Atlante della Pietra Trentina

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Atlante della Pietra Trentina
Atlante
della Pietra Trentina
Antichi e Nuovi Percorsi
Guida Pratica all’Utilizzo
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
in collaborazione con
Provincia Autonoma di Trento
Promotori
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
Provincia Autonoma di Trento
Trentino Spa - Società di Marketing Territoriale
Associazione Artigiano e Piccole Imprese della Provincia
di Trento
Associazione Industriali della Provincia di Trento
Federazione Trentina delle Cooperative
Consorzio Estrattivo Trentino
E.S.Po. - Ente Sviluppo Porfido
Coordinamento
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
Supporto in materia geologica e mineraria
Servizi Geologico, Minerario della Provincia Autonoma
di Trento
A cura di
Enrico Cattani
cordinamento progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della
Pietra Trentina” 2003-2004, Accademia d’Impresa - Azienda
speciale della Camera di Commercio I.A.A. di Trento
Fabio Fedrizzi
perito industriale, Laboratorio Geotecnico - Servizio Geologico
Provincia Autonoma di Trento
Carlo Filz
Collaborazioni Istituzionali
Cumulus - Associazione Europea Università ed Istituti di
Arte, Design, Comunicazione
Fondazione La Triennale di Milano
Fondazione Piero Portaluppi - Milano
IED Istituto Europeo Design - Milano
Laboratorio di Geomateriali del Dipartimento
di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali
dell’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna
Laboratorio Geotecnico Provincia Autonoma di Trento
Mart - museo di arte moderna e contemporanea di
Trento e Rovereto
Servizi Geologico, Minerario, Soprintendenza per i
Beni Architettonici della Provincia Autonoma di Trento
Trentino Spa Società di Marketing Territoriale
Archivi fotografici
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
C.E.T. Consorzio Estrattivo Trentino
Consorzio Cavatori Produttori Porfido
E.S.Po. Ente Sviluppo Porfido
La Quercia Graniti s.r.l.
Odorizzi Porfidi s.p.a.
Pedretti Graniti s.r.l.
Porfidi e Graniti Predazzo s.n.c. di Boninsegna Luciano
Servizi Beni Culturali, Geologico, Minerario
della Provincia Autonoma di Trento
architetto, Servizio Minerario Provincia Autonoma di Trento
Giorgio Zampedri
geologo, Servizio Geologico Provincia Autonoma di Trento
Testi
Giulio Agnoli
perito minerario, Servizio Minerario Provincia Autonoma di Trento
Paolo Baldessari
architetto, libero professionista, consulente progetto “Pietra:
antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”
Mario Bertolini
perito minerario, libero professionista
Enrico Cattani
cordinamento progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della
Pietra Trentina” 2003-2004, Accademia d’Impresa - Azienda
speciale della Camera di Commercio I.A.A. di Trento
Aldo Colonetti
filosofo, direttore scientifico IED - Istituto Europeo Design,
direttore Ottagono, consulente progetto “Pietra: antichi e nuovi
percorsi della Pietra Trentina”
Francesca Crivellari
geologa, libera professionista
Cinzia D’Agostino
architetto, Soprintendenza per i Beni Architettonici Provincia
Autonoma di Trento
Fabio Fedrizzi
perito industriale, Laboratorio Geotecnico - Servizio Geologico
Provincia Autonoma di Trento
Fiorino Filippi
architetto, libero professionista
Carlo Filz
architetto, Servizio Minerario Provincia Autonoma di Trento
Massimo Martignoni
storico, libero professionista
I protagonisti del progetto “Pietra: antichi
e nuovi percorsi della Pietra Trentina”
Mario Botta
Pierluigi Cerri
Gillo Dorfles
Alessandro Guerriero
Ettore Sottsass jr.
Gli studenti IED
Corso 2003
Andrea Arrigoni
Alessandro Bordoni
Daniela Carbonini
Daniela Coppolino
Alessio De Vecchi
Alba Ferri
Francesca Imperiali
Won Ho Jin
Kyung Mi Lee
Soran Lee
Camillo Maggi
Marcello Magnani
Federico Mazza
Alessandro Panziera
Arnaldo Puglia
Massimiliano Puliero
Laura Sari
Fabio Brice Schneider
Leonardo Scurti
Mauro Valsecchi
Gli studenti del Network CUMULUS
Anno 2004
Zoran Svraka
University of Ljubliana - Slovenia
Heli Pollanen
University of Art and Design Helsinki - Finlandia
Marie Le Gac
L’ecole de design, Nantes - Francia
Anna Larsen, Eva Posada
IED Madrid - Spagna
Villu Scheler
Estonian Academy of Arts, Tallinn - Estonia
Linda Beregroth
University of Art and Design Helsinki - Finlandia
Mateja S. Dimic, Katja Markovic
University of Ljubliana - Slovenia
Dominique Herbillom
L’ecole de design, Nantes - Francia
Miha Crtalic
University of Ljubliana - Slovenia
Ulo-Tarmo Stoor
Estonian Academy of Arts, Tallinn - Estonia
Michele Capuani, coordinatore
Ringraziamenti
Giuseppe Maria Bargossi
Andrea Cancellato
Eugenio Careglio
Saverio Cocco
Mauro Leveghi
Paolo Manfrini
Marta Marocchi
Pinuccia Muratori
Ermanno Pavesio
Clara Poncia
Davide Rampello
Maurizio Rossini
Gian Maria Schironi
Alessandro Tomasi
Stefano Tomasi
Adriano Zanotelli
Studio grafico
Giancarlo Stefanati
Fotografie
AgF Bernardinatti Foto
Carlo Baroni
Fiorino Filippi
Romano Magrone
Claudia Marini
Massimo Monopoli
Claudio Sabatini
Stampa
Litografia Stella - Rovereto (Tn)
Alessandro Guerriero, coordinatore
Simona Maccagnani, assistente
Prima edizione: settebre 2005
Seconda edizione: maggio 2008
Paolo Milani
consulente in analisi di mercato, sondaggi e statistiche
Dario Milone
perito minerario, libero professionista
Giorgio Zampedri
geologo, Servizio Geologico Provincia Autonoma di Trento
© Camera di Commercio I.A.A. di Trento
via Calepina, 13 - Trento
tel. 0461 887111
[email protected] - www.tn.camcom.it
© Edizioni Stella di Claudio Nicolodi
via dell’Artigiano, 30 - Rovereto (Tn)
tel. 0464 437684 - fax 0464 458938
[email protected]
tutti i diritti riservati
ISBN 88-8446-176-6
Un ampio inquadramento storico-artistico, con note sull’utilizzo della Pietra
Trentina dall’antichità ai nostri giorni, un corredo scientifico rigoroso, tanto da
essere strumento di consultazione per architetti, progettisti e operatori in campo
edile quanto per restauratori del prodotto lapideo o studiosi e appassionati del
settore. Un lavoro che vuole favorire un rapporto collaborativo e stretto tra il
territorio e l’attività estrattiva indicando un possibile e concreto cammino per il
futuro: tutto ciò è quanto il lettore può trovare in questo volume, il primo dedicato
espressamente all’insieme delle pietre ornamentali trentine.
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Lezione magistrale
Gillo Dorfles
La Pietra è un materiale fondamentale dell’architettura; se non ci fosse stata la pietra,
l’architettura trilitica non esisterebbe. Infatti la soluzione articolata su tre pietre, di
cui due fanno da parete e una da copertura, è in fondo la base di tutta l’architettura,
dall’antichità ad oggi; certamente esistono la capanna, la grotta, il riparo di legno, di
vimini o di foglie, ma la vera e propria “costruzione” comincia con l’architettura trilitica. Questo inizio progettuale, dal punto di vista simbolico, rappresenta, in un certo
senso, il luogo di incontro tra la natura e l’uomo che attraverso essa si esprime, fino
ad arrivare alla realizzazione della “prima casa”. La pietra esiste prima che l’uomo
abbia deciso di utilizzarla, e per questa ragione rappresenta una sorta di elemento
monumentale prima di ogni intervento umano. È sufficiente ricordare, ad esempio, i
grandi massi di granito della Sardegna, lisci, ondulati, traforati, forme straordinarie
e uniche che per alcuni osservatori sono “migliori” delle sculture di Henry Moore:
rispetto a queste pietre, la natura ha “disegnato” ciò che l’uomo più tardi ha cercato
di imitare. Per questa ragione la pietra rappresenta un materiale fondamentale per
progettare il futuro della città, sia sul piano urbanistico sia su quello di carattere simbolico. La nostra epoca, nella quale stanno lentamente scomparendo la manualità e
le grandi tradizioni artigianali, per riprendere un rapporto diretto con i materiali che
stanno a fondamento della civiltà, dovrà riutilizzare materiali come la pietra e servirsene secondo gli stili e il gusto della contemporaneità, in modo tale da rimettere al
centro dell’architettura quei saperi, quelle discipline e quelle particolari conoscenze
che segnano qualsiasi cultura e civiltà che desiderino essere storia e non solo cronaca. Da questo punto di vista, il progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra
Trentina”, rappresenta un’esperienza di grande qualità, nel segno, da un lato della
memoria e dall’altro di nuovi percorsi futuri.
Fronte cava di Porfido Trentino Lastrificato
(Valle di Cembra)
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Il marchio
Pierluigi Cerri
Progettare un marchio o un logotipo significa rispettare le grandi tradizioni del lettering moderno, dove i pieni, i vuoti, i volumi costruiscono, in modo dinamico, l’identità
comunicativa.
Nel caso del progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”, l’elemento costruttivo che si trasforma immediatamente in un linguaggio architettonico è
rappresentato dalla struttura della stessa parola; si potrebbe affermare, a proposito
di questo progetto, “che le parole sono pietre”.
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Premessa
Il Presidente della Provincia
Autonoma di Trento
Lorenzo Dellai
Il Presidente della Camera di Commercio
Industria Artigianato e Agricoltura di Trento
Adriano Dalpez
Fronte cava di Porfido Trentino Lastrificato
(Valle di Cembra)
Materia il cui uso è documentato da una serie innumerevole di testimonianze che dal passato più lontano arrivano fino a oggi, la Pietra Trentina intende proporsi ora in una nuova
dimensione di utilizzo, non più esclusiva del territorio trentino, ma volta al panorama nazionale e internazionale. È una qualità, quella delle produzioni lapidee del Trentino, che
consente questo cambio di prospettiva. Come succede in altri settori dell’economia italiana,
in quella condizione diffusa che sta tra artigianato di alto livello e produzione industriale
di nicchia, il dato in più, ciò che può trasformarsi in elemento di forza, è, per la Pietra
Trentina, il rapporto con la storia. Nella fattispecie è la memoria di un’antica sapienza
manifatturiera che si aggiunge al prodotto naturale come valore aggiunto, costituendone il
codice identificativo o, in altri termini, il marchio di qualità: è la riscoperta di un sottile, ma
persistente filo poetico che lega anonimi lapicidi romanici a raffinati scultori rinascimentali
e barocchi, architetti razionalisti ai maestri del progetto contemporaneo. Anelli di congiunzione che legano la Pietra Trentina al suo territorio. L’evoluzione che sta caratterizzando la
produzione del comparto lapideo trentino parte proprio dal recupero ideale delle radici storiche e dal miglioramento costante della qualità del prodotto. È un lavoro paziente e complesso che si appoggia alla lungimiranza degli imprenditori, delle associazioni di categoria
e dei consorzi di riferimento. L’aggancio con il settore di punta nel campo dell’architettura
e del design, avvenuto in questi ultimi anni grazie al contributo di affermati specialisti del
settore, ha confermato attraverso nuovi stimoli, indicazioni teoriche e pratiche, la validità
di utilizzo della Pietra Trentina nell’ambito dello stile contemporaneo.
Questo Atlante della Pietra Trentina rappresenta l’ambizioso punto di arrivo di una attività di ricerca e di informazione che si è avviata nel 2002 con il progetto “Pietra: antichi
e nuovi percorsi della Pietra Trentina”; una iniziativa che sarebbe riduttivo definire
come semplice attività promozionale. L’obiettivo di sostenere e rilanciare un prodotto
che storicamente ha avuto e continua ad avere un ruolo importante nell’economia trentina non è mai stato disgiunto da un continuo riferimento alle risorse della creatività.
Il progetto ha voluto per questo affidare le potenzialità espressive della Pietra Trentina
alle proposte sperimentali dei giovani - gli studenti dell’Istituto Europeo di Design (lavori presentati nel 2003 al Mart di Rovereto), i giovani designer del network europeo
Cumulus (dieci progetti premiati a Milano in occasione del Salone del Mobile 2004) - e
al segno calibrato di quattro maestri, Mario Botta, Pierluigi Cerri, Alessandro Guerriero
ed Ettore Sottsass jr, che hanno lavorato sulla forma archetipica della fontana.
Grazie al contributo del Servizio Geologico, del Servizio Minerario e della Soprindendenza per i beni architettonici della Provincia Autonoma di Trento, l’Atlante della Pietra
Trentina dispone di un impianto tecnico e scientifico che consente di approfondire, per
un corretto utilizzo e una migliore interpretazione creativa, la natura geologica, la caratterizzazione fisico meccanica, la normativa, le tecniche di impiego e di posa in opera,
l’inquadramento storico e artistico di ogni singola qualità lapidea. L’Atlante è così un
prezioso strumento di consultazione per architetti, progettisti, imprese nonché operatori,
studiosi e appassionati del prodotto pietra.
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Valore aggiunto
L’Assessore all’Industria
della Provincia Autonoma di Trento
Marco Benedetti
Il Trentino ha una lunga ed importante tradizione nell’attività estrattiva. Per secoli
sono stati estratti svariati materiali dai ricchi giacimenti del sottosuolo provinciale.
Non solo porfido dunque! Il porfido oggigiorno è sicuramente il più importante prodotto dell’industria estrattiva trentina dal punto di vista socio-economico, ma nella
nostra provincia vi è stata in passato una fiorente attività nell’estrazione di molte
altre pietre ornamentali. Un esempio per tutti è quello dei calcari e dei graniti con cui
sono stati realizzati in passato i palazzi della città di Trento e le case di molti paesi.
Le cave di queste pietre hanno costituito per secoli occasione di lavoro e fonte di sostentamento per numerose famiglie.
Il Trentino ha una lunga tradizione anche per quanto riguarda le altre sostanze minerali, quelle considerate strategiche dalla normativa nazionale e la cui estrazione avviene nelle miniere. A partire dai tempi più antichi vi è stato un susseguirsi continuo
di estrazione di minerali dai ricchi giacimenti della nostra provincia; basti pensare
che proprio a Trento, intorno al 1200, è stato promulgato il “Codex Vangianus” che
costituisce la prima raccolta di regolamenti minerari d’Europa.
Passando ai giorni nostri, negli anni ’80, la Provincia Autonoma di Trento, prima in
Italia, ha regolamentato l’attività estrattiva con legge provinciale ed ha pianificato la
coltivazione delle cave attraverso il “Piano cave”, più volte aggiornato negli anni.
Le pagine seguenti si propongono di mettere in risalto tutte le ricchezze del sottosuolo
trentino dando la giusta precedenza alle pietre ornamentali, ma considerando anche
le altre risorse minerarie che hanno contribuito ed in parte contribuiscono ancora
allo sviluppo dell’economia trentina.
Questo lavoro, che costituisce un tassello del ben più generale progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”, derivando dalla positiva sinergia di più
enti e più persone, mostra una logica eterogeneità nei singoli contributi e costituisce
anche per questo una “miniera” di nozioni ed informazioni sia storiche che tecnicoscientifiche di sicuro interesse per il lettore.
Sin dall’inizio ho sempre creduto nella validità del progetto “Pietra: antichi e nuovi
percorsi della Pietra Trentina” ed è quindi con viva soddisfazione e con un certo orgoglio che accolgo la pubblicazione di questo testo, auspicando che possa trovare nei
lettori analogo interesse.
A fianco
Blocchi di Rosso Trento,
cava Pila (Trento)
Nella pagina successiva
Cromatismo del Porfido Trentino Lastrificato
(Valle di Cembra)
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Indice
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Antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina
63
Geologia
81
Catalogo ragionato
175
Processi di produzione ed esempi di
utilizzo nell’architettura moderna
199
Guida pratica all’utilizzo
229
Economia e Normativa
265
Applicazioni industriali
315
Promotori
325
Bibliografia
14
Antichi e nuovi percorsi
della Pietra Trentina
15
16
Premessa
Mariano Gianotti
Pagina precedente
Particolare del protiro orientale,
Duomo di Trento
Pagina a fianco
Balcone in Rosso Trento,
ricostruzione di Casa Ranzi, 1920
largo Carducci (Trento)
arch. Ettore Gilberti
Che i prodotti di pietra siano parte integrante del patrimonio economico, culturale, artistico, della tradizione e del folclore trentini è una convinzione che a livello istituzionale è
giunta a piena maturazione nel 2003, grazie alle iniziative promozionali intraprese dalla
Provincia Autonoma di Trento, dalla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura e dalla Trentino Spa Società di Marketing Territoriale. Trasformata nei millenni
dalle abili mani di artigiani e artisti, la Pietra Trentina ha contribuito non solo a creare
un solido comparto dell’economia locale, ma ha anche diffuso in Italia e nel mondo un
riconoscibile “stile trentino” nel campo delle pavimentazioni urbane e dei rivestimenti di
qualità. La tradizionale sobrietà trentina, che si lega all’immagine semplice e diretta dei
manufatti del passato (strade, piazze, monumenti, palazzi, chiese, castelli), trova ora in
questa diffusione internazionale nuove opportunità per farsi conoscere e apprezzare. Nel
mondo globalizzato del terzo millennio l’antico spirito montanaro trentino, riflesso nelle
sue pietre e nei suoi artigiani, è ancora un modello riconoscibile di laboriosità. Accanto
a vini e prodotti gastronomici tradizionali trentini, che hanno da tempo trovato una propria significativa posizione sui mercati internazionali, ecco ora il momento dei porfidi,
dei graniti e dei marmi delle vallate trentine. Bene hanno fatto le imprese a volere un
progetto speciale di promozione della Pietra Trentina legato alle produzioni attuali, ma
soprattutto volto alla scoperta di nuovi modelli, applicazioni e impieghi. Privi di grandi
risorse naturali, gli italiani hanno sempre avuto la necessità e, per fortuna, la capacità di
promuovere i propri prodotti seguendo unicamente le regole della creatività, della qualità, della bellezza e dell’invenzione, tecnologica e formale. Sono i principi che hanno reso
giustamente famoso nel mondo il concetto di “Made in Italy”. Diretta filiazione di questo
è il concetto di “Fabbricato in Trentino” che vale in primo luogo per la pietra e tutti i suoi
derivati. Non sono i numeri, la quantità, che fanno essere vincenti, ma la qualità, l’originalità e quella formidabile capacità di rapporto fra professionisti, imprese e lavoratori
che è tipica della produzione italiana e, nella fattispecie, di quella trentina. C’è la convinzione che il messaggio contenuto nel progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra
Trentina” arriverà a raggiungere lo scopo principale per il quale è stato voluto, e cioè
creare lustro e valore a prodotti fabbricati con risorse lapidee locali. I fruitori di tutto il
mondo si aspettano un’offerta commerciale organizzata sistematicamente e che risponda
in pieno a caratteristiche qualitative, cromatiche, fisico meccaniche, che il progetto contemporaneo richiede. Sono cose tanto importanti che possono sembrare scontate. Il mercato è diventato così severo che gli sbagli non sono perdonati, la clientela esige prodotti
corrispondenti ai prezzi pagati, altrimenti passa ad altro. Con il progetto “Pietra: antichi
e nuovi percorsi della Pietra Trentina” sono affrontati problemi, tematiche e argomenti
che tentano di prospettare la situazione futura, cercando di influire concretamente sulla
progressiva affermazione tecnologica nel processo di lavorazione. Nella direzione della
costante ricerca di qualità produttiva, il settore può trovare la spinta per trasformarsi
definitivamente in un comparto economico ad alta specializzazione e versatilità, parte
integrante e trainante dell’economia trentina.
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Arte e storia
Massimo Martignoni
Lapide di Marco Appuleio,
chiesa Sant’Apollinare (Trento)
Nel suo libro pubblicato nel 1954, “Le pietre delle città d’Italia”, Francesco Rodolico
scrive: “Anche tra le pietre che da sole improntano l’aspetto edilizio ed architettonico d’una qualche città d’Italia, le differenze sono tali da colpire il viaggiatore più
distratto: i calcari compatti di Trento o di Brescia, d’Assisi o di Sulmona, quelli teneri di Lecce o di Noto; il travertino di Ascoli Piceno, l’arenaria grigia di Cortona, o
quella rossastra di Bolzano, o quella giallastra di Volterra…”1. Nella prosa elegante
di Rodolico, mineralogista e professore alla Facoltà di architettura a Firenze, le città
d’Italia sfilano in una trionfale parata lapidea che mette in rilievo colori accesi o rigorose monocromie, diversità di materiali, inaspettate parentele dovute all’impiego,
in luoghi diversi, di litotipi comuni (come la pietra d’Istria, servita per costruire città
venete e adriatiche). In rappresentanza dei territori alpini, Trento, città eretta con la
pietra: “si estendono nelle immediate vicinanze della città i calcari ammonitici giuresi: bianco e rosso-scuro, moro, negli strati superiori, ziresol e verdello negli strati
inferiori; geologicamente, bianco e moro appartengono allo stesso orizzonte, come
pure ziresol e verdello, il colore variando a plaghe nello stesso strato… Sono queste
le pietre che hanno dato attraverso i secoli alla città di Trento un suo proprio volto,
inconfondibile”2.
Quanto afferma Francesco Rodolico non vale solo per il capoluogo, ma per l’intero
territorio. La pietra è ovunque. Da un punto di vista geografico il Trentino si integra
con la parte altoatesina, posta a nord. La catena dolomitica attraversa l’intera regione
con profili sfrangiati e colori fiabeschi, rosa e azzurri. La natura è stata generosa. Il
potente richiamo della montagna è stato il termine di confronto secolare per l’opera
costruttiva dell’uomo: dall’uso dei materiali all’elaborazione delle tipologie formali.
“Fabbriche semplici e sincere: dalla roccia delle Alpi che fornisce a un tempo i sassi
per le murature, le pietre da taglio per i bugnati e per gli elementi architettonici, e le
calci per i solidi impasti e per i candidi intonaci; dalla roccia delle Alpi al legno dei
boschi, che protegge e corona gli edifici coi bizzarri accavallamenti dei tetti”3. Sono
i caratteri dell’“architettura minore e rustica trentina” che Giuseppe Gerola, storico
dell’arte e profondo conoscitore delle tradizioni costruttive locali, enunciava nel 1929
accompagnando la pubblicazione di una serie di schizzi dell’architetto Ettore Sottsass
senior. Dal secondo dopoguerra il delicato rapporto si è incrinato. L’edilizia diffusa ha
invaso il paesaggio e compromesso antichi equilibri.
Un itinerario tra i percorsi della pietra in Trentino è ricco di suggestioni e di sorprese4. Più del legno, soggetto all’usura del tempo, è la pietra a ricordare la millenaria
relazione tra architettura e ambiente. Vigilano sullo sfondo, come memorie che non
si sono disperse, i ricordi più antichi, preistorici, retici. Una lastra murata all’esterno
della chiesa di Sant’Apollinare a Trento, a poca distanza dal fiume Adige, ricorda invece i tempi, ricchi di segni e testimonianze, della colonizzazione romana. La lapide
di Marco Appuleio, in calcare bianco, incisa in caratteri latini, si staglia sullo sfondo
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rosato di un pilastro angolare. La datazione risale al 23 avanti Cristo. “Il suo spessore
(25 cm) e la cornice, che le conferisce, per così dire, una individualità, indicano che
non doveva essere elemento costruttivo di un edificio, ma che era destinata a venire
infissa ad perpetuam rei memoriam in qualche manufatto, come sarebbe un muro, un
contrafforte, una torre o simili”5.
Nei primi secoli del secondo millennio il risveglio romanico porta attività costruttiva in
città, paesi e luoghi solitari del Trentino. Il linguaggio della pietra si esprime in forme di
severa elementarità. San Romedio in valle di Non, vicino a Sanzeno, dove furono martirizzati nel 397 i santi missionari Sisinio, Martirio e Alessandro. Tra irte gole rocciose
si raggiunge il santuario. Uno scenario ideale per Caspar David Friedrich. Il santuario
è in cima a una rupe e conserva nella parte più alta e antica (portale d’ingresso alla
cappella di San Nicolò e sacello) preziose sculture in pietra rossa e bianca: figurazioni
antropomorfe, animali, capitelli. “La presenza di uno scalpello qualificato”, ricorda lo
storico dell’arte Bruno Passamani, “è chiaramente indicata dal rigore plastico delle
teste scolpite che emanano, anche per il colore rosso della pietra e per la loro levigatezza, la suggestione di coevi esemplari bronzei”6. Il duomo di Trento è il maggiore
monumento religioso della regione. Armonizza elementi romanici e gotici, padani e
nordici. Le pareti si elevano come grandi pagine che portano nella sovrapposizione dei
conci calcarei, bianchi e rosati, i segni lasciati dagli artisti e dalla comunità: epigrafi,
decorazioni, lastre tombali.
Scultura antropomorfa a S. Romedio
(Valle di Non)
La luce del Rinascimento italiano si fonde dolcemente nei bagliori tersi del paesaggio
trentino. Concorre alla felicità dell’unione il ricorso frequente alle incorniciature in
pietra rossa. Nei dettagli architettonici di numerosi edifici urbani e rurali (portali,
finestre, cornici, capitelli) si codifica l’abbinamento dei due tipici colori calcarei, il
rosso e il bianco. L’abbinamento è ancora oggi in uso. Tullio Garbari, pittore sintonizzato sulle onde lontane di un Trentino arcano e misterioso, nell’accostamento tra le
forme rinascimentali e il calcare rosso, vede il tratto dell’architettura locale. “Quello
stile tra raffinato e paesano così suggestivo, con le bifore, le finestre dall’arco rotondo con gli stipiti gli architravi le mensole e i poggioli in pietra rossa, con le gronde
ampie e sporgenti”7. Alte pareti rosse, compatte e solenni, segnalano da lontano, in
Valsugana, la Pieve dell’Assunta di Civezzano, nobile edificio del tempo del principe
vescovo Bernardo Clesio (1485 - 1539). Il paramento murario della chiesa è costituito
da grandi blocchi calcarei tratti dal vicino monte Argentario.
Il gusto per accostamenti cromatici più ricercati si diffonde nel periodo barocco. “Nel
Seicento e nel Settecento”, scrive lo storico dell’arte Nicolò Rasmo, “si può seguire
un radicale rivolgimento nell’ambiente trentino soprattutto nel campo della scultura
in pietra. I committenti chiedono marmi con venature e colori rari, con lucidatura
perfetta e forme architettoniche corrette cosicché la parte scultorea diventa elemento
quasi secondario, un supplemento artigianale all’opera del marmista”. Artisti specializzati, come i Sartori e i Benedetti di Castione, producono altari sontuosi. Nello sfarzo
di riccioli e volute si mettono in mostra le più belle pietre trentine combinate ad altre
varietà di marmi pregiati. Sullo scorcio del Settecento, ricorda Rasmo, questa attività
“cessa quasi completamente tanto che le famose cave di marmi preziosi vengono
abbandonate e il loro stesso ricordo oggi è praticamente spento”. A Trento, Rovereto, Villa Lagarina, Mori, Ala e in altri centri minori si conservano ancora preziose
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Copertina della rivista “Trentino”,
marzo 1934
testimonianze degli splendori lapidei dell’epoca8. Capolavori sono gli altari maggiori
della chiesa dell’Assunta a Villa Lagarina (Cristoforo Benedetti, 1696 - 1700), di Santo
Stefano a Mori (Teodoro Benedetti, 1740 - 1750), del duomo di Trento (Cristoforo Benedetti, Domenico e Antonio Giuseppe Sartori e altri scultori, 1722, 1739 - 1744)9.
Il ricordo di questa fase irripetibile rimane nella memoria. La progressiva semplificazione dell’attività estrattiva lascia il rammarico per lo scarso utilizzo delle tante
varietà disponibili. Alla fine dell’Ottocento Giovanni Battista Trener (poi presidente
del civico museo di storia naturale di Trento) analizza in un breve saggio lo stato
allora drammatico dell’economia locale al fine di individuare i termini per un “risorgimento economico ed industriale”10. La ripresa delle antiche tradizioni minerarie
ed estrattive è uno dei punti centrali. “Se volessi enumerare tutte le nostre ricchezze
di marmi e di graniti non finirei sì presto: basti accennare allo stupendo granito
roseo di tormalina, alla sienite, ai porfidi, al marmo statuario bianco e ai serpentini
di Predazzo, al marmo rosso e bianco di Trento, alle numerose, stupende varietà di
marmi, gialli, grigi, rosei, rossi, bianchi macchiettati di nero, gialli a macchie violette,
gialli-rosso fosforeggianti, gialli verdognoli del Monte Baldo, al marmo saccaroide di
Preore, alle lastre di porfido quarzifero di Piné ed alla tonalite dell’alta Val di Sole e
delle Giudicarie. Non manca altro che tutti questi tesori vengano dissotterrati dalla
coraggiosa iniziativa di qualche industriale, perché possano diventare per noi una
risorsa di primo ordine”11.
L’istituzione nel 1879 a Trento di una “Scuola per l’industria dei marmi” indica tuttavia che alcuni passi verso una modernizzazione del settore lapideo erano già stati
compiuti. L’obiettivo è “formare teoreticamente e praticamente abili lavoratori e capimastri tagliapietre con speciale riguardo ai bisogni dell’architettura, esclusa però la
plastica puramente figurale”12. Un proponimento avanzato che trova conferma nella
personalità chiamata a dirigere il nuovo istituto. Enrico Nordio, il primo direttore, è
un giovane e brillante architetto triestino formato a Vienna con Friedrich von Schmidt, celebre progettista dell’epoca. Nordio rimane a Trento fino al 1886 e si occupa
anche del restauro del duomo di San Vigilio. Il lavoro si prolunga fino al 1905 e comporta pesanti manomissioni all’assetto originario della cattedrale, con la trasformazione della cupola in tiburio e della copertura carenata centrale in tetto a due falde.
Nordio inoltre scava la candida mole calcarea, nel fastigio della facciata, per ottenere
due logge rampanti: un intervento poi disapprovato per la sua “deprecabile arbitrarietà”13, ma che oggi risulta riassorbito nella millenaria configurazione dell’edificio.
L’appartenenza del Trentino all’Impero austroungarico, che incrocia, nella figura di
Enrico Nordio, Trento con Vienna e Trieste, è all’origine della prime esportazioni industriali della pietra trentina. “Furono Giulio e Alessandro Torelli a fornire, nel 1870,
la pietra trentina per la costruzione dell’Istituto Anatomico di Vienna… questa opera
di penetrazione è coronata, verso il 1885, da maggiori affermazioni con l’impiego di
pietra trentina nella costruzione del palazzo della Borsa e di quella del Parlamento
in Vienna, sul cui colonnato è inciso ancor oggi il nome di ‘G. Torelli’. In seguito, è
Cesare Scotoni di Trento che continua l’opera di valorizzazione della pietra trentina,
il cui impiego di estende al Casino di Cura di Budapest, a varie chiese di Berlino, di
Monaco di Baviera”14.
Per altre vie, ma sempre in relazione ad un restauro, un altro architetto italiano di
fama lavora direttamente a Trento con le pietre locali. Nel 1847 infatti il padovano
23
24
Stazione ferroviaria di Trento,
dettaglio in Giallo Mori
e Porfido Trentino a Blocchi
arch. Angiolo Mazzoni
Pietro Selvatico è incaricato di realizzare una nuova facciata per la chiesa di San
Pietro: il lavoro, ultimato nel 1851, è uno dei più rilevanti episodi del Neogotico italiano15. Il ridisegno del prospetto è in linea con le modalità di restauro allora adottate,
prive di scrupoli rispetto alle preesistenze, ma Selvatico non aggredisce l’antica fabbrica gotica. La sua nuova facciata si appoggia con delicatezza al corpo della chiesa
e l’operazione è messa in rilievo dallo stacco che gli elementi decorativi (pilastri,
cornici, cuspidi) hanno rispetto al muro retrostante. L’artificialità dell’intervento è
voluta ed esibita. Selvatico si adegua alla tradizionale regola trentina che vuole i colori accoppiarsi nei toni del bianco e del rosso (rossi le membrature architettoniche,
bianca la parete di fondo): il risultato è di astratta, calligrafica eleganza. “Chiuderò
dicendovi, ch’essa [facciata] è costrutta dei migliori marmi delle cave di Trento, bellissimi a vedersi, ma difficili a lavorarsi, specialmente per opere composte di gentili
modanature, come sono sempre quelle di stile archiacuto”16.
Dopo l’accavallarsi stilistico dell’Ottocento, il Novecento torna a riflettere sulle tradizioni locali. Nel corso degli anni Venti un gruppo di giovani architetti trentini promuove
una poetica basata sull’uso di forme e materiali autoctoni17. “Costruire semplicemente… senza inutili fronzoli ma in belle proporzioni, usando i nostri bellissimi materiali,
noi che siamo nei paesi della pietra”, scrive Giorgio Wenter Marini, portavoce del movimento18. “Basamenti e zoccolature a pietra-vista in Corno de bò” sono utilizzati da
Giancarlo Maroni, poi architetto di Gabriele D’Annunzio al Vittoriale, in diversi lavori
a Riva del Garda19. Ettore Sottsass senior, prima di trasferirsi a Torino alla fine degli
anni Venti, è forse il più attento a seguire le indicazioni di Wenter Marini. Nei numerosi
edifici realizzati da Sottsass senior nel capoluogo e in vari paesi trentini è ricorrente
l’impiego della pietra e il riferimento ai repertori decorativi contadini e montanari. Un
esempio sono i fiori stilizzati che decorano le finestre al piano terreno nella casa in via
Pilati a Trento (1922 - 1923). Nel 1927 l’architetto vince il concorso per il nuovo palazzo
municipale di Merano; “onesto e sincero passo innanzi… nella sua evoluzione verso il
moderno”20. Sottsass senior impiega nell’edificio svariate pietre trentine. Verdello per
i prospetti esterni (piano terreno), ancora Verdello, Tigrato trentino e Bianco Pila per i
dettagli interni. Il fatto è di una certa rilevanza, perché indica uno dei primi impieghi
moderni della pietra trentina al di fuori dei confini provinciali. A Roma, negli stessi
anni, un non meglio precisato “marmo nero di Mori” ha l’onore di essere utilizzato
nella Casa madre dei mutilati di Marcello Piacentini21.
Il picco nella valorizzazione delle pietre trentine è raggiunto negli anni Trenta. La
diversità dei linguaggi che caratterizzano il decennio, tra le sponde opposte della
modernità e del monumentalismo, trova accordo nel sobrio impiego di marmi e di
pietre22. Con l’affermarsi dei nuovi principi dell’architettura moderna si sperimenta inoltre l’uso combinato tra materiali tradizionali e materiali rappresentativi del
progresso tecnologico: cemento armato, vetro, metallo. Adalberto Libera, maestro
del Razionalismo italiano, è il primo ad utilizzare le pietre trentine secondo queste
nuove modalità. Le scuole Raffaello Sanzio a Trento, realizzate nei primi anni Trenta,
sorprendono per l’arditezza e la semplificazione dei volumi. È da chiedersi come Libera sia riuscito ad imporsi in uno dei luoghi più aulici della città antica, tra le masse
imponenti del castello del Buonconsiglio e l’antica torre Verde. Un recente restauro
ha consentito di riportare alla luce, nel loro primitivo splendore, la diversificazione
dei rivestimenti lapidei trentini impiegati nella costruzione23. Tale applicazione è
25
26
Scuole Raffaello Sanzio, Trento
dettaglio della facciata con cornici in Verdello
arch. Adalberto Libera
esaltata nelle due alte pareti in porfido viola, speculari e simmetriche, degli ingressi.
Ogni ingresso si compone del portale e di una lastra superiore bucata da una serie di
fori circolari. I fori, tamponati con vetri serrati in una ghiera metallica, consentono il
passaggio della luce: l’effetto che si crea all’interno è notevole. Da vicino si nota che
le pareti porfiriche non sono monolitiche ma costituite da tredici parti diverse: tre
elementi per il portale (due piedritti, l’architrave) e dieci elementi per la lastra traforata24. È una dimostrazione dell’abilità artigianale dell’epoca.
Nello stesso momento un altro architetto trova ispirazione nelle pietre trentine: è Angiolo
Mazzoni, progettista di decine di edifici postali e stazioni ferroviarie italiane, dal Brennero alla Sicilia. Mazzoni nei suoi cantieri ama utilizzare i materiali del luogo. “Per comporre la sua tavolozza, attinge a piene mani dalle nostre cave di marmo e pietre pregiate,
sfruttando una delle poche ricchezze naturali di cui l’Italia abbonda”25. A Trento realizza
tra il 1929 e il 1934 il palazzo postale, con robuste membrature nella classica pietra rossa locale. Nella stessa città, qualche anno dopo, concepisce la nuova stazione ferroviaria
come una specie di tempio dedicato alla produzione estrattiva locale. Per i contemporanei
è “il più completo e aggiornato campionario dei più pregiati marmi e pietre ornamentali
trentine. L’occhio rimane subito colpito dal carattere maestoso e suggestivo dei colonnati
esterni, i quali mettono in luce l’austero effetto architettonico del “porfido violaceo” lucidato di Predazzo, mentre il “verdello” dei Solteri trionfa nei rivestimenti dell’atrio e il
“giallo brecciato” di Val di Gresta nei parapetti degli scaloni interni e nel sottopassaggio...
Un’impronta aristocratica conferisce il “bianco di Pila” non solo ai vari massicci fabbricati, ma anche ad altre opere minori”. Nel suo commento entusiastico, Cornelio Condini
ritiene arrivato il momento per la “rivalorizzazione e la diffusione dei marmi e delle
pietre dure ornamentali delle Alpi trentine in Italia, dove, fino a qualche anno fa, erano
pressoché sconosciute”26. In effetti la perseveranza con cui Mazzoni continua ad utilizzare la pietra trentina nei suoi edifici pubblici - se ne trovano tracce più o meno consistenti
nei palazzi postali di Pola (Granito di Cima d’Asta, Monzonite, Porfido di Predazzo), di
Palermo (Porfido di Predazzo) e nelle stazioni di Siena (Monzonite), Montecatini (Monzonite, Porfido di Predazzo), Roma Termini (Giallo Mori, Granito di Cima d’Asta, Monzonite,
Porfido di Predazzo) - avvalora in quel momento l’ipotesi che una definitiva affermazione
sul mercato nazionale sia a portata di mano27.
Nella seconda parte del Novecento si assiste invece ad un progressivo e generalizzato
impoverimento nell’uso di pietre ornamentali pregiate. Molte cave e coltivazioni di
antica tradizione sono abbandonate per problemi ambientali (l’accentuata sensibilità
pubblica non vede di buon occhio l’attività estrattiva, spesso violenta nei confronti
del territorio) sommati ad alti costi di produzione. Il mercato tende a restringere
l’offerta alle qualità più note e conosciute. Nell’ambito delle pietre trentine si assiste
alla progressiva affermazione del porfido, che a partire dagli Sessanta raggiunge, nel
campo delle pavimentazioni stradali di pregio, notevoli risultati in campo nazionale e
internazionale28. La riduzione del campionario lapideo trentino alla metà degli anni
Settanta è chiaramente percepibile. In uno studio pubblicato nel 1975 Giuliano Perna
e Giulio Agnoli affermano: “un tempo l’estrazione dei materiali naturali era molto
attiva in regione e numerosissimi sono gli esempi di applicazione nel Trentino - Alto
Adige; col tempo l’ambito di scelta si è via via ristretto per esigenze di qualità e di produzione. Tuttavia sarebbe desiderabile un rilancio di questi materiali, che non hanno
certamente esaurito il loro ruolo”. Questo tempo sembra ora arrivato.
27
Note
1
Francesco Rodolico, Le pietre delle città
d’Italia, Le Monnier, Firenze 1954, p. 19.
Il paragrafo su Trento viene ripubblicato
come Francesco Rodolico, Le pietre di Trento,
in “Natura Alpina”, 3, agosto 1957, pp. 82-87;
la citazione fa riferimento a questo testo (pp.
83, 87). Nell’articolo è indicato che Rodolico è
“direttore dell’Istituto di mineralogia e geologia
della Facoltà di architettura dell’Università di
Firenze” (p. 82).
3
Giuseppe Gerola, Architettura minore e rustica
trentina, in “Architettura e Arti Decorative”, 7,
marzo 1929, pp. 298-299.
4
L’intento di questa breve panoramica non è
quello di essere esaustivo, come già indicato nella prima versione di questo scritto (Alla ricerca
delle pietre perdute, 2003, poi ripresa come Pietre, arte, storia, 2004, nelle due pubblicazioni
che hanno accompagnato il progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”), ma
di fornire una traccia per seguire l’applicazione
in architettura della pietra trentina soprattutto
tra Otto e Novecento. Va inoltre specificato che
l’utilizzo di termini quali “marmo” e “granito” risponde in questa sezione al significato comune (e
commerciale) attribuito, che è diverso da quello
scientifico applicato nelle descrizioni geologiche
presenti nel volume. Nel linguaggio commerciale
sono così chiamati “marmi” tutte le pietre lucidabili costituite da rocce carbonatiche. In geologia
invece per marmi si intendono solamente quelle
rocce carbonatiche che si sono ricristallizzate a
seguito di metamorfismo. Ancora, nel linguaggio
commerciale i “graniti” sono rocce lucidabili a
composizione silicatica (costituiti da minerali di
durezza Mohs pari a 6-7) che appartengono alla
famiglia delle rocce magmatiche intrusive (di
qualsiasi composizione chimica) e a alcune rocce
metamorfiche quali gneiss o serizzi. In geologia
invece i graniti sono una famiglia di rocce magmatiche intrusive a composizione acida.
5
Adolfo Cetto, La lapide di Augusto a S. Apollinare di Piedicastello, in “Trentino”, 3, marzo
1934, p. 105.
6
Bruno Passamani, La scultura romanica nel
Trentino, Monauni, Trento 1963, p. 18.
7
Tullio Garbari, Il caso Sezanne e la casa
dell’arte trentina, in “La Voce trentina”, 15 novembre 1911, p. 7.
8
Ezio Chini, Arte del Settecento nella valle
dell’Adige, Temi, Trento 1988. Un recente e
dettagliato repertorio - Scultura in Trentino. Il
Seicento e Settecento, a cura di Andrea Bacchi,
Luciana Giacomelli, 2 voll., Temi, Trento 2003
- ha riportato luce su questa produzione. All’interno della pubblicazione (vol. 1) va segnalato il
saggio di Cinzia D’Agostino, Atlante dei litotipi,
vol 1, pp. 315-329, che analizza le principali pietre (trentine e non) utilizzate negli altari locali.
9
Il Duomo di Trento. Pitture, arredi e monumenti, a cura di Enrico Castelnuovo, vol. 2, Temi,
Trento 1993.
10
Giovanni Battista Trener, Industrie vecchie
nuove nel Trentino, sl., sd. [ca. 1899?]. Per una
serie di concause politiche e naturali (le guerre tra
2
28
Austria e Italia, l’innalzamento dei dazi con l’estero, la malattia del baco da seta, che aveva spazzato via la fiorentissima industria serica locale, e
altro ancora) il Trentino aveva subito dopo il 1860
una devastante crisi economica che aveva quasi
azzerato l’intero comparto produttivo territoriale.
11
Trener, Industrie vecchie nuove nel Trentino,
pp. 26-27. È singolare che Trener si mostri
perplesso rispetto alla possibilità di sviluppo del
porfido (destinato a grande successo commerciale): “ricordo da ultimo un ramo d’industria - che,
benché più modesto, non merita affatto d’esser
trascurato come succede da noi - quello delle
lastre di porfido… Purtroppo non è da sperarsi
che, dati i metodi primitivi d’estrazione e di lavorazione attualmente in uso, si riesca a farne un
articolo d’esportazione” (pp. 28-29). L’industria
estrattiva trentina era al tempo decisamente
arretrata rispetto alla limitrofa area bolzanina:
“vediamo le cave di marmo rosso di Trento in
uno stato di regresso, e quelle di marmo rosa di
Besagno e giallo di Tierno in mano d’una società
straniera, quella delle cave di porfido (Unionbaugesellschaft) di Sterzing [Vipiteno]” (p. 26-27).
12
Cenni storici sulla fondazione della Regia
Scuola Industriale di Trento, pp. 4-5.
13
Trento S. Vigilio, a cura di Giulio De Carli,
in “Tesori d’Arte Cristiana”, 37, 12 novembre
1966.
14
Cornelio Condini, I marmi e le pietre ornamentali del Trentino e il loro impiego nella
stazione di Trento, in “Il Trentino e le sue Possibilità Industriali”, 14, 1936, p. 1 (ripubblicato in
“Marmi Pietre Graniti”, 2, marzo-aprile 1937).
15
Umberto Botti, Marco Boccaccini, La costruzione della facciata della chiesa di S. Pietro a
Trento ad opera di Pietro Selvatico (1848-1851),
in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. 2, 1,
1992, pp. 63-130.
16
Da una lettera di Selvatico (marzo 1851) riportata in Botti, Boccaccini, La costruzione della
facciata, pp. 103. Nello studio (pp. 128-129) si
riferisce anche di una polemica insorta tra la fabbriceria della chiesa e Selvatico in merito all’utilizzo di una pietra non trentina, ma vicentina,
per due statue poste in facciata (la fabbriceria
la riteneva “spugnosa e friabile” e inadatta alllo
scopo; Selvatico riesce tuttavia a prevalere).
17
Giorgio Wenter Marini, Architetti trentini,
in “Architettura e Arti Decorative”, 10, giugno
1923, pp. 377-390.
18
Giorgio Wenter Marini, La mostra di architettura per S. Vigilio, in “Il Nuovo Trentino”, 17
giugno 1924.
19
Giorgio Wenter Marini, Architetti trentini, p.
381.
20
Palazzo municipale di Merano, in “Architettura”, 11, novembre 1933, pp. 699.
21
“Al centro si apre l’atrio e sale il grande scalone di onore… sopra i gradoni che orlano la scala grossi corrimano in marmo nero di Mori sono
sorretti e legati da volute e mensole di bronzo”;
La Casa madre dei mutilati in Roma dell’architetto Marcello Piacentini, in “Architettura e Arti
Decorative”, 10, giugno 1929, p. 442.
22
Sul tono classico del bianco, dominante nell’Italia littoria, emergono per rigore compositivo
gli accesi cromatismi del palazzo delle poste di
Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi a Napoli (19291935, in marmo di Vallestrona grigio perla con
inserti in diorite nera di Baveno) e del palazzo
Montecatini di Gio Ponti a Milano (1936-1939,
in cipollino rigato verde acqua tagliato controverso per ottenere una nuova qualità, inventata
da Ponti e chiamata “tempesta”). Verde intenso
è anche l’atrio in malachite di Challant della
casa di Piero Portaluppi in via Morozzo della
Rocca a Milano (1935-1939): edificio che va qui
ricordato non solo perché conserva un eccezionale pavimento composto con decine di qualità
lapidee differenti, ma anche perché ha ospitato
nell’aprile 2004 l’evento “Urban Stone Design”
collegato al progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”.
23
Il restauro è stato curato da Giovanni Marzari;
cfr. in proposito l’intervista di Silvia Mattei, La
difficile riscoperta dell’architettura moderna,
in “Quaderni di Archivio Trentino”, 5, 2001, pp.
60-73.
24
Libera ha impiegato il porfido trentino anche
nel porticato del palazzo postale all’Aventino a
Roma, realizzato con Mario De Renzi (19331934).
25
Renzo Fanti, Angiolo Mazzoni, in Incontri,
Libera Signoria delle Arti, Roma 1958, p. 12.
Duomo di Trento,
dettaglio del protiro orientale
in Verdello e Rosso Trento
29
26
Cornelio Condini, I marmi e le pietre ornamentali del Trentino, p. 3.
27
Anche il veronese Ettore Fagiuoli, nel mausoleo di Cesare Battisti sul Doss Trento inaugurato nel 1935, è tra i progettisti che guardano in
questo momento con interesse alle qualità disponibili. “Vennero usate tutte le pietre del Trentino.
La parte bassa il ‘Siresol’ rossastro, le colonne
ed il rivestimento dell’ipogeo in ‘verdello’, la trabeazione in bianco di Pila… l’ara superiore e le
colonne dell’ipogeo sono di granito violaceo di
Val di Fiemme; le due colonne del vestibolo sono
di ‘macchiavecchia’ di Peri ed i vasi in giallo di
Mori”; Ettore Fagiuoli, Il Monumento, in “Trentino”, 5, maggio 1935, p. 286. Fagiuoli chiama
“granito violaceo” il porfido di Predazzo effettivamente utilizzato (cfr. Antonio Pranzelores,
Dostrento, Saturnia, Trento 1935, pp. 225-226).
SuIla tradizione del porfido come pietra per sepolture imperiali e militari cfr. Raniero Gnoli,
Marmora Romana, 2° ed., Edizioni dell’Elefante,
Roma 1988, pp. 122-143.
28
Lo sviluppo tumultuoso della produzione di
porfido ha creato un forte impatto ambientale
ed è stato a lungo un ambito lavorativo particolarmente difficile, in termini sanitari e sindacali,
per gli addetti; cfr. in proposito le testimonianze raccolte da Silvia Mattei, Oro rosso: lavorare
nelle cave di porfido, in “Altre Storie”, 11, aprile
2003, pp. 13-15.
30
Nascita di un mestiere
Direttivo Provinciale della Sezione
Porfido dell’Associazione Artigiani
e Piccoli Imprese della Provincia
Autonoma di Trento
Particolare di pavimentazione in cubetti
di Porfido Trentino Lastrificato
Da sempre in Trentino la pietra è stata usata per la realizzazione di edifici, per la
copertura di tetti, per il rivestimento di strade e piazze. Tuttavia, a cominciare dal
secolo scorso, con l’affermarsi di una sensibilità per il decoro e l’arredo urbano
compatibili con la necessità di far fronte a volumi di traffico in continua crescita, le
tecniche di posa acquisirono un ruolo fondamentale e divennero elemento distintivo
di una professionalità sempre più ricercata.
La storia moderna della pietra trentina comincia tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Agevolata da condizioni fiscali favorevoli, l’industria estrattiva conobbe in quegli
anni un momento di forte sviluppo. Fu allora che agli operai-imprenditori del settore si
presentò l’occasione di fornire ai propri committenti, non solo un prodotto di buona fattura, ma anche la posa e l’esecuzione accurata delle operazioni di finitura: il problema del
reperimento e della formazione di manodopera specializzata si configurò a poco a poco
come un presupposto indispensabile alla crescita del comparto lapideo. Molte aziende
non furono indifferenti alle nuove opportunità e numerosi privati ed ex operai colsero
l’occasione per avviare un’attività in proprio. Tuttavia, delle tante ditte artigiane sorte in
quel periodo, oggi non si conserva traccia: la pratica del lavoro nero era una consuetudine molto diffusa e tale da rendere difficile la documentazione storica delle opere eseguite.
