Numero 1 Gennaio/Febbraio 2009

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Numero 1 Gennaio/Febbraio 2009
Anno XXX
N. 1
Gennaio/Febbraio 2009
Euro 2,00
L'Acquedotto dei Pilastri
archi inutili e dispendiosi?
Dal Castello d'Ischia al Ticino: Ferrante d'Avalos
Formazione della Macchia mediterranea
Napoli / Mostre
Rauschenberg
al Museo Madre
Procida
Il Vento del Cinema
Rassegna Libri
La vita contadina nell'alternarsi delle stagioni
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Anno XXX- N. 1 Gennio/Febbraio 2009 - Euro 2,00
Periodico di ricerche e di temi turistici,
culturali, politici e sportivi
Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione
con n. 8661.
Stampa Tipolito Epomeo - Forio
Sommario
2
Ischia Film Festival: al via il concorso 2009
3
Motivi
4
Concorsi di Poesia
5
L'Acquedotto dei Pilastri
Archi inutili e dispendiosi?
9
Formazione della Macchia mediterranea
14
Turismo: 6 Viaggi in Campania 2009
17
Ferrante d'Avalos
24
1904 - Da Casamicciola a Lacco
per la strada Ledomade
26
Dalle "Isole appartinenti all'Italia" (1550)
29
Fonti archivistiche
Capitolazioni delle Confraternite di Forio (III)
35
La vita contadina nell'alternarsi delle stagioni
38
Racconto: La Quercia
39
La lettera
40
Rassegna Libri
44
Arte: Rauschenberg al "Madre" di Napoli
48
Procida: Vento del Cinema
51
Convegno di studi sulla Magna Grecia
2 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Ischia Film Festival
al via il concorso 2009
Sono già disponibili il regolamento e l’entry form
dell’Ischia Film Festival dedicato alle location e aperto
a Lungometraggi, Documentari e Cortometraggi italiani
e stranieri, organizzato dall’Associazione culturale Art
Movie & Music, sotto l’Alto Patronato del Presidente
della Repubblica.
Al Festival possono partecipare tutte le opere che
abbiano valorizzato il territorio attraverso la scelta delle
location, promuovendone così la realtà storica sociale
ed umana, le tradizioni e la cultura.
L’idea di un festival dedicato ai luoghi cinematografici nasce dall’intenzione di creare un appuntamento
annuale d’incontro tra due realtà, cinema e territorio,
che negli ultimi anni hanno avuto sviluppi strettamente
correlati. Il Festival si propone inoltre di sensibilizzare
l’opinione pubblica, tramite la cinematografia, al rispetto
dell’ambiente e delle ricchezze artistiche e territoriali.
La prossima edizione del Festival avrà luogo ad Ischia
dal 22 al 28 Giugno 2009 e si articolerà nella tradizionale sezione in concorso (riservata a Documentari e
Cortometraggi), nella sezione non competitiva e nelle
sezioni speciali. La deadline per inviare le opere è fissata
al 15 Aprile 2009.
Le proiezioni delle opere si svolgeranno nelle esclusive location del Castello Aragonese di Ischia che si erge
su uno scoglio in mezzo al mare.
L’entry form ed il regolamento per partecipare al
Festival sono reperibili sul sito ufficiale del Festival:
www.ischiarfilmfestival.it
Le opere possono essere sia inedite che edite, ma necessariamente presentate al pubblico dopo il 1° Gennaio
2008. I cortometraggi presentati in concorso devono
avere durata non superiore a 30 minuti. L’iscrizione è
gratuita
La selezione delle opere avviene a cura e giudizio
insindacabile della Direzione del Festival e della commissione selezionatrice.
*
Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti,
fotografie e disegni (anche se non pubblicati), libri e giornali non
si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le
esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza,
gli scritti a disposizione.
conto corrente postale n. 29034808 intestato a
Raffaele Castagna - Via IV novembre 25
80076 Lacco Ameno (NA)
www.larassegnadischia.it
[email protected]
MOTIVI
Venerdì 12 dicembre u. s. la trasmissione televisiva Mi manda Rai Tre,
condotta da Andrea Vianello, ha trattato
il grave problema delle Poste italiane,
concernente soprattutto il recapito della
corrispondenza (lettere, bollette, raccomandate, giornali, pacchi…) che viene
(o non viene) effettuato regolarmente,
di cui ci siamo occupati varie volte. Vi
ha preso parte il sindaco di Forio, dott.
Franco Regine (anzi sulla località di
Forio è stato trasmesso anche un servizio registrato), il quale ha manifestato
anche le difficoltà che sono presenti su
tutta l’isola.
Si è notato che in fondo la questione
negativa risulta ampiamente diffusa su
tutto il territorio nazionale con varie
sfumature, evidenziando che l’ente
viene meno proprio ai suoi compiti
essenziali con le sue carenze nella distribuzione postale, pur magari distinguendosi in altri nuovi servizi offerti
ai cittadini. Innanzitutto si è avuta la
concentrazione in alcuni uffici, sicché
il postino deve partire e rientrare da
una maggiore distanza e deve essere
fornito di mezzo meccanico; i postini
non vengono assunti oppure lo sono a
contratti trimestrali, neppure il tempo
di appropriarsi del territorio.
Ci risulta che il sindaco Regine
(l’unico forse in ambito isolano) sia
spesso intervenuto in merito al problema e la sua presenza in TV ci fa capire
che ormai abbia tentato l’ultima carta
possibile per poter ottenere dei risultati
positivi. Le istituzioni, come i cittadini, evidentemente guardano a questa
possibilità pubblica come l’ultima
spiaggia. Anche perché il paese reale
appare sempre più staccato e isolato
dal potere politico: i problemi della
Raffaele Castagna
gente, i problemi della vita quotidiana
costituiscono un momento secondario
e marginale. La stessa impressione, suscitata dalla discussione televisiva, non
è apparsa favorevole per una prossima
soluzione delle questioni proposte;
sono preminenti (e forse maggiormente
redditizi) gli altri obiettivi che tendono
a raggiungere le Poste italiane, come si
tiene a ribadire in ogni occasione.
In questi ultimi anni pensiamo che
si sia fatto troppo spesso e troppo
facilmente ricorso alla concessione
della cittadinanza onoraria da parte
delle amministrazioni comunali. Fa
in un certo senso piacere che questa
aspirazione coinvolga più persone, o
perché molto legate al territorio per
lunga presenza o per qualsiasi altra
favorevole circostanza, ma ignoriamo
se ci siano determinati presupposti e
specifiche prerogative quale premessa
a tale atto amministrativo, oppure se il
tutto sia lasciato alla semplice proposta di un sindaco o di un consigliere.
Peraltro una valutazione al riguardo
dovrebbe essere maturata e concretizzata soltanto dopo attento esame degli
aspetti che costituiscono il motivo del
riconoscimento. E questo anche perché
premiare tutti significa ridurre ad un
normale atto formale quanto dovrebbe
essere un nobile e alto segno di merito
per chi ne è il destinatario e di grande
riconoscenza per chi l’attribuisce.
Con questo primo numero del 2009
La Rassegna d’Ischia segna nel suo
tempo di pubblicazione l’anno trentesimo, raggiungendo un traguardo
significativo nel contesto editoriale
isolano, sempre caratterizzato da una
intensa attività giornalistica. Le moderne strutture riguardanti la preparazione
e la stampa hanno reso più facile la
continuità di un giornale, che un tempo
mancava e veniva meno dopo qualche
anno. Ma non per questo si può dire che
non occorrano il medesimo impegno e
lavoro, oltre che un grande entusiasmo,
per restare a galla e sopravvivere, superando lo scetticismo circostante, se
non il minimalismo a volte esistenti.
Nel 1980 si scriveva: «… questo
foglio che prende l’avvio senza pretese, ma con la speranza di conquistarsi
qualche lettore…». Due circostanze
che rappresentano ancora oggi la realtà
del periodico, pur dovendosi riconoscere che “qualche lettore” vi abbia rivolto
la sua attenzione e ne abbia apprezzato
i contenuti.
In questi trenta anni l’interesse è stato
richiamato anche sul ricco patrimonio
culturale del passato, con la pubblicazione di opere e di scritti di notevole
importanza per l’isola d’Ischia, spesso
allegati in offerta al giornale: così
sono state riproposti libri come quelli
di Iasolino, De Siano, Marone, De
Rivaz… E soprattutto è da ricordare
la traduzione dal latino degli oltre
ottomila versi di Camillo Eucherio
de Quintiis del poema Inarime seu
de balneis Pithecusarum, pubblicato
nel 1726. C’è peraltro da constatare
che, benché si parli tanto di memoria
storica a vari livelli, in pratica scarsa è
la propensione a dimostrarne la vera
portata e lo specifico interesse.
Alla forma cartacea del periodico è
stata aggiunta la presenza internet, in
quanto oggi il giornale e le opere pubblicate sono riproposti anche in questa
versione.
La Rassegna d’Ischia 1/2009 3
Premio Nazionale di Poesia
“Poesie al mondo”
È indetto il Premio Nazionale di Poesia “Poesie al mondo”
con scadenza alle ore 24.00 del giorno 31 gennaio 2009 (salvo
eventuali proroghe che saranno opportunamente segnalate
sul sito www.edizionisimple.it). Il Premio si propone di
pubblicare sul sito www.edizionisimple.it le opere giudicate
meritevoli e in più realizzare un volume antologico, pubblicato
dalle Edizioni Simple.
Possono partecipare autori italiani e stranieri ovunque
residenti. La partecipazione al Premio è gratuita ed il tema
delle opere è libero. I testi devono essere in lingua italiana.
Si partecipa con tre poesie (massimo 30 righe ciascuna,
condizione necessaria per essere ammessi al Premio) inedite
mai pubblicate su internet o in qualsiasi genere di edizione
cartacea, pena l’esclusione.
Le opere vanno inviate (titoli compresi) in allegato formato
documento (word, .txt o .rtf) all’indirizzo di posta elettronica
[email protected], indicando come oggetto: “Poesie
al mondo”. Nel testo della mail deve essere riportato inoltre:
nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero telefonico,
e-mail dell’autore (coloro che fanno uso di uno pseudonimo
devono comunque riportare il nome effettivo a uso della segreteria del Premio) e una dichiarazione di autenticità delle
opere e di autoriz­zazione all’utilizzo dei dati personali in
conformità alle leggi vigenti: “Ai sensi del D.Lgs. 196/2003
a tutela della privacy, autorizzo al trattamento dei miei dati
personali”.
Chi partecipa accetta che i propri testi vengano pubblicati
a titolo gratuito sul sito www.edizionisimple.it e che vengano
pubbli­cati nel volume antologico della Casa Editrice Simple
al prezzo di copertina (volume con relativo codice ISBN
acquistabile on demand su www.edizionisimple.it e nelle
librerie / esercizi commerciali convenzionati o sui siti di libri
più importanti).
Nessun corrispettivo economico è dovuto inoltre al concor­
rente per le proprie opere pubblicate eventualmente su riviste,
giornali, libretti, brochure e utilizzate per manifestazioni colla-
terali al Premio e non solo. Pur concedendo la pubblicazione/
utilizzazione a titolo gratuito, l’autore resta proprietario delle
proprie opere. Sia sul web che su qualsiasi altra pubblicazione
e in caso di loro utilizzazione sarà specificato l’autore delle
opere.
Il Regolamento completo può essere letto
sul sito www.edizionisimple.it
Premio di Poesia Formica Nera
Città di Padova
Il Gruppo letterario Formica Nera, fondato nel 1946, promuove la trentanovesima edizione del concorso di poesia
aperto a tutti gli autori di lingua italiana. Sono esclusi dal
concorso i vincitori (primi premi) delle precedenti edizioni.
Si partecipa con una poesia inedita a tema libero da far
pervenire entro e non oltre il 3 aprile 2009 in cinque
copie - di cui soltanto una con nome cognome indirizzo
e firma dell’autore - al segretario del concorso: Luciano
Nanni, Casella postale 814, 35122 Padova.
Per spese organizzative si richiede un contributo - in misura libera - da inviare preferibilmente con gli elaborati.
Premi: al primo classificato 400 (quattrocento) euro,
medaglia d’oro e pergamena. Ai segnalati medaglia
d’oro, pergamena e rimborso spese da definire. Nel caso
di assenza alla cerimonia di premiazione il primo class.
avrà diritto al titolo del Premio senza il corrispettivo in
denaro. Per gli altri premi è ammessa la delega.
L’esito del concorso verrà diffuso attraverso i consueti mezzi di comunicazione e in internet - www.
literary.it/premi. I finalisti riceveranno lettera personale.
La partecipazione al concorso implica la piena accettazione del regolamento da chiedere a: formicanera@
virgilio.it.
La precedente edizione - patrocinata da Comune di
Padova, Provincia di Padova e Regione Veneto - è stata
vinta da Renato Greco.
Forio
Celebrati i 25 anni dell'ASCOM
L’ASCOM (Associazione dei Commercianti, degli Operatori Turistici e dei Servizi) di Forio ha celebrato, sabato 13 dicembre 2008, il 25° anniversario della sua istituzione, nata per tutelare e garantire gli
interessi degli imprenditori del commercio e dei servizi nello svolgimento della loro attività. Essa, presieduta da Pietro Russo, è la più rappresentativa organizzazione sindacale del territorio grazie al numero
degli associati ed alla qualità e quantità dei servizi offerti. Gli associati Ascom possono contare su una
forza sociale altamente rappresentativa e competente in grado di affiancare l’azienda in tutta la sua attività.
Nell’occasione si è svolto un interessante convegno sul tema “Recessione. Prospettive e progetti” ed
è stata inaugurata la nuova sede in via Cardinale Lavitrano.
Nella serata di gala, che ha chiuso la manifestazione, sono state anche consegnate le pergamene “Una
presenza” agli operatori meritevoli.
4 La Rassegna d’Ischia 1/2009
L'Acquedotto dei Pilastri: archi inutili e dispendiosi?
Secondo uno scritto inedito, si poteva sfruttare la naturale
pendenza del terreno deviando semplicemente il percorso.
Il governatore Tuttavilla mollò i lavori sbagliati e costosissimi
di Gino Barbieri
Tre secoli e mezzo ci separano dalla realizzazione
di un’opera colossale portata a compimento nel XVII
secolo nella nostra isola per addurre l’acqua di Buceto a
Ischia Ponte (in quell’epoca Borgo di Celsa) e, malgrado
un così lungo lasso di tempo, l'Acquedotto dei Pilastri
costituisce pur sempre un monumento importante del
paesaggio isolano, di cui si ricordano spesso con encomio coloro che ne furono gli ideatori e realizzatori. Ma
fu vera gloria?
Un prezioso libricino custodito presso un antiquario
napoletano, poco frequentato dai topi di biblioteca
nostrani, ha riservato parecchie sorprese a chi ha avuto
la ventura di imbattersi nello scritto intitolato “Costruzione dell’Acquedotto Isclano, Anno Domini 1675”.
L’opuscolo ripercorre puntigliosamente tutte le fasi
della progettazione dell’opera e riammaglia i fili di un
avvenimento storico che ebbe notevole ripercussione
sulla vita quotidiana degli Ischitani, non fosse altro che
per i risvolti socio­economici che in quei tristi tempi
affliggevano, peggio dell’Euro di oggidì, le misere
popolazioni dell’isola d’Ischia.
Orbene va subito detto che la notizia più clamorosa
che emerge dall’opuscolo - sconosciuta perfino al nostro
Onorato, che in fatto di pettegolezzi e maldicenze paesane resta un campione insuperato - consiste nel fatto
che la progettazione dell’Acquedotto di Buceto fu, fin
dalla sua prima impostazione, completamente sbagliata
e male gliene incolse al suo ideatore, il cavaliere Orazio
Tuttavilla, che fu costretto ad abbandonare i lavori in
corso d’opera e tornarsene a Napoli con le pive nel sacco
e i rimbrotti del vicerè.
Ma andiamo con ordine e raccontiamo come filò via
tutta la faccenda. Siamo nell’anno domini 1580 e gli
Ischitani del Borgo di Celsa vivono il dramma quotidiano di una fiera penuria di acqua. Causa principale della
generale arsura la scomparsa definitiva, dopo decenni
di bradisismi, della sorgente di acqua dolce del Ninfario
che affiorava presso la Torre dei Guevara (o di Michelangelo) che approvvigionava la popolazione insieme
alla sorgiva dei Sassi, ambedue ingoiate dal mare.
Già per il passato lungo la fascia costiera di Cartaromana erano scomparsi nei flutti il porto angioino e
le antiche abitazioni romane del I secolo d.C. insieme
alle “plumbarie”, le officine metallurgiche dove si
costruivano armi, attrezzi navali e lingotti di piombo.
Rimostranze e lamenti degli abitanti del Borgo di Celsa non tardarono a raggiungere il palazzo del vicerè,
Cardinale di Granvela Antonio Perrenot, che non restò
indifferente alle suppliche degli Ischitani, decidendo
con sollecitudine di inviare sull’isola il cavaliere Orazio
Tuttavilla, uno spagnolo esperto in acquedotti, con poteri
di “governatore”, accollando le spese necessarie all’erario della corona. Le credenziali tecniche dell’ingegnere
sono del tutto sconosciute, ma sappiamo che il fratello
Muzio (ugualmente versato nelle scienze idrauliche)
aveva realizzato proprio in quel periodo il grandioso
acquedotto sotterraneo del Sarno, passato indenne fra
le rovine di Ercolano, anzi facendo conoscere, grazie
agli scavi e all’ardito attraversamento, il punto esatto
della città sepolta dalla lava vesuviana. Orazio Tuttavilla
sbarcò a Ischia con una feluca nel 1580, accolto con
tutti gli onori dalle autorità cittadine, e si portò sulla
collina di Buceto, accompagnato dal medico calabrese
Giulio Jasolino che si trovava a Ischia per investigare
il ricchissimo patrimonio idrologico isolano. A quota
400 mt. fu rinvenuta una sorgiva di acqua dolce, purissima, che scorreva all’aperto perdendosi nelle vallette
di Fiaiano lungo un percorso molto acclive e dunque
favorevolissimo per realizzare un impianto a caduta
libera, il solo che si conoscesse in quell’epoca.
Don Orazio saggiò il terreno, perlustrò infine il per-
La Rassegna d’Ischia 1/2009 5
corso fra i campi verdeggianti e le
aride zolle del Cremato con l’obiettivo di raggiungere il centro abitato
del Borgo di Celsa con un percorso
tutto in discesa!
I lavori ebbero inizio verso il 1581
e interessarono la captazione delle
acque attraverso la costruzione di un
cunicolo lungo circa cento metri, rivestito di mattoni cotti, e la creazione
di strutture filtranti consistenti in un
canaletto di terracotta smaltata dove
l’acqua scorreva “a pelo libero” fino
ad un casotto in muratura contenente
due vasche; una di raccolta e l’altra
funzionante con filtro a pietrame. I
lavori proseguirono con lo scavo di
una trincea di quattro chilometri, tutta
in discesa, dove vennero posizionati
tubi in ghisa sigillati a piombo.
Giulio Iasolino seguì la prima fase
dei lavori con molta attenzione e,
lodando quest’opera somma e meritoria, scriverà nel suo trattato “De
Rimedi Naturali”, edito nel 1586:
«Nostro Signore conceda che vengano (i lavori) al termine designato,
senza nessun sinistro intoppo».
Le parole augurali non sortirono
però l’effetto sperato perché le maestranze impegnate nella grandiosa
opera alzarono le braccia in segno
di resa quando, giù allo Spalatriello, si trovarono di fronte la piana
del Rio Corbore e l’erta salita che
mena a Sant’Antuono! Dai calcoli
venne fuori che il rivolo d’acqua,
abbastanza consistente nel periodo
invernale, ma del “tutto meschino”
in estate, non avrebbe mai potuto
superare con la sua misera pressione
il notevole dislivello del terreno da
attraversare. Inoltre le ingenti spese
già fatte e quelle da affrontare si
presentavano ben oltre la soglia dello
stanziamento previsto. Queste amare
considerazioni assestarono un duro
colpo al progetto di Don Orazio,
tanto da indurlo a gettare la spugna
e tornarsene alle sue incombenze
metropolitane, non prima di vederlo
indugiare a Ischia, per la costruzione
di una Torre costiera (Lo Scuopolo)
che portò a termine nel 1587.
6 La Rassegna d’Ischia 1/2009
I Pilastri - In alto: Partenza dallo Spalatriello - Al centro: Piana del Rio Corbore In basso: Salita di Sant'Antuono
Mons. Girolamo Rocca
Piazzetta del Borgo di Celsa
La fontana fu rimossa negli anni '50
Fallita l’impresa, gli abitanti del Borgo di Celsa si
ingegnarono a modo loro per risolvere la crisi idrica.
Costruirono diverse cisterne per la raccolta di acqua
piovana, scavarono sulla riva del mare facendo riaffiorare la sorgiva dei Sassi, sfruttarono infine i numerosi
pozzi (spesso malsani) di via Pontano, non disdegnando
le acque minerali della sorgente Mirtina, certamente
poco adatta al consumo alimentare. Trascorsero così
ben ottantasei anni nella speranzosa attesa di un novello
“governatore” in grado di alleviare la sete degli Ischitani.
L’anno fatidico sarà quello del 1673, data dell’ingresso
in diocesi del vescovo mons. Girolamo Rocca, prelato
molto attento alle necessità della popolazione e dotato di
grande energia e spirito di iniziativa. Il vescovo accolse
di buon grado le richieste degli abitanti del borgo marinaro che suonavano sempre il solito ritornello dell’acqua, problema che nemmeno i d’Avalos, governatori
isolani per antica investitura, avevano saputo risolvere
dopo il fallimento di don Orazio Tuttavilla.
Mons. Rocca decise dunque di passare dalle parole ai
fatti e mise per primo mano alla borsa personale, ahimè
molto povera per i tempi perigliosi che attraversava la
chiesa isolana nel XVII secolo. Il buon pastore riuscì
a racimolare settecento ducati della Curia e con quelli
assoldò capomastri e operai, ma soprattutto un esperto
in idraulica che si incaricò di studiare il percorso del
futuro acquedotto. Non ci è dato sapere il nome dello
“scienziato” che si occupò della faccenda, ma stando
alla “cronaca” dell’informatissimo opuscolo di cui in
premessa, l’esperto in condotte e tubature non fece altro
che “raccordarsi” al tracciato del Tuttavilla nel punto
sospeso allo Spalatriello, per nulla intimorito dal dislivello esistente nella pianura del Rio Corbore. Eppure,
sostiene l’ignoto autore del “libello”, sarebbe bastata
la semplice deviazione del percorso giù per le pendici
dell’Arso (o Cremato), all’epoca sgombro di case e di
alberi, per raggiungere in linea retta e speditamente in
pendenza l’abitato del Borgo di Celsa attraverso una
semplice condotta sotterranea di circa tre chilometri
(vedere cartina riprodotta a p. 5). Ma, come dicevamo,
lo “scienziato” idraulico sposò un progetto onerosissimo, difficoltoso e di lunga attuazione “copiando” la
costruzione degli acquedotti romani realizzati su ponti
e arcate in pendenza, con esclusione dei muri pieni,
perché troppo dispendiosi! Il vescovo Rocca...”benedì”
il progetto per nulla spaventato dalle decine di migliaia
di ducati occorrenti per la ciclopica costruzione e chiamò
subito a raccolta le autorità, i maggiorenti del paese e i
possidenti per spremerli a dovere; poi passò alle tasse
sulla farina, sui cereali e sul vino, infine bussò a denari
dai preti, che godevano di speciali esenzioni, e li indusse
a versare il proprio contributo. L’Arso di Ischia diventò
nel 1675 un immenso cantiere di lavoro con operai a
scavare fondazioni, tagliapietre a squadrare le pomici
La Rassegna d’Ischia 1/2009 7
leggere, carretti a trasportare mattoni cotti, capi mastri a
sagomare il primo ordine di archi, tagliaboschi a fornire
il legno necessario per le impalcature e, infine, “fraucatori” ad impastare malta tanto resistente da sfidare i
secoli.
L’opera apparecchiata si componeva di un primo
tratto a muro pieno con partenza da quota zero a quota
sei mt. Per una lunghezza di circa 150 metri (tratto
Spalatriello). Iniziava poi la serie di archi, ad un solo
ordine, in numero di sessantacinque a tutto sesto per
una lunghezza di circa 250 metri, che raggiungeva la
strada di collegamento Ischia-Barano nel bel centro del
Rio Corbore. Da lì partivano altri trentacinque archi sempre ad un solo ordine - che coprivano un percorso
di 150 metri, capaci di superare il dislivello esistente
lungo la salita di Sant’Antuono. Fra lavori e interruzioni
passarono tre anni; finalmente nel 1678 furono sistemati
i tubi di cotto sulla sommità delle arcate. La successiva
“prova idraulica” si rivelò - manco a dirlo - un completo
fallimento: l’eccessiva pressione esercitata dalle acque
precipitate a valle in forte pendenza mandarono in frantumi le condotte. Punto e a capo. C’era di che disperarsi;
eppure la soluzione era a portata di mano, ma nessuno
volle prendere in considerazione il percorso alternativo.
Lo “scienziato”, direttore dei lavori, rifece i calcoli e
convenne che per attutire la pressione occorreva ridurre
la pendenza esercitata dagli archi troppo bassi. Di nuovo
le maestranze al lavoro e, naturalmente, il povero vescovo a ramazzar ducati per quell’impegno mostruoso che
stava dissanguando l’intera popolazione. Si mise mano
alla costruzione di un secondo ordine di archi; opera
titanica condotta a forza di braccia, carrucole, argani e
funi, con il pericolo di veder precipitare gli operai da
un’altezza di oltre dodici metri. Occorsero altri sei anni
di lavoro e l’astronomica somma di 65.000 ducati per
vedere completata l’opera con la posa di condotte di
ghisa, scavo di un cunicolo di circa quattro chilometri,
casotto in muratura in località “Cappella” per la raccolta
e la filtrazione delle acque e, infine, costruzione di un
cisternone con relativa fontana accosto il campanile della
chiesa dello Spirito Santo, al Borgo di Celsa, località
prescelta per la preziosa scaturigine.
Quel mattino di primavera del 1685 il valoroso
vescovo Girolamo Rocca si affacciò al balcone di
Casa dell’Ogna, attigua alla chiesa della Collegiata,
e benedisse lo zampillo meraviglioso dell’acqua di
Buceto che cominciò a inondare la fontana di marmo
adorna di quattro delfini scolpiti. Tutta la popolazione
del Borgo era confluita nella piazza pavesata a festa,
applaudendo l’opera ardimentosa, prima in assoluto
realizzata nell’isola del Seicento. Monsignor vescovo
aveva le lacrime agli occhi quando dettò il distico che
fu poi inciso su di una lastra marmorea:
8 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Has sudavit aquas cereris patientia curtae
Edocuitque famem ferre magistra sitis
(Queste acque si sono ottenute col sacrificio sul cibo; la
sete, da buona maestra, ha insegnato a sopportare la fame).
Chiara allusione alle privazioni che il popolo sopportò
pur di ottenere la tanto sospirata acqua potabile.
Passarono gli anni e il centro storico del Borgo di
Celsa (ribattezzato Ischia Ponte per la presenza di un
approdo marittimo) fu sottoposto a svariate modifiche
e trasformazioni urbane a cui non si sottrasse la fontana
voluta da mons. Rocca. Nel 1759 i Decurioni abbellirono
l’originaria vasca con un’artistica fontana di marmo
travertino e - come era in uso a quei tempi - prepararono
la solita lapide commemorativa:
D. O. M.
AQUAM EX FONTE BUCETI
AD IV M.P. PUBBLICO AERE DERIVATAM
LABROQUE EX TIBURTINO LAPIDE ORNATAM
ET TURRI IN QUA CONCILIA FIERENT ADPOSITAM
ADDITO HORARIO
DECURIONES PITHECUSANI UTENDAM
FRUENDAM CIVIBUS DEDERUNT
A.MDCCLVIIII
A DIO OTTIMO MASSIMO
I DECURIONI ISCHITANI
DIEDERO AI CITTADINI PERCHÉ NE USASSERO
E GODESSERO L’ACQUA DERIVATA
A PUBBLICHE SPESE
DALLA SORGENTE DI BUCETO
AL QUARTO MIGLIO ED ORNATA
DI UNA VASCA DI TRAVERTINO E ATTACCATA ALLA
TORRE OVE SI TENESSERO LE ADUNANZE
ED AGGIUNTOVI L’OROLOGIO
L’ANNO 1759
Nessun accenno, in questa lapide alquanto bugiarda,
all’autore dell’acquedotto, mons. Girolamo Rocca, che
profuse denaro proprio ed energie per condurre a termine
l’opera tanto magnificata dagli amministratori pubblici
dell’epoca.
Per fortuna i maestosi archi dei “Pilastri” (così passati
alla toponomastica delle nostre contrade), impietosamente messi sotto accusa da uno sconosciuto, quanto
informatissimo, “cronista” d’epoca e miracolosamente
sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini,
hanno reso giustizia al munifico finanziatore, tramandandone il nome e la piccola storia civile, or ora rinverdita
nel quarto centenario della sua scomparsa.
Gino Barbieri
Augusto Béguinot - La vegetazione delle Isole Ponziane e Napoletane (1905) *
Formazione della macchia mediterranea
È il tipo di vegetazione più caratteristico delle nostre
isole, come del resto di molti territori, massime littoranei,
che si schierano attorno al bacino mediterraneo.
È caratterizzata dalla consociazione su larga scala di frutici e suffrutici di disparate famiglie, per lo più sempreverdi
e di piccole o mediocri dimensioni. Essi sono ravvicinati
fra loro, ma in modo di lasciare spazi più o meno ampi,
abitati da una coorte di piante erbacee, annuali o perenni
e generalmente di tipo xerofilo, che vi si associano sia per
ragioni di sostegno, come per difesa o protezione, oppure
vi determinano pratelli erbosi.
Tale formazione è egregiamente e tipicamente sviluppata nei settori silicei e nelle isole vulcaniche: nell’isola
calcarea di Capri è accantonata in special modo sopra i
depositi di materiale vulca­nico. Qualche elemento invade
sporadicamente la stazione rupestre­-xerofila e quasi tutti si
ritrovano nella formazione boschiva, alla quale imprimono
una spiccata struttura xerofila. I passaggi fra i due consorzi
sono perciò graduali e la distinzione è possibile soltanto in
casi di struttura tipica.
La macchia, appunto perché l’espressione più genuina
del clima e delle condizioni di ambiente di limitati territori,
era senza alcun dubbio dominante sulle altre formazioni
prima dell’avvento umano nelle singole isole. Oggidì invece essa è stata diradata o del tutto distrutta e quel tanto
che ne resta rappresenta solo i residui del pri­mitivo ed
originario indumento. Molti fatti di accantonamento ed
isolamento sono ascrivibili a questa causa.
Premesso ciò, passiamone in sommaria rassegna l’attuale
distribuzione nelle varie isole.
A Ponza, la macchia è totalmente distrutta nei ripiani e
sui ridossi dove la coltivazione sale da valle a monte, fatta
eccezione di qualche superstite che trova riparo o difesa
nelle siepi, o negli interstizi delle macerie o delle rocce.
In quei ridossi invece, dove la coltivazione lascia sgombra
una zona attorno alla vetta, o lungo l’alveo dirupato e ciottoloso dei ruscelli, o dovunque il terreno è ritenuto sterile,
il dumeto mantiene ancora un avanzo del suo an­tico e, per
molti secoli, incontrastato dominio. Così del pari, dove un
campo è abbandonato non tarda a ripristinarvisi. Però, in
tutte queste stazioni, scerpato giornalmente per farne legna
o preso di mira dagli ovini, esso cresce stentato, diradato e
nella perduta vi­goria reca un’impronta dei continui attentati
che si compiono contro di esso.
I frammenti più considerevoli della boscaglia nell’isola
* Augusto Béguinot - La vegetazione delle Isole Ponziane e Napoletane, Studio biogeografico e floristico, Tip. Enrico Voghera,
1905.
giacciono sulle pendici occidentali e meridionali del Monte
della Guardia e pre­cisamente al bosco della Masseria ed
al bosco del Fieno: in una inse­natura fra Cala del Papa e
Cala del Feudo: ed in un’altra quasi inaccessibile a punta
dell’Incenso.
