il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Aprile 2011 - n° 82
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
2052 - Il crocifisso, i valori e le polemiche
2053 - De Mattei e le sue facili dottrine
2054 - Se il paese si specchia nei suoi politici
2055 - L’omosessualità e i tabù di certi cattolici
2956 - L’ambiguo rapporto Stato-Chiesa
ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA
2057 - Vegetativo, non vegetale - di Eugenia Roccella
2058 - Ma cucchi non è Eluana – risponde Federico Orlando
2059 - Caso Eluana. la strana realtà dell’Avvenire - di Maurizio Mori
2060 - Il costo dell’estrema unzione - di Marco Accorti
2061 - Le crociate del vicepresidente del CNR - di Marco Pasqua
2062 - Cassazione: no agli interventi inutili - di Cristiana Pulcinelli
2063 - Ma in Italia il consenso informato è una formalità - di J. Bufalini
2064 - Non fateci finire come Eluana - di Veronica Bianchini
2065 - Un prete in TV sulla Chiesa e Berlusconi – di Nicoletta Rocca
2066 - Esiste ancora un ruolo per le religioni? di Valerio Pocar
2067 - La giurisprudenza e le leggi sul fine vita - di Francesca Petrini
2068 - La beatificazione di Wojtyla - di don Paolo Farinella
2069 - La chiesa fugge il confronto - di Giampaolo Petrucci
2070 - La beatificazione di Karol e la condanna di Welby - di Mario Riccio
2071 - Papa Ratzinger in TV - comunicato stampa C.L.N.
2072 - Benedetto XVI in TV sul T.B. - di Maurizio Cecconi e Cinzia Gori
2073 - Biotestamento, il PD cosa fa? di Maria Antonietta Farina Coscioni
2074 - Chi mette le bandiere sul testamento biologico - di Michela Marzano
2075 - Giocare con i termini per negare nuovi diritti - di Carlo Flamigni
2076 - La bestemmia dell’indisponibilità della vita - di Maria Mantello
2077 - Diritto di vivere, diritto di morire - di Adriano Sofri
2078 - Assistenza spirituale: ripensarla in ospedale - di Marco Accorti
2079 - Non si legifera secondo le tradizioni religiose – di Raffaello Morelli
NOTIZIE DALL’ESTERO
2080 – UK: non ce la faccio più, amore uccidimi. Assolto
2081 - Spagna: l’Aragona approva la legge sulla morte dignitosa
2082 - South Australia: cristiani sostengono l’eutanasia - di Clayton Hinds
2083 – UK: donna va a morire in Svizzera
2084 – Lussemburgo: 5 casi di eutanasia in 2 anni. Tutti regolari
2085 - Francia, Spagna, Inghilterra: quando si può staccare la spina
NOTIZIE DALLA ASSOCIAZIONE
2086 - Modena: presidio contro il ddl Calabrò
2087 - Omofobia e intolleranza – di Giampietro Sestini
2088 - Sulla mia vita scelgo io - cronaca del 27 aprile
2089 - Soliera (MO) - approvato il registro dei testamenti biologici
PER SORRIDERE…
2090 - Le vignette di Staino – mamma, affoghiamo?!
2091 - Le vignette di Arnald – non possiamo sparare, per ora…
2052 - IL CROCIFISSO, I VALORI E LE POLEMICHE - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 3 aprile 2011
Caro Augias, credo anch'io, come lei, che la gioia della Chiesa sulla collocazione del
crocifisso sia fuori luogo. La sentenza di Strasburgo depotenzia quel simbolo che diventa di
fatto 'passivo'. La maggior parte degli allievi entrando in classe con indifferenza non si
accorge nemmeno della presenza dell'immagine di Cristo. Dissento però dal suo scetticismo
sul valore laico del crocifisso. Mi sento una discepola di Gesù, leggo e rifletto sui suoi
insegnamenti, mi confronto con l'esempio della sua vita accogliendo l'esortazione di San
Paolo agli Ebrei di "tenere fisso lo sguardo su Gesù" che "si sottopose alla croce" e "ha
sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori". Grazie a questi
riferimenti tento di non perdermi d'animo. Ecco il significato del crocifisso per me, insegnante
(precaria) di filosofia e storia nella scuola pubblica e giornalista free lance, ma soprattutto
cittadina italiana rispettosa, e spesso orgogliosa, della Costituzione, alla ricerca della verità e
aperta ad un possibile incontro con Dio: il crocifisso è per me simbolo di amore universale e
disinteressato fino al volontario e sereno sacrificio di sé, monito costante a seguire le orme di
Gesù, uomo ispirato dal divino, a comportarsi come lui con se stessi e con gli altri. Perciò ne
difendo il valore laico.
Alessandra di Guida – [email protected]
Risponde Corrado Augias
Le discussioni possono anche non essere risse, mantenere toni alti, utili alla riflessione.
All'opinione di Alessandra di Guida, che totalmente rispetto, affianco quella di Fabio Di
Stefano (isaia.fd@ libero .it). Scrive: « In discussione non è la libertà di insegnamento ma la
libertà di apprendimento. L'insegnante (che non vede il crocifisso, è alle sue spalle ) ha già la
sua visione del mondo. L'alunno, che deve formarsela, che sta lì per apprendere e capire, il
crocifisso lo vede anche se non lo guarda». «Se è lì, avrà la sua importanza»: è un
messaggio ineludibile e non so perché la Corte non abbia voluto vederlo. Da cristiano però mi
avvilisce che il governo abbia sostenuto "quel simbolo non impone di essere seguito e
nemmeno rispettato". Se le cose stanno così vorrei toglierlo: mi addolora che il simbolo del
mio Dio sia ignorato; è S. Giovanni a dire che l'indifferenza è peggiore dell'avversione (Ap
3,15 ). Insistere per mantenerlo è una stupida prova di forza. I cristiani si riconoscono
dall'amore per il prossimo, parole di Cristo, e l'hanno testimoniato pur usando come segni il
pane, il pesce, l'agnello, la vite, l'acqua. Gli urlatori, difendendo sguaiatamente la croce, la
voglia di farsi cristiano possono farla passare, non venire. Pessima strategia, per un
cristiano». Nobili sentimenti entrambi quelli dei nostri lettori ma temo che l'idea della prova di
forza sia comunque prevalente.
2053 - DE MATTEI E LE SUE FACILI DOTTRINE - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di martedì 12 aprile 2011
Caro Augias, ho letto con sgomento, le risposte di Roberto De Mattei alle domande di Antonio
Gnoli. Come ogni pessimo scienziato, ha solo certezze.
1) Adamo ed Eva, e i loro figli per necessità incestuosi.
2) Il peccato originale, un Dio si vendica sugli innocenti per migliaia di anni.
3) Un dio che permette il male non è meno cattivo di un dio che lo fa.
4) De Mattei parla solo del Vecchio Testamento e l'unica volta che cita il vangelo mostra di
non conoscerlo: Non si muove foglia che Dio «non sappia» e non che «non voglia».
Panfilo Di Paolo - [email protected]
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Caro Augias, De Mattei afferma che nel disegno di Dio c'è sempre il bene eh e deriva dal
male. Il professore si mette nella scomoda situazione di dirci se egli invoca il bene o il male
su di noi oppure se per lui ciò è indifferente, perché comunque dal male verrà il bene. Allora
diamo spazio al male, perché il pianeta e l'umanità ne hanno avuto tanto nei secoli e più ne
avranno più bene riceveranno alla fine.
Giovanni Moschini - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Tralascio il fatto che de Mattei è vicepresidente del Cnr, regalo che dobbiamo all'ex ministro
Moratti. Chissà che effetto avrebbero le sue affermazioni in un consesso internazionale di
scienziati veri. Provo invece a ragionare sul suo stesso metro cioè dall'interno della dottrina
cattolica la quale non è un blocco immutabile come De Mattei afferma ma s'è costruita nel
tempo molto modificando della sua impostazione, molto scegliendo tra varie opzioni.
Qualche esempio. Per Paolo di Tarso Gesù nasce normalmente da una donna. Matteo e
Luca invece parlano di concepimento verginale. Nessuno dice che Maria sia rimasta vergine
post partum. A chi credere?
I rapporti con gli Ebrei, passati da "perfidi giudei" a "fratelli maggiori". Matteo scrive che "tutto
il popolo" chiese la condanna di Gesù. Papa Ratzinger scrive (ultimo libro) che in questo caso
l'evangelista " sicuramente non esprime un fatto storico". A chi credere? I rapporti con gli altri
cristiani una volta trattati da apostati, eretici, mandati al rogo o al carcere per questo; oggi
fratelli separati con i quali elaborare documenti comuni. Il "peccato originale" una dottrina
mostruosa che carica sulle generazioni le conseguenze d'una colpa ancestrale. Robuste
correnti della teologia cattolica (in Italia Vito Mancuso ed altri) ne auspicano la revisione.
Come scegliere? Sostiene De Mattei che Adamo ed Eva furono coppia storica non mitica,
ovvero "monogenismo" degli umani. Gli scienziati hanno dimostrato (in Italia, Arnaldi) con
l'esame comparativo del Dna la nostra origine poligenetica, vale a dire da numerosi
progenitori.
De Mattei è libero di affermare ciò che vuole ma non dica di obbedire alla dottrina. Lui sceglie
nella dottrina ciò che più gli comoda. E amen.
2054 - SE IL PAESE SI SPECCHIA NEI SUOI POLITICI - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 13 aprile 2011
Caro Augias, lei ha trovato consolazione in alcuni episodi degli anni passati in cui come
italiani ci siamo fatti valere, io non ci riesco. Per cambiare le cose occorrerebbe che tutti
avessimo una reazione di sdegno e di rivolta verso una classe dirigente come quella attuale
che come etica, dignità e moralità non ha precedenti. II problema è che questa classe politica
ci fa comodo per poter poi giustificare vizi che sono atavici. Sono stato per trenta anni
dipendente in una azienda privata. Ho visto con i miei occhi dipendenti che non avevano
voglia di lavorare; si riunivano per escogitare d'accordo con i sindacati a che cosa attaccarsi
per reclamare uno sciopero. Io quale dipendente per aver un paio di volte (eravamo negli anni
Settanta) rifiutato questo atteggiamento, fui denunciato per "atteggiamento antisindacale". Ha
mai notato i vigili urbani che stazionano nelle strade? Gli spazzini? Gli addetti alla pulizia delle
vetture pubbliche? Stanno tutti a parlare, a fumare, a telefonare. Ci fa comodo questa classe
politica. La sosteniamo per giustificare i nostri difetti e le nostre ruberie che al confronto sono
noccioline. II rimedio? Ci vorranno secoli.
Bruno Garofalo – garofalo.bruno@yahoo it
Risponde Corrado Augias
La classe politica rispecchia il Paese? Ogni tanto si I riaffaccia questa domanda con risposte
che variano secondo l'aria. La risposta mi pare che sia sì, tenuto conto di una condizione che
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cercherò di dire. In passato abbiamo avuto uomini della politica e del governo come De
Gasperi, Togliatti, La Malfa, Pertini (mi fermo ma si potrebbe continuare). Oggi invece
dobbiamo accontentarci di uomini molto più modesti. Uomini che scendono talvolta al di sotto
del decoro, petulanti chiosatori di interventi altrui, immiseriti dall'esercizio di funzioni servili,
incapaci di una visione politica "alta". Basta guardarli in televisione mentre si azzuffano
paonazzi, gridano, ghignano furenti, inconcludenti. Perché una tale differenza?
La mia opinione è che questo è il nostro specchio perché noi stessi siamo ormai ridotti così.
Naturalmente ci sono anche nella classe politica uomini di valore, forse non saranno molti,
ma ci sono. Ci sono anche nella società detta civile personalità di valore. Però siamo tutti
immersi, noi e loro, in una serie di circostanze che spesso consentono di emergere solo
all'aspetto peggiore. Basta pensare al modo inadeguato in cui (non) siamo stati capaci di
celebrare un secolo e mezzo di storia comune. Alla povera figura che stiamo facendo in
politica estera, quando le pacche sulle spalle e le barzellette non bastano più e il gioco
diventa duro. Manca, a noi e a loro, l'ethos che tiene insieme un popolo, gli dà dignità,
statura. L'abbiamo avuta, la riavremo. Ma al momento non c'è.
Il resto consegue: inganni, corruzione, sfiducia.
2055 - L’OMOSESSUALITÀ E I TABÙ DI CERTI CATTOLICI – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di martedì 26 aprile 2011
Incredibile la posizione del governo espressa dal sottosegretario Giovanardi. Due maschi che
si tengono per mano e la scritta "Siamo aperti a tutte le famiglie" lesiva della Costituzione! Ma
cosa è più lesivo, una coppia gay o fare tutti i giorni scelte che danneggiano la famiglia, i tagli
a mense scolastiche, ridurre il sostegno ai bambini portatori di handicap, gli insufficienti asili
nido, l'assenza di agevolazioni per le mamme che lavorano, i comportamenti del presidente
del Consiglio che dimostra quanto poco rispetto porti alla sua famiglia ed alle donne in
generale?
Silvia Anglesio - [email protected]
Gentile Augias, l'Ikea non credo voglia con una pubblicità dare un "diritto" ad una coppia gay,
ma cercare di vendere quell'oggetto; e la coppia è libera di formare un nucleo e chiamarlo
famiglia; chi sostiene la necessità di una legislazione per le "famiglie di fatto" deve ringraziare
Giovanardi per avere sollevato di nuovo un problema che la decenza (indecenza) politica ha
fatto finire nel dimenticatoio dell'opportunismo.
Giovanni Moschini - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Si rimane sempre di sasso nel constatare quanto forte sia il tabù dell'omosessualità in alcuni
cattolici. Francamente si poteva pensare che dopo la brutta figura di Rocco Buttiglione
costretto a rinunciare al posto di commissario europeo, le cose fossero un po' cambiate.
L'onorevole aveva espresso le sue idee sull'argomento di fronte ad alcuni esterrefatti
rappresentanti del Parlamento europeo che alla fine manifestarono il loro parere negativo
sulla sua idoneità all'incarico. Sono passati alcuni anni e siamo ancora a quel punto. Una tale
persistenza si deve probabilmente alle fantasie e immagini licenziose che affiorano quando è
questione di omosessualità e, più in generale, dell'intera sessualità.
Il grande Agostino vescovo di Ippona, nel suo Le nozze e la concupiscenza scrive: «I bambini
sono tenuti come rei dal diavolo, non in quanto nati dal bene, che costituisce la bontà del
matrimonio, bensì perché nati dal male della concupiscenza, di cui indubbiamente il
matrimonio fa buon uso, ma di cui anche il matrimonio deve arrossire».
È "l'ardore della passione" che accompagna l'amplesso a macchiare fin dall'origine ogni
essere umano trasmettendo da una generazione all'altra il peccato originale. Se
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l'omosessualità rappresenta un tale problema, il sottosegretario Giovanardi potrebbe
cominciare a reclamare che le tombe e i mausolei di alcuni notori omosessuali (donne e
uomini) vengano rimossi dalla basilica di San Pietro.
Quello sì che sarebbe un atto di coraggio, altro che prendersela con la pubblicità di un
armadio.
2956- L’AMBIGUO RAPPORTO STATO-CHIESA - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 27 aprile 2011
Caro Augias, lei ha parlato di recente del problema dell'insegnamento della religione nelle
scuole. Non è necessario essere un giurista per capire che gli articoli 3 e 20 della nostra
Costituzione sono in contrasto con i privilegi concessi alla religione cattolica. In particolare mi
riferisco proprio all'insegnamento nelle scuole pubbliche.
Tutto risale all'errore di Togliatti quando fece approvare l'articolo 7 che confermava il
Concordato di Mussolini con la Santa Sede. La fretta di concludere lo spinoso problema
aperto dal Vaticano, fece dimenticare ai costituzionalisti la contraddizione che si apriva con gli
articoli 3 e 20.
Il secondo errore lo fece Craxi nel 1984 quando modificò il Concordato. Il leader socialista si
accontentò di una vittoria formale: venne cancellata la dicitura "religione di Stato". La Chiesa
cattolica però conservò tutti i privilegi sostanziali. In particolare conservò il privilegio di
scegliere o revocare gli insegnanti di religione (cattolica) pagati dallo Stato laico. Da noi
insomma, tutte le religioni sono uguali, ma il cattolicesimo è il più uguale.
Gianfranco Dugo – [email protected]
Risponde Corrado Augias
Il famoso articolo 7, brevissimo, recita: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel
proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi». Con
questo articolo i "Patti lateranensi" firmati da Mussolini nel 1929 entrarono nella Costituzione
repubblicana anche se: «Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono
procedimento di revisione costituzionale».
I comunisti, ovvero Togliatti, votarono l'articolo per due essenziali ragioni: dopo un periodo di
divisioni anche sanguinose tra italiani (si era nel 1947) parve saggio cercare una
pacificazione anche sul terreno religioso. C'era poi la speranza che un atteggiamento
conciliante avrebbe favorito la loro permanenza al governo. Dopo le elezioni del 1948, invece,
date anche le pressioni degli Stati Uniti, il Pci venne cacciato.
Nel 1984 Craxi cercò di adeguare i "Patti" del '29 ai tempi nuovi. Si scontrò però con la
consumata diplomazia vaticana che riuscì, tra l'altro, ad ottenere il lucroso "8 per mille" in
sostituzione dell'antiquata "congrua" pagata ai preti dallo Stato. Anche se non più "religione
dello Stato" il cattolicesimo riuscì a mantenere ampi privilegi soprattutto in virtù della sua
secolare presenza nella penisola.
Nel 2011 e con i tumultuosi cambiamenti anche religiosi in corso, un nuovo e più equo
Concordato (ancora meglio, nessun concordato) sarebbe auspicabile. Ma ci vorrebbe un
governo consapevole di che cosa significhi vivere in una repubblica laica. Con l'aria che tira,
temo che ogni cambiamento sarebbe in peggio, tanto vale restare nell'attuale ambiguità.
2057 - VEGETATIVO, NON VEGETALE - DI EUGENIA ROCCELLA
da: la Repubblica di venerdì 1 aprile 2011
L’articolo “Da Mumbai a Montecitorio” di Federico Orlando contiene molte inesattezze, a
partire dalla definizione di «pazienti vegetali» riferita alle persone in stato vegetativo, per le
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quali il verbo sopravvivere è riportato fra virgolette: espressioni sorprendenti dal punto di vista
scientifico e medico, ma soprattutto offensive per queste persone e per i loro familiari.
L’ostinazione con cui, a dispetto di tutta la letteratura scientifica esistente, si continua a voler
considerare questi disabili gravissimi come non-persone (vegetali, appunto) si spiega solo
con l’insopportabile carico ideologico con cui alcuni vogliono ancora affrontare il tema.
Il termine “vegetativo”, come è noto, è riferito infatti alla funzionalità del sistema
neurovegetativo, e non al mondo vegetale; inoltre le ultime indagini hanno dimostrato che ci
possono essere, nelle persone che vivono questa condizione, insospettate risposte a livello
cerebrale, come ci può essere sofferenza nel caso di uno stimolo doloroso.
Solo l’accecamento ideologico può spiegare la «pia ferocia» attribuita ai «curatori» di Eluana
Englaro (ma a chi si riferisce Orlando? Alle suore di Lecco, a cui i genitori l’hanno affidata per
tanti anni? Ai medici che l’hanno soccorsa?).
Per quanto riguarda la giornata nazionale degli stati vegetativi, è vero, il consiglio dei ministri
ha deciso, su richiesta delle associazioni dei familiari, di istituirla, come ha fatto in molti altri
casi: per i trapianti, per esempio, o per i tumori, la salute mentale, e così via. Ma,
evidentemente, per Orlando le persone con questa sindrome, essendo vegetali – poco più di
una pianta verde – non meritano che si dedichi loro attenzione.
Tralascio per motivi di spazio altri passaggi impropri dell’articolo, per venire al punto che più
mi interessa. Riferendosi al caso di Stefano Cucchi, l’articolo riporta in modo parziale le mie
dichiarazioni al proposito, e, dopo aver citato ampiamente il commento di Ignazio Marino,
ignora del tutto la mia risposta.
Il paragone che ho fatto fra il caso Cucchi e quello Englaro non riguardava certo, come ho
chiaramente detto nella trasmissione radiofonica da cui le dichiarazioni sono state tratte, le
due vicende umane e giudiziarie, lontanissime tra loro, ma solo le modalità della morte.
Secondo la commissione parlamentare presieduta da Marino, «la causa della morte di Cucchi
è l’instaurarsi di una sindrome metabolica dovuta a una grave condizione di disidratazione».
Una morte tormentosa e incivile, a mio avviso, per Stefano come per qualunque essere
umano. Per chi esalta la sentenza Englaro, invece, la morte per disidratazione, a cui Eluana è
stata sottoposta per decisione dei magistrati è una «dolce morte». Io credo che sia un modo
di morire che non possa essere inflitto a nessuno, e che su questo dovremmo essere chiari.
Chi ha a cuore la libertà di scegliere le terapie, dovrebbe anche ricordare che Eluana è stata
sottoposta a un protocollo di morte stabilito dai giudici, senza aver mai dato il proprio
consenso informato.
Ben venga il dibattito sul biotestamento, ma aprendosi a un confronto leale.
2058 - MA CUCCHI NON È ELUANA – RISPONDE FEDERICO ORLANDO
da: Europa di venerdì 1 aprile 2011
Contesto quanto scrive la sottosegretaria Eugenia Roccella come sempre ho fatto da quando,
cinque anni fa, ben dieci disegni di legge sul biotestamento piovvero al Senato nella
commissione Marino: il quale tentò invano di arrivare a un testo unificato per l’aula, trovando
ogni ostacolo nei clericali di destra e di sinistra.
Sostenni, in queste pagine e fuori, lo sforzo generoso di Marino, cui fu impedito di arrivare a
una legge umana e non dogmatica, salvo poi urlare contro la magistratura che entrò nel caso
Englaro, supplendo con la giurisprudenza (come usa dal pretore romano in poi) alla
mancanza di norma o consuetudine (le fonti del diritto sono tre: la legge, la consuetudine e la
giurisprudenza. La destra si procuri qualche altro avvocato, essendo i suoi impegnati in altre
cause).
Quanto al contenuto della lettera:
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1) la formula «pazienti vegetali» non è né voleva essere scientifica o pseudoscientifica, ma
giornalistica, perché coi lettori si deve comunicare, pur senza scendere a modelli e contenuti
berlusconiani;
2) non capisco perché la signora Roccella abbia scelto per la Giornata degli stati vegetativi il
giorno della morte di Eluana, mettendosi al livello dell’ex federale Tambroni che, ministro
dell’interno Dc, ordinò la chiusura delle case chiuse (legge Merlin) il 20 settembre, giorno
della liberazione di Roma dal dominio dei papi. (E l’”accecamento ideologico” sarebbe il
mio?);
3) la «pia ferocia» non è delle suore o dei medici, ma dei politici che, in nome dei dogmi,
continuano ad accendere roghi ideologici per vittime umane reali;
4) le opinioni di Marino sono state da me direttamente chieste al senatore, in esclusiva per
Europa. Esse sono state integralmente riportate fra virgolette. La sua condanna durissima
dell’equiparazione Cucchi-Englaro, fatta dalla Roccella, e l’altrettanto duro giudizio sulla legge
in discussione alla Camera, leggermente migliorativa di quella del Senato, appartengono al
nostro senatore (anche se da me interamente condivise);
5) La dichiarazione radiofonica della Roccella di mercoledì pomeriggio, stavolta da me
fortunosamente ascoltata, fa un sol fascio di Veronesi, Bonino e Marino, come fautori della
via all’eutanasia: laddove Veronesi e Bonino dicono “meglio nessuna legge” che questa (e
hanno ragione), mentre Marino dice, nelle dichiarazioni a me rilasciate, di condividere
l’opinione del cardinale Bagnasco che occorra una legge (purché – aggiunge lo scienziato –
lasci libero l’individuo di decidere se vuol essere curato o no e non si condanni alla cannula
benedetta anche chi a quella benedizione non ci crede. Fuori di questo diritto di scelta, non
c’è “dibattito”, ma clericofascismo.
