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FISICA/MENTE FISICA/ MENTE LA RELATIVITÀ DA NEWTON AD EINSTEIN L'intera opera è stata pubblicata dall'AIF di Roma nel 1983. (ricerca storico critica) Il problema dello spazio, del tempo e del moto dall'affermazione alla crisi del meccanicismo, attraverso l'elettromagnetismo, l'ottica e l'elettrodinamica dei corpi in movimento, fino alla teoria della relatività ristretta. Roberto Renzetti "Amo e rispetto i grandi quando lo sono di per sé" Voltaire "Niente è così utile come la critica aperta e libera, e lo studioso della scienza realmente serio e disinteressato sempre la riceve con piacere" O. Heaviside A Vittoria, Barbara, Francesca e Alexander INTRODUZIONE file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (1 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Introdurre un lavoro come questo che mi è costato lunghe e piacevoli fatiche e mi ha insegnato tante cose è difficile per la varietà e complessità degli argomenti che vi sono trattati. Poiché l'intero impianto del libro è finalizzato alla ricostruzione storico-critica del lavoro di Einstein del 1905, "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento", ancora Einstein può aiutarmi in questa introduzione. Userò alcune frasi della Prefazione alla sua "Relatività, esposizione divulgativa" che meglio di tutte rendono il mio pensiero. "L'opera presuppone nel lettore un livello di cultura che corrisponde, pressappoco, a quello dell'esame di maturità e richiede ... una buona dose di pazienza e di buona volontà. L'autore ha compiuto ogni sforzo nel tentativo di esporre le idee basilari nella forma più chiara e più semplice possibile, presentandole, nel complesso, in quell'ordine ed in quella connessione in cui si sono effettivamente formate. Per raggiungere la massima chiarezza mi è parso inevitabile ripetermi di frequente, senza avere la minima cura per 1'eleganza della esposizione". Sono cosciente dei molti limiti, improprietà ed inesattezze; accetterò con grandissimo piacere ogni critica, suggerimento, correzione e cercherò di correggere il testo laddove me ne sia data la possibilità. Vorrei da ultimo ancora avvertire il lettore che questo lavoro è molto articolato ed a volte sembra perdere di mira il fine annunciato. Anche qui occorrerà un poco di pazienza e, mi sembra, presto ci si renderà conto che tutto alla fine tornerà nel bilancio. Barcellona, marzo 1983 Roberto Renzetti AVVERTENZA Prima di affrontare le cose qui scritte è consigliabile leggersi Lo spazio, il tempo ed il moto da Aristotele a Newton. CAPITOLO 0 0 - UN CENNO A DESCARTES ED A HUYGENS DESCARTES (1596 - 1650). Con il progressivo smantellamento dell'aristotelismo, soprattutto a seguito delle importanti scoperte nel campo dell'astronomia, della matematica, dell'anatomia e della meccanica, si sentiva l'esigenza di ricostruire un substrato concettuale, di riferimento, a tutto quanto di nuovo si veniva affermando. II programma cartesiano per molti versi cercò file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (2 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE di rispondere a questa esigenza. La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed il principio d'inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; "Dio è immutabile e, agendo sempre allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto"). In modo induttivo Descartes aggiunse via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che le variazioni sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti innumerevoli; sono proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse azioni meccaniche tra i corpi. Conseguenza di ciò è 1'impossibilità di azione a distanza: ogni azione di un corpo su di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi impossibile l'esistenza di vuoto (e quindi di atomi). Nell'universo cartesiano c'è il tutto pieno eternamente in moto: un primo corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne spinge un terzo e cosi via finché l'ultimo corpuscolo spinto va a spingere il primo che avevamo preso in considerazione. He consegue una struttura a vortici ohe è alla base dell'intero universo. Ed anche laddove non vi è materia sensibile vi è 1'etere, elemento sottile ohe riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente mescolato con tutte le sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in circolazione i pianeti intorno al Sole. I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. II vuoto è inammissibile principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla esistente. Lo spazio per conseguenza non può essere un'entità distinta dalla materia ohe lo riempie. Spazio e materia non sono altro che la medesima cosa. HUYGENS (1629-1695). L'opera di Huygens è sempre stata sottovalutata o comunque non posta ai livelli che gli competono. Al fine di costruire una linearità di pensiero tra Galileo e Newton questa impresa di costruzione di una meccanica 'esterna' alla tradizione strettamente meccanicistica è stata spesso accantonata. I contributi fondamentali di Huygens furono in Ottica e, appunto, in Meccanica. Mentre dei lavori di Ottica ci occuperemo brevemente nel paragrafo 6 del cap. IIIº, ora accenneremo ai suoi contributi nel campo della Meccanica. In vari lavori che si succedettero dal 1673 fino alla scomparsa del nostro, Huygens si occupò del centro di oscillazione del pendolo composto (iniziando alla dinamica dei corpi rigidi ed ai problemi a molti corpi), di problemi d'urto (quantità di moto e sua conservazione), di forze centrifughe. Nel far questo egli individuò una grandezza, di grande importanza per gli sviluppi della meccanica (razionale) nel '700, il 'momento di inerzia' di forze e, fatto ancora più importante, anche se in un caso particolare, affermò la conservazione dell'energia meccanica. Ma il contributo più interessante fu la revisione del concetto di spazio che viene facendosi strada nell'intera sua opera (anche quella ottica). Con Huygens arriva a compimento l'impresa, iniziata da Galileo, di matematizzazione dello spazio fisico. Non più uno spazio geometrico da una parte contrapposto ad uno spazio fisico in cui avvengono i fenomeni naturali, ma completa identificazione tra i due. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (3 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Si trattava di intendere i fenomeni naturali come svolgentisi in uno spazio infinito ed omogeneo che era proprio della geometria Huygens comunque non rimane soddisfatto dal modo in cui all'epoca venne risolta la questione del moto. Il 'principio di relatività' poneva il problema di capire qual era lo spazio 'realmente' percorso da un oggetto in moto. Se il moto è infatti relativo ad un dato sistema di riferimento e se i vari riferimenti possono essere in moto gli uni rispetto agli altri, come è possibile stabilire lo spazio percorso da un determinato oggetto? Si pone quindi la questione di un riferimento assoluto che venne individuato in uno spazio infinito ed immobile (spazio geometrico invadente di sé l'intero universo). Ma Huygens è restìo ad ammettere spazi, siano essi mobili od immobili: com'è infatti possibile in uno spazio qualunque, con la caratteristica di essere infinito ed omogeneo, distinguere luogo da luogo e quindi poter parlare di movimento? Secondo Huygens se è impossibile determinare un sistema di riferimento assoluto è altrettanto impossibile parlare di quiete o di moto assoluti. Ha senso parlare di moto solo dando un riferimento rispetto al quale considerarlo e non esiste alcun riferimento che abbia caratteristiche di privilegio rispetto a tutti gli altri. CAPITOLO I 1 - GLI ASPETTI SALIENTI DELLA MECCANICA DI NEWTON Alla fine del XVII secolo, sull'onda dei lavori di Galileo, una gran messe di risultati sperimentali e teorici, nel campo della filosofia naturale, era stata raccolta. Ma, intanto, per le note vicende che riguardarono lo stesso Galileo, l'asse della ricerca fisica si era spostato verso il Nord dell'Europa: in Francia (con qualche difficoltà), in Olanda, in Prussia (ed altri stati tedeschi), in Gran Bretagna. In quest'ultimo Paese, con i lavori di Newton, si realizzò la sintesi di quel filone di pensiero che, almeno da Copernico, prendeva le mosse. Tutte le innovazioni, le ricerche e le scoperte, in tutti i campi della ricerca fisica, che in molti anni si erano andate accumulando, in modo molto spesso frammentario e confuso, trovarono in Newton una mirabile sistemazione. E non solo: egli dette anche innumerevoli contributi all'analisi, all'astronomia, all'ottica, alla meccanica, ... , che, oltre ad essere del tutto originali, risultarono anche fondamentali per lo sviluppo delle ricerche negli anni successivi. Per molti versi, quindi, Newton rappresenta, appunto, l'apice di un determinato periodo storico, ma, per molti altri, egli va considerato come il capostipite di una nuova era, nella quale la scienza classica arrivò a maturazione, cominciando ad esistere indipendentemente da ipoteche teologico-metafisiche e ad esercitare un'enorme influenza nei più' svariati campi dell'attività' umana. Ma non basta. Newton intraprese anche una grossa, battaglia, qualche volta contraddittoria, contro tutti quei filoni di pensiero che avevano una precostituita concezione del mondo, base di riferimento indipendente da ogni indagine scientifica. Egli si batté contro ogni costrizione che volesse bloccare lo sviluppo razionale dell'indagine e del pensiero scientifico, per la libera espressione di ogni attività umana (certamente in questo avvantaggiato dal clima economico-politico-culturale dell'Inghilterra del XVII secolo). Le opere fondamentali di Newton sono: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (4 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE 1) "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica" , la cui prima edizione è del 1687 (e successive edizioni nel 1713 e 1726); 2) "Optics" , la cui prima edizione è del 1704. Noi ci occuperemo principalmente della prima rimandando, per alcuni aspetti della seconda, al paragrafo 6 del capitolo IIIº. Galileo ed Huygens avevano sviluppato una meccanica dei corpi sulla superficie della Terra; 1'opera di Newton se ne differenzia per la generalizzazione del principio d'inerzia, per l'introduzione del concetto di forza attraverso una definizione, alquanto discutibile, del concetto di massa e per l'estensione della validità delle leggi meccaniche a tutto l'universo. Questa ultima estensione è giustificata da Newton con alcuni principi ('Regulae philosophandi') che, secondo il nostro, debbono essere di fondamento alla ricerca scientifica: I) "Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni" (una specie di principio di semplicità e di economia, di pensiero). II) "Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere" ( ad esempio: luce del fuoco e luce del Sole debbono agire allo stesso modo). III) "Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi" (principio di induzione. Ad esempio: i corpi gravitano verso la Terra, il mare gravita verso la Luna, i pianeti gravitano verso il Sole -> tutti i corpi gravitano l'un l'altro). IV) "Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni". Come si può vedere, si tratta di una sorta di breviario del metodo scientifico utilizzato da Newton, cui fa da complemento il ruolo che viene assegnato alle "ipotesi". A questo proposito dice Newton: "In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi (Hipotheses non fingo). Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi e ne11a filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione". E Newton certamente non cercò spiegazioni della gravità, ma nel contempo (come vedremo) si servì di ipotesi, ad esempio, per la definizione dello spazio, del tempo e del moto e per la spiegazione dei fenomeni luminosi. Questa apparente contraddizione si risolve cercando di dare un senso più preciso al concetto di ipotesi, almeno nel significato che pare gli abbia voluto attribuire Newton. Egli rifiuta ogni ipotesi che sia fine a se stessa file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (5 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE e che serva soltanto a dare una spiegazione formale al fenomeno oggetto di studio. Al contrario egli usa ipotesi ogni volta che esse manifestino la loro fecondità per comprendere, interpretare, studiare altri fenomeni come punto di partenza, quindi, ed eventualmente da rimettere in discussione quando la strada aperta da quelle ipotesi dimostri la sterilità della stessa. Con questo quadro di riferimento generale, Newton iniziò i suoi lavori di meccanica a partire dalla definizione di massa [sulle orme di quanto già fatto da G.B. Baliani (l638), allievo e amico di Galileo, il quale aveva nettamente distinto la massa dal peso ed aveva stabilito una proporzionalità tra i due]. Secondo Newton: "La quantità di materia è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il volume". A questa quantità si può dare il nome di massa. Come si può subito osservare è una definizione circolare che non definisce nulla. Infatti: cos'è la densità ? Una stessa definizione non può valere contemporaneamente per due grandezze. Servono definizioni indipendenti. E questo sarà uno degli aspetti sul quale si appunterà la critica di Mach, come vedremo nel paragrafo 6 del capitolo IV°. In ogni caso Newton utilizzò sempre in modo corretto (in senso moderno) questo concetto. Definita la massa il nostro passò a definire la quantità di moto e quindi ad enunciare il principio d'inerzia nella sua forma dinamica (con l'introduzione della forza in questo principio si passa dalle formulazioni cinematiche di Galileo e Descartes a quella dinamica): "La forza insita (vis insita) della materia è la sua disposizione a resister per cui ciascun corpo, per quanto sta in esso, persevera, nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme." Questa 'vis insita' non differisce dall'inerzia della massa per cui forza insita può essere chiamata anche forza d'inerzia. Riguardo poi alla forza come causa del moto, Newton ci dà la seguente definizione: " Una forza impressa (vis impressa) è un'azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme". Le successive definizioni, dalla quinta all'ottava si occupano della forza centripeta. Sono queste, per Newton, definizioni necessarie perché nuove. E, sempre secondo Newton, non è altrettanto necessario definire tempo, spazio, luogo e moto "in quanto notissimi a tutti" ma, poiché sussistono "vari pregiudizi", "conviene distinguere le medesime quantità in assolute e relative, vere ed apparenti, matematiche e volgari". E da queste "distinzioni" nascerà un quadro di riferimento per la fisica (spazio, tempo e moto assoluti) che, se da una parte resisterà per 200 anni, dall'altra fornirà grossi elementi di critica nei riguardi della fisica newtoniana. E queste sono le "distinzioni" di Newton: "I) Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (6 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l'ora, il giorno, il mese, l'anno. II) Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo spazio relativo è una dimensione mobile o misura dello spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; ... III) II luogo è quella parte dello spazio occupata dal corpo, e, a seconda dello spazio cui si riferisce, può essere assoluto o relativo. ... IV) II moto assoluto è la traslazione di un corpo da un luogo assoluto in un luogo assoluto, il relativo da un luogo relativo in un luogo relativo..." Oltre a ciò Newton aggiunge alcune importanti considerazioni: " È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati o ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica, è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati; per cui, a buon diritto, questa durata viene distinta dalle sue misure sensibili." E fin qui per quel che riguarda il tempo assoluto. Riguardo al moto ed alla quiete, invece: " Vero è che, in quanto le parti dello spazio non possono essere viste e distinte tra loro mediante i nostri sensi, usiamo in loro vece le loro misure sensibili. Definiamo, infatti, tutti i luoghi dalle distanze e dalle posizioni delle cose rispetto ad un qualche corpo, che assumiamo come immobile; ed in seguito, con riferimento ai luoghi predetti, valutiamo tutti i moti, in quanto consideriamo i corpi come trasferiti da quei medesimi luoghi in altri. Cosi, invece dei luoghi e dei moti assoluti usiamo i relativi; né ciò riesce scomodo nelle cose umane: ma nella filosofia occorre astrarre dai sensi. Potrebbe anche darsi che non vi sia alcun corpo al quale possano venir riferiti sia i luoghi che i moti. La quiete ed il moto, assoluti e relativi, si distinguono gli uni dagli altri mediante le loro proprietà, le cause e gli effetti. La proprietà della quiete è che i corpi veramente in quiete giacciano in quiete fra loro. Di modo che, per quanto sia possibile che un qualche corpo, nelle regioni delle stelle fisse, o anche più lontano, sia in quiete assoluta, tuttavia, dalla posizione fra loro dei corpi nelle nostre regioni, non si può sapere se qualcuno di questi conserva o no una data posizione rispetto a quel corpo tanto lontano, né si può stabilire la vera quiete dalla posizione dei corpi fra loro". La prima cosa da sottolineare è ciò che Newton dice nelle prime righe, cioè che nel passato si è incorsi in molti errori proprio per voler considerare lo spazio, il tempo ed il luogo riferiti a cose sensibili (lo spazio come quell'entità compresa da una determinata sfera, il tempo come qualcosa legato al giorno ed alla notte e comunque a vari fenomeni periodici, il luogo come una nozione da riferire a particolari caratteristiche fisiche che differiscono appunto da quelle di un altro luogo). Con ciò Newton assegna una validità autonoma ai singoli concetti testè citati e, ad esempio, dà vita propria al tempo assoluto non legandolo, come era stato fatto nel passato, al movimento (ricordiamo che secondo Aristotele il tempo si desume dal movimento). Quello che invece noi percepiamo è il tempo relativo,che ha attinenza con fenomeni, per i file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (7 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE quali è possibile misurare una durata. Anche per quel che riguarda lo spazio la situazione è analoga: noi percepiamo solo quello spazio che è oggetto di misure sensibili (spazio relativo) ma non riusciamo a renderci conto dello spazio assoluto proprio perché esso, essendo omogeneo ed indifferenziato, non presenta, ad esempio, dei riferimenti dai quali partire per misurarlo. Definiti così spazio e tempo, discende facilmente la distinzione esistente tra moto assoluto e moto relativo, il primo essendo la traslazione di un corpo da luogo assoluto a luogo assoluto, il secondo da luogo relativo a luogo relativo. C'è subito da osservare: come mai Newton non sceglie il cielo delle stelle fisse come riferimento assoluto, e si imbarca invece in un'impresa che sarà poi oggetto di aspre critiche? Egli era cosciente del fatto che ogni cosa che dovesse avere caratteristiche di assolutezza, non doveva essere relazionata a cose sensibili ed anche se le stelle fisse avevano fino ad allora dato grosse garanzie Newton temeva che in futuro non fossero più in grado di darle (come del resto è poi accaduto. Nel 1718 Halley provò che le stelle 'fisse' sono dotate di un moto proprio ma solo dopo la morte dello stesso Newton il fatto fu comunemente accettato). Newton in definitiva attrezza un possente apparato che ha lo scopo di rispondere ad ogni obiezione che sorge quando si introducono principio di relatività e principio d'inerzia (o 1ª legge del moto). Il principio di relatività di Bruno-Galileo è da Newton così enunciato: "I moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che quello spazio giaccia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto circolare" e non si fa alcuna menzione di quell'equivalenza di tutti i sistemi inerziali che si muovono di moto uniforme (e rettilineo) gli uni rispetto agli altri. Per la 1ª legge del moto Newton fornisce invece questa definizione (1'): "Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse". Ebbene, in ambedue questi principi si ha a che fare con quiete e moto. Ma quiete e moto rispetto a che ? Infatti, se si studia la posizione ed il moto di un dato oggetto in un dato riferimento, nessuno ci garantisce che questo riferimento sia in quiete od in moto rettilineo uniforme (principio di relatività). D'altra parte , come si può parlare, nel principio d'inerzia, di quiete o di moto rettilineo uniforme se questo moto rettilineo può essere percepito come svolgentesi su una linea curva da un osservatore che si trova su un altro riferimento ? Poiché un moto che noi percepiamo come rettilineo può essere percepito in altro modo da un altro osservatore è allora indispensabile, per la validità del principio d'inerzia, specificare rispetto a quale riferimento il moto deve essere rettilineo. Chiunque dirà, a questo punto, che ciò è ovvio perché la Terra non è un sistema inerziale. E noi non ce ne accorgiamo poiché le durate e quindi le traiettorie in gioco nei nostri esperimenti sono piccole rispetto alle dimensioni dell'orbita della Terra intorno al Sole. Allo stesso modo, chi ci garantisce l'«inerzialità» di ogni altro sistema se la leghiamo solo alla nostra osservazione che, come abbiamo visto, può risultare poco accurata ? file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (8 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Inoltre, chi garantisce quella uniformità del moto, annunciata nel principio d'inerzia, se non abbiamo un criterio assoluto per valutare il modo con cui 'passa' il tempo? Sembra indispensabile tutto ciò per dare una validità non precaria ad ogni formulazione fisica. E queste cose dovevano essere ben presenti a Newton quando egli richiedeva un riferimento assoluto per la validità della legge d'inerzia, allo stesso modo in cui non accetta quello delle stelle fisse. Ed il riferimento assoluto di Newton diventa il suo spazio assoluto che tra 1'altro risulta indispensabile per la definizione di uno stato di quiete. Questo spazio assoluto, in accordo con la concezione che Newton ha della matematica, ed in particolare della geometria, non può essere altro che l'estrapolazione di quella retta che si ottiene dalla traiettoria di un oggetto in moto uniforme ed, appunto, rettilineo. E l'estrapolazione allo spazio della retta in oggetto non è altro che lo spazio euclideo che, nella legge d'inerzia come formulata da Newton, può per la prima volta uscire dall'angusta condizione terrestre e diventare lo spazio assoluto (laddove, in Galileo, non c'era identità tra spazio geometrico e spazio fisico o meglio, tra spazio euclideo e spazio fisico). La stessa cosa vale per il tempo poiché anche qui è in gioco un aspetto del principio d'inerzia. Se infatti le misurazioni sensibili che noi facciamo del tempo sono legati a moti non perfettamente regolari, chi ci garantisce l'uniformità del moto ? Tornando poi allo spazio assoluto, un'altra questione che si pone è se esiste o meno la possibilità di distinguerlo da un qualunque altro sistema inerziale. Nel terzo libro dei Principia, Newton afferma: "Il centro del sistema del mondo è in quiete. Questo è accordato da tutti, sebbene alcuni discutano sul fatto se nel centro del sistema siano in quiete la Terra o il Sole" La conseguenza che Newton ne trae è che: "Il comune centro di gravità della Terra e del Sole e di tutti i pianeti è in quiete. Infatti il centro ... o è in quiete o si muove uniformemente in linea, retta. Ma se quel centro si muove sempre, anche il centro del mondo si muoverà contro 1'ipotesi" Ed è così che Newton assegna una caratteristica particolare a questo spazio assoluto distinguendolo dagli altri sistemi inerziali anche se è impossibile pensare ad una qualche esperienza che accerti la pretesa immobilità del centro del mondo. Ma c'è un'altra argomentazione alla quale Newton fece riferimento per affermare lo spazio assoluto: la possibilità di individuare un moto assoluto avrebbe stabilito in modo incontrovertibile 1'esistenza dello spazio assoluto. Ed egli credette di riuscire in ciò pensando che fossero le forze centrifughe quelle che ci permettono di determinare un moto assoluto. Il famoso argomento della "secchia" è così introdotto da Newton: " Se si fa girare su se stesso un vaso appeso ad una corda, fino a che la corda a forza di essere girata non si possa quasi più piegare, e si mette poi in questo vaso dell'acqua e, dopo aver permesso all'acqua e al vaso di acquistare lo stato di riposo, si lascia che la corda si srotoli, il vaso acquisterà un moto che durerà molto a lungo; all'inizio la superficie de11'acqua contenuta nel vaso resterà piana, come era prima che la corda si srotolasse, ma in seguito, il moto del vaso comunicandosi poco a poco nell'acqua contenuta, quest'acqua file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (9 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE comincerà a girare, a elevarsi verso i bordi ed a diventare concava, come ho esperimentato; quindi con l'aumentare del moto il livello dell'acqua crescerà sempre più fino a che, concludendosi le sue rivoluzioni, in tempi uguali ai tempi impiegati dal vaso per fare un giro completo, l'acqua sarà in riposo relativo rispetto al vaso." Schematizziamo l'esperimento di Newton in tre fasi successive e quindi vediamo le conclusioni che egli ne trae (vedi Figura 0): Figura 0 in (a) prima fase: quella iniziale, il secchio gira su se stesso mentre l'acqua è ferma presentando una superficie piana; in (b) seconda fase: quella intermedia, il secchio gira su se stesso ed anche l'acqua gira dentro il secchio presentando una superficie concava (paraboloide); in (c) terza fase: quella finale, il secchio è fermo mentre 1'acqua gira ancora al suo interno presentando una superficie concava (paraboloide). Confrontando tra di loro la fase iniziale (a) e quella finale (c) si può osservare che il moto relativo del secchio e dell'acqua è rimasto immutato mentre ciò che è variato è, secondo Newton, il moto "vero" dell'acqua. Confrontando invece la fase (b) con la (c), si può vedere che il moto relativo del secchio e dell'acqua è mutato mentre ciò che rimane inalterato è, secondo Newton, il moto 'vero' dell'acqua rilevato appunto dalla curvatura della superficie dell'acqua. In definitiva il confronto tra (a) e (c) ci permette di dire che il moto rotatorio non è puramente relativo poiché insorge in (c) un effetto (la curvatura dell'acqua) non presente in (a). Questo ragionamento è fortificato dal fatto che l'effetto di curvatura dell'acqua non è da ascriversi al moto relativo poiché dal confronto tra (b) e (c) si vede che questa curvatura rimane anche quando c'è una variazione del moto relativo. In conclusione la curvatura dell'acqua, dovuta all'esistenza di forze impresse (centrifughe), ci dice, secondo Newton, che questo moto dell'acqua è un moto assoluto e questo moto è assoluto in riferimento ad uno spazio assoluto. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (10 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Su tutto questo argomentare avrà molto da ridire Mach, come vedremo nel paragrafo 6 del capitolo IVº. Il lavoro di Newton,nella sua prima parte, prosegue con lo studio del moto dei corpi soggetti a forze centrali ed in particolare dimostra che, se vale la terza legge di Kepler (il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta intorno al Sole è proporzionale al cubo della distanza di tale pianeta dal Sole medesimo), le forze centrali debbono risultare inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze. Questo risultato verrà ripreso nella terza parte dei Principia (1'') nella quale Newton ai occupò dell'applicazione ai pianeti delle leggi della meccanica precedentemente trovate, costruendo il suo sistema del mondo e la famosa legge di gravitazione universale. Questa legge dice che: due corpi di massa m ed M si attraggono reciprocamente con una forza F che è proporzionale, secondo una costante G, al prodotto delle masse dei due corpi ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che, appunto, separa i due corpi. La G rappresenta la costante gravitazionale (che anni dopo sarà misurata con precisione da Cavendish). Fin qui quello che nella formula è scritto. Per noi è però interessante andare a vedere cosa non è scritto in questa relazione, soprattutto per quanto vedremo a proposito della teoria di campo e dei lavori di Faraday. L'azione F si esercita tra m ed, M lungo la congiungente i centri delle due masse; si tratta quindi di un'azione rettilinea. Inoltre essa è istantanea e a distanza nel senso che non si richiede tempo (che appunto nella relazione non compare direttamente) affinché due masse si accorgano l'una dell'altra (si noti che questo tipo di azione tra massa e massa senza alcun intermediario era ostica allo stesso Newton). Per spiegarci meglio, supponiamo che nell'universo vi sia una sola massa M. Ebbene, se prendiamo in considerazione una seconda massa m, in questo universo, ambedue le masse cominceranno ad attrarsi reciprocamente all'istante. Questo fatto, sul quale torneremo parlando di Faraday, comporta una conseguenza importantissima: l'esigenza di azioni istantanee implica che ci siano delle entità dotate di una velocità infinita. Per quanto riguarda poi il mezzo attraverso cui l'azione si propaga vi sono alcune considerazioni di Newton relative ad un presunto etere e ad un presunto vuoto che vale la pena ricordare. Secondo quuel che traspare dalla lettura dell'opera di Newton, egli appare indeciso e spesso contraddittorio nell'optare per l'etere o per il vuoto. Mentre a volte sostiene l'esistenza del vuoto (quando ad esempio ipotizza l'esisteva di atomi e quando osserva che le comete negli spazi non incontrano alcuna resistenza), altre sembra propendere per 1'etere (quando lo ipotizza nella sua teoria corpuscolare della luce per permettere la trasmissione dei corpuscoli luminosi). In definitiva sembra si possa dire che Newton propende per l'etere, almeno per lo spazio che interessa il nostro sistema solare, mentre non lo pensa esteso all'infinito. Questo etere poi deve essere una sostanza sottilissima ed elasticissima; esso non deve avere una struttura continua ma corpuscolare proprio per rendere conto della sua elasticità che altrimenti non potrebbe esistere. Con Newton ci fermiamo qui, anche se le cose da dire sarebbero ancora moltissime. Ma nell'economia di questo lavoro quanto fin qui detto si può ritenere sufficiente. Vedremo nei prossimi paragrafi l'accoglienza che queste elaborazioni ebbero insieme alle prime critiche file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (11 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE che su di esse si appuntarono. 2 - LE CRITICHE ALL'OPERA DI NEWTON NELLA PRIMA METÀ DEL '700 La 1ª edizione dei Principia di Newton (1687) trovò un ambiente scientifico in gran parte legato alla fisica cartesiana. Mentre alcune università, come ad esempio Cambridge, ignorarono ufficialmente i Principia per circa 30 anni, altre, come ad esempio Edimburgo, utilizzarono quasi subito questo testo per gli insegnamenti di matematica, fisica e geometria. Anche tra gli studiosi, non immediatamente legati al mondo accademico,si ebbero le medesime reazioni contrastanti, ma l'entusiasmo e l'attivismo dei sostenitori di Newton, tra cui spicca Samuel Clarke, riuscirono piano piano ad imporre incondizionatamente la fisica newtoniana in Gran Bretagna. Allo scopo contribuì certamente anche l'autorevole filosofo J. Locke (1532-1704) che nel suo Saggio sull'intelligenza umana (1690) si schiererà subito a sostegno delle teorie di Newton contro la pozione dei cartesiani (laddove, ad esempio, Locke, al contrario di Descartes, ammette lo spazio vuoto e la non identificabilità di esso con la materia). (2) Certamente più difficile fu la penetrazione nel continente dell'opera di Newton. Anche qui era la fisica cartesiana che dominava. Ed in particolare nella Francia, l'accettazione del cartesianesimo da parte dei potenti gesuiti chiudeva al diffondersi di idee nuove: ci sarebbero voluti anni prima che l'opera di Newton potesse (non dico 'essere accettata') ma solo essere conosciuta compiutamente. Oltre alle difficoltà che nascevano dalla preesistente accettazione della fisica, cartesiana ve ne erano delle altre di natura teologico-metafisica che riguardavano presunte posizioni atee nell'opera di Newton. Queste accuse che oltre di ateismo erano anche di 'materialismo' erano principalmente mosse da Leibniz e Berkeley come vedremo nel prossimo paragrafo. A queste accuse, molto insidiose soprattutto per la futura accettazione dell'opera da parte di un pubblico sempre più vasto (3), Newton rispose aggiungendo, nella seconda edizione dei Principia (1713) (4), il famoso Scolio generale. In esso Newton ha modo di far conoscere , oltre ai limiti del suo metodo di ricerca ("non invento ipotesi") (5), le sue concezioni teologiche (6). Egli rigettò l'accusa di meccanicismo imputandola ai cartesiani che abbisognano di Dio solo al momento della creazione. Nel mondo newtoniano, invece, Dio è sempre presente come regolatore continuo dei vari fenomeni naturali (e quest'ultima affermazione valga come rifiuto dell'accusa di ateismo). Lungi però dal sopire le polemiche, la stesura, dello Scolio ne fece nascere delle altre soprattutto ad opera di Leibniz (7). Non è però negli scopi di questo lavoro andare a rivedere tutte queste polemiche (8) ma solo ricercare alcuni contributi utili al tema che ci siamo proposti: l'articolazione di alcuni lavori, teorici e sperimentali, fino all'affermazione della Relatività ristretta. Vedremo nel prossimo paragrafo alcune delle critiche all'opera di Newton. 3 - G.W. LEIBNIZ E G. BERKELEY La critica di Leibniz (1646 - 1716) a Newton è principalmente centrata sul concetto di 'spazio assoluto'. (9) Dopo aver affermato che "nel mondo persiste sempre la stessa, forza e la stessa, energia, che solo passa, di materia in materia, conformemente alle leggi della file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (12 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE natura" (9') e che quindi, è illusorio pensare ad un Dio che interviene sempre nell'universo come un orologiaio che continuamente mette a punto il suo orologio, Leibniz passa a rigettare l'idea di uno spazio assoluto indipendente dai corpi in esso contenuti poiché sono proprio questi ultimi ad individuare, con il loro ordine, lo spazio; e quest'ultimo, lungi dall'essere assoluto, è meramente relativo, come il moto; esso non avrebbe ragione di esistere se non vi fossero corpi in un certo ordine [qui si reclama un principio alla base della filosofia di Leibniz, quello di ragion sufficiente secondo il quale "nulla avviene senza ragion sufficiente; cioè, nulla avviene senza che , chi conosce le cose, abbia possibilità di indicare una ragione che basti a determinare perché le cose siano così e non altrimenti "]. Leibniz prosegue affermando l'impossibilità di esistenza del vuoto e quindi di corpuscoli indivisibili (atomi). È ancora il principio di ragion sufficiente che lo porta a questa conclusione, poiché: «Non v'è ragione plausibile che possa limitare la quantità di materia. Perciò tale limitazione non può aver luogo ... dunque tutto è pieno. Lo stesso ragionamento prova che non v'è corpuscolo che non possa essere suddiviso " (10), inoltre Dio può agire solo sulla materia e quindi in nessun modo può ammettersi spazio vuoto. E poi, che assurdità lo spazio assoluto indipendente dalla materia ! La sua ammissione comporterebbe l'esistenza di spazio anche quando non vi fosse materia. "Cosi la finzione di un universo materiale finito che va passeggiando tutt' intero in uno spazio vuoto infinito non può essere ammessa ... Infatti, oltre che non v'è spazio reale fuori dell'universo materiale, una tale ragione sarebbe senza scopo (11); sarebbe un lavorare senza far nulla, agendo nihil agere non si produrrebbe alcun mutamento osservabile da chicchessia." (12) Ed "il movimento è indipendente dall'osservazione, ma non è indipendente dalla osservabilità. Non v'è movimento quando non v'è cangiamento osservabile. Anzi, quando non v'è cangiamento osservabile non c'è cangiamento affatto". (13) Al di là di queste sottili disquisizioni, che mostrano Leibniz ancora legato alla tradizione aristotelica [per molti versi Leibniz sosterrà in tutta la sua opera la fisica aristotelica], è interessante andare a vedere una conclusione che Leibniz trae, molto importante soprattutto per gli sviluppi futuri (nell'800). Nel primo paragrafo abbiamo già visto, parlando della gravitazione universale, il carattere rettilineo, istantaneo e a distanza di quella azione. Un qualcosa che agisce senza intermediari. A questo proposito Leibniz afferma (14): " È ...soprannaturale che i corpi si attirino da lungi, senza alcun mezzo, e che un corpo si muova in circolo, senza deviare per la tangente, qualora niente gli impedisca di deviare così. Infatti, tali effetti non sono spiegabili mediante la natura delle cose." (15) Quindi Leibniz rifiuta l'azione a distanza ed allo stesso modo le qualità occulte connesse alla gravitazione (in questo d'accordo con i cartesiani). Se è vero che l'ammissione di inesistenza di vuoto (16) suggerisce a Leibniz il rifiuto dell'azione a distanza, rimane il problema di stabilire come si possa trasmettere un' azione da una parte all'altra dello spazio. E qui Leibniz si schiera apertamente con i cartesiani affermando che le azioni si trasmettono per contatto da 'materia' a 'materia'. Ma l'unico modo per poter ammettere ciò era la conseguente ammissione dell'urto tra particelle estese e dure (come faceva Descartes) e ciò portava Leibniz in un vicolo cieco poiché richiedeva l'ammissione di atomi (e quindi di vuoto) e comunque, in accordo col meccanicismo di Huygens, di entità file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (13 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE non compatibili con la teoria delle monadi (17) altrove sviluppata dallo stesso Leibniz . (18) Riguardo poi all'esperienza newtoniana della secchia ruotante e quindi al problema dello spazio assoluto e del moto assoluto in relazione a forze centrifughe, Leibniz, in un primo momento, ammette: " Pertanto, io accordo che vi sia una differenza tra un movimento assoluto effettivo d'un corpo ed un semplice mutamento relativo di posizione, in rapporto ad un altro corpo. Infatti, quando la causa immediata del cangiamento è nel corpo, esso è effettivamente in moto; ed allora la situazione degli altri, in rapporto ad esso, è per conseguenza cambiata, benché, la causa del mutamento non risegga in quelli". (19) Ed in questo senso Leibniz tentò di togliere le qualità occulte alla forza di gravità, cercando di ricondurla ad una forza centrifuga (anche ne con molti dubbi) 'della materia eterea' circostante. Più tardi però, dopo uno scambio di lettere con Huygens, tornò sull'argomento per affermare che: " Newton riconosce l'equivalenza delle ipotesi nel caso dei moti rettilinei; ma per i moti circolari egli crede che lo sforzo compiuto dai corpi rotanti per allontanarsi dal centro o dall'asse del moto circolare riveli il loro moto assoluto. Io, però, ho ragioni che m'inducono a credere che niente rompa la legge generale della equivalenza" (20). Ed alla fine Leibniz optò, con delle motivazioni sulla natura dei corpi che non ci sono pervenute, per l'assoluta equivalenza del moto circolare e di quello rettilineo uniforme affermando che tutti i sistemi di riferimento debbono essere trattati come equivalenti. (21) Fin qui Leibniz in relazione alle problematiche che ci interessano. Resta solo da osservare che, paradossalmente, saranno i seguaci di Newton a dover lottare per mantenere la presenza di Dio nel mondo, contro il 'meccanicismo' leibniziano. (22) Altre critiche, per molti versi simili ma per molti di natura completamente differente, vennero rivolte ai lavori di Newton dal vescovo anglicano G. Berkeley (l685 - 1753). Anche egli muove i suoi attacchi spinto sopratutto dal timore del dilagare di materialismo ed ateismo, insiti, a suo giudizio, nel meccanicismo, a seguito della diffusione dell'opera di Newton. (22') Il motivo conduttore delle speculazioni di Berkeley sarà l' esse est percipi : una realtà non percepibile non è pensabile perché le cose esistono solo in quanto percepite. E così non ha senso parlare di infinitamente grande come di infinitamente piccolo poiché queste due entità, sfuggono ai nostri sensi. Naturalmente viene negato lo spazio assoluto ["infinto, immobile, indivisibile, insensibile, senza relazione e senza distinzione. Poiché tutti i suoi attributi sono privativi o negativi, sembra essere un puro nulla ..."]; per Berkeley lo spazio è inseparabile dai corpi e dal movimento ["..non possiamo formarci un'idea dello spazio puro prescindendo dai corpi... E nella proporzione della minore o maggiore resistenza al movimento dirò che lo spazio è più o meno puro. Quando parlo di uno spazio vuoto o puro, non si può supporre che la parola spazio rappresenti un'idea distinta da corpo e movimento." ] esso è meramente relativo [ "il moto senza spazio non si può concepire. Ma nondimeno, se guardiamo la cosa con animo attento, sarà chiaro ...che quello che si concepisce è lo spazio relativo ... Del resto, ogni luogo è relativo, come anche ogni moto ... E poiché il moto è di sua natura relativo, esso non potette concepirsi prima che si dessero corpi in relazione tra loro ... Nessun moto si può distinguere, o misurare, se non per mezzo file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (14 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE delle cose sensibili. Quindi, poiché lo spazio assoluto in nessun modo consta ai sensi, per necessità è esso è interamente inutile per distinguere i moti."]. Naturalmente viene negato, con analoghe argomentazioni anche il tempo assoluto [ "il tempo è una serie d'idee succedentisi l'una all'altra.... Il tempo è una sensazione, quindi è solo nella mente."] gli atomi ed il vuoto [non sono percepibili, come del resto tutti gli altri concetti già negati]. Portando alle sue estreme conseguenze l'esse est percipi, Berkeley arrivò a sferrare un duro attacco all'aritmetica, alla geometria e, soprattutto, all'analisi infinitesimale: " le teorie aritmetiche, se si limitano ai numeri ed alle cifre e prescindono da ogni uso pratico e dalle cose numerate o contate, può dirsi che mancano di oggetto. Da cui vediamo che la scienza dei numeri viene interamente subordinata alle cose pratiche, e quanto vuota e triviale risulta se la si prende come materia di mera speculazione ... " " la nozione di infinita divisibilità della materia finita è l'origine di quei curiosi paradossi che così chiaramente ripugnano il senso comune e che con tanta difficoltà ammette l'intelligenza non viziata dalla disciplina dell'istruzione ... Se riusciamo a far comprendere che una estensione finita non può contenere un infinito numero di parti, ossia, che non è infinitamente divisibile, avremo sbarazzato la geometria di grandi difficoltà e contraddizioni che sono state un rimprovero alla ragione umana. ... " " Anche quando alcune delle più sottili ed intricate speculazioni matematiche venissero a mancare, non vedo che pregiudizio potrebbe arrecare questo fatto al genere umano. Al contrario sarebbe molto auspicabile che gli uomini di talento privilegiato e di assidua laboriosità la smettessero di impegnare i loro pensieri in futilità di questa indole, per impegnarsi totalmente nello studio di cose più reali e di applicazione più immediata per migliorare la vita o i costumi." Anche i numeri irrazionali quindi vengono negati e, con essi, i nefasti teoremi, come quello di Pitagora, che portano ad essi. Secondo il nostro l'uomo possiede la ragione per conoscere il mondo in modo più nobile di quello quantitativo e cioè quello qualitativo (con buona pace di Galileo e di quanti finirono sul rogo per affermare un principio di conoscenza che si affrancasse dall'aristotelismo). Su questa strada si arriva facilmente ad ammettere (23) che suoni, odori e sapori hanno un'esistenza reale solo nella nostra mente. Allo stesso modo per il caldo, per il freddo e per la luce. E questo per quel che riguarda quelle che, con terminologia che dovrebbe apparire vecchia, sono considerate qualità secondarie . Per le qualità primarie, anche se il discorso risulta a Berkeley più facile (essendo egli un convinto relativista), valgono le stesse cose: la grandezza di un oggetto è determinata dalla sua distanza dall'osservatore (24) anche se quell' oggetto noi lo percepiamo solo per le sue qualità secondarie: colore, calore, suono, luce, ... Ed allora anche le case, i fiumi, i mari, i monti non hanno un'esistenza indipendente dal loro essere percepiti ed in definitiva dal nostro spirito. Ma, esistono altri spiriti indipendenti dal nostro ? Coerenza vorrebbe che , poiché noi percepiamo solo le loro qualità secondarie, essi non avessero una esistenza oggettiva, o meglio assoluta. Invece Berkeley li ammette per sfuggire al paradosso 'dell'intermittenza del mondo' che esiste o meno a seconda che lo guardiamo o siamo ad occhi chiusi: la continuità dell'esistenza del mondo è garantita dalla percezione che altri ne hanno. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (15 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Alla fine del suo argomentare, Berkeley arriva alla conclusione che a lui interessa: "Non esiste altra sostanza, fuorché lo spirito, ossia ciò che percepisce ... È quindi evidente che non può esistere una sostanza che non pensi" (25) cioè la materia. Fin qui lo sfondo filosofico sul quale Berkeley costruisce i suoi ragionamenti, per altro molto importanti, contro lo spazio, il tempo ed il moto assoluti della fisica di Newton. Passiamo ora ad esaminare quanto Berkeley afferma in proposito: (26) "Le cose più semplici del mondo, quelle che conosciamo più intimamente e perfettamente, appaiono straordinariamente difficili ed incomprensibili quando vengono considerate in modo astratto" (27) e cosi è per il tempo, lo spazio, il moto. "Per conto mio, tutte le volte che tento di formare un'idea semplice del tempo astratto dalla successione d'idee nella mia mente, di un tempo che scorrerebbe uniformemente ed al quale parteciperebbero tutti gli esseri, mi perdo e mi involgo in difficoltà inestricabili. Io non ho nessuna nozione di esso ..." (27) E cosi il tempo, che noi percepiamo intuitivamente dal succederai di idee nella nostra mente, quando lo si fa diventare tempo assoluto, che scorre, appunto, uniformemente ed allo stesso modo per tutti, non si riesce più a comprendere. Andando avanti nelle sue speculazioni, Berkeley si sofferma sulla troppa importanza che siamo portati a dare all' «analogia». Molto spesso l'uso di analogie può portarci a degli errori come, secondo Berkeley, nel caso della gravitazione (da lui ritenuta una qualità occulta): "Nella questione della gravitazione o attrazione reciproca, siccome essa appare in molti casi, alcuni sono proclivi a dirla senz'altro universale... È invece evidente che le stelle fisse non hanno nessuna tendenza di questo genere le une verso le altre, e la gravitazione è tanto lontana dall'essere essenziale ai corpi che in certi casi sembra manifestarsi un principio decisamente contrario come nel crescere perpendicolare delle piante e nella elasticità dell'aria. Non c'è nulla di necessario o di essenziale in questo fenomeno, che dipende invece interamente dalla volontà dello spirito governatore, che fa si che certi corpi aderiscano gli uni agli altri o tendano gli uni verso gli altri in conformità a varie leggi, mentre ne tiene altri a distanza fissa e dà ad alcuni la tendenza del tutto opposta a separarsi violentemente gli uni dagli altri ...» (28). Quindi nessuna regola ma capricci dello "spirito governatore". La percezione della distanza relativa costante fra le stelle gioca brutti scherzi al nostro, il quale, per altro, cade in un errore analogo a quello che vuol combattere quando mette in un unico calderone gravitazione universale, crescita delle piante ed elasticità dell'aria.. Ed in ogni caso, volendo far ricorso alla logica, che pare tanto cara a Berkeley, sarebbe stato più conseguente ammettere la gravitazione in determinati fenomeni e sospendere il giudizio su altri (a meno di non avere un'altra ipotesi di lavoro da formulare - cosa che, evidentemente, non rientrava nei metodi di lavoro di Berkeley). (29) E veniamo ora al moto assoluto sul quale Berkeley si dilunga di più e ci fornisce interessanti argomenti di discussione in gran parte ripresi alla fine dell' 800, da Mach. Si tratta qui di ridiscutere, a partire da qualche premessa , l'esperimento della secchia di Newton che, appunto, aveva fornito a quest'ultimo argomenti per affermare l'esistenza del moto assoluto. Dice Berkeley: " Ma nonostante [la spiegazione che Newton dà del moto assoluto], devo confessare che non mi sembra, che ci possa essere altro moto che quello relativo: cosicché per concepire il movimento devono venir concepiti almeno due corpi che variano di distanza o posizione file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (16 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE l'uno rispetto all'altro. Quindi, se non esistesse altro che un corpo, esso non potrebbe venir mosso. Questo mi sembra evidentissimo perché l'idea che ho di movimento coinvolge necessariamente una relazione". (30) Quindi Berkeley afferma l'impossibilità di esistenza di moto assoluto il quale, nel caso in qualche luogo si realizzasse, dovrebbe venir percepito in sé, senza alcuna relazione con qualsiasi altra cosa. Ma, osserva Berkeley, se si ha l'impossibilità di porre in relazione un corpo che si muove con qualcosa d'altro (rispetto a cui considerare il movimento) è meramente illusorio pensare di parlare non solo di moto assoluto, ma anche di moto. Se, in definitiva, nell'universo esistesse un solo corpo, di esso non si potrebbe in alcun modo dire che è fermo o in moto, poiché, non abbiamo nulla rispetto a cui riferire il movimento. Questa argomentazione, senza dubbio molto sottile, deve essere molto cara a Berkeley perché egli vi ritorna ancora: " Se supponiamo che tutti gli altri corpi fossero annientati ed esistesse soltanto un globo, in esso non potrebbe venir pensato alcun movimento; perché è necessario un altro corpo rispetto alla posizione del quale il movimento deve essere determinato. La verità di questa opinione diverrà estremamente chiara se porteremo a compimento il supposto annientamento di tutti i corpi, i nostri e quelli degli altri, eccetto il globo solitario." (31) E fin qui niente di nuovo rispetto a quanto visto prima, ma ora Berkeley aggiunge dell'altro: " Si considerino poi come esistenti due globi e null 'altro al di fuori di essi. Si pensino quindi le forze applicate in un qualche modo; qualunque cosa si possa pensare, non potremo concepre con l'immaginazione un moto circolare dei due globi intorno ad un centro comune. Si supponga infine che il cielo delle stelle fisse sia creato: immediatamente dal concetto di avvicinamento dei globi alle differenti parti del cielo scaturirà il concetto di movimento." (31) Quindi, se si hanno a disposizione due corpi, è assurdo pensare di poter riconoscere un movimento di questa coppia intorno al proprio centro di massa. Con questa argomentazione Berkeley estende quanto visto prima per i moti rettilinei anche ai moti circolari: è sempre un riferimento, rispetto al quale si vedono mutare le distanze relative dei due corpi in rotazione intorno al proprio centro di massa, che ci permette di percepire il moto. E questo riferimento è per Berkeley il cielo della stelle fisse. Abbiamo già visto che questo problema si era posto anche a Newton (32) ed egli aveva optato per lo spazio assoluto, anziché per le stelle fisse, per non affidare la sua meccanica a qualcosa di provvisorio che, un giorno, come per la Terra in moto intorno al Sole, si sarebbe potuto manifestare non fisso. (33) Tenendo comunque conto del dato incontrovertibile della necessità di un riferimento per percepire il moto, non è che la meccanica newtoniana perda di significato, infatti, riguardo al principio d'inerzia, come lo stesso Berkeley ammette, se invece di riferire la prosecuzione del moto allo " spazio assoluto, noi lo commisuriamo alla posizione del corpo rispetto al cielo delle stelle fisse" (34) esso non cessa di valere. E quindi Berkeley, con argomentazioni molto stringenti, passa dal moto rettilineo al moto circolare, arrivando infine a negare ogni peculiarità a quest'ultimo, affermando che: "... il moto del sasso in una fionda o quello dell'acqua in un secchio in veloce rotazione non può propriamente essere considerato un moto circolare ... da coloro che definirono [il moto] ricorrendo allo spazio assoluto ... " (35) file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (17 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Ed ecco che siamo arrivati al nocciolo della questione cioè all'esperienza della secchia di Newton. (36) In proposito Berkeley dapprima anticipa che: "Se esploriamo a fondo le nostre concezioni credo che troveremo che ogni moto assoluto di cui possiamo formarci un'idea, non è in fondo altro che un moto relativo [riferito al cielo delle stelle fisse] ...Infatti, come ha già detto, un movimento assoluto che escluda ogni relazione esterna è incomprensibile; e se non mi sbaglio, si troverà che con questa specie di moto relativo si accordano tutte le proprietà, le cause e gli effetti che vengono attribuiti al moto assoluto... "(37) e quindi, entrando in argomento, afferma: " Quanto a ciò che si dice della forza centrifuga, che essa non appartenga affatto ai moti circolari relativi, io non vedo come questo consegua dall'esperimento che si porta in campo [nei Principia] per dimostrarlo ... L'acqua nel vaso, al momento in cui si dice che abbia il massimo moto circolare e relativo, non ha, penso, nessun movimento ..." (37) E qui Berkeley arriva a spiegare perché l'acqua della secchia di Newton, al momento in cui ha la massima curvatura (dovuta al massimo di moto circolare relativo), non ha in realtà nessun movimento: " Infatti, per dire che un corpo 'è in movimento', si richiede in primo luogo (38) che esso cambi la sua distanza o posizione rispetto a qualche altro corpo; in secondo luogo (38) che ad esso venga impressa una forza che produce questo cambiamento. Se manca l'una o l'altra di queste condizioni, non credo che si possa dire che un corpo è in movimento ... " (39) E queste affermazioni hanno un qualche interesse poiché, secondo Berkeley, per percepire un moto non basta solo osservare un cambiamento relativo di posizione ma occorre che vi sia una qualche forza impressa al corpo che si muove. Egli, più oltre, ammette però che è possibile che la nostra mente creda che un corpo si muove solo perché lo vediamo cambiare posizione rispetto ad un altro; ma questo avviene per il fatto che nel vedere il supposto moto immaginiamo che ci sia stata una qualche forza che ha originato quel movimento. E questo fatto, secondo Berkeley, prova non già la realtà del supposto moto (che egli chiama apparente), ma l'erroneità del nostro vedere e spiegare la situazione. Allo stesso modo, prosegue Berkeley più oltre (riprendendo un argomento a lui caro), se immaginiamo un solo oggetto esistente potrei convincermi del suo essere in moto, anche se non posso rilevare cambiamenti di posizione rispetto ad alcunché (40) solo se, quelli che vogliono convincermi di questo moto "intendono soltanto dire che questo corpo unico può avere una forza impressa che produrrebbe un movimento di una certa forza ed in una certa direzione non appena fossero creati altri corpi." (41) Ed in definitiva, comunque si guardi la questione, per avere moto servono contemporaneamente le due condizioni viste prima: cambiamento di distanza relativa e forza impressa. (42) Quanto Berkeley sostiene si può ben riassumere con D'Agostino: (43) " Newton: Se il sistema ruota (A) rispetto allo spazio assoluto (B) vi sono forze insite (C). Berkeley: Affinché l'argomento abbia consistenza logica l'affermazione (A) deve essere indipendente da (C). L'affermazione (A) non può essere indipendente da (C), se vi sono soltanto il secchio e l'acqua. In tale caso, cioè della sola esistenza del secchio e dell'acqua, non si può dire se ruota il secchio o ruota l' acqua, perché qualsiasi moto è sempre relativo file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (18 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE a qualche altro corpo. L'argomento newtoniano è allora inconcludente." E questa inconcludenza nasce dal fatto che l'argomento newtoniano non è altro che "una petizione di principio; si deve postulare lo spazio assoluto prima di mostrare che la rotazione avviene rispetto allo spazio assoluto. "(44) Ed allora Berkeley può facilmente concludere: "Da ciò che si è detto consegue che la concezione scientifica del movimento non implica l'esistenza di uno spazio assoluto, diverso da quello che viene percepito col senso e riferito ai corpi." (45) Del resto anche altre considerazioni relative all' 'esse est percipi' portavano Berkeley a negare un tale spazio. Ed infatti egli cosi prosegue: "Che un tale spazio non possa esistere senza la mente è chiaro per gli stessi principi che dimostrano la stessa cosa per tutti gli altri oggetti del senso." (45) Ed in altra parte: "Riguardo allo spazio assoluto, questo fantasma dei filosofi meccanici e geometri, basta osservare che non è né percepito dai sensi, né dimostrato dalla ragione." (46) E con ciò si può ritenere conclusa la parte centrale delle critiche, come si vede molto importanti, che Berkeley. rivolge alla fisica newtoniana. Certo egli avrà da criticare anche altri concetti discussi e trattati da Newton, come quelli di gravità (già ricordato) e forza [dirà Berkeley: "la forza ... è una qualità occulta". E più avanti: " Bisogna confessare che nessuna forza è sentita per sé immediatamente, né si conosce e si misura altrimenti che per il suo effetto...". Ed infine: "In realtà non c'è altro agente o causa efficiente oltre lo spirito..."], ma entrare in dettagli su queste questioni esula dai nostri scopi. Rimane solo da dire che, nonostante gli attacchi molto duri che Berkeley gli porta, egli stesso riconoscerà che la teoria di Newton conduce a dei risultati corretti (47) (che sono poi quelli dimostrati mediante esperimenti) anche se sono completamente false "le ipotesi matematiche" (spazio assoluto, tempo assoluto, moto assoluto, forza, gravità, ... ) da cui sono stati ricavati o che ne discendono come supposta conseguenza; comunque, queste "ipotesi" possono venire usate quando sono utili ai fini del ragionamento o per il calcolo dei moti (forza, gravità), ma debbono venire decisamente respinte quando, oltre a tutto quello che è