Rassegna 6-12 luglio 2016

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Rassegna 6-12 luglio 2016
RASSEGNA STAMPA
6 - 12 Luglio
2016
28
Sabato 9 Luglio 2016
G IU STIZIA E SOCIETÀ
Niente trasferimenti patrimoniali con separazione o divorzio semplificati
L’accordo semplificato per la separazione o il divorzio non può contenere patti di trasferimento patrimoniale di alcun genere. Quindi,
una circolare non può allentare il
divieto previsto dalla legge, limitandolo all’ipotesi di assegno una
tantum ed escludendolo, invece, in
caso di assegno mensile di mantenimento. Lo ha stabilito il Tar Lazio con la sentenza n. 7813 del 7
luglio 2016. Il collegio ha preso in
considerazione la nuova procedura
di separazione e divorzio prevista
dall’art. 12 del dl 132/ 2014. Nel
dettaglio, il meccanismo legislativo
si svolge davanti all’ufficiale dello
stato civile e richiede due condizioni: la prima è che non vi siano figli
minori, figli maggiorenni incapaci o
portatori di handicap grave ovvero
economicamente non autosufficienti. In questo caso, «l’accordo tra le
parti tiene luogo dei provvedimenti
giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale,
di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».
La seconda condizione, invece, è che
l’accordo non può contenere «patti
di trasferimento patrimoniale». Il
Viminale, tuttavia, ha emanato una
circolare ad hoc che aveva allargato le maglie del divieto previsto
dalla norma primaria, facendovi rientrare solo l’ipotesi di assegno in
un’unica soluzione ed escludendo, a garantire il soggetto più debole
invece, l’assegno mensile di mante- della coppia, che altrimenti sarebbe
nimento o divorzile. I giudici am- fortemente penalizzato, stante la
ministrativi capitolini non hanno, procedura particolarmente accelerata e semplifiperò, condiviso la
cata, che peraltro
lettura ministeriale,
La
sentenza
vede la presenza
posto che la portata
sul sito www.italia- solo eventuale di
della legge è ampia
avvocati e che ate omnicomprensiva.
oggi.it/documenti
tribuisce all’uffiInoltre, essa «è tesa
ciale di stato civile un
ruolo meramente certificatore dell’accordo tra
le parti». I giudici hanno
concluso affermando che
solo un’interpretazione
letterale della norma assicura la tutela del soggetto più esposto, che, in
caso contrario, potrebbe
essere di fatto costretto
ad accettare condizioni patrimoniali imposte
dalla controparte più
forte. Soddisfazione in merito alla
decisione è stata espressa dall’Associazione italiana avvocati per la
famiglia e i minori che, in prima
battuta, aveva fatto ricorso contro
l’interpretazione delle norme fornita dal ministero dell’interno insieme all’Associazione Donna Chiama
Donna Onlus.
Andrea Scotto
L’inchiesta di ItaliaOggi sul mondo dell’avvocatura in vista del Congresso nazionale di ottobre
Cnf, tra compensi e multe il conto è salato
DI
A
BEATRICE MIGLIORINI
cque agitate nel modo dell’avvocatura. Con un bilancio 2016
del Consiglio nazionale forense
che per non chiudere in negativo dovrà attingere alle riserve 2015 anche a causa di una iniziativa editoriale
che ha suscitato non poche perplessità
(si veda ItaliaOggi di ieri) a riscaldare
gli animi dei legali c’è anche la questione «compensi», ovvero il «Regolamento
rimborsi spese e gettoni di presenza». A
fine 2015, infatti, il Consiglio nazionale
onale
forense ha adottato un regolamento interno che per la prima
volta istituisce una indennità
annua per i componenti del Consiglio di presidenza e un gettone
di presenza per tutti i consiglieri,
sia per le sedute amministrative
che per le udienze giurisdizionali
del Cnf. Nel dettaglio tale iniziativa, in aggiunta al rimborso spese standard, prevede «un gettone
di presenza per tutte le attività
inerenti il mandato determinato
in misura forfetaria come segue»,
si legge nel regolamento, «90.000 euro
al presidente, 50.000 euro al vicepresidente, 70.000 euro al Consigliere
segretario e 50.000 euro al tesoriere,
oltre accessori di legge». Cifre a cui
vanno ad aggiungersi quelle previste
alla voce «Gettone di presenza Consiglieri nazionali» che, possono arrivare
fino a 24.700 euro per ciascun consigliere. Un’iniziativa la cui entrata in
vigore è stata prevista già a partire dal
2016, che andrà contabilizzata anno per
anno e che, soprattutto, non è passata
inosservata agli occhi della categoria.
Questa, infatti, ha posto l’accento sui
potenziali conflitti di interessi sul punto
e, tramite l’Ordine di Bari, ha inoltrato
una segnalazione all’Autorità nazionale
anticorruzione. Se da un lato, infatti, la
misura prevista lascia spazio di manovra in questo senso ai singoli ordini che,
per lo meno in parte, sono stati informati dell’iniziativa dallo stesso Cnf nel
corso della Riunione dell’Agorà degli
Ordini che si è svolta lo scorso 17 dicembre è pur vero che tale informazione
è arrivata a decisione presa senza che
i Consigli degli ordini territoriali siano
stati preventivamente consultati, così
come si legge nelle delibere sul punto
degli Ordini di Bergamo, Milano, Firen-
ze, Napoli e Bari. Per le tasche dei legali italiani, però, c’è ancora speranza. Il
regolamento, infatti, è stato impugnato
di fronte al Tar Lazio, non solo da parte
dell’Ordine degli avvocati di Bari, ma
anche da parte della sezione Anf di Bari
e di Bergamo e da altri legali in proprio
sul territorio. La discussione sul punto,
che doveva avvenire il 18 maggio scorso,
è stata però rinviata ad inizio 2017. Le
somme, quindi, nel mentre potrebbero comunque essere erogate ai diretti
interessati.
Autorità
della
A
t ità garante
t d
ll concorrenza e del mercato. A non andare
giù al mondo dell’avvocatura, però, sono
anche le due sanzioni che l’Antitrust ha
irrogato al Consiglio nazionale forense.
La prima, che ha trovato conferma in
ultima istanza di fronte al Consiglio di
stato con sentenza del 22 marzo scorso
che ammonta a 912 mila euro più gli interessi di mora e la seconda, di circa 900
mila euro per inottemperanza al proprio
precedente provvedimento provvisoriamente esecutivo. Il Cnf nel primo caso,
infatti, ad avviso dell’Agcm avrebbe
posto in essere un’intesa, unica e continuativa, restrittiva della concorrenza,
consistente dell’adozione di due decisioni volte a limitare (si veda ItaliaOggi
del 24 marzo 2016) l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione
del proprio comportamento economico
sul mercato, considerando illeciti disci-
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMjoxNFojIyNWRVI=
plinari la richiesta di compensi inferiori
al minimo e limitando l’utilizzo di un
canale promozionale e informativo attraverso il quale era possibile veicolare
anche la convenienza economica della
prestazione professionale. Una sanzione
che, di fatto, viene pagata con le entrate
derivanti dai versamenti degli iscritti
che sono stati considerati dall’Antitrust
soggetti danneggiati, o quanto meno
non responsabili, dalle iniziative poste
in essere dal Cnf. Il tutto, indipendentemente dalla comunicazione avvenuta
da parte del Consiglio in merito al fatto
che tali somme fossero già state messe
da parte preventivamente.
Elemento che non è passato inosservato non solo agli occhi degli ordini locali che, a più riprese nei mesi
precedenti hanno chiesto l’immediato
pagamento delle sanzioni in modo
da non rischiare di andare incontro
all’aumento della somma, ma anche e
soprattutto ai singoli legali. E la voce
è arrivata fino alle istituzioni europee.
In base a quanto risulta a ItaliaOggi,
infatti, alcuni avvocati in privato, attraverso legali di fiducia hanno scritto
direttamente alla Direzione generale
per la concorrenza della Commissione
europea, cogliendo l’occasione legata
all’instaurazione di un giudizio davan-
ti alla Commissione tributaria da parte
di un legale, in merito alla debenza del
proprio contributo annuale al Cnf. Con
la missiva è, in particolare, lamentata la
violazione del principio in base al quale
«la vittima non può pagare la sanzione
del trasgressore dato che metterebbe a
repentaglio l’efficacia delle sanzioni inflitte che è condizione per l’applicazione
uniforme degli art. 101 e 102 del Tfue».
Tali norme, infatti, nella sostanza prevedono che le vittime di violazioni della concorrenza possano essere risarcite
per i danni e che le autorità nazionali
garanti della concorrenza e dalla Comg
missione si scambino informazioni,
m
ccomprese quelle riservate, per aiutare
lle parti a far rispettare le violazioni dellle regole. Osservazione a cui si affianca
il fatto che «la Commissione in passatto», si legge nella missiva, «ha concluso
cche le sanzioni applicate per violazione
delle regole delle concorrenza non sono
d
fiscalmente deducibili perché sarebberro di fatto rimborsate dallo stato». Tesi
cche sono state prese in considerazione
dall’istituzione europea che ha,
da
però, sottolineato come «nel caso
pe
di specie, l’applicazione coerente
dell’articolo 101 o 102 Tfue non sia
de
in gioco». In sostanza, quindi, la
Dg Concorrenza non ha ritenuto
D
sussistente una palese violazione
su
degli articoli 101 (accordi antid
cconcorrenziali) e 102 (abuso di
posizione dominante) e, per tanto,
p
non aprirà alcuna istruttoria per
n
accertare
la violazione lamentaa
ta.
t Questo, però, per stessa ammissione
dell’Autorità europea
m
non preclude le ulteriori possibilità
di iniziativa
e accertamento attivate
iniz
dai giudici nazionali, nonché la facoltà della stessa Commissione europea
di inserirsi in una fase successiva del
procedimento dato che una valutazione
in questo senso «non pregiudica il diritto del giudice nazionale di inviare alla
Commissione la richiesta di parere o il
diritto del giudice nazionale di adire la
Corte di giustizia per la richiesta di rinvio pregiudiziale». Non è da escludere,
quindi, che la questione possa arrivare
all’attenzione anche dei giudici europei.
Il Congresso nazionale forense, in programma a Rimini il 6, 7 e 8 ottobre 2016
si avvicina ma le speranze di vedere
l’avvocatura unita sembrano lontane.
3-fine
LA RICERCA DELLA FONDAZIONE NAZIONALE COMMERCIALISTI- 06 LUGLIO 2016 ORE 06:00
Commercialista di base: un garante a
favore dei contribuenti minori
La ricerca condotta dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti individua le condizioni
per il riconoscimento dell’assistenza contabile e fiscale di base pubblica a favore dei
contribuenti minori, ipotizzando la figura del c.d. commercialista di base, che opererebbe
in via esclusiva ed autonoma. Il documento si sofferma sul ruolo sussidiario che viene ad
occupare il commercialista nei confronti dello Stato, in relazione alle garanzie pubbliche in
materia di giusto tributo, controllo e recupero dell’evasione fiscale. Tale ruolo andrebbe
ulteriormente rafforzato mediante l’adozione di standard di qualità, check list e strumenti
definiti d’intesa con l’Autorità fiscale.
La Fondazione Nazionale dei Commercialisti ha condotto una ricerca economica e giuridica
sulla figura del “contribuente minore ”, ricomprendendo in essa quei soggetti, imprenditori e
lavoratori autonomi, per i quali lo Stato, fin dalla riforma del 1971, aveva già previsto la
necessità di venire incontro anche con forme di semplificazione in ordine agli adempimenti
contabili e fiscali .
Secondo stime effettuate dalla Fondazione a partire dai dati delle dichiarazioni 2015, i
contribuenti minori producono un gettito annuo (in termini di IRPEF, IVA e IRAP) ricompreso
tra 15 e 20 miliardi di euro, a fronte di un onere per l’assistenza contabile e fiscale di
base stimato pari a circa 3,5/4,5 miliardi di euro.
Il documento della Fondazione - intitolato “Il commercialista di base - Una ricerca sulle
condizioni per l’introduzione dell’assistenza contabile e fiscale di base “pubblica” a favore dei
c.d. contribuenti minori” - presenta un’analisi puntuale dei dati del fisco telematico (Entratel e
Fisconline) che dimostra come i commercialisti , al momento, gestiscano la maggior parte del
flusso documentale trasmesso all’Agenzia delle Entrate, presidiando quasi completamente
l’area dei dichiarativi.
I dati forniti dall’Agenzia delle Entrate relativi alle dichiarazioni 2014, evidenziano che l’83% dei
modelli UNICO SC è trasmesso da Commercialisti abilitati a Entratel; entre considerando
l’insieme dei dichiarativi, tale percentuale si attesta al 63%.
Consulta Il commercialista di base - Una ricerca sulle condizioni per l’introduzione
dell’assistenza contabile e fiscale di base “pubblica” a favore dei c.d. “contribuenti minori”
Perché il commercialista di base?
Stabilire in quale misura vanno versati i tributi previsti dalla legge, oltre a presupporre
un’attività interpretativa delle norme istitutive dei tributi, è una procedura che richiede degli
specialisti per poter essere effettuata. Questi specialisti (art. 41 Cost.), in quanto operatori
economici, hanno il dovere di agire in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana; e tale attività non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.
Il commercialista di base, qualora fosse introdotto, assicurerebbe la giusta corresponsione dei
tributi, favorendo anche il pieno sviluppo della persona. La persona può svilupparsi e realizzarsi,
secondo il dettame costituzionale, solo se sono rispettati e garantiti i cosiddetti diritti di
libertà . Tra di essi, all’art. 22 Cost., è previsto il diritto alla capacità giuridica .
Quali garanzie?
È necessario che lo Stato si attivi affinché sia garantito al cittadino/contribuente il suo diritto al
pagamento del giusto tributo. L'attuazione di tale diritto soddisfa non solo il soggetto passivo
del tributo, ma anche l’interesse più generale dello Stato.
Questa garanzia positiva è possibile radicarla negli articoli 38 e 117 Cost., sulla base di una loro
interpretazione strettamente letterale.
La figura del commercialista di base potrebbe quindi rappresentare uno degli strumenti di cui lo
Stato si serve per poter efficacemente assolvere ai compiti di rimozione degli ostacoli
economico-sociali gravanti su di esso.
Il regime di contabilità semplificata
Il quadro normativo in cui inserire la figura del commercialista di base si completa attraverso la
considerazione di quanto previsto dall’art. 2, n. 18), della legge n. 825/1971, recante “Delega
legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria, concernente le semplificazioni
contabili per le imprese minori e per gli esercenti arti e professioni”.
Il regime di contabilità semplificata previsto nel 1971 trovava la sua ratio nel riconoscimento da
parte del legislatore della necessità di agevolare le c.d. imprese minori , quelle, cioè, meno
attrezzate sia finanziariamente che organizzativamente.
Visto di conformità, asseverazione e certificazione tributaria
Il visto di conformità, l'asseverazione e la certificazione tributaria hanno assunto un'importanza
via via maggiore, da un lato nel garantire il corretto adempimento degli obblighi tributari
da parte dei contribuenti e dall'altro nell'agevolare l'Amministrazione finanziaria nell'eseguire i
controlli di propria competenza.
Il visto di conformità costituisce il primo livello di controllo sulla corretta applicazione
delle norme tributarie. Esso si sostanzia nell'attestazione - da parte del responsabile
dell'assistenza fiscale dei centri di assistenza fiscale (CAF) o del professionista autorizzato - di
aver eseguito i controlli nel riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione
alle risultanze della relativa documentazione, nella verifica della regolare tenuta e
conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle
imposte sul valore aggiunto e nella verifica della corrispondenza dei dati esposti nella
dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili.
Per quanta riguarda i profili sanzionatori della disciplina relativa al visto di conformità, salvo
che il fatto costituisca reato e ferma restando l'irrogazione delle sanzioni per le violazioni di
norme tributarie, al CAF o al professionista che rilascia il visto di conformità infedele si applica
la sanzione amministrativa da 258 a 2.582 euro.
Per quanto attiene all’asseverazione essa si sostanzia nell'attestazione che gli elementi
contabili ed extracontabili comunicati all’Amministrazione finanziaria, rilevanti ai fini
dell’applicazione degli studi di settore.
In ultimo, la certificazione tributaria consiste nell'attestazione, da parte del professionista
autorizzato, di aver eseguito i controlli indicati con apposito decreto del Ministero dell'Economia
e delle finanze tenendo conto, di norma, anche dei principi di revisione fiscale elaborati dai
Consigli nazionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei consulenti del lavoro.