Anche il quadro offerto da una relazione del Distretto Minerario di Padova, datata 1931,
in cui sono citate alcune aziende di posa operanti in Trentino (S.A.M.I.C.E.N., Zeni ing.
Ferruccio, Ditta Zurini Onorio, Società Anonima Pavimentazioni Stradali, Ditta A.G. Pozzi) va considerato come assai parziale. Al di là di ogni considerazione di carattere storico-economico, fu comunque in quegli anni che gli artigiani trentini maturarono l’abilità e
l’esperienza che in epoca seguente li resero famosi in Italia e nel mondo.
Intorno agli anni Sessanta - Settanta la domanda di pietra trentina, soprattutto porfido,
conobbe una crescita vertiginosa. Il progressivo miglioramento dei mezzi e delle tecniche
di estrazione consentì di far fronte alla richiesta. La presenza di imprese edili ed artigiane
esperte nella posa divenne garanzia di uno sbocco commerciale di alto profilo e promessa
di lunga durata per le imprese di produzione vere e proprie. Così, al seguito di camion e
treni carichi di cubetti e lastre, gli artigiani trentini partirono alla volta dell’Italia e dell’Europa. All’epoca erano la gioia delle agenzie di viaggio di Trento. Anche se la ricostruzione
degli spostamenti e l’individuazione dei lavori non è molto agevole, è comunque noto che
i posatori trentini furono attivi a Milano (Stazione Centrale, via Albricci, Cimitero Monumentale), a Roma (via Nazionale) a Brescia (Istituto Zoo-profilattico, corso Magenta),
a Piacenza (via Scalabrini), in Veneto, in Friuli, in Emilia, in Toscana, nelle Marche, in
Abruzzo, in Sicilia e poi all’estero in Germania, Austria, Svizzera e Francia. In quegli anni
si diffuse la fama della loro abilità: accanto ad ogni cantiere i passanti sostavano incuriositi
e meravigliati dalla perizia e dalla rapidità con cui quegli uomini davano vita a mosaici
dalle complicate geometrie. Le tecniche erano sostanzialmente quelle di oggi: prima il
mastro posatore, aiutato da manovali, predispone alle giuste quote le cordolature e le
delimitazioni perimetrali, poi sullo strato di allettamento (a base di sabbia, talvolta me31
32
scolata a cemento, o di malta cementizia) compie il rito della posa. Seduti in bilico sopra
uno sgabello a piolo o inginocchiati al suolo, i posatori scelgono dal mucchio un cubetto, lo
soppesano, lo collocano nel disegno che stanno per formare; come un’orchestra impegnata nell’esecuzione di un brano musicale essi operano in una sintonia d’azione che a poco a
poco prende forma e sostanza; ai loro piedi si distingue un disegno: un ventaglio, una coda
di pavone, un arco. Come per un giocatore di scacchi ogni mossa influenza lo sviluppo
della partita, così per il posatore di porfido il colore e la misura di ogni cubetto sono una
sfida all’effetto finale del disegno. Lentamente, ma con instancabile assiduità le squadre di
posatori trentini ricoprono chilometri di piazze e strade: la cura e la velocità d’esecuzione
diventano il vanto di ogni squadra, spesso in competizione con le altre.
E come sempre accade nella vita, la storia di questi soggiorni in Italia e all’estero
non ha solo risvolti professionali: è anche storia di incontri, di relazioni, di amicizie,
spesso intense, altre volte durate non più del tempo di una commessa.
Con l’arrivo degli anni Ottanta il mercato del porfido subisce un ulteriore ampliamento
e le destinazioni oltrepassano i confini dell’Europa: a Bagdad, accanto a posatori di
marmo di Carrara, a schiere di operai del Sudan, dell’Egitto e della Mauritania, piccole squadre di trentini condividono mesi di vita araba partecipando alla realizzazione
dell’opera più maestosa che esista in una città islamica: il Monumento al Milite Ignoto.
Una cupola altissima indica il luogo dove sorge il monumento frutto della collaborazione di importanti ditte italiane. In Tunisia la fastosa villa del presidente Burghiba fa bella
mostra di porfidi posati da maestranze trentine. A Riad in Arabia Saudita strade e piazze parlano il linguaggio della pietra della Val di Cembra. E l’elenco potrebbe continuare
a lungo, a testimonianza di un’abilità apprezzata e riconosciuta in tutto il mondo.
Oggi gli artigiani posatori trentini sono una realtà economica dinamica che conta 277
aziende e che rappresenta quasi il 40% delle imprese lapidee trentine (fonte: Commissione provinciale per l’artigianato). Sebbene attualmente il settore goda di buona
salute, le sfide poste da un mercato globale in continua trasformazione e con orizzonti
economici incerti impongono la necessità di affrontare il futuro in termini di una competitività non solo tecnologica, ma anche estetico-formale. Di recente, le potenzialità
espressive delle superfici lapidee sono state oggetto di un’esplorazione sperimentale
nel campo del design che ha ottenuto risultati incoraggianti (Decor-azionismo, esposizione al Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, luglio
2003). È auspicabile che questa nuova forma di sensibilità possa gradatamente innestarsi nel patrimonio tradizionale degli artigiani fornendo quel valore aggiunto in grado
di renderli competitivi anche per gli anni a venire.
Imprese artigiane con prevalente attività di posa del porfido
Facciata in Verdello e Rosa di Terlago
della chiesa di S. Giuseppe (Trento)
arch. Efrem Ferrari
Anno
Aziende (n)
Addetti (n)
1988
259
765
2000
270
796
2002
279
823
2004
277
820
fonte: Commissione provinciale per l’artigianato
33
34
Homo Faber
Aldo Colonetti
Rosone settentrionale
del Duomo di Trento in Rosso Trento
La dimensione estetica dei materiali appartiene alla storia e all’evoluzione di tutti
quegli oggetti e prodotti realizzati per particolari funzioni e utilizzazioni.
Per questa ragione non è facile ritrovare e definire l’identità espressiva di un determinato materiale, nel nostro caso la pietra trentina, senza far riferimento alla storia
e alle tradizioni che ne hanno fatto uso, secondo modelli teorici e abitudini sociali,
spesse volte tra loro contrastanti.
Dopo aver analizzato lo stato dell’arte della pietra trentina, rispetto alle funzioni
d’uso e alle destinazioni simboliche, si è cercato di trasferirle un significato rinnovato,
soprattutto avvicinando ad essa la cultura del progetto, in modo particolare il mondo
del design e dell’architettura italiana.
Il progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”, avviato nel 2002,
ha tenuto conto, in primo luogo, del tempo e dello spazio a cui appartiene questo
straordinario materiale; ovvero si è pensato che il “nuovo” non potesse svilupparsi
senza mettere le radici nel sapere degli uomini e del territorio della “pietra”.
Conoscenza geologica, rispetto del territorio, analisi degli strumenti e delle tecniche
di lavorazione, procedimenti di utilizzazioni, caratteristiche strutturali; il tutto pensato e accettato non in quanto sapere assoluto, immodificabile, ma in relazione allo
sviluppo e alle possibili evoluzioni costruttive e progettuali del materiale.
Senza la conoscenza della storia e il rispetto della memoria non può esistere alcun
futuro; nel nostro caso non poteva esistere un futuro possibile e praticabile della pietra trentina.
La seconda tappa è stata quella di inserire questa sapienza e conoscenza all’interno
del circuito del design e dell’architettura internazionale, affinché il rinnovamento potesse svilupparsi secondo le tendenze della ricerca contemporanea.
Come scrive un grande teorico della cultura materiale, Abraham Moles, “l’oggetto, nella
nostra civiltà, non è mai naturale. Non si parla di una pietra, di una rana o di un albero
come di un oggetto, ma piuttosto come di una cosa. La pietra diventa oggetto solo quando le si fa assumere, ad esempio, la funzione di fermacarte. L’oggetto ha un carattere
passivo, ma allo stesso tempo costruito. Esso è il prodotto del Homo Faber”.
Il concetto di Homo Faber nel progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra
Trentina”, è stato declinato secondo tre momenti e interpretazioni complementari,
ma tra loro differenti. Un’elaborazione di carattere espressivo e linguistico, espressione che privilegia la superficie dei materiali lapidei; la ricerca degli studenti IED
- Istituto Europeo Design Milano, coordinata da Alessandro Guerriero; un concorso
internazionale, rivolto ad alcune delle più importanti università di design e architettura europee, con la collaborazione del network europeo Cumulus, destinato ad
individuare oggetti di design urbano per nuove tipologie di carattere collettivo. Infine,
quattro “esemplari” esercitazioni progettuali, tema unico una fontana destinata al
territorio trentino, affidate a Mario Botta, Pierluigi Cerri, Alessandro Guerriero, Ettore Sottsass jr.
35
Il tutto accompagnato da una serie di contributi teorici, al centro dei quali emergono
gli interventi di Gillo Dorfles, soprattutto a proposito del rapporto tra piccola e grande
serie e il ruolo centrale della tecnica per quanto riguarda le arti applicate. Per Dorfles significa che non è possibile affidare esclusivamente ad un grande progettista il
rinnovamento progettuale di un determinato materiale, se non si accompagna questo
percorso con i saperi antichi degli strumenti e delle mani dell’uomo.
I risultati di questa ricerca, al di là degli esiti squisitamente qualitativi, sono di grande
interesse, specialmente per quanto riguarda un nuovo tipo di rapporto tra territorio, materiali specifici del territorio stesso, e protagonisti della cultura progettuale
internazionale: non si può progettare il futuro se non partendo dalla conoscenza e
dal rispetto del contesto storico e delle condizioni geopolitiche a cui l’esperienza fa
riferimento.
Il progetto, a questo punto, conclusa la prima fase, è affidato e trasferito di nuovo ai
veri protagonisti, “gli uomini della pietra”: la modernità nel design e nell’architettura
significa il rispetto di coloro i quali sono i veri e reali attori della “trasformazione”.
Nel nostro caso i contributi dei designers e degli architetti, gli apporti teorici e culturali, devono diventare patrimonio comune e diffuso del territorio, in modo tale che la
coscienza collettiva ed individuale ne faccia un uso appropriato e giustificato.
Prima di creare è necessario sempre conoscere: un protagonista del pensiero moderno, a proposito della dimensione estetica, Jan Mukarovsky’, scrive che “nel distinguere la sfera estetica da quella extra-estetica, è necessario tenere sempre presente che
non si tratta di due sfere nettamente divise ed indipendenti una dall’altra. Entrambe
queste sfere sono in un continuo rapporto dinamico che si può caratterizzare come
una contrapposizione dialettica. Ovvero non si può studiare lo stato e l’evoluzione
della funzione estetica senza chiedersi in quale misura essa è presente nell’estensione
e nella dimensione della realtà di tutti i giorni”.
Il progetto “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina” deve fare i conti con
questa dimensione sociale, l’unica condizione che rende possibile la creazione del
“nuovo”: rinnovare vuol dire inserire nel tessuto e nel paesaggio di una determinata
realtà storica e geografica, progetti originali ma soprattutto declinabili e comprensibili
da tutti coloro i quali abitano quel determinato territorio.
I risultati di questa prima fase di progettazione destinata alla pietra trentina devono
diventare patrimonio comune del sistema produttivo, e quindi devono integrarsi con
i saperi, le psicologie, le speranze, le visioni degli “uomini della pietra”.
36
Atto primo
Enrico Cattani
2003 - 2004. Due anni di iniziative nel segno del progetto contemporaneo
“Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina” è un progetto istituzionale promosso
dalla Provincia Autonoma di Trento, dalla Camera di Commercio I.A.A. di Trento e dalla
Trentino Spa Società di Marketing Territoriale, in collaborazione con l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento, l’Associazione Industriali della Provincia
di Trento, la Federazione Trentina delle Cooperative, il C.E.T. - Consorzio Estrattivo Trentino, l’E.S.Po. - Ente Sviluppo Porfido, avviato nella primavera 2003 e proseguito a ritmo
serrato fino alla pubblicazione di questo atlante. Questa è la cronaca in ordine temporaledelle iniziative.
Lezione magistrale
Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, 16 maggio 2003
Inaugurato con un forum al Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di
Trento e Rovereto il progetto si è giovato fin dal principio del contributo di illustri
specialisti: Gillo Dorfles, Ettore Sottsass jr., Mario Botta, Aldo Colonetti, Pierluigi Cerri, Alessandro Guerriero, Paolo Baldessari, Massimo Martignoni. Partendo dall’osservazione che la pietra ha segnato la nascita dell’architettura e quindi della civiltà
urbana, il dibattito si è snodato attraverso diversi temi, tutti focalizzati sul rapporto
uomo - pietra, per concludersi con l’unanime ammissione dell’alto valore culturale e
sociale del materiale lapideo nell’esperienza umana.
Decor-Azionismo
Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, luglio 2003
Un altro momento qualificante del progetto è stata la collaborazione con gli studenti
dello IED - Istituto Europeo Design Milano, incaricati sotto la guida dell’architetto
Alessandro Guerriero di esplorare le potenzialità espressive delle superfici lapidee.
I risultati, esposti al Mart nel luglio 2003, sono apparsi estremamente incoraggianti,
soprattutto in relazione agli orizzonti che essi hanno aperto. L’insieme dei progetti ha
dato vita ad una sorta di dizionario espressivo attraverso il quale sono state declinate diverse possibilità linguistiche, combinazioni cromatiche e formali, soluzioni che
lasciano intravedere quali potrebbero essere gli sviluppi ulteriori della ricerca. “Dall’architettura al design sia delle superfici che degli oggetti, dagli interni agli esterni
attraverso uno scambio reciproco di funzioni e di patrimoni simbolici, dal territorio
alla città, fino alle strade, alle piazze, perché i “non luoghi” si trasformino in luoghi,
nel rispetto della storia e dei comportamenti di chi vi ha sempre abitato: questi e altri
ancora appaiono come i migliori contributi della ricerca, risultati non definitivi né risolutivi, perché si tratta di un percorso aperto e quindi integrabile e flessibile, idoneo
perché possa ricevere altre e future proposte progettuali” (Alessandro Guerriero).
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Andrea Arrigoni
Prototipo realizzato da:
Porfido Trentino - Albiano (Tn)
Pietre: Porfido Trentino Lastrificato,
Porfido Trentino a Blocchi
Laura Sari
Prototipo realizzato da:
Consorzio Cavatori Fornace - Fornace (Tn)
Pietre: Porfido Trentino Lastrificato, Porfido
Trentino a Blocchi
Alessandro Bordoni
Prototipo realizzato da:
Odorizzi Porfidi - Albiano (Tn)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
Adi Rom
Prototipo realizzato da:
Porfidi e Graniti Predazzo - Predazzo (Tn)
Pietra: Granito Rosa di Predazzo
Marcello Magnani
Prototipo realizzato da:
Giuseppe Odorizzi - Albiano (Tn)
Pietre: Porfido Trentino Lastrificato,
Porfido Trentino a Blocchi
Alba Ferri
Prototipo realizzato da:
Produttori Porfido Albiano - Albiano (Tn)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
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Marcello Magnani
Prototipo realizzato da: Europorfidi - Albiano (Tn)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
Soran Lee
Prototipo realizzato da: Dal Lago Fabianelli - Aldeno (Tn)
Pietre: Verdello, Rosso Trento
Alessandro Panziera
Prototipo realizzato da: Pedretti Graniti - Carisolo (Tn)
Pietra: Granito dell’Adamello (Tonalite)
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Mauro Valsecchi
Prototipo realizzato da: Odorizzi Porfidi - Albiano (Tn)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
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Mart - museo di arte moderna e contemporanea di Trento e
Rovereto, luglio 2003
Mostra: Decor-azionismo, i progetti degli studenti dell’Istituto
Europeo di Design - Milano
Selezione dei 400 progetti realizzati dagli studenti, frutto della
ricerca sulle potenzialità espressive delle superfici lapidee
Pagina a fianco
Prototipi di pavimentazione eseguiti dalle aziende trentine
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Disegni e progetti per quattro fontane in Pietra Trentina: Mario Botta, Pierluigi Cerri,
Alessandro Guerriero, Ettore Sottsass jr.
Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, luglio 2003
Al Mart vengono esposti i lavori degli studenti dello IED Milano - Istituto Europeo Design attraverso la mostra “Decor-azionismo”, ospitata nel mezzanino del museo, mentre
nella piazza vengono presentati al pubblico i prototipi delle quattro fontane realizzate
da Mario Botta, Pierluigi Cerri, Alessandro Guerriero, Ettore Sottsass jr. Ambedue gli
allestimenti sono stati curati dallo studio Baldessari e Baldessari. I progettisti erano stati invitati a dar vita attraverso una riflessione comune ad opere in grado di coniugare
radici storiche e linguaggio contemporaneo nell’ambito dell’arredo urbano: essi hanno
individuato nella fontana l’elemento rappresentativo del progetto. Mario Botta traccia
un percorso dell’acqua dove la natura della pietra è declinata all’interno del proprio dizionario espressivo. Pier Luigi Cerri disegna uno spazio della riflessione, dove ciascuno
è, nello stesso tempo, solo e in attesa di altri. Alessandro Guerriero, ispirandosi alla tradizione del luogo e a valori musicali, realizza una fontana che è anche una panca e un
tavolino. Ettore Sottsass jr. scava nella memoria montanara e rinvia, nella sua proposta, agli abbeveratoi ricavati dai tronchi. Le opere esposte al Mart hanno rappresentato
una serie di proposte concrete per un rinnovamento simbolico e funzionale della Pietra
Trentina, delle sue qualità materiche e delle sue radici storico-culturali.
Mario Botta
Fontana in Rosa di Terlago
“La fontana proposta è una mezza sfera di pietra trentina scavata al suo interno, un
vassoio nella sua forma più semplice e primordiale che offre uno specchio d’acqua
attraverso la sua posizione inclinata di 45 gradi. L’immagine è quella di una ciotola di
pietra ingrandita ed evidenziata attraverso la purezza delle sue forme geometriche. È
appoggiata su una spessa lastra piana che serve anche da seduta”.
Pierluigi Cerri
Fontana in Verdello
“(Pe-di-lu-vio) s.m. (pl.-vi). Lat. Pés (genit. Pédis) “piede” e il tema di lavere “lavare”
sec. XVIII. Foot-bath Fussbad Bain des pieds. Immergere i piedi per un periodo prolungato in acqua a scopo terapeutico o rilassante”.
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Alessandro Guerriero
Fontana in Porfido Trentino a Blocchi
“È una fontanella, è anche una panca, è anche un tavolino, pensati per un luogo coinvolgente. È di pietra, anzi è solo di pietra. Può essere collocata sotto un portico o sotto un albero e se collegata all’acqua, trasuda lucidità da se stessa e inumidisce il terreno circostante.
La sua è una forma di architettura: l’attitudine funzionale è trasfigurata da una decorazione
di superficie complessa. È un tempio miniaturizzato e ci dovrebbero essere delle arcate
blu e un lato policromo con molto oro ma non ci sono. Sembra che si muova. Sembra che
tremi. Invece è uno strumento musicale, anzi molti strumenti messi insieme: accostando
l’orecchio si sentono flauti, delicati triangoli, piccole campanelle, cimbali lontani. Bisbiglia
e suona. Suona oggi, suona sempre. È un nuovo, avveniristico strumento musicale, una
specie di totem neo-moderno semiaddormentato. Da lì escono le rielaborazioni delle grida
siciliane, i ratabùm futuristi, i silenzi di Cage. Da lì usciranno suoni per sempre diversi all’infinito: è previsto che si esegua il pezzo musicale più lungo che sia mai scritto”.
Ettore Sottsass jr.
Fontana in Granito dell’Adamello
“L’idea di una fontana lunga e stretta si rifà più o meno alle antiche fontane di montagna dove gli animali andavano a bere e che erano lunghi tronchi d’albero scavati.
L’idea di non abbandonare questa memoria mi è stata suggerita dal fatto di poter
avere a disposizione un bellissimo granito che si chiama Granito dell’Adamello (Tonalite), cioè avevo a disposizione una pietra che proviene dalle alte montagne del Trentino. Naturalmente, dato che i tempi delle fontane di legno sono passati, ho pensato che
una fontana di Granito dell’Adamello poteva anche diventare una specie di piccola
scultura e così è venuta fuori una fontana che si vedrà. Molte altre spiegazioni non le
posso dare perché anche io non le conosco”.
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Mario Botta
Prototipo realizzato da La Quercia Graniti - Rovereto (TN)
Pietra: Rosa di Terlago
Pierlugi Cerri
Prototipo realizzato da La Quercia Graniti - Rovereto (TN)
Pietra: Verdello
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Ettore Sottsass jr.
Prototipo realizzato da Pedretti Graniti - Carisolo (TN)
Pietra: Granito dell’Adamello (Tonalite)
Alessandro Guerriero
Prototipo realizzato da Stones Company - Civezzano (TN)
Pietra: Porfido Trentino a Blocchi e Porfido Trentino Lastrificato
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Suolo e sottosuolo, spettacolo in cava
Fornace (Trento), 9 - 10 agosto 2003
Rievocare il legame intimo che unisce l’uomo alla pietra e il senso di un passato
elementare, primordiale, è stato lo scopo dello spettacolo “Suolo e sottosuolo” nella
cornice suggestiva della cava di Fornace. In una notte d’estate, ecco liberarsi la lotta
per la vita nelle abbaglianti e mutevoli forme del fuoco. Quest’ultimo è stato il vero
protagonista di uno spettacolo-rito, realizzato senza ausili tecnologici e articolato in
cinque quadri: Magma, Esplorazione, Il Ventre della Terra, I Frutti della Terra, La
Danza della Saggezza. In un viaggio primordiale, attori - danzatori, accompagnati dal
ritmo incessante dei tamburi, invadono lo spazio della cava illuminandola di bagliori
nel turbine vorticoso di una coreografia di fuoco. Pire accese lanciano fiamme verso
un cielo ardente e cascate incandescenti disegnano percorsi lavici: lo spazio si trasfigura, il sottosuolo svela i suoi segreti. È il trionfo delle forze primigenie, lo spazio
delle potenze ctonie, la nascita della Pietra.
Salone della Pietra Trentina
Trento Expo, 21 - 23 novembre 2003
Il Salone è stato l’occasione per un dibattito a tutto campo fra operatori del settore,
enti e associazioni di categoria, rappresentanti del territorio, designer e architetti,
sugli aspetti economici del settore lapideo trentino e sulle sue potenziali prospettive
di sviluppo. Negli spazi espositivi la presenza di numerose aziende con prodotti innovativi ha fatto dell’evento una vetrina unica nel suo genere in cui i visitatori hanno
potuto ammirare le ultime novità del settore. Il successo di critica decretato dalla
stampa ed operatori ha evidenziato alcune caratteristiche importanti dell’evento: la
sapiente organizzazione e la vasta gamma dell’offerta superiore a molte altre fiere
nazionali dedicate alla pietra. Come di consueto, nell’area ospitalità è stato possibile
degustare i prodotti agroalimentari trentini e ricevere informazioni sul territorio e le
sue offerte. Non sono mancati neppure alcuni interessanti eventi culturali concomitanti con il Salone, tra i quali: “Trento, maschere barocche”; la mostra dei progetti di
fontane in Pietra Trentina realizzate da studenti dell’Istituto Statale d’Arte di Monza;
“Le fontane di Romarzollo” una raccolta di disegni, fotografie, notizie, nomenclature
sulle fontane della zona di Arco analizzati dagli studenti della scuola elementare di
Vigne - Arco, “Ecomuseo Monte Calisio”, esposizione informativa di un’idea di “ecomuseo” sul monte Calisio, a cura dell’Associazione Ecomuseo dell’Argentario.
Contaminazioni di Pietra Trentina
Concorso internazionale Cumulus, 2004
Studenti e docenti di cinque università inserite nel network europeo Cumulus, coordinati dal vicepresidente Michele Capuani, hanno interpretato il tema antico della
pietra ricercando nuovi stimoli e opportunità. I cinquanta progetti presentati sono
stati esaminati da una commissione di esperti e da un gruppo di aziende trentine
che, in base a coerenza formale, fattibilità, innovazione tecnologica, valorizzazione
del materiale impiegato, hanno individuato un vincitore e nove progetti meritevoli.
Maestranze trentine hanno realizzato i prototipi dei progetti selezionati che sono stati
in seguito esposti alla Fondazione Piero Portaluppi in occasione del Salone del Mobile
di Milano 2004.
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USD - Urban Stone Design - Antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina
Salone Internazionale del Mobile (evento fuori Salone)
Fondazione Piero Portaluppi, Milano, 14 - 19 aprile 2004
L’evento ha rappresentato il primo momento di bilancio complessivo del progetto
“Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”. Sono state esposte insieme, in
un rigoroso allestimento di Baldessari e Baldessari, le quattro fontane di Mario Botta,
Pierluigi Cerri, Alessandro Guerriero ed Ettore Sotsass jr. e i risultati del concorso
Cumulus, al quale hanno partecipato le università di design di Helsinki, Copenhagen, Ljubliana, Tallinn, Madrid, Nantes. Vincitore assoluto è stato Zoran Svraka
(Ljubliana) con il progetto “Q-brick”; segnalati con menzione di merito Heli Pollanen
(Helsinki), Marie Le Gac (Nantes), Anna Larsen, Eva Posada (Madrid), Villu Scheler
(Tallinn); selezionati Linda Beregroth (Helsinki), Mateja S. Dimic, Katja Markovic
(Ljubliana), Dominique Herbillom (Nantes), Miha Crtalic (Ljubliana), Ulo-Tarmo Stoor
(Tallinn). L’evento è stato ampiamente seguito dalla stampa specializzata e ha avuto
un significativo riscontro tra il pubblico internazionale del Salone del Mobile. Rolly
Marchi, ambasciatore del Trentino a Milano, è stato protagonista di una serata d’approfondimento dedicata alla roccia nel paesaggio e nell’alpinismo trentino.
Pagine precedenti
Mart - museo di arte moderna e contemporanea
di Trento e Rovereto - luglio 2003
Mostra: Disegni e progetti per quattro fontane
in Pietra Trentina: Mario Botta, Pierluigi Cerri,
Alessandro Guerriero, Ettore Sottsass jr.
Allestimento Studio Baldessari e Baldessari
Fotografia a destra e pagine successive
Fondazione Piero Portaluppi, Milano aprile 2004
Mostra: USD - Urban Sone Design
Salone Internazionale del Mobile (evento fuori Salone)
Esposizione in esterno delle quattro fontane
Allestimento: Studio Baldessari e Baldessari
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I prototipi del concorso “Contaminazioni di Pietra Trentina”
1° Premio
Zoran Svraka
Q-brick
Radiatore tubolare con cubetti in pietra inseriti nella struttura metallica del circuito radiante. Sfrutta abilmente le capacità di accumulo di calore della Pietra Trentina. Gli elementi in
pietra separano dal muro i tubi radianti che essendo flessibili consentono al radiatore di
assumere le forme più diverse. Il progetto ha vinto per l’equilibrio tra innovazione tecnologica e valorizzazione delle caratteristiche cromatico-materiche della pietra trentina
University of Ljubliana - Slovenia
Prototipo realizzato da C.E.T. - Consorzio Estrattivo Trentino (Isera - Trento) e E.S.Po. Ente
Sviluppo Porfido (Albiano - Trento)
Pietra: Porfido Trentino a Blocchi, Granito dell’Adamello (Tonalite), Granito Rosa di
Predazzo, Verdello
Con menzione di merito
Heli Pollanen
Napa
Pavimentazione con grandi lastre, alcune delle quali, combinandosi in quattro elementi,
formano delle calotte rialzate rispetto al pavimento. L’opera di grande efficacia suggestiva
delinea alcune delle bolle che si disegnano sulla superficie di un’immaginaria pavimentazione. Progetto menzionato per la profondità dell’indagine poetica e artistica
University of Art and Design Helsinki - Finlandia
Prototipo realizzato da Pedretti Graniti (Carisolo - Trento)
Pietra: Granito dell’Adamello (Tonalite)
Marie Le Gac
Dama Natura
Totem-barometro da utilizzare nell’arredo urbano. È un elegante dolmen in pietra che
evoca nelle forme e nei graffiti di cui è intarsiato incontaminati paesaggi naturali. Progetto menzionato per l’attenzione agli aspetti funzionali e al dialogo con la collettività
L’Ecole de Design, Nantes - Francia
Prototipo realizzato da Marmi Alto Garda (Arco - Trento)
Pietra: Rosso Trento
Anna Larsen, Eva Posada
Alamont
Serie di cuscini in pietra da collocare in parchi e spazi pubblici urbani. Opera costruita sulla contrapposizione fra l’idea di confort suggerita dalla forma e l’idea di durezza
trasmessa dalla pietra; Alamont gioca sull’opposizione di questi concetti, il morbido
della casa e il duro del paesaggio urbano. Progetto menzionato per l’intelligente ed
ironica elaborazione concettuale
IED Madrid - Istituto Europeo Design - Spagna
Prototipo realizzato da La Quercia Graniti (Rovereto - Trento)
Pietra: Rosa di Terlago, Rosso Trento, Verdello
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Villu Scheler
Sinous
Schema per la variazione modulare negli spessori dei rivestimenti murari in pietra.
Sfrutta la possibilità di tagliare i cubetti di porfido ad altezze diverse per creare effetti
geometrici inediti attraverso il gioco sinuoso delle superfici. Progetto menzionato per
il rigore dell’analisi tecnologica
Estonian Academy of Arts Tallinn - Estonia
Prototipo realizzato da Edil Porfido di Dallapiccola (Baselga di Piné - Trento)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
Selezionati
Linda Beregroth
A glass of water, please
Fontana pensata in poetica integrazione con l’ambiente urbano o naturale. L’acqua
colma gli spazi lasciati liberi nei blocchi di pietra scrivendo un messaggio liquido in
continuo movimento. Evoca l’estetica zen, l’aspirazione a definire il vuoto anziché il
pieno secondo una sensibilità lontana da quella occidentale
University of Art and Design Helsinki - Finlandia
Prototipo realizzato da Porfidi & Granulati Camparta (Rovereto - Trento)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
Mateja S. Dimic, Katja Markovic
Orion
Lampada per esterni e interni che gioca sul contrasto tra leggerezza dello stelo metallico e massa della base in cubetti di pietra trentina. Tra i due elementi non c’è continuità, e tuttavia lo scarto è tanto grande da rendere piacevole l’associazione.
University of Ljubliana - Slovenia
Prototipo realizzato da Odorizzi Graziano (Albiano - Trento)
Pietra: Porfido Trentino Lastrificato
Dominique Herbillom
Jardìn Zen
Micro isola zen in pietra, composta di spazi per le piante e le sedute, da inserire nel
contesto urbano. Trasferisce con abilità all’interno del ridotto spazio cittadino una
piccola oasi verde che apre ampi orizzonti di spazio mentale
L’Ecole de Design, Nantes - Francia
Prototipo realizzato da Marmi Dallago & Fabbianelli (Aldeno - Trento)
Pietra: Rosso Trento, Verdello
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Miha Crtalic
Light Stone
Coffee table o seduta in pietra modulare che sembra galleggiare nello spazio. La
struttura piena e massiccia è scavata su un angolo che sembra fungere da sostegno:
in realtà l’oggetto è sorretto da una struttura non visibile. L’effetto, apparentemente
contrario alle leggi di gravità, è intensificato dalla sorgente luminosa posta sotto il
tavolo. Il tutto emana un effetto altamente suggestivo.
University of Ljubliana - Slovenia
Prototipo realizzato da Porfidi e Graniti Predazzo (Predazzo - Trento)
Pietra: Granito Rosa di Predazzo.
Ulo-Tarmo Stoor
Stone Bag
Elemento modulare che ingloba in una rete i prodotti minori della lavorazione della pietra trentina. I ciottoli di risulta sono raccolti dentro sacchi di rete metallica e
possono fungere da piastrelle per esterni. Può essere utilizzato per pavimentazioni
provvisorie.
Estonian Academy of Arts - Tallinn - Estonia
Prototipo realizzato da C.E.T. - Consorzio Estrattivo Trentino (Isera - Trento)
Pietra: mix di prodotti di risulta della lavorazione della Pietra Trentina.
via Morozzo della Rocca, 5 - 20123 Milano
Inaugurazione della mostra USD - Urban Sone Design
Salone Internazionale del Mobile (evento fuori Salone)
alla presenza degli studenti del network Cumulus che hanno
partecipato al concorso “Contaminazioni di Pietra Trentina”;
premiazione dei vincitori, Milano, aprile 2004
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Atto secondo
Paolo Baldessari
Concorso network Cumulus “Contaminazioni di Pietra
Trentina”
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Primo premio
Pagina a fianco
Con menzione di merito e selezionati
La disponibilità di così numerosi ed interessanti proposte progettuali uscite dagli attori
chiamati al tavolo di “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina”, alcuni dei
quali già visti in fase prototipale e presentati in occasione delle mostre al Mart - Museo
di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto - luglio 2003 e alla Fondazione
Portaluppi di Milano in occasione del Salone del Mobile - aprile 2004, apre ora la seconda fase altrettanto esaltante che è quella legata alla realizzazione dei pezzi secondo
le modalità che regolano il processo del “fare”.
Una fase applicativa che vedrà entrare in scena in maniera più diretta il mondo tecnico dell’impresa e del management. Una fase in cui la collaborazione fra industria,
uomini della pietra trentina e designers diventerà ancora scambio di idee per la ricerca di soluzioni ottimizzabili, approfondimento di tecnologie su cui si innerveranno
ancora creatività, sensibilità progettuale e sapere tecnico. Un lavoro aperto sui materiali, sulla loro possibilità di trasformazione manifatturiera, sulla loro nobilitazione
per conferire ai pezzi ideati la più alta resa funzionale ed estetico - espressiva.
La pietra pur essendo un materiale classico, di lunga durata, di forte tradizione, radicato nel territorio della memoria, è un materiale di grande attualità. Il timbro dei
suoi valori estetici, le sue potenzialità e qualità performative, le specificità materiche,
le conferiscono un’identità intrinseca forte, capace di sollecitare nuove idee di design,
sia come gioco estetico quanto come design strategico.
Trasformare un oggetto storico, come ad esempio è stato con le fontane, in un oggetto
di design è un’operazione di sviluppo ed avanzamento, non di lacerazione con il passato, così come reinterpretare ed inventare nuovi accostamenti e nuove geometrie di posa
per le pavimentazioni in pietra con nuove tecniche, nuovi materiali, nuove possibilità,
nuove attitudini, è un’operazione di modernità innestata sulla tradizione artigianale.
Da tutto ciò, dalla cultura industriale e quella del progetto, dal patrimonio di persone,
di idee, “l’utopia” diventerà prodotto, passando attraverso le modalità e le lavorazioni
artigianali, condizione autentica per l’attecchimento e accrescimento di nuove idee.
Questo sarà il momento dove possono svilupparsi ancora le condizioni migliori per
la modernizzazione della cultura industriale, dove sarà possibile comunicare l’eccellenza dell’intero sistema del distretto, capace, con più di 400 imprese, di realizzare
prodotti finiti, componenti semilavorati, materie prime con i relativi processi di trasformazione e lavorazione, macchinari specializzati.
Il design di “Pietra: antichi e nuovi percorsi della Pietra Trentina” dimostra, con i
progetti proposti, stile, originalità di pensiero, solide conoscenze tecniche, capacità di
comunicazione e nuove possibilità di business.
Il mercato saprà distinguere l’identità e risponderà positivamente alla portata innovativa con l’apertura di nuovi mercati. Le imprese saranno viste come entità che
sviluppano cultura oltre che prodotti. La strategia complessiva allargherà il proprio
orizzonte operativo intercettando nuove istanze e bisogni, fino all’approdo del prodotto sul mercato.
61
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Geologia
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Il Trentino visto dal satellite Landsat 7
Servizio Geologico
Servizio Minerario
fonte: USGS & NASA
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Francesca Crivellari
Giorgio Zampedri
Dal punto di vista geologico, il territorio del Trentino è caratterizzato dalla presenza di due
grandi unità strutturali della catena Alpina: l’Austroalpino e le Alpi calcaree meridionali
(Sudalpino). Il confine tra queste due unità è costituito dal Lineamento Periadriatico detto
anche Linea Insubrica, un fascio di linee tettoniche ad andamento E-O che attraversa longitudinalmente l’intero orogene alpino e in Trentino si sviluppa attraverso il passo del Tonale
e la Val di Sole (prendendo il nome di linea del Tonale e linea delle Giudicarie Nord).
Il Sudalpino si estende a sud del Lineamento Periadriatico, è caratterizzato da scaglie
tettoniche con una pronunciata vergenza verso sud ed occupa, arealmente, la parte
più cospicua del Trentino. È costituito in prevalenza da rocce sedimentarie calcareodolomitiche e marnoso arenacee. Seguono in ordine di abbondanza le formazioni vulcaniche e in subordine le rocce metamorfiche (quasi solo del tipo nettamente scistoso)
e le rocce intrusive (graniti, granodioriti, monzoniti). Rocce metamorfiche e rocce
intrusive si equivalgono approssimativamente tra loro come estensione.
Tra le formazioni vulcaniche, la più rappresentativa è la Piattaforma Porfirica Atesina
che occupa una buona parte del settore centro orientale del territorio trentino ed è
costituita da ignimbriti, domi e colate riolitiche o riodacitiche, dacitiche ed andesitiche (età Permiano Inferiore).
Tra le rocce intrusive, la maggior evidenza è data dal batolite dell’Adamello, un
complesso plutonico composto in prevalenza da rocce granodioritiche, tonalitiche e
granitiche (età Eocene Medio - Oligocene) che si trova all’estremità centro occidentale
del Trentino a sud della linea del Tonale.
La presenza di questi due importanti domini geologici, Sudalpino e Austroalpino,
caratterizza inoltre l’assetto strutturale del territorio trentino che risulta interessato
dalla presenza di importanti lineamenti tettonici.
Nel Sudalpino le più importanti direttrici tettoniche sono:
•
•
•
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Antica coltivazione di massi per l’estrazione
di pietra ornamentale trentina
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la linea del Tonale, andamento E-O, che in continuità con quella delle Giudicarie
Nord, andamento NE-SO, rappresenta lo sviluppo trentino del Lineamento Periadriatico e delimita il contatto tra le rocce metamorfiche dell’Austroalpino e quelle
del Sudalpino individuando una zona di sutura profonda (geosutura) tra i blocchi
crostali europeo ed africano;
la linea delle Giudicarie Sud orientata NNE-SSO che delimita il bordo orientale del
Batolite dell’Adamello e mette in contatto le rocce del basamento cristallino con le
coperture sedimentarie mesozoiche;
la linea della Valsugana che si sviluppa lungo l’omonima valle con orientazione
E-O, rappresenta uno dei maggiori elementi disgiuntivi del Sudalpino orientale e
costituisce il limite meridionale della Piattaforma Vulcanica Atesina. Il settore a
nord risulta enormemente rialzato rispetto a quello a sud e lungo la linea il basamento cristallino paleozoico è sovrascorso sulle formazioni mesozoiche.
Carta Litologica e lineamenti strutturali del Trentino
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Servizio Geologico
Servizio Minerario
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Domini geologici e lineamenti strutturali principali
Servizio Geologico
Servizio Minerario
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Genesi delle litologie affioranti
Servizio Geologico
Servizio Minerario
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Lineamenti strutturali e morfologia
Servizio Geologico
Servizio Minerario
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Associati a questi lineamenti principali si trovano sistemi dislocativi minori costituiti
da pieghe e faglie che per la loro orientazione si possono raggruppare in due sistemi principali: il primo ha orientazione media E-O (orientazione Valsuganese) ed è
localizzato ad est della valle dell’Adige, l’altro ha andamento NNE-SSO (orientazione
Giudicariense) ed è presente ad ovest dell’Adige. Nella zona di Trento e nel Trentino
sudorientale vi sono strutture tettoniche di raccordo tra i due i sistemi principali.
Parecchie sono infatti le faglie e le pieghe ad andamento arcuato.
Oltre a questi due sistemi tettonici, esiste una serie di dislocazioni, costituite soprattutto da faglie e parafore con andamento NO-SE o NNO-SSE (sistema Scledense), che
interessano il Trentino sud-orientale.
L’Austroalpino si estende a nord del Lineamento Periadriatico, è costituito da una
struttura a falde di ricoprimento nord vergenti (europa-vergenti) ed occupa solo una
piccola porzione del territorio trentino, situata tra la Val di Sole ed il confine con la
Provincia Autonoma di Bolzano. È caratterizzato da una netta prevalenza di rocce
scistoso-cristalline e da un assetto strutturale complesso con presenza di falde tettoniche, pieghe, sovrascorrimenti e scaglie listriche. Tra una falda e l’altra esistono linee
di notevole disturbo tettonico con rocce intensamente cataclasate e milonitizzate.
Queste strutture sono orientate prevalentemente secondo direzioni che variano da
E-O a NE-SO subparallele al limite Austroalpino-Sudalpino. La principale di queste
strutture è la Linea di Peio lungo la quale è avvenuto il sovrascorrimento della falda
del Tonale su quella dell’Ortles.
Litologia
La serie geologica del Trentino si caratterizza per una notevole eterogeneità litologica; sono infatti presenti rocce di origine sedimentaria, magmatica e metamorfica.
La distribuzione delle aree di affioramento delle diverse litologie è rappresentata
nella carta litologica e dei lineamenti strutturali del Trentino a scala 1:200.000. Nella
legenda le unità litologiche sono raggruppate secondo il dominio geologico di appartenenza in Sudalpino, Austroalpino e Batolite dell’Adamello.
Nel Sudalpino la serie geologica copre un intervallo temporale che va dal Paleozoico
al Quaternario ed è costituita da una notevole varietà litologica; alla base della colonna stratigrafica troviamo le rocce del basamento cristallino prepermiano seguite dalle
estese e potenti formazioni delle vulcaniti permiane (ignimbriti riolitiche e riodacitiche della Piattaforma Vulcanica Atesina) che sono ricoperte da depositi continentali
costituiti da conglomerati continentali e arenarie (Conglomerato di Ponte Gardena
e Arenarie della Val Gardena); la serie continua con sedimenti deposti in ambiente
marino tipo arenarie, argilliti, marne e calcari (Formazione a Bellerophon e Formazione di Werfen), seguono potenti complessi carbonatici costituiti da calcari e dolomie
triassico-cretaciche (dolomie e calcari triassici quali: Dolomia dello Sciliar, Calcare
della Marmolada, Dolomia Principale e calcari Giurassico-Cretacei quali: Calcari Grigi, Rosso Ammonitico, Biancone e Scaglia Rossa).
La serie si chiude con formazioni marnoso-argillose eoceniche (Scaglia Grigia) e con
formazioni calcarenitiche oligo-mioceniche.
Oltre a queste litologie, nel Sudalpino sono presenti estesi corpi plutonici di età ercinica (massiccio di Cima d’Asta) e quelli legati al magmatismo triassico (complesso
Vulcanico di Predazzo).
71
Nella legenda della carta le coperture permiano-terziarie sono state raggruppate tenendo conto di intervalli stratigrafici omogenei dal punto di vista litologico e del loro
comportamento deformativo in unità competenti e unità incompetenti.
Esempio di unità competenti sono i litotipi massicci o poco stratificati come le dolomie e i calcari di piattaforma mentre le unità incompetenti sono costituite da litotipi
fittamente stratificati ben rappresentati nelle successioni carbonatiche di bacino.
L’Austroalpino affiora a nord della Linea del Tonale ed è costituito da rocce metamorfiche. A nord della linea di Peio affiorano i micascisti e le filladi della falda dell’Ortles,
mentre a sud della stessa linea affiora la falda del Tonale nella quale prevalgono
i paragneiss talora pegmatici e subordinatamente ortogneiss anfiboliti e peridotiti
serpentinizzate.
Il Batolite dell’Adamello è costituito da un sistema di plutoni di età variabile tra
l’eocene e l’oligocene intrusi nel basamento ercinico e nelle sequenze di copertura
permo-triassiche. Il batolite è composto da una serie di intrusioni ed è suddiviso in
vari gruppi magmatici, ognuno con una propria storia di differenziazione, da nord a
sud troviamo: Gruppo della Presanella, Gruppo dell’Adamello, Gruppo del Corno Alto
e Sostino, Gruppo del Re di Castello.
Gli areali di affioramento sono molto vasti e sono costituiti da montagne con dislivelli di
2000 - 3000 metri; queste litologie si presentano infatti compatte e poco degradabili.
Le litologie affioranti sono tonalitiche nella Presanella e nell’Adamello, trondhjemitiche e granodioritiche nel Corno Alto e Sostino, tonalitiche e granodioritiche nel Re
di Castello.
Geomorfologia
L’assetto tettonico, la notevole variabilità dei litotipi affioranti e le cause climatiche
concorrono alla definizione della morfologia del territorio trentino.
Dal punto di vista tettonico il territorio è compreso nella fascia tettonica alpina: il
rilievo presenta spesso un’elevata energia con la conseguente enfatizzazione dei
processi legati all’azione della forza di gravità come la degradazione meccanica e i
fenomeni franosi.
Le valli principali sono impostate lungo importanti direttrici tettoniche quali, la Linea del Tonale, la Linea delle Giudicarie e la Linea della Valsugana. La presenza
dei sistemi dislocativi minori (sistema Giudicariense, sistema Scledense e sistema
Valsuganese) determina inoltre delle zone a maggior fratturazione che agevolano il
disfacimento e l’erosione dei litotipi meno erodibili con lo sviluppo di valli e vallecole
ad andamento rettilineo (ad esempio, la serie di vallecole sul versante destro della
Valsugana).
La grande varietà delle formazioni affioranti determina una morfologia di tipo
selettivo, con forme aspre e pareti verticali su litologie compatte e competenti in
contrapposizione a forme più dolci su quelle incompetenti o degradabili (ad esempio,
le filladi del basamento paleozoico).
Le alternanze di rocce a diverso grado di erodibilità, per eteropie di facies, per contatto tettonico e così via, danno luogo a morfologie costituite dall’associazione di dolci
pendii, ripiani, cenge e pareti rocciose come per esempio nella zona delle Dolomiti.
Dove le formazioni sono compatte e si presentano con giacitura suborizzontale, le
morfologie sono tabulari e spesso delimitate da ripide scarpate e profonde incisioni,
72
come per esempio nelle vulcaniti della Piattaforma Vulcanica Atesina; altre pareti
verticali sono inoltre costituite da rocce calcaree e dolomitiche massicce (ad esempio
la Paganella e il Gruppo di Brenta).
Infine le litologie arenaceo-pelitiche danno luogo a versanti dolci e poco acclivi come
in corrispondenza della parte inferiore dei versanti della Val di Non, della Val di Fassa
e nel Tesino, all’estremità orientale della Valsugana.
Il clima soprattutto nel periodo Quaternario ha giocato un ruolo importante quale fattore morfogenetico: le morfologie e i depositi glaciali wurmiani e stadiali sono infatti molto diffusi e l’azione modellatrice dei ghiacciai sulle vallate principali è molto evidente.
Da citare infine il fenomeno del carsismo, particolarmente sviluppato negli areali di
affioramento dei calcari liassici presenti in larga parte del settore centro meridionale
del Trentino; fenomeni carsici sono tuttavia presenti anche nella Dolomia Principale.
Le più evidenti morfologie carsiche di superficie sono legate alla presenza di doline e
altre forme di dissoluzione carsica che caratterizzano gli altipiani costituiti da rocce
calcaree (Altopiano di Asiago, Altopiano della Paganella).
Cave di Porfido Trentino Lastrificato
nella Piattaforma Vulcanica Atesina a Fornace
Pietre ornamentali e loro unità litologiche
Sono di seguito elencate e descritte le unità litologiche che nel passato e nel presente
sono state oggetto di coltivazione per l’estrazione di pietre ad uso ornamentale
La descrizione delle diverse unità litologiche è orientata a chiarirne la genesi e a fornire indicazioni sulla loro distribuzione geografica; questo nell’ottica di una maggiore
consapevolezza sull’origine e sulla diffusione dei materiali lapidei ornamentali.
Nelle carte allegate alla pubblicazione sono riportate le localizzazioni delle cave di
pietre ornamentali attuali e del passato, sovrapposte alla litologia e ad un immagine
satellitare del Trentino.
Nella legenda le grandi suddivisioni litologiche sono state ottenute dagli autori (A.
Bosellini, A. Castellarin, G.V. Dal Piaz e M. Nardin) cercando di distinguere fra loro gli
intervalli stratigrafici omogenei dal punto di vista litologico e del loro comportamento
deformativo. Gli intervalli più rigidi (o più competenti) sono quelli mal stratificati o
privi di stratificazione, come le dolomie ed i calcari di piattaforma carbonatica. Essi
sono stati distinti dalle successioni carbonatiche di bacino, che sono selcifere e fittamente stratificate e costituiscono pertanto gli intervalli incompetenti della legenda.
Le unità litologiche d’interesse per le pietre ornamentali sono di seguito descritte e
nella carta in allegato alla pubblicazione è rappresentata la distribuzione areale delle
grandi suddivisioni litologiche sopraccitate.
Piattaforma Vulcanica Atesina
(Permiano)
Il Gruppo Vulcanico Atesino - GVA (Distretto Vulcanico Atesino) corrisponde ad
un’associazione vulcanico-plutonica calcalcalina di età permiana (285 - 275 milioni
di anni). Il GVA è geneticamente e temporalmente legato ai corpi plutonici di Cima
d’Asta, alle intrusioni di Bressanone-Ivigna e Monte Croce.
Il GVA è geologicamente delimitato a sud dalla Linea della Valsugana, a nord da quella della Pusteria, ad est dalle Dolomiti e ad ovest dalla Linea delle Giudicarie Nord.
Esso corrisponde al risultato di un’estesa attività vulcanica fessurale in ambiente
subaereo continentale, che raggiunge uno spessore massimo di più di 2000 metri.
73
I prodotti eruttati dalle fessure dei vulcani sono soprattutto ignimbriti e in quantità
minore estrusioni di domi o colate di lava. Le rocce vulcaniche sono depositate direttamente sul basamento metamorfico sudalpino o sul conglomerato continentale di
Ponte Gardena e sono coperte dai sedimenti clastici continentali della Formazione
delle Arenarie di Val Gardena o dai sedimenti tardo-permiani di mare poco profondo
(Formazione a Bellerophon).
