TdO 7-2011 seconda parte
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TdO 7-2011 seconda parte
ORTHOviews Review della letteratura internazionale EVIDENCE BASED MEDICINE Ebm: dai princìpi alla pratica clinica Uno dei principi su cui si è sviluppata l’idea stessa di evidence based medicine è che la ricerca non è tutta uguale e produce risultati di validità molto diversa. Questa che sembra un'affermazione piuttosto banale assume però un significato di grande rilievo quando si parla di ricerca clinica, dal momento che in questo campo uno studio che abbia condotto a risultati non validi può avere serie conseguenze su di un numero anche molto grande di persone. E questo non è certo un rischio solo teorico, anzi (vedi box sull'aritmia). La soluzione proposta dall'Ebm per evitare che i pazienti paghino gli errori della ricerca è che il clinico sia in grado non solo di trovare gli articoli utili ad aiutarlo nel prendere decisioni sulla salute del paziente, ma anche di individuare i migliori tra questi: quelli che, oltre ad avvicinarsi il più possibile alla situazione che si sta affrontando, siano stati condotti con metodi che riducano al minimo il rischio di errori. Questa lettura critica della ricerca medica, che gli anglosassoni chiamano critical appraisal, ha però delle limitazioni piuttosto evidenti. Per cominciare richiede un percorso formativo specifico, cosa che fino a ora non avviene per la maggior parte dei corsi di laurea di ambito medico. Inoltre questo tipo di esercizio analitico di uno o più articoli può richiedere non poco tempo, bene che nella pratica clinica è frequentemente molto limitato. osservazionale. Recentemente questa guida è stata aggiornata ed è consultabile sul sito del Centre for Evidence Based Medicine (www.cebm.net). Si tratta sostanzialmente di una tavola che in ogni riga riporta le principali domande che un clinico si trova solitamente ad affrontare e di seguito il tipo di studio capace di fornire una risposta, secondo cinque livelli in ordine decrescente di validità. Rispetto alla versione precedente, la nuova guida risulta molto più semplice da consultare: comprende meno categorie e le domande cliniche sono formulate utilizzando un linguaggio semplice, come quello che potrebbero utilizzare i pazienti. E infatti, come dichiarato nel documento introduttivo, la guida adesso è indirizzata anche a loro, che grazie a un glossario potranno superare il problema del gergo spesso oscuro della ricerca clinica e comprendere le caratteristiche essenziali degli studi elencati. Una guida per la buona pratica medica Nel 1998, con l’intento di facilitare una pratica evidence based, venne pubblicata una prima guida per aiutare il clinico a selezionare in maniera rapida gli studi maggiormente validi, sulla base di una gerarchia della ricerca clinica fondata sull’assunto che, per esempio, per quanto riguarda il trattamento, un trial randomizzato fornisce risultati comunque più validi di uno studio La gerarchia delle evidenze Una cosa che si nota scorrendo la nuova tabella è che, con alcune eccezioni, il livello più alto di validità è rappresentato dalle revisioni sistematiche. Queste, quando condotte in maniera corretta, sono da considerarsi sintesi dei migliori studi disponibili, il che significa che qualcuno con le giuste competenze si è preoccupato, in vece del clinico, di trovare, valutare e sintetizzare tutta la letteratura su di uno specifico argomento. Ecco allora che se si vuole conoscere l’efficacia di un trattamento, il meglio che possiamo sperare di trovare è una revisione sistematica di trial randomiz- I LIVELLI DI EVIDENZA SCIENTIFICA DOMANDA LIVELLO 1 LIVELLO 2 LIVELLO 3 Quanto è comune il problema? Recente indagine locale su campione casuale Revisione sistematica di indagini in situazioni simili a quella locale Indagine su campione Serie di casi locale non casuale Non applicabile Il test diagnostico o per il monitoraggio è accurato? Revisione sistematica di studi cross-sectional svolti in cieco e che abbiano impiegato il gold standard Singoli studi cross-sectional svolti in cieco e che abbiano impiegato il gold standard Studi non consecutivi Studi caso-controllo o studi cross-sectional che non abbiano impiegato il gold standard Basato sui meccanismi della malattia Cosa succede se non si interviene ulteriormente (prognosi)? Revisione sistematica di studi di coorte iniziali Singoli studi di coorte Studi di coorte iniziali o singoli bracci di trial randomizzati Serie di casi, studi caso-controllo o studi di coorte di scarsa qualità Non applicabile Questo trattamento è utile? Revisione sistematica di trial randomizzati Singoli trial randomizzati o studi osservazionali con effetti clamorosi Studi controllati non randomizzati di coorte o di follow-up Serie di casi, studi caso-controllo o studi con controllo storico Basato sui meccanismi della malattia Quali sono i danni di questo trattamento? Revisione sistematica di trial randomizzati o di studi osservazionali con effetti clamorosi Singoli trial randomizzati o studi osservazionali con effetti clamorosi Studi controllati non randomizzati di coorte o di follow-up di dimensioni sufficienti Serie di casi, studi caso-controllo o studi con controllo storico Basato sui meccanismi della malattia Questo test di diagnosi precoce è utile (screening)? Revisione sistematica di trial randomizzati Singoli trial randomizzati Studi controllati non randomizzati di coorte o di follow-up Serie di casi, studi caso-controllo o studi con controllo storico Basato sui meccanismi della malattia Fonte: Oxford Centre for Evidence-Based Medicine 2011 - Levels of Evidence LIVELLO 4 LIVELLO 5 zati, mentre se siamo interessati a un test diagnostico si tratterà di una revisione sistematica di studi cross sectional. Al gradino più basso della gerarchia delle prove scientifiche sta invece il ragionamento basato sulla conoscenza dei meccanismi della malattia. Perché come troppe volte ha mostrato la storia della medicina, questo può essere un pessimo metodo. Alcune delle novità sono in qualche modo sorprendenti. Tra queste la comparsa degli studi osservazionali al secondo livello della gerarchia sul trattamento. Certamente, sono ammessi solo quelli che abbiano mostrato risultati clamorosi (dramatic nell’originale), ma comunque è come se una categoria di studi, prima relegata ai margini delle evidenze, fosse stata sdoganata. A questo si aggiunga che ai livelli più bassi trovano posto anche le serie di casi, a cui viene riconosciuta una certa utilità nell’individuare effetti avversi e generare nuove ipotesi. Più di uno storcerà il naso, ma almeno saranno messi a tacere quelli che hanno da sempre liquidato in maniera sprezzante la Ebm come “la medicina dei trial randomizzati”. E comunque questo rappresenta un ulteriore passo del percorso che vede la Ebm passare dall’enunciazione di principi formalmente corretti, ma talvolta di difficile applicazione clinica, alla creazione di strumenti capaci di coniugare rigore scientifico e applicabilità al letto del malato. Giovanni Lodi Università di Milano Meno aritmia, più mortalità L’aritmia è una causa frequente di morte tra i soggetti che abbiano subito un infarto. Dopo che venne dimostrata la loro efficacia nel ridurre l’aritmia nei pazienti sopravvissuti a un infarto, tre farmaci (encainide, flecainide, e moricizina) vennero approvati dalla Fda per il trattamento di questi pazienti. Più di 200 mila pazienti presero i farmaci con questa indicazione. In seguito il Cast, un trial che usava la mortalità invece dell'aritmia come indicatore di efficacia (outcome), dimostrò invece che le morti erano più frequenti tra i soggetti che prendevano i farmaci rispetto a quelli che prendevano un placebo. È probabile che quell’errore nel disegno dello studio, basato sull’assunto che se l’aritimia era causa di morte, allora un efficace trattamento antiaritmico avrebbe salvato delle vite, abbia in realtà causato migliaia di morti. 58 ORTHOviews L AVO RO O R I G I N A L E Trattamento topico delle cicatrici Come prevenire l’iperproliferazione connettivale Il processo di guarigione Le basi biologiche della guarigione delle ferite vengono tradizionalmente distinte in tre differenti fasi: “infiammatoria”, “proliferativa” e “di rimodellamento”, tra le quali tuttavia manca una vera e propria separazione temporale e funzionale. Tali fasi vanno infatti a sovrapporsi e integrarsi, orchestrandosi ordinatamente anche grazie all’azione di citochine e fattori di crescita (2). Il delicato equilibrio tra tutti i fattori che regolano il processo di guarigione delle ferite può talora alterarsi, e i risultati di queste alterazioni possono essere sia un ritardo di riparazione del deficit tissutale, sia una eccessiva deposizione di tessuto connettivo, la quale può condurre alla formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi (3). È chiaro quindi quanto sia importante favorire il normale processo di riparazione delle ferite, sostenendo il fisiologico susseguirsi delle differenti fasi che lo contraddistinguono, facendo in modo che la cute rigenerata abbia le stesse caratteristiche di quella sana, e che sia dunque non solo resistente alle sollecita- zioni meccaniche, chimiche e fisiche, ma che sia anche esteticamente soddisfacente. Questo risulta particolarmente importante nella disciplina di cui mi occupo - la chirurgia plastica sebbene oggigiorno tutte le specialità chirurgiche siano chiamate a porre particolare attenzione non solo all’aspetto funzionale, ma anche a quello estetico delle cicatrici che residuano al termine degli interventi. “ È noto, grazie all’abbondante numero di studi disponibili in letteratura internazionale, che tali polinucleotidi favoriscono la riparazione delle ferite (4, 5), anche in soggetti che tradizionalmente presentano difficoltà alla guarigione di soluzioni di continuo cutanee, come i pazienti diabetici (6). Un recente studio (7) ha valutato le interazioni dei nucleotidi con alcune cicline specifiche coin- riparato, valutata sulla base del miglioramento della forza tensile e della resistenza alla trazione (vedi grafico). Di particolare rilievo è stata la scoperta che i polinucleotidi, nella fase finale di riparazione delle ferite, vanno a inibire la progressione della proliferazione fibroblastica, limitando quindi la possibilità di formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi. Ciò dimostra come i polinucleotidi non solo favo- L'impiego di prodotti a base di polinucleotidi, coinvolti nell'inibizione della proliferazione fibroblastica, consente di limitare la formazione di cicatrici ipertrofiche “ La cute è l’organo principale di protezione del nostro corpo svolgendo, tra le altre funzioni, un fondamentale ruolo di barriera e protezione dall’ambiente esterno. Una ferita a livello cutaneo può alterare il funzionamento di tale organo e, nel momento in cui si verifica, interviene un processo di riparazione, estremamente sofisticato e organizzato, che tende a risolvere la soluzione di continuo che è venuta a crearsi (1). e cheloidi, ottenendo un notevole vantaggio estetico L’efficacia dei polinucelotidi In considerazione di tutti questi aspetti, dopo anni di esperienze e di ricerche, ho studiato e creato un nuovo prodotto Makeskin (Mastelli srl, Sanremo - Italia) in grado di favorire una migliore riparazione delle ferite. La mia attenzione si è focalizzata in particolare sui nucleotidi, piccole sezioni a basso peso molecolare di Dna, con caratteristiche ben definite per quanto concerne le metodiche estrattive, le tecniche di sterilizzazione e le peculiarità chimico-fisiche. volte nel processo di rigenerazione cellulare e riparazione tissutale (ciclina D1 e ciclina E) e le loro rispettive chinasi. Tale studio, effettuato su modelli murini, ha dimostrato come questi polinucleotidi siano in grado di intervenire positivamente sulla regolazione delle suddette cicline, favorendo il rimodellamento della cicatrice e migliorando quantitativamente e qualitativamente il processo di riparazione, come dimostrato da studi istologici. Inoltre, i polinucleotidi si sono dimostrati capaci di incrementare l’efficienza del tessuto riscano e sostengano una fisiologica progressione della diverse fasi della rigenerazione cutanea, ma «giochino un ruolo importante nel prevenire l’iperproliferazione connettivale che può verificarsi durante la riparazione tissutale» (7). I componenti naturali L’ipertrofia connettivale di tipo cheloideo viene inoltre inibita da un’altra componente di Makeskin, ossia l’estratto di cipolla (allium cepa) al 10%, noto per la sua azione soppressoria sulla proliferazione fibroblastica (8, 9). MARCO KLINGER DAVIDE FORCELLINI GUIDO CORNEGLIANI LUCA MAIONE Università degli Studi di Milano, UO chirurgia plastica 2 Irccs Istituto Clinico Humanitas - Rozzano (Milano) Conflitti di interesse dichiarati per il prodotto Makeskin: la ricerca del Prof. Klinger è stata finanziata da Mastelli srl Fondamentale risulta poi essere l’aspetto estetico finale della cicatrice, il quale è notoriamente compromesso da uno stato prolungato di infiammazione (10), che va ad alterare l’idratazione e l’elasticità del tessuto rigenerato. Proprio per ridurre i livelli di infiammazione, nella crema sono presenti vitamina E all’1%, potente anti-radicalico, e acido ialuronico all’1%, ad azione fortemente idratante e protettiva. Questi due componenti, insieme ai nucleotidi, favoriscono anche l’attenuazione di segni e sintomi eventualmente correlati a uno stato di infiammazione a livello della cicatrice stessa: eritema, bruciore e prurito soprattutto. Ritengo particolarmente interessante sottolineare come tutti i componenti attivi citati siano sostanze naturali, testate, perfettamente tollerate, e che il prodotto è privo di agenti conservanti. Quest’ultimo deve essere applicato due volte al giorno, al mattino e alla sera, sull’area cicatriziale di interesse, con un leggero massaggio e per un periodo di almeno 1-2 mesi. È proprio nelle prime fasi del rimodellamento della cicatrice che possiamo intervenire più efficacemente, con l’aiuto dei nostri pazienti, nel limitare al minimo qualsiasi tipo di inestetismo correlato ad alterazioni del processo di rigenerazione cutanea, rendendo esteticamente sempre migliori le cicatrici che si vengono a creare. Bibliografia 1. Jeon YK et al. Mesenchymal stem cells’ interaction with skin: wound-healing effect on fibroblast cells and skin tissue. Wound Repair Regen. 2010; 18(6):655-61 2. Ashcroft GS et al. The effects of ageing on cutaneous wound healing in mammals. J Anat. 1995; 187 (1):1-26. 3. Caviggioli F, Maione L, Vinci V, Klinger M. The most current algorithms for the treatment and prevention of hypertrophic scars and keloids. Plast Reconstr Surg. 2010; 126(3):1130-1 4. Sini P et al. Effect of polydeoxyribonucleotides on human fibroblasts in primary culture. Cell Biochem Funct. 1999; 17(2):107-114. 5. De Aloe G, et al. Skin graft donor site and use of polydeoxyribonucleotide as a treatment for skin regeneration: a randomized, controlled, double-blind, clinical trial. Wounds 2004; 16(8):258-263. 6. Galeano et al. Polydeoxyribonucleotide stimulates angiogenesis and wound healing in the genetically diabetic mouse. Wound Repair Regen. 2008; 16(2):208-17. 7. Altavilla D et al. Activation of adenosine A2A receptors restores the altered cell-cycle machinery during impaired wound healing in genetically diabetic mice. Surgery. 2011; 149(2):253-61. 8. OMS: Monografie di piante medicinali. Societa Italiana di Fitoterapia. Bulbus Alii Cepae. 2002; vol. 1:5-15. 9. Draelos ZD. The ability of onion extract gel to improve the cosmetic appearance of postsurgical scars. J Cosmet Dermatol 2008; 7(2):101-4. 10. Wang J et al. Toll-like receptors expressed by dermal fibroblasts contribute to hypertrophic scarring. J Cell Physiol 2011; 226(5):1265-73. Valutazione della forza tensile della ferita, studio in vivo su topi diabetici. I polinucleotidi incrementano la forza tensile della ferita. *differenza statisticamente significativa 60 ORTHOviews ANCA S PA L L A Chiodo endomidollare: più sicuro nel grande trocantere Fissazione o artroplastica? Un algoritmo per decidere È abbastanza comune, per gli ortopedici pediatrici, trovarsi ad affrontare fratture della diafisi femorale e di solito l’inchiodamento endomidollare con bloccaggio nei ragazzi e adolescenti viene eseguito con successo. Nonostante sia una tecnica difficile, l’inchiodamento presenta vantaggi biologici, perché rispetta la vascolarizzazione periostale, e meccanici, perché il chiodo viene messo in posizione neutra rispetto all'asse della diafisi femorale. Una complicanza rara ma grave è data dalla necrosi avascolare della testa del femore. Si è ipotizzato che il punto di inserzione del chiodo possa esercitare un’influenza sul rischio di necrosi avascolare e in letteratura sono stati pubblicati diversi articoli in merito. Risultano documentati tre punti di inserzione: l’apice del grande trocantere, la faccia laterale del grande trocantere e la fossa piriforme. Storicamente si registra una tendenza dei chirurghi a orientarsi progressivamente dalla fossa piriforme alla parte apicale del grande trocantere, proprio per minimizzare l’eventualità di necrosi avascolare, ma nessuno aveva ancora verificato se il rischio si riduce realmente. Tre ricercatori canadesi, del Clinical Research Centre di Halifax, hanno avviato una revisione sistematica degli studi scientifici finora portati a termine per tentare di ricavarne indicazioni utili a orientare la scelta del chirurgo. Dei 1.277 articoli individuati in letteratura, solo 19 sono risultati rilevanti per gli obiettivi che si erano prefissati gli autori; in tutti i casi si è trattato di studi retrospettivi e non c’è stata una distribuzione uniforme dei pazienti nei tre gruppi, con l’inserzione nella fossa piriforme nettamente più utilizzata delle altre due (in 239 pazienti su 458). Anche i periodi di follow up sono stati diversi da uno studio all’altro (da sei mesi fino a dieci anni dall’intervento), ma nonostante queste limitazioni gli autori canadesi hanno fornito una sintesi interessante. Si conferma che il passag- gio verso un più frequente ricorso all’inserzione sul grande trocantere è giustificato dalla effettiva diminuzione dei rischi di necrosi avascolare. La percentuale di insorgenza di questa complicazione è stata infatti del 2% quando l’inserzione del chiodo è avvenuta a livello della fossa piriforme, è scesa all’1,4% con il posizionamento a livello dell’apice del grande trocantere, mentre non è stato registrato nessun caso di necrosi avascolare con la scelta di un punto d’inserzione sulla faccia laterale della prominenza ossea. I pazienti trattati con questa tecnica sono stati appena 80, una base statistica non ampia, ma sufficiente per indicarla come l’approccio migliore per ridurre al minimo il rischio. R. T. Macneil JA, Francis A, ElHawary R. A systematic review of rigid, locked, intramedullary nail insertion sites and avascular necrosis of the femoral head in the skeletally immature. J Pediatr Orthop 2011 Jun;31(4):377-80. «Il trattamento delle fratture omerali distali nel gomito adulto continua a essere problematico. L’anatomia ossea dell’omero distale crea difficoltà nella fissazione della frattura, specialmente se aggravata dalla comminuzione e dall’osso osteoporotico». Sono le parole di Thomas L. Mehlhoff e James B. Bennett, del Texas Orthopedic Hospital di Houston e il punto di partenza del loro approfondimento, pubblicato sulle colonne del Journal of shoulder and elbow surgery, dedicato proprio alle fratture più complesse, quelle pluriframmentarie di tipo C secondo il sistema di classificazione Ao-Asif. Partendo da considerazioni epidemiologiche e passando attraverso un esame delle modalità diagnostiche, i due ortopedici analizzano le possibilità di trattamento, indicano i principi base per affrontare nel modo migliore la riduzione a cielo aperto con fissazione interna e suggeriscono in quali circostanze è opportuno considerare la possibilità di un intervento di artroplastica. Gli autori propongono un interessante algoritmo che ha lo scopo di orientare i chirurghi verso il trattamento più opportuno nelle fratture omerali distali. Si tratta in realtà di due alberi decisionali distinti alla radice per età, poiché le scelte da compiere sono diverse tra i giovani adulti e i soggetti di età superiore ai 65 anni. Tra i pazienti più giovani, ribadiscono Mehlhoff e Bennett, occorre fare tutti i tentativi possibili per operare una riduzione-fissazione. L’artroplastica totale di gomito non è un’opzione per questi soggetti. Ci si aspetta una buona qualità dell’osso, al di là della presenza di una dislocazione e della quantità e grandezza dei frammenti principali. Nei casi di non unione dopo la fissazione, l’algoritmo prevede un intervento di revisione, innesto osseo e release capsulare. In caso di artrosi post traumatica, l’artroplastica per interposizione fasciale può essere l’unica opzione. Le fratture distali omerali nei pazienti più anziani presentano sfide più impegnative. Devono essere considerati il grado di comminuzione, l’osso osteoporotico, la scarsa qualità dei tessuti molli, l’intolleranza a un’immobilizzazione articolare e le esigenze funzionali del paziente, per esempio nel sollevare oggetti pesanti con il braccio. L’esame di questi fattori porta a far rientrare il paziente anziano in uno dei tre gruppi, 42 studi riferiti a mancate consolidazioni della tibia. Le medie delle guarigioni sono risultate del tutto simili: 82% per la chirurgia e 81% per la stimolazione biofisica con campi elettromagnetici pulsati. Analizzando le casistiche più dettagliatamente, si è visto che in presenza di infezione diminuiscono le percentuali di consolidazione dell’approccio chirurgico, mentre il successo della stimolazione biofisica rimane inalterato. Impossibile citare il gran numero di lavori pubblicati sull’utilizzo della stimolazione biofisica per il trattamento dei ritardi di consolidazione delle fratture o nelle mancate consolidazioni, ma è interessante segnalare l’esistenza di una qualificata produzione scientifica di specia- listi italiani. Il primo studio italiano è stato condotto da Fontanesi che, nel lontano 1983, ha dimostrato come in 40 pazienti con frattura diafisaria di gamba, il tempo medio di guarigione si fosse ridotto a 85 giorni nei pazienti trattati con stimolazione biofisica induttiva rispetto ai 109 giorni riscontrati nel gruppo di controllo. Marcer nel 1984, Rinaldi nel 1985, Traina nel 1986, Marchetti nel 1988, fino a Impagliazzo e Meani nel 2006 e agli studi più recenti, pur considerando diverse casistiche e utilizzando dispositivi medici diversi, hanno evidenziato regolarmente percentuali di guarigioni molto elevate, dal 73 al 90%. È importante sottolineare però che la decisione di che gli autori riassumono in: “si può”, “non si può” e “non si dovrebbe” procedere alla fissazione. Insomma, si vuole sottolineare che, nonostante l’iniziale suddivisione per età, in diversi casi il chirurgo si trova di fronte a osso di buona qualità anche nel paziente anziano e, in questi casi, la riduzione a cielo aperto con fissazione interna può essere coronata da buon successo. Quando invece i frammenti sono troppi o quando l’osso non costituisce un supporto adeguato, anche il chirurgo più esperto deve accantonare l’ipotesi di una fissazione e procedere all’artroplastica totale di gomito. Nonostante le difficoltà connesse a questo intervento e le restrizioni imposte al paziente, a volte può trattarsi dell’unica soluzione percorribile e tale comunque da garantire risultati soddisfacenti, come è testimoniato da molti studi in merito. Può anche essere presa in considerazione l’emiartroplastica, che però non ha ancora riscontri significativi in letteratura. Giampiero Pilat Mehlhoff TL, Bennett JB. Distal humeral fractures: fixation versus arthroplasty. J Shoulder Elbow Surg 2011; 20, S97-S106. B I O F I S I C A I N O RTO P E D I A Una terapia efficace su diverse tipologie di fratture Chiuse o aperte, semplici o multiple, composte o scomposte, di origine traumatica o secondarie ad altre patologie: le fratture non sono tutte uguali. A seconda della tipologia e del distretto anatomico, la moderna ortopedia ha sviluppato decine di trattamenti diversi, sia chirurgici che conservativi. La biofisica ortopedica traumatologica è una metodica che ha dato ottimi risultati sia nel trattamento di fratture recenti, sia nella cura di ritardi di consolidazione, che di pseudoartrosi. La stimolazione biofisica è in grado di accelerare il processo di consolidazione ossea nelle fratture recenti: diversi studi clinici, alcuni condotti con i rigorosi criteri della randomizzazione con gruppo di con- trollo o in doppio cieco, hanno evidenziato una riduzione media del periodo di consolidazione dal 25 al 30 per cento. In particolare, i risultati migliori si ottengono nel trattamento di fratture a rischio di guarigione, che potrebbero quindi sfociare in un ritardo di consolidazione o addirittura in pseudoartrosi. Fratture di gamba a cui sono stati applicati gesso o fissatori esterni, fratture particolarmente complesse, esposte, o con danni ai tessuti molli, grazie alla stimolazione biofisica sono guarite meglio e con maggiore rapidità. Una statistica effettuata negli Stati Uniti stima che una frattura su dieci sia a rischio di consolidazione o di evolvere verso una pseudoartrosi: in questi casi il bilancio tra costi e benefici è ovviamente favorevole all’uso della stimolazione biofisica dell’osteogenesi. Quando si ha a che fare con una frattura che presenta un ritardo di consolidazione o con pseudoartrosi, il ricorso alla biofisica ortopedica è particolarmente utile. È in quest’ambito che si sono sperimentate le prime applicazioni dei campi elettromagnetici pulsati e in cui si dispone del maggior numero di contributi scientifici, a partire dagli studi di Bassett dei primi anni Ottanta, che già riportano percentuali di successo tra il 75 e l’80%. Gossling, qualche anno dopo, ha messo a confronto il trattamento chirurgico con quello biofisico, analizzando in particolare ricorrere a un trattamento biofisico deve basarsi su un’attenta analisi dei fattori locali, come la sede della frattura, la morfologia, la verifica che il paziente presenti o meno malattie metaboliche o sistemiche. Inoltre è fondamentale accertare l’assenza di fattori meccanici che possono ostacolare la riparazione del tessuto osseo, come ad esempio nelle fratture scomposte, che devono prima essere riallineate e ridotte. Resta quindi al medico il compito di scegliere, affidandosi all’esperienza e a un’attenta anamnesi, quali pazienti trattare e, sulla base dei dati disponibili in letteratura, quali apparecchiature consigliare al proprio paziente. Renato Torlaschi 62 ORTHOviews R I A B I L I TA Z I O N E G O M I TO E AVA M B R ACC I O Riparazione del tendine bicipitale Osteoartrosi, dolore controllato senza farmaci? «Il trattamento non farmacologico dell’osteoartrosi è fondamentale per ridurne in modo efficace i sintomi e per far fronte alle limitazioni funzionali». Dato questo presupposto, tre ricercatori dell’Università di Toronto hanno cercato di scoprire le novità nel settore effettuando una rassegna della letteratura recente: un anno di studi, pubblicati tra il settembre del 2009 e lo stesso mese del 2010, nell’ambito di un’iniziativa promossa dalla rivista Osteoarthritis and Cartilage per tracciare le linee di tendenza della ricerca su questa patologia. Sarebbe più corretto parlare di trattamenti, al plurale, poiché gli approcci sono molti e diversificati: se alcuni si affidano alla tecnologia per generare ultrasuoni o elettrostimolazioni, altri ricorrono alle tecniche millenarie dell’agopuntura o del Tai Chi. Una valutazione scientificamente attendibile dell’efficacia di queste soluzioni non è semplice, a causa delle difficoltà di individuare sistemi appropriati di verifica unita a quella di costituire dei gruppi per valutazioni in doppio cieco. Infatti i tre canadesi hanno individuato solo pochi studi di buona qualità; ricordiamo però che hanno analizzato solo le ricerche pubblicate in 12 mesi. «Nel complesso - riferiscono gli autori i risultati mostrano benefici modesti rispetto ai gruppi placebo e tuttavia un impatto notevole rispetto all’assenza di trattamenti». Per capire meglio, entriamo nel dettaglio delle diverse tecniche terapeutiche analizzate. L’agopuntura tradizionale cinese è un esempio delle difficoltà di creare un doppio cieco adeguato, affrontata in genere con l’applicazione degli aghi in punti diversi da quelli raccomandati dalla tecnica corretta. L’antica medicina cinese comporta l’inserimento di aghi a una profondità variabile dai 5 ai 40 millimetri in posizioni individuate in modo preciso lungo i cosiddetti meridiani dove, secondo la tradizione, fluirebbe un’energia vitale. Esiste però la cosiddetta agopuntura sham, in cui gli aghi sono applicati più superficialmente e non nei punti prescritti. Si è visto che i risultati sono positivi, ma pressoché simili nelle due tecniche. Gli autori della revisione ne deducono che «l’effetto analgesico dell’agopuntura potrebbe essere parzialmente mediato dal comportamento dell’agopuntore», in linea con altri studi che in precedenza avevano mostrato come certi cambiamenti neurofisiologici possano essere attivati o rafforzati dalle aspettative del paziente. La stimolazione Tens (transcutaneous electrical nerve stimulation) è ampiamente utilizzata per controllare condizioni di dolore acuto e cronico e anche nell’osteoartrosi. Gli studi pubblicati nell’ultimo anno sono stati relativamente piccoli e di scarsa qualità scientifica: i risultati vanno dunque presi con cautela, tuttavia ne emergono indicazioni di benefici piuttosto modesti. Un interessante studio randomizzato controllato in doppio cieco riporta invece miglioramenti notevoli ottenuti grazie agli esercizi di Tai Chi. Anche in questo caso si tratta di una tradizione cinese e precisamente di un’arte marziale la cui pratica rafforza l’equilibrio, la forza e la flessibilità e aveva già mostrato di ridurre il dolore, gli stati ansiosi o depressivi in gruppi di pazienti affetti da diverse patologie croniche. 