostra la capacità di circolazione delle idee attraverso canali alternativi a quelli istituzionali, percorrendo i percorsi tracciati
di collaborazione tra le istituzioni cui appartengono. L’apparente casualità e disordine delle analogie riscontrate tra i diversi apparati dottrinari
dall’analisi delle reti sociali [Moutoukias 1998]. Gli strumenti forniti
da tale metodologia permettono di avanzare nuove ipotesi nel campo
della circolazione del sapere, rappresentando un valido supporto per chi
MIRKO GIANCOLA
Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico
379
intenda addentrarsi in questo campo di ricerca, gettando nuova luce su
alcuni angoli ancora inesplorati e caotici.
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delle anime in età moderna.
A proposito di Delitto e perdono
di Adriano Prosperi
ceSarina caSanoVa
Univ. di Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
In Delitto e perdono Adriano Prosperi ha preso spunto dall’immediata attualità – l’uccidi giustizia –, stimolando, nell’ambito degli studi sulla storia della pena di morte, una
tale e nella salvezza della propria anima grazie al supplizio della Croce ad espiazione del
carattere di sacralizzazione della pena.
Delitto e perdono
a sacramental act.
382
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
Nel 1835, quando Carlo Contoli scrisse le Considerazioni sul processo
e giudizio criminale, Jeremy Bentham era morto da tre anni. Questa e le
morale, un riferimento che
eliminare ogni forma di arbitrium, ma anche di emotività incontrollata,
e
1835, V].
di condanne a morte, propri del processo inquisitorio e degli uditori di
1
grande crescita, e i processi conoscitivi del magistrato inquirente e dello
investigativa, come la storia e la medicina, pur non avendo lo stesso statu
1
383
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
2
to tempo prima, nel 1841, la stessa corrente innovatrice che era arrivata
di
alla Verità sviluppando le proprie congetture investigative a partire da qua
modus operandi dei criminali,
.
3
lo, pur continuando ad essere irrogata, per molti aspetti ci restituisce una
ed avevano assicurato per secoli lo spettacolo del riscatto
2
dei
Uno studio in rosso
3
, Fi
384
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Comunicare Storia
reati
e dalla poesia dedicata da Ed
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
Constitutio penalis
-
,
385
386
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
un passaggio cruciale, dal diritto consuetudinario fondato sulla concreta
Constitutio avviava
in una parte della Franconia una radicale riforma che consisteva nel redi
unica portatrice della prerogativa di condannare a assolvere, non poteva
Tribunali della coscienza
mento della società. Questo approdo divergente delle rispettive dottrine e
387
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
del proprio riscatto.
4
condo le leggi ma con temperamento tale che non mostri crudele il legisla
giudice si scuopra male intendente della legge, sententiando con la mente
4
388
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
.
5
di santa Caterina Benincasa riassume il senso sacrale della conforteria e
gradante e disgustoso fosse quel compito, la risposta dei devoti della carità
fu straordinariamente positiva e portò rapidamente a una diffusione di quel
5
Cagli libri tre Nei quali con bellissimo modo & ordine copiosamente si contiene quanto
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
389
Capitulo
trigesimoquarto che tracta de coloro che la morte non li doleria se la havesseno cum ragione meritata
E cussì fratello mio, tu ti dèi al presente recognoscere che se tu non hai fac
martiri innocente, se tu porai portare questa pena cum pacientia e cum la
volontà de Dio. E se tu hai facto el male, non dire de no, ma più tosto taci
2007, 429].
visto dal manuale
ne mai volle attendere al suo consolatore, che svisceratamente la pregava, a
sentì a dire oime e così spirò lasciando molto di che temere della sua salute,
e tutta odio, e rancore, che se gli vedia sino dagli occhi, e lo manifestava
390
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
e conforto che le renda capace a ridursi, essendo un doloroso martirio de
6
.
delle notti e nel chiuso delle loro cappelle i momenti più drammatici del
Notti malinconiche
anni francesi ricongiungendo nelle pratiche devote di accompagnamento
6
.
391
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
Considerazioni
etica destinata a restare insoddisfatta7. Comparivano invece le prime cre
di
rosa, da parte del sovrano.
rosi, dal parricidio alla stregoneria, dal furto reiterato alla sodomia ma
a partire dal crimine per il quale meno facilmente potevano essere richie
7
, vol V, disp. N. 10
392
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
.
8
meno frequenti ma non era per questo che le condanne a morte erano visto
pena di morte, anche con modalità atroci, come il tanagliamento con ferri
neppure la cifra del codice penale italico del 1811, pura e semplice tradu
8
illustratae, divo Petronio dicatum liber primus
393
CESARINA CASANOVA
La pena di morte e il riscatto delle anime in età moderna
9
morte era prevista per oltre trenta fattispecie di reato e nel caso del parrici
morte confortata.
meno nemmeno oggi, non solo negli stati nei quali la pena capitale è anco
ra in vigore, ma anche nelle corsie degli ospedali dove, almeno nei paesi
9
2001,
394
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
10
.
Contoli C. 1835, Considerazioni sul processo e giudizio criminale nei due sistemi del
processo scritto e orale
Elias N. 1985,
, ora in Miti, emblemi, spie:
Au nom de l’ordre. Une histoire politique du
Arbitrium. Un aspetto sistematico negli ordinamenti giuridici in età
di diritto comune
Einaudi
Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine
di giustizia. Per Adriano Prosperi
Misericordie.
Conversioni sotto il patibolo tra Medioevo ed età moderna
, ri
10
te al Delitto e castigo
La storia dell’Albania dal 1997
e l’identità albanese del
post-comunismo
FaBio Bego
Università degli Studi di Roma Tre,
Dipartimento di Scienze Politiche
L’articolo analizza alcuni aspetti del dibattito pubblico albanese circa l’identità nazionale e
di come tale dibattito abbia preso nuovo slancio negli ultimi anni. Sviluppi recenti che hanno
caratterizzato la storia dell’Albania come la fine del comunismo, la rivolta in Albania del
1997 e la dissoluzione della Jugoslavia hanno determinato da un lato l’emersione di uno
spazio albanofono d’interazione sociale che travalica i confini dello Stato, dall’altra sembrano
anche avere stimolato la differenziazione tra gli albanesi del nord gegë e quelli del sud toskë.
This article engages in analyzing some aspects of the Albanian public debate on national
identity which has lately assumed new vitality. Recent Albanian history has been characterized by crucial events such as the end of communism, the Albanian revolt of 1997 and the
dissolution of Yugoslavia. The overall outcome of these events is twofold. The new political
situation of the western Balkans has permitted the creation of an Albanian speaking community that prevaricates the Albanian state borders. However this new circumstance has
enhanced the differentiation discourses between northern gegë and southern toskë Albanians.
Il tema dell’identità nazionale e tutto ciò che implica è un argomento
centrale nel dibattito pubblico albanese. Il regime comunista di Enver
Hoxha e l’ordine internazionale in cui era inserito sembravano aver debania. Tuttavia gli anni Novanta hanno velocemente destituito l’equilibrio politico e psicologico di quel mondo del quale ora restano solo
396
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
non meno traumatico dei precedenti anni di dittatura. Gli anni Novanta
-
concezione dell’identità nazionale. Il dramma della transizione albanese
giunse all’apice nel 1997, soprattutto nei mesi primaverili di quell’anno,
quando lo stato crollò sotto il peso di una crisi politica di violentissime
proporzioni. Congiuntamente, la dissoluzione della Jugoslavia e l’emerXX secolo era nota come la “questione albanese”. Questo articolo cerca
di analizzare in quale modo il periodo di transizione e la nuova situazione politica nei Balcani occidentali sta condizionando la ricerca di una
dall’analisi di un libro pubblicato recentemente.
A ottobre del 2013 è uscito un libro che tratta il tema dell’identità nazionale albanese in cui l’autore, Mustafa Nano, sostiene la tesi che esistono due dimensioni culturali e linguistiche parallele, quella dei gegë
nel nord del Paese e quella dei toskë
gli intellettuali albanesi e i regimi che si sono alternati nell’arco di un
secolo d’indipendenza hanno tentato di oscurare l’esistenza di queste due
dello Stato. Secondo l’autore questa politica avrebbe però richiesto molcomposta da due emisferi [Shllaku 2013, 4], gli albanesi hanno ridotto
le loro facoltà cognitive e hanno perso dunque la possibilità di valorizzare il bagaglio culturale e linguistico che giace in fondo alle tradizioni
delle due aree.
L’idea che l’identità albanese sia costituita dall’elemento gegë e da quello
toskë risale ai primi studi albanologici [Von Hahn 2010, 27]. Tuttavia
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
397
in senso marcatamente dualistico come invece fa Nano. Prima di cercare
di analizzare più a fondo le ragioni che possono avere spinto l’autore a
scrivere su questo tema, credo che sia necessario eseguire un analisi tecnica del libro, ovvero esaminare la qualità dei suoi contenuti. Riguardo
a questo aspetto, già dalle prime righe si evidenziano parecchi limiti.
