Pagine Moncalvesi n. 9 - luglio 2000

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Pagine Moncalvesi n. 9 - luglio 2000
Bollettino della Biblioteca Civica "Franco Montanari" di Moncalvo - Asti
Anno V - n. 9 luglio 2000
Supplemento a "Il Platano" Rivista di Cultura astigiana
SOMMARIO
● Editoriale
Massimo Carcione Diffusione, informazione e sensibilizzazione: funzioni strategiche per la
protezione del patrimonio culturale
Alessandro Allemano I fatti di Aigues Mortes (agosto 1893) e le loro ripercussioni in Monferrato
Paolo Cavallo Prospetto sinottico delle collocazioni organarie nel Monferrato moncalvese nel
corso del secolo XIX
Antonio Barbato Archivi storici: ordinamento, conservazione e valorizzazione
Corrado Camandone Caro Don Verri con te è scomparsa una personalità e un amico
Angela Biedermann Incontro con l'architetto don Angelo Verri
Maria Teresa Gavazza Appunti su mito e poesia in Cesare Pavese
Riletture
Due sonetti "estivi" di Cesare Vincobrio riletti e commentati da Corrado Camandone
Curiosità
Cronaca spicciola del 1893
Notizie e recensioni
Conferenza dell'architetto Antonella Merletto sul Giubileo
La Biblioteca ha vinto un premio
Presentazione del volume "Pennellate di memoria" di Armando Brignolo
Visita del Generale Arturo Marcheggiano
Presentazione del catalogo "Preja, moun, coup e cantoun"
Acquisto di nuovi libri –
Dono di libri –
Riviste e libri giunti
Recensione del libro "Tristezza dello storico. Possibilità e limiti della storiografia" di Henri-Irénée
Marrou a cura di Maria Teresa Gavazza
Veduta del Palazzo civico negli anni '20 (g.c. Marcello Cambiaso) Il complesso alla fine del '500 apparteneva al pittore
Guglielmo Caccia, che nel 1622 richiese al Vescovo di Casale l'istituzione di un convento di monache Orsoline in
Moncalvo, donando la sua casa alla congregazione. Soppresso il convento con la dominazione francese (1802), l'edificio
venne acquistato dalla famiglia Minoglio: nel 1883, alla morte del professor Alberto Minoglio, insegnante, ex deputato al
Parlamento subalpino e già Sindaco di Moncalvo, la vedova Vittoria Bertarelli vendette il complesso al Municipio, che vi
installò la propria sede. Nell'ex convento trovarono posto anche le scuole elementari, la pretura, l'ufficio postale e
l'agenzia delle tasse (poi ufficio delle imposte).
APPELLO AI LETTORI
Per arricchire di documentazione la sezione di storia locale della Biblioteca civica rivolgiamo un appello a
tutti i Lettori che posseggano annate dei seguenti periodici:
La Buona Parola (dal 1934 in poi)
L'Eco del Monferrato
L'Eco moncalvese (dal 1975 in poi)
a contattare la Direzione della Biblioteca.
I giornali saranno trattati con ogni cura e precauzione, fotocopiati e riconsegnati ai
proprietari in brevissimo tempo.
Chi collaborerà riceverà in omaggio una pubblicazione. Si ringraziano quanti hanno già raccolto l'appello.
È vietata la riproduzione di testo e immagini contenuti in questo
Bollettino senza l’autorizzazione scritta della Redazione anche per
quanto riguarda le "pagine Internet" per le quali tuttavia è consentito
il "link" alle pagine stesse.
“Non viaggio senza libri, né in pace né in guerra.
È il miglior viatico che abbia trovato in questo viaggio umano”
Michel de Montaigne, scrittore francese (1533-1592)
EDITORIALE
Ancora una volta, e per il quarto anno consecutivo, “Pagine Moncalvesi” torna ad
incontrare i Lettori, e torna con una veste in parte migliorata, almeno per quanto riguarda
la riproduzione delle immagini.
Anche gli articoli di questo numero 9, tutti inediti, sono interessanti e di “respiro” tanto
ampio da soddisfare gli interessi di quante più persone possibile: accanto all’ormai
tradizionale apertura sul tema della protezione dei beni culturali c’è la storia locale -ma
non riduttivamente locale- con una ricostruzione dei fatti di Aigues Mortes; c’è poi il ricordo
di un sacerdote intelligente e garbatamente polemico, don Angelo Verri, c’è la trattazione
divulgativa dell’archivistica, c’è un altro contributo di Paolo Cavallo sulla storia della
musica sacra in Monferrato, c’è un articolo della nuova collaboratrice Maria Teresa
Gavazza che commemora Cesare Pavese a 50 anni dalla scomparsa, c’è infine la rilettura
di altri due bei simpatici sonetti dell’ineffabile Vincobrio.
Dalla rubrica delle notizie il Lettore apprenderà quali e quante siano state le iniziative
intraprese dalla Biblioteca civica di Moncalvo negli ultimi sei mesi. Un avvenimento in
particolare ci ha fatto piacere, lusingandoci grandemente: il conferimento del I° Premio “ex
aequo” attribuito ogni anno da due associazioni di Sinio, nelle Langhe albesi, alle
istituzioni che più si sono distinte nel campo della promozione culturale.
Sarà di certo, questo riconoscimento, uno stimolo per ancor meglio operare al servizio
della collettività.
Alessandro Allemano
Presidente del Consiglio di Biblioteca
Antonio Barbato
Direttore Biblioteca e Archivio Storico
Massimo Carcione
DIFFUSIONE, INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE:
FUNZIONI STRATEGICHE PER LA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE
In questo articolo, tradizionalmente dedicato al tema della tutela del patrimonio culturale, il dottor
Massimo Carcione, funzionario dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Alessandria,
Consigliere regionale della CRI e Consigliere della SIPBC, che il 24 giugno 2000 presso la
Biblioteca civica di Moncalvo ha presentato gli atti del 3° Convegno internazionale della Società
Italiana per la Protezione dei Beni Culturali (SIPBC), puntualizza le linee guida per una maggiore
e capillare informazione sul problema della salvaguardia del patrimonio storico-artistico.
In appendice vengono riportati i passi più significativi del Secondo Protocollo sulla protezione dei
beni culturali in caso di conflitto armato redatto all’Aja nello scorso anno.
In logica sistemica, le funzioni di diffusione e informazione possono correttamente identificarsi con
quelle funzioni (definite nel gergo del marketing come reporting e feed back) necessarie per
consentire la circolazione presso tutti gli utenti attuali o potenziali dell’informazione e
dell’esperienza acquisita.
Io credo infatti che chi si occupa diffusione della normativa di protezione dei beni culturali nei
conflitti armati non può e non deve limitarsi alla semplice divulgazione delle norme
internazionali.[1]
La Convenzione dell’Aja del 1954 e il suo primo Protocollo aggiuntivo hanno sofferto fino ad oggi
di scarsa efficacia e concretezza non solo perché poco conosciute, ma anche a causa delle rarissime
e assai poco studiate occasioni di applicazione concreta: è per questa ragione che l’esperienza
dell’ex-Jugoslavia non deve più restare nel limitatissimo ambito degli addetti ai lavori, come è
avvenuto in passato per il Libano o la Cambogia, o più di recente per i conflitti Iran-Iraq e IraqKuwait. In questo spirito, si era già tentato di portare un contributo, invitando al Convegno
Internazionale tenutosi nel 1997 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Piemonte
Orientale “Amedeo Avogadro” (Alessandria) una rappresentante della Soprintendenza di Karlovac
(Croazia)[2] e i responsabili dell’attività di censimento dei danni al patrimonio culturale di
Sarajevo, svolta da personale del Contingente Italiano in Bosnia[3]. Un’altra importante occasione
di informazione e riflessione è stata costituita dal recente Convegno “Guerra e beni culturali”
(Venezia, 30 marzo - 1 aprile 2000) organizzato dalla Facoltà di Architettura dell’Università di
Venezia. Prima di affrontare l’argomento della diffusione della normativa internazionale in ambito
civile[4], è opportuno presentare brevemente le Organizzazioni che in questo specifico settore
operano in ambito nazionale:
-La Croce Rossa può sicuramente costituire per lo Scudo Blu un valido esempio e supporto, dal
momento che a livello internazionale opera da più di 130 anni in tutti i conflitti a tutela delle vittime
della guerra e dei loro diritti, mentre in Italia gode di un rapporto privilegiato ed estremamente
proficuo sia con l’ambiente militare che con quello universitario; attraverso la sua “Commissione
Nazionale per la Diffusione del Diritto Internazionale Umanitario”, oggi presieduta dal Prof. Paolo
Benvenuti, la C.R.I. svolge dal 1985 un’efficace ed apprezzata attività di diffusione capillare del
D.I.U. -e con esso della Convenzione dell’Aja del 1954 - rivolta al proprio personale, alla
popolazione civile e, da qualche anno, anche alle Forze Armate. La Commissione ha promosso e
gestito, oltre ai corsi annuali a livello nazionale, decine di seminari e convegni a livello nazionale,
regionale e locale, due dei quali (Livorno 1994 e Tivoli 1998) specificamente dedicati alla
normativa internazionale di protezione del Patrimonio. È significativo il fatto che, grazie a questi
corsi, la Croce Rossa può disporre in tutta Italia di oltre 500 istruttori qualificati nel campo del
Diritto Internazionale Umanitario. Merita infine una menzione il fatto che la C.R.I. intende
realizzare e diffondere nei prossimi mesi uno specifico Manuale di Diritto Internazionale dei Beni
Culturali.
-L’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario (IIHL) di Sanremo ha promosso già nel trentennale
della Convenzione dell’Aja (1984) [5], a Firenze, la prima e più importante iniziativa internazionale
di studio e diffusione della materia; l’Istituto include da ormai trent’anni l’argomento della tutela
del Patrimonio nei suoi corsi annuali - che sono rivolti, come noto, al personale militare di tutti gli
eserciti del mondo - come pure nei suoi convegni e seminari internazionali.
-La Fondazione Europea Dragàn (FED) ha garantito la pubblicazione e diffusione degli atti del
convegno di Firenze appena ricordato, e più di recente dei Convegni della SIPBC di Alessandria e
Padova, svolgendo anche un’importante opera di sensibilizzazione ed informazione nel campo della
tutela dei monumenti.
-la Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali (SIPBC), fondata nel 1996 a Viterbo, per
iniziativa del Generale Arturo Marcheggiano, è un’associazione che vuole contribuire alla
diffusione e all’applicazione dei principi della Convenzione dell’Aja del 1954 per la protezione dei
Beni Culturali in caso di conflitto armato, nello spirito degli articoli 7 e 25 della Convenzione
stessa; essa opera in collaborazione con le altre Società europee omologhe (attualmente operanti in
Svizzera, Germania, Austria, Spagna e Romania, con la previsione di iniziative analoghe in
Portogallo e Grecia), nell’ambito della Lega delle Società per la Protezione dei Beni Culturali[6], al
fine di assicurare lo scambio di esperienze tecniche e pratiche.
Dopo avere delineato sinteticamente il quadro delle organizzazioni impegnate nell’attività di
sensibilizzazione e informazione della popolazione civile, è ora il momento di sviluppare meglio,
anche in chiave propositiva, il tema della diffusione, partendo dall’analisi della disposizione in
materia. La Convenzione dell’Aja del 1954 conteneva già due norme espressamente dedicate al
problema:
- l’Art. 7 (Misure di ordine militare), al comma 1, afferma che le Alte Parti contraenti “si
impegnano ad introdurre fin dal tempo di pace nei regolamenti o istruzioni ad uso delle loro
truppe, disposizioni atte ad assicurare l’osservanza della presente Convenzione, e ad inculcare, fin
dal tempo di pace, nel personale delle loro forze armate, uno spirito di rispetto verso la cultura ed i
beni culturali di tutti i popoli”.
-l’Art. 25 (Diffusione della Convenzione) vincola invece le Alte Parti contraenti “a diffondere il più
largamente possibile, in tempo di pace e in tempo di conflitto armato, il testo della presente
Convenzione e del suo Regolamento di esecuzione nei loro paesi rispettivi. Esse s’impegnano
specialmente ad incorporarne lo studio nei programmi di istruzione militare e, se possibile, civile,
in modo tale che i principi possano esserne conosciuti dall’insieme della popolazione, in
particolare dalle forze armate e dal personale addetto alla protezione dei beni culturali”.[7]
Il secondo Protocollo dell’Aja del 1999[8] - che, come noto, non entrerà in vigore fino al deposito
del ventesimo strumento di ratifica, e quindi presumibilmente non prima di qualche anno - mira ad
integrare la normativa appena riportata, specificando in modo più puntuale ed appropriato la
definizione dell’attività in esame:
-l’Art. 30 (Diffusione) statuisce al comma 1 che le Parti devono sforzarsi di “trovare sistemi
appropriati, in particolare programmi educativi e informativi, al fine di far meglio apprezzare e
rispettare i beni culturali da tutta la loro popolazione” e, al comma 2, sottolinea che dovranno
diffondere il Protocollo “il più capillarmente possibile, sia in tempo di pace sia durante un conflitto
armato”.
-lo stesso Art. 30, al comma 3, formula più puntuali indicazioni circa le misure di diffusione in
ambito militare che le Parti dovranno (o, meglio, che “se lo ritengono opportuno, dovrebbero”)
adottare: a) inserire nei loro regolamenti militari indicazioni e istruzioni circa la protezione dei
beni culturali; b) elaborare e mettere in atto, in cooperazione con l’UNESCO e le Organizzazioni
Governative e Non Governative pertinenti, programmi teorici e pratici sin dal tempo di pace; c)
comunicarsi reciprocamente, tramite il Direttore Generale, le informazioni concementi le leggi, le
disposizioni amministrative e le misure prese per dare efficacia agli alinea a) e b); d) comunicarsi
reciprocamente, il più rapidamente possibile, tramite il Direttore Generale, le leggi e le
disposizioni arnministrative che intendono adottare per assicurare l’applicazione del presente
Protocollo.[9]
Resto però fortemente convinto che queste misure, sicuramente valide ed efficaci, dovrebbero
essere integrate da una energica azione di sensibilizzazione e formazione (anche professionale) nel
campo delle iniziative di salvaguardia “sin dal tempo di pace”, così come delineate dall’art. 3 della
Convenzione del 1954 e specificate dall’art. 5 del II Protocollo del 1999; nel contempo, è
indispensabile una più convinta azione di educazione all’idea di Patrimonio dell’Umanità che
scaturisce dal Preambolo della stessa Convenzione, visto anche nell’ottica dell’art. 27 della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Solo così sarà veramente possibile “inculcare (...)
uno spirito di rispetto verso la cultura e i beni culturali di tutti i popoli”, che dovrà dunque
travalicare le mere ragioni di carattere estetico, artistico o architettonico: una finalità questa che a
mio sommesso avviso (mi rendo conto di parlare da giurista in una facoltà di architettura) andrebbe
perseguita in via assolutamente prioritaria. Ma l’aspetto più importante del problema è
l’individuazione dei soggetti attivi di questa azione di diffusione, che le Convenzioni internazionali
si ostinano ad individuare negli Stati (tramite le loro strutture di formazione militare e scolastica) e
nell’UNESCO - i quali nei primi 46 anni di vigenza della normativa di protezione non hanno certo
dato una buona prova - mentre sarebbe stato più corretto e realistico riconoscere almeno in questo
specifico settore un ruolo diretto ed istituzionale dell’ICBS, così come da quasi un secolo e mezzo
avviene per il CICR in ambito sanitario. Ciò non toglie che proprio nelle O.n.G. riunite sotto il
simbolo dello Scudo Blu si debba confidare per l’adempimento delle norme poc’anzi richiamate,
anche se va rilevato in proposito una certa difformità e incoerenza, almeno sulla base dell’analisi
degli scopi statutari delle singole Organizzazioni: difformità che si sta riflettendo in qualche misura
nel concreto impegno, da parte di ciascuna di esse, in ambito ICBS e che trova un certo riscontro
nella genericità del riferimento alla materia della protezione del Patrimonio contenuto nell’atto
costitutivo dell’UNESCO (Londra, 16 novembre 1945).[10]
Lo statuto dell’ICOM, ad esempio, indica all’articolo 3 quali obiettivi precipui dell’organizzazione
“incoraggiare e sostenere la creazione, lo sviluppo e la gestione professionale dei musei” e “far
conoscere meglio e comprendere la natura, le funzioni e il ruolo dei musei al servizio della società
e del suo sviluppo”: si tratta evidentemente di obiettivi rivolti alla categoria specifica dei
professionisti museali, che non considerano quindi, se non in modo indiretto, le problematiche di
protezione in caso di calamità e conflitti armati; l’unico riferimento in qualche modo pertinente alla
diffusione della normativa di cui ci stiamo occupando può essere ravvisato alla lettera e) dello
stesso articolo, che indica l’obiettivo di
“diffondere la conoscenza nei campi della museologia e delle altre discipline riguardanti la
gestione e le attività del museo”. Assai più pertinente è l’Articolo 5 degli Statuti dell’ICOMOS,
secondo il quale l’organizzazione, per conseguire i suoi scopi:
“Recueille, approfondit et diffuse les informations concernant les principes, les techniques et les
politiques de sauvegarde, de conservation, de protection (...) des monuments, ensembles et sites.
(...) Collabore sur le plan national et international à la création et au développement de centres de
documentation (...). Encourage l’adoption et la mise en oeuvre de recommandations internationales
concernant la protection, la conservation et la mise en valeur des monuments, ensembles et sites.
Collabore à l’élaboration de programmes de formation pour les spécialistes (...)”. Se ne deduce
che l’ICOMOS è un’organizzazione espressamente votata allo studio e alla diffusione della
normativa e dei principi in materia di protezione dei beni culturali, tra cui possono senz’altro
inserirsi anche le problematiche relative ai conflitti armati, che pure non sono espressamente
citate[11].
Per contro lo statuto della SIPBC indica quale scopo principale quello di “diffondere tra i membri
delle Forze Armate e nella popolazione il dettato e i principi della Convenzione dell’Aja del 1954”
e, solo in seconda istanza, “promuovere tutti gli sforzi per la salvaguardia e il rispetto dei beni
culturali”. Lo Statuto della Società italiana (1996), come pure quelli delle altre omologhe Società
europee e quello della loro Lega (1997) sono sostanzialmente ricalcati sul più “antico” statuto della
Società Svizzera, che è datato 14 maggio 1965. Si tratta dunque di associazioni non professionali benché siano composte in larga misura di studiosi e professionisti del settore - che hanno come
principale finalità proprio la diffusione della normativa di protezione dei beni culturali, al fine di
colmare il gap di conoscenza e condivisione che ha afflitto in questi anni la Convenzione del 1954,
rendendola sostanzialmente inefficace malgrado le ormai quasi 100 ratifiche. Una funzione che
manca, o è alquanto sfumata, negli statuti e negli intenti delle quattro organizzazioni fondatrici dello
ICBS, che pure hanno pieno titolo e competenza per tutte le altre funzioni di protezione e
salvaguardia.
Le rovine dell’Abbazia di Montecassino (1944)
Concludendo, dall’esame delle norme convenzionali e statutarie emerge in modo chiaro
l’importanza che in ogni sede è attribuita alla funzione di diffusione, che infatti rientra a pieno titolo
nelle misure di salvaguardia del Patrimonio; il fatto poi che il Comitato Internazionale dello Scudo
Blu definisca “strategica” questa funzione mi induce ad una conclusione che mi permetto di
esprimere a titolo personale. Credo che vi siano ormai tutte le condizioni - ed in qualche misura se
ne senta quindi la necessità - di un’iniziativa delle Istituzioni che ho poc’anzi ricordato per la
costituzione di un Comitato Italiano dello Scudo Blu (CISB): un’azione che serva di stimolo e
sostegno ai Comitati nazionali italiani di ICOM, ICOMOS, IFLA e CIA che avrebbero in prima
istanza questo compito ma finora non hanno ritenuto o potuto concretizzarlo; allo stesso modo,
ritengo fortemente auspicabile l’avvio di una formale e sostanziale collaborazione tra l’ICBS e la
Lega delle Società per la Protezione dei Beni Culturali, attraverso l’inserimento della Lega (che
riunisce e rappresenta associazioni non professionali, per la cui esclusione non esiste alcuna valida
ragione) tra le Organizzazioni che costituiscono il Comitato Internazionale dello Scudo Blu e tra gli
organi consultivi del Comitato per la protezione dei Beni Culturali nei conflitti armati previsto
all’art. 24 del II Protocollo del 1999, così come è già previsto per il Comitato Internazionale della
Croce Rossa.[12]
Nel contempo, occorre che tutti gli sforzi delle diverse Organizzazioni attente al problema siano
dedicati a sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare i Governi a ratificare il nuovo Protocollo,
e naturalmente anche la Convenzione del 1954 nel caso dei troppi Stati che non lo hanno fatto sino
ad oggi; spero davvero che l’Italia, che del Protocollo dell’Aja del 23 marzo 1999 è stata ispiratrice
e prima sostenitrice, non si faccia sfuggire ancora una volta l’occasione - come è appena avvenuto
per la recente Convenzione di Roma sul Tribunale penale internazionale permanente - di depositare
il primo strumento di ratifica. Ma sono molti altri i servizi che le diverse O.n.G. sarebbero - già sin
d’ora - in grado mettere a disposizione del Governo, come ad esempio:
-la predisposizione e trasmissione all’UNESCO della Relazione periodica sullo stato di
applicazione della Convenzione dell’Aja (art. 26, comma 2, della Convenzione dell’Aja del 1954),
incombenza nella quale l’Italia non ha sicuramente brillato negli anni più recenti;
-la proposta di personalità in grado di assumere il ruolo di Commissario Generale ai Beni
Culturali, da inserire nell’apposita Lista internazionale tenuta presso l’UNESCO (art. 1 del
Regolamento di Esecuzione della Convenzione dell’Aja del 1954), come pure di Ispettori ed Esperti
(art. 7 del Regolamento) o comunque di collaboratori o consulenti in materia;
-la proposta di Beni da iscrivere nel Registro dei beni sotto protezione speciale (art. 13 e sgg
del Regolamento), il successivo controllo e l’eventuale segnalamento;
-la proposta di Beni da iscrivere nella futura Lista dei Beni sotto protezione rafforzata (art.
