9. Zorzi 161
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9. Zorzi 161
Testimonianze Il fascino “mediato” di Giuriolo di Renzo Zorzi Quando mi è stato chiesto di venire a dire due parole in questo convegno su Giuriolo, ho cercato in qualche modo di schermirmi anche perché, almeno per quello che riguarda ricordi diretti, io non ho conosciuto Antonio Giuriolo: ne ho sentito parlare moltissimo. Sono stato, è vero, sin da allora un amico fraterno di Licisco Magagnato; sono un amico di Meneghello che tante volte mi ha parlato di lui, capitò anche quando lo accompagnai alla casa editrice Feltrinelli per la pubblicazione dei Piccoli maestri, ma, ripeto, non ho memoria di aver direttamente conosciuto Giuriolo, il che è abbastanza strano perché lui partecipò a tutte le riunioni costitutive e di fondazione del Partito d’Azione. Fu l’unico veneto presente alla famosa riunione del 4 giugno 1942 a Roma, in casa Comandini, dove formalmente il Partito d’Azione fu fondato; e Giuriolo vi partecipò, insieme a forse altre dieci persone, da La Malfa più qualche altro del Gruppo romano (e poi Gruppo milanese), a rappresentanti del movimento Giustizia e Libertà di Torino e così via. Aveva partecipato, qualche mese prima, alla riunione che fu tenuta in casa dell’avvocato Ramanzini a Treviso, dove si discusse della possibilità di fondare questo partito come sintesi delle molte correnti esistenti allora e che poi finirono per confluire quasi tutte, se non tutte, nell’alveo del Partito d’Azione. Non fu invece presente, o per lo meno non ne ho memoria, ad una riunione a cui partecipai in rappresentanza della provincia di Verona, insieme ad un mio lontano parente che si chiama Vittorio Zorzi (che poi ebbe qualche parte sia nella Resistenza sia nella vita dei Cln a Verona), che si tenne, pochi giorni dopo la defenestrazione di Mussolini avvenuta il 25 luglio, all’Istituto di Filosofia del Diritto a Padova, diretto allora da Norberto Bobbio, e dove tutte le province venete erano rappresentate. Se non ricordo male, Vicenza, a quella riunione, venne rappresentata da Magagnato e dal professor Ronzani: non mi sembra, ripeto, ci fosse Giuriolo. 164 Renzo Zorzi Questa è quindi la principale ragione del mio imbarazzo nel dirvi oggi due parole. Ce n’è anche un’altra: io sono in una condizione, vorrei dire, di decadenza estrema del mio fisico. Non vedo quasi più e riesco ancora a scrivere faticosamente ma se dovessi leggere un testo farei una fatica immensa e quindi ho rinunciato a scrivere nonostante sarebbe quasi un dovere quando si parla di cose serie ed importanti come quelle di cui dobbiamo parlare oggi: e quindi vi prego vivamente di scusarmi. Le cose che posso dire, d’altra parte, mi sembra rientrino in interventi previsti in questo convegno che certamente sono più documentati e più precisi dei miei, come assai incisiva, ad esempio, risulta la presenza di Giuriolo nel libro di Meneghello e in altri suoi scritti. Vi dirò come fu che sentii parlare la prima volta di Giuriolo da Licisco Magagnato perché fu per me un’occasione abbastanza speciale. Ero andato per una visita a Firenze, presso degli amici, nella primavera o fine dell’inverno del 1944 e poi con un viaggio molto avventuroso, parte a piedi e parte in treno, ero tornato a Verona. Ma con i treni che a quell’epoca, per i bombardamenti o per altro, accumulavano grandissimi ritardi, ero arrivato alla stazione di Porta Nuova di Verona quando era già suonato il coprifuoco. Non potevo arrischiarmi ad attraversare la città in quelle ore: Verona, come sapete, era la capitale della Repubblica sociale italiana e in essa risiedevano i comandi, fra tedesche e fasciste, di tredici Polizie: insomma era una città sorvegliatissima. Verona era la città attraverso la quale i tedeschi entravano in Italia – e ne sarebbero poi usciti – e quindi questa è una delle ragioni per cui, forse, la Resistenza non poté manifestarvisi in modo così forte come in altre città. In ogni modo, la sorveglianza era veramente strettissima e quindi quella notte decisi di non uscire dalla stazione e di aspettare la mattina e mentre stavo aspettando, in quel silenzio, in quella luce bluastra o azzurrastra tipica delle ore notturne in tempo di guerra, sentii uno strano passo che si avvicinava e di cui non riuscivo a capire