1 - fisica/mente

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FISICA/MENTE
FISICA/
MENTE
LA RELATIVITÀ DA NEWTON
AD EINSTEIN
L'intera opera è stata pubblicata dall'AIF di Roma nel 1983.
(ricerca storico critica)
Il problema dello spazio, del tempo e del moto dall'affermazione alla crisi
del meccanicismo, attraverso l'elettromagnetismo, l'ottica e
l'elettrodinamica dei corpi in movimento, fino alla teoria della relatività
ristretta.
Roberto Renzetti
"Amo e rispetto i grandi quando lo sono di per sé"
Voltaire
"Niente è così utile come la critica aperta e libera, e lo studioso della scienza
realmente serio e disinteressato sempre la riceve con piacere"
O. Heaviside
A Vittoria, Barbara, Francesca e Alexander
INTRODUZIONE
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Introdurre un lavoro come questo che mi è costato lunghe e piacevoli fatiche e mi ha
insegnato tante cose è difficile per la varietà e complessità degli argomenti che vi sono
trattati.
Poiché l'intero impianto del libro è finalizzato alla ricostruzione storico-critica del
lavoro di Einstein del 1905, "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento", ancora Einstein
può aiutarmi in questa introduzione. Userò alcune frasi della Prefazione alla sua
"Relatività, esposizione divulgativa" che meglio di tutte rendono il mio pensiero.
"L'opera presuppone nel lettore un livello di cultura che corrisponde, pressappoco, a quello
dell'esame di maturità e richiede ... una buona dose di pazienza e di buona volontà.
L'autore ha compiuto ogni sforzo nel tentativo di esporre le idee basilari nella forma più
chiara e più semplice possibile, presentandole, nel complesso, in quell'ordine ed in quella
connessione in cui si sono effettivamente formate. Per raggiungere la massima chiarezza
mi è parso inevitabile ripetermi di frequente, senza avere la minima cura per 1'eleganza
della esposizione".
Sono cosciente dei molti limiti, improprietà ed inesattezze; accetterò con grandissimo
piacere ogni critica, suggerimento, correzione e cercherò di correggere il testo laddove me
ne sia data la possibilità. Vorrei da ultimo ancora avvertire il lettore che questo lavoro è
molto articolato ed a volte sembra perdere di mira il fine annunciato. Anche qui occorrerà
un poco di pazienza e, mi sembra, presto ci si renderà conto che tutto alla fine tornerà nel
bilancio.
Barcellona, marzo 1983
Roberto Renzetti
AVVERTENZA
Prima di affrontare le cose qui scritte è consigliabile leggersi Lo spazio, il tempo ed il
moto da Aristotele a Newton.
CAPITOLO 0
0 - UN CENNO A DESCARTES ED A HUYGENS
DESCARTES (1596 - 1650).
Con il progressivo smantellamento dell'aristotelismo, soprattutto a seguito delle
importanti scoperte nel campo dell'astronomia, della matematica, dell'anatomia e della
meccanica, si sentiva l'esigenza di ricostruire un substrato concettuale, di riferimento, a
tutto quanto di nuovo si veniva affermando. II programma cartesiano per molti versi cercò
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di rispondere a questa esigenza.
La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema
copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse
conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e
quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo
corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in
forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed
il principio d'inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; "Dio è immutabile e, agendo
sempre allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto"). In modo induttivo Descartes
aggiunse via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che
le variazioni sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti
innumerevoli; sono proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse
azioni meccaniche tra i corpi. Conseguenza di ciò è 1'impossibilità di azione a distanza:
ogni azione di un corpo su di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi
impossibile l'esistenza di vuoto (e quindi di atomi). Nell'universo cartesiano c'è il tutto
pieno eternamente in moto: un primo corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne
spinge un terzo e cosi via finché l'ultimo corpuscolo spinto va a spingere il primo che
avevamo preso in considerazione. He consegue una struttura a vortici ohe è alla base
dell'intero universo. Ed anche laddove non vi è materia sensibile vi è 1'etere, elemento
sottile ohe riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente mescolato con tutte le
sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in circolazione i pianeti
intorno al Sole.
I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura
filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. II vuoto è
inammissibile principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla
esistente. Lo spazio per conseguenza non può essere un'entità distinta dalla materia ohe lo
riempie. Spazio e materia non sono altro che la medesima cosa.
HUYGENS (1629-1695).
L'opera di Huygens è sempre stata sottovalutata o comunque non posta ai livelli che gli
competono. Al fine di costruire una linearità di pensiero tra Galileo e Newton questa
impresa di costruzione di una meccanica 'esterna' alla tradizione strettamente
meccanicistica è stata spesso accantonata.
I contributi fondamentali di Huygens furono in Ottica e, appunto, in Meccanica. Mentre
dei lavori di Ottica ci occuperemo brevemente nel paragrafo 6 del cap. IIIº, ora
accenneremo ai suoi contributi nel campo della Meccanica.
In vari lavori che si succedettero dal 1673 fino alla scomparsa del nostro, Huygens si
occupò del centro di oscillazione del pendolo composto (iniziando alla dinamica dei corpi
rigidi ed ai problemi a molti corpi), di problemi d'urto (quantità di moto e sua
conservazione), di forze centrifughe. Nel far questo egli individuò una grandezza, di
grande importanza per gli sviluppi della meccanica (razionale) nel '700, il 'momento di
inerzia' di forze e, fatto ancora più importante, anche se in un caso particolare, affermò la
conservazione dell'energia meccanica. Ma il contributo più interessante fu la revisione del
concetto di spazio che viene facendosi strada nell'intera sua opera (anche quella ottica).
Con Huygens arriva a compimento l'impresa, iniziata da Galileo, di matematizzazione
dello spazio fisico. Non più uno spazio geometrico da una parte contrapposto ad uno
spazio fisico in cui avvengono i fenomeni naturali, ma completa identificazione tra i due.
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Si trattava di intendere i fenomeni naturali come svolgentisi in uno spazio infinito ed
omogeneo che era proprio della geometria Huygens comunque non rimane soddisfatto dal
modo in cui all'epoca venne risolta la questione del moto. Il 'principio di relatività' poneva
il problema di capire qual era lo spazio 'realmente' percorso da un oggetto in moto. Se il
moto è infatti relativo ad un dato sistema di riferimento e se i vari riferimenti possono
essere in moto gli uni rispetto agli altri, come è possibile stabilire lo spazio percorso da un
determinato oggetto? Si pone quindi la questione di un riferimento assoluto che venne
individuato in uno spazio infinito ed immobile (spazio geometrico invadente di sé l'intero
universo). Ma Huygens è restìo ad ammettere spazi, siano essi mobili od immobili: com'è
infatti possibile in uno spazio qualunque, con la caratteristica di essere infinito ed
omogeneo, distinguere luogo da luogo e quindi poter parlare di movimento? Secondo
Huygens se è impossibile determinare un sistema di riferimento assoluto è altrettanto
impossibile parlare di quiete o di moto assoluti. Ha senso parlare di moto solo dando un
riferimento rispetto al quale considerarlo e non esiste alcun riferimento che abbia
caratteristiche di privilegio rispetto a tutti gli altri.
CAPITOLO I
1 - GLI ASPETTI SALIENTI DELLA MECCANICA DI NEWTON
Alla fine del XVII secolo, sull'onda dei lavori di Galileo, una gran messe di risultati
sperimentali e teorici, nel campo della filosofia naturale, era stata raccolta. Ma, intanto, per
le note vicende che riguardarono lo stesso Galileo, l'asse della ricerca fisica si era spostato
verso il Nord dell'Europa: in Francia (con qualche difficoltà), in Olanda, in Prussia (ed altri
stati tedeschi), in Gran Bretagna.
In quest'ultimo Paese, con i lavori di Newton, si realizzò la sintesi di quel filone di
pensiero che, almeno da Copernico, prendeva le mosse. Tutte le innovazioni, le ricerche e
le scoperte, in tutti i campi della ricerca fisica, che in molti anni si erano andate
accumulando, in modo molto spesso frammentario e confuso, trovarono in Newton una
mirabile sistemazione. E non solo: egli dette anche innumerevoli contributi all'analisi,
all'astronomia, all'ottica, alla meccanica, ... , che, oltre ad essere del tutto originali,
risultarono anche fondamentali per lo sviluppo delle ricerche negli anni successivi.
Per molti versi, quindi, Newton rappresenta, appunto, l'apice di un determinato periodo
storico, ma, per molti altri, egli va considerato come il capostipite di una nuova era, nella
quale la scienza classica arrivò a maturazione, cominciando ad esistere indipendentemente
da ipoteche teologico-metafisiche e ad esercitare un'enorme influenza nei più' svariati
campi dell'attività' umana. Ma non basta. Newton intraprese anche una grossa, battaglia,
qualche volta contraddittoria, contro tutti quei filoni di pensiero che avevano una
precostituita concezione del mondo, base di riferimento indipendente da ogni indagine
scientifica. Egli si batté contro ogni costrizione che volesse bloccare lo sviluppo razionale
dell'indagine e del pensiero scientifico, per la libera espressione di ogni attività umana
(certamente in questo avvantaggiato dal clima economico-politico-culturale dell'Inghilterra
del XVII secolo).
Le opere fondamentali di Newton sono:
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1) "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica" , la cui prima edizione è del 1687 (e
successive edizioni nel 1713 e 1726);
2) "Optics" , la cui prima edizione è del 1704.
Noi ci occuperemo principalmente della prima rimandando, per alcuni aspetti della
seconda, al paragrafo 6 del capitolo IIIº.
Galileo ed Huygens avevano sviluppato una meccanica dei corpi sulla superficie della
Terra; 1'opera di Newton se ne differenzia per la generalizzazione del principio d'inerzia,
per l'introduzione del concetto di forza attraverso una definizione, alquanto discutibile, del
concetto di massa e per l'estensione della validità delle leggi meccaniche a tutto l'universo.
Questa ultima estensione è giustificata da Newton con alcuni principi ('Regulae
philosophandi') che, secondo il nostro, debbono essere di fondamento alla ricerca
scientifica:
I) "Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono
vere e bastano a spiegare i fenomeni" (una specie di principio di semplicità e di economia,
di pensiero).
II) "Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali
dello stesso genere" ( ad esempio: luce del fuoco e luce del Sole debbono agire allo stesso
modo).
III) "Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che
appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere
ritenute qualità di tutti i corpi" (principio di induzione. Ad esempio: i corpi gravitano verso
la Terra, il mare gravita verso la Luna, i pianeti gravitano verso il Sole -> tutti i corpi
gravitano l'un l'altro).
IV) "Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni,
devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto
più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più
esatte o vengono assoggettate ad eccezioni".
Come si può vedere, si tratta di una sorta di breviario del metodo scientifico utilizzato da
Newton, cui fa da complemento il ruolo che viene assegnato alle "ipotesi".
A questo proposito dice Newton:
"In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà
della gravità, e non invento ipotesi (Hipotheses non fingo). Qualunque cosa, infatti, non
deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi e ne11a filosofia sperimentale non trovano
posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In
questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per
induzione".
E Newton certamente non cercò spiegazioni della gravità, ma nel contempo (come
vedremo) si servì di ipotesi, ad esempio, per la definizione dello spazio, del tempo e del
moto e per la spiegazione dei fenomeni luminosi. Questa apparente contraddizione si
risolve cercando di dare un senso più preciso al concetto di ipotesi, almeno nel significato
che pare gli abbia voluto attribuire Newton. Egli rifiuta ogni ipotesi che sia fine a se stessa
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e che serva soltanto a dare una spiegazione formale al fenomeno oggetto di studio. Al
contrario egli usa ipotesi ogni volta che esse manifestino la loro fecondità per
comprendere, interpretare, studiare altri fenomeni come punto di partenza, quindi, ed
eventualmente da rimettere in discussione quando la strada aperta da quelle ipotesi
dimostri la sterilità della stessa.
Con questo quadro di riferimento generale, Newton iniziò i suoi lavori di meccanica a
partire dalla definizione di massa [sulle orme di quanto già fatto da G.B. Baliani (l638),
allievo e amico di Galileo, il quale aveva nettamente distinto la massa dal peso ed aveva
stabilito una proporzionalità tra i due].
Secondo Newton:
"La quantità di materia è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità
per il volume". A questa quantità si può dare il nome di massa.
Come si può subito osservare è una definizione circolare che non definisce nulla. Infatti:
cos'è la densità ? Una stessa definizione non può valere contemporaneamente per due
grandezze. Servono definizioni indipendenti. E questo sarà uno degli aspetti sul quale si
appunterà la critica di Mach, come vedremo nel paragrafo 6 del capitolo IV°. In ogni caso
Newton utilizzò sempre in modo corretto (in senso moderno) questo concetto.
Definita la massa il nostro passò a definire la quantità di moto e quindi ad enunciare il
principio d'inerzia nella sua forma dinamica (con l'introduzione della forza in questo
principio si passa dalle formulazioni cinematiche di Galileo e Descartes a quella
dinamica):
"La forza insita (vis insita) della materia è la sua disposizione a resister per cui ciascun
corpo, per quanto sta in esso, persevera, nel suo stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme."
Questa 'vis insita' non differisce dall'inerzia della massa per cui forza insita può essere
chiamata anche forza d'inerzia.
Riguardo poi alla forza come causa del moto, Newton ci dà la seguente definizione:
" Una forza impressa (vis impressa) è un'azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo
stato di quiete o di moto rettilineo uniforme".
Le successive definizioni, dalla quinta all'ottava si occupano della forza centripeta.
Sono queste, per Newton, definizioni necessarie perché nuove. E, sempre secondo
Newton, non è altrettanto necessario definire tempo, spazio, luogo e moto "in quanto
notissimi a tutti" ma, poiché sussistono "vari pregiudizi", "conviene distinguere le
medesime quantità in assolute e relative, vere ed apparenti, matematiche e volgari". E da
queste "distinzioni" nascerà un quadro di riferimento per la fisica (spazio, tempo e moto
assoluti) che, se da una parte resisterà per 200 anni, dall'altra fornirà grossi elementi di
critica nei riguardi della fisica newtoniana.
E queste sono le "distinzioni" di Newton:
"I) Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché
di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo,
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apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per
mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l'ora,
il giorno, il mese, l'anno.
II) Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, rimane
sempre uguale e immobile; lo spazio relativo è una dimensione mobile o misura dello
spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai
corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; ...
III) II luogo è quella parte dello spazio occupata dal corpo, e, a seconda dello spazio cui si
riferisce, può essere assoluto o relativo. ...
IV) II moto assoluto è la traslazione di un corpo da un luogo assoluto in un luogo assoluto,
il relativo da un luogo relativo in un luogo relativo..."
Oltre a ciò Newton aggiunge alcune importanti considerazioni:
" È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa
misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati o ritardati,
ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica, è la durata o la persistenza
delle cose, sia che i moti vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano
annullati; per cui, a buon diritto, questa durata viene distinta dalle sue misure sensibili."
E fin qui per quel che riguarda il tempo assoluto. Riguardo al moto ed alla quiete,
invece:
" Vero è che, in quanto le parti dello spazio non possono essere viste e distinte tra loro
mediante i nostri sensi, usiamo in loro vece le loro misure sensibili. Definiamo, infatti, tutti
i luoghi dalle distanze e dalle posizioni delle cose rispetto ad un qualche corpo, che
assumiamo come immobile; ed in seguito, con riferimento ai luoghi predetti, valutiamo
tutti i moti, in quanto consideriamo i corpi come trasferiti da quei medesimi luoghi in altri.
Cosi, invece dei luoghi e dei moti assoluti usiamo i relativi; né ciò riesce scomodo nelle
cose umane: ma nella filosofia occorre astrarre dai sensi. Potrebbe anche darsi che non vi
sia alcun corpo al quale possano venir riferiti sia i luoghi che i moti. La quiete ed il moto,
assoluti e relativi, si distinguono gli uni dagli altri mediante le loro proprietà, le cause e gli
effetti. La proprietà della quiete è che i corpi veramente in quiete giacciano in quiete fra
loro. Di modo che, per quanto sia possibile che un qualche corpo, nelle regioni delle stelle
fisse, o anche più lontano, sia in quiete assoluta, tuttavia, dalla posizione fra loro dei corpi
nelle nostre regioni, non si può sapere se qualcuno di questi conserva o no una data
posizione rispetto a quel corpo tanto lontano, né si può stabilire la vera quiete dalla
posizione dei corpi fra loro".
La prima cosa da sottolineare è ciò che Newton dice nelle prime righe, cioè che nel
passato si è incorsi in molti errori proprio per voler considerare lo spazio, il tempo ed il
luogo riferiti a cose sensibili (lo spazio come quell'entità compresa da una determinata
sfera, il tempo come qualcosa legato al giorno ed alla notte e comunque a vari fenomeni
periodici, il luogo come una nozione da riferire a particolari caratteristiche fisiche che
differiscono appunto da quelle di un altro luogo).
Con ciò Newton assegna una validità autonoma ai singoli concetti testè citati e, ad
esempio, dà vita propria al tempo assoluto non legandolo, come era stato fatto nel passato,
al movimento (ricordiamo che secondo Aristotele il tempo si desume dal movimento).
Quello che invece noi percepiamo è il tempo relativo,che ha attinenza con fenomeni, per i
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quali è possibile misurare una durata.
Anche per quel che riguarda lo spazio la situazione è analoga: noi percepiamo solo
quello spazio che è oggetto di misure sensibili (spazio relativo) ma non riusciamo a
renderci conto dello spazio assoluto proprio perché esso, essendo omogeneo ed
indifferenziato, non presenta, ad esempio, dei riferimenti dai quali partire per misurarlo.
Definiti così spazio e tempo, discende facilmente la distinzione esistente tra moto
assoluto e moto relativo, il primo essendo la traslazione di un corpo da luogo assoluto a
luogo assoluto, il secondo da luogo relativo a luogo relativo.
C'è subito da osservare: come mai Newton non sceglie il cielo delle stelle fisse come
riferimento assoluto, e si imbarca invece in un'impresa che sarà poi oggetto di aspre
critiche?
Egli era cosciente del fatto che ogni cosa che dovesse avere caratteristiche di
assolutezza, non doveva essere relazionata a cose sensibili ed anche se le stelle fisse
avevano fino ad allora dato grosse garanzie Newton temeva che in futuro non fossero più
in grado di darle (come del resto è poi accaduto. Nel 1718 Halley provò che le stelle 'fisse'
sono dotate di un moto proprio ma solo dopo la morte dello stesso Newton il fatto fu
comunemente accettato).
Newton in definitiva attrezza un possente apparato che ha lo scopo di rispondere ad ogni
obiezione che sorge quando si introducono principio di relatività e principio d'inerzia (o 1ª
legge del moto).
Il principio di relatività di Bruno-Galileo è da Newton così enunciato:
"I moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che quello spazio
giaccia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto circolare"
e non si fa alcuna menzione di quell'equivalenza di tutti i sistemi inerziali che si muovono
di moto uniforme (e rettilineo) gli uni rispetto agli altri.
Per la 1ª legge del moto Newton fornisce invece questa definizione (1'):
"Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che
sia costretto a mutare quello stato da forze impresse". Ebbene, in ambedue questi principi
si ha a che fare con quiete e moto. Ma quiete e moto rispetto a che ? Infatti, se si studia la
posizione ed il moto di un dato oggetto in un dato riferimento, nessuno ci garantisce che
questo riferimento sia in quiete od in moto rettilineo uniforme (principio di relatività).
D'altra parte , come si può parlare, nel principio d'inerzia, di quiete o di moto rettilineo
uniforme se questo moto rettilineo può essere percepito come svolgentesi su una linea
curva da un osservatore che si trova su un altro riferimento ? Poiché un moto che noi
percepiamo come rettilineo può essere percepito in altro modo da un altro osservatore è
allora indispensabile, per la validità del principio d'inerzia, specificare rispetto a quale
riferimento il moto deve essere rettilineo.
Chiunque dirà, a questo punto, che ciò è ovvio perché la Terra non è un sistema
inerziale. E noi non ce ne accorgiamo poiché le durate e quindi le traiettorie in gioco nei
nostri esperimenti sono piccole rispetto alle dimensioni dell'orbita della Terra intorno al
Sole. Allo stesso modo, chi ci garantisce l'«inerzialità» di ogni altro sistema se la leghiamo
solo alla nostra osservazione che, come abbiamo visto, può risultare poco accurata ?
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Inoltre, chi garantisce quella uniformità del moto, annunciata nel principio d'inerzia, se
non abbiamo un criterio assoluto per valutare il modo con cui 'passa' il tempo? Sembra
indispensabile tutto ciò per dare una validità non precaria ad ogni formulazione fisica.
E queste cose dovevano essere ben presenti a Newton quando egli richiedeva un
riferimento assoluto per la validità della legge d'inerzia, allo stesso modo in cui non accetta
quello delle stelle fisse. Ed il riferimento assoluto di Newton diventa il suo spazio assoluto
che tra 1'altro risulta indispensabile per la definizione di uno stato di quiete. Questo spazio
assoluto, in accordo con la concezione che Newton ha della matematica, ed in particolare
della geometria, non può essere altro che l'estrapolazione di quella retta che si ottiene dalla
traiettoria di un oggetto in moto uniforme ed, appunto, rettilineo. E l'estrapolazione allo
spazio della retta in oggetto non è altro che lo spazio euclideo che, nella legge d'inerzia
come formulata da Newton, può per la prima volta uscire dall'angusta condizione terrestre
e diventare lo spazio assoluto (laddove, in Galileo, non c'era identità tra spazio geometrico
e spazio fisico o meglio, tra spazio euclideo e spazio fisico).
La stessa cosa vale per il tempo poiché anche qui è in gioco un aspetto del principio
d'inerzia. Se infatti le misurazioni sensibili che noi facciamo del tempo sono legati a moti
non perfettamente regolari, chi ci garantisce l'uniformità del moto ?
Tornando poi allo spazio assoluto, un'altra questione che si pone è se esiste o meno la
possibilità di distinguerlo da un qualunque altro sistema inerziale.
Nel terzo libro dei Principia, Newton afferma:
"Il centro del sistema del mondo è in quiete. Questo è accordato da tutti, sebbene alcuni
discutano sul fatto se nel centro del sistema siano in quiete la Terra o il Sole"
La conseguenza che Newton ne trae è che: "Il comune centro di gravità della Terra e del
Sole e di tutti i pianeti è in quiete. Infatti il centro ... o è in quiete o si muove
uniformemente in linea, retta. Ma se quel centro si muove sempre, anche il centro del
mondo si muoverà contro 1'ipotesi"
Ed è così che Newton assegna una caratteristica particolare a questo spazio assoluto
distinguendolo dagli altri sistemi inerziali anche se è impossibile pensare ad una qualche
esperienza che accerti la pretesa immobilità del centro del mondo.
Ma c'è un'altra argomentazione alla quale Newton fece riferimento per affermare lo
spazio assoluto: la possibilità di individuare un moto assoluto avrebbe stabilito in modo
incontrovertibile 1'esistenza dello spazio assoluto. Ed egli credette di riuscire in ciò
pensando che fossero le forze centrifughe quelle che ci permettono di determinare un moto
assoluto.
Il famoso argomento della "secchia" è così introdotto da Newton:
" Se si fa girare su se stesso un vaso appeso ad una corda, fino a che la corda a forza di
essere girata non si possa quasi più piegare, e si mette poi in questo vaso dell'acqua e, dopo
aver permesso all'acqua e al vaso di acquistare lo stato di riposo, si lascia che la corda si
srotoli, il vaso acquisterà un moto che durerà molto a lungo; all'inizio la superficie
de11'acqua contenuta nel vaso resterà piana, come era prima che la corda si srotolasse, ma
in seguito, il moto del vaso comunicandosi poco a poco nell'acqua contenuta, quest'acqua
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comincerà a girare, a elevarsi verso i bordi ed a diventare concava, come ho esperimentato;
quindi con l'aumentare del moto il livello dell'acqua crescerà sempre più fino a che,
concludendosi le sue rivoluzioni, in tempi uguali ai tempi impiegati dal vaso per fare un
giro completo, l'acqua sarà in riposo relativo rispetto al vaso."
Schematizziamo l'esperimento di Newton in tre fasi successive e quindi vediamo le
conclusioni che egli ne trae (vedi Figura 0):
Figura 0
in (a) prima fase: quella iniziale, il secchio gira su se stesso mentre l'acqua è ferma
presentando una superficie piana;
in (b) seconda fase: quella intermedia, il secchio gira su se stesso ed anche l'acqua gira
dentro il secchio presentando una superficie concava (paraboloide);
in (c) terza fase: quella finale, il secchio è fermo mentre 1'acqua gira ancora al suo interno
presentando una superficie concava (paraboloide).
Confrontando tra di loro la fase iniziale (a) e quella finale (c) si può osservare che il moto
relativo del secchio e dell'acqua è rimasto immutato mentre ciò che è variato è, secondo
Newton, il moto "vero" dell'acqua.
Confrontando invece la fase (b) con la (c), si può vedere che il moto relativo del secchio e
dell'acqua è mutato mentre ciò che rimane inalterato è, secondo Newton, il moto 'vero'
dell'acqua rilevato appunto dalla curvatura della superficie dell'acqua.
In definitiva il confronto tra (a) e (c) ci permette di dire che il moto rotatorio non è
puramente relativo poiché insorge in (c) un effetto (la curvatura dell'acqua) non presente in
(a).
Questo ragionamento è fortificato dal fatto che l'effetto di curvatura dell'acqua non è da
ascriversi al moto relativo poiché dal confronto tra (b) e (c) si vede che questa curvatura
rimane anche quando c'è una variazione del moto relativo.
In conclusione la curvatura dell'acqua, dovuta all'esistenza di forze impresse
(centrifughe), ci dice, secondo Newton, che questo moto dell'acqua è un moto assoluto e
questo moto è assoluto in riferimento ad uno spazio assoluto.
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Su tutto questo argomentare avrà molto da ridire Mach, come vedremo nel paragrafo 6
del capitolo IVº.
Il lavoro di Newton,nella sua prima parte, prosegue con lo studio del moto dei corpi
soggetti a forze centrali ed in particolare dimostra che, se vale la terza legge di Kepler (il
quadrato del periodo di rotazione di un pianeta intorno al Sole è proporzionale al cubo
della distanza di tale pianeta dal Sole medesimo), le forze centrali debbono risultare
inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze.
Questo risultato verrà ripreso nella terza parte dei Principia (1'') nella quale Newton ai
occupò dell'applicazione ai pianeti delle leggi della meccanica precedentemente trovate,
costruendo il suo sistema del mondo e la famosa legge di gravitazione universale.
Questa legge dice che: due corpi di massa m ed M si attraggono reciprocamente con una
forza F che è proporzionale, secondo una costante G, al prodotto delle masse dei due corpi
ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che, appunto, separa i due corpi.
La G rappresenta la costante gravitazionale (che anni dopo sarà misurata con precisione da
Cavendish).
Fin qui quello che nella formula è scritto. Per noi è però interessante andare a vedere
cosa non è scritto in questa relazione, soprattutto per quanto vedremo a proposito della
teoria di campo e dei lavori di Faraday. L'azione F si esercita tra m ed, M lungo la
congiungente i centri delle due masse; si tratta quindi di un'azione rettilinea. Inoltre essa è
istantanea e a distanza nel senso che non si richiede tempo (che appunto nella relazione
non compare direttamente) affinché due masse si accorgano l'una dell'altra (si noti che
questo tipo di azione tra massa e massa senza alcun intermediario era ostica allo stesso
Newton). Per spiegarci meglio, supponiamo che nell'universo vi sia una sola massa M.
Ebbene, se prendiamo in considerazione una seconda massa m, in questo universo,
ambedue le masse cominceranno ad attrarsi reciprocamente all'istante. Questo fatto, sul
quale torneremo parlando di Faraday, comporta una conseguenza importantissima:
l'esigenza di azioni istantanee implica che ci siano delle entità dotate di una velocità
infinita.
Per quanto riguarda poi il mezzo attraverso cui l'azione si propaga vi sono alcune
considerazioni di Newton relative ad un presunto etere e ad un presunto vuoto che vale la
pena ricordare. Secondo quuel che traspare dalla lettura dell'opera di Newton, egli appare
indeciso e spesso contraddittorio nell'optare per l'etere o per il vuoto. Mentre a volte
sostiene l'esistenza del vuoto (quando ad esempio ipotizza l'esisteva di atomi e quando
osserva che le comete negli spazi non incontrano alcuna resistenza), altre sembra
propendere per 1'etere (quando lo ipotizza nella sua teoria corpuscolare della luce per
permettere la trasmissione dei corpuscoli luminosi).
In definitiva sembra si possa dire che Newton propende per l'etere, almeno per lo spazio
che interessa il nostro sistema solare, mentre non lo pensa esteso all'infinito.
Questo etere poi deve essere una sostanza sottilissima ed elasticissima; esso non deve
avere una struttura continua ma corpuscolare proprio per rendere conto della sua elasticità
che altrimenti non potrebbe esistere.
Con Newton ci fermiamo qui, anche se le cose da dire sarebbero ancora moltissime. Ma
nell'economia di questo lavoro quanto fin qui detto si può ritenere sufficiente. Vedremo nei
prossimi paragrafi l'accoglienza che queste elaborazioni ebbero insieme alle prime critiche
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che su di esse si appuntarono.
2 - LE CRITICHE ALL'OPERA DI NEWTON NELLA PRIMA
METÀ DEL '700
La 1ª edizione dei Principia di Newton (1687) trovò un ambiente scientifico in gran
parte legato alla fisica cartesiana. Mentre alcune università, come ad esempio Cambridge,
ignorarono ufficialmente i Principia per circa 30 anni, altre, come ad esempio Edimburgo,
utilizzarono quasi subito questo testo per gli insegnamenti di matematica, fisica e
geometria. Anche tra gli studiosi, non immediatamente legati al mondo accademico,si
ebbero le medesime reazioni contrastanti, ma l'entusiasmo e l'attivismo dei sostenitori di
Newton, tra cui spicca Samuel Clarke, riuscirono piano piano ad imporre
incondizionatamente la fisica newtoniana in Gran Bretagna. Allo scopo contribuì
certamente anche l'autorevole filosofo J. Locke (1532-1704) che nel suo Saggio
sull'intelligenza umana (1690) si schiererà subito a sostegno delle teorie di Newton contro
la pozione dei cartesiani (laddove, ad esempio, Locke, al contrario di Descartes, ammette
lo spazio vuoto e la non identificabilità di esso con la materia). (2) Certamente più difficile
fu la penetrazione nel continente dell'opera di Newton. Anche qui era la fisica cartesiana
che dominava. Ed in particolare nella Francia, l'accettazione del cartesianesimo da parte
dei potenti gesuiti chiudeva al diffondersi di idee nuove: ci sarebbero voluti anni prima che
l'opera di Newton potesse (non dico 'essere accettata') ma solo essere conosciuta
compiutamente. Oltre alle difficoltà che nascevano dalla preesistente accettazione della
fisica, cartesiana ve ne erano delle altre di natura teologico-metafisica che riguardavano
presunte posizioni atee nell'opera di Newton. Queste accuse che oltre di ateismo erano
anche di 'materialismo' erano principalmente mosse da Leibniz e Berkeley come vedremo
nel prossimo paragrafo. A queste accuse, molto insidiose soprattutto per la futura
accettazione dell'opera da parte di un pubblico sempre più vasto (3), Newton rispose
aggiungendo, nella seconda edizione dei Principia (1713) (4), il famoso Scolio generale. In
esso Newton ha modo di far conoscere , oltre ai limiti del suo metodo di ricerca ("non
invento ipotesi") (5), le sue concezioni teologiche (6). Egli rigettò l'accusa di
meccanicismo imputandola ai cartesiani che abbisognano di Dio solo al momento della
creazione. Nel mondo newtoniano, invece, Dio è sempre presente come regolatore
continuo dei vari fenomeni naturali (e quest'ultima affermazione valga come rifiuto
dell'accusa di ateismo).
Lungi però dal sopire le polemiche, la stesura, dello Scolio ne fece nascere delle altre
soprattutto ad opera di Leibniz (7). Non è però negli scopi di questo lavoro andare a
rivedere tutte queste polemiche (8) ma solo ricercare alcuni contributi utili al tema che ci
siamo proposti: l'articolazione di alcuni lavori, teorici e sperimentali, fino all'affermazione
della Relatività ristretta.
Vedremo nel prossimo paragrafo alcune delle critiche all'opera di Newton.
3 - G.W. LEIBNIZ E G. BERKELEY
La critica di Leibniz (1646 - 1716) a Newton è principalmente centrata sul concetto di
'spazio assoluto'. (9) Dopo aver affermato che "nel mondo persiste sempre la stessa, forza e
la stessa, energia, che solo passa, di materia in materia, conformemente alle leggi della
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natura" (9') e che quindi, è illusorio pensare ad un Dio che interviene sempre nell'universo
come un orologiaio che continuamente mette a punto il suo orologio, Leibniz passa a
rigettare l'idea di uno spazio assoluto indipendente dai corpi in esso contenuti poiché sono
proprio questi ultimi ad individuare, con il loro ordine, lo spazio; e quest'ultimo, lungi
dall'essere assoluto, è meramente relativo, come il moto; esso non avrebbe ragione di
esistere se non vi fossero corpi in un certo ordine [qui si reclama un principio alla base
della filosofia di Leibniz, quello di ragion sufficiente secondo il quale "nulla avviene senza
ragion sufficiente; cioè, nulla avviene senza che , chi conosce le cose, abbia possibilità di
indicare una ragione che basti a determinare perché le cose siano così e non altrimenti "].
Leibniz prosegue affermando l'impossibilità di esistenza del vuoto e quindi di corpuscoli
indivisibili (atomi). È ancora il principio di ragion sufficiente che lo porta a questa
conclusione, poiché:
«Non v'è ragione plausibile che possa limitare la quantità di materia. Perciò tale
limitazione non può aver luogo ... dunque tutto è pieno. Lo stesso ragionamento prova che
non v'è corpuscolo che non possa essere suddiviso " (10),
inoltre Dio può agire solo sulla materia e quindi in nessun modo può ammettersi spazio
vuoto.
E poi, che assurdità lo spazio assoluto indipendente dalla materia ! La sua ammissione
comporterebbe l'esistenza di spazio anche quando non vi fosse materia.
"Cosi la finzione di un universo materiale finito che va passeggiando tutt' intero in uno
spazio vuoto infinito non può essere ammessa ... Infatti, oltre che non v'è spazio reale fuori
dell'universo materiale, una tale ragione sarebbe senza scopo (11); sarebbe un lavorare
senza far nulla, agendo nihil agere non si produrrebbe alcun mutamento osservabile da
chicchessia." (12) Ed "il movimento è indipendente dall'osservazione, ma non è
indipendente dalla osservabilità. Non v'è movimento quando non v'è cangiamento
osservabile. Anzi, quando non v'è cangiamento osservabile non c'è cangiamento affatto".
(13)
Al di là di queste sottili disquisizioni, che mostrano Leibniz ancora legato alla tradizione
aristotelica [per molti versi Leibniz sosterrà in tutta la sua opera la fisica aristotelica], è
interessante andare a vedere una conclusione che Leibniz trae, molto importante
soprattutto per gli sviluppi futuri (nell'800). Nel primo paragrafo abbiamo già visto,
parlando della gravitazione universale, il carattere rettilineo, istantaneo e a distanza di
quella azione. Un qualcosa che agisce senza intermediari. A questo proposito Leibniz
afferma (14):
" È ...soprannaturale che i corpi si attirino da lungi, senza alcun mezzo, e che un corpo si
muova in circolo, senza deviare per la tangente, qualora niente gli impedisca di deviare
così. Infatti, tali effetti non sono spiegabili mediante la natura delle cose." (15)
Quindi Leibniz rifiuta l'azione a distanza ed allo stesso modo le qualità occulte connesse
alla gravitazione (in questo d'accordo con i cartesiani). Se è vero che l'ammissione di
inesistenza di vuoto (16) suggerisce a Leibniz il rifiuto dell'azione a distanza, rimane il
problema di stabilire come si possa trasmettere un' azione da una parte all'altra dello
spazio. E qui Leibniz si schiera apertamente con i cartesiani affermando che le azioni si
trasmettono per contatto da 'materia' a 'materia'. Ma l'unico modo per poter ammettere ciò
era la conseguente ammissione dell'urto tra particelle estese e dure (come faceva
Descartes) e ciò portava Leibniz in un vicolo cieco poiché richiedeva l'ammissione di
atomi (e quindi di vuoto) e comunque, in accordo col meccanicismo di Huygens, di entità
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non compatibili con la teoria delle monadi (17) altrove sviluppata dallo stesso Leibniz .
(18)
Riguardo poi all'esperienza newtoniana della secchia ruotante e quindi al problema dello
spazio assoluto e del moto assoluto in relazione a forze centrifughe, Leibniz, in un primo
momento, ammette:
" Pertanto, io accordo che vi sia una differenza tra un movimento assoluto effettivo d'un
corpo ed un semplice mutamento relativo di posizione, in rapporto ad un altro corpo.
Infatti, quando la causa immediata del cangiamento è nel corpo, esso è effettivamente in
moto; ed allora la situazione degli altri, in rapporto ad esso, è per conseguenza cambiata,
benché, la causa del mutamento non risegga in quelli". (19)
Ed in questo senso Leibniz tentò di togliere le qualità occulte alla forza di gravità,
cercando di ricondurla ad una forza centrifuga (anche ne con molti dubbi) 'della materia
eterea' circostante. Più tardi però, dopo uno scambio di lettere con Huygens, tornò
sull'argomento per affermare che:
" Newton riconosce l'equivalenza delle ipotesi nel caso dei moti rettilinei; ma per i moti
circolari egli crede che lo sforzo compiuto dai corpi rotanti per allontanarsi dal centro o
dall'asse del moto circolare riveli il loro moto assoluto. Io, però, ho ragioni che m'inducono
a credere che niente rompa la legge generale della equivalenza" (20).
Ed alla fine Leibniz optò, con delle motivazioni sulla natura dei corpi che non ci sono
pervenute, per l'assoluta equivalenza del moto circolare e di quello rettilineo uniforme
affermando che tutti i sistemi di riferimento debbono essere trattati come equivalenti. (21)
Fin qui Leibniz in relazione alle problematiche che ci interessano. Resta solo da
osservare che, paradossalmente, saranno i seguaci di Newton a dover lottare per mantenere
la presenza di Dio nel mondo, contro il 'meccanicismo' leibniziano. (22)
Altre critiche, per molti versi simili ma per molti di natura completamente differente,
vennero rivolte ai lavori di Newton dal vescovo anglicano G. Berkeley (l685 - 1753).
Anche egli muove i suoi attacchi spinto sopratutto dal timore del dilagare di materialismo
ed ateismo, insiti, a suo giudizio, nel meccanicismo, a seguito della diffusione dell'opera di
Newton. (22')
Il motivo conduttore delle speculazioni di Berkeley sarà l' esse est percipi : una realtà
non percepibile non è pensabile perché le cose esistono solo in quanto percepite. E così
non ha senso parlare di infinitamente grande come di infinitamente piccolo poiché queste
due entità, sfuggono ai nostri sensi. Naturalmente viene negato lo spazio assoluto ["infinto,
immobile, indivisibile, insensibile, senza relazione e senza distinzione. Poiché tutti i suoi
attributi sono privativi o negativi, sembra essere un puro nulla ..."]; per Berkeley lo spazio
è inseparabile dai corpi e dal movimento ["..non possiamo formarci un'idea dello spazio
puro prescindendo dai corpi... E nella proporzione della minore o maggiore resistenza al
movimento dirò che lo spazio è più o meno puro. Quando parlo di uno spazio vuoto o puro,
non si può supporre che la parola spazio rappresenti un'idea distinta da corpo e
movimento." ] esso è meramente relativo [ "il moto senza spazio non si può concepire. Ma
nondimeno, se guardiamo la cosa con animo attento, sarà chiaro ...che quello che si
concepisce è lo spazio relativo ... Del resto, ogni luogo è relativo, come anche ogni moto ...
E poiché il moto è di sua natura relativo, esso non potette concepirsi prima che si dessero
corpi in relazione tra loro ... Nessun moto si può distinguere, o misurare, se non per mezzo
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delle cose sensibili. Quindi, poiché lo spazio assoluto in nessun modo consta ai sensi, per
necessità è esso è interamente inutile per distinguere i moti."]. Naturalmente viene negato,
con analoghe argomentazioni anche il tempo assoluto [ "il tempo è una serie d'idee
succedentisi l'una all'altra.... Il tempo è una sensazione, quindi è solo nella mente."] gli
atomi ed il vuoto [non sono percepibili, come del resto tutti gli altri concetti già negati].
Portando alle sue estreme conseguenze l'esse est percipi, Berkeley arrivò a sferrare un
duro attacco all'aritmetica, alla geometria e, soprattutto, all'analisi infinitesimale:
" le teorie aritmetiche, se si limitano ai numeri ed alle cifre e prescindono da ogni uso
pratico e dalle cose numerate o contate, può dirsi che mancano di oggetto. Da cui vediamo
che la scienza dei numeri viene interamente subordinata alle cose pratiche, e quanto vuota
e triviale risulta se la si prende come materia di mera speculazione ... "
" la nozione di infinita divisibilità della materia finita è l'origine di quei curiosi paradossi
che così chiaramente ripugnano il senso comune e che con tanta difficoltà ammette
l'intelligenza non viziata dalla disciplina dell'istruzione ... Se riusciamo a far comprendere
che una estensione finita non può contenere un infinito numero di parti, ossia, che non è
infinitamente divisibile, avremo sbarazzato la geometria di grandi difficoltà e
contraddizioni che sono state un rimprovero alla ragione umana. ... "
" Anche quando alcune delle più sottili ed intricate speculazioni matematiche venissero a
mancare, non vedo che pregiudizio potrebbe arrecare questo fatto al genere umano. Al
contrario sarebbe molto auspicabile che gli uomini di talento privilegiato e di assidua
laboriosità la smettessero di impegnare i loro pensieri in futilità di questa indole, per
impegnarsi totalmente nello studio di cose più reali e di applicazione più immediata per
migliorare la vita o i costumi."
Anche i numeri irrazionali quindi vengono negati e, con essi, i nefasti teoremi, come
quello di Pitagora, che portano ad essi.
Secondo il nostro l'uomo possiede la ragione per conoscere il mondo in modo più nobile
di quello quantitativo e cioè quello qualitativo (con buona pace di Galileo e di quanti
finirono sul rogo per affermare un principio di conoscenza che si affrancasse
dall'aristotelismo).
Su questa strada si arriva facilmente ad ammettere (23) che suoni, odori e sapori hanno
un'esistenza reale solo nella nostra mente. Allo stesso modo per il caldo, per il freddo e per
la luce. E questo per quel che riguarda quelle che, con terminologia che dovrebbe apparire
vecchia, sono considerate qualità secondarie .
Per le qualità primarie, anche se il discorso risulta a Berkeley più facile (essendo egli un
convinto relativista), valgono le stesse cose: la grandezza di un oggetto è determinata dalla
sua distanza dall'osservatore (24) anche se quell' oggetto noi lo percepiamo solo per le sue
qualità secondarie: colore, calore, suono, luce, ... Ed allora anche le case, i fiumi, i mari, i
monti non hanno un'esistenza indipendente dal loro essere percepiti ed in definitiva dal
nostro spirito. Ma, esistono altri spiriti indipendenti dal nostro ? Coerenza vorrebbe che ,
poiché noi percepiamo solo le loro qualità secondarie, essi non avessero una esistenza
oggettiva, o meglio assoluta. Invece Berkeley li ammette per sfuggire al paradosso
'dell'intermittenza del mondo' che esiste o meno a seconda che lo guardiamo o siamo ad
occhi chiusi: la continuità dell'esistenza del mondo è garantita dalla percezione che altri ne
hanno.
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Alla fine del suo argomentare, Berkeley arriva alla conclusione che a lui interessa: "Non
esiste altra sostanza, fuorché lo spirito, ossia ciò che percepisce ... È quindi evidente che
non può esistere una sostanza che non pensi" (25) cioè la materia.
Fin qui lo sfondo filosofico sul quale Berkeley costruisce i suoi ragionamenti, per altro
molto importanti, contro lo spazio, il tempo ed il moto assoluti della fisica di Newton.
Passiamo ora ad esaminare quanto Berkeley afferma in proposito: (26)
"Le cose più semplici del mondo, quelle che conosciamo più intimamente e perfettamente,
appaiono straordinariamente difficili ed incomprensibili quando vengono considerate in
modo astratto" (27) e cosi è per il tempo, lo spazio, il moto. "Per conto mio, tutte le volte
che tento di formare un'idea semplice del tempo astratto dalla successione d'idee nella mia
mente, di un tempo che scorrerebbe uniformemente ed al quale parteciperebbero tutti gli
esseri, mi perdo e mi involgo in difficoltà inestricabili. Io non ho nessuna nozione di
esso ..." (27) E cosi il tempo, che noi percepiamo intuitivamente dal succederai di idee
nella nostra mente, quando lo si fa diventare tempo assoluto, che scorre, appunto,
uniformemente ed allo stesso modo per tutti, non si riesce più a comprendere.
Andando avanti nelle sue speculazioni, Berkeley si sofferma sulla troppa importanza che
siamo portati a dare all' «analogia». Molto spesso l'uso di analogie può portarci a degli
errori come, secondo Berkeley, nel caso della gravitazione (da lui ritenuta una qualità
occulta):
"Nella questione della gravitazione o attrazione reciproca, siccome essa appare in molti
casi, alcuni sono proclivi a dirla senz'altro universale... È invece evidente che le stelle fisse
non hanno nessuna tendenza di questo genere le une verso le altre, e la gravitazione è tanto
lontana dall'essere essenziale ai corpi che in certi casi sembra manifestarsi un principio
decisamente contrario come nel crescere perpendicolare delle piante e nella elasticità
dell'aria. Non c'è nulla di necessario o di essenziale in questo fenomeno, che dipende
invece interamente dalla volontà dello spirito governatore, che fa si che certi corpi
aderiscano gli uni agli altri o tendano gli uni verso gli altri in conformità a varie leggi,
mentre ne tiene altri a distanza fissa e dà ad alcuni la tendenza del tutto opposta a separarsi
violentemente gli uni dagli altri ...» (28).
Quindi nessuna regola ma capricci dello "spirito governatore". La percezione della
distanza relativa costante fra le stelle gioca brutti scherzi al nostro, il quale, per altro, cade
in un errore analogo a quello che vuol combattere quando mette in un unico calderone
gravitazione universale, crescita delle piante ed elasticità dell'aria.. Ed in ogni caso,
volendo far ricorso alla logica, che pare tanto cara a Berkeley, sarebbe stato più
conseguente ammettere la gravitazione in determinati fenomeni e sospendere il giudizio su
altri (a meno di non avere un'altra ipotesi di lavoro da formulare - cosa che, evidentemente,
non rientrava nei metodi di lavoro di Berkeley). (29)
E veniamo ora al moto assoluto sul quale Berkeley si dilunga di più e ci fornisce
interessanti argomenti di discussione in gran parte ripresi alla fine dell' 800, da Mach. Si
tratta qui di ridiscutere, a partire da qualche premessa , l'esperimento della secchia di
Newton che, appunto, aveva fornito a quest'ultimo argomenti per affermare l'esistenza del
moto assoluto. Dice Berkeley:
" Ma nonostante [la spiegazione che Newton dà del moto assoluto], devo confessare che
non mi sembra, che ci possa essere altro moto che quello relativo: cosicché per concepire il
movimento devono venir concepiti almeno due corpi che variano di distanza o posizione
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l'uno rispetto all'altro. Quindi, se non esistesse altro che un corpo, esso non potrebbe venir
mosso. Questo mi sembra evidentissimo perché l'idea che ho di movimento coinvolge
necessariamente una relazione". (30)
Quindi Berkeley afferma l'impossibilità di esistenza di moto assoluto il quale, nel caso
in qualche luogo si realizzasse, dovrebbe venir percepito in sé, senza alcuna relazione con
qualsiasi altra cosa. Ma, osserva Berkeley, se si ha l'impossibilità di porre in relazione un
corpo che si muove con qualcosa d'altro (rispetto a cui considerare il movimento) è
meramente illusorio pensare di parlare non solo di moto assoluto, ma anche di moto. Se, in
definitiva, nell'universo esistesse un solo corpo, di esso non si potrebbe in alcun modo dire
che è fermo o in moto, poiché, non abbiamo nulla rispetto a cui riferire il movimento.
Questa argomentazione, senza dubbio molto sottile, deve essere molto cara a Berkeley
perché egli vi ritorna ancora:
" Se supponiamo che tutti gli altri corpi fossero annientati ed esistesse soltanto un globo, in
esso non potrebbe venir pensato alcun movimento; perché è necessario un altro corpo
rispetto alla posizione del quale il movimento deve essere determinato. La verità di questa
opinione diverrà estremamente chiara se porteremo a compimento il supposto
annientamento di tutti i corpi, i nostri e quelli degli altri, eccetto il globo solitario." (31)
E fin qui niente di nuovo rispetto a quanto visto prima, ma ora Berkeley aggiunge
dell'altro:
" Si considerino poi come esistenti due globi e null 'altro al di fuori di essi. Si pensino
quindi le forze applicate in un qualche modo; qualunque cosa si possa pensare, non
potremo concepre con l'immaginazione un moto circolare dei due globi intorno ad un
centro comune. Si supponga infine che il cielo delle stelle fisse sia creato: immediatamente
dal concetto di avvicinamento dei globi alle differenti parti del cielo scaturirà il concetto di
movimento." (31)
Quindi, se si hanno a disposizione due corpi, è assurdo pensare di poter riconoscere un
movimento di questa coppia intorno al proprio centro di massa. Con questa
argomentazione Berkeley estende quanto visto prima per i moti rettilinei anche ai moti
circolari: è sempre un riferimento, rispetto al quale si vedono mutare le distanze relative
dei due corpi in rotazione intorno al proprio centro di massa, che ci permette di percepire il
moto. E questo riferimento è per Berkeley il cielo della stelle fisse. Abbiamo già visto che
questo problema si era posto anche a Newton (32) ed egli aveva optato per lo spazio
assoluto, anziché per le stelle fisse, per non affidare la sua meccanica a qualcosa di
provvisorio che, un giorno, come per la Terra in moto intorno al Sole, si sarebbe potuto
manifestare non fisso. (33) Tenendo comunque conto del dato incontrovertibile della
necessità di un riferimento per percepire il moto, non è che la meccanica newtoniana perda
di significato, infatti, riguardo al principio d'inerzia, come lo stesso Berkeley ammette, se
invece di riferire la prosecuzione del moto allo " spazio assoluto, noi lo commisuriamo alla
posizione del corpo rispetto al cielo delle stelle fisse" (34) esso non cessa di valere.
E quindi Berkeley, con argomentazioni molto stringenti, passa dal moto rettilineo al
moto circolare, arrivando infine a negare ogni peculiarità a quest'ultimo, affermando che:
"... il moto del sasso in una fionda o quello dell'acqua in un secchio in veloce rotazione non
può propriamente essere considerato un moto circolare ... da coloro che definirono [il
moto] ricorrendo allo spazio assoluto ... " (35)
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Ed ecco che siamo arrivati al nocciolo della questione cioè all'esperienza della secchia di
Newton. (36) In proposito Berkeley dapprima anticipa che:
"Se esploriamo a fondo le nostre concezioni credo che troveremo che ogni moto assoluto
di cui possiamo formarci un'idea, non è in fondo altro che un moto relativo [riferito al cielo
delle stelle fisse] ...Infatti, come ha già detto, un movimento assoluto che escluda ogni
relazione esterna è incomprensibile; e se non mi sbaglio, si troverà che con questa specie di
moto relativo si accordano tutte le proprietà, le cause e gli effetti che vengono attribuiti al
moto assoluto... "(37)
e quindi, entrando in argomento, afferma:
" Quanto a ciò che si dice della forza centrifuga, che essa non appartenga affatto ai moti
circolari relativi, io non vedo come questo consegua dall'esperimento che si porta in campo
[nei Principia] per dimostrarlo ... L'acqua nel vaso, al momento in cui si dice che abbia il
massimo moto circolare e relativo, non ha, penso, nessun movimento ..." (37)
E qui Berkeley arriva a spiegare perché l'acqua della secchia di Newton, al momento in
cui ha la massima curvatura (dovuta al massimo di moto circolare relativo), non ha in
realtà nessun movimento:
" Infatti, per dire che un corpo 'è in movimento', si richiede in primo luogo (38) che esso
cambi la sua distanza o posizione rispetto a qualche altro corpo; in secondo luogo (38) che
ad esso venga impressa una forza che produce questo cambiamento. Se manca l'una o
l'altra di queste condizioni, non credo che si possa dire che un corpo è in movimento ...
" (39)
E queste affermazioni hanno un qualche interesse poiché, secondo Berkeley, per
percepire un moto non basta solo osservare un cambiamento relativo di posizione ma
occorre che vi sia una qualche forza impressa al corpo che si muove. Egli, più oltre,
ammette però che è possibile che la nostra mente creda che un corpo si muove solo perché
lo vediamo cambiare posizione rispetto ad un altro; ma questo avviene per il fatto che nel
vedere il supposto moto immaginiamo che ci sia stata una qualche forza che ha originato
quel movimento. E questo fatto, secondo Berkeley, prova non già la realtà del supposto
moto (che egli chiama apparente), ma l'erroneità del nostro vedere e spiegare la situazione.
Allo stesso modo, prosegue Berkeley più oltre (riprendendo un argomento a lui caro), se
immaginiamo un solo oggetto esistente potrei convincermi del suo essere in moto, anche se
non posso rilevare cambiamenti di posizione rispetto ad alcunché (40) solo se, quelli che
vogliono convincermi di questo moto "intendono soltanto dire che questo corpo unico può
avere una forza impressa che produrrebbe un movimento di una certa forza ed in una certa
direzione non appena fossero creati altri corpi." (41) Ed in definitiva, comunque si guardi
la questione, per avere moto servono contemporaneamente le due condizioni viste prima:
cambiamento di distanza relativa e forza impressa. (42)
Quanto Berkeley sostiene si può ben riassumere con D'Agostino: (43)
" Newton: Se il sistema ruota (A) rispetto allo spazio assoluto (B) vi sono forze insite (C).
Berkeley: Affinché l'argomento abbia consistenza logica l'affermazione (A) deve essere
indipendente da (C). L'affermazione (A) non può essere indipendente da (C), se vi sono
soltanto il secchio e l'acqua. In tale caso, cioè della sola esistenza del secchio e dell'acqua,
non si può dire se ruota il secchio o ruota l' acqua, perché qualsiasi moto è sempre relativo
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a qualche altro corpo. L'argomento newtoniano è allora inconcludente."
E questa inconcludenza nasce dal fatto che l'argomento newtoniano non è altro che "una
petizione di principio; si deve postulare lo spazio assoluto prima di mostrare che la
rotazione avviene rispetto allo spazio assoluto. "(44)
Ed allora Berkeley può facilmente concludere:
"Da ciò che si è detto consegue che la concezione scientifica del movimento non implica
l'esistenza di uno spazio assoluto, diverso da quello che viene percepito col senso e riferito
ai corpi." (45)
Del resto anche altre considerazioni relative all' 'esse est percipi' portavano Berkeley a
negare un tale spazio. Ed infatti egli cosi prosegue:
"Che un tale spazio non possa esistere senza la mente è chiaro per gli stessi principi che
dimostrano la stessa cosa per tutti gli altri oggetti del senso." (45)
Ed in altra parte:
"Riguardo allo spazio assoluto, questo fantasma dei filosofi meccanici e geometri, basta
osservare che non è né percepito dai sensi, né dimostrato dalla ragione." (46)
E con ciò si può ritenere conclusa la parte centrale delle critiche, come si vede molto
importanti, che Berkeley. rivolge alla fisica newtoniana. Certo egli avrà da criticare anche
altri concetti discussi e trattati da Newton, come quelli di gravità (già ricordato) e forza
[dirà Berkeley: "la forza ... è una qualità occulta". E più avanti: " Bisogna confessare che
nessuna forza è sentita per sé immediatamente, né si conosce e si misura altrimenti che per
il suo effetto...". Ed infine: "In realtà non c'è altro agente o causa efficiente oltre lo
spirito..."], ma entrare in dettagli su queste questioni esula dai nostri scopi.
Rimane solo da dire che, nonostante gli attacchi molto duri che Berkeley gli porta, egli
stesso riconoscerà che la teoria di Newton conduce a dei risultati corretti (47) (che sono poi
quelli dimostrati mediante esperimenti) anche se sono completamente false "le ipotesi
matematiche" (spazio assoluto, tempo assoluto, moto assoluto, forza, gravità, ... ) da cui
sono stati ricavati o che ne discendono come supposta conseguenza; comunque, queste
"ipotesi" possono venire usate quando sono utili ai fini del ragionamento o per il calcolo
dei moti (forza, gravità), ma debbono venire decisamente respinte quando, oltre a tutto
quello che è stato detto, sono per di più inutili (lo spazio assoluto che può essere sostituito
dalle stelle fisse). (48)
Con quanto abbiamo detto su Leibniz e Berkeley ci siamo soffermati sulla parte più
consistente delle critiche che furono rivolte all'opera di Newton, immediatamente dopo il
suo apparire. Sullo sviluppo ulteriore della critica a Newton ci occuperemo più oltre; ora
resta da osservare che l' insieme di queste critiche, anche se molto spesso avevano una
notevole consistenza, erano mosse principalmente , come abbiamo già. detto, per
combattere il supposto materialismo insito, secondo i suoi detrattori, nel meccanicismo
newtoniano. Quello che Newton (o chi per lui) farà, sarà di rispondere alle accuse di
materialismo (senza entrare in troppi dettagli sui contenuti specifici) essenzialmente
rigettandole e considerando gli argomenti di Leibniz e Berkeley alla stessa stregua di quelli
portati dai cartesiani. Secondo i sostenitori di Newton il meccanicismo è di Descartes (o di
Huygens) e le ipotesi non sono inventate dal loro maestro ma da chi si ostina a parlare di
vortici (per altro non funzionanti, come fu mostrato dallo stesso Newton), a negare il
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vuoto, a parlare di materia eh. riempirebbe tutto lo spazio (materia infinita), ad ammettere
la materia come necessaria (il mondo esiste là dove c'è materia). Questo si che è
meccanicismo, questo si che è materialismo che porta direttamente all'ateismo; sono i
meccanicisti come Descartes, Huygens, Leibniz e Berkeley che vogliono l'universo
autosufficiente escludendone Dio. (49)
Ho voluto, prima di passare ad altro argomento, portare un barlume dell'enorme
controversia di carattere metafisico che vi fu, per far intendere, seppur lontanamente, quali
erano i contendenti.