2059 - CASO ELUANA. LA STRANA REALTA’ DELL’AVVENIRE - DI MAURIZIO MORI (*)
da: l’Unità di martedì 5 aprile 2011
Paola Binetti ha osservato che il contrasto sulla legge sul fine vita si è «spostato tutto in casa
cattolica», così cattolici con gli stessi valori «raggiungono conclusioni diverse» sulla legge
(Ansa, 9 marzo). Ma per il giornale dei vescovi Avvenire queste divisioni non esistono ed a
leggerlo sembra che i cattolici siano monolitici. Ma non solo: insiste nel sostenere tesi
palesemente non vere, solo per fare terrorismo psicologico.
Così Pino Ciociola il 19 marzo ha scritto che Eluana a Udine fu «sedata – pesantemente – nei
giorni in cui la fecero morire», ma, ciò nonostante, questo non bastò ad evitarle le sofferenze
atroci, tanto che l’autopsia avrebbe riscontrato «nel palmo delle sue mani le ferite provocate
dalle sue stesse unghie, perché le aveva strette tanto forte da entrare nella pelle».
Amato De Monte e Cinzia Gori, che hanno accompagnato Eluana alla fine, a nome
dell’Associazione «Per Eluana» hanno subito smentito la notizia con un comunicato stampa
che sottolineava come l’autopsia ha accertato che «la quantità di sedativo ... fosse oltremodo
bassa»: nessuna sedazione pesante, ma anzi dosi «al di sotto» dei valori terapeutici.
Pertanto, nessuna atroce sofferenza! Quanto alle ferite alle mani esse dipendevano da
tetraplegia spastica diagnosticata da tempo, non dai dolori atroci dell’agonia.
Invece di accettare l’evidenza autoptica, Ciociola nella trasmissione «A sua immagine» di
Rai1, domenica 27 mattina ha ripetuto la tesi iniziale, rincarando la dose di imprecisioni.
Suscita tristezza vedere come il quotidiano cattolico rifiuti la discussione razionale e basata
sui fatti accertati, insistendo nella riproposta di tesi preconcette basate su intense emozioni.
Sorprende notare come più che dalla «ricerca della verità» (Benedetto XVI, 7 ottobre 2010) i
giornalisti cattolici sembrano essere mossi dall’esigenza di serrare i ranghi prima della
battaglia decisiva. Si sentono accerchiati dalle innovazioni della biomedicina, e per dare un
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senso alla resistenza giungono a negare la realtà: non riconoscono la presenza di una forte
divisione tra i cattolici e censurano eventuali dissensi, insistono nel dire che Eluana sarebbe
stata lasciata morire tra atroci sofferenze nonostante la sedazione.
In pochi anni i cattolici sono tornati all’epoca preconciliare in cui si ponevano in guerra col
mondo moderno visto come malvagio. Per mostrare questo devono travisare e negare la
realtà. In questo modo non andranno lontano, sia perché le bugie hanno le gambe corte, sia
perché quand’anche riuscissero ad imporre una legge liberticida non avrebbero vinto la
guerra né restaurato l’ordine morale, ma solo accettato un favore da una maggioranza
moralmente impresentabile.
(*) – Il prof. Maurizio Mori è il Presidente della Consulta di Bioetica onlus.
2060 - IL COSTO DELL’ESTREMA UNZIONE - DI MARCO ACCORTI (*)
da: l’Ateo n° 2/2011
In Toscana si è assistito ad un ping pong, sfuggito alle cronache nazionali nonché sottaciuto
anche da quelle locali, quando, dopo anni di insistenze, è stato reso noto il prezzo della
missione caritatevole con cui Santa romana chiesa si spende genero-samente nell'assistenza
spirituale nei nostri ospedali. O meglio siamo tutti noi che spendiamo più o meno 2.150.000
euro l'anno. Per cosa? Perché possa essere svolta una missione evangelica che, sulla spinta
propulsiva dell'euro, porti ancora maggior conforto ai malati terminali e alle persone che
soffrono.
Ebbene, dopo questa scoperta dovuta al ripetuto intervento di numerosi "curiosi" - cittadini,
Mina Welby, UAAR, ecc. che hanno spinto prima i senatori Donatella Poretti e Marco Perduca
(Radicali) a sollevare il problema con una interrogazione al Presidente del Consiglio dei
ministri e al ministro della Salute e poi il consigliere regionale Mauro Romanelli a depositare
l'interrogazione - ai consigli comunali di Arezzo, di Empoli (FI) e di San Miniato (PI) sono state
presentate mozioni perché si facesse pressione sulla Regione a che recedesse da questa
Intesa onerosa. A Firenze invece la più strumentale logica contrappositiva delle opposizioni
ha preventivamente invitato «la Giunta regionale non solo a mantenere ma anche a rafforzare
il Protocollo d'Intesa con la Conferenza episcopa1e toscana ed a sollecitare ogni singola ASL
a valorizzare queste presenze attraverso la stipula o il rinnovo di apposite convenzioni con le
autorità ecclesiastiche locali». Da cosa venga tanta stizza ansiosa è presto detto: dalla
strumentalità allarmistica di paventare che per «una bislacca interpretazione della tolleranza,
debbano venir meno diritti inalienabili sanciti da leggi dello Stato Italiano (nella fattispecie L.
n. 833178) e quindi non venga più garantita l'assistenza religiosa» [1].
Totò direbbe "Bislacco sarà lei", noi possiamo dire che è solo fumo negli occhi, anzi è una
mistificazione che venga meno l'assistenza religiosa, cosa questa che nessuno si sognerebbe
mai di richiedere né è mai stata messa in discussione. Il fatto è che non si comprende perché
mai, se non per un privilegio dovuto, la Chiesa di Roma debba essere pagata per svolgere
funzioni, come offrire conforto religioso, che dovrebbero esserle proprie. In realtà questo "al
lupo al lupo", guaito dai banchi delle opposizioni preconcette, non cade certo nel vuoto della
politica clericofila trasversale, anche perché non sono certo teo- e neocon che hanno
concesso questo, come altri privilegi, alla Chiesa cattolica. Per un cittadino è molto difficile
capire come si sia arrivati a concedere privilegi così evidenti, ma vale la pena di provarci pur
consapevoli che solo specialisti in materia potranno meglio inquadrare il tutto in una logica di
legalità intorno alla quale però rimarrà sempre il dubbio di legittimità.
Proviamo comunque a capire qualche cosa di questa storia. Non si sa bene, fra la Regione e
la CET, chi sia il "mandante iniziale", ma è certo che gli "utilizzatori finali" dei 2.150.000 euro
l'anno saranno 2 suore infermiere e i 77 sacerdoti già oggi assunti, più almeno altri 6 fra
8
Siena e Prato: un manipolo di operatori della fede ingaggiati e inquadrati negli organici
ospedalieri toscani in virtù del fatto che all'art. 4 della convenzione del 2007 [2] fra l'azienda
sanitaria e l'ordinario diocesano si legge: «4. Possono essere assunti a ruolo ai sensi dell'art.
9, comma 3, del DPR 761/79, con-formemente ed analogamente a quanto previsto per
alcune categorie dalla legge 68/99 e stante il regime derogatorio introdotto dal citato DPR
761, gli assistenti religiosi in possesso dei requisiti previsti dalla vigente nor-mativa. 5. La
nomina dell'assistente religioso da parte dell'Azienda sanitaria instaura un rapporto di impiego
speciale, disciplinato dalla vigente normativa e dalla presente convenzione».
Questo scilinguagnolo leguleio vuoI dire che verrà garantito ai portatori di sollievo un lavoro
"fino a che pensione non ci divida" nello stato giuridico ed economico previsto per il personale
del comparto - categoria D come per gli infermieri professionali - con uno stipendio mensile
lordo di circa 1670 €. E come buon peso aggiungiamoci, chissà perché, anche "108 mila euro
per la pensione integrativa di 10 suore delle Oblate". Tutto nasce alla fine degli certe soluzioni
come quella appunto prevista dal già citato art. 9 del D.P.R. 761179 (Modalità di assunzione
in servizio, deroga dal concorso pubblico) che prevede la chiamata diretta solo per il
«personale addetto a mansioni elementari» e inoltre stabilisce che «L'assunzione del
personale di assistenza religiosa cattolica è effettuata direttamente dal comitato di gestione
su proposta dell'ordinario diocesano competente per territorio». Sembra un garbuglio
paradossale in cui la diocesi comanda e l'Istituzione picciotta ubbidisce con una "chiamata
diretta" al limite della demenzialità in quanto inserisce i sacerdoti fra il personale «addetto a
mansioni elementari» - e in realtà per portare sollievo spirituale ci vuole disponibilità umana e
non una laurea - ma in perfetta illogicità con la categoria D di cui godono oggi nonostante
spetti agli infermieri professionali [6].
Arriviamo al famigerato nuovo Concordato dell'84 che all'art. 11 dell'Accordo impegna la
Repubblica italiana ad assicurare l'esercizio della libertà religiosa e l'adempimento delle
pratiche di culto dei cattolici «alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la
degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di
prevenzione e pena» [7]. D'altra parte alle Regioni competeva la Sanità e di conseguenza, fra
gli altri servizi previsti dalla legge, dovevano organizzare anche «l'unità operativa di
assistenza religiosa». Si trattava in ultima analisi di formulare un accordo con la CEI, con
valore di legge vincolante per entrambe le parti in quanto concreta applicazione dell'Accordo
pattizio.
La Regione Toscana si eresse a capofila e, di concerto con la CEI, emanò all'unanimità la
legge su "Assistenza religiosa nelle strutture di ricovero delle Unità Sanitarie Locali" «in
conformità delle norme concordatarie e statali vigenti in materia» [8] con lo scopo di giungere
alla definizione di "schemi tipo di Intese regionali" che fra le altre cose dovevano prevedere il
numero degli assistenti in relazione alla dimensione degli ospedali e le varie regolamentazioni necessarie. Non si fa cenno del tipo di rapporto da instaurare, ma a questo, con
singolare tempismo, mise "rimedio" la Corte di Cassazione definendo il servizio di assistenza
religiosa «un lavoro subordinato [...] da ritenersi un rapporto di pubblico impiego in quanto
l'assistente religioso è inserito nell'organizzazione pubblianni '60, quando, in assenza di una specifica legge, la presenza dei sacerdoti negli ospedali,
prevista dalle norme concordatarie, veniva com-pensata nelle maniere più diverse. Il primo
passo fu affermare nel '68 «l'obbligo per ogni Ente di avere un servizio di assistenza
religiosa» [3) e nel '69 si rimandò la soluzione all'ordinamento interno e si stabilì che «il
relativo onere è a carico dell'ente ospedaliero» [4].
Intanto però la CEI non era stata con le mani in mano e aveva stilato uno" Schema di
convenzione per l'assistenza religiosa negli ospedali e case di cura" rimasto di sottofondo
9
nella formulazione dell'art. 38 (Servizio di assistenza religiosa) della già invocata legge
823178 (la legge Mariotti sulla Sanità) che prevede: «Presso le strutture di ricovero del
servizio sanitario nazionale è assicurata l'assistenza religiosa nel rispetto della volontà e della
libertà di coscienza del cittadino. A tal fine l'unità sanitaria locale provvede per l'ordinamento
del servizio di assistenza religiosa cattolica d'Intesa con gli ordinari diocesani competenti per
territorio; per gli altri culti d'Intesa con le rispettive autorità religiose competenti per territorio».
Dunque la legge si premura di garantire l'assistenza religiosa, ma l'art. 48 (Personale a
rapporto convenzionale) specifica al punto 13) che «Resta la facoltà degli organi di gestione
delle unità sanitarie locali di stipulare convenzioni con ordini religiosi per l'esp1etamento di
servizi nelle rispettive strutture». Facoltà, dunque, solo facoltà, non obbligo e per di più non
c'è scritto che le convenzioni debbano essere onerose. Del resto la carità per sua natura non
prevede un costo, altrimenti che carità sarebbe se non carità pelosa. Ma già all'art. 38 c'è il
bandolo della matassa che arriva fino a noi, infatti, si passa dalla locuzione "regolamento
interno" del D.P.R. 128/1969 a "Intesa", cambiamento apparentemente insignificante, ma che
condizionerà tutto il successivo percorso legislativo.
Il passo seguente nel '79 riguardò "L'assunzione del personale di assistenza religiosa
cattolica" [5]. Sicuramente per l'esperto in diritto è tutto chiaro, ma al cittadino rimangono
incomprensibili certe soluzioni come quella appunto prevista dal già citato art. 9 del D.P.R.
761179 (Modalità di assunzione in servizio, deroga dal concorso pubblico) che prevede la
chiamata diretta solo per il «personale addetto a mansioni elementari» e inoltre stabilisce che
«L'assunzione del personale di assistenza religiosa cattolica è effettuata direttamente dal
comitato di gestione su proposta dell'ordinario diocesano competente per territorio». Sembra
un garbuglio paradossale in cui la diocesi comanda e l'Istituzione picciotta ubbidisce con una
"chiamata diretta" al limite della demenzialità in quanto inserisce i sacerdoti fra il personale
«addetto a mansioni elementari» - e in realtà per portare sollievo spirituale ci vuole
disponibilità umana e non una laurea - ma in perfetta illogicità con la categoria D di cui
godono oggi nonostante spetti agli infermieri professionali [6].
Arriviamo al famigerato nuovo Concordato dell'84 che all'art. 11 dell'Accordo impegna la
Repubblica italiana ad assicurare l'esercizio della libertà religiosa e l'adempimento delle
pratiche di culto dei cattolici «alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la
degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di
prevenzione e pena» [7]. D'altra parte alle Regioni competeva la Sanità e di conseguenza, fra
gli altri servizi previsti dalla legge, dovevano organizzare anche «l'unità operativa di
assistenza religiosa». Si trattava in ultima analisi di formulare un accordo con la CEI, con
valore di legge vincolante per entrambe le parti in quanto concreta applicazione dell'Accordo
pattizio.
La Regione Toscana si eresse a capofila e, di concerto con la CEI, emanò all'unanimità la
legge su "Assistenza religiosa nelle strutture di ricovero delle Unità Sanitarie Locali" «in
conformità delle norme concordatarie e statali vigenti in materia» [8] con lo scopo di giungere
alla definizione di "schemi tipo di Intese regionali" che fra le altre cose dovevano prevedere il
numero degli assistenti in relazione alla dimensione degli ospedali e le varie regolamentazioni necessarie. Non si fa cenno del tipo di rapporto da instaurare, ma a questo, con
singolare tempismo, mise "rimedio" la Corte di Cassazione definendo il servizio di assistenza
religiosa «un lavoro subordinato [...] da ritenersi un rapporto di pubblico impiego in quanto
l'assistente religioso è inserito nell'organizzazione pubblicistica per il perseguimento dei fini
istituzionali dell'ente medesimo» [9].
Ancora qualche anno di lavorio in silenzio finché nel 2000 la Giunta regionale approvò lo
schema di protocollo d'Intesa tra la Regione Toscana e la CET per la disciplina del servizio di
10
assistenza religiosa cattolica nelle strutture di ricovero delle aziende sanitarie e lo schema
tipo di convenzione da stipularsi tra le aziende sanitarie e gli ordinari diocesani [10]. Ma non è
ancora finita perché bisogna arrivare al 2003 allorché si chiude questo circolo poco virtuoso
con la legge che finalmente entra nei particolari dell'Intesa e all' art. 4 definisce i ruoli,
individua i benefit e il trattamento economico [11].
Successivamente, col nuovo piano sanitario, si riprende in mano il protocollo d'Intesa per
aggiornarlo (sottoscritto il 24 gennaio 2005) in funzione del Piano sanitario regionale 20052007 «per l'estensione del servizio di assistenza religiosa alle strutture ospedaliere private
operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale». A ogni previsto
rinnovo non cambia molto e rimane l'interrogativo del perché del già citato art. 9 del DPR
761/79, ma anche del rimando alla Legge 68/99: non si capisce, infatti, perché vi si debba
ricorrere in quanto concerne le "Norme per il diritto al lavoro dei disabili", quasi che vengano
destinati al compito i sacerdoti bisognosi di assistenza psico-fisica o ospedaliera. Ma chissà,
forse c'è una nota a un comma che sfugge ad occhi non competenti.
Tutto questo per arrivare ad oggi, quando, stupiti della considerevole spesa emersa
dall'interrogazione del consigliere regionale Romanelli, si apprende dall'ufficio competente
che le delibere che istituiscono questo servizio «non prevedono alcuna specifica
assegnazione di risorse alle Aziende Sanitarie, né eventuali rimborsi derivanti dalla sottoscrizione delle convenzioni per la disciplina del servizio di assistenza religiosa cattolica
nelle strutture di ricovero delle Aziende sanitarie. Pertanto non sono stati utilizzati capitoli di
spesa del bilancio regionale». Dunque, a meno che gli assistenti spirituali, che fra le altre
cose godono anche della mensa, non siano capaci di moltiplicare "pani e euro" , il magnifico e
munico sponsor che sborsa è la ASL, come se l'Azienda, la stessa che non ha i soldi per
assumere il personale carente, non fosse finanziata con fondi regionali. Per arrivare a questa
manfrina la Regione Toscana, come già accennato, è dal 2000 che stipula Intese con la CET;
se è stata la prima a cercare un accordo con la CE regionale, non è certo l'unica Regione [12]
che ha sottoscritto schemi, protocolli d'Intesa, né l'unica che sovvenziona in analogo modo
questi professionisti della fede a tempo indeterminato, gravandoci così del peso di questi
inamovibili sollevatori dello spirito, cosa che in tempo di mobilità selvaggia e di precariato
appare come una bestemmia che nemmeno monsignor Fisichella sarebbe capace di
contestualizzare.
Fra le tante singolarità presenti in questo tipo di Intese con le varie Conferenze episcopali
regionali [13] vige la regola secondo cui «Il numero di assistenti religiosi viene concordato
tenendo conto della rilevanza dell'attività di ricovero, in coerenza con le previsioni aziendali
concernenti il percorso assistenziale al fine di garantire qualità, efficienza ed efficacia
nell'assolvimento del servizio e, fra le altre cose, viene concordato in funzione del numero di
ricoveri riferito all'anno precedente e del numero e dimensioni delle strutture di ricovero».
Siamo al paradosso che si dà per scontata una parificazione funzionale analoga a quella del
personale medico e infermieristico. Ebbene, studi accreditati ci danno indicazioni sul "nurseto-patient ratio" ottimale sulla base del fatto che una presenza infermieristica inadeguata
determina inevitabilmente eventi avversi che - se non succede di peggio - fanno aumentare i
costi di degenza [14]. Ma è da dimostrare che analoga logica valga per il sollievo dello spirito
e sia così necessario un assistente religioso fisso ogni x posti letto e non debba invece
rispondere al principio della disponibilità a richiesta in caso di necessità o di chiamata.
In realtà quel che si sancisce è solo il tipico presidio cattolico dell'istitu-zione chiusa, privilegio
o imposizione ricorrente; non a caso la Comunità Ebraica di Firenze e la Comunità Islamica di
Firenze e Toscana hanno stabilito con l'Azienda Ospedaliera Careggi un'Intesa che prevede
l'accesso rispettivamente di 3 e di 4 ministri di culto cui affidare il servizio di assistenza
11
religiosa sulla base che: « 1) Il servizio di assistenza religiosa è gratuito, 2) Nessun onere
graverà sull'Azienda Sanitaria per l'esercizio dell'assistenza religiosa». Inoltre non godranno
di altri privilegi come uffici, mensa, lavanderia, ecc., concessi ai cattolici, ma «Per lo
svolgimento dell'assistenza religiosa è consentito, su richiesta dell'interessato ed a seguito di
valutazione della Direzione Aziendale, il temporaneo uso di locali e spazi aziendali».
Analoghe sono le offerte di assistenza, ovviamente gratuite, della comunità valdese e degli
altri culti che non ricorrono a Intese particolari con le Regioni in quanto già in quelle con lo
Stato (15) è sancito il loro diritto all' assistenza ospedaliera. E altrettanto volontario e gratuito
è quanto si è concordato con l'Ospedale Molinette di Torino dove l'UAAR, grazie a soci
preparati allo scopo, garantisce un servizio di assistenza morale non confessionale.
Insomma, in base a quale norma laici e acattolici offrono assistenza spirituale e morale gratis,
mentre i cattolici lo fanno solo a pagamento? Addirittura, scava scava, l'unico accenno che si
trova per giustificare la monetizzazione dell'assistenza spirituale cattolica si ritrova in una sentenza del Consiglio di Stato riguardo alla "Indennità di pronta disponibilità" dovuta ad una
presunta natura di «immediato servizio pastorale» [16], come se l'impellenza di un tale
"pronto intervento" fosse conseguenza delle urgenze peculiari del "Pronto Soccorso", quasi si
volesse imporre un'inscindibile identità fra corpo e anima. Buffo che gli acattolici riescano a
offrire gratuitamente un'adeguata premura, mentre i cattolici abbiano bisogno di un
"incentivo". Ma si sa, come "bisognino fa trottare la vecchia" , per accelerare il passo di Santa
madre chiesa ci vuole l'obolo.
Comunque la motivazione del Consiglio di Stato si riferisce ad un "assistente religioso di
ruolo" nella Unità sanitaria locale affermando che ciò è previsto dall'art. 38 della già citata
legge Mariotti; tuttavia, come già evidenziato, la legge prevede solo che sia assicurata
l'assistenza religiosa e indica la "facoltà" di stipulare convenzioni senza prevedere né
l'obbligo di stabilire rapporti di lavoro, né tanto meno di assumere in ruolo sacerdoti. È chiaro
dunque che a monte di tutto c'è la scelta politica di accettare supinamente lo Schema
formulato dalla CEI già nel '70 e l'assoluta mancanza di volontà di contrattare un rapporto non
retribuito che sarebbe stato assolutamente coerente anche in ambito pattizio. Un ulteriore
modo di offrire fondi alla Chiesa cattolica.
A questo punto non è possibile non rimarcare quanto pesi l'art. 7 della Costituzione sui
rapporti non solo Stato-Chiese - sì, Chiese al plurale visto che godono di differenti trattamenti
- ma anche quanto si rifletta sulle politiche locali dal momento che siamo in presenza non di
accordi o convenzioni, ma di Intese vere e proprie che godono delle stesse tutele procedurali
previste dal Concordato. Non si può dimenticare che nell'art. 11 dell'Accordo dell'85 erano
previsti fra gli altri i temi "Insegnamento religioso, Assistenza spirituale e Beni culturali".
Sorvoliamo qui sull'invadenza cattolica nella scuola in quanto sappiamo bene quanto ci costa
e facciamo solo un accenno ai "Beni culturali" per domandarci quante Intese anche in questo
ambito sono state sottoscritte. È noto ad esempio che nel 2005, Regione e Conferenza
Episcopale Toscana, nelle persone di Claudio Martini e di Mons. Alessandro Plotti, avevano
sottoscritto una Intesa per la valorizzazione dei beni culturali appartenenti ad Enti ed
Istituzioni ecclesiastiche di interesse storico-religioso [17], ma non si è mai saputo cosa abbia
comportato né quanto sia costata ai cittadini.
C'è però un costo legato all'assistenza spirituale che è insostenibile: la vita delle persone. Pur
dipendendo direttamente da Intese con lo Stato e non con le Regioni, si contano 211
cappellani militari [18], mentre sono solo 20 gli psicologi di ruolo nei 205 penitenziari [19] a
fronte di un impressionante numero di suicidi, noto nelle carceri ma con cifre difficilmente
verificabili nelle Forze Armate e in quelle di Pubblica Sicurezza. Per i Carabinieri, dati ufficiali
del Comando Generale dell'Arma, si parla di ben 293 militari che si sono uccisi solo dal 1978
12
al gennaio 2000 [20], ma per gli ultimi 10 anni, di cui mancano dati ufficiali, si parla di un
ulteriore incremento per cui si può ragionevolmente presumere che in 30 anni si possono
registrare almeno 400 suicidi se non di più; per la Guardia di Finanza [21] risultano 100 suicidi
nel periodo 1996-2009; per la polizia penitenziaria [22] 68 suicidi negli ultimi 10 anni; per le
forze di polizia [23] si contano 132 suicidi dal 1995 al 2007. Si noti che non si parla di
appartenenti all'esercito impiegati in operazioni di stampo militare (di cui mancano dati), ma di
tutori dell'or- dine pubblico.