Nell’introduzione l’autore ci fa sapere di averlo inviato in stampa dopo
soli quarantacinque giorni, un tempo molto breve che non poteva baper un tema complesso come questo. Inoltre, non è chiaro se Mustafa
Nano considera i gegë e i toskë due popoli distinti o due «varianti» dello
anche per designare realtà sociali molto più piccole come ad esempio
la popolazione della sua regione natia Skrapar. Quando l’autore cerca di
gegë e i
toskë, lo fa citando un suo articolo del 2009 in cui riporta un elenco di
antinomie speculari e complementari come segue:
Ai gegë piacciono le armi ai toskë il denaro; i gegë sanno fare la guerra, i
toskë sanno fare propaganda; i gegë sono orgogliosi/coraggiosi [trima],
i toskë sono aperti di mente; […] i gegë sono astuti, furbi e fermi, i toskë
intelligenti, cioè pragmatici e corruttibili; i gegë amano la vita rapsodica all’interno della famiglia, i toskë preferiscono la vita sociale fuori
casa; […] i gegë vivono per l’onore, i toskë per un po’ di divertimento;
i gegë sono fanatici, i toskë sono dissoluti; […] i gegë incarnano le virtù
nazionali, i toskë le virtù civili; […] i gegë sono votati all’auto-giudizio
sorretto da codici morali, i toskë preferiscono sottoporsi all’autorità di un
organo amorale come lo Stato; i gegë vedono con sospetto la modernità, i toskë vedono con sospetto la tradizione; i gegë sono tradizionalisti,
toskë sono progressisti, liberali e rivoluzionari; i gegë
toskë
gegë ci puoi
costruire una nazione, con i toskë la democrazia di uno Stato di diritto; i
gegë sono di destra e i toskë di sinistra. [Nano 2013, 55-56]
Questo brano rivela il tentativo da parte di Mustafa Nano di dipingere
398
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
un unico organismo composto da due parti integranti. Tuttavia, come
ho già detto, la serie di caratteristiche che egli elenca rappresenta una
visione stereotipata dei due gruppi e ogni tentativo di risalire a questi
attributi attraverso uno studio empirico darebbe scarsi risultati, almeno
ché, tale ricerca non fosse disposta a fare abbondanti forzature.
Il libro diventa a mio avviso più interessante nel capitolo conclusivo
inoltre a necessità pratiche che sono legate agli sviluppi politici recenti
nella regione. Per favorire la creazione di uno spazio culturale albanese e facilitare le comunicazioni tra gli albanofoni che vivono dentro e
standard. L’autore però sostiene una risoluzione a dir poco dispendiosa,
quella cioè di creare un altro standard gegë da utilizzare, se si preferisce,
in alternativa all’attuale standard toskë [Nano 2013, 186-189].
Mustafa Nano era consapevole che il libro non sarebbe stato molto gradegli albanesi. Per questa ragione egli ci tiene ad assicurare che il suo
lavoro è dettato da un impulso patriottico ed è disposto a rinunciare
gegë. Un
jam gegë (Io sono gegë) si legge sulla copertina, ma all’interno del libro
l’autore sottolinea diverse volte ciò che tutti gli albanesi sanno ovvero
che è originario di Skrapar, dunque un tosk . Le buone intenzioni non
gli hanno evitato l’impatto con numerose critiche negative per aver toc-
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
399
i
ei
secondo l’opinione di alcuni commenti fatti a
proposito del libro di Mustafa nano
Dal momento che il libro ha suscitato diverse reazioni da parte del pubblico, credo sia interessante osservare alcune opinioni fatte da lettori di
alcuni quotidiani albanesi online quando questi hanno anticipato alcuni
contenuti. Si può in tal modo cogliere un’idea, seppur limitata, circa
la predisposizione di alcuni albanesi rispetto al tema e al modo in cui
l’autore la concepisce. Ciò che mi interessa maggiormente è capire se
coloro che hanno lasciato dei commenti percepiscono o no l’esistenza
di due identità parallele geg e tosk . Ho potuto raccogliere commenti
da gazetatema.net, panorama.al e gazetadita.al poiché il libro è stato
pubblicato all’inizio di ottobre 2013 e molti giornali hanno cancellato
le discussioni oppure non hanno avuto interesse a pubblicare una recensione. I dati possono tuttavia costituire delle fonti attendibili perché
si tratta di alcuni tra i quotidiani più letti in Albania, formalmente non
che gli utenti esprimono. Questi quotidiani hanno riportato per intero o
in parte il brano del libro che ho citato.
La maggior parte dei commenti sembra condividere l’idea che una pubblicazione simile era da evitare per la paura di scatenare discussioni tanto
inutili quanto pericolose. Poche righe [soprattutto l’assioma «con i gegë
ci fai la nazione con il toskë lo Stato»] sono bastate per far pensare a molti
te infondati. Arberesh su panorama.net scredita l’autore a priori senza
prestar molta attenzione a quanto egli ha da dire: «chi sei tu Mustafa per
giungere a tali conclusioni. Non sei né un antropologo né un genetista
che ha fatto un esame del DNA a tutti i gegë e a tutti i toskë per dire chi
tra loro è più albanese!». Euro Maloku (euro montanaro) su gazetadita.
«per sapere come è il vino nella botte basta berne un solo bicchiere».
400
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
Durres su panorama.net scrive che
«sfortunatamente, per quarantacinque anni l’Albania è stata invasa dai
toskë con a capo Enver Hoxha». Alpini su gazetatema.net sembra stare
toskë
del regime comunista.
Lo spettro del passato è evocato da Shkëlzeni (un nome tipico del nord
che scrive sul quotidiano Panorama online) il quale approva il lavoro di
Mustafa Nano ed esorta i suoi compatrioti, soprattutto quelli del sud,
ad avere il coraggio di apprendere la «verità che è stata nascosta da quasi cinquant’anni di terrore esercitato dalla banda slava-ottomana uscita
-
fanno eco nell’articolare una visione cospirativa a danno della nazione
che sarebbe stata messa in pratica da élite politiche servili e corrotte.
Su gazetadita.al Lleshi (altro nome del nord) invece, all’interno di una
diatriba che si è aperta tra diversi utenti circa l’incidenza che ha avuto
nelle sorti dell’Albania l’identità gegë o toskë dei leader politici ribatte
gegë, ma un venduto serbo.
Fatos (Nano, ex leader del Partito Socilista, ex-Premier e nemesi di Berisha) non era un toskë, ma un venduto greco. Entrambi sono stati scelti
da Ramiz [Alia, l’ultimo leader del regime comunista], bosniaco». Il
quadro politico mostrato da Lleshi è certamente frutto di un’ideazione
circa la politica estera di Sali Berisha1 e Fatos Nano2. Ramiz Alia inoltre
discusso protagonista della scena politica degli anni Novanta e duemila. È stato presidente della repubblica dal 1992 al 1997 ed in seguito, dopo aver sostenuto il varo di una
legge che trasformò la repubblica in un sistema parlamentare, ha ricoperto il ruolo di
primo ministro dal 2005 al 2013.
1
2
partito socialista e capo del governo albanese formatosi nel 1991 dopo le prime elezioni libere del paese che furono vinte dall’ex partito di regime che lui stesso aveva
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
401
Lleshi
dicano negativamente i politici venuti dopo Enver Hoxha per non essere
al contrario sono stati permissivi e complici delle politiche anti-albanesi
contraddistinto sia l’opinione comune sia quella intellettualmente più
coltivata che giudicava e tuttora giudica come tradimento ogni politica estera distensiva verso i vicini da parte dei leader albanesi nel corso
della storia. Tuttavia anche su questo quotidiano la maggior parte delle
opinioni dimostrano fondarsi su una concezione realistica della sociegruppi, soprattutto se si cerca di attribuire rispettivi pregi e difetti. Antipod cita in modo scherzoso un caso empirico: «Fatos [Nano] è toskë,
Sali [Berisha] è gegë; qual è il risultato delle loro azioni per il progresso
dell’Albania? Il gabinetto». Psy appoggia questo punto di vista. Tirona
(gergo per Tirana) marca il suo distacco da una diatriba che a suo avviso
è da provinciali e neutralizza la discussione esortando a focalizzarsi su
problemi attuali e concreti: «Finché c’era Enver [Hoxha] si vantavano
quelli del sud, è arrivato Sali e si vantano quelli del nord. A tutti però
piace vivere a Tirana. Non so quando ci metteremo in testa di costruire
uno Stato forte che ci dissuada dall’emigrare».