Le rocce vulcaniche comprendono lave andesitiche e lave dacitiche associate a lave e
ignimbriti riodacitiche e riolitiche. Le ignimbriti sono depositi piroclastici caratterizzati
dalla presenza di frammenti di rocce che tendono a concentrarsi nella parte basale
delle unità e dalla presenza di componenti juvenili che mostrano caratteristiche strutture a fiamma concordanti con la direzione del flusso piroclastico. Sono anche presenti
depositi di surge caratterizzati da una stratificazione parallela o incrociata a basso angolo e, in alcuni casi, dalla presenza di lapilli accrezionari. Le colate invece sono meno
abbondanti e di spessore inferiore rispetto alle ignimbriti. La sequenza vulcanica è
intercalata da sedimenti continentali come conglomerati, arenarie e soprattutto marne.
Queste si sono formate durante i periodi di inattività vulcanica e depositate soprattutto
nelle depressioni (bacini lacustri) createsi durante l’attività tettonica sinvulcanica.
Cava di Porfido Trentino a Blocchi
nella Piattaforma Vulcanica Atesina
in località Forte Buso (Predazzo)
Cava di Granito Rosa di Predazzo
in località Al Fol (Predazzo)
Plutone di Cima d’Asta
(Permiano inferiore)
Il massiccio di Cima d’Asta costituisce un massiccio montuoso prodotto da molteplici intrusioni magmatiche nel basamento ercinico sudalpino. Tali intrusioni sono
geneticamente legate con il GVA, sono di età permiana ed hanno circa 275 milioni di
anni. Il Plutone di Cima d’Asta occupa un’area che si estende dalla regione di Borgo
Valsugana fin oltre Canal San Bovo (Val di Lozen). Il tipo petrografico più diffuso nella
massa intrusiva di Cima d’Asta è rappresentato da sieno-monzograniti che possiedono la tipica struttura olocristallina granulare, grana media e colore piuttosto chiaro.
Sono inoltre presenti facies periferiche più basiche di tipo tonalitico e granodioritico
sviluppate nel margione sudoccidentale e massarelle minori di tipo dioritico nella
zona della Val di Lozen e differenziati aplitici prevalentemente come filoni.
Complesso Plutono-Vulcanico di Predazzo
(Trias medio)
Il complesso plutono-vulcanico comprende sia termini vulcanici sia termini plutonici
presenti sia nell’area di Predazzo che dei Monti Monzoni.
Le rocce intrusive di Predazzo sono geneticamente collegate alla presenza, nel passato
geologico dell’area, di una caldera. In affioramento, le rocce plutoniche descrivono una
forma anulare legata alla messa in posto di dicchi in seguito ad uno sprofondamento
calderico. All’interno dell’anello affiorano rocce effusive di tipo basaltico-latitico e si
formano intrusioni anulari che comprendono termini variabili da gabbri, dioriti, monzogabbri monzodioriti, monzoniti, sieniti e sienograniti. Le rocce metamorfosate per
contatto con le intrusioni sono rappresentate da cornubianiti e calcefiri, derivanti dalla
serie carbonatico-argillosa permiana, werfeniana e anisica, e dai marmi saccaroidi in
parte a brucite, conosciuti come “Predazzite”. La Predazzite deriva dal metamorfismo
di contatto legato alla messa in posto dei dicchi nelle formazioni calcareo-dolomitiche
dell’Anisico superiore e del Ladinico-Carnico (Dolomia del Serla).
74
Cava di Marmo di Breguzzo
in località Malga Trivena (Breguzzo)
Dolomie dello Sciliar, Dolomia del Serla, Calcare di Monte Spitz
(Carnico superiore - Ladinico)
Nel Trias medio, compreso tra Carnico superiore e Ladinico, le condizioni ambientali
divengono piuttosto uniformi per tutta la regione dolomitica e l’uniformità di sedimentazione continua fino alla fine del Trias. Questo porta allo sviluppo di una grande
varietà di formazioni, legate all’attività di organismi marini biocostruttori (coralli) e
all’attività vulcanica. Tra le formazioni più importanti ricordiamo la Dolomia dello
Sciliar e Dolomie del Serla che corrispondono a scogliere coralline indipendenti, separate tra loro da bacini profondi oltre un centinaio di metri sul fondo dei quali si
accumulavano i sedimenti e i prodotti vulcanici.
Queste formazioni affiorano nell’area dolomitica del Trentino nord-orientale, nella
zona delle Pale di San Martino e nelle Valli di Fassa, di Fiemme e in minor misura
lungo il versante destro della Valsugana.
Dolomia Principale
(Carnico superiore - Norico)
È una formazione prevalentemente dolomitica o calcareo-dolomitica, compatta, la
quale affiora in lembi assai potenti ed estesi nella zona a sud della linea tettonica della
Valsugana e nel Trentino orientale lungo le Valli di Non, del Sarca e delle Giudicarie.
Il tipo litologico più comune è la dolomia di colore bianco o bianco-rosato, a volte
grigiastro, più o meno saccaroide. I suoi caratteri fondamentali sono la compattezza,
la stratificazione assai netta, la presenza di interstrati argillosi rossi e verdi.
L’ambiente di deposizione è quello di una vasta ed articolata piattaforma carbonatica,
caratterizzata da fondali bassi, estesi e piatti, a prevalente sedimentazione carbonatica, lentamente subsidente e dolomitizzata precocemente.
Manufatti in Nero di Ragoli (Ragoli)
Calcari di Zu
(Norico superiore - Retico)
Questa formazione geologica si presenta frequentemente tettonizzata, soprattutto
lungo la valle del Sarca, ed è costituita da calcari scuri in strati medi con dispersi
granuli carbonatici ed ooidi in abbondante matrice micritica. Lo spessore dell’unità è
di circa 150 m. Da un punto di vista paleontologico l’unità è abbastanza povera con
rari megalodonti negli strati a tessitura grossolana.
I calcari grigi scuri e nerastri, fittamente stratificati (20 - 40 cm), rappresentano un
ambiente di sedimentazione di mare sottile (piana tidale) o lagunare-salmastro con
abbondanti apporti terrigeni. Si tratta di una facies tipica dei livelli più bassi del Retico inferiore caratteristica del Bacino Lombardo che affiora lungo la valle del Sarca.
Gruppo dei Calcari Grigi
(Retico superiore - Lias medio inferiore)
Il Gruppo dei Calcari Grigi si presenta con aspetti diversi secondo la zona; in generale
è costituito da calcari più o meno dolomitici, grigio chiari, potentemente stratificati,
e banchi di calcari oolitici poveri in fossili. La facies oolitica è la più diffusa. Si tratta di un gruppo di formazioni che costituisce una tra le più classiche successioni di
piattaforma carbonatica. Il Gruppo dei Calcari Grigi, nelle Alpi Feltrine e nel Trentino
meridionale a sud della Linea della Valsugana, è rappresentato dai Calcari Grigi di
75
76
Cava di Pietra di Arco in località San Martino (Arco)
Noriglio, con una potenza anche di 300 metri.
Nel Trentino occidentale e in particolare nel Gruppo di Brenta settentrionale, dove
raggiunge spessori anche di 500 metri, affiora come Calcare del Sarca; ad est della
Linea Ballino Garda lungo i rilievi attorno alla valle del Sarca, lungo la riva orientale
del Garda e la Val d’Adige, affiora come una serie di cinque formazioni distinte: Formazione di Monte Zugna, Calcare Oolitico di Loppio, Calcare del Misone, Formazione
di Rotzo e Calcare Oolitico di Massone.
Per quanto riguarda le pietre ornamentali particolare interesse rivestono le formazioni dell’Oolite di Massone e la Formazione di Rotzo. La prima è costituita da calcari
oolitici a cemento spatico di colorazione grigio chiara fino a biancastra, i granuli sono
formati in prevalenza da ooidi e botroidi e in parte da intraclasti e bioclasti quali foraminiferi e alghe. L’ambiente di deposizione coincide con una piana tidale carbonatica
subtidale posta al margine della piattaforma. La seconda è invece una formazione
generatasi in ambiente subtidale, costituita da sottili strati e lamine di micriti brune a
peloidi e di marne grigio-verdastre, che sono alternati a calcari micritici in strati via
via più spessi. Nei settori stratigraficamente più elevati della Piattaforma di Trento
sono presenti affioramenti in grossi strati e bancate metriche ricche di gusci di bivalvi
(calcari a Lithiotis). L’ambiente di formazione è riferito ad una piana tidale carbonatica subtidale posta al margine della piattaforma.
Formazione di Tofino
(Giurassico - Retico)
Si tratta della successione bacinale liassica affiorante nel Trentino meridionale nella
porzione compresa tra la bassa valle del Chiese e il lago di Garda, in corrispondenza
del lineamento paleogeografico noto in letteratura come Linea Ballino-Garda. È costituita in prevalenza da calcari lastriformi selciferi a radiolari e spicole di spugne con
abbondanti calcitorbiditi provenienti dalle vicine piattaforme carbonatiche.
Cava di Corna di Bò nella formazione
di Tofino (Nago-Torbole)
Cava di San Martino alla fine dell’Ottocento,
Rosso Trento, Verdello (Trento)
Calcari Oolotici di San Vigilio
(Giurassico Inferiore - Dogger-Lias)
È formata da un’alternanza di calcari oolitici a crinoidi ed encriniti rosse o giallastre
e grigie, di calcari oolitici grigi, talora nocciola, compatti, a grana fine, con crinoidi
talora intercalati da sottili livelli ferruginosi. In genere i fossili sono estremamente
scarsi, fra i più diffusi si ricordano le rinconelle. L’unità presenta spessori fino ad
un massimo di 50 m. L’ambiente di deposizione è riferito ad una piana carbonatica
subtidale posta al margine della piattaforma.
Affiora abbondante nella zona di Rovereto e Mori, mentre nella zona della valle del
Sarca appare molto ridotta o addirittura mancante.
Rosso Ammonitico Veronese
(Giurassico superiore - Dogger-Malm)
La formazione è suddivisa in tre intervalli principali; la parte basale, immediatamente sopra all’hardground, contiene un’abbondante frazione argillosa rosso bruna;
è costituita da calcari micritici parzialmente dolomitizzati a lamellibranchi pelagici
(tipo Bositra) e protoglobigerine, mal stratificati e a struttura nodulare di colore rosato o rosso e di spessore metrico. Segue un intervallo metrico di calcari micritici rosso
77
cupo a struttura nodulare ad aptici. La parte superiore (Titoniano) è costituita da
calcari rossi e biancastri ad ammoniti con tipica struttura nodulare all’interno di una
successione spesso mal stratificata.
L’ambiente di formazione è di tipo marino emipelagico con fenomeni di condensazione legati alla sedimentazione in zona di alto strutturale.
Affiora presso la città di Trento, in un unico livello sopra i versanti dell’alta Valsugana
da Grigno a Primolano e lungo la valle del Sarca fino ad Arco. Ad ovest dell’Adige il
Rosso Ammonitico Veronese presenta potenze notevoli e costituisce assieme ai Calcari Grigi la parte sommitale dell’Altipiano di Asiago e dei Sette Comuni.
Contatto stratigrafico tra il Biancone e il Rosso Ammonitico
Veronese in località Monte Giovo (Brentonico)
Biancone
(Cretaceo inferiore)
Si tratta di biomicriti a grana finissima e di colore per lo più chiaro, di calcari bianchi
(calcilutiti) a tipica frattura concoide in strati di 5 - 30 cm di spessore, spesso separati da esigue intercalazioni marnose o argillose. I macrofossili sono piuttosto rari. I
microfossili sono rappresentati da radiolari e globigerine. Contengono spesso selce
che di solito è bruna o nerastra e si presenta in noduli o liste irregolari spesse fino a
10 cm. Verso l’alto la stratificazione si fa più netta e regolare e i calcari mostrano una
caratteristica frattura concoide.
L’ambiente deposizionale corrisponde ad un bacino marino emipelagico caratterizzato da locali settori a circolazione ristretta e con serie condensate in situazione di
alto strutturale.
Affiora nella destra Adige; qualche affioramento è presente a nord di Trento e sul
versante meridionale della Valsugana. Nel Bacino Lombardo tale litologia prende il
nome di Maiolica.
Scaglia Rossa
(Cretaceo superiore - Paleocene)
Costituita da calcari micritici più o meno marnosi di colore rosa, rosso, violaceo ed a
volte bianco, con sparsi noduli e letti di selce, ricchissimi in foraminiferi planctonici
(Rotalipore, Globotruncane). Alla base la formazione è più calcarea e ben stratificata:
la parte superiore è più marnosa con componente siltoso arenacea e la stratificazione
è spesso indistinta. La parte basale (Turoniano) è caratterizzata da calcari micritici
marnosi di colore rosso-rosato, ben stratificati con noduli di selce rossa; seguono calcari marnosi e marne color rosso mattone a stratificazione indistinta che hanno dato
associazioni a foraminiferi planctonici riferibili al Santoniano superiore.
L’ambiente di sedimentazione è di tipo emipelagico con forti apporti terrigeni da aree
settentrionali in emersione. Gli affioramenti maggiori si rinvengono nella zona ad
ovest della valle dell’Adige con potenza fino a circa 80 metri; nell’altipiano di Folgaria
e nel versante destro della Valsugana gli affioramenti sono più limitati in estensione
e potenza.
Basalti eocenici
(Eocene inferiore e medio)
Il Terziario è stato interessato da un’intensa attività vulcanica con manifestazioni
basaltiche di vario tipo in rapporto alle condizioni paleoambientali e alla tettonica
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singenetica distensiva dell’Eocene. I prodotti vulcanici sono costituiti da ialoclastiti,
derivanti dall’esplosione sottomarina di lave basaltiche, brecce di esplosione che formano il riempimento dei camini eruttivi, tufi che costituiscono accumuli di prodotti
del rimaneggiamento erosivo dei rilievi piroclastici marini in ambiente di alta energia
ed infine di prodotti lavici di colata.
In cartografia non sono riportati gli areali di affioramento dei prodotti vulcanici basaltici eocenici per il loro limitato significato estrattivo e per la loro esigua estensione
in quanto sono frequentemente costituiti da affioramenti puntuali. Tuttavia l’intrusione di filoni basaltici ha provocato un metamorfismo di contatto nelle formazioni
carbonatiche triassiche attraversate. Nel Trentino meridionale e in particolare nell’area del Roveretano, si è formato un marmo a brucite di colore grigio (Marmo Grigio
Perla) come risultato del metamorfismo di contatto tra i filoni basaltici e le dolomie
triassiche incassanti.
Antica cava di Arenaria di Ceole
(formazione geologica delle Arenarie di Ceole)
in località Ceole (Riva del Garda)
Arenarie di Ceole
(Pleistocene medio)
Si tratta di una formazione locale che affiora nella zona di Riva del Garda presso
la collina di San Bartolomeo a Ceole e sulle pendici occidentali del Monte Brione
presso Sant’Alessandro. Sono arenarie chiare a clasti calcarei, ben cementate, in
strati molto spessi (presso Ceole) o medi (a Sant’Alessandro), con locali allineamenti
di ciottoli ed interstrati arenacei fini e siltosi di spessore anche considerevole. Sono
interpretate come deposito deltizio lacustre formatosi in un contesto interglaciale
precedente all’ultima fase pleniglaciale, con il livello del lago di Garda più alto dell’attuale.
Quaternario
In questa unità sono raggruppati depositi recenti ed attuali di ambiente continentale,
generalmente sciolti e a granulometria variabile.
I tipi di depositi più rappresentati sono i depositi alluvionali ubicati sul fondovalle delle
vallate più estese che possono raggiungere spessori notevoli (superano i 250 m nella
valle dell’Adige), seguono poi i depositi glaciali che con una coltre di esiguo spessore
ricoprono spesso le porzioni superiori dei versanti vallivi e le testate delle valli.
Tra i depositi quaternari, quelli che rivestono un certo interesse come pietra da
costruzione sono i tufi calcarei. Si tratta di depositi sedimentari di origine chimica
(travertini) e di età quaternaria formatisi in seguito alla precipitazione del carbonato
di calcio in prossimità di sorgenti, cascate o bacini lacustri e, comunque, sempre in
ambiente continentale.
Batolite dell’Adamello
(Eocene medio - Oligocene)
È costituito da un sistema di plutoni di età variabile tra l’Eocene e l’Oligocene intrusi
nel basamento ercinico e nelle sequenze di copertura permo-triassiche. Il batolite è
composto da una serie di intrusioni ed è suddiviso in vari gruppi magmatici, ognuno
con una propria storia di differenziazione; da nord a sud troviamo:
• Gruppo della Presanella
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• Gruppo dell’Adamello
• Gruppo del Corno Alto e Sostino
• Gruppo del Re di Castello
Gli areali di affioramento sono molto vasti e sono costituiti da montagne con dislivelli
di 2.000 - 3.000 m; queste litologie si presentano, infatti, compatte e poco degradabili.
Le litologie affioranti sono tonalitiche nella Presanella e nell’Adamello, trondhjemitiche e granodioritiche nel Corno Alto e Sostino, tonalitiche e granodioritiche nel Re
di Castello.
Cava di Granito Rosa di Predazzo
in località Al Fol (Predazzo)
Tonaliti della Val di Genova
(Terziario)
Fanno parte del complesso della Presanella, la cui l’intrusione è avvenuta antecedentemente all’età di 33 - 28 milioni di anni fa. Le tonaliti della Val di Genova, situate
al bordo meridionale del Gruppo della Presanella, similmente a quelle del margine
settentrionale (Val di Sole) e orientale (Val Meledrio), sono caratterizzate da un’intensa deformazione duttile-fragile concentrata in fasce dell’ampiezza di qualche
chilometro.
Le tonaliti della Val di Genova sono quindi caratterizzate da una foliazione di origine
tettonica che ne condiziona la lavorabilità. Nella roccia sono infatti presenti direzioni
preferenziali che sono utilizzate per l’estrazione e la lavorazione del materiale.
Cava di Granito dell’Adamello (formazione geologica Tonalite
della Val di Genova) in località Ponte Rosso - Val di Genova
(Strembo)
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Catalogo ragionato
81
82
Francesca Crivellari
Cinzia D’Agostino
Fabio Fedrizzi
Carlo Filz
Giorgio Zampedri
Tessitura muraria della chiesa
del Sacro Cuore di Gesù (Trento)
arch. Efrem Ferrari
Note di consultazione
La definizione “pietra ornamentale” deve tenere conto di diversi aspetti: geologico, tecnologico-petrografico, commerciale ed estetico. L’aspetto geologico si riferisce all’estensione dell’affioramento, alla morfologia del versante ed alle sue caratteristiche strutturali
(spessore, giacitura, fratturazione); tali caratteristiche devono risultare idonee alla coltivazione. L’aspetto tecnologico-petrografico, intrinseco al materiale, si riflette su quello
fisico-meccanico (resistenza ai vari tipi di prove, presenza di porosità o di microfratture
legate alla degradazione, all’ambiente estern o, soprattutto acqua e umidità, lavorabilità del materiale, lucidabilità, scolpibilità, presenza di anisotropie o di discontinuità), su
quello estetico (colore della roccia, presenza di venature o disomogeneità cromatiche) e
su quello chimico (composizione chimico-mineralogica del materiale legata alla durabilità e alla resistenza, alla degradazione e all’alterazione di agenti atmosferici o inquinanti).
L’aspetto economico, che rende coltivabile o meno il materiale, è legato alla possibilità di
accesso e di trasporto, alla presenza di vincoli urbanistici o paesaggistici, alla tecnica di
coltivazione scelta. L’aspetto estetico è il prodotto finale delle attività di escavazione e di
lavorazione del materiale (finiture superficiali) e dipende dal tipo di utilizzo.
Il catalogo ragionato delle pietre ornamentali trentine è stato realizzato con l’intento
di proporre una rassegna organica e scientifica delle varietà di pietre ornamentali
del Trentino. Prendendo in esame le tipologie maggiormente rappresentative, è stata
indagata la loro natura geologica, sono state determinate le caratteristiche fisicomeccaniche e raccolte informazioni sull’utilizzo passato e attuale. I risultati sono stati
organizzati in una raccolta di schede descrittive che rappresentano la “carta d’identità” delle pietre ornamentali trentine. Al fine di rendere comprensibile il linguaggio
scientifico utilizzato è stato realizzato un glossario dei termini geologici.
Le pietre sono state raggruppate in base alla loro genesi in:
- sedimentarie carbonatiche,
- sedimentarie non carbonatiche,
- metamorfiche,
- magmatiche intrusive,
- magmatiche effusive
e denominate secondo i sistemi utilizzati in petrografia.
Nel catalogo l’ordine di presentazione riflette la rappresentatività sul territorio. Secondo
questo schema, le rocce più diffuse sono quelle sedimentarie, seguono le magmatiche
effusive ed intrusive e per ultime le metamorfiche. Gli areali di affioramento sono inoltre
descritti nell’allegata cartina “Cave di pietre ornamentali del Trentino”. Nel catalogo ragionato sono riportate, in ordine alfabetico, le litologie con la descrizione scientifica, il nome
geologico che deriva dalla classificazione petrografica, la formazione geologica di provenienza e il nome tradizionale comunemente usato per designare il materiale estratto. I due
linguaggi, commerciale e geologico, a volte si differenziano in quanto il primo è basato su
criteri tecnologici, mentre il secondo si basa essenzialmente sul criterio genetico.
83
Scheda n.
Nome tradizionale
Nome geologico
Formazione geologica di provenienza
Rocce Sedimentarie Carbonatiche
1
Arenaria di Ceole
Calcarenite
Formazione di Monte Brione
2
Bianco di Castione
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
3
Calcari Grigi
Biomicrite
Calcari Grigi di Noriglio (Gruppo dei Calcari Grigi)
4
Corna di Bò
Biomicrite
Formazione di Tofino
5
Giallo Mori
Microsparite pellettifera
Calcari Oolitici di San Vigilio
6
Nero di Ragoli
Micrite
Calcari di Zu
7
Pessatela
Biorudite
Formazione di Rotzo (strati a Lithiotis Gruppo dei Calcari Grigi)
8
Pietra di Arco
Calcarenite oolitica
Oolite di Massone (Gruppo dei Calcari Grigi)
9
Prugna di Lasino
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
Rosa di Terlago
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
10
11
Rosso del Sarca
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
12
Rosso Trento
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
13
Tufo Calcareo
Travertino
Quaternario
14
Verdello
Biomicrite
Rosso Ammonitico Veronese
Breccia piroclastica
Conglomerato della Marmolada
Rocce Sedimentarie non Carbonatiche
15
Breccia Verde
Rocce Magmatiche Effusive
16
Porfido Trentino a Blocchi
Ignimbrite riodacitica
Gruppo Vulcanico Atesino (Ignimbriti Riodacitiche Superiori ρδ I2)
17
Porfido Trentino Lastrificato
Ignimbrite riolitica
Gruppo Vulcanico Atesino (Formazione di Ora)
Rocce Magmatiche Intrusive
18
Granito dell’Adamello
Tonalite
Plutone dell’Adamello (Tonaliti della Val di Genova)
19
Granito di Cima d’Asta
Granito
Plutone di Cima d’Asta
20
Granito Rosa di Predazzo
Granito a feldspati alcalini
Complesso Vulcanico di Predazzo
21
Monzonite
Monzonite
Complesso Vulcanico di Predazzo
Rocce Metamorfiche (Marmi)
22
Marmo di Breguzzo
Marmo di contatto
Calcari e Dolomie di Esino
23
Marmo Grigio Perla
Marmo di contatto
Dolomia Principale
24
Predazzite
Marmo di contatto
Dolomia del Serla
L’elenco fornisce una fotografia della varietà geologica delle principali pietre ornamentali trentine.
Le analisi di laboratorio condotte hanno consentito di raccogliere una notevole quantità di dati utili per la loro caratterizzazione.
Al fine di fornire un quadro sintetico dei dati raccolti ed una prima chiave di lettura
si è ritenuto opportuno predisporre una tabella nella quale sono confrontate le principali caratteristiche geologiche e fisico-meccaniche delle rocce considerate. I valori
numerici riportati nella tabella sono il risultato delle prove di laboratorio mentre le
valutazioni qualitative derivano da considerazioni riferite sia alla natura del materiale (composizione mineralogica) che alla sua struttura (in particolare alla presenza di
discontinuità meccaniche). Le considerazioni di cui sopra sono state inoltre confron84
Nel capitolo “Guida pratica all’utilizzo” dell’Atlante
sono aprofondite le modalità di utilizzo e le tecniche
di posa.
All’indirizzo www.protezionecivile.tn.it nella sezione
Servizio Geologico è disponibile un approfondimento
sulle problematiche geologiche legate alle pietre
ornamentali.
Nome
Tradizionale
tate con quanto reperibile in bibliografia. Resistenza a compressione, a flessione, gelività e coefficiente di imbibizione sono i parametri più significativi che condizionano il
campo di utilizzo dei materiali lapidei. I primi due parametri sono indici di resistenza
meccanica del materiale, mentre gli altri due forniscono indicazioni sulle prestazioni
del materiale in condizioni di temperatura estreme (cicli di gelo - disgelo), di umidità
e presenza di agenti aggressivi.
Alti valori di resistenza, minimi valori di gelività e bassi coefficienti di imbibizione caratterizzano i materiali migliori e quindi quelli più adatti all’utilizzo in architettura.
Caratteristiche
geotecnologiche
Resistenza a
compressione
(MPa)
Resistenza
a flessione
(MPa)
Gelività a
compressione
(MPa)
Coeff.
imbibizione
(%)
Campo
di utilizzo
ROCCE SEDIMENTARIE CARBONATICHE
1
Arenaria di Ceole
Calcarenite a clasti per lo
più carbonatici, colorazione
gialla. Materiale omogeneo,
tenero e facilmente
lavorabile.
Scarsa
Scarsa
-
Elevato
Pietra da costruzione, da
cemento, e per elementi
decorativi.
2
Bianco di Castione
Calcare compatto
e omogeneo con
colorazione bianca.
Buone caratteristiche di
durevolezza.
Buona
Buona
-
-
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
3
Calcari Grigi
Calcare compatto ed
omogeneo di colore grigio.
Buona
Buona
Minima
-
Pietra da costruzione.
4
Corna di Bò
Roccia carbonatica
compatta con colorazione
grigia. Buone caratteristiche
di durevolezza.
Buona
Buona
-
-
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
5
Giallo Mori
Composizione carbonatica,
colorazione giallo ocra con
fiamme di colori diversi
(viola, rosso).
Buone caratteristiche di
durevolezza.
Buona
Buona
∼ 14
Minima
0,29
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione, altari.
6
Nero di Ragoli
Colore grigio molto scuro,
composizione carbonatica
e ricco di sostanza argillosa
che riduce la durevolezza
del materiale, specie negli
ambienti esterni.
153
-
Peggiora di
∼ 30% la
resistenza a
compressione
0,13
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione, altari.
7
Pessatela
Roccia massiccia,
compatta, estremamente
dura e resistente, poco
porosa a colorazione
grigiastra con presenza
di macrofossili bianchi
cristallini.
Buona
Buona
-
Scarso
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione, altari.
85
Nome
Tradizionale
Caratteristiche
geotecnologiche
Resistenza a
compressione
(MPa)
Resistenza
a flessione
(MPa)
Gelività a
compressione
(MPa)
Coeff.
imbibizione
(%)
Campo
di utilizzo (*)
8
Pietra di Arco
Calcarenite oolitica
compatta, omogenea
sia dal punto di vista
cromatico che tessiturale
a colorazione bianca.
Presenta una buona
lavorabilità.
Buona
Buona
-
-
Arredo urbano, statuaria.
9
Prugna di Lasino
Calcare molto compatto con
colorazione rosso violaceo.
Come per il Rosso Trento
la durevolezza è buona
anche se le discontinuità
sono parallele alla
sedimentazione.
Buona ⊥ alle
anisotropie
Buona
Minima
-
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
10
Rosa Terlago
Calcare molto compatto
a colorazione variabile a
macchie dal rosso al rosa
chiaro. Come per il Rosso
Trento la durevolezza
è buona anche se le
discontinuità sono parallele
alla sedimentazione.
Buona ⊥ alle
anisotropie
Buona
Minima
0,29
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
11
Rosso del Sarca
Calcare molto compatto con
colorazione rosso mattone.
Come per il Rosso Trento
la durevolezza è buona
anche se le discontinuità
sono parallele alla
sedimentazione.
Buona ⊥ alle
anisotropie
Buona
Minima
-
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
12
Rosso Trento
Calcare molto compatto a
composizione carbonatica,
di colore rosso, con
struttura nodulare e
presenza di evidenti
discontinuità parallele al
piano di sedimentazione
(livelli di dissoluzione)
dove si concentrano
gli ossidi e i minerali
argillosi. Le superfici di
discontinuità sono parallele
alla sedimentazione, la
durevolezza è buona
anche se le discontinuità
sono sempre dei punti di
debolezza del materiale.
Buona ⊥
anisotropie
∼ 170 e
leggermente
minore se //
anisotropie
∼ 158.
Buona
∼ 10
Minima
∼ 0,20
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
86
Nome
Tradizionale
Caratteristiche
geotecnologiche
13
Tufo Calcareo
14
Verdello
Materiale a composizione
carbonatica a colore
biancastra - giallastra.
Struttura concrezionata,
aspetto spugnoso,
estremamente ricca di
macroporosità che conferisce
al materiale una estrema
leggerezza ed una resistenza
relativamente elevata.
Calcare molto compatto
con colorazione biancastra
- verdastra.
Come per il Rosso Trento
la durevolezza è buona
anche se le discontinuità
sono parallele alla
sedimentazione.
Resistenza a
compressione
(MPa)
Scarsa
Resistenza
a flessione
(MPa)
Scarsa
Gelività a
compressione
(MPa)
-
Coeff.
imbibizione
(%)
Molto
elevato
Campo
di utilizzo (*)
Buona ⊥ alle
anisotropie
∼ 148
Buona
∼ 134
Minima
0,28
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
-
-
-
-
-
211
18,8
Assente
0,88
Rivestimenti interni ed esterni.
Elevatissima
∼ 180 - 260
Elevata
∼ 19 - 27
Assente
∼ 0,40 0,50
Pavimentazioni stradali, arredo
urbano, rivestimenti interni ed
esterni.
Elevata
∼ 190
Buona
∼ 14
Pressoché
assente
0,38
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
Pietra da costruzione per
strutture non portanti.
ROCCE SEDIMENTARIE NON CARBONATICHE
15
Breccia verde
Roccia di colore verde con
inclusi carbonatici bianchi.
ROCCE MAGMATICHE EFFUSIVE
16
Porfido Trentino a
Blocchi
17
Porfido Trentino
Lastrificato
Struttura porfirica,
composizione silicatica
Eccezionali caratteristiche
meccaniche e
di durevolezza,
particolarmente dura.
Le caratteristiche
tecnologiche di questo
materiale sono il risultato
della struttura porfirica
della roccia e della sua
composizione silicatica.
Struttura porfirica,
composizione silicatica,
colorazione variabile dal
bruno - rosso al rosso cupo
al violetto al verde grigio.
Caratteristica determinante è
la sua lastrificazione naturale.
ROCCE MAGMATICHE INTRUSIVE
18
Granito
dell’Adamello
(Tonalite)
Roccia a composizione
silicatica caratterizzata dalla
presenza di inclusi femici
microgranulari.
Elevata compattezza
e tenacità, notevole
durevolezza. Poco fratturato
estrazione di blocchi di
grandi dimensioni.
87
Nome
Tradizionale
Caratteristiche
geotecnologiche
Resistenza a
compressione
(MPa)
Resistenza
a flessione
(MPa)
Gelività a
compressione
(MPa)
Coeff.
imbibizione
(%)
Campo
di utilizzo (*)
19
Granito di Cima
d’Asta
Granito a struttura
granulare (grana medio
- grossa).
Elevata compattezza
e tenacità, notevole
durevolezza; tutte
caratteristiche tecnologiche
derivate dalla composizione
mineralogica del materiale
e dalla sua omogeneità di
tessitura. Poco fratturato,
estrazione di blocchi di
grandi dimensioni.
Buona
∼ 185
Buona
∼ 8,7
Pressoché
assente
0,52
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
20
Granito Rosa di
Predazzo
Granito a grana media,
colorazione rosa con
presenza di geodi
tormalinifere.Elevata
compattezza e tenacità,
notevole durevolezza. Poco
fratturato con estrazione
di blocchi di grandi
dimensioni.
Elevata
∼ 190
Buona
∼ 12
Pressoché
assente
∼ 0,80
Arredo urbano, rivestimenti
interni ed esterni, pietra da
costruzione.
21
Monzonite
Roccia a composizione
silicatica e colorazione
grigio scuro.
Elevata compattezza
e tenacità, notevole
durevolezza.
Buona
Buona
Minima
-
Rivestimenti interni ed esterni.
ROCCE METAMORFICHE (MARMI)
22
Marmo di
Breguzzo
Marmo di colore bianco e
aspetto saccaroide, grana
medio - grossa
Elevata
Elevata
Piuttosto
resistente
-
Granulati, rivestimenti interni ed
esterni.
23
Marmo Grigio
Perla
Marmo a brucite, con
struttura saccaroide,
grana media, colore non
omogeneo per la presenza
di venature, di macchie e di
venuzze.
Relativa facilità di
lavorazione, spiccata
durevolezza anche dovuta
alla sua bassa porosità,
estremamente lucidabile.
Elevata
Elevata
Piuttosto
resistente
(più resistente
rispetto
alle rocce
sedimentarie)
-
Granulati, rivestimenti interni ed
esterni.
24
Predazzite
Marmo a grana media,
aspetto saccaroide.
Materiale molto fratturato
ma estremamente
lucidabile.
Elevata
Elevata
Piuttosto
resistente
-
Granulati, rivestimenti interni ed
esterni.
88
Rocce Sedimentarie Carbonatiche
89
90
1
Arenaria di Ceole
Nome petrografico
Calcarenite.
Descrizione tecnico - estetica
Arenaria a granuli carbonatici a cemento calcareo di tonalità chiara e di colore giallognolo; affiora in strati spessi con locali allineamenti di ciottoli ed interstrati arenacei
fini e siltosi. Materiale estremamente tenero e facilmente lavorabile.
Caratterizzazione geologica
Si tratta di un deposito deltizio lacustre, formatosi in un contesto interglaciale precedentemente all’ultima fase pleniglaciale, ovvero nel Pleistocene medio (circa 1 milione di anni fa), quando il livello del lago di Garda era più alto di quello attuale.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Ceole (Riva del Garda)
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia isotropa a tessitura clastica e a composizione per lo più carbonatica; calcarenite a cemento spatico e ricco di cavità intergranulari. I clasti, dalle dimensioni medio
- fini, sono di forma da subarrotondata ad arrotondata, costituiti da ooliti o da frammenti di calcari micritici, di calcari a pellets o di calcari organogeni. Più rari sono
invece i frammenti di quarzo o di miche chiare. L’arenaria proveniente dalle pendici
del Monte Brione è generalmente più fine (80 - 350 μm) di quella proveniente dalla
cava di Ceole (150 - 500 μm). La roccia si più classificare come litarenite a frammenti
litici carbonatici.
Composizione chimica
% in massa
Dettaglio in Rosso Trento
di palazzo nel centro storico
via San Pietro (Trento)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,08
Zn
9
Al2O3
0,24
Sr
169
Fe2O3
0,21
MnO
0,09
MgO
0,56
CaO
56,45
Na2O
0,00
K2O
0,00
P2O5
0,00
LOI
42,37
totale
100,00
91
21
Luoghi di estrazione
Si tratta di una formazione locale che affiora nella zona di Riva del Garda presso la
collina di San Bartolomeo a Ceole e sulle pendici occidentali del Monte Brione in località Sant’Alessandro.
È nota l’esistenza di quattro cave attive in passato: quella di Ceole - Basone e tre cave
ai piedi del Monte Brione. In queste ultime si cavava sottofalda; oggi rimangono visibili solo poche pareti di cava che sporgono di 1 - 2 m dal piano di campagna.
Microfotografia ingrandita a nicols incrociati dell’arenaria
proveniente dalla cava di Ceole (Riva del Garda)
Note storiche
L’Arenaria di Ceole era denominata localmente “Pietra Morta”. L’utilizzo diffuso di
questo materiale avviene tra il Settecento e l’Ottocento, dapprima come materiale
leggero nella costruzione degli avvolti, ma anche per la realizzazione di stipiti, modanature, conci d’arco e portali, successivamente in blocchi prelavorati per l’elevazione
delle murature. In ambito altogardesano, l’uso dell’arenaria per l’elevazione delle
murature si è protratto fino alla metà del XX secolo. L’Arenaria di Ceole era utilizzata
anche per realizzare tubi per acquedotti, proprio in virtù delle sue particolari caratteristiche tecnologiche.
Microfotografia a nicols incrociati dell’arenaria proveniente
dalla cava del Monte Brione (Riva del Garda)
Cava dismessa in località Ceole (Riva del Garda)
92
2
Bianco di Castione
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare micritico microcristallino a grana finissima di colore bianco latteo, molto
compatto, appartenente alla formazione geologica del Biancone che si trova al tetto
del Rosso Ammonitico Veronese. Presenta stiloliti con concentrazioni di minerali argillosi e diffusi noduli di selce rossastra, nocciola o nera. In affioramento si presenta
con strati della potenza di 30 - 60 cm.
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una formazione sedimentaria di età Cretacico medio-inferiore (Appiano
inferiore - Titoniano superiore, 145 - 120 milioni di anni fa) nota anche con il nome
di Biancone.
L’ambiente di formazione della roccia è decisamente pelagico, al suo interno sono
infatti presenti in abbondanza organismi fossili di mare aperto quali i tintinnidi e i radiolari. I tintinnidi sono organismi marini planctonici pelagici che predominano nelle
acque tropicali calde del Giurassico superiore e del Cretaceo inferiore. I radiolari sono
anch’essi planctonici pelagici e sono caratterizzati da scheletro di natura silicea (si
presentano in sezione come delle piccole sferette in calcedonio).
Campione proveniente da una cava dismessa
situata a Castione (Brentonico)
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite con granuli organogeni dispersi in matrice micritica; gli organismi marini
riconosciuti sono radiolari, tintinnidi, gusci di gasteropodi, brachiopodi, frammenti
di crinoidi pelagici e aptici.
Caratteristiche sono le frequenti strutture stilolitiche riempite da calcite spatica di origine secondaria con concentrazioni argillose sulle superfici. Microfratture ricementate attraversano il materiale, che risulta comunque molto compatto e massiccio.
La roccia non presenta orientazioni preferenziali dei componenti ma non è omogenea, in quanto presenta alcune zone con concentrazione elevata di gusci fossili. Questo materiale si classifica come biomicrite.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,09
Zn
19
Al2O3
0,36
Sr
110
Fe2O3
0,25
MnO
0,10
93
15
% in massa
Microfotografia a nicols incrociati.
Materiale proveniente dalla cava di Castione
sotto Vincenzo (Brentonico)
MgO
0,61
CaO
55,96
Na2O
0,00
K2O
0,07
P2O5
0,02
LOI
42,55
totale
100,01
Luoghi di estrazione
Il Bianco di Castione appartiene alla formazione geologica del Biancone che in Trentino
affiora per la gran parte in destra Adige poco a nord di Trento, nell’Altipiano di Lavarone e
Folgaria, sul versante meridionale della Valsugana e nella zona di Castione (Brentonico).
Note storiche
Si tratta di un calcare compatto, a fondo bianco latteo, di facile lavorazione, lucidabile,
diffuso nel Trentino meridionale e nel veronese, e come tale proveniente da cave diverse.
Non è raro infatti trovare nei contratti di altari marmorei varie indicazioni di provenienza
per la pietra bianca spesso delle vicine cave di Sant’Ambrogio Valpollicella (Verona).
Nel 1903, Enrico Murari elenca le pietre bianche provenienti dalle cave di Castione con
varie denominazioni: “Biancone delle Vigne”, che si trova in località Vigne sul Monte
Giovo, in strati di 10, 12, 15, 25, 35 cm, “Bianco di Lavezzano”, nella località omonima, sul Monte Giovo, a strati di 15, 20, 30 e 50 cm, “Bianco ordinario”, “Bianco scuro
venato”. Si trova abbondante sul Monte Giovo, a strati dello spessore di 45 e 50 cm, (E.
Murari 1903, p. 26). Nel contratto per l’altar maggiore di Pilcante di Teodoro Benedetti
del 1746 è citato un Bianco di pietra del paese (Rasmo 1984, p. 182); Murari indica in
Vallagarina e nella zona di Ala la presenza di varie cave di estrazione con la produzione
di dodici qualità di pietra; sul Monte Baldiera erano escavate alcune pietre bianche denominate “Mazzetta”, “Biancone”, “Secchiaro” (E. Murari 1903, pp. 28 - 29). Ancora in
Vallagarina si estraevano il “Biancone dei Toldi”, presso l’altipiano di Folgaria, il “Bianco ed il rosatello del Finonchio” (M. Kininger G. Baroni 1981, p. 30). Altra pietra bianca
del paese è citata nel contratto per l’altar maggiore della chiesa parrocchiale di Calavino di Teodoro Benedetti risalente al 1732 (Rasmo 1984, p. 181), dove erano presenti
anche cave di rosso ammonitico. Ancora un litotipo bianco è identificato con il termine
“Bianchon di Bassano” nell’altare della Madonna dell’Aiuto nella chiesa parrocchiale
di Borgo Valsugana di Guglielmo Montin, 1736. In un documento relativo al dazio del
porto di Torbole, per le balaustre della Collegiata di Arco, 1785, è citato l’utilizzo del
“Biancone di Sant’Ambrogio”, proveniente dalle cave di Sant’Ambrogio Valpollicella
(Verona). Che fosse in uso anche il “Biancone di Sant’Ambrogio” è confermato anche
da un documento contrattuale del 1744 relativo ad un altare di Teodoro Benedetti nella
chiesa Santa Maria Assunta di Riva del Garda (il documento si confronta con i materiali
utilizzati in un altare gemello della stessa chiesa) “… che invece del bianco di Sant’Ambrogio (…), sia tenuto mettere bianco di Castione del più candido però e perfetto” (M.
Botteri 1989, p. 214). L’impiego di questo litotipo è principalmente per interni, parti
strutturali, casse lapidee, balaustre e lastre pavimentali.
94
3
Calcari Grigi
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
Calcari massicci di colore grigio chiaro, più o meno dolomitizzati, in strati potenti con
sottili intercalazioni marnose spesso fossilifere alternati a livelli oolitici generalmente
poveri in fossili.
Caratterizzazione geologica
È una roccia sedimentaria chimica di età Retico superiore - Pliensbachiano superiore
(circa 190 milioni di anni fa). Con il nome di Calcari Grigi è usualmente indicato un
gruppo di formazioni che affiora nel Trentino meridionale e in particolare a sud della
Linea della Valsugana (Calcari Grigi di Noriglio). L’ambiente di formazione è quello
della piattaforma carbonatica corrispondente all’alto strutturale di Trento, sviluppatosi sotto il controllo della tettonica estensionale del rifting norico liassico.
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcare micritico massiccio, a struttura isotropa, contenente minute dispersioni di sostanza
organica che conferiscono alla roccia il colore grigio. La roccia si presenta compatta, attraversata da microfratture completamente ricristallizzate e micritizzate. Si osservano gusci
di organismi marini con dimensioni variabili tra 1 cm e 200 μm, si tratta di brachiopodi e
gasteropodi i cui gusci risultano completamente sostituiti da calcite spatica.
La roccia si può classificare come una biomicrite.
Composizione chimica
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Malga Campo (Luserna)
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,11
Zn
12
Al2O3
0,82
Sr
235
Fe2O3
0,52
MnO
0,10
MgO
0,83
CaO
54,80
Na2O
0,00
K2O
0,16
P2O5
0,00
LOI
42,66
totale
100,00
95
18
Luoghi di estrazione
Si tratta di una roccia che è stata utilizzata soprattutto come materiale da costruzione
(“sassi da muro”).
Microfotografia a nicols incrociati.
Calcare proveniente dalla cava in località
Malga Campo (Luserna)
Note storiche
I Calcari Grigi sono la formazione che caratterizza i materiali litoidi della zona
sud-orientale del Trentino. Erano utilizzati soprattutto come materiale da costruzione.
Litotipi bianco grigi appartenenti alla formazione dei Calcari Grigi di Noriglio erano
estratti in Vallagarina ed impiegati nelle fabbriche locali e nella costruzione dei portali lapidei. Per il loro aspetto biancastro erano denominati “Biancone di Traisel” e
“Biancone di Noriglio” (M. Kiniger G. Baroni, 1981, p. 30).
96
4
Corna di Bò
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare massiccio con fondo di colore grigio cenere uniforme, talvolta interessato da sfumature giallo ocra.
Caratterizzazione geologica
Si tratta della successione bacinale liassica (Retico-Bajociano, 205 - 170 milioni di
anni fa) costituita da calcari ben stratificati e in prevalenza lastriformi a spicole di
spugne di colore grigio-cenere con strati da 20 cm a 5,5 m di spessore, nota col nome
di Formazione di Tofino.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Corna di Bò (Nago-Torbole)
Descrizione petrografica - mineralogica
Pelsparite parzialmente dolomitizzata; roccia massiccia di colore grigio dovuto alle
minute dispersioni carboniose presenti nel materiale. I clasti contenuti sono costituiti
da pellets e da bioclasti come frammenti di crinoidi, radiolari e spicole di spugna. La
matrice è costituita in prevalenza da cemento spatico.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
1,29
Cu
TiO2
0,11
Zn
9
Al2O3
0,75
Sr
478
Fe2O3
0,41
MnO
0,10
MgO
1,60
CaO
54,07
Na2O
0,00
K2O
0,14
P2O5
0,00
LOI
41,54
totale
100,01
15
Luoghi di estrazione
La cava di questo materiale si trova sulle rive orientali del lago di Garda nel comune
di Nago - Torbole lungo la strada statale 249-Gardesana Orientale, all’altezza del
promontorio del Monte Baldo denominato Punta Corna di Bò. Gli strati di roccia si
97
immergono nel lago a franappoggio; oggi la vecchia cava è utilizzata come palestra
per arrampicate sportive.
Microfotografia a nicols paralleli.
Camione proveniente dalla cava
in località Corna di Bò (Nago-Torbole)
Note storiche
Questo materiale, dal fondo grigio cenere uniforme o talvolta con sfumature giallo
ocra, è in genere utilizzato non lucidato, ma lavorato a punta, gradina o bocciarda.
Il Murari lo cita con il termine “Cornabò” (E. Murari 1903, p. 28).
Pietra da costruzione caratteristica dell’Alto Garda trentino, il Corna di Bò è utilizzato
per lo più in esterni, portali lavorati, elementi decorativi, contorni delle finestre. Un
utilizzo in ambito più prettamente scultoreo fu quello del XVI secolo negli apparati
decorativi di Palazzo Marchetti ad Arco, già Palazzo dei Conti d’Arco, dove il Corna di
Bò, con la sua plumbea cromia che ricorda la pietra serena toscana, è elegantemente
impiegato nella costruzione di portali di gusto manierista, preziosi camini, colonnati
e balaustre. Nel XVII secolo, a Nago, il Corna di Bò è utilizzato in un interessante apparato decorativo degli interni nella chiesa della Santissima Trinità.
Negli anni Venti del Novecento, il materiale litoide caratterizza la produzione architettonica di Giancarlo Maroni, noto architetto rivano legato alla figura di Gabriele
d’Annunzio e alla edificazione del Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera (Brescia), che ne recupera l’effetto estetico della cromia uniforme e severa, nei bugnati e
nelle strutture architettoniche realizzate a Riva del Garda nel primo dopoguerra.
Un materiale con le medesime caratteristiche ma con maggiore tendenza alla sfumatura ocra era estratto nei dintorni di Nago e fu utilizzato nella costruzione delle
fortificazioni austroungariche di tagliata stradale della seconda metà del XIX secolo
nell’Alto Garda.
Microfotografia ingrandita a nicols paralleli.
Particolare sulla struttura del materiale;
nella foto si riconosce un romboedro di dolomite
Antica cava in località
Corna di Bò (Nago-Torbole)
98
5
Giallo Mori
Nome petrografico
Microsparite pellettifera.
Descrizione tecnico - estetica
Calcare giallo, più o meno carico, con fiamme violacee o macchie grigiastre a struttura compatta.
Caratterizzazione geologica
Il Giallo Mori fa parte del gruppo delle Ooliti di San Vigilio (Lias-Dogger, 190 - 180
milioni di anni fa), una formazione geologica che affiora con una facies caratteristica
nella zona ad est del Sarca. I giacimenti coltivati sono ubicati nella parte superiore
della formazione del Calcare Oolitico di San Vigilio. Nel Giurassico, l’area del Monte
Giovo, a cavallo tra i comuni di Brentonico e di Mori, coincideva con il margine occidentale di una piattaforma marina in condizioni di mare poco profondo e caldo. I
calcari pellettiferi costituenti il Giallo Mori possono essere considerati come gli ultimi
depositi in ambiente a scarsa energia prima del definitivo annegamento di questo alto
strutturale conosciuto come Piattaforma Veneta.
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite a peloidi micritici torbidi con sparite limpida interstiziale e dolomite in
romboedri idiomorfi. Plaghe interstiziali di idrossidi ferrosi conferiscono alla roccia
il tipico colore giallastro. In genere i fossili sono assai scarsi (si riconoscono resti di
lamellibranchi pelagici e placche di crinoidi).
Composizione chimica
% in massa
Campione di Giallo Mori proveniente dalla cava Talpina
(Mori)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
16
TiO2
0,08
Zn
11
Al2O3
0,55
Sr
167
Fe2O3
0,67
MnO
0,08
MgO
0,59
CaO
55,00
Na2O
0,00
K2O
0,18
P2O5
0,00
LOI
42,85
totale
100,00
99
Caratteristiche fisico - meccaniche
Microfotografia a nicols incrociati
valore
minimo
atteso
valore
medio
valore
minimo
valore
massimo
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,29
0,26
0,37
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
133
110
168
91
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
138
121
148
114
Resistenza alla flessione
(MPa)
14,4
0,8
24,3
1,3
Resistenza all’abrasione
(mm)
20,0
19,6
20,5
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a sabbiatura) (adimensionale)
71,3
69,9
Prove di laboratorio eseguite
Luoghi di estrazione
Nel passato, notevole importanza storica, artistica ed economica ebbero le cave situate nella zona di Brentonico nelle località di Monte Giovo, Cionci, Schiavoni, Cornalè,
Zambrae, Pale di Sant’Antonio, Sacle di Crosano e Tordo di Fontechel.
Altre cave erano coltivate intorno a Mori e di queste l’unica attualmente attiva (utilizzata per la produzione di granulati) è quella denominata Talpina. Per lo stesso utilizzo
questo materiale è coltivato nella cava di Cornalè a Brentonico.
Microfotografia ingrandita a nicols incrociati.