10 e sgg. del II Protocollo del 1999), nel quale dovrebbero auspicabilmente trovare collocazione
tutti - o quasi
-i beni oggi già iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale istituito con la Convenzione di
Parigi del 1972.
-la proposta e la progettazione di iniziative di salvaguardia, in caso di conflitto armato o di
altra calamità, dei più importanti beni culturali nazionali, in primis quelli già iscritti alla Lista del
Patrimonio mondiale dell’UNESCO, con particolare riferimento al censimento, all’inserimento
nella cartografia militare, all’eventuale segnalamento con lo Scudo Blu, oltre alla sensibilizzazione e
informazione dell’opinione pubblica;
-una più stretta e continuativa collaborazione con le Università (con particolare attenzione
per le facoltà Giuridiche, per quelle di conservazione dei Beni Culturali e per le facoltà di
Architettura) finalizzata all’incremento quali-quantitativo della ricerca in materia e, soprattutto, alla
formazione di specialisti (militari e civili) e di personale delle associazioni di volontariato culturale
e della protezione civile.
L’attivazione di questi qualificati (e qualificanti) servizi risulta indispensabile all’Italia
perché essi costituiscono un doveroso adempimento delle Convenzioni internazionali a suo tempo
sottoscritte, ma anche perché a tutt’oggi nessuno - né all’interno della amministrazione né tra le
diverse Organizzazioni, intergovernative o non governative - ha dimostrato la reale volontà di
farsene carico.
APPENDICE
Secondo Protocollo relativo alla Convenzione dell’Aja del 1954 per la Protezione dei beni
Culturali nei conflitti armati. (L’Aja, 26 marzo 1999)
A utile integrazione dell’articolo di Massimo Carcione, riportiamo nella sua traduzione non
ufficiale parte del secondo Protocollo relativo alla Convenzione dell’Aja (1954) per la protezione
dei beni culturali nei conflitti armati, redatto all’Aja il 26 marzo 1999. Questo protocollo NON è
ancora stato ratificato dall’Italia: è nelle nostre speranze che possa esser fatto proprio anche dal
nostro Paese.
Le Parti,
Consapevoli della necessità di migliorare la protezione dei beni culturali nei conflitti armati e di
stabilire un sistema rinforzato di protezione dei beni culturali designati in modo particolare;
Riaffermando I’importanza delle disposizioni della Convenzione per la protezione dei beni culturali
nei conflitti armati adottata a L’Aja il 14 maggio 1954, ed enfatizzando la necessità di sostenere
queste disposizioni attraverso misure, atte a rinforzare la loro attuazione;
Desiderose di offrire alle Alti Parti contraenti la Convenzione un motivo di partecipare più
strettamente alla protezione dei beni culturali nei conflitti armati mettendo in atto delle procedure
adeguate;
Considerando che le regole che sovrintendono alla protezione dei beni culturali nei conflitti armati
dovrebbero riflettere gli sviluppi del diritto intemazionale;
Affermando che le regole del diritto internazionale continueranno a sovrintendere alle
problematiche non previste dal presente Protocollo
Hanno convenuto quanto segue:
(...)
CAPITOLO 2. DISPOSIZIONI GENERALI CONCERNENTI LA PROTEZIONE
ARTICOLO 5.
Salvaguardia dei beni culturali
Le misure preventive prese sin dal tempo di pace per la salvaguardia dei beni culturali contro gli
effetti prevedibili di un conflitto armato conformemente all’articolo 3 della Convenzione
comprendono, se ritenuto opportuno, la preparazione di inventari, la pianificazione delle misure
d’urgenza per assicurare la protezione dei beni culturali mobili contro il rischio d’incendio o di
crollo dell’edificio, la preparazione o la messa in situ di protezione adeguata e la designazione
dell’autorità competente responsabile della salvaguardia dei beni culturali.
ARTICOLO 6.
Rispetto dei beni culturali
Allo scopo di garantire il rispetto dei beni culturali in conformità all’articolo 4 della Convenzione:
a) una deroga alla regola fondamentale della necessità militare imperativa ai sensi del paragrafo 2
dell’articolo 4 della Convenzione può essere invocata per indirizzare un atto ostile contro un bene
culturale allorquando e purchè:
(i) questo bene culturale, per la sua funzione, è stato trasformato in obiettivo militare, e
(ii) non esiste altra soluzione praticamente possibile per ottenere un vantaggio militare
equivalente a quello offerto dal dirigere un atto ostile contro questo obiettivo; b) una deroga alla
regola fondamentale della necessità militare, ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 4 della
Convenzione, può essere invocata per utilizzare un bene culturale ai fini che possono esporlo alla
distruzione o al deterioramento allorquando e purchè non sia possibile altra soluzione, fra l’utilizzo
del bene culturale e un altro metodo praticamente possibile, per ottenere un vantaggio militare
equivalente; c) la decisione di invocare una necessità militare imperativa può essere presa solo da
un Comandante di una formazione uguale o superiore d’importanza ad un battaglione, o da una
formazione più piccola, allorchè le circostanze non permettono di procedere altrimenti; d) in caso
d’attacco fondato su una decisione presa conformemente all’alinea a), sarà dato un avvertimento
preventivo ed efficace, qualora le circostanze lo permettano
ARTICOLO 7.
Precauzioni durante l’attacco
Senza pregiudizio per altre precauzioni prescritte dal diritto internazionale umanitario nella
condotta delle operazioni militari, ciascuna Parte nel conflitto deve: a) fare tutto ciò che è
praticamente possibile per verificare che gli obiettivi attaccati non siano dei beni culturali protetti
dall’articolo 4 della Convenzione; b) prendere tutte le precauzioni umanamente possibili riguardo
alle scelte dei mezzi e metodi d’attacco al fine di evitare, e, in ogni caso, di ridurre al minimo i
danni collaterali ai beni culturali protetti in virtù dell’Articolo 4 della Convenzione; c) astenersi dal
lanciare un attacco, dal quale ci si può attendere che possa causare ai beni culturali protetti
dall’articolo 4 della Convenzione dei danni collaterali ritenuti eccessivi in rapporto al vantaggio
militare concreto e diretto atteso; e d) annullare o interrompere un attacco qualora sia evidente che:
(i) l’obiettivo è un bene culturale protetto in virtù dell’articolo 4 della Convenzione;
(ii) ci si possa attendere che causi ai beni culturali, protetti in virtù dell’articolo 4 della
Convenzione, dei danni collaterali considerati eccessivi in rapporto al vantaggio militare concreto e
diretto atteso.
ARTICOLO 8.
Precauzioni contro gli effetti degli attacchi
Tra tutte le misure praticamente possibili, le Parti in conflitto devono:
a) allontanare i beni culturali mobili dalle vicinanze degli obiettivi militari o fornire in situ una
protezione adeguata;
b) evitare di porre gli obiettivi militari in prossimità dei beni culturali.
ARTICOLO 9
Protezione dei beni culturali in territorio occupato
1
Senza pregiudizio per quanto previsto dagli articoli 4 e 5 della Convenzione, una Parte che
occupa tutto o parte di un territorio di un’altra Parte dovrà proibire e prevenire, per quel che
riguarda il territorio occupato: a) ogni illecita esportazione, o spostamento o trasferimento di
proprietà di beni culturali; b) ogni scavo archeologico, a meno di quelli assolutamente
indispensabili ai fini della salvaguardia, della registrazione o della conservazione dei beni culturali;
c) ogni trasformazione, o cambio d’uso, dei beni culturali mirante a celare o a distruggere prove
culturali, storiche o scientifiche.
2
Ogni scavo archeologico o trasformazione o cambio d’uso dei beni culturali in un territorio
occupato deve essere effettuato, a meno che le circostanze non lo permettano, in stretta
cooperazione con le autorità nazionali competenti del territorio occupato.
CAPITOLO 3. PROTEZIONE RINFORZATA
ARTICOLO 10.
Protezione rinforzata
Un bene culturale può essere posto sotto protezione rinforzata se soddisfa le seguenti tre condizioni:
a) si tratti di un patrimonio culturale che rivesta una grande importanza per l’umanità; b) sia protetto
da adeguate misure interne, giuridiche e amministrative, a testimonianza del suo valore culturale e
storico eccezionale e che garantiscano il più alto livello di protezione; c) non sia utilizzato a fini
militari o a protezione di siti militari e la Parte, sotto il cui controllo si trova, confermi con una
dichiarazione che non sarà a tal fine utilizzato.
La sala dell’antico Municipio di Monaco, distrutta da un bombardamento nel 1944
ARTICOLO 11.
Concessione della protezione rinforzata
1
Ciascuna Parte dovrà sottoporre al Comitato una lista di beni culturali per i quali intende
chiedere la concessione della protezione rinforzata.
2
La Parte, che ha la giurisdizione o il controllo su un bene culturale, può chiedere
l’iscrizione di questo bene nella Lista, che sarà stabilita in virtù dell’articolo 27, paragrafo 1, alinea
b). Questa richiesta è corredata da tutte le informazioni necessarie. relative ai criteri menzionati
nell’Articolo 10. Il Comitato può invitare una Parte a chiedere l’iscrizione di questo bene culturale
nella Lista.
3
Altre Parti, il Comitato Internazionale dello Scudo Bleu e altre Organizzazioni Non
Governative aventi specifiche competenze, possono segnalare un bene culturale particolare al
Comitato. In tal caso, il Comitato può decidere di invitare una Parte a chiedere 1’iscrizione di
questo bene culturale nella Lista
4
Nè la richiesta d’iscrizione di un bene culturale situato in un territorio, sotto una sovranità o
giurisdizione rivendicata da più di uno Stato, nè 1’iscrizione di tal bene, non portano alcun
pregiudizio ai diritti delle parti nella vertenza.
5. Allorquando il Comitato ha ricevuto una richiesta d’iscrizione nella Lista, informa tutte le
parti di tale richiesta. Le Parti possono sottoporre al Comitato, entro sessanta giorni, le loro riserve
relative a tale richiesta. Queste riserve saranno basate soltanto sui criteri menzionati nell’articolo
10. Queste riserve dovranno essere specifiche e motivate dettagliatamente. Il Comitato esamina
queste riserve, le rappresenta alla Parte che richiede l’iscrizione, dando ad essa la possibilità di
rispondere prima di prendere la sua decisione. Allorchè tali riserve sono state sottoposte al
Comitato, la decisione
circa l’iscrizione sulla Lista sarà presa, nonostante l’Articolo 26, a maggioranza di quattro
quinti dei membri del Comitato presenti e votanti.
5
Nel decidere su una richiesta, il Comitato dovrà chiedere il parere di Organizzazioni
Governative e Non Governative, nonchè di esperti.
6
La decisione di concedere o rifiutare la protezione rinforzata può basarsi solo sui criteri
menzionati nell’Articolo 10.
7
In casi eccezionali, se il Comitato giunge alla conclusione che la Parte che chiede
l’iscrizione di un bene culturale nella Lista non soddisfi i requisiti dell’Articolo 10, alinea b), può
decidere di concedere la protezione rinforzata, a condizione che la Parte richiedente rediga una
richiesta di assistenza internazionale in virtù dell’Articolo 32.
8
A ostilità iniziate, una Parte in conflitto può chiedere, in virtù di una situazione d’urgenza,
la protezione rinforzata di beni culturali posti sotto la sua giurisdizione o sotto il suo controllo,
sottoponendo questa richiesta al Comitato. Il Comitato trasmette immediatamente questa richiesta a
tutte le Parti in conflitto. In tal caso, il Comitato, esamina d’urgenza le riserve delle Parti
interessate. La decisione di concedere la protezione rinforzata a titolo provvisorio sarà presa il più
rapidamente possibile e, nonostante le disposizioni dell’articolo 26, a maggioranza dei quattro
quinti dei membri presenti e votanti. Il Comitato può concedere la protezione rinforzata a titolo
provvisorio, in attesa della conclusione della procedura normale di concessione di questa
protezione, a condizione che i criteri descritti negli alinea a) e c) dell’Articolo 10 siano soddisfatti.
9
Il Comitato concede la protezione rinforzata ad un bene culturale a partire dal momento
della sua iscrizione nella Lista.
10
Il Direttore Generale notifica, senza indugio, al Segretario Generale delle Nazioni Unite e a
tutte le Parti qualsiasi decisione del Comitato d’iscrivere un bene culturale nella Lista.
ARTICOLO 12.
Immunità dei beni culturali sotto protezione rinforzata
Le Parti in conflitto assicurano l’immunità dei beni culturali posti sotto protezione rinforzata
astenendosi dal fame oggetto d’attacco o utilizzare questo bene o le sue immediate vicinanze in
appoggio ad un’azione militare.
(...)
CAPITOLO 4. RESPONSABILITÀ PENALE E COMPETENZA
ARTICOLO 15. Violazioni gravi al presente Protocollo
1. Commette un’infrazione al presente Protocollo colui che, intenzionalmente, viola la
Convenzione o il presente Protocollo, compiendo uno degli atti seguenti:
a) fare di un bene culturale sotto protezione rinforzata l’oggetto di un attacco;
b) utilizzare un bene culturale o le sue immediate vicinanze; in appoggio ad un’azione militare,
c) distruggere grandi quantità o appropriarsi di beni culturali protetti dalla Convenzione e dal
presente Protocollo;
d) fare di un bene culturale protetto dalla Convenzione e dal presente Protocollo l’oggetto di un
attacco;
e) il furto, il saccheggio, il deterioramento o gli atti di vandalismo diretti verso i beni culturali
protetti dalla Convenzione.
2. Ciascuna Parte adotterà le misure che reputerà necessarie per stabilire come crimini
secondo il proprio diritto interno le infrazioni contro il presente Articolo e per reprimere tali
infrazioni con pene appropriate. Facendo questo, le Parti si conformeranno ai principi generali del
diritto e al diritto internazionale, incluse le norme che estendono la responsabilità penale individuale
alle persone oltre che agli autori diretti dell’atto.
(...)
ARTICOLO 24. Comitato protezione dei beni culturali nei conflitti armati
1
È istituito un Comitato per la Protezione dei Beni Culturali nei Conflitti Armati. Il Comitato
è composto da dodici Parti elette dall’Assemblea delle Parti.
2
Il Comitato si riunisce una volta all’anno in sessione ordinaria e in sessione straordinaria
ogni volta che lo reputa necessario.
3
Nel determinare la composizione del Comitato, le Parti cercano di assicurare una equa
rappresentanza delle differenti regioni e culture del mondo.
4
Le Parti che fanno parte del Comitato individuano i loro rappresentanti tra personalità
qualificate nel campo dei beni culturali, della difesa o del diritto internazionale, e si sforzano,
collegialmente, di vigilare affinchè il Comitato nel suo insieme riunisca le competenze adeguate in
tutti i campi.
(...)
ARTICOLO 27. Attribuzioni
1 - Il Comitato ha le seguenti attribuzioni:
a) elaborare i Principi Guida per l’applicazione del presente Protocollo;
b) accordare, sospendere o ritirare la protezione rinforzata ai beni culturali e stabilire, aggiornare e
promuovere la divulgazione della Lista dei Beni Culturali sotto Protezione Rinforzata;
c) monitorare e supervisionare l’applicazione del presente Protocollo e agevolare l’identificazione
dei beni culturali sotto protezione rinforzata;
d) esaminare i rapporti delle Parti e formulare osservazioni a loro riguardo, richiedere delle
precisazioni, se necessario, e stilare un proprio rapporto sull’applicazione del presente Protocollo
per l’Assemblea delle Parti;
e) ricevere ed esaminare le richieste di assistenza internazionale ai sensi dell’Articolo 32;
f) decidere sull’utilizzo del Fondo;
g) esercitare tutte le altre attribuzioni che possono essere conferite dall’Assemblea delle Parti.
2. Il Comitato esercita le sue funzioni in cooperazione con il Direttore Generale.
3. Il Comitato coopera con le Organizzazioni Governative e Non Governative Internazionali e
Nazionali le cui finalità sono similari a quelle della Convenzione, del primo Protocollo e del
presente Protocollo. Per l’assistenza all’esercizio delle sue funzioni, il Comitato può invitare a
partecipare alle riunioni, a titolo consultivo, le più importanti organizzazioni professionali tra quelle
che hanno formali relazioni con l’UNESCO, in particolare il Comitato Internazionale dello Scudo
Bleu (CISB) e i suoi organi costitutivi. Rappresentanti del Centro Internazionale degli Studi per la
Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali (Centro di Roma) (ICCROM) e del Comitato
Internazionale della Croce Rossa (CICR) possono essere invitati a partecipare a queste riunioni a
titolo consultivo.
(...)
CAPITOLO 7. DIFFUSIONE DELL’INFORMAZIONE E ASSISTENZA INTERNAZIONALE
ARTICOLO 30. Diffusione
1
Le Parti si sforzeranno di trovare sistemi appropriati, in particolare programmi educativi e
informativi, al fine di far meglio apprezzare e rispettare i beni culturali da tutta la loro popolazione.
2
Le Parti diffonderanno il presente Protocollo il più capillarmente possibile, sia in tempo di
pace sia durante un conflitto armato.
3
Le autorità militari o civili che durante un conflitto armato dovranno assumere delle
responsabilità circa l’applicazione del presente Protocollo, dovranno essere perfettamente a
conoscenza del suo testo. A tale scopo, le Parti, se lo ritengono opportuno, dovrebbero:
a) inserire nei loro regolamenti militari indicazioni e istruzioni circa la protezione dei beni culturali;
b) elaborare e mettere in atto, in cooperazione con L’UNESCO e le Organizzazioni Governative e
Non Governative pertinenti, programmi teorici e pratici sin dal tempo di pace;
c) comunicarsi reciprocamente, tramite il Direttore Generale, le informazioni concernenti le leggi,
le disposizioni amministrative e le misure prese per dare efficacia agli alinea a) e b);
d) comunicarsi reciprocamente, il più rapidamente possibile, tramite il Direttore Generale, le leggi e
le disposizioni amministrative che intendono adottare per assicurare l’applicazione del presente
Protocollo.
(...)
ARTICOLO 38. Responsabilità degli Stati
Nessuna delle disposizioni del presente Protocollo, relative alla responsabilità penale individuale,
inficia la responsabilità degli Stati nell’ambito del diritto internazionale, incluso l’obbligo del
risarcimento.
(...)
Il bombardamento del Ponte di Santa Trìnita di Firenze (agosto 1944)
Note al testo
[1] Sull’argomento si veda anche FRIGO M., La protezione dei beni culturali nel diritto
internazionale, Milano 1986; PANZERA A.F., La tutela internazionale dei beni culturali in tempo
di guerra, Torino 1993; TOMAN J., La protection des biens culturels en cas de conflit armé Commentaire de la Convention de La Haye du 14 mai 1954, UNESCO, Paris 1994.
[2] In CARCIONE M. - MARCHEGGIANO A., (a cura di) La protezione dei beni culturali nei
conflitti armati e nelle calamità naturali, Milano 1997, p. 123.
[3] Si veda in particolare il contributo di Fabio Maniscalco in CARCIONE-MARCHEGGIANO,
op.cit, p. 35-45; nell’ambito dello stesso convegno, il prof. Saporetti aveva inoltre riferito circa i
(presunti) danni al Patrimonio culturale in Iraq: cfr. id., p. 115 e sgg.
[4] Per quanto concerne l’attività di formazione e diffusione svolta in Italia in ambito militare si
rimanda a quanto puntualmente riportato nel Rapporto UNESCO, Informations sur la mise en
oeuvre de la Convention pour la protection des biens culturels en cas de conflit armé, Rapport de
1995, Paris 1996, pag. 31; è giusto rilevare, comunque, che quest’attività è a sua volta
riconducibile al Generale Marcheggiano, il quale ha insegnato a lungo alla Scuola di Guerra
dell’Esercito, curando anche la pubblicazione di tutti i manuali militari di Diritto Internazionale
Umanitario: cfr. in ultimo MARCHEGGIANO A., Elementi di Diritto Umanitazio dei conflitti
armati (Diritto Italiano di Bandiera), Centro Militare di Studi Strategici, Roma 1998.
[5] IIHL, Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, La protezione internazionale dei beni
culturali -Atti del Convegno per il 30° anniversario della Convenzione dell’Aya del 1954 (Firenze,
22-24 novembre 1984), Roma 1986
[6] In base agli artt. 1 e 10 del suo Statuto (Friburgo, 1997), la sede e la presidenza della Lega sono
rette a rotazione da una delle Società nazionali, in ordine di anzianità di fondazione.
