Rassegna 6-12 luglio 2016
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Rassegna 6-12 luglio 2016
RASSEGNA STAMPA 6 - 12 Luglio 2016 28 Sabato 9 Luglio 2016 G IU STIZIA E SOCIETÀ Niente trasferimenti patrimoniali con separazione o divorzio semplificati L’accordo semplificato per la separazione o il divorzio non può contenere patti di trasferimento patrimoniale di alcun genere. Quindi, una circolare non può allentare il divieto previsto dalla legge, limitandolo all’ipotesi di assegno una tantum ed escludendolo, invece, in caso di assegno mensile di mantenimento. Lo ha stabilito il Tar Lazio con la sentenza n. 7813 del 7 luglio 2016. Il collegio ha preso in considerazione la nuova procedura di separazione e divorzio prevista dall’art. 12 del dl 132/ 2014. Nel dettaglio, il meccanismo legislativo si svolge davanti all’ufficiale dello stato civile e richiede due condizioni: la prima è che non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. In questo caso, «l’accordo tra le parti tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio». La seconda condizione, invece, è che l’accordo non può contenere «patti di trasferimento patrimoniale». Il Viminale, tuttavia, ha emanato una circolare ad hoc che aveva allargato le maglie del divieto previsto dalla norma primaria, facendovi rientrare solo l’ipotesi di assegno in un’unica soluzione ed escludendo, a garantire il soggetto più debole invece, l’assegno mensile di mante- della coppia, che altrimenti sarebbe nimento o divorzile. I giudici am- fortemente penalizzato, stante la ministrativi capitolini non hanno, procedura particolarmente accelerata e semplifiperò, condiviso la cata, che peraltro lettura ministeriale, La sentenza vede la presenza posto che la portata sul sito www.italia- solo eventuale di della legge è ampia avvocati e che ate omnicomprensiva. oggi.it/documenti tribuisce all’uffiInoltre, essa «è tesa ciale di stato civile un ruolo meramente certificatore dell’accordo tra le parti». I giudici hanno concluso affermando che solo un’interpretazione letterale della norma assicura la tutela del soggetto più esposto, che, in caso contrario, potrebbe essere di fatto costretto ad accettare condizioni patrimoniali imposte dalla controparte più forte. Soddisfazione in merito alla decisione è stata espressa dall’Associazione italiana avvocati per la famiglia e i minori che, in prima battuta, aveva fatto ricorso contro l’interpretazione delle norme fornita dal ministero dell’interno insieme all’Associazione Donna Chiama Donna Onlus. Andrea Scotto L’inchiesta di ItaliaOggi sul mondo dell’avvocatura in vista del Congresso nazionale di ottobre Cnf, tra compensi e multe il conto è salato DI A BEATRICE MIGLIORINI cque agitate nel modo dell’avvocatura. Con un bilancio 2016 del Consiglio nazionale forense che per non chiudere in negativo dovrà attingere alle riserve 2015 anche a causa di una iniziativa editoriale che ha suscitato non poche perplessità (si veda ItaliaOggi di ieri) a riscaldare gli animi dei legali c’è anche la questione «compensi», ovvero il «Regolamento rimborsi spese e gettoni di presenza». A fine 2015, infatti, il Consiglio nazionale onale forense ha adottato un regolamento interno che per la prima volta istituisce una indennità annua per i componenti del Consiglio di presidenza e un gettone di presenza per tutti i consiglieri, sia per le sedute amministrative che per le udienze giurisdizionali del Cnf. Nel dettaglio tale iniziativa, in aggiunta al rimborso spese standard, prevede «un gettone di presenza per tutte le attività inerenti il mandato determinato in misura forfetaria come segue», si legge nel regolamento, «90.000 euro al presidente, 50.000 euro al vicepresidente, 70.000 euro al Consigliere segretario e 50.000 euro al tesoriere, oltre accessori di legge». Cifre a cui vanno ad aggiungersi quelle previste alla voce «Gettone di presenza Consiglieri nazionali» che, possono arrivare fino a 24.700 euro per ciascun consigliere. Un’iniziativa la cui entrata in vigore è stata prevista già a partire dal 2016, che andrà contabilizzata anno per anno e che, soprattutto, non è passata inosservata agli occhi della categoria. Questa, infatti, ha posto l’accento sui potenziali conflitti di interessi sul punto e, tramite l’Ordine di Bari, ha inoltrato una segnalazione all’Autorità nazionale anticorruzione. Se da un lato, infatti, la misura prevista lascia spazio di manovra in questo senso ai singoli ordini che, per lo meno in parte, sono stati informati dell’iniziativa dallo stesso Cnf nel corso della Riunione dell’Agorà degli Ordini che si è svolta lo scorso 17 dicembre è pur vero che tale informazione è arrivata a decisione presa senza che i Consigli degli ordini territoriali siano stati preventivamente consultati, così come si legge nelle delibere sul punto degli Ordini di Bergamo, Milano, Firen- ze, Napoli e Bari. Per le tasche dei legali italiani, però, c’è ancora speranza. Il regolamento, infatti, è stato impugnato di fronte al Tar Lazio, non solo da parte dell’Ordine degli avvocati di Bari, ma anche da parte della sezione Anf di Bari e di Bergamo e da altri legali in proprio sul territorio. La discussione sul punto, che doveva avvenire il 18 maggio scorso, è stata però rinviata ad inizio 2017. Le somme, quindi, nel mentre potrebbero comunque essere erogate ai diretti interessati. Autorità della A t ità garante t d ll concorrenza e del mercato. A non andare giù al mondo dell’avvocatura, però, sono anche le due sanzioni che l’Antitrust ha irrogato al Consiglio nazionale forense. La prima, che ha trovato conferma in ultima istanza di fronte al Consiglio di stato con sentenza del 22 marzo scorso che ammonta a 912 mila euro più gli interessi di mora e la seconda, di circa 900 mila euro per inottemperanza al proprio precedente provvedimento provvisoriamente esecutivo. Il Cnf nel primo caso, infatti, ad avviso dell’Agcm avrebbe posto in essere un’intesa, unica e continuativa, restrittiva della concorrenza, consistente dell’adozione di due decisioni volte a limitare (si veda ItaliaOggi del 24 marzo 2016) l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, considerando illeciti disci- VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMjoxNFojIyNWRVI= plinari la richiesta di compensi inferiori al minimo e limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale era possibile veicolare anche la convenienza economica della prestazione professionale. Una sanzione che, di fatto, viene pagata con le entrate derivanti dai versamenti degli iscritti che sono stati considerati dall’Antitrust soggetti danneggiati, o quanto meno non responsabili, dalle iniziative poste in essere dal Cnf. Il tutto, indipendentemente dalla comunicazione avvenuta da parte del Consiglio in merito al fatto che tali somme fossero già state messe da parte preventivamente. Elemento che non è passato inosservato non solo agli occhi degli ordini locali che, a più riprese nei mesi precedenti hanno chiesto l’immediato pagamento delle sanzioni in modo da non rischiare di andare incontro all’aumento della somma, ma anche e soprattutto ai singoli legali. E la voce è arrivata fino alle istituzioni europee. In base a quanto risulta a ItaliaOggi, infatti, alcuni avvocati in privato, attraverso legali di fiducia hanno scritto direttamente alla Direzione generale per la concorrenza della Commissione europea, cogliendo l’occasione legata all’instaurazione di un giudizio davan- ti alla Commissione tributaria da parte di un legale, in merito alla debenza del proprio contributo annuale al Cnf. Con la missiva è, in particolare, lamentata la violazione del principio in base al quale «la vittima non può pagare la sanzione del trasgressore dato che metterebbe a repentaglio l’efficacia delle sanzioni inflitte che è condizione per l’applicazione uniforme degli art. 101 e 102 del Tfue». Tali norme, infatti, nella sostanza prevedono che le vittime di violazioni della concorrenza possano essere risarcite per i danni e che le autorità nazionali garanti della concorrenza e dalla Comg missione si scambino informazioni, m ccomprese quelle riservate, per aiutare lle parti a far rispettare le violazioni dellle regole. Osservazione a cui si affianca il fatto che «la Commissione in passatto», si legge nella missiva, «ha concluso cche le sanzioni applicate per violazione delle regole delle concorrenza non sono d fiscalmente deducibili perché sarebberro di fatto rimborsate dallo stato». Tesi cche sono state prese in considerazione dall’istituzione europea che ha, da però, sottolineato come «nel caso pe di specie, l’applicazione coerente dell’articolo 101 o 102 Tfue non sia de in gioco». In sostanza, quindi, la Dg Concorrenza non ha ritenuto D sussistente una palese violazione su degli articoli 101 (accordi antid cconcorrenziali) e 102 (abuso di posizione dominante) e, per tanto, p non aprirà alcuna istruttoria per n accertare la violazione lamentaa ta. t Questo, però, per stessa ammissione dell’Autorità europea m non preclude le ulteriori possibilità di iniziativa e accertamento attivate iniz dai giudici nazionali, nonché la facoltà della stessa Commissione europea di inserirsi in una fase successiva del procedimento dato che una valutazione in questo senso «non pregiudica il diritto del giudice nazionale di inviare alla Commissione la richiesta di parere o il diritto del giudice nazionale di adire la Corte di giustizia per la richiesta di rinvio pregiudiziale». Non è da escludere, quindi, che la questione possa arrivare all’attenzione anche dei giudici europei. Il Congresso nazionale forense, in programma a Rimini il 6, 7 e 8 ottobre 2016 si avvicina ma le speranze di vedere l’avvocatura unita sembrano lontane. 3-fine LA RICERCA DELLA FONDAZIONE NAZIONALE COMMERCIALISTI- 06 LUGLIO 2016 ORE 06:00 Commercialista di base: un garante a favore dei contribuenti minori La ricerca condotta dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti individua le condizioni per il riconoscimento dell’assistenza contabile e fiscale di base pubblica a favore dei contribuenti minori, ipotizzando la figura del c.d. commercialista di base, che opererebbe in via esclusiva ed autonoma. Il documento si sofferma sul ruolo sussidiario che viene ad occupare il commercialista nei confronti dello Stato, in relazione alle garanzie pubbliche in materia di giusto tributo, controllo e recupero dell’evasione fiscale. Tale ruolo andrebbe ulteriormente rafforzato mediante l’adozione di standard di qualità, check list e strumenti definiti d’intesa con l’Autorità fiscale. La Fondazione Nazionale dei Commercialisti ha condotto una ricerca economica e giuridica sulla figura del “contribuente minore ”, ricomprendendo in essa quei soggetti, imprenditori e lavoratori autonomi, per i quali lo Stato, fin dalla riforma del 1971, aveva già previsto la necessità di venire incontro anche con forme di semplificazione in ordine agli adempimenti contabili e fiscali . Secondo stime effettuate dalla Fondazione a partire dai dati delle dichiarazioni 2015, i contribuenti minori producono un gettito annuo (in termini di IRPEF, IVA e IRAP) ricompreso tra 15 e 20 miliardi di euro, a fronte di un onere per l’assistenza contabile e fiscale di base stimato pari a circa 3,5/4,5 miliardi di euro. Il documento della Fondazione - intitolato “Il commercialista di base - Una ricerca sulle condizioni per l’introduzione dell’assistenza contabile e fiscale di base “pubblica” a favore dei c.d. contribuenti minori” - presenta un’analisi puntuale dei dati del fisco telematico (Entratel e Fisconline) che dimostra come i commercialisti , al momento, gestiscano la maggior parte del flusso documentale trasmesso all’Agenzia delle Entrate, presidiando quasi completamente l’area dei dichiarativi. I dati forniti dall’Agenzia delle Entrate relativi alle dichiarazioni 2014, evidenziano che l’83% dei modelli UNICO SC è trasmesso da Commercialisti abilitati a Entratel; entre considerando l’insieme dei dichiarativi, tale percentuale si attesta al 63%. Consulta Il commercialista di base - Una ricerca sulle condizioni per l’introduzione dell’assistenza contabile e fiscale di base “pubblica” a favore dei c.d. “contribuenti minori” Perché il commercialista di base? Stabilire in quale misura vanno versati i tributi previsti dalla legge, oltre a presupporre un’attività interpretativa delle norme istitutive dei tributi, è una procedura che richiede degli specialisti per poter essere effettuata. Questi specialisti (art. 41 Cost.), in quanto operatori economici, hanno il dovere di agire in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; e tale attività non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. Il commercialista di base, qualora fosse introdotto, assicurerebbe la giusta corresponsione dei tributi, favorendo anche il pieno sviluppo della persona. La persona può svilupparsi e realizzarsi, secondo il dettame costituzionale, solo se sono rispettati e garantiti i cosiddetti diritti di libertà . Tra di essi, all’art. 22 Cost., è previsto il diritto alla capacità giuridica . Quali garanzie? È necessario che lo Stato si attivi affinché sia garantito al cittadino/contribuente il suo diritto al pagamento del giusto tributo. L'attuazione di tale diritto soddisfa non solo il soggetto passivo del tributo, ma anche l’interesse più generale dello Stato. Questa garanzia positiva è possibile radicarla negli articoli 38 e 117 Cost., sulla base di una loro interpretazione strettamente letterale. La figura del commercialista di base potrebbe quindi rappresentare uno degli strumenti di cui lo Stato si serve per poter efficacemente assolvere ai compiti di rimozione degli ostacoli economico-sociali gravanti su di esso. Il regime di contabilità semplificata Il quadro normativo in cui inserire la figura del commercialista di base si completa attraverso la considerazione di quanto previsto dall’art. 2, n. 18), della legge n. 825/1971, recante “Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria, concernente le semplificazioni contabili per le imprese minori e per gli esercenti arti e professioni”. Il regime di contabilità semplificata previsto nel 1971 trovava la sua ratio nel riconoscimento da parte del legislatore della necessità di agevolare le c.d. imprese minori , quelle, cioè, meno attrezzate sia finanziariamente che organizzativamente. Visto di conformità, asseverazione e certificazione tributaria Il visto di conformità, l'asseverazione e la certificazione tributaria hanno assunto un'importanza via via maggiore, da un lato nel garantire il corretto adempimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e dall'altro nell'agevolare l'Amministrazione finanziaria nell'eseguire i controlli di propria competenza. Il visto di conformità costituisce il primo livello di controllo sulla corretta applicazione delle norme tributarie. Esso si sostanzia nell'attestazione - da parte del responsabile dell'assistenza fiscale dei centri di assistenza fiscale (CAF) o del professionista autorizzato - di aver eseguito i controlli nel riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione, nella verifica della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte sul valore aggiunto e nella verifica della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili. Per quanta riguarda i profili sanzionatori della disciplina relativa al visto di conformità, salvo che il fatto costituisca reato e ferma restando l'irrogazione delle sanzioni per le violazioni di norme tributarie, al CAF o al professionista che rilascia il visto di conformità infedele si applica la sanzione amministrativa da 258 a 2.582 euro. Per quanto attiene all’asseverazione essa si sostanzia nell'attestazione che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all’Amministrazione finanziaria, rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore. In ultimo, la certificazione tributaria consiste nell'attestazione, da parte del professionista autorizzato, di aver eseguito i controlli indicati con apposito decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze tenendo conto, di norma, anche dei principi di revisione fiscale elaborati dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei consulenti del lavoro. La certificazione tributaria può essere rilasciata a condizione che nei confronti del medesimo contribuente siano stati altresì rilasciati il visto di conformità e, qualora siano applicabili le disposizioni concernenti gli studi di settore, l'asseverazione e il soggetto incaricato abbia accertato l'esatta applicazione delle norme tributarie sostanziali ed eseguito gli adempimenti, i controlli e le attività indicati annualmente con decreto del Ministro delle Finanze. Il rilascio della certificazione tributaria garantisce, oltre alla corretta applicazione delle norme tributarie sostanziali, anche taluni benefici ai contribuenti che optino per tale istituto, in particolare, per le dichiarazioni relative a periodi di imposta per i quali è stata rilasciata una certificazione tributaria regolare. Il fisco telematico Per i contribuenti, gli adempimenti da potersi effettuare, direttamente o tramite intermediari abilitati, per mezzo del servizio telematico sono aumentati esponenzialmente nel corso degli anni, rendendo sicuramente più agevole l’acquisizione dei dati da parte dell’Amministrazione finanziaria, con rilevante risparmio di costi per la stessa. Costi e maggiori complessità degli adempimenti sono stati inevitabilmente trasferiti sui contribuenti e sui professionisti che li assistono, necessitando di fatto dell’assistenza di un professionista con competenze specifiche, quale il commercialista. L’analisi dei dati Secondo il Tax Administration 2015 dell’OECD, la spesa aggregata sostenuta dal sistema pubblico italiano per le funzioni fiscali si è ridotta del 50,3% tra il 2007 e il 2011 passando da 4.571 milioni di euro a 2.270 milioni di euro per poi risalire a 2.930 milioni di euro nel 2013 (ultimo dato disponibile). In termini comparativi, la stessa spesa in Germania nel medesimo periodo è cresciuta del 9,7%, in Francia è rimasta stabile, nel Regno Unito è diminuita del 14% e negli USA è aumentata del 19%. In generale, il dato italiano rappresenta la riduzione più significativa tra i paesi OCSE. La FNC rileva che questo dato può essere letto come conseguenza dell’introduzione del fisco telematico che, in Italia ha rappresentato una rivoluzione straordinaria, anticipando i tempi a livello internazionale. Nel 2015, le dichiarazioni presentate ai fini IRPEF sono state pari a 40.716.548. Per individuare l’area dei contribuenti minori si è fatto riferimento in maniera esclusiva alle dichiarazioni presentate da persone fisiche titolari di partita IVA. Si tratta di 3.901.857 contribuenti di cui 1.981.103 imprese, 950.095 professionisti, 403.027 agricoltori e 567.632 soggetti che hanno optato per il regime fiscale di vantaggio. A cura della Redazione Copyright © - Riproduzione riservata 3 Corriere della Sera Sabato 9 Luglio 2016 BS Primo piano Tasse e controversie I numeri Ricorsi definiti nel 2015 44,58% 23,01% Imposte non dovute, agevolazioni fiscali mal calcolate, contributi chiesti a sproposito. Se la cartella esattoriale è più alta di quanto vi aspettavate, l’unica cosa da fare è rivolgersi alla Commissione Tributaria. Vincere contro l’Agenzia delle Entrate e Equitalia è possibile: numeri alla mano, un contribuente su tre che porta l’ente «impostore» in causa riesce a spuntarla. Iva, Ires, Irap, tributi locali e imposte doganali. Il dato nazionale parla di 32 giudizi su 100 favorevoli ai contribuenti, nel 44.5% dei casi trionfa l’ufficio pubblico, le vicende restanti si concludono con conciliazioni o giudizi intermedi. A Brescia, terra di imprenditori e inevitabilmente di commercialisti, sono 1.511 i ricorsi arrivati alla Commissione Tributaria Provinciale nel 2015, numeri in crescita rispetto ai due anni precedenti e pari al boom del 2012. Con la crescita delle cause anche avvocati e commercialisti si sono buttati non solo sul fallimentare ma anche sul tributario. Gli enti nel mirino? Agenzia delle Entrate in primis, la controversa Equitalia e quindi i Comuni. La battaglia legale si gioca su campi squisitamente tecnici e gli esempi sono lì a dimostrarlo. Nel 2015 la Commissione Regionale (secondo grado di giudizio) ha dato ragione a Semeraro Immobiliare annullando l’accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate revocava le agevolazioni fiscali su un terreno acquistato nel 2003 e rivenduto nel 2006 senza che la Semeraro rispettasse l’obbligo di edificarlo. La Itap, valvole a sfera, ha invece battuto il Comune di Rodengo ottenendo dopo 12 anni il rimborso della tassa pagata sui rifiuti di imballaggio. Vale la pena di fare causa? Dipende, chi perde paga e il conto può essere salato, specie se dopo il primo giudizio lo sconfitto sceglie di andare avanti. Così ha fatto la famiglia Giacopini, che dopo un’intricata vicenda contro l’Agenzia delle Entrate che aveva per oggetto il valore di un terreno a Offlaga, ha dovuto pure pagare anche 5mila euro di spese processuali. A Brescia, in verità, le cause sono quasi lampo e scorrendo le tempistiche la nostra Commissione Provinciale è la seconda più virtuosa d’Italia. Il tempo medio di un processo è Conciliazione o giudizio intermedio Favorevole Ufficio pubblico Italia 243 2015 2014 2013 Evoluzione del contenzioso a Brescia: i ricorsi di anno in anno 25,84% 41,53% Favorevole Ufficio pubblico Passantino: «Sotto i mille euro non vale la pena» 242 191 32,41% Favorevole Contribuente Il professionista Tempo medio del processo (giorni) Lombardia 2.242 Ricorsi pervenuti Ricorsi definiti Conciliazione o giudizio intermedio 32,63% Favorevole contribuente 1.535 1.644 2012 1.526 1.394 1.344 2013 2014 1.511 1.222 2015 Ricorsi giunti nel 2015 alle Commissioni tributarie provinciali 41.237 Equitalia 88.086 Agenzia Entrate 16.067 Enti territoriali 8.000 Altri Enti Fonte: Ministero dell’Economia d’Arco Cause tributarie, ha ragione il 33% dei contribuenti L’anno scorso oltre 1.500 ricorsi alla commissione bresciana Tasse Lo scorso anno sono più di 1500 i ricorsi presentati di 188 giorni a Teramo, 191 a Brescia, 269 a Bergamo, 321 a Verona, 553 a Milano, 832 a Roma. «Brescia è molto efficiente e rapida, in quest’ambito è un’eccellenza: la Commissione Provinciale dà tempi certi e anche la nostra Agenzia delle Entrate cerca di evitare i contenziosi chiedendo spiegazioni VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMTowMlojIyNWRVI= prima di inviare gli accertamenti. Qui l’argomento è preso sul serio e la giustizia tributaria non è vista come un affare di serie C. Un consiglio? Spesso è meglio mediare per ottenere risultati in tempi brevi, evitate di fare ricorsi per contenziosi di basso valore», spiega Corrado Molgora, commercialista Antonio Passantino Presidente dell’Ordine dei commercialisti specializzato in contenzioso tributario. «Negli ultimi anni, e questo spiega in parte il boom di ricorsi, sono state aperte molte cause per l’Imu sugli imbullonati. Poi è stato tolto dal Governo Renzi». La situazione, complice la crisi e un certo spirito battagliero degli imprenditori, è comunque diventata esplosiva in tutta Italia e gestire gli arretrati resta affare difficile: sono 256.90 i ricorsi totali arrivati alle Commissioni Regionali e Provinciali nel 2015 con un valore totale di 33miliardi di euro, 14mila cause in più del 2014 e in linea con il 2013. Questa la procedura: c’è la Commissione Provinciale di primo grado, la Regionale e quindi la Cassazione: tal Lucia Battisti, sorpresa al confine con la Svizzera con 85milioni di lire nel 1984, l’ha spuntata definitivamente sull’Agenzia delle Entrate solo nel 2015. Le hanno dato pure 4mila euro di spese legali, però. Vittorio Cerdelli © RIPRODUZIONE RISERVATA I dati Il dato nazionale parla di 32 giudizi su cento favorevoli ai contribuenti, nel 44.5% dei casi trionfa l’ufficio pubblico, le vicende restanti si concludono con conciliazioni o giudizi intermedi Per sapere come è meglio comportarsi nel caso si riceva una cartella esattoriale «discutibile» ecco i consigli di Antonio Passantino, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Brescia. Presidente cosa deve fare il contribuente che riceve una cartella esattoriale più alta del dovuto? «Chi rileva inesattezze deve rivolgersi a un professionista. La causa si svolge in primo grado alla Commissione Provinciale, in appello alla Regionale, quindi si va in Cassazione. A Brescia i tempi sono ridotti: in 7 mesi si arriva al verdetto di primo grado». Quanto costa far causa al presunto ente impostore? «Un contenzioso da 5.000mila euro costa poco meno di mille euro se la pratica non è particolarmente difficoltosa. Sotto la soglia dei mille euro sconsiglio al contribuente di agire». Quali sono le tasse per le quali si fa più spesso causa? «Gran parte dei ricorsi ha per oggetto le imposte sul reddito della società e della persone fisiche. Direi Ires e Irpef in primis, seguono le tasse catastali». Ci sono categorie che contestano di più le imposte chieste da Equitalia e dall’Agenzia delle Entrate? «Il settore immobiliare si presta al contenzioso perché c’è divergenza nello stabilire i valori. I contribuenti dichiarano un dato valore del terreno o della struttura, l’amministrazione ne rileva un altro». È vero che, complice la crisi, avvocati e commercialisti si sono buttati su tributario e fallimentare? «È una tendenza che osserviamo. I professionisti puntano molto alle aree della crisi d’intesa e del contenzioso tributario, la crisi ha ridotto anche la nostra operatività e ci muoviamo sui settori che interessano il cliente». Il valore medio dei contenziosi italiani è vicino ai 100mila euro, come si posiziona Brescia? «È una provincia ricca e sicuramente gli importi sono rilevanti. Quando la posta in gioco è più alta, se il primo grado non soddisfa, il contribuente tende a andare di più in appello». (v.c.) © RIPRODUZIONE RISERVATA GIUSTIZIA: BORIA NOMINATO PRESIDENTE SOCIETÀ STUDIOSI DIRITTO TRIBUTARIO ROMA (ITALPRESS) L'avvocato Pietro Boria e' stato nominato presidente della Societa' fra gli Studiosi di Diritto Tributario. Il professore ordinario di diritto tributario alla facolta' di Giurisprudenza, presso l'Universita' la Sapienza di Roma e' stato, quindi, messo a capo della Societa' che riunisce e rappresenta tutti gli studiosi della materia e promuove lo sviluppo culturale e scientifico del diritto tributario e la sua diffusione, anche territoriale. Sono soci dell'associazione, senza scopo di lucro, professori universitari di ruolo, in servizio o in pensione, di prima fascia o di seconda fascia e i ricercatori delle materie attualmente comprese nel settore scientifico-disciplinare del diritto tributario. Ne fanno parte, inoltre, i professori stabili nelle Universita' europee ed extraeuropee in materia tributaria e gli studiosi di chiara fama nella materia. Il consiglio direttivo della Societa' e', dunque, attualmente composto dal presidente Pietro Boria e da Pasquale Russo, Mauro Beghin, Franco Randazzo, Valeria Mastroiacovo, Antonio Perrone, Gianluca Selicato. LETTERE E COMMENTI 19 Domenica 10 luglio 2016 DE TOMASO L’avvenire del centrodestra >> CONTINUA DALLA PRIMA I l caso dei grillini fa scuola. Quando le Camere approvarono la legge elettorale, il movimento penstastellato bollò il provvedimento con parole simili a quelle utilizzate dal socialista francese Francois Mitterrand (1916-1996) contro la riforma presidenziale voluta dal generale Charles De Gaulle (1890-1970): «Un colpo di Stato permanente». Poi, la riforma gollista, non golpista, si rivelò determinante per il doppio mandato presidenziale di Mitterrand, e la stroncatura di qualche anno prima si perse nelle discariche degli slogan passati di moda. Oggi, i principali, anche se invisibili, tifosi dell’Italicum sono proprio i grillini. Non possono gridarlo ai quattro venti, ma la loro predilezione per la riforma un tempo bistrattata è evidente. Non si cambiano le regole a partita già iniziata, è la linea adottata dal Movimento. Il che è sicuramente giusto e auspicabile, ma nei fatti serve a rilegittimare, a riabilitare la riforma renziana. Oggi le invettive contro l’Italicum da parte dell’ex attore e dei suoi seguaci sembrano più datate di un film in bianco e nero. Del resto, come dar torto ai grillini? Sanno che l’Italicum è il modello ideale per chi, come loro, continua a fare colpo nell’opinione pubblica. Sanno, sempre i grillini, che le previsioni elettorali, per la loro sigla, sono più confortanti di un numero vincente al Superenalotto, e naturalmente ne tengono conto. Piuttosto. Come si stanno preparando gli altri? Come si sta preparando il Pd? Come si sta preparando alla nuova fase politica il centrodestra, lo schieramento più frastagliato dopo la fuoriuscita di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi? Il Pd non attraversa un periodo felice, ma tutti sanno chi è il suo leader (anche se l’indice di gradimento è calato e l’opposizione interna non va mai in vacanza). Tutti sanno, pure, chi è il leader dei grillini. Ma chi è, invece, il leader, lo stratega, il comandante del centrodestra? Non solo non lo sa nessuno, ma paiono ancora in alto mare le manovre per scegliere il nocchiero, la navigazione e il personale di bordo. Berlusconi è Berlusconi, un nome carismatico GIUSTIZIA TRIBUTARIA di CARLO CIMINIELLO Prostituzione «Pecunia non olet» È legittimo l’accertamento fondato sulle indagini finanziarie effettuate sui conti correnti intestati ad una «escort» ed il conseguente recupero a tassazione ai fini impositivi e contributivi dei proventi non dichiarati. Inoltre l’attività di meretricio esercitata con il carattere dell’abitualità rientra nella generale nozione di prestazione di servizi verso corrispettivo, inquadrabile nell’ampia previsione del dpr 633/72 e quindi assoggettabile ad Iva. Lo ha statuito con una sentenza ben articolata ed argomentata la Commissione Tributaria Provinciale di Savona (Pres. G. Piazza; Rel.: R. Bertolo). BERLUSCONI All’uscita dal San Raffaele. Non più rinviabile la questione della leadership insostituibile, e impossibile da clonarsi politicamente, specie in famiglia. Lui, il Fondatore, resta un esemplare unico. Nel bene e nel male. Ma anche le più consolidate monarchie assolute prima o poi evolvono, inevitabilmente, verso forme costituzionali democratiche: processo che, nel centrodestra, ha prodotto uno spappolamento così esteso da aver ingarbugliato assai la scelta del successore dell’ex Cavaliere alla guida dello schieramento. Già non è dato sapere su quali forze politiche poggerà la nuova coalizione moderata. Ci sarà il partito di Angelino Alfano? E quello di Matteo Salvini che farà? Né è dato sapere con quali criteri verrà selezionata la nuova leadership: primarie, cooptazioni, caminetti, sorteggi? Non parliamo poi della linea politica, adesso assai nebulosa e composita rispetto agli anni berlusconiani, che pure videro molte anime in lotta tra loro: da quella del Capo a quella di Gianfranco Fini, da quella di Pierferdinando Casini a quella di Giulio Tremonti, da quella di Umberto Bossi a quella Roberto Formigoni. In sintesi. Se non definirà leadership, identità e obiettivi, il centrodestra rischierà di rimanere oscurato dallo scontro tra centrosi- nistra e grillini, consegnandosi, se non a un futuro di irrilevanza politica, a una prospettiva di pura testimonianza. Il che, in un Paese moderato come l’Italia, suona paradossale. Non è facile invertire la rotta. Anche perché Grillo e i suoi sono molto abili nel calamitare parecchi elettori di destra, soprattutto quelli più sensibili al contenimento dell’immigrazione e della legislazione europea, temi cari a vasti settori dell’area post-berlusconiana. Non è facile, per i moderati italiani, trovare un compromesso su problemi divisivi come l’Europa, le banche, l’immigrazione, la sicurezza, il fisco. Berlusconi trovò il mastice nella lotta al caro-tasse. Proclama, adesso, meno efficace di un tempo, data l’impossibilità