La certificazione tributaria può essere rilasciata a condizione che nei confronti del medesimo
contribuente siano stati altresì rilasciati il visto di conformità e, qualora siano applicabili le
disposizioni concernenti gli studi di settore, l'asseverazione e il soggetto incaricato abbia
accertato l'esatta applicazione delle norme tributarie sostanziali ed eseguito gli adempimenti, i
controlli e le attività indicati annualmente con decreto del Ministro delle Finanze.
Il rilascio della certificazione tributaria garantisce, oltre alla corretta applicazione delle norme
tributarie sostanziali, anche taluni benefici ai contribuenti che optino per tale istituto, in
particolare, per le dichiarazioni relative a periodi di imposta per i quali è stata rilasciata una
certificazione tributaria regolare.
Il fisco telematico
Per i contribuenti, gli adempimenti da potersi effettuare, direttamente o tramite intermediari
abilitati, per mezzo del servizio telematico sono aumentati esponenzialmente nel corso degli
anni, rendendo sicuramente più agevole l’acquisizione dei dati da parte dell’Amministrazione
finanziaria, con rilevante risparmio di costi per la stessa.
Costi e maggiori complessità degli adempimenti sono stati inevitabilmente trasferiti sui
contribuenti e sui professionisti che li assistono, necessitando di fatto dell’assistenza di un
professionista con competenze specifiche, quale il commercialista.
L’analisi dei dati
Secondo il Tax Administration 2015 dell’OECD, la spesa aggregata sostenuta dal sistema
pubblico italiano per le funzioni fiscali si è ridotta del 50,3% tra il 2007 e il 2011 passando da
4.571 milioni di euro a 2.270 milioni di euro per poi risalire a 2.930 milioni di euro nel 2013 (ultimo
dato disponibile).
In termini comparativi, la stessa spesa in Germania nel medesimo periodo è cresciuta del 9,7%,
in Francia è rimasta stabile, nel Regno Unito è diminuita del 14% e negli USA è aumentata del
19%. In generale, il dato italiano rappresenta la riduzione più significativa tra i paesi OCSE.
La FNC rileva che questo dato può essere letto come conseguenza dell’introduzione del fisco
telematico che, in Italia ha rappresentato una rivoluzione straordinaria, anticipando i tempi a
livello internazionale.
Nel 2015, le dichiarazioni presentate ai fini IRPEF sono state pari a 40.716.548.
Per individuare l’area dei contribuenti minori si è fatto riferimento in maniera esclusiva alle
dichiarazioni presentate da persone fisiche titolari di partita IVA. Si tratta di 3.901.857
contribuenti di cui 1.981.103 imprese, 950.095 professionisti, 403.027 agricoltori e 567.632 soggetti
che hanno optato per il regime fiscale di vantaggio.
A cura della Redazione
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3
Corriere della Sera Sabato 9 Luglio 2016
BS
Primo piano Tasse e controversie
I numeri
Ricorsi definiti nel 2015
44,58%
23,01%
Imposte non dovute, agevolazioni fiscali mal calcolate,
contributi chiesti a sproposito.
Se la cartella esattoriale è più
alta di quanto vi aspettavate,
l’unica cosa da fare è rivolgersi
alla Commissione Tributaria.
Vincere contro l’Agenzia delle
Entrate e Equitalia è possibile:
numeri alla mano, un contribuente su tre che porta l’ente
«impostore» in causa riesce a
spuntarla.
Iva, Ires, Irap, tributi locali e
imposte doganali. Il dato nazionale parla di 32 giudizi su
100 favorevoli ai contribuenti,
nel 44.5% dei casi trionfa l’ufficio pubblico, le vicende restanti si concludono con conciliazioni o giudizi intermedi.
A Brescia, terra di imprenditori
e inevitabilmente di commercialisti, sono 1.511 i ricorsi arrivati alla Commissione Tributaria Provinciale nel 2015, numeri in crescita rispetto ai due anni precedenti e pari al boom
del 2012. Con la crescita delle
cause anche avvocati e commercialisti si sono buttati non
solo sul fallimentare ma anche
sul tributario.
Gli enti nel mirino? Agenzia
delle Entrate in primis, la controversa Equitalia e quindi i
Comuni. La battaglia legale si
gioca su campi squisitamente
tecnici e gli esempi sono lì a dimostrarlo. Nel 2015 la Commissione Regionale (secondo
grado di giudizio) ha dato ragione a Semeraro Immobiliare
annullando l’accertamento
con cui l’Agenzia delle Entrate
revocava le agevolazioni fiscali
su un terreno acquistato nel
2003 e rivenduto nel 2006 senza che la Semeraro rispettasse
l’obbligo di edificarlo. La Itap,
valvole a sfera, ha invece battuto il Comune di Rodengo ottenendo dopo 12 anni il rimborso della tassa pagata sui rifiuti
di imballaggio.
Vale la pena di fare causa?
Dipende, chi perde paga e il
conto può essere salato, specie
se dopo il primo giudizio lo
sconfitto sceglie di andare
avanti. Così ha fatto la famiglia
Giacopini, che dopo un’intricata vicenda contro l’Agenzia
delle Entrate che aveva per oggetto il valore di un terreno a
Offlaga, ha dovuto pure pagare
anche 5mila euro di spese processuali. A Brescia, in verità, le
cause sono quasi lampo e scorrendo le tempistiche la nostra
Commissione Provinciale è la
seconda più virtuosa d’Italia. Il
tempo medio di un processo è
Conciliazione
o giudizio
intermedio
Favorevole
Ufficio
pubblico
Italia
243
2015
2014
2013
Evoluzione del contenzioso a Brescia:
i ricorsi di anno in anno
25,84%
41,53%
Favorevole
Ufficio
pubblico
Passantino:
«Sotto i mille euro
non vale la pena»
242
191
32,41%
Favorevole
Contribuente
 Il professionista
Tempo medio del processo (giorni)
Lombardia
2.242
Ricorsi pervenuti
Ricorsi definiti
Conciliazione
o giudizio
intermedio
32,63%
Favorevole
contribuente
1.535
1.644
2012
1.526
1.394
1.344
2013
2014
1.511
1.222
2015
Ricorsi giunti nel 2015 alle Commissioni tributarie provinciali
41.237
Equitalia
88.086
Agenzia Entrate
16.067
Enti territoriali
8.000
Altri Enti
Fonte: Ministero dell’Economia
d’Arco
Cause tributarie, ha ragione
il 33% dei contribuenti
L’anno scorso oltre 1.500 ricorsi alla commissione bresciana
Tasse Lo scorso anno sono più di 1500 i ricorsi presentati
di 188 giorni a Teramo, 191 a
Brescia, 269 a Bergamo, 321 a
Verona, 553 a Milano, 832 a Roma. «Brescia è molto efficiente
e rapida, in quest’ambito è
un’eccellenza: la Commissione
Provinciale dà tempi certi e anche la nostra Agenzia delle Entrate cerca di evitare i contenziosi chiedendo spiegazioni
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMTowMlojIyNWRVI=
prima di inviare gli accertamenti. Qui l’argomento è preso
sul serio e la giustizia tributaria non è vista come un affare
di serie C. Un consiglio? Spesso
è meglio mediare per ottenere
risultati in tempi brevi, evitate
di fare ricorsi per contenziosi
di basso valore», spiega Corrado Molgora, commercialista
Antonio
Passantino
Presidente
dell’Ordine
dei
commercialisti
specializzato in contenzioso
tributario. «Negli ultimi anni,
e questo spiega in parte il
boom di ricorsi, sono state
aperte molte cause per l’Imu
sugli imbullonati. Poi è stato
tolto dal Governo Renzi». La situazione, complice la crisi e un
certo spirito battagliero degli
imprenditori, è comunque diventata esplosiva in tutta Italia
e gestire gli arretrati resta affare difficile: sono 256.90 i ricorsi totali arrivati alle Commissioni Regionali e Provinciali
nel 2015 con un valore totale di
33miliardi di euro, 14mila cause in più del 2014 e in linea con
il 2013. Questa la procedura: c’è
la Commissione Provinciale di
primo grado, la Regionale e
quindi la Cassazione: tal Lucia
Battisti, sorpresa al confine
con la Svizzera con 85milioni
di lire nel 1984, l’ha spuntata
definitivamente sull’Agenzia
delle Entrate solo nel 2015. Le
hanno dato pure 4mila euro di
spese legali, però.
Vittorio Cerdelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I dati
 Il dato
nazionale parla
di 32 giudizi su
cento
favorevoli ai
contribuenti,
nel 44.5% dei
casi trionfa
l’ufficio
pubblico, le
vicende
restanti si
concludono
con
conciliazioni o
giudizi
intermedi
Per sapere come è meglio comportarsi nel
caso si riceva una cartella esattoriale
«discutibile» ecco i consigli di Antonio
Passantino, presidente dell’Ordine dei
commercialisti di Brescia.
Presidente cosa deve fare il contribuente
che riceve una cartella esattoriale più alta
del dovuto?
«Chi rileva inesattezze deve rivolgersi a un
professionista. La causa si svolge in primo
grado alla Commissione Provinciale, in
appello alla Regionale, quindi si va in
Cassazione. A Brescia i tempi sono ridotti: in
7 mesi si arriva al verdetto di primo grado».
Quanto costa far causa al presunto ente
impostore?
«Un contenzioso da 5.000mila euro costa
poco meno di mille euro se la pratica non è
particolarmente difficoltosa. Sotto la soglia
dei mille euro sconsiglio al contribuente di
agire».
Quali sono le tasse per le quali si fa più
spesso causa?
«Gran parte dei ricorsi ha per oggetto le
imposte sul reddito della società e della
persone fisiche. Direi Ires e Irpef in primis,
seguono le tasse catastali».
Ci sono categorie che contestano di più
le imposte chieste da Equitalia e
dall’Agenzia delle Entrate?
«Il settore immobiliare si presta al
contenzioso perché c’è divergenza nello
stabilire i valori. I contribuenti dichiarano un
dato valore del terreno o della struttura,
l’amministrazione ne rileva un altro».
È vero che, complice la crisi, avvocati e
commercialisti si sono buttati su
tributario e fallimentare?
«È una tendenza che osserviamo. I
professionisti puntano molto alle aree della
crisi d’intesa e del contenzioso tributario, la
crisi ha ridotto anche la nostra operatività e
ci muoviamo sui settori che interessano il
cliente».
Il valore medio dei contenziosi italiani è
vicino ai 100mila euro, come si posiziona
Brescia?
«È una provincia ricca e sicuramente gli
importi sono rilevanti. Quando la posta in
gioco è più alta, se il primo grado non
soddisfa, il contribuente tende a andare di
più in appello». (v.c.)
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GIUSTIZIA: BORIA NOMINATO PRESIDENTE SOCIETÀ STUDIOSI DIRITTO TRIBUTARIO ROMA
(ITALPRESS) L'avvocato Pietro Boria e' stato nominato presidente della Societa' fra gli Studiosi di Diritto Tributario. Il
professore ordinario di diritto tributario alla facolta' di Giurisprudenza, presso l'Universita' la Sapienza di
Roma e' stato, quindi, messo a capo della Societa' che riunisce e rappresenta tutti gli studiosi della
materia e promuove lo sviluppo culturale e scientifico del diritto tributario e la sua diffusione, anche
territoriale. Sono soci dell'associazione, senza scopo di lucro, professori universitari di ruolo, in servizio
o in pensione, di prima fascia o di seconda fascia e i ricercatori delle materie attualmente comprese nel
settore scientifico-disciplinare del diritto tributario. Ne fanno parte, inoltre, i professori stabili nelle
Universita' europee ed extraeuropee in materia tributaria e gli studiosi di chiara fama nella materia. Il
consiglio direttivo della Societa' e', dunque, attualmente composto dal presidente Pietro Boria e da
Pasquale Russo, Mauro Beghin, Franco Randazzo, Valeria Mastroiacovo, Antonio Perrone, Gianluca
Selicato.
LETTERE E COMMENTI 19
Domenica 10 luglio 2016
DE TOMASO
L’avvenire del centrodestra
>> CONTINUA DALLA PRIMA
I
l caso dei grillini fa scuola. Quando le
Camere approvarono la legge elettorale,
il movimento penstastellato bollò il provvedimento con parole simili a quelle utilizzate dal socialista francese Francois Mitterrand (1916-1996) contro la riforma presidenziale voluta dal generale Charles De Gaulle
(1890-1970): «Un colpo di Stato permanente».
Poi, la riforma gollista, non golpista, si rivelò
determinante per il doppio mandato presidenziale di Mitterrand, e la stroncatura di qualche
anno prima si perse nelle discariche degli slogan passati di moda.
Oggi, i principali, anche se invisibili, tifosi
dell’Italicum sono proprio i grillini. Non possono gridarlo ai quattro venti, ma la loro predilezione per la riforma un tempo bistrattata è
evidente. Non si cambiano le regole a partita
già iniziata, è la linea adottata dal Movimento.
Il che è sicuramente giusto e auspicabile, ma
nei fatti serve a rilegittimare, a riabilitare la
riforma renziana. Oggi le invettive contro l’Italicum da parte dell’ex attore e dei suoi seguaci
sembrano più datate di un film in bianco e
nero. Del resto, come dar torto ai grillini? Sanno che l’Italicum è il modello ideale per chi,
come loro, continua a fare colpo nell’opinione
pubblica. Sanno, sempre i grillini, che le previsioni elettorali, per la loro sigla, sono più
confortanti di un numero vincente al Superenalotto, e naturalmente ne tengono conto.
Piuttosto. Come si stanno preparando gli
altri? Come si sta preparando il Pd? Come si sta
preparando alla nuova fase politica il centrodestra, lo schieramento più frastagliato dopo la
fuoriuscita di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi?
Il Pd non attraversa un periodo felice, ma
tutti sanno chi è il suo leader (anche se l’indice
di gradimento è calato e l’opposizione interna
non va mai in vacanza). Tutti sanno, pure, chi è
il leader dei grillini. Ma chi è, invece, il leader,
lo stratega, il comandante del centrodestra?
Non solo non lo sa nessuno, ma paiono ancora
in alto mare le manovre per scegliere il nocchiero, la navigazione e il personale di bordo.
Berlusconi è Berlusconi, un nome carismatico
GIUSTIZIA TRIBUTARIA
di CARLO CIMINIELLO
Prostituzione
«Pecunia non olet»
È
legittimo l’accertamento fondato sulle indagini
finanziarie effettuate sui conti correnti intestati
ad una «escort» ed il conseguente recupero a tassazione ai fini impositivi e contributivi dei proventi non dichiarati.
Inoltre l’attività di meretricio esercitata con il carattere
dell’abitualità rientra nella generale nozione di prestazione
di servizi verso corrispettivo, inquadrabile nell’ampia previsione del dpr 633/72 e quindi assoggettabile ad Iva.
Lo ha statuito con una sentenza ben articolata ed argomentata la Commissione Tributaria Provinciale di Savona
(Pres. G. Piazza; Rel.: R. Bertolo).
BERLUSCONI All’uscita dal San Raffaele. Non più rinviabile la questione della leadership
insostituibile, e impossibile da clonarsi politicamente, specie in famiglia. Lui, il Fondatore, resta un esemplare unico. Nel bene e nel
male. Ma anche le più consolidate monarchie
assolute prima o poi evolvono, inevitabilmente, verso forme costituzionali democratiche:
processo che, nel centrodestra, ha prodotto uno
spappolamento così esteso da aver ingarbugliato assai la scelta del successore dell’ex Cavaliere alla guida dello schieramento.
Già non è dato sapere su quali forze politiche
poggerà la nuova coalizione moderata. Ci sarà
il partito di Angelino Alfano? E quello di Matteo Salvini che farà? Né è dato sapere con quali
criteri verrà selezionata la nuova leadership:
primarie, cooptazioni, caminetti, sorteggi?
Non parliamo poi della linea politica, adesso
assai nebulosa e composita rispetto agli anni
berlusconiani, che pure videro molte anime in
lotta tra loro: da quella del Capo a quella di
Gianfranco Fini, da quella di Pierferdinando
Casini a quella di Giulio Tremonti, da quella di
Umberto Bossi a quella Roberto Formigoni.
In sintesi. Se non definirà leadership, identità e obiettivi, il centrodestra rischierà di rimanere oscurato dallo scontro tra centrosi-
nistra e grillini, consegnandosi, se non a un
futuro di irrilevanza politica, a una prospettiva
di pura testimonianza. Il che, in un Paese moderato come l’Italia, suona paradossale.