[7] in VERRI P. (a cura di) Diritto per la pace e diritto nella guerra, Roma 1987, p. 521
[8] Si veda il testo, in versione originale, in appendice a CARCIONE M., (a cura di), Uno Scudo
Blu per la salvaguardia del Patrimonio mondiale, Milano 1999, p. 191 e sgg, preceduto da un
commento del Prof. Francesco FRANCIONI, il quale ha seguito fin dal suo inizio l’iter del nuovo
trattato.
[9] Traduzione non ufficiale a cura delle FF.AA.
[10] Dell’atto fondamentale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e
la Cultura piace ricordare il primo alinea del Preambolo, che recita: “Poiché le guerre nascono
nell’animo dell’uomo, è nell’animo dell’uomo che le difese della pace devono essere costruite”; è
però da rilevare che al comma 2, lettera c dell’art. 1 che lo Statuto si limita a codificare il dovere
dell’Organizzazione di mantenere,
incrementare e diffondere le conoscenze finalizzate ad assicurare la conservazione e protezione del
Patrimonio.
[11] Non ho verificato direttamente e citato, per ragioni di spazio, gli statuti dell’IFLA e della CIA,
che sono peraltro Organizzazioni con finaliltà ed orientamenti del tutto assimilabili alle altre due più
significative istituzioni internazionali.
[12] Cfr. l’art. 27, comma 3 del II Protocollo dell’Aja del 1999.
Alessandro Allemano
I FATTI DI AIGUES MORTES (AGOSTO 1893) E LE LORO RIPERCUSSIONI IN
MONFERRATO
Mai come in questi anni si parla nella società occidentale e particolarmente in quella italiana della
necessità di integrazione tra razze, nazionalità e culture diverse. È quindi interessante ricordare un
fatto avvenuto poco più di un secolo fa in un paese della Francia, quando la comunità di operai
italiani che vi si era portata spinta dalla necessità di trovare lavoro fu oggetto di una furiosa rivolta
xenofoba, ormai quasi dimenticata, da parte dei “cugini d’Oltralpe”.[1]
La condizione degli emigranti
Erano gli anni duri di fine Ottocento. La situazione di vita nelle campagne si stava facendo sempre
più precaria; per le famiglie numerose, costrette per lo più ai contratti di schiavanza, l’esubero di
manodopera e la contemporanea presenza di persone da sfamare in qualche modo non permetteva
sostanziali vie di scampo che non fossero quelle del trasferimento da un paese all’altro come
avventizi o “servi di campagna” a contratto dai particolari più ricchi. La viticoltura attraversava
anch’essa un periodo nero, con la rapida diffusione di malattie che pregiudicavano non solo il
raccolto corrente ma il futuro dell’intero vigneto: fillossera, iodio, peronospora. Frequenti erano
anche i danni causati dalle brinate tardive e dalle immancabili grandinate estive.[2] A ciò si
aggiunga il crollo del prezzo del vino e le difficoltà di esportazione dei prodotti agricoli nella vicina
Francia, con la quale si stava combattendo un’aspra quanto insensata guerra doganale.[3] In
generale, dall’inizio degli anni ‘80 si era verificato un forte crollo dei prezzi per i prodotti
dell’economia contadina: vino, ma anche grano, canapa, bozzoli. Per contro aumentavano i prezzi
dei prodotti che le famiglie rurali erano costrette ad acquistare. Per sfuggire alla precarietà della
occupazione in agricoltura molti cercavano fortuna -miraggio di un lavoro più sicuro e redditizioall’estero. Era la Francia ad essere méta privilegiata di questi emigranti, molti dei quali partivano
proprio dal Piemonte, dallo stesso Monferrato. Tanti, dopo aver passato il confine ed essersi trovati
in un Paese straniero, incapaci di capirne l’idioma e di salvaguardare i propri interessi, dovevano
essere rimpatriati forzatamente, ricorrendo alle autorità consolari. Una circolare del Ministero
dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, emanata nel settembre 1889 parlava
chiaro.[4]
“Si rinnova l’inconveniente che molti individui ancora soggetti agli obblighi militari, muniti del
solo passaporto per l’interno si recano all’estero, ed in specie in Francia. Quivi molte volte accade
di non poter essere occupati in alcun proficuo lavoro e se non sono provvisti di mezzi proprii per
campare non sanno più come trarre innanzi la vita. (...) In ogni caso poi agli operai che si dirigono
in Francia senza aver prima avuta una qualche assicurazione di trovarvi lavoro e che non portano
con sé sufficiente peculio, dovranno essere rammentate le ben note difficoltà cui possano andare
incontro, e le misere condizioni alle quali verranno a ridursi”.
Italiani nelle saline francesi
Ad Aigues Mortes, cittadina di 4000 anime, nel dipartimento di Gard nella Francia meridionale,
sulle Bocche del Rodano a 25 chilometri da Nîmes e da Montpellier, si trovava stanziata una nutrita
colonia di operai italiani che avevano trovato occupazione nelle vicine saline [5] di Perrier e
Peccais; i nostri connazionali erano preferiti ai colleghi francesi perché meno sindacalizzati e
disposti ad accettare paghe inferiori pur di poter lavorare. Il lavoro in salina era duro, scarsamente
remunerato, e si svolgeva in un ambiente paludoso, dove sempre erano in agguato le febbri
malariche. “Tutti questi operai lavoravano in condizioni penose, esposti tutto il giorno a un sole
ardente, con gli occhi bruciati dal bagliore accecante dei cristalli di sale che scintillavano al sole,
senza altra ombra dove riposare gli occhi che non fosse quella del cappello a larghe falde, coi
corpi che gocciolavano di sudore, coperti di graffiature, scorticati dal canestro di vimini, mal
protetti da una tela di sacco gettata sulla spalla, con le mani tagliate dai cristalli di sale, calzando
zoccoli di legno guarniti di paglia”.[6] Da secoli l’estrazione del sale era occupazione riservata
quasi esclusivamente agli ex-galeotti, ma proprio nel 1893 la Compagnia delle saline aveva
assoldato 600 italiani e 150 francesi, anche se di questi ultimi se ne erano presentati 800: gli italiani,
come ripeto, pur di lavorare avevano accettato una paga sensibilmente inferiore (circa i due terzi)
rispetto ai francesi.
La cittadina di Aigues Mortes è graziosa, ricca di memorie del passato, recinta da una fortezza
innalzata ai tempi del re San Luigi (sec. XIII), ma al turista si presentava inequivocabilmente come
località di estrazione del sale. Così sarebbe apparsa nel 1928 ad Ugo Ojetti, acuto osservatore di
uomini e cose:[7]
“Sorgono sulle barene montìcoli di sale d’un candore tanto aggressivo che sembrano tutti sullo
stesso piano, grandi e piccoli, non vicini e lontani. Appena li scorgo, mi spiego questa salsezza che
da un’ora mi stringe e bagna la bocca. Il sale è qui benefico padrone dell’acqua, dell’aria, e anche
della terra perchè nelle vigne che ora si piantano in questi sabbioni, l’uova della fillossera sono arse
dal sale prima di riuscire a schiudersi in larve: tanto sale che nella torre chiamata ancóra dei
Borgognoni, cinquecent’anni or sono, le truppe del re calarono non so quanti borgognoni scannati e,
per evitare la peste, liberalmente sotto mucchi di sal bianco li salarono come acciughe in un barile,
che l’anime loro devono ancóra mugolar per la sete”.
I connazionali emigrati vivevano a circa dieci chilometri dal paese, sistemati alla meglio in grandi
capanni con il tetto di frasche: la maggior parte però dormiva all’aperto, sotto un ombrellone,
appoggiando il capo contro un tronco di legno a mo’ di guanciale.
Italiani e francesi ai ferri corti
Le relazioni dei nostri connazionali con i residenti francesi erano sempre state tese, caratterizzate da
grande diffidenza, quando non da aperta ostilità.
“I rapporti non erano mai stati buoni e i francesi avevano sempre avuto qualcosa da rimproverare
agli italiani. Tutti ladri e puttane, protettori e fannulloni. Pronti a mangiare il loro pane. Le cose
peggiorarono quando si cominciò a parlare del rinnovo della Triplice,[8] che scadeva nel febbraio
del ‘91. I francesi, che si occupavano di politica più degli italiani, sapevano che l’Italia avrebbe
spinto per quel rinnovo. Uno schiaffo per la Francia che ospitava e dava lavoro a tanti italiani
senza chiedere a loro che ne pensassero della Triplice. Per la verità gli italiani che lavoravano in
Francia avevano altri problemi che occuparsi di politica. E di Triplice Alleanza in particolare.
Avevano il problema del lavoro, della casa, del mangiare, dei familiari rimasti in Italia ... E non si
arrabbiarono quando i francesi cominciarono a chiamarli «ritals». Non ne conoscevano il
significato ma di certo era offensivo. Non si arrabbiarono e aggiunsero «ritals» alla lista dove
stavano già «briseurs» e «macaronis» e continuarono a rispondere «ui mossiè» e a chinare il
capo”.[9]
L’Italia era infatti legata dal 1882 da una alleanza politico-militare con Prussia e Austria-Ungheria,
detta appunto “Triplice Alleanza”. Rinnovata nel 1887 dopo il primo quinquennio, era stata
riconfermata anche nel 1891, con grande risentimento delle nazioni tradizionalmente antiaustriache
e antitedesche, prima fra tutte la Francia.[10]
Con il passare del tempo la diffidenza dei francesi verso gli italiani si faceva sempre più
accentuata e sfociò in una vera e propria rivolta, il 17 agosto 1893. Causa prossima degli scontri
sarebbe stato, la mattina del 15, il tentativo di un piemontese di lavare un fazzoletto sporco di
sale[11] usando l’acqua potabile. Ecco come il bel libro di Guccini e Macchiavelli ricostruisce il
fatto:
“Cominciò proprio alle saline di Peccais durante la pausa del mattino: gli operai francesi e italiani
mangiavano in silenzio la zuppa, sistemati alla meglio sul bordo delle paludi; per gioco, o forse per
sfregio, un francese gettò della sabbia sul pane che un torinese stava mangiando, seduto dinanzi a
lui. Il torinese non protestò. Pulì il pane con il fazzoletto che poi andò a lavare nella bacinella di
acqua dolce che la «Compagnie» distribuiva esclusivamente per uso potabile. L’acqua dolce era
preziosa, specie nei mesi estivi. «Ehi tu, orso!» gli gridò il francese. Gli altri suoi compatrioti
ridevano, ma forse era solo rabbia repressa per troppo tempo. «Lo sai o non lo sai che con
quell’acqua ci dobbiamo arrivare a sera? Se vuoi lavare il fazzoletto, pisciaci sopra che tanto è lo
stesso per un italiano come te!». Il torinese era un tale di poche parole ma ci sapeva fare con il
coltello. Che estrasse dalla tasca, aprì e agitò sotto il naso del francese: «Merda! Io me ne fotto di
te e di tutti i francesi!»
L’episodio non ebbe apparentemente seguito. Il giorno successivo alcuni operai italiani, volendo
vendicare il compagno offeso, avrebbero organizzato una spedizione punitiva ai danni dei francesi,
provocando, secondo il “Times” di Londra, due morti e alcuni feriti. [12] Più probabilmente però si
trattò di un’assurda menzogna, propalata ad arte dalle autorità francesi desiderose di offrire alla
folla un pretesto qualsiasi per esacerbare gli animi. La mattina di giovedì 17 agosto oltre 500
francesi inferociti attaccarono i capanni che ospitavano circa 100 italiani: da quel momento ebbe
inizio una colossale caccia all’italiano, che devastò la cittadina di Aigues Mortes e i suoi sobborghi.
Al grido di “A morte gli italiani! Viva l’anarchia! Viva la Francia e morte all’Italia! Fuori gli orsi
italiani!”, la folla, armata di pietre, bastoni e forconi diede l’assalto agli improvvisati rifugi dei
nostri connazionali, scoperchiando il tetto e devastando ogni cosa. Un operaio che si trovava
coricato febbricitante venne massacrato a colpi di mattoni. Intervenne la forza pubblica (18
gendarmi) che fece sgombrare i capanni e intimò agli italiani di portarsi alla stazione per non
provocare l’ira dei manifestanti; tra gli insulti, gli scherni e le bastonate iniziarono ad allontanarsi,
ma ben presto vennero accerchiati dalla turba che portava in alto le bandiere tricolori della
Repubblica Francese. Risuonarono alcuni colpi d’arma da fuoco sparati dai gendarmi e dai
manifestanti: l’operaio Secondo Porta di Roatto d’Asti, colpito da una bastonata, cadde bocconi,
esanime. Un francese che aveva percosso il cavallo d’un gendarme venne da questo freddato senza
esitazione: il suo cadavere fu portato in corteo e anche di questa assurda morte si accusarono “les
italiens”. Molti connazionali, vistisi spacciati, tentarono il tutto per tutto, gettandosi negli stagni
salmastri o fingendosi morti: alcuni fortunati sarebbero riusciti ad attraversare gli stagni e a
raggiungere Marsiglia a piedi dopo una marcia estenuante. Una ventina di piemontesi, gettatisi nella
melma dell’”Etang des Pesquieres”, vi rimasero imprigionati e bersagliati dalle pietre che i francesi
lanciavano dagli argini: moriranno tutti, ad eccezione di un tale Antonio Cappellini, che riparerà
anch’egli a Marsiglia. La furiosa caccia all’italiano durò due giorni. Non sarà possibile stilare un
esatto bilancio delle vittime, poichè molti corpi senza vita e qualcuno ancora in vita- furono gettati
senza pietà nelle paludi e mai più ritrovati. Il numero dei morti può andare da un minimo improbabile- di 7 o 9 (secondo la stampa francese) fino a 50 o più (secondo il “Times” di Londra):
altre fonti parleranno addirittura di un centinaio di vittime, oltre ad un centinaio di feriti.[13]
Va sottolineato l’atteggiamento tenuto nel corso della vicenda dalle autorità locali e in primo luogo
dal maire (sindaco) di Aigues Mortes: costui mentre infuriava la follia xenofoba pubblicò due
proclami in cui si annunciava che la Compagnie aveva ritirato ogni provvista di lavoro agli italiani e
che lo scopo delle manifestazioni si era realizzato: “Raccogliamoci per curare le nostre ferite e,
recandoci pacificamente al lavoro, proviamo che il nostro scopo è stato raggiunto, e le nostre
rivendicazioni soddisfatte”.[14]
Né va dimenticata l’assai scarsa umanità dimostrata dagli ospedali locali, che per ben otto oro si
erano rifiutati di accogliere e curare i feriti.
Raminghi per il Monferrato
I superstiti delle violenze di Aigues Mortes, circondati dall’odio della popolazione locale, ormai
considerati e trattati come pericolosi criminali, furono avviati alla frontiera di Ventimiglia e
rimpatriati. Alcuni di essi, passando da Asti, giunsero anche in Monferrato, dove, sfiniti dal viaggio
e privi di ogni mezzo, si adattarono a chiedere la carità alle parrocchie e ai municipi. Nel corso del
riordino dell’interessante Archivio storico del comune di Penango ho rinvenuto una serie di
documenti, allegati ai mandati di pagamento, che testimonia di quella pagina tristissima di storia
italiana di fine secolo. Il Comune monferrino[15] elargì complessivamente 50 lire a titolo di
sussidio straordinario (in ragione di 25 centesimi a persona, ma va tenuto conto che qualcuno sarà
stato beneficato in più di una frazione) a titolo di “sussidii a poveri operai indigenti di passaggio
come esuli dalla Francia per rimpatriare”. Diciannove lire furono pagate nel capoluogo, 17 nella
frazione Cioccaro e 14 a Santa Maria e Patro. Ancora nell’anno 1895 si ha notizia di alcuni di questi
malcapitati che continuavano ad aggirarsi per il capoluogo e per le frazioni Cioccaro e Santa Maria:
di una sessantina di essi di essi si conoscono anche le generalità e la residenza. L’esame della
documentazione permette quindi di stabilire che se alcuni erano piemontesi (Cuneo, Biella, Intra,
Carmagnola, Mondovì), altri erano nativi della vicina Lombardia (Sesto Calende, Mantova, Brescia,
Milano), altri ancora provenivano dal Triveneto, terra d’eterna emigrazione (San Martino d’Adige
presso Verona, Monselice in provincia di Padova, Treviso, Palmanova, Udine); qualche altro
giungeva dalla Toscana (Prato, Pisa) e tra di essi si trova anche notizia di un ticinese di Bellinzona,
oltre a due tedeschi probabili compagni di sventura in Francia oppure aggregatisi a loro cammin
facendo.
Le reazioni in Italia
I fatti di Aigues Mortes ebbero un bilancio tragico sia nell’immediato che negli anni successivi
(alcuni degli esuli non fecero mai ritorno a casa, continuando a vagabondare per le campagne
monferrine ormai ridotti a mendicanti); anche in Italia si ebbero in quell’agosto 1893 reazioni
violente e scomposte, seppure comprensibili.[16]
A Roma la sera del 19 agosto una turba di dimostranti con alla testa le bandiere abbrunate si recò
vociando in tutti i punti della città dove avevano sede istituzioni francesi, prima fra tutte
l’Ambasciata di Francia a Palazzo Farnese. La sera del giorno dopo, domenica, quando i giornali
avevano pubblicato tutti i particolari del massacro di Aigues Mortes, i manifestanti si riunirono di
nuovo a piazza Colonna, dove un anarchico italiano, Ciro Corradetti, che aveva osato gridare “Viva
la Francia!” in mezzo a tutti “Abbasso la Francia!”, rischiò di essere linciato. Si tentò di dare
l’assalto al Palazzo Farnese, ma l’intervento della truppa di stanza nella Capitale valse a scongiurare
il fatto. La mattina del 21 gli operai dei cantieri del Policlinico, del palazzo di Giustizia e del
monumento a Vittorio Emanuele II scesero in sciopero spontaneo e si diressero nuovamente verso
l’Ambasciata: ad essi si unirono, per aumentare la confusione, anche molti anarchici che si
portarono sotto le finestre del Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti per fischiarlo
sonoramente.[17] Vennero pure erette barricate, smantellate solo con l’occupazione militare della
città da parte dei cavalleggeri. L’ordine definitivamente ritornò in seguito alla dichiarazione dello
stato d’assedio. A fare le spese di tutto ciò fu il prefetto, senatore Andrea Calenda di Tavani, già
prefetto di Alessandria e di Palermo, che fu rimosso dall’importante incarico e collocato a
riposo.[18] Analoga sorte toccò all’ispettore reggente della Questura, Sandri. Anche a Napoli l’eco
dei fatti di Camargue infiammò gli animi, inserendosi in un momento già delicato a causa di uno
sciopero ad oltranza dei vetturini: vennero distrutti parecchi omnibus, fanali, vetture tramviarie e
negli scontri tra dimostranti e forza pubblica si dovettero contare anche alcune vittime; in
particolare venne ucciso un ragazzo di tredici anni, Nunzio De Matteis, colpito al collo e al ventre
da un sottufficiale dei carabinieri. Il prefetto, senatore Carmine Senise, fu indotto a chiedere di
essere sostituito.
Il giornalista partenopeo Edoardo Scarfoglio, facendosi interprete dell’indignazione che montava in
tutto il Paese, scrisse in quei giorni, rivendicando un’energica azione riparatrice:
“Che a tutte le finestre d’Italia sventoli una bandiera, che da ogni bocca italiana irrompa un grido
eccitante il Governo a non esitare, a non tremare, a esigere una riparazione piena, solenne,
immediata, quale sola può convenire a chi ha il diritto di chiederla e la forza di ottenerla”.
Altre manifestazioni, seppure meno cruente, si ebbero a Milano, Genova, Livorno, Venezia e Imola.
Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio
La riparazione (?)
L’azione, per la verità non troppo energica come avrebbe voluto Scarfoglio, tesa ad ottenere
soddisfazione presso i francesi giunse poche settimane dopo. Il Presidente del Consiglio Charles
Dupuy informò lper far luce sugli scontri e dispose l’invio di 2.000 ’ambasciatore d’Italia che era
stata aperta un’inchiesta franchi a titolo di risarcimento per i feriti e le famiglie delle vittime.
L’inchiesta finirà col riconoscere colpevoli sei “sobillatori”, evidentemente utili capri espiatori di
ben più ampie responsabilità, che saranno condannati a risibili ed oltraggiose pene da uno a sei mesi
di carcere. Il maire di Aigues Mortes Marius Terras verrà dapprima sospeso dalla sue funzioni, poi
costretto a dimettersi. Non fu casuale che il “Petit Marsellais” del 23 agosto abbia scritto: “Il
governo ritiene che la compagnia [delle saline, ndA] è libera di assoldare i lavoratori che ritiene
opportuni. Non si può chiedere al governo di mettere un gendarme dietro ad ogni straniero”.
E la Triplice?