bene la cadenza e la provenienza. Mi sembrava che fosse o un doppio passo di uomo o che fossero due persone che si avvicinavano. Infatti, dopo un po’ che ero uscito dalla sala d’aspetto dove due ferrovieri mi avevano permesso di stare dopo che avevo spiegato la mia situazione, mi imbattei in due figure che venivano avanti: uno era monsignor Chiot – che diventò molto famoso poche settimane dopo perché fu colui che assistette Ciano e gli altri del regime fascista fucilati a Verona –; l’altro era Licisco Magagnato che veniva avanti con il suo bastone, un po’ faticosamente mi parve in quell’ora notturna. Il fascino “mediato” di Giuriolo 165 Fu un incontro naturalmente di grande amicizia e solidarietà: ci conoscevamo già dai tempi dell’università, anche se io mi occupavo più di letteratura e lui più di arte, ma molte lezioni erano comuni e ci vedevamo con Meneghello e con altri studenti provenienti da vari paesi: io vedevo molto spesso Andrea Zanzotto che invece Magagnato e Meneghello, mi pare, non avevano quasi mai incontrato. Magagnato ed io passammo tutta la notte insieme. Perché c’era don Chiot? Perché quella sera Licisco, che portava con sé una borsa con dentro dei vestiti, era stato liberato dal carcere degli Scalzi di Verona e doveva tornare a Vicenza e il cappellano delle carceri s’era offerto di accompagnarlo. Quello fu un vero e profondo incontro di amici che si erano spessissimo visti ma che avevano sempre altre cose di cui parlare: la politica poi, soprattutto per Magagnato, era una passione divorante dalla quale non riusciva a staccarsi in nessun momento. Ma in quella notte – e la notte invernale è lunga, direi particolarmente in una stazione – mi parlò di varie cose personali; e mi parlò a lungo di questo Giuriolo di cui mi disse «tu dovresti conoscerlo perché è un personaggio di grandissimo interesse e di grandissima qualità» e insistette su questo. Evidentemente Magagnato con la sua malattia – come sapete era stato colpito giovanissimo dalla poliomielite e quindi visse per tutta la vita appoggiandosi ad un bastone o girando in bicicletta (tutti impararono poi a conoscerlo a Verona quando divenne direttore del Museo di Castelvecchio) – e io, che mi trovavo in una situazione d’animo particolarmente adatta a capire, ragionammo sulla grande solitudine di Giuriolo, sul suo sentirsi completamente isolato nella sua città, sul coraggio che aveva dimostrato perdendo la cattedra d’insegnamento per non essersi iscritto al Partito fascista, per non cedere in nulla su quelle che erano le sue convinzioni e la sua coscienza. Ed in questo stato di isolamento che cresceva sempre di più, Giuriolo – così mi spiegava Magagnato – si era abbandonato all’amicizia con alcuni più giovani di lui (a quell’epoca bastavano pochi anni per staccare una generazione da un’altra). Le cose che mi disse Magagnato le trovai, anni dopo, nel libro di Meneghello. Devo dire che quella fu una nottata veramente di grande felicità. Alla mattina finalmente prendemmo il primo treno: lui andò a Vicenza, io scesi a Lonigo dove in quel periodo avevo una delle nostre attività resistenziali. Faccio solo una piccolissima parentesi su questo: come forse qualcuno sa, le città, forse necessariamente, erano troppo impegnate in se stesse nell’organizzazione di quel poco di resistenza che vi si poteva realizzare; difficilmente cercavano collegamenti con le periferie della provincia. Ad un certo punto, nell’autunno 1943, proprio con Ettore 166 Renzo Zorzi Gallo, che allora era pretore a Lonigo, decidemmo che ciò non era giusto. Io a quell’epoca andavo su e giù da Cologna Veneta perché avevo avuto una supplenza nel 1942 che s’era protratta sino al giugno e poi al settembre del 1943: ero in quella zona, trascurata dai gruppi attivi nella città di Verona; ma incontrando altri amici iniziammo a collegarci così tra noi; ci accorgemmo poi che anche Montagnana ed Este e Monselice in fondo erano abbastanza trascurate dagli organismi resistenziali presenti a Padova e che nella stessa situazione erano i paesi confinanti della provincia di Rovigo. Insomma, considerando tutto questo, in una serata in cui facemmo una riunione di una trentina di persone, ci dicemmo «ma perché non possiamo costituire in questi lembi trascurati delle province qualcosa che possa collegarli