o la non volontà, già acclarate, di rispettare l’impegno. Il centrodestra, in ogni caso, dovrà risalire in superficie senza ricorrere al salvagente del no al caro-tasse, e senza bussare alla casa e alla cassa di Berlusconi. Ce la farà? Boh. In ogni caso dovrà muoversi sùbito, per non candidarsi a provare le frustrazioni dei liberali inglesi. Giuseppe De Tomaso [email protected] SAMMARTINO Basilicata, non solo mare >> CONTINUA DALLA PRIMA civiltà preistoriche, racconta una vicenda umana complessa e longeva, non a caso riconosciuta dall'Unesco come patrimonio n risultato non nuovo per Maratea che già lo scorso anno mondiale dell'umanità. E poi, nell'interno, si stagliano orizzonti si era vista riconoscere il secondo posto con un altra disegnati da asprezze di Appennino con molteplici declinazioni: spiaggia «gioiello»: quella di Cersuta. E poi le bandiere dalle colline morbide ai picchi aguzzi, come mostra la meraviglia blu e le “cinque vele”... Così seducente eppure così delle Dolomiti Lucane, fra Castelmezzano e Pietrapertosa, di reessenziale. Questo lembo di costa lucana infatti è lungo appena cente rivelati al mondo grazie al «volo dell'angelo», alla via ferrata, trenta chilometri. Un frammento di costa che, all'interno del Golfo al percorso delle sette pietre, al ponte nepalese che si distende fra le di Policastro, fra il Canale di Mezzanotte e Castrocucco, crea guglie d'arenaria. E poi il paesaggio lunare dei calanchi di Aliano, Sant'Arcangelo, Tursi, Craco è lì a straordinarie alchimie di verde d'alsuscitare altre emozioni. Terra di poetura e azzurro acqua marina. Una sinti, questa Lucania (Leonardo Sinisgaltesi di ciò che in fondo l'intera Bali di Montemurro, Rocco Scotellaro di silicata è: terra di margine e dai pochi Tricarico, paese che condivide con abitanti, eppure incredibilmente ricMario Trufelli, Albino Pierro di Turca di formidabili bellezze di natura e di si, Michele Parrella di Laurenzana, paesaggi (e non soltanto). La sua forza Isabella Morra di Valsinni, Orazio di sta dentro gli ambienti preservati e la Venosa, Vito Riviello di Potenza) e di loro eccezionale varietà: monti, colpercorsi che sanno di storia (i castelli line, promontori rocciosi, calanchi, federiciani), di pietà popolare (le chiepianure, fiumi e laghi. Fino ai due se e le cappelle con i loro tesori), di mari: quello che richiama echi di Maremote epopee (dai templari, ai brigna Grecia, sul litorale sabbioso e liganti), di tradizioni e magie. neare che si immerge nello Ionio, esalUn patrimonio che, dalle vertiginotato dai resti antichi di Metaponto, se altitudini dei pini loricati (sul mondalle sue Tavole Palatine, un tempio te Pollino), dei faggi, dei castagni, dei dorico del sesto secolo avanti Cristo cerri, degli aceri, dei carpini e degli che richiama il culto di Hera. E il mare olmi, si stempera gradatamente lungo Tirreno dove l'impatto fra terra e aci sentieri montuosi. Fino a concederqua è aspro e selvaggio, con i fianchi si, lungo la discesa, l'incontro con lecdei promontori che affondano con imci, lentisco, ginepro. E poi ulivi, fichi, pazienza nei limpidi fondali petrosi. carrubi. Fino agli arbusti che lamDove la costa è verde e movimentata biscono le rive nel fantasmagorico da segmenti taglienti e insenature che palcoscenico di Maratea. Sulla sua suscitano incanto. meraviglia veglia lo sguardo del CriIl Golfo di Policastro è luogo di miti e BASILICATA Lo spettacolo delle «Dolomiti lucane» sto Redentore che abbraccia uomini e malie. Fu in questi paraggi che Ulisse marinai e rabbonisce il mare dai 1277 volle farsi legare all'albero maestro per non soccombere al canto delle sirene. La terra che gli passava metri d'altitudine del monte San Biagio. Questa rete della bellezza è l'autentico tesoro della Basilicata. Un davanti era questa: fra l'attuale territorio della Basilicata e il Vallo di Diano e il Cilento, lembi di un’antica Lucania poi separata dalle patrimonio legato alla terra e all'ambiente e che perciò è unico, burocrazie ma rimasta profondamente simile per lingua e cul- irripetibile e non clonabile. È la ragione per il quale esso va posto al riparo da scempi e atti predatori. Da questo patrimonio, dalla sua tura. Bellezze come quelle di Maratea, con le sue linee ardimentose tutela nelle scelte politiche, dalla sua cura, dalla capacità di renricche di grotte e calette, sono soltanto una delle facce delle straor- derlo fruibile, può prendere forza un'economia. Non solo di cadinarie suggestioni lucane. Basti pensare a Matera (nel nome, un rattere turistico. Si può costruire un progetto fra natura e cultura, quasi anagramma di Maratea) che, con differenti grotte nei suoi fra innovazione e memoria. Progetto che guarda al futuro. antichi Sassi di tufo e con le sue stupefacenti testimonianze di Mimmo Sammartino U VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMzozNlojIyNWRVI= LA VICENDA -A seguito di verifica fiscale e di indagini finanziarie sui conti correnti bancari e postali intestati ad una donna, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento ai fini Irpef, Iva e ai fini contributivi. Dalle verifiche era difatti emerso che la donna praticava il mestiere di «escort» incamerando un compenso costante negli anni di 100 euro giornalieri e quindi 3 mila euro mensili. I verificatori, da un quaderno rinvenuto nell’abitazione della donna contenente gli appuntamenti e i tariffari applicati, nonché dalle risultanze bancarie, accertavano complessivamente a suo carico redditi non dichiarati derivanti dall’attività di meretrice per circa 116 mila euro in tre periodi di imposta. Proponeva ricorso la «contribuente», adducendo che l’attività di meretricio, seppur non sanzionata, non è comunque regolamentata in Italia, talché potrebbe intendersi come illecita e quindi non tassabile. Ed inoltre la ricorrente lamentava il difetto di motivazione in ordine alle ragioni che avrebbero indotto l’Ufficio a ritenere l’attività della ricorrente come «abituale». Ossia «professionale» con conseguente assoggettamento delle prestazioni ad Iva. Resisteva l’Agenzia delle Entrate assumendo l’idoneità dell’attività di prostituzione a dare origine a «redditi» da lavoro autonomo. Ed inoltre l’Amministrazione finanziaria ribadiva l’asserita abitualità dell’attività esercitata riscontrabile dalle stesse dichiarazioni rilasciate dalla ricorrente che aveva ammesso di guadagnare costantemente 3 mila euro al mese. LA SENTENZA -La Commissione Tributaria Provinciale di Savona ha respinto il ricorso condannando la ricorrente anche alle spese di giudizio. Previamente, i giudici hanno constatato che non sono apparsi contestati in giudizio gli elementi costitutivi della pretesa vantata dall’amministrazione («an»), «atteso che la ricorrente ha ammesso di praticare l’attività di cortigiana», e neppure il «quantum», cioè l’ammontare dei proventi recuperati. Constatata pertanto in buona sostanza la correttezza dell’iter seguito dai verificatori e quindi la fondatezza della ricostruzione effettuata mediante l’esame di documentazione extracontabile e delle risultanze bancarie, il collegio ha affermato che «la natura dell’attività svolta è rilevante ai fini dell’iva che, in base al dpr 633/72, art. 1 “si applica sulle cessioni dei beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate». E in base all’art. 5 «per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di “qualsiasi” attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche (...)». Alla stregua di tanto, la C.T.P. ha affermato «l’assoggettabilità ad i.v.a. dell’attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore con carattere di abitualità». Seppur contraria al buon costume, hanno soggiunto i giudici, «in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo», tale attività «non costituisce reato e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo, inquadrabile nell’ampia previsione del dpr 633/72». Nella fattispecie concreta, l’abitualità dell’attività è emersa dalle dichiarazioni della ricorrente, la quale ha ammesso «di professare il mestiere sin dal 2007, di percepire un compenso quotidiano e di aver anche “organizzato” l’attività». CONCLUSIONI -La colorita e puntuale sentenza in commento pone comunque apprezzabili questioni giuridiche. Questioni che trovano riferimenti anche nel diritto sovranazionale. Secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia CE la prostituzione può qualificarsi in termini di «prestazioni di servizi retribuita» che rientra nella nozione di attività economiche, ed è compito del giudice nazionale di accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo senza alcun vincolo di subordinazione. Tale orientamento muove dall’assunto per cui una prestazione di servizi retribuita deve essere considerata una attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE, purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali da presentarsi come puramente marginali e accessorie. Per i giudici liguri appare del tutto ininfluente la circostanza che «il commercio del sesso non sia attualmente regolamentato dal nostro ordinamento ovvero che possa ritenersi moralmente riprovevole». Del resto «quando l’imperatore Vespasiano, per risanare le impoverite finanze dell’Impero, istituì una tassa sulle sostanze (dalle quali veniva ricavata l’ammoniaca necessaria alla concia delle pelli) raccolte nelle latrine gestite da privati, al figlio Tito che lo rimproverava di ricavare proventi da un genere immondo di commerci, egli rispose col famoso detto “pecunia non olet” intendendo significare l’irrilevanza della fonte reddituale». VI Lunedì 11 Luglio 2016 A F FA R I L E G A L I La Commissione tributaria di Pisa: la debenza deve essere stabilita dalla legge Sui pagamenti decide lo Stato Strada sbarrata ai regolamenti provinciali creativi Pagina a cura ENZO SOLLINI DI U n regolamento provinciale non può prevedere il pagamento non previsto da una legge. Questa è la conclusione alla quale è pervenuta la Ctp Pisa con sentenza 87/2/15. Un commerciante di auto usate si opponeva ritualmente all’atto impositivo con il quale la provincia di Pisa accertava il mancato pagamento dell’Imposta provinciale di trascrizione (Ipt) e irrogava le conseguenti sanzioni a seguito dell’acquisto di auto usate avvenuto nel 2010 sostenendo: a) che il regolamento Ipt approvato dalla provincia con delibera del 29/6/10 entrava in vigore il 1° gennaio successivo; b) che nei confronti del ricorrente destinatario del beneficio dell’esenzione dell’imposta di trasferimento non poteva applicarsi il raddoppio dell’imposta previsto dall’art. 56, comma 7 del dlgs 446/97 nei confronti dei contribuenti non esenti. La provincia si costituiva nel giudizio contrastando la difesa del contribuente asserendo: 1) che i regolamenti sulle entrate, a mente dell’art. 53, comma 16 della legge 388/2000 in vigore, anche se approvati dopo l’inizio dell’esercizio hanno effetto dal 1 gennaio dell’anno medesimo; 2) il commerciante che si presenta al Pra per regolarizzare la trascrizione dell’atto anteriore d’acquisto deve pagare l’Ipt non relativa al suo atto d’acquisto perché esente ma quella relativa all’atto di acquisto precedente, cioè quello la cui trascrizione è stata omessa dal proprietario non esente dall’imposta. La commissione in primo luogo rileva che il regolamento approvato con delibera del 29/6/10, come espressamente previsto dall’articolo 53 della legge 388/2000, ha effetto dall’inizio dell’anno di riferimento e quindi gli atti in contestazione sono disciplinati dal regolamento provinciale. I giudici tributari osservano che, a mente dell’art. 56, comma 6 dlgs 446/97, la cessione di mezzi di trasporto usati, da chiunque effettuate nei confronti di soggetti che ne fanno commercio non sono sog- gette al pagamento dell’imposta. Il settimo comma di detto articolo secondo il quale le formalità richieste ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2688 cc sono soggette ad una imposta pari al doppio della relativa tariffa, a parere dei giudicanti, si riferisce indubbiamente al caso in cui il contribuente non esente da imposta, debba regolarizzare anche il precedente acquisto al fine di saldare la catena delle trascrizioni. I giudicanti sottolineano che secondo il regolamento provinciale il contribuente non soggetto ad imposta di trascrizione deve pagare, seppur una sola volta, l’imposta per il precedente proprietario che non l’ha pagata modifica, in senso peggiorativo per il contribuente, l’esenzione attribuita allo stesso dalla legge, concludendo che, secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico, un regolamento non può abolire una esenzione prevista per legge. Ne consegue che la fattispecie in esame deve essere regolata dalla legge. Annulla l’atto impugnato a spese compensate. Locazioni, pesano i canoni non incassati Fino alla risoluzione del contratto i canoni di locazione non incassati relativi a immobili diversi da quelli adibiti ad uso abitativo concorrono a formare il reddito da tassare. Così ha deciso la seconda sezione della commissione tributaria provinciale di Pisa con la sentenza 34/2/16 depositata il 28/1/16. Un contribuente proponeva rituale ricorso avverso un avviso di accertamento che lo aveva attinto con il quale l’agenzia delle entrate recuperava a tassazione i redditi da fabbricati locati a uso non abitativo sostenendo di non aver incassato i canoni dell’immobile locato classificato A/2. L’agenzia delle entrate, costituitasi nel giudizio, deduceva che doveva prendersi in considerazione il rapporto di locazione dedotto a prescindere dalla categoria catastale dell’immobile. I giudici pisani affermano che le norme che riguardano la problematica, cioè includere nel reddito da tassare i canoni di locazione non incassati, non prendono in considerazione la classificazione catastale dell’immobile ma bensì il tipo di rapporto locativo stipulato tra le parti. Poiché, nel caso in esame, il contratto è relativo ad un uso diverso da quello abitativo, il ricorso deve essere rigettato, in quanto i canoni ancorché non incassati concorrono alla determinazione del reddito fino alla risoluzione del contratto o ad un provvedimenti di convalida di sfratto. Corrispettivi a società sportive dilettantistiche Nel mirino una comunicazione di Equitalia Sponsorizzazione costo deducibile I l corrispettivo in denaro o in natura a società o associazioni sportive dilettantistiche entro l’importo previsto dalla legge 289/2002 (euro 200.000) volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti costituisce spese di pubblicità per l’erogante e, quindi, costo deducibile. Così ha deciso la Commissione tributaria provinciale di Pisa con la sentenza 11/2/2016. L’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione la somma di sponsorizzazione erogata a una società di calcio dilettantistica dubitando dell’inerenza data la natura antieconomica della spesa sostenuta (euro 19.500 su un volume di ricavi di 127.000 euro) tenuto conto che la società di calcio era collocata in un girone di scarso peso sportivo che non consentirebbe alcun ritorno economicamente apprezzabile. Il contribuente proponeva rituale ricorso, producendo il contratto di sponsorizzazione, e chiedeva l’annullamento dell’accertamento con varie argomentazioni. La Commissione tributaria riteneva che le motivazione dell’accertamento erano totalmente apodittiche e, come tali, soggettive, e che così ragionando si legittimerebbe la sponsorizzazione soltanto delle associazioni sportive di sicuro successo, frustrando la ratio legis che è proprio quella di assicurare forme di finanziamento ad aggregazioni sportive caratterizzate Intimazioni, ricorsi senza previ reclami dal dilettantismo rispetto alle quali la deduzione fiscale costituisce solo un mezzo incentivante. Ne consegue che una volta accertato che siano soddisfatti i requisiti soggettivi e oggettivi scatta la presunzione assoluta per cui entro l’importo previsto dalla legge 289/2002 (euro 200.000) l’erogazione deve essere considerata «spesa di pubblicità» senza possibilità