Non è facile invertire la rotta. Anche perché
Grillo e i suoi sono molto abili nel calamitare
parecchi elettori di destra, soprattutto quelli
più sensibili al contenimento dell’immigrazione e della legislazione europea, temi cari a
vasti settori dell’area post-berlusconiana.
Non è facile, per i moderati italiani, trovare
un compromesso su problemi divisivi come
l’Europa, le banche, l’immigrazione, la sicurezza, il fisco. Berlusconi trovò il mastice nella
lotta al caro-tasse. Proclama, adesso, meno efficace di un tempo, data l’impossibilità o la non
volontà, già acclarate, di rispettare l’impegno.
Il centrodestra, in ogni caso, dovrà risalire in
superficie senza ricorrere al salvagente del no
al caro-tasse, e senza bussare alla casa e alla
cassa di Berlusconi. Ce la farà? Boh. In ogni
caso dovrà muoversi sùbito, per non candidarsi a provare le frustrazioni dei liberali inglesi.
Giuseppe De Tomaso
[email protected]
SAMMARTINO
Basilicata, non solo mare
>> CONTINUA DALLA PRIMA
civiltà preistoriche, racconta una vicenda umana complessa e
longeva, non a caso riconosciuta dall'Unesco come patrimonio
n risultato non nuovo per Maratea che già lo scorso anno mondiale dell'umanità. E poi, nell'interno, si stagliano orizzonti
si era vista riconoscere il secondo posto con un altra disegnati da asprezze di Appennino con molteplici declinazioni:
spiaggia «gioiello»: quella di Cersuta. E poi le bandiere dalle colline morbide ai picchi aguzzi, come mostra la meraviglia
blu e le “cinque vele”... Così seducente eppure così delle Dolomiti Lucane, fra Castelmezzano e Pietrapertosa, di reessenziale. Questo lembo di costa lucana infatti è lungo appena cente rivelati al mondo grazie al «volo dell'angelo», alla via ferrata,
trenta chilometri. Un frammento di costa che, all'interno del Golfo al percorso delle sette pietre, al ponte nepalese che si distende fra le
di Policastro, fra il Canale di Mezzanotte e Castrocucco, crea guglie d'arenaria. E poi il paesaggio lunare dei calanchi di Aliano,
Sant'Arcangelo, Tursi, Craco è lì a
straordinarie alchimie di verde d'alsuscitare altre emozioni. Terra di poetura e azzurro acqua marina. Una sinti, questa Lucania (Leonardo Sinisgaltesi di ciò che in fondo l'intera Bali di Montemurro, Rocco Scotellaro di
silicata è: terra di margine e dai pochi
Tricarico, paese che condivide con
abitanti, eppure incredibilmente ricMario Trufelli, Albino Pierro di Turca di formidabili bellezze di natura e di
si, Michele Parrella di Laurenzana,
paesaggi (e non soltanto). La sua forza
Isabella Morra di Valsinni, Orazio di
sta dentro gli ambienti preservati e la
Venosa, Vito Riviello di Potenza) e di
loro eccezionale varietà: monti, colpercorsi che sanno di storia (i castelli
line, promontori rocciosi, calanchi,
federiciani), di pietà popolare (le chiepianure, fiumi e laghi. Fino ai due
se e le cappelle con i loro tesori), di
mari: quello che richiama echi di Maremote epopee (dai templari, ai brigna Grecia, sul litorale sabbioso e liganti), di tradizioni e magie.
neare che si immerge nello Ionio, esalUn patrimonio che, dalle vertiginotato dai resti antichi di Metaponto,
se altitudini dei pini loricati (sul mondalle sue Tavole Palatine, un tempio
te Pollino), dei faggi, dei castagni, dei
dorico del sesto secolo avanti Cristo
cerri, degli aceri, dei carpini e degli
che richiama il culto di Hera. E il mare
olmi, si stempera gradatamente lungo
Tirreno dove l'impatto fra terra e aci sentieri montuosi. Fino a concederqua è aspro e selvaggio, con i fianchi
si, lungo la discesa, l'incontro con lecdei promontori che affondano con imci, lentisco, ginepro. E poi ulivi, fichi,
pazienza nei limpidi fondali petrosi.
carrubi. Fino agli arbusti che lamDove la costa è verde e movimentata
biscono le rive nel fantasmagorico
da segmenti taglienti e insenature che
palcoscenico di Maratea. Sulla sua
suscitano incanto.
meraviglia veglia lo sguardo del CriIl Golfo di Policastro è luogo di miti e BASILICATA Lo spettacolo delle «Dolomiti lucane»
sto Redentore che abbraccia uomini e
malie. Fu in questi paraggi che Ulisse
marinai e rabbonisce il mare dai 1277
volle farsi legare all'albero maestro
per non soccombere al canto delle sirene. La terra che gli passava metri d'altitudine del monte San Biagio.
Questa rete della bellezza è l'autentico tesoro della Basilicata. Un
davanti era questa: fra l'attuale territorio della Basilicata e il Vallo
di Diano e il Cilento, lembi di un’antica Lucania poi separata dalle patrimonio legato alla terra e all'ambiente e che perciò è unico,
burocrazie ma rimasta profondamente simile per lingua e cul- irripetibile e non clonabile. È la ragione per il quale esso va posto al
riparo da scempi e atti predatori. Da questo patrimonio, dalla sua
tura.
Bellezze come quelle di Maratea, con le sue linee ardimentose tutela nelle scelte politiche, dalla sua cura, dalla capacità di renricche di grotte e calette, sono soltanto una delle facce delle straor- derlo fruibile, può prendere forza un'economia. Non solo di cadinarie suggestioni lucane. Basti pensare a Matera (nel nome, un rattere turistico. Si può costruire un progetto fra natura e cultura,
quasi anagramma di Maratea) che, con differenti grotte nei suoi fra innovazione e memoria. Progetto che guarda al futuro.
antichi Sassi di tufo e con le sue stupefacenti testimonianze di
Mimmo Sammartino
U
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMzozNlojIyNWRVI=
LA VICENDA -A seguito di verifica fiscale e di indagini
finanziarie sui conti correnti bancari e postali intestati ad
una donna, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento ai fini Irpef, Iva e ai fini contributivi. Dalle verifiche era difatti emerso che la donna praticava il mestiere
di «escort» incamerando un compenso costante negli anni di
100 euro giornalieri e quindi 3 mila euro mensili. I verificatori, da un quaderno rinvenuto nell’abitazione della donna contenente gli appuntamenti e i tariffari applicati, nonché dalle risultanze bancarie, accertavano complessivamente a suo carico redditi non dichiarati derivanti dall’attività
di meretrice per circa 116 mila euro in tre periodi di imposta. Proponeva ricorso la «contribuente», adducendo che
l’attività di meretricio, seppur non sanzionata, non è comunque regolamentata in Italia, talché potrebbe intendersi
come illecita e quindi non tassabile. Ed inoltre la ricorrente
lamentava il difetto di motivazione in ordine alle ragioni che
avrebbero indotto l’Ufficio a ritenere l’attività della ricorrente come «abituale». Ossia «professionale» con conseguente assoggettamento delle prestazioni ad Iva. Resisteva
l’Agenzia delle Entrate assumendo l’idoneità dell’attività di
prostituzione a dare origine a «redditi» da lavoro autonomo.
Ed inoltre l’Amministrazione finanziaria ribadiva l’asserita
abitualità dell’attività esercitata riscontrabile dalle stesse
dichiarazioni rilasciate dalla ricorrente che aveva ammesso
di guadagnare costantemente 3 mila euro al mese.
LA SENTENZA -La Commissione Tributaria Provinciale
di Savona ha respinto il ricorso condannando la ricorrente
anche alle spese di giudizio.
Previamente, i giudici hanno constatato che non sono apparsi contestati in giudizio gli elementi costitutivi della pretesa vantata dall’amministrazione («an»), «atteso che la ricorrente ha ammesso di praticare l’attività di cortigiana», e
neppure il «quantum», cioè l’ammontare dei proventi recuperati. Constatata pertanto in buona sostanza la correttezza dell’iter seguito dai verificatori e quindi la fondatezza
della ricostruzione effettuata mediante l’esame di documentazione extracontabile e delle risultanze bancarie, il collegio
ha affermato che «la natura dell’attività svolta è rilevante ai
fini dell’iva che, in base al dpr 633/72, art. 1 “si applica sulle
cessioni dei beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di
arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate». E in base all’art. 5 «per esercizio di arti e professioni
si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non
esclusiva, di “qualsiasi” attività di lavoro autonomo da parte
di persone fisiche (...)». Alla stregua di tanto, la C.T.P. ha
affermato «l’assoggettabilità ad i.v.a. dell’attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore
con carattere di abitualità». Seppur contraria al buon costume, hanno soggiunto i giudici, «in quanto avvertita dalla
generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio
corpo», tale attività «non costituisce reato e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo,
inquadrabile nell’ampia previsione del dpr 633/72». Nella
fattispecie concreta, l’abitualità dell’attività è emersa dalle
dichiarazioni della ricorrente, la quale ha ammesso «di professare il mestiere sin dal 2007, di percepire un compenso
quotidiano e di aver anche “organizzato” l’attività».
CONCLUSIONI -La colorita e puntuale sentenza in commento pone comunque apprezzabili questioni giuridiche.
Questioni che trovano riferimenti anche nel diritto sovranazionale. Secondo il consolidato orientamento della Corte
di Giustizia CE la prostituzione può qualificarsi in termini
di «prestazioni di servizi retribuita» che rientra nella nozione di attività economiche, ed è compito del giudice nazionale di accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia
svolta come lavoro autonomo senza alcun vincolo di subordinazione. Tale orientamento muove dall’assunto per cui
una prestazione di servizi retribuita deve essere considerata
una attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE,
purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali
da presentarsi come puramente marginali e accessorie. Per i
giudici liguri appare del tutto ininfluente la circostanza che
«il commercio del sesso non sia attualmente regolamentato
dal nostro ordinamento ovvero che possa ritenersi moralmente riprovevole». Del resto «quando l’imperatore Vespasiano, per risanare le impoverite finanze dell’Impero, istituì
una tassa sulle sostanze (dalle quali veniva ricavata l’ammoniaca necessaria alla concia delle pelli) raccolte nelle
latrine gestite da privati, al figlio Tito che lo rimproverava di
ricavare proventi da un genere immondo di commerci, egli
rispose col famoso detto “pecunia non olet” intendendo significare l’irrilevanza della fonte reddituale».
VI
Lunedì 11 Luglio 2016
A F FA R I L E G A L I
La Commissione tributaria di Pisa: la debenza deve essere stabilita dalla legge
Sui pagamenti decide lo Stato
Strada sbarrata ai regolamenti provinciali creativi
Pagina a cura
ENZO SOLLINI
DI
U
n regolamento provinciale non può prevedere il pagamento
non previsto da una
legge. Questa è la conclusione
alla quale è pervenuta la Ctp
Pisa con sentenza 87/2/15. Un
commerciante di auto usate si
opponeva ritualmente all’atto impositivo con il quale la
provincia di Pisa accertava il
mancato pagamento dell’Imposta provinciale di trascrizione
(Ipt) e irrogava le conseguenti
sanzioni a seguito dell’acquisto
di auto usate avvenuto nel 2010
sostenendo: a) che il regolamento Ipt approvato dalla provincia
con delibera del 29/6/10 entrava
in vigore il 1° gennaio successivo; b) che nei confronti del ricorrente destinatario del beneficio
dell’esenzione dell’imposta di
trasferimento non poteva applicarsi il raddoppio dell’imposta previsto dall’art. 56, comma
7 del dlgs 446/97 nei confronti
dei contribuenti non esenti. La
provincia si costituiva nel giudizio contrastando la difesa del
contribuente asserendo: 1) che
i regolamenti sulle entrate, a
mente dell’art. 53, comma 16
della legge 388/2000 in vigore,
anche se approvati dopo l’inizio
dell’esercizio hanno effetto dal 1
gennaio dell’anno medesimo; 2)
il commerciante che si presenta al Pra per regolarizzare la
trascrizione dell’atto anteriore
d’acquisto deve pagare l’Ipt non
relativa al suo atto d’acquisto
perché esente ma quella relativa all’atto di acquisto precedente, cioè quello la cui trascrizione
è stata omessa dal proprietario
non esente dall’imposta. La
commissione in primo luogo rileva che il regolamento approvato con delibera del 29/6/10,
come espressamente previsto
dall’articolo 53 della legge
388/2000, ha effetto dall’inizio
dell’anno di riferimento e quindi gli atti in contestazione sono
disciplinati dal regolamento
provinciale. I giudici tributari
osservano che, a mente dell’art.
56, comma 6 dlgs 446/97, la
cessione di mezzi di trasporto
usati, da chiunque effettuate
nei confronti di soggetti che ne
fanno commercio non sono sog-
gette al pagamento dell’imposta. Il settimo comma di detto
articolo secondo il quale le formalità richieste ai sensi e per
gli effetti di cui all’art. 2688 cc
sono soggette ad una imposta
pari al doppio della relativa tariffa, a parere dei giudicanti, si
riferisce indubbiamente al caso
in cui il contribuente non esente da imposta, debba regolarizzare anche il precedente acquisto al fine di saldare la catena
delle trascrizioni. I giudicanti
sottolineano che secondo il regolamento provinciale il contribuente non soggetto ad imposta di trascrizione deve pagare,
seppur una sola volta, l’imposta
per il precedente proprietario
che non l’ha pagata modifica, in
senso peggiorativo per il contribuente, l’esenzione attribuita
allo stesso dalla legge, concludendo che, secondo i principi
generali dell’ordinamento giuridico, un regolamento non può
abolire una esenzione prevista
per legge. Ne consegue che la
fattispecie in esame deve essere regolata dalla legge. Annulla
l’atto impugnato a spese compensate.
Locazioni, pesano
i canoni non incassati
Fino alla risoluzione del contratto i canoni di locazione non incassati relativi a immobili diversi da quelli
adibiti ad uso abitativo concorrono a formare il reddito da tassare. Così ha deciso la seconda sezione
della commissione tributaria provinciale di Pisa con
la sentenza 34/2/16 depositata il 28/1/16.
Un contribuente proponeva rituale ricorso avverso un avviso di accertamento che lo aveva attinto
con il quale l’agenzia delle entrate recuperava a
tassazione i redditi da fabbricati locati a uso non
abitativo sostenendo di non aver incassato i canoni
dell’immobile locato classificato A/2. L’agenzia delle entrate, costituitasi nel giudizio, deduceva che
doveva prendersi in considerazione il rapporto di
locazione dedotto a prescindere dalla categoria catastale dell’immobile.
I giudici pisani affermano che le norme che riguardano la problematica, cioè includere nel reddito da
tassare i canoni di locazione non incassati, non prendono in considerazione la classificazione catastale
dell’immobile ma bensì il tipo di rapporto locativo
stipulato tra le parti. Poiché, nel caso in esame, il
contratto è relativo ad un uso diverso da quello abitativo, il ricorso deve essere rigettato, in quanto i
canoni ancorché non incassati concorrono alla determinazione del reddito fino alla risoluzione del contratto o ad un provvedimenti di convalida di sfratto.
Corrispettivi a società sportive dilettantistiche Nel mirino una comunicazione di Equitalia
Sponsorizzazione
costo deducibile
I
l corrispettivo in denaro o in
natura a società o associazioni
sportive dilettantistiche entro
l’importo previsto dalla legge
289/2002 (euro 200.000) volta alla
promozione dell’immagine o dei prodotti costituisce spese di pubblicità
per l’erogante e, quindi, costo deducibile.
Così ha deciso la Commissione
tributaria provinciale di Pisa con la
sentenza 11/2/2016.
L’Agenzia delle entrate recuperava
a tassazione la somma di sponsorizzazione erogata a una società di calcio dilettantistica dubitando dell’inerenza data la natura antieconomica
della spesa sostenuta (euro 19.500 su
un volume di ricavi di 127.000 euro)
tenuto conto che la società di calcio
era collocata in un girone di scarso
peso sportivo che non consentirebbe
alcun ritorno economicamente apprezzabile.
Il contribuente proponeva rituale
ricorso, producendo il contratto di
sponsorizzazione, e chiedeva l’annullamento dell’accertamento con varie
argomentazioni.