Fra gli elementi fondamentali e più caratteristici della
formazione ricordo:
Juniperus phoenicea
Asparagus acutifolius
Smilax aspera
Quercus Ilex
Daphne collina
Thymelaea irsuta
Cistus salvifolius
Cistus monspeliensis
Clematis Flammula
Clematis Vitalba
Calycotome villosa
Spartium junceum
Genista ephedroides
Myrtus communis
Rhamnus Alaternus
Pistacia Lentiscus
Phyllirea variabilis
Olea europaea-oleaster
Arbutus Unedo
Erica arborea
Erica multiflora
Rosmarinus officinalis
Lavandula Stoechas
Rubia peregrina
Lonicera implexa
Di queste specie, alcune sono distribuite in tutta l’isola e
rap­presentate, si può dire, in ogni boscaglia: altre invece,
per le ra­gioni sopra dette e per la loro spiccata idiosincrasia, sono localizzate in punti determinati e spesso in pochi
individui.
Totalmente abbattuta è la boscaglia nella vicina Palmarola: in essa pochi individui isolati, in alcune località
inaccessibili o quasi, attualmente ve la rappresentano.
Nonostante le accurate ricerche non vi ho visto Juniperus
phoenicea, Daphne collina, Cistus monspeliensis, Erica
multiflora, Arbutus Unedo, Rhamnus Alaternus, Calycotome villosa. Fra i presenti e mancanti a Ponza (come in tutte
le altre isole, eccetto Capri) merita uno speciale ricordo la
Chamaerops humilis, che vegeta ancora in discreto numero,
ma in umili di­mensioni, a Punta di Tramontana, alla Radica
ed al Guamiero.
Un notevole frammento di macchia si è invece conservato a Zannone ed è forse il maggiore delle Ponzie. Esso
è conformato sulla riolite a macchia bassa con predominio
di Cistus salvifolius e Cistus monspeliensis, fra cui si frammischiano: Thymelaea hirsuta, Spartium junceum, Myrtus
communis, Olea europaea-oleaster, Phyllirea variabilis,
Pistacia Len­tiscus, Euphorbia dendroides, Erica arborea,
Calycotome villosa, Lavan­dula Stoechas, Rosmarinus
officinalis, ecc.; vi mancano invece, Juniperus phoenicea,
Chamaerops humilis, Rhamnus Alaternus: rarissima è
Genista ephedroides. Assume invece la struttura di macchia alta facente passaggio ad un vero e proprio bosco
sul calcare nei ver­santi nord ed est riparati dal vento, con
La Rassegna d’Ischia 1/2009 9
Erica (Erica arborea) o scopa di bosco (Erica scoparia), sempre
verde, anche d'inverno.
esclusione di Cistus sal­vifolius, Erica arborea e Lavandula
Stoechas, e con l’aggiunta di Quercus ilex ed Arbtus Unedo
(abbondanti e dominanti), Daphne collina, Osyris alba,
Cercis Siliquastrum e Viburnum Tinus.
A Ventotène, la macchia è totalmente abbattuta nella
piatta­forma soggetta ad intensa coltura; qualche individuo
isolato trovasi rifugiato nelle siepi od in qualche campo
abbandonato. Più consi­derevoli relitti giacciono lungo le
coste, spesso inaccessibili, e perciò non adatte alla coltura.
In queste stazioni di rifugio ho avuto occa­sione di raccogliere: Juniperus phoenicea (pochi esemplari sotto il Semaforo), Asparagus acutifolius, Thymelaea hirsuta e Clematis
Flam­mula (anche nella piattaforma), Erica arborea ed
Erica multiflora, Olea europaea-oleaster (esclusivamente
ed in pochi esemplari sulla sco­gliera di ponente), Phyllirea
variabilis, Pistacia Lentiscus, Rhamnus Alaternus, Myrtus
communis (qua e là nella piattaforma e più frequente lungo
le coste). Vi crescono inoltre le seguenti specie mancanti
nelle precedenti ponziane: Erica stricta (pochi individui
presso Punta di Eolo); Lycium europaeum (scogliera sotto
il Semaforo): Pistacia Terebinthus (qualche esemplare sulle
siepi). Mancano all’isola ed alcune forse sono di recente
scomparsa: Daphnee collina, i Cisti, Arbutus Unedo, Lavandula Stoechas, Rosmarinus officinalis.
Anche nei dne isolotti di Gavi e S. Stefano resta ben
poco dell’antica boscaglia: a Gavi sono memorabili alcuni
esemplari di Daphne collina, nel secondo l’unico superstite
è Thymelaea hirsuta!
Intensa e varia fu la coltivazione che, da epoca certo
remota, investì l’isola di Ischia. Tuttavia dove il coltivato
non è ancora giunto, come nelle lave recenti, nei pendii
troppo ripidi, nei campi abbandonati ecc. vegetano ancora
nei cespugli, a volta formanti macchie, quasi tutti i rappresentanti la macchia mediterraneo­-micro-insulare.
Secondo la flora inarimense del Gussone, essi sono i
seguenti:
Cistus affinis
Smilax mauritanica
Cistus incanus
Quercus Ilex
Clematis Flammula
Quercus pubescens
Clematis Vitalba
Daphne Gnidium
Fraxinus Ornus
Cistus salvifolius
Myrtus communis
Cistus monspeliensis
10 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Lentisco (Pistacia lentiscus), arbusto resinoso sempre verde. Predilige i luoghi secchi e aridi.
Rosa sempervirens
Calycotome villosa
Cytisus triflorus
Cistus monspessulanus
Cistus scoparius (raro)
Coronilla Emerus
Spartium junceum
Pistacia Lentiscus
Phyllirea variabilis
Rhamnus Alaternus
Olea europaea-oleaster
Arbutus Unedo
Erica arborea
Lonicera implexa
A questi si possono aggiungere gli altri elementi già citati per le precedenti isole, fatta eccezione di Chamaerops
humilis, Daphne collina, Genista ephedroides, Pistacia
Terebinthus, Lycium europaeum, Erica multifiora, Erica
stricta, Cercis Siliquastrum.
Geograficamente costituita come Ventotene, anche la
piattaforma tabulare di Procida andò soggetta ad intensa
coltivazione e quindi alla perdita della macchia. Esemplari
sporadici vegetano qua e là lungo le siepi od in qnalche
sito sterile e lungo le coste per lo più inaccessibili. Diverso
è invece il caso del vicino isolotto di Vivara, scoglioso e
sterile in grande parte e solo di recente oggetto di par­ziale
coltura. Quivi la macchia, non ancora lacerata dall’accetta
e non addentata dagli animali, cresce vigorosa e robusta
e gli individui vi assumono dimensioni enormi, spesso
arborescenti. In breve spazio ed in modeste proporzioni,
essa ci rende un’idea approssimativa della fisionomia della
boscaglia di Procida e di Ischia nei substrati più adatti.
Vi ho annotato le specie seguenti:
Quercus Ilex
Thymelaea hirsuta
* Daphne Gnidium
Euphorbia dendroides
Cistus salvifolius
* Cistus monspeliensis
* Cistus incanus
Pistacia Lentiscus
Pistacia Terebinthus
Rhamnus Alaternus
Phyllirea variabilis
Coronilla Emerus
Spartium junceum
Calycotome villosa
* Arbutus unedo
* Erica arborea
Myrtus communis
Lycium europaeum
Teucrium flavum
Lonicera implexa
Di queste specie, sei forse non esistono attualmente a
Procida (quelle precedute dal segno *).
A Nisida, sempre a causa delle colture, non esiste più
macchia, ma solo alcuni superstiti isolati, quali: Quercus
ilex, Erica arborea, Pistacia Lentiscus, Coronilla Emerus,
Evonymus europaeus, Myrtus communis, ecc.
Più ricca e meglio conservata è la stazione della macchia a Capri. L’isola, quantunque intensamente coltivata,
presenta qua e là dei lembi finora rispettati dall’accetta e
che, date le condizioni del suolo e del pendio, forse non si
presterebbero a coltura. Di questi lembi i due più notevoli
esistono l’uno lungo la via da Capri ad Anacapri e l’altro
sulle pendici, specialmente meridionali, del monte Solaro.
Ed ecconc i costituenti essenziali:
Spartium junceum
Juniperus phoenicea
Colutea arborescens
Smilax aspera
Ceratonia Siliqua
Asparagus acutifolius
Coronilla Emerus
Quercus ilex
Dorycinium hirsuta
Quercus Cerris
Myrtus communis
Thymelaea irsuta
Rhamnus Alaternus
Daphne Gnidium
Phyllirea variabilis
Cistus salvifolius
Pistacia Lentiscus
Cistus monspeliensis
P. Terebinthus
Cistus affinis
Olea europaea-oleaster
Cistus incanus
Euphorbia dendroides
Clematis Flammula
Euphorbia spinosa
Rosa sempervirens
Erica Arbutus
Ulex europaeus
Unedo arborea
Calycotome villosa
Rosmarinus officinalis
Cytisus Laburnum
Rubia peregrina
Cytisus hirsutus
Lonicera implexa
Cytisus triflorus
Cytisus spinescens
Lonicera etrusca (?)
Secondo il Bergen, sulle falde del monte Solaro a circa
130 m. in una data superficie dominano: Coronilla Emerus,
con 812 individui, Arbutus Unedo (464), Smilax aspera
(200), Myrtus communis (124); sono invece subordinati
Pistacia lentiscus (44), Cistus (2) incanus e C. salvifolius
(24), Erica arborea, Quercus ilex e Clematis Flammula
con meno di 20 ecc. A 350 m. e sulle pendici N-O dello
stesso monte sono invece dominanti, Cistus incanus e C.
salvifolius (603), Spartium junceum (106) e subordinati
Myrtus communis (15), Daphne Gni­dium (4), Pistacia
Lentiscus, Erica arborea, ecc. (l). Queste indica­zioni sono,
senza dubbio, interessanti; ma è da deplorarsi che l’autore
abbia omesso di indicare la natura chimica del substrato
nei settori presi di mira, avendo questa potuto dare ragione
delle differenze constatate.
Passiamo ora ad esaminare le principali forme di vegetazione. Sono riducihili alle seguenti categorie:
1) Piante afille o povere di foglie e quindi a funzioni
assimilante o traspirante devolute ai fusti verdi: Euphorbia
dendroides, Genista ephedroides, (ambedue già incontrati
nelle stazioni rupestri-xerofile), Genista Scoparia, Calycotome villosa.
2) Piante a foglie caduche del tutto od in parte durante la
stagione estiva: Euphorbia dendroides, E. spinosa, Cytisus
spin. v. ramosissimus, Ulex europaeus: eccetto l’ultima, le
altre vegetano anche sulle rupi.
3) Piante a foglie aciculari e quindi a superfici assimilanti
e traspiranti assai ridotte: Juniperus phoenicea, Thymelaea hirsuta, Osyris alba, Erica arborea, E. multicaulis,
E. stricta. Anche queste specie, oltre che nella macchia,
possono vegetare anche nelle rupi di tipo xerofilo.
4) Piante a cladodi. Vi appartiene una sola specie e cioè
Asparagus acutifolius. Un’altra pianta a cladodi e cioè il
Ruscus aculeatus, pure non mancando nella macchia, è
più propria delle stazioni boschive. In ogni modo i cladodi
inseriti più o meno verticalmente sul fusto, offrono alle
radiazioni solari la minore superficie e rientrano perciò
fra i caratteri xerofili.
5) Piante a foglie coriacee più o meno spesse. È la categoria più numerosa e contiene nel nostro distretto i tipi
xerofitici più caratte­ristici, come: Quercus ilex, Quercus
Cerris, Daphne Gnidium, Smilax aspera e Smilax mauritanica, Clematis Flammula, Rhamnus Alaternus, Pistacia
Lentiscus e Pistacia Terebinthus, Phyllirea variabilis, Olea
europaea-olea­ster, Myrtus communis, Arbutus Unedo,
Viburnum Tinus, Rubia peregrina, Lonicera implexa.
6) Piante rivestite di tricomi più o meno abbondanti
soprattutto nelle foglie: Daphne collina, Cistus incanus e
Cistus salvifolius, Dorycinium hirs. v. incanum, Lavandula
Stoechas. Rientrano in questa categoria piante a foglie
coriacee, ma contraddistinte da fitta pelurie nella pagina
inferiore e cioè: Quercus Ilex, Olea eur. v. oleaster, Rosmarinus officinalis, ecc.
7) Piante a rivestimenti epidermici somiglianti a vernici:
Cistus monspeliensis e Cistus affinis. Rientra in questa
categoria anche Inula viscosa così freqnente nelle stazioni
xerofilo-macchiose.
Oltre queste forme di vegetazione, altre sono realizzate
dalle piante erbacee (piante annuali, bulbose, ecc.), che
sogliono accompa­gnare la macchia propriamente detta.
La precedente enumerazione mi sembra più che sufficiente a di­mostrare come la macchia, espressione genuina
di un clima mesoter­mico e secco, traduca con i più evidenti
adattamenti alla xerofilia le qualità dominanti del suo clima.
La formazione della macchia, tipicamente costituita
come sopra ho detto, comporta un certo numero di associazioni determinate dal pre­dominio di una o più specie
sociali sulle altre e di conseguenza ba­sate snlla fisionomia
e sui caratteri del paesaggio botanico.
Le associazioni da me riscontrate nei due Arcipelaghi
sono le seguenti;
a) Associazione della macchia bassa con predominio
di Cistus (Cisteto). È propria dei substrati più aridi, sia
sassosi come arenosi, e delle pendici più esposte all’azione
livellatrice dei venti. Non è da escludcre in molti casi, che
La Rassegna d’Ischia 1/2009 11
l’uomo, mercé l’accetta, abbia con­tribuito ad abbassarne
il livello normale. Le due specie dominanti sono nelle
Ponzie Cistus salvifolius e Cistus monspeliensis, a cui
si ag­giungono ad Ischia e Capri Cistus affinis e Cistus
incanus: tutti largamente e fittamente cespugliosi, però a
frequeuti radure erbose e più o meno ampie interruzioni.
Le altre specie non mancano, ma sono subor­dinate e spesso
(Phyllirea, Pistacia Lentiscus, Rosmarinus, Lavandula Stoechas) consociate nello stesso cespuglio: però il dominio
resta sempre ai Cisti nominati. Data l’aridità del substrato,
è largamente sviluppata nelle radure la microflora mediterranea; scarse invece o mancanti le nemorali.
Di questa associazione il frammento più tipico è senza
alcun dubbio, il dumeto che riveste la piattaforma riolitica
di Zannone: un tempo assai diffusa nelle altre Ponzie oggidi
ne sovrastano, per le ragioni dette, insignificanti frammenti.
Ritrovasi ad Ischia e Capri, manca a Procida e Nisida, .
b) Associazione della macchia alta con predominio di
Quercus Ilex e di Arbutus Unedo (Elceto). - È propria dei
terreni più fertili ed umificati, delle plaghe riparate ai venti,
o sfuggite all’azione de­leteria dell’uomo. Risulta degli stessi elementi della precedente, ma con predominio assoluto
di Arbutus Unedo e Quercus Ilex, che sono rari o mancano
in quella. Ciascun individuo non si conforma a cespuglio
compatto, ma assume un abito slanciato e le dimensioni
mas­sime raggiunte dalla specie. Le radure sono più rare o
mancano af­fatto: diventa perciò spesso impenetrabile ed
Arbutus Unedo - Corbezzolo (suorvo peloso)
12 La Rassegna d’Ischia 1/2009
è tale quando è at­traversata dalla Calycotome. Scarsa è la
microflora mediterranea ed in generale le piante annnali
più numerose le nemorali.
Di questa associazione, un tempo assai diffusa, vidi
qualche traccia a Ponza (nel cosi detto Bosco della Masseria ed a Punta dell’Incenso): ma i più notevoli frammenti
rivestono le pendici nord-est di Zan­none sull’affioramento
di calce e parte dell’isolotto di Vivara. Esiste anche ad
Ischia ed a Capri lungo la via tra Capri ed Anacapri.
c) Associazione della macchia con predominio di Erica
arborea (Ericeto). - Risulta dagli stessi elementi delle due
precedenti, con sviluppo predominante di Erica arborea.
Nelle Ponzie vi si fram­mischia quasi dovunque l’Erica
multicaulis, che però è subordinata e manca in tutte le
Napoletane. Come è noto, questa associazione assume
un largo sviluppo soprattutto nelle arene marittime: e nel
distretto è quasi tipicamente rappresentata appunto nei substrati più decomposti. Ne ho osservato qualche frammento
a Ponza ed a Pal­marola ed è presente ad Ischia. Data la minuta decomposizioue del substrato a Ventotène e Procida, è
probabile che dessa fosse l’asso­ciazione più caratteristica.
Manca a Capri, dove Erica arborea è su­bordinata ed Erica
multicaulis manca: Erica stricta è invece troppo loca­lizzata
per determinare un’associazione.
d) Associaziolle della macchia con predominio di Genista ephe­droides. - Trovasi a Ponza e precisamente nelle
colline che circon­dauo il paese ed in qualche punto del
monte della Guardia come nel così detto Bosco del Fieno.
È caratterizzata dal predominio di un arbusto quasi afillo
ed a fusti aciculari, quale è appunto Genista ephedroides.
La transigenza di questa pianta è grandissima ed invade
quindi anche le pendici più dirupate ed inospiti, dove
spesso vegeta da sola. Sebbene occupi lembi limitati,
trattasi di una associazione ben caratterizzata, sia per la
fisionomia speciale dell’elemento do­minante, come per
la sua localizzazione: manca inoltre a tutte le napoletane.
e) Associazione della macchia sui terreni calcarei. - I tipi
di associazione sopra descritti cadono, eccetto un piccolo
frammento della macchia di Zannone, in substrati siliceovulcanici e sono ca­raterizzati dal predominio di una o più
specie note per lo più come silicicole. Fa eccezione, a questo riguardo, la macchia che ricopre alcuni punti dell’isola
di Capri; e soprattutto quella che si stende sulle pendici del
monte Solaro. Come già avanti osservammo, dovunque
affiora la roccia calcarea, alcuni elementi notoriamente
calcifughi si diradano o mancano, mentre prendono il sopravvento numerosi tipi noti come fedeli ai suoli calcarei
(Cytisus Laburnum, Cytisus spinescens v. ramosissimus,
Coronilla Emerus, Euphorbia spinosa, ecc.). In definitiva
perciò abbiamo una macchia di tipo abnorme, a fisionomia
sua propria, e che manca in tutte le altre isole, sia ponziane
che napoletane. Delle specie nominate Cytisus spinescens
ed Euphorbia spinosa­formanti cuscinetti intricati di rami
spinificati e scarsamente fogliosi, ne sono la nota piu
distintiva: mentre sulle rupi i ciuffi candicanti di Thymelaea Tartonraira e Convolvulus Cneorum impri­mono una
particolare fisionomia al paesaggio botanico.
Formazione boschiva. - È caratterizzata dalla con-
sociazione di alberi di alto fusto a foglie caduche ed a tipo
mesofilo, ma con tutti i passaggi ad una struttura xerofila.
Ed ecco la sua genesi.
Nella macchia di Ischia, in parecchi punti, ai soliti e
caratteri­stici arbusti, si frammischiano diverse Quercus
(del gruppo di Quercus sessiliflora), Ostrya carpinifolia,
Carpinus orientalis, Corylus Avellana ecc. Dove queste
essenze, non molestate dall’uomo e su terreno adatto, riescono ad assumere proporzioni arboree, vi si determina un
vero e proprio bosco. Siccome poi quasi tutti gli elementi
della macchia vi permangono, così abbiamo in definitiva
dei boschi di tipo misto a prevalente struttura xerofila.
Altrettanto ha luogo, in alcuni punti della mac­chia alta
di Zannone ed, a giudicare dagli avanzi di Quercus che so­
vrastano qua e là nelle altre Ponzie, tale formazione doveva
sovrapporsi in parecchi settori all’attuale boscaglia.
Ad lschia e Capri inoltre esistono anche castagneti di
evidente origine umana. Essi sono piuttosto numerosi ad
Ischia: data invece la struttura prevalentemente calcarea,
sono limitati a Capri a dne settori, e cioè presso il paese, a
nord del colle S. Michele fino al mare (contrada Gasto) e
presso la Scala di Anacapri (contrada Porcielli).
Ginestra dei carbonai (Sarothamnu scoparius) - Notevole un tempo la sua presenza sulla strada da Lacco a Forio detta Cava di
Cavallaro
Ginestra (Spartium junceum), in gergo "jenesta"
Nella prima isola, oltre ad alcuna delle essenze arboree
sopra nominate, si frammischiano al castagno numerosi
frutici, quali: Cytisus triflorus, Cytisus monspeliensis,
Cytisus scoparius (raro), Coronilla Emerus, Colutea arborescens, Cornus sanguinea, ecc. e numerosissime erbacee
di tipo eliofobo, fra le quali: Pteris aquilina, Aspidium
aculeatum, Poe silvicola, Carex olbiensis, Carex silvatica,
Ruscus oculeatus, Inula salicina, Fragaria vesca, ecc.,
l’elenco potrebbe continuare per mettere in evidenza il
notevole contingente delle stesse. Ove poi si tenga presente
che alcune di queste specie mancano nelle altre isole, possiamo concludere cche una delle caratteristiche della flora
d’Ischia è l’abbondanza e la localizzazione di nemorali di
tipo eliofobo.
In rapporto con lo svilnppo più limitato della formazione bo­schiva, minore è il contingente delle nemorali di
Capri.
Anche più esiguo è il contingente delle nemorali nelle
ponziane e nelle altre napoletane; nelle prime è, si può dire,
limitato ad alcuni punti di Zannone.
Ad Ischia esistono pure boschetti di Pinus Pinea L. ma
di limitata estensione e piantati dall’uomo; a Capri Pinus
Halepensis L. forse spontaneo, non assume di regola proporzioni arboree né si associa a formare bosco.
***
Corrispondenze di alcune piante in gergo locale riportate da Giovanni Gussone
Arbutus Unedo (corbezzolo)
Asparagus acutifolius Calendula arvensis Calycotome villosa Ceratonia siliqua Cytisus triflorus Cytisus candicans Clematis flammula Clematis vitalba Colutea arborescens Coronilla emerus Corylus avellana Daphne gnidium Erica arborea Phyllirea angustifolia Inula viscosa Lonicera implexa Myrtus communis Pistacia lentiscus Quercus pubescens Quercus lanuginosa Rhamnus alaternus Rosmarinus officinalis Ruscus aculeatus Smilax aspera Spartium junceum Viburnum tinus suorvo peloso
rusco la pianta, sparaci i turioni commestibili
patrostace
spalatro
sciuscella
rutaccia
rutaccia riccia
fuoco muorto
vitaura
ravajuolo mascolo
ravajuolo
nocella
cecauocchi mascoli
ulice
latierno
pruteca
rocchietta
mortella
lentisco
cerza
cerculielle
motta di sangue
rosamarina
pugnienti
ruscaia
jenesta
trecena
La Rassegna d’Ischia 1/2009 13
imperatori a quelle dei ritratti di gente comune. Per l’occasione
l’atrio monumentale del Museo ritorna spazio espositivo. La
mostra sarà allestita con un percorso caratterizzato da uno
scenografico gioco di luci. Dal 15 ottobre 2008 al13 aprile
2009.
Reggia di Caserta - Arredi Sacri e cose mai viste: dipinti,
manufatti, oggetti d’arredo provenienti dai depositi della
Soprintendenza e mai mostrati al pubblico, un’esposizione di
piccole rarità allestita negli appartamenti storici della Reggia
in occasione delle feste natalizie assieme a “Gli arredi sacri
della Cappella di Palazzo” allestita nella Cappella Palatina.
Dal 6 dicembre 2008 al 6 gennaio 2009.
Concerti di Natale - Tre concerti del Maestro Roberto De
Simone e la Nuova Orchestra Scarlatti. De Simone dirige “Lo
Vommaro”, opera di fusione tra la commedia di Starace e la
farsa in musica “il duello comico” di Paisiello e “Le nozze”
di Stravinskij rielaborate in dialetto napoletano del ‘600. Il
ciclo di concerti avrà inizio 1’8 dicembre ad Avellino, il 27
dicembre a Napoli nella Chiesa di San Paolo Maggiore e si
concluderà il 5 gennaio a Caserta.
L’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali della
Regione Campania propone per il 2009 “6 viaggi”, per
offrire uno spaccato inedito della Campania nel solco
della memoria (Viaggio nella memoria dal 6 dicembre
’08 al 6 gennaio ‘09), delle emozioni (Viaggio nelle
emozioni dal 4 al 13 aprile ‘09), della storia (Viaggio
nella storia dall’1 al 31 maggio ‘09), delle arti (Viaggio
nelle arti dal 5 al 28 giugno ‘09), della creatività (Viaggio
nella creatività dall’1 al 31 luglio ‘09) e della tradizione
(Viaggio nella tradizione dal 3 al 13 settembre ‘09).
Sei percorsi tematici, che iniziano con le feste di Natale
2008 e proseguono fino al settembre 2009: un programma ricco di musica, arte, enogastronomia, tradizione,
natura che attraversa le cinque province campane, il tutto
corredato da una serie di agevolazioni per gli operatori
e per i turisti.
Il viaggio nella memoria
(6 dicembre 2008 – 6 gennaio 2009)
Museo di Capodimonte - mostra di Louise Bourgeois
- Arriva in Italia la grande retrospettiva dedicata a Louise
Bourgeois, scultrice nata a Parigi nel 1911 e ritenuta una delle
massime artiste viventi. Il Museo di Capodimonte di Napoli
presenta le opere prodotte dal secolo scorso fino ai nostri
giorni. Circa sessanta opere, incluse due nuove installazioni
inedite della celebre serie delle Cells, mai esposte prima. Dal
18 ottobre 2008 all’11 gennaio 2009.
Mann - L’eroe di bronzo. Grandi Statue dell’area vesuviana - Le sculture in bronzo di Ercolano al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Dopo cinquant’anni di chiusura
nei depositi del Museo archeologico di Napoli ritornano
finalmente in mostra le grandi sculture in bronzo e marmo
provenienti dagli scavi settecenteschi nell’area vesuviana.
Centocinquanta opere in esposizione, dalle figure di dei, eroi e
14 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Note d’inverno - Ventiquattro concerti dedicati alla musica
sacra e barocca, che si terranno nelle chiese più belle e nei
luoghi più suggestivi della città di Napoli. Alcuni concerti
saranno abbinati ad una cena tematica con menù ispirati alle
musiche e ai compositori del programma, altri a degustazioni
di prodotti tipici e gastronomia delle feste.
I menu della memoria - Il “critico maccheronico” Antonio Fiore riscopre la cucina locale della tradizione in venti
ristoranti selezionati. Ciascuno degli chef si impegnerà a
proporre, nel periodo indicato, un menu della tradizione locale
a prezzi promozionali. Ogni ristorante verrà “gemellato” a un
monumento, edificio, chiesa, complesso architettonico, borgo
visitabile dal turista prima o dopo la sua sosta al ristorante.
Favorite! - Produzione televisiva sperimentale ispirata
all’omonimo progetto vincitore del concorso di idee. Dieci
famiglie napoletane ospitano i turisti per il cenone di Natale:
un reality per raccontare le vere tradizioni natalizie napoletane.
Café chantant al Teatro Sannazaro - Ogni fine settimana
a partire dal 6 dicembre tre spettacoli/aperitivo dal venerdì
alla domenica che richiamano la tradizione del café chantant.
Ad ogni spettacolo sarà affiancata una degustazione di vini,
prodotti regionali e dolci natalizi.
Capodanno in Piazza del Plebiscito e l’incendio del
Castello - Ritornano, da quest’anno, le luminarie natalizie
ed i fuochi d’artificio a Castel dell’Ovo con il suggestivo
“incendio” del Castello preceduto da un grande e coinvolgente
concerto a Piazza del Plebiscito.
Il viaggio delle emozioni
(4-13 aprile 2009)
Itinerario Vanvitelliano - La Reggia di Caserta sarà il
punto di partenza di un percorso alla riscoperta dell’opera
di Vanvitelli in tutta la Campania. Lungo l’itinerario, che
comprende alcune delle Ville del Miglio d’Oro, Portici, la
Casina del Fusaro, l’acquedotto di Valle di Maddaloni e altri
luoghi che testimoniano o raccontano la storia e le opere del
Vanvitelli, saranno organizzati eventi-spettacolo in sintonia
con il tema del viaggio e delle emozioni.
Grandi Mostre alla Reggia di Caserta - Un’esposizione
internazionale realizzata in collaborazione con i più importanti
musei del mondo per la realizzazione di un “circuito delle
Regge”.
Emozioni Mare ed Emozioni Napoli - La baia di Napoli è
lo scenario di un programma ricco di eventi, mostre, performance e concerti. Napoli, le isole, le città costiere saranno le
tappe di una mini crociera a bordo di una nave traghetto sulla
quale si svolgeranno spettacoli, mostre e manifestazioni. Durante le soste nei vari porti previsti dall’itinerario i passeggeri
potranno scendere a terra per assistere ai riti e alle processioni
più note e coinvolgenti della Pasqua campana.
Antiche Emozioni, tra natura e archeologia - Un itinerario interamente dedicato al verde delle aree archeologiche
da Cuma a Punta della Campanella, inclusi i siti di Pompei
ed Ercolano e Villa Damecuta sull’isola di Capri. La Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei ripristina il verde
di alcuni dei siti più famosi e le passeggiate dell’antica Campania felix, trasformandole in un unico itinerario tra natura e
archeologia arricchito da spettacoli e da letture al tramonto.
Natura, Passione del Sannio - Il programma è articolato
in tre sezioni: escursioni con accompagnamento di guide
nell’oasi del WWF e nel parco del Partenio, una grande mostra
dedicata al rapporto arte/natura, articolata attraverso la rete
museale beneventana e l’iniziativa “trenino dell’arte” e la
produzione dello spettacolo “Madre natura, madre Madonna”,
ispirato al Pianto della Madonna di Jacopone da Todi, sulle
note dello Stabat Mater di Pergolesi. Lo spettacolo si avvarrà
di un’orchestra di diciotto elementi e la partecipazione del
soprano Katia Ricciarelli.
Spa e Terme della Campania - Nel pacchetto di Pasqua
dedicato al Viaggio nelle emozioni si darà spazio al turismo
termale con la promozione delle strutture alberghiere con spa
e i parchi termali dell’isola d’Ischia e del resto della Campania.
Il viaggio nella storia
(1-31 maggio 2009)
Raccontami - 100 attori di cinema e teatro raccontano i
più importanti monumenti della Campania in un programma
articolato per epoche storiche. Ogni attore accompagnerà i
visitatori in un percorso che associa alla storia dei monumento
letture, ricostruzioni d’epoca e rappresentazioni teatrali.
Il viaggio nelle arti
(5-28 giugno 2009)
Napoli Teatro Festival Italia 09 - Il più grande appuntamento di teatro d’Italia: 2000 artisti, 200 spettacoli, 20 spazi
teatrali, 24 giorni in cui Napoli dà spettacolo!
Tra gli spettacoli proposti per la prossima edizione spiccano:
La Rassegna d’Ischia 1/2009 15
* Karole Armitage reinventa Pulcinella;
* Henier Muller mette in scena “Lo stacanovista”;
* Il National Theatre di Londra incontra la creatività teatrale
napoletana;
* Elio De Capitani mette in scena l’ “Agamennone” di
Pierpaolo Pasolini.
Madre – Francesco Clemente, Naufragio con spettatore, 1974-2004 – Una grande mostra che ripercorre 30 anni
di carriera di uno dei più importanti protagonisti dell’arte
contemporanea. Dal 29 maggio al 14 settembre 2009.
Il viaggio nella creatività
(luglio 2009)
Il Festival della Creatività Itinerante - Il grande palcoscenico della creatività giovanile sarà Salerno e la sua provincia.
Rassegne delle nuove tendenze artistiche, dall’animazione al
teatro, dalle arti visive alla musica e tanti appuntamenti che
valorizzeranno il litorale che va da Salerno al Cilento.
Il viaggio nella tradizione
(settembre 2009)
Piedigrotta 2009 - Napoli si colora di tradizione ed offre
un punto di vista unico e privilegiato sulle ricchezze della
cultura, dell’arte e dell’artigianato della città: concerti, sfilate
allegoriche, teatro, mostre, artigianato, spettacoli pirotecnici,
per una festa ricca di suggestioni ed emozioni.
I Mille Colori del Golfo - A chiusura della festa di Piedigrotta, in contemporanea in tutti i comuni che si affacciano
sui due golfi, esploderà il più grande spettacolo pirotecnico
mai organizzato.
Sito: www.6viaggi.com
Rassegna poetico-letteraria - Inediti in Biblioteca
I seminari di Maria Luisa Spaziani
tempo tra simmetria e asimmetria -Prof.ssa Maria Luisa
Spaziani (prenotazione : non necessaria, ingresso libero)
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
l'Universitas Montaliana di Poesia e l'on Giuliano Cazzola
presentano nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, Palazzo San Macuto, la V Rassegna poetico-letteraria Inediti in Biblioteca - I seminari di Maria Luisa Spaziani.