di ulteriore sindacato anche in relazione alla congruità. Congruità che può es- C sere posta in discussione quando la sponsorizzazione è diretta a soggetti diversi da quelli in discussione. I giudici pisani hanno annullato l’atto di accertamento impugnato e, secondo il principio della soccombenza, condannato l’Agenzia delle entrate a rimborsare al contribuente le spese del giudizio. avverso il medesimo atto avvalendosi della procedura e dei termini di cui all’art. 17-bis del dlgs 546/1992. I giudici pisani sottolineano che l’art. 17-bis già richiamato condiziona il ricorso al preventivo procedimento di reclamo/mediazione da attivare con istanza diretta all’Agenzia delle entrate quando il VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMC0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDo0MDozMFojIyNWRVI= on la sentenza 594/1/15 la Commissione tributaria provinciale di Pisa ha dichiarato non soggetto a previo reclamo ex art. 17-bis del decreto legislativo 546/1992 il ricorso avverso l’intimazione di pagamento. Il contribuente ricevuta da Equitalia l’intimazione di pagamento d’importo inferiore a euro 20,000,00 (in data 4/11/14) proponeva ricorso dinanzi alla giurisdizione tributaria valore della controversia è sotto soglia (euro 20.000,00), procedimento da applicare solo per le controversie che riguardano l’Agenzia delle entrate. A parere della commissione sono quindi esclusi dalla procedura di reclamo/mediazione le controversie con il concessionario della riscossione (Equitalia). Gli atti di intimazione di pagamento non possono essere atti riconducibili all’agenzia delle entrate in quanto atti emessi dal concessione e, pertanto, sono atti impugnabili dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale ma non sono soggetti alla procedura di reclamo/mediazione non avendo alcun rilevanza che il ruolo sia stato formato dall’Agenzia delle entrate. L’atto doveva pertanto essere opposto direttamente e, quindi, entro il termine di 60 giorni dalla notificazione eccependo soltanto vizi propri atteso che la pretesa (avanzata con la cartella di pagamento precedentemente notificata) era diventata definitiva. Il ricorrente si costituiva presso la Commissione tributaria il 28 gennaio 2015, quindi dopo che erano decorsi sessanta giorni dalla notificazione dell’intimazione di pagamento. La commissione sulle predette argomentazioni ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto radicato oltre il termine di sessanta giorni, compensando le spese di lite stante la peculiarità della problematica trattata. 4 Lunedì 11 Luglio 2016 LE NUOVE ARMI DEL FISCO Lo ha introdotto il dlgs n. 158/2015: niente confisca se il contribuente versa il dovuto Pagina a cura LOCONTE ROTUNNO DI STEFANO E ROSSELLA N iente confisca se il contribuente versa all’erario le somme dovute, derivanti dall’attività illecita. È questa una delle principali novità introdotte dal dlgs n. 158 del 24 settembre 2015. Il provvedimento normativo recante «Misure per la riforma del sistema sanzionatorio tributario», in vigore dal 22 ottobre 2015, è intervenuto significativamente sulla disciplina dei delitti in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, innovando, per lo più in favore del contribuente, gran parte delle disposizioni contenute nel dlgs n. 74 del 2000. A giocare un ruolo centrale all’interno del nuovo sistema punitivo, nell’ottica di una chiusura sempre più rapida del processo, è l’estinzione del debito vantato dall’erario in conseguenza del fatto costitutivo del delitto. Tale adempimento pare, infatti, costituire il presupposto cardine per beneficiare degli effetti premiali previsti dalle disposizioni penali interessate dalla riforma, prima fra tutte quella relativa alla confisca. Attualmente, l’istituto trova una sua autonoma e parzialmente nuova disciplina nell’art. 12-bis, con il quale il legislatore ha inteso «recuperare» all’interno del dlgs n. 74 del 2000 la previgente disposizione che estendeva la previsione della misura ablatoria in commento ai reati tributari attraverso un mero nonché frettoloso rinvio all’art. 322-ter c.p. L’elemento di novità della nuova disposizione è, senz’altro, costituito dall’inserimento di un secondo comma, in base al quale: «La confi sca non opera per la parte che il contribuente s’impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro». Orbene, dalla lettura del testo normativo appare, anzitutto, evidente come l’obiettivo perseguito dalla riforma sia quello di far prevalere le pretese creditorie del Fisco su quelle ablatorie conseguenti alla confisca, assicurando, così, un più veloce ripristino delle casse statali «impoverite» dall’evasione, controbilanciando, allo stesso tempo, le minori entrate conseguenti all’innalzamento delle soglie di punibilità che la stessa novella ha previsto per alcune ipotesi delittuose (artt. 3-45-10-bis e 10-ter) contemplate nello stesso decreto. Tale scelta si pone, del resto in armonia con le successive disposizioni di cui agli artt. 13 e 13-bis, con le quali il legislatore ha subordinato al pagamento integrale del debito tributario, l’applicazione della causa di non punibilità (art. 13), la diminuzione della pena edittale sino alla metà (art. 13-bis, comma 1) nonché L’estinzione debiti viene incentivata La confisca secondo l’art. 12-bis Ambito di applicazione (comma 1) • Tutti i delitti previsti dal dlgs n. 74 del 2000 • Ipotesi applicative • (comma 1) Sentenza di condanna Applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. • Beni costituenti il profitto o il presso del reato (salvo che appartengano a persona estranea) In subordine, beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (cd. confisca per equivalente) Oggetto (comma 1) • • • Per la parte che il contribuente ha già versato all’erario o che si è impegnato a versare all’erario, mediante accordo con l’A.F., portato a conoscenza del giudice penale • Conseguenze in caso di omesso versamento del debito erariale • (comma 2, ult. cpv) Sentenza di condanna non passata in giudicato: applicabilità della confisca da parte del giudice dell’impugnazione Sentenza di condanna passata in giudicato: applicabilità della confisca ad opera del giudice dell’esecuzione su istanza dell’A.F., attestante l’omesso versamento del debito tributario Ipotesi di inoperatività (comma 2) Limiti alla forma per equivalente Analogamente alla previgente disciplina, il nuovo art. 12-bis, prevede, al primo comma, quale regola generale, la confisca «diretta» dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato, salvo la loro appartenenza a persona terza - estranea. Diversamente, e cioè, qualora non sia possibile procedere a tale forma di confisca, a causa della mancata individuazione di tale profitto o prezzo, il giudice potrà procedere alla confisca nella c.d. forma «per equivalente», ovvero all’espropriazione in favore dello Stato dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al provento realizzato con l’attività illecita. In relazione a tale ultima fattispecie, il giudice di legittimità è recentemente intervenuto a dirimere i contrasti sorti su due particolari questioni, aventi rispettivamente a oggetto la legittimità di tale misura ove disposta sui beni «futuri» dell’imputato e su quelli nella disponibilità di quest’ultimo, qualora il reato sia stato commesso al fine di arrecare vantaggio alla società da lui rappresentata. Con riferimento alla prima delle citate questioni, dirimente l’ammissione al rito alternativo del patteggiamento (art. 13-bis, comma 2). Ne deriva, pertanto, un complesso di norme legate da un unico filo conduttore: favorire il credito erariale, rinunciando alla pretesa punitiva. Ancora, la volontà di incentivare il pagamento spontaneo, anche se tardivo, piuttosto che attendere l’apprensione coattiva del provento del reato, sembra appare l’intervento apportato dalla Suprema corte con la sentenza n. 4097 del 1 febbraio 2016. Con la pronuncia in oggetto la terza sezione penale della Cassazione ha, infatti, posto fine alla vexata quaestio, pronunciandosi per l’illegittimità della confisca per equivalente disposta in relazione a beni non ricompresi nel patrimonio dell’imputato e di cui lo stesso non ha, pertanto, la disponibilità nell’immediato. La ratio di tale conclusione risiederebbe, ad avviso della Corte, nella peculiare natura sanzionatoria della misura in oggetto che la distinguerebbe dal sequestro preventivo disciplinato dall’art. 321 c.p.p., rendendola insuscettibile di proiezione nel futuro. Con riferimento, invece, al seconda delle citate questioni, la Cassazione appare ormai orientata per l’illegittimità della misura in commento e del sequestro preventivo a essa finalizzato, disposta nei confronti dei beni dell’imputato, «senza prima dar conto dell’impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto conseguito dalla società» (ex multis: Cass. pen. sez. III, 7/7/2016, n. 28225). recepire quell’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi già con riferimento alla previgente normativa, secondo il quale, nei reati tributari, l’estinzione della pretesa erariale, in quanto corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, farebbe venir meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire con il provvedimento ablatorio e con il sequestro a esso prodromico, che per- VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozNTo0M1ojIyNWRVI= derebbero così la propria ragion d’essere. Diversamente, si darebbe, infatti, luogo a un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio, preminente nel nostro ordinamento, che non consente l’espropriazione di un bene in misura superiore al profitto derivante dal reato (ex multis: Cass. pen. sent. n. 45189/2013). Rispetto a tali indicazioni giurisprudenziali, l’interven- to di riforma sembra però fare un notevole passo avanti. Dalla disamina del nuovo testo normativo si evince, infatti, come la preclusione in oggetto operi non solo per la «parte» che il contribuente ha già provveduto a versare, ma anche per quella che egli «s’impegna» a versare all’erario. La formulazione non è, in realtà, delle più felici. La stessa, difatti, non chiarisce, principalmente, cosa debba intendersi per «impegno a versare all’erario» e, in particolare, se sia sufficiente al riguardo la sola dichiarazione resa dall’imputato dinanzi al giudice penale, priva di termini, tempi e modalità di assolvimento del debito, o un vero e proprio accordo con l’Amministrazione finanziaria in seguito ad acquiescenza a un avviso di accertamento, a conclusione di una procedura di adesione o conciliazione, o ancora, all’esito del procedimento tributario conclusosi con pronuncia sfavorevole per il contribuente. Tale ultima soluzione appare sicuramente preferibile in quanto idonea a scongiurare il pericolo che la pretesa punitiva subisca un arresto in presenza di un impegno del tutto generico assunto dall’imputato. La stessa trova, inoltre, conforto nelle recenti sentenze del giudice di legittimità, tra le quali merita sicuramente menzione la n. 28225, depositata lo scorso 7 luglio 2016. Con la pronuncia in oggetto la Suprema corte ha, infatti, rimarcato come al fine di inibire il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-bis, sia sufficiente che il contribuente «si impegni» a pagare all’erario le somme dovute, a condizione, tuttavia, che tale impegno si concretizzi in un accordo, debitamente formalizzato con l’Agenzia delle entrate, di cui il giudice penale abbia un riscontro documentale (in tal senso anche Cass. pen. sez. III, 7/7/2016, n. 28223). Diversamente e, cioè, qualora l’impegno assunto non venga rispettato, occorrerà fare i conti con l’ultimo capoverso dell’art. 12-bis che espressamente dispone: «Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta». Al riguardo, appare agevole affermare come la misura in esame possa essere sicuramente disposta ove la sentenza di condanna in primo grado non sia ancora passata in giudicato. Più problematica appare, invece, la sua operatività, nell’ipotesi in cui la pronuncia del giudice di prime cure sia nel frattempo divenuta definitiva. Autorevole dottrina ritiene comunque di dare a tale quesito risposta affermativa, ipotizzando una competenza in tal senso in capo al giudice dell’esecuzione, sulla base delle generiche attribuzioni conferitegli in materia dall’art. 676 c.p.p. © Riproduzione riservata G IU STIZIA E SOCIETÀ Martedì 12 Luglio 2016 29 Il Forum organizzato ieri a Milano dall’Unione commercialisti ed esperti contabili Il Fisco tende la mano alle Pmi Casero: in Stabilità 2017 la semplificazione delle scadenze DI I GABRIELE VENTURA l fisco tende la mano alle pmi. Prima di irrogare le sanzioni tributarie, infatti, ci sarà un confronto preventivo che sfocerà nell’invio di avvisi bonari alle imprese. Non solo. Si avvicina la semplificazione delle scadenze fiscali: il nuovo calendario, che scatterà dal 2017, sarà pronto entro settembre e verrà inserito nella prossima legge di Stabilità. Obiettivo: evitare ingolfamenti di scadenze in alcuni periodi dell’anno. Sarà completata entro l’anno, inoltre, la riforma degli studi di settore, con l’eliminazione degli studi che non servono, a partire da quelli dei professionisti. Lo ha annunciato ieri il viceministro all’Economia, Luigi Casero, nel corso del forum «L’istituzione al servizio del cittadino», promosso dall’Unione commercialisti ed esperti contabili, che si è svolto a Milano. Casero è partito dalla necessità di semplificare la macchina fiscale, a cominciare dall’introduzione del nuovo scadenzario. D’altra parte, i commercialisti lamentano che quello presente sul sito dell’Agenzia delle entrate ha previsto, per l’anno 2015, ben 801 pagine di scadenze, delle quali 189 riferibili al primo semestre e 275 raggruppate nel periodo luglio-agosto. «Abbiamo iniziato a lavoratore al nuovo calendario che sarà completato per settembre», assicura Casero, «cercando di rispettare le esigenze dei professionisti, dei contribuenti, dell’Amministrazione finanziaria e delle casse dello stato. Posso dire, quindi, che a settembre sarà pronto lo scadenzario per il 2017 e che verrà inserito nella legge di Stabilità». Altro tema fondamentale, secondo Casero, è il rapporto tra fisco e piccole imprese, che deve puntare di più a un confronto preventivo, che spesso porta l’azienda al ravvedimento spontaneo. «Dobbiamo introdurre la possibilità di avviare azioni in forma preventiva nei confronti delle piccole imprese che portino all’invio di avvisi bonari», spiega Casero, «in generale, riguardo al tema delle semplificazioni, a mio avviso è necessario eliminare gli adempimenti che portano a una doppia comunicazione di dati. Entro due mesi, tramite emendamenti, introdurremo l’eliminazione della comunicazione dei dati sugli affitti anno dopo anno se il contratto non viene modificato. Stesso discorso per la cedolare secca e il possesso di immobili all’estero, per i quali basterà una prima denuncia iniziale. Su questi punti, l’Agenzia delle entrate frena ma sono certo che troveremo Luigi Casero Luigi Pagliuca Maurizio Bernardo una soluzione comune». Sugli studi di settore, invece, il viceministro all’Economia ha assicurato che la riforma è quasi pronta e sarà messa sulla carta entro il 2016. «Dobbiamo eliminare gli studi che non servono, a partire da quelli dei professionisti», spiega, «e recuperare il concetto che lo studio di settore non è elemento di accertamento». Altra semplificazione da introdurre, secondo Casero, riguarda i controlli in azienda, che andrebbero effettuati una volta per tutte. «Le verifiche vanno racchiuse in una giornata», sottolinea, «non è possibile che un giorno arrivino i vigili del fuoco, un altro la Asl e così via, perché ogni giorno di visita equivale a un giorno di produttività perso per l’impresa». Al forum è intervenuto anche Maurizio Bernardo, presidente commissione finanze della camera, sottolineando la necessità di «trovare soluzioni rispetto al passato, come una Card da dare in dotazione al contribuente con cui si potrebbe ricostruire la sua situazione fiscale e amministrativa: in questo modo si potrebbero aiutare i professionisti. È arrivato il momento di dare risposte vere al contribuente, proporrò una moratoria sulle scadenze fiscali che eviti il periodo estivo come avviene in altri ambiti come per esempio la giustizia». Secondo il presidente della Cassa ragionieri Luigi Pagliuca, «bisogna eliminare gli adempimenti inutili, come il dover fornire lo stesso dato più Tra imprenditore e cliente serve il contratto scritto Rischia una condanna penale l’imprenditore che, a fronte di fatture di importo rilevante, non ha sottoscritto con il cliente alcun contratto scritto. E l’imprenditore condannato in passato per reati fiscali può, comunque, incassare i benefici in caso di riabilitazione. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 28700 dell’11 luglio 2016, ha respinto i primi sei motivi del ricorso presentato da un contribuente e accolto l’ultimo sul beneficio della non menzione. L’uomo era finito sotto inchiesta nell’ambito di un’indagine per falsa fatturazione. In particolare, aveva emesso tali fatture per lo sfruttamento di un marchio, senza un accordo scritto e a un prezzo fuori mercato. Tanto era bastato agli inquirenti per l’accusa. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Milano avevano confermato l’impianto accusatorio reso, poi, definitivo in sede di legittimità, fatta eccezione per la non menzione. La terza sezione penale ha spiegato, quindi, sul punto che il primo giudice ha valorizzato l’assenza di prova scritta della pattuizione, pur di importo assai rilevante, la fissazione del prezzo una tantum in luogo del più comune pagamento individualizzato e parcellizzato delle royalties, il mancato sfruttamento reale del marchio; quello di appello, inoltre, in aggiunta, ha valorizzato la determinazione del tutto unilaterale del prezzo. «Entrambi i giudici», ha spiegato la Cassazione, «hanno poi fatto riferimento alla singolare tempestività dell’apIl testo del decreto postazione contabile di sul sito www.italia- tale credito». Debora Alberici oggi.it/documenti VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwOS0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozMjo1OVojIyNWRVI= volte all’amministrazione finanziaria. Servono scadenze più umane per dare la possibilità ai colleghi di svolgere il proprio lavoro: ne va del benessere dei commercialisti e soprattutto dei loro clienti». «Il fisco italiano è troppo farraginoso e schizofrenico», ha evidenziato Marco Cuchel, presidente Associazione nazionale commercialisti, «è impensabile che gli intermediari fiscali in un periodo di tempo molto ridotto debbano farsi carico di un numero così elevato di scadenze che comprendono norme molto complesse». Secondo Giuseppe Diretto, presidente di Unagraco, «dobbiamo contribuire a creare e diffondere una cultura fiscale e tributaria migliore per noi e per i nostri clienti, ma per fare ciò bisogna cambiare qualcosa, come per esempio diminuire la pressione fiscale che in alcuni casi diventa insostenibile». «Nonostante le dichiarazioni d’intento del legislatore», ha sottolineato Luigi Capuozzo, presidente Unione commercialisti ed esperti contabili di Milano, «lo scadenzario presente sul sito dell’Agenzia delle entrate ha previsto, per l’anno 2015, ben 801 pagine di scadenze, delle quali 189 riferibili al primo semestre e ben 275 raggruppate nel periodo luglio - agosto». L’ORDINANZA DELLA CTR CAMPANIA Nuovi documenti, palla alla Consulta La possibilità di produrre nuovi documenti in appello nelle liti tributarie finisce alla Consulta. A rinviare la questione alla Corte costituzionale è stata la Ctr Campania con l’ordinanza n. 943/3/16, depositata il 5 maggio scorso. I giudici delle leggi dovranno stabilire se l’art. 58, comma 2 del dlgs n. 546/1992 contrasta con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, che sanciscono rispettivamente i principi di uguaglianza, diritto alla difesa e diritto a un equo processo. Il caso verteva su un contribuente raggiunto da un preavviso di fermo amministrativo di Equitalia. Con un debito iscritto a ruolo di 61 mila euro tra imposte erariali e locali, il soggetto si era visto bloccare la propria automobile, ancorché utilizzata per accompagnare il figlio minore portatore di handicap. La Ctp Napoli accoglieva il ricorso e annullava le ganasce fiscali, rilevando la mancata prova documentale della notifica delle 10 cartelle. Equitalia, a quel punto, proponeva appello contro la bocciatura del fermo amministrativo, producendo alla Ctr la documentazione relativa alla notifica delle citate cartelle. Una possibilità, quest’ultima, garantita dall’art. 58, comma 2 del dlgs n. 546/1992. Prima ancora di affrontare nel merito la questione, però, la Ctr partenopea solleva d’ufficio la questione di legittimità in ordine a tale norma che, ad avviso del collegio di secondo grado, risulterebbe in contrasto con il dettato costituzionale. La disposizione realizza «una disparità di trattamento delle parti», recita l’ordinanza, «con sbilanciamento a favore di quella facilitata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore e in danno della controparte, limitando la sua difesa per effetto dell’indubbia sottrazione di un grado di giudizio alla sua posizione processuale». Valerio Stroppa IL DOCUMENTO DEL CNDCEC- 07 LUGLIO 2016 ORE 06:00 Riforma giustizia tributaria: le proposte dei Commercialisti Cinque proposte sul tema della riforma della giustizia tributaria: le ha presentate il CNCDEC per cercare di valorizzare l’attuale sistema giudiziario riguardante la materia tributaria. Il Presidente del Consiglio Nazionale Gerardo Longobardi ha presentato il documento che contiene anche cinque critiche alla proposta di legge delega Ermini. Ciò che si chiede, in particolare, è una maggiore specializzazione dei giudici, mediante l’istituzione di “magistrati tributari”, selezionati con concorso che consenta l’accesso anche ai laureati in Economia oltre che, ovviamente, in Giurisprudenza, vista la particolare complessità della materia. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili è intervenuto sul tema della riforma della giustizia tributaria . In particolare, ha messo a punto cinque proposte che potrebbero migliorare l’attuale sistema giudiziario tributario. Speculari, invece, sono le critiche mosse alla proposta di legge delega Ermini che, ad avviso dei commercialisti, potrebbe essere migliorata mediante le proposte spiegate in un documento dal Presidente CNDCEC Gerardo Longobardi . Le cinque proposte dei Commercialisti 1) Mantenimento della natura speciale dell’attuale giurisdizione tributaria. La scelta nasce dalla convinzione che le Commissioni tributarie sono comunque in grado di assicurare celerità e snellezza del giudizio difficilmente replicabili in seno alla giustizia civile. 2) Cassazione vero “collo di bottiglia” della giustizia tributaria. Dati alla mano, si registra una grande arretrato di giudizi pendenti presso questa Corte, soprattutto nella materia tributaria, diversamente dal trend rilevato negli ultimi tempi presso le Commissioni tributarie. 3) Si chiede a gran voce una maggiore certezza del diritto , una maggiore predeterminabilità dell’onere fiscale e una maggiore prevedibilità delle sentenze . In tale ultimo aspetto la Cassazione deve avere un ruolo centrale con la sua funzione nomofilattica. 4) Indipendenza delle Commissioni tributarie, che si traduce in maggior qualità , equidistanza dalle parti, con professionalizzazione dei componenti. Secondo i commercialisti, occorre introdurre un giudice a tempo pieno , professionale, che possa assicurare autonomia, terzietà e indipendenza della funzione giudicante, oltre che una maggiore sua produttività. I futuri organi giudicanti, quindi, dovrebbero essere composti da soggetti appartenenti al ruolo dei “magistrati tributari ”, selezionati con concorso pubblico che privilegi titoli di studio e di servizio nella materia tributaria, assicurando l’accesso al concorso anche ai laureati in economia, oltre che, ovviamente, ai laureati in giurisprudenza. 5) Per i soggetti abilitati all’assistenza in giudizio, si apprezza la scelta di circoscrivere ad avvocati e commercialisti la difesa tecnica nel secondo grado di giudizio. Per le medesime ragioni, è stata fortemente criticata l’inclusione invece tra i difensori dei dipendenti dei CAF, seppure limitatamente ai contenziosi originati da adempimenti predisposti dagli stessi CAF. Le critiche dei Commercialisti alla proposta di legge delega Ermini 1) Secondo il CNDCEC, deve essere scongiurata la riconduzione delle Commissioni tributarie in seno alla giustizia civile . I commercialisti ritengono che la proposta di legge delega presenta evidenti profili di incostituzionalità, in ragione della soppressione della c.d. “quarta giurisdizione ” del nostro ordinamento per legge ordinaria e non con legge costituzionale. 2) Criticata anche la scelta secondo cui le sezioni specializzate di primo grado operino in composizione monocratica. L’elevata complessità delle controversie tributarie, per cui sono necessarie competenze giuridiche e competenze economico-aziendalistiche, rendono non auspicabile tale soluzione. Non condivisibile ridurre inoltre l’attuale secondo grado di giudizio in un reclamo innanzi alla stessa sezione del tribunale, per la necessità di garantire un doppio grado del giudizio di merito. 3) Critiche mosse anche alla scelta di nominare giudici ausiliari tra i magistrati ordinari in quiescenza. Tale soluzione sembra andare in controtendenza rispetto alla ratio ispiratrice della Riforma che è quella di assicurare il massimo della professionalità e dell’aggiornamento dei giudici. 4) La riforma a detta dei commercialisti sarebbe in controtendenza con la tax compliance . 5) L’ultima critica riguarda la devoluzione delle controversie tributarie al giudice ordinario che dimentica le peculiarità pubblicistiche della materia tributaria, assegnando un processo di impugnazione di atti, oggetto di una funzione amministrativa, ad un giudice abituato invece a risolvere contrasti tra parti private non dotate di poteri autoritativi. A cura della Redazione Copyright © - Riproduzione riservata 24 Norme e tributi Il Sole 24 Ore Lunedì 11 Luglio 2016 - N. 189 FISCO E SENTENZE www.quotidianofisco.ilsole24ore.com Processo tributario. Per la Commissione di secondo grado di Bolzano non basta l’indicazione nella nota di iscrizione a ruolo Ricorso generico a rischio stangata Se il valore della lite non è specificato può scattare il contributo unificato di 1.500 euro Ferruccio Bogetti Gianni Rota pIl valore della lite va dichia- rato sempre nel ricorso e non solo nella nota di iscrizione a ruolo, entrambi depositati presso la segreteria della commissione tributaria. L’omissione dell’indicazione fa presumere un valore della lite oltre i 200mila euro a cui corrisponde un contributo unificato di 1.500 euro: la commissione tributaria può quindi richiedere la differenza rispetto a quanto pagato in base al valore della lite dichiarato nella nota di iscrizione. Tale richiesta non è sproporzionata perché garantisce il funzionamento del sistema di incasso del contributo e va pertanto applicata anche alle liti bagatellari. Così la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, con la sentenza 30/2/2016 (presidente Ranzi, relatore Rispoli). La controversia Una contribuente impugna un ruolo di ammontare complessivo pari a 700 euro. Costituendosi allega la ricevuta dei 30 euro del contributo unificato ed indica il valore della lite solo nella nota di iscrizione a ruolo e non anche nel ricorso . La segreteria rileva l’omissione e nonostante il pagamento dei 30 euro richiede 1.500 euro, cioè il contributo relativo allo scaglione di lite massimo (oltre 200mila euro). La contribuente apre un secondo contenzioso. È vero - sostiene - che il valore della lite, pari alla sola imposta, non appare nel ricorso, ma lo si può desumere direttamente dalla nota di iscrizione a ruolo e in- direttamente dal ruolo impugnato che riporta il dettaglio tra imposta, sanzioni ed interessi, entrambi presenti nel fascicolo processuale. Secca la replica della resistente, secondo cui l’omissione nel ricorso introduttivo fa scattare il contributo più elevato. La decisione La tesi della contribuente è accolta in primo grado ma ribaltata nel secondo. La sentenza in esame precisa che: 1 il ricorrente, entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, deposita in segreteria l’originale notificato assieme, tra gli altri, alla nota di iscrizione a ruolo recante il valore della lite, che va obbligatoriamente riportato anche nelle conclusioni del ricorso. La nota di iscrizione, sottoscritta dal difensore, fornisce il dettaglio, tra imposta, sanzioni ed interessi, necessario per il conteggio del contributo, senza il quale il valore di lite si presume maggiore di 200mila euro, con un contributo da versare nella misura massima e pari a millecinquecento euro; 1 anche se il contributo effettivamente dovuto è desumibile dalla nota di iscrizione, la differenza richiesta è legittima, perché punta a far funzionare regolarmente il sistema di versamento spontaneo, che richiede la precisa dichiarazione di valore nel ricorso introduttivo presentato in segreteria. Nel caso specifico, non si può fare a meno di rilevare che la segreteria avrebbe potuto desumere il valore della lite direttamente dalla nota di iscrizione a ruolo della causa o, indirettamente, dall’atto tributario (en- LA PAROLA CHIAVE Contributo unificato 7Il contributo unificato è la tassa da pagare per le liti tributarie. La base imponibile è il valore della lite e va pagato per scaglioni: trenta euro per le liti sino a 2.583,28 e 1.500 per le liti oltre i 200mila. L’indicazione della lite è obbligatoria e se omessa fa scattare lo scaglione più alto. L’ invito di pagamento recupera la differenza e va pagato entro trenta giorni, pena un’ulteriore sanzione dal 100 al 200 per cento del contributo evaso. trambi depositati nel fascicolo processuale) e far notare al contribuente l’omissione, invitandolo a porvi rimedio (secondo comma dell’articolo 6 dello Statuto del contribuente). E poi, solo in caso di risposta negativa all’invito, richiedere i 1.500 euro. D’altro canto, il contribuente avrebbe potuto tentare di qualificare la differenza del contributo come “sanzione” e invocare la non sanzionabilità del proprio comportamento, trattandosi di violazione formale senza alcun debito di imposta (articolo 10, comma 3, dello Statuto) e poi chiedere la decurtazione dei 30 euro dai 1.500 “irrogati”. © RIPRODUZIONE RISERVATA IN ESCLUSIVA PER GLI ABBONATI Le sentenze commentate in pagina www.quotidianofisco.ilsole24ore.com Transfer price. Ammesso il semplice rimborso con un mark-up aggiuntivo per la società italiana che svolge solo attività preparatorie con i fornitori Promossa la centrale d’acquisto all’estero Giacomo Albano pPer valutare correttamente i prezzi di trasferimento applicati ai servizi resi da una società italiana a una consociata non residente bisogna considerare le funzioni, le responsabilità e i rischi che il soggetto italiano assume nello svolgimento della propria attività. Se le funzioni si sostanziano essenzialmente nello svolgimento di attività di carattere preparatorio e ausiliario – che vengono svolte nel rispetto delle modalità stabilite dalla consociata non residente – la previsione di una remunera- zione pari al riaddebito dei costi sostenuti maggiorati da un congruo mark-up può considerarsi conforme al principio del valore normale. Sono queste le conclusioni dei giudici della Ctp Milano che con sentenza 5590/9/2016 depositata il 24 giugno scorso (presidente D’Orsi, relatore Chiametti) hanno accolto il ricorso di una società italiana appartenente ad un gruppo multinazionale annullando l’avviso di accertamento con cui la la Direzione provinciale I di Milano aveva rettificato i prezzi di trasferimento intercompany. La pronuncia interviene su un modello di supply chain