La Commissione tributaria riteneva
che le motivazione dell’accertamento
erano totalmente apodittiche e, come
tali, soggettive, e che così ragionando
si legittimerebbe la sponsorizzazione
soltanto delle associazioni sportive
di sicuro successo, frustrando la ratio legis che è proprio quella di assicurare forme di finanziamento ad
aggregazioni sportive caratterizzate
Intimazioni, ricorsi
senza previ reclami
dal dilettantismo rispetto alle quali
la deduzione fiscale costituisce solo
un mezzo incentivante. Ne consegue
che una volta accertato che siano
soddisfatti i requisiti soggettivi e oggettivi scatta la presunzione assoluta
per cui entro l’importo previsto dalla
legge 289/2002 (euro 200.000) l’erogazione deve essere considerata «spesa
di pubblicità» senza possibilità di ulteriore sindacato anche in relazione
alla congruità. Congruità che può es-
C
sere posta in discussione quando la
sponsorizzazione è diretta a soggetti
diversi da quelli in discussione.
I giudici pisani hanno annullato
l’atto di accertamento impugnato
e, secondo il principio della soccombenza, condannato l’Agenzia delle
entrate a rimborsare al contribuente
le spese del giudizio.
avverso il medesimo atto avvalendosi della procedura e dei termini di cui
all’art. 17-bis del dlgs 546/1992.
I giudici pisani sottolineano che
l’art. 17-bis già richiamato condiziona il ricorso al preventivo procedimento di reclamo/mediazione
da attivare con istanza diretta
all’Agenzia delle entrate quando il
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMC0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDo0MDozMFojIyNWRVI=
on la sentenza 594/1/15 la
Commissione tributaria
provinciale di Pisa ha dichiarato non soggetto a previo reclamo ex art. 17-bis del decreto
legislativo 546/1992 il ricorso avverso l’intimazione di pagamento.
Il contribuente ricevuta da Equitalia l’intimazione di pagamento
d’importo inferiore a euro 20,000,00
(in data 4/11/14) proponeva ricorso
dinanzi alla giurisdizione tributaria
valore della controversia è sotto soglia (euro 20.000,00), procedimento
da applicare solo per le controversie che riguardano l’Agenzia delle
entrate. A parere della commissione
sono quindi esclusi dalla procedura
di reclamo/mediazione le controversie con il concessionario della riscossione (Equitalia). Gli atti di intimazione di pagamento non possono
essere atti riconducibili all’agenzia
delle entrate in quanto atti emessi
dal concessione e, pertanto, sono atti
impugnabili dinanzi alla competente
commissione tributaria provinciale
ma non sono soggetti alla procedura
di reclamo/mediazione non avendo
alcun rilevanza che il ruolo sia stato
formato dall’Agenzia delle entrate.
L’atto doveva pertanto essere opposto direttamente e, quindi, entro il
termine di 60 giorni dalla notificazione eccependo soltanto vizi propri
atteso che la pretesa (avanzata con
la cartella di pagamento precedentemente notificata) era diventata
definitiva. Il ricorrente si costituiva presso la Commissione tributaria
il 28 gennaio 2015, quindi dopo che
erano decorsi sessanta giorni dalla
notificazione dell’intimazione di pagamento.
La commissione sulle predette argomentazioni ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto radicato
oltre il termine di sessanta giorni,
compensando le spese di lite stante
la peculiarità della problematica
trattata.
4
Lunedì 11 Luglio 2016
LE NUOVE ARMI DEL FISCO
Lo ha introdotto il dlgs n. 158/2015: niente confisca se il contribuente versa il dovuto
Pagina a cura
LOCONTE
ROTUNNO
DI STEFANO
E ROSSELLA
N
iente confisca se il
contribuente versa
all’erario le somme
dovute, derivanti
dall’attività illecita. È questa
una delle principali novità
introdotte dal dlgs n. 158 del
24 settembre 2015.
Il provvedimento normativo recante «Misure per la
riforma del sistema sanzionatorio tributario», in vigore
dal 22 ottobre 2015, è intervenuto significativamente
sulla disciplina dei delitti in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, innovando, per lo più in favore
del contribuente, gran parte
delle disposizioni contenute nel dlgs n. 74 del 2000.
A giocare un ruolo centrale
all’interno del nuovo sistema
punitivo, nell’ottica di una
chiusura sempre più rapida
del processo, è l’estinzione del
debito vantato dall’erario in
conseguenza del fatto costitutivo del delitto. Tale adempimento pare, infatti, costituire
il presupposto cardine per beneficiare degli effetti premiali
previsti dalle disposizioni penali interessate dalla riforma,
prima fra tutte quella relativa alla confisca.
Attualmente, l’istituto trova una sua autonoma e parzialmente nuova disciplina
nell’art. 12-bis, con il quale
il legislatore ha inteso «recuperare» all’interno del dlgs
n. 74 del 2000 la previgente
disposizione che estendeva
la previsione della misura
ablatoria in commento ai
reati tributari attraverso un
mero nonché frettoloso rinvio
all’art. 322-ter c.p.
L’elemento di novità della
nuova disposizione è, senz’altro, costituito dall’inserimento di un secondo comma, in
base al quale: «La confi sca
non opera per la parte che
il contribuente s’impegna a
versare all’erario anche in
presenza di sequestro». Orbene, dalla lettura del testo
normativo appare, anzitutto, evidente come l’obiettivo
perseguito dalla riforma sia
quello di far prevalere le pretese creditorie del Fisco su
quelle ablatorie conseguenti
alla confisca, assicurando,
così, un più veloce ripristino
delle casse statali «impoverite» dall’evasione, controbilanciando, allo stesso tempo,
le minori entrate conseguenti
all’innalzamento delle soglie
di punibilità che la stessa novella ha previsto per alcune
ipotesi delittuose (artt. 3-45-10-bis e 10-ter) contemplate nello stesso decreto.
Tale scelta si pone, del resto
in armonia con le successive
disposizioni di cui agli artt.
13 e 13-bis, con le quali il legislatore ha subordinato al
pagamento integrale del debito tributario, l’applicazione
della causa di non punibilità
(art. 13), la diminuzione della
pena edittale sino alla metà
(art. 13-bis, comma 1) nonché
L’estinzione debiti
viene incentivata
La confisca secondo l’art. 12-bis
Ambito
di applicazione
(comma 1)
•
Tutti i delitti previsti dal dlgs n. 74 del 2000
•
Ipotesi applicative
•
(comma 1)
Sentenza di condanna
Applicazione della pena su richiesta delle parti ex art.
444 c.p.p.
•
Beni costituenti il profitto o il presso del reato (salvo
che appartengano a persona estranea)
In subordine, beni di cui il reo ha la disponibilità, per
un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (cd.
confisca per equivalente)
Oggetto
(comma 1)
•
•
•
Per la parte che il contribuente ha già versato all’erario
o che si è impegnato a versare all’erario, mediante
accordo con l’A.F., portato a conoscenza del giudice
penale
•
Conseguenze
in caso di omesso
versamento
del debito erariale •
(comma 2, ult.
cpv)
Sentenza di condanna non passata in giudicato: applicabilità della confisca da parte del giudice dell’impugnazione
Sentenza di condanna passata in giudicato: applicabilità della confisca ad opera del giudice dell’esecuzione
su istanza dell’A.F., attestante l’omesso versamento
del debito tributario
Ipotesi
di inoperatività
(comma 2)
Limiti alla forma per equivalente
Analogamente alla previgente disciplina,
il nuovo art. 12-bis, prevede, al primo
comma, quale regola generale, la confisca
«diretta» dei beni costituenti il prezzo o
il profitto del reato, salvo la loro appartenenza a persona terza - estranea. Diversamente, e cioè, qualora non sia possibile procedere a tale forma di confisca,
a causa della mancata individuazione di
tale profitto o prezzo, il giudice potrà
procedere alla confisca nella c.d. forma
«per equivalente», ovvero all’espropriazione in favore dello Stato dei beni di cui
il reo ha la disponibilità, per un valore
corrispondente al provento realizzato
con l’attività illecita. In relazione a tale
ultima fattispecie, il giudice di legittimità è recentemente intervenuto a dirimere
i contrasti sorti su due particolari questioni, aventi rispettivamente a oggetto
la legittimità di tale misura ove disposta sui beni «futuri» dell’imputato e su
quelli nella disponibilità di quest’ultimo,
qualora il reato sia stato commesso al
fine di arrecare vantaggio alla società da
lui rappresentata. Con riferimento alla
prima delle citate questioni, dirimente
l’ammissione al rito alternativo del patteggiamento (art.
13-bis, comma 2). Ne deriva,
pertanto, un complesso di
norme legate da un unico filo
conduttore: favorire il credito erariale, rinunciando alla
pretesa punitiva.
Ancora, la volontà di incentivare il pagamento
spontaneo, anche se tardivo, piuttosto che attendere
l’apprensione coattiva del
provento del reato, sembra
appare l’intervento apportato dalla Suprema corte con la sentenza n. 4097 del
1 febbraio 2016. Con la pronuncia in oggetto la terza sezione penale della Cassazione ha, infatti, posto fine alla vexata
quaestio, pronunciandosi per l’illegittimità della confisca per equivalente disposta in relazione a beni non ricompresi
nel patrimonio dell’imputato e di cui lo
stesso non ha, pertanto, la disponibilità
nell’immediato. La ratio di tale conclusione risiederebbe, ad avviso della Corte,
nella peculiare natura sanzionatoria della misura in oggetto che la distinguerebbe dal sequestro preventivo disciplinato
dall’art. 321 c.p.p., rendendola insuscettibile di proiezione nel futuro. Con riferimento, invece, al seconda delle citate
questioni, la Cassazione appare ormai
orientata per l’illegittimità della misura
in commento e del sequestro preventivo
a essa finalizzato, disposta nei confronti
dei beni dell’imputato, «senza prima dar
conto dell’impossibilità di procedere alla
confisca diretta del profitto conseguito
dalla società» (ex multis: Cass. pen. sez.
III, 7/7/2016, n. 28225).
recepire quell’orientamento
giurisprudenziale, consolidatosi già con riferimento
alla previgente normativa,
secondo il quale, nei reati
tributari, l’estinzione della
pretesa erariale, in quanto
corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, farebbe venir meno qualsiasi
indebito vantaggio da aggredire con il provvedimento
ablatorio e con il sequestro
a esso prodromico, che per-
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozNTo0M1ojIyNWRVI=
derebbero così la propria ragion d’essere. Diversamente,
si darebbe, infatti, luogo a
un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio, preminente
nel nostro ordinamento, che
non consente l’espropriazione di un bene in misura superiore al profitto derivante
dal reato (ex multis: Cass.
pen. sent. n. 45189/2013).
Rispetto a tali indicazioni
giurisprudenziali, l’interven-
to di riforma sembra però
fare un notevole passo avanti. Dalla disamina del nuovo
testo normativo si evince,
infatti, come la preclusione
in oggetto operi non solo per
la «parte» che il contribuente
ha già provveduto a versare,
ma anche per quella che egli
«s’impegna» a versare all’erario. La formulazione non è,
in realtà, delle più felici. La
stessa, difatti, non chiarisce,
principalmente, cosa debba
intendersi per «impegno a
versare all’erario» e, in particolare, se sia sufficiente al
riguardo la sola dichiarazione resa dall’imputato dinanzi al giudice penale, priva di
termini, tempi e modalità di
assolvimento del debito, o un
vero e proprio accordo con
l’Amministrazione finanziaria in seguito ad acquiescenza
a un avviso di accertamento,
a conclusione di una procedura di adesione o conciliazione,
o ancora, all’esito del procedimento tributario conclusosi
con pronuncia sfavorevole per
il contribuente. Tale ultima
soluzione appare sicuramente
preferibile in quanto idonea a
scongiurare il pericolo che la
pretesa punitiva subisca un
arresto in presenza di un impegno del tutto generico assunto dall’imputato. La stessa
trova, inoltre, conforto nelle
recenti sentenze del giudice
di legittimità, tra le quali merita sicuramente menzione la
n. 28225, depositata lo scorso
7 luglio 2016. Con la pronuncia in oggetto la Suprema corte ha, infatti, rimarcato come
al fine di inibire il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex
art. 12-bis, sia sufficiente che
il contribuente «si impegni»
a pagare all’erario le somme
dovute, a condizione, tuttavia,
che tale impegno si concretizzi in un accordo, debitamente formalizzato con l’Agenzia
delle entrate, di cui il giudice
penale abbia un riscontro documentale (in tal senso anche
Cass. pen. sez. III, 7/7/2016,
n. 28223).
Diversamente e, cioè, qualora l’impegno assunto non
venga rispettato, occorrerà
fare i conti con l’ultimo capoverso dell’art. 12-bis che
espressamente dispone: «Nel
caso di mancato versamento
la confisca è sempre disposta». Al riguardo, appare
agevole affermare come la
misura in esame possa essere sicuramente disposta ove
la sentenza di condanna in
primo grado non sia ancora
passata in giudicato. Più problematica appare, invece, la
sua operatività, nell’ipotesi
in cui la pronuncia del giudice di prime cure sia nel
frattempo divenuta definitiva. Autorevole dottrina ritiene comunque di dare a tale
quesito risposta affermativa,
ipotizzando una competenza
in tal senso in capo al giudice dell’esecuzione, sulla
base delle generiche attribuzioni conferitegli in materia
dall’art. 676 c.p.p.
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G IU STIZIA E SOCIETÀ
Martedì 12 Luglio 2016
29
Il Forum organizzato ieri a Milano dall’Unione commercialisti ed esperti contabili
Il Fisco tende la mano alle Pmi
Casero: in Stabilità 2017 la semplificazione delle scadenze
DI
I
GABRIELE VENTURA
l fisco tende la mano alle
pmi. Prima di irrogare le
sanzioni tributarie, infatti, ci sarà un confronto preventivo che sfocerà nell’invio
di avvisi bonari alle imprese.
Non solo. Si avvicina la semplificazione delle scadenze fiscali: il nuovo calendario, che
scatterà dal 2017, sarà pronto
entro settembre e verrà inserito nella prossima legge di
Stabilità. Obiettivo: evitare
ingolfamenti di scadenze in
alcuni periodi dell’anno. Sarà
completata entro l’anno, inoltre, la riforma degli studi di
settore, con l’eliminazione
degli studi che non servono,
a partire da quelli dei professionisti. Lo ha annunciato ieri
il viceministro all’Economia,
Luigi Casero, nel corso del
forum «L’istituzione al servizio del cittadino», promosso
dall’Unione commercialisti
ed esperti contabili, che si è
svolto a Milano. Casero è partito dalla necessità di semplificare la macchina fiscale, a
cominciare dall’introduzione
del nuovo scadenzario. D’altra parte, i commercialisti
lamentano che quello presente sul sito dell’Agenzia
delle entrate ha previsto, per
l’anno 2015, ben 801 pagine
di scadenze, delle quali 189
riferibili al primo semestre e
275 raggruppate nel periodo
luglio-agosto. «Abbiamo iniziato a lavoratore al nuovo calendario che sarà completato
per settembre», assicura Casero, «cercando di rispettare
le esigenze dei professionisti,
dei contribuenti, dell’Amministrazione finanziaria e delle
casse dello stato. Posso dire,
quindi, che a settembre sarà
pronto lo scadenzario per
il 2017 e che verrà inserito
nella legge di Stabilità». Altro
tema fondamentale, secondo
Casero, è il rapporto tra fisco
e piccole imprese, che deve
puntare di più a un confronto
preventivo, che spesso porta
l’azienda al ravvedimento
spontaneo. «Dobbiamo introdurre la possibilità di avviare azioni in forma preventiva nei confronti delle piccole
imprese che portino all’invio
di avvisi bonari», spiega Casero, «in generale, riguardo al
tema delle semplificazioni, a
mio avviso è necessario eliminare gli adempimenti che
portano a una doppia comunicazione di dati. Entro due
mesi, tramite emendamenti,
introdurremo l’eliminazione
della comunicazione dei dati
sugli affitti anno dopo anno
se il contratto non viene modificato. Stesso discorso per la
cedolare secca e il possesso di
immobili all’estero, per i quali basterà una prima denuncia iniziale. Su questi punti,
l’Agenzia delle entrate frena
ma sono certo che troveremo
Luigi Casero
Luigi Pagliuca
Maurizio Bernardo
una soluzione comune». Sugli studi di settore, invece,
il viceministro all’Economia
ha assicurato che la riforma è quasi pronta e sarà
messa sulla carta entro il
2016. «Dobbiamo eliminare
gli studi che non servono, a
partire da quelli dei professionisti», spiega, «e recuperare il concetto che lo studio
di settore non è elemento di
accertamento». Altra semplificazione da introdurre,
secondo Casero, riguarda
i controlli in azienda, che
andrebbero effettuati una
volta per tutte. «Le verifiche vanno racchiuse in una
giornata», sottolinea, «non è
possibile che un giorno arrivino i vigili del fuoco, un
altro la Asl e così via, perché
ogni giorno di visita equivale a un giorno di produttività perso per l’impresa». Al
forum è intervenuto anche
Maurizio Bernardo, presidente commissione finanze
della camera, sottolineando
la necessità di «trovare soluzioni rispetto al passato,
come una Card da dare in
dotazione al contribuente
con cui si potrebbe ricostruire la sua situazione fiscale
e amministrativa: in questo
modo si potrebbero aiutare
i professionisti. È arrivato
il momento di dare risposte
vere al contribuente, proporrò una moratoria sulle
scadenze fiscali che eviti il
periodo estivo come avviene in altri ambiti come per
esempio la giustizia». Secondo il presidente della Cassa
ragionieri Luigi Pagliuca,
«bisogna eliminare gli adempimenti inutili, come il dover fornire lo stesso dato più
Tra imprenditore e cliente
serve il contratto scritto
Rischia una condanna penale l’imprenditore che, a
fronte di fatture di importo rilevante, non ha sottoscritto con il cliente alcun contratto scritto. E
l’imprenditore condannato in passato per reati fiscali può, comunque, incassare i benefici in caso di
riabilitazione. È quanto affermato dalla Corte di
Cassazione che, con la sentenza n. 28700 dell’11
luglio 2016, ha respinto i primi sei motivi del ricorso
presentato da un contribuente e accolto l’ultimo
sul beneficio della non menzione. L’uomo era finito
sotto inchiesta nell’ambito di un’indagine per falsa
fatturazione.
