1 parte - luni editrice
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1 parte - luni editrice
Cultura Prima parte I 47 ronin La più pura, incredibile storia vera di abnegazione e senso dell’onore che ci sia mai stata tramandata dalla cultura giapponese di Matteo Luteriani I n concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche di tutto il mondo del film “47 ronin”, con interprete principale il famoso attore Keanu Reeves, abbiamo preso l’unica versione italiana del testo tradizionale della Storia dei 47 ronin tradotto in italiano per presentarlo al pubblico di Samurai con una interpretazione meno commerciale e più profonda, facendo riferimenti al senso dell’onore e al codice dei samurai. Introdurre e presentare un libro come La storia dei 47 ronin al pubblico italiano e in particolare al pubblico che legge una rivista che si intitola “Samurai” è cosa non semplice. Voi, cari lettori, dovreste essere imbevuti di cultura giapponese e orientale in generale, dovreste conoscere e aver letto i libri fondativi del pensiero dell’etica giapponese, come il Bushido (che altro non è se non il codice cavalleresco dei samurai), l’Hagakure, il codice segreto dei Samurai (vera e propria “bibbia” del pensiero dei samurai come condotta di vita), e Il libro dei cinque elementi di Miyamoto Musashi (il testo scritto dal più grande samurai che la storia ricordi, dedicato alla “via” della spada che poi altro non è se non la “via all’illuminazione”). Scrivo di questo libro sperando che i “vecchi” praticanti possano trovare delle conferme e delle nuove idee e linee per ciò che già dovrebbero conoscere a menadito, e soprattutto per i giovani lettori, che si stanno avvicinando alle arti marziali con la reverenza e l’entusiasmo che a loro viene sempre riservato, sperando che possano prendere le mie parole, estrema sintesi della storia, come una indicazione a leggere la vera storia, a farsi ubriacare da questi atti di generosità e profonda devozione a un ideale. Il libro di cui voglio parlare è al momento l’unica traduzione in lingua italiana della storia dei 47 ronin, pubblicato da Luni Editrice (che fra le altre cose ha pubblicato anche gli 64 Samurai altri libri citati e segue da anni una linea precisa di portare a conoscere il mondo orientale al lettore italiano), il cui traduttore è George Soulié de Morant, La storia dei 47 Ronin (18,00 euro, ordinabile tramite la rivista Samurai). Le avventure dei quarantasette ronin non sono una leggenda, ma un fatto storico che l’immaginazione popolare si è dilettata ad abbellire. Gli annali del Giappone riportano gli episodi essenziali di questi tragici avvenimenti e la morte degli eroi il 4 febbraio 1702. Dice de Morant nella prefazione: “La storia dei quarantasette costituisce un florilegio di tutti gli eroismi che sbocciano così abbondanti in questo paese di valorosi. Ogni episodio è l’illustrazione di una regola del Bushi- do. Madri, spose, figli, mariti e genitori vi mostrano come, davanti al dovere essenziale imposto dal momento, i doveri secondari e i sentimenti più profondi debbano coraggiosamente farsi da parte, affinché l’opera possa compiersi e l’ingiustizia sia cacciata dalla terra. In ciò l’anima giapponese s’illumina del suo ideale più elevato. Le grandi linee della storia dei ronin si trovano menzionate in tutti gli annali giapponesi. Ma la vita particolare di ciascuno di questi valorosi, dal- l’anno 1698, quando la dispersione del clan di En-ya fece di loro dei ronin, è conosciuta anche attraverso memorie, racconti di contemporanei, tradizioni familiari in cui, tuttavia, la verità rigorosa non è sempre salvaguardata”. E continua: “E’ importante rilevare che l’eroismo giapponese non esiste solo e unicamente nella vita militare, con le battaglie e la vittoria ottenuta al prezzo della violenza sugli altri, ma anche