L’ingresso ai Seminari è libero - Prenotazione obbligatoria. Per gli uomini è obbligatoria la giacca. Per motivi
di sicurezza e limite di posti disponibili (massimo 110) è
necessario effettuare la prenotazione almeno 15 giorni prima
della data dell’evento inviando una e-mail con le proprie
generalità a:
[email protected]
Maria Luisa Spaziani nasce a Torino nel 1922. Nel corso
di un’esistenza variegata e a tratti avventurosa, ha scritto
racconti, saggi, drammi, aforismi, ha tradotto classici e
moderni. Ma la sua notorietà internazionale è affidata alla
poesia, con traduzioni in venti lingue. Fin dai banchi del
liceo fonda e dirige la rivista “Il Dado”, con collaborazioni
di Penna, Pratolini, Sinisgalli e Virginia Woolf. Nel 1949
conosce Eugenio Montale e inizia un lungo sodalizio.
Centrale è la Giovanna d’Arco, un suo mito personale fin
dall’adolescenza. Sono quattordici le sue principali raccolte di versi, pubblicate da Mondadori nello “Specchio”,
a cominciare dalle Acque del Sabato del 1954 fino alla
Traversata dell’Oasi del 2002 e a La Luna è già alta del
2006. Docente all’Università di Messina, ha collaborato
con importanti riviste, radio e televisioni. Ha fondato con
Mario Luzi il Centro Internazionale Eugenio Montale, con
l’omonimo Premio, e continua in vari ambiti la sua opera di
critica e diffusione della poesia. È Cavaliere di Gran Croce
della Repubblica.
Programma
16/1/2009 – ore 17:00 - Valerio Magrelli parla dell’Archetipo della Traversata, metamorfosi e trasfigurazione
poetica tra Città, Mare e Natura. Joyce, Apollinaire, Céline,
D’Annunzio (prenotazione entro 1.1.09)
13/2/2009 – ore 17:00 - Franco Loi indaga sui multipli
significati e sulle radici della stessa parola poesia, vera
crescita dell’uomo, con riferimenti a Vittorio Sereni e alla
sua Stella Variabile come svolta della poesia del Novecento
(prenotazione entro 1.2.09)
13/3/2009 – ore 17:00 - Un gruppo di quattro appassionati
studiosi tra cui Claudio Damiani indagheranno su Vincenzo
Cardarelli e Leonardo Sinisgalli, pietre miliari del Novecento poetico
17/4/2009 – ore 17:00 - L’antica parola “spiritualità” che
percorre tutta la storia della poesia, ed è imprescindibile
anche oggi, indagata da Marco Guzzi e Donatella Bisutti
(prenotazione entro 1.4.09)
8/5/2009 – ore 17:00 - Cent’anni fa nasceva il Futurismo,
quali sono le ineliminabili ragioni di principio? Quale la
sua eredità? (prenotazione entro: 25.4.09)
22/5/2009 – ore 10:30 - Università degli Studi di Roma “La
Sapienza” (Aula Magna - Piazzale Aldo Moro 5 – Roma)
- Lectio Magistralis - Poesia: asso vincente delle sfide del
16 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Giuliano Cazzola, economista, è stato dirigente generale
del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in tale
veste è stato incaricato di presiedere il collegio dei Sindaci
dell’INPDAP e successivamente dell’INPS. È esperto del
mondo del lavoro e del welfare e insegna Diritto della
Previdenza Sociale presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Bologna, collabora con diversi quotidiani
ed è autore di molti libri sulle politiche del lavoro e sulla
previdenza. La sua opera più nota resta “C’eravamo tanto
amati”, una sorta di biografia del suo periodo sindacale
e quindi anche storia della CGIL dagli anni ‘70 agli anni
‘90. Il suo ultimo libro è “Il Riformista tradito – La storia
e le idee di Marco Biagi” pubblicato da Boroli Editore
(Nov. 2008). Giuliano Cazzola, nel giugno del 2006 è
stato insignito dell’onorificenza di Commendatore della
Repubblica Italiana, è deputato del Popolo delle Libertà e
Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera
dei Deputati.
Dal Castello d'Ischia al Ticino, il vincitore della battaglia di Pavia
Ferrante d'Avalos
di Domenico Di Spigna
Francesco Ferrante d’Avalos era nato a Napoli nel 1489
da Alfonso (1) e Diana de Cardona. A sei anni per volontà
di Ferdinando 1° d’Aragona, viene «fidanzato» ad un’altra
fanciulla anch’essa di aulica discendenza, qual era Vittoria
Colonna, figlia di Fabrizio e Agnese di Montefeltro.
Questa venne alla luce in Marino, presso Roma nel 1490.
Il 6 giugno 1507 furono concordate le loro nozze che avvennnero il 27 dicembre di due anni dopo (1509) nella cattedrale
del Castello isclano, dedicata all’Immacolata. Quest'anno
ne ricorre il quinto centenario, che sarà ricordato con varie
manifestazioni.
I parenti più prossimi erano: per la sposa la madre Agnese,
Fabrizio e Prospero Colonna; per lo sposo sua madre Diana (il
padre era deceduto), la zia Costanza d’Avalos, la zia acquisita
Laura Sanseverino, madre di Alfonso marchese del Vasto, e
tanti altri bei nomi, quali Guglielmo Tuttavilla conte di Sarno, Giovanni Guevara, Luigi Giovanni Mormile napoletano,
Ludovico Picchi romano, Guidone Fieramosca di Capua,
Cosimo de Mayo, Galeazzo Tarsia, Giovanni Musofilo umbro
e maestro di lettere di Ferrante, Jacopo Sannazaro umanista,
Giovanni Paolo Cossa gentiluomo d’Ischia.
Gli atti furono vergati dal notaio isolano Giacomo Melluso
(2). Le nozze furono benedette da Mons. Matteo d’Aquino,
arcivescovo di Gravina. Purtroppo l’unione tra i due giovani
durò soltanto poco tempo e i sussulti amorosi tra i due dovettero interrompersi per superiori motivi di contingenza. L’edera
veniva staccata dal tralcio! La presenza del prode Francesco
Ferdinando (Ferrante) si rendeva utile alla causa degli equilibri
politici d’Italia, che quasi sempre si manifesta con la guerra.
Il nostro era figlio d’un uomo d’arme; suo padre Alfonso
fu gran connestabile del regno di Napoli e venne ucciso a
Castelnuovo (3) con una saetta da uno schiavo moro, mentre
si adoperava a cacciare i Francesi giunti al seguito di Carlo
VIII il 22 febbraio 1495. La sua scomparsa fu compianta dal
re e dal popolo tutto. Suo avo fu Roderigo, che diede lustro al
suo casato; suo nonno Innico o Ignico, che seguendo le sorti
di re Alfonso 1° d’Aragona venuto alla conquista del regno
di Napoli, fu catturato assieme a questi dai Genovesi nelle
acque dell’isola di Ponza.
Una volta liberato per intercessione di Filippo Maria
Visconti, fu permesso all’aragonese di portarsi a Napoli e al
d’Avalos di stare presso il duca Filippo a Milano. Ferrante
che aveva preso dal padre il soprannome di Pescara (per il
marchesato di quel luogo), nonché talento nell’arte bellica,
aveva aulica discendenza anche per parte materna, che dal
canto suo aveva avuto quattro fratelli capitani e di singolare
bravura. Due di loro, don Antonio marchese di Padula e don
Giovanni conte di Avellino molto si prodigarono per lui per
farlo crescere forte e stratega nelle azioni di guerra.
Il Pontano (4) umanista e letterato, come si evince
dalle«Vite» di Paolo Giovio, era esperto nella scienza delle
stelle e alla sua nascita aveva previsto vittorie e gloria, ma che
avesse dovuto guardarsi il volto dalle ferite, cosa che puntualmente si avverò. Le vittorie sui campi di battaglia saranno
numerose e faranno da corollario all’altra grande Vittoria (5),
vale a dire sua moglie, donna eletta per linguaggio, lettere e
religione, con la quale convolerà a nozze a venti anni d’età.
Dice di lui Paolo Giovio (6) nella sua Vita del signor Don
Ferrante d’Avalo: «Se noi volessimo mettere insieme tutte
le onorate virtù del corpo e dell’animo delle cose da lui fatte,
egli senza ombra di dubbio supererebbe tutti i suoi uguali e i
valorosi capitani che lo hanno preceduto per lode di combattente. Già adolescente, dopo aver giocato con i soldatini, si
dilettava a organizzare azioni militari o fasi di guerra simulata
1) Questa aulica famiglia spagnola, che diede valorosi combattenti,
era giunta a Napoli al seguito di Alfonso I d’Aragona, provenendo
dalla vecchia Castiglia. Alcuni lo dicono nato ad Ischia.
2) Cfr. O. Buonocore, Storia di uno Scoglio, pg.108.
3) È il castello che ancora oggi ammiriamo lungo il porto di Napoli,
per le trasformazini fatte dagli Aragonesi al vecchio maniero degli
Angioini.
4) Fu segretario di re Ferdinando d’Aragona e autore del “De Bello
Neapolitano”. Era nato a Cerreto d’Umbria nel 1426 e morì a Napoli
nel 1503.
5) P. Giovio, Vita del Marchese di Pescara.
6) Giovio, op. cit.
La Rassegna d’Ischia 1/2009 17
Alfonso Davalo Marchese del Vasto
e allorquando il suo maestro Musofilo, egubino, lo invitava
allo studio delle lettere, lui preferiva i romanzi storici cavallereschi.
Una volta maturo per la guerra, ebbe in dono dalla madre
Diana, un’insegna sulla quale era riportato uno scudo con il
beneaugurante scritto: «con questo o sopra questo», in una
parola, vincitore!
L’anno 1511 parte per la Lombardia per dar man forte a
suo suocero Fabrizio, che per il Papa combatteva contro i
Francesi. Hanno luogo così le lunghe assenze dalla consorte,
che resterà molti anni nella terra d’Ischia, anzi nel castello
dell’isola, come prigioniera ad aspettare il suo «bel sole».
Soltanto alcune volte potrà vederlo apparire sull’orizzonte
dell’azzuro mare del golfo, che al contrario, alla sua dipartita
le sembrerà nero come inchiostro. Al volgere del successivo
anno lo vediamo sfortunato protagonista nella memorabile
battaglia di Ravenna, in quell'11 aprile, giorno di Pasqua.
L’esercito, comandato dal viceré Ramon de Cardona, assieme
ad altri capitani, è sconfitto, costretto a fuggire. La vittoria è
dei transalpini, comandati dal giovane e valoroso Gastone
de Foix, di anni 23, che però vi troverà la morte, cosa che per
ironia della sorte, capiterà anche al nostro, dopo la vittoria a
Pavia nel 1525 e la morte qualche mese dopo. Il d’Avalos a
Ravenna è seriamente ferito nel centro della mischia, assieme a suo zio marchese della Padula ed al valente cavaliere
Placido de Sangro; pur destreggiandosi egregiamente deve
soccombere, riportando numerose ferite.
Il Guicciardini nella sua Historia d’Italia dice: «... e i cavalli leggieri dei quali era capitano generale Ferrante Davalo,
ancor giovinetto ma di rarissima aspettazione». Consigliato
dal Sangro di fuggire, il Pescara respinse l’invito rispondendo
che avrebbe preferito essere onorato dagli amici da morto.
Venne abbattuto assieme al suo cavallo trafitto dalle lance,
18 La Rassegna d’Ischia 1/2009
privato delle armi dorate e della veste di broccato. Di poi sanguinante in volto, sfinito per la intensa lotta sostenuta, fattosi
riconoscere tra i tanti corpi esanimi, fu rimesso in piedi dai
soldati nemici che lo consegnarono al cardinale Sanseverino,
per le cure del caso.
Suo zio, Don Giovanni Cardona (Conte d’Avellino), per
le ferite riportate nell’infausta giornata di Ravenna, morirà
pochi giorni dopo a Ferrara, come pure Placido de Sangro.
Il Pescara (7) è prigioniero assieme a suo suocero Fabrizio
e portato a Ferrara e dopo a Milano rinchiuso nella rocca di
Porta Giovia (8). Verrà liberato dietro pagamento di seimila
ducati e con i buoni uffici di Gian Giacomo Trivulzio marito
di un sua zia paterna, Ippolita d’Avalos, mentre Fabrizio sarà
reso libero per magnanimità del duca di Ferrara, ed il Padula
evaderà dalla prigione. Il giovane Ferrante durante la sua detenzione, esente dalle attività militari, col pensiero volerà alla
moglie Vittoria che stava in Ischia, nella sua corte del castello
aragonese, dedicandole un poemetto «Dialogo d’Amore».
Dirà il Giovio (9) : «Così il Pescara per singolar beneficio
del Trivulzio fu tratto di prigione». Mentre che egli era in
castello e medicava le ferite, non avendo comodità alcuna di
esercitare il corpo, esercitò talmente l’ingegno non mediocramente ripieno delle lettere umane per la dottrina del Musefilo
suo precettore che in pochi giorni scrisse un piacevolissimo
Dialogo d’Amore alla signora Vittoria sua moglie». Non
molto tempo dopo, ancor recante cicatrici al viso per le ferite
riportate, si reca ad Ischia sul bruno castello e v’incontra la
consorte; ivi riceve l’ammirazione di Isabella d’Aragona,
vedova di Galeazzo Sforza nipote di Ludovico il Moro.
La cronologia storica ci tramanda che nel 1516, anno della
venuta di Francesco I di Francia, Ferrante trovavasi a Napoli,
intento a proporre ai locali Principi l’accettazione di Carlo
V d’Asburgo, che aveva ereditato i domini di Spagna, quale
loro sovrano. Verosimilmente avrà incontrato la moglie, alla
quale si ricongiungerà nel febbraio 1517, in occasione delle
nozze di sua cugina Costanza d’Avalos con il Duca d’Amalfi
Piccolomini.
Di nuovo impegnato in guerra, lo incontriamo assieme
a Prospero Colonna (1452 – Milano 13-12-1523), contro i
Francesi a cui tolsero Parma e la stessa Milano nel 1521 e
nell’anno successivo alla Bicocca (10), zona periferica di
Milano in direzione di Monza come riportato dallo storico
pavese Antonio Grumello :«La Bichocha si è un loco lontano
de la città mediolanense millia quatro et posta fra doi fontanoni
che portano aqua et una strata, qual va al camino di Monza».
Lo scontro ebbe luogo nella mattinata del 27 aprile 1522;
l’esercito francese è comandato da Odette de Foix visconte
di Lautrec, quello pontificio da Prospero Colonna, con a capo
della cavalleria il Pescara. Sono questi gli anni della massima
attività bellica, della sua breve ma intensa vita, che lo portò
a lasciare questo mondo a soli trentasei anni. Nel 1523 è
protagonista ad Abbiategrasso e a Robecco sul Naviglio
7) Già capitano di cavalleria a 21 anni.
8) Era questa situata presso l’antica Porta di Giove. Oggi il luogo
corrispondente è indicato con una scritta nell’attuale castello sforzesco di Milano.
9) Vita del Marchese di Pescara, op. cit.
10) Questo termine nel dire dei Lombardi sta per casupola, casa
diroccata, cascina.
contro gli eterni nemici francesi, che nonostante gli insuccessi militari, guidati dal giovane e baldanzoso Francesco
1°, si organizzano maggiormente, si ingrossano e ritornano
in Italia, riprendendosi Milano e cingono d’assedio la città di
Pavia sul fiume Ticino. Altre sue azioni guerresche si riscontrano, a fianco dello zio Don Antonio de Cardona, a Trezzo
d’Adda, nel quale castello si sono ritirate le forze francesi.
Vuole il nostro acquisire onori nella milizia a testimonianza
della famiglia d’Avalos. Racchiude in sé, intraprendenza,
dinamismo, equilibrio e molta bravura nel combattimento a
piedi e a cavallo.
La sua giovanile figura era degna di ammirazione per i suoi
occhi vivaci, la pacatezza nei momenti sereni, il fuoco ardente
nei momenti della tenzone. Evidenziava in viso una barba
alquanto rossiccia che contornava un naso aquilino. D’altro
canto era definito superbo per il portamento ieratico, il suo
parlare sempre serio e la severa brevità delle risposte. Con
tali componenti portava in sé il carattere del«militare nato».
Si abbigliava nel costume della moda spagnola e in quella
lingua sempre gli piacque esprimersi, anche con la moglie.
La validità dei suoi subalterni era dovuta, tra l’altro, anche
alla disciplina che sapeva imporre nelle sue file, pronto a punire per manchevolezze o insubordinazioni. A tal proposito,
va ricordato che un giorno un suo soldato uscito dalle file
penetrò in una casa per depredare. Gli fu portato davanti e lui
ordinò che gli fosse tagliato un orecchio. Al che il malcapitato
rispose che si sarebbe vergognato per il tipo di pena; pertanto
Ferrante decise di farlo impiccare ad un albero.
Quando suo zio, il Marchese della Padula, dai Medici di
Firenze fu nominato Capitano delle Genti, il Pescara ottenne il
comando dell’esercito, portandosi sotto Casteggio e Voghera
ove vistosi rifiutare vettovaglie, espugnò la stessa Voghera
mentre i suoi cavalleggeri compivano scorribande nella città
di Alessandria. Passa di poi a combatterre in Liguria, dove
gli Adorni avevano cacciato da Genova i Fregoso e una volta
battuti i Francesi con una squillante vittoria, riporta in città
Ottaviano Fregoso (che tra l’altro era discendente per parte
materna, dai Montefeltro di Urbino, come pure sua moglie,
la poetessa Vittoria Colonna).
Quest’ultima non molto tempo dopo le nozze, quando il
suo Ferdinando dovette partire per la guerra in Lombardia, gli
aveva dato in dono, un camerino ornato con ricamo, sopra la
cui porta si leggeva ciò che giustamente fu detto di Vespasiano
imperatore:«Numquam minus,otiosus, quam cum otiosus
erat ille» (11), (non è mai meno ozioso che quando riposa).
Dopo la battaglia di Pavia, il D’Avalos ch’era rimasto ferito
in più parti del corpo, ricevette lodi dagli«imperiali» e dai
vari Principi, riuniti in lega, la proposta di acquisire il Regno
di Napoli in cambio dell’infedeltà al suo imperatore. Saputo
della cosa, Vittoria Colonna gli scrisse in tali termini: «Si
sovvenga della sua solita virtù, con la cui reputazione e lode
egli avanza la fortuna e la gloria di molti re. Perciocché non
la grandezza dei Regni e de’ titoli, ma per la via della virtù
l’onore si acquista, il quale sempre con chiara lode arriva a
discendenti; ch’ella non desiderava essere moglie di re, bensì
di quel Gran Capitano, il quale non solamente in guerra con
valore ma ancora in pace con la magnanimità aveva saputo
vincere i re più grandi» (12).
Stando il Pescara a Milano e ammalatosi gravemente, vinto
da una sete continua, indebolito per le tante fatiche di guerra,
poiché a nulla servivano le cure mediche allora posssibili,
peggiorando le sue condizioni generali, si pensò di avvisare
la moglie che si portasse a Milano desiderando egli vederla,
prima di lasciare la vita terrena.
Partitosi da Ischia Vittoria, arrivò fino a Viterbo, laddove
venne raggiunta dalla funesta notizia della morte di Francesco
Ferdinado d’Avalos avvenuta in quel freddo 25 novembre. Il
Pescara fu sepolto in Milano con onorate esequie il 30 novembre 1525 e successivamente (13) fu portato a Napoli e posto
nella chiesa di S. Domenico Maggiore (dove ancora giace);
lodato con magnificenza in pubblico da Gualtiero Corbetta
milanese (14).
La Battaglia nel Parco Pavese
Prima di addentrarci nella descrizione dei fatti bellici, avvenuti fuori le mura di Tesino (15) è opportuno volgere uno
sguardo a ciò che era la situazione politica di quel tempo in
Lombardia, che determinò tali avvenimenti. Nel 1447 morto
l’ultimo dei Visconti, vale a dire Filippo Maria, senza lasciare
prole maschile, il Ducato di Milano passò a suo genero Francesco Sforza. Successivamente uno di questa famiglia, Ludovico
detto «il Moro» era in guerra con i francesi di re Luigi XII, ma
fu battuto da un altro milanese, il gentiluomo Gian Giacom
Trivulzio che combatteva per il re francese. Questa vittoria
non durò a lungo perché tre anni dopo, il capoluogo lombardo
fu riconquistato da Massimiliano Sforza figlio di Ludovico.
Morto Luigi XII nel 1515 viene in Lombardia un giovane
re, Francesco I, valoroso, elegante, amante delle lettere, che
sconfigge a Marignano (Melegnano) Massimiliano Sforza che
è costretto a rintanarsi nella fortezza di Porta Giovia (nell’at11) G.B. Rota, Vita di Vittoria Colonna, appresso Pietro Lancellotti,
Bergamo 1760.
12) Giovio, nella vita di lui, lib.7.
13) Ciò il 12-5-1526. Cfr.O. Buonocore, Sul castello d’Ischia.
14) Bullart.
15) Meglio dovrebbe chiamarsi la “Battaglia di Mirabello” perché
là iniziata e conclusa.
La Rassegna d’Ischia 1/2009 19
tuale Castello Sforzesco), per uscirne indenne ma esiliato in
Francia dove morirà.
Il giorno 11 ottobre Francesco entra in Milano acclamato
da Porta Ticinese fino al Duomo. Formatasi allora una coalizione tra Firenze, Mantova, Carlo V (16) imperatore e Papa
Leone X alla testa, i francesi di Odette de Foix sono battuti
da Prospero Colonna nella nota battaglia della Bicocca, di
cui prima abbiamo fatto cenno, cosicché il secondogenito di
Ludovico il Moro, Francesco Maria, si riprenderà Milano.
Dopo la scomparsa del comandante Prospero Colonna, a
capo dell’esercito imperiale fu posto il fiammingo Carlo di
Lannoy (signore di Sanzelles) che era viceré di Napoli. Questi
porta dal sud un nutrito numero di soldati al fianco di quel
Francesco Ferrante, già chiaro per le sue vittorie in battaglia,
che poi passerà alla storia quale vincitore della battaglia di
Pavia (17).
La fanteria di questi è formata da soldati spagnoli abili a
combattere a piedi e compiere irruzioni notturne a sorpresa;
oggi si direbbe un blitz nel campo nemico. A tal proposito si
può far riferimento a quanto avvenne la notte del 27 gennaio
1524 ad Abbiategrasso, dove si trovava il capitano francese
Pierre du Terray, signore di Bayard, allorquando il Pescara e
Giovanni de’ Medici (18) piombano nel campo nemico seminando strage e terrore, con lo stesso Bayard che fugge via
evitando di essere catturato. Oramai i Francesi sono in rotta,
davanti alle truppe imperiali che si fanno largo, rafforzate da
Veneziani e 6000 Lanzichenecchi; si oltrepassa il fiume Sesia,
gettando un ponte di barche, col Pescara che nato guerriero
e di tal cosa consapevole semina morte e panico. Lo stesso
comandante Bonnivet è ferito ad un braccio, mentre il Bayard
viene colpito alla colonna vertebrale dagli archibugieri e si
consegnerà al D’Avalos; morirà poco appresso e la sua salma
imbalsamata sarà trasportata in patria. Sulle ali del successo
il Pescara e il connestabile di Borbone tentano di invadere la
Francia, dalla parte della Provenza, ma ad Avignone sono fermati dalle truppe nemiche che vanno ad ingrossarsi. Capovolta
la situazione militare, stavolta è il Pescara che indietreggia,
riuscendo però a riportare al sicuro tra le mura di Pavia il resto
dei suoi, passando per Voghera.
Le ostilità tra le parti non sono finite. Francesco I, l’aitante
re alto quasi due metri, decide di riportare il suo esercito in
Italia, mentre le forze imperiali non in grado di far fronte
agli avversari, lasciano Milano, ripiegando su Lodi. Anche
Francesco II Sforza, non sicuro e con la città colpita dalla
peste, va via. Allora il re di Francia, con un numero di soldati
che supera le due decine di migliaia, si porta sotto le mura
della «ex longobarda» Pavia cingendola d’assedio; ciò alla
fine dell’ottobre 1524. Per più di tre mesi questa storica città
(19) deve patire le dure conseguenze di tale isolamento. Essa
è comandata e difesa da Antonio de Leyva, aiutato da Don
Francesco Sarmiento col quale provvede a fortificarla, anche
16) Carlo d’Asburgo diventa Carlo V il 28-6-1519. Nato il 24 febbraio 1500, morì il 21-9-1558.
17) Ogni due anni in questi luoghi si tiene una rievocazione storica,
in costume d’epoca.
18) Giovanni dalle Bande Nere (1498- 1526) era figlio di Giovanni
de’ Medici e Caterina Sforza.
19) Pur non essendo più capitale del regno longobardo, era allora
sempre importante per il castello e la sua nota università.
20 La Rassegna d’Ischia 1/2009
con torrioni formati da botti riempite di terra: Dall’interno
l’aiuto viene da parte di un cavaliere pavese, Matteo Beccaria,
che organizza i suoi concittadini per la difesa della città. Ciò
nonostante la città assediata, scarsa di viveri e afflitta dalla
pestilenza viene a trovarsi sempre più in difficoltà; la sua
popolazione scende a meno di diecimila abitanti (20).
Le forze francesi dislocate fuori città sono così organizzate:
l’avanguardia è comandata da Jacques de Chaban, signore de
la Palice e da Robert de La Marck, signore de Fleuranges.
Le truppe che si trovavano presso il castello di Mirabello e la
cascina Pantaleone sono comandate da Jacques de Amboise,
signore di Bussy e Galeazzo Sanseverino (con i suoi lancieri),
che già era stato al servizio degli Sforza. Inoltre fanno parte
dell’armata francese, i lanzichenecchi tedeschi al comando
di Francesco di Lorena e l’inglese Charles Brandon, duca
di Suffolk, quelli dalle bande nere, cosiddetti per il colore
dell’uniforme, al comando di Anne de Montemorency. Saranno proprio costoro a sferrare il primo attaco all’assediata
Pavia, ma dopo l’iniziale successo, verranno respinti dai cittadini (mercanti, artigiani, persone varie), sotto il comando di
Antonio de Leyva (21), tra l’altro sofferente di gotta, aggravata
dal freddo e dall’umidità e portato in lettiga. Si tenteranno
altre forme di offese alla città accerchiata, facendo affondare
i mulini ad acqua per non poter così macinare il grano per la
fabbricazione del pane. Nei giorni 5 e 6 novembre la città
è martorizzata da continui bombardamenti, durante i quali
si distinse per abnegazione e opera di coordinamemento la
marchesa di Scaldasole, Hippolita Malaspina. Francesco 1°
tenta inoltre un’opera ciclopica, quella di deviare il corso
del Ticino, che costituisce una difesa naturale per la città,
ma vanamente dal momento che il fiume è ingrossato per le
piogge cadute. Un’altra sua idea è quella di attaccare il regno
di Napoli per indure il comandante degli imperiali, Carlo
di Lannoy, ad accorrere laggiù e lasciare la Lombardia ai
Francesi, il tutto avvalorato dalla notizia che il Papa mostra
benevolenza al re e che il Duca di Ferrara promette aiuti
economici. Nei primi giorni di gennaio Pavia sarà ancora una
volta martellata dalle cannonate e si solleverà alquanto dagli
stenti, quando due soldati spagnoli riusciranno furtivamente
ad entrarvi recando della moneta, ma oltrepiù la notizia che
2000 «imperiali» verranno in loro aiuto.
Ed ecco che entra in azione nuovamente Ferdinando d’Avalos, che dopo aver espuganto Sant’Angelo Lodigiano si porta
verso Pavia. Dopo tale avvenimento, scriverà a Girolamo
Morone (22) in tale modo: «stata bona cosa, io ho hanto a
fare; per caso uno schiopeto me hanno passato uno stivale,
senza farmi poco male che abrusarme le calze, et che un altro
el zupone e la camisa in la manega senza farmi poco altro
male che brusarme la carne«(23).
In condizioni climatiche quasi proibitive per le nevicate che
hanno reso quasi impraticabili le strade, il 6 febbraio i due
eserciti belligeranti cominciano a schierarsi. Nel mentrte il
De Leyva fa uscire dalla città alcuni fanti e 50 cavalli leggeri
20) Cfr. L. Casali – M. Calandra, La Battaglia di Pavia, pg. 49.
21) Era un Navarrese, di alta statura e dal naso a becco.
22) Segretario di Francesco II Sforza, a cui è intitolata una strada
a Milano.
23) Giovio, op. cit. libro VI, cap II, pg. 418.
in direzione di San Lanfranco e San Salvatore che uccidono
qualche centinaio di soldati grigioni e distruggono il ponte
di barche fatto dai francesi sul Ticino.
Un altro mattone che si screpola, nell’orgoglio del re franco
è il ferimento di Giovanni de’ Medici, maestro di scaramucce
che è ferito ad un tallone; viene così a mancargli un valido
capitano a cui si aggiunge la defezione di soldati grigioni
(24). Dalla parte avversa non è buona, anzi è preoccupante la
situazione degli assediati, per le lunghe sofferenze, mancanza
di vettovaglie e penuria di danaro per la paga ai mercenari. Il
comandante De Leyva pone qualche rimedio a quest’ultimo
bisogno, facendo fondere il vasellame dei ricchi pavesi e i
cibori delle chiese e suoi ori, per forgiare monete su cui sono
riportete le sue iniziali A. L. e la scritta:«Pavia sazia, Cesare
trionferà». Con tale stato di cose si arriva all’azione bellica,
che viene stabilita nella notte tra il 24 e 25 febbraio.
Esclama il Marchese di Pescara:«Deme Dios cien anos
de guerra, y no un dia de batalla de la qual son tan varios y
dudosos los sucessos y tan cierto y calamitosos los peligros,
pero las causas para no dilatar la batalla son tan manifiestas».
Al tuonar di tre colpi di cannone le forze militari di Don Antonio de Leyva sarebbero uscite dalla città circondata e dalla
parte del castello si sarebbero dirette verso Mirabello, con
Fernando d’Avalos (25) subito all’attacco; con la conquista
di questa posizione si sarebbe tagliata la strada per Milano al
re franco.
Nel campo dell’esercito avversario i duci, Tremoille,
Galeazzo Sanseverino, La Palice consigliano al loro re di
portarsi via per accamparsi a Binasco località a metà strada
con Milano per indurre i nemici ad uscire di città e sfaldarsi
da sé. Il re però darà ascolto al suo«angelo custode», l’ammiraglio Guglielmo Gouffier, signore di Bonnivet, che lo farà
agire diversamente. Le forze impegnate in questa battaglia,
tra le più cruente dell’epoca, saranno di circa trentamila per
i francesi muniti di un numero maggiore di cannoni e di
20.000 per gli imperiali, a loro volta supportate dalle truppe
spagnole, brave nella battaglia campale e dai lanzichenecchi
di George Frundsberg. La differenza precipua che farà pendere
la bilancia verso gli imperiali, consisterà nel modo di gestire
le azioni belliche, dirette dal connestabile di Borbone, il Lannoy, e da Ferrante d’Avalos, che passerà alla storia quale il
vincitore della battaglia. Dirà di quest’ultimo lo storico Paolo
Giovio:«se noi volessimo mettere insieme tutte le onorate
virtù del corpo, e dell’animo con la perpetua felicità delle
cose da lui fatte, senza alcun dubbio il Signore Don Ferrando
Marchese di Pescara avanzerà non pure tutti i suoi uguali ma
ancora i capitani stati innanzi di lui di lodi di guerra».
È proprio lui che prende coscienza di non attaccare i nemici frontalmente, ben fortificati sulle proprie posizioni con
solidi terrapieni, ma più utile inviare il Marchese del Vasto a
Mirabello, per un attacco laterale.
Francesco Ferrante d’Avalos irrompe nel Parco
È un mattino grigio di quel 24 febbraio, giorno di S. Mattia
Apostolo e venticinquesimo genetliaco di Carlo V. Ferrante
concepisce lo stratagemma di attaccare di notte di sorpresa,
per la qual cosa fece prova generale alle tre di notte del 22
febbraio; pertanto finge una ritirata verso Lardirago, lasciando
la postazione di Casa dei Levrieri distraendo le sentinelle con
colpi di archibugio, mentre i guastatori spagnoli s’impegnano
ad aprire un varco tra le mura che circondano il Parco Visconteo, allora detto«Barcho».
I primi ad irrompere nel campo francese però saranno i
cavalleggeri guidati da Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto.
