Julia Holter, tra pop e letteratura
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Julia Holter, tra pop e letteratura
Julia Holter, tra pop e letteratura di MARIA ENRICA RUBINO Si intitola Have You In My Wilderness l’ultimo disco di Julia Holter: 10 pezzi che come un labirinto musicale, dove si riconoscono infinite citazioni e allusioni, da Christopher Isherwood a Colette, fino alle ballate di Scott Walker. Un mix di suoni che fanno della giovane un’artista difficilmente collocabile in un punto esatto della mappa dei generi. Di lei sono note le esibizioni da avantgarde con i rumori della natura, i concerti con l’orchestra, le serate berlinesi da dj techno al Berghain e le collaborazioni con Linda Perhacs, araba fenice della canzone psichedelica. Ma non basta. Julia è una musicista di Los Angeles, 30 anni e alle spalle tre album apprezzati per la raffinatezza della ricerca e i riferimenti culturali decisamente selezionati: Euripide in Tragedy, Virginia Woolf in Ekstasis e il musical Gigi in Loud City Song, canzone che l’ha lanciata. 1/2 Julia Holter, tra pop e letteratura Un percorso artistico, quello di Julia, che inevitabilmente fanno di Have You in My Wilderness un disco piuttosto complesso. Qui la Holter abbandona la struttura esoterica per intraprendere il primo viaggio fuori dal mondo dell’avant-garde lo-fi, senza timori attraversa con sicurezza il fragile mondo del pop. Pur consapevole di aver intrapreso una rivoluzione sonora che offre molti rischi, la Holter procede senza farsi intimidire dai fiati strepitanti e dalle pause inquietanti che trovano identità sonora in “Maxim’s II”. La bellezza ha sposato l’immaginazione, il mistero è diventato accessibile, la varietà si è impossessata dei malinconicilandscape per farli divenire piccole sinfonie. Pur frammentando maggiormente le linee armoniche, spontaneità e candore non si eclissano, i personaggi del musical post-moderno di Loud City Song si muovono senza sforzo apparente nel fantastico mondo di questo affascinante racconto. Fiati vigorosi, percussioni ricche di upbeat, orchestrazioni sfavillanti tratteggiano l’intimità dei paesaggi sonori, rendendoli più urbani e meno pastorali. Nata a Los Angeles, Julia studia pianoforte già a otto anni nella scuola dove apprende anche le tecniche e le strutture della musica classica. Questo le permette di sviluppare una maggiore attenzione all’orchestrazione che tradurrà presto nelle sue composizioni, spesso molto ricche di dettagli. La musica, del resto, è un’attitudine familiare: suo padre ha suonato anche dal vivo con Pete Seeger ed è cresciuta ascoltando Steely Dan, Travelling Wilburys, Bob Dylan e Billie Holliday, anche se racconterà che il suo primo idolo era stato Bryan Ferry e che era rimasta affascinata dal lato weird della musica dei Beatles. Le sue prime registrazioni vengono sottoposte al vaglio del Californian Institute of Arts, finanziato dalla Walt Disney. Questa esperienza le permette di entrare in contatto con l’elettronica e le nuove tecnologie musicali, non ama molto la composizione percependone la struttura limitante per una forma d’arte creativa. Nel frattempo sviluppa un intuito lirico che sta in bilico tra l’accademico e l’esoterico. Produzione e missaggio sono completamente nelle sue mani facendo di lei un’artista vera e completa. 2/2