«Quattro anni persi per quel maledetto corso, senza qualifica né

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«Quattro anni persi per quel maledetto corso, senza qualifica né
Mercoledì, 15 Marzo 2017
L’intervista
«Quattro anni persi per quel
maledetto corso, senza
qualifica né diploma». Caso
SCOCA: se i diritti di Cecilia
valgono meno
Parla una delle studentesse del corso di
formazione in operatore del benessere attivato
senza autorizzazione regionale: «Ogni volta
che chiedevamo rassicurazioni ci veniva
risposto che era tutto in ordine, fino alla
comunicazione dello stop a settembre 2016. E
pensare che solo l’anno scorso ci hanno fatto
partecipare all’Open Day per presentare
l’indirizzo. In classe oggi sono rimaste in sei
che, a quello che so, sono state mandate a fare
le commesse in un negozio di abbigliamento»
Autore: Giulia D’Argenio
Data di pubblicazione: Sabato, 11 Marzo 2017
«Quest’anno sarei dovuta essere in quarta superiore e invece ho smesso di andare a scuola a novembre, circa un
mese dopo esserci stata comunicata la verità che avevamo già intuito da tempo, pur senza averne mai avuto
conferma». Ha lo sguardo tanto determinato quanto arrabbiato Cecilia, una delle ex(?) studentesse dell’istituto
“Fortunato-Scoca” che nel 2014 furono imbarcate nella fallimentare avventura di un corso di formazione
professionale che, invece di dar loro una qualifica in operatore del benessere, ha finito solo per togliere anni
preziosi alle loro giovanissime esistenze.
«Me lo ricordo come fosse ora quando arrivai in quella scuola per chiedere informazioni su quel maledetto corso.
Mia madre aveva sentito della sua attivazione alla televisione: aveva visto un servizio di una emittente locale. Io
allora ero iscritta al corso per operatore tessile dell’“Amatucci” ma, visto che mi sarebbe piaciuto molto
conseguire la qualifica da parrucchiera, andai a chiedere informazioni fornitemi da due docenti, tra cui la referente
del corso stesso. Mi rassicurarono che avrei ottenuto, senza grasse spese, una qualifica che negli istituti privati si
paga, e anche tanto. Diciamoci la verità: chi, messa così, avrebbe rinunciato a questa possibilità?».
La risposta, banalissima, è: nessuno. Nemmeno chi all’epoca dei proclami pubblicitari sull’attivazione dell’opzione
era arrivato già in terza, magari in un altro istituto professionale dove avrebbe potuto acquisire una qualifica
sicuramente valida. «Sono ripartita dalla prima ma fin dall’inizio le cose non quadravano. La scuola è iniziata a
settembre, sempre con una grancassa mediatica, e noi a novembre ancora non avevamo messo piede in
laboratorio: sembrava, per quel che riuscimmo a capire, che mancassero delle autorizzazioni. Nel frattempo mia
madre continuava a chiedere rassicurazioni, ma non certo per creare problemi. Voleva solo esser sicura che non
perdessi tempo perché, in caso contrario, avrei cambiato strada. Tutto qui».
Me lo ricordo come fosse ora quando arrivai in quella scuola per chiedere informazioni su quel maledetto corso: mi
furono fornite da due docenti, tra cui la referente stessa del corso Novembre 2014: la risposta della Direzione
Generale Istruzione della Giunta Regionale della Campania, con la quale si negava allo SCOCA - e non solo l’autorizzazione per l’attivazione del percorso IeFP in operatore del benessere porta la data del 28 di quel
mese ed è stata recepita dalle scuole interessate il 2 dicembre successivo. Ora, alla luce di tanta incertezza,
non solo da un punto di vista burocratico-amministrativo ma anche tecnico, visti i ritardi nell’effettivo avvio delle
attività, l’interrogativo ritorna ancora una volta urgente e pressante: per quale ragione si è perseverato fino a qui?
«Tre erano le docenti per il corso di estetica e uno per quello di acconciatura. Per il primo anno, ritardi a parte, le
cose, almeno in apparenza, sembravano andare per il verso giusto. Facevamo tre ore di attività di laboratorio, il
lunedì, scalate da quelle di italiano, matematica ed economia aziendale». Nell’anno scolastico 2015/2016, quello
in cui la scuola ha continuato a raccogliere iscrizioni malgrado la mancanza di certezze da parte della Regione
Campania, il castello comincia più visibilmente a scricchiolare. «Il nostro professore di acconciatura ci ripeteva
sempre che la pulizia fosse la prima cosa, ragion per cui, ogni volta che uscivamo dal laboratorio, tutto ciò che
usavamo doveva essere lasciato perfettamente pulito. Peccato che per una intera settimana quelle stanze
restavano chiuse e, ogni volta che ci tornavamo, la polvere non faceva che aumentare». E la polvere era la sola
cosa che aumentava in quei laboratori dove a diminuire erano altre cose, ben più necessarie. «I prodotti che
usavamo, sia noi che le ragazze di estetica, ovviamente cominciarono a finire, senza però essere sostituiti: pare che
la scuola non avesse i soldi per comprarne di nuovi. Una certa confusione l’abbiamo Per il primo anno, ritardi a
parte, le cose, almeno in apparenza, sembravano andare per il verso giusto. Facevamo tre ore di attività di
laboratorio, il lunedì, scalate da quelle di italiano, matematica ed economia aziendale percepita anche
nell’organizzazione degli stage esterni, necessari per fare esperienza di contatto col pubblico. Ma comunque, il
peggio allora doveva ancora venire».