12 settimane di Tai Chi sono risultate utili anche nei casi di osteoartrosi associata a sintomatologia dolorosa, sia per la componente fisica degli esercizi che per gli effetti che si producono a livello psicologico. Renato Torlaschi Hawker GA, Mian S, Bednis K, Stanaitis I. Osteoarthritis year 2010 in review: nonpharmacologic therapy. Osteoarthritis Cartilage 2011 Apr;19(4):366-74. Le rotture del tendine distale del bicipite brachiale si osservano soprattutto in uomini di mezza età in seguito ad attività fisiche che comportano un caricamento dell’avambraccio flesso e supinato. Il trattamento conservativo non è indicato, in quanto comporta una notevole perdita di forza nei movimenti di flessione e di supinazione del gomito. La chirurgia permette invece di ottenere ottimi risultati e, anche se si tratta di eventi relativamente rari, sono state proposte diverse tecniche e si è sviluppata una piccola controversia in merito al migliore trattamento; in particolare esistono due tipologie di approccio, a singola e doppia incisione. Jay D. Keener, uno specialista che lavora presso il dipartimento di chirurgia ortopedica della Washington University a Saint Louis, si è incaricato di fare una revisione critica dei metodi di ricostruzione e ha pubblicato i risultati del suo approfondimento sul Journal of shoulder and elbow surgery. Per la verità, saltando subito alle conclusioni, possiamo notare che non c’è una tecnica che si impone all’altra e Keener afferma che «la riparazione chirurgica del tendine del bicipite può essere eseguita con successo e in sicurezza sia con l’incisione singola che con la doppia». L’approccio più seguito - e quello preferito dall’autore comporta una tecnica a dop- pia incisione modificata, ma le metodiche a incisione singola anteriore mostrano un’efficacia analoga, purché venga opportunamente protetto il nervo radiale. Inoltre esiste una gran varietà di opzioni di fissazione proposte negli ultimi anni e in genere forniscono ottimi risultati, lasciando in ultima analisi la scelta alle preferenze e all’esperienza del chirurgo. Nell’esame delle due principali alternative, l’autore si sofferma, oltre che sulle tecniche e sui risultati, anche sulle complicazioni che possono associarsi a questa chirurgia e che possono verificarsi dopo l’intervento. «Si tratta di un fattore chiave sostiene Keener - poiché risultati clinici affidabili e con un basso numero di rirotture possono ottenersi sia con le riparazioni a incisione singola che doppia, ed è proprio il rischio di complicanze che storicamente ha influenzato i trend prevalenti negli approcci ricostruttivi». Le complicanze riportate in letteratura sono di diverso tipo: formazione di osso eterotopico, sinostosi radioulnare prossimale, paralisi ai nervi (generalmente transitorie), perdita di range of motion a livello di gomito e avambraccio, rirottura del tendine, persistente debolezza e complicazioni legate alla ferita. Di queste, le due evenienze più comuni sono la formazione di osso eterotopico (con o senza sinostosi) e le lesioni ai nervi. La prima è piuttosto comune in entrambi gli approcci, ma sembra evidenziare un rischio maggiore nella tecnica a due incisioni con fissazione e sutura transossea secondo Boyd e Anderson. Per contro, il rischio di lesioni nervose, che fortunatamente hanno un carattere generalmente transitorio, appare superiore nelle tecniche a incisione singola: ma anche in questo caso, la differenza tra le due tecniche si riduce e tende ad annullarsi negli studi più recenti. G. P. Keener JD. Controversies in the surgical treatment of distal biceps tendon ruptures: single versus double-incision repairs. J Shoulder Elbow Surg 2011 Mar;20(2 Suppl):S113-25. O RT O P E D I A P E D I AT R I C A Impatto delle fratture sulla frequenza scolastica Per molte famiglie può essere un problema serio: quando un bambino in età scolare subisce una frattura, la frequenza scolastica comporta difficoltà che possono durare per giorni o mesi, per tutta la durata del trattamento riabilitativo. Per approfondire questo argomento, lasciato normalmente in carico ai familiari dei piccoli pazienti, un gruppo di ortopedici pediatrici degli Stati Uniti hanno condotto un sondaggio presso i colleghi. Obiettivo dichiarato: «determinare i tassi di prevalenza attraverso la nazione dei bambini che trovano difficoltà nel frequentare la scuola dopo un trauma che ha comportato una frattura agli arti inferiori». I risultati dello studio sono stati comunicati sulle pagine del Journal of Pediatric Orthopaedics. Nella maggioranza dei casi, i chirurghi che hanno aderito al sondaggio non hanno riportato eccessive difficoltà di frequenza scolastica nei bambini con arti ingessati. Sono meno della metà i casi in cui le assenze si protraggo- no oltre le quattro settimane, potendo così costituire un impedimento a portare a termine regolarmente l’anno scolastico. Tuttavia gli autori hanno rilevato le numerose eccezioni di ortopedici che, su base regolare, hanno notato situazioni critiche in molti dei propri pazienti. Un’analisi più approfondita ha portato a delineare alcune caratteristiche che accomunano le casistiche più problematiche: la più evidente è stata la correlazione tra la frequenza scolastica e la dimensione, in termini di popolazione, della comunità in cui i bambini vivono. Può destare una certa sorpresa che gli ostacoli maggiori si presentino nelle città, mentre i pazienti con ingessature che abitano in zone rurali o suburbane hanno maggiori probabilità di riuscire a frequentare regolarmente le lezioni. In particolare, lo studio evidenzia i problemi affrontati dai bambini di New York, che nel 70% dei casi devono rimanere lontani dalle lezioni per più di un mese in seguito a fratture che comportano ingessature agli arti inferiori, tutori e l’utilizzo di stampelle. Gli ortopedici interpellati riferiscono che il dato dipende soprattutto dai direttori degli istituti scolastici: nelle città, adducono più spesso ragioni di sicurezza o l’impossibilità di offrire un’assistenza personalizzata per far fronte ai bisogni dei bambini, e di conseguenza ne sconsigliano o proibiscono l’accesso alle aule scolastiche. R. T. Hyman JE, Gaffney JT, Epps HR, Matsumoto H. Impact of fractures on school attendance. J Pediatr Orthop. 2011 Mar;31(2):113-6. ORTHOviews RICERCA LE ONDE D’URTO IN ORTOPEDIA Prevenire l’osteoporosi prima del parto Nel tentativo di comprendere meglio l’osteoporosi, i ricercatori esplorano da tempo numerosi fattori che si ritiene possano esporre a un maggior rischio di contrarre la malattia. Dopo aver raggiunto un valore di picco nel periodo di crescita, si assiste negli adulti a una continua perdita ossea, la cui progressione è stata associata in vario modo all’esercizio fisico e al regime alimentare. Fattori ambientali e predisposizione genetica non sembrano sufficienti a spiegare la variabilità di massa minerale ossea che si osserva nella popolazione e da qualche tempo si ipotizza che questa caratteristica delle persone adulte e anziane dipenda da una condizione che risale molto a ritroso nel tempo e precisamente al peso al momento della nascita. Per verificare l’esistenza di una correlazione statistica statisticamente significativa, Janis Baird e alcuni colleghi della University of Southampton hanno deciso di esaminare la presenza e la forza degli studi scientifici condotti su questo tema. I risultati sono stati positivi e hanno anche permesso di compiere interessanti distinzioni sulla base di diverse variabili: ciascuno dei 14 studi selezionati ha infatti preso in esame condizioni specifiche che aiutano, nel loro complesso, a tracciare un quadro generale. Il responso complessivo fornito dalla revisione consiste nella conferma dell’associazione tra il peso alla nascita e il contenuto minerale dell’osso da adulti, nei siti della spina lombare e dell’anca. L’assunto si è dimostrato valido in soggetti di età variabile, dai 18 agli 80 anni, in uomini e donne. L’associazione è particolarmente forte in queste ultime, se si considera il contenuto minerale osseo (Bmc) nel tratto lombare del rachide. In generale, la meta analisi ha dimostrato che a 1 chilo d’aumento del peso alla nascita si associano mediamente 1,49 grammi in più di Bmc alla spina lombare e 1,41 grammi all’anca. Le evidenze sono minori nel caso di ricerche che hanno cercato la correlazione tra peso alla nascita e Bmc in altri siti anatomici, come il collo del femore, il radio e l’ulna. In modo analogo, pochi studi hanno valutato la relazione tra il contenuto minerale osseo negli adulti e il peso a un anno di età: soltanto tre, che però segnalano, anche in questo caso, un’associazione positiva soprattutto a 65 livello delle vertebre lombari. Come si possono spiegare i risultati ottenuti? «La consistenza dell’associazione - sostengono gli autori della revisione - è stata osservata in un’ampia gamma di situazioni e fornisce l’evidenza di una programmazione intrauterina dello sviluppo scheletrico attraverso l’infanzia fino all’età adulta». Ne derivano indicazioni a favore di una prevenzione dell’osteoporosi talmente precoce da precedere il momento della nascita. Secondo Janis Baird, si dovrebbero mettere a punto «strategie per ottimizzare la nutrizione delle madri nel periodo di gravidanza e per favorire la crescita intra-uterina, che potrebbero far parte di programmi di salute pubblica orientati a ridurre il futuro carico individuale, sociale ed economico delle fratture osteoporotiche». Renato Torlaschi Baird J, Kurshid MA, Kim M, Harvey N, Dennison E, Cooper C. Does birthweight predict bone mass in adulthood? A systematic review and meta-analysis. Osteoporos Int 2011 May;22(5):1323-34. Presentate per la prima volta nel campo della fisica, le onde d'urto possono essere definite come onde acustiche ad alta energia. Le applicazione si sono dimostrate molteplici e hanno trovato spazio anche nel campo della medicina contemporanea per la loro capacità di generare una forza meccanica che può essere utilizzata per diversi trattamenti. L’espansione dell’onda all’interno del nostro corpo è strettamente vincolata dalle caratteristiche del mezzo attraverso il quale passa: cute, sottocure, grasso, muscoli, ossa. Anche se con diversa efficacia, le onde d’urto, stimolano in tutti i distretti i processi naturali di riparazione, facilitano il microcircolo aumentando la possibilità di far fluire i mediatori dell’infiammazione e, qualora il paziente sia in terapia sistemica antalgica, possono migliorare la diffusione del farmaco. Non tutte le onde d’urto sono uguali: diverso il macchinario che le produce, diverse le modalità tecniche con le quali sono generate e diverso l’effetto che posso ottenere. Esistono ovviamente parametri internazionali che protocollano l’uso delle onde d’urto a seconda della patologia e dell’effetto che si vuole ottenere. In ortopedia quasi sempre si cerca di risolvere lo stato infiammatorio e quindi di ottenere un'azione antalgica. Le linee guida internazionali non sono solo una sicurezza per il paziente a anche un valido supporto per il medico specialista, che può affidarsi con tranquillità a protocolli di trattamento ampiamente testati e studiati. Esistono ad esempio delle controindicazioni assolute che il medico deve conoscere per poter sconsigliare il trattamento: si tratta di infezione acuta dei tessuti molli, epifisiolisi del punto focale e stato di gravidanza. Le principali indicazioni delle onde d'urto in ambito ortopedico si rifescono a tre principali distretti: osso, tessuti molli e tendini. Nel primo caso la terapia si applica principalmente nei ritardi di consolidazione, per stati di algoneurodistrofia o in fratture da stress. Condrocalcinosi dell’anca e del gomito possono trovare beneficio, come le miositi ossificanti e le fibromatosi muscolari. Sicuramente però l’elezione si riscontra in tutti quegli stadi di infiammazione tendinea e para tendinea come epicondilite, trocanterite, tendinite del rotule e fascite plantare. Il suggerimento resta sempre quello di inquadrare correttamente il paziente, tenendo presente che esistono opportunità non chirurgiche che possono portare alla guarigione della sintomatologia. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia G O M I TO E AVA M B R ACC I O Rigidità post traumatica e approccio artroscopico La rigidità di gomito è una delle complicazioni che si associa a traumi anche relativamente poco importanti e che può interferire pesantemente nello svolgimento delle più comuni attività quotidiane. Risultato di cause intrinseche (intra-articolari), estrinseche (extraarticolari) o miste, queste contratture vengono affrontate inizialmente in modo conservativo, ma spesso non è sufficiente e, dopo qualche mese, il paziente decide di affrontare un intervento chirurgico. La valutazione di diverse variabili, tra cui l’eziologia della rigidità e l’entità del danno funzionale, è la premessa per una scelta ottimale del tipo di approccio chirurgico. Per anni gli interventi standard erano di chirurgia a cielo aperto, ma oggi l’artroscopia sta conquistando spazi sempre maggiori. La decisione, da parte di un paziente, di sottoporsi a un intervento chirurgico dipende anche dalle sue esigenze funzionali. Secondo gli esperti, i bisogni minimi in termini di range of motion (Rom) per poter svolgere normalmente le attività della vita quotidiana sono di 100 gradi in flessione/estensione e sempre di 100 gradi in pronazione/supinazione. Ma in alcune categorie (come ad esempio gli atleti professionisti) anche un leggero deficit in estensione può essere considerato insufficiente. Partendo da queste premesse, due ortopedici olandesi, Irma Cefo e Denise Eygendaal, hanno condotto uno studio allo scopo di valutare i risultati clinici e in particolare il miglioramento di Rom dopo il trattamento con artrolisi artroscopica su contratture di gomito post traumatiche. Ne sono emerse indicazioni del tutto positive, anche se entro i limiti statistici determinati dall’esiguità del campione esaminato. Le autrici hanno infatti incluso nello studio appena 27 soggetti, dell’età media di 42 anni, che in conseguenza a trauma avevano perso almeno 20 gradi nel movimento di flessione. Dopo l’intervento artroscopico di release dei tessuti molli i pazienti hanno ricevuto terapie fisiche per sei mesi e sono stati valutati a tre mesi, uno e due anni. Oltre alla funzionalità (elbow function assessment - Efa) e al Rom, è stato misurato il dolore, secondo la scala Vas (visual analog scale) preoperativamente e un anno dopo la chirurgia. Tre mesi dopo l’artroscopia questi valori sono tutti invariabilmente migliorati in modo netto, per poi far registrare ulteriori piccoli progressi nei controlli successivi, fino a una stabilizzazione; in particolare, il Rom è passato da una media di 99 gradi prima dell’artroscopia ai 125 gradi del primo controllo fino ai 128 gradi a uno e due anni di distanza dall’intervento. Le complicanze sono state minime: solo un caso di infezione superficiale post operatoria, trattata con successo con antibiotici orali. Non si sono invece registrate complicazioni vascolari o neurologiche. Le conclusioni rappresentano dunque una promozione completa dell’artroscopia: «il release capsulare artroscopico - affermano le autrici dello studio è un trattamento efficace e sicuro per la rigidità post traumatica di gomito e comporta un miglioramento nella flessione, nell’estensione e nella funzionalità dell’articolazione». Giampiero Pilat Cefo I, Eygendaal D. Arthroscopic arthrolysis for posttraumatic elbow stiffness. J Shoulder Elbow Surg (2011) 20, 434-439. 66 ORTHOviews O RT O P E D I A P E D I AT R I C A LA FASCITE PLANTARE Chirurgia ortopedica e sicurezza stradale «Tutti i bambini, compresi a maggior ragione quelli che hanno specifiche necessità dovute a problemi di salute, dovrebbero avere accesso a equipaggiamenti adatti che consentano un trasporto automobilistico sicuro». È una delle raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics (Aap), emessa in considerazione del fatto che gli incidenti stradali costituiscono la principale causa di morte tra i bambini negli Sati Uniti. Numerosi provvedimenti di legge sono stati predisposti allo scopo di minimizzare le conseguenze degli incidenti per adulti e bambini: questi ultimi, nelle auto americane, devono essere posizionati diversamente a seconda dell’età, per ridurre il più possibile i problemi di sicurezza. I neonati devono essere posti su seggiolini rivolti in senso opposto al senso di marcia, dai due anni in poi su seggio- lini girati in avanti e infine sui booster seats, che assicurano una posizione corretta con le cinture dell’auto sulle spalle. In Italia le norme sono piuttosto simili e il trasporto dei bambini sui veicoli è regolato dall'articolo 172 del codice della strada, dalla normativa europea e con una circolare attuativa del ministero dell'Interno. Tuttavia per i bambini che per problemi di salute hanno difficoltà di movimento, può essere difficile utilizzare equipaggiamenti standard. Ad esempio dopo un intervento chirurgico per displasia evolutiva dell’anca o displasia spastica dell’anca, ai bambini viene applicato un apposito tutore che garantisce l’immobilità: in questi casi è praticamente impossibile seguire le regole generali per il trasporto in auto. Un recente studio indica la necessità di sviluppare stra- tegie per migliorare la possibilità di trasporto dei piccoli immobilizzati con i tutori e per permettere l’aderenza ai protocolli prescritti per un trasporto sicuro. Ne è autore Martin J. Herman, con alcuni colleghi del dipartimento di chirurgia ortopedica presso il St Christopher’s Hospital for Children di Philadelphia. I medici hanno preso in esame 35 bambini da uno fino a 13 anni (età media: cinque anni) che indossavano questo tipo di tutori. Dopo un’attenta valutazione, nessuno dei bambini è stato ritenuto adatto a essere trasportato in sicurezza su seggiolini standard: a 12 di loro è stato consigliato di servirsi di ambulanze e agli altri 23 di ricorrere a seggiolini realizzati su misura. I ricercatori hanno anche verificato che solo in pochi casi i genitori hanno seguito le indicazioni fornite dagli specialisti men- POLSO E MANO Un trasferimento tendineo molto complesso La paralisi dell’estensione del polso è tipica della lesione ostetrica del plesso brachiale, nelle lesioni totali C5-T1 e quando i livelli danneggiati sono C5-C6-C7. In quest’ultimo caso si assiste più spesso a un recupero spontaneo, mentre nelle lesioni complete l’estensione di polso e dita non recupera in circa un soggetto su quattro - oltre al fatto che per la maggior parte rimangono sostanziali deficit alla spalla e al gomito e deficit di movimento all’avambraccio. In caso di mancato recupero spontaneo, un preciso e dettagliato esame del paziente e una corretta valutazione permettono al chirurgo di scegliere tra le molte opzioni di intervento. In letteratura sono pochi gli studi che hanno documentato i risultati di un trasferimento tendineo effettuato in bambini con lesione ostetrica del plesso brachiale allo scopo di ripristinare l’estensione del polso. È un intervento reso delicato per la presenza di muscoli denervati e la giovane età dei pazienti e proprio una sua valutazione clinica e funzionale è l’obiettivo che si è posto David E. Ruchelsman dell’ Harvard Medical School con un grup- po di colleghi. Questi bambini devono essere valutati attentamente da un team multidisciplinare prima di essere sottoposti a intervento chirurgico. I tendini donatori non sono facili da trovare e devono svolgere diverse funzioni. L’innervazione sensitiva della mano è una delle più complesse del corpo ed è fondamentale per l’esecuzione di tutti i movimenti, i gesti e le prese. Per poter disporre di un muscolo-tendine trapiantato valido è necessario che si presenti al trapianto in condizioni ottimali ed è quindi importante massimizzare la forza del muscolo donatore. Anche la fase post-operatoria è delicata, a partire da una adeguata protezione della sutura tendinea per non vanificare i risultati dell’intervento, e l’utilizzo normale della mano si raggiunge solo dopo diverse settimane. «I bambini con deficit di estensione del polso rappresentano una tipologia di pazienti con caratteristiche uniche – fa notare Ruchelsman – e i dati di trasferimenti tendinei rilevati su altre serie di pazienti non possono essere estesi a questi soggetti». Gli autori dello studio hanno così esaminato tre gli altri hanno continuato a utilizzare i metodi di trasporto più facili, anche senza le opportune garanzie di sicurezza. Gli autori dello studio riconoscono che può trattarsi di una situazione difficile da affrontare per le famiglie in cui sono presenti bambini con tutori all’anca. Secondo Herman, la soluzione passa attraverso programmi di aiuto economico, sia perché i genitori possano acquistare seggiolini personalizzati sia perché abbiano garantito l’accesso a mezzi di trasporto speciali, come le ambulanze, nei casi più critici. Renato Torlaschi Herman MJ, Abzug JM, Krynetskiy EE, Guzzardo LV. Motor vehicle transportation in hip spica casts: are our patients safely restrained? J Pediatr Orthop 2011 Jun;31(4):465-8. 21 bambini (11 maschi e 10 femmine) sottoposti a trasferimento tendineo per ripristinare una corretta estensione del polso. Otto di questi pazienti presentavano lesioni ai tre nervi cervicali C5, C6 e C7 mentre gli altri 13 avevano paralisi globale C5-T1. Al momento dell’intervento chirurgico, i bambini avevano un’età compresa fra i tre e gli otto anni, con una media di cinque anni e mezzo e sono stati poi seguiti per un periodo medio di follow-up di 36 mesi; durante i controlli, la misura dell’estensione del polso è stata effettuata in base alla scala funzionale di Duclos e Gilbert. Al momento dell’ultima valutazione, il 66% dei bambini ha mostrato una capacità di estensione del polso di almeno 30 gradi; questa percentuale è però la media tra il 100% ottenuto quando le lesioni erano limitate ai livelli C5-C6-C7 e il 46% nei casi di lesione totale C5-T1: tra questi si sono avuti anche molti fallimenti (quattro su 13). Gli autori si sono soffermati anche sulla scelta ottimale del tendine donatore, facendo però notare che non ci sono indicazioni univoche da parte degli esperti. Giampiero Pilat Ruchelsman DE, Ramos LE, Price AE, Grossman LA, Valencia H, Grossman JA. Outcome after tendon transfers to restore wrist extension in children with brachial plexus birth injuries. J Pediatr Orthop 2011 Jun;31(4):455-7. Come suggerisce il nome, la patologia colpisce elusivamente i fasci fibrosi della pianta del piede. Possiamo definirla come un'entesite della fascia plantare del piede, ovvero un'infiammazione della giunzione fascia-osso a livello della base del piede. Quella monolaterale spesso è la conseguenza di malformazioni congenite del piede o di errato appoggio durante la deambulazione, riscontrabile più tipicamente a livello sportivo nei podisti. I sintomi, che non sempre sono così netti e definiti, possono comparire come un dolore intenso a livello del tallone, o più precisamente all’inizio della volta plantare. Molto spesso dopo pochi giorni la sintomatologia si irradia a tutto il piede, con conseguente infiammazione di tutto il fascio plantare del piede. Rari sono i casi nei quali la sintomatologia risale la gamba e si diffonde nel territorio del tendine d’Achille. Non solo la tipologia del dolore può essere differente ma anche la durata non è sempre costante: in alcuni casi raggiunto l’apice della sintomatologia per diversi giorni il paziente può riferire di star bene, sentendo il piede come indolenzito; in altri casi il dolore è costante con picchi alla mattina durante i primi passi o la notte prima di coricarsi. Può essere così intenso da impedire la normale deambulazione. Molto spesso sottovalutata, sia dal paziente che dal medico, è una problematica che se non curata e affrontata tempestivamente può cronicizzare, rendendo pessima la qualità della vita. La patologia, infatti, non regredisce spontaneamente, lo stato di infiammazione con il continuo deambulare e sostenere il peso del corpo aumenta gradatamente fino a divenite una patologia cronica, molto più difficile da curare e risolvere. Come accennato le cause possono essere varie: un'iper pressione a livello del tallone, una malformazione congenita che sovverte la corretta distribuzione del carico sulla pianta del piede andando ad aggravare l’appoggio sul retro piede. Un eccessivo sollecitamento durante l’attività sportiva. Malformazioni ossee legate non tanto alla distribuzione del carico quanto all’anatomia dell’osso del calcagno. Strappi o rotture del tendine d’Achille con "caduta" del calcagno e quindi iper appoggio: avere il piede piatto o cavo. In alcuni casi si associa alla spina calcaneare, spesso con diagnosi non corretta. La corretta deambulazione, una valutazione baropodoscpopica del cammino può fornire informazioni fondamentali sull’atteggiamento del piede e quindi prevenire o correggere stati patologici. In ottica preventiva si rivela importante anche il controllo del peso corporeo e l'utilizzo di calzature adeguate, soprattutto durante l’attività sportiva. I possibili approcci terapeutici I trattamenti sono dati principalmente dal riposo meccanico: mettere in scarico l’articolazione, non affaticarla, evitare l’appoggio riduce drasticamente il livello di infiammazione. Il riposo può essere anche di diverse settimane. Se il paziente si presenta con una sintomatologia importante può essere utile iniziare con un ciclo di infiltrazioni locali con cortisonici. Si possono poi proporre cicli di onde d’urto focalizzate, che trovano un riscontro e un beneficio già dalla seconda applicazione. Sicuramente va consigliato lo studio sia statico che dinamico del piede ed eventualmente è utile proporre plantari fatti su misura. Vi è poi la valutazione radiografica o con tecniche di imaging più approfondite della conformazione ossea del piede, per stabilire se vi sia l’indicazione a un approccio chirurgico. In sostanza come ogni problematica così sfumata deve essere correttamente inquadrata anche e soprattutto nell’ottica del tipo di paziente che si ha davanti. Le esigenze di un podista professionista sono differenti da chi non pratica sport e questo è molto importante nella scelta della terapia. In alcuni casi selezionati si può pensare a una cura che incida maggiormente sul dolore, ma che a lungo termine non presenti la completa scomparsa della sintomatologia. È però importante spiegare al paziente che per svolgere la propria attività in modo corretto dovrà sottoporsi a un iter terapeutico che a volte può protrarsi per alcune settimane. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia ORTHOviews 69 S PA L L A A L I M E N TA Z I O N E Frattura di clavicola Quale trattamento in età pediatrica? Epidemiologia dell'ipovitaminosi D Non si può fare molto per prevenirle, perché sono quasi sempre conseguenza di traumi sportivi, cadute o incidenti; in compenso le fratture alla clavicola guariscono spesso da sole a patto di immobilizzare efficacemente l’osso, anche per ridurre il dolore e il rischio di eventuali complicanze. Recentemente l’opzione chirurgica è tornata in auge in seguito a studi scientifici che hanno segnalato diversi casi di non-unione, dolore, deficit funzionali della spalla e in generale una scarsa soddisfazione dei pazienti sottoposti al trattamento conservativo, che rimane comunque la prassi più seguita. In particolare, una metaanalisi effettuata da Zlowodzki nel 2005 sulla base di una revisione sistematica della letteratura internazionale ha riportato una riduzione dell’86% del rischio di non-unione ottenuto grazie all’intervento chirurgico su fratture del corpo mediale della clavicola rispetto al bendaggio immobilizzante. Data la situazione, alcuni ortopedici di diversi centri ospedalieri di Denver, in Colorado, hanno deciso di effettuare un sondaggio tra tutti i membri della Pediatric Society of North America per conoscere gli orientamenti degli esperti. Come si può intuire dalla scelta dei destinatari, l’indagine si è svolta con riferimento a fratture occorse in bambini e adolescenti e restringendo il campo a quelle localizzate nel corpo mediale, che sono comunque le più frequenti. Le risposte fornite mostrano una notevole disparità nelle preferenze di trattamento a seconda che si considerino adolescenti già più vicini all’età adulta oppure soggetti più giova- ni e bambini. Gli ortopedici pediatrici americani si sono quasi unanimemente espressi a favore del trattamento conservativo per i ragazzi fino ai 15 anni. Negli adolescenti con età superiore, le opinioni sono meno omogenee, anche se solo una minoranza degli esperti ritiene opportuno ricorrere alla chirurgia. Agli ortopedici pediatrici consultati è stato anche chiesto se la loro scelta di intervenire chirurgicamente su un paziente oppure decidere per un trattamento conservativo dipenda dalle indicazioni della letteratura scientifica riguardo alle fratture negli adulti o da altri fattori. È emerso che i risultati degli studi recenti documentati in letteratura e l’età del paziente sono elementi ritenuti validi per operare una buona scelta. Gli autori della revisione trovano molto interessante la considerazione simultanea di questi due fattori, «perché in letteratura non sono stati fatti tentativi si determinare l’età a partire dalla quale il trattamento chirurgico dovrebbe essere preso in considerazione; anzi, tutti gli studi pubbli- cati hanno considerato adulti e adolescenti come un’unica popolazione». Il fatto che la clavicola rotta sia in corrispondenza dell’arto dominante ha un’influenza sulla scelta del 23% degli ortopedici, mentre circa la metà di loro tende a valutare più favorevolmente la chirurgia se il paziente è uno sportivo. Il sesso del paziente non esercita invece nessuna influenza sulla scelta operata dal medico e anche il fatto che l’ortopedico sia un uomo o una donna non determina orientamenti differenti verso l’opzione chirurgica o quella conservativa. Renato Torlaschi Carry PM, Koonce R, Pan Z, Polousky JD. A survey of physician opinion: adolescent midshaft clavicle fracture treatment preferences among POSNA members. J Pediatr Orthop. 2011 JanFeb;31(1):44-9. LA SINOVITE TOSSICA A dispetto del suo nome inquietante, la sinovite tossica non è una malattia pericolosa: associata nella mente dei pazienti a qualcosa di estremamente negativo possiamo invece definirla come un'infiammazione transitoria della sinovia a quasi esclusione dell’articolazione dell’anca. Generalmente di breve durata, presenta dei piccoli segni prodromici come la zoppia, deambulazione scorretta, vago dolore diffuso e irradiato al ginocchio. Colpisce generalmente i bambini in età pre puberale, maggiormente i maschi rispetto alle femmine, con una prevalenza di 4 a 1. I sintomi che iniziano sfumati sono quasi sempre unilaterali, vengono indicati dal bambino con un vago dolore all’arto inferiore e osservati dai genitori con una evidente zoppia di fuga, una mancanza di voglia nel gioco e una riduzione spontanea dell’attività fisica. Quasi sempre si associa una febbricola, mai importante, che si aggira intorno ai 37.5-38 gradi. Alcuni studi associano questa condizione a pregresse infezioni virali (citomegalovirus, varicella, herpes, mononucleosi), che causano una risposta autoimmune capace di generare uno stato di infiammazione generale e localizzata. La sinovia dell’anca durante l’età dello sviluppo è sicuramente sottoposta a stress meccanici notevoli: il gioco e lo sport gravano quasi totalmente sul cingolo pelvico, rendendo questa zona particolarmente delicata e facilmente soggetta a transitori stati di indebolimento. Alla comparsa dei sintomi il medico deve principal- mente fare diagnosi differenziale con l’artrite settica, così da impostare una adeguata terapia (sia nel primo ma soprattutto nel secondo caso). Una volta inquadrato bene il problema clinico, sono possibili alcuni accertamenti diagnostici come l’ecografia e la radiografia convenzionale, che possono aiutare a confermare il sospetto diagnostico. Il trattamento, che può essere assolutamente nullo nei casi di una forma estremamente leggera, varia in funzione dell’età del bambino e della condizione clinica. Si possono dare cure sintomatiche che nell’immediato risolvano dolore e febbre, fino a consigliare periodi di riposo, astensione dal carico e la quasi immobilità dell’arto inferiore. Normalmente il decorso fisiologico della patologia è di 7-10 giorni, con graduale scomparsa dei dolori e ripresa delle normali funzioni articolari. Nella maggior parte dei casi non si assiste a recidive, che comunque vengono segnalate sempre e solo durante il periodo di accrescimento e maturazione dello scheletro. Al giorno d’oggi non esiste una prevenzione che possa segnalare i soggetti a rischio rispetto a quelli che non saranno colpiti da questo problema. Resta quindi al medico, e nello specifico allo specialista pediatra od ortopedico, la capacità di una diagnosi rapida e corretta, nell’impostare ove necessario una terapia farmacologica e nel tranquillizzare i genitori riguardo alla moderata pericolosità della malattia. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia È ben noto il ruolo della vitamina D nel favorire l’assorbimento del calcio assunto attraverso l’alimentazione e la sua importanza fin dall’età evolutiva. Lo stato della vitamina D nell’organismo è generalmente accertato misurando la concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D (25OH-D) che è il precursore della forma attiva della vitamina. Non si è ancora raggiunto un accordo tra gli specialisti nello stabilire i valori normali di riferimento, ma nel caso dei bambini una recente revisione scientifica ha suggerito le soglie di 20 e 32 ng/ml, rispettivamente come indicatori di deficienza e di insufficienza di 25-OH-D. Obesità, pigmentazione scura della pelle, alimentazione carente in vitamina D e scarsa esposizione al sole sono ritenuti fattori di rischio per l’ipovitaminosi D nei bambini, mentre l’interesse degli ortopedici è soprattutto rivolto a curarne gli effetti, che comprendono un’aumentata difficoltà di guarigione dopo fratture o interventi chirurgici. Joshua Parry della University of Texas ha coordinato un gruppo di studio per determinare i livelli di vitamina D tra i pazienti pediatrici sottoposti a interventi di chirurgia ortopedica, quindi proprio tra i soggetti in cui l’ipovitaminosi è particolare fonte di problemi. Su un campione composto da 70 bambini, da cui erano stati esclusi i soggetti con disturbi di metabolismo osseo, i medici di Houston hanno ottenuto risultati preoccupanti: il 90% dei giovani esaminati aveva livelli di 25-OH-D inferiori ai 32 ng/ml e il 16% presentava gravi carenze con concentrazioni inferiori a 12 ng/ml. I risultati dello studio confermano alcuni dei fattori di rischio comunemente accettati per l’ipovitaminosi D ma non altri. L’etnia africana, un’età più elevata (quindi i soggetti adolescenti più dei bambini) e la stagione invernale sono state associate a insufficiente vitamina D. In particolare, gli adolescenti di etnia africana mostrano ipovitaminosi D più spesso degli ispanici e questi ultimi più dei ragazzi di origine nordeuropea. Questo dato era già stato quantificato in maniera impressionante da uno studio precedente che aveva indicato probabilità 20 volte superiori di carenze severe di vitamina D tra i giovani afroamericani rispetto ai bianchi. Parry e colleghi non hanno invece trovato conferma di ricerche che indicavano un maggior rischio tra le ragazze rispetto ai coetanei maschi. In modo analogo non sono state rilevate concentrazioni più alte di 25OH-D tra i bambini provenienti dal Messico che erano presenti nel campione studiato, come era invece stato suggerito da altri lavori, che avevano spiegato i risultati con l’abitudine dei piccoli messicani di passare più ore all’aria aperta rispetto agli statunitensi. La variazione dell’idrossivitamina D con le stagioni è stata invece rilevata come previsto, con livelli più bassi in inverno, ma simili in primavera, estate e autunno. Lo studio dei ricercatori texani ha un valore epidemiologico, ma non si è spinto a verificare la probabile relazione che intercorre tra la concentrazione plasmatica di 25-OH-D e le complicanze degli interventi chirurgici o la rapidità della guarigione dell’osso, approfondimenti suggeriti per ulteriori indagini. G. P. Parry J, Sullivan E, Scott AC. Vitamin D sufficiency screening in preoperative pediatric orthopaedic patients. J Pediatr Orthop 2011 AprMay;31(3):331-3. ORTHOviews M E D I C I N A D E L LO S P O RT Onde d'urto per la cura della sindrome degli ischiocrurali Onde d’urto contro la tendinite: il nuovo studio è comparso su una rivista americana - The American Journal of Sports Medicine ma è a firma italiana. Non a caso, perché questo tipo di trattamento è più diffuso in Europa che negli Stati Uniti. Ne è autore l’aquilano Angelo Cacchio, del dipartimento di clinica e terapia medica all’Università La Sapienza di Roma, che ha coordinato un gruppo internazionale di ricercatori. Esperto nell’utilizzo delle onde d’urto nella riabilitazione, il dottor Cacchio si è occupato stavolta della tendinopatia dell’inserzione prossimale degli ischiocrurali sulla tuberosità ischiatica. È un problema piuttosto diffuso tra gli sportivi, che può essere causato da un sovraccarico funzionale o da precedenti lesioni distrattive prossimali dei muscoli. Il quadro clinico è noto come sin- drome degli ischiocrurali ed è caratterizzato da un dolore alla piega glutea che si può irradiare alla coscia e che si presenta tipicamente in seguito a prolungata posizione seduta oppure durante esercizi fisici come la corsa, i salti o i calci a un pallone. Esistono opzioni chirurgiche ma, come per altri tipi di patologie tendinee, diverse terapie conservative riescono spesso a migliorare la situazione: dal riposo alla terapia fisica. È anche possibile ricorrere a un trattamento farmacologico, che può offrire sollievo alla sintomatologia dolorosa, ma è contestato da molti esperti che ne evidenziano gli effetti temporanei e possibili conseguenze deleterie a lungo termine per la struttura del tendine. Gli autori dello studio italiano propongono un approccio piuttosto innovativo, anche se il tratta- mento con le onde d’urto è già stato sperimentato, con risultati contrastanti, in un’ampia gamma di problematiche ortopediche e di traumi sportivi, dopo che terapie più conservative non hanno permesso di ottenere i risultati sperati. Angelo Cacchio e il suo team hanno reclutato per il loro studio - randomizzato controllato - 40 sportivi professionisti nel rugby, nel calcio e nell’atletica, con tendinopatia dell’inserzione prossimale degli ischiocrurali. 20 di loro sono stati assegnati al gruppo di test e hanno ricevuto una terapia con onde d’urto per quattro settimane: 2.500 impulsi ogni sessione, con densità del flusso di energia a 0.18 mJ/mm 2 , applicati senza anestesia. Gli altri venti pazienti, che hanno costituito il gruppo di controllo, hanno avuto invece un tradizionale trattamento conservativo a base di far- 71 maci antinfiammatori non steroidei, fisioterapia ed esercizi muscolari. Diamo qui la sintesi dei risultati ottenuti, dopo un follow-up medio di 10.7 mesi. Il dolore, misurato secondo la scala Vas (scala visiva analogica), era mediamente a livello 7 prima del trattamento. Dopo tre mesi è sceso a 5 in chi ha ricevuto la terapia conservativa tradizionale e a 2 negli appartenenti al gruppo trattato con onde d’urto. Anche le misurazioni effettuate secondo la scala Nprs (numerical pain rating scale) hanno confermato i medesimi effetti. A tre mesi dal trattamento, l’85% dei pazienti curati con le onde d’urto ha avuto una riduzione del dolore di almeno il 50%, mentre nel gruppo di controllo la percentuale è stata del 10%. La terapia con le onde d’urto non ha comportato complicazioni importanti e si è dunque mostrata efficace e sicura. Giampiero Pilat Cacchio A, Rompe JD, Furia JP, Susi P, Santilli V, De Paulis F. Shockwave therapy for the treatment of chronic proximal hamstring tendinopathy in professional athletes. Am J Sports Med 2011 Jan;39(1):146-53. S PA L L A Soluzioni chirurgiche per l'instabilità posteriore Difficile da diagnosticare e ancora più difficile da trattare: l’instabilità posteriore di spalla è molto meno frequente dell’anteriore ed è interessante che quasi contemporaneamente siano comparsi due articoli che trattano di questa patologia. Gli autori cercano di approfondire le cause del problema e le possibilità di soluzione offerte dalla chirurgia, con particolare attenzione all’artroscopia, che viene considerata un’opzione particolarmente valida nel caso di instabilità di origine traumatica e con lesioni relativamente modeste. Spesso la lussazione posteriore acuta, derivante per esempio da un trauma subito durante lo svolgimento di una attività sportiva, non viene riconosciuto e finisce per cronicizzare. Ma la classificazione dell’insta- bilità di spalla comprende anche una sublussazione ricorrente, che può essere secondo Romsey - di origine displastica, acquisita o psicogena. Quest’ultima si riferisce a una specie di tic che in alcuni soggetti porta alla ripetizione di movimenti intesi a scaricare tensioni emotive, ma che finiscono per produrre sublussazione. Il primo degli articoli citati è firmato da Alexander Van Tongel, a capo di un team del dipartimento di chirurgia ortopedica e traumatologia dell’ospedale universitario di Gand, in Belgio, che sottolinea innanzitutto come «i pazienti con instabilità posteriore possano presentare una miriade di sintomi diversi». Spesso si rivolgono al medico riferendo un fastidio nella zona posteriore della spalla che si accentua con movimenti che comportano un carico, come le distensioni da panca piana. L’esame fisico è diretto a riprodurre i sintomi, che però spesso non sono specifici; esistono comunque dei test appositi, come per esempio il test del cassetto posteriore, in cui il paziente riferisce dolore o sensazione di scatto articolare quando la testa viene spinta posteriormente. Anche le tecniche di imaging forniscono a volte solo indicazioni parziali: «le radiografie standard spesso appaiono normali, ma servono per verificare l’anatomia ossea del glenoide e della testa omerale; l’artrografia con risonanza magnetica può essere usata per le lesioni capsulolabrali, mentre la tomografia computerizzata è più utile per controllare l’anatomia ossea e l’orientamento delle superfici articolari». Il principale trattamento per i pazienti con instabilità posteriore ricorrente è la riabilitazione dei rotatori esterni, in particolare del muscolo infraspinato. Ma esistono anche le soluzioni offerte dalla chirurgia; perché abbiano successo, l’instabilità deve essere dovuta a fattori meccanici modificabili dall’intervento e lo studio belga ne fa una rassegna esaustiva, indicando come possano essere trattati. A seconda delle indicazioni ricavate dall’analisi di questi fattori, si può scegliere tra diverse tecniche di chirurgia aperta e di artroscopia, che oggi si sono perfezionate abbastanza da offrire generalmente buoni risultati. Il secondo articolo si concentra su una di queste tecniche: la ricostruzione artro- scopica posteriore con plicatura capsulo-labrale posteriore e sutura con ancore. Si tratta di un piccolo studio clinico condotto da specialisti di diversi centri del Southern California Orthopedic Institute su un campione piuttosto omogeneo di 29 pazienti, tutti con instabilità posteriore di spalla ricorrente, traumatica, involontaria e unidirezionale. I risultati di questa metodica artroscopica sono stati senz’altro ottimi: solo in un caso si è prodotta di nuovo un’instabilità ricorrente, mentre l’84,6% dei pazienti ha ripreso una normale attività sportiva e il 96.6% si è dichiarato soddisfatto dell’intervento che, ricordano gli autori, è comunque indicato solo per lesioni non eccessivamente importanti. Renato Torlaschi Van Tongel A, Karelse A, Berghs B, Verdonk R, De Wilde L. Posterior shoulder instability: current concepts review. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc 2010 Oct 17. Bahk MS, Karzel RP, Snyder SJ. Arthroscopic posterior stabilization and anterior capsular plication for recurrent posterior glenohumeral instability. Arthroscopy 2010 Sep;26(9):1172-80. 72 ORTHOviews ANCA-GINOCCHIO GINOCCHIO Abuso di alcol e complicanze in chirurgia protesica Una scarsa propriocezione può causare osteoartrosi L'abuso di alcol potrebbe portare a complicanze dopo un intervento chirurgico alle articolazioni. Per abbassare il rischio sarebbe necessario effettuare uno screening dei pazienti e fornire counseling a quanti risultano fare un uso eccessivo di bevande alcoliche. Lo studio, pubblicato sul Journal of Bone and Joint Surgery da Nicholas Giori e colleghi della Stanford School of Medicine di Palo Alto, in California, si è basato sull'analisi delle complicanze in 185 pazienti sottoposti a intervento chirurgico per artroplastica totale del ginocchio o dell'anca. Gli uomini, tutti ex militari, sono stati curati in California tramite le strutture della Veterans Health Administration. Ogni anno, al check-up annuale, i pazienti afferenti alla struttura completavano il questionario Audit-C (Alcohol Use Disorders Identification Test), che misura l'abuso di alcol in una scala da 0 a 12. Nel test si chiedeva: «Quante volte ha bevuto un drink alcolico lo scorso anno?» oppure «Quanti drink beve in un giorno?» e anche «Quante volte ha bevuto sei o più drink in una sola occasione lo scorso anno?». Secondo il test Audit-C, un consumo di alcol più di tre volte la settimana, più di nove drink in un solo giorno o più di sei drink in media al giorno sono da considerarsi abuso di alcol. Gli uomini che affermavano di bere più alcolici avevano più complicanze nel periodo post-operatorio rispetto a chi non beveva. Correggendo i risultati per l'età e lo stato di salute, ogni punto in più del test AuditC oltre il punteggio 1 corri- spondeva a un aumento del 29% del numero medio di complicanze. Tra le complicanze le più frequenti erano la polmonite, l'ictus, l'embolia polmonare, le infezioni potenzialmente letali, l'emorragia gastrointestinale, le anomalie cardiache, le infezioni delle vie urinarie e lo shock. Non è chiaro perché l'alcol aumenti il numero di complicanze. I ricercatori ipotizzano un effetto sul sistema immunitario e sul cuore. Inoltre, il mancato consumo di alcol dovuto al ricovero ospedaliero potrebbe creare una risposta di astinenza, portando a ulteriore morbilità postoperatoria. In più, alti punteggi del test AuditC sono stati associati con un maggiore rischio di fratture, forse a causa di una maggiore probabilità di incidenti e traumi fisici. «Alla fine, il nostro obiettivo non è solo valutare il rischio, ma anche ridurlo scrivono i ricercatori -. Con una chirurgia elettiva come l'artroplastica totale, uno strumento di screening che predice il rischio postoperatorio di complicanze è molto importante, soprattutto quando sono legate a un fattore di rischio potenzialmente modificabile come l'abuso di alcol. Ulteriori ricerche devono essere condotte per valutare se gli interventi preoperatori in pazienti con un punteggio alto del test Audit-C potrebbero ridurre le complicanze». I ricercatori fanno infine notare come lo studio sia stato effettuato su un segmento della popolazione particolare, cioè ex militari maschi. Questo gruppo di persone ha caratteristiche diverse, in termini di malattie e problematiche sociali, dal resto della popolazione. Ad ogni modo, altri studi di chirurgia, condotti su fasce più ampie della popolazione, hanno dato risultati simili. Claudia Grisanti Harris AH, Reeder R, Ellerbe L, Bradley KA, Rubinsky AD, Giori NJ. Preoperative alcohol screening scores: association with complications in men undergoing total joint arthroplasty. J Bone Joint Surg Am 2011 Feb;93(4):321-7. COLONNA Scoprire la causa del mal di schiena con la risonanza magnetica Anche in assenza di neoplasie, di fratture o di artropatie infiammatorie, il mal di schiena è un fenomeno enormemente diffuso. Si parla di mal di schiena “meccanico”, in molte situazioni in cui la patologia che ne è causa non è facilmente identificabile e, nella maggior parte degli studi epidemiologici, le casistiche sono costituite sulla base dei sintomi riportati direttamente dai pazienti. È d’altra parte vero che molti soggetti presentano anomalie di vario tipo alla colonna vertebrale senza per questo avvertire particolari sintomatologie dolorose. Per cercare di mettere un po’ di ordine in una situazione tanto variegata e complessa, Alison Endean, Keith T. Palmer e David Coggon, dell’Università di Southampton, hanno deciso di ricorrere a una revisione sistematica della letteratura. L’obiettivo era di avere a disposizione una grande quantità di studi che li aiutassero a esplorare le potenzialità offerte dalla risonanza magnetica nucleare nel determinare le cause principali di questi mal di schiena. È noto che questa tecnologia ha aperto nuove possibilità di classificazione nella ricerca epidemiologica. I tre studiosi, che lavorano appunto presso l’Epidemiology Resource Centre dell’università inglese, sapevano che diversi tipi di anomalie possono essere evidenziate tramite la risonanza magnetica, «tuttavia - riferiscono - prima che una qualunque di queste potesse essere identificata come elemento causale della lombalgia e non come fattore accidentale, servivano misurazioni ripetute in diverse occasioni, in modo da costituire un’evidenza scientifica». Come scrivono su un recente numero di Spine, il loro lavoro ha portato all’identificazione di 220 studi, la maggior parte dei quali erano stati condotti su soggetti in età lavorativa, mentre una quantità più ridotta riguardava persone anziane. Gli studiosi inglesi hanno individuato diverse condizioni associate al mal di schiena, a volte definite diversamente da uno studio all’altro. Alla fine ne è risultata una specie di classifica, come spiega la dottoressa Endean. «La nostra analisi indica che la protrusione discale è l’anomalia rilevabile attraverso la risonanza magnetica nucleare che più fortemente risulta associata a lombalgia, seguono la degenerazione discale, le zone ad alta intensità o le fessurazioni anulari e poi lo spostamento o la compressione della radice nervosa». I risultati relativi ad altre anomalie riscontrabili nelle immagini - come la stenosi del canale vertebrale, i nodi di Schmorl, la spondilolistesi o l’artropatia delle faccette articolari - sono risultate più sparse e richiedono ulteriori conferme. Ma molti dubbi permango- no anche rispetto alle anomalie più frequentemente associate a una sintomatologia dolorosa: «su base individuale - continua infatti Alison Endean nessuna di queste indica con certezza che la lombalgia sia effettivamente attribuibile alla patologia rilevata». Dalla vasta documentazione esaminata dai ricercatori di Southampton si conferma che la risonanza magnetica costituisce uno strumento formidabile di indagine, ma anche che il mal di schiena è talmente subdolo e complesso da sfuggire a qualunque tentativo di identificazione. Renato Torlaschi Endean A, Palmer KT, Coggon D. Potential of magnetic resonance imaging findings to refine case definition for mechanical low back pain in epidemiological studies: a systematic review. Spine (Phila Pa 1976). 