Su gazetatema.net, tra le molte critiche negative, c’è anche qualcuno che
come Marsida ritiene l’argomento interessante e si promette di comprare
il libro. Su questa testata il dibattito è molto vivace. Si nota la tendenza
di molti utenti a sdrammatizzare la questione per mezzo di un linguaggio aforistico. Gjergji si chiede: «un analista che fa questa distinzione
fronte alla violenta crisi, l’allora presidente albanese Sali Berisha gli condonò la pena.
Tornò alla guida del governo per un breve periodo tra il 1997 e il 1998 e poi tra il 2002
e il 2005.
402
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
[tra gegë e toskë]? Sconcertante». Miredrejtesia lo tranquillizza dicendogli
che l’autore «sarà stato ubriaco». YYY appoggia la tesi dell’autore e afferma che «M. Nano ha detto la verità più grande della sua vita. Non
si può negare nulla perché la verità va rispettata e non ignorata». Kunji
per zittire i litigi fa notare la suscettibilità emotiva dei suoi compatrioti:
per trovarla… Povera Albania». Reformer critica l’aspetto ontologico del
brano riportato dal quotidiano dicendo che «se dividi a metà una mela
non ne ricavi mezza mela e mezza pera». Tafuti invece mette in guardia
Naim Frashëri: «Oh pesci d’Albania, vi sta vendendo un libro asini che
Ylli esprime un’opinione
più bilanciata dicendo che: «Anch’io penso che tra gegë e toskë ci siano
delle divergenze, ma il modo in cui è stato pensato da Muqi [sta per Mustafa] è inaccettabile. L’Albania non è l’India o la Cina e perciò ci sono
più cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Non dimentichiamo
che tra Suhareka e Prizren [città del Kosovo che si trovano all’interno del
le separano».
Dai commenti che ho letto, emerge che solo una minoranza condivide
la tesi dell’autore circa l’esistenza di geg e tosk . Dai soprannomi con
prevalenza di origine settentrionale. I risultati di questa indagine rivelano anche altro. Si comprende che l’opinione degli utenti, aldilà se favorevole o contraria al libro di Mustafa Nano, è frutto di una particolare
visione della storia dell’Albania che è in parte geg -centrica o tosk -
Questo dato presenta i suoi lati positivi giacché dimostra l’esistenza di
il passato nazionale e i diversi miti che il processo di formazione dello
Stato ha dovuto plasmare nel periodo tra le due guerre e durante il regi-
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
403
me di Hoxha. A livello pubblico questo dibattito non da semplicemente
luogo a una revisione storica condotta in base ad una meno idealistica
lettura degli eventi, ma sembra giungere a una vera e propria riformulazione dei miti che avvolgono il carattere nazionale come ad esempio il
presunto coraggio che contraddistingue gli albanesi e la loro devozione
all’unità nazionale e di patria. Credo che il riconoscimento dei propri
limiti sia un passo importante per ogni società che ambisce a migliorare
la propria posizione sociale ed economica nel contesto in cui è inserita.
Allo stesso tempo però la libertà d’opinione e l’interesse pubblico per la
storia hanno lasciato il campo aperto a diverse invasioni da parte di stoognuno può pubblicare un libro sul tema che desidera e non c’è nessuna autorità all’infuori delle case editrici private che stabilisce la validità
di alcune certezze collettive sulla storia di eventi recenti e non, che prendono spunto da opere pubblicistiche e da articoli giornalistici le cui fonti
non possono essere controllate. Tali certezze collettive condizionano la
a mettere in totale discussione la lealtà a un progetto nazionale da parte
dei diversi regimi che si sono succeduti sin dai tempi di Ismail Qemali.
Dietro ad un profondo pessimismo si può insinuare il rischio di vedere
tutta la storia dell’Albania e il progetto nazionale di cui la storia da condisegno cospirativo.
sia dal libro di Mustafa Nano e che induce ad allargare questa indagine
verso un’altra direzione. Confrontando il libro con i commenti si nota
un’analogia. Non fanno nessun riferimento esplicito a un periodo in
cui le antinomie tra gegë e toskë possono essere ricercate all’interno di
sco alla crisi dello Stato albanese del 1997. Stupisce che Mustafa Nano
404
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
possesso più o meno conscio di una particolare identità tosk
va nelle azioni di protesta, nelle forme di autogestione collettiva e nel
rapporto con i geg
geg
e i tosk sono sempre stati parte dell’equazione che ha determinato la
realpolitik nazionale» [Nano 2013, 16], ma del periodo in cui questo
equilibrio sembrava sfaldarsi non ne fa parola. Il 1997 si presenta come
un fenomeno particolarmente adatto al confronto con la sua tesi, ma
l’autore evita l’argomento in modo palese. Diversi commenti invece, pur
non menzionando direttamente il 1997, sembrano concepiti in conformità ad alcune certezze collettive che hanno origine nei fatti degli anni
Novanta.
ne è potuta occupare molto limitatamente. Una delle ragioni scaturisce
dal fatto che i documenti istituzionali non sono ancora consultabili. Si
dispone però di alcuni libri con testimonianze di personaggi che hanno
vissuto gli eventi in prima persona ai quali piace arricchire i resoconti
l’immagine delle identità geg -tosk proposta da Mustafa Nano. I testi
sono stati scritti da politici e pubblicisti che sono stati protagonisti e
testimoni oculari. Questi sono l’ex primo ministro Aleksander Meksi,
tense Clarissa de Waal.
l’opposizione nord – sud e la questione identitaria nel dramma albanese del 1997
ramidale portò al crollo delle istituzioni statali comprese la polizia e
l’esercito. Seguirono settimane di tetra anarchia che la stampa nazionale
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
405
il nord che era considerato sostenitore dell’allora presidente Sali Berisha
e il sud che riteneva il presidente direttamente responsabile di quanto
stesse accadendo [Pettifer and Vickers 2009, 16; Zilja 2001, 122-138].
Questa lettura degli eventi fu dovuta al fatto che nel sud le proteste
furono sin dal mese di gennaio molto violente perché si pensa che magdi febbraio Tirana non esercitava nessuna sovranità su tutto il territorio
albanese che si estendeva a meridione della città di Elbasan. Dei cosiddetti «comitati di salvezza pubblica» si formarono all’inizio di marzo a
Valona, Tepelen, Berat, Saranda e in altri piccoli centri. Questi divennero portavoce di rivendicazioni secessioniste che miravano a costituire
una o diverse entità territoriali autonome. Alcuni media greci, ingannati
dagli eventi, salutarono una rivolta armata per la liberazione dell’Epiro
del nord.
e soprattutto i loro oppositori? In una raccolta di interviste e interventi
parlamentari dell’allora primo ministro, l’archeologo Aleksander Meksi,
si nota che all’inizio della crisi erano impiegati termini di paragone che
la rivolta di Valona, città dove il comunismo aveva trovato sostegno in
passato, fu organizzata secondo un manuale di rivoluzione marxista mirante a debilitare la capacità difensive dello Stato [Meksi 1997, 306].
le violenze erano guidate dai terroristi rossi [Zilja 2001, 31]. Secondo
un colpo di coda reazionario messo in pratica per ragioni fondamentalmente tutt’altro che marxiste, da agenti del vecchio regime in combutta
La pensava diversamente Fatos Lubonja – un noto intellettuale e scrittore
– che in un’intervista rilasciata a febbraio del 1997 accusava il governo
dicendo che «un regime fascista può anche esistere quando consegue
406
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
successi in campo economico, ma noi qui ci troviamo di fronte ad un
fallimento totale […]» [Lubonja 1999, 351]. Lubonja ha recentemente
pubblicato le sue memorie del 1997 in cui racconta l’attività che svolse
a capo del polo di opposizione Forumi p r Demokraci (Il forum per la
bro accusa il presidente Berisha di aver fatto leva su formazioni di tipo
squadriste per compiere azioni intimidatorie e violente ai danni di chi
si opponeva al suo regime che diveniva ogni giorno più autoritario e
personale [Lubonja 2010, 62]3. Tra le diverse vittime dei pestaggi ci fu
anche l’attuale primo ministro Edi Rama che fu colpito con spranghe
e pugno di ferro. Fu aggredito di notte sotto la sua abitazione dove un
gruppo di persone gli aveva teso un agguato.
Nel 1997, l’opposizione nord-sud iniziò a proiettarsi nel mese di febbraio quando l’amministrazione pubblica e la polizia stanziata nelle citscarsamente controllati dall’opposizione e dai comitati di salvezza. La
propaganda antigovernativa iniziò a bersagliare non solamente le qualità
politiche del governo e del presidente Berisha, ma indicava le ragioni del dispotismo di quest’ultimo nelle sue origine montanare. Oltre
troveranno una risposta. A febbraio il popolo del sud prese a protestare
innalzando al cielo le tre dita, un gesto che sino ad allora era stato visto fare ai serbi. Si dice che fu il leader del Partito Social-Democratico
a dare l’esempio. Nella situazione tesa che c’era tra gli albanesi del Kosopatriottici. Furono tuttavia date diverse interpretazioni che escludevano
ogni legame con il contesto jugoslavo [Zilja 2001, 160-162].
