Quell`uguale belato era fraterno al mio dolore

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Quell`uguale belato era fraterno al mio dolore
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Motivazione: Saba, uomo, ha fatto scaturire in noi un senso di dolore proveniente dalla sua anima in
pena, che ci porta ad immedesimarsi in ciò che esprime attraverso le poesie. La scelta sulla tematica
del dolore nasce dall'esigenza di non poter scindere l'uomo dal poeta. Riteniamo che Saba è un
essere sofferente, desolato, affranto; la sua tristezza accomuna il regno umano con quello animale e
pertanto abbiamo voluto focalizzare questo percorso letterario sulla sofferenza lacerante della
natura umana.
Tesina
Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore
Umberto Saba ,autore straordinario dalla poetica semplice e chiara, riflette su un tema
caratterizzante della condizione terrena: la sofferenza. Lo fa partendo dal basso, nell’umiltà di stile
e contenuti. Soffermandoci ad analizzare la vita del poeta abbiamo scelto di trattare la tematica del
dolore attraverso una poesia: “La capra”, che esprime al meglio il concetto di cui vogliamo parlare.
Tratta dalla sezione “Casa e campagna” de “Il canzoniere”, racconta il dialogo intimo, sincero, del
nostro autore con l’animale. Inizia per scherzo, nella debole convinzione che la capra non è in grado
di soffrire. Poi il punto di svolta e tutto appare drammaticamente nitido: attraverso quel belato la
capra ha espresso il suo dolore, una sofferenza reale che Saba riconosce subito vicina a quella
provata da se stesso. Dunque anche chi non dovrebbe soffrire, in realtà è lacerato dal dolore. Il
componimento in endecasillabi e settenari è strutturato su tre strofe irregolari e si chiude con un
quinario; il lessico è colloquiale e quotidiano, mentre la struttura è discorsiva e paratattica,
scegliendo stilistiche arcaizzanti. Nel verso 1-3: “Ho parlato a una capra/ era solo sul prato, era
legata/ sazia di erba, bagnata dalla pioggia, belava [...]1”. Sceglie la capra “solitaria” e non un altro
animale poiché essa assurge al dolore universale e per quanto abbia soddisfatto i suoi bisogni
primari essendo sazia d’erba,l’animale si trova in uno strato di prigionia: il poeta crea un sinolo tra
tutte le creature che popolano la Terra poiché nella sua vita ha avuto un legame affettivo con diversi
animali, che rappresentano per lui un nucleo di verità della vita che si manifesta con immediatezza e
semplicità. In un quadro del mondo in cui l’innocenza della natura si oppone all’artificio della
cultura Saba ne avverte e ne registra l’ignara sofferenza nella distanza che li separa dalla crudeltà
degli uomini. Saba ha amato in modo del tutto particolare i pennuti: galline, civette, passeri, merli,
canarini – si sa che ebbe anche un’aquila, di cui scrisse anche una raccolta intitolata “Quasi un
racconto” (1947-1951).
Le poesie di Saba nascono dal dolore originario dell’infanzia dovuto dalla mancanza della figura
paterna, la traumatica separazione dalla balia e dall’educazione severa imposta dalla madre. Fu
abbandonato dal padre prima della sua nascita e il “rapporto” che aveva con lui fu paragonato da
Giacomo Benedetti come Telemaco alla ricerca di Ulisse; Saba lo conobbe solo a vent’anni.
1 Umberto Saba, La capra
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Inizialmente pensava che il padre fosse l’assassino che lo aveva abbandonato ma in realtà non
l’odiava, anzi quando lo incontrò capì di assomigliargli poiché aveva il dono dell’apertura verso il
mondo, gli occhi azzurri e la capacità di sorridere; “Mio padre è stato per me l’assassino, fino ai
vent’anni […] Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, un sorriso, in miseria, dolce e astuto […]2.