stato detto, sono per di più inutili (lo spazio assoluto che può essere sostituito dalle stelle fisse). (48) Con quanto abbiamo detto su Leibniz e Berkeley ci siamo soffermati sulla parte più consistente delle critiche che furono rivolte all'opera di Newton, immediatamente dopo il suo apparire. Sullo sviluppo ulteriore della critica a Newton ci occuperemo più oltre; ora resta da osservare che l' insieme di queste critiche, anche se molto spesso avevano una notevole consistenza, erano mosse principalmente , come abbiamo già. detto, per combattere il supposto materialismo insito, secondo i suoi detrattori, nel meccanicismo newtoniano. Quello che Newton (o chi per lui) farà, sarà di rispondere alle accuse di materialismo (senza entrare in troppi dettagli sui contenuti specifici) essenzialmente rigettandole e considerando gli argomenti di Leibniz e Berkeley alla stessa stregua di quelli portati dai cartesiani. Secondo i sostenitori di Newton il meccanicismo è di Descartes (o di Huygens) e le ipotesi non sono inventate dal loro maestro ma da chi si ostina a parlare di vortici (per altro non funzionanti, come fu mostrato dallo stesso Newton), a negare il file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (19 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE vuoto, a parlare di materia eh. riempirebbe tutto lo spazio (materia infinita), ad ammettere la materia come necessaria (il mondo esiste là dove c'è materia). Questo si che è meccanicismo, questo si che è materialismo che porta direttamente all'ateismo; sono i meccanicisti come Descartes, Huygens, Leibniz e Berkeley che vogliono l'universo autosufficiente escludendone Dio. (49) Ho voluto, prima di passare ad altro argomento, portare un barlume dell'enorme controversia di carattere metafisico che vi fu, per far intendere, seppur lontanamente, quali erano i contendenti. Essenzialmente tre scuole lottavano per affermare le loro teorie: quella cartesiana, quella newtoniana e quella leibniziana e, come afferma Elkanà: "Tutte e tre lasciarono un marchio indelebile sugli sviluppi della scienza nell'Ottocento ed anche nel Novecento; ciascuna di esse ebbe a volte il sopravvento nei lunghi dialoghi critici intercorsi tra loro. Il newtonianesimo è il paradigma del successo espresso in risultati scientifici positivi. L'atteggiamento positivistico non trovò un posto nella storia della scienza né ai cartesiani né ai leibniziani. L'antitesi tra 'newtoniani' ed 'antinewtoniani' corrisponde perciò, sufficientemente alla realtà solo se giudichiamo lo svilippo della scienza presupponendo che essa cresca per accumulazione. Se consideriamo invece lo sviluppo della conoscenza come il risultato di un dialogo tra programmi di ricerca in concorrenza fra loro, dobbiamo pensare tenendo conto almeno delle tre tradizioni menzionate sopra." (50) NOTE (0) Non ci soffermeremo in questa sede sui fondamentali contributi di Galileo. Tali contributi sono stati ampiamente discussi nel 1º volume sulla Relatività (quella classica, da Aristotele a Newton). (1) Occorre notare che le 'Regulae philosophandi' sono inserite all'inizio della terza parte dei Principia, anche se informano l'intera opera di Newton. Allo stesso modo, il ruolo delle ipotesi è discusso dal NoStro nello "Scolio generale", aggiunto come epilogo al suo lavoro nella seconda edizione di esso (per rispondere, come vedremo, alle accuse di ateismo che da più parti gli venivano mosse). C'è infine da notare che la sperimentazione meccanica di Newton, al contrario di quella ottica, fu molto limitata. Egli coordinò mirabilmente, generalizzando ed assiomatizzando, leggi già conosciute in casi particolari. Ricordo che varie cose qui sostenute sono state da me già scritte nell'altro mio lavoro sulla Relatività (cui già ho accennato) riportato in Bibl. 3. Da ultimo, tutte le citazioni riportate in questo paragrafo e senza diversa specificazione sono tratte dall'Opera di Newton (si veda Bibl. 4). CAPITOLO II° file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (20 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE 1 - IL MECCANICISMO NELLA SECONDA META' DEL '700 I primi anni del '700, abbiamo già detto, videro un'aspra lotta negli ambienti scientificofilosofici per l'affermazione di un programma di ricerca su di un altro. Questa lotta si accompagnava ad un'altra lotta, ancora più dura, che ormai da anni si portava avanti per la gestione del potere politico-economico da parte della nuova classe emergente: la borghesia. Il cambiamento del modo di produzione (dall'economia feudale a quella capitalistica) che si era avuto nel secolo precedente, insieme alla rivoluzione agricola della metà del '700, soprattutto in Gran Bretagna, nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi, aveva comportato l'affermarsi della nuova classe che disponeva ora di ingenti capitali (52). La produzione di molte merci e la conseguente necessità di maggiori scambi rendeva la borghesia insofferente ai condizionamenti del potere politico ed alle chiusure doganali. Si richiedeva un cambiamento radicale di indirizzo politico, la rottura di vecchi schemi, che vedevano ancora i proprietari terrieri (la nobiltà sostenuta dal clero ed il clero medesimo) come detentori del potere, il passaggio dalle chiusure nazionali al liberalismo economico (53). In campo nazionale occorreva creare nuovi bisogni, in campo internazionale occorreva aprirsi nuovi mercati di sbocco (colonialismo). Queste aspirazioni si erano realizzate in Gran Bretagna già dalla seconda metà del secolo precedente ed in modo abbastanza indolore. La rivoluzione borghese (54) era stata pacifica in quel paese, la monarchia non aveva più il potere assoluto, un regime parlamentare, dominato dall'alta borghesia (banchieri, industriali, compagnie coloniali, ...), si era sostituito ad essa nel governo dello stato. La Francia invece restava dominata da una monarchia assoluta (sostenuta saldamente dal clero) ed era dilaniata ed impoverita da continue guerre. In questo paese i contrasti tra i detentori del potere e la borghesia si accentuarono per tutto il secolo fino a sfociare nella Rivoluzione del 1789. E la scienza non era immune dalle influenze di questa situazione. Durante la prima metà del secolo vi fu un notevole calo di sforzi e di interesse nella scienza pura ed applicata; questo periodo, al confronto con quelli immediatamente precedente e seguente, risultò particolarmente sterile. Fu proprio la ripresa della borghesia, dopo la stasi che si ebbe agli inizi del '700 in seguito a grossi crolli economici e successive risistemazioni sia in campo agricolo che industriale, che ridette, a partire dalla metà del secolo, nuovo slancio alla ricerca scientifica. Nel periodo che va dalla fine del '600 alla metà del '700, la scienza visse di rendita, organizzando, sistemando ed elaborando quanto era stato precedentemente sviluppato, senza avere alcun legame con il mondo della produzione (al contrario di quanto era accaduto nel secolo precedente in cui qualche legame vi era pur stato). In questo senso Newton fu una miniera inesauribile cui attingere ma, per altri versi, la sua grandezza risultò un 'handicap': il suo sistema risultava cosi apparentemente perfetto da scoraggiare i più a criticarlo ed a superarlo (i progressi che nella ricerca si fecero durante il '700 furono in gran parte in settori che Newton aveva appena toccato o non aveva trattato per niente). Il successivo balzo in avanti della borghesia dette nuovo slancio alla ricerca scientifica che, viste le peculiari situazioni politico-economiche, particolarmente della Gran Bretagna in confronto al continente, si sviluppò su strade e metodologie di carattere nazionale. In Inghilterra presto si impose la fisica newtoniana che, in connessione con la filosofia di Locke, rappresentò un notevole avanzamento rispetto al razionalismo cartesiano e all' induttivismo baconiano. L'esigenza costante era quella di fondare ogni conoscenza scientifica su una solida base sperimentale ed i filosofi naturali a questo si dedicarono file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (21 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE tralasciando per lungo tempo ogni aspetto immediatamente applicativo della ricerca scientifica (56). In ogni caso l'attività pratica dell'uomo veniva tenuta in grande considerazione, fatto che è proprio dell'ideologia borghese. Ci si liberò subito dei residui metafisici presenti nell'opera di Newton del quale si prende a modello essenzialmente l'"Optics" per lo sviluppo di modelli meccanici basati su corpuscoli o su fluidi meccanici. Il processo di 'laicizzazione' della scienza si portava a compimento con la scomparsa di Dio dalla spiegazione dei fatti naturali. Ben diversa è la situazione nel resto dell'Europa continentale. In Francia i filosofi naturali si occupavano essenzialmente di scienza pura. Soprattutto nella prima metà del secolo, l'eredità del razionalismo cartesiano, faceva discutere della concezione del mondo, delle dottrine della Chiesa e della struttura dello stato. Nel clima politico che ho precedentemente delineato ed in questa prospettiva culturale si inseriva la diffusione dell'Illuminismo. 2 - L'ILLUMINISMO Il movimento culturale che prende il nome di Illuminismo nacque in Inghilterra ed ebbe i suoi maggiori sviluppi in Francia, nazione che contribuì grandemente alla sua diffusione nel resto d'Europa. L'Illuminismo, che si ispira alla filosofia di Newton e di Locke e che ha nel primo un riferimento costante come rappresentante della ragione scientifica (osservazioni sperimentali e conseguenti elaborazioni teoriche, con la matematica, delle medesime) contro ogni metafisica, si svolse essenzialmente su tre grandi linee-guida: 1) La ragione è in grado di spiegare tutti i più grandi problemi dell'uomo. Lo spirito scientifico ha il primato su ogni forma di oscurantismo. 2) L'uomo 'illuminato' ha il dovere di difendere la cultura. Occorre che i filosofi naturali, essi stessi, facciano i divulgatori dello spirito scientifico. L'operazione di divulgazione porta con sé il superamento delle vecchie credenze che sono ancora alla base della diffusione, e quindi del potere,della religione. (57) 3) La condizione umana può essere radicalmente migliorata proprio dall'abbattimento di miti, pregiudizi, superstizioni. L'uomo che si è impadronito dello spirito scientifico può progredire. Questa grande fiducia nelle possibilità, dell'uomo nasceva certamente dai grandi successi che, nel secolo precedente, la filosofia naturale aveva conseguito. Ed il massimo sintetizzatore di quei successi e di quella filosofia naturale era proprio Newton che ora si ergeva a modello da imitare. Con l'uso dei metodi scientifici indicati da Newton sarebbe stato possibile sbarazzarsi dei residui scolastici e metafisici presenti in Descartes ed in Leibniz. D'altra parte le filosofie cartesiana e leibniziana rispondevano bene agli interessi di chi manteneva vecchi privilegi e pertanto, da questi ultimi, erano state accettate e rese funzionali al loro sistema di potere. La lotta quindi contro il cartesianesimo ed il leibnizianesimo, per l'affermazione della filosofia di Newton, aveva in sé una grande carica rivoluzionaria e si configurava come lotta di potere con l’illusione che, di per sé, l'affermazione del newtonianesimo avrebbe comportato quella di nuove classi sociali (la borghesia).(58) file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (22 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Fu certamente il grande impegno di un uomo come Voltaire (1694-1778) che riuscì a far conoscere (59) al grande pubblico francese l’opera di Newton.(60) Furono poi i lavori di Condillac, Helvetius, Diderot, D’Alembert e molti altri fino a Laplace (61) che imposero la filosofia di Newton nel continente. Ma questo passaggio dall’Inghilterra al resto d’Europa avverrà con notevoli cambiamenti della stessa. Pur mantenendo formalmente l’azione a distanza si introdurranno modelli fluidistici (calore, elettricità, magnetismo) che di fatto hanno bisogno di una trattazione ‘a contatto’; le forze, che nonostante tutto risultano oscure e vaghe, non sono più considerate come cause di accelerazioni ma come ‘semplici variabili delle equazioni differenziali che ne formulano le condizioni di equilibrio e di conservazione’ (62); l’etere, che per Newton assolveva un ruolo importante, viene piano piano accantonato; lo spazio ed il tempo perdono il loro ruolo centrale diventando meri elementi di calcolo; le equazioni del moto si vanno sempre più configurando come ristrutturazione e non come ampliamento delle premesse newtoniane; Dio scompare nella spiegazione e nel sostegno del mondo. (63) Dunque il movimento illuminista, in Francia, si staccò sempre più radicalmente dal razionalismo aprioristico di tipo cartesiano per abbracciare un nuovo tipo di razionalismo fondato su fatti empirici (64). In definitiva si lavora sempre più per risolvere problemi concreti piuttosto che occuparsi di concezioni del mondo. Le questioni tecniche, nel secolo precedente affidate in gran parte alla pratica del lavoro artigianale, vengono sempre più sottomesse a trattamento teorico e questo fatto comporterà un progressivo avvicinamento tra scienza e tecnica (anche se per tutto il XVIII secolo almeno, sarà la tecnica ad avere il primato delle conquiste più originali e feconde). Anche qui con i dovuti distinguo. Mentre infatti in Inghilterra, ancora per lungo tempo,il fatto tecnico potrà evolversi autonomamente e con grande e riconosciuta dignità come conseguenza della scelta, fatta dalla cultura inglese, di prendere a modello lo sperimentalismo del’”0ptics” di Newton per avvicinarsi alla comprensione dei fenomeni, ben altrimenti le cose si svolgeranno in Francia. In questo paese il modello metodologico cui i filosofi della natura si ispirano è quello matematico dei “Principia” e, non a caso proprio in Francia, la Meccanica diventerà Meccanica Razionale, Meccanica cioè che partendo dal fatto concreto, nel suo svolgersi, sempre più perde di vista il punto di partenza per passare ad elaborazioni in cui la matematica assume un ruolo determinante e che sempre di più usa di metodi propri della matematica stessa. Si lavora per fornire alla Meccanica una validità scientifica che non dipenda più dalle semplici osservazioni empiriche. Si tratta di ricavare tutti i fenomeni e tutte le leggi da alcuni principi molto generali. All'interno poi dei processi di elaborazione matematica dei lavori di Newton che, come abbiamo già accennato, trascendono l'opera stessa del nostro per configurarsi come ristrutturazione piuttosto che come generalizzazione di quest'opera, scaturiranno fatti nuovi come conseguenza della mera formalizzazione della teoria. La matematica non può qui, in alcun modo, essere considerata come puro e semplice strumento tecnico, come linguaggio che descrive fatti già noti, ma, al contrario, come qualcosa che, partendo dalla descrizione dei fenomeni, è in grado di predirne degli altri al suo interno. Sempre più quindi la matematica diventerà indispensabile per comprendere le tematiche in discussione e per poterne discutere con cognizione. Ed il filosofo che si sente sfuggire l’immediata lettura di un fatto naturale a causa del suo occultamento in equazioni via via più complesse, non potrà far altro che richiamarsi alla realtà che lui conosce, quella che i sensi gli sottopongono (ad esempio: Berkeley). La potenza della matematica, nell’interpretazione e nella predizione di nuovi fenomeni, era molto chiara agli addetti ai lavori dell’epoca e non a caso insisteranno molto sulla sua file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (23 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE insostituibilità scienziati come D. Bernouilli (1700-1782) e J. Fourier (1768-1850) e filosofi come I. Kant (1724- -1604). E questa potenza risulta tutta nella meccanica razionale (ed analitica). La ‘meccanica razionale’ è " una scienza che studia rigorosamente (a partire da un ristretto numero di leggi generali - n.d.r.) i sistemi meccanici perfetti, macchine ideali senza attriti, sul modello della ‘macchina celeste’, retta da forze agenti a distanza lungo la congiungente con intensità [inversamente] proporzionale al quadrato della distanza." (65) E quindi, in nome del meccanicismo newtoniano, Lagrange (1736-1813) potrà affermare (66) nella prefazione della sua Meccanica Analitica (1788): "Non si troveranno figure in quest'opera. I metodi che io espongo non richiedono né costruzioni né ragionamenti geometrici o meccanici, ma solamente operazioni algebriche soggette ad un andamento regolare ed uniforme. Quelli che amano l’Analisi vedranno con piacere la meccanica divenirne una nuova branca e mi saranno grati d'averne esteso così il dominio. " (67) Ed anche D’Alembert, come del resto tutta la scienza che si affermò come ufficiale (68), non era alieno da avere una visione aristocratica del progresso sociale, in ogni caso condizionato dalla conoscenza “dei principi razionali e matematici”. Alcuni però iniziarono una revisione di questa concezione e "Diderot, in particolare, attaccò, in ‘De l’Interpretation de la Nature’ (1753), l’eccessiva matematizzazione della scienza francese nel quadro di una rivalutazione baconiana della pratica degli artigiani." (69) Per tutto il ‘700, comunque, la Francia privilegerà la scienza teorica pura, mentre l'Inghilterra la scienza sperimentale ed applicativa (solo nei primi anni dell’ ‘800 questo dato si invertirà ed, in particolare, in Francia ci si occuperà di problemi applicativi soprattutto al fine di sostenere le necessità degli eserciti di Napoleone). In ogni caso, quanto abbiamo detto sull’accettazione della filosofia di Newton da parte degli illuministi francesi, non deve far intendere che non permanessero fortissimi influssi cartesiani che si compenetravano via via sempre di più con alcune problematiche leibniziane. Ed a proposito degli influssi di Leibniz sul ‘700 francese, si osservi che "D’Alembert, pur combattendo anche lui i principi della metafisica leibniziana, manifesta sempre la più grande ammirazione per il genio filosofico e matematico di Leibniz; e l’articolo di Diderot su Leibniz nell’Encyclopedie ne tesse un elogio entusiastico.” (70) Anche in questo secolo quindi, come avevamo già osservato a proposito della rivoluzione scientifica del secolo precedente, non c’è l'egemonia incontrastata di una sola filosofia, ma l’ intrecciarsi di varie tematiche e problematiche che certamente vedranno il prevalere, per un lungo periodo, della filosofia di Newton ma che, allo stesso tempo, alimenteranno e nutriranno quelle correnti di pensiero che, prendendo le mosse essenzialmente da Leibniz, confluiranno, agli inizi del secolo seguente, in un'aspra critica del meccanicismo stesso (senza più alcuna distinzione sul tipo di meccanicismo). 3 - ALCUNI ASPETTI DEL PROGRESSO DELLA RICERCA SCIENTIFICA NEL XVIII SECOLO file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (24 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Non è in alcun modo possibile avvicinarsi alla comprensione dei profondi mutamenti che si ebbero nell'interpretazione dei fenomeni naturali durante tutto l'800, se non si colgono alcuni aspetti delle ricerche scientifiche che si svilupparono nel secolo dell'Illuminismo. Durante il XVIII secolo, soprattutto nella sua prima metà, la scienza, come abbiamo già. detto, non fece quei balzi prodigiosi e spettacolari che erano stati caratteristica del secolo precedente. Ciò nondimeno si lavorò molto gettando le basi dell'ulteriore grande sviluppo della scienza dell'800. E' comunque ora molto più difficile che per il passato seguire i vari filoni di ricerca nella loro complessa articolazione ed intersezione, con una qualche pretesa di completezza: oltre alla grande opera di sistemazione analitica della meccanica newtoniana, a cui si scompagnarono possenti sviluppi della matematica, si tratterebbe di indagare gli avanzamenti dell'astronomia osservativa e le ricerche in nuovi campi della fisica (termologia, elettricità, magnetismo, ...). Per quel che riguarda i nostri scopi, basterà solo dare un quadro di riferimento con la preoccupazione di cogliere quegli aspetti che, seppure non immediatamente, risulteranno avere una connessione più o meno stretta con le problematiche che stiamo cercando di discutere in questo lavoro. A partire dai lavori di Newton, si assiste ad una grande divaricazione dei vari campi di ricerca. Lo sforzo che si tenta à proprio quello di interpretare ogni singolo fatto, che sembra del tutto slegato da ogni altro fatto, in termini di meccanica newtoniana: si tenta cioè di ricondurre tutto alla meccanica. Gran parte poi delle indagini sperimentali che vengono portate a compimento, vanno a ricercare nei fenomeni quelle azioni alla Newton (rettilinee, a distanza, inversamente proporzionali al quadrato della distanza) che devono necessariamente regolare ogni fatto naturale. Le problematiche sono complesse ed il tentativo che uno fa di ricercare una traccia, un filone, potrebbe indurre all'erronea ammissione di uno sviluppo lineare e cumulativo della scienza, fatto che in nessun modo intendo sottoscrivere. (71) E' ora opportuno passare a seguire gli sviluppi, più interessanti per gli scopi di questo lavoro, delle ricerche scientifiche del XVIII secolo. Alcuni di essi saranno solo menzionati, mentre altri, più significativi per gli sviluppi successivi, saranno trattati con qualche dettaglio. Per comodità. mia e del lettore, ho preferito distinguere le cose che dirò per campi di ricerca (72) Astronomia e Geodesia - Agli inizi del secolo, Halley, usando la teoria newtoniana della gravitazione universale, riesce a calcolare le orbite di alcune comete, dandone il periodo. Quando la cometa che porta il suo nome riapparirà nel 1758, anno risultante dalla teoria, si sanzionerà definitivamente il primato della spiegazione scientifica sulla superstizione che per secoli aveva accompagnato l'apparire di questi corpi cellesti. - Nel 1718, Halley scopre che le stelle 'fisse' non sono fisse. Confrontando le file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (25 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE posizioni di alcune stelle con le medesime, ritrovate su alcuni manoscritti, si accorge che alcune occupano posizioni sensibilmente diverse. - Nel 1728, Bradley (1693 -1762), cercando di determinare la parallasse stellare che si deve avere a causa del moto della Terra intorno al Sole (una stessa stella, osservata dalla Terra a sei mesi di distanza, quando la Terra occupa due posizioni diametralmente opposte della sua orbita, dovrà essere osservata sotto un certo angolo detto di 'parallasse') (73), scoprì che, nel corso dell'anno, ciascuna stella descriveva nel cielo una piccola ellisse (si veda Appendice 4). Poiché l'effetto era lo stesso per ciascuna stella, non si doveva trattare del fenomeno di parallasse; lo sarebbe stato solo nel caso si fosse ammesso che tutte le stelle si trovavano alla medesima distanza dalla Terra, fatto che Bradley rifiutava. La spiegazione che dallo stesso Bradley fu data del fenomeno fu quella della composizione de movimenti: quello della luce che proviene dalla stella (impiegando un tempo finito) e quello della Terra intorno al Sole. Questo fenomeno, che dall'astronomo italiano G. Manfredi (l68l-1761) sarà chiamato (1729) aberrazione stellare o della luce, è la prima prova diretta del moto della Terra intorno al Sole. Anche qui si esce dal campo delle teorie per approdare a 'verità' sperimentali.(74) - nel 1744 due spedizioni, una in Perù e l'altra in Lapponia,(75) cercarono di dirimere la polemica sulla forma della Terra mediante la misura di due archi di meridiano a latitudini diverse. (76) I risultati delle spedizioni confermarono la teoria di Hewton: la Terra è schiacciata ai poli. Qualche tempo dopo A.C. Clairaut (1713-1765) riuscirà a dare una spiegazione quantitativa del fenomeno servendosi proprio della meccanica newtoniana. - Nel 1744, L. Euler (1707-1783) studiò il sistema planetario attraverso le azioni congiunte dei vari pianeti tra loro e col Sole dando l'avvio al problema dei tre corpi ed alla teoria delle perturbazioni. - Nel 1748 Bradley annuncia la scoperta della nutazione dell'asse terrestre.(77) Questo fenomeno, che provoca una alterazione periodica nella posizione apparente degli astri, era stato annunciato da Newton come necessario alla sua teoria della gravitazione universale. Per nove anni Bradley la cercò ed alla fine riuscì a trovarla. - Nel 1749 D'Alembert determina la precessione annuale degli equinozi, un'altra conferma della teoria newtoniana della gravitazione. - Nel 1752, in Gran Bretagna, si adotta il nuovo calendario gregoriano. - Verso la metà del secolo compaiono le prime teorie cosmologiche. Wright (17111786) teorizza che la distribuzione delle stelle non ha simmetria sferica intorno alla Terra; esse sono invece distribuite essenzialmente su uno strato che ha uno spessore, certamente grande, ma finito. L'ipotesi viene ripresa (1755) da Kant (e sarà poi ulteriormente sviluppata da Laplace alla fine del secolo), il quale la integra con la teoria nebulare dell'origine del sistema solare (secondo la quale quest'ultimo si sarebbe generato da una primordiale nebulosa ruotante e da un caos, ancora precedente, che avrebbe originato la nebulosa stessa). Inoltre, secondo Kant, le nebulose che si osservano nel cielo non sono altro che ammassi stellari. Si osservi che qui si incomincia ad intaccare il sistema del mondo di Newton in quanto si introduce nell'universo un elemento evolutivo, assolutamente non considerato da Newton stesso, il quale si fermava alla spiegazione dei moti dei corpi celesti così come sono. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (26 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE - Nella seconda metà del secolo iniziano una serie di ricerche dell'astronomo (tedesco ma trapiantato in Inghilterra) W. Herschel (1738-1822), che comportano una rivoluzione rispetto al periodo precedente. Fino ad allora, infatti, ci si era preoccupati di aumentare il numero di osservazioni da elaborare analiticamente per sistemare definitivamente il . sistema del mondo di Newton. Si erano insomma ricercate le prove della validità della gigantesca impalcatura newtoniana, inquadrandole in una trattazione analitica, ma non ci si era spinti a ricercare più oltre. Herschel si costruiva da solo telescopi sempre più grandi e con uno di questi scoprì (1781) il pianeta Urano. (78) A questa scoperta se ne aggiunsero presto delle altre: nel 1787 Herschel scoprì i satelliti di Urano, Oberon e Titania; nel 1789 scoprì il sesto ed il settimo satellite di Saturno, Enceladus e Mimas. Altra importantissima scoperta di Herschel fu quella delle stelle doppi (1801) e la dimostrazione del fatto che alcune di esse costituiscono un sistema ruotante intorno al loro comune centro di massa. Inoltre nel 1805 Herschel determinò la costellazione verso cui si sposta l'intero sistema solare, quella di Ercole. Accertò poi sperimentalmente la forma a disco appiattito della nostra galassia e l'esistenza di innumerevoli altre galassie. Infine, studiando lo spettro solare, scoprì le radiazioni infrarosse (l800). Come si vede si tratta di scoperte sensazionali che permetteranno il passaggio dal ristretto e statico mondo newtoniano alla moderna astronomia galattica. - Nel 1799 uscirono i primi due volumi del Trattato di meccanica celeste di Laplace (il terzo ed ultimo volume uscirà nel 1825). In questa opera imponente Laplace porta a compimento la sistemazione analitica dell'astronomia deducendo tutti i fenomeni riguardanti pianeti e satelliti dall'unica legge di gravitazione (interpretata analiticamente mediante l'uso del concetto lagrangiano di potenziale), analogamente a quanto era stato fatto per la meccanica soprattutto ad opera di Lagrange. Vi era certamente qualche discordanza con i fenomeni osservati, ma si era convinti che, affinando il calcolo, presto si sarebbe stati in grado di dare una descrizione perfetta di tutti i moti planetari. Come osserva Forti (Bibl. 7, vol, 4, pag. 227) "solo due secoli dopo la relatività venne in vece a dimostrare un fatto che ormai fa parte di una visuale moderna della scienza: non è detto che minime discrepanze sperimentali possano essere risolte grazie alla diligenza degli studiosi; esse possono invece richiedere una trasformazione completa dei concetti e dei principi fondamentali". - Altro fatto importante da sottolineare è la misura della densità della Terra effettuata da Cavendish (l731-l8l0). Questa misura fu una prova formidabile della giustezza della legge newtoniana di gravitazione universale. Matematica Senza entrare in dettagli che ci porterebbero troppo lontano, basti dire che la matematica ebbe in questo secolo uno sviluppo formidabile. - L'analisi infinitesimale, adottando definitivamente il metodo ed il simbolismo di Leibniz, progredì enormemente fino all'impostazione ed all'integrazione di equazioni differenziali sempre più complesse, alla teoria delle equazioni a derivate parziali, alla teoria delle serie, al calcolo delle variazioni, ... - Viene fondata e sviluppata la teoria del calcolo delle probabilità. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (27 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE - Nel 1733 G. Saccheri, lavorando sulla dimostrazione del V° postulato di Euclide, aprirà la strada allo sviluppo delle geometrie non-euclidee, che saranno poi elaborate nel secolo successivo (si veda Appendice 6). - Si ebbero grandi sviluppi di algebra e logica. - Furono fondate la topologia e la geometria descrittiva. - Verso la fine del secolo Laplace introdusse la funzione potenziale. - Si sviluppò molto la trattatistica e la sistematica di tutte le conoscenze raggiunte. A questi formidabili progressi contribuirono in gran parte: gli svizzeri Giovanni 1° e Daniele 1° Bernouilli, Euler e Lambert; i francesi Legendre, Bezout, D'Alembert, Clairaut, Vandermonde, Laplace e Lagrange (italiano trapiantato in Francia); gli italiani Manfredi, Riccati e Ruffini; dai matemateci della Gran Bretagna Waring, Taylor, Maclaurin, Stirling e De Moivre (francese trapiantato in Gran Bretagna). Elettrologia e Magnetismo Lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici, iniziato timidamente nel secolo precedente ad opera essenzialmente di Gilbert, Von Guericke e Boyle, diventa sempre più sistematico. Si comincia a disporre di una notevole varietà di fenomeni e si iniziano a costruire modelli interpretativi. Si lavorò molto sulle macchine elettrostatiche, sui sistemi in grado di accumulare cariche elettriche (bottiglia di Leyda - 1745; condensatore a facce piane di Aepinus - 1756), sulle conseguenti leggi relative ai condensatori (Wilson - 1746), sulla trasmissione dell'elettricità (fenomeno scoperto da Gray - 1729) e sulla conseguente distinzione tra conduttori ed isolanti; (78bis) si costruirono i primi strumenti di misura: l'elettrometro di Canton (1753) , quello a foglie d'oro di Bennett (1787), l'elettroscopio condensatore di Volta (1782); a lato di ciò inizieranno le prime interpretazioni dei fenomeni osservati: l'abate Nollet attribuì la causa dei fenomeni elettrici a due correnti, in moto in opposte direzioni, di un particolare fluido che sarebbe presente in tutti i corpi (1749); Franklin sostenne che "la quantità totale di elettricità che si trova su di un corpo isolato è costante" enunciando per primo il principio di conservazione della carica elettrica; sia Franklin che Aepinus avanzarono l'ipotesi che l'azione elettrica si trasmette a distanza senza bisogno di particolari effluvi (allo stesso modo cioè dell'azione gravitazionale); Aepinus sostenne che l'elettricità è un fluido formato di parlicelle che mutuamente si attraggono e si respingono tendendo ad uno stato di equilibrio; Wilke avanzò l'ipotesi che quando si strofinano tra loro due corpi invariabilmente si generano cariche elettriche positive e negative (1759). Passando poi ai dati sperimentali, si trovò: che due poli magnetici si attraggono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza (Michell - 1750); che la carica elettrica si distribuisce sulla superficie dei conduttori (Beccaria - 1753); che la velocità dell'elettricità è tanto elevata da non poter essere misurata (Watson - 1746); che le cariche elettriche si attraggono o si respingono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le cariche (Coulomb - 1785) . (79) Il secolo si conclude sulla polemica tra voltiani e galvaniani (79bis) sull'origine dei file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (28 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE fenomeni elettrici. Infine, nel 1800, Banks annuncia alla Royal Society la costruzione della pila da parte di Volta: inizia la generazione dell'elettrodinamica che tanti rivolgimenti porterà, nel corso del XIX secolo, nell'evoluzione della fisica, soprattutto per l'uso che gli antinewtoniani ed in particolare i romantici ne faranno contro il meccanicismo newtoniano. Termologia e Teoria cinetica dei gas. Questi settori della ricerca sono quelli più direttamente influenzati dagli sviluppi della tecnica (in particolare quella delle macchine a vapore) che sarà in questo settore trainante perché maggiormente legata alle esigenze del modo della produzione. Saranno gli ingegneri quelli che faranno progredire di più la ricerca in questo campo; solo più tardi, nel secolo successivo, si avrà la sistemazione che darà origine alla termodinamica.(80) I primi passi importanti furono fatti nella costruzione di termometri e nella definizione di scale (sulle orme di quanto iniziato da Galileo e dagli accademici del Cimento): nel 1714 Fahrenheit costruisce un termometro, prima ad alcool quindi a mercurio, adottando la scala che porta il suo nome (32°F per il ghiaccio fondente e 212°F per l'acqua bollente); nel 1730 Réaumur costruisce un termometro ad alcool con una scala diversa (0°R per il ghiaccio fondente ed 80°R per l'acqua bollente); nel 1742 Celsius introduce la scala oentigrada (0°C per il ghiaccio fondente e 100° C per l'acqua bollente). Una conquista di notevole portata rimane la distinzione, che riesce a farsi strada, tra temperatura e calore (Klingenstierna - 1729). Un notevole lavoro sperimentale, con precise misure, varrà a stabilire le leggi della dilatazione termica; i concetti di capacità termica e di calore specifico (Wilcke, Black, Lavoisier, Laplaoe, ... ); i fenomeni del calore di fusione e di evaporazione (Black, ... )? quelli della soprafusione, dell'ebollizione e della solidificazione. Anche qui iniziarono le prime interpretazioni teoriche della natura del calore e mentre Euler, come già Boyle, lo riteneva generato dal moto delle minuscole particelle costituenti i corpi (teoria dinamica), Black ed altri lo consideravano un fluido (il calorico ). (80bis) Vi furono grosse polemiche che non risultarono attenuate dalla posizione di Lavoisier e Laplaoe che tentarono di sostenere la conciliabilità tra le due teorie. Molti scienziati si schierarono con la teoria dinamica (Davy, Young, Rumford, ... ). F infine Rumford (B. Thompson) che dopo una serie di esperienze (81) poté affermare che il calore non è altro che movimento. Altri aspetti, di gran rilievo, da ricordare sono: - la fondazione della teoria cinetica dei gas da parte di D. Bernouilli (1738) che ritrovò la legge di Boyle (PV = K) a partire da considerazioni microscopiche sulla natura corpuscolare dei gas}; - la scoperta della conservazione della massa ad opera di Lavoisier (1787) che riuscì a file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (29 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE determinare con esattezza i fenomeni in gioco nella combustione dei corpi. Cose si vede quindi, anche se si è ancora lontani da quella che oggi conosciamo cono termodinamica, i passi fatti sono notevoli. Nel frattempo invece grossi lavori venivano fatti dai tecnici impegnati nello sviluppo del vapore, In particolare Smeaton (1724-1792) definiva i concetti di lavoro e potenza adombrando il principio di conservazione dell'energia (1759). (82) Nel 1698 Savery (l650-1715) brevetta la prima macchina a vapore; nel 1712 Newcomen (1663-1729) farà un notevole passo avanti nella costruzione di questa macchina apportandovi modifiche sostanziali (il rendimento della macchina di Newcomen risulterà raddoppiato con l'introduzione, da parte di Smeaton, di alcuni accorgimenti). Ulteriori e pressocché definitivi passi in avanti furono compiuti (introduzione del condensatore separato) da Watt (1736-1819) nel 1709. Importante in questo contesto è l'opera di Lazare Carnot (1753-1823) che, in un suo lavoro del 1783, si proporrà di "reinserire nella meccanica la scienza delle macchine, che ne era rimasta separata". (83^) Meccanica, Idrodinamica, Acustica, Ottica, Chimica Già abbiamo parlato di alcuni sviluppi importarti della meccanica che in particolare si possono ritrovare in quel processo di sistemazione e trasformazione della meccanica newtoniana che avvenne con l'elaborazione delle meccaniche razionale ed analitica. (84) A lato e a complemento delle cose dette solo poche considerazioni su ulteriori sviluppi, rientranti sempre nel programma che si proponeva di ricavare tutte le leggi che presiedono i fenomeni naturali da pochi e generalissimi principi. In pratica si tratta del principio di minima azione o di Maupertuis e di alcune elaborazioni di D'Alembert. Per quanto riguarda il principio di minima azione basti ricordare che Maupertuis prese le mosse dal tentativo di correggere il principio di Fermat (la luce impiega un tempo minimo per passare tra due o più mezzi a diverso indice di rifrazione ed il cammino che essa percorre non coincide col cammino geometricamente più breve) in modo da metterlo in accordo con alcune ipotesi ottiche di Newton, peraltro errate (la velocità della luce, secondo Newton, dovrebbe essere più grande nelle sostanze più rifrangenti, come l'acqua o il vetro). (85) In definitiva egli trovò (1744) che " nel passare da uno stato ad un altro, una massa sceglie quasi sempre, tra varie vie possibili e diverse, quella che richiede la minima azione". In definitiva i fenomeni naturali e particolarmente quelli meccanici, si svolgono nel modo più economico.(86) Relativamente a D'Alembert, invece, occorre sottolineare la grossa impresa che egli portò a termine nel suo Traité de dynamique (1743); egli riuscì a ricondurre tutte le file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (30 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE questioni di dinamica a problemi di statica mediante il conglobamento delle forze inerziali e vincolari nel più generale concetto di forza e mediante la scelta di un opportuno sistema di riferimento. Nel far questo D'Alembert era mosso dalla sua grande riluttanza ad accettare la definizione newtoniana di forza che egli ritiene essere "vaga ed oscura, soprattutto inutile". Altre tappe importanti nello sviluppo della meccanica sono: - la generalizzazione del teorema delle forze vive mediante l'affermazione dell'equivalenza tra energia cinetica e lavoro (Giovanni 1° Bernouilli - 1727); - la formulazione delle equazioni della dinamica dei sistemi fatta da Lagrange (1768) mediante la fusione dei risultati di D'Alembert con il principio dei lavori virtuali; -la conferma della validità della legge di gravitazione universale per due masse che si trovano sulla Terra (Cavendish - 1798). Parallelamente a questi sviluppi, anche l'idrodinamica ebbe notevole impulso, soprattutto attraverso i metodi di trattazione analitica, cosi estesamente applicati alla meccanica. I contributi più importanti furono: - i lavori di D. Bernouilli del 1738 (in cui, tra l'altro, si introdusse il concetto di pressione idrodinamica per spiegare il moto dei liquidi); - gli scritti di Clairaut del 1743 (in cui, tra l'altro, si determinarono le condizioni generali di equilibrio per una massa fluida); - i lavori di Euler del 1755 (in cui si formularono le equazioni generali dell'idrodinamica) e del 1775 (in cui si determinarono le tre equazioni dell'idrostatica e l'equazione di continuità). Anche l'acustica si sviluppò in modo considerevole con l'elaborazione della teoria meccanica dei fenomeni sonori. In questo campo l'analisi infinitesimale si rivelò strumento formidabile, soprattutto per la risoluzione del difficile problema delle corde vibranti. Quest'ultimo problema vide impegnati Taylor (l713), D. Bernouilli (1740), Euler (1739), D'Alembert (1747), Lagrange (1757). Si studiò la teoria dei tubi sonori (D. Bernouilli e Lagrange - 1762) e si misurò con una buona approssimazione la velocità del suono anche in condizioni diverse (al variare del mezzo, della temperatura, della densità e peso specifico del mezzo, ... )(87bis) Infine E. F. Chladni (1756 - 1827) stabilì il limite superiore per la percezione auditiva, mentre, qualche tempo dopo, F. Savart (1791-1841) quello inferiore. In ottica non vi furono novità di rilievo se si escludono le cose che abbiamo detto parlando di astronomia ed i notevoli successi che si ottennero nella realizzazione di strumenti sempre più. perfezionati. In questo senso merita particolare menzione l'introduzione di lenti acromatiche, ottenute da C. Moor Hall (1758) unendo insieme un vetro flint ed uno crown, di differenti indici di rifrazione (questa possibilità era stata teorizzata da Euler nel 1747). Altri fatti che vanno ricordati sono: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (31 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE - la costruzione di lenti bifocali per occhiali (Franklin - 1784); - la scoperta del daltonismo (Dalton - 1794); - la scoperta del diverso valore del potere emissivo di un corpo nero e di un corpo a superficie speculare (Leslie - 1800). Intanto, per gran parte del secolo si svilupperà, la polemica tra i sostenitori della teoria ondulatoria della luce elaborata da Huygens (l690) e della teoria corpuscolare elaborata da Newon (1704). In particolare Euler criticherà. la posizione newtoniana (1762) contrariamente a Priestley che invece la difenderà. (l772) sostenendo che le particelle di luc.e sono tanto piccole da poter penetrare la materia. La chimica, a grandi passi, si avvia a diventare una scienza, uscendo dagli enormi condizionamenti alchimistici e magici. Enorme stimolo allo sviluppo di questa scienza verrà, dal mondo produttivo (richiesta di sbiancanti e coloranti) e dal mondo tecnologico (e quindi ancora produttivo) per i suoi legami con gli sviluppi della termodinamica. In ogni caso le tappe più importanti che furono conseguite nel corso del secolo sono: - l'isolamento dell'idrogeno (Cavendish - 1766); - l'isolamento dell'ossigeno (Priestley - 1771); - l'analisi dell'aria (1770) e quella dell'acqua (l783) eseguite da Lavoisier; - la produzione della soda (Leblanc - 1790); - l' isolamento di una grande quantità di elementi tra i quali il cobalto (1743), l'azoto (1772), il manganese (l774), il nichel (1775), il tungsteno (1782), il molibdeno (1782), il cromo (1797), il berillio (1797), il tellurio (1798), e via via molti altri all'inizio del secolo successivo; - la pubblicazione (1789) del Traité élémentaire de chimie di Lavoisier che può essere considerato il primo testo moderno di chimica?; file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (32 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE - la formulazione di alcune leggi sui gas (Charles - 1787; Volta 1793 e 1795); - la fondazione della stechiometria (Richter - 1796); - la realizzazione dell'elettrolisi dell'acqua (Nicholson - 1800). Ma accanto a questi indubbi successi, occorre ricordare la profonda sfiducia che si aveva nella chimica come scienza. Essa infatti risultava essenzialmente empirica e non utilizzava gli strumenti ed i metodi della matematica. A questo proposito Kant sosterrà (1786): " La chimica non potrà diventare nulla più che un'arte sistematica o una dottrina sperimentale, ma mai una scienza nel senso proprio del termine, poiché i suoi principi sono soltanto empirici ... ed incapaci di applicare la matematica". (88) 4 - LO SPAZIO ED IL TEMPO Abbiamo già detto delle critiche di Leibniz e Berkeley allo spazio ed al tempo assoluti di Newton. Abbiamo anche implicitamente già visto che nessuna di queste critiche fu però in grado di impedire che i concetti in questione si affermassero come substrato concettuale fondamentale dell'indagine sui fenomeni naturali. Vi furono comunque, nel corso del XVIII secolo, a lato dei difensori di questi concetti (tra i quali alcuni cercarono perfino di dimostrarne la necessità logica), sia coloro che erano completamente indifferenti a questi problemi (semplicemente non tenendone conto o al massimo accettandoli come mera ipotesi di lavoro sulla quale non era il caso di soffermarsi per ricercarne una motivazione teorica - operazione che si comincia a considerare estranea all'evoluzione della ricerca fisica), sia coloro che esplicitamente vi appuntarono le loro critiche. Anche se le posizioni degli uni e degli altri non aggiungono nulla di nuovo dal punto di vista dell'indagine fisica, vale la pena riportarle perché rappresentano la parte del pensiero di Newton che si sviluppa come filosofia naturale. In Gran Bretagna, dove il meccanicismo newtoniano ha solide radici, nessuno si preoccupa di discutere ciò che è ritenuta una verità, se non altro per i grandi successi che via via vengono conseguiti a seguito di elaborazioni (apparentemente) discendenti da queste verità. Lo spazio ed il tempo assoluti sono dati come scontati, semmai si tratta di ribadirne la necessità come ad esempio fa Maclaurin quando afferma: " Questo permanere di un corpo in uno stato di quiete o di moto uniforme, può aver luogo solo in uno spazio assoluto, e può essere intellegibile solo ammettendolo." (89) Più complessa è la situazione francese poiché, nonostante l'accettazione del newtonianesimo a partire dalla metà del '700, sempre forte è la tradizione razionalista cartesiana. In questo paese lo spazio ed il tempo assoluti non suscitano grandi entusiasmi, anzi. I Lagrange, i Laplace, i Poisson, ... useranno questi concetti come meri elementi utili al calcolo. Essi si convinceranno che non vale la pena dedicare un poco di tempo alla critica dei fondamenti, cominciando a configurare una immagine della scienza (che oggi conosciamo bene) molto più preoccupata della sua efficienza che non della sua essenza. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (33 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Solo Diderot e D'Alembert, nell'Encyclopedie (1755), prenderanno esplicitamente posizione quando, alla voce spazio, sosterranno: "Noi non prenderemo partito sul problema dello spazio. Si può vedere, attraverso tutto ciò che è stato detto .... quanto questo oscuro problema sia inutile alla geometria ed alla fisica." (90) E, come sostiene Jammer, "si può perfino affermare che questa assenza [di considerazioni su spazio e tempo assoluti] non soltanto non risultò un ostacolo per la meccanica del diciottesimo secolo e del principio del diciannovesimo, ma in certa misura, facilitò lo sviluppo di questa scienza." (91) Più complessa ed argomentata è invece la posizione di Euler sui concetti di spazio e tempo assoluti. Uscendo fuori dall'ambito metafisico in cui altri sostenitori (come Clarke) avevano collocato questi concetti, egli tenta di ricavarli come necessità che scaturiscono dalla meccanica ed in particolare come conseguenza del principio d'inerzia. Euler parte con il riconoscere che lo spazio assoluto, in quanto tale, non è certamente percepibile ai nostri sensi né tanto meno rilevabile con una qualsiasi esperienza. Allo stesso modo l'esistenza di questo spazio non può essere affermata con considerazioni di carattere metafisico o, più in generale, filosofico. Se l'insieme dei fenomeni, egli sostiene, che siamo riusciti a comprendere, studiare e sviluppare, hanno per fondamento la meccanica che a sua volta poggia sui concetti di spazio e di tempo assoluti, questi concetti non possono essere delle semplici astrazioni, delle mere invenzioni, ma devono rappresentare un substrato reale ed indispensabile a quell'insieme di conoscenze su cui si fonda tutta la nostra scienza; egli dice: " E' invero evidentemente assurdo affermare che delle pure invenzioni possano servire di fondamento ai principi relai della meccanica..." (91). E prosegue: "se ne dovrebbe piuttosto concludere che tanto lo spazio assoluto quanto il tempo, quali i matematici se li rappresentano, sono cose reali, che esistono anche al di fuori della nostra immaginazione."(94) Ed ancora»: " E' impossibile affermare che il primo principio della meccanica [il principio d'inerzia - n.d.r.] sia fondato su qualcosa che esiste solo nella nostra immaginazione. Perciò, dobbiamo necessariamente concludere che l'idea matematica del luogo non è immaginaria e che, al contrario, esiste nell'universo qualcosa di reale che corrisponde a tale idea. Nel mondo, dunque, oltre ai corpi che lo costituiscono, sussiste una qualche realtà che noi ci rappresentiamo con l'idea di luogo."(95) Su che tipo di realtà sia poi lo spazio assoluto si tratterà di lavorare per capirlo, ma in ogni caso va rifiutato, dice Euler, l'atteggiamento dei filosofi che, dividendo in categorie tutto ciò che è reale e dimostrando che lo spazio non è in nessuna categoria, ne affermano l'inesistenza; lo spazio una qualche specie di realtà deve pur averla, semmai quel che file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (34 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE occorre rifare sono le categorie. E' quindi dalla prima legge della meccanica che Euler prende le mosse per arrivare a dimostrare la necessità di spazio assoluto. In sostanza il suo ragionamento tende a dimostrare la necessità logica del principio d'inerzia e quindi, per implicazione, la necessità logica dello spazio (e quindi del tempo) assoluto. Euler enuncia così la prima legge: "Un corpo che si trovi in quiete assoluta, persevererà perpetuamente nella quiete, se non sarà soggetto a nessuna forza esterna.."(96) e subito dopo spiega: " Poiché infatti non esiste nel corpo nessuna ragione perché debba cominciare ad essere mosso in una direzione piuttosto che in tutte le altre, e poiché qui viene rimossa ogni causa di moto esterno, il moto non potrà aver luogo in nessuna direzione. Questa verità poggia perciò sul principio di ragion sufficiente."(96) Ed ecco dimostrata, con il principio di ragion sufficiente (che abbiamo già visto abbondantemente usato da Leibniz), la prima necessità logica da cui, appunto per implicazione, scaturisce la seconda. Per un certo periodo il filosofo tedesco I. Kant (1724-1804), che tanta importanza avrà negli sviluppi della formazione del pensiero filosofico e scientifico dell' '800, (96bis) fu attratto dalla visione euleriana di spazio e tempo assoluti e, conseguentemente, li sostenne e li difese. Kant, nel suo periodo pre-critioo, influenzato dall'opera di Wolff (1733 - 1794), iniziò col tentativo di conciliare Leibniz con Newton.(97) In questa fase passò dapprima (98) ad ammettere un carattere puramente relativo allo spazio, quindi, come già annunciato, si convertì al punto di vista newtoniano nella formulazione euleriana (99) (in cui, bisogna sottolinearlo, erano scomparse le istanze metafisiche newtoniane ). A questo punto Kant sosterrà esplicitamente che " lo spazio assoluto ha una sua peculiare realtà indipendentemente dall'esistenza della materia."(100) Da questo momento, sotto l'influenza di Hume che, come afferma lo stesso Kant, " lo svegliò dal dormiveglia dogmatico" e degli altri empiristi inglesi (Locke, Berkeley), si cominciano piano piano ad affermare nuove idee nei lavori del filosofo tedesco che troveranno ampia esposizione nella Critica della ragion pura (l88l). In questo lavoro Kant nega la realtà fisica dello spazio e del tempo indipendentemente dalla nostra condizione soggettiva. Riguardo allo spazio afferma: "Lo spazio non è un concetto empirico, proveniente da esperienze esterne. [...]. Lo spazio è una rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Non è possibile farsi la rappresentazione che non ci sia spazio, mentre si può benissimo pensare che non vi sia in esso alcun oggetto. Lo spazio dev'essere pertanto considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni e non come una determinazione da essi dipendente; ed è una rappresentazione a priori, che sta necessariamente a fondamento dei fenomeni esterni. [...]. Lo spazio è ... un'intuizione pura. [...]. Dunque, soltanto da un punto di vista umano possiamo parlare di spazio, di esseri estesi ecc. Ma se prescindiamo dalla condizione soggettiva ... la rappresentazione dello spazio perde ogni significato." (102) Riguardo al tempo le cose che Kant sostiene sono esattamente dello stesso tipo: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (35 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE "Il tempo non è un concetto empirico, derivante da una qualche esperienza. Infatti la simultaneità e la successione non potrebbero neppure mai costituirsi come percezioni se non ci fosse a priori, quale fondamento, la rappresentazione del tempo.[...]. Il tempo è una rappresentazione necessaria che si trova a fondamento di tutte le intuizioni .... Il tempo è dunque dato a priori.[...]. Il tempo è ... una forma pura dell'intuizione sensibile.[...]. Il tempo non è più oggettivo se si prescinde dalla sensibilità della nostra intuizione ... Il tempo non è dunque che una condizio- ne oggettiva della nostra (umana) intuizione (la quale è sempre sensibile)... Tuttavia, relativamente a tutti i fenomeni, e quindi anche a tutte le cose che possono presentarsi nell 'esperienza, il tempo è necessariamente oggetti vo. [...]. Le nostre considerazioni insegnano dunque la realtà empirica del tempo...Per contro contestiamo al tempo ogni pretesa di realtà assoluta... Il tempo si riduce a nulla se si prescinde dalle condizioni soggettive dell'intuizione sensibile." (110) In definitiva Kant afferma la soggettività, e non la leibniziana relatività, dello spazio e del tempo. Lo spazio ed il tempo non esisotono in sé, ma in quanto la nostra sensibilità ce li fa avvertire di per sé: questi concetti sono condizionati dall'esperienza, sono particolari intuizioni a, priori che ci fanno organizzare le sensazioni, i dati della realtà esterna; non hanno alcuna validità assoluta. E l'operazione più importante che Kant fa, e nella quale si inseriscono le considerazioni che or ora si portavano avanti, è l'attribuire tutti i successi raggiunti nei più svariati campi, con l'applicazione del metodo sperimentale, all'attività trascendentale della ragione. E' un definitivo sancire, a livello filosofico, l'impossibilità di una scienza che si fondi su mere descrizioni di un mondo di per sé semplice ed armonioso, immagine della perfezione di un supposto Dio. E' l'uomo che sente e, con la sua ragione, interpreta e costruisce una rappresentazione del mondo. 5 - IL TRIONFO DEL MECCANICISMO E PRIME ISTANZE CRITICHE. In tutto ciò che ho scritto in queste capitolo ho cercato di delineare i caratteri fondamentali del XVIII secolo, il secolo dell'Illuminismo. Dal punto di vista politico-economico il dato dominante è il progressivo cambiamento del modo di produzione con la conseguente avanzata della borghesia. Questa classe riesce pacificamente ad imporsi in Gran Bretagna, mentre resterà, per lungo tempo, compressa ed osteggiata nel resto d'Europa. A lato di ciò, abbiamo seguito i possenti avanzamenti della tecnica che, almeno per tutto il secolo, resta slegata dalla produzione scientifica. La scienza, se da una parte non ripete i clamorosi successi del secolo precedente, dall'altra (completando e perfezionando il programma dei newtoniani con una descrizione del mondo, in linguaggio matematico, strettamente meccanicistica e deterministica) si sistema e si organizza in modo da preparare gli enormi avanzamenti del secolo sucessivo.(104) A questo riguardo abbiamo accennato alle tre linee di pensiero che in questi anni lottano, si intersecano e si sovrappongono tra loro, il cartesianesimo, il leibnizianesimo, il newtonianesimo. Abbiamo anche notato che il progressivo affermarsi del meccanicismo newtoniano, fino al suo trionfo alla fine del secolo, era su linee che se pur si richiamavano a Newton, in realtà, ne rappresentavano il superamento o quantomeno la sua integrazione e sistemazione con il meccanicismo cartesiano e con la critica di Leibniz. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (36 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Resta, a questo punto, da completare il quadro generale, da aggiungere qualche considerazione, da trarre qualche conclusione e di cercar di mettere insieme le prime istanze critiche emergenti. Gli ideali dell'Illuminismo, programma di emancipazione della borghesia, trovano un importante compimento, alla fine del secolo, con le rivoluzioni americana e francese; (105) con esse si sanziona il trionfo della borghesia e si comincia a delineare lo stato democratico-borghese con i suoi principi che saranno poi alla base di tutta la concezione liberale. Dagli Stati Uniti e dalla Francia questi principi ai propagheranno per tutta Europa e faranno da punto di riferimento dei moti liberali ottocenteschi. Per altri versi il secolo assolverà al fondamentale ruolo di accelerare, portando a compimento, il processo di diffusione e laicizzazione della cultura. Da una parte, sulla scorta di quanto iniziato nel secolo precedente, si rafforzano e si moltiplicano le Accademie Scientifiche, dall'altra vengono fondate nuove scuole, collegi ed università. (106) A questa operazione lavorano sia privati che regnanti illuminati. L'insegnamento assume caratteri che sempre più vanno a laicizzarlo e a toglierlo dalle mani di vari ordini religiosi. La cacciata dei gesuiti da molti paesi (Portogallo - 1759; Francia - 1762; Spagna, Regno di Napoli, Ducato di Parma - 1767/1768) e la soppressione di questo ordine da parte di Papa Clemente XIV (106bis) nel 1773 contribuirà grandemente a ciò. Possono cominciare a penetrare gli insegnamenti di Newton (fortemente osteggiati proprio dai gesuiti) e nuovo slancio acquista la separazione tra scienza e religione, iniziatasi alla fine del '600. Questo legame non era ancora sciolto del tutto, "anche in questioni riguardanti puramente la scienza della natura si osservava e si difendeva con zelo l'autorità della Scrittura." (107) Durante questo secolo molte cose cambiano e "lo scherno che Voltaire riversa continuamente sulla <fisica biblica> ci sembra oggi sorpassato ed insipido; ma chi voglia dare un giusto giudizio storico non deve dimenticare che nel secolo XVIII quello scherno era lanciato contro un avversario serio e pericoloso." (107) "Si tratteggia per la prima volta una storia fisica del mondo, lontana da ogni sorta di dogmatismo religioso e desiderosa di basarsi soltanto sui principi universali della conoscenza teorica della natura" (108) e Voltaire, per più di 50 anni, lavorò allo smantellamento del sistema tradizionale portando a termine una "opera di distruzione che fu condizione indispensabile della nuova costruzione della fisica" . (108) E tutta quest'epoca confluirà», da una parte nel lavoro di Kant, in cui definitivamente si affermerà l'impossibilità di una scienza metafisica (109) e, dall'altra, nei lavori di Laplace, dei quali parleremo più oltre, in cui la natura è descritta come completamente indipendente da Dio ed interamente comprensibile all'uomo (è solo questione di tempo). A lato di ciò, durante il '700, cambierà lo status dello scienziato. Il lavoro scientifico, che fino al secolo precedente era essenzialmente affidato a singoli ingegni, che usavano delle loro rendite da altre attività, per fare della scienza, diventa ora sempre più opera di professionisti con la conseguenza di allargare sempre di più la base sociale degli addetti ai lavori. Insomma per fare scienza nel '700 si è di più, si proviene da strati sociali un poco più differenziati , si comincia ad essere pagati. Ma il carattere saliente di questo secolo, da un punto di vista filosofico e scientifico, è il trionfo del meccanicismo che per molti versi ho cercato di delineare nelle pagine precedenti. L'opera di Newton, con gli aggiustamenti, le sistemazioni, le integrazioni e le omissioni di tutto quel complesso di fisici - matematici che vi lavorarono, viene universalmente accettata. La meccanica, nella sua nuova formulazione, acquista piena e superiore dignità scientifica. Il sistema del mondo di Newton trova clamorose conferme in tutte l' osservazione astronomica e geodetica. E non solo. Anche in campi che Newton non aveva toccato o solo sfiorato, la sua fisica trova grandi applicazioni portando ad ulteriori e fondamentali conferme. La legge dell'inverso del quadrato della distanza, a fondamento file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (37 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE della gravitazione, la si ritrova in magnetostatica (Michell) ed in elettrostatica (Coulomb) e Laplace potrà affermare che questa legge "relativa alla forza, vale per tutte le emanazioni che provengono da un centro come quella della luce." (110) Certo il pregiudizio non era estraneo alle ricerche di elettricità e magnetismo: le leggi dell'inverso del quadrato sono trovate perché sono cercate; i modelli di fluido o di particelle per l'elettricità discendono direttamente dall'adesione a Descartes - Huygens o a Newton. In ogni caso, al di là di pur autorevoli contraddittori, il mondo ordinato e determinato della fisica newtoniana aveva preso completamente piede alla fine del XVIII secolo. La natura sembrava obbedire tutta a quella legge dell'inverso del quadrato e a quelle forze che agivano istantaneamente nel vuoto, (111) a distanza e lungo la congiungente rettilinea i centri delle masse o delle cariche in gioco. Tutti i fenomeni naturali, il mondo, sembravano completamente determinati; occorreva solo il tempo necessario ad effettuare materialmente tut te le operazioni e poi nulla sarebbe più sfuggito alla capacità dell'uomo di tutto comprendere e descrivere. Questo stato d'animo, questo atteggiamento, è ben rappresentato da Laplace che, nel suo Saggio filosofico sulle probabilità (1814) si rammaricò di non poter essere completamente determinista per mancanza di dati. Egli scrisse: " Un'Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva di tutti gli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." (112) E' questo il manifesto del meccanicismo a cavallo dei secoli XVIII e XIX che illustra bene il substrato culturale su cui lavoravano i fisici-matematici francesi di quel periodo. Ma, si badi bene, questa enunciazione laplaciana introduce degli elementi non perfettamente in linea con la filosofia naturale di Newton. L'introduzione della probabilità per la comprensione dei fenomeni fisici,che Laplace introduce per rimpiazzare provvisoriamente la mancanza di quell'Intelligenza, è un elemento destinato a diventare sempre più estraneo alle primitive costruzioni newtoniane. In definitiva , a parte questo elemento non in linea con Newton, restano forze a distanza, legge dell'inverso del quadrato, azioni rettilinee nel vuoto e corpuscoli, particelle che, a partire dalla teoria corpuscolare della luce di Newton, avevano sancito il loro successo con la teoria cinetica dei gas di D. Bernouilli (l738). Ormai la spiegazione del mondo consisteva nel ridurre tutti i fenomeni naturali alle interazioni meccaniche di particelle considerate come parti ultime della materia. Bastava, come abbiamo visto or ora per Laplace, conoscere le condizioni iniziali (posizioni e velocità) di un dato sistema di parlicelle per calcolarsi, con la meccanica, la sua successiva evoluzione a stati diversi in fenomeni diversi. Ed è importante notare che, con la meccanica, non era soltanto possibile calcolarsi l'evoluzione in avanti, ma anche l'evoluzione all'indietro. Niente infatti, a partire dalla formulazione newtoniana, impediva la reversibilità dei fenomeni naturali proprio perché le equazioni della meccanica risultano simmetriche rispetto al tempo (e questo almeno dal punto di vista degli sviluppi analitici poiché rimanevano i «piccoli» particolari costruttivi sui quali da anni si affannavano i tecnici, costruttori di macchine a vapore, per cercare di ottenere un poco più di lavoro meccanico dalla quantità di calore che impiegavano). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (38 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE In questo contesto particellare si inseriscono i lavori del gesuita Giuseppe Roggero Boscovich (1711-1787) che risultò un grande «mediatore» tra la fisica di Newton e la critica di Leibniz. (113) La ricerca di Boscovich partì dal proposito di determinare il centro di oscillazione dei corpi solidi. Per far questo passò attraverso lo studio dei fenomeni d'urto tra due corpi. Da alcune osservazioni empiriche (tutte di carattere qualitativo) egli iniziò a costruirsi un modello microscopico dei fenomeni in oggetto. Se l'urto tra le particelle ultime che costituiscono la materia è pensato come urto tra corpuscoli duri ed estesi, allora bisogna ammettere che nell'urto si crei una discontinuità nella velocità e quindi nel- la quantità di moto delle particelle.(116) L'ammissione di ciò viola la legge di continuità che impedisce si possa andare da un valore ad un altro, di una data grandezza, senza passare attraverso valori intermedi. La prima assunzione di Boscovich è quindi quella legge di continuità , di sapore prevalentemente euristico, che spesso era stata utilizzata da Leibniz. Per risolvere il problema occorre, secondo Boscovich, sbarazzarsi dei corpuscoli estesi e duri ed ammettere una sorta di parziale «penetrabilità» della materia. Dalle sue osservazioni risultava che "immediatamente prima del con- tatto [nell'urto tra corpi solidi] le stesse velocità [di questi corpi] cominciano a cambiare." (117) Quindi, a distanze piccolissime, non vi deve più essere attrazione (gravitazionale) tra corpi, ma repulsione che aumenta al diminuire della distanza tra gli stessi. Riportando ciò a livello microscopico è impossibile pensare le ultime parlicelle della materia come dure ed estese. Esse, secondo Boscovich, devono essere punti (matematici), indivisibili, inestesi, dotati di inerzia ma non di massa, (118) disseminati nel vuoto immenso. Intorno a questi punti vi è poi una sorta di atmosfera di forza, più densa man mano che ci si avvicina al punto. In questo modo Boscovich supera la difficoltà che sullo stesso problema si era presentata a Leibniz (119), sviluppando, come osserva B. Russel, la monadologia in modo più logico e conseguente dello stesso Leibniz. Le azioni che poi si esercitano tra punti di Boscovich sono a distanza, di tipo cioè newtoniano, ma anche se qui c'è un esplicito richiamo a Newton, quando si dovesse formalizzare il problema, non potremmo introdurre la massa e quindi in alcun modo potremmo parlare di forze alla Newton. Eppure per Boscovich non c'è materia (120) ma forze le quali sono responsabili di quelle variazioni di velocità nell'urto tra due corpi o tra punti inestesi, cui si accennava prima. E lo stesso urto sparisce nella meccanica di Boscovich; esso è sostituito da azioni che, avvenendo tra punti inestesi, sono sempre a distanza (tra le atmosfere di forza che si lasciano penetrare per un poco e poi, gradatamente, originano la repulsione che diventa sempre più intensa). La curva di forza (meglio sarebbe il dire: di variazione di velocità) in funzione della distanza tra punti è data dal nostro in modo da prevedere attrazioni di tipo gravitazionale a grande distanza, che vanno con l'inverso del quadrato, e repulsioni molto intense (impenetrabilità della materia) a brevissima distanza. A distanze intermedie si hanno delle altre intersezioni della curva con l'asse delle ascisse che, nelle ipotesi di Boscovich, debbono rendere conto di tutti gli altri fenomeni conosciuti come, ad esempio: l'evaporazione di un liquido, la coesione, il gas prodotto da fermentazione di sostanze, ... (si veda la figura 1). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (39 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Figura 1 Questa concezione di Boscovich, che prende le mosse da Leibniz, che si sviluppa con Newton, che è in contrasto con il meccanicismo cartesiano (che si serviva di particelle estese e dure nel tutto pieno), è in realtà un' elaborazione assolutamente originale; (121) e ad essa, poiché si fonda sul concetto di forza, è stato dato il nome di «dinamismo ». Il dinamismo, modello meccanicistico che si presterà bene ad una elaborazione matematica, sta in mezzo tra concezioni corpuscolari e fluidistiche; esso in qualche modo concilia il punto di vista della continuità (forze presenti dovunque) con quello della discontinuità (punti inestesi). Vedremo in seguito gli enormi sviluppi che si avranno dall'elaborazione del dinamismo, soprattutto ad opera di Faraday. E' ora interessante osservare che, ancora nel secolo di Boscovich, un altro sostenitore del dinamismo fu proprio Kant, che molto contribuì alla sua affermazione per la grande influenza più generale che egli ebbe sul pensiero filosofico e scientifico dell' '800. Nonostante quindi i grandi successi dei fisici - matematici francesi, le prime istanze critiche, che erano state di Leibniz e di Berkeley, si facevano avanti ed andavano a mettere in discussione proprio i fondamenti della meccanica stessa. (122) Questo bisogno di critica dei fondamenti era stato tra l'altro esplicitamente manifestato da Kant nei suoi Primi principi metafisici della scienza della natura (1786). Secondo Kant occorre far avanzare la discussione sui principi della meccanica ben oltre la loro accettazione acritica a priori. Bisogna arrivare fino ai concetti base su cui l'intera meccanica poggia. (123) Siamo alla fine del XVIII secolo. La formulazione di queste prime istanze critiche coincide, da una parte, con la decadenza dell'Illuminismo (124) e, dall'altra, con l'emergere della Germania che va, via via, a collocarsi al centro del pensiero filosofico europeo. Il primo movimento di rottura con il pur evanescente Illuminismo tedesco (125) è quello dello Sturm und Drang. Gli appartenenti ad esso (gli sturmer) ebbero molto in file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (40 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE comune con gli illuministi, soprattutto divisero con loro la dura condanna per l'ancien regime, l'interesse per la natura e lo spirito laico; nel contempo, però, si distaccarono radicalmente da essi nel sostituire la categoria del 'genio' a quella della 'razionalità'. Ma l'autentico superamento dell'Illuminismo tedesco sarà rappresentato dal criticismo kantiano. Kant, che si muoveva all'interno dell'Illuminismo (essendone un appassionato difensore), si impadronì delle esigenze di razionalità di esso, studiò i fondamenti di tali esigenze ed arrivò a scoprirne i limiti. Sulla strada aperta da Kant inizia a muoversi J.G. Fichte (1762- 1814) che ben presto si distaccherà dal maestro per imboccare la strada della filosofia dell' 'idealismo' che in poco tempo si imporrà a tutta la Germania. (127) Un allievo di Fichte, F.W. Schelling (l775-l854), che insieme allo stesso Fichte e ad Hegel (1770-1831) saranno ispiratori del movimento romantico, sarà poi il fondatore di quel movimento di pensiero, detto Naturphilosophie, che vedrà* Oersted tra i suoi sostenitori e lo influenzerà nella realizzazione della famosa esperienza, alla base dell'elettromagnetismo. Di tutto questo, comunque, avremo modo di occuparci più avanti, quando cercheremo di fornire un quadro di riferimento politico - economico - filosofico per il nuovo secolo che ormai sta iniziando. CAPITOLO III 1 - UNO SGUARDO SULL' OTTOCENTO: RAPPORTI FRA SCIENZA, TECNICA, VITA CULTURALE E CIVILE NELLA PRIMA META' DEL SECOLO La complessità degli avvenimenti, sia politico-economici sia tecnico-scientifici, che si susseguono nel corso dell'800 è tale da sconsigliare, nell'ambito degli scopi di questo lavoro, un'indagine che abbia una qualche pretesa di completezza. Cercherò, per quanto possibile, di cogliere gli elementi che ritengo più significativi, rimandando alla vasta bibliografia esistente per tutti gli aspetti e gli sviluppi particolari. Su alcuni punti comunque ritengo sia necessario soffermarsi, soprattutto per cercare di capire più a fondo le problematiche che alla fine del secolo porteranno all'affermazione della Relatività einsteniana. In questo senso mi occuperò con qualche dettaglio della nascita e degli sviluppi dell'elettromagnetismo e di alcune questioni di ottica e di termodinamica. Anche se non l' ho teorizzato, credo si sia capito, da quanto precedentemente scritto, che non ritengo si possa cogliere nella sua interezza il processo di crescita delle conoscenze e di articolazione dei dibattiti, dispute o controversie, senza avere come riferimento costante l'evolversi ed il dialettico intrecciarsi tra progresso delle scienze e delle tecniche con storia sociale e civile dei popoli. Nessuna pretesa di originalità quindi nel ricercare anche ora alcuni aspetti dell'interazione suddetta; solo convinzione di fornire elementi utili ad un proficuo approfondimento. I primi anni del secolo XIX sono segnati, dal punto di vista politico-militare, dalle armate napoleoniche che dilagano in tutta Europa con continue guerre, mai nella storia file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (41 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE precedente così sanguinose. Se da una parte la breve vicenda napoleonica scosse la vecchia Europa, retrograda e quasi sempre governata dall'assolutismo (illuminato o meno), diffondendo ideali di libertà, insieme ad una concezione di stato moderno con leggi ispirate ai diritti ed ai doveri del cittadino, d'altro canto essa urtò contro gli spiriti nazionali e, anziché contribuire al diffondersi degli ideali universali dell'illuminismo, generò una massiccia rivolta contro di essi sia da un punto di vista ideale che politico. In ogni caso la politica di Napoleone, fino al suo crollo definitivo (Waterloo, 1815), riuscì ad esportare alcune radicali trasformazioni negli apparati amministrativi degli stati che, già realizzate in Francia, ben presto divennero patrimonio di gran parte dell' Europa. In questa epoca la scienza francese, sorretta da massicci finanziamenti al fine di servire le armate napoleonicbe, fece notevoli balzi in avanti. Le scuole tecniche nate durante la Rivoluzione ebbero un notevole impulso. Una generazione di scienziati si formò in esse ( Malus, Arago, Poncelet, Cauchy, Sadi Carnot, Gay-Lussac, Thenard, Dulong e Petit). Inoltre nacquero altre scuole e questo fiorire di iniziative, cui partecipavano come insegnanti i massimi scienziati dell'epoca (Monge, Laplace, Lagrange, Berthollet, ...), portò sempre di più ad affermare l'attività scientifica come professione. Fare lo scienziato assunse il significato di lavorare per lo sviluppo tecnico-economico-militare del Paese. Per questo si era pagati. Come conseguenza di ciò e proprio perché dallo studioso, a questo punto, si richiedevano prodotti di sempre più immediata utilizzazione, nacque la specializzazione scientifica. Il filosofo naturale, che si occupava con maggiore o minore successo di troppe questioni abbracciando con le sue ricerche e speculazioni campi molto distanti tra loro, andava via via scomparendo. Certamente rimanevano i Laplace ed i Gauss, ma erano gli ultimi residui della formazione in epoca precedente. Da questo momento e fino a quando le difficoltà che nasceranno all'interno delle singole discipline non imporranno una revisione generale trascendente la disciplina medesima, ognuno coltiverà le sue ricerche particolari sempre più specializzate e sempre più chiuse alla comunicazione reciproca. (128) La separazione tra scienza e filosofia, fatto del quale ancora oggi discutiamo, si realizzò in questo periodo. Gli ideali illuministici che postulavano l'unità del sapere cozzavano ora contro le esigenze militari e produttive. La scienza va sempre più legandosi con il mondo della produzione ed in questo secolo assistiamo al ribaltamento di quanto avvenuto nel secolo precedente; è ora la scienza che razionalmente studia a tavolino i prodotti tecnologici necessari all'aumento della produzione, all'accrescimento dei potenziali aggressivi e qualche volta difensivi degli stati. " La scienza deve ora attestarsi su canoni metodologici che ne legittimino la ricerca di nuovi standards di esattezza e di rigore, sia manuali che teorici, giustificando lo studio delle leggi naturali e delle loro applicazioni non più in base all'illusione illuministica di essere direttamente uno stimolo per la produzione, ma piuttosto asserendo l'autonomia e la necessità di tale ricerca in quanto valida in sé e destinata prima o poi ad avere applicazioni utili." (129) La filosofia che comprenderà e teorizzerà questi Ideali sarà quella del Positivismo che, prima dell' enunciazione di Comte (1798-1857), (130) "si instaura di fatto come atteggiamento generale e come metodo di lavoro nell'ambito dell'Ecole." Il Positivismo postula la separazione completa della scienza dalla teologia (laicità dell'uomo e del mondo) ed il netto primato della scienza su altre forme di conoscenza umana. (131) La scienza offre una vasta gamma di risultati 'positivi' ma sono soprattutto i suoi metodi che permetteranno il superamento delle argomentazioni ipotetiche, infondate, inverificabili e perciò irrealizzabili. L'adozione di un metodo rigoroso, controllato e comune, il raggiungimento di un'ideale scienza unificata che, nel rispetto delle singole discipline, superi tutti i difetti dell'eccessiva specializzazione e della mancanza di interdisciplinarietà. La scienza è lo strumento indispensabile al progresso dell'umanità. La sua evoluzione file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (42 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE permetterà all'uomo di risolvere tutti i suoi problemi di lotta per l'esistenza in una natura sempre meno ostile proprio perché la scienza sempre più è riuscita a sottometterla ai suoi voleri. In questo contesto la filosofia assolve, per Comte, un ruolo importante di ordinatrice e correttrice degli eccessi di specializzazione fino ad arrivare ad un ruolo di promotrice dell'integrazione dei vari risultati che scaturiscono dai vari campi di ricerca. E tutto ciò proprio nel momento in cui molti scienziati, come dicevamo, sempre più si disinteressavano di filosofia, ritenendo le discussioni sull'argomento troppo generali, quindi generiche e perciò sterili. Questo atteggiamento, spesso definito come 'positivistico', fu osteggiato dagli stessi positivisti ed al suo diffondersi contribuirono molto di più le correnti di pensiero che più decisamente si professavano antipositivistiche. (132) Il disinteresse sempre maggiore da parte dello scienziato per i problemi dell'uomo, con l'autogiustificazione di far scienza e di stare comunque lavorando per il bene dell'umanità al di sopra di ogni bega contingente, al di sopra delle parti, fu uno degli aspetti più rilevanti ed una delle 'tentazioni' più forti dell'800. Basti pensare che ancora oggi ci troviamo a discutere, soprattutto dopo il 1968, della questione della "neutralità" della scienza e della "responsabilità sociale dello scienziato". (133) Ma ritorniamo a quanto tralasciato qualche riga più su. Abbiamo parlato del grande impulso che napoleone dette alla ricerca scientifica. In concomitanza con ciò, proprio agli inizi del secolo, in Francia si ebbe una grande ripresa dell'attività pratica (tralasciata, come abbiamo visto, per tutto il '700), gli scienziati francesi volsero i loro interessi alla scienza sperimentale ed empirica proprio per soddisfare le impellenti richieste degli eserciti di Napoleone. La caduta di quest'ultimo, il Congresso di Vienna (1815), la Santa Alleanza iniziarono quel periodo che va sotto il nome di Restaurazione. Le forze più conservatrici, legate soprattutto alla nobiltà terriera dell' "ancien régime", tentarono di 'restaurare' l'ordine sociale ed il potere politico precedente l'esplosione rivoluzionaria. Almeno fino al 1848 il tentativo riuscì e si ripercosse molto gravemente sulla vita scientifica e culturale che venne sottoposta a rigidi controlli. Ma un puro e semplice ritorno al passato era anacronistico. Le coscienze erano maturate e cresciute, era possibile reprimere ma non convincere. In questa fase la borghesia riprese coscienza del suo ruolo motore per lo sviluppo della società. I primi moti contro i nuovi oppressori si ebbero nel 1820-21 (forze liberali); e quindi nel '48 (liberali + democratici), dopo un'importante parentesi rivoluzionaria (la Comune di Parigi), proprio la borghesia riprenderà quasi ovunque il potere. (134) Durante questa prima metà del secolo le vicende legate allo sviluppo della scienza, della tecnica, della cultura in generale e delle forze produttive si differenzia abbastanza da paese a paese. In Francia, abbiamo già visto che, a partire dalla Rivoluzione c'è una grande ripresa dell' attività pratica che comporta una trasformazione notevole della scienza. Uno dei primi compiti, di enorme impegno, che gli scienziati francesi (Monge, Borda, Lagrange, Laplace, Delambre, Coulomb, Berthollet, Lavoisier) si trovarono ad affrontare fu l'unificazione dei pesi e delle misure con l'introduzione del sistema metrico decimale. I lavori iniziarono nel 1793 e si conclusero nel 1799. Questo nuovo sistema fu rapidamente accettato da molti Stati e comportò notevolissime facilitazioni ai commerci. Altri compiti immediati che gli scienziati dovettero affrontare, e che non avevano nulla a che fare con la fisica-matematica settecentesca, erano immediatamente suggeriti dalle esigenze belliche. Monge studiò le questioni riguardanti la fusione e la perforazione dei cannoni. Fourcroy si occupò, come già aveva fatto Lavoisier (nel frattempo caduto sotto la ghigliottina), di sviluppare tecniche atte ad estrarre il salnitro per gli esplosivi dal letame. Allo stesso fine lavorava Berthollet ma con il clorato di sodio e Morveau mediante ossidazione dell'ammoniaca. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (43 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Certamente i problemi che si ponevano erano diversi da quelli teorici affrontati durante il '700. Questa tendenza ebbe un maggior impulso durante il periodo napoleonico ed in concomitanza con ciò anche l'evoluzione tecnica delle industrie francesi fece notevoli balzi in avanti. Il periodo della Restaurazione vide in Francia un certo successo delle filosofie idealistiche e romantiche che si diffondevano dalla Germania. Personaggi come Chateaubriand, Lamartine, Madame de Staël potranno dar sfogo ad anacronistiche posizioni metafisiche con decisi caratteri antiscientifici. Per la verità la scienza fu poco toccata da tutto ciò la tradizione dell' École era troppo forte ed ancora per anni riuscirà a produrre importantissimi risultati. (135) Ora però viene a mancare lo stimolo diretto alla produzione che gli imprenditori borghesi avevano fornito negli anni precedenti. Dopo un poco il filone si inaridì e per vari anni non produsse altro che la solita sistemazione dei risultati precedentemente raggiunti (e questo fatto trovava inoltre una teorizzazione nella filosofia del Positivismo che non accettava nessuna elaborazione ipotetica che andasse al di là dei fatti noti). In Gran Bretagna, parallelamente a quanto avveniva in Francia nel periodo rivoluzionario e napoleonico, l'attività empirica degli scienziati passava un periodo di crisi. Lo scienziato del Regno Unito, al contrario di quello Francese, spesso langue in miseria non godendo della protezione dello Stato. Non si dispone di finanziamenti per formare scienziati professionisti in scuole pubbliche. L'attività scientifica, anche qui, cambia segno e gradualmente inizia ad interessarsi di questioni di carattere teorico. L'avvertita necessità di cambiamento trovò in Rumford un fecondo interprete, ma i suoi tentativi di rinnovamento, nell'ambito dell'organizzazione e dei metodi delle società scientifiche, non riuscirono a farsi strada in un ambiente restio a mettere in comune le innovazioni tecniche e scientifiche per la paura di concorrenze o plagi sul piano dei brevetti industriali. Riuscirà in parte Davy nel compito che si era prefisso Rumford. Egli otterrà finanziamenti ma presentando la scienza come un qualcosa che oltre ad utile può essere anche divertente. In questo paese la Restaurazione non avrà che effetti marginali. Si tratta di contrasti tra la borghesia latifondista ed industriale sulla rappresentanza parlamentare spettante a ciascuna. Fino al 1831, anno in cui gli industriali ottengono una riforma elettorale che dà loro maggiore potere, è la borghesia latifondista che guida il paese, su livelli arretrati rispetto alle spinte innovatrici, "agitando lo spauracchio della Rivoluzione Francese". Abbiamo già detto della antiquata organizzazione della scienza nelle istituzioni di questo periodo (alla quale aveva in parte contribuito l'isolamento in cui si era chiusa la Gran Bretagna nel secolo precedente). Anche le scuole pativano gli stessi mali. Se si eccettuano le relativamente più giovani università scozzesi, le più prestigiose università inglesi (Oxford e Cambridge) impartivano insegnamenti vecchi e tradizionalisti sotto il controllo culturale di autorità clericali. Ed il dominio dello Stato e delle autorità religiose si cominciò a far sentire in tutti i campi. La scienza veniva sempre più considerata come un qualcosa di eminentemente teorico, visto che tutti i più prestigiosi strumenti della Rivoluzione Industriale provenivano da modesti tecnici senza una preparazione elevata. Si iniziarono comunque a fondare nuove scuole (gli Istituti di Meccanica) per fornire preparazioni diverse; si iniziò ad insegnare la matematica col più semplice simbolismo leibniziano; ma soprattutto si colse la necessità dello scienziato professionista (le ricerche che si dovevano sviluppare erano così complesse che soltanto lavorandovi a tempo pieno c'era la speranza di ricavarne qualcosa e per far ciò occorreva un finanziamento dello Stato o di una grande industria); si fondarono società scientifiche (ad es. l'Associazione Britannica per il Progresso della Scienza - 1831) diverse da quelle tradizionali e pure un file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (44 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE tempo prestigiose; fatto però molto importante è che tutto ciò iniziò e si realizzò dall'iniziativa e dai finanziamenti di privati. Solo intorno alla metà del secolo l'intera situazione cominciò decisamente a migliorare portando la situazione strutturale ed organizzativa britannica ai livelli di Francia e Germania che, come vedremo tra poco, era nel frattempo emersa prepotentemente) e facendo di nuovo assumere alla Gran Bretagna una posizione di primato. (136) Dal punto di vista tecnologico ed in concomitanza con la relativa stasi dell'industria non si conseguirono i risultati clamorosi della seconda metà del '700 ma si lavorò al perfezionamento ed alla migliore ed articolata utilizzazione di quanto già noto. Nell' industria tessile alcuni miglioramenti tecnologici portarono, tra il 1800 ed il 1830, ad una espansione enorme della domanda a seguito di ribassi clamorosi nei costi di produzione. La generale sostituzione della forza motrice idraulica con quella a vapore comportò la realizzazione di centinaia di opifici non più in zone servite da corsi d'acqua ma in città che, conseguentemente, vissero imponenti fenomeni di inurbamento. (137) L'impiego poi del vapore nei trasporti ed in particolare nelle ferrovie, (138) oltre agli ovvi ed incredibili benefici pratici, produsse anche notevoli effetti psicologici sulle nozioni di tempo e distanza. In Germania, infine, tra la fine del '700 e la prima metà dell' '800, si ha m notevolissimo risveglio della vita culturale in netto contrasto con l'arretratezza di fondo delle strutture economiche, politiche e sociali. Abbiamo già detto di Kant, dello Sturm und Drang e della nascita del Romanticismo. Non è certo questa la sede per indagare la complessità, e l'eterogeneità del pensiero tedesco, (139) delle posizioni assunte, dei temi affrontati e degli sviluppi che, in sede speculativa, ne conseguirono. Basti solo dire che i principali indirizzi di pensiero assunsero caratteristiche sempre più antilluministiche e nazionalistiche. E se da una parte Fichte, facendo confluire il suo idealismo nei temi più. spiccatamente romantici, si rivolgerà. alla nazione tedesca perché insorgesse contro le truppe napoleoniche che invadevano la Germania, dall' altra Hegel (l770-l83l) pretenderà, di determinare le leggi della natura a priori, ricavandole semplicemente su basi metafisiche. (140) A lato di ciò, negli 'spiriti migliori' i temi romantici si legavano alle legittime aspirazioni di libertà, ed indipendenza dei popoli. La Germania è un paese diviso in una miriade di piccoli Stati. Ma già nei primi decenni del secolo si fa avanti la Prussia, il più industrializzato tra gli Stati tedeschi, come polo di aggregazione. Della complicata storia della nascita dello stato tedesco, (141) elemento importante fu la fondazione (da parte dell' imperatore Federico Guglielmo III) dell' Università di Berlino (l8l0). Questa Università, insieme all' attività dei 'filosofi della natura' che si ispiravano direttamente alla Naturphilosophie di Schelling, fu alla base della rinascita culturale della Germania e della successiva acquisizione da parte di questo Paese del primato scientifico su tutto il mondo. Fu proprio Oken, uno dei filosofi della natura, che fondò nel 1822 la prima società scientifica che rappresentò la rinascita della ricerca scientifica tedesca, su basi più empiriche e sperimentali di quanto fino allora aveva comportato l'eredità di Leibniz. Sulla strada da lui aperta altri si mossero e ben presto, ad imitazione della Francia, sorsero una miriade di scuole politecniche. Cattedre di scienze cominciarono a venir istituite in tutte le università tedesche e, a partire dalla metà del secolo, le scuole sia industriali che commerciali iniziarono a sfornare una gran quantità di tecnici altamente specializzati. E tutto ciò era proprio finalizzato allo sviluppo dell' industrializzazione del Paese che, al contrario di quanto avvenuto in Gran Bretagna, non fu promossa da privati ma per diretta iniziativa dello Stato che contemporaneamente, mediante lo sviluppo massiccio dell' istruzione pubblica, cercava da un lato "di elevare il livello culturale del popolo per incrementarne i bisogni materiali e spirituali e per portare il semplice operaio a comprendere i nuovi sistemi di produzione meccanizzati; d'altro lato di formare una categoria di tecnici in grado di soddisfare le maggiori esigenze tecniche e scientifiche poste file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (45 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE dall' industria." (142) In questa dialettica tra Stato, imprenditori privati, popolo, sviluppo industriale ed istruzione, via via si realizzò una maggiore partecipazione della borghesia industriale alle scelte politiche del paese e conseguentemente si conquistarono importanti riforme costituzionali. In definitiva, intorno alla metà dell' '800, è la borghesia industriale che detiene ovunque il potere economico. La pressione di questa borghesia per avere in mano anche il potere politico porterà alle vicende del '48 che sancirono, praticamente ovunque, il suo trionfo. Con il terreno preparato per il decollo della seconda Rivoluzione Industriale si erano creati profondi cambiamenti economici e sociali che se da una parte avevano definitivamente affrancato l'Europa dall' Ancien Regime, dall'altro avevano creato i presupposti per l'emergere di una nuova classe sociale: il proletariato, l'esercito degli operai dell'industria che dispongono solo della propria forza lavoro. L'affermazione della borghesia aveva creato la sua classe antagonista che, proprio a partire dal '48, dette vita a tutti quei moti di ribellione sociale per migliori condizioni di vita che schematicamente si possono riportare alla nascita del socialismo scientifico di Marx (1818-1883) ed Engels (1820-1895) e che portarono (1917) alla prima Rivoluzione proletaria della storia: la ormai definitivamente tramontata Rivoluzione Russa. Dal punto di vista infine del progresso tecnologico legato a quello scientifico ci sono alcune osservazioni che meritano di essere riportate. Innanzitutto c'è da osservare che gli imponenti sviluppi della tecnica del '700 e dei primi anni dell' '800 riuscirono a mettere a disposizione degli scienziati strumenti sempre più perfezionati e precisi che tra l'altro permisero di percorrere strade assolutamente imprevedibili fino a qualche anno prima. C'è poi da notare che, soprattutto nella prima metà del secolo, c'è un generale riconoscimento dell'utilità del progresso tecnico che, si ammette, non può più essere affidato ad artigiani, che lavorano su basi esclusivamente empiriche, ma ha bisogno di essere sottoposto a trattamento teorico per ricavare da esso il massimo possibile in un contesto più ampio ed organico. 2 - LA NASCITA DELL'ELETTROMAGNETISMO (SCHELLING ED OËRSTED) E TENTATIVI DI RICONDURRE I NUOVI FENOMENI ALL'AZIONE A DISTANZA Negli anni in cui Boscovich portava avanti le sue speculazioni si inseriva nel dibattito sulla costituzione della materia un filosofo che avrebbe avuto profonde influenze negli sviluppi del pensiero filosofico e scientifico dalla fine del '700 agli inizi del nostro secolo: Immanuel Kant (1724 - 1804). Egli, profondo conoscitore di Newton, partendo (1755) (143) da una critica generale della conoscenza ed in particolare dei principi del meccanicismo fece avanzare notevolmente il « sistema del mondo » ideato da Newton escludendo il concetto di Dio dalla spiegazione dei fatti naturali che appunto, secondo Kant, si possono spiegare mediante leggi generali che la natura stessa suggerisce: il mondo non è stato creato da Dio così come è, esso ha avuto origine dal moto vorticoso di una nebulosa (144). Il concetto di vortice usato da Kant si lega però piuttosto a Newton che non a Cartesio in quanto in questo vortice egli fa intervenire delle forze attrattive e repulsive alla base, secondo lui, della costituzione della materia. Le speculazioni di Kant sui problemi delle scienze della natura in questo periodo precritico (145) furono sviluppate, modificate ed ampliate nel 1786 (146) quando egli aveva già scritto il corpo principale dei suoi lavori filosofici (147). Kant criticò i concetti di «forza d'inerzia », di « spazio assoluto », di « vuoto assoluto » e di «impenetrabilità della materia ». Secondo Kant quindi non vi possono essere atomi e non vi può essere vuoto: egli suppone che la materia sia composta da corpuscoli, che non sono solidi, che risultano indefinitamente divisibili e che si trovano immersi in una sostanza che riempie tutto lo spazio e che ha una densità di gran lunga più piccola di qualunque materia esistente (l'etere). Questa materia è soggetta all'azione di due file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (46 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE forze (dinamismo): quella attrattiva (di tipo newtoniano) e quella repulsiva che è molto più intensa dell'altra. Queste due forze producono poi, sempre secondo Kant diverse altre forze come ad esempio: « la forza calorica » che è alla base della concezione del calore e di tutti i fenomeni che derivano dal fuoco; « la forza luminosa » che è alla base della luce e di tutti i fenomeni dipendenti da essa; «la forza elettrica» che è la causa di tutti i fenomeni elettrici; «la forza magnetica che origina tutti i fenomeni magnetici (148)». Per Kant non esistono quindi né fluidi elettrici, né calorici, né di altro tipo, ma forze di vario genere, intese tutte come modificazioni di quelle attrattive e repulsive, che agendo tra le particelle di materia, originano i fenomeni (149). La «critica generale della conoscenza » di Kant ebbe, nella seconda metà del XVIII secolo, una notevole influenza sulla scienza, influenza che durò per molti anni, almeno fino agli inizi del XX secolo. Così, a cavallo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo mentre in Francia l'influsso del pensiero illuminista produce un ambiente scientifico tale da formare degli scienziati che domineranno con le loro scoperte l'Europa intera, in Germania le speculazioni di Kant daranno l'avvio al movimento della Naturphilosophie che, se da una parte rappresenterà un freno all'affermarsi e all'evolversi della scienza, dall'altra porrà i germi per i grandi sviluppi della scienza tedesca della seconda metà del XIX secolo. Il più autorevole pensatore della Naturphilosophie fu certamente Federico Guglielmo Schelling (1775 - 1854) le cui radici di pensiero si possono ritrovare nei lavori di Leibniz (1646 - 1716) di Boscovich e, appunto, di Kant. Secondo Schelling il meccanicismo fisico non rende ragione dell'esistenza della natura. La concezione meccanicista di materia come un qualcosa di inerte fino a che su di essa non agiscono forze, entità diverse e separate dalla materia è, secondo Schelling, l'ammissione di una discontinuità tra materia e spirito (tra natura e uomo) che non corrisponde alla unità originaria di queste due entità, per esempio, nell'organismo vivente. Schelling sostiene (tra il 1797 ed il 1799) (150) che è lo spirito (le forze) che si organizza in materia e pone quindi le forze, agenti tra punti inestesi, con i loro "conflitti e trasformazioni" alla base dell'esistenza del mondo (dinamismo fisico). Non c'è più materia allora ma c'è una particolare modificazione di una determinata zona dello spazio dovuta appunto ai conflitti ed alle trasformazioni delle forze (spirito) eterne e preesistenti. Questo rifiuto netto del meccanicismo, e più in generale del metodo scientifico, non nasce casualmente in questo periodo. La paura dell'affermazione di nuove classi sociali portava al rifiuto delle idee che avevano prodotto la Rivoluzione Francese, inoltre l'Illuminismo non era stato introdotto in Europa da Voltaire (1694 - 1778), da Diderot (1713 - 1784) o da altri pensatori ma dagli eserciti di Napoleone a cui spontaneamente si opponevano i nazionalismi dei popoli che allora non potevano far altro che riconoscersi per una ricerca di unità, nei loro regnanti. Così mentre da una parte, nel «programma» di Laplace (1749 - 1827), si afferma l'applicabilità illimitata delle leggi newtoniane della meccanica e si nega l'ipotesi di Dio come non necessaria per il sistema del mondo; mentre si consolida la teoria corpuscolare del calore ad opera di Laplace e di Poisson; mentre si introduce la probabilità nella fisica che comporta l'incapacità dell'uomo di essere determinista in mancanza di dati; mentre si riafferma la esistenza dell'azione istantanea a distanza tra atomi nello spazio vuoto (Laplace) ovvero in uno o più eteri (Brewster, Malus, Ampère, Biot, Mossotti e, per un certo tempo Arago) (151); dall'altra parte si negava il metodo scientifico che aveva portato a questi risultati; si affermava che tutto lo spazio fosse riempito da forze in permanente conflitto e trasformazione; si credeva che calore, luce, elettricità e magnetismo fossero particolari manifestazioni di queste forze; si vedeva l'origine dei fenomeni sensibili dalla unità di natura e spirito in un « assoluto » metafisico. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (47 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Si tenga conto che elementi non immediatamente riconducibili al meccanicismo fisico nascevano senz'altro dalla spiegazione dei processi biologici. Inoltre le scoperte di quegli anni del galvanismo (1789) e della pila di Volta (1800) (152), che il meccanicismo non aveva ancora spiegato esaurientemente, avevano aperto campi di indagine e di polemica in cui si inserirono efficacemente le speculazioni romantiche nella loro offensiva generale contro il meccanicismo. Certamente al culmine del meccanicismo, quando l'azione istantanea a distanza lungo la congiungente gli « oggetti » era alla base di tutte le teorie fisiche, nessuno avrebbe pensato di ottenere un qualche risultato progettando esperienze che si ponevano a priori in contrasto con le premesse di principio ed in particolare con quel tipo di azione. È quindi proprio sotto l'influenza ideologica della Naturphilosophie che il fisico danese Hans Chrstian Öersted (1777-1851) progettò ed effettuò una memorabile esperienza che scosse profondamente l'edificio meccanicista. L'azione che si esercita tra un filo percorso da corrente ed un ago magnetico disposto parallelamente al filo è normale alla congiungente filo-ago e non è più riconducibile alle forze centrali. Sono proprio le forze secondo un moderno modo di vedere, che riempiono tutto lo spazio e quindi che esistono sia lungo la congiungente filo-ago sia lungo la normale a questa congiungente che rendono possibile la deviazione dell'ago. Lo stesso Öersted sostiene (153): « ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già detto, è al medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte le osservazioni fin qui fatte... ». Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l'ago magnetico al di sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice: « ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che questo conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una condizione senza la quale è impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni opposte... ». La Naturphilosophie aveva la sua base sperimentale e l'esperienza di Öersted se da una parte si opponeva alle teorie meccaniciste, dall'altra affermava l'esigenza del metodo scientifico (negata da Shelling): le forze o chi per esse preesistono nella « natura » solo se, andandole a cercare, le troviamo. Comunque questa osservazione non fu fatta all'epoca e file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (48 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE l'esperienza di Oersted suscitò un interesse ed un fermento di ricerca che tanti risultati avrebbero dato allo sviluppo della scienza. AMPÈRE TENTA DI SPIEGARE L'ESPERIENZA DI ÖERSTED MEDIANTE L'AZIONE A DISTANZA: AZIONI PONDEROMOTRICI TRA CORRENTI Tra i primi ad iniziare ricerche per trovare correlazioni tra fenomeni elettrici e magnetici che in qualche modo rendessero meglio conto dell'esperienza di Oersted per cercare di ricondurla nell'ambito delle forze centrali, furono i meccanicisti (Biot, Arago, Ampère ed altri). La memoria di Öersted fu comunicata all'Académie des Sciences di Parigi nel settembre del 1820 da Arago. Subito, in settembre, partirono le prime ricerche sperimentali degli scienziati francesi. In quello stesso mese ed in quelli immediatamente successivi Ampère lesse all'Académie una serie di note (154) in cui riuscì in un impresa da tutti ritenuta impossibile: quella di ricondurre le forze del tipo di quelle osservate da Oersted al caso delle forze centrali. Prima di passare ad un qualche approfondimento sull'opera di Ampére è bene osservare che, fra le comunicazioni all'Académie ve ne furono due (155) di una certa importanza fatte da Biot e Savart (1791 - 1841). Anche se non c'è una precisa documentazione scritta, risalente all'epoca delle comunicazioni all'Académie, sulle ipotesi e sugli esperimenti da cui mossero Biot e Savart, che permetta un giudizio critico sul loro contributo alla spiegazione delle «forze di Oersted », i due fisici riuscirono a fornire una determinazione molto accurata della legge di forza tra corrente ed ago magnetico. Alla determinazione di questa legge, nella sua forma integrale definitiva, contribuì anche Laplace come ricorda Biot (156): <<... Egli (Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta, come l'azione totale, perpendicolarmente al piano formato dall'elemento longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa distanza » Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella di Coulomb e quella di Newton: l'andamento con l'inverso del quadrato della distanza ed il riconoscimento stesso di un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze « disordinate » ed « in permanente conflitto ». Il contributo di Ampère, come è stato già detto, fu più preciso e determinante. Egli nella sua prima nota del 18 settembre all'Académie annunciò la scoperta delle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, nelle immediatamente successive illustrò meglio il fenomeno con dovizia di particolari, di sperimentazioni diverse, di interpretazioni teoriche. Seguiamo con un poco di attenzione l'opera di Ampére. Egli studiando l'azione che si esercita tra due correnti (157) scrive (158): <<... I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di un piano orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per le estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta necessariamente parallelo all'altro conduttore (che è) fisso...>> Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di muoversi parallelamente l'uno rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (49 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (a seconda del verso delle correnti nei due fili). Il problema che Ampére aveva bene in mente era però quello della rotazione dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l'esperienza in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano parallelo al primo (158): «... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per i loro centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le correnti siano concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di due correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e medesima azione ». Nel caso quindi in cui uno dei due conduttori in esame è libero di ruotare esso tende a disporsi parallelamente al primo. In definitiva, secondo Ampère, due correnti non parallele tendono a disporsi parallelamente. Questo primo ragionamento, confortato dall'esperienza, è il nocciolo su cui si impernia tutta l'ulteriore discussione che porterà Ampère ad ammettere una sostanziale identità tra correnti e magneti. Egli dice: (158) « Non è più allora necessario stabilire tra questi due effetti la distinzione che è così importante fare, come vedremo fra poco, quando si tratta dell'azione mutua di una corrente elettrica e di un magnete considerato come si fa ordinariamente in rapporto al suo asse, perché, in questo tipo di azione, i due oggetti tendono a sistemarsi in direzioni perpendicolari tra loro». L'ipotesi riduzionista di Ampère non può però prescindere da una « teoria » che vada ad interpretare il magnetismo come, appunto, originato da particolari correnti. Ed allora un magnete, ed in particolare un ago magnetico, viene concepito come circondato da correnti che si avvolgono attorno al suo asse risultando perpendicolari a quest'ultimo. Ampère passa quindi a sottoporre all'esperienza questa ipotesi cominciando a studiare le azioni mutue tra correnti e magneti e tra magneti e magneti (158): « Esaminerò... l'azione mutua tra una corrente elettrica ed il globo terrestre o un magnete e l'azione mutua di due magneti l'uno sull'altro e mostrerò che esse rientrano l'una e l'altra nella legge dell'azione mutua di due correnti elettriche che ho appena annunciato, concependo sulla superficie e all'interno di un magnete tante correnti elettriche, in piani perpendicolari all'asse di questo magnete, quante si possono concepire linee formanti, senza intersecarsi mutuamente, delle curve chiuse; in modo che non mi sembra molto possibile, dopo il semplice raffronto dei fatti dubitare che non vi siano realmente queste correnti intorno all'asse dei magneti, o piuttosto che la magnetizzazione non consiste che nella operazione per la quale si fornisce alle particelle d'acciaio la proprietà di produrre, nel senso delle correnti di cui abbiamo appena parlato, la stessa azione elettromotrice che si trova nella pila voltaica... ». E questa azione elettromotrice non è rilevabile perché, come osserva Ampère (158): «... Solamente, poiché questa azione elettromotrice si sviluppa nel caso del magnete tra le differenti particelle di uno stesso corpo buon conduttore essa non può mai... produrre file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (50 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE alcuna tensione elettrica, ma solamente una corrente continua rassomigliante a quella che avrebbe luogo in una pila voltaica rientrante su se stessa in modo da formare una curva chiusa (159): è abbastanza evidente... che una tale pila non potrebbe produrre in alcuno dei suoi punti né tensione né attrazioni o repulsioni elettriche ordinarie...; ma la corrente che si stabilirebbe immediatamente in questa pila agirebbe, per orientarla, attirarla o respingerla, sia su un'altra corrente elettrica, sia su un magnete che viene allora considerato come un insieme di correnti elettriche ». E con queste ultime esperienze in connessione con i termini teorici (le ipotesi aggiuntive) Ampère riesce a portare a compimento un'operazione che soltanto un mese prima sarebbe sembrata impossibile: la spiegazione in termini newtoniani dell'esperienza di Öersted. Nel portare a compimento questo «programma » Ampère arriva anche ad una importante conclusione che trascende gli scopi per cui aveva iniziato a lavorare (158): « E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono unicamente prodotti dalla elettricità... ».(160) Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère, e non accessoria come sembra dalla lettura di qualche testo od articolo, per ricavare l'azione ponderomotrice tra correnti, per rendere conto dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le « forze in conflitto » all'ordine newtoniano. L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi da corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest'ultimo fenomeno è in realtà analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso (vedi figura seguente). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (51 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che (160a): « ... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la somma delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può ottenere con due integrazioni successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di una delle correnti relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda da eseguirsi sul risultato della prima integrazione ... su tutta l'estensione della seconda corrente... ». (160b) Anche qui quindi l'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra due correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica newtoniana. È questo un trionfo di Ampère. I fluidi imponderabili stessi, che la Naturphilosophie con Öersted aveva allontanato dall'indagine fisica rientrano ora di prepotenza sulla scena impregnando di sé non solo la spiegazione dei fenomeni elettrici ma la costituzione stessa della materia. In verità la prima spiegazione che Ampère dà della costituzione elettrica dei magneti, e che abbiamo appena visto, sarà rivista criticamente un paio di mesi dopo (160c) dallo stesso Ampère (160d). Nella seduta dell'Académie del 15 gennaio 1821 Ampère lesse una memoria (160c) in cui compare per la prima volta, a fianco delle correnti macroscopiche che si muovono perpendicolarmente su linee chiuse intorno all'asse del magnete, l'ipotesi delle correnti particellari (160d). Ecco quello che Ampère testualmente sostenne (160e); « ... Si tratta di sapere se le curve chiuse secondo le quali hanno luogo le correnti elettriche che forniscono all'acciaio magnetizzato le proprietà che lo caratterizzano, sono situate concentricamente intorno alla linea che unisce i due poli del magnete, o se queste correnti sono ripartite in tutta la sua massa intorno a ciascuna delle sue particelle, sempre nei piani perpendicolari a questa linea... ». C'era dunque da decidere quale di queste due ipotesi fosse quella esatta. Lo stesso Ampère disse che per fare ciò occorreva attendere « finché dei nuovi calcoli e delle nuove esperienze abbiano fornito tutti i dati necessari alla sua soluzione » (160e). A questo punto interviene Fresnel con due lettere private (160f) ad Ampère per suggerire la soluzione al problema. Fresnel nella prima lettera confronta, su base sperimentale, le due ipotesi di correnti intorno all'asse del magnete e di correnti intorno a ciascuna molecola ed arriva alla conclusione che è più verosimile quest'ultima ipotesi. Nella seconda lettera precisa ulteriormente questo concetto sostenendo (160f): « ... è facile vedere che, supponendo le correnti di uguale intensità intorno a tutte le particelle che si trovano lungo una barra magnetizzata, l'azione dovrà emanare solo dalla superficie che delimita la barra a ciascuna delle sue estremità, perché le azioni laterali di tutte le particelle costituenti la barra si neutralizzeranno dappertutto tranne che nei lati esterni delle particelle che si trovano alla estremità... ». Da questo punto in poi Ampère userà sempre l'ipotesi di molecola circondata da una corrente elettrica. Questa molecola elettrodinamica di Ampère è d'importanza fondamentale: è la prima volta che si passa dalla concezione di correnti infinitesime, senza realtà fisica, che servono solo per ricavare relazioni matematiche, a correnti reali, anche se ipotetiche, che circondano le molecole costituenti il magnete. Questa concezione riduzionista di Ampère è in linea con i tempi e risulterà di estrema importanza per gli file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (52 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE sviluppi futuri delle teorie sulla costituzione degli atomi e dei magneti. LA CRITICA DI FARADAY E LA CRISI DEL MECCANICISMO Ampère ritornerà spesso a difendere la sua teoria della molecola elettrodinamica da contestazioni che gli venivano mosse da più parti. Ogni volta discuteva risultati di nuove esperienze o ideate da lui stesso o da altri. Nel settembre 1821 Michael Faraday (1791 1867) in una sua nota (160g), negò l'esistenza delle correnti molecolari (160h) considerandole alla stregua delle ipotesi « ad hoc »: « ... M. Ampère non ha una opinione definita sulla grandezza delle correnti elettriche che egli suppone esistere nei magneti perpendicolarmente ai loro assi. In un passaggio della sua Memoria, egli le considera, mi sembra, come aventi i loro centri sull'asse stesso del magnete; ma ciò non può non aver luogo in un magnete cilindrico cavo, a meno che uno non supponga due direzioni opposte (per le correnti), una sulla superficie interna, l'altra sulla superficie esterna. Egli in altra parte avanza (l'ipotesi), io credo, che queste correnti siano infinitamente piccole; sarebbe probabilmente possibile spiegare il caso del più irregolare magnete dando a ciascuna di queste piccole correnti la direzione richiesta dalla teoria...». A queste obiezioni di Faraday Ampère risponde indirettamente in una lettera al Sig. Van Beck (160i) riaffermando la sua teoria della molecola elettrodinamica ed arricchendola di interessanti considerazioni teoriche. In questa lettera Ampère sostiene: « ... Ho trovato... molte altre prove della disposizione delle correnti elettriche intorno a tutte le particelle dei magneti; diverse circostanze si spiegano meglio quando si considerino le cose in questo modo e si ammetta che le correnti esistono nei metalli suscettibili di magnetismo prima della magnetizzazione, e forse in tutti gli altri corpi, ma che esse non possono esercitare azione, se non ricevono una direzione determinata sia da un altro magnete, sia da una corrente voltaica...». Nel febbraio del 1822 Faraday, in una lettera ad Ampère (160l) scrive: « ... Mi dispiace che la mia carenza nella conoscenza matematica mi renda tardo nel comprendere queste argomentazioni (160m). Sono per natura scettico in materia di teorie e quindi lei non deve essere adirato con me perché io non ammetto quella che lei ha avanzato immediatamente con la sua ingegnosità e le cui applicazioni sono stupefacenti ed esatte, ma non riesco a comprendere come le correnti si producano e particolarmente se si suppone che esse esistano intorno a ciascun atomo o particella ed attendo ulteriori prove della loro esistenza prima di ammetterle definitivamente... ». La corrispondenza Faraday-Ampère andrà avanti ancora per una decina di anni: anni cruciali che vedranno nascere ed affermarsi, ad opera di Faraday, la teoria di campo. Mentre i fisici erano impegnati in controversie del tipo di quelle viste, la chimica aveva già risolto il problema continuità-discontinuità della materia con la teoria atomica proposta da Dalton (1766-1844) (160n) nel 1808 ed estesa da Berzelius (1779-1848) (160o) negli anni successivi (160p). Nel 1814, indipendentemente, A. Avogadro (1776-1856) (160q) e A.M. Ampère (160r) ampliarono ulteriormente le concezioni precedenti introducendo l'idea di molecola ( e non solo di molecola costituita da atomi diversi ma anche di molecola costituita da atomi dello stesso elemento). La teoria atomica che prese le mosse da Dalton riuscì subito a spiegare tutte le leggi conosciute della combinazione chimica e questa circostanza le file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (53 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE assicurò subito il successo. Nonostante ciò gli stessi chimici ritenevano l'ipotesi dell'atomo come molto utile e proficua ma non si sentivano per questo obbligati ad ammetterne la effettiva esistenza. La teoria atomica, infatti, poiché è funzionale alla spiegazione delle leggi chimiche può non tener conto della dimensione effettiva degli atomi: possiamo rimpicciolire col pensiero questi ultimi fino a ridurli a meri punti matematici, le leggi chimiche non cambiano ma, nel contempo, il discontinuo si avvicina vieppiù al continuo e l'atomo, pur mantenendo la sua esistenza per la sua funzionalità, in pratica non esiste più. In quegli stessi anni c'erano altri lavori di ricerca, altri risultati che ponevano ulteriormente in crisi il meccanicismo newtoniano. Negli anni tra il 1801 ed il 1803 il fisico inglese Thomas Young (1773 - 1829) scopre, in ottica, il fenomeno dell'interferenza (160s). Malgrado gli sforzi di Biot e Poisson (1781 - 1840) non si riesce a ricondurre questo fenomeno alla teoria corpuscolare della luce di Newton. La spiegazione dell'interferenza risulta però spontaneamente assumendo la teoria ondulatoria della luce introdotta da Huygens (che a sua volta l'aveva, in qualche modo, derivata da Cartesio) nel 1690 (160t) e così farà Young appunto nel 1802. Non varrà a riportare in auge la teoria corpuscolare neanche la scoperta, e la conseguente spiegazione in termini corpuscolari dei fenomeni di polarizzazione fatta tra il 1808 ed il 1815 dai fisici francesi Malus, Biot e Arago. Infatti tra il 1815 ed il 1823 (160u), Augustine Fresnel (1788 - 1827) darà nuovo impulso alla teoria ondulatoria con la spiegazione completa, sia analitica che sperimentale, di tutti i fenomeni di ottica allora conosciuti tra cui quelli della diffrazione, della polarizzazione e dell'interferenza ammettendo inoltre la propagazione della luce per onde trasversali (l'ammettere questo fatto suonava come una eresia) nell'etere e conciliando la teoria ondulatoria con la propagazione rettilinea della luce stessa. La spiegazione della luce in termini ondulatori oltre a soppiantare, almeno per qualche tempo, il corpuscolarismo newtoniano, risolveva alcuni problemi che non avevano trovato soluzione nell'ambito di detta teoria: il Sole ha inviato sulla Terra per molte migliaia di anni sia luce che calore senza una sensibile diminuzione in grandezza e peso; così la luce ed il calore che penetrano i corpi non debbono farli aumentare di peso; di conseguenza, insieme alla materia ponderabile che costituisce gli oggetti che sono intorno a noi, vi deve essere una materia di qualità diversa, più leggera e sottile di qualsiasi altra entità leggera e sottile (l'etere) (161). L'edificio della fisica newtoniana presentava, così, varie brecce e nelle varie incrinature si era lasciato spazio ad una quantità di ricerche teoriche e sperimentali che avrebbero trovato in Michael Faraday il più fecondo interprete. 