Da parte loro gli alleati austro-germanici riconfermarono -a parole-tutta la loro solidarietà al
governo italiano, evidentemente cercando di sfruttare l’accaduto in funzione antifrancese, non senza
fra balenare lo spettro di un non troppo improbabile conflitto che sanasse ogni contrasto. Scrisse la
“Neue freie Presse” di Vienna il 22 agosto:
“Le Potenze amiche dell’Italia giudicano l’intera questione dallo stesso punto di vista [del governo
italiano] e l’atteggiamento moderato, e purtuttavia intransigente, adottato dal Signor Giolitti,
primo ministro italiano, sarà pienamente approvato sia da Vienna sia da Berlino. È più che giusto
che il governo italiano esiga le giuste riparazioni per i morti di Aigues Mortes, ma è d’altra parte
cosa saggia offrire alla Francia la possibilità di giustificarsi”.[19]
Osserverà poi acutamente il Salvatorelli:[20]
“Il Kálnoky [Ministro degli Esteri austriaco, ndA], pur non accettando la domanda italiana di far
presente formalmente alla Francia la necessità di una pronta soddisfazione all’Italia, fece tuttavia
comunicare confidenzialmente al ministro degli Esteri francese la sua speranza che egli facesse
quanto occorreva per eliminare l’incidente. Invece a Berlino si ritenne di doversi astenere da
qualsiasi dichiarazione a Parigi per evitare ogni apparenza di pressione. L’incidente diplomatico
fu chiuso con la sospensione del maire di Aigues Mortes, l’apertura di una severa inchiesta e la
espressione reciproca del rincrescimento dei due Governi (...).L’Ambasciatore italiano trovava, in
confidenza, poco soddisfacenti le riparazioni francesi (...). In generale egli constatava che le
relazioni tra Francia e Italia divenivano sempre peggiori; da anni i Francesi lavoravano a staccare
l’Italia dalla Triplice danneggiandola nell’economia, ma invece creavano soltanto un pericolo di
guerra. Secondo le sue impressioni, in Italia c’era la tendenza anche nelle più alte sfere a
considerare la guerra come una soluzione”.
Un po’ di reticenza
Raccogliendo il materiale per questo articolo e consultando
parecchie opere di storia contemporanea,[21] ho dovuto constatare come molti testi di autori sia
italiani che stranieri non danno ai fatti di Aigues Mortes l’importanza che essi effettivamente
meritano, se non altro per rispetto di quelle vittime, e tendono a relegare la “caccia all’italiano” tra
gli episodi di ordinaria cronaca fin de siécle. A questa parziale reticenza non sarà estraneo il
desiderio di non guastare i ristabiliti buoni rapporti con i cugini d’Oltralpe, a partire dagli anni della
I guerra mondiale per giungere fino ad anni molto vicini a noi. Ecco un saggio di come
quell’episodio è citato anche da storici di notevole vaglia:
“Può ricordarsi (...) come negli anni torbidi dei rapporti tra Italia e Francia le voci di colpi di
mano francesi corressero insistentemente tra noi, e fossero accolte anche dalla stampa più
moderata (cfr. ad esempio «Torpediniere francesi sorprese in Sicilia?» nella prima pagina del n. 89 gennaio 1894 della «Gazzetta piemontese»)[22]
“Le relazioni con la Francia peggiorarono sino al punto che ad Acque morte s’ebbe un episodio di
caccia sanguinosa agli operai italiani, il che provocò controdimostrazioni violente in Italia,
soprattutto a Roma”.[23]
“I fatti di Aigues Mortes, presso Marsiglia, suscitarono in Italia un’emozione profonda. Scarfoglio
nel suo giornale predicò la guerra alla Francia. Gli amici di Crispi rialzarono la testa, augurando
che il fiero siciliano si mettesse a capo della nazione per vendicare l’offesa. Il ministero venne
accusato di remissività e attaccato violentemente”.[24]
“Durante l’ultimo decennio del diciannovesimo secolo le relazioni franco-italiane furono
estremamente tese. La guerra commerciale di Crispi portò a gravi conseguenze psicologiche, non
meno che economiche e l’ostilità latente trovò libero sfogo in seguito ad alcuni tumulti contro
immigrati italiani avvenuti nel 1893 ad Aigues Mortes”[25]
“Nonostante il ristabilimento di una politica di buon vicinato con la Francia, nell’agosto del ‘93
si dovette deplorare, a Aigues Mortes, una violenta e massiccia aggressione, che fece una trentina
di vittime, contro gli operai italiani immigrati, accusati di lavorare a salari più bassi di quelli dei
francesi. Per reazione, in Italia si svolsero energiche manifestazioni antifrancesi, contrastate a loro
volta, a Milano, a Roma e a Napoli, da dimostrazioni di piazza dei repubblicani, degli anarchici,
dei socialisti e dei radicali, uniti nell’ostilità alla politica estera triplicista, cioè ufficialmente
germanofila, che era quella del Regno”.[26]
La stessa autorevole “Enciclopedia Italiana” al termine della voce “Aigues Mortes” si limita ad
affermare: “Il 19 agosto 1893, in un periodo di tensione franco-italiana, circa 400 operai, che
lavoravano in Aigues Mortes, furono gettati nel Rodano dalla folla imbestialita”.
Da parte sua il “Dictionnaire universel d’histoire et de géographie” del Bouillet spiega solamente
che la cittadina di Aigues Mortes è celebre per le immense saline di Peccais, per le fabbriche di
soda e per il commercio dei vini e che nel 1849 vi venne eretta una statua equestre di San Luigi.
Voci fuori dal coro sono quelle delle destre. Nel suo diario il futuro prefetto di Torino, marchese
Alessandro Guiccioli, ultraconservatore, stigmatizzò con forza la posizione a suo dire imbelle del
governo italiano:
“20 Agosto. I giornali portano una notizia atroce: sono avvenuti massacri di operai italiani in
Francia, ad Aigues Mortes. È una delle frequenti esplosioni di ferocia selvaggia di quel popolo
civile che pur ha, come diceva Voltaire, qualche cosa della scimmia e della tigre. Ma noi Italiani
che cosa faremo? Mostreremo la collera terribile di una grande Nazione offesa nella vita dei suoi
figli e nel prestigio del suo nome? Ne dubito assai. Non Giolitti, non Brin[27] possono sentire
queste cose. Saremo, come di consueto, «prudenti» (...) 22 Agosto. A Roma e in tutte le altre città
d’Italia vi sono state imponenti dimostrazioni, come giusta ed energica protesta contro il brutale
episodio di Aigues Mortes. Come se la caverà il Governo? Alla prepotenza di Parigi fa riscontro la
fiacchezza della Consulta, mentre la nostra opinione pubblica è troppo infiammata per contentarsi
di piccole e tardive riparazioni.[28]
Anche Gioacchino Volpe nella sua “Italia moderna”[29] userà toni alquanto polemici,
specialmente nei confronti del potere politico incapace di imporsi in ambito internazionale:
“Le soddisfazioni che noi avevamo diritto di chiedere e ottenere dalla Francia, finimmo per doverle
dare noi, o assai maggiori noi che non ne desse la Francia. In questo, sì, il Governo italiano fu
pronto ed energico...”
Da parte sua, la storiografia dell’estrema sinistra marxista porrà specialmente l’accento sul carattere
antiborghese delle manifestazioni di piazza avvenute in Italia e stigmatizza l’atteggiamento
“reticente” dello stesso Partito socialista. Così ad esempio si legge in un’opera di matrice ideologica
inequivocabile: [30]
“È grande merito del Valiani avere riscoperto, attraverso alcune lettere sconosciute del Labriola,
questi moti senza storia. La borghesia li aveva sempre taciuti e i socialisti li avevano ignorati come
cosa senza importanza ed anzi controproducente. Pure rileggendo i giornali di quell’epoca si ha
l’eco della profondità e dell’importanza di tali sommosse anche se tutto si svolse in maniera
spontanea e priva di ogni organizzazione”.
In buona sostanza, questi moti, ad averli saputi dirigere nel modo opportuno si sarebbero ben potuti
vedere come la prova generale della rivoluzione, anticipando la rivolta dei Fasci siciliani (autunnoinverno 1893-1894) e le sommosse di Lunigiana (gennaio 1894).
In conclusione
Ad oltre un secolo da quei giorni dell’agosto 1893 resta a noi, incamminati verso il fatidico terzo
millennio e giustamente fautori dell’integrazione razziale e culturale, la documentazione di un
episodio eclatante, testimonianza di un epoca in cui il rispetto per i “diversi” era soltanto un modo
di dire.[31]
Note al testo
[1] La notizia del ritrovamento di carte testimonianti il passaggio dei profughi da Penango è già
apparsa sul settimanale “L’Eco del Lunedì” di Asti, mentre un breve articolo a firma dell’Autore è
stato pubblicato da “La Vita casalese” di Casale Monferrato nell’aprile 1999.
[2] In queste circostanze sfavorevoli stavano, per la verità, svolgendo opera meritoria di propaganda
e di informazione tecnica le Cattedre ambulanti di agricoltura istituite presso i Comizi agrari
circondariali. Il Comizio casalese vedrà negli anni a cavallo tra i due secoli l’opera meritoria ed
instancabile di molti pionieri, tra cui si segnala in particolare l’enotecnico Mario Zavattaro,
responsabile per il settore vitivinicolo.
[3] I contrasti erano sorti nel 1887, in seguito al rialzo delle tariffe daziarie italiane, che
penalizzavano le merci d’Oltralpe. La Francia, da parte sua, aveva controbattuto limitando di molto
l’importazione di prodotti agricoli dal nostro Paese. La disastrosa
“guerra doganale” si rivelerà assai deleteria per l’economia italiana, ancora essenzialmente agricola.
[4] Tratto dal “Foglio periodico della Prefettura di Alessandria”, raccolta dell’anno 1889,
conservato nella biblioteca giuridica annessa all’Archivio storico del Comune di Penango.
[5] L’importanza economica del sale e delle saline è assai notevole, già a partire dal Medioevo: il
sale era infatti il più comune condimento e conservante per gran parte degli alimenti. Ciò spiega la
gran quantità di tasse, gabelle e balzelli che gravavano su questo prodotto in tutti gli Stati
dell’Ancien Régime, non ultimo il Piemonte sabaudo. Ancora fino al 1973 in Italia la vendita del
sale era regolata da un regime di monopolio.
[6] J.-C. Hocquet “Il sale e il potere. Dall’anno mille alla rivoluzione francese”, ECIG, Genova;
1990 (p. 29)
[7] In “Cose viste”, vol. V, Treves, Milano; 1931 (p. 25)
[8] La Triplice Alleanza tra Italia, Austria e Prussia.
[9] F. Guccini - L. Macchiavelli “Macaronì. Romanzo di santi e delinquenti”, Mondadori, Milano;
1997.
[10] Ai francesi bruciava ancora la pesante sconfitta subita nel 1870 a Sedan per opera delle truppe
prussiane: dalla disfatta sarebbe uscito deposto l’imperatore Napoleone III, che avrebbe lasciato il
potere nelle mani di un regime repubblicano (la Terza Repubblica).
[11] Secondo altre testimonianze, l’italiano avrebbe adoperato l’acqua potabile per lavare una
scodella.
[12] La notizia è riportata in R. Paris “L’Italia fuori d’Italia. L’emigrazione”, in “Storia d’Italia”,
vol. IV, tomo 1, Einaudi, Torino (p. 536)
[13] Certamente eccessiva è la stima di 400 vittime riportata dal recente “Dizionario di Storia”, Ed.
Il Saggiatore - Bruno Mondadori, Milano; 1993.
[14] Citato in P. Giudici “Storia d’Italia dalla fondazione di Roma ai giorni nostri”, Nerbini,
Firenze; 1960 (vol. IV, p. 139)
[15] Era allora sindaco di Penango l’avvocato Giovanni Minoglio, assessori gli avvocati Luigi
Caligaris e Giovanni Biletta, Lorenzo Rosmino ed Enrico Caviglia; Modesto Manacorda era
segretario comunale.
[16] Nel nostro Paese l’opinione pubblica era ancora stordita dalle notizie di uno dei primi scandali
legati alla malversazione dei politici, l’affare della Banca Romana. Sedeva alla guida del Governo il
cuneese Giolitti, alla guida di un gabinetto “liberale progressista”, ma tanto indebolito dagli
avvenimenti interni ed internazionali da indurlo a dimettersi prima della fine dell’anno.
[17] Va pur detto che in quei giorni successivi al ferragosto i palazzi del potere erano pressochè
deserti: non il Presidente del Consiglio, non il Ministro degli Interni o il sottosegretario, non il
prefetto, né il questore, né il sindaco erano presenti a Roma quando scoppiarono i tumulti.
[18] Nel dicembre dello stesso 1893 il fratello del prefetto
Calenda, l’avvocato Vincenzo, sarebbe stato nominato Ministro di Grazia e giustizia nel III
gabinetto Crispi.
[19] R. Paris, cit. (p. 540)
[20] L. Salvatorelli “La Triplice Alleanza. Storia diplomatica
(1877-1912)”, Istituto per gli Studi di politica internazionale, ...; 1939 (p. 185)
[21] Parecchi testi da me citati provengono dal fondo bibliografico del defunto generale Luigi
Mondini, già Capo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, conservato presso il
Municipio di Grazzano Badoglio. Ringrazio le autorità municipali per avermi permesso la
consultazione.
[22] A. C. Jemolo “Crispi”, Vallecchi, Firenze; 1922
[23] A. Savelli “Manuale di storia europea”, vol. IV “Evo contemporaneo (dal 1878 al 1922)”, 3ª
edizione, Sansoni,
Firenze; 1935 (p. 11)
[24] I. Bonomi “La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto (1870-1918)”, Einaudi, Torino;
1944 (p. 112)
[25] D. Mack Smith “Storia d’Italia dal 1861 al 1958”, Laterza, Bari; 1959 (p. 411)
[26] L. Valiani “La lotta sociale e l’avvento della democrazia”
in “Storia d’Italia”, vol IV (“L’Italia dal 1876 al 1915”), UTET, Torino; 1960 (pp. 496-497)
[27] Il viceammiraglio Benedetto Brin, Ministro degli Esteri di Giolitti.
[28] A. Guiccioli “Diario di un conservatore”, Edizioni del Borghese, Milano; s.i.d. (p. 182)
[29] “Italia moderna”, vol. I (1815/1898), II ed., Sansoni, Firenze; 1973 (p. 261)
[30] R. Del Carria “Proletari senza rivoluzione. Storia delle
classi subalterne italiane dal 1860 al 1950”, Edizioni Oriente, Milano; 1970 (vol. I, p. 243)
[31] In quegli stessi anni di fine secolo altri episodi, comunque gravi e spesso sanguinosi, si
verificarono ai danni di emigrati italiani. Nel 1890 a New Orleans 12 siciliani sospettati -a torto-di
colludere con la malavita vennero linciati dalla folla inferocita: la faccenda, che rischiò di
interrompere le relazioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti, si risolse con il risarcimento di
125.000 lire oro offerto dal presidente Harrison al governo di Roma. Con buona pace dei morti.
Ancor prima, ancora in Francia, nel 1882, durante i lavori per la costruzione della ferrovia tra Arlès
e Orange una nutrita colonia di sterratori piemontesi con mogli e figli al seguito era stata assalita e
costretta con inaudite violenze a lasciare la zona e di conseguenza anche l’occupazione.
Paolo Cavallo
PROSPETTO SINOTTICO DELLE COLLOCAZIONI ORGANARIE NEL
MONFERRATO MONCALVESE NEL CORSO DEL SECOLO XIX
Prosegue il laborioso e paziente lavoro di ricerca di Paolo Cavallo sull’arte organaria e
organistica monferrina dei secoli passati. In attesa di poter disporre di sufficiente spazio per
pubblicare due corposi articoli riguardanti Moncalvo e Penango, riproduciamo in questo numero
un interessante “elenco” di organi collocati nelle chiese di Moncalvo e dintorni.
Il presente prospetto, che si è ritenuto necessaria integrazione al precedente lavoro su Scandeluzza,
è un primo, conciso e parziale quadro dell’attività organaria ospitata dai paesi del circondario di
Moncalvo nel corso del 1800. La parzialità della costituzione di questa griglia è doppia in quanto,
procedendo alla sua compilazione, si è stati costretti a omettere, per mancanza di precedente
letteratura storiografica a riguardo, tanto la citazione delle installazioni effettuate in alcune
importanti località della zona (Casorzo,[1] Grazzano Badoglio,[2] Ponzano Monferrato) quanto gli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria apportati a strumenti di cui si conosce invece la
sola data di collocazione od acquisto (Alfiano Natta, Frassinello Monferrato, Montechiaro d’Asti,
Ottiglio, Sala Monferrato, Tonco, Villadeati, Villa San Secondo e Zanco). Quanto ai casi di
Calliano, Grana, Moncalvo, Murisengo, Penango e Scandeluzza, essendo stato possibile allo
scrivente accedere direttamente ai fondi documentari dei rispettivi archivi parrocchiali,[3] la
rilevazione dei lavori commissionati sui relativi organi durante il XIX secolo dovrebbe raffigurare
con maggior puntualità la realtà dei fatti avvenuti.[4] Excusatio petita poi per i due sconfinamenti
cronologici nel 1911 (l’erezione dell’organo per la chiesa parrocchiale di Frinco ed il restauro allo
strumento di Alessandro Collino a Scandeluzza, entrambi dovuti al torinese Giuseppe Lingua): la
loro alterità temporale per connotare, in scorcio prospettico, il progrediente rinnovamento timbrico
di marca ceciliana introdotto a fine ‘800 nel Monferrato moncalvese dall’organaro varesotto
Giuseppe Gandini (con interventi - per quanto si sa - dapprima a Penango e Villa San Secondo, e,
nel primo quindicennio del XX secolo, a Crea, Murisengo, Moncalvo e Calliano). Per esigenze di
stringatezza e perspicuità non sono stati indicati né gli eventuali autori di strumenti seriori né la
natura dei singoli lavori: per distinguere tuttavia le erezioni ex novo e gli acquisti di organi
“rimessi” (cioè di seconda mano) dalle più consuete e cadenzate (anche se di una certa entità)
revisioni fonico-meccaniche si è adottato il criterio di evidenziare le prime con la doppia
sottolineatura, i secondi con la sottolineatura singola e di lasciare intonse le ultime.[5] Un’ultima
parola riguardo il criterio di scelta delle fonti edite citate: a parte due casi (Alfiano Natta e Tonco),
sono stati privilegiati i cataloghi redatti direttamente dagli organari implicati nelle costruzioni (cioè
i Serassi e Luigi Lingiardi) e le opere di storia locale che, per rigore metodologico d’impianto,
facessero dichiarato uso di materiale documentario di prima mano (esemplare il saggio di don Rino
Mandrino dedicato a Montiglio). A tutti, un buon viaggio nell’organaria monferrina.
Lo storico organo della Chiesa di San Francesco, a Moncalvo
PAESE
CHIESA
Alfiano Natta S.Marziano
ORGANARO ANNO
Luigi
Lingiardi
1848
FONTE
A.Di Ricaldone Monferrato tra Po e Tanaro,
I, Asti-Cavallermaggiore 1998, p. 44
P. Cavallo Da Grisanti a Gandini. 160 anni
di organari e organisti nella Parrocchia
SS.mo Nome di Maria di Calliano, in "Pagine
Moncalvesi", III, 5 (1998), p. 22
Calliano
SS.mo Nome
Luigi Savina
di Maria
1812
Calliano
Giuseppe [?]
Vittino
1857
Ibidem, p. 24
1864
L. Lingiardi, Le mie memorie, ispiratemi
come rimedio per fuggir l’ozio e sedativo
contro i miei mali nervosi, ed. mod. a cura di
Maurizio Ricci, Pavia 1983, pp. 183 –
185.(Ringrazio l’amico dott. Stefano Baldi
per avermi segnalato la fonte testé citata.
Nella limitata ampiezza di questo regesto,
omaggio di questo prodromo operativo il suo
progetto storiografico auspicante la
costituzione di un Atlante organario
piemontese)
1911
E. Dezzani, Frinco, Asti 1949, p. 62
1881
G. Tamburelli, I Lingiardi cit., p. 188
1811
Arch. Parr. di Grana Cartella "Organo"
Frassinello
Monferrato
Parrocchiale
Frinco
Natività di
M.V.
Fubine
Grana
Grana
Grana
Grana
Giuseppe
Lingua
Luigi
Parrocchiale Lingiardi e
figli
Giovanni
S. Maria
Battista
Assunta
Vinzio
S. Maria
Assunta
S. Maria
Assunta
S. Maria
Assunta
Moncalvo
Madonna
delle Grazie
Moncalvo
Madonna
delle Grazie
Moncalvo
Luigi
Lingiardi
Giacinto
Bruna
Arch. Parr. Grana, Cartella “Organo”; A.
Giacometto, Regesto degli organi costruiti
1832-5 dalla famiglia Bruna, Estratto da “Bollettino
della Società Accademica di Storia ed Arte
Canavesana” n. 23 (1997), pp. 12 e 32
Paolo Lajolo
1840
Angelo
Bertolini
1886-7 Arch. Parr. Grana, Cartella "Organo".
F.lli Serassi
Pietro
Barchietti
Giuseppe
Sant'Antonio
Bernasconi
Arch. Parr. Grana, Cartella "Organo".