2011 Jan 15;36(2):160-9. La propriocezione è quella particolare sensibilità grazie alla quale riusciamo a percepire e a riconoscere la posizione del nostro corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei muscoli, senza l’utilizzo del senso della vista. Da un paio di decenni è stata avanzata l’ipotesi che una carenza nella capacità propriocettiva costituisca un fattore di progressione dell’osteoartrosi di ginocchio, la più comune fra tutte le patologie articolari; sarebbe inoltre responsabile di dolori al ginocchio e limitazioni nei movimenti. Molti articoli sono comparsi in letteratura, ma solo di recente è stata effettuata una revisione degli studi con l’obiettivo di stabilire qualche punto fermo su un tema su cui ancora resta molto da scoprire: siamo infatti ancora lontani da una precisa e condivisa conoscenza dei meccanismi che stanno alla base del fenomeno e degli impatti sull’osteoartrosi di ginocchio. Come spiegano gli autori dell’articolo, comparso su Osteoarthritis and Cartilage, «si suppone che la propriocezione sia necessaria come forma di protezione contro movimenti eccessivi, per la stabilizzazione nelle posture statiche e per la coordinazione dei movimenti, costituendo di conseguenza un importante fattore di prevenzione dei danni alle articolazioni». In letteratura si distinguono due diversi aspetti del fenomeno, la percezione della posizione e il senso del movimento, che probabilmente sono legati alla stimolazione di recettori differenti. Così si sono seguite due strade anche nell’approntare protocolli di misurazione; i test per rilevare la capacità di percezione della posizione che sono più rilevanti dal punto di vista funzionale e quelli per misurare il senso del movimento che appaiono più affidabili. Gli autori della revisione auspicano lo sviluppo di nuovi protocolli che sappiano unificare i due aspetti, combinando i benefici dei sistemi esistenti. La revisione ha individuato molti studi in cui si dimostra come effettivamente i pazienti di osteoartrosi al ginocchio soffrano spesso di un indebolimento della capacità propriocettiva. Curiosamente, anche nei casi in cui l’osteoartrosi è unilaterale, l’indebolimento della propriocezione si estende in genere a entrambe le articolazioni. I ricercatori, pur avendo individuato nei database scientifici ben 4133 citazioni dell’argomento, sottolineano i molti punti ancora da chiarire. Per esempio, le cause della propriocezione sono ancora sconosciute, anche se si sono avanzate diverse ipotesi: le principali assegnano un ruolo al deterioramento dei recettori sensoriali sensibili alle sollecitazioni meccaniche e all’indebolimento muscolare. Al momento non esistono inoltre evidenze che colleghino l’accuratezza della capacità propriocettiva con l’insorgenza dell’osteoartrite al ginocchio, anche se la maggior parte degli studiosi ritiene che possa costituire un fattore che ne favorisce la progressione. L’ultima e cruciale considerazione riguarda la possibilità di sottoporre i pazienti a una terapia efficace e gli studi pubblicati offrono risposte generalmente positive. Esistono esercizi di rieducazione propriocettiva, da eseguire sotto la guida di un fisioterapista, che servono a ridare al soggetto la capacità di avvertire come le proprie articolazioni sono poste in statica e in dinamica. I risultati appaiono buoni, in termini di riduzione del dolore e di recupero delle funzionalità. Renato Torlaschi Knoop J, Steultjens MP, van der Leeden M, van der Esch M, Thorstensson CA, Roorda LD, Lems WF, Dekker J. Proprioception in knee osteoarthritis: a narrative review. Osteoarthritis Cartilage 2011 Apr;19(4):381-8. ORTHOviews 75 L AVO RO O R I G I N A L E Revisione di protesi d'anca e malattia da debris Un caso di malattia da debris in portatore di artroprotesi d’anca con ampio bone loss periacetabolare e presenza di pseudotumore intrapelvico La revisione di un’artroprotesi d’anca fallita con presenza di ampia perdita di tessuto osseo (bone loss), sia periacetabolare ma anche femorale, risulta un atto chirurgico impegnativo nelle mani anche dei più bravi chirurghi d’anca. Le principali cause di fallimento di un’artroprotesi d’anca sono la malattia da debris di polietilene, l’infezione, le lussazioni ricorrenti e le fratture periprotesiche. La maggioranza dei problemi a carico di una protesi d’anca si localizzano a livello cotiloideo e sono frequentemente causati Fig. 1: le zone di Gruen dall’ondata di microparticelle di polietilene che si genera a livello delle due interfacce testa protesicainserto e inserto-metal back e che procede in direzione cefalo-caudale coinvolgendo anche la componente femorale. Fra le altre cause di mobilizzazione della componente acetabolare si annotano il riassorbimento osseo a livello dell’interfaccia protesi-osso per errori di tecnica, la lisi enzimatica all’interfaccia protesi-osso o ossocemento per infezioni profonde o ipersensibilità ai materiali protesici e inoltre fattori predispo- nenti come ad esempio l’obesità, la qualità ossea e la conformazione acetabolare. L’intervento di revisione Il problema più importante che ha il chirurgo nel caso di grave bone loss acetabolare è quello di scegliere l’impianto protesico più adatto per l’anca da revisionare, ma anche quello di ricreare un’impalcatura meccanicamente sufficiente sotto di esso e per di più quello di permettere al tessuto osseo rimanente di rigenerarsi. Dalla letteratura si evince che la sola componente acetabolare è interessata nel 40% dei casi di revisione, entrambe le componenti lo sono nel 37%, mentre nel 22% dei casi risulta coinvolta la sola componente femorale (1). Attualmente le classificazioni maggiormente usate per il bone loss periacetabolare sono quelle del Gruppo italiano di riprotesizzazione e la classificazione secondo Paprosky (2). La valutazione dell’entità di bone loss acetabolare viene effettuata tramite uno studio radiografico convenzionale con l’esecuzione non solo della proiezione anteroposte- GLI AUTORI DELL’ARTICOLO A destra il dottor Arturo De Michieli, direttore dell’unità operativa di ortopedia e traumatologia dell'Ospedale di Albenga; a sinistra il dottor Savvas Dynamidis, dirigente medico chirurgo ortopedico presso la stessa struttura Fig. 2: radiografia dell'anca destra dove si evidenziano le zone di osteolisi in sede sovracetabolare, a livello del femore prossimale e a livello delle zone 3 e 5 di Gruen. Si noti un frammento metallico filiforme in sede intrarticolare facente parte dell’inserto in PE Fig. 3: tomografia computerizzata preoperatoria dove si evidenzia l’importante osteolisi periacetabolare e la presenza dello pseudotumore intrapelvico Fig. 5: l’articolazione protesizzata risultava colma di un materiale simil-granulomatoso Fig. 4: scansione coronale della tomografia computerizzata del bacino; risulta ancora meglio visualizzabile la perdita di tessuto osseo sovracetabolare e la perdita della parete mediale Fig. 6: radiografia del bacino dopo la rimozione della protesi d’anca 76 ORTHOviews ORTHOviews Fig. 7: tomografia computerizzata dopo la rimozione della protesi. Si noti il bone loss periacetabolare esteso fino all’ischio e il pseudotumore intrapelvico ancora presente Fig. 8: tomografia computerizzata bacino eseguita a maggio 2010, a due mesi dall’intervento di rimozione della protesi riore ma anche di quelle oblique secondo Letournel e Judet (3), iliaca e otturatoria, e completata eventualmente da un esame di tomografia computerizzata del bacino. Frequentemente la classificazione viene conclusa intraoperatoriamente. Raramente, una perdita di tessuto osseo periacetabolare in portatore di protesi d’anca può essere associata a una reazione granulomatosa pseudotumorale con localizzazione intrapelvica. I dati e i casi clinici in letteratura su questo argomento sono limitati. La causa della formazione di tali masse sarebbe da ascrivere a una osteolisi indotta dalle micro particelle di polietilene. Queste masse pseudotumorali possono frequentemente essere misconosciute dopo esecuzione del solo esame radiografico convenzionale e spesso necessitano di un esame Tc del bacino per la valutazione dell'estensione e dei rapporti anatomici con le strutture intrapelviche limitrofe. In letteratura sono presenti casi di pseudotumori granulomatosi associati a protesi con tribologia metallo-metallo; inoltre sono state descritte complicazioni nervose come ad esempio la paralisi del nervo femorale o del nervo otturatorio dovuta alla presenza di queste masse (4). Il caso clinico Nel mese di febbraio 2010 abbiamo visitato nel nostro ambulatorio il paziente D. T. di 74 anni, uomo, che lamentava algie presenti soprattutto sotto carico a livello inguinale a destra in esiti di intervento di artropro- tesi d'anca non cementata eseguita circa dieci anni prima. In questa sede è stato visualizzato l'unico radiogramma convenzionale del bacino in proiezione antero-posteriore eseguito dal paziente ed è stato effettuato l'esame clinico. La funzionalità dell'articolazione protesizzata interessata è stata valutata con la scala Harris Hip Score (5), nella quale il paziente ha ottenuto 25 punti. Al controllo radiografico standard che il paziente aveva portato in visione si evidenziava una zona di osteolisi interessante la parte trocanterica femorale ma soprattutto la zona sovracetabolare, dove si evidenziavano due zone principali di iperdiafania coinvolgenti inoltre il tessuto osseo intorno alle due viti di stabilizzazione della componente aceta- bolare. Altre zone di osteolisi si localizzavano a livello delle zone 3 e 5 di Gruen (figg. 1 e 2) (6). Una volta visionato l’esame radiografico abbiamo ritenuto opportuno eseguire un esame di tomografia computerizzata (Tc) del bacino. Nella Tc si evidenziava l’ampio riassorbimento di tessuto osseo periacetabolare e soprattutto in sede sovraacetabolare interessante le viti di stabilizzazione del cotile. Inoltre il paziente presentava una voluminosa formazione intrapelvica in comunicazione con lo spazio articolare attraverso soluzione di continuo della parete mediale acetabolare (figg. 3 e 4). Successivamente nel mese di marzo 2010 il paziente è stato sottoposto a intervento chirurgico di rimozione della protesi d’anca. Intraoperatoriamente la Fig. 9: posizionamento del sostituto osseo di origine naturale cavità articolare risultava colmata da tessuto similgranulomatoso, che è stato asportato nella sua interezza (fig. 5). Successivamente venivano asportate le componenti acetabolare e femorale. Il tappo-centratore dello stelo primario non è stato subito rimosso, anche per evitare il riempimento del canale femorale da tale raccolta granulomatosa. Le componenti protesiche sono state rimosse senza difficoltà. Una volta rimosse le componenti protesiche abbiamo potuto confermare il grave bone loss evidenziabile nella Tc con ampia osteolisi della porzione superiore acetabolare e grave deficit del pavimento mediale e della parete anteriore. A causa della pessima qualità e quantità di tessuto osseo abbiamo deciso di seguire una procedura two-step e di procedere con l’impianto definitivo a distanza di pochi mesi. Il decorso post operatorio si è svolto nei limiti della norma e il paziente ha risposto il modo soddisfacente alle cure mediche. Durante il periodo di degenza è stato eseguito un controllo radiografico standard del bacino (fig. 6) ed è stata ripetuta la Tc del bacino (fig.7). Il paziente è stato dimesso dal nostro istituto con carico non concesso sull’arto inferiore destro e ha eseguito un’adeguata profilassi antitromboembolica con eparina a basso peso molecolare. A distanza di due mesi dal primo intervento il paziente è stato sottoposto a un’ulteriore Tc del bacino, nella quale si notava chiaramente lo “svuotamento” del contenuto del pseudotumore dalla sua sede intrapelvica verso la cavità articolare ormai vuota dalla protesi. Probabilmente ciò è dovuto alla diretta comunicazione dell’articolazione con il pseudotumore intrapelvico attraverso una soluzione di continuo del pavimento acetabolare mediale e favorito anche dalla pressione intraddominale positiva. Attraverso elaborazione con apposito software della scansione Tc abbiamo per di più ottenuto una ricostruzione tridimensionale dell’anca destra, che ci ha aiutato nella pianificazione dell’intervento di reimpianto e nella scelta delle componenti da impiantare (fig. 8). Nello stesso mese il paziente è stato sottoposto all’intervento di reim- pianto. Per il riempimento delle zone di osteolisi sovracetabolare e del fondo acetabolare abbiamo fatto uso di un sostituto osseo di origine naturale (Orthoss, Geistlich Pharma AG) (fig.9). Sul fondo dell’acetabolo sono stati posizionati due flaconi di sostituto osseo da 7 gr ciascuno, per un totale di 40 cm 3 . Dopodiché la parete mediale acetabolare è stata riforzata posizionando apposito sostegno (Trabecular Metal Restrictor, Zimmer) interamente in metallo trabecolare (tantalio), diametro di 38 mm (fig. 10), e su questa base solida abbiamo cercato di ricostruire la parete anteriore con apposito “augmentation” in tantalio dal diametro 58 mm e spessore 10 mm, stabilizzato anteriormente con due viti. Successivamente è stato posizionato cotile in metallo trabecolare - tantalio dal diametro 60 mm stabilizzato con 3 viti. Su questa base solida è stato successivamente cementato cotile in polietilene (Durasul Low Profile Cup Cemented, Zimmer) diametro 48mm e interno 36mm. A livello femorale è stato impiantato uno stelo lungo (Wagner, Zimmer) Fig. 10: posizionamento del trabecular metal restricor sul fondo dell’acetabolo Fig. 12: controllo radiografico a tre mesi dall’intervento chirurgico definitivo Fig. 11: controllo post-operatorio; nella foto in ingrandimento si vede la matrice minerale utilizzata sul fondo dell’acetabolo, che presenta un’immagine radiografico microgranulare (freccia rossa) Fig. 13: controllo radiografico a un anno dall’intervento chirurgico. Si evidenzia una buona integrazione della matrice ossea con trasformazione graduale dell’aspetto granulare della matrice in un’immagine radiografica sempre più omogenea di lunghezza 265 mm e diametro 15 mm senza uso di cemento, mentre la testina protesica metallica era del diametro 36 mm con lunghezza collo medio. L’apice del gran trocantere è stato cerchiato con cerchiaggi metallici e apposita graffa metallica. Dopo l’intervento chirurgico è stato eseguito un controllo radiografico (fig. 11). Il decorso post-operatorio si è svolto nei limiti della norma e il paziente è stato dimesso a circa dieci giorni dal’intervento chirurgico. Abbiamo eseguito controlli radiografici a tre mesi e a un anno dall’intervento chirurgico (figg. 12 e 13). Il paziente non si è presentato al controllo radiografico programmato a sei mesi dall’intervento chirurgico. Risultati Al controllo clinicoradiografico eseguito a un anno dall’intervento chirurgico definitivo il paziente si presentava soddisfatto. La funzionalità dell’anca destra è stata valutata con l’uso della scala Harris Hip Score, nella quale il paziente ha ottenuto 60 punti, rispetto ai 25 punti nel preoperatorio. All’esame radiografico eseguito a un anno dall’intervento chirurgico si osserva una buona integrazione del sostituto osseo di origine naturale utilizzato sul fondo dell’acetabolo, trasformandosi da un’immagine simil-granulare a una zona radiograficamente più omogenea. Tale immagine si nota soprattutto a livello del fondo acetabolare e della zone sovracetabolare che accoglie alcune delle viti di stabilizzazione del cotile. Conclusioni L’utilizzo di un sostituto osseo di origine naturale come Orthoss, con elevata osteoconduttività, che si integra rapidamente ed entra nel normale processo di rimodellamento, consente di ricostruire una base solida su cui posizionare le componenti protesiche e offre uno scaffold per la rigenerazione ossea nel caso di grave bone loss. L’associazione di un trabecular metal restrictor per la chiusura del difetto della parete mediale ha consentito la gestione di un caso di grave difetto periacetabolare. 77 Bibliografia 1. Bozic KJ, Durbhakula S, Berry DJ, et al. Differences in patient and procedure characteristics and hospital resource use in primary and revision total joint arthroplasty: a multicenter study. J Arthroplasty 2005;20(suppl 3):17–25. 2. Paprosky WG, Burnett RS. Assessment and classification of bone stock deficiency in revision total hip arthroplasty.Am J Orthop (Belle Mead NJ). 2002 Aug;31(8):459-64. 3. Letournel E, Judet R. Fractures of the acetabulum, 2nd Edition. Springer-Verlag; 1993 4. Robert A.E. Clayton, Ian Beggs, Donald M. Salter, M. Helen Grant, James T. Patton, and Daniel E. Porter. Inflammatory Pseudotumor Associated with Femoral Nerve Palsy Following Metalon-Metal Resurfacing of the Hip. A Case Report. J. Bone Joint Surg. Am., Sep 2008; 90: 1988 - 1993. 5. Harris WH. Traumatic arthritis of the hip after dislocation and acetabular fractures: treatment by mold arthroplasty. An end-result study using a new method of result evaluation. J Bone Joint Surg Am. 1969 Jun;51(4):737-55. 6. Gruen TA, McNeice GM, Amstutz HC. “Modes of failure” of cemented stem-type femoral components: a radiographic analysis of loosening. Clin Orthop 1979;141:17-27 80 ORTHOviews ORTHOviews L AVO RO O R I G I N A L E zione, per essere lavorata prima con iniziatore di canale per valutare anche la direzione dello stesso ottenuta con la manovra e in seguito con raspe dedicate con manico a doppia curvatura in dotazione allo strumentario. Il manico, aiutato da una giusta manovra, renderà agevole la preparazione dell’epifisi per l’alloggiamento sia di steli anatomici (Abg2) sia di steli retti (Accolade) o steli retti cementati (Exeter), tutti sistemi con unico aggancio. Se la rotula ha raggiunto i 90° di extra rotazione, le raspe potranno essere orientate verticalmente o con qualche grado di intra rotazione; in caso contrario bisognerà intraruotare le raspe per tanti gradi quanti ne mancano ai 90 richiesti. Chirurgia mininvasiva dell’anca con la via anteriore diretta Suggerimenti di tecnica operatoria DOTT. GIANCARLO DE MARINIS Direttore UOC di Ortotraumatologia, Ospedale Civile di Latina 1. Fig. 1 POSIZIONE DEL PAZIENTE E LETTO OPERATORIO Un accurato planning preoperatorio è fondamentale per la corretta esecuzione dell'intervento di chirurgia mininvasiva all’anca (Mis) con la via anteriore diretta (Daa). Occorre un letto operatorio che abbia la possibilità di articolare i supporti per gli arti inferiori possibilmente in maniera indipendente. Nello specifico l’arto da operare dovrà avere la possibilità durante l’intervento di essere posto in leggera estensione (30°- 40°), quindi il bacino verrà posizionato in corrispondenza dello snodo. L’arto contro laterale in abduzione (possibilmente 45°). Il paziente dovrà essere posizionato supino (fig. 1), non al centro del letto, ma lateralizzato dal lato da operare, con una pelotta di spinta sull’ala iliaca contro laterale, braccio omo laterale in sovra elevazione, l’altro su un reggi braccio con gli accessi venosi. Il campo operatorio va preparato come di consuetudine lasciando libero il solo arto da operare, dalla radice della coscia al piede. 2. Fig. 2 Fig. 3 REPERI ANATOMICI E INCISIONE CUTANEA Palpate la spina iliaca anteriore superiore (Sias) e marcatela. Palpate il grande trocantere e marcatelo. Potete adesso palpare con i polpastrelli il solco tra tensore della fascia lata e sartorio. Praticate una incisione cutanea di lunghezza approssimativa di 6/10 cm che parta prossimalmente due dita trasverse distalmente e lateralmente dalla Sias e che decorra rettilinea lungo il decorso del tensore (fig. 2). Da notare che la lunghezza dell’incisione cutanea è indicativa e dipende generalmente dalle caratteristiche del paziente: sesso, età, qualità dell’osso, corporatura, sviluppo delle masse muscolari, dimensioni dell’impianto valutate nel planning preoperatorio. Indicativamente si può suggerire una incisione da 5 a 10 cm, oppure una lunghezza pari a una volta e mezzo il diametro presunto dell’impianto acetabolare (ad esempio in caso di cotile 50 mm: 50+25=75. L'incisione sarà di 7,5 cm). 3. INDIVIDUAZIONE DEL VALLO MUSCOLARE E DEL PACCHETTO VASCOLARE Incidete cute e il sotto cutaneo lungo tutta la lunghezza dell’incisione; arrivate alla fascia muscolare e con il dito palpate per via sottocutanea la Sias, che deve risultare mediale (fig. 3). Incidete la fascia del tensore lungo il decorso delle fibre muscolari che non vanno incise; alzate delicatamente la fascia e con il dito raggiungete medialmente il vallo inter muscolare fra tensore (lateralmente) e sartorio (medialmente). Accertatevi di aver divaricato lateralmente tutto il tensore senza essere penetrati tra le fibre (fig. 4). Applicate due normali divaricatori a branca per verificare il vallo che, nel suo pavimento, metterà in evidenza del tessuto grasso. Non aprite questo spazio longitudinalmente, per non ledere il pacchetto vascolare. Fig. 4 Applicate i primi due divaricatori di Homan dello strumentario Mis dedicati: Homan smusso al limite prossimale dell’incisione a divaricare lateralmente la muscolatura pelvi trocanterica. L’Homan deve scivolare lungo il collo femorale ed avvolgerlo in senso latero-posteriore. Homan stretto a punta, al limite distale dell’incisione cutanea in corrispondenza del grande trocantere per divaricare lateralmente la muscolatura. Al centro dei due Homan, se ben posizionati (fig. 5) comparirà dopo accurata liberazione il pacchetto dei vasi collaterali (branca ascendente), che andranno ben isolati e legati accuratamente sia medialmente che lateralmente e quindi sezionati. Le tecniche di legatura possono essere varie, ma è importante ricordare che le stesse saranno sollecitate durante l’atto operatorio e quindi dovranno essere stabili. Con uno scolla periostio scollate il retto femorale dalla capsula e divaricatelo medialmente applicando un Homan smusso a contornare il collo femore medialmente al di sopra del piccolo trocantere. Continuate a scollare bene la capsula fino ad avere una buona visione dell’intera capsula anteriore. Sarà così possibile individuare il tendine riflesso del retto che prossimalmente si fonde alla capsula. 4. CAPSULA ARTICOLARE La capsula può essere incisa a T oppure a seconda delle abitudini del chirurgo. Se si intende asportare la capsula se ne deve asportare quasi tutta la parte anteriore, precedentemente isolata. 5. OSTEOTOMIA FEMORALE Controllate che i due Homan già applicati avvolgano posteriormente il collo femorale, uno in senso latero posteriore e l’altro medialmente al di sopra del piccolo trocantere. Applicate una vite da rimozione di testa e applicando anche una trazione manuale sull’arto provate a lussare la testa, che potrà essere quindi osteotomizzata in maniera tradizionale; se questo non avviene per le condizioni anatomiche, dovrete effettuare la tecnica della doppia osteotomia in situ qui di seguito riportata. Si pratica una prima osteotomia a livello usuale per lo stelo, da praticare con rotula allo zenit. La lama verticale inclinata di circa 40° latero-medialmente (taglio protesi dipendente). Seconda osteotomia sottocapitata (taglio non protesi dipendente) al fine di isolare un cilindro di collo da poter asportare che permetta di estrarre la testa femorale con il comune Fig. 5 ferro a vite per estrazione. L’osteotomia si può praticare praticamente a tutti i livelli, per poter applicare anche steli a conservazione di collo. 6. PREPARAZIONE ACETABOLO Asportata la testa si deve procedere al posizionamento degli Homan dedicati per l’esposizione e preparazione della cavità acetabolare. Homan largo sul fondo acetabolare oppure Homan asimmetrici destro e sinistro. Homan smusso a contornare la parte distale dell’acetabolo applicando la punta smussa nel forame otturatorio con una buona evidenziazione del legamento trasverso. Homan stretto a punta applicato sul tetto acetabolare (fossetta dello psoas) ortogonale alla congiunzione tra Sias e sinfisi pubica (con particolare attenzione a rimanere aderenti all’osso). Per il suo inserimento può risultare utile l’apposito applicatore dello strumentario. Gli Homan che ben delimitano la cavità acetabolare vanno tenuti senza eccessive trazioni con la tecnica della finestra mobile. Homan a punta (opzionale) sul bordo supero esterno. Dopo aver completato la pulizia sia di eventuali osteofiti e di residui capsulari si può procedere alla fresatura dello stesso con le apposite frese innestate nel porta frese a baionetta, in dotazione con il manico stabilizzatore girato per il lato destro e sinistro. L’applicazione della coppa acetabolare seguirà le usuali metodologie legate anche al tipo di impianto, emisferico a press-fit (anche con viti) tipo Trident o Abg. Usare l’applicatore dedicato anch’esso a baionetta sia per le prove sia per la componente definitiva. Al momento dell’impianto si verificherà il posizionamento del bacino; l’angolo di copertura intorno ai 45° e l’angolo di antiversione da quasi neutro a 10°. Anche aiutandosi traguardando le spine iliache palpabili sotto i teli si può verificare l’asse dell’intero corpo. Dopo l’applicazione della coppa si potrà procedere alla messa in situ anche dell’inserto definitivo scelto. 7. ISOLAMENTO E PREPARAZIONE DELL’EPIFISI FEMORALE Dopo aver esteso l’arto da operare di circa 30° si può applicare un Homan apposito al di sotto del grande trocantere. Si procederà se necessario con il bisturi elettrico a un parziale release da dentro a fuori della capsula posteriore, fino a quando la manovra (eseguita da un collaboratore) di seguito descritta risulterà agevole, senza praticamente applicazione di forza. Si potrebbe in questa fase inserire un uncino all’interno del canale per verificare quanto si solleva l’epifisi e quindi decidere di procedere al release. Gestendo ginocchio e collo piede portare l’arto in estensione di 30°, adduzione di 20° ed extrarotazione di 90°. Tale manovra va eseguita delicatamente, senza forzature, procedendo in ordine e interagendo fra operatore e aiuto. A questo punto l’Homan sotto il trocantere porterà l’epifisi nella giusta posi- 8. APPLICAZIONE DELLO STELO DEFINITIVO E ASSEMBLAGGIO FINALE DELL’IMPIANTO Lo stelo definitivo può essere applicato come di consuetudine. Si applicherà un collo e una testina di prova, si ridurrà la protesi e si verificherà la sua congruenza e stabilità. Con il riferimento bimalleolare si verificherà la lunghezza dell’arto rispetto al contro laterale, anche servendosi delle spine iliache. Si procederà quindi all’applicazione delle componenti definitive. 