Essi indossano una camicia bianca per riconoscersi tra loro;
sono circa le sette del mattino ed è piuttosto oscuro. Questi
massacreranno gli aggregati dei francesi, ovvero sia mercanti,
animatori, vivandieri, familiari dei soldati, prostitute. Qualcuno che riesce a sottrarsi a tale furia, dà l’allarme generale! I
tempi ormai sono maturi per lo scontro finale che deciderà le
sorti di questa guerra. Ritiratosi il Del Vasto, per non isolarsi
dal resto degli«imperiali, le prime fasi della reazione nemica
sono a loro favorevoli. Difatti la cavalleria guidata dal viceré
di Napoli Lannoy che si trovava schierato sulla riva destra della Vernavola, corso d’acqua più abbondante di quanto sia oggi,
subisce notevoli perdite. Il re francese abbatte personalmente
Ferrante Castriota e sulle ali del successo (effimero) esclama
al Lescun: «Oggi voglio chiamarmi signore di Milano».
Ed ecco che entra in azione il Pescara con i suoi archibugieri che attacca sul fianco sinistro la cavalleria avversaria,
24) Soldati del cantone svizzero dei Grigioni.
25) Nome anagrafico del d’Avalos, detto comunemente Ferrante.
che trovasi presso una zona fangosa della Vernavola e quindi
svantaggiata nei movimenti; vengono abbattuti molti cavalli
e cavalieri. Intervengono con ferale azione pure i «lanzi»
dell’imperatore che odiano gli omonimi della Banda Nera,
pur essi tedeschi al servizio dei francesi e comandati da
Richard Pool e Carlo di Lorena, distruggendoli nella quasi
totalità. Cade il comandante Lagmantel, sul cui corpo fa atti
di sciacallaggio un soldato spagnolo e, con azione macabra,
gli mozza una mano mostrandola quale trofeo! Gli scontri,
cruenti, si susseguono.
Il Pescara, caricando a cavallo, viene gravemente ferito ad
una mano, al volto, ad un piede e disarcionato. Suo cugino
Alfonso, a capo d’un quadrato spagnolo sconfigge gli svizzeri di Floranges, considerati una forte fanteria, avvelendosi
dell’azione del De Leyva che li attacca alle spalle. Questi
è uscito dalle mura di Pavia, alla quale difesa ha lasciato il
fedele Matteo Beccaria.
Il duca d’Alarcon, che era in retrogurdia, giudicata sfavorevole la situazione, con poco valore militare, si ritira. Il La
Palice rimasto a piedi, combatte con la spada ma si arrende
poi. Un soldato vigliaccamente lo uccide sgozzandolo come
un porco (26). Francesco di Lorena, già ferito, è abbattuto
con un colpo d’alabarda; il duca di Suffolk è sventrato con la
picca mentre Luigi d’Ars è colpito da una palla d’archibugio;
il Sanseverino muore in sella al suo destriero.
Il Bonnivet, vista la devastante sconfitta e sentendosene
responsabile si lancia a viso scoperto verso i nemici andando
incontro alla morte.
26) J. Giono, Le desastre de Pavie, pg.206.
La Rassegna d’Ischia 1/2009 21
Il re francese, contornato da cinquanta fedelissimi, tenta
un'improbabile salvezza con la fuga, ma invano. È circondato
e deve arrendersi al Lannoy che gli esclama: Sire siete ferito?
No, risponde, guarisco!
In una tetra atmosfera, nel grigiore della nebbia che offusca
i tanti cadaveri sparsi sull’umida e fredda terra (tanto per cambiare) della Bassa Padana, si conclude in poco più di un’ora la
battaglia, iniziata verso le sette del mattino. Ferrante d’Avalos,
grazie alle sue innate doti di stratega eccezionale fu l’artefice
principale della vittoria finale. Francesco 1°, sotto cavalleresca
protezione (perché ancora inviso agli spagnoli quantunque
prigioniero) viene condotto alla Casina dei Levrieri e successivamente, tramite il Pescara chiede di non essere posto
prigioniero nel castello di Pavia (27), paventando le offese
dei pavesi, da lui assediati per quattro mesi. La sua non lunga
prigionia avverrà difatti nella fortezza di Pizzighettone (28)
dove rimarrà fino a giugno.
Gli altri capi catturati saranno: Enrico d’Albret re di Navarra, il Bastardo di Savoia, il Signore di Saint Pol, Galeazzo
Visconti, il Signore di Lescun che morirà il giorno seguente
ospite nella casa di Hippolita Malaspina Marchesa di Scaldasole, il Florange verrà tradotto prigioniero nel castello di
Bereguardo. Francesco di Lorena e il Duca di Suffolk saranno
sepolti nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro, mentre Galeazzo Sanseverino è tumulato alla Certosa di Pavia. Prima
della prigionia a Pizzighettone Francesco 1° venne condotto
al monastero di S. Paolo, dove proruppe in pianto e nello
sconforto; scrivendo alla madre, pronunciò la famosa frase
«tutto è perduto fuor che l’onore». Del fermo del re, ne darà
notizia a Francesco Sforza il suo Cancelliere Girolamo Morone che gli comunicherà:«Qua a Pavia, ho fatto la riverentia
al re di Franza nel alogiamento di San Paulo». A sera sarà a
cena con tutto lo stato maggiore imperiale, al quale poche
ore dopo si presenterà un numero di soldati tumultuosi per
rivendicare le loro spettanze, perché da tempo non pagati. Il
marchese di Pescara, tormentato dalle ferite ricevute riportate
in battaglia, che ne ammorbidivano la sua caratteriale fierezza,
decide da parte sua, come promessa, la contribuzione di tre
quartieri di Milano per i postulanti e buoni di credito firmati
dal viceré. Termina così la baruffa, per tale risoluzione, che
ha del capzioso o quantomeno un velo di illusione.
Quali saranno gli avvenimenti successivi? Re Francesco,
dopo circa quattro mesi di prigionia a Pizzighettone, sarà
trasportato sulla costa toscana e di lì imbarcato per la Spagna,
laddove dopo ancora sei mesi di prigionia verrà accompagnato
libero alla frontiera e rimpatriato; Ferrante d’Avalos morirà in
novembre a Milano, lontano dalla poetessa Vittoria Colonna
sua moglie.
Oggigiorno a Mirabello di Pavia, che fu teatro della sanguinosa battaglia, si nota una stele a ricordo dei numerosi caduti
d’ambo le parti, dei quali resti sembra che non si sia ritrovato
mai nulla.
Sul muro della cascina Repentita, luogo della cattura del
re, è posta una epigrafe con la seguente didascalia;
Cascina Repentita
Francesco I re di francia
avversato su questi campi
dalla sorte delle armi
il 24 febbraio 1525
cadeva prigioniero
dell’emula Spagna
orgogliosa di tanto trono.
Domenico Di Spigna
Bibliografia essenziale
Jean Giono, Le désastre de Pavie, Gallimard, France 1963.
Paolo Giovio, La Vita del signor Don Ferrando Davalo, Marchese di Pescara, in “Le vite di dicenove huomoni illustri” in
Venetia presso Giova Maria Bonelli MDLXI.
Faustino Gianani, Mirabello di Pavia, ed. succ. Fusi Pavia
1971.
L. Casali – M. Galandra, La Battaglia di Pavia. Gianni Juculano ed. Pavia 1999.
Marin Sanuto Diari XXXVII – XXXVIII- Venezia 1893
Norino Cani e Gian Carlo Stella, La Battaglia di Ravenna,
11 aprile 1512.
De Paoli Gianfranco, L’assedio e la battaglia di Pavia, estratto
dal bollettino di storia patria, 1963.
Mirabello di Pavia
Monumento a ricordo dei caduti della battaglia
del 24 febbraio 1525
22 La Rassegna d’Ischia 1/2009
27) La sua costruzione fu voluta dai Visconti.
28) In tale epoca era un castello con quattro torri; ne rimane oggi una soltanto, proprio quella della detenzione del re.
1904 - Per la strada Ledomade
da Casamicciola a Lacco
vettura a 2 o 3 cavalli, andata
e ritorno, da £. 2 a £. 2,5, metà
a 1 cavallo, asini da 75 cent. a £. 1
Isole
di Procida
e d’Ischia,
Casamicciola
Da Napoli a Procida circa 1 ora ½, a
Ischia 1 ora 45 minuti, a Casamicciola 2 ore
sia colla Ferrovia Cumana, sia coi Vaporetti
Manzi.
Escursione delle più deliziose, col bel
tempo, a traverso i golfi di Napoli e Pozzuoli, da farsi in un sol giorno, rinunciando
però all’ascensione sul monte S. Nicola
(Epomeo) per la quale bisognerebbe pernottare a Casamicciola. Volendo visitare
anche Procida occorrono due giorni. Oltre
le bellezze naturali dell’isola d’Ischia e le
aure salutari che vi si respirano; con dolore
ravvisansi pure le rovine della seconda Casamicciola, distrutta dal terribile tremuoto
del 1883, mentre l’antico villaggio situato
nella parte più elevata, abitato da povera
gente, fu danneggiato da altro tremuoto del
1881.
Colla Ferrovia Cumana, passando per
Pozzuoli e Baia, si va a Torregaveta, al
lido da dove col vapore s’imbarca per
Procida, Casamicciola ed Ischia. Vi sono
tre partenze al giorno, tempo permettendo. Informazioni dell’orario, all’Albergo,
perché varia.
Tariffa da Napoli – Stazione di Montesanto per
Procida, 1a cl. L. 3,30, 2a cl. L. 2,45, 3a
cl. L. 1,40; ritorno compreso 1a cl. L. 5,25,
2a cl. L. 3,90, 3a cl. L. 2,30.
Ischia e Casamicciola, 1a cl. L. 4,40, 2a
cl. L. 3,55, 3a cl. L. 2,00; ritorno compreso
1a cl. L. 7,00, 2a cl. L. 5,60, 3a cl. L. 3,15.
Partendo dalla stazione del Corso Vittorio Emanuele si economizza circa il 10 per
cento.
I vapori della società Manzi e C. Uffici
sul molo, partono ogni giorno, tempo
permettendo, dall’Immacolatella presso
il porto, per Procida, Ischia e Casamicciola, da Giugno a Ottobre alle ore 9, ed
alle 15,30 (3,30 pom.), facendo ritorno
da Casamicciola, toccando Ischia e Procida, alle ore 5,30 e 15,30. Da novembre
a maggio, partono da Napoli una sola
volta al giorno, alle ore 14, ripartendo
da Casamicciola alle ore 6 del mattino,
toccando Ischia e Procida.
Prezzi, sui quali si cercherà di economizzare, per Procida 1a cl. L. 4, 2a cl. L.
2, 3a cl. : 1,10. Per Ischia e Casamicciola
L. 5,3 ed 1,50. Stessi prezzi al ritorno.
Per Procida e Ischia, altra partenza
dall’Immacolatella il Lunedì e Giovedì
alle ore 8 ritornando l’indomani alle ore
16,30.
I biglietti si prendono a bordo. Si
fanno degli abbonamenti e prezzi ridotti.
I nazionali godono di un ribasso su detti
prezzi.
Potendo avvenire dei cambiamenti di
orario e di prezzi, informarsi dall’Albergatore.
Il vapore movendo dal Molo piccolo
passa per davanti il porto mercantile,
il R. Arsenale Marittimo; le torri, il
Castel Nuovo, il Palazzo Reale, dal bel
terrazzo con giardino, la decantata contrada Santa Lucia, cui fa scudo Castel
dell’Ovo, che si avanza nel mare; scovresi poi l’incantevole litorale di Chiaia
fiancheggiato dalle impareggiabili vie
Partenope e Caracciolo, di recente
costruzione, con a ridosso gli ameni
giardini pubblici (Villa Municipale) ed
in alto la deliziosa collina del Vomero,
dalle superbe ville, Floridiana e Lucia,
con Castel S. Elmo, cui fa da sgabello
la Certosa di S. Martino. Seguono
la celebrata spiaggia di Mergellina e
l’incantevole promontorio di Posillipo,
cosparso di splendide ville e giardini
e con bizzarre grotte e torri lungo il
lido. Allo sguardo di tanta bellezza cui
natura fé dono a questi bei luoghi; dopo
una traversata di ½ ora, eccoci giunti al
Capo di Posillipo, luogo propriamente
detto la Gaiola, ove sorgono grossi
scogli nel mare, fra i quali il cosiddetto
scoglio di Virgilio. È su questo lido che
dalla via di Posillipo sbuca la Grotta di
Seiano. L’isolotto di Nisida ci è dinanzi
col suo lazzaretto (oggi prigioni) di lato
ad una casa di pena in sulla vetta; segue
la bella marina dei Bagnoli, dai salutari
stabilimenti termali. Dopo 15 minuti
raggiungesi Pozzuoli, e traversando
il golfo di Baia dal vecchio Castello,
che scorgesi in lontananza, si perviene
al Capo di Misero, che si distingue
dal suo faro; di qui lasciando a destra
la spiaggia di Miniscola le cui acque
comunicano col Lago del Fusaro, in
15 minuti si è innanzi Procida, ove
il vapore si arresta pochi minuti pei
passeggeri.
Procida (isola di), la Prochyta
degli antichi, è di origine vulcanica; la
sua struttura geologica di pietre pomici
e tufo di lava, del tutto somiglianti alla
vicina Ischia, fa supporre che un tempo
fosse ad essa unita; la sua lunghezza è
variabile. Essa conta 14.247 abit. che
vivono con la coltura della vigna e
dell’olivo, la più parte sono però dei
buoni marinai. In questi ultimi tempi
vi è stato impiantato un cantiere per le
costruzioni navali. Si vede alla punta di
Rocciola il vecchio castello, oggi casa
La Rassegna d’Ischia 1/2009 23
di pena, che poggia su delle rocce a
picco nel mare, da dove si godono dei
bei punti di vista; ci si va per una strada
a sinistra che immette sulla Piazza dei
Martiri, ove un’epigrafe posta nel 1863
ricorda i 12 procidani decapitati nella
reazione del 1799.
La città è a lido di mare, non offre
nulla d’interessante, meno uno splendido panorama da una terrazza presso
il castello. Volendo prendere qualche
cosa, o pernottarvi, si potrà andare
al modesto Hotel Vittoria, presso il
mare, camere L. 1 a 1,50, colazione a
prezzi discreti. I giorni festivi le donne
vestono il loro costume tradizionale, e
si divertono a ballare la tarantella.
Da Procida per la strada principale
attraversando l’isola si può andare in 10
minuti seguendo una via tra campagne
e abitazioni, alla baia di Chiaiolella,
situata ai piedi del vecchio castello di
S. Margherita, di rincontro all’isolotto
Vivara ed all’isola d’Ischia, ove si può
andare in barca (L. 2) in 40 minuti.
Il vapore proseguendo la sua rotta dopo
15 min. giunge ad Ischia, ove fermasi 5
min. pei passeggeri.
Ischia (isola di) – La più grande
dei dintorni di Napoli, misurando 35
chil. di circuito; conta 25.000 ab., una
delle tante meraviglie e delizie d’Italia
per posizione topografica, incantevoli
panorami, temperanza di clima e fertilità; celebrata per le sue acque minerali,
convegno nella stagione estiva dei
bagnanti. Era la Pythecusa, l’Aenaria,
o la Inarime degli antichi; nel medio
evo fu detta Iscla. Secondo Plinio prese
il nome di Pythecusa per le stoviglie
che vi si fabbricavano, industria che vi
si esercita ancora oggi. I suoi abitanti
vivono coi prodotti della pesca e colla
coltura della vigna, che forma uno dei
loro più grandi proventi, e di cui il vino
bianco va celebrato. I suoi primi abitatori venuti dall’Eubea furono scacciati
nell’anno 474 av. G. C. dai tremuoti
e dalle eruzioni del monte Epomeo,
vulcano molto più antico del Vesuvio,
che ha 800 m. d’altezza, secondo Lyell.
Si enumerano su questo monte verso
la parte più bassa d’Ischia 12 coni vulcanici. Delle altre eruzioni avvennero
l’anno 92 av. G. C., poi sotto Tito, sotto
24 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Antonino il Pio, e sotto Diocleziano;
Omero e Virgilio narrano che il gigante
Tifeo abbattuto dalla folgore di Giove
è sepolto sotto questo monte, come il
gigante Encelado sotto l’Etna, e che
egli gemendo vomitava dei terribili
torrenti di lava.
Ischia – Città di 6564 ab., capoluo-
go dell’isola, pittorescamente situata a
lido di mare, non offre nulla d’interessante, eccettuato un bello stabilimento
di bagni, ad un’ora dalla città, costruito
nel 1881 ov’erano le terme Fontana
e Fornello, note ai tempi di Stradone
e di Plinio e da questi elogiate. Su di
uno scoglio, unito all’isola per una diga
sorge il castello costruito da Alfonso
I d’Aragona che scacciò gli abitanti
e costrinse le donne e le figlie a sposare i suoi soldati. Da questo scoglio
si gode d’una bellissima veduta, ma
per entrarvi fa d’uopo del permesso
del comandante la piazza. Il piccolo
porto ad occ. era un vecchio cratere
che, riempito di acqua salsa, formava
un lago. Ferdinando II lo fece mettere
in comunicazione col mare, formandone l’attuale porto. Lì presso vedesi
la Casina Reale, trasformata oggi in
stabilimento termale militare; e lo
stabilimento di bagni termali.
Alberghi di prim’ordine Hôtel Iacolini,
pensione L. 8; Hôtel Pension San Pietro, in
una posizione incantevole vicino al porto, ai
bagni, stazion e climatologia, pensione L. 8,
stanze a L. 3, tavola rotonda a L. 4, servizio
e candela 75 cent., ottimo servizio.
Alberghi di secondo ordine: Hôtel
restaurant Angarella, vicino al porto con
bagni minerali, pensione L. 6, bagno compreso; Hôtel restaurant Epomeo, vicino al
precedente, gli stessi prezzi, stanze, servizio
compreso L. 2,50; Hôtel Perozzi, via del
Seminario, pensione L. 5 a 6.
Per andare a Casamicciola per terra 1
ora 30 (vet. a 2 cavalli L.4 a 5, metà ad 1
cav., convenire). La strada è bella ed ha
dei punti di vista pittoreschi, passa per
davanti la già citata Casina Reale, il porto,
seguendo la strada ov’è il filo telegrafico,
sale poscia a sinistra per Via Quercia vicino
ad una chiesa, da dove in un’ora si perviene
a Casamicciola, traversando una lunga
estensione coperta da torrenti di lava della
grande eruzione avvenuta da un’apertura
di lato al monte Epomeo, l’anno 1302.
Il vapore continuando la sua rotta
arriva dopo 15 minuti alla marina di
Casamicciola, lungo la quale veggonsi
fumigare le fabbriche di mattoni, industria del paese. Poco più lungi sorge
la novella Casamicciola dalle case in
legno e ferro, con qualche grazioso
Chalet. Sulle deliziose colline scorgonsi ancora delle rovine della distrutta
Casamicciola.
Sbarco 15 circa. Appena messo piede a
terra si trovano delle vetture ad 1 cav. che
con 50 cent. (da fissare) vi conducono in
10 min. alle Terme ed agli Alberghi, a piedi
bastano 20 min.; le vetture i giorni festivi
esigono anche una lira; la strada è un po’
erta, però buona. Dalla marina si prenda a
sinistra e poco dopo si volti a destra, per
disotto un arco e si continui sempre a salire
sulla sinistra.
Alberghi i più accreditati o ben serviti:
Piccola Sentinella, sulla collina sovrastante
Casamicciola, posizione incantevole dominante l’isola e il golfo; pensione L. 7 a 10
al giorno; Hôtel Sauvé, a pochi passi dal
precedente, pensione L. 5 a 10. Pasti: colazione, lunch, pranzo di sei pietanze, vino,
frutta e dolce compreso. Hôtel Pithecusa:
lungo la salita della marina, al culmine
del colle, bella esposizione, pensione pel
mese di settembre L. 10 al giorno. Hôtel
Quisisana, dirimpetto alle Terme Belliazzi,
pensione L. 6 a 8. Pasti: caffè, colazione,
pranzo, zuppa, due piatti, formaggio, frutta
e vino. Si trovano poi delle famiglie private
che fittano delle stanze a condizioni economiche durante i bagni.
Casamicciola. Sventurato villaggio, da spaven­tevole tremuoto reso la
sera del 28 Luglio 1883 un mucchio
di rovine. Erano le 9,30 pom., ora in
cui ognuno era rientrato in casa, e
nell’alber­go della Piccola Sentinella,
situato su ridente collina, riunita s’era
la più scelta società, al diletto delle
danze e delle armoniche melodie,
quando ad un tratto ne sprofondò il
salone e quasi tutti rimasero cadaveri.
Catastrofe orribile, da per ogni dove
non si scorgeva, fra le tenebre ed il
chia­rore di qualche incendio, che un
mucchio di rovine, dalle quali uscivan
gemiti e grida strazianti invocanti al
soccorso. Da Napoli, al triste annunzio,
si accorse, e più centinaia furon tratti
sal­vi: la pubblica beneficenza di tutta
Italia e di tutte le nazioni civili, nonché
il governo prov­videro a tanta sventura.
I morti furono 1140, e circa altrettanti
i feriti, la sua popolazione è ridotta a
meno di 3500 abitanti.
Il villaggio è stato in gran parte nuovamente ricostruito vicino la marina,
luogo più sicuro e meno soggetto al
tremuoto. Le costruzioni sono di tre
tipi, in legno, in ferro, ed in legno e muratura, quasi tutte ad un piano, qualche
grazioso Chalet dal tipo svizzero sorge
qua e là, taluni più eleganti ad uso di
Alberghi, per cui vi si trovano tutti quei
comodi della vita, quasi come per lo
passato. La posizione pittoresca di questo villaggio, presso il monte S. Nicola
(Epomeo), il suo dolce clima, le sue
ridenti colline, fanno a gara con la deliziosa Sorrento; è il più bel soggiorno
per le persone agiate durante la stagione
estiva dei bagni, Giugno a Settembre,
è molto animata a causa delle sue sorgenti di acque termo-minerali, i di cui
effetti sono salutari. I migliori e vasti
stabilimenti termali, che posseggono
le vere sorgenti dell’acqua così detta di
Gurgitello, sono quelli del Belliazzi e
del Manzi fra i più eleganti, anche distrutti, ma di nuovo ricostruiti, è quello
del Monte della Misericordia, fondato
nel 1600 da una congrega di Nobili ad
uso esclusivo e gratuito degl’infermi
indigenti, del tutto crollato ed ora ricostruito al di sotto della collina a poca
distanza dalla marina.
I paesi anche gravemente danneggiati nelle vicinanze di Casamicciola
sono stati Lacco, morti 129, feriti 107;
Forio, morti 306, feriti 137; Barano,
morti 10, feriti 16; Serrara Fontana,
morti 29, feriti 20. I danni totali furono
di circa 30 milioni di lire, e le somme
ripartite ai danneggiati non raggiunsero
i 10 milioni.
Escursione a Lacco o Forio, sul versante
occ. dell’isola lungo il litorale. Per la strada
Ledomade a piedi da Casamicciola a Lacco
35 minuti, in vettura e asino 15 minuti
(vettura a 2 o 3 cavalli andata e ritorno L.
2 a 2,50, metà ad 1 cavallo, asini 75 cent.
a L. 1, convenire). Volendo andare anche a
Forio a piedi (da Casamicciola) 1 ora ½,
in vettura 1 ora (vett. a 2 o 3 cavalli L. 8
a 10, metà ad 1 cavallo, asini L. 2,50 a 3,
ritorno compreso, convenire.
Lacco. Borgata in riva al mare, ora
quasi distrutta, costruita su antiche lave
vulcaniche; la marina è incantevole;
gli abitanti (1700) vivono colla pesca
e coll’industria di bei lavori in paglia.
In questi luoghi il suolo è così vulcanico, che in certi siti al di sotto della
sabbia il calore è permanente. Di lato
al convento della chiesa di S. Restituta,
patrona dell’isola (di cui si celebra la
festa il 17 maggio con gran pompa e
concorso), vi sono delle sorgenti caldissime, ove si prendono le stufe.
Da Lacco e Forio si godono a riprese dei
bei punti di vista.
Forio. Questa ed Ischia sono le città
più popolate d’Ischia, sparsa sulla costa
occidentale (9791 ab.), residenza favorita di ricchi proprietari. Vi sono anche
delle sorgenti minerali. Merita di essere
visitato il convento dei francescani per
la sua bella posizione in riva al mare,
dalla cui terrazza, col tempo sereno, si
vede l’isola di Ventotene.
Monte Epomeo o S. Nicola. Situato al di sopra di Casamicciola, alto
800 m. dal livello del mare. La più bella
gita di questi dintorni è l’ascensione
all’Eremitaggio situato ad occ. nella
parete più elevata del monte, ci si va
e viene coll’asino in 5 o 6 ore (L. 4 a
5). In inverno conviene partire verso le
ore 8 o 9 del mattino, ed in estate allo
spuntar del giorno, per evitare i forti
calori e goder meglio dell’incantevole panorama che si osserva di lassù.
Romantica riesce poi questa gita, al
bel chiaro di luna nelle serate estive. A
piedi sarebbe troppo faticosa la salita,
sebbene prendendo per vie accorciatoie
vi si impieghino solo 2 ore per andare
mentre a cavallo ne occorrono 2 ½.
Non è possibile venendo da Napoli e
dovendovi ritornare la sera, di fare questa escursione nell’istessa giornata.
Da via Principessa Margherita si
prenda per lo stradone alberato che
conduce ai bagni minerali, oltrepassati
i quali, si salga dolcemente a destra,
per un sentiero, a traverso vigneti, che
man mano diviene sempre più penoso,
passando fra burroni, boschi di castagni
ed aride rocce. Giunti sulla collina si
volti a destra dirigendosi, per lunghi
viottoli a zig-zag, verso il lato sud,
transitando per disotto i bei punti acuminati della montagna e continuando
per erti sentieri di lapillo, cespugli e
sassi, si giungerà all’eremo di S. Nicola, cavato con la cappella e varie grotte
nella roccia di tufo vulcanico. Quivi si
riposi e si faccia refezione, per la qual
cosa si sarà provveduto partendo da
Casamicciola, giacché dal sedicente
eremita non si potrebbe avere che del
vino e del pane, ricompensandolo con
qualche lira. Per degli scalini praticati
in questa piramidale roccia si ascende
al belvedere, che offre uno dei più grandiosi e vasti panorami, abbracciando
i golfi di Gaeta, Napoli e Salerno. Ai
piedi si estende l’isola d’Ischia con
dirimpetto quella di Procida, e dietro
questa il Capo Miseno. A destra l’isola di Capri, seguita dalla punta della
Campanella o promontorio di Sorrento,
il Vesuvio e da lontano le nevose cime
degli Abruzzi. Ad Or. il mare a perdita
di vista. All’Est la costa d’Italia al di
qua di Terracina, il Capo Circello e le
isole di Ventotene e Ponza.
Al ritorno volendo cambiare via
prendendo dal lato di Fontana, di Moropano e Casabona, s’impiegheranno 2
ore ½ mentre ritornando per la strada
già fatta non occorre che 1 ora e 40 m.
Non sapremmo affatto consigliare di
discendere per Forio, via se pur tale si
può dire, più lunga, disastrosa, accessibile solo a piedi, impossibile alle signore, che comincia a destra scendendo
dall’eremitaggio per ripide scoscese, a
traverso rocce, sassi e macigni tracciati
da torrenti d’acque piovane nel lapillo
ed arena quasi impraticabili. Discesa
piena d’emozioni, faticosissima, che
dedichiamo agli alpinisti, e che di rado
i conduttori d’asini vi seguono per là,
giacché per rientrare a Casamicciola
riprendendo gli asini sulla strada di
Forio, ci vogliono 3 ore, arrivandovi
spossato.
Un’altra gita piacevole, però col fresco, sarebbe quella di andare a visitare
Ischia, ad 1 ora ½ di distanza (vett. a
2 cav. L. 4 a 5, ritorno compreso L. 6
a 7, ad 1 cav. L. 3 a 4, convenire). Per
la descrizione dei luoghi che si traverserebbero ed i prezzi delle vetture vedi
note precedenti).
La Rassegna d’Ischia 1/2009 25
Dalle «Isole appartinenti all’Italia»
di Leandro Alberti (1550) *
[…] Et più avanti la isola delle Sirene, di cui molte
notissime favole si raccontano, come scrive Strabone nel primo et nel sesto libro. Già erano congiunte
queste isole col continente della terra (come scrive
esso Strabone) per qualche accidente, sì come capra
fu divisa dall’Atheneo, Leucosia, et Enotai, Procida,
et Pithecusa dal Misino con alcune altre. Vero è, che
Plinio nel secondo libro dice, che solamente fossero
divise dalla terra, Procida, Sicilia, et Leucosia, et che
quell’altre uscirono fuori dell’acque marine, sì come
le Eolie. Vedesi da poi Procida, la quale similmente
stassi davanti al golfo di Puzzoli di rimpetto al monte
Miseno, non molto da Cuma lontano; come anche scrive Plinio, il quale Prochyta la addimanda, et parimente
Strabone nel primo, et quinto libro, et Pomponio Mela
nel secondo, et Tolomeo, et Silio Italico nell’ottavo, et
duodecimo libro. Vogliono i Greci che ella acquistasse
tal nome, come dice Servio sopra quei versi di Virgilio
nel nono libro; Tum sonitu Prochitae etc. da Procheo,
che significa effundo; imperò che si stagnò, o vero
più tosto si divise dal monte Inarime, detto Pithecuse,
come poi diremo. Et non nego però che altrimenti dice
Dionisio Alicarnasseo, nel primo libro dell’historie di
Roma; perciochè, secondo lui, ella fu talmente nominata da una di quelle donne, che erano in compagnia
di Enea, così dicendo. Qui cum Aenea navigaverunt,
ex Sicilia traseuntes ex Leucosia Insula, in portum
profundum, et bonum in Opicis monte ibi Miseno,
viro quidam illustri, ab eo quoque Portum nominarunt, Insulaeque Prochyte, et Promontorio Epinychae,
classe cum appulissent, cognomina penitus illis locis
dederunt, morientium foeminarum; volentesque loca
ipsa monumenta facere. Harum autem altera Aeneae
cognata fuisse dicitur, altera nutrix. Per le parole adunque di Dionigio ella fu nominata così dal nome di una
* Leandro Alberti (Bologna 1479 - 1553?), erudito, membro
dell’Ordine dei predicatori (domenicani); studiò filosofia e
teologia; viaggiò molto per l’Italia e conobbe molti dei letterati
del suo tempo. Scrisse varie opere; tra l’altro delle vite di santi,
un’opera in sei volumi su domenicani famosi, una storia della
Madonna di San Luca e una storia di Bologna fino al 1273.
La sua opera più famosa è la Descrizione di tutta l’Italia,
pubblicata a Bologna nel 1550, cui in seguito si aggiunse
l’opera Isole appartinenti all’Italia. Le due opere furono più
volte ripubblicate anche dopo la morte dell’autore.
26 La Rassegna d’Ischia 1/2009
delle predette femine come si è dimostrato, nondimeno
par per ogni modo, ch’ella fosse divisa dal continente
d’Italia per li terremoti, sì come dice Strabone, Plinio,
et Vergilio nel nono.
Miscent se maria, et nigrae attolluntur arenae.
Tum sonitu Prochijta alta, tremit, durumque cubile.
Inarime Iovis imperijs imposta Typhaeo. (1)
Et Silio Italico nel duodecimo libro.
Apparet procul Inarime, quae turbine nigro
Fumantem premit Iapetum; flammasque rebelli
Ore reiectantem, et si quando evadere detur
Bella Iovis rursus, superisque iterare volentem. (2)
Fu sempre questo luogo soggetto a fuochi, et terremoti, come parimente dimostra Strabone nel quinto libro,
ove narra che quivi vennero ad habitare gli Erithrei con
li Calcidij, i quali di qui cominciarono a trarre gran
quantità di frutti et oro in gran copia per le minere, che
vi erano. Ma come suole intervenire, nata fra loro (per
troppa felicità) discordia, et succedendovi terremoti, et
sorgendo dalla terra intense fiamme di fuoco partorite
dal bollor del mare furon costretti ad abbandonare
l’Isola, et passare altrove ad habitare.
Il simile intervenne ad alcuni Siracusani, qui mandati
da Hierone tiranno di Sicilia, i quali havendovi già fatto
un gagliardo muro per sicurezza dell’Isola, per li fuochi,
che da ogni parte gli assaltavano, si partirono. Doppo
loro vi passarono i Napolitani, i quali havendo miglior
sorte, lungo tempo vi dimorarono. Hora per questi sì
spessi tremuoti, et per le gran fiamme di fuoco, che
quivi quasi sempre si vedevano, favolosamente si disse,
che quivi era la sepoltura di Tiphone, o sia di Tipheo
gigante; il qual dopo l’esser lungamente giaciuto sopra
l’un fianco, nel rivoltarsi sopra l’altro si movea la terra,
et ne uscivano tremuoti, et fiamme di fuoco, et acque
calde.