1821
O. Mischiati, I cataloghi originali degli
organi Serassi –Catalogo degli Organi
fabbricati da Serassi di Bergamo [1816] –
G.B. Castelli,
Catalogo degli organi da chiesa dei Fratelli
Serassi (1858) – rist. anast. con appendici,
postilla e indici a c. di O. Mischiati, Bologna
1975, p. 211
1869
Arch. Parr. Moncalvo, S. Antonio
1882
C. Lupano, Moncalvo Sacra, Moncalvo
1899, p.73
Moncalvo
San
Francesco
San
Francesco
San
Francesco
San
Francesco
Carlo Serassi
Luigi
Lingiardi
Pietro
Moncalvo
Barchietti
Giovanni
Moncalvo
Mentasti
Giuseppe
Montechiaro Parrocchiale
Savina
Moncalvo
Montiglio
San Lorenzo ?
Montiglio
San Lorenzo
Murisengo
Luigi
Lingiardi
1832
Arch. Parr. Moncalvo
1858
Arch. Parr. Moncalvo
1868
Arch. Parr. Moncalvo
1832-3 Arch. Parr. Moncalvo
1841
1803
1878
S. Antonio
Abate
Felice Silvera 1842
S. Antonio
Abate
S. Antonio
Abate
Giuseppe
Vittino
Giuseppe
Battaglieri
Arch. Parr. di Murisengo, fald. "organoCampane"
R. Mandrino, Montiglio nello spazio, nel
tempo, nella storia, Asti 1989, p. 129
Ibidem, pp. 130-131
Arch. Parr. di Murisengo, Cartella “OrganoCampane”. P. Cavallo, Breve storia degli
organi della chiesa parrocchiale di
Sant’Antonio Abate, in “‘L nost pisighin”,
periodico pastorale di Murisengo, anno 16, n.
2 (1998), p. 19
1857
Ibidem
1876
Ibidem
Ottiglio
Giovanni
San Germano
Franzetti
1863
D. Roggero, Ottiglio. Ritratto di un paese del
Monferrato,Villanova Monferrato 1998, p.
48
Penango
San Grato
Giuseppe
Vittino
1865
Arch. Parr. e Comunale di Penango
Penango
Sala
Monferrato
San Grato
1898
Arch. Parr. Penango
1840
L. Lingiardi, Le mie Memorie cit., p. 153
1828
Cfr. P. Cavallo Un inedito crogiolo di
esperienze organistiche e organarie nel
Piemonte ottocentesco: il caso di
Scandeluzza Monferrato, supra.
Murisengo
Murisengo
Parrocchiale
Luigi
Lingiardi
S. Maria
Scandeluzza
Assunta
Felice Maria
Bruna
S. Maria
Assunta
S. Maria
Scandeluzza
Assunta
Alessandro
Collino
Giuseppe
Lingua
Scandeluzza
1861-2 Ibidem
1911
Ibidem
Tonco
N.D. Assunta
Luigi Savina
[?]
1815
ca.
A. Galazzo, La Scuola Organaria
Piemontese, Torino 1990 [Il Gridelino, 11],
p. 168
Tonco
N.D. Assunta
Pietro
Barchietti
187375
Ibidem, p. 377
Villadeati
San Remigio
Giacinto
Bruna
1831
A. Giacometto, 160 anni dell’organo di
Villadeati, in “Il Monferrato”, 31/1/1992.
Id. Regesto cit. pp. 32-33
Villa San
Secondo
Zanco
Parrocchiale
Giuseppe
Gandini
1899
G. Torta, Villa San Secondo ieri e oggi, Asti
1993, p. 96
San Giorgio
Alessandro
Collino [?]
18501860
ca.
P. Cavallo, Un indeito crogiolo, cit., supra
Note al testo
[1] Nella cui chiesa parrocchiale G. Niccolini diceva esser transitato “mentre il distinto maestro di
musica del luogo suonava sull’organo la cavatina dell’Ernani” (in A zonzo per il circondario di
Casale Monferrato, Torino 1877, p. 270).
[2] Devo a Don Vincenzo Ferraris, parroco del paese, l’informazione (non corredata però da precisi
estremi temporali) che nella sua chiesa si trova uno strumento firmato da Luigi Lingiardi di Pavia.
[3] Od anche comunali: a Penango, nel 1865, fu infatti tal istituzione pubblica a provvedere al
restauro dell’organo della chiesa parrocchiale (ringrazio il prof. Alessandro Allemano per la gentile
segnalazione di questo dato e per avermi altresì facilitato la consultazione dell’archivio municipale
del paese).
[4] Per non appesantire oltremodo lo scritto, si è preferito citare le fonti dirette dei dati (cartelle
“organi” etc.) e tralasciare quelle indirette (deliberazioni delle compagnie od altro), di cui è indicato
solo l’archivio di appartenenza. È comunque in preparazione un più ampio saggio che farà giustizia
di queste volontarie omissioni.
[5] È gradito allo scrivente, pure nella sommarietà della cornice costì compilata, rivolgere il suo
ringraziamento a chi, nel corso degli anni, lo ha messo in condizione di operare con agio negli
archivi di diverse località monferrine: assieme al già citato prof. Allemano, Don Luigi Venesia,
parroco di Calliano, Don Silvano Forno, parroco di Montiglio e di Scandeluzza, Ottavio Sega,
diacono di Cunico, Don Angelo Francia, parroco di Moncalvo, Franco Gaudenzi, diacono di Grana,
Giuseppe Franco di Penango, Don Cesare Falaguerra, parroco di Penango, Don Artemio Bertana,
parroco di Murisengo, e Antonio Barbato, direttore della Biblioteca civica “F. Montanari” di
Moncalvo.
[6] Ringrazio l’amico dott. Stefano Baldi per avermi segnalato la fonte testé citata. Nella limitata
ampiezza di questo regesto, omaggio di questo prodromo operativo il suo progetto storiografico
auspicante la costituzione di un Atlante organario piemontese.
Antonio Barbato
ARCHIVI STORICI: ORDINAMENTO, CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE
Questo è il testo dell’intervento che Antonio Barbato, archivista, direttore della biblioteca
“Montanari” e operatore culturale del Comune di Moncalvo, ha tenuto il 21 novembre 1999 al
“Convegno di presentazione” dell’Associazione “San Giacomo” di Lu Monferrato.
La necessità di una “memoria” è connaturata all’esistenza stessa di una società organizzata
non appena essa esca dai ristretti limiti di un gruppo familiare di tipo primitivo.
Le più antiche forme mnemoniche non ebbero redazione scritta. Nell’antica Grecia un impiegato
particolarmente allenato, detto mnemon (uomo della memoria) ebbe il compito di ricordare le
sentenze pronunciate oralmente dal giudice ed i contratti stipulati, anch’essi oralmente, fra i privati
e soltanto in un secondo tempo prevalse la forma scritta e si costituirono copiosi archivi. Fra gli
Incas, un mezzo mnemonico, i quipu, cordicelle di vari colori e dimensioni, costituivano lo
strumento che permetteva i quipucamayoc, o interpreti dei quipu, di ricordare avvenimenti lontani e
complesse notizie statistiche o dati finanziari e contabili. Presso alcuni popoli – per esempio quelli
dell’Africa a sud del Sahara – la tradizione orale è rimasta l’unica forma di memoria sino all’epoca
contemporanea. (Elio Lodolini, Archivistica – Principi e problemi).
L’origine degli archivi è da collegarsi al nascere della scrittura: con l’atto scritto infatti sorse anche
la necessità che tale atto non venisse perduto e con il progredire della civiltà gli archivi diventarono
sempre più numerosi; nell’Alto Medioevo subirono gravi distruzioni ma nell’età moderna e
contemporanea assunsero a grande importanza man mano che si è avvertito il bisogno di
conservare, a scopo amministrativo, politico, religioso, familiare, giudiziario e culturale i documenti
del passato.
Che cos’è un archivio?
Con il termine “archivio” si può intendere non solamente un complesso documentario, ma anche
l’edificio o il luogo dove esso è conservato oppure ancora l’istituto o ufficio che si occupa di tale
conservazione. La parola trae origine dal greco archeion e significa oltre che la residenza dei
magistrati anche l’insieme delle carte e dei documenti da essi prodotti e conservati in tale sede.
Anche i sinonimi latini archivum, grapharium, chartarium publicum, scrinium, tabularium
esprimono questa ambivalenza di significato. A noi, in questa occasione, interessa considerare
l’archivio solo sotto il punto di vista del contenuto, ossia il fondo documentario e per meglio farne
comprendere il concetto vi leggo la fondamentale definizione che Eugenio Casanova formulò nel
suo trattato di Archivistica del 1928 “L’archivio è la raccolta ordinata degli atti di un ente o
individuo, costituitasi durante lo svolgimento della sua attività e conservata per il conseguimento
degli scopi politici, giuridici e culturali di quell’ente o individuo”. Inoltre Paola Carucci, nel suo
volume “Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione” del 1983, amplia la definizione data
da Casanova così scrivendo: “L’archivio è il complesso dei documenti prodotti o comunque
acquisiti durante lo svolgimento della propria attività da magistrature, organi e uffici dello Stato,
da enti pubblici e istituzioni private, da famiglie e da persone. Per un ordinato svolgimento delle
proprie funzioni è necessario che i documenti emanati, spediti, ricevuti o comunque acquisiti
dall’ente vengano classificati e sistemati in maniera tale da consentirne il rapido e funzionale
reperimento al momento in cui servono”.
L’archivio prodotto da un ente è normalmente così suddiviso:
I. archivio corrente, cioè la parte relativa agli affari in corso;
II. archivio di deposito, ossia la parte della documentazione degli affari esauriti, che sebbene
conclusi, possono essere ancora ripresi in esame a motivo della loro analogia o connessione con
pratiche successive e contemporanee;
III. infine la “sezione separata”, cosiddetta archivio storico per la prevalenza dell’interesse storico,
inerente alla documentazione che lo compone, rispetto all’eventuale interesse giuridico o
amministrativo che peraltro non può essere del tutto escluso. In questa sezione troviamo la
documentazione relativa ad affari esauriti o definiti, di regola da più di 40 anni, e destinata, previe
attente e autorizzate operazioni di scarto, alla conservazione permanente per garantirne la
consultazione al pubblico. (Le liste di leva però sono versate 70 anni dopo l’anno di nascita della
classe a cui si riferiscono; i documenti aventi carattere riservato diventano consultabili 50 anni dopo
per gli affari riservati del Ministero degli Esteri e degli Interni, 70 anni per le situazioni puramente
private di persone, così come pure 70 anni per la carte dei processi penali).
Per motivi diversi molti archivi, soprattutto quelli degli enti pubblici, si trovano in situazioni di
completo disordine e abbandono nonostante esista un obbligo legislativo per la corretta tenuta ed
adeguata conservazione del patrimonio documentario. Normalmente nell’immaginario
contemporaneo degli addetti alle pubbliche amministrazioni -amministratori, funzionari, impiegati gli archivi, e in preferenza quelli storici, non sono altro che un ammasso di vecchie e polverose
carte e cartacce che creano solamente problemi di spazio e non sono di alcuna utilità. Per questi
individui, che fortunatamente non sono la totalità, l’espressione “archiviare” coincide con quella di
cestinare cioè distruggere e quindi abbandonare, dimenticare e destinare all’oblio.
Ma come un essere umano non può vivere senza esperienza e senza memoria poiché si troverebbe
in uno stato di completa e totale astrazione con mancanza assoluta d’identità, così per la società
organizzata e amministrativa -enti pubblici, organizzazioni civili ed ecclesiastiche – l’incapacità di
recuperare le carte, testimoni e garanti della propria attività, si trasformerebbe in una perdita
generale della certezza del diritto con le conseguenze che tutti noi possiamo ben immaginare.
Necessità del riordino per garantire la continuità del recupero delle informazioni.
Con gli archivi in disordine si rende necessario l’intervento dell’archivista il cui compito è quello di
conservare i documenti. Conservare però deve intendersi non solo riduttivamente come semplice
conservazione materiale delle carte ma principalmente nel significato più qualificante di
ordinamento, inventariazione e valorizzazione del patrimonio archivistico al fine di raggiungere
l’obiettivo della corretta conservazione della fonte documentaria destinata all’uso pubblico.
L’unico metodo di riordinamento che ritengo valido ed accettabile è quello storico-sistematico
ossia la ricostituzione dell’ordine originario delle carte, cioè quell’ordine che ebbero alla loro
nascita e che rispecchia specificamente il modo di funzionare dell’ente che le ha prodotte.
I lavori di ricognizione e di analisi del fondo, la schedatura attenta delle unità permette un
riordinamento dell’archivio attraverso la ricostituzione nella “sezione separata” delle serie
documentarie originarie sulla base delle antiche classificazioni e secondo la natura giuridicoamministrativa degli atti. Per quanto riguarda i comuni bisogna ricordare che i criteri di
organizzazione e classificazione delle carte attualmente vigenti furono stabiliti nel 1897 con
circolare del Ministero degli Interni. Tali classificazioni quindi devono essere rispettate solamente
per quanto concerne gli atti posteriori a tale data. In questa circolare sono previste 15 categorie per
la classificazione degli affari (Amministrazione, Assistenza e Beneficenza, Polizia Urbana e rurale,
Sanità ed Igiene, Finanze, Governo, Grazia Giustizia e Culto, Leva e Truppa, Istruzione, Lavori
Pubblici, Agricoltura, Industria e Commercio, Stato civile censimento e statistica, Esteri, Varie,
Sicurezza pubblica.) Ogni categoria inoltre è suddivisa in classi ad esempio la Categoria Prima
ossia l’Amministrazione e suddivisa nelle classi: Ufficio comunale, archivio, economato, elezioni
amministrative, sindaco assessori consiglieri, impiegati e salariati, locali per uffici, cause e liti
eccetera. Nella classe della categoria confluiscono i fascicoli e le pratiche degli affari trattati relativi
a quella classe stessa.
Per quanto riguarda i fondi antecedenti al 1897 il riordinamento si prefigge di individuare le serie
documentarie che caratterizzarono e specificarono le attività giuridico amministrative del soggetto
produttore.
Si potranno così individuare serie relative all’origine dell’ente, alle sue competenze e attribuzioni:
antichi privilegi, atti costitutivi, franchigie e simili.Inoltre si evidenzieranno tutte le serie di atti con
valore normativo per l’ente stesso e i suoi uffici per esempio statuti, deliberazioni, ordinanze, bandi
campestri e di polizia.Per quanto riguarda l’attività esecutiva troveremo serie che rispecchiano
l’attuazione con singole pratiche di quanto previsto dagli atti con valore normativo ossia:
amministrazione in senso stretto e attività finanziaria dell’ente. Avremo insiemi documentari
riguardanti gli atti di causa per controversie e liti, registri catastali, ruoli delle imposizioni eccetera,
affari militari, affari ecclesiastici. Ricordiamo però che l’individuazione delle serie nell’archivio
storico di un ente è unica e specifica solo per quell’ente.
Il lavoro di riordino deve concludersi con la produzione dell’inventario del fondo archivistico.
L’inventario deve contenere il titolario delle varie sezioni in cui è suddiviso l’archivio, la
descrizione, con l’indicazione della collocazione, delle unità archivistiche in esso contenute e un
indice, il più oggettivo possibile, per una maggior facilità di recupero delle informazioni per la
consultazione del fondo documentario.
Rammento che il riordino va collaudato dalla competente Sovrintendenza Archivistica: è questo
l’ufficio statale che ha il compito della vigilanza sugli archivi (i funzionari ispettivi di zona danno
qualificati e competenti indirizzi sulle metodologie da adottare per un corretto riordinamento).
L’inventario va prodotto in più copie che andranno anche depositate presso la Sovrintendenza
Archivistica, il competente Archivio di Stato e presso la Regione Piemonte.
La Regione Piemonte inoltre assegna contributi per gli interventi di schedatura, riordino e
inventariazione di archivi storici di Enti locali, Istituzioni religiose, Istituti e Associazioni culturali e
di privati. Tra i requisiti di ammissibilità è richiesto che l’intervento sia affidato a personale munito
di adeguati requisiti professionali che consistono nel Diploma di archivistica, paleografia e
diplomatica o nella qualificata esperienza in attività di riordino di archivi storici attestata dalla
Sovrintendenza archivistica competente per territorio.
La schedatura e il riordino del fondo archivistico possono essere effettuati anche con l’ausilio della
tecnologia informatica che permette la predisposizione di strumenti elettronici di consultazione e
ricerca più sofisticati.(si possono addirittura acquisire elettronicamente le immagini relativi ai
documenti allegandole alla stessa scheda elettronica; il database informatico può essere più
facilmente distribuito e addirittura inserito nella rete Internet).
Un buon inventario cartaceo e un database elettronico contenente una descrizione più analitica nelle
singole schede, possono altresì considerarsi come strumenti per una maggior tutela del fondo
archivistico in quanto riducono fortemente l’accesso diretto alle carte e la loro manipolazione: i
risultati delle ricerche sono più mirati e diminuiscono così il rischio di errori nella ricollocazione dei
fascicoli e delle pratiche dopo la consultazione e la possibilità di asportazioni delle carte stesse.
Concludendo, allora, quando un archivio è in ordine ed ha gli adeguati strumenti di corredo
per la consultazione è possibile permettere, anzi oserei dire che sarebbe opportuno favorire,
l’accesso ai ricercatori i quali probabilmente produrranno studi storici, pubblicazioni, saggi,
tesi universitarie che non saranno altro che la promozione e la valorizzazione del fondo
documentario dell’ente e della comunità da esso rappresentato. Quindi un archivio riordinato
è la prima, necessaria e fondamentale tappa per la valorizzazione dell’archivio stesso.
L'archivio "storico" del Comune di Terruggia (AL) prima e dopo il riordino. Presso il Municipio è disponibile per la
consultazione l'inventario in forma cartacea e in formato elettronico.
Coorado Camandone
CARO DON VERRI CON TE È SCOMAPRSA UNA PERSONALITÀ E UN AMICO
L’8 dicembre 1999 è morto don Angelo Verri, sacerdote legato a Moncalvo per molte vicende e
ultimamente anche Collaboratore di “Pagine Moncalvesi”. Ecco due doverosi ricordi di questo
personaggio dalla esemplare vitalità e dalla vividissima intelligenza.
Chi non era amico di Don Verri? Era una figura eccezionale per la cultura, la varietà degli interessi,
la vasta cerchia delle amicizie, la vivacità del carattere e la serena briosa longevità. Nato a Lu
Monferrato il 16 aprile 1905, ordinato sacerdote nel 1928 da Mons. Albino Pella, laureato in
Architettura a Milano. Ha progettato numerose chiese, sia in diocesi che in altre parti d’Italia,
specialmente in Toscana e in Sardegna. Tra i suoi progetti la facciata del Santuario della Madonna
dal Pozzo di S. Salvatore, la nuova chiesa a Madonnina di Serralunga di Crea, la cappella
dell’ospedale S.Spirito di Casale Monferrato, il Battistero di S. Francesco in Moncalvo e molte altre
realizzazioni in cui riuscì a unire modernità e classicità. La laurea in architettura gli ha aperto fin
dalla giovinezza la porta di tanti ambienti; tra l’altro fu cappellano dell’Istituto Gonzaga di Milano.
Il suo interesse per l’arte in genere e in particolare per l’arte sacra lo spinse a compiere diversi
viaggi per l’Italia. Il suo interesse per la cultura lo portò a stringere relazioni amichevoli con noti
scrittori e artisti quali Don Icilio Felci, Domenico Giuliotti, Guido Manacorda, Piero Bargellini,
Mario Micheletti e Nello Cambursano pittori, Marino Merlo musicista. Con Piero Bargellini,
scrittore cattolico e sindaco di Firenze fece un memorabile pellegrinaggio da Firenze a Roma,
ampiamente descritto sul giornale locale di Lu. Su questo stesso giornale ha pubblicato diversi
articoli e composizioni poetiche, anche di grande respiro in italiano e in dialetto. Amantissimo del
suo paese, condusse una lunga e dura lotta per liberare l’antica torre dall’assedio di deturpanti
strutture. Col maestro Marino Merlo condivideva la passione per la musica sacra e cantava con bella
voce baritonale. Forti vincoli di stima e di amicizia lo legavano a Don Bolla. A Moncalvo era di
casa fin dai tempi della seconda guerra mondiale, durante la quale, sotto la sua direzione, furono
eseguiti grandiosi restauri alla chiesa parrocchiale. Oltre che per le sue realizzazioni, Don Verri sarà
ricordato per la qualità del suo carattere. Aperto, cordiale, disponibile, con facilità di parola e di
ricchezza di linguaggio, tinto di umorismo, ma timbro abbastanza brillante. Coltivava l’amicizia
con assidua gentilezza. Rispondeva subito alle lettere, scrivendo, con fantasia contenibile e
compiaciuta, due o quattro o sei pagine. Largo di elogi e incoraggiamenti, si fermava con gentile
curiosità sugli scritti degli amici e li commentava con gustose osservazioni. e questo fece con mente
lucidissima fino a pochi giorni prima della fine. Scherzava sulla longevità ripetendo che stava
“scandalosamente bene”. Ma negli ultimi anni il pensiero della morte e della vita futura era
dominante. Alcuni brani delle sue ultime lettere rivelano il suo stile e i valori in cui credeva:
amicizia, fede e speranza, cultura , amore per il proprio paese.