Non si conoscono i costi, ma se nel 2006 i 175 cappellani militari gravavano sul bilancio per
6.324.685 euro [24], più altri 485.699 euro per le 8 eminenze ai vertici dell'Ordinariato Militare,
oggi che i cappellani risultano 211 si deve calcolare una cifra intorno agli 8 milioni di euro.
Ebbene se queste ingenti cifre fossero state spese per l'assistenza psicologica invece che per
quella spirituale, dunque non per cappellani ma psicologi, forse non si conterebbero le
centinaia di suicidi. Sarebbe valsa la spesa anche per una sola vita salvata. Ancor più grave il
problema negli istituti di pena dove dal 2000 al febbraio 2011 sono morti 1753 internati, 653
dei quali suicidi, al netto dei casi dubbi o non accertati [25]. E qui sì che gli psicologi sono
merce rara. A fronte dei cappellani stabilmente presenti e ben retribuiti (i costi dovrebbero
essere analoghi a quanto avviene in ambito militare), si centellina in maniera beffarda
l'assistenza psicologica con l'offerta di poche ore settimanali di supporto da parte di 404
professionisti, di cui solo 20 a ruolo. A fronte di una necessità inderogabile dimostrata
appunto dalle centinaia di decessi si riducono le spese invece di operare affinché lo psicologo
sia «parte integrante dell'istituzione peni-tenziaria con l'incarico di monitorare costantemente
la condizione dei detenuti anche a supporto degli altri operatori» [26].
È evidente che non si possono paragonare queste tragedie umane con lo sperpero negli
ospedali da cui siamo partiti, ma c'è un filo che lega assieme queste vicende. Stato prima,
Regioni poi, sono costretti per le norme concordatarie a stipulare Intese con le varie
confessioni fra le quali però solo la cattolica esige di concludere accordi onerosi. Stato e
Regioni, almeno di principio, potrebbero opporsi a questo capestro, ma non solo accettano
supinamente le ingerenze vaticane come si è visto per lo schema approntato fin dal '70 dalla
CEI per gli ospedali, ma ad ogni scadenza della revisione non sono in grado di impugnare
unilateralmente le Intese. E anche ammettendo che le Istituzioni trovassero il coraggio civile
di rivendicare un rapporto diverso, solo un rigurgito di dignità potrebbe indurre le gerarchie
vaticane a rimettere in discussione gli accordi e perdere privilegi di cui sono gelose. Ma è mai
possibile che tanta dignità sia nella natura di chi non lucra solo sui milioni dell'ICI ora dell'IMU
e adesso anche su un solo euro del biglietto dei cinema parrocchiali? Opportuno dubitarne
tanto più se Stato laico significa distinzione tra sfera civile e religiosa e uguaglianza tra tutte le
fedi, mentre la distinzione delle sfere è messa in discussione dall'inserimento dell'art. 7 della
Costituzione, mentre all'art. 8 se ne garantisce sì la libertà, ma non certo l'uguaglianza. Alla
Chiesa cattolica non basta egemonizzare il percorso dalla culla alla bara, lo deve anche
monetizzare all'insegna di una "evangelizzazione secolare" delle Istituzioni, sempre più
complici nel continuo scolorimento del senso di laicità che dovrebbe fondarle, fino a diventare
quella fantomatica Repubblica pontificia paventata dai costituenti, un vero e proprio Stato di
diritto ecclesiastico.
Per tornare da dove siamo partiti, come recita lo spazio sul sito del principale ospedale di
Firenze, a Careggi è sì garantita l'Assistenza Religiosa in quanto «Sia per la religione
cristiana, sia per gli altri culti, è possibile contattare sacerdoti e ministri del proprio culto
facendone richiesta al personale di reparto”, ma non si specifica che invece di offrirsi gratia
dei, solo il culto cattolico non si muove all'insegna della fede e della carità, ma di un ticket
occulto, un optional pecuniario obbligatorio pagato da tutti i cittadini toscani indipen13
dentemente dalle reali necessità e dalle loro convinzioni. Comunque, come negli istituti di
pena e nelle caserme, anche negli ospedali tutto questo ha una sua logica, peraltro perversa:
in carenza di personale medico e infermieristico, riducendosi il "nurseto-patient ratio", il
rischio per il paziente aumenta ed è quindi presumibile una sempre maggior necessità di
ricorrere all'estrema unzione, il rito di passaggio dei cattolici all'altro mondo. Il fatto è che non
tutti i degenti sono cattolici, né tutti aspirano ad un altro mondo, né tanto meno allo stesso.
Quanto a noi, stiamo bene qua.
NOTE
[l] Assistenza religiosa in ospedale, mozione Mugnai, Nascosti, Donzelli, Fuscagni (PdL), Comunicato del
14/0112011(http://www.consiglio.regione.toscana.it/politica/comunicatistampa‐dei‐gruppi‐politici/comunicato/
testo comunicato.asp?id=7108&filtra=).
[2] Regione Toscana, Deliberazione n. 890 del 3 dicembre 2007.
[3] Legge 12 febbraio 1968, n. 132.
[4] D.P.R 27 marzo 1969, n. 128 ‐ Ordinamento interno dei servizi ospedalieri.
[5] D.P.R. 29 dicembre 1979, n. 761 ‐ Stato giuridico del personale delle unità sanitarie.
[6] D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270 (1) ‐ Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il
triennio 1985‐1987, relativa al comparto del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale Livello 7° ‐
Operatori professionali prima categoria coordinatori, assistenti sociali coordinatori, collaboratori amministrativi,
assistenti religiosi.
[7] Legge 25 marzo 1985, n. 121‐ Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a
Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la
Repubblica italiana e la Santa Sede.
[8] Regione Toscana, legge 7 maggio 1985, n. 53 "Assistenza religiosa nelle strutture di ricovero delle Unità
Sanitarie Locali. Integrazione della L.R. 24 maggio 1980, n. 71 concernente l'organizzazione delle Unità
Sanitarie Locali".
[9] Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 5 aprile 1986, n. 2366.
[10] Regione Toscana Delibera della Giunta, 7 febbraio 2000, n. 119.
[11] Regione Toscana Delibera della Giunta, 24 marzo 2003, n. 274.
[12] Veneto, Puglia, Sardegna, prov. Aut. Trento, Lazio, Umbria, Sicilia, Lombardia.
[13] Tutte le Intese sono fatte sulla base dello schema predisposto dalla CEI nel '70 e ufficializzato poi dalla
Regione Toscana.
[14] Lo Stato della California ha per primo stabilito un rapporto di sicurezza verso il rischio clinico variabile da 1:1
in sala trauma in pronto soccorso fino a 1:6 nel postpartum e psichiatria (http://www.nursind.it/
nursind2/modules/article/view.article.php?134).
[15] Ai sensi dell'art. 8 della Costituzione.
[16] Sez. V, sentenza n. 1576 del 14‐11‐1995, Carnaghi c/ U.S.L. n. 7 di Tradate (p.d. 960728), in «Rivista
Consiglio di Stato», ed. Italedi: «1. È legittima l'erogazione dell'indennità di pronta disponibilità, ex articolo 18 del
D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270, all'assistente religioso di ruolo della Unità sanitaria locale (come previsto
dall'articolo 38 della legge 23 dicembre 1978 n. 833) in quanto l'attività svolta dal cappellano è di immediato
servizio pastorale che si distingue proprio per la pronta disponibilità e costante presenza all'interno della
struttura sanitaria” .
[17](http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito‐RT/Contenuti/sezioni/cultura/beniculturali_architetto
nici7 visualizza asset.html 1457179293.html).
[18] Ordinariato Militare (www.ordinariato. it/).
[19] Ordine degli Psicologi, comunicato stampa 26 giugno 2009, Rischio rivolta nelle carceri: gli psicologi
lanciano l'allarme. Solo 20 gli psicologi di ruolo nei 205 penitenziari italiani (http://www.psy.it/documenti/
Comunicato stampa 26062009.pdf).
[20[ Pezzano Gabriele e Sardo Andrea, Dal mobbing al suicidio: il caso della guardia di finanza
(www.uilpadirigentiministeriali.com).
[21] (http://www.forzepolizia.org/dblog/articolo.asp?articolo=93).
[22] (http://forum.adunanza.net/threads/62551‐Polizia‐In Aumento‐Suicidi‐9‐In‐2008).
[23] (http://coispaq.blogspot.com/2008/10/suicidi‐in‐polizia‐chi‐responsabile.html)
[24] (http://www.maurizioturco.it/dossier/lachiesacattolicainital/cappellanimIlitarifontem.html).
[25] (http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.html).
[26] Ordine degli Psicologi, idem.
14
(*) – Il dr. Marco Accorti ([email protected]) è socio di LiberaUscita
2061 - LE CROCIATE DEL VICEPRESIDENTE DEL CNR - DI MARCO PASQUA
da: la Repubblica di giovedì 7 aprile 2011
Le crociate del vicepresidente del Cnr Roberto De Mattei contro omosessuali e darwiniani e
gli attacchi verso l'Europa multietnica, scuotono il mondo accademico, che chiede con forza le
dimissioni dello storico ultracattolico o, in alternativa, la sua rimozione da quell'incarico. Della
vicenda sarà anche investito il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, che lo ha
confermato nel suo ruolo all'interno del Cnr (la sua, infatti, è una nomina politica): la deputata
del Pd, Paola Concia, presenta in queste ore un'interrogazione parlamentare.
Unanime il giudizio degli storici: "La tesi secondo cui l'impero romano sarebbe caduto per
colpa dei gay, non merita neanche di essere discussa".
Il malumore tra i ricercatori del Cnr è palpabile. Sono in tanti a vivere con imbarazzo le
bizzarre (e antistoriche) affermazioni di De Mattei, che da anni si è fatto notare dalla comunità
scientifica per le sue tesi. Ma c'è anche frustrazione, perché la nomina dei vertici del primo
ente scientifico italiano, è decisa dalla politica: De Mattei deve il suo incarico a ministri
dell'Istruzione scelti da Silvio Berlusconi (dalla Moratti alla Gelmini). Del resto, il rapporto con i
governi di centrodestra guidati da Berlusconi risale a diversi anni fa, se è vero che, come
scrive sul suo sito, dal 2002 al 2006 De Mattei fu consigliere per le questioni internazionali del
governo.
Vi fu una sola parentesi, nel corso della quale venne "rimosso" dall'incarico di vicepresidente,
come ricordano i ricercatori riuniti nell'associazione "Articolo 33". "Nel 2007, l'allora ministro
dell'Università, Fabio Mussi, riuscì a sostituirlo con un altro docente. Rimase nel cda dell'ente,
ma non era più vicepresidente", spiega il portavoce dell'associazione, Vito Mocella.
Nel 2008, col ritorno del governo Berlusconi, De Mattei poté tornare ad occupare la sua
poltrona. I ricercatori di "Articolo 33" chiedono ora con un appello online che, qualora De
Mattei non si dovesse dimettere, "il cda adotti un provvedimento analogo a quello del 2007,
quando venne sostituito". E lanciano anche una provocazione: "Potremmo chiedere ad un
giudice tutelare di nominare un amministratore di sostegno per De Mattei, visto che ha
dimostrato di non saper svolgere alcune sue funzioni".
"Una vergogna", attacca Fabio Mussi, oggi presidente dell'Assemblea di Sinistra e Libertà,
che ricorda il suo intervento nel 2007: "De Mattei era ed è un rappresentante della
superstizione nella comunità scientifica. Da ministro, pensavo che la questione andasse
risolta. La sua presenza appartiene agli aspetti burleschi della società contemporanea. Per
questo promossi un atto che avrebbe favorito la sua sostituzione". Il problema, per l'ex
ministro dell'Università e ricerca scientifica, è che "il governo in carica non sa che il Cnr è uno
dei pezzi pregiati del Paese. Questo governo, infatti, preferisce come scuole di pensiero le
madrasse televisive del premier piuttosto che le istituzioni scientifiche".
Per De Mattei, Mussi suggerisce una delle "tante trasmissioni televisive che parlano di alieni e
fantasmi: sarebbe un ottimo conduttore".
Le dimissioni di De Mattei sono invocate anche da Mimmo Pantaleo, segretario generale
della Flc-Cgil, e da Orazio Licandro (Pcdi-Federazione della sinistra).
Ma anche le associazioni che si battono per i diritti degli omosessuali sono sul piede di
guerra. Le frasi omofobe di De Mattei, fanno notare, sarebbero state oggetto di denuncia, se
solo esistesse nel nostro Paese il reato di omofobia. "De Mattei ci ha abituati alle sue
grottesche affermazioni, ispirate alle più ridicole e becere superstizioni, e se fosse un attore
di avanspettacolo o un aspirante stregone o un superstite delle glaciazioni tutto sommato si
potrebbe pure provare a riderci sopra", sottolinea il presidente di Arcigay, Paolo Patanè. "Tale
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però non è, e poiché le sue non sono barzellette e lui non è un druido ma il vicepresidente del
Cnr, dovrebbe possedere nel suo stesso pensare il rigore scientifico che il suo ruolo richiede.
L'unica cosa seria che il Cnr può fare a questo punto è imporgli di dimettersi, ovvero cacciarlo
con la stessa risolutezza con cui ha disprezzato la vita e la morte di migliaia di persone
vittime del terremoto in Giappone, e con cui addita, con profonda e pericolosa ignoranza, la
natura di milioni di omosessuali e transessuali. Il professore possiede una mente antistorica,
antiscientifica e persino anticristiana, perché le sue parole offendono il rispetto a cui si ispira
la quotidianità dei veri credenti . Se ha così tanti problemi fustighi se stesso e si ritiri in un
eremo".
Non meno duro il giudizio di Aurelio Mancuso, presidente di "Equality Italia", che vede, nella
presenza di De Mattei, una precisa operazione politica: "C'è un'alleanza all'interno del
governo, con una parte delle gerarchie cattoliche che hanno tutto l'interesse ad orientare
istituti di questo tipo. Pur di avere un appoggio della Chiesa, il governo concede questo tipo di
spazi". Per Mancuso, De Mattei rappresenta "il ritorno del cattolicesimo della superstizione: si
leggono i fenomeni sociali e storici con una interpretazione non scientifica, ma ideologica".
Della vicenda sarà presto investita la Gelmini, attraverso un'interrogazione parlamentare
presentata da Paola Concia: "Questa persone non è in grado di ricoprire quel ruolo", attacca
la deputata del Pd. "Non possiede i requisiti per essere il vicepresidente del Cnr. Andrebbe
denunciato, perché sta offendendo la dignità delle persone".
Unanime il giudizio degli accademici. Emilio Gabba, storico dell'antichità italiana, studioso di
Storia romana e socio dei Lincei, non accetta neanche di discutere la tesi secondo cui
l'impero romano sarebbe caduto per colpa degli omosessuali: "E' una cosa assolutamente
improbabile, e non ha alcun senso parlarne".
Lellia Cracco Ruggini, professore emerito, già ordinario di Storia romana all'Università di
Torino e accademica dei Lincei, spiega che De Mattei si richiama a tesi di fine Ottocento:
"Non ci sono prove che a Roma ci sarebbero stati molti omosessuali. E, comunque, l'impero
romano non è caduto per questo, direi che la cosa è certa. Ci furono cause interne ed
esterne, ma certamente non basta contrapporre i barbari da una parte e i popoli civilizzati
dall'altra".
Un altro professore universitario, chiede l'anonimato: "Conosco De Mattei, e non vorrei
attaccarlo frontalmente. Ma quando lo incontrerò, gli dirò di piantarla con queste baggianate".
Intanto, la petizione online con la quale si chiedono le sue dimissioni dal Cnr sta sfiorando le
diecimila adesioni.
2062 - CASSAZIONE: NO AGLI INTERVENTI INUTILI - DI CRISTIANA PULCINELLI
da: l’Unità di sabato 9 aprile 2011
Violano il codice deontologico i chirurghi che sottopongono ad interventi inutili i malati
«inoperabili» e afflitti da tumori che gli lasciano solo poco tempo di vita, anche nel caso in cui
sia stato proprio il paziente a dare il suo consenso informato all'operazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione confermando la condanna per il reato di omicidio
colposo nei confronti di tre medici dell’ospedale San Giovanni di Roma. Nel 2001 i medici
avevano operato una donna di 43 anni che aveva solo 6 mesi di vita per un tumore al
pancreas con metastasi già diffuse e diagnosticate. La donna mori poche ore dopo
l’intervento di asportazione delle ovaie, a cui aveva dato il suo consenso, in seguito a
un’emorragia dovuta a una lesione della milza provocata nel corso dell’operazione chirurgica.
Nella sentenza si sottolinea che «i chirurghi avevano agito in dispregio al codice deontologico
che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento diagnostico-terapeutico».
Questo perché «date le condizioni indiscusse ed indiscutibili della paziente (...) non era
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possibile fondatamente attendersi dall’intervento un beneficio per la salute e/o un
miglioramento della qualità della vita». Un caso quindi di accanimento terapeutico,
nonostante l’intervento sia stato «eseguito in presenza di consenso informato della donna
44enne, madre di due bambine e dunque disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve
prolungamento della vita».
«Una sentenza che farà discutere, non c’è dubbio», commenta Demetrio Neri, bioeticista e
membro del Comitato Nazionale di bioetica. «Da un lato, la sentenza dice ai medici: non c’è
bisogno di accanirsi, si può non infierire sul paziente quando ha pochi mesi di vita davanti. È
una posizione che va nella direzione di una medicina a misura umana. D’altro lato, la
paziente aveva dato il suo consenso. E in molti pensano che l’autodeterminazione alla base
del consenso informato abbia una funzione determinante per la scelta delle cure. È pur vero
che, a volte, il consenso diventa un assenso del paziente a quello che il medico dice e perde
il valore di processo comunicativo. Per dire una parola definitiva bisogna quindi studiare bene
la sentenza».
Proprio su questo punto del consenso batte il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella,
secondo cui «comincia ad esserci un’idea dell’autodeterminazione del paziente che può finire
per squilibrare l’alleanza terapeutica medico-paziente, tra l’altro a danno del paziente
stesso». In altre parole, «il medico deve agire valutando in modo autonomo e non limitandosi
ad eseguire ciò che il paziente chiede, dal momento che quest’ultimo non dispone di tutti gli
strumenti per una valutazione corretta del suo caso clinico». Naturalmente, le parole del
sottosegretario assumono un significato importante per quanto riguarda le volontà di fine vita.
Nel disegno di legge sulla dichiarazione anticipata di trattamento, o testamento biologico,
presentato dal Pdl e che sarà in discussione alla Camera alla fine di aprile, si prevede infatti
che il soggetto incapace d’intendere e di volere, che ha reso in precedenza dichiarazioni
anticipate di trattamento, sia in sostanza privato della sua volontà, sostituita da quella del
medico, che ha il compito di decidere. Rocco Bellentone, segretario della Società Italiana di
Chirurgia, ha invece sottolineato un aspetto diverso del problema: «Se le perizie sul caso
specifico dimostrano che l'atto non è stato compiuto per fini non terapeutici ma di altro tipo
non può che essere positiva». Ma la sua «interpretazione» rischia di essere «devastante,
perché toglie al chirurgo la possibilità del rischio calcolato in situazioni disperate» andando a
«ledere la vita di migliaia di persone che si sono salvate proprio grazie a interventi temerari.
Interventi che si sa, possono anche andare male».
Se così fosse, «nessun chirurgo andrebbe più a operare in situazioni al limite tra il rischio di
morte» sotto i ferri e «la salvezza».
2063 - MA IN ITALIA IL CONSENSO INFORMATO È UNA FORMALITÀ - DI J. BUFALINI
Intervista a Ignazio Marino - da l’Unità di sabato 9 aprile 2011
Quando deve fermarsi Doctor House? Ignazio Marino, da presidente di commissione, non si
pronuncia sul caso della sentenza di Cassazione ma è convinto che l’equilibrio fra medico e
paziente si definisce in relazione a «ogni singola vita».
Quando deve fermarsi il chirurgo?
«È molto difficile dirlo, negli anni Novanta a Pittsburg avevamo raggiunto tali successi nei
trapianti di fegato da immaginare di poter fare dei cluster transplantation, trapianti a grappolo,
con l’asportazione contemporanea di più organi. Capimmo presto che era un errore, i pazienti
morivano con sofferenze maggiori che se non li avessimo portati in sala operatoria. Stavamo
stabilendo che la sperimentazione era fallita, quando si presentò da me un chirurgo italiano
con un tumore al fegato e metastasi negli organi vicini. Io cercai di dissuaderlo, passai due
ore con lui, ma lui spiegò che avrebbe voluto prolungare la vita sino a vedere realizzato il
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sogno della laurea del figlio. Mi telefonò quando il ragazzo si laureò e morì poco dopo». Per
la sentenza di Cassazione non basta il consenso informato «Il consenso deve essere
veramente informato, mentre in Italia spesso si tratta di una firma frettolosa messa pochi
minuti prima dell’intervento. Non parlo di singoli casi, è una pratica diffusa e determinata dai
ritmi aziendali organizzati in termini quantitativi e non di tempo da dedicare alla persona»
In Svizzera le parcelle comprendono il tempo di spiegazione al paziente.
«Accade lo stesso a me, al Jefferson Medical College di Filadelfia. È un sistema organizzato
sulle assicurazioni e, sul frontespizio della cartella, devo riempire un formulario che definisce
se si tratta di una spiegazione ordinaria, complessa o estremamente complessa. Il fattore
tempo è importante per costruire un rapporto equilibrato fra medico e paziente e, quello che
sembra un costo in più, alla lunga, diventa una risorsa».
In che senso risorsa?
«Se prima di un trapianto ho cinque minuti per spiegare le cose, dirò al paziente “non si
preoccupi, andrà tutto bene, fra un paio di giorni potrà mangiare... ”. Ma così, alla minima
complicanza il paziente o la famiglia avranno motivo di rivalersi. Per spiegare tutte le possibili
complicanze, però, ho bisogno di tre quarti d’ora. E senza il tempo, il rapporto medico
paziente, quali che siano i progressi tecnologici, resta quello che era 5000 anni fa, ovvero c’è
una persona che ha paura di fronte a un’altra a cui chiede conoscenza e che gli stia vicino».
Eugenia Roccella teme che l’autodeterminazione renda squilibrato il rapporto medicopaziente.
«Io ritengo che in uno Stato laico, dopo la spiegazione più completa, chiara e semplice, la
decisione spetti al paziente e non, come ritiene il sottosegretario Roccella a una maggioranza
che ha vinto le elezioni».
2064 - NON FATECI FINIRE COME ELUANA - DI VERONICA BIANCHINI
da: Vanity Fair del 20 aprile 2011
A due anni dal caso Englaro, la ragazza morta dopo un lunghissimo stato vegetativo e una
lunga battaglia, un disegno di legge limita la possibilità di decidere come essere curati se
diventiamo incoscienti. In Parlamento è in discussione un disegno di legge sul fine vita che
porta la firma del senatore Pdl Raffaele Calabro. L’iter è partito nel 2009, durante gli ultimi
giorni di Eluana Englaro, la ragazza mantenuta in stato vegetativo per 17 anni. Tra i punti più
criticati del disegno, quello che riconosce l'inviolabilità della vita e la sua indisponibilità (non
puoi farne quello che vuoi). Ma anche il punto che definisce l'alimentazione e l'idratazione
forzate come forme di un sostegno vitale che non si può rifiutare. E, soprattutto, quello che
considera le dichiarazioni anticipate di trattamento non obbligatorie né vincolanti per il
medico.
Circostanza che ha spinto l'oncologo Umberto Veronesi a dire: «Meglio nessuna legge che
una legge sbagliata».
Ecco alcune storie di chi si è già battuto per poter difendere la propria libertà di scelta.
FRANCO: NIENTE ACCANIMENTI
«Al testamento biologico pensavo fin dal 2006. Un notaio fiorentino, al prezzo simbolico di un
euro, registrava le volontà di fine vita. Appena l'ho saputo mi sono rivolto a lui. Del resto,
un'assicurazione sulla vita si fa quando si sta bene, non quando si sta male e nello stesso
modo è meglio pensare a come si vuole morire quando si è in buona salute».
Franco ha 70 anni, laureato in Farmacia, ha sempre lavorato a contatto con ospedali e malati.