1) ... Frange il mare e si sollevano le nere arene. Allora per il
rimbombo tremano l'alta Procida e Inarime, duro giaciglio, sovrapposta a Tifeo per comando di Giove.
2) Appare lontano Inarime, che preme Giapeto: questo esala vapori neri e ribelle vomita dalla bocca fiamme: le sue battaglie
contro Giove e i Superi rinnoverebbe, se gli fosse concesso di
scrollarsi di dosso il grave peso.
Dice Pindaro esser la cagione di queste cose lo spatio
di Cuma alla Sicilia tutto cavernoso et pieno di fuoco;
et queste caverne scorrono ancora insino al continente
della Grecia, et per li luoghi circostanti.
Et per quelle trascorrono assai fuochi, et non meno
sotto il monte di Ethna dell’isola Lipari, et sotto il paese di Napoli, di Baie, di Pozzoli, et delle Pithecuse.
Et occorrendo che sieno più del consueto ardenti, o
che siano per l’apriture della terra trovate, se ne vanno
per gran forza rompendole, e così si dimostrano. Et in
questo saettano la terra.
Il che diede cagione a molti di fingere favole, come
dimostra Timeo.
Strabone narra assai cose maravigliose del fuoco, che
per questa Isola discorre, tanto che ella rimase in quei
tempi priva di habitatori.
Sono l’acque calde, che in questa Isola si ritruovano,
di molto profitto a quelli, che patiscono di male di
pietra. Manda essa di buoni frutti, e non solamente per
bisogno de’ mortali, ma ancora per trastullo, et piacere.
La fu saccheggiata da Coradino Barbarossa capitano
dell’armata Turchesca di Solimano nel mille cinquecento quarantaquattro, alli ventitrè di Giugno. Più avanti
Ischia è nominata da Strabone, et da Livio nell’ottavo
libro, da Tolomeo, et da Ovidio nel quartodecimo delle
Metamorfosi, et da alcuni altri Pithecusa, ma da Plinio
nel sesto capo del terzo libro, da Appiano Alessandrino
nel quinto, da Pomponio Mela nel secondo, et anchora
da Livio nell’ottavo, Aenaria, la quale acquistò tal nome
(come vuole Plinio) dalla nutrice d’Enea, essendosi
quivi le navi d’Enea fermate. I Greci la chiamano Pithecusa (come è detto), per esservi quivi la piazza de
gli artefici, che facevano i Dogli, o siano le boti per lo
vino, perciochè i Greci chiamano questi vasi Pithoi.
Furono etiandio alcuni, che volsero, ch’ella acquistasse
tal nome di Pithecusa dalla moltitudine delle Simie, che
quivi si ritrovano, il che animosamente nega Plinio,
Homero, Virgilio, et Ovidio chiamandola Inarime dal
nome del monte, da cui restò divisa. Vero è, che il dotto
Barbaro nelle correttioni Pliniane, vuole che ella così
fusse detta da gli Arimi, o popoli, o animali, talmente
nominati in lingua Hetrusca. Il qual vocabolo par significare Simie, che i Greci chiamano Pithico: et in ogni
caso Pithiocuse per i, vuole esser scritto, perciochè i
Greci, et Pithoi, et Pithicoi, et Pithicos egualmente per
iota scrivono. Onde s’inganna chi per ragione alcuna
pensa di poterlo scrivere per ipsilon.
Ne parla di questa isola Silio Italico nell’ottavo,
nominandola Prochita, et Inarime quando dice, non
Prochytae non ardente sortita Tiphoea, Inarime. Et
altrove. Apparet procul Inarime. Et Ovidio nel quartodecimo libro delle Trasformationi, descrivendo la
navigatione d’Enea dice, Inarimem, Prochytamque
legit, sterilique locatas, Colle Pythecusas. Di questa
similmente scrive Lucano, Valerio Flacco, Vergilio, et
Claudiano. Al presente ella è nominata Ischia (come
è detto) et ciò forse per la fortezza del luogo, secondo
Raphael Volaterrano nel sesto libro de i Commentarij
Urbani; imperochè ella è talmente dalla natura fatta,
et fortificata, et cinta di altissime rupi, che non meglio
sarebbe stata fortificata dall’arte, talchè non vi si può
entrare, eccetto che per uno strettissimo luogo.
Quivi si ricoverò per sua sicurezza Ferrandino figliuolo di Alfonso Secondo d’Aragonia Re di Napoli,
essendo entrato in Napoli vittorioso Carlo Ottavo
Re di Francia, ne’ nostri giorni, come ancora narra il
Sabellico nel nono libro della decima Enneade. Era
signore di quest’isola gli anni passati Alfonso Davalo
Marchese del Vasto di Amone glorioso Capitano de’
Soldati di Carlo V. Imperadore. Il quale vi edificò un
superbo palagio. Et hora ne è Signore il figliuolo d’esso,
chiamato il Marchese di Pescara. Quivi intervenne un
mirabil caso nel 1301, ne’ tempi di Carlo secondo Re
di Sicilia, quale intendo di narrare prima, che passi alla
descrittione dell’isole, che restano.
Dico adunque, che essendo in quei giorni ogni cosa
quieta, acceso il fuoco nelle vene del Solfo (delle
quali tutta l’isola è piena) et trascorrendo per quelle,
ne abbruciò gran parte insino alla città d’Ischia allhora
Geronda detta. Et durò un tale incendio circa due mesi,
uccidendo molti huomini, et animali per sì fatta maniera, che furono costretti gli huomini ad abbandonare il
luogo, fuggendo fuori dell’isola, chi a Procida, chi a
Capre, chi a Baia, chi a Pozzoli, et chi a Napoli. Et di
tal foco fino hoggidì veggonsi i vestigi, che nè vi nasce
herba, nè altro, anzi ogni cosa è rimasta aspra, et inculta
per spatio di due miglia in lungo, et mezo in largo. Et
questo spatio si chiama la Cremata. Che sieno quivi
le minere del Solfo, et dello Alume, chiaramente si
conosce da i Bagni di odore di Solfo molto giovevoli a
diverse infermità. Questa isola circonda diciotto miglia,
ove è una città habitata da mille famiglie, alle quali sono
soggetti otto casali, tra quali uno n’è di quattrocento
fameglie, o sieno fuochi, come si dice. Di questa isola
cavansi buoni frutti, et massimamente vino, tanto che
ascende per ciascuno anno alla somma di sedici mila
boti, come a me disse uno del paese. Quindi più avanti
navigando verso Napoli appresso il monte Pausilippo
appare Nisita, o siaNessi, che è uno scoglio, ove è
Agliono Porto assai commodo. Da questo scoglio pigliò
argomento di Niside Giacomo Sannazaro Eccellente
poeta, et ne formò alcune sue belle inventioni, come
si vede.
Passato questo scoglio, si scorge fra detto monte Paulippo, et Napoli Castel dell’Uovo edificato sopra una
picciola isola, da Plinio Megare detta, o Megaris. Il qual
La Rassegna d’Ischia 1/2009 27
castello fece Guglielmo Terzo Normano Re, secondo
Pandolfo Collenuccio nel terzo libro dell’historie del
Regno. Egli è nominato questo castello da Michel Ritio
Napolitano nel quarto libro de i Re di Sicilia, Arce Lucullana, quando dice, Aetate ingravescente, Alphonsus
febre correptus, anno salutis 1458, mense Iunij fato
functus est, in Arce Lucullana, quam vulgo vocant,
Ovidio più oltre passando vedesi appresso Surrento
otto miglia (come vuole Plinio) Capre, da Strabone,
Plinio, Pomponio Mela et Tolomeo, Caprea detta, ma
da Silio Italico nell’ottavo libro, Telon; quando dice,
Sallosa Telonis insula, così nominandola, da Telone,
che tenne la Signoria di essa, come dice Pietro Marso.
Erano anticamente quivi due picciole Castella (così
scrive Strabone) de’ quali uno era rovinato a fatto ne
i giorni di esso, et l’altro soggetto a Napolitani con la
isola di Pithecusa, a’ quali donati furono da Augusto:
poi che perduto l’haveano guerreggiando. In questa
isola fece molti belli edifici il detto Augusto, conciò
fosse cosa, che molto si dilettasse di habitarvi per suo
diporto, domandando questo luogo per la sua roza amenità Aprossopoli, come dice il Volaterrano. Similmente
Tiberio Cesare vi fece una forte Rocca, secondo Plinio,
et Cornelio Tacito nel quarto libro dell’historie ove
così dice. Havendo Tiberio dedicato alcuni tempij in
Campagna si ritirò nell’Isola di Capre dal Promontorio
di Surrento tre miglia per mare discosto, piacendogli la
solitudine (come io credo) et essendovi il mare senza
porto, sì che a pena non picciole barchette da i periti
del luogo da pochi lati passar si poteva. Quivi è l’aria
temperata, et piacevole il verno, essendovi il monte che
la difende dalla malvagia forza de’ venti, et anchor per
il vento favonio piacevole et dilettevole, che vi tira, et
per esser da ogni lato del mare cinta evvi dillettevole
stare.
Quindi si vedeva intorno il bel Golfo prima che abbruciasse il monte Vesuvio. È fama ancora, che fossero
habitati tutti questi luoghi, et massimamente Capre da i
Greci Theleboi. Altrove etiandio fa memoria di Capre
Tacito, et tra gli altri nel quinto libro. Hora questa isola
è habitatione di coturnici, et di quaglie, li quali uccelli
fuggendo il verno del continente d’Italia quivi passano
molto grasse, et essendo da gli habitatori prese sono da
loro aperte nel petto, et cavatone la grassa, salate poi, et
stillata quella grassa serbanla per delicatezza de’ conviti. La qual cosa non intesero gli antichi, come scrive
Nicolò Perotto nel Cornucopia. Più avanti caminando
appare Leucothea, secondo Plinio, la quale parimente
da Pomponio Mela è con questo nome chiamata. Scorgesi appresso di riscontro al Golfo di Pesto, Leucasia,
talmente detta da Plinio, da Strabone, et da SilioItalico
nell’ottavo. Ella acquistò tal nome dall’una delle Sirene quivi nel mare sommersa, però secondo le favole.
28 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Plinio dice che fu chiamata da Leucasia una di quelle
Sirene, quivi sepolta. Ma Dionigio Alicarnasseo, nel
primo libro dell’historie scrive, che le fu imposto tal
nome dalla Consobrina di Enea, che quivi morì. Onde
così dice.
Qui cum Aenea navigarunt ex Sicilia per Tyrrenum
mare, primam in Italiam stationem habuerunt in Portu
Palinuro, qui quidem eam habuisse appellationem dicitur ex uno Gubernatorum Aeneae ibi mortuo. Postea
insulae adhaeserunt, cui nomen posuerunt Leucasia, a
Consobrina quadam Aeneae circa eum locum mortua.
Quindi navigando più avanti dirimpetto a Velia si vede
Pontia, et Isacia da Plinio, et Strabone dette Enotrie
da gli Enotri d’Italia, a’ quali erano soggette. Poscia
apparono alcune picciole isole per iscontro a Vibone,
nominate da Plinio Itacesie dalla patria d’Ulisse. Delle
quali parla Silio nell’ottavo libro. Et quivi finiscono
l’Isole appartenenti al mare Tyrrheno insino alla Sicilia nella quale più lungamente sono per stendermi.
D’alcuna dell’antidette Isole parla Faccio de gli Uberti
nel quintodecimo canto del terzo libro Dittamondo1 in
cotal modo.
Dal mar di Pisa de sin quivi ancora
Tu trovi la Gorgona, et la Caprara,
Pinosa, et dove ’l Giglio fa dimora.
L’herba fra l’altre vi par la più cara,
Sì per molto ferro, et per lo vino,
Che capo l’uno porto è da Ferrara,
Et ritruova chi cerca quel camino,
Pensa, Palmara, la Stura vagheggia
Quando ’l tempo è ben chiaro e pellegrino,
Et così ricercando questa pieggia
Non si convien Bucieta qui si lassi,
Che con Gaeta ogn’hor par che si veggia:
Ancor si trova l’Ischia in quei compassi,
E Capre, et queste stanno incontro Napoli
E presto che vi vanno in brevi passi.
Gli habitator vi son subiti e Vappoli
Lodano Iddio coloro, che vi vanno,
Se senza danno da lor sono scapoli.
Contra Scalea, et Andreani stanno.
Landini, Lamenza; et questa gente
La via di Conturbia spesso fanno.
1 Il Dittamondo (dal latino “dicta mundi”, “detti del mondo”) è un poema allegorico in terzine dantesche rimasto
incompiuto ad opera di Fazio degli Uberti (pronipote del
più celebre Farinata; nato a Pisa tra il 1305 ed il 1309 e
morto dopo il 1369). Narra di un viaggio immaginario consigliato a Fazio dalla Virtù ed effettuato, attraverso Europa
ed Africa, sotto la guida del geografo Solino.
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia (XV)
A cura di Agostino Di Lustro
Le Capitolazioni delle Confratenite di Forio
conservate nell’Archivio di Stato di Napoli
III *
4) Il Pio Monte di Santa Maria di Portosalvo e di San Gaetano
Nel vasto panorama foriano, la cupola della chiesa di San
Gaetano costituisce una delle caratteristiche della cittadina
che si distende come un’aquila dalle ali spiegate dalle pendici
dell’Epomeo fino alla Punta Soccorso. Le fanno corona il
massiccio Torrione e la bianca chiesetta del Soccorso che sta
lì come vedetta quasi a proteggere, con un vasto abbraccio,
la parte occidentale dell’Isola baciata dal mare e dal famoso
raggio verde al quale spesso assistiamo al tramonto di una
splendida giornata di sole,
La cupola di San Gaetano è lì a caratterizzare il panorama
foriano dalla seconda metà del secolo XVII, da quando nel
1655, come si evince dal Notamento degli atti beneficiali
della città e diocesi d’Ischia (f. 46: Forigij 1655 Conventio
pro dotatione Ecclesie S. Cajetani alla Marina de jure
patronatus Nautarum Terre Forigij, cum Instrumentis
reddituum favore dicte Ecclesie, ac ordine Regio supra
statu ipsius= folia scripta n. 20 ) conservato nell’Archivio
Diocesano d’Ischia, e dai documenti che qui trascriviamo,
venne fondata la chiesa di Santa Maria di Portosalvo e del
Beato Gaetano da Thiene. Infatti S. Gaetano fu canonizzato
solo successivamente. La costruzione della chiesa fu opera
dei marinai e dei proprietari di barche e feluche di Forio
che avevano fondato un Pio Monte, o confraternita, sotto
lo stesso titolo. Questa associazione di marinai realizzò un
vasto programma di opere religiose e di carattere sociale a
beneficio di tutti. L’Università di Forio fece dono del terreno
sul quale i marinai costruirono la chiesa, assumendo però
l’impegno di realizzare all’interno della chiesa una sepoltura
per gli abitanti della zona che avessero chiesto di essere in
essa seppelliti.
La confraternita ha svolto la sua attività fino all’inizio del
secolo XX.
* G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli, Stabilimento tipografico Gabriele Argenio, 1867 p. 390.
I. Delizia, Ischia l’identità negata, Napoli Edizioni Scientifiche
Italiane, 1987, pp. 179 e 237.
F. P. Salvati, Architettura dell’Isola d’Ischia, Napoli Editore Pironti
1951.
G. Castagna- A. Di Lustro , La diocesi d’Ischia e le sue chiese, Forio,
Tipolito Epomeo 2000, p. 24.
A. Di Lustro, Gli scultori Antonio e Baldassarre di Lucca nell’isola
d’Ischia, in La Rassegna d’Ischia, anno XVII n. 6 settembre 1996,
pp. 44-54.
La chiesa è una delle testimonianze architettoniche più
importanti dei secoli XVII-XVIII di Forio e richiama la chiesa di S. Carlo al Cierco ( che risale al 1620 ) sia nella pianta
che nei vari elementi architettonici, compresa la cupola che
nella chiesa del Cierco è scomparsa a causa del terremoto del
1883 (fu fortemente lesionata dal sisma per cui fu deciso di
abbatterla). Particolare interesse suscita all’interno l’altare
maggiore di un marmoraro napoletano ignoto per mancanza
di documenti, ma che si fa riconoscere facilmente come Antonio di Lucca da un confronto con l’altare maggiore della
chiesa napoletana di S. Maria di Costantinopoli presso il
Museo Archeologico, che è opera documentata del di Lucca.
Nell’abside pende una tela certamente opera di Alfonso di
Spigna, e nella cappella di destra si nota un altare dedicato a
San Giovan Giuseppe della Croce costruito nel 1790, l’anno
dopo la beatificazione del nostro Santo ischitano. L’iniziativa fu del sacerdote Agostino Verde, in seguito parroco di
S. Sebastiano di Forio. La piccola tela raffigurante il Santo
è firmata da Tomas Kem ed è racchiusa in una cornice di
legno intagliato e indorato a mistura.
Di notevole interesse è anche l’organo positivo del secolo XVIII, straordinario non solo per la parte prettamente
musicale, ma anche per la stupenda cassa che lo adorna.
Le due ante presentano due splendide figure degli apostoli
Pietro e Paolo. Oggi nel pavimento maiolicato della chiesa,
realizzato alla fine del secolo XIX, non vi è più traccia della
sepoltura voluta dall’Università perché eliminata nel corso
della sistemazione del pavimento stesso che si conserva
ancora abbastanza bene.
Documento n. 1
Archivio di Stato di Napoli - Notai sec. XVII
Scheda 323 del notar Dionisio di Nacera
protocollo n. 16
f. 35 r
Die vigesimo tertio mensis Januarij millesimo seicentesimo quinquagesimo septimo in terra forigii Ischie in nostri
presentia Iovanne de Maio ad presene sindico Universitatis
predicte Indico polito Ieromino Iacono et Ieronimo Caruso
deputatis predicte Universitatis agente et interveniente ad
infrascripta omnia nobis et pro parte predicte Universitatis
et pro eodem singulis quibuscumque ex una parte, et Carolo
Maltese Minico de Lustria Ioanne Battista Castiglione et
laurenzio patalano ad presens magistris venerabilis
f. 35 v.
cappelle et ecclesise conficiende sub titolo, et nuncupatione
del beato Caietano agentibus, et intervenientibus in nobis et
La Rassegna d’Ischia 1/2009 29
pro parte predicte ecclesise et cappelle et pro eadem ecclesia
et cappella successoribus quibuscumque inprimis ex parte
altera predicti vero sindicus et deputati nominibus quibus
supra asserunt coram nobis, et dittis magistris presentibus
dictam Universitatem previo parlamento ex inde facto
deliberaverunt pro edificatione dicte ecclesie, et cappella
donare donationis titulo irrevocabiliter inter vivos cum
onere premissis predicte ecclesie quodamm situm dicte
Universitatis ubi possit edificare ecclesiam predictam situm
in loco ubi dicitur la Cavalleritia juxta bona Anelli Carcaterre
bona heredum quondam pompei de maio viam pubòlicam
a duobus partibus, et alios fines si qui sunt quod dicta Universitas ut asserit Sindicus tenere, et possedere tamquam
verum dominum et patronum francum et non venditum;
et facta assertione predicta, predicti Sindicus et deputati
nominibus predictis volentes procedere faciendam dictam
donationem sponte predicto dicti coram nobis... via libere
cum... reservatione alligatione et non aliter donaverunt dictis
titolo irrevocabiliter inter vivos predictum situm ut supra descriptum et disegnatum sic fractum ut superius dictum est una
cum omnibus et singulis eius juribus, et integro status cum
item tamen reservartione che detta ecclasia et dicti mastri
et cappellani che sono et pèro tempore saranno siano tenuti
come al presente detti mastri... promettono item fare una
f. 36 r.
sepoltura nella predetta ecclesia per servitio publico di detta
Università et in quella sepelirci qualsivoglia persona; et che
non possa essere impedito si per far detta sepolturasiano in
sepellir et affittarli sepelimento et così se debbia observare et
facendosi il contrario detta donatione non se intende facta ma
quella revocata. Itam quod ex… et inprimis dictum ritum ut
supra donatum cum juribus et onere predicto sit transactum
in pleno dominio et possessione predicte ecclesie conficiende
ad habendum tenendum possidendum et edificare ecclesiam
predictam cedentes omne jus sibi ipsis... quibus supra componens quod in modo ponentes... quod nullum jus nisi de
reservarione, et possessores... teneres volentes lege jure.. Et
primum… predicti sindicus et deputati nominibus supradictis
presentibus donationem et concessionem et... predictum... et
in semper haberes ratas ac ratas... iaceres aliqua….dictam
donationem per eos ut supra factam primum non revocare
ingratitudinis vitio que donation voluerunt predicti sindicus
et deputati nominibus predictis quod non concessum una
sed pluries quidem vicibus et temporibus facta infra summam a jure premissa et si summa quingentarum aureorum
emendent, eo quod in ea si necssarii in servitio aòiquo sed
valeat, et teneat uti prout fuisset in quorum…. Loco et foro
et coram quocumque judice officiali et magistrate…decreto
authoritate et insinuatione ipsorum et non aliorum efficaciam
obtineri debeat quod in omnem eventum et casum et in omni
successu temporis prout debitum… Effectum et inviolabilem
ultimi roboris firmitatem …et expresse predicti
f. 36 v.
Sindicus et deputati nominibus quibus supra cum giuramento
coram nobis ad majorem cautelam legi fieri si umquam de
revocandis donationis….ac …de insinuandis donationis et
ipsi insinuavimus; et ubicontigerit dictam donationem ex
quavis causa revocari voluerunt predicti sindicus et deputati
30 La Rassegna d’Ischia 1/2009
voluerunt predicti sindicus et deputati nominibus predictis
quod revocatio non valeat, et donatio predicta sit renovata,
et de novo facta, et... modo quo supra quoties revocari
contigerit, quia sic voluerunt, et omnino disposuerunt. Pro
quibus omnibus et singulis predicti presente set quolibet
ipsorum eorumque, et cuiuslibet ipsotum heredes successores presentia et future una pars et… Presentibus sub pena et
ad penam dupli medietatis cum… Precarii et… Presentibus
Sudice Joannes Antonius Galatola Joseph Castaldo Carlo
Calise Anello de Colòellis Salvatore Biondo et Augustino
Morgera predicte terre.
Documento n. 2
Archivio di Stato di Napoli, Notai sec. XVII
Scheda n. 323 del not. Dionisio di Nacera di Forio
Protocollo n. 16
f. 173 r.
Die decimo sexto mensis Aprilis 1657 in Terra Forigii
Ischie comparuerunt in nostri presentia Lorenzo Patalano
Carolo Maltese, et Minico de lustria magistris venerabilis
cappelle beati Gitani conficiende in sito universitatis terre
forigij sponte coram nobis nominibus et pro parte predicte
cappelle et successoribus in ea existentibusIoanne de Maio
ad presens sindico Universitatis forigii ac Ieronimo Iacono
et Indico polito deputatis predicte Universitatis di fare in
nome di detta Università e per il popolo dessa una sepoltura
nella detta cappella allor proprie spese nelle quali volemo
che se possano sotterrare quelle persone di detta Università
a chi lloro e lloro eredi parera et piacera senza che se debbia pagare sepoltura atteso detta Università ha concesso il
detto sito per far detta cappella in caso che mancassero siano
obligati non solo al pagamento di tutte le lemosine lassate
et lassande a detta cappella atteso che quella non possent
percipere se non li fusse stato concesso detto sito; et pro
inde dicti magisteri nominibus predictis obligaverunt se ipsos
ac dictam cappellam et eius successores magistros dictis
presentibus sub pena unciarum... dupli meditate promiserunt
et juraverunt. Presentibus Sudice Ioanne Battista Galatola
regius af contractus magnifico Francisco vorga bernardo
Verde Ioseph Verde et Marco coppa predicte terre.
Documento n. 3
Archivio di Stato di Napoli Notai secolo XVII
Scheda n. 323 del notar Dionisio di Nacera
Protocollo n. 28 parte I
f. 28 v.
Die quarto mensis decembris millesimo sexcentesimo septuagesimo in terra forigii ischie propriis in nostri presentia
subscripti patroni et... fellucarum terre forigii Ischie videlicet
patron Francesco Colella, Andrea Romano, Joanne Cigliano, Laurenzio Castaldo, loise Matarese, Antonio Matarese,
Vincenzo Castaldo, Carolo Corso, Horatio Capuano, Carolo
maltese, Antonio de Colella, Diacinto de maio, Andrea
Carcaterra, Anello Carcaterra, Antonio Calise, Carolo russo,
Antonio Maltese, Carolo Castaldo, Michele Castaldo, patroni
barcarum et fellucarum item prospero perpignano, marinaro
Salvatore patalano, Joanne de maio quondam Joseph, Joseph
patalano, Diacinto de lustria, Anello de avezzano, Carminello
gallo, Agustino de maio, Vito de lustria, Nicolao de nacera,
felippo Tortora, Antonio de Avezzano, Joseph Sacchetta,
Joanne Domenico Mendella, Diacinto patalano, Simione
Cigliano, Silvestro Matarese, Joanne petro Jacono, Mario
Castaldo, Antonio de lustria, Francesco spingarda, Joanne
fiorentino, Carolo de leo, Joliano monte, Cesare polito, Vito
Matarese, Joanne jacobo Capuano, biase pingola, Joanne
Jacono, marco patalano, Joanne polito et Joanne Andrea
de maio marinari barcarum et fellucarum, qui asseruerunt
coram nobis qualmente li anni passati e proprio sotto li 19
di giugno 1655
f. 229 r.
molti patroni et marinari delle barche et feluche se alligorno
eligirno un monte nella ecclesia conficienda sub titulo Sante
Marie Portosalvi et beati Caitani mediante instrumento
rogato per mano di Notaro Dionisio de Nacera della detta
terra de forio d’Isca; et fecero Capitolatione di cacciare
una quatra per qualsivoglia barca, et viaggio facevano per
servitio et lemosina di detto monte et ecclesia che se haverà
da erigere nella marina de forio prima sul detto titulo della
Santa Madonna di portossalvo et beato Gaitano con molte
condizioni et obblighi di diverse opere pie. Et la creatione di
detta ecclesia farla in pochi anni gia elapsi, et per lo monte
seguita dalla maggior parte di dessi patroni et marinari non
si è completata ne detta ecclesia ne formato detto monte con
li pesi in quello descritti; si bene con dette quatre cennate si
è dato principio et quasi finita detta ecclesia Et per lo detto
monte le persone di detti patroni et marinari si è rifondato di
esigere; et dette quatre; Et perche un tanto beneficio, et opera
pia e bene che se metta in esequtione hanno perciò tanto li
sopradetti patroni de barche et felluche et marinari, deliberato
de nuovo obligarsi; come al presente se obligano ogni uno per
la sua rata di cacciare la detta quatre da hoggi avanti viaggio
per viaggio; Et formare li... Capitoli nelli quali anderanno
compresi et obligati; come se obligano, tanto li sopradetti
patroni et marinari, quanto li successori patroni al
f. 229 v.
cappellano admovibile che se deputera da detti Governatori
et mastri sin come al presente se li assegnano con lo peso di
una messa la settimana per l’anima di benefattori; et la messa
cantata nel di della festività di detta ecclesia.
Item che ogni anno se debbiano eligere da detti patroni
et marinari descritti nel libro di detto monte, et ecclesia;
quanto per quello anno haveranno da regere et governare
detta ecclesia et monte et haveranno da fare una cascia con
tre chiavi diverse l’una dal altro tre delle quali mastri, ne
haveranno da tenere una per uno; et lo... mastro havera da
ricevere detta cascia et le di dette quatre se haveranno da fare
tre mesi per mastro; et ogni mastro se have da fare il libretto
et notare la erogatione che farra di detta quatra; et ogni mese
metterli giornalmente tutti quanti in detta cascia quello poi
se havera da sperire alla fine del anno in presenza di quattro
et alla detta fine di anno tenerli detti quattro mastri; quanto
tutti li altri patroni di barche et feluche haveranno da fare la
nova elettione et maestranza de detta ecclesia et monte, et in
assegnarli tanto li libri di detto monte quanto la cascia con il
numero delli denari che ne sono, et detta cascia se farà
f 230 r.
… come meglio se potra convenire con il clero; Et adimplite
le cose predette essendoci somma sufficiente nel detto monte
di possere maritare due figliole di detti patroni, e marinari descritti nel libro del detto monte, le prime che se mariteranno
se li habia da dare ut supra per le sue doti ducati quindici per
ciascheduna et ogni anno se farra detta carita se ne saranno;
non essendoci tanta quantita di denari in detto monte di dotare due figliole ne dara una almeno come meglio parera alli
mastri che in quel tempo saranno gravando la lor coscienza
a non portar per ira lite a nesciuno: et essendoci più di due
figliole per detta dote se habia da gettare la scorfia, a chi
toccare lo detto maritaggio se fussero tutte equale maritate,
et sempre se debbia preferire la prima maritata.
Item crescendo lo detto monte, in numero maggiore et fatte
tutte le cose predette; accadendo che alcuno patrone o marinaro di dette barche et feluche, andasse in poter di turchi,
et essendoci somma maggiore delle spese sopradette se
habia da mettere per lor recorso di uno e dui l’anno li primi
Ducati venti per ciascheduno, acciò con quelli se possa giutare o farsi il llor recatto, quali se li haveranno de mandare;
in llor parere Et tutte dette spese se haverranno de notare nel
libro di detto monte
f. 230 v.
anno per anno a chi se faranno accio se ne possa far il conto
del denaro che servira in detto monte; et così se habia da
osservare intanto durera detto monte.
Item se declama che mancando denaro o persone o marinaro
di cacciare la predetta parte per quattro mesi per lo che non
se ne trovasse ne poter esequire et esigere quello deve; che
nel caso predetto le dette persone o marinaro che mancara
non se intenda godere li predetti sufragii et elemosine ne
che li mastri et governatori di detto monte saranno alligati
alle dette contribuzioni di pagamenti ne ad altro; Ma quello
dell’uno restare per beneficio di detto monte pur volendo
quello che ha mancato et è uscito da detto monte otto
mesate per parte delle quattro possa entrare de nuovo et
godere come li altri; quali obligationi promissione capitali
et osservanza promettono detti patroni e marinari osservare
et fare osservare in futurum senza contraditione alcuna et
tutti li scritti in detto libro se possono exequire et proprie
mancando da complire le cose predette et pagare le dette
potra viaggio per viaggio Et piu allogono eredi et successori
in tutti beni presenti e futuri impigros montis predicti sub
pena et ad penam dupli meditate cum protestate capienti...
promiserunt et juraverunt.
Presentibus Judice Alfonso de maio regius ad contractus
Donno Collella Coppa Dionisio Verde Carolo Caruso Thoma
patalano vincenzo carcaterra.
Documento numero 4
Archivio di Stato di Napoli
Archivio del Cappellano Maggiore
Statuti e Congregazioni - Fascio 1205, n. 77
f. 1 r.
Sua Regia Maestà
Li Governatori, e Fratelli ascritti al Monte fondato per il
mantenimento della Real Chiesa laicale sotto il titolo di S.
La Rassegna d’Ischia 1/2009 31
Gaetano della terra di Forio dell’Isola d’Ischia, del ceto de’
Padroni de Gozzi, barche pescareccie, e Feluche da viaggio,
Supplicando espongono a Vostra Maestà, come con publica
conclusione hanno formato alcuni stabilimenti, e Capitoli per
il buon governo, ed Amministrazione di detto Monte, come
dalla copia estratta che esibiscono. Ricorrono pertanto a’
piedi della Maestà Vostra e la supplicano sopra la medesima
interporre il suo Real Assenso e beneplacito ut Deus.
Reverendus Regius Capellanus major videat et in scriptis
referat - Targianni Provisum per Regalem Cameram S.
Clare Neapoli 16 septembris 1756 Illustris Marchio Danza
Preses Sacri Regii Consilii Illustris Marchio Castrignole
non interfuit.
f. 2 r.