1994- Vedo che la nostalgia delle antiche amicizie ti rianima il cuore e ti solleva
l’anima...Collaudate e vivificanti amicizie, punti fermi e riferimenti sicuri della nostra vita passata
e patrimonio prezioso che ci accompagna verso l’avvenire.
1995- A novant’anni suonati la campana che suona più gradita all’orecchio e quella azionata dalla
Beata Speranza e io mi diverto a progettare o meglio a indovinare le meravigliose trovate di Dio: e
chissà quali sorprese ci prepara...
1996- Vago e divago per i pensieri variegati della cultura in genere e alle sacre discipline, con
predilezione per i temi dei “Novissimi” , sollecitato dalla rievocazione di un incontro con Guido
Manacorda, a Casale, nel 1950 e di una conversazione su un’opera che stava scrivendo: “Dalle
cose Supreme”.
1997 - E i temi che più si affacciano e più interessano sono gli eventi escatologici (delle ultime
cose) ...affrontati con voluttuosa curiosità più che con ponderata ricerca teologica. Ma è cosi bello
lasciarti trasportare da fantasiosi voli nell’Evo futuro e vagare con la velocità del pensiero per i
nuovi cieli e le nuove terre che ci sono stati promessi.
1998- ... mi hanno fatto gli esami di rito (i medici) e mi hanno mandato a casa riveduto e corretto a
continuare la mia quasi giovanile terza età, in attesa della Beata Speranza.
1998 - Siamo nelle mani di Dio, ma anche il discorso abituale con lui a volte si fa difficile. Io vago
volentieri nell’infinito campo della escatologia ... le meraviglie che sono saranno disseminate nei
nuovi cieli... della nostra nuova situazione
1999 - La torre di Lu adesso ha dei difensori che si fanno e si faranno sentire perchè giovani e ben
intenzionati; io resto dietro le quinte e cerco di aiutarli.
Caro Don Verri, dai nuovi cieli e dalle nuvole terre da te tanto vagheggiati e ora da te posseduti,
insieme al buon Dio, mandaci buone ispirazioni perche possiamo coltivare, con serenità, la fede, la
cultura e l’amicizia come hai fatto tu.
Don Angelo Verri pellegrino a Roma con Piero Bargellini (Anno Santo 1950)
Angela Biedermann
L’INCONTRO CON L’ARCHITETTO DON ANGELO VERRI
Non lo conoscevo personalmente, ma ne avevo sovente sentito parlare.
Già ultranovantenne era partito da solo, in macchina, da Lu Monferrato per venirci a trovare.
Noi lo attendevamo sul terrazzo, guardando il mare che quel giorno era particolarmente agitato.
Tardava ad arrivare. Finalmente la sua macchina rossafuoco, voltò l’angolo e si fermò davanti al
nostro cancello.
Scese un uomo alto, robusto, forte inveendo contro il groviglio di strade che gli avevano fatto
perdere tempo prezioso. dovevamo andarlo a prendere all’uscita dall’autostrada. troppo tardi ormai.
E lui era lì, col suo largo sorriso sulle labbra, mentre con vigore mi stringeva la mano, guardandomi
negli occhi. Già ci aveva perdonati.
Non si può dimenticare Don Verri.
C’era chi lo definiva “ingombrante”. E lo era per quella massa di muscoli, che sembrava dovessero
sfidare il tempo. Lo era per quella sua voce forte, robusta, calda che si elevava oltre i nostri deboli
bisbigli. Lo era per quella sua intelligenza vivacissima che sapeva cogliere l’essenziale, facendo
sciogliere, come neve al sole, i miseri ragionamenti di chi s’illudeva di poter competere con lui. Lui,
il gigante.
Un gigante che amava la vita.
La vita di ogni essere creato. Si chinava a raccogliere un fiore e il suo forte viso si illuminava di
dolcezza. lo contemplava come avrebbe contemplato il disegno di un architetto. Ascoltava, con
particolare attenzione il canto dei grilli e nella sua mente nasceva un poemetto degno dei lirici greci.
Ogni volta che sento un grillo finire, mi si riaccende nella memoria il ricordo di un mio vicino di
casa che, vedendo un grillo sul davanzale del suo balcone, d’impulso alzò la mano e lo schiacciò,
lasciando soltanto una macchia informe.
Quel grillo non avrebbe mai più cantato.
Ma c’era Don Verri che, con il suo poema lo avrebbe immortalato.
Così io spero. Fanno fortuna, nel campo letterario, tante povere cose.
Ricordo l’angoscia con la quale, quest’uomo meraviglioso, che aveva dato vita a opere splendide ,
studiate prima con precisione sulla carta e poi fatte realizzare dalla Sardegna, al Piemonte e in altre
parti d’Italia, ci parlava “dell’orrendo oltraggio” fatto dall’antica torre che “dominava incontrastato
sull’orizzonte infinito, dall’alto della balza più bella della cittadina di Lu”.
Questa era la spina che feriva il cuore di Don Verri. Una spina che noi, suoi amici, avremmo voluto
togliere. Dargli questa gioia: vedere abbattuta “l’orrenda mostruosità costruita proprio nel punto più
alto, più sacro, più panoramico del paese, costruita dai barbari massacratori delle nostre bellezze
naturali.”
Non siamo arrivati a tempo.
Lo splendido “a solo” della torre è ancora là, occultato da un orrendo oltraggio.
Ho questa certezza. L’ultima visione, davanti agli occhi che stavano per chiudersi per sempre,
nell’ospedale di Casale, sarà stata quella torre di Lu per la quale lui tanto aveva combattuto. La sua
torre. La torre che lui aveva amato come ricordo d’un tempo lontano, ma ancora presente con le sue
costruzioni esterne, capaci di sfidare i secoli. Poi vengono dei piccoli uomini senza cultura, privi
d’intelligenza, e di amore per il passato e fanno costruire “una mostruosità cacotecnica, orecchiuta e
cornuta”. Ma oggi ci sono dei giovani che hanno bevuto, fatto sangue del loro sangue, le parole
dell’architetto Don Verri, lotteranno per abbattere quello schifo.
E quel giorno, Don Verri, tornerà a rivivere come lo ricordo io, in questo momento, appoggiato alla
balaustra del terrazzo, cantare con la sua voce poderosa un canto che piaceva tanto al maestro
Marino Merlo: Vulnera Doloris. E le note salivano, attraverso i rami tortuosi dei pini, si perdevano
nel vento, raggiungevano il cielo. Non lo potrò più dimenticare.
Non l’ho più visto.
Conservo alcune sue lettere. In una si è divertito a commentare la busta delle nostre lettere, sulle
quali sono disegnati degli animali che lui, con la sua vivace fantasia, ha visto pronti a sfilare su di
una prestigiosa passarella, per portare un messaggio di amore verso gli ultimi nostri fratelli.
In un’altra, l’ultima , rivive lui col suo forte attaccamento alla vita.
“spero tornare alla mia casa , ricostruire ciò che resta della mia famiglia “.
Non aveva un foglio di carta. Sarebbe dovuto scendere in segreteria, chiederlo.
Lui che aveva disegnato centinaia di pagine, ora non aveva più un foglio di carta per rispondere agli
amici.
Prese la nostra lettera e sulla facciata rimasta bianca, scrisse a noi per l’ultima volta.
“Ma che strano” ci dicemmo.
Poi capimmo.
Questo era Don Angelo Verri, il grande architetto di tante chiese,
ristoranti, edifici che sfideranno i secoli.
Architetto Don Angelo Verri (1905-1999)
Maria Teresa Gavazza
APPUNTI SU MITO E POESIA IN CESARE PAVESE
In occasione del cinquantesimo anniversario della tragica morte di
Cesare Pavese, la nuova Collaboratrice Maria Teresa Gavazza
presenta un saggio che affronta alcuni dei temi tipici della poetica
pavesiana.
Sempre in ambito commemorativo, nei prossimi mesi la Biblioteca
civica di Moncalvo ospiterà alcune delle molte manifestazioni che
compongono l’iniziativa “Con Cesare nel parco”, organizzata dal
Parco regionale del Sacro Monte di Crea.
− Maria Teresa Gavazza, dopo la laurea in materie letterarie all’Università di Torino, dal 1973 al
1982 ha approfondito la ricerca storica e metodologica come collaboratrice all’Istituto di Storia
della Facoltà di Magistero dell’Università di Torino, attraverso seminari, tesi e attività didattica.
− Si è interessata allo studio di metodologie e tecniche dell’insegnamento per le materie storiche e
letterarie, approfondendo i processi di apprendimento negli adulti e nella sperimentazione nella
scuola secondaria superiore, dove ha insegnato fino all’anno 1998/99 (attualmente, avendo dato
le dimissioni dall’insegnamento, si dedica a tempo pieno alla ricerca e alla formazione).
− Si è occupata di ricerca storica e di metodologia della ricerca, ponendo particolare attenzione
alla storia di confine ed agli approcci pluridisciplinari.
− In particolare ha sviluppato un’indagine sul movimento cattolico e comunista a Torino (19431950), patrocinata dall’Istituto di Storia Contemporanea della Facoltà di Magistero di Torino,
pubblicando due distinti saggi.
− Si è interessata di metodologia ed uso delle fonti orali partecipando al convegno internazionale
di storia orale (Aix en Provence, 24-26 Settembre 1982). Dal 1982 ha collaborato con l’Istituto
per la Storia della Resistenza in provincia di Alessandria progettando e sviluppando ricerche
relative alla storia delle organizzazioni femminili dall’Unità ad oggi. Tra cui un’indagine su
proletariato femminile e società alessandrina tra Otto e Novecento: il caso della Borsalino. Ha
condotto studi e ricerche sul fascismo e sulla Resistenza partigiana. Ha partecipato come
relatrice al convegno: “Sibilla Aleramo: coscienza e scrittura”. Tali ricerche intende
reinterpretare alla luce dei nuovi sviluppi delle Women’s Studies.
− Ha riordinato l’archivio della provincia di Alessandria (dal 1984) predisponendo una indagine
sul fenomeno dell’esposizione nell’Ottocento, conducendo studi sull’età napoleonica.
− Ha approfondito studi sull’età medioevale secondo la scuola della nouvelle histoire e la
microstoria (studi e pubblicazioni su Zemon Davis).
− Nel 1989 ha condotto un’indagine sull’uso delle fonti archivistiche nella ricerca storica e nella
didattica, nell’ambito del riordino dell’archivio storico dell’Istituto Magistrale “D.R. Saluzzo”
di Alessandria (dal 1886 al secondo dopoguerra).
− Dal 1986 fino al 1997 ha collaborato con il CIRDA, presso l’Università di Torino.
− Si è appassionata alla scrittura creando due novelle, una delle quali già pubblicata, l’altra in
corso di pubblicazione. È interessata al tema della memoria, sta raccogliendo storie di vita in un
progetto di ricostruzione di un piccolo paese. In questo ambito sviluppa uno studio su Cesare
Pavese, di cui ha pubblicato un saggio.
− Negli anni novanta si è occupata di solidarietà internazionale, di studi sulla società multietnica,
in particolare della donna nelle diverse culture, si è preoccupata di un approccio didattico
attento alla pedagogia di genere.
Tenendo conto delle iniziative che si terranno nel Duemila, in occasione del cinquantesimo
anniversario della morte dello scrittore, si riprendono e si ripropongono ai lettori alcune riflessioni
sulla memoria del poeta, in particolare il rapporto con il paese.
Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Questa riflessione di Calvino mi sembra un incipit conseguente alla rilettura di alcuni testi di
Pavese, in particolare de La luna e i falò. Oggi, quando la cultura del post-moderno può assumere i
connotati di una caotica contaminazione di linguaggi, generi e stili, quale senso ha riprendere in
mano i suoi scritti?[1]
L’ho sperimentato in questi anni nelle aule scolastiche e l’ho voluto rielaborare, approfittando poi
della Biennale di Poesia, sul filo delle contraddizioni della modernità, quelle che il poeta ha subito
sulla sua pelle e che ben emergono nell’ultimo romanzo.[2]
Mi è servito ad introdurre il tema della memoria, a superare l’appiattimento sul presente basato sul
mero consumo di immagini, cui i giovani spesso sono soggiogati, senza per questo cadere nello
stereotipo della loro demonizzazione. Ho voluto ridefinire questo senso alla luce di un progetto
educativo che andasse nel segno della presa di coscienza delle proprie radici, ma non disdegnasse la
creatività e il gioco poetico.
L’Altro e l’Altrove quindi non solo per combattere l’era del realismo consumistico, dove mai
l’immaginario è apparso così scarno e vuoto. L’oltranza della poesia, riprendendo il filo conduttore
della IX Biennale, occasione per rompere gli schemi precostituiti acquisendo nuove conoscenze, per
smascherare le convenienze della cultura ufficiale. Pavese, quale scandalo per la poesia? L’andare
oltre le chiese, il cattolicesimo anticomunista e il comunismo anticlericale del suo tempo. Il bianco
della luna, il rosso dei falò.[3]
Pavese è stato certamente una figura insolita. Oggi avrebbe rifiutato l’omologazione, ormai quasi
globale, insinuatasi anche nei più piccoli luoghi, nei paesi che egli amava molto.
I ragazzi, le donne, il mondo non sono mica cambiati. Non portano più il parasole, la domenica
vanno al cinema invece che in festa, danno il grano all’ammasso, le ragazze fumano – eppure la
vita è la stessa, e non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto
passato.[4]
La sua radicalità sta nella sua contraddizione: il cambiamento e la fissità, la città e la campagna, la
storia e il mito.
Ogni vita è quella che doveva essere.[5] Troviamo questo conflitto nei Dialoghi con Leucò e nel
suo romanzo, un testamento poetico scritto in meno di due mesi, dove più si riflette l’elemento
simbolico.Lo scrittore ricorda nel suo diario il contrasto tra la vita reale e ciò che essa sottende,
quello che più affascina l’uomo.
La parola che descrive (echeggia) un rito (azione magica) o un fatto dimenticato o misterioso
(evocazione)è la sola arte che m’interessa. [6]
In una lettera a Fernanda Pivano esprime la commozione del respirare a S. Stefano Belbo: “Sempre,
ma più che mai questa volta, ritrovarmi davanti e in mezzo alle mie colline mi sommuove nel
profondo.”[7]
Ritroviamo lo scrittore nei piccoli paesi del Monferrato dove scopriamo le sue radici poetiche nel
conflitto città/campagna, inteso anche come contrasto tra modernità e tradizione all’interno di
comunità spesso destinate al silenzio ed alla scomparsa. Il processo di simbolizzazione-La stessa
macchia di verderame intorno alla spalliera del muro. La stessa pianta di rosmarino sull’angolo
della casa. E l’odore, l’odore della casa, della riva, di mele marce, d’erba secca e di rosmarino.diventa un modo per sottolineare la tragedia di una realtà crudele ed impietosa.[8]
Quante volte, ascoltando i racconti dei vecchi contadini, respiriamo il messaggio poetico, inverato
in una festa di paese, nell’ incendio improvviso che distrugge tutti i beni di una famiglia laboriosa o
nello scoppio di una violenza assurda tra padre e figlio. La riscoperta della cultura contadina, la
ricerca di un’identità in un contesto etnoantropologico, ci permettono di assaporare l’intreccio tra
mito e storia.[9]
La poesia è altra cosa, si nutre sì dei suoi miti, ma tende a distruggerli.[10]
Il miracolo dell’infanzia è presto sommerso nella conoscenza del reale e permane soltanto come
inconsapevole forma del nostro fantasticare, continuamente disfatta dalla coscienza che ne
prendiamo.[11]
Ecco le frasi di Nuto su Cinto, il ragazzo sciancato con la crosta sotto l’occhio: perché deve vivere?
Vale la pena?[12] Infine l’ultimo riscatto, la sacralità del mito che traspare nell’evocazione e
nell’altrove della poesia.
Di tutto quanto, della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta? Per tanti anni mi era bastata
una ventata di tiglio la sera, e mi sentivo un altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene
perché.[13]
La contraddizione più alta è quel confine tra la vita e la morte che ci rende Pavese così moderno e
così vivo, la sfida di una creazione che è l’oltre della poesia.
Ma i più forti, i più diabolicamente devoti e consapevoli, fanno ciò che vogliono, sfondano il mito e
insieme lo preservano ridotto a chiarezza. È questo il loro modo di collaborare all’unicità del mi
Note al testo
[1]Si consideri il testo di Remo Ceserani, Guida allo studio della letteratura, Laterza, Bari, 1999
dove l’autore ci conduce per mano in un panorama letterario babelico e complesso, animato da
passione pedagogica e rigore scientifico.
[2] Nell’ambito della IX Biennale di Poesia di Alessandria, ho accompagnato un gruppo di
studentesse dell’Istituto Magistrale “D.R.Saluzzo” di Alessandria a visitare i luoghi letterari di
Cesare Pavese. Memorabile fu la salita alla collina di Moncucco.
[3] Nel cap. XII de La luna e i falò si affrontano alcuni dati storici ripercorrendo la cruda polemica
tra la Chiesa cattolica e l’ideologia comunista nel secondo dopoguerra. Per questa connotazione
ideologica l’interpretazione simbolica della luna può diventare il biancofiore democristiano ed il
falò è il rosso comunista, il colore dei martiri antifascisti, ora diventato l’insegna dell’Anticristo.
[4] Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi, Torino, 1995, p.126.
[5] Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino, 1968, p.285.
[6] ibidem, p.352. (ediz.1967). Nello stesso anno racconta la fatica dell’ultimo romanzo, è certo
l’exploit più forte sinora.. (p.355).
[7] Cesare Pavese, Lettere 1926-1950, Einaudi, Torino, 1966, p.425.
[8] La citazione è tratta da La luna e i falò, op. cit. p.26. Il dramma di tutta l’opera è il viaggio di
Anguilla nel mondo dei morti.
[9] Queste annotazioni sono tratte da una ricerca in corso: "Dalle storie al romanzo: il paese come
laboratorio della poesia di Cesare Pavese".
[10] Cesare Pavese, Feria d’agosto, Mondadori, Milano, 1987, p.191.
[11] ibidem, p.191
[12] Si rilegga l’osservazione di Nuto Io tutto capisco ma non un ragazzo che viene al mondo
storpiato così.. Che ci sta a fare? (op. cit. p.83).
[13] ibidem, p.126
Riletture
DUE SONETTI “ESTIVI” DI CESARE VINCOBRIO RILETTI E COMMENTATI DA
CORRADO CAMANDONE
SONETTO X
Quand ch’as cmensa a marcà quaich’anvaret,
Rivà ai primi d’Agoust, sout san Lourens,
La gent la taca a dì: – L’uva la tens,
L’è tost oura ‘d prountà bonsi e barlett –
Quando si comincia a sentire qualche grillo
Arrivati ai primi d’Agosto, sotto S. Lorenzo
La gente comincia a dire: – L’uva si tinge,
È quasi ora di preparare bigonce e bariletti –
Anloura ‘d seira a mi ‘m capita souens
Da restà ‘nt al giardin soul e soulet,
Vardanda su ‘nt la va, poustà al muret,
A senti coul cri-cri chiet, loung, immens.....
Allora di sera mi capita sovente
Di restare nel giardino solo e soletto.
Guardando giù nella valle, appoggiato al muretto,
A sentire qual cri-cri quieto, lungo, immenso....
Al lou sent ch’al ven su dal found ‘d la va,
Sa slarga ‘n mes i brich, ‘s ausa, ‘s counfound
Lountan, lountan coun l’ourisount steilà:
Lo sento che vien su dal fondo della valle,
S’allarga in mezzo alle colline, s’alza, si confonde
Lontano, lontano con l’orizzonte stellato:
E gl’ouri i pasou e mi rest là cme spers,
Cme separà e lountan dal rest dal mound,
Sproufoundà ‘nt al misteri ‘d l’univers.
E le ore passano e io resto là come sperso,
Come separato e lontano dal resto del mondo,
Sprofondato nel mistero dell’universo.
Questo sonetto, dal tono dolcissimo, è una riflessione, quasi un’estasi poetica e filosofica che rivela
la sensibilità e la cultura del nostro autore. Precisa il tempo della sua meditazione con pochi tratti
magistrali: agosto, grilli, uva che si tinge, gente che ripete i suoi proverbi e si prepara ai lavori della
vendemmia.
Poi un quartetto di stile romantico: un uomo solo che appoggiato al muretto del suo giardino guarda
giù nella valle, in ascolto dello stridio sottile e argenteo dei grilli. Lo sente salire dal fondo della
valle e invadere tutto il paesaggio, fino a saldarsi all’orizzonte col cielo stellato. Nelle notti limpide,
le stelle palpitanti sembrano fotografie animate del cri-cri immenso che sale dalla terra:
l’infinitamente piccolo, riflesso nell’infinitamente grande.