3 - LE TEORIE ELETTROTONICHE NELLA GERMANIA DELLA PRIMA METÀ DELL'OTTOCENTO: WILHELM WEBER (1804 1890) Le teorie elettrodinamiche, matematizzate da Laplace, Poisson ed Ampère, suscitarono un grande interesse negli scienziati tedeschi. A partire dal 1840 si iniziarono a proporre, in Germania, varie teorie elettriche che sostituivano ai fluidi cariche di elettricità di segno opposto, fluenti in versi opposti con uguale densità e velocità. Tra queste particelle cariche si dovevano prendere in considerazione delle forze agenti in ragione della carica trasportata dalle particelle stesse e della loro velocità. (162) Per mezzo di questa teoria, come fa osservare Rosenfeld, (163) Weber riuscì a ricondurre sia le leggi dell' elettrodinamica che quelle dell'induzione elettromagnetica (si veda più oltre) ad una file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (54 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE sola formula che fornisce la forza che si esercita tra due elementi di carica q1 e q2 la cui distanza r vari con il tempo in conseguenza del moto delle cariche. La formula di Weber, nel caso di cariche ferme, fornisce la legge di Coulomb mentre, applicata al calcolo delle azioni elettrodinamiche tra correnti, fornisce la legge di Ampère appena vista (il moto, dunque,origina delle modificazioni nelle forze !). In questa formula compare un parametro c che rappresenta il rapporto fra l'unità elettrostatica e l' unità elettrodinamica di carica e l'introduzione di due distinte unità di carica elettrica è una diretta conseguenza dell'aver assunto la corrente come flusso di cariche elettriche.Questo parametro c è di fondamentale importanza; esso fu misurato per la prima volta proprio da Weber, insieme a Kohlrausch, nel 1855 nel corso di una complessa ed accurata serie di misure fatte per la determinazione assoluta delle varie grandezze che comparivano nei fenomeni elettrici e magnetici. Weber e Kohlrausch trovarono per c il valore di 3,11×1010 cm/sec, coincidente con quello che, negli stessi anni, era stato trovato da Fizeau e da Foucault per la velocità della luce nel vuoto in esperienze di natura completamente diversa (si veda più oltre). Questa coincidenza di valori fu notata da Weber (166) ma egli, nel contesto della sua fisica, non dette molta importanza alla cosa. (167) Oltre a ciò, come osserva D'Agostino, "come conseguenza della forma delle leggi di forza statiche e dinamiche, espressa dalla legge elementare di Weber, il rapporto elettromagnetico o viene a configurarsi anche come quella velocità limite a cui debbono muoversi le cariche affinché le loro azioni statiche vengano equilibrate da quelle dinamiche (168) - questo secondo significato di c, a differenza del primo, non è più citato oggi nei testi perché non rientra nel quadro che ora si dà dell'elettromagnetismo. Ma allora, a metà Ottocento, fu così che si presentò , per la prima volta, il concetto di una velocità limite in elettrodinamica ... Fu questo doppio aspetto di c, come velocità della luce e come velocità limite, che a metà Ottocento indusse i maggiori studiosi di elettromagnetismo - Maxwell compreso - ad escogitare metodi per la sua misura." Molte obiezioni e di varia natura furono mosse alla teoria di Weber, soprattutto da Helmholtz e Clausius. Queste obiezioni riguardavano principalmente questioni di carattere energetico legate alla compatibilità della formula di Weber con il principio di conservazione dell'energia che in quegli anni si andava affermando (si veda più oltre). (170) La teoria di Weber resse comunque per molto tempo poiché descriveva abbastanza bene i risultati sperimentali che all'epoca si andavano accumulando e perché aveva dimostrato la sua utilità, ad esempio, nei calcoli fatti da Kirchhoff per valutare il 'movimento dell' elettricità nei fili'. (171) Affinché la teoria di Weber potesse reggere, potremmo oggi osservare, abbisognava della nozione di potenziale ritardato che tenesse conto del ritardo nella propagazione dell'interazione elettrica. Riemann fu il primo a rendersi conto di ciò (1859) quando affermò che "l'azione non è istantanea, ma si propaga con una velocità costante c". Sulla sua strada si mosse poi Ludwig Lorenz (172) che ottenne risultati analoghi a quelli che, per altra via, conseguì Maxwell. Egli aprì la sua memoria del 1867 con l'ammissione, derivante - secondo Lorenz - da tutti i fatti sperimentali che si erano accumulati, che le varie forze agenti tra elettricità e magnetismo, tra calore, luce, azioni chimiche e molecolari dovevano essere riguardate come manifestazioni di una e medesima forza che, a seconda delle circostanze, si mostra sotto forme differenti. (173) Questa unità della forza però ci sfugge perché, sempre secondo Lorenz, a seconda dei fenomeni che studiamo ci serviamo, di volta in volta, di ipotesi modellistiche differenti: una volta i fluidi, una volta l'etere, una volta le molecole. Egli propose allora di sbarazzarsi dei modelli (174), che sono più di ostacolo che di aiuto, e di passare a costruire una fisica indipendente da essi. 33 senza far uso di modelli egli si propose di individuare l' identità tra luce ed elettricità arrivando ad affermare che le vibrazioni della luce sono esse stesse correnti elettriche. Senza dilungarci troppo sull'opera di questo fisico, basti osservare che il risultato cui egli giunse "è che le vibrazioni di una file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (55 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE corrente elettrica inducono vibrazioni nelle immediate vicinanze, in completa analogia con quanto accade nel fenomeno di propagazione delle onde luminose." (175) Per arrivare a questo risultato Lorenz introdusse, come avevamo accennato, i potenziali ritardati. (176) In questo modo egli trovò, in modo più diretto, le stesse equazioni che troverà Maxwell, giungendo alla conclusione "che le forze elettriche richiedono del tempo per viaggiare e che queste forze solo apparentemente agiscono a distanza." (177) Come mai dunque il programma weberiano, che pure con l'introduzione dei potenziali ritardati portava agli stessi risultati di Maxwell, fu abbandonato? Certamente contribuirono cause diverse, tra le quali, con D'Agostino: " 1. Un graduale abbandono del quadro esplicativo di Newton ed Ampère non soltanto in elettrodinamica. 2. Una certa qual macchinosità delle formule di Weber nel loro adattamento alla spiegazione di quel tipo di fenomeni elettromagnetici che, alla fine del secolo, saranno al centro dell' interesse - cioè l'irraggiamento da antenne -, in contrasto con la maggiore semplicità offerta, per gli stessi fenomeni, dalla teoria di Maxwell. 3. La fecondità dimostrata allora dalla teoria di Faraday -Maxwell nel suggerire nuovi esperimenti" (178) proprio perché sostenuta da un'impalcatura modellistica con apparati di maggiore intuibilità. Resta il fatto che la teoria di Weber, pur muovendosi come sviluppo del programma amperiano, introdusse degli elementi non solo non riconducibili ma addirittura in contrasto con la fisica newtoniana. Mai Newton aveva, neppure ipotizzato, forze che potessero dipendere dalla velocità. Ma d'altra parte lo stesso Ampère aveva introdotto angoli tra elementi infinitesimi di circuito! Anche se si continuava a richiamarsi a Newton, questi sempre meno era rappresentato dalla fisica che si sviluppava intorno alla metà dell'Ottocento. In chiusura del paragrafo resta solo da ricordare, per quanto vedremo più avanti a proposito di H.A. Lorentz, che la teoria di Weber fu perfezionata nel 1877 da Clausius che fornì una nuova espressione per la legge di forza fra elettroni. In questa nuova relazione non si ipotizzava più che le cariche elettriche fluenti in verso opposto dovessero necessariamente avere la stessa velocità ed inoltre le stesse velocità delle cariche erano considerate rispetto ad un etere immobile risultando quindi velocità assolute, al contrario di quanto accadeva nella formula di Weber dove le velocità erano relative.(178bis) 4 - CRITICA DELL'AZIONE A DISTANZA E FORMULAZIONE DELL'AZIONE A CONTATTO: L'OPERA DI FARADAY Ritorniamo al lavoro di Oersted ed a quelli di Ampère come riferimenti sui quali innestare i successivi sviluppi dell'indagine sperimentale e della speculazione teorica sui problemi delle relazioni esistenti tra fenomeni elettrici e magnetici, nella Gran Bretagna della prima metà dell'Ottocento. A cavallo fra la fine del '700 e gli inizi dell'800 erano penetrate in Gran Bretagna le speculazioni del movimento della Naturphilosophie(179) importate, con particolare foga, dal poeta inglese S. T. Coleridge (1772 - 1834) reduce da un lungo viaggio in Germania. Davy (1778 - 1829), insigne chimico inglese (al quale, tra l'altro, si deve l'invenzione della lampada di sicurezza per minatori), era amico di Coleridge e rimase molto influenzato file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (56 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE dalle idee della Naturphilosophie che quest'ultimo, in lunghe conversazioni, gli aveva fatto conoscere. Davy lavorava in un contesto in cui si erano già affermate le teorie atomiche di Dalton (1766 - 1844). Egli era. insoddisfatto di quell'atomismo che, tra l'altro, non gli spiegava. il perché alcune sostanze reagiscono tra di loro ed altre no, infatti, "se la sola forza associata agli atomi fosse stata quella gravitazionale - come ammetteva il meccanicismo di Dalton -, tutte le sostanze avrebbero dovuto reagire tra di loro"(l79bis). Per altri versi però anche Naturphilosophie presentava una sua contraddizione: se alla base del mondo c'è il conflitto e la trasmutazione delle forze, come mai non si riscontra un conflitto ed una trasmutazione delle sostanze? Davy risolse questo problema integrando la Naturphilosophie con le teorie di Boscovich: ogni sostanza è caratterizzata da una curva di forza; il non adattarsi di certe curve di forza ad altre non permette certe reazioni; inoltre, ammettendo Boscovich ed "ammettendo che l'elettricità, con il suo passaggio, provochi una distorsione delle curve di forza, si riescono a ben spiegare i fenomeni dell'elettrochimica". Anche in questo ambito, quindi, Naturphilosophie rispondeva abbastanza. In questo contesto di pensiero M. Faraday (1791 - 1867) iniziò a lavorare (1813) come sciacquaprovette nel laboratorio di Davy (180), in un ambiente, quello britannico, dove ben diversa da quella avuta in Francia, fu l'accoglienza che l'esperienza di Oersted ebbe. Nel 1821 Richard Phillips, direttore degli Annals of Philosophy, chiese al giovane assistente di Davy e suo amico, Michael Faraday, di fare, per la rivista, una rassegna storica di tutti gli esperimenti e teorie dell'elettromagnetismo che erano apparsi dopo Oersted (è opportuno a questo punto ricordare che in accordo con il riduzionismo di Ampère - magnetismo prodotto da elettricità, anche a livello di struttura 'molecolare' della materia - nel continente entra in uso il termine 'elettrodinamica'; anche per sottolineare un approccio diverso al problema, in Gran Bretagna, gli stessi fenomeni sono designati con il termine 'elettromagnetismo'). Ma Faraday, nel realizzare il suo lavoro, ebbe modo di ripetere molte delle esperienze che trovava descritte nella letteratura e la cui redazione non lo soddisfaceva; ebbe modo di valutare i pregi e le idee oscure di ogni singola teoria proposta; in particolare non lo convinceva la spiegazione teorica che Ampère dava dell'esperienza di Oersted. Egli, in nessun modo, riusciva a convincersi che le azioni tra filo conduttore e magnete potessero essere rettilinee, istantanee ed a distanza. L'aspetto che più lo colpiva nell'esperienza di Oersted erano gli effetti di simmetria che balzavano immediatamente agli occhi: se l'ago era disposto sotto il filo la rotazione dell'ago avveniva in un senso; sopra il filo la rotazione si realizzava in verso opposto. Su ciò concentrò il suo lavoro fino a realizzare una esperienza in cui, se possibile, le azioni circolari erano portate ad una evidenza ancora maggiore. Con l'apparato sperimentale di fig. 2, riuscì a realizzare il moto circolare di un magnete intorno ad una corrente e, simultaneamente, di un filo percorso da corrente intorno ad un magnete. L'apparato è costituito da due coppe di vetro; all'interno delle coppe vi è del mercurio che permette la chiusura del circuito mediante un contatto strisciante (il conduttore rigido si muove mantenendo il contatto elettrico con il mercurio); i conduttori che escono da sotto le coppe sono collegati ad una batteria; quando passa corrente il magnete della coppa di sinistra ed il conduttore della coppa di destra cominciano a ruotare vorticosamente intorno, rispettivamente, al conduttore fisso ed al magnete fisso. Sarebbe stato a questo punto più difficile mettere in discussione le azioni circolari. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (57 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Figura 2 - L'apparato è costituito da due coppe di vetro; all'interno delle coppe vi è del mercurio che permette la chiusura del circuito mediante un contatto strisciante (il conduttore rigido si muove mantenendo il contatto elettrico con il mercurio); i conduttori che escono da sotto le coppe sono collegati ad una batteria; quando passa corrente il magnete della coppa di sinistra ed il conduttore della coppa di destra cominciano a ruotare vorticosamente intorno, rispettivamente, al conduttore fisso ed al magnete fisso. Questo successo però quasi obbligò Faraday ad una pausa di riflessione. La sua preparazione in fisica, in fondo, non era pari a quella in chimica ed alla sua fantasia. Questa pausa durò 10 anni nei quali egli si occupò essenzialmente di questioni di chimica. Ma non smise mai di pensare ad un problema che continuava a girargli per la testa: se una corrente produce un effetto magnetico, anche un magnete deve produrre una corrente. Tentò svariati esperimenti, tutti con esito negativo. Finalmente, nel 1831, scoprì l'induzione elettromagnetica: un magnete mosso in prossimità di un circuito non alimentato provoca in esso il passaggio di corrente. Non si trattava di un fenomeno semplice da evidenziare: chissà quante volte Faraday aveva mosso un magnete vicino ad un circuito! Il fatto è che il fenomeno è evidente solo durante il moto relativo di magnete e circuito elettrico. Solo quando c'è una variazione di una qualche grandezza nella fase transitoria. E di questo Faraday si rese ben conto fino a progettare l'esperienza di fig. 3: all'apertura o chiusura del circuito B, mediante il tasto T, il galvanometro G segna passaggio di corrente (se in un dato verso all'apertura, in verso opposto alla chiusura). E' la prima evidenza chiara di un nesso tra corrente elettrica, magnetismo e movimento (o variazione di una data situazione). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (58 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Questo successo è consistente con il programma di Faraday. Egli lo sa ma sa anche che deve aggiungere altre 'prove', dimostrazioni, evidenze sperimentali. E' molto difficile dalla sua posizione di chimico convincere i fisici; tanto più che ogni corporazione è felice di annoverare Faraday nel suo seno ogni volta che questi scopre qualcosa di importante ma è immediatamente imbarazzata quando 'l'incolto' Faraday prova a 'teorizzare', a trarre delle conclusioni. I fisici gli rinfacciano di essere un chimico. I chimici di essere un fisico. Ambedue sono comunque d'accordo che non è da prendere sul serio chi, come Faraday. non conosce la matematica. Nel 1832 il nostro intraprende una nuova serie di ricerche sperimentali con le quali si propone di dimostrare l'identità di tutti i tipi di elettricità. Qui si deve scontrare con l'elettrolisi, sulla quale lavora molto. Questo fenomeno era stato spiegato brillantemente con la teoria dell'azione a distanza, essendo i poli della cella voltaica i centri delle forze attrattive e repulsive che agiscono su 'pezzi' di molecole. Egli si sbarazzò dapprima dei poli facendo avvenire la dissociazione elettrolitica senza l'uso dei due poli che si ritenevano indispensabili. Provocò questa dissociazione con vari apparati sperimentali che si servivano di un solo polo, mostrando nel contempo l'identità dei vari tipi dei corrente, quella voltaica, quella elettrostatica, …. Nella fig. 4 (a) è rappresentato un generatore elettrostatico ad un solo polo che si scarica su strisce di carta imbevute di una soluzione salina (si provoca la decomposizione della soluzione e simultaneamente si ha flusso di corrente); nella fig. 4 (b) viene suggerito l'uso di un solo polo di una batteria voltaica per far avvenire la decomposizione in a di una soluzione salina di cui è imbevuta la striscia di carta (indicata con b) il circuito non è infatti chiuso sul polo positivo ma è interrotto nel punto e per cui Faraday fa circolare corrente riscaldando l'aria nel tratto in cui il circuito è interrotto. In ambedue questi casi non vi sono due terminali, o poli, che provocano la dissociazione della soluzione: viene così meno l'indispensabilità dei poli medesimi. Ed eliminati i poli sono eliminati i supposti centri di forza. Rimaneva il problema dei radicali liberi nelle soluzioni elettrolitiche ma Faraday riuscì a sbarazzarsene con una serie di complicate esperienze (che si possono vedere in bibl. 54 bis dal paragrafo 523 al 563 e dal 661 all'874). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (59 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Alla fine di questi lunghi e complicati lavori Faraday arrivò a sostenere che la forza elettrica si trasmette da molecola a molecola (azione a contatto) attraverso (non ancora ben precisate) linee di tensione del mezzo, che, si badi bene, interessano tutto il mezzo, il quale partecipa attivamente al fenomeno. Si tratta quindi di una azione a contatto da una molecola di Boscovich (che è stata discussa nel precedente lavoro a cui mi sono riferito all'inizio di questo) ad un'altra (181). 4.1 - LA TEORIA DI CAMPO DI FARADAY Negli anni seguenti, fino al 1837, studia essenzialmente fenomeni elettrolitici. E proprio nel '37 inizia una serie di ricerche finalizzate ad evidenziare l'azione a contatto anche in elettrostatica ('l'induzione di particelle contigue' come dice Faraday). L'idea che lo guidava e sulla quale voleva indagare era la seguente: se la trasmissione della forza elettrostatica dovesse dipendere dalle particelle del mezzo attraverso cui passa la forza, allora queste particelle dovrebbero esse stesse avere un qualche effetto sulla forza medesima (ad esempio: sulla capacità, sulla constante della legge di Coulomb, …) Così, con l'apparato di fig. 5 (bibl. 54 bis, tavola IX e paragrafi dal 1194), si mise ad indagare quali effetti provocava l'introduzione di dielettrici differenti (dapprima gas, quindi liquidi e solidi) nella parte compresa tra le due sfere di figura. La prima importante scoperta che ne conseguì fu che quando nello spazio tra le due sfere (i due elettrodi) si disponeva un dielettrico e la differenza di potenziale si manteneva constante, della carica elettrica affluiva sul dielettrico originandone la polarizzazione. Nel far questo Faraday definì la constante dielettrica relativa e fornì, quindi, un metodo per distinguere isolanti da conduttori in base alla proprietà delle relative molecole di rimanere polarizzate o meno. Egli può quindi concludere che, come nel caso elettrochimico, l'energia coinvolta nel processo la si ritrova nel mezzo esistente tra le cariche elettrostatiche "ed è un'azione di particelle contigue del dielettrico, messe in uno stato di polarità e tensione ed in mutua relazione mediante le loro forze in tutte le direzioni" inoltre, prosegue, "l'intera azione … non si esercita meramente lungo linee qualunque che possono essere concepite attraverso file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (60 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE il dielettrico tra la superficie inducente e quella indotta" (bibl. 54 bis, paragrafi 1223 e 1231). Anche qui, quindi, Faraday si sbarazza dei supposti poli ed a questo punto introduce il concetto di linee di forza ("un temporaneo modo convenzionale di esprimere la direzione lungo cui agisce la forza nei casi di induzione"), dando una immagine mediante esse di quanto trovato, afferma che queste ultime si fanno più fitte nel dielettrico quando lo sottoponiamo all'azione di una forza elettrica. Ed aggiunge che le stesse forze elettriche sono originate da uno stato di tensione delle linee di forza ('lo stato elettrotonico') (182) ribadendo quindi con maggior forza che i fenomeni elettrostatici risiedono nel mezzo interposto piuttosto che nei supposti poli. Altre prove che in quell'anno e nel successivo Faraday portò a sostegno dell'azione a contatto furono: 1) nei fenomeni elettrolitici gli elettrodi si ricoprono interamente delle sostanze decomposte; questo fatto non può essere in alcun modo spiegato con l'azione a distanza; in quest'ultimo caso, infatti si dovrebbero ricoprire solo quelle parti degli elettrodi che risultano affacciate tra loro; 2) la stessa cosa vale per i fenomeni elettrostatici: quando infatti avviciniamo un bacchetta ad una sfera per caricarla mediante induzione, se poniamo un elettrometro nella zona d'ombra della sfera (cioè: dietro la sfera, dalla parte opposta della bacchetta), questo segna la presenza di carica indotta anche in quella parte di spazio che, secondo la teoria dell'azione a distanza, non sarebbe in alcun modo raggiungibile. Le conclusioni che Faraday ne trasse sono che le azioni si propagano per linee curve file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (61 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE originate dallo stato elettrotonico dello spazio in tensione che sottopone a sforzo le molecole interposte. E' quindi un effetto di volume sulle molecole che ne provoca la disposizione su linee curve lungo, appunto, le linee di forza. A questo punto Faraday dovette sospendere le sue ricerche per ben 7 anni. Gli sforzi continui ai quali si era sottoposto gli procurarono un collasso. Gli anni di riposo gli permisero di meditare ed egli, nel 1844, riprese l'attività con il lavoro A Speculation Touching Electric Conduction and the Nature of Matter (bibl. 54 bis, pagg. 850/855), nel quale espose con una certa completezza ed una buona dose di coraggio la sua teoria di campo. Dopo aver criticato, con argomentazioni di carattere sperimentale, la teoria atomica di Dalton (che andava per la maggiore), egli passò ad esporre il suo punto di vista, a partire dalla sua adesione ai punti atomi di Boscovich. Questi atomi vengono pensati da Faraday come punti inestesi circondati da una atmosfera di forza (sull'evolvere delle concezioni di atomo, molecola, corpuscolo, ... in Faraday, si può vedere bibl. 38). Egli giustificò ciò affermando che "noi conosciamo e studiamo le forze in ogni fenomeno del creato, mentre l'astratta materia in nessuno; per quale ragione dunque dovremmo assumere l'esistenza di ciò che non conosciamo, che non possiamo concepire e di cui non vi è nessuna necessità filosofica?". Passò quindi a descrivere la differenza tra la concezione atomistica classica e la sua: con atomi classici "una massa di materia è costituita da atomi e da spazio interposto", con atomi di Boscovich "la materia è presente ovunque e non vi è nessuno spazio interposto non occupato da essa". E così continuò a fornire la sua concezione di materia e spazio: "Senza dubbio i centri di forza variano nella loro distanza reciproca, ma quella che è la vera e propria materia di un atomo tocca la materia dei suoi vicini. Quindi la materia sarà continua ovunque, e quando consideriamo una massa di essa non dobbiamo pensare alcuna distinzione tra i suoi atomi e gli spazi interposti. Le forze intorno ai centri danno loro le proprietà di atomi di materia; e sempre queste forze, quando molti centri sono raggruppati in una massa dalle loro forze attrattive, danno ad ogni parte di quella massa la proprietà di materia". Quindi niente più materia ma forze che, dove hanno una 'densità' maggiore forniscono la sensazione di materia. Di conseguenza niente più atomi e vuoto, ma continuità ovunque. Sarà poi la disposizione peculiare dell'atmosfera di forza intorno ai centri che permetterà al punto atomo di avere particolari comportamenti fisico - chimici (lo renderà cioè o polare, o magnetico, o come si vuole). L'articolo così prosegue: "Gli atomi possono essere concepiti, anziché completamente duri ed inalterabili, come estremamente elastici … Ed in questo modo … la materia e gli atomi di materia saranno mutuamente compenetrabili", e, in accordo con quanto qui sostenuto, Faraday rese conto del legame chimico pensando ad una mutua compenetrazione delle atmosfere di forza di due o più punti atomi. La conclusione dell'articolo è ancora più interessante perché contiene tutti gli elementi per gli ulteriori sviluppi modellistici della teoria di campo: "Questa concezione della costituzione della materia sembrerebbe condurre necessariamente alla conclusione che la materia riempie tutto lo spazio o, almeno, tutto lo spazio a cui si estende la gravitazione (includendo il Sole ed il sistema solare); poiché la gravitazione è una proprietà della materia dipendente da una certa forza, ed è questa forza che costituisce la materia.In questa concezione la materia non è solo mutuamente compenetrabile, ma ciascun atomo si estende, per così dire, attraverso l'intero sistema solare, pur conservando il proprio centro di forza". Si può ben intendere come tutto ciò non abbia nulla a che vedere con tutti gli sviluppi della fisica newtoniana nelle scuole continentali. E' veramente una rivoluzione di pensiero di enorme portata. Ma non ancora completa. Proprio le ultime parole dell'articolo in discussione riportano le questioni che ancora rimanevano in sospeso: "quali relazioni questa ipotesi avrebbe con la teoria della luce e del supposto etere". Anche se Faraday file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (62 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE diceva che non aveva alcuna intenzione di investigare ciò, certamente la cosa gli premeva ma, come suo costume, gli occorreva una base sperimentale per poter avanzare una qualunque ipotesi o modello esplicativo. Di questi argomenti fino ad allora non si era occupato mai. Ma proprio nel 1845 egli dette il via ad un'altra grande serie di ricerche sperimentali dal titolo significativo, anche se molto oscuro On the Magnetization of Light and the Illumination of Magnetic Lines of Force (bibl. 54 bis, pagg. 595/632). Per la verità uno stimolo importante gli era venuto dal giovane fisico William Thomson, futuro Lord Kelvin (1824 - 1907). Quest'ultimo aveva intravisto la possibilità di formalizzare sia le linee di forza che lo 'stato elettrotonico', pertanto invitava Faraday, con una lettera, ad evidenziare questo stato con ulteriori esperimenti. Per paradossale che possa apparire, come osserva Percy Williams, Thomson era portato a pensare che proprio dal punto di vista sperimentale le idee di Faraday fossero un poco carenti. Così Faraday intraprese questo nuovo sforzo che ben presto lo portò a nuovi, clamorosi risultati. Il primo tra questi è quello che va sotto il nome di polarizzazione rotatoria magnetica (o Effetto Faraday) e consiste nella rotazione del piano di polarizzazione della luce quando quest'ultima attraversa certe sostanze (nell'esperienza originale: vetro al borato di piombo) immerse in un campo magnetico. Ecco dunque un fenomeno che connette magnetismo con fenomeni luminosi! Questo grosso risultato rese più ferme le convinzioni di Faraday sulla costituzione di spazio e materia in base a linee di forza, non come modello, ma con una precisa realtà fisica. E nel 1846 pubblicò un altro lavoro (Thoughts on Ray-vibrations - bibl. 71 bis) di carattere speculativo nel quale completò. perfezionò e rafforzò il precedente del 1844. In esso si ribadiva quanto sostenuto nel primo ma si aggiungevano importanti considerazioni sulle linee di forza come sede delle azioni che si propagano nello spazio con la velocità della luce: fatto, quest'ultimo, che farebbe cadere definitivamente la necessità di supporre l'esistenza dell'etere. Scriveva Faraday: " Il considerare la materia [come fatto nel precedente articolo] mi indusse gradualmente a guardare le linee di forza come probabile sede delle vibrazioni dei fenomeni radianti. Un'altra considerazione, che porta ugualmente all'ipotetica idea di coesistenza di materia e radiazione, nasce dal confronto delle velocità con cui l'azione radiante e certe forze della materia vengono trasmesse … Si è mostrato mediante gli esperimenti di Wheatstone, che la velocità dell'elettricità è grande come quella della luce, se non più grande". E qui egli riesce ad intravedere che un modo per mettere in evidenza l'eventuale identità tra luce e fenomeni elettromagnetici è il confrontarne le relative velocità. Ma come si propagherebbe la radiazione? " La mia concezione … considera la radiazione come una importante specie di vibrazione nelle linee di forza che uniscono tra loro particelle ed anche masse di materia. La mia concezione fa a meno dell'etere ma non delle vibrazioni" che da vari risultati sperimentali devono essere vibrazioni laterali e cioè trasversali. Poste queste premesse Faraday passa subito ad attaccare l'azione istantanea a distanza: "La propagazione della luce e quindi probabilmente di tutte le azioni radianti, occupa tempo; e, affinché una vibrazione della linea di forza possa spiegare i fenomeni radianti, è necessario anche che una tale vibrazione occupi tempo".(183) Ed in questo modo di considerare i fenomeni radianti, per Faraday, svaniva ogni necessità di far ricorso all'etere; in luogo di esso ci sono ora " le forze dei centri atomici che permeano e costituiscono tutti i corpi, oltre a penetrare tutto lo spazio" ed in definitiva solo linee di forza permeanti tutto lo spazio. Certo che il problema dell'etere non era così semplice da essere trattato e soprattutto risultava strabiliante un suo accantonamento apparentemente così banale quando file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (63 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE generazioni di fisico - matematici si erano accanite ad interpretarlo e matematizzarlo. Egli era comunque cosciente che occorreva indagare ancora soprattutto per fornire prove più decisive sulla realtà fisica delle linee di forza. Nei lavori che seguirono egli scoprì e teorizzò le sostanze ferromagnetiche, paramagnetiche e diamagnetiche; su questa strada ebbe modo di chiarirsi meglio le idee sulle linee di forza magnetica fino ad arrivare alla convinzione che: " le linee di forza magnetica possono rassomigliare ai raggi di luce, al calore, ecc., e possono trovare difficoltà nel passare attraverso i corpi ed essere influenzate da essi allo stesso modo della luce". Questa indagine sulle linee magnetiche di forza proseguì con una serie di lavori sperimentali del 1851 e 1852. Intanto, mediante un semplice circuito esploratore (un filo conduttore connesso con un galvanometro mosso vicino ad un magnete), era riuscito a rilevarne l'esistenza: si tratta di linee curve, continue e chiuse, senza poli né centri di azione; esse esistono sia nello spazio circostante il magnete che nel magnete stesso. E così Faraday scriveva: " dentro il magnete vi sono linee di forza esattamente uguali in forza e quantità a quelle fuori di esso, ma con direzione opposta …Ed in effetti ciascuna linea di forza è una curva chiusa, che in qualche parte del proprio percorso passa attraverso il magnete cui essa appartiene " ed aggiungeva " io propendo a considerare il mezzo esterno al magnete come altrettanto essenziale per il magnete: è esso infatti che collega l'una all'altra le polarità esterne per mezzo di linee di forza curve e fa si che esse non possano essere altro che curve". Per rendere conto di ciò Faraday paragona un magnete ad una cella voltaica immersa in un qualunque elettrolita. Tolto l'elettrolita la cella voltaica diventa un contenitore inerte. Solo quando il mezzo esterno permette il passaggio dell'elettricità, la cella diventa un centro di forze elettriche. Così è per il magnete in cui lo spazio esterno mette in relazione l'un l'altra le polarità esterne con linee di forza curve. In definitiva, ancora una volta Faraday ribadisce la sua convinzione di forza che non può esistere senza un mezzo e proprio in questo deve essere ricercata (e non nel corpo da cui suppostamente è originata). Questo mezzo è costituito da linee di forza ed ha solo la capacità di trasmetterle: quindi niente etere, che in questa visione diventa puramente accessorio, ma spazio identificato con materia. Uno degli ultimi lavori di Faraday (On Some Points of Magnetic Philosophy, bibl. 54 bis, pagg. 830/847), nel quale, ancora con un accanimento ed una passione di tutto rispetto, tentò di convincere i suoi contemporanei dell'erroneità della teoria dell'azione a distanza, è del 1855. Questo lavoro affronta il tema del campo in termini di conservazione dell'energia (che in quegli anni si era affermata con diversi e vari contributi e particolarmente con il lavoro di Helmholtz del 1847, Über die Erhaltung der Kraft , Sulla conservazione della forza) ed in esso si sostiene la necessità del campo perché altrimenti si arriverebbe all'assurdo di creazione o annichilamento di energia. Secondo la teoria di Newton, egli argomentava, due corpi che si attraggono (Sole e Terra, ad esempio) devono essere considerati separatamente come inerti, cioè a ciascun corpo non deve essere associata alcuna forza. Se ora facciamo interagire i due corpi essi si attraggono a seguito del fatto che si sarebbe creata nello spazio tra i due quella forza che li tiene uniti (si ricordi che l'azione alla Newton è istantanea e a distanza). Se invece tolgo uno dei due corpi che stanno interagendo annichilo una forza che precedentemente li teneva uniti. Questi fatti paiono assurdi e l'unico modo per spiegarli è ammettere l'ipotesi che ciascuno dei due corpi abbia una preesistente forza (oggi diremmo energia) che lo circonda e questa forza si diparte da questo corpo pervadendo l'intero spazio. Due corpi che si attraggono sono allora due corpi che fanno interagire le loro preesistenti linee di forza (i loro campi). Su questi argomenti ed in particolare sulla gravitazione, tema per lui di sommo interesse ma sul quale non era in grado di sperimentare, Faraday tornò ancora nel 1857 sostenendo che "se la forza agisce nel tempo ed attraverso lo spazio, essa deve allora agire mediante linee file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (64 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE fisiche di forza" e che la gravità "non risiede semplicemente nelle particelle della materia … ma in tutto lo spazio… essendo solo la parte residua delle altre forze della natura". L'ultimo lavoro sperimentale di Faraday è del 1862, appena 5 anni prima della sua morte. Egli tentò, senza riuscirvi, di scoprire l'effetto di un campo magnetico sulle proprietà della luce. La strumentazione di cui disponeva non era all'altezza dello scopo che Faraday si prefiggeva; 35 anni più tardi, con strumenti molto più sofisticati, il fenomeno ricercato da Faraday sarà trovato da Zeeman (1865 - 1943) ed oggi va sotto il nome di 'effetto Zeeman'. Come già accennato comunque, le nuove idee che Faraday avanzava erano spesso giudicate con scetticismo, se non con aperta ostilità, da parte di molti suoi contemporanei. Ma egli le portò avanti fin dove il contesto teorico e gli apparati sperimentali glielo permisero. Indubbiamente si erano trovati numerosissimi fenomeni che era impossibile ricondurre allo schema interpretativo del meccanicismo e, al di là degli sforzi che comunque si facevano per farlo, emergeva evidente una insufficienza della fisica newtoniana. La resistenza al superamento delle vecchie concezioni si rafforzava anche perché i nuovi fatti sperimentali e l'interpretazione teorica complessiva che Faraday ne aveva dato, non avevano trovato una rappresentazione modellistica chiara ed una formalizzazione corrispondente che fornisse loro quella 'dignità scientifica' che le stesse vecchie concezioni avevano. Faraday non era in grado di fare ciò. 5 - L'AFFERMAZIONE DELL'AZIONE A CONTATTO: MAXWELL, LA FORMALIZZAZIONE DELL'ELETTROMAGNETISMO E LA NASCITA DELLA TEORIA ELETTROMAGNETICA DELLA LUCE Nel 1855 il giovane fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831 - 1879) iniziò ad occuparsi di elettromagnetismo. Egli disponeva dell'elaborazione matematica del metodo delle 'analogie' sviluppato da W. Thomson (182); conosceva bene i contributi di Weber all'elettrodinamica; conosceva la matematica di Green e Stokes; aveva studiato Helmholtz e la sua cinematica dei fluidi ed aveva, naturalmente, ben presente l'opera di Faraday. L'iter lungo cui si sviluppa il complesso della teoria del campo elettromagnetico di Maxwell è segnato da 3 memorie fondamentali e dal famoso Treatise on Electricity and Magnetism (bibl. 76 quinquies) del 1873. La prima delle memorie di Maxwell, On Faraday's Lines of Force (bibl.76 bis), è un riconoscimento di difficoltà che un ricercatore incontra nel voler formalizzare la scienza elettrica. Questo ricercatore ha a disposizione, da una parte, la gran mole di risultati sperimentali che vengono continuamente sfornati e, dall'altra, la necessità di familiarizzarsi con una gran quantità di matematica molto complessa " la cui sola memorizzazione già di per sé interferisce materialmente con altre ricerche". È quindi necessario, secondo Maxwell, trovare nuovi metodi di lavoro. Uno di questi è proprio quello delle analogie che Thomson aveva introdotto (questo metodo permette di ottenere idee fisiche senza adottare teorie fisiche). Il fatto che colpiva Maxwell era, da una parte, la completa diversità di due fenomeni come il moto uniforme del calore in un mezzo omogeneo (dove sembra esservi un'azione a contatto da particella a particella) e l'azione a distanza e, dall'altra, l'identità formale delle leggi matematiche che descrivevano i due fenomeni: basta solo sostituire sorgente di calore con centro di attrazione, temperatura con potenziale, ... Con questo apparato concettuale egli mostrò che alle concezioni di Faraday era possibile applicare gli file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (65 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE stessi metodi matematici con i quali erano state trattate la teoria dell'elasticità e l'idrodinamica. (le equazioni differenziali alle derivate parziali). Ma ciò che fa un poco pensare è il fatto che una matematica nata per la descrizione di fenomeni punto per punto riesca a descrivere una azione a distanza (sembra che anche la matematica dia una mano al superamento delle differenze tra azioni a distanza ed a contatto). La seconda memoria di Maxwell, On Physical Lines of Force (bibl. 76 ter), presenta un insieme di analogie e modelli meccanici a sostegno delle idee di Faraday che, quasi certamente, lo stesso Faraday avrebbe respinto. Le linee di forza non sono più una mera rappresentazione di come le forze del campo sono distribuite; esse assumono ora un carattere fisico. Si tratta di linee immerse in un fluido elastico, l'etere) sottoposto ad uno stress, ad uno stato di sforzo proprio per il fatto di trovarsi situato tra due polarità. La linea di forza viene allora pensata come una corda tesa, cioè in tensione, su cui si esercitano delle pressioni laterali, perpendicolari e di uguale intensità. In accordo con Thomson, è come il moto vorticoso di un fluido che nel suo realizzarsi espande il fluido nella zona equatoriale, mentre lo contrae ai poli (si pensi alla forma fusiforme di una tromba d'aria) per effetto delle forze centrifughe. In definitiva (fig. 6) si tratta di vortici che si avvitano intorno alle linee di forza, che nascono con un piccolo diametro da un determinato polo e, dopo essersi dilatati lungo il cammino, muoiono sull'altro polo con lo stesso piccolo diametro di partenza. Questo modo di vedere le cose permette intanto di dare una spiegazione del carattere dipolare delle linee di forza: il verso di rotazione di un vortice è opposto se osservato dalle due estremità del suo asse. Ciò comportava però la rotazione nello stesso verso per vortici relativi ad una determinata espansione polare (fig. 7, in cui sono rappresentati in sezione più vortici consecutivi; i punti centrali sono le sezioni relative delle linee di forza). Era una difficoltà. Infatti parti di vortici contigui devono annullare il loro moto nei punti di contatto perché in questi punti il moto si realizza in direzioni opposte. Ma se questa è da una parte una difficoltà, dall'altra, sembra costruita ad arte perché il suo superamento permette a Maxwell, con una ulteriore elaborazione del modello meccanico, di rispondere alle domande che egli stesso si poneva: "Cos'è una corrente elettrica?" o, che è lo stesso, " Come può una concezione a vortici implicare una file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (66 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE corrente?". È così che egli introduce le 'ruote inattive', uno strato di 'particelle' mobili in modo tale da trasferire il moto da vortice a vortice senza interferire con il moto stesso (fig. 8). In condizioni normali queste particelle sono effettivamente inattive, rotolando senza attrito con i vortici, quando invece vi è uno sforzo prodotto sul campo esse si trasferiscono da una parte all'altra, cominciando ad esercitare attrito con i vortici con la conseguente nascita dei fenomeni della resistenza elettrica e della produzione di calore. E tutto ciò in accordo con la conservazione dell'energia. In definitiva le ruote inattive esercitano un triplice ruolo: da una parte trasmettono il moto da vortice a vortice; dall'altra il loro moto di traslazione costituisce la corrente elettrica; da ultimo le pressioni tangenziali così messe in gioco rappresentano la forza elettromotrice. E così tutti i fenomeni elettromagnetici noti trovano una spiegazione mediante questo modello meccanico (riportato, come da Maxwell stesso disegnato, in fig. 9 a. Si noti che un tale modello aveva caratteristiche meccaniche talmente spinte che O. Lodge, su suggerimento di Maxwell, lo esemplificò in un suo lavoro come in fig. 9 b). Nella fig. 9 (a) i vortici di etere sono schematizzati come esagoni (il segno + all'interno di un dato vortice indica la sua rotazione antioraria mentre il segno - la sua rotazione oraria; si noti che nel disegno il verso di qualche freccia è errato). La corrente era costituita da quello strato di particelle esistente tra vortice e vortice e, nel disegno, essa fluiva da A a B. Nella fig. 9 (b) è rappresentato un modello in cui i vortici di etere sono sostituiti da ruote dentate che, a seconda del loro verso di rotazione, determinano il verso file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (67 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE di spostamento dell'asta dentata (la corrente!). Di modelli meccanici di questo tipo ne vennero ideati molti ad opera di Maxwell, Boltzmann e W. Thomson (già Lord Kelvin). Ad esempio, le correnti indotte scoperte da Faraday sono così spiegate nel modello di Maxwell: l'effetto che la corrente ha sul mezzo che la circonda è far sì che i vortici in contatto con le correnti ruotino in modo che le parti vicine ad essa si spostino nella sua stessa direzione mentre le parti più lontane ad essa lo facciano in senso contrario. Se il mezzo è conduttore, con la conseguenza di 'particelle' che si possano muovere in qualunque direzione, quelle che sono in contatto con la periferia di questi vortici si muoveranno in senso contrario alla corrente, di modo che esisterà una corrente indotta in senso opposto alla prima. Inoltre, quando una corrente elettrica o un magnete si muove in presenza di un conduttore si altera la velocità di rotazione dei vortici di modo che essi cambiano di posizione e di forma originando una forza; questa forza costituisce la forza elettromotrice del conduttore in moto relativo. In questo modo di vedere, c'è la scoperta di Faraday che le correnti sono originate da variazioni del campo magnetico. Questo modello rendeva poi conto di come potesse avvenire il fenomeno inverso: se le ruote inattive (la corrente) cominciavano a spostarsi attraverso il sistema, si modificavano le forme dei vortici e ciò vuol dire che ad una corrente elettrica si accompagna una variazione dei vortici e quindi del campo magnetico. Qui incontriamo una delle principali scoperte di Maxwell che verrà in seguito convenientemente elaborata: variazioni nel campo elettrico devono originare un campo magnetico e viceversa. Unendo questo risultato con le evidenti considerazioni che Maxwell fa sull'esistenza di un qualche mezzo materiale nel quale la meccanica dei vortici possa aver luogo si comincia a delineare l'ulteriore passo che Maxwell fa nell'elaborazione della teoria elettromagnetica, l'esistenza di onde elettromagnetiche. Ma andiamo con ordine. Il campo, esistente ad esempio intorno ad un magnete, deve prevedere intorno a sé vortici e ruote inattive. Dove si costruiscono vortici se c'è il vuoto? Un qualche mezzo, sia esso di materia ordinaria o di un qualche etere con particolari proprietà dovrà riempire lo spazio in cui si sviluppa il campo. Le caratteristiche di questo supposto etere dovranno essere tali da rendere conto dei fatti sperimentali: da una parte esso dovrà essere estremamente sottile (non lo percepiamo immediatamente) e dall'altra, per spiegare la velocità con cui si propagano le file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (68 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE perturbazioni del campo elettromagnetico, denso come l'acciaio (è di interesse notare che queste azioni, nel modello di Maxwell non possono che essere a distanza). Ebbene, se si crea una perturbazione in un dato punto dello spazio muovendo, ad esempio, un magnete vicino ad una corrente, questa perturbazione nei vortici e nelle ruote inattive non c'è motivo che resti localizzata tra magnete e corrente, essa dovrà via via propagarsi attraverso l'etere in tutto lo spazio (teoricamente all'infinito) circondante il sistema magnete corrente. Che si tratti di una teoria azzardata è evidente, tanto più se si pensa che nessuna teoria dell'elettricità e del magnetismo fino ad allora sviluppate prevedeva una tal cosa, l'esistenza di perturbazioni (onde) propagantesi nello spazio. Nell'ultima parte di questa sua memoria Maxwell torna all'analogia di Thomson tra mezzo in cui si costruiscono vortici (e ruote inattive) e sostanze elastiche. Il mezzo nel quale si propagano le perturbazioni deve essere dotato di elasticità allo stesso modo che lo è un ordinario corpo solido solo che di valore differente. L'elasticità del mezzo è poi di estrema utilità per la spiegazione dei fenomeni elettrostatici. Questa supposta elasticità del mezzo faceva introdurre a Maxwell un concetto che avrà enorme importanza negli sviluppi successivi, quello di spostamento elettrico. Qui Maxwell si riallacciava direttamente a Faraday ed in particolare alle sue ricerche sui dielettrici ed alla scoperta della loro polarizzazione. Dice Maxwell: "Possiamo pensare che l'elettricità che risiede in ogni molecola sia spostata in modo tale che una estremità di essa divenga positiva e l'altra negativa. L'effetto di questa azione sull'intera massa del dielettrico è quello di produrre uno spostamento generale dell'elettricità in una data direzione. Questo spostamento non giunge al livello di una corrente perché quando ha raggiunto un certo valore rimane constante, tuttavia è l'inizio di una corrente e le sue variazioni costituiscono correnti di direzione positiva o negativa, a seconda che lo spostamento aumenti o diminuisca". Questa elasticità del mezzo, che forniva a Maxwell l'analogia per i suoi sviluppi matematici, è anche estesa al mezzo esterno, allo spazio, all'etere elettromagnetico. Ed in definitiva le azioni elettromagnetiche hanno sede in un mezzo elastico ma, con che velocità si propagano? La risposta a questa domanda da parte di Maxwell rappresenta la prima formulazione della teoria elettromagnetica della luce. Facendo i conti sulla velocità di propagazione di una perturbazione (oggi diremmo: onda) elettromagnetica nel mezzo elastico etere, considerando la relazione esistente tra la corrente di spostamento e la forza che la produce e deducendo da questa la relazione esistente tra misure statiche e dinamiche dell'elettricità, egli trovò che: "la velocità delle ondulazioni trasversali nel nostro mezzo ipotetico, calcolata a partire dagli esperimenti elettromagnetici di Kohlrausch e Weber (184) , si accorda in modo tanto esatto con la velocità della luce calcolata a partire dagli esperimenti di Fizeau, che noi non possiamo quasi fare a meno di concludere che la luce consiste nelle ondulazioni trasversali del medesimo mezzo che è causa dei fenomeni elettrici e magnetici". Ecco quindi che con poche parole si avanza una ipotesi rivoluzionaria: l'ottica sparisce per diventare un capitolo dell'elettromagnetismo. E tutto ciò a partire da una successione di azzardate ipotesi concatenate nel modo visto. Se si confronta il continuo impegno di Faraday nel cercare di eliminare dalla fisica enti inutili, con le innumerevoli ipotesi 'ad hoc' di Maxwell e con il suo dotare l'etere, già rifiutato da Faraday, di innumerevoli proprietà meccaniche e di meccanismi tanto utili al calcolo quanto artificiosi, ci si rende conto della profonda differenza esistente, non tanto tra i due, quanto tra due file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (69 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE diverse generazioni di ricercatori, tra due epoche diverse per sollecitazioni esterne, tra l'essere filosofo naturale e scienziato di professione. 5.1 - LE EQUAZIONI DI MAXWELL Arriviamo così alla terza memoria di Maxwell della fine del 1864. Si tratta della ponderosa A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (bibl. 76 quater). Mentre nella precedente memoria Maxwell aveva elaborato il modello meccanico che abbiamo descritto e che gli era servito per chiarirsi le idee e per mettere a punto il calcolo con l'ausilio delle analogie cui abbiamo accennato, ora egli abbandona il modello meccanico, si serve solo dell'etere e si occupa esclusivamente dei fenomeni elettromagnetici in quanto tali per sottoporli al calcolo. Questo lavoro contiene tutti i principali risultati che egli aveva precedentemente ottenuto e può essere considerato come la prima formulazione completa, dal punto di vista analitico, della teoria del campo elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce. Le proprietà di questo campo sono descritte da 20 equazioni generali. Lo stesso Maxwell, all'inizio della memoria, annunciava che la sua era una teoria dinamica nel senso che si serve di materia in moto nello spazio per rendere conto dei fenomeni elettrici e magnetici. Essa riguarda essenzialmente lo spazio circostante i corpi elettrizzati o magnetizzati che3 dovrà essere riempito di un mezzo (permeante anche i corpi) in grado di essere posto in moto e di trasmettere quel moto da una parte all'altra con grande ma non infinita velocità. Questo etere ha una natura elettromagnetica ma poiché ha le stesse proprietà (elasticità, densità, …) di un etere ottico, può essere identificato con esso (è interessante notare che le proprietà dell'etere elettromagnetico Maxwell le assegnava a priori in modo che esso avesse poi avuto le caratteristiche che si richiedevano, ad esempio, per trasportare vibrazioni trasversali ad una data velocità). Vi sono infine le questioni energetiche. Per Maxwell l'energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di natura meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di piccolissime cellule che, all'interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello stesso verso attorno ad assi paralleli alle linee di forza. Così Maxwell può affermare che "l'energia cinetica di questo movimento vorticoso non differisce dall'energia magnetica …[e], in ogni punto del dielettrico sottoposto ad un campo, si accumula una energia che, nel modello, è elastica, ma che in realtà non è altro che energia cinetica" (bibl. 19, pag. 219). Egli considera quindi l'energia elettrica come energia potenziale meccanica e l'energia magnetica come energia cinetica di natura meccanica (bibl. 75, pag. 184). E, come già detto, questa energia meccanica - elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in particolari condizioni, si può propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo, l'etere, si può polarizzare in virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una condizione di accumulo di energia potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma di energia cinetica (magnetica), quando lo sforzo cesserà. In definitiva la propagazione di onde elettromagnetiche nello spazio è dovuta alla trasformazione continua di una di queste forme di energia nell'altra e viceversa, e, istante per istante, l'energia totale nello spazio è ugualmente divisa tra energia potenziale (elettrica) e cinetica (magnetica). È quanto oggi sappiamo: si originano onde elettromagnetiche ogniqualvolta ci si trovi in presenza di una variazione o di un campo elettrico o di un campo magnetico (è interessante notare che la connessione tra materia e moto avrà importanza per Maxwell anche nello sviluppo di altri contributi che egli dette alla fisica, come nella teoria cinetica dei gas). È certo che con questa terza memoria Maxwell si sbarazza di quel grande ingombro che erano vortici e ruote inattive. Rimane però un etere con caratteristiche quasi materiali che Faraday non avrebbe mai condiviso. Allo stesso modo però a Maxwell non andava giù quella interconnessione di materia e forza che Faraday assumeva dalla tradizione romantica. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (70 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE A questo punto della sua attività scientifica, Maxwell voleva ricapitolare e mettere in bell'ordine il complesso dei suoi lavori elettromagnetici. Si ritirò nella sua casa di campagna (1865) dove la sua principale occupazione fu la compilazione del Treatise on Electricity and Magnetism che vide la luce nel 1873, sei anni prima della prematura scomparsa dello stesso Maxwell (aveva 48 anni). Il lavoro è ora sistematico ed i contributi di Maxwell si mescolano con quelli di altri autori risultando addirittura compressi e non esaltati. Sulla strada della terza memoria, Maxwell abbandona del tutto i modelli meccanici affidandosi al solo etere al quale sembra assegnare una realtà fisica. Egli tralascia molti dei procedimenti che lo avevano guidato sulla strada della scoperta delle sue equazioni del campo elettromagnetico. La deduzione di queste equazioni è puramente analitica a partire dalle equazioni fondamentali della meccanica nella forma che ad esse aveva dato Lagrange. Paradossalmente in questo modo di operare sparisce la meccanica stessa che diventa, in definitiva, una teoria eminentemente matematica, elaborata con Green, Stokes ed Hamilton. L'elettromagnetismo diventa quindi una meccanica dell'etere e, come lo stesso Maxwell affermava, "l'integrale è l'espressione matematica adeguata per la teoria dell'azione a distanza tra particelle, mentre l'equazione differenziale è l'espressione appropriata per una teoria dell'azione esercitata tra particelle contigue di un mezzo". L'elaborazione matematica di Maxwell, anche qui, arriva alle 20 equazioni che descrivono il comportamento del campo elettromagnetico (si osservi che il numero di queste equazioni verrà ridotto a 9 da Hertz ed a 5 da Lorentz, 4 provenienti dalla teoria di Maxwell ed una rappresentante la Forza di Lorentz). In definitiva, secondo la teoria di Maxwell, una perturbazione elettromagnetica (ad esempio una carica che acceleri) si propaga in tutto lo spazio sotto forma di onde elettromagnetiche. L'esistenza di tali onde rimane quindi un'ipotesi nella teoria: la conferma o la confutazione di essa metterà alla prova l'intera teoria in un vero e proprio experimentum crucis. Riguardo la velocità di tali onde valgono ora le stesse considerazioni che Maxwell aveva fatto nella sua seconda memoria: esse si muovono con la velocità della luce e quindi la luce è un'onda elettromagnetica.. Vale però la pena di ricordare che tutto l'impianto maxwelliano è basato sull'ipotesi di esistenza di un mezzo, l'etere, in cui avessero sede le perturbazioni; questo etere era inoltre meccanicamente indispensabile. Allora, con Maxwell, se dell'energia viene trasmessa da un corpo ad un altro nel tempo, ci deve essere un mezzo o sostanza in cui l'energia esiste dopo aver lasciato un corpo e prima di raggiungere l'altro. Se si ammette questo mezzo come ipotesi è evidente che esso dovrà diventare oggetto preminente delle future ricerche sperimentali. Due quindi erano le questioni che Maxwell lasciava ad una verifica sperimentale: l'esistenza di onde elettromagnetiche e l'esistenza di un etere che le sostenga. Oltre a ciò le sue equazioni non soddisfacevano da un punto di vista euristico poiché non risultano simmetriche come le equazioni della dinamica e poiché erano state ricavate con grande disinvoltura matematica (come quando, osserva Rosenfeld, dovendo ricavare la velocità di propagazione di un'onda elettromagnetica, egli si dimentica di un fattore 1 diviso la radice di 2 , trovando poi il valore corretto per essa con ulteriori manipolazioni dettate dal risultato che sapeva di dover trovare. Su questo punto si veda bibl. 65). Come già accennato Maxwell scomparve nel 1879. Nel 1880 veniva pubblicata postuma su Nature una sua lettera a D.F. Todd. In questa lettera, tra l'altro, suggeriva un modo per poter accertare sperimentalmente la presenza del supposto etere attraverso la misura della velocità della luce in un tragitto andata - ritorno che la stessa avrebbe dovuto percorrere in direzione parallela al moto della Terra intorno al Sole (qui l'effetto del supposto etere sarebbe stato del 2º ordine nel rapporto v/c, con v velocità della Terra e c velocità della luce). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (71 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE L'accoglienza a queste teorie non fu della più entusiasta. L'unico fatto, e non da poco, che riconciliava il mondo dei fisici era che, in definitiva, Maxwell si era servito di un mezzo meccanico, l'etere, ed aveva unificato in una mirabile sintesi i fenomeni dell'elettricità, del magnetismo e dell'ottica. Ma, al di là dell'accoglienza dei contemporanei, è certamente vero che la sua teoria in sé e nei molti punti in cui era logicamente indeterminata apriva ad una grossa mole di lavori sperimentali che non tardarono a prodursi particolarmente ad opera di Hertz e Michelson. 6 - DALLE TEORIE SELLA LUCE ALL'OTTICA DEI CORPI IN MOVIMENTO : ULTERIORI FENOMENI NON RICONDUCIBILI ALLA FISICA DI NEWTON E' indispensabile richiamare alcuni fatti lontani per intendere quanto diremo in questo paragrafo. Lo faremo molto in breve e, senza scomodare né Platone né Aristotele, inizieremo a discutere la questione della natura della luce a partire da Descartes. (269) Abbiamo già visto all'inizio di questo lavoro (270) che, per Descartes la materia è estensione. Quindi ogni cosa o fatto che sia esteso ha un comportamento analogo a quello della materia. La luce si estende dappertutto: conseguenza di ciò è che essa deve essere intesa come un qualcosa di materiale che si propaga "istantaneamente come una pressione esercitata dalle particelle di una materia sottile". Questa materia sottile, che permette la trasmissione delle pressioni, anche là dove non appare materia sensibile, è l'etere, di aristotelica memoria (la quintessenza), inteso come un corpo rigido ideale. Va ben chiarito che la luce non è, per Descartes, costituita dal moto delle particelle sottili, ma dalla loro pressione le une sulle altre in un 'universo' tutto pieno (oggi si direbbe; onde longitudinali). L'etere, che riceve una pressione, vibra, come diremmo oggi, intorno alla sua posizione di equilibrio, trasmettendo istantaneamente la pressione che ha ricevuto. (271) La concezione di Newton è più articolata ed egli, anche se è universalmente noto come padre della teoria corpuscolare della luce, in realtà non prende una posizione precisa ma pone la questione in forma problematica. (272). In certi passaggi sembra evidente una sua adesione alla teoria corpuscolare che fa a meno dell'etere (questo almeno fino al 1671 quando una polemica con Hooke lo orientò verso nuove strade); in altre parti della sua opera (Una nuova teoria sulla luce e sui colori -1672) pare orientato verso la teoria ondulatoria sostenuta dall'etere («Le vibrazioni più ampie dell'etere danno una sensazione di colore rosso mentre quelle minime e più corte danno il violetto cupo; le intermedie colori intermedi»); in altri passaggi poi, come nella Ottica (Libro II, parte III, proposizione XII) del 1704, sembra invece propendere per un'ipotesi che "si direbbe un compromesso tra una teoria ondulatoria ed una teoria corpuscolare, particelle precedute da onde, le quali in certo qual modo, predeterminano il comportamento futuro delle particelle". Così scriveva Newton: "I raggi di luce incidendo su una superficie riflettente o rifrangente, eccitano vibrazioni nel mezzo riflettente o rifrangente ... le vibrazioni così eccitate si propagano nel mezzo riflettente o rifrangente, in modo analogo alle vibrazioni del suono nell'aria ... ; quando ciascun raggio è in quella parte della vibrazione che è favorevole al suo moto, si fa strada file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (72 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE attraverso una superficie rifrangente, ma quando si trova nella parte contraria della vibrazione che impedisce il moto, è facilmente riflesso ... ." (273) E' solo nella parte finale dell' Ottica, nelle Questioni 28, 29 e 30, che Newton avanza, come ipotesi da investigare, la sua nota teoria corpuscolare della luce. E' superfluo notare che ogni ipotesi di Newton è legata ad una possibile, ma non definitiva e neanche tanto importante, spiegazione dei fatti sperimentali noti e via via osservati. Così, mentre l'ipotesi onda-particella, vista qualche riga più su, serviva a Newton per rendere conto e della colorazione delle lamine sottili e del fenomeno degli anelli (che portano il suo nome), la teoria corpuscolare discendeva da una spiegazione che Newton tentava di dare della diffrazione. (274) L'inflessione che un raggio di luce subisce Quando passa, ad esempio, al di là di un forellino è interpretata come il risultato di forze attrattive o repulsive tra la materia costituente il corpo diffrangente ed il raggio luminoso (che per questo è pensato costituito da corpuscoli che, in quanto dotati di massa, subiscono l'azione delle forze attrattive o repulsive). " Si comprende come l'incentivo verso una concezione corpuscolare della luce, fosse veramente molto forte. Tanto più che l'ipotesi ondulatoria, [come vedremo] già avanzata da Huygens, in mancanza [della conoscenza del fenomeno e] del concetto di interferenza, prestava il fianco ad obiezioni veramente serie, riguardo alla difficoltà di interpretare la propagazione rettilinea." (274 bis) Quindi, il tentativo di spiegazione dei fenomeni di diffrazione unito al fatto che, secondo Newton, è impensabile una teoria che voglia la luce fatta di onde ("di pressioni") perché le onde ("le pressioni") " non possono propagarsi in un fluido in linea retta" (275) poiché hanno la tendenza a sparpagliarsi dappertutto, (276) porta il nostro alla formulazione (dubitativa) della teoria corpuscolare che si trova nella Questione 29 dell'Ottica, introdotta con queste parole; "Non sono i raggi di luce corpuscoli molto piccoli emessi dagli oggetti luminosi ? Infatti questi corpuscoli passeranno attraverso i mezzi omogenei in linea retta senza essere piegati nelle zone d'ombra, com'è nella natura dei raggi di luce." (276 bis) Newton passava quindi ad illustrare alcune proprietà degli ipotetici corpuscoli materiali affermando che essi agirebbero a distanza allo stesso modo dell'attrazione reciproca tra i corpi. I colori della luce ed i diversi gradi di rifrangibilità sono poi spiegati con l'ammissione che la luce bianca sia formata da corpuscoli di diversa grandezza ("i più piccoli producono il viola ... e gli altri facendosi sempre più grandi, producono" via via gli altri colori fino al rosso). Infine, con questa teoria, è possibile spiegare il fenomeno della doppia rifrazione che, come vedremo, Huygens non era riuscito a spiegare con la teoria ondulatoria). In definitiva, in questo modo, la teoria della luce veniva ricondotta alla più vasta spiegazione che la gravitazione universale doveva fornire. Riguardo ad Huygens va detto che il suo Trattato sulla luce fu pubblicato nel 1691 ma fu scritto intorno al 1676. (277) In questo lavoro, a chiusura del primo capitolo, fa la sua comparsa la teoria ondulatoria. Allo stesso modo del suono, dice Huygens, la luce deve essere un fenomeno vibratorio e cosi come l' aria sostiene il suono, altrettanto fa l'etere con la luce (278) (l'etere è qui inteso come una materia estremamente sottile e perfettamente elastica). Così scriveva Huygens: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (73 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE "Ogni punto di un corpo luminoso, come il Sole, una candela o un carbone ardente, emette onde il cui centro è proprio quel punto ... ; i cerchi concentrici descritti intorno ad ognuno di questi punti rappresentano le onde che si generano da essi ... Quello che a prima vista può sembrare molto strano e addirittura incredibile è che le onde prodotte mediante movimenti e corpuscoli cosi piccoli possano estendersi a distanze tanto grandi, come, per esempio, dal Sole o dalle stelle fino a noi ... Cessiamo però di meravigliarci se teniamo conto che ad una grande distanza dal corpo luminoso una infinità di onde, comunque originate da differenti punti di questo corpo, si uniscono in modo da formare macroscopicamente una sola onda che, conseguentemente, deve avere abbastanza forza, per farsi sentire." (279) Possiamo riconoscere in queste poche righe la formulazione moderna della teoria ondulatoria fino al principio di Huygens o dell'inviluppo delle onde elementari. Lo stesso Huygens illustra questo principio con la figura 15 che ha il seguente significato: "se DCEF è una onda emessa dal punto luminoso A, che è il suo centro, la particella B, una di quelle che si Figura 15 trovano all'interno della sfera delimitata da. DCEF, avrà fatto la sua onda elementare KCL che toccherà l'onda DCEF in C, allo stesso momento in cui l'onda principale, emessa da A, raggiunge DCEF; è chiaro che l'unico punto dell'onda KCL che toccherà l'onda DCEF è C che si trova sulla retta passante per AB. Allo stesso modo le altre particelle che si trovano all'interno della sfera delimitata da DCEF, come quelle indicate con b e con d, avranno fatto ciascuna una propria onda. Ognuna di queste onde potrà però essere solo infinitamente debole rispetto all'onda DCEF, alla cui composizione contribuiscono tutte le altre con la parte della loro superficie che è più distante dal centro A." (280) Quanto abbiamo ora detto può essere riassunto da quanto già sappiamo e cioè che ogni punto in cui arriva una vibrazione diventa esso stesso centro di nuove vibrazioni (onde sferiche); l'inviluppo di un gran numero di onde elementari, originate in questo modo, origina un nuovo fronte d'onda, con centro la sorgente, molto più intensa, delle onde elementari che la compongono. Huygens proseguiva affermando che con questo modo di intendere le cose, si spiegherebbero tutti i fenomeni ottici conosciuti passando poi a dare le dimostrazioni delle leggi della riflessione, della rifrazione, della doppia rifrazione e della propagazione rettilinea della luce. (281) Quando passava però a dare una spiegazione dei fenomeni che oggi si spiegano con la polarizzazione egli molto semplicemente affermava che non gli era stato possibile trovare nulla che lo soddisfacesse. (282) Riguardo poi alla natura di queste onde ed al loro modo di propagazione, Huygens diceva: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (74 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE "Nella propagazione di queste onde bisogna considerare ancora che ogni particella di materia da cui un'onda si diparte, deve comunicare il suo movimento non solo alla particella vicina ..., ma lo trasmette anche a tutte quelle altre che la toccano e si oppongono al suo moto." (282 bis) E questa è una chiara enunciazione di quella che sarà la più grande difficoltà dell'ottica ondulatoria fino a Maxwell: il fatto che le onde luminose risultavano onde di pressione e quindi longitudinali. L'ammissione, inevitabile, di onde longitudinali e non trasversali impediva di pensare a qualsiasi fenomeno di polarizzazione (e quindi questa difficoltà era alla base di quanto Huygens confessava di non saper spiegare). Questo punto era ben presente a Newton che nell'Ottica lo cita e ne tenta una spiegazione ammettendo che i raggi di luce abbiano dei «lati» ciascuno dei quali dotato di particolari proprietà. Se infatti si va ad interpretare un fenomeno di polarizzazione mediante onde longitudinali, non se ne cava nulla poiché "queste onde sono uguali da tutte le parti". E' necessario dunque ammettere che ci sia una "differenza ... nella posizione dei lati della luce rispetto ai piani di rifrazione perpendicolare." Come già accennato solo la natura trasversale delle onde elettromagnetiche avrebbe potuto rendere conto, fino in fondo, dei fenomeni di polarizzazione. C'è un altro aspetto che differenzia radicalmente la teoria ondulatoria da quella corpuscolare e riguarda la spiegazione del fenomeno di rifrazione (nel passaggio, ad esempio, da un mezzo meno ad uno più denso). Secondo la teoria corpuscolare l'avvicinamento alla normale del raggio rifratto è spiegato "supponendo che i corpuscoli di luce subiscano un'attrazione da parte del mezzo più denso nel momento in cui vi penetrano. In tal modo essi vengono accelerati sotto l'azione di un impulso perpendicolare alla superficie di separazione e quindi deviati verso la normale. Me consegue che la loro velocità è maggiore in un mezzo più denso che in uno meno denso. La costruzione di Huygens basata sulla teoria ondulatoria, parte da presupposti esattamente contrari (fig. 16). Quando un'onda luminosa colpisce una superficie di separazione, genera in ogni punto della superficie un'onda elementare; Figura 16 se queste si propagano più lentamente nel secondo mezzo che è il più denso, l'inviluppo di tutte le onde sferiche, che rappresenta l'onda rifratta ... è deviato verso destra." (283) Anche questo quindi diventava un elemento cruciale per decidere sulla maggiore o minore falsicabilità di una. teoria. Se si fosse riusciti a determinare la velocità della luce in mezzi di diversa densità si sarebbe stati in grado di decidere quale teoria fosse più vera. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (75 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Fin qui le elaborazioni a monte. Abbiamo già visto che, durante il '700, l'ottica non fa importanti progressi, se si escludono alcune questioni di rilievo che provenivano da osservazioni astronomiche (aberrazione della luce) ed il perfezionamento di tutta una serie di strumenti ottici (introduzione lenti acromatiche, telescopi più grandi, fotometri, ...). In ogni caso, in linea con tutti gli altri campi della ricerca fisica, i newtoniani decidono che Newton era un corpuscolarista e pertanto è la teoria corpuscolare della luce che trionfa (anche se coloro che portarono avanti queste idee abbandonarono l'altro punto che qualificava la teoria corpuscolare di Newton: il fatto cioè che il moto dei corpuscoli costituenti la luce originasse vibrazioni di un ipotetico etere). Questa scelta ha anche una giustificazione pratica di primo piano ed è che la teoria corpuscolare spiegava, più cose di quella ondulatoria; in particolare era molto più immediato con la prima teoria intendere la propagazione rettilinea della luce che, con la seconda, risultava piuttosto confusa (e, come abbiamo visto, non soddisfaceva neppure Huygens). Proprio agli inizi dell'Ottocento un giovane medico britannico scoprì un fenomeno *incredibile*; luce sommata a luce, in alcune circostanze, origina buio! E' il fenomeno dell'interferenza (284) che fu scoperto nel 1802 da Thomas Young (1773-1829). (285) Il modo più semplice di provocare interferenza è " quando un raggio di luce omogenea (286), scriveva Young, cade sopra uno schermo su cui sono stati praticati due piccoli fori o fenditure, che si possono considerare come centri di divergenza, dai quali la luce è diffratta in tutte le direzioni. In questo caso, quando i due raggi, nuovamente formatisi, vanno ad essere intercettati su una superficie interposta lungo il loro cammino, la loro luce risulterà suddivisa da bande scure in porzioni approssimatamente uguali." (287) Anche Young si serviva di modelli meccanici e quello a cui egli si rifaceva per dar ragione di quanto avviene nell'ipotesi ondulatoria, è quello delle onde di acqua in uno stagno. Se due serie uguali di onde, provocate sulla superficie dell'acqua in punti a distanza opportuna, si incontrano, accadrà, egli osservava, che andranno a combinarsi in qualche modo. In ogni punto della superficie dell'acqua lo stato vibratorio risultante dipenderà dal modo in cui vanno a sommarsi o a sottrarsi gli effetti delle onde sovrapposte. E così, se le onde andranno a sommarsi, sovrapponendosi in concordanza di fase esse origineranno un'onda più grande delle due componenti prese separatamente; al contrario, se esse andranno ad incontrarsi in opposizione di fase, si distruggeranno l'un l'altra in modo da originare un'onda nulla (acqua immobile). Conseguentemente, il principio d'interferenza per la luce era così enunciato: "Quando due parti di una stessa luce raggiungono l»occhio seguendo due diversi percorsi di direzioni molto vicine, l'intensità è massima quando la differenza dei cammini percorsi è un multiplo di una certa lunghezza; essa è minima per lo stato intermedio." (287 bis) A questo punto Young passava, a calcolarsi la lunghezza d'onda dei vari colori costituenti la luce (288) a spiegare con la teoria ondulatoria i diversi fenomeni ottici conosciuti Anche qui egli incontrò grande difficoltà a rendere conto della propagazione rettilinea della luce: ma la difficoltà insormontabile restava sempre quella della spiegazione tramite la teoria ondulatoria ed usando di onde longitudinali (che Young, in analogia con il suono, riteneva essere caratteristiche della luce) dei fenomeni che oggi chiamiamo di polarizzazione. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (76 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Proprio in quegli stessi anni, nel 1808, il fisico francese E.M. Malus (l775-l8l2) riuscì a mettere in evidenza l'esistenza della polarizzazione attraverso fenomeni di riflessione: un raggio di luce riflesso si comporta come uno dei raggi birifratti dallo spato d'Islanda e cioè non subisce più la doppia rifrazione se fatto passare di nuovo attraverso un cristallo dello stesso tipo. La spiegazione che Malus dava del fenomeno è riconducibile a quella newtoniana dei lati delle particelle, infatti egli pensava che i corpuscoli luminosi fossero asimmetrici e si orientassero sia durante la riflessione, sia durante una birifrazione, in modo da non potersi più orientare per successive riflessioni o birifrazioni. Naturalmente la teoria corpuscolare era sostenuta da gran parte della scuola dei fisicimatematici francesi (288 bis) tra cui Biot e Poisson (che tenteranno in tutti i modi, senza però riuscirvi, di ricondurre i fenomeni di interferenza alla teoria corpuscolare), Laplace e, per un certo tempo, Arago. (289) E fu proprio quest'ultimo che, in un ambiente generalmente ostile, dette un importante sostegno al fisico che doveva dare nuovo impulso alla teoria ondulatoria fino a portarla al suo trionfo: Augustin Fresnel (1788-1827). Venuto a conoscenza dell'esperimento di Young proprio da Arago, questo fisico profondamente meccanicista, si propose di indagarlo meglio. Poteva sorgere il dubbio, infatti, che le frange d'interferenza osservate non fossero altro che fenomeni di diffrazione provocati dal passaggio della luce nei piccoli forellini. Egli trovò così un altro modo di produrre interferenza che non poteva far sorgere dubbi. Anziché usare i forellini di Young fece riflettere (l8l6) un raggio di luce, proveniente da una sorgente puntiforme, su due specchi consecutivi formanti tra loro un angolo prossimo a 180° nel modo indicato in figura 17(a) e (b). Figura 17 Riferendoci alla figura 17 (a), un raggio (onda) luminoso a emesso dalla sorgente puntiforme S, si riflette sullo specchio M1 e si dirige verso il punto P dello schermo C. Analogamente esisterà un altro raggio (onda) b, proveniente da S che si dirigerà verso P, file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (77 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Poiché i cammini dei due raggi sono differenti, i due raggi, in generale, risulteranno sfasati tra loro. Nel caso in cui vi sia concordanza di fase tra le due onde, P sarà un punto in cui si avrà un massimo di illuminazione; nel caso in cui le due onde siano in opposizione di fase, in P vi sarà buio; nel caso di sfasature diverse vi sarà una variazione dell' intensità dell'illuminazione dal buio al massimo di cui dicevamo. L'effetto complessivo sarà un fenomeno d'interferenza, analogo a quello che sarebbe generato da due sorgenti puntiformi S1 ed S2 , (289 bis) che si osserverà sullo schermo C. La figura 17(b) mostra invece più onde che vanno ad interferire in diverso nodo sullo schermo C. A seconda del tipo di interferenza, e quindi di sfasatura, tra le onde interessate, i punti P, Q, R saranno bui o illuminati a varie intensità. Con questa esperienza Fresnel sgombrò contemporaneamente il campo sia dall'interpretazione erronea del fenomeno dovuta ai corpuscolaristi (le frange non hanno nulla a che vedere con l'interazione di tipo gravitazionale tra le pretese particelle di luce ed i bordi delle fenditure) sia da quella altrettanto erronea di Young (le frange non sono generate dall'interferenza delle onde dirette con quelle riflesse dai bordi delle fenditure). La chiave della corretta interpretazione di Fresnel fu proprio la ripresa del principio di Huygens: ogni punto di una superficie di un'onda può diventare fonte di onde secondarie. Ebbene, nel fenomeno d'interferenza creata con due forellini, ciascun forellino diventa sorgente di onde; sono le onde che provengono da un forellino che interferiscono con quelle che si dipartono dall'altro. Ma fin qui le onde luminose pensate da Fresnel erano longitudinali. Egli, nella sua memoria del l8l6, diceva: "in ogni punto dello spazio dove sta condensato, l'etere è compresso e tende ad espandersi in tutte le direzioni", e queste non sono altro che onde longitudinali. Proprio nel l8l6, però, lo stesso Fresnel, insieme ad Arago, scopre che due raggi polarizzati sullo stesso piano interferiscono, mentre se sono polarizzati su piani tra loro perpendicolari non interferiscono più. Il risultato di questa esperienza fu conosciuto da Young il quale, in una lettera ad Arago (l8l7), avanzò l'ipotesi che le onde luminose fossero onde di tipo trasversale. Arago ne informò Fresnel il quale fece sua l'ipotesi e cominciò a lavorarvi con gran lena. Tra il 1821 ed il 1823 egli riuscì a dimostrare che, con questa ipotesi, era possibile spiegare tutti i fenomeni ottici conosciuti. (290) La stessa propagazione rettilinea poi, che era stata sempre un grosso problema per la teoria ondulatoria, interpretata correttamente mediante i fenomeni d'interferenza (il movimento che un'onda sferica trasmette si distrugge in parte per interferenza), non rappresentava più un problema per questa teoria. Di problema, semmai, ne nasceva un altro e fu lo stesso Fresnel a prospettarlo nel l821. Ammesse le onde trasversali che così bene spiegavano tutti i fenomeni ottici, che caratteristiche avrebbe dovuto avere l'etere per permettere il loro passaggio ? Le onde longitudinali marciano bene in un fluido, ma per le onde trasversali occorre un solido e neppure un. solido qualunque. Questo solido dovrebbe avere una rigidità teoricamente infinita (vista l'enorme velocità di propagazione della luce), quindi più elevata di quella dell'acciaio, e nel contempo deve essere più, evanescente di ogni gas conosciuto per non offrire resistenza ai corpi celesti che da secoli vediamo muoversi nel cielo senza apprezzabili rallentamenti. (291) Fresnel comunque non ebbe modo di seguire il corso degli eventi: nel 1827, a soli 39 anni, morì. Ma la strada ad una gran mole di ricerche sia teoriche che sperimentali era aperta. In particolare l'analogia tra onde luminose ed onde elastiche, che scaturiva dalla teoria di Fresnel, apriva un vasto campo di ricerche sui file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (78 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE fenomeni dell'elasticità. (292). All'obiezione, prima vista, di quella strana doppia natura dell'etere, cercò di rispondere G. Stokes nel 1845, Secondo Stokes la rigidità à relativa e vi sono solidi, come il gesso e la ceralacca, che se da una parte sono rigidi tanto da trasmettere vibrazioni trasversali, dall'altra sono compressibili ed estensibili (risultando molto fragili all'urto meccanico). Si tratta solo di combinare opportunamente le caratteristiche che l'etere solido deve avere per far si che abbia la rigidità richiesta unitamente all'estrema sottigliezza. (293) Di questi tentativi ne furono fatti tanti (294) e dal corpo della loro elaborazione analitica, con la matematica sviluppata dalla scuola francese nel '700, con quella sviluppata dai Green e dagli StoKes in Gran Bretagna e con altra che via via veniva ideata allo scopo, scaturirono moltissimi teoremi che furono poi di grande utilità per gli sviluppi ulteriori della fisica (un esempio di ciò l'abbiamo già visto con Maxwell). Altro campo di ricerche aperto dalla polemica onde o corpuscoli era quello relativo alla velocità della luce. Non dimentichiamo quanto abbiamo scritto qualche pagina indietro: la spiegazione della rifrazione mediante la teoria corpuscolare prevede che la velocità della luce sia più grande nei mezzi più densi, esattamente il contrario di quanto previsto dalla teoria ondulatoria. C'è l'opportunità di un esperimento cruciale che possa decidere quale teoria descrive meglio i fatti sperimentali osservati. (295) Fino a circa la metà dell''800 però le uniche misure della velocità della luce (che da ora indicherò direttamente con c) erano state eseguite su fenomeni astronomici. Nel 1676 Roëmer, confrontando le immersioni ed emersioni dall'ombra di Giove del suo satellite Io, notò che l'intervallo tra due eclissi successive era con regolarità minore quando la Terra si avvicinava a Giove e maggiore quando la Terra si allontanava da questo pianeta. Roëmer spiegò questo fatto ammettendo che la luce avesse una velocità finita di propagazione e dopo una serie di accurate osservazioni riuscì a darne il valore. Nel 1728. Bradley, osservando un gran numero di stelle, si accorse che esse erano dotate di un moto apparente sulla volta celeste: nel corso di un anno esse descrivevano sulla volta celeste una piccola ellissi (a questo fenomeno si dà il nome di aberrazione). Partendo da questo fenomeno e dopo accurati calcoli, Bradley riuscì a fornire una nuova determinazione di c. Ma nonostante queste importantissime misure effettuate sfruttando fenomeni astronomici, non si era ancora trovato il modo di misurare c sulla Terra: il suo elevato valore fa si che la luce percorre tragitti lunghissimi in tempi brevissimi e tragitti di tale lunghezza non esistono in natura sulla Terra (296) a meno di realizzarli con particolari artifici. Il primo strumento in grado ai permettere misure di c sulla Terra, che appunto si serviva degli artifici suddetti, fu ideato dal fisico francese H. Fizeau (1819-1896) nel 1849. L'esperienza di Fizeau permise la misura di c nell'aria ma fu impossibile realizzarla in un altro mezzo perché la distanza su cui Fizeau aveva operato in questa sua prima esperienza, era di circa 9.000 metri. (297) Chi riuscì ad effettuare la misura di c, non solo sulla Terra, ma nei limiti ristretti di una stanza di laboratorio, fu l'altro fisico francese, L. Foucault (1819-1868), nel 1850. (298) L'essere riusciti a portare questa misura in laboratorio apriva la strada, immediatamente percorsa, alla misura di c in diversi mezzi ed. in particolare nell'acqua. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (79 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE L'esperienza fu eseguita prima in aria, poi in acqua, sia da Foucault che da Fizeau, ed il risultato comparativo della velocità c dava ragione alla teoria ondulatoria: la luce viaggiava, con una velocità minore nei mezzi più densi ed in particolare nel!'acqua risultava essere circa i 3/4 di quanto non fosse nell'aria. Questo argomento sembrò decisivo: la teoria corpuscolare (od emissiva) non sembrava più conciliabile con la realtà dei fatti sperimentali. L'ammissione della nuova teoria comportava però nuove difficoltà. Già abbiamo visto le strane proprietà di cui doveva essere dotato questo etere, contemporaneamente estremamente rigido e sottile, e già abbiamo detto che sulla strada del tentar di risolvere questi problemi si erano mossi una gran quantità di fisici-matematici, elaborando la cosiddetta teoria, elastica dell'ottica. L'altro problema che si apriva fu individuato dallo stesso Fresnel in collaborazione con Arago, in una corrispondenza che si scambiarono nel l8l8. Avverto, subito che è una questione di estrema importanza per gli sviluppi futuri di questo lavoro e quindi merita di essere seguita con particolare attenzione anche perché l'argomento è delicato. 7 - Dai problemi posti dalle macchine termiche alla scienza della termodinamica: l'energia si degrada ed il mondo e' irreversibile Non torneremo a cercare le origini del concetto di energia fin dalle speculazioni aristoteliche (1). Basterà ricordare che già dai lavori di Stevin (1548-1620), Galileo (15641642), Huygens (1629-1695), Leibniz (1646-1716) e J. Bernoulli (1667-1748) traspare chiaramente l'acquisizione della conservazione dell'energia, limitatamente ai fenomeni meccanici (2). Il concetto di conservazione sarà invece assente nella fisica newtoniana (in ogni urto e in ogni moto, per Newton, c'è una parte di movimento che va perduta allo stesso modo in cui si perde movimento nel moto degli astri. È l'opera di Dio che rifornisce il mondo, istante per istante, di ciò di cui continuamente viene privato). E tutto ciò in contrasto, oltre che con quanto sostenuto da Leibniz — si conserva il prodotto mv2 — anche con le enunciazioni di Descartes (1596-1650) - si conserva il prodotto mv -. Si può molto agevolmente sostenere che poté affermarsi la posizione che non ammetteva la conservazione dell'energia solo perché, all'epoca, la questione non si poneva con l'urgenza imposta da macchine che consumano grandi quantità di energia non rinnovabile (3). È comunque utile una annotazione su questo problema. Nel caso galileiano (4), ad esempio, dove c'era da ricavare la conservazione da un'esperienza "ideale" di risalita di una determinata massa dopo una sua caduta (es: un pendolo), le cose si presentavano in modo "abbastanza semplice": i parametri in gioco erano pochi, gli attriti erano già presenti ma ancora non formalizzati, i vincoli ancora non erano discussi (sarà compito dei fisicimatematici francesi). Ma quando in un processo di trasformazione di energia si producono molte "intermediazioni", allora il problema si complica notevolmente. Già la ruota idraulica poteva prescindere da un'analisi accurata dei rendimenti: dato il corso d'acqua è data l'energia (basta, più o meno, tener conto di pochi dati empirici come le secche o le piene, come la velocità dell'acqua, il modo migliore di costruire e sistemare le pale...). Il passaggio successivo, a macchine che utilizzano combustibili e si servono di varie intermediazioni, tra cui la più importante è quella del riscaldamento di acqua per produrre vapore, rendeva e rende: il problema economicamente attuale. Si trattava di capire fin dove file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (80 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE il combustibile può essere sfruttato e fin dove la macchina può essere migliorata: è un problema di rendimento che può essere senz'altro inteso nel senso di rendimento economico. Per molti anni la scienza ufficiale, che era completamente slegata dal mondo della produzione, non si occupò di questi problemi e, se lo faceva, era solo per affinare quanto già dato come acquisito. Emergeva comunque una consapevolezza: l'impossibilità del moto perpetuo che, per ora e come capiremo meglio in seguito, è solo moto perpetuo di 1ª specie. Ai molti che si affannavano con mirabolanti invenzioni l'Accademia Reale delle Scienze di Francia dovette dire basta per non essere sommersa da progetti di macchine miracolose. La stessa Accademia divulgò il seguente testo: "La costruzione di una macchina del moto perpetuo è assolutamente impossibile. Anche ammesso che l'attrito e la resistenza del mezzo non distruggessero infine l'effetto della potenza motrice primaria, tale potenza non potrebbe produrre un effetto uguale alla sua causa"(5). Da parte loro Euler (1707-1783), Lagrange ( 1736-1813) e D'Alembert (1717-1783) costruivano delle equazioni che formalmente sono quelle che oggi conosciamo come principio di conservazione dell'energia meccanica, ma che sostanzialmente e concettualmente non avevano grandi significati (6). La tecnologia del calore ampliava invece la sua base fenomenologica e tra i primi a porsi il problema della conservazione dell'energia, nell'ambito della costruzione di macchine a vapore, fu proprio uno degli ideatori di queste macchine, J. Smeaton (17241792) nel 1759. II lavoro di Smeaton, unito agli innumerevoli contributi empirici (e non) che da quella parte provenivano, servì anche esplicitamente alle definizioni dei concetti di lavoro e di potenza che, proprio in connessione con uno dei più intensi momenti di sviluppo delle macchine a vapore, facevano la loro comparsa nella fisica (7). Non mi dilungherò ora su questi aspetti, ma voglio sottolineare come la mole dei problemi posti dalla tecnologia di queste macchine ricadrà sulla scienza ufficiale come compito da dover risolvere appena qualche decennio dopo. Ciò che si trattava di capire era: come mai alcune trasformazioni energetiche avvengono con un bilancio positivo e altre con un bilancio negativo? (8). Certamente alla soluzione di questi problemi contribuì il diverso contesto teorico, politico, sociale, dei vari ambienti in cui vi si lavorò. 7.1 - DAL CONTE RUMFORD A SADI CARNOT Alla comprensione delle relazioni tra lavoro meccanico e calore (9), e quindi della fondamentale questione dei bilanci nelle trasformazioni in oggetto, dette un importante contributo (1798) Benjamin Thompson, diventato successivamente Conte di Rumford per meriti scientifici. Rumford (1753-1814) stabilì (1799) l'equazione: calore = movimento che è il primo embrione di quel Q = L che sarà stabilito circa 50 anni dopo. Ma le elaborazioni di Rumford ebbero scarsa fortuna. L'ambiente scientifico era diviso tra i sostenitori di questa teoria dinamica e i sostenitori dell'altra, quella fluidistica del calorico (inteso come una sostanza materiale) che andava per la maggiore. Le esperienze che all'epoca si facevano per studiare l'equilibrio termico tra due sostanze sembravano confermare proprio un travaso di calorico da una sostanza all'altra: sarebbe stato più file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (81 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE difficile spiegare questi fatti con — diremmo oggi — scambi di energia cinetica tra molecole. Scarso successo ebbe anche la ben nota esperienza di Davy (1778-1829) che consisteva nello sfregamento sotto vuoto di due pezzi di ghiaccio con la conseguente produzione di calore e quindi di acqua (anche qui: calore = movimento). E Davy spiegava ciò parlando di "vibrazione dei corpuscoli costituenti il corpo". Sembra strana questa situazione: la gran parte degli scienziati, che si muoveva in un preteso ambito newtoniano, non riconosceva nell'agitazione di particelle e vibrazione di un qualche mezzo la fisica di Newton e, al contrario, si soffermava su ipotetici fluidi come il calorico. Perché le particelle in ottica e un fluido nella spiegazione del calore? Tanto più che lo stesso Newton, analogamente che per la luce, così si esprimeva a proposito del calore (Ottica, questione 18): "II calore di un ambiente caldo non si trasferisce attraverso il vuoto mediante le vibrazioni di un mezzo più sottile dell'aria che, quando l'aria è stata tolta, rimane sempre? E non è questo mezzo lo stesso mediante il quale la luce si rifrange e si riflette e mediante le cui vibrazioni la luce trasmette il calore ai corpi...? E le vibrazioni di questo mezzo in corpi caldi non contribuiscono all'intensità e alla durata del caldo in questi corpi? E i corpi caldi non comunicano il loro calore a quelli freddi contigui mediante le vibrazioni di questo mezzo propagantisi dai primi ai corpi freddi?"(10). Anche se le affermazioni di Newton sono dubitative, basti solo ricordare che dello stesso tipo erano quelle sulla teoria corpuscolare della luce. Insomma è qui difficile capire chi sono i newtoniani. Può sembrare ancora strano, ma fu proprio uno come Young (17731829), che si riteneva antinewtoniano perché considerava oppresso, oppressivo e privo di slanci innovatori l'ambiente scientifico dominato dall'autorità di Newton, che riprese le affermazioni dello stesso Newton, a sostegno di una sua "non ortodossa" teoria. Così si esprimeva Young (1807): "Se il calore non è una sostanza, deve essere una qualità; e questa qualità può essere solo moto. Era opinione di Newton che il calore consista in un piccolo moto vibratorio delle particelle dei corpi, e che questo moto sia comunicato, attraverso un vuoto apparente, dalle vibrazioni di un mezzo elastico che interviene anche nei fenomeni luminosi. Se gli argomenti che sono stati avanzati ultimamente a favore della teoria ondulatoria della luce sono ritenuti validi, vi saranno ragioni ancora più forti per ammettere questa dottrina riguardo al calore, e sarà solo necessario supporre che le vibrazioni e ondulazioni, che soprattutto lo costituiscono, siano più ampie e più forti di quelle della luce, mentre al tempo stesso le più piccole vibrazioni luminose, e anche le radiazioni oscure che derivano da vibrazioni ancora più piccole possono, forse, se sufficientemente condensate, contribuire a produrre gli effetti del calore"(11). Questi ultimi effetti del calore erano essenzialmente quelli che, nell'industrializzata Gran Bretagna, provenivano dall'uso delle macchine a vapore. Ma l'arretratezza delle istituzioni scolastiche e (sembra impossibile) scientifiche di quel paese aveva lasciato lo studio di questi fenomeni ai soli tecnici. Fu Watt (1736-1819) che, applicando un dispositivo meccanico (diagramma indicatore) al pistone e al cilindro di una sua macchina, evidenziò direttamente e graficamente il variare della pressione del vapore in funzione del volume a disposizione del cilindro (12). Ma ancora non vi era alcuna elaborazione teorica. Al contrario, la Francia dell'École aveva cominciato a sottoporre a trattamento teorico i fenomeni implicati negli scambi di calore. Un primo fondamentale lavoro in questo senso è la Teoria analitica del calore (1822) di J.B. Fourier (1768-1830), nel quale si studiano i file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (82 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE meccanismi di propagazione del calore attraverso i corpi solidi (13). Fourier aveva elaborato una teoria matematica del calore basandosi essenzialmente sul fenomeno della conduzione e non facendo ipotesi sulla natura del calore stesso (in particolare, non occupandosi dei fenomeni di dilatazione o simili, che producono effetti meccanici e che erano già stati abbondantemente studiati) (14). Era così arrivato a trovare una legge secondo la quale la quantità di calore che ogni secondo passa attraverso una sbarra della sezione di un centimetro quadrato è proporzionale alla caduta di temperatura per ogni centimetro di lunghezza del conduttore, misurata lungo la direzione nella quale fluisce il calore (si potrebbe dire che la quantità di calore di cui si diceva è proporzionale al gradiente termico). Ma, al di là di alcuni risultati certamente importanti, è utile sottolineare alcune affermazioni dello stesso Fourier sui rapporti della scienza del calore con i principi della dinamica. Così scriveva il fisico-matematico francese: "Qualunque possa essere la portata delle teorie meccaniche, esse non si possono applicare agli effetti del calore. Questi infatti costituiscono un ordine particolare di fenomeni, che non possono essere spiegati mediante i principi del moto e dell'equilibrio" (15). E più oltre, a proposito dei criteri che lo avevano guidato nell'elaborazione del suo lavoro, aggiungeva: "I principi della teoria derivano, così come quelli della meccanica razionale, da un ristrettissimo numero di fatti iniziali e ... le equazioni differenziali della propagazione del calore esprimono le condizioni più generali, e riducono le questioni fisiche a problemi di pura analisi, e questo è il vero scopo della teoria. ... Considerata da questo punto di vista l'analisi matematica si estende così come si estende la natura; essa definisce tutte le relazioni sensibili, misura tempi, spazi, forze e temperature..." non dimenticando nel contempo di riferirsi al metodo delle "analogie" che da qui prende le mosse. In definitiva Fourier, per trattare la speciale classe dei fenomeni del calore ("la cui teoria — come egli afferma — formerà una delle più importanti branche della fisica"(16), si serve essenzialmente della matematica cui assegna un ruolo insostituibile per superare le dispute sulle cause e arrivare invece alle equazioni che descrivono il fenomeno, uniche verità universali. Come osserva Bellone, "l'utilizzazione delle tecniche-matematiche trovava nel pensiero di Fourier non solo delle giustificazioni legate a una concezione generale della natura, ma anche un impulso per ulteriori progressi formali. È nella Teoria che vengono usate pienamente le nuove formulazioni di Fourier sugli sviluppi m serie: e non si può trascurare il fatto che gli sviluppi in serie non si riducono, nell'opera di Fourier, a semplici tecniche formali, ma implicano l'attribuzione di direzioni privilegiate di sviluppo dei fenomeni termici nel tempo. Il fatto che le serie di Fourier rappresentino lo svolgersi temporale delle perturbazioni termiche apportate sui sistemi fisici viene infatti interpretato, nella Teoria, come la più evidente prova dell'esistenza, nella natura stessa, di una marcia naturale verso situazioni di stazionarietà"(17). Due soli anni dopo l'uscita di questo lavoro di Fourier vide la luce un altro contributo fondamentale alla scienza del calore. Si trattava delle "Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco" di Sadi Carnot (1796-1832). Certamente una grande influenza su Sadi, uomo dell'École, dovette averla suo padre Lazare (1753-1823) (18), che svolse un ruolo importante nello stesso ambiente dell'École a partire dalla sua fondazione; Lazare, nel suo "Essai sur les machines en général" del 1783, si era occupato di macchine e soprattutto di macchine idrauliche con il fine di fare della scienza di esse una branca della meccanica. In questo lavoro egli, fra l'altro, fece uso della formula della conservazione dell'energia meccanica così come oggi praticamente la conosciamo. I contributi di Lazare alla scienza delle macchine idrauliche saranno ben presenti nell'opera di Sadi se si tiene conto che quest'ultimo sviluppò la sua teoria delle macchine termiche in analogia con quelle file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (83 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE idrauliche. Lo stesso Sadi scriveva: "Si può comparare con sufficiente esattezza la potenza motrice del calore con quella di una caduta d'acqua: ambedue hanno un massimo che non può essere superato, qualunque sia la macchina impiegata per ricevere l'azione del calore. La potenza motrice di una caduta d'acqua dipende dalla sua altezza e dalla quantità di liquido; la potenza motrice del calore dipende anche dalla quantità di calore impiegata e ... dall'altezza della sua caduta, e cioè dalla differenza di temperatura dei corpi tra i quali si scambia calorico. Nella caduta dell'acqua la potenza motrice è rigorosamente proporzionale alla differenza di livello tra il deposito superiore e quello inferiore. Nella caduta di calorico la potenza motrice aumenta, senza dubbio, con la differenza di temperatura tra il corpo caldo e il corpo freddo"(19). Inoltre, come in una macchina idraulica per ottenere il massimo rendimento occorre che l'acqua esca dalla turbina a velocità pressocché nulla (in modo da garantire che tutta l'energia posseduta dall'acqua si trasferisca alla turbina) e che, dentro la macchina, l'acqua non dia colpi violenti alle parti mobili, cioè non vari apprezzabilmente la sua velocità (per evitare inutili sprechi di energia), allo stesso modo in una macchina termica è necessario che gli scambi di calore con l'esterno siano resi nulli (affinché tutto il calorico sia utilizzato per produrre potenza motrice(20)) e che, anche all'interno della macchina, gli scambi di calore avvengano tra parti che si trovino pressoché alla stessa temperatura (per evitare inutili sprechi di calorico nel riscaldare parti di macchine). Lo spingere oltre l'analogia, unitamente alla convinzione dell'esistenza materiale di un fluido calorico, portò Carnot a una conclusione che oggi riteniamo errata: così come non si ha perdita d'acqua nel funzionamento di una macchina idraulica: (l'acqua che entra nella macchina è la stessa che, dopo aver prodotto lavoro meccanico, ritroviamo all'uscita), allo stesso modo, secondo Carnot, non si ha perdita di calorico nel funzionamento di una macchina termica. Quindi il calorico si conserva, è indistruttibile; non è esso che è trasformato in lavoro-meccanico, è (e qui viene un'affermazione che oggi si può ritenere corretta) solo la sua caduta da una sorgente calda a una fredda che produce questo lavoro (21). E quest'ultimo è uno degli enunciati che oggi usiamo per il secondo principio della termodinamica (22). Una macchina termica produce quindi lavoro quando vi è trasferimento di calore da una sorgente, calda a una sorgente fredda. Diceva Carnot: "Ovunque esista una differenza di temperatura, ovunque si possa ristabilire l'equilibrio del calorico, può prodursi anche potenza motrice. [E aggiungeva :] Il vapor d'acqua è un mezzo per realizzare questa potenza, ma non è l'unico: tutti i corpi che la natura ci offre possono impiegarsi a questo scopo". E questo perché tutti i corpi, alternativamente scaldati e raffreddati, sono suscettibili di cambiamenti di volume e conseguentemente possono spingere altri corpi sistemati alle loro estremità. Certamente i fluidi sono i più adatti perché sono soggetti a maggiori escursioni volumetriche, ma tutti i corpi, ugualmente, potrebbero essere usati. La domanda che spontaneamente sorgeva da ciò è quella che lo stesso Carnot si poneva: "La potenza motrice del calore è immutabile in quantità o varia con l'agente che si usa per realizzarla?". Carnot rispose affermando che il rendimento di un ciclo è indipendente dal mezzo usato; esso dipende solo dalla differenza di temperatura tra la sorgente calda e quella fredda e dalla quantità di calorico messa in gioco, inoltre "la file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (84 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE potenza motrice aumenta con la differenza di temperatura" tra le due sorgenti. È la variazione di volume che produce lavoro, quindi solo gli scambi di calore responsabili di variazioni di volume sono utilizzabili. Se non si perdesse calore nella sua trasmissione tra le due sorgenti e se la quantità di calorico ceduta dalla sorgente calda fosse esattamente uguale a quella ricevuta dalla sorgente fredda (senza perdite nel riscaldamento delle parti componenti la macchina) allora si avrebbe un massimo di rendimento, e il ciclo che descrive il funzionamento della macchina sarebbe un ciclo reversibile (23). Solo le macchine ideali possono realizzare ciò: nelle macchine reali le perdite di calorico sono ineliminabili (24). Pertanto il ciclo di Carnot è un ciclo ideale che rappresenta il limite superiore di rendimento di una macchina reale (25). 7.2 - I CONTRIBUTI DI CLAPEYRON, MAYER, JOULE ED HELMHOLTZ Questo lavoro di Carnot, che praticamente rappresenta la fondazione della termodinamica moderna, rimase senza seguito per ben dieci anni. Solo nel 1834 un altro ingegnere francese, B. Clapeyron (1799-1864), riprese l'opera di Carnot elaborandola e formalizzandola (26). Nel frattempo lo studio dei gas era avanzato di molto. A ciò avevano lavorato direttamente o indirettamente (mediante il perfezionamento della strumentazione): Dulong (1785-1838), Petit (1791-1820), Volta (1745-1827), Gay-Lussac (1778-1850), Charles (1746-1823). In particolare Volta e, indipendentemente, Gay-Lussac avevano stabilito un fatto di notevole importanza: tutti i gas hanno lo stesso coefficiente di dilatazione il cui valore è circa 1/273 . Clapeyron, sempre nel 1834, riuscì a mettere insieme la legge di Boyle (1627-1691) — a una fissata temperatura il prodotto della pressione per il volume di un dato gas è costante — e quella di Gay-Lussac — i volumi di due gas che si combinano stanno tra loro in rapporti semplici — ricavando l'importantissima equazione che descrive il comportamento dei gas perfetti (PV = nRT). Passò quindi allo studio dei rapporti esistenti tra lavoro e calore. Nel far ciò si riferì ampiamente all'opera di Carnot accettandone tutti i risultati ma attaccando con fermezza l'ipotesi dell'indistruttibilità del calorico, pur mantenendo comunque il concetto di calorico. Egli affermava che: "Una quantità di azione meccanica e una quantità di calore che può passare da un corpo caldo a un corpo freddo sono quantità della stessa natura ed è possibile sostituirle l'una con l'altra"(27). Riprendendo poi in esame il diagramma indicatore di Watt, Clapeyron scoprì che l'area del "ciclo di Watt" dava una misura di quanto lavoro si era fatto per percorrere un ciclo completo. Egli propose quindi di misurare il rendimento (r) di una macchina come il rapporto tra il lavoro fatto da una macchina (L) e la quantità di calore che la macchina ha assorbito dalla sorgente a temperatura più alta (Q2) durante un intero ciclo r = L/Q2. C'è comunque da osservare che il ciclo su cui Clapeyron lavorava era diverso da quello originario di Carnot (28), anzi, quello che noi oggi studiamo come 'ciclo di Carnot' è il ciclo di Clapeyron costituito, in un piano P, V, da due isoterme e due adiabatiche. Nonostante l'elevato livello di formalizzazione e gli importanti successi teorici che si stavano conseguendo, questo lavoro rimase abbastanza inosservato per circa quindici anni. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (85 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Si trattava di capire meglio la natura del calore, i suoi meccanismi di scambio e i suoi rapporti con il lavoro meccanico; tutto questo anche da campi diversi da quello strettamente fisico e tecnologico, come ad esempio dalla chimica e dalla biologia. Nuovi importanti contributi iniziarono a venire dalla Germania. Dapprima il fisiologo Liebig (1803-1873) mise in relazione l'energia meccanica animale con il calore prodotto dalla combustione del cibo (29); quindi un suo discepolo, Mhor (1806-1879), nel 1837 sostenne, all'interno di una visione meccanicistica, che ogni forma di energia doveva necessariamente provenire da energia meccanica e cioè da agitazione molecolare; e infine, per ora, il medico R. Mayer (1814-1878) trovò (1842) una relazione quantitativa precisa tra lavoro e calore riuscendo a calcolarsi l'equivalente meccanico del calore (è, come diremmo oggi, il primo principio della termodinamica nell'ipotesi di variazione nulla dell'energia interna del sistema o, che è lo stesso, nell'ipotesi di percorrere un ciclo chiuso). Scriveva Mayer: "La connessione naturale che esiste tra la forza di caduta, il movimento e il calore può essere concepita nel modo seguente ... La caduta di un peso ... deve essere, senza dubbio alcuno, correlata alla quantità di calore che conseguentemente si sviluppa; questa quantità di calore deve essere proporzionale alla grandezza del peso e alla sua distanza rispetto al suolo. Da questo punto di vista siamo con molta facilità condotti alle equazioni tra la forza di caduta, il movimento e il calore"(30). E a questo punto Mayer si poneva l'ovvia domanda: "Quanto è grande la quantità di calore che corrisponde a una data quantità di movimento o di forza di caduta? Ad esempio, dobbiamo accertare a quale altezza debba essere innalzato un dato peso rispetto al suolo, affinché la sua forza di caduta possa essere equivalente all'aumento di temperatura di un ugual peso d'acqua da 0° a 1°C"(31). Mayer passava allora a farsi questo conto basandosi sulle "relazioni che esistono tra la temperatura ed il volume dei gas" e in particolare confrontando il calore specifico a pressione costante (Cp) e il calore specifico a volume costante (Cv) di un dato gas. Riscaldando (32) un grammo di gas di 1°C, mantenendo la pressione a un valore dato P, il suo volume v aumenta di a.v , dove a è il coefficiente di dilatazione dei gas che abbiamo visto valere 1/273. Il calore che bisogna fornire a questo gas è Cp e il lavoro che si ottiene da questo riscaldamento è p.v.a. Se ora si procede scaldando, sempre di 1°C, la stessa quantità di gas ma, questa volta, mantenendo il volume costante, il calore che bisognerà fornire sarà Cv (e, poiché il volume si mantiene costante, non si avrà nessun lavoro). In definitiva la differenza Cp - Cv deve uguagliare il lavoro p·v·a, cioè: Cp - Cv = p·v·a e proprio questa differenza ci fornirà l'equivalente meccanico della caloria: J = Cp - Cv = p·v·a che, secondo i conti di Mayer, valeva 365 kgm (chilogrammetri) per ogni grande caloria (33). Mayer poteva così concludere: "Se confrontiamo questo risultato con l'operare delle nostre migliori macchine a vapore vediamo quanto sia piccola quella parte del calore applicato alla caldaia che viene realmente trasformata in movimento o in sollevamento di pesi; e tutto ciò può servire come una giustificazione dei tentativi di produrre movimento in modo più redditizio"(34). Lasciata la Francia con Clapeyron siamo passati alla Germania, ma, proprio negli anni della memoria di Mayer, una serie di lavori sperimentali sull'argomento si stavano file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (86 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE realizzando in Gran Bretagna ad opera dello scienziato dilettante J.P. Joule (1818-1889). Questi, come il suo maestro J. Dalton (1766-1844) (35), era un sostenitore della teoria dinamica del calore. Egli iniziò i suoi lavori guidato dalla profonda convinzione (anche religiosa) della indistruttibilità dell'energia (36), prendendo le mosse dal calore sviluppato in un conduttore al passaggio di una corrente (1840). Il problema che Joule si poneva riguardava la provenienza del calore che si sviluppa nei conduttori al passaggio di corrente: si produce nei conduttori o proviene dalla pila? La provenienza dalla pila venne subito scartata poiché egli non rilevò nessun raffreddamento simultaneo della pila stessa (cosa che, nella data ipotesi, doveva necessariamente accadere). Quindi il calore si produceva nel filo e doveva essere in relazione e con la quantità di sostanza chimica che consuma la batteria e con il lavoro meccanico fatto dalla macchina collegata con la batteria. Sviluppando queste considerazioni con il sostegno di tutta una serie di esperienze, egli trovò la relazione, oggi nota come "legge di Joule", secondo la quale la quantità di calore che si sviluppa all'interno di un circuito percorso da corrente in un dato tempo è proporzionale alla resistenza del circuito stesso e al quadrato dell'intensità di corrente che lo attraversa (37). In un lavoro successivo (1843), Joule andò a ricavarsi l'equivalente meccanico del calore, e pare accertato che non conoscesse ancora il lavoro di Mayer. Egli si servì di una gran quantità di esperienze, utilizzando quasi tutte le possibili trasformazioni energetiche all'epoca note, e in particolare usando il suo "frullino" per scaldare acqua in un calorimetro delle mescolanze. È questa l'esperienza notissima, argomento di studio in tutti i corsi di fisica: una ruota a palette, immersa nell'acqua di un calorimetro, gira sotto l'azione di due masse in caduta; il forte attrito che si genera tra palette in rotazione e acqua fa innalzare la temperatura di quest'ultima. A questo punto si calcola da una parte il lavoro meccanico prodotto dalle masse in caduta, e dall'altra il calore che si sviluppa nell'acqua (accertandosi alla fine dell'esperimento di aver lavorato su di un ciclo chiuso, di essere cioè tornati alle condizioni iniziali). Mediando su tutti gli esperimenti fatti Joule ricavò, per l'equivalente meccanico della caloria (38), il valore di 424 kgm per ogni grande caloria (39), (cioè 4159J/ kcal) che, come si potrà controllare, è molto simile a quello che noi oggi accettiamo (4186 J/kcal) (40). Nel 1847, all'età di 28 anni, Joule ebbe modo di tenere una conferenza nel salone annesso alla chiesa di Sant'Anna in Manchester dal titolo "Sulla materia, la forza viva e il calore"; in essa egli enunciò quello che oggi conosciamo come il principio di conservazione dell'energia (o 1° principio della termodinamica) affermando: "Ogni volta che la forza viva è apparentemente distrutta, in realtà si produce una quantità di calore che la equivale con esattezza per via di percussioni, di frizioni, o altre simili cause. Viceversa: il calore non può diminuire o essere assorbito senza produzione di forza viva e di una equivalente forza di attrazione nello spazio... (41). Calore, forza viva, attrazione nello spazio - e potrei anche aggiungere luce, se ciò occorresse ai fini di questa conferenza -possono convertirsi mutuamente, e in tali conversioni nulla va mai perduto" (42). In quello stesso anno, e di nuovo in Germania, veniva pubblicato un lavoro di estrema importanza che affermava definitivamente la conservazione dell'energia. Il titolo del lavoro era "Sulla conservazione della forza", l'anno, come già detto, il 1847, l'autore H. Helmholtz (1821-1894). E anche Helmholtz proveniva da quella scuola di fisiologisti tedeschi di cui abbiamo già visto far parte Liebig e Mohr. Fu proprio partendo da sollecitazioni di carattere biologico, e in particolare dal vecchio problema dell'origine del calore nei corpi animali, che Helmholtz passò ad affrontare la questione da un punto di vista fisico. Egli file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (87 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE partiva dalla convinzione dell'impossibilità del moto perpetuo e contemporaneamente da quella, affermatasi nella sua scuola, che erano le reazioni chimiche del cibo a fornire calore ai corpi animali. Se ci fosse stata una entità esterna a questi corpi, che li avesse riforniti di energia, essi avrebbero avuto a disposizione un "surplus" di energia che li avrebbe resi macchine dotate di moto perpetuo. Il calore dei corpi animali e il moto di cui essi sono capaci deve discendere, secondo Helmholtz, soltanto dal cibo. Quindi c'è occasione di considerare insieme almeno tre forme di energia che mutuamente si trasformano: l'energia chimica del cibo che diventa calore e movimento. Ebbene, se a questo punto, si sommano due fatti, il principio di conservazione dell'energia meccanica già stabilito e la teoria che vuole il calore come originato dal moto di particelle, ci si rende conto che anche il calore è energia meccanica, che tutta l'energia è energia meccanica, che tutta l'energia si conserva. Questa è, per sommi capi, la linea di pensiero che portò Helmholtz alla sua famosa memoria del 1847 (43) nella quale è enunciata quella che oggi conosciamo come la conservazione dell'energia nella sua forma più completa e generale. In questa memoria Helmholtz passava in rassegna tutti i rami della fisica applicandovi la conservazione dell'energia come ipotesi ragionevole, che non solo avrebbe spiegato tutti i fenomeni noti ma sarebbe anche stata feconda di ulteriori sviluppi. Egli elaborò matematicamente le sue considerazioni arrivando a risultati che poi andava a confrontare con i dati sperimentali. Dapprima dimostrò che tutti i fenomeni meccanici obbediscono alla legge di conservazione procedendo a una riduzione di essi alle forze attrattive e repulsive tra particelle costituenti i corpi. Quindi passò a dimostrare la validità del principio per i fenomeni termici discutendo delle teorie del calore e in particolare dell'equivalente meccanico della caloria così come era stato misurato da Joule. In questa parte della memoria egli affermava che: "la quantità di calore può essere aumentata in senso assoluto mediante forze meccaniche, e che perciò le manifestazioni caloriche non possono essere dedotte da una sostanza materiale che le determini con la semplice e pura presenza; risulta, invece, che le manifestazioni caloriche devono essere ricavate da trasformazioni, da movimenti, o da una vera e propria sostanza materiale, o dei corpi, ponderabili e imponderabili, già altrimenti noti, per esempio delle elettricità o dell'etere luminoso... Quel che è stato chiamato finora quantità di calore potrebbe servire d'ora in poi come espressione in primo luogo della quantità di forza viva del movimento termico, e in secondo luogo della quantità di quelle forze elastiche degli atomi che, cambiando la loro disposizione, possono provocare un tale movimento..." (44). Helmholtz, che già qui aveva ben chiarito il suo principio, andava poi a studiare l'equivalente meccanico nei fenomeni dell'elettricità, del magnetismo e dell'elettromagnetismo. Soffermandosi infine a una discussione sui fenomeni biologici, poteva concludere: "Credo di aver dimostrato ... che la legge di cui ci siamo occupati non contraddice alcuno dei fatti finora noti alle scienze della natura, ed è, invece, convalidata in modo sorprendente da un gran numero di tali fatti ... Lo scopo di questa ricerca, il quale può anche ottenermi venia della parte ipotetica della ricerca stessa, fu quello di esporre ai fisici, con la maggiore completezza possibile, l'importanza teorica, pratica ed euristica della legge di conservazione dell'energia, la cui esauriente convalida deve, forse, essere considerata come uno dei principali compiti della fisica nel prossimo futuro" (45). In conclusione, con Helmholtz, per la prima volta (46) e anche con estrema chiarezza, viene enunciata la conservazione dell'energia (somma di energia cinetica più potenziale) nell'ipotesi riduzionista di azioni tra particelle che costituiscono i corpi e, in ultima istanza, nell'ipotesi più ampia di poter ridurre tutti i fenomeni fisici alla meccanica (47). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (88 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Ben scarso fu l'impatto immediato di questo come degli altri lavori già discussi. Tutto ciò che avesse avuto l'aria di una speculazione veniva subito respinto e attaccato duramente dall'ambiente dei fisici. Ma questa volta doveva passare poco tempo perché l'energia e la sua conservazione entrassero definitivamente tra i concetti più importanti del mondo della fisica. I contributi che si susseguirono a partire da questo, soprattutto ad opera di Kelvin, Clausius, Maxwell e Boltzmann, andarono a costruire via via la moderna termodinamica e a fondare, in accordo con la teoria cinetica dei gas e del calore, la meccanica statistica. 7.3 - LA STORIA PROSEGUE I CONTRIBUTI DI KELVIN E CLAUSIUS La scienza della termodinamica era fondata. Si era a un risultato fondamentale che travalicava addirittura l'intervento divino previsto da Newton: la conservazione dell'energia. Si trattava ora di mettere ordine e di tentare di capire meglio: di costruire, cioè, la termodinamica stessa. Nel 1848 un giovane fisico inglese, William Thomson (1824-1907), in seguito divenuto Lord Kelvin per meriti scientifici, si accorse che dai lavori di Carnot era possibile ricavare una scala assoluta di temperature. L'evento era di notevole importanza perché, fino ad allora, per la misura delle temperature ci si era basati soltanto sulla dilatazione, mediante riscaldamento, di determinate sostanze (mercurio, alcool, acqua, gas...), e dati due termometri che sfruttavano la dilatazione di due sostanze diverse, non c'era modo di raccordare le letture delle temperature dei due strumenti (a causa dei diversi coefficienti di dilatazione e della non linearità della dilatazione stessa in funzione del calore assorbito dalla sostanza e, conseguentemente, delle temperature lette). Il termometro che dava miglior affidamento era quello ad aria, anche grazie agli studi dì Regnault (1810-1878), ma, osservava Kelvin: "anche se in tal modo otteniamo un principio preciso per la costruzione di un sistema definito atto alla valutazione della temperatura, pure non possiamo ritenere di essere giunti a una scala assoluta, in quanto si fa essenzialmente riferimento a un corpo specifico, inteso come sostanza termometrica campione'' (48). E a questo punto, alla domanda: "esiste un principio su cui possa fondarsi una scala termometrica assoluta?" Kelvin rispondeva di si, e di averlo individuato nella teoria di Carnot delle macchine termiche. Secondo la suddetta teoria il rendimento di una tale macchina è indipendente dal particolare fluido impiegato e dipende solo dalia quantità di calore in giuoco e dalla differenza di temperatura esistente tra le due sorgenti. Kelvin propose allora di utilizzare questo fenomeno definendo ''gli incrementi di temperatura uguali su una scala assoluta come gli intervalli di temperatura entro i quali una macchina termica avrebbe funzionato con la stessa efficienza" (49). È un interessante e indiretto sostegno alla teoria di Carnot e in particolare al 2º principio della termodinamica in essa contenuto. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (89 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Ancora nel 1849 Kelvin tornava sui lavori di Carnet discutendo e confrontando i rendimenti di varie macchine termiche e rilevando una fondamentale discordanza tra la teoria di Carnot e i lavori di Joule (50). Il problema era relativo alla conduzione del calore: da una parte, quando si mettono a contatto semplicemente due corpi a diversa temperatura, il calore passa spontaneamente da quello a temperatura maggiore a quello a temperatura minore in modo completamente irreversibile non producendo alcun lavoro meccanico, e dall'altra, in una macchina di Carnot, si ha sempre passaggio di calore da un corpo a una data temperatura a uno a temperatura più bassa, ma con produzione di lavoro meccanico e in modo totalmente reversibile. Così scriveva Kelvin: "Quando l'azione termica viene consumata nella conduzione di calore attraverso un solido, che succede dell'effetto meccanico che essa dovrebbe produrre? Nulla può essere perduto durante le operazioni della natura; nessuna energia può essere distrutta." (5l). Kelvin notò però che, abbandonando l'idea del calorico che si conserva e accettando la teoria di Joule, secondo la quale nulla si perde nelle conversioni reciproche di lavoro in calore, sarebbe stato possibile superare la difficoltà ma, per il momento, rifiutò di addentrarsi su questa strada che lo avrebbe portato, come egli stesso diceva, a scontrarsi con altre insormontabili difficoltà (52). Chi risolse il problema, all'interno del quale ci sono distintamente in embrione i due principi della termodinamica, fu Rudolf Clausius (1822-1888) con un lavoro del 1850, "Sulla forza motrice del calore". Il fisico tedesco, dopo aver affermato il suo schierarsi con la teoria dinamica de! calore, diceva che: "La nuova teoria [di Joule] non è in opposizione al principio fondamentale di Carnot ma contraddice soltanto l'asserzione ausilia-ria secondo cui non si perde calore [in un ciclo]: in effetti, nella produzione di lavoro, può benissimo accadere che, nello stesso tempo, una certa quantità di calore venga consumata e un'altra trasferita da un corpo caldo a uno freddo, e che entrambe le quantità di calore siano in relazione definita rispetto al lavoro che è stato fatto". (53) E inoltre enunciava con chiarezza il 1° principio della termodinamica con le seguenti parole: "In tutti i casi in cui si produce lavoro per mezzo del calore, viene consumata una certa quantità di calore che è proporzionale al lavoro fatto; e, reciprocamente, con la spesa di una uguale quantità di lavoro si produce una uguale quantità di calore" (54). Fatte queste premesse, Clausius iniziò a ridiscutere il ciclo di Carnot, "rappresentato molto chiaramente in forma grafica da Clapeyron", in termini di lavoro interno ed esterno, perché, come diceva Clausius, quando un corpo cambia di volume si produce e si consuma sempre del lavoro meccanico, ma quest'ultimo è difficile da determinarsi "a causa del fatto che insieme al lavoro esterno si produce anche un lavoro interno sconosciuto". Tutto ciò equivale a sostenere quello che oggi è noto, appunto, come secondo principio della termodinamica nell'enunciazione di Ciausius: ''È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia un trasferimento di calore da un corpo a una data temperatura a un altro a temperatura maggiore" (58). Le cose, anche se già a un buon livello di elaborazione, ancora non erano chiare nei file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (90 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE dettagli e soprattutto nei problemi che si aprivano con la risoluzione data da Clausius della discordanza, trovata da Kelvin, tra le ipotesi di Carnot e i lavori di Joule. Fu ancora Kelvin che, tra il 1851 e il 1852, dopo essersi convertito definitivamente alla teoria dinamica del calore, ritornò sull'argomento con varie memorie (59) risolvendo gran parte dei residui dubbi. La prima cosa che Kelvin realizzò (1851) fu la netta e chiara distinzione tra i due principi a fondamento della "teoria della potenza motrice", dovuti, secondo Kelvin, rispettivamente a Joule e a Carnot-Clausius: "Proposizione I (Joule) — Quando quantità uguali di effetto meccanico vengono prodotte, con qualsiasi mezzo, a partire da sorgenti puramente termiche, oppure vanno perdute in effetti puramente termici, vengono distrutte o generate quantità uguali di calore. Proposizione 2 (Carnot e Clausius) — Se una macchina è tale che, quando viene fatta lavorare alla rovescia, le operazioni di tipofisico e meccanico in tutte le parti dei suoi movimenti sono rovesciate, allora essa produce tanto effetto meccanico quanto quello che può essere prodotto, da una data quantità di calore, con una macchina termodinamica qualsiasi che lavori tra le stesse temperature di sorgente e refrigeratore" (60). Quindi egli passò a fornire un nuovo enunciato del secondo principio che dimostrò essere equivalente a quello di Carnot e Clausius: "E' impossibile, ricorrendo a operazioni materiali inanimate, derivare effetto meccanico da una qualsiasi porzione di materia raffreddandola al di sotto della temperatura del più freddo fra gli oggetti circostanti" (61). A questo punto (1852) Kelvin introdusse nella fisica il concetto di dissipazione (si badi bene: non di annichilazione) dell'energia nei processi irreversibili e nelle trasformazioni aperte: "Quando del calore viene creato mediante un processo irreversibile (quale ad esempio l'attrito), si ha una dissipazione di energia meccanica, ed è impossibile reintegrarla completamente nelle sue condizioni primitive. Quando del calore viene diffuso per conduzione si ha una dissipazione di energia meccanica, e una perfetta reintegrazione è impossibile...Esiste oggi nel mondo materiale una tendenza universale verso la dissipazione dell'energia meccanica" (62). Questo modo di argomentare da parte di Kelvin ci fornisce l'occasione per una considerazione. Mentre i lavori di Clausius risultano più eminentemente speculativi, a causa anche del clima politico e culturale della Germania, quelli di Kelvin risultano più direttamente legati a considerazioni tecnico-pratiche in stretta connessione con i rendimenti delle macchine termiche che in Gran Bretagna avevano raggiunto un notevolissimo standard di utilizzazione (63). 7.4 - ULTERIORI CONTRIBUTI DI CLAUSIUS Gli sviluppi successivi della termodinamica sono dovuti a Clausius che continuerà ad indagare i fenomeni naturali con processi astrattivi sempre più spinti. In alcune memorie del 1854, del 1862 e del 1865 egli riuscì a formalizzare le enunciazioni termodinamiche file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (91 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE fino ad allora costruite - e ancora eminentemente qualitative - con l'introduzione di alcune importanti funzioni termodinamiche come la 'energia interna' e la 'entropia'. Il lavoro di Clausius portò alla fondazione della termodinamica dei processi reversibili (per i quali valgono delle uguaglianze) ma non riuscì ancora a dire nulla (oltre allo scrivere delle disuguaglianze) sui processi irreversibili. In particolare, nella memoria del 1865 compare la formulazione analitica del primo principio della termodinamica nella forma differenziale che oggi conosciamo. Per un cambiamento infinitesimo di stato, risulta: dQ = dU + dW dove dQ rappresenta la quantità infinitesima di calore comunicata ad un corpo, dW rappresenta il lavoro infinitesimo che il corpo fa sull'esterno (moltiplicato per l'equivalente termico del lavoro) (64) e dU rappresenta una quantità (infinitesima) precedentemente (1850) introdotta da Clausius (il lavoro interno di cui abbiamo parlato) alla quale si può dare il nome, suggerito da Kelvin, di energia del corpo (65). Formulato in questo modo il 1º principio, Clausius passò a formulare il 2º, introducendo la funzione e il concetto di entropia (66). Già nel 1854 Clausius aveva individuato questa grandezza fisica e l'aveva chiamata 'valore equivalente di una trasformazione'. Egli vi ritornò nel 1862 per completare quanto già iniziato. Dopo aver premesso che "il calore può essere trasformato in lavoro, oppure il lavoro in calore, mediante un processo circolare" (67) cioè mediante un ciclo, egli proseguiva: "I due tipi di trasformazione che sono stati citati sono correlati in modo tale che l'uno presuppone l'altro e che entrambi possono essere reciprocamente interscambiabili. Se chiamiamo equivalenti quelle trasformazioni che possono sostituirsi l'una all'altra... arriviamo alla seguente espressione: se la quantità di calore Q alla temperatura T è prodotta dal lavoro, allora il valore equivalente di questa trasformazione è: Q/T ; e se la quantità di calore Q passa da un corpo a temperatura T1 a un corpo a temperatura T2 allora il valore equivalente di questa trasformazione è: Q/T2 - Q/T1 " (68). A questo punto Clausius ipotizzò che tutte le trasformazioni che avvengono nel senso 'suggerito' dalla natura (passaggio di calore dai corpi caldi ai corpi freddi e trasformazioni di lavoro meccanico in calore) debbono avere un valore equivalente positivo (69), tutte le altre negativo. Facendo la somma algebrica di tutti i valori, equivalenti lungo una trasformazione ciclica, essa può essere nulla soltanto se il processo ciclico è reversibile (quando il valore equivalente delle trasformazioni positive deve essere complessivamente uguale a quello delle trasformazioni negative), mentre è sempre positiva se il processo ciclico è irreversibile (quando il valore equivalente delle trasformazioni positive è più grande di quello delle trasformazioni negative). E ciò vuol dire che un ciclo irreversibile (cioè reale, quello che la natura ci offre), prevalgono le trasformazioni positive, prevalgono cioè le trasformazioni di lavoro meccanico in calore e il passaggio di calore dai corpi caldi ai corpi freddi. Solo in un caso limite (ideale), quello del ciclo reversibile, sono uguali gli equivalenti delle trasformazioni positive e negative, di modo che la somma algebrica di essi è zero. Le trasformazioni negative, invece, non possono mai prevalere,in accordo con quanto ricavato fino al momento a partire dai lavori di Carnot. La prevalenza di trasformazioni negative equivarrebbe a dire che la natura preferisce trasferire calore dai file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (92 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE corpi freddi ai corpi caldi e trasformare calore in lavoro meccanico. Clausius passò quindi a dare una espressione analitica di quanto precedentemente discusso, e cioè del 2º principio della termodinamica. Se indichiamo con dQ la quantità di calore scambiata in ogni trasformazione infinitesima che costituisce il ciclo, e con T la temperatura assoluta a cui avviene lo scambio di calore, per la somma, o integrale del quoziente tra le due quantità ora definite si ha: Integrale di Q/T ³ 0 dove si ha sempre il segno > in tutti i processi reali (irreversibili) e il segno = solo per i processi ideali (reversibili) (70). Nella memoria del 1865 Clausius indicò con il simbolo S il rapporto Q/T, affermando: "Possiamo dire che S indica il contenuto di trasformazione del corpo, così come diciamo che la quantità U è il contenuto di calore e lavoro del corpo stesso... Propongo di chiamare la grandezza S con il nome di entropia del corpo, partendo dalla parola greca ... che significa trasformazione" (71). E alla fine della memoria Clausius passò a trarre la conclusione di quanto aveva fino ad allora ricavato: "Se, fra tutte le modificazioni di stato che avvengono nell'universo, le trasformazioni che si sviluppano in una certa direzione superano in grandezza quelle che si sviluppano in direzione contraria, allora la condizione generale dell'universo si modificherà sempre più lungo la prima direzione, e l'universo stesso tenderà continuamente ad avvicinarsi verso uno stato finale... Possiamo allora esprimere in forma semplice le leggi fondamentali dell'universo che corrispondono alle due leggi fondamentali della teoria meccanica del calore: 1) L'energia dell'universo è costante. 2) L'entropia dell'universo tende a un massimo" (72). Questa conclusione di Clausius è in accordo con quella trovata da Kelvin sulla dissipazione dell'energia (73) e in particolare con il fatto che in nature si tende a uno stato di energia degradata (tutta alla stessa temperatura) e perciò stesso non utilizzabile dall'uomo (in quanto abbiamo visto che occorrono differenze di temperatura per far funzionare delle macchine) (74). L'entropia e il suo aumento rappresentano, in certo qual modo, un fattore di merito delle trasformazioni termodinamiche e possono raccontarci la storia dell'energia che si sta trasformando. L'energia tende a 'invecchiare' e questo invecchiamento dipende dall'abbassamento di temperatura e dalla conseguente comparsa di calore: più la temperatura, a cui avviene lo scambio di calore, è bassa, più l'energia è invecchiata e più è grande l'entropia che è, appunto, rappresentata da Q/T. Da un punto di vista più strettamente riguardante i corpi soggetti a trasformazioni, l'entropia è una grandezza che, secondo Clausius, è somma di due componenti: riscaldare un corpo significa aumentare la sua temperatura e farlo dilatare, la qual cosa si traduce in un aumento del calore interno; e, sempre secondo Clausius, è importante notare che all'effetto macroscopico del calore (la dilatazione che, dovendo vincere delle forze esterne, si traduce in lavoro) è associato un effetto microscopico che "tende sempre a indebolire la connessione tra le molecole e, in tal modo a far crescere le distanze medie da cui le molecole stesserono separate le une dalle altre" (75). Quest' ultimo effetto è chiamato da file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (93 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Clausius "tendenza all'aumento della disgregazione" avendo definito con disgregazione "il grado di dispersione delle molecole di un corpo". Orbene, "la misura di un aumento di disgregazione è il valore equivalente della trasformazione di lavoro in calore che deve realizzarsi al fine di compensare questo aumento di disgregazione" (76). Chiamando Y il primo effetto (aumento del calore interno) e Z il secondo (separazione molecolare), l'entropia S è definita da Clausius come: S=Y+Z e ciò vuol dire che quando un corpo si riscalda (aumenta Y) e si dilata (aumenta Z) oppure si riscalda e si dilata (aumentano Y e Z), l'entropia aumenta. Un corpo che si raffreddi e/o si contragga vedrà, invece, S diminuire. Nelle trasformazioni reversibili è possibile pensare a effetti equivalemti che vanno reciprocamente ad annullarsi, ma, nella realtà, "tutto ciò che si raffredda senza compiere un lavoro deve cedere energia termica a un corpo o ad altri corpi che così vengono a riscaldarsi. E poiché la temperatura funge da divisore e da denominatore nella misurazione del mutamento di entropia, ne deve conseguire che la riduzione di entropia nel primo corpo deve essere inferiore all'aumento di entropia nel secondo" (77), il che vuol dire che, in ogni trasformazione irreversibile, l'entropia aumenta. Arriviamo così a questa nuova grandezza fisica, l'entropia, che, allo stesso modo del tempo. ha una direzione fissata di svolgimento. Questa grandezza, nata in connessione con il 2° principio della termodinamica, aumenta sempre in ogni processo naturale e cioè in ogni processo irreversibile. Si tratta di una scoperta di enorme importanza, di un qualcosa assolutamente non comprensibile nell'ambito della fisica newtoniana e in particolare della meccanica. Tanto più che le variazioni di entropia sono strettamente connesse ad altre qualità fondamentali dei processi naturali che, anch'esse, per la prima volta compaiono nella descrizione e formulazione dei fenomeni e delle leggi fisiche: la reversibilità e l'irreversibilità. I fenomeni studiati dalla meccanica e le relazioni che li descrivono sono completamente reversibili e, paradossalmente, possono fare a meno della uniderizionalità del tempo; (78) ora, con il 2º principio della termodinamica, si scopre che tutti i fenomeni naturali sono irreversibili, si svolgono cioè in modo tale da non poter essere invertiti, e quindi si fissa una direzione privilegiata, non solo per il tempo, ma anche per l'entropia. L'irreversibilità è mera conseguenza del fatto che in ogni processo naturale si sviluppa calore e, poiché quest'ultimo ha una direzione privilegiata di marcia (dai corpi caldi ai corpi freddi), ne consegue l'irreversibilità di tutti i fenomeni. È certamente strana la situazione in cui si trovava la fisica a metà dell' Ottocento. Da una parte il 1° principio della termodinamica postula una uguaglianza tra lavoro e calore che può essere letta in ambedue i sensi e non pone alcun limite alle reciproche trasformazioni; dall'altra il 2° principio postula una dissipazione dell'energia e, conseguentemente, un limite alla trasformabilità del calore in lavoro e un limite (la morte calda dell'universo) a tutte le trasformazioni. Da una parte il 1 ° principio si può intendere come descrivente una reversibilità analoga a quella meccanica; dall'altra il 2° principio afferma l'irreversibilità di tutti i fenomeni naturali. Da una parte il calore della teoria dinamica è descrivibile mediante le equazioni reversibili della meccanica; dall'altra i processi fisici che comportano sviluppo di calore (tutti) sono irreversibili. Il terreno è pronto per una serrata critica alla meccanica, soprattutto se si pensa a quanto contemporaneamente si sviluppava in altri campi della fisica e principalmente all'introduzione, fatta da Faraday (1791-1867), della teoria di campo (azioni circolari e file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (94 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE richiedenti tempo e non rettilinee, istantanee, a distanza) e agli sviluppi dell'ottica dei corpi in movimento (teoria ondulatoria per la spiegazione dell'interferenza e trascinamento dell'etere, sostanza quest'ultima dalle prodigiose proprietà). Nel frattempo si era aperta una strada, nello studio dei gas, lungo la quale sarebbe stato possibile superare le difficoltà termodinamiche cui abbiamo accennato: la teoria cinetica dei gas e la meccanica statistica. 7.5 - TEORIA CINETICA DEI GAS E MECCANICA STATISTICA Il primo a ipotizzare e parzialmente ad elaborare una teoria cinetica dei gas fu Daniel Bernouilli (1700-1782) nel 1738. Questo tentativo non ebbe seguito e per circa cento anni non si sentì più parlare della cosa. Nel 1820 J. Herapath (1790-1869) e nel 1845 JJ. Waterston (1811-1883) inviarono due memorie alla Royal Society nelle quali riprendevano le ipotesi di Bernouilli sviluppando l'idea di calore come movimento disordinato delle particelle costituenti la materia. In particolare il lavoro di Waterston era una vera e propria anticipazione di quella che più tardi sarà chiamata meccanica statistica. Ambedue i lavori furono rifiutati. Come osservano Baracca e Livi, "è questa una ulteriore conferma che l'evolversi della scienza non è descrivibile in termini di puro avvicinamento alla verità, a una presunta pura realtà naturale, ma è invece sempre intrinsecamente condizionato dalla situazione storica concreta" (79). Quella era infatti l'epoca del positivismo, nella quale erano respinte tutte le ipotesi che andassero al di là dei fatti. Anche Joule si occupò del problema e nel 1851 pubblicò un lavoro nel quale, partendo dall'ipotesi che la temperatura dipende dal moto molecolare, calcolò quale deve essere la velocità media delle molecole del gas idrogeno per produrre una pressione uguale a quella atmosferica (80). I lavori di Herapath e Waterston vennero ripresi nel 1856 in una memoria, sostanzialmente identica a quella degli ispiratori, del chimico tedesco A. Krönig (1822-1879). I tempi erano mutati e poi la Germania dell'epoca permetteva maggiori 'voli di fantasia'. Al lavoro di Krönig ne seguì subito uno di Clausius nel quale si gettavano le basi della moderna teoria cinetica dei gas (1857) (81). Leggiamo direttamente da Clausius: "La pressione del gas contro una superficie fissa è causata dalle molecole che urtano in gran numero su di essa e rimbalzano. La forza che così ne nasce è, in primo luogo, a parità di velocità del moto, inversamente proporzionale al volume della quantità fissata del gas; e in secondo luogo, a parità di volume, proporzionale alla forza viva (82) del moto di traslazione... Dalla legge di Gay-Lussac (83) sappiamo che, a volume costante, la pressione di un gas perfetto cresce nello stesso rapporto della temperatura...assoluta. Di qui ... segue che la temperatura assoluta è proporzionale alla forza viva del moto di traslazione delle molecole ... (84) La quantità di calore che deve essere fornita al gas, a volume costante, per aumentare la sua temperatura, deve essere considerata come un aumento della forza viva nel gas (85), nella misura in cui, in tal caso, non si compie alcun lavoro che potrebbe consumare calore.. Per soddisfare strettamente le leggi di [Boyle-] Mariotte e [Volta-] Gay-Lussac, e altre ad esse connesse, il gas deve soddisfare le seguenti condizioni rispetto alla situazione delle molecole: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (95 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE 1) Lo spazio realmente riempito dalie molecole del gas deve essere infinitesimo in rapporto all'intero spazio occupato dal gas stesso. 2) La durata di un urto, cioè il tempo richiesto per produrre una variazione del moto di una molecola che avviene quando essa urta un'altra molecola o una superficie fissa, deve essere infinitesimo rispetto all'intervallo di tempo tra due collisioni successive. 3) L'influenza delle forze molecolari deve essere infinitesima" (86). Queste condizioni, aggiungeva poi Clausius, quando sono rispettate, ci forniscono quello che si può chiamare un gas ideale (o perfetto); man mano che ci si allontana da esse si hanno le deviazioni proprie che fanno discostare il comportamento dei gas reali da quelli ideali. Sviluppando queste ipotesi, con dei conti piuttosto semplici, (87) Clausius andava a ritrovare, da un punto di vista microscopico, le equazioni che descrivono il comportamento dei gas perfetti, e in particolare calcolava la velocità media delle molecole di alcuni gas sottoposti alla pressione di una atmosfera. Questi valori di velocità, calcolati sia da Clausius che da Joule, sembravano elevatissimi: dell'ordine di varie centinaia di metri al secondo. Sembrava impossibile e, conseguentemente, molte obiezioni vennero mosse contro i metodi che avevano portato a quei risultati. Si sosteneva che "se le molecole si muovono lungo tratti rettilinei (e a quelle elevate velocità), allora dei volumi di gas messi a contatto reciproco debbono necessariamente mescolarsi molto rapidamente — un risultato, questo, che non si verifica nella realtà. [E inoltre] come può accadere che il fumo del tabacco sospeso in una stanza rimane cosi a lungo disposto in strati fermi? " (88). E così via. A queste obiezioni Clausius rispondeva con un articolo del 1858 nel quale sosteneva che, dato l'elevatissimo numero delle molecole che costituiscono il gas contenuto, ad esempio, in una stanza, c'è una elevatissima probabilità che una molecola... nel suo moto traslatorio, urti successivamente molte molecole. In questo modo la sua traiettoria non deve essere più pensata come una retta ma come una spezzata costituita da tanti piccoli segmenti, di modo che il tempo necessario a percorrere un tratto relativamente breve e relativamente lungo. Quindi la teoria di Clausius portava "a concludere che solo un numero relativamente piccolo di atomi può giungere rapidamente a grande distanza, mentre le quantità maggiori del gas si mescolano gradualmente nelle zone relative alla superficie di contatto" (89). 7.6 - L'INTERVENTO DI MAXWELL Nel 1860 iniziò ad occuparsi del problema J.C. Maxwell (1831-1879) con una memoria dal titolo "Illustrazioni della teoria dinamica dei gas". Egli si servì del metodo delle analogie elaborando un modello meccanico del gas in cui le molecole sono pensate come "un numero indefinito di particelle piccole, dure, sferiche e perfettamente elastiche, agenti le une sulle altre solo durante le collisioni reciproche" (90). Sviluppando il modello, Maxwell arrivò a porsi il seguente problema: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (96 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE "Trovare il numero medio di particelle la cui velocità è compresa entro certi limiti, dopo un gran numero di collisioni tra un gran numero di particelle uguali" (91), la soluzione del quale rappresenta uno dei risultati più brillanti e fecondi della fisica dell'Ottocento. Dopo alcuni passaggi, Maxwell trovò un risultato dal quale poté concludere che: "Le velocità sono distribuite tra le particelle secondo la stessa legge per cui gli errori sono distribuiti tra le osservazioni entro la teoria dei minimi quadrati. Le velocità vanno da zero ad infinito, ma il numero di quelle che hanno valori molto alti è relativamente piccolo. In aggiunta a tali velocità, che sono egualmente distribuite in tutte le direzioni, vi può anche essere un moto generale di traslazione dell'intero sistema di particelle che deve essere composto con il moto delle particelle stesse l'una rispetto alle altre. Chiameremo l'un moto come moto di traslazione, e l'altro come moto di agitazione" (92). Questo risultato è quello che va sotto il nome di legge di distribuzione delle velocità di Maxwell (legge, è bene osservare, che ha un carattere eminentemente statistico e probabilistico) secondo cui le molecole costituenti un gas hanno velocità differenti l' una dall'altra e le cambiano continuamente, ma il numero delle molecole che mantengono una velocità fissata rimane globalmente costante. C'è una velocità più probabile delle altre originata dal fatto che i numerosi urti che si susseguono non permettono alle molecole di acquistare velocità molto distanti da quella più probabile. In definitiva quasi tutte le molecole hanno velocità che si discostano poco dal valore più probabile, e le cose possono essere trattate come se tutte le molecole avessero la stessa velocità. Nel corso della memoria che stiamo discutendo, Maxwell ebbe modo di precisare il concetto, già introdotto da Clausius, di cammino libero medio di una molecola (la lunghezza media di un percorso molecolare tra due urti successivi) e di fornirne un metodo di calcolo. Disponendo dei due concetti ora accennati fu possibile passare ad altre importantissime elaborazioni della teoria, che via via fornivano interpretazioni microscopiche di fatti fino ad allora conosciuti solo macroscopicamente e/o solo empiricamente e magari non ben compresi. Si riuscì a dare una spiegazione ai fenomeni di diffusione, di soluzione, di attrito e di propagazione del calore; si scoprirono delle interdipendenze fra questi fenomeni che precedentemente apparivano nettamente distinti; diventarono comprensibili alcune 'irregolarità' dei calori specifici dei gas e dei solidi e le deviazioni dalla legge di Dulong (1785-1838) e Petit (1791-1820) (93); si cominciarono a capire le ragioni delle deviazioni del comportamento dei gas reali da quello dei gas perfetti (94); si calcolò il numero di molecole contenute in un centimetro cubo di gas in condizioni normali; si calcolò il numero di molecole contenute in una grammomolecola; si calcolarono le dimensioni delle molecole (95); ci si avviò alla soluzione del problema della liquefazione di tutti i gas (96); si dettero le prime spiegazioni del moto browniano (97). 7.7 - UN'INDAGINE PIÙ SOFISTICATA: BOLTZMANN Il lavoro di Maxwell del 1860 fu perfezionato e in alcuni punti chiarito dai lavori del fisico austriaco L. Boltzmann (1844-1906) del 1868 e 1872. Boltzmann era particolarmente interessato non tanto a risolvere problemi particolari, come in parte aveva fatto Maxwell, quanto a studiare a fondo l'intero 2º principio della termodinamica. Egli iniziò le sue ricerche con un lavoro dei 1866 nel quale tentò, senza far ricorso all'ipotesi cinetico-molecolare, file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (97 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE "di dare una dimostrazione generale, puramente analitica della seconda legge della termodinamica e di scoprire il teorema che le corrisponde in meccanica." (98). Nei lavori del 1868 e del 1872, ai quali facevamo riferimento, Boltzmann si convertì completamente alla teoria cinetico-molecolare ricavando alcune importanti conseguenze dalla legge di distribuzione delle velocità stabilita da Maxwell. Egli riuscì a calcolare l'evoluzione di un sistema di particelle a cui competa inizialmente una qualsivoglia distribuzione di velocità, trovando che questo sistema tende ad assumere la distribuzione di velocità di Maxwell, a seguito degli urti successivi delle particelle tra loro. La distribuzione di Maxwell tende quindi ad assumere il significato di distribuzione più probabile (all'equilibrio) verso cui tendono tutte le altre possibili distribuzioni (lontane comunque dall'equilibrio). Questo fatto è di grande portata poiché comporta l'affermazione che in natura si tende in modo irreversibile verso l'equilibrio e, contemporaneamente, il ritrovare su questa strada, di nuovo, l'irreversibilità insita nel secondo principio. Leggiamo alcuni passi significativi della memoria di Boltzmann del 1872. Egli intanto affermava che: "gli eventi più casuali, quando essi avvengono nelle medesime proporzioni, danno gli stessi valori medi... [e] le molecole di un corpo sono realmente così numerose e il loro movimento è talmente rapido che noi non possiamo percepire altro che valori medi ... [Quindi] le proprietà di un gas rimangono immutate solo perché il numero di molecole che hanno, in media, un particolare stato di moto è costante. La determinazione dei valori medi è lo scopo della teoria della probabilità. Quindi i problemi della teoria meccanica del calore sono anche problemi di teoria della probabilità. Sarebbe tuttavia errato credere che la teoria meccanica del calore sia per questo soggetta a qualche incertezza per il fatto che vi sono usati i principi della teoria della probabilità. Non si deve confondere una legge nota in modo incompleto, la cui validità è pertanto dubbia, con una legge completamente nota del calcolo delle probabilità; quest'ultima, come i risultati di qualsiasi altro calcolo, è una conseguenza necessaria di premesse definite, ed è confermata, nella misura in cui queste sono, corrette dagli esperimenti, purché sia stato fatto un numero sufficiente di osservazioni, come è sempre il caso della teoria meccanica del calore, dato il numero enorme di molecole che sono coinvolte" (99). Boltzmann passò poi a una considerazione molto importante: usando i valori medi non serve più calcolare le equazioni del moto per ogni particella, di modo che lo stato termodinamico risulta individuato da pochi parametri macroscopici che possono essere ricavati con i metodi cinetico-molecolari, come valori medi dei comportamenti microscopici delle molecole. (100) Egli calcolò quindi l'evoluzione del sistema di particelle, dimostrando che: "qualunque sia la distribuzione iniziale dell'energia cinetica, nel corso di un tempo molto lungo essa deve sempre, necessariamente, tendere verso quella trovata da Maxwell ... [e che quindi esiste] una certa funzione E che può solo aumentare in conseguenza del moto molecolare, e in un caso limite può rimanere costante ... e questa funzione coincide, a meno di un fattore costante, con il valore trovato per il ben noto integrale di dQ/T" (101) che, come abbiamo visto qualche pagina indietro, non rappresenta altro che la variazione di entropia del sistema termodinamico in oggetto. Boltzmann poteva cosi concludere: "Abbiamo quindi aperto la via a una dimostrazione analitica della seconda legge in un file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (98 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE modo completamente diverso da duelli indagati finora. Finora l'obiettivo era stato di mostrare che che l'integrale di dQ/T fosse uguale a zero per processi ciclici reversibili, ma non è mai stato mostrato analiticamente che questa quantità è sempre positiva per processi irreversibili, che sono i soli che avvengono in natura. Il processo ciclico reversibile è solo un ideale, che si può approssimare più o meno bene ma che non si può mai raggiungere" (102). Ecco quindi che lo sfuggente concetto di entropia, nelle formulazioni di Clausius, comincia ad acquistare un significato direttamente connesso alla situazione microscopica del sistema termodinamico in oggetto. La 'contropartita' di ciò è l'ingresso nella microfisica (e, più in generale, nella fisica) della probabilità, ingresso che sempre più andrà a scalzare il determinismo classico. Ma le cose non erano ancora del tutto definite. Loschmidt (1821-1895), in una sua memoria del 1876, fece osservare all'amico Boltzmann una difficoltà alla quale abbiamo già fatto cenno: come è possibile che delle molecole, trattate analiticamente con gli strumenti reversibili della meccanica classica, possano dare un risultato di irreversibilità ? Come è possibile cioè che la meccanica di Newton, applicata a un sistema di particelle, origini il 2º principio della termodinamica? (103). Ma queste obiezioni non dovevano essere solo di Loschmidt se già nel 1871, nella sua "Teoria del calore", Maxwell sentiva la necessità di spendere delle parole in proposito, introducendo nei fenomeni microfisici il famoso 'diavoletto', insistendo cioè sul carattere statistico delle leggi della termodinamica. Maxwell iniziò con l'affermare che il 2° principio della termodinamica è certamente vero "finché abbiamo a che fare con i corpi nel loro insieme, senza la possibilità di osservare o toccare le singole molecole di cui essi sono composti". E quindi proseguì: "Ma se noi concepiamo un essere le cui facoltà siano così aguzze che egli può seguire ogni molecola nel suo cammino, tale essere, i cui attributi sono essenzialmente finiti come i nostri, sarebbe capace di fare ciò che per noi è attualmente impossibile. Noi abbiamo visto infatti che le molecole in un recipiente pieno d'aria a temperatura uniforme si muovono con velocità per nulla uniformi, anche se la velocità media di ogni insieme di esse sufficientemente numeroso, arbitrariamente scelto, è pressoché uniforme. Supponiamo adesso che tale recipiente sia diviso in due parti, A e B, da un setto in cui vi sia un piccolo foro, e che un essere che può vedere le singole molecole apra e chiuda questo foro in modo da permettere solo alle molecole più veloci di passare da A a B e solo alle più lente di passare da B ad A. In questo modo, senza compiere lavoro, egli innalzerà la temperatura in B e abbasserà quella di A, contraddicendo la seconda legge della termodinamica... Dovendo noi trattare di corpi materiali nel loro insieme e non potendo osservare le singole molecole, siamo costretti ad adottare quello che io ho descritte, come il metodo statistico di calcolo e ad abbandonare il vero metodo esatto della dinamica, in cui seguiamo con il calcolo ogni movimento" (104). Quindi, secondo Maxwell, le leggi della termodinamica, dovendo trattare di un enorme numero di compenti microscopici, non possono essere che a carattere probabilistico. E proprio l'elevatissimo numero di componenti un sistema termodinamico gioca un ruolo fondamentale. Per illustrare ciò pensiamo a un recipiente (isolato dall'ambiente esterno) diviso da un setto in due zone A e B. Supponiamo che, inizialmente, nella zona A vi sia un gas, mentre la zona B sia vuota. È evidente, ed in accordo con il file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (99 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE secondo principio, che, una volta tolto il setto, il gas contenuto in A diffonderà nell'intero recipiente andando ad occuparlo in modo pressocché uniforme. È altrettanto evidente, ed in accordo con il secondo principio, che è praticamente impossibile che il gas, spontaneamente, se ne torni ad occupare una sola metà del recipiente. Tutte queste evidenze, attenzione, sono legate a una ipotesi implicita: l'enorme numero di molecole costituenti un volume di gas (dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro). Se infatti il nostro gas lo potessimo pensare costituito da due, tre, o comunque pochissime molecole, allora, seguendone l'evoluzione nel volume dell'intero recipiente, non sarebbe per nulla strano che, a determinati istanti, a seguito degli urti sulle pareti, tutte le pochissime molecole si ritrovassero in una metà del recipiente (105). In definitiva, un piccolo numero di costituenti un sistema termodinamico può originare evoluzioni in cui si verifichino certamente aumenti, ma anche diminuzioni, di entropia; al crescere del numero dei costituenti il sistema, le oscillazioni dei valori dell'entropia si riducono sempre più e, pur continuando a esistere istante per istante, nello svolgersi dell'intero processo l'entropia aumenta sempre. Ancora nel 1874 Kelvin intervenne sull'argomento insistendo sul carattere probabilistico del secondo principio. E finalmente, nel 1877, di nuovo Boltzmann pubblicò due importantissime memorie nelle quali rispondeva direttamente alle obiezioni di Loschmidt, andando a precisare e a discutere più a fondo i rapporti tra secondo principio, probabilità e leggi della meccanica, fino a trovare un'espressione per l'entropia direttamente legata alla probabilità di un determinato stato termodinamico. Boltzmann iniziava con il premettere che "se noi vogliamo fornire una prova puramente meccanica del fatto che tutti i processi naturali si svolgono in modo che si abbia un aumento di entropia, dobbiamo assumere che li corpo sia un aggregato di punti materiali'' (106). Passava quindi a discutere dell'applicazione della teoria della probabilità a un sistema termodinamico. Ma questa volta c'era una grossa novità rispetto alle trattazioni precedenti. Ora non si faceva più il conto probabilistico esteso all'enorme numero di molecole costituenti un gas inteso come unico sistema termodinamico. Si considerava invece il singolo sistema termodinamico macroscopico (ad esempio un gas) come costituito, istante per istante, da un enorme numero di stati dinamici microscopici differenti tra loro per la diversa configurazione o distribuzione (di posizioni e velocità) delle singole molecole costituenti il sistema termodinamico in oggetto. In questo modo, uno stesso stato termodinamico macroscopico, caratterizzato all'equilibrio da determinati valori di pressione, volume e temperatura, può essere originato, microscopicamente, da una enorme quantità di stati dinamici delle singole molecole. Mano a mano che ci si discosta dall'equilibrio il numero di stati dinamici microscopici, che rappresenta lo stesso stato termodinamico macroscopico, tende a diminuire, tende cioè a zero pur senza raggiungere mai questo valore limite. Scriveva Boltzmann: "Ogni distribuzione di stati non uniforme, (107) non importa quanto improbabile possa essere, non è mai assolutamente impossibile. E chiaro che ogni singola distribuzione uniforme che può realizzarsi dopo un certo tempo da qualche particolare stato iniziale, è altrettanto improbabile di una singola distribuzione non uniforme... E solo per il fatto che le distribuzioni uniformi sono molto più numerose di quelle non uniformi che la distribuzione di stati diventerà uniforme con l'andare del tempo ... [Quindi], dato che il numero di distribuzioni uniformi è infinitamente maggiore di quello delle distribuzioni non uniformi, il numero di stati che portano a distribuzioni uniformi dopo un certo tempo t, è molto più grande del numero di quelli che portano a distribuzioni non uniformi ... [e] file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (100 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE quest'ultimo caso è straordinariamente improbabile e può essere considerato impossibile ai fini pratici" (108). Come osserva Mondella. "mediante questa impostazione originale, invece di stabilire la frequenza degli atomi aventi una determinata velocità in un singolo sistema [termodinamico] costituito da un corpo, si cerca ora di calcolare il numero di stati microscopici ... che corrispondono allo stato macroscopico che caratterizza il corpo considerato" (109). E Boltzmann concludeva affermando: "Lo stato iniziale di un sistema sarà, nella maggior parte dei casi, uno stato molto poco probabile e il sistema tenderà sempre verso degli stati più probabili, finn quando giungerà allo stato più probabile, cioè allo stato di equilibrio termodinamico. Se applichiamo questo al secondo principio dellea termodinamica, potremo identificare la grandezza che si chiama di solito entropia con la probabilità dello stato corrispondente" (110). E poiché un sistema isolato tende all'equilibrio termodinamico, cioè allo stato microscopico cui compete il maggior numero di stati microscopici che lo realizzano, cioè allo stato macroscopico cui compete la massima probabilità, è chiaro che, come la probabilità tende a diventare massima, anche l'entropia tende ad aumentare, e il sistema non può che passare da uno stato a un altro più probabile. Il passaggio quindi dalla statistica dei singoli atomi costituenti un sistema termodinamico a quella degli stati dinamici dello stesso sistema, permette a Boltzmann di superare le obiezioni di Loschmidt e di fare del secondo principio, trattato col metodo cinetico-molecolare, un teorema della teoria della probabilità. Con questo passaggio si continua ancora ad affermare la reversibilità delle leggi meccaniche che governano le interazioni tra le molecole ma, nel contempo, si afferma che questa reversibilità è estremamente improbabile nei fenomeni naturali. Consideriamo, ad esempio, il solito recipiente isolato dall'esterno e diviso da un setto, in cui è praticato un piccolo foro, in due zone A e B delle quali la A contenga inizialmente un gas mentre la B sia vuota. In accordo con il 2° principio e con la teoria della probabilità degli stati dinamici microscopici, il sistema evolverà verso l'equilibrio costituito dal gas che, dopo un processo di diffusione attraverso il foro, occuperà uniformemente le due zone A e B. Nessuno vieta di pensare che a questo punto tutti gli atomi costituenti il gas possano ritornare, attraverso il foro, nella zona A, in completo accordo con la reversibilità delle leggi della meccanica. C'è solo da notare, e non è poco, che esiste una sola distribuzione microscopica di velocità tale che a un dato istante inverta il moto di tutti gli atomi per ricondurli nella zona A. Questa distribuzione microscopica certamente esiste ma è, nel comportamento medio del gas, praticamente l'unica, rispetto alle migliaia e migliaia e migliaia di miliardi di distribuzioni microscopiche che vedono le velocità degli atomi dirette in modo da originare la fuoriuscita del gas dal forellino e la sua distribuzione uniforme nell'intero volume del recipiente. Si possono dare dei numeri che rendano conto di quanto sto dicendo a partire dall'ipotesi che il nostro gas sia costituito da un numero estremamente piccolo di molecole. Nella tabella che segue (111) è riportato: nella prima colonna il numero di molecole costituenti il gas; nella seconda colonna la probabilità dello stato con tutte le molecole in A; nella terza colonna, la probabilità dello stato di distribuzione uniforme delle molecole in A e B. Come si vede, al crescere del numero delle molecole costituenti il nostro sistema termodinamico, file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (101 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE probabilità di tutte le molecole in A n° molecole (la cosa si ottiene in un solo modo) probabilità di diffusione uniforme in A e B (la cosa si ottiene nel numero di modi indicato) 4 1 6 10 1 152 12 1 924 20 1 184 756 100 1 1029 cresce enormemente la probabilità di distribuzione uniforme (mentre quella non uniforme rimane costante). Se si pensa che le molecole costituenti un gas non sono 100 ma dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro (e cioè 1023) ci si può, almeno lontanamente, rendere conto di quale numero dovrebbe comparire nella terza colonna. In definitiva, pur esistendo la distribuzione microscopica che porterebbe alla reversibilità del fenomeno essa "è estremamente improbabile e può essere considerata impossibile ai fini pratici" ma non impossibile dal punto di vista della teoria della probabilità. Visto in questo modo il secondo principio esprime una probabilità, non una certezza. Ritornando a Boltzmann, egli, alla fine della sua seconda memoria (1877), riuscì a calcolare la relazione esistente tra entropia S e probabilità termodinamica P (di un dato stato macroscopico di un sistema termodinamico) trovando (112): S = K · logP dove K è appunto la costante di Boltzmann che vale 1,39.10-23 J/ºK (questa costante fu individuata come tale da Planck, si veda in proposito l'articolo sui "quanti"). Negli anni seguenti vi furono importanti aggiustamenti e perfezionamenti ad opera ancora di Maxwell, di Boltzmann e di vari altri. Va ricordato in particolare il contributo di Helmholtz (1821 -1894) che, nel 1882, introdusse nella termodinamica i concetti di ordine e disordine, iniziando a considerare l'entropia come una misura del disordine. In questo modo i processi più probabili sono quelli che fanno passare il sistema termodinamico a stati sempre più disordinati, mentre è solo il moto molecolare ordinato quello che è in grado di essere convertito in altre forme di lavoro meccanico. Altro contributo fondamentale venne dal fisico W. Nerst (1864 - 1941) che nel 1906 enunciò il terzo principio della termodinamica secondo il quale "in una trasformazione qualunque, che avvenga allo zero assoluto, la variazione di entropia è nulla". Questo principio può anche essere enunciato nel modo seguente: "è impossibile raggiungere lo zero assoluto mediante un numero finito di trasformazioni". Occorre osservare che il terzo principio, nella prima formulazione che ne abbiamo dato, assolve un compito fondamentale, quello di eliminare l'indeterminazione nel calcolo del valore assoluto dell'entropia, indeterminazione che nasceva dal fatto che l'equazione di Clausius permetteva solo di calcolare differenze di entropia, e quindi forniva il valore assoluto dell'entropia di uno stato termodinamico a meno di una costante arbitraria (si trattava di un integrale indefinito). Altra osservazione è relativa al fatto che la completa comprensione del terzo principio avverrà a seguito della scoperta dei "quanti" fatta da Planck (si deda l'articolo citato). Vanno infine ricordati i contributi del chimico-fisico statunitense J. W. Gibbs (18391903) che nei suoi "Principi elementari di meccanica statistica" (1901), con l'introduzione dello 'spazio delle fasi', sviluppò in modo decisivo i metodi della meccanica statistica file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (102 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE arrivando a delle condizioni generali che permettevano una trattazione molto completa dei sistemi termodinamici. Occorre però ricordare che il nocciolo della meccanica statistica era stato costruito al 1877 con i lavori di Boltzmann. Tutto ciò farà discutere molto negli anni seguenti, soprattutto ad opera della scuola degli energetisti e degli empiriocriticisti. Per ora basti osservare che la grandezza fisica 'tempo' da questo momento acquisterà un significato fisico ben preciso indicando, insieme alla grandezza 'entropia', l'unidirezionalirà di svolgimento dei fenomeni fisici. NOTE (1') Le altre leggi del moto enunciate da Newton sono le seguenti: II) Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata, impressa. IlI) Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte. Come corollario di questa terza legge Newton enuncia, tra l'altro, la conservazione della quantità di moto: La quantità di moto ottenuta prendendo la somma dei moti diretti in parti opposte, non viene mutata dall'azione dei corpi fra loro. Occorre notare che questa conservazione è affermata e per urti elastici che anelastici e mostrata sperimentalmente mediante urto di pendoli (1") Nella seconda parte dei Principia, Newton si occuperà di meccanica dei fluidi e di acustica. Riguardo a quest'ultimo argomento, va notato che egli riuscì a ricondurre l'acustica ad un capitolo della meccanica. (2) Vedi Bibl.1, pag. 178-204 e Bibl. 2, pag. 85-93. Locke sarà uno dei filosofi empiristi che avranno un notevole peso nella diffusione dell'opera di Newton. Entusiasmato dall'Optics, Locke affermò che chi ricerca la verità "non sosterrà mai una teoria con baldanza maggiore di quella che è consentita dal valore delle prove su cui essa si fonda". (Bibl. 7, Vol.IV, pag. 105). (3) Si ricordi che la Chiesa, sia essa Cattolica che Protestante, aveva ancora un enorme potere alla fine del '600 ed agli inizi del '700. (4) La terza edizione si ebbe nel 1726. La prima edizione, in inglese uscì nel 1729, mentre la prima edizione in francese si ebbe nel 1759. (5) Si riveda il paragrafo 1. (6) Lo 'Scolio' si apre con un attacco alla teoria cartesiana dei vortici "che è soggetta a molte difficoltà". Indi, riconosciute certe regolarità nei moti planetari, Newton dice che "tutti questi moti regolari non hanno origine da cause meccaniche ...