Essenzialmente tre scuole lottavano per affermare le loro teorie: quella cartesiana, quella
newtoniana e quella leibniziana e, come afferma Elkanà: "Tutte e tre lasciarono un marchio
indelebile sugli sviluppi della scienza nell'Ottocento ed anche nel Novecento; ciascuna di
esse ebbe a volte il sopravvento nei lunghi dialoghi critici intercorsi tra loro. Il
newtonianesimo è il paradigma del successo espresso in risultati scientifici positivi.
L'atteggiamento positivistico non trovò un posto nella storia della scienza né ai cartesiani
né ai leibniziani. L'antitesi tra 'newtoniani' ed 'antinewtoniani' corrisponde perciò,
sufficientemente alla realtà solo se giudichiamo lo svilippo della scienza presupponendo
che essa cresca per accumulazione. Se consideriamo invece lo sviluppo della conoscenza
come il risultato di un dialogo tra programmi di ricerca in concorrenza fra loro, dobbiamo
pensare tenendo conto almeno delle tre tradizioni menzionate sopra." (50)
NOTE
(0) Non ci soffermeremo in questa sede sui fondamentali contributi di Galileo. Tali
contributi sono stati ampiamente discussi nel 1º volume sulla Relatività (quella classica, da
Aristotele a Newton).
(1) Occorre notare che le 'Regulae philosophandi' sono inserite all'inizio della terza parte
dei Principia, anche se informano l'intera opera di Newton. Allo stesso modo, il ruolo delle
ipotesi è discusso dal NoStro nello "Scolio generale", aggiunto come epilogo al suo lavoro
nella seconda edizione di esso (per rispondere, come vedremo, alle accuse di ateismo che
da più parti gli venivano mosse).
C'è infine da notare che la sperimentazione meccanica di Newton, al contrario di quella
ottica, fu molto limitata. Egli coordinò mirabilmente, generalizzando ed assiomatizzando,
leggi già conosciute in casi particolari.
Ricordo che varie cose qui sostenute sono state da me già scritte nell'altro mio lavoro sulla
Relatività (cui già ho accennato) riportato in Bibl. 3.
Da ultimo, tutte le citazioni riportate in questo paragrafo e senza diversa specificazione
sono tratte dall'Opera di Newton (si veda Bibl. 4).
CAPITOLO II°
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1 - IL MECCANICISMO NELLA SECONDA META' DEL '700
I primi anni del '700, abbiamo già detto, videro un'aspra lotta negli ambienti scientificofilosofici per l'affermazione di un programma di ricerca su di un altro. Questa lotta si
accompagnava ad un'altra lotta, ancora più dura, che ormai da anni si portava avanti per la
gestione del potere politico-economico da parte della nuova classe emergente: la
borghesia. Il cambiamento del modo di produzione (dall'economia feudale a quella
capitalistica) che si era avuto nel secolo precedente, insieme alla rivoluzione agricola della
metà del '700, soprattutto in Gran Bretagna, nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi,
aveva comportato l'affermarsi della nuova classe che disponeva ora di ingenti capitali (52).
La produzione di molte merci e la conseguente necessità di maggiori scambi rendeva la
borghesia insofferente ai condizionamenti del potere politico ed alle chiusure doganali. Si
richiedeva un cambiamento radicale di indirizzo politico, la rottura di vecchi schemi, che
vedevano ancora i proprietari terrieri (la nobiltà sostenuta dal clero ed il clero medesimo)
come detentori del potere, il passaggio dalle chiusure nazionali al liberalismo economico
(53). In campo nazionale occorreva creare nuovi bisogni, in campo internazionale
occorreva aprirsi nuovi mercati di sbocco (colonialismo). Queste aspirazioni si erano
realizzate in Gran Bretagna già dalla seconda metà del secolo precedente ed in modo
abbastanza indolore. La rivoluzione borghese (54) era stata pacifica in quel paese, la
monarchia non aveva più il potere assoluto, un regime parlamentare, dominato dall'alta
borghesia (banchieri, industriali, compagnie coloniali, ...), si era sostituito ad essa nel
governo dello stato.
La Francia invece restava dominata da una monarchia assoluta (sostenuta saldamente dal
clero) ed era dilaniata ed impoverita da continue guerre. In questo paese i contrasti tra i
detentori del potere e la borghesia si accentuarono per tutto il secolo fino a sfociare nella
Rivoluzione del 1789.
E la scienza non era immune dalle influenze di questa situazione. Durante la prima metà
del secolo vi fu un notevole calo di sforzi e di interesse nella scienza pura ed applicata;
questo periodo, al confronto con quelli immediatamente precedente e seguente, risultò
particolarmente sterile. Fu proprio la ripresa della borghesia, dopo la stasi che si ebbe agli
inizi del '700 in seguito a grossi crolli economici e successive risistemazioni sia in campo
agricolo che industriale, che ridette, a partire dalla metà del secolo, nuovo slancio alla
ricerca scientifica. Nel periodo che va dalla fine del '600 alla metà del '700, la scienza visse
di rendita, organizzando, sistemando ed elaborando quanto era stato precedentemente
sviluppato, senza avere alcun legame con il mondo della produzione (al contrario di quanto
era accaduto nel secolo precedente in cui qualche legame vi era pur stato). In questo senso
Newton fu una miniera inesauribile cui attingere ma, per altri versi, la sua grandezza
risultò un 'handicap': il suo sistema risultava cosi apparentemente perfetto da scoraggiare i
più a criticarlo ed a superarlo (i progressi che nella ricerca si fecero durante il '700 furono
in gran parte in settori che Newton aveva appena toccato o non aveva trattato per niente). Il
successivo balzo in avanti della borghesia dette nuovo slancio alla ricerca scientifica che,
viste le peculiari situazioni politico-economiche, particolarmente della Gran Bretagna in
confronto al continente, si sviluppò su strade e metodologie di carattere nazionale.
In Inghilterra presto si impose la fisica newtoniana che, in connessione con la filosofia
di Locke, rappresentò un notevole avanzamento rispetto al razionalismo cartesiano e all'
induttivismo baconiano. L'esigenza costante era quella di fondare ogni conoscenza
scientifica su una solida base sperimentale ed i filosofi naturali a questo si dedicarono
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tralasciando per lungo tempo ogni aspetto immediatamente applicativo della ricerca
scientifica (56). In ogni caso l'attività pratica dell'uomo veniva tenuta in grande
considerazione, fatto che è proprio dell'ideologia borghese. Ci si liberò subito dei residui
metafisici presenti nell'opera di Newton del quale si prende a modello essenzialmente
l'"Optics" per lo sviluppo di modelli meccanici basati su corpuscoli o su fluidi meccanici.
Il processo di 'laicizzazione' della scienza si portava a compimento con la scomparsa di
Dio dalla spiegazione dei fatti naturali.
Ben diversa è la situazione nel resto dell'Europa continentale.
In Francia i filosofi naturali si occupavano essenzialmente di scienza pura. Soprattutto
nella prima metà del secolo, l'eredità del razionalismo cartesiano, faceva discutere della
concezione del mondo, delle dottrine della Chiesa e della struttura dello stato. Nel clima
politico che ho precedentemente delineato ed in questa prospettiva culturale si inseriva la
diffusione dell'Illuminismo.
2 - L'ILLUMINISMO
Il movimento culturale che prende il nome di Illuminismo nacque in Inghilterra ed ebbe
i suoi maggiori sviluppi in Francia, nazione che contribuì grandemente alla sua diffusione
nel resto d'Europa.
L'Illuminismo, che si ispira alla filosofia di Newton e di Locke e che ha nel primo un
riferimento costante come rappresentante della ragione scientifica (osservazioni
sperimentali e conseguenti elaborazioni teoriche, con la matematica, delle medesime)
contro ogni metafisica, si svolse essenzialmente su tre grandi linee-guida:
1) La ragione è in grado di spiegare tutti i più grandi problemi dell'uomo. Lo spirito
scientifico ha il primato su ogni forma di oscurantismo.
2) L'uomo 'illuminato' ha il dovere di difendere la cultura. Occorre che i filosofi naturali,
essi stessi, facciano i divulgatori dello spirito scientifico. L'operazione di divulgazione
porta con sé il superamento delle vecchie credenze che sono ancora alla base della
diffusione, e quindi del potere,della religione. (57)
3) La condizione umana può essere radicalmente migliorata proprio dall'abbattimento di
miti, pregiudizi, superstizioni. L'uomo che si è impadronito dello spirito scientifico può
progredire.
Questa grande fiducia nelle possibilità, dell'uomo nasceva certamente dai grandi
successi che, nel secolo precedente, la filosofia naturale aveva conseguito. Ed il massimo
sintetizzatore di quei successi e di quella filosofia naturale era proprio Newton che ora si
ergeva a modello da imitare.
Con l'uso dei metodi scientifici indicati da Newton sarebbe stato possibile sbarazzarsi
dei residui scolastici e metafisici presenti in Descartes ed in Leibniz. D'altra parte le
filosofie cartesiana e leibniziana rispondevano bene agli interessi di chi manteneva vecchi
privilegi e pertanto, da questi ultimi, erano state accettate e rese funzionali al loro sistema
di potere. La lotta quindi contro il cartesianesimo ed il leibnizianesimo, per l'affermazione
della filosofia di Newton, aveva in sé una grande carica rivoluzionaria e si configurava
come lotta di potere con l’illusione che, di per sé, l'affermazione del newtonianesimo
avrebbe comportato quella di nuove classi sociali (la borghesia).(58)
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Fu certamente il grande impegno di un uomo come Voltaire (1694-1778) che riuscì a far
conoscere (59) al grande pubblico francese l’opera di Newton.(60)
Furono poi i lavori di Condillac, Helvetius, Diderot, D’Alembert e molti altri fino a
Laplace (61) che imposero la filosofia di Newton nel continente. Ma questo passaggio
dall’Inghilterra al resto d’Europa avverrà con notevoli cambiamenti della stessa. Pur
mantenendo formalmente l’azione a distanza si introdurranno modelli fluidistici (calore,
elettricità, magnetismo) che di fatto hanno bisogno di una trattazione ‘a contatto’; le forze,
che nonostante tutto risultano oscure e vaghe, non sono più considerate come cause di
accelerazioni ma come ‘semplici variabili delle equazioni differenziali che ne formulano le
condizioni di equilibrio e di conservazione’ (62); l’etere, che per Newton assolveva un
ruolo importante, viene piano piano accantonato; lo spazio ed il tempo perdono il loro
ruolo centrale diventando meri elementi di calcolo; le equazioni del moto si vanno sempre
più configurando come ristrutturazione e non come ampliamento delle premesse
newtoniane; Dio scompare nella spiegazione e nel sostegno del mondo. (63)
Dunque il movimento illuminista, in Francia, si staccò sempre più radicalmente dal
razionalismo aprioristico di tipo cartesiano per abbracciare un nuovo tipo di razionalismo
fondato su fatti empirici (64). In definitiva si lavora sempre più per risolvere problemi
concreti piuttosto che occuparsi di concezioni del mondo. Le questioni tecniche, nel secolo
precedente affidate in gran parte alla pratica del lavoro artigianale, vengono sempre più
sottomesse a trattamento teorico e questo fatto comporterà un progressivo avvicinamento
tra scienza e tecnica (anche se per tutto il XVIII secolo almeno, sarà la tecnica ad avere il
primato delle conquiste più originali e feconde). Anche qui con i dovuti distinguo. Mentre
infatti in Inghilterra, ancora per lungo tempo,il fatto tecnico potrà evolversi
autonomamente e con grande e riconosciuta dignità come conseguenza della scelta, fatta
dalla cultura inglese, di prendere a modello lo sperimentalismo del’”0ptics” di Newton per
avvicinarsi alla comprensione dei fenomeni, ben altrimenti le cose si svolgeranno in
Francia. In questo paese il modello metodologico cui i filosofi della natura si ispirano è
quello matematico dei “Principia” e, non a caso proprio in Francia, la Meccanica diventerà
Meccanica Razionale, Meccanica cioè che partendo dal fatto concreto, nel suo svolgersi,
sempre più perde di vista il punto di partenza per passare ad elaborazioni in cui la
matematica assume un ruolo determinante e che sempre di più usa di metodi propri della
matematica stessa. Si lavora per fornire alla Meccanica una validità scientifica che non
dipenda più dalle semplici osservazioni empiriche.
Si tratta di ricavare tutti i fenomeni e tutte le leggi da alcuni principi molto generali.
All'interno poi dei processi di elaborazione matematica dei lavori di Newton che, come
abbiamo già accennato, trascendono l'opera stessa del nostro per configurarsi come
ristrutturazione piuttosto che come generalizzazione di quest'opera, scaturiranno fatti nuovi
come conseguenza della mera formalizzazione della teoria. La matematica non può qui, in
alcun modo, essere considerata come puro e semplice strumento tecnico, come linguaggio
che descrive fatti già noti, ma, al contrario, come qualcosa che, partendo dalla descrizione
dei fenomeni, è in grado di predirne degli altri al suo interno. Sempre più quindi la
matematica diventerà indispensabile per comprendere le tematiche in discussione e per
poterne discutere con cognizione. Ed il filosofo che si sente sfuggire l’immediata lettura di
un fatto naturale a causa del suo occultamento in equazioni via via più complesse, non
potrà far altro che richiamarsi alla realtà che lui conosce, quella che i sensi gli
sottopongono (ad esempio: Berkeley).
La potenza della matematica, nell’interpretazione e nella predizione di nuovi fenomeni,
era molto chiara agli addetti ai lavori dell’epoca e non a caso insisteranno molto sulla sua
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insostituibilità scienziati come D. Bernouilli (1700-1782) e J. Fourier (1768-1850) e
filosofi come I. Kant (1724- -1604). E questa potenza risulta tutta nella meccanica
razionale (ed analitica).
La ‘meccanica razionale’ è " una scienza che studia rigorosamente (a partire da un
ristretto numero di leggi generali - n.d.r.) i sistemi meccanici perfetti, macchine ideali
senza attriti, sul modello della ‘macchina celeste’, retta da forze agenti a distanza lungo la
congiungente con intensità [inversamente] proporzionale al quadrato della distanza." (65)
E quindi, in nome del meccanicismo newtoniano, Lagrange (1736-1813) potrà affermare
(66) nella prefazione della sua Meccanica Analitica (1788):
"Non si troveranno figure in quest'opera. I metodi che io espongo non richiedono né
costruzioni né ragionamenti geometrici o meccanici, ma solamente operazioni algebriche
soggette ad un andamento regolare ed uniforme. Quelli che amano l’Analisi vedranno con
piacere la meccanica divenirne una nuova branca e mi saranno grati d'averne esteso così il
dominio. " (67)
Ed anche D’Alembert, come del resto tutta la scienza che si affermò come ufficiale (68),
non era alieno da avere una visione aristocratica del progresso sociale, in ogni caso
condizionato dalla conoscenza “dei principi razionali e matematici”.
Alcuni però iniziarono una revisione di questa concezione e "Diderot, in particolare,
attaccò, in ‘De l’Interpretation de la Nature’ (1753), l’eccessiva matematizzazione della
scienza francese nel quadro di una rivalutazione baconiana della pratica degli
artigiani." (69)
Per tutto il ‘700, comunque, la Francia privilegerà la scienza teorica pura, mentre
l'Inghilterra la scienza sperimentale ed applicativa (solo nei primi anni dell’ ‘800 questo
dato si invertirà ed, in particolare, in Francia ci si occuperà di problemi applicativi
soprattutto al fine di sostenere le necessità degli eserciti di Napoleone).
In ogni caso, quanto abbiamo detto sull’accettazione della filosofia di Newton da parte
degli illuministi francesi, non deve far intendere che non permanessero fortissimi influssi
cartesiani che si compenetravano via via sempre di più con alcune problematiche
leibniziane. Ed a proposito degli influssi di Leibniz sul ‘700 francese, si osservi che
"D’Alembert, pur combattendo anche lui i principi della metafisica leibniziana, manifesta
sempre la più grande ammirazione per il genio filosofico e matematico di Leibniz; e
l’articolo di Diderot su Leibniz nell’Encyclopedie ne tesse un elogio entusiastico.” (70)
Anche in questo secolo quindi, come avevamo già osservato a proposito della rivoluzione
scientifica del secolo precedente, non c’è l'egemonia incontrastata di una sola filosofia, ma
l’ intrecciarsi di varie tematiche e problematiche che certamente vedranno il prevalere, per
un lungo periodo, della filosofia di Newton ma che, allo stesso tempo, alimenteranno e
nutriranno quelle correnti di pensiero che, prendendo le mosse essenzialmente da Leibniz,
confluiranno, agli inizi del secolo seguente, in un'aspra critica del meccanicismo stesso
(senza più alcuna distinzione sul tipo di meccanicismo).
3 - ALCUNI ASPETTI DEL PROGRESSO DELLA RICERCA
SCIENTIFICA NEL XVIII SECOLO
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Non è in alcun modo possibile avvicinarsi alla comprensione dei profondi
mutamenti che si ebbero nell'interpretazione dei fenomeni naturali durante tutto l'800, se
non si colgono alcuni aspetti delle ricerche scientifiche che si svilupparono nel secolo
dell'Illuminismo.
Durante il XVIII secolo, soprattutto nella sua prima metà, la scienza, come
abbiamo già. detto, non fece quei balzi prodigiosi e spettacolari che erano stati
caratteristica del secolo precedente. Ciò nondimeno si lavorò molto gettando le basi
dell'ulteriore grande sviluppo della scienza dell'800.
E' comunque ora molto più difficile che per il passato seguire i vari filoni di ricerca
nella loro complessa articolazione ed intersezione, con una qualche pretesa di completezza:
oltre alla grande opera di sistemazione analitica della meccanica newtoniana, a cui si
scompagnarono possenti sviluppi della matematica, si tratterebbe di indagare gli
avanzamenti dell'astronomia osservativa e le ricerche in nuovi campi della fisica
(termologia, elettricità, magnetismo, ...). Per quel che riguarda i nostri scopi, basterà solo
dare un quadro di riferimento con la preoccupazione di cogliere quegli aspetti che, seppure
non immediatamente, risulteranno avere una connessione più o meno stretta con le
problematiche che stiamo cercando di discutere in questo lavoro.
A partire dai lavori di Newton, si assiste ad una grande divaricazione dei vari campi
di ricerca. Lo sforzo che si tenta à proprio quello di interpretare ogni singolo fatto,
che sembra del tutto slegato da ogni altro fatto, in termini di meccanica
newtoniana: si tenta cioè di ricondurre tutto alla meccanica. Gran parte poi delle indagini
sperimentali che vengono portate a compimento, vanno a ricercare nei fenomeni quelle
azioni alla Newton (rettilinee, a distanza, inversamente proporzionali al quadrato della
distanza) che devono necessariamente regolare ogni fatto naturale. Le problematiche sono
complesse ed il tentativo che uno fa di ricercare una traccia, un filone, potrebbe indurre
all'erronea ammissione di uno sviluppo lineare e cumulativo della scienza, fatto che in
nessun modo intendo sottoscrivere. (71)
E' ora opportuno passare a seguire gli sviluppi, più interessanti per gli scopi di
questo lavoro, delle ricerche scientifiche del XVIII secolo. Alcuni di essi saranno solo
menzionati, mentre altri, più significativi per gli sviluppi successivi, saranno trattati con
qualche dettaglio.
Per comodità. mia e del lettore, ho preferito distinguere le cose che dirò per campi
di ricerca (72)
Astronomia e Geodesia
- Agli inizi del secolo, Halley, usando la teoria newtoniana della gravitazione
universale, riesce a calcolare le orbite di alcune comete, dandone il periodo. Quando la
cometa che porta il suo nome riapparirà nel 1758, anno risultante dalla teoria, si sanzionerà
definitivamente il primato della spiegazione scientifica sulla superstizione che per secoli
aveva accompagnato l'apparire di questi corpi cellesti.
- Nel 1718, Halley scopre che le stelle 'fisse' non sono fisse. Confrontando le
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posizioni di alcune stelle con le medesime, ritrovate su alcuni manoscritti, si accorge che
alcune occupano posizioni sensibilmente diverse.
- Nel 1728, Bradley (1693 -1762), cercando di determinare la parallasse stellare che si
deve avere a causa del moto della Terra intorno al Sole (una stessa stella, osservata dalla
Terra a sei mesi di distanza, quando la Terra occupa due posizioni diametralmente opposte
della sua orbita, dovrà essere osservata sotto un certo angolo detto di 'parallasse') (73),
scoprì che, nel corso dell'anno, ciascuna stella descriveva nel cielo una piccola ellisse (si
veda Appendice 4). Poiché l'effetto era lo stesso per ciascuna stella, non si doveva trattare
del fenomeno di parallasse; lo sarebbe stato solo nel caso si fosse ammesso che tutte le
stelle si trovavano alla medesima distanza dalla Terra, fatto che Bradley rifiutava. La
spiegazione che dallo stesso Bradley fu data del fenomeno fu quella della composizione de
movimenti: quello della luce che proviene dalla stella (impiegando un tempo finito) e
quello della Terra intorno al Sole. Questo fenomeno, che dall'astronomo italiano G.
Manfredi (l68l-1761) sarà chiamato (1729) aberrazione stellare o della luce, è la prima
prova diretta del moto della Terra intorno al Sole. Anche qui si esce dal campo delle teorie
per approdare a 'verità' sperimentali.(74)
- nel 1744 due spedizioni, una in Perù e l'altra in Lapponia,(75) cercarono di dirimere
la polemica sulla forma della Terra mediante la misura di due archi di meridiano a
latitudini diverse. (76) I risultati delle spedizioni confermarono la teoria di Hewton: la
Terra è schiacciata ai poli. Qualche tempo dopo A.C. Clairaut (1713-1765) riuscirà a dare
una spiegazione quantitativa del fenomeno servendosi proprio della meccanica
newtoniana.
- Nel 1744, L. Euler (1707-1783) studiò il sistema planetario attraverso le azioni
congiunte dei vari pianeti tra loro e col Sole dando l'avvio al problema dei tre corpi ed alla
teoria delle perturbazioni.
- Nel 1748 Bradley annuncia la scoperta della nutazione dell'asse terrestre.(77) Questo
fenomeno, che provoca una alterazione periodica nella posizione apparente degli astri, era
stato annunciato da Newton come necessario alla sua teoria della gravitazione universale.
Per nove anni Bradley la cercò ed alla fine riuscì a trovarla.
- Nel 1749 D'Alembert determina la precessione annuale degli equinozi, un'altra
conferma della teoria newtoniana della gravitazione.
- Nel 1752, in Gran Bretagna, si adotta il nuovo calendario gregoriano.
- Verso la metà del secolo compaiono le prime teorie cosmologiche. Wright (17111786) teorizza che la distribuzione delle stelle non ha simmetria sferica intorno alla Terra;
esse sono invece distribuite essenzialmente su uno strato che ha uno spessore, certamente
grande, ma finito. L'ipotesi viene ripresa (1755) da Kant (e sarà poi ulteriormente
sviluppata da Laplace alla fine del secolo), il quale la integra con la teoria nebulare
dell'origine del sistema solare (secondo la quale quest'ultimo si sarebbe generato da una
primordiale nebulosa ruotante e da un caos, ancora precedente, che avrebbe originato la
nebulosa stessa). Inoltre, secondo Kant, le nebulose che si osservano nel cielo non sono
altro che ammassi stellari.
Si osservi che qui si incomincia ad intaccare il sistema del mondo di Newton in quanto si
introduce nell'universo un elemento evolutivo, assolutamente non considerato da Newton
stesso, il quale si fermava alla spiegazione dei moti dei corpi celesti così come sono.
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- Nella seconda metà del secolo iniziano una serie di ricerche dell'astronomo (tedesco
ma trapiantato in Inghilterra) W. Herschel (1738-1822), che comportano una rivoluzione
rispetto al periodo precedente. Fino ad allora, infatti, ci si era preoccupati di aumentare il
numero di osservazioni da elaborare analiticamente per sistemare definitivamente il .
sistema del mondo di Newton. Si erano insomma ricercate le prove della validità della
gigantesca impalcatura newtoniana, inquadrandole in una trattazione analitica, ma non ci si
era spinti a ricercare più oltre. Herschel si costruiva da solo telescopi sempre più grandi e
con uno di questi scoprì (1781) il pianeta Urano. (78) A questa scoperta se ne aggiunsero
presto delle altre: nel 1787 Herschel scoprì i satelliti di Urano, Oberon e Titania; nel 1789
scoprì il sesto ed il settimo satellite di Saturno, Enceladus e Mimas. Altra importantissima
scoperta di Herschel fu quella delle stelle doppi (1801) e la dimostrazione del fatto che
alcune di esse costituiscono un sistema ruotante intorno al loro comune centro di massa.
Inoltre nel 1805 Herschel determinò la costellazione verso cui si sposta l'intero
sistema solare, quella di Ercole. Accertò poi sperimentalmente la forma a disco appiattito
della nostra galassia e l'esistenza di innumerevoli altre galassie. Infine, studiando lo spettro
solare, scoprì le radiazioni infrarosse (l800). Come si vede si tratta di scoperte sensazionali
che permetteranno il passaggio dal ristretto e statico mondo newtoniano alla moderna
astronomia galattica.
- Nel 1799 uscirono i primi due volumi del Trattato di meccanica celeste di Laplace
(il terzo ed ultimo volume uscirà nel 1825). In questa opera imponente Laplace porta a
compimento la sistemazione analitica dell'astronomia deducendo tutti i fenomeni
riguardanti pianeti e satelliti dall'unica legge di gravitazione (interpretata analiticamente
mediante l'uso del concetto lagrangiano di potenziale), analogamente a quanto era stato
fatto per la meccanica soprattutto ad opera di Lagrange.
Vi era certamente qualche discordanza con i fenomeni osservati, ma si era convinti che,
affinando il calcolo, presto si sarebbe stati in grado di dare una descrizione perfetta di tutti
i moti planetari. Come osserva Forti (Bibl. 7, vol, 4, pag. 227) "solo due secoli dopo la
relatività venne in vece a dimostrare un fatto che ormai fa parte di una visuale moderna
della scienza: non è detto che minime discrepanze sperimentali possano essere risolte
grazie alla diligenza degli studiosi; esse possono invece richiedere una trasformazione
completa dei concetti e dei principi fondamentali".
- Altro fatto importante da sottolineare è la misura della densità della Terra effettuata
da Cavendish (l731-l8l0). Questa misura fu una prova formidabile della giustezza della
legge newtoniana di gravitazione universale.
Matematica
Senza entrare in dettagli che ci porterebbero troppo lontano, basti dire che la
matematica ebbe in questo secolo uno sviluppo formidabile.
- L'analisi infinitesimale, adottando definitivamente il metodo ed il simbolismo di
Leibniz, progredì enormemente fino all'impostazione ed all'integrazione di equazioni
differenziali sempre più complesse, alla teoria delle equazioni a derivate parziali, alla
teoria delle serie, al calcolo delle variazioni, ...
- Viene fondata e sviluppata la teoria del calcolo delle probabilità.
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- Nel 1733 G. Saccheri, lavorando sulla dimostrazione del V° postulato di Euclide,
aprirà la strada allo sviluppo delle geometrie non-euclidee, che saranno poi elaborate nel
secolo successivo (si veda Appendice 6).
- Si ebbero grandi sviluppi di algebra e logica.
- Furono fondate la topologia e la geometria descrittiva.
- Verso la fine del secolo Laplace introdusse la funzione potenziale.
- Si sviluppò molto la trattatistica e la sistematica di tutte le conoscenze raggiunte.
A questi formidabili progressi contribuirono in gran parte: gli svizzeri Giovanni 1° e
Daniele 1° Bernouilli, Euler e Lambert; i francesi Legendre, Bezout, D'Alembert,
Clairaut, Vandermonde, Laplace e Lagrange (italiano trapiantato in Francia); gli italiani
Manfredi, Riccati e Ruffini; dai matemateci della Gran Bretagna Waring, Taylor,
Maclaurin, Stirling e De Moivre (francese trapiantato in Gran Bretagna).
Elettrologia e Magnetismo
Lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici, iniziato timidamente nel secolo
precedente ad opera essenzialmente di Gilbert, Von Guericke e Boyle, diventa sempre più
sistematico. Si comincia a disporre di una notevole varietà di fenomeni e si iniziano a
costruire modelli interpretativi. Si lavorò molto sulle macchine elettrostatiche, sui sistemi
in grado di accumulare cariche elettriche (bottiglia di Leyda - 1745; condensatore a facce
piane di Aepinus - 1756), sulle conseguenti leggi relative ai condensatori (Wilson - 1746),
sulla trasmissione dell'elettricità (fenomeno scoperto da Gray - 1729) e sulla conseguente
distinzione tra conduttori ed isolanti; (78bis) si costruirono i primi strumenti di misura:
l'elettrometro di Canton (1753) , quello a foglie d'oro di Bennett (1787), l'elettroscopio
condensatore di Volta (1782); a lato di ciò inizieranno le prime interpretazioni dei
fenomeni osservati: l'abate Nollet attribuì la causa dei fenomeni elettrici a due correnti, in
moto in opposte direzioni, di un particolare fluido che sarebbe presente in tutti i corpi
(1749); Franklin sostenne che "la quantità totale di elettricità che si trova su di un corpo
isolato è costante" enunciando per primo il principio di conservazione della carica elettrica;
sia Franklin che Aepinus avanzarono l'ipotesi che l'azione elettrica si trasmette a distanza
senza bisogno di particolari effluvi (allo stesso modo cioè dell'azione gravitazionale);
Aepinus sostenne che l'elettricità è un fluido formato di parlicelle che mutuamente si
attraggono e si respingono tendendo ad uno stato di equilibrio; Wilke avanzò l'ipotesi che
quando si strofinano tra loro due corpi invariabilmente si generano cariche elettriche
positive e negative (1759). Passando poi ai dati sperimentali, si trovò: che due poli
magnetici si attraggono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza (Michell - 1750); che la carica elettrica si distribuisce sulla superficie dei
conduttori (Beccaria - 1753); che la velocità dell'elettricità è tanto elevata da non poter
essere misurata (Watson - 1746); che le cariche elettriche si attraggono o si respingono con
una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le cariche
(Coulomb - 1785) . (79)
Il secolo si conclude sulla polemica tra voltiani e galvaniani (79bis) sull'origine dei
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fenomeni elettrici.
Infine, nel 1800, Banks annuncia alla Royal Society la costruzione della pila da
parte di Volta: inizia la generazione dell'elettrodinamica che tanti rivolgimenti porterà, nel
corso del XIX secolo, nell'evoluzione della fisica, soprattutto per l'uso che gli
antinewtoniani ed in particolare i romantici ne faranno contro il meccanicismo newtoniano.
Termologia e Teoria cinetica dei gas.
Questi settori della ricerca sono quelli più direttamente influenzati dagli sviluppi della
tecnica (in particolare quella delle macchine a vapore) che sarà in questo settore trainante
perché maggiormente legata alle esigenze del modo della produzione.
Saranno gli ingegneri quelli che faranno progredire di più la ricerca in questo campo;
solo più tardi, nel secolo successivo, si avrà la sistemazione che darà origine alla
termodinamica.(80)
I primi passi importanti furono fatti nella costruzione di termometri e nella
definizione di scale (sulle orme di quanto iniziato da Galileo e dagli accademici del
Cimento): nel 1714 Fahrenheit costruisce un termometro, prima ad alcool quindi a
mercurio, adottando la scala che porta il suo nome (32°F per il ghiaccio fondente e 212°F
per l'acqua bollente); nel 1730 Réaumur costruisce un termometro ad alcool con una scala
diversa (0°R per il ghiaccio fondente ed 80°R per l'acqua bollente); nel 1742 Celsius
introduce la scala oentigrada (0°C per il ghiaccio fondente e 100° C per l'acqua bollente).
Una conquista di notevole portata rimane la distinzione, che riesce a farsi strada, tra
temperatura e calore (Klingenstierna - 1729).
Un notevole lavoro sperimentale, con precise misure, varrà a stabilire le leggi
della dilatazione termica; i concetti di capacità termica e di calore specifico (Wilcke,
Black, Lavoisier, Laplaoe, ... ); i fenomeni del calore di fusione e di evaporazione
(Black, ... )? quelli della soprafusione, dell'ebollizione e della solidificazione.
Anche qui iniziarono le prime interpretazioni teoriche della natura del calore e
mentre Euler, come già Boyle, lo riteneva generato dal moto delle minuscole particelle
costituenti i corpi (teoria dinamica), Black ed altri lo consideravano un fluido (il calorico ).
(80bis) Vi furono grosse polemiche che non risultarono attenuate dalla posizione di
Lavoisier e Laplaoe che tentarono di sostenere la conciliabilità tra le due teorie. Molti
scienziati si schierarono con la teoria dinamica (Davy, Young, Rumford, ... ). F infine
Rumford (B. Thompson) che dopo una serie di esperienze (81) poté affermare che il calore
non è altro che movimento.
Altri aspetti, di gran rilievo, da ricordare sono:
- la fondazione della teoria cinetica dei gas da parte di D. Bernouilli (1738) che ritrovò la
legge di Boyle (PV = K) a partire da considerazioni microscopiche sulla natura
corpuscolare dei gas};
- la scoperta della conservazione della massa ad opera di Lavoisier (1787) che riuscì a
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determinare con esattezza i fenomeni in gioco nella combustione dei corpi.
Cose si vede quindi, anche se si è ancora lontani da quella che oggi conosciamo
cono termodinamica, i passi fatti sono notevoli.
Nel frattempo invece grossi lavori venivano fatti dai tecnici impegnati nello sviluppo
del vapore,
In particolare Smeaton (1724-1792) definiva i concetti di lavoro e potenza
adombrando il principio di conservazione dell'energia (1759). (82)
Nel 1698 Savery (l650-1715) brevetta la prima macchina a vapore; nel 1712
Newcomen (1663-1729) farà un notevole passo avanti nella costruzione di questa
macchina apportandovi modifiche sostanziali (il rendimento della macchina di Newcomen
risulterà raddoppiato con l'introduzione, da parte di Smeaton, di alcuni accorgimenti).
Ulteriori e pressocché definitivi passi in avanti furono compiuti (introduzione del
condensatore separato) da Watt (1736-1819) nel 1709.
Importante in questo contesto è l'opera di Lazare Carnot (1753-1823) che, in un suo
lavoro del 1783, si proporrà di "reinserire nella meccanica la scienza delle macchine, che
ne era rimasta separata". (83^)
Meccanica, Idrodinamica, Acustica, Ottica, Chimica
Già abbiamo parlato di alcuni sviluppi importarti della meccanica che in particolare
si possono ritrovare in quel processo di sistemazione e trasformazione della meccanica
newtoniana che avvenne con l'elaborazione delle meccaniche razionale ed analitica. (84)
A lato e a complemento delle cose dette solo poche considerazioni su ulteriori sviluppi,
rientranti sempre nel programma che si proponeva di ricavare tutte le leggi che presiedono
i fenomeni naturali da pochi e generalissimi principi. In pratica si tratta del principio di
minima azione o di Maupertuis e di alcune elaborazioni di D'Alembert.
Per quanto riguarda il principio di minima azione basti ricordare che Maupertuis
prese le mosse dal tentativo di correggere il principio di Fermat (la luce impiega un tempo
minimo per passare tra due o più mezzi a diverso indice di rifrazione ed il cammino che
essa percorre non coincide col cammino geometricamente più breve) in modo da metterlo
in accordo con alcune ipotesi ottiche di Newton, peraltro errate (la velocità della luce,
secondo Newton, dovrebbe essere più grande nelle sostanze più rifrangenti, come l'acqua o
il vetro). (85) In definitiva egli trovò (1744) che " nel passare da uno stato ad un altro, una
massa sceglie quasi sempre, tra varie vie possibili e diverse, quella che richiede la minima
azione". In definitiva i fenomeni naturali e particolarmente quelli meccanici, si svolgono
nel modo più economico.(86)
Relativamente a D'Alembert, invece, occorre sottolineare la grossa impresa che egli
portò a termine nel suo Traité de dynamique (1743); egli riuscì a ricondurre tutte le
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questioni di dinamica a problemi di statica mediante il conglobamento delle forze inerziali
e vincolari nel più generale concetto di forza e mediante la scelta di un opportuno sistema
di riferimento. Nel far questo D'Alembert era mosso dalla sua grande riluttanza ad
accettare la definizione newtoniana di forza che egli ritiene essere "vaga ed oscura,
soprattutto inutile".
Altre tappe importanti nello sviluppo della meccanica sono:
- la generalizzazione del teorema delle forze vive mediante l'affermazione
dell'equivalenza tra energia cinetica e lavoro (Giovanni 1° Bernouilli - 1727);
- la formulazione delle equazioni della dinamica dei sistemi fatta da Lagrange (1768)
mediante la fusione dei risultati di D'Alembert con il principio dei lavori virtuali;
-la conferma della validità della legge di gravitazione universale
per due masse che si trovano sulla Terra (Cavendish - 1798).
Parallelamente a questi sviluppi, anche l'idrodinamica ebbe notevole impulso,
soprattutto attraverso i metodi di trattazione analitica, cosi estesamente applicati alla
meccanica. I contributi più importanti furono:
- i lavori di D. Bernouilli del 1738 (in cui, tra l'altro, si introdusse il concetto di
pressione idrodinamica per spiegare il moto dei liquidi);
- gli scritti di Clairaut del 1743 (in cui, tra l'altro, si determinarono le condizioni
generali di equilibrio per una massa fluida);
- i lavori di Euler del 1755 (in cui si formularono le equazioni generali
dell'idrodinamica) e del 1775 (in cui si determinarono le tre equazioni dell'idrostatica e
l'equazione di continuità).
Anche l'acustica si sviluppò in modo considerevole con l'elaborazione della teoria
meccanica dei fenomeni sonori. In questo campo l'analisi infinitesimale si rivelò strumento
formidabile, soprattutto per la risoluzione del difficile problema delle corde vibranti.
Quest'ultimo problema vide impegnati Taylor (l713), D. Bernouilli (1740), Euler (1739),
D'Alembert (1747), Lagrange (1757).
Si studiò la teoria dei tubi sonori (D. Bernouilli e Lagrange - 1762) e si misurò con
una buona approssimazione la velocità del suono anche in condizioni diverse (al variare
del mezzo, della temperatura, della densità e peso specifico del mezzo, ... )(87bis) Infine E.
F. Chladni (1756 - 1827) stabilì il limite superiore per la percezione auditiva, mentre,
qualche tempo dopo, F. Savart (1791-1841) quello inferiore.
In ottica non vi furono novità di rilievo se si escludono le cose che abbiamo detto
parlando di astronomia ed i notevoli successi che si ottennero nella realizzazione di
strumenti sempre più. perfezionati. In questo senso merita particolare menzione
l'introduzione di lenti acromatiche, ottenute da C. Moor Hall (1758) unendo insieme un
vetro flint ed uno crown, di differenti indici di rifrazione (questa possibilità era stata
teorizzata da Euler nel 1747). Altri fatti che vanno ricordati sono:
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- la costruzione di lenti bifocali per occhiali (Franklin - 1784);
- la scoperta del daltonismo (Dalton - 1794);
- la scoperta del diverso valore del potere emissivo di un corpo nero e di un corpo a
superficie speculare (Leslie - 1800).
Intanto, per gran parte del secolo si svilupperà, la polemica tra i sostenitori della
teoria ondulatoria della luce elaborata da Huygens (l690) e della teoria corpuscolare
elaborata da Newon (1704). In particolare Euler criticherà. la posizione newtoniana (1762)
contrariamente a Priestley che invece la difenderà. (l772) sostenendo che le particelle di
luc.e sono tanto piccole da poter penetrare la materia.
La chimica, a grandi passi, si avvia a diventare una scienza, uscendo dagli enormi
condizionamenti alchimistici e magici. Enorme stimolo allo sviluppo di questa scienza
verrà, dal mondo produttivo (richiesta di sbiancanti e coloranti) e dal mondo tecnologico (e
quindi ancora produttivo) per i suoi legami con gli sviluppi della termodinamica. In ogni
caso le tappe più importanti che furono conseguite nel corso del secolo sono:
- l'isolamento dell'idrogeno (Cavendish - 1766);
- l'isolamento dell'ossigeno (Priestley - 1771);
- l'analisi dell'aria (1770) e quella dell'acqua (l783) eseguite da Lavoisier;
- la produzione della soda (Leblanc - 1790);
- l' isolamento di una grande quantità di elementi tra i quali il cobalto (1743), l'azoto
(1772), il manganese (l774), il nichel (1775), il tungsteno (1782), il molibdeno (1782), il
cromo (1797), il berillio (1797), il tellurio (1798), e via via molti altri all'inizio del secolo
successivo;
- la pubblicazione (1789) del Traité élémentaire de chimie di Lavoisier che può essere
considerato il primo testo moderno di chimica?;
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- la formulazione di alcune leggi sui gas (Charles - 1787; Volta 1793 e 1795);
- la fondazione della stechiometria (Richter - 1796);
- la realizzazione dell'elettrolisi dell'acqua (Nicholson - 1800).
Ma accanto a questi indubbi successi, occorre ricordare la profonda sfiducia che si
aveva nella chimica come scienza. Essa infatti risultava essenzialmente empirica e non
utilizzava gli strumenti ed i metodi della matematica. A questo proposito Kant sosterrà
(1786): " La chimica non potrà diventare nulla più che un'arte sistematica o una dottrina
sperimentale, ma mai una scienza nel senso proprio del termine, poiché i suoi principi sono
soltanto empirici ... ed incapaci di applicare la matematica". (88)
4 - LO SPAZIO ED IL TEMPO
Abbiamo già detto delle critiche di Leibniz e Berkeley allo spazio ed al tempo
assoluti di Newton. Abbiamo anche implicitamente già visto che nessuna di queste critiche
fu però in grado di impedire che i concetti in questione si affermassero come substrato
concettuale fondamentale dell'indagine sui fenomeni naturali. Vi furono comunque, nel
corso del XVIII secolo, a lato dei difensori di questi concetti (tra i quali alcuni cercarono
perfino di dimostrarne la necessità logica), sia coloro che erano completamente indifferenti
a questi problemi (semplicemente non tenendone conto o al massimo accettandoli come
mera ipotesi di lavoro sulla quale non era il caso di soffermarsi per ricercarne una
motivazione teorica - operazione che si comincia a considerare estranea all'evoluzione
della ricerca fisica), sia coloro che esplicitamente vi appuntarono le loro critiche.
Anche se le posizioni degli uni e degli altri non aggiungono nulla di nuovo dal punto
di vista dell'indagine fisica, vale la pena riportarle perché rappresentano la parte del
pensiero di Newton che si sviluppa come filosofia naturale.
In Gran Bretagna, dove il meccanicismo newtoniano ha solide radici, nessuno si
preoccupa di discutere ciò che è ritenuta una verità, se non altro per i grandi successi che
via via vengono conseguiti a seguito di elaborazioni (apparentemente) discendenti da
queste verità. Lo spazio ed il tempo assoluti sono dati come scontati, semmai si tratta di
ribadirne la necessità come ad esempio fa Maclaurin quando afferma:
" Questo permanere di un corpo in uno stato di quiete o di moto uniforme, può aver luogo
solo in uno spazio assoluto, e può essere intellegibile solo ammettendolo." (89)
Più complessa è la situazione francese poiché, nonostante l'accettazione del
newtonianesimo a partire dalla metà del '700, sempre forte è la tradizione razionalista
cartesiana. In questo paese lo spazio ed il tempo assoluti non suscitano grandi entusiasmi,
anzi. I Lagrange, i Laplace, i Poisson, ... useranno questi concetti come meri elementi utili
al calcolo. Essi si convinceranno che non vale la pena dedicare un poco di tempo alla
critica dei fondamenti, cominciando a configurare una immagine della scienza (che oggi
conosciamo bene) molto più preoccupata della sua efficienza che non della sua essenza.
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Solo Diderot e D'Alembert, nell'Encyclopedie (1755), prenderanno esplicitamente
posizione quando, alla voce spazio, sosterranno:
"Noi non prenderemo partito sul problema dello spazio. Si può vedere, attraverso tutto
ciò che è stato detto .... quanto questo oscuro problema sia inutile alla geometria ed alla
fisica." (90)
E, come sostiene Jammer, "si può perfino affermare che questa assenza [di
considerazioni su spazio e tempo assoluti] non soltanto non risultò un ostacolo per la
meccanica del diciottesimo secolo e del principio del diciannovesimo, ma in certa misura,
facilitò lo sviluppo di questa scienza." (91)
Più complessa ed argomentata è invece la posizione di Euler sui concetti di spazio e
tempo assoluti. Uscendo fuori dall'ambito metafisico in cui altri sostenitori (come Clarke)
avevano collocato questi concetti, egli tenta di ricavarli come necessità che scaturiscono
dalla meccanica ed in particolare come conseguenza del principio d'inerzia. Euler parte con
il riconoscere che lo spazio assoluto, in quanto tale, non è certamente percepibile ai nostri
sensi né tanto meno rilevabile con una qualsiasi esperienza. Allo stesso modo l'esistenza di
questo spazio non può essere affermata con considerazioni di carattere metafisico o, più in
generale, filosofico. Se l'insieme dei fenomeni, egli sostiene, che siamo riusciti a
comprendere, studiare e sviluppare, hanno per fondamento la meccanica che a sua volta
poggia sui concetti di spazio e di tempo assoluti, questi concetti non possono essere delle
semplici astrazioni, delle mere invenzioni, ma devono rappresentare un substrato reale ed
indispensabile a quell'insieme di conoscenze su cui si fonda tutta la nostra scienza; egli
dice:
" E' invero evidentemente assurdo affermare che delle pure invenzioni possano servire di
fondamento ai principi relai della meccanica..." (91).
E prosegue:
"se ne dovrebbe piuttosto concludere che tanto lo spazio assoluto quanto il tempo, quali
i matematici se li rappresentano, sono cose reali, che esistono anche al di fuori della nostra
immaginazione."(94)
Ed ancora»:
" E' impossibile affermare che il primo principio della meccanica [il principio d'inerzia
- n.d.r.] sia fondato su qualcosa che esiste solo nella nostra immaginazione. Perciò,
dobbiamo necessariamente concludere che l'idea matematica del luogo non è immaginaria
e che, al contrario, esiste nell'universo qualcosa di reale che corrisponde a tale idea. Nel
mondo, dunque, oltre ai corpi che lo costituiscono, sussiste una qualche realtà che noi ci
rappresentiamo con l'idea di luogo."(95)
Su che tipo di realtà sia poi lo spazio assoluto si tratterà di lavorare per capirlo, ma in
ogni caso va rifiutato, dice Euler, l'atteggiamento dei filosofi che, dividendo in categorie
tutto ciò che è reale e dimostrando che lo spazio non è in nessuna categoria, ne affermano
l'inesistenza; lo spazio una qualche specie di realtà deve pur averla, semmai quel che
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occorre rifare sono le categorie.
E' quindi dalla prima legge della meccanica che Euler prende le mosse per arrivare a
dimostrare la necessità di spazio assoluto. In sostanza il suo ragionamento tende a
dimostrare la necessità logica del principio d'inerzia e quindi, per implicazione, la necessità
logica dello spazio (e quindi del tempo) assoluto.
Euler enuncia così la prima legge:
"Un corpo che si trovi in quiete assoluta, persevererà perpetuamente nella quiete, se
non sarà soggetto a nessuna forza esterna.."(96)
e subito dopo spiega:
" Poiché infatti non esiste nel corpo nessuna ragione perché debba cominciare ad
essere mosso in una direzione piuttosto che in tutte le altre, e poiché qui viene rimossa ogni
causa di moto esterno, il moto non potrà aver luogo in nessuna direzione. Questa verità
poggia perciò sul principio di ragion sufficiente."(96)
Ed ecco dimostrata, con il principio di ragion sufficiente (che abbiamo già visto
abbondantemente usato da Leibniz), la prima necessità logica da cui, appunto per
implicazione, scaturisce la seconda.
Per un certo periodo il filosofo tedesco I. Kant (1724-1804), che tanta importanza
avrà negli sviluppi della formazione del pensiero filosofico e scientifico dell' '800, (96bis)
fu attratto dalla visione euleriana di spazio e tempo assoluti e, conseguentemente, li
sostenne e li difese. Kant, nel suo periodo pre-critioo, influenzato dall'opera di Wolff (1733
- 1794), iniziò col tentativo di conciliare Leibniz con Newton.(97) In questa fase passò
dapprima (98) ad ammettere un carattere puramente relativo allo spazio, quindi, come già
annunciato, si convertì al punto di vista newtoniano nella formulazione euleriana (99) (in
cui, bisogna sottolinearlo, erano scomparse le istanze metafisiche newtoniane ). A questo
punto Kant sosterrà esplicitamente che " lo spazio assoluto ha una sua peculiare realtà
indipendentemente dall'esistenza della materia."(100) Da questo momento, sotto
l'influenza di Hume che, come afferma lo stesso Kant, " lo svegliò dal dormiveglia
dogmatico" e degli altri empiristi inglesi (Locke, Berkeley), si cominciano piano piano ad
affermare nuove idee nei lavori del filosofo tedesco che troveranno ampia esposizione
nella Critica della ragion pura (l88l). In questo lavoro Kant nega la realtà fisica dello
spazio e del tempo indipendentemente dalla nostra condizione soggettiva. Riguardo allo
spazio afferma:
"Lo spazio non è un concetto empirico, proveniente da esperienze esterne. [...]. Lo
spazio è una rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le
intuizioni esterne. Non è possibile farsi la rappresentazione che non ci sia spazio, mentre si
può benissimo pensare che non vi sia in esso alcun oggetto. Lo spazio dev'essere pertanto
considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni e non come una
determinazione da essi dipendente; ed è una rappresentazione a priori, che sta
necessariamente a fondamento dei fenomeni esterni. [...]. Lo spazio è ... un'intuizione pura.
[...]. Dunque, soltanto da un punto di vista umano possiamo parlare di spazio, di esseri
estesi ecc. Ma se prescindiamo dalla condizione soggettiva ... la rappresentazione dello
spazio perde ogni significato." (102)
Riguardo al tempo le cose che Kant sostiene sono esattamente dello stesso tipo:
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"Il tempo non è un concetto empirico, derivante da una qualche esperienza. Infatti la
simultaneità e la successione non potrebbero neppure mai costituirsi come percezioni se
non ci fosse a priori, quale fondamento, la rappresentazione del tempo.[...]. Il tempo è una
rappresentazione necessaria che si trova a fondamento di tutte le intuizioni .... Il tempo
è dunque dato a priori.[...]. Il tempo è ... una forma pura dell'intuizione sensibile.[...]. Il
tempo non è più oggettivo se si prescinde dalla sensibilità della nostra intuizione ... Il
tempo non è dunque che una condizio- ne oggettiva della nostra (umana) intuizione (la
quale è sempre sensibile)... Tuttavia, relativamente a tutti i fenomeni, e quindi anche a
tutte le cose che possono presentarsi nell 'esperienza, il tempo è necessariamente oggetti vo.
[...]. Le nostre considerazioni insegnano dunque la realtà empirica del tempo...Per contro
contestiamo al tempo ogni pretesa di realtà assoluta... Il tempo si riduce a nulla se si
prescinde dalle condizioni soggettive dell'intuizione sensibile." (110)
In definitiva Kant afferma la soggettività, e non la leibniziana relatività, dello spazio e
del tempo. Lo spazio ed il tempo non esisotono in sé, ma in quanto la nostra sensibilità ce
li fa avvertire di per sé: questi concetti sono condizionati dall'esperienza, sono particolari
intuizioni a, priori che ci fanno organizzare le sensazioni, i dati della realtà esterna; non
hanno alcuna validità assoluta. E l'operazione più importante che Kant fa, e nella quale si
inseriscono le considerazioni che or ora si portavano avanti, è l'attribuire tutti i successi
raggiunti nei più svariati campi, con l'applicazione del metodo sperimentale, all'attività
trascendentale della ragione. E' un definitivo sancire, a livello filosofico, l'impossibilità di
una scienza che si fondi su mere descrizioni di un mondo di per sé semplice ed armonioso,
immagine della perfezione di un supposto Dio. E' l'uomo che sente e, con la sua ragione,
interpreta e costruisce una rappresentazione del mondo.
5 - IL TRIONFO DEL MECCANICISMO E PRIME ISTANZE
CRITICHE.
In tutto ciò che ho scritto in queste capitolo ho cercato di delineare i caratteri
fondamentali del XVIII secolo, il secolo dell'Illuminismo.
Dal punto di vista politico-economico il dato dominante è il progressivo
cambiamento del modo di produzione con la conseguente avanzata della borghesia. Questa
classe riesce pacificamente ad imporsi in Gran Bretagna, mentre resterà, per lungo tempo,
compressa ed osteggiata nel resto d'Europa. A lato di ciò, abbiamo seguito i possenti
avanzamenti della tecnica che, almeno per tutto il secolo, resta slegata dalla produzione
scientifica. La scienza, se da una parte non ripete i clamorosi successi del secolo
precedente, dall'altra (completando e perfezionando il programma dei newtoniani con una
descrizione del mondo, in linguaggio matematico, strettamente meccanicistica e
deterministica) si sistema e si organizza in modo da preparare gli enormi avanzamenti del
secolo sucessivo.(104) A questo riguardo abbiamo accennato alle tre linee di pensiero che
in questi anni lottano, si intersecano e si sovrappongono tra loro, il cartesianesimo, il
leibnizianesimo, il newtonianesimo. Abbiamo anche notato che il progressivo affermarsi
del meccanicismo newtoniano, fino al suo trionfo alla fine del secolo, era su linee che se
pur si richiamavano a Newton, in realtà, ne rappresentavano il superamento o quantomeno
la sua integrazione e sistemazione con il meccanicismo cartesiano e con la critica di
Leibniz.
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Resta, a questo punto, da completare il quadro generale, da aggiungere qualche
considerazione, da trarre qualche conclusione e di cercar di mettere insieme le prime
istanze critiche emergenti.
Gli ideali dell'Illuminismo, programma di emancipazione della borghesia, trovano un
importante compimento, alla fine del secolo, con le rivoluzioni americana e francese;
(105) con esse si sanziona il trionfo della borghesia e si comincia a delineare lo stato
democratico-borghese con i suoi principi che saranno poi alla base di tutta la concezione
liberale. Dagli Stati Uniti e dalla Francia questi principi ai propagheranno per tutta Europa
e faranno da punto di riferimento dei moti liberali ottocenteschi.
Per altri versi il secolo assolverà al fondamentale ruolo di accelerare, portando a
compimento, il processo di diffusione e laicizzazione della cultura. Da una parte, sulla
scorta di quanto iniziato nel secolo precedente, si rafforzano e si moltiplicano le
Accademie Scientifiche, dall'altra vengono fondate nuove scuole, collegi ed università.
(106) A questa operazione lavorano sia privati che regnanti illuminati. L'insegnamento
assume caratteri che sempre più vanno a laicizzarlo e a toglierlo dalle mani di vari ordini
religiosi. La cacciata dei gesuiti da molti paesi (Portogallo - 1759; Francia - 1762; Spagna,
Regno di Napoli, Ducato di Parma - 1767/1768) e la soppressione di questo ordine da parte
di Papa Clemente XIV (106bis) nel 1773 contribuirà grandemente a ciò. Possono
cominciare a penetrare gli insegnamenti di Newton (fortemente osteggiati proprio dai
gesuiti) e nuovo slancio acquista la separazione tra scienza e religione, iniziatasi alla fine
del '600. Questo legame non era ancora sciolto del tutto, "anche in questioni riguardanti
puramente la scienza della natura si osservava e si difendeva con zelo l'autorità della
Scrittura." (107) Durante questo secolo molte cose cambiano e "lo scherno che Voltaire
riversa continuamente sulla <fisica biblica> ci sembra oggi sorpassato ed insipido; ma chi
voglia dare un giusto giudizio storico non deve dimenticare che nel secolo XVIII quello
scherno era lanciato contro un avversario serio e pericoloso." (107) "Si tratteggia per la
prima volta una storia fisica del mondo, lontana da ogni sorta di dogmatismo religioso e
desiderosa di basarsi soltanto sui principi universali della conoscenza teorica della
natura" (108) e Voltaire, per più di 50 anni, lavorò allo smantellamento del sistema
tradizionale portando a termine una "opera di distruzione che fu condizione
indispensabile della nuova costruzione della fisica" . (108) E tutta quest'epoca confluirà»,
da una parte nel lavoro di Kant, in cui definitivamente si affermerà l'impossibilità di una
scienza metafisica (109) e, dall'altra, nei lavori di Laplace, dei quali parleremo più oltre, in
cui la natura è descritta come completamente indipendente da Dio ed interamente
comprensibile all'uomo (è solo questione di tempo). A lato di ciò, durante il '700, cambierà
lo status dello scienziato. Il lavoro scientifico, che fino al secolo precedente era
essenzialmente affidato a singoli ingegni, che usavano delle loro rendite da altre attività,
per fare della scienza, diventa ora sempre più opera di professionisti con la conseguenza di
allargare sempre di più la base sociale degli addetti ai lavori. Insomma per fare scienza nel
'700 si è di più, si proviene da strati sociali un poco più differenziati , si comincia ad essere
pagati.