E il poeta che si sente al centro di queste dimensioni estreme, in sintonia con l’intuizione di Pascal,
prova un senso di smarrimento, come chi cammina su un sentiero che corre tra alte cime e profondi
burroni, Egli si sente sperso, “lontano dal resto del mondo”, cioè da quella marea di gente che va e
viene per fare mille cose, costretta dalla necessità o spinta dalla vanità, e che raramente, o forse mai,
trova il tempo e il motivo di fermarsi un momento ad ascoltare il canto dei grilli e a confrontarsi un
istante con l’infinito dello spazio del tempo. È possibile che nel 2000 (tanto presuntuoso e illuso) ci
sia ancora qualcuno che ritenga possibile e utile fermarsi ad ascoltare i grilli? Chi è sicuro di non
annegare nell’alluvione informatica, della televisione, di internet, dei telefonini? Leggiamo quello
che scrive il Vincobrio in una nota a commento di questo suo sonetto:
Chi non lo conosce questo lamentìo così caratteristico delle nostre colline - che non è silenzio e non
è rumore - che mai non comincia e mai non finisce che sembra vegliare sulla sua insistenza sulla
campagna addormentata che riempie la sua tenuità la grandiosa immensità delle chiare notti
stellate di Agosto e di Settembre? E chi non se ne è sentito commosso come il Leopardi sull’ermo
colle davanti alla siepe al di là della quale egli si fingeva nel pensiero “interminati spazi e
sovrumani silenzi e profondissima quiete ove per poco il cor non si spaura”?
Questo sonetto, per l’argomento e il tono, può benissimo essere accostato a l’infinito di Leopardi.
Siamo sul livello dell’alta poesia.
Estate: tempo di fienagione e “gara di velocità contro i fulmini e la
tormenta” (cortesia di Mario Pavese)
SONETTO XI
La contemplazione iniziata nel sonetto X continua ed è approfondita in questo che lo segue.
E ‘l coeur as perd e la ment sa smaris
An coulla immensità sensa countourr
Che mai la cmensa, che mai la finis,
Ch’l’è nen silensio e ch’a l’è nen rumour.
E il cuore si perde e la mente si smarrisce
In quella immensità senza contorni
Che mai comincia, che mai finisce,
Che non è silenzio e non è rumore.
Là ‘n found tut al scoumpar, tut al svanis
Coul ch’l’è passa e coul ch’al tourna ‘ncour,
Caressi ‘d giouventù, festi, souriss,
Disingani ‘d la vitta, oumbri, rancourr.....
Là in fondo tutto scompare, tutto svanisce
Ciò che è passato e ciò che torna ancora,
Carezze di gioventù, feste, sorrisi,
Disinganni della vita, ombre, rancori .....
E mi proeuv l’impressioun ‘d l’eternità
E tut coul che mi fas, tut coul ch’a sent
M’aparìs ilusioun, sogn, vanità
E io provo l’impressione dell’eternità
E tutto ciò che faccio, tutto ciò che sento
Mi sembra illusione, sogno, vanità
Ch’a s’ausa e ‘s perd cme nivoula d’incens
Su, su vers la visioun dal ciel steilà
A travers coul cri-cri chiet, loung, immens....
Che s’alza e si perde come nuvola d’incenso
Su su verso la visione del cielo stellato
Attraverso quel cri-cri quieto, lungo, immenso
Questo sonetto potrebbe essere inteso come un lusso intellettualpoetico di un signore benestante
dell’Ottocento. Ma può anche essere inteso come un sentimento che attraversa i secoli, come un
seme portato dal vento, che germoglia dove trova terra buona, cioè gli spiriti più aperti e sensibili.
Sullo sfondo enorme dello spazio del tempo il poeta vede la piccolezza della sua vita, e quindi la
piccolezza di tutto ciò che è stato il tessuto della sua vita, gioie e dolori, successi e sconfitte ,”
illusione, sogno, vanità”. Nella bibbia troviamo espressioni simili: il libro dell’Ecclesiaste inizia con
queste parole:” Vanità delle vanità, tutto è vanità” (metà del 3° sec. avanti Cristo). Nel salmo 89 la
vita umana è paragonata all’ “erba che germoglia al mattino... alla sera è falciata e dissecca”. È
famoso anche il consiglio de “L’imitazione di Cristo”: “Ama nesciri et pro nihilo
reputari”,”desidera di essere ignorato e stimato un nulla”. Pascal paragona l’uomo a una canna
sbattuta dal vento. Il Leopardi conclude il suo famoso sonetto con questo verso: “E il naufragar
m’è dolce in questo mare”. Cioè si perde, scompare nel mare dell’infinito. Vincobrio gli fa eco
scrivendo che la sua vita “si perde come una nuvola d’incenso”. Uno naufraga, l’altro si perde. Se ci
fermiamo qui non ci resta che addormentarci nel pessimismo. Però si può andare oltre. È certamente
utile all’uomo prendere coscienza della propria piccolezza per non esaltarsi nel successo e non
disperarsi nella sfortuna. È più che utile accettare il suggerimento di questo sonetto di trovare
qualche momento di silenzio per guardare dall’alto il mondo e la vita. Prezioso silenzio che, come
le foreste dell’Amazzonia, va scomparendo, rotto dal vociare dei parlamenti, degli stadi, delle
discoteche, oltre che dal ruggito delle armi di questo secolo, tanto potente quanto insipente. Ma chi
non vuole rassegnarsi al pessimismo può trovare nella stessa Bibbia e specialmente nel Vangelo Chi
crea e salva, Chi può dare senso e valore alla nostra breve vita. E chi cerca luoghi di silenzio
illuminante li può trovare facilmente. Noi monferrini abbiamo il Paradiso di Crea, la rotonda di
Moncalvo, il belvedere di Villadeati, di Cantavenna, presso la torre di Lu, come a scritto entusiasta
D.Verri, e in molti punti panoramici del nostro caro Monferrato.
Curiosità
CRONACA SPICCIOLA DEL 1893
Nel variegato (e variopinto) panorama del giornalismo locale merita un posto di tutta
considerazione il settimanale “Il grido dei rurali”, pubblicato in Moncalvo a partire dal 1890.
Espressione di quella parte di liberali che consideravano preminente il settore produttivo agricolo e
si adoperavano perchè i politici, sia in ambito locale che a livello parlamentare promuovessero le
istanze di un mondo di piccoli e medi proprietari e di diretti conduttori di fondi, il foglio (4 pagine)
era diretto da un illustre monferrino, callianese di nascita e moncalvese d’adozione, l’avvocato
Agostino Della Sala Spada. Stampato dalla tipografia di Giuseppe Sacerdote e venduto alla
domenica, ciascuna copia costava 5 centesimi, l’abbonamento (meglio, l’”associazione”) annuo 3
lire, quello semestrale 1 lira e 75 centesimi. Di questo giornale non pare che esistano raccolte
annuali nelle biblioteche del Piemonte, ma a noi è giunto un numero sparso, di domenica 1 maggio
1893, anno IV, n. 19. La prima pagina riporta in buona evidenza un manifesto del sindaco, avvocato
Giovanni Battista Ponzelini, relativo alla Festa patronale di Sant’Antonino, dal 21 al 25 maggio.
Non mancano poi articoli di politica: erano i giorni dello scandalo della Banca Romana e il
ministero presieduto dal cuneese Giolitti era sul punto di cadere. Trattandosi di un giornale dedicato
agli agricoltori, ampio spazio viene dato al problema della lotta alle crittogame e alla richiesta di
provvedimenti a sostegno del mondo dei campi. A pagina 3 viene però riportata una rubrica,
intitolata “Gazzettino”, che annuncia i fatti di cronaca, bianca e nera, di Moncalvo e dintorni.
Merita rileggerla, preziosa e curiosa testimonianza di come andavano le cose centosette anni or
sono.[1]
Alta onorificenza ad un Moncalvese
Con legittimo orgoglio di moncalvesi e di patrioti, siam lieti di registrare come
l’Illustre concittadino comm. avv. Carlo Ferraris,[2] Magnifico Rettore dell’Università di Padova è
stato recentemente di moto proprio da S.M. il Re di Svezia insignito della Commenda assai
riservata dell’ordine della Stella Polare. L’augusto e dotto Sovrano si compiacque spedire al
comm. Ferraris le ricchissime insegne dell’ordine, a mezzo di S.E. il ministro degli affari esteri on.
Brin. Al moncalvese chiarissimo, il cui nome risuona glorioso non solo in Italia, ma nell’Europa
intiera, esprimiamo con giubilo le nostre vivissime congratulazioni.
Teatro Sociale
La nuova impresa del Teatro ha iniziato trattative col signor Galeazzo Alessi per uno spettacolo
d’opera in occasione della festa. Le cose sono a buon punto e l’opera scelta è il Ballo in Maschera.
Per quanto ci si assicura avremo adunque un buon spettacolo.
La festa di S. Marco
Favorita da due splendide giornate estive ebbe luogo Domenica e Lunedì scorsi la solita festa di S.
Marco nel Borgo Rinchiuso. Malgrado l’assoluta ineguaglianza del suolo su cui si ergeva il
padiglione ballo, le danze si mantennero animatissime in amendue i giorni di festa. Facciamo voti
che nell’anno venturo per il ballo si scelga un altro luogo più adatto. Lunedì alle ore 5 pom. ebbe
pur luogo la umoristica corsa degli asini a cui assistette una folla immensa. Predominava il sesso
gentile in eleganti telette estive.
Disgrazia
Domenica scorsa mentre il bambino Rossi L. si trastullava in sull’ingresso del cortile della casa
Rivetta, la vecchia e sgangherata porta di detta casa crollava colpendo il povero ragazzo che riportò
la frattura di una coscia. È un fatto altamente deplorevole e che si sarebbe potuto evitare se, chi è
addetto alla polizia, avesse prima d’ora fatto abbattere la porta in questione che pericolava.
Nuovo Caffè Ristorante
Il giorno 10 corrente il signor Bertana Lorenzo già esercente il Caffè del Teatro aprirà al pubblico
un Caffè Ristorante nella casa Sacerdote Gabriel a ponente della Piazza del Mercato accanto al
palazzo Luzzati. Auguriamo al signor Bertana buonissimi affari.
Ladri golosi
Ignori malfattori nella notte dal 27 al 28 scorso mese, penetrati nel locale della Società Agricola di
Penango, a danno di quel magazziniere sig. Corrado Achille, esportarono una certa quantità di
salumi dell’importo di lire 80 circa. Finora non si conoscono gli autori.
Incendio
Martedì, 2 corrente mese, alle ore 6 pomeridiane, in Alfiano Natta, si appiccò il fuoco nella casa di
proprietà di Alessio Francesco. L’incendio fu domato subito da conterazzani, ed il proprietario subì
un danno di lire 50.
Note al testo
[1] La riproduzione è testuale: abbreviazioni, punteggiatura, corsivi, iniziali maiuscole sono tali e quali
riportate sul giornale.
[2] Il professor Carlo Francesco Ferraris era nato a Moncalvo nel 1850; insigne economista, poi
deputato del collegio di Vignale, quindi Ministro dei Lavori pubblici, morirà nel 1924 e sarà sepolto nel
camposanto moncalvese. Di questo illustre concittadino, in occasione del 150°
anniversario della nascita, verrà presto pubblicato su questa rivista un articolo commemorativo.
CONFERENZA DELL’ARCHITETTO ANTONELLA MERLETTO SUL GIUBILEO
Il 18 febbraio la Biblioteca civica ha
organizzato, unitamente al Lions Club
“Moncalvo
Aleramica”,
un’interessante
conferenza dal titolo “Jubileum. La storia, gli
eventi, le curiosità e i monumenti legati al
Giubileo attraverso i secoli”.
Relatrice è stata la moncalvese Antonella
Merletto, laureata in Architettura al Politecnico di Torino, specializzata in Architettura
antica greca e romana, collaboratrice del
Ministero dei Beni culturali, già impegnata in
importanti campagne di scavi archeologici a
Creta.
Con l’ausilio di varie diapositive, la
dottoressa Merletto ha tracciato una storia
degli anni Santi, partendo da quel primo
indetto da papa Bonifacio VIII nel 1300, per
giungere fino a quello attualmente in corso.
Alla serata erano presenti, tra gli altri, il
dottor Ezio Agostinucci, past Governatore
distrettuale del distretto Lions 108 IA3, e il
pittore Marcello Peola, presidente del
comitato “Beni culturali e ambientali” dello
stesso distretto.
LA BIBLIOTECA HA VINTO UN PREMIO
La Biblioteca civica “Franco Montanari” di Moncalvo è risultata vincitrice ex aequo della VII
edizione del Premio “Carmelina Brovia e le sue sorelle”, istituito a Sinio (CN) dalle associazioni
culturali “Il nostro teatro” e “Arvangia” e dalla locale Pro Loco.
Il premio intende conferire un riconoscimento ai sodalizi (pro loco, gruppi, biblioteche, compagnie
teatrali, bande musicali) che operano sul proprio territorio proponendo manifestazioni rispettose
della tradizione del proprio paese, che contribuiscono a farlo conoscere anche al di fuori dei propri
confini.
La biblioteca di Moncalvo, premiata “per l’intelligente attività di promozione culturale e di
educazione alla lettura”, era stata segnalata dal dottor Giuseppe Spina, direttore didattico a riposo,
collaboratore del bisettimanale “Il Monferrato” e collaboratore di “Pagine Moncalvesi”, che segue
sempre con competente interesse le attività dell’istituzione culturale moncalvese.
Il premio, consegnato ufficialmente nel corso di una cerimonia il 13 maggio, è consistito in una
pergamena d’onore che reca la motivazione del premio, alcuni libri e una simbolica somma di
denaro.
PRESENTAZIONE DEL VOLUME “PENNELLATE DI MEMORIA” DI ARMANDO
BRIGNOLO
Armando Brignolo, astigiano, corrispondente del quotidiano “La Stampa” nonchè artista (i locali
della biblioteca ospitano una sua opera), ha presentato sabato 13 maggio il volume “Pennellate di
memoria”, uscito grazie all’interessamento della Provincia di Asti e della Fondazione Cassa di
risparmio di Asti.
L’Autore ha completamente devoluto gli introiti
derivanti dalla vendita del libro all’AISM,
Associazione Italiana Sclerosi Multipla.
Relatore dell’incontro è stato il dottor Giuseppe
Veglio, medico e presidente della sezione
astigiana dell’AISM, che ha esordito illustrando
gli scopi del sodalizio e parlando brevemente ai
presenti della sclerosi multipla e dei problemi
connessi con la malattia.
Successivamente è passato a trattare del libro di
Brignolo, un gradevole collage di personaggi ed
episodi dell’Astigiano che l’Autore ha
“riscoperto” e fatto rivivere nelle sue pagine: si va
dal “ciucaté” di Cerreto al violinista Onorato
Pomo di Castello d’Annone, dal “ciabattino sotto
l’olmo” di Albugnano agli ingenui e commoventi
diari di famiglia di Giovanni Battista Gazza di
Montegrosso e Felice Giulio Nosenzo di
Revigliasco, passando attraverso i coltivatori di
canapa (la “canua”), le dispute tra roattesi e
marettesi sulla “proprietà” di Santa Radegonda, i
“balarìn da bandiera” dei borghi di Asti.
Molto significativo è il fatto, sottolineato sia
dall’Autore che dal Sindaco di Moncalvo Aldo
Fara presente all’incontro, che il libro si apra con
un articolo sui “subiet ad Patru” della famiglia Guazzo (la tradizione è oggi perpetuata dal
bravissimo Primo Favarin, artista sopraffino che però schiva i complimenti) e si concluda con una
rievocazione dell’artista poliedrico e genialoide Alessandro Bonaventura, al quale “Pagine
Moncalvesi” ha dedicato un ricordo sul suo primo numero.
L’augurio, fatto proprio da molti degli intervenuti, è che Armando Brignolo voglia proseguire nella
sua opera meritoria di riscoperta di fatti, località e personaggi, che costituiscono patrimonio della
memoria altrettanto importante che i documenti scritti e le immagini.
VISITA DEL GENERALE ARTURO MARCHEGGIANO
Nel primo pomeriggio del 19 maggio proveniente da Ginevra è giunto in
visita privata alla biblioteca di Moncalvo il Maggior Generale Arturo
Marcheggiano.
L’alto ufficiale, già comandante di reparti di artiglieria, poi docente alla
Scuola di Guerra di Civitavecchia, quindi Capo Ufficio Bilancio dello Stato
Maggiore della Difesa, è il fondatore e Presidente della SIPBC, la Società
Italiana per la Protezione dei Beni Culturali.
Questa associazione, nata nel 1996, si dedica alla divulgazione delle
normative riguardanti la protezione del patrimonio culturale in caso di
conflitto armato; la biblioteca di Moncalvo fin dal 1997 aderisce alle
iniziative della SIPBC dedicando un articolo in ogni numero del bollettino
“Pagine Moncalvesi”, ospitando e gestendo il sito internet ufficiale e
conservando una vasta serie di pubblicazioni (molte delle quali donate
espressamente dallo stesso Generale) in tema di diritto umanitario del conflitti armati.
Congratulandosi con il Sindaco Fara e con i vertici della biblioteca moncalvese per la vivace attività
di promozione culturale condotta e ringraziando per il supporto che l’istituzione sta dando alla
Società, Arturo Marcheggiano, che era accompagnato da Massimo Carcione (neo eletto Consigliere
SIPBC) ha poi voluto donare una rara serie di banconote emesse nel 1848 dalla Repubblica Veneta
di Daniele Manin.
PRESENTAZIONE DEL CATALOGO “PREJA, MOUN, COUP E CANTOUN”
Alla presenza di un foltissimo pubblico sabato 10 giugno è stato presentato nel salone della
Biblioteca civica il volumetto “Preja, Moun, Coup e Cantoun”, catalogo della mostra sugli antichi
materiali da costruzione tenutasi a Odalengo Piccolo nel 1999 e curata da Silvio Manzotti, che del
libro è anche il curatore.
L’iniziativa, così come la pubblicazione
dell’opera, è stata sostenuta dal Lions
Club “Moncalvo Aleramica”, presieduto
dal professor Carlo Debernardi, il quale
nella presentazione del volumetto ha
sintetizzato i motivi che hanno indotto il
sodalizio -che opera ormai da 3 anni in
Moncalvo e nei comuni limitrofi- a
sostenere l’iniziativa.
Il professor Dionigi Roggero, esponente
di spicco del mondo della cultura
monferrina, più volte ospite della
Biblioteca “Franco Montanari”, ha
esposto le caratteristiche peculiari del
libro (36 pagine, con molte illustrazioni),
soffermandosi in particolar modo sulla
meritoria azione compiuta da Silvio
Manzotti che ha recuperato un patrimonio
culturale che sarebbe stato destinato
all’oblio, non senza richiamarsi alla legge
regionale n. 31 del 14 marzo 1995 che
tutela in particolar modo la vita, la cultura e le tradizioni di un territorio attraverso la costituzione
dei cosiddetti “ecomusei”.
Il Sindaco di Odalengo Piccolo, Angelo Ferroglio, ha poi ringraziato Manzotti per il servizio che
egli ha reso alla comunità locale.
Alla presentazione del volumetto erano presenti, tra gli altri, soci dei Lions Clubs di Asti,
Valcerrina, Casale dei Marchesi del Monferrato e Valenza. Per decisione del consiglio
d’amministrazione del club moncalvese, a tutti gli intervenuti è stato donata una copia del catalogo;
da parte sua, il Comune di Moncalvo ha sostenuto l’iniziativa culturale di Manzotti contribuendo
con la somma di 500.000 lire, a fronte della dotazione di alcune copie del libro destinate a doni di
rappresentanza.
ACQUISTO DI NUOVI LIBRI
Come anticipato sullo scorso numero, la Biblioteca civica di Moncalvo ha proceduto nel mese di
dicembre 1999 all’acquisto di nuovi libri, che vanno ad arricchire la dotazione bibliografica già
esistente. Compiuti attraverso “Libro Idea” di Casale Monferrato e “La bancarella del libro” di Asti,
i nuovi acquisti sono stati personalmente e scrupolosamente curati da Alessandro Allemano e
Antonio Barbato, che ne avevano avuto ampia delega dal Consiglio della biblioteca. Tra i nuovi
volumi, particolarmente significativi sono la collana “Le testimonianze del passato. Fonti e studi”
dell’editore Gribaudo, la “Storia d’Italia” coordinata da Nino Valeri, dell’editrice UTET (5 volumi),
il “Dizionario critico della letteratura italiana”, ed. UTET (3 volumi), la “Storia della guerra civile
in Italia 1943-1945” di Giorgio Pisanò (3 volumi ormai rari), la “Storia del Cristianesimo” del
Buonaiuti (3 volumi), la raccolta di studi “Vigne e vini nel Piemonte moderno” a cura di Rinaldo
Comba (2 volumi), oltre a vari volumi delle edizioni Selezione dal Reader’s Digest, testi sulla
presenza degli ebrei in Piemonte, opere di narrativa e per i ragazzi.
DONI DI LIBRI
Il dottor Giuseppe Spina ha donato alcuni volumi di vario argomento (narrativa, storia, pedagogia).
Il cav. Giuseppe Scaletta di Asti ha donato le opere “Storia d’Italia dalla fondazione di Roma ai
giorni nostri”, di Paolo Giudici, edizioni Nerbini, (8 volumi), “Dictionnaire des sciences, des lettres
et des arts” (2 volumi) e “Dictionnaire d’histoire et de geographie”, di Bouillet (2 volumi), nelle
edizioni originali del 1895-96.
Il professor Milo Iulini, studioso del banditismo piemontese, ha donato il proprio volume sulla
figura del brigante Pietro Mottino.
La signora Dantina Gasparino di Ponzano ha donato 5 volumi di narrativa.
La maestra Angela Cavallito di Moncalvo ha donato alcuni volumi di narrativa e numeri della
rivista “Selezione dal Reader’s Digest”.