Capitoli, o Regole fatte di 18 Agosto 1753 da Noi annuali
Governatori della Venerabile Reale chiesa di San Gaetano
eretta nella terra di Forio dell’Isola d’Ischia, Padroni de’ Bozzi, Barche Peschereccie, e fellughe del Mestiere di Napoli
della Marina di detta Terra, tutti rappresentanti la maggior
parte di essi; Li quali avendo considerato, che così le prime
Capitolazioni fatte in tempo della Fundatione di detta Chiesa,
come le ultime dell’anno 1731, non hanno avuto tutta la loro
osservanza, così per la mancanza del Regio Assenso, come
per la trascuratine de’ Padroni sudetti in non contribuire ciocchè in essi venivano obbligati, ed in conseguenza, avendono
veduto diminuito molto il culto verso di detto nostro Santo
Protettore, motivo per cui la chiesa sudetta sta in pericolo di
chiudersi per mancanza dellocchè bisogna per suo mantenimento. Perciò Noi desiderosi di accrescere più tosto, che
diminuire l’anzidetto culto Divino verso di detto Santo, con
fede di riceverne colla di luj intercessione ogni desiato bene,
abbiamo stimato, e determinato annullando prima, cassando,
ed irritando tutti li capitoli antecedentemente fatti, anche,
che se fossero scritti ne’ libri della medesima Chiesa quali
da oggi avanti s’abbiano per nulli, di niun vigore cassi, e
come mai sani fussero fatti. Che
f. 2 v.
nuovi Capitoli della sottoscritta maniera, e formola, da’
sottoscriversi da Noi, e ciascuno de Noi Padroni di detti
Buzzi, Barche Pescarecce, et Fellughe per Napoli di detta
Terra, con procurarsene immediatamente il Regio Assenso
affinchè li medesimi abbiano forza di legge particolare, e
Statuto di detta Chiesa, e che sono niuno pretesto si possa a
quella controvenire, per potersi, come si è detto mantenere
l’anzidetta chiesa con tutto il dovuto Decoro, e splendore
merita il detto Santo nostro Protettore.
Primo- che tutti quelli Padroni de’ Buzzi, siano tenuti, ed
obligati, siccome Noi sottoscritti, anche in nome de’ medesimi promettono, e si obligano in ogni viaggio faremo da
questa sudetta Terra, e altri luoghi di detta Isola con nostri
Buzi, o che quelli li dassimo da noleggiare ad altri per estra
Regno, dare, e pagare, alla medesima chiesa ciascuno di
noi, carlini dieci. E li sudetti Padroni de’ Barche Pescareccie, e Fellughe per Napoli, grana quindici per ciascuno in
ogni mese dell’anno. Con conditione, che qualora così detti
Padroni de’ Buzzi, come de Barche pescareccie, e Fellughe
per Napoli, non fussero puntuali a’ pagare, l’una gli carlini
Dieci, in ogni viaggio, ciascuno, e gl’altri gl’anzidette grana
32 La Rassegna d’Ischia 1/2009
quindici in ogni mese, In questo caso li Governatori pro
tempore di detta chiesa, o il Procuratore ad esigendum da essi
facendo, abbiano l’autorità, e potestà, ritornato sarà da
f. 3 r.
estra Regno Ciascuno Buzzo, con l’aspettativa di giorni
dieci, e spirato un giorno da ciascuno mese rispetto all’altri
Padroni, debbano dal Governatore locale impetrare ordine,
e l’ordinario Giurato di detta Terra, e fora il Regno, pur
quello rispettivamente essi loro vanno debitori a’ detta
chiesa per detta contribuzione: e dopo l’aspettativa d’altri
giorni dieci, non avendo detti Governatori ricevuto il denaro
per detto Pegno, possano con Decreto di detto Governatore
locale venderselo, e pagarsi locchè devono riscuotere in
nome di detta chiesa. Non possono esercitare alcuno atto
di giurisdizione ma debbono ricorrere alla Corte locale, che
deve dare la providenza di giustizia, e con modo legittimo.
E così, riguardo a questo primo Capo, ci obligamo, e promettemo osservare irremissibilmente, e senza la menoma
interpetranza, eccezione.
Secondo- Che tutti li Padroni sudetti de’ Buzzi, Barche
pescareccie e Fellughe per Napoli, che saranno sottoscritti,
ed aggregati alli detti Capitoli, e pagaranno puntualmente
l’anzidetta contribuzione, nel tempo della loro morte se le
dovrà dare a ciascuno, siccome Noi Sottoscritti in nome de’
medesimi, e di detta Chiesa ci obligamo, una torce di cera
per tenerla accesa nel suo capo nel mentre dimorerà attorno
il suo cadavere in casa, ed altre torce quattordici attorno al
catalasso mentre starà l’anzidetto suo corpo cadavere in
detta Chiesa, restando
f. 3 v.
in arbitrio de’ loro Parenti di poterli attorno altro numero
di Torce di loro propria spesa. Come ancora darseli mezzo
Clero per il suo accompagnamento quando dalla sua casa
in detta chiesa, e pagarsi col peculio della medesima chiesa,
senza affatto interessare li parenti, ed eredi del Defunto; Col
darseli ancora sacerdote assistente nella sua Agonia, colla
ricognizione di carlini cinque pro una vice durante il tempo,
che starà Agonizzante; farseli ancora celebrare per lo spazio
di giorni dieci a die mortis, Messe Dieci per l’Anima sua.
Ed in caso, che qualcheduno dell’anzidetti Padroni in tempo
di sua Morte eligesse la sepoltura in altra Chiesa per sua devozione ( oltre della Venerabile Congregazione di S. Maria
Visitapoveri, che ut infra si dirà) in tal caso siano tenuti li
Governatori pro tempore di detta chiesa, farli celebrare per la
sudetta Anima, tante messe lette, quanto importa la spesa del
mezzo Clero, e torce, come sopra, quale celebrazione dovrà
farsi, o dal Reverendo Cappellano di detta Chiesa, o da altri
Sacerdoti ad elezione delli Governatori della medesima pro
tempore, fra il termine di giorni Dieci a die Mortis, a grana
quindici la Carità ciascuna Messa. E questo ancora debbiasi
intendere per tutti quelli Padroni, che moriranno fuori di detta
Terra. Ed andando ciascuno di detti Padroni a seppellirsi
f. 4 r.
nella venerabile Congregazione di S. Maria Visitapoveri
come che la maggior parte di essi trovasi ascritti in quelli
Confratelli, sia tenuta detta chiesa di S. Gaetano, e per essa li
Governatori pro tempore, contribuire la spesa delle anzidette
torce a casa presente corpore, e pagare la medesima del clero,
che ivi trasporterà il suo cadavere, come se venisse a seppellirsi in detta chiesa, dovendo sempre, ed in ogni futuro tempo
Noi Sottoscritti Governatori, e padroni, e ci obligamo, tutto
ciò eseguire, ed osservare, senza la menoma mancanza.
Terzo- Se in caso qualcheduno di detti Padroni de’ Buzzi per
qualche naufragio, o altro sinistro avvenuto ( quod absit ),
perdesse il suo Buzzo, e che poi non volesse più nuovamente
farlo, e che non avesse la possibilità di farlo, di sorte che si
ritirasse in terra senza più viaggiare: In tale caso debba godere tutti gl’Emolumenti sudetti, senza essere tenuto pagare
cosa veruna più a detta chiesa sua vita durante.
Quarto- Debbiansi eleggere quattro Governatori dell’anzidetti Padroni de’ Buzzi, Barche pescareccie, e Fellughe
per Napoli, nel modo seguente videlicet= che li quattro
Governatori vecchi, nella fine del loro Governo, dopo le
Seconde Vesperi nel giorno della Festività di detto Santo
nostro Protettore, si debbiano uniti insieme
f. 4 v.
Congregare, coadunare nella sacrestia di detta Chiesa per
fare la nuova elezione, ed ivi, invocando prima l’aggiuto dal
Divino Spirito nella detta chiesa, dovranno fare, e descrivere
tutti li Padroni, j quali non debbiano essere stretti congiunti
di detti Padroni Governadori vecchi, e dette cartelle, in presenza di tutti quei Padroni, che in tal giorno si troveranno
in questa terra, bussularsi, e da quelle estrarsene quattro, e
quelli, che usciranno dovranno essere gli nuovi Governatori
di detta Chiesa, quali Governatori dovranno avere cura, ed
invigilare a tutto, e quanto fa bisogno di detta chiesa, durante
il tempo di un anno, e che questi Governatori terminata la
loro amministrazione, non possono più entrare in Bussola
di Governatore, se non dopo saranno terminati anni tre dal
giorno sudetto; quale elezione dovrà farsi impreteribilmente
in detto giorno, senza ammettersi nessuna causa, e pretesto;
ed in caso nel tempo di detta elezione nuovamente faccenda,
qualche Governatore se ritrovasse assente, in questo caso,
ancorché fusse la minor parte, o un solo, quello vi sarà, dovrà
lui dare dette cartelle, e nuova elezione; ed in caso terminato
il giorno di detta elezione, o uno, o più di detti Governatori,
non volesse fare detta
f. 5 r.
bussola, e nuova elezione, per qualunque causa, pretesto, o
colore, in questo caso s’intendano decaduti dalla detta nomina, ed in loro luogo, il giorno susseguente, che sarà l’otto del
mese di Agosto, si debbia fare detta nomina, e nuova elezione
delli Padroni più vecchi, che godono come sopra.
Quinto - Che nel giorno stesso, e nella ystessa sera, dopo le
seconde Vesperi di detto nostro Santo Protettore, seguita sarà
la sudetta nuova elezione, dovranno li Governatori vecchi,
unirsi nella medesima sacrestia di detta Chiesa, ed ivi eligere
il cappellano, e sacrestano della medesima chiesa, che dovranno avere la Cura, ed esercitar la carica della medesima,
e questo nella seguente maniera: che tutti li Sacerdoti figli,
o fratelli, così in primo, come in secondo grado de’ sudetti
Padroni, debbiansi ascrivere in tante cartelle quanti essi sono,
nessuno eccettuato, e quelle bussolare, il primo estratto sarà
il cappellano, ed il secondo il Sacrestano quali dovranno
esercitare la carica per un anno solo, e per quel tempo, che
eserciteranno detti Governatori, e terminato averanno detta
carica, non possono essere posti più in cartelle, ed entrare in
detta bussola, durante il tempo, che termineranno di essere
tutti gl’altri descritti in dette cartelle; e per lo pagamento, e
contribuzione
f. 5 v.
annuale de’ medesimi, si dovranno dare, cioè al detto Cappellano, docati Dieci l’anno tertiatim, col dovere avere la
cura di confessare in detta Chiesa, se sarà confessore, e non
essendovi chiamarne altro a sue spese, e celebrare le messe
descritte nella Tabella di detta chiesa ed il Sacrestano docati
diece l’anno, anche tertiatim, con peso de ben custodire, ed
avere la cura dell’Utensiliij di detta chiesa, con polizzarla,
aprirla, chiuderla, esercitarne in quella tutto ciò, che conviene e sarà bisogno, per il culto Divino. Ed in fine dell’anno,
o pur in ogni qual volta sarà richiesto dalli Governatori a
dar conto di tutti gli residui di torce, ed altre cere minute, e
dell’utensilij sacra gli saranno consegnati.
Sesto- Che ritrovandosi ciascuno Sacerdote figlio, o fratello,
così in primo, come in secondo grado dell’anzidetti Padroni
de’ Buzzi, Barche pescherecce, e Fellughe per Napoli Confessore approvato, debba ciascuno di essi essere prescelto
per Cappellano di detta Chiesa, senza bussola; E se in caso
vi si trovassero più confessori congiunti, come sopra di
detti Padroni, In questo caso debbano questi bussolarsi, ed
estrarsene uno, e questo sarà il Cappellano.
f. 6 r.
Settimo- Che li nuovi Governatori, debbano eligere, e fare
l’organista per detta chiesa, colla contribuzione, e stipendio
di docati quattro l’anno. Quale organista dovrà sempre che
sarà richiesto andare ad assistere in detta chiesa, e sonare
l’organo in tutte le funzioni necessarie in essa da farsi con
legge, che essendovi un organista figlio, o fratello germano
delli sudetti Padroni Governatori, debbiasi questo prescegliere, Ed essendovene più d’uno, bussularsi quanti sono,
e quello estratto restarà eletto per organista, come ancora
debbiansi corrispondere ogn’anno, oltre detti docati quattro,
altri carlini cinque, a coluj, che averà il pensiere, ed il peso
di tirare gli mantici dell’organo sudetto.
Ottavo- li Sudetti Governatori Vecchi, terminata averanno
la loro Amministrazione, fra lo spazio di giorni quindici,
debbano dare il loro chiaro, e lucido conto così dell’Introito, che dell’Esito fatto di detta chiesa, a due Razionali che
dovranno eligerse dalli nuovi Governatori nell’atto di detta
nuova elezzione per detto effetto, li quali Razionali avendo
esattamente veduti, riveduti e ben considerati, li conti sudetti,
procedere alla loro liberatoria, e significatoria
f. 6 v.
in forma valida, la quale Significatoria, o liberatoria, debba
avere la sua pronta, e parata esecuzione, senza ammettersi
rimedio, Sospensivo di appellazione, e altro, ma eseguirsi in
omnibus, come se fusse significatoria spedita da’ Razionali
della Regia Camera della Sommaria, secondo le Regie Prammatiche, alle quali per detto, ci sottomettiamo, e consegnarla
alli detti annui Governatori per provedere contro di loro a
quel tanto conviene.
Nono- Che ponendosi nella sua puntuale osservanza tutto
il convenuto, e preposto nelli Capitoli sudetti, di sorte ha
coll’anzidetta annuale contribuzione, che dall’anzidetti paLa Rassegna d’Ischia 1/2009 33
droni si farà, venisse ad aumentarsi il peculio di detta chiesa
più di quello, che vi occorrerà per la spesa, e mantenimento
della medesima, siano tenuti li Governatori pro tempore di
tutte le summe, che anno per anno avanzeranno impiegarle
in compra d’annue entrade, affinché la rendita di esse, potesse in appresso applicarsi al maggior bisognevole di detta
Chiesa, ed in maggior accrescimento del Divino Culto verso
di detto nostro Santo Protettore. Quali impieghi, e reimpieghi
si faranno toties quoties, debbano essi Governatori
f. 7 r.
pro tempore farle col precedente Decreto di Expedit, e
dopo di aver usata ogni dovuta diligenza, ed attenzione,
con personi benestanti, e puntuali di questa sudetta Terra,
rimanendoci da per tutto su tal particolare alla loro coscienza,
e puntualità, con darne chiaro conto dell’impieghi, e reimpieghi sudetti alli sudetti Razionali, e mancandosi da essi
Governatori di usare tutta la diligenza, ed attenzione sudetta
per detti impieghi, e reimpieghi nella maniera li richiede,
trattandosi di peculio di luogo Pio, siano tenuti di proprio
a tutti gli danni, che ne seguiranno, pro ut de Jure. Quali
Capitoli di sopra fatti, e quelli da Noi letti,…..essere di tutta
nostra soddisfazione, e ridondare in nostro, e di detta chiesa
utile, e vantaggio, e promettemo, e ci obligamo ad unquam
osservare, senza di quelli reclamarne, né dirne di nullità,
anzi con special giuramento adempire a tutto, e quanto in
essi Capitoli viene prescritto, e dichiarato, al quale effetto
abbiamo quelli sottoscritti, e firmati, con nostre proprie mani,
e per mano del sotto scritto
f. 7 v.
Notaro nostro Segretario Eletto Forio 18 del mese di Agosto
1753
Pietro Paolo d’Ascia Governatore mi obligo come sopra
Nicola d’Abundo suo nomine mi obligo ut supra
Francesco Antonio d’Abundo mi oblicho come sopra
Domenico Dabbundo Padrone mi oblico come sopra
Domenico Maltese mi oblico come sopra
Aniello Verde Padrone mi oblico come sopra
Gaetano di lustro oblico come sopra
Nicola di lustro oblico come sopra
Francesco Antonio Calise obligo come supra
Michele Matarese m’obblico come sopra
Nicola Migliaccio mi oblico ut supra
Saverio Amalfitano mi oblico ut supra
Luca Antonio di Maio
Fabio del deo mi oblico ut supra
Raimo castaldi mi oblico come sopra
Io Giovanni di colella mi oblico come sopra
Io Antonio di maio mi oblico come sopra
Io Anastasio Monte mi oblico come sopra
Io Luca Mollica mi oblico come sopra
+ segno di croce del Padron Giuseppe verde
+ segno di croce del Padron Pietro Paolo Maldese
f. 8 r.
+ segno di croce del Padron Antonio Castellaccio
+ segno di croce del Padron Fabio Capuano
+ segno di croce del Padron Innocentio Castaldi
34 La Rassegna d’Ischia 1/2009
+ segno di croce del Padron Bartolomeo Carneglia
+ segno di croce del Padron Giuseppe Jonchese
+ segno di croce del Padron Francesco Calise Ceppetiello
+ segno di croce del Padron Pietro Paolo Mendella
+ segno di croce del Padron Giovanni Mattera
+ segno di croce di Crescenzo Fiorentino
+ segno di croce del Padron Nicola Galano
+ segno di croce del Padron Antonio Migliaccio
+ segno di croce del Padron Giuseppe Antonio Sferratore
+ segno di croce di Giuseppe Romulo
+ segno di croce del Padron Gennaro Mendella
+ segno di croce del Padron Aniello Antonio Carneglio
+ segno di croce di Vit’Antonio Carneglio
f. 8 v.
+ segno di croce di Cristoforo Carneglio
+ segno di croce di Antonio Guarniero
Li retroscritti Padroni de Buzzi, e barche scriventi, e croce
segnati siano tali quali si ascrivono e compongono la maggior parte delli Padroni de Buzzi, e barche di predetta Terra
di Forio ne faccio fede Io Notaro Emanuele Maria Milone
d’Ischia e richiesto ho segnato.
Ed avendo maturamente considerato il tenore delli presenti
capitoli fatti da i Governatori della Chiesa di S. Gaetano
eretta nella Terra di Forio diocesi d’Ischia Padroni di Barche Guzzi, e Feluche, continenti al governo della riferita
chiesa di S. Gaetano, al modo di eleggere detti Governatori,
Cappellano, e Sagrestano le contribuzione che deve fare
ogni Padron di Barca a detta Cappella in ogni viaggio, ed i
sussidij, che devono ricevere nella loro morte, ed anche in
caso di perdita di qualche Barca non ritrovo nei medesimi
cosa che pregiudichi la regal Giurisdizione né il Publico. E
perciò precedente son di voto così farli spedire privilegio in
forma Regalis Camere Sancte Clare. Quale Regio assenso
s’intenda conceduto colle infrascritte condizioni, e forme.
Primo: Che in ogni esequie dovrà farsi resti sempre salvo
il dritto del Parroco
f. 9 r.
Secondo- che nella reddizione de’ conti debba osservarsi il
prescritto del Cap. V $ 1 et seg. del Concordato
Terzo- Che a tenore del suo regal Stabilimento fatto nel
1742 quei che debbono essere eletti per Amministratori o
Governatori e razionali non siano debitori della medesima,
e che avendo altre volte amministrate le sue rendite, abbino
dopo il rendimento de’ conti ottenuta la debita liberatoria,
e che non siano consanguinei né affini degli Governatori
antecedenti sino al terzo grado inclusive de iure civili.
E per ultimo: che non si possa aggiungere o mancare cos’alcuna dalli preinserti capitoli senza il Real Permesso di Vostra
Maestà. E questo Napoli a 24 Marzo 1757
Di Vostra Maestà Umilissimo Servo e Capitano
Niccolò di Casa… di Bozzolo= Onofrio Razza= Francesco
Albarelli
Agostino Di Lustro
Racconti rurali
La vita contadina nell’alternarsi delle stagioni
di Giovanni Antonio Mattera
La cultura di ogni popolo trova nella memoria del passato
una fonte inesauribile di risorse, un modello di confronto,
uno strumento imprescindibile per comprendere il presente,
una spinta verso il futuro. Con questa consapevolezza ci
accingiamo a passare in rassegna le tradizioni, le usanze,
i costumi del territorio di Serrara Fontana, per ripercorrere
le orme con le quali l’uomo ha tracciato da ieri ad oggi il
suo faticoso cammino.
Il tempo della memoria, in questo viaggio alla ricerca
delle nostre radici, è scandito dal ritmo delle stagioni, che
rievocano alla mente di chi è vissuto prima di noi immagini e suggestioni di un mondo lontano, ma ancora vivo
negli occhi e nel cuore di chi le racconta. Il pensiero va
soprattutto agli anni ‘40, quando gli abitanti di Serrara e
di Fontana erano dediti all’agricoltura e, in minima parte,
alla pastorizia.
Inverno/Primavera - Le feste di S. Antonio Abate,
di S. Ciro e della “Candelora” erano, oltre che un evento
religioso, anche un pretesto per le prime uscite dopo le
feste natalizie. Esse davano occasione di incontrarsi con gli
amici e di fare le prime compravendite: “cullule” (salici)
e legnami, scale alte per la potatura, maialetti da crescere
nel “casiello” (spazio destinato al maiale) ormai vuoto,
ricambio di capre e pecore nelle greggi, vendita delle prime
uova delle galline appena “ngignate”.
Poi iniziava la potatura delle viti, ritmata dal ticchettio
delle cesoie, con l’apparata ”delle “spranche” (pali di castagno senza la corteccia divisi a metà secondo la lunghezza)
tutte allineate e intrecciate, con le “cullule”, ai tralci delle
viti. Seguiva la raccolta dei tralci da parte delle donne,
molto abili a formare il famoso “pinnicillo” (un fascio di
tralci secchi che terminava a coda); il terreno poi veniva
zappato per le imminenti semine.
In questi giorni si vedevano per le strade le donne portare in testa un involucro tutto bianco: era la colazione o
il pranzo o il “murzucone” (una colazione fugace) per i
propri familiari che lavoravano nella vigna. Nei campi la
colazione veniva sempre innaffiata dal vino conservato nel
“buttiglione” al fresco e quando si beveva si invitavano
anche gli altri “colleghi” che lavoravano nei terreni limitrofi, accompagnando le pause con canti gioiosi. Particolare
attenzione veniva rivolta in questo periodo alla messa a
dimora delle piantine di pomodoro, provenienti o dalle
proprie “pieci” (un piccolo vivaio riparato) o dalle colture
delle piane di Forio, specialmente di Citara: vi provvedevano tutti i componenti della famiglia, uomini donne e
ragazzi, questi ultimi addetti specialmente all’innaffiatura.
Si praticava anche la caccia, forse più per motivi di so-
pravvivenza, che per sport. Il comune di Serrara Fontana,
infatti, era una sosta poco sicura per gli uccelli migratori,
che popolavano le alture e i dirupi prospicienti il mare.
Specialmente durante gli anni tristi della guerra, quando si
soffriva la fame, ognuno s’improvvisava cacciatore e, oltre
alle tortore e alle quaglie, i giovanotti con le loro “pesarole”
(trappole) facevano grosso bottino di un uccello migratore,
molto comune allora in queste zone, il famoso “codajancule” della famiglia dei Passeriformi. Altra alternativa era
l’allevamento del coniglio nei “fossi” mediante ottima
erba raccolta nei campi e sulle ridenti colline. Il coniglio
nel fosso veniva catturato col sistema del “tavoliello” (una
tavola azionata da un filo che serviva a chiudere o ad aprire
la tana). Per quanto riguarda la pastorizia, nella zona di
Noia, a Fontana, vi era un certo Trofa che possedeva un
grosso gregge affidato a giovani pastori del posto, che ogni
giorno, percorrendo le strade del paese, lo conducevano
su per le pendici del monte Epomeo. Altrettanto faceva il
pecoraio di Calimera che conduceva il suo gregge su per
i Frassitelli.
È in questo periodo che ambedue i pastori traevano
maggiori profitti: vendevano ai macellai d’Ischia Porto i
capretti e gli agnellini da poco nati, carne molto ricercata
nei giorni pasquali, il latte per tutte le contrade d’intorno
e le saporitissime “caciotte” e ricotte.
I giovani, invece, in un altro giorno particolare, la Domenica delle Palme, esprimevano tutta la loro gioia con
grossi rami d’ulivo, che portavano in chiesa, agitandoli
freneticamente. Momento atteso di grande euforia per i
ragazzi era il giorno di Pasqua quando si giocava a “tozzatozza” con le uova, fatte diventare magistralmente rosse
dalle proprie madri, mediante la “rova” (Rubia peregrina)
la cui tintura è innocua, un’erba che si trova sulle zone
collinari e lungo i sentieri.
Primavera/Estate - In questo periodo la campagna
era tutta un susseguirsi di colori: predominava dappertutto il verde, ma qua e là comparivano macchie gialle
di ginestre e rose di “cannocchiare” (Valeriana rossa).
Molti appezzamenti di terreno erano coperti da un biondo
dorato: erano le colture di orzo e quelle di grano, del tipo
“carusella”, che veniva preferito per la lavorazione della
paglia. Lo stelo molto lungo, alto, flessibile ben si adattava
alla lavorazione dei famosi “cordoncini” che poi venivano
venduti alle donne di Lacco Ameno. Ecco perché qui il
grano non veniva mietuto, ma estirpato e privato delle
radici sul posto, a grandi fasci veniva sistemato in ambienti
adatti e successivamente “scelto” da tutta la famiglia ed il
vicinato, che trovavano in questo momento uno spazio per
il racconto di favole. La “scelta” consisteva nel raccogliere
tanti steli con le spighe, fino a formare un lungo fascetto,
La Rassegna d’Ischia 1/2009 35
magistralmente legato al collo, alla metà ed alla estremità;
le spighe venivano pestate ed il fascetto, insieme agli altri,
veniva venduto. Era il periodo anche della raccolta dei
legumi; questi venivano estirpati e portati presso le proprie
abitazioni dove, una volta ben essiccati al sole, venivano
battuti con bastoni e fatti “ariare” (servendosi del soffio del
vento la paglia maciullata volava via ed i legumi cadevano
sul lastrico).
Le donne si dedicavano alla raccolta dei pomodori ed
a sera a comporre i caratteristici “piennuli” (intreccio di
ginestra con ciocche di pomodori) che venivano appesi e
conservati per l’inverno; a preparare anche salsa concentrata, ottenuta mediante l’essiccazione di pomodori spaccati
e poi dal relativo sugo versati in tanti recipienti ed esposti
ai raggi del sole. Intanto gli uomini nei campi provvedevano a sfoltire i filari delle viti dai pampini che coprivano i
grappoli o a legarli (putarella). Seguiva poi l’operazione più
fastidiosa per il contadino: l’inzolfatura dei grappoli d’uva
che s’avviava alla maturazione, per prevenire la malattia
“e zuffero”. Si “scorreva” anche il terreno per rinfrescarlo
e per mantenere il vigneto libero da erbe infestanti. Era
questo anche il periodo in cui il proprietario terriero raccoglieva il frutto di tutto il suo lavoro dell’anno precedente:
nel suo cellaio gli faceva visita il “sensale” per valutare
la qualità del suo vino e stabilirne il prezzo “a botte” (litri
528). La bevuta di un bel bicchiere di vino ed una stretta
di mano sancivano l’accordo. Tranne imprevisti, dopo
qualche settimana in quella cantina c’era grande festa: si
spillava “u vuttone” (contenitore cilindrico, panciuto nel
mezzo, a doghe e cerchiato di ferro dalla capacità di 5 o 6
botti) e da esso usciva tanto vino da riempire barili e barili
che, a groppa di muli, venivano trasportati e sistemati sulla
“carretta”, che li portava giù ad Ischia Porto.
In questo periodo, poiché le giornate erano più lunghe,
venivano ben sfruttate ai fini dello svago di allora: i ragazzi
davano sfogo alla loro vivacità con i giochi del “cerchio”,
dello “strummolo” (trottola), della “carruzzella” (piccolo
traino dalle ruota di legno) o al gioco furtivo delle carte
di formato piccolo. Le ragazze praticavano il gioco della
“campana” e della palla al muro. Quelle più grandi ed
emancipate dovevano attendere la domenica o qualche
altra festa per fare sfoggio dei loro vestiti e mostrare la
loro bellezza, molto unica in queste zone, lungo le brevi
strade del paese o nella Chiesa (unico punto d’incontro
comunitario).
Per il bagno al mare si andava ai Maronti, a piedi. Quelli
di Fontana scendevano dal ponte di Noia, lungo il Casale,
attraversando la “scarrupata”, “i pizzi bianchi” ed il pericoloso pendio “astritto” fino ad arrivare all’imboccatura
della Cava Scura. Quelli di Serrara scendevano lungo i
sentieri scoscesi della “Jesca”, fino ad arrivare anch’essi
all’imboccatura della suddetta Cava. Era quella una dolce,
fresca, sospirata e faticosa avventura!
Gli anziani, invece, a sera, si ritrovavano nelle sparute
bettole della zona. Lì essi discutevano sui problemi delle
varie colture, con scambi di idee e consigli mentre, seduti
36 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Il gioco dello "strummolo": trottola di forma conica con un ferruzzo piramidale in cima, che si faceva girare avvolgendolo prima con una cordicella e poi gettandolo con agilità e destrezza;
poi, senza turbare il suo moto di rotazione, lo si raccoglieva tra
l'anulare e il medio, passandolo nella palma della mano (foto in
Usi e costumi di Napoli e dintorni, a cura di F. Bourcard).
a tavolino, in quattro, si accanivano a lunghe giocate a
carte, specialmente “al tresette” o alla “briscola” tutto
accompagnato dal piacere di un bel litro di vino, servito
di partita in partita. Alle ore 23 si chiudeva e tutti a letto!
Estate/Autunno - All’inizio dell’autunno, tutta l’attenzione del contadino di queste zone montuose dell’Isola
si concentrava sulla vendemmia. Ognuno provvedeva a
procurarsi ginestra secca per le famose “fucate dei palmenti”, ad aggiustare tini e botti, a fornirsi di “scopette”
di “murtella” (mirto), di calce viva, nitro e lucerne nuove.
Le cantine venivano messe tutte a nuovo ed ai primi di
ottobre, su quelle contrade, era veramente festa, festa di
vendemmia.
Lungo le strade c’era un trotterellare di muli e di asini
che trasportavano uva col “tavuto” alle cantine, così pure
giovani baldanzosi e bellissime ragazze trasportavano,
gli uni sulle spalle, le altre in testa, tini colmi di uva. Si
udivano voci gioiose dappertutto, specialmente lungo
i bassi filari delle viti. Gli esperti nella lavorazione del
vino, presenti in ogni famiglia, si mettevano in cantina e
servendosi soltanto delle “caulare” (caldaie) producevano
il famoso vino “sorriso” o “l’acinata” o il “vino cotto” o la
“mostarda”. La vendemmia, compresa la “cernuta” delle
“arille” (vinaccioli) durava circa un mese, dopo, verso
novembre si cominciava già a zappare per la semina delle
fave e dei piselli. Altro rito in questo periodo era l’uccisione del maiale da parte di quelle famiglie che avevano la
possibilità di allevarlo e di accudirlo. Si usava fare, allora,
il lardo, la sugna, “capicolli” e salsicce affumicate; altra
carne, non essendoci i congelatori, veniva conservata nelle
“giare” sotto aceto. Si “scognavano” (abbacchiavano) le
noci, si privavano del mallo e si essiccavano al sole, come
delle “fosse” (buche rettangolari lunghe e profonde circa
due metri e larghe mezzo metro) per la piantagione delle
nuove viti del tipo “forastera “e “biancolella”. In questa
stagione capitava spesso che piccoli e grandi andavano
ad osservare, dopo le prime abbondanti piogge, il grosso
“lavone “ alla Cavonera di Fontana: esso sembrava un vero
torrente che, proveniente dalle alture del monte Epomeo,
trascinava a mare ogni cosa, massi enormi, ceppi, rami e
legnami di castagno, con un frastuono assordante.
La vendemmia (Foto di Bettina, Ischia, 1991)
Trasporto del vino
si faceva in estate per i fichi. Nelle selve si raccoglievano
funghi, ma, soprattutto, castagne e chi le voleva più grosse
andava alla Falanga. A sera conversando nei posti di ritrovo, ognuno ne traeva una bollita dalla tasca e la mangiava,
come caramella.