[ma, che] ... non poterono nascere senza il file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (103 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE disegno di un ente intelligente e potente ... che regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell'universo ... Dio è il sommo ente eterno, infinito, assolutamente perfetto ... Non è l'eternità o l'infinità, ma è eterno ed infinito; non è la durata e lo spazio, ma dura ed è presente ... In esso gli universi sono tenuti e mossi, ma senza nessun mutuo perturbamento. Dio non patisce nulla a causa dei moti dei corpi: questi non trovano alcuna resistenza a causa dell'onnipresenza di Dio" (Bibl. 4, pagg. 792-794). (7) La polemica con Leibniz fu portata avanti per tre anni (fino a che la morte di Leibniz non pose termine ad essa) ad opera di Samuel Clarke, amico e discepolo di Newton. (8) Per la polemica Leibniz-Clarke si veda, ad esempio, bibl. 5, pagg. 178-205. Per conoscere invece quali sono le posizioni di Clarke su moto spazio e luogo, si può leggere la prefazione, fatta da Clarke, al "System of natural Philosophy" di Rohault, riportata nell' appendice M del lavoro di Koyrè, "Studi newtoniani", Einaudi (pagg. 218-221). (9) Innanzi tutto occorre osservare che tutte le citazioni di Leibniz che saranno riportate provengono o da articoli apparsi sugli "Acta Eruditorum" o da lettere della sua ponderosa corrispondenza; non vi è infatti un'opera di Leihniz che, da sola, riporti compiutamente le speculazioni di Leibniz su Questioni di «filosofia naturale». Vi sono naturalmente delle eccezioni che di volta in volta saranno citate. Mentre lo spazio assoluto è oggetto di dura critica da parte di Leibniz, non altrettanto avviene per il tempo assoluto; quest'ultimo concetto sembra, infatti, venir accettato da Leibniz. Egli afferma [nel suo "Nuovo saggio sull'intelligenza umana ", scritto in polemica con Locke nel 1704 e pubblicato postumo nel 1765 poiché nel frattempo (1704) Locke era morto] che: "... il tempo è un continuo uniforme e semplice, come una linea retta. La modificazione delle percezioni ci fornisce l'opportunità di pensare al tempo e, mediante moti periodici, lo possiamo misurare: ma anche se in natura non vi fosse niente di periodico, non per questo il tempo cesserebbe di essere determinato ... ". Criticata invece sarà la nozione di forza "che è assai intelleggibile anche se appartiene al dominio della metafisica" ("Nuovo sistema della natura", articolo pubblicato nel 1695 sul 'Journal des Savants'). (9') Vedi bibl. 5, pag. 170. Si osservi che, per Leibniz, nei fenomeni naturali si conserva il prodotto della massa per la sua velocità elevata al quadrato (forza viva, che oggi chiamiamo energia cinetica). Ciò in contrasto, da una parte con la scuola cartesiana per la quale si conservava il prodotto della massa per la velocità (quantità di moto) e, dall'altra, con la fisica newtoniana che faceva a meno di ogni principio di conservazione enfatizzando soprattutto il concetto di forza (bibl. 8, pagg. 18-22). La critica alla meccanica di Descartes si fece in Leibniz via via più dura. a partire dal 1686 quando, lavorando come organizzatore della miniera di Harz, si rese conto 'sperimentalmente' della fallacia di quella meccanica. Gli argomenti contro la meccanica cartesiana ed a sostegno della conservazione della forza viva sono discussi da Leibniz nel suo "Discorso di metafisica" del 1686 che fu pubblicato postumo intorno al 1850 , al paragrafo 17. Più in generale riguardo alla disputa tra cartesiani e leibniziani (si conserva forza viva o quantità di moto ?) si osservi che, data una diversa ipotesi iniziale, avevano ragione entrambi. Infatti, come osserva Jammer (bibl. 6, pagg.177-178; ma si veda anche bibl. 7, Vol. III, pagg: 407-408), "per confrontare due forze f ed F, sostenevano i cartesiani, le si doveva far agire per un intervallo dato di tempo, t; il rapporto tra queste due forze è allora dato da: f/F = ma/MA = mat/MAT = mv/MV e dunque le forze sono proporzionali alle corrispondenti quantità di moto. I leibnziani sostenevano invece che si dovevano far agire le forze su una data distanza, s. Poiché, secondo Galileo: file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (104 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE v² = 2as e V² = 2AS, il loro rapporto diventa il seguente: f/F = ma/MA = mas/MAS = ½mv²/½MV² = mv²/MV² e dunque le forze sono proporzionali alle loro corrispondenti 'vires vivae'. È chiaro che l'approccio cartesiano fornisce una misura corretta nel caso di forze agenti per tempi uguali, mentre la 'vis viva' di Leibniz costituisce una misura corretta per forze agenti su distanze uguali". (10) Vedi bibl. 5, pag. 190. Si osservi che in questa affermazione Leibniz è in completo accordo con Descartes. (11) Ancora il principio di ragion sufficiente. (12) Ibidem, pag. 197. (13) Ibidem, pag. 198. (14) Vedi bibl. 5, pag. 192. (15) Su questo tema Leibniz ebbe anche una polemica con Locke, il quale modificò un brano del suo "Saggio" nella sua edizione francese, passando dal sostegno all'azione a distanza al dubbio della sua possibile esistenza. (16) All'epoca di Leibniz già funzionavano le macchine pneumatiche; ma per il nostro quei vuoti sono semplicemente vuoti di materia sensibile ma non vuoti assoluti, tant'è vero che quel vuoto contiene sia i raggi di luce sia le emanazioni magnetiche. (17) Per Leibniz l'Universo è costituito da un certo numero di unità individuali (monadi), assimilabili a punti matematici dotati di forza che non esercitano alcuna influenza fisica le une sulle altre. Il rifiuto degli atomi nasceva in Leibniz per un motivo euristico-metafisico legato alla sua, supposta, 'armonia dell'universo'. Nel caso di atomi concepiti come particelle dure ed estese, in un urto vi sarebbe stata una discontinuità nella variazione della quantità di moto, cosa che egli non era disposto ad accettare. (18) Per uscire dal vicolo cieco occorrerà attendere l'opera di G. R. Boscovich che prenderà le mosse proprio dalla questione qui sollevata. Per ulteriori dettagli sulla questione si può vedere Bibl. 9, pagg. 190-193; Bibl. 6, pagg. 183-191; Bibl. 13, pagg. 56-61. (19) Bibl. 10, pag. 104. (20) Ibidem, pag. 106. (21) Ibidem, pagg. 107-108. (22) Vedi Bibl. 5, pag. 205. Si osservi che Leibniz si era scagliato più volte contro il materialismo insito nel meccanicismo newtoniano affermando che "i nostri filosofi moderni sono troppo materialisti" poiché usano la loro intelligenza e saggezza non già per far progredire la loro opera ma solo per studiare la figura ed i movimenti della materia. Anche se poi questi filosofi tentano di rispondere che "in Fisica non si domanda affatto perché le cose sono, ma come esse sono", occorre loro rispondere che in realtà "si domanda l'una e l'altra cosa". "Sovente infatti il fine e l'uso aiutano ad individuare il come, poiché conoscendo il fine si può meglio giudicare dei mezzi" (Bibl. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (105 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE 11, pagg. 275-276). In quest'ultima affermazione di Leibniz, pare scorgere una critica a quella che Newon aveva fatto nei Principia sul fatto che i filosofi naturali debbono occuparsi dei come e non dei perché. Allo scopo si veda Bibl. 3, pag. 111 ed in particolare la nota 130 bis. (22') Halley, amico di Newton, applicò l'idea della gravitazione alla cometa che porta il suo nome, ipotizzando che essa fosse già passata varie volte vicino alla Terra. In uno dei suoi passaggi precedenti, sempre secondo Halley, questa cometa avrebbe sollevato la gigantesca marea responsabile del diluvio biblico. (23) Come Berkeley fa nei "Tre dialoghi tra Hylas e Philonous" (1713) in cui, in definitiva, il nostro va a ricercare cosa possa essere considerato reale arrivando alla conclusione che reale è solo ciò che da noi è percepito con costanza, uniformità e regolarità (in definitiva lo spirito e non la materia, che ci si presenta in vari modi distinti). (24) A proposito di questa affermazione di Berkeley, vorrei notare che l'ho utilizzata nel capitolo 1° del mio altro lavoro sulla Relatività classica (Bibl. 3, pagg. 8-9). Osservo poi che alcune delle esemplificazioni riportate sono riprese da. bibl. 7, Vol. 4, pagg. 294-290. (25) Bibl. 12, pagg. 87-88. A rigor di logica, nonostante l' importanza, di molte osservazioni di Berkeley, il discorso si poteva concludere anche con l'ammissione di esistenza di materia al di fuori della fallacia delle nostre percezioni (o, viceversa, dell'inesistenza dell'io o dello spirito assieme a quella della materia) e questa sarebbe stata la cosa più corretta dal punto di vista, appunto, logico. Leibniz, che di logica si intendeva, qualche tempo prima di morire, ebbe a dire di Berkeley: "Sospetto che voglia diventare famoso per i suoi paradossi". Si osservi che Hume (1711-1766), prendendo le mosse da. alcune premesse di Berkeley, arriverà ad estromettere l'io (o lo spirito) dal campo della psicologia con gli stessi argomenti usati da Berkeley per estromettere la materia dalla fisica.Tra l'altro Hume, che per molti versi influenzerà e i neopositivisti e Einstein, occupandosi della percezione dello spazio e del tempo, afferma: "Come l'idea di spazio la riceviamo dalla disposizione degli oggetti visibili e tangibili , cosi dal succedersi delle idee e delle impressioni ci formiamo l'idea di tempo, la quale, senza di esse, non fa mai la sua apparizione nella mente, né sarebbe da questa avvertita.[Infatti] se fate roteare rapidamente un carbone ardente, si presenterà al senso l'immagine di un cerchio di fuoco, senza nessun intervallo di tempo nei suoi giri, e ciò perché alle nostre percezioni non è consentito susseguirsi con la stessa rapidità con cui il movimento può essere comunicato agli oggetti esterni. Dove non vi sono percezioni successive, quand'anche vi sia una successione reale negli oggetti, non può esserci nozione del tempo ...possiamo quindi concludere che il tempo non può presentarsi alla mente né da solo, né accompagnato da un oggetto immobile e costante, ma si rivela sempre con una 'percepibile' successione di oggetti mutevoli" (Bibl. 1, pagg. 227-228). Hume fu anche il primo ad occuparsi del problema della causalità ("cause ed effetti si possono scoprire non per mezzo della ragione, ma per mezzo dell'esperienza") schierandosi con l'empirismo di Bacon e di Newton (egli, nelle sue speculazioni, applicò spesso il 'non invento ipotesi' di Newton). (26) Nelle opere: "Trattato sui principi della conoscenza umana" (l710), "De motu" (1721 ), "Siris" (1744), dalle quali sono tratte anche le precedenti citazioni senza indicazione bibliografica. (27) Bibl. 1, pag. 205. (28) Ibidem, pag. 208. (29) Riguardo alla crescita delle piante si può facilmente osservare che la pianta gravita, verso la Terra (così come la Terra gravita verso la pianta) e se si dovesse spingere l'indagine al perché la pianta che gravita verso terra si innalza con il suo fusto, si può facilmente rispondere che la 'forza d'innalzamento' supera la forza gravitazionale. Volendo seguire Berkeley nel suo argomentare non si dovrebbe ammettere la crescita di un uomo, la possibilità di lanciare un sasso in alto ed in definitiva non dovrebbe esistere l'universo così come lo vediamo, ma solo nella forma di una gigantesca palla originata appunto dalla gravitazione di ogni oggetto su ogni altro oggetto. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (106 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Riguardo poi all'elasticità dell'aria, la sospensione del giudizio sarebbe stata per Berkeley più proficua visto che, nello spirito della fisica newtoniana, si trattava, di proseguire l'indagine e di scoprire che oltre alle forze gravitazionali si debbono considerare forze di altra natura (elettriche, nucleari, ...) che diventano via via preponderanti al variare dei parametri in gioco (dimensioni, distanza, ...). Ma tant'è, ogni buon metafisico tende sempre ad imputare agli altri il proprio vizio incorreggibile. Notiamo, da ultimo, che Berkeley sostiene anche che "solo l'illuminazione divina può darci il concetto di legge scientifica" (Alciphron, 1732) e che "sembra indegno della mente umana fare sfoggio di pignoleria riducendo ogni fenomeno particolare a regole generali o mostrando come questo derivi da esse (Bibl. 16, Vol. 2, pag. 303). (30) Bibl. 1, pagg, 212-213. (31) Bibl. 10, pag. 196. È evidentemente un problema di riferimento quello che Berkeley va discutendo: si osservi che il nostro non assegna alcun privilegio alla Terra come sistema di riferimento. (32) Si riveda il paragrafo 1 e Bibl. 3, pag. 118. (33) Come poi e come già detto fu dimostrato da Halley (1718). (34) Bibl. 7, Vol. IIIº, pag. 345. (35) Bibl. 14, pag. 289. (36) Vedi il paragrafo 1. (37) Bibl. 1, pag. 214. (38) II corsivo è mio. (39) Bibl. 1, pagg. 214-215. (40) Per Newton sarebbe stato lo spazio assoluto. (41) Bibl. 1, pag. 215. (42) Invece, secondo Newton, la forza centrifuga che si ha nell' esperimento della secchia nasce come conseguenza del moto circolare assoluto risultando una forza insita e non impressa. (43) Bibl. 15, pag. 6 (del fascicolo: "Il contesto della scienza newtoniana"). Si osservi che Berkeley limita la sua analisi alla percezione del moto ed alla sua comprensibilità. È completamente estraneo al suo argomentare l'andare ad indagare il carattere dinamico del moto stesso (per questo fatto bisognerà attendere l'opera di Mach). (44) Ibidem. (45) Bibl.1, pag. 216. Per Berkeley, quindi, lo spazio è la mera percezione dell'estensione. Esso è un'idea astratta della generalizzazione che la nostra mente fa dell'estensione ricavata dalla percezione degli oggetti. (46) Bibl. 14, pag. 288. (47) Ibidem, pag. 290. Si tenga conto che anche le critiche all'analisi infinitesimale servirono da stimolo ad una più accurata definizione dei vari concetti. Questa operazione fu iniziata da Mac Laurin. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (107 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (48) Ibidem, pag. 292. (49) Invece Newton, in alcune Questioni poste nell'Appendice dell' "Optics", per dare una spiegazione della gravitazione avanzò l'ipotesi che Dio rifornisse continuamente l'universo di movimento. In qualunque parte si fosse verificata una irregolarità, la sua continua onnipresenza l'avrebbe sistemata. In definitiva Dio operava costantemente nel mondo. (50) Bibl. 8, pagg. 21-22. Per un discorso più approfondito, dove si analizzano i motivi di contrasto tra leibniziani, cartesiani e newtoniani, si può vedere, dello stesso autore (Elkanà), Bibl. 51, II, pagg. 31-44. (51) Si veda bibl. 3, pagg. 85-88. (52) All’inizio del secolo, in Inghilterra, la lavorazione della lana e le operazioni di tessitura avevano ancora carattere artigianale. Erano essenzialmente i contadini che operavano al telaio nelle loro case sparse nelle campagne (e ciò non sarebbe stato possibile in una economia agricola di tipo feudale). Il prodotto finito veniva venduto ai commercianti che lo raccoglievano spostandosi di casa in casa. In queste transazioni il commerciante aveva un tale margine di guadagno che presto fuin grado di acquistare Macchine in proprio che cedeva, insieme alla materia prima, in affitto. Pian piano queste macchine furono riunite in un unico luogo (l'opificio) dando ravvio a quella che ancora oggi conosciamo come industria. Come conseguenza della perdita dei mezzi di produzione da parte dell ‘artigiano si origina l'operaio salariato. Altro aspetto, ampiamente indagato (ad esempio da K. Marx), che merita di essere preso in considerazione come fattore fondamentale dello sviluppo capitalistico, è quello che va sotto il nome di profitto (la parte del lavoro operaio che non è pagato dal salario; ad esempio: la merce che si accumula nei magazzini). Per aumentare il profitto il padrone di una azienda poteva operare in due modi: o spingere i limiti di resistenza umana dell'operaio, allungando la giornata lavorativa oltre le 16 ore, o introducendo macchine (per questi aspetti si veda bibl. 42, pagg. 149-150}. Le due strade furono percorse contemporaneamente. Da una parte la giornata lavorativa arrivava fino ad oltre 16 ore, dall'altra si introdussero molte macchine nel processo produttivo (telai automatici, filatoi di vari tipi, macchina a vapore, telai meccanici, presse idrauliche, torni di vario tipo, telai a vapore -1787- , mulini automatici,...). Ed ogni volta che una macchina riassumeva in sé più funzioni essa significava il licenziamento di vari operai. Per altri versi, queste macchine, alla base della seconda rivoluzione industriale (seconda metà dell''800), ponevano da una parte una gran quantità di problemi tecnico-scientifici e dall'altra notevoli bisogni energetici (fatto, quest'ultimo, molto più sentito in Gran Bretagna che non nel resto d'Europa a causa del fatto che in questo paese vi è una carenza di corsi d'acqua diffusi su tutto il territorio). Si usò dapprima l'acqua fluente, quindi l'acqua in caduta da dislivelli naturali, e poi l'acqua in caduta da dislivelli artificiali; si passò poi alla macchina a vapore alimentata a legna e poi, vista la crisi di disponibilità di quest'ultima, a carbon fossile. Accompagnata alle innovazioni tecniche nella produzione durante il '700 vi fu l' introduzione di una massa imponente di tecnologie in tutte le attività umane e soprattutto nei trasporti (navi a vapore -1786- , ponti, strade, rotaie, ...) e nei settori vicini alla produzione tessile (sviluppo enorme della chimica che inizia a darsi le basi per diventare una scienza sperimentale; produzione dell'acido solforico e della soda). Per questi aspetti si può vedere bibl. 22 e bibl. 23. Sul primato dei fat-tori economici su quelli tecnici si veda bibl. 31, pagg. 628-633. (53) Nel '700 la borghesia ebbe il suo teorico in economia politica nella persona di Adam Smith (1723-1790) il quale, per altro, fu per certi versi anticipato dal suo amico D. Hume. (54) Per quel che riguarda vari aspetti di questo paragrafo ho seguito la traccia di bibl. 17, Voi. III, pagg. 7-23. Per ulteriori dettagli si può vedere bibl. 20, pagg. 385-454 e bibl. 21. Nonostante quanto affermato si ricordi ohe, ancora nel 1722, in Inghilterra si bruciavano *streghe* nelle piazze. (55) Allo scopo si veda Bibl. 16, Vol. II, pagg. 292-294. Le innovazioni in agricoltura consistettero essenzialmente nell'introduzione di metodi di rotazione delle colture e nella razionalizzazione dell'allevamento del bestiame. (56) Proprio per questo le grosse scoperte del secolo furono fatte da una nuova figura di intellettuale, il tecnico formatosi all'interno del nuovo modo di produzione e per questo più file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (108 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE sensibile alle esigenze che qui emergevano. Allo scopo si veda Bibl. 24, pagg. 9-13. (57) Già Locke aveva osservato: “C’è ragione di credere che se gli uomini fossero più istruiti, tenterebbero molto meno di imporsi al proprio prossimo.” Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 105-106. Si noti che la più grande opera di divulgazione che fino ad allora fosse stata intrapresa è l’Encyclopedie, alla cui realizzazione lavorarono quasi tutti i principali pensatori francesi sotto la direzione di D’Alembert e Diderot. Per saperne di più, anche in relazione alle enormi difficoltà cui andarono incontro i redattori fino alla condanna dell’opera di Papa Clemente VIII, si veda bibl. 32. (58) Allo scopo vedi anche lo stimolante saggio di bibl. 29. (59) Per questa sua opera Voltaire fu a lungo perseguitato dal governo francese. Allo scopo si può vedere, ad esempio, l'introduzione a bibl. 27. Si osservi, che l’ammirazione di Voltaire per Newton era incondizionata. Egli nella XIV delle sue ‘Lettere inglesi’, quella che traccia un parallelo tra Descartes e Newton, dopo aver esordito: " Un francese che capiti a Londra trova che le cose sono molt cambiate nella filosofia come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno e lo ritrova vuoto,” continua affermando: “Non credo, per vero, che si osi paragonare in nulla la filosofia [di Descartes] con quella di Newton la prima è solo un tentativo, la seconda un capolavoro. (ibidem, pagg. 53-59) E’ interessante notare che anche D’Alembert avrà modo di dare del giudizi piuttosto sarcastici su Descartes. Nel ‘Discorso preliminare’ dell’Encyclopedie affermerà:“[Descartes] aveva cominciato con il dubbio universale; e le armi che noi rivolgiamo contro di lui furono forgiate da lui stesso." (Bibl. 32, pag.112). (60)Essenzialmente nelle sue opere ‘Lettere inglesi’ (1734) ed ‘Elementi della filosofia di Newton’ (1738). Si osservi che l’amante di Voltaire, la marchesa di Châtelet, curerà la prima edizione in francese dei Principia di Newton (1756). (61)Condillac (1714 – 1780); Helvetius (1715 – 1771); Diderot (1715 – 1784); D’Alembert (1717 – 1783); Laplace (1749 – 1827). (62)Bibl. 29, pag. 22. (63)A lato di ciò vi fu il tentativo di estendere il newtonianesimo ai fatti che hanno attinenza con la vita dell’uomo, ad un campo cioè non immediatamente riconducibile alla filosofia naturale.. Condillac sostenne la necessità di ricavare ogni cosa dall’esperienza. Helvetius, prendendo le mosse da Condillac, argomentò che, “se tutto deriva dall’esperienza, sarà l’ambiente esterno – unica fonte dell’esperienza stessa – il vero responsabile delle inclinazioni o azioni, buone o cattive. E’ inutile predicare o correggere severamente, quando invece occorrerebbe migliorare l’ambiente sociale in cui l’uomo vive e, in primo luogo, riformare i governi corrotti” (bibl. 7, Vol. 4, pag. 118). Ed a questo Diderot aggiungeva: ”Esaminate le varie istituzioni politiche, civili e religiose. Troverete che da secoli il genere umano si curva sotto il giogo impostogli da un certo numero di bricconi! Ordinare significa sempre erigersi a signore degli altri uomini” (ibidem, pag. 119). Infine De Lamettrie propugnò un materialismo assoluto (‘la materia pensa’) nella sua opera dal titolo eloquente, “L’uomo macchina”, in cui negò in modo categorico la realtà dell’anima (bibl. 28). (64) Abbiamo già osservato che la filosofia della natura nel XVIII secolo si sviluppò su linee razionali. Per quanto riguarda le diverse caratterizzazioni che l’Illuminismo ebbe, c’è da osservare che: in Inghilterra esso si fondò sull’empirismo puro; in Francia sul razionalismo empirico; in Germania sul razionalismo accompagnato da ampi margini metafisici(eredità leibniziana). In ogni caso la grande novità del secolo fu il ribaltamento del rapporto esistente tra concetti e fenomeni, “non si passa dai concetti e dai principi ai fenomeni, ma viceversa” (bibl. 26, pagg. 23-24). (65) Bibl. 24, pagg. 12-13. (66) Si osservi che il modello newtoniano cui si rifacevano i francesi erano i Principia, primo esempio di fisica sottoposta ad ano spinto trattamento teorico ed analitico. Si potrebbe osservare, forse, che Newton, pur disponendo del metodo delle flussioni, usò il metodo geometrico affinchè gli file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (109 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE argomenti trattati fossero più accessibili ai suoi lettori. (67) Bibl. 18, Vol. II, pag. 162. E’ un grosso salto che si fa e, come osserva Bellone, "La differenza che separa i lavori di Euler o di Lagrange da quelli di Newton è, perlomeno, altrettanto grande di quella che separa i Principia dalle ricerche degli scienziati pregalileiani". (Bibl. 12, pag. 557). (68) Si osservi che ancora alla fine del secolo XVIII venivano rifiutati brevetti, anche importanti, a coloro che non avevano una cultura scientifica superiore. (69) Bibl. 29, pag. 23. A questo proposito è interessaste leggere un brano di Diderot, tratto dalla voce "Arte" dell'Enoyclopedie (bibl. 32, pag. 176), in cui risalta tutta l'illusione ottimistica degli illuministi: “La bontà delle materie prime sarà il principale fattore della superiorità di una manifattura su un'altra, insieme con la speditezza del lavoro e con la sua perfetta esecuzione. La bontà dei materiali è questione d'attenzione, mentre la speditezza e perfezione del lavoro sono soltanto in funzione del numero degli operai impiegati, (quando una fabbrica ha numerosi operai, ciascuna fase di lavorazione occupa un uomo diverso. Un operaio ha eseguito ed eseguirà per tutta la vita una sola ed unica operazione; un altro, un’altra; perciò ognuna è compiuta bene e prontamente e la migliore esecuzione coincide con il minimo costo. Inoltre, il gusto e la destrezza si perfezionano indubbiamente fra un gran numero d'operai, poiché è difficile che non ve ne siano taluni capaci di riflettere, combinare e scoprire infine il solo modo che consenta loro di superare i compagni; ossia come risparmiare il materiale, guadagnar tempo, o far progredire l’industria, sia con una nuova macchina, sia con una manovra più comoda”. Cento anni più tardi K. Marx teorizzerà invece il ruolo antagonista che la classe degli operai esercita nei confronti della borghesia, proprietaria dei mezzi di produzione, Si osservi che già alla fine del secolo vi furono, ad esempio in Inghilterra, dei massicci fenomeni di rifiuto delle macchine da parte degli operai. Questi ultimi, minacciati della perdita del lavoro da parte di macchine che racchiudevano in sé un sempre maggior numero di processi operativi, arrivarono nel 1791 a distruggere, a Manchester, una fabbrica con 400 telai. Sui problemi del ‘macchinismo’ si può leggere il bel saggio di A. Koyré di bibl. 30; lo stimolante lavoro di J. Fallot di bibl. 62; il fondamentale testo di K. Marx ‘Sulle macchine’ (dal quaderno V del Manoscritto- 1861-l863 – “Per la critica dell’economia politica” , riportato sulla rivi- sta Marxiana 2 dell'ottobre 1976); l'importante lavoro di P. Rossi “I filosofi e le macchine (14001700)” edito da Feltrinelli. (70) Bibl. 26, pag. 60, (71) Quando fra qualche pagina parleremo dell 'interpretazione che si cercò di dare dell'esperienza di Oersted, avrò modo di far intendere meglio quanto qui ho solo accennato. Mi interessa ora sottolineare la mia adesione alla convinzione (dibattuta in modo articolato da vari epistemologi) secondo cui il progresso del pensiero scientifico non consiste in un processo di accumulazione di conoscenze ma in scontri, a volte aspri, tra linee diverse. Riguardo poi ai motivi che concorrono all'affermazione di una linea su di un'altra, almeno dal punto di vista della storia interna alle teorie scientifiche, sono di natura diversa ed essenzialmente consistono nel maggior numero di indizi o prove che si riescono a trovare a sostegno di quella teoria (fermo restando il fatto che una data esperienza che si accordi con una data teoria può solo fortificare quest'ultima e non renderla vera, mentre una sola esperienza non in accordo con quella data teoria la falsifica completamente Popper preceduto dal più autorevole Galileo). Altri motivi vanno poi ricercati nella struttura stessa della teoria: la sua semplicità; la sua eleganza; il fatto che essa goda di alcuna proprietà di simmetria, di gruppo, ... ; ... L'insieme di questi ultimi motivi fa sì che una teoria venga preferita ad un' altra per motivi euristici. Da questi pochi cenni discende che è illusorio ritenere l'approccio alla conoscenza scientifica come meramente empirico o sperimentalista; c'è, evidentemente, una convinzione a priori, una file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (110 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE teoria, un «pregiudizio» che fa muovere il ricercatore su di una strada, su di una esperienza piuttosto che su di un'altra. E' proprio l'articolazione del 'pregiudizio' in 'teoria' che fa sperimentare in un certo modo e ricercare certe cose piuttosto che altre. Ed in definitiva si va a cercarre ciò che si vuole trovare. C'è poi il problema dei risultati forniti da un dato esperimento: come interpretarli ? Uno stesso eperimento, fermo restando il dato empirico, può essere suscettibile di interpretazioni diverse al variare dei termini teorici che ne accompagnano la spiegazione; ed in genere si tenta di far dire all'esperimento ciò che e' in accordo con la teoria a priori. Esempi di questo genere ne sono offerti in quantità dalla storia della fisica: il pregiudizio di universo 'piccolo' e la a non osservazione della parallasse stellare (a causa di strumenti non adatti) fa concludere a Tycho Brahe che la teoria copernicana non e' corretta con la conseguenza che la Terra torna ad essere immobile; il pregiudizio di azioni a distanza fa si che Ampère dia una spiegazione completamente diversa - da quella che poi si affermerà - dell'esperienza di Oersted (ma di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 2 del capitolo III); la non osservazione del vento d'etere fa concludere a Michelson che la sua esperienza è stata un insuccesso (di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 4 del capitolo IV); ... . Quanto fin qui detto dovrebbe far intendere quanto sia dannoso nella didattica il lavorare (quando lo si fa!) con un mero approccio che si vorrebbe sperimentale su fenomeni già 'sterilizzati' e preparati al fine che l'insegnante ha già nella mente e quanto, invece, potrebbe risultare fecondo il lavorare, almeno ad un primo approccio, su fenomeni 'grezzi', da scomporre cioè in fenomeni più semplici - e quindi più facilmente studiabili - mediante il processo di separazione delle variabili in gioco, fatto quest'ultimo che presuppone una teoria che il ragazzo si deve costruire. In altri momenti poi della storia del pensiero scientifico, altre linee, altre teorie, che nel frattempo si sono sviluppate underground, magari al di fuori della scienza ufficiale, riescono ad emergere o sulla falsificazione della teoria dominante o sulla raccolta di maggiori indizi o prove a loro sostegno o su tutte e due le cose. Quindi, in nessun modo, credo si possa sostenere una linearità nel progresso scientifico, una teoria cioè che si afferma come mero superamento o ampliamento della teoria precedente. Se poi si ricollega tutto ciò all'esistenza anche di una storia esterna, allora si capisce l'enorme complessità del problema. (Per approfondire queste questioni, qui solo accennate, si può vedere, ad esempio, Bibll. n° 14, 35, 36, 37, 41, 38 pagg. 55-62, 39 pagg. 34-36, 40 pagg. 11-15). (72) Per le cose che seguono mi sono riferito principalmente a Bibll. n° 7 (vol. 4), 17 (vol. 3), 33 (vol. 3), 16 (vol. 2), 19 (vol. 2), 44 (voll. Scienze, Tecnica). (73) Per approfondire questo aspetto vedi l'altro mio lavoro sull'argomento relatività (Bibl. 3, pag. 78). (74) Si osservi che dai tempi di Galileo gli strumenti per l'osservazione astron omica erano stati di molto migliorati ed in grandezza ed in precisione. (75) La spedizione in Lapponia era diretta da Maupertuis (1698-1759). Di essa faceva parte anche Clairaut. (76) Secondo Newton ed i suoi sostenitori, a seguito dell'effetto di rotazione su se stessa, la Terra doveva risultare schiacciata ai poli Se condo altri, tra cui il grande astronomo G. Cassini, italiano al servizio di Luigi XV di Francia, la Terra doveva risultare rigonfia ai po li e schiacciata all'equatore. (77) La nutazione dell'asse terrestre è un fenomeno che si origina come conseguenza dell'intersezione dell'orbita lunare con l'eclittica. Si tratta di una oscillazione dell'asse terrestre intorno alla sua posizione media, che ha un periodo di circa 18 anni, corrispondente al moto di precessione. (78) Lo studio dell'orbita di Urano con le sue irregolarità, porterà, a prevedere l'esistenza di Nettuno e la sua posizione nel cielo (1846). (78bis) E' divertente ricordare che l'abate Nollet faceva esperienze sulla trasmissione file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (111 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE dell'elettricità alla corte di Versailles (1765) utilizzando file di frati lunghe 3 km; i frati erano legati tra loro da filo di ferro ed erano collegati con una bottiglia di Leyda. (79) Per realizzare l'esperimento Coulomb ai servirà della Bilancia di torsione da lui inventata l'anno precedente. Si osservi che, sempre nel 1785, Coulomb ricaverà, le leggi di forza complete per le cariche elettriche e per le masse magnetiche. Un altro dato che non va dimenticato è che sulla legge dell'inverso del quadrato per le cariche elettriche, Coulomb era stato preceduto da ipotesi in tal senso avanzate da D. Bernouilli (1760) e da J. Priestley (1767). Quest'ultimo poi aveva anche sostenuto l'analogia tra fenomeni elettrici e gravitazionali. E' importale notare che questi successi andavano ad affermare, via via, elettrologia e magnetologia come scienze aventi una propria dignità. La formulazione matematica dell'elettrostatica e della magnetostatica, con l'applicazione dei metodi analitici dei fisici -matematici francesi e l'estensione ad esse dell'equazione del potenziale (introdotta da Lagrange e sviluppata da Laplace), spetterà a Poisson (1781 - 1840) che mirabilmente, in due lavori del 1812 e del1824, porterà, soprattutto l'elettrostatica, al livello di scienza moderna. (79bis) Per leggere alcuni brani originali di Galvani e Volta, si possono vedere i volumi 46 e 47 di bibliografia. (80) Per questi ed altri aspetti delle problematiche alla base della fondazione della termodinamica, si veda il paragrafo 7 del capitolo III oltre a Bibl. 22, 42, 43. (80bis) Questo fluido calorico era pensato come una atmosfera che circondava le particelle ultime della materia, gli atomi. (81) Per sbarazzarsi de1 calorico Rumford pesò con una bilancia di precisione, dell'acqua prima in condizioni normali e quindi ghiacciata. Poiché non vi era differenza di massa ne dedusse che il calore non può essere una sostanza. Per affermare la teoria dinamica, Rumford mise in relazione il numero dei giri che una trivella faceva (nella foratura dei cannoni) con la quantità di calore che si sviluppava nel metallo. Scoperta una proporzionalità, tra le due grandezze affermò: "mi sembra difficile, se non impossibile, pensare al calore come a qualcosa di diverso da ciò che, nell'esperimento, era fornito con continuità al metallo, nello stesso tempo c he il calore si manifestava, e cioè il movimento". (An enquiry concerning the source of the heat wich is excited by friction - 1798). (82) Questo fatto è del tutto nuovo rispetto alla fisica di Newton nella quale è assente ogni conservazione. Anzi "Newton afferma (in contrapposizione a Descartes ed a Leibniz) che in ogni urto si perde qualcosa del moto" (era Dio che reintegrava il moto perduto). Allo stesso modo in Newton non compaiono mai concetti come lavoro potenza ed energia ed è condivisibile la tesi di Baracca e Rigatti (bibl. 42, pag. 47) secondo cui "questi concetti non erano in effetti necessari per il livello raggiunto dall'industria e si svilupparono in conseguenza delle nuove esigenze pratiche". Per guanto segue, sullo sviluppo delle macchine a vapore, si può vedere il paragrafo 7 del capitolo III e Bibl, 43 e 45. (83) Bibl. 43, pag.228. Si osservi che a partire dal 1759 le Accademie scientifiche (prima fra tutte la Royal Society) cominciarono ad interessarsi di tecnologia iniziando la raccolta sistematica dei progressi e delle difficoltà che si incontravano nei vari campi di attività e la pubblicazione dei dati più significativi. (84) Per approfondire questa parte si può vedere, ad esempio, Bibl. 15, fasc. V e Bibl. 50. (85) Allo scopo si veda Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 233-235. Tra l'altro è interessante leggere per intero il passo di Bibl. in quanto, un'altra volta, risulta chiaro il ruolo del pregiudizio nell'indagine fisica. In questo caso, partendo addirittura da premesse sbagliate, convinto però della giustezza delle ipotesi di Newton e della necessità di esse, Maupertuis riesce a trovare un principio di enorme potenza che abbisognerà solo di qualche piccolo aggiustamento per diventare ciò che oggi rientra nell'ambito dei cosiddetti principi variazionali. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (112 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (86) Non tanto la formulazione di questo principio, quanto la concezione metafisica che Maupertuis gli pose a fondamento (Dio ha pensato bene di imporlo al creato), sollevarono grandi polemiche tra i contemporanei. (87) Per approfondire questo aspetto si veda Bibl, 15, fase. V, e Bibl. 50. (87bis) E' interessante ricordare che la scoperta dell'impossibilità di propagazione del suono nel vuoto è dovuta all'amico ed allievo di Galileo, G. Sagredo (1571 - 1620). (88) Bibl. 33, pag. 599. (89) Bibl. 10, pag. 112. (90) Ibidem, pag. 122. (91) Ibidem. (92) Qui comincia ad emergere una posizione che è abbastanza caratteristica del secolo e che diventerà sempre più importante in seguito (fino ad oggi): la filosofia non può pretendere di fornire strade alla scienza, essa deve cercare di capire i suoi fondamenti e cosa essi rappresentino in rapporto al pensiero ed alla conoscenza. Passando ad altro argomento, è interessante riportare quanto Elkanà sostiene a proposito di Euler (bibl. 51, II, pag. 38): "Euler era un cartesiano nella sua metafisica, un newtoniano nella sua metodologia ... la sua immagine della scienza era fortemente influenzata da Leibniz e dal carattere illuministico delle Accademie di Berlino e St. Petesburg." (93) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Avverto che alcune considerazioni sviluppate in questo paragrafo sono ispirate dallo stesso testo (pagg. 177 - 179) e da Bibl. 6 (pagg. 111 - 112). (94) Bibl. 6, pag. 111. (95) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Come Euler faccia poi discendere il principio d'inerzia dall'impenetrabilità della materia (che egli poneva a fondamento della materia stessa ed all'origine di tutte le forze) è ben spiegato da Elkanà in Bibl. 51, II, pagg. 40 - 45. Si osservi che Euler considerava tutte le forze come effetti dell'impenetrabilità della materia ed in questo senso interpretava anche la legge di gravitazione universale (più su linee cartesiane che non newtoniane dunque). Per Euler, quindi, non ci possono essere azioni a distanza, ma solo azioni a contatto o fra particelle di materia o fra particelle di materia ed etere che tutto riempie (anche lo spazio dove non c'è materia). E l'azione non è l'effetto di urti tra particelle (che hanno il difetto di essere unidirezionali) ma quello della pressione (che ha il pregio di agire in tutte le direzioni). In definitiva Euler applica la sua meccanica dei fluidi all'etere unificando tutti i fenomeni fisici con la teoria delle forze a contatto che discende, appunto, dall'impenetrabilità della materia. (96) Bibl. 6, pag. 112. Si osservi che le citazioni di Euler riportate, sono state sviluppate dall'autore negli anni che vanno dal 1748 al 1765 principalmente nei lavori Reflexions sur l'espace et le temps (1748) e Theoria motus corporum ... (1765). Sull' impenetrabilità dei corpi, secondo Euler, si possono leggere alcuni suoi brani originali, tratti dalle sue Lettere ad una principessa tedesca (17601762), in Bibl. 56, pagg. 71-86. (96bis) Per l'influenza di Kant sull' '800 si veda bibl. 51, II, pagg. 65-69. (97) Nell'o pera Nuova spiegazione dei primi principi della conoscenza metafica (1755). Sulle influenze di Euler su Kant si veda, ad esempio, Bibl. 51, II, pagg. 46-51. Si osservi che, mentre è indubbio che per Euler l'impenetrabilità è all'origine delle forze, per Kant (molto spesso) sono le forze che causano l'impenetrabilità. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (113 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (98) Nell'opera Nuova dottrina del moto e della quiete (1758). (99) Nell' opera Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio (1763). (100) Bibl. 6, pag. 118. (101) Alcune premesse a quanto Kant affermerà in questo fondamentale lavoro a proposito di spazio e tempo, si possono trovare nell'opera De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (1770). (102) Bibl. 1, pagg. 233-236. Si osservi che, come vedremo più avanti, Kant sosterrà un dinamismo fisico di tipo boscoviciano; egli elaborerà una immagine della costituzione della materia per la quale l'intero spazio deve essere riempito di etere (sostanza che ha una densità di gran lunga più piccola di qualunque materia esistente). Lo spazio risulta quindi continuo, senza vuoti, e gli atomi non sono altro che punti inestesi e centri di forza. In questo spazio agirebbero due forze, quella attrattiva di tipo newtoniano e quella repulsiva che rende conto dell'impenetrabilità dei corpi. Per quest'ultimo aspetto si veda Bibl. 17, III, pag. 605; Bibl.l3, pagg.60-61 e Bibl.6, pagg. 191-194. Per leggere poi dei brani originali di Kant in cui egli sviluppa il suo dinamismo fisico, brani tratti da Primi principi metafisici della scienza della natura (1786), si può vedere bibl. 56, pagg. 109 - 121. (103) Ibidem, pagg. 236-241. A proposito di 'Spazio e Tempo' in Kant vorrei consigliare le interessanti osservazioni che Popper fa in bibl. 14, I, pagg. 309-311. In questo passo, tra l'altro, Popper corregge la visione comunemente accreditata di Kant quale padre dell'idealismo tedesco. Lo stesso Kant, del resto, cercò più volte di correggere un' immagine di sé accreditata dal suo linguaggio 'fuorviante' e dal suo 'stile difficile'. In definitiva "Kant sostenne sempre che gli oggetti fisici, collocati nello spazio e nel tempo, sono reali". Egli "aveva negato soltanto che lo spazio ed il tempo fossero di natura empirica e reale". (104) A questo proposito Elkanà osserva (Bibl. 51, II, pag. 31) che senza i lavori dei Benouilli, di Euler, di Maclaurin, di D'Alembert, di Lagrange, di Laplace e dell'intera scuola dei fisici matematici francesi, "lo sviluppo della fisica del XIX e XX secolo sarebbe stato impossibile." (105) La dichiarazione d'indipendenza delle colonie americane è del 1776. Come conseguenza di ciò inizia una lunga guerra con la Gran Bretagna che porterà (1783) al riconoscimento di questa indipendenza. La costituzione è del 1767, mentre la nascita ufficiale degli Stati Uniti d'America è del 1789. La Rivoluzione Francese ha inizio nel 1780 con la convocazione degli Stati Generali e termina nel 1794 con la caduta di Robespierre. Tra il 1794 ed il 1799 si ha da una parte l'esplosione di fermenti controrivoluzionari e dall'altra l'ascesa dell'astro-Napoleone che, appunto nel 1799, col colpo di stato del 18 Brumaio, prenderà il potere (che manterrà, con alterne vicende, fino al l8l5 Waterloo e Congresso di Vienna). (106) Nel 1700, a Berlino, Federico I, su consiglio di Leibniz, crea la Société des Sciences; nel 1701, in America, viene fondata l'università di Yale; nel 1702 quella di Breslavia (Polonia); la Società Reale delle Scienze nasce nel 1710 ad Uppsala (Svezia); mentre nel 1713 viene fondata l'Accademia Reale Spagnola. Nel 1716 nascono scuole tecniche in Francia e nel 1717 a Praga. Nel 1725 viene istituita l'Accademia delle Scienze di Pietroburgo; nel 1727 si costituisce il «Junto», prima vera accademia delle scienze americana, dai cui sviluppi nascerà l'American Philosophical Society. Nel 1737 viene aperta l'Università di Gottinga. Nel 1741 apre l'Accademia Reale svedese e nel 1742 quella danese. Nel 1745 riapre la vecchia Accademia dei Lincei (Roma). Nel 1740 è fondato il Collegio di Filadelfia, nel 1746 il Collegio di New Jersey (che diventerà l'Università di Princeton) e nel 1754 il King's College (che diventerà la Columbia University). Nel 1755 nasce l'Università di Mosca. Nel 1757 l'Accademia Reale delle Scienze di Torino inizia la sua attività. L'Accademia Reale del Belgio è del 1772, la Società delle Scienze di Praga è del 1774, l'Accademia delle Scienze di Lisbona è del 1779. A partire dal 1776 la Royal Society di Londra istituisce un premio (la Copley Medal) per le migliori ricerche sperimentali. Tra il 1780 ed il 1789 vedono la luce: l'Accademia delle Arti e delle Scienze di Boston, la Società Italiana della Scienza a Roma, la Reale Accademia Irlandese a Dublino, la Royal Society di Edimburgo, l'Accademia Svedese a Stoccolma e varie altre istituzioni scientifiche e culturali. Data fondamentale è quella della nascita dell'École Polytechnique a Parigi (1794), dalla quale usciranno i massimi futuri rappresentanti della scienza file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (114 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE francese (questa scuola era nata, sotto la guida di Monge, per preparare scientificamente, durante la Rivoluzione, coloro che volevano intraprendere la carriera militare o per formare ingegneri. Ancora nel 1794 nasce l'École Normale Superieure (per la formazione degli insegnanti) e quindi, nel 1795, l'Institut National des Sciences et des Arts (che prende il posto della soppressa Academie des Sciences). Per concludere è utile ricordare almeno le date di nascita delle più importanti accademie che si costituirono nel secolo precedente: Lincei a Roma nel 1603 (poi chiusa nel 1630); Cimento a Firenze nel 1657 (poi chiusa nel 1667); Royal Society a Londra nel 1662; Académie Royale des Sciences a Parigi nel 1666. (l06bis) L'ordine dei gesuiti fu ristabilito nel l8l4 da Papa Pio VII. Si noti che tutti i provvedimenti citati contro i gesuiti non erano certamente presi con propositi progressisti, ma, se possibile, ancora più conservatori. (107) Bibl. 26, pag. 77. (108) Ibidem, pagg.78-79. Per chi volesse approfondire i termini della continua negazione che le scoperte scientifiche del '700 rappresentavano della fisica biblica si consiglia l'intero brano di Bibl. citata. (109) A questo proposito si veda bibl. 7, vol. 4, pagg. 337-341. (110) Bibl. 16, II, pag. 309. L'analogia formale tra la legge di gravitazione universale (F = G. mM/ r² ) tra due masse a distanza r , quella di Coulomb (F = K.qQ/r²) tra due cariche a distanza r e quella di Michell (F = K. pP/r²) tra due poli magnetici a distanza r, è evidente. C'è solo da osservare che le forze, nel caso gravitazionale, sono solo attrattive, mentre, sia nel caso elettrico che magnetico, sono attrattive e repulsive. (111) Ricordo che dire «istantaneamente» significa che un' azione si propaga da un punto all'altro dello spazio in un tempo zero, cioè con velocità infinita. In proposito si veda l'altro mio lavoro sulla Relatività (classica); Bibl. 3, pag. 127. (112) Bibl. 48, pag. 243. Si osservi che Laplace conduceva una grossa polemica contro il «finalismo» al quale, appunto, contrapponeva il determinismo. (113) Boscovich era un dalmata che studiò e redasse il corpo principale dei suoi lavori in Italia. Egli fu eminente ricercatore sia in meccanica che in astronomia; sia in geodesia che in ottica; sia in matematica che in problemi tecnici, Tra i suoi grandi meriti c'è quello di essere stato uno tra i primi grandi divulgatori dell'opera di Newton nel continente. (114) Nell'opera De viribus vivis (1745). (115) Per una discussione dettagliata di questo aspetto, si veda bibl.6, pagg. 183-191 ed anche bibl.13, pagg.59-60. (116) Detto con linguaggio moderno e supponendo l'urto unidimensionale, all'istante in cui i due corpuscoli si urtano, il vettore velocità dovrebbe assumere, in quell'istante, due valori (se non altro due versi opposti). (117) Da Theoria philosophiae naturalis ... (1758), su bibl. 6, pag. 185. (118) Concordo con questa formulazione (inerzia ma non massa) che ritrovo su Jammer (bibl. 6) e non su quella data da Forti (semplicemente massa - bibl. 7) . Questo anche se in passato (bibl. 13) ho aderito alla posizione sostenuta da Forti. (119) Si riveda in proposito quanto è stato detto su Leibniz ed in particolare la nota 18. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (115 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (120) Per la verità Boscovich sostiene che " l'universo non consiste di vuoto disseminato tra la materia, ma di materia disseminata nel vuoto e fluttuante in esso"; ma, portando alle naturali conseguenze la sua concezione atomica si vede bene qual fine faccia la materia. (La citazione proviene da bibl. 33, III, pag. 572). (121) Si osservi che Boscovich criticherà anche i concetti di spazio e tempo assoluti oltre al principio d'inerzia, in base al fatto che questi non sono sperimentalmente osservabili. Per leggere comunque brani originali dello stesso Boscovich, tratti da Theoria ... (citata), sulla sua teoria dei centri di forza, si veda bibl. 56, pagg. 122-131. (122) Si osservi che tra i primi critici di Newton vi era stato il fisico olandese W. J. s'Gravesande (1688-1742). Egli criticò (1736) in particolare le 'regolae philosophandi' di Newton sostenendo che esse non sono né logiche, né possono valere a priori, né possono essere giustificate induttivamente essendo esse stesse il fondamento di ogni induzione. Esse sono valide solo in base al postulato che vuole Dio reggitore del mondo (si veda in proposito bibl. 17, III, pagg. 265-268). (123) Anche l' «osservatore», per Kant, comincia a diventare importante nella indagine fisica. Come dice Popper, riportando il pensiero di Kant: " Dobbiamo abbandonare l'opinione secondo cui siamo degli osservatori passivi, sui quali la natura imprime la propria regolarità. E' bene invece adottare l'opinione secondo cui, nell'assimilare i dati sensibili, imprimiamo attivamente ad essi l'ordine e le leggi del nostro intelletto. Il cosmo reca l'impronta della nostra mente ... Lo sperimentatore non deve attendere che alla natura piaccia rivelargli i propri segreti, ma deve interrogarla. Egli deve fare ciò ripetutamente alla luce dei propri dubbi, congetture, teorie, idee ed ispirazioni." In questo modo la scienza risulta una creazione umana come l'arte e la letteratura. (bibl. 14, I, pagg. 312-313). (124) Si osservi che, ispirate dalla grande atmosfera culturale illuministica, si erano realizzate due grandi rivoluzioni che avevano affermato gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Nel contempo però i sovrani 'illuminati' di Russia, Prussia ed Austria, con la prima spartizione della Polonia (1772), mostrano come la politica di potenza possa più dei lumi della ragione e come le aspirazioni progressiste non possano coesistere con l'assolutismo monarchico. Sul finire del secolo, poi, è proprio un "figlio della Rivoluzione", Napoleone, ad interpretare fino in fondo gli ideali borghesi con le sue armate dilaganti per tutta l'Europa. E certamente l'Illuminismo, propagandato non dai Voltaire, dai Diderot, dai D'Alembert, ma dalle armate napoleoniche, apre la strada ai nazionalismi dei popoli che, per difendersi dall'invasore, ricercano una unità (anche se fittizia) nei loro regnanti. (125) Sull' Illuminismo tedesco (Wolff, Lessing) si veda bibl. 17, III, pagg. 489-517. (126) Bibl. 14, I, pag.306. (127) Si osservi che Kant "visse abbastanza a lungo per respingere gli insistenti approcci di Fichte, che si era proclamato suo successore ed erede." (Ibidem, pag. 305). (128) Nascono in questo periodo: la matematica pura, la geometria pura, l'analisi pura, la fisicamatematica come disciplina separata dalla matematica, la chimica separata dalla fisica, l'elettrologia come scienza a sé, la termodinamica. (129) Baracca e Livi in Bibl. 24, pag. 15. (130) I lavori di Comte saranno pubblicati in sei volumi tra il 1830 ed il 1842. Si osservi che Comte proveniva dall'École. (131) 1 fatti vanno spiegati con i fatti e dal rapporto continuo e costante con i fenomeni nasce la legge fisica. Bisogna rifiutare ogni postulato metafisico e quindi le cosiddette «ipotesi ad hoc». Naturalmente si nega l'esistenza degli atomi che non sono un fatto ma una mera ipotesi. Si noti che file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (116 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Comte inizia una critica alla pretesa di voler ridurre tutte le scienze alla matematica; secondo il nostro è necessario che ciascuna scienza si sviluppi autonomamente e quindi, solo dopo che ciascuna sarà stata sviluppata a fondo, si tratterà di mettere insieme i risultati in un grande lavoro di sintesi. (132) Vedi Bibl. 17, Vol. 4, pagg. 12-13. Visto l'atteggiamento assunto da molti scienziati, capeggiati da Bohr, agli inizi del nostro secolo ed in particolare le vicende della Scuola di Copenaghen, in relazione alla nascita ed all'affermazione della meccanica quantistica, sarebbe più corretto, oggi, definire l'atteggiamento dello scienziato che si disinteressa ai problemi filosofici come 'neopositivista'. Per approfondire in parte questi problemi si può vedere bibl. 57, pagg. 189-233. Sull'argomento vi sono poi degli interessantissimi lavori di F. Selleri (Università di Bari) ma sono di difficile reperimento. (133) Allo scopo si può vedere bibl. 53, pagg. 65-89 (contributo di Petruccioli e Tarsitani) e Bibl. 58. Ho fatto cenno a ciò proprio perché Einstein sarà scienziato di grande impegno morale e civile. (134) Da questo punto in poi per chi volesse seguire con maggiori dettagli e con una impostazione da me completamente condivisa, le complesse vicende dei rapporti tra scienza, tecnica, industria e vicende politiche può senz'altro rivolgersi all'interessantissimo saggio di Baracca, Russo e Ruffo di Bibl. 54. Un'analisi più concisa, sugli stessi argomenti e con lo stesso taglio, si può trovare nel saggio di Baracca e Livi di Bibl. 24. Un'impostazione diversa dei problemi in discussione, in cui però si ricostruisce la sola storia interna, con un taglio che io non condivido, ma che credo vada conosciuto, si può ritrovare nel lavoro di Bellone riportato in Bibl. 59. Per capire poi meglio il senso della diversità delle impostazioni si può , ad esempio, vedere a confronto i tre articoli seguenti: E. Bellone - La scienza ed i suoi nemici - Sapere n° 802 (luglio '77) E. Donini, T. Tonietti - Conoscenza e pratica - Sapere n° 808 (febbraio '78). A. Baracca. R. Livi, S. Ruffo ed altri - Nemici per la pelle - Sapere n° 808 (febbraio '78) Si osservi che rispetto al suo contributo (1972) a Bibl. 53 (La Rivoluzione scientifica dell' '800), Bellone sembra aver cambiato opinione. (135) Si pensi ai risultati - dei quali discuteremo più avanti - raggiunti da S. Carnot nello studio delle macchine termiche, da Ampère nella fondazione dell'elettrodinamica e da Fresnel nell'affermazione della moderna teoria ondulatoria della luce. (136) A partire dal 1846 fu Kelvin che dette il contributo decisivo alla modernizzazione dell'insegnamento scientifico con l'introduzione della parte sperimentale nel lavoro di formazione di uno scienziato. (137) Un'altra innovazione fondamentale fu l'introduzione dell'illuminazione a gas nelle grandi fabbriche; essa 'permise' di prolungare il lavoro fino a notte inoltrata. (138) Solo verso la fine del secolo l'uso del vapore sulle navi permise il raggiungimento di tonnellaggi paragonabili con quelli delle navi a vela. La prima ferrovia è britannica (1825). Nel 1830 si costruì l'importantissima Liverpool - Manchester. (139) Tra Romanticismo, Idealismo e Razionalismo. In ogni caso, qui in nota, vale la pena dare un brevissimo cenno della concezione romantica della conoscenza della natura. " L'ideale romantico [postula] una completa fusione ed unità della ragione umana con il mondo anche al di là delle delle possibilità, e dei dati offerti da quell'analisi e da quell'indagine empirica e razionale care invece al precedente illuminismo, posto sotto accusa dai romantici proprio perché file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (117 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE ritenuto troppo innamorato delle distinzioni, della chiarezza, e di classificazioni precise che compromettevano la possibilità di quella intima e dinamica fusione. Esso svolse anche, comunque, nonostante la sua componente irrazionalistica, una funzione di stimolo e rinnovamento scientifico, come nell'opera di Oërsted." (Baracca e Rossi in Bibl. 56, pag. 197). Un altro aspetto che emerge in alcuni filosofi romantici è che la mante umana ha dei limiti, oltre i quali non può andare, nella conoscenza della natura. Schopenauer, che è tra questi, sostiene che tutti coloro i quali non si rendono conto di questi limiti diventano facilmente dei materialisti con una propensione particolare a deridere la religione. Solo la filosofia può permettere di superare i limiti che necessariamente sorgono nell'ambito delle scienze naturali. Il lavoro in cui Schopenauer sostiene queste cose è riportato in Bibl. 61. (140) È interessante notare che questo ritorno alla metafisica da parte di Hegel, che si accompagna ad uno spirito accanitamente antiscientifico fornirà la base, in Italia, all'Idealismo di Croce e Gentile che tanti danni ha prodotto, tra l'altro alla struttura della nostra scuola (si veda allo scopo Bibl. 39). Occorre comunque osservare che questi danni, a 80 anni di distanza, non solo non sono stati riparati, ma addirittura si vanno rapidamente aggravando. All'idealismo hegeliano occorre poi risalire per trovare la teorizzazione di tutti gli Stati totalitari: "il benessere e la felicità individuale sono fatti empirici, irrilevanti, che non hanno alcuna importanza se posti al confronto con l'autorità dello Stato. La vera e profonda libertà si realizza esattamente nel suo opposto: in una salutare costrizione capace di realizzare il superiore Spirito etico, la vera volontà sostanziale che manifesta l'idea dello Spirito". E nell'ammirazione dello stato prussiano (" fra esercito, censura, polizia, galere ed un clero ... intrinsecamente amorale") Hegel esalterà la guerra che " ha l'alto significato che attraverso di essa si preserva la salute morale dei popoli creando in loro l'indifferenza per lo stabilizzarsi di forme determinate" . Per ulteriori, illuminanti dettagli si veda Forti in bibl. 7, Vol. 5, pagg. 13-16 (da cui provengono le citazioni qui riportate). (141) Basti qui ricordare che nel 1834 si riuscì a realizzare una Unione Doganale che liberalizzò il mercato interno. (142) Klemm in Bibl. 22, pag. 271. (143) Nell'opera: Storia naturale generale e teoria del cielo, o ricerca intorno alla costituzione e all'origine meccanica dell'intero sistema del mondo condotta secondo i principi di Newton, 1755. (144) La stessa ipotesi verrà ripresa e sviluppata da Laplace nel 1796 nell'opera: Exposition du système du monde, anche se sembra che Laplace non fosse a conoscenza del lavoro di Kant. (145) Quando ancora la lettura di Hume non aveva scosso in Kant la fiducia nella validità delle scienze fisico-matematiche. A partire dal 1769 Kant si dedicò allo studio delle facoltà conoscitive dell'uomo iniziando la parte più importante dei suoi lavori speculativi ed arrivando a rimettere in discussione alcuni concetti ormai consolidati nella tradizione fisica. (146) Nell'opera: Primi principi metafici della scienza della natura. (147) La critica della ragion pura, che è del 1781. (148) Anche la «forza vitale» chiamata da Blumenback « vita propria» si origina secondo Kant come modificazione delle forze attrattive e repulsive. (149) Verso la fine de1 secolo a Kant si richiamerà Schelling con il suo dinamismo fisico. (150) Nelle opere: Idee per una filosofia della natura, 1977; Sull'anima del mondo, 1798; Primo abbozzo per un sistema di filosofia della natura, 1799. (151) Brewster (1781 -1863); Malus (1775-1812); Ampère (1775-1836); Biot (1774-1862); Mossotti (1791 -1863); Arago (1786 -1853). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (118 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (152) Galvani (1737-1798); Volta (1745-1827). (153) Nell'opera: Esperimenta, circa effectum conflictus electrici in acum magneticam, Copenaghen, Luglio 1820. (154) Le note furono lette nei giorni: 18 e 25 settembre; 9, 16 e 30 ottobre; 6 novembre. Il sunto di queste note fu pubblicato negli "Annales de Chimie et de Physique" (2), t. XV, p. 59/76 e 170/218 nell'anno 1820 sotto il titolo "De l'action excercée sur un courant électrique par un autre courant, le globe terrestre ou un aimant". C'è da notare che tutte le memorie di Ampère dal 1820 al 1825 furono raccolte in volume nel 1827 sotto il titolo: "Memoire sur la théorie matematique des phénomènes électrodynamiques uniquement deduit de l'expérience." (155) Le memorie furono lette il 30 ottobre ed il 18 dicembre e non furono mai pubblicate (a parte un brevissimo sunto negli Annales de Chimie et de Physique (2) t. XV, p. 222 ed il resoconto di una dissertazione tenuta in una seduta pubblica dell'Académie pubblicato sul Journal des Savants del 1821 alla pag. 221). Una esposizione dettagliata dei lavori di Biot e Savart fu da loro eseguita nella terza edizione del Précis élémentaire de Physique, t.II, p. 704 e segg; 1823 (una esposizione più breve si trova sulla seconda edizione della stessa opera, t. II, p. 117 e segg; 1821). (156) Vedi Précis élémentaire de Physique, già citata, p. 737 e segg. (157) Il fenomeno fu scoperto appunto da Ampère nel settembre 1820. (158) Vedi: Annales de Chimie et de Physique (2), t. XV, p. 71; 1820; (confronta anche con la nota 155). (159) Pila cortocircuitata. (160) Dal ragionamento portato avanti da Ampère è implicito che si tratta di elettricità in movimento. È interessante a questo punto fare un'osservazione. Nella seduta dell'Académie des Sciences del 25 settembre 1820, insieme alla seconda comunicazione di Ampère sulle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, Arago fece una comunicazione (vedi: Annales de Chimie et Phisyque (2), t. XV, p. 93-102. 