largamente diffuso nell’ambito dei gruppi multinazionali. In particolare, la controversia riguarda un gruppo attivo nel campo dell’arredamento, che aveva accentrato presso una trading company svizzera la funzione globale di approvvigionamento dei prodotti e le attività di selezione dei fornitori. A fronte di tali attività la trading svizzera – che agiva in pratica da “grossista globale” per il gruppo – percepiva una remunerazione dalla capogruppo pari al 5,5% di tutti gli acquisti effettuati. La società italiana svolgeva invece una serie di attività di supporto per conto della consociata svizzera – limitatamente ai fornitori italiani – per le quali riceveva una remunerazione pari al rimborso dei costi sostenuti oltre a un mark-up del 5%; tali attività riguardavano essenzialmente la ricerca di potenziali nuovi fornitori e l’aggiornamento delle liste, il controllo delle consegne, la redazione di report statistici e così via. Si trattava di attività considerate ausiliarie e preparatorie in relazione alle quali a società ricorrente riteneva di non sopportare rischi significativi. In aggiunta, la società italiana non aveva il potere di stipulare contratti con i fornitori o di prendere decisioni sull’acquisto di beni per conto del gruppo, essendo tali funzioni riservate alla sola società svizzera. L’ufficio, al contrario, riteneva che il soggetto italiano svolgesse attività di agente d’acquisto, e non mera attività di supporto, in quanto svolgeva funzioni di «selezione, individuazione, fidelizzazione e sostanziale contrattualizza- zione» dei fornitori italiani, solo formalmente attribuiti alla trading svizzera; conseguentemente, imputava alla società italiana l’intera remunerazione (5,5%) riconosciuta dal gruppo alla consociata svizzera, riferibile agli acquisti presso fornitori italiani. I giudici provinciali, accogliendo la tesi della società, evidenziano come la stessa, operando esclusivamente a livello locale, non possa assumere il ruolo di centrale d’acquisto dell’intero gruppo e pertanto ritengono che il modello di remunerazione adottato (rimborso dei costi + mark up) sia coerente con le funzioni svolte e i rischi assunti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Indirette. La cessione non coinvolge l’impianto Diritto di superficie su area già affittata con prelievo light Giorgio Gavelli Gian Paolo Tosoni pLa costituzione di un dirit- to di superficie su un’area a favore del soggetto che già detiene tale area in virtù di un contratto di locazione regolarmente registrato - e su cui ha realizzato un impianto di biogas - non fa scattare la presunzione di trasferimento prevista dall’articolo 24 del Dpr 131/1986; ne consegue che nel valore dell’area, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, non va considerato il valore dell’impianto medesimo. È questa la conclusione cui è giunta la Commissione tributaria provinciale di Forlì (presidente Urizio, relatore Ardigò) con la decisione 172/1/2016 depositata l’11 aprile scorso. La società realizzatrice dell’impianto assumeva dapprima l’area in affitto, ma successivamente l’istituto di credito finanziatore pretendeva, a garanzia, che il mutuatario disponesse non di un mero diritto di godimento (come l’affitto) ma di un vero e proprio diritto reale, quale il diritto di superficie. Conseguentemente, tra proprietario e affittuario veniva costituito un diritto di superficie sull’area (della stessa durata del contratto di locazione, ossia venticinquennale) citando l’impianto di biogas sovrastante, (oramai realizzato a cura e spese dell’affittuario), ma escludendone l’importo dal corrispettivo e dal valore assoggettato a tassazione in capo all’acquirente. Secondo l’ufficio le imposte di registro ed ipocatastali andavano invece applicate anche sul valore dell’impianto, quantificato come somma delle fatture di costruzione al netto d’Iva (oltre 8 milioni di euro), in applicazione dell’articolo 24 del Tuir, secondo cui «nei trasferimenti immobiliari le accessioni, i frutti pendenti e le pertinenze si presumono trasferiti all’acquirente dell’immobile, a meno che siano esclusi espressamente dalla vendita o si provi, con atto che abbia acquistato data certa mediante la registrazione, che appartengono ad un terzo o sono stati ceduti all’acquirente da un terzo». Va anche considerato che, in base agli articoli 935 e seguenti del Codice civile, in virtù del principio di accessione, il proprietario del suolo diviene proprietario, a titolo originario, della costruzione effettuata (anche a spese di altri) sul proprio terreno. Tuttavia, in questo caso, la Commissione forlivese (anche sulla scorta della sentenza 1714/11/2014 della Ctr EmiliaRomagna) ha valorizzato il fatto che tra le parti esisteva già un contratto di locazione registrato (e, quindi, con data certa), riguardante esclusivamente l’area, mentre la costruzione dell’impianto era successiva ed era avvenuta a cura e spese della affittuaria, la quale già ne disponeva al momento della costituzione del diritto di superficie. Non essendo ancora esaurito tale rapporto, non poteva considerarsi acquisito l’impianto per accessione, con la conseguenza che il suo valore non doveva essere considerato nell’ambito della tassazione della costituzione del diritto di superficie, anche perché, regolando la costituzione del diritto di superficie, le parti avevano stabilito che, alla scadenza, l’impianto fosse demolito a cura e spese della società acquirente. © RIPRODUZIONE RISERVATA Registro. L’applicazione della formula matematica aveva trascurato i debiti e la zona periferica del negozio AVVISO PUBBLICO, PER TITOLI E COLLOQUIO, PER LA COPERTURA TEMPORANEA DI UN POSTO DI DIRIGENTE AMMINISTRATIVO, PER LA DURATA DI TRE ANNI, ESPERTO IN PROCEDURE DI ACQUISTO DI BENI E SERVIZI, AI SENSI DELL’ART. 15 SEPTIES, COMMA 2 DEL DECRETO LEGISLATIVO 30 DICEMBRE 1992, N.502 E S.M.I. Si rende noto che l’ASL Roma 1 ha indetto un avviso pubblico, per titoli e colloquio, per la copertura temporanea di un posto di dirigente amministrativo, per la durata di anni tre, esperto in procedure di acquisto di beni e servizi, ai sensi dell’art.15 septies, comma 2,del D. Lgs.502/92 e s.m.i. I requisiti richiesti per l’ammissione, le modalità e i termini per la presentazione delle domande di partecipazione sono indicate nel bando pubblicato in maniera integrale sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 54 del 7.7.2016, nonché sul sito istituzionale dell’Azienda www.aslroma1.it. Per ulteriori informazioni rivolgersi agli uffici della UOC Risorse Umane ex ASL RMA, tel. 0677307248, 77307372. IL COMMISSARIO STRAORDINARIO Dott. Angelo Tanese No al ricalcolo dell’avviamento se l’ufficio ignora le cambiali Marco Ligrani pLa semplice enunciazione della formula matematica utilizzata dall’agenzia delle Entrate per rideterminare l’imposta di registro sull’avviamento non è - di per sè - sufficiente a motivare le ragioni del recupero, se il contribuente ha impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione evidenziando gli elementi di fatto che giustificano il valore dichiarato. In questa ipotesi, spetta all’ufficio l’onere di provare in giudizio la fondatezza della pretesa, dimostrando la sussistenza, in concreto, dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto. Lo ha deciso la Ctr Lombardia con la sentenza 2610/27/2016 (presidente Secchi, relatore Candido), pronunciata in esito a un giudizio che ha visto soccombere l’Agenzia. L’avviamento dichiarato per l’acquisto di una panetteria era stato rettificato in aumento – di circa quattro volte – ai fini dell’imposta di registro, in virtù della sola applicazione di una formula matematica basata sul rendimento medio del settore, sul reddito medio prospettico e sulla percentuale stimata per il rischio d’impresa. L’avviso era stato impugnato dall’acquirente che ne aveva contestato sia la carenza di motivazione e di prova (che si era tradotta nella semplice enunciazione di un criterio astratto) sia l’infondatezza nel merito. In particolare, il ricorrente sosteneva che la media utilizzata dall’ufficio non teneva conto dell’ubicazione periferica e disagiata dell’attività e dimostrava inoltre che sull’azienda gravava un diritto di riservato dominio garantito da cambiali in scadenza, che aveva, inevitabilmente, inciso sul prezzo di acquisto. Costituitasi in giudizio, l’Agenzia non aveva contestato i dati di fatto documentati dal ricorrente, ma aveva ottenuto, comunque, l’accoglimento delle proprie ragioni in Ctp. Anche in appello l’ufficio si era limitato a ribadire la correttezza del recupero, ma, questa volta, senza ottenere il favore dei giudici, che hanno ribaltato il verdetto di primo grado. La Ctr ha ricordato che il valore di avviamento, in presenza di metodi diversi di valutazione, costituisce oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità ove adeguatamente motivato (Cassazione 2204/2006). Ha quindi stabilito che, se il contribuente impugna una rettifica, sorge in capo all’ufficio l’onere di provare la fondatezza del proprio atto, la cui motivazione – in linea di principio – potrebbe limitarsi all’enunciazione del criterio astratto utilizzato per il recupero. Ma non nel caso specifico, in cui l’ufficio si è limitato ad applicare una formula matematica, rileva il giudice, «senza effettuare alcun reale accertamento di fatto; il che ha portato ad escludere toutcourt la considerazione di elementi certamente non irrilevanti». Il principio richiama alla mente i precedenti della Cassazione in base ai quali la motivazione costituisce un requisito con finalità essenzialmente informative che si colloca su di un piano diverso della prova della fondatezza della pretesa impositiva, la quale, appunto, in caso di contestazione, deve essere fornita dall’amministrazione necessariamente in giudizio (sentenza 1825/2010, 15234/2001). © RIPRODUZIONE RISERVATA Persone fisiche. Il caso del pensionato che vive Oltrefrontiera ma lavora occasionalmente in Italia Senza l’iscrizione all’Aire non c’è residenza in Svizzera Marco Nessi Roberto Torelli pNon può invocare la resi- denza fiscale svizzera il soggetto che, pur trascorrendo gran parte dell’anno all’estero, non sia iscritto all’Aire e svolga un’attività professionale, ancorché occasionale, in Italia. Lo ha stabilito la Ctr di Milano, sezione 65 nella sentenza 12 maggio 2016, n. 2860/16 (presidente Frangipane relatore dell’Anna). L’agenzia delle Entrate aveva contestato ad un contribuente l’omessa dichiarazione ai fini Irpef di una pensione corrisposta dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. Contro l’accertamento il contribuente aveva presentato ricorso eccependo la propria residenza in Svizzera e il conseguente pagamento del- VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMxMC0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0xMlQxNDozODowMlojIyNWRVI= le imposte in tale Stato sulla base dell’articolo 18 della Convenzione Italia-Svizzera contro le doppie imposizioni. In particolare, il contribuente evidenziava che la stessa amministrazione fiscale svizzera aveva attestato la residenza fiscale in calce alla domanda di esenzione dall’imposta italiana sulla pensione che era stata presentata per il periodo d’imposta e che, proprio in forza di tale dichiarazione, l’ente erogante non aveva operato alcuna ritenuta d’acconto sulle somme corrisposte. Oltre a ciò, l’effettiva residenza fiscale in Svizzera era dimostrata da una pluralità di elementi quali la disponibilità di un’abitazione permanente, il pagamento del canone televisivo, le fatture relative alla fornitura di energia elettrica, l’immatricolazione di un auto- veicolo nel territorio elvetico, il permessodidomiciliointalePaese. L’attività professionale svolta in Italia si era limitata, peraltro, alla partecipazione residuale a collegi sindacali di alcune società. Veniva,infine,evidenziatoche il reddito di pensione era già stato dichiarato e tassato in Svizzera e, pertanto, l’eventuale tassazione in Italia avrebbe comportato una doppia tassazione contraria all’articolo 24, comma 2 della Convenzione Italia – Svizzera. Sia in primo che in secondo grado i giudici hanno respinto le argomentazioni del contribuente. I giudici di secondo grado hanno ricordato che, ai sensi dell’articolo 2 del Tuir, ai fini delle imposte sui redditi, devono considerarsi residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, e che hanno la residenza o il domicilio in Italia ai sensi del Codice civile. Tali condizioni sono alternative, e la sussistenza di una sola di esse è sufficiente a far ritenere la residenza fiscale in Italia del contribuente. Nel caso in cui il contribuente abbia spostato la propria dimora all’estero, lo stesso è tenuto a cancellarsi dall’anagrafe tributaria e, contestualmente, ad iscriversi all’Aire. In particolare quest’ultima circostanza costituisce il presupposto necessario al fine di rendere opponibile il trasferimento della residenza all’estero. Nel caso specifico, contrariamente alla normativa sopra richiamata, il contribuente non aveva provveduto a cancellarsi dall’anagrafe tributaria e si era iscritto all’Aire solo successivamente. Gli elementi addotti per avvalorare la residenza svizzera non potevano quindi considerarsi idonei a superare la presunzione legale di residenza in Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA 34 Norme e tributi Il Sole 24 Ore Martedì 12 Luglio 2016 - N. 190 FISCO www.quotidianofisco.ilsole24ore.com Reati tributari. Il recente orientamento dei giudici di legittimità ribalta quanto stabilito precedentemente e favorisce il contribuente L’impegno a pagare evita la confisca L’accertamento con adesione o l’istanza di rateizzazione allontanano il provvedimento La normativa Laura Ambrosi Antonio Iorio pLa sottoscrizione di un pia- no di rateazione per il pagamento dell’imposta evasa che costituisce reato esclude la confisca anche se il versamento delle somme non è stato ultimato. È questo, in sintesi, il più recente orientamento manifestato dai giudici di legittimità (da ultimo 28225/2015) a proposito di confisca del profitto conseguito alla commissione di un reato tributario. Questo nuovo orientamento è particolarmente importante perché pare modificare in senso favorevole al contribuente una prima interpretazione fornita dalla stessa Corte della nuova norma inserita nel decreto legislativo 74/2000 (articolo 12 bis). Dal 2008 è stata introdotta nel nostro ordinamento(articolo 1, comma 143, legge 244/2007) la confisca per equivalente obbligatoria per i reati tributari fatta eccezione per l’ipotesi di occultamento e sottrazione di scritture contabili. Essa scatta obbligatoriamente in caso di condanna o di patteggiamento, viene spesso preceduta dal sequestro preventivo finalizzato appunto alla successiva confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato. Il decreto legislativo 158 del 2015 ha introdotto una disciplina specifica per la confisca in materia di reati tributari, prevedendo una norma ad hoc (il nuovo articolo 12 bis) all’interno del decreto sui reati tributari. La nuova disposizione espressamente prevede che nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 Codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal decreto legislativo 74/2000 (senza alcuna esclusione) è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non sia possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. La confisca poi non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta. Le prime interpretazioni Secondo il Massimario della Cassazione (relazione III/05/15) non era chiaro se la confisca, in presenza del mero impegno a versare, potesse o meno essere disposta. Infatti l’uso del termine “opera”, utilizzato nella prima parte della norma, portava a ritenere l’applicazione della confisca nonostante l’impegno a restituire producendo effetti in un momento successivo, cioè in caso di mancato adempimento dell’impegno assunto. In tale contesto si dovrebbe ipotizzare una forma di costante e virtuosa comunicazione tra