9. CHIUSURA DEL SITO CHIRURGICO Verifica dell’emostasi; verifica dei punti applicati 81 all’inizio dell’intervento; drenaggio se desiderato. Si procederà alla sola chiusura della fascia del tensore della fascia lata, con l’accortezza del controllo dei rami del nervo femorocutaneo che decorrono medialmente nello sdoppiamento della fascia del tensore. Sutura sottocute e cute come consuetudine del chirurgo. Medicazione elasto-compressiva. ORTHOviews COLONNA Quale trattamento per la scoliosi idiopatica? La scoliosi idiopatica proprio idiopatica non è. Si sa che con molta probabilità le cause sono genetiche e forse dal Dna arriverà una cura definitiva. Per ora esistono diversi trattamenti, opzione chirurgica inclusa, che permettono comunque di migliorare la sintomatologia dei pazienti. Nicholas D. Fletcher dell’Emory Orthopaedic and Spine Center di Atlanta si è focalizzato sulla scoliosi idiopatica in età pre-adolescenziale e, con alcuni colleghi, ha avviato un’indagine per conoscere quali sono i trattamenti preferiti dagli ortopedici pediatrici americani. La suddivisione classica è tra scoliosi infantile (nei primi tre anni di vita) e giovanile (fino ai dieci anni di età) e una delle preoccupazioni legate alla malattia è legata ai rischi di uno sviluppo polmonare anomalo, segnalato nei bambini al di sotto dei cinque anni; alcuni studi hanno evidenziato in questi pazienti tassi di mortalità superiori ai coetanei e queste considerazioni inducono sempre più spesso ad affrontare un trattamento, anche se è noto che la maggior parte dei casi si risolverebbe comunque spontaneamente. Il trattamento della scoliosi a insorgenza precoce si è modificato nel corso degli anni e si è arricchito di tecniche nuove, sia conservative che chirurgiche. Il corsetto gessato non viene più utilizzato in modo continuato per tutto il periodo evolutivo, ma solo per brevi periodi per riportare le curve a livelli accettabili oppure in fase pre-operatoria. I ricercatori americani hanno considerato nella loro indagine l’utilizzo dei sistemi di trazione Halo messi a punto in California fin dagli anni Cinquanta e degli speciali lettini gessati, ipotizzando che la disponibilità di queste attrezzature facesse propendere più spesso gli ortopedici verso un trattamento conservativo. La chirurgia oggi dispone di nuove tecniche ed è considerata la soluzione più indicata per certi casi gravi o a spiccata tendenza evolutiva: le metodiche più recenti prevedono una correzione per via laterale o anteriore direttamente sui corpi vertebrali. Gli autori hanno anche verificato il ricorso alle barre di titanio espandibili in lunghezza (growing rods) nel trattamento delle gravi scoliosi infantili, soluzione che, attraverso sistemi di fissazione temporanea, permette di mantenere sotto controllo la progressione della scoliosi. Le risposte al sondaggio inviato ai membri della Pediatric Orthopaedic Society of North America mostrano che i corsetti restano il trattamento preferito e sono prescritti comunemente dall’89,1% degli ortopedici. Anche le growing rods hanno un largo impiego: il 64,1%, mentre la toracoplastica è 83 praticata dal 39,1% di coloro che hanno risposto all’indagine ed è riservata ai casi più gravi. Il sondaggio indica che il 66% degli ortopedici pediatrici americani dispone di lettini gessati e il 77% di sistemi di trazione Halo, ma se i primi sono largamente utilizzati (il 62% del totale: quindi quasi tutti quelli che ne hanno la disponibilità ne fanno uso), i secondi sono, tra tutte le soluzioni considerate, la meno popolare, con una percentuale del 27%. In generale, il trattamento conservativo è largamente preferito per i pazienti molto piccoli, fino ai due anni, mentre due ortopedici su tre ritengono utile ricorrere alla chirurgia su bambini intorno ai cinque anni con ampie curve scoliotiche. Renato Torlaschi Fletcher ND, Larson AN, Richards BS, Johnston CE. Current treatment preferences for early onset scoliosis: a survey of Posna members. J Pediatr Orthop 2011 AprMay;31(3):326-30. EPIDEMIOLOGIA Le fratture da osteoporosi diminuiscono in termini relativi Osteoporosis International ha pubblicato una revisione sistematica della letteratura scientifica condotta allo scopo di delineare uno scenario epidemiologico riguardo all’incidenza delle fratture osteoporotiche, in particolare quelle dell'anca. Già interessante per la messe di dati forniti, lo studio offre un ulteriore e più promettente spunto di riflessione per il fatto che riesce a tracciare un’evoluzione della malattia, lasciando intravedere che alcuni fattori potrebbero invertirne l’espansione. Per individuare qualche nota ottimistica, tuttavia, bisogna proprio leggere tra le cifre, perché il primo impatto è quello di una patologia dai risvolti sociali ed economici enormi, soprattutto per le conseguenze delle fratture vertebrali, distali d’avambraccio e d’anca. Nell’anno 2000 sono state stimate in 9 milioni le fratture osteoporotiche nel mondo, delle quali 1,6 milioni all’anca, 1,7 milioni all’avambraccio e 1,4 alla colonna vertebrale. Per avere un’idea dell’impatto economico, basti citare uno studio comparso su Lancet nel 2002 che azzarda le cifre astronomiche di 20 miliardi di dollari negli Stati Uniti e 30 miliardi di euro nell’Unione Europea. Il problema sembra destinato ad aggravarsi a causa dell’aspettativa di vita che risulta in crescita in tutto il mondo: le stime delle sole fratture d’anca si proiettano verso i 6,3 milioni nel 2050. Ma la distribuzione geografica desta qualche sorpresa e mostra che l’età non è il solo fattore di cui bisogna tenere conto. Le statistiche aggiustate per età mostrano incidenze di fratture che in Scandinavia e in America Settentrionale sono fino a sette volte superiori a quelle registrate nei paesi dell’Europa mediterranea. Anche in Asia e America latina la situazione appare migliore e, in generale, le popolazioni che vivono nelle aree rurali sembrano più protette rispetto agli abitanti delle città. Gli studi riportano un generale aumento delle fratture d’anca nella seconda metà del secolo scorso, ma negli ultimi due decenni si è notato un cambiamento: le cifre complessive continuano a salire, ma le percentuali di fratture tra individui della stessa età hanno fatto segnare una stabilizzazione e in certi casi addirittura un calo. La sfida è ora quella di capire le ragioni di questo declino - che comunque non è generalizzato - per poter mettere in atto misure efficaci di prevenzione. L’aumento registrato dagli anni cinquanta in poi viene attribuito in genere a una maggiore tendenza alla sedentarietà, all’insufficiente apporto di vitamina D e all’aumentata sopravvivenza fino a tarda età di persone fisicamente fragili, grazie ai miglioramenti della medicina. Le ragioni per cui alcune curve di incidenza delle fratture hanno raggiunto un plateau dalla metà degli anni novanta per poi mostrare una certa discesa sono difficili da individuare. È proprio in quel periodo che fu approvato l’utilizzo in Europa e Nordamerica dei primi bisfosfonati, tuttavia l’impiego di questi farmaci è stato inizialmente limitato e quindi non può spiegare, da solo, il calo di fratture LA TECARTERAPIA osservato. Un contributo potrebbe derivare dalle mutate abitudini alimentari degli anziani, da una maggiore propensione all’esercizio fisico e da una minore diffusione del consumo di tabacco. L’uso di estrogeni nel periodo di post-menopausa è generalmente diminuito, ma questo avrebbe dovuto portare all’aumento delle fratture anziché alla loro relativa diminuzione. Insomma, non è al momento possibile fornire una singola spiegazione convincente che renda conto delle variazioni che si sono registrate nell’epidemiologia delle fratture osteoporotiche ma questo, come ribadiscono gli autori dello studio, dovrebbe essere solo uno stimolo per i ricercatori. Giampiero Pilat Cooper C, Cole ZA, Holroyd CR, Earl SC, Harvey NC, Dennison EM, Melton LJ, Cummings SR, Kanis JA; The IOF CSA Working Group on Fracture Epidemiology. Secular trends in the incidence of hip and other osteoporotic fractures. Osteoporos Int 2011 May;22(5):1277-1288. Sviluppata nel corso degli ultimi anni la Tecar è sicuramente una tecnica terapica che sta largamente prendendo piede, con indici di riscontro positivo davvero interessanti. Utilizzata e sviluppata presso centri specialistici, la terapia si avvale della stimolazione dei tessuti dall'interno. Ma facciamo un po’ di chiarezza: utilizzando strumentari dedicati quello che si ottiene è un "trasferimento" di energia all’interno dei tessuti interessati. Il principio è semplice: ampliare e stimolare i processi riparativi a livello osteoarticolare dell'organismo. Come tutti sappiamo dove vi è un danno spesso i processi biologici riparativi possono essere rallentati. La Tecar, attraverso il suo trasferimento di energia, accelera e incrementa la possibilità di una riparazione più efficace. Come ogni terapia non possiamo considerarla la panacea di tutti i mali: il quadro clinico deve essere ben definito dallo specialista prima di decidere se far sottoporre il paziente a più applicazioni di questa terapia. La chiave di volta che fa della Tecar una novità nelle terapie antalgiche non invasive è il meccanismo attraverso il quale "muove" l’energia che permette di accelerare i processi riparativi: mentre la radar o la Marconi terapia utilizzano energia proveniente dall’esterno, la Tecar richiama le cariche elettriche del nostro organismo. Paragonando il modello a quello di un banale condensatore, le cariche elettriche vengono accumulate ai due capi di esso; se viene collegato a un generatore di corrente, ecco che avremo un accumulo di cariche sulle due piastre del conduttore. La variante in questo caso è che una delle due piastre è il tessuto biologico. Nella zona di interesse, dove stiamo applicando la terapia, si avrà allora un flusso di cariche capace di creare un effetto termico endogeno. Possiamo dire che non esistono effetti collaterali riscontrati. È necessario però avere l'accortezza di inquadrare correttamente il paziente, essere sufficientemente documentati ed esperti nel maneggiare il macchinario e conoscere la tempistica e la durata della terapia. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia 86 FORMAZIONE CONTINUA ? LA Il Q u e s i t o D i a g n o s t i c o SOLUZIONE A PAGINA A cura di Giorgio Castellazzi 110 TC (2), finestra per osso, sezione coronale a Marco è un ragazzo di 35 anni, che vive e lavora a Massa Carrara come insegnante in un liceo classico: in passato (circa sei mesi fa) ha subito un trauma da caduta al piede destro, con interessamento dell’astragalo. Attualmente, dopo una puntata febbrile intorno ai 39 gradi, durata per circa due giorni e poi regredita, il paziente ha iniziato a manifestare algie a caviglia-retropiede destra, che non sono regredite dopo opportuna terapia antalgica. TC (2), finestra per osso, sezione coronale b Esame Obiettivo e di Laboratorio Marco è stato visitato dall’ortopedico di fiducia, che ha riscontrato un lieve gonfiore atraumatico dei tessuti molli di caviglia-retropiede, senza arrossamenti o incremento della temperatura locale. Le indagini del sangue hanno rivelato un netto rialzo degli indici di flogosi, soprattutto di Ves e Pcr, senza alterazione della funzionalità epatica e degli esami delle urine; gli indici reumatologici sono risultati negativi. Indagini Strumentali ? RX (1) caviglia dx, pr. frontale TC (2), finestra per osso, sezione coronale c RX (1) piede-caviglia dx, pr. LL È stata eseguita indagine radiografica (RX 1) in carico di piede-caviglia destra. In proiezione frontale, è visibile irregolarità del profilo corticale dell’astragalo per la tibia con addensamento dell’osso subcondrale del domo astragalico. È stata eseguita anche indagine di tomografia computerizzata (TC 2) per meglio studiare la situazione dell’osso e confermare i reperti radiografici. Si conferma aspetto addensato e disomogeneo dell’osso subcondrale al domo astragalico, con aree di riassorbimento di aspetto geodetico e di addensamento eburneo, con collasso della superficie articolare per la tibia e minute scalinature posteriori. TC (2), finestra per osso, sezione coronale d TC (2), finestra per osso, sezione sagittale a Ipotesi Diagnostiche • Osteomielite acuta del domo astragalico • Lesione espansiva del domo astragalico con interessamento articolare • Pseudoartrosi di pregressa frattura dell’astragalo • Necrosi avascolare del domo astragalico con artrosi secondaria della tibio-tarsica TC (2), finestra per osso, sezione assiale a TC (2), finestra per osso, sezione sagittale b TC (2), finestra per osso, sezione assiale b TC (2), finestra per osso, sezione sagittale c 89 FOCUS ON Proiezioni da premio L'attualità della tradizione Le tecniche radiologiche tradizionali si confermano estremamente rilevanti nella diagnostica traumatologica e sono una base imprescindibile per sfruttare al meglio le potenzialità delle sofisticate tecnologie contemporanee La location è il Palazzo dei Congressi di Riccione lo scorso aprile, l'occasione il 14° congresso nazionale della Federazione tecnici sanitari di radiologia medica (Tsrm), l'evento il premio assegnato ai tecnici Tiziana Mari e Gianluca Galbulli Cavazzini del dipartimento di radiologia e diagnostica per immagini dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Parma, autori di un poster sulle proiezioni speciali del ginocchio, che pubblichiamo integralmente nella pagina a fianco. Un premio davvero degno di nota anche, e forse soprattutto, per la motivazione di merito con la quale la commissione ha voluto sottolineare il valore scientifico e culturale del contributo dei due tecnici parmigiani: «uno sguardo dal passato verso il futuro» è stato il commento della giuria. Il passato al quale ci si riferisce è la radiologia tradizionale. Un "passato" che nel poster insignito emerge, invece, con un duplice ruolo di incontestabile attualità: quello di strumento diagnostico tuttora imprescindibile, in particolar modo in ambito ortopedico, e quello di strumento didattico sempre fondamentale per l'apprendimento dei canoni delle tecniche di imaging. Nessuno spunto nostalgico, dunque, nello sguardo di Mari e Galbulli, consapevoli anzi - come qui spiegano in prima persona - che a tener vivo l'interesse per la radiologia tradizionale è anche il suo potenziale di continuo aggiornamento attraverso le innovazioni tecnologiche. Quali contenuti particolari del vostro poster sulle proiezioni radiografiche del ginocchio hanno suscitato maggiore interesse al congresso? Durante l’esposizione del nostro lavoro al congresso di Riccione abbiamo notato un grande interesse da parte di giovani colleghi e, soprattutto, di giovani studenti, che hanno fotografato con i loro telefonini il nostro poster. Il motivo? Per tutti la risposta è stata la stessa: semplicità di esposizione di proiezioni radiografiche complesse, foto, descrizione dettagliata e immagini reali delle proiezioni eseguite sui pazienti. Il contenuto del nostro lavoro è semplice e immediato come devono essere gli esempi e gli insegnamenti. Se dovessimo definire questo poster con un solo termine diremmo che è didattico. Esso è dedicato ai nostri studenti e alle nuove generazioni di Tsrm che lavorano quotidianamente nelle radiodiagnostiche del nostro Paese al servizio della comunità. Perché avete sentito il bisogno di rimarcare il ruolo della radiologia tradizionale nella diagnostica ortopedica? L’ambito della radiologia tradizionale è oggi spesso sovrastato dalle tecnologie pesanti (Tc, Rmn, Pet), apparentemente più attraenti e ricche di contenuto informativo diagnostico. In realtà la radiologia tradizionale comprende ancora oggi tecniche estremamente rilevanti nell’attività quotidiana, e soprattutto nel settore della traumatologia costituisce per i tecnici radiologi la base formativa e la prima tappa del tirocinio e della formazione sul campo. Le attività di radiologia tradizionale, e in particolare di radiologia ortopedica e traumatologica, richiedono esperienza, conoscenza approfondita dell’anatomia umana, integrazione professionale con gli ortopedici allo scopo di ottimizzare e standardizzare le procedure e dare una risposta rapida ed efficiente, che consenta il trattamento appropriato nel più breve tempo possibile. In che modo, nell'iter diagnostico, la radiologia tradizionale può essere di supporto alle tecnologie pesanti? La radiologia tradizionale mantiene una notevole importanza nello studio in elezione della struttura ossea per quel che riguarda le fratture, le lussazioni, le degenerazioni di tipo artrosico. In questi casi, quando l'esame è eseguito in modo corretto, l’informazione ottenuta è generalmente sufficiente a risolvere il quesito diagnostico. In ogni caso, le “semplici radiografie” sono il primo passo verso la diagnosi. Tc e Rm integrano le informazioni che derivano dalla radiologia tradizionale. Si parte sempre dalla base per raggiungere la vetta. Inoltre, il costo di una radiografia è irrisorio se rapportato ad altri esami eseguiti con apparecchiature pesanti. Vi sono casi nei quali la radiologia tradizionale trova addirittura indicazione elettiva? In radiologia tradizionale ortopedica esistono esami insostituibili ancora oggi. Sono esami prettamente di tipo specialistico, effettuati seguendo specifici protocolli e procedure. Per esempio, lo studio del rachide in toto in ortostasi negli adolescenti per sospetta scoliosi: l’esame si esegue con l’ausilio di lunghi chassis o lastre reticolate che permettono al medico radiologo o all’ortopedico di misurare eventuali curvature patologiche. Altri esempi sono lo studio degli arti inferiori per sospetta dismetria, la valutazione preoperatoria dei piedi in carico per alluce valgo o piede piatto e lo studio delle patologie femoro-rotulee. Quanto contano la competenza specifica e l'esperienza del tecnico nel determinare il valore diagnostico dell'indagine radiologica? Tantissimo. La competenza specifica come pure l’esperienza crescono, maturano e si formano continuamente in ogni Tsrm con il tempo e attraverso il confronto quotidiano con le richieste dei diversi specialisti. Ogni operatore è conscio dei propri limiti, ma col passare del tempo diventa “padrone” della propria professione e della propria professionalità. Con il suo bagaglio di esperienza e competenza il Tsrm diventa l’artefice di un risultato che si concretizza nelle immagini finali con le quali il medico radiologo e l’ortopedico possono fare diagnosi e dare al paziente la possibilità di accedere alle terapie più adeguate. Che spazio ha oggi l'attività di ricerca nella vostra professione? La nostra professione si è notevolmente evoluta negli ultimi vent'anni. La figura del tecnico di radiologia è arrivata a livelli sempre più alti e qualificati grazie a una continua formazione che gli permette di avere una propria autonomia professionale e la possibilità di Qui sopra, la sala refertazione Ris-Pacs del dipartimento di radiologia e diagnostica per immagini dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Parma Tiziana Mari e Gianluca Galbulli Cavazzini altri sbocchi, come appunto la didattica e la ricerca. Da anni giovani Tsrm frequentano le facoltà di università europee grazie a progetti come Erasmus. Ma anche nell’attività quotidiana il radiologo è ormai coinvolto in progetti di sviluppo e ottimizzazione delle tecnologie utilizzate, oltre che nella gestione delle immagini. Volendo capovolgere il senso della motivazione al premio assegnatovi e cercare anche il futuro dentro il passato, quali sono le innovazioni tecnologiche più recenti che contribuiscono a fare della radiologia tradizionale uno strumento diagnostico “moderno”? L’evoluzione tecnologica in radiologia negli ultimi tempi è stata enorme. Le ultime generazioni di Tc, Rm, Pet/Ct, Pet/Rmn costituiscono una costante sfida formativa e professionale. Eppure la radiologia tradizionale non è stata a guardare. Il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali ha segnato una pietra miliare per questa disciplina. Il sistema Cr prima e Dr in seguito hanno permesso alla radiologia convenzionale di tenere il passo con le altre metodiche di imaging - basti pensare alla riduzione di dose e alle applicazioni in campo pediatrico - mantenendo attuale quella complementarietà che la diagnostica tradizionale ha sempre avuto. Quali ulteriori prospettive di sviluppo si possono prevedere per la radiologia tradizionale nell'ambito dell'ortopedia? Attualmente gran parte dell’attività diagnostica in ambito ortopedico parte dalla radiologia tradizionale. Perché questo sia possibile anche in futuro, occorrono apparecchiature sempre più sofisticate e avanzate che permettano di ottenere risultati diagnostici perfetti. L’evoluzione tecnologica nel settore diagnostico compie passi da gigante ed è continua: nella radiologia tradizionale, con l’ingresso dei sistemi digitali, le immagini si trasformano in file e si trasmettono tramite rete all’interno di un ospedale o tra ospedali diversi, arrivando ovunque siano richieste e aprendo le porte anche a esperienze di "home radiology". Con la radiologia domiciliare si può arrivare addirittura a casa di pazienti disabili o disagiati. Grazie ai sistemi Ris-Pacs di gestione delle immagini queste possono essere refertate dal medico radiologo, visualizzate direttamente sul proprio Pc dagli ortopedici o su maxischermi nelle sale operatorie e infine archiviate in appositi database, dove restano a disposizione dell’utente per parecchio tempo. Oltre che allo sviluppo tecnologico, il futuro della radiologia tradizionale resta comunque legato alla costante e stretta collaborazione multidisciplinare. Monica Oldani 92 PREVENZIONE E STILI DI VITA Prevenzione e benessere con il resveratrolo Proprietà dimostrate e presunte del resveratrolo, polifenolo dell’uva dall’elevato potere antiossidante, alleato di salute e benessere a ogni età D i resveratrolo, l’ormai celebre polifenolo contenuto principalmente nell’uva nera e nei frutti di bosco, si è cominciato a parlare una ventina d’anni fa, quando uno storico studio pubblicato sulla rivista Lancet (1) sottolineò quello che da allora tutti conoscono come il “paradosso francese”, corrispondente alla bassa frequenza di patologie cardiovascolari riscontrate Oltralpe a dispetto di un’alimentazione tendenzialmente ricca di grassi animali, dimostrato fattore di rischio per i processi aterosclerotici, l’infarto miocardico e l’ictus. Il vino rosso, consumato abitualmente ai pasti, sembrò almeno in parte giustificare il fenomeno in ragione dell’elevato contenuto di sostanze antiossidanti protettive e, in particolare, proprio grazie al resveratrolo. Da allora, le proprietà di questo composto, come di altri suoi analoghi potenzialmente utili per la salute, sono state ampiamente indagate, ottenendo, di volta in volta, prove d’ef- ficacia più o meno solide in svariati contesti clinici. Oltre all’azione anti-radicalica, per il resveratrolo nel corso dell’ultimo decennio sono state evidenziate attività antinfiammatorie, antineoplastiche e immunoregolatorie, sfruttabili per prevenire l’insorgenza di numerose condizioni patologiche e degenerative e per migliorare il benessere generale dell’organismo. Eccone una breve rassegna. Le proprietà antiossidanti Benché non tutti gli studi condotti per testare gli effetti di svariati composti antiossidanti (per esempio, le vitamine C ed E) siano arrivati a conclusioni univoche in merito ai possibili benefici associati a un loro maggior apporto, è opinione comune che i processi ossidativi costituiscano un importante fattore promuovente e/o aggravante di molte patologie umane e che le sostanze in grado di contrastarli possano risultare in qualche misura utili in termini preventivi o di supporto alla terapia specifica. Le marcate proprietà antiossidanti del resveratrolo sono state verificate, in particolare, nell’ambito di uno studio condotto su globuli rossi umani in vitro, nei quali il polifenolo dell’uva contribuiva a proteggere i lipidi di membrana dalla perossidazione a opera degli idroperossidi (2). Oltre che vantaggiosa ai fini della protezione cardiometabolica, l’attività antiossidante del resveratrolo si è dimostrata utile per contrastare i processi degenerativi a livello tissutale e per controbilanciare il declino associato all’età dell’efficienza dei sistemi endogeni di detossificazione cellulare: due effetti chiave per rallentare l’invecchiamento dell’organismo. L'azione antiaging L’azione antiaging del resveratrolo appare legata anche alla sua capacità di influenzare l’espressione genica di enzimi chiave del metabolismo energeti- co e proteine coinvolte nelle vie di trasduzione del segnale dalle quali dipendono funzioni cellulari critiche, come alcune proteinchinasi attivate da Amp ciclico (Ampk). In particolare, studi condotti su lieviti (S. cerevisiae), Drosophila melanogaster e Caenorhabditis elegans hanno indicato che l’aumentata sopravvivenza di queste specie determinata dalla supplementazione nutrizionale con resveratrolo è mediata dalla capacità del polifenolo di promuovere l’espressione del gene Sir2, codificante per una deacetilasi Nad-dipendente coinvolta nei processi ossidativi cellulari (3). Il corrispondente gene presente nel topo e nell’uomo (Sirt1) è influenzato dal resveratrolo in modo analogo. In particolare, nel topo, il resveratrolo è risultato in grado di determinare un allungamento della sopravvivenza paragonabile a quello ottenibile attraverso la restrizione calorica (4) così come di controbilanciare gli effetti negativi di una dieta troppo ricca (5). Attraverso la modulazione dello stato di fosforilazione delle proteinchinasi, il resveratrolo riesce invece a regolare, ottimizzandolo, il metabolismo lipidico a livello epatico e a ridurre la sintesi endogena di colesterolo. In proposito, uno studio condotto sui topi ha segnalato che gli animali nutriti con aggiunta di resveratrolo presentavano velocità metaboliche e resistenza alla fatica superiori rispetto a quelli che non ricevevano la supplementazione (6). Antinfiammatorio e immunomodulante L’attività antinfiammatoria del resveratrolo sembra dipendere principalmente dalla sua capacità di inibire l’attività del fattore di trascrizione Nfkb, essenziale per avviare la sintesi del Tumor necrosis factorα (Tnf-α), di citochine proinfiammatorie come Il6 e Il-1β e delle ciclossigenasi di tipo 2 (Cox-2), enzimi notoriamente coinvolti nell’insorgenza e nel mantenimento della flogosi tissutale e sistemica (7). Parallelamente, il resveratrolo aumenterebbe i livel- IL RESVERATROLO NELLE FORMULAZIONI NUTRACEUTICHE Il resveratrolo (trans-3,4,5-triidrossistilbene) è un polifenolo vegetale contenuto principalmente nelle cuticole e nei semi dell’uva nera, nei frutti di bosco (in particolare, in mirtilli), nelle noccioline e nel Polygonum cuspidatum (caprifoglio giapponese), una pianta erbacea perenne originaria dell’Est asiatico. Poco dopo essere stato assorbito, il resveratrolo subisce processi di sulfonazione e glucoronidazione a livello duodenale ed epatico che lo trasformano nei sui principali cataboliti organici. La copresenza di quercetina (altro potente antiossidante vegetale) tende a ridurre l’efficienza di questa conversione, aumentando la biodisponibilità di resveratrolo trans. In genere, il picco di concentrazione ematica del resveratrolo si registra dopo 30 minuti dall’assunzione a stomaco vuoto, ma a parità di quantità ingerita il livello massimo raggiunto varia da persona a persona poiché il tasso di assorbimento intestinale è soggettivo. L’emivita plasmatica del resveratrolo tende a essere breve: in media, pari a 1-3 ore dopo una singola dose e a 5-6 ore dopo assunzioni ripetute. Quanto ne serve per ottenere benefici Studi in vitro hanno stimato che per ottenere un effettivo beneficio chemiopreventivo la concentrazione plasmatica di resveratrolo deve essere mantenuta almeno intorno a 5 µmol/l (15, 16). Ciò non significa, però, che anche livelli ematici inferiori non possano essere vantaggiosi, dal momento che parte dell’attività protettiva potrebbe dipendere dai suoi cataboliti coniugati a gruppi solfuro o glucoronidati. Un’assunzione giornaliera di resveratrolo per bocca pari a 200-400 mg sembra essere sufficiente per assicurarsi un’azione protettiva contro malattie infiammatorie, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e patologie cardiovascolari in genere, nonché per beneficiare delle proprietà antiaging di questo polifenolo. Intuitivamente, per l’azione antineoplastica potrebbero essere necessari apporti più consistenti, che restano comunque da quantificare. Gli effetti benefici del resveratrolo possono essere potenziati dalla contemporanea assunzione di quercetina, curcumina e pterostilbene, che sembrano esercitare azioni sinergiche. I prodotti a base di resveratrolo Attualmente il resveratrolo è inserito in svariate tipologie di formulazioni nutraceutiche, da assumere per bocca con differenti finalità, e in numerosi prodotti topici orientati a tutelare e sostenere il benessere della pelle (creme, oli, sieri e fluidi rigeneranti-rivitalizzanti), principalmente in un’ottica antiaging. Unito a omega-3, bioflavonoidi e coenzima Q10, il resveratrolo è proposto per ottimizzare il metabolismo energetico e l’efficienza cardiovascolare dello sportivo. Associato a vitamine, sali minerali e fosfatidilserina completa un cocktail utile per supportare le prestazioni intellettive e le capacità di memorizzazione, contribuendo a contrastare l’affaticamento mentale in periodi di studio o lavoro particolarmente intensi. Insieme a omega-6, rutina e isoflavoni della soia rientra in formulazioni indirizzate a riequilibrare il metabolismo del bulbo capillifero, migliorando salute e bellezza della chioma. Sempre insieme agli isoflavoni, ma a più elevata concentrazione, e alla passiflora, il resveratrolo contribuisce a sostenere il benessere generale della donna nel periodo perimenopausale. Da solo o, di volta in volta, combinato con olio di borraggine, luteina, licopene, selenio e/o vitamina E aiuta a contrastare l’invecchiamento cutaneo dall’interno, rendendo la pelle più tonica, luminosa, compatta ed elastica. 