nella vita civile, col compi- Samurai Cultura mento del proprio dovere e la vittoria su se stessi. Il Bushido è una regola di elevatezza morale indirizzata alle donne e ai fanciulli non meno che agli uomini. Di modo che, se l’avventura dei ronin è celebre, è sì perché ognuno di loro si è comportato nobilmente, ma anche perché tutti coloro che li hanno aiutati diedero prova delle virtù più nobili e più elevate di cui l’umanità possa andar fiera”. E più avanti, quando parla del luogo ove sono sepolti i 47 ronin, dice: “Qui, ogni giorno, i pii visitatori in kimono dal tessuto a fiori, accompagnati dalle loro famiglie vestite con stoffe dai colori vivaci, vanno da un monumento all’altro, rievocando tra loro, o raccontando ai loro bambini, le imprese e la virtù di ciascuno dei ronin, inebriandosi di eroismo; quell’eroismo giapponese - Yamato Damachii - più inebriante del più forte liquore. Così gli eroi morti, simili, sulla loro collina, a qualche vulcano sempre in eruzione, tengono vivo nella nazione il fuoco sfavillante dell’onore, il Bushido, la ‘via del samurai’, che brucia nel cuore di ogni giapponese e al quale l’Impero del sollevante - particolarità unica, questa, nella storia – deve di non essere stato mai né invaso, e di trionfare tanto nelle arti della pace quanto in quelle della guerra, tanto nella vita familiare quanto nelle relazioni internazionali. Perché un popolo forgiato in questi sentimenti rivolga un culto speciale ai quarantasette samurai bisogna che questi valorosi, nella loro lealtà, abbiano dimostrato un coraggio eccezionale”. La sentenza che condannava gli eroici samurai a darsi la morte, il 4 febbraio 1702, ordinava al più giovane, Terasaka Kichiemon, di rimanere in vita affinché le offerte rituali fossero fatte con regolarità agli spiriti dei nobili condannati. Soltanto uno di quegli stessi valorosi era abbastanza eroico perché le sue offerte riuscissero gradite ai mani dei suoi compagni. Ed era stato scelto il più giovane, perché normalmente avrebbe dovuto vivere più a lungo. Di fatto Terasaka Kichiemon, che aveva sedici anni nel 1702, morì all’età di ottantuno anni, nel 1767. Nel più puro stile giapponese, la storia ci è stata tramandata grazie alla compilazione di un giovane che si era legato all’ultimo dei 47 ronin: l’eroe sopravvissuto aveva accettato come confidente un giovane mercante di seterie del quartiere di Chiba, in Edo, chiamato Odagiri Kanesada. E’ a questo mercante di sete che dobbiamo la memoria di quei fatti, di quegli atti di eroismo assoluto. Una volta terminata la compilazione del testo, Odagiri Kanesada lo portò all’ultimo dei 47 ronin, il quale, nell’iniziare a leggere le pagi- 65 Cultura 66 ne scritte finalmente su carta, fu preso da profondissima commozione e iniziò a piangere; al che Odagiri lo lasciò solo ai suoi ricordi. Forse per questo lascito “testamentario”, forse per onorare i suoi vecchi compagni, forse perché l’aver messo nero su bianco la storia di quei valorosi sapendo che l’umanità intera ne avrebbe tratto delle riflessioni, forse perché era giunta la sua ora, sta di fatto che Terasaka Kichiemon morì la notte stessa. Quando il giovane mercante si recò a chiedere un parere al monastero dove risiedeva Terasaka Kichiemon, il superiore dei religiosi rese al giovane il suo manoscritto, la cui prima pagina recava l’epigrafe seguente. “lo, Terasaka Kichiemon, samurai di En-ya, avendo ricevuto dall’alto signore l’ordine di vivere dopo che tutti gli altri vendicatori di En-ya si furono dati la morte, ho adesso raggiunto l’estrema china della vecchiaia. “Tutti gli avvenimenti ammirevoli conservati dalla mia memoria sarebbero periti con me. Essi sono stati trascritti da un uomo leale che, nel suo ardore, ha voluto farli conoscere all’universo. Sono le mie proprie parole che il suo pennello ha fissato sulla