Particolare sulla struttura della roccia;
si osserva un cristallo di dolomite a forma
romboedrica
Note storiche
Con la denominazione Giallo Mori si ricomprendono varie qualità di questo calcare
giallo. Questo litotipo lucidabile, con la sua caratterizzazione a fondo giallo vivo con
piccole venule color ruggine, talvolta con fiammature violacee, conobbe la sua massima diffusione nel XVIII secolo con l’affermazione della scuola lapicida di Castione, in
particolare con la produzione dei maestri Benedetti e Sartori, che detenevano i diritti
delle cave. Le estrazioni castionesi, con la vivacità e la varietà dei colori dei litotipi,
ben si sposava alla monumentalità e spettacolarità della produzione scultorea barocca. La vasta produzione altaristica marmorea sei-settecentesca seguita alla Controriforma, trova terreno fertile in Trentino meridionale con le fabbriche di numerose
chiese ammodernate o ricostruite, spesso ad intitolazione mariana. La ricercatezza
dei litotipi locali favorisce la richiesta anche in ambito veneto e lombardo e, più tardi,
anche mitteleuropeo.
Tra Mori, Tierno e Pannone, si estraeva un giallo pallido negli strati superiori, giallo
ambrato, aranciato in quelli inferiori nelle varie qualità “Giallo fiammato”, “Giallo
oro”, “Giallo antico”, “Giallo broccato”. Presso Castione, si estraeva il “Giallo del Monte Giovo”, righettato, in strati e in abbondanza sul versante meridionale del Monte
Giovo. In località Vigne, sempre nelle cave di Castione si estraeva una qualità di giallo venato chiaro di tono ambrato meno intenso, denominato “Canarino” (E. Murari
1903, pp. 26, 27). Una delle qualità più ricercate per la produzione barocca, come
risulta rilevabile dai contratti di committenza degli altari, era il “Mischio di Valcaregna”, denominato anche “Macchia di Valcaregna”, “Marmo o macchia di Brentonico”,
100
un calcare a fondo giallo oro con sfumature violacee, rossicce, rosate, grigio cerulee,
di aspetto brecciforme e notevole effetto cromatico.
“… Scipione Maffei, nel 1732, si sofferma sul “Mischio di Brentonico” così vago, così
raro ne’ colori, e così bizzarro negli accidenti, che non si troverà di leggeri marmo da
paragonargli” (C. Andreolli - D. Leoni 1988, p. 4).
Il materiale più ricercato di questa varietà doveva presentare la gamma completa
delle sfumature caratteristiche, comprese quelle grigio cerulee “… procurando a più
potere e possibile che vi entri qualche macchia di turchino” (contratto per un altare
in Santa Maria delle Laste a Trento di Giacomo Benedetti 1685, in Rasmo 1984, p.
161). Non è raro vedere questi inserimenti di Turchino realizzati artificialmente a
commesso anche in colonne monolitiche. In alcuni contratti è rilevabile una clausola
di qualità di questo litotipo che doveva provenire dalla medesima “predara” (cava)
di quello impiegato nella Cappella del Crocifisso nel Duomo di Trento. La clausola si
ritrova in contratti di altari eseguiti dai Benedetti, che vantavano i diritti di sfruttamento della cava pregiata; nel documento per la costruzione dell’altare maggiore in
Santa Maria delle Grazie presso Arco 1697 (Giacomo e Cristoforo Benedetti) e in quello della Maddalena nella Collegiata di Arco (Cristoforo e Sebastiano Benedetti 1701),
(Rasmo 1984, p. 163, 165).
Il Giallo Mori, nelle varie qualità e il Mischio di Valcaregna, trovano largo impiego
nella scultura degli altari barocchi con effetti estetici di notevole effetto. Tra XIX e XX
secolo sono stati ampiamente utilizzati per pavimentazioni e rivestimenti.
Fronte cava Cornalè di Giallo Mori (Brentonico)
101
102
6
Nero di Ragoli
Nome petrografico
Micrite.
Descrizione tecnico - estetica
Calcare di colore nero con sottili fratture riempite di calcite bianca. È fittamente stratificato (20 - 40 cm) e di grana finissima.
Caratterizzazione geologica
Formazione geologica del Triassico superiore (Retico) nota con il nome di Calcari di
Zu.
Nel Triassico superiore (219 - 213 milioni di anni fa) l’ambiente di sedimentazione
di questo litotipo consisteva in un mare poco profondo e in una laguna salmastra che
riceveva apporti terrigeni sottoforma di fango dalle terre emerse.
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite micritica torbida ed uniformemente solcata da vari sistemi di vene di calcite spatica limpida con permeazioni di componenti carboniose che conferiscono il colore nero alla roccia. La struttura della roccia è isotropa, si osservano pochi bioclasti
di microrganismi planctonici o frammenti di gusci di organismi pelagici.
Composizione chimica
% in massa
Campione proveniente dalla cava dismessa in località
Scaricle (Ragoli)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,04
Zn
5
Al2O3
0,29
Sr
460
Fe2O3
0,48
MnO
0,08
MgO
1,12
CaO
58,53
Na2O
0,00
K2O
0,02
P2O5
0,00
LOI
39,45
totale
100,01
Portale del Duomo di Trento in Rosso Trento,
pavimentazione a cubetti di Porfido Trentino Lastrificato
103
19
Caratteristiche fisico - meccaniche
Microfotografia a nicols paralleli.
Calcare nero prelevato dalla cava in località Scaricle (Ragoli)
valore
valore
minimo
massimo
atteso
valore
medio
valore
minimo
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,13
0,07
0,02
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
153
101
188
87
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
106
47
183
31
Prove di laboratorio eseguite
Luoghi di estrazione
I Calcari di Zu rappresentano una facies tipica dei livelli più bassi del Retico inferiore,
caratteristica del Bacino Lombardo e affiorano lungo la valle del Sarca.
Nel comune di Ragoli in località Scaricle si trova un vecchio sito di cava. La potenza
della formazione è di circa 180 m, ma essa affiora in lembi isolati fittamente stratificati (con strati dello spessore di 20 - 40 cm) e intensamente fratturati.
Note storiche
“Paragone”, più raramente “Ardese”, sono i termini contrattuali per definire la pietra
nera impiegata negli altari, per lo più a commesso, ma anche in elementi di notevole dimensione, lastre, cornici e colonne monolitiche. Con il “nero trentino” furono
realizzati, oltre agli altari, eleganti camini come quello conservato presso il Castello
di Stenico, o apparati decorativi e di rivestimento parietale come in San Francesco
Saverio a Trento. Questo materiale è associato spesso alle cave di Ragoli nelle Valli
Giudicarie da cui la denominazione “Nero di Ragoli”, dove era estratto “… un bel
nero uniforme con rari fili bianchi” (E. Murari 1903, p. 22). Il Murari cita altre zone
di provenienza. “Altri neri troviamo a Sopramonte ed in Sardagna, nelle vicinanze di
Trento. Quelli si usarono largamente in tempi anteriori per altari, monumenti ecc.”
(E. Murari 1903, p. 39).
Altri calcari neri utilizzati in scultura erano di provenienza lombarda delle province
di Bergamo e di Como il cui utilizzo era legato alle relative scuole lapicide.
Litotipi neri o grigio scuri, utilizzati in opere minori, specie nella pavimentazione
delle chiese locali, erano estratti in Trentino presso Tiarno in Valle di Ledro (Geoambiente, 1978, scheda nr. 18), Creto in Val Giudicarie (E. Murari 1903, p. 39).
Muro a secco in Nero di Ragoli (Ragoli)
104
7
Pessatela
Nome petrografico
Biorudite.
Descrizione tecnico - estetica
Si tratta di un calcare grigio a lumachella con abbondanti gusci giganti di lamellibranchi, noto come “Pessatela” per la particolare forma allungata dei fossili che
assomigliano a dei pesci. Caratteristico è il contrasto cromatico tra il grigio del fondo
e il bianco dei gusci fossili.
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una formazione di età Giurassica (Sinemuriano - Pliensbachiano, 202 - 188
milioni di anni fa) che coincide con la parte superiore della Formazione di Rotzo ed è
nota col nome di Calcare a Lithiotis. L’ambiente di formazione è riferibile ad una piana
tidale carbonatica subtidale posta al margine della piattaforma. Queste facies si inquadrano in un ambiente di piattaforma carbonatica ove barre oolitiche definiscono ed
isolano lagune a vario carattere, piane tidali con canali di marea e zone emergenti.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Baiti - Dosso Alto (Brentonico)
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia isotropa, massiccia senza cavità o porosità rilevanti. Si tratta di un calcare
organogeno costituito dai gusci di lamellibranchi giganti (noti come Lithiotis), da alghe, microrganismi planctonici tipo miliolidi, pellets e ooidi e gusci di bivalvi la cui
struttura è stata alcune volte conservata e altre volte completamente obliterata dalla
ricristallizzazione con cemento calcitico spatico. La matrice è costituita sia da cemento spatico sia da micrite. La roccia si può classificare come biorudite.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,07
Zn
7
Al2O3
0,12
Sr
196
Fe2O3
0,13
MnO
0,09
MgO
0,79
CaO
55,61
Na2O
0,00
K2O
0,00
P2O5
0,00
LOI
43,19
totale
100,00
105
15
Microfotografia a nicols incrociati di Pessatela prelevata in
località Baiti (Brentonico). Roccia particolarmente ricca di
organismi marini
Microfotografia a nicols paralleli di Pessatela. Materiale
proveniente dalla cava in località Dosso (Trambileno).
Si riconosce un guscio di Lithiotis
Luoghi di estrazione
Nei settori riferibili alla Piattaforma di Trento, ed in particolare al tetto, sono presenti affioramenti in grossi strati e bancate metriche ricche di gusci di bivalvi (strati a
Lithiotis) con disposizione caotica, ora suborizzontale ora inclinata ora verticale, in
canali di marea. Affiora nel Trentino meridionale, sia sulla destra (zona di Brentonico) sia sulla sinistra (Altipiano di Lavarone e zona di Rovereto, Trambileno) della
valle dell’Adige.
In particolare, nella zona di Brentonico, la cava in località Baiti - Dosso Alto è stata
utilizzata in passato per l’estrazione di un particolare litotipo utilizzato come pietra
ornamentale nella produzione di altari tra il Seicento e l’Ottocento.
Altre cave dismesse di questo materiale sono note nel comune di Trambileno in località Dosso. Un nuovo sito estrattivo di un materiale simile (a Lavarone, in località
Esental) è individuato dal Piano Provinciale di Utilizzazione delle Sostanze Minerali.
Note storiche
Il litotipo, di antica estrazione e di grande effetto decorativo e cromatico, si presenta
a chiazze e noduli prodotti dalle sezioni di grandi conchiglie fossili, anche superiori
a 10 cm, su fondo bruno, grigio scuro, nero o anche rosso, talvolta con presenza di
venature giallognole chiare.
Il litotipo, noto come “Lumachella di San Vitale”, localmente veniva chiamato “Pessatella” quando presentava la caratteristica forma allungata dei fossili di composizione, “Lumachella” quando presentava fondo grigio scuro con fitte piccole conchiglie
chiare.
Il Murari lo descrive nell’elenco dei marmi di Castione come “marmo grigio, rigato,
macchiato. Si trova in massi riducibili ad ogni dimensione ed in grande quantità, sul
monte Bordina nella località Doss alt…” (E. Murari 1903, p. 26).
Oltre che a Castione, il Murari indica formazioni di Pessatela a Lavarone ed altre località della valle dell’Adige, di “Lumachella” nei dintorni di Trento, Cadine, Sardagna
e in località Cantanghel a Civezzano (E. Murari 1903, p. 30 - 41).
La “Pessatella” e la “Lumachella” furono impiegate in lastre decorative negli altari
marmorei ma anche in apparati scultorei, quali cornici, balaustre, ed in particolare
le acquasantiere ed i fonti battesimali. Esempi di impiego di questo materiale sono
a Trento nella Cappella del Crocifisso del Duomo (negli intarsi del pavimento e nelle
balaustre) e nei rivestimenti parietali della chiesa di San Francesco Saverio, a Riva
del Garda negli altari della chiesa dell’Inviolata e ad Arco negli altari della Collegiata.
A Vigo Lomaso, nella chiesa di San Lorenzo, è utilizzata una “Lumachella” nera bigia
con resti fossili più grandi.
Affioramento di Pessatela in località Baiti (Brentonico)
106
8
Pietra di Arco
Nome petrografico
Oosparite.
Descrizione tecnico - estetica
Calcarenite oolitica di colore bianco; materiale piuttosto tenero e omogeneo, facilmente lavorabile con il martello e lo scalpello.
Caratterizzazione geologica
Questo materiale è una roccia sedimentaria chimica giurassica (Sinemuriano, 202
- 195 milioni di anni fa) appartenente alla formazione geologica del Calcare Oolitico
di Massone.
L’ambiente di deposizione coincide con una piana tidale ad alta energia, posta al
margine della piattaforma carbonatica di Trento.
Campione proveniente dalle cave dismesse
in località San Martino (Arco)
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcarenite ad ooliti con calcite spatica di colore bianco; la roccia è isotropa, non
presenta cavità e porosità di rilievo anche se il materiale si presenta relativamente
tenero.
Le dimensioni medie delle ooliti si aggirano attorno ai 200 - 800 μm; il materiale non
appare particolarmente costipato, i contatti tra i granuli sono generalmente assenti e
talvolta puntiformi.
La roccia si può definire una oosparite.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,07
Zn
9
Al2O3
0,02
Sr
127
Fe2O3
0,08
MnO
0,09
MgO
0,44
CaO
56,61
Na2O
0,00
K2O
0,00
P2O5
0,00
LOI
42,70
totale
100,01
107
14
Luoghi di estrazione
Vicino a San Martino (Arco), in località Buse, si trovano gli scavi sotterranei per
l’estrazione di oosparite a grana fine.
Si tratta di una formazione che fa parte del Gruppo dei Calcari Grigi. Affiora nel
Trentino sud-occidentale, nella zona del Garda e della parte meridionale della valle
del Sarca.
Microfotografia a nicols paralleli.
Caratteristica struttura oolitica della roccia
Note storiche
I calcari oolitici sono stati ampiamente utilizzati in Trentino in quanto diffusi e di facile lavorazione. Quelli della zona di Arco si sono distinti, a partire al XVI secolo, per la
particolarità della grana fine e del colore bianco latteo. Il materiale era parzialmente
lucidabile anche se in genere era utilizzato non lucidato.
Il termine identificativo “Pietra di Arco” è citato in vari contratti di altari per la realizzazione di sculture, capitelli, armi, ma anche parti strutturali quali architravi, basi di
colonne. Il documento relativo alla realizzazione dell’altare maggiore della chiesa di
Santa Maria delle Grazie in Arco di Giacomo e Cristoforo Benedetti del 1697 cita: “…
8° Il cornichione, l’Architrave, Capitelli, Arma, due Putini, Basse delle colonne, altri
intagli saranno della pietra d’Arco, cioè di quella ha fatto fare le figure Sua Ecc.za
Monsignor Vescovo Alberti nella cappella del Crocifisso di Trento, ma però tutto lustro, eccettuato gli intagli, come gli capitelli, et gli altri che dimostra il dissegno et
quali non si può lustrare” (Rasmo 1984, p. 163).
Le cave in località Buse di questo calcare, denominato anche Pietra di San Martino o
Pietra Statuaria di Arco, furono attive fino ai primi decenni del XX secolo. La Pietra di
Arco fu ampiamente utilizzata nella scultura barocca per la realizzazione dei capitelli
delle colonne e della statuaria. Le cave ebbero il loro periodo di massimo sfruttamento nell’Ottocento quando il calcare oolitico fu abbondantemente esportato in Austria
ed impiegato in architettura. Un utilizzo particolare fu quello della realizzazione dei
tubi per acquedotto ottocenteschi nella quale si specializzarono le ditte Ratti di Cremona e Meneguzzi di Arco.
Nel Trentino meridionale i calcari oolitici erano utilizzati, considerata la loro facilità
di lavorazione, per l’esecuzione di parti ornamentali, in particolare di capitelli, fregi,
cartigli, bassorilievi e sculture. Le altre estrazioni si distinguono dalla Pietra di Arco
per la grana più grossolana ed il colore tendente più al bianco grigio o al giallognolo.
Nel Lomaso (Valli Giudicarie) era escavato un calcare oolitico bianco a grana media
utilizzato anche nell’architettura e nella scultura dell’altaristica barocca locale.
Coltivazione in sotterraneo della Pietra di Arco
in località S. Martino (Arco)
108
9
Prugna di Lasino
Nome petrografico
Bio-pelsparite.
Descrizione tecnico - estetica
È una roccia compatta dal colore rosso scuro con abbondanti striature violacee corrispondenti a vari livelli di ossidazione.
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una roccia sedimentaria appartenente ad una formazione del Giurassico
medio-superiore (170 - 140 milioni di anni fa) e nota come Rosso Ammonitico Veronese. L’origine è riferibile ad un ambiente pelagico di plateau oceanico sul quale una
sedimentazione condensata e a volte discontinua ha determinato la particolare struttura nodulare che caratterizza la formazione del Rosso Ammonitico Veronese.
Nella varietà Prugna di Lasino la struttura originaria del materiale è quasi completamente obliterata da una ricristallizzazione secondaria molto spinta che determina
una struttura compatta.
Descrizione petrografica - mineralogica
La struttura originaria della roccia è quasi completamente obliterata dalla cristallizzazione secondaria di calcite spatica. Molto abbondante è l’ossidazione che si dispone
preferenzialmente in livelli e negli spazi tra i granuli del cemento carbonatico. Poche
sono le tracce rimaste della matrice micritica e pellettifera originaria. La roccia si può
classificare come una bio-pelsparite.
Composizione chimica
% in massa
Campione proveniente dalla cava Predere (Lasino)
p.p.m.
SiO2
3,29
Cu
24
TiO2
0,14
Zn
31
Al2O3
1,72
Sr
90
Fe2O3
0,90
MnO
0,10
MgO
0,69
CaO
52,67
Na2O
0,01
K2O
0,61
P2O5
0,09
LOI
39,79
totale
100,01
109
Luoghi di estrazione
Il Rosso Ammonitico Veronese nella varietà Prugna di Lasino si trova solo a Lasino in
località Predere. Lungo tutta la valle del Sarca il Rosso Ammonitico si presenta con
una colorazione rossa più intensa, ma questa particolare facies ricristallizzata è stata
osservata solo in questo sito.
Microfotografia a nicols paralleli del Prugna
di Lasino prelevato nella cava Predere (Lasino)
Note storiche
La varietà di rossi ammonitici estratta nella valle dei Laghi si caratterizza per i toni
forti con la particolare tendenza cromatica violacea. È un materiale largamente impiegato nell’architettura locale, ma il suo utilizzo si estende fino all’Alto Garda. Il
materiale si caratterizza per una spiccata compattezza, dovuta alla ricristallizzazione
secondaria, che conferisce resistenza meccanica all’usura e al degrado, qualità in
genere atipiche per i rossi ammonitici che sono particolarmente sensibili agli agenti
di degrado lapideo. Tali caratteristiche ne hanno privilegiato l’utilizzo in esterni, nelle
pavimentazioni e nelle fontane.
Microfotografia ingrandita a nicols incrociati del Prugna di
Lasino prelevato nella cava Predere (Lasino)
Cava Predere (Lasino)
110
10
Rosa di Terlago
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare nodulare, abbastanza compatto con frattura concoide dal colore rosa
chiaro. Presenta stiloliti con concentrazioni di minerali argillosi ed ossidazioni di
colore rosso scuro.
Campione proveniente dalla cava Redi (Terlago)
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una roccia sedimentaria appartenente alla formazione del Giurassico
medio-superiore (175 - 145 milioni di anni fa) e nota come Rosso Ammonitico Veronese. L’origine è riferibile ad un ambiente pelagico di plateau oceanico sul quale
una sedimentazione condensata e a volte discontinua ha determinato una particolare
struttura nodulare.
Questa varietà del Rosso Ammonitico Veronese, denominata anche “Ziresol”, corrisponde alla parte media della formazione. La serie completa è la seguente: dapprima
affiora il Verdello, un complesso di calcari verdastri chiari attribuibili al Malm inferiore e in parte al Dogger, poi segue lo “Ziresol” corrispondente ad un calcare selcifero
marnoso di colore rosa particolarmente resistente datato Oxfordiano (Malm inferiore)
e infine si trova il Rosso Trento, calcare nodulare rosso in grossi banchi con intercalazioni argillose di età kimmeridgiana (Malm medio).
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite a peloidi micritici torbidi, ricca di tintinnidi (calpionellidi di dimensioni
molto minute: 80 - 100 μm) e in minor misura di radiolari, aptici, gusci sottili di lamellibranchi, articoli di crinoidi e saccocoma. La dolomite in cristalli idiomorfi romboedrici è più abbondante lungo i giunti stilolitici che concentrano anche la componente residuale di idrossidi ferrosi conferente il colore rosato alla roccia. Il materiale
si può classificare come biomicrite.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
18
TiO2
0,04
Zn
17
Al2O3
0,10
Sr
149
Fe2O3
0,33
MnO
0,07
MgO
0,40
111
% in massa
CaO
55,11
Na2O
0,00
K2O
0,07
P2O5
0,13
LOI
43,76
totale
100,01
Caratteristiche fisico - meccaniche
Microfotografia a nicols paralleli del Rosa di Terlago.
Al centro grossa stilolite (spessa 150 - 300 μm) con
concentrazione di ossidi di ferro e cristalli di dolomite
valore
minimo
valore
massimo
0,29
0,27
0,33
175
157
198
144
86
28
133
15
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
122
57
207
31
Resistenza alla flessione
(MPa)
13
7,3
16,5
7,3
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
10,5
8,4
14,6
7,3
Resistenza all’abrasione
(mm)
15,7
15,3
16,0
76
75,8
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
Resistenza a compressione monoassiale
con orientazione dell’asse di carico perpendicolare alle discontinuità
(MPa)
Resistenza a compressione monoassiale con orientazione dell’asse
di carico parallela alle discontinuità
(MPa)
Microfotografia ingrandita a nicols paralleli del Rosa di
Terlago. Ingrandimento sui diversi microrganismi contenuti
nel materiale
valore
minimo
atteso
valore
medio
Prove di laboratorio eseguite
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a bocciardatura) (adimensionale)
Luoghi di estrazione
Questa varietà è estratta nella cava di Terlago e si ritrova anche in altre parti del
Trentino, in particolare lungo la valle del Sarca, nella zona di Arco nella vecchia cava
di Laghel e nei pressi di Padaro nonché nella cava denominata Predere a Lasino.
Questo livello è stato coltivato anche ad Andalo in località Laghet, solo però come
materiale da costruzione (sassi da muro).
Utilizzo attuale
Il Rosa di Terlago è utilizzato per tutte le applicazioni edilizie sia in ambienti interni che esterni: in particolare negli esterni per l’allestimento di pavimentazioni di
superfici pedonali, generalmente con la superficie bocciardata o rullata, ma anche
per cordonate di delimitazione, gradinate, copertine, zoccolature, elementi di arredo
urbano, nonché per la formazione o il rivestimento di muri nelle finiture grezze. In
interni lo troviamo utilizzato nei pavimenti (levigati, lucidi), nella realizzazione di
scale, di rivestimenti, di elementi di arredo vari.
112
Note storiche
La varietà del Rosso Ammonitico Veronese, in Trentino anticamente denominata “Ziresol”, è un materiale caratteristico, al pari del Rosso Trento. Si tratta di una varietà
dai toni più tenui e violacei o rosei largamente impiegato anche per elementi architettonici quali paraste, fregi, pavimentazioni. Si ricordano in particolare le vecchie lastre
dei marciapiedi della città di Trento, o l’utilizzo nei rivestimenti e nelle pavimentazioni interne. Un materiale con caratteristiche simili ed identica denominazione era
estratto anche a Castione in località Vigne Monte Giovo (E. Murari 1903, p. 27).
Calcari bianchi e rosati erano estratti anche ad Arco, località Padaro Laghel, e impiegati in numerose fabbriche dell’alto Garda. L’uso di questo materiale dal fondo
bianco con sfumature rosate è documentato per la fabbrica della seicentesca chiesa
della Collegiata di Arco, dove è utilizzato nelle paraste e negli imponenti contrafforti
esterni.
Bancata di Rosa di Terlago
della cava Redi (Terlago)
113
114
11
Rosso del Sarca
Nome petrografico
Bio-pelsparite.
Descrizione tecnico - estetica
È una roccia compatta dal colore rosso mattone con struttura nodulare tipica della
formazione geologica a cui appartiene (Rosso Ammonitico Veronese).
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una roccia sedimentaria appartenente ad una formazione del Giurassico medio-superiore (170 - 140 milioni di anni fa) e nota come Rosso Ammonitico Veronese.
L’origine è riferibile ad un ambiente pelagico di plateau oceanico sul quale una sedimentazione condensata e a volte discontinua ha determinato la tipica struttura nodulare.
Descrizione petrografica - mineralogica
Il materiale osservato al microscopio non si discosta molto da quello descritto come
Rosa di Terlago, si tratta di una calcilutite a peloidi micritici torbidi, ricca di bioclasti
di tintinnidi, di lamellibranchi planctonici e di foraminiferi globosi. Inoltre si osserva
una maggior quantità di livelli di ossidazione che conferisce al materiale lapideo una
diversa tonalità di rosso.
Composizione chimica
% in massa
Campione di Rosso del Sarca proveniente dalla cava
dimessa situata in località Lon (Vezzano)
Particolare di scalinata in Rosso Trento
della chiesa di Sant’Anna (Trento)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,09
Zn
19
Al2O3
0,44
Sr
102
Fe2O3
0,31
MnO
0,11
MgO
0,54
CaO
56,33
Na2O
0,00
K2O
0,10
P2O5
0,03
LOI
42,05
totale
100,00
21
Luoghi di estrazione
Lungo tutta la valle del Sarca e nella zona di Arco, il Rosso Ammonitico si presenta
con una colorazione rossa più intensa e il materiale estratto è noto col nome di Rosso
115
del Sarca. Le cave principali erano: Lon nel comune di Vezzano, Vertine nel comune
di Calavino, Sachet e Predere nel comune di Lasino, dove era estratta anche la varietà
Prugna di Lasino.
Oltre a queste, altre cave sfruttate nel passato sono quelle in località Masi e Casoni
(Cavedine) e in località Laghel (Arco).
Microfotografia a nicols paralleli.
Materiale lapideo proveniente dalla cava di Laghel (Arco)
Note storiche
L’estrazione di calcari ammonitici rossi era particolarmente diffusa in Trentino
sudoccidentale, litotipi caratterizzati da una cromia particolarmente intensa nei toni
rosso marrone, talvolta violacei utilizzati in ambito locale per pavimentazioni, elementi strutturali e decorativi. L’estrazione avveniva nel Bleggio - Lomaso e nella valle
di Cavedine, per utilizzo in ambito architettonico (loggiati, portali, elementi decorativi
delle facciate dei palazzi storici). L’uso dei rossi del Lomaso è documentato in alcuni
contratti settecenteschi di altari marmorei, per l’impiego in gradini e pavimenti delle
predelle. Estrazioni di rosso vivo si trovavano anche presso San Lorenzo in Banale
(E. Murari 1903, p. 22).
Cava Predere (Lasino)
116
12
Rosso Trento
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare nodulare, abbastanza compatto con frattura concoide dal colore rosso
vivo, rosso scuro, talvolta anche rosso mattone. Presenta stiloliti con concentrazioni
di minerali argillosi ed ossidazioni di colore rosso scuro. Le macchie più chiare sono
generalmente derivate da componenti organiche.
Caratterizzazione geologica
È una roccia sedimentaria appartenente ad una formazione del Giurassico mediosuperiore (175 - 145 milioni di anni fa) e nota come Rosso Ammonitico Veronese.
L’origine è riferibile ad un ambiente pelagico di plateau oceanico sul quale una sedimentazione condensata e a volte discontinua ha determinato una particolare struttura nodulare.
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite a peloidi micritici torbidi, ricca di bioclasti di lamellibranchi planctonici e
di foraminiferi globosi. La dolomite in cristalli idiomorfi romboedrici è più abbondante lungo i giunti stilolitici che concentrano anche la componente residuale di idrossidi
ferrosi conferenti il colore rosato alla roccia.
Campione proveniente dalla cava Pila (Trento)
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,05
Zn
17
Al2O3
0,23
Sr
90
Fe2O3
0,39
MnO
0,08
MgO
0,80
CaO
55,27
Na2O
0,00
K2O
0,12
P2O5
0,05
LOI
43,02
totale
100,01
117
15
Caratteristiche fisico - meccaniche
Prove di laboratorio eseguite
Cava Pila (Trento)
valore
medio
valore
valore
valore
minimo
minimo massimo
atteso
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,19
0,13
0,26
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
124
87
147
75
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
128
67
154
60
Resistenza alla flessione
(MPa)
10,4
5,5
14,0
5,7
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
10,7
8,0
12,4
7,6
Resistenza all’abrasione
(mm)
18,0
16,9
18,4
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a bocciardatura) (adimensionale)
NPD*
* NPD: In base alla nota 1 punto 4.5 delle Norme UNI EN 1341:2003, 1342:2003 le lastre e i cubetti con
finiture rustiche (ovvero con più di 2 mm di differenza tra picchi e depressioni, come da punto 3.11 di entrambe
le norme) non possono essere sottoposte a prova in modo affidabile. Si presume comunque, data il loro alto
grado di rugosità, che offrano una resistenza soddisfacente allo slittamento.
Luoghi di estrazione
Il Rosso Trento è la varietà più nota del Rosso Ammonitico Veronese: una formazione geologica che affiora nella zona della città di Trento, sui versanti della Valsugana
da Grigno a Primolano e lungo la valle del Sarca, con un colore rosso scuro, fino ad
Arco.
Oltre al Rosso Trento, all’interno del Rosso Ammonitico Veronese sono di interesse
estrattivo altri livelli litologici tra i quali “Ziresol” e Verdello sono i più noti. La serie
completa è la seguente: dapprima affiora il Verdello, un complesso di calcari verdastri
chiari attribuibili al Malm inferiore e in parte al Dogger, poi segue lo “Ziresol” corrispondente ad un calcare selcifero marnoso di colore rosa particolarmente resistente
datato Oxfordiano (Malm inferiore), e infine si trova il Rosso Trento, calcare nodulare
rosso in grossi banchi con intercalazioni argillose di età kimmeridgiana (Malm medio).
La città di Trento all’inizio del secolo scorso era ricca di cave di Rosso Ammonitico;
cave si trovavano a metà di via San Martino, a Port’Aquila, in via dei Cappuccini, alla
Spalliera, in via Venezia sulla strada della Valsugana, in via Giardini e nelle vicinanze
di Trento a Cognola in località alle Coste, a Villamontagna in località Pila e a Gardolo
in località Melta.
Microfotografia a nicols paralleli del Rosso Trento
proveniente dalla cava Pila (Trento)
Utilizzo attuale
È utilizzato per tutte le applicazioni edilizie sia in ambienti interni che esterni: in particolare negli esterni per l’allestimento di pavimentazioni di superfici pedonali, generalmente con superficie bocciardata o rullata, ma anche cordonate di delimitazione,
gradinate, copertine, zoccolature, elementi di arredo urbano, nonché per la formazione o il rivestimento di muri nelle finiture grezze. In interni lo troviamo utilizzato
118
nei pavimenti (levigati, lucidi), nella realizzazione di scale, di rivestimenti, di elementi
di arredo vari.
Note storiche
Nell’ambito della produzione estrattiva storica i rossi trentini, come i rosati, erano distinti secondo l’effetto cromatico spesso tipico della cava di estrazione. La coltivazione
di cave di calcari, ascrivibili alla formazione geologica denominata Rosso Ammonitico
Veronese, fu ampiamente diffusa nelle valli dell’Adige, del Sarca, in Valsugana, ma
anche in Valle di Non. Nelle cave di Trento, Villamontagna e Civezzano si distingueva
il “Rosso Moro”, compatto, rosso mattone con sfumature color marrone e il “Broccato”, rosso più vivo, con aspetto nodulare più marcato. Nelle cave di Castione vicino a
Brentonico, il Murari, lapicida di tradizione tardo ottocentesca, cita numerose qualità: il “Brodefasoi”, rosso scuro a macchie, il “Rosso”, il “Salado” e il “Brocadello”,
estratti sul Monte Giovo in grossi corsi. Il “Salado” e il “Brocadello” sono definiti
marmi multicolori, spesso queste formazioni presentano nello stesso corso passaggi
repentini dal rosa al rosso o al giallo o al bianco, bianco - grigio. La colorazione è
data da stadi diversi di ossidazione del ferro che, nella forma ossidata, produce ocre
rosse e gialle, mentre nella sua forma ridotta dà luogo a colorazioni verdi o grigie.
L’utilizzo dei calcari rossi nell’ambito dell’edilizia storica è molteplice e diffuso. Da
semplice pietra da costruzione utilizzata sin dall’epoca romana a Trento, dove affiora
direttamente nel versante est della città, è stato abbondantemente impiegato negli
apparati decorativi delle facciate del rinnovo rinascimentale del capoluogo trentino,
spesso anche con apparati di lavorazione scultorea. A Trento vi sono notevoli esempi
di portali, contorni di finestre, logge, in particolare a palazzo Geremia, nel Castello
del Buonconsiglio, nelle strutture più antiche di Castel Vecchio ma anche nel Magno
Palazzo clesiano. Sempre in architettura, a committenza clesiana, si richiamano le
chiese di Santa Maria Maggiore e Santa Maria Assunta di Civezzano, dove l’ammonitico rosso è impiegato nei paramenti esterni. Spesso il degrado evidenzia i piani di
sedimentazione e la struttura nodulare di questi calcari solitamente molto sensibili
alle condizioni ambientali.
L’estrazione in ambito lagarino, in particolare nelle cave di Castione, si identifica invece nella vasta produzione settecentesca degli altari marmorei. La scuola castionese
dei maestri Benedetti, Sartori e altri illustri lapicidi si segnala, in competizione con
quelle veronesi e bresciane, oltre che per la qualità scultorea, anche per l’ampia disponibilità di materiali diversi e pregiati di cui le cave di Castione erano ricche. Negli
antichi contratti per la produzione di altari marmorei non sono evidenziate particolari denominazioni dei calcari rossi, che, come i bianchi, erano abbastanza diffusi e
provenivano da varie cave. Da questi documenti, la provenienza di questo materiale
litoide è molte volte individuata in sede locale o prossima ai luoghi di destinazione
degli apparati scultorei, sia per limitare l’incidenza dei costi di trasporto, sia perché,
in genere, il rosso ammonitico, per le caratteristiche di lavorabilità del materiale, non
è impiegato largamente in campo scultoreo, ma piuttosto per lastre, blocchi, casse
lapidee e pavimentazioni, che non necessitano di particolare selezione qualitativa del
materiale.
119
120
13
Tufo Calcareo
Nome petrografico
Travertino.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare concrezionato dal caratteristico aspetto spugnoso conferito dalla sua
estrema porosità e dal conseguente bassissimo peso specifico. Con questo materiale
erano costruiti i muri non portanti degli edifici (localmente definiti col termine di
“stramezze”) e i soffitti a volta, in quanto si trattava di un materiale molto leggero,
ma relativamente resistente.
Caratterizzazione geologica
È un deposito sedimentario quaternario di origine chimica formatosi in seguito alla
precipitazione del carbonato di calcio in prossimità di sorgenti, cascate o bacini lacustri, in ambiente continentale. Durante la precipitazione del carbonato rimangono
inglobati resti vegetali, come foglie o ramoscelli, la cui successiva decomposizione e
dissoluzione conferiscono a questo materiale lapideo un caratteristico aspetto poroso
e spugnoso.
Campione proveniente dalla vecchia cava di San Valentino
(Vezzano)
Descrizione petrografica - mineralogica
La roccia presenta una struttura isotropa con ampie cavità, che le conferiscono leggerezza e con un aspetto concrezionato dall’accrescimento dovuto alla particolare
genesi di questo litotipo. Il materiale è costituito completamente da carbonato di
calcio (CaCO3).
Composizione chimica
% in massa
Pilastro angolare e balcone in Verdello
e Rosso Trento, centro storico
largo Giosuè Carducci (Trento)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,07
Zn
8
Al2O3
0,06
Sr
108
Fe2O3
0,10
Ba
105
MnO
0,09
MgO
0,73
CaO
54,83
Na2O
0,02
K2O
0,30
P2O5
0,00
LOI
43,81
totale
100,00
121
18
Luoghi di estrazione
È stato coltivato in passato in diverse località trentine tra le quali: le Maronere nel comune di Molina di Ledro e nei pressi di Trento in località le Tovare, a Taio e a Vezzano
in località San Valentino. In quest’ultimo sito si trova ancora l’edificio della vecchia
“segheria” ove si lavorava il materiale estratto.
Note storiche
L’utilizzo del tufo nell’architettura storica è associato soprattutto alla realizzazione
degli avvolti, infatti si ritrovano in gran quantità nei complessi ruderali dei castelli
trentini quali appunto materiali di crollo di avvolti o di riempimento dei “sacchi”
murari.
Microfotografia a nicols paralleli del Tufo Calcareo
proveniente dalla cava di San Valentino (Vezzano)
Microfotografia ingrandita a nicols paralleli del Tufo Calcareo
di Vezzano. Particolare sul “fantasma” di un resto vegetale
Fronte della vecchia cava di San Valentino (Vezzano)
Vecchio edificio della segheria in località San Valentino (Vezzano)
122
14
Verdello
Nome petrografico
Biomicrite.
Descrizione tecnico - estetica
È un calcare nodulare, abbastanza compatto con frattura concoide. Questa roccia
presenta colore verdastro con stiloliti corrispondenti a livelli marnosi con pirite dispersa.
Caratterizzazione geologica
Si tratta di una roccia sedimentaria appartenente ad una formazione del Giurassico
medio-superiore (170 - 140 milioni di anni fa) e nota come Rosso Ammonitico Veronese. L’origine è riferibile ad un ambiente pelagico di plateau oceanico sul quale
una sedimentazione condensata e a volte discontinua ha determinato una particolare
struttura nodulare.
Descrizione petrografica - mineralogica
Calcilutite a peloidi micritici torbidi, ricca di bioclasti di lamellibranchi planctonici e
di foraminiferi globosi. La dolomite in cristalli idiomorfi romboedrici è più abbondante lungo i giunti stilolitici che concentrano anche i solfuri di ferro (pirite) che potrebbero essere responsabili del colore della roccia.
Composizione chimica
% in massa
Campione proveniente dalla cava Redi (Terlago)
p.p.m.
SiO2
1,28
Cu
17
TiO2
0,07
Zn
19
Al2O3
1,01
Sr
93
Fe2O3
0,56
MnO
0,07
MgO
3,00
CaO
47,36
Na2O
0,00
K2O
0,38
P2O5
0,11
LOI
46,16
totale
100,01
123
Caratteristiche fisico - meccaniche
Prove di laboratorio eseguite
Fronte di cava Pila (Trento)
valore
medio
valore
valore
minimo massimo
valore
minimo
atteso
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,28
0,23
0,35
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
148
111
170
102
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
134
121
147
113
Resistenza alla flessione
(MPa)
11,9
9,7
15,2
9,1
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
8,4
5,2
9,6
5,4
Resistenza all’abrasione
(mm)
19,0
17,9
20,4
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a bocciardatura) (adimensionale)
NPD*
* NPD: In base alla nota 1 punto 4.5 delle Norme UNI EN 1341:2003, 1342:2003 le lastre e i cubetti con
finiture rustiche (ovvero con più di 2 mm di differenza tra picchi e depressioni, come da punto 3.11 di entrambe
le norme) non possono essere sottoposte a prova in modo affidabile. Si presume comunque, dato il loro alto
grado di rugosità, che offrano una resistenza soddisfacente allo slittamento.
Luoghi di estrazione
Il Rosso Ammonitico Veronese affiora nella zona della città di Trento, sui versanti
della Valsugana da Grigno a Primolano e lungo la valle del Sarca, con un colore rosso
scuro, fino ad Arco.
Della varietà Verdello (sempre riferita alla formazione del Rosso Ammonitico Veronese) rimangono due cave attive nei pressi della città di Trento: la cava di Pila e la cava
di Terlago.
Utilizzo attuale
Il Verdello è utilizzato per tutte le applicazioni edilizie sia in ambienti interni che esterni In
particolare negli esterni per l’allestimento di pavimentazioni di superfici pedonali, generalmente con superficie bocciardata o rullata, ma anche per cordonate di delimitazione,
gradinate, copertine, zoccolature, elementi di arredo urbano, nonché per la formazione o
il rivestimento di muri nelle finiture grezze. In interni lo troviamo utilizzato nei pavimenti
(levigati, lucidi), nelle scale, nei rivestimenti, in elementi di arredo vari.
Microfotografia a nicols paralleli del Verdello proveniente
dalla cava Pila (Trento)
Note storiche
L’utilizzo dei calcari ammonitici bianchi nell’edilizia storica è ampiamente diffuso al
pari di quelli rossi. L’ampia disponibilità di questo materiale litoide presso le cave
cittadine di Trento ha contribuito al suo vasto impiego in campo edilizio sin dai tempi
più antichi. Oltre al Verdello, nelle cave di Pila presso Trento, era estratto il Bianco
Pila, un calcare compatto, lucidabile, a fondo bianco latteo con sfumature verdastre,
ma con caratteristiche simili al biancone.
La qualità estetica del Verdello risente molto sia del banco di provenienza che della
lavorazione del materiale. Il fondo è bianco con sfumature delicate dal giallo chiaro
124
al verde molto chiaro anche con toni grigiastri quando il materiale non è lucidato,
ma lavorato a punta o gradina come appare solitamente negli apparati lapidei delle
facciate. Ampia evidenza dei toni verdi, cenerognoli, a volte grigio - violacei, si ottengono quando il materiale è lucidato e cerato, come nelle pavimentazioni e nelle lastre
di rivestimento.
In esterno, sia il Bianco Pila che il Verdello sono stati largamente utilizzati in svariati elementi architettonici dei palazzi storici, portali, colonnati, balaustre, ma anche
rivestimenti integrali come il paramento bugnato di Palazzo Tabarelli (Trento), o la
facciata della chiesa del Suffragio (Trento). Splendidi portali in ammonitico bianco
trentino sono presenti in ambito cittadino anche con annessi apparati scultorei come
quelli di palazzo Sardagna in via Calepina e palazzo Bortolazzi (Trento).
Anche per questo litotipo, il degrado evidenzia i piani di sedimentazione e la struttura
nodulare caratteristica del materiale. Pur essendo principalmente impiegato negli
esterni, anche quale pietra strutturale, fu notevolmente utilizzato nelle pavimentazioni e rivestimenti delle scale e degli androni dei palazzi storici.
Taglio con tagliatrice a catena
del fronte cava di Rosso Trento
cava Pila (Trento)
125
126
Rocce Sedimentarie
non Carbonatiche
127
128
15
Breccia Verde
Nome petrografico
Breccia piroclastica.
Descrizione tecnico - estetica
Breccia piroclastica originata da una attività magmatica esplosiva di età triassica. Il
materiale di colore verde è costituito da una matrice cloritizzata e da clasti bianchi di dimensioni variabili da millimetriche a decimetriche, di materiale carbonatico proveniente
dalle dolomie ladiniche sottostanti attraversate dai numerosi filoni basaltici e andesitici.
Caratterizzazione geologica
È il risultato dell’accumulo di materiali proiettati in aria da violente eruzioni esplosive, provocate dall’interazione tra acque sotterranee e magma che risale dalle profondità della crosta terrestre verso la superficie: questo fenomeno prende il nome di
“eruzione freatomagmatica”.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Dos Capel (Tesero)
Descrizione petrografica - mineralogica
Breccia con clasti di diverse dimensioni di natura carbonatica a diverso grado di
ricristallizzazione, con frammenti lavici a struttura porfirica e abbondanti fenocristalli feldspatici, tendenzialmente idiomorfi, associati a pseudomorfosi di clorite e
carbonati su fasi femiche preesistenti. Questi clasti sono cementati da una matrice
costituita da un’intima commistione di frammenti carbonatici, frammenti vulcanici,
cristalli feldspatici e pirite. Nella pasta di fondo si riconoscono microliti plagioclasici
che conferiscono alla roccia una struttura intersetale fluidale.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
16,93
V
93
TiO2
0,40
Cr
366
Al2O3
4,98
Ni
199
Fe2O3
4,97
Cu
51
MnO
0,15
Zn
41
MgO
8,48
Rb
38
CaO
38,8
Sr
388
Pagina precedente
Dettaglio della facciata in Verdello
palazzo ITAS (Trento)
arch. Efrem Ferrari
Na2O
0,36
Y
10
K2O
1,12
Zr
30
P2O5
0,07
Nb
3
Pagina a fianco
Prospetto urbano in Verdello e Rosso Trento
nel centro storico, via San Martino (Trento)
LOI
23,74
Ba
132
totale
100,00
129
Luoghi di estrazione
La cava si trova sotto la cima del Dos Capel (Tesero), ad una quota di circa 2.200 m
sul versante esposto ad est.
Microfotografia a nicols paralleli. Campione proveniente
dalla cava Dos Capel (Tesero)
Note storiche
La Breccia Verde non trova utilizzo in campo storico se non localmente. È peraltro da
sottolineare che l’impiego delle pietre con cromatismi verdi in ambito ornamentale
locale è generalmente d’importazione; i litotipi verdi, infatti, non costituiscono materiale di estrazione in ambito trentino, se non per trovanti di modeste dimensioni.
L’utilizzo di trovanti in pietra verde è documentato per la realizzazione di tarsie
marmoree. Il Murari fa riferimento a cipollino e verde misto che era rinvenuto in
trovanti costituiti da piccoli massi provenienti da varie località delle valli di Fiemme,
Giudicarie e Lagarina, ma anche presso Castione e Besagno (Cave del Monte Baldo)
(E. Murari 1903, pp. 39, 40).
Più comunemente, nei contratti di committenza altaristica barocca le pietre verdi
erano associate alla terminologia “Verde Antico”, con la quale impropriamente si
identificavano a volte oficalci di provenienza toscana, ligure o di area lombarda e piemontese ed altre volte una particolare varietà di serpentino di estrazione altoatesina
denominato “Verde di Bressanone”.
Microfotografia a nicols incrociati
Cava di Breccia Verde in località Dos Capel (Tesero)
130
Rocce Magmatiche Effusive
131
132
16
Porfido Trentino a Blocchi
Nome petrografico
Ignimbrite riodacitica.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia di colore rosso molto scuro, tessitura porfirica costituita da una pasta di fondo
vetrosa con fenocristalli di grana media (2 - 5 mm) di quarzo e di plagioclasio. La roccia si presenta massiccia con fiamme violacee e livelli di ossidazione che attraversano
la matrice di fondo, inclusi femici e riolitici.
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica effusiva di età permiana appartenente alle Ignimbriti Riodacitiche Superiori facenti parte del Gruppo Vulcanico Atesino. Riodaciti e rioliti sono
differenziabili sulla base del contenuto di K-feldspato (sanidino), assente o raro nelle
riodaciti.
Descrizione petrografica
Roccia piroclastica, lapilli tuff, costituita da lapilli e ceneri cristalline inglobate in
una matrice cineritica prevalentemente vetrosa. I clasti e la matrice sono orientati
secondo il flusso piroclastico con evidenti motivi di schiacciamento, la matrice è completamente devetrificata in aggregati felsitici e sferulitici. Sono anche presenti fiamme
plastiche schiacciate e modellate parallelamente al flusso piroclastico. La componente cristallina è data da quarzo, plagioclasi e biotite prevalenti, sanidino e pirosseno
meno abbondanti, apatite, zircone ed opachi sono le fasi accessorie.
Composizione chimica
Campione proveniente dalla cava di Forte Buso (Predazzo)
SiO2
TiO2
Al2O3
Fe2O3
MnO
MgO
CaO
Na2O
K2O
P2O5
LOI
totale
Paramenti murari del Duomo di Trento
Rosso Trento, Verdello
133
% in massa
63,95
0,59
14,55
5,05
0,10
2,30
1,49
3,76
4,31
0,16
3,75
100,01
V
Cr
Ni
Cu
Zn
Rb
Sr
Y
Zr
Nb
Ba
La
Ce
Pb
Th
p.p.m.
69
17
7
11
108
167
141
31
182
9
737
38
85
24
13
Caratteristiche fisico - meccaniche
valore
minimo
atteso
valore
medio
valore
minimo
valore
massimo
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,88
0,77
0,95
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
211
186
248
161
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
206
175
257
134
Resistenza alla flessione
(MPa)
18,8
17,0
19,9
17,1
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
19,0
18,1
20,2
17,6
Resistenza all’abrasione
(mm)
15,8
15,4
16,4
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a fiammatura) (adimensionale)
NPD*
Prove di laboratorio eseguite
* NPD: In base alla nota 1 punto 4.5 delle Norme UNI EN 1341:2003, 1342:2003 le lastre e i cubetti con
finiture rustiche (ovvero con più di 2 mm di differenza tra picchi e depressioni, come da punto 3.11 di entrambe
le norme) non possono essere sottoposte a prova in modo affidabile. Si presume comunque, dato il loro alto
grado di rugosità, che offrano una resistenza soddisfacente allo slittamento.
Microfotografia a nicols paralleli. Campione proveniente
dalla cava di Forte Buso nel comune di Predazzo.
Caratteristici gli aggregati sferulitici
Luoghi di estrazione
Lo sfruttamento attuale e passato di questo materiale lapideo è limitato alla zona di
Predazzo, in particolare è tuttora attiva una cava in località Forte Buso. In origine
era stata utilizzata per la produzione dell’inerte necessario alla preparazione del
calcestruzzo per la costruzione della vicina diga sul lago di Paneveggio; oggi invece si
estraggono blocchi di ragguardevoli dimensioni.
Negli anni ’50 esisteva una fervente attività con svariate cave di porfido da blocchi
aperte nella zona di Sottosassa lungo il Torrente Travignolo, conclusasi definitivamente
nella seconda metà degli anni ’60.
Altre cave di questo materiale si trovavano in località “Torbiera”, “Birreria”e “Sforcella”, sempre nel territorio di Predazzo e a Passo Rolle (Siror).
Utilizzo attuale
È utilizzato per tutte le applicazioni edilizie in ambienti sia interni sia esterni.
In particolare negli esterni per la formazione di pavimentazioni di superfici pedonali, generalmente con la superficie fiammata, ma anche cordonate di delimitazione, gradinate,
copertine, zoccolature, nonché per la formazione od il rivestimento di muri nelle finiture
grezze. Molto sviluppata è anche la lavorazione di elementi di arredo urbano (fontane,
fioriere), come pure di elementi architettonici particolari, quali colonne e trabeazioni di
vario genere, portali, contorni di finestre. In interni lo troviamo utilizzato nei pavimenti
(levigati, lucidi), nella realizzazione di scale, rivestimenti e in vari elementi di arredo.
Microfotografia a nicols incrociati.
Caratteristici gli aggregati sferulitici
Utilizzo potenziale
Può essere ipotizzato lo stesso utilizzo descritto più avanti per il Porfido Trentino
Lastrificato.