Nei campi si seminava “il pascone” (semi di lupini,
favette, rape ecc.) che, cresciuto, veniva sotterrato e diventava un ottimo concime. Nel terreno venivano fatte
delle “conche” per trattenere ed arginare la forza dilavante
dell’acqua piovana. Seguiva lo scavo, con pala e piccone,
Autunno/Inverno - L’inverno era la stagione più brutta
per la gente di Serrara e di Fontana. La nebbia innanzitutto
costituiva elemento fastidiosissimo per tutti, così pure il
freddo. Per combatterlo, ognuno aveva in casa una specie
di braciere: un secchio, una bacinella o qualche vecchia
pentola; importante era che il fuoco fosse sempre “vivo” e
la cenere calda, serviva anche per asciugare i panni. Intorno
vi si riuniva tutta la famiglia, nelle lunghe serate, ed ognuno
si dedicava a qualcosa: chi al ricamo, chi alla maglia e chi
a “filare” la lana. In un angolo c’era anche qualche sparuto
studente! Tutto alla luce del “lume a petrolio” (quando non
c’era l’elettricità). Spesso in queste zone cadeva la neve
e quando riusciva a coprire tutte le zolle era un vero spettacolo. Per i ragazzi era una festa. Accumulavano grosse
palle di neve davanti all’entrata dei negozi, mettendone
in difficoltà le relative aperture; realizzavano giganteschi
pupazzi, mentre i grandi la spalavano dai tetti. Capitava
anche che per alcuni giorni Fontana e Serrara rimanevano
isolate. Il Natale poi riaddolciva tutti e portava ad ognuno
una nuova speranza. La Chiesa parrocchiale era il punto
di riferimento. Da lì partiva il Natale; lì c’era il Presepe e
noi bambini lì davamo sfogo alla nostra fantasia. L’arrivo
degli zampognari, poi, era qualcosa che ci estasiava, La
Befana era poverissima. I suoi doni consistevano nella
calza riempita di noci, fichi secchi, arance e qualche
rarissima cioccolata. Il giro per le case col “Bambino”,
insieme al Parroco, era seguito da tutti i ragazzi del paese.
Essi, giunti nei pressi o nei cortili delle case da visitare,
intonavano canti gioiosi a Gesù Bambino, in attesa che la
proprietaria della casa, intenerita da “tanta fede genuina”
li premiasse, gettando su di essi grossi vassoi ricolmi di
nocciuole, noci, fichi secchi con le gustose “chiuppetelle”
(fichi secchi spaccati e sovrapposti). Le nonne, intanto,
ravvivando i bracieri, spargevano bucce di mandarino per
rendere la casa più accogliente a “Gesù Bambino” che la
visitava. Il gioco alla “fontana” con le “ nocelle”, praticato
da piccoli e grandi, nei cortili e, quando pioveva, sotto i
porticati, e quello della tombola nelle case, erano manifestazioni prettamente natalizie e, con esse, si concludeva il
ciclo delle feste fino alla Candelora.
Giovanni Antonio Mattera
La Rassegna d’Ischia 1/2009 37
La Quercia
Appariva improvvisamente da un
angolo di strada un carico enorme di
fascine da forno: un volume di frasche
secche o di “pennicilli” (1) che quasi
annullava la figura umana che lo reggeva.
Nessuno aguzzava gli occhi per riconoscere l’uomo semisommerso da tanto
gravame. Era Ciuaggiusèppe, Giovan
Giuseppe, e basta. Senza possibilità
d’errore. Chi altro avrebbe avuto l’ardire di sobbarcarsi a siffatto fardello?
Avanzava lento, barcollando: non per il
peso, ma per passo naturale. Tagliava di
sbieco la piazza, dove bambini magri
e laceri interrompevano per un attimo il
gioco e alzavano la testa per guardarlo:
perché lui era il re, il loro re, buono
e forte; perché lui stava su, rompeva
l’azzurro con le sue fascine - il pugno
serrato all’aggancio dell’enorme fastello -, barca ondeggiante nell’immobile
mare rovesciato ch’era il cielo.
Davanti al forno scaricava, con tonfo
secco. Pronto ad altro impegno.
Amava molto i bambini, ricambiato.
Talvolta tirava loro affettuosamente
un orecchio, minacciando: “M’aggia
mangià ‘na recchie” (2).
* Il racconto La Quercia è risultato primo
classificato al concorso "Il filo della memoria" ( Sant'Anastasia - Napoli).
Nel 2008 Pasquale Balestriere ha partecipato con successo ai seguenti concorsi di
poesia:
- Vincitore ex aequo del Premio Rabelais
(Offida- Ascoli Piceno) con la lirica Preludio.
- 2° classificato al Premio Castello (Villafranca - Verona) con la lirica Il sogno di
Itaca.
- 2° classificato al premio Città di Quarrata
(Quarrata - Pistoia) con la lirica Tramonto
a Paestum.
- Premio della Giuria al XIV Premio Il Golfo (La Spezia) con la raccolta Colloquio
con la madre.
- Finalista d'onore al premio Il Simposio
(Buccino - Salerno) con la lirica Orfica.
- Menzione di merito al Premio Borgognoni
(Pistoia) con la lirica Tramonto a Paestum.
- Segnalazione al Premio La poesia del
2008 (La Nuova Tribuna Letteraria - Abano
Terme PD) con la lirica Orfica.
38 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Racconto di Pasquale Balestriere *
Giaceva ampio nel letto, ch’era pieno di lui. Da tempo, ormai. I muscoli
distesi, dopo tanta fatica. Quieto. “Sto
bbuone” (3) sempre rispondeva a chi
chiedeva come si sentisse. Soffriva?
e quanto? Era un mistero. Il corpo,
certo, decadeva visibilmente. Normale,
a novant’anni, con ottanta trascorsi a
sgobbare.
“ S’hadda fatecà” (4) era la sua
consueta, soddisfatta e quasi gioiosa
constatazione. Così, dopo aver svolta
la sua attività giornaliera a servizio del
forno, si trovava qualche altro impegno, come, ad esempio, attingere acqua
ad una fonte lontana e trasportarla, per
un modesto compenso, a casa di chi ne
faceva richiesta; o svolgere funzioni di
crocifero durante i funerali e le feste
religiose.
Raccontava spesso di quando, avendo svolta la solita mansione di crocifero
a un funerale e dopo aver accompagnato il feretro al cimitero, il figlio del
morto si era rifiutato di riconoscergli
il consueto, modesto obolo. “Mòllete”
(5)
, gli aveva detto Giovan Giuseppe,
mostrando la destra e sfiorando tra
loro il pollice e l’indice: ma quello
non se ne dava per inteso. Dopo aver
rinnovato due o tre volte l’invito, ricevuti altrettanti irridenti dinieghi, il
nostro crocifero mulinò i suoi pugni
pesanti come mazze e per Puorche
jènche (6) - così era soprannominato
lo sventurato insolvente - il cielo si
fece improvvisamente buio e stellato.
Per sua fortuna si trovavano da quelle
parti un paio di carabinieri che, aiutati
da altre persone, a stento riuscirono a
frenare l’esplosione di tanta vitalità e a
salvare il malcapitato. “Tenìtele quatte
ca cinche nce pòtene” (7) urlavano i
1) Piccoli fasci di tralci di vite.
2) Devo mangiarmi un orecchio
3) Sto bene.
4) Si deve lavorare.
5) Deciditi; sbrigati.
6) Porco bianco. E’ il soprannome del tizio.
7) Tenetelo fermo in quattro, ché cinque
carabinieri, cercando di immobilizzare
Giovan Giuseppe. Il quale, con questa
citazione chiudeva il racconto.
Più volte la morte era passata,
inesorabile, nella casa di via Ritola,
cogliendo a piene mani: Gioacchino,
il cognato, Agnese e Orsola, le sorelle.
Restava lui. Resisteva, sordo a ogni
malattia, ferocemente attaccato alla
vita: una quercia con radici tenaci.
Per male che stesse, a chi gli chiedeva come si sentisse, continuava a
rispondere immancabilmente “Sto
bbuone”, quasi che la somma dei suoi
malanni fosse un affare altrui. Aveva
perso il colore della salute e della fatica, ingentilita ormai la pelle, candida
come le lenzuola.
Ed erano poi giunte le apnee.
Talvolta asseriva di essere morto
durante la sua fanciullezza. E a chi
sgranava gli occhi, raccontava placidamente che, dopo le esequie in chiesa,
egli sulla Valle di Barano si era risvegliato nella bara, portata a spalla dai
compaesani, come una volta s’usava.
Qualcuno, sempre, gli chiedeva cosa
allora avesse fatto: lui, serio, batteva
due volte al suolo quella pala di remo
ch’era la pianta del suo piede. Così fu
deposta a terra la bara, e aperta, con
paura e speranza. E lui, alzatosi, se ne
tornò a casa.
Ormai non parlava più. Il corpo,
piagato, lasciava intuire un’ inespressa
sofferenza. Ma cosa mai poteva rappresentare il dolore per chi aveva sofferto
e lavorato pesantemente per tutta la
vita? Normalità, niente di più.
Maria, dal ballatoio, parlava di
Giovan Giuseppe con la vicina Rosa :
”Questa notte zizìo (8) ci ha fatto spaventare: non ha respirato per qualche
non ce la fanno. L’espressione è paradossale, ma va intesa, forse, nel senso che in
quattro si poteva, per mancanza di spazio,
operare meglio che in cinque; oppure si devono invertire i numeri.
8) Forma affettuosa per “zio”.
minuto. Un tempo interminabile. Siamo
stati lì lì per venire a chiedervi aiuto.”
Erano venuti i nipoti, tutti, a rivedere
il gran vecchio, a salutarlo, ad aiutarlo. A turno, secondo le ferree norme
del lavoro e della vita moderna. Poi
si sarebbero trovati tutti insieme. Alla
fine.
A mano a mano che avanzavano gli
anni, era stato liberato da ogni sorta di
lavoro. Così egli riempiva la giornata
mettendosi a completa disposizione
degli altri e accorrendo dovunque venisse chiamato. Non trascurava mai di
visitare, quotidianamente, i malati del
paese.
“N’amma vulé bbène quanne simme
vive” (9) ripeteva spesso, soprattutto
quando qualcuno lo ringraziava per
un aiuto ricevuto. E, talvolta, autocompiacendosi: “Quante more i’, me
chiàgnene pure ‘e pprète ‘a vie” (10).
Le apnee diventavano sempre più
lunghe e frequenti. Ne riemergeva con
un rantolo sempre più profondo e spossato. Gli occhi erano fissi da qualche
parte, verso l’alto. Immobili, ma vivi.
Ancora nelle vene gli danzava la vita,
ma lenta e sommessa. I giorni - albe,
9) Dobbiamo volerci bene quando siamo
vivi.
10) Quando morirò io, mi piangeranno anche i sassi della strada.
La lettera
Ho ricevuto la tua lettera a febbraio un mese che ricordo
molto freddo, per quei raggi pallidi incapaci di calore, per
quelle ombre prive di riverbero che, senza tempo, rubano il
futuro. L’ho letta con il batticuore. Più del contenuto ricordo
la forte trepidazione. L’ho richiusa e posata nella borsa che
porto con me nel fine settimana insieme alle tante cose inutili
e alle tante cose importanti che non riesco a discernere e
lascio in una sorta di sospensione.
Stasera finalmente sono riuscito ad aprirla e a leggerla
tutta. Ho pensato di condividerla con quanti si imbatteranno
in questi elementi grafici che uniti perdono la loro singolarità e da segni dell’alfabeto diventano prima parole e, poi,
espressione e pensiero.
Nella vita noi non scegliamo i nostri compagni di viaggio.
Alcuni ci sfiorano senza lasciare traccia, altri li lasciamo
con piacere, altri ancora spartiscono piacevolmente un
po’ del nostro tempo. Con certuni condividiamo brandelli
importanti della nostra vita: per questo ci appartengono e
noi apparteniamo a loro. A questi ultimi facciamo fatica a
perdonare la scomparsa.
***
Mi scrivi che mi vuoi ancora bene. Io, invece, spesso
non riesco a volermene e chi non si vuole bene non può
volere bene. Il mio corpo è un estraneo e, spesso, sento di
non volerlo sentire. Claudicante, affannato, deforme tiene
prigioniero il mio cervello e con esso il pensiero che non
vuole adeguarsi ai limiti delle nuove condizioni. Poi come
lettere dell’alfabeto che si perdono nelle parole e parole che
si perdono in proposizioni cerco il senso oltre il contingente: trovare le ragioni di questo percorso incerto, sfuggire
al senso di abbandono, evitare di sciupare il tempo che
rimane. In fondo un disegno si può veramente ammirare
solo quando è completo e il mio non è ancora completo.
Per ora ci sono tante ombre ma anche tanti punti di luce. Mi
sento fortunato per i tanti che mi vogliono bene, come te, e,
mattini, mezzogiorni, pomeriggi, sere e le notti trascorrevano lentamente, si
avvicendavano con dolcezza.
Poi arrivò un’altra apnea. La più
lunga. Interminata.
Così se n’andò Ciuaggiusèppe, il saggio, il re dei fanciulli. Ciuaggiusèppe,
la quercia.
Ancora oggi quei bimbi dai capelli
ormai bianchi, talvolta, cercano nella
piazza, alzando la testa, la sua sagoma
d’Atlante, acquartierata in un lembo
d’azzurro, e il suo volto, con il consueto
pacifico sorriso.
Pasquale Balestriere
per mariarosaria
ancora di più, per i tanti che ho la possibilità di poter voler
bene e che riempiono la mia vita. Sì, la vera fortuna non è
essere amati ma avere tante persone da amare. Il dolore più
forte è quando una persona che ha condiviso con noi tanto
non c’è più. Spesso ci sembra di sentire il suono della sua
voce o di riconoscere il suo volto tra i mille che affollano le
nostre strade. Abbiamo ben impresso il suo sorriso timido e
discreto, lo sguardo corrucciato, quei ripetuti e irritanti modi
di fare, l’accogliente generosità dei momenti di festa. Ci
manca quell’abbraccio che per soggezione abbiamo limitato
a pochi momenti che ora ci è sottratto per sempre.
***
Mi chiedi di guarire non lo so se sia la cosa migliore o
più importante. Questa malattia che mi porta a momenti di
sconforto e talvolta di forte disperazione è capace anche di
condurmi a momenti di serena riflessione. Il punto è riuscire
a penetrare il mistero e il mistero mi ricorda che tutto quello
che ho non mi appartiene e per vivere pienamente questo
mio tempo devo considerarlo nel tempo. Sì, nessuno esiste
senza un prima e senza un dopo eppure spesso non riesco
ad inserire la mia storia in un prima ed in un dopo tanto da
considerare il mio presente eterno. Spesso guardando negli
occhi dei più giovani e più ribelli colgo i forti patimenti del
presente fatti di solitudine e di abbandono. Non prefigurano
un dopo sereno e spesso non lo prefigurano per niente. Mi
sento inadeguato a contrastare una condanna collettiva fatta
di un presente capace solo di rubare il futuro. Mi spavento.
So che il mio impegno spesso è una testimonianza che non
riesce ad arrivare oltre il mio pensiero e allora non mi resta
che accarezzare i loro volti con un sorriso.
Cara amica, le strade si dividono ma chi ha fatto un pezzo di strada insieme va oltre i rimpianti e si ritrova. Non è
vero?
Carmine Negro
La Rassegna d’Ischia 1/2009 39
Rassegna
LIBRI
La bella Ischia
illustrata da Christian Wilhelm Allers *
descritta da Alexander Olinda **
Imagaenaria Edizioni Ischia, traduzione dal tedesco di Nicola
Luongo, con varie illustrazioni, dicembre 2008.
Una coppia di smaliziati viaggiatori, per due giorni,
ci accompagna in un giro dell'isola d'Ischia: arrivo nella
Casamicciola che porta ancora vistosi i segni del terremoto, tappe a Lacco Ameno e a Forio, ascesa al monte
Epomeo a dorso d'asino e discesa a piedi da Fontana
a Ischia, con visita come da prassi al Castello. È il più
classico degli itinerari turistici e, per quanto elegante e
godibile, non meno stereotipato è il resoconto che ne fa
Alexander Olinda. Non dimentichiamo tuttavia che queste pagine - tratte da La Bella Napoli, cioè da quello che
ancora oggi a pieno titolo possiamo considerare il più bel
libro su Napoli e dintorni - sono soprattutto pagine d'arte.
E a infrangere la convenzionalità del percorso e della
narrazione sono appunto le illustrazioni di Allers, che
sembrano uscire da un moderno sketchbook, piuttosto
che da un carnet di viaggio ottocentesco. Disegni dal
tratto vivace e leggero, frutto di una visione spontanea
che riesce a cogliere l'essenza del luogo e trasmettere
al fruitore il fascino della scoperta.
Siamo nel 1892, a pochi anni dal disastro del 1883, che
ancora mostra evidenti le sue rovine e il suo ricordo è
sempre vivo tra gli abitanti, soprattutto di Casamicciola,
ma non mancano le buone ragioni «per un soggiorno più
lungo e un godimento più duraturo della ricca e bella
natura».
Il cielo e il mare risplendono nel blu terso e limpido
e in carrozzella si parte per visitare «il favoloso, bel
mondo dell'isola». Lacco Ameno è celebre per la festa
* Christian Wilhelm Allers (Amburgo, 1857 - Karlsruhe, 1915),
estroso illustratore e tra i maggiori litografi tedeschi del suo tempo,
raggiunta la notorietà con la raccolta di stampe Club Eintracht
(1888), si trasferisce a Capri dove vive per molti anni. Coinvolto
nello scandalo Krupp e successivamente condannato in contumacia
a quattro anni e mezzo di prigione, fugge dall’Italia e inizia a vagare
per il mondo guadagnandosi da vivere come ritrattista di persone
facoltose. Autore di raccolte di stampe e di libri illustrati, tre dei quali
dedicati all’Italia (Capri, 1892; La Bella Napoli, 1893; Hochzeitsreise nach Italien, 1896), fu soprannominato “Il pittore di Bismarck”
per i numerosi ritratti fatti al cancelliere tedesco e poi raccolti nel
volume Unser Bismarck. Gedächtnis-Ausgabe (1898).
** Alexander Olinda (o Alexander Schmidt), professore di filosofia,
ha pubblicato anche Freund Allers. Ein Künstlerleben (1894)
40 La Rassegna d’Ischia 1/2009
della sua Patrona, Santa Restituta, che apporta grande
animazione nel paese, dove si riversano gli abitanti delle
altre località isolane.
A Forio attirano la Chiesa del Soccorso e il suo terrazzo, da dove si coglie una splendida vista panoramica. Il
suo porto è il luogo d'imbarco del principale prodotto
d'Ischia, il vino: «Qui ci sono martingale che imbarcano
botti di vino, la cui destinazione è Genova. Il vino locale
viene trasportato verso l'India Occidentale, la Colombia,
il Venezuela e il Brasile».
A Ischia non poteva mancare la visita al Castello, che
appare abbandonato e destinato alla rovina. Eretto su
una roccia di basalto verso la metà del quindicesimo
secolo, fu abitato nel quarto decennio del sedicesimo
secolo per qualche tempo da Vittoria Colonna, la bella
vedova del Marchese di Pescara, amica di Ariosto e
di Michelangelo Buonarroti. Poi fu adibito a luogo di
reclusione per un periodo più o meno lungo. Ora tra le
mattonelle di pietra spuntano erbacce e ortiche e sotto
le desolate volte i passi dei visitatori riecheggiano cupi
e spettrali .
Dal villaggio di Fontana si sale all'Epomeo, dove si
è accolti dall'eremita che si presenta come «un uomo
dall'aspetto gioviale, con un grembiule corto e con le
Lacco Ameno
Allers a Capri
gote rubiconde» e mostra ai suoi ospiti le celle scavate
nella roccia e la chiesetta di San Nicola. Gli occhi
«abbracciano tutta la configurazione del golfo: tutte le
baie, le isole e le montagne. Sono visibili a Nord anche
il golfo di Gaeta, i promontori e le punte degli Abruzzi.
Un quadro d'insieme di una grandiosità e di una bellezza
incantevoli, unico al mondo, e da cui è difficile distaccarsi. Ci si potrebbe deliziare per giorni nella vista di
questo spettacolo».
Ischia e Capri
dipinte da Augustine Fitzgerald
descritte da Sybil Fitzgerald *
da Naples, Londra 1904
Imagaenaria Edizioni Ischia, traduzione dall’inglese di Raffaele Castagna, con varie illustrazioni, dicembre 2008.
Paesaggi, case, giardini, donne e uomini scrutati nei volti
e nelle abitudini sociali sono la materia prima di Ischia e
Capri, tappe conclusive dell'affascinante reportage nella
«terra della magnificenza e dell'orrore» di due sorelle di
origine americana in vacanza nel Golfo di Napoli, nell'estate del 1903. Un racconto illustrato in cui, in una sorta di
polifonia cromatica, si fondono notazioni sociologiche e
stupore per la natura, scorci delle due isole e scene di vita
quotidiana, il riverbero di bianche architetture assolate e
l'arcaica gestualità delle donne del popolo. Pagine acute e
nitide, frutto di una grande curiosità intellettuale e di una
non comune abilità espressiva, che trasportano il lettore nei
luoghi descritti e aprono la strada al moderno reportage.
Sono passati venti anni dalla terribile catastrofe del
terremoto del 28 luglio 1883, ma un miglior fato si va
realizzando per l'isola d'Ischia: «Stanno sorgendo nuovi
alberghi e le sue sorgenti sono miracolose come sempre.
Se meno viaggiatori gaudenti trovano il modo di venire qui,
c'è un coraggioso e cosmopolita gruppo che vi si incontra
ogni estate, affrontando i pericoli vulcanici», anche perché
«l'isola è completamente ed eccezionalmente bella, un po-
*
sto per fermarsi con delizia ed andare via con rammarico».
È soprattutto l'aspetto naturale con i suoi vigneti, con la sua
vegetazione, con i suoi paesaggi, a conferire all'isola il suo
particolare fascino. Un fascino esotico: «I frutti crescono
con selvatica rigogliosità. Pere, nespole, pesche, fichi e
fichi d'India, le famose ciliegie di Casamicciola, crescono
dappertutto liberamente. Tra i fiori i più comuni sono il
ciclamino, il corbezzolo, le grandi violette riccamente
profumate, e i fiori selvatici di montagna che crescono sui
fianchi dell'Epomeo».
* Augustine e Sybil Fitzgerald, oltre che di Naples (Londra,
1904), sono autrici anche di In the Track of the Moors:
Sketches in Spain and Northern Africa (Londra, 1905).
La Rassegna d’Ischia 1/2009 41
Colpisce la laboriosità degli isolani, intenti alla lavorazione della paglia, un'attività favorita ed incoraggiata da
due benefiche donne napoletane, la signora Meuricoffre e la
duchessa di Ravaschieri. Quelli che inizialmente potevano
sembrare articoli inutili «finirono per trovare il modo di
affermarsi in tutte le parti del mondo». La vita del contadino «possiede nel Sud un fascino davvero inseparabile
dal paesaggio».
Lo sguardo e l'attenzione delle due sorelle sono attratti
dalle feste di S. Restituta e di S. Vito, ma più particolarmente dalla Corsa dell'Angelo, descritta nel suo svolgimento
che avviene a Forio, un paese caratterizzato «da una larga
distesa delle sue bianche torri e delle case che si disperdono
nel mare dai retrostanti lontani pendii della montagna in
cui le leggere nubi si fermano o fluttuano come un alito
dal cratere sterile».
Capri: «Sono le razze nordiche che gradualmente hanno
colonizzato l'isola e lentamente, ma costantemente, hanno
armonizzato la loro lingua e le loro caratteristiche con
quelle del luogo». Fu dapprima l'effusione poetica del
Caffè Pagano ad attirare nell'isola il flusso generale di turisti
tedeschi, ma l'interesse crebbe con la scoperta della Grotta
Azzurra da parte di Kopisch: «misteriosa nella sua storia,
così come nell'effetto che produce in tanti visitatori». Ogni
mattina piccole barche attendono l'arrivo del piroscafo da
Napoli carico di turisti, per portarli alla Grotta Azzurra.
Anche qui il cactus e l'aloe s'elevano dalla nuda terra;
i giardini sono brillanti di fiori; l'azzurro convolvolo s'attacca sui tronchi degli alberi o fluttua sui muri; la regale
menta nasce dalle macchie più petrose ed inonda l'aria di
fragranza.
Dal lago di Tiberiade al mare di Amalfi
*
Il viaggio apostolico di Andrea, il Primo Chiamato - Testimonianze, cronache e prospettive di ecumenismo
nell’VIII Centenario della Traslazione delle Reliquie del Corpo (1208-2008)
A cura di Michail Talalay
Centro di Cultura e Storia Amalfitana - Arcidiocesi di Amalfi
- Cava de’ Tirreni, 2008
°°°
Per l’uscita di questo nuovo libro dedicato al Santo
Patrono di Amalfi non si sarebbero potute auspicare circostanze più favorevoli: nel 2008, infatti, tutto il mondo
cristiano ha celebrato gli ottocento anni della Traslazione
delle Reliquie dell’Apostolo da Bisanzio in Italia.
La permanenza delle Spoglie di S. Andrea nella cripta
della cattedrale di Amalfi ha influito in maniera rilevante
su molteplici aspetti della storia locale, a partire dall’assetto urbanistico in cui la cattedrale costituisce il fulcro
della città fino alle ripercussioni sociali ed economiche: si
pensi, ad esempio, alla forte crescita, negli ultimi anni, dei
pellegrinaggi sulla tomba del Santo, soprattutto dai Paesi
dell’Europa orientale, favoriti anche dal delinearsi, ai massimi livelli della Cristianità, di incoraggianti prospettive
ecumeniche nel nome di Andrea.
Eppure, nonostante il ruolo dell’apostolo Andrea che,
per riprendere la bella immagine di Padre Blatinsky, è
stato e rimane un ‘ponte’ fra l’Oriente e l’Occidente, non
esisteva a tutt’oggi una pubblicazione specialistica in cui
la Sua immagine sia stata presentata nei molteplici aspetti
teologici, storici, artistici e cultuali.
Il Centro di Cultura e Storia Amalfitana si è proposto
di colmare questa lacuna, portando in tal modo il proprio
contributo al programma dei festeggiamenti previsti per
l’ottavo centenario della Traslazione.
La pubblicazione del volume è stata stimolata anche
dal fatto che negli ultimi anni Amalfi è divenuta il naturale
luogo di incontri ecumenici e culturali dove studiosi di
tutti i Paesi ed autorevoli esponenti di differenti confessioni religiose hanno ‘condiviso’ le proprie conoscenze
42 La Rassegna d’Ischia 1/2009
sull’Apostolo. Al primo incontro, avvenuto nel 2002, sono
infatti seguiti quelli del 2004 e del 2007: si sono pertanto
accumulati, negli archivi del Centro, materiali inediti
di rilevante interesse scientifico che hanno costituito la
struttura portante di questo volume.
Esso si articola in cinque sezioni in cui, partendo dalla
figura storica del Primo Chiamato, così come si configura
nei testi evangelici, si dibattono le prospettive ecumeniche
che nel suo nome si stanno delineando.
La seconda sezione è incentrata sul significato teologico
e politico delle traslazioni medievali e, in particolare, su
quello delle reliquie di S. Andrea da Bisanzio ad Amalfi,
nonché sul ‘prodigio’ della Manna, sulla rievocazione del
Settimo Centenario della Traslazione e sulla figura del
Papa Pio II che, anche attraverso i legami intessuti tra i
Piccolomini e Amalfi, espresse la sua devozione al Santo
in onore del quale fece edificare la chiesa di S. Andrea della
Valle a Roma.
Sul fondamentale ruolo dell’Apostolo nella storia della
Cristianità si soffermano gli interessanti contributi raccolti
nella terza sezione. Sant’Andrea, infatti, non è stato venerato solo in Russia e in molti altri Paesi ortodossi (Georgia,
Romania, Grecia ecc.): è anche il Santo Patrono della
Scozia e della Borgogna e, in alcune regioni d’Italia, quali
la Puglia e la Toscana, gode di una speciale devozione.
I nove saggi presentano un quadro compiuto, e per molti
aspetti inedito, delle motivazioni storiche e religiose che
hanno legato aree anche non omogenee al culto di Andrea,
simbolo in ogni tempo dell’ecumenismo.
La quarta sezione è dedicata alla iconografia del Primo
Chiamato nell’Occidente cristiano, nella tradizione bi-
Le catene dell’anima
di Carmine Ferraro
Gianni Iuculano Editore, Pavia, 2008
Le Catene dell’anima ci proietta in una realtà anomala,
divisa in due distinti mondi. Nel primo si consuma la
quotidianità, la concretezza di tutti i giorni, che circoscrive
le nostre vite, mentre nel secondo si cela un irrazionale
universo di supplizi e di dolore, che può prendere forma
solo nelle nostre menti. Ma ci si accorge presto che tra i
due mondi c’è un rapporto di rimandi e di collegamenti,
l’uno è complementare dell’altro. Così come in un opaco
specchio prende cupamente e astrattamente forma la realtà
che gli si pone davanti, allo stesso modo un mondo risulta
il riflesso dell’altro.
L’autore, Cannine Ferraro, tesse ed evidenzia i due fili
conduttori che avvolgono la duplice realtà: la voce narrante,
ossia quella del protagonista Adam Shade, e l’orrore e la
violenza che ambedue gli universi ostentano selvaggiamente.
Ne segue un viaggio nella contorta psiche di un uomo
incapace di accettare la vita e incredulo di fronte alle striscianti e infernali catene, che vede avvicinare ogni giorno
di più a se stesso. Adam, sin dalle prime battute, si sente
un inerme osservatore di una cruda verità; è soffocato
dalla società moderna e non vede soluzioni. L’umanità è
irrimediabilmente corrotta e Adam sente sulle sue spalle
il peso dell’impotenza.
«Sebbene un’intera parete sia bianca, lo sguardo cade e
si focalizza sulla macchia nera; io non riuscivo a distogliere
lo sguardo da quella macchia, volevo guardare il bianco, ma
non ci riuscivo... e, per me, la parete intera era sporca».
zantina e slava e nella Costa di Amalfi. In tale contesto si
inseriscono due importanti contributi sull’assetto e sulle
trasformazioni della cripta e della cattedrale e sul significato del ciclo di affreschi nella cripta in fase di restauro.
L’edizione critica della “Translatio”, dei vespri bizantini e
dell’inno acatisto, presentati con estremo rigore filologico
completano degnamente il volume.
Con il legittimo orgoglio di presentare l’opera, ringrazio
tutti gli eminenti studiosi e gli autorevoli esponenti delle
due Chiese che hanno messo a disposizione del Centro i
risultati delle loro ricerche e, in particolare, don Stefano
Caprio, per la traduzione della maggior parte dei testi
slavi, e l’amico Michail Talalay che, facendo da ‘ponte’
fra Oriente ed Occidente, ha curato l’edizione del presente
volume.
Il nostro auspicio è che l’opera contribuisca a far meglio
conoscere nel mondo l’immagine del Primo Chiamato e
le prospettive ecumeniche legate al Suo ruolo ‘storico’ di
testimonianza e di intermediazione religiosa e culturale.
Ezio Falcone
Presidente del Centro di Cultura e Storia Amalfitana
L’unica soluzione è cercare una via di fuga dall’uomo e
dalle sue leggi. Sembra quasi voglia aspirare ad una sorta di
vita ascetica e stoica: una crescita ulteriore ottenuta tramite
l’abbandono delle passioni e l’utilizzo della ragione. Eppure è saggiamente cosciente che non otterrà mai la felicità
continua a pagina 49
La Rassegna d’Ischia 1/2009 43
Rassegna
MOSTRE
Fino al 19 gennaio 2009
Rauschenberg al Madre
Robert Rauschenberg
Le sue opere datate anni Settanta
di Carmine Negro
L’opera di Rauschenberg - «Alla
fine degli anni Cinquanta, quando
cominciavo appena ad avvicinarmi
all’arte contemporanea, rimasi di
sasso di fronte a un dipinto esposto al
Museum of Modern Art. Faceva parte
di una mostra intitolata «Sixteen Americans» e l’artista, il cui nome suonava
vagamente familiare ma di cui non
avevo mai visto le opere, era Robert
Rauschenberg. Double Feature - così
si chiamava il dipinto - era coperto da
diversi strati apparentemente slegati
di colore steso in maniera disordinata,
in parte applicato con la tecnica del
dripping tipica dell’Espressionismo
Astratto, abbinati a una serie di insoliti
elementi a collage: fotografie prese
da riviste, lettere stampinate, un segmento di un ombrello appiattito, parte
di una camicia da uomo con tanto di
taschino, oggetti che mantenevano
forti tracce della loro precedente esistenza nel mondo reale pur riuscendo
a sembrare perfettamente a proprio
agio nell’ opera. Guardandomi intorno
per essere certo che nessuno mi stesse
44 La Rassegna d’Ischia 1/2009
osservando, tirai fuori un quarto di
dollaro dalla mia tasca e lo infilai in
quella della camicia nel dipinto. Era
un gesto sciocco, ma dopo averlo fatto
mi sentii bene. Avevo creato un legame
con qualcosa che, per ragioni che non
sospettavo neppure, avrebbe acquistato
nella mia vita un’importanza sempre
maggiore. Secondo Marcel Duchamp
l’atto creativo è bipolare poiché necessita non solo dell’artista che lo mette
in opera ma anche dell’osservatore
che lo interpreta e così facendo lo
completa. In quello spirito, negli ultimi
quarant’anni ho avuto l’ambizione
di occuparmi di arte contemporanea
non come critico o giudice ma come
partecipante».