Ma il carattere saliente di questo secolo, da un punto di vista filosofico e scientifico,
è il trionfo del meccanicismo che per molti versi ho cercato di delineare nelle pagine
precedenti. L'opera di Newton, con gli aggiustamenti, le sistemazioni, le integrazioni e le
omissioni di tutto quel complesso di fisici - matematici che vi lavorarono, viene
universalmente accettata. La meccanica, nella sua nuova formulazione, acquista piena e
superiore dignità scientifica. Il sistema del mondo di Newton trova clamorose conferme in
tutte l' osservazione astronomica e geodetica. E non solo. Anche in campi che Newton non
aveva toccato o solo sfiorato, la sua fisica trova grandi applicazioni portando ad ulteriori e
fondamentali conferme. La legge dell'inverso del quadrato della distanza, a fondamento
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della gravitazione, la si ritrova in magnetostatica (Michell) ed in elettrostatica (Coulomb) e
Laplace potrà affermare che questa legge "relativa alla forza, vale per tutte le emanazioni
che provengono da un centro come quella della luce." (110)
Certo il pregiudizio non era estraneo alle ricerche di elettricità e magnetismo: le
leggi dell'inverso del quadrato sono trovate perché sono cercate; i modelli di fluido o di
particelle per l'elettricità discendono direttamente dall'adesione a Descartes - Huygens o a
Newton. In ogni caso, al di là di pur autorevoli contraddittori, il mondo ordinato e
determinato della fisica newtoniana aveva preso completamente piede alla fine del XVIII
secolo.
La natura sembrava obbedire tutta a quella legge dell'inverso del quadrato e a quelle
forze che agivano istantaneamente nel vuoto, (111) a distanza e lungo la congiungente
rettilinea i centri delle masse o delle cariche in gioco. Tutti i fenomeni naturali, il mondo,
sembravano completamente determinati; occorreva solo il tempo necessario ad effettuare
materialmente tut te le operazioni e poi nulla sarebbe più sfuggito alla capacità dell'uomo
di tutto comprendere e descrivere. Questo stato d'animo, questo atteggiamento, è ben
rappresentato da Laplace che, nel suo Saggio filosofico sulle probabilità (1814) si
rammaricò di non poter essere completamente determinista per mancanza di dati. Egli
scrisse:
" Un'Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la
natura e la situazione rispettiva di tutti gli esseri che la compongono, se per di più fosse
abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa
formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla
sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi
occhi." (112)
E' questo il manifesto del meccanicismo a cavallo dei secoli XVIII e XIX che illustra
bene il substrato culturale su cui lavoravano i fisici-matematici francesi di quel periodo.
Ma, si badi bene, questa enunciazione laplaciana introduce degli elementi non
perfettamente in linea con la filosofia naturale di Newton. L'introduzione della probabilità
per la comprensione dei fenomeni fisici,che Laplace introduce per rimpiazzare
provvisoriamente la mancanza di quell'Intelligenza, è un elemento destinato a diventare
sempre più estraneo alle primitive costruzioni newtoniane.
In definitiva , a parte questo elemento non in linea con Newton, restano forze a
distanza, legge dell'inverso del quadrato, azioni rettilinee nel vuoto e corpuscoli, particelle
che, a partire dalla teoria corpuscolare della luce di Newton, avevano sancito il loro
successo con la teoria cinetica dei gas di D. Bernouilli (l738). Ormai la spiegazione del
mondo consisteva nel ridurre tutti i fenomeni naturali alle interazioni meccaniche di
particelle considerate come parti ultime della materia. Bastava, come abbiamo visto or ora
per Laplace, conoscere le condizioni iniziali (posizioni e velocità) di un dato sistema di
parlicelle per calcolarsi, con la meccanica, la sua successiva evoluzione a stati diversi in
fenomeni diversi. Ed è importante notare che, con la meccanica, non era soltanto possibile
calcolarsi l'evoluzione in avanti, ma anche l'evoluzione all'indietro. Niente infatti, a partire
dalla formulazione newtoniana, impediva la reversibilità dei fenomeni naturali proprio
perché le equazioni della meccanica risultano simmetriche rispetto al tempo (e questo
almeno dal punto di vista degli sviluppi analitici poiché rimanevano i «piccoli» particolari
costruttivi sui quali da anni si affannavano i tecnici, costruttori di macchine a vapore, per
cercare di ottenere un poco più di lavoro meccanico dalla quantità di calore che
impiegavano).
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In questo contesto particellare si inseriscono i lavori del gesuita Giuseppe Roggero
Boscovich (1711-1787) che risultò un grande «mediatore» tra la fisica di Newton e la
critica di Leibniz. (113) La ricerca di Boscovich partì dal proposito di determinare il
centro di oscillazione dei corpi solidi. Per far questo passò attraverso lo studio dei
fenomeni d'urto tra due corpi. Da alcune osservazioni empiriche (tutte di carattere
qualitativo) egli iniziò a costruirsi un modello microscopico dei fenomeni in oggetto. Se
l'urto tra le particelle ultime che costituiscono la materia è pensato come urto tra corpuscoli
duri ed estesi, allora bisogna ammettere che nell'urto si crei una discontinuità nella velocità
e quindi nel- la quantità di moto delle particelle.(116) L'ammissione di ciò viola la legge
di continuità che impedisce si possa andare da un valore ad un altro, di una data grandezza,
senza passare attraverso valori intermedi. La prima assunzione di Boscovich è quindi
quella legge di continuità , di sapore prevalentemente euristico, che spesso era stata
utilizzata da Leibniz. Per risolvere il problema occorre, secondo Boscovich, sbarazzarsi dei
corpuscoli estesi e duri ed ammettere una sorta di parziale «penetrabilità» della materia.
Dalle sue osservazioni risultava che "immediatamente prima del con- tatto [nell'urto tra
corpi solidi] le stesse velocità [di questi corpi] cominciano a cambiare." (117) Quindi, a
distanze piccolissime, non vi deve più essere attrazione (gravitazionale) tra corpi, ma
repulsione che aumenta al diminuire della distanza tra gli stessi. Riportando ciò a livello
microscopico è impossibile pensare le ultime parlicelle della materia come dure ed estese.
Esse, secondo Boscovich, devono essere punti (matematici), indivisibili, inestesi, dotati di
inerzia ma non di massa, (118) disseminati nel vuoto immenso. Intorno a questi punti vi è
poi una sorta di atmosfera di forza, più densa man mano che ci si avvicina al punto. In
questo modo Boscovich supera la difficoltà che sullo stesso problema si era presentata a
Leibniz (119), sviluppando, come osserva B. Russel, la monadologia in modo più logico e
conseguente dello stesso Leibniz. Le azioni che poi si esercitano tra punti di Boscovich
sono a distanza, di tipo cioè newtoniano, ma anche se qui c'è un esplicito richiamo a
Newton, quando si dovesse formalizzare il problema, non potremmo introdurre la massa e
quindi in alcun modo potremmo parlare di forze alla Newton. Eppure per Boscovich non
c'è materia (120) ma forze le quali sono responsabili di quelle variazioni di velocità
nell'urto tra due corpi o tra punti inestesi, cui si accennava prima.
E lo stesso urto sparisce nella meccanica di Boscovich; esso è sostituito da azioni che,
avvenendo tra punti inestesi, sono sempre a distanza (tra le atmosfere di forza che si
lasciano penetrare per un poco e poi, gradatamente, originano la repulsione che diventa
sempre più intensa). La curva di forza (meglio sarebbe il dire: di variazione di velocità) in
funzione della distanza tra punti è data dal nostro in modo da prevedere attrazioni di tipo
gravitazionale a grande distanza, che vanno con l'inverso del quadrato, e repulsioni molto
intense (impenetrabilità della materia) a brevissima distanza. A distanze intermedie si
hanno delle altre intersezioni della curva con l'asse delle ascisse che, nelle ipotesi di
Boscovich, debbono rendere conto di tutti gli altri fenomeni conosciuti come, ad esempio:
l'evaporazione di un liquido, la coesione, il gas prodotto da fermentazione di sostanze, ...
(si veda la figura 1).
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Figura 1
Questa concezione di Boscovich, che prende le mosse da Leibniz, che si sviluppa con
Newton, che è in contrasto con il meccanicismo cartesiano (che si serviva di particelle
estese e dure nel tutto pieno), è in realtà un' elaborazione assolutamente originale; (121) e
ad essa, poiché si fonda sul concetto di forza, è stato dato il nome di «dinamismo ».
Il dinamismo, modello meccanicistico che si presterà bene ad una elaborazione
matematica, sta in mezzo tra concezioni corpuscolari e fluidistiche; esso in qualche modo
concilia il punto di vista della continuità (forze presenti dovunque) con quello della
discontinuità (punti inestesi).
Vedremo in seguito gli enormi sviluppi che si avranno dall'elaborazione del
dinamismo, soprattutto ad opera di Faraday. E' ora interessante osservare che, ancora nel
secolo di Boscovich, un altro sostenitore del dinamismo fu proprio Kant, che molto
contribuì alla sua affermazione per la grande influenza più generale che egli ebbe sul
pensiero filosofico e scientifico dell' '800.
Nonostante quindi i grandi successi dei fisici - matematici francesi, le prime istanze
critiche, che erano state di Leibniz e di Berkeley, si facevano avanti ed andavano a mettere
in discussione proprio i fondamenti della meccanica stessa. (122) Questo bisogno di
critica dei fondamenti era stato tra l'altro esplicitamente manifestato da Kant nei suoi Primi
principi metafisici della scienza della natura (1786). Secondo Kant occorre far avanzare la
discussione sui principi della meccanica ben oltre la loro accettazione acritica a priori.
Bisogna arrivare fino ai concetti base su cui l'intera meccanica poggia. (123)
Siamo alla fine del XVIII secolo. La formulazione di queste prime istanze critiche
coincide, da una parte, con la decadenza dell'Illuminismo (124) e, dall'altra, con
l'emergere della Germania che va, via via, a collocarsi al centro del pensiero filosofico
europeo. Il primo movimento di rottura con il pur evanescente Illuminismo tedesco (125)
è quello dello Sturm und Drang. Gli appartenenti ad esso (gli sturmer) ebbero molto in
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comune con gli illuministi, soprattutto divisero con loro la dura condanna per l'ancien
regime, l'interesse per la natura e lo spirito laico; nel contempo, però, si distaccarono
radicalmente da essi nel sostituire la categoria del 'genio' a quella della 'razionalità'. Ma
l'autentico superamento dell'Illuminismo tedesco sarà rappresentato dal criticismo
kantiano. Kant, che si muoveva all'interno dell'Illuminismo (essendone un appassionato
difensore), si impadronì delle esigenze di razionalità di esso, studiò i fondamenti di tali
esigenze ed arrivò a scoprirne i limiti. Sulla strada aperta da Kant inizia a muoversi J.G.
Fichte (1762- 1814) che ben presto si distaccherà dal maestro per imboccare la strada della
filosofia dell' 'idealismo' che in poco tempo si imporrà a tutta la Germania. (127)
Un allievo di Fichte, F.W. Schelling (l775-l854), che insieme allo stesso Fichte e ad
Hegel (1770-1831) saranno ispiratori del movimento romantico, sarà poi il fondatore di
quel movimento di pensiero, detto Naturphilosophie, che vedrà* Oersted tra i suoi
sostenitori e lo influenzerà nella realizzazione della famosa esperienza, alla base
dell'elettromagnetismo. Di tutto questo, comunque, avremo modo di occuparci più avanti,
quando cercheremo di fornire un quadro di riferimento politico - economico - filosofico
per il nuovo secolo che ormai sta iniziando.
CAPITOLO III
1 - UNO SGUARDO SULL' OTTOCENTO: RAPPORTI FRA
SCIENZA, TECNICA, VITA CULTURALE E CIVILE NELLA
PRIMA META' DEL SECOLO
La complessità degli avvenimenti, sia politico-economici sia tecnico-scientifici, che si
susseguono nel corso dell'800 è tale da sconsigliare, nell'ambito degli scopi di questo
lavoro, un'indagine che abbia una qualche pretesa di completezza. Cercherò, per quanto
possibile, di cogliere gli elementi che ritengo più significativi, rimandando alla vasta
bibliografia esistente per tutti gli aspetti e gli sviluppi particolari. Su alcuni punti
comunque ritengo sia necessario soffermarsi, soprattutto per cercare di capire più a fondo
le problematiche che alla fine del secolo porteranno all'affermazione della Relatività
einsteniana. In questo senso mi occuperò con qualche dettaglio della nascita e degli
sviluppi dell'elettromagnetismo e di alcune questioni di ottica e di termodinamica.
Anche se non l' ho teorizzato, credo si sia capito, da quanto precedentemente scritto,
che non ritengo si possa cogliere nella sua interezza il processo di crescita delle
conoscenze e di articolazione dei dibattiti, dispute o controversie, senza avere come
riferimento costante l'evolversi ed il dialettico intrecciarsi tra progresso delle scienze e
delle tecniche con storia sociale e civile dei popoli. Nessuna pretesa di originalità quindi
nel ricercare anche ora alcuni aspetti dell'interazione suddetta; solo convinzione di fornire
elementi utili ad un proficuo approfondimento.
I primi anni del secolo XIX sono segnati, dal punto di vista politico-militare, dalle
armate napoleoniche che dilagano in tutta Europa con continue guerre, mai nella storia
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precedente così sanguinose. Se da una parte la breve vicenda napoleonica scosse la vecchia
Europa, retrograda e quasi sempre governata dall'assolutismo (illuminato o meno),
diffondendo ideali di libertà, insieme ad una concezione di stato moderno con leggi ispirate
ai diritti ed ai doveri del cittadino, d'altro canto essa urtò contro gli spiriti nazionali e,
anziché contribuire al diffondersi degli ideali universali dell'illuminismo, generò una
massiccia rivolta contro di essi sia da un punto di vista ideale che politico. In ogni caso la
politica di Napoleone, fino al suo crollo definitivo (Waterloo, 1815), riuscì ad esportare
alcune radicali trasformazioni negli apparati amministrativi degli stati che, già realizzate in
Francia, ben presto divennero patrimonio di gran parte dell' Europa.
In questa epoca la scienza francese, sorretta da massicci finanziamenti al fine di
servire le armate napoleonicbe, fece notevoli balzi in avanti. Le scuole tecniche nate
durante la Rivoluzione ebbero un notevole impulso. Una generazione di scienziati si formò
in esse ( Malus, Arago, Poncelet, Cauchy, Sadi Carnot, Gay-Lussac, Thenard, Dulong e
Petit). Inoltre nacquero altre scuole e questo fiorire di iniziative, cui partecipavano come
insegnanti i massimi scienziati dell'epoca (Monge, Laplace, Lagrange, Berthollet, ...), portò
sempre di più ad affermare l'attività scientifica come professione. Fare lo scienziato
assunse il significato di lavorare per lo sviluppo tecnico-economico-militare del Paese. Per
questo si era pagati. Come conseguenza di ciò e proprio perché dallo studioso, a questo
punto, si richiedevano prodotti di sempre più immediata utilizzazione, nacque la
specializzazione scientifica. Il filosofo naturale, che si occupava con maggiore o minore
successo di troppe questioni abbracciando con le sue ricerche e speculazioni campi molto
distanti tra loro, andava via via scomparendo. Certamente rimanevano i Laplace ed i
Gauss, ma erano gli ultimi residui della formazione in epoca precedente. Da questo
momento e fino a quando le difficoltà che nasceranno all'interno delle singole discipline
non imporranno una revisione generale trascendente la disciplina medesima, ognuno
coltiverà le sue ricerche particolari sempre più specializzate e sempre più chiuse alla
comunicazione reciproca. (128)
La separazione tra scienza e filosofia, fatto del quale
ancora oggi discutiamo, si realizzò in questo periodo. Gli ideali illuministici che
postulavano l'unità del sapere cozzavano ora contro le esigenze militari e produttive. La
scienza va sempre più legandosi con il mondo della produzione ed in questo secolo
assistiamo al ribaltamento di quanto avvenuto nel secolo precedente; è ora la scienza che
razionalmente studia a tavolino i prodotti tecnologici necessari all'aumento della
produzione, all'accrescimento dei potenziali aggressivi e qualche volta difensivi degli stati.
" La scienza deve ora attestarsi su canoni metodologici che ne legittimino la ricerca di
nuovi standards di esattezza e di rigore, sia manuali che teorici, giustificando lo studio
delle leggi naturali e delle loro applicazioni non più in base all'illusione illuministica di
essere direttamente uno stimolo per la produzione, ma piuttosto asserendo l'autonomia e la
necessità di tale ricerca in quanto valida in sé e destinata prima o poi ad avere applicazioni
utili." (129)
La filosofia che comprenderà e teorizzerà questi Ideali sarà quella del Positivismo
che, prima dell' enunciazione di Comte (1798-1857), (130) "si instaura di fatto come
atteggiamento generale e come metodo di lavoro nell'ambito dell'Ecole." Il Positivismo
postula la separazione completa della scienza dalla teologia (laicità dell'uomo e del mondo)
ed il netto primato della scienza su altre forme di conoscenza umana. (131) La scienza
offre una vasta gamma di risultati 'positivi' ma sono soprattutto i suoi metodi che
permetteranno il superamento delle argomentazioni ipotetiche, infondate, inverificabili e
perciò irrealizzabili. L'adozione di un metodo rigoroso, controllato e comune, il
raggiungimento di un'ideale scienza unificata che, nel rispetto delle singole discipline,
superi tutti i difetti dell'eccessiva specializzazione e della mancanza di interdisciplinarietà.
La scienza è lo strumento indispensabile al progresso dell'umanità. La sua evoluzione
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permetterà all'uomo di risolvere tutti i suoi problemi di lotta per l'esistenza in una natura
sempre meno ostile proprio perché la scienza sempre più è riuscita a sottometterla ai suoi
voleri. In questo contesto la filosofia assolve, per Comte, un ruolo importante di
ordinatrice e correttrice degli eccessi di specializzazione fino ad arrivare ad un ruolo di
promotrice dell'integrazione dei vari risultati che scaturiscono dai vari campi di ricerca.
E tutto ciò proprio nel momento in cui molti scienziati, come dicevamo, sempre più
si disinteressavano di filosofia, ritenendo le discussioni sull'argomento troppo generali,
quindi generiche e perciò sterili. Questo atteggiamento, spesso definito come 'positivistico',
fu osteggiato dagli stessi positivisti ed al suo diffondersi contribuirono molto di più le
correnti di pensiero che più decisamente si professavano antipositivistiche. (132) Il
disinteresse sempre maggiore da parte dello scienziato per i problemi dell'uomo, con
l'autogiustificazione di far scienza e di stare comunque lavorando per il bene dell'umanità
al di sopra di ogni bega contingente, al di sopra delle parti, fu uno degli aspetti più rilevanti
ed una delle 'tentazioni' più forti dell'800. Basti pensare che ancora oggi ci troviamo a
discutere, soprattutto dopo il 1968, della questione della "neutralità" della scienza e della
"responsabilità sociale dello scienziato". (133)
Ma ritorniamo a quanto tralasciato qualche riga più su. Abbiamo parlato del grande
impulso che napoleone dette alla ricerca scientifica. In concomitanza con ciò, proprio agli
inizi del secolo, in Francia si ebbe una grande ripresa dell'attività pratica (tralasciata, come
abbiamo visto, per tutto il '700), gli scienziati francesi volsero i loro interessi alla scienza
sperimentale ed empirica proprio per soddisfare le impellenti richieste degli eserciti di
Napoleone. La caduta di quest'ultimo, il Congresso di Vienna (1815), la Santa Alleanza
iniziarono quel periodo che va sotto il nome di Restaurazione. Le forze più conservatrici,
legate soprattutto alla nobiltà terriera dell' "ancien régime", tentarono di 'restaurare'
l'ordine sociale ed il potere politico precedente l'esplosione rivoluzionaria. Almeno fino al
1848 il tentativo riuscì e si ripercosse molto gravemente sulla vita scientifica e culturale
che venne sottoposta a rigidi controlli. Ma un puro e semplice ritorno al passato era
anacronistico. Le coscienze erano maturate e cresciute, era possibile reprimere ma non
convincere. In questa fase la borghesia riprese coscienza del suo ruolo motore per lo
sviluppo della società. I primi moti contro i nuovi oppressori si ebbero nel 1820-21 (forze
liberali); e quindi nel '48 (liberali + democratici), dopo un'importante parentesi
rivoluzionaria (la Comune di Parigi), proprio la borghesia riprenderà quasi ovunque il
potere. (134) Durante questa prima metà del secolo le vicende legate allo sviluppo della
scienza, della tecnica, della cultura in generale e delle forze produttive si differenzia
abbastanza da paese a paese.
In Francia, abbiamo già visto che, a partire dalla Rivoluzione c'è una grande
ripresa dell' attività pratica che comporta una trasformazione notevole della scienza. Uno
dei primi compiti, di enorme impegno, che gli scienziati francesi (Monge, Borda,
Lagrange, Laplace, Delambre, Coulomb, Berthollet, Lavoisier) si trovarono ad affrontare
fu l'unificazione dei pesi e delle misure con l'introduzione del sistema metrico decimale. I
lavori iniziarono nel 1793 e si conclusero nel 1799. Questo nuovo sistema fu rapidamente
accettato da molti Stati e comportò notevolissime facilitazioni ai commerci. Altri compiti
immediati che gli scienziati dovettero affrontare, e che non avevano nulla a che fare con la
fisica-matematica settecentesca, erano immediatamente suggeriti dalle esigenze belliche.
Monge studiò le questioni riguardanti la fusione e la perforazione dei cannoni. Fourcroy si
occupò, come già aveva fatto Lavoisier (nel frattempo caduto sotto la ghigliottina), di
sviluppare tecniche atte ad estrarre il salnitro per gli esplosivi dal letame. Allo stesso fine
lavorava Berthollet ma con il clorato di sodio e Morveau mediante ossidazione
dell'ammoniaca.
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Certamente i problemi che si ponevano erano diversi da quelli teorici affrontati
durante il '700. Questa tendenza ebbe un maggior impulso durante il periodo napoleonico
ed in concomitanza con ciò anche l'evoluzione tecnica delle industrie francesi fece notevoli
balzi in avanti.
Il periodo della Restaurazione vide in Francia un certo successo delle filosofie
idealistiche e romantiche che si diffondevano dalla Germania. Personaggi come
Chateaubriand, Lamartine, Madame de Staël potranno dar sfogo ad anacronistiche
posizioni metafisiche con decisi caratteri antiscientifici. Per la verità la scienza fu poco
toccata da tutto ciò la tradizione dell' École era troppo forte ed ancora per anni riuscirà a
produrre importantissimi risultati. (135) Ora però viene a mancare lo stimolo diretto alla
produzione che gli imprenditori borghesi avevano fornito negli anni precedenti. Dopo un
poco il filone si inaridì e per vari anni non produsse altro che la solita sistemazione dei
risultati precedentemente raggiunti (e questo fatto trovava inoltre una teorizzazione nella
filosofia del Positivismo che non accettava nessuna elaborazione ipotetica che andasse al
di là dei fatti noti).
In Gran Bretagna, parallelamente a quanto avveniva in Francia nel periodo
rivoluzionario e napoleonico, l'attività empirica degli scienziati passava un periodo di crisi.
Lo scienziato del Regno Unito, al contrario di quello Francese, spesso langue in miseria
non godendo della protezione dello Stato. Non si dispone di finanziamenti per formare
scienziati professionisti in scuole pubbliche. L'attività scientifica, anche qui, cambia segno
e gradualmente inizia ad interessarsi di questioni di carattere teorico. L'avvertita necessità
di cambiamento trovò in Rumford un fecondo interprete, ma i suoi tentativi di
rinnovamento, nell'ambito dell'organizzazione e dei metodi delle società scientifiche, non
riuscirono a farsi strada in un ambiente restio a mettere in comune le innovazioni tecniche
e scientifiche per la paura di concorrenze o plagi sul piano dei brevetti industriali. Riuscirà
in parte Davy nel compito che si era prefisso Rumford. Egli otterrà finanziamenti ma
presentando la scienza come un qualcosa che oltre ad utile può essere anche divertente.
In questo paese la Restaurazione non avrà che effetti marginali. Si tratta di contrasti
tra la borghesia latifondista ed industriale sulla rappresentanza parlamentare spettante a
ciascuna. Fino al 1831, anno in cui gli industriali ottengono una riforma elettorale che dà
loro maggiore potere, è la borghesia latifondista che guida il paese, su livelli arretrati
rispetto alle spinte innovatrici, "agitando lo spauracchio della Rivoluzione Francese".
Abbiamo già detto della antiquata organizzazione della scienza nelle istituzioni di
questo periodo (alla quale aveva in parte contribuito l'isolamento in cui si era chiusa la
Gran Bretagna nel secolo precedente). Anche le scuole pativano gli stessi mali. Se si
eccettuano le relativamente più giovani università scozzesi, le più prestigiose università
inglesi (Oxford e Cambridge) impartivano insegnamenti vecchi e tradizionalisti sotto il
controllo culturale di autorità clericali. Ed il dominio dello Stato e delle autorità religiose si
cominciò a far sentire in tutti i campi. La scienza veniva sempre più considerata come un
qualcosa di eminentemente teorico, visto che tutti i più prestigiosi strumenti della
Rivoluzione Industriale provenivano da modesti tecnici senza una preparazione elevata. Si
iniziarono comunque a fondare nuove scuole (gli Istituti di Meccanica) per fornire
preparazioni diverse; si iniziò ad insegnare la matematica col più semplice simbolismo
leibniziano; ma soprattutto si colse la necessità dello scienziato professionista (le ricerche
che si dovevano sviluppare erano così complesse che soltanto lavorandovi a tempo pieno
c'era la speranza di ricavarne qualcosa e per far ciò occorreva un finanziamento dello Stato
o di una grande industria); si fondarono società scientifiche (ad es. l'Associazione
Britannica per il Progresso della Scienza - 1831) diverse da quelle tradizionali e pure un
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tempo prestigiose; fatto però molto importante è che tutto ciò iniziò e si realizzò
dall'iniziativa e dai finanziamenti di privati. Solo intorno alla metà del secolo l'intera
situazione cominciò decisamente a migliorare portando la situazione strutturale ed
organizzativa britannica ai livelli di Francia e Germania che, come vedremo tra poco, era
nel frattempo emersa prepotentemente) e facendo di nuovo assumere alla Gran Bretagna
una posizione di primato. (136)
Dal punto di vista tecnologico ed in concomitanza con la relativa stasi dell'industria
non si conseguirono i risultati clamorosi della seconda metà del '700 ma si lavorò al
perfezionamento ed alla migliore ed articolata utilizzazione di quanto già noto. Nell'
industria tessile alcuni miglioramenti tecnologici portarono, tra il 1800 ed il 1830, ad una
espansione enorme della domanda a seguito di ribassi clamorosi nei costi di produzione.
La generale sostituzione della forza motrice idraulica con quella a vapore comportò la
realizzazione di centinaia di opifici non più in zone servite da corsi d'acqua ma in città che,
conseguentemente, vissero imponenti fenomeni di inurbamento. (137) L'impiego poi del
vapore nei trasporti ed in particolare nelle ferrovie, (138) oltre agli ovvi ed incredibili
benefici pratici, produsse anche notevoli effetti psicologici sulle nozioni di tempo e
distanza.
In Germania, infine, tra la fine del '700 e la prima metà dell' '800, si ha m
notevolissimo risveglio della vita culturale in netto contrasto con l'arretratezza di fondo
delle strutture economiche, politiche e sociali. Abbiamo già detto di Kant, dello Sturm und
Drang e della nascita del Romanticismo. Non è certo questa la sede per indagare la
complessità, e l'eterogeneità del pensiero tedesco, (139) delle posizioni assunte, dei temi
affrontati e degli sviluppi che, in sede speculativa, ne conseguirono. Basti solo dire che i
principali indirizzi di pensiero assunsero caratteristiche sempre più antilluministiche e
nazionalistiche. E se da una parte Fichte, facendo confluire il suo idealismo nei temi più.
spiccatamente romantici, si rivolgerà. alla nazione tedesca perché insorgesse contro le
truppe napoleoniche che invadevano la Germania, dall' altra Hegel (l770-l83l) pretenderà,
di determinare le leggi della natura a priori, ricavandole semplicemente su basi
metafisiche. (140) A lato di ciò, negli 'spiriti migliori' i temi romantici si legavano alle
legittime aspirazioni di libertà, ed indipendenza dei popoli. La Germania è un paese diviso
in una miriade di piccoli Stati. Ma già nei primi decenni del secolo si fa avanti la Prussia, il
più industrializzato tra gli Stati tedeschi, come polo di aggregazione. Della complicata
storia della nascita dello stato tedesco, (141) elemento importante fu la fondazione (da
parte dell' imperatore Federico Guglielmo III) dell' Università di Berlino (l8l0). Questa
Università, insieme all' attività dei 'filosofi della natura' che si ispiravano direttamente alla
Naturphilosophie di Schelling, fu alla base della rinascita culturale della Germania e della
successiva acquisizione da parte di questo Paese del primato scientifico su tutto il mondo.
Fu proprio Oken, uno dei filosofi della natura, che fondò nel 1822 la prima società
scientifica che rappresentò la rinascita della ricerca scientifica tedesca, su basi più
empiriche e sperimentali di quanto fino allora aveva comportato l'eredità di Leibniz. Sulla
strada da lui aperta altri si mossero e ben presto, ad imitazione della Francia, sorsero una
miriade di scuole politecniche. Cattedre di scienze cominciarono a venir istituite in tutte le
università tedesche e, a partire dalla metà del secolo, le scuole sia industriali che
commerciali iniziarono a sfornare una gran quantità di tecnici altamente specializzati. E
tutto ciò era proprio finalizzato allo sviluppo dell' industrializzazione del Paese che, al
contrario di quanto avvenuto in Gran Bretagna, non fu promossa da privati ma per diretta
iniziativa dello Stato che contemporaneamente, mediante lo sviluppo massiccio dell'
istruzione pubblica, cercava da un lato "di elevare il livello culturale del popolo per
incrementarne i bisogni materiali e spirituali e per portare il semplice operaio a
comprendere i nuovi sistemi di produzione meccanizzati; d'altro lato di formare una
categoria di tecnici in grado di soddisfare le maggiori esigenze tecniche e scientifiche poste
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dall' industria." (142) In questa dialettica tra Stato, imprenditori privati, popolo, sviluppo
industriale ed istruzione, via via si realizzò una maggiore partecipazione della borghesia
industriale alle scelte politiche del paese e conseguentemente si conquistarono importanti
riforme costituzionali. In definitiva, intorno alla metà dell' '800, è la borghesia industriale
che detiene ovunque il potere economico. La pressione di questa borghesia per avere in
mano anche il potere politico porterà alle vicende del '48 che sancirono, praticamente
ovunque, il suo trionfo. Con il terreno preparato per il decollo della seconda Rivoluzione
Industriale si erano creati profondi cambiamenti economici e sociali che se da una parte
avevano definitivamente affrancato l'Europa dall' Ancien Regime, dall'altro avevano creato
i presupposti per l'emergere di una nuova classe sociale: il proletariato, l'esercito degli
operai dell'industria che dispongono solo della propria forza lavoro. L'affermazione della
borghesia aveva creato la sua classe antagonista che, proprio a partire dal '48, dette vita a
tutti quei moti di ribellione sociale per migliori condizioni di vita che schematicamente si
possono riportare alla nascita del socialismo scientifico di Marx (1818-1883) ed Engels
(1820-1895) e che portarono (1917) alla prima Rivoluzione proletaria della storia: la ormai
definitivamente tramontata Rivoluzione Russa.
Dal punto di vista infine del progresso tecnologico legato a quello scientifico ci sono
alcune osservazioni che meritano di essere riportate. Innanzitutto c'è da osservare che gli
imponenti sviluppi della tecnica del '700 e dei primi anni dell' '800 riuscirono a mettere a
disposizione degli scienziati strumenti sempre più perfezionati e precisi che tra l'altro
permisero di percorrere strade assolutamente imprevedibili fino a qualche anno prima. C'è
poi da notare che, soprattutto nella prima metà del secolo, c'è un generale riconoscimento
dell'utilità del progresso tecnico che, si ammette, non può più essere affidato ad artigiani,
che lavorano su basi esclusivamente empiriche, ma ha bisogno di essere sottoposto a
trattamento teorico per ricavare da esso il massimo possibile in un contesto più ampio ed
organico.
2 - LA NASCITA DELL'ELETTROMAGNETISMO (SCHELLING ED OËRSTED) E
TENTATIVI DI RICONDURRE I NUOVI FENOMENI ALL'AZIONE A DISTANZA
Negli anni in cui Boscovich portava avanti le sue speculazioni si inseriva nel dibattito
sulla costituzione della materia un filosofo che avrebbe avuto profonde influenze negli
sviluppi del pensiero filosofico e scientifico dalla fine del '700 agli inizi del nostro secolo:
Immanuel Kant (1724 - 1804). Egli, profondo conoscitore di Newton, partendo (1755)
(143) da una critica generale della conoscenza ed in particolare dei principi del
meccanicismo fece avanzare notevolmente il « sistema del mondo » ideato da Newton
escludendo il concetto di Dio dalla spiegazione dei fatti naturali che appunto, secondo
Kant, si possono spiegare mediante leggi generali che la natura stessa suggerisce: il mondo
non è stato creato da Dio così come è, esso ha avuto origine dal moto vorticoso di una
nebulosa (144). Il concetto di vortice usato da Kant si lega però piuttosto a Newton che
non a Cartesio in quanto in questo vortice egli fa intervenire delle forze attrattive e
repulsive alla base, secondo lui, della costituzione della materia. Le speculazioni di Kant
sui problemi delle scienze della natura in questo periodo precritico (145) furono sviluppate,
modificate ed ampliate nel 1786 (146) quando egli aveva già scritto il corpo principale dei
suoi lavori filosofici (147). Kant criticò i concetti di «forza d'inerzia », di « spazio assoluto
», di « vuoto assoluto » e di «impenetrabilità della materia ». Secondo Kant quindi non vi
possono essere atomi e non vi può essere vuoto: egli suppone che la materia sia composta
da corpuscoli, che non sono solidi, che risultano indefinitamente divisibili e che si trovano
immersi in una sostanza che riempie tutto lo spazio e che ha una densità di gran lunga più
piccola di qualunque materia esistente (l'etere). Questa materia è soggetta all'azione di due
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forze (dinamismo): quella attrattiva (di tipo newtoniano) e quella repulsiva che è molto più
intensa dell'altra. Queste due forze producono poi, sempre secondo Kant diverse altre forze
come ad esempio: « la forza calorica » che è alla base della concezione del calore e di tutti
i fenomeni che derivano dal fuoco; « la forza luminosa » che è alla base della luce e di tutti
i fenomeni dipendenti da essa; «la forza elettrica» che è la causa di tutti i fenomeni
elettrici; «la forza magnetica che origina tutti i fenomeni magnetici (148)». Per Kant non
esistono quindi né fluidi elettrici, né calorici, né di altro tipo, ma forze di vario genere,
intese tutte come modificazioni di quelle attrattive e repulsive, che agendo tra le particelle
di materia, originano i fenomeni (149). La «critica generale della conoscenza » di Kant
ebbe, nella seconda metà del XVIII secolo, una notevole influenza sulla scienza, influenza
che durò per molti anni, almeno fino agli inizi del XX secolo. Così, a cavallo tra la fine del
XVIII e gli inizi del XIX secolo mentre in Francia l'influsso del pensiero illuminista
produce un ambiente scientifico tale da formare degli scienziati che domineranno con le
loro scoperte l'Europa intera, in Germania le speculazioni di Kant daranno l'avvio al
movimento della Naturphilosophie che, se da una parte rappresenterà un freno
all'affermarsi e all'evolversi della scienza, dall'altra porrà i germi per i grandi sviluppi della
scienza tedesca della seconda metà del XIX secolo. Il più autorevole pensatore della
Naturphilosophie fu certamente Federico Guglielmo Schelling (1775 - 1854) le cui radici
di pensiero si possono ritrovare nei lavori di Leibniz (1646 - 1716) di Boscovich e,
appunto, di Kant.
Secondo Schelling il meccanicismo fisico non rende ragione dell'esistenza della
natura. La concezione meccanicista di materia come un qualcosa di inerte fino a che su di
essa non agiscono forze, entità diverse e separate dalla materia è, secondo Schelling,
l'ammissione di una discontinuità tra materia e spirito (tra natura e uomo) che non
corrisponde alla unità originaria di queste due entità, per esempio, nell'organismo vivente.
Schelling sostiene (tra il 1797 ed il 1799) (150) che è lo spirito (le forze) che si organizza
in materia e pone quindi le forze, agenti tra punti inestesi, con i loro "conflitti e
trasformazioni" alla base dell'esistenza del mondo (dinamismo fisico). Non c'è più materia
allora ma c'è una particolare modificazione di una determinata zona dello spazio dovuta
appunto ai conflitti ed alle trasformazioni delle forze (spirito) eterne e preesistenti. Questo
rifiuto netto del meccanicismo, e più in generale del metodo scientifico, non nasce
casualmente in questo periodo.
La paura dell'affermazione di nuove classi sociali portava al rifiuto delle idee che
avevano prodotto la Rivoluzione Francese, inoltre l'Illuminismo non era stato introdotto in
Europa da Voltaire (1694 - 1778), da Diderot (1713 - 1784) o da altri pensatori ma dagli
eserciti di Napoleone a cui spontaneamente si opponevano i nazionalismi dei popoli che
allora non potevano far altro che riconoscersi per una ricerca di unità, nei loro regnanti.
Così mentre da una parte, nel «programma» di Laplace (1749 - 1827), si afferma
l'applicabilità illimitata delle leggi newtoniane della meccanica e si nega l'ipotesi di Dio
come non necessaria per il sistema del mondo; mentre si consolida la teoria corpuscolare
del calore ad opera di Laplace e di Poisson; mentre si introduce la probabilità nella fisica
che comporta l'incapacità dell'uomo di essere determinista in mancanza di dati; mentre si
riafferma la esistenza dell'azione istantanea a distanza tra atomi nello spazio vuoto
(Laplace) ovvero in uno o più eteri (Brewster, Malus, Ampère, Biot, Mossotti e, per un
certo tempo Arago) (151); dall'altra parte si negava il metodo scientifico che aveva portato
a questi risultati; si affermava che tutto lo spazio fosse riempito da forze in permanente
conflitto e trasformazione; si credeva che calore, luce, elettricità e magnetismo fossero
particolari manifestazioni di queste forze; si vedeva l'origine dei fenomeni sensibili dalla
unità di natura e spirito in un « assoluto » metafisico.
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FISICA/MENTE
Si tenga conto che elementi non immediatamente riconducibili al meccanicismo fisico
nascevano senz'altro dalla spiegazione dei processi biologici. Inoltre le scoperte di quegli
anni del galvanismo (1789) e della pila di Volta (1800) (152), che il meccanicismo non
aveva ancora spiegato esaurientemente, avevano aperto campi di indagine e di polemica in
cui si inserirono efficacemente le speculazioni romantiche nella loro offensiva generale
contro il meccanicismo. Certamente al culmine del meccanicismo, quando l'azione
istantanea a distanza lungo la congiungente gli « oggetti » era alla base di tutte le teorie
fisiche, nessuno avrebbe pensato di ottenere un qualche risultato progettando esperienze
che si ponevano a priori in contrasto con le premesse di principio ed in particolare con quel
tipo di azione. È quindi proprio sotto l'influenza ideologica della Naturphilosophie che il
fisico danese Hans Chrstian Öersted (1777-1851) progettò ed effettuò una memorabile
esperienza che scosse profondamente l'edificio meccanicista.
L'azione che si esercita tra un filo percorso da corrente ed un ago magnetico disposto
parallelamente al filo è normale alla congiungente filo-ago e non è più riconducibile alle
forze centrali. Sono proprio le forze secondo un moderno modo di vedere, che riempiono
tutto lo spazio e quindi che esistono sia lungo la congiungente filo-ago sia lungo la
normale a questa congiungente che rendono possibile la deviazione dell'ago. Lo stesso
Öersted sostiene (153):
« ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già detto, è al
medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte
le osservazioni fin qui fatte... ».
Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l'ago magnetico al di
sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice:
« ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che questo
conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una condizione senza la quale
è impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che quando sta sotto il polo
magnetico lo fa spostare ad est, lo fa spostare invece ad ovest quando è posta sopra di
esso. Perché è nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni
opposte... ».
La Naturphilosophie aveva la sua base sperimentale e l'esperienza di Öersted se da
una parte si opponeva alle teorie meccaniciste, dall'altra affermava l'esigenza del metodo
scientifico (negata da Shelling): le forze o chi per esse preesistono nella « natura » solo se,
andandole a cercare, le troviamo. Comunque questa osservazione non fu fatta all'epoca e
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FISICA/MENTE
l'esperienza di Oersted suscitò un interesse ed un fermento di ricerca che tanti risultati
avrebbero dato allo sviluppo della scienza.
AMPÈRE TENTA DI SPIEGARE L'ESPERIENZA DI ÖERSTED MEDIANTE
L'AZIONE A DISTANZA: AZIONI PONDEROMOTRICI TRA CORRENTI
Tra i primi ad iniziare ricerche per trovare correlazioni tra fenomeni elettrici e
magnetici che in qualche modo rendessero meglio conto dell'esperienza di Oersted per
cercare di ricondurla nell'ambito delle forze centrali, furono i meccanicisti (Biot, Arago,
Ampère ed altri). La memoria di Öersted fu comunicata all'Académie des Sciences di
Parigi nel settembre del 1820 da Arago. Subito, in settembre, partirono le prime ricerche
sperimentali degli scienziati francesi. In quello stesso mese ed in quelli immediatamente
successivi Ampère lesse all'Académie una serie di note (154) in cui riuscì in un impresa da
tutti ritenuta impossibile: quella di ricondurre le forze del tipo di quelle osservate da
Oersted al caso delle forze centrali.
Prima di passare ad un qualche approfondimento sull'opera di Ampére è bene
osservare che, fra le comunicazioni all'Académie ve ne furono due (155) di una certa
importanza fatte da Biot e Savart (1791 - 1841). Anche se non c'è una precisa
documentazione scritta, risalente all'epoca delle comunicazioni all'Académie, sulle ipotesi
e sugli esperimenti da cui mossero Biot e Savart, che permetta un giudizio critico sul loro
contributo alla spiegazione delle «forze di Oersted », i due fisici riuscirono a fornire una
determinazione molto accurata della legge di forza tra corrente ed ago magnetico. Alla
determinazione di questa legge, nella sua forma integrale definitiva, contribuì anche
Laplace come ricorda Biot (156):
<<... Egli (Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge della
forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola magnetica ad esso
esposta. Questa forza è diretta, come l'azione totale, perpendicolarmente al piano formato
dall'elemento longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la
molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è
inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa distanza »
Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella di
Coulomb e quella di Newton: l'andamento con l'inverso del quadrato della distanza ed il
riconoscimento stesso di un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza
rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze « disordinate » ed « in
permanente conflitto ».
Il contributo di Ampère, come è stato già detto, fu più preciso e determinante. Egli
nella sua prima nota del 18 settembre all'Académie annunciò la scoperta delle azioni
ponderomotrici tra correnti elettriche, nelle immediatamente successive illustrò meglio il
fenomeno con dovizia di particolari, di sperimentazioni diverse, di interpretazioni teoriche.
Seguiamo con un poco di attenzione l'opera di Ampére. Egli studiando l'azione che si
esercita tra due correnti (157) scrive (158):
<<... I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di un piano
orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per le
estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta necessariamente
parallelo all'altro conduttore (che è) fisso...>>
Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di
muoversi parallelamente l'uno rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione
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(a seconda del verso delle correnti nei due fili). Il problema che Ampére aveva bene in
mente era però quello della rotazione dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta
l'esperienza in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un
piano parallelo al primo (158):
«... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a quello
fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo conduttore fisso, intorno
ad una perpendicolare comune passante per i loro centri, è chiaro che, secondo la legge
che abbiamo appena ammesso per le attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due
metà di ogni conduttore attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le
correnti siano concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a
quando esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le
correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di due
correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva dipendono da uno
stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e medesima azione ».
Nel caso quindi in cui uno dei due conduttori in esame è libero di ruotare esso tende a
disporsi parallelamente al primo. In definitiva, secondo Ampère, due correnti non parallele
tendono a disporsi parallelamente. Questo primo ragionamento, confortato dall'esperienza,
è il nocciolo su cui si impernia tutta l'ulteriore discussione che porterà Ampère ad
ammettere una sostanziale identità tra correnti e magneti. Egli dice: (158)
« Non è più allora necessario stabilire tra questi due effetti la distinzione che è così
importante fare, come vedremo fra poco, quando si tratta dell'azione mutua di una
corrente elettrica e di un magnete considerato come si fa ordinariamente in rapporto al
suo asse, perché, in questo tipo di azione, i due oggetti tendono a sistemarsi in direzioni
perpendicolari tra loro».
L'ipotesi riduzionista di Ampère non può però prescindere da una « teoria » che vada ad
interpretare il magnetismo come, appunto, originato da particolari correnti. Ed allora un
magnete, ed in particolare un ago magnetico, viene concepito come circondato da correnti
che si avvolgono attorno al suo asse risultando perpendicolari a quest'ultimo.
Ampère passa quindi a sottoporre all'esperienza questa ipotesi cominciando a studiare le
azioni mutue tra correnti e magneti e tra magneti e magneti (158):
« Esaminerò... l'azione mutua tra una corrente elettrica ed il globo terrestre o un magnete
e l'azione mutua di due magneti l'uno sull'altro e mostrerò che esse rientrano l'una e
l'altra nella legge dell'azione mutua di due correnti elettriche che ho appena annunciato,
concependo sulla superficie e all'interno di un magnete tante correnti elettriche, in piani
perpendicolari all'asse di questo magnete, quante si possono concepire linee formanti,
senza intersecarsi mutuamente, delle curve chiuse; in modo che non mi sembra molto
possibile, dopo il semplice raffronto dei fatti dubitare che non vi siano realmente queste
correnti intorno all'asse dei magneti, o piuttosto che la magnetizzazione non consiste che
nella operazione per la quale si fornisce alle particelle d'acciaio la proprietà di produrre,
nel senso delle correnti di cui abbiamo appena parlato, la stessa azione elettromotrice che
si trova nella pila voltaica... ».
E questa azione elettromotrice non è rilevabile perché, come osserva Ampère (158):
«... Solamente, poiché questa azione elettromotrice si sviluppa nel caso del magnete tra le
differenti particelle di uno stesso corpo buon conduttore essa non può mai... produrre
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alcuna tensione elettrica, ma solamente una corrente continua rassomigliante a quella che
avrebbe luogo in una pila voltaica rientrante su se stessa in modo da formare una curva
chiusa (159): è abbastanza evidente... che una tale pila non potrebbe produrre in alcuno
dei suoi punti né tensione né attrazioni o repulsioni elettriche ordinarie...; ma la corrente
che si stabilirebbe immediatamente in questa pila agirebbe, per orientarla, attirarla o
respingerla, sia su un'altra corrente elettrica, sia su un magnete che viene allora
considerato come un insieme di correnti elettriche ».
E con queste ultime esperienze in connessione con i termini teorici (le ipotesi aggiuntive)
Ampère riesce a portare a compimento un'operazione che soltanto un mese prima sarebbe
sembrata impossibile: la spiegazione in termini newtoniani dell'esperienza di Öersted. Nel
portare a compimento questo «programma » Ampère arriva anche ad una importante
conclusione che trascende gli scopi per cui aveva iniziato a lavorare (158):
« E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono
unicamente prodotti dalla elettricità... ».(160)
Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è
pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce
i poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère, e non accessoria come sembra dalla
lettura di qualche testo od articolo, per ricavare l'azione ponderomotrice tra correnti, per
rendere conto dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le « forze in conflitto »
all'ordine newtoniano.
L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi da
corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi
perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest'ultimo fenomeno è in realtà
analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel
far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso (vedi figura
seguente).
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FISICA/MENTE
Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due
correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che
(160a):
« ... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la somma
delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può ottenere con due
integrazioni successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di una delle correnti
relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda da eseguirsi sul risultato della
prima integrazione ... su tutta l'estensione della seconda corrente... ». (160b)
Anche qui quindi l'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra due
correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica
newtoniana. È questo un trionfo di Ampère. I fluidi imponderabili stessi, che la
Naturphilosophie con Öersted aveva allontanato dall'indagine fisica rientrano ora di
prepotenza sulla scena impregnando di sé non solo la spiegazione dei fenomeni elettrici ma
la costituzione stessa della materia.
In verità la prima spiegazione che Ampère dà della costituzione elettrica dei magneti,
e che abbiamo appena visto, sarà rivista criticamente un paio di mesi dopo (160c) dallo
stesso Ampère (160d). Nella seduta dell'Académie del 15 gennaio 1821 Ampère lesse una
memoria (160c) in cui compare per la prima volta, a fianco delle correnti macroscopiche
che si muovono perpendicolarmente su linee chiuse intorno all'asse del magnete, l'ipotesi
delle correnti particellari (160d). Ecco quello che Ampère testualmente sostenne (160e);
« ... Si tratta di sapere se le curve chiuse secondo le quali hanno luogo le correnti
elettriche che forniscono all'acciaio magnetizzato le proprietà che lo caratterizzano, sono
situate concentricamente intorno alla linea che unisce i due poli del magnete, o se queste
correnti sono ripartite in tutta la sua massa intorno a ciascuna delle sue particelle, sempre
nei piani perpendicolari a questa linea... ».
C'era dunque da decidere quale di queste due ipotesi fosse quella esatta. Lo stesso Ampère
disse che per fare ciò occorreva attendere « finché dei nuovi calcoli e delle nuove
esperienze abbiano fornito tutti i dati necessari alla sua soluzione » (160e).
A questo punto interviene Fresnel con due lettere private (160f) ad Ampère per suggerire
la soluzione al problema. Fresnel nella prima lettera confronta, su base sperimentale, le due
ipotesi di correnti intorno all'asse del magnete e di correnti intorno a ciascuna molecola ed
arriva alla conclusione che è più verosimile quest'ultima ipotesi. Nella seconda lettera
precisa ulteriormente questo concetto sostenendo (160f):
« ... è facile vedere che, supponendo le correnti di uguale intensità intorno a tutte le
particelle che si trovano lungo una barra magnetizzata, l'azione dovrà emanare solo dalla
superficie che delimita la barra a ciascuna delle sue estremità, perché le azioni laterali di
tutte le particelle costituenti la barra si neutralizzeranno dappertutto tranne che nei lati
esterni delle particelle che si trovano alla estremità... ».
Da questo punto in poi Ampère userà sempre l'ipotesi di molecola circondata da una
corrente elettrica. Questa molecola elettrodinamica di Ampère è d'importanza
fondamentale: è la prima volta che si passa dalla concezione di correnti infinitesime, senza
realtà fisica, che servono solo per ricavare relazioni matematiche, a correnti reali, anche se
ipotetiche, che circondano le molecole costituenti il magnete. Questa concezione
riduzionista di Ampère è in linea con i tempi e risulterà di estrema importanza per gli
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sviluppi futuri delle teorie sulla costituzione degli atomi e dei magneti.
LA CRITICA DI FARADAY E LA CRISI DEL MECCANICISMO
Ampère ritornerà spesso a difendere la sua teoria della molecola elettrodinamica da
contestazioni che gli venivano mosse da più parti. Ogni volta discuteva risultati di nuove
esperienze o ideate da lui stesso o da altri. Nel settembre 1821 Michael Faraday (1791 1867) in una sua nota (160g), negò l'esistenza delle correnti molecolari (160h)
considerandole alla stregua delle ipotesi « ad hoc »:
« ... M. Ampère non ha una opinione definita sulla grandezza delle correnti elettriche che
egli suppone esistere nei magneti perpendicolarmente ai loro assi. In un passaggio della
sua Memoria, egli le considera, mi sembra, come aventi i loro centri sull'asse stesso del
magnete; ma ciò non può non aver luogo in un magnete cilindrico cavo, a meno che uno
non supponga due direzioni opposte (per le correnti), una sulla superficie interna, l'altra
sulla superficie esterna. Egli in altra parte avanza (l'ipotesi), io credo, che queste correnti
siano infinitamente piccole; sarebbe probabilmente possibile spiegare il caso del più
irregolare magnete dando a ciascuna di queste piccole correnti la direzione richiesta dalla
teoria...».
A queste obiezioni di Faraday Ampère risponde indirettamente in una lettera al Sig. Van
Beck (160i) riaffermando la sua teoria della molecola elettrodinamica ed arricchendola di
interessanti considerazioni teoriche. In questa lettera Ampère sostiene:
« ... Ho trovato... molte altre prove della disposizione delle correnti elettriche intorno a
tutte le particelle dei magneti; diverse circostanze si spiegano meglio quando si
considerino le cose in questo modo e si ammetta che le correnti esistono nei metalli
suscettibili di magnetismo prima della magnetizzazione, e forse in tutti gli altri corpi, ma
che esse non possono esercitare azione, se non ricevono una direzione determinata sia da
un altro magnete, sia da una corrente voltaica...».
Nel febbraio del 1822 Faraday, in una lettera ad Ampère (160l) scrive:
« ... Mi dispiace che la mia carenza nella conoscenza matematica mi renda tardo nel
comprendere queste argomentazioni (160m). Sono per natura scettico in materia di teorie
e quindi lei non deve essere adirato con me perché io non ammetto quella che lei ha
avanzato immediatamente con la sua ingegnosità e le cui applicazioni sono stupefacenti ed
esatte, ma non riesco a comprendere come le correnti si producano e particolarmente se si
suppone che esse esistano intorno a ciascun atomo o particella ed attendo ulteriori prove
della loro esistenza prima di ammetterle definitivamente... ».
La corrispondenza Faraday-Ampère andrà avanti ancora per una decina di anni: anni
cruciali che vedranno nascere ed affermarsi, ad opera di Faraday, la teoria di campo.
Mentre i fisici erano impegnati in controversie del tipo di quelle viste, la chimica aveva già
risolto il problema continuità-discontinuità della materia con la teoria atomica proposta da
Dalton (1766-1844) (160n) nel 1808 ed estesa da Berzelius (1779-1848) (160o) negli anni
successivi (160p).
Nel 1814, indipendentemente, A. Avogadro (1776-1856) (160q) e A.M. Ampère
(160r) ampliarono ulteriormente le concezioni precedenti introducendo l'idea di molecola
( e non solo di molecola costituita da atomi diversi ma anche di molecola costituita da
atomi dello stesso elemento). La teoria atomica che prese le mosse da Dalton riuscì subito
a spiegare tutte le leggi conosciute della combinazione chimica e questa circostanza le
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assicurò subito il successo. Nonostante ciò gli stessi chimici ritenevano l'ipotesi dell'atomo
come molto utile e proficua ma non si sentivano per questo obbligati ad ammetterne la
effettiva esistenza. La teoria atomica, infatti, poiché è funzionale alla spiegazione delle
leggi chimiche può non tener conto della dimensione effettiva degli atomi: possiamo
rimpicciolire col pensiero questi ultimi fino a ridurli a meri punti matematici, le leggi
chimiche non cambiano ma, nel contempo, il discontinuo si avvicina vieppiù al continuo e
l'atomo, pur mantenendo la sua esistenza per la sua funzionalità, in pratica non esiste più.
In quegli stessi anni c'erano altri lavori di ricerca, altri risultati che ponevano
ulteriormente in crisi il meccanicismo newtoniano. Negli anni tra il 1801 ed il 1803 il
fisico inglese Thomas Young (1773 - 1829) scopre, in ottica, il fenomeno dell'interferenza
(160s). Malgrado gli sforzi di Biot e Poisson (1781 - 1840) non si riesce a ricondurre
questo fenomeno alla teoria corpuscolare della luce di Newton. La spiegazione
dell'interferenza risulta però spontaneamente assumendo la teoria ondulatoria della luce
introdotta da Huygens (che a sua volta l'aveva, in qualche modo, derivata da Cartesio) nel
1690 (160t) e così farà Young appunto nel 1802.
Non varrà a riportare in auge la teoria corpuscolare neanche la scoperta, e la
conseguente spiegazione in termini corpuscolari dei fenomeni di polarizzazione fatta tra il
1808 ed il 1815 dai fisici francesi Malus, Biot e Arago. Infatti tra il 1815 ed il 1823 (160u),
Augustine Fresnel (1788 - 1827) darà nuovo impulso alla teoria ondulatoria con la
spiegazione completa, sia analitica che sperimentale, di tutti i fenomeni di ottica allora
conosciuti tra cui quelli della diffrazione, della polarizzazione e dell'interferenza
ammettendo inoltre la propagazione della luce per onde trasversali (l'ammettere questo
fatto suonava come una eresia) nell'etere e conciliando la teoria ondulatoria con la
propagazione rettilinea della luce stessa. La spiegazione della luce in termini ondulatori
oltre a soppiantare, almeno per qualche tempo, il corpuscolarismo newtoniano, risolveva
alcuni problemi che non avevano trovato soluzione nell'ambito di detta teoria: il Sole ha
inviato sulla Terra per molte migliaia di anni sia luce che calore senza una sensibile
diminuzione in grandezza e peso; così la luce ed il calore che penetrano i corpi non
debbono farli aumentare di peso; di conseguenza, insieme alla materia ponderabile che
costituisce gli oggetti che sono intorno a noi, vi deve essere una materia di qualità diversa,
più leggera e sottile di qualsiasi altra entità leggera e sottile (l'etere) (161).
L'edificio della fisica newtoniana presentava, così, varie brecce e nelle varie
incrinature si era lasciato spazio ad una quantità di ricerche teoriche e sperimentali che
avrebbero trovato in Michael Faraday il più fecondo interprete.