In particolare, aveva emesso tali fatture per lo sfruttamento di un marchio, senza un accordo scritto e a
un prezzo fuori mercato.
Tanto era bastato agli inquirenti per l’accusa. Il
Tribunale e la Corte d’Appello di Milano avevano
confermato l’impianto accusatorio reso, poi, definitivo in sede di legittimità, fatta eccezione per la
non menzione. La terza sezione penale ha spiegato,
quindi, sul punto che il primo giudice ha valorizzato
l’assenza di prova scritta della pattuizione, pur di
importo assai rilevante, la fissazione del prezzo una
tantum in luogo del più comune pagamento individualizzato e parcellizzato delle royalties, il mancato
sfruttamento reale del marchio; quello di appello,
inoltre, in aggiunta, ha valorizzato la determinazione del tutto unilaterale del prezzo. «Entrambi i
giudici», ha spiegato la Cassazione, «hanno poi fatto
riferimento alla singolare tempestività dell’apIl testo del decreto
postazione contabile di
sul sito www.italia- tale credito».
Debora Alberici
oggi.it/documenti
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMjo1OVojIyNWRVI=
volte all’amministrazione finanziaria. Servono scadenze
più umane per dare la possibilità ai colleghi di svolgere
il proprio lavoro: ne va del
benessere dei commercialisti e soprattutto dei loro
clienti». «Il fisco italiano è
troppo farraginoso e schizofrenico», ha evidenziato
Marco Cuchel, presidente
Associazione nazionale commercialisti, «è impensabile
che gli intermediari fiscali
in un periodo di tempo molto
ridotto debbano farsi carico
di un numero così elevato di
scadenze che comprendono
norme molto complesse».
Secondo Giuseppe Diretto, presidente di Unagraco,
«dobbiamo contribuire a creare e diffondere una cultura
fiscale e tributaria migliore
per noi e per i nostri clienti, ma per fare ciò bisogna
cambiare qualcosa, come per
esempio diminuire la pressione fiscale che in alcuni
casi diventa insostenibile».
«Nonostante le dichiarazioni d’intento del legislatore»,
ha sottolineato Luigi Capuozzo, presidente Unione
commercialisti ed esperti
contabili di Milano, «lo scadenzario presente sul sito
dell’Agenzia delle entrate
ha previsto, per l’anno 2015,
ben 801 pagine di scadenze,
delle quali 189 riferibili al
primo semestre e ben 275
raggruppate nel periodo luglio - agosto».
L’ORDINANZA DELLA CTR CAMPANIA
Nuovi documenti,
palla alla Consulta
La possibilità di produrre nuovi documenti in appello nelle
liti tributarie finisce alla Consulta. A rinviare la questione alla Corte costituzionale è stata la Ctr Campania con
l’ordinanza n. 943/3/16, depositata il 5 maggio scorso. I giudici delle leggi dovranno stabilire se l’art. 58, comma 2 del
dlgs n. 546/1992 contrasta con gli articoli 3, 24 e 117 della
Costituzione, che sanciscono rispettivamente i principi di
uguaglianza, diritto alla difesa e diritto a un equo processo.
Il caso verteva su un contribuente raggiunto da un preavviso
di fermo amministrativo di Equitalia. Con un debito iscritto
a ruolo di 61 mila euro tra imposte erariali e locali, il soggetto
si era visto bloccare la propria automobile, ancorché utilizzata per accompagnare il figlio minore portatore di handicap.
La Ctp Napoli accoglieva il ricorso e annullava le ganasce fiscali, rilevando la mancata prova documentale della notifica
delle 10 cartelle. Equitalia, a quel punto, proponeva appello
contro la bocciatura del fermo amministrativo, producendo
alla Ctr la documentazione relativa alla notifica delle citate
cartelle. Una possibilità, quest’ultima, garantita dall’art. 58,
comma 2 del dlgs n. 546/1992. Prima ancora di affrontare nel
merito la questione, però, la Ctr partenopea solleva d’ufficio
la questione di legittimità in ordine a tale norma che, ad
avviso del collegio di secondo grado, risulterebbe in contrasto
con il dettato costituzionale. La disposizione realizza «una
disparità di trattamento delle parti», recita l’ordinanza, «con
sbilanciamento a favore di quella facilitata a produrre per
la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel
grado anteriore e in danno della controparte, limitando la
sua difesa per effetto dell’indubbia sottrazione di un grado
di giudizio alla sua posizione processuale».
Valerio Stroppa
IL DOCUMENTO DEL CNDCEC- 07 LUGLIO 2016 ORE 06:00
Riforma giustizia tributaria: le proposte
dei Commercialisti
Cinque proposte sul tema della riforma della giustizia tributaria: le ha presentate il CNCDEC
per cercare di valorizzare l’attuale sistema giudiziario riguardante la materia tributaria. Il
Presidente del Consiglio Nazionale Gerardo Longobardi ha presentato il documento che
contiene anche cinque critiche alla proposta di legge delega Ermini. Ciò che si chiede, in
particolare, è una maggiore specializzazione dei giudici, mediante l’istituzione di
“magistrati tributari”, selezionati con concorso che consenta l’accesso anche ai laureati in
Economia oltre che, ovviamente, in Giurisprudenza, vista la particolare complessità della
materia.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili è intervenuto sul tema
della riforma della giustizia tributaria . In particolare, ha messo a punto cinque proposte
che potrebbero migliorare l’attuale sistema giudiziario tributario.
Speculari, invece, sono le critiche mosse alla proposta di legge delega Ermini che, ad avviso
dei commercialisti, potrebbe essere migliorata mediante le proposte spiegate in un
documento dal Presidente CNDCEC Gerardo Longobardi .
Le cinque proposte dei Commercialisti
1) Mantenimento della natura speciale dell’attuale giurisdizione tributaria.
La scelta nasce dalla convinzione che le Commissioni tributarie sono comunque in grado di
assicurare celerità e snellezza del giudizio difficilmente replicabili in seno alla giustizia civile.
2) Cassazione vero “collo di bottiglia” della giustizia tributaria.
Dati alla mano, si registra una grande arretrato di giudizi pendenti presso questa Corte,
soprattutto nella materia tributaria, diversamente dal trend rilevato negli ultimi tempi presso le
Commissioni tributarie.
3) Si chiede a gran voce una maggiore certezza del diritto , una maggiore
predeterminabilità dell’onere fiscale e una maggiore prevedibilità delle sentenze .
In tale ultimo aspetto la Cassazione deve avere un ruolo centrale con la sua funzione
nomofilattica.
4) Indipendenza delle Commissioni tributarie, che si traduce in maggior qualità , equidistanza
dalle parti, con professionalizzazione dei componenti.
Secondo i commercialisti, occorre introdurre un giudice a tempo pieno , professionale, che
possa assicurare autonomia, terzietà e indipendenza della funzione giudicante, oltre che una
maggiore sua produttività.
I futuri organi giudicanti, quindi, dovrebbero essere composti da soggetti appartenenti al ruolo
dei “magistrati tributari ”, selezionati con concorso pubblico che privilegi titoli di studio e di
servizio nella materia tributaria, assicurando l’accesso al concorso anche ai laureati in
economia, oltre che, ovviamente, ai laureati in giurisprudenza.
5) Per i soggetti abilitati all’assistenza in giudizio, si apprezza la scelta di circoscrivere ad
avvocati e commercialisti la difesa tecnica nel secondo grado di giudizio.
Per le medesime ragioni, è stata fortemente criticata l’inclusione invece tra i difensori dei
dipendenti dei CAF, seppure limitatamente ai contenziosi originati da adempimenti predisposti
dagli stessi CAF.
Le critiche dei Commercialisti alla proposta di legge delega Ermini
1) Secondo il CNDCEC, deve essere scongiurata la riconduzione delle Commissioni tributarie in
seno alla giustizia civile . I commercialisti ritengono che la proposta di legge delega presenta
evidenti profili di incostituzionalità, in ragione della soppressione della c.d. “quarta
giurisdizione ” del nostro ordinamento per legge ordinaria e non con legge costituzionale.
2) Criticata anche la scelta secondo cui le sezioni specializzate di primo grado operino in
composizione monocratica. L’elevata complessità delle controversie tributarie, per cui
sono necessarie competenze giuridiche e competenze economico-aziendalistiche, rendono non
auspicabile tale soluzione.
Non condivisibile ridurre inoltre l’attuale secondo grado di giudizio in un reclamo innanzi alla
stessa sezione del tribunale, per la necessità di garantire un doppio grado del giudizio di merito.
3) Critiche mosse anche alla scelta di nominare giudici ausiliari tra i magistrati ordinari in
quiescenza. Tale soluzione sembra andare in controtendenza rispetto alla ratio ispiratrice della
Riforma che è quella di assicurare il massimo della professionalità e dell’aggiornamento dei
giudici.
4) La riforma a detta dei commercialisti sarebbe in controtendenza con la tax compliance .
5) L’ultima critica riguarda la devoluzione delle controversie tributarie al giudice ordinario
che dimentica le peculiarità pubblicistiche della materia tributaria, assegnando un processo
di impugnazione di atti, oggetto di una funzione amministrativa, ad un giudice abituato invece a
risolvere contrasti tra parti private non dotate di poteri autoritativi.
A cura della Redazione
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24
Norme e tributi
Il Sole 24 Ore
Lunedì 11 Luglio 2016 - N. 189
FISCO E SENTENZE
www.quotidianofisco.ilsole24ore.com
Processo tributario. Per la Commissione di secondo grado di Bolzano non basta l’indicazione nella nota di iscrizione a ruolo
Ricorso generico a rischio stangata
Se il valore della lite non è specificato può scattare il contributo unificato di 1.500 euro
Ferruccio Bogetti
Gianni Rota
pIl valore della lite va dichia-
rato sempre nel ricorso e non
solo nella nota di iscrizione a
ruolo, entrambi depositati
presso la segreteria della commissione tributaria.
L’omissione dell’indicazione fa presumere un valore della
lite oltre i 200mila euro a cui
corrisponde un contributo unificato di 1.500 euro: la commissione tributaria può quindi richiedere la differenza rispetto
a quanto pagato in base al valore della lite dichiarato nella nota di iscrizione. Tale richiesta
non è sproporzionata perché
garantisce il funzionamento
del sistema di incasso del contributo e va pertanto applicata
anche alle liti bagatellari. Così
la Commissione tributaria di
secondo grado di Bolzano, con
la sentenza 30/2/2016 (presidente Ranzi, relatore Rispoli).
La controversia
Una contribuente impugna un
ruolo di ammontare complessivo pari a 700 euro. Costituendosi allega la ricevuta dei 30 euro
del contributo unificato ed indica il valore della lite solo nella
nota di iscrizione a ruolo e non
anche nel ricorso .
La segreteria rileva l’omissione e nonostante il pagamento dei 30 euro richiede 1.500 euro, cioè il contributo relativo
allo scaglione di lite massimo
(oltre 200mila euro).
La contribuente apre un secondo contenzioso. È vero - sostiene - che il valore della lite,
pari alla sola imposta, non appare nel ricorso, ma lo si può
desumere direttamente dalla
nota di iscrizione a ruolo e in-
direttamente dal ruolo impugnato che riporta il dettaglio
tra imposta, sanzioni ed interessi, entrambi presenti nel fascicolo processuale.
Secca la replica della resistente, secondo cui l’omissione
nel ricorso introduttivo fa scattare il contributo più elevato.
La decisione
La tesi della contribuente è accolta in primo grado ma ribaltata nel secondo. La sentenza in
esame precisa che:
1 il ricorrente, entro 30 giorni
dalla proposizione del ricorso,
deposita in segreteria l’originale notificato assieme, tra gli altri,
alla nota di iscrizione a ruolo recante il valore della lite, che va
obbligatoriamente riportato
anche nelle conclusioni del ricorso. La nota di iscrizione, sottoscritta dal difensore, fornisce
il dettaglio, tra imposta, sanzioni ed interessi, necessario per il
conteggio del contributo, senza
il quale il valore di lite si presume maggiore di 200mila euro,
con un contributo da versare
nella misura massima e pari a
millecinquecento euro;
1 anche se il contributo effettivamente dovuto è desumibile
dalla nota di iscrizione, la differenza richiesta è legittima, perché punta a far funzionare regolarmente il sistema di versamento spontaneo, che richiede
la precisa dichiarazione di valore nel ricorso introduttivo presentato in segreteria.
Nel caso specifico, non si può
fare a meno di rilevare che la segreteria avrebbe potuto desumere il valore della lite direttamente dalla nota di iscrizione a
ruolo della causa o, indirettamente, dall’atto tributario (en-
LA PAROLA
CHIAVE
Contributo unificato
7Il contributo unificato è la
tassa da pagare per le liti
tributarie. La base imponibile è
il valore della lite e va pagato per
scaglioni: trenta euro per le liti
sino a 2.583,28 e 1.500 per le liti
oltre i 200mila. L’indicazione
della lite è obbligatoria e se
omessa fa scattare lo scaglione
più alto. L’ invito di pagamento
recupera la differenza e va
pagato entro trenta giorni,
pena un’ulteriore sanzione dal
100 al 200 per cento del
contributo evaso.
trambi depositati nel fascicolo
processuale) e far notare al contribuente l’omissione, invitandolo a porvi rimedio (secondo
comma dell’articolo 6 dello Statuto del contribuente). E poi, solo in caso di risposta negativa all’invito, richiedere i 1.500 euro.
D’altro canto, il contribuente
avrebbe potuto tentare di qualificare la differenza del contributo come “sanzione” e invocare la non sanzionabilità del proprio comportamento, trattandosi di violazione formale senza
alcun debito di imposta (articolo 10, comma 3, dello Statuto) e
poi chiedere la decurtazione dei
30 euro dai 1.500 “irrogati”.
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IN ESCLUSIVA PER GLI ABBONATI
Le sentenze commentate in pagina
www.quotidianofisco.ilsole24ore.com
Transfer price. Ammesso il semplice rimborso con un mark-up aggiuntivo per la società italiana che svolge solo attività preparatorie con i fornitori
Promossa la centrale d’acquisto all’estero
Giacomo Albano
pPer valutare correttamente i prezzi di trasferimento applicati ai servizi resi da una società italiana a una consociata
non residente bisogna considerare le funzioni, le responsabilità e i rischi che il soggetto
italiano assume nello svolgimento della propria attività.
Se le funzioni si sostanziano
essenzialmente nello svolgimento di attività di carattere
preparatorio e ausiliario – che
vengono svolte nel rispetto
delle modalità stabilite dalla
consociata non residente – la
previsione di una remunera-
zione pari al riaddebito dei costi sostenuti maggiorati da un
congruo mark-up può considerarsi conforme al principio
del valore normale.
Sono queste le conclusioni
dei giudici della Ctp Milano che
con sentenza 5590/9/2016 depositata il 24 giugno scorso
(presidente D’Orsi, relatore
Chiametti) hanno accolto il ricorso di una società italiana appartenente ad un gruppo multinazionale annullando l’avviso
di accertamento con cui la la Direzione provinciale I di Milano
aveva rettificato i prezzi di trasferimento intercompany.