134
Note storiche
Il Porfido Trentino a Blocchi è stato utilizzato come pietra lucidata in diverse opere
architettoniche come, ad esempio, nella stazione ferroviaria di Trento.
Si ricorda un porfido di colorazione grigio - verde, estratto negli anni ’50 per blocchi
da sega, da un detrito posto alle falde di Col Santa Margherita nei pressi di Passo San
Pellegrino (Moena).
L’utilizzo di questa pietra è storicamente legato all’edilizia dei luoghi di provenienza.
Per le caratteristiche proprie del materiale era usato in blocchi nelle murature, nei
rivestimenti e nelle pavimentazioni.
Tipica costruzione montana in sassi di Porfido Trentino a
Blocchi
Cava Porfido Trentino a Blocchi
in località Forte Buso (Predazzo)
135
136
17
Porfido Trentino Lastrificato
Nome petrografico
Ignimbrite riolitica.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia di colore grigio, grigio verdastro o marrone rossastro a struttura porfirica costituita da una pasta di fondo vetrosa generalmente fluidale nella quale si riconoscono fenocristalli a grana media o medio-fine di quarzo, feldspati e mica. La roccia si presenta
compatta e massiccia; le ottime proprietà fisico meccaniche sono strettamente correlate
alla sua particolare composizione mineralogica e alla sua struttura, che rendono questo
materiale estremamente resistente all’alterazione chimico-fisica; inoltre resiste bene
alle variazioni di temperatura e all’azione del gelo - disgelo, per questo è una roccia
particolarmente adatta alla applicazione in ambienti esterni.
Questo litotipo è caratterizzato dalla presenza di strutture a fiamma, concordanti col
flusso piroclastico, tipiche delle ignimbriti, che ne caratterizzano l’estetica.
Campione proveniente da una cava dell’area estrattiva
Pianacci - Santo Stefano (Fornace)
Pavimentazione esterna a cubetti
di Porfido Trentino Lastrificato
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica effusiva appartenente al Gruppo Vulcanico Atesino (Formazione di
Ora) di età permiana.
Questo evento vulcanico, datato 285 - 275 milioni di anni, comprende un’importante
successione di ignimbriti e tufi associati a domi e colate che sono emessi da apparati
fissurali e che si mettono in posto in ambiente subaereo. I prodotti vulcanici evidenziano la coesistenza spaziale e temporale di termini più basici come andesiti e daciti
con termini più evoluti come riodaciti e rioliti. L’attività vulcanica si conclude con
termini riolitici molto evoluti, che rappresentano i materiali oggetto di coltivazione.
Questa successione costituisce un esteso plateau morfologico che raggiunge spessori
notevoli, fino a 2.000 m, ed è indicato in letteratura come Piattaforma Vulcanica
Atesina.
Le rioliti della Formazione di Ora sono caratterizzate da un’intensa fessurazione
sub-verticale, localmente chiamata “lassi”, attribuibile in parte alla contrazione del
volume della roccia in fase di raffreddamento ed in parte a sollecitazioni meccaniche
connesse a movimenti tettonici. Questa fessurazione, che interessa l’“unità ignimbritica” per uno spessore di circa 100 - 200 m, predispone il porfido a suddividersi in
lastre e ne facilita notevolmente la coltivazione e la successiva lavorazione.
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia piroclastica, lapilli tuff, costituita da lapilli e ceneri cristalline inglobate in
una matrice cineritica prevalentemente vetrosa. I clasti, le fiamme e la matrice a
volte sono orientati secondo il flusso piroclastico con evidenti motivi eutassitici e di
schiacciamento; la matrice è completamente devetrificata in aggregati felsitici e può
contenere litici magmatici e metamorfici.
137
138
La componente cristallina è data da quarzo, sanidino, plagioclasi e biotite prevalenti,
pirosseno sporadico, apatite, zircone ed opachi sono le fasi accessorie.
Composizione chimica
% in massa)
Microfotografia a nicols paralleli.
Tipica struttura porfirica
p.p.m.
SiO2
74,23
V
18
TiO2
0,28
Cr
6
Al2O3
12,88
Ni
4
Fe2O3
2,17
Cu
3
MnO
0,06
Zn
36
MgO
0,93
Rb
231
CaO
0,89
Sr
100
Na2O
3,35
Y
35
K2O
4,48
Zr
162
P2O5
0,07
Nb
11
LOI
0,66
Ba
279
100,00
La
35
Ce
66
totale
Pb
24
Th
20
Caratteristiche fisico - meccaniche
Prove di laboratorio eseguite
Microfotografia a nicols incrociati
Facciata in Porfido Trentino Lastrificato
(Albiano)
valore
medio
valore
valore
valore
minimo
minimo massimo
atteso
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,50
0,48
0,51
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
205
121
269
87
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
185
136
237
114
Resistenza alla flessione
(MPa)
27,3
23,8
31,0
22,2
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
29,7
23,6
33,5
23,9
Resistenza all’abrasione
(mm)
11,5
11,0
12,5
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a levigatura) (adimensionale)
56,6
42,0
Luoghi di estrazione
La Piattaforma Vulcanica Atesina è un enorme complesso di rocce effusive che si estende nella nostra regione per circa 27.500 km2 con spessori che raggiungono i 2.000 m;
essa è delimitata a sud dalla Linea della Valsugana, a nord da quella della Pusteria, ad
est dal gruppo montuoso delle Dolomiti e ad ovest dalla valle delle Giudicarie Nord.
139
140
Nel Trentino sono attualmente in attività un centinaio di cave di Porfido Trentino
Lastrificato; i giacimenti più noti sono ubicati per la maggior parte in valle di Cembra
e sull’altipiano di Piné. I territori interessati da attività estrattiva sono ubicati nei
Comuni di Albiano, Baselga di Piné, Capriana, Cembra, Fornace, Giovo, Lisignago,
Lona - Lases e Trento.
Utilizzo attuale
Il Porfido Trentino Lastrificato è utilizzato per tutte le applicazioni edilizie in ambienti
sia interni sia esterni. Ma è soprattutto nelle applicazioni esterne che, da quasi un secolo, le lastre ed i lavorati (in particolare i famosi “cubetti”) sono insostituibili per la formazione di pavimentazioni di superfici a traffico sia pedonale sia veicolare. Massiccio
è inoltre l’uso per la realizzazione di cordonate di delimitazione, gradinate, copertine,
zoccolature, elementi di arredo urbano, nonché per la formazione od il rivestimento di
muri nelle finiture grezze. Negli interni lo troviamo utilizzato nei pavimenti (levigati,
lucidi), nella realizzazione di scale, di rivestimenti, di elementi di arredo vari.
Utilizzo potenziale
È ipotizzabile che il Porfido Trentino Lastrificato, ed in particolar modo i materiali di
risulta della sua lavorazione, possa essere utilizzato quale materia prima nella ceramica non convenzionale.
Il porfido ha infatti caratteristiche chimico-mineralogiche idonee all’impiego come
fondente per impasti ceramici. La composizione chimica è indubbiamente interessante per il buon tenore in alcali (7 ÷ 9%) e per una buona fusibilità, indispensabile
negli impasti per rendere possibile la formazione di una struttura vetrosa, basilare
per le proprietà del materiale cotto. Attualmente la limitazione dell’uso massivo del
porfido quale fondente ceramico è determinata dall’elevato contenuto di ossidi di ferro che si ripercuote sulla qualità causando forti variazioni delle tonalità del prodotto
finito. Quanto detto non è esaustivo, ma vuole stimolare ricerca e sviluppo dell’uso
alternativo del porfido, non solo nel settore della ceramica, ma anche in altri settori
merceologici che possono avere in comune l’utilizzo di un medesimo impianto quali:
colorifici, edilizia, pavimentazioni, abrasivi, filtrazioni, agglomerati, tegole in cemento, tegole tipo canadese e cariche per collanti.
Pavimentazione in acciottolato (Trento)
Pagina successiva
Facciata in Rosso Trento,
ricostruzione di Casa Ranzi, 1920
largo Carducci (Trento)
arch. Ettore Gilberti
Note storiche
L’impiego locale del Porfido Trentino Lastrificato, soprattutto per la copertura dei tetti,
vanta una tradizione secolare; si può tuttavia ritenere che lo sfruttamento a scopo economico sia iniziato solo intorno agli anni ’20, nella zona di Albiano e Fornace, con l’apertura, da parte di alcune grosse ditte venute da fuori provincia, di un limitato numero di
cave per la produzione prevalente di cubetti, lastre irregolari e cordoni. Dopo la seconda
guerra mondiale sono nate molte ditte locali, di dimensioni minori, che hanno ottenuto le
concessioni da parte dei comuni proprietari del suolo, tanto che negli anni ’70 il numero
delle cave di porfido in Trentino superava le cento unità. Il settore del porfido, ad iniziare
dal ’70, è stato caratterizzato da una notevole espansione, con l’introduzione di nuovi
macchinari per l’escavazione e con il passaggio dalla lavorazione manuale a quella meccanica. Il mercato nazionale ha avuto una forte espansione ed è cresciuta notevolmente
l’esportazione verso i vicini paesi del Nord Europa.
141
142
Rocce Magmatiche Intrusive
143
144
18
Granito dell’Adamello
Nome petrografico
Tonalite.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia di colore grigio con frequenti minerali femici microgranulari di colore scuro;
talvolta presenta noduli femici più scuri e filoncelli aplitici più chiari. La roccia è compatta, massiccia, non presenta cavità o fratture. Si coltivano sia la roccia in posto sia i
massi isolati; il materiale è facilmente lavorabile per la presenza di una tessitura che
ne favorisce lo spacco secondo piani preferenziali. Le sue caratteristiche tecnologiche, come quelle di molte rocce magmatiche intrusive, lo rendono adatto all’utilizzo
sia per esterni sia per interni.
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica intrusiva appartenente al Batolite dell’Adamello (del Terziario Antico) che è costituito da un sistema di plutoni, messi in posto in un periodo geologico
relativamente recente compreso tra i 42 e i 28 milioni di anni fa, ed è suddiviso in vari
gruppi magmatici affioranti nel Trentino occidentale tra la Linea del Tonale a nord e
la Linea delle Giudicarie Sud a sud-est.
Campione proveniente dalle cave in Val di Genova (Strembo)
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia plutonica a composizione tonalitica e struttura fanerocristallina a grana medio-grossa, granulare, ipidiomorfa. La composizione mineralogica è rappresentata da
plagioclasi idiomorfi, zonati, geminati polisinteticamente e freschi; anfibolo orneblenditico pleocroico verde e biotite a pleocroismo bruno tendenzialmente subidiomorfi
e freschi; quarzo allotriomorfo, interstiziale fratturato ad estinzione ondulata. Come
minerali accessori sono presenti: apatite, zircone ed opachi.
Composizione chimica
% in massa
Rivestimento verticale in Verdello
e Rosso Trento del Teatro Sociale di Trento
arch. Sergio Giovanazzi
p.p.m.
SiO2
64,23
V
86
TiO2
0,53
Cr
10
Al2O3
15,69
Ni
6
Fe2O3
4,58
Cu
4
MnO
0,11
Zn
55
MgO
2,45
Rb
101
CaO
4,70
Sr
212
Na2O
2,72
Y
10
K2O
2,64
Zr
96
145
% in massa
p.p.m.
P2O5
0,10
Nb
8
LOI
2,26
Ba
268
La
23
totale
100,01
Ce
48
Pb
19
Th
17
Caratteristiche fisico - meccaniche
Microfotografia a nicols incrociati del Granito dell’Adamello
(Tonalite) proveniente dalle cave in località Ponte Rosso Val di Genova (Strembo)
valore
minimo
atteso
valore
medio
valore
minimo
valore
massimo
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,38
0,36
0,38
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
192
183
202
175
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
201
142
227
134
Resistenza alla flessione
(MPa)
12,8
11,4
16,4
9,7
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
14,3
11,9
16,4
11,2
Resistenza all’abrasione
(mm)
17,0
16,4
17,9
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a fiammatura) (adimensionale)
NPD*
Prove di laboratorio eseguite
* NPD: In base alla nota 1 punto 4.5 delle Norme UNI EN 1341:2003, 1342:2003 le lastre e i cubetti con
finiture rustiche (ovvero con più di 2 mm di differenza tra picchi e depressioni, come da punto 3.11 di entrambe
le norme) non possono essere sottoposte a prova in modo affidabile. Si presume comunque, dato il loro alto
grado di rugosità, che offrano una resistenza soddisfacente allo slittamento.
Luoghi di estrazione
Il Granito dell’Adamello, utilizzato in passato per le costruzioni locali, era estratto
nell’alveo del fiume Sarca e lavorato a scalpello. A partire dagli anni ’60 è iniziata la
sua estrazione in Val di Genova (Strembo), dove ora sono in attività tre cave. Quella
più importante si trova in località Ponte Rosso. Si estraggono annualmente alcune
migliaia di tonnellate di materiale, in buona parte blocchi da sega, che sono lavorati
a Carisolo ed a Ragoli. Estrazioni di tonalite sono documentate in località Pimont
presso Pinzolo.
Utilizzo attuale
Il Granito dell’Adamello è utilizzato per tutte le applicazioni edilizie in ambienti sia
interni sia esterni; in particolare, in questi ultimi, per la formazione di pavimentazioni di superfici pedonali, generalmente con la superficie fiammata, ma anche cordonate di delimitazione, gradinate, copertine, zoccolature, nonché per la formazione o
il rivestimento di muri nelle finiture grezze. Molto sviluppata è anche la produzione
di elementi di arredo urbano (fontane, fioriere), come pure di elementi architettonici
146
particolari, quali colonne e trabeazioni di vario genere, portali, contorni di finestre.
Negli interni lo troviamo utilizzato nei pavimenti (levigati, lucidi), nella realizzazione
di scale, rivestimenti, e vari elementi di arredo.
Note storiche
Questo materiale è chiamato impropriamente “granito”, probabilmente per associazione con le proprietà fisico-meccaniche caratteristiche dei graniti che erano tradizionalmente utilizzati in edilizia e in architettura. Il nome corretto è “tonalite”, ma
il vecchio nome persiste anche su molti documenti commerciali ed è ormai entrato
nella terminologia corrente.
L’utilizzo di questo materiale caratterizza l’architettura tipica delle valli Giudicarie e
Rendena con estensioni all’alta Valle di Sole e Val di Ledro.
Il Granito dell’Adamello è impiegato quale materiale da costruzione ed altresì per
stipiti e finiture di elementi architettonici come portali, copertura di muri, fontane e
pavimentazioni.
Questa pietra non si presta a lavorazioni scultoree di particolare complessità e la
produzione resta quindi legata principalmente all’architettura.
Cava di Granito dell’Adamello (Tonalite)
in località Ponte Rosso - Val di Genova (Strembo)
147
148
19
Granito di Cima d’Asta
Nome petrografico
Granito.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia di colore grigio chiaro con struttura cristallina a grana media, frequente è la
presenza di grossi cristalli isolati di K-feldspato e la presenza di noduli scuri di concentrazione femica a vario sviluppo e di forma per lo più rotondeggiante od ovoidale.
La roccia appare massiccia e con poche fratture, di composizione sialica che la rendono resistente all’alterazione dovuta agli agenti atmosferici. Nel complesso presenta
caratteristiche che la rendono adatta all’utilizzo sia per esterni sia per interni.
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica intrusiva appartenente al Plutone di Cima d’Asta (età 276 milioni
di anni).
Cima d’Asta è un complesso plutonico composito originatosi a seguito di intrusioni
multiple di composizione variabile da quarzomonzonitica a monzogranitica. La sequenza di intrusione è: tonaliti - granodioriti - graniti.
Masse minori di porfidi granitici e di leucograniti affiorano a sud-ovest (nella zona di
Roncegno) e a nord-est (nella zona di Caoria) del plutone prinicipale. I livelli di messa
in posto sono decisamente epiplutonici e determinano, nei confronti delle metamorfiti
incassanti, del metamorfismo di contatto. L’età della messa in posto (Th-Pb/Allanite)
è di 276 milioni di anni.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Molecchi (Telve)
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia a grana media, struttura granulare olocristallina, prevalgono i componenti
sialici e tra questi il microclino a volte geminato di due individui, pertitico, abbondantemente argillificato, e pecilitico in quanto ingloba al suo interno plagioclasi idiomorfi. I plagioclasi sono zonati con nuclei intensamente sericitizzati ed essi stessi
argillificati. La biotite appare cloritizzata con inclusioni di titanite leucoxenica e di
ilemnite. Il quarzo allotriomorfo è in aggregati policristallini e si dispone in posizione
interstiziale. Fra le fasi accessorie sono presenti apatite e zircone.
Composizione chimica
% in massa
Portale in Rosso Trento e Verdello
di palazzo Firmian (Trento)
Pavimentazione a lastre in Porfido Trentino Lastrificato
p.p.m.
SiO2
75,04
Rb
TiO2
0,10
Sr
25
Al2O3
13,08
Y
65
Fe2O3
1,15
Zr
74
MnO
0,09
Nb
10
149
312
% in massa
p.p.m.
MgO
0,22
Ba
56
CaO
0,71
La
19
Na2O
3,86
Ce
40
K2O
5,15
Pb
46
P2O5
0,02
Th
24
LOI
totale
0,58
100,00
Caratteristiche fisico - meccaniche
Microfotografia a nicols paralleli. Campione proveniente
dalla cava Molecchi (Telve)
Microfotografia a nicols incrociati
valore
minimo
atteso
valore
medio
valore
minimo
valore
massimo
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,52
0,51
0,54
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
185
171
203
147
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
185
177
192
172
Resistenza alla flessione
(MPa)
8,7
7,0
13,0
5,4
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli gelo - disgelo
(MPa)
7,9
1,1
11,1
1,8
Resistenza all’abrasione
(mm)
12,1
11,6
12,6
63
57,6
Prove di laboratorio eseguite
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a piano cava) (adimensionale)
Luoghi di estrazione
Il Complesso Granitico di Cima d’Asta si estende nella catena montuosa del Lagorai
dalla zona di Borgo Valsugana fin oltre Canal San Bovo (Val di Lozen); si trova a sud
del Gruppo Vulcanico Atesino ed il suo margine meridionale è delimitato dalla linea
tettonica della Valsugana.
Le cave di questo materiale si trovavano in Val Calamento (Molecchi), in Val Campelle
(Brentana) e presso Canal San Bovo (Al Lago e Pralungo), mentre occasionali estrazioni di massi furono effettuate lungo il Torrente Chieppena in Valsugana. Attualmente è rimasta attiva solamente la cava di Pralungo (Canal San Bovo).
Utilizzo attuale
Tutte le applicazioni edilizie in ambienti sia interni sia esterni.
Fronte di cava di Granito di Cima d’Asta
località Molecchi (Telve)
Note storiche su varietà ed utilizzi
L’utilizzo di questo materiale nell’ambito dell’architettura storica si limita alle zone
d’estrazione e alla Bassa Valsugana. Lo si vede impiegato quale pietra da costruzione
negli edifici, in alcuni campanili come a Scurelle e Villa Agnedo, nelle fontane, nei contorni lapidei. Il Granito di Cima d’Asta non si presta a lavorazioni scultoree di particolare complessità; la produzione resta quindi legata principalmente all’architettura.
150
20
Granito Rosa di Predazzo
Nome petrografico
Granito a feldspati alcalini.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia intrusiva di colore roseo con presenza di geodi centimetrici di colore scuro di
forma arrotondata e costituiti da tormalina e quarzo. La roccia è massiccia e presenta
struttura omogenea e compatta. Le sue caratteristiche tecnologiche la rendono adatta
all’utilizzo sia per esterni che per interni.
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica intrusiva appartenente al Plutone di Predazzo di età triassica (237
- 230 milioni di anni fa).
La distribuzione di queste masse plutoniche presenta una forma ad anello; nella
fascia più esterna si ritrovano intrusioni di natura da monzonitica a gabbrica, a
composizione più femica, mentre nella zona più centrale vi è prevalenza di termini
più acidi a composizione prevalentemente granitica, dove si ritrova appunto questo
particolare litotipo.
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia plutonica ipoabissale di composizione sienogranitica a struttura granulare di
medie dimensioni. I componenti mineralogici principali sono: K-feldspato (ortoclasio
geminato) subidiomorfo intensamente albitizzato e torbido; quarzo allotriomorfo interstiziale; plagioclasi albitizzati e torbidi; biotite rara e cloritizzata. Minerali accessori presenti: apatite, zircone e magnetite. Gli aggregati rotondeggianti di dimensione
centimetrica che ricorrono nella roccia sono costituiti da fasci di tormalina e quarzo.
Campione proveniente dalla cava
in località Al Fol (Predazzo)
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
73,08
V
3
TiO2
0,09
Cr
2
Al2O3
13,36
Ni
3
Fe2O3
1,82
Cu
26
MnO
0,06
Zn
30
MgO
0,00
Rb
409
CaO
1,18
Sr
12
Na2O
3,66
Y
71
K2O
5,59
Zr
176
P2O5
0,01
Nb
43
151
% in massa
p.p.m.
LOI
1,14
Ba
11
totale
99,99
La
46
Ce
119
Pb
3
Th
59
Caratteristiche fisico - meccaniche
Prove di laboratorio eseguite
Microfotografia a nicols paralleli.
Campione proveniente dalla cava
in località Al Fol (Predazzo).
Caratteristici i fasci di tormalina
valore
valore
minimo massimo
valore
minimo
atteso
Assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
(% massa)
0,79
0,70
0,85
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
190
178
198
174
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
187
167
197
161
Resistenza alla flessione
(MPa)
10,0
8,0
11,7
7,5
Resistenza alla flessione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
12,1
8,8
15,9
7,5
Resistenza all’abrasione
(mm)
15,3
14,9
15,9
12
9
Resistenza allo scivolamento
(su superficie sottoposta a lucidatura) (adimensionale)
Microfotografia a nicols incrociati
valore
medio
Luoghi di estrazione
Il Complesso Vulcanico di Predazzo affiora nei dintorni dell’omonimo paese, dove si
trova una serie di cave ora abbandonate. In particolare alle falde del Monte Mulat,
nelle località Stalimen Cuccia, Ponte Castellani, Stasi e Cloccia. Attualmente è rimasta
attiva una sola cava in località Al Fol.
Utilizzo attuale
Tutte le applicazioni edilizie in ambienti sia interni sia esterni.
Note storiche
Il cromatismo roseo caratterizza i materiali estratti dalle cave di granito della valle di
Fiemme. L’ambito storico si limita alle zone d’estrazione, anche se dal XX secolo lo
si vede impiegato in molte applicazioni edilizie, in particolare nei rivestimenti. Nella
zona di Predazzo e in generale nella Valle di Fiemme è utilizzato quale pietra da costruzione, nei contorni lapidei, nei portali, in alcuni monumenti, nelle fontane, nelle
pavimentazioni.
Cava Al Fol (Predazzo)
152
21
Monzonite
Nome petrografico
Monzonite.
Descrizione tecnico - estetica
Roccia di colore grigio-verdastro piuttosto scuro conferito dall’abbondanza dei minerali femici contenuti; struttura massiccia e grana media. Roccia compatta che presenta una buona durezza e resistenza all’alterazione.
Caratterizzazione geologica
Roccia magmatica intrusiva del Trias medio (237 - 230 milioni di anni fa). Il complesso monzonitico, che fa parte del Complesso Vulcanico di Predazzo, comprende diverse rocce plutoniche quali: monzoniti, leucomonzoniti, monzodioriti, monzogabbri
grigi che talvolta sfumano in gabbri e dioriti. Queste rocce si ritrovano nella fascia più
esterna dell’“anello” che costituisce il Complesso Vulcanico di Predazzo ed arriva ad
un diametro massimo di circa 4 km.
Le monzoniti in senso stretto affiorano principalmente lungo il versante nord del
Monte Mulat e presso Canzoccoli. Le monzodioriti affiorano principalmente sul versante sud dello stesso Monte Mulat, presso la Malgola e a Canzoccoli. I monzogabbri
invece si trovano solo in quest’ultima località.
Campione proveniente dalla cava dismessa in località
Canzoccoli (Predazzo)
Descrizione petrografica - mineralogica
Roccia di colore grigio verdastro conferito dai minerali femici presenti, quali pirosseno, biotite e in minor misura da olivina. Si tratta di una roccia fanerocristallina costituita da una associazione di fasi minerali tendenzialmente idiomorfe comprendenti
clino ed orto pirosseno, relitti di olivina associati a componenti sialiche costituite da
plagioclasi tendenzialmente idiomorfi e da plaghe di K-feldspato a volte pecilitico.
Sono altresì presenti fasi opache rappresentate da magnetite e biotite tardiva interstiziale ad abito irregolare. Fra gli accessori è abbondante l’apatite.
Composizione chimica
% in massa
p.p.m.
SiO2
53,68
Sc
12,00
TiO2
0,72
V
152
Al2O3
18,03
Cr
6
Fe2O3
8,54
Co
28
MnO
0,18
Ni
9
MgO
3,14
Cu
178
CaO
8,22
Zn
81
153
% in massa
2,94
Rb
98
K2O
3,37
Sr
1103
P2O5
0,45
Y
21
LOI
0,73
Zr
109
Microfotografia a nicols paralleli. Campione proveniente
dalla cava dismessa in località Canzoccoli (Predazzo)
totale
Microfotografia a nicols incrociati
p.p.m.
Na2O
Nb
6
Ba
481
La
28
Ce
61
Pb
18
Th
7
100
Luoghi di estrazione
Il Complesso Vulcanico di Predazzo affiora nei dintorni dell’omonimo paese e nella
catena dei Monzoni. Le rocce intrusive di Predazzo costituiscono un corpo di forma
anulare, all’interno del quale affiorano vulcaniti basaltico-latitiche. Le rocce intrusive
dell’“anello” sono invece di tipo sienitico-monzonitico. Prevale una monzonite leggermente quarzifera che presenta un aspetto macroscopico alquanto variabile.
La monzonite in passato fu estratta da massi isolati lungo la Val San Pellegrino (Moena), in Val Travignolo, sul versante settentrionale della Malgola e alle falde del Monte
Mulat all’altezza di Mezzavalle e principalmente in località Canzoccoli (Predazzo).
Il materiale estratto da queste cave si presentava però eccessivamente fratturato e
quindi poco adatto allo sfruttamento e pertanto le cave furono abbandonate. Attualmente non esistono cave attive di monzonite in Trentino.
Utilizzo attuale
Soprattutto per rivestimenti esterni. È stata impiegata come tale nella stazione ferroviaria di Roma Termini.
Note storiche
La Monzonite trova impiego in ambito architettonico locale quale materiale da costruzione e rivestimento anche in strutture medioevali. Nel XIX secolo è stata impiegata,
con carattere estetico, nelle strutture esterne e nelle colonne della chiesa neogotica
di Predazzo intitolata ai santi Filippo e Giacomo, costruita tra 1866 e 1870. Dal XX
secolo è stata utilizzata anche come materiale di rivestimento.
154
Rocce Metamorfiche (Marmi)
155
156
22
Marmo di Breguzzo
Nome petrografico
Marmo di contatto.
Descrizione tecnico - estetica
Marmo cristallino a grana medio-grossa, di colore bianco. Ha buone caratteristiche
fisico-meccaniche anche se il materiale, in affioramento vicino a Malga Trivena (Breguzzo), appare attraversato da diversi sistemi di frattura che isolano volumi rocciosi
dell’ordine di mezzo metro cubo.
Caratterizzazione geologica
Roccia metamorfica di contatto di età terziaria (Eocene medio - Oligocene, pari a 49 - 34
milioni di anni fa). È il prodotto di una forte alterazione termica sviluppata dai corpi plutonici appartenenti al Batolite dell’Adamello sugli strati carbonatici della Formazione di Esino (età Ladinico superiore - Carnico inferiore). Anche in questo caso, similmente a quanto
avvenuto nell’area di Predazzo, l’estensione dei corpi plutonici ha determinato la formazione di un’aureola metamorfica di notevoli dimensioni (fino ad un chilometro di larghezza)
che si sviluppa lungo il contatto tra le rocce incassanti e il batolite dell’Adamello.
Descrizione petrografica - mineralogica
Si tratta di un marmo molto puro monomineralico con rari accessori. Roccia a grana
media costituito da cristalli limpidi di carbonati caratterizzati da struttura poligonale
con contatti a punti tripli. Sono altresì presenti cristalli di una certa torbidità.
Composizione chimica
% in massa
Campione proveniente dalla cava dismessa situata in località
Malga Trivena (Breguzzo)
Dettaglio di facciata in Verdello e Rosso Trento,
casa Rossi, Simeoni, Alimonta 1910 (Trento)
arch. Giuseppe Tomasi
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
TiO2
0,05
Zn
7
Al2O3
0,03
Sr
74
Fe2O3
0,07
MnO
0,07
MgO
22,89
CaO
31,34
Na2O
0,00
K2O
0,00
P2O5
0,00
LOI
45,55
totale
100,00
157
3
Luoghi di estrazione
L’estrazione del Marmo di Breguzzo è limitato alle aree di affioramento.
Di questo marmo bianco sono note solo due cave: la prima si trova in Val di Breguzzo
vicino al Rifugio Trivena a 1.700 m s.l.m. all’interno del Parco Naturale dell’Adamello-Brenta, la seconda, meno sfruttata, nella laterale Val d’Arnò a circa 1900 m s.l.m.
Microfotografia a nicols incrociati.
Campione porveniente dalla cava dismessa
in località Malga Trivena (Breguzzo).
Caratteristica dei marmi è la struttura granofelsica
Note storiche
Nelle Valli Giudicarie sono note estrazioni di marmo saccaroide. Murari paragona
quello di Breguzzo al bianco di Carrara, presente in gran quantità nella località Campel - Maggiassone (E. Murari 1903, p. 32). Questo marmo fu utilizzato per rivestimenti ed opere scultoree in ambito locale tra il Quattrocento e il Cinquecento. Fu usato
presso il maniero della famiglia Lodron per i contorni delle finestre e per gli apparati
decorativi ora conservati nel lapidario ubicato presso i ruderi di Castel Romano a
Pieve di Bono.
Fronte della cava dismessa
in località Malga Trivena (Breguzzo)
158
23
Marmo Grigio Perla
Nome petrografico
Marmo a brucite.
Descrizione tecnico - estetica
Si tratta di un marmo di contatto bianco-grigiastro, contenente brucite (idrossido di
magnesio Mg(OH)2).
Caratterizzazione geologica
Roccia metamorfica di contatto legata al vulcanesimo basaltico di età eocenica (55- 34
milioni di anni fa) che si è sviluppato ampiamente nel Trentino meridionale e nel Veneto
nord-occidentale; esso ha dato origine a vulcaniti sottomarine e in secondo luogo subaeree. I filoni basaltici hanno attraversato i depositi sedimentari di Dolomia Principale
metamorfosandoli localmente per contatto termico, formando un marmo a brucite. La
formazione della brucite è legata alla dedolomitizzazione della Dolomia Principale, come
conseguenza dell’azione termica di masse magmatiche ad andamento filoniano venute in
contatto con la dolomia sedimentaria. La consistenza dei giacimenti è quindi strettamente limitata alle aureole metamorfiche impostate in corrispondenza dei dicchi basaltici.
Descrizione petrografica - mineralogica
È un marmo a grana fine con dimensioni medie da 200 - 300 μm, costituito da cristalli di carbonati leggermente torbidi in cui la dedolomitizzazione, connessa con
il riscaldamento operato dai dicchi basaltici, ha determinato una intensa e diffusa
cristallizzazione di brucite in cristalli lamellari associata a minore quantità di calcite
spatitica limpida concentrata in vene ad andamento irregolare ed in piccoli spots.
Composizione chimica
% in massa
Campione proveniente dalla cava di Val del Serra (Ala)
p.p.m.
SiO2
0,00
Cu
0
TiO2
0,06
Zn
15
Al2O3
0,06
Sr
113
Fe2O3
0,15
MnO
0,07
MgO
23,15
CaO
37,73
Na2O
0,00
K2O
0,00
P2O5
0,00
LOI
38,78
totale
100,00
159
Microfotografia a nicols paralleli del Marmo Grigio Perla
prelevato dalla cava di Val del Serra (Ala)
Luoghi di estrazione
La provincia magmatica terziaria interessa una vasta area del Trentino meridionale,
in una zona compresa tra la valle dell’Adige ad ovest e la Valsugana a nord-est. La
cava più settentrionale di questo materiale si trovava in Valsugana sul versante destro
idrografico all’altezza di Marter (cava Armentera).
Molte cave, ora inattive, di Marmo Grigio Perla si trovano nella valle del torrente
Centa (Spilech e Cros del Sindech), nel roveretano in Val di Terragnolo (Monte Broccoletta, Val Giordano, Malga Gulva, Baisi, Quartieri) e nella zona di Ala (Forsellino,
Lavinetto, Penez, Prabubolo, Rio Mat, Tov dell’Acer, Val Bona, Val dei Nasi, Val dei
Tei, Val del Serra, Val Pelerche). Queste cave erano utilizzate quasi esclusivamente
per la produzione di granulati.
Particolarmente significativa era la cava sita in località Val del Serra (Ala), considerata la più importante in Trentino sia per la qualità del materiale estratto sia per la
vicinanza al fondovalle.
Note storiche
La presenza diffusa di giacimenti di questo materiale in valle Lagarina ha comportato
il suo utilizzo in campo architettonico, soprattutto nelle pavimentazioni. Ciò nonostante la coltivazione delle cave è piuttosto recente ed ora cessata.
Fronte della cava di Val del Serra (Ala)
160
24
Predazzite
Nome petrografico
Marmo a brucite.
Descrizione tecnico - estetica
Di colore bianco, la grana è visibile ad occhio nudo, talvolta si incontrano zone con
cristalli di carbonati e di calcite di dimensioni anche centimetriche. Il marmo è compatto anche se appare molto fratturato in superficie e non tende a rompersi quando è
lavorato; in passato è stato utilizzato per ricavarne pezzi architettonici.
Caratterizzazione geologica
Roccia metamorfica di contatto di età Triassico medio (240 - 225 milioni di anni fa).
La Predazzite, similmente al Marmo Grigio Perla, è il prodotto di una forte alterazione
termica sviluppata localmente dai corpi monzonitici terziari sugli strati di dolomia
triassica impura. Rispetto al Marmo Grigio Perla presenta un grado di metamorfismo
più elevato legato ad una maggiore temperatura dei corpi plutonici e un’estensione
areale maggiore legata alle notevoli dimensioni del corpo intrusivo.
I marmi saccaroidi in parte a brucite, che prendono il nome locale di “Predazzite”, derivano dalle formazioni calcareo-dolomitiche dell’Anisico superiore e del Ladinico-Carnico.
Campione proveniente dalla cava dismessa in località
Canzoccoli (Predazzo)
Descrizione petrografica - mineralogica
È un marmo a grana fine costituito da cristalli poligonali di carbonati spesso con contatti a punti tripli e con struttura pavimentosa. Tali cristalli presentano intorbidatura
diffusa prevalentemente lungo i piani di sfaldatura. Il metamorfismo di contatto ha
provocato una dedolomitizzazione dei carbonati con la formazione di piccoli spots distribuiti omogeneamente nel marmo costituiti da aggregati di microlamelle di brucite.
Oltre alla brucite sono presenti anche piccoli spots costituiti da clorite.
Composizione chimica
SiO2
TiO2
Al2O3
Fe2O3
MnO
MgO
CaO
Na2O
K2O
P2O5
LOI
totale
161
% in massa
0,00
0,05
0,07
0,08
0,06
23,93
36,52
0,00
0,00
0,00
39,29
100,00
Cu
Zn
Sr
p.p.m.
5
7
183
Caratteristiche fisico - meccaniche
Prove di laboratorio eseguite
Coefficiente di imbibizione
(% massa)
Resistenza a compressione monoassiale
(MPa)
151,8
Resistenza a compressione dopo 48 cicli di gelo - disgelo
(MPa)
143,4
Resistenza alla flessione
(MPa)
Microfotografia a nicols paralleli.
Campione proveniente dalla cava dismessa
in località Canzoccoli (Predazzo).
Particolare sul cristallo rotondeggiante di brucite
0,75
16,0
Resistenza all’usura per attrito radente
(mm)
2,6
Resistenza all’urto
(cm)
26
Da Economia Trentina 1975 vol. 2, 1975, pp. 9 - 33
Luoghi di estrazione
Il Complesso Vulcanico di Predazzo affiora nei dintorni dell’omonimo paese e nella
vicina catena dei Monzoni. Le rocce intrusive di Predazzo costituiscono un corpo di
forma anulare la cui morfologia è riferibile alla presenza dell’apparato vulcanico dei
Monzoni, all’interno del quale affiorano vulcaniti basaltico-latitiche. Le rocce intrusive dell’“anello” sono invece di tipo sienitico-monzonitico.
La più nota cava di Predazzite è quella di Canzoccoli (Predazzo), tuttora individuata
nel Piano Provinciale di Utilizzazione delle Sostanze Minerali, ed in passato coltivata
per la produzione di granulati. Un materiale simile era estratto nella cava di Monte
Cucal (Varena).
Microfotografia a nicols incrociati
Note storiche
L’utilizzo della Predazzite è documentato in ambito dell’alta Valle di Fiemme e nella
Valle di Fassa.
Murari identifica le estrazioni di marmo bianco cristallino in Valle di Fiemme nelle
località Viezzena e Canzoccoli (E. Murari 1903, p. 32).
L’utilizzo per elementi decorativi e per la statuaria si intensificò nel XIX secolo nella
realizzazione di lapidi ed elementi decorativi. A Predazzo, nella chiesa parrocchiale
dei Santi Filippo e Giacomo, l’altare maggiore e altri elementi interni furono realizzati
tra il 1874 e il 1905 con questo marmo.
Fronte di antica cava in località Canzoccoli (Predazzo)
162
Metodologie ed analisi utilizzate
Laboratorio geotecnico della Provincia Autonoma di Trento
Metodologie per la caratterizzazione petrografica
Seguendo la metodologia ormai consolidata per l’analisi petrografica sono state condotte analisi al microscopio sui campioni provenienti dai siti di cava più significativi.
Esse hanno permesso di riconoscere i minerali contenuti nelle rocce, la loro quantità
relativa, la loro struttura e la tessitura. L’esame è stato eseguito su sezioni sottili del
campione (20 - 30 μm di spessore) per mezzo di microscopio a luce trasmessa polarizzata.
Tali analisi sono state condotte dal Servizio Geologico della Provincia Autonoma di
Trento in collaborazione con il Laboratorio di Geomateriali del Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali dell’Alma Mater Studiorum dell’Università di
Bologna.
Metodologie per la caratterizzazione chimica
Questo tipo di analisi consente di rilevare e quantificare tutti gli elementi chimici che
costituiscono la roccia. Gli elementi maggiori sono generalmente espressi come percentuale in peso di ossidi, mentre gli elementi in traccia in parti per milione (p.p.m.).
Le analisi chimiche sono state condotte secondo la tecnica della fluorescenza a raggi
X (XRF ovvero X-Ray Fluorescence); una tecnica di analisi quantitativa eseguita sulle
polveri (pasticca) o su materiale fuso (perla di vetro), eseguite dal Laboratorio di Geomateriali del Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali dell’Alma
Mater Studiorum dell’Università di Bologna.
Metodi di prova per la caratterizzazione fisico - meccanica
Prova di resistenza alla flessione
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 12372: 2001 - Determinazione della resistenza a
Flessione dei Materiali lapidei
Cinque provini di forma parallelopipeda di dimensioni (24 × 8 × 4 cm) sono sottoposti
a flessione per mezzo di un dispositivo dotato di un coltello di applicazione del carico
e di due coltelli di appoggio, questi ultimi paralleli al primo e distanti tra loro 10 cm.
I provini sono confezionati con i piani di debolezza paralleli alle facce di maggiori
dimensioni (24 × 4 cm) al fine di determinare la resistenza a flessione perpendicolarmente ai piani di divisibilità preferenziale.
Se richiesto, la resistenza a flessione è determinata anche in direzione parallela ai
piani di divisibilità.
Il valore di resistenza a flessione è calcolato su una media di cinque valori determinati
con la seguente relazione:
Dove: σ
P
l
b
h
Prova di resistenza alla flessione
163
=
=
=
=
=
resistenza a flessione
forza di rottura
distanza tra i coltelli
base del provino
altezza del provino
Prova di resistenza alla compressione
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 1926: 2000 - Metodi di Prova per Pietre Naturali
Questa prova serve per determinare la resistenza a compressione delle pietre naturali. Al provino è dunque applicato un carico uniformemente distribuito e aumentato in
modo continuo e con un incremento costante fino a rottura.
La prova di compressione è eseguita su almeno 6 provini cubici di lato 71 ± 0,5 millimetri.
Le superfici sulle quali agisce la pressa devono essere perfettamente piane e parallele,
in modo che la distribuzione del carico applicato sia uniforme.
La resistenza a compressione uniassiale (R) di ogni provino è espressa dal rapporto
fra il carico di rottura del provino (F) e l’area della sezione trasversale (A) misurata
prima della prova, per mezzo dell’equazione:
Il risultato è il valore medio della resistenza a compressione dei 6 provini.
Prova di resistenza al gelo
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 12371: 2003 - Metodi di Prova per Pietre Naturali
La resistenza al gelo delle pietre naturali è determinata mediante una prova che comprende cicli di gelo in aria e disgelo in acqua.
Questa prova è eseguita per determinare l’effetto dei cicli di gelo/disgelo sulle caratteristiche di prestazione a compressione e/o a flessione. I provini utilizzati in questa
prova devono dunque essere conformi alla norma relativa alla prestazione considerata, ovvero cubici per la resistenza a compressione e prismatici per la resistenza a
flessione.
I provini sono prima essiccati a massa costante e poi immersi in acqua per (48 ± 2)
ore. Solo allora sono inseriti nel recipiente di congelamento per subire 48 cicli di gelo
- disgelo.
Ciascun ciclo comprende un periodo di gelo in aria di sei ore, seguito da un periodo di
disgelo di almeno altrettanto tempo durante il quale i provini sono immersi in acqua.
Prova di resistenza alla compressione
Ciascun ciclo è così composto:
Temperatura al centro
del provino
Tempo
Inizio del ciclo
+ 5°C ≤ T ≤ + 20°C
t0
Fase 1
0°C ≤ T ≤ - 8°C
t0 + 2,0 h
Fase 2
- 8°C ≤ T ≤ - 12°C
t0 + 6,0 h
Fase 3
Immersione totale
t0 + 6,5 h
Fase 4
+ 5°C ≤ T ≤ + 20°C
t0 + 9,0 h
Fase 5
+ 5°C ≤ T ≤ + 20°C
t0 + 12,0 h
Dopo aver completato il numero di cicli richiesto, i provini devono essere sottoposti
a prova di resistenza a compressione o a flessione in conformità con le norme di
prodotto pertinenti.
164
Il confronto dei valori di resistenza ottenuti prima e dopo aver subito i cicli di gelo/
disgelo consentono di valutare il grado di gelività del materiale lapideo esaminato,
ovvero del deterioramento che comporta l’esposizione della pietra in condizioni climatiche estreme.
Prova di assorbimento d’acqua a pressione atmosferica
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 13755 - Metodi di Prova per Pietre Naturali
Questa prova serve per la determinazione dell’assorbimento d’acqua delle pietre naturali mediante l’immersione in acqua dei provini a pressione atmosferica.
Dopo l’essiccazione a massa costante, si pesa ciascun provino e lo si immerge in acqua a pressione atmosferica per un periodo di tempo specificato. Si calcola il rapporto
della massa d’acqua assorbita da ciascun provino al raggiungimento di una massa
costante.
L’assorbimento d’acqua a pressione atmosferica (Ab) di ciascun provino è calcolata
mediante l’equazione:
Cubetti sottoposti alla prova di assorbimento d’acqua a
pressione atmosferica
dove md è la massa del provino essiccato e ms è la massa del provino saturato, dopo
l’immersione in acqua fino al raggiungimento di una massa costante.
Prova di resistenza all’abrasione
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 1341: 2002 Appendice C e U.N.I. E.N. 1342 Appendice B
La prova è eseguita per abrasione della faccia superiore di una lastra con materiale
abrasivo in condizioni normalizzate, utilizzando un apparecchio con disco rotante.
La prova si esegue su almeno 6 provini, asciutti e puliti, selezionati da un lotto omogeneo. La macchina di prova è essenzialmente realizzata con un largo disco abrasivo, una tramoggia di alimentazione con una o due valvole di controllo per regolare
l’uscita del materiale abrasivo, una tramoggia a livello costante, un portaprovini ed
un contrappeso. La prova si esegue portando il provino a contatto con il disco di
abrasione. Simultaneamente si apre la valvola di controllo e si avvia il motore della
macchina in modo che il disco di abrasione raggiunga i 75 giri al minuto. La prova
165
termina dopo 75 giri del disco. Il risultato della prova è dato dalla misura in millimetri
dell’impronta lasciata sulla superficie del provino dal disco abrasivo corretta da un
fattore di taratura e quindi arrotondato allo 0,5 mm più prossimo.
Misura del valore di resistenza a scivolamento in assenza di lucidatura (USRV)
Prova eseguita secondo U.N.I. E.N. 1341: 2002 Appendice D e U.N.I. E.N. 1342 Appendice C
Questa prova misura il valore di resistenza allo scivolamento in assenza di lucidatura
(USRV), su una media di almeno 6 provini di dimensioni 136 × 86 mm, utilizzando
un’attrezzatura a pendolo. Questa apparecchiatura valuta le proprietà di attrito della
superficie del provino di materiale lapideo naturale bagnato d’acqua. L’attrezzatura a
pendolo per la prova di attrito comprende un pattino caricato a molla, realizzato con
una gomma convenzionale attaccata all’estremità del pendolo. All’oscillazione del
pendolo la forza di attrito tra il pattino e la superficie di prova è misurata dalla riduzione dell’ampiezza dell’oscillazione su una scala calibrata per valutare le proprietà
dell’attrito del provino. L’oscillazione del pendolo è eseguita per cinque volte su ciascun provino e si registra la media delle ultime tre letture. Il valore di resistenza allo
scivolamento (USRV) di ogni provino è calcolato come la media arrotondata all’unità
dei due valori medi misurati in direzioni opposte.
Laboratorio geotecnico della Provincia Autonoma di Trento
Il Laboratorio Geotecnico è la struttura del Servizio Geologico della Provincia Autonoma di Trento che ha eseguito le prove avvalendosi della collaborazione del laboratorio specializzato Centro Prove Materiali Lapidei di Verona.
Nato come laboratorio per controlli interni all’Amministrazione Provinciale in grado
di eseguire prove sulle terre negli anni ottanta, dal 1992 ha istituito un tariffario per
fornire servizi anche a professionisti, imprese ed utenti esterni in linea con gli altri
laboratori privati presenti sul territorio provinciale.
Una disposizione di legge, la circolare del ministero dei Lavori Pubblici 349/STC,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale alla fine del 1999, obbliga i Laboratori Geotecnici
ad esercitare la loro attività di sperimentazione su terre e/o rocce in regime di concessione, analogamente a quanto già prescritto per i laboratori prove sui materiali
relativamente alle prove sui calcestruzzi. Il Laboratorio Geotecnico della PAT sta completando l’iter necessario al rilascio della concessione ministeriale e si è dotato di un
sistema di gestione per la qualità secondo la norma ISO 9001, come chiesto espressamente dalla circolare ministeriale, attraverso la redazione e l’implementazione di un
manuale della qualità e di specifiche procedure.
Attualmente il Laboratorio Geotecnico del Servizio Geologico esegue prove su terre e
rocce appartenenti alla geotecnica classica ed alla geotecnica stradale; in occasione
dell’entrata in vigore della normativa europea che disciplina la certificazione dei prodotti in pietra naturale, ha sperimentato l’applicazione delle normative tecniche UNI
EN sulle principali pietre ornamentali trentine.
In Trentino esistono anche numerosi laboratori privati di provata esperienza ed affidabilità che offrono alle aziende servizi di qualità e che da anni operano anche nel
campo della ricerca.
166
Glossario geologico
Accessori minerali: sono quei minerali che non costituiscono la parte fondamentale della roccia, possono essere presenti anche in quantità inferiori o poco superiori
all’1%. Al contrario i minerali fondamentali sono quelli che caratterizzano la roccia e
che sono utilizzati per classificarla.
Allotriomorfo: indica che i granuli costituenti la roccia sono caratterizzati dall’assenza di una forma cristallina propria.
Ambiente: indica il luogo in cui vivono determinati organismi (animali, piante…);
inoltre questo termine è comunemente applicato alle condizioni ambientali in cui si
deposita un sedimento. Gli ambienti possono essere continentali o marini. Gli ambienti marini principali sono: litorale, di piattaforma continentale, di scarpata continentale, batiale ed abissale.
Anisotropa (struttura): roccia che mostra orientazione preferenziale nella sua
struttura.
Aureola metamorfica di contatto: zona circostante una massa ignea entro cui
avvengono trasformazioni metamorfiche, principalmente dovute ad effetti termici. Il
limite esterno è segnato in corrispondenza della prima variazione nella struttura o
nella mineralogia della roccia.
Batolite: il termine è applicato ad ogni massa intrusiva di rocce ignee caratterizzata
da dimensioni elevate, che possono raggiungere lunghezze di decine, centinaia o anche migliaia di chilometri.
Biomicrite: calcare costituito da una matrice micritica e da clasti di natura organica.
Breccia: roccia sedimentaria clastica costituita da frammenti spigolosi.
Calcarenite: calcare detritico in cui le dimensioni dei clasti variano fra 0,0625 mm
e 2 mm.
Camera magmatica: è un serbatoio di magma posto in profondità nella crosta terrestre che alimenta un determinato apparato o sistema vulcanico.
Cemento: in una roccia sedimentaria il cemento funge da “collante”, ossia riempie
gli interstizi tra i granuli e li tiene uniti, formando una roccia coerente. Si tratta di
un composto chimico che precipita dalle soluzioni percolanti che attraversano il sedimento.
167
Classificazione delle rocce: le rocce sono aggregati naturali di uno o più minerali e
si classificano in base al processo genetico che le ha originate. I processi petrogenetici
fondamentali sono tre: magmatico, sedimentario e metamorfico.
Conglomerato: roccia sedimentaria clastica costituita da frammenti arrotondati.
Corpo plutonico: massa di rocce magmatiche plutoniche o intrusive.
Dicco: corpo discordante appiattito formato da rocce ignee, che taglia i piani di stratificazione o i piani strutturali della roccia incassante. Questo termine si utilizza per
grossi filoni (molti metri di potenza).
Dolomia: roccia sedimentaria carbonatica costituita da più del 15% di dolomite.
Dolomite: minerale del gruppo dei carbonati (CaMg(CO3)2).
Dolomitizzazione: processo secondo il quale il carbonato di calcio è trasformato in
carbonato di calcio e magnesio sia in parte sia completamente. La dolomitizzazione
può avvenire in ogni momento durante e dopo la deposizione di un sedimento calcareo. Si ipotizza possa essere dovuta alla reazione fra le brine marine ipersaline e la
calcite.