Così scrive Calvin Tomkins in “Mi
avvicinai alla sua arte con un quarto
di dollaro” (1).
Robert Rauschenberg, il cui vero
nome è Milton Ernest Rauschenberg,
nasce il 22 ottobre 1925 a Port Arthur,
nel Texas nipote di un berlinese e di
una indiana Cherokee. Nel 1943, per
volontà dei genitori, si iscrive alla
facoltà di farmacia, che abbandona
lo stesso anno. Richiamato alle armi,
viene arruolato in Marina e assegnato
a un ospedale militare a San Diego; una
volta congedato, nel 1947 comincia a
frequentare i corsi dell’Istituto d’Arte
di Kansas City. In autunno parte per
l’Europa per studiare a Parigi e si iscrive all’Académie Julian dove conosce
l’artista Susan Weil, che diventerà sua
moglie. Dopo un anno ritorna negli Stati Uniti e si iscrive al Black Mountain
College, nel North Carolina, attratto
dal rigoroso approccio all’arte di Josef
Albers (2), già docente al Bauhaus da
cui apprende certo l’impianto spaziale
rigoroso che sarà evidente nelle sue
opere dalle «White Paintings» in poi.
La vicenda di Robert Rauschenberg
è quella dell’arte statunitense sposata
all’arte europea; storia di un grandissimo inventore ma nello stesso tempo di
un altrettanto grande mediatore fra tradizioni diverse. L’esperienza dell’artista
si sviluppa inizialmente sulle due rive
dell’Atlantico, da una parte Parigi e il
successivo ritorno negli Stati Uniti. Nel
1953 è a Roma, dove conosce Alberto
Burri, le cui opere aveva probabilmente
conosciuto in precedenza e che gli
suggerirà un modo diverso di costruire
lo spazio della pittura. Burri nel 1950 è
impegnato a realizzare opere materiche
(«Muffe» 1951, «Sacchi» 1952); tutto
questo deve avere inciso sulle scelte
polimateriche dell’americano. Così
proprio in quell’anno si fa dare da De
Kooning, uno dei massimi esponenti
dell’espressionismo astratto, un disegno e simbolicamente lo cancella, dice,
per utilizzare la matita dall’altro lato,
quello della gomma. L’opera di Marcel
Duchamp, l’idea che ogni oggetto tratto
fuori dal contesto possa diventare arte
lo colpisce, ma Rauschenberg ha altri
percorsi, quelli del lungo dialogo con la
fotografia delle avanguardie, o la «scelta di nobilitare ciò che è ordinario; non
voglio fare emergere la mia personalità
ma voglio che i miei quadri riflettano
la vita». Negli Anni ‘50 è lui il pittore
più rivoluzionario gettando un ponte
fra un lontano Dada tutto inneggiante
alla libertà della creatività e un dialogo
Rauschenberg - Bed
diretto sul reale. Tra i capolavori di quel periodo: «Bed»
(1955): un letto vero, cuscino e coperta colorata, colature,
interventi forti; dentro c’ è il ricordo della madre intenta
al ricamo (3).
Anche nelle opere che seguono Rauschenberg esplora il
proprio mondo artistico non limitandosi alla sola pittura.
All’interno delle sue composizioni introduce elementi
materici, oggetti, addirittura animali impagliati, operando
una fusione fra questi e la pittura alla quale non rinuncia
mai. Il nome che l’artista dà alla sua personale unione fra
oggetti, cose materiali, quotidiane, e pittura è combingpaintings, ossia pitture combinate.
Nel 1958 Rauschenberg realizza i primi disegni con
immagini trasferite da riviste o giornali. Trascorre due
anni illustrando con questa tecnica l’Inferno di Dante,
inserendo così il poema in un contesto contemporaneo.
Nel 1962 comincia a servirsi di matrici serigrafiche, dopo
aver visitato lo studio di Andy Warhol e aver visto i primi
quadri che egli stava realizzando con questa tecnica. Nel
1964, vince il Gran premio internazionale di pittura alla
XXXII Biennale di Venezia.
In questi anni Rauschenberg comincia a interessarsi a
problemi politici e sociali: partecipa a iniziative pacifiste
contro l’intervento americano in Vietnam, collabora con
associazioni per i diritti umani e dona parte dei suoi guadagni per aiutare artisti in difficoltà. Nel 1966 acquista un
vecchio orfanotrofio e lo trasforma nel suo studio di New
York.
Nel 1969, affascinato dallo sbarco dell’uomo sulla luna,
crea la serie di litografie Stoned Moon Series, servendosi
di materiale fotografico fornitogli dalla NASA.
Nel 1970 l’artista crea il poster per le celebrazioni del
Primo Giorno della Terra per sensibilizzare l’opinione
pubblica sulle emergenze ambientali.
Lo stesso anno decide di lasciare New York e stabilisce
la sua residenza e lo studio principale nell’isola di Captiva,
al largo della Florida. Qui la sua arte subisce una svolta
importante: inizia a lavorare a Cardboards, la prima di
varie serie prevalentemente astratte, come Venetians e
Jammers.
Avvia collaborazioni con vari scrittori e poeti, come il
francese Alain Robbe-Grillet, il russo Andrei Voznesensky
o l’americano William Burroughs, illustrando le loro opere
con litografie in edizioni limitate.
Il richiamo di altre culture lo porta negli anni Settanta in
India e negli anni Ottanta in Cina, Giappone, Thailandia,
Sri Lanka, nel corso dei quali sperimenterà la fusione di
tecniche artistiche antiche e moderne.
Il suo impegno è poliedrico. Nel 1990 nasce la Robert
Rauschenberg Foundation, un’organizzazione non-profit
che si occupa di temi cari all’artista, come la ricerca medica, l’educazione, l’ambiente, i senzatetto, la fame nel
mondo e le arti. Nel 1991, a conclusione del Rauschenberg
Overseas Culture Interchange, espone a Washington le
opere realizzate nell’ambito del progetto. Nel 1997 il Guggenheim Museum di New York presenta la retrospettiva
più importante dedicata all’artista
Il rapporto con Napoli - Nel corso degli anni il suo
rapporto con Napoli è stato spesso intenso.
Nel 1986 espone a Napoli in una personale nella galleria
di Lucio Amelio, e la sua opera West go ho (Glut) entra a
far parte della collezione Terrae Motus.
Sempre nel 1986 trovandosi a Napoli per assistere alla
prima dello spettacolo di Trisha Brown, Lateral Pass, al
Teatro San Carlo, poiché la nave che avrebbe dovuto portare le scenografie ed i costumi studiati da Nancy Graves
era bloccata nel porto di Genova, l’artista realizzò in tre
giorni una scenografia provvisoria, fatta di materiale di
recupero di metallo e stoffa, da appendere sopra il palcoscenico. Trisha Brown ha raccontato nel saggio dedicato
a Rauschenberg di «un lavandino stritolato che ebbe il suo
momento di gloria sul palcoscenico con un proiettore puntato sul buco di scolo». Mobile Cluster Glut [Neapolitan]
(4), costituita dall’assemblaggio di un lavandino da ristorante e una porzione di bicicletta raccolti nelle discariche
di Napoli, è parte di quella scenografia. Entrata presto a
fare parte della serie dei Gluts, l’opera fu esposta nel 1987
nella galleria napoletana di Lucio Amelio.
Sempre a Napoli a Piazza Plebiscito dal 24 aprile al
La Rassegna d’Ischia 1/2009 45
24 settembre Rauschenberg presenta
nell’ambito della Bandiere di Maggio
1999: “TRIBUTE 21”, per onorare il
contributo dell’arte e della cultura al
XXI secolo. «La mia convinzione, fondata sull’esperienza delle mie varie e
numerose collaborazioni in tutto il mondo, mi dice che da un contatto fra due
persone attraverso l’arte scaturiscono
potenti energie pacificatrici, ritengo
che sia questo il modo più efficace per
chiunque di condividere informazioni
comuni e particolari, nel desiderio di
condurci verso la creazione di una reciproca comprensione per il beneficio di
tutti». Per Cicelyn, titolando “tribute”
l’esposizione, l’artista evoca il senso
di responsabilità della creazione che
produce ricchezza e insieme il tributum
che ciascuno deve alla comunità in
cui vive. Si iscrive nella parola latina
il gesto di “Tribute 21”. Tributum è la
prestazione che il cittadino dell’antica
Roma elargiva allo Stato secondo il
proprio censo e che veniva prelevato
per tribù. Medici, politici, architetti,
registi, musicisti e quant’altri sono qui
convocati a rappresentare ciascuno la
propria “tribù”, o se si preferisce la
famiglia culturale da cui il testimone
eccellente proviene. Non sarà l’atto
della presentazione a proclamare la
gloria di alcuni e non di altri, perché
l’esposizione delle bandiere in piazza
del Plebiscito a Napoli è la conferma
del semplice onore della cittadinanza,
e dunque di ciò che è già in comune
con tutti. Ma la chiamata dell’artista
esige anche una più precisa condizione:
occorre appartenere profondamente
La Mostra al Madre
La mostra di Rauschenberg al Madre
è stata inaugurata il 22 ottobre, giorno
del suo compleanno, e si protrarrà sino
al 19 gennaio 2009. Questa mostra
arriva a Napoli, dopo Porto e dopo
Monaco, portandoci la semplicità, la
vivacità, la brillantezza e la genialità
con cui l’artista era solito risolvere
le questioni proprie della produzione
pittorica e scultorea (6). Le opere,
così come anticipa il titolo della mostra, hanno in comune l’essere state
realizzate tutte tra il 1970 e il 1976 e
il fare riferimento a viaggi; appartengono tuttavia a cinque serie distinte.
La prima di queste si intitola “Cardboards”; dopo un fortunato periodo
trascorso a New York l’autore si mise in
viaggio alla ricerca di nuova ispirazione. Pare che lungo i suoi spostamenti un
solo elemento si ripresentasse sempre
costantemente: gli scatoli di cartone.
«Non sono mai stato in un posto dove
non ci fossero scatole di cartone…
persino in Amazzonia» (Rauschenberg
1991). Da lì l’idea di utilizzare il cartone come materia prima: non un banale
accessorio ma per la prima volta protagonista assoluto delle opere. Addirittura
Rauschenberg - Mobile Cluster Glut
46 La Rassegna d’Ischia 1/2009
agli altri per guadagnare un nome, e
solo per poi pagare il prezzo più alto
allo Stato, che per Rauschenberg è
l’umanità intera (5).
vuole accentuarne i caratteri originari,
come scritte e timbri, in un volontario
richiamo al prospero capitalismo e al
conseguente conformismo. La seconda serie, più orientata alla
scultura, è invece ispirata a Venezia e
alle sue atmosfere, tanto da essere intitolata “Venetians”. Rauschenberg era
un assiduo frequentatore della Biennale
e, attraverso materiali di produzione di
massa e oggetti di scarto di uso domestico, è uno dei primi a fare della città
la sua musa.
I “Venetians” sono più scultorei
rispetto ai precedenti “Cardboards” e
meno astratti. Caratteristico è il riferimento all’immaginario veneziano che
non è comunque puramente figurativo.
Gli oggetti mantengono la loro indipendenza e identità e le analogie con
l’aspetto della città sono soprattutto
formali. Ad esempio l’osservatore trasforma mentalmente l’interno di un
tubo rotto nel profilo di una gondola
e un pezzo di legno nel remo di un
gondoliere. (“Untitled [Venetian]”,
1973). Presente in mostra, l’opera
“Sor Aqua”, (1973) fa riferimento al
Cantico di Frate Sole di San Francesco
d’Assisi, una delle prime opere della
letteratura italiana. I quattro elementi
formano due serie di fratelli: Fratello
Sole e Sorella Luna, Fratello Fuoco e
Sorella Acqua. Frate Sole è il simbolo
dell’illuminazione attraverso Dio. Nel
lavoro di Rauschenberg pezzi curvi di
metallo sono appesi sopra una vasca da
bagno piena e si riflettono nell’acqua
come nuvole. Anche la luce incidentale
si rispecchia nell’acqua.
Fu creata nel 1973 e 1974 la serie
“Early Egyptians”. Il cartone è ancora
un volta il materiale dominante, anche
se il modo in cui viene trattato in questo
caso è del tutto diverso: le scatole di
cartone non sono appiattite o tagliate,
ma quasi sempre usate come elementi
costruttivi in queste opere di grandi
dimensioni.
Rauschenberg - serie VII . 1978 - transfer a solvente, collage di
tessuto e acrilico su tavola - cm 95x100
Rauschenberg, non senza una certa ironia, ricopre di
colla le scatole di cartone e poi le fa rotolare nella sabbia o
le avvolge nella garza come mummie. Dipingendo il retro
delle scatole con inchiostro fosforescente crea un alone sul
muro come se gli oggetti vi proiettassero ombre artificiali.
«Le cospargo di un materiale speciale come se fosse colla.
Poi le ricopro con due o tre strati di sabbia. Questo è così,
quando pensi che siano scatole, ti sembrano pietre. Poi
dopo aver pensato che sono pietre, torni alla prima impressione. Non sono pietre! Pensi di nuovo che siano scatole.
Quest’ambiguità è quello che mi piace. Poi ne dipingo il
retro in modo che riflettano il colore sui muri. Come pietre
che si sono addormentate dentro a un arcobaleno».
Il gruppo di opere “Early Egyptians”, a dispetto del
nome, non è stato realizzato dopo un viaggio in Egitto. Ad
ispirare l’artista furono bensì la lettura di libri e la visita al
Louvre.
Mentre i “Venetians” sono leggeri e quasi coreografici,
gli “Early Egyptians” richiamano l’idea del peso anche
quando ne sono privi. Rauschenberg crea un effetto monumentale e allo stesso tempo lo mina alla base. In questo
modo le opere pongono l’osservatore di fronte al problema
della caducità e della continuità.
La serie degli “Hoarfrosts” fa riferimento all’Inferno
di Dante che Rauschenberg aveva già illustrato negli anni
’50 con una serie di disegni che utilizzava la tecnica del
transfer-drawing (Inferno, 1958/60). Accompagnato dal
poeta Virgilio, Dante discende all’inferno, avvolto nella
nebbia e nel gelo. L’inizio del XXIV canto indica: «quando
la brina in su la terra assembra / l’imagine di sua sorella
bianca». La tecnica consisteva nel trasferire immagini
dai giornali su tessuti di tela, chiffon e seta. Rauschenberg aveva notato che la garza usata per pulire le lastre
di pietra nella litografia manteneva tracce della carta da
giornale. Usando un solvente che consente alle immagini
di essere trasferite su tessuto, l’artista creò una serie di
lavori su tessuto trasparente o semi-trasparente e trasferiva
le immagini dai giornali su seta, cotone e chiffon. Nella
maggior parte dei lavori diversi strati di tessuto stampato
si sovrappongono, creando delicati palinsesti di grande
profondità ed eleganza. All’inizio dominano i colori neutri,
anche se vengono via via incorporati colori più brillanti. Gli
“Hoarfrosts” parlano di disintegrazione e stati di suspense,
di occultamento e di trasparenza, «presentando le immagini
nell’ambiguità dell’improvviso immobilizzarsi nella messa
a fuoco o del disciogliersi alla vista» (Rauschenberg).
L’ultima serie di opere è quella intitolata “Jammers” ed
è stata realizzata tra il 1975 e il 1976. Dopo un mese di
lavoro in India, in un ashram di Ahmedabad, conquistato
dai colori intensi utilizzati dagli abitanti per abbigliarsi,
Rauschenberg, una volta ritornato a casa, eseguì una serie
di opere che sono vere e proprie esplosioni di colore. «Non
mi sono mai concesso il lusso di quei bei colori brillanti
fino a quando non sono stato in India e ho visto la gente
andare in giro avvolta in quei colori o trascinarli nel fango.
Mi sono reso conto allora che non sono così artificiali». I
tessuti utilizzati per queste opere sono di forma rettangolare, quadrata e triangolare e i loro colori sono luminosi e
intensi. Pendono morbidamente dai muri o sono attaccati
a canne di bambù come veli in uno stato di equilibrio
etereo. .I “Jammers” richiamano alla mente le vele delle
navi, le protezioni frangivento sulla spiaggia, il bucato
appeso ad asciugare nell’Europa mediterranea e in Asia,
gli stendardi medievali italiani o le bandiere dei monasteri
tibetani. L’esotico viene accostato a tutto ciò che è vicino
e familiare, il sacro al profano. Così come nel caso della
serie veneziana, i “Jammers” mettono in mostra le duplici
qualità del riferimento figurativo e dell’astrazione.
Rauschenberg - Cardboards
La Rassegna d’Ischia 1/2009 47
Rauschenberg - Jammers
Rauschenberg - Hoarfrosts
Le opere di Rauschenberg, di forte impatto scenico, sono
intense, umane, complesse, stratificate, dense di cultura ed
impongono una meditazione.
Nel 2002 è colpito da ictus, ma continua lavorare.
L’artista fra i più innovativi e influenti della sua generazione, figura chiave nei cambiamenti radicali che animano
l’arte visiva americana, muore il 18 maggio 2008 in Florida, a quasi 83 anni d’età.
Carmine Negro
Le Catene dell'anima
(segue da pagina 43)
eterna: «Non cercavo la felicità perpetua, so che non esiste;
la felicità è un sentimento precario, sfuggente, transitorio,
momentaneo come tutte le altre sensazioni umane e per
quanto l’uomo possa sforzarsi ed affannarsi per cercare
di afferrarla, sfugge via come fosse acqua tra le mani di
un assetato. Per quanto ne rimanga nei nostri palmi, non
ne berremo mai abbastanza e quel tanto che ci è entrato
in bocca pare poco o niente rispetto alla nostra inappagata
sete. Io aspiravo semplicemente ad un equilibrio... ».
Tale desiderio viene concretizzato nell’isolata città di
Downfield, mentre cerca di quietare se stesso tramite una
«moderata corrispondenza panica» con la natura.
Ma proprio in tale luogo, quando il suo progetto sembra
realizzarsi, delle inspiegabili morti nel paesino destano la
quiete degli abitanti e trascinano Adam in un abisso senza
ritorno.
48 La Rassegna d’Ischia 1/2009
1 Prefazione al volume «Robert Rauschenberg. Un ritratto» Johan
& Levi Editore, 2008.
2 Rauschenberg, Catalogo Mostra a cura di Susan Davidson e David
White. Ferrara Arte Editore, 2004
3 Rauschenberg, il classico dell’avanguardia, "Corriere della Sera",
14 maggio 2008 pagina 43.
4 Robert Rauschenberg, A Retrospective by Robert Rauschenberg,
Ruth Fine, and Trisha Brown (Hardcover - Jun 27 2002).
5 Eduardo Cicelyn “Tribute 21. In nome degli altri” http://www.
interviu.it/avvenime/1999/arte/arte4.htm
6 Mirta D’Argenzio, Robert Rauschenberg Travelling 1970/76,
Catalogo Mostra, Electa Napoli.
L’uomo è costretto a barcollare inconsapevolmente tra
la sua vita e l’inferno di una donna, Marta. Non riesce a
distinguere il confine che divide le due realtà e soggiace
supinamente alla persecuzione dell’anima eternata.
Anche Marta subisce la dannazione di questo mondo,
dell’inferno da lei stessa creato, ma è disposta a sopportarla
pur di realizzare la sua vendetta: deportare ogni essere
vivente nell’oscuro universo nato dal suo odio.
L’unica arma che brandisce Adam per affrontare la sua
esistenza pare essere la ragione. Eppure anche questo ultimo baluardo crollerà a causa della surreale e sovrumana
violenza che incontrerà nel mondo di Marta.
Adam incolpa Dio, supplica Dio, in un rapporto ambiguo, in una miscela antitetica di rancore e speranza: non
può crederci, non ci riesce minimamente, ma vorrebbe
farlo come tanti altri.
La conclusione è tutta da scoprire, inaspettata, in un
susseguirsi a perdifiato di brutalità e colpi di scena.
***
Il festival cinematografico a Procida
Il Vento del Cinema
di Michail Talalay
Ogni bel posto in Italia deve avere
un suo festival cinematografico –
questo forse è stato il criterio del famoso critico di cinema Enrico Ghezzi
quando ha ideato un nuovo forum
presso la piccola isola partenopea di
Procida. Ma - scherzi a parte - l’idea
era molto originale: presentare un
connubio tra la filosofia e il cinema
con un motto corrispondente: «A chi
pensa il cinema / [chi è pensato dal
cinema?]».
Come titolo dell’evento hanno
scelto una bella immagine: Il Vento
del Cinema, molto azzeccata per il
Golfo di Napoli caratterizzato dai
forti venti (l’ultima volta, quando a
causa del maltempo stavano saltando
i collegamenti con la terraferma, gli
organizzatori hanno capito anche la
verità ‘climatica’ del titolo).
E quindi dal 2001, intorno alla
domanda “A chi pensa ecc.” gli
incontri vari raccolgono a Procida
cineasti, studenti, artisti, giornalisti,
critici, scrittori, musicisti (oltre naturalmente al pubblico), in una serie di
free jam session non-stop. I discorsi
sono accompagnati da un flusso di
immagini che scorrono di continuo su
uno schermo (spesso rushes storiche
e spettacolari, come quelle di Sayat
Nova del regista sovietico Sergej
Paradžanov, un background preferito
di Enrico Ghezi). Non mancano anteprime cinematografiche nazionali
e internazionali, videoregistrazioni,
rarità, performance di musica e immagini, proiezioni addirittura sulla
nave, per confermare il titolo del
festival.
A me come abitante partenopeo di
origine russa diverse volte da tempo
è stato affidato il piacevole compito
di accompagnare gli ospiti dell’Europa Orientale. Così ho partecipato al
masterclass del regista lettone Herz
Frank e al montaggio del suo documentario Venerdi Santo a Procida
– un film che è diventato una specie
del testimonial della creatività degli
incontri procidani.
Un’altra volta ho accompagnato
un regista pietroburghese di fama
internazionale, Aleksandr Sokurov
– il suo ultimo film Il Sole è uscito
con successo in Italia sullo schermo
nazionale.
Questo dicembre l’ospite dell’Est
era un regista moscovita, Artur Aristakisjan, l’autore di due film molto
discussi – I Palmi della mano e Un
posto sulla Terra. Già apprezzati
(o contestati) nei diversi paesi, ora
questi film sono presentati al pubblico italiano in un cofanetto di DVD
appena uscito. A Procida è venuto
anche il producer italiano del regista
russo, Stefano Curti.
Il tema del festival quest’anno
era l’incompiuto cinema come un
metodo o forma di creatività e durante l’incontro con il pubblico Artur
Aristakisjan ha espresso le sue idee
sull’argomento.
Per il regista una piacevolissima scoperta è stato il soprannome
dell’isola – cioè L’isola di Arturo.
Alla fine del festival gli organizzatori
hanno regalato all’ospite il capolavoro di Elsa Morante.
Incontri, dibattiti e proiezioni si
sono susseguiti nelle sale del Cinema
Procida Hall:
Combat d’amour en songe (Pugna
d’amore in sogno, Francia-Portogallo, 2000)
Rossellini 77 a cura di Jacques
Grandclaude (Italia-Francia, gennaiomaggio 1977): articolato attorno
all’ultimo film di Rossellini (Le
Centre Georges Pompidou, girato
qualche mese prima della sua morte)
il trittico Rossellini 77 è una sor-
prendente immersione nel processo
creativo del regista pensatore, figura
emblematica del neorealismo. Riuniti
e proposti per iniziativa di Jacques
Grandclaude, ultimo produttore e
compagno di viaggio del regista, i
tre documenti c’invitano a gettare
uno sguardo inedito sull’opera di uno
dei cineasti maggiori del XX secolo.
In Rossellini au travail, documentario di 40 minuti, troviamo preziose
immagini, selezionate tra più di 20
ore di riprese, in cui Grandclaude
riprende il processo di creazione
del suo documentario consacrato al
Centro Georges Pompidou. Le Centre
Georges Pompidou, è l’ultimo film
realizzato da Rossellini, girato in
occasione dell’apertura al pubblico
dell’edificio. Infine Le colloque de
Cannes, documento di 16 minuti
montato a partire da 6 ore di riprese, è
la sintesi filmata del dibattito animato
da Rossellini in parallelo alla sua
presidenza della giuria del Festival
di Cannes del 1977.
Marathon – Enigma a Manhattan
(Usa, 2002, b/n) di Amir Naderi con Sara Paul, Trevor Moore
Vegas: Based on a True Story
(Usa, 2008) di Amir Nader con Mark
Greenfield, Alexis Hart, Nancy La
Scala
Cristóvão Colombo – O enigma
(Cristoforo Colombo, l’enigma, Portogallo, 2007) di Manoel De Oliveira
La Rassegna d’Ischia 1/2009 49
con Ricardo Trêpa, Leonor Baldaque,
Manoel De Oliveira, Lourença Baldaque
Carne de fieras (Spagna, 19361993) di Armand Guerra con Pablo
Alvarez Rubio, Marlène Grey, Georges Marck, Tina de Jarque, Alfredo
Corcuera
El sur (Spagna, 1983) di Victor
Erice con Omero Antonutti, Sonsoles
Aranguren, Icíar Ballaín, Lola Cardona
I palmi della mano (Ladoni, Russia,
1993), Un posto sulla terra (Mesto na
zemle, Russia, 1994) di Artur Aristakisjan,
Manhattan by Numbers (Usa, 1993)
di Amir Naderi
***
Artur Aristakisjan insieme con Michail Talalay (a sinistra) al Cinema Procida Hall
Ad Arturo Carlo Quintavalle ed al Museo Nitsch di Napoli
il Premio Ischia Prospettiva Arte 2008
È stato assegnato al prof. Arturo Carlo Quintavalle il Premio IPA per l’Arte 2008. Al Museo Nitsch di Napoli diretto
dal dott. Giuseppe Morra è andato il Premio IPA 2008 per la
sezione Istituzioni. Una borsa di studio al giovane studioso
Alessandro Giardino.
La cerimonia si è svolta sabato 13 dicembre 2008 nella Sala
della Loggia di Castel Nuovo – Maschio Angioino (Piazza
del Municipio - Napoli).
I premi IPA 2008 sono rappresentati, come sempre, da una
preziosa opera dell’artista napoletano Giuseppe Pirozzi, noto
scultore docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Arturo Carlo Quintavalle (Parma, 1936) – Uno dei più
importanti e noti protagonisti della storia e critica d’arte della
scena internazionale -,insegna Storia dell’arte all’Università
di Parma, dove ha fondato e dirige il Centro Studi e Archivio
della Comunicazione (CSAC), la massima raccolta italiana
di disegno progettuale, di fotografia, di fumetto, grafica e
disegno di moda.
Tra i più noti studiosi di storia dell’arte medievale, Quintavalle si interessa da decenni dei diversi aspetti della comunicazione visuale contemporanea, in special modo della
fotografia, che ha contributo a diffondere anche attraverso
importanti iniziative editoriali. Tra i suoi libri più noti si
ricordano, per gli studi di storia dell’arte medievale: La
Cattedrale di Modena (1964-65), Wiligelmo e la sua scuola
(1967), Romanico padano, civiltà d’Occidente (1969). Altre
sue importanti opere, dedicate ai diversi aspetti della storia
dell’arte e della comunicazione, sono: L’opera completa del
Correggio (1970), Il territorio della fotografia (1979). Curatore di importanti esposizioni, collabora con scritti di critica
d’arte al “Corriere della sera” e al settimanale “Panorama”.
50 La Rassegna d’Ischia 1/2009
Il Museo Hermann Nitsch, diretto dal dott. Giuseppe
Morra, è frutto dell’impegno profuso dalla Fondazione Morra
nella produzione e nella trasmissione intergenerazionale della
cultura contemporanea. Il Museo, sorto nel centro storico
della città di Napoli, si propone come un importante luogo
di proposte espositive, come uno spazio significativo di
consumo ma anche di produzione di opere e di cultura della
comunicazione e dell’arte contemporanee, caratterizzandosi
in tal modo come un’esperienza di grande rilievo sul piano
internazionale.
Al giovane studioso d’arte Alessandro Giardino è stata
assegnata la borsa di studio che l’associazione IPA/l’arte in
contemporanea ha per la prima volta bandito in occasione
della quarta edizione del Premio. La borsa, consistente nella
cura di una esposizione d’arte – con relativo catalogo -,
vuole essere una concreta opportunità di approfondimento e
di esperienza offerta ad un giovane curatore che collaborerà,
in tal modo, alla realizzazione del programma espositivo
dell’associazione IPA.
Precedenti edizioni:
2007: Gillo Dorfles (Docente Universitario - Critico – Saggista – Pittore) - Julia Draganovic (Direttore Artistico
del Pan Palazzo delle Arti Napoli)
2006: Antonio Spinosa (Soprindentente Polo Museale di Napoli - Docente Universitario Storico dell’Arte)
2005: Moreno Bondi (Artista, docente Accademia Belle Arti
di Roma).
www.ischiaprospettivaarte.it
Si è svolto dal 27 al 30 settembre 2008 a Taranto il 48°
Convegno internazionale di studi sulla Magna Grecia, che
aveva come tema Cuma e il Museo dei Campi Flegrei, con particolare riguardo alla monetazione e al periodo di fondazione
della città, non più valido quello dell’ultimo quarto dell’VIII
secolo, ma posto alla metà dello stesso, assieme all’isola
d’Ischia. Importante è stata ritenuta a tal proposito l’attività
degli scavi in iniziata nel 1993 attraverso il Progetto Kyme
coordinato dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli.
I titoli dei giornali hanno riproposto Cuma come “la prima
colonia in Italia”:
« Cuma, la più antica colonia greca d’Occidente, al centro
dell’attenzione e dell’interesse scientifico del XLVIII Convegno internazionale di studi della Magna Grecia».
«Magna Grecia, si ricomincia dal principio, da Cuma
(Kyme), la prima colonia (apoikia) greca sul territorio
dell’odierna Italia (Sicilia inclusa) e nell’intero Occidente,
dopo la tappa intermedia di Pithekoussai (Ischia), qualcosa di
più di un emporion (scalo commerciale), qualcosa in meno
di una polis (città). Si ricomincia da questo sperone roccioso
campano dove Greci provenienti dall’Eubea, Calcidesi ed
Eretriesi, insieme con altri che già si erano stabiliti ad Ischia,
fondarono nel 740 a. C., ai margini con l’area di influenza
etrusca e latina, una prospera colonia che visse di agricoltura,
artigianato, traffici terrestri e marittimi, oltre ad essere scalo
importantissimo per l’import-export di metalli dall’Etruria
verso la Grecia. Si farà il punto anche sui culti, sulla diffusione dell’alfabeto (che passò ad Etruschi e Romani, ed è
sostanzialmente il “nostro” alfabeto), sulla monetazione e
sugli aspetti architettonici».
«Il XLVIII Convegno si occuperà ad ampio spettro della
colonizzazione in Occidente, partendo dalle discordie interne
nell’Eubea, prima e dopo la fondazione di Pithekoussai, Kyme,
Zancle (Messina) e Rhegion (Reggio Calabria), per affrontare il nodo di Pithekoussai e di Cuma e delle sue vicende:
la popolazione indigena pre-ellenica, i rapporti fra la polis,
gli Opici, gli Etruschi, la grande vittoria dei Greci d’Italia e
Sicilia contro gli Etruschi, poi la conquista sannitica e quella
romana».
«Cuma è stata la prima colonia greca in Occidente. I Greci,
infatti, si insediarono prima ad Ischia ma, a causa di problemi
tra cui i terremoti, si dovettero trasferire sulla terraferma a
Cuma. Il tema illustra il più importante insediamento della
Magna Grecia ed il più lontano rispetto a Grecia ed Asia Minore. Cuma era infatti al confine col mondo etrusco-romano
con cui i Greci avevano interessi di contatto» (prof. Attilio
Stazio - Gazzetta del Mezzogiorno)
«Pithecusae e Cuma all’alba della colonizzazione - Le
recenti scoperte archeologiche di Cuma impongono di ripensare il rapporto tra la prima fondazione coloniale greca
d’Occidente e Pithecusae. Il décalage cronologico tra le due
“fondazioni” appare sempe più tenue, e la differenza fra le
due appare sempre più come una diversità di funzioni. D’altro canto anche il rapporto con il mondo indigeno va visto
in una nuova prospettiva, all’interno della quale è possibile
immaginare la precoce istituzione di sodalizi tra élites greche
ed élites locali. Il fenomeno documentato dalle fonti per i
tempi di Aristodemo è probabimente molto più antico (Bruno
d’Agostino)».
La Rassegna d’Ischia 1/2009 51