3 - LE TEORIE ELETTROTONICHE NELLA GERMANIA DELLA
PRIMA METÀ DELL'OTTOCENTO: WILHELM WEBER (1804 1890)
Le teorie elettrodinamiche, matematizzate da Laplace, Poisson ed Ampère,
suscitarono un grande interesse negli scienziati tedeschi. A partire dal 1840 si iniziarono a
proporre, in Germania, varie teorie elettriche che sostituivano ai fluidi cariche di
elettricità di segno opposto, fluenti in versi opposti con uguale densità e velocità. Tra
queste particelle cariche si dovevano prendere in considerazione delle forze agenti in
ragione della carica trasportata dalle particelle stesse e della loro velocità. (162) Per mezzo
di questa teoria, come fa osservare Rosenfeld, (163) Weber riuscì a ricondurre sia le leggi
dell' elettrodinamica che quelle dell'induzione elettromagnetica (si veda più oltre) ad una
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sola formula che fornisce la forza che si esercita tra due elementi di carica q1 e q2 la cui
distanza r vari con il tempo in conseguenza del moto delle cariche. La formula di Weber,
nel caso di cariche ferme, fornisce la legge di Coulomb mentre, applicata al calcolo delle
azioni elettrodinamiche tra correnti, fornisce la legge di Ampère appena vista (il moto,
dunque,origina delle modificazioni nelle forze !). In questa formula compare un parametro
c che rappresenta il rapporto fra l'unità elettrostatica e l' unità elettrodinamica di carica e
l'introduzione di due distinte unità di carica elettrica è una diretta conseguenza dell'aver
assunto la corrente come flusso di cariche elettriche.Questo parametro c è di fondamentale
importanza; esso fu misurato per la prima volta proprio da Weber, insieme a Kohlrausch,
nel 1855 nel corso di una complessa ed accurata serie di misure fatte per la determinazione
assoluta delle varie grandezze che comparivano nei fenomeni elettrici e magnetici. Weber
e Kohlrausch trovarono per c il valore di 3,11×1010 cm/sec, coincidente con quello che,
negli stessi anni, era stato trovato da Fizeau e da Foucault per la velocità della luce nel
vuoto in esperienze di natura completamente diversa (si veda più oltre). Questa
coincidenza di valori fu notata da Weber (166) ma egli, nel contesto della sua fisica, non
dette molta importanza alla cosa. (167) Oltre a ciò, come osserva D'Agostino, "come
conseguenza della forma delle leggi di forza statiche e dinamiche, espressa dalla legge
elementare di Weber, il rapporto elettromagnetico o viene a configurarsi anche come
quella velocità limite a cui debbono muoversi le cariche affinché le loro azioni statiche
vengano equilibrate da quelle dinamiche (168) - questo secondo significato di c, a
differenza del primo, non è più citato oggi nei testi perché non rientra nel quadro che ora si
dà dell'elettromagnetismo. Ma allora, a metà Ottocento, fu così che si presentò , per la
prima volta, il concetto di una velocità limite in elettrodinamica ... Fu questo doppio
aspetto di c, come velocità della luce e come velocità limite, che a metà Ottocento indusse
i maggiori studiosi di elettromagnetismo - Maxwell compreso - ad escogitare metodi per la
sua misura."
Molte obiezioni e di varia natura furono mosse alla teoria di Weber, soprattutto da
Helmholtz e Clausius. Queste obiezioni riguardavano principalmente questioni di carattere
energetico legate alla compatibilità della formula di Weber con il principio di
conservazione dell'energia che in quegli anni si andava affermando (si veda più oltre).
(170) La teoria di Weber resse comunque per molto tempo poiché descriveva abbastanza
bene i risultati sperimentali che all'epoca si andavano accumulando e perché aveva
dimostrato la sua utilità, ad esempio, nei calcoli fatti da Kirchhoff per valutare il
'movimento dell' elettricità nei fili'. (171) Affinché la teoria di Weber potesse reggere,
potremmo oggi osservare, abbisognava della nozione di potenziale ritardato che tenesse
conto del ritardo nella propagazione dell'interazione elettrica. Riemann fu il primo a
rendersi conto di ciò (1859) quando affermò che "l'azione non è istantanea, ma si propaga
con una velocità costante c". Sulla sua strada si mosse poi Ludwig Lorenz (172) che
ottenne risultati analoghi a quelli che, per altra via, conseguì Maxwell. Egli aprì la sua
memoria del 1867 con l'ammissione, derivante - secondo Lorenz - da tutti i fatti
sperimentali che si erano accumulati, che le varie forze agenti tra elettricità e magnetismo,
tra calore, luce, azioni chimiche e molecolari dovevano essere riguardate come
manifestazioni di una e medesima forza che, a seconda delle circostanze, si mostra sotto
forme differenti. (173) Questa unità della forza però ci sfugge perché, sempre secondo
Lorenz, a seconda dei fenomeni che studiamo ci serviamo, di volta in volta, di ipotesi
modellistiche differenti: una volta i fluidi, una volta l'etere, una volta le molecole. Egli
propose allora di sbarazzarsi dei modelli (174), che sono più di ostacolo che di aiuto, e di
passare a costruire una fisica indipendente da essi. 33 senza far uso di modelli egli si
propose di individuare l' identità tra luce ed elettricità arrivando ad affermare che le
vibrazioni della luce sono esse stesse correnti elettriche. Senza dilungarci troppo sull'opera
di questo fisico, basti osservare che il risultato cui egli giunse "è che le vibrazioni di una
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corrente elettrica inducono vibrazioni nelle immediate vicinanze, in completa analogia con
quanto accade nel fenomeno di propagazione delle onde luminose." (175) Per arrivare a
questo risultato Lorenz introdusse, come avevamo accennato, i potenziali ritardati. (176)
In questo modo egli trovò, in modo più diretto, le stesse equazioni che troverà Maxwell,
giungendo alla conclusione "che le forze elettriche richiedono del tempo per viaggiare e
che queste forze solo apparentemente agiscono a distanza." (177) Come mai dunque il
programma weberiano, che pure con l'introduzione dei potenziali ritardati portava agli
stessi risultati di Maxwell, fu abbandonato? Certamente contribuirono cause diverse, tra le
quali, con D'Agostino:
" 1. Un graduale abbandono del quadro esplicativo di Newton ed Ampère non soltanto in
elettrodinamica.
2. Una certa qual macchinosità delle formule di Weber nel loro adattamento alla
spiegazione di quel tipo di
fenomeni elettromagnetici che, alla fine del secolo, saranno
al centro dell' interesse - cioè l'irraggiamento da antenne -, in contrasto con la maggiore
semplicità offerta, per gli stessi fenomeni, dalla teoria di Maxwell.
3. La fecondità dimostrata allora dalla teoria di Faraday -Maxwell nel suggerire nuovi
esperimenti" (178) proprio perché sostenuta da un'impalcatura modellistica con apparati di
maggiore intuibilità.
Resta il fatto che la teoria di Weber, pur muovendosi come sviluppo del programma
amperiano, introdusse degli elementi non solo non riconducibili ma addirittura in contrasto
con la fisica newtoniana. Mai Newton aveva, neppure ipotizzato, forze che potessero
dipendere dalla velocità. Ma d'altra parte lo stesso Ampère aveva introdotto angoli tra
elementi infinitesimi di circuito! Anche se si continuava a richiamarsi a Newton, questi
sempre meno era rappresentato dalla fisica che si sviluppava intorno alla metà
dell'Ottocento.
In chiusura del paragrafo resta solo da ricordare, per quanto vedremo più avanti a
proposito di H.A. Lorentz, che la teoria di Weber fu perfezionata nel 1877 da Clausius che
fornì una nuova espressione per la legge di forza fra elettroni. In questa nuova relazione
non si ipotizzava più che le cariche elettriche fluenti in verso opposto dovessero
necessariamente avere la stessa velocità ed inoltre le stesse velocità delle cariche erano
considerate rispetto ad un etere immobile risultando quindi velocità assolute, al contrario di
quanto accadeva nella formula di Weber dove le velocità erano relative.(178bis)
4 - CRITICA DELL'AZIONE A DISTANZA E FORMULAZIONE
DELL'AZIONE A CONTATTO: L'OPERA DI FARADAY
Ritorniamo al lavoro di Oersted ed a quelli di Ampère come riferimenti sui quali
innestare i successivi sviluppi dell'indagine sperimentale e della speculazione teorica sui
problemi delle relazioni esistenti tra fenomeni elettrici e magnetici, nella Gran Bretagna
della prima metà dell'Ottocento.
A cavallo fra la fine del '700 e gli inizi dell'800 erano penetrate in Gran Bretagna le
speculazioni del movimento della Naturphilosophie(179) importate, con particolare foga,
dal poeta inglese S. T. Coleridge (1772 - 1834) reduce da un lungo viaggio in Germania.
Davy (1778 - 1829), insigne chimico inglese (al quale, tra l'altro, si deve l'invenzione della
lampada di sicurezza per minatori), era amico di Coleridge e rimase molto influenzato
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dalle idee della Naturphilosophie che quest'ultimo, in lunghe conversazioni, gli aveva fatto
conoscere. Davy lavorava in un contesto in cui si erano già affermate le teorie atomiche di
Dalton (1766 - 1844). Egli era. insoddisfatto di quell'atomismo che, tra l'altro, non gli
spiegava. il perché alcune sostanze reagiscono tra di loro ed altre no, infatti, "se la sola
forza associata agli atomi fosse stata quella gravitazionale - come ammetteva il
meccanicismo di Dalton -, tutte le sostanze avrebbero dovuto reagire tra di loro"(l79bis).
Per altri versi però anche Naturphilosophie presentava una sua contraddizione: se alla base
del mondo c'è il conflitto e la trasmutazione delle forze, come mai non si riscontra un
conflitto ed una trasmutazione delle sostanze?
Davy risolse questo problema integrando la Naturphilosophie con le teorie di Boscovich:
ogni sostanza è caratterizzata da una curva di forza; il non adattarsi di certe curve di forza
ad altre non permette certe reazioni; inoltre, ammettendo Boscovich ed "ammettendo che
l'elettricità, con il suo passaggio, provochi una distorsione delle curve di forza, si riescono
a ben spiegare i fenomeni dell'elettrochimica". Anche in questo ambito, quindi,
Naturphilosophie rispondeva abbastanza.
In questo contesto di pensiero M. Faraday (1791 - 1867) iniziò a lavorare (1813) come
sciacquaprovette nel laboratorio di Davy (180), in un ambiente, quello britannico, dove
ben diversa da quella avuta in Francia, fu l'accoglienza che l'esperienza di Oersted ebbe.
Nel 1821 Richard Phillips, direttore degli Annals of Philosophy, chiese al giovane
assistente di Davy e suo amico, Michael Faraday, di fare, per la rivista, una rassegna
storica di tutti gli esperimenti e teorie dell'elettromagnetismo che erano apparsi dopo
Oersted (è opportuno a questo punto ricordare che in accordo con il riduzionismo di
Ampère - magnetismo prodotto da elettricità, anche a livello di struttura 'molecolare' della
materia - nel continente entra in uso il termine 'elettrodinamica'; anche per sottolineare un
approccio diverso al problema, in Gran Bretagna, gli stessi fenomeni sono designati con il
termine 'elettromagnetismo').
Ma Faraday, nel realizzare il suo lavoro, ebbe modo di ripetere molte delle esperienze
che trovava descritte nella letteratura e la cui redazione non lo soddisfaceva; ebbe modo di
valutare i pregi e le idee oscure di ogni singola teoria proposta; in particolare non lo
convinceva la spiegazione teorica che Ampère dava dell'esperienza di Oersted. Egli, in
nessun modo, riusciva a convincersi che le azioni tra filo conduttore e magnete potessero
essere rettilinee, istantanee ed a distanza. L'aspetto che più lo colpiva nell'esperienza di
Oersted erano gli effetti di simmetria che balzavano immediatamente agli occhi: se l'ago
era disposto sotto il filo la rotazione dell'ago avveniva in un senso; sopra il filo la rotazione
si realizzava in verso opposto. Su ciò concentrò il suo lavoro fino a realizzare una
esperienza in cui, se possibile, le azioni circolari erano portate ad una evidenza ancora
maggiore. Con l'apparato sperimentale di fig. 2, riuscì a realizzare il moto circolare di un
magnete intorno ad una corrente e, simultaneamente, di un filo percorso da corrente
intorno ad un magnete. L'apparato è costituito da due coppe di vetro; all'interno delle
coppe vi è del mercurio che permette la chiusura del circuito mediante un contatto
strisciante (il conduttore rigido si muove mantenendo il contatto elettrico con il mercurio);
i conduttori che escono da sotto le coppe sono collegati ad una batteria; quando passa
corrente il magnete della coppa di sinistra ed il conduttore della coppa di destra
cominciano a ruotare vorticosamente intorno, rispettivamente, al conduttore fisso ed al
magnete fisso. Sarebbe stato a questo punto più difficile mettere in discussione le azioni
circolari.
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Figura 2 - L'apparato è costituito da due coppe di vetro; all'interno delle coppe vi è del mercurio che
permette la chiusura del circuito mediante un contatto strisciante (il conduttore rigido si muove
mantenendo il contatto elettrico con il mercurio); i conduttori che escono da sotto le coppe sono collegati ad
una batteria; quando passa corrente il magnete della coppa di sinistra ed il conduttore della coppa di
destra cominciano a ruotare vorticosamente intorno, rispettivamente, al conduttore fisso ed al magnete
fisso.
Questo successo però quasi obbligò Faraday ad una pausa di riflessione. La sua
preparazione in fisica, in fondo, non era pari a quella in chimica ed alla sua fantasia.
Questa pausa durò 10 anni nei quali egli si occupò essenzialmente di questioni di chimica.
Ma non smise mai di pensare ad un problema che continuava a girargli per la testa: se una
corrente produce un effetto magnetico, anche un magnete deve produrre una corrente.
Tentò svariati esperimenti, tutti con esito negativo. Finalmente, nel 1831, scoprì
l'induzione elettromagnetica: un magnete mosso in prossimità di un circuito non alimentato
provoca in esso il passaggio di corrente. Non si trattava di un fenomeno semplice da
evidenziare: chissà quante volte Faraday aveva mosso un magnete vicino ad un circuito! Il
fatto è che il fenomeno è evidente solo durante il moto relativo di magnete e circuito
elettrico. Solo quando c'è una variazione di una qualche grandezza nella fase transitoria. E
di questo Faraday si rese ben conto fino a progettare l'esperienza di fig. 3: all'apertura o
chiusura del circuito B, mediante il tasto T, il galvanometro G segna passaggio di corrente
(se in un dato verso all'apertura, in verso opposto alla chiusura). E' la prima evidenza
chiara di un nesso tra corrente elettrica, magnetismo e movimento (o variazione di una data
situazione).
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Questo successo è consistente con il programma di Faraday. Egli lo sa ma sa anche
che deve aggiungere altre 'prove', dimostrazioni, evidenze sperimentali. E' molto difficile
dalla sua posizione di chimico convincere i fisici; tanto più che ogni corporazione è felice
di annoverare Faraday nel suo seno ogni volta che questi scopre qualcosa di importante ma
è immediatamente imbarazzata quando 'l'incolto' Faraday prova a 'teorizzare', a trarre delle
conclusioni. I fisici gli rinfacciano di essere un chimico. I chimici di essere un fisico.
Ambedue sono comunque d'accordo che non è da prendere sul serio chi, come Faraday.
non conosce la matematica.
Nel 1832 il nostro intraprende una nuova serie di ricerche sperimentali con le quali si
propone di dimostrare l'identità di tutti i tipi di elettricità. Qui si deve scontrare con
l'elettrolisi, sulla quale lavora molto. Questo fenomeno era stato spiegato brillantemente
con la teoria dell'azione a distanza, essendo i poli della cella voltaica i centri delle forze
attrattive e repulsive che agiscono su 'pezzi' di molecole.
Egli si sbarazzò dapprima dei poli facendo avvenire la dissociazione elettrolitica
senza l'uso dei due poli che si ritenevano indispensabili. Provocò questa dissociazione con
vari apparati sperimentali che si servivano di un solo polo, mostrando nel contempo
l'identità dei vari tipi dei corrente, quella voltaica, quella elettrostatica, …. Nella fig. 4 (a) è
rappresentato un generatore elettrostatico ad un solo polo che si scarica su strisce di carta
imbevute di una soluzione salina (si provoca la decomposizione della soluzione e
simultaneamente si ha flusso di corrente); nella fig. 4 (b) viene suggerito l'uso di un solo
polo di una batteria voltaica per far avvenire la decomposizione in a di una soluzione salina
di cui è imbevuta la striscia di carta (indicata con b) il circuito non è infatti chiuso sul polo
positivo ma è interrotto nel punto e per cui Faraday fa circolare corrente riscaldando l'aria
nel tratto in cui il circuito è interrotto. In ambedue questi casi non vi sono due terminali, o
poli, che provocano la dissociazione della soluzione: viene così meno l'indispensabilità dei
poli medesimi. Ed eliminati i poli sono eliminati i supposti centri di forza. Rimaneva il
problema dei radicali liberi nelle soluzioni elettrolitiche ma Faraday riuscì a sbarazzarsene
con una serie di complicate esperienze (che si possono vedere in bibl. 54 bis dal paragrafo
523 al 563 e dal 661 all'874).
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Alla fine di questi lunghi e complicati lavori Faraday arrivò a sostenere che la forza
elettrica si trasmette da molecola a molecola (azione a contatto) attraverso (non ancora ben
precisate) linee di tensione del mezzo, che, si badi bene, interessano tutto il mezzo, il quale
partecipa attivamente al fenomeno. Si tratta quindi di una azione a contatto da una
molecola di Boscovich (che è stata discussa nel precedente lavoro a cui mi sono riferito
all'inizio di questo) ad un'altra (181).
4.1 - LA TEORIA DI CAMPO DI FARADAY
Negli anni seguenti, fino al 1837, studia essenzialmente fenomeni elettrolitici. E
proprio nel '37 inizia una serie di ricerche finalizzate ad evidenziare l'azione a contatto
anche in elettrostatica ('l'induzione di particelle contigue' come dice Faraday). L'idea che
lo guidava e sulla quale voleva indagare era la seguente: se la trasmissione della forza
elettrostatica dovesse dipendere dalle particelle del mezzo attraverso cui passa la forza,
allora queste particelle dovrebbero esse stesse avere un qualche effetto sulla forza
medesima (ad esempio: sulla capacità, sulla constante della legge di Coulomb, …) Così,
con l'apparato di fig. 5 (bibl. 54 bis, tavola IX e paragrafi dal 1194), si mise ad indagare
quali effetti provocava l'introduzione di dielettrici differenti (dapprima gas, quindi liquidi e
solidi) nella parte compresa tra le due sfere di figura. La prima importante scoperta che ne
conseguì fu che quando nello spazio tra le due sfere (i due elettrodi) si disponeva un
dielettrico e la differenza di potenziale si manteneva constante, della carica elettrica
affluiva sul dielettrico originandone la polarizzazione. Nel far questo Faraday definì la
constante dielettrica relativa e fornì, quindi, un metodo per distinguere isolanti da
conduttori in base alla proprietà delle relative molecole di rimanere polarizzate o meno.
Egli può quindi concludere che, come nel caso elettrochimico, l'energia coinvolta nel
processo la si ritrova nel mezzo esistente tra le cariche elettrostatiche "ed è un'azione di
particelle contigue del dielettrico, messe in uno stato di polarità e tensione ed in mutua
relazione mediante le loro forze in tutte le direzioni" inoltre, prosegue, "l'intera azione …
non si esercita meramente lungo linee qualunque che possono essere concepite attraverso
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il dielettrico tra la superficie inducente e quella indotta" (bibl. 54 bis, paragrafi 1223 e
1231). Anche qui, quindi, Faraday si sbarazza dei supposti poli ed a questo punto introduce
il concetto di linee di forza ("un temporaneo modo convenzionale di esprimere la direzione
lungo cui agisce la forza nei casi di induzione"), dando una immagine mediante esse di
quanto trovato, afferma che queste ultime si fanno più fitte nel dielettrico quando lo
sottoponiamo all'azione di una forza elettrica. Ed aggiunge che le stesse forze elettriche
sono originate da uno stato di tensione delle linee di forza ('lo stato elettrotonico') (182)
ribadendo quindi con maggior forza che i fenomeni elettrostatici risiedono nel mezzo
interposto piuttosto che nei supposti poli.
Altre prove che in quell'anno e nel successivo Faraday portò a sostegno dell'azione a
contatto furono:
1) nei fenomeni elettrolitici gli elettrodi si ricoprono interamente delle sostanze
decomposte; questo fatto non può essere in alcun modo spiegato con l'azione a distanza; in
quest'ultimo caso, infatti si dovrebbero ricoprire solo quelle parti degli elettrodi che
risultano affacciate tra loro;
2) la stessa cosa vale per i fenomeni elettrostatici: quando infatti avviciniamo un bacchetta
ad una sfera per caricarla mediante induzione, se poniamo un elettrometro nella zona
d'ombra della sfera (cioè: dietro la sfera, dalla parte opposta della bacchetta), questo segna
la presenza di carica indotta anche in quella parte di spazio che, secondo la teoria
dell'azione a distanza, non sarebbe in alcun modo raggiungibile.
Le conclusioni che Faraday ne trasse sono che le azioni si propagano per linee curve
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originate dallo stato elettrotonico dello spazio in tensione che sottopone a sforzo le
molecole interposte. E' quindi un effetto di volume sulle molecole che ne provoca la
disposizione su linee curve lungo, appunto, le linee di forza.
A questo punto Faraday dovette sospendere le sue ricerche per ben 7 anni. Gli sforzi
continui ai quali si era sottoposto gli procurarono un collasso. Gli anni di riposo gli
permisero di meditare ed egli, nel 1844, riprese l'attività con il lavoro A Speculation
Touching Electric Conduction and the Nature of Matter (bibl. 54 bis, pagg. 850/855), nel
quale espose con una certa completezza ed una buona dose di coraggio la sua teoria di
campo. Dopo aver criticato, con argomentazioni di carattere sperimentale, la teoria atomica
di Dalton (che andava per la maggiore), egli passò ad esporre il suo punto di vista, a partire
dalla sua adesione ai punti atomi di Boscovich. Questi atomi vengono pensati da Faraday
come punti inestesi circondati da una atmosfera di forza (sull'evolvere delle concezioni di
atomo, molecola, corpuscolo, ... in Faraday, si può vedere bibl. 38). Egli giustificò ciò
affermando che "noi conosciamo e studiamo le forze in ogni fenomeno del creato, mentre
l'astratta materia in nessuno; per quale ragione dunque dovremmo assumere l'esistenza di
ciò che non conosciamo, che non possiamo concepire e di cui non vi è nessuna necessità
filosofica?". Passò quindi a descrivere la differenza tra la concezione atomistica classica e
la sua: con atomi classici "una massa di materia è costituita da atomi e da spazio
interposto", con atomi di Boscovich "la materia è presente ovunque e non vi è nessuno
spazio interposto non occupato da essa". E così continuò a fornire la sua concezione di
materia e spazio: "Senza dubbio i centri di forza variano nella loro distanza reciproca, ma
quella che è la vera e propria materia di un atomo tocca la materia dei suoi vicini. Quindi
la materia sarà continua ovunque, e quando consideriamo una massa di essa non
dobbiamo pensare alcuna distinzione tra i suoi atomi e gli spazi interposti. Le forze
intorno ai centri danno loro le proprietà di atomi di materia; e sempre queste forze,
quando molti centri sono raggruppati in una massa dalle loro forze attrattive, danno ad
ogni parte di quella massa la proprietà di materia".
Quindi niente più materia ma forze che, dove hanno una 'densità' maggiore forniscono
la sensazione di materia. Di conseguenza niente più atomi e vuoto, ma continuità ovunque.
Sarà poi la disposizione peculiare dell'atmosfera di forza intorno ai centri che permetterà al
punto atomo di avere particolari comportamenti fisico - chimici (lo renderà cioè o polare, o
magnetico, o come si vuole). L'articolo così prosegue: "Gli atomi possono essere concepiti,
anziché completamente duri ed inalterabili, come estremamente elastici … Ed in questo
modo … la materia e gli atomi di materia saranno mutuamente compenetrabili", e, in
accordo con quanto qui sostenuto, Faraday rese conto del legame chimico pensando ad una
mutua compenetrazione delle atmosfere di forza di due o più punti atomi. La conclusione
dell'articolo è ancora più interessante perché contiene tutti gli elementi per gli ulteriori
sviluppi modellistici della teoria di campo: "Questa concezione della costituzione della
materia sembrerebbe condurre necessariamente alla conclusione che la materia riempie
tutto lo spazio o, almeno, tutto lo spazio a cui si estende la gravitazione (includendo il Sole
ed il sistema solare); poiché la gravitazione è una proprietà della materia dipendente da
una certa forza, ed è questa forza che costituisce la materia.In questa concezione la
materia non è solo mutuamente compenetrabile, ma ciascun atomo si estende, per così
dire, attraverso l'intero sistema solare, pur conservando il proprio centro di forza".
Si può ben intendere come tutto ciò non abbia nulla a che vedere con tutti gli sviluppi
della fisica newtoniana nelle scuole continentali. E' veramente una rivoluzione di pensiero
di enorme portata. Ma non ancora completa. Proprio le ultime parole dell'articolo in
discussione riportano le questioni che ancora rimanevano in sospeso: "quali relazioni
questa ipotesi avrebbe con la teoria della luce e del supposto etere". Anche se Faraday
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diceva che non aveva alcuna intenzione di investigare ciò, certamente la cosa gli premeva
ma, come suo costume, gli occorreva una base sperimentale per poter avanzare una
qualunque ipotesi o modello esplicativo. Di questi argomenti fino ad allora non si era
occupato mai. Ma proprio nel 1845 egli dette il via ad un'altra grande serie di ricerche
sperimentali dal titolo significativo, anche se molto oscuro On the Magnetization of Light
and the Illumination of Magnetic Lines of Force (bibl. 54 bis, pagg. 595/632). Per la verità
uno stimolo importante gli era venuto dal giovane fisico William Thomson, futuro Lord
Kelvin (1824 - 1907). Quest'ultimo aveva intravisto la possibilità di formalizzare sia le
linee di forza che lo 'stato elettrotonico', pertanto invitava Faraday, con una lettera, ad
evidenziare questo stato con ulteriori esperimenti. Per paradossale che possa apparire,
come osserva Percy Williams, Thomson era portato a pensare che proprio dal punto di
vista sperimentale le idee di Faraday fossero un poco carenti. Così Faraday intraprese
questo nuovo sforzo che ben presto lo portò a nuovi, clamorosi risultati. Il primo tra questi
è quello che va sotto il nome di polarizzazione rotatoria magnetica (o Effetto Faraday) e
consiste nella rotazione del piano di polarizzazione della luce quando quest'ultima
attraversa certe sostanze (nell'esperienza originale: vetro al borato di piombo) immerse in
un campo magnetico. Ecco dunque un fenomeno che connette magnetismo con fenomeni
luminosi!
Questo grosso risultato rese più ferme le convinzioni di Faraday sulla costituzione di
spazio e materia in base a linee di forza, non come modello, ma con una precisa realtà
fisica. E nel 1846 pubblicò un altro lavoro (Thoughts on Ray-vibrations - bibl. 71 bis) di
carattere speculativo nel quale completò. perfezionò e rafforzò il precedente del 1844. In
esso si ribadiva quanto sostenuto nel primo ma si aggiungevano importanti considerazioni
sulle linee di forza come sede delle azioni che si propagano nello spazio con la velocità
della luce: fatto, quest'ultimo, che farebbe cadere definitivamente la necessità di supporre
l'esistenza dell'etere. Scriveva Faraday:
" Il considerare la materia [come fatto nel precedente articolo] mi indusse gradualmente a
guardare le linee di forza come probabile sede delle vibrazioni dei fenomeni radianti.
Un'altra considerazione, che porta ugualmente all'ipotetica idea di coesistenza di materia
e radiazione, nasce dal confronto delle velocità con cui l'azione radiante e certe forze
della materia vengono trasmesse … Si è mostrato mediante gli esperimenti di Wheatstone,
che la velocità dell'elettricità è grande come quella della luce, se non più grande".
E qui egli riesce ad intravedere che un modo per mettere in evidenza l'eventuale
identità tra luce e fenomeni elettromagnetici è il confrontarne le relative velocità. Ma come
si propagherebbe la radiazione? " La mia concezione … considera la radiazione come una
importante specie di vibrazione nelle linee di forza che uniscono tra loro particelle ed
anche masse di materia. La mia concezione fa a meno dell'etere ma non delle vibrazioni"
che da vari risultati sperimentali devono essere vibrazioni laterali e cioè trasversali.
Poste queste premesse Faraday passa subito ad attaccare l'azione istantanea a
distanza: "La propagazione della luce e quindi probabilmente di tutte le azioni radianti,
occupa tempo; e, affinché una vibrazione della linea di forza possa spiegare i fenomeni
radianti, è necessario anche che una tale vibrazione occupi tempo".(183) Ed in questo
modo di considerare i fenomeni radianti, per Faraday, svaniva ogni necessità di far ricorso
all'etere; in luogo di esso ci sono ora " le forze dei centri atomici che permeano e
costituiscono tutti i corpi, oltre a penetrare tutto lo spazio" ed in definitiva solo linee di
forza permeanti tutto lo spazio.
Certo che il problema dell'etere non era così semplice da essere trattato e soprattutto
risultava strabiliante un suo accantonamento apparentemente così banale quando
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generazioni di fisico - matematici si erano accanite ad interpretarlo e matematizzarlo. Egli
era comunque cosciente che occorreva indagare ancora soprattutto per fornire prove più
decisive sulla realtà fisica delle linee di forza. Nei lavori che seguirono egli scoprì e
teorizzò le sostanze ferromagnetiche, paramagnetiche e diamagnetiche; su questa strada
ebbe modo di chiarirsi meglio le idee sulle linee di forza magnetica fino ad arrivare alla
convinzione che: " le linee di forza magnetica possono rassomigliare ai raggi di luce, al
calore, ecc., e possono trovare difficoltà nel passare attraverso i corpi ed essere
influenzate da essi allo stesso modo della luce".
Questa indagine sulle linee magnetiche di forza proseguì con una serie di lavori
sperimentali del 1851 e 1852. Intanto, mediante un semplice circuito esploratore (un filo
conduttore connesso con un galvanometro mosso vicino ad un magnete), era riuscito a
rilevarne l'esistenza: si tratta di linee curve, continue e chiuse, senza poli né centri di
azione; esse esistono sia nello spazio circostante il magnete che nel magnete stesso. E così
Faraday scriveva: " dentro il magnete vi sono linee di forza esattamente uguali in forza e
quantità a quelle fuori di esso, ma con direzione opposta …Ed in effetti ciascuna linea di
forza è una curva chiusa, che in qualche parte del proprio percorso passa attraverso il
magnete cui essa appartiene " ed aggiungeva " io propendo a considerare il mezzo esterno
al magnete come altrettanto essenziale per il magnete: è esso infatti che collega l'una
all'altra le polarità esterne per mezzo di linee di forza curve e fa si che esse non possano
essere altro che curve". Per rendere conto di ciò Faraday paragona un magnete ad una cella
voltaica immersa in un qualunque elettrolita. Tolto l'elettrolita la cella voltaica diventa un
contenitore inerte. Solo quando il mezzo esterno permette il passaggio dell'elettricità, la
cella diventa un centro di forze elettriche. Così è per il magnete in cui lo spazio esterno
mette in relazione l'un l'altra le polarità esterne con linee di forza curve. In definitiva,
ancora una volta Faraday ribadisce la sua convinzione di forza che non può esistere senza
un mezzo e proprio in questo deve essere ricercata (e non nel corpo da cui suppostamente è
originata). Questo mezzo è costituito da linee di forza ed ha solo la capacità di trasmetterle:
quindi niente etere, che in questa visione diventa puramente accessorio, ma spazio
identificato con materia.
Uno degli ultimi lavori di Faraday (On Some Points of Magnetic Philosophy, bibl. 54
bis, pagg. 830/847), nel quale, ancora con un accanimento ed una passione di tutto rispetto,
tentò di convincere i suoi contemporanei dell'erroneità della teoria dell'azione a distanza, è
del 1855. Questo lavoro affronta il tema del campo in termini di conservazione dell'energia
(che in quegli anni si era affermata con diversi e vari contributi e particolarmente con il
lavoro di Helmholtz del 1847, Über die Erhaltung der Kraft , Sulla conservazione della
forza) ed in esso si sostiene la necessità del campo perché altrimenti si arriverebbe
all'assurdo di creazione o annichilamento di energia. Secondo la teoria di Newton, egli
argomentava, due corpi che si attraggono (Sole e Terra, ad esempio) devono essere
considerati separatamente come inerti, cioè a ciascun corpo non deve essere associata
alcuna forza. Se ora facciamo interagire i due corpi essi si attraggono a seguito del fatto
che si sarebbe creata nello spazio tra i due quella forza che li tiene uniti (si ricordi che
l'azione alla Newton è istantanea e a distanza). Se invece tolgo uno dei due corpi che
stanno interagendo annichilo una forza che precedentemente li teneva uniti. Questi fatti
paiono assurdi e l'unico modo per spiegarli è ammettere l'ipotesi che ciascuno dei due corpi
abbia una preesistente forza (oggi diremmo energia) che lo circonda e questa forza si
diparte da questo corpo pervadendo l'intero spazio. Due corpi che si attraggono sono allora
due corpi che fanno interagire le loro preesistenti linee di forza (i loro campi). Su questi
argomenti ed in particolare sulla gravitazione, tema per lui di sommo interesse ma sul
quale non era in grado di sperimentare, Faraday tornò ancora nel 1857 sostenendo che "se
la forza agisce nel tempo ed attraverso lo spazio, essa deve allora agire mediante linee
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fisiche di forza" e che la gravità "non risiede semplicemente nelle particelle della materia
… ma in tutto lo spazio… essendo solo la parte residua delle altre forze della natura".
L'ultimo lavoro sperimentale di Faraday è del 1862, appena 5 anni prima della sua morte.
Egli tentò, senza riuscirvi, di scoprire l'effetto di un campo magnetico sulle proprietà della
luce. La strumentazione di cui disponeva non era all'altezza dello scopo che Faraday si
prefiggeva; 35 anni più tardi, con strumenti molto più sofisticati, il fenomeno ricercato da
Faraday sarà trovato da Zeeman (1865 - 1943) ed oggi va sotto il nome di 'effetto Zeeman'.
Come già accennato comunque, le nuove idee che Faraday avanzava erano spesso
giudicate con scetticismo, se non con aperta ostilità, da parte di molti suoi contemporanei.
Ma egli le portò avanti fin dove il contesto teorico e gli apparati sperimentali glielo
permisero. Indubbiamente si erano trovati numerosissimi fenomeni che era impossibile
ricondurre allo schema interpretativo del meccanicismo e, al di là degli sforzi che
comunque si facevano per farlo, emergeva evidente una insufficienza della fisica
newtoniana. La resistenza al superamento delle vecchie concezioni si rafforzava anche
perché i nuovi fatti sperimentali e l'interpretazione teorica complessiva che Faraday ne
aveva dato, non avevano trovato una rappresentazione modellistica chiara ed una
formalizzazione corrispondente che fornisse loro quella 'dignità scientifica' che le stesse
vecchie concezioni avevano. Faraday non era in grado di fare ciò.
5 - L'AFFERMAZIONE DELL'AZIONE A CONTATTO:
MAXWELL, LA FORMALIZZAZIONE
DELL'ELETTROMAGNETISMO E LA NASCITA DELLA TEORIA
ELETTROMAGNETICA DELLA LUCE
Nel 1855 il giovane fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831 - 1879) iniziò ad
occuparsi di elettromagnetismo. Egli disponeva dell'elaborazione matematica del metodo
delle 'analogie' sviluppato da W. Thomson (182); conosceva bene i contributi di Weber
all'elettrodinamica; conosceva la matematica di Green e Stokes; aveva studiato Helmholtz
e la sua cinematica dei fluidi ed aveva, naturalmente, ben presente l'opera di Faraday. L'iter
lungo cui si sviluppa il complesso della teoria del campo elettromagnetico di Maxwell è
segnato da 3 memorie fondamentali e dal famoso Treatise on Electricity and Magnetism
(bibl. 76 quinquies) del 1873.
La prima delle memorie di Maxwell, On Faraday's Lines of Force (bibl.76 bis), è un
riconoscimento di difficoltà che un ricercatore incontra nel voler formalizzare la scienza
elettrica. Questo ricercatore ha a disposizione, da una parte, la gran mole di risultati
sperimentali che vengono continuamente sfornati e, dall'altra, la necessità di familiarizzarsi
con una gran quantità di matematica molto complessa " la cui sola memorizzazione già di
per sé interferisce materialmente con altre ricerche". È quindi necessario, secondo
Maxwell, trovare nuovi metodi di lavoro. Uno di questi è proprio quello delle analogie che
Thomson aveva introdotto (questo metodo permette di ottenere idee fisiche senza adottare
teorie fisiche). Il fatto che colpiva Maxwell era, da una parte, la completa diversità di due
fenomeni come il moto uniforme del calore in un mezzo omogeneo (dove sembra esservi
un'azione a contatto da particella a particella) e l'azione a distanza e, dall'altra, l'identità
formale delle leggi matematiche che descrivevano i due fenomeni: basta solo sostituire
sorgente di calore con centro di attrazione, temperatura con potenziale, ... Con questo
apparato concettuale egli mostrò che alle concezioni di Faraday era possibile applicare gli
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stessi metodi matematici con i quali erano state trattate la teoria dell'elasticità e
l'idrodinamica. (le equazioni differenziali alle derivate parziali). Ma ciò che fa un poco
pensare è il fatto che una matematica nata per la descrizione di fenomeni punto per punto
riesca a descrivere una azione a distanza (sembra che anche la matematica dia una mano al
superamento delle differenze tra azioni a distanza ed a contatto).
La seconda memoria di Maxwell, On Physical Lines of Force (bibl. 76 ter), presenta
un insieme di analogie e modelli meccanici a sostegno delle idee di Faraday che, quasi
certamente, lo stesso Faraday avrebbe respinto. Le linee di forza non sono più una mera
rappresentazione di come le forze del campo sono distribuite; esse assumono ora un
carattere fisico. Si tratta di linee immerse in un fluido elastico, l'etere) sottoposto ad uno
stress, ad uno stato di sforzo proprio per il fatto di trovarsi situato tra due polarità. La linea
di forza viene allora pensata come una corda tesa, cioè in tensione, su cui si esercitano
delle pressioni laterali, perpendicolari e di uguale intensità. In accordo con Thomson, è
come il moto vorticoso di un fluido che nel suo realizzarsi espande il fluido nella zona
equatoriale, mentre lo contrae ai poli (si pensi alla forma fusiforme di una tromba d'aria)
per effetto delle forze centrifughe. In definitiva (fig. 6) si tratta di vortici che si avvitano
intorno alle linee di forza, che nascono con un
piccolo diametro da un determinato polo e, dopo essersi dilatati lungo il cammino,
muoiono sull'altro polo con lo stesso piccolo diametro di partenza. Questo modo di vedere
le cose permette intanto di dare una spiegazione del carattere dipolare delle linee di forza:
il verso di rotazione di un vortice è opposto se osservato dalle due estremità del suo asse.
Ciò comportava però la rotazione nello stesso verso per vortici relativi ad una determinata
espansione polare (fig. 7, in cui sono rappresentati in sezione più vortici consecutivi; i
punti centrali sono le sezioni relative delle linee di forza). Era una difficoltà. Infatti parti di
vortici contigui devono annullare il loro moto nei punti di contatto perché in questi punti il
moto si realizza in direzioni opposte.
Ma se questa è da una parte una difficoltà, dall'altra, sembra costruita ad arte perché il
suo superamento permette a Maxwell, con una ulteriore elaborazione del modello
meccanico, di rispondere alle domande che egli stesso si poneva: "Cos'è una corrente
elettrica?" o, che è lo stesso, " Come può una concezione a vortici implicare una
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corrente?". È così che egli introduce le 'ruote inattive', uno strato di 'particelle' mobili in
modo tale da trasferire il moto da vortice a vortice senza interferire con il moto stesso (fig.
8).
In condizioni normali queste particelle sono effettivamente inattive, rotolando senza
attrito con i vortici, quando invece vi è uno sforzo prodotto sul campo esse si trasferiscono
da una parte all'altra, cominciando ad esercitare attrito con i vortici con la conseguente
nascita dei fenomeni della resistenza elettrica e della produzione di calore. E tutto ciò in
accordo con la conservazione dell'energia. In definitiva le ruote inattive esercitano un
triplice ruolo: da una parte trasmettono il moto da vortice a vortice; dall'altra il loro moto
di traslazione costituisce la corrente elettrica; da ultimo le pressioni tangenziali così messe
in gioco rappresentano la forza elettromotrice. E così tutti i fenomeni elettromagnetici noti
trovano una spiegazione mediante questo modello meccanico (riportato, come da Maxwell
stesso disegnato, in fig. 9 a. Si noti che un tale modello aveva caratteristiche meccaniche
talmente spinte che O. Lodge, su suggerimento di Maxwell, lo esemplificò in un suo lavoro
come in fig. 9 b).
Nella fig. 9 (a) i vortici di etere sono schematizzati come esagoni (il segno +
all'interno di un dato vortice indica la sua rotazione antioraria mentre il segno - la sua
rotazione oraria; si noti che nel disegno il verso di qualche freccia è errato). La corrente era
costituita da quello strato di particelle esistente tra vortice e vortice e, nel disegno, essa
fluiva da A a B. Nella fig. 9 (b) è rappresentato un modello in cui i vortici di etere sono
sostituiti da ruote dentate che, a seconda del loro verso di rotazione, determinano il verso
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di spostamento dell'asta dentata (la corrente!).
Di modelli meccanici di questo tipo ne vennero ideati molti ad opera di Maxwell,
Boltzmann e W. Thomson (già Lord Kelvin). Ad esempio, le correnti indotte scoperte da
Faraday sono così spiegate nel modello di Maxwell: l'effetto che la corrente ha sul mezzo
che la circonda è far sì che i vortici in contatto con le correnti ruotino in modo che le parti
vicine ad essa si spostino nella sua stessa direzione mentre le parti più lontane ad essa lo
facciano in senso contrario. Se il mezzo è conduttore, con la conseguenza di 'particelle' che
si possano muovere in qualunque direzione, quelle che sono in contatto con la periferia di
questi vortici si muoveranno in senso contrario alla corrente, di modo che esisterà una
corrente indotta in senso opposto alla prima. Inoltre, quando una corrente elettrica o un
magnete si muove in presenza di un conduttore si altera la velocità di rotazione dei vortici
di modo che essi cambiano di posizione e di forma originando una forza; questa forza
costituisce la forza elettromotrice del conduttore in moto relativo. In questo modo di
vedere, c'è la scoperta di Faraday che le correnti sono originate da variazioni del campo
magnetico. Questo modello rendeva poi conto di come potesse avvenire il fenomeno
inverso: se le ruote inattive (la corrente) cominciavano a spostarsi attraverso il sistema, si
modificavano le forme dei vortici e ciò vuol dire che ad una corrente elettrica si
accompagna una variazione dei vortici e quindi del campo magnetico. Qui incontriamo una
delle principali scoperte di Maxwell che verrà in seguito convenientemente elaborata:
variazioni nel campo elettrico devono originare un campo magnetico e viceversa. Unendo
questo risultato con le evidenti considerazioni che Maxwell fa sull'esistenza di un qualche
mezzo materiale nel quale la meccanica dei vortici possa aver luogo si comincia a
delineare l'ulteriore passo che Maxwell fa nell'elaborazione della teoria elettromagnetica,
l'esistenza di onde elettromagnetiche. Ma andiamo con ordine. Il campo, esistente ad
esempio intorno ad un magnete, deve prevedere intorno a sé vortici e ruote inattive. Dove
si costruiscono vortici se c'è il vuoto? Un qualche mezzo, sia esso di materia ordinaria o di
un qualche etere con particolari proprietà dovrà riempire lo spazio in cui si sviluppa il
campo. Le caratteristiche di questo supposto etere dovranno essere tali da rendere conto
dei fatti sperimentali: da una parte esso dovrà essere estremamente sottile (non lo
percepiamo immediatamente) e dall'altra, per spiegare la velocità con cui si propagano le
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perturbazioni del campo elettromagnetico, denso come l'acciaio (è di interesse notare che
queste azioni, nel modello di Maxwell non possono che essere a distanza). Ebbene, se si
crea una perturbazione in un dato punto dello spazio muovendo, ad esempio, un magnete
vicino ad una corrente, questa perturbazione nei vortici e nelle ruote inattive non c'è
motivo che resti localizzata tra magnete e corrente, essa dovrà via via propagarsi attraverso
l'etere in tutto lo spazio (teoricamente all'infinito) circondante il sistema magnete corrente.
Che si tratti di una teoria azzardata è evidente, tanto più se si pensa che nessuna teoria
dell'elettricità e del magnetismo fino ad allora sviluppate prevedeva una tal cosa,
l'esistenza di perturbazioni (onde) propagantesi nello spazio.
Nell'ultima parte di questa sua memoria Maxwell torna all'analogia di Thomson tra
mezzo in cui si costruiscono vortici (e ruote inattive) e sostanze elastiche. Il mezzo nel
quale si propagano le perturbazioni deve essere dotato di elasticità allo stesso modo che lo
è un ordinario corpo solido solo che di valore differente. L'elasticità del mezzo è poi di
estrema utilità per la spiegazione dei fenomeni elettrostatici. Questa supposta elasticità del
mezzo faceva introdurre a Maxwell un concetto che avrà enorme importanza negli sviluppi
successivi, quello di spostamento elettrico. Qui Maxwell si riallacciava direttamente a
Faraday ed in particolare alle sue ricerche sui dielettrici ed alla scoperta della loro
polarizzazione. Dice Maxwell:
"Possiamo pensare che l'elettricità che risiede in ogni molecola sia spostata in modo tale
che una estremità di essa divenga positiva e l'altra negativa. L'effetto di questa azione
sull'intera massa del dielettrico è quello di produrre uno spostamento generale
dell'elettricità in una data direzione. Questo spostamento non giunge al livello di una
corrente perché quando ha raggiunto un certo valore rimane constante, tuttavia è l'inizio
di una corrente e le sue variazioni costituiscono correnti di direzione positiva o negativa, a
seconda che lo spostamento aumenti o diminuisca".
Questa elasticità del mezzo, che forniva a Maxwell l'analogia per i suoi sviluppi
matematici, è anche estesa al mezzo esterno, allo spazio, all'etere elettromagnetico. Ed in
definitiva le azioni elettromagnetiche hanno sede in un mezzo elastico ma, con che velocità
si propagano? La risposta a questa domanda da parte di Maxwell rappresenta la prima
formulazione della teoria elettromagnetica della luce. Facendo i conti sulla velocità di
propagazione di una perturbazione (oggi diremmo: onda) elettromagnetica nel mezzo
elastico etere, considerando la relazione esistente tra la corrente di spostamento e la forza
che la produce e deducendo da questa la relazione esistente tra misure statiche e dinamiche
dell'elettricità, egli trovò che:
"la velocità delle ondulazioni trasversali nel nostro mezzo ipotetico, calcolata a partire
dagli esperimenti elettromagnetici di Kohlrausch e Weber (184) , si accorda in modo tanto
esatto con la velocità della luce calcolata a partire dagli esperimenti di Fizeau, che noi
non possiamo quasi fare a meno di concludere che la luce consiste nelle ondulazioni
trasversali del medesimo mezzo che è causa dei fenomeni elettrici e magnetici".
Ecco quindi che con poche parole si avanza una ipotesi rivoluzionaria: l'ottica
sparisce per diventare un capitolo dell'elettromagnetismo. E tutto ciò a partire da una
successione di azzardate ipotesi concatenate nel modo visto. Se si confronta il continuo
impegno di Faraday nel cercare di eliminare dalla fisica enti inutili, con le innumerevoli
ipotesi 'ad hoc' di Maxwell e con il suo dotare l'etere, già rifiutato da Faraday, di
innumerevoli proprietà meccaniche e di meccanismi tanto utili al calcolo quanto artificiosi,
ci si rende conto della profonda differenza esistente, non tanto tra i due, quanto tra due
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diverse generazioni di ricercatori, tra due epoche diverse per sollecitazioni esterne, tra
l'essere filosofo naturale e scienziato di professione.
5.1 - LE EQUAZIONI DI MAXWELL
Arriviamo così alla terza memoria di Maxwell della fine del 1864. Si tratta della
ponderosa A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (bibl. 76 quater). Mentre
nella precedente memoria Maxwell aveva elaborato il modello meccanico che abbiamo
descritto e che gli era servito per chiarirsi le idee e per mettere a punto il calcolo con
l'ausilio delle analogie cui abbiamo accennato, ora egli abbandona il modello meccanico, si
serve solo dell'etere e si occupa esclusivamente dei fenomeni elettromagnetici in quanto
tali per sottoporli al calcolo. Questo lavoro contiene tutti i principali risultati che egli aveva
precedentemente ottenuto e può essere considerato come la prima formulazione completa,
dal punto di vista analitico, della teoria del campo elettromagnetico e della teoria
elettromagnetica della luce. Le proprietà di questo campo sono descritte da 20 equazioni
generali. Lo stesso Maxwell, all'inizio della memoria, annunciava che la sua era una teoria
dinamica nel senso che si serve di materia in moto nello spazio per rendere conto dei
fenomeni elettrici e magnetici. Essa riguarda essenzialmente lo spazio circostante i corpi
elettrizzati o magnetizzati che3 dovrà essere riempito di un mezzo (permeante anche i
corpi) in grado di essere posto in moto e di trasmettere quel moto da una parte all'altra con
grande ma non infinita velocità. Questo etere ha una natura elettromagnetica ma poiché ha
le stesse proprietà (elasticità, densità, …) di un etere ottico, può essere identificato con
esso (è interessante notare che le proprietà dell'etere elettromagnetico Maxwell le
assegnava a priori in modo che esso avesse poi avuto le caratteristiche che si richiedevano,
ad esempio, per trasportare vibrazioni trasversali ad una data velocità). Vi sono infine le
questioni energetiche. Per Maxwell l'energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di
natura meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di piccolissime
cellule che, all'interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello stesso verso attorno ad
assi paralleli alle linee di forza. Così Maxwell può affermare che "l'energia cinetica di
questo movimento vorticoso non differisce dall'energia magnetica …[e], in ogni punto del
dielettrico sottoposto ad un campo, si accumula una energia che, nel modello, è elastica,
ma che in realtà non è altro che energia cinetica" (bibl. 19, pag. 219). Egli considera
quindi l'energia elettrica come energia potenziale meccanica e l'energia magnetica come
energia cinetica di natura meccanica (bibl. 75, pag. 184). E, come già detto, questa energia
meccanica - elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in particolari condizioni, si può
propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo, l'etere, si può polarizzare in
virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una condizione di accumulo di energia
potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma di energia cinetica (magnetica), quando lo
sforzo cesserà. In definitiva la propagazione di onde elettromagnetiche nello spazio è
dovuta alla trasformazione continua di una di queste forme di energia nell'altra e viceversa,
e, istante per istante, l'energia totale nello spazio è ugualmente divisa tra energia potenziale
(elettrica) e cinetica (magnetica). È quanto oggi sappiamo: si originano onde
elettromagnetiche ogniqualvolta ci si trovi in presenza di una variazione o di un campo
elettrico o di un campo magnetico (è interessante notare che la connessione tra materia e
moto avrà importanza per Maxwell anche nello sviluppo di altri contributi che egli dette
alla fisica, come nella teoria cinetica dei gas).
È certo che con questa terza memoria Maxwell si sbarazza di quel grande ingombro
che erano vortici e ruote inattive. Rimane però un etere con caratteristiche quasi materiali
che Faraday non avrebbe mai condiviso. Allo stesso modo però a Maxwell non andava giù
quella interconnessione di materia e forza che Faraday assumeva dalla tradizione
romantica.
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A questo punto della sua attività scientifica, Maxwell voleva ricapitolare e mettere in
bell'ordine il complesso dei suoi lavori elettromagnetici. Si ritirò nella sua casa di
campagna (1865) dove la sua principale occupazione fu la compilazione del Treatise on
Electricity and Magnetism che vide la luce nel 1873, sei anni prima della prematura
scomparsa dello stesso Maxwell (aveva 48 anni). Il lavoro è ora sistematico ed i contributi
di Maxwell si mescolano con quelli di altri autori risultando addirittura compressi e non
esaltati. Sulla strada della terza memoria, Maxwell abbandona del tutto i modelli meccanici
affidandosi al solo etere al quale sembra assegnare una realtà fisica. Egli tralascia molti dei
procedimenti che lo avevano guidato sulla strada della scoperta delle sue equazioni del
campo elettromagnetico. La deduzione di queste equazioni è puramente analitica a partire
dalle equazioni fondamentali della meccanica nella forma che ad esse aveva dato
Lagrange. Paradossalmente in questo modo di operare sparisce la meccanica stessa che
diventa, in definitiva, una teoria eminentemente matematica, elaborata con Green, Stokes
ed Hamilton. L'elettromagnetismo diventa quindi una meccanica dell'etere e, come lo
stesso Maxwell affermava, "l'integrale è l'espressione matematica adeguata per la teoria
dell'azione a distanza tra particelle, mentre l'equazione differenziale è l'espressione
appropriata per una teoria dell'azione esercitata tra particelle contigue di un mezzo".
L'elaborazione matematica di Maxwell, anche qui, arriva alle 20 equazioni che descrivono
il comportamento del campo elettromagnetico (si osservi che il numero di queste equazioni
verrà ridotto a 9 da Hertz ed a 5 da Lorentz, 4 provenienti dalla teoria di Maxwell ed una
rappresentante la Forza di Lorentz).
In definitiva, secondo la teoria di Maxwell, una perturbazione elettromagnetica (ad
esempio una carica che acceleri) si propaga in tutto lo spazio sotto forma di onde
elettromagnetiche. L'esistenza di tali onde rimane quindi un'ipotesi nella teoria: la
conferma o la confutazione di essa metterà alla prova l'intera teoria in un vero e proprio
experimentum crucis. Riguardo la velocità di tali onde valgono ora le stesse considerazioni
che Maxwell aveva fatto nella sua seconda memoria: esse si muovono con la velocità della
luce e quindi la luce è un'onda elettromagnetica.. Vale però la pena di ricordare che tutto
l'impianto maxwelliano è basato sull'ipotesi di esistenza di un mezzo, l'etere, in cui
avessero sede le perturbazioni; questo etere era inoltre meccanicamente indispensabile.
Allora, con Maxwell, se dell'energia viene trasmessa da un corpo ad un altro nel tempo, ci
deve essere un mezzo o sostanza in cui l'energia esiste dopo aver lasciato un corpo e prima
di raggiungere l'altro. Se si ammette questo mezzo come ipotesi è evidente che esso dovrà
diventare oggetto preminente delle future ricerche sperimentali.
Due quindi erano le questioni che Maxwell lasciava ad una verifica sperimentale:
l'esistenza di onde elettromagnetiche e l'esistenza di un etere che le sostenga. Oltre a ciò le
sue equazioni non soddisfacevano da un punto di vista euristico poiché non risultano
simmetriche come le equazioni della dinamica e poiché erano state ricavate con grande
disinvoltura matematica (come quando, osserva Rosenfeld, dovendo ricavare la velocità di
propagazione di un'onda elettromagnetica, egli si dimentica di un fattore 1 diviso la radice
di 2 , trovando poi il valore corretto per essa con ulteriori manipolazioni dettate dal
risultato che sapeva di dover trovare. Su questo punto si veda bibl. 65).
Come già accennato Maxwell scomparve nel 1879. Nel 1880 veniva pubblicata
postuma su Nature una sua lettera a D.F. Todd. In questa lettera, tra l'altro, suggeriva un
modo per poter accertare sperimentalmente la presenza del supposto etere attraverso la
misura della velocità della luce in un tragitto andata - ritorno che la stessa avrebbe dovuto
percorrere in direzione parallela al moto della Terra intorno al Sole (qui l'effetto del
supposto etere sarebbe stato del 2º ordine nel rapporto v/c, con v velocità della Terra e c
velocità della luce).
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L'accoglienza a queste teorie non fu della più entusiasta. L'unico fatto, e non da poco,
che riconciliava il mondo dei fisici era che, in definitiva, Maxwell si era servito di un
mezzo meccanico, l'etere, ed aveva unificato in una mirabile sintesi i fenomeni
dell'elettricità, del magnetismo e dell'ottica. Ma, al di là dell'accoglienza dei
contemporanei, è certamente vero che la sua teoria in sé e nei molti punti in cui era
logicamente indeterminata apriva ad una grossa mole di lavori sperimentali che non
tardarono a prodursi particolarmente ad opera di Hertz e Michelson.