Domo: corpo plutonico intrusivo cupoliforme, spesso subconcordante alle strutture
esterne.
Durevolezza: è la capacità di una pietra di mantenere nel tempo le sue caratteristiche essenziali e distintive, conservare le sue proprietà fisico-meccaniche ed estetiche,
resistere all’alterazione e al deterioramento.
Eutassico / ambiente eutassitico: termine usato per descrivere un ambiente caratterizzato dalla presenza di elevati volumi di acque stagnanti, deossigenate, le quali
determinano condizioni riducenti. I sedimenti tipici sono fanghi neri carboniosi e
ricchi di pirite.
Facies: indica la somma di tutte le caratteristiche quali: tipo di roccia, minerali contenuti, strutture sedimentarie, stratificazione caratteristica, fossili, che caratterizzano
un sedimento depositatosi in un dato ambiente.
Falda: unità rocciosa alloctona tabulare di qualsiasi struttura interna od origine.
Fanerocristallina (struttura): termine strutturale applicato alle rocce ignee in cui i
cristalli possono essere ben distinti ad occhio nudo.
Fase Pleniglaciale: periodo più freddo di ognuna della cinque glaciazioni della terra
(Donau, Gunz, Mindel, Riss e Wurm), avvenute negli ultimi due milioni di anni.
168
Felsico/aggregati felsitici: termine derivante dalle parole feldspato e silice, e usato
per descrivere silicati di colore chiaro come quarzo, feldspati e feldspatoidi.
Femico: termine derivante dalla contrazione delle parole ferro e magnesio, che indica un particolare gruppo di minerali caratterizzati dal colore scuro.
Fenocristalli: cristalli relativamente grandi che si trovano immersi in una massa di
fondo fine. Tale insieme costituisce la struttura porfirica. I fenocristalli sono generalmente idiomorfi.
Filone: è un corpo prevalentemente tabulare fino a lentiforme dello spessore di decimetri o di metri, trasversale rispetto alle strutture dell’incassante, nato come riempimento di una frattura con magma.
Fluidale (tessitura): si forma quando il movimento di un liquido contenente dei cristalli, in questo caso la lava, provoca la loro orientazione lungo la direzione di scorrimento. È caratteristica delle rocce magmatiche, in particolare effusive o vulcaniche.
Granulometria: in sedimentologia, dimensioni dei granuli e delle particelle. Si utilizza generalmente la scala di Wentworth-Udden:
Dimensioni (mm)
Particella
Roccia Sedimentaria
> 256
Masso
-
64 - 256
Ciottolo
-
4 - 64
Ghiaia
Breccia/Conglomerato
2-4
Granulo
-
1/16 - 2
Sabbia
Arenaria
1/256 -1/16
Silt
Siltite
< 1/256
Argilla
Argillite
Idiomorfi: cristalli che costituiscono la roccia aventi forma propria e ben sviluppata.
Ignimbrite riodacitica e riolitica: sono dovute al deposito di nubi ardenti ad alta
temperatura, costituite da unità di flusso piroclastico. Al momento della deposizione
la temperatura era talmente elevata che la componente pomicea ha perso la vescicolazione riscaldandosi.
Ipoabissali (rocce): rocce ignee intermedie tra i due gruppi principali, ossia tra le
rocce vulcaniche o effusive e quelle plutoniche o intrusive.
Isotropa (struttura): roccia che non mostra orientazione preferenziale nella sua
struttura.
Magmatiche (rocce): le rocce magmatiche o ignee derivano dalla cristallizzazione
di un fuso naturale, a composizione prevalentemente silicatica, generalmente molto
169
caldo chiamato magma, che si origina nelle profondità della terra per fusione di masse
solide preesistenti. Quando il magma risale attraverso le fratture presenti nella crosta
terrestre, tende a diminuire la sua temperatura e raffreddandosi tende a cristallizzare dando origine alle rocce magmatiche. Si distinguono due tipi principali di rocce
magmatiche: quelle plutoniche e quelle vulcaniche. Le rocce plutoniche o intrusive si
formano in seguito ad un lento raffreddamento del magma che avviene all’interno della
crosta terrestre e porta ad una completa cristallizzazione della roccia. Un esempio di
roccia intrusiva completamente cristallizzata è il granito. Le rocce vulcaniche o effusive
invece si formano in seguito ad un rapido raffreddamento del fuso magmatico, quando questo viene a contatto con la superficie terrestre, sia in ambiente subaereo sia in
ambiente subacqueo. Il rapido raffreddamento del magma non consente una completa
cristallizzazione della struttura all’interno delle rocce effusive, che sono così composte
da una massa di fondo vetrosa e da piccoli e mal formati cristalli dispersi all’interno
della roccia; un esempio di questa tipologia è il porfido. La classificazione modale internazionale delle rocce magmatiche si basa sulla composizione mineralogica, in particolare sull’indice del colore, ovvero sulla percentuale volumetrica dei minerali colorati
(minerali femici).
Metamorfiche (rocce): le rocce metamorfiche si formano quando rocce preesistenti di qualsiasi tipo subiscono una trasformazione mineralogica, rimanendo allo
stato solido, dovuta alla variazione di temperatura, di pressione o di entrambe. La
roccia si adegua alle nuove condizioni ambientali trasformandosi a livello mineralogico, ovvero metamorfizzandosi. Il processo metamorfico avviene in un intervallo di
temperatura compreso tra i 300°C e gli 800°C. Sopra questa temperatura inizia la
fusione parziale della roccia ossia la roccia comincia a fondere e non si considera più
allo stato solido. Ci sono diversi tipi di metamorfismo; per esempio il metamorfismo
di contatto avviene quando una roccia della crosta terrestre viene a contatto con un
magma molto caldo risalito dalle profondità della terra, questa roccia si “scotta”, senza fondere, e si riorganizza dal punto di vista mineralogico metamorfizzandosi. Un
altro tipo è il metamorfismo regionale, che avviene in seguito a processi orogenici su
scala ben maggiore, regionale appunto. Questo tipo di metamorfismo è causato dalle
forti pressioni causate dal movimento relativo che avviene tra le diverse placche. La
classificazione delle rocce metamorfiche si basa sulla natura della roccia originaria
(protolito), sul grado metamorfico (o grado di ricristallizzazione) e sulla presenza di
particolari minerali, detti minerali indice, o di particolari associazioni di minerali
tipiche di particolari facies metamorfiche.
Roccia Originaria
Roccia Metamorfica
argille
filladi, argilloscisti, ardesie, micascisti
areniti, arcose
quarziti
calcari, dolomie
marmi calcitici o dolomitici
calcari argillosi
calcescisti
graniti, dioriti
gneiss, granuliti
170
Matrice: nelle rocce sedimentarie, sono i granuli di minori dimensioni che riempiono
gli spazi tra i clasti che costituiscono la struttura portante della roccia. La matrice è
costituita principalmente da micrite o da sparite.
Micrite: calcite microscristallina di dimensioni inferiori a 0,01 mm. La micrite oppure la sparite costituiscono la matrice di una roccia carbonatica.
Microsparite pellettifera: calcare costituito da una matrice sparitica di dimensione
microscopica e da pellets. Nelle rocce sedimentarie la classificazione deve tenere
conto, oltre che della composizione chimica della roccia, soprattutto delle condizioni
ambientali al momento della deposizione del sedimento e del meccanismo di deposito. L’ambiente di deposizione si riconosce dalle diverse strutture e tessiture del
materiale.
Nome petrografico: nome della roccia definito attraverso lo studio sistematico sia
macroscopico che in sezione sottile. I petrografi usano la sezione sottile per studiare
le proprietà ottiche dei minerali e per osservare la struttura e la tessitura della roccia,
utilizzando un microscopio ottico polarizzatore. Per fare una sezione sottile occorre
tagliare una fetta di roccia, montarla su un vetrino e levigarla con abrasivi via via più
fini, fino al raggiungimento dello spessore di 30 μm.
Nube ardente: nuvola incandescente di gas e cenere vulcanica emessa violentemente
durante un’eruzione vulcanica. Le ignimbriti sono depositi formati da nubi ardenti.
Olocristallino: termine petrografico che si riferisce al grado di cristallinità della
pasta di fondo della roccia plutonica. La roccia olocristallina presenta una pasta di
fondo completamente cristallizzata.
Oolite: particella roccioso sferica o subsferica che si accresce attorno ad un nucleo: le
ooliti mostrano infatti una struttura a bande concentriche, ma si possono osservare
anche strutture radiali. Il nucleo può essere inorganico (per esempio un granulo di
sabbia) od organico (come un frammento di conchiglia). Tendono a concentrarsi in
strati dando luogo ai calcari oolitici. La loro formazione è legata al fatto che i nuclei
sono in costante movimento per l’effetto del moto ondoso.
Opachi (minerali): quei minerali che al microscopio ottico polarizzatore non si
lasciano attraversare dalla luce. Si tratta generalmente di minerali metallici, come
ossidi, idrossidi di ferro e solfuri.
Pelagico (ambiente): ambiente di mare aperto, dove vivono forme che nuotano liberamente (necton), e le forme che si muovono passivamente nelle acque superficiali
(plancton).
Pellets: particelle ovoidali di sedimento con una lunghezza compresa tra 0,25 e 5
mm. Sono solitamente interpretati come pallottole fecali di molluschi, echinodermi e
forse anche di altri gruppi di organismi invertebrati.
171
Piana tidale: un limite, una zona piana costituita da sedimento fangoso o sabbioso,
sommerso ed emerso durante ogni ciclo tidale (maree).
Piattaforma carbonatica: una piattaforma sottomarina o intertidale la cui elevazione è mantenuta dalla deposizione carbonatica dell’acqua (by active shallow water
carbonate deposition).
Piroclastica (roccia): le rocce piroclastiche sono costituite da materiale vulcanico
lanciato nell’atmosfera in seguito ad attività vulcanica (cristalli e frammenti vetrosi) e
da elementi di rocce preesistenti sbriciolati dall’elevato potere esplosivo (frammenti
litici). In relazione alla dimensione dei frammenti prodotti si parla di bombe se il diametro medio è maggiore di 64 mm, di lapilli se è compreso tra 2 e 64 mm e di ceneri
se le dimensioni sono inferiori ai 2 mm.
Plateau: sono aree dove un’intensa e prolungata attività vulcanica produce vaste
coperture essenzialmente laviche.
Pleocroismo: termine petrografico usato nello studio dei minerali in sezione sottile. Fenomeno per cui alcuni minerali che si presentano colorati in sezione sottile
mostrano una variazione di colore quando vengono ruotati e attraversati dalla luce
polarizzata in un piano.
Polisintetica: è un tipo di geminazione.
Rift valley: fosse tettoniche estese nelle quali generalmente si concentra il vulcanismo.
Saccaroide (aspetto): struttura che presenta un aspetto zuccherino, cioè una grana
fine o media con cristalli molto vicini. È tipica dei marmi.
Sedimentarie (rocce): le rocce sedimentarie coprono l’80% della superficie terrestre e sono il prodotto della trasformazione di rocce preesistenti quando vengono in
contatto con l’atmosfera, la biosfera e l’idrosfera. Le rocce sedimentarie si dividono
in due famiglie principali: le rocce terrigene, quali le arenarie o i conglomerati, e
le rocce chimiche o biochimiche, come i calcari e le dolomie. Le rocce terrigene si
formano per consolidazione e diagenesi dei sedimenti formatisi dalla disgregazione
e dall’alterazione delle rocce preesistenti e si classificano in base alle dimensioni dei
frammenti che li costituiscono. Le rocce chimiche invece si formano per precipitazione di carbonati o di sali inorganici da una soluzione acquosa. Questo processo
avviene per lo più in ambiente marino, come per i calcari o le marne. Caratteristica
esclusiva delle rocce sedimentarie è la presenza dei fossili, tracce lasciate dagli organismi che hanno vissuto nelle passate epoche geologiche. La classificazione delle
rocce sedimentarie chimiche e biochimiche si basa sulla composizione chimica dei
precipitati; sono distinte in carbonatiche (costituite da calcite o dolomite), in silicee
(calcedonio o quarzo), evaporitiche o saline (salgemma, gesso, anidride).
172
Selce: si trova in bande o in noduli nelle rocce sedimentarie e può essere di origine
sia organica sia inorganica. Talvolta è un deposito primario, talvolta si forma per la
confluenza di soluzioni silicee disperse nella roccia, o anche per fenomeni di sostituzione secondaria.
Sferulite / aggregati sferulitici: insieme di cristalli più o meno globulari; si formano in seguito a devetrificazione nel vetro vulcanico.
Sparite: calcite grossolana (superiore a 0,01 mm) costituente il cemento, che fissa tra
loro i granuli della roccia. La matrice della roccia carbonatica può essere costituita in
alternativa da micrite.
Stilolite: livello irregolare, simile ad una sutura, che si osserva in alcuni calcari e
che è generalmente indipendente dai piani di stratificazione. Si ritiene che le stiloliti
si formino da dissoluzione per pressione del sedimento già consolidato, seguita da
un’immediata rideposizione locale del materiale non solubilizzato come ossidi di
manganese o di ferro e minerali delle argille.
Struttura della roccia: indica la disposizione spaziale dei componenti della roccia,
come risultato delle forze agenti al momento della sua formazione. I termini tessitura
e struttura sono usati con significato analogo anche se quest’ultimo termine si utilizza
alla scala mesoscopica o come termine più generale.
Subidiomorfo: termine usato per descrivere una roccia ignea i cui granuli mostrano
tracce di una forma cristallina.
Tessitura della roccia: indica l’insieme delle caratteristiche derivanti dalle dimensioni dei componenti (grana) e dalla loro forma, dal modo di aggregarsi e le loro reciproche relazioni. È utilizzata limitatamente alla scala microscopica.
Tettonica: studio dei movimenti e delle deformazioni che subiscono le rocce e la
crosta terrestre, che hanno come causa fondamentale forze endogene interne al pianeta.
173
174
Processi di produzione
ed esempi di utilizzo
nell’architettura moderna
175
176
Fiorino Filippi
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Resti del tracciato urbico di Trento in età romana
S.A.S.S. Spazio Archelogico Sotterraneo del Sas,
piazza Cesare Battisti (Trento)
Pagina a fianco
Centro direzionale Banca Popolare di Lodi.
Progetto R. Piano B. W.
Pavimentazione esterna realizzata
in Porfido Trentino Lastrificato
Questo capitolo affronta l’utilizzo contemporaneo delle pietre ornamentali del Trentino. Le stesse sono raggruppate in “famiglie geologiche”, poiché, data la loro diversa
natura, presentano diverse caratteristiche che implicano conseguentemente lavorazioni ed impieghi differenti. Le caratteristiche tecniche e chimiche di ogni pietra sono
riportate nelle specifiche schede del catalogo ragionato.
Quanto alla terminologia utilizzata in questa pubblicazione per definire i diversi materiali lapidei, occorre chiarire la differenza tra linguaggio commerciale e geologico.
L’uso di termini comuni nel linguaggio geologico e commerciale crea spesso confusione. La classificazione commerciale è infatti basata su criteri tecnologici quali lucidabilità e lavorabilità; mentre quella geologica si basa essenzialmente su criteri genetici.
In questa trattazione si è deciso di adottare i termini nel significato geologico e solo
dove quelli correnti o commerciali non hanno un corrispondente scientifico si è scelto
di indicarli tra virgolette.
La confusione coinvolge in primo luogo il termine “marmo”; esso deriva dal latino
“marmor” che significa “pietra dalla superficie lucente”, da cui “pietra lucidabile”.
Nel linguaggio commerciale sono quindi chiamati “marmi” tutte le pietre lucidabili
costituite da minerali carbonatici.
In geologia invece per marmi si intendono solamente quelle rocce carbonatiche che si sono
ricristallizzate a seguito di metamorfismo. In Trentino i marmi sono solo le rocce sedimentarie a composizione carbonatica (quali calcari o dolomie) che, per contatto con filoni
basaltici terziari o con altre tipologie di corpi magmatici, si sono metamorfosate ricristallizzando completamente. Le tipologie di marmi descritte in questo lavoro sono: il Marmo di
Breguzzo, il Marmo Grigio Perla e la Predazzite. Tutte le altre rocce commercializzate come
“marmi” sono per lo più pietre sedimentarie carbonatiche, calcari o calcari dolomitizzati
(costituiti da minerali di durezza Mohs pari a 3 - 4), suscettibili a farsi lucidare.
L’altro termine che crea confusione è il vocabolo “granito”. Nel linguaggio commerciale i
“graniti” sono rocce lucidabili a composizione silicatica (costituiti da minerali di durezza
Mohs pari a 6 - 7) che appartengono alla famiglia delle rocce magmatiche intrusive (di
qualsiasi composizione chimica) e ad alcune rocce metamorfiche quali gneiss o serizzi.
In geologia invece i graniti sono una famiglia di rocce magmatiche intrusive a composizione acida e quindi di colore complessivo prevalentemente chiaro. Il colore è un parametro
visivo facilmente utilizzabile per riconoscere e denominare le diverse rocce magmatiche.
Questo parametro risulta infatti correlabile con la composizione mineralogica della roccia
plutonica considerata. I minerali più basici (minerali contenenti ferro e manganese) hanno
colori tendenzialmente scuri, nero o verde scuro; i minerali acidi invece sono caratterizzati
da colorazioni chiare, bianco, grigio chiaro o rosato. I graniti veri e propri, commercializzati in Trentino, sono solamente il Granito di Cima d’Asta e il Granito Rosa di Predazzo.
Il “Granito dell’Adamello” invece è una roccia geologicamente diversa dal punto di vista
geologico-petrografico; si tratta di una roccia plutonica che prende il nome di tonalite, una
roccia più basica rispetto al granito e che di conseguenza risulta più scura.
177
Pietre a composizione carbonatica
Cava di Rosso Trento e Verdello in località Pila (Trento)
Le pietre a composizione carbonatica hanno avuto in Trentino, nel corso dei secoli,
una grande importanza per il loro vasto utilizzo nelle opere architettoniche sia locali
sia nazionali sia internazionali.
Sono di tonalità cromatica e granulometria abbastanza variabile, presentano la caratteristica di essere levigabili e lucidabili. Quasi sempre sono di tessitura molto compatta, non sono porose, né di particolare durezza (3 - 4 della scala Mohs) e quindi piuttosto facili da lavorare. Storicamente sono state molto utilizzate: prima per costituire
la struttura degli edifici, in seguito per ornare con lavorazioni anche molto complesse
ed accurate sia le facciate sia i pavimenti dei palazzi più importanti.
Questi litotipi, soprattutto se applicati in interni, presentano un aspetto molto gradevole per colore e tessitura. Offrono una buona resistenza dal punto di vista sia fisico
- meccanico, sia dell’usura.
Si dividono in:
- pietre sedimentarie carbonatiche, in Trentino rappresentate da:
• Rosso Trento
• Rosa di Terlago
• Verdello
• Prugna di Lasino
• Rosso del Sarca
• Calcari Grigi
• Giallo Mori
• Bianco di Castione
• Corna di Bò
• Pietra di Arco
• Pessatela
• Nero di Ragoli
• Tufo Calcareo
• Arenaria di Ceole
- pietre metamorfiche (marmi), in Trentino rappresentate da:
• Marmo Grigio Perla
• Predazzite
• Marmo di Breguzzo
Lavorazione di blocchi di Rosa di Terlago (Terlago)
Tecniche di estrazione e lavorazione
Come nell’estrazione delle rocce granitiche, anche l’abbattimento di materiale marmifero si
ottiene mediante il distacco di grandi porzioni di giacimento, definite “bancate”, con sistemi quali la tagliata a mano, a spacco, l’uso di esplosivi e di dispositivi per il taglio a filo. Già
subito sul piazzale di cava avvengono il ritaglio e la riquadratura, che consentono agli occhi
esperti degli operatori, interpretando le discontinuità strutturali e cromatiche della roccia,
178
Taglio in blocchi di Rosso Trento cava Pila (Trento)
Facciata ventilata del Municipio in Rosa di Terlago e Verdello
(Ragoli)
la riduzione del materiale estratto in blocchi regolari (da telaio) o informi (da tagliablocchi).
Il sistema tradizionale è costituito dalla tagliata a spacco, che consiste nel praticare una serie di fori allineati, entro cui sono poi inseriti cunei metallici e lignei che tramite percussione
meccanica o per pressione determinano il taglio regolare dei blocchi. Attualmente queste
operazioni possono essere effettuate tramite compressori ad aria e tagliatrici pneumatiche,
oppure tramite il taglio a filo elicoidale o diamantato. I blocchi sono quindi portati nei laboratori e sottoposti al processo di segagione. Se i blocchi sono di dimensioni ragguardevoli
(3x2x1,8 m circa) è più conveniente ridurli in lastre tramite seghe a telaio. Queste macchine
riducono i blocchi in lastre aventi gli spessori desiderati (di solito da 2 a 5 cm), tramite lo
sfregamento di una batteria di lame, immerse continuamente in una soluzione di acqua e
sabbie speciali. I blocchi di dimensioni inferiori ed irregolari sono di solito segati con dischi
diamantati di diametro variabile tra 20 e 200 cm. La tagliablocchi esegue di solito anche i
tagli degli elementi ad elevato spessore, quali colonne, lapidi, trabeazioni, masselli, destinati a particolari finalità architettoniche, oppure degli elementi destinati ad un uso urbano
e perciò sottoposti a particolare usura, quali cordoli stradali, lastre per pavimentazioni. Le
lastre così ottenute sono trattate in superficie con lavorazioni simili a quelle descritte per
le rocce granitiche ed i porfidi, ma essendo il livello di durezza delle pietre carbonatiche
molto inferiore, tutte le lavorazioni risultano più facili. Notiamo comunque delle diversità
che meritano un approfondimento delle seguenti principali tipologie:
• Lavorazioni a rasamento: si tratta di processi di lavorazione che consistono nel
rendere via via sempre più liscia la superficie delle lastre. Ciò si ottiene mediante
una macchina che sottopone le lastre ad un processo di strofinamento ripetuto di
mole abrasive di diversa grana e composizione. In presenza di vacuità è necessario intervenire con mastici appositi, mescolati con polvere della stessa pietra
ed eventualmente colorati. Trattamenti effettuati con mole via via sempre più fini
determinano diverse finiture, quali la levigatura grossa, media, fine e satinata.
Tramite macchine lucidatrici azionate a mano, a ponte od a nastro ed applicando
delle sostanze speciali, quali ossidi metallici, si rende lucida, con effetti riflettenti,
la superficie delle pietre carbonatiche. Questa finitura è considerata comunemente
di buon valore estetico, giacché ravviva le colorazioni della pietra e rende la superficie più resistente agli attacchi degli agenti chimici.
• Lavorazioni ad urto: tutte queste lavorazioni, sottoponendo la superficie marmorea all’azione di strumenti che operano a percussione ed essendo le pietre
carbonatiche di durezza non molto elevata, possono provocare delle alterazioni
superficiali, quali microfratture e rotture, talora anche piuttosto gravi che possono rendere la pietra più attaccabile dagli agenti nocivi esterni, soprattutto di tipo
chimico. Sarà opportuno perciò utilizzare queste lavorazioni in maniera molto
controllata e contenuta, in modo tale che la forza della percussione non sia mai
eccessiva. Queste finiture possono essere effettuate comunque su lastre o manufatti aventi uno spessore consistente (maggiore di 3 cm). La superficie risultante
da questi trattamenti ha un aspetto piuttosto rustico. Trattandosi delle più antiche
lavorazioni superficiali, esistono parecchie finiture che nel corso dei secoli sono
state utilizzate. Le più comuni ed ancora in uso ai nostri giorni sono:
- la spuntatura, che può essere grossa, media e fine, si ottiene percuotendo la
superficie con appositi strumenti appuntiti ed è quasi sempre eseguita su elementi collocati all’esterno;
179
-
la bocciardatura, grossa, media, oppure fine, è prodotta dalla percussione della
superficie lapidea con martelli particolari (bocciarde) aventi punte piramidali più
o meno fitte; questa finitura serve sia per caratterizzare esteticamente la superficie (rivestimenti, elementi architettonici), sia per rendere non sdrucciolevoli le
superfici di calpestio (pavimentazioni esterne, cordoli);
- la rullatura o gradinatura, ottenuta attualmente tramite macchine che, facendo scorrere dei rulli sulla superficie delle lastre, determinano una striatura di
vario aspetto (grossa, media o fine) secondo il tipo di rullo impiegato;
- la sabbiatura, si ottiene proiettando a forte pressione una miscela abrasiva
speciale sulla superficie, che alla fine risulterà moderatamente ruvida e cromaticamente abbastanza “viva”. È una tecnica molto usata anche per la composizione di scritte o figure su lastre, come pure nel restauro, per la pulitura delle
superfici di elementi architettonici particolarmente deteriorati.
Nelle pietre carbonatiche non sono possibili finiture ottenute tramite spacco termico,
quali la fiammatura.
Le lastre con la superficie definita sono poi tagliate nelle misure richieste tramite la
segagione con macchine fresatrici di vario genere (a ponte, multidisco) che utilizzano
dischi diamantati.
Le coste dei manufatti destinati alle pavimentazioni possono essere bisellate, mentre
gli scalini, le copertine ed altri prodotti possono subire sulle coste la levigatura, la
lucidatura ed altre lavorazioni più elaborate.
Macchine contornatrici, copiatrici, sagomatrici, tagliatrici a getto d’acqua sono utilizzate per il taglio, la levigatura, la lucidatura e l’esecuzione dei prodotti a più alto
valore aggiunto. Il tutto é controllato dall’occhio di operatori specializzati, che, con
la manualità acquisita in anni di esperienza tramite l’ausilio di utensili tradizionali
e/o di concezione moderna, provvedono a rifinire ed approntare i manufatti per la
commercializzazione.
Preassemblaggio di fontana in Rosso Trento
Prodotti
L’industria trentina dei “marmi” (che geologicamente corrispondono alle pietre carbonatiche), pur essendo prevalentemente rivolta alla lavorazione di elementi per la
pavimentazione esterna ed oggetti per l’arredo urbano, fornisce tutti i tipi di prodotti
occorrenti all’edilizia moderna. Visto il particolare valore estetico di questi materiali
e le doti di resistenza, inferiori alle rocce granitiche ed ai porfidi, ma comunque abbastanza elevate, i “marmi” trentini trovano applicazione in ambienti sia esterni sia
interni. Si tratterà di impiegare prodotti con spessore e tipi di finiture appropriate
all’uso finale.
Impieghi interni
Per pavimenti e rivestimenti collocati in opera in ambienti interni sono utilizzate lastre o piastrelle tagliate nelle dimensioni desiderate ed aventi uno spessore ridotto,
per contenere sia il peso gravante sulle strutture sia i costi. Di solito sono preferite
le finiture levigate e soprattutto lucide, in virtù delle doti sia estetiche sia funzionali
(pulibilità) che queste superfici garantiscono. Le lastre sono tagliate nelle dimensioni
richieste, anche le più particolari, oppure seguendo i criteri della produzione standardizzata, di dimensioni codificate in moduli, definiti “modulmarmo”:
180
Modulmarmo
Spessore
(mm)
Pavimentazione in Rosso Trento, piazza Col di Ponte (Mori)
Dimensioni
(mm)
7
150 x 300
10
300 x 300
10
400 x 400
13
400 x 400
15
457 x 457
15
600 x 300
I “marmi” trentini sono inoltre utilizzati per la formazione o il rivestimento di gradinate, costituite da pedate ed alzate, davanzali, zoccolini, battiscopa, copertine, elementi di arredo, pilastri, trabeazioni ed elementi di ornato di vario genere.
La posa in opera è eseguita tramite la costituzione di uno strato di allettamento cementizio o l’utilizzo di collanti appositi. L’accuratezza con la quale sono eseguite le fasi di posa
(scelta delle lastre per colore e tessitura, allineamento, livellamento) riveste una grande
importanza nella valorizzazione dei materiali e nella riuscita complessiva dell’opera.
Impieghi esterni
Pavimentazioni
Nelle pertinenze degli edifici, ma anche per la pavimentazione di piazze o vie di
pubblico passaggio si utilizzano lastre di grosso spessore. All’esterno le finiture di superficie più utilizzate sono quelle ricavate con le lavorazioni ad urto, come la bocciardatura, la rullatura, per ragioni sia di carattere formale ed estetico sia di sicurezza
e facilità di calpestio in qualsiasi condizione meteorologica. È opportuno comunque
tenere presente che queste finiture superficiali attenuano i cromatismi della pietra,
rendendoli più chiari ed opachi e che l’esposizione agli agenti atmosferici ed alle attività umane (traffico, inquinamento) modificano in maniera molto sensibile l’aspetto
definitivo delle pavimentazioni. La pietra carbonatica comunque non è indicata per
le superfici sottoposte a traffico veicolare pesante a causa della limitata resistenza
all’usura. Tuttavia, aumentando il valore degli spessori delle lastre (8 cm e più), è
possibile il loro utilizzo per un traffico leggero e medio.
La collocazione in opera di questi elementi avviene quasi sempre, secondo precise
modalità, su strato di allettamento costituito da malta cementizia.
Rivestimenti
Per la formazione o il rivestimento di murature di tipo grezzo si utilizza il pietrame grezzo
e lo spaccatello facciavista. Sono prodotti lapidei che sono posti in opera singolarmente
allettati in uno strato di malta cementizia. Con questo tipo di prodotti si ottiene un rivestimento molto rustico ed applicabile per altezze inferiori ai 5 m. Anche le lastre possono
essere utilizzate per il rivestimento di pareti in maniera molto simile a quella illustrata per
le rocce granitiche. Viste comunque le minori caratteristiche prestazionali rispetto alle rocce granitiche è opportuno farne un uso più accorto, aumentando ad esempio gli spessori
delle lastre. Sono comunque da evitare materiali gelivi (non resistenti al gelo per eccessiva
porosità) che possono scheggiarsi e deteriorarsi a scapito della sicurezza.
181
Elementi di completamento e di arredo per l’edilizia
Per l’ornamento ed il completamento degli edifici, l’industria lapidea trentina mette a
disposizione parecchi prodotti anche eventualmente eseguiti su misura o a disegno,
quali pilastri e trabeazioni, contorni di finestre, colonne, tavoli, piani per i mobili
della cucina o del bagno, oggetti di arredamento aventi varie possibili lavorazioni e
finiture superficiali.
Elementi per l’arredo urbano
In questi ultimi decenni l’attività estrattiva e di lavorazione delle pietre carbonatiche
ha ricevuto un notevole impulso per l’impiego nella finitura di opere stradali e nell’arredo urbano. Soprattutto per il suo utilizzo costante nel corso della storia già a
partire dall’epoca romana (vedi ad esempio il percorso stradale romano rinvenuto in
buonissimo stato di conservazione durante i lavori al Teatro Sociale di Trento), sono
tornate ad essere adottate le cordonate stradali nelle varie lavorazioni (bocciardate,
fresate) di larghezza variabile tra 10 e 15 cm, per la formazione di marciapiedi o
per la delimitazione dei percorsi carreggiabili e pedonali. I plinti e le lastre di grosso
spessore per la formazione di passi carrai completano la gamma dei prodotti per le
bordature stradali, assieme a prodotti speciali quali bocche di lupo, chiusini, cunette
stradali. Inoltre sono in produzione lastre di spessore appropriato per la formazione
di percorsi pedonali o carreggiabili (trottatoie) o per la pavimentazione di superfici
estese quali piazze o vie cittadine. Fontane, panchine, caditoie, canalette per lo scolo
delle acque, elementi speciali di arredo urbano completano la vasta gamma dei prodotti dedicati agli esterni.
Rivestimento verticale in Verdello
e Rosso Trento del Teatro Sociale di Trento
arch. Sergio Giovanazzi
182
Pietre magmatiche intrusive
In Trentino sono rappresentate da:
• Granito di Cima d’Asta
• Granito Rosa di Predazzo
• Monzonite
• Granito dell’Adamello
Sono pietre che presentano una grana con cristalli molto ben individuabili di dimensioni fino a due millimetri con valori di durezza e resistenza meccanica molto elevati.
Le prestazioni di queste pietre sono molto elevate e versatili, il loro utilizzo è indicato
per ogni settore edilizio.
Cava di Granito dell’Adamello (Tonalite)
in Val di Genova (Strembo)
Tecniche di estrazione e lavorazione
Generalmente nelle cave si abbattono delle grosse porzioni di giacimento, chiamate
“bancate”, che vengono poi sempre più riquadrate, tenendo conto delle particolarità
del materiale (colore, venature, fratturazioni) e delle dimensioni necessarie per subire le ulteriori lavorazioni a valle del processo di produzione. Alla fine dalle attività di
escavazione saranno prodotti:
• blocchi regolari: sono parallelepipedi di forma più o meno regolare ed aventi
varie dimensioni. Quelle ottimali sono: (3,2x2,0x1,8 m);
• blocchi informi: sono grossi massi aventi forma e dimensioni irregolari;
• cocciame: materiale di sfrido, sottoprodotto delle altre lavorazioni.
Questi blocchi, trasportati in segheria, sono poi ulteriormente riquadrati e ridotti in
lastre dello spessore richiesto da macchinari di grandi dimensioni, quali i telai e le
tagliablocchi.
Da questo processo si ottengono lastre adatte per la produzione di manufatti destinati
alla pavimentazione (spessori variabili tra 0,7 cm e 2 cm per gli interni, maggiori per
gli esterni), al rivestimento (spessori di valore 2 - 4 cm) ed alla realizzazione di tutti
quei prodotti necessari all’edilizia e di spessore più elevato, quali colonne, masselli,
copertine, lapidi.
Normalmente in questa fase le lastre subiscono dei trattamenti sulla superficie che
possono così essere distinti:
• superficie a piano telaio: si ottiene tramite il taglio con il telaio multilame ed
abrasivo. Si tratta di una finitura grezza, quasi mai utilizzata quale pelle finale
della pietra;
• superficie trattata con acido: la superficie a piano telaio lavata con acidi particolari può risultare di aspetto gradevole e molto conveniente dal punto di vista
economico;
• superficie a piano disco: ottenuta dal taglio con i dischi diamantati generalmente
della tagliablocchi e può essere assimilata ad una superficie levigata grossa;
• superficie a spacco termico (fiammatura): è un trattamento superficiale sempre più richiesto in virtù della elevata qualità estetica e di calpestio conferita alla
183
•
•
Estrazione da fronte cava di Granito dell’Adamello (Tonalite)
•
•
•
Bancata di Granito Rosa di Predazzo (Predazzo)
pietra. I cromatismi risultano di tonalità più “calde” e la pelle quasi “a buccia
d’arancia”. Con una fiamma ad alta temperatura (circa 600 ºC) emessa da uno
o più cannelli si investe la superficie delle lastre, provocando uno shock termico
che fa scoppiare le componenti cristalline delle rocce granitiche. Questo processo
provoca il dimagrimento dello spessore ed altera per una profondità di circa tre
millimetri il materiale lapideo, che migliora comunque la resistenza all’esposizione agli agenti atmosferici ed alle aggressioni fisiche e chimiche;
spazzolatura o anticatura: per gli interni o per particolari impieghi si è sviluppata in questi ultimi anni una finitura chiamata spazzolatura o anticatura. Nel
caso delle rocce granitiche, partendo dalla superficie sottoposta a fiammatura, con
l’ausilio di spazzole e feltri, si lisciano solo una parte delle rugosità superficiali con
una patina lucida che conferisce al materiale un aspetto antico;
superficie da lavorazioni a rasamento: superficie di varia finitura ottenuta tramite il passaggio ripetuto di mole abrasive di diversa grana montate su macchine
apposite. Il grado di finitura superficiale è funzione della finezza delle mole abrasive e si distingue in:
- levigatura grossa, dal primo ciclo di rasamento con piatto abrasivo a grana
60;
- levigatura media, dopo il successivo trattamento con piatto abrasivo a grana
120;
- levigatura fine, con piatto abrasivo a grana 220;
superficie satinata: ottenuta dopo vari trattamenti con piatto abrasivo a grana
400, piatto di gommalacca e spuntiglio ventilato;
superficie lucida: ottenuta con un disco di feltro e l’applicazione di lucidanti, oppure con piombo in fogli e piatti speciali. La levigatura elimina progressivamente
qualsiasi asperità o rugosità della roccia granitica, lascia però ancora opache e
piuttosto chiare le colorazioni. Solo la lucidatura ravviva i cromatismi, esaltando
la grana e la venatura della pietra, ma aumentando, assieme alla luminosità, anche il contrasto tra i vari componenti cromatici della roccia, con la predominanza
dei colori scuri. Chiudendo tutti i pori della superficie e rendendola particolarmente liscia, questo processo permette alla pietra di contrastare meglio i possibili
difetti derivanti dagli attacchi superficiali di origine chimica;
superficie da lavorazioni ad urto: si ottiene tramite la percussione di diversi
utensili sulla superficie in vista della roccia granitica. Secondo il tipo di utensile e
la profondità della percussione, si otterrà:
- la spuntatura: lavorazione tra le più antiche, di finitura rustica, si ottiene colpendo la superficie con scalpelli di varie dimensioni terminanti quasi sempre a
punta. Vengono a crearsi delle sbrecciature superficiali, che possono dar luogo
ad una spuntatura “grossa”, “media”, o “fine” in base alla frequenza ed alla
forza impiegata nelle percussioni. Questa lavorazione può costituire la base per
ulteriori finiture. I pezzi spuntati venivano molto spesso lavorati sui bordi con
la formazione di una cordella rigata della larghezza di due o tre centimetri, che
permetteva la giustapposizione degli elementi architettonici e ne rafforzava la
valenza estetica;
- la bocciardatura: con un martello a punte piramidali più o meno fitte e di
varia fattura, fin dall’antichità si sono lavorate le superfici dei più svariati ma-
184
nufatti, partendo da superfici con piano naturale o preventivamente spuntato.
La bocciardatura deve necessariamente essere eseguita su pezzi con uno spessore elevato e destinati soprattutto all’esterno, vista la rusticità della finitura
e la forza che deve essere applicata nell’intervento. Le scalfitture della pietra
si presentano a struttura puntiforme, a tessitura più o meno fitta, secondo la
quale si parla di bocciardatura grossa, media e fine;
- la rigatura: ottenuta una volta con la percussione lineare di lastre o manufatti
con l’ausilio di appositi scalpelli, si tende ora, nelle rare occasioni in cui si adotta, a praticare dei tagli poco profondi e di cadenza intorno ai 10 cm con dischi
diamantati;
- la sabbiatura: si tratta di una lavorazione introdotta piuttosto di recente che
consiste nel proiettare a forte pressione un getto di una miscela composta di
sabbia, acqua e altri materiali molto duri. Si avrà così una contenuta ruvidezza della superficie, che esalta le qualità estetiche del materiale. È una tecnica
molto impiegata per la formazione di figure o scritte su lastre, come pure per
la pulitura ed il restauro di parti architettoniche deteriorate.
Le lastre con la superficie così definita sono poi tagliate nelle misure richieste tramite
la segagione con macchine fresatrici di vario genere (a ponte, multidisco) che utilizzano dischi diamantati.
Le coste dei manufatti destinati alle pavimentazioni possono essere bisellate, mentre
gli scalini, le copertine ed altri prodotti possono ancora subire sulle coste la fiammatura, la levigatura, la lucidatura ed altre lavorazioni più elaborate.
Macchine contornatici, copiatrici, sagomatrici, tagliatrici a getto d’acqua sono utilizzate per il taglio, la levigatura, la lucidatura e l’esecuzione dei prodotti a più alto
valore aggiunto. Il tutto è controllato dall’occhio di operatori specializzati, che, con
la manualità acquisita in anni di esperienza tramite l’ausilio di utensili tradizionali
e/o di concezione moderna, provvedono a rifinire ed approntare i materiali per la
commercializzazione.
Particolari di manufatti realizzati in Granito Rosa di Predazzo
(Predazzo)
Prodotti
Le rocce granitiche trentine sono levigabili e lucidabili e sono commercializzate generalmente in lastre di vario genere per pavimentazioni o rivestimenti, sia in interni
sia in esterni. Viste le loro elevate prestazioni in termini di resistenza meccanica,
manutenzione, resistenza agli agenti atmosferici, i “graniti” non temono concorrenti
nell’uso all’aperto, dove forniscono la quasi totalità dei rivestimenti e delle pareti ventilate a rivestimento di intere facciate di edifici anche di grandi dimensioni.
Impieghi interni
Per pavimenti e rivestimenti collocati in opera in ambienti interni sono utilizzate lastre o piastrelle tagliate nelle dimensioni desiderate ed aventi uno spessore ridotto,
sia per contenere il peso gravante sulle strutture sia i costi. Di solito sono preferite
le finiture levigate e soprattutto lucide, in virtù delle doti sia estetiche sia funzionali
(pulibilità) che queste superfici garantiscono. Le lastre sono tagliate nelle dimensioni
richieste, anche le più particolari, oppure seguendo i criteri della produzione standardizzata, di dimensioni codificate in moduli, definiti “modulgranito”.
185
Modulgranito
Rivestimento esterno in Granito dell’Adamello (Tonalite) e
legno
Particolare di finestra in Granito dell’Adamello (Tonalite)
Esempio di utilizzo di Granito dell’Adamello (Tonalite)
Spessore
(mm)
Dimensioni
(mm)
7
150x300
10
300x300
10
300x600
12
400x400
12
457x457
12
600x600
Le rocce granitiche sono utilizzate inoltre per la formazione o il rivestimento di gradinate, costituite da pedate ed alzate, davanzali, zoccolini, battiscopa, copertine, elementi di arredo, pilastri, trabeazioni ed elementi di ornato di vario genere.
La posa in opera è eseguita tramite la costituzione di uno strato di allettamento cementizio o l’utilizzo di collanti appositi.
Impieghi esterni
Pavimentazioni
Nelle adiacenze degli edifici, ma anche per la formazione di piazze o vie di pubblico
passaggio si utilizzano lastre di medio e grosso spessore. All’esterno la finitura superficiale più utilizzata è la fiammatura, talora la bocciardatura o le altre superfici
ricavate con lavorazioni ad urto, sia per ragioni di sicurezza e facilità di calpestio
che di carattere formale ed estetico. Bisognerà comunque tenere presente che queste finiture superficiali attenuano i cromatismi della pietra, rendendoli più chiari
ed opachi e che l’esposizione agli agenti atmosferici e alle attività umane (traffico,
inquinamento) modificano in maniera molto sensibile l’aspetto definitivo delle pavimentazioni. Il valore degli spessori utilizzati varia a seconda del tipo di traffico
(pedonale, carrabile) a cui la pavimentazione è sottoposta, passando da 3 ad 8 e più
cm. La collocazione in opera di questi elementi avviene quasi sempre su strato di
allettamento costituito da malta cementizia.
Rivestimenti
Per la formazione o il rivestimento di murature di tipo grezzo si utilizza il pietrame
grezzo, il bugnato od il tranciato facciavista. Sono prodotti lapidei che sono posti in
opera e giustapposti singolarmente in uno strato di allettamento composto da malta
cementizia. Invece nei rivestimenti di pareti di edifici di grande rilievo sta prendendo
sempre più piede l’impiego di lastre di medie e grandi dimensioni, vista la grande valenza estetica dei materiali, la resistenza alle sostanze inquinanti ed agli agenti atmosferici, la contenuta manutenzione necessaria, la pulibilità, la resistenza all’abrasione
ed il significativo apporto dato all’impermeabilizzazione ed all’isolamento termico
dell’involucro edilizio. Nei rivestimenti sono da preferire rocce granitiche di colore
chiaro, poiché esse riscaldandosi meno nell’esposizione ai raggi solari, hanno minore dilatazione rispetto a quelle scure e, nel caso di posa con imbottitura di cemento,
mimetizzano eventuali efflorescenze sulla superficie. La superficie delle lastre è quasi
sempre utilizzata secondo la finitura levigata o fiammata e le coste rifilate (segate)
186
vengono bisellate (smusso piuttosto consistente ricavato in obliquo sugli spigoli perimetrali in vista).
Parete ventilata
La tecnica che ha preso il sopravvento nell’esecuzione di rivestimenti esterni di
grandi dimensioni è quella della parete ventilata. Sulla struttura portante (solai, pilastri) è ancorata un’intelaiatura di vario tipo in acciaio, che consente un fissaggio
indipendente di ogni singola lastra, permettendo di assorbire eventuali movimenti
differenziati. Si forma così un’intercapedine di larghezza variabile secondo il sistema
di ancoraggio adottato, che svolge una funzione di camino, permettendo di controllare il comportamento termico e la condensa di tutto l’involucro edilizio. Le coste
delle lastre sono lavorate in maniera speciale (fori, intagli e fresature particolari) in
conformità al tipo di ancoraggio prescelto.
Elementi di completamento e di arredo per l’edilizia
Per il completamento e l’abbellimento degli edifici, l’industria lapidea trentina mette
a disposizione parecchi prodotti anche eventualmente eseguiti su misura o a disegno,
quali pilastri e trabeazioni, contorni di finestre, colonne, tavoli, oggetti di arredamento aventi varie possibili lavorazioni e finiture superficiali.
Monumento a Dante Alighieri. Basamento in Granito Rosa di
Predazzo, piazza Dante (Trento)
Elementi per l’arredo urbano
Fin dall’inizio dell’attività estrattiva e di lavorazione, una particolare attenzione è
stata dedicata alla produzione di manufatti per la finitura di opere stradali e per
l’arredo urbano. Le cordonate stradali nelle varie lavorazioni (bocciardate, fiammate,
fresate, a spacco) di larghezza variabile tra 10 e 15 cm, servono per la formazione di
marciapiedi o per la delimitazione dei percorsi carreggiabili e pedonali. I plinti e le
lastre di grosso spessore per la formazione di passi carrai completano la gamma dei
prodotti per le bordature stradali, assieme a prodotti speciali quali bocche di lupo,
chiusini, cunette stradali. Inoltre sono in produzione lastre di spessore appropriato
per la formazione di percorsi pedonali o carreggiabili (trottatoie) o per la pavimentazione di superfici estese quali piazze o vie cittadine. Per le pavimentazioni urbane si
è sviluppata la produzione e la commercializzazione di cubetti e ciottoli di roccia granitica, in varie pezzature, da scegliere secondo il grado di usura a cui sarà sottoposta
la pavimentazione. Per le delimitazioni a raso si usano i binderi, elementi a forma di
parallelepipedo da collocare in opera su strato di allettamento di malta cementizia.
Fontane, panchine, caditoie, canalette per lo scolo delle acque, elementi speciali di
arredo urbano, completano la vasta gamma dei prodotti dedicati agli esterni.
187
188
Pietre magmatiche effusive
Costituiscono il comparto estrattivo di gran lunga più importante del Trentino, in attività da secoli, prima per la produzione di materiale da costruzione e di copertura, in
seguito anche e soprattutto per la lavorazione di manufatti destinati alla collocazione
negli spazi esterni degli edifici e dei centri abitati. In questo comparto sono impiegati
direttamente circa 1.600 addetti e la sua produzione raggiunge ormai tutti e cinque
i continenti.
I principali litotipi di origine effusiva estratti in Trentino sono rappresentati da:
• Porfido Trentino Lastrificato;
• Porfido Trentino a Blocchi.
Porfido Trentino Lastrificato
Piazza pavimentata con cubetti e lastre in Porfido Trentino
Lastrificato. Cortina d’Ampezzo (Belluno)
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato e ciottoli
(Trento)
Nella valle di Cembra o nelle sue immediate adiacenze è ubicata la quasi totalità delle
attività di estrazione e di lavorazione del porfido. Le attività di estrazione interessano
in ordine di importanza i comuni di Albiano, Fornace, Lona-Lases, Baselga di Piné,
Cembra, Trento, Capriana, Giovo. Questi giacimenti sono caratterizzati dall’affioramento di materiale porfirico che presenta delle fessurazioni tendenzialmente parallele, che percorrono tutte le formazioni rocciose, facilitando le attività di estrazione
e rendendo conveniente la coltivazione delle cave. Il fronte di una cava di porfido
lastrificato si presenta sia strutturalmente che cromaticamente molto difforme alle
varie quote, percorso da tagliate ed infiltrazioni molto complesse. In maniera più
accentuata nel “cappello” (parte sommitale del giacimento), ma anche in tutti gli altri
gradoni, fino alla scala dei decimetri, si notano delle frequenti diversificazioni cromatiche, dalla gamma dei grigi a quella dei rossi. La superficie della pietra è talora, in
tutto o in parte, cosparsa di ossidi resistenti che colorano di singolari tonalità la pietra
stessa. L’uniformità cromatica è dunque praticamente impossibile nel porfido lastrificato: si può parlare di colorazioni con prevalenza della gamma dei grigi, oppure di
quella dei rossi, ma molto più spesso il colore della superficie è piuttosto assortito
con la presenza di tonalità anche vicine al giallo, al verde, al violaceo, al marrone ed
altre ancora.
La superficie naturale derivante dall’apertura delle fessurazioni si presenta ruvida al
tatto, talora con qualche asperità od avvallamento più accentuati. Essa è considerata
unanimemente dai tecnici come uno dei più sicuri piani di calpestio, considerato l’ottimo comportamento in ogni condizione ambientale.
Gli spessori delle lastre con piano naturale, derivando direttamente delle naturali fessurazioni presenti nella roccia, non saranno quasi mai uniformi. Si dovrà perciò specificare una tolleranza nello spessore che di solito rientra nel margine di tre centimetri.
Questa pubblicazione si limita a prendere in considerazione solo gli aspetti principali
delle attività legate al porfido trentino, rimandando, per gli specifici approfondimenti,
alle pubblicazioni curate dall’ESPo - Ente Sviluppo Porfido - Albiano quali “Il Manuale
del Porfido” e “La posa in opera del Porfido” citati in bibliografia.
189
Pavimentazione in cubetti di Porfido Trentino Lastrificato.
Palazzo della Regione Trentino-Alto Adige (Trento)
Deposito di Porfido Trentino Lastrificato prima della
lavorazione (Albiano)
Tecniche di estrazione e lavorazione
Le cave sono coltivate a gradoni di altezza variabile da 10 a 30 m. L’abbattimento
della materia prima avviene tramite il brillamento di mine piane, disposte alla base
del gradone, in modo da “tagliare” il piede della parete sovrastante. Il porfido così
abbattuto è selezionato dapprima grossolanamente con pale meccaniche e quindi in
maniera più accurata da operatori, che provvedono manualmente alla cernita. Essa
consiste nella suddivisione, con l’ausilio di mazzette e cunei appuntiti, dei blocchi e
delle lastre singole, sfruttando le fessurazioni naturali, localmente definite “lassi”,
presenti nella roccia. I manovali procedono poi alla selezione delle lastre sulla base
degli spessori, della pezzatura e della qualità della roccia. Dalle lastre più sottili di
spessore di 2 - 6 cm si ottengono piastrelle e lastrame (opera incerta, palladiana),
da quelle di spessore medio, intorno ai 5 - 10 cm, sono prodotte piastrelle e cubetti,
mentre da quelle a spessore maggiore, binderi, cordoli ed altri lavorati.