E il peggio è puntualmente arrivato tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre 2016 quando il dirigente successore
di Severino Loiaco, Maria Teresa Brigliadoro, ha convocato tutti gli studenti, insieme ai genitori, del corso in
operatore del benessere, per comunicare loro che quella formazione era priva di autorizzazione e dunque non
poteva proseguire. «La professoressa referente era presente nella sala teatro dell’Amatucci ma niente: si è rifiutata
in tutti modi di spiegarci perché fossimo arrivati a quel punto. Del resto, noi per tutti e tre gli anni di quel
benedetto corso le abbiamo sempre chiesto rassicurazioni e puntualmente ci era stato risposto che fosse tutto in
ordine, che non c’era nessun problema. E invece...»
La domanda resta sempre la stessa. E ora? «E ora niente: io personalmente mi sto attivando per prendere la
qualifica presso un istituto privato e magari il diploma serale. Che dovrei fare? Continuare ad aspettare soluzioni
che non esistono? Io oggi dovrei essere vicina al diploma e invece non ho nemmeno una qualifica triennale. Mi
sono iscritta ad una scuola che non avrei mai frequentato, illusa da una bugia e da quando questa cosa è venuta
fuori, non c’è stata una e una sola persona che ci abbia saputo o voluto dire che fine dovremmo fare, come
dovremmo recuperare gli anni che abbiamo perso. Soprattutto noi che per prime abbiamo iniziato questa cosa e
che eravamo quasi tutti iscritte ad altre scuole e pure a buon punto».
Ragazze che volevano soltanto formarsi per cominciare a lavorare e che ora non possono far altro che prendere
atto di aver perso almeno quattro anni della loro vita invano. Con tutto ciò che questo ha significato per il loro
rapporto con la scuola e la fiducia in un’istituzione che dovrebbe essere una seconda casa. Dovrebbe.
Eravamo in 30 il primo anno, poi siamo diventate 18. Adesso pare che in classe se arrivino a sei persone è il
massimo. Ma del resto, che dovremmo andare a fare?«Eravamo in 30 il primo anno, poi siamo diventate 18. Adesso
pare che in classe se arrivino a sei persone è il massimo. Ma del resto, che dovremmo andare a fare? Da quello che
so, le ragazze della I B - ora terza - stanno lavorando in un noto negozio di abbigliamento di Avellino. Le
commesse: ecco come starebbero riempiendo le ore di stage e attività pratica che avremmo dovuto fare presso
centro estetici e saloni, a completamento della formazione in laboratori che non esistono più. Da quest’anno, noi
siamo state trasferite da Via Pescatori a via Zigarelli mentre pare che le apparecchiature che utilizzavamo siano
state chiuse in qualche stanza dell’Amatucci. E, poi, che c’entrano le commesse con estetiste e parrucchiere? E
soprattutto: che qualifica dovrebbero darci adesso? Soprattutto dopo che per due anni abbiamo imparato il
minimo sindacale di estetica e acconciatura e non abbiamo nemmeno lontanamente idea di cosa sia, per esempio,
un tecnico-commerciale».
Domande senza risposta che assumono ancor di più il sapore di una beffa se è vero, com’è vero, che le ragazze
arruolate nel 2014 hanno «fatto persino l’Open Day lo scorso anno scolastico, per pubblicizzare il corso con futuri
studenti e genitori. E questi ultimi, quando la vicenda è venuta a galla, se la sono anche presa con noi: ci hanno
detto che avevamo preso in giro loro e i figli. Ma cosa potevamo saperne noi?»
Che c’entrano le commesse con estetiste e parrucchiere? È arrabbiata e nauseata Cecilia: e chi non lo sarebbe?
Questo è il mondo degli adulti che ha responsabilità di loro e della loro crescita. Questi sono gli esempi che si
consegnano a ragazzi il cui tempo, la cui dignità e la cui vita sembrano drammaticamente valere meno di quella di
altri. Magari meno di quella di uno studente di un liceo classico e di uno scientifico. Se così non fosse, chi di dovere
proverebbe a riparare, a dar loro risposte e soddisfazione. La sensazione, invece, è tutti stiano aspettando che la
tempesta si plachi, che la cosa finisca per essere dimenticata: tanti queste ragazze hanno assolto il loro obbligo
scolastico ragion per cui, ora facciano quel che vogliono o possono.
Se questo è, vergogna perché Cecilia e le sue compagne non sono figli di serie b: i loro diritti allo studio valgono
tanto quanto quelli degli altri.
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diploma». Caso SCOCA: se i diritti di Cecilia valgono meno