6 - DALLE TEORIE SELLA LUCE ALL'OTTICA DEI CORPI IN
MOVIMENTO : ULTERIORI FENOMENI NON RICONDUCIBILI
ALLA FISICA DI NEWTON
E' indispensabile richiamare alcuni fatti lontani per intendere quanto diremo in
questo paragrafo. Lo faremo molto in breve e, senza scomodare né Platone né
Aristotele, inizieremo a discutere la questione della natura della luce a partire da
Descartes. (269) Abbiamo già visto all'inizio di questo lavoro (270) che, per
Descartes la materia è estensione. Quindi ogni cosa o fatto che sia esteso ha un
comportamento analogo a quello della materia. La luce si estende dappertutto:
conseguenza di ciò è che essa deve essere intesa come un qualcosa di materiale che si
propaga "istantaneamente come una pressione esercitata dalle particelle di una materia
sottile". Questa materia sottile, che permette la trasmissione delle pressioni, anche là
dove non appare materia sensibile, è l'etere, di aristotelica memoria (la quintessenza),
inteso come un corpo rigido ideale. Va ben chiarito che la luce non è, per Descartes,
costituita dal moto delle particelle sottili, ma dalla loro pressione le une sulle altre in un
'universo' tutto pieno (oggi si direbbe; onde longitudinali). L'etere, che riceve una
pressione, vibra, come diremmo oggi, intorno alla sua posizione di equilibrio,
trasmettendo istantaneamente la pressione che ha ricevuto. (271)
La concezione di Newton è più articolata ed egli, anche se è universalmente noto come
padre della teoria corpuscolare della luce, in realtà non prende una posizione precisa ma
pone la questione in forma problematica. (272). In certi passaggi sembra evidente
una sua adesione alla teoria corpuscolare che fa a meno dell'etere (questo almeno fino
al 1671 quando una polemica con Hooke lo orientò verso nuove strade); in altre parti
della sua opera (Una nuova teoria sulla luce e sui colori -1672) pare orientato verso la
teoria ondulatoria sostenuta dall'etere («Le vibrazioni più ampie dell'etere danno una
sensazione di colore rosso mentre quelle minime e più corte danno il violetto cupo; le
intermedie colori intermedi»); in altri passaggi poi, come nella Ottica (Libro II, parte
III, proposizione XII) del 1704, sembra invece propendere per un'ipotesi che "si direbbe
un compromesso tra una teoria ondulatoria ed una teoria corpuscolare, particelle
precedute da onde, le quali in certo qual modo, predeterminano il comportamento
futuro delle particelle".
Così scriveva Newton:
"I raggi di luce incidendo su una superficie riflettente o rifrangente, eccitano vibrazioni
nel mezzo riflettente o rifrangente ... le vibrazioni così eccitate si propagano nel mezzo
riflettente o rifrangente, in modo analogo alle vibrazioni del suono nell'aria ... ; quando
ciascun raggio è in quella parte della vibrazione che è favorevole al suo moto, si fa strada
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attraverso una superficie rifrangente, ma quando si trova nella parte contraria della
vibrazione che impedisce il moto, è facilmente riflesso ... ." (273)
E' solo nella parte finale dell' Ottica, nelle Questioni 28, 29 e 30, che Newton avanza,
come ipotesi da investigare, la sua nota teoria corpuscolare della luce. E' superfluo notare
che ogni ipotesi di Newton è legata ad una possibile, ma non definitiva e neanche tanto
importante, spiegazione dei fatti sperimentali noti e via via osservati. Così, mentre
l'ipotesi onda-particella, vista qualche riga più su, serviva a Newton per rendere conto e
della colorazione delle lamine sottili e del fenomeno degli anelli (che portano il suo
nome), la teoria corpuscolare discendeva da una spiegazione che Newton tentava di dare
della diffrazione. (274) L'inflessione che un raggio di luce subisce Quando passa, ad
esempio, al di là di un forellino è interpretata come il risultato di forze attrattive o repulsive
tra la materia costituente il corpo diffrangente ed il raggio luminoso (che per questo è
pensato costituito da corpuscoli che, in quanto dotati di massa, subiscono l'azione delle
forze attrattive o repulsive).
" Si comprende come l'incentivo verso una concezione corpuscolare della luce, fosse
veramente molto forte. Tanto più che l'ipotesi ondulatoria, [come vedremo] già avanzata
da Huygens, in mancanza [della conoscenza del fenomeno e] del concetto di interferenza,
prestava il fianco ad obiezioni veramente serie, riguardo alla difficoltà di interpretare la
propagazione rettilinea." (274 bis)
Quindi, il tentativo di spiegazione dei fenomeni di diffrazione unito al fatto che,
secondo Newton, è impensabile una teoria che voglia la luce fatta di onde ("di pressioni")
perché le onde ("le pressioni") " non possono propagarsi in un fluido in linea retta" (275)
poiché hanno la tendenza a sparpagliarsi dappertutto, (276) porta il nostro alla
formulazione (dubitativa) della teoria corpuscolare che si trova nella Questione 29
dell'Ottica, introdotta con queste parole;
"Non sono i raggi di luce corpuscoli molto piccoli emessi dagli oggetti luminosi ? Infatti
questi corpuscoli passeranno attraverso i mezzi omogenei in linea retta senza essere
piegati nelle zone d'ombra, com'è nella natura dei raggi di luce." (276 bis)
Newton passava quindi ad illustrare alcune proprietà degli ipotetici corpuscoli
materiali affermando che essi agirebbero a distanza allo stesso modo dell'attrazione
reciproca tra i corpi. I colori della luce ed i diversi gradi di rifrangibilità sono poi spiegati
con l'ammissione che la luce bianca sia formata da corpuscoli di diversa grandezza ("i
più piccoli producono il viola ... e gli altri facendosi sempre più grandi, producono" via
via gli altri colori fino al rosso). Infine, con questa teoria, è possibile spiegare il
fenomeno della doppia rifrazione che, come vedremo, Huygens non era riuscito a
spiegare con la teoria ondulatoria). In definitiva, in questo modo, la teoria della luce
veniva ricondotta alla più vasta spiegazione che la gravitazione universale doveva
fornire.
Riguardo ad Huygens va detto che il suo Trattato sulla luce fu pubblicato nel 1691 ma
fu scritto intorno al 1676. (277) In questo lavoro, a chiusura del primo capitolo, fa la
sua comparsa la teoria ondulatoria. Allo stesso modo del suono, dice Huygens, la luce
deve essere un fenomeno vibratorio e cosi come l' aria sostiene il suono, altrettanto fa
l'etere con la luce (278) (l'etere è qui inteso come una materia estremamente sottile e
perfettamente elastica).
Così scriveva Huygens:
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"Ogni punto di un corpo luminoso, come il Sole, una candela o un carbone ardente,
emette onde il cui centro è proprio quel punto ... ; i cerchi concentrici descritti intorno ad
ognuno di questi punti rappresentano le onde che si generano da essi ... Quello che a
prima vista può sembrare molto strano e addirittura incredibile è che le onde prodotte
mediante movimenti e corpuscoli cosi piccoli possano estendersi a distanze tanto grandi,
come, per esempio, dal Sole o dalle stelle fino a noi ... Cessiamo però di meravigliarci
se teniamo conto che ad una grande distanza dal corpo luminoso una infinità di onde,
comunque originate da differenti punti di questo corpo, si uniscono in modo da formare
macroscopicamente una sola onda che, conseguentemente, deve avere abbastanza forza,
per farsi sentire." (279)
Possiamo riconoscere in queste poche righe la formulazione moderna della teoria
ondulatoria fino al principio di Huygens o dell'inviluppo delle onde elementari. Lo stesso
Huygens illustra questo principio con la figura 15 che ha il seguente significato: "se
DCEF è una onda emessa dal punto luminoso A, che è il suo centro, la particella B,
una di quelle che si
Figura 15
trovano all'interno della sfera delimitata da. DCEF, avrà fatto la sua onda elementare
KCL che toccherà l'onda DCEF in C, allo stesso momento in cui l'onda principale,
emessa da A, raggiunge DCEF; è chiaro che l'unico punto dell'onda KCL che toccherà
l'onda DCEF è C che si trova sulla retta passante per AB. Allo stesso modo le altre
particelle che si trovano all'interno della sfera delimitata da DCEF, come quelle indicate
con b e con d, avranno fatto ciascuna una propria onda. Ognuna di queste onde potrà
però essere solo infinitamente debole rispetto all'onda DCEF, alla cui composizione
contribuiscono tutte le altre con la parte della loro superficie che è più distante dal
centro A." (280)
Quanto abbiamo ora detto può essere riassunto da quanto già sappiamo e cioè che
ogni punto in cui arriva una vibrazione diventa esso stesso centro di nuove vibrazioni
(onde sferiche); l'inviluppo di un gran numero di onde elementari, originate in questo
modo, origina un nuovo fronte d'onda, con centro la sorgente, molto più intensa, delle
onde elementari che la compongono. Huygens proseguiva affermando che con questo
modo di intendere le cose, si spiegherebbero tutti i fenomeni ottici conosciuti
passando poi a dare le dimostrazioni delle leggi della riflessione, della rifrazione, della
doppia rifrazione e della propagazione rettilinea della luce. (281) Quando passava però a
dare una spiegazione dei fenomeni che oggi si spiegano con la polarizzazione egli
molto semplicemente affermava che non gli era stato possibile trovare nulla che lo
soddisfacesse. (282) Riguardo poi alla natura di queste onde ed al loro modo di
propagazione, Huygens diceva:
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"Nella propagazione di queste onde bisogna considerare ancora che ogni particella di
materia da cui un'onda si diparte, deve comunicare il suo movimento non solo alla
particella vicina ..., ma lo trasmette anche a tutte quelle altre che la toccano e si
oppongono al suo moto." (282 bis)
E questa è una chiara enunciazione di quella che sarà la più grande difficoltà dell'ottica
ondulatoria fino a Maxwell: il fatto che le onde luminose risultavano onde di pressione e
quindi longitudinali. L'ammissione, inevitabile, di onde longitudinali e non trasversali
impediva di pensare a qualsiasi fenomeno di polarizzazione (e quindi questa
difficoltà era alla base di quanto Huygens confessava di non saper spiegare). Questo
punto era ben presente a Newton che nell'Ottica lo cita e ne tenta una spiegazione
ammettendo che i raggi di luce abbiano dei «lati» ciascuno dei quali dotato di particolari
proprietà. Se infatti si va ad interpretare un fenomeno di polarizzazione mediante onde
longitudinali, non se ne cava nulla poiché "queste onde sono uguali da tutte le parti".
E' necessario dunque ammettere che ci sia una "differenza ... nella posizione dei lati
della luce rispetto ai piani di rifrazione perpendicolare." Come già accennato solo la
natura trasversale delle onde elettromagnetiche avrebbe potuto rendere conto, fino in
fondo, dei fenomeni di polarizzazione.
C'è un altro aspetto che differenzia radicalmente la teoria ondulatoria da quella
corpuscolare e riguarda la spiegazione del fenomeno di rifrazione (nel passaggio, ad
esempio, da un mezzo meno ad uno più denso).
Secondo la teoria corpuscolare l'avvicinamento alla normale del raggio rifratto è
spiegato "supponendo che i corpuscoli di luce subiscano un'attrazione da parte del mezzo
più denso nel momento in cui vi penetrano. In tal modo essi vengono accelerati sotto
l'azione di un impulso perpendicolare alla superficie di separazione e quindi deviati
verso la normale. Me consegue che la loro velocità è maggiore in un mezzo più denso che
in uno meno denso. La costruzione di Huygens basata sulla teoria ondulatoria, parte da
presupposti esattamente contrari (fig. 16). Quando un'onda luminosa colpisce una
superficie di separazione, genera in ogni punto della superficie un'onda elementare;
Figura 16
se queste si propagano più lentamente nel secondo mezzo che è il più denso, l'inviluppo
di tutte le onde sferiche, che rappresenta l'onda rifratta ... è deviato verso
destra." (283) Anche questo quindi diventava un elemento cruciale per decidere sulla
maggiore o minore falsicabilità di una. teoria. Se si fosse riusciti a determinare la
velocità della luce in mezzi di diversa densità si sarebbe stati in grado di decidere quale
teoria fosse più vera.
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Fin qui le elaborazioni a monte. Abbiamo già visto che, durante il '700, l'ottica non fa
importanti progressi, se si escludono alcune questioni di rilievo che provenivano da
osservazioni astronomiche (aberrazione della luce) ed il perfezionamento di tutta una
serie di strumenti ottici (introduzione lenti acromatiche, telescopi più grandi,
fotometri, ...). In ogni caso, in linea con tutti gli altri campi della ricerca fisica, i
newtoniani decidono che Newton era un corpuscolarista e pertanto è la teoria
corpuscolare della luce che trionfa (anche se coloro che portarono avanti queste idee
abbandonarono l'altro punto che qualificava la teoria corpuscolare di Newton: il fatto cioè
che il moto dei corpuscoli costituenti la luce originasse vibrazioni di un ipotetico etere).
Questa scelta ha anche una giustificazione pratica di primo piano ed è che la teoria
corpuscolare spiegava, più cose di quella ondulatoria; in particolare era molto più
immediato con la prima teoria intendere la propagazione rettilinea della luce che, con la
seconda, risultava piuttosto confusa (e, come abbiamo visto, non soddisfaceva neppure
Huygens).
Proprio agli inizi dell'Ottocento un giovane medico britannico scoprì un fenomeno
*incredibile*; luce sommata a luce, in alcune circostanze, origina buio! E' il fenomeno
dell'interferenza (284) che fu scoperto nel 1802 da Thomas Young (1773-1829). (285) Il
modo più semplice di provocare interferenza è
" quando un raggio di luce omogenea (286), scriveva Young, cade sopra uno schermo su
cui sono stati praticati due piccoli fori o fenditure, che si possono considerare come centri
di divergenza, dai quali la luce è diffratta in tutte le direzioni. In questo caso, quando i due
raggi, nuovamente formatisi, vanno ad essere intercettati su una superficie interposta
lungo il loro cammino, la loro luce risulterà suddivisa da bande scure in porzioni
approssimatamente uguali." (287)
Anche Young si serviva di modelli meccanici e quello a cui egli si rifaceva per dar
ragione di quanto avviene nell'ipotesi ondulatoria, è quello delle onde di acqua in uno
stagno. Se due serie uguali di onde, provocate sulla superficie dell'acqua in punti a
distanza opportuna, si incontrano, accadrà, egli osservava, che andranno a combinarsi in
qualche modo. In ogni punto della superficie dell'acqua lo stato vibratorio risultante
dipenderà dal modo in cui vanno a sommarsi o a sottrarsi gli effetti delle onde sovrapposte.
E così, se le onde andranno a sommarsi, sovrapponendosi in concordanza di fase esse
origineranno un'onda più grande delle due componenti prese separatamente; al contrario,
se esse andranno ad incontrarsi in opposizione di fase, si distruggeranno l'un l'altra in
modo da originare un'onda nulla (acqua immobile).
Conseguentemente, il principio d'interferenza per la luce era così enunciato:
"Quando due parti di una stessa luce raggiungono l»occhio seguendo due diversi percorsi
di direzioni molto vicine, l'intensità è massima quando la differenza dei cammini percorsi
è un multiplo di una certa lunghezza; essa è minima per lo stato intermedio." (287 bis)
A questo punto Young passava, a calcolarsi la lunghezza d'onda dei vari colori
costituenti la luce (288) a spiegare con la teoria ondulatoria i diversi fenomeni ottici
conosciuti
Anche qui egli incontrò grande difficoltà a rendere conto della propagazione
rettilinea della luce: ma la difficoltà insormontabile restava sempre quella della
spiegazione tramite la teoria ondulatoria ed usando di onde longitudinali (che Young, in
analogia con il suono, riteneva essere caratteristiche della luce) dei fenomeni che oggi
chiamiamo di polarizzazione.
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Proprio in quegli stessi anni, nel 1808, il fisico francese E.M. Malus (l775-l8l2) riuscì
a mettere in evidenza l'esistenza della polarizzazione attraverso fenomeni di riflessione: un
raggio di luce riflesso si comporta come uno dei raggi birifratti dallo spato d'Islanda e
cioè non subisce più la doppia rifrazione se fatto passare di nuovo attraverso un
cristallo dello stesso tipo. La spiegazione che Malus dava del fenomeno è
riconducibile a quella newtoniana dei lati delle particelle, infatti egli pensava che i
corpuscoli luminosi fossero asimmetrici e si orientassero sia durante la riflessione, sia
durante una birifrazione, in modo da non potersi più orientare per successive riflessioni
o birifrazioni.
Naturalmente la teoria corpuscolare era sostenuta da gran parte della scuola dei fisicimatematici francesi (288 bis) tra cui Biot e Poisson (che tenteranno in tutti i modi, senza
però riuscirvi, di ricondurre i fenomeni di interferenza alla teoria corpuscolare), Laplace
e, per un certo tempo, Arago. (289) E fu proprio quest'ultimo che, in un ambiente
generalmente ostile, dette un importante sostegno al fisico che doveva dare nuovo impulso
alla teoria ondulatoria fino a portarla al suo trionfo: Augustin Fresnel (1788-1827).
Venuto a conoscenza dell'esperimento di Young proprio da Arago, questo fisico
profondamente meccanicista, si propose di indagarlo meglio. Poteva sorgere il dubbio,
infatti, che le frange d'interferenza osservate non fossero altro che fenomeni di diffrazione
provocati dal passaggio della luce nei piccoli forellini. Egli trovò così un altro modo di
produrre interferenza che non poteva far sorgere dubbi. Anziché usare i forellini di Young
fece riflettere (l8l6) un raggio di luce, proveniente da una sorgente puntiforme, su due
specchi consecutivi formanti tra loro un angolo prossimo a 180° nel modo indicato in
figura 17(a) e (b).
Figura 17
Riferendoci alla figura 17 (a), un raggio (onda) luminoso a emesso dalla sorgente
puntiforme S, si riflette sullo specchio M1 e si dirige verso il punto P dello schermo C.
Analogamente esisterà un altro raggio (onda) b, proveniente da S che si dirigerà verso P,
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Poiché i cammini dei due raggi sono differenti, i due raggi, in generale, risulteranno sfasati
tra loro. Nel caso in cui vi sia concordanza di fase tra le due onde, P sarà un punto in
cui si avrà un massimo di illuminazione; nel caso in cui le due onde siano in opposizione
di fase, in P vi sarà buio; nel caso di sfasature diverse vi sarà una variazione dell' intensità
dell'illuminazione dal buio al massimo di cui dicevamo. L'effetto complessivo sarà un
fenomeno d'interferenza, analogo a quello che sarebbe generato da due sorgenti puntiformi
S1 ed S2 , (289 bis) che si osserverà sullo schermo C.
La figura 17(b) mostra invece più onde che vanno ad interferire in diverso nodo
sullo schermo C. A seconda del tipo di interferenza, e quindi di sfasatura, tra le onde
interessate, i punti P, Q, R saranno bui o illuminati a varie intensità.
Con questa esperienza Fresnel sgombrò contemporaneamente il campo sia
dall'interpretazione erronea del fenomeno dovuta ai corpuscolaristi (le frange non hanno
nulla a che vedere con l'interazione di tipo gravitazionale tra le pretese particelle di luce ed
i bordi delle fenditure) sia da quella altrettanto erronea di Young (le frange non sono
generate dall'interferenza delle onde dirette con quelle riflesse dai bordi delle fenditure).
La chiave della corretta interpretazione di Fresnel fu proprio la ripresa del principio di
Huygens: ogni punto di una superficie di un'onda può diventare fonte di onde secondarie.
Ebbene, nel fenomeno d'interferenza creata con due forellini, ciascun forellino diventa
sorgente di onde; sono le onde che provengono da un forellino che interferiscono con
quelle che si dipartono dall'altro.
Ma fin qui le onde luminose pensate da Fresnel erano longitudinali. Egli, nella sua
memoria del l8l6, diceva: "in ogni punto dello spazio dove sta condensato, l'etere è
compresso e tende ad espandersi in tutte le direzioni", e queste non sono altro che onde
longitudinali.
Proprio nel l8l6, però, lo stesso Fresnel, insieme ad Arago, scopre che due raggi
polarizzati sullo stesso piano interferiscono, mentre se sono polarizzati su piani tra loro
perpendicolari non interferiscono più. Il risultato di questa esperienza fu conosciuto da
Young il quale, in una lettera ad Arago (l8l7), avanzò l'ipotesi che le onde luminose
fossero onde di tipo trasversale. Arago ne informò Fresnel il quale fece sua l'ipotesi e
cominciò a lavorarvi con gran lena. Tra il 1821 ed il 1823 egli riuscì a dimostrare che, con
questa ipotesi, era possibile spiegare tutti i fenomeni ottici conosciuti. (290) La stessa
propagazione rettilinea poi, che era stata sempre un grosso problema per la teoria
ondulatoria, interpretata correttamente mediante i fenomeni d'interferenza (il movimento
che un'onda sferica trasmette si distrugge in parte per interferenza), non rappresentava più
un problema per questa teoria.
Di problema, semmai, ne nasceva un altro e fu lo stesso Fresnel a prospettarlo nel
l821. Ammesse le onde trasversali che così bene spiegavano tutti i fenomeni ottici, che
caratteristiche avrebbe dovuto avere l'etere per permettere il loro passaggio ? Le onde
longitudinali marciano bene in un fluido, ma per le onde trasversali occorre un solido e
neppure un. solido qualunque. Questo solido dovrebbe avere una rigidità teoricamente
infinita (vista l'enorme velocità di propagazione della luce), quindi più elevata di quella
dell'acciaio, e nel contempo deve essere più, evanescente di ogni gas conosciuto per non
offrire resistenza ai corpi celesti che da secoli vediamo muoversi nel cielo senza
apprezzabili rallentamenti. (291) Fresnel comunque non ebbe modo di seguire il corso
degli eventi: nel 1827, a soli 39 anni, morì. Ma la strada ad una gran mole di ricerche sia
teoriche che sperimentali era aperta. In particolare l'analogia tra onde luminose ed onde
elastiche, che scaturiva dalla teoria di Fresnel, apriva un vasto campo di ricerche sui
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fenomeni dell'elasticità. (292).
All'obiezione, prima vista, di quella strana doppia natura dell'etere, cercò di
rispondere G. Stokes nel 1845, Secondo Stokes la rigidità à relativa e vi sono solidi, come
il gesso e la ceralacca, che se da una parte sono rigidi tanto da trasmettere vibrazioni
trasversali, dall'altra sono compressibili ed estensibili (risultando molto fragili all'urto
meccanico). Si tratta solo di combinare opportunamente le caratteristiche che l'etere solido
deve avere per far si che abbia la rigidità richiesta unitamente all'estrema sottigliezza.
(293)
Di questi tentativi ne furono fatti tanti (294) e dal corpo della loro elaborazione
analitica, con la matematica sviluppata dalla scuola francese nel '700, con quella sviluppata
dai Green e dagli StoKes in Gran Bretagna e con altra che via via veniva ideata allo scopo,
scaturirono moltissimi teoremi che furono poi di grande utilità per gli sviluppi ulteriori
della fisica (un esempio di ciò l'abbiamo già visto con Maxwell).
Altro campo di ricerche aperto dalla polemica onde o corpuscoli era quello relativo
alla velocità della luce. Non dimentichiamo quanto abbiamo scritto qualche pagina
indietro: la spiegazione della rifrazione mediante la teoria corpuscolare prevede che la
velocità della luce sia più grande nei mezzi più densi, esattamente il contrario di quanto
previsto dalla teoria ondulatoria. C'è l'opportunità di un esperimento cruciale che possa
decidere quale teoria descrive meglio i fatti sperimentali osservati. (295) Fino a circa la
metà dell''800 però le uniche misure della velocità della luce (che da ora indicherò
direttamente con c) erano state eseguite su fenomeni astronomici.
Nel 1676 Roëmer, confrontando le immersioni ed emersioni dall'ombra di Giove del
suo satellite Io, notò che l'intervallo tra due eclissi successive era con regolarità minore
quando la Terra si avvicinava a Giove e maggiore quando la Terra si allontanava da
questo pianeta. Roëmer spiegò questo fatto ammettendo che la luce avesse una velocità
finita di propagazione e dopo una serie di accurate osservazioni riuscì a darne il valore.
Nel 1728. Bradley, osservando un gran numero di stelle, si accorse che esse erano
dotate di un moto apparente sulla volta celeste: nel corso di un anno esse descrivevano
sulla volta celeste una piccola ellissi (a questo fenomeno si dà il nome di aberrazione).
Partendo da questo fenomeno e dopo accurati calcoli, Bradley riuscì a fornire una nuova
determinazione di c.
Ma nonostante queste importantissime misure effettuate sfruttando fenomeni
astronomici, non si era ancora trovato il modo di misurare c sulla Terra: il suo elevato
valore fa si che la luce percorre tragitti lunghissimi in tempi brevissimi e tragitti di tale
lunghezza non esistono in natura sulla Terra (296) a meno di realizzarli con particolari
artifici.
Il primo strumento in grado ai permettere misure di c sulla Terra, che appunto si
serviva degli artifici suddetti, fu ideato dal fisico francese H. Fizeau (1819-1896) nel
1849. L'esperienza di Fizeau permise la misura di c nell'aria ma fu impossibile realizzarla
in un altro mezzo perché la distanza su cui Fizeau aveva operato in questa sua prima
esperienza, era di circa 9.000 metri. (297)
Chi riuscì ad effettuare la misura di c, non solo sulla Terra, ma nei limiti ristretti di
una stanza di laboratorio, fu l'altro fisico francese, L. Foucault (1819-1868), nel 1850.
(298) L'essere riusciti a portare questa misura in laboratorio apriva la strada,
immediatamente percorsa, alla misura di c in diversi mezzi ed. in particolare nell'acqua.
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L'esperienza fu eseguita prima in aria, poi in acqua, sia da Foucault che da Fizeau,
ed il risultato comparativo della velocità c dava ragione alla teoria ondulatoria: la luce
viaggiava, con una velocità minore nei mezzi più densi ed in particolare nel!'acqua
risultava essere circa i 3/4 di quanto non fosse nell'aria.
Questo argomento sembrò decisivo: la teoria corpuscolare (od emissiva) non sembrava
più conciliabile con la realtà dei fatti sperimentali.
L'ammissione della nuova teoria comportava però nuove difficoltà. Già abbiamo visto
le strane proprietà di cui doveva essere dotato questo etere, contemporaneamente
estremamente rigido e sottile, e già abbiamo detto che sulla strada del tentar di risolvere
questi problemi si erano mossi una gran quantità di fisici-matematici, elaborando la
cosiddetta teoria, elastica dell'ottica. L'altro problema che si apriva fu individuato dallo
stesso Fresnel in collaborazione con Arago, in una corrispondenza che si scambiarono
nel l8l8. Avverto, subito che è una questione di estrema importanza per gli sviluppi futuri
di questo lavoro e quindi merita di essere seguita con particolare attenzione anche
perché l'argomento è delicato.
7 - Dai problemi posti dalle macchine termiche alla scienza della
termodinamica: l'energia si degrada ed il mondo e' irreversibile
Non torneremo a cercare le origini del concetto di energia fin dalle speculazioni
aristoteliche (1). Basterà ricordare che già dai lavori di Stevin (1548-1620), Galileo (15641642), Huygens (1629-1695), Leibniz (1646-1716) e J. Bernoulli (1667-1748) traspare
chiaramente l'acquisizione della conservazione dell'energia, limitatamente ai fenomeni
meccanici (2). Il concetto di conservazione sarà invece assente nella fisica newtoniana (in
ogni urto e in ogni moto, per Newton, c'è una parte di movimento che va perduta allo
stesso modo in cui si perde movimento nel moto degli astri. È l'opera di Dio che rifornisce
il mondo, istante per istante, di ciò di cui continuamente viene privato). E tutto ciò in
contrasto, oltre che con quanto sostenuto da Leibniz — si conserva il prodotto mv2 —
anche con le enunciazioni di Descartes (1596-1650) - si conserva il prodotto mv -. Si può
molto agevolmente sostenere che poté affermarsi la posizione che non ammetteva la
conservazione dell'energia solo perché, all'epoca, la questione non si poneva con l'urgenza
imposta da macchine che consumano grandi quantità di energia non rinnovabile (3). È
comunque utile una annotazione su questo problema. Nel caso galileiano (4), ad esempio,
dove c'era da ricavare la conservazione da un'esperienza "ideale" di risalita di una
determinata massa dopo una sua caduta (es: un pendolo), le cose si presentavano in modo
"abbastanza semplice": i parametri in gioco erano pochi, gli attriti erano già presenti ma
ancora non formalizzati, i vincoli ancora non erano discussi (sarà compito dei fisicimatematici francesi). Ma quando in un processo di trasformazione di energia si producono
molte "intermediazioni", allora il problema si complica notevolmente. Già la ruota
idraulica poteva prescindere da un'analisi accurata dei rendimenti: dato il corso d'acqua è
data l'energia (basta, più o meno, tener conto di pochi dati empirici come le secche o le
piene, come la velocità dell'acqua, il modo migliore di costruire e sistemare le pale...). Il
passaggio successivo, a macchine che utilizzano combustibili e si servono di varie
intermediazioni, tra cui la più importante è quella del riscaldamento di acqua per produrre
vapore, rendeva e rende: il problema economicamente attuale. Si trattava di capire fin dove
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il combustibile può essere sfruttato e fin dove la macchina può essere migliorata: è un
problema di rendimento che può essere senz'altro inteso nel senso di rendimento
economico.
Per molti anni la scienza ufficiale, che era completamente slegata dal mondo della
produzione, non si occupò di questi problemi e, se lo faceva, era solo per affinare quanto
già dato come acquisito. Emergeva comunque una consapevolezza: l'impossibilità del
moto perpetuo che, per ora e come capiremo meglio in seguito, è solo moto perpetuo di 1ª
specie. Ai molti che si affannavano con mirabolanti invenzioni l'Accademia Reale delle
Scienze di Francia dovette dire basta per non essere sommersa da progetti di macchine
miracolose. La stessa Accademia divulgò il seguente testo: "La costruzione di una
macchina del moto perpetuo è assolutamente impossibile. Anche ammesso che l'attrito e la
resistenza del mezzo non distruggessero infine l'effetto della potenza motrice primaria, tale
potenza non potrebbe produrre un effetto uguale alla sua causa"(5).
Da parte loro Euler (1707-1783), Lagrange ( 1736-1813) e D'Alembert (1717-1783)
costruivano delle equazioni che formalmente sono quelle che oggi conosciamo come
principio di conservazione dell'energia meccanica, ma che sostanzialmente e
concettualmente non avevano grandi significati (6).
La tecnologia del calore ampliava invece la sua base fenomenologica e tra i primi a
porsi il problema della conservazione dell'energia, nell'ambito della costruzione di
macchine a vapore, fu proprio uno degli ideatori di queste macchine, J. Smeaton (17241792) nel 1759. II lavoro di Smeaton, unito agli innumerevoli contributi empirici (e non)
che da quella parte provenivano, servì anche esplicitamente alle definizioni dei concetti di
lavoro e di potenza che, proprio in connessione con uno dei più intensi momenti di
sviluppo delle macchine a vapore, facevano la loro comparsa nella fisica (7). Non mi
dilungherò ora su questi aspetti, ma voglio sottolineare come la mole dei problemi posti
dalla tecnologia di queste macchine ricadrà sulla scienza ufficiale come compito da dover
risolvere appena qualche decennio dopo. Ciò che si trattava di capire era: come mai alcune
trasformazioni energetiche avvengono con un bilancio positivo e altre con un bilancio
negativo? (8). Certamente alla soluzione di questi problemi contribuì il diverso contesto
teorico, politico, sociale, dei vari ambienti in cui vi si lavorò.
7.1 - DAL CONTE RUMFORD A SADI CARNOT
Alla comprensione delle relazioni tra lavoro meccanico e calore (9), e quindi della
fondamentale questione dei bilanci nelle trasformazioni in oggetto, dette un importante
contributo (1798) Benjamin Thompson, diventato successivamente Conte di Rumford per
meriti scientifici. Rumford (1753-1814) stabilì (1799) l'equazione:
calore = movimento
che è il primo embrione di quel Q = L che sarà stabilito circa 50 anni dopo. Ma le
elaborazioni di Rumford ebbero scarsa fortuna. L'ambiente scientifico era diviso tra i
sostenitori di questa teoria dinamica e i sostenitori dell'altra, quella fluidistica del calorico
(inteso come una sostanza materiale) che andava per la maggiore. Le esperienze che
all'epoca si facevano per studiare l'equilibrio termico tra due sostanze sembravano
confermare proprio un travaso di calorico da una sostanza all'altra: sarebbe stato più
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difficile spiegare questi fatti con — diremmo oggi — scambi di energia cinetica tra
molecole.
Scarso successo ebbe anche la ben nota esperienza di Davy (1778-1829) che
consisteva nello sfregamento sotto vuoto di due pezzi di ghiaccio con la conseguente
produzione di calore e quindi di acqua (anche qui: calore = movimento). E Davy spiegava
ciò parlando di "vibrazione dei corpuscoli costituenti il corpo". Sembra strana questa
situazione: la gran parte degli scienziati, che si muoveva in un preteso ambito newtoniano,
non riconosceva nell'agitazione di particelle e vibrazione di un qualche mezzo la fisica di
Newton e, al contrario, si soffermava su ipotetici fluidi come il calorico. Perché le
particelle in ottica e un fluido nella spiegazione del calore? Tanto più che lo stesso
Newton, analogamente che per la luce, così si esprimeva a proposito del calore (Ottica,
questione 18):
"II calore di un ambiente caldo non si trasferisce attraverso il vuoto mediante le vibrazioni
di un mezzo più sottile dell'aria che, quando l'aria è stata tolta, rimane sempre? E non è
questo mezzo lo stesso mediante il quale la luce si rifrange e si riflette e mediante le cui
vibrazioni la luce trasmette il calore ai corpi...? E le vibrazioni di questo mezzo in corpi
caldi non contribuiscono all'intensità e alla durata del caldo in questi corpi? E i corpi
caldi non comunicano il loro calore a quelli freddi contigui mediante le vibrazioni di
questo mezzo propagantisi dai primi ai corpi freddi?"(10).
Anche se le affermazioni di Newton sono dubitative, basti solo ricordare che dello
stesso tipo erano quelle sulla teoria corpuscolare della luce. Insomma è qui difficile capire
chi sono i newtoniani. Può sembrare ancora strano, ma fu proprio uno come Young (17731829), che si riteneva antinewtoniano perché considerava oppresso, oppressivo e privo di
slanci innovatori l'ambiente scientifico dominato dall'autorità di Newton, che riprese le
affermazioni dello stesso Newton, a sostegno di una sua "non ortodossa" teoria. Così si
esprimeva Young (1807):
"Se il calore non è una sostanza, deve essere una qualità; e questa qualità può essere solo
moto. Era opinione di Newton che il calore consista in un piccolo moto vibratorio delle
particelle dei corpi, e che questo moto sia comunicato, attraverso un vuoto apparente,
dalle vibrazioni di un mezzo elastico che interviene anche nei fenomeni luminosi. Se gli
argomenti che sono stati avanzati ultimamente a favore della teoria ondulatoria della luce
sono ritenuti validi, vi saranno ragioni ancora più forti per ammettere questa dottrina
riguardo al calore, e sarà solo necessario supporre che le vibrazioni e ondulazioni, che
soprattutto lo costituiscono, siano più ampie e più forti di quelle della luce, mentre al
tempo stesso le più piccole vibrazioni luminose, e anche le radiazioni oscure che derivano
da vibrazioni ancora più piccole possono, forse, se sufficientemente condensate,
contribuire a produrre gli effetti del calore"(11).
Questi ultimi effetti del calore erano essenzialmente quelli che, nell'industrializzata
Gran Bretagna, provenivano dall'uso delle macchine a vapore. Ma l'arretratezza delle
istituzioni scolastiche e (sembra impossibile) scientifiche di quel paese aveva lasciato lo
studio di questi fenomeni ai soli tecnici. Fu Watt (1736-1819) che, applicando un
dispositivo meccanico (diagramma indicatore) al pistone e al cilindro di una sua macchina,
evidenziò direttamente e graficamente il variare della pressione del vapore in funzione del
volume a disposizione del cilindro (12). Ma ancora non vi era alcuna elaborazione teorica.
Al contrario, la Francia dell'École aveva cominciato a sottoporre a trattamento teorico i
fenomeni implicati negli scambi di calore. Un primo fondamentale lavoro in questo senso è
la Teoria analitica del calore (1822) di J.B. Fourier (1768-1830), nel quale si studiano i
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meccanismi di propagazione del calore attraverso i corpi solidi (13). Fourier aveva
elaborato una teoria matematica del calore basandosi essenzialmente sul fenomeno della
conduzione e non facendo ipotesi sulla natura del calore stesso (in particolare, non
occupandosi dei fenomeni di dilatazione o simili, che producono effetti meccanici e che
erano già stati abbondantemente studiati) (14). Era così arrivato a trovare una legge
secondo la quale la quantità di calore che ogni secondo passa attraverso una sbarra della
sezione di un centimetro quadrato è proporzionale alla caduta di temperatura per ogni
centimetro di lunghezza del conduttore, misurata lungo la direzione nella quale fluisce il
calore (si potrebbe dire che la quantità di calore di cui si diceva è proporzionale al
gradiente termico). Ma, al di là di alcuni risultati certamente importanti, è utile sottolineare
alcune affermazioni dello stesso Fourier sui rapporti della scienza del calore con i principi
della dinamica. Così scriveva il fisico-matematico francese:
"Qualunque possa essere la portata delle teorie meccaniche, esse non si possono applicare
agli effetti del calore. Questi infatti costituiscono un ordine particolare di fenomeni, che
non possono essere spiegati mediante i principi del moto e dell'equilibrio" (15). E più
oltre, a proposito dei criteri che lo avevano guidato nell'elaborazione del suo lavoro,
aggiungeva:
"I principi della teoria derivano, così come quelli della meccanica razionale, da un
ristrettissimo numero di fatti iniziali e ... le equazioni differenziali della propagazione del
calore esprimono le condizioni più generali, e riducono le questioni fisiche a problemi di
pura analisi, e questo è il vero scopo della teoria. ... Considerata da questo punto di vista
l'analisi matematica si estende così come si estende la natura; essa definisce tutte le
relazioni sensibili, misura tempi, spazi, forze e temperature..."
non dimenticando nel contempo di riferirsi al metodo delle "analogie" che da qui prende le
mosse. In definitiva Fourier, per trattare la speciale classe dei fenomeni del calore ("la cui
teoria — come egli afferma — formerà una delle più importanti branche della fisica"(16),
si serve essenzialmente della matematica cui assegna un ruolo insostituibile per superare le
dispute sulle cause e arrivare invece alle equazioni che descrivono il fenomeno, uniche
verità universali. Come osserva Bellone, "l'utilizzazione delle tecniche-matematiche
trovava nel pensiero di Fourier non solo delle giustificazioni legate a una concezione
generale della natura, ma anche un impulso per ulteriori progressi formali. È nella Teoria
che vengono usate pienamente le nuove formulazioni di Fourier sugli sviluppi m serie: e
non si può trascurare il fatto che gli sviluppi in serie non si riducono, nell'opera di
Fourier, a semplici tecniche formali, ma implicano l'attribuzione di direzioni privilegiate
di sviluppo dei fenomeni termici nel tempo. Il fatto che le serie di Fourier rappresentino lo
svolgersi temporale delle perturbazioni termiche apportate sui sistemi fisici viene infatti
interpretato, nella Teoria, come la più evidente prova dell'esistenza, nella natura stessa, di
una marcia naturale verso situazioni di stazionarietà"(17).
Due soli anni dopo l'uscita di questo lavoro di Fourier vide la luce un altro contributo
fondamentale alla scienza del calore. Si trattava delle "Riflessioni sulla potenza motrice del
fuoco" di Sadi Carnot (1796-1832). Certamente una grande influenza su Sadi, uomo
dell'École, dovette averla suo padre Lazare (1753-1823) (18), che svolse un ruolo
importante nello stesso ambiente dell'École a partire dalla sua fondazione; Lazare, nel suo
"Essai sur les machines en général" del 1783, si era occupato di macchine e soprattutto di
macchine idrauliche con il fine di fare della scienza di esse una branca della meccanica. In
questo lavoro egli, fra l'altro, fece uso della formula della conservazione dell'energia
meccanica così come oggi praticamente la conosciamo. I contributi di Lazare alla scienza
delle macchine idrauliche saranno ben presenti nell'opera di Sadi se si tiene conto che
quest'ultimo sviluppò la sua teoria delle macchine termiche in analogia con quelle
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idrauliche. Lo stesso Sadi scriveva:
"Si può comparare con sufficiente esattezza la potenza motrice del calore con quella di
una caduta d'acqua: ambedue hanno un massimo che non può essere superato, qualunque
sia la macchina impiegata per ricevere l'azione del calore. La potenza motrice di una
caduta d'acqua dipende dalla sua altezza e dalla quantità di liquido; la potenza motrice
del calore dipende anche dalla quantità di calore impiegata e ... dall'altezza della sua
caduta, e cioè dalla differenza di temperatura dei corpi tra i quali si scambia calorico.
Nella caduta dell'acqua la potenza motrice è rigorosamente proporzionale alla differenza
di livello tra il deposito superiore e quello inferiore. Nella caduta di calorico la potenza
motrice aumenta, senza dubbio, con la differenza di temperatura tra il corpo caldo e il
corpo freddo"(19).
Inoltre, come in una macchina idraulica per ottenere il massimo rendimento occorre
che l'acqua esca dalla turbina a velocità pressocché nulla (in modo da garantire che tutta
l'energia posseduta dall'acqua si trasferisca alla turbina) e che, dentro la macchina, l'acqua
non dia colpi violenti alle parti mobili, cioè non vari apprezzabilmente la sua velocità (per
evitare inutili sprechi di energia), allo stesso modo in una macchina termica è necessario
che gli scambi di calore con l'esterno siano resi nulli (affinché tutto il calorico sia utilizzato
per produrre potenza motrice(20)) e che, anche all'interno della macchina, gli scambi di
calore avvengano tra parti che si trovino pressoché alla stessa temperatura (per evitare
inutili sprechi di calorico nel riscaldare parti di macchine).
Lo spingere oltre l'analogia, unitamente alla convinzione dell'esistenza materiale di un
fluido calorico, portò Carnot a una conclusione che oggi riteniamo errata: così come non si
ha perdita d'acqua nel funzionamento di una macchina idraulica: (l'acqua che entra nella
macchina è la stessa che, dopo aver prodotto lavoro meccanico, ritroviamo all'uscita), allo
stesso modo, secondo Carnot, non si ha perdita di calorico nel funzionamento di una
macchina termica. Quindi il calorico si conserva, è indistruttibile; non è esso che è
trasformato in lavoro-meccanico, è (e qui viene un'affermazione che oggi si può ritenere
corretta) solo la sua caduta da una sorgente calda a una fredda che produce questo lavoro
(21). E quest'ultimo è uno degli enunciati che oggi usiamo per il secondo principio della
termodinamica (22).
Una macchina termica produce quindi lavoro quando vi è trasferimento di calore da
una sorgente, calda a una sorgente fredda. Diceva Carnot:
"Ovunque esista una differenza di temperatura, ovunque si possa ristabilire l'equilibrio del
calorico, può prodursi anche potenza motrice. [E aggiungeva :] Il vapor d'acqua è un
mezzo per realizzare questa potenza, ma non è l'unico: tutti i corpi che la natura ci offre
possono impiegarsi a questo scopo".
E questo perché tutti i corpi, alternativamente scaldati e raffreddati, sono suscettibili di
cambiamenti di volume e conseguentemente possono spingere altri corpi sistemati alle loro
estremità. Certamente i fluidi sono i più adatti perché sono soggetti a maggiori escursioni
volumetriche, ma tutti i corpi, ugualmente, potrebbero essere usati.
La domanda che spontaneamente sorgeva da ciò è quella che lo stesso Carnot si
poneva: "La potenza motrice del calore è immutabile in quantità o varia con l'agente che
si usa per realizzarla?". Carnot rispose affermando che il rendimento di un ciclo è
indipendente dal mezzo usato; esso dipende solo dalla differenza di temperatura tra la
sorgente calda e quella fredda e dalla quantità di calorico messa in gioco, inoltre "la
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potenza motrice aumenta con la differenza di temperatura" tra le due sorgenti. È la
variazione di volume che produce lavoro, quindi solo gli scambi di calore responsabili di
variazioni di volume sono utilizzabili. Se non si perdesse calore nella sua trasmissione tra
le due sorgenti e se la quantità di calorico ceduta dalla sorgente calda fosse esattamente
uguale a quella ricevuta dalla sorgente fredda (senza perdite nel riscaldamento delle parti
componenti la macchina) allora si avrebbe un massimo di rendimento, e il ciclo che
descrive il funzionamento della macchina sarebbe un ciclo reversibile (23). Solo le
macchine ideali possono realizzare ciò: nelle macchine reali le perdite di calorico sono
ineliminabili (24). Pertanto il ciclo di Carnot è un ciclo ideale che rappresenta il limite
superiore di rendimento di una macchina reale (25).
7.2 - I CONTRIBUTI DI CLAPEYRON, MAYER, JOULE ED
HELMHOLTZ
Questo lavoro di Carnot, che praticamente rappresenta la fondazione della
termodinamica moderna, rimase senza seguito per ben dieci anni. Solo nel 1834 un altro
ingegnere francese, B. Clapeyron (1799-1864), riprese l'opera di Carnot elaborandola e
formalizzandola (26).
Nel frattempo lo studio dei gas era avanzato di molto. A ciò avevano lavorato
direttamente o indirettamente (mediante il perfezionamento della strumentazione): Dulong
(1785-1838), Petit (1791-1820), Volta (1745-1827), Gay-Lussac (1778-1850), Charles
(1746-1823). In particolare Volta e, indipendentemente, Gay-Lussac avevano stabilito un
fatto di notevole importanza: tutti i gas hanno lo stesso coefficiente di dilatazione il cui
valore è circa 1/273 . Clapeyron, sempre nel 1834, riuscì a mettere insieme la legge di
Boyle (1627-1691) — a una fissata temperatura il prodotto della pressione per il volume di
un dato gas è costante — e quella di Gay-Lussac — i volumi di due gas che si combinano
stanno tra loro in rapporti semplici — ricavando l'importantissima equazione che descrive
il comportamento dei gas perfetti (PV = nRT). Passò quindi allo studio dei rapporti
esistenti tra lavoro e calore. Nel far ciò si riferì ampiamente all'opera di Carnot
accettandone tutti i risultati ma attaccando con fermezza l'ipotesi dell'indistruttibilità del
calorico, pur mantenendo comunque il concetto di calorico. Egli affermava che:
"Una quantità di azione meccanica e una quantità di calore che può passare da un corpo
caldo a un corpo freddo sono quantità della stessa natura ed è possibile sostituirle l'una
con l'altra"(27).
Riprendendo poi in esame il diagramma indicatore di Watt, Clapeyron scoprì che
l'area del "ciclo di Watt" dava una misura di quanto lavoro si era fatto per percorrere un
ciclo completo. Egli propose quindi di misurare il rendimento (r) di una macchina come il
rapporto tra il lavoro fatto da una macchina (L) e la quantità di calore che la macchina ha
assorbito dalla sorgente a temperatura più alta (Q2) durante un intero ciclo r = L/Q2. C'è
comunque da osservare che il ciclo su cui Clapeyron lavorava era diverso da quello
originario di Carnot (28), anzi, quello che noi oggi studiamo come 'ciclo di Carnot' è il
ciclo di Clapeyron costituito, in un piano P, V, da due isoterme e due adiabatiche.
Nonostante l'elevato livello di formalizzazione e gli importanti successi teorici che si
stavano conseguendo, questo lavoro rimase abbastanza inosservato per circa quindici anni.
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Si trattava di capire meglio la natura del calore, i suoi meccanismi di scambio e i suoi
rapporti con il lavoro meccanico; tutto questo anche da campi diversi da quello
strettamente fisico e tecnologico, come ad esempio dalla chimica e dalla biologia.
Nuovi importanti contributi iniziarono a venire dalla Germania. Dapprima il fisiologo
Liebig (1803-1873) mise in relazione l'energia meccanica animale con il calore prodotto
dalla combustione del cibo (29); quindi un suo discepolo, Mhor (1806-1879), nel 1837
sostenne, all'interno di una visione meccanicistica, che ogni forma di energia doveva
necessariamente provenire da energia meccanica e cioè da agitazione molecolare; e infine,
per ora, il medico R. Mayer (1814-1878) trovò (1842) una relazione quantitativa precisa tra
lavoro e calore riuscendo a calcolarsi l'equivalente meccanico del calore (è, come diremmo
oggi, il primo principio della termodinamica nell'ipotesi di variazione nulla dell'energia
interna del sistema o, che è lo stesso, nell'ipotesi di percorrere un ciclo chiuso). Scriveva
Mayer:
"La connessione naturale che esiste tra la forza di caduta, il movimento e il calore può
essere concepita nel modo seguente ... La caduta di un peso ... deve essere, senza dubbio
alcuno, correlata alla quantità di calore che conseguentemente si sviluppa; questa
quantità di calore deve essere proporzionale alla grandezza del peso e alla sua distanza
rispetto al suolo. Da questo punto di vista siamo con molta facilità condotti alle equazioni
tra la forza di caduta, il movimento e il calore"(30).
E a questo punto Mayer si poneva l'ovvia domanda:
"Quanto è grande la quantità di calore che corrisponde a una data quantità di movimento
o di forza di caduta? Ad esempio, dobbiamo accertare a quale altezza debba essere
innalzato un dato peso rispetto al suolo, affinché la sua forza di caduta possa essere
equivalente all'aumento di temperatura di un ugual peso d'acqua da 0° a 1°C"(31).
Mayer passava allora a farsi questo conto basandosi sulle "relazioni che esistono tra la
temperatura ed il volume dei gas" e in particolare confrontando il calore specifico a
pressione costante (Cp) e il calore specifico a volume costante (Cv) di un dato gas.
Riscaldando (32) un grammo di gas di 1°C, mantenendo la pressione a un valore dato P, il
suo volume v aumenta di a.v , dove a è il coefficiente di dilatazione dei gas che abbiamo
visto valere 1/273. Il calore che bisogna fornire a questo gas è Cp e il lavoro che si ottiene
da questo riscaldamento è p.v.a. Se ora si procede scaldando, sempre di 1°C, la stessa
quantità di gas ma, questa volta, mantenendo il volume costante, il calore che bisognerà
fornire sarà Cv (e, poiché il volume si mantiene costante, non si avrà nessun lavoro). In
definitiva la differenza Cp - Cv deve uguagliare il lavoro p·v·a, cioè: Cp - Cv = p·v·a e
proprio questa differenza ci fornirà l'equivalente meccanico della caloria:
J = Cp - Cv = p·v·a
che, secondo i conti di Mayer, valeva 365 kgm (chilogrammetri) per ogni grande caloria
(33). Mayer poteva così concludere:
"Se confrontiamo questo risultato con l'operare delle nostre migliori macchine a vapore
vediamo quanto sia piccola quella parte del calore applicato alla caldaia che viene
realmente trasformata in movimento o in sollevamento di pesi; e tutto ciò può servire come
una giustificazione dei tentativi di produrre movimento in modo più redditizio"(34).
Lasciata la Francia con Clapeyron siamo passati alla Germania, ma, proprio negli anni
della memoria di Mayer, una serie di lavori sperimentali sull'argomento si stavano
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realizzando in Gran Bretagna ad opera dello scienziato dilettante J.P. Joule (1818-1889).
Questi, come il suo maestro J. Dalton (1766-1844) (35), era un sostenitore della teoria
dinamica del calore. Egli iniziò i suoi lavori guidato dalla profonda convinzione (anche
religiosa) della indistruttibilità dell'energia (36), prendendo le mosse dal calore sviluppato
in un conduttore al passaggio di una corrente (1840). Il problema che Joule si poneva
riguardava la provenienza del calore che si sviluppa nei conduttori al passaggio di corrente:
si produce nei conduttori o proviene dalla pila? La provenienza dalla pila venne subito
scartata poiché egli non rilevò nessun raffreddamento simultaneo della pila stessa (cosa
che, nella data ipotesi, doveva necessariamente accadere). Quindi il calore si produceva nel
filo e doveva essere in relazione e con la quantità di sostanza chimica che consuma la
batteria e con il lavoro meccanico fatto dalla macchina collegata con la batteria.
Sviluppando queste considerazioni con il sostegno di tutta una serie di esperienze, egli
trovò la relazione, oggi nota come "legge di Joule", secondo la quale la quantità di calore
che si sviluppa all'interno di un circuito percorso da corrente in un dato tempo è
proporzionale alla resistenza del circuito stesso e al quadrato dell'intensità di corrente che
lo attraversa (37).
In un lavoro successivo (1843), Joule andò a ricavarsi l'equivalente meccanico del
calore, e pare accertato che non conoscesse ancora il lavoro di Mayer. Egli si servì di una
gran quantità di esperienze, utilizzando quasi tutte le possibili trasformazioni energetiche
all'epoca note, e in particolare usando il suo "frullino" per scaldare acqua in un calorimetro
delle mescolanze. È questa l'esperienza notissima, argomento di studio in tutti i corsi di
fisica: una ruota a palette, immersa nell'acqua di un calorimetro, gira sotto l'azione di due
masse in caduta; il forte attrito che si genera tra palette in rotazione e acqua fa innalzare la
temperatura di quest'ultima. A questo punto si calcola da una parte il lavoro meccanico
prodotto dalle masse in caduta, e dall'altra il calore che si sviluppa nell'acqua (accertandosi
alla fine dell'esperimento di aver lavorato su di un ciclo chiuso, di essere cioè tornati alle
condizioni iniziali). Mediando su tutti gli esperimenti fatti Joule ricavò, per l'equivalente
meccanico della caloria (38), il valore di 424 kgm per ogni grande caloria (39), (cioè 4159J/
kcal) che, come si potrà controllare, è molto simile a quello che noi oggi accettiamo (4186
J/kcal) (40).
Nel 1847, all'età di 28 anni, Joule ebbe modo di tenere una conferenza nel salone
annesso alla chiesa di Sant'Anna in Manchester dal titolo "Sulla materia, la forza viva e il
calore"; in essa egli enunciò quello che oggi conosciamo come il principio di
conservazione dell'energia (o 1° principio della termodinamica) affermando:
"Ogni volta che la forza viva è apparentemente distrutta, in realtà si produce una quantità
di calore che la equivale con esattezza per via di percussioni, di frizioni, o altre simili
cause. Viceversa: il calore non può diminuire o essere assorbito senza produzione di forza
viva e di una equivalente forza di attrazione nello spazio... (41). Calore, forza viva,
attrazione nello spazio - e potrei anche aggiungere luce, se ciò occorresse ai fini di questa
conferenza -possono convertirsi mutuamente, e in tali conversioni nulla va mai
perduto" (42).
In quello stesso anno, e di nuovo in Germania, veniva pubblicato un lavoro di estrema
importanza che affermava definitivamente la conservazione dell'energia. Il titolo del lavoro
era "Sulla conservazione della forza", l'anno, come già detto, il 1847, l'autore H. Helmholtz
(1821-1894). E anche Helmholtz proveniva da quella scuola di fisiologisti tedeschi di cui
abbiamo già visto far parte Liebig e Mohr. Fu proprio partendo da sollecitazioni di
carattere biologico, e in particolare dal vecchio problema dell'origine del calore nei corpi
animali, che Helmholtz passò ad affrontare la questione da un punto di vista fisico. Egli
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partiva dalla convinzione dell'impossibilità del moto perpetuo e contemporaneamente da
quella, affermatasi nella sua scuola, che erano le reazioni chimiche del cibo a fornire calore
ai corpi animali. Se ci fosse stata una entità esterna a questi corpi, che li avesse riforniti di
energia, essi avrebbero avuto a disposizione un "surplus" di energia che li avrebbe resi
macchine dotate di moto perpetuo. Il calore dei corpi animali e il moto di cui essi sono
capaci deve discendere, secondo Helmholtz, soltanto dal cibo. Quindi c'è occasione di
considerare insieme almeno tre forme di energia che mutuamente si trasformano: l'energia
chimica del cibo che diventa calore e movimento. Ebbene, se a questo punto, si sommano
due fatti, il principio di conservazione dell'energia meccanica già stabilito e la teoria che
vuole il calore come originato dal moto di particelle, ci si rende conto che anche il calore è
energia meccanica, che tutta l'energia è energia meccanica, che tutta l'energia si conserva.
Questa è, per sommi capi, la linea di pensiero che portò Helmholtz alla sua famosa
memoria del 1847 (43) nella quale è enunciata quella che oggi conosciamo come la
conservazione dell'energia nella sua forma più completa e generale. In questa memoria
Helmholtz passava in rassegna tutti i rami della fisica applicandovi la conservazione
dell'energia come ipotesi ragionevole, che non solo avrebbe spiegato tutti i fenomeni noti
ma sarebbe anche stata feconda di ulteriori sviluppi. Egli elaborò matematicamente le sue
considerazioni arrivando a risultati che poi andava a confrontare con i dati sperimentali.
Dapprima dimostrò che tutti i fenomeni meccanici obbediscono alla legge di conservazione
procedendo a una riduzione di essi alle forze attrattive e repulsive tra particelle costituenti i
corpi. Quindi passò a dimostrare la validità del principio per i fenomeni termici discutendo
delle teorie del calore e in particolare dell'equivalente meccanico della caloria così come
era stato misurato da Joule. In questa parte della memoria egli affermava che:
"la quantità di calore può essere aumentata in senso assoluto mediante forze meccaniche,
e che perciò le manifestazioni caloriche non possono essere dedotte da una sostanza
materiale che le determini con la semplice e pura presenza; risulta, invece, che le
manifestazioni caloriche devono essere ricavate da trasformazioni, da movimenti, o da una
vera e propria sostanza materiale, o dei corpi, ponderabili e imponderabili, già altrimenti
noti, per esempio delle elettricità o dell'etere luminoso... Quel che è stato chiamato finora
quantità di calore potrebbe servire d'ora in poi come espressione in primo luogo della
quantità di forza viva del movimento termico, e in secondo luogo della quantità di quelle
forze elastiche degli atomi che, cambiando la loro disposizione, possono provocare un tale
movimento..." (44).
Helmholtz, che già qui aveva ben chiarito il suo principio, andava poi a studiare
l'equivalente meccanico nei fenomeni dell'elettricità, del magnetismo e
dell'elettromagnetismo. Soffermandosi infine a una discussione sui fenomeni biologici,
poteva concludere:
"Credo di aver dimostrato ... che la legge di cui ci siamo occupati non contraddice alcuno
dei fatti finora noti alle scienze della natura, ed è, invece, convalidata in modo
sorprendente da un gran numero di tali fatti ... Lo scopo di questa ricerca, il quale può
anche ottenermi venia della parte ipotetica della ricerca stessa, fu quello di esporre ai
fisici, con la maggiore completezza possibile, l'importanza teorica, pratica ed euristica
della legge di conservazione dell'energia, la cui esauriente convalida deve, forse, essere
considerata come uno dei principali compiti della fisica nel prossimo futuro" (45).