Nei suoi primi tre anni di vita fu affidato ad una balia, figura molto importante nella sua vita,
veniva chiamato da lei “piccolo Berto” e gli permetteva di fare giochi di guerra che la madre non gli
consentiva di fare. All’età di tre anni la madre lo volle con se. La madre era ebrea, viveva la vita
con il peso che fosse stata lei a far scappare il marito e trasmetteva il dolore che lei provava al
figlio; lei gli ripeteva sempre di essere diverso dal padre poiché doveva reprimere tutto che aveva di
paterno il lui; “[…] mia madre tutti sentiva della vita i pesi […] ‘Non somigliare, ammoniva, a tuo
padre’ […]3. Nel verso 4-9: “Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore […]4 questa voce
sentiva gemere in una capra solitaria” il belato è percepito dal poeta come voce fraterna, e quindi
come espressione di un dolore che non risparmia nessuno, paragonato a un lamento e da ciò prende
avvio il ragionamento del poeta. Egli risponde al verso, prima per scherzo (per celia), poi si rende
conto che il dolore è comune a tutti gli uomini (ha una voce e non varia) ed esiste da sempre ( è
eterno). Il dolore è dato dalla solitudine e dalla prigionia, celato attraverso il gemere della capra
solitaria. La poesia tende a scavare nel profondo e adotta l’adesione al mondo animale
esclusivamente concentrato in una dimensione dolorosa che regola la vita di ognuno e sente fraterna
quella voce che testimonia il male di vita. Il dolore è ormai una condizione ineliminabile e non può
essere placata certo dalle parole e dalle emozioni liriche. Nel poeta resta però la volontà di scoprire
la vena più nascosta dell’amore per gli altri, nel rintracciare nella realtà, la motivazione dell’agire e
le ragioni del cuore; prova sofferenza perché non riesce ad arrivare ad un discorso diverso tra gli
uomini, non basato sulle facoltà di potere, ma sull’umiltà, semplicità e pietà. Il dolore di Saba non è
presente solo in questa poesia, perché è una caratteristica tipica della sua poetica e quindi concerne
una vastità di testi. Un testo importante è il vetro rotto: 1-8 “Tutto si muove contro di te. […] E
nello schianto del vetro alla finestra è la condanna”.5 Tutto si muove contro il poeta, ogni cosa è
avversa, il maltempo, il temporale, è quella furia esterna che preme, che fa spegnere le luci. La
vecchia casa è il simbolo della vita stessa, che racchiude gioie e dolori; quel luogo solitamente
ospitale e simbolo di quiete, viene scosso, fatto tremare. Tutte le “cose” sono destinate a perire, ad
andare in contro al proprio inesorabile destino, per questo sopravvivere, sembra un rifiuto della
realtà e del destino cui si è predestinati. Il vetro della finestra, infranto richiama l’attenzione alla
condanna che incombe sul poeta, e su tutto il resto.
2 Umberto Saba, Mio padre è stato per me l’assassino
3 Umberto Saba, Mio padre è stato per me l’assassino
4 Umberto Saba, La capra
5 Umberto Saba, Vetro rotto
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Nella descrizione della capra, il poeta tende a presentare l’animale in forma umanizzata; difatti Saba
utilizza l’aggettivo “semita”, in quanto il volto della capra gli ricordava quello di alcuni ebrei,
prevalentemente per l’aspetto visivo: però non c’era in lui nessun pensiero cosciente né pro né
contro gli ebrei. Saba,a causa delle sue origini ebraiche, fu costretto a lasciare l’Italia per recarsi a
Parigi;allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939 , si rifugiò a Roma sotto la protezione di
Ungaretti,durante l’occupazione nazista visse nascosto a Firenze ospite anche nella casa di Montale.