3
ni in prima persona estratti dal diario del protagonista “Fatos qorri” (Fatos il cieco o
quattrocchi).
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
407
Il 14 febbraio il giornalista britannico Andrew Gumpel pubblicò un
articolo su The Independent in cui denunciava il governo albanese, il Par-
bosniaco con armi e petrolio che veniva immesso nella federazione Jugoslava attraverso il Montenegro, contravvenendo dunque all’embargo
che l’ONU aveva imposto sui belligeranti. I contenuti di quest’articolo
hanno alimentato le voci circa il sostegno che Berisha avrebbe fornito
Lubonja non ha dubbi sul fatto che l’articolo trasponga in maniera precisa quanto avvenne in Albania in quegli anni e suppone che l’informatore di Gumpel fosse stato un tale Charles Walsh che all’epoca si trovava
in Albania per conto di USAID, ma che in verità lavorava per i servizi
segreti [Lubonja 2010, 118].
ciali dello SHIK di origini settentrionali. Il trattamento riservato al corad aggiungersi all’elenco di assurdità grottesche e tragiche che caratterizzarono il 1997 e che in questo caso non possono essere semplicemente attribuibili all’odio verso il malcapitato agente del governo che egli
al nord, quanto ad una profonda crisi d’identità morale che accompagna
spesso i periodi di transizione e all’isteria collettiva che si era impossessata della folla. Al cospetto di una crisi interna irrefrenabile il governo
di Meksi diede le dimissioni il 2 marzo e il giorno seguente entrò in
vigore la legge marziale. Nel sud fu dato l’assalto ai depositi militari di
armi e munizioni. Il 9 marzo Berisha nominò un nuovo governo detto
Fu proposta anche un’amnistia generale per chiunque deponesse le armi
sottratte allo Stato. Si nutriva ancora forse la tenue speranza di arginare
la frattura politica del Paese, ma la situazione non fece che peggiorare
408
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
d’ebollizione.
Dalle fonti di cui si dispone non è possibile capire cosa fece scattare l’assalto ai depositi di munizioni nel nord del Paese, tuttavia è chiaro che
fu una molteplicità di fattori che portarono gli individui ad armarsi essenzialmente per paura (di un possibile attacco del sud o per proteggersi
tesi sostenuta soprattutto da giornalisti stranieri che l’assalto ai depositi
and Vickers 2009, 37-39]. Vi fu inoltre il 10 marzo uno scontro tra le
alcune vittime tra i civili che fece ulteriormente aggravare la situazione
rischiava un reale rischio di scissione [Baze 2010, 231]4.
Sentendosi intimidito e privo di supporto internazionale sembra che Berisha abbia tentato di trovare sostegno per vie extra-istituzionali giocando la carta della deterrenza. Sono in molti a pensare che fu il presidente
a permettere, se non addirittura ad ordinare, che la popolazione del nord
si armasse a spese dell’esercito nazionale il quale rimase a guardare mentre cittadini di qualsiasi fascia d’età portavano via armi e munizioni da
guerra dai depositi militari [De Waal 2009, 353]5
di un modo folle per ristabilire e mantenere l’equilibrio interno senza
ricorrere a un vasto intervento repressivo nel sud con forze reclutate nel
-
4
Mero Baze in cui raccontava le decisioni che aveva preso e le motivazioni che lo avevano spinto a non dare le dimissioni.
5
ha assistito in prima persona a quanto stava accadendo in quella regione, nei giorni in
cui la popolazione rapiva le armi dai depositi.
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
409
sposto a fare questo lavoro. L’11 marzo furono saccheggiati i depositi di
armi della capitale. Ecco come un giornalista dell’epoca si immaginava
più drammatici di tutto il 1997 albanese – protetto dai suoi fedelissimi
del nord: «I “fedeli”, che lui aveva raccolto dagli ovili tra le montagne del
nord, mentre vedevano il loro “pascià” con la barba allungata, rannicchiato vicino a un kalashnikov che gridava stordito “Vlora hee... Vlora”,
6
.
Nelle settimane che seguirono non ci fu nessun attacco del sud sul nord
o viceversa, ma solo terrore per la gente comune che rimaneva chiusa in
casa mentre fuori piovevano proiettili. Un bilancio preciso delle vittime
è indeterminabile tuttavia si stima che tra le 2.000 e 3.000 persone perirono per cause legate all’utilizzo improprio delle armi da fuoco o nei
sud autonomo o indipendente. Le bande si facevano guerra tra loro per
rapinavano i viaggiatori. Il 14 aprile Romano Prodi visitò Valona dove
s’incontrò con i membri del comitato locale e fu scortato dalla banda di
Zani Caushi ora in carcere a vita. Il viaggio di Prodi a Valona indispetdell’esistenza dei comitati. Ad aprile sbarcarono anche le truppe della
“Operazione Alba”, la cui utilità – in teoria era un’operazione umanii «turisti più costosi al mondo» [Zilja 2001, 160]7. Aldilà dei costi e
la sua presenza deve avere in qualche modo contribuito all’avvio di un
6
lui non ha mai portato
7
In teoria doveva scortare i viveri da distribuire alla popolazione, ma tale compito era
più abbondanti di quanto lo fossero state all’inizio degli anni Novanta.
410
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
processo di normalizzazione. Non ci fu, infatti, un’escalation del conguire. La sicurezza iniziò a migliorare molto lentamente. Il sud ritornò
sotto la sovranità della capitale gradualmente, di zona in zona, dopo che
fuori dal controllo di Tirana il villaggio di Lazarat nella provincia di
Argirocastro8.
Come è possibile comprendere dalla singolare scena dipinta dal giornalista nel brano che ho citato precedentemente, in quel periodo di crisi e
stigmatizzazione dei montanari – detti malok9 – che si era avviato subito
sussiste tuttora la convinzione che Berisha abbia tollerato e incoraggiasolidare il suo predominio e garantirsi una base politica militante che
all’occorrenza fosse pronta a impugnare le armi. Questa visione non è
priva di logica dato che all’inizio degli anni Novanta Berisha si mostrò
8
un’autonomia de facto. L’area è famosa tra i criminologi dell’UE per la produzione di
cannabis sativa che quotidianamente è immessa nei mercati illegali dell’Unione. Ultimamente sembra che stia divenendo anche una meta di turismo alternativo per giovani
occidentali. Nell’estate del 2014 un’azione della polizia del nuovo governo Rama ha
cercato di porre freno alle coltivazioni. Tuttavia i fatti dell’estate (con tanto di cronache
solo di un blando teatro per mostrare agli osservatori dell’UE l’intento governativo di
voler aprire un nuovo corso di disciplina sociale e politica.
Malok
tanti del nord dell’Albania. Più raramente si utilizza anche per indicare i montanari del
te mi sono imbattuto in una traduzione televisiva che impiegava malok per tradurre
l’inglese hillbilly – noto epiteto che è utilizzato per indicare i membri delle comunità
dell’hinterland statunitense i quali vivono sugli altipiani e dove, secondo lo stereotipo
collettivo, perseguirebbero uno stile di vita isolato e degenerato.
9
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
411
piuttosto lascivo con le migliaia di famiglie che dal nord si scagliarono
nei suburbi di Tirana e Durazzo dove occuparono proprietà pubbliche e
private senza incontrare alcuna opposizione da parte dello Stato.
anche l’autore di quel brano che dipinge Berisha come un mujaheddin
10
.
Pure se originario del nord nel 1997 divenne portavoce dei ribelli di
Valona e mise la sua penna a servizio della causa. Già a febbraio lanciava
e dal caos come un «modello di libertà» o anche come «il nucleo dello
ripudiava la cultura del sud poiché aveva reso la popolazione avversa a
farsi sottomettere da lui [Zilja 2001, 64].
Il giornalista Mero Baze, in un recente libro dedicato agli eventi 1997,
sostiene che nel sud furono maltrattate e torturate persone solo perché
erano del nord. Spiega però che tali trattamenti non facevano parte di alseparare il nord dal sud, ma solo violenza indiscriminata contro chi era
che indubbiamente il Partito Democratico aveva più sostegno al nord,
i mali arrecati dal comunismo [Baze 2010, 230]. Baze termina la sua
suo potere come presidente e poi come primo ministro, ha creato uno
Stato ombra o «informale» tramite la nomina di suoi uomini in posti
chiave della burocrazia. Questo espediente gli consentiva di controllare
10
per un breve periodo caporedattore dell’organo del Partito Democratico Rilindja Demokratike. Lasciò dopo pochi mesi perché, come lui stesso dice, non accettava l’intromissione di Berisha nelle questioni editoriali e passò all’opposizione nel giornale Koha
412
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
le istituzioni pure se formalmente queste erano fuori dalla portata delle
sue azioni [Baze 2010, 351-355].
lo cita come un caso concreto, di come Berisha poneva sotto la propria
anno prima della crisi, dal titolo didascalico «I malok al sud».