amministrazione finanziaria e autorità giudiziaria finalizzata a informare quest’ultima della esecuzione del programma obbligatorio e, soprattutto, dell’intervenuto inadempimento del- l’obbligo restitutorio. Secondo il medesimo documento sarebbe stato opportuno prevedere - come era per il passato - la non operatività della confisca per la «parte che è già stata restituita», in modo da recepire l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo perseguito con la confisca. La giurisprudenza Secondo un primo orientamento della Cassazione (sentenza 5728/2016) solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fi- ne, essendo invece insufficiente la mera ammissione a un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo. Con la sentenza 28225/2016, i giudici di legittimità ritengono invece che il mero impegno a versare (se pur formale) fa venir meno la necessità della confisca. Secondo tale sentenza, l’assunzione dell’impegno, con modalità ammesse dalla legislazione tributaria (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda) è di per sé sufficiente a impedire la confisca sia diretta (in capo all’ente), sia per equivalente (in capo al legale rappresentante). Le misure CONFISCA La confisca mira a impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso. Nei reati tributari la confisca colpisce il vantaggio conseguente all’evasione fiscale e svolge una funzione di disincentivo nei confronti dei potenziali autori dei reati CONFISCA PER EQUIVALENTE La confisca per equivalente riguarda utilità patrimoniali di valore corrispondente al prezzo o profitto del reato tributario, che siano nella materiale disponibilità del reo quando non è possibile agire direttamente sui beni costituenti tale profitto o prezzo del reato SEQUESTRO PREVENTIVO Il sequestro preventivo precede la confisca e può essere eseguito nelle indagini preliminari o nel corso del dibattimento di primo grado. È diretto (prezzo o profitto del reato) o per valore (equivalente al citato prezzo o profitto) e assicura la futura esecuzione della confisca all’esito dell’accertamento della responsabilità penale del soggetto indagato/imputato. In tal modo il reo non può disporre dei beni e, dunque, menomare l’eventuale successiva confisca © RIPRODUZIONE RISERVATA La difesa. Cosa fare se i beni bloccati hanno un valore superiore all’equivalente da sottoporre alla misura cautelare Il Pm può ridurre le somme sequestrate pLa confisca è una misura volta a colpire il vantaggio conseguente all’evasione fiscale e, quindi, a svolgere una funzione di disincentivo nei confronti dei contribuenti, potenziali autori dei reati tributari. Se non è possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, si procede alla cosiddetta «confisca per equivalente» di utilità patrimoniali di valore corrispondente a tale prezzo o profitto, nella materiale disponibilità del reo. Spesso questa misura è preceduta dal sequestro preventivo eseguito sin dalla fase delle indagini preliminari che viene richiesto al giudice delle indagini preliminari (Gip) dal pubblico ministero, e riguarda beni mobili, immobili e somme fino a concorrenza dell’asserita imposta evasa. Si verifica, non di rado, che il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confi- GLI STEP In caso di diniego il contribuente può rivolgersi al Gip e solo successivamente alla Corte di cassazione sca possa in realtà riguardare beni e somme di valore complessivo ben superiore rispetto all’imposta presuntivamente evasa. A questo proposito la Suprema corte, con orientamento ormai consolidato, ritiene che l’indagato prima di impugnare il provvedimento innanzi al Tribunale del riesame deve rivolgersi al Pm per ridurre l’entità delle somme sottoposte alla misura cautelare. Questa circostanza non è di poco conto perché di sovente la tendenza della difesa del contribuente è di ricorrere direttamente al Tribunale del riesame con il rischio di vedersi dichiarare inammissibile l’impugnazione. In sostanza secondo la Corte di Cassazione (da ultimo 25453/2016) quando il soggetto destinatario del provvedimento di sequestro lamenti la violazione del principio di proporzionalità fra la misura cautelare disposta e l’imposta contestata, il rimedio previsto dall’ordinamento non è il ricorso al Tribunale del riesame, ma occorre presentare una richiesta al Pm affinchè provveda alla riduzione della garanzia. Nell’ipotesi di diniego è con- FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA UN’OFFERTA SU MISURA PER L’AZIENDA, FINANZIATA DA FONDIMPRESA 80 8 CORSI AREE • AMBIENTE, QUALITÀ, ETICA E SICUREZZA • AMMINISTRAZIONE, CONTROLLO E FINANZA • APPRENDIMENTO, MANAGEMENT E COMPETENZE • DIGITAL TRANSFORMATION • EMPOWERMENT E SVILUPPO DELLE PERSONE • MULTICULTURALITÀ E INTERNAZIONALIZZAZIONE • PROJECT E SALES MANAGEMENT • STRATEGIA, MARKETING E PIANIFICAZIONE La formazione professionale a cura degli esperti del Gruppo 24 Ore, da oggi accreditata da Fondimpresa. 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Non seguendo tale procedura - ma ad esempio impugnando direttamente innanzi al Tribunale del riesame il provvedimento cautelare ritenuto viziato per la sproporzione dei beni sottoposi al vincolo rispetto all’asserita imposta evasa - si rischia l’inammissibilità della richiesta. La.Am. A.I. © RIPRODUZIONE RISERVATA QUOTIDIANO DEL FISCO Focus sul modello 770 e sulle ultime sentenze della Cassazione Sul Quotidiano del Fisco tutti i giorni l’offerta informativa del Gruppo Sole 24 Ore in materia tributaria. Il Quotidiano del Fisco offre una panoramica completa di notizie e approfondimenti per gli operatori professionali. Nell’edizione online oggi: 8 una analisi di Maria Rosa Gheido sull’urgenza di chiarimenti per la scadenza del 770 che dovrebbe slittare al 22 agosto; 8 un articolo di Romina Morrone sulla sentenza di Cassazione relativa a un notaio che non ha versato all’erario le imposte pagate dal cliente; 8 un articolo di Ferruccio Bogetti e Gianni Rota sulla sentenza di Cassazione relativa al caso di un immobile ipotecato venduto a un terzo www.quotidianofisco.ilsole24ore.com Tributario, alla Consulta i documenti in appello La Ctr Napoli, con ordinanza 943/32/16 depositata il 6 maggio scorso (presidente e relatore Notari), ha sollevato la questione di costituzionalità dell’articolo 58, comma 2, del decreto legislativo 546/92, in materia di processo tributario, nella parte in cui la norma, per come interpretata dalla giurisprudenza, consente che la parte possa produrre in appello qualsiasi documento, anche se non prodotto in primo grado oppure prodotto ma non esaminato dal giudice in quanto tardivo. Secondo la Ctr, un sistema così delineato favorisce la parte che, magari per negligenza, non ha prodotto i documenti in primo grado, violando il diritto di difesa della controparte e contravvenendo ai principi di uguaglianza e del giusto processo tutelati dalla Costituzione (articoli 3, 24 e 117). Il tema sollevato dalla Ctr non è nuovo ma continua a sollevare dubbi. La questione concerne l’interpretazione dell’articolo 58 del decreto legislativo 546/92, in particolare l’apparente contraddizione tra il primo e il secondo comma. Il primo comma dispone infatti, in linea con il processo civile (articolo 345, comma 3, Codice di procedura civile), il divieto di produzione in appello di nuove prove, salvo che il giudice non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute produrre nel precedente grado di giudizio per causa a sé non imputabile. Il secondo comma, invece, prevede la facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti, indipendentemente dall’impossibilità dell’interessato di produrli in primo grado per causa a sé non imputabile (requisito richiesto dall’articolo 345, comma 3, Codice di procedura civile). Si tratta quindi di un’eccezione notevole, considerato che il processo tributario è essenzialmente documentale, essendo escluse le prove orali (articolo 7, comma 4, decreto legislativo 546/92). La discrasia tra i due commi ha generato una copiosa produzione giurisprudenziale. La Cassazione è costante nel ritenere legittima la produzione in appello di nuovi documenti, indipendentemente dall’impossibilità di produrli in prima istanza per causa non imputabile all’interessato (tra le pronunce più recenti, 21909/2015, 12783/2015, 665/2014 e 16959/2012). Ciò in forza del principio di specialità dettato dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 546/92: nel rapporto tra norma processuale civile e norma processuale tributaria prevale quest’ultima, con la conseguenza che non si applica al processo tributario la preclusione alla produzione documentale prevista dall’articolo 345, comma 3, del Codice di procedura civile, potendo le parti produrre anche documenti preesistenti al giudizio di primo grado. Va tuttavia segnalato che non sono infrequenti le decisioni delle commissioni di merito che ritengono inammissibile la produzione per la prima volta in appello di documentazione che la parte interessata avrebbe potuto produrre in primo grado (ad esempio, 224/15, 334/15 e 66/12 della Ctr Catania; 9755/15 della Ctr Napoli; 482/13 della Ctp Reggio Calabria). La questione passa ora alla Consulta, che si auspica possa fugare una volta per tutte le incertezze che ancora oggi sussistono sull’argomento. In attesa della pronuncia, nella pratica quotidiana sarà certamente opportuno produrre già nel primo grado di giudizio tutta la documentazione utile, per non rischiare una pronuncia di inammissibilità delle produzioni effettuate per la prima volta in appello. Giovedì 7 Luglio 2016 www.ilsole24ore.com @ 24NormeTributi IL GIORNALE DEI PROFESSIONISTI t LA SETTIMANA DI NORME & TRIBUTI PROFESSIONISTI Spese di trasferta più facili in Unico LUNEDÌ: Edilizia e ambiente, Il merito, Autonomie locali e Pa MARTEDÌ: Condominio MERCOLEDÌ: Diritto dell'economia GIOVEDÌ: Giurisprudenza / Il merito VENERDÌ: Incentivi e agevolazioni Gianfranco Ferranti e Paolo Meneghetti u pagina 41 Dichiarazioni. Dopo la sentenza 13378/2016 a Sezioni unite l’integrativa a favore andrebbe inviata entro l’anno successivo Correzioni, rimborsi a ostacoli L’istanza può essere presentata solo sulla base del modello originario trasmesso Andrea Carinci Dario Deotto pLa sentenza 13378/16 a Sezioni Unite della Cassazione, depositata il 30 giugno scorso, sulla ritrattabilità a favore della dichiarazione risulta molto più limitativa da quanto possa sembrare a una prima lettura. In sostanza, il principio affermato dalla sentenza è che la possibilità di ritrattazione della dichiarazione a favore del contribuente può essere esercitata entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva (con il credito che ne emerge utilizzabile in compensazione). Questo in base all’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/98. La previsione dell’articolo 2, comma 8, dello stesso decreto, che prevede la possibilità di rettifica della dichiarazione entro i termini di decadenza dell’accertamento, va invece interpretata – secondo la Corte – come possibilità di rettifica solo nelle ipotesi di sfavore per il contribuente. Rimane, sempre secondo la Cassazione, la possibilità, per fare valere situazioni favorevoli al contribuente, di utilizzare l’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del Dpr 602/73 (norma che comunque vale per l’imposizione diretta) oppure nell’ambito del processo tributario.Seilfattodiopporsiallapretesa tributaria, facendo valere nel processoerrori(afavore)commessi nella dichiarazione originaria non appare certo una novità (si vedano comunque talune perplessità che emergono dalla sentenza nell’altro articolo in pagina) molti dubbi si hanno sulla distinzione che le Sezioni Unite fanno tra il tema delle dichiarazioni integrative e quello della richiesta di rimborso. Infatti, in passato, accanto a pronunce che hanno chiaramente affermato la ritrattabilità della dichiarazione a favore entro i termini di decadenza dell’azione d’accertamento (ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del Dpr 322/98) ve ne sono state altrettanto numerose che hanno di fatto riconosciuto all’istanza di rimborso validità di strumento atto a rettificare la dichiarazione. In sostanza, all’istanza di rimborso ex articolo 38 del Dpr 602/73 è stato riconosciuto valorediistitutoconilqualefarevalere, nell’ottica del riequilibrio della sfera patrimoniale del contribuen- te, anche situazioni non derivanti dalla dichiarazione presentata. Se, invece, si legge attentamente la sentenza 13378/16, quello che emerge è la netta distinzione svolta tra il campo applicativo della dichiarazione integrativa e quello del diritto al rimborso (si veda il punto 24 della sentenza e lo stesso principio di diritto enunciato). Come a dire (visto quanto anche riportato al punto 12, che va legato alla lettura deipuntiprecedenti)cheildirittoal rimborso può essere esercitato solamente in relazione a elementi – portanti a un errore, duplicazione o inesistenzadell’obbligazionetributaria – derivanti dalla dichiarazione presentata. Invece, l’emendabilità della dichiarazione – circoscritta però solo al limite della dichiarazione successiva – può chiaramente riguardarefattidiversidaquellioriginariamente dichiarati. Da questo quadro ne emergerebbe che per fare valere elementi favorevoli non indicati originariamenteindichiarazione(uncomponente negativo di reddito, un credito d’imposta, una maggiore perdita) al contribuente sarebbe concessa solo la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa a favore entro quella successiva. Non potrebbe, quindi, presentare nemmeno istanza di rimborso e gli resterebbe l’unica speranza di essere accertato per poi contestare la pretesa e quindi fare valere quelle situazioni a lui favorevoli non indicate nella dichiarazione. Si tratta, tuttavia, di una impostazionenonaccettabile,chenontiene conto che la legittimità delle pretesa impositiva non guarda, ovviamente, solo al processo, ma anche alle precedenti fasi della dichiarazione, dell’accertamento e della riscossione. Inoltre, l’impostazione risulta comunque parziale in quantoladichiarazioneafavorenonpuò essere circoscritta solo alla distinzione tra compensazione e rimborso: si dimentica infatti che la ritrattazione della dichiarazione può avere a oggetto l’indicazione di maggiori perdite, di maggiori riportid’impostae,comunque,ditutte quelle situazioni favorevoli che non necessariamente sfociano in un rimborso o nella compensazione del credito. VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwNy0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0wN1QxNDowMDozNVojIyNWRVI= © RIPRODUZIONE RISERVATA Accertamento. Più spazio alla prevenzione Orlandi: tax gap Iva a quota 40 miliardi ma è iniziato il calo Giovanni Parente Calcio ed evasione fiscale pPer fare un parallelo ciclistiAFP Spagna, Messi condannato a 21 mesi Il tribunale di Barcellona ha condannato Leo Messi e il padre Jorge a 21 mesi di carcere, per avere defraudato per 4,1 milioni di euro il fisco spagnolo fra il 2007 e il 2009. Il cinque volte Pallone d'Oro eviterà comunque la prigione. In Spagna, infatti, le condanne sotto i 24 mesi sono sospese. Per il Fisco spagnolo i Messi avrebbero nascosto i proventi dei diritti d'immagine attraverso società paravento e paradisi fiscali. Contenzioso. Gli effetti della soluzione proposta dalla Cassazione Il ricorso non colma i vuoti di tutela pConcepire la vicenda pro- cessuale come una clausola di salvaguardia, in grado di colmare le lacune di tutela nel sistema, è una soluzione che desta perplessità. Si tratta infatti di una soluzione inevitabilmente parziale e incompleta che, come tale, è inappagante. Ecco perché la sentenza 13378/16 delle Sezioni Unite non può essere condivisa. Già si è detto del preoccupante arretramento che detta sentenza comporta sul piano delle tutele per il contribuente, laddove giunge ad escludere che questi possa presentare una dichiarazione integrativa a favore oltre l’anno. Ebbene non può che destare ulteriore perplessità, anche di ordine tecnico, la soluzione