Fu proprio durante questo periodo che scrisse cinque dei componimenti che meglio descrivono il
suo stato d’animo durante l’occupazione: “Avevo”, “Teatro degli artigianali”, “Disoccupati”,
“Vecchio camino”, “Dedica”. In particolare “Avevo” è una poesia insieme autobiografica e
universale,autobiografica perché Saba vi parla di se e delle sue vicende sotto l’occupazione nazista,
universale perché tutti o quasi potevano accusare perdite ed angosce equivalenti in quel periodo;
racconta del poeta che affacciato a quella finestra, guarda adesso antiche cose che, da molto, i suoi
occhi non potevano più guardare, perché la loro vista avrebbe fatto troppo male a quel condannato a
morte che era allora Saba. Il breve prologo chiude con uno dei pensieri più angosciati che Saba,
sempre affezionato al pensiero della morte, concepita come il termine di un lungo e faticoso
viaggio, abbia mai espressi: Avevo è il lamento di chi ha tutto perduto, meno la facoltà di
esprimersi, e di fare poesia del proprio e del comune dolore. Inoltre una mattina di un anno
imprecisato, Benito Mussolini entra nella libreria antiquaria di Umberto Saba, a Trieste. Il duce si
aggira tra gli scaffali spesso visitati da Joyce e da Svevo e prende un volume, “Ricordanze della mia
vita” di Luigi Settembrini. Lo acquista e va via. Se ne ricorderà, il poeta triestino, quando nel 1938,
anno della promulgazione delle leggi razziali, scriverà una lettera al capo del fascismo, allo scopo di
non essere privato della "sua" Italia, perché di madre ebrea. La lettera - facente parte di un carteggio
inedito che Saba intrattenne con l'accademico d'Italia Giulio Bertoni - e' pubblicata dal settimanale
"Panorama".Saba si rivolge a Mussolini terrorizzato all'idea di dover lasciare il proprio Paese. "Per
un commerciante la Patria può essere anche là dove guadagna", scriveva Umberto Saba. E
aggiungeva: "Ma toglierla a un poeta e' per lui una sofferenza atroce; e' come togliere la madre a un
bambino".
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Saba può sembrare un uomo che nella sua vita abbia avuto solo sofferenza e dolore, ma troviamo
nelle sue opere anche un risvolto positivo, pieno di speranza. Egli era un uomo tenace, non si
arrendeva mai, nonostante tutti i drammi della sua vita. Si apriva molto con gli altri per colmare il
suo vuoto affettivo, attirato dai più umili, cioè più vicini a Dio, dando un messaggio di solidarietà.
Ad esempio nella poesia, “Quasi una moralità”5, Saba riesce con semplicità a ricavare un messaggio
d’amore e di pace per gli uomini. Del resto è questa la funzione dei poeti. In questa poesia prende
come esempio i passeri, che vedono l’uomo come una minaccia ma, una volta ottenuta la loro
fiducia lasciandogli dei semi sul davanzale della finestra, essi non hanno più timore di volare per la
stanza e prendere il cibo che il poeta gli ha offerto. Saba utilizza questa similitudine per far capire ai
giovani di quel tempo, che vivevano nel terrore della guerra fredda, che anche loro devono
comportarsi con gratitudine e gentilezza verso gli altri affinché si possa vivere nella grazia e nella
gioia. In questa poesia, quindi, Saba ripone tutta la sua speranza nei ragazzi gli unici capaci di
ribaltare questo secolo logorato da guerra e morte. Dice a tutti di non disperarsi perché esiste ancora
la Grazia, la meravigliosa bellezza della natura, e per tutti ci sarà solidarietà e amore quando cadrà
il muro dell’ignoranza e della diffidenza. Inoltre analizzando la poesia "Ritratto della mia bambina"
possiamo notare l'importanza, per il poeta, degli affetti familiari e sopratutto in questo caso, della
sua bambina Linuccia. Saba non si è basato soltanto sulla descrizione fisica dei suoi occhi azzurri
ereditati dal padre , ma anche su quella della mente in modo profondo e chiaro, permettendo così a
chi legge di catturare la semplicità e purezza della figlia.
5 Umberto Saba, Quasi una moralità
6Umberto Saba, ritratto della mia bambina
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Bibliografia:
 Umberto Saba, la capra
 Umberto Saba,il vetro rotto
 Umberto Saba,mio padre è stato per me l’assassino
 Umberto Saba,quasi una moralità
 Umberto Saba,ritratto della mia bambina
Studenti: Aurora Sammarco, Benedetta Petriglia, Eleonora Novelli, Giulia Pede, Susanna Muscente
Della classe III SC
Sezione triennio colloqui fiorentini
Liceo Classico delle Scienze Umane
Docente Referente: prof.ssa Alessandra Ducci