Nella strategia per la preservazione del potere di E. Hoxha e S. Beridi partito dal sud al nord, questo fece anche il presidente in seguito.
Egli installò al sud montanari del nord, suoi compaesani di Tropoja,
come capi dei commissariati di polizia, doganieri, impiegati del SHIK
(Sh rbimi Informativ Komb tar/Servizio d’Informazione Nazionale), eccetera. Non è questione del fatto che questi furono scelti dalle aree del
nord dove il Presidente ha il “fis”11; ma furono scelte tra quelle persone
che non hanno istruzione, che sono cechi obbedienti, bruti nell’atteggiamento e che capiscono solo la grammatica di Berisha. Questi furono
lettiva e il presidente Berisha fu ritenuto il principale istigatore delle divisioni nord-sud, che secondo Fatos Lubonja egli sfruttava per mantenere saldo il suo potere [Lubonja 1999, 361]. In un’intervista rilasciata l’8
che aveva generato il caos nazionale, ma ne elenca gli errori in campo
meridionale della regione intorno a Valona. Egli sosteneva che in quel
ché Berisha non era stato in grado di ricostituire una società equilibrata
do l’opinione di Mingomataja, essendo un presidente di Tropoja non
11
fis può essere inteso qui come famiglia allargata oppure lignaggio.
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
413
seppe o non volle neutralizzare in modo graduale questa frattura in seno
timenti del sud che era stato per tanto tempo maltrattato. Valona invece
era la manifestazione di un nazionalismo regionale dovuto ai sentimenti
Partito Socialista [Zilja 2001, 215-216].
Un analogo paragone tra Enver Hoxha e Berisha lo fa anche Fatos Lubonja. La sua prosa su questo punto è elusiva forse perché l’autore non
vuole lasciarsi andare a frasi laconiche e spiegazioni dozzinali come
permane l’idea che entrambi i leader abbiano assunto atteggiamenti a
favore di individui coltivati nelle terre e nella cultura d’origine. Lubonja
sostiene che nonostante l’uno fosse del sud e l’altro del nord entrambi
in città pieno di complessi d’inferiorità, ma con la psicologia del mercenario che non si fa scrupoli per ottenere ciò che vuole. Essi si sarebbero
posti a capo di un’intera categoria di individui simili riuscendo ad avere
contro la determinazione di chi è cresciuto in una realtà sociale che si
Con Berisha si sarebbe portato a compimento la seconda fase di urbanizzazione di tali individui mentre la prima, quella iniziata con Hoxha, è
rimasta incompiuta per ragioni che l’autore non spiega [Lubonja 2010,
189-190]. Lubonja non si sbilancia a dare una collocazione meridionale
o settentrionale agli “urbanizzati” della prima o della seconda ondata
forse perché vuole essere corretto politicamente e perciò evita ogni generalizzazione.
ci sono
e
nell’albania contemporanea?
414
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Comunicare Storia
in modo soddisfacente alla questione se è possibile rinvenire un sfruttamento delle identità geg -tosk da parte delle fazioni politiche che eraraccolga interviste e che prenda in esame tutta la stampa dell’epoca, del
periodo precedente e di quello immediatamente successivo. Bisognerebbe inoltre attendere la pubblicazione dei documenti d’archivio che sicuramente conterranno informazioni che serviranno per conoscere meglio
la storia di tutta la regione negli anni Novanta e non solo dell’Albania.
geg e tosk non
compaiano mai né sui testi scritti nel periodo coevo e immediatamente
successivo alla crisi del 1997 né in quelli scritti alcuni anni dopo tra
quelli che ho potuto leggere. I termini impiegati sono nord e sud, ma
questi non indicano con precisione una particolare tipologia di cultura
albanese, quanto invece sembrano costituire delle coordinate informali
da cui il regime di Hoxha trasse i propri elementi più fedeli. Il nord
ammettendo che questa tesi è certamente fondata su dati reali, manca
precisa come è avvenuto il consolidamento dei due sistemi (comunista e
post-comunista) a favore di elementi provenienti prima dal sud e poi del
nord e quali ripercussioni ha avuto sullo Stato.
Siccome sui testi che ho letto non si fa riferimento diretto ai geg e
tosk
individui non abbiano sentito alcuna esigenza di utilizzarli perché sono
due parole che sono state impiegate in precedenza per raggruppare aree
È possibile che una volta che i termini geg e tosk non siano stati più
utilizzati, siano stati semplicemente scartati perché non evocavano nulla
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
415
alla maggior parte della popolazione che secondo Mustafa Nano è designata da questi nomi.
sizione tra alcuni centri del sud e il sistema politico che aveva consentito
il proliferare di istituti bancari informali. Quando le città meridionali si
sono temporaneamente sottratte alla nazione hanno iniziato a rivendicare le rispettive particolarità regionali senza descriversi come parte di
nisce lab mentre indicava come la fonte principale dei problemi Sali Berisha il quale non era semplicemente del nord, ma di Tropoja. In sostansud, ma soltanto rimostranza per chi era sospettato di essere originario
della regione estrema del nord da cui proveniva Berisha e dove presumibilmente la gente viveva ai margini del progresso culturale e da dove il
presidente raccoglieva i membri della sua cricca. Penso che il sentimento
di ostilità verso i montanari desumesse dall’odio nei confronti di Berisha
e non dall’antipatia che potevano avere suscitato in pochi anni le nuove
to alcuni incarichi di rilievo nel sud.
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Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
il dibattito circa l’identità albanese contemporanea come conseguenza della contrapposizione città – campagna
a sottolineare un atteggiamento prettamente provinciale e retrogrado
della leadership albanese e il modo in cui questa esercita il proprio controllo sulla società. L’opposizione dei contesti città-campagna e i rispettivi valori che questi due milieu rappresentano sono fenomeni spesso
citati come le cause primarie della manifestazione di fenomeni violen-
rango che non rispettano la legge poiché si sentono superiori a essa. Egli
sostiene che:
in circostanze simili: semplici, ma essenziali per il cittadino, la sua cultura e la sua educazione. [Tushi 2010, 271]
Shinasi Rama è un albanese che insegna al dipartimento di scienze politiche della New York University dove è anche direttore del programma
Master. Senza mezzi termini, egli pensa che il sistema socio-politico
albanese sia una dittatura di bifolchi. Nel suo libro P rrallat e tranzicionit
shqiptar (Le favole della transizione albanese) argomenta con convinzione
come la classe dirigente albanese abbia ereditato dal contesto rurale una
serie di attributi spregevoli e che tale retaggio ha conseguenze nefaste
sulla prosperità dello Stato e dei cittadini. Con questa idea in mente egli
ha elaborato una teoria per spiegare i malfunzionamenti della sociecircolazione delle élite perché il loro processo di formazione è ostruito
da un piccolo numero di individui che hanno potuto concentrare nelle
loro mani tutto il potere politico ed economico [Rama 2012, 110-126].
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
417
Questi individui formerebbero la «Paria e Tiran s» che nella visione del
politologo è costituita da contadini che sono usciti dalle campagne per
arrivare in città dove hanno occupato i posti chiave del potere12. Adesso
come in passato la Paria non avrebbe interesse a trasformarsi in un’élite
tutto il popolo. Rama crede che la Paria, per non rischiare nulla, rimane
legata ad una tradizionale concezione localista, ultramaterialista e miope dell’esistenza opponendosi con veemenza a qualsiasi evoluzione nella
struttura sociale e politica del Paese. In sostanza la mentalità contadina
sarebbe il problema più grande dell’Albania contemporanea perché «lo
Stato è capeggiato da contadini, che non hanno il minimo sentimento
nazionale e umano» [Rama 2012, 404].
Oltre alla somiglianza con le idee di Lubonja va notato che l’attacco alla
mentalità contadina, che Rama detesta in modo eccessivo, sembra nutrito da più da narcisismo che da qualche teoria sociologica che non si
adatta al contesto albanese [Rama 2012, 395]13. Non stupisce che Rama,
quando elenca i centri storici di cultura cittadina, al primo posto pone la
sua natia Scutari [Rama 2012, 404]. Il quadro della società albanese che
Rama dipinge da una parte colpisce per la lucidità con cui da conto dei
problemi che contraddistinguono la nazione in termini di corruzione e
plici e sembra voler completamente ignorare i presupposti da cui iniziava il cammino democratico dello Stato albanese sminuendo ogni passo
che è stato fatto in questa direzione. Si tratta di progressi certamente
limitati e che hanno arrecato innumerevoli ingiustizie economiche e
paria (accento cade sulla i) in albanese
indica un organo di persone a capo di un corpo sociale.