«Ho passato anni in corsia e ho visto situazioni molto compromesse in cui la dignità della
persona non veniva affatto rispettata. Per questo ho deciso di dire prima e in modo chiaro che
cosa avrei voluto mi fosse fatto e che cosa no, nel caso mi fossi trovato nell'impossibilità di
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esprimere la mia volontà. Non voglio alimentazione e idratazione artificiali, non voglio essere
messo in dialisi. Non voglio essere tenuto in vita in modo forzato, preferisco morire in modo
naturale, senza alcun accanimento».
Per far rispettare le proprie volontà, Franco ha scelto la moglie Francesca, da più di
quarantenni al suo fianco. Mentre suo padre si preoccupava di disporre le sue volontà nel
caso non fosse stato più in grado di deciderlo autonomamente, la figlia Sibilla, avvocato,
seguiva a sua insaputa un percorso parallelo.
«A un certo punto ho detto a casa che mi stavo occupando del testamento biologico. Volevo
veder riconosciuto il diritto di scegliere e per farlo avevo deciso di avvalermi di una figura
appena introdotta nel diritto: quella dell'amministratore di sostegno. Quando ho scoperto che
mio padre si era già mosso autonomamente, abbiamo deciso di portare avanti la nostra
battaglia insieme. Nel 2010 abbiamo fatto ricorso al giudice tutelare per veder riconosciuto e
sancito il suo diritto a decidere».
Il giudice ha dato ragione a Sibilla e a suo padre riconoscendo la possibilità di scegliere:
«Ovviamente la disposizione del giudice ha un valore più forte rispetto alla semplice
dichiarazione notarile, conferisce all'amministratore di sostegno, che in questo caso è mia
madre, il diritto di decidere qualora mio padre non fosse cosciente, facendo rispettare le
volontà che lui ha espresso precedentemente», spiega l'avvocato. «Ho chiesto anche di far
ricorso alla terapia del dolore», aggiunge Franco, «pure se questo dovesse accorciare
decisamente la durata della mia vita».
«Molti mi hanno domandato, compreso il giudice che prima di decidere ha voluto sentirmi, se
mi rendevo conto della responsabilità che mi ero assunta», dice Francesca, ben consapevole
del peso della propria scelta. «Sono certa che qualsiasi decisione dovessi prendere non sarei
sola. Siamo una famiglia, abbiamo sempre condiviso tutto e continueremo a farlo. So che il
dolore, se perdessi mio marito, sarebbe enorme, ma l'amore e il rispetto che ho per lui mi
darebbero la forza di fare quello che ha chiesto. Del resto, ricordo ancora quando il medico
che aveva in cura mia madre, allora in fin di vita, si rifiutava di somministrarle la morfina
dicendo che avrebbe potuto darle dipendenza. Non voglio mai più sentirmi così impotente».
CLAUDIA: UNA FINE DIGNITOSA
«Ho avuto una vita bellissima piena, ricca e felice e ho goduto sempre di una salute di ferro.
Per questo non riesco nemmeno a concepire una fine poco dignitosa. Adesso ho quasi
settant'anni, ma è da quando ne ho quaranta che so quello che voglio: nel momento in cui
non fossi più in grado di avere una vita degna di questo nome, preferirei non vivere». Claudia
è nata in Francia, ma da moltissimo tempo vive a Modena, dove ha sposato un antiquario
(che ora non c'è più) dal quale ha avuto due figlie.
«Quando ho fatto testamento biologico ho pensato soprattutto a loro. Non voglio
assolutamente che si debbano trovare nella situazione di decidere al posto mio. Dire con
chiarezza che cosa vorrei, credo le sollevi da un grandissimo peso: quello di dover scegliere
per me, di non sapersi districare tra la paura di perdermi e il vedermi soffrire. Da quando sono
giovane ho sempre avuto il terrore di ammalarmi e di non poter più disporre di me stessa, per
questo ho fatto il testamento biologico e ho chiesto la nomina di un amministratore di
sostegno».
«Quella sull'amministratore di sostegno è una legge rivoluzionaria, del 2004», spiega
l'avvocato Maria Grazia Scacchetti, di Modena, che per prima, in Italia, è riuscita a farla
applicare nell'ambito del testamento biologico. «La norma prevede la possibilità di disporre le
proprie volontà, adesso per allora. E di stabilire chi garantisce il rispetto di tali disposizioni. Il
decreto del giudice tutelare ha un valore enorme perché, qualora un medico rifiutasse di
seguire le indicazioni dell'amministratore, incorrerebbe in un reato penale».
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Nel caso di Claudia, però, il giudice ha respinto la nomina di un amministratore di sostegno.
La scelta, infatti, di applicare o meno la norma nel caso del testamento biologico è molto
legata alla sensibilità del giudice e al suo atteggiamento rispetto alla materia. E le sentenze
non sono sempre scontate.
«Non mi sono scoraggiata», racconta Claudia, «e non appena Modena ha istituito la
possibilità di registrare all'anagrafe il testamento biologico, mi sono rivolta li. Sono stata la
prima a depositare il proprio. Ho indicato tutto: non voglio idratazione e alimentazione
artificiali, né respirazione forzata, non desidero nessun tipo di accanimento terapeutico e non
mi interessa essere informata sulla gravità della malattia della quale soffro. Per far rispettare
le mie volontà ho scelto mia figlia Celine, la meno emotiva. Alex, la seconda, è troppo
sensibile e preferisco non sia coinvolta se non è strettamente necessario».
Claudia è convinta che il suo sia soprattutto un gesto d'amore verso di sé e verso i suoi cari.
«Credo sia terribile vedere la persona che ami andarsene piano piano tra le sofferenze. Mia
madre mori una notte nel sonno, all'improvviso. Ho sempre pensato che mi avesse fatto un
regalo straordinario. E del resto, se Dio mi ha donato la vita, penso sia un mio diritto disporne
come credo».
ANNA: SEGUITA NEL SUO LETTO.
«Sono qui perché sono sola. Ho avuto un ictus tempo fa e ho paura possa succedere di
nuovo, diventando incapace di intendere e di volere. Allora, ho voluto designare qualcuno di
mia fiducia che, se questo accadesse, possa decidere al posto mio. Nel caso in cui fossi
incapace, vorrei rimanere viva finché è possibile, perché sono cattolica. Ma vorrei anche
essere curala a casa mia finché questo sarà fattibile. Non vorrei essere in balia di nessuno».
Anna (nome di fantasia) ha settantacinque anni e quando va dal giudice di Varese a spiegare
perché ha chiesto un amministratore di sostegno è in buona salute, ma vuole essere sicura:
se dovesse trovarsi in una situazione di incapacità, la sua volontà deve essere chiara e
rispettata.
«Quando è venuta da me», racconta l'avvocato Annamaria Brusa che si è occupata del caso
e ha ottenuto dal giudice una sentenza favorevole, «la signora mi ha spiegalo la sua paura.
Lei temeva che qualcuno decidesse al posto suo non rispettando la sua volontà». Anna ha
preferito tenere la sua famiglia al di fuori e ha scelto come amministratore una persona di
fiducia con la quale non ha nessun legame di parentela. «E’ perfettamente consapevole»,
spiega l'avvocato, «che una persona anziana può diventare un grande peso per la
quotidianità di una famiglia e ha voluto evitare che questo accadesse ai suoi cari». In caso di
emergenza, la sua paura è di doversi fidare di qualcun altro e vuole essere tutelata a 360
gradi. «Abbiamo chiesto e ottenuto dal giudice», spiega il legale, «che in caso di incapacità la
signora sia curala nella sua abitazione, con tutti gli strumenti idonei e l'assistenza
infermieristica del caso. Solo dopo che un medico avrà certificato l'impossibilità di continuare
le cure a casa e che il giudice tutelare avrà dato il suo benestare, Anna potrà essere trasferita
in una struttura di cura adeguata».
I giornali hanno definito il suo caso un testamento di vita, perché la signora non rifiuta nessun
tipo di cura: «Quello che ho chiesto è che sia garantita la mia dignità nella malattia. La dignità
di poter essere assistita seriamente in un momento di massima difficoltà e anche la certezza
che la persona da me incaricata abbia tutti gli strumenti legali e materiali per farlo». Anche in
questo caso il giudice, prima di decidere favorevolmente, ha voluto sentire la signora e
verificare se fosse consapevole della portata delle sue decisioni: «Credo in Dio», ha ribadito
Anna, «ho un assoluto rispetto della vita e non voglio lasciarla prima del tempo, ma voglio
essere curata alle mie condizioni».
PAOLO: DIRITTO DI SCEGLIERE
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Paolo è in un letto di una casa di cura vicino a Treviso. Da dodici anni (oggi ne ha 50) soffre
di Sla (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia degenerativa che lo ha paralizzato
completamente fino a lasciargli solo un filo di voce e l'uso degli occhi con i quali, attraverso
uno strumento sensibile al suo battito di ciglia, riesce a scrivere al computer.
Prima di ammalarsi faceva l'operaio, ha una moglie e due figli: Manuel e Isabel. Si balte da
anni per il testamento biologico e ha anche girato un video nel quale ha espresso
chiaramente le sue volontà di fine vita. «Nel caso in cui le mie condizioni si aggravassero e
non fossi più in grado di nutrirmi naturalmente», spiega con un filo di voce, «non voglio
nessuna forma di idratazione e alimentazione artificiali. Sono molto spaventato dalle notizie
sulla legge in discussione in Parlamento, in base alla quale la mia volontà diventerebbe un
semplice parere del quale il medico potrebbe tener conto o meno, a propria discrezione».
Paolo ha le idee molto chiare e si batte attivamente perché la sua dignità di malato non venga
calpestata. «Dal momento in cui avessi bisogno di essere alimentato e idratato artificialmente,
non voglio nessuna terapia medica per la mia malattia o per eventuali complicazioni che
dovessero insorgere, a esclusione dei farmaci per alleviare il dolore. E non voglio nemmeno
essere trasferito in una struttura ospedaliera».
La considera una battaglia di civiltà non solo per lui ma per tutte quelle persone nelle sue
condizioni: «Nessuna legge», insiste, «può sostituire la libertà dell'individuo. È un mio diritto,
com'è un diritto di tutti gli altri malati scegliere il modo in cui vivere e morire, lo mi batto per la
mia dignità di uomo, anche nella fase terminale della mia vita, che certe leggi vorrebbero
offendere».
Paolo crede in Dio e si arrabbia quando sente parlare di eutanasia, nelle sue condizioni, sta
lottando per continuare a vivere, ma non a tutti i costi. «Dio ci ha dato la libertà di coscienza»,
dice con fatica, perché cinque anni fa ha subito una tracheotomia e l'umidità della giornata gli
fa morire le parole in gola. «La libertà di scegliere di noi. non di far scegliere ad altri per noi.
Non voglio restare qui come un tronco, circondato dai miei cari che mi vegliano».
Dal suo letto, tramite Internet e la Tv, segue i dibattiti e le evoluzioni della legge, e non pensa
di arrendersi. «Se dovesse essere approvata», dice, «mi batterò fino alla fine con le mie
poche forze perché la mia dignità non venga calpestata».
2065 - UN PRETE IN TV SULLA CHIESA E BERLUSCONI – DI NICOLETTA ROCCA
Tratto da: www.cronachelaiche.it di venerdì 15 aprile 2011
In data 6 aprile 2011 sul canale LA7 è andato in onda il programma “Exit-Uscita di sicurezza”
dal titolo “La Chiesa e gli scandali di Berlusconi”, con le interviste a due preti: don Giorgio De
Capitani e don Giovanni Bellò.
Il primo a rilasciare l’intervista è stato don Giorgio, parroco di Monte di Rovagnate (Lecco), il
quale ha spiegato la differenza fra cattolicesimo e cristianesimo ed ha raccontato di come la
Chiesa dovrebbe smetterla di essere assimilata a una struttura e quanto sia assurdo che si
parli ancora di “Stato vaticano”. «Il vaticano non deve essere uno Stato, è quando si è ridotto
ad essere Stato che ha tradito tutto se stesso, no? Perché ha mortificato il cristianesimo. Oggi
se dovessi dire se esiste il cristianesimo nella Chiesa cattolica, per me non esiste. Il
cristianesimo è fuori, perché vuol dire rivalutare i valori umani».
Alla fatidica domanda su cosa ne pensa della posizione della Chiesa nei confronti delle ultime
vicende scandalistiche di Berlusconi, il parroco non fa giri di parole: «io penso che se la
Chiesa fosse stata diversa, non avesse avuto questa specie di alleanza continua con
Berlusconi, Berlusconi non poteva arrivare a questo punto. La Chiesa avrebbe potuto
metterlo alle corde [...]. La politica di Berlusconi è contro il vangelo: il suo modo di portare
avanti il mercato, di condurre una nazione, è anti-evangelico perché non tiene conto della
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persona. È questa la cosa su cui la Chiesa doveva battere e invece va d’accordo su questo.
Non è possibile che la chiesa continui a battere il chiodo dell’aborto, del preservativo e del
testamento biologico e non si batta per tutti quelli che muoiono di fame, le ingiustizie sociali.
E anche sulle centrali atomiche, è forse intervenuta la Chiesa? Non ha mai detto niente.
Perché non parlano, perché non prendono posizione, perché?».
«Con quest’uomo qui non è più possibile niente in Italia, politicamente è impossibile
eliminarlo, c’ha troppi soldi, non si può. E allora come facciamo? Non lo so. Forse io sono
prete e posso pregare il Padretereno che gli mandi un bell’ictus e rimanga lì secco».
All’indomani della messa in onda televisiva dell’intervista, don Giorgio de Capitani ha
pubblicato su internet (www.dongiorgio.it) un videomessaggio di quasi mezz’ora in cui se la
prende con la trasmissione, con la conduttrice e con tutti gli ospiti in studio in quanto
l’intervista intera durava un’ora ed è stata artatamente manipolata perché risultasse soltanto
la condanna agli scandali sessuali del premier. Poi se la prende con i falsi moralisti che si
sono scandalizzati riguardo al “finale a effetto” al quale aggiunge, senza timore di strafare,
che oltre all’ictus l’augurio si completava con la speranza di una lunga degenza in stato
vegetativo. Un pensiero l’ha anche per Giovanardi, ospite in studio al quale non risparmia
epiteti: porco, ipocrita, puttaniere, servo e connivente. Insomma questo lungo
videomessaggio non è per niente di pentimento, ma semmai di aggiunta a quanto
precedentemente affermato.
2066 - ESISTE ANCORA UN RUOLO PER LE RELIGIONI? DI VALERIO POCAR (*)
da: Non Credo n° 11 - maggio/giugno 2011
Parlerò di religioni e non già di credenti o dì ministri del culto, ché il discorso richiederebbe,
allora, per un verso, più sfumati e articolati chiaroscuri e, per altro verso, valutazioni ben più
nette, e intenderò una "religione" come un insieme di credenze, di precetti, di regole, dotato di
un certo carattere istituzionale. E intenderò il "ruolo" come la capacità di svolgere una o più
funzioni, indipendentemente dal fatto che si tratti di funzioni utili o dannose. Ciò premesso, la
mia risposta, alla domanda: "nel terzo millennio esiste ancora un ruolo per le religioni?", è in
parte negativa e in parte (a mio modo di vedere, purtroppo) affermativa. Se guardiamo
retrospettivamente a un lontano passato, le religioni hanno inteso o preteso di svolgere certe
funzioni e comunque di fatto le hanno svolte. Nella vichiana "età degli dei" o nel comtiano
"stadio teologico", le religioni fornirono, per come potevano, ma anche per come allora si
poteva, risposte ad interrogativi sia conoscitivi sia morali.
Problemi di conoscenza
A interrogativi conoscitivi. Non essendo in grado di spiegare il "come" delle cose le religioni
rinviarono a un presunto loro "perché", un perché individuato per lo più in una volontà
causante, in genere teologicamente orientata, esterna e trascendente rispetto alla natura, di
una o più divinità più o meno parlanti e comunicative. Si offrirono così del mondo e della sua
origine - e anche della sua finalità - visioni o immaginate dalla stessa narrazione religiosa (per
esempio, il Genesi) o appoggiate ad altre già formulate con maggior rigore di pensiero (per
esempio, il sistema tolemaico), nonché visioni dell'uomo e della natura vivente di tipo, in
genere, antropocentrico, legato a una concezione antropomorfica della divinità. Una forma di
pensiero tipicamente dualistica, fondata sulla contrapposizione tra naturale e soprannaturale.
Le risposte di natura teologica fondate sul "perché" e sul "fine" e non sul "come" delle cose
non potevano che cristallizzarsi, poiché tale "pseudo conoscenza" era necessitata a
pretendersi come "vera ed eterna", fino alla negazione dell'evidenza (pretesa che si mantiene
tuttora, per esempio con il "creazionismo" o con la sua versione aggiornata del "disegno
intelligente").
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Portatrici di verità eterne, le religioni venivano e vengono fatalmente a contrastare lo spirito
critico fondante della libera ricerca scientifica, la quale, per definizione, pone in discussione le
proprie acquisizioni e a maggior ragione non può accontentarsi di conoscenze sedicenti vere
ed eterne. Nei confronti della ricerca scientifica, fino a ieri, le religioni hanno spesso vinto la
battaglia (ricordo, per esempio, Ipazia, il rogo della biblioteca d'Alessandria, Galileo, Darwin),
ma non hanno vinto la guerra, anzi.
Pur rappresentando contenuti inverosimili e metodi non sostenibili dal punto di vista razionale,
le religioni sono ancora costrette a prospettare il conflitto tra fede e scienza, un conflitto che
può ipotizzarsi solo mediante lo sfalsamento dei piani del discorso, tra loro del tutto diversi e
anzi non comunicanti. La pretesa sarebbe che la scienza debba restare subordinata o almeno
che non si ponga in contraddizione con la religione, e che le asserzioni di fede (rectius, delle
religioni) debbano considerarsi scientifiche e razionali non meno delle risultanze della ricerca
scientifica.
Queste pretese non hanno più ragion d'essere e questa funzione delle religioni è da mandare
nella soffitta degli albori del pensiero umano.
La questione morale
Quanto alla risposta agli interrogativi morali le religioni, dall'asserzione di una verità
ontologica, hanno fatto discendere, com'era inevitabile, I'asserzione di una "verità morale"
anch'essa ontologica, la cosiddetta "retta morale". Di qui, ancora una volta di necessità,
discende una "contrapposizione" tra la retta morale e la scienza, che è cosa ben diversa della
"dialettica" tra la scienza e la morale: nella contrapposizione, infatti, vi è, ancora una volta di
necessità, la negazione e il contrasto nei confronti di una ricerca o costruzione morale libera e
conforme all'autonomia degli individui. Questa negazione non manca di porre serie pastoie
alla ricerca, come ben dimostrano le vicende delle cosiddette "questioni bioetiche".
Ma, almeno da Grozio in poi, sappiamo che la normatività sociale e la normatività morale ben
possono trovare fondamento nell'umanità degli uomini, e non necessitano dell'affermazione di
dio (etsi deus non daretur). Da tempo sappiamo che la morale rappresenta una costruzione
fondata su basi culturali e sociali, da un lato, e filosofiche, dall'altro, ed ha valore nella sfera
privata dell’individuo, in un quadro pluralistico e genuinamente relativistico, ed ha senso
solamente nel riconoscimento della libertà di coscienza, compresa anche la libertà religiosa.
Del resto, sarebbe alquanto difficile credere all'esistenza di un’unica vera morale, posto che
I'esistenza di una pluralità di visioni morali diverse nel tempo e nello spazio tra loro
difficilmente riducibili è semplicemente un dato di fatto, e non si può non essere consapevoli
dell'impossibilità di individuare un criterio razionale ed oggettivo per stabilire la verità o il
maggior pregio dell'una visione rispetto all'altra, sicché I'unico criterio è l'adesione o la scelta
individuale e/o il condizionamento sociale.
Il terzo millennio
Dunque agli interrogativi conoscitivi e morali le religioni, nel terzo millennio come già da gran
tempo in passato, rispondono in modo sempre più evidentemente inadeguato, sia rispetto ai
metodi e alle acquisizioni della ricerca scientifica, che esse possono negare ma non
confutare, sia rispetto alla libertà morale degli individui, che in modo inappropriato proprio
sotto il profilo etico vorrebbero limitare e/o squalificare. Sotto questo profilo, pertanto, alla
domanda "esiste ancora un ruolo per le religioni?", sarei propenso a rispondere "no", quanto
meno "nessun ruolo utile".
Senonché, di fatto, sotto entrambi i profili, quello della conoscenza e quello della morale, le
religioni, più che inadeguate se non inutili, appaiono piuttosto svolgere un ruolo dannoso. E in
questo senso mantengono purtroppo un ruolo di primo piano. Da un lato, sia per coloro che vi
aderiscono per convincimento sia anche per coloro che le seguono per inconsapevole
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abitudine o per tradizione, le religioni svolgono una funzione, illusoria e irrazionale, di
rassicurazione e di consolazione.
Fondate sul sentimento della "paura", per dirla con Hume, le religioni inducono a rivolgersi a
un'entità sovrannaturale e potente nella speranza di ingraziarsela, di fatto sostituendo a un
timore oscuro il timore verso un'entità altrettanto oscura che sarebbe possibile ingraziarsi, a
patto di esserne servi fedeli. Ma, è ancora Hume a rilevarlo, la gestione della moralità fondata
sui rituali e affidata al clero illanguidisce la tensione morale e lo stesso sentimento della
moralità. Anche - e a mio parere soprattutto - per questo motivo, le religioni svolgono,
dunque, tuttora una funzione di controllo sociale rilevantissima, quasi sempre in senso
conservativo, com'è nella natura di istituzioni fondate su saperi e scelte morali legate al
passato e alla tradizione, fondati sulla staticità (molto rari gli esempi di un ruolo dinamico, di
regola contrastati dalle gerarchie). Si tratta di una funzione di controllo sociale che solo con
difficoltà, tuttavia, possiamo e vogliamo considerare, in linea di principio, come un aspetto
proprio delle religioni e che con le religioni non dovrebbe aver nulla a che fare.
(*) Valerio Pocar, professore di bioetica a Milano, è socio onorario di LiberaUscita.
2067 - LA GIURISPRUDENZA E LE LEGGI SUL FINE VITA - DI FRANCESCA PETRINI (*)
Il background giuridico-costituzionale
Secondo la lettera dell’art 32, comma 2 Cost., “nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”: vi sono quindi delle
situazioni in cui la Carta costituzionale ammette una certa “elasticità” nell’applicazione del
principio di volontarietà o consenso all’atto medico. Inoltre, sempre secondo la lettera dell’art.
32 Cost., “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana”, ed è lasciato al Legislatore il compito di relazionare, ovvero bilanciare, il diritto alla
libertà di cura del singolo con il diritto alla tutela della salute pubblica. In tal senso, il
costituente si è premurato di definire dei limiti al diritto di libertà di cura che godessero di una
garanzia anche superiore a quella della fonte primaria, e ha sancito la legittimità di un
eventuale interevento della Corte costituzionale a tutela del rispetto della persona umana,
principio che nemmeno una legge sui trattamenti sanitari obbligatori potrebbe violare. Come
scrive Valerio Onida, se è vero che la Costituzione “nasce sì per regolare le forme di esercizio
del potere attribuito al popolo, ma anche, o ancora prima, per fissare i «confini» di questo
potere, dunque per limitarlo. Anche il «popolo sovrano» non può e non deve essere un
sovrano assoluto”, allora si comprende come i limiti costituzionali dei trattamenti sanitari, che
derivano dal rispetto della persona umana, facciano parte di una sorta di “indecidibile”
politico, fuori dalla portata dello stesso Legislatore.
La giurisprudenza del “caso Eluana”
Stante questa doverosa premessa, vediamo la vicenda – nota a molti – di Eluana Englaro: tra
il 1999 e il 2006 sono state emanate ben 7 decisioni sul caso, tutte negative rispetto alla
richiesta del padre di interrompere il c.d. trattamento NIA (nutrizione e alimentazione artificiali)
e tutte tendenti a sottolineare, sebbene con argomentazioni diverse, l’incompetenza del
giudiziario a decidere e di conseguenza il rinvio all’intervento del legislativo. L'ultimo grado di
giudizio presso cui la vicenda si è svolta è stato quello della Corte di Cassazione. In tale
sede, il principio personalista che informa tutto il testo della Carta fondamentale ha condotto il
giudice a respingere ogni tentativo di definizione del concetto di dignità slegato da valori e
ideali personalissimi del soggetto: così, il principio del consenso informato all'atto medico è
stato ricostruito a partire da un’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt.