La pronuncia interviene su
un modello di supply chain largamente diffuso nell’ambito
dei gruppi multinazionali. In
particolare, la controversia riguarda un gruppo attivo nel
campo dell’arredamento, che
aveva accentrato presso una
trading company svizzera la
funzione globale di approvvigionamento dei prodotti e le
attività di selezione dei fornitori. A fronte di tali attività la
trading svizzera – che agiva in
pratica da “grossista globale”
per il gruppo – percepiva una
remunerazione dalla capogruppo pari al 5,5% di tutti gli
acquisti effettuati.
La società italiana svolgeva
invece una serie di attività di
supporto per conto della consociata svizzera – limitatamente ai fornitori italiani – per
le quali riceveva una remunerazione pari al rimborso dei
costi sostenuti oltre a un
mark-up del 5%; tali attività riguardavano essenzialmente
la ricerca di potenziali nuovi
fornitori e l’aggiornamento
delle liste, il controllo delle
consegne, la redazione di report statistici e così via.
Si trattava di attività considerate ausiliarie e preparatorie in
relazione alle quali a società ricorrente riteneva di non sopportare rischi significativi. In
aggiunta, la società italiana non
aveva il potere di stipulare contratti con i fornitori o di prendere decisioni sull’acquisto di beni per conto del gruppo, essendo tali funzioni riservate alla
sola società svizzera.
L’ufficio, al contrario, riteneva che il soggetto italiano
svolgesse attività di agente
d’acquisto, e non mera attività
di supporto, in quanto svolgeva funzioni di «selezione, individuazione, fidelizzazione e
sostanziale contrattualizza-
zione» dei fornitori italiani, solo formalmente attribuiti alla
trading svizzera; conseguentemente, imputava alla società
italiana l’intera remunerazione (5,5%) riconosciuta dal
gruppo alla consociata svizzera, riferibile agli acquisti presso fornitori italiani.
I giudici provinciali, accogliendo la tesi della società,
evidenziano come la stessa,
operando esclusivamente a livello locale, non possa assumere il ruolo di centrale d’acquisto dell’intero gruppo e
pertanto ritengono che il modello di remunerazione adottato (rimborso dei costi + mark
up) sia coerente con le funzioni svolte e i rischi assunti.
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Indirette. La cessione non coinvolge l’impianto
Diritto di superficie
su area già affittata
con prelievo light
Giorgio Gavelli
Gian Paolo Tosoni
pLa costituzione di un dirit-
to di superficie su un’area a favore del soggetto che già detiene tale area in virtù di un contratto di locazione regolarmente registrato - e su cui ha
realizzato un impianto di biogas - non fa scattare la presunzione di trasferimento prevista
dall’articolo 24 del Dpr
131/1986; ne consegue che nel
valore dell’area, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e
catastale, non va considerato il
valore dell’impianto medesimo. È questa la conclusione cui
è giunta la Commissione tributaria provinciale di Forlì (presidente Urizio, relatore Ardigò) con la decisione 172/1/2016
depositata l’11 aprile scorso.
La società realizzatrice dell’impianto assumeva dapprima
l’area in affitto, ma successivamente l’istituto di credito finanziatore pretendeva, a garanzia,
che il mutuatario disponesse
non di un mero diritto di godimento (come l’affitto) ma di un
vero e proprio diritto reale, quale il diritto di superficie. Conseguentemente, tra proprietario e
affittuario veniva costituito un
diritto di superficie sull’area
(della stessa durata del contratto di locazione, ossia venticinquennale) citando l’impianto di
biogas sovrastante, (oramai realizzato a cura e spese dell’affittuario), ma escludendone l’importo dal corrispettivo e dal valore assoggettato a tassazione
in capo all’acquirente.
Secondo l’ufficio le imposte
di registro ed ipocatastali andavano invece applicate anche
sul valore dell’impianto, quantificato come somma delle fatture di costruzione al netto
d’Iva (oltre 8 milioni di euro), in
applicazione dell’articolo 24
del Tuir, secondo cui «nei trasferimenti immobiliari le accessioni, i frutti pendenti e le
pertinenze si presumono trasferiti all’acquirente dell’immobile, a meno che siano esclusi espressamente dalla vendita
o si provi, con atto che abbia acquistato data certa mediante la
registrazione, che appartengono ad un terzo o sono stati ceduti all’acquirente da un terzo».
Va anche considerato che,
in base agli articoli 935 e seguenti del Codice civile, in virtù del principio di accessione,
il proprietario del suolo diviene proprietario, a titolo originario, della costruzione effettuata (anche a spese di altri)
sul proprio terreno.
Tuttavia, in questo caso, la
Commissione forlivese (anche
sulla scorta della sentenza
1714/11/2014 della Ctr EmiliaRomagna) ha valorizzato il fatto che tra le parti esisteva già un
contratto di locazione registrato (e, quindi, con data certa), riguardante esclusivamente
l’area, mentre la costruzione
dell’impianto era successiva ed
era avvenuta a cura e spese della
affittuaria, la quale già ne disponeva al momento della costituzione del diritto di superficie.
Non essendo ancora esaurito
tale rapporto, non poteva considerarsi acquisito l’impianto
per accessione, con la conseguenza che il suo valore non doveva essere considerato nell’ambito della tassazione della
costituzione del diritto di superficie, anche perché, regolando la costituzione del diritto di
superficie, le parti avevano stabilito che, alla scadenza, l’impianto fosse demolito a cura e
spese della società acquirente.
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Registro. L’applicazione della formula matematica aveva trascurato i debiti e la zona periferica del negozio
AVVISO PUBBLICO, PER TITOLI
E COLLOQUIO, PER LA COPERTURA
TEMPORANEA DI UN POSTO
DI DIRIGENTE AMMINISTRATIVO,
PER LA DURATA DI TRE ANNI,
ESPERTO IN PROCEDURE DI ACQUISTO
DI BENI E SERVIZI,
AI SENSI DELL’ART. 15 SEPTIES,
COMMA 2 DEL DECRETO LEGISLATIVO
30 DICEMBRE 1992, N.502 E S.M.I.
Si rende noto che l’ASL Roma 1 ha indetto
un avviso pubblico, per titoli e colloquio,
per la copertura temporanea di un posto
di dirigente amministrativo, per la durata
di anni tre, esperto in procedure di acquisto di beni e servizi, ai sensi dell’art.15
septies, comma 2,del D. Lgs.502/92 e
s.m.i.
I requisiti richiesti per l’ammissione, le
modalità e i termini per la presentazione delle domande di partecipazione
sono indicate nel bando pubblicato in
maniera integrale sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 54 del 7.7.2016,
nonché sul sito istituzionale dell’Azienda
www.aslroma1.it.
Per ulteriori informazioni rivolgersi agli
uffici della UOC Risorse Umane ex ASL
RMA, tel. 0677307248, 77307372.
IL COMMISSARIO STRAORDINARIO
Dott. Angelo Tanese
No al ricalcolo dell’avviamento
se l’ufficio ignora le cambiali
Marco Ligrani
pLa semplice enunciazione
della formula matematica utilizzata dall’agenzia delle Entrate per rideterminare l’imposta
di registro sull’avviamento non
è - di per sè - sufficiente a motivare le ragioni del recupero, se
il contribuente ha impugnato
l’avviso di rettifica e liquidazione evidenziando gli elementi di
fatto che giustificano il valore
dichiarato. In questa ipotesi,
spetta all’ufficio l’onere di provare in giudizio la fondatezza
della pretesa, dimostrando la
sussistenza, in concreto, dei
presupposti per l’applicazione
del criterio prescelto. Lo ha deciso la Ctr Lombardia con la
sentenza 2610/27/2016 (presidente Secchi, relatore Candido), pronunciata in esito a
un giudizio che ha visto soccombere l’Agenzia.
L’avviamento dichiarato per
l’acquisto di una panetteria era
stato rettificato in aumento – di
circa quattro volte – ai fini dell’imposta di registro, in virtù
della sola applicazione di una
formula matematica basata sul
rendimento medio del settore,
sul reddito medio prospettico e
sulla percentuale stimata per il
rischio d’impresa.
L’avviso era stato impugnato
dall’acquirente che ne aveva
contestato sia la carenza di motivazione e di prova (che si era
tradotta nella semplice enunciazione di un criterio astratto)
sia l’infondatezza nel merito. In
particolare, il ricorrente sosteneva che la media utilizzata dall’ufficio non teneva conto dell’ubicazione periferica e disagiata dell’attività e dimostrava
inoltre che sull’azienda gravava
un diritto di riservato dominio
garantito da cambiali in scadenza, che aveva, inevitabilmente,
inciso sul prezzo di acquisto.
Costituitasi in giudizio,
l’Agenzia non aveva contestato
i dati di fatto documentati dal ricorrente, ma aveva ottenuto,
comunque, l’accoglimento delle proprie ragioni in Ctp.
Anche in appello l’ufficio si
era limitato a ribadire la correttezza del recupero, ma, questa
volta, senza ottenere il favore
dei giudici, che hanno ribaltato
il verdetto di primo grado.
La Ctr ha ricordato che il valore di avviamento, in presenza
di metodi diversi di valutazione, costituisce oggetto di un
giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità ove adeguatamente motivato (Cassazione 2204/2006). Ha quindi
stabilito che, se il contribuente
impugna una rettifica, sorge in
capo all’ufficio l’onere di provare la fondatezza del proprio atto, la cui motivazione – in linea
di principio – potrebbe limitarsi
all’enunciazione del criterio
astratto utilizzato per il recupero. Ma non nel caso specifico, in
cui l’ufficio si è limitato ad applicare una formula matematica, rileva il giudice, «senza effettuare alcun reale accertamento di fatto; il che ha portato
ad escludere toutcourt la considerazione di elementi certamente non irrilevanti».
Il principio richiama alla
mente i precedenti della Cassazione in base ai quali la motivazione costituisce un requisito con finalità essenzialmente informative che si colloca su
di un piano diverso della prova
della fondatezza della pretesa
impositiva, la quale, appunto,
in caso di contestazione, deve
essere fornita dall’amministrazione necessariamente
in giudizio (sentenza
1825/2010, 15234/2001).
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Persone fisiche. Il caso del pensionato che vive Oltrefrontiera ma lavora occasionalmente in Italia
Senza l’iscrizione all’Aire
non c’è residenza in Svizzera
Marco Nessi
Roberto Torelli
pNon può invocare la resi-
denza fiscale svizzera il soggetto che, pur trascorrendo gran
parte dell’anno all’estero, non
sia iscritto all’Aire e svolga
un’attività professionale, ancorché occasionale, in Italia. Lo ha
stabilito la Ctr di Milano, sezione 65 nella sentenza 12 maggio
2016, n. 2860/16 (presidente
Frangipane relatore dell’Anna).
L’agenzia delle Entrate aveva
contestato ad un contribuente
l’omessa dichiarazione ai fini Irpef di una pensione corrisposta
dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori
commercialisti. Contro l’accertamento il contribuente aveva
presentato ricorso eccependo
la propria residenza in Svizzera
e il conseguente pagamento del-
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMC0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozODowMlojIyNWRVI=
le imposte in tale Stato sulla base
dell’articolo 18 della Convenzione Italia-Svizzera contro le
doppie imposizioni.
In particolare, il contribuente
evidenziava che la stessa amministrazione fiscale svizzera aveva attestato la residenza fiscale
in calce alla domanda di esenzione dall’imposta italiana sulla
pensione che era stata presentata per il periodo d’imposta e che,
proprio in forza di tale dichiarazione, l’ente erogante non aveva
operato alcuna ritenuta d’acconto sulle somme corrisposte.
Oltre a ciò, l’effettiva residenza
fiscale in Svizzera era dimostrata
da una pluralità di elementi quali
la disponibilità di un’abitazione
permanente, il pagamento del canone televisivo, le fatture relative
alla fornitura di energia elettrica,
l’immatricolazione di un auto-
veicolo nel territorio elvetico, il
permessodidomiciliointalePaese. L’attività professionale svolta
in Italia si era limitata, peraltro, alla partecipazione residuale a collegi sindacali di alcune società.
Veniva,infine,evidenziatoche
il reddito di pensione era già stato
dichiarato e tassato in Svizzera e,
pertanto, l’eventuale tassazione
in Italia avrebbe comportato una
doppia tassazione contraria all’articolo 24, comma 2 della Convenzione Italia – Svizzera.
Sia in primo che in secondo
grado i giudici hanno respinto le
argomentazioni del contribuente. I giudici di secondo grado hanno ricordato che, ai sensi dell’articolo 2 del Tuir, ai fini delle imposte sui redditi, devono considerarsi residenti in Italia le persone
fisiche che, per la maggior parte
del periodo d’imposta, sono
iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, e che hanno la
residenza o il domicilio in Italia ai
sensi del Codice civile.
Tali condizioni sono alternative, e la sussistenza di una sola
di esse è sufficiente a far ritenere
la residenza fiscale in Italia del
contribuente. Nel caso in cui il
contribuente abbia spostato la
propria dimora all’estero, lo
stesso è tenuto a cancellarsi dall’anagrafe tributaria e, contestualmente, ad iscriversi all’Aire. In particolare quest’ultima
circostanza costituisce il presupposto necessario al fine di
rendere opponibile il trasferimento della residenza all’estero.
Nel caso specifico, contrariamente alla normativa sopra richiamata, il contribuente non
aveva provveduto a cancellarsi
dall’anagrafe tributaria e si era
iscritto all’Aire solo successivamente. Gli elementi addotti per
avvalorare la residenza svizzera
non potevano quindi considerarsi idonei a superare la presunzione legale di residenza in Italia.
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34 Norme e tributi
Il Sole 24 Ore
Martedì 12 Luglio 2016 - N. 190
FISCO
www.quotidianofisco.ilsole24ore.com
Reati tributari. Il recente orientamento dei giudici di legittimità ribalta quanto stabilito precedentemente e favorisce il contribuente
L’impegno a pagare evita la confisca
L’accertamento con adesione o l’istanza di rateizzazione allontanano il provvedimento
La normativa
Laura Ambrosi
Antonio Iorio
pLa sottoscrizione di un pia-
no di rateazione per il pagamento dell’imposta evasa che
costituisce reato esclude la confisca anche se il versamento delle somme non è stato ultimato.
È questo, in sintesi, il più recente orientamento manifestato dai giudici di legittimità (da
ultimo 28225/2015) a proposito
di confisca del profitto conseguito alla commissione di un reato tributario.
Questo nuovo orientamento
è particolarmente importante
perché pare modificare in senso favorevole al contribuente
una prima interpretazione fornita dalla stessa Corte della
nuova norma inserita nel decreto legislativo 74/2000 (articolo 12 bis).
Dal 2008 è stata introdotta nel
nostro ordinamento(articolo 1,
comma 143, legge 244/2007) la
confisca per equivalente obbligatoria per i reati tributari fatta
eccezione per l’ipotesi di occultamento e sottrazione di scritture contabili. Essa scatta obbligatoriamente in caso di condanna
o di patteggiamento, viene spesso preceduta dal sequestro preventivo finalizzato appunto alla
successiva confisca, anche per
equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo
del reato.
Il decreto legislativo 158 del
2015 ha introdotto una disciplina specifica per la confisca in
materia di reati tributari, prevedendo una norma ad hoc (il nuovo articolo 12 bis) all’interno del
decreto sui reati tributari.
La nuova disposizione
espressamente prevede che nel
caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta
delle parti a norma dell’articolo
444 Codice di procedura penale
per uno dei delitti previsti dal
decreto legislativo 74/2000
(senza alcuna esclusione) è
sempre ordinata la confisca dei
beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea
al reato, ovvero, quando essa
non sia possibile, la confisca di
beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. La
confisca poi non opera per la
parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche
in presenza di sequestro. Nel
caso di mancato versamento la
confisca è sempre disposta.
Le prime interpretazioni
Secondo il Massimario della
Cassazione (relazione III/05/15)
non era chiaro se la confisca, in
presenza del mero impegno a
versare, potesse o meno essere
disposta. Infatti l’uso del termine
“opera”, utilizzato nella prima
parte della norma, portava a ritenere l’applicazione della confisca nonostante l’impegno a restituire producendo effetti in un
momento successivo, cioè in caso di mancato adempimento dell’impegno assunto.