ivi sostenuta per cui sarebbe comunque possibile per il contribuente operare in sede contenziosa ciò che, invece, è precluso in sede di accertamento e di rimborso; ossia e segnatamente la rettifica della dichiarazione oltre l’anno. L’assunto contenuto nella sentenza per cui, in ogni caso, oggetto del contenzioso è la legittimità della pretesa impositiva, sicché il contribuente può sempre contestare il provvedimento adducendo altresì errori e omissioni presenti nella di- EQUILIBRIO NON GARANTITO La possibilità di addurre omissioni o errori dopo l’anno non può essere ammessa solo per contestare una pretesa dell’Agenzia chiarazione, a ben vedere, non vale a restituire al sistema equilibrio e parità tra le parti. E ciò per due ragioni. Innanzitutto, perché se la possibilità di addurre errori od omissioni commessi nella dichiarazione è consentita, oltre l’anno, solo in sede di processo, ciò significa che è ammessa solamente per conte- stare una pretesa dell’Agenzia. A ben vedere, infatti, al contribuente viene così riconosciuta solo un’eccezione, non anche un’azione, la quale presuppone quindi che vi sia una pretesa da opporre, nel senso che, in mancanza di una pretesa, non residua spazio per la rettifica. Per intenderci, se il contribuente ha omesso un costo ovvero un credito in dichiarazione lo può invocare oltre l’anno solo se e nel caso in cui l’Agenzia avanza una pretesa impositiva nei suoi confronti. Ma non solo. In secondo luogo va evidenziato che proprio perché viene concepita come eccezione e non come azione, una simile facoltà rimane poi naturalmente costretta negli angusti spazi ritagliati dalla peculiare conformazione del processo tributario. Quest’ultimo è concepito in effetti come un processo di tipo impugnatorio, in cui il ricorso è ordinato, e come tale limitato, a contestare la pretesa avanzata con l’atto impugnato e al fine precipuo del suo annullamento. Sicché, quand’anche detta contestazione fosse fondata su elementi ulteriori rispetto a quelli a fondamento della pretesa, quali ad esempio errori e omissioni della dichiarazione (seguendo il ragionamento della Corte), quello che è possibile ottenere con un ricorso è sempre e solo, al più, l’annullamento dell’atto. Non anche il rimborso di quanto eventualmente pagato in eccesso. La possibilità di far valere errori e omissioni della dichiarazione in sede processuale può servire, quindi, per annullare la pretesa, ma non anche per reclamare il rimborso delle somme indebitamente versate. Ecco perché il processo non può colmare quei vuoti di tutela aperti dalla lettura restrittiva fatta propria dalle Sezioni Unite sulla rettificabilità della dichiarazione. A.Cari. D.D. © RIPRODUZIONE RISERVATA co, considerato il periodo di Tour de France, si potrebbe dire che è in atto lo scollinamento. Solo che la montagna dell’evasione fiscale italiana presenta asperità tutt’altro che semplici da contrastare e superare. Eppurequalchesegnalepositivosiinizia a intravedere. Ad evidenziarlo è stata la direttrice delle Entrate, Rossella Orlandi, intervenuta ieri a Roma alla premiazione dell’associazione Lef (Legalità equità fiscale) per le migliori tesi di laurea in materia tributaria. «L’ultima stima disponibile del tax gap Iva è di 40 miliardi ma ci sono segnali positivi sulla riduzione», ha affermato la numero uno dell’Agenzia. Merito anche delle azioni messe in campo nell’ultimo anno e mezzo, come lo split payment per i fornitori della Pa e l’estensione del meccanismo del reverse charge. E proprio sulla misurazione del tax gap è a lavoro la commissione guidata dall’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. In ogni caso, va considerata anche la parte crescente di omessi versamenti in cui - come ha ricostruito la Orlandi - si sono sommati due fenomeni: l’effetto della crisi finanziaria ma anche un’evasione da riscossione, su cui la legge non consente strumenti efficienti di recupero. «Quell’Iva diventa irrecuperabile - rimarca - quindi bisogna fare in modo che ci sia maggiore prevenzione». Più in generale, è in atto una rivoluzione culturale nel Fisco italianoperusciredalloschematradizionale in cui il contribuente dichiara e poi l’amministrazione finanziaria controlla. «Si può mettere insieme una fase di prevenzione insieme a una di deterrenza», ha rimarcato Orlandi. E ha aggiunto: «Sulle persone normali e oneste ho fatto una scommessa: senza considerare le lettere da studi di settore, su 300 mila comunicazioni di compliance due terzi degli italiani si sono adeguati da soli. Potevano far finta di niente e aspettare il controllo invece hanno accolto il nostro invito a rimediare agli erro- ri». Ma anche i nuovi strumenti messi a disposizione dall’attuazione della delega fiscale. È il caso, tra gli altri, dell’interpello sui nuovi investimenti: pienamente operativo da circa un mese e su cui l’amministrazione finanziaria sta registrando un buon interesse da parte delle imprese. Anche il viceministro all’Economia, Enrico Morando, ha ricordato l’importanza della lotta all’evasione. A suo avviso, le risorse recuperate dal contrasto a chi non paga le tasse, insieme alla riduzione del cuneo sul lavoro, potranno finanziare un alleggerimento tributario: «Nel 2018 la pressione fiscale su lavoro e impresa in Italia deve essere uguale a quella della Germania. Perché proprio la Germania? Perché loro sono la prima manifattura d’Europa, noi la seconda». © RIPRODUZIONE RISERVATA QUOTIDIANO DEL FISCO Sgravi autotrasporto e liquidazione delle imposte Nell'edizione online di oggi in esclusiva per gli abbonati: l’analisi di Luca De Stefani sulle conseguenze della comunicazione degli sgravi per gli autostrasportatori a ridosso della scadenza per i versamenti d’imposta e l’approfondimento di Emilio de Santis sulla sentenza 13296/2016 della Cassazione relativa alla liquidazione delle imposte. www.quotidianofisco.ilsole24ore.com 22 .Lettere e Commenti STAMPA .LA GIOVEDÌ 7 LUGLIO 2016 LA STAMPA Quotidiano fondato nel 1867 ª SECONDO ME Scrive per «La Stampa» dal 1994, dove si occupa di attualità e costume raccontando grandi fatti di cronaca, personaggi e tendenze. Ultima missione: la Brexit. Convinta garantista si batte per una giustizia che sia tale. È laureata in Economia (anche se ancora si chiede come mai), ha scritto diversi libri, ha due figli maschi di 17 e 19 anni, due cani e tre gatti. MARIA CORBI c. DIRETTORE RESPONSABILE MAURIZIO MOLINARI VICEDIRETTORI LUCA UBALDESCHI (VICARIO), MASSIMO VINCENZI, MARCO ZATTERIN REDATTORE CAPO CENTRALE FLAVIO CORAZZA CAPO DELLA REDAZIONE ROMANA FRANCESCO BEI CAPO DELLA REDAZIONE MILANESE PAOLO COLONNELLO ART DIRECTOR CYNTHIA SGARALLINO COORDINATORI MACRODESK GIANNI ARMAND-PILON ATTUALITÀ, ALBERTO INFELISE STILI DI VITA, GUIDO TIBERGA CRONACHE, MARCO SODANO DIGITALE REDAZIONI GIUSEPPE SALVAGGIULO ITALIA, ALBERTO SIMONI ESTERI, TEODORO CHIARELLI ECONOMIA E FINANZA, ANDREA MALAGUTI INCHIESTE, MAURIZIO ASSALTO CULTURA, PIERO NEGRI SCAGLIONE SPETTACOLI, RAFFAELLA SILIPO SOCIETÀ, PAOLO BRUSORIO SPORT, LAURA CARASSAI EDIZIONI PIEMONTE E VALLE D’AOSTA, GUIDO BOFFO CRONACA DI TORINO L’abbigliamento è un modo per comunicare ma deve sempre prevalere il buon senso contatti D alle lettere precedenti emerge la necessità di una considerazione: l’abbigliamento è un codice. Nella nostra società esistono diversi codici di comunicazione, ad esempio il linguaggio, e l’abbigliamento è uno di questi. Quando indossiamo un abito comunichiamo qualcosa agli altri, anche senza volerlo, e di questo dobbiamo essere consapevoli. Chi veste in giacca e cravatta mostra di adeguarsi alle convenzioni, chi veste in modo informale comunica predisposizione alla concretezza, piuttosto che alla forma. Ma soprattutto occorre essere consapevoli delle conseguenze che questo «codice» non scritto può portare. Per esempio, un uomo che intenda indossare abiti femminili in pubblico, è consapevole che se va in giro in minigonna potrebbe essere oggetto di scherno. Una libertà che non può permettersi sul luogo di lavoro. Le donne che lamentano di non poter andare in giro vestite come vogliono hanno ragione; ma devono anche essere consapevoli che se vanno in giro in minigonna destano l’eccitazione di parte della popolazione maschile, che secondo il codice conosciuto interpreta l’abbigliamento che ha di fronte. Di certo, ci sono limiti di senso civico e di educazione da Le lettere vanno inviate a LA STAMPA Via Lugaro 15, 10126 Torino EMAIL: [email protected] Anna Masera Garante del lettore: [email protected] FAX: 011 6568924 9 36 rispettare, da parte della suddetta popolazione maschile. Diciamo che è tutto un equilibrio di cui dobbiamo tenere conto. GABRIELLE VOLTAN TORINO RESPONSABILE DEL TRATTAMENTO DEI DATI DI USO REDAZIONALE (D. LGS.196/2003): MAURIZIO MOLINARI La vita è affollata di codici, a iniziare dalle re gole dalla buona educazione. Le società si strutturano in questo modo per favorire la convivenza, facilitare la comunicazione, smor zare gli attriti. Il linguaggio è un codice e ovvia mente anche l’abbigliamento lo è. Banalmen te potremmo dire che l’abito fa il monaco. Ed è vero, almeno quando la pigrizia ci impedisce di andare oltre. Quindi l’abito non fa il mona co. Anche questo è un esercizio pigro. L’unica cosa da fare è applicare il buon senso. Inutile presentarsi a un colloquio in costume, o in spiaggia in cravatta, anche se possibile. Al tro discorso, ben più importante, è quello del l’eccitazione maschile per le donne che vanno in giro in minigonna, come sottolinea lei. Bene qui esiste una sola regola: le donne vanno ve stite come gli pare e questo non deve dare adi to ai signori maschi di pensare che lo fanno per eccitarli. È un pensiero pericoloso, tutto lo ro, dettato dall’ego sconfinato e dal pensare che solo lasciando libertà al testosterone si è maschi. Mentre è il rispetto, l’educazione, la gentilezza, a rendere gli uomini tali. ª REDAZIONE AMMINISTRAZIONE E TIPOGRAFIA: VIA LUGARO 15 - 10126 TORINO, TEL. 011.6568111 STAMPA: ITALIANA EDITRICE S.P.A., VIA GIORDANO BRUNO 84, TORINO LITOSUD SRL, VIA CARLO PESENTI 130, ROMA ETIS 2000, 8A STRADA, CATANIA, ZONA INDUSTRIALE RCS PRODUZIONI MILANO S.P.A., VIA ROSA LUXEMBURG 2 – PESSANO CON BORNAGO L’UNIONE SARDA S.P.A. – VIA OMODEO 5, ELMAS (CAGLIARI) ©2016 ITALIANA EDITRICE S.P.A. REG. TRIB. DI TORINO N. 26 14/5/1948 CERTIFICATO ADS 8107 DEL 06/04/2016. LA TIRATURA DI MERCOLEDÌ 6 LUGLIO 2016 È STATA DI 229.624 COPIE TM Come vestirci questa estate? Oggi e domani a rispondere alle lettere sulla moda dell’estate è Maria Corbi, giornalista della redazione romana esperta di moda e costume. Sabato e domenica, invece, come di consueto, spazio alla rubrica delle lettere al direttore de «La Stampa» Maurizio Molinari. Per l’editoriale dei lettori raccomandiamo di scrivere testi di 1.600 caratteri spazi inclusi. www.lastampa.it/lettere DATA JOURNALISM A CURA DI RAPHAËL ZANOTTI Vincere contro Equitalia si può, ma valutate bene i ricorsi I ricorsi giunti nel 2015 Agenzia delle Entrate Agenzia del territorio Dogane e monopoli Tempi medi delle cause pendenti in giorni Equitalia Enti territoriali Altri enti (IN COMMISSIONI REGIONALI) 16.607 88.086 Commissioni tributarie provinciali 33.596 41.237 6.411 2.350 4.055 ª ITALIANA EDITRICE SPA PRESIDENTE JOHN ELKANN VICEPRESIDENTE CARLO PERRONE AMMINISTRATORI LUCA ASCANI, LODOVICO PASSERIN D’ENTRÈVES, DIEGO PISTONE AMMINISTRATORE DELEGATO LUIGI VANETTI DIRETTORE GENERALE MAURIZIO SCANAVINO DIRETTORE EDITORIALE MAURIZIO MOLINARI DIRETTORE CREATIVO MASSIMO GRAMELLINI 43.813 8.568 Commissioni tributarie regionali 6.397 1.079 4.702 Fonte: MEF -LA STAMPA La Stampa REDAZIONE AMMINISTRAZIONE TIPOGRAFIA 10126 Torino, via Lugaro 15, telefono 011.6568111, fax 011.655306; Roma, via Barberini 50, telefono 06.47661, fax 06.486039/06.484885; Milano, via Paleocapa 7, telefono 02.762181, fax 02.780049. Internet: www.lastampa.it. ABBONAMENTI 10126 Torino, via Lugaro 21, telefono 011.56381, fax 011.5627958. Italia 6 numeri (c.c.p. 950105) consegna dec. posta anno e 402,50; Estero: e 858,50. Arretrati: un numero costa il doppio dell’attuale prezzo di testata. CALABRIA 1.613,20 SARDEGNA 1.220,80 MOLISE 1.035,70 MARCHE 834,2 SICILIA 826,3 MEDIA 735,1 PUGLIA 725,3 EMILIA R. 687,5 UMBRIA 575,6 LIGURIA 550,9 BOLZANO 503,7 TOSCANA 464,1 TRENTO 434,9 BASILICATA 413,5 LAZIO 399,3 ABRUZZO 392,1 PIEMONTE 388,3 CAMPANIA 302,2 LOMBARDIA 285,5 VENETO 278,2 FRIULI V.G. 233,4 VALLE D'AOSTA 203,5 Favorevole ufficio Favorevole contribuente Ire e Irpef Irap Iva Registro Ipotecarie e catastali Ires e Irpeg Doganali Contributo unificato Altri tributi erariali Totale tributi erariali Proprietà immobiliari Smaltimento rifiuti Tributi e tasse auto Pubblicità Cosap e Tosap Altri tributi locali Totale tributi locali COMMISSIONE TRIBUTARIA Povinciale 46,50 41,92 47,78 39,52 37,17 VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjcHJlc0lWY29tIyMjUmlzdWx0YXRpIFJpY2VyY2EjIyMwNy0wNy0yMDE2IyMjMjAxNi0wNy0wN1QxMzo1OTowMlojIyNWRVI= Regionale 46,54 41,11 43,29 38,76 30,38 38,32 42,83 43,43 45,22 58,77 41,99 41,22 52,83 31,57 64,47 32,89 47,94 26,92 47,62 36,52 44,52 30,93 43,43 41,53 44,03 31,70 52,23 33,58 48,63 28,97 47,57 38,50 41,43 41,89 58,39 35,23 41,22 40,22 40,12 37,11 45,90 42,18 58,33 33,33 64,00 25,33 59,53 34,01 44,70 34,97 53,45 35,11 Usa La Stampa (Usps 684930) published daily in Turin Italy. Periodicals postage paid at L.I.C. New York and address mailing offices. Send address changes to La Stampa c/o speedimpex Usa inc. 3502 48th avenue L.I.C. NY 111012421. SERVIZIO ABBONATI Abbonamento postale annuale 6 giorni: e 402,50. Per sottoscrivere l’abbonamento inoltrare la richiesta tramite Fax al numero 011 5627958; tramite Posta indirizzando a: La Stampa, via Lugaro 21, 10126 Torino; per telefono: 011.56381; indicando: Cognome, Nome, Indirizzo, Cap, Telefono. Forme di pagamento: c. c. postale 950105; bonifico bancario sul conto n. 12601 Istituto Bancario S. Paolo; Carta di Credito telefonando al numero 01156.381 In sella sulle più spettacolari strade montane d’Europa. Un grande libro per motociclisti scritto da un motociclista 30,18 31,37 32,05 34,27 35,03 42,24 30,94 42,70 34,01 61,02 23,67 In MOTO sulle più BELLE STRADE delle ALPI DALLE ALPI MARITTIME ALLA SLOVENIA T Chi vince e chi perde asse e tributi non sono mai stati amati, ma mai come in questi anni sono diventati tema controverso. E non solo a livello politico. L’ultima relazione sulla giustizia tributaria relativa al 2015 fotografa una situazione esplosiva. Alle commissioni tributarie provinciali e regionali sono giunti 256.901 ricorsi per contestare le cartelle esattoriali. Se guardiamo agli enti impositori, scopriamo che i più «odiati», o perlomeno quelli contro i quali i contribuenti sperano di ottenere più facilmente una vittoria, sono l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. Ma paga mettersi contro agenzie o enti territoriali? Dipende. In un caso su tre, davanti alle commissioni tributarie provinciali, vince il contribuente. E nelle commissioni regionali la percentuale sale al 40,37% (dati 2015). Poi dipende dal tipo di tassa. Tasse sull’auto, sulla pubblicità e altri tributi locali offrono buone possibilità davanti alle commissioni regionali, tasse ipotecarie e catastali ottime davanti a quelle provinciali. Anche la vittoria, tuttavia, ha dei costi. In termini di tempo. E qui dipende dalla fortuna che avete. Se abitate in provincia di Cosenza sappiate che l’anzianità media delle cause trattate dal provinciale è di 7 anni e mezzo. A Brescia è meno di 7 mesi. Fatevi dunque due conti, prima di agire. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI oppure collegandosi al sito www.lastampashop.it; presso gli sportelli del Salone La Stampa, via Lugaro 21, Torino. INFORMAZIONI Servizio Abbonati tel. 011 56381; fax 011 5627958. Email [email protected] CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PER LA PUBBLICITA’ NAZIONALE RCS MediaGroup S.p.A. Via Rizzoli, 8 20132 Milano. 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