2, 13 e 32 Cost., di modo che il diritto all’autodeterminazione terapeutica ha tradotto il
concetto costituzionale della persona in termini di dignità plurale e soggettiva. Inoltre, con
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riferimento al principio della sacralità della vita, la Corte ha precisato quanto già affermato dal
Tribunale di Roma a proposito del caso Welby, ovvero che un principio assoluto
d’indisponibilità del bene vita non trova cittadinanza nel nostro ordinamento e che “c’è chi,
legando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza,
ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in
una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Uno Stato, come il nostro,
organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta costituzionale, sul pluralismo dei
valori, e che mette al centro del rapporto tra paziente e medico il principio di
autodeterminazione e la libertà di scelta, non può che rispettare anche quest’ultima scelta”.
Dunque, per non cadere in una presunzione juris et de jure di favore incondizionato al
mantenimento in vita, la Cassazione ha riconosciuto la possibilità che la volontà del soggetto
incapace venga ricostruita attraverso percorsi presuntivi usuali in ambito processuale e ha
sottolineato che la corretta interpretazione del diritto di autodeterminazione terapeutica è
quella che pienamente attua il “principio di uguaglianza nei diritti di cui all’art. 3 Cost., che
evidentemente non va riguardato solo nella finalità di assicurare sostegno materiale agli
individui più deboli o in difficoltà, come gli incapaci, ma anche in quella di rendere possibile la
libera espressione della loro personalità, della loro dignità e dei loro valori”.
Successivamente, il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizzava l’interruzione del
NIA su Eluana è stato impugnato dalla Procura della Repubblica, l’impugnazione è stata
respinta dalla Cassazione per difetto di legittimazione attiva della Procura della Repubblica e
l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ha promosso un conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato: si è assistito all’inizio di un epilogo da “tsunami costituzionale” [1].
Senza trattare nel dettaglio tali vicende, si ricordi che la Corte Costituzionale ha dichiarato
inammissibili i ricorsi di Camera e Senato e che ancora più tardi, esponendo le motivazioni in
una lettera riservata al Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano ha rifiutato di firmare un decreto legge predisposto ad hoc per disciplinare
il destino della ragazza di Lecco.
Il “ddl Calabrò”
La vicenda Englaro non si è però esaurita solamente nella mancata emanazione del decreto
legge del 6 febbraio 2009 ed è invece continuata, si può dire, nella tentata votazione del ddl
n. 1369, nel quale era stato riversato il contenuto del provvedimento urgente, interrotta solo a
fronte del decesso di Eluana durante il dibattito in aula. Il summenzionato disegno di legge è
stato presentato dal sen. Calabrò il 26 gennaio 2009 alla XII Commissione igiene e sanità di
Palazzo Madama. Licenziata dal Senato il 26 marzo 2009, la proposta di legge AC n. 2350,
approvata in un testo unificato di diversi progetti di legge d’iniziativa parlamentare [2], si
compone di 9 articoli recanti Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso
informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. Il 28 ottobre 2009 la XII Commissione
affari sociali della Camera dei Deputati, in sede referente, ha adottato come testo base il ddl
Calabrò (AC n. 2350) e solo il 12 maggio 2010 l’ha approvato a maggioranza con il voto
favorevole di Pdl e Udc, contrari Pd e Idv, in un testo in parte diverso da quello adottato al
Senato. Terminato l'iter in Commissione, l'esame del testo da parte dell'assemblea è iniziato
solo lo scorso 7 marzo, accusando in sostanza uno "stop and go" di dubbia legittimità: ci si
chiede quanto questa legge sia ponderata e valutata dalla maggioranza con la dovuta
attenzione e quanto piuttosto venga usata come strumento di campagna elettorale.
Ad ogni modo, esaminando il testo del disegno di legge nel merito, è possibile svolgere
alcune considerazioni di carattere giuridico-costituzionali. Anzitutto, l’articolo 1 dell’AC n. 2350
vieta espressamente qualsiasi forma di eutanasia, rinviando agli articoli 575, 579 e 580 del
codice penale, ovvero a quelle disposizioni che disciplinano le fattispecie di omicidio, omicidio
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del consenziente e istigazione al suicidio o ausilio al suicidio. A tale proposito, come pure si
legge nel parere della I Commissione affari costituzionali, stante la scelta politica di vietare
qualsiasi forma di eutanasia, sia essa passiva o attiva, di fatto si elude il principio
costituzionale di tassatività della fattispecie penale, per cui, non essendo sufficiente un mero
rinvio agli articoli del codice penale, si impone al legislatore di definire con chiarezza la
condotta per la quale è prevista la pena.
Degno di nota è poi il disposto di cui all’articolo 2 concernente il principio del consenso
informato al trattamento medico, ormai da anni riconosciuto alla base di ogni prestazione
sanitaria e fondato su una concezione opposta a quella del paternalismo in campo medico:
principio che risulta riconosciuto e disciplinato esclusivamente per quanto concerne
l’attivazione di un trattamento, rimanendo invece esclusi i casi di prosecuzione o interruzione
delle cure, che pure si possono ascrivere alle ragioni stesse di una ricercata disciplina delle
dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT).
Inoltre, ai commi 4 e 5 dell’art. 2 del ddl 2350 si prevede a ragione che sia il rifiuto
all’informazione che la revoca del consenso al trattamento debbano essere annotati nella
cartella clinica del paziente piuttosto che, com’era stabilito in precedenza, in un generico
documento sottoscritto dall’interessato; al contrario, non essendoci una disposizione specifica
nell’articolo in esame che tratti della obbligatorietà o meno per il medico di rispettare,
nell’esercizio della sua professione, il principio del consenso informato, sarebbe opportuno
inserire in tale contesto un richiamo chiaro al valore vincolante che il consenso o il rifiuto del
paziente al trattamento devono avere per le strutture sanitarie (sia pubbliche che private),
fermo restando l’indiscutibile diritto all’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari.
Altro aspetto piuttosto discutibile è quello che riguarda il miglioramento nell'assistenza dei
malati in stato vegetativo e la diffusione, come diritto, delle cure palliative e delle terapie del
dolore. Queste ultime sono infatti riconosciute solo ai malati terminali, mentre per i soggetti
minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci, la legge non prevede l'alleviamento della
sofferenza ma solo la salvaguardia della salute del paziente (articolo 2, comma 8).
I rilievi costituzionali maggiormente significativi che possono svolgersi, si concentrano sul
disposto di cui all’articolo 3 che, rubricato “Contenuti e limiti delle DAT”, sebbene riformulato
dalla XII Commissione affari sociali della Camera, appare ancora il più controverso di tutto il
progetto. Come già altrove rilevato, il comma 2 dell’articolo in esame tratta espressamente di
“attivazione e non attivazione” di trattamenti e non tiene assolutamente in debito conto tutti
quei casi in cui un cittadino invece vorrebbe non proseguire una determinata cura o
interromperla. Questo punto è stato sottolineato anche dal professor Vittorio Possenti,
membro del Comitato nazionale di bioetica, in un recente articolo, il quale ha sostenuto la
necessità di prevedere all'interno della DAT non solo la possibilità di rifiutare, ma anche
quella di rinunciare: si tratta di un elemento ancor più fondamentale all'interno di un ddl che
prevede che la DAT non si applichi in condizione di urgenza o di pericolo di vita del paziente
(articolo 4, comma 6), casi che per definizione esprimono la ratio stessa di una disciplina di
tal fatta.
Inoltre, in una materia così delicata, al confine tra etica e diritto, si sottolinea la necessità di
usare prudenza da parte del legislatore allorché decida di “tipizzare” i contenuti possibili delle
DAT in quanto una tale specificazione, se non dichiaratamente effettuata a scopo
esemplificativo, rischia gravemente di circoscrivere e limitare la libertà del soggetto di
autodeterminarsi in ambito sanitario.
Il nodo più controverso e dibattuto del ddl 2350 fa riferimento al comma 5 dell’articolo 3 che
recita: “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse
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forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale
e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non
possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”. Anzitutto è inappropriato
e forse “strumentale” il riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone disabili, come pure specificato dalla Commissione affari esteri nel parere che ha
formulato. La citazione della Convenzione non rafforza né giustifica il disposto relativo
all'alimentazione e all'idratazione ma, semmai, vi contrasta in pieno: proprio perché chi è in
stato vegetativo deve essere considerato al pari di un disabile, si devono evitare
assolutamente le discriminazioni, che si verificano invece quando gli si impedisce di
autodeterminare la propria sorte attraverso una DAT.
L'articolo 3, comma 5 sembra poi costituire l'aspetto peggiore di questo ddl per quanto
riguarda la disciplina del NIA: nutrizione e idratazione artificiali, secondo la lettera della legge,
devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime
risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni
fisiologiche essenziali del corpo.
Inoltre, l’ultimo periodo del comma 5, stabilendo che “Esse non possono formare oggetto di
dichiarazione anticipata di trattamento”, impone di fatto il NIA fino alla morte del paziente e
quindi sostanzialmente sancisce un obbligo di trattamento, senza eccezioni e senza
possibilità di valutazione da parte del medico curante. Ad ogni modo, se è vero che si
possono riscontrare posizioni ondivaghe sia in dottrina che in giurisprudenza con riferimento
alla qualificazione del NIA quale trattamento sanitario suscettibile di essere nella disponibilità
del paziente in base alla regola del consenso informato o quale cura di base indisponibile da
parte dell’interessato, due sono i profili di ipotetica incostituzionalità rilevabili con riferimento a
quanto previsto dal comma 5 dell’art. 3 del ddl 2350.
Due ipotesi di incostituzionalità
Si ricordi anzitutto che in Italia il fondamento costituzionale del diritto all’autodeterminazione
terapeutica è rinvenibile nella parte prima della nostra Carta, quella relativa ai diritti e ai doveri
del cittadino e, più specificatamente, nell’art. 32 Cost. che sancisce il diritto alla salute.
Analizzando gli atti dell’Assemblea Costituente sembra infatti potersi individuare nell’art. 32 il
principio cardine della “volontarietà” dei trattamenti sanitari in cui, a ben vedere, si rinviene un
riferimento all’intero sistema di valori che hanno ispirato la redazione della Carta
Costituzionale: il principio personalista, il principio dell’inviolabilità della libertà personale, il
principio del rispetto della dignità umana. Non a caso, la Commissione per la Costituzione
aveva approvato, nella seduta plenaria del 28 gennaio 1947, con un intervento di Aldo Moro,
una formula dell’articolo che si riferiva espressamente al concetto di “dignità umana”. Solo
successivamente, in sede di dibattito in aula, Giuseppe Caronia, appoggiato da Giovanni
Leone, propose un emendamento che sostituiva alla parola “dignità” quella di “personalità” e
che, infine, veniva approvato nella seduta del 24 aprile 1947. Si tratta del fondamentale
principio personalista che, richiamato in maniera univoca nell’art. 1, comma 2 e nell’art. 2
della Costituzione, da un lato orienta l’assetto del rapporto istituzionale tra persona e Stato
successivo al fascismo, in modo tale da riconoscere al secondo una funzione strumentale
rispetto al primo; e dall’altro impone che la realizzazione del principio democratico, quale
“ordine complessivo della vita associata”, debba riconoscere e garantire la sfera di libertà
indispensabile alla piena espressione della persona. Da ciò se ne desume che il ddl in
esame, sancendo che il NIA non possa formare oggetto di DAT, importa una violazione
dell’art. 32 della Costituzione: la Corte di Cassazione, nella sua decisione sul caso Englaro,
ha infatti definito il diritto al rifiuto di trattamenti anche salvavita come risvolto negativo di un
diritto di libertà che “non può essere scambiato per un ipotesi di eutanasia, ossia per un
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comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo
piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il
suo corso naturale”. Allo stesso modo, è da ritenere che il richiamo al bene indisponibile e
inviolabile della vita non possa valere sino al punto di sacrificare l’altro fondamentale diritto
alla libertà di cura del paziente: “la salute dell’individuo non [può] essere oggetto di
imposizione autoritativo – coattiva. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto
interessato, c’è spazio […] per una strategia della persuasione […]; e c’è, prima ancora, il
dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto
abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come
principio di ordine pubblico”.
Il secondo dubbio di costituzionalità che si può formulare con riguardo al disposto di cui al
comma 5 dell’articolo 3 del ddl 2350 è quello che riguarda il rispetto del principio di
uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. Infatti, onorando quanto statuito dalla Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili, il legislatore forse dovrebbe permettere al
soggetto incapace, attraverso la ricostruzione della sua volontà, in primo luogo con l’ausilio
della DAT, di autodeterminarsi in campo sanitario allo stesso modo in cui tale possibilità è
riconosciuta al soggetto capace che può esercitare un consenso attuale e informato all’atto
medico. Che la diversa situazione in cui versa la persona incapace non deve giustificare un
approccio diverso nei suoi confronti nei termini del rispetto della sua autonoma volontà in
ambito sanitario, è stato anche riconosciuto da una recentissima sentenza del TAR del Lazio
secondo cui “i pazienti in stato vegetativo permanente che non sono in grado di esprimere la
propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono in ogni caso essere
discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel
caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei
loro confronti”. Inoltre, lo stesso Tribunale ha evidenziato che, trattandosi di un diritto di rango
costituzionale quale quello della libertà personale inviolabile ex art. 13 Cost., il paziente in
stato vegetativo permanente (SVP) “vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di
essere curato nei termini in cui egli steso desideri, spettando solo a lui decidere a quale
terapia sottoporsi”.
Ancora, apparentemente inspiegabile è la disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 4 del
ddl, dove si afferma che in condizioni di urgenza, o quando il soggetto versi in pericolo di vita
immediato, la DAT non si applica: sembra dunque che si introduca una disciplina per renderla
poi inefficace proprio allorquando essa dovrebbe, in teoria, tutelare il cittadino nel suo diritto
di autodeterminazione terapeutica! Di fondo poi, stando al testo del ddl come finora definito,
la DAT non è riconosciuta quale documento vincolante: questo aspetto è talmente
macroscopico che è stato pure evidenziato dalla Commissione giustizia all'interno del suo
parere favorevole, in cui appunto si sottolinea come non sia scritto da nessuna parte, e tanto
meno nell'articolo 4, rubricato “Forma e durata della DAT”, che le disposizioni in essa
contenute abbiano valore vincolante. Si noti che si tratta di una segnalazione di grande rilievo
e che, sebbene contenuta in una parere approvato dalla maggioranza, il relatore non ha
preso in alcun modo in considerazione.
Nonostante si possano riscontrare ancora altri e diversi punti controversi del ddl sul
testamento biologico, in attesa dei successivi passaggi parlamentari alla Camera e poi al
Senato, opportuno appare augurarsi che su questa materia non si proceda “a colpi di
maggioranza”: così Leopoldo Elia, interrogandosi sull’estensione della “pretesa
all’autodeterminazione umana per essere compatibile con la dignità della persona” e sui limiti
entro cui “l’uomo ha potere su stesso, sul proprio corpo e sulla propria vita”, ha osservato che
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“anche il ricorso al principio di maggioranza, che pure è fondamentale nel governo
democratico, può rivelarsi insoddisfacente o per lo meno è da usare con grande cautela”.
In sostanza, una risposta adeguata a temi bioetici come quello delle DAT spetta al legislatore
e non al Governo: si tratta di non operare una rischiosa trasposizione del bipolarismo politico
in un corrispondente bipolarismo etico che, per forza di cose, finirebbe per imporre
unilateralmente il sacrificio di alcuni valori piuttosto che di altri. Se votazioni parlamentari su
queste materie sono necessarie, continua infatti lo stesso Elia, allora “dovrebbero essere
slegate dalla disciplina di voto richiesta dai capigruppo: non dimenticando che le leggi vanno
fatte per i credenti e per i non credenti e che le leggi facoltizzanti […] sono di norma le più
adatte ad una società pluralista e multiculturale”.
Note
[1] La definizione è di S. Rodotà, Lo tsunami costituzionale, La Repubblica, 9 febbraio 2009.
[2] Si fa riferimento agli Atti Senato n.10, n. 51, n. 136, n. 285, n. 483, n. 800, n. 281, n. 994, n. 972, n. 1095, n.
1188, n. 1323, n. 1368, n. 1363. La discussione congiunta dei menzionati disegni di legge era cominciata in XII
Commissione Sanità al Senato, in sede referente, il 1° ottobre del 2008. Dopo numerose sedute, nel marzo
2009 si è giunti ad una proposta di testo unificato da parte del Relatore in Commissione, Senatore Raffaele
Calabrò. Testo disponibile al www.camera.it, (data ultimo accesso 18/01/2011).
(*) Francesca Petrini è dottoranda in “Teoria dello Stato ed istituzioni politiche comparate”
presso l'Università La Sapienza di Roma
2068 - LA BEATIFICAZIONE DI WOJTYLA - DI DON PAOLO FARINELLA
da: Micromega di giovedì 21 aprile 2011
Il 1° maggio, universalmente giorno dedicato ai lavoratori, in Italia è stato requisito dalla
gerarchia cattolica, segnatamente dal Vaticano che ha deciso di beatificare Giovanni Paolo II,
il papa polacco, in questo giorno, con una volontà di prevaricazione ostentata e con
l’intenzione di oscurare con una massa religiosa il 1° maggio laico, contrapponendo due
celebrazioni, laica e cattolica, in modo artificiale e polemico.
E’ vero che il papa polacco fu un operaio. Lo fu solo per un anno o poco più. Non si può
quindi dire che fu un «operaio», ma piuttosto che fece una esperienza di lavoro. Vendere
questa esperienza come uno status qualificante è falso e mistificatorio. Non è degno di chi
crede comportarsi così.
Beatificare il papa polacco può rientrare anche negli affari interni alla gerarchia cattolica, ma è
certo che una gran parte della Chiesa non partecipa a questa operazione di marketing della
religione per risollevare le sorti di una religiosità languente. Non è così che si testimonia la
fede, così la si uccide soltanto perché questo genere di eventi mettono in evidenza
l’esteriorità: le grandi masse, i numeri, il folclore, l’illusione di dire che «erano in tanti» come
sinonimo di richiesta di religione. Siamo in pieno paganesimo religioso perché si sfrutta il
sentimentalismo per affermare una visibilità che nasconde il vuoto e il paganesimo dello
stesso personale clericale. Sceneggiate. Parate. Mondanità.
Si dice che dopo la prima ubriacatura, oggi a pochi giorni della saga papale, si teme un flop
che fa paura a gli organizzatori che spendono per questa dimostrazione di forza debole una
enorme quantità di denaro che poteva essere usato per i migranti o per altri scopi nobili
sociali. Il costo dell’operazione è di € 1 milione e 200 mila, mentre al Comune di Roma tra
straordinari e logistica costerebbe € 7 milioni e mezzo. Una cifra enorme, buttata al vento per
una manifestazione con tanti interrogativi.
Il papa polacco come uomo fu dirompente, carismatico, carnale e sanguigno: fu un uomo
vero che si tuffava in mezzo all’umanità e vi restava. Ciò detto e riconosciuto, come papa fu il
peggior papa del secolo scorso perché polacchizzò la Chiesa, consegnandola nelle mani
delle sètte religiose che hanno frantumato il volto unito della sposa di Cristo. L’Opus Dei
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controlla le finanze del Vaticano e la cultura teologica, messa come cane da guardia per fare
morire la Teologia della Liberazione.
Comunione e Liberazione a livello nazionale e non solo è la longa manus del Vaticano in
Italia, via privilegiata per accedere alle stanze del governo e delle leggi e poco importa se le
Compagnia delle Opere, si esercita a fare affari con mafiosi e delinquenti. Poco importa se i
due Istituti fanno a gare nell’arruolamento dei deboli a privare della coscienza chiunque si
affaccia nel loro cortile. Poi vi è il lupanare dei Legionari di Cristo protetto e difeso anche di
fronte all’evidenza delittuosa e immonda di un superiore generale pedofilo e padre di figli
disseminati come noccioline.
L’obiettivo di tutta questa nuova fregola di evangelizzazione è uno solo: annientare
definitivamente il concilio Vaticano II, il cui solo nome è sintomo di destabilizzazione nel
mondo curiale e clericale. Noi celebreremo come possiamo il 1° maggio con un concerto
dedicato ad un lavoratore della musica, il M. Emilio Traverso nel IV anniversario della sua
morte e con lui pensiamo a tutti i lavoratori del mondo che cooperano alla grandezza del
mondo.
2069 - LA CHIESA FUGGE IL CONFRONTO - DI GIAMPAOLO PETRUCCI
da: Adista notizie n° 35/2011
«La laicità dovrebbe essere un valore così scontato da non costituire oggetto di nessun
dibattito». Lo ha affermato il direttore del bimestrale MicroMega Paolo Flores d’Arcais che
contestualmente ha però dovuto constatare che «il tema in Italia è ancora considerato tabù»
e che le “Giornate della Laicità” – organizzate a Reggio Emilia (15-17/4), dopo il successo
dell’anno scorso, dalla rivista che dirige, insieme all’associazione reggiana Iniziativa Laica e
al circolo cittadino dell’Arci – hanno incontrato, prima ancora di andare in scena, il non placet
di diversi esponenti politici locali e della Curia. L’attacco – denuncia ancora il responsabile
scientifico delle Giornate – è stato sferrato su tre fronti: quello morale (i promotori sarebbero
laicisti anticlericali incapaci di dialogo); quello economico (iniziative senza «equilibrio
ideologico» non meritano fondi pubblici, si legge in un’ordinanza che chiude gli occhi di fronte
all’ampio indotto in termini di turismo e di immagine pubblica per la città); e quello politico
(conviene sempre, a destra ma anche a sinistra, non mettersi contro le gerarchie cattoliche).
Al centro degli oltre 21 dibattiti che ruotavano intorno al tema del relativismo, argomenti
sensibili come la bioetica, l’omosessualità, i rapporti tra Chiesa e potere politico, la fede e la
democrazia. Ma a scatenare la polemica esplicita è stato il titolo dell’ultimo incontro del
festival, con Sergio Luzzatto (professore di Storia moderna a Torino): “Senza il crocefisso
l’Italia sarebbe migliore”.
Di fronte alla minaccia del “simbolo identitario” che tanto ha polarizzato il dibattito sulla laicità
in Italia negli ultimi anni, si è innescata una sorta di tiro al bersaglio, in cui le destre, le
gerarchie e molti laici cattolici hanno potuto scagliare il proprio anatema. La polemica non è
totalmente pretestuosa, ammette lo stesso relatore, lamentando una defaillance che rende il
titolo leggermente equivoco. È vero che l’Italia sarebbe migliore senza crocefissi, chiarisce
Luzzatto, ma questo vale solo negli edifici pubblici, in rispetto del principio di laicità dello
Stato. «Non mi riconosco in questo titolo», ha poi argomentato, «penso sia sbagliato e
offensivo. Io non penso che senza il crocifisso tout court l’Italia sarebbe migliore».
Più stizzito, invece, il commento di Flores d’Arcais: «Questo incontro è il fuoco di sbarramento
per tante polemiche pretestuose sollevate in questi giorni. Oggi, seduto qui, avremmo tutti
quanti voluto vedere il vescovo o qualche membro della Chiesa da lui incaricato», ma
purtroppo la Curia emiliana e le gerarchie romane, nonostante gli inviti a partecipare, hanno
disertato. «Che l’esplicito carattere laicista di queste giornate non comporti alcuna
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intolleranza verso i credenti e neppure verso la Chiesa gerarchica» – ha aggiunto in un
articolo sulla Gazzetta di Reggio (15/4) il direttore di MicroMega – è dimostrato dal fatto che
ad esse sono stati invitati circa quindici cardinali, alcuni vescovi, e altre personalità tra le più
importanti dei vertici massmediatici legati alla Chiesa. Hanno rifiutato tutti». Flores ha persino
rivolto un duplice invito pubblico, su Repubblica e sul Fatto quotidiano, al card. Gianfranco
Ravasi: lo stesso “ministro della cultura” della Chiesa che ha più volte «riaffermato la volontà
della Chiesa di confrontarsi con gli atei “scientisti, marxisti, nichilisti”. Parole, evidentemente».