carta per sempre. “Quando gli occhi che hanno visto e le orecchie che hanno udito non saranno più, la sua opera resterà, per onorare il nostro daimyo defunto e i valorosi che l’hanno vendicato. I cuori nobili, celebrando le nostre azioni di generazione in generazione, riscalderanno i nostri spiriti gelati nell’oltretomba. La lealtà, l’energia, la rettitudine fioriranno in tutte le anime del Giappone! “Scritto il Vventesimo giorno della dodicesima luna per il pio e onorevole Odagiri Kanesada” Terasaka Kichiemon. Questa la premessa. Quando si parla di Giappone la mente corre velocemente ad afferrare quegli stereotipi che tutti conosciamo: abnegazione al lavoro, identità del singolo nel gruppo, rispetto, onore. Onore. Forse, tutte queste diverse accezioni del comportamento del giapponese si possono riassumere con una parola meno altisonante ma per noi italiani che affondiamo le nostre radici nel latino riusciamo a percepire con maggiore profondità: devozione. Letteralmente la parola devozione significa “sacrificio”: i nostri antenati romani consideravano la devozione “l’offerta agli dei di persone o cose determinate, come vittime, per allontanare un pericolo dalla comunità” (dal vocabolario Treccani). E’ pur vero che in particolare noi italiani siamo così poco avvezzi a conoscere in profondità la cultura orientale e in special modo quella giapponese, che prendiamo come oro colato le panzane che ci vengono raccontate dai vari mass media e dalle “leggende metropolitane”, a differenza della Francia, per Samurai esempio, che conosce profondamente la cultura giapponese e ne è stata e ne è una accanita divulgatrice. La leggenda dei 47 ronin “è” la storia del popolo giapponese. Il popolo del Sol levante, come viene generalmente definito, è legato a una profonda problematica: essendo stato isolato dal resto del mondo per millenni, oggi è all’avanguardia per tutto ciò che riguarda la tecnologia e l’innovazione scientifica, ma al contempo mantiene una fede profondissima per le proprie tradizioni ataviche. Non è infrequente incontrare donne vestite in abito tradizionale con il telefono cellulare all’orecchio, segno della coabitazione di una diversità insita nell’animo del popolo giapponese. Dicevamo l’onore. I giapponesi lo definiscono l’onore inflessibile, lo Yamato Damachii, che costituisce l’ossatura stessa dell’anima giapponese. Se chi legge questo articolo e poi La Storia dei 47 ronin conosce le vicende avventurose del nostro mondo europeo, dall’Odissea all’Iliade, dall’Orlando furioso alla leggenda del Sacro Graal, alla vita stessa dei dodici apostoli, si accorge che le gesta di questi uomini d’arme, votati a servire il loro padrone, sono qualche cosa di veramente trascendente la sfera dell’umana virtù: lo stesso San Pietro ha rinnegato il suo Signore nel momento del pericolo, altri si sono innamorati della moglie del re e hanno vissuto nell’ignominia il resto della vita. Cosa ci può insegnare questa storia? La vita del Giappone medievale e fino ai giorni nostri (con i tanto famigerati e deprecati kamikaze, e loro ultimo epigono, il suicidio di Yukio Mishima) è costellata, veramente come uno dei cieli dipinti da Hokusai, di gesta di eroismo compiuti in purezza totale. Il suicidio giapponese, suicidio rituale scevro da quel moralismo becero che la chiesa cattolica ci ha infuso, è vissuto dal popolo e dai nobili e dai guerrieri come un atto di estremo coraggio. Ora, non è che dobbiamo scomodare Freud per comprendere che suicidarsi è un gesto di eroismo assoluto (senza per questo incitare nessuno a compierlo): ci vuole un coraggio estremo per decidere di togliersi la vita. E’ molto più facile togliere la vita ad altri, come in guerra o in battaglia, che decidere volontariamente, precisamente, con criterio e premeditazione, di terminare il viaggio terreno. (1- segue)