93 li di Il-10, una citochina caratterizzata da un’azione antinfiammatoria (8). Dal momento che lo stato infiammatorio dell’organismo è risultato essere correlato alla probabilità di sviluppare patologie cardiovascolari e neoplasie, le proprietà antiflogistiche assegnerebbero al polifenolo dell’uva un ruolo preventivo di primo piano in questi ambiti. In aggiunta, il resveratrolo ha dimostrato di esercitare una più specifica azione protettiva sull’endotelio vasale mediata dall’ossido nitrico (No), di cui aumenta la liberazione stimolando l’attività dell’enzima eNos, e dalla contemporanea riduzione dei livelli di proteina C reattiva (Crp) (9). Per il resveratrolo è stata dimostrata anche una più fine azione immunomodulante, legata all’inibizione di numerosi composti coinvolti nella reazione immunitaria. In particolare, in uno studio condotto su macrofagi attivati con lipopolisaccaridi si è visto che l’aggiunta del polifenolo si associava a una riduzione della sintesi di interferone-γ (Ifn-γ), Il-1, Il-4, Il-6 e Tnf-α e della concentrazione di lifonciti immunoregolatori come i Cd28 e i Cd80. Tutti effetti simili a quelli osservati utilizzando un altro potente composto antinfiammatorio e immunomodulante, la curcumina, che potrebbero assegnare al resveratrolo un ruolo favorevole nel contesto di patologie con una base autommunitaria, come per esempio l’artrite reumatoide o il lupus (10). La prevenzione oncologica Oltre alle implicazioni generalmente favorevoli ai fini della prevenzione oncologica derivanti dalla riduzione dell’infiammazione sistemica mediata dall’inibizione di Nfkb e Cox-2 (verificate in particolare nel cancro della prostata) (11) e dalle proprietà immunomodulanti, l’attività antitumorale del resveratrolo sembra dipendere anche da altre azioni biologiche più specifiche. Studi in vitro condotti su diversi tipi di cellule, per esempio, hanno dimostrato la capacità di questo polifenolo, somministrato a basse dosi, di ritardare l’avvio della replicazione cellulare, offrendo una strategia non citotossica di controllo della proliferazione tumorale (12). A dosi più elevate il resveratrolo sembrerebbe, invece, in grado di indurre l’apoptosi, favorendo l’eliminazione di elementi cellulari aberranti, potenzialmente neoplastici. Il resveratrolo, inoltre, sembra poter agire come un fitoestrogeno (analogamente agli isoflavoni della soia), legando i recettori per gli estrogeni espressi da cellule di cancro del seno. L’interazione tra polifenolo e recettore estrogenico promuoverebbe l’apoptosi delle cellule tumorali interferendo con una via di trasduzione del segnale che coinvolge una fosfoinositide-chinasi (PI3K) e inibibendo la traslocazione nucleare del fattore di trascrizione Nfkb (13). In aggiunta, si è visto che la presenza di resveratrolo a colture di cellule di cancro del seno determina la stimolazione di Tgf-β2, un fattore che inibisce la proliferazione cellulare (contrastando, quindi, l’aumento di dimensioni del tumore). Su queste basi è possibile che il resveratrolo possa esercitare un ruolo parzialmente protettivo nelle forme ormonosensibili di questo tipo di tumore. Per finire, il resveratrolo sembra essere dotato di un’attività antiangiogenetica che potrebbe contribuire a contrastare la crescita tumorale rallentando lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni indispensabili per alimentare la neoplasia (14). Rosanna Feroldi Bibliografia 1. Renaud S, de Logeril M. Lancet, 1992; 339:1523-26. 2. Mikstacka R et al. Plant Food Hum Nutr, 2010; 65:57-63. 3. Guarente L et al. Cell, 2005; 120:473-82. 4. Baur JA et al. Nature, 2006; 444:337-42. 5. Lagouge M et al. Cell, 2006; 127:1109-22. 6. Um HJ et al. Diabetes, 2010; 59:554-63. 7. Gonzales AM et al. Nutr Met, 2008; 5:17. 8. Sanchez-Fidalgo S et al. Eur J Pharmacol, 2010; 633:78-84. 9. Csiszar A. Ann NY Acad Sci, 2011; 1215:117-22. 10. Sharma S et al. Clin Exp Immunol, 2007; 147:155-63. 11. Nonn L et al. Carcinogenesis, 2007; 28:1188-96. 12. Zhou R et al. Br J Pharmacol, 2009; 158:462-74 13. Pozo-Guisado E et al. Int J Cancer, 2005; 115:74-84. 14. Hu Y et al. Chin Med J, 2007; 120:1672-77. 15. Boocock DJ et al. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev, 2007; 16:1246-52. 16. Gesher AJ et al. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev, 2003; 953-57. DALLE AZIENDE Migliorare la perfusione nell’approccio alle tendinopatie Le tendinopatie sono condizioni patologiche innescate da insulti di vario genere, in gran parte dei casi di origine meccanica, come traumi diretti o accumulo di microlesioni. In presenza o meno di fattori predisponenti, la causa principale delle tendinopatie è, comunque, il sovraccarico funzionale che provoca spesso una ridotta perfusione ematica del tendine. Nell’ambito di una ridotta perfusione sanguigna, l’ossido nitrico (NO) gioca un ruolo chiave nel migliorare il flusso ematico locale, agevolare l’apporto di ossigeno e nutrienti, favorire i processi di guarigione tissutale. Tenosan (Agave Farmaceutici) permette di migliorare la perfusione ematica del tendine, grazie all’aumento della produzione di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali. Gli attivi che mediano questo processo sono l’arginina L-alfa-chetoglutarato, precursore dell’ossido nitrico, e il vinitrox® che, con l’azione diretta sull’enzima ossido nitrico sintetasi, aumenta il rilascio di ossido nitrico in circolo, con il conseguente aumento della perfusione sanguigna dei tendini. Ma nel quadro fisiopatologico delle tendinopatie, non si può prescindere dall’infiammazione, che è possibile contrastare grazie all’impiego del metilsulfonilmetano (MSM), zolfo organico che migliora la permeabilità cellulare e favorisce l’eliminazione dei cataboliti infiammatori, riducendo la flogosi e il dolore. Ad ogni processo infiammatorio, poi, consegue inesorabilmente la formazione di edema; la bromelina previene l’eccessiva formazione di edema infiammatorio e riduce l’edema pre-esistente. Infine, nell’intervento sulla degenerazione strutturale è fondamentale l’apporto di collagene di tipo I con spiccato tropismo per il tendine. Il collagene di tipo I, nella forma idrolizzata, stimola la sintesi di collagene endogeno, migliora il trofismo e aumenta la resistenza e l’elasticità del tendine. Tenosan, un’associazione di arginina L-alfa-chetoglutarato, vinitrox®, MSM, bromelina e collagene di tipo I, è consigliato in tutti i casi di sovraccarico funzionale dei tendini, di microtraumi tendinei da lavoro e sport, nel periodo post-operatorio (in particolare durante la fase di immobilità) e nella fase riabilitativa. Il trattamento prevede la somministrazione di due bustine al giorno – una al mattino e una alla sera – per due mesi a cicli ripetibili nel corso dell’anno. 95 FOCUS ON Polinucleotidi nelle infiltrazioni intrarticolari Condrotide apre prospettive inattese nel trattamento dell’osteoartrosi grazie alle spiccate proprietà biomeccaniche e metaboliche dei polinucleotidi. Susanna Guzzetti L’osteoartrosi è in tutto il mondo la patologia che più frequentemente interessa le articolazioni. Circa l’85% delle persone con più di 65 anni presenta osteoartrosi, con sintomi che in genere si avvertono a partire dai 50 anni, quando le alterazioni legate all’età riguardanti il collagene e i proteoglicani iniziano a prendere piede. Le donne in genere sono più colpite degli uomini. La sintomatologia della malattia è data soprattutto dalla presenza di una infiammazione sinoviale, verificabile dalla presenza nel liquido articolare dei pazienti di valori significativi di mediatori infiammatori e di altri marcatori di attivazione delle cellule immunitarie. Anche i valori della proteina C reattiva nel sangue sono solitamente elevati. I sintomi tipici sono il dolore, la rigidità mattutina o dopo inattività, il gonfiore e la riduzione della mobilità articolare. Le terapie dell’osteoartrosi hanno l’obiettivo di ridurre il dolore, rallentare la progressione della malattia, mantenere la mobilità e contenere la disabilità. Tra le varie opzioni le infiltrazioni intrarticolari di viscosupplementi possono rappresentare una valida scelta terapeutica, perché favoriscono la riduzione dell’attrito migliorando la funzionalità articolare. Fino a poco tempo fa l’unica molecola a disposizione per questa terapia era l’acido ialuronico, il quale ha però mostrato un evidente limite: esso non sembra avere effetto sulle cause dell’osteoartrosi e quindi non è in grado di cambiare la storia clinica della patologia. Alla fine degli anni Novanta è stato presentato uno studio in cui si dimostrava che una soluzione ad alta densità di polinucleotidi poteva indurre un viraggio metabolico in una coltura di fibroblasti cutanei. A questo punto si è pensato alla possibilità di utilizzare delle macromolecole in grado di aggregarsi come un gel ad alta densità, e quindi proteggere dagli sfregamenti i capi articolari, ma che potessero anche essere utilizzate come fornitori di nutrimento per la cartilagine, stimolando i condrociti a produrre nuova matrice. Così in uno studio successivo si procedeva ad aggiungere al mezzo di coltura frammenti di polinucleotidi di diversa lunghezza con una concentrazione media di 100 µg/ml. Dopo sei giorni di sperimentazione è stato verificato un incremento della crescita degli osteoblasti del 21% superiore rispetto allo stesso terreno non addizionato. I ricercatori sono così giunti alla conclusione che queste lunghe catene di polinucleotidi in coltura promuovevano la proliferazione di osteoblasti secondo un meccanismo che, seppur non ancora ben chiarito, pare possa essere mediato dalla stimolazione del recettore per le purine presente sugli osteoblasti. In seguito a queste conferme è stato recentemente immesso in commercio Condrotide, un device contenente polinucleotidi a elevata concentrazione (20 mg/ml). In particolare le catene polinucleotidiche di Dna animale vengono sottoposte a vari processi per essere in grado di trattenere le molecole di acqua, formando un gel tridimensionale che, proprio come l’acido ialuronico, protegge le superfici articolari dallo sfregamento, integrando il liquido sinoviale, migliorandone la viscosità e quindi permettendo una funzionalità meccanica migliore. La novità di questo trattamento risiede però nel fatto che i polinucleotidi vanno in un secondo momento incontro a una fisiologica degradazione enzimatica, con liberazione delle basi azotate, puriniche e pirimidiniche, di ribosio e di fosfato. In questa seconda fase della loro azione, essi possono fornire nutrimento alle cellule della cartilagine, facendo in modo che si verifichi la formazione di nuova matrice extracellulare, con riparazione del danno tissutale. L’attività di Condrotide rispetto alla produzione di matrice extracellulare e di collagene di tipo 2 è stata testata in vitro confrontandola con acido ialuronico, e in entrambi i casi si è dimostrata una maggiore produzione nel mezzo addizionato di Condrotide allo 0,01% rispetto a quello con acido ialuronico all’1%, suggerendo così un effetto metabolico amplificato. Presso la Clinica ortopedica dell’Università di Pavia tra il 2006 e il 2007 è stato condotto uno studio clinico che confrontava l’efficacia di infiltrazioni di Condrotide (2 ml di Pn 20 mg/ml) con acido ialuronico (2 ml di Ha 8 mg/ml) su una popolazione di 60 pazienti affetti da gonartrosi secondaria da almeno due mesi. I pazienti arruolati avevano un’età compresa tra 18 e 80 anni e una diagnosi di osteoartrosi del ginocchio effettuata in base alle linee guida dell’American College of Rheumatology. I pazienti sono stati trattati con cinque iniezioni (effettuate a distanza di una settimana) di uno dei due dispositivi e successivamente controllati per 12 settimane. Lo studio, in doppio cieco, ha valutato come endpoint primario la variazione del grado di dolore a riposo, durante il carico e nell’attività fisica. La valutazione è stata effettuata in occasione di ogni visita utilizzando una scala visuale analogica (Vas) da 0 a 10 cm. Oltre a questi fattori, sono stati monitorati l’utilizzo di Fans, lasciati al libero utilizzo del paziente, la qualità di vita tramite punteggio Koos (Knee Osteoarthritis Outcome Score), la limitazione della mobilità articolare e la tollerabilità. Il trattamento con Condrotide si è dimostrato ben tollerato e, rispetto all’acido ialuronico, ha dimostrato una più rapida azione sul dolore già dalla prima infiltrazione. Riduzione della sintomatologia che si manteneva costante al controllo, effettuato a tre mesi dalla fine del trattamento. Anche per quanto riguarda il punteggio Koos, la qualità della vita e l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, Condrotide sembra avere un migliore effetto rispetto al gruppo trattato con acido ialuronico, anche se il confronto non è stato controllato statisticamente per tutti gli endpoint secondari. Nonostante si attendano ulteriori studi che confermino questi ottimi risultati, Bibliografia • Editorial. The intra-articular viscosupplementation with polydeoxyribonucleotides. The new option to ameliorate clinical response. Trends Med 2010;10(4):183-190. • Perrot S et al. Active or passive pain coping strategies in hip and knee osteoarthritis? Results of a national survey of 4,719 patients in a primary care setting. Arthritis Rheum Nov 15 2008;59(11):155562. • Goldberg VM, Buckwalter JA. Hyaluronans in the treatment of osteoarthritis of the knee: evidence for disease-modifying activity. Osteoarthritis Cartilage Mar 2005;13(3):216-24. • Stitik TP, Levy JA. Viscosupplementation (biosupple- mentation) for osteoarthritis. Am J Phys Med Rehabil Nov 2006;85(11 Suppl):S32-50. • Bellamy N, Campbell J, Robinson V, Gee T, Bourne R, Wells G. Viscosupplementation for the treatment of osteoarthritis of the knee. Cochrane Database Syst Rev Apr 19 2006;CD005321. • Altman RD, Moskowitz R. Intraarticular sodium hyaluronate (Hyalgan) in the treatment of patients with osteoarthritis of the knee: a randomized clinical trial. Hyalgan Study Group. J Rheumatol Nov 1998;25(11):2203-12. • Stitik TP, Blacksin MF, Stiskal DM, Kim JH, Foye PM, Schoenherr L, et al. Efficacy and safety of hyaluronan treatment in combination therapy with home exercise for knee osteoarthritis pain. Arch Phys Med Rehabil Feb 2007;88(2):135-41. • Vanelli R, Costa P, Rossi SM, Benazzo F. Efficacy of intra-articular polynucleotides in the treatment of knee osteoarthritis: a randomized, double-blind clinical trial. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc 2010 Jul;18(7):901-7. 97 FOCUS ON Antiossidanti primari contro le neuropatie La supplementazione con antiossidanti primari e acidi grassi essenziali rappresenta un approccio eziopatogenetico efficace contro le neuropatie N elle neuropatie compressive (radicolopatie, sindromi canalicolari) il quadro clinico è caratterizzato da una sintomatologia algica acuta che spesso impone il ricorso ai Fans o ad altri tipi di analgesici. In questi casi, superata la fase acuta o eventualmente in associazione agli stessi analgesici, risulta utile l’integrazione con sostanze ad azione antiossidante e dunque antinfiammatoria e neurotrofica. La supplementazione con antiossidanti e neurotrofici rappresenta un approccio eziopatogenetico, a differenza di quello puramente sintomatico degli analgesici centrali, con l’effetto non solo di ridurre la sintomatologia algica e parestesica, ma anche di ridurre il ricorso a farmaci analgesici e di evitare la progressione del danno nervoso. Le conseguenze dello stress ossidativo La compressione meccanica di un nervo determina una ischemia dei vasa nervorum con conseguente sovraproduzione di superossido (O2-), capostipite di tutti i radicali liberi dell’ossigeno (Ros). Lo stress ossidativo che ne deriva ha diverse conseguenze. Infiammazione (il O2- è un mediatore cellulare che induce biosintesi e rilascio di citochine infiammatorie, in particolare Il-1, Il-6 e Tnf-α). Stress ossido nitrativo (il perossinitrito NO3- che si forma in seguito alla reazione del O2- con l’NO è citotossico e può indurre apoptosi). Riduzione delle risorse energetiche cellulari (con- “ seguente al danno ai mitocondri). Danneggiamento delle cellule (neuroni, cellule di Shwann, microglia) e apoptosi (neurodegenerazione). A livello cellulare (neuroni, cellule di Shwann, microglia) i Ros attaccano e danneggiano le membrane lipidiche cellulari e mitocondriali, il Dna sia cellulare che mitocondriale, le proteine enzimatiche e non, creando un danno che può andare da un semplice deficit funzionale fino alla morte della cellula. Più in generale, a livello del nervo, i Ros amplificano l’infiammazione del nervo inducendo la biosintesi di citochine infiammatorie e molecole chemiotattiche che richiamano leucociti. I Ros promuovono in questo modo l’attivazione delle cellule immunitarie, delle cellule di Schwann e della microglia, attivazione alla base del processo infiammatorio a carico del nervo. L’infiammazione che si genera a livello del nervo periferico viene trasmessa anche a livello centrale (spinale) attraverso l’attivazione della microglia. È stato dimostrato che i Ros sono coinvolti nel processo di sensibilizzazione spinale del dolore attraverso l’attivazione dei recettori Nmda (N-metildestraspartato) a livello delle corna dorsali (Tan, 2009; Schwartz, 2009). L’infiammazione del nervo e le lesioni degenerative che ne derivano sono responsabili del dolore neuropatico e della perdita di funzionalità della trasmissione nervosa (riduzione velocità di conduzione nervosa, disestesie e deficit motori o autonomici). Due molecole antinfiammatorie Questo spiega perché tra le molecole più studiate per ridurre l’infiammazione del nervo vi sono la superossidodismutasi (Sod) e l’acido α-lipoico (Ala), entrambe potenti antiossidanti. In particolare, la Sod è l’enzima responsabile della prima reazione di neutralizzazione del superossido e la sua azione non può dunque essere eguagliata da nessun altro antiossidante. Fra gli antiossidanti l’Ala è quello che dispone della più nutrita documentazione di efficacia clinica nel trattamento delle neuropatie. L’Ala è stato infatti identificato in una recente review (Lee, 2011) come l’unico principio attivo di documentata efficacia nella terapia su base patogenetica della neuropatia diabetica. L’Ala è un potente antiossidante endogeno che svolge due funzioni principali: agisce come antiossidante e come coenzima del metabolismo energetico cellulare. Queste caratteristiche rendono Ala non solo efficace come antiossidante, ma anche indispensabile al nostro organismo per contrastare i danni associati alla formazione dei radicali liberi. La documentazione clinica di maggior rilievo sull’Ala riguarda la sua attività su segni e sintomi delle neuropatie periferiche. Agli studi che ne dimostrano l’efficacia nel ridurre il dolore e migliorare la velocità di conduzione nervosa in una delle forme più complesse di neuropatia, la neuropatia diabetica, si sono affiancati negli ultimi anni altri studi che dimostrano l’efficacia dell’Ala, somministrato per via orale al dosaggio di 600 mg/die, in altri tipi di neuropatia, in particolare la lombosciatalgia, la cervicobrachialgia e la sindrome del tunnel carpale. In questi studi risulta evidente la significativa capacità di Ala di ridurre il dolore neuropatico ed i deficit di conduzione nervosa. L'efficace combinazione delle molecole L’integrazione con Ala e Sod ha lo scopo di potenziare le difese dell’organismo contro questi processi e di ridurre dunque il dolore neuropatico e i deficit di conduzione nervosa. Sia Ala che Sod hanno dimostrato sperimentalmente di inibire la biosintesi di IL-1, IL-6 e TNF-α. Dagli studi effettuati sulla Sod è emersa un’attività antinfiammatoria che si basa non solo sulla eliminazione dell’anione superossido, ma anche sulla capacità di limitare la produzione di mediatori pro-infiammatori quali Tnf e Il-6, che vengono prodotti in condizioni di stress ossidativo. È stato inoltre dimostrato che la Sod è in grado di inibire l’apoptosi neuronale. In aggiunta all’attività neuroprotettiva diretta sulle fibre nervose sottoposte a stress ossidativo, la Sod esercita un effetto neuroprotettivo indiretto, in quanto agisce a livello vascolare migliorando la perfusione ematica del nervo grazie all’aumento della concentrazione di NO a livello vasale e alla minor formazione di perossinitrito (NO3-), agente citotossico (Cuzzocrea, 2001). La Sod somministrata per via orale, in una formula- zione appositamente studiata per renderla biodisponibile, ha dimostrato di esercitare non solo un’azione antiossidante, ma anche una vera e propria attività neuroprotettiva. I meccanismi del rapido miglioramento sia dei sintomi che dei deficit neuropatici possono essere correlati ad un miglioramento del flusso ematico dei vasa nervorum, oltre che alle ricadute favorevoli sui meccanismi della flogosi a carico della mielina della fibra nervosa periferica, ma anche delle strutture del disco, mediato dall’azione antiossidante di Ala. Fra i principi attivi ad azione neurotrofica, l’acido gamma-linolenico (Gla) ha una attività strettamente rivolta alla riparazione delle membrane nervose danneggiate, in quanto è un costituente delle membrane biologiche con la particolare funzione di migliorare la fluidità delle membrane. Poiché in seguito a infiammazione protratta del nervo si osserva una deplezione di acido gamma-linolenico dalle membrane nervose e della guaina mielinica, l’impiego di integratori alimentari a base di acido gamma-linolenico può essere utile a scopo neuroprotettivo in particolare nelle neuropatie compressive in fase non iniziale. L’associazione di Ala (600 L’integrazione degli antiossidanti primari è efficace nel ripristinare le difese dell’organismo e garantire un’azione antinfiammatoria specifica sul tessuto nervoso. Questi integratori alimentari sono utili in particolare nel ridurre il dolore provocato e sindrome del tunnel carpale “ da lombosciatalgia, cervicobrachialgia Sistema antiossidante fisiologico Sod-Ala mg/die) e acido gammalinolenico Gla (360 mg/die) ha dimostrato di migliorare la velocità di conduzione nervosa e la sintomatologia algica e parestesica in modo significativo dopo tre mesi di trattamento (Di Geronimo, 2009). Dott.ssa Rosanna Feroldi Bibliografia 1. Schwartz ES, Kim HY, Wang J, Lee I, Klann E, Chung JM, Chung K. Persistent pain is dependent on spinal mitochondrial antioxidant levels. J Neurosci 2009 Jan 7;29(1):159-68. 2. Tan E et al. The oxidative response in the chronic constriction injury model of neuropathic pain. J Surg Res 2009;152:84–88. 3. Lee FH, Raja SN. Complementary and alternative medicine in chronic pain. Pain 2011;152:28-30. 4. Cuzzocrea S et al. Antioxidant therapy: a new pharmacological approach in shock, inflammation, and ischemia/reperfusion injury. Pharmacol Rev 2001;53:135-159. 5. Di Geronimo G, Caccese AF, Caruso L, Soldati A, Passaretti U. Treatment of carpal tunnel syndrome with alpha-lipoic acid. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2009;13(2):133-139. 