Il dottor Massimo Carcione ha donato i cataloghi d’arte “Morando” (ed. Mazzotat) e “Da Musso a
Guala” riguardante la mostra tenutasi presso il Museo Civico di Casale Monferrato.
Grazie all’interessamento dell’avv. Giuseppandrea Martinetti, la Biblioteca ha acquisito alcune
copie del libro di poesie “A ruota libera” (ed. Pentarco) della defunta maestra Magda Maino di
Serralunga di Crea.
Il presidente Allemano ha donato la “Piccola storia della Chiesa” del Dentzler e un volume della
collana “Illustri e sconosciuti nelle vie di Torino”.
Giovanni Davico di Quittengo (Salabue) ha donato le opere in dispense “Patrimonio dell’umanità” e
“Un secolo in prima pagina”, edite dal “Corriere della Sera”.
Roberto Maioglio ha donato 6 volumi di narrativa e divulgazione e varie cassette di musica classica
e jazz.
RIVISTE E LIBRI GIUNTI
L’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in Provincia di Asti ha
inviato i volumi “Tra mito sovietico e riformismo” di Marco Renosio, “Carità, beneficenza pubblica
e assistenza sanitaria ad Asti” di Silvana Baldi, “Ricorda” e “Insegnare la Costituzione”.
L’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in Provincia di Alessandria
ha inviato il “Quaderno di storia contemporanea” n. 25-26 (1999).
L’Associazione Amici di Asti ha inviato la rivista “Il Platano”, anno XXIV (1999), II semestre.
L’editore Lorenzo Fornaca, in considerazione del notevole aiuto avuto dalla Biblioteca di
Moncalvo, ha donato il secondo volume dell’opera “Monferrato tra Po e Tanaro” di Aldo di
Ricaldone.
In occasione del conferimento del premio a Sinio (CN), l’Associazione culturale “L’Arvangia” ha
donato il romanzo di ambientazione medievale “Il Lenzuolo di Lino”.
“Arte incontro in libreria”, numeri vari (grazie all’interessamento della prof. Fernanda Borio).
“al païs d’Lu”, periodico mensile; numeri vari.
RECENSIONI
Henri-Irénée Marrou
TRISTEZZA DELLO STORICO
POSSIBILITÀ E LIMITI DELLA STORIOGRAFIA
Morcelliana, Brescia; 1999
La passione storica
Scrivere a dei giovani studenti sul significato della storia. Ecco il filo conduttore della riflessione di
Marrou, professore di Storia del cristianesimo alla Sorbona di Parigi (Henri-Irénée Marrou,
Tristezza dello storico. Possibilità e limiti della storiografia, Brescia, Morcelliana, 1999).
Pur partendo da un testo di critica della metodologia storica di Aron (Introduction à la Philosophie
de l’Histoire, Gallimard, 1938), egli procede autonomamente con una confessione che diventa per
certi aspetti un’autocritica dello storico. Troppe sono le affinità biografiche che mi hanno coinvolta
in questa lettura, a me parsa così densa e stimolante. Non solo come uno stanco maestro che vede
l’insegnamento storico declinare a poco a poco, si accorge del disorientamento delle nuove
generazioni e della mancanza di consapevolezza sulle comuni radici soggettive e collettive. A
questo si accompagna, tra le numerose riflessioni che affollano il secolo breve, una pericolosa
confusione tra vittime e carnefici (spesso risolta nelle aule dei tribunali), certamente decisiva nel
dare il colpo di grazia ad una Clio ormai inerme.
Con sarcastica ironia lo scrittore dichiara quanto sia inutile tenere in movimento il nostro piccolo
mulino, in quanto il destino degli storici è ormai segnato: tra breve nessuno crederà più alla nostra
utilità. (p.25).
Anche la negazione della storia come scienza, l’accumularsi di masse di documenti poi rimasti
inutilizzati, nell’illusione che verrà un giorno in cui la documentazione sarà tanto esauriente da
permettere alla fine una costruzione scientifica (p.34), fa parte del processo di critica alla
storiografia al punto che, paradossalmente, uno storico come J. Le Goff proporrà di reinserire il
falso nella documentazione storica.
(_) per la storiografia tradizionale e un po’ positivista sembra sia stato difficile convincersi del fatto
che un documento non è mai innocente ( in Intervista sulla storia, Bari, Laterza, 1982, p.99).
Il laboratorio dello storico non assomiglia a quello del fisico o del chimico, in storia in generale la
precisione s’accresce a spese della certezza. (p.48).
Il coraggio di Marrou, la sua visione quasi profetica, derivano non soltanto dall’aver negato nel
1939 la conoscenza oggettiva paragonandola alla conoscenza di un’altra persona, la quale non sarà
mai pienamente esaustiva e soddisfacente: Non esiste alcuna conoscenza storica realmente
oggettiva, universalmente valida, cogente. (p.56). L’io storico inoltre si incontra con l’Altro e
queste diverse soggettività entrano in relazione per cercare di comprendere la realtà: come non
ricordare il concetto di storico militante, l’uso delle fonti orali, la critica femminista? Ma qui non
sembra tanto una questione di metodologie quanto di visione del mondo: lo storico è lì ben presente,
uomo tra gli uomini, animato da passioni, costretto a fare una scelta necessariamente arbitraria,
poiché dipende da una ‘teoria’ la cui verità non sarà mai d’ordine scientifico, ma soltanto
filosofico. (p.39).
Chi fa ricerca storia si sceglie il suo passato perché si gioca il suo presente. Come ben osserva
Maurilio Guasco nell’introduzione al testo, l’autore era consapevole della presenza del male nella
divenire storico, ma non aveva rinunciato ad affermare la missione dell’uomo, di ogni uomo,
chiamato ad incarnarsi e a operare dentro il mistero della storia. (p.15).
Mai come oggi siamo ossessionati dalla memoria, dall’uso pubblico della storia, stretti tra
l’imperativo civile di ricordare e le strumentalizzazioni spettacolari che la società di massa impone
(vorrei qui ricordare gli scritti di Nicola Gallerano, Le verità della storia, Roma, manifestolibri,
1999). Per questo l’invito di Marrou a vivere, a non essere stupidi, a cercare di capire, pur nella
consapevolezza che gli storici non hanno più l’incarico di dare la salvezza alla terra, d’arrecare la
Verità agli uomini (p. 61), si innerva dentro di noi, risuscitando quella passione per la ricerca che
diventa impegno intellettuale nel mondo attuale.
Non accettare il fatto compiuto, non ripetere il giudizio dei primi venuti, ma svelare cause
sotterranee che nessuno aveva potuto scorgere. (p.66), appare una sfida per tutti i volgarizzatori, gli
imbonitori, quei maestri saccenti che tendono a dare una visione manichea dei fatti storici.
Il piccolo testo di Marrou diventa un monito per le giovani generazioni perché il fare esperienza
storica (non basta studiare il manuale, ma occorre sperimentare le fonti, tutte le fonti, per rendersi
contemporanei degli avvenimenti che si narrano) assume un alto valore pedagogico ed etico, è
un’educazione della volontà e del coraggio (p.68), che restituisce all’uomo il senso della
responsabilità per poter combattere il fatalismo.
La storia arricchisce l’immaginazione (G. Duby scrive Il sogno della storia, Milano, Garzanti,
1986) senza diventare vana curiosità, rimane infatti essenzialmente incontro con l’altro.
Alla fine, in un mondo globalizzato, dove qualche volta la paura del diverso proietta lugubramente
il passato sul presente, dichiarare che questo incontro rinnova ed arricchisce, intendendo la storia
come amicizia, non è cosa da poco.
Maria Teresa Gavazza
14 giugno 1800: a Marengo, presso Alessandria, le truppe francesi sconfiggono l’esercito austriaco.
Inizia la dominazione napoleonica in Italia.
ADESIONI AL BOLLETTINO “PAGINE MONCALVESI”
Elenco aggiornato al 30 giugno 2000
Aldo di Ricaldone – Ottiglio (AL)
Giuseppe Alessio – Montemagno (AT)
Carlo Aletto – Rosignano Monf. (AL)
Rita Allara – Grazzano B. (AT)
Gaetano Amante – Penango (AT)
Irene Amarotto – Genova
Antonino Angelino – Casale Monf. (AL)
Rosalba Ansaldi – Moncalvo (AT)
Giovanni Ardizzone – Moncalvo (AT)
Associazione culturale “Aquesana” – Acqui Terme
Archivio storico diocesano – Casale Monf. (AL)
Associazione Casalese Arte e Storia – Casale Monf.
Associazione nazi.le Combattenti e Reduci – Moncalvo
Cristina Bacco - Moncalvo (AT)
Stefano Baldi - Torino
Enrica Baralis Coppa - Moncalvo (AT)
Roberto Barberis – San Salvatore Monf. (AL)
Amilcare Barbero – Ponzano (AL)
Simona Bargero – Moncalvo (AT)
Clelia Beccaris – Moncalvo (AT)
Stefano Beccaris – Moncalvo (AT)
Adriana Bechis Piacenza – Torino
Ezio Belforte – Torino
Cinzia Bendanti – Imola (BO)
Clara Bergamin - Montechiaro (AT)
Alberto Berliat - Penango (AT)
Cesare Berruti – Calliano (AT)
Gianni Berta – Alessandria
Mario Bertana – Moncalvo (AT)
Ugo Bertana – Castelletto Merli (AL)
Clara Besso – Moncalvo (AT)
Claudio Bestente - Moncalvo (AT)
Paola Bianco - Moncalvo (AT)
Biblioteca civica “G. Canna” – Casale Monf. (AL)
Biblioteca civica – Moncucco Torinese (AT)
Biblioteca comunale – Calamandrana (AT)
Biblioteca comunale – Calliano (AT)
Biblioteca comunale – Castelletto Merli (AL)
Biblioteca comunale – Grazzano B. (AT)
Biblioteca del Seminario vescovile – Asti
Biblioteca del Seminario vescovile – Casale Monf.
Biblioteca nazionale centrale – Firenze
Biblioteca storica della Provincia di Torino – Torino
Biblioteche civiche e Raccolte storiche – Torino
Angela Biedermann – Andora (SV) Raimondo
Biglione di Viarigi – Brescia Alessandro Biletta Moncalvo (AT) Guido Boano – Moncalvo (AT) Alfio
Bonelli – Calliano (AT) Maria Bonzano Strona – Asti
Alberto Borghini – Massa Mauro Bosco – Casale
Monf. (AL) Pier Giuseppe Bosco - Montalero (AL)
Enrichetta Bosia – Torino Armando Brignolo – Asti
Francesco Broda - Moncalvo Luigi Broda – Asti Luisa
Brovero – Casale Monf. (AL) Franco Buano –
Moncalvo (AT) Maria Pia Buronzo - Torino Domenico
Bussi – Asti Luigi Caligaris – Roma Corrado
Camandone – Andora (SV) Marcello Cambiaso –
Moncalvo (AT) Felice Camerano – Moncalvo (AT)
Marco Canepa – Alessandria
Maria Capra - Moncalvo (AT)
Pierina Capra - Moncalvo (AT)
Gaia Caramellino – Torino
Giancarlo Caramellino - Odalengo Piccolo (AL)
Massimo Carcione – Asti
Vittorio Giovanni Cardinali – Torino
Dina Cariola – Moncalvo (AT)
Mario Casalone - Torino
don Gian Paolo Cassano – Occimiano (AL)
Maria Castellano – Torino
Alba Cattaneo – Casale Monf. (AL)
Angela Cavallito – Moncalvo (AT)
Paolo Cavallo – Pinerolo (TO)
Luigi Cavallotto – Moncalvo (AT)
Carla Cavanna Broda – Moncalvo (AT)
Luciano Cecca - Moncalvo (AT)
Centro Studi Piemontesi – Torino
Centro UNESCO di Firenze – Firenze
Centro UNESCO di Torino – Torino
Mario Cerrano - Moncalvo (AT)
Annalisa Cerruti – Moncalvo (AT)
Maria Clerici – Pino Torinese (TO)
Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri – Asti
Comando Stazione Carabinieri – Moncalvo (AT)
Commissione nazionale della CRI per la Diffusione del
Diritto Internazionale Umanitario – Roma
Consorzio per la gestione della Biblioteca Astense
Carla Coppo Sorba - Moncalvo (AT)
Giuseppe Coppo - Casorzo (AT)
Giuseppe Coppo – Moncalvo (AT)
Enrico Corzino – Moncalvo (AT)
Giuseppe Cova – Alessandria
Luigi Cravino - Frassinello Monf. (AL)
Maria Eleonora Cravino – Torino
Mario Cravino – Casale Monf. (AL)
Graziella Crosetto - Arese (MI)
Piergiuseppe Cuniberti – Calliano (AT)
suor Elsa Cuppini – Torino
Franca Dagnino - Genova Sestri Ponente
Carlo Debernardi – Moncalvo (AT)
Patrizia Debernardi - Moncalvo (AT)
Armando De Coppi – Milano Carlotta Della Sala
Spada Lombardi – Quattordio (AL) Maria Cristina
Della Sala Spada - Asti Aldo Demaria - Asti
Direzione didattica – Moncalvo (AT)
Antonio Dogliani – Bra (CN)
Marco Dolermo – Acqui Terme (AL)
Elèna Dolino – Torino
Diana Donna - Moncalvo (AT)
Nadia Durante - Ponzano (AL)
Gigi Efisio - Casale Monf. (AL)
Emeroteca Storica Italiana – Verona
Tino Evaso – Casale Monf. (AL)
Cesare Fara – Sanremo (IM)
Giovanni Fara – Torino
Franco Fassio – Moncalvo (AT)
Romano Fea - Torino
Giovanna Ferraro - Moncalvo (AT)
Marco Ferrero – Vicenza
Ornella Fino – Asti
Gennaro Fiscariello - Napoli
Lorenzo Fornaca – Asti
Renzo Fracchia – Casale Monf. (AL)
Marta Franzoso – Asti
Iraide Gabiano - Moncalvo (AT)
Carla Galetto Broglia - S. Marcherita Ligure (GE)
Bruno Gallo – Buenos Ayres (Argentina)
Ugo Gallo – Casale Monf. (AL)
Francesca Gamba – Moncalvo (AT)
Fiorenzo Gambino – Monale (AT)
Maria Teresa Gavazza - Quargnento (AL)
Renato Gendre – Villafranca (AT)
Carlo Francesco Genta – Asti
Cleto Girino – Torino
Mario Andrea Gerbi – Roma
Fiorenza Gherlone – Revigliasco (AT)
Rosanna Gherlone – Moncalvo (AT)
Teresio Gonella - Moncalvo (AT)
Vittorio Graziano – Ponzano (AL)
Stefano Grillo – Casale Monf. (AL)
Walter Haberstumpf – Torino
Josette Hallet – Limal (Belgio)
Marco Illengo – Serralunga di Crea (AL)
Michele Isacco – Trino (VC)
Istituto Internazionale di Diritto Umanitario – Sanremo
Maria Rita Laio Cerruti - Moncalvo (AT)
Claudio Lamberti Corbella - Moncalvo (AT)
Roberto Laurella - Moncalvo (AT)
Silvio Lavagnino – Asti
Giancarlo Libert – Torino
Liceo Ginnasio “V. Alfieri” – Asti
Elisa Ludergnani Magnani - Moncalvo (AT)
Armida Lunghi Salatino – Moncalvo (AT)
Alberto Lupano - Chivasso (TO)
Americo Luparia – Moncalvo (AT)
Giovanni Macagno – Asti
Lorenzo Magrassi – Mombello (AL)
Giampiero Maio – Moncalvo (AT)
Teresio Malpassuto – Casale Monf. (AL)
Giuseppe Mantelli – Casale Monf. (AL)
Arturo Marcheggiano – Pitigliano (GR)
Carlo Antonio Marchesi - Milano
Giuseppandrea Martinetti – Moncalvo (AT)
Aldo Marzano – Moncalvo (AT)
Rita Marzano – Moncalvo (AT)
Rita Marzola - Moncalvo (AT)
Marco Massaglia – Moncalvo (AT)
Giorgio Massola – Casale Monf. (AL)
Alfredo Matuonto – Milano
Ferruccio Mazzariol – Treviso
Oreste Mazzucco – Torino
Roberto Mercuri – Viterbo
Rinaldo Merlone – Piobesi (TO)
Giovanni Minoglio Chionio – Torino
Aldo Alessandro Mola – Torre San Giorgio (CN)
Renzo Mombellardo - Moncalvo (AT)
Roberto Mombellardo – Moncalvo (AT)
Elda Mongardi – Imola (BO)
Nancy Montanari - Palermo
Wendy Montanari - Alexandria, Va. - U.S.A.
Giuliano Monti – Moncalvo (AT)
Orazia Montiglio – Moncalvo (AT)
Marco Morra – Asti
Mirella Mortarotti - Moncalvo (AT)
Lyda Mosca – Asti
Pier Luigi Muggiati – Casale Monf. (AL)
Olimpio Musso - Colle Val d’Elsa (SI)
Angelo Muzio – Casale Monf. (AL)
Giovanni Navazzotti – Villanova Monf. (AL)
Gino Nebiolo – Roma
Vincenzo Nebiolo – Asti
Daniela Nebiolo Sacco – Asti
Pierina Nicolini - Mombello Monf. (AL)
Livia Novelli – Borgo San Martino (AL)
Nevilda Oddone - Grana (AT)
Giuseppe Opezzo – Omegna (VB)
Oscar Ottone – Moncalvo
Monica Parola – Portacomaro (AT)
Parrocchia di S. Antonio di Padova – Moncalvo (AT)
Parrocchia del Santo Nome di Maria – Calliano (AT)
Vittorio Pasteris - Moncalvo (AT)
Mario Pavese – Torino
Renato Peirone – Penango (AT)
Fratelli Pelazza – Milano
Cesarina e Marcella Perotti - Sesto S. Giovanni (MI)
Franco Piacenza – Torino
Gino Piacenza – Torino
Giulia Piacenza Amerio – Torino
Alfredo Poli – Calliano (AT)
Studio Poli - Sanremo (IM)
Francesco Porcellana – Asti
Pontificio Consiglio per la Cultura – Città del Vaticano
Anna Prato Sarzano - Torino
Rodolfo Prosio – Asti
Carlo Prosperi – Acqui Terme (AL)
Achille Raimondo – Moncalvo (AT)
don Severino Ramello – Agliano Terme (AT)
Gian Luigi Rapetti Bovio Della Torre – Strevi (AL)
Alice Raviola – Asti
Carlo Raviola – Asti
Pierantonia Raviola - Moncalvo (AT)
Giovanni Rebora – Acqui Terme (AL)
Giuseppina Redoglia Sarzano - Moncalvo (AT)
Piera Redoglia – Grazzano Badoglio (AT)
Pia Re Ombra – Casale Monf. (AL)
don Francesco Ricossa – Verrua Savoia (TO)
Alberto Rissone – Asti
Luigi Rizzo – Lecce
Mario Andrea Rocco – Castell’Alfero (AT)
Dionigi Roggero – Casale Monf. (AL)
Giovanni Roggero – Asti
Rubèn Darío Romani Ferreira – Mendoza (Argentina)
Riccardo Romano – Venezia Lido
Giuseppe Rosina – Moncalvo (AT)
Enrica Rossetti Rampi - Alessandria
Mario Rossi - Moncalvo (AT)
Renato Rossi – Moncalvo (AT)
Learco Sandi – Milano
Paolo Santoro – Firenze
Raffaele Santoro – Roma
Laura Santoro Ragaini – Milano
Claudio Saporetti – Roma
Mariella Sarzano – Vinchio (AT)
Giovanni Scaiola – Moncalvo (AT)
Massimo Scaglione – Torino
Mariangela Scarsi Barberis – Moncalvo (AT)
Scuola elementare “Ten. Riva” – Montemagno (AT)
Scuola media statale “Capello” – Moncalvo (AT)
Carlo Serra – Moncalvo (AT)
Elisabetta Serra – Torino
Mirella Simoni Locatelli - Piacenza
Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti TO
Fernando Sorisio – Asti
Roberto Sorisio - Asti
Emilio Spallicci – Alessandria
Giuseppe Spina – Treville (AL)
Maria Spinoglio – Moncalvo (AT)
Angela Strona – Moncalvo (AT)
Vincenzo Strona – Moncalvo (AT)
Marco Tappa - Moncalvo (AT)
Giuseppe Tardito – Moncalvo (AT)
Mario Testa – Torino
“Tridinum” – Società per l’Archeologia, la Storia e le
Belle Arti – Trino (VC)
Pierluigi Truffa – Gabiano (AL)
Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito – Roma
UTEA (Università Terza Età) – Asti
Giuseppe Vaglio – Torino
Anna Varvelli – Castelletto Merli (AL)
Laura Venesio – Moncalvo (AT)
Elena Verrua – Moncalvo (AT)
Alberto Verdelli – Moncalvo (AT)
Sergio Vidinich – Genova
Aldo Vigna - Asti
“Villaviva” – Società culturale – Villanova Monf. (AL)
Anna Visca Martinotti – Moncalvo (AT)
Luisa Volta – Moncalvo (AT)
Franco Zampicinini – Cocconato (AT)
Giuseppe Zanello – Penango (AT)
Igor Zanzottera – Alessandria
Domenico Zoccola – Lecco
Mario Zonca – Moncalvo (AT)