È rimasto garantito comunque, ha assicurato il direttore, «il confronto con i credenti», grazie
alle adesioni di numerose personalità del mondo cattolico di base, da Carlo Molari a Raniero
La Valle, da Giovanni Franzoni a Gabriella Caramore.
Lo stesso Molari, parlando della polemica sull’incontro di Luzzatto, ha dichiarato: «Nella
situazione attuale diventa rischioso togliere il crocefisso, ma in linea di principio accetterei che
fosse tolto, poiché è usato come emblema di un’identità culturale contrapposta ad altre
culture ed è sbagliato imporre agli altri la propria cultura. Invece esso dovrebbe essere inteso
come simbolo dell’azione di Dio e del suo amore, un ideale a cui tutti si richiamano».
Perché proprio chi accusava i promotori delle Giornate di «rifiuto del dialogo» ora nega il
confronto? «Dal punto di vista politico – ha denunciato Flores – la Chiesa in questi anni è
arrivata a detenere un monopolio. Stando così le cose, un qualsiasi confronto non può che
arrecarle danno. Se si ha un monopolio senza essere passati dal contraddittorio, non
conviene dialogare: è più confortevole il monologo».
2070 - LA BEATIFICAZIONE DI KAROL E LA CONDANNA DI WELBY - DI M. RICCIO (*)
da: l'Unità di venerdì 22 aprile 2011
Era il febbraio del 2007 quando, nel tentativo di spiegare l`assoluta linearità almeno a mio
avviso - del caso Welby che era morto da poco più di un mese, paragonai la sua scelta a
quella di Papa Wojtyla. Morto nel 2005 ed in attesa di beatificazione il prossimo 1° maggio.
Per la precisione il tutto avvenne la sera del 6 febbraio nel corso di una lunga intervista
televisiva al canale d`informazione di Sky. In quella occasione un medico molto vicino agli
ambienti vaticani confermò quanto mi era già noto da tempo: Papa Wojtyla aveva rinunciato a
curare la sua patologia neurodegenerativa - il Parkinson - fin dagli esordi.
Questo medico sosteneva inoltre che il Cardinale Martini, anch`esso notoriamente
parkinsoniano, assumendo invece la terapia specifica per contrastarne e rallentarne gli effetti,
avrebbe compromesso le proprie capacità cognitive a differenza del Santo Padre che invece
aveva rinunciato al farmaco appunto per mantenersi pienamente capace di intendere e
volere. Tesi peraltro destituita di ogni fondamento scientifico. Ma strumentalmente utilizzata
per sostenere surrettiziamente che la posizione assunta dal Cardinale Martini sulla vicenda
Welby - nella sostanza a favore dell`autodeterminazione in campo sanitario, tale da
comprendere la scelta di Welby, anche non condividendola - poteva essere frutto di una
mente obnubilata dai farmaci.
È noto che il Parkinson sia malattia dall`andamento capriccioso e incostante. Ma
effettivamente le condizioni cliniche di Wojtyla negli ultimi anni di vita peggioravano assai
rapidamente ed in maniera vistosa. Un respiro difficoltoso, una deambulazione ridotta, un
eloquio rallentato, ma soprattutto i tremori particolarmente evidenti, facevano realmente
deporre per una progressione della malattia senza un sostegno farmacologico, che ne
rallentasse e limitasse i danni, già molto tempo prima della sua morte. La malattia di
Parkinson comporta la progressiva compromissione della capacità motoria, oltre che - in
taluni casi e in fase avanzata - il deterioramento della funzione cognitiva. Pertanto è normale
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che si ponga prima o poi la indicazione clinica alla nutrizione artificiale e alla ventilazione
assistita, per la difficoltà appunto di deglutire e respirare.
Di fatto è impensabile che a Wojtyla non sia stato prospettato questo scenario, per valutare la
pianificazione delle proprie cure. In particolare su questi aspetti e sugli ultimi giorni di Papa
Wojtyla si può leggere la documentata ed impeccabile analisi della collega anestesista Lina
Pavanelli apparsa sul numero della rivista MicroMega del settembre 2007. Ma il
ragionamento è un altro.
Wojtyla rinuncia fin dall'inizio a curare la sua malattia. In maniera assolutamente coerente poi
rifiuta anche di sottoporsi a terapie di sostegno delle funzioni vitali quali l'alimentazione e la
ventilazione. Si può allora affermare che oggi Wojtyla verosimilmente sarebbe ancora vivo,
anche se immobilizzato in un letto e sottoposto a ventilazione meccanica e nutrizione
artificiale, se avesse fatto scelte diverse.
Le cronache riportano che si sia mantenuto lucido fino alla morte. Diversamente avrebbe
superato indenne le imposizioni della legge sul fine vita del decreto Calabrò? Anche nella più
benevole delle interpretazioni, sicuramente avrebbe dovuto subire quantomeno la nutrizione
artificiale. Si potrebbe obbiettare - ed è stato effettivamente sostenuto - che le condizioni
cliniche di Wojtyla erano, nell`ultimo periodo della sua vita, talmente deteriorate che ogni
tentativo di cura sarebbe stato un inutile accanimento terapeutico. Premesso che è difficile
stabilire cosa sia l'accanimento terapeutico, indubbiamente le condizioni cliniche finali erano
assai penose. Ma tali erano appunto come diretta conseguenza della precedente decisione
dello stesso Wojtyla, cioè rinunciare alle cure. Una sorta di lenta ma inesorabile eutanasia
passiva? Certamente no: un limpido esempio di autodeterminazione sul proprio corpo.
Wojtyla sceglie di vivere pienamente la sua malattia senza porvi alcun rimedio. Forse è una
convinta decisione di farsi testimone - attraverso il suo corpo sofferente - di un messaggio. La
sofferenza come un valore da sostenere.
La famosa frase di Wojtyla, pronunciata nelle ultime ore di vita, «lasciatemi andare alla casa
del Signore» non ricorda forse la stessa vicenda di Welby, che intitolò il libro sulla sua
vicenda «Lasciatemi morire»?
Per questa scelta Welby è stato però aggredito violentemente e accusato di strumentalizzare
la sua condizione fisica. Sempre nel campo della sofferenza usata come strumento: non è
stato forse coerente e coraggioso Welby che alla fine ha deciso comunque di provare a
sopportare anche l`ulteriore prova di una vita dipendente da una macchina, immobilizzato in
un letto per più di 10 anni, prima di rifiutare definitivamente ogni terapia?
Ma allora perché oggi Papa Wojtyla è stato beatificato mentre a Piergiorgio Welby furono
anche negati i funerali religiosi, lasciando la sua bara sul sagrato, fuori dalla chiesa nella
quale voleva entrare?
Perché la scelta di Welby è stata giudicata una forma di eutanasia e quella di Papa Wojtyla
invece un percorso virtuoso?
Dovremo aspettare altri 400 anni - come per Galileo - per una riabilitazione di Welby?
Si può aderire a qualsiasi tesi bioetica, ma deve essere coerentemente sostenuta
(*) Il dr. Mario Riccio è socio onorario di LiberaUscita
2071 - PAPA RATZINGER IN TV - COMUNICATO STAMPA C.L.N.
data: 23 aprile 2011
Ieri abbiamo assistito alla trasmissione “A sua immagine”, in cui Papa Benedetto XVI ha
risposto ad alcune domande, anche a quella di una mamma, Maria Teresa, chiedeva se
l'anima di suo figlio Francesco era ancora presente nel suo corpo, nonostante fosse in stato
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vegetativo da due anni. La risposta di Ratzinger è stata positiva, sebbene l'anima stessa non
sia più in grado di “suonare la chitarra del corpo”, le cui “corde si sono rotte”.
Non appare casuale che tale domanda sia stata scelta tra le oltre duemila arrivate in
redazione: dalla settimana prossima riprende infatti la discussione alla Camera dei Deputati la
discussione sul ddl Calabrò, che nei fatti è contro il testamento biologico.
Nessuno però è scientificamente in condizione di certificare se l'anima esiste o meno, né
tantomeno se l'anima continua a sentire ciò che il corpo non può più sentire.
Ciò detto, non esistono soluzioni valide per tutti. Chi crede che l'anima esiste e s'accontenta
che attraverso essa egli possa continuare a sentire ciò che avviene intorno a lui anche se si
trova in stato vegetativo permanente, deve essere libero di farlo.
Altrettanto libero deve essere chi, credente o meno nell'anima, non accetta di “vivere” in
quelle condizioni, per di più a carico di altri.
Proprio per garantire la libertà a tutti è necessario che le volontà espresse in piena coscienza
dalle persone interessate non siano stravolte - in un senso o nell'altro - da parenti o medici o
giudici o conoscenti o politici.
Per queste ragioni, anche noi vogliamo rispondere alla domanda di Maria Teresa: Francesco
doveva essere libero di decidere della propria vita e del proprio fine-vita.
La questione è sempre una sola e imprescindibile: la libertà di scelta, alla quale molte italiane
e italiani, la maggioranza, non sono disposti a rinunciare. Non solo perché è un diritto già
costituzionalmente garantito, ma soprattutto perché è un “diritto civile” per il quale vale la
pena di battersi fino in fondo.
Maurizio Cecconi, Cinzia Gori – portavoci Coordinamento Laico Nazionale
Associazioni aderenti al Coordinamento Laico Nazionale
AldES - Associazione Laica di Etica Sanitaria
Arcigay Roma
Arcigay Valle d'Aosta
Associazione Culturale Altrevie
Associazione Culturale Civiltà Laica
Associazione Culturale Itinerari Laici
Associazione Difesa Consumatori e dei Diritti Civili
Associazione Diritti e Torti
Associazione Famiglie Arcobaleno
Associazione Forum Donne Giuriste
Associazione Gli amici di Eleonora
Associazione Laicità e Diritti
Associazione La Meridiana
Associazione LiberaUscita
Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"
Associazione Per Eluana
Associazione radicale Adelaide Aglietta
Associazione radicale Certi Diritti
Associazione radicale Valdostana "Loris Fortuna"
Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica Piero Calamandrei
Circolo Liberalsocialista "Carlo Rosselli"
Comitato Altavoce
Comitato Laici Trentini
Comitato Piero Gobetti
Consulta di Bioetica
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Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Napoletana per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Provincia di Pesaro Urbino per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Triestina per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Valle d'Aosta per la Laicità delle Istituzioni
Consulta Verbano-Cusio-Ossola per la Laicità delle Istituzioni
COOGEN – Coordinamento Genitori Nidi Materne Elementari Medie
Coordinamento Nazionale delle Consulte per la Laicità delle Istituzioni
Coordinamento Torino Pride LGBT
CRIDES - Centro romano d'iniziativa per la difesa dei diritti nella Scuola
Democrazia Laica
Fondazione Critica Liberale
Fondazione Religionsfree
Iniziativa Laica
Liberacittadinanza
Liberi di Decidere
Movimento Radical Socialista
Per l'Umana Stagione
Rete Laica Bologna
Società di Cremazione di Novara
Società di Cremazione di Udine
UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti
Media
Cattolicesimo reale
Cronache Laiche
Italialaica.it
L'Ateo
LucidaMente – Rivista di cultura ed etica civile
No God - Atei per la laicità degli Stati
Non Credo
UAAR - Ultimissime
Verità Laica
2072 - BENEDETTO XVI IN TV SUL T.B. - DI MAURIZIO CECCONI E CINZIA GORI (*)
da: www.cronachelaiche.it di sabato 23 aprile 2011
Ieri abbiamo assistito alla trasmissione “A sua immagine”, in cui Papa Benedetto XVI ha
risposto ad alcune domande, anche a quella di una mamma, Maria Teresa, che chiedeva se
l’anima di suo figlio Francesco era ancora presente nel suo corpo, nonostante fosse in stato
vegetativo da due anni. La risposta di Ratzinger è stata positiva, sebbene l’anima stessa non
sia più in grado di «suonare la chitarra del corpo», le cui «corde si sono rotte».
Non appare casuale che tale domanda sia stata scelta tra le oltre duemila arrivate in
redazione: dalla settimana prossima riprende infatti la discussione alla Camera dei Deputati la
discussione sul ddl Calabrò, che nei fatti è contro il testamento biologico.
Nessuno però è scientificamente in condizione di certificare se l’anima esiste o meno, né
tantomeno se l’anima continua a sentire ciò che il corpo non può più sentire.
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Ciò detto, non esistono soluzioni valide per tutti. Chi crede che l’anima esiste e s’accontenta
che attraverso essa egli possa continuare a sentire ciò che avviene intorno a lui anche se si
trova in stato vegetativo permanente, deve essere libero di farlo.
Altrettanto libero deve essere chi, credente o meno nell’anima, non accetta di “vivere” in
quelle condizioni, per di più a carico di altri. Proprio per garantire la libertà a tutti è necessario
che le volontà espresse in piena coscienza dalle persone interessate non siano stravolte – in
un senso o nell’altro – da parenti o medici o giudici o conoscenti o politici.
Per queste ragioni, anche noi vogliamo rispondere alla domanda di Maria Teresa: Francesco
doveva essere libero di decidere della propria vita e del proprio fine-vita.
La questione è sempre una sola e imprescindibile: la libertà di scelta, alla quale molte italiane
e italiani, la maggioranza, non sono disposti a rinunciare. Non solo perché è un diritto già
costituzionalmente garantito, ma soprattutto perché è un “diritto civile” per il quale vale la
pena di battersi fino in fondo.
(*) Maurizio Cecconi e Cinzia Gori sono i portavoce del Coordinamento Laico Nazionale
2073 - BIOTESTAMENTO, IL PD COSA FA? DI MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI
da: Europa di martedì 26 aprile 2011
Un giorno è la sottosegretaria Eugenia Roccella che "vive" la questione come una missione. Il
giorno dopo è il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, che sembra interessarsi solo di questo
(sommessamente ricordo: nel 2010, secondo i dati Inail ancora provvisori, si sono registrati
780mila infortuni sul lavoro, 950 morti "bianche"; dall'inizio dell'anno oltre 100 morti, più di uno
al giorno, domeniche e feste comprese. Alle numerose interrogazioni presentate, nessuna
risposta). Quando i primi due non intervengono, allora è la volta di Gaetano Quagliariello odi
Maurizio Gasparri: il leitmotiv è sempre lo stesso: la legge sul biotestamento va urgentemente
approvata così come è formulata nel ddl Calabrò; e guai a obiettare, a dissentire.
Dice la sottosegretaria che «è all'eutanasia che si vuole arrivare, e il progetto politico è quello
di arrivarci tramite le sentenze», che si vorrebbe arrivare sostanzialmente a derubricare il
reato di omicidio del consenziente inserendo un elemento di caritatevolezza e rovesciando il
criterio della solidarietà tra gli uomini.
Ora sarebbe facile obiettare che qualsiasi membro del governo e della maggioranza siano i
meno indicati a parlare di carità, misericordia e solidarietà: i malati di Sla e di altre gravi
malattie sono letteralmente abbandonati a loro stessi, non c'è alcuna solidarietà o appoggio
alle famiglie, non si riesce neppure ad aggiornare i Lea e il nomenclatore tariffario. La
maggioranza vuole imporre al paese una legge retrograda e incivile sul fine vita che non ha
pari e riscontro con le legislazioni di altri paesi; e si arriva all'impudenza di mettere sul banco
degli accusati chi a questa legge si oppone, obietta che è un testo anticostituzionale
fatalmente destinato a fare la stessa fine della legge 40; e tra gli argomenti che vengono
agitati dalla maggioranza per difendere quello che è indifendibile si arriva all'impudenza di
affermare che si vorrebbe introdurre l'eutanasia attraverso le sentenze dei giudici. Simili
affermazioni si giustificano e si spiegano solo con la scarsità di argomenti. Ai sedicenti
difensori della vita (e che più propriamente sono sostenitori e alfieri della sofferenza sempre e
comunque, anche quando è inutile) rispondo che si vuole quello che già è garantito per
esempio in Germania, dove esistono le cosiddette "Disposizioni del paziente "cristiano""
elaborate dalla Conferenza episcopale tedesca, dal Consiglio della chiesa evangelica tedesca
e dalla Comunità delle chiese cristiane in Germania già dal 1999. Queste disposizioni
prevedono per il testatore cristiano di richiedere «quando ogni terapia prolungherebbe
soltanto il processo del mio morire» il non inizio o l'interruzione di trattamenti salvavita «come
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la nutrizione artificiale, la respirazione assistita, la dialisi o l'impiego per esempio di
antibiotici».
Oggi le disposizioni sono state aggiornate dopo l'approvazione delle Dat e includono la tutela
degli interessi legittimi del paziente diventato "incapace". Ebbene, il ddl Calabrò non solo non
rispetta la volontà - espressa dal cittadino - ma va in direzione esattamente opposta: la
volontà della persona non è tenuta in alcun conto, e si prevede che alimentazione e
idratazione non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. Non solo: il
comma 5 dell'articolo 3 prevede che «l'alimentazione e idratazione nelle diverse forme in cui
la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono-essere mantenute fino al termine
della vita». È proprio questo l'elemento che permette il prolungamento indefinito del coma
anche contro la volontà di una persona che non può rifiutare! Per difendere una posizione
indifendibile, si fa ricorso ad affermazioni che nulla hanno di scientifico e anzi ne sono la
negazione.
Anche uno studente di medicina alle prime armi, infatti, sa che alimentazione e idratazione
artificiale sono atti medici veri e propri che richiedono un'elevatissima competenza. Ci vuole
una incredibile dose di malafede e faccia tosta per far credere che si tratti di qualcosa come
una bottiglia di acqua minerale che si nega o si concede. Posizionare una cannula
nutrizionale nello stomaco è un atto difficile, fare una gastrostomia endoscopica percutanea
(peg) è un atto difficile, che solo chirurghi, medici anestesisti e rianimatori addestrati sono in
grado di compiere.
Allo stesso modo inserire un sondino nasogastrico e superare correttamente il tratto golaesofago-stomaco è altrettanto difficile e anche pericoloso: richiede lo stesso un grado di
specializzazione particolare: la sonda può introdursi in trachea anziché nell'esofago con
conseguenze disastrose. Inoltre, nel successivo trattamento nutrizionale, la definizione degli
elettroliti, delle proteine, dei glucidi, somministrati come composto chimico non può che
essere seguito da medici nutrizionisti.
Questo per dire che, a proposito di alimentazione forzata, se una persona, in perfetta lucidità
di pensiero, non desidera più alimentarsi, questa sua volontà va rispettata, come sostiene il
codice di deontologia medica. Per questo sostengo che questa legge è contro il testamento
biologico e, quindi, inutile.
Chi compilerà le direttive anticipate se sa già che non verranno rispettate? Nessuno. Meglio
allora nessuna legge. Ogni legge deve soddisfare le aspettative dei cittadini o tutelare i loro
diritti. Il ddl Calabrò, al contrario,non soddisfa alcuna aspettativa, in particolare non tutela il
diritto del rifiuto alle cure, una delle maggiori conquiste civili e democratiche. I principi del
consenso informato dei trattamenti e dell'autodeterminazione sono i capisaldi di una
concezione liberale di uno stato, che questa maggioranza di fatto si accinge a calpestare.
Sono d'accordo con quanto scrisse Giorgio Cosmacini dell'università Vita-salute di Milano:
«Se è antiumano porre limitazioni alla persona del malato, limitarne la personalità è
anticostituzionale e-antidemocratico. Una legge limitativa, restrittiva, che conculca la-validità
di un testamento liberamente sottoscritto da persona dotata di piena capacità in vista di una
futura incapacità, oltre a contraddire molti valori, ignora il dibattito scientifico, disattende
l'appello degli addetti alle cure, non ascolta le sofferenze dei familiari, sposa una incultura che
ha la presunzione di possedere il monopolio dei principi etici e religiosi».
Al senato il Pd ha sostenuto che il ddl Calabrò è anti costituzionale. Potrà non sostenerlo alla
camera? E vorrà lottare contro questo ddl e far valere le sue ragioni almeno quanto ha fatto
sulla "prescrizione breve"? Spero di sì. Noi deputati radicali lotteremo per quanto ci sarà
possibile.
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2074 - CHI METTE LE BANDIERE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO - DI M. MARZANO
da: la Repubblica di martedì 26 aprile 2011
Ci sono dei temi che nessuno dovrebbe poter strumentalizzare. Eppure succede. Fin troppo
spesso. Come se, in Italia, tutto fosse lecito. Soprattutto in periodo elettorale. Anche quando
sono direttamente in gioco la sofferenza, la fine della vita, il senso della morte, come nel caso
del disegno di legge sul testamento biologico. Perché morire è una della caratteristiche della
condizione umana.
La vita è mortale proprio “perché” è la vita, come scriveva il filosofo Hans Jonas. Ma ognuno
di noi dovrebbe poter essere riconosciuto come soggetto della propria vita fino alla fine,
anche in punto di morte. Si può allora anche soltanto osare utilizzare il tema della fine della
vita a scopi politici? Si può pensare di imporre, a chi ha chiaramente espresso la volontà di
interrompere inutili terapie, l´alimentazione e l´idratazione forzata? Di cosa si parla quando si
sventola la bandiera del “valore inalienabile della vita”?
La frattura tipicamente italiana tra coloro che assimilano l´interruzione dell´accanimento
terapeutico all´omicidio e coloro che difendono l´esistenza di un diritto di morire si riapre in un
clima teso, che non solo lascia poco spazio alla riflessione etica, ma che impedisce
soprattutto di porre in modo corretto le questioni fondamentali che riguardano la vita e la
morte di ognuno di noi. Si decide di discutere in Aula di un progetto - uno tra i tanti - senza
fare lo sforzo capire cosa possa voler dire rispettare la dignità della persona quando la morte
si avvicina. Ci si dilania invocando norme e valori universali senza interrogarsi su come una
persona malata possa “riappropriarsi” della propria morte. Si utilizza in modo superficiale il
termine “eutanasia” senza fare alcuna distinzione tra il lasciar morire e il far morire. Si dà per
scontato che il medico sappia meglio di chiunque altro ciò che si deve o non si deve fare. E
nel frattempo, ci si dimentica che il dramma della fine della vita ci riguarda tutti. Perché tutti,
un giorno o l´altro, ci ritroveremo lì, sentendoci impotenti di fronte alle decisioni che altri
vorranno prendere al nostro posto… cercando disperatamente di essere rispettati almeno
un´ultima volta… soprattutto quando non c´è più niente da fare…
Uno dei tanti problemi italiani risiede nell´incapacità di affrontare alcune questioni etiche
fondamentali con pacatezza e rigore. Facendo i distinguo necessari. Analizzando la
complessità delle situazioni. Chiarendo una buona volta per tutte che l´interruzione
dell´alimentazione e dell´idratazione forzate non c´entra niente con il far morire di fame o di
sete qualcuno. Che esiste una differenza di natura morale tra la somministrazione diretta di
sostanze letali - che provocano quindi automaticamente il decesso - e l´interruzione di terapie
inutili che, mettendo fine all´accanimento terapeutico, possono poi anche avere un “doppio
effetto” e provocare la morte del paziente. Ma in Italia si preferisce semplificare e banalizzare
i problemi. Scegliere la via della facilità ideologica opponendo “dignità” e “libertà”. Riempirsi la
bocca di parole che suonano bene, che ci fanno sentire in pace con la nostra coscienza, che
ci trasformano in paladini del valore della vita o dell´inalienabilità dell´autodeterminazione
senza interrogarsi sul “senso” di quella vita, quel dolore, quella fine… Nei Fratelli Karamazov,
Dostoevskij scriveva: “Ama la vita più del senso, e anche il senso troverai”. Ma quando niente
è più possibile, quando si sopravvive solo perché attaccati ad un respiratore, nutriti con una
sonda gastrica e trascinati come se non si fosse altro che una macchina biologica, che senso
può ancora avere il concetto di dignità? Quando si è esplicitamente chiesto che in quelle
condizione si desidera essere lasciati tranquilli, partire, andarsene, in nome di cosa qualcun
altro può opporsi?