In tale contesto si dovrebbe
ipotizzare una forma di costante e virtuosa comunicazione tra
amministrazione finanziaria e
autorità giudiziaria finalizzata a
informare quest’ultima della
esecuzione del programma obbligatorio e, soprattutto, dell’intervenuto inadempimento del-
l’obbligo restitutorio.
Secondo il medesimo documento sarebbe stato opportuno
prevedere - come era per il passato - la non operatività della
confisca per la «parte che è già
stata restituita», in modo da recepire l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la restituzione
all’Erario del profitto del reato
fa venir meno lo scopo perseguito con la confisca.
La giurisprudenza
Secondo un primo orientamento della Cassazione (sentenza
5728/2016) solo l’integrale pagamento del debito tributario, in
virtù della necessità di evitare la
sostanziale duplicazione dello
stesso, può condurre alla non
operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fi-
ne, essendo invece insufficiente
la mera ammissione a un piano
rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale
ultimo titolo.
Con la sentenza 28225/2016, i
giudici di legittimità ritengono
invece che il mero impegno a
versare (se pur formale) fa venir meno la necessità della confisca. Secondo tale sentenza,
l’assunzione dell’impegno, con
modalità ammesse dalla legislazione tributaria (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure
di rateizzazione automatica o a
domanda) è di per sé sufficiente
a impedire la confisca sia diretta (in capo all’ente), sia per
equivalente (in capo al legale
rappresentante).
Le misure
CONFISCA
La confisca mira a impedire che
l’impiego economico dei beni di
provenienza delittuosa possa
consentire al colpevole di garantirsi
il vantaggio che era oggetto
specifico del disegno criminoso.
Nei reati tributari la confisca
colpisce il vantaggio
conseguente all’evasione fiscale
e svolge una funzione di
disincentivo nei confronti dei
potenziali autori dei reati
CONFISCA PER EQUIVALENTE
La confisca per equivalente
riguarda utilità patrimoniali di
valore corrispondente al
prezzo o profitto del reato
tributario, che siano nella
materiale disponibilità del reo
quando non è possibile agire
direttamente sui beni
costituenti tale profitto o
prezzo del reato
SEQUESTRO PREVENTIVO
Il sequestro preventivo
precede la confisca e può
essere eseguito nelle indagini
preliminari o nel corso del
dibattimento di primo grado.
È diretto (prezzo o profitto del
reato) o per valore
(equivalente al citato prezzo o
profitto) e assicura la futura
esecuzione della confisca
all’esito dell’accertamento
della responsabilità penale
del soggetto
indagato/imputato.
In tal modo il reo non può
disporre dei beni e, dunque,
menomare l’eventuale
successiva confisca
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La difesa. Cosa fare se i beni bloccati hanno un valore superiore all’equivalente da sottoporre alla misura cautelare
Il Pm può ridurre le somme sequestrate
pLa confisca è una misura
volta a colpire il vantaggio conseguente all’evasione fiscale
e, quindi, a svolgere una funzione di disincentivo nei confronti dei contribuenti, potenziali autori dei reati tributari.
Se non è possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, si procede alla cosiddetta
«confisca per equivalente» di
utilità patrimoniali di valore
corrispondente a tale prezzo o
profitto, nella materiale disponibilità del reo. Spesso
questa misura è preceduta dal
sequestro preventivo eseguito sin dalla fase delle indagini
preliminari che viene richiesto al giudice delle indagini
preliminari (Gip) dal pubblico ministero, e riguarda beni
mobili, immobili e somme fino a concorrenza dell’asserita
imposta evasa.
Si verifica, non di rado, che
il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confi-
GLI STEP
In caso di diniego
il contribuente
può rivolgersi al Gip
e solo successivamente
alla Corte di cassazione
sca possa in realtà riguardare
beni e somme di valore complessivo ben superiore rispetto all’imposta presuntivamente evasa.
A questo proposito la Suprema corte, con orientamento ormai consolidato, ritiene che
l’indagato prima di impugnare
il provvedimento innanzi al
Tribunale del riesame deve rivolgersi al Pm per ridurre l’entità delle somme sottoposte alla misura cautelare.
Questa circostanza non è di
poco conto perché di sovente
la tendenza della difesa del
contribuente è di ricorrere direttamente al Tribunale del
riesame con il rischio di vedersi dichiarare inammissibile
l’impugnazione.
In sostanza secondo la
Corte di Cassazione (da ultimo 25453/2016) quando il
soggetto destinatario del
provvedimento di sequestro
lamenti la violazione del
principio di proporzionalità
fra la misura cautelare disposta e l’imposta contestata, il
rimedio previsto dall’ordinamento non è il ricorso al Tribunale del riesame, ma occorre presentare una richiesta al Pm affinchè provveda
alla riduzione della garanzia.
Nell’ipotesi di diniego è con-
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LA PAROLA
CHIAVE
Principio di
proporzionalità
Il principio di proporzionalità, in caso
di sequestro preventivo finalizzato
alla confisca anche per equivalente,
impone non solo che l’importo del
sequestro sia rapportato al quantum
del profitto conseguito o del prezzo
del reato, ma, laddove sia possibile
una scelta fra più beni da vincolare ,
questa dovrà essere concentrata sui
beni aventi il valore più prossimo a
quello rappresentativo del profitto
e del prezzo del reato
sentito al ricorrente in prima
istanza di rivolgersi al Gip, il
quale avendo emesso il provvedimento può disporre rispetto alle questioni legate alla
sua esecuzione, e, se anche dopo tale tentativo il sequestro
non viene ridotto, l’indagato si
potrà quindi rivolgere alla Corte di Cassazione.
Non seguendo tale procedura - ma ad esempio impugnando direttamente innanzi
al Tribunale del riesame il
provvedimento cautelare ritenuto viziato per la sproporzione dei beni sottoposi al vincolo
rispetto all’asserita imposta
evasa - si rischia l’inammissibilità della richiesta.
La.Am.
A.I.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
QUOTIDIANO DEL FISCO
Focus sul modello 770
e sulle ultime sentenze
della Cassazione
Sul Quotidiano del Fisco tutti i
giorni l’offerta informativa del
Gruppo Sole 24 Ore in materia
tributaria. Il Quotidiano del Fisco
offre una panoramica completa di
notizie e approfondimenti per gli
operatori professionali. Nell’edizione online oggi:
8 una analisi di Maria Rosa Gheido
sull’urgenza di chiarimenti per
la scadenza del 770 che dovrebbe slittare al 22 agosto;
8 un articolo di Romina Morrone
sulla sentenza di Cassazione
relativa a un notaio che non ha
versato all’erario le imposte
pagate dal cliente;
8 un articolo di Ferruccio Bogetti e
Gianni Rota sulla sentenza di
Cassazione relativa al caso di un
immobile ipotecato venduto a
un terzo
www.quotidianofisco.ilsole24ore.com
Tributario, alla Consulta i
documenti in appello
La Ctr Napoli, con ordinanza 943/32/16 depositata il 6 maggio scorso (presidente e
relatore Notari), ha sollevato la questione di costituzionalità dell’articolo 58, comma 2,
del decreto legislativo 546/92, in materia di processo tributario, nella parte in cui la
norma, per come interpretata dalla giurisprudenza, consente che la parte possa produrre
in appello qualsiasi documento, anche se non prodotto in primo grado oppure prodotto
ma non esaminato dal giudice in quanto tardivo. Secondo la Ctr, un sistema così
delineato favorisce la parte che, magari per negligenza, non ha prodotto i documenti in
primo grado, violando il diritto di difesa della controparte e contravvenendo ai principi
di uguaglianza e del giusto processo tutelati dalla Costituzione (articoli 3, 24 e 117).
Il tema sollevato dalla Ctr non è nuovo ma continua a sollevare dubbi. La questione
concerne l’interpretazione dell’articolo 58 del decreto legislativo 546/92, in particolare
l’apparente contraddizione tra il primo e il secondo comma. Il primo comma dispone
infatti, in linea con il processo civile (articolo 345, comma 3, Codice di procedura
civile), il divieto di produzione in appello di nuove prove, salvo che il giudice non le
ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute
produrre nel precedente grado di giudizio per causa a sé non imputabile. Il secondo
comma, invece, prevede la facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti,
indipendentemente dall’impossibilità dell’interessato di produrli in primo grado per
causa a sé non imputabile (requisito richiesto dall’articolo 345, comma 3, Codice di
procedura civile). Si tratta quindi di un’eccezione notevole, considerato che il processo
tributario è essenzialmente documentale, essendo escluse le prove orali (articolo 7,
comma 4, decreto legislativo 546/92).
La discrasia tra i due commi ha generato una copiosa produzione giurisprudenziale. La
Cassazione è costante nel ritenere legittima la produzione in appello di nuovi documenti,
indipendentemente dall’impossibilità di produrli in prima istanza per causa non
imputabile all’interessato (tra le pronunce più recenti, 21909/2015, 12783/2015,
665/2014 e 16959/2012). Ciò in forza del principio di specialità dettato dall’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 546/92: nel rapporto tra norma processuale civile e
norma processuale tributaria prevale quest’ultima, con la conseguenza che non si applica
al processo tributario la preclusione alla produzione documentale prevista dall’articolo
345, comma 3, del Codice di procedura civile, potendo le parti produrre anche
documenti preesistenti al giudizio di primo grado.
Va tuttavia segnalato che non sono infrequenti le decisioni delle commissioni di merito
che ritengono inammissibile la produzione per la prima volta in appello di
documentazione che la parte interessata avrebbe potuto produrre in primo grado (ad
esempio, 224/15, 334/15 e 66/12 della Ctr Catania; 9755/15 della Ctr Napoli; 482/13
della Ctp Reggio Calabria).
La questione passa ora alla Consulta, che si auspica possa fugare una volta per tutte le
incertezze che ancora oggi sussistono sull’argomento. In attesa della pronuncia, nella
pratica quotidiana sarà certamente opportuno produrre già nel primo grado di giudizio
tutta la documentazione utile, per non rischiare una pronuncia di inammissibilità delle
produzioni effettuate per la prima volta in appello.
Giovedì
7 Luglio 2016
www.ilsole24ore.com
@ 24NormeTributi
IL GIORNALE DEI PROFESSIONISTI
t
LA SETTIMANA DI NORME & TRIBUTI
PROFESSIONISTI
Spese di trasferta
più facili in Unico
LUNEDÌ: Edilizia e ambiente, Il merito, Autonomie locali e Pa
MARTEDÌ: Condominio
MERCOLEDÌ: Diritto dell'economia
GIOVEDÌ: Giurisprudenza / Il merito
VENERDÌ: Incentivi e agevolazioni
Gianfranco Ferranti e Paolo Meneghetti u pagina 41
Dichiarazioni. Dopo la sentenza 13378/2016 a Sezioni unite l’integrativa a favore andrebbe inviata entro l’anno successivo
Correzioni, rimborsi a ostacoli
L’istanza può essere presentata solo sulla base del modello originario trasmesso
Andrea Carinci
Dario Deotto
pLa sentenza 13378/16 a Sezioni
Unite della Cassazione, depositata
il 30 giugno scorso, sulla ritrattabilità a favore della dichiarazione risulta molto più limitativa da quanto
possa sembrare a una prima lettura.
In sostanza, il principio affermato dalla sentenza è che la possibilità di ritrattazione della dichiarazione a favore del contribuente
può essere esercitata entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva (con il credito che ne emerge utilizzabile in
compensazione). Questo in base
all’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr
322/98. La previsione dell’articolo
2, comma 8, dello stesso decreto,
che prevede la possibilità di rettifica della dichiarazione entro i termini di decadenza dell’accertamento, va invece interpretata – secondo la Corte – come possibilità
di rettifica solo nelle ipotesi di sfavore per il contribuente.
Rimane, sempre secondo la Cassazione, la possibilità, per fare valere situazioni favorevoli al contribuente, di utilizzare l’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del
Dpr 602/73 (norma che comunque
vale per l’imposizione diretta) oppure nell’ambito del processo tributario.Seilfattodiopporsiallapretesa tributaria, facendo valere nel
processoerrori(afavore)commessi nella dichiarazione originaria
non appare certo una novità (si vedano comunque talune perplessità
che emergono dalla sentenza nell’altro articolo in pagina) molti dubbi si hanno sulla distinzione che le
Sezioni Unite fanno tra il tema delle
dichiarazioni integrative e quello
della richiesta di rimborso. Infatti,
in passato, accanto a pronunce che
hanno chiaramente affermato la ritrattabilità della dichiarazione a favore entro i termini di decadenza
dell’azione d’accertamento (ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del Dpr
322/98) ve ne sono state altrettanto
numerose che hanno di fatto riconosciuto all’istanza di rimborso validità di strumento atto a rettificare
la dichiarazione. In sostanza, all’istanza di rimborso ex articolo 38
del Dpr 602/73 è stato riconosciuto
valorediistitutoconilqualefarevalere, nell’ottica del riequilibrio della
sfera patrimoniale del contribuen-
te, anche situazioni non derivanti
dalla dichiarazione presentata.
Se, invece, si legge attentamente
la sentenza 13378/16, quello che
emerge è la netta distinzione svolta
tra il campo applicativo della dichiarazione integrativa e quello del
diritto al rimborso (si veda il punto
24 della sentenza e lo stesso principio di diritto enunciato). Come a dire (visto quanto anche riportato al
punto 12, che va legato alla lettura
deipuntiprecedenti)cheildirittoal
rimborso può essere esercitato solamente in relazione a elementi –
portanti a un errore, duplicazione o
inesistenzadell’obbligazionetributaria – derivanti dalla dichiarazione
presentata. Invece, l’emendabilità
della dichiarazione – circoscritta
però solo al limite della dichiarazione successiva – può chiaramente riguardarefattidiversidaquellioriginariamente dichiarati.
Da questo quadro ne emergerebbe che per fare valere elementi
favorevoli non indicati originariamenteindichiarazione(uncomponente negativo di reddito, un credito d’imposta, una maggiore perdita) al contribuente sarebbe concessa solo la possibilità di presentare
una dichiarazione integrativa a favore entro quella successiva. Non
potrebbe, quindi, presentare nemmeno istanza di rimborso e gli resterebbe l’unica speranza di essere
accertato per poi contestare la pretesa e quindi fare valere quelle situazioni a lui favorevoli non indicate nella dichiarazione.
Si tratta, tuttavia, di una impostazionenonaccettabile,chenontiene
conto che la legittimità delle pretesa impositiva non guarda, ovviamente, solo al processo, ma anche
alle precedenti fasi della dichiarazione, dell’accertamento e della riscossione. Inoltre, l’impostazione
risulta comunque parziale in quantoladichiarazioneafavorenonpuò
essere circoscritta solo alla distinzione tra compensazione e rimborso: si dimentica infatti che la ritrattazione della dichiarazione può
avere a oggetto l’indicazione di
maggiori perdite, di maggiori riportid’impostae,comunque,ditutte quelle situazioni favorevoli che
non necessariamente sfociano in
un rimborso o nella compensazione del credito.
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwNy0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0wN1QxNDowMDozNVojIyNWRVI=
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Accertamento. Più spazio alla prevenzione
Orlandi: tax gap Iva
a quota 40 miliardi
ma è iniziato il calo
Giovanni Parente
Calcio ed evasione fiscale
pPer fare un parallelo ciclistiAFP
Spagna, Messi
condannato
a 21 mesi
Il tribunale di Barcellona ha
condannato Leo Messi e il
padre Jorge a 21 mesi di carcere,
per avere defraudato per 4,1
milioni di euro il fisco spagnolo fra
il 2007 e il 2009. Il cinque volte
Pallone d'Oro eviterà comunque
la prigione. In Spagna, infatti, le
condanne sotto i 24 mesi sono
sospese. Per il Fisco spagnolo i
Messi avrebbero nascosto i
proventi dei diritti d'immagine
attraverso società paravento e
paradisi fiscali.
Contenzioso. Gli effetti della soluzione proposta dalla Cassazione
Il ricorso non colma i vuoti di tutela
pConcepire la vicenda pro-
cessuale come una clausola di
salvaguardia, in grado di colmare le lacune di tutela nel sistema, è una soluzione che desta
perplessità. Si tratta infatti di
una soluzione inevitabilmente
parziale e incompleta che, come tale, è inappagante.
Ecco perché la sentenza
13378/16 delle Sezioni Unite non
può essere condivisa. Già si è
detto del preoccupante arretramento che detta sentenza comporta sul piano delle tutele per il
contribuente, laddove giunge
ad escludere che questi possa
presentare una dichiarazione
integrativa a favore oltre l’anno.