In conclusione, con Helmholtz, per la prima volta (46) e anche con estrema chiarezza,
viene enunciata la conservazione dell'energia (somma di energia cinetica più potenziale)
nell'ipotesi riduzionista di azioni tra particelle che costituiscono i corpi e, in ultima istanza,
nell'ipotesi più ampia di poter ridurre tutti i fenomeni fisici alla meccanica (47).
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Ben scarso fu l'impatto immediato di questo come degli altri lavori già discussi. Tutto
ciò che avesse avuto l'aria di una speculazione veniva subito respinto e attaccato
duramente dall'ambiente dei fisici. Ma questa volta doveva passare poco tempo perché
l'energia e la sua conservazione entrassero definitivamente tra i concetti più importanti del
mondo della fisica. I contributi che si susseguirono a partire da questo, soprattutto ad opera
di Kelvin, Clausius, Maxwell e Boltzmann, andarono a costruire via via la moderna
termodinamica e a fondare, in accordo con la teoria cinetica dei gas e del calore, la
meccanica statistica.
7.3 - LA STORIA PROSEGUE I CONTRIBUTI DI KELVIN E
CLAUSIUS
La scienza della termodinamica era fondata. Si era a un risultato fondamentale che
travalicava addirittura l'intervento divino previsto da Newton: la conservazione
dell'energia. Si trattava ora di mettere ordine e di tentare di capire meglio: di costruire,
cioè, la termodinamica stessa.
Nel 1848 un giovane fisico inglese, William Thomson (1824-1907), in seguito
divenuto Lord Kelvin per meriti scientifici, si accorse che dai lavori di Carnot era possibile
ricavare una scala assoluta di temperature. L'evento era di notevole importanza perché,
fino ad allora, per la misura delle temperature ci si era basati soltanto sulla dilatazione,
mediante riscaldamento, di determinate sostanze (mercurio, alcool, acqua, gas...), e dati
due termometri che sfruttavano la dilatazione di due sostanze diverse, non c'era modo di
raccordare le letture delle temperature dei due strumenti (a causa dei diversi coefficienti di
dilatazione e della non linearità della dilatazione stessa in funzione del calore assorbito
dalla sostanza e, conseguentemente, delle temperature lette). Il termometro che dava
miglior affidamento era quello ad aria, anche grazie agli studi dì Regnault (1810-1878),
ma, osservava Kelvin:
"anche se in tal modo otteniamo un principio preciso per la costruzione di un sistema
definito atto alla valutazione della temperatura, pure non possiamo ritenere di essere
giunti a una scala assoluta, in quanto si fa essenzialmente riferimento a un corpo
specifico, inteso come sostanza termometrica campione'' (48).
E a questo punto, alla domanda: "esiste un principio su cui possa fondarsi una scala
termometrica assoluta?" Kelvin rispondeva di si, e di averlo individuato nella teoria di
Carnot delle macchine termiche. Secondo la suddetta teoria il rendimento di una tale
macchina è indipendente dal particolare fluido impiegato e dipende solo dalia quantità di
calore in giuoco e dalla differenza di temperatura esistente tra le due sorgenti. Kelvin
propose allora di utilizzare questo fenomeno definendo
''gli incrementi di temperatura uguali su una scala assoluta come gli intervalli di
temperatura entro i quali una macchina termica avrebbe funzionato con la stessa
efficienza" (49).
È un interessante e indiretto sostegno alla teoria di Carnot e in particolare al 2º
principio della termodinamica in essa contenuto.
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FISICA/MENTE
Ancora nel 1849 Kelvin tornava sui lavori di Carnet discutendo e confrontando i
rendimenti di varie macchine termiche e rilevando una fondamentale discordanza tra la
teoria di Carnot e i lavori di Joule (50). Il problema era relativo alla conduzione del calore:
da una parte, quando si mettono a contatto semplicemente due corpi a diversa temperatura,
il calore passa spontaneamente da quello a temperatura maggiore a quello a temperatura
minore in modo completamente irreversibile non producendo alcun lavoro meccanico, e
dall'altra, in una macchina di Carnot, si ha sempre passaggio di calore da un corpo a una
data temperatura a uno a temperatura più bassa, ma con produzione di lavoro meccanico e
in modo totalmente reversibile. Così scriveva Kelvin:
"Quando l'azione termica viene consumata nella conduzione di calore attraverso un
solido, che succede dell'effetto meccanico che essa dovrebbe produrre? Nulla può essere
perduto durante le operazioni della natura; nessuna energia può essere distrutta." (5l).
Kelvin notò però che, abbandonando l'idea del calorico che si conserva e accettando
la teoria di Joule, secondo la quale nulla si perde nelle conversioni reciproche di lavoro in
calore, sarebbe stato possibile superare la difficoltà ma, per il momento, rifiutò di
addentrarsi su questa strada che lo avrebbe portato, come egli stesso diceva, a scontrarsi
con altre insormontabili difficoltà (52).
Chi risolse il problema, all'interno del quale ci sono distintamente in embrione i due
principi della termodinamica, fu Rudolf Clausius (1822-1888) con un lavoro del 1850,
"Sulla forza motrice del calore". Il fisico tedesco, dopo aver affermato il suo schierarsi con
la teoria dinamica de! calore, diceva che:
"La nuova teoria [di Joule] non è in opposizione al principio fondamentale di Carnot ma
contraddice soltanto l'asserzione ausilia-ria secondo cui non si perde calore [in un ciclo]:
in effetti, nella produzione di lavoro, può benissimo accadere che, nello stesso tempo, una
certa quantità di calore venga consumata e un'altra trasferita da un corpo caldo a uno
freddo, e che entrambe le quantità di calore siano in relazione definita rispetto al lavoro
che è stato fatto". (53)
E inoltre enunciava con chiarezza il 1° principio della termodinamica con le seguenti
parole:
"In tutti i casi in cui si produce lavoro per mezzo del calore, viene consumata una certa
quantità di calore che è proporzionale al lavoro fatto; e, reciprocamente, con la spesa di
una uguale quantità di lavoro si produce una uguale quantità di calore" (54).
Fatte queste premesse, Clausius iniziò a ridiscutere il ciclo di Carnot, "rappresentato
molto chiaramente in forma grafica da Clapeyron", in termini di lavoro interno ed esterno,
perché, come diceva Clausius, quando un corpo cambia di volume si produce e si consuma
sempre del lavoro meccanico, ma quest'ultimo è difficile da determinarsi "a causa del fatto
che insieme al lavoro esterno si produce anche un lavoro interno sconosciuto".
Tutto ciò equivale a sostenere quello che oggi è noto, appunto, come secondo
principio della termodinamica nell'enunciazione di Ciausius:
''È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia un trasferimento di
calore da un corpo a una data temperatura a un altro a temperatura maggiore" (58).
Le cose, anche se già a un buon livello di elaborazione, ancora non erano chiare nei
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dettagli e soprattutto nei problemi che si aprivano con la risoluzione data da Clausius della
discordanza, trovata da Kelvin, tra le ipotesi di Carnot e i lavori di Joule.
Fu ancora Kelvin che, tra il 1851 e il 1852, dopo essersi convertito definitivamente
alla teoria dinamica del calore, ritornò sull'argomento con varie memorie (59) risolvendo
gran parte dei residui dubbi. La prima cosa che Kelvin realizzò (1851) fu la netta e chiara
distinzione tra i due principi a fondamento della "teoria della potenza motrice", dovuti,
secondo Kelvin, rispettivamente a Joule e a Carnot-Clausius:
"Proposizione I (Joule) — Quando quantità uguali di effetto meccanico vengono prodotte,
con qualsiasi mezzo, a partire da sorgenti puramente termiche, oppure vanno perdute in
effetti puramente termici, vengono distrutte o generate quantità uguali di calore.
Proposizione 2 (Carnot e Clausius) — Se una macchina è tale che, quando viene fatta
lavorare alla rovescia, le operazioni di tipofisico e meccanico in tutte le parti dei suoi
movimenti sono rovesciate, allora essa produce tanto effetto meccanico quanto quello che
può essere prodotto, da una data quantità di calore, con una macchina termodinamica
qualsiasi che lavori tra le stesse temperature di sorgente e refrigeratore" (60).
Quindi egli passò a fornire un nuovo enunciato del secondo principio che dimostrò
essere equivalente a quello di Carnot e Clausius:
"E' impossibile, ricorrendo a operazioni materiali inanimate, derivare effetto meccanico
da una qualsiasi porzione di materia raffreddandola al di sotto della temperatura del più
freddo fra gli oggetti circostanti" (61).
A questo punto (1852) Kelvin introdusse nella fisica il concetto di dissipazione (si
badi bene: non di annichilazione) dell'energia nei processi irreversibili e nelle
trasformazioni aperte:
"Quando del calore viene creato mediante un processo irreversibile (quale ad esempio
l'attrito), si ha una dissipazione di energia meccanica, ed è impossibile reintegrarla
completamente nelle sue condizioni primitive. Quando del calore viene diffuso per
conduzione si ha una dissipazione di energia meccanica, e una perfetta reintegrazione è
impossibile...Esiste oggi nel mondo materiale una tendenza universale verso la
dissipazione dell'energia meccanica" (62).
Questo modo di argomentare da parte di Kelvin ci fornisce l'occasione per una
considerazione. Mentre i lavori di Clausius risultano più eminentemente speculativi, a
causa anche del clima politico e culturale della Germania, quelli di Kelvin risultano più
direttamente legati a considerazioni tecnico-pratiche in stretta connessione con i
rendimenti delle macchine termiche che in Gran Bretagna avevano raggiunto un
notevolissimo standard di utilizzazione (63).
7.4 - ULTERIORI CONTRIBUTI DI CLAUSIUS
Gli sviluppi successivi della termodinamica sono dovuti a Clausius che continuerà ad
indagare i fenomeni naturali con processi astrattivi sempre più spinti. In alcune memorie
del 1854, del 1862 e del 1865 egli riuscì a formalizzare le enunciazioni termodinamiche
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fino ad allora costruite - e ancora eminentemente qualitative - con l'introduzione di alcune
importanti funzioni termodinamiche come la 'energia interna' e la 'entropia'. Il lavoro di
Clausius portò alla fondazione della termodinamica dei processi reversibili (per i quali
valgono delle uguaglianze) ma non riuscì ancora a dire nulla (oltre allo scrivere delle
disuguaglianze) sui processi irreversibili. In particolare, nella memoria del 1865 compare
la formulazione analitica del primo principio della termodinamica nella forma differenziale
che oggi conosciamo. Per un cambiamento infinitesimo di stato, risulta:
dQ = dU + dW
dove dQ rappresenta la quantità infinitesima di calore comunicata ad un corpo, dW
rappresenta il lavoro infinitesimo che il corpo fa sull'esterno (moltiplicato per l'equivalente
termico del lavoro) (64) e dU rappresenta una quantità (infinitesima) precedentemente
(1850) introdotta da Clausius (il lavoro interno di cui abbiamo parlato) alla quale si può
dare il nome, suggerito da Kelvin, di energia del corpo (65). Formulato in questo modo il
1º principio, Clausius passò a formulare il 2º, introducendo la funzione e il concetto di
entropia (66). Già nel 1854 Clausius aveva individuato questa grandezza fisica e l'aveva
chiamata 'valore equivalente di una trasformazione'. Egli vi ritornò nel 1862 per
completare quanto già iniziato. Dopo aver premesso che "il calore può essere trasformato
in lavoro, oppure il lavoro in calore, mediante un processo circolare" (67) cioè mediante
un ciclo, egli proseguiva:
"I due tipi di trasformazione che sono stati citati sono correlati in modo tale che l'uno
presuppone l'altro e che entrambi possono essere reciprocamente interscambiabili. Se
chiamiamo equivalenti quelle trasformazioni che possono sostituirsi l'una all'altra...
arriviamo alla seguente espressione: se la quantità di calore Q alla temperatura T è
prodotta dal lavoro, allora il valore equivalente di questa trasformazione è:
Q/T ;
e se la quantità di calore Q passa da un corpo a temperatura T1 a un corpo a temperatura
T2 allora il valore equivalente di questa trasformazione è:
Q/T2 - Q/T1 " (68).
A questo punto Clausius ipotizzò che tutte le trasformazioni che avvengono nel senso
'suggerito' dalla natura (passaggio di calore dai corpi caldi ai corpi freddi e trasformazioni
di lavoro meccanico in calore) debbono avere un valore equivalente positivo (69), tutte le
altre negativo. Facendo la somma algebrica di tutti i valori, equivalenti lungo una
trasformazione ciclica, essa può essere nulla soltanto se il processo ciclico è reversibile
(quando il valore equivalente delle trasformazioni positive deve essere complessivamente
uguale a quello delle trasformazioni negative), mentre è sempre positiva se il processo
ciclico è irreversibile (quando il valore equivalente delle trasformazioni positive è più
grande di quello delle trasformazioni negative). E ciò vuol dire che un ciclo irreversibile
(cioè reale, quello che la natura ci offre), prevalgono le trasformazioni positive, prevalgono
cioè le trasformazioni di lavoro meccanico in calore e il passaggio di calore dai corpi caldi
ai corpi freddi. Solo in un caso limite (ideale), quello del ciclo reversibile, sono uguali gli
equivalenti delle trasformazioni positive e negative, di modo che la somma algebrica di
essi è zero. Le trasformazioni negative, invece, non possono mai prevalere,in accordo con
quanto ricavato fino al momento a partire dai lavori di Carnot. La prevalenza di
trasformazioni negative equivarrebbe a dire che la natura preferisce trasferire calore dai
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corpi freddi ai corpi caldi e trasformare calore in lavoro meccanico.
Clausius passò quindi a dare una espressione analitica di quanto precedentemente
discusso, e cioè del 2º principio della termodinamica. Se indichiamo con dQ la quantità di
calore scambiata in ogni trasformazione infinitesima che costituisce il ciclo, e con T la
temperatura assoluta a cui avviene lo scambio di calore, per la somma, o integrale del
quoziente tra le due quantità ora definite si ha:
Integrale di Q/T ³ 0
dove si ha sempre il segno > in tutti i processi reali (irreversibili) e il segno = solo per i
processi ideali (reversibili) (70).
Nella memoria del 1865 Clausius indicò con il simbolo S il rapporto Q/T, affermando:
"Possiamo dire che S indica il contenuto di trasformazione del corpo, così come diciamo
che la quantità U è il contenuto di calore e lavoro del corpo stesso... Propongo di
chiamare la grandezza S con il nome di entropia del corpo, partendo dalla parola greca ...
che significa trasformazione" (71).
E alla fine della memoria Clausius passò a trarre la conclusione di quanto aveva fino ad
allora ricavato:
"Se, fra tutte le modificazioni di stato che avvengono nell'universo, le trasformazioni che si
sviluppano in una certa direzione superano in grandezza quelle che si sviluppano in
direzione contraria, allora la condizione generale dell'universo si modificherà sempre più
lungo la prima direzione, e l'universo stesso tenderà continuamente ad avvicinarsi verso
uno stato finale... Possiamo allora esprimere in forma semplice le leggi fondamentali
dell'universo che corrispondono alle due leggi fondamentali della teoria meccanica del
calore:
1) L'energia dell'universo è costante.
2) L'entropia dell'universo tende a un massimo" (72).
Questa conclusione di Clausius è in accordo con quella trovata da Kelvin sulla
dissipazione dell'energia (73) e in particolare con il fatto che in nature si tende a uno stato
di energia degradata (tutta alla stessa temperatura) e perciò stesso non utilizzabile
dall'uomo (in quanto abbiamo visto che occorrono differenze di temperatura per far
funzionare delle macchine) (74). L'entropia e il suo aumento rappresentano, in certo qual
modo, un fattore di merito delle trasformazioni termodinamiche e possono raccontarci la
storia dell'energia che si sta trasformando. L'energia tende a 'invecchiare' e questo
invecchiamento dipende dall'abbassamento di temperatura e dalla conseguente comparsa di
calore: più la temperatura, a cui avviene lo scambio di calore, è bassa, più l'energia è
invecchiata e più è grande l'entropia che è, appunto, rappresentata da Q/T. Da un punto di
vista più strettamente riguardante i corpi soggetti a trasformazioni, l'entropia è una
grandezza che, secondo Clausius, è somma di due componenti: riscaldare un corpo
significa aumentare la sua temperatura e farlo dilatare, la qual cosa si traduce in un
aumento del calore interno; e, sempre secondo Clausius, è importante notare che all'effetto
macroscopico del calore (la dilatazione che, dovendo vincere delle forze esterne, si traduce
in lavoro) è associato un effetto microscopico che "tende sempre a indebolire la
connessione tra le molecole e, in tal modo a far crescere le distanze medie da cui le
molecole stesserono separate le une dalle altre" (75). Quest' ultimo effetto è chiamato da
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Clausius "tendenza all'aumento della disgregazione" avendo definito con disgregazione "il
grado di dispersione delle molecole di un corpo". Orbene, "la misura di un aumento di
disgregazione è il valore equivalente della trasformazione di lavoro in calore che deve
realizzarsi al fine di compensare questo aumento di disgregazione" (76). Chiamando Y il
primo effetto (aumento del calore interno) e Z il secondo (separazione molecolare),
l'entropia S è definita da Clausius come:
S=Y+Z
e ciò vuol dire che quando un corpo si riscalda (aumenta Y) e si dilata (aumenta Z) oppure
si riscalda e si dilata (aumentano Y e Z), l'entropia aumenta. Un corpo che si raffreddi e/o
si contragga vedrà, invece, S diminuire. Nelle trasformazioni reversibili è possibile pensare
a effetti equivalemti che vanno reciprocamente ad annullarsi, ma, nella realtà,
"tutto ciò che si raffredda senza compiere un lavoro deve cedere energia termica a un
corpo o ad altri corpi che così vengono a riscaldarsi. E poiché la temperatura funge da
divisore e da denominatore nella misurazione del mutamento di entropia, ne deve
conseguire che la riduzione di entropia nel primo corpo deve essere inferiore all'aumento
di entropia nel secondo" (77),
il che vuol dire che, in ogni trasformazione irreversibile, l'entropia aumenta.
Arriviamo così a questa nuova grandezza fisica, l'entropia, che, allo stesso modo del
tempo. ha una direzione fissata di svolgimento. Questa grandezza, nata in connessione con
il 2° principio della termodinamica, aumenta sempre in ogni processo naturale e cioè in
ogni processo irreversibile. Si tratta di una scoperta di enorme importanza, di un qualcosa
assolutamente non comprensibile nell'ambito della fisica newtoniana e in particolare della
meccanica. Tanto più che le variazioni di entropia sono strettamente connesse ad altre
qualità fondamentali dei processi naturali che, anch'esse, per la prima volta compaiono
nella descrizione e formulazione dei fenomeni e delle leggi fisiche: la reversibilità e
l'irreversibilità. I fenomeni studiati dalla meccanica e le relazioni che li descrivono sono
completamente reversibili e, paradossalmente, possono fare a meno della uniderizionalità
del tempo; (78) ora, con il 2º principio della termodinamica, si scopre che tutti i fenomeni
naturali sono irreversibili, si svolgono cioè in modo tale da non poter essere invertiti, e
quindi si fissa una direzione privilegiata, non solo per il tempo, ma anche per l'entropia.
L'irreversibilità è mera conseguenza del fatto che in ogni processo naturale si sviluppa
calore e, poiché quest'ultimo ha una direzione privilegiata di marcia (dai corpi caldi ai
corpi freddi), ne consegue l'irreversibilità di tutti i fenomeni.
È certamente strana la situazione in cui si trovava la fisica a metà dell' Ottocento. Da
una parte il 1° principio della termodinamica postula una uguaglianza tra lavoro e calore
che può essere letta in ambedue i sensi e non pone alcun limite alle reciproche
trasformazioni; dall'altra il 2° principio postula una dissipazione dell'energia e,
conseguentemente, un limite alla trasformabilità del calore in lavoro e un limite (la morte
calda dell'universo) a tutte le trasformazioni. Da una parte il 1 ° principio si può intendere
come descrivente una reversibilità analoga a quella meccanica; dall'altra il 2° principio
afferma l'irreversibilità di tutti i fenomeni naturali. Da una parte il calore della teoria
dinamica è descrivibile mediante le equazioni reversibili della meccanica; dall'altra i
processi fisici che comportano sviluppo di calore (tutti) sono irreversibili. Il terreno è
pronto per una serrata critica alla meccanica, soprattutto se si pensa a quanto
contemporaneamente si sviluppava in altri campi della fisica e principalmente
all'introduzione, fatta da Faraday (1791-1867), della teoria di campo (azioni circolari e
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richiedenti tempo e non rettilinee, istantanee, a distanza) e agli sviluppi dell'ottica dei corpi
in movimento (teoria ondulatoria per la spiegazione dell'interferenza e trascinamento
dell'etere, sostanza quest'ultima dalle prodigiose proprietà). Nel frattempo si era aperta una
strada, nello studio dei gas, lungo la quale sarebbe stato possibile superare le difficoltà
termodinamiche cui abbiamo accennato: la teoria cinetica dei gas e la meccanica statistica.
7.5 - TEORIA CINETICA DEI GAS E MECCANICA STATISTICA
Il primo a ipotizzare e parzialmente ad elaborare una teoria cinetica dei gas fu Daniel
Bernouilli (1700-1782) nel 1738. Questo tentativo non ebbe seguito e per circa cento anni
non si sentì più parlare della cosa. Nel 1820 J. Herapath (1790-1869) e nel 1845 JJ.
Waterston (1811-1883) inviarono due memorie alla Royal Society nelle quali riprendevano
le ipotesi di Bernouilli sviluppando l'idea di calore come movimento disordinato delle
particelle costituenti la materia. In particolare il lavoro di Waterston era una vera e propria
anticipazione di quella che più tardi sarà chiamata meccanica statistica. Ambedue i lavori
furono rifiutati. Come osservano Baracca e Livi, "è questa una ulteriore conferma che
l'evolversi della scienza non è descrivibile in termini di puro avvicinamento alla verità, a
una presunta pura realtà naturale, ma è invece sempre intrinsecamente condizionato dalla
situazione storica concreta" (79). Quella era infatti l'epoca del positivismo, nella quale
erano respinte tutte le ipotesi che andassero al di là dei fatti.
Anche Joule si occupò del problema e nel 1851 pubblicò un lavoro nel quale,
partendo dall'ipotesi che la temperatura dipende dal moto molecolare, calcolò quale deve
essere la velocità media delle molecole del gas idrogeno per produrre una pressione uguale
a quella atmosferica (80). I lavori di Herapath e Waterston vennero ripresi nel 1856 in una
memoria, sostanzialmente identica a quella degli ispiratori, del chimico tedesco A. Krönig
(1822-1879). I tempi erano mutati e poi la Germania dell'epoca permetteva maggiori 'voli
di fantasia'. Al lavoro di Krönig ne seguì subito uno di Clausius nel quale si gettavano le
basi della moderna teoria cinetica dei gas (1857) (81). Leggiamo direttamente da Clausius:
"La pressione del gas contro una superficie fissa è causata dalle molecole che urtano in
gran numero su di essa e rimbalzano. La forza che così ne nasce è, in primo luogo, a
parità di velocità del moto, inversamente proporzionale al volume della quantità fissata
del gas; e in secondo luogo, a parità di volume, proporzionale alla forza viva (82) del
moto di traslazione...
Dalla legge di Gay-Lussac (83) sappiamo che, a volume costante, la pressione di un gas
perfetto cresce nello stesso rapporto della temperatura...assoluta. Di qui ... segue che la
temperatura assoluta è proporzionale alla forza viva del moto di traslazione delle
molecole ... (84)
La quantità di calore che deve essere fornita al gas, a volume costante, per aumentare la
sua temperatura, deve essere considerata come un aumento della forza viva nel gas (85),
nella misura in cui, in tal caso, non si compie alcun lavoro che potrebbe consumare
calore..
Per soddisfare strettamente le leggi di [Boyle-] Mariotte e [Volta-] Gay-Lussac, e altre ad
esse connesse, il gas deve soddisfare le seguenti condizioni rispetto alla situazione delle
molecole:
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1) Lo spazio realmente riempito dalie molecole del gas deve essere infinitesimo in
rapporto all'intero spazio occupato dal gas stesso.
2) La durata di un urto, cioè il tempo richiesto per produrre una variazione del moto di
una molecola che avviene quando essa urta un'altra molecola o una superficie fissa, deve
essere infinitesimo rispetto all'intervallo di tempo tra due collisioni successive.
3) L'influenza delle forze molecolari deve essere infinitesima" (86). Queste condizioni,
aggiungeva poi Clausius, quando sono rispettate, ci forniscono quello che si può chiamare
un gas ideale (o perfetto); man mano che ci si allontana da esse si hanno le deviazioni
proprie che fanno discostare il comportamento dei gas reali da quelli ideali.
Sviluppando queste ipotesi, con dei conti piuttosto semplici, (87) Clausius andava a
ritrovare, da un punto di vista microscopico, le equazioni che descrivono il comportamento
dei gas perfetti, e in particolare calcolava la velocità media delle molecole di alcuni gas
sottoposti alla pressione di una atmosfera. Questi valori di velocità, calcolati sia da
Clausius che da Joule, sembravano elevatissimi: dell'ordine di varie centinaia di metri al
secondo. Sembrava impossibile e, conseguentemente, molte obiezioni vennero mosse
contro i metodi che avevano portato a quei risultati. Si sosteneva che
"se le molecole si muovono lungo tratti rettilinei (e a quelle elevate velocità), allora dei
volumi di gas messi a contatto reciproco debbono necessariamente mescolarsi molto
rapidamente — un risultato, questo, che non si verifica nella realtà. [E inoltre] come può
accadere che il fumo del tabacco sospeso in una stanza rimane cosi a lungo disposto in
strati fermi? " (88). E così via.
A queste obiezioni Clausius rispondeva con un articolo del 1858 nel quale sosteneva che,
dato l'elevatissimo numero delle molecole che costituiscono il gas contenuto, ad esempio,
in una stanza, c'è una elevatissima probabilità che una molecola... nel suo moto traslatorio,
urti successivamente molte molecole. In questo modo la sua traiettoria non deve essere più
pensata come una retta ma come una spezzata costituita da tanti piccoli segmenti, di modo
che il tempo necessario a percorrere un tratto relativamente breve e relativamente lungo.
Quindi la teoria di Clausius portava
"a concludere che solo un numero relativamente piccolo di atomi può giungere
rapidamente a grande distanza, mentre le quantità maggiori del gas si mescolano
gradualmente nelle zone relative alla superficie di contatto" (89).
7.6 - L'INTERVENTO DI MAXWELL
Nel 1860 iniziò ad occuparsi del problema J.C. Maxwell (1831-1879) con una
memoria dal titolo "Illustrazioni della teoria dinamica dei gas". Egli si servì del metodo
delle analogie elaborando un modello meccanico del gas in cui le molecole sono pensate
come "un numero indefinito di particelle piccole, dure, sferiche e perfettamente elastiche,
agenti le une sulle altre solo durante le collisioni reciproche" (90).
Sviluppando il modello, Maxwell arrivò a porsi il seguente problema:
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"Trovare il numero medio di particelle la cui velocità è compresa entro certi limiti, dopo
un gran numero di collisioni tra un gran numero di particelle uguali" (91), la soluzione del
quale rappresenta uno dei risultati più brillanti e fecondi della fisica dell'Ottocento. Dopo
alcuni passaggi, Maxwell trovò un risultato dal quale poté concludere che:
"Le velocità sono distribuite tra le particelle secondo la stessa legge per cui gli errori sono
distribuiti tra le osservazioni entro la teoria dei minimi quadrati. Le velocità vanno da
zero ad infinito, ma il numero di quelle che hanno valori molto alti è relativamente
piccolo. In aggiunta a tali velocità, che sono egualmente distribuite in tutte le direzioni, vi
può anche essere un moto generale di traslazione dell'intero sistema di particelle che deve
essere composto con il moto delle particelle stesse l'una rispetto alle altre. Chiameremo
l'un moto come moto di traslazione, e l'altro come moto di agitazione" (92).
Questo risultato è quello che va sotto il nome di legge di distribuzione delle velocità
di Maxwell (legge, è bene osservare, che ha un carattere eminentemente statistico e
probabilistico) secondo cui le molecole costituenti un gas hanno velocità differenti l' una
dall'altra e le cambiano continuamente, ma il numero delle molecole che mantengono una
velocità fissata rimane globalmente costante. C'è una velocità più probabile delle altre
originata dal fatto che i numerosi urti che si susseguono non permettono alle molecole di
acquistare velocità molto distanti da quella più probabile. In definitiva quasi tutte le
molecole hanno velocità che si discostano poco dal valore più probabile, e le cose possono
essere trattate come se tutte le molecole avessero la stessa velocità. Nel corso della
memoria che stiamo discutendo, Maxwell ebbe modo di precisare il concetto, già
introdotto da Clausius, di cammino libero medio di una molecola (la lunghezza media di
un percorso molecolare tra due urti successivi) e di fornirne un metodo di calcolo.
Disponendo dei due concetti ora accennati fu possibile passare ad altre importantissime
elaborazioni della teoria, che via via fornivano interpretazioni microscopiche di fatti fino
ad allora conosciuti solo macroscopicamente e/o solo empiricamente e magari non ben
compresi. Si riuscì a dare una spiegazione ai fenomeni di diffusione, di soluzione, di attrito
e di propagazione del calore; si scoprirono delle interdipendenze fra questi fenomeni che
precedentemente apparivano nettamente distinti; diventarono comprensibili alcune
'irregolarità' dei calori specifici dei gas e dei solidi e le deviazioni dalla legge di Dulong
(1785-1838) e Petit (1791-1820) (93); si cominciarono a capire le ragioni delle deviazioni
del comportamento dei gas reali da quello dei gas perfetti (94); si calcolò il numero di
molecole contenute in un centimetro cubo di gas in condizioni normali; si calcolò il
numero di molecole contenute in una grammomolecola; si calcolarono le dimensioni delle
molecole (95); ci si avviò alla soluzione del problema della liquefazione di tutti i gas (96);
si dettero le prime spiegazioni del moto browniano (97).
7.7 - UN'INDAGINE PIÙ SOFISTICATA: BOLTZMANN
Il lavoro di Maxwell del 1860 fu perfezionato e in alcuni punti chiarito dai lavori del
fisico austriaco L. Boltzmann (1844-1906) del 1868 e 1872.
Boltzmann era particolarmente interessato non tanto a risolvere problemi particolari,
come in parte aveva fatto Maxwell, quanto a studiare a fondo l'intero 2º principio della
termodinamica. Egli iniziò le sue ricerche con un lavoro dei 1866 nel quale tentò, senza far
ricorso all'ipotesi cinetico-molecolare,
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"di dare una dimostrazione generale, puramente analitica della seconda legge della
termodinamica e di scoprire il teorema che le corrisponde in meccanica." (98).
Nei lavori del 1868 e del 1872, ai quali facevamo riferimento, Boltzmann si convertì
completamente alla teoria cinetico-molecolare ricavando alcune importanti conseguenze
dalla legge di distribuzione delle velocità stabilita da Maxwell. Egli riuscì a calcolare
l'evoluzione di un sistema di particelle a cui competa inizialmente una qualsivoglia
distribuzione di velocità, trovando che questo sistema tende ad assumere la distribuzione di
velocità di Maxwell, a seguito degli urti successivi delle particelle tra loro. La
distribuzione di Maxwell tende quindi ad assumere il significato di distribuzione più
probabile (all'equilibrio) verso cui tendono tutte le altre possibili distribuzioni (lontane
comunque dall'equilibrio). Questo fatto è di grande portata poiché comporta l'affermazione
che in natura si tende in modo irreversibile verso l'equilibrio e, contemporaneamente, il
ritrovare su questa strada, di nuovo, l'irreversibilità insita nel secondo principio.
Leggiamo alcuni passi significativi della memoria di Boltzmann del 1872. Egli
intanto affermava che:
"gli eventi più casuali, quando essi avvengono nelle medesime proporzioni, danno gli
stessi valori medi... [e] le molecole di un corpo sono realmente così numerose e il loro
movimento è talmente rapido che noi non possiamo percepire altro che valori medi ...
[Quindi] le proprietà di un gas rimangono immutate solo perché il numero di molecole
che hanno, in media, un particolare stato di moto è costante. La determinazione dei valori
medi è lo scopo della teoria della probabilità. Quindi i problemi della teoria meccanica
del calore sono anche problemi di teoria della probabilità. Sarebbe tuttavia errato credere
che la teoria meccanica del calore sia per questo soggetta a qualche incertezza per il fatto
che vi sono usati i principi della teoria della probabilità. Non si deve confondere una
legge nota in modo incompleto, la cui validità è pertanto dubbia, con una legge
completamente nota del calcolo delle probabilità; quest'ultima, come i risultati di
qualsiasi altro calcolo, è una conseguenza necessaria di premesse definite, ed è
confermata, nella misura in cui queste sono, corrette dagli esperimenti, purché sia stato
fatto un numero sufficiente di osservazioni, come è sempre il caso della teoria meccanica
del calore, dato il numero enorme di molecole che sono coinvolte" (99).
Boltzmann passò poi a una considerazione molto importante: usando i valori medi non
serve più calcolare le equazioni del moto per ogni particella, di modo che lo stato
termodinamico risulta individuato da pochi parametri macroscopici che possono essere
ricavati con i metodi cinetico-molecolari, come valori medi dei comportamenti
microscopici delle molecole. (100)
Egli calcolò quindi l'evoluzione del sistema di particelle, dimostrando che:
"qualunque sia la distribuzione iniziale dell'energia cinetica, nel corso di un tempo molto
lungo essa deve sempre, necessariamente, tendere verso quella trovata da Maxwell ... [e
che quindi esiste] una certa funzione E che può solo aumentare in conseguenza del moto
molecolare, e in un caso limite può rimanere costante ... e questa funzione coincide, a
meno di un fattore costante, con il valore trovato per il ben noto integrale di dQ/T" (101)
che, come abbiamo visto qualche pagina indietro, non rappresenta altro che la variazione di
entropia del sistema termodinamico in oggetto. Boltzmann poteva cosi concludere:
"Abbiamo quindi aperto la via a una dimostrazione analitica della seconda legge in un
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FISICA/MENTE
modo completamente diverso da duelli indagati finora. Finora l'obiettivo era stato di
mostrare che che l'integrale di dQ/T fosse uguale a zero per processi ciclici reversibili, ma
non è mai stato mostrato analiticamente che questa quantità è sempre positiva per
processi irreversibili, che sono i soli che avvengono in natura. Il processo ciclico
reversibile è solo un ideale, che si può approssimare più o meno bene ma che non si può
mai raggiungere" (102).
Ecco quindi che lo sfuggente concetto di entropia, nelle formulazioni di Clausius, comincia
ad acquistare un significato direttamente connesso alla situazione microscopica del sistema
termodinamico in oggetto. La 'contropartita' di ciò è l'ingresso nella microfisica (e, più in
generale, nella fisica) della probabilità, ingresso che sempre più andrà a scalzare il
determinismo classico. Ma le cose non erano ancora del tutto definite.
Loschmidt (1821-1895), in una sua memoria del 1876, fece osservare all'amico
Boltzmann una difficoltà alla quale abbiamo già fatto cenno: come è possibile che delle
molecole, trattate analiticamente con gli strumenti reversibili della meccanica classica,
possano dare un risultato di irreversibilità ? Come è possibile cioè che la meccanica di
Newton, applicata a un sistema di particelle, origini il 2º principio della termodinamica?
(103). Ma queste obiezioni non dovevano essere solo di Loschmidt se già nel 1871, nella
sua "Teoria del calore", Maxwell sentiva la necessità di spendere delle parole in proposito,
introducendo nei fenomeni microfisici il famoso 'diavoletto', insistendo cioè sul carattere
statistico delle leggi della termodinamica. Maxwell iniziò con l'affermare che il 2°
principio della termodinamica è certamente vero
"finché abbiamo a che fare con i corpi nel loro insieme, senza la possibilità di osservare o
toccare le singole molecole di cui essi sono composti".
E quindi proseguì:
"Ma se noi concepiamo un essere le cui facoltà siano così aguzze che egli può seguire ogni
molecola nel suo cammino, tale essere, i cui attributi sono essenzialmente finiti come i
nostri, sarebbe capace di fare ciò che per noi è attualmente impossibile. Noi abbiamo visto
infatti che le molecole in un recipiente pieno d'aria a temperatura uniforme si muovono
con velocità per nulla uniformi, anche se la velocità media di ogni insieme di esse
sufficientemente numeroso, arbitrariamente scelto, è pressoché uniforme. Supponiamo
adesso che tale recipiente sia diviso in due parti, A e B, da un setto in cui vi sia un piccolo
foro, e che un essere che può vedere le singole molecole apra e chiuda questo foro in
modo da permettere solo alle molecole più veloci di passare da A a B e solo alle più lente
di passare da B ad A. In questo modo, senza compiere lavoro, egli innalzerà la
temperatura in B e abbasserà quella di A, contraddicendo la seconda legge della
termodinamica...
Dovendo noi trattare di corpi materiali nel loro insieme e non potendo osservare le
singole molecole, siamo costretti ad adottare quello che io ho descritte, come il metodo
statistico di calcolo e ad abbandonare il vero metodo esatto della dinamica, in cui
seguiamo con il calcolo ogni movimento" (104).
Quindi, secondo Maxwell, le leggi della termodinamica, dovendo trattare di un
enorme numero di compenti microscopici, non possono essere che a carattere
probabilistico. E proprio l'elevatissimo numero di componenti un sistema termodinamico
gioca un ruolo fondamentale. Per illustrare ciò pensiamo a un recipiente (isolato
dall'ambiente esterno) diviso da un setto in due zone A e B. Supponiamo che, inizialmente,
nella zona A vi sia un gas, mentre la zona B sia vuota. È evidente, ed in accordo con il
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FISICA/MENTE
secondo principio, che, una volta tolto il setto, il gas contenuto in A diffonderà nell'intero
recipiente andando ad occuparlo in modo pressocché uniforme. È altrettanto evidente, ed
in accordo con il secondo principio, che è praticamente impossibile che il gas,
spontaneamente, se ne torni ad occupare una sola metà del recipiente. Tutte queste
evidenze, attenzione, sono legate a una ipotesi implicita: l'enorme numero di molecole
costituenti un volume di gas (dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro). Se infatti
il nostro gas lo potessimo pensare costituito da due, tre, o comunque pochissime molecole,
allora, seguendone l'evoluzione nel volume dell'intero recipiente, non sarebbe per nulla
strano che, a determinati istanti, a seguito degli urti sulle pareti, tutte le pochissime
molecole si ritrovassero in una metà del recipiente (105). In definitiva, un piccolo numero
di costituenti un sistema termodinamico può originare evoluzioni in cui si verifichino
certamente aumenti, ma anche diminuzioni, di entropia; al crescere del numero dei
costituenti il sistema, le oscillazioni dei valori dell'entropia si riducono sempre più e, pur
continuando a esistere istante per istante, nello svolgersi dell'intero processo l'entropia
aumenta sempre.
Ancora nel 1874 Kelvin intervenne sull'argomento insistendo sul carattere
probabilistico del secondo principio. E finalmente, nel 1877, di nuovo Boltzmann pubblicò
due importantissime memorie nelle quali rispondeva direttamente alle obiezioni di
Loschmidt, andando a precisare e a discutere più a fondo i rapporti tra secondo principio,
probabilità e leggi della meccanica, fino a trovare un'espressione per l'entropia
direttamente legata alla probabilità di un determinato stato termodinamico. Boltzmann
iniziava con il premettere che
"se noi vogliamo fornire una prova puramente meccanica del fatto che tutti i processi
naturali si svolgono in modo che si abbia un aumento di entropia, dobbiamo assumere che
li corpo sia un aggregato di punti materiali'' (106).
Passava quindi a discutere dell'applicazione della teoria della probabilità a un sistema
termodinamico. Ma questa volta c'era una grossa novità rispetto alle trattazioni precedenti.
Ora non si faceva più il conto probabilistico esteso all'enorme numero di molecole
costituenti un gas inteso come unico sistema termodinamico. Si considerava invece il
singolo sistema termodinamico macroscopico (ad esempio un gas) come costituito, istante
per istante, da un enorme numero di stati dinamici microscopici differenti tra loro per la
diversa configurazione o distribuzione (di posizioni e velocità) delle singole molecole
costituenti il sistema termodinamico in oggetto. In questo modo, uno stesso stato
termodinamico macroscopico, caratterizzato all'equilibrio da determinati valori di
pressione, volume e temperatura, può essere originato, microscopicamente, da una enorme
quantità di stati dinamici delle singole molecole. Mano a mano che ci si discosta
dall'equilibrio il numero di stati dinamici microscopici, che rappresenta lo stesso stato
termodinamico macroscopico, tende a diminuire, tende cioè a zero pur senza raggiungere
mai questo valore limite. Scriveva Boltzmann:
"Ogni distribuzione di stati non uniforme, (107) non importa quanto improbabile possa
essere, non è mai assolutamente impossibile. E chiaro che ogni singola distribuzione
uniforme che può realizzarsi dopo un certo tempo da qualche particolare stato iniziale, è
altrettanto improbabile di una singola distribuzione non uniforme... E solo per il fatto che
le distribuzioni uniformi sono molto più numerose di quelle non uniformi che la
distribuzione di stati diventerà uniforme con l'andare del tempo ... [Quindi], dato che il
numero di distribuzioni uniformi è infinitamente maggiore di quello delle distribuzioni non
uniformi, il numero di stati che portano a distribuzioni uniformi dopo un certo tempo t, è
molto più grande del numero di quelli che portano a distribuzioni non uniformi ... [e]
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quest'ultimo caso è straordinariamente improbabile e può essere considerato impossibile
ai fini pratici" (108).
Come osserva Mondella. "mediante questa impostazione originale, invece di stabilire
la frequenza degli atomi aventi una determinata velocità in un singolo sistema
[termodinamico] costituito da un corpo, si cerca ora di calcolare il numero di stati
microscopici ... che corrispondono allo stato macroscopico che caratterizza il corpo
considerato" (109). E Boltzmann concludeva affermando:
"Lo stato iniziale di un sistema sarà, nella maggior parte dei casi, uno stato molto poco
probabile e il sistema tenderà sempre verso degli stati più probabili, finn quando giungerà
allo stato più probabile, cioè allo stato di equilibrio termodinamico. Se applichiamo
questo al secondo principio dellea termodinamica, potremo identificare la grandezza che
si chiama di solito entropia con la probabilità dello stato corrispondente" (110).
E poiché un sistema isolato tende all'equilibrio termodinamico, cioè allo stato
microscopico cui compete il maggior numero di stati microscopici che lo realizzano, cioè
allo stato macroscopico cui compete la massima probabilità, è chiaro che, come la
probabilità tende a diventare massima, anche l'entropia tende ad aumentare, e il sistema
non può che passare da uno stato a un altro più probabile.
Il passaggio quindi dalla statistica dei singoli atomi costituenti un sistema
termodinamico a quella degli stati dinamici dello stesso sistema, permette a Boltzmann di
superare le obiezioni di Loschmidt e di fare del secondo principio, trattato col metodo
cinetico-molecolare, un teorema della teoria della probabilità. Con questo passaggio si
continua ancora ad affermare la reversibilità delle leggi meccaniche che governano le
interazioni tra le molecole ma, nel contempo, si afferma che questa reversibilità è
estremamente improbabile nei fenomeni naturali.
Consideriamo, ad esempio, il solito recipiente isolato dall'esterno e diviso da un setto,
in cui è praticato un piccolo foro, in due zone A e B delle quali la A contenga inizialmente
un gas mentre la B sia vuota. In accordo con il 2° principio e con la teoria della probabilità
degli stati dinamici microscopici, il sistema evolverà verso l'equilibrio costituito dal gas
che, dopo un processo di diffusione attraverso il foro, occuperà uniformemente le due zone
A e B. Nessuno vieta di pensare che a questo punto tutti gli atomi costituenti il gas possano
ritornare, attraverso il foro, nella zona A, in completo accordo con la reversibilità delle
leggi della meccanica. C'è solo da notare, e non è poco, che esiste una sola distribuzione
microscopica di velocità tale che a un dato istante inverta il moto di tutti gli atomi per
ricondurli nella zona A. Questa distribuzione microscopica certamente esiste ma è, nel
comportamento medio del gas, praticamente l'unica, rispetto alle migliaia e migliaia e
migliaia di miliardi di distribuzioni microscopiche che vedono le velocità degli atomi
dirette in modo da originare la fuoriuscita del gas dal forellino e la sua distribuzione
uniforme nell'intero volume del recipiente. Si possono dare dei numeri che rendano conto
di quanto sto dicendo a partire dall'ipotesi che il nostro gas sia costituito da un numero
estremamente piccolo di molecole. Nella tabella che segue (111) è riportato: nella prima
colonna il numero di molecole costituenti il gas; nella seconda colonna la probabilità dello
stato con tutte le molecole in A; nella terza colonna, la probabilità dello stato di
distribuzione uniforme delle molecole in A e B. Come si vede, al crescere del numero delle
molecole costituenti il nostro sistema termodinamico,
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probabilità di tutte le molecole in A
n° molecole
(la cosa si ottiene in un solo modo)
probabilità di diffusione uniforme in
A e B (la cosa si ottiene nel numero
di modi indicato)
4
1
6
10
1
152
12
1
924
20
1
184 756
100
1
1029
cresce enormemente la probabilità di distribuzione uniforme (mentre quella non uniforme
rimane costante). Se si pensa che le molecole costituenti un gas non sono 100 ma
dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro (e cioè 1023) ci si può, almeno
lontanamente, rendere conto di quale numero dovrebbe comparire nella terza colonna. In
definitiva, pur esistendo la distribuzione microscopica che porterebbe alla reversibilità del
fenomeno essa "è estremamente improbabile e può essere considerata impossibile ai fini
pratici" ma non impossibile dal punto di vista della teoria della probabilità. Visto in questo
modo il secondo principio esprime una probabilità, non una certezza.
Ritornando a Boltzmann, egli, alla fine della sua seconda memoria (1877), riuscì a
calcolare la relazione esistente tra entropia S e probabilità termodinamica P (di un dato
stato macroscopico di un sistema termodinamico) trovando (112):
S = K · logP
dove K è appunto la costante di Boltzmann che vale 1,39.10-23 J/ºK (questa costante fu
individuata come tale da Planck, si veda in proposito l'articolo sui "quanti").
Negli anni seguenti vi furono importanti aggiustamenti e perfezionamenti ad opera
ancora di Maxwell, di Boltzmann e di vari altri. Va ricordato in particolare il contributo di
Helmholtz (1821 -1894) che, nel 1882, introdusse nella termodinamica i concetti di ordine
e disordine, iniziando a considerare l'entropia come una misura del disordine. In questo
modo i processi più probabili sono quelli che fanno passare il sistema termodinamico a
stati sempre più disordinati, mentre è solo il moto molecolare ordinato quello che è in
grado di essere convertito in altre forme di lavoro meccanico. Altro contributo
fondamentale venne dal fisico W. Nerst (1864 - 1941) che nel 1906 enunciò il terzo
principio della termodinamica secondo il quale "in una trasformazione qualunque, che
avvenga allo zero assoluto, la variazione di entropia è nulla". Questo principio può anche
essere enunciato nel modo seguente: "è impossibile raggiungere lo zero assoluto mediante
un numero finito di trasformazioni". Occorre osservare che il terzo principio, nella prima
formulazione che ne abbiamo dato, assolve un compito fondamentale, quello di eliminare
l'indeterminazione nel calcolo del valore assoluto dell'entropia, indeterminazione che
nasceva dal fatto che l'equazione di Clausius permetteva solo di calcolare differenze di
entropia, e quindi forniva il valore assoluto dell'entropia di uno stato termodinamico a
meno di una costante arbitraria (si trattava di un integrale indefinito). Altra osservazione è
relativa al fatto che la completa comprensione del terzo principio avverrà a seguito della
scoperta dei "quanti" fatta da Planck (si deda l'articolo citato).
Vanno infine ricordati i contributi del chimico-fisico statunitense J. W. Gibbs (18391903) che nei suoi "Principi elementari di meccanica statistica" (1901), con l'introduzione
dello 'spazio delle fasi', sviluppò in modo decisivo i metodi della meccanica statistica
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arrivando a delle condizioni generali che permettevano una trattazione molto completa dei
sistemi termodinamici. Occorre però ricordare che il nocciolo della meccanica statistica era
stato costruito al 1877 con i lavori di Boltzmann. Tutto ciò farà discutere molto negli anni
seguenti, soprattutto ad opera della scuola degli energetisti e degli empiriocriticisti. Per ora
basti osservare che la grandezza fisica 'tempo' da questo momento acquisterà un significato
fisico ben preciso indicando, insieme alla grandezza 'entropia', l'unidirezionalirà di
svolgimento dei fenomeni fisici.
NOTE
(1') Le altre leggi del moto enunciate da Newton sono le seguenti:
II) Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea
retta secondo la quale la forza è stata, impressa.
IlI) Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono
sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte.
Come corollario di questa terza legge Newton enuncia, tra l'altro, la conservazione della quantità
di moto:
La quantità di moto ottenuta prendendo la somma dei moti diretti in parti opposte, non viene
mutata dall'azione dei corpi fra loro.
Occorre notare che questa conservazione è affermata e per urti elastici che anelastici e mostrata
sperimentalmente mediante urto di pendoli
(1") Nella seconda parte dei Principia, Newton si occuperà di meccanica dei fluidi e di acustica.
Riguardo a quest'ultimo argomento, va notato che egli riuscì a ricondurre l'acustica ad un capitolo
della meccanica.
(2) Vedi Bibl.1, pag. 178-204 e Bibl. 2, pag. 85-93. Locke sarà uno dei filosofi empiristi che avranno
un notevole peso nella diffusione dell'opera di Newton. Entusiasmato dall'Optics, Locke affermò
che chi ricerca la verità "non sosterrà mai una teoria con baldanza maggiore di quella che è
consentita dal valore delle prove su cui essa si fonda". (Bibl. 7, Vol.IV, pag. 105).
(3) Si ricordi che la Chiesa, sia essa Cattolica che Protestante, aveva ancora un enorme potere alla
fine del '600 ed agli inizi del '700.
(4) La terza edizione si ebbe nel 1726. La prima edizione, in inglese uscì nel 1729, mentre la prima
edizione in francese si ebbe nel 1759.
(5) Si riveda il paragrafo 1.
(6) Lo 'Scolio' si apre con un attacco alla teoria cartesiana dei vortici "che è soggetta a molte
difficoltà". Indi, riconosciute certe regolarità nei moti planetari, Newton dice che "tutti questi moti
regolari non hanno origine da cause meccaniche ...[ma, che] ... non poterono nascere senza il
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FISICA/MENTE
disegno di un ente intelligente e potente ... che regge tutte le cose non come anima del mondo, ma
come signore dell'universo ... Dio è il sommo ente eterno, infinito, assolutamente perfetto ... Non è
l'eternità o l'infinità, ma è eterno ed infinito; non è la durata e lo spazio, ma dura ed è presente ...
In esso gli universi sono tenuti e mossi, ma senza nessun mutuo perturbamento. Dio non patisce
nulla a causa dei moti dei corpi: questi non trovano alcuna resistenza a causa dell'onnipresenza di
Dio" (Bibl. 4, pagg. 792-794).
(7) La polemica con Leibniz fu portata avanti per tre anni (fino a che la morte di Leibniz non pose
termine ad essa) ad opera di Samuel Clarke, amico e discepolo di Newton.
(8) Per la polemica Leibniz-Clarke si veda, ad esempio, bibl. 5, pagg. 178-205. Per conoscere invece
quali sono le posizioni di Clarke su moto spazio e luogo, si può leggere la prefazione, fatta da
Clarke, al "System of natural Philosophy" di Rohault, riportata nell' appendice M del lavoro di
Koyrè, "Studi newtoniani", Einaudi (pagg. 218-221).
(9) Innanzi tutto occorre osservare che tutte le citazioni di Leibniz che saranno riportate
provengono o da articoli apparsi sugli "Acta Eruditorum" o da lettere della sua ponderosa
corrispondenza; non vi è infatti un'opera di Leihniz che, da sola, riporti compiutamente le
speculazioni di Leibniz su Questioni di «filosofia naturale». Vi sono naturalmente delle eccezioni
che di volta in volta saranno citate. Mentre lo spazio assoluto è oggetto di dura critica da parte di
Leibniz, non altrettanto avviene per il tempo assoluto; quest'ultimo concetto sembra, infatti, venir
accettato da Leibniz. Egli afferma [nel suo "Nuovo saggio sull'intelligenza umana ", scritto in
polemica con Locke nel 1704 e pubblicato postumo nel 1765 poiché nel frattempo (1704) Locke era
morto] che:
"... il tempo è un continuo uniforme e semplice, come una linea retta. La modificazione delle
percezioni ci fornisce l'opportunità di pensare al tempo e, mediante moti periodici, lo possiamo
misurare: ma anche se in natura non vi fosse niente di periodico, non per questo il tempo
cesserebbe di essere determinato ... ".
Criticata invece sarà la nozione di forza "che è assai intelleggibile anche se appartiene al dominio
della metafisica" ("Nuovo sistema della natura", articolo pubblicato nel 1695 sul 'Journal des
Savants').
(9') Vedi bibl. 5, pag. 170. Si osservi che, per Leibniz, nei fenomeni naturali si conserva il prodotto
della massa per la sua velocità elevata al quadrato (forza viva, che oggi chiamiamo energia
cinetica). Ciò in contrasto, da una parte con la scuola cartesiana per la quale si conservava il
prodotto della massa per la velocità (quantità di moto) e, dall'altra, con la fisica newtoniana che
faceva a meno di ogni principio di conservazione enfatizzando soprattutto il concetto di forza (bibl.
8, pagg. 18-22).
La critica alla meccanica di Descartes si fece in Leibniz via via più dura. a partire dal 1686
quando, lavorando come organizzatore della miniera di Harz, si rese conto 'sperimentalmente'
della fallacia di quella meccanica.
Gli argomenti contro la meccanica cartesiana ed a sostegno della conservazione della forza viva
sono discussi da Leibniz nel suo "Discorso di metafisica" del 1686 che fu pubblicato postumo
intorno al 1850 , al paragrafo 17.
Più in generale riguardo alla disputa tra cartesiani e leibniziani (si conserva forza viva o quantità
di moto ?) si osservi che, data una diversa ipotesi iniziale, avevano ragione entrambi. Infatti, come
osserva Jammer (bibl. 6, pagg.177-178; ma si veda anche bibl. 7, Vol. III, pagg: 407-408), "per
confrontare due forze f ed F, sostenevano i cartesiani, le si doveva far agire per un intervallo dato
di tempo, t; il rapporto tra queste due forze è allora dato da:
f/F = ma/MA = mat/MAT = mv/MV
e dunque le forze sono proporzionali alle corrispondenti quantità di moto. I leibnziani sostenevano
invece che si dovevano far agire le forze su una data distanza, s. Poiché, secondo Galileo:
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FISICA/MENTE
v² = 2as
e
V² = 2AS,
il loro rapporto diventa il seguente:
f/F = ma/MA = mas/MAS = ½mv²/½MV² = mv²/MV²
e dunque le forze sono proporzionali alle loro corrispondenti 'vires vivae'. È chiaro che l'approccio
cartesiano fornisce una misura corretta nel caso di forze agenti per tempi uguali, mentre la 'vis
viva' di Leibniz costituisce una misura corretta per forze agenti su distanze uguali".
(10) Vedi bibl. 5, pag. 190. Si osservi che in questa affermazione Leibniz è in completo accordo con
Descartes.
(11) Ancora il principio di ragion sufficiente.
(12) Ibidem, pag. 197.
(13) Ibidem, pag. 198.
(14) Vedi bibl. 5, pag. 192.
(15) Su questo tema Leibniz ebbe anche una polemica con Locke, il quale modificò un brano del
suo "Saggio" nella sua edizione francese, passando dal sostegno all'azione a distanza al dubbio
della sua possibile esistenza.
(16) All'epoca di Leibniz già funzionavano le macchine pneumatiche; ma per il nostro quei vuoti
sono semplicemente vuoti di materia sensibile ma non vuoti assoluti, tant'è vero che quel vuoto
contiene sia i raggi di luce sia le emanazioni magnetiche.
(17) Per Leibniz l'Universo è costituito da un certo numero di unità individuali (monadi),
assimilabili a punti matematici dotati di forza che non esercitano alcuna influenza fisica le une
sulle altre. Il rifiuto degli atomi nasceva in Leibniz per un motivo euristico-metafisico legato alla
sua, supposta, 'armonia dell'universo'. Nel caso di atomi concepiti come particelle dure ed estese,
in un urto vi sarebbe stata una discontinuità nella variazione della quantità di moto, cosa che egli
non era disposto ad accettare.
(18) Per uscire dal vicolo cieco occorrerà attendere l'opera di G. R. Boscovich che prenderà le
mosse proprio dalla questione qui sollevata. Per ulteriori dettagli sulla questione si può vedere
Bibl. 9, pagg. 190-193; Bibl. 6, pagg. 183-191; Bibl. 13, pagg. 56-61.
(19) Bibl. 10, pag. 104.
(20) Ibidem, pag. 106.
(21) Ibidem, pagg. 107-108.
(22) Vedi Bibl. 5, pag. 205. Si osservi che Leibniz si era scagliato più volte contro il materialismo
insito nel meccanicismo newtoniano affermando che "i nostri filosofi moderni sono troppo
materialisti" poiché usano la loro intelligenza e saggezza non già per far progredire la loro opera
ma solo per studiare la figura ed i movimenti della materia. Anche se poi questi filosofi tentano di
rispondere che "in Fisica non si domanda affatto perché le cose sono, ma come esse sono", occorre
loro rispondere che in realtà "si domanda l'una e l'altra cosa". "Sovente infatti il fine e l'uso
aiutano ad individuare il come, poiché conoscendo il fine si può meglio giudicare dei mezzi" (Bibl.