In Francia, la legge del 22 aprile 2005 affronta direttamente queste questioni spinose e
rappresenta un modello cui potrebbero ispirarsi gli italiani. Anche semplicemente perché
questa legge è il frutto di un dibattito etico portato avanti per anni, in cui il tema della fine della
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vita è stato sviscerato con spirito critico, fino ad arrivare ad una soluzione equilibrata e giusta.
In primo luogo, la legge ribadisce la necessità di rispettare l´autonomia personale di ogni
paziente: si tratta di prendere in considerazione la volontà del malato, espressa direttamente
o per mezzo di un testamento biologico, senza che, per questo, il medico rifiuti di assumere le
responsabilità legate al proprio ruolo. Abbandonando il tradizionale paternalismo, la Francia
accetta l´idea che ogni persona abbia il diritto di esprimere il proprio punto di vista e che il
medico non debba imporre a nessuno la propria concezione della morale. E non è tutto. Dopo
aver riconosciuto l´importanza del “consenso” del malato, il legislatore francese prende
posizione anche rispetto all´accanimento terapeutico, e afferma la necessità, per il medico, di
non lasciarsi prendere la mano “dall´ostinazione irragionevole”: le cure possono essere
interrotte o mai intraprese se il loro unico fine è quello di mantenere artificialmente in vita un
malato. Infine, l´art. 2 permette al medico, sempre in accordo col malato e la famiglia, di
somministrare forti dosi di analgesico per lenire la sofferenza, anche se la somministrazione
“può avere come effetto secondario il fatto di accorciarne la vita”. Senza domandare ai medici
di intervenire direttamente per far morire il paziente, la legge francese rispetta il diritto di ogni
persona di morire in modo degno. Invece di proclamare in modo astratto il valore inalienabile
della vita, cerca di prendere in considerazione la specificità individuale di ogni malato.
Uno dei motivi per cui il dibattito italiano non riesce ad avanzare è la difficoltà che hanno i
nostri politici, ma anche molti intellettuali, a mettere da parte le proprie credenze e le proprie
prese di posizione ideologiche, per uscire dalle opposizioni di principio sterili e pericolose. Il
problema non è tanto quello di opporre tra loro libertà assoluta e dignità intrinseca della vita.
In entrambi i casi, si parla di qualcosa che non esiste o non ha senso. La libertà personale
non è mai assoluta: la mia libertà non è solo limitata dalla libertà degli altri, ma è anche e
soprattutto condizionata dai limiti della realtà, dal caso, dalle condizioni socio-economiche,
dalla storia individuale di ognuno che interferisce sempre (nel bene e nel male) con le scelte
che si possono fare. E un discorso analogo deve essere fatto nel caso della dignità: che
valore si attribuisce realmente alla vita quando non si presta più alcuna importanza alla
soggettività e quando, nel nome della dignità, si nega ogni valore alle scelte e alle decisioni
individuali, ossia a tutto quello che dà senso alla vita e che ci protegge da ciò che Freud
chiamava “la morte psichica”?
2075 - GIOCARE CON I TERMINI PER NEGARE NUOVI DIRITTI - DI CARLO FLAMIGNI (*)
da: l’Unità di martedì 26 aprile 2011
Eterologo, infertilità, embrione: sono tante le espressioni scientifiche usate a sproposito nella
discussione bioetica. Così come idratare un morente non equivale a somministrare acqua e
cibo. Ora che si torna a parlare di biotestamento prepariamoci ad altri strafalcioni. Voluti. C’è
chi afferma (scherzando?) che la bioetica, con le mosche e i professori universitari, è una
prova indiretta dell’inesistenza di Dio, un ente supremo che non potrebbe perdere il suo
tempo nella creazione di cose, persone ed enti inutili. La cosa non mi convince per niente: in
realtà la bioetica (che è, tra le altre cose, un contenitore dei diritti e delle libertà dei cittadini) è
utilissima a chi vuole legiferare, almeno nel nostro Paese, tenendo conto unicamente della
visione etica del mondo che ci viene ammannita dalla Chiesa Cattolica, in spregio alla laicità
dello Stato e ad altre simili sciocchezze. Come i nostri parlamentari la maggior parte dei quali
non crede nemmeno nel radicchio vengano ripagati per questo vergognoso comportamento lo
sappiamo tutti, la sopravvivenza della Chiesa cattolica nel nostro Paese è almeno in parte
legata alla possibilità di gestire un notevole numero di voti e di poter garantire cose di non
poco conto come la supremazia e il potere politico. Deve trattarsi di un patto realmente
scellerato, visto il supporto che eminenti esponenti vaticani hanno recentemente fornito alle
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case di tolleranza private. Per poter garantire questo contributo la Bioetica ha dovuto piegarsi
a qualche disonesto compromesso ed è stata così brava che nessuno se ne è accorto.
Prima di tutto ha scelto di essere “normativa”, tradendo così la sua fondamentale natura, che
è quella di essere “descrittiva”. Pensate per un momento (di più non è conveniente) al
Comitato Nazionale di Bioetica e ai suoi documenti: secondo logica e buon senso dovrebbe
esaminare i problemi etici proposti dalla ricerca scientifica in campo biologico e dalla
medicina per chiarirli a tutti (cittadini e parlamentari) e per consentire alla politica di proporre
mediazioni rispettose di tutte le posizioni morali compatibili con i principi e i diritti di un Paese
laico e democratico, come fanno tutti i Paesi civili; invece si esprime a maggioranza (sempre,
rigorosamente cattolica) e toglie le castagne dal fuoco ai nostri legislatori indicando a tutti,
come unica soluzione dei problemi, la via più gradita oltre Tevere. Naturalmente deve
ricorrere, per poter mentire senza essere contraddetta, ad una sorta di antilingua, che si
sovrappone alla terminologia medica e scientifica e la sostituisce, un’operazione che mi
sembra opportuno spiegare.
Biologia e medicina, almeno per gran parte delle loro attività e conoscenze, sono discipline
empiriche, non hanno niente a che fare con le cosiddette “verità scientifiche”. La medicina,
dal canto suo, vive soprattutto di consensi, cioè dei pareri formulati dai suoi esperti, ai quali è
affidata anche la facoltà di formulare le definizioni. I consensi sono verità parziali e
temporanee, spesso destinate ad essere sostituite in tempi brevi, ma finche esistono sono la
nostra unica verità, chi non l’accetta sceglie di vivere in un mondo strampalato e vagamente
disonesto. Solo alcuni esempi, per chiarire meglio questo concetto.
Eterologo in biologia significa «frutto della relazione tra soggetti di due specie diverse».
Se io avessi un rapporto imprudente con una ornitorinca, il termine sarebbe appropriato;
applicato a donazioni tra soggetti appartenenti alla stessa specie, no. Perché forzare il
significato del termine? Semplice, per sovrapporre al concetto di donazione di gameti un
elemento bestiale; poi, l’esemplare ignoranza dei nostri parlamentari fa il resto.
Ancora: Infertilità non significa sterilità ma incapacità di produrre una progenie sana e capace
di sopravvivere. La parola è stata artatamente inserita nella legge 40 per creare confusione.
La gravidanza inizia quando è terminato l’impianto dell’embrione (definizione dell’Oms). Il
termine embrione non significa niente, va precisato, altrimenti non si capisce se il riferimento
riguarda oociti attivati o penetrati, ootidi, zigoti, morule, blastocisti, gastrule e così via. La
pillola del giorno dopo non è “abortigena”, lo sappiamo con certezza da almeno due anni, cioè
da quando il Karolinska Institutet di Stoccolma ha dimostrato, con una sperimentazione
diretta, che il levonorgestrel non impedisce gli impianti in utero. Ne consegue che non c’è più
spazio per futili argomentazioni per giustificare il “principio di precauzione”, ma malgrado ciò i
farmacisti chiedono di poter fare obiezione di coscienza, e presto la stessa richiesta verrà
dagli ortolani, che sono costretti a vendere il prezzemolo (da cui si ottiene l’apiolo, questo
veramente abortigeno).
Ma, mi chiederete, non accade mai che differenti gruppi di studiosi, che magari si sono riuniti
ad insaputa gli uni degli altri, abbiano partorito “consensi” contrastanti tra loro? Ebbene sì,
anche se molto raramente: ma in questi casi le differenze vengono messe a confronto e
analizzate e non si usa più il termine consenso fino a che il problema è stato chiarito. E
comunque, alla resa dei conti, il parere che conta è sempre quello dell’Autorità di grado più
elevato che è stata chiamata in causa, quasi sempre l’Oms, altrettanto spesso le Società
scientifiche competenti.
E veniamo ai problemi della fine della vita e del testamento biologico,oggi particolarmente
importanti per via della vergognosa proposta di legge che il Parlamento intende approvare in
tempi brevi. Sappiamo tutti che la nostra Costituzione ci consente di rifiutare le cure e che
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questo rifiuto non può essere disatteso. Cosa si inventa allora il Magistero cattolico per
scipparci anche questo diritto? Sceglie una nuova e personale definizione e dichiara che il
cosiddetto sostentamento ordinario di base, la nutrizione e l’alimentazione artificiali, non
rappresentano né un atto medico né un possibile accanimento terapeutico, e che
interromperle configura, da un punto di vista umano e simbolico, un crudele atto di
abbandono del malato, illecito sia moralmente che giuridicamente. È chiaro che se
accettassimo questa “originale” definizione, l’alimentazione artificiale non potrebbe far parte
delle “cure” che la Costituzione ci consente di rifiutare e dovremmo accettare la possibilità
che qualche tipo di “sollecitudine affettuosa” venisse ad inquinare la nostra povera dignità di
morenti.
Poiché non sono mai stato molto impressionato dalla competenza scientifica dei teologi (non
molto superiore a quella dei parlamentari) sono andato a cercare la definizione che ha dato,
del “sostentamento ordinario” la Società italiana di nutrizione artificiale. Eccola: «La miscela
nutrizionale è da ritenere un preparato farmaceutico che deve essere richiesto con una ricetta
medica e deve essere considerato una preparazione galenica magistrale… Si tratta
comunque di un trattamento medico a tutti gli effetti che prevede il consenso informato del
malato o del suo rappresentante e che deve essere considerato un trattamento sostitutivo
vicariante». Potete andare tranquillamente a cercare nei documenti delle Società scientifiche
degli altri Paesi europei, la definizione è sempre la stessa. Non si tratta dunque di “cibo e
acqua”, come scrivono i bioeticisti cattolici e idratare un morente non equivale a «procurare
acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo in modo autonomo». Questo
linguaggio così evocativo e emotivamente coinvolgente del quale molti documenti cattolici
sono intessuti è finalizzato a sostenere la tesi del forte significato umano, simbolico e sociale
di sollecitudine per l’altro rivestito dalla somministrazione artificiale di “pane e acqua”. Mi
dicono che si tratta di concezioni etiche che sono divenute parte della coscienza giuridica
complessiva, capisaldi pregiuridici che non possono essere ignorati dal legislatore laico. A
mio avviso è un tentativo di giustificare l’ennesima scelta di uno stato “laico” di privilegiare
principi sostenuti da una specifica fede religiosa. Insomma, mentre io mi batto per il “diritto di
avere diritti”, c’è chi si impegna perché su questo diritto io non possa contare, nemmeno in
punto di morte.
(*) Carlo Flamigni è Presidente onorario UAAR
2076 - LA BESTEMMIA DELL’INDISPONIBILITÀ DELLA VITA - DI MARIA MANTELLO (*)
da: Micromega di mercoledì 27 aprile 2011
Il ddl Calabrò sul testamento biologico (approvato già in Senato) verrà discusso alla Camera
nei prossimi giorni e quasi sicuramente diverrà legge, potendo contare sul voto dei
berlusconiani e di altri fidi. Una legge liberticida e anticostituzionale, che sacrifica sull’altare
degli scambi simoniaci la laicità dello stato schacciandola sul precetto canonico. Un ulteriore
regresso vassallatico che serve al peccatore cavaliere, già unto-del-signore; ma anche ad
una chiesa che non ha mai rinunciato al suo imperialismo politico economico morale e che
per questo, dove trova spazi, detta leggi per ribadire il suo ruolo di universale controllore del
cielo e della terra. E che di fronte all’irreversibile processo di secolarizzazione e laicizzazione,
evoca il braccio armato di una maggioranza di governo che impasta e sforna leggi precetto
contro quell’esercizio della responsabilità di scelta che rende proprietari della vita
nell’autonomia delle individuali autodeterminazioni.
In questo scambio simoniaco rientra il ddl Calabrò, come già la legge 40, gli attacchi ai
consultori, i finanziamenti sempre più ingenti alle scuole cattoliche che vanno di pari passo
con lo smantellamento della scuola statale e tanto altro ancora.
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Scambi simoniaci che vogliono riportare alla medievale condizione di soggezione alle leggi
divine (o meglio vaticane) riaffermando la dommatica cattolica e con essa la concezione di
umanità eterna minore.
E proprio sul fideistico principio della indisponibilità della vita è giocato tutto il ddl Calabrò, che
svuota e ribalta così il senso del testamento biologico.
Le dichiarazioni delle volontà sul proprio fine vite vengono infatti ingabbiate in tutta una serie
di paletti e negazioni per scoraggiare, isolare, reprimere. Non basterà infatti dire, quando non
ci sono più speranze, non voglio per me accanimenti terapeutici. Non voglio restare ostaggio
di macchine che mi riducono ad una spugna assorbente costretta a vegetare. Queste nostre
volontà non possono neppure essere ricostruite da parenti e amici a cui le abbiamo
manifestate.
Per evitare ogni possibilità di altri casi Englaro, il ddl afferma che «eventuali dichiarazioni di
intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla
presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione
della volontà del soggetto» (art. 4.2). Le dichiarazioni vanno sempre formalizzate (e rinnovate
ogni cinque anni), «dopo una compiuta informazione medico-clinica e sono raccolte
esclusivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive» (art.
4.1). (E se tra le maglie di queste sottoscrizioni mediche si moltiplicano obiettori in
carriera?).
Le volontà anticipate sul fine vita sono comunque indicazioni. Anche il fiduciario che è stato
delegato al rispetto delle nostre volontà è solo “sentito” perché alla fine è il medico a
decidere: «le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento
sono prese in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella
cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno» (art. 7.1). Il medico ha
tuttavia il principale ruolo di sacerdote della indisponibilità della vita. Quindi non si deve porre
deontologicamente all’ascolto e al rispetto del paziente, le cui volontà, eventualmente
espresse anche attraverso un fiduciario, sono per il medico prive di vincolo: «le indicazioni
sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del
principio dell’inviolabilità della vita umana…» (art.7.2).
Se poi tra medico e paziente o chi lo rappresenta (fiduciario o familiare) ci fossero
divergenze, «la questione viene sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, designato
dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria di competenza»
(art.7.3). Non è difficile immaginare cosa accadrà in cliniche e ospedali cattolici; ma se anche
si fosse ricoverati in un laico ospedale il disegno Calabrò precisa che «resta comunque
sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana». (art.7.3).
Per cercare di eludere la Costituzione che all’art. 32 stabilisce che nessuno può essere
sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà, ecco la trovata: alimentazione e
aerazione artificiali non sono da considerare cure: «alimentazione e idratazione, nelle diverse
forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute
fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci
nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del
corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento» (art.
3.5).
Nutrizione ed idratazione artificiali (flebo, sondini e intubazioni d’ogni genere) potranno essere
sospese allora solo quando non riescono più a mantenere le meccaniche funzioni biologiche,
ovvero quando la povera spugna assorbente e defecante a cui è stato ridotto l’essere l’umano
contro la sua volontà e contro natura, è del tutto cadavere.
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Allora, se questo sciagurato fideistico inumano ddl Calabrò divenisse legge, non resta al
poverocristo lasciato tirannicamente appeso alle macchine, la speranza che queste vadano in
corto circuito. Per essere finalmente prosciolto dall’indegnità di quella non vita. Per essere,
finalmente, pietosamente, caritativamente, lasciato in pace di ritornare al ciclo della natura,
dove nulla si crea e nulla si distrugge.
O di essere riaccolto cristianamente nella casa di quel Dio che molti, violando la cristiana
libertà di coscienza individuale, continuano a nominare invano.
(*) Maria Mantello è Presidente dell’ass.ne naz.le del Libero Pensiero “Giordano Bruno”
2077 - DIRITTO DI VIVERE, DIRITTO DI MORIRE - DI ADRIANO SOFRI
da: la Repubblica di giovedì 28 aprile 2011
Ci sono incipit memorabili, come questo nei titoli d'agenzia di ieri: "Il Parlamento accelera sul
fine vita". Svelti, si muore. Cioè, si vota. In realtà era un falso movimento, la simulazione di
un'inversione dell'ordine del giorno fra la borsa e la vita: ma la borsa - il "Documento di
economia e finanza"- conserva la precedenza, e la vita può aspettare, fino a maggio inoltrato
almeno. Votare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio, ma questi ce l'hanno. Ieri, per stare
al gioco, Berlusconi ha inoltrato una lettera aperta ai suoi deputati. Chiunque gliel'abbia
scritta, ha fatto in modo che trasparisse il carattere apocrifo del testo.
C'è anche un appello ultraweberiano a conciliare l'etica della convinzione con quella della
responsabilità, "come sempre" e una propria convinzione assai poco favorevole alla legge. Il
risultato fa sobbalzare. Recita la lettera: "Sul 'fine vita', questione sensibile e legata alla sfera
più intima e privata, non si dovrebbe legiferare e anch'io la penserei così se non ci fossero
tribunali che, adducendo presunti vuoti normativi, pretendono in realtà di scavalcare il
Parlamento e usurparne le funzioni".
C'è un capo e una coda. Il capo è ragionevolissimo, e ben detto, fino a "non si dovrebbe
legiferare" compreso. Qui occorreva far punto, e piantarla lì. Ma la lettera era di Berlusconi, e
Berlusconi è uomo d'osservanza alla morale cattolica, nella versione propugnata dalla
gerarchia, tanto più quando si tratti delle "questioni legate alla sfera più intima e privata".
Dunque la coda, "anch'io la penserei così, se non...". Se non cosa? Uno pensa che non si
debba invadere la sfera più intima e privata, addirittura l'ora della nostra morte, e poi trova un
argomento minore, una riserva, che lo induce ad accantonare un pensiero così decisivo? E
qual è questo argomento? "I magistrati", diranno subito all'unisono i miei lettori grandi e
piccoli, e infatti.
Tribunali. Nemmeno più le Procure e i Pubblici Ministeri: Tribunali a carriere riunite. Il
riferimento implicito ma fin troppo chiaro è ancora una volta alla ragazza Eluana e all'infinito
dolore dei suoi. I tribunali si pronunciarono tante volte e nei modi più diversi su quella vicenda
amarissima, che altrimenti sarebbe stata sciolta brevi manu. Un uomo triste e coraggioso
volle che fosse riconosciuto il diritto alla scelta che sapeva essere stata di sua figlia. Alla fine
di un vero calvario, "i tribunali" lo riconobbero, e anche allora governo e maggioranza
parlamentare si accanirono ostentatamente nella gara a disputargli il corpo di sua figlia. Non
la volevano, allora, una legge che sancisse ciò che dovrebbe essere la premessa di ogni
relazione fra gli umani, il diritto di ciascuno a decidere del proprio corpo, a essere il proprio
corpo. Erano gli altri a propugnare la legge, a voler mettere nero su bianco una libertà così
elementare e fondativa. Poi, di colpo, la maggioranza si ricordò di essere maggioranza, e di
poterne abusare, e scelse euforicamente di battersi lei per una legge alla rovescia, che
negasse quel diritto, che mettesse il mondo a testa in giù e proclamasse l'idratazione e
l'alimentazione artificiale pratiche obbligatorie per mano dello Stato.
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È passato tanto tempo, da allora, e i compiaciuti deliri di questa maggioranza e del governo
che la tiene al guinzaglio si sono spinti molto oltre anche nelle dichiarazioni più futili e
grottesche.
Ministri e Parlamento vogliono decretare che la nutrizione forzata (avete provato? Io sì) non è
una terapia. Hanno decretato che una ragazza cui vanno tutti i miei auguri era, secondo il
capo del governo, una nipote d'Egitto. Scherzi da prete, seriamente argomentati e votati da
uomini (e donne) adulti e ben pagati: al cui colmo sta lo scherzo da vescovo per il quale la
persona non può decidere di sé, della propria nutrizione forzata, della rinuncia a cure non più
volute e anzi temute e aborrite. Si è detto mille volte che il risvolto paradossale di questa
orrenda prepotenza sta nella diffusa indifferenza al bisogno di aiuto morale e materiale di
coloro che, a costo di ogni sofferenza, desiderano continuare a essere curati e a vivere. Si
usa come un esorcismo la parola "eutanasia", facendone il sinonimo del rifiuto
dell'accanimento della cura. E si ignora la differenza da chi rivendica una libertà per sé
battendosi perché a ciascun altro sia assicurata la stessa libertà, anche quando si traduca in
scelte opposte. È questa, oltre alla constatazione di un governo e una maggioranza
parlamentare di introvabile ottusità e arroganza, la ragione vera della superfluità di una legge,
che non vuole garantire a tutti un diritto, ma solo negarlo ad alcuni (e gli alcuni sono per di più
la maggioranza dei cittadini: ma sarebbe lo stesso se si trattasse della minoranza di uno).
Ecco, mi sono di nuovo fatto prendere la mano e scrivere parole solenni, così fuori posto nella
tragicommedia in corso.
Torniamo alle frasi firmate da Berlusconi, e in particolare a quel piccolo argomento che
capovolge il principio, quella minuscola riserva: "Se non ci fossero tribunali...". Ipotesi sentita,
quasi sognante: "Se non ci fossero tribunali", come sarebbe bella la vita, e il fine vita.
La conclusione necessaria della lettera di Berlusconi sarebbe un'ennesima, e appena più
drastica e universale, riforma della giustizia: l'abolizione dei tribunali. Ma qui la lettera ha
esitato, le è mancato, nonostante tutto, il coraggio. Per questo, i tempi non sono ancora
maturi. Dunque accontentiamoci dell'espropriazione dei corpi agonizzanti che la nostra legge,
"sintesi e mediazione alta", consente. "Noi liberali, cristiani, socialisti, riformisti, credenti di fedi
diverse e non credenti- scrive la lettera - noi moderati, insomma, siamo convinti che la libertà,
bene prezioso, non possa arrivare a negare la vita". Tutti gli altri, noialtri, neghiamo la vita.
Mah.
Dirò un'ultima cosa seria a Berlusconi e a chi per lui. Questa legge solleva in tante persone di
ogni età e condizione d'animo e di salute una paura, un'offesa e uno scandalo tali che potrà
diventare il fomite di decisioni estreme, dettate dalla volontà di sottrarre sé o i propri cari a
una violazione e una sofferenza senza riparo.
Ci pensi, chi abbia ancora a che fare con la vocina della coscienza.
2078-ASSISTENZA SPIRITUALE: RIPENSARLA IN OSPEDALE - DI MARCO ACCORTI (*)
da: la Repubblica edizione Firenze di giovedì 28 aprile 2011
È passata in consiglio regionale con il voto del Pd la mozione del Pdl in cui si invita a
«confermare e rafforzare gli accordi tra Regione Toscana e Conferenza Episcopale Toscana
affinché ad ogni cittadino-paziente che ne manifesti la volontà, possa essere garantita
l'assistenza religiosa», un invito a «ogni singola Asl a valorizzare queste presenze attraverso
la stipula o il rinnovo di apposite convenzioni con le autorità ecclesiastiche locali».
L’assistenza spirituale negli ospedali toscani costa già ai cittadini almeno 2 milioni e 150.000
euro l'anno e i beneficiari saranno 2 suore infermiere e i 77 sacerdoti già oggi assunti, più
almeno altri 6 fra Siena e Prato: un manipolo di religiosi cattolici ingaggiati e inquadrati negli
organici ospedalieri toscani in virtù di un'intesa fra Regione e la Cet; si badi bene non accordi
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o convenzioni come recita la mozione, ma un'intesa, un atto dello stesso valore dei Patti
lateranensi e come tale modificabile solo con la concorrenza delle due parti. Intesa, ormai da
anni in vigore, che garantisce il privilegio solo alla confessione cattolica di avere degli
operatori assunti con un lauto contratto per offrire lo stesso servizio di assistenza spirituale
che tutte le altre confessioni offrono gratuitamente.