Ebbene non può che destare ulteriore perplessità, anche di ordine tecnico, la soluzione ivi sostenuta per cui sarebbe comunque possibile per il contribuente
operare in sede contenziosa ciò
che, invece, è precluso in sede di
accertamento e di rimborso; ossia e segnatamente la rettifica
della dichiarazione oltre l’anno.
L’assunto contenuto nella
sentenza per cui, in ogni caso,
oggetto del contenzioso è la legittimità della pretesa impositiva, sicché il contribuente può
sempre contestare il provvedimento adducendo altresì errori
e omissioni presenti nella di-
EQUILIBRIO NON GARANTITO
La possibilità di addurre
omissioni o errori dopo l’anno
non può essere ammessa
solo per contestare
una pretesa dell’Agenzia
chiarazione, a ben vedere, non
vale a restituire al sistema equilibrio e parità tra le parti. E ciò
per due ragioni. Innanzitutto,
perché se la possibilità di addurre errori od omissioni commessi nella dichiarazione è consentita, oltre l’anno, solo in sede
di processo, ciò significa che è
ammessa solamente per conte-
stare una pretesa dell’Agenzia.
A ben vedere, infatti, al contribuente viene così riconosciuta
solo un’eccezione, non anche
un’azione, la quale presuppone
quindi che vi sia una pretesa da
opporre, nel senso che, in mancanza di una pretesa, non residua spazio per la rettifica. Per
intenderci, se il contribuente ha
omesso un costo ovvero un credito in dichiarazione lo può invocare oltre l’anno solo se e nel
caso in cui l’Agenzia avanza una
pretesa impositiva nei suoi confronti. Ma non solo.
In secondo luogo va evidenziato che proprio perché viene
concepita come eccezione e non
come azione, una simile facoltà
rimane poi naturalmente costretta negli angusti spazi ritagliati dalla peculiare conformazione del processo tributario.
Quest’ultimo è concepito in effetti come un processo di tipo
impugnatorio, in cui il ricorso è
ordinato, e come tale limitato, a
contestare la pretesa avanzata
con l’atto impugnato e al fine
precipuo del suo annullamento.
Sicché, quand’anche detta contestazione fosse fondata su elementi ulteriori rispetto a quelli a
fondamento della pretesa, quali
ad esempio errori e omissioni
della dichiarazione (seguendo il
ragionamento della Corte),
quello che è possibile ottenere
con un ricorso è sempre e solo, al
più, l’annullamento dell’atto.
Non anche il rimborso di quanto
eventualmente pagato in eccesso. La possibilità di far valere errori e omissioni della dichiarazione in sede processuale può
servire, quindi, per annullare la
pretesa, ma non anche per reclamare il rimborso delle somme
indebitamente versate. Ecco
perché il processo non può colmare quei vuoti di tutela aperti
dalla lettura restrittiva fatta propria dalle Sezioni Unite sulla rettificabilità della dichiarazione.
A.Cari.
D.D.
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co, considerato il periodo di
Tour de France, si potrebbe dire
che è in atto lo scollinamento.
Solo che la montagna dell’evasione fiscale italiana presenta
asperità tutt’altro che semplici
da contrastare e superare. Eppurequalchesegnalepositivosiinizia a intravedere. Ad evidenziarlo è stata la direttrice delle Entrate, Rossella Orlandi, intervenuta
ieri a Roma alla premiazione dell’associazione Lef (Legalità
equità fiscale) per le migliori tesi
di laurea in materia tributaria.
«L’ultima stima disponibile del
tax gap Iva è di 40 miliardi ma ci
sono segnali positivi sulla riduzione», ha affermato la numero
uno dell’Agenzia. Merito anche
delle azioni messe in campo nell’ultimo anno e mezzo, come lo
split payment per i fornitori della Pa e l’estensione del meccanismo del reverse charge. E proprio sulla misurazione del tax
gap è a lavoro la commissione
guidata dall’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini.
In ogni caso, va considerata
anche la parte crescente di
omessi versamenti in cui - come
ha ricostruito la Orlandi - si sono sommati due fenomeni: l’effetto della crisi finanziaria ma
anche un’evasione da riscossione, su cui la legge non consente strumenti efficienti di recupero. «Quell’Iva diventa irrecuperabile - rimarca - quindi bisogna fare in modo che ci sia
maggiore prevenzione».
Più in generale, è in atto una rivoluzione culturale nel Fisco italianoperusciredalloschematradizionale in cui il contribuente
dichiara e poi l’amministrazione
finanziaria controlla. «Si può
mettere insieme una fase di prevenzione insieme a una di deterrenza», ha rimarcato Orlandi. E
ha aggiunto: «Sulle persone normali e oneste ho fatto una scommessa: senza considerare le lettere da studi di settore, su 300 mila comunicazioni di compliance due terzi degli italiani si sono
adeguati da soli. Potevano far
finta di niente e aspettare il controllo invece hanno accolto il nostro invito a rimediare agli erro-
ri». Ma anche i nuovi strumenti
messi a disposizione dall’attuazione della delega fiscale. È il caso, tra gli altri, dell’interpello sui
nuovi investimenti: pienamente operativo da circa un mese e su
cui l’amministrazione finanziaria sta registrando un buon interesse da parte delle imprese.
Anche il viceministro all’Economia, Enrico Morando, ha ricordato l’importanza della lotta
all’evasione. A suo avviso, le risorse recuperate dal contrasto a
chi non paga le tasse, insieme alla
riduzione del cuneo sul lavoro,
potranno finanziare un alleggerimento tributario: «Nel 2018 la
pressione fiscale su lavoro e impresa in Italia deve essere uguale
a quella della Germania. Perché
proprio la Germania? Perché loro sono la prima manifattura
d’Europa, noi la seconda».
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QUOTIDIANO DEL FISCO
Sgravi autotrasporto
e liquidazione
delle imposte
Nell'edizione online di oggi in
esclusiva per gli abbonati:
l’analisi di Luca De Stefani
sulle conseguenze della comunicazione degli sgravi per gli
autostrasportatori a ridosso
della scadenza per i versamenti d’imposta e l’approfondimento di Emilio de Santis sulla
sentenza 13296/2016 della
Cassazione relativa alla liquidazione delle imposte.
www.quotidianofisco.ilsole24ore.com
22 .Lettere e Commenti
STAMPA
.LA
GIOVEDÌ 7 LUGLIO 2016
LA STAMPA
Quotidiano fondato nel 1867
ª
SECONDO ME
Scrive per «La Stampa» dal 1994, dove si occupa di attualità e
costume raccontando grandi fatti di cronaca, personaggi e tendenze. Ultima missione: la Brexit. Convinta garantista si batte
per una giustizia che sia tale. È laureata in Economia (anche se
ancora si chiede come mai), ha scritto diversi libri, ha due figli
maschi di 17 e 19 anni, due cani e tre gatti.
MARIA CORBI
c.
DIRETTORE RESPONSABILE
MAURIZIO MOLINARI
VICEDIRETTORI
LUCA UBALDESCHI (VICARIO), MASSIMO VINCENZI, MARCO ZATTERIN
REDATTORE CAPO CENTRALE FLAVIO CORAZZA
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CAPO DELLA REDAZIONE MILANESE PAOLO COLONNELLO
ART DIRECTOR CYNTHIA SGARALLINO
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LAURA CARASSAI EDIZIONI PIEMONTE E VALLE D’AOSTA,
GUIDO BOFFO CRONACA DI TORINO
L’abbigliamento è un modo per comunicare
ma deve sempre prevalere il buon senso
contatti
D
alle lettere precedenti emerge la
necessità di una considerazione:
l’abbigliamento è un codice. Nella
nostra società esistono diversi codici di
comunicazione, ad esempio il linguaggio,
e l’abbigliamento è uno di questi. Quando
indossiamo un abito comunichiamo
qualcosa agli altri, anche senza volerlo, e
di questo dobbiamo essere consapevoli.
Chi veste in giacca e cravatta mostra di
adeguarsi alle convenzioni, chi veste in
modo informale comunica predisposizione alla concretezza, piuttosto che alla
forma. Ma soprattutto occorre essere
consapevoli delle conseguenze che questo «codice» non scritto può portare.
Per esempio, un uomo che intenda indossare abiti femminili in pubblico, è consapevole che se va in giro in minigonna potrebbe essere oggetto di scherno. Una libertà che non può permettersi sul luogo
di lavoro. Le donne che lamentano di non
poter andare in giro vestite come vogliono hanno ragione; ma devono anche essere consapevoli che se vanno in giro in
minigonna destano l’eccitazione di parte
della popolazione maschile, che secondo
il codice conosciuto interpreta l’abbigliamento che ha di fronte. Di certo, ci sono
limiti di senso civico e di educazione da
Le lettere vanno inviate a
LA STAMPA
Via Lugaro 15,
10126 Torino
E­MAIL: [email protected]
Anna Masera
Garante del lettore:
[email protected]
FAX: 011 6568924
9
36
rispettare, da parte della suddetta popolazione maschile. Diciamo che è tutto un
equilibrio di cui dobbiamo tenere conto.
GABRIELLE VOLTAN TORINO
RESPONSABILE DEL TRATTAMENTO DEI DATI DI USO REDAZIONALE (D. LGS.196/2003):
MAURIZIO MOLINARI
La vita è affollata di codici, a iniziare dalle re­
gole dalla buona educazione. Le società si strutturano in questo modo per favorire la convivenza, facilitare la comunicazione, smor­
zare gli attriti. Il linguaggio è un codice e ovvia­
mente anche l’abbigliamento lo è. Banalmen­
te potremmo dire che l’abito fa il monaco. Ed è
vero, almeno quando la pigrizia ci impedisce di andare oltre. Quindi l’abito non fa il mona­
co. Anche questo è un esercizio pigro. L’unica cosa da fare è applicare il buon senso. Inutile presentarsi a un colloquio in costume, o in spiaggia in cravatta, anche se possibile. Al­
tro discorso, ben più importante, è quello del­
l’eccitazione maschile per le donne che vanno in giro in minigonna, come sottolinea lei. Bene
qui esiste una sola regola: le donne vanno ve­
stite come gli pare e questo non deve dare adi­
to ai signori maschi di pensare che lo fanno per eccitarli. È un pensiero pericoloso, tutto lo­
ro, dettato dall’ego sconfinato e dal pensare che solo lasciando libertà al testosterone si è maschi. Mentre è il rispetto, l’educazione, la gentilezza, a rendere gli uomini tali. ª
REDAZIONE AMMINISTRAZIONE E TIPOGRAFIA: VIA LUGARO 15 - 10126 TORINO, TEL. 011.6568111
STAMPA:
ITALIANA EDITRICE S.P.A., VIA GIORDANO BRUNO 84, TORINO
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LA TIRATURA DI MERCOLEDÌ 6 LUGLIO 2016 È STATA DI 229.624 COPIE
TM
Come vestirci questa estate?
Oggi e domani a rispondere alle lettere sulla moda dell’estate
è Maria Corbi, giornalista della redazione romana esperta
di moda e costume. Sabato e domenica, invece, come
di consueto, spazio alla rubrica delle lettere al direttore
de «La Stampa» Maurizio Molinari. Per l’editoriale dei
lettori raccomandiamo di scrivere testi di 1.600 caratteri
spazi inclusi.
www.lastampa.it/lettere
DATA JOURNALISM
A CURA DI RAPHAËL ZANOTTI
Vincere contro Equitalia si può, ma valutate bene i ricorsi
I ricorsi giunti nel 2015
Agenzia delle Entrate
Agenzia del territorio
Dogane e monopoli
Tempi medi
delle cause
pendenti in giorni
Equitalia
Enti territoriali
Altri enti
(IN COMMISSIONI
REGIONALI)
16.607
88.086
Commissioni
tributarie
provinciali
33.596
41.237
6.411
2.350
4.055
ª
ITALIANA EDITRICE SPA
PRESIDENTE JOHN ELKANN
VICEPRESIDENTE CARLO PERRONE
AMMINISTRATORI
LUCA ASCANI, LODOVICO PASSERIN D’ENTRÈVES, DIEGO PISTONE
AMMINISTRATORE DELEGATO LUIGI VANETTI
DIRETTORE GENERALE MAURIZIO SCANAVINO
DIRETTORE EDITORIALE MAURIZIO MOLINARI
DIRETTORE CREATIVO MASSIMO GRAMELLINI
43.813
8.568
Commissioni
tributarie
regionali
6.397
1.079
4.702
Fonte: MEF
-LA STAMPA
La Stampa
REDAZIONE
AMMINISTRAZIONE TIPOGRAFIA 10126 Torino, via Lugaro 15, telefono 011.6568111, fax 011.655306; Roma, via Barberini 50, telefono 06.47661, fax 06.486039/06.484885; Milano, via Paleocapa 7, telefono 02.762181, fax 02.780049. Internet: www.lastampa.it.
ABBONAMENTI 10126 Torino, via Lugaro 21, telefono 011.56381, fax 011.5627958. Italia 6 numeri (c.c.p. 950105) consegna dec. posta anno e 402,50; Estero: e 858,50. Arretrati: un numero costa il doppio dell’attuale prezzo di testata. CALABRIA
1.613,20
SARDEGNA
1.220,80
MOLISE
1.035,70
MARCHE
834,2
SICILIA
826,3
MEDIA
735,1
PUGLIA
725,3
EMILIA R.
687,5
UMBRIA
575,6
LIGURIA
550,9
BOLZANO
503,7
TOSCANA
464,1
TRENTO
434,9
BASILICATA
413,5
LAZIO
399,3
ABRUZZO
392,1
PIEMONTE
388,3
CAMPANIA
302,2
LOMBARDIA
285,5
VENETO
278,2
FRIULI V.G.
233,4
VALLE D'AOSTA
203,5
Favorevole
ufficio
Favorevole
contribuente
Ire e Irpef
Irap
Iva
Registro
Ipotecarie
e catastali
Ires e Irpeg
Doganali
Contributo
unificato
Altri tributi
erariali
Totale tributi
erariali
Proprietà
immobiliari
Smaltimento
rifiuti
Tributi
e tasse auto
Pubblicità
Cosap e Tosap
Altri tributi
locali
Totale tributi
locali
COMMISSIONE
TRIBUTARIA
Povinciale
46,50
41,92
47,78
39,52
37,17
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwNy0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0wN1QxMzo1OTowMlojIyNWRVI=
Regionale
46,54
41,11
43,29
38,76
30,38
38,32
42,83
43,43
45,22
58,77
41,99 41,22
52,83 31,57
64,47 32,89
47,94 26,92
47,62 36,52
44,52 30,93
43,43 41,53
44,03 31,70
52,23 33,58
48,63 28,97
47,57 38,50
41,43 41,89
58,39 35,23
41,22 40,22
40,12 37,11
45,90 42,18
58,33 33,33
64,00 25,33
59,53 34,01
44,70 34,97
53,45 35,11
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Un grande libro per motociclisti scritto da un motociclista
30,18
31,37
32,05
34,27
35,03
42,24 30,94
42,70 34,01
61,02 23,67
In MOTO sulle più BELLE STRADE delle ALPI
DALLE ALPI MARITTIME ALLA SLOVENIA
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Chi vince e chi perde
asse e tributi non sono mai stati
amati, ma mai come in questi anni
sono diventati tema controverso.
E non solo a livello politico. L’ultima relazione sulla giustizia tributaria relativa al
2015 fotografa una situazione esplosiva.
Alle commissioni tributarie provinciali e
regionali sono giunti 256.901 ricorsi per
contestare le cartelle esattoriali. Se guardiamo agli enti impositori, scopriamo che
i più «odiati», o perlomeno quelli contro i
quali i contribuenti sperano di ottenere
più facilmente una vittoria, sono l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia.
Ma paga mettersi contro agenzie o enti
territoriali? Dipende. In un caso su tre, davanti alle commissioni tributarie provinciali, vince il contribuente. E nelle commissioni regionali la percentuale sale al 40,37%
(dati 2015). Poi dipende dal tipo di tassa.
Tasse sull’auto, sulla pubblicità e altri tributi locali offrono buone possibilità davanti
alle commissioni regionali, tasse ipotecarie
e catastali ottime davanti a quelle provinciali. Anche la vittoria, tuttavia, ha dei costi. In termini di tempo. E qui dipende dalla
fortuna che avete. Se abitate in provincia di
Cosenza sappiate che l’anzianità media
delle cause trattate dal provinciale è di 7
anni e mezzo. A Brescia è meno di 7 mesi.
Fatevi dunque due conti, prima di agire.
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
oppure collegandosi al sito www.lastampashop.it; presso gli sportelli del Salone La Stampa,
via Lugaro 21, Torino.
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