ed organizzare con le varie forze che ci sono una nostra attività resistenziale?» In provincia di Verona c’erano in particolare Legnago – che era una vera, sia pur piccola, città con molte forze anche intellettuali – Cologna, San Bonifacio, in provincia di Vicenza c’erano Lonigo – che costituiva una piccola capitale circondariale e a cui Ettore Gallo in particolare dava un grande lustro presso la Resistenza – Gambellara, e lì vicino Soave (tuttavia ancora ai margini della provincia di Verona) ed altri ancora. Montagnana pure era una città molto nobile: a Montagnana in particolare c’era, tra quelli del Partito d’Azione, il professor Zwirner che allora insegnava matematica all’università di Padova e che aveva una gran forza di linguaggio, una bella capacità oratoria; a quell’epoca, di oratoria, magari ne facevamo anche un po’ di più di quanto fosse strettamente necessario. E quindi io mi trovai ad operare in quell’area che includeva margini di tre o quattro province. Lì partecipai poi a varie azioni e cercai di fare la resistenza abbastanza bene. Compii anche un’azione particolare proprio qui a Vicenza, della quale poi parlò in qualcuno dei suoi scritti Meneghello: fu quando riuscii a trafugare 500 quintali di sale dalla sede della Montecatini di Vicenza, sale che poi ebbe una vita un po’ sventurata. E difatti mentre io potei portarne in provincia di Verona più della metà, per quel che riguardava Vicenza le cose andarono in malo modo. È che a Vicenza non avevo grandissimi contatti. Conoscevo alcuni membri del Pci e perciò mi affidai a loro. Questi ebbero una trovata che forse avrebbe potuto andar bene in circostanze normali, cioè assoldarono una quindicina di quei carretti che allora giravano per i paesi portando varie mercanzie e affidarono loro questo sale che all’epoca era un bene davvero molto prezioso, come racconta pure Gigi Meneghello nei Piccoli maestri. Per dirne il valore, basta ricordare Il fascino “mediato” di Giuriolo 167 che chiunque consegnasse un partigiano, un resistente – quello che i tedeschi chiamavano un bandito, un ribelle – veniva ricompensato con 5 kg di sale o, in qualche altra occasione, con cinque sterline. Sale non ce n’era assolutamente: i contatti con le saline s’erano totalmente interrotti nell’Italia di quel periodo. Comunque per tornare a quei carretti, i carrettieri si fermarono nelle osterie e intanto venne giù un diluvio di pioggia: il sale, che era salgemma che veniva dalla Germania, si sciolse completamente e l’avventura finì con qualche difficoltà. Ma non voglio parlare di queste cose. Antonio Giuriolo rimase un uomo di grande fascino ma, diciamo, di fascino “mediato”: molti di noi non lo conobbero direttamente, lo ammirarono tuttavia profondamente conoscendo da altri i suoi pensieri e le sue azioni. Molte volte ho anche cercato di parlarne con Norberto Bobbio che aveva scritto un ricordo bellissimo, veramente folgorante di Giuriolo, ma anche lui, al di là di quanto aveva scritto, non aveva molto altro da dire. Bruno Visentin, che lo aveva conosciuto, qualcosa me ne disse, ma anche per lui Giuriolo era un uomo molto difficile da penetrare per quella situazione di isolamento in cui s’era venuto a trovare pagando alti prezzi per l’antifascismo radicale che aveva manifestato fin da molto prima del periodo della Resistenza. Altri ancora mi hanno parlato di lui e poi, come già dicevo, ci sono gli scritti così penetranti di Meneghello. Allora, posso dirvi che sono molto contento di essere qui oggi per cercare di capire e sapere di più di Giuriolo che dobbiamo veramente considerare un eroe della Resistenza Veneta, che tanti eroi ha avuto, ma credo nessuno con le caratteristiche peculiari di Giuriolo. Tanti eroi in Italia e nel Veneto. Ricordo l’impressione che mi fece il giorno che andai a Bassano, dopo il feroce rastrellamento del Grappa, e vidi quei poveri ragazzi impiccati agli alberi del viale. Ricordo altre persone di cui vidi la fine o delle quali sentii narrare la fine, erano compagni ed amici che qualche volta magari avevamo trascinato verso un’avventura della quale non avevamo misurato appieno, forse a causa della nostra giovinezza, i pericoli. Io ed altri abbiamo sempre avuto il rimorso di essere dei sopravvissuti mentre quelli, forse più innocentemente, avevano pagato.