Questa mozione votata bipartisan è l'occasione per riflettere e per decidere se non vi siano
nuovi elementi per rivedere precedenti decisioni: se la Chiesa cattolica fino ad oggi ha goduto
di particolari privilegi niente deve cambiare nei rapporti reciproci. Non ci si domanda se quella
Chiesa e la società siano sempre le stesse, se le condizioni siano cambiate, se i tempi e le
relazioni umane non inducano a riconsiderare scelte pregresse. Eppure basta guardarsi
attorno e ci si accorge che i Comuni e le Regioni sono costretti a raschiare il fondo del barile
per non cancellare quel poco di welfare che è rimasto, il precariato è diventato una
condizione stabile come la mancanza di lavoro e la Chiesa cattolica non occupa più una
posizione indiscussa fra la popolazione. Solo il 37 per cento dei contribuenti dedica il proprio
8x1000 alla chiesa cattolica e ancor minore è la percentuale dei fedeli praticanti.
Perché dunque, visto che la logica pattizia prevede espressamente di rivedere gli accordi,
non ridiscutere se non sia opportuno permettere alle istituzioni di chiedere ai cattolici
un'assistenza spirituale negli ospedali gratuitamente al pari delle altre confessioni in modo
che con gli stessi soldi l'Asl, visti i vuoti di organico, assuma qualche infermiere in più.
Sarebbe un atto sicuramente molto apprezzato, caritatevole, rivolto a chi soffre e ha bisogno
di assistenza, ma anche una speranza in più per chi non ha lavoro.
Insomma non importa essere non credenti per constatare quanto sia strano che non ci si
domandi se è così che Pd e Pdl pensano di stare vicino alla Chiesa?
(*) Marco Accorti è membro del circolo UAAR di Firenze nonché socio di LiberaUscita
2079 - NON SI LEGIFERA SECONDO LE TRADIZIONI RELIGIOSE – DI R. MORELLI
da: www.liberali.it di sabato 30 aprile 2011
Il Presidente FdL Raffaello Morelli ha dichiarato:
"Il Presidente del Consiglio ha tutto il diritto di dire che il Parlamento non dovrebbe mai
varare una legge contraria e negativa dei valori della tradizione cristiana, come appunto sta
facendo con la legge sulla bioetica. Peraltro, dicendolo, mostra ancora una volta la sua
lontananza da ogni principio liberale. Per i liberali il Parlamento italiano è tenuto a legiferare
costituzionalmente secondo i valori della libera convivenza civile tra cittadini, a prescindere
dalle convinzioni religiose di ciascuno. Proprio per assicurare a tutti la piena libertà di
religione.
Il testo sul Testamento Biologico voluto dalla maggioranza non rispetta questi principi e
subordina la libertà del cittadino ad un'autorità esterna. Il Presidente del Consiglio accetta
questa impostazione dei cattolici chiusi per ottenerne consenso elettorale. Ma sappia che
nella storia, alla lunga, simili furbizie di potere sono sempre finite sconfitte. E l'opposizione,
almeno su questo tema essenziale, sarà capace di assumere senza contorcimenti una
posizione coerente con la laicità istituzionale? "
2080 – UK: NON CE LA FACCIO PIÙ, AMORE UCCIDIMI. ASSOLTO
da: www.giornalettismo.com del 10 marzo 2011
L’amore ogni oltre confine, che ti accompagna alla morte. Non deve essere stato facile per
Michael Bateman, inglese del West Yorks che due anni fa ha ucciso la moglie dopo esplicita
richiesta di lei che soffriva da 40 anni di un male incurabile, e ha chiesto all’uomo della sua
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vita di aiutarla a farla finita. Non era vita per lei, e chi più del marito avrebbe dovuto
accompagnarla alle soglie dell’altra vita?
Michael Bateman ha messo una borsa sulla testa di sua moglie Margaret, inserendo poi un
gas che l’ha lentamente uccisa nella casa della coppia a Batley, West Yorks, nell’ottobre
2009. Un indagine da parte della Polizia del West Yorkshire è stata subito attivata ma il
procuratore della Corona ha deciso di non esercitare l’azione penale “non essendo di
interesse pubblico”. Il 9 marzo 2011 l’inchiesta riguardo la morte della signora Bateman si è
arricchita di un particolare ulteriore: il marito, consulente informatico, ha praticato il suicidio
assistito alla moglie e del fatto era informato anche il figlio Richard, che ha lasciato la casa
dei genitori prima della morte della madre.
“Ho visto il video degli ultimi momenti di questa donna, ed è uno dei più destabilizzanti che io
abbia mai visto”. Avendolo visionato, il procuratore si è definitivamente convinto della non
necessità di aprire un processo a carico dell’uomo.
“Ho concluso che l’azione penale in questo caso non sarebbe di interesse pubblico perché la
signora Bateman, che ha sofferto per malattie croniche per decenni, aveva il chiaro e
circostanziato intento di suicidarsi. Le interviste con il marito e con i figli della coppia lo hanno
evidenziato fuor di ogni dubbio”.
L’uomo non rinuncia alla fierezza della sua storia e dichiara che la priorità vera sarebbe
quella di attrezzare il paese con strutture che non debbano costringere i cittadini a procedere
da soli in situazioni così delicate.
Parlando della morte della moglie, Bateman, che nel frattempo ha avuto una diagnosi per
cancro al midollo spinale, ha affermato che la famiglia è stata posta in una “situazione
intollerabile. Siamo stati sposati per 40 anni e poco più. Era una donna coraggiosa che ha
vissuto in agonia per molti anni. Era in salute una volta. Margaret aveva intenzione di lasciarsi
morire di fame, ma venne minacciata di essere trasportata in ospedale e cibata di forza”.
Per Bateman ci vorrebbero “più strutture come la clinica Dignitas nel Regno Unito”.
Il racconto di Bateman ricalca per più punti il caso italiano di Eluana Englaro: anche la signora
Bateman voleva interrompersi il supporto vitale alimentare, ma i medici inglesi minacciarono
di reinserire il sondino di forza.
Forse il problema, ormai, supera i confini nazionali e ha davvero bisogno di una parola chiara
per tutti. Ne va della dignità dell’uomo.
2081 - SPAGNA: L’ARAGONA APPROVA LA LEGGE SULLA MORTE DIGNITOSA
da: Aduc salute n. 13/2011
Dopo la legge sull'eutanasia il Governo spagnolo affronterà anche quella sulla morte
dignitosa e le cure palliative: pronto il progetto, si attende il Consiglio dei ministri.
Alcune comunità autonome possono legiferare per conto proprio, come ha fatto l'Andalusia a
novembre del 2010. Ora è la volta dell’Aragona. “Diritti e garanzie della persona nel percorso
verso la morte”: così si chiama la legge che questa comunità ha approvato giovedì 24 marzo
con il voto favorevole del Psoe, Chunta e PAR e il voto contrario del Ppe.
La legge presenta alcune novità rispetto al testo andaluso, come fa sapere il deputato della
IU (Sinistra Unita) Adolfo Barrena: "prevede sanzioni per chi non la applica; include in modo
obbligatorio la storia clinica del paziente e delle sue volontà anticipate, se ci sono; prevede i
diritti dei minori (maggiori di 14 anni) per accordarsi su un documento di volontà anticipate, se
hanno sufficiente capacità per comprenderlo".
Tutto ciò è stato possibile grazie alla legge aragonese sul Diritto della Persona, che prevede il
diritto ad essere informati sulla propria malattia e decidere in merito.
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2082 - SOUTH AUSTRALIA: CRISTIANI SOSTENGONO L’EUTANASIA - DI C. HINDS
da: Christian Today del 31 marzo 2011 – traduzione per LU di Alberto Bonfiglioli
L’eutanasia é nuovamente in prima pagina dopo che il parlamento dello stato del South
Australia ha predisposto un disegno di legge che prevede l’assistenza assistenza legale per i
medici che nel caso di malati terminali potrebbero essere accusati di assistenza al suicidio.
Tradizionalmente cristiani, chiese e gruppi di pressione quale l’Australian Christian Lobby, si
sono opposti con veemenza
a ogni forma di eutanasia. Adesso si evidenzia un
cambiamento.
Il movimento, Christians for Voluntary Euthanasia, fondato nel 2009 da un sacerdote battista
in pensione, ha avuto un ruolo significativo nell’ottenere il sostegno dei parlamentari dello
stato del South Australia. Attualmente il fondatore di questa organizzazione, Reverendo
Trevor Bensch, ministro della chiesa battista del North Adelaide e attualmente cappellano in
un ospedale, é stato menzionato dall’Australian Greens Party come uno dei personaggi più
influenti nel convincere i parlamentari ad appoggiare il menzionato disegno di legge.
Il Reverendo Bensch dice che la principale finalità di Christians for Voluntary Euthanasia “é
far conoscere che molti Cristiani impegnati considerano la scelta dell’eutanasia volontaria
coerente con il messaggio di Gesù d’amore e compassione”. Ha detto inoltre che “ogni
asserzione in materia dovrà essere moderata, rispettosa e basata sui fatti”. “Siamo un gruppo
ecumenico, in cui sono rappresentati cattolici, anglicani, luterani, battisti, membri della Chiesa
di Cristo e Testimoni di Jehovah, che rende esplicita la sua volontà d’influenzare il pensiero,
educare e informare gli altri cristiani sul fatto che anche loro possono appoggiare l’eutanasia
volontaria. I Cristiani che sostengono questa opzione indirizzano i loro sforzi a convincere il
pubblico attraverso i media che esiste un forte sostegno della cittadinanza, compresi i più
illuminati cristiani, al diritto di decidere sulla fine della propria vita, contrariamente alla
disinformazione diffusa sulla opposizione religiosa a che ogni persona possa arrivare ad una
morte dignitosa e libera di dolori”.
Anche se rimangono dubbi sull’appoggio che potrebbe venire dalle chiese e dal mondo
cristiano in generale, appare chiaro in ogni caso che Christians for Voluntary Euthanasia sta
fortemente influenzando il dibattito su questa materia.
L’attuale disegno di legge del parlamento del South Australia è stato rimesso a un comitato
parlamentare per un ulteriore esame prima di essere sottoposto alla votazione finale nei
prossimi mesi.
2083 – UK: DONNA VA A MORIRE IN SVIZZERA
da: Aduc salute n. 4/2011
E' riesploso il dibattito nel Regno Unito sull'eutanasia dopo il caso di una anziana di 84 anni,
non malata terminale, che si è recata in Svizzera per mettere fine ai suoi giorni.
Nan Maitland soffriva di artrite, una condizione che la costringeva ad una esistenza "più di
dolore che di piacere". E lei non è era più disposta a sopportarlo.
La donna è stata aiutata da un medico inglese, Michael Irwin, nome noto al capo della
Procura generale del regno, Keir Starmer, per aver già assistito in Svizzera, almeno otto
persone per lo stesso motivo. Sia il medico che la "paziente" sono stati sempre mobilitati a
favore della morte dolce: entrambi militavano nella Society for Old Age Rational Suicide di cui
la signora era anche un membro fondatore.
Convinta a morire, prima di affrontare il suo ultimo viaggio volando in Svizzera, Nan Maitland
ha lasciato un biglietto ai suoi tre figli. "Quando lo avrete letto, io sarò già addormentata,
grazie ai buoni svizzeri", ha scritto, citata dal Mail Online. "Mi sento molto sollevata all'idea
che non avrò più bisogno di combattere giorno dopo giorno con i miei dolori con la prospettiva
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di tempi sempre peggiori", ha aggiunto. "Vi prego - scrive ancora la signora ai figli - siate felici
per me che sono riuscita a sottrarmi a tutte queste pene". Secondo il tabloid, la Maitland ha
fatto un lauto pranzo di tre ore con degli amici in un ristorante di un hotel a cinque stelle prima
di recarsi in clinica a bordo di una limousine con tanto di autista.
La magistratura britannica fino ad oggi ha sempre evitato di perseguire coloro che aiutano le
persone a togliersi la vita nelle cliniche svizzere che praticano l'eutanasia, nella fattispecie la
Dignitas e la Ex International. Tuttavia anche il caso della signora Maitland sarà indagato: la
giustizia deve assicurarsi che non si sia trattato di un suicidio assistito che nel Regno Unito
non è ammesso e i colpevoli rischiano fino a 14 anni di reclusione.
2084 – LUSSEMBURGO: 5 CASI DI EUTANASIA IN 2 ANNI. TUTTI REGOLARI
Cari amici di WF,
il Lussemburgo ha approvato la legge sull'eutanasia 2 anni fa, e ora la Commissione di
controllo ha trasmesso la sua prima relazione ai membri del Parlamento.
In due anni si sono registrati solo 5 casi di eutanasia: sono stati tutti controllati e non hanno
dato motivi di osservazioni da parte della Commissione di Controllo.
I migliori auguri a tutti i nostri amici della World Federation.
Marthy Putz
2085 - FRANCIA, SPAGNA, INGHILTERRA: QUANDO SI PUÒ STACCARE LA SPINA
da: il Mattino di giovedì 28 aprile 2011
In Francia la legge è del 22 aprile 2005, in Olanda nel 2001. Ecco «le regole» adottate nel
resto d’Europa.
Francia. La legge autorizza il medico a prendere la decisione di limitare o anche interrompere
il trattamento se il malato non è in grado di esprimere la propria volontà. Si prevede che «atti»
scientificamente ritenuti inutili possono essere sospesi o non iniziati affatto. Se si è
maggiorenni si può esprimere anticipatamente la propria volontà su limiti o cessazioni di
trattamenti medici se non si dovesse avere più la facoltà per esprimersi.
Spagna. La legge è del 14 novembre 2002. Sancisce il «rispetto dell’autonomia del
paziente», ovvero il malato può sottoporsi o rifiutare alcuni trattamenti. Per coloro che non
sono in grado di decidere, per problemi fisici o psichici il consenso viene dato da un delegato
del paziente o dai familiari.
Inghilterra. Dal 1 ottobre 2007 è in vigore il «Mental Capacity Act» che ha istituito un quadro
giuridico per le persone incapaci di prendere decisioni in modo autonomo e per le
dichiarazioni anticipate di volontà. Si prevede, quindi, la compilazione di un modulo in cui
siano specificati i tipi di trattamento che si vogliono rifiutare ma si può anche delegare un
terzo a decidere per lui se non fosse più in grado di decidere. Olanda. Le norme sono del
2001. Si prevede perfino il livello di «assistenza al suicidio», che si compie assistendo il
malato o fornendogli i mezzi: sono però previste commissioni regionali di controllo. Per i
malati tra i 16 e i 18 anni, la richiesta è legale solo se i genitori o il tutore siano stati coinvolti
nella decisione.
2086 - MODENA: PRESIDIO CONTRO IL DDL CALABRÒ
Il 2 aprile 2011 l'associazione LiberaUscita ha organizzato a Modena, insieme al "Comitato
art. 32" un presidio in largo San Giorgio (in pieno centro cittadino) per protestare contro il ddl
Calabrò, che doveva essere discusso alla Camera agli inizi del mese e poi rinviato alla fine di
Aprile. Lo scopo del presidio era quello di informare i cittadini sul tentativo da parte della
maggioranza parlamentare di privarci della nostra libertà di scelta sul fine-vita e sulle cure da
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accettare o rifiutare. Senza voler giudicare nè condizionare le singole scelte personali, è
profonda convinzione delle predette associazioni che la miglior garanzia per una "decisione
libera" sia un'adeguata informazione.
Mi permetto a questo proposito di riportare una condivisibile riflessione della nostra
Presidente prof.ssa Maria Laura Cattinari: "Contro il nostro diritto all'autodeterminazione nel
fine-vita è in atto una reazione senza argini che fa capo alle alte gerarchie ecclesiastiche da
sempre accanitamente contrarie all'autodeterminazione della Persona, non solo nelle cure ma
nell'intera sua vita. Non va però sottovalutato il fatto che possono esserci persone che in
buona fede, in coscienza e non per sete di potere, temono che l'autodeterminazione nel fine
vita possa aprire la strada a subdole induzioni a richieste eutanasiche non frutto di libera
scelta bensì di condizionamenti esterni (familiari e/o sociali). A questa preoccupazione
occorre dare una risposta chiara e convincente perché proprio ciò che a noi preme è il
rispetto della volontà di ogni singola persona. La nostra bussola è la libertà di scegliere".
Con l’occasione è stato allestito un tavolo con materiale informativo della nostra
associazione, con il dépliant del Comune relativo al registro dei testamenti biologici istituito
all'Anagrafe, con i modelli per redarre le proprie dichiarazioni di volontà anticipate.
Davanti ad un gruppo sempre più numeroso, formato non soltanto da soci di LiberaUscita e
delle altre associazioni facenti parte del Comitato art. 32, ha iniziato a prendere la parola
Maria Laura Cattinari che ha spiegato il perché dell’iniziativa.
Singole persone come le signort Lorenza Piccinini e Margherita Fornari ci hanno fatto parte
delle loro dolorose esperienze familiari.
Quindi la sottoscritta, Riccardo Macchioni (responsabile dei Radicali Italiani di Modena) e il
signor Sciasci (in rappresentanza dell'Alleanza delle chiede evangeliche in Italia) hanno
modo vario affrontato il tema che ruota intorno all'art.32 della Costituzione, che recita
testualmente: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non
per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana”.
Da segnalare anche il bell'intervento di Chiara Marzocchi, socia sia di Libera Uscita che
dell'UDI (Unione delle Donne in Italia), associazione che è stata presente e ha collaborato
fattivamente all’iniziativa.
Durante il presidio molte persone si sono avvicinate per avere documenti informativi, porre
domande, esprimere la loro vicinanza o farci parte dei loro dubbi e/o incertezze. Maria Laura
Cattinari e Maria Elinda Giusti (del Comitato Direttivo di LiberaUscita) hanno avuto una
risposta e una parola per tutti. Una quarantina di persone hanno lasciato il loro recapito per
essere contattate per future iniziative. C'è stata anche una nuova iscrizione 2011 e un rinnovo
tessera.
In chiusura di un pomeriggio molto positivo la Presidente Maria Laura Cattinari ha letto brani
tratti dal bel libro "Gli ultimi giorni di Eluana" di Amato de Monte e Cinzia Gori presentato a
Modena il 23 novembre scorso da LiberaUscita e dal Comitato Articolo 32.
Elena Finelli
2087 - OMOFOBIA E INTOLLERANZA – DI GIAMPIETRO SESTINI
Lettera inviata alla Consulta laica romana il 22 aprile 2011
Cari amici della Consulta laica romana,
avrete letto sulla stampa di oggi gli insulti (ai forni crematori vi devono mandare...) rivolti a
due donne colpevoli di volersi bene.
La notizia è stata pubblicizzata perché coinvolge una parlamentare, ma non è che la punta
dell'iceberg di intolleranza che sta permeando l'intero paese.
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Poiché il fatto è accaduto nel pieno centro di Roma, propongo a Flavia (coordinatrice della
Consulta romana) di diramare in merito, se possibile entro oggi, un comunicato stampa della
Consulta laica di Roma, corredato dalle sigle di tutte le associazioni aderenti.
Con l'occasione, considerato che Roma è la sede dello Stato del Vaticano e che il tema
dell'amore è continuamente propagandato dalla Chiesa, forse sarebbe il caso di porre al suo
Governatore, Papa Ratzinger, una sesta domanda rispetto alle cinque cui ha risposto poco fa
nella trasmissione su RAI UNO "A sua immagine", e cioè: "L'amore è un concetto universale
o riguarda soltanto gli esseri umani di sesso diverso?".
Nel secondo caso, non si tratterebbe di "amore", bensì di sesso, peraltro limitato a solo fine
riproduttivo, considerata la nota contrarietà della Chiesa agli anticoncezionali.
Cordiali saluti
Giampietro Sestini
Da: Anna Paola Concia ([email protected])
Inviato: mercoledì 27 aprile 2011 14.44.10
Grazie davvero di cuore!
Anna Paola Concia
2088 - SULLA MIA VITA SCELGO IO - CRONACA DEL 27 APRILE
Nella mattinata del 27 aprile si è tenuta presso la sala stampa della Camera dei Deputati la
preannunciata Conferenza indetta dal Coordinamento Laico Nazionale sul tema "Sulla mia
vita scelgo io". Sono intervenuti i portavoce del CLN, Maurizio Cecconi e Cinzia Gori, e
l'assessore all'XI Municipio di Roma Andrea Beccari.
I deputati che dovevano partecipare non hanno potuto essere presenti per i noti impegni
parlamentari connessi all'inversione dell'ordine dei lavori votato dalla Camera su richiesta
dell'UDC.
Dopo alcune domande dei giornalisti presenti il sottoscritto è intervenuto leggendo il giudizio
espresso dal prof. Stefano Rodotà sul citato ddl, da lui ritenuto "ideologico, autoritario,
menzognero, sgrammaticato e incostituzionale".
Successivamente, a partire dalle ore 14, davanti a Montecitorio si è tenuta una
manifestazione pubblica indetta dall'Associazione Luca Coscioni sullo stesso tema della
Conferenza.
Non avendo aderito ufficialmente a tale iniziativa né il CLN né la Consulta laica romana, il
sottoscritto ha comunque partecipato a titolo personale, affiancando così Mina Welby,
componente della Direzione "Luca Coscioni" ma anche socia onoraria di "LiberaUscita".
Si riporta qui sotto il manifestino della conferenza, sottoscritto da tutte le associazioni aderenti
al CLN.
Giampietro Sestini
Manifesto sul testamento biologico e sul fine-vita
Sulla mia vita scelgo io
No al disegno di legge Calabrò
“Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana”.
Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 32.
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Noi associazioni aderenti al Coordinamento Laico Nazionale siamo unite dai seguenti principi
e intendimenti:
• la difesa della laicità delle Istituzioni e della democrazia, premessa ineludibile per il rispetto
di TUTTE le molteplici diversità presenti nella società italiana, diversità politiche, religiose,
etniche, di genere e di orientamento sessuale, rispetto sempre più indispensabile nella
società moderna, sempre più plurale e globalizzata;
• la difesa e il rispetto dell'autodeterminazione terapeutica, diritto soggettivo perfetto,
garantito dall'articolo 32 della Costituzione.
Fermo restando che TUTTI hanno diritto alle cure e all’assistenza, l'articolo 32 della
Costituzione riconosce ad ogni singola persona il diritto di non curarsi, anche se tale condotta
può esporla al rischio della morte.
La volontà espressa dalla persona, doverosamente informata, è il presupposto della stessa
liceità del trattamento sanitario, che per sua natura ricomprende anche l’alimentazione e
l’idratazione forzata in quanto presuppone l’intervento di sanitari e della somministrazione di
farmaci.
Tale diritto viene riconosciuto in maniera indiscutibile a chi è in grado di intendere e di volere:
negarlo a chi ha perso queste capacità significa disconoscere il suo essere “una persona”,
spogliarlo dei suoi diritti, calpestare la sua dignità, disconoscere la Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani. Se alcune cautele sono ovviamente necessarie, esse attengono unicamente
alla verifica della reale volontà della persona (testamento biologico) e alle garanzie che essa
sia attuata.
Per questi motivi diciamo NO, con fermezza, al ddl Calabrò, nella consapevolezza che la vita
del diritto e il diritto alla propria vita s'intrecciano indissolubilmente.
2089 - SOLIERA (MO) - APPROVATO IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI
Con vera gioia comunico che nella serata del 28 Aprile il Consiglio Comunale di Soliera di
Modena, a grande maggioranza, ha approvato una mozione con cui si chiedeva l'istituzione
del Registro dei testamenti biologici. Soliera è il dodicesimo Comune della Provincia di
Modena che ha istituito il registro.
E' stato fatto un lavoro enorme per arrivare a questo risultato, un lavoro durato molti mesi e
frutto dell'impegno di tante e tanti e a cui LiberaUscita ha dato il proprio fattivo contributo
Il 30 aprile LiberaUscita, sollecitata dalla cittadinanza, sarà a Castelvetro di Modena per dar il
via alla raccolta firme per il Registro anche in questo Comune.
Maria Laura Cattinari
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2090 - LE VIGNETTE DI STAINO – MAMMA, AFFOGHIAMO?!
2091 - LE VIGNETTE DI ARNALD – NON POSSIAMO SPARARE, PER ORA…
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.
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