12
13
secolo che Rama utilizza per analizzare l’odierna Albania sia il metodo migliore per
comprendere i fenomeni legati alla transizione albanese in particolare e gli altri contesti ex-comunisti in generale. Questa teoria non prende infatti per nulla in considerazione l’ambiente esterno ovvero il contesto più ampio mondiale che direttamente e
indirettamente determinò e guidò i processi di transizione.
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Comunicare Storia
sociali che ora danneggiano la vita di tanti albanesi. Ma sono aspetti
a cui uno studioso deve dedicarsi con maggiore attenzione. La libertà
d’espressione, di cui lo stesso Rama usufruisce non è un fattore da sottovalutare. Inoltre la considerazione della città come luogo di cultura più
elevata rispetto alla campagna evoca la celebrazione il mito della civiltà
occidentale riprodotto in scala ridotta.
In base alle opinioni dei diversi autori che ho sin qui comparato, è evidente che questi percepiscano l’esistenza di una frattura sociale all’interno della nazione dove secondo la loro opinione coesistono due diverse
concezioni dell’organizzazione sociale, quella rurale e quella cittadina.
L’identità albanese sarebbe sospesa in una dimensione psicologica tra
un passato contadino e un presente urbanizzato. Sembra però che sia il
passato a condizionare negativamente il presente poiché per la maggior
parte degli attori, cioè per gli albanesi odierni ex contadini, non è possibile mettere in pratica in un contesto urbano la solidarietà meccanica che garantiva l’equilibrio nelle realtà rurali. I contadini urbanizzati
tenderebbero a comportarsi in modo predatorio con i concittadini che
non fanno parte della cerchia più stretta di parenti e conoscenti. Mustafa
utilizza direttamente i termini “contadino” o “cittadino”. Tuttavia, le caratteristiche che egli attribuisce a geg e ai tosk pongono l’accento sulla
predisposizione culturale dei primi a vivere secondo i precetti di una vita
rurale fondata sulla tradizione e dei secondi a muoversi in un contesto
moderno e urbano governato dalla legge civile. Rispetto agli altri autori,
bisogna riconoscere a Mustafa Nano un’apprezzabile umiltà. Egli non si
tre gli altri autori il cui pensiero è stato da me discusso sembra vogliano
prendere le distanze dal popolo e dalla classe politica che lo governa.
Nelle opinioni di Shinasi Rama e Fatos Lubonja il popolo e la classe
politica sarebbero causa dei loro stessi mali, che provengono dall’assenza
di educazione e dall’incapacità di vivere o persino di concepire le istituzioni di uno Stato del diritto democratico.
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
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Comunicare Storia
In base a quanto emerso dal confronto dell’opera di Mustafa Nano con
gli altri autori vorrei formulare delle ipotesi sulle motivazioni che possono averlo spinto a scrivere questo libro. Bisogna innanzitutto notare che
una reintroduzione delle categorie geg e tosk si osserva nelle nuove
ricerche in campo albanologico e più in generale balcanologico da parte
di autori che riutilizzano tassonomie care ai viaggiatori del XIX secolo
con l’intento di mostrare l’inconsistenza delle identità nazionali e, forse,
con la speranza che ciò possa attenuare i nazionalismi regionali. Ma è
anche probabile che il lavoro di Mustafa Nano sia in parte determinato
sviluppo di un’identità albanese post-comunista. In tal senso uno dei
si limita ai soli albanesi di cittadinanza. L’utente Ylli, il cui commento
qui ripropongo14, faceva notare che l’Albania è un’entità piccola e non
presenta una grande variabilità linguistica o socio-culturale. Il fatto però
che Ylli abbia preso come esempio un’area che non appartiene allo Stato
albanese dimostra che l’Albania, come entità culturale e sociale, si estene il miglioramento delle relazioni tra i Paesi dei Balcani la popolazione
albanese si sta progressivamente integrando. Quasi tre milioni di albanofoni distribuiti tra Montenegro, Kosovo e Macedonia sono tutti potenziali consumatori di cultura albanese allo stesso modo in cui lo sono
quelli dell’Albania vera e propria. Tale sviluppo ha spostato il baricentro culturale dell’entità nazionale verso settentrione. Gli attori di questo
nuovo spazio d’interazione sociale e i “clienti” della produzione culturale che è generata dal processo d’interazione parlano tutti un idioma gegë.
14
gegë e toskë ci siano delle divergenze, ma il modo in cui
è stato pensato da Muqi [sta per Mustafa] è inaccettabile. L’Albania non è l’India o la
Cina e perciò ci sono più cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Non dimentichiamo che tra Suhareka e Prizren [città del Kosovo che si trovano all’interno del
421
FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
Di conseguenza, il sud dell’Albania sta divenendo un’area periferica. La
parlata del sud ha l’egemonia sulla lingua scritta, ma potrebbe perderla poiché gli albanofoni del nord sono in maggioranza. Coloro che si
sentono dei toskë come Mustafa Nano iniziano forse a percepire la cupa
sensazione di essere una minoranza. Oppure forse accade un processo
strutturalmente analogo, ma di segno opposto. Ovvero che di fronte alla
nuova situazione politica che sta rimescolando i tratti distintivi della
nazionalità albanese, è probabile che presso taluni individui, la paura
di rimanere intricati in questioni nazionali del nord extra frontaliero si
cristallizzi in un sentimentalismo tosk .
Quotidiani e risorse online
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422
Storicamente 10 - 2014
Comunicare Storia
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FABIO BEGO
La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo
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Comunicare Storia
le nuove generazioni nella
crisi italiana: alcuni contributi
sociologici
Paolo caPuzzo
Univ. Bologna,
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
Il fatto che l’appartenenza a una generazione condizioni in modo spestruttura temporale di una società sia estremamente complessa, essendo dipendente dalla diversità delle esperienze generazionali che in essa
convivono. Possiamo perciò utilmente pensare alle generazioni come a
un’articolazione della società piuttosto che come a una serie di ondate
distinto. Oltretutto, dal punto di vista biologico, l’appartenenza generazionale è oggettiva e perciò non revocabile con una scelta soggettiva.
Ciò non comporta automaticamente delle conseguenze apprezzabili sul
piano storico-sociale, come ha chiarito Mannheim, ma rappresenta una
potenzialità che può poi dispiegarsi o meno in relazione ad altre forze
che agiscono per la trasformazione della società [Mannheim 2008].
Lo studio dell’avvicendarsi delle generazioni fornisce dunque uno spe-
di nuove generazioni di giovani nell’Europa del Novecento è stato scandito dalle tragedie della prima metà del secolo. Le due guerre mondiali
426
Storicamente 10 - 2014
Dibattiti
hanno infatti incorniciato una guerra civile europea che ha visto i giovani come protagonisti: combattenti e animatori delle nuove culture
politiche che hanno segnato il secolo, in primo luogo il comunismo e
il fascismo. Nella seconda metà del Novecento le giovani generazioni si
sono messe in evidenza in contesti fortunatamente meno violenti, ma
nondimeno, attraverso nuovi stili di vita e pratiche di consumo, hanno
marcato una precisa fase di cambiamento storico-sociale iniziata negli
anni Cinquanta e culminata nel 1968: una grande rivolta globale che ha
assunto un evidente carattere generazionale.
Accanto ai grandi tornanti della storia del Ventesimo secolo, che hanno
poi eventi che hanno assunto un carattere locale. In Italia possiamo ad
esempio parlare della generazione del ’77 o di quella della Pantera, mentre la partecipazione alla fase di alta mobilitazione del movimento alterglobalista tra Seattle e Genova ha assunto dei tratti generazionali più
deboli, dato il virtuoso carattere intergenerazionale che ha arricchito il
neoliberista.
Si ha l’impressione che a partire dagli anni Ottanta sia diventato più
li coincidano il dato biologico della giovinezza e una caratterizzaziosubculture, infatti, se da un lato frammenta i gruppi giovanili secondo
estetiche, con una crescente permeabilità tra generazioni diverse. Inoltre,
determinati riti di passaggio hanno sbiadito la loro forza simbolica e
detengono un potere di regolazione sociale meno condizionante che nel
adulta. Nella comunicazione giornalistica questi cambiamenti vengono
paolo capuzzo
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
427
delle responsabilità legate alla vita adulta, un fenomeno per il quale la
psicologia da rotocalco ha coniato l’espressione di “sindrome di Peter
Pan”. In verità credo che si tratti di un fenomeno più complesso, nel
quale sono certamente implicati degli aspetti psicologici che vanno tuttavia considerati, come si vedrà, nel quadro di più ampi mutamenti storico-sociali e tenendo ben presente la trasformazione di alcuni caratteri
biologici del genere umano intervenuta a partire dalla seconda metà del
vita. Questi processi ci porteranno probabilmente oltre le modalità del
rappresentato uno degli elementi dinamici che hanno segnato i grandi
tornanti della storia del Novecento.