Da questa prima fase di cernita si ottengono dei semilavorati grezzi così distinti:
• lastrame sottile (spessore 1 - 3 cm): prodotto finito pronto per la commercializzazione;
• lastrame normale (spessore 2 - 5 cm): prodotto finito pronto per la commercializzazione;
• lastrame gigante sottile (spessore 2 - 4 cm): prodotto finito pronto per la commercializzazione;
• lastrame gigante (spessore 3 - 7 cm): prodotto finito pronto per la commercializzazione, oppure materia prima per la produzione di piastrelle tranciate o segate;
• grezzo da cubetti: materia prima per la produzione dei cubetti;
• grezzo da binderi: da cui si ricavano i “binderi” ed i prodotti per la costruzione od
il rivestimento di murature (bugnato, tranciato);
• lastre da sega: da cui si ricavano piastrelle segate, pedate, copertine;
• blocchi da sega: materia prima per ricavare cordonate, masselli, lavorati vari.
I prodotti grezzi sono lavorati in capannoni nelle immediate vicinanze dei luoghi di
estrazione, mentre le lastre di dimensioni più grandi sono trasportate in laboratori
attrezzati, dove sono segate tramite fresatrici ed altre attrezzature simili a quelle che
servono per lavorare le rocce granitiche.
Dai pezzi più piccoli e di spessore variabile tra 4 e 10 cm si ricava il prodotto più conosciuto e più caratteristico: il cubetto. Sottoposta all’azione di compressione idraulica di due o più taglienti, la roccia è ridotta ad una forma grossolanamente cubica, anche con dei ritocchi eseguiti a mano tramite l’azione di mazzette particolari. Ciò che
determina la pezzatura del cubetto è lo spessore della materia prima: se, ad esempio,
lo spessore fosse di cinque centimetri, il cubetto dovrà avere delle dimensioni dei lati
tali da farlo rientrare nelle pezzatura cosiddetta 4/6, mentre se fosse di 10 cm dovrà
diventare un cubetto di pezzatura 8/10.
Dal lastrame gigante e dal grezzo per piastrelle si ottengono le piastrelle, che sono
lastre con piano naturale, squadrate in forma quasi sempre rettangolare e bordi che
possono essere tranciati o segati. Le lastre tranciate derivano dalla spaccatura a compressione eseguita da apposite macchine dotate di una doppia fila di taglienti a forma
di cuneo con la punta in materiale estremamente resistente, che agiscono sia sulla
superficie superiore sia su quella inferiore. Si può pertanto dire che queste lastre sono
sottoposte già in queste prime lavorazioni ad un severo collaudo.
190
Macchine di questo genere, ma di maggior potenza, sono usate anche per la produzione dei binderi e dei tranciati facciavista.
Le piastrelle con i bordi segati sono tagliate con fresatrici generalmente a ponte e
ridotte alle dimensioni richieste con l’utilizzo di dischi diamantati.
Dalle lastre da sega sono prodotti i pezzi a più alto valore aggiunto, quali i gradini,
le copertine, i davanzali, sempre con superficie naturale e coste che possono essere
segate, spaccate, fiammate. I blocchi da sega sono dei blocchi informi, di solito di
dimensioni contenute, da cui si possono ottenere pezzi per lavorazioni a massello,
cordonate e lastre a piano artificiale nei vari spessori. Le superfici artificiali del porfido sono: piano telaio, piano telaio acidificato, piano disco, fiammato, spazzolato,
sabbiato, bocciardato, levigato, lucidato. I diversi tipi di finitura sono ottenuti con
procedimenti produttivi molto simili a quelli già descritti per le rocce granitiche.
Strada pedonale in “smolleri” in Porfido Trentino Lastrificato,
lastre in Verdello e Rosso Trento (Albiano)
Prodotti
Il Porfido Trentino Lastrificato, viste le sue ottime caratteristiche sia estetiche sia di
resistenza fisico-meccanica, nonché di sicurezza del piano naturale di calpestio, trova grande applicazione soprattutto per la formazione ed il rivestimento di superfici
esterne, a destinazione sia pubblica sia privata. A questo scopo, ormai secolare, si è
consolidata una serie di prodotti adatti a coprire quasi tutte le necessità: manufatti
per il contenimento e la delimitazione, per la pavimentazione vera e propria, per la
formazione di gradini, copertine ed altre finiture.
Impieghi esterni
Pavimentazioni
Come già ricordato il manufatto di gran lunga più utilizzato e famoso in tutta Europa
quale elemento per la pavimentazione è il cubetto. Si calcola che annualmente ne
sono prodotti più di 140.000 t, sufficienti per pavimentare 1.000.000 m². I cubetti
sono distinti in varie pezzature in base agli spessori della lastra grezza da cui sono
ricavati. Le pezzature più piccole si utilizzano per pavimentare superfici sottoposte a
traffico pedonale e carrabile leggero; quelle di medie dimensioni per superfici sottoposte a traffico medio e pesante; le pezzature più grosse svolgono anche la funzione
di perimetrazione (bordi per alberature, delimitazione di aiuole)
Pezzature tradizionali dei cubetti in porfido
Altezza
(cm)
Massa per unità
di superficie
(kg/m² circa)
Pezzi per unità
di superficie
(n/m² circa)
Tipo
Dimensioni di testa
(cm)
4-6
4-7
4-6
90 - 100
290 - 300
6-8
6-9
5,5 - 8
130 - 140
155 - 160
8 - 10
8 - 12
7,5 - 11
180 - 200
95 - 100
10 - 12
10 - 14
10 - 13
200 - 250
63 - 67
12 - 14
12 - 16
12 - 15
250 - 300
44 - 47
14 - 18
14 - 18
14 - 20
300 - 350
27 - 31
Tranciatura di lastre di Porfido Trentino Lastrificato
191
Accanto a quelle tradizionali si sono sviluppate in questi ultimi anni altre tipologie di
pezzature, ad esempio 10x10 cm e 8x8 cm, che soddisfano esigenze legate alla formazione di figure particolari (file parallele, file ortogonali).
Altro elemento per la pavimentazione estremamente conosciuto è il già ricordato
lastrame irregolare (detto anche opera incerta, palladiana, mosaico). Esso si caratterizza per la faccia superiore a piano naturale ed i bordi spaccati in maniera irregolare. Questo prodotto è utilizzato quasi esclusivamente per la pavimentazione di aree
pedonali sia ad uso pubblico (vialetti, marciapiedi e camminamenti di giardini) che
privato (cortili, camminamenti). Talora, soprattutto negli spessori sottili, si usa per il
rivestimento di murature e basamenti.
Particolare di pavimentazione in cubetti di Porfido Trentino
Lastrificato. Progetto Mario Botta
Pezzature tradizionali del lastrame irregolare in porfido
Tipo
Dimensioni diagonale
(cm)
Spessore
(cm)
Sviluppo
superficie per
unità di massa
(m²/t circa)
Massa per unità di superficie
con fughe < 2,5 cm
(kg/m² circa)
normale
20 (minima)
35 (media)
2-5
11,50
90
sottile
20 (minima)
35 (media)
1-3
16,70
60
gigante
40 (minima)
55 (media)
3-7
10
105
gigante sottile
40 (minima)
55 (media)
2-4
13,00
75
Da sempre utilizzate, ma in grande espansione in questi ultimi decenni, sono le piastrelle
di porfido, aventi la superficie a piano naturale e le coste tranciate. Si ottengono dallo
spacco a compressione delle lastre semigrezze preselezionate in base alla pezzatura ed
allo spessore. Quest’ultimo determina la suddivisione delle piastrelle in due grandi categorie: le piastrelle normali, di spessore variabile tra 2 e 5 cm, adatte ad un traffico di tipo
pedonale o al massimo carrabile leggero, e quelle grosse, di spessore da 5 ad 8 cm, adatte
a sopportare un traffico pesante. Le piastrelle sono di foggia squadrata e presentano i lati
paralleli, con un centimetro di tolleranza, essendo la lavorazione a spacco piuttosto rustica e bisognosa spesso di essere corretta manualmente. Normalmente sono prodotti pezzi
di larghezza variabile di 5 in 5 cm, e più precisamente da 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40 cm.
La lunghezza invece è “a correre” che nella terminologia produttiva significa variabile da
un minimo, pari alla larghezza, ad un massimo, non superiore al doppio della larghezza.
Su ordinazione è anche possibile ottenere partite di piastrelle a misura fissa.
Anche le piastrelle con coste segate si ottengono dalla pietra precedentemente descritta. Il taglio però è effettuato dalle macchine fresatrici tramite un disco ad inserti
diamantati. Primo elemento di distinzione è anche in questo caso lo spessore delle
lastre grezze, che determina la classificazione in lastre con spessori variabili da 2 a 5
cm per traffico pedonale e carrabile molto leggero, da 4 a 7 cm indicate per superfici
a traffico leggero, da 5 a 8 cm o più per traffico pesante.
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato. Progetto R.
Piano B. W. (Parma)
192
Pezzature tradizionali delle piastrelle tranciate
Spessore (cm)
Tipo
Larghezza
(cm)
Normale
Grosso
10
10
2-5
5-8
15
15
2-5
5-8
20
20
2-5
25
25
30
Lunghezza
Massa (kg circa)
Normale
Grossa
a correre
100
160
a correre
100
160
5-8
a correre
100
160
2-5
5-8
a correre
100
160
30
2-5
5-8
a correre
100
160
35
35
2-5
5-8
a correre
100
160
40
40
2-5
5-8
a correre
100
160
Per quantitativi limitati è possibile ottenere anche pezzature maggiori od a misura
fissa.
Per superfici in forte pendenza, costituendo un piano di calpestio piuttosto ruvido,
sono particolarmente usati anche gli “smolleri”. Sono elementi aventi forma irregolare, ma con la testa superiore squadrata a spacco, lunghezza ed altezza variabili. Essi
sono collocati generalmente su strato di allettamento costituito da sabbia e posizionati a “coltello” (come dei libri su uno scaffale), in file parallele molto strette e solidali
o, molto più raramente, a spina di pesce.
Viale in cubetti di Porfido Trentino Lastrificato (Dobbiaco)
Rivestimenti
Come già ricordato, da lungo tempo il porfido è utilizzato, soprattutto nelle vicinanze
dei bacini di estrazione, per la costruzione di muri a secco, al punto che recenti studi
hanno misurato in circa 20.000 km i muri di pietrame grezzo di porfido costruiti
secondo la tecnica del muro “a secco” nel corso dei secoli dai contadini della valle di
Cembra. Muri che continuano ad essere realizzati o restaurati con gli stessi materiali
e secondo le stesse tecniche o con l’aggiunta di malta cementizia quale legante nelle
parti più interne e non in vista.
Per la formazione di muri stradali o simili è prodotto il bugnato facciavista, mentre
per un rivestimento meno rustico è utilizzato il tranciato facciavista avente minori
profondità e bugnatura, come specificato nella sottostante tabella.
Elementi per la formazione e/o il rivestimento di murature
Bugnato facciavista
Tipo
Altezza
(cm)
Lunghezza
Profondità
(cm)
Massa per unità di superficie
(kg/m² circa)
10 - 15
10 - 15
a correre
10 - 25
300
12 - 20
12 - 20
a correre
10 - 25
350
15 - 25
15 - 25
a correre
10 - 25
400
8 - 14
8 - 14
a correre
4 - 13
230
15 - 20
15 - 20
a correre
4 - 13
280
Tranciato facciavista
Tipo
Rivestimento verticale in tranciato “faccia a vista” in Porfido
Trentino Lastrificato. Biblioteca Comunale (Albiano)
193
Vista la straordinaria resistenza del porfido all’usura per attrito radente, dimostrata
oltre che dalle prove fisico-meccaniche, anche dall’esperienza secolare, lastre di notevoli spessore e dimensioni sono adoperate per la costruzione ed il rivestimento di
alvei di fiumi, torrenti e canali, per la formazione di briglie.
Per il rivestimento di basamenti e murature in genere si possono utilizzare elementi
come lastrame irregolare di solito del tipo “sottile”, piastrelle sottili squadrate a spacco o segate, lastre a spessore regolare con superficie fiammata, levigata, lucidata.
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato
(Cortina d’Ampezzo)
Elementi di completamento e di arredo per l’edilizia
Una pavimentazione esterna deve essere contenuta all’interno di elementi che delimitano e consolidano le parti perimetrali più sottoposte a sollecitazioni. A questo scopo
sono prodotti cordoli di vario spessore (da 6 a 15 cm) con le parti in vista sottoposte
a varie finiture (a spacco, segate, bocciardate, fiammate). Questi prodotti servono per
la formazione di marciapiedi, di aiuole, di piccole gradinate e scale esterne.
Principali tipi di cordonate in produzione
Tipo
A SPACCO, fianchi piano
naturale, testa superiore a
spacco
TESTA
SEGATA,
(E/O
BOCCIARDATA),
fianchi
piano naturale
Spessore
(cm)
Lunghezza
Altezza
(cm)
5
25
6
35
7
40
8
a correre
22 - 30
55
10
65
12
85
5
25
6
35
7
40
8
9
a correre
22 - 30
55
65
85
15
120
12
65
a correre
22 - 30
15
BOLZANO
45
12
10
TESTA PIANO NATURALE,
fianchi segati
45
9
10
Rivestimenti in Porfido Trentino Lastrificato
Massa per unità lineare
(kg/m)
12
15
85
120
a correre
22 - 30
85
120
A completamento di questa gamma di prodotti, sono forniti anche pezzi speciali per i
passi carrai e le soglie di accesso. Per delimitazioni meno importanti si usano i binderi: pezzi a forma di parallelepipedo con testa superficiale (da 10 a 14 cm) ed altezze
(da 5 a 20 cm) di varie dimensioni, che vengono di solito posizionati alla stessa quota
(a raso) della pavimentazione.
194
Principali tipi di binderi in produzione
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato
Tipo
Larghezza
(cm)
Lunghezza
(cm)
Altezza
(cm)
Massa per unità lineare
(kg/m)
18
da 10 basso
10
a correre
5-8
da 10 normale
10
a correre
8 - 11
22
da 12 normale
12
a correre
10 - 15
35
da 12 gigante
12
a correre
15 - 20
60
da 14 gigante
14
a correre
15 - 20
70
Con l’avvento di nuove macchine, adattate da quelle utilizzate per le rocce granitiche,
è stato possibile usare lo stesso materiale sia per completare gli esterni (rivestimento
di gradinate con pedate ed alzate, copertura di muri con copertine), sia per definire le
superfici od i manufatti edilizi interni, quali scalinate, contorni di finestre, pavimenti
lucidi, davanzali e quant’altro. Le lavorazioni delle superfici artificiali (piano telaio,
piano disco, a spacco termico, spazzolato, bocciardato, levigato, lucidato) sono molto
simili a quelle già descritte per le rocce granitiche, anche per quanto riguarda la finitura delle coste. Da segnalare l’ottima lavorabilità del porfido per quanto riguarda
la fiammatura che rende possibile un passaggio quasi impercettibile dalla finitura
naturale a quella artificiale permettendo, sugli angoli, sugli spigoli e sulle superfici in
generale, finiture impensabili negli altri materiali lapidei.
Elementi per l’arredo urbano
Il settore dell’arredo urbano ed in generale dell’architettura del paesaggio è da sempre l’ambito in cui i lavorati di porfido trovano maggiore utilizzo.
A completamento delle pavimentazioni realizzate in cubetti o lastre, l’industria ha
messo a disposizione degli operatori una serie di prodotti, quali lastre di dimensioni
e spessori appropriati per la formazione di cunette stradali o trottatoie, elementi di
copertura di chiusini e caditoie per le acque piovane, paracarri, fittoni, dissuaditraffico di varie fogge e dimensioni, fontane e vasche per fioriere.
Impieghi interni
A diretto contatto con l’esterno in un continuum esteticamente molto interessante,
sempre più spesso si ricorre all’utilizzo di porfido anche negli interni. In ambientazioni particolari possono essere utilizzati ancora elementi a piano naturale (piastrelle
segate, lastrame, cubetti), oppure con la superficie levigata e/o lucidata in opera,
oppure già pretrattata in laboratorio. Di particolare effetto risultano le superfici pavimentate con cubetti di porfido e quindi levigate e lucidate in opera.
Del tutto singolare nel panorama lapideo è la finitura superficiale cosiddetta “semilucida”. Partendo da lastre di porfido con piano naturale, si procede in laboratorio
alla levigatura ed alla successiva lucidatura delle parti più in rilievo, lasciando il resto
allo stato naturale. Un’accorta posa in opera dovrà poi far esaltare l’alternanza delle
superfici lucide e grezze, provocando un gradevole e brillante contrasto di luci ed
ombre.
Pavimentazione in lastre in Porfido Trentino Lastrificato
(Città del Vaticano)
195
Porfido Trentino a Blocchi
Uso del Porfido Trentino Latrificato in un’opera architettonica
di Mario Botta
Nella cava di porfido in località Forte Buso nel territorio di Predazzo il fronte si presenta invece compatto, sono infatti assenti le fessurazioni proprie del porfido cembrano. Questo tipo di porfido subisce dei processi di estrazione e lavorazione molto
simili a quelli descritti per le rocce granitiche. Il materiale è ridotto in blocchi da
telaio o da tagliablocchi. Da questi sono poi ricavate lastre aventi gli spessori richiesti.
La superficie delle lastre da blocco è dunque sempre artificiale, vale a dire levigata,
lucida, fiammata. Soprattutto nella finitura fiammata, le lastre sono un perfetto completamento della gamma dei prodotti di Porfido Trentino a Blocchi, andando a colmare una mancanza del Porfido Trentino Lastrificato. Possono essere forniti gradini e
lavorati di qualsiasi genere, copertine, cordonate, pezzi speciali per la decorazione di
edifici e per l’arredo urbano, di dimensioni e lavorazioni simili alle rocce granitiche
ed alle pietre carbonatiche. Così con il Porfido Trentino a Blocchi è possibile far fronte
a qualsiasi richiesta dell’edilizia sia per gli esterni sia per gli interni.
Tecniche di estrazione e lavorazione
La cava di Forte Buso (Predazzo) è coltivata in maniera molto simile a quelle in cui
si cava la roccia granitica. Si ottengono cioè blocchi da telaio, oppure informi per la
tagliablocchi; anche i processi di lavorazione sono pressoché uguali.
Prodotti
Similmente alle rocce granitiche, anche i blocchi di porfido di Predazzo sono ridotti
in lastre delle misure richieste. Le lastre di maggior pregio sono utilizzate per la formazione di manufatti a più alto valore aggiunto, quali gradini, costituiti da pedate ed
alzate, contorni di porte e finestre, copertine, pavimenti fiammati o lucidi. Dai blocchi
di dimensioni e qualità inferiori invece si ricavano solitamente cordonate stradali di
vario tipo e lavorazione e manufatti di minor pregio. Come già ricordato, i processi di
produzione e di lavorazione del Porfido Trentino a Blocchi sono in tutto simili a quelli
già descritti per le rocce granitiche.
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato
nella residenza reale di Tunisi
Acciottolato in porfido trentino (Trento)
196
197
198
Guida pratica all’utilizzo
199
Porfido Trentino Lastrificato
Porfido Trentino a Blocchi
Giallo Mori
Rosso Trento
Rosa di Terlago
Verdello
Granito dell’Adamello (Tonalite)
Granito di Cima d’Asta
Granito Rosa di Predazzo
Fiorino Filippi
Criteri di scelta
Le motivazioni, che scaturiscono direttamente dall’intuizione progettuale e che spingono
un progettista ad utilizzare prodotti lapidei nel proprio lavoro, derivano strettamente dalle
qualità estetiche della pietra e dalla sua possibilità di resistere alle sollecitazioni e al tempo,
nonché da fattori economici, da motivi legati alle lavorazioni ed alla posa in opera ed alla
facilità di manutenzione. È perciò necessario che il progettista sia a conoscenza delle specifiche caratteristiche tecniche del materiale, dei suoi pregi o difetti, come pure del fatto che il
prodotto lapideo non è un prodotto industriale, identicamente ripetibile, ma che è originato
da processi naturali, che lo rendono molto spesso imprevedibile. Gli elementi lapidei, infatti, una volta collocati in opera, sono sottoposti a svariate sollecitazioni di tipo meccanico
(carichi permanenti, attriti, dilatazioni termiche, azione degli eventi atmosferici), fisico
(insolazione, gelività, salsedine), chimico (ossidazioni, acqua, inquinamento atmosferico),
biologico (muschi, licheni, piante superiori) che possono produrre danni più o meno gravi,
agendo in modo isolato o, molto più spesso, concomitante.
La resistenza
Uno degli aspetti più importanti per la scelta di un litotipo è il grado di resistenza a
tutto ciò che può deteriorare, alterare, modificare le caratteristiche fisico-meccaniche
e le proprietà cromatiche ed estetiche originarie. Nella valutazione va così considerato l’utilizzo preciso, la resistenza all’usura, le condizioni climatiche nel luogo d’impiego (senza dimenticare che molto influiscono la tecnica e la qualità della posa in opera,
lo strato di supporto, il sistema di drenaggio).
Relativamente alla resistenza, rapportata alle caratteristiche fisico-meccaniche dei
materiali, vi è una precisa normativa (riportata nello specifico capitolo di questo volume) che prescrive le prove necessarie per la certificazione CE.
Pagina precedente
Pavimentazione e fontana in Porfido Trentino Lastrificato
e Rosso Trento, piazza Cesare Battisti (Rovereto)
Resistenza al traffico
Una pavimentazione esterna è sottoposta a sollecitazioni derivanti da un uso che
può essere molto diverso: pedonale, ciclabile, carrabile leggero o pesante. Pertanto,
nella progettazione e nella realizzazione dei diversi percorsi, si dovrà tener conto
di determinati requisiti tecnico-funzionali di resistenza. Va inoltre considerato che
superfici previste e quasi sempre utilizzate come pedonali possono essere usate da
automezzi (vigili del fuoco, nettezza urbana). Il traffico previsto determinerà la scelta
della pavimentazione e di cordonate, delimitazioni, pozzetti, chiusini, indispensabili
per un corretto utilizzo degli spazi interessati. Sono proprio queste ultime le parti più
soggette a deformazioni e degrado. È indispensabile quindi che la pavimentazione sia
prevista e realizzata con un livello di resistenza uniforme in ogni sua singola parte.
Esistono delle norme che regolano la standardizzazione, le caratteristiche, la costruzione, la qualità e le tipologie di messa in opera del drenaggio di tipo lineare (DIN
19580) e di tipo puntiforme (DIN 1213 e DIN 19599).
201
Resistenza all’usura (sollecitazioni statiche e dinamiche, attrito)
L’usura è la riduzione di massa provocata dall’attrito. Si verifica sulle pavimentazioni
a causa dell’attrito determinato dalla necessità dei diversi corpi di modificare il proprio stato inerziale sia statico sia dinamico. Devono essere pertanto valutate attentamente le possibili modificazioni causate dalla partenza, dal movimento, dalla frenata
dei veicoli su ruote, oppure dal semplice calpestio delle persone.
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato, Piazza
Municipio di Puos D’Alpago (Belluno)
Resistenza alla gelività
Per gelività s’intende il processo di alterazione di un materiale in conseguenza delle
sollecitazioni prodotte dalla transizione dell’acqua dallo stato liquido a quello solido e viceversa. Il primo passaggio determina un aumento del volume della materia
(circa il 9%) che causa disgregazione della struttura materica, riscontrabile a disgelo
avvenuto sotto forma di distacco di particelle o di formazione di microfessurazioni
e incrinature. Il manufatto lapideo, se impiegato in ambienti esterni, deve essere in
grado di resistere a questo tipo di sollecitazioni.
Resistenza all’urto
Questo requisito è molto importante nelle pavimentazioni, nelle scale, nei rivestimenti di basamenti e zoccolature e in tutti quegli spazi in cui si svolgono attività che comportano pericolo di urti e cadute di oggetti pesanti. Le rocce a grana fine ed omogenea
di solito hanno prestazioni migliori, mentre quelle composte ed eterogenee, oppure
quelle in cui siano presenti cavità e vacuoli, sono da considerare senz’altro più fragili.
In tutti i casi sarà opportuno predisporre materiale di scorta affinché sia possibile
sostituire gli elementi eventualmente danneggiati.
Pavimentazione pedonale in Porfido Trentino Lastrificato
(Roverè della Luna)
Resistenza agli agenti chimici
È la capacità di un materiale lapideo di resistere alle aggressioni prodotte da acqua,
ossigeno, anidride carbonica, inquinamento atmosferico. Agenti che deteriorano le
proprietà fisiche, cromatiche ed estetiche dei materiali.
Resistenza all’invecchiamento
Una buona progettazione e una posa in opera appropriata possono sopperire all’azione deteriorante del tempo, riuscendo addirittura a conferire ai materiali ed ai luoghi
una “patina” suggestiva che sa di storia e di tradizione. Una periodica manutenzione e pulizia di strade o superfici lapidee possono apportare un notevole contributo
alla loro gradevolezza estetica. Basti pensare alle condizioni in cui sono lasciate
tante strade e piazze pavimentate in cubetti di porfido, quando con manutenzioni
semplicissime (sostituzione degli elementi deteriorati, spargimento di sabbia sulla
superficie) si potrebbero recuperare sia funzionalmente sia esteticamente con grande
risparmio economico.
202
Grado di significatività delle caratteristiche fisico-meccaniche dei prodotti lapidei in
relazione al tipo di impiego
Caratteristiche
fisicomeccaniche
Pavimentazioni
Rivestimenti
Scale
Coperture
Elementi
strutturali
●
●
●
●●●
●●●
●●●
●
●
●●
●●●
●
●●●
●●●
●
●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●
●
●●●
●
●
●●●
●
●●
Microdurezza
Knoop
●●●
●●●
●
●
●●
●●
●
●
Coefficiente di
imbibizione
●●●
●●
●●●
●●
●●
●●
●●●
●
●●
●●
●●●
●
●●
●●
●●
●●
Resistenza al gelo
●●●
●
●●●
●
●●
●●
●●●
●●●
Resistenza
all’usura
●●●
●●●
●●
●●
●●●
●●●
●
●●●
Dimensioni e
forme
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
Esterno
Interno
Esterno
Interno
Rivestite
A
sbalzo
Denominazione
petorgrafica
●
●
●
●
●
Massa volumica
apparente
●●●
●●●
●●●
●●●
Resistenza a
compressione
●●●
●●
●●
●●
●●
●●●
Resistenza a
flessione
Resistenza all’urto
Modulo elasticità
normale
Coefficiente
di dilatazione
termica
Grado di significatività:
●●●
caratteristica fondamentale
●●
caratteristica facoltativa, da controllare in relazione all’impiego
●
caratteristica non significativa
Elaborazione da “Tecniche di posa del marmo”, opera citata.
203
Grado di significatività delle prestazioni dei prodotti lapidei in relazione al tipo d’impiego
Prestazioni
Rivestimenti
Pavimentazioni
Scale
Esterni
Interni
Esterni
Interni
Rivestite
Resistenza agli agenti atmosferici
●●●
●
●●●
●
●●
A sbalzo
●●
Resistenza agli sbalzi termici
●●●
●●
●●●
●●
●●
●●
Resistenza agli agenti chimici
●●●
●●
●●●
●●
●●
●
Resistenza a rottura degli ancoraggi
●●●
●●●
●
●
●
●●●
Adesione del rivestimento al
supporto
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●●
Portanza dei sistemi di ancoraggio
●●●
●●●
●
●
●
●●●
Resistenza ai fenomeni di tipo
sismico
●●●
●●●
●
●
●
●●●
●
●
●●●
●●●
●●●
●●●
●●
●●
●●
●●
●●●
●●●
Isolamento termico
●●●
●
●●
●●
●
●
Controllo della condensazione
●●●
●
●
●●●
●●
●●
Resistenza allo scivolamento
Stabilità dimensionale
●●
●●
●
●
●
●
●
●●
●
●●●
●●●
●●●
Permeabilità all’aria
●●●
●●
●
●
●
●
Tenuta all’acqua
●●●
●
●●
●●●
●
●
●●
●●
●●
●●
●●
●●
●
●●●
●
●●●
●●●
●●●
Controllo dei rumori aerei
Controllo dei rumori d’impatto
Resistenza al fuoco
Pulibilità
●●●
●●
●●●
●●
●●
●●
Asetticità
●
●●
●
●●●
●●
●●
Antistaticità
●
●
●
●●
●
●
Manutenibiltà
Grado di significatività:
●●●
prestazione fondamentale;
●●
prestazione che acquista significatività in relazione alla destinazione degli ambienti;
●
prestazione poco o per nulla significativa.
Elaborazione da “Tecniche di posa del marmo”, opera citata.
Ragioni formali e percettive
Non meno importanti nella scelta dei materiali lapidei da parte del progettista sono
gli aspetti estetici e percettivi, che più si addicono all’anima ed all’immagine del luogo. Ciò riguarda prevalentemente la sfera emozionale e soggettiva, discriminando tra
proprietà e requisiti non sempre del tutto definibili.
Colore
Ciò che colpisce immediatamente l’occhio di un qualsiasi osservatore alla vista di
una pavimentazione o di un rivestimento è il suo aspetto cromatico, che è colto con
un’immediatezza quasi irrazionale, anche se magari è il frutto di una concatenazione
di percezioni ed emozioni.
204
La colorazione di una pietra è determinata dalla sua composizione mineralogica e
granulometrica e dalla presenza di venature. Ma molto spesso è sostanzialmente influenzata anche dal cromatismo di varie sostanze chimiche, presenti nell’intera massa rocciosa in forma diffusa o sulle sue parti superficiali come patina persistente. Si
definiscono monocrome le rocce che presentano dei cromatismi uniformi, composte
in genere da un solo minerale o, quando siano poliminerali, da elementi a grana molto fine. Sono invece chiamati policromi quei materiali litici che presentano svariate
colorazioni (policromia macchiata, venata, zonata, mista). Anche le lavorazioni influiscono notevolmente sulla percezione cromatica delle pietre: ad esempio, la levigatura
e soprattutto la lucidatura caricano ed esaltano le tonalità dei materiali, mentre le
lavorazioni a spacco (bocciardatura, fiammatura) rendono più chiari e smorti i toni.
Se collocate all’esterno poi, buona parte delle rocce subisce significative alterazioni
cromatiche a causa dell’esposizione agli eventi atmosferici (raggi solari, pioggia,
neve). Talune pietre invece, come ad esempio il porfido, sopportano meglio gli attacchi degli agenti esterni, o addirittura rafforzano le loro qualità estetiche.
L’esposizione a diversi tipi di illuminazione determina una diversa percezione dei
colori. Si pensi ad esempio, per restare sugli esterni, all’effetto di appiattimento e
di accecamento dato dalla forte luce del mezzogiorno, confrontata con i toni caldi,
smorzati, ricchi di vibrazioni di luce ed ombra delle ore mattutine o serali. Condizioni di luce che possono anche diventare il criterio con cui si scelgono le colorazioni
secondo che si tratti di ambientazioni interne od esterne, essendo del tutto diverse le
condizioni di esposizione e di uso delle superfici. Per questo, mentre per gli interni
sono preferiti i litotipi di tonalità più intensa (bianco, rosso, verde), per gli esterni si
prediligono tonalità più neutre e sfumate (grigio, rosa, beige).
Grana
Determinata principalmente dalla composizione granulometrica della roccia, la grana risulta fondamentale nella percezione materica, soprattutto per quanto riguarda i
graniti. Il tipo di granulosità risulta determinante anche nella definizione cromatica.
Eventuali irregolarità granulometriche troppo accentuate o intrusioni di parti a diversa composizione possono rappresentare un difetto.
Venatura
Soprattutto le pietre carbonatiche, ma anche i porfidi, presentano al loro interno o
sulle parti superficiali delle venature di forma e tono variegati, che rendono talora
molto più pregiato il materiale lapideo. Esse possono essere di varia e singolare, talora unica, figurazione, a tessitura regolare oppure del tutto imprevedibile, in campiture uniformi oppure molto disomogenee. Sono da considerare comunque parte costituente e/o integrante del prodotto lapideo e richiedono un’approfondita conoscenza
ed una conseguente accettazione e valorizzazione.
Particolari di pavimentazioni realizzate
in Porfido Trentino Lastrificato
Superficie
Ogni materiale lapideo ha una finitura superficiale ottimale che ne esalta le caratteristiche estetiche. Il porfido trentino ad esempio risulta estremamente valorizzato da
un punto di vista cromatico ed estetico dalla finitura a piano naturale, oppure nelle
finiture artificiali dallo spacco termico (fiammatura) che accentua i cromatismi ed i
205
riflessi chiaroscurali della luce. Il granito trentino risulta utilizzato al meglio nella
finitura fiammata o lucida. Come si è già argomentato altrove, le lavorazioni superficiali possono cambiare anche di molto la percezione cromatica e tattile della pietra:
occorrerà dunque da parte del progettista indagare le soluzioni possibili, tenendo
conto sia delle finalità specifiche sia delle potenzialità espressive della pietra e della
sua durata nel tempo. La finitura lucida, di gran lunga la più adottata soprattutto
nelle pavimentazioni, mette molto in risalto, oltre ai pregi (grana, colore, tessitura)
anche i difetti (alterazioni cromatiche e strutturali). Essa può essere applicata con
ottimi risultati su tutti i materiali, ma, se esposta all’esterno, sulle rocce granitiche e
sui porfidi ha una durata superiore. Ottimi risultati sono anche ottenibili, ad esempio
nel caso di rivestimenti, giocando sulle superfici dello stesso materiale ottenute con
diverse lavorazioni.
Pavimentazione in lastre di Porfido Trentino Lastrificato,
Piazza Municipio (Gargazzone)
Fattori economici
Nella scelta dei materiali è anche molto importante l’aspetto economico, legato ai costi sia di approvvigionamento sia di messa in opera e manutenzione. Buona parte dei
materiali lapidei trentini vanta fonti di escavazione e tradizioni di lavorazione talora
secolari, tali da renderli competitivi con materiali di provenienza estera inizialmente
meno costosi, ma che poi, non garantendo continuità di fornitura e di lavorazioni,
possono creare, sia in cantiere sia nella fase della manutenzione, gravi ed onerosi
problemi. Bisogna anche ricordare che la trattativa di acquisto troppo esasperata
quasi sempre si dimostra controproducente, giacché ne può risentire il livello qualitativo delle forniture. La lavorazione “a regola d’arte” abbisogna di modi e tempi di
lavoro che aumentano i costi iniziali dei manufatti, ma che nella valutazione complessiva delle opere la rendono estremamente conveniente.
Fattori tecnici e legati alla messa in opera
Anche le disposizioni di progetto, le figurazioni, le apparecchiature e gli accostamenti
di materiale possono determinare il buon risultato di una realizzazione in materiale
lapideo. Lo stesso prodotto disposto in maniera diversa può ottenere effetti estetici
nettamente differenti. È necessario pertanto prestare molta attenzione alle potenzialità dei materiali, studiarne l’uso tradizionale, la conformazione compositiva ed i
particolari costruttivi. Una fuga non appropriata, ad esempio, può rovinare di molto
l’effetto finale di un rivestimento o di una pavimentazione. Oltre ad una buona progettazione e ad un’ottima realizzazione degli elementi lapidei, è molto importante anche una buona esecuzione delle fasi di posa in opera. Si deve anche tener conto della
facilità o meno di trovare manodopera specializzata, dei tempi di realizzazione, della
semplicità di manutenzione, della possibilità di eventuali rimozioni e ripristini.
Dettaglio in Porfido Trentino Lastrificato della facciata,
delle scuole Raffaello Sanzio (Trento)
arch. Adalberto Libera
206
207
208
La posa in opera
Supporto
È fondamentale, quando ci si appresta ad intervenire per la formazione di una pavimentazione o di un rivestimento, avere una perfetta conoscenza della struttura, orizzontale o verticale, da rivestire. Essa può essere costituita da soli elementi portanti o
da altri strati aventi diverse funzioni (strato impermeabilizzante, isolamento termico). I diversi tipi di supporto e la composizione degli strati che lo possono comporre
determinano comportamenti diversi della pavimentazione e l’insorgere di particolarità e problemi che devono essere considerati e risolti.
Le principali tipologie di supporti strutturali orizzontali presenti nell’edilizia attuale
sono:
per gli interni • pannelli prefabbricati in cemento anche alleggeriti (tipo “predal”);
• elementi prefabbricati precompressi e laterizio;
• solaio misto in latero-cemento;
• solaio in acciaio;
• solaio misto in acciaio e laterizio;
• solaio in getto di calcestruzzo in opera;
• solaio ligneo;
per gli esterni • massicciata;
• terreno stabilizzato;
• getto in calcestruzzo armato.
Particolari di pavimentazioni in Porfido Trentino Lastrificato
Pavimentazione in lastre di Rosso Trento
e Porfido Trentino Lastrificato, centro storico di Trento
Inoltre, facendo riferimento alla norme UNI 7998:1979 “Edilizia. Pavimentazioni.
Terminologia.” e UNI 8381:1982 “Edilizia. Strati del supporto di pavimentazione.
Istruzioni per la progettazione e l’esecuzione.” che trattano questi temi, bisogna considerare la presenza funzionale degli strati interposti tra la struttura portante (solaio
o substrato) ed il piano di calpestio che possono essere:
• strato portante o supporto: costituisce il piano di appoggio di tutto il pacchetto
della pavimentazione. Le sue prestazioni strutturali (portata, rigidità e stabilità)
determinano la scelta ed il comportamento di tutti gli strati sovrastanti della pavimentazione. Ha la funzione di resistere alle sollecitazioni meccaniche impresse
dai carichi alla pavimentazione, trasferendole assieme al peso proprio agli elementi strutturali verticali;
• strato drenante: negli esterni o in presenza di acqua, si dovrà prima di tutto eliminare qualsiasi contatto della stessa con il pacchetto della pavimentazione;
• strato di regolarizzazione: livella, aggiungendo o eliminando, piccole differenze
di quota;
• strato di livellamento: ricopre o incorpora elementi tecnici di impianto (tubazioni);
• strato di pendenza: si forma quasi sempre in interventi esterni ed ha la funzione
di conferire alla superficie le pendenze necessarie per lo smaltimento delle acque
meteoriche;
• strato di integrazione degli impianti: è quella parte destinata ad alloggiare le
reti impiantistiche e varia secondo il tipo di prestazioni tecnologiche richieste
all’oggetto edilizio. Esso può avere un valore molto diverso secondo le dimensioni dell’intervento edilizio; può essere per esempio compreso nello strato di
209
Pavimentazione in Porfido Trentino Lastrificato di viale
pedonale, Parco “Gardaland” in provincia di Verona
livellamento oppure richiedere diverse decine di centimetri come nei pavimenti
galleggianti;
• strato di scorrimento o di separazione: ha la funzione di separare tra loro singoli
strati al fine di evitare, compensare o rendere compatibili eventuali scorrimenti
differenziali. A questo scopo sono utilizzati fogli di polietilene, carta catramata,
talora un sottile strato di sabbia asciutta;
• strato di irrigidimento e ripartizione: qualora sussistano dei comportamenti diversificati negli strati costituenti la pavimentazione, oppure alla presenza di strati
troppo deboli (coibentazione) o in corrispondenza di tubazioni o qualora il tipo di
elementi della pavimentazione lo richieda, sarà necessario interporre uno strato
che trasmetta a quello portante le sollecitazioni meccaniche impresse dai carichi
esterni, evitando che gli elementi in superficie possano subire fessurazioni. Questo
strato è composto di solito da una gettata di calcestruzzo armato con rete elettrosaldata;
• strato impermeabilizzante: ha la funzione di rendere impermeabili ai corpi liquidi e gassosi le parti sottostanti della pavimentazione. Generalmente è costituito da
guaine bituminose o polimeriche, talora anche da vernici da stendere a pennello
o da spruzzare con appositi strumenti;
• strato impermeabilizzante al vapore (barriera al vapore): ha la funzione di proteggere altri strati della pavimentazione o della struttura dall’azione di alterazione
che può essere causata dai vapori. Esso è costituito da un foglio impermeabile
(talora in parte traspirante) giustapposto tra i vari strati e talora protetto da danni
derivanti dallo scorrimento;
• strato di isolamento termico: ha la funzione di ridurre le escursioni termiche,
secondo il materiale impiegato e lo spessore dello strato;
• strato di isolamento acustico: serve a ridurre, in relazione al materiale impiegato
ed allo spessore dello strato, le immissioni/emissioni acustiche;
• intercapedine: sempre più spesso, soprattutto per utilizzi in edifici ad elevate
prestazioni tecnologiche, è ricavata un’intercapedine all’interno del sistema pavimentazione. Una struttura metallica autolivellante, formata da diverse componenti verticali e orizzontali, che appoggia sulla struttura resistente, fa da supporto alle
lastre su cui sono posizionati gli elementi di finitura;
• strato di allettamento di posa: collocato in posizione immediatamente sottostante
agli elementi della pavimentazione, ha la funzione di legare questi ultimi allo strato sottostante; può essere composto di malta cementizia con uno spessore di qualche centimetro, oppure da collanti di varia natura per uno spessore non superiore
ad un centimetro;
• strato di collante di posa: strato aderente a spessore molto basso, avente la
funzione di collegare gli elementi di finitura con l’ultimo strato del pacchetto di
pavimentazione;
• strato di finitura e rivestimento: strato di finitura superficiale, costituito nel nostro
caso da elementi lapidei; nella posa di questo strato deve essere posta la massima
cura, poiché si opera su ciò che il fruitore finale vede e/o calpesta.
Le prestazioni di una pavimentazione derivano dal comportamento di ogni singolo
strato, dalle interazioni d’insieme di tutti gli strati e degli elementi che la compongono. Le funzioni svolte da questi strati sono molto spesso accorpate in pochi strati,
210
per ridurre la complessità di realizzazione, senza compromettere i requisiti delle
prestazioni.
Spazi esterni pavimentati in cubetti di Porfido Trentino
Lastrificato, Teatro Kursaal (Merano)
Sottofondo di posa
Il termine sottofondo di posa è comunemente inteso quale superficie dello strato immediatamente sottostante lo strato di allettamento o di collante che fa aderire gli elementi lapidei alle parti resistenti della pavimentazione e del rivestimento. Esso può
essere costituito da tutti o soltanto da qualcuno degli strati premenzionati, secondo
il tipo di utilizzo e la destinazione finale del manufatto. In taluni casi è costituito ad
esempio dalla superficie della soletta dello strato portante o dallo strato di ripartizione o di livellamento, oppure, nel caso di esterni, dalla gettata in calcestruzzo o da uno
strato di massicciata stabilizzata.
È necessario pertanto adeguare il sistema di posa in opera degli elementi lapidei al
tipo di sottofondo esistente, scegliendo la tecnica più opportuna.
In particolare, i requisiti e le prestazioni di un sottofondo di posa possono essere così
schematizzati:
• conformità alle quote di progetto: la quota del sottofondo deve essere tale da
permettere senza forzature la perfetta esecuzione della posa degli elementi della pavimentazione allettati nel proprio strato. Con la posa a colla questo requisito è fondamentale, poiché avendo lo strato collante uno spessore molto basso, le opportunità di
correzione delle quote sono normalmente ristrette;
• resistenza fisico-meccanica e staticità: il sottofondo deve resistere a tutti i carichi
e le sollecitazioni gravanti sugli strati della pavimentazione e trasmetterli alle parti
strutturali; eventuali movimenti o sollecitazioni della struttura invece dovrebbero
essere fortemente contenuti e pervenire allo strato di finitura in modo controllato.
Questo comporta una particolare attenzione nella preparazione delle malte e delle
armature ed un puntuale rispetto dei tempi di esecuzione e di maturazione delle
opere. È importante inoltre interporre uno strato di scorrimento, prima di realizzare il sottofondo, quando si intravede la possibilità che le parti strutturali possano
trasmettere movimenti di qualsiasi natura. Nei rivestimenti il sottofondo deve essere
compatto, l’eventuale intonaco ben aderente al supporto, che deve essere dimensionato per sopportare i tipi di carico e le sollecitazioni che le varie tecniche di fissaggio
comportano;
• pulizia della superficie: per evitare che gli strati di finitura lapidea possano sconnettersi o assumere macchie od aloni deturpanti, la superficie del sottofondo deve essere solida, priva di sconnessioni e parti asportabili ed immune da residui di vernici,
additivi, oli, cere, segatura, mozziconi di sigaretta, elementi metallici (chiodi, pezzi di
filo di ferro, segatura di ferro ed elementi ossidanti), scarti di cantiere. Per consentire
una maggiore aderenza, occorre anche rimuovere la polvere e bagnare moderatamente con acqua pulita.
Giunti tecnici
In relazione ai rapporti con le altre parti strutturali ed alle condizioni ambientali, le
pavimentazioni ed i rivestimenti possono risentire di tensioni di vario genere. Tensioni che possono provocare nelle lastre fessurazioni, rotture, fuoriuscita dalla propria
sede, con grave danno sia funzionale sia estetico. Per eliminare queste tensioni si
211
Arredo urbano in Porfido Trentino Lastrificato e Verdello
(Strembo)
Spazi estrerni pavimentati in Porfido Trentino Lastrificato di
edificio commerciale (Porto Mantovano)
devono predisporre dei giunti speciali, di tipologia variabile in base alla funzione, che
permettono un limitato movimento tra le diverse parti dell’edificio.
I principali tipi di giunto possono così essere suddivisi:
• giunti strutturali: sono quelli che ripetono, su tutti gli strati della pavimentazione,
il giunto presente nel sottostante supporto strutturale; devono essere studiati ed eseguiti con particolare cura e richiedono quasi sempre pezzi speciali;
• giunti desolidarizzanti (di separazione): separano la pavimentazione (intesa come
finitura ed allettamento) dalle parti che la delimitano o la attraversano, quali pareti,
colonne. Possono essere costituiti da una striscia di materiale comprimibile ma non
deteriorabile (polistirene, polistirolo espanso), lungo le connessioni perimetrali con le
pareti. In corrispondenza della superficie devono essere impiegati materiali compatibili con gli elementi della pavimentazione, sicuri e non danneggiabili al calpestio, né
che possano macchiare o sporcare;
• giunti di dilatazione: permettono al pacchetto della pavimentazione (allettamento
e finitura) di dilatarsi al variare delle condizioni di temperatura e di umidità; devono
essere predisposti per contenere pavimentazioni non superiori ai 25 m² nel caso di
interni e di 16 m² per gli esterni. Devono inoltre essere scelti tenendo presente la
tecnica di posa, la tessitura, il colore ed il disegno della superficie, nonché gli aspetti
legati alla durevolezza ed alla manutenzione;
• giunti di flessione: permettono la compensazione delle variazioni dimensionali
dovute ad alterazioni morfologiche, quali vibrazioni e deflessioni;
• giunti di ritiro: nascondono le fessurazioni dovute al ritiro dei massetti di calcestruzzo.
Si deve inoltre prestare un’attenzione particolare nel predisporre opportuni giunti
nei pavimenti con dimensioni superiori a 7 m quando è presente il riscaldamento a
pavimento o una forte insolazione, come nel caso di ampie superfici finestrate.
In commercio si possono trovare essenzialmente due grandi famiglie di giunti elastici:
quelli sotto forma di profilati e quelli sotto forma di materiale sigillante.
Tecniche di posa in opera
La qualità di un’opera eseguita in materiale lapideo dipende in modo determinante,
oltre che da una buona progettazione e da un’accurata lavorazione dei materiali,
anche da una corretta messa in opera. La grande esperienza, la mano e l’occhio di
un buon posatore possono valorizzare, talora in maniera determinante, il risultato di
un’opera.
In questa parte saranno trattate le diverse tecniche di posa in opera maggiormente in
uso per l’installazione di pavimenti e rivestimenti in materiale lapideo.
È importante che l’operatore sia perfettamente a conoscenza dei disegni esecutivi
complessivi, del tipo di finiture superficiali, delle quote, degli allineamenti, delle
tolleranze di posa, delle distinte di taglio e lavorazione che devono accompagnare i
lavorati provenienti dal laboratorio.
Chi esegue la posa in opera dovrebbe possedere, oltre all’esperienza necessaria,
anche tutta la strumentazione tecnica indispensabile; si devono inoltre seguire dettagliatamente le disposizioni della direzione lavori e, nell’uso dei materiali occorrenti
sia lapidei sia di altro genere, seguire scrupolosamente le indicazioni del produttore.
La superficie di posa deve essere nelle condizioni ottimali relativamente alla tecnica
212
Piazza centrale pavimentata in Porfido Trentino Lastrificato
(Travagliato-Brescia)
arch. Mario Botta
Lungolago realizzato con cubetti e lastre di Porfido Trentino
Lastrificato, copertine in Verdello (Riva del Garda)
adottata. Tutti i materiali impiegati nel ciclo di posa in opera non devono in alcun
modo essere causa di macchie, ossidazioni, efflorescenze. In particolare l’acqua deve
essere usata nelle giuste dosi, onde evitare ristagni, affioramenti e la sfarinatura
dei materiali di allettamento. L’acqua inoltre deve essere pulita, priva di ossidi di
ferro, sali e di qualsiasi altra impurità o sostanza in grado di causare irregolarità nel
processo di presa o efflorescenze di ogni natura. Anche gli inerti ed i leganti devono
essere esenti da sostanze terrose ed argillose, da sali ed ossidi di qualsiasi natura e
da sostanze organiche. In cantiere tutti i materiali necessari alla posa devono essere
stoccati, movimentati e trattati in modo tale da non subire danneggiamenti o alterazioni di sorta e conservati in luoghi idonei e puliti. Le aree sottoposte a lavorazione
ed i prodotti devono essere protetti da possibili urti e contatti derivanti da altre lavorazioni di cantiere. Le operazioni di sigillatura devono essere iniziate dopo l’asciugatura dello strato di allettamento ed essere ultimate, anche per settori, senza riprese
e rispettando i tempi di presa dei materiali impiegati. Essendo la sigillatura una
finitura particolarmente importante per la riuscita dell’opera, deve essere eseguita a
regola d’arte sulla superficie perfettamente pulita e protetta da possibili danneggiamenti. Nel caso di pavimentazioni esterne, la sigillatura ha la funzione di riempire
tutti i possibili vuoti tra un elemento e l’altro, in modo tale da impedire la possibilità
di infiltrazioni d’acqua. Infatti l’acqua, tramutata in ghiaccio dai rigori invernali, potrebbe provocare il distacco degli elementi ed il dissesto dell’intera pavimentazione.
Inoltre l’esperienza insegna che il tempo intercorrente tra la fine delle operazioni di
posa e la fine del cantiere è molto delicato, a causa di operazioni eseguite sulla superficie finita senza le cautele necessarie ad evitare rotture, graffi, macchie e quant’altro.