1820) relativa ad alcune esperienze da lui fatte che dimostravano la proprietà della corrente voltaica di magnetizzare barre di ferro e di acciaio. Fra le altre cose egli sostenne (vedi articolo citato pag. 93-94): ...«Avendo adattato un filo cilindrico di rame abbastanza sottile, ad uno dei poli della pila voltaica, ho osservato che all'istante in cui questo filo era in comunicazione con il polo opposto esso attirava la limatura di ferro dolce come avrebbe fatto un vero magnete. Il filo, immerso nella limatura, se ne ricopriva egualmente tutto intorno, e acquistava, a causa di questa aggiunta, un diametro quasi uguale a quello di un calamo di penna ordinaria. L'azione del filo, congiungente i poli, sul ferro si esercita a distanza: è facile vedere in effetti che la limatura si solleva molto prima che il filo sia in contatto con essa ...» Ecco allora che da questa esperienza Arago ricaverà conferma della validità dell'azione a distanza. Dallo stesso tipo di esperienza ben altre informazioni (spettro magnetico: limatura di ferro in cerchi concentrici al filo) e conclusioni ricaverà Faraday negli anni successivi: informazioni e conclusioni che lo porteranno a negare l'esistenza di « forze centrali » (azione a distanza) e ad affermare quella di forze circolari » (azione a contatto). Dalla medesima esperienza ognuno ha trovato ciò che cercava. (160a) Vedi: Annales de Chimie et de Physique (2), t. XV, pag. 178; 1820 (160b) Riferendosi alla figura seguente, file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (119 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE si ottiene: dove i1 ed i2 sono le intensità di corrente, ds1 e ds2 gli elementi infinitesimi dei circuiti 1 e 2, r è il raggio vettore da ds1 a ds2. (160c) In una memoria letta all'Académie des Sciences l'8 ed il 15 gennaio 1821 ed inedita. Un resoconto di quanto Ampère aveva letto all'Académie, in questa seduta ed in altre precedenti, fu pubblicato in un articolo inserito negli Annales des Mines, t. V, p. 535-558 e riprodotto nella Recueil d'Observations électrodynamiques, p. 69-70. (160d) Su suggerimento di Fresnel, come lo stesso Ampère sostiene, su un frammento di Memoria (Théorie du Magnétisme) mai terminata e pubblicata a causa del cattivo stato della sua salute. (160e) Vedi: Annales des Mines, t. V, p. 557-558. (160f) Le due lettere inedite sono state ritrovate tra le carte di Ampère appartenenti all'Académie des Sciences. La prima lettera non reca alcuna data, mentre la seconda reca la data del 5 giugno 1821. Per il contenuto delle lettere vedi: Collection de Mémoires relatifs a la Physique, pubblicate dalla Società Francese di Fisica - TOMO II - Parigi 1885. (160g) Memoria sui moti elettromagnetici e la teoria del magnetismo - Quaterly Journal of Science, etc t. XII, Londra, 1822. p. 76 ( la nota porta la data dell'11 settembre 1821). (160h) In base a considerazioni su esperienze che dimostravano alcune differenze tra un magnete ed un solenoide percorso da corrente (nel magnete i poli non sono esattamente alle estremità come nel solenoide; il polo di un magnete attira il polo opposto di un ago magnetico in tutte le posizioni e direzioni mentre per un solenoide ed un ago vi sono delle deviazioni essendovi repulsione per una particolare posizione relativa di solenoide ed ago nella quale il polo dell'ago sarebbe invece attratto da un magnete; i poli dello stesso tipo di un magnete, pur respingendosi a distanza, si attirano quando sono a contatto fatto questo che non si verifica per i solenoidi in cui c'è sempre repulsione tra poli dello stesso tipo). (160i) Réponse a la lettre de M. Von Beck, sur une nouvelle expérience électromagnetique, Journal de Physique, t. XCIII, p. 447 - Ottobre 1821. (160l) Vedi: The Selected Correspondence of Michael Faraday a cura di Pearcy Williams - 1971 - file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (120 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Cambridge University Press - Volume 1: 1812-1848, pag. 130. (160m) Di carattere matematico e relative alla spiegazione teorica che Ampère dava dell'esperimento della rotazione del magnete in sostegno alla sua teoria della molecola elettrodinamica. (160n) Sembra che Dalton abbia per la prima volta esposto la sua teoria in alcune conferenze tenute alla Royal Institution nel 1803-1804. Tuttavia la teoria trovò posto in un'opera in due volumi (pubblicati in epoche successive, 1808 e 1827): Dalton - New System of Chemical Philosophy. (160o) Vedi: Berzelius - Ricerche sulla teoria delle proposizioni chimiche e sulle azioni chimiche dell'elettricità - pubbicate nel 1818 in svedese e tradotte in francese nel 1819. Vedi anche: Berzelius, Trattato di Chimica - la cui prima edizione è del 1808-1818 mentre la quinta ed ultima (molto ampliata) è del 1843-48. (160p) Dalton diede una base scientifica alla teoria atomistica affermando che atomi di diversi elementi dovevano avere pesi diversi e che i composti dovevano essere originati da una combinazione ben determinata degli atomi componenti. Berzelius estese le idee di Dalton introducendo le polarità (positive e negative) degli atomi per spiegare le forze chimiche (con Berzelius si comincia a parlare di teoria della valenza: i composti sono originati dall'unione di atomi di opposte polarità). (160q) A. Avogadro: Mémoires sur les masses relatives des molécules des corps simples, etc (seguito della memoria pubblicata sul Journal de Physique nel 1811), Joumal de Physique, de Chimie et d'Histoire naturelle - t. LXXVIII, p. 131, 1814. (160r) A.M. Ampère: Lettre de M. Ampère a M. le comte Berthollet, sur la determination des proportions dans lesquelles les corps se combinent d'après le nombre et la disposition respective des molécules dont leurs particules intégrantes sont compossées, Annales de Chimie - t. XC, pagg. 43-86, 30 Aprile 1814. (160s) I lavori di Young tra il 1801 ed il 1803 consistono di quattro memorie lette alla Royal Society e raccolte e pubblicate successivamente nell'opera dal titolo: A course of lectures on natural philosophy and the mechanical arts, Londra, 1897. (160t) Nell'opera: Traité de la lumière. Tra le altre cose c'è da osservare che in questa opera Huyghens introdusse l'etere nella fisica come mezzo di sostegno delle onde luminose. Huyghens (1629-1695). (160u) Vedi: A. Fresnel: Oeuvres Complètes, Ed. Verdet, Paris, 1866. (161) Si osservi che gli stessi ragionamenti sono applicabili anche all'elettricità ed al magnetismo. (162) L'ipotesi, elaborata nel 1845, è di G. T. Fechner. (163) Bibl. 65, pag. 1633. (164) La formula di Weber si scrive: F = q1q2 /r2 . [1 - (1/2c 2)(dr/dt) 2 + (1/c2 ).r.(d2 r/dt2 )]. Poiché (dr/dt)2 rappresenta la velocità, elevata al quadrato, delle cariche, mentre d2 r/dt2 la loro accelerazione, si vede subito che, per cariche ferme, si ha la legge di Coulomb (a meno di un fattore moltiplicativo che dipende dalla scelta delle unità di misura). Per cariche non accelerate, quando cioè d2 r/dt2 = 0, se nella formula risulta c = dr/dt, si vede subito che F = 0, cioè che la forza si annulla. Ciò vuol dire che la forza elettrostatica fa equilibrio alla forza elettrodinamica. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (121 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE Si osservi che una formula analoga era stata trovata da C.F. Gauss (1777- 1855), maestro ed amico di Weber (tra l'altro Weber utilizza proprio il sistema di unità di misura detto di Gauss nel quale la legge di Coulomb - vedi più su - risulta essere F = q1 q2 /r2 ). Egli, come confida in una lettera allo stesso Weber (1845), non la pubblicò poiché non era riuscito a trovare, nella legge di forza tra cariche, "un meccanismo pe il quale la forza stessa non si esercitasse istantaneamente tra di esse, ma si propagasse con velocità finita al medesimo modo della luce". (Moneti in Bibl. 63, parte II, pag. 145). Gauss riteneva ciò di fondamentale importanza ed annetteva a questa eventuale scoperta la possibilità di essere chiarificatrice per l'intera elettrodinamica. (165) Per maggiori dettagli sull' opera di Weber e sui suoi collegamenti con quella di Ampère, si veda Bibl. 60, pagg. 10-13 e Bibl. 65, pagg. 1633-1635. Si noti intanto che, come vedremo meglio più avanti, il parametro c che compare nella formula di Weber discende dall'adozione di un particolare sistema di unità di misura, quello appunto di Gauss (o Gauss-Weber o Gauss-Hertz). In questo sistema si misurano tutte le grandezze elettriche in unità elettrostatiche (u.e.s.) e tutte le grandezze magnetiche in unità elettomagnetiche (u.e.m.), fermo restando il fatto che le tre unità fondamentali sono il centimetro, il grammo-massa ed il secondo. (166) Fu Kirchhoff che per primo la notò nel 1857. Per la verità c risultava radice di 2 volte la velocità della luce. (l67) In un suo scritto Weber commenta ciò dicendo: "questo fatto non è tale da accendere grandi aspettative". Vale appena la pena osservare che, come vedremo, da questo stesso fatto, Maxwell trasse ben altre conseguenze. È anche interessante notare che questo è uno di quei casi in cui da uno stesso fatto, in connessione con termini teorici differenti, si possono ricavare conseguenze diverse. (168) Si veda .la prima parte della nota 164, quando si discute l'eventualità che c assuma il valore dr/dt. (169) Bibl. 60, pagg. 11-12. La sottolineatura è mia. (170) È interessante notare che in una risposta di Weber (1871) ad una obiezione di Helmholtz egli sostiene che l'obiezione non ha senso perché, se essa fosse vera, si dovrebbero avere particelle dotate di velocità superiori a quella della luce (la velocità della luce sembra già affacciarsi come velocità limite). Helmholtz fece anche un'altra obiezione (alla quale Weber non rispose), per rispondere alla quale, però, bisognava ammettere la propagazione con velocità finita delle onde elettromagnetiche (Bibl. 63, parte II, pag. 149). (171) All'epoca si facevano i primi esperimenti e le prime messe in opera dei telegrafi aerei e sottomarini, i quali ultimi richiedevano la posa di cavi molto complessi da calcolare. Il telegrafo era stato inventato da Ampère e realizzato da Morse nel 1839. (172) Fisico danese (1829-1891) che non va confuso con Hendrich Anton Lorentz (1853-1928) del quale ci occuperemo nel paragrafo 5 del capitolo 17°. (l73) Si osservi che, oltre a quanto già visto a proposito di connessioni tra fenomeni di vario tipo, verso la metà del secolo, il fisico italiano Macedonio Melloni (1798-1854) colse l'identità della luce con i fenomeni di radiazione calorifica. Per maggiori dettagli si veda Bibl. 66. Mi piace soffermarmi un istante su Melloni per ricordarlo, oltre che come grande fisico, il "Newton del calore" come venne definito, (del quale purtroppo si studia poco), come uomo di grandi ideali che partecipò attivamente e sempre dalla parte giusta al Risorgimento italiano (si veda Bibl. citata). (l74) L'uso dei modelli era stato un punto di forza della fisica meccanicista a partire da Galileo. (175) Bibl. 63, parte II, pag. 177. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (122 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (176) I potenziali ritardati, secondo la definizione di M.B.Hesse (Bibl. 9, pag. 253) sono "potenziali scalari e vettoriali propagantisi in un vuoto con velocità c, in modo che il loro arrivo ad. una distanza r dalla loro sorgente abbia luogo ad un tempo r/c dopo la loro emissione." Per i dettagli analitici si può vedere bibl. 63, pagg. 178-179. (177) Ibidem. Si noti che negli sviluppi della teoria di Lorenz non occorre alcun etere. (178) Bibl. 60, pag. 13. La sottolineatura è mia. (178 bis) Per approfondire questa parte si veda bibl.112, Vol. 1, pagg. 234-235. (179) Anche se con una diffusione non troppo grande nell'ambito del mondo scientifico. Va notato che il Romanticismo in Gran Bretagna ebbe caratteristiche eminentemente speculative ed assunse caratteri di polemica contro il dogmatismo e le formule esteriori della Chiesa ufficiale. Il poeta-filosofo Carlyle (1795-1881) svilupperà inoltre, verso la metà del secolo, una dura polemica contro le scienze esatte. (179 bis) Bibl. 64, pag. 68. Si osservi che altre frasi di questo paragrafo, quelle tra virgolette e senza referenza bibliografica, sono state riprese dal testo citato la cui traccia ho qui seguito fino ai lavori di Faraday del 1838. (180) Abbiamo accennato nel primo paragrafo di questo capitolo che in Gran Bretagna non vi era istruzione pubblica. Faraday, figlio di un umile fabbro, non aveva certo i mezzi per accedere agli studi. Iniziò a lavorare giovanissimo come rilegatore di libri e qui ebbe modo di imparare della fisica su testi divulgativi. Nell'ambiente dei fisici superpreparati nell'analisi, Faraday entrerà senza conoscere la matematica (e ne uscirà, con la sua morte, allo stesso modo). Nella sua enorme produzione scritta egli non userà mai formule di matematica. Per giudicare gli articoli scritti da altri e nei quali comparivano incredibili formule (ad es.: Ampère, Mossotti, ...) si rivolgeva ai suoi amici matematici Babbage e Whewell. Per maggiori dettagli sulla vita e l'opera di Faraday si può vedere bibl. 64, 67, 68 ed anche 38. Ed anche http://www.fisicamente.net/FISICA/index-72.htm. Osservo a parte che Davy inventò nel 1810 la lampada ad arco (l'arco voltaico); enunciò la legge che pone in relazione la resistenza dei conduttori con la temperatura (la resistenza è inversamente proporzionale alla temperatura - 1821); brevettò nel 1815 la lampada di sicurezza per minatori (costituita da un cilindro di rete metallica racchiudente una fiamma che aveva la caratteristica di spegnersi in presenza di quel micidiale grisou che tante vittime mieteva, appunto, tra i minatori. (181) Più in generale è utile, a questo punto, soffermarsi su alcuni termini fin qui utilizzati e non compiutamente spiegati: atomi, atomi o molecole di Boscovich, molecole, punti atomi, punti inestesi, particelle,… Quando ho usato (od userò) tali termini l'ho fatto perché in quel momento quello è il termine che utilizza Faraday. Egli non ha ancora le idee molto chiare sulla costituzione della materia (solo più avanti in due memorie, che discuterò, del 1844 e del 1846, avanzerà una sua teoria). È comunque in difficoltà: deve comunicare con un linguaggio vecchio dei concetti nuovi (è un poco lo stesso problema che aveva avuto Volta con 'conduttori di prima e seconda classe', con 'catene aperte' o 'catene chiuse'). Si può comunque ed in linea di massima dire che egli aderisce alle concezioni di Boscovich che prevedono una materia costituiti da atomi intesi come punti matematici circondati da atmosfere di forza (bibl. 38). Si osservi comunque che le concezioni di Faraday, quando si saranno precisate, differiscono almeno in un punto estremamente importante da quelle di Boscovich. Mentre quest'ultimo mantiene la distinzione newtoniana tra materia e forza, per Faraday esistono solo forze (bibl. 67, pagg. 73/80). (182) Lo 'stato elettro-tonico' viene introdotto da Faraday, con le solite cautele, nel 1831, al par. 60 di bibl. 54 bis. Al par, 71 egli afferma " questo peculiare stato è come se fosse uno stato di tensione, e può essere considerato come equivalente ad una corrente elettrica, almeno uguale a quella prodotta quando si crea o si annulla una induzione". Dice D'Agostino (bibl. 60, pag. 18) "è come se vi fosse una membrana elastica in tensione nelle vicinanze di un corpo elettrizzato e specialmente di un magnete. Alle variazioni della tensione dello stato elettrotonico Faraday collegava lo scatenarsi di correnti indotte che si hanno nelle vicinanze di un magnete in movimento". Questo stato somiglia un poco a ciò che più oltre Maxwell chiamerà 'corrente di spostamento'. Nel 1846, in analogia ai file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (123 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE fenomeni dell'elasticità, W. Thomson introdusse un vettore A ('spostamento elastico') legato all'induzione magnetica B dalla relazione rot A = B (questo vettore A non è altro che il potenziale vettore già introdotto da Neumann, Weber e Kirchhoff). Fu Maxwell (1855) che chiamò A intensità elettrotonica ed interpretò la relazione di Thomson nel senso che "l'intera intensità elettrotonica che circonda ogni superficie misura il numero delle linee magnetiche di forza che passano attraverso quella superficie" e, poiché la forza elettromotrice indotta è data dalla derivata parziale, rispetto al tempo, cambiata di segno del vettore A, Maxwell afferma che la f.e.m. "di ciascun elemento di conduttore è misurata dall'istantanea percentuale di variazione dell'intensità elettrotonica su quell'elemento" (citazioni da bibl. 112, pag. 244). Oltre a quella accennata Thomson sviluppò altre analogie: tra la teoria del potenziale di Laplace e Poisson e quella del flusso di calore nel caso stazionario; tra forze elettriche propagantesi da particella a particella contigua e calore; tra fenomeni magnetici e stati di sforzo di un corpo elastico sottoposto a deformazione (usando la matematica di Stokes e Green). (183) Faraday era cosciente che l'unico modo per affermare sperimentalmente la teoria di campo sarebbe stato il mostrare che la propagazione delle linee di forza nello spazio avviene in un tempo finito (la curvatura delle linee di forza non era un argomento in sé probante). I suoi Diari, a partire dal paragrafo 1342, sono una drammatica testimonianza del suo progettare e non riuscire a realizzare esperimenti in proposito. Queste pagine dei Diari sono anche prova del metodo e della enorme abilità del nostro nell'inventare esperienze a sostegno di una determinata teoria. (184) Weber (1804 - 1890) aveva trovato una formula che rendeva conto delle azioni che si esercitavano tra cariche in moto (costituenti cioè delle correnti). In questa formula compariva un parametro c che rappresentava il rapporto tra l'unità elettrostatica e l'unità elettrodinamica di carica. In accurate misure per determinare il valore di c, Weber e Kohlraush trovarono per esso il valore di 3,11.1010 cm/sec, coincidente con quello che, negli stessi anni, era stato trovato da Fizeau e da Foucault per la velocità della luce in esperienze di natura completamente diversa (ottica). Questa coincidenza fu notata da Weber ma egli, nel contesto in cui si muoveva, non dette molta importanza alla cosa. (269) Per ampliare quanto diremo e per uno studio più approfondito dei problemi si può vedere l'importante lavoro di V. Ronchi (bibl. 86). Per studiare da un punto di vista analitico completo i vari fenomeni discussi ci si può rifare a bibl. 88. (270) Si veda la nota (°) al cap. 1° e bibl. 3, pagg. 99-102. Alcune delle cose che aggiungerò qui, a proposito di Descartes, Newton ed Huygens, ed in particolare quanto riportato tra virgolette senza indicazione bibliografica, sono ispirate o tratte da bibl. 15, cap, 4. (271) Le teorie ottiche di Descartes sono esposte nella Diottrica del 1637. (272) Anche qui, come per le altre vicende riguardanti Newton (e non solo), bisogna distinguere tra Newton ed i newtoniani. Molto spesso si tende a confondere la posizione di Newton con quella che i suoi pretesi sostenitori volevano accreditare. Si capisce certamente la maggiore facilità che ha un preteso storico ad andare avanti per etichette: io non intendo sottoscrivere questo modo di procedere che, per amore di aneddotica, racconta cose non vere o quantomeno discutibili (si veda, ad esempio, E. Persico che in bibl. 88, a pagina 79, fa apparire Descartes come padre putativo della teoria corpuscolare). Questo modo di procedere è tipico di coloro che intendono il progresso scientifico procedente per accumulazione successiva di conoscenze e, naturalmente, con una sua precisa linearità di sviluppo. (273) Bibl. 87, pag. 493. (274) Questo fenomeno, noto già da tempo, era stato scoperto ed ampiamente studiato da padre Grimaldi (l6l8-l663) e proprio a costui Newton fa riferimento nell' Ottica. Si osservi che la parola diffrazione fu introdotta dallo stesso padre Grimaldi, mentre Newton non la usò mai preferendo in sua vece il termine inflessione. (274 bis) Bibl. 90, pag. 195. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (124 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (275) Bibl.87, Quest.28, pagg.525-529. Si osservi che Newton respinge qui la teoria ondulatoria affermando che se essa fosse ammessa un raggio di luce che attraversasse un ostacolo, ad esempio un forellino, dovrebbe sparpagliarsi al di là di esso. Non ammette quindi la teoria che gli avrebbe permesso di spiegare le inflessioni della diffrazione senza ricorrere all'interazione luce-materia. (276) "E, dice Newton, non si è mai vista la luce seguire vie tortuose o penetrare nell'ombra." (276 bis) Ibidem, Quest. 29, pag. 529. (277) Si osservi che già Hooke, a partire dal 1672, era diventato un sostenitore di una concezione ondulatoria della luce (pare che per far ciò si sia ispirato ad alcuni passi di padre Grimaldi nei quali quest'ultimo parlava di " vibrazione della direzione dei raggi "). (278) E' importante dare qui alcuni riferimenti. Il primo che dimostrò che il suono non si propaga nel vuoto fu un discepolo ed amico di Galileo, Gianfrancesco Sagredo (l571-1620). Egli si serviva di una specie di campanello che era situato all'interno di una campana di vetro dalla quale l'aria veniva quasi completamente tirata via per mezzo di un forte riscaldamento. Si osservi che le prime macchine pneumatiche sono del 1650 (Otto von Guericke). Torricelli fece invece notare che un raggio di luce passa attraverso il vuoto. Altro fatto che merita di essere annotato è la scoperta della doppia rifrazione, fatta nel 1669, dal medico danese E. Bartholin (1625-1698) mediante un cristallo detto «spato di Islanda». Da ultimo osserviamo che un allievo di Bartholin, Olaf Roëmer (16641710), nel 1676 riuscì a misurare, per la prima volta, la velocità della luce (calcolando i tempi di immersione ed emersione di uno dei satelliti di Giove, Io, nella zona d'ombra del pianeta. Tutto questo per dire che sia Huygens che Newton lavoravano su questioni sulle quali già si avevano dati sperimentali da sottoporre a trattamento teorico e che interessavano diffusamente gli scienziati dell'epoca. E' da notare infine che un accostamento,come quello fatto da Huygens, della luce con il suono, se da una parte rende ragione di un mezzo che deve sostenere la luce, così cose l'aria sostiene il suono, dall'altra differenzia completamente i due fenomeni. Insomma, visti i lavori di Sagredo, la luce ed il suono si possono supporre della stessa natura solo se si ammette un etere con particolari proprietà. (279) Bibl. 87, pagg. 560-561. (280) Ibidem, pag. 562. (281) La propagazione rettilinea la si può ancora ricavare dalla figura 15 quando si osserva che il raggio luminoso proveniente da A segue una delle traiettorie rettilinee che si irradiano da A (come quella ABC, segnata) e che risultano perpendicolari al fronte d'onda sferico (ed anche Hooke si era mosso su questa strada). Si osservi che proprio sulla propagazione rettilinea Huygens attaccava i corpuscolaristi, anche se non era soddisfatto neppure della sua teoria; secondo il suo modo di vedere la luce, costituita da corpuscoli, che colpisse un oggetto si sparpaglierebbe dappertutto. Si noti poi che, stranamente, Huygens non si sofferma a spiegare la diffrazione: la spiegazione di questo fenomeno poteva diventare di valido sostegno alla sua teoria. (282) Oggi sappiamo che quando uno dei due raggi (o tutti e due), prodotto dalla doppia rifrazione, viene fatto passare attraverso un altro cristallo di spato d'Islanda, per particolari orientazioni del cristallo, questo raggio non si sdoppia ulteriormente perché è polarizzato. Questa spiegazione non può prescindere dall'ammissione di luce propagantesi per onde trasversali e quindi dalla teoria di Maxwell (un'onda longitudinale non può infatti essere polarizzata ! (282 bis) Ibidem, pag. 561. (283) Born in bibl.91, pagg.117-118. Le sottolineature sono mie. (284) Ora, come nel seguito, non mi soffermerò a spiegare fenomeni che compaiono in tutti i testi di fisica per i licei. (285) Mi piace notare che Young, come Faraday e, come vedremo, Einstein era un outsider. Sarà violentemente attaccato da tutti i fisici ufficiali e ci vorranno degli anni prima che la sua scoperta file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (125 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE venga presa in considerazione. La sua posizione di antinewtoniano era una sorta di reazione allo stato di abbandono (del quale abbiamo già detto) in cui, all'epoca, si trovava la scienza britannica. Egli riteneva che non ci si dovesse cullare con Newton, ma avere fantasia ed imboccare strade nuove. Si noti che anche Young non conosceva la matematica ai livelli richiesti dalla fisica ufficiale (286) Oggi diremmo: monocromatica. (287) Bibl. 89, pag. 374. Altri brani originali di Young, che illustrano tra l'altro la sua adesione al dinamismo fisico, si possono trovare in bibl. 56, pagg. 184-195. (287 bis) Citato in bibl. 19, Vol. 3, pag. 164. (288) Young fu il primo a tentare questa impresa trovando valori dell'ordine del milionesimo di metro. Questi valori così piccoli per le lunghezze d'onda dei vari colori - rispetto, naturalmente, alle dimensioni degli oggetti macroscopici - lo convinsero del fatto che la luce dovesse propagarsi in linea retta originando ombre nette. Altro fatto notevole, osservato da Young, fu che la velocità della luce emessa da una sorgente intensa è la stessa di quella emessa da una sorgente debole e questo fatto risultava più facilmente spiegabile con la teoria ondulatoria. (288 bis) Si ricordi che Euler, nonostante fosse sostenitore delle idee di Newton in vari campi, in ottica fu sostenitore della teoria ondulatoria (sono le vibrazioni dell'etere che trasmettono la luce). Per leggere un brano originale di Euler sull'argomento, si veda. bibl. 12, pagg, 63-64. (289) Arago si convertirà ben presto alla teoria ondulatoria, anche se ad un certo punto non avrà il coraggio di condividerne tutte le conseguenze. Allo stesso modo Laplace, pur non aderendo mai alla teoria ondulatoria, mostrerà grande ammirazione per i lavori di Fresnel. Si noti infine che il britannico David Brewster (l78l-l868) fu un convinto corpuscolarista. (209 bis) S1 ed S2 sono due immagini virtuali e simmetriche di S. Lo strumento descritto è un particolare tipo di interferometro: più avanti ne incontreremo altri tipi. (290) A questo punto però Arago si dissocerà da Fresnel perché, per sua stessa ammissione, non ebbe il coraggio di sostenere l'idea di onde trasversali. (291) Poisson nel 1828 dimostrò che se l'etere fosse stato un quasi-solido, a lato delle vibrazioni trasversali se ne sarebbero originate altre longitudinali e, alla lunga, queste ultime avrebbero sottratto tanta energia da non rendere più visibile la sorgente. (292) Per approfondire questi aspetti si può vedere bibl.15, fasc.VII (a) e bibl. 91, pagg. 139-150. (293) Per leggere un brano originale di Stokes sulla natura della luce, si può vedere bibl. 56, pagg. 243-253. (294) Agli sviluppi della teoria dell'elasticità, ed in particolare alla teoria elastica dell'ottica, contribuirono, oltre al citato Stokes, eminenti personalità del livello di Poisson, Cauchy (17891857), Green, Mac Cullagh (1809-1847), fino al già più volte incontrato W. Thomson. (295) La crucialità di questa eventuale esperienza era stata sostenuta da Arago nel 1838. Si tenga conto che, come vedremo più avanti, anche Arago nel l8l0 aveva tentato un'esperienza che dirimesse la polemica tra teoria corpuscolare ed ondulatoria. (296) Nel 1607 ci aveva provato Galileo utilizzando un paio di lanterne e la distanza esistente tra due colline vicine. Naturalmente non riuscì. (297) Tra le località parigine di Montmatre e Suresne (8.633 metri). (298) Mentre Fizeau si servì della rotazione di una ruota dentata, Foucault si servì di uno specchio ruotante (mosso da vapore!). Come già accennato nelle pagine precedenti, lo stesso metodo di file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (126 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE specchio ruotante era stato per la prima volta utilizzato da Wheatstone nel 1834 per la determinazione della durata di una scintilla elettrica. Fu quest'ultimo che suggerì che lo stesso metodo poteva usarsi per la misura di c e fu Arago che ne trasse spunto ma, data l'età avanzata, lasciò il compito ad altri. Si noti che Foucault ripeté l'esperienza nel 1862 per dare il valore assoluto di c e trovando un valore molto vicino a quelli oggi accettati (298.000 km/sec). Gli anni che vanno dal 1850 al 1862 furono per Foucault densi di altri lavori: in particolare, nel 1851 ideò il famoso pendolo (che porta il suo nome) con il quale dimostrò la rotazione della Terra sul proprio asse (dai tempi di Copernico, la prima prova terrestre di ciò). Altro merito importante che va ascritto a Foucault è la scoperta delle correnti parassite. NOTE RELATIVE AL PARAGRAFO 7 (TERMODINAMICA) (1) Chi volesse seguire una ricostruzione molto stimolante delle vicende dell'energia, proprio a partire da Aristotele, può vedere bibl. [1]. Un libro molto utile per gli svariati brani antologici è quello di bibl. [4], anche se non ne condivido l'impostazione introduttiva. Un lavoro molto stimolante e anche didatticamente molto utile è quello di bibl. [2]. Un altro lavoro che certamente merita di essere letto è quello di bibl. [3]. (2) Per una ricostruzione molto agile di questi primi lavori si può vedere bibl. [5]. Il testo di bibl. [6] è un classico che tratta anche di queste questioni (da un punto di vista molto stimolante ma altrettanto discutibile). (3) Su questi aspetti si vedano gli importanti scritti di bibl. [7 e 8]. (4) Stevin si era occupato dell'equilibrio di una catena sospesa su di un prisma a sezione triangolare, mentre Huygens, nello studio del pendolo composto, scoprì che il principio della massima risalita non era dell'intera massa ma del suo baricentro. J. Bernouilli aveva invece sviluppato il 'principio dei lavori virtuali' (1717). (5) Si veda bibl. [1], pag. 51. Tra l'altro l'Accademia aggiungeva che sulla strada di queste ricerche più d'uno s'era economicamente rovinato. (6) Per approfondire il senso di quest'ultima affermazione si veda bibl. [5], pagg. 30/39. (7) Per approfondire questi aspetti si veda bibl.[7 e8]. (8) Detto in linguaggio moderno ciò vuol dire: come mai alcune trasformazioni energetiche forniscono energia utilizzabile (bruciare un combustibile per ottenere vapore) mentre altre, non solo non ne forniscono, ma ne assorbono (utilizzare del vapore per far muovere una macchina o un telaio)? (9) Altra enorme difficoltà consisteva nel capire la distinzione tra i concetti di temperatura e calore. Il primo che probabilmente li distinse, dando nel contempo la prima definizione di 'caloria', fu uno tra gli ingegneri inglesi che lavoravano sulle macchine a vapore, J. Black (1728-1799). Un chiarimento definitivo si ebbe solo con R. Mayer. (10) Bibl. [9], pag.,.520. (11) Bibl. [3], pag. 192. Riguardo alle radiazioni oscure citate da Young, c'è da osservare che i primi a considerarne l'esistenza furono Mariotte (1620-1684) e Lambert (1728-1777). Solo nel 1800 Herschel (1738-1822) riuscì a provarne l'esistenza esplorando con un termometro lo spettro solare anche al di là del rosso: l'aumento di temperatura registrato provava l'esistenza di radiazioni oscure e invisibili (radiazioni infrarosse). Si osservi che allo stesso Young si deve il primo uso moderno della parola energia (troppe cose, secondo lui, si chiamavano con lo stesso nome: era necessario fare chiarezza). file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (127 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (12) Per vedere un disegno del dispositivo indicatore P,V di Watt si veda bibl. [10], pag. 613. (13) Fourier si occupò anche di altri fenomeni di propagazione e, in particolare, della propagazione di una corrente in un conduttore; pare accertato che Ohm, per ricavare la sua legge, prendesse le mosse proprio dai lavori di Fourier. (14) Ad esempio da Dalton e Gay-Lussac per i gas; da Hope (1766-1844) per l'acqua; da Lavoisier (1734-1794), Laplace (1749-1827), Dulong e Petit per i solidi e il mercurio. (15) Questa come le altre citazioni di Fourier che seguono sono tratte da bibl. [14], pagg. 169-176 (si tratta del "Discorso preliminare" alla Teoria). (16) Come Fourier dice esplicitamente più oltre, l'importanza della scienza del calore è per il "progresso dell'industria e delle scienze naturali" (Ibidem, Introduzione, pag. 177). (17) Bibl. [12], pag. 159, (18) Lazare Carnot ebbe un ruolo di primo piano nella Rivoluzione Francese: fu uno di coloro che votò per ghigliottinare Luigi XVI. Fu generale di Napoleone e ministro durante i "cento giorni". Alla caduta di Napoleone, con la Restaurazione, fu esiliato in Sassonia dove morì. (19) Bibl. [21], pagg. 393-395. Dallo stesso testo sono stati ripresi gli altri brani di Carnot citati nel seguito. (20) Questa condizione era già stata, individuata da Watt. (21) Questo "errore" non permise a Carnot di ricavare la conservazione dell'energia e cioè il primo principio della termodinamica. Egli se ne avvide nel 1830 quando si convertì alla teoria dinamica del calore, ma la memoria in cui riportava ciò fu ritrovata tra le sue carte. solo nel 1876, quando tutto era già stato fatto. Osservo a margine che l'espressione "lavoro", definita da Smeaton nel 1759 fu introdotta nella fisica da Poncelet (1788-1867) nel 1826. (22) Quindi il 2° principio fu ricavato con un anticipo di circa 20 anni rispetto al 1° principio. (23) Anche lo studio della "reversibilità" era stato affrontato dagli ingegneri a proposito delle macchine idrauliche (ad esempio da Poncelet). Si osservi che affermare quanto riportato nel testo equivale a dire che "solo se riponiamo la sostanza su cui lavora la macchina alle condizioni iniziali possiamo essere sicuri che tutto il calorico che è passato nella macchina è stato utilizzato per produrre lavoro" (Bibl. 8, pag. 229). (24) Devo ricordare che anche una macchina ideale di Carnot ha sempre un rendimento inferiore a uno. (25) Dal fatto che tutte le macchine termiche hanno lo stesso rendimento quando funzionano tra le stesse temperature, Carnot ricavò l'impossibilità del moto perpetuo di 2ª specie. Si noti che servono sempre due sorgenti di calore a temperature diverse: questo fatto implica l'impossibilità di utilizzare una sola sorgente per produrre lavoro. Se quest'ultimo fatto fosse stato possibile, come Kelvin (1824-1907) fece osservare, abbassando di un solo centesimo di grado la temperatura del mare, da esso si sarebbe potuta estrarre tutta l'energia occorrente per molti secoli all'intera umanità. (26) Nello scritto "Memoria sulla potenza motrice dei calore" del 1834. (27) Bibl. [4], pag. 129. (28) Costituito da due sole isoterme distanziate di un grado centigrado file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (128 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (29) Anche nell'ambito della biologia le cose non erano tranquille: fare un'affermazione del genere significava scontrarsi con altre correnti di pensiero che erano dominanti. Per cogliere alcuni interessanti aspetti della polemica e alcuni elementi di pensiero della scuola dei fisiologisti tedeschi, si può leggere un interessante scritto di un rappresentante di questa scuola, Du Boys-Reymond riportato in bibl. [11]. Si può anche leggere la stimolante discussione che fa Elkanà in bibl. [1], pagg. 132-151. (30) Bibl. [4], pagg, 134-135. (31) Ibidem. (32) II ragionamento che segue l'ho fatto parafrasando quello di bibl. [15], 3, pag. 252. (33) Ricordo che vale l'identità: 1 kgm = 9,81 joule. Si osservi che il ragionamento di Joule non è rigoroso perché presuppone nulla la variazione di energia interna. (34) Bibl. [4], pagg. 135-136. Si osservi che l'articolo di Mayer, come del resto quello di Mohr, fu rifiutato dalla rivista di Poggendorf (gli Annalen) con la motivazione di mancanza di una ricerca sperimentale. Esso fu pubblicato, con scarsa risonanza, sugli Annali di Chimica e di Farmacia per interessamento di uno dei pochissimi che lo apprezzò, Liebig. (35) Si tratta del celebre chimico britannico fondatore della teoria atomistica (1803). Joule per soli tre anni prese lezioni private elementari da Dalton e quest' ultimo, a quasi 70 anni, era costretto a fare quel lavoro nonostante i grandi meriti scientifici. Joule quindi non ebbe nessuna istruzione regolare: anch'egli fa parte dell' imponente schiera degli "outsider". (36) Si osservi che Joule usava la parola "forza" in luogo di "energia", e questo fatto era comune all'epoca. Con i lavori di Rankine (1820-1872), intorno al 1860 si codificò l'uso della parola "energia". Riguardo poi all'influsso delle conczioni religiose su Joule, che tra l'altro era un convinto conservatore in politica, egli più volte fa trasparire l'idea che "i grandi agenti della natura non possono andare distrutti se non dall'intervento diretto di Colui che li aveva creati" (bibl. [2], pag. 131). (37) Nel lavoro del 1840 Joule misurò anche il calore che si sviluppa in un processo elettrolitico. Si deve notare che questo lavoro (come quello di Mayer) non fu accettalo dalla rivista Proceedings of the Royal Society perché i revisori non credettero che una legge di tale importanza potesse essere stata ricavata con esperienze descritte in sole 5 pagine (tra i revisori vi era anche Wheatstone, quello del "ponte"). Una riedizione del lavoro in forma più estesa fu accettata dal Philosophical Magazine nel 1841. (38) Il lavoro occorrente per innalzare di 1°C la massa di un chilogrammo di acqua (e cioè per produrre una chilocaloria). (39) Questo valore fu riportato da Joule in una memoria del 1850; in quella del 1843 dava un valore di 460 kgm/kcal. (40) Joule fece anche importanti esperienze sulla produzione di calore mediante compressione adiabatica. (41) Qui Joule si riferisce alle attrazioni che avvengono tra le molecole per formare i composti e in particolare alle reazioni esoenergetiche. (42) Abbiamo già accennato all'iter di un lavoro di Joule, ma anche gli altri ebbero sorte poco felice. I primi lavori furono inizialmente rifiutati da svariate riviste. Gli ultimi furono pubblicati dopo molte insistenze. Questa stessa conferenza popolare riuscì a farla tra molte difficoltà: gli organizzatori avevano assegnato a Joule un tempo brevissimo e non era stato previsto il dibattito. Ma un giovane partecipante alla riunione si interessò molto a quanto Joule diceva ed alla fine aprì lui il dibattito. Parlò molto con Joule e rimase in contatto con lui fino alla morte di quest'ultimo. Si trattava del giovane Kelvin che nel suo intervento, individuò un contrasto tra le cose dette da Joule file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (129 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE e quelle elaborate dagli ingegneri francesi. Secondo Joule era possibile la trasformazione di lavoro in calore e viceversa, secondo gli ingegneri francesi non c'era viceversa. Stimolato da ciò, Kelvin iniziò a lavorare in questo campo conseguendo risultati di enorme importanza. (43) Anche questa memoria non venne accettata da Poggendorf per la pubblicazione. Essa vide la luce sotto forma di opuscolo con l'aiuto e l'incitamento dati a Helmholtz dal suo discepolo Du BoysReymond e dal matematico Jacobi. Si osservi che anche Helmholtz usa la parola forza (kraft) come sinonimo di energia. (44) Bibl. [1], pag. 167. Per leggere l'intera memoria e per conoscere meglio Helmholtz si può vedere bibl. [17]. (45) Ibidem, pag. 170. (46) Non c'è priorità tra Mayer, Joule e Helmholtz: la conservazione dell'energia è un esempio di scoperta simultanea. Sembra certo che né Joule, né Helmholtz conoscessero i lavori di Mayer, almeno fino al 1847. È comunque da notare che Helmholtz, dopo essere venuto a conoscenza del lavoro di Mayer riconobbe subito la priorità temporale di Mayer (il quale ultimo, nel frattempo era finito in manicomio a seguito dell'enorme incomprensione dalla quale era circondato). (47) Nel 1887, sette anni prima di morire, Helmholtz, influenzato soprattutto dagli sviluppi della termodinamica, manifestò in un suo lavoro la sua insoddisfazione per il carattere di incompletezza che presentava la meccanica classica. (48) Bibl. [16], pag. 116. (49) Bibl. [22], Vol 2°, pag. 517. Si osservi che nel 1855 Kelvin "propose un'altra scala assoluta sulla quale gli incrementi dì temperatura uguali erano misurati come gli intervalli entro i quali una macchina termica perfetta produceva la stessa quantità di lavoro, e mostrò che tale scala presentava una stretta corrispondenza con la scala del termometro a gas" (ibidem, pagg. 517 - 518). Questa è la scala assoluta da noi oggi usata. Si osservi anche che nel lavoro del 1848 Kelvin ancora credeva impossibile la trasformazione di calore in lavoro (a quell' epoca e fino al 1851 egli era ancora sostenitore della teoria del calorico). (50) Il disaccordo in oggetto è discusso da Kelvin in una sua nota alle pagg. 136 - 137 di bibl. [16]. (51) Bibl. [16], nota di pag. 136. Il problema oggi è risolto così: quando non si hanno trasformazioni termodinamiche (caso di conduzione di calore lungo una sbarra) il calore si conserva; solo quando si ha a che fare con trasformazioni, alla 'scomparsa' di lavoro corrisponde la 'comparsa' di calore e viceversa (con tutte le limitazioni imposte dal 2º principio). (52) La nota in cui Kelvin tratta di questo contrasto conclude così: "In realtà ci si deve provare nella ricerca della verifica dell'assioma di Carnot e di una spiegazione della difficoltà che abbiamo preso in considerazione, oppure nella ricerca di una base completamente nuova per la Teoria del Calore" (ibidem. pag. 137). Si noti quanto il problema fosse ritenuto cruciale. (53) Bibl. [2], pag. 151. Tutte le citazioni di Clausius che seguiranno, senza riferimento bibliografico, sono tratte da bibl. [21]. (54) Bibl. [4], pagg. 162-163. (55) Bibl. [21], pag. 405. (56) La prima parte dell'ipotesi di Carnot era che "alla produzione di lavoro corrisponde un semplice passaggio di calore da un corpo caldo a un corpo freddo"; e questa prima parte veniva completata da Carnot con la seguente seconda parte (che Clausius respinge): "finché la quantità di calore non venga meno in tale passaggio". (57) Bibl. [21], pag. 407. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (130 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (58) II che vuol dire che per far funzionare una macchina frigorifera occorre fornire del lavoro dall'esterno. (59) Tra cui: "La teoria dinamica del calore..." (1851) e "Una tendenza universale della natura verso la dissipazione dell'energia meccanica" (1852). (60) Bibl. [16], pag. 191. (61) Ibidem, pagg. 192-193. Si osservi che oggi questo enunciato di Kelvin si usa recitarlo cosi: è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire una data quantità di calore da un'unica sorgente e trasformarla completamente in energia meccanica. Lo stesso Kelvin osserva in una nota che se ciò fosse possibile avremmo a disposizione un'energia infinita raffreddando di un poco, ad esempio, il mare o la Terra. (62) Ibidem, pagg. 331-333. (63) A proposito del clima politico della Germania occorre ricordare che esso è un Paese (fino al 1870) diviso in una miriade di piccoli Stati. La Prussia, il più industrializzato tra questi Stati, farà da polo d' aggregazione. Della complicata storia della nascita dello Stato tedesco, elemento importante fu la fondazione dell'Università di Berlino (1810). Questa Università, insieme all'attività dei filosofi della natura fu alla base della rinascita culturale della Germania e della successiva acquisizione da parte di questo Paese del primato scientifico su tutto il mondo. L' eredità speculativa di Leibniz insieme a quanto di empirico e sperimentale introdussero i filosofi della natura (tra cui Oken) fu uno stimolo alla creazione di scuole politecniche a imitazione di quelle francesi. Ma qui, contrariamente a quanto accadeva in Gran Bretagna, non erano i privati a gestire l'educazione e quindi l'industrializzazione, ma lo Stato. In questa dialettica tra Stato, imprenditori privati, popolo, sviluppo industriale ed istruzione, via via si realizzò una maggiore partecipazione della borghesia industriale alle scelte politiche del Paese e, conseguentemente, si conquistarono importanti riforme costituzionali. Si diffonde nel Paese un generale riconoscimento dell'utilità del progresso tecnico che, si ammette, non può più essere affidato ad artigiani, che lavorano su basi esclusivamente empiriche, ma ha bisogno di essere sottoposto a trattamento teorico per ricavare da esso il massimo possibile in un contesto più ampio ed organico. Ritornando a Kelvin, osserva Maffioli, che le considerazioni del fisico britannico sulla dissipazione dell'energia rispecchiano sia il dinamismo sia le segrete ansie ed inquietudini dell'epoca vittoriana e la stessa ideologia ottimistica dell'industrialismo e del progresso. L'uso poi del termine dissipazione è significativo: si "attribuisce una connotazione morale negativa ad un processo naturale!" (bibl. [2]). (64) Che è l'inverso dell'equivalente meccanico della caloria. (65) Oggi la chiamiamo energia interna. (66) Si era osservato che "mentre la quantità di calore decresce durante il ciclo di operazioni della macchina termica di Carnot, una quantità restava costante durante l'intero ciclo. La quantità di calore prodotta era più piccola di quella assorbita dalla macchina, ma la quantità di calore assorbita, divisa per la temperatura della fonte di calore, aveva quantitativamente lo stesso valore della quantità di calore prodotta, divisa per la temperatura della caldaia". (bibl. [22], Vol. 2°, pag. 518). Nelle macchine reali invece il quoziente ora visto cresce sempre. (67) Bibl. [4]. pag. 230. (68) Ibidem, pagg. 230-231. (69) Nel caso di passaggio di calore da un corpo caldo a uno freddo T1 è la temperatura del corpo caldo e T2 quella del corpo freddo, quindi T1 > T2. E se T1 > T2 segue che 1/T2 > 1/T1 da cui 1/T2 1/T1 > 0. (70) Nella memoria del 1865 Clausius modificò la convenzione sui segni scrivendo che l'integrale di file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (131 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE dQ/T doveva essere minore o uguale a zero. (71) Ibidem, pag. 243 (72) Ibidem, pagg. 244-245. (73) C'è solo una differenza di 'gusto' nelle definizioni. Si veda la nota 63. (74) Secondo questo modo di vedere si tende a uno stato in cui l'enorme quantità di energia dell'universo rimane sempre la stessa, ma essa diventa una energia ad un solo valore determinato di temperatura (anche elevatissimo, ma unico) e quindi non più utilizzabile per produrre lavoro meccanico (morte calda dell'universo). Si osservi che le stesse considerazioni erano state sviluppate da Helmholtz in una conferenza del 1854. (75) Ibidem, pag. 235. (76) Ibidem, pag. 234. (77) Bibl. [19], pag. 234 (78) Ostwald (1853-1932) in un suo lavoro del 1927 scrive: "in tutte le equazioni della meccanica il tempo t compare solo al quadrato e perciò esse restano corrette sia che il tempo sia introdotto come positivo che come negativo, .... Perciò qualunque processo descritto da queste equazioni può procedere tanto in una direzione quanto in quella inversa". (Bibl. [13], pag. 188). (79) Bibl. [20], pag. 40. (80) In bibl. [4], pagg. 163-164, è riportato il conto fatto da Joule. (81) Si osservi che il lavoro di Clausius del 1865, che abbiamo visto qualche pagina indietro e nel quale si accennava a un'interpretazione microscopica dell'entropia, era certamente influenzato da questo suo precedente lavoro. (82) Leggi: Energia cinetica. (83) Questa legge la conosciamo comunemente come 2ª legge di Volta e Gay-Lussac. (84) Il ragionamento fatto da Clausius può essere riassunto a partire dall'equazione dei gas perfetti, nel modo seguente. Indicando con P la pressione, con V il volume, con T la temperatura assoluta, con E l'energia cinetica delle molecole, con K, K1, K2 tre costanti, il primo capoverso di Clausius si può scrivere: P = K1 · (E/V) mentre il secondo capoverso, a partire dalla legge dei gas perfetti, diventa: P = K2 . (T/V). Confrontando le due relazioni scritte si vede subito che: T=K·E e cioè che la temperatura assoluta è proporzionale all'energia cinetica delle molecole. (85) È il concetto di calore specifico a volume costante (Cv), cioè la variazione dell'energia interna del gas che è ora la somma delle energie cinetiche delle molecole. Si osservi che si va facendo strada il concetto di calore come energia cinetica delle molecole che via via andrà a formalizzarsi. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (132 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (86) Bibl. [20], pagg. 134-135. Il punto 1 può anche essere letto così: le molecole non sono soggette ad altre forze che quelle che si scambiano durante gli urti. Il punto 2 invece si può leggere: gli urti sono completamente elastici. (87) II procedimento originale lo si può ritrovare in bibl. [4], pagg. 171-177. (88) Bibl. [4], pag. 176. (Dalla 'Introduzione all'articolo di Clausius del quale ora parleremo). (89) Ibidem, pagg. 188-189. (90) Ibidem, pag. 121. (91) Ibidem. pag. 225. (92) Ibidem, pag. 227. (93) La legge di Dulong e Petit, enunciata nel 1819, afferma che i prodotti dei calori specifici per i pesi atomici sono uguali per tutti gli elementi chimici, il che vuol dire che i calori specifici dovrebbero diminuire all'aumentare del peso atomico, ma alcune sostanze non rispettano questa legge. (94) L'equazione di stato per i gas perfetti (Clapeyron. 1834) fu corretta per i gas reali dal fisico olandese J.D. Van der Waals (1837-1923) nel 1873 sulla base delle ipotesi cinetico-molecolari (i gas reali hanno un volume proprio e le molecole di questi gas esercitano delle forze le une sulle altre). (95) II fisico austriaco J. Loschmidt nel 1865 calcolò in 9.10-8 cm il diametro di una molecola d'aria (valore oggi accettato 2,5.10-8 cm); per il numero di molecole in un centimetro cubo di gas in condizioni normali egli trovò 10.1019 (valore oggi accettalo 2.7.1019), per il numero di molecole in una grammomoiecoìa (numero di Avogadro) egli trovò il valore, in buon accordo con quello oggi accettato, di 6,06.1023. (96) Si ricordi che il primo a liquefare un gas (il cloro) agendo contemporaneamente su pressione e volume, fu Faraday nel 1823. Altri gas furono successivamente liquefatti, ma alcuni resistevano anche alle basse temperature allora raggiungibili ( - 110 ºC) e alle pressioni che via via venivano aumentate. Fu l'introduzione del concetto di temperatura critica (temperatura al di sopra della quale il gas non può essere liquefatto comunque si aumenti la pressione) ad opera di Andrews (1813-1885) nel 1867 che permise di proseguire nell'impresa, che si concluse con la liquefazione dell'elio nel 1908, lavorando sulla sola temperatura. Anche la temperatura critica può essere considerata un fecondo sviluppo della teoria cinetica. (97) Il moto browniano fu scoperto nel 1827 dal botanico britannico R. Brown (1773-1858). Esso consiste nella (percettibile macroscopicamente) agitazione delle particelle in sospensione in un liquido. Esse si vedono al microscopio tremolare in continuazione ed in modo disordinato; il fenomeno si mantiene variando comunque le condizioni ambientali. Le prime spiegazioni di questo fenomeno, in base alla teoria cinetica, furono date dal matematico tedesco C. Wiener (1826-1896) nel 1863 e dal chimico britannico W. Ramsay (1852-1916) nel 1866. Secondo i due il moto browniano si origina attraverso i continui e numerosi urti che le molecole in moto del liquido comunicano alle particelle in sospensione. Quando queste ultime sono grandi il fenomeno non si osserva perché vi è una compensazione tra gli urti delle molecole che in gran numero colpiscono una grande particella; quando le particelle sono sufficientemente piccole non c'è più la compensazione e quindi compare il fenomeno. La spiegazione esauriente del moto browniano sarà data nel 1905 da A. Einstein (1879-1955). (98) Bibl. [13], pag. 29. (99) Ibidem, pagg. 43-44. Si noti quale ruolo importante assegna Boltzmann al calcolo delle probabilità e come via via vada scomparendo una visione deterministica del mondo. file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (133 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE (100) Com'è noto, le variabili macroscopiche che caratterizzano un gas sono la pressione P, il volume V e la temperatura T. (101) Ibidem, pag. 45. Si osservi che, in accordo con le convenzioni da me adottate a partire dal segno del 2° principio della termodinamica (nell'enunciazione di Clausius), nel brano di Boltzmann riportato ho mutato la parola originale 'diminuire' in 'aumentare'. (102) Ibidem. Vale l'osservazione fatta nella nota precedente. (103) Si osservi che, sulla base di obiezioni analoghe, molti fisici concludevano che la teoria cinetica doveva essere falsa. Si noti poi che il problema della reversibilità nella 'dinamica astratta' e nella 'dinamica fisica' viene posto da Kelvin nel 1874 in un articolo su 'Nature', "La teoria cinetica della dissipazione dell'energia". Si veda in proposito il brano riportato in bibl. [4], pagg. 261-263. (104) Ibidem, pag. 172. Si osservi che qualche obiezione può essere fatta al 'diavoletto'; infatti il suo agire altera le condizioni di probabilità. Si noti ancora che la posizione di Maxwell sull'affidabilità del calcolo delle probabilità è diversa da quella di Boltzmann, già accennata in nota 99. Si osservi infine che il 'diavoletto' trae senz'altro ispirazione dalla 'intelligenza' di cui parlava Laplace. (105) Per la prima volta nella storia della fisica si intravede una diversità di comportamento tra processi macroscopici e microscopici. Qualcuno ha osservato che, nel campo della storia civile, vi sono leggi che regolano i rapporti tra gli uomini, ma nessuno si sognerebbe di utilizzare tali leggi per regolare i rapporti familiari. (106) Ibidem, pag. 173. Si noti che una obiezione analoga a quella di Loschmidt fu avanzata successivamente dal matematico tedesco E. Zermelo (1871-1953), amico di Planck (1858-1947). (107) Gli stati di cui parla Boltzmann sono quelli precedentemente chiamati stati dinamici microscopici. Uno stato dinamico microscopico è non uniforme quando rappresenta uno stato termodinamico macroscopico lontano dall'equilibrio, è invece uniforme quando rappresenta uno stato termodinamico macroscopico all'equilibrio. (108) Ibidem, pagg. 175-176. (109) Bibl. [23], Vol. 5º, pag. 219. (110) Bibl. [13], pag. 177. (111) Ripresa da bibl. [18], Vol. 2º, pag. 53. Riporto lo scritto che, in tale testo, accompagna e spiega la tabella: Entropia e disordine molecolare Non abbiamo finora fatto alcun riferimento alla struttura molecolare dei corpi nello stabilire il secondo principio della termodinamica e nel dedurre le conseguenze. È tuttavia da aspettarsi che l'evoluzione di un sistema isolato verso lo stato di equilibrio, evoluzione che abbiamo visto essere determinata dalla differenza di entropia fra lo stato iniziale e quello finale, dipenda in modo essenziale dalla distribuzione delle molecole nei due stati. È appunto questa connessione che vogliamo brevemente discutere. Riprendiamo l'esempio di un gas che si espande senza lavoro esterno da un volume VA a un volume VA+VB, essendo VB il volume del recipiente B inizialmente vuoto che viene messo successivamente in comunicazione con il recipiente A. Per semplicità supponiamo VA=VB in modo che l'equilibrio si abbia quando il numero di particelle in A e B è uguale. Invece di studiare il caso reale prendiamo in esame il caso ipotetico in cui la quantità di gas che si espande sia così piccola da esser formata da pochissime molecole. Cominciamo con due sole molecole, a e b. Se lo stato iniziale è dato da ambedue le molecole in A, nello stato finale in cui il gas ha la stessa «densità» sia in A file:///C|/$A_WEB/RELATIVITA.htm (134 of 148)25/02/2009 12.37.49 FISICA/MENTE che in B si trovano una molecola in A e una in B. Ciò può accadere in due modi: a in A e b in B, oppure a in B e b in A. Dal punto di vista macroscopico questi due modi sono equivalenti: danno sempre il risultato di equilibrio. Perciò diciamo che lo stato di ugual densità in A e in B è due volte più probabile dello stato con tutte e due le molecole in A. È come se si avesse un dado da gioco con due facce di un colore (rosso) e quattro di un altro (nero): gettando il dado la probabilità di ottenere una faccia nera è doppia di quella di ottenerne una rossa perché il numero di modi di ottenere il nero è doppio del numero di modi di ottenere il rosso. È facile rendersi conto che la probabilità di uguale densità nei due recipienti A e B cresce enormemente al crescere del numero di particelle rispetto a quella di avere tutte le molecole in A. Se sono quattro a, b, c, d, il conto si fa ancora rapidamente. Lo stato di uguale densità si realizza nei sei modi indicati nella figura 21. La probabilità dello stato di ugual densità è dunque sei volte maggiore di quello con tutte e quattro le molecole in A. Nella tabella scritta sopra si riportano le probabilità dei due stati per qualche altro numero di molecole abbastanza piccolo. Poiché esiste un numerò enorme di modi di distribuire N particelle (dove N è il numero di Avogadro) in modo che metà si trovino in A e metà in B, ma un solo modo di trovarle tutte in A, diventa chiaro cosa vuol dire che una trasformazione è irreversibile: significa che essa procede da uno stato meno probabile a uno stato molto più probabile. (112) Si osservi che questa relazione è di estrema importanza perché , tra l'altro, permette di calcolare il valore assoluto dell'entropia di uno stato. L'espressione integrale introdotta da Clausius ci permetteva invece di ricavare solo differenze di entropia. Nella relazione in oggetto, P deve essere inteso come il numero degli stati dinamici microscopici che fornisce lo stesso stato termodinamico macroscopico; infatti maggiore è il numero degli stati dinamici microscopici che realizzano uno stesso stato termodinamico macroscopico, maggiore è la probabilità di quest'ultimo. Per sua definizione la probabilità termodinamica prende in considerazione solo i casi favorevoli, al contrario della probabilità matematica che considera i casi favorevoli rapportati a quelli possibili. 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