Nella prospettiva di un ripensamento della categoria di generazione per
la ricerca storica, i testi qui discussi, di impianto prevalentemente socioAnzitutto, il carattere quantitativo di queste ricerche, che presuppongofornisce un solido fondamento allo studio della società secondo coorti
zione storico-culturale delle giovani generazioni appare sempre più incerta. Ciò consente di allargare l’approccio allo studio dei giovani oltre
la vulgata degli studi culturali, che dopo aver dato un contributo di innovazione fondamentale allo studio di questi temi negli anni Settanta e
Ottanta, hanno visto spesso restringersi la loro capacità di elaborazione
più fuorvianti appaiono gli approcci alla storia dei giovani che considerano questi ultimi soltanto nel quadro dei movimenti politici più o meno
organizzati, facendone l’epitome della condizione giovanile tout court.
consente inoltre, ed è questa un’ulteriore fertile chiave di lettura dei processi storici, di analizzare i rapporti tra le generazioni in contesti sociali determinati, evidenziando le condizioni biologiche, economiche,
428
Storicamente 10 - 2014
Dibattiti
sociali che li strutturano e al contempo indagando i rapporti di potere
e le implicazioni psicologiche e soggettive assunti dalle relazioni intergenerazionali. Ciò comporta uno spostamento di focus dallo studio
delle generazioni che si risolveva nella “storia dei giovani” alle relazioni
tra i diversi gruppi generazionali in virtù delle quali diviene necessario
indagare anche la condizione degli anziani, una categoria sociale che,
nei paesi occidentali e soprattutto in Italia, ha marcato con la propria
Novecento.
Il volume di Antonio Schizzerotto, Ugo Trivellato e Nicola Sartor (a
cura di), Generazioni disuguali. Le condizioni di vita dei giovani di ieri e
di oggi: un confronto, Bologna, Il Mulino, 2011, presenta un’ampia ricerca diacronica sulla condizione giovanile nell’Italia di oggi comparata
a quella delle giovani generazioni della seconda metà del Novecento;
vediamone i principali risultati.
quella delle generazioni che li hanno preceduti, in particolare le giovani
donne che, a partire dalla coorte delle nate negli anni Sessanta, hanno
corsi che ha visto tradizionalmente le donne più presenti negli studi
sociale di appartenenza sulla performance scolastica continua ad avere
Se da questo punto di vista una pluridecennale mobilitazione democratica, che ha teso a rendere meno sessista e classista il sistema educativo del nostro paese, sembra avere conseguito un parziale successo, vi
sono tuttavia delle ombre pesanti che spengono l’ottimismo generato da
questi dati: tutte le rilevazioni comparative dei risultati raggiunti dalla
formazione scolastica danno il nostro paese in drammatico regresso e
in peggioramento rispetto al livello degli altri paesi; il peso di diplomi
e lauree come valore aggiunto sul mercato del lavoro non sembra esse-
paolo capuzzo
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
429
che l’istruzione potrebbe avere come veicolo di mobilità sociale sembra
fortemente minato dalla svalutazione del titolo di studio come elemento
di forza nel mercato del lavoro.
Dal punto di vista del lavoro, il tasso di attività dei giovani è aumentato
quale non documenta perciò la più recente fase di drammatica crisi degli
grazie essenzialmente all’incremento del tasso di occupazione femminile.
Vi sono tuttavia anche qui delle note dolenti: sono infatti aumentati
i tassi di disoccupazione cumulata nella carriera lavorativa a seguito
dell’instabilità dei rapporti di lavoro, un dato che appare più attenuato
per le donne solo perché anche in precedenza erano esposte a una forte
instabilità occupazionale. Su questo piano lo svantaggio delle giovani
generazioni è molto forte e provocato dall’introduzione dei lavori atipici
tra gli anni Novanta e Duemila. Se inizialmente queste nuove forme
contrattuali hanno evidenziato una serie di problematicità che sembrano ritenute poter generare, a partire dal 2008 hanno fatto esplodere un
problema drammatico in termini di impatto generazionale della crisi.
Il rapporto tra la disoccupazione giovanile e quella generale, che si era
costantemente ridotto tra il 1987 e il 2007, è tornato rapidamente a crescere, mentre sul piano delle retribuzioni è terminato un ciclo virtuoso
che ha visto crescere i salari di ingresso nel dopoguerra: con i nati negli
anni Settanta, infatti, esso ha iniziato a regredire.
dal welfare statale sono compensate dalle famiglie. I giovani di oggi possono infatti contare su un sostegno familiare molto più solido, sia dal
punto di vista del reddito che da quello patrimoniale, rispetto alle generazioni precedenti. È evidente tuttavia che ciò non è privo di conseguen-
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generazioni anziane su quelle giovani, visto che queste ultime si trovano
spesso in condizione di dipendenza dalle prime. Si tratta inoltre di una
dei giovani molto di più di quanto accade negli altri paesi dell’Europa
continentale. A questi processi che minano la mobilità sociale interdeleteri dal punto di vista psicologico, dato che molti giovani si trovano
a conseguire tardi una piena autonomia personale. È perciò comprensibile che in queste condizioni vengano spostati in avanti tutti i momenti
di passaggio a un’indipendente vita adulta: il primo impiego, la prima
più tardi che per le precedenti generazioni.
Il declino economico complessivo dell’Italia non è certo estraneo alla
ne, con l’ingresso della Cina e dei paesi dell’Est nel mercato internazionale, ha inasprito la concorrenza, in particolare nei settori industriali labour intensive
avevano costruito la fortuna dell’Italia negli anni del boom e poi nel,
livello europeo della sovranità monetaria ha fatto anche venir meno uno
strumento del quale l’Italia si era spesso servita nei momenti critici, vale
titive che permettevano di conservare il potenziale produttivo orientato
al mercato internazionale.
Tuttavia queste condizioni, peraltro variamente condivise anche da altri
intergenerazionale che è peculiare del nostro paese. Essa infatti discende
da precise scelte politiche, in particolare in ambito pensionistico e del
lavoro. Con il passaggio dalla riforma Amato alla riforma Dini del 1995
sono stati esclusi dal vincolo contributivo tutti coloro che a quella data
paolo capuzzo
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
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avevano almeno 18 anni di anzianità contributiva. Ciò ha caricato di un
fardello economico le generazioni successive. Sul piano del lavoro, poi,
se il venir meno della scala mobile negli anni Ottanta ha comportato
una riduzione del reddito del lavoro dipendente nel suo complesso, i
nuovi contratti atipici introdotti tra il 1997 e il 2003 hanno consentito
un’ulteriore compressione dei salari che ha riguardato principalmente i
precari, in grande maggioranza giovani, senza peraltro che venisse adeguato il sistema di protezione sociale che tutela essenzialmente i lavoratori a tempo indeterminato. Se si aggiunge il fatto che l’enorme debito
pubblico italiano graverà sulle giovani generazioni e che esse non hanno
alcuna possibilità di migliorare la propria posizione occupazionale rispetto a quella dei genitori, si può facilmente concludere come i giovani
di oggi si trovino di fronte a una situazione nuova rispetto alle giovani
generazioni del Novecento: vale a dire il venir meno della prospettiva di
un futuro migliore.
Un ulteriore elemento di novità nella storia recente è la crescente presenza sociale della popolazione anziana, alla quale è dedicato il volume
di Antonio Golini e Alessandro Rosina (a cura di), Il secolo degli anziani.
Come cambierà l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2011. L’Italia è all’avanguarquale gli anziani andranno assumendo un peso viepiù rilevante. I prodel rapporto tra popolazione anziana e popolazione attiva che rischia di
quilibrio del sistema occorrerà agire lungo due direzioni: trattenere più
a lungo la popolazione al lavoro e inserire più rapidamente i giovani nel
mercato del lavoro. È importante che entrambi questi processi abbiano
luogo, nonostante vi siano evidenti elementi di contraddizione tra di
essi, se si vuole scongiurare un drammatico impoverimento della nostra
società; se nella prima direzione si sono fatti dei passi avanti, del tutto
in controtendenza rispetto a quanto sarebbe necessario appare invece il
ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Da ciò discende la
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centralità, per il futuro della nostra società, delle politiche del lavoro che
dovrebbero essere prioritarie rispetto a qualsiasi altra preoccupazione di
politica economica.