98 FOCUS ON 99 FOCUS ON Tecnologie cross-link per l'osteoartrosi Per contrastare la patologia degenerativa si sfruttano oggi le proprietà viscoelastiche dell’acido ialuronico per ripristinare le normali funzioni dell’articolazione e rallentare la progressione della malattia Dott. Domenico Culotta Specialista in anestesia, rianimazione e terapia del dolore, geriatria e gerontologia Il presupposto fisiologico alla viscosupplementazione Alla biochimica funzionale delle grandi articolazioni sono ispirate le proprietà di viscosupplementazione di alcuni prodotti studiati appositamente per il trattamento dell'osteoartrosi. Protagonista di una buona salute articolare è infatti l'integrità del liquido sinoviale, e in particolare del suo ingrediente principale, l'acido ialuronico. Questo è un biopolimero non ramificato formato da disaccaridi di N-acetilglucosamina e acido D-glucuronico, dove il collante tra disaccaridi della catena polimerica è fornito da legami beta-1,3 glicosidici. Data la completa ionizzazione dei gruppi carbossilici sia dell'acetilglucosamina sia dell'acido glucuronico, in vivo la molecola dell'acido ialuronico risulta altamente polarizzata, e quindi dotata di un'ottima idrosolubilità. Tale affinità per l'acqua lo rende un composto in grado di raggiungere alti livelli di idratazione. Nel liquido sinoviale delle articolazioni sane, l'acido ialuronico è costituito da catene lineari il cui peso molecolare è, mediamente, di 6 milioni di Dalton. Le sue proprietà idrodinamiche e viscoelastiche garantiscono agli snodi articolari una costante lubrificazione e una grande capacità di resistere ai traumi e agli stress fisici prodotti dalle sollecitazioni meccaniche. Infine, il polisaccaride denota anche un comportamento da principio attivo di tutto rispetto, ponendosi come efficace antagonista endogeno del processo infiammatorio e come analgesico. Dall'acido ialuronico agli hylan ad alto peso molecolare: la tecnologia del cross-link Fin dagli anni Settanta l'innovazione in ambito chimico-farmaceutico ha permesso di mettere a punto metodologie che consentissero di ottenere derivati dell'acido ialuronico “lineare” avente un peso molecolare di circa 500 mila Dalton. Ad oggi le procedure estrattive consentono di ottenere prodotti a base di acido ialuronico lineare con un ampio range di peso molecolare, tanto che è diventato di uso comune parlare di basso peso (0,5-1,2 milioni di Dalton - MDa) e medio peso molecolare (1,2-3,6 MDa). È stato possibile tuttavia ottenere preparati a peso molecolare superiore attraverso una differente metodologia: il cross-link. Il cross-link è una tecnologia di sintesi che permette di legare tra di loro più molecole di acido ialuronico attraverso ponti chimici in modo da ottenere molecole di acido ialuronico di dimensioni maggiori e quindi di peso molecolare maggiore. La “cross-link technology” è andata affermandosi nel tempo e, al giorno d’oggi, consente di lavorare sulle disfunzioni delle matrici extracellulari e di modulare le proprietà strutturali di composti derivati dell’acido ialuronico a partire dal suo sale sodico (ialuronano). Tra questi composti sono inclusi gli hylan, polimeri facilmente manipolabili e ottenuti per combinazione di catene polisaccaridiche di peso molecolare differente. Essi sono in grado di conservare le stesse caratteristiche funzionali dell’acido ialuronico garantendo al contempo la medesima biocompatibilità. In pratica, con la procedura cross-link è possibile particolare da un punto di vista reologico: dovendo rimpiazzare il liquido sinoviale, il prodotto deve essere in grado di mimare al meglio le condizioni fisiologiche sane. Questi studi hanno permesso anche di chiarire altri meccanismi attraverso i quali i viscosupplementi cross-linkati riescono a realizzare un microambiente che tende a ripristinare la proliferazione di cellule della matrice cartilaginea e ad attivare processi riparativi che concorrono alla sintesi di acido ialuronico endogeno sano. Il risultato è dunque l’innesco di una sorta di circolo virtuoso visibile nella parziale ripresa dell’attività biochimica e fisiologica delle strutture articolari. Soluzioni e gel: la modulazione del cross-link Modulando le condizioni di reazione di questa tecnologia è possibile ottenere acidi ialuronici diversi tra loro dotati di idrosolubilità, elasticità e viscosità estremamente variabili. Tale modulazione dipende sia dalla quantità che dal tipo di agente chimico utilizzato per creare i legami crociati che si formano tra gli idrossili delle diverse catene polimeriche, permettendo di sintetizzare preparati a consistenza crescente: hylan a peso molecolare più alto dell’acido ialuronico lineare, che restano in una forma fluida, e hylan in gel. Nei primi le molecole legate tra loro non sono molte e possono raggiungere il peso molecolare fisiologico di 6,0 MDa. Nei secondi si crea un insieme più ampio di molecole tale da assumere una struttura tridimensionale di tipo reticolare. Si forma cioè un reticolo molto grande di molecole di acido ialuronico tanto da portare ad un cambiamento di stato fisico: da liquido a gel. Con questo cambiamento si arriva persino a superare la nozione stessa di “peso Il peso molecolare medio delle catene di acido ialuronico presenti nel liquido sinoviale sano è 6,0 milioni di Dalton. Anche se in minor percentuale, all’interno dell’articolazione si possono trovare però molecole sia a maggiore che a minore peso molecolare molecolare” in quanto il passaggio in forma di gel dovuto all’instaurarsi di nuovi legami tra le catene di acido ialuronico ne rende pressoché impossibile la misurazione. Variando le condizioni di reazione, si possono ottenere gel con una consistenza crescente: soft gel, gel, hard gel. Va detto che le diverse tipologie di preparati sono dotate di proprietà terapeutiche versatili, con impieghi che spaziano dall’oftalmologia alla medicina estetica fino all’ortopedia. Anche per quanto concerne i tempi di permanenza nelle varie sedi intra-tissutali si nota un’ampia gamma di comportamenti: all'aumentare delle catene cross-linked dei preparati, infatti, corrisponde una diminuzione della loro idrosolubilità che ne prolunga il tempo di permanenza intra-tissutale e quindi l'efficacia biologica. Per questa ragione i viscosupplementi crosslinkati hanno il vantaggio di essere somministrati con un minor numero di infiltrazioni rispetto a preparati non cross-linkati (lineari). Dal palliativo alla cura: il presente del trattamento dell’osteoartrosi Tra gli eventi degenerativi tipici della patologia artrosica rientrano alcuni cambiamenti quali-quantitativi del liquido sinoviale, e segnatamente della sua componente in acido ialuronico. In particolare, proprietà intrinseche del polisaccaride, come il peso e le dimensioni molecolari, cominciano a modificarsi per via di uno sbilanciamento del normale rapporto tra anabolismo e catabolismo a favore del secondo processo, con conseguente diminuzione della sua concentrazione e del suo peso molecolare. Con lo sviluppo delle tecnologie cross-link è cambiato radicalmente l’approccio al trattamento dell’osteoartrosi. Si è passati da un intervento di tipo SCHEDA PRODOTTO SCHEDA PRODOTTO Jonexa Synvisc Distribuito in Italia da Abiogen, Synvisc è un dispositivo medico di classe III prodotto da Genzyme Corporation (Ridgefield, NJ, Usa). Si tratta di un derivato viscoelastico totalmente cross-linkato, a partire da catene di ialuronano. Synvisc si ottiene attraverso due passaggi di linking successivi che portano alla produzione di due diversi hylan: A e B. Hylan A è un fluido di molecole crosslinkate di acido ialuronico avente un peso molecolare di 6,0 MDa; hylan B è un gel in cui le molecole di acido ialuronico, grazie al secondo linkaggio, formano un reticolo che supera il concetto di peso molecolare in quanto non più misurabile. Nel suo insieme, Synvisc è una miscela costituita per l'80% da hylan A e per il 20% da hylan B. Grazie alla sua viscoelasticità Synvisc è l'unico prodotto sul mercato ad avere il marchio CE per tutte e quattro le grandi articolazioni del corpo: ginocchio, anca, spalla e caviglia, per il trattamento del dolore in pazienti affetti da aumentare il peso molecolare dei complessi polimerici in modo che le loro prestazioni reologiche e biomeccaniche siano in tutto e per tutto paragonabili a quelle del liquido sinoviale di un'articolazione sana, assicurando, inoltre, un maggior tempo di permanenza all'interno dell'articolazione. La letteratura scientifica conferma l’importanza degli sviluppi nell’ambito delle tecnologie cross-link. Nei tempi recenti si sono accumulate evidenze empiriche tese ad avvalorare le proprietà reologiche di questi derivati dell’acido ialuronico, tanto che è andata sempre più ad avvalorarsi la definizione di “viscosupplementazione” (anche per una differenziazione dalle proprietà di “viscoinduzione” attribuite agli acidi ialuronici a basso peso molecolare). L’attività principale infatti dell’acido ialuronico cross-linkato è quella di supplementare, fisicamente e meccanicamente, l’articolazione del liquido sinoviale perso (o degenerato). Questo spiega anche il perché la continua tendenza a realizzare preparati il più possibile simili al liquido sinoviale sano, in Il cross-link è una tecnologia che, attraverso ponti chimici specifici, crea dei legami crociati tra più catene di acido ialuronico lineare, in modo da formare molecole di dimensioni maggiori e quindi di peso molecolare più alto. Modulando la quantità e il tipo di agente legante, si possono ottenere reticoli di grandi dimensioni che passano dallo stato fisico di liquido a gel L’acido ialuronico è una catena polisaccaridica formata da migliaia di dimeri (acido glucuronico e N-acetilglucosamina). Il peso complessivo della molecola è proporzionale al numero di dimeri e si misura in Dalton Del resto, le ormai numerose applicazioni mediche dei viscosupplementi sono motivate da esigenze altrettanto numerose. In alcune di queste è importante utilizzare prodotti in soluzione dotati di adeguate proprietà reologiche ma brevi tempi di permanenza, come in alcuni trattamenti chirurgici dell'occhio. In altre invece è necessario che i derivati cross-linked offrano il miglior compromesso tra proprietà reologiche e lunga permanenza, ed è quindi consigliabile rivolgersi ai preparati in gel. Il trattamento dell'osteoartrosi rientra nella seconda categoria di applicazioni. Alcuni acidi ialuornici cross-linkati presenti nel mercato italiano sono Synvisc, Jonexa, Durolane, Monovisc e Fermathron S. osteoartrosi che non abbiano tratto vantaggio dagli analgesici comuni e dal trattamento conservativo non farmacologico. Per quanto concerne i tempi di permanenza endo-articolare, l'emivita di Synvisc è di circa sette giorni, dunque decisamente maggiore dell'emivita degli acidi ialuronici lineari (da alcune ore a uno-due giorni). Il preparato viene metabolizzato dall'organismo allo stesso modo dell'acido ialuronico. Sotto il profilo delle prove cliniche, Synvisc può vantare una documentazione unica, sia per il numero di riferimenti (circa 500) che per la qualità delle pubblicazioni prodotte (più di 300 articoli indexati su PubMed). In fase post-marketing Synvisc è stato ormai valutato su 6 milioni di soggetti, confermando che nei pazienti con osteoartrosi del ginocchio la sua somministrazione produce sollievo dal dolore lungo l'intero anno, con un solo ciclo di trattamento (tre infiltrazioni a cadenza settimanale). Ultimo ritrovato di Genzyme Corporation (Ridgefield, NJ, Usa) in questo settore, Jonexa (lanciato in Italia da Abiogen Pharma nel 2010) è un soft-gel ottenuto attraverso un solo passaggio di linking. Il preparato finito è costituito per l'80% da un gel di acido ialuronico cross-linkato (anche in questo caso con peso molecolare non misurabile) e per il 20% da una fase liquida formata da catene libere di acido ialuronico a basso peso molecolare (0,9-1,3 MDa). Si tratta di un viscosupplemento dotato di una struttura reticolare le cui maglie massimizzano la protezione delle cartilagini e la lubrificazione delle articolazioni, migliorando la funzione articolare e alleviando il dolore. Il punto di forza di Jonexa risiede nella "monosomministrazione" del prodotto: con una singola somministrazione, infatti, garantisce un'efficacia terapeutica di sei mesi. La formulazione del preparato è un gel particolarmente fluido (soft-gel) che facilita la somministrazione e al tempo stesso permette di attenuare il fastidio dovuto al trattamento. La sua efficacia è documentata da una classica sperimentazione multicentrica durata 52 settimane complessive, che ha coinvolto quasi 400 pazienti di cinque Paesi, il 95% dei quali presentava una osteoartrosi di II-III grado (secondo Kellgren Lawrence). Il trial clinico, uno studio prospettico randomizzato controllato in doppio cieco, è stato condotto dividendo il campione in tre gruppi, due dei quali trattati con Jonexa secondo due protocolli differenti, e uno trattato con 40 mg di steroide. La sperimentazione clinica ha evidenziato in entrambi i gruppi trattati con Jonexa una riduzione del dolore statisticamente significativa a sei mesi dall'inizio dello studio (con manifestazioni avverse simili nei tre gruppi) e in seguito il mantenimento dell'effetto fino a un anno con una sola somministrazione aggiuntiva a distanza di sei mesi dalla prima. esclusivamente sintomatico, basato sull'uso locale di cortisonici e pertanto gravato dal rischio di un'accelerazione delle perdite di sostanza cartilaginea (e nel caso del ginocchio, anche meniscale), a un intervento di tipo più propriamente curativo, che sfruttando le proprietà viscoelastiche dell’acido ialuronico (riprodotte nei suoi derivati cross-linked), può porsi il duplice obiettivo terapeutico di ripristinare le normali funzioni dell’articolazione e di rallentare la progressione della malattia. Per tale ragione, attualmente è appropriato parlare di viscosupplementazione, ossia di un programma riabilitativo che si estende su un orizzonte temporale di lungo termine, per arrivare a recuperare una soddisfacente mobilità articolare riducendo al contempo la sintomatologia dolorosa. Da ciò l’importanza di orientare tanto la ricerca sui nuovi prodotti quanto la pratica medica verso viscosupplementi che, proprio grazie alle tecnologie cross-link, danno maggiori garanzie di efficacia terapeutica e di prolungamento dei tempi di permanenza endo-articolare, a tutto vantaggio del paziente, il quale, oltre al ripristino della normale funzione articolare, vede ridursi anche la frequenza di trattamenti a cui deve sottoporsi. Da non trascurare il fatto che la viscosupplementazione è indicata anche in tutti quei pazienti intolleranti agli antidolorifici o in soggetti per i quali tali farmaci abbiano dato risposte insoddisfacenti o reazioni avverse. 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Foot Ankle Surg 2008; 14(3):145152. 102 CORSI E CONGRESSI L’aggiornamento pratico del Trauma Meeting La quarta edizione del seguitissimo congresso di traumatologia avrà un taglio ancora più legato alla pratica clinica. Gli esperti coinvolti si confronteranno sugli inquadramenti diagnostico-terapeutici più attuali Il Trauma Meeting è giunto alla sua quarta edizione e si conferma l’appuntamento più importante per i traumatologi italiani. Anche quest’anno sarà ospitato sulla riviera della Romagna e avrà luogo a Riccione dal 27 al 29 ottobre. Come nell’edizione dello scorso anno, il congresso affronterà due distinti argomenti: da una parte, le fratture di spalla, omero, gomito e avambraccio offriranno lo spunto per presentare le novità che investono tecniche consolidate, confermandole o rimettendole in discussione; dall’altra, verranno approfondite le problematiche di una chirurgia estremamente attuale, la traumatologia dell’anello pelvico che, da dominio di pochi esperti, si impone ora come pratica a più ampia diffusione, le cui tecniche devono essere padroneggiate da un maggior numero di chirurghi. Anche i presidenti del congresso saranno due, Angelo Dettoni e Maurizio Sansoni, che ancora una volta rappresentano l’eccellenza piemontese in ortopedia e traumatologia. Il dottor Sansoni è capo dipartimento Dea e direttore della Struttura complessa di ortopedia e traumatologia presso l'ospedale San Giovanni Bosco di Torino, mentre il dottor Dettoni è direttore della Struttura complessa di ortopedia e traumatologia dell'ospedale Maria Vittoria, sempre a Torino. I due presidenti hanno risposto alle nostre domande per presentare il prossimo Trauma Meeting ai lettori di Tabloid di Ortopedia. Dottor Dettoni e dottor Sansoni, il Trauma Meeting da sempre fa riferimento esplicito all’attività clinica quotidiana, alla quale il congresso vuole essere supporto; quindi poca teoria e molta pratica. Ci parlate di questa scelta e, più in generale, dell’approccio con cui verrà affrontato l’incontro scientifico? Si è voluto strutturare un congresso che non fosse una fiera delle vanità o una riaffermazione di presenza, ma piuttosto un’occasione, soprattutto per i colleghi più giovani, di ascoltare l’esperienza di esperti riconosciuti nei vari capitoli in cui è strutturato questo quarto Trauma Meeting. Quindi una trasmissione di nozioni pratiche indirizzata a far sì che il collega giovane, che riceve in pronto soccorso il paziente traumatizzato, abbia immediatamente il quadro delle possibilità terapeutiche e fin dai primi atti della presa in carico del paziente abbia una linea precisa, condivisa da massimi esperti, che permetta il miglior approccio al problema. Ciò è tanto più evidente nel caso del secondo tema del congresso, ovvero la traumatologia dell’anello pelvico: in questo campo le prime decisioni e i primi atti terapeutici, condotti in urgenza, possono significare la salvezza o la perdita del paziente, così come il trattamento successivo può portare, se non condotto secondo regole precise e da équipe esperte, a gravi invalidità. Pertanto, mentre la stabilizzazione delle fratture dell’anello pelvico deve essere eseguita in urgenza dalla maggior parte degli ortopedici, la chirurgia di seconda istanza, più complessa e che utilizza tecniche raffinate, deve essere intrapresa in pochi centri di riferimento. Quindi poche casistiche, che spesso sono molto ottimistiche e autoincensanti, ma molti inquadramenti diagnostico-terapeutici e consigli pratici da parte degli esperti, che devono utilizzare le loro casistiche proprio per mostrare non tanto i brillanti risultati, ma gli eventuali problemi. Perché si è deciso di valorizzare l’aspetto didattico e come verrà sviluppato? Se si guarda il programma ci si rende conto che il Trauma Meeting è strutturato più come un corso che come un congresso. A tal fine abbiamo cercato di dividere i due temi del congresso in capitoli su base dell’anatomia topografica. Per ogni regione è previsto un inquadramento (“il punto”) che riporti anatomia, classificazione, letteratura e stato dell’arte svolto da un esperto riconosciuto per quel particolare settore. Le successive relazioni dovrebbero mostrare le varie possibilità terapeutiche, ma si è chiesto ai relatori, anche qui riconosciuti come particolarmente esperti nel campo trattato, di dare consigli soprattutto pratici, mostrando in particolare gli accorgimenti, le metodiche, gli errori più comuni. In definitiva vorremmo che l’ascoltatore avesse un quadro generale delle varie opzioni terapeutiche per poter poi utilizzare la più opportuna in considerazione delle propria esperienza e della realtà in cui opera. Il congresso affronterà due argomenti vasti e diversi tra loro. C’è qualcosa che ritiene utile puntualizzare su questa scelta di argomenti e, in generale, sulle nuove tendenze in merito a queste due tipologie di fratture? La traumatologia dell’arto superiore è stata scelta perché non trattata così specificatamente nei precedenti Trauma Meeting (polso e mano esclusi, perché oggetto dell’edizione dello scorso anno) e perché molte sono le novità nel campo protesico, nella sintesi di queste lesioni ossee o nel trattamento artroscopico per le lesioni legamentose. La traumatologia dell’anello pelvico invece è stata scelta perché molto attuale a causa dell’aumento degli incidenti stradali, ma soprattutto perché con il miglioramento delle tecniche di primo soccorso (leggi 118) questi pazienti che spesso non giungevano in ospedale perché persi prima del trasporto, ora fortunatamente giungono al pronto soccorso, ma i Angelo Dettoni primi atti terapeutici hanno effetti salva-vita e i successivi trattamenti possono evitare gravi invalidità motorie, neurologiche, sessuali. Riguardo alle fratture dell’arto superiore, avranno ampio spazio chirurgie complesse come quelle del gomito e dell’omero. Quali problematiche comportano e quali sono le novità nelle tecniche chirurgiche? In passato il trattamento delle lesioni ossee e legamentose dell’arto superiore era legato a una filosofia che comportava spesso di “accontentarsi” di risultati mediocri, ma funzionalmente accettabili. L’ortopedia moderna ha spostato il tiro anche per la traumatologia, quindi non risultati “accettabili”, ma ricerca di una teorica “restitutio ad integrum”, o comunque di una ottimizzazione dei risultati. Questo vuol dire una maggiore aggressività chirurgica delle lesioni, un perfezionamento conseguente delle tecniche e dei mezzi di sintesi. In effetti, grandi novità sono state portate ad esempio con l’utilizzo delle placche a stabilità angolare che hanno un po’ rivoluzionato il trattamento delle fratture della testa dell’omero e del gomito (nonché del polso), ma non si possono dimenticare l’uso dei chiodi bloccati e la nuova “primavera” della fissazione esterna. Inoltre sempre più spazio acquistano la chirurgia protesica e quella artro- IV TRAUMA MEETING Fratture di spalla, omero, gomito e avambraccio Traumatologia dell’anello pelvico Riccione, 27-29 ottobre Presidenti: Angelo Dettoni, Maurizio Sansoni Per informazioni: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.csrcongressi.com www.otodi.com Maurizio Sansoni scopica. Un’attenzione particolare poi va posta alla rieducazione funzionale: molti relatori pongono l’accento su come pazienti, trattati in modo simile dai medesimi chirurghi, possano avere risultati di gran lunga diversi a seconda del tipo di trattamento riabilitativo. Ci potete fare il punto sulla traumatologia dell’anello pelvico, altro tema che verrà discusso al congresso di Riccione? Quali sono gli approcci chirurgici più attuali; qual è il ruolo della fissazione esterna e, in generale, degli approcci che tendono a minimizzare l’invasività? Ci preme sottolineare l’importanza di questo argomento: mentre nella traumatologia dell’arto superiore si parte in fondo da un perfezionamento di trattamenti e tecniche già da tempo in uso, nel campo della traumatologia dell’anello pelvico apriamo un campo relativamente nuovo. Come già accennato è una patologia “nuova”: purtroppo infatti molti di questi pazienti più gravi un tempo non giungevano neanche al pronto soccorso; ora il perfezionamento delle tecniche del soccorso sulla strada consentono di far sopravvivere questi pazienti fino al trasporto in ospedale. Qui nasce il problema della rete traumatologica, che deve prevedere dei trauma center di alta specializzazione e alta tecnologia, che permettano di rispondere al meglio alle gravi problematiche di questi pazienti. Ma non è tutto: anche nel piccolo ospedale con un pronto soccorso attrezzato deve esistere la possibilità tecnica e culturale di trattare in prima battuta questi gravi traumatismi e qui si inserisce il discorso della stabilizzazione dell’anello pelvico, anche con fissazione esterna. Salvare la vita a questi pazienti però non è di nuovo tutto: le importanti lesioni dell’anello pelvico sono gravate nei trattamenti tradizionali e meno aggressivi da postumi con pesanti lesioni neurologiche, della sfera sessuale e in generale della deambulazione. Ecco quindi l’esigenza di centri specializzati regionali, che verrà sottolineata nel congresso, in cui queste lesioni, una volta stabilizzate, possono ricevere il trattamento più idoneo: questo passa attraverso tecniche chirurgiche sempre più sofisticate (fino alla minivasività) e che richiedono ovviamente una lunga curva di apprendimento; ciò è possibile solo con una vasta casistica e con la presenza in questi centri di alte tecnologie, che richiedono a loro volta grandi investimenti in termini non solo economici, ma anche di ricerca. Renato Torlaschi 104 CORSI E CONGRESSI Le infezioni in chirurgia ortopedica Da sinistra a destra, Giorgio Burastero, Guido Grappiolo e Giovanni Riccio Nelle giornate di venerdì 21 e sabato 22 ottobre a Pietra Ligure, presso l'Ospedale Santa Corona, si terrà la quarta edizione del corso sulle infezioni in chirurgia ortopedica. A dirigere i lavori saranno Giorgio Burastero e Giovanni Riccio, entrambi afferenti alla struttura complessa di malattie infettive e ortopedia settica (Mios) del Santa Corona, insieme a Guido Grappiolo, direttore della struttura complessa di chirurgia protesica dell'Istituto Clinico Humanitas di Milano. Il corso è rivolto a specialisti ortopedici e infettivologi coinvolti nel trattamento delle infezioni osteoarticolari o interessati ad approfondire le loro conoscenze in tale settore. «Abbiamo voluto dare al programma un carattere molto specialistico - spiegano i tre docenti - rivolgendo la nostra attenzione ad argomenti di grande attualità che ci proponiamo di affrontare in maniera approfondita e dettagliata». I temi portanti saranno gli aspetti diagnostici e la terapia medica; il trattamento delle infezioni protesiche; il trattamento delle osteomieliti croniche diafi- sarie dell'arto inferiore. Tutti gli aspetti di questa complessa patologia vengono affrontati secondo una logica multidisciplinare che vede il concorso, simultaneo e sinergico, di specialisti provenienti da diverse branche mediche (ortopedici, infettivologi, microbiologi, chirurghi plastici e riabilitatori). Lo schema ricalca l’organizzazione della struttura organizzatrice. Il Mios (Malattie infettive e ortopedia settica) è infatti la prima struttura italiana dedicata al trattamento delle infezioni osteoarticolari che vede riunite, in un unico organico, tutte queste differenti specialità. Il corso mantiene anche in questa edizione la struttura mutuata dal reparto e questo condiziona la forte connotazione pratica, già sperimentata nelle edizioni precedenti; ampio spazio è previsto infatti per la discussione e la presentazione di casi clinici interattivi. Per informazioni Il Cto Maria Adelaide di Torino ospiterà lunedì 28 e martedì 29 novembre un corso avanzato di chirurgia protesica del ginocchio, tenuto dal professor Maurizio Crova, direttore di ortopedia e traumatologia della II Clinica ortopedica dell'Università degli Studi di Torino. Le riprotesizzazioni sono in continuo aumento, anche solo come conseguenza del numero sempre crescente di primi impianti. Lo stesso paziente sta cambiando; l’età del primo intervento si è abbassata e spesso entrambe le ginocchia verranno protesizzate; le richieste in molti casi riguardano il mantenimento di attività sportiva o di un lavoro pesante o il ripristino della funzione articolare dopo gravi fratture. «Noi ribadiamo il concetto già espresso lo scorso anno: strumentari sempre più sofisticati e precisi guidano con sicurezza il chirurgo rendendo routinari molti interventi, ma la soluzione di problemi imprevisti o complessi spesso ha come guida principale l’esperienza» commenta il professor Crova. Per questo, come ci ha spiegato il chirurgo, il corso 2011 offrirà una parte pratica più ampia, integrata da postazioni computerizzate per rivedere interventi significativi. Verranno proiettati filmati realiz- Maurizio Crova zati su cadavere ed eseguiti interventi in diretta di protesizzazione su ginocchio con deformità assiale e/o riprotesizzazione; sarà prevista la presentazione di casi clinici su cui aprire una discussione fra i colleghi presenti in sala. Per informazioni Il Melograno Servizi Tel. 011.505730 - Fax 011.590940 [email protected] www.ilmelogranoservizi.com BBV Italia srl Tel. 010.354556 - Fax 010.3514044 [email protected] www.mios.it - www.fondazione.it Congresso Sitop Il congresso nazionale della Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica (Sitop), giunto alla sua quindicesima edizione, si terrà quest'anno a Bologna (Centro Congressi CodivillaPutti) da giovedì 17 a sabato 19 novembre e sarà presieduto da Onofrio Donzelli, direttore della struttura complessa di ortopedia e traumatologia pediatrica dell'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. I temi delle relazioni congressuali sono stati scelti dal comitato scientifico con lo scopo di coinvolgere i professionisti delle diverse discipline che si occupano quotidianamente dei piccoli pazienti: pediatri, fisiatri e medici di famiglia su tutti. Temi come la zoppia, un sintomo di comune riscontro in ambulatori di pediatria e fisiatria; la diagnostica prenatale, che interessa l’ecografista, il ginecologo, il pediatra, il medico legale, il genetista. «Senza tralasciare la figura dello psicologo - ricorda Donzelli - con l’atto della comunicazione, momento delicato che rimarrà nella memoria di tutto il nucleo familiare. Questo atto comunicativo dovrà tener presente il dolore, l’informazione, le strade da percorrere, le risorse economiche e i diritti della disabilità e non può essere lasciato come compito così gravoso alla buona volontà di generi- Corso avanzato di protesica del ginocchio che figure professionali». Un altro tema chiave del congresso sarà la sicurezza del bambino trasportato. Sono troppi, infatti, gli incidenti stradali che coinvolgono giovani e bambini che vengono mal trasportati o per ignoranza dei genitori o per una non corretta conoscenza dei supporti di trasporto o delle protezioni dello stesso mezzo di trasporto. «Penso sia compito di una società scientifica come la nostra sollevare il problema chiedendo alle industrie un impegno economico e divulgativo più forte e allo Stato campagne di prevenzione più mirate» sottolinea l'ortopedico pediatrico. Alla riunione della Sitop si affronterà poi un tema di interesse esclusivo dell'ortopedico: gli interventi preparatori alla protesizzazione dell'anca affetta da displasia, con una riflessione sulla reale utilità delle soluzioni chirurgiche atte a migliorare la centrazione e la stabilità dell’anca, alla luce dei progressi dei materiali che permetteranno una protesizzazione anche in età giovanile. Per informazioni CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.sitop.it L’accesso mininvasivo all’anca Venerdì 14 ottobre a Genova (Sheraton Hotel) si terrà un corso sull'accesso mininvasivo all'anca per via anteriore, presieduto dai dottori Franco Pleitavino e Alberto Federici, rispettivamente direttori della I e della II divisione di ortopedia dell'Ospedale Villa Scassi di Genova. Franco Pleitavino «Possiamo osservare come la chirurgia protesica dell’anca sia in costante evoluzione e, con il passare del tempo, assistiamo al progressivo miglioramento dei nuovi modelli di impianto finalizzato alla ricerca del meglio per quanto riguarda materiale e disegno - spiegano i due chirurghi -. Inoltre anche le tecniche di impianto ricercano vie di accesso sempre più conservative ed efficaci». La via di accesso anteriore diretta all’anca rappresenta una scelta dettata da esigenze di risparmio tessutale, di mininvasività, e di maggiore facilità di Per informazioni Il Melograno Servizi Tel. 011.505730 - Fax 011.590940 [email protected] www.ilmelogranoservizi.com Alberto Federici ripresa funzionale con riduzione delle lussazioni. «Pertanto in questa occasione, avvicinandoci a detta metodica, alla luce dell’esperienza europea e italiana, ci confronteremo su vantaggi e svantaggi di una via di accesso attualmente riscoperta e rivalutata» ci hanno detto Pleitavino e Federici. 