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FISICA/MENTE
11, pagg. 275-276). In quest'ultima affermazione di Leibniz, pare scorgere una critica a quella che
Newon aveva fatto nei Principia sul fatto che i filosofi naturali debbono occuparsi dei come e non
dei perché. Allo scopo si veda Bibl. 3, pag. 111 ed in particolare la nota 130 bis.
(22') Halley, amico di Newton, applicò l'idea della gravitazione alla cometa che porta il suo nome,
ipotizzando che essa fosse già passata varie volte vicino alla Terra. In uno dei suoi passaggi
precedenti, sempre secondo Halley, questa cometa avrebbe sollevato la gigantesca marea
responsabile del diluvio biblico.
(23) Come Berkeley fa nei "Tre dialoghi tra Hylas e Philonous" (1713) in cui, in definitiva, il nostro
va a ricercare cosa possa essere considerato reale arrivando alla conclusione che reale è solo ciò
che da noi è percepito con costanza, uniformità e regolarità (in definitiva lo spirito e non la
materia, che ci si presenta in vari modi distinti).
(24) A proposito di questa affermazione di Berkeley, vorrei notare che l'ho utilizzata nel capitolo 1°
del mio altro lavoro sulla Relatività classica (Bibl. 3, pagg. 8-9). Osservo poi che alcune delle
esemplificazioni riportate sono riprese da. bibl. 7, Vol. 4, pagg. 294-290.
(25) Bibl. 12, pagg. 87-88. A rigor di logica, nonostante l' importanza, di molte osservazioni di
Berkeley, il discorso si poteva concludere anche con l'ammissione di esistenza di materia al di fuori
della fallacia delle nostre percezioni (o, viceversa, dell'inesistenza dell'io o dello spirito assieme a
quella della materia) e questa sarebbe stata la cosa più corretta dal punto di vista, appunto, logico.
Leibniz, che di logica si intendeva, qualche tempo prima di morire, ebbe a dire di Berkeley:
"Sospetto che voglia diventare famoso per i suoi paradossi".
Si osservi che Hume (1711-1766), prendendo le mosse da. alcune premesse di Berkeley, arriverà ad
estromettere l'io (o lo spirito) dal campo della psicologia con gli stessi argomenti usati da Berkeley
per estromettere la materia dalla fisica.Tra l'altro Hume, che per molti versi influenzerà e i
neopositivisti e Einstein, occupandosi della percezione dello spazio e del tempo, afferma: "Come
l'idea di spazio la riceviamo dalla disposizione degli oggetti visibili e tangibili , cosi dal succedersi
delle idee e delle impressioni ci formiamo l'idea di tempo, la quale, senza di esse, non fa mai la sua
apparizione nella mente, né sarebbe da questa avvertita.[Infatti] se fate roteare rapidamente un
carbone ardente, si presenterà al senso l'immagine di un cerchio di fuoco, senza nessun intervallo
di tempo nei suoi giri, e ciò perché alle nostre percezioni non è consentito susseguirsi con la stessa
rapidità con cui il movimento può essere comunicato agli oggetti esterni. Dove non vi sono
percezioni successive, quand'anche vi sia una successione reale negli oggetti, non può esserci
nozione del tempo ...possiamo quindi concludere che il tempo non può presentarsi alla mente né da
solo, né accompagnato da un oggetto immobile e costante, ma si rivela sempre con una 'percepibile'
successione di oggetti mutevoli" (Bibl. 1, pagg. 227-228).
Hume fu anche il primo ad occuparsi del problema della causalità ("cause ed effetti si possono
scoprire non per mezzo della ragione, ma per mezzo dell'esperienza") schierandosi con
l'empirismo di Bacon e di Newton (egli, nelle sue speculazioni, applicò spesso il 'non invento
ipotesi' di Newton).
(26) Nelle opere: "Trattato sui principi della conoscenza umana" (l710), "De motu" (1721 ),
"Siris" (1744), dalle quali sono tratte anche le precedenti citazioni senza indicazione bibliografica.
(27) Bibl. 1, pag. 205.
(28) Ibidem, pag. 208.
(29) Riguardo alla crescita delle piante si può facilmente osservare che la pianta gravita, verso la
Terra (così come la Terra gravita verso la pianta) e se si dovesse spingere l'indagine al perché la
pianta che gravita verso terra si innalza con il suo fusto, si può facilmente rispondere che la 'forza
d'innalzamento' supera la forza gravitazionale. Volendo seguire Berkeley nel suo argomentare non
si dovrebbe ammettere la crescita di un uomo, la possibilità di lanciare un sasso in alto ed in
definitiva non dovrebbe esistere l'universo così come lo vediamo, ma solo nella forma di una
gigantesca palla originata appunto dalla gravitazione di ogni oggetto su ogni altro oggetto.
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Riguardo poi all'elasticità dell'aria, la sospensione del giudizio sarebbe stata per Berkeley più
proficua visto che, nello spirito della fisica newtoniana, si trattava, di proseguire l'indagine e di
scoprire che oltre alle forze gravitazionali si debbono considerare forze di altra natura (elettriche,
nucleari, ...) che diventano via via preponderanti al variare dei parametri in gioco (dimensioni,
distanza, ...). Ma tant'è, ogni buon metafisico tende sempre ad imputare agli altri il proprio vizio
incorreggibile.
Notiamo, da ultimo, che Berkeley sostiene anche che "solo l'illuminazione divina può darci il
concetto di legge scientifica" (Alciphron, 1732) e che "sembra indegno della mente umana fare
sfoggio di pignoleria riducendo ogni fenomeno particolare a regole generali o mostrando come
questo derivi da esse (Bibl. 16, Vol. 2, pag. 303).
(30) Bibl. 1, pagg, 212-213.
(31) Bibl. 10, pag. 196. È evidentemente un problema di riferimento quello che Berkeley va
discutendo: si osservi che il nostro non assegna alcun privilegio alla Terra come sistema di
riferimento.
(32) Si riveda il paragrafo 1 e Bibl. 3, pag. 118.
(33) Come poi e come già detto fu dimostrato da Halley (1718).
(34) Bibl. 7, Vol. IIIº, pag. 345.
(35) Bibl. 14, pag. 289.
(36) Vedi il paragrafo 1.
(37) Bibl. 1, pag. 214.
(38) II corsivo è mio.
(39) Bibl. 1, pagg. 214-215.
(40) Per Newton sarebbe stato lo spazio assoluto.
(41) Bibl. 1, pag. 215.
(42) Invece, secondo Newton, la forza centrifuga che si ha nell' esperimento della secchia nasce
come conseguenza del moto circolare assoluto risultando una forza insita e non impressa.
(43) Bibl. 15, pag. 6 (del fascicolo: "Il contesto della scienza newtoniana"). Si osservi che Berkeley
limita la sua analisi alla percezione del moto ed alla sua comprensibilità. È completamente estraneo
al suo argomentare l'andare ad indagare il carattere dinamico del moto stesso (per questo fatto
bisognerà attendere l'opera di Mach).
(44) Ibidem.
(45) Bibl.1, pag. 216. Per Berkeley, quindi, lo spazio è la mera percezione dell'estensione. Esso è
un'idea astratta della generalizzazione che la nostra mente fa dell'estensione ricavata dalla
percezione degli oggetti.
(46) Bibl. 14, pag. 288.
(47) Ibidem, pag. 290. Si tenga conto che anche le critiche all'analisi infinitesimale servirono da
stimolo ad una più accurata definizione dei vari concetti. Questa operazione fu iniziata da Mac
Laurin.
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(48) Ibidem, pag. 292.
(49) Invece Newton, in alcune Questioni poste nell'Appendice dell' "Optics", per dare una
spiegazione della gravitazione avanzò l'ipotesi che Dio rifornisse continuamente l'universo di
movimento. In qualunque parte si fosse verificata una irregolarità, la sua continua onnipresenza
l'avrebbe sistemata. In definitiva Dio operava costantemente nel mondo.
(50) Bibl. 8, pagg. 21-22. Per un discorso più approfondito, dove si analizzano i motivi di contrasto
tra leibniziani, cartesiani e newtoniani, si può vedere, dello stesso autore (Elkanà), Bibl. 51, II,
pagg. 31-44.
(51) Si veda bibl. 3, pagg. 85-88.
(52) All’inizio del secolo, in Inghilterra, la lavorazione della lana e le operazioni di tessitura
avevano ancora carattere artigianale. Erano essenzialmente i contadini che operavano al telaio
nelle loro case sparse nelle campagne (e ciò non sarebbe stato possibile in una economia agricola di
tipo feudale). Il prodotto finito veniva venduto ai commercianti che lo raccoglievano spostandosi di
casa in casa. In queste transazioni il commerciante aveva un tale margine di guadagno che presto
fuin grado di acquistare Macchine in proprio che cedeva, insieme alla materia prima, in affitto.
Pian piano queste macchine furono riunite in un unico luogo (l'opificio) dando ravvio a quella che
ancora oggi conosciamo come industria. Come conseguenza della perdita dei mezzi di produzione
da parte dell ‘artigiano si origina l'operaio salariato. Altro aspetto, ampiamente indagato (ad
esempio da K. Marx), che merita di essere preso in considerazione come fattore fondamentale dello
sviluppo capitalistico, è quello che va sotto il nome di profitto (la parte del lavoro operaio che non è
pagato dal salario; ad esempio: la merce che si accumula nei magazzini). Per aumentare il profitto
il padrone di una azienda poteva operare in due modi: o spingere i limiti di resistenza umana
dell'operaio, allungando la giornata lavorativa oltre le 16 ore, o introducendo macchine (per questi
aspetti si veda bibl. 42, pagg. 149-150}. Le due strade furono percorse contemporaneamente. Da
una parte la giornata lavorativa arrivava fino ad oltre 16 ore, dall'altra si introdussero molte
macchine nel processo produttivo (telai automatici, filatoi di vari tipi, macchina a vapore, telai
meccanici, presse idrauliche, torni di vario tipo, telai a vapore -1787- , mulini automatici,...). Ed
ogni volta che una macchina riassumeva in sé più funzioni essa significava il licenziamento di vari
operai. Per altri versi, queste macchine, alla base della seconda rivoluzione industriale (seconda
metà dell''800), ponevano da una parte una gran quantità di problemi tecnico-scientifici e
dall'altra notevoli bisogni energetici (fatto, quest'ultimo, molto più sentito in Gran Bretagna che
non nel resto d'Europa a causa del fatto che in questo paese vi è una carenza di corsi d'acqua
diffusi su tutto il territorio). Si usò dapprima l'acqua fluente, quindi l'acqua in caduta da dislivelli
naturali, e poi l'acqua in caduta da dislivelli artificiali; si passò poi alla macchina a vapore
alimentata a legna e poi, vista la crisi di disponibilità di quest'ultima, a carbon fossile.
Accompagnata alle innovazioni tecniche nella produzione durante il '700 vi fu l' introduzione di
una massa imponente di tecnologie in tutte le attività umane e soprattutto nei trasporti (navi a
vapore -1786- , ponti, strade, rotaie, ...) e nei settori vicini alla produzione tessile (sviluppo enorme
della chimica che inizia a darsi le basi per diventare una scienza sperimentale; produzione
dell'acido solforico e della soda). Per questi aspetti si può vedere bibl. 22 e bibl. 23. Sul primato dei
fat-tori economici su quelli tecnici si veda bibl. 31, pagg. 628-633.
(53) Nel '700 la borghesia ebbe il suo teorico in economia politica nella persona di Adam Smith
(1723-1790) il quale, per altro, fu per certi versi anticipato dal suo amico D. Hume.
(54) Per quel che riguarda vari aspetti di questo paragrafo ho seguito la traccia di bibl. 17, Voi. III,
pagg. 7-23. Per ulteriori dettagli si può vedere bibl. 20, pagg. 385-454 e bibl. 21. Nonostante quanto
affermato si ricordi ohe, ancora nel 1722, in Inghilterra si bruciavano *streghe* nelle piazze.
(55) Allo scopo si veda Bibl. 16, Vol. II, pagg. 292-294. Le innovazioni in agricoltura consistettero
essenzialmente nell'introduzione di metodi di rotazione delle colture e nella razionalizzazione
dell'allevamento del bestiame.
(56) Proprio per questo le grosse scoperte del secolo furono fatte da una nuova figura di
intellettuale, il tecnico formatosi all'interno del nuovo modo di produzione e per questo più
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sensibile alle esigenze che qui emergevano. Allo scopo si veda Bibl. 24, pagg. 9-13.
(57) Già Locke aveva osservato: “C’è ragione di credere che se gli uomini fossero più istruiti,
tenterebbero molto meno di imporsi al proprio prossimo.” Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 105-106. Si noti che
la più grande opera di divulgazione che fino ad allora fosse stata intrapresa è l’Encyclopedie, alla
cui realizzazione lavorarono quasi tutti i principali pensatori francesi sotto la direzione di
D’Alembert e Diderot. Per saperne di più, anche in relazione alle enormi difficoltà cui andarono
incontro i redattori fino alla condanna dell’opera di Papa Clemente VIII, si veda bibl. 32.
(58) Allo scopo vedi anche lo stimolante saggio di bibl. 29.
(59) Per questa sua opera Voltaire fu a lungo perseguitato dal governo francese. Allo scopo si può
vedere, ad esempio, l'introduzione a bibl. 27. Si osservi, che l’ammirazione di Voltaire per Newton
era incondizionata. Egli nella XIV delle sue ‘Lettere inglesi’, quella che traccia un parallelo tra
Descartes e Newton, dopo aver esordito: " Un francese che capiti a Londra trova che le cose sono
molt cambiate nella filosofia come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno e lo ritrova vuoto,”
continua affermando: “Non credo, per vero, che si osi paragonare in nulla la filosofia [di
Descartes] con quella di Newton la prima è solo un tentativo, la seconda un capolavoro. (ibidem,
pagg. 53-59)
E’ interessante notare che anche D’Alembert avrà modo di dare del giudizi piuttosto sarcastici su
Descartes. Nel ‘Discorso preliminare’ dell’Encyclopedie affermerà:“[Descartes] aveva cominciato
con il dubbio universale; e le armi che noi rivolgiamo contro di lui furono forgiate da lui
stesso." (Bibl. 32, pag.112).
(60)Essenzialmente nelle sue opere ‘Lettere inglesi’ (1734) ed ‘Elementi della filosofia di
Newton’ (1738). Si osservi che l’amante di Voltaire, la marchesa di Châtelet, curerà la prima
edizione in francese dei Principia di Newton (1756).
(61)Condillac (1714 – 1780); Helvetius (1715 – 1771); Diderot (1715 – 1784); D’Alembert (1717 –
1783); Laplace (1749 – 1827).
(62)Bibl. 29, pag. 22.
(63)A lato di ciò vi fu il tentativo di estendere il newtonianesimo ai fatti che hanno attinenza con la
vita dell’uomo, ad un campo cioè non immediatamente riconducibile alla filosofia naturale..
Condillac sostenne la necessità di ricavare ogni cosa dall’esperienza. Helvetius, prendendo le mosse
da Condillac, argomentò che, “se tutto deriva dall’esperienza, sarà l’ambiente esterno – unica
fonte dell’esperienza stessa – il vero responsabile delle inclinazioni o azioni, buone o cattive. E’
inutile predicare o correggere severamente, quando invece occorrerebbe migliorare l’ambiente
sociale in cui l’uomo vive e, in primo luogo, riformare i governi corrotti” (bibl. 7, Vol. 4, pag. 118).
Ed a questo Diderot aggiungeva: ”Esaminate le varie istituzioni politiche, civili e religiose.
Troverete che da secoli il genere umano si curva sotto il giogo impostogli da un certo numero di
bricconi! Ordinare significa sempre erigersi a signore degli altri uomini” (ibidem, pag. 119). Infine
De Lamettrie propugnò un materialismo assoluto (‘la materia pensa’) nella sua opera dal titolo
eloquente, “L’uomo macchina”, in cui negò in modo categorico la realtà dell’anima (bibl. 28).
(64) Abbiamo già osservato che la filosofia della natura nel XVIII secolo si sviluppò su linee
razionali. Per quanto riguarda le diverse caratterizzazioni che l’Illuminismo ebbe, c’è da osservare
che: in Inghilterra esso si fondò sull’empirismo puro; in Francia sul razionalismo empirico; in
Germania sul razionalismo accompagnato da ampi margini metafisici(eredità leibniziana). In ogni
caso la grande novità del secolo fu il ribaltamento del rapporto esistente tra concetti e fenomeni,
“non si passa dai concetti e dai principi ai fenomeni, ma viceversa” (bibl. 26, pagg. 23-24).
(65) Bibl. 24, pagg. 12-13.
(66) Si osservi che il modello newtoniano cui si rifacevano i francesi erano i Principia, primo
esempio di fisica sottoposta ad ano spinto trattamento teorico ed analitico. Si potrebbe osservare,
forse, che Newton, pur disponendo del metodo delle flussioni, usò il metodo geometrico affinchè gli
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argomenti trattati fossero più accessibili ai suoi lettori.
(67) Bibl. 18, Vol. II, pag. 162. E’ un grosso salto che si fa e, come osserva Bellone, "La differenza
che separa i lavori di Euler o di Lagrange da quelli di Newton è, perlomeno, altrettanto grande di
quella che separa i Principia dalle ricerche degli scienziati pregalileiani". (Bibl. 12, pag. 557).
(68) Si osservi che ancora alla fine del secolo XVIII venivano rifiutati brevetti, anche importanti, a
coloro che non avevano una cultura scientifica superiore.
(69) Bibl. 29, pag. 23. A questo proposito è interessaste leggere un brano di Diderot, tratto dalla
voce "Arte" dell'Enoyclopedie (bibl. 32, pag. 176), in cui risalta tutta l'illusione ottimistica degli
illuministi:
“La bontà delle materie prime sarà il principale fattore della superiorità di una manifattura su
un'altra, insieme con la speditezza del lavoro e con la sua perfetta esecuzione. La bontà dei
materiali è questione d'attenzione, mentre la speditezza e perfezione del lavoro sono soltanto in
funzione del numero degli operai impiegati, (quando una fabbrica ha numerosi operai, ciascuna
fase di lavorazione occupa un uomo diverso. Un operaio ha eseguito ed eseguirà per tutta la vita
una sola ed unica operazione; un altro, un’altra; perciò ognuna è compiuta bene e prontamente e
la migliore esecuzione coincide con il minimo costo.
Inoltre, il gusto e la destrezza si perfezionano indubbiamente fra un gran numero d'operai, poiché
è difficile che non ve ne siano taluni capaci di riflettere, combinare e scoprire infine il solo modo
che consenta loro di superare i compagni; ossia come risparmiare il materiale, guadagnar tempo, o
far progredire l’industria, sia con una nuova macchina, sia con una manovra più comoda”.
Cento anni più tardi K. Marx teorizzerà invece il ruolo antagonista che la classe degli operai
esercita nei confronti della borghesia, proprietaria dei mezzi di produzione,
Si osservi che già alla fine del secolo vi furono, ad esempio in Inghilterra, dei massicci fenomeni di
rifiuto delle macchine da parte degli operai. Questi ultimi, minacciati della perdita del lavoro da
parte di macchine che racchiudevano in sé un sempre maggior numero di processi operativi,
arrivarono nel 1791 a distruggere, a Manchester, una fabbrica con 400 telai.
Sui problemi del ‘macchinismo’ si può leggere il bel saggio di A. Koyré di bibl. 30; lo stimolante
lavoro di J. Fallot di bibl. 62; il fondamentale testo di K. Marx ‘Sulle macchine’ (dal quaderno V
del Manoscritto- 1861-l863 – “Per la critica dell’economia politica” , riportato sulla rivi- sta
Marxiana 2 dell'ottobre 1976); l'importante lavoro di P. Rossi “I filosofi e le macchine (14001700)” edito da Feltrinelli.
(70) Bibl. 26, pag. 60,
(71) Quando fra qualche pagina parleremo dell 'interpretazione che si cercò di dare dell'esperienza
di Oersted, avrò modo di far intendere meglio quanto qui ho solo accennato. Mi interessa ora
sottolineare la mia adesione alla convinzione (dibattuta in modo articolato da vari epistemologi)
secondo cui il progresso del pensiero scientifico non consiste in un processo di accumulazione di
conoscenze ma in scontri, a volte aspri, tra linee diverse. Riguardo poi ai motivi che concorrono
all'affermazione di una linea su di un'altra, almeno dal punto di vista della storia interna alle teorie
scientifiche, sono di natura diversa ed essenzialmente consistono nel maggior numero di indizi o
prove che si riescono a trovare a sostegno di quella teoria (fermo restando il fatto che una data
esperienza che si accordi con una data teoria può solo fortificare quest'ultima e non renderla vera,
mentre una sola esperienza non in accordo con quella data teoria la falsifica completamente Popper preceduto dal più autorevole Galileo). Altri motivi vanno poi ricercati nella struttura stessa
della teoria: la sua semplicità; la sua eleganza; il fatto che essa goda di alcuna proprietà di
simmetria, di gruppo, ... ; ... L'insieme di questi ultimi motivi fa sì che una teoria venga preferita
ad un' altra per motivi euristici.
Da questi pochi cenni discende che è illusorio ritenere l'approccio alla conoscenza scientifica
come meramente empirico o sperimentalista; c'è, evidentemente, una convinzione a priori, una
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teoria, un «pregiudizio» che fa muovere il ricercatore su di una strada, su di una esperienza
piuttosto che su di un'altra. E' proprio l'articolazione del 'pregiudizio' in 'teoria' che fa
sperimentare in un certo modo e ricercare certe cose piuttosto che altre. Ed in definitiva si va a
cercarre ciò che si vuole trovare. C'è poi il problema dei risultati forniti da un dato esperimento:
come interpretarli ? Uno stesso eperimento, fermo restando il dato empirico, può essere suscettibile
di interpretazioni diverse al variare dei termini teorici che ne accompagnano la spiegazione; ed in
genere si tenta di far dire all'esperimento ciò che e' in accordo con la teoria a priori. Esempi di
questo genere ne sono offerti in quantità dalla storia della fisica: il pregiudizio di universo
'piccolo' e la a non osservazione della parallasse stellare (a causa di strumenti non adatti) fa
concludere a Tycho Brahe che la teoria copernicana non e' corretta con la conseguenza che la
Terra torna ad essere immobile; il pregiudizio di azioni a distanza fa si che Ampère dia una
spiegazione completamente diversa - da quella che poi si affermerà - dell'esperienza di Oersted
(ma di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 2 del capitolo III); la non osservazione del vento
d'etere fa concludere a Michelson che la sua esperienza è stata un insuccesso (di questo parleremo
in dettaglio nel paragrafo 4 del capitolo IV); ... .
Quanto fin qui detto dovrebbe far intendere quanto sia dannoso nella didattica il lavorare
(quando lo si fa!) con un mero approccio che si vorrebbe sperimentale su fenomeni già 'sterilizzati'
e preparati al fine che l'insegnante ha già nella mente e quanto, invece, potrebbe risultare fecondo
il lavorare, almeno ad un primo approccio, su fenomeni 'grezzi', da scomporre cioè in fenomeni più
semplici - e quindi più facilmente studiabili - mediante il processo di separazione delle variabili in
gioco, fatto quest'ultimo che presuppone una teoria che il ragazzo si deve costruire.
In altri momenti poi della storia del pensiero scientifico, altre linee, altre teorie, che nel
frattempo si sono sviluppate underground, magari al di fuori della scienza ufficiale, riescono ad
emergere o sulla falsificazione della teoria dominante o sulla raccolta di maggiori indizi o prove a
loro sostegno o su tutte e due le cose. Quindi, in nessun modo, credo si possa sostenere una linearità
nel progresso scientifico, una teoria cioè che si afferma come mero superamento o ampliamento
della teoria precedente. Se poi si ricollega tutto ciò all'esistenza anche di una storia esterna, allora
si capisce l'enorme complessità del problema. (Per approfondire queste questioni, qui solo
accennate, si può vedere, ad esempio, Bibll. n° 14, 35, 36, 37, 41, 38 pagg. 55-62, 39 pagg. 34-36, 40
pagg. 11-15).
(72) Per le cose che seguono mi sono riferito principalmente a Bibll. n° 7 (vol. 4), 17 (vol. 3), 33 (vol.
3), 16 (vol. 2), 19 (vol. 2), 44 (voll. Scienze, Tecnica).
(73) Per approfondire questo aspetto vedi l'altro mio lavoro sull'argomento relatività (Bibl. 3, pag.
78).
(74) Si osservi che dai tempi di Galileo gli strumenti per l'osservazione astron omica erano stati di
molto migliorati ed in grandezza ed in precisione.
(75) La spedizione in Lapponia era diretta da Maupertuis (1698-1759). Di essa faceva parte anche
Clairaut.
(76) Secondo Newton ed i suoi sostenitori, a seguito dell'effetto di rotazione su se stessa, la Terra
doveva risultare schiacciata ai poli Se condo altri, tra cui il grande astronomo G. Cassini, italiano
al servizio di Luigi XV di Francia, la Terra doveva risultare rigonfia ai po li e schiacciata
all'equatore.
(77) La nutazione dell'asse terrestre è un fenomeno che si origina come conseguenza
dell'intersezione dell'orbita lunare con l'eclittica. Si tratta di una oscillazione dell'asse terrestre
intorno alla sua posizione media, che ha un periodo di circa 18 anni, corrispondente al moto di
precessione.
(78) Lo studio dell'orbita di Urano con le sue irregolarità, porterà, a prevedere l'esistenza di
Nettuno e la sua posizione nel cielo (1846).
(78bis) E' divertente ricordare che l'abate Nollet faceva esperienze sulla trasmissione
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dell'elettricità alla corte di Versailles (1765) utilizzando file di frati lunghe 3 km; i frati erano
legati tra loro da filo di ferro ed erano collegati con una bottiglia di Leyda.
(79) Per realizzare l'esperimento Coulomb ai servirà della Bilancia di torsione da lui inventata
l'anno precedente. Si osservi che, sempre nel 1785, Coulomb ricaverà, le leggi di forza complete per
le cariche elettriche e per le masse magnetiche. Un altro dato che non va dimenticato è che sulla
legge dell'inverso del quadrato per le cariche elettriche, Coulomb era stato preceduto da ipotesi in
tal senso avanzate da D. Bernouilli (1760) e da J. Priestley (1767). Quest'ultimo poi aveva anche
sostenuto l'analogia tra fenomeni elettrici e gravitazionali. E' importale notare che questi successi
andavano ad affermare, via via, elettrologia e magnetologia come scienze aventi una propria
dignità. La formulazione matematica dell'elettrostatica e della magnetostatica, con l'applicazione
dei metodi analitici dei fisici -matematici francesi e l'estensione ad esse dell'equazione del
potenziale (introdotta da Lagrange e sviluppata da Laplace), spetterà a Poisson (1781 - 1840) che
mirabilmente, in due lavori del 1812 e del1824, porterà, soprattutto l'elettrostatica, al livello di
scienza moderna.
(79bis) Per leggere alcuni brani originali di Galvani e Volta, si possono vedere i volumi 46 e 47 di
bibliografia.
(80) Per questi ed altri aspetti delle problematiche alla base della fondazione della termodinamica,
si veda il paragrafo 7 del capitolo III oltre a Bibl. 22, 42, 43.
(80bis) Questo fluido calorico era pensato come una atmosfera che circondava le particelle ultime
della materia, gli atomi.
(81) Per sbarazzarsi de1 calorico Rumford pesò con una bilancia di precisione, dell'acqua prima
in condizioni normali e quindi ghiacciata. Poiché non vi era differenza di massa ne dedusse che il
calore non può essere una sostanza.
Per affermare la teoria dinamica, Rumford mise in relazione il numero dei giri che una
trivella faceva (nella foratura dei cannoni) con la quantità di calore che si sviluppava nel metallo.
Scoperta una proporzionalità, tra le due grandezze affermò: "mi sembra difficile, se non
impossibile, pensare al calore come a qualcosa di diverso da ciò che, nell'esperimento, era fornito
con continuità al metallo, nello stesso tempo c he il calore si manifestava, e cioè il movimento". (An
enquiry concerning the source of the heat wich is excited by friction - 1798).
(82) Questo fatto è del tutto nuovo rispetto alla fisica di Newton nella quale è assente ogni
conservazione. Anzi "Newton afferma (in contrapposizione a Descartes ed a Leibniz) che in ogni
urto si perde qualcosa del moto" (era Dio che reintegrava il moto perduto). Allo stesso modo in
Newton non compaiono mai concetti come lavoro potenza ed energia ed è condivisibile la tesi di
Baracca e Rigatti (bibl. 42, pag. 47) secondo cui "questi concetti non erano in effetti necessari per il
livello raggiunto dall'industria e si svilupparono in conseguenza delle nuove esigenze pratiche".
Per guanto segue, sullo sviluppo delle macchine a vapore, si può vedere il paragrafo 7 del
capitolo III e Bibl, 43 e 45.
(83) Bibl. 43, pag.228. Si osservi che a partire dal 1759 le Accademie scientifiche (prima fra tutte la
Royal Society) cominciarono ad interessarsi di tecnologia iniziando la raccolta sistematica dei
progressi e delle difficoltà che si incontravano nei vari campi di attività e la pubblicazione dei dati
più significativi.
(84) Per approfondire questa parte si può vedere, ad esempio, Bibl. 15, fasc. V e Bibl. 50.
(85) Allo scopo si veda Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 233-235. Tra l'altro è interessante leggere per intero il
passo di Bibl. in quanto, un'altra volta, risulta chiaro il ruolo del pregiudizio nell'indagine fisica. In
questo caso, partendo addirittura da premesse sbagliate, convinto però della giustezza delle ipotesi
di Newton e della necessità di esse, Maupertuis riesce a trovare un principio di enorme potenza che
abbisognerà solo di qualche piccolo aggiustamento per diventare ciò che oggi rientra nell'ambito
dei cosiddetti principi variazionali.
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(86) Non tanto la formulazione di questo principio, quanto la concezione metafisica che
Maupertuis gli pose a fondamento (Dio ha pensato bene di imporlo al creato), sollevarono grandi
polemiche tra i contemporanei.
(87) Per approfondire questo aspetto si veda Bibl, 15, fase. V, e Bibl. 50.
(87bis) E' interessante ricordare che la scoperta dell'impossibilità di propagazione del suono nel
vuoto è dovuta all'amico ed allievo di Galileo, G. Sagredo (1571 - 1620).
(88) Bibl. 33, pag. 599.
(89) Bibl. 10, pag. 112.
(90) Ibidem, pag. 122.
(91) Ibidem.
(92) Qui comincia ad emergere una posizione che è abbastanza caratteristica del secolo e che
diventerà sempre più importante in seguito (fino ad oggi): la filosofia non può pretendere di
fornire strade alla scienza, essa deve cercare di capire i suoi fondamenti e cosa essi rappresentino
in rapporto al pensiero ed alla conoscenza.
Passando ad altro argomento, è interessante riportare quanto Elkanà sostiene a proposito di
Euler (bibl. 51, II, pag. 38):
"Euler era un cartesiano nella sua metafisica, un newtoniano nella sua metodologia ... la sua
immagine della scienza era fortemente influenzata da Leibniz e dal carattere illuministico delle
Accademie di Berlino e St. Petesburg."
(93) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Avverto che alcune considerazioni sviluppate in questo paragrafo sono
ispirate dallo stesso testo (pagg. 177 - 179) e da Bibl. 6 (pagg. 111 - 112).
(94) Bibl. 6, pag. 111.
(95) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Come Euler faccia poi discendere il principio d'inerzia
dall'impenetrabilità della materia (che egli poneva a fondamento della materia stessa ed all'origine
di tutte le forze) è ben spiegato da Elkanà in Bibl. 51, II, pagg. 40 - 45. Si osservi che Euler
considerava tutte le forze come effetti dell'impenetrabilità della materia ed in questo senso
interpretava anche la legge di gravitazione universale (più su linee cartesiane che non newtoniane
dunque). Per Euler, quindi, non ci possono essere azioni a distanza, ma solo azioni a contatto o fra
particelle di materia o fra particelle di materia ed etere che tutto riempie (anche lo spazio dove non
c'è materia). E l'azione non è l'effetto di urti tra particelle (che hanno il difetto di essere
unidirezionali) ma quello della pressione (che ha il pregio di agire in tutte le direzioni). In
definitiva Euler applica la sua meccanica dei fluidi all'etere unificando tutti i fenomeni fisici con la
teoria delle forze a contatto che discende, appunto, dall'impenetrabilità della materia.
(96) Bibl. 6, pag. 112. Si osservi che le citazioni di Euler riportate, sono state sviluppate dall'autore
negli anni che vanno dal 1748 al 1765 principalmente nei lavori Reflexions sur l'espace et le temps
(1748) e Theoria motus corporum ... (1765). Sull' impenetrabilità dei corpi, secondo Euler, si
possono leggere alcuni suoi brani originali, tratti dalle sue Lettere ad una principessa tedesca (17601762), in Bibl. 56, pagg. 71-86.
(96bis) Per l'influenza di Kant sull' '800 si veda bibl. 51, II, pagg. 65-69.
(97) Nell'o pera Nuova spiegazione dei primi principi della conoscenza metafica (1755). Sulle
influenze di Euler su Kant si veda, ad esempio, Bibl. 51, II, pagg. 46-51. Si osservi che, mentre è
indubbio che per Euler l'impenetrabilità è all'origine delle forze, per Kant (molto spesso) sono le
forze che causano l'impenetrabilità.
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(98) Nell'opera Nuova dottrina del moto e della quiete (1758).
(99) Nell' opera Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio (1763).
(100) Bibl. 6, pag. 118.
(101) Alcune premesse a quanto Kant affermerà in questo fondamentale lavoro a proposito di
spazio e tempo, si possono trovare nell'opera De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et
principiis (1770).
(102) Bibl. 1, pagg. 233-236. Si osservi che, come vedremo più avanti, Kant sosterrà un dinamismo
fisico di tipo boscoviciano; egli elaborerà una immagine della costituzione della materia per la
quale l'intero spazio deve essere riempito di etere (sostanza che ha una densità di gran lunga più
piccola di qualunque materia esistente). Lo spazio risulta quindi continuo, senza vuoti, e gli atomi
non sono altro che punti inestesi e centri di forza. In questo spazio agirebbero due forze, quella
attrattiva di tipo newtoniano e quella repulsiva che rende conto dell'impenetrabilità dei corpi. Per
quest'ultimo aspetto si veda Bibl. 17, III, pag. 605; Bibl.l3, pagg.60-61 e Bibl.6, pagg. 191-194. Per
leggere poi dei brani originali di Kant in cui egli sviluppa il suo dinamismo fisico, brani tratti da
Primi principi metafisici della scienza della natura (1786), si può vedere bibl. 56, pagg. 109 - 121.
(103) Ibidem, pagg. 236-241. A proposito di 'Spazio e Tempo' in Kant vorrei consigliare le
interessanti osservazioni che Popper fa in bibl. 14, I, pagg. 309-311. In questo passo, tra l'altro,
Popper corregge la visione comunemente accreditata di Kant quale padre dell'idealismo tedesco.
Lo stesso Kant, del resto, cercò più volte di correggere un' immagine di sé accreditata dal suo
linguaggio 'fuorviante' e dal suo 'stile difficile'. In definitiva "Kant sostenne sempre che gli oggetti
fisici, collocati nello spazio e nel tempo, sono reali". Egli "aveva negato soltanto che lo spazio ed il
tempo fossero di natura empirica e reale".
(104) A questo proposito Elkanà osserva (Bibl. 51, II, pag. 31) che senza i lavori dei Benouilli, di
Euler, di Maclaurin, di D'Alembert, di Lagrange, di Laplace e dell'intera scuola dei fisici
matematici francesi, "lo sviluppo della fisica del XIX e XX secolo sarebbe stato impossibile."
(105) La dichiarazione d'indipendenza delle colonie americane è del 1776. Come conseguenza di ciò
inizia una lunga guerra con la Gran Bretagna che porterà (1783) al riconoscimento di questa
indipendenza. La costituzione è del 1767, mentre la nascita ufficiale degli Stati Uniti d'America è
del 1789. La Rivoluzione Francese ha inizio nel 1780 con la convocazione degli Stati Generali e
termina nel 1794 con la caduta di Robespierre. Tra il 1794 ed il 1799 si ha da una parte l'esplosione
di fermenti controrivoluzionari e dall'altra l'ascesa dell'astro-Napoleone che, appunto nel 1799, col
colpo di stato del 18 Brumaio, prenderà il potere (che manterrà, con alterne vicende, fino al l8l5 Waterloo e Congresso di Vienna).
(106) Nel 1700, a Berlino, Federico I, su consiglio di Leibniz, crea la Société des Sciences; nel 1701,
in America, viene fondata l'università di Yale; nel 1702 quella di Breslavia (Polonia); la Società
Reale delle Scienze nasce nel 1710 ad Uppsala (Svezia); mentre nel 1713 viene fondata l'Accademia
Reale Spagnola. Nel 1716 nascono scuole tecniche in Francia e nel 1717 a Praga. Nel 1725 viene
istituita l'Accademia delle Scienze di Pietroburgo; nel 1727 si costituisce il «Junto», prima vera
accademia delle scienze americana, dai cui sviluppi nascerà l'American Philosophical Society. Nel
1737 viene aperta l'Università di Gottinga. Nel 1741 apre l'Accademia Reale svedese e nel 1742
quella danese. Nel 1745 riapre la vecchia Accademia dei Lincei (Roma). Nel 1740 è fondato il
Collegio di Filadelfia, nel 1746 il Collegio di New Jersey (che diventerà l'Università di Princeton) e
nel 1754 il King's College (che diventerà la Columbia University). Nel 1755 nasce l'Università di
Mosca. Nel 1757 l'Accademia Reale delle Scienze di Torino inizia la sua attività. L'Accademia
Reale del Belgio è del 1772, la Società delle Scienze di Praga è del 1774, l'Accademia delle Scienze
di Lisbona è del 1779. A partire dal 1776 la Royal Society di Londra istituisce un premio (la Copley
Medal) per le migliori ricerche sperimentali. Tra il 1780 ed il 1789 vedono la luce: l'Accademia
delle Arti e delle Scienze di Boston, la Società Italiana della Scienza a Roma, la Reale Accademia
Irlandese a Dublino, la Royal Society di Edimburgo, l'Accademia Svedese a Stoccolma e varie altre
istituzioni scientifiche e culturali. Data fondamentale è quella della nascita dell'École
Polytechnique a Parigi (1794), dalla quale usciranno i massimi futuri rappresentanti della scienza
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francese (questa scuola era nata, sotto la guida di Monge, per preparare scientificamente, durante
la Rivoluzione, coloro che volevano intraprendere la carriera militare o per formare ingegneri.
Ancora nel 1794 nasce l'École Normale Superieure (per la formazione degli insegnanti) e quindi,
nel 1795, l'Institut National des Sciences et des Arts (che prende il posto della soppressa Academie
des Sciences).
Per concludere è utile ricordare almeno le date di nascita delle più importanti accademie che
si costituirono nel secolo precedente: Lincei a Roma nel 1603 (poi chiusa nel 1630); Cimento a
Firenze nel 1657 (poi chiusa nel 1667); Royal Society a Londra nel 1662; Académie Royale des
Sciences a Parigi nel 1666.
(l06bis) L'ordine dei gesuiti fu ristabilito nel l8l4 da Papa Pio VII. Si noti che tutti i provvedimenti
citati contro i gesuiti non erano certamente presi con propositi progressisti, ma, se possibile, ancora
più conservatori.
(107) Bibl. 26, pag. 77.
(108) Ibidem, pagg.78-79. Per chi volesse approfondire i termini della continua negazione che le
scoperte scientifiche del '700 rappresentavano della fisica biblica si consiglia l'intero brano di Bibl.
citata.
(109) A questo proposito si veda bibl. 7, vol. 4, pagg. 337-341.
(110) Bibl. 16, II, pag. 309. L'analogia formale tra la legge di gravitazione universale (F = G. mM/
r² ) tra due masse a distanza r , quella di Coulomb (F = K.qQ/r²) tra due cariche a distanza r e
quella di Michell (F = K. pP/r²) tra due poli magnetici a distanza r, è evidente. C'è solo da
osservare che le forze, nel caso gravitazionale, sono solo attrattive, mentre, sia nel caso elettrico che
magnetico, sono attrattive e repulsive.
(111) Ricordo che dire «istantaneamente» significa che un' azione si propaga da un punto
all'altro dello spazio in un tempo zero, cioè con velocità infinita. In proposito si veda l'altro mio
lavoro sulla Relatività (classica); Bibl. 3, pag. 127.
(112) Bibl. 48, pag. 243. Si osservi che Laplace conduceva una grossa polemica contro il
«finalismo» al quale, appunto, contrapponeva il determinismo.
(113) Boscovich era un dalmata che studiò e redasse il corpo principale dei suoi lavori in Italia.
Egli fu eminente ricercatore sia in meccanica che in astronomia; sia in geodesia che in ottica; sia in
matematica che in problemi tecnici, Tra i suoi grandi meriti c'è quello di essere stato uno tra i
primi grandi divulgatori dell'opera di Newton nel continente.
(114) Nell'opera De viribus vivis (1745).
(115) Per una discussione dettagliata di questo aspetto, si veda bibl.6, pagg. 183-191 ed anche
bibl.13, pagg.59-60.
(116) Detto con linguaggio moderno e supponendo l'urto unidimensionale, all'istante in cui i due
corpuscoli si urtano, il vettore velocità dovrebbe assumere, in quell'istante, due valori (se non altro
due versi opposti).
(117) Da Theoria philosophiae naturalis ... (1758), su bibl. 6, pag. 185.
(118) Concordo con questa formulazione (inerzia ma non massa) che ritrovo su Jammer (bibl. 6) e
non su quella data da Forti (semplicemente massa - bibl. 7) . Questo anche se in passato (bibl. 13)
ho aderito alla posizione sostenuta da Forti.
(119) Si riveda in proposito quanto è stato detto su Leibniz ed in particolare la nota 18.
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(120) Per la verità Boscovich sostiene che " l'universo non consiste di vuoto disseminato tra la
materia, ma di materia disseminata nel vuoto e fluttuante in esso"; ma, portando alle naturali
conseguenze la sua concezione atomica si vede bene qual fine faccia la materia. (La citazione
proviene da bibl. 33, III, pag. 572).
(121) Si osservi che Boscovich criticherà anche i concetti di spazio e tempo assoluti oltre al
principio d'inerzia, in base al fatto che questi non sono sperimentalmente osservabili. Per leggere
comunque brani originali dello stesso Boscovich, tratti da Theoria ... (citata), sulla sua teoria dei
centri di forza, si veda bibl. 56, pagg. 122-131.
(122) Si osservi che tra i primi critici di Newton vi era stato il fisico olandese W. J. s'Gravesande
(1688-1742). Egli criticò (1736) in particolare le 'regolae philosophandi' di Newton sostenendo che
esse non sono né logiche, né possono valere a priori, né possono essere giustificate induttivamente
essendo esse stesse il fondamento di ogni induzione. Esse sono valide solo in base al postulato che
vuole Dio reggitore del mondo (si veda in proposito bibl. 17, III, pagg. 265-268).
(123) Anche l' «osservatore», per Kant, comincia a diventare importante nella indagine fisica.
Come dice Popper, riportando il pensiero di Kant:
" Dobbiamo abbandonare l'opinione secondo cui siamo degli osservatori passivi, sui quali la
natura imprime la propria regolarità. E' bene invece adottare l'opinione secondo cui,
nell'assimilare i dati sensibili, imprimiamo attivamente ad essi l'ordine e le leggi del nostro
intelletto. Il cosmo reca l'impronta della nostra mente ... Lo sperimentatore non deve attendere che
alla natura piaccia rivelargli i propri segreti, ma deve interrogarla. Egli deve fare ciò
ripetutamente alla luce dei propri dubbi, congetture, teorie, idee ed ispirazioni."
In questo modo la scienza risulta una creazione umana come l'arte e la letteratura. (bibl. 14, I,
pagg. 312-313).
(124) Si osservi che, ispirate dalla grande atmosfera culturale illuministica, si erano realizzate due
grandi rivoluzioni che avevano affermato gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Nel
contempo però i sovrani 'illuminati' di Russia, Prussia ed Austria, con la prima spartizione della
Polonia (1772), mostrano come la politica di potenza possa più dei lumi della ragione e come le
aspirazioni progressiste non possano coesistere con l'assolutismo monarchico. Sul finire del secolo,
poi, è proprio un "figlio della Rivoluzione", Napoleone, ad interpretare fino in fondo gli ideali
borghesi con le sue armate dilaganti per tutta l'Europa. E certamente l'Illuminismo,
propagandato non dai Voltaire, dai Diderot, dai D'Alembert, ma dalle armate napoleoniche, apre
la strada ai nazionalismi dei popoli che, per difendersi dall'invasore, ricercano una unità (anche se
fittizia) nei loro regnanti.
(125) Sull' Illuminismo tedesco (Wolff, Lessing) si veda bibl. 17, III, pagg. 489-517.
(126) Bibl. 14, I, pag.306.
(127) Si osservi che Kant "visse abbastanza a lungo per respingere gli insistenti approcci di Fichte,
che si era proclamato suo successore ed erede." (Ibidem, pag. 305).
(128) Nascono in questo periodo: la matematica pura, la geometria pura, l'analisi pura, la fisicamatematica come disciplina separata dalla matematica, la chimica separata dalla fisica,
l'elettrologia come scienza a sé, la termodinamica.
(129) Baracca e Livi in Bibl. 24, pag. 15.
(130) I lavori di Comte saranno pubblicati in sei volumi tra il 1830 ed il 1842. Si osservi che Comte
proveniva dall'École.
(131) 1 fatti vanno spiegati con i fatti e dal rapporto continuo e costante con i fenomeni nasce la
legge fisica. Bisogna rifiutare ogni postulato metafisico e quindi le cosiddette «ipotesi ad hoc».
Naturalmente si nega l'esistenza degli atomi che non sono un fatto ma una mera ipotesi. Si noti che
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Comte inizia una critica alla pretesa di voler ridurre tutte le scienze alla matematica; secondo il
nostro è necessario che ciascuna scienza si sviluppi autonomamente e quindi, solo dopo che
ciascuna sarà stata sviluppata a fondo, si tratterà di mettere insieme i risultati in un grande lavoro
di sintesi.
(132) Vedi Bibl. 17, Vol. 4, pagg. 12-13. Visto l'atteggiamento assunto da molti scienziati, capeggiati
da Bohr, agli inizi del nostro secolo ed in particolare le vicende della Scuola di Copenaghen, in
relazione alla nascita ed all'affermazione della meccanica quantistica, sarebbe più corretto, oggi,
definire l'atteggiamento dello scienziato che si disinteressa ai problemi filosofici come
'neopositivista'. Per approfondire in parte questi problemi si può vedere bibl. 57, pagg. 189-233.
Sull'argomento vi sono poi degli interessantissimi lavori di F. Selleri (Università di Bari) ma sono
di difficile reperimento.
(133) Allo scopo si può vedere bibl. 53, pagg. 65-89 (contributo di Petruccioli e Tarsitani) e Bibl. 58.
Ho fatto cenno a ciò proprio perché Einstein sarà scienziato di grande impegno morale e civile.
(134) Da questo punto in poi per chi volesse seguire con maggiori dettagli e con una impostazione
da me completamente condivisa, le complesse vicende dei rapporti tra scienza, tecnica, industria e
vicende politiche può senz'altro rivolgersi all'interessantissimo saggio di Baracca, Russo e Ruffo di
Bibl. 54. Un'analisi più concisa, sugli stessi argomenti e con lo stesso taglio, si può trovare nel
saggio di Baracca e Livi di Bibl. 24.
Un'impostazione diversa dei problemi in discussione, in cui però si ricostruisce la sola storia
interna, con un taglio che io non condivido, ma che credo vada conosciuto, si può ritrovare nel
lavoro di Bellone riportato in Bibl. 59.
Per capire poi meglio il senso della diversità delle impostazioni si può , ad esempio, vedere a
confronto i tre articoli seguenti:
E. Bellone - La scienza ed i suoi nemici - Sapere n° 802 (luglio '77)
E. Donini, T. Tonietti - Conoscenza e pratica - Sapere n° 808 (febbraio '78).
A. Baracca. R. Livi, S. Ruffo ed altri - Nemici per la pelle - Sapere n° 808 (febbraio '78)
Si osservi che rispetto al suo contributo (1972) a Bibl. 53 (La Rivoluzione scientifica dell' '800),
Bellone sembra aver cambiato opinione.
(135) Si pensi ai risultati - dei quali discuteremo più avanti - raggiunti da S. Carnot nello studio
delle macchine termiche, da Ampère nella fondazione dell'elettrodinamica e da Fresnel
nell'affermazione della moderna teoria ondulatoria della luce.
(136) A partire dal 1846 fu Kelvin che dette il contributo decisivo alla modernizzazione
dell'insegnamento scientifico con l'introduzione della parte sperimentale nel lavoro di formazione
di uno scienziato.
(137) Un'altra innovazione fondamentale fu l'introduzione dell'illuminazione a gas nelle grandi
fabbriche; essa 'permise' di prolungare il lavoro fino a notte inoltrata.
(138) Solo verso la fine del secolo l'uso del vapore sulle navi permise il raggiungimento di
tonnellaggi paragonabili con quelli delle navi a vela. La prima ferrovia è britannica (1825). Nel
1830 si costruì l'importantissima Liverpool - Manchester.
(139) Tra Romanticismo, Idealismo e Razionalismo. In ogni caso, qui in nota, vale la pena dare un
brevissimo cenno della concezione romantica della conoscenza della natura.
" L'ideale romantico [postula] una completa fusione ed unità della ragione umana con il mondo
anche al di là delle delle possibilità, e dei dati offerti da quell'analisi e da quell'indagine empirica e
razionale care invece al precedente illuminismo, posto sotto accusa dai romantici proprio perché
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ritenuto troppo innamorato delle distinzioni, della chiarezza, e di classificazioni precise che
compromettevano la possibilità di quella intima e dinamica fusione. Esso svolse anche, comunque,
nonostante la sua componente irrazionalistica, una funzione di stimolo e rinnovamento scientifico,
come nell'opera di Oërsted." (Baracca e Rossi in Bibl. 56, pag. 197).
Un altro aspetto che emerge in alcuni filosofi romantici è che la mante umana ha dei limiti, oltre i
quali non può andare, nella conoscenza della natura. Schopenauer, che è tra questi, sostiene che
tutti coloro i quali non si rendono conto di questi limiti diventano facilmente dei materialisti con
una propensione particolare a deridere la religione. Solo la filosofia può permettere di superare i
limiti che necessariamente sorgono nell'ambito delle scienze naturali. Il lavoro in cui Schopenauer
sostiene queste cose è riportato in Bibl. 61.
(140) È interessante notare che questo ritorno alla metafisica da parte di Hegel, che si accompagna
ad uno spirito accanitamente antiscientifico fornirà la base, in Italia, all'Idealismo di Croce e
Gentile che tanti danni ha prodotto, tra l'altro alla struttura della nostra scuola (si veda allo scopo
Bibl. 39). Occorre comunque osservare che questi danni, a 80 anni di distanza, non solo non sono
stati riparati, ma addirittura si vanno rapidamente aggravando.
All'idealismo hegeliano occorre poi risalire per trovare la teorizzazione di tutti gli Stati totalitari:
"il benessere e la felicità individuale sono fatti empirici, irrilevanti, che non hanno alcuna
importanza se posti al confronto con l'autorità dello Stato. La vera e profonda libertà si realizza
esattamente nel suo opposto: in una salutare costrizione capace di realizzare il superiore Spirito
etico, la vera volontà sostanziale che manifesta l'idea dello Spirito". E nell'ammirazione dello stato
prussiano (" fra esercito, censura, polizia, galere ed un clero ... intrinsecamente amorale") Hegel
esalterà la guerra che " ha l'alto significato che attraverso di essa si preserva la salute morale dei
popoli creando in loro l'indifferenza per lo stabilizzarsi di forme determinate" . Per ulteriori,
illuminanti dettagli si veda Forti in bibl. 7, Vol. 5, pagg. 13-16 (da cui provengono le citazioni qui
riportate).
(141) Basti qui ricordare che nel 1834 si riuscì a realizzare una Unione Doganale che liberalizzò il
mercato interno.
(142) Klemm in Bibl. 22, pag. 271.
(143) Nell'opera: Storia naturale generale e teoria del cielo, o ricerca intorno alla costituzione e
all'origine meccanica dell'intero sistema del mondo condotta secondo i principi di Newton, 1755.
(144) La stessa ipotesi verrà ripresa e sviluppata da Laplace nel 1796 nell'opera: Exposition du
système du monde, anche se sembra che Laplace non fosse a conoscenza del lavoro di Kant.
(145) Quando ancora la lettura di Hume non aveva scosso in Kant la fiducia nella validità delle
scienze fisico-matematiche. A partire dal 1769 Kant si dedicò allo studio delle facoltà conoscitive
dell'uomo iniziando la parte più importante dei suoi lavori speculativi ed arrivando a rimettere in
discussione alcuni concetti ormai consolidati nella tradizione fisica.
(146) Nell'opera: Primi principi metafici della scienza della natura.
(147) La critica della ragion pura, che è del 1781.
(148) Anche la «forza vitale» chiamata da Blumenback « vita propria» si origina secondo Kant
come modificazione delle forze attrattive e repulsive.
(149) Verso la fine de1 secolo a Kant si richiamerà Schelling con il suo dinamismo fisico.
(150) Nelle opere: Idee per una filosofia della natura, 1977; Sull'anima del mondo, 1798; Primo
abbozzo per un sistema di filosofia della natura, 1799.
(151) Brewster (1781 -1863); Malus (1775-1812); Ampère (1775-1836); Biot (1774-1862); Mossotti
(1791 -1863); Arago (1786 -1853).
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(152) Galvani (1737-1798); Volta (1745-1827).
(153) Nell'opera: Esperimenta, circa effectum conflictus electrici in acum magneticam,
Copenaghen, Luglio 1820.
(154) Le note furono lette nei giorni: 18 e 25 settembre; 9, 16 e 30 ottobre; 6 novembre. Il sunto di
queste note fu pubblicato negli "Annales de Chimie et de Physique" (2), t. XV, p. 59/76 e 170/218
nell'anno 1820 sotto il titolo "De l'action excercée sur un courant électrique par un autre courant,
le globe terrestre ou un aimant". C'è da notare che tutte le memorie di Ampère dal 1820 al 1825
furono raccolte in volume nel 1827 sotto il titolo: "Memoire sur la théorie matematique des
phénomènes électrodynamiques uniquement deduit de l'expérience."
(155) Le memorie furono lette il 30 ottobre ed il 18 dicembre e non furono mai pubblicate (a parte
un brevissimo sunto negli Annales de Chimie et de Physique (2) t. XV, p. 222 ed il resoconto di una
dissertazione tenuta in una seduta pubblica dell'Académie pubblicato sul Journal des Savants del
1821 alla pag. 221). Una esposizione dettagliata dei lavori di Biot e Savart fu da loro eseguita nella
terza edizione del Précis élémentaire de Physique, t.II, p. 704 e segg; 1823 (una esposizione più
breve si trova sulla seconda edizione della stessa opera, t. II, p. 117 e segg; 1821).
(156) Vedi Précis élémentaire de Physique, già citata, p. 737 e segg.
(157) Il fenomeno fu scoperto appunto da Ampère nel settembre 1820.
(158) Vedi: Annales de Chimie et de Physique (2), t. XV, p. 71; 1820; (confronta anche con la nota
155).
(159) Pila cortocircuitata.
(160) Dal ragionamento portato avanti da Ampère è implicito che si tratta di elettricità in
movimento. È interessante a questo punto fare un'osservazione. Nella seduta dell'Académie des
Sciences del 25 settembre 1820, insieme alla seconda comunicazione di Ampère sulle azioni
ponderomotrici tra correnti elettriche, Arago fece una comunicazione (vedi: Annales de Chimie et
Phisyque (2), t. XV, p. 93-102. 1820) relativa ad alcune esperienze da lui fatte che dimostravano la
proprietà della corrente voltaica di magnetizzare barre di ferro e di acciaio. Fra le altre cose egli
sostenne (vedi articolo citato pag. 93-94):
...«Avendo adattato un filo cilindrico di rame abbastanza sottile, ad uno dei poli della pila voltaica, ho
osservato che all'istante in cui questo filo era in comunicazione con il polo opposto esso attirava la
limatura di ferro dolce come avrebbe fatto un vero magnete. Il filo, immerso nella limatura, se ne
ricopriva egualmente tutto intorno, e acquistava, a causa di questa aggiunta, un diametro quasi
uguale a quello di un calamo di penna ordinaria. L'azione del filo, congiungente i poli, sul ferro si
esercita a distanza: è facile vedere in effetti che la limatura si solleva molto prima che il filo sia in
contatto con essa ...»
Ecco allora che da questa esperienza Arago ricaverà conferma della validità dell'azione a distanza.
Dallo stesso tipo di esperienza ben altre informazioni (spettro magnetico: limatura di ferro in
cerchi concentrici al filo) e conclusioni ricaverà Faraday negli anni successivi: informazioni e
conclusioni che lo porteranno a negare l'esistenza di « forze centrali » (azione a distanza) e ad
affermare quella di forze circolari » (azione a contatto). Dalla medesima esperienza ognuno ha
trovato ciò che cercava.
(160a) Vedi: Annales de Chimie et de Physique (2), t. XV, pag. 178; 1820
(160b) Riferendosi alla figura seguente,
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si ottiene:
dove i1 ed i2 sono le intensità di corrente, ds1 e ds2 gli elementi infinitesimi dei circuiti 1 e 2, r è il
raggio vettore da ds1 a ds2.