Se questa è la principale questione che pone questa transizione demolo Stato sociale debba farsi parzialmente carico di questo problema che
al momento grava pressoché interamente sulle famiglie, in particolare
mercato del lavoro, spesso ricorrono alle donne immigrate per gestire le
esigenze di assistenza domestica. Sul piano delle politiche urbane, poi,
mentre sarà al contempo importante mettere a frutto la loro presenza ripensando la funzione che gli anziani possono avere nella nostra società e
che informalmente già esercitano come prestatori di servizi alle famiglie
o redistributori di risorse. È infatti oltre modo evidente che in Italia l’informale e privata redistribuzione delle risorse tra le generazioni sta compensando i limiti di iniquità generazionale del nostro welfare. Dato che
ci troviamo di fronte da una parte a una popolazione anziana certamente
più benestante che in passato, grazie al patrimonio cumulato con una
vita di lavoro e a un welfare particolarmente generoso verso il sistema
pensionistico, e dall’altra a una popolazione giovane impoverita e con
scarse opportunità di miglioramento delle proprie condizioni, è naturale
che all’interno delle strutture familiari si operino delle compensazioni.
Va comunque fatta un’importante precisazione metodologica che può
essere utile a chi voglia cimentarsi con lo studio storico di questa categoria sociale che in Italia è ancora tutto da fare. Anche la categoria di
anziano, non diversamente da quella di giovane, cambia insieme alla
società. Nel 1951 gli over 65 erano 4 milioni, nel 2001 oltre 10 milioni,
si prevede che possano essere 20 milioni nel 2050. Tuttavia, il prolunga-
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Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
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mento dell’aspettativa di vita pone forti dubbi alla comparabilità sociale
vano mediamente aspettarsi di vivere altri 13 anni; se mantenessimo gli
ultimi 13 anni di vita come parametro dell’ingresso nella fase anziana,
ecco che allora nel 1981 esso si sposterebbe da 65 a 70 anni e oggi a 75.
interpretare meglio i processi sociali e di orientare le politiche pubbliche
in modo nuovo, come è accaduto con l’età pensionabile che è stata dinamicamente collegata alle aspettative di vita per conseguire un maggiore
equilibrio nel rapporto tra contribuzione e spesa pensionistica.
Il pamphlet di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina, Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, Venezia,
Marsilio, 2009 entra nel pieno del dibattito pubblico sulle iniquità geiniquità sia il frutto della complicità di due generazioni: quella anziana
abbarbicata nei posti di potere che non sembra avere alcuna intenzione
di cedere, quella più giovane che pare subire l’ingiustizia generazionale
senza reagire, accettando piuttosto la logica della cooptazione che premia alcuni perpetuando uno stato di subalternità.
essa non si è messa in evidenza con particolari iniziative storicamente rilevanti. Questa generazione mostra scarsa combattività e presenza
si è trovata a subire il trauma della brusca interruzione di un’adolescenza
la globalizzazione dei mercati e si è reso improcrastinabile fare i conti
con un debito pubblico fuori controllo. L’ingresso nel mondo del lavoro di questa generazione è avvenuto all’insegna della deregulation del
mercato che si è tradotta in un processo di precarizzazione che ridi-
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ricattabili. Ciò spinge molti giovani a ricorrere alle famiglie di origine
quella autonomia personale che costituisce un presupposto basilare della
rano poi facilmente la ricerca di vie d’uscita private, spesso caricando la
di rovinosi fallimenti.
Che vi sia un’acuta iniquità nel rapporto tra le generazioni è un dato di
fatto incontrovertibile: nel 1965 un cinquantenne percepiva mediamencati; un tempo le opportunità di carriera erano notevoli, oggi sono assai
improbabili; le generazioni precedenti sono cresciute, oltre che con le
opportunità professionali del boom economico, anche con la protezione
di un welfare che oggi attraversa una crisi profonda e strutturale; ancora
all’inizio degli anni Ottanta l’età media dei rappresentanti politici e sindacali era di 45 anni, oggi di 59; chi è entrato nel mercato del lavoro negli anni Novanta è destinato a percepire una pensione notevolmente più
bassa di chi ci è entrato in precedenza, pur a fronte di un prolungamento
degli anni di contribuzione che dovrà prestare; il debito che grava sulle
giovani generazioni non ha paragone negli altri paesi europei.
Nonostante ciò, nel dibattito pubblico italiano è ricorrente una retorica
giovanilistica e un’insistenza sul merito come strumento di selezione
della classe dirigente che non può che suonare come vuota ipocrisia
di fronte a una realtà sociale nella quale sembra inverarsi esattamente
l’opposto. Gli autori sembrano riporre qualche maggiore speranza nella
giovanissima generazione – i ventenni di oggi – che sta dando maggiori
segni di orgoglio generazionale; tuttavia ritengono che siano necessarie
porti tra le generazioni: la riduzione del debito pubblico; una maggiore
paolo capuzzo
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
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equità generazionale nella spesa sociale; il ringiovanimento delle cariche
e il rinnovo della classe dirigente.
Si tratta di misure largamente condivise, e condivisibili, che sono diventate moneta corrente nel dibattito pubblico, tuttavia c’è da chiedersi
se esse vadano davvero ad incidere nel profondo della disuguaglianza
sociale che sta crescendo nella nostra società. Se infatti l’analisi della
società in termini generazionali porta uno sguardo originale e indispenevidenza anche i limiti. Di fronte alla profonda crisi che è precipitata
negli ultimi anni, vi sono infatti chiari indizi di una reazione familista e
classista che sembra attraversare le generazioni e fondarsi su altre forme
di appartenenza. Gli stessi soggetti sociali strutturano il loro agire sulla
cipio fondamentale, quanto piuttosto delle strategie familiari, locali, di
ceto, o di casta, come si preferisce nella vulgata giornalistica, volte a dile gerarchie della società. In una fase di crisi, nella quale la prospettiva
ritenuta più probabile è quella di un progressivo impoverimento, coloro
che si trovano nella condizione di poter disporre di patrimonio e risorse
stretta cerchia sociale sulla quale si sa di poter contare e che rappresenta
perciò essa stessa una risorsa. Si potrebbero citare numerosi esempi dal
nostro presente che sono spie di questa tendenza: i ripetuti tentativi di
alleggerire le tasse sulle proprietà immobiliari, a fronte di una tassazione sul lavoro che è la più alta d’Europa, segnala la pertinace difesa del
patrimonio familiare, grande o piccolo che sia, che viene agitato come
un baluardo inviolabile piuttosto che come l’oggetto di una politica
domanda di lavoro; la svalutazione dell’importanza del titolo di studio
per l’accesso al mercato del lavoro e al contrario la rivalutazione della
classe sociale di provenienza nella determinazione del destino sociale di
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il reddito, il patrimonio, le relazioni, stiano tornando ad essere decisivi
nella strutturazione della nostra società.
Nella seconda metà del Novecento, sindacati e partiti di massa hanno
avuto una funzione decisiva nel promuovere la democratizzazione della
società e il consolidamento della cittadinanza. Con la loro irreversibile
dall’euforia neoliberale che sembrava poter (ri)proporre un modello di
società imperniato sui pilastri fondamentali della proprietà privata e del
presentanza sociale. Si è trattato di un ampio mutamento di paradigma
che ha potuto prosperare in contesti politici molto diversi, dal Cile di
Pinochet all’Inghilterra thatcheriana [Harvey 2007], che si è insediato
smare la stessa cultura politica di molte famiglie della sinistra europea,
soprattutto dopo il 1989. È un modello che è stato sottoposto a critica
sersi aperta una fase nuova.
che stiamo vivendo, quella della “società del declino e della crisi duraquali si è interpretata e analizzata la società industriale dei trenta gloriosi
L’importante è che non si cerchino scorciatoie e di fronte a strategie
familiari, a chiusure di casta, a ritorni di concezioni patrimonialiste e
qualche profonda struttura antropologica, come il familismo amorale
e simili. Dalla rivoluzione neoliberista globale, alle politiche europee
del dopo ‘89, al modo in cui tutto ciò ha trovato traduzione nel nostro
paese, sono stati intrapresi dei precisi indirizzi politici che hanno modiforme della partecipazione e della rappresentanza politica. È a partire
paolo capuzzo
Le nuove generazioni nella crisi italiana: alcuni contributi sociologici
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dalla riconsiderazione critica di questi passaggi che possiamo sperare di
comprendere qualcosa in più del nostro presente.
Ambrosi E., Rosina A. 2009, Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, Venezia: Marsilio.
Capuzzo P. 2012, Youth and Consumption, in F. Trentmann (ed.) 2012, The Oxford
Handbook of the History of Consumption, Oxford: Oxford University Press, 601-617.
Nach Dem Boom: Perspektiven Auf Die Zeitgeschichte Seit 1970, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht.
Golini A., Rosina A. (eds.) 2011, Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia, Bologna:
Il Mulino.
Harvey D. 2007, Breve storia del neoliberismo, Milano: Il Saggiatore.
Mannheim K. 2008, Le generazioni, Bologna: Il Mulino, (I ed. 1928).
Schizzerotto A., Ugo Trivellato U., Sartor N. (eds.) 2011, Generazioni disuguali. Le
condizioni di vita dei giovani di ieri e di oggi: un confronto, Bologna: Il Mulino.
ISSN 22826033
ISBN 9788898392209
DOI 10.12977/stor