106 CORSI E CONGRESSI Congresso Siommms Microchirurgia a congresso Il congressso annuale della Società italiana dell’osteoporosi del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro si terrà all'Hotel Sheraton di Roma dal 16 al 19 novembre e sarà presieduto dal professor Salvatore Salvatore Minisola. Minisola «Quest’anno i contenuti delle sessioni scientifiche sono stati scelti soprattutto tenendo conto delle esigenze che da più parti i soci hanno sollevato - ha spiegato Minisola presentando il congresso -. Per questo abbiamo privilegiato contenuti interdisciplinari con attenzione particolare alle patologie metaboliche dell’osso meno discusse ma di frequente riscontro nella pratica clinica, nei confronti delle quali dobbiamo dare risposte quotidiane ai nostri pazienti. Vengono affrontate inoltre questioni cruciali, oggi molto dibattute, sul trattamento con il calcio e la vitamina D nelle malattie da fragilità scheletrica e su alcune emergenze terapeutiche che il clinico può trovarsi a dover affrontare». Ampio spazio sarà dato all’illustrazione e alla discussione di casi clinici emblematici così come alle comunicazioni orali e ai poster, così da misurare l’elevato livello scientifico dei contributi nazionali. «Infine avremo modo anche di discutere delle problematiche di gestione multidisciplinare del fratturato di femore conclude Minisola - entro un contesto tanto drammatico quanto probabilmente troppo trascurato dal punto di vista assistenziale». Il XXIV congresso nazionale della Società italiana di microchirurgia (Sim) si terrà quest'anno a Palermo dal 20 al 22 ottobre presso il Grande Hotel Piazza Giorgio De Santis Borsa, nel cuore vivo della splendida città siciliana. Il congresso sarà congiunto con la prestigiosa American society for reconstructive microsurgery. «Il confronto con altre società scientifiche a livello internazionale ha evidenziato quanto sia cresciuta qualitativamente la nostra società» spiega Giorgio De Santis, presidente Sim. In effetti la Società italiana di microchirurgia è in continua espansione, proprio per il grande interesse che le tecniche microchirurgiche suscitano nelle diverse discipline, specialmente tra i chirurghi più giovani. Il congresso di Palermo avrà una presidenza condivisa per consentire che l’espressione scientifica sia ampia e diversificata: a guidare i lavori congressuali sarà il già citato De Santis con Francesco Moschella. Il programma scientifico, che si svolgerà prevalentemente in una sola sala per evitare la contemporaneità degli interventi, come di consueto affronterà gli aspetti della microchirurgia nei differenti distretti corporei: testa-collo, tronco e mammella, arto superiore e inferiore, ma sarà dato più spazio a tematiche quali i trapianti da donatore, la microchirurgia sperimentale e il training microchirurgico degli specializzandi. Per informazioni Per informazioni Aristea Tel. 06.845431 - Fax 06.84543700 [email protected] - www.siommms.it StudioProgress Snc Tel. 030.290326 - Fax 030.40164 [email protected] - www.microchirurgia.org Il congresso della Società italiana di artroscopia (Sia) si terrà quest'anno a Milano (Ata Hotel Executive) da mercoledì 9 a sabato 12 novembre e sarà presieduto da Enrico Arnaldi e Riccardo Minola. Ben tre i topic congressuali: I risultati della chirurgia artroscopica in Italia, le biotecnologie emergenti, le innovazioni della tecnica. Temi fondamentali, che verranno ampiamente discussi grazie agli interventi dei numerosi relatori. «Abbiamo coinvolto le nuove generazioni di colleghi artroscopisti per valutare l’analisi dei risultati relativi alle numerose metodiche chirurgiche artroscopiche utilizzate da anni nel trattamento delle patologie articolari, affiancandoli a tutor più esperti con l’obiettivo di stimolare una discussione costruttiva e riuscire a stabilire, dove è possibile, linee guida che consentano a tutti noi di comprendere le reali indicazioni, l’efficacia e i limiti del trattamento artroscopico in patologia ortopedica» ci hanno spiegato Arnaldi e Minola, sintetizzando così il format della sessione congressuale. Ampio spazio è stato riservato poi a dei seminari scientifici su temi specifici di chirurgia articolare e non solo, condotti dai colleghi più esperti. Da sottolineare infine il contenuto della giornata precongressuale di mercoledì, dove si alterneranno corsi di istruzione di altissimo livello organizzati in partnership con la Società di artroscopia del Nord America (Aana). Per informazioni DALLE AZIENDE Favorire l’integrità della cartilagine e la funzionalità delle articolazioni Cartinutra è un integratore indicato per le osteoartrosi primarie e secondarie. L’osteoartrosi è una malattia cronica degenerativa che in Italia interessa circa quattro milioni di persone. Soltanto nel 2-3% dei casi le osteoartrosi sono causate da infortuni o traumi alle articolazioni, infermità congenite o altre infermità (osteoartrosi secondarie). La maggior percentuale è rappresentata dalle osteoartrosi primarie (localizzata o generalizzata), che compaiono apparentemente senza cause scatenanti con l’avanzare dell’età. Le terapie convenzionali sono solite intervenire attraverso interventi chirurgici, il cambiamento delle abitudini di vita degli ammalati o con cure farmacologiche. L’impiego di farmaci quali antinfiammatori non-steroidei e corticosteroidi ha un effetto immediato sugli stati infiammatori responsabili del dolore, ma spesso hanno effetti collaterali non trascurabili e in più non bloccano l’osteoartrosi. Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha focalizzato il proprio interesse sulla ricerca di principi attivi che rallentino il progredire delle osteoartrosi e stimolino la riparazione delle cartilagini danneggiate. I composti che hanno maggiormente mostrato di avere queste caratteristiche sono la glucosamina e il condroitin solfato. Una sostanza determinante nella sintesi del collagene, che a sua volta è utilizzato come matrice per la formazione del tessuto connettivo sia della cartilagine che dell'osso, è il silicio organico. La sintesi del collagene è infatti condizionata dall'attività dell'enzima prolil-idrossilasi, un enzima silicio dipendente. È stato anche dimostrato come la mineralizzazione dell'osso sia direttamente proporzionale al contenuto in silicio della dieta. Studi sperimentali sia in vitro che in vivo in cui gli animali venivano sottoposti a diete povere di silicio, hanno evidenziato anomalie nella formazione delle articolazioni, una crescita endocondrale deficitaria e difetti nella cartilagine articolare. Tali prove sperimentali indicano, inoltre, che il silicio ha un ruolo determinante per normalizzare il contenuto di glicosaminoglicani nel collagene, che a sua volta è utilizzato come matrice per la formazione del tessuto connettivo sia della cartilagine che XX Congresso Sia dell'osso. Ne consegue che la presenza di silicio assicura la normale fisiologica sintesi sia del tessuto cartilagineo sia del tessuto osseo. Le recenti acquisizioni sulle implicazioni del silicio nel metabolismo dell'osso e della cartilagine permettono di ipotizzare che il ricorso alla supplementazione in silicio possa costituire un trattamento sia preventivo che curativo. Nell’osteoartrosi Cartinutra gioca un ruolo di primo piano poiché è un nutraceutico che contiene sia la glucosamina e il condroitin solfato nelle quantità massime autorizzate dal Ministero (500 mg/busta), sia 17,5 mg di silicio organico, sostanza presente nell’Equisetum arvense, una pianta appartenente alla famiglia delle Equisetacee assai ricca in silicio (10% del peso secco della pianta). Nell’estratto di equiseto il silicio organico è altamente biodisponibile. Sono inoltre presenti 90 mg di vitamina C, anch’essa utile per la sua attività antiossidante e condroprotettiva. Dynamicom srl Tel. 02.89693750 - Fax 02.201176 [email protected] www.siaonline.it Cadaver Lab Sigascot Cinque specializzandi e 30 ortopedici potranno partecipare, nelle giornate di venerdì 18 e sabato 19 novembre, al cadaver lab organizzato dalla Società italiana di chirurgia del ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche (Sigascot) sulla chirurgia computer assistita del ginocchio (Cas). Il corso di chirurgia su cadavere si terrà ad Arezzo presso l'ormai nota Nicola’s Foundation onlus, che da qualche anno rappresenta il punto di riferimento in Italia per questo tipo di eventi ad alto valore formativo. Direttore scientifico del corso è il dottor Claudio Castelli, direttore del dipartimento di scienze motorie degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che ha stilato un programma in tre sessioni: la protesi, il trattamento del Lca, le osteotomie. Le esercitazioni pratiche saranno svolte utilizzando nove postazioni. Ogni postazione avrà a disposizione un sistema di navigazione e un preparato anatomico per esercitazione chirurgica sul ginocchio. Ogni gruppo sarà seguito da un docente e da un bioingegnere esperto nei software di navigazione e verrà effettuata un’esercitazione pratica con i diversi software a disposizione (in totale nove esercitazioni da 60 minuti per ogni gruppo). Al termine di ogni sessione si terrà una tavola rotonda interattiva sotto la guida dei docenti, confrontando le varie metodiche utilizzate. Per informazioni Promo Leader Service Congressi Tel. 055.2462227 - Fax 055.2462270 [email protected] - www.sigascot.com 108 CORSI E CONGRESSI Congresso di ortogeriatria Antonio Aloisi Luigi Molfetta Il paziente geriatrico in ortopedia e traumatologia sarà al centro del congresso dal titolo «Ortogeriatria: un approccio interdisciplinare integrato», che si terrà da venerdì 25 a domenica 27 novembre a Lecce. «Al congresso si affronterà il grande problema dell’ortogeriatria, ossia della moderna strategia di cura del paziente anziano con patologia ortopedica e/o traumatologica e delle problematiche correlate che talvolta all’ortopedico appaiono così gravi da chiamare lo specialista geriatra a condividere la gestione clinica del paziente» spiega Antonio Aloisi, direttore di ortopedia e trumatologia all'Ospedale Santa Caterina Novella di Lecce. «L’ortogeriatria è un approccio integrato multidisciplinare che ha lo scopo di salvaguardare la salute dell’anziano affetto da problematiche plurime, spesso in multiterapia e comunque bisognoso di cure, al di là del gesto chirurgico, che è necessario ma che è fonte di possibili complicanze, di scompensi e talvolta di esito infausto» prosegue Luigi Molfetta, docente presso il dipartimento di neuroscienze, oftalmologia e genetica dell'Università di Genova. La cogestione dell’anziano avviene con un percorso che deve assumere anzitutto il significato di una scelta strategico-operativa nell’azienda sanitaria, di una collaborazione fra medici specialisti, di una condivisione delle problematiche, delle responsabilità e delle soddisfazioni. Come sottolineano i due medici, che presiederanno i lavori del congresso, nell’ortogeriatria occorre anzitutto crederci, investire risorse e pianificare il programma e i percorsi; occorre dedicarvisi e rendersi complementari. «Tutto ciò che arricchisce reciprocamente la cultura dell’ortopedico e del geriatra - afferma Aloisi - migliora la qualità dell’assistenza, la facilità del percorso, l’entità dei risultati finali. In definitiva il bene dell’anziano». Per questi motivi nell’evento scientifico sono coinvolte le varie figure professionali sanitarie che gravitano nell’orbita dell’ortogeriatria per un approfondimento e un confronto interdisciplinare: geriatri, gerontologi, ortopedici, traumatologi e fisiatri su tutti. Per informazioni Motus Animi Tel. 0832.521300 - Fax 0832.521300 [email protected] Osteosintesi del polso e della mano A Pordenone da martedì 8 a venerdì 11 novembre si terrà la nona edizione del corso teorico pratico di osteosintesi del polso e della mano, organizzato come ogni anno dal dottor Ruggero Mele, responsabile del dipartimento di chirurgia della mano dell'azienda ospedaliera Santa Maria degli Angeli di Pordenone. Questa edizione del corso, che gode del patrocinio della Società italiana di chirurgia della mano (Sicm), sarà diretto dal dottor Alberto De Mas, chirurgo del dipartimento di Mele. «Questa edizione del corso ha subito qualche modifica rispetto alle precedenti edizioni - spiega il dottor Mele -. Come di consueto sono previste le parti teoriche, dove sono La patologia femoro-rotulea Nelle giornate di venerdì 21 e sabato 22 ottobre la Società italiana di chirurgia del ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche (Sigascot) ha organizzato a Genova un corso monotematico sul trattamento della patologia femoro-rotulea, durante il quale si farà il punto sullo stato delle tecniche diagnostiche e sul trattamento. Responsabile del corso è il dottor Claudio Mazzola, direttore della struttura complessa di ortopedia delle articolazioni all'Ospedale Galliera di Genova. La prima sessione di lavori sarà dedicata all'introduzione della tematica, passando in rassegna l'anatomia e la biomeccanica dell'articolazione per poi concentrarsi sulla diagnostica strumentale e sull'esame clinico. Dopo aver analizzato l'influenza dei vizi posturali in questa patologia, i relatori si confronteranno sul dolore anteriore di ginocchio e sulla rotula stabile dolorosa con l'analisi del trattamento conservativo e della lisi del retinacolo laterale. La rotula instabile sarà il tema di un'intera sessione, che comprenderà cause e classificazione dell’instabilità rotulea per poi soffermarsi sulla terapia: il ruolo dell’artroscopia, le controindicazioni della lisi laterale, la ritenzione artroscopica del retinacolo mediale, la ricostruzione del legamento patello-femorale mediale, il riallineamento prossimale e distale e la trocleoplastica. Il sabato sono in programma due sessio- esposte le tecniche di osteosintesi più accreditate, e i workshop, nei quali sarà possibile prendere diretta visione e utilizzare i materiali presentati. Maggiore spazio rispetto agli anni precedenti è stato invece dato alla chirurgia dal vivo: nelle mattinate del corso i partecipanti saranno impegnati nella visione degli interventi teletrasmessi dalla sala operatoria dell’Ospedale di Pordenone. «Nell’intervallo fra un intervento e l’altro verranno esposti dei casi clinici con la consueta discussione fra relatori e corsisti - prosegue Alberto De Mas, direttore del corso -. Ci sarà infine una sessione aperta al pubblico dedicata alle novità in chirurgia della mano». Anche quest’anno il corso potrà vantare la presenza di un illustre ospite straniero: il professor Marco Rizzo della Mayo Clinic di Rowchester, oltre alla lettura magistrale, porterà la sua esperienza durante la discussione nelle varie sessioni del meeting. Claudio Mazzola ni. Si partirà con il trattamento biologico dei difetti condrali, analizzando le indicazioni delle protesi di rivestimento. A seguire, nel pomeriggio, si parlerà di artrosi femoro-rotulea: trattamento chirurgico non sostitutivo e intervento protesico. Per informazioni Sig.ra Nives Sagramola Tel. 055.2399112 - Fax 055.4641490 [email protected] www.sigascot.com Un corso ben strutturato dunque, che secondo gli organizzatori permetterà ai partecipanti di essere in grado di affrontare le problematiche delle fratture del polso e della mano in conformità con quanto espresso dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, di conoscere i principi dell’osteosintesi da applicare nelle lesioni traumatiche del polso e della mano, di conoscere le complicanze, gli esiti delle fratture del polso e della mano e il loro trattamento e, aspetto più importante, di applicare nella pratica clinica quanto appreso durante le esercitazioni sul manichino e le lezioni teoriche. Per informazioni MV Congressi Tel. 0521.290191 - Fax 0521.291314 [email protected] DALLE Nuovi orientamenti terapeutici per le neuropatie periferiche Le neuropatie periferiche sono patologie caratterizzate da un danno funzionale o strutturale a carico dei nervi periferici e fanno capo a una serie di disturbi, conseguenti a cause di diverso genere. Tra le più frequenti, oltre al diabete, ci sono i traumi e i danni da compressione, soprattutto a livello dei tunnel anatomici (sindrome del tunnel carpale, sindrome del tunnel cubitale) e dei forami intervertebrali (cervicobrachialgia, lombocruralgia, lombosciatalgia). La comunità scientifica riconosce, nell’insorgenza delle neuropatie periferiche, un modello multifattoriale. I fenomeni infiammatori, sempre presenti, sono accompagnati da un danno mielinico e da sofferenza assonale, mentre lo stress ossidativo concorre al mantenimento della patologia. Axin C (Agave Farmaceutici) interviene sulla flogosi, interviene sul danno mielinico e sulla degenerazione assonale ed è efficace anche nella riduzione dello stress ossidativo. Grazie alla curcumina, in forma fitosomiale ad altissima biodisponibilità, Axin C svolge una importante azione antinfiamma- toria che deriva dall’inibizione di molti fattori flogogeni e dei processi di degranulazione mastocitaria, intervenendo così nelle fasi precoci del processo flogistico. L’azione sulla mielina, invece, è basata su recenti riscontri sperimentali che hanno dimostrato come la curcumina riduca in modo significativo la percentuale di cellule di Schwann apoptotiche, aumenti il numero e la grandezza degli assoni mielinizzati e migliori l’attività motoria. Axin C, inoltre, documenta un’attività sulla degenerazione assonale, caratterizzata da danno precoce della funzionalità mitocondriale, in quanto inverte completamente la tossicità dei mitocondri (Experimental Neurology, 2008). Axin C, in definitiva, è il trattamento che garantisce una neuroprotezione combinata perché interviene sui diversi fattori patogenetici delle neuropatie periferiche: flogosi, danno mielinico e assonale, stress ossidativo. Axin C è impiegato alla posologia di due compresse al giorno: una al mattino e una alla sera. A ZIENDE 110 CORSI E CONGRESSI L’Agenda dell’Ortopedico 6-8 ottobre 49° Congresso Nazionale SICM Le perdite di sostanza dell’arto superiore 14-15 ottobre 48° Congresso ALOTO Torino, Centro Congressi Unione Industriale Segreteria Organizzativa: Balestra Congressi Tel. 06.2148068 - Fax 06.62277364 www.balestracongressi.com 6-9 ottobre The total knee arthoplasty Cracovia, Polonia www.orttra.pl/symposium - [email protected] 7 ottobre Cadaver Lab1 - Chirurgia artroscopica di gomito Cadaver Lab2 - Chirurgia artroscopica di spalla Arezzo, Nicola's Foundation Segreteria Organizzativa: Sig.ra Silvia Piccolomini Tel. 0543.28698 - Fax 0543.31845 [email protected] - www.sicseg.it 14 ottobre Convegno di aggiornamento sulla chirurgia di ginocchio e spalla Riva del Garda Segreteria Organizzativa: Dimensione Evento Tel. 0464.425388 - [email protected] Tabloid di Ortopedia Mensile di informazione, cultura, attualità Anno VI - numero 7 - settembre 2011 Direttore responsabile Paolo Pegoraro [email protected] Redazione Andrea Peren [email protected] 20-22 ottobre XXIV Congresso Società Italiana di Microchirurgia Palermo, Sala Congressi Grand Hotel Piazza Borsa Segreteria Organizzativa: StudioProgress snc Tel. 030.290326 - Fax: 030.40164 [email protected] - www.microchirurgia.org 21-22 ottobre Corso SIGASCOT. Il trattamento della patologia femoro-rotulea: dove siamo? Segreteria Organizzativa: Sig.ra Nives Sagramola Tel. 055.2399112 - Fax 055.4641490 [email protected] - www.sigascot.com Editore: Griffin srl Piazza Castello 5/E - Carimate (Como) www.griffineditore.it - [email protected] Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Testata associata Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di autodisciplina pubblicitaria. Dichiara altresì di accettare la competenza e le decisioni del Comitato di controllo e del Giurì dell’zutodisciplina pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione. Tiratura del presente numero: 8.000 copie Stampa: Artigrafiche Boccia spa Via Tiberio Claudio Felice, 7 - 84131 Salerno Tabloid di Ortopedia, periodico mensile Copyright© Griffin srl Registrazione Tribunale di Como N. 17/06 del 26.10.2006 Registro degli Operatori di Comunicazione n. 14370 del 31.07.2006 Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n.46) art 1 comma 1, DCB Milano Taxe Perçue Abbonamento annuale Italia: euro 2.25 Singolo fascicolo: euro 0.25 Tutti gli articoli pubblicati su Tabloid di Ortopedia sono redatti sotto la responsabilità degli autori. La pubblicazione o ristampa degli articoli deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin srl intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin srl, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’Editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi. Segreteria Organizzativa: Motus Animi [email protected] - Tel. 0832.521300 23-26 novembre XLVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Reumatologia (SIR) Segreteria Organizzativa: AIM Group International Tel. 02.566011 - Fax 02.56609045 www.congressosir2011.com - [email protected] Segreteria Organizzativa: My Event Tel. 06.916502389 - [email protected] 25-26 novembre 2° Convegno di traumatologia clinica e forense 9° Corso di ortopedia e medicina legale 27-29 ottobre 4° Trauma Meeting Salsomaggiore Terme (PR), Terme Zoja Riccione (RN) Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.csrcongressi.com 4 novembre Congresso "Imaging del bacino e dell'anca" 4-5 novembre La patologia discale tra innovazione e tradizione Hanno collaborato in questo numero Lorenzo Castellani, Giorgio Castellazzi, Guido Cornegliani, Giancarlo De Marinis, Arturo De Michieli, Savvas Dynamidis, Rosanna Feroldi, Davide Forcellini, Claudia Grisanti, Marco Klinger, Matteo Laccisaglia, Giovanni Lodi, Maurizio Maffi, Luca Maione, Monica Oldani, Giampiero Pilat, Vincenzo Salini, Renato Torlaschi Lecce Puebla de Los Angeles, Messico Grafica e impaginazione Minù Art - boutique creativa www.minuart.it Foto: Archivio Griffin srl Vendite Sergio Hefti (agente) [email protected] Manuela Pavan (agente) [email protected] 25-26 novembre Congresso Nazionale di Ortogeriatria Il paziente geriatrico in chirurgia ortopedica e traumatologica. L’ortogeriatrica: un approccio interdisciplinare integrato Rimini 25-29 ottobre I Congresso congiunto Italo-Messicano (SIOT-AMOT) di ortopedia e traumatologia Napoli, Grand Hotel Royal Continental Direttore commerciale Giuseppe Roccucci [email protected] Segreteria Organizzativa: Promo Leader Service Congressi Tel. 055.2462227 - Fax 055.2462270 [email protected] - www.sigascot.com Genova Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo [email protected] Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 PUBBLICITÀ Arezzo, Nicola's Foundation Segreteria Organizzativa: MCA Events Tel. 02.34934404 - [email protected] Bologna Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.csrcongressi.com Segreteria Organizzativa: Keyword Europa Tel. 02.54122513/78 - Fax 02.54124871 [email protected] 26 novembre 10° Congresso Regionale SVOTO Castelfranco Veneto (TV) Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.csrcongressi.com 28-29 novembre Corso di chirurgia protesica del ginocchio Torino Segreteria Organizzativa: Il Melograno Servizi Tel. 011.505730 - [email protected] 5-10 novembre 86e Réunion Annuelle de la Société Francaise de Chirurgie Orthopédique et Traumatologique 1-3 dicembre XI Congresso Nazionale della Società Italiana Chirurghi dell'Ospedalità Privata (SICOOP) Le nuove frontiere nel trattamento delle patologie ortopedichee traumatologiche Parigi, Francia, Palais des Congrès Reggio Calabria, Hotel Excelsior [email protected] Segreteria Organizzativa: Balestra Congressi Tel. 06.2148065/8 - Fax 06.62277364 [email protected] 8-11 novembre Corso teorico-pratico di osteosintesi del polso e della mano Pordenone Segreteria Organizzativa: MV Congressi Tel. 051.290191 - [email protected] 9-12 novembre XX Congresso Nazionale della Società Italiana di Artroscopia (SIA) Milano, Hotel Executive Segreteria Organizzativa: Agenzia Dynamicom Tel. 02.89693766 - Fax 02.201176 [email protected] - www.siaonline.it 11-12 novembre EFORT Instructional Course Basel 2011 Osteoarthritis: joint preserving surgery of the lower leg 2-3 dicembre Cadaver Lab chirurgia artroscopica di spalla Arezzo, Nicola's Foundation Segreteria Organizzativa: Sig.ra Silvia Piccolomini Tel. 0543.28698 - Fax 0543.31845 [email protected] - www.sicseg.it 6-7 dicembre Congresso Rome Spine Il rachide oggi e domani Roma, Centro Congressi Crowne Plaza St. Peter's Hotel Segretria Organizzativa: Management srl Tel. 06.7020590/702022379 [email protected] - www.romespine.org Basilea, Svizzera 12-14 dicembre 10° Corso di aggiornamento annuale sulla chirurgia ricostruttiva articolare dell'arto inferiore www.efort.org/ic/basel2011 Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli 16-19 novembre XI Congresso Nazionale SIOMMMS Segretria Organizzativa: Symposia srl Tel. 0584.430402 - [email protected] Roma Segreteria Organizzativa: Aristea Tel. 06.845431 - Fax 06.84543700 [email protected] - www.aristea.com/siommms2011 17-19 novembre 15° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica (SITOP) Bologna, Centro Congressi Codivilla Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.csrcongressi.com ! Segreteria Organizzativa: Studioprogress snc Tel. 030.290326 - Fax 030.40164 [email protected] - www.sicm.it Fiuggi, Centro Congressi Hotel Silva Splendid 18-19 novembre Cadaver Lab SIGASCOT Chirurgia computer assistita del ginocchio (CAS): protesi, Lca, osteotomie Or torisposta Risposta al quesito di questo numero ! Il paziente era affetto da necrosi avascolare del domo astragalico con artrosi secondaria della tibio-tarsica, patologia trattata con successo mediante protesi della tibio-tarsica.