(160c) In una memoria letta all'Académie des Sciences l'8 ed il 15 gennaio 1821 ed inedita. Un
resoconto di quanto Ampère aveva letto all'Académie, in questa seduta ed in altre precedenti, fu
pubblicato in un articolo inserito negli Annales des Mines, t. V, p. 535-558 e riprodotto nella
Recueil d'Observations électrodynamiques, p. 69-70.
(160d) Su suggerimento di Fresnel, come lo stesso Ampère sostiene, su un frammento di Memoria
(Théorie du Magnétisme) mai terminata e pubblicata a causa del cattivo stato della sua salute.
(160e) Vedi: Annales des Mines, t. V, p. 557-558.
(160f) Le due lettere inedite sono state ritrovate tra le carte di Ampère appartenenti all'Académie
des Sciences. La prima lettera non reca alcuna data, mentre la seconda reca la data del 5 giugno
1821. Per il contenuto delle lettere vedi: Collection de Mémoires relatifs a la Physique, pubblicate
dalla Società Francese di Fisica - TOMO II - Parigi 1885.
(160g) Memoria sui moti elettromagnetici e la teoria del magnetismo - Quaterly Journal of Science,
etc t. XII, Londra, 1822. p. 76 ( la nota porta la data dell'11 settembre 1821).
(160h) In base a considerazioni su esperienze che dimostravano alcune differenze tra un magnete
ed un solenoide percorso da corrente (nel magnete i poli non sono esattamente alle estremità come
nel solenoide; il polo di un magnete attira il polo opposto di un ago magnetico in tutte le posizioni e
direzioni mentre per un solenoide ed un ago vi sono delle deviazioni essendovi repulsione per una
particolare posizione relativa di solenoide ed ago nella quale il polo dell'ago sarebbe invece attratto
da un magnete; i poli dello stesso tipo di un magnete, pur respingendosi a distanza, si attirano
quando sono a contatto fatto questo che non si verifica per i solenoidi in cui c'è sempre repulsione
tra poli dello stesso tipo).
(160i) Réponse a la lettre de M. Von Beck, sur une nouvelle expérience électromagnetique, Journal
de Physique, t. XCIII, p. 447 - Ottobre 1821.
(160l) Vedi: The Selected Correspondence of Michael Faraday a cura di Pearcy Williams - 1971 -
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FISICA/MENTE
Cambridge University Press - Volume 1: 1812-1848, pag. 130.
(160m) Di carattere matematico e relative alla spiegazione teorica che Ampère dava
dell'esperimento della rotazione del magnete in sostegno alla sua teoria della molecola
elettrodinamica.
(160n) Sembra che Dalton abbia per la prima volta esposto la sua teoria in alcune conferenze
tenute alla Royal Institution nel 1803-1804. Tuttavia la teoria trovò posto in un'opera in due
volumi (pubblicati in epoche successive, 1808 e 1827): Dalton - New System of Chemical
Philosophy.
(160o) Vedi: Berzelius - Ricerche sulla teoria delle proposizioni chimiche e sulle azioni chimiche
dell'elettricità - pubbicate nel 1818 in svedese e tradotte in francese nel 1819. Vedi anche:
Berzelius, Trattato di Chimica - la cui prima edizione è del 1808-1818 mentre la quinta ed ultima
(molto ampliata) è del 1843-48.
(160p) Dalton diede una base scientifica alla teoria atomistica affermando che atomi di diversi
elementi dovevano avere pesi diversi e che i composti dovevano essere originati da una
combinazione ben determinata degli atomi componenti. Berzelius estese le idee di Dalton
introducendo le polarità (positive e negative) degli atomi per spiegare le forze chimiche (con
Berzelius si comincia a parlare di teoria della valenza: i composti sono originati dall'unione di
atomi di opposte polarità).
(160q) A. Avogadro: Mémoires sur les masses relatives des molécules des corps simples, etc
(seguito della memoria pubblicata sul Journal de Physique nel 1811), Joumal de Physique, de
Chimie et d'Histoire naturelle - t. LXXVIII, p. 131, 1814.
(160r) A.M. Ampère: Lettre de M. Ampère a M. le comte Berthollet, sur la determination des
proportions dans lesquelles les corps se combinent d'après le nombre et la disposition respective
des molécules dont leurs particules intégrantes sont compossées, Annales de Chimie - t. XC, pagg.
43-86, 30 Aprile 1814.
(160s) I lavori di Young tra il 1801 ed il 1803 consistono di quattro memorie lette alla Royal Society
e raccolte e pubblicate successivamente nell'opera dal titolo: A course of lectures on natural
philosophy and the mechanical arts, Londra, 1897.
(160t) Nell'opera: Traité de la lumière. Tra le altre cose c'è da osservare che in questa opera
Huyghens introdusse l'etere nella fisica come mezzo di sostegno delle onde luminose. Huyghens
(1629-1695).
(160u) Vedi: A. Fresnel: Oeuvres Complètes, Ed. Verdet, Paris, 1866.
(161) Si osservi che gli stessi ragionamenti sono applicabili anche all'elettricità ed al magnetismo.
(162) L'ipotesi, elaborata nel 1845, è di G. T. Fechner.
(163) Bibl. 65, pag. 1633.
(164) La formula di Weber si scrive:
F = q1q2 /r2
.
[1 - (1/2c 2)(dr/dt) 2 + (1/c2 ).r.(d2 r/dt2 )].
Poiché (dr/dt)2 rappresenta la velocità, elevata al quadrato, delle cariche, mentre d2 r/dt2 la loro
accelerazione, si vede subito che, per cariche ferme, si ha la legge di Coulomb (a meno di un fattore
moltiplicativo che dipende dalla scelta delle unità di misura). Per cariche non accelerate, quando
cioè d2 r/dt2 = 0, se nella formula risulta c = dr/dt, si vede subito che F = 0, cioè che la forza si
annulla. Ciò vuol dire che la forza elettrostatica fa equilibrio alla forza elettrodinamica.
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Si osservi che una formula analoga era stata trovata da C.F. Gauss (1777- 1855), maestro ed amico
di Weber (tra l'altro Weber utilizza proprio il sistema di unità di misura detto di Gauss nel quale
la legge di Coulomb - vedi più su - risulta essere F = q1 q2 /r2 ). Egli, come confida in una lettera
allo stesso Weber (1845), non la pubblicò poiché non era riuscito a trovare, nella legge di forza tra
cariche, "un meccanismo pe il quale la forza stessa non si esercitasse istantaneamente tra di esse,
ma si propagasse con velocità finita al medesimo modo della luce". (Moneti in Bibl. 63, parte II,
pag. 145). Gauss riteneva ciò di fondamentale importanza ed annetteva a questa eventuale scoperta
la possibilità di essere chiarificatrice per l'intera elettrodinamica.
(165) Per maggiori dettagli sull' opera di Weber e sui suoi collegamenti con quella di Ampère, si
veda Bibl. 60, pagg. 10-13 e Bibl. 65, pagg. 1633-1635. Si noti intanto che, come vedremo meglio più
avanti, il parametro c che compare nella formula di Weber discende dall'adozione di un
particolare sistema di unità di misura, quello appunto di Gauss (o Gauss-Weber o Gauss-Hertz). In
questo sistema si misurano tutte le grandezze elettriche in unità elettrostatiche (u.e.s.) e tutte le
grandezze magnetiche in unità elettomagnetiche (u.e.m.), fermo restando il fatto che le tre unità
fondamentali sono il centimetro, il grammo-massa ed il secondo.
(166) Fu Kirchhoff che per primo la notò nel 1857. Per la verità c risultava radice di 2 volte la
velocità della luce.
(l67) In un suo scritto Weber commenta ciò dicendo: "questo fatto non è tale da accendere grandi
aspettative". Vale appena la pena osservare che, come vedremo, da questo stesso fatto, Maxwell
trasse ben altre conseguenze. È anche interessante notare che questo è uno di quei casi in cui da
uno stesso fatto, in connessione con termini teorici differenti, si possono ricavare conseguenze
diverse.
(168) Si veda .la prima parte della nota 164, quando si discute l'eventualità che c assuma il valore
dr/dt.
(169) Bibl. 60, pagg. 11-12. La sottolineatura è mia.
(170) È interessante notare che in una risposta di Weber (1871) ad una obiezione di Helmholtz egli
sostiene che l'obiezione non ha senso perché, se essa fosse vera, si dovrebbero avere particelle
dotate di velocità superiori a quella della luce (la velocità della luce sembra già affacciarsi come
velocità limite). Helmholtz fece anche un'altra obiezione (alla quale Weber non rispose), per
rispondere alla quale, però, bisognava ammettere la propagazione con velocità finita delle onde
elettromagnetiche (Bibl. 63, parte II, pag. 149).
(171) All'epoca si facevano i primi esperimenti e le prime messe in opera dei telegrafi aerei e
sottomarini, i quali ultimi richiedevano la posa di cavi molto complessi da calcolare. Il telegrafo era
stato inventato da Ampère e realizzato da Morse nel 1839.
(172) Fisico danese (1829-1891) che non va confuso con Hendrich Anton Lorentz (1853-1928) del
quale ci occuperemo nel paragrafo 5 del capitolo 17°.
(l73) Si osservi che, oltre a quanto già visto a proposito di connessioni tra fenomeni di vario tipo,
verso la metà del secolo, il fisico italiano Macedonio Melloni (1798-1854) colse l'identità della luce
con i fenomeni di radiazione calorifica. Per maggiori dettagli si veda Bibl. 66.
Mi piace soffermarmi un istante su Melloni per ricordarlo, oltre che come grande fisico, il
"Newton del calore" come venne definito, (del quale purtroppo si studia poco), come uomo di
grandi ideali che partecipò attivamente e sempre dalla parte giusta al Risorgimento italiano (si
veda Bibl. citata).
(l74) L'uso dei modelli era stato un punto di forza della fisica meccanicista a partire da Galileo.
(175) Bibl. 63, parte II, pag. 177.
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(176) I potenziali ritardati, secondo la definizione di M.B.Hesse (Bibl. 9, pag. 253) sono "potenziali
scalari e vettoriali propagantisi in un vuoto con velocità c, in modo che il loro arrivo ad. una
distanza r dalla loro sorgente abbia luogo ad un tempo r/c dopo la loro emissione." Per i dettagli
analitici si può vedere bibl. 63, pagg. 178-179.
(177) Ibidem. Si noti che negli sviluppi della teoria di Lorenz non occorre alcun etere.
(178) Bibl. 60, pag. 13. La sottolineatura è mia.
(178 bis) Per approfondire questa parte si veda bibl.112, Vol. 1, pagg. 234-235.
(179) Anche se con una diffusione non troppo grande nell'ambito del mondo scientifico. Va notato
che il Romanticismo in Gran Bretagna ebbe caratteristiche eminentemente speculative ed assunse
caratteri di polemica contro il dogmatismo e le formule esteriori della Chiesa ufficiale.
Il poeta-filosofo Carlyle (1795-1881) svilupperà inoltre, verso la metà del secolo, una dura polemica
contro le scienze esatte.
(179 bis) Bibl. 64, pag. 68. Si osservi che altre frasi di questo paragrafo, quelle tra virgolette e senza
referenza bibliografica, sono state riprese dal testo citato la cui traccia ho qui seguito fino ai lavori
di Faraday del 1838.
(180) Abbiamo accennato nel primo paragrafo di questo capitolo che in Gran Bretagna non vi era
istruzione pubblica. Faraday, figlio di un umile fabbro, non aveva certo i mezzi per accedere agli
studi. Iniziò a lavorare giovanissimo come rilegatore di libri e qui ebbe modo di imparare della
fisica su testi divulgativi. Nell'ambiente dei fisici superpreparati nell'analisi, Faraday entrerà senza
conoscere la matematica (e ne uscirà, con la sua morte, allo stesso modo). Nella sua enorme
produzione scritta egli non userà mai formule di matematica. Per giudicare gli articoli scritti da
altri e nei quali comparivano incredibili formule (ad es.: Ampère, Mossotti, ...) si rivolgeva ai suoi
amici matematici Babbage e Whewell. Per maggiori dettagli sulla vita e l'opera di Faraday si può
vedere bibl. 64, 67, 68 ed anche 38. Ed anche http://www.fisicamente.net/FISICA/index-72.htm.
Osservo a parte che Davy inventò nel 1810 la lampada ad arco (l'arco voltaico); enunciò la legge
che pone in relazione la resistenza dei conduttori con la temperatura (la resistenza è inversamente
proporzionale alla temperatura - 1821); brevettò nel 1815 la lampada di sicurezza per minatori
(costituita da un cilindro di rete metallica racchiudente una fiamma che aveva la caratteristica di
spegnersi in presenza di quel micidiale grisou che tante vittime mieteva, appunto, tra i minatori.
(181) Più in generale è utile, a questo punto, soffermarsi su alcuni termini fin qui utilizzati e non
compiutamente spiegati: atomi, atomi o molecole di Boscovich, molecole, punti atomi, punti
inestesi, particelle,… Quando ho usato (od userò) tali termini l'ho fatto perché in quel momento
quello è il termine che utilizza Faraday. Egli non ha ancora le idee molto chiare sulla costituzione
della materia (solo più avanti in due memorie, che discuterò, del 1844 e del 1846, avanzerà una sua
teoria). È comunque in difficoltà: deve comunicare con un linguaggio vecchio dei concetti nuovi (è
un poco lo stesso problema che aveva avuto Volta con 'conduttori di prima e seconda classe', con
'catene aperte' o 'catene chiuse'). Si può comunque ed in linea di massima dire che egli aderisce alle
concezioni di Boscovich che prevedono una materia costituiti da atomi intesi come punti
matematici circondati da atmosfere di forza (bibl. 38). Si osservi comunque che le concezioni di
Faraday, quando si saranno precisate, differiscono almeno in un punto estremamente importante
da quelle di Boscovich. Mentre quest'ultimo mantiene la distinzione newtoniana tra materia e
forza, per Faraday esistono solo forze (bibl. 67, pagg. 73/80).
(182) Lo 'stato elettro-tonico' viene introdotto da Faraday, con le solite cautele, nel 1831, al par. 60
di bibl. 54 bis. Al par, 71 egli afferma " questo peculiare stato è come se fosse uno stato di tensione,
e può essere considerato come equivalente ad una corrente elettrica, almeno uguale a quella
prodotta quando si crea o si annulla una induzione". Dice D'Agostino (bibl. 60, pag. 18) "è come se
vi fosse una membrana elastica in tensione nelle vicinanze di un corpo elettrizzato e specialmente di
un magnete. Alle variazioni della tensione dello stato elettrotonico Faraday collegava lo scatenarsi di
correnti indotte che si hanno nelle vicinanze di un magnete in movimento". Questo stato somiglia un
poco a ciò che più oltre Maxwell chiamerà 'corrente di spostamento'. Nel 1846, in analogia ai
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fenomeni dell'elasticità, W. Thomson introdusse un vettore A ('spostamento elastico') legato
all'induzione magnetica B dalla relazione rot A = B (questo vettore A non è altro che il potenziale
vettore già introdotto da Neumann, Weber e Kirchhoff). Fu Maxwell (1855) che chiamò A intensità
elettrotonica ed interpretò la relazione di Thomson nel senso che "l'intera intensità elettrotonica
che circonda ogni superficie misura il numero delle linee magnetiche di forza che passano
attraverso quella superficie" e, poiché la forza elettromotrice indotta è data dalla derivata parziale,
rispetto al tempo, cambiata di segno del vettore A, Maxwell afferma che la f.e.m. "di ciascun
elemento di conduttore è misurata dall'istantanea percentuale di variazione dell'intensità elettrotonica
su quell'elemento" (citazioni da bibl. 112, pag. 244). Oltre a quella accennata Thomson sviluppò
altre analogie: tra la teoria del potenziale di Laplace e Poisson e quella del flusso di calore nel caso
stazionario; tra forze elettriche propagantesi da particella a particella contigua e calore; tra
fenomeni magnetici e stati di sforzo di un corpo elastico sottoposto a deformazione (usando la
matematica di Stokes e Green).
(183) Faraday era cosciente che l'unico modo per affermare sperimentalmente la teoria di campo
sarebbe stato il mostrare che la propagazione delle linee di forza nello spazio avviene in un tempo
finito (la curvatura delle linee di forza non era un argomento in sé probante). I suoi Diari, a partire
dal paragrafo 1342, sono una drammatica testimonianza del suo progettare e non riuscire a
realizzare esperimenti in proposito. Queste pagine dei Diari sono anche prova del metodo e della
enorme abilità del nostro nell'inventare esperienze a sostegno di una determinata teoria.
(184) Weber (1804 - 1890) aveva trovato una formula che rendeva conto delle azioni che si
esercitavano tra cariche in moto (costituenti cioè delle correnti). In questa formula compariva un
parametro c che rappresentava il rapporto tra l'unità elettrostatica e l'unità elettrodinamica di
carica. In accurate misure per determinare il valore di c, Weber e Kohlraush trovarono per esso il
valore di 3,11.1010 cm/sec, coincidente con quello che, negli stessi anni, era stato trovato da Fizeau
e da Foucault per la velocità della luce in esperienze di natura completamente diversa (ottica).
Questa coincidenza fu notata da Weber ma egli, nel contesto in cui si muoveva, non dette molta
importanza alla cosa.
(269) Per ampliare quanto diremo e per uno studio più approfondito dei problemi si può vedere
l'importante lavoro di V. Ronchi (bibl. 86). Per studiare da un punto di vista analitico completo i
vari fenomeni discussi ci si può rifare a bibl. 88.
(270) Si veda la nota (°) al cap. 1° e bibl. 3, pagg. 99-102. Alcune delle cose che aggiungerò qui, a
proposito di Descartes, Newton ed Huygens, ed in particolare quanto riportato tra virgolette senza
indicazione bibliografica, sono ispirate o tratte da bibl. 15, cap, 4.
(271) Le teorie ottiche di Descartes sono esposte nella Diottrica del 1637.
(272) Anche qui, come per le altre vicende riguardanti Newton (e non solo), bisogna distinguere tra
Newton ed i newtoniani. Molto spesso si tende a confondere la posizione di Newton con quella che i
suoi pretesi sostenitori volevano accreditare. Si capisce certamente la maggiore facilità che ha un
preteso storico ad andare avanti per etichette: io non intendo sottoscrivere questo modo di
procedere che, per amore di aneddotica, racconta cose non vere o quantomeno discutibili (si veda,
ad esempio, E. Persico che in bibl. 88, a pagina 79, fa apparire Descartes come padre putativo della
teoria corpuscolare). Questo modo di procedere è tipico di coloro che intendono il progresso
scientifico procedente per accumulazione successiva di conoscenze e, naturalmente, con una sua
precisa linearità di sviluppo.
(273) Bibl. 87, pag. 493.
(274) Questo fenomeno, noto già da tempo, era stato scoperto ed ampiamente studiato da padre
Grimaldi (l6l8-l663) e proprio a costui Newton fa riferimento nell' Ottica. Si osservi che la parola
diffrazione fu introdotta dallo stesso padre Grimaldi, mentre Newton non la usò mai preferendo in
sua vece il termine inflessione.
(274 bis) Bibl. 90, pag. 195.
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(275) Bibl.87, Quest.28, pagg.525-529. Si osservi che Newton respinge qui la teoria ondulatoria
affermando che se essa fosse ammessa un raggio di luce che attraversasse un ostacolo, ad esempio
un forellino, dovrebbe sparpagliarsi al di là di esso. Non ammette quindi la teoria che gli avrebbe
permesso di spiegare le inflessioni della diffrazione senza ricorrere all'interazione luce-materia.
(276) "E, dice Newton, non si è mai vista la luce seguire vie tortuose o penetrare nell'ombra."
(276 bis) Ibidem, Quest. 29, pag. 529.
(277) Si osservi che già Hooke, a partire dal 1672, era diventato un sostenitore di una concezione
ondulatoria della luce (pare che per far ciò si sia ispirato ad alcuni passi di padre Grimaldi nei
quali quest'ultimo parlava di " vibrazione della direzione dei raggi ").
(278) E' importante dare qui alcuni riferimenti. Il primo che dimostrò che il suono non si propaga
nel vuoto fu un discepolo ed amico di Galileo, Gianfrancesco Sagredo (l571-1620). Egli si serviva di
una specie di campanello che era situato all'interno di una campana di vetro dalla quale l'aria
veniva quasi completamente tirata via per mezzo di un forte riscaldamento. Si osservi che le prime
macchine pneumatiche sono del 1650 (Otto von Guericke). Torricelli fece invece notare che un
raggio di luce passa attraverso il vuoto. Altro fatto che merita di essere annotato è la scoperta della
doppia rifrazione, fatta nel 1669, dal medico danese E. Bartholin (1625-1698) mediante un cristallo
detto «spato di Islanda». Da ultimo osserviamo che un allievo di Bartholin, Olaf Roëmer (16641710), nel 1676 riuscì a misurare, per la prima volta, la velocità della luce (calcolando i tempi di
immersione ed emersione di uno dei satelliti di Giove, Io, nella zona d'ombra del pianeta. Tutto
questo per dire che sia Huygens che Newton lavoravano su questioni sulle quali già si avevano dati
sperimentali da sottoporre a trattamento teorico e che interessavano diffusamente gli scienziati
dell'epoca. E' da notare infine che un accostamento,come quello fatto da Huygens, della luce con il
suono, se da una parte rende ragione di un mezzo che deve sostenere la luce, così cose l'aria
sostiene il suono, dall'altra differenzia completamente i due fenomeni. Insomma, visti i lavori di
Sagredo, la luce ed il suono si possono supporre della stessa natura solo se si ammette un etere con
particolari proprietà.
(279) Bibl. 87, pagg. 560-561.
(280) Ibidem, pag. 562.
(281) La propagazione rettilinea la si può ancora ricavare dalla figura 15 quando si osserva che il
raggio luminoso proveniente da A segue una delle traiettorie rettilinee che si irradiano da A (come
quella ABC, segnata) e che risultano perpendicolari al fronte d'onda sferico (ed anche Hooke si era
mosso su questa strada). Si osservi che proprio sulla propagazione rettilinea Huygens attaccava i
corpuscolaristi, anche se non era soddisfatto neppure della sua teoria; secondo il suo modo di
vedere la luce, costituita da corpuscoli, che colpisse un oggetto si sparpaglierebbe dappertutto. Si
noti poi che, stranamente, Huygens non si sofferma a spiegare la diffrazione: la spiegazione di
questo fenomeno poteva diventare di valido sostegno alla sua teoria.
(282) Oggi sappiamo che quando uno dei due raggi (o tutti e due), prodotto dalla doppia
rifrazione, viene fatto passare attraverso un altro cristallo di spato d'Islanda, per particolari
orientazioni del cristallo, questo raggio non si sdoppia ulteriormente perché è polarizzato. Questa
spiegazione non può prescindere dall'ammissione di luce propagantesi per onde trasversali e
quindi dalla teoria di Maxwell (un'onda longitudinale non può infatti essere polarizzata !
(282 bis) Ibidem, pag. 561.
(283) Born in bibl.91, pagg.117-118. Le sottolineature sono mie.
(284) Ora, come nel seguito, non mi soffermerò a spiegare fenomeni che compaiono in tutti i testi di
fisica per i licei.
(285) Mi piace notare che Young, come Faraday e, come vedremo, Einstein era un outsider. Sarà
violentemente attaccato da tutti i fisici ufficiali e ci vorranno degli anni prima che la sua scoperta
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venga presa in considerazione. La sua posizione di antinewtoniano era una sorta di reazione allo
stato di abbandono (del quale abbiamo già detto) in cui, all'epoca, si trovava la scienza britannica.
Egli riteneva che non ci si dovesse cullare con Newton, ma avere fantasia ed imboccare strade
nuove. Si noti che anche Young non conosceva la matematica ai livelli richiesti dalla fisica ufficiale
(286) Oggi diremmo: monocromatica.
(287) Bibl. 89, pag. 374. Altri brani originali di Young, che illustrano tra l'altro la sua adesione al
dinamismo fisico, si possono trovare in bibl. 56, pagg. 184-195.
(287 bis) Citato in bibl. 19, Vol. 3, pag. 164.
(288) Young fu il primo a tentare questa impresa trovando valori dell'ordine del milionesimo di
metro. Questi valori così piccoli per le lunghezze d'onda dei vari colori - rispetto, naturalmente,
alle dimensioni degli oggetti macroscopici - lo convinsero del fatto che la luce dovesse propagarsi in
linea retta originando ombre nette. Altro fatto notevole, osservato da Young, fu che la velocità
della luce emessa da una sorgente intensa è la stessa di quella emessa da una sorgente debole e
questo fatto risultava più facilmente spiegabile con la teoria ondulatoria.
(288 bis) Si ricordi che Euler, nonostante fosse sostenitore delle idee di Newton in vari campi, in
ottica fu sostenitore della teoria ondulatoria (sono le vibrazioni dell'etere che trasmettono la luce).
Per leggere un brano originale di Euler sull'argomento, si veda. bibl. 12, pagg, 63-64.
(289) Arago si convertirà ben presto alla teoria ondulatoria, anche se ad un certo punto non avrà
il coraggio di condividerne tutte le conseguenze. Allo stesso modo Laplace, pur non aderendo mai
alla teoria ondulatoria, mostrerà grande ammirazione per i lavori di Fresnel. Si noti infine che il
britannico David Brewster (l78l-l868) fu un convinto corpuscolarista.
(209 bis) S1 ed S2 sono due immagini virtuali e simmetriche di S. Lo strumento descritto è un
particolare tipo di interferometro: più avanti ne incontreremo altri tipi.
(290) A questo punto però Arago si dissocerà da Fresnel perché, per sua stessa ammissione, non
ebbe il coraggio di sostenere l'idea di onde trasversali.
(291) Poisson nel 1828 dimostrò che se l'etere fosse stato un quasi-solido, a lato delle vibrazioni
trasversali se ne sarebbero originate altre longitudinali e, alla lunga, queste ultime avrebbero
sottratto tanta energia da non rendere più visibile la sorgente.
(292) Per approfondire questi aspetti si può vedere bibl.15, fasc.VII (a) e bibl. 91, pagg. 139-150.
(293) Per leggere un brano originale di Stokes sulla natura della luce, si può vedere bibl. 56, pagg.
243-253.
(294) Agli sviluppi della teoria dell'elasticità, ed in particolare alla teoria elastica dell'ottica,
contribuirono, oltre al citato Stokes, eminenti personalità del livello di Poisson, Cauchy (17891857), Green, Mac Cullagh (1809-1847), fino al già più volte incontrato W. Thomson.
(295) La crucialità di questa eventuale esperienza era stata sostenuta da Arago nel 1838. Si tenga
conto che, come vedremo più avanti, anche Arago nel l8l0 aveva tentato un'esperienza che
dirimesse la polemica tra teoria corpuscolare ed ondulatoria.
(296) Nel 1607 ci aveva provato Galileo utilizzando un paio di lanterne e la distanza esistente tra
due colline vicine. Naturalmente non riuscì.
(297) Tra le località parigine di Montmatre e Suresne (8.633 metri).
(298) Mentre Fizeau si servì della rotazione di una ruota dentata, Foucault si servì di uno specchio
ruotante (mosso da vapore!). Come già accennato nelle pagine precedenti, lo stesso metodo di
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specchio ruotante era stato per la prima volta utilizzato da Wheatstone nel 1834 per la
determinazione della durata di una scintilla elettrica. Fu quest'ultimo che suggerì che lo stesso
metodo poteva usarsi per la misura di c e fu Arago che ne trasse spunto ma, data l'età avanzata,
lasciò il compito ad altri. Si noti che Foucault ripeté l'esperienza nel 1862 per dare il valore
assoluto di c e trovando un valore molto vicino a quelli oggi accettati (298.000 km/sec). Gli anni che
vanno dal 1850 al 1862 furono per Foucault densi di altri lavori: in particolare, nel 1851 ideò il
famoso pendolo (che porta il suo nome) con il quale dimostrò la rotazione della Terra sul proprio
asse (dai tempi di Copernico, la prima prova terrestre di ciò). Altro merito importante che va
ascritto a Foucault è la scoperta delle correnti parassite.
NOTE RELATIVE AL PARAGRAFO 7 (TERMODINAMICA)
(1) Chi volesse seguire una ricostruzione molto stimolante delle vicende dell'energia, proprio a
partire da Aristotele, può vedere bibl. [1]. Un libro molto utile per gli svariati brani antologici è
quello di bibl. [4], anche se non ne condivido l'impostazione introduttiva. Un lavoro molto
stimolante e anche didatticamente molto utile è quello di bibl. [2]. Un altro lavoro che certamente
merita di essere letto è quello di bibl. [3].
(2) Per una ricostruzione molto agile di questi primi lavori si può vedere bibl. [5]. Il testo di bibl.
[6] è un classico che tratta anche di queste questioni (da un punto di vista molto stimolante ma
altrettanto discutibile).
(3) Su questi aspetti si vedano gli importanti scritti di bibl. [7 e 8].
(4) Stevin si era occupato dell'equilibrio di una catena sospesa su di un prisma a sezione
triangolare, mentre Huygens, nello studio del pendolo composto, scoprì che il principio della
massima risalita non era dell'intera massa ma del suo baricentro. J. Bernouilli aveva invece
sviluppato il 'principio dei lavori virtuali' (1717).
(5) Si veda bibl. [1], pag. 51. Tra l'altro l'Accademia aggiungeva che sulla strada di queste ricerche
più d'uno s'era economicamente rovinato.
(6) Per approfondire il senso di quest'ultima affermazione si veda bibl. [5], pagg. 30/39.
(7) Per approfondire questi aspetti si veda bibl.[7 e8].
(8) Detto in linguaggio moderno ciò vuol dire: come mai alcune trasformazioni energetiche
forniscono energia utilizzabile (bruciare un combustibile per ottenere vapore) mentre altre, non
solo non ne forniscono, ma ne assorbono (utilizzare del vapore per far muovere una macchina o un
telaio)?
(9) Altra enorme difficoltà consisteva nel capire la distinzione tra i concetti di temperatura e
calore. Il primo che probabilmente li distinse, dando nel contempo la prima definizione di 'caloria',
fu uno tra gli ingegneri inglesi che lavoravano sulle macchine a vapore, J. Black (1728-1799). Un
chiarimento definitivo si ebbe solo con R. Mayer.
(10) Bibl. [9], pag.,.520.
(11) Bibl. [3], pag. 192. Riguardo alle radiazioni oscure citate da Young, c'è da osservare che i
primi a considerarne l'esistenza furono Mariotte (1620-1684) e Lambert (1728-1777). Solo nel 1800
Herschel (1738-1822) riuscì a provarne l'esistenza esplorando con un termometro lo spettro solare
anche al di là del rosso: l'aumento di temperatura registrato provava l'esistenza di radiazioni
oscure e invisibili (radiazioni infrarosse). Si osservi che allo stesso Young si deve il primo uso
moderno della parola energia (troppe cose, secondo lui, si chiamavano con lo stesso nome: era
necessario fare chiarezza).
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(12) Per vedere un disegno del dispositivo indicatore P,V di Watt si veda bibl. [10], pag. 613.
(13) Fourier si occupò anche di altri fenomeni di propagazione e, in particolare, della propagazione
di una corrente in un conduttore; pare accertato che Ohm, per ricavare la sua legge, prendesse le
mosse proprio dai lavori di Fourier.
(14) Ad esempio da Dalton e Gay-Lussac per i gas; da Hope (1766-1844) per l'acqua; da Lavoisier
(1734-1794), Laplace (1749-1827), Dulong e Petit per i solidi e il mercurio.
(15) Questa come le altre citazioni di Fourier che seguono sono tratte da bibl. [14], pagg. 169-176
(si tratta del "Discorso preliminare" alla Teoria).
(16) Come Fourier dice esplicitamente più oltre, l'importanza della scienza del calore è per il
"progresso dell'industria e delle scienze naturali" (Ibidem, Introduzione, pag. 177).
(17) Bibl. [12], pag. 159,
(18) Lazare Carnot ebbe un ruolo di primo piano nella Rivoluzione Francese: fu uno di coloro che
votò per ghigliottinare Luigi XVI. Fu generale di Napoleone e ministro durante i "cento giorni".
Alla caduta di Napoleone, con la Restaurazione, fu esiliato in Sassonia dove morì.
(19) Bibl. [21], pagg. 393-395. Dallo stesso testo sono stati ripresi gli altri brani di Carnot citati nel
seguito.
(20) Questa condizione era già stata, individuata da Watt.
(21) Questo "errore" non permise a Carnot di ricavare la conservazione dell'energia e cioè il primo
principio della termodinamica. Egli se ne avvide nel 1830 quando si convertì alla teoria dinamica
del calore, ma la memoria in cui riportava ciò fu ritrovata tra le sue carte. solo nel 1876, quando
tutto era già stato fatto. Osservo a margine che l'espressione "lavoro", definita da Smeaton nel
1759 fu introdotta nella fisica da Poncelet (1788-1867) nel 1826.
(22) Quindi il 2° principio fu ricavato con un anticipo di circa 20 anni rispetto al 1° principio.
(23) Anche lo studio della "reversibilità" era stato affrontato dagli ingegneri a proposito delle
macchine idrauliche (ad esempio da Poncelet). Si osservi che affermare quanto riportato nel testo
equivale a dire che "solo se riponiamo la sostanza su cui lavora la macchina alle condizioni iniziali
possiamo essere sicuri che tutto il calorico che è passato nella macchina è stato utilizzato per produrre
lavoro" (Bibl. 8, pag. 229).
(24) Devo ricordare che anche una macchina ideale di Carnot ha sempre un rendimento inferiore a
uno.
(25) Dal fatto che tutte le macchine termiche hanno lo stesso rendimento quando funzionano tra le
stesse temperature, Carnot ricavò l'impossibilità del moto perpetuo di 2ª specie. Si noti che servono
sempre due sorgenti di calore a temperature diverse: questo fatto implica l'impossibilità di
utilizzare una sola sorgente per produrre lavoro. Se quest'ultimo fatto fosse stato possibile, come
Kelvin (1824-1907) fece osservare, abbassando di un solo centesimo di grado la temperatura del
mare, da esso si sarebbe potuta estrarre tutta l'energia occorrente per molti secoli all'intera
umanità.
(26) Nello scritto "Memoria sulla potenza motrice dei calore" del 1834.
(27) Bibl. [4], pag. 129.
(28) Costituito da due sole isoterme distanziate di un grado centigrado
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(29) Anche nell'ambito della biologia le cose non erano tranquille: fare un'affermazione del genere
significava scontrarsi con altre correnti di pensiero che erano dominanti. Per cogliere alcuni
interessanti aspetti della polemica e alcuni elementi di pensiero della scuola dei fisiologisti tedeschi,
si può leggere un interessante scritto di un rappresentante di questa scuola, Du Boys-Reymond
riportato in bibl. [11]. Si può anche leggere la stimolante discussione che fa Elkanà in bibl. [1],
pagg. 132-151.
(30) Bibl. [4], pagg, 134-135.
(31) Ibidem.
(32) II ragionamento che segue l'ho fatto parafrasando quello di bibl. [15], 3, pag. 252.
(33) Ricordo che vale l'identità: 1 kgm = 9,81 joule. Si osservi che il ragionamento di Joule non è
rigoroso perché presuppone nulla la variazione di energia interna.
(34) Bibl. [4], pagg. 135-136. Si osservi che l'articolo di Mayer, come del resto quello di Mohr, fu
rifiutato dalla rivista di Poggendorf (gli Annalen) con la motivazione di mancanza di una ricerca
sperimentale. Esso fu pubblicato, con scarsa risonanza, sugli Annali di Chimica e di Farmacia per
interessamento di uno dei pochissimi che lo apprezzò, Liebig.
(35) Si tratta del celebre chimico britannico fondatore della teoria atomistica (1803). Joule per soli
tre anni prese lezioni private elementari da Dalton e quest' ultimo, a quasi 70 anni, era costretto a
fare quel lavoro nonostante i grandi meriti scientifici. Joule quindi non ebbe nessuna istruzione
regolare: anch'egli fa parte dell' imponente schiera degli "outsider".
(36) Si osservi che Joule usava la parola "forza" in luogo di "energia", e questo fatto era comune
all'epoca. Con i lavori di Rankine (1820-1872), intorno al 1860 si codificò l'uso della parola
"energia". Riguardo poi all'influsso delle conczioni religiose su Joule, che tra l'altro era un
convinto conservatore in politica, egli più volte fa trasparire l'idea che "i grandi agenti della natura
non possono andare distrutti se non dall'intervento diretto di Colui che li aveva creati" (bibl. [2], pag.
131).
(37) Nel lavoro del 1840 Joule misurò anche il calore che si sviluppa in un processo elettrolitico. Si
deve notare che questo lavoro (come quello di Mayer) non fu accettalo dalla rivista Proceedings of
the Royal Society perché i revisori non credettero che una legge di tale importanza potesse essere
stata ricavata con esperienze descritte in sole 5 pagine (tra i revisori vi era anche Wheatstone,
quello del "ponte"). Una riedizione del lavoro in forma più estesa fu accettata dal Philosophical
Magazine nel 1841.
(38) Il lavoro occorrente per innalzare di 1°C la massa di un chilogrammo di acqua (e cioè per
produrre una chilocaloria).
(39) Questo valore fu riportato da Joule in una memoria del 1850; in quella del 1843 dava un
valore di 460 kgm/kcal.
(40) Joule fece anche importanti esperienze sulla produzione di calore mediante compressione
adiabatica.
(41) Qui Joule si riferisce alle attrazioni che avvengono tra le molecole per formare i composti e in
particolare alle reazioni esoenergetiche.
(42) Abbiamo già accennato all'iter di un lavoro di Joule, ma anche gli altri ebbero sorte poco
felice. I primi lavori furono inizialmente rifiutati da svariate riviste. Gli ultimi furono pubblicati
dopo molte insistenze. Questa stessa conferenza popolare riuscì a farla tra molte difficoltà: gli
organizzatori avevano assegnato a Joule un tempo brevissimo e non era stato previsto il dibattito.
Ma un giovane partecipante alla riunione si interessò molto a quanto Joule diceva ed alla fine aprì
lui il dibattito. Parlò molto con Joule e rimase in contatto con lui fino alla morte di quest'ultimo. Si
trattava del giovane Kelvin che nel suo intervento, individuò un contrasto tra le cose dette da Joule
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e quelle elaborate dagli ingegneri francesi. Secondo Joule era possibile la trasformazione di lavoro
in calore e viceversa, secondo gli ingegneri francesi non c'era viceversa. Stimolato da ciò, Kelvin
iniziò a lavorare in questo campo conseguendo risultati di enorme importanza.
(43) Anche questa memoria non venne accettata da Poggendorf per la pubblicazione. Essa vide la
luce sotto forma di opuscolo con l'aiuto e l'incitamento dati a Helmholtz dal suo discepolo Du BoysReymond e dal matematico Jacobi. Si osservi che anche Helmholtz usa la parola forza (kraft) come
sinonimo di energia.
(44) Bibl. [1], pag. 167. Per leggere l'intera memoria e per conoscere meglio Helmholtz si può
vedere bibl. [17].
(45) Ibidem, pag. 170.
(46) Non c'è priorità tra Mayer, Joule e Helmholtz: la conservazione dell'energia è un esempio di
scoperta simultanea. Sembra certo che né Joule, né Helmholtz conoscessero i lavori di Mayer,
almeno fino al 1847. È comunque da notare che Helmholtz, dopo essere venuto a conoscenza del
lavoro di Mayer riconobbe subito la priorità temporale di Mayer (il quale ultimo, nel frattempo
era finito in manicomio a seguito dell'enorme incomprensione dalla quale era circondato).
(47) Nel 1887, sette anni prima di morire, Helmholtz, influenzato soprattutto dagli sviluppi della
termodinamica, manifestò in un suo lavoro la sua insoddisfazione per il carattere di incompletezza
che presentava la meccanica classica.
(48) Bibl. [16], pag. 116.
(49) Bibl. [22], Vol 2°, pag. 517. Si osservi che nel 1855 Kelvin "propose un'altra scala assoluta sulla
quale gli incrementi dì temperatura uguali erano misurati come gli intervalli entro i quali una
macchina termica perfetta produceva la stessa quantità di lavoro, e mostrò che tale scala presentava
una stretta corrispondenza con la scala del termometro a gas" (ibidem, pagg. 517 - 518). Questa è la
scala assoluta da noi oggi usata. Si osservi anche che nel lavoro del 1848 Kelvin ancora credeva
impossibile la trasformazione di calore in lavoro (a quell' epoca e fino al 1851 egli era ancora
sostenitore della teoria del calorico).
(50) Il disaccordo in oggetto è discusso da Kelvin in una sua nota alle pagg. 136 - 137 di bibl. [16].
(51) Bibl. [16], nota di pag. 136. Il problema oggi è risolto così: quando non si hanno
trasformazioni termodinamiche (caso di conduzione di calore lungo una sbarra) il calore si
conserva; solo quando si ha a che fare con trasformazioni, alla 'scomparsa' di lavoro corrisponde
la 'comparsa' di calore e viceversa (con tutte le limitazioni imposte dal 2º principio).
(52) La nota in cui Kelvin tratta di questo contrasto conclude così: "In realtà ci si deve provare
nella ricerca della verifica dell'assioma di Carnot e di una spiegazione della difficoltà che abbiamo
preso in considerazione, oppure nella ricerca di una base completamente nuova per la Teoria del
Calore" (ibidem. pag. 137). Si noti quanto il problema fosse ritenuto cruciale.
(53) Bibl. [2], pag. 151. Tutte le citazioni di Clausius che seguiranno, senza riferimento
bibliografico, sono tratte da bibl. [21].
(54) Bibl. [4], pagg. 162-163.
(55) Bibl. [21], pag. 405.
(56) La prima parte dell'ipotesi di Carnot era che "alla produzione di lavoro corrisponde un
semplice passaggio di calore da un corpo caldo a un corpo freddo"; e questa prima parte veniva
completata da Carnot con la seguente seconda parte (che Clausius respinge): "finché la quantità di
calore non venga meno in tale passaggio".
(57) Bibl. [21], pag. 407.
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(58) II che vuol dire che per far funzionare una macchina frigorifera occorre fornire del lavoro
dall'esterno.
(59) Tra cui: "La teoria dinamica del calore..." (1851) e "Una tendenza universale della natura
verso la dissipazione dell'energia meccanica" (1852).
(60) Bibl. [16], pag. 191.
(61) Ibidem, pagg. 192-193. Si osservi che oggi questo enunciato di Kelvin si usa recitarlo cosi: è
impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire una data
quantità di calore da un'unica sorgente e trasformarla completamente in energia meccanica. Lo
stesso Kelvin osserva in una nota che se ciò fosse possibile avremmo a disposizione un'energia
infinita raffreddando di un poco, ad esempio, il mare o la Terra.
(62) Ibidem, pagg. 331-333.
(63) A proposito del clima politico della Germania occorre ricordare che esso è un Paese (fino al
1870) diviso in una miriade di piccoli Stati. La Prussia, il più industrializzato tra questi Stati, farà
da polo d' aggregazione. Della complicata storia della nascita dello Stato tedesco, elemento
importante fu la fondazione dell'Università di Berlino (1810). Questa Università, insieme
all'attività dei filosofi della natura fu alla base della rinascita culturale della Germania e della
successiva acquisizione da parte di questo Paese del primato scientifico su tutto il mondo. L'
eredità speculativa di Leibniz insieme a quanto di empirico e sperimentale introdussero i filosofi
della natura (tra cui Oken) fu uno stimolo alla creazione di scuole politecniche a imitazione di
quelle francesi. Ma qui, contrariamente a quanto accadeva in Gran Bretagna, non erano i privati a
gestire l'educazione e quindi l'industrializzazione, ma lo Stato. In questa dialettica tra Stato,
imprenditori privati, popolo, sviluppo industriale ed istruzione, via via si realizzò una maggiore
partecipazione della borghesia industriale alle scelte politiche del Paese e, conseguentemente, si
conquistarono importanti riforme costituzionali. Si diffonde nel Paese un generale riconoscimento
dell'utilità del progresso tecnico che, si ammette, non può più essere affidato ad artigiani, che
lavorano su basi esclusivamente empiriche, ma ha bisogno di essere sottoposto a trattamento
teorico per ricavare da esso il massimo possibile in un contesto più ampio ed organico. Ritornando
a Kelvin, osserva Maffioli, che le considerazioni del fisico britannico sulla dissipazione dell'energia
rispecchiano sia il dinamismo sia le segrete ansie ed inquietudini dell'epoca vittoriana e la stessa
ideologia ottimistica dell'industrialismo e del progresso. L'uso poi del termine dissipazione è
significativo: si "attribuisce una connotazione morale negativa ad un processo naturale!" (bibl. [2]).
(64) Che è l'inverso dell'equivalente meccanico della caloria.
(65) Oggi la chiamiamo energia interna.
(66) Si era osservato che "mentre la quantità di calore decresce durante il ciclo di operazioni della
macchina termica di Carnot, una quantità restava costante durante l'intero ciclo. La quantità di
calore prodotta era più piccola di quella assorbita dalla macchina, ma la quantità di calore assorbita,
divisa per la temperatura della fonte di calore, aveva quantitativamente lo stesso valore della quantità
di calore prodotta, divisa per la temperatura della caldaia". (bibl. [22], Vol. 2°, pag. 518). Nelle
macchine reali invece il quoziente ora visto cresce sempre.
(67) Bibl. [4]. pag. 230.
(68) Ibidem, pagg. 230-231.
(69) Nel caso di passaggio di calore da un corpo caldo a uno freddo T1 è la temperatura del corpo
caldo e T2 quella del corpo freddo, quindi T1 > T2. E se T1 > T2 segue che 1/T2 > 1/T1 da cui 1/T2 1/T1 > 0.
(70) Nella memoria del 1865 Clausius modificò la convenzione sui segni scrivendo che l'integrale di
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dQ/T doveva essere minore o uguale a zero.
(71) Ibidem, pag. 243
(72) Ibidem, pagg. 244-245.
(73) C'è solo una differenza di 'gusto' nelle definizioni. Si veda la nota 63.
(74) Secondo questo modo di vedere si tende a uno stato in cui l'enorme quantità di energia
dell'universo rimane sempre la stessa, ma essa diventa una energia ad un solo valore determinato
di temperatura (anche elevatissimo, ma unico) e quindi non più utilizzabile per produrre lavoro
meccanico (morte calda dell'universo). Si osservi che le stesse considerazioni erano state sviluppate
da Helmholtz in una conferenza del 1854.
(75) Ibidem, pag. 235.
(76) Ibidem, pag. 234.
(77) Bibl. [19], pag. 234
(78) Ostwald (1853-1932) in un suo lavoro del 1927 scrive: "in tutte le equazioni della meccanica il
tempo t compare solo al quadrato e perciò esse restano corrette sia che il tempo sia introdotto come
positivo che come negativo, .... Perciò qualunque processo descritto da queste equazioni può procedere
tanto in una direzione quanto in quella inversa". (Bibl. [13], pag. 188).
(79) Bibl. [20], pag. 40.
(80) In bibl. [4], pagg. 163-164, è riportato il conto fatto da Joule.
(81) Si osservi che il lavoro di Clausius del 1865, che abbiamo visto qualche pagina indietro e nel
quale si accennava a un'interpretazione microscopica dell'entropia, era certamente influenzato da
questo suo precedente lavoro.
(82) Leggi: Energia cinetica.
(83) Questa legge la conosciamo comunemente come 2ª legge di Volta e Gay-Lussac.
(84) Il ragionamento fatto da Clausius può essere riassunto a partire dall'equazione dei gas
perfetti, nel modo seguente. Indicando con P la pressione, con V il volume, con T la temperatura
assoluta, con E l'energia cinetica delle molecole, con K, K1, K2 tre costanti, il primo capoverso di
Clausius si può scrivere:
P = K1 · (E/V)
mentre il secondo capoverso, a partire dalla legge dei gas perfetti, diventa:
P = K2 . (T/V).
Confrontando le due relazioni scritte si vede subito che:
T=K·E
e cioè che la temperatura assoluta è proporzionale all'energia cinetica delle molecole.
(85) È il concetto di calore specifico a volume costante (Cv), cioè la variazione dell'energia interna
del gas che è ora la somma delle energie cinetiche delle molecole. Si osservi che si va facendo strada
il concetto di calore come energia cinetica delle molecole che via via andrà a formalizzarsi.
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(86) Bibl. [20], pagg. 134-135. Il punto 1 può anche essere letto così: le molecole non sono soggette
ad altre forze che quelle che si scambiano durante gli urti. Il punto 2 invece si può leggere: gli urti
sono completamente elastici.
(87) II procedimento originale lo si può ritrovare in bibl. [4], pagg. 171-177.
(88) Bibl. [4], pag. 176. (Dalla 'Introduzione all'articolo di Clausius del quale ora parleremo).
(89) Ibidem, pagg. 188-189.
(90) Ibidem, pag. 121.
(91) Ibidem. pag. 225.
(92) Ibidem, pag. 227.
(93) La legge di Dulong e Petit, enunciata nel 1819, afferma che i prodotti dei calori specifici per i
pesi atomici sono uguali per tutti gli elementi chimici, il che vuol dire che i calori specifici
dovrebbero diminuire all'aumentare del peso atomico, ma alcune sostanze non rispettano questa
legge.
(94) L'equazione di stato per i gas perfetti (Clapeyron. 1834) fu corretta per i gas reali dal fisico
olandese J.D. Van der Waals (1837-1923) nel 1873 sulla base delle ipotesi cinetico-molecolari (i gas
reali hanno un volume proprio e le molecole di questi gas esercitano delle forze le une sulle altre).
(95) II fisico austriaco J. Loschmidt nel 1865 calcolò in 9.10-8 cm il diametro di una molecola d'aria
(valore oggi accettato 2,5.10-8 cm); per il numero di molecole in un centimetro cubo di gas in
condizioni normali egli trovò 10.1019 (valore oggi accettalo 2.7.1019), per il numero di molecole in
una grammomoiecoìa (numero di Avogadro) egli trovò il valore, in buon accordo con quello oggi
accettato, di 6,06.1023.
(96) Si ricordi che il primo a liquefare un gas (il cloro) agendo contemporaneamente su pressione e
volume, fu Faraday nel 1823. Altri gas furono successivamente liquefatti, ma alcuni resistevano
anche alle basse temperature allora raggiungibili ( - 110 ºC) e alle pressioni che via via venivano
aumentate. Fu l'introduzione del concetto di temperatura critica (temperatura al di sopra della
quale il gas non può essere liquefatto comunque si aumenti la pressione) ad opera di Andrews
(1813-1885) nel 1867 che permise di proseguire nell'impresa, che si concluse con la liquefazione
dell'elio nel 1908, lavorando sulla sola temperatura. Anche la temperatura critica può essere
considerata un fecondo sviluppo della teoria cinetica.
(97) Il moto browniano fu scoperto nel 1827 dal botanico britannico R. Brown (1773-1858). Esso
consiste nella (percettibile macroscopicamente) agitazione delle particelle in sospensione in un
liquido. Esse si vedono al microscopio tremolare in continuazione ed in modo disordinato; il
fenomeno si mantiene variando comunque le condizioni ambientali. Le prime spiegazioni di questo
fenomeno, in base alla teoria cinetica, furono date dal matematico tedesco C. Wiener (1826-1896)
nel 1863 e dal chimico britannico W. Ramsay (1852-1916) nel 1866. Secondo i due il moto
browniano si origina attraverso i continui e numerosi urti che le molecole in moto del liquido
comunicano alle particelle in sospensione. Quando queste ultime sono grandi il fenomeno non si
osserva perché vi è una compensazione tra gli urti delle molecole che in gran numero colpiscono
una grande particella; quando le particelle sono sufficientemente piccole non c'è più la
compensazione e quindi compare il fenomeno. La spiegazione esauriente del moto browniano sarà
data nel 1905 da A. Einstein (1879-1955).
(98) Bibl. [13], pag. 29.
(99) Ibidem, pagg. 43-44. Si noti quale ruolo importante assegna Boltzmann al calcolo delle
probabilità e come via via vada scomparendo una visione deterministica del mondo.
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(100) Com'è noto, le variabili macroscopiche che caratterizzano un gas sono la pressione P, il
volume V e la temperatura T.
(101) Ibidem, pag. 45. Si osservi che, in accordo con le convenzioni da me adottate a partire dal
segno del 2° principio della termodinamica (nell'enunciazione di Clausius), nel brano di Boltzmann
riportato ho mutato la parola originale 'diminuire' in 'aumentare'.
(102) Ibidem. Vale l'osservazione fatta nella nota precedente.
(103) Si osservi che, sulla base di obiezioni analoghe, molti fisici concludevano che la teoria cinetica
doveva essere falsa. Si noti poi che il problema della reversibilità nella 'dinamica astratta' e nella
'dinamica fisica' viene posto da Kelvin nel 1874 in un articolo su 'Nature', "La teoria cinetica della
dissipazione dell'energia". Si veda in proposito il brano riportato in bibl. [4], pagg. 261-263.
(104) Ibidem, pag. 172. Si osservi che qualche obiezione può essere fatta al 'diavoletto'; infatti il suo
agire altera le condizioni di probabilità. Si noti ancora che la posizione di Maxwell sull'affidabilità
del calcolo delle probabilità è diversa da quella di Boltzmann, già accennata in nota 99. Si osservi
infine che il 'diavoletto' trae senz'altro ispirazione dalla 'intelligenza' di cui parlava Laplace.
(105) Per la prima volta nella storia della fisica si intravede una diversità di comportamento tra
processi macroscopici e microscopici. Qualcuno ha osservato che, nel campo della storia civile, vi
sono leggi che regolano i rapporti tra gli uomini, ma nessuno si sognerebbe di utilizzare tali leggi
per regolare i rapporti familiari.
(106) Ibidem, pag. 173. Si noti che una obiezione analoga a quella di Loschmidt fu avanzata
successivamente dal matematico tedesco E. Zermelo (1871-1953), amico di Planck (1858-1947).
(107) Gli stati di cui parla Boltzmann sono quelli precedentemente chiamati stati dinamici
microscopici. Uno stato dinamico microscopico è non uniforme quando rappresenta uno stato
termodinamico macroscopico lontano dall'equilibrio, è invece uniforme quando rappresenta uno
stato termodinamico macroscopico all'equilibrio.
(108) Ibidem, pagg. 175-176.
(109) Bibl. [23], Vol. 5º, pag. 219.
(110) Bibl. [13], pag. 177.
(111) Ripresa da bibl. [18], Vol. 2º, pag. 53. Riporto lo scritto che, in tale testo, accompagna e
spiega la tabella:
Entropia e disordine molecolare
Non abbiamo finora fatto alcun riferimento alla struttura molecolare dei corpi nello
stabilire il secondo principio della termodinamica e nel dedurre le conseguenze. È
tuttavia da aspettarsi che l'evoluzione di un sistema isolato verso lo stato di equilibrio,
evoluzione che abbiamo visto essere determinata dalla differenza di entropia fra lo stato
iniziale e quello finale, dipenda in modo essenziale dalla distribuzione delle molecole nei
due stati. È appunto questa connessione che vogliamo brevemente discutere.
Riprendiamo l'esempio di un gas che si espande senza lavoro esterno da un volume VA a
un volume VA+VB, essendo VB il volume del recipiente B inizialmente vuoto che viene
messo successivamente in comunicazione con il recipiente A. Per semplicità
supponiamo VA=VB in modo che l'equilibrio si abbia quando il numero di particelle in
A e B è uguale. Invece di studiare il caso reale prendiamo in esame il caso ipotetico in
cui la quantità di gas che si espande sia così piccola da esser formata da pochissime
molecole. Cominciamo con due sole molecole, a e b. Se lo stato iniziale è dato da
ambedue le molecole in A, nello stato finale in cui il gas ha la stessa «densità» sia in A
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che in B si trovano una molecola in A e una in B. Ciò può accadere in due modi: a in A
e b in B, oppure a in B e b in A. Dal punto di vista macroscopico questi due modi sono
equivalenti: danno sempre il risultato di equilibrio. Perciò diciamo che lo stato di ugual
densità in A e in B è due volte più probabile dello stato con tutte e due le molecole in A.
È come se si avesse un dado da gioco con due facce di un colore (rosso) e quattro di un
altro (nero): gettando il dado la probabilità di ottenere una faccia nera è doppia di
quella di ottenerne una rossa perché il numero di modi di ottenere il nero è doppio del
numero di modi di ottenere il rosso. È facile rendersi conto che la probabilità di uguale
densità nei due recipienti A e B cresce enormemente al crescere del numero di particelle
rispetto a quella di avere tutte le molecole in A. Se sono quattro a, b, c, d, il conto si fa
ancora rapidamente. Lo stato di uguale densità si realizza nei sei modi indicati nella
figura 21.
La probabilità dello stato di ugual densità è dunque sei volte maggiore di quello con
tutte e quattro le molecole in A. Nella tabella scritta sopra si riportano le probabilità dei
due stati per qualche altro numero di molecole abbastanza piccolo. Poiché esiste un
numerò enorme di modi di distribuire N particelle (dove N è il numero di Avogadro) in
modo che metà si trovino in A e metà in B, ma un solo modo di trovarle tutte in A,
diventa chiaro cosa vuol dire che una trasformazione è irreversibile: significa che essa
procede da uno stato meno probabile a uno stato molto più probabile.
(112) Si osservi che questa relazione è di estrema importanza perché , tra l'altro, permette di
calcolare il valore assoluto dell'entropia di uno stato. L'espressione integrale introdotta da
Clausius ci permetteva invece di ricavare solo differenze di entropia. Nella relazione in oggetto, P
deve essere inteso come il numero degli stati dinamici microscopici che fornisce lo stesso stato
termodinamico macroscopico; infatti maggiore è il numero degli stati dinamici microscopici che
realizzano uno stesso stato termodinamico macroscopico, maggiore è la probabilità di quest'ultimo.
Per sua definizione la probabilità termodinamica prende in considerazione solo i casi favorevoli, al
contrario della probabilità matematica che considera i casi favorevoli rapportati a quelli possibili.
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