È perciò sempre consigliabile che la posa degli elementi lapidei (pavimentazioni e
scale soprattutto), specie all’esterno, sia eseguita quando tutti o quasi gli altri lavori
di finitura, quali intonaci, sono stati ultimati. Nel caso inoltre di interventi sulla superficie finita, quali l’asportazione di aloni o il trattamento con materiali impregnanti,
è assolutamente necessario che ogni prodotto impiegato (segatura, acidi, oli) non sia
causa né presente, né futura di danni alla finitura della superficie.
Tecniche di posa in opera tradizionali
Si considerano tradizionali quelle tecniche di posa in opera ormai in uso da diversi
decenni che si basano sulla giustapposizione degli elementi lapidei tramite uno strato
legante costituito da malta o colla e/o di zanche o grappe di ancoraggio.
La tecnica di posa deve essere scelta tenendo conto di diversi aspetti, quali:
• quote del sottofondo e di finitura: ogni tecnica abbisogna di uno spessore minimo
e massimo per essere eseguita correttamente, per cui lo strato di franco disponibile determina la scelta della tecnica;
• litotipo utilizzato: la tecnica di posa può essere determinata dalle caratteristiche
fisico-meccaniche della pietra impiegata (nel caso si utilizzino materiali igroscopici, per esempio, va evitata la malta);
• tipo di utilizzo della superficie: se lo strato di finitura deve supportare carichi su
ruote in movimento, il grado di adesione allo strato sottostante deve essere massimo;
• spessore del litotipo e relative tolleranze: con spessori superiori a 2 cm è meglio
utilizzare una delle tecniche a malta, mentre con spessori fino a 2 cm, specialmen213
214
•
•
te se con tolleranze dimensionali minime, si hanno ottimi risultati posando con lo
strato collante;
tempi di esecuzione: i tempi di cantiere possono talora determinare la scelta di
un metodo piuttosto di un altro; se, ad esempio, devono intercorrere tempi molto
rapidi tra l’esecuzione e l’utilizzo operativo delle superfici, è meglio utilizzare la
posa con collanti;
livello qualitativo e grado di esperienza della manodopera.
Le tecniche di posa in opera tradizionali più diffuse possono essere così distinte:
pavimenti:
• malta con spolvero di cemento;
• malta semisecca con boiacca di cemento;
• malta da muratura;
pavimenti e rivestimenti:
• collanti;
rivestimenti:
• imbottitura e zanche di ancoraggio.
Finestra e mascherone in Verdello
di palazzo Malfatti (Trento)
Malta con spolvero di cemento
Lo spessore necessario per la posa di questo tipo di strato di allettamento deve essere
variabile tra 3 e 6 cm.
Questo sistema di posa è applicato soprattutto quando occorre inglobare nello strato
di allettamento le tubazioni degli impianti, adattare le quote di cantiere a quelle di
progetto, compensare forti differenze di spessore (ad esempio porfido), pavimenti
prelucidati.
Non indicato con materiali lapidei assorbenti, soprattutto se di colore chiaro e spessore contenuto.
I materiali occorrenti per la formazione di questo strato sono: cemento Portland 325,
acqua, sabbia da muratura di granulometria 0 - 4 mm, cemento bianco ed eventuale
calce idrata.
Per la composizione della malta si miscela il cemento in dosi di 300 kg ogni m³ di
inerte con l’apporto di acqua fino ad ottenere una malta di consistenza simile alla terra umida. Si può aggiungere calce idrata per migliorare la lavorabilità dell’impasto.
Per le operazioni di sigillatura si adopera una boiacca molto densa, formata da un
impasto di cemento bianco (o Portland per prodotti di colore grigio o scuro) allo stato
puro, miscelato con acqua.
Il sottofondo di posa deve essere il più possibile livellato e seguire le pendenze della
pavimentazione finita; la superficie deve essere pulita, anche da polvere e residui di
lavorazioni. La superficie va poi bagnata bene con acqua pulita, possibilmente con un
getto tipo “annaffiatoio” evitando qualsiasi ristagno.
Dopo aver controllato i livelli, si procede alla formazione delle fasce di riferimento,
posizionando poi con velocità e precisione della malta tra le fasce stesse. Si livella
la malta con una staggia e si spolvera la superficie di posa con cemento (bianco o
Portland secondo il litotipo). La superficie inferiore dell’elemento lapideo deve essere
perfettamente pulita e bagnata per consentire una perfetta presa. Le lastre devono
essere sistemate secondo i disegni e le figure indicate dalla direzione lavori ed es215
sere battute con martelli di gomma fino alla loro sistemazione complanare a quelle
adiacenti. Durante tutte le fasi di lavorazione si deve operare con cura affinché la
pavimentazione risulti pulita.
Quando il pavimento ha raggiunto la compattezza necessaria (di solito dopo 24 ore
dalla posa), si può procedere alla sigillatura delle fughe. Prima si inumidisce la superficie quanto basta (senza creare ristagni e tenendo conto delle condizioni atmosferiche e del tipo di materiale lapideo); quindi, sopra tutta la superficie, si versa la
boiacca stendendola con spatoloni di gomma direzionati a 45 gradi rispetto alle fughe
fino a completa saturazione di tutti i vuoti presenti. Si procede ad un’accurata pulizia
finale ottenuta con spatoloni gommati, spugne inumidite, trucioli o segatura di legno
di essenze e consistenza adatte.
Pavimento interno realizzato con Granito dell’Adamello
(Tonalite) e Porfido Trentino a Blocchi (Mezzana)
Pavimentazione e gradini in Porfido Trentino Lastrificato
(Livo)
Malta semisecca con boiacca di cemento
Questo sistema, molto simile al precedente, si differenzia per le indicazioni di utilizzo: garantendo una totale adesione della superficie inferiore delle lastre allo strato
di allettamento, è più indicato nei casi di posa di elementi di grande formato, oppure
sottoposti a particolari sollecitazioni, come ad esempio quelle date da ruote od oggetti
in movimento, oppure nella posa di materiali poco porosi.
Nelle operazioni di posa si procede in maniera analoga al metodo precedente per
quanto riguarda il tipo di materiali occorrenti e la formazione degli impasti. Una volta però giustapposto l’elemento da posare sul letto definitivo, ottenuto battendo con
appositi strumenti la lastra nell’allettamento, esso dovrà essere tolto delicatamente e
la sua superficie inferiore totalmente cosparsa di boiacca cementizia allo stato liquido
con l’eventuale aggiunta di lattice. L’elemento andrà riposizionato tramite battitura
nella sua sede definitiva in modo complanare ed allineato con gli altri.
Le operazioni di sigillatura sono svolte in modo identico al caso precedente.
Malta da muratura
Molto simile a quelli già visti, questo metodo utilizza un impasto più grasso, miscelando circa 400 kg di cemento Portland 325 per ogni m³ di sabbia e circa 80 kg di
calce idrata. L’impasto è poi steso in modo sufficiente per allettare uno o due pezzi e
ulteriormente inumidito con acqua pulita. L’elemento lapideo trova quindi la sua collocazione definitiva tramite battitura con martello di gomma. Tutte le altre operazioni
si svolgono in maniera analoga ai metodi precedentemente illustrati.
Collanti
Questa tecnica di posa consiste nell’applicare in opera gli elementi di pavimentazione
o di rivestimento tramite uno strato collante steso sulla superficie di posa. Si tratta di
una tecnica sviluppatasi soprattutto nel campo della ceramica, ma che in questi ultimi
decenni, visti i notevoli progressi dei materiali adesivi, sta incontrando sempre maggior successo anche nella posa dei prodotti lapidei. Infatti, le ditte produttrici sono
presenti sul mercato con prodotti che garantiscono una sempre maggior durata della
presa nel tempo, elasticità, impermeabilità e resistenza agli sbalzi termici, nonché
con valori rassicuranti di resistenza allo strappo.
Questa tecnica abbisogna di sottofondi di posa particolarmente accurati, sia per quanto
riguarda le quote ed i livelli, sia per la loro consistenza e regolarità: lo strato di alletta216
mento in materiale collante, infatti, consente delle compensazioni minime. D’altro canto, oltre a quelli già accennati, esistono altri vantaggi in questo metodo, quali la rapidità
di esecuzione, visti anche i limitati tempi di presa, la possibilità di impiegare elementi
di pavimentazione o rivestimento di spessore molto sottile (fino ad 1 cm) e l’opportunità di incollare gli elementi lapidei direttamente su un altro pavimento. Si possono
distinguere allo stato attuale tre grandi famiglie tra i materiali collanti maggiormente
impiegati nelle pavimentazioni e nei rivestimenti in materiale lapideo:
• cemento - colla: si tratta di un adesivo a base di cemento ed inerti particolari,
preconfezionato dalle ditte produttrici e miscelato al momento dell’uso con acqua ed
eventuali resine nelle dosi indicate dai produttori;
• cemento - lattice: si tratta di un impasto adesivo costituito da cemento, sabbie
particolarmente selezionate con l’aggiunta di lattice. Esistono impasti già preconfezionati, oppure da mescolare in cantiere nelle dosi fissate dai produttori;
• adesivi speciali: sono prodotti ad elevato potere adesivo, composti da uno, due o tre
componenti a base di resine o composti similari. Sono utilizzati soprattutto quando è
richiesta grande velocità nelle operazioni di posa e nell’utilizzo della pavimentazione
finita.
Negli ultimi anni sono proliferati molti prodotti studiati per i materiali lapidei. Essendo impossibile fornire indicazioni valide per tutti, è opportuno che i tecnici interessati
consultino direttamente la documentazione delle ditte produttrici, onde poter conoscere i tipi di prodotto, i campi di applicazione e le modalità d’uso.
È buona norma inoltre nell’esecuzione della stessa opera ricorrere a prodotti quali
colle, adesivi chimici, malte premiscelate della stessa ditta produttrice, per evitare
casi di incompatibilità tra i vari componenti, come pure utilizzare attrezzatura appropriata nell’applicazione degli strati adesivi. La superficie in vista già pavimentata
deve essere tenuta perfettamente pulita da eventuali residui di adesivo tramite l’uso
di una spugna umida. È chiaro che bisognerà prestare particolare attenzione, nella
posa e soprattutto nella sigillatura, a sostanze che possano contenere ossidi o coloranti e che anche nel tempo possano provocare alterazioni cromatiche o macchie
sulla superficie.
Fase di lavorazione ed opera finita di elementi architettonici
di Granito Rosa di Predazzo (Predazzo)
217
Esempi possibili di soluzioni tecniche per la realizzazione del sottofondo di posa per
pavimenti (*)
Metodo di posa con strato
di allettamento
Metodo di posa con strato
collante
Soletta in c.a. dello strato portante
priva di tensioni, movimenti e
vibrazioni;
Strato di ripartizione completamente maturato;
Strato di livellamento completamente maturato, privo di tensioni,
movimenti e vibrazioni.
La superficie deve essere il più
possibile livellata.
La superficie deve essere perfettamente livellata e priva di
asperità.
Se necessario procedere con uno
strato di regolarizzazione a base
di malta.
Strato portante soggetto a movimenti strutturali, solai realizzati
in c.a., laterocemento, acciaio,
legno e misti.
Posa di uno strato di scorrimento
costituito ad esempio da un foglio
di polietilene. Si procede quindi
alla realizzazione di uno strato
di ripartizione dei carichi e di
irrigidimento del solaio, costituito
da un manto cementizio di 4 cm
di spessore minimo armato con
rete elettrosaldata; la superficie
deve risultare livellata. La posa
deve avvenire dopo la completa
maturazione del massetto.
Posa di uno strato di scorrimento
costituito ad esempio da un foglio
di polietilene. Si procede quindi
alla realizzazione di uno strato di
ripartizione dei carichi e di irrigidimento del solaio, costituito da
un manto cementizio di 4 cm di
spessore minimo armato con rete
elettrosaldata; la superficie dovrebbe risultare livellata. La posa
deve avvenire dopo la completa
maturazione del massetto.
Strato di impermeabilizzazione.
Si può procedere alla posa degli
elementi di pavimentazione con
uno strato di allettamento di
almeno 4 cm. È consigliata la tecnica di posa con malta cementizia
semisecca.
Se il sistema di impermeabilizzazione non consente di incollare
direttamente su di esso gli elementi di pavimentazione, si deve
realizzare un massetto cementizio
di almeno 4 cm armato con rete
elettrosaldata. La superficie deve
essere livellata e priva di asperità.
Strato di isolamento termico ed
acustico soggetto ad essere deformato sotto l’azione di carichi
concentrati applicati.
Posa di uno strato di scorrimento
costituito ad esempio da un foglio
di polietilene. Si procede quindi
alla realizzazione di uno strato
di ripartizione dei carichi e di
irrigidimento del solaio, costituito
da un manto cementizio minimo
di 4 cm di spessore armato con
rete elettrosaldata; la superficie
deve essere livellata. La posa
deve avvenire dopo la completa
maturazione del massetto.
La superficie deve essere perfettamente livellata e priva di
asperità.
Se necessario procedere con uno
strato di regolarizzazione a base
di malta.
Impianto radiante a pavimento
inglobato entro lo strato di ripartizione carichi gettato su strato
isolante protetto da barriera al
vapore.
Si può procedere alla posa degli
elementi della pavimentazione.
Posa di uno strato di scorrimento
costituito ad esempio da un foglio
di polietilene. Si procede quindi
alla realizzazione di uno strato
di ripartizione dei carichi e di
irrigidimento del solaio, costituito
da un manto cementizio minimo
di 4 cm di spessore armato con
rete elettrosaldata; la superficie
deve essere livellata. La posa
deve avvenire dopo la completa
maturazione del massetto.
Strati funzionali
Fase di posa in opera di gradini in Granito Rosa di Predazzo
(Predazzo)
218
Metodo di posa con strato
di allettamento
Metodo di posa con strato
collante
Elementi di pavimentazione in
legno (pavimento esistente) perfettamente ancorati al loro sottofondo di posa.
Posa di uno strato di scorrimento costituito ad esempio da un
foglio di polietilene. Si procede
quindi alla posa degli elementi di
pavimentazione con uno strato di
allettamento di almeno 4 cm.
Posa di uno strato di scorrimento
costituito ad esempio da un foglio
di polietilene. Si procede quindi
alla realizzazione di uno strato
di ripartizione dei carichi e di
irrigidimento del solaio, costituito
da un manto cementizio minimo
di 4 cm di spessore armato con
rete elettrosaldata; la superficie
deve essere livellata. La posa
deve avvenire dopo la completa
maturazione del massetto.
Ovvero strato di scorrimento a basso
spessore realizzato con reti sintetiche e malte additivate, su cui sono
poi posati gli elementi con collanti.
Elementi di pavimentazione in
ceramica, cemento, materiale
lapideo (pavimento esistente)
perfettamente ancorati al loro
sottofondo di posa.
Sottofondo pronto per la posa.
Il pavimento deve essere perfettamente lavato con acqua e soda
caustica in rapporto di circa 9 litri
per 1 kg di soda. Sciacquare bene
con acqua pulita. Il collante utilizzato deve essere compatibile con
la porosità del sottofondo.
Elemento
tessile.
Togliere completamente il rivestimento, eliminando eventuali residui di collante con idonei solventi,
spazzolare la superficie con acqua
e soda caustica in rapporto di circa
9 litri di acqua per 1 kg di soda.
Sciacquare bene con acqua pulita.
Togliere completamente il rivestimento, eliminando eventuali residui di collante con idonei solventi,
spazzolare la superficie con acqua
e soda caustica in rapporto di circa
9 litri di acqua per 1 kg di soda.
Sciacquare bene con acqua pulita.
Strati funzionali
Piazzale pensile pavimentato in lastre di Granito
dell’Adamello (Tonalite) e Porfido Trentino Lastrificato
(Mezzana)
di
pavimentazione
(*) Da “Tecniche di posa del marmo”, opera citata
Caratteristica posa in opera a cerchio di cubetti di Porfido
Trentino Lastrificato all’interno di riquadrature in lastre di
Granito dell’Adamello (Tonalite), piazza Benvenuti (Mezzana)
Imbottitura e zanche di ancoraggio
Riservata quasi esclusivamente agli interventi di rivestimento, questa tecnica si basa sulla
giustapposizione di ogni singolo elemento, fissato con zanche di ancoraggio di acciaio preferibilmente inox alla struttura di supporto ed imbottito con malta da muratura. La funzione portante è svolta quindi da elementi metallici, ma anche per adesione dall’imbottitura
stessa. Gli elementi, appoggiando gli uni sugli altri, obbligano in tal modo alla formazione di
giunti chiusi ed all’utilizzo di lastre con spessore sempre maggiore di tre centimetri, anche
per garantire una maggior resistenza allo strappo. Questo tipo di rivestimento per questioni
di sicurezza non dovrebbe superare l’altezza di 3,5 m, a meno che non si proceda ad una
progettazione dettagliata, configurando dei corsi lapidei a spessore maggiorato, aumentando il numero degli ancoraggi e sottoponendo ad accurata valutazione tutti i possibili fattori
di degrado, quali umidità, infiltrazioni, escursioni termiche, dilatazioni.
Pavimenti in porfido
Per quanto riguarda l’utilizzo e la posa dei materiali di porfido si rimanda alla bibliografia edita dall’E.S.Po - Ente Sviluppo Porfido - Albiano, che tratta in maniera molto
esauriente queste tematiche. In questo volume sono illustrate le peculiarità di alcuni
tra i più importanti prodotti dell’industria del porfido, ormai famosi in tutto il mondo,
quali i cubetti, le piastrelle ed il lastrame.
219
Tradizionale posa di cubetti secondo la tecnica ad archi
contrastanti
Selciato in cubetti
Considerata un’evoluzione tecnologica dell’acciottolato, la tecnica delle pavimentazioni realizzate in cubetti di pietra vanta tradizione ed esperienze ultrasecolari. Si
basa sulla giustapposizione degli elementi di pietra su uno strato di allettamento soffice composto da sola sabbia di granulometria piuttosto grossa (3-6 cm) o da sabbia
premiscelata con cemento nelle giuste dosi, disposto su un sottofondo resistente. Le
figurazioni di posa più utilizzate sono nell’ordine:
• ad archi contrastanti: la pavimentazione è posata in una serie successiva di archi
di cerchio;
• a file parallele (molto raramente ortogonali): quando gli elementi sono predisposti
in lunghe file diritte;
• a coda di pavone (od a ventaglio): gli elementi seguono una caratteristica figurazione;
• a cerchi concentrici: posta una lastra circolare nel centro, si formano cerchi in
consecuzione;
• ad archi alternati: gli archi cambiano continuamente direzione;
• secondo vari disegni e figurazioni: grazie alla grande versatilità formale ed alla
duttilità esecutiva.
Gli elementi, posizionati secondo il disegno prescelto sullo strato di allettamento, sono
livellati e compressi nella loro sede definitiva per mezzo di una compattatrice meccanica che svolge la cosiddetta battitura. Gli interstizi rimasti tra un cubetto e l’altro sono
poi costipati e sigillati tramite sabbia o boiacca di cemento composta in parti uguali da
cemento, sabbia fine ed acqua. Le operazioni di pulitura finale della superficie devono
lasciare gli elementi di pietra molto puliti e le fughe leggermente ribassate.
Grazie alla famosa resistenza del porfido ed alla ricca gamma di pezzature esistenti,
questo tipo di finitura può essere eseguito su ogni superficie esterna sottoposta a
qualsiasi tipo di utilizzo e di sollecitazione.
Piastrelle
Quasi tutti i prodotti realizzati con il porfido della Valle di Cembra sono ottenuti da
lastre a piano e spessore naturale, cerniti e separati in varie tolleranze dimensionali.
Come già evidenziato in altre parti di questa pubblicazione, le piastrelle di porfido
possono avere i lati segati oppure a spacco, ma non esiste alcuna differenza nel sistema di posa, se non per quanto riguarda la larghezza delle fughe: intorno ai 15
mm per le grezze e ai 5 mm per quelle fresate. Le piastrelle dunque devono essere
posate su uno strato di allettamento composto da malta cementizia e posizionate singolarmente tramite battitura con martelli di gomma nella loro sede definitiva, aggiustando, lastra per lastra, lo strato di allettamento. È buona regola cospargere l’intera
superficie inferiore della lastra con boiacca cementizia, onde garantire una perenne
adesione delle lastre agli strati sottostanti. Le fughe rimaste tra le lastre sono colmate
tramite boiacca allo stato semiliquido, composta da cemento, acqua e sabbia fine in
parti uguali. La superficie va perfettamente pulita con l’ausilio di spatoloni di gomma
e segatura di legno.
Fasi di posa in opera di piastrelle di Porfido Trentino
Lastrificato (Germania)
Lastrame
Prodotto anch’esso di ampissimo consumo e di lunghe tradizioni, sembra essere
penalizzato in questi ultimi tempi dalla fama di prodotto povero, non più all’altez220
221
222
za delle esigenze attuali. Al contrario questo versatile manufatto, se sapientemente
utilizzato, magari insieme con altri formati e tipologie di materiali, od utilizzando le
pezzature più grandi e soprattutto se posto in opera da operatori capaci e sensibili,
può riservare ancora delle piacevoli sorprese, considerato anche i costi estremamente concorrenziali.
Il lastrame di porfido, detto anche opera incerta, palladiana, mosaico, è posto in
opera come precedentemente descritto per le piastrelle. È necessario usare molta
accortezza nel posare i pezzi vicini gli uni agli altri per formare spazi di fuga il più
ristretti e regolari possibile.
Coronamento di laghetto con lastre e ciottoli di Porfido
Trentino Lastrificato (Laimburg)
Costruzione di murature rustiche con Porfido Trentino
Lastrificato, parco Baldessari (Albiano)
Acciottolato e pietrischi per pavimentazione e rivestimento
L’acciottolato è un tipo di pavimentazione adottato quasi esclusivamente in spazi
esterni adibiti al traffico pedonale e carrabile leggero. Si utilizzano pietre di forma
arrotondata provenienti dagli alvei dei fiumi, pulite e selezionate in base alle dimensioni. La pavimentazione in acciottolato si è diffusa nelle città europee in tempi
relativamente recenti, a partire dal XVIII secolo, per rendere più comode e salubri
le vie e le piazze a maggior traffico pedonale e di mezzi a trazione animale. La facile
reperibilità delle pietre e la rapidità di esecuzione, associati ad un rilevante contenuto
estetico delle superfici trattate, sta alla base del successo passato e presente di queste
pavimentazioni.
Dalle varie aree di produzione provengono ciottoli di rocce diverse (graniti, porfidi) e
quindi di caratteristiche fisico-meccaniche e cromatiche anche molto diverse. I produttori selezionano innanzitutto i sassi in base al loro colore ed alla loro pezzatura.
Per configurare un piano di calpestio più comodo in questi ultimi anni è iniziata
la produzione di ciottoli spaccati, che presentano cioè la faccia in vista spaccata a
compressione lungo la diagonale minore e quindi piuttosto piana. Anziché ciottoli
spaccati e quindi ancora piuttosto rustici, per ottenere un effetto ancora più pregiato,
adatto perfino per ambienti interni, si possono utilizzare ciottoli segati, praticamente levigati. I ciottoli più grossi possono essere adoperati per la formazione di muri,
oppure anche quali elementi di arredo per giardini. Sono commercializzati sfusi, in
cassoni di legno oppure in sacconi di plastica.
Pezzature tradizionali dei ciottoli
Pagina precedente
Rivestimento verticale in Porfido Trentino Lastrificato
(Albiano)
Pagina a fianco
Raffigurazione della rosa dei venti in ciottoli e cubetti
di Porfido Trentino Lastrificato, piazza Erbe (Rovereto)
223
Tipo
Diametro minore
(cm) circa
Altezza
(cm)
Massa per unità di superficie
(kg/m²) circa
3/5
da 3 a 6
superiore a 5
80
4/6
da 4 a 7
superiore a 6
105
6/8
da 6 a 9
superiore a 8
125
8/10
da 8 a 11
superiore a 11
145
10/12
da 10 a 14
superiore a 13
180
12/15
da 12 a 15
superiore a 15
220
15/30
da 15 a 30
da 14 a 20
30/150
da 30 a 150
da 30 a 150
Pezzature tradizionali dei ciottoli tranciati
Viale di accesso in Porfido Trentino Lastrificato,
Teatro Dal Verme (Milano)
Pavimentazione e rivestimenti in Porfido Trentino Lastrificato
e Verdello, parco Baldessari (Albiano)
Tipo
Diametro
(cm) circa
Altezza massima
(cm) circa
Massa per unità di superficie
(kg/m²) circa
4/6
da 4 a 7
da 4 a 6
70
6/8
da 6 a 9
da 5 a 8
85
110
8/10
da 8 a 11
da 7 a 11
10/12
da 10 a 12
da 10 a 13
160
12/15
da 12 a 15
da 10 a 15
210
15/30
da 15 a 30
da 14 a 20
330
La posa in opera tradizionale dell’acciottolato prevede che i ciottoli siano posati normalmente di punta, serrati gli uni accanto agli altri, secondo i disegni e le quote di
progetto. Si possono distinguere i seguenti principali tipi di posa in opera:
• posa su sola sabbia: adatta solo per superfici esterne e con ciottoli di pezzatura non
inferiore al tipo 6/8, prevede la stesura su un sottofondo resistente di uno strato di
allettamento di sola sabbia a granulometria idonea (vaglio 0,1 - 0,5 cm). Gli elementi
sono posati solo di punta ed infilati nella sabbia per più della metà dell’altezza o asse
maggiore ed in modo che le teste sporgano in modo uniforme. Si procede quindi ad
un primo intasamento con sabbia ed acqua degli interstizi ed alla battitura, onde
compattare e livellare lo strato posato. Si procede quindi alla sigillatura, ottenuta
semplicemente ricoprendo in tempi successivi ed in misura abbondante sempre con
sabbia l’intera superficie, in modo da chiudere ogni eventuale mancanza o vuoto
presenti. Nel tempo inoltre è necessario garantire una certa manutenzione consistente nel riportare la sabbia eliminata dal naturale dilavamento causato dagli eventi
atmosferici;
• posa su sabbia e legante: in questo caso lo strato di allettamento, posizionato sul
sottofondo resistente, è costituito da una miscela composta di sabbia a granulometria
idonea (vaglio 0,1 - 0,5 cm) e legante (cemento o calce) in percentuale del 3% allo
stato asciutto. Gli elementi sono posizionati quindi preferibilmente di punta (talora
e solo in caso di superfici esclusivamente pedonali anche di piatto) e posti nella loro
sede definitiva in maniera analoga alla precedente. Anche il materiale di intasamento
è composto da sabbia e legante: quest’ultimo, durante le operazioni di battitura in
seguito all’uso abbondante di acqua, inizierà il processo di presa interessando anche
lo strato di allettamento. La sigillatura si può eseguire principalmente in due modi:
il primo, definito “fugatura a secco”, consiste nel preparare una miscela asciutta di
sabbia piuttosto fine e legante (30 - 40% in peso rispetto alla sabbia). Questa miscela
deve essere stesa con scope sopra la pavimentazione in modo da lasciare sporgere
le teste dei ciottoli. Con un getto nebulizzato di acqua si provvede poi a bagnare la
miscela che cala alla quota giusta e contemporaneamente a lavare i sassi, conferendo
loro l’aspetto pulito e definitivo. Il secondo, definito “fugatura con boiacca”, consiste
nello spargere una miscela allo stato liquido di sabbia fine, cemento ed acqua in parti
uguali sopra la pavimentazione. Trascorso il tempo necessario, in funzione anche
delle condizioni atmosferiche, si procede ad una pulizia attenta e sollecita tramite
l’utilizzo di spatoloni di gomma e di spugna. Questo procedimento è molto delicato
perché, se non eseguito correttamente, tende a sporcare i ciottoli.
224
Piazza in cubetti di Porfido Trentino Lastrificato (Bologna)
Pavimenti con pietrischi
Il pietrisco a varie granulometrie è stato ampiamente utilizzato sia in epoca storica
che attuale per costituire il manto superficiale di molti spazi. Innanzitutto sono usate
ghiaie e pietrischi di granulometria elevata per la realizzazione di fondazioni e sottofondazioni. Ma attraverso la giustapposizione di successivi strati, progressivamente
ben compattati, aventi granulometria sempre più fine, si possono formare completi
percorsi stradali e camminamenti pedonali.
Per quanto riguarda le pavimentazioni ad uso civile, ne esistono di numerosi tipi
ottenuti mescolando pietrischi di piccola granulometria e conglomerato cementizio.
Generalmente si tratta di stendere uno strato di qualche centimetro di legante cementizio, su cui poi giustapporre uno strato costituito da elementi lapidei di piccole o
piccolissime dimensioni quasi sempre incorporati in un impasto aggregato al getto. Il
tutto è poi levigato e lucidato in opera. Si ricordano di seguito le principali tipologie:
• battuto di graniglia: finitura piuttosto economica, poiché utilizza anche gli scarti
dell’industria lapidea, aggregandoli nell’impasto legante, talora con l’aggiunta di pigmenti. Il tutto deve essere infine levigato e lucidato a piombo;
• pavimento alla palladiana (detto anche opus incertum, mosaico, bollettonato):
sopra un sottofondo ben disposto ed armato e su un letto di malta grassa, sono posizionati pezzi di “marmo” di singola o varia natura, aventi i lati tranciati ed una
sagomatura irregolare. Le dimensioni delle diagonali sono variabili tra 5 e 10 cm e
lo spessore è 2 - 3 cm. Gli elementi sono poi sigillati tramite annegamento in un impasto di cemento tipo 425 o cemento bianco. La superficie così composta deve essere
perfettamente complanare, pronta a subire le operazioni di levigatura e lucidatura
finale a piombo;
• battuto alla veneziana o alla genovese: questa tecnica, nata a Venezia nel secolo
XVII, è giunta con alterne fortune fino ai nostri giorni. Su un sottofondo armato con
rete elettrosaldata a maglia larga si procede allo spargimento uniforme di uno strato
di graniglia di granulometria prima più grossa (20 - 25 mm), poi più fine (4 - 7 mm),
che deve essere battuto e rullato sempre con l’ausilio di dosate bagnature. Si versa
poi una boiacca molto liquida di solo cemento tipo 425 oppure bianco, magari arricchito di pigmenti coloranti, sempre rullando fino ad ottenere una buona coesione tra
graniglia ed impasto. È importante predisporre giunti (di solito di ottone) in numero
sufficiente ad impedire la formazione di fessurazioni. Dopo i necessari tempi di presa
si procede alla levigatura ed alla lucidatura. Questo tipo di pavimento può essere realizzato in numerose differenti composizioni sia figurative che cromatiche, utilizzando
graniglie di pietre carbonatiche diverse aventi colore e dimensioni differenti. Anche i
leganti di fondo se colorati in maniera diversa possono contribuire in modo determinante alla resa estetica delle figurazioni delle pavimentazioni;
• pavimento a mosaico: di antichissima origine presenta numerose significative
varianti; si basa sull’uso sapiente di tessere quadrate di materiali lapidei di dimensioni ridotte (circa 10 mm). Queste tessere, secondo le varie tecniche adottate, sono
poste direttamente in opera (tecnica diretta), oppure, incollate su carta in modo da
comporre la figurazione in scala reale al rovescio e quindi fatte aderire al supporto
sottostante perfettamente piano e livellato. Si procede poi alla sigillatura eseguita con
leganti talora pigmentati e quindi, una volta trascorsi i tempi necessari per la presa,
alla levigatura e lucidatura.
225
Parete ventilata in Rosa di Terlago scuola elementare
di Marco (Rovereto)
Elemento architettonico a massello in Rosso Trento,
Municipio (Ragoli)
Pavimenti sopraelevati
Già in epoca etrusca abbiamo testimonianze di pavimentazioni sopraelevate per
consentire il passaggio di tubazioni di piombo o di aria riscaldata per climatizzare i
volumi sovrastanti. Ai nostri giorni questa tecnica è stata ripresa per facilitare l’installazione e le continue modifiche necessarie alle reti tecnologiche ed impiantistiche
presenti soprattutto negli edifici adibiti ad uffici, banche, centri direzionali. I vantaggi
di questo sistema di pavimentazione sono dati dalla grande flessibilità di utilizzo e
dalla possibilità di modificare, integrare e accedere a tutte le componenti impiantistiche con grande facilità. Come specificato nella norma UNI EN 12825:2003 “Pavimenti sopraelevati.”, una struttura di pavimentazione portante sopraelevata è costituita
da una struttura di supporto orizzontale e verticale, composta da colonne metalliche
regolabili e quindi semplificando, per quanto riguarda il nostro campo di utilizzo,
da un pannello costituito da metallo e truciolare di legno, sulla cui parte superiore è
incollata una lastra di copertura delle dimensioni di cm 60 x 60. Questa lastra di copertura è sempre più spesso realizzata utilizzando materiale lapideo, rivelatosi molto
più resistente e sicuro degli altri materiali concorrenti, nonché molto più interessante
dal punto di vista estetico.
Non essendo accettabili differenze di planarità e di dimensioni, le lastre di pietra
che costituiscono la parte sommitale del modulo di pavimentazione delle strutture
sopraelevate, aventi dimensioni di 60 x 60 cm e spessore di 1,5 o 2,0 cm, hanno delle
tolleranze dimensionali di 2 - 3 decimi di millimetro. Ciò obbliga a sottoporre gli elementi lapidei ad un processo di calibratura effettuato da macchine speciali. Il rispondere a questa sfida di carattere produttivo e tecnologico comporta per gli operatori
dell’industria lapidea la possibilità di poter intervenire in comparti e mercati nuovi.
Pareti ventilate
In questi ultimi decenni si è sviluppata soprattutto in Germania e negli Stati Uniti la
tecnica del rivestimento cosiddetta a “parete ventilata”. In pratica si basa sull’ancoraggio al supporto (travi o pilastri in cemento armato, metallo) tramite tasselli di tipo
meccanico o chimico, di una struttura metallica reticolare piuttosto complessa. Su
questa, le lastre lapidee, talora anche di grandi dimensioni, trovano autonoma collocazione e supporto. Alla fine, il pacchetto del rivestimento sarà composto, in successione, dalla struttura muraria regolarizzata, da uno strato di coibentazione (variabile
da 3 a 8 cm), da uno strato di ventilazione (variabile da 3 a 5 cm), dall’orditura di
ancoraggio e dallo strato di rivestimento lapideo. In questo modo si garantisce una
maggior sicurezza e celerità di esecuzione, nonché una migliore risposta dell’intero
involucro edilizio dal punto di vista energetico (migliore isolamento termico, eliminazione di ponti termici ed onde termiche), della tenuta all’acqua, dell’eliminazione
dei fenomeni di condensa. Ma il motivo principale del successo di questa tecnica è
sicuramente la valenza estetica che si riesce a conferire all’edificio tramite la costituzione di una “pelle” lapidea uniforme, avendo la possibilità di rivestire superfici
molto estese.
Gli elementi lapidei utilizzati per il rivestimento di pareti ventilate hanno dimensioni
piuttosto ragguardevoli (intorno al metro quadrato o superiori) ed uno spessore vario
in base al tipo di materiale lapideo, al sistema di ancoraggio ed alle dimensioni delle
lastre, che non deve mai essere inferiore a 3 cm per le rocce granitiche ed i porfidi
226
Tipica copertura in “laste” di Porfido Trentino Lastrificato
(Pergine Valsugana)
ed a 4 cm per gli altri materiali. I vari sistemi di ancoraggio presuppongono delle
lavorazioni specifiche sulle lastre, ma si possono generalizzare regole e processi di lavorazione validi per tutti. Innanzitutto le lastre devono essere di ottima qualità, esenti
da difetti strutturali ed il più possibile integre. Le lavorazioni si devono concentrare
sulle parti perimetrali delle lastre e non invadere con tagli od altro le parti centrali
resistenti. Le lavorazioni meno invasive sono rappresentate da fori per l’applicazione
di perni metallici e da tagli continui sulle teste delle lastre, di spessore adeguato, onde
lasciare comunque uno spessore residuo molto resistente. La formazione di fori per i
perni presuppone una precisione molto accurata in fase sia di lavorazione sia di posa
in opera, mentre la fresata continua permette una collocazione più facile, consentendo lo scorrimento delle lastre sui supporti.
La collocazione in opera di questi prodotti presuppone una ottima conoscenza della
tecnica e del sistema di ancoraggio adottato, nonché degli aspetti progettuali, quali la
definizione formale finale, il progetto esecutivo con le rilevazioni particolari per il sistema di posa, le istruzioni e le distinte dei laboratori. Una volta sistemata la struttura
di ancoraggio in modo perfetto, si collocano i singoli elementi nella loro sede tramite
l’inserimento di perni, linguette e quant’altro portandoli a piombo e perfettamente
complanari agli altri elementi. Particolare attenzione deve essere riservata alla formazione di giunti di dilatazione ed ai materiali impiegati, che devono essere compatibili con le caratteristiche fisico-meccaniche della pietra, ed alla sigillatura, che deve
rendere perfettamente impermeabile il manto di rivestimento lapideo.
227
228
Economia e Normativa
229
230
Economia
Paolo Milani
L’attività estrattiva nelle cave
L’andamento dell’attività estrattiva è in trasformazione fin dagli anni settanta. Da una
prevalenza produttiva di materiale primario per la costruzione di mattoni, laterizi,
cemento, fondenti, si è passati gradualmente ad un consolidamento della produzione
di pietre ornamentali (a cui si aggiunge l’indotto legato anche al recupero dei materiali di risulta). Per quanto concerne il settore trainante del porfido è da rilevare
che nell’ultimo ventennio produzione e occupazione di mano d’opera presentano
una progressiva crescita favorita dalla penetrazione del prodotto nei mercati esteri,
tendenza che si è stabilizzata negli ultimi anni. È altresì da evidenziare una costante
crescita nella produzione e trasformazione degli inerti, che ha registrato andamento
variabile solo in corrispondenza di momenti particolari.
Negli ultimi anni l’intero comparto lapideo trentino, quindi non solo quello legato
alla produzione di porfido, ha mostrato incoraggianti segnali di vitalità: la crescita
degli ordinativi, l’aumento costante del fatturato (+ 6,26% nel 2001; + 6,72% nel
2002, + 12,88% nell’ultimo trimestre 2003), il forte incremento nella quota delle
esportazioni (+ 69%) - che nel 2002 hanno rappresentato il 18,9% (quasi 18,3 milioni di Euro) dell’intero volume d’affari (circa 96,8 milioni di Euro) - possono essere
considerati, in una fase economica delicata come l’attuale, elementi indicativi della
buona salute del settore e segnali incoraggianti per un’ulteriore crescita futura.
Aziende
Il settore estrattivo trentino offre lavoro ad oltre 3.000 addetti distribuiti in 410 imprese, due terzi delle quali artigiane. Nel complesso il comparto assorbe quasi l’1,5%
della forza lavoro trentina. Estremamente ampia è la tipologia delle imprese legate
all’attività indotta: si va da aziende ad elevata specializzazione nella posa (principalmente porfido) ad altre che si occupano di smaltimento e recupero, passando per imprese di costruzione di macchine per la lavorazione della pietra, di ricerca geologica
(analisi, perforazione, uso di esplosivi), di logistica e movimentazione (imballaggio,
trasporti pesanti) e di consulenza a tutti i livelli.
Sensibili al problema dell’ambiente, le aziende trentine rispettano la rigida normativa
provinciale (legge provinciale 4 marzo 1980, n. 6 e successive modifiche) che fissa
vincoli severi di tutela e rispetto del contesto ambientale e umano. In anni recenti,
poi, si sono fatte sempre più frequenti le certificazioni di processo (Serie ISO 9000:
2000 “Sistemi di gestione per la qualità”) e di prodotto.
Pagina precedente
Taglio a filo di blocco di Verdello,
cava Pila (Trento)
Pagina a fianco
Stratificazioni di roccia
cava Pradaglia (Isera)
Prodotti
La produzione nel 2006 (anno di riferimento) è stata di 60.467 t di pietre carbonatiche
pregiate - “marmi” e 16.718 t di roccia granitica - “graniti” - per usi prevalentemente
decorativo-ornamentali; 402.650 t di calcari e più di 2,9 milioni di tonnellate di inerti
ed argille per la produzione di materiali edili; quasi oltre 1,7 milioni di tonnellate di
231
porfido per pavimentazioni, rivestimenti, arredo urbano. Sempre più importante è
anche l’attività di recupero del materiale secondario, ricollocato sul mercato, dopo
opportuno trattamento, come ballast ferroviario, graniglie e sabbie di varia pezzatura
per conglomerati bituminosi e cementizi. Il porfido è la risorsa mineraria principale
ed è anche quella per cui il Trentino è noto a livello mondiale.
Marmi e pietre ornamentali - andamento attività estrattiva negli anni 1962 - 1971 - 2002
Materiale
Provenienza
Cave Produzione
(n)
(t)
Addetti
(n)
1962
Marmo Grigio Perla per
granulati
Ala, Avio, Centa San Nicolò, Calceranica, Castel
Tesino e Terragnolo
16
34.219
88
Giallo Mori
Brentonico e Mori
19
35.755
78
Rosso Trento, Rosa di
Terlago, Prugna di Lasino,
Rosso del Sarca
Trento, Calavino e Lasino
12
32.087
56
Granito dell’Adamello
Granito Rosa di Predazzo
Strembo e Predazzo
3
2.658
25
Porfido Trentino
Lastrificato, Porfido
Trentino a Blocchi
Albiano, Baselga di Piné, Capriana, Carano,
Cembra, Fornace, Faver, Giovo, Lisignago,
Lona-Lases, Moena, Predazzo, Tesero, Trento,
Varena.
98
148.145
1.163
Marmo Grigio Perla per
granulati
Ala, Terragnolo, Predazzo
7
68.230
34
Giallo Mori
Brentonico e Mori
6
8.900
21
Rosso Trento, Rosa di
Terlago, Prugna di Lasino,
Rosso del Sarca
Trento, Calavino e Lasino
7
13.100
10
Granito dell’Adamello
Granito di Cima d’Asta
Strembo e Canal SanBovo
3
2.300
18
Porfido Trentino
Lastrificato, Porfido
Trentino a Blocchi
Albiano, Baselga di Piné, Capriana, Cembra,
Fornace, Giovo, Lisignago, Lona-Lases,
Predazzo, Trento
110
175.375
1.025
Brentonico, Mori
3
18.077
6
Trento, Terlago
2
10.073
4
Canal SanBovo, Predazzo e Strembo
5
15.965
10
Albiano, Baselga di Piné, Capriana, Cembra,
Fornace, Lona-Lases, Predazzo, Trento
93
1.289.000
1.120
1971
2002
Marmo Grigio Perla per
granulati
Giallo Mori
Rosso Trento, Rosa di
Terlago, Prugna di Lasino,
Rosso del Sarca
Granito dell’Adamello
Granito Rosa di Predazzo
Granito di Cima d’Asta
Porfido Trentino
Lastrificato, Porfido
Trentino a Blocchi
232
Normativa
Mario Bertolini
Fabio Fedrizzi
Gestione delle prove tecnologiche sui materiali lapidei e la certificazione CE
Dichiarazione di conformità CE
La conformità di un prodotto lapideo ai requisiti della norma relativa ed ai valori
dichiarati delle caratteristiche deve essere dimostrata dal fabbricante o fornitore eseguendo prove tecnologiche di tipo iniziale ed un controllo in fabbrica (paragrafo 5.1
UNI EN 1341:2002 “Lastre di pietra naturale per pavimentazioni esterne - requisiti
e metodi di prova”; paragrafo 5.1 UNI EN 1342:2003 “Cubetti di pietra naturale per
pavimentazioni esterne- requisiti e metodi di prova” e paragrafo 5.1 UNI EN 1343:
2003 “Cordoli di pietra naturale per pavimentazioni esterne - requisiti e metodi di
prova”).
La responsabilità circa la validità delle caratteristiche dichiarate è a carico del produttore o fornitore, come chiarito dalle norme sui lapidei, redatte per l’attestazione
CE di conformità dei prodotti secondo il sistema 4 (prospetto ZA.2 “Sistema di attestazione conformità”, appendice ZA.2.1 delle norme UNI EN 1341:2002, UNI EN
1342:2003 e UNI EN 1343:2003).
Ricerca delle caratteristiche essenziali
Le norme armonizzate UNI EN 1341:2002, UNI EN 1342:2003 e UNI EN 1343:2003
per lastre, cubetti e cordoli di pietra naturale forniscono le indicazioni per la marcatura CE e le prescrizioni per la valutazione di conformità dei prodotti sulla base
delle caratteristiche essenziali determinate attraverso prove tecnologiche condotte da
laboratori gestiti direttamente dal produttore o incaricati da quest’ultimo.
I risultati delle prove tecnologiche devono essere dichiarati sul marchio CE. Le tabelle
1, 2 e 3 riepilogano quali caratteristiche essenziali vanno dichiarate con marchio CE,
sulla base di quanto previsto nelle appendici ZA delle norme armonizzate sulle tre
tipologie di prodotti di pietra naturale.
Prodotto da costruzione: lastre di pietra naturale per pavimentazione esterna
Riferimento alla norma: Appendice ZA della UNI EN 1341:2002
Caratteristiche essenziali
Metodo di prova
Resistenza alla rottura a flessione
In conformità alla EN 12372:2001
Resistenza al gelo/disgelo
In conformità alla EN 12371:2003
Resistenza all’abrasione
In conformità all’appendice C della UNI EN 1341:2002
Resistenza allo scivolamento/slittamento
In conformità all’appendice D della UNI EN 1341:2002
233
Prodotto da costruzione: cubetti di pietra naturale per pavimentazione esterna
Riferimento alla norma: Appendice ZA della UNI EN 1342:2003
Caratteristiche essenziali
Metodo di prova
Resistenza a compressione
In conformità alla EN 1926:2000
Resistenza al gelo/disgelo
In conformità alla EN 12371:2003
Resistenza all’abrasione
In conformità all’appendice B della UNI EN 1342:2003
Resistenza allo scivolamento/slittamento
In conformità all’appendice C della UNI EN 1342:2003
Prodotto da costruzione: cordoli di pietra naturale per pavimentazione esterna
Riferimento alla norma: Appendice ZA della UNI EN 1343:2003
Caratteristiche essenziali
Metodo di prova
Resistenza alla rottura a flessione
In conformità alla EN 12372:2001
Resistenza al gelo/disgelo
In conformità alla EN 12371:2003
Norme tecniche e metodi di prova
Le normative elaborate dai comitati tecnici relative alla marcatura CE si articolano
sostanzialmente in tre settori:
• terminologia
• metodi di prova
• requisiti che devono essere dichiarati su ciascun prodotto
La ricerca delle caratteristiche essenziali da dichiarare attraverso l’esecuzione di
prove meccaniche sono condotte in laboratorio in conformità alle norme relative ai
metodi di prova. Queste ultime definiscono in maniera dettagliata le procedure sperimentali e solitamente si articolano definendo i seguenti requisiti:
• Lo scopo e il campo di applicazione
• Eventuali riferimenti normativi
• Il principio fisico su cui si basa la prova
• L’apparecchiatura necessaria e le specifiche prestazionali degli strumenti impiegati
• La quantità di provini da sottoporre a prova
• Le caratteristiche dei provini da sottoporre a prova
• I procedimenti necessari per la conduzione della prova
• Le modalità di espressione dei risultati
• Le informazioni che devono essere riportate sui certificati di prova
In generale, nel campo delle attività di sperimentazione e di misura, i metodi di prova
pubblicati dagli organismi di certificazione hanno lo scopo primario di consentire ad
uno sperimentatore di ottenere risultati compatibili con quelli che avrebbe ottenuto
un altro laboratorio sugli stessi provini.
Tale effetto è raggiungibile se sono rispettati anche altri principi basilari connessi con
le attività di sperimentazione, tra cui si ricordano:
• la riferibilità delle misure ai campioni nazionali, grazie alla gestione della catena
di riferibilità metrologica attraverso tarature esterne ed interne (queste ultime con
l’adozione di apposite procedure di verifica interna);
234
•
•
la rispondenza a requisiti gestionali come un sistema di autocontrollo ed un’organizzazione del laboratorio circa le attività che impattano sulla qualità delle misure
e che sono gestite attraverso procedure redatte ad hoc (ad esempio, la conservazione dei campioni, la rintracciabilità dei documenti, la professionalità e l’aggiornamento degli sperimentatori);
la gestione di situazioni non conformi e di appropriate azioni correttive (ad esempio, la gestione dei fuori taratura, la gestione degli intervalli di taratura, la ridefinizione dei criteri di accettabilità degli strumenti).
Risultati di prova e loro incertezza
I metodi di prova impiegati per la determinazione delle caratteristiche essenziali dei
materiali lapidei da sottoporre a dichiarazione di conformità con marchio CE sono
stati elaborati dalle commissioni tecniche secondo un approccio probabilistico, dove i
risultati di alcune prove sono rappresentati considerando anche lo scarto tipo del loro
valore medio e, dove applicabile, l’incertezza dovuta alle attività di misura.
Tale approccio statistico è in accordo con un contesto più globale, legato al mondo
delle misure in genere, che si è andato a definire negli ultimissimi anni con il delinearsi di un contesto normativo articolato tra cui le recenti norme sull’incertezza
di misura (a titolo di esempio si vedano la norma UNI EN 10012:2004 “Sistemi di
gestione della misurazione - Requisiti per i processi e le apparecchiature di misurazione” - e la norma UNI CEI ENV 13005:2000 “Guida all’espressione dell’incertezza di misura”).
Esso risponde alla considerazione matematica che solo un numero infinito di misurazioni di un dato parametro può portare alla definizione di un risultato certo di quel
parametro, mentre la possibilità, nella pratica, di eseguire un numero finito di misurazioni porta inevitabilmente ad esprimere un risultato affetto da un’incertezza.
In sostanza l’incertezza di misura consente di esprimere un valore unitamente ad un
intervallo entro il quale questo può variare in una data percentuale. Essa costituisce
un’espressione quantitativa della fiducia che merita un risultato. Così ad esempio se
si esprime il risultato di una misura di lunghezza come pari a (120 ± 0,5) m con un
livello di confidenza del 95%, si intende che se fossero condotte 100 misure con le
identiche condizioni, 95 misure di quella lunghezza si collocherebbero all’interno di
un intervallo definito inferiormente da 119,5 m e superiormente da 120,5 m, con una
distribuzione gaussiana delle 100 misure.
La gestione dell’incertezza
L’introduzione del concetto di incertezza nel mondo delle misure sta comportando
una forte evoluzione in campo industriale. Infatti la gestione dell’incertezza delle misure consente di ottimizzare le attività connesse alle misure e ai controlli interni sulla
base di quanto esse contribuiscono all’incertezza complessiva ed in relazione ai rischi
legati alle non conformità di prodotto.
L’imprenditore che riesce ad implementare un sistema gestionale delle proprie attività di controllo può individuare quelle attività che impattano sulla conformità dei
propri prodotti e stimare, per ognuna di esse, un contributo di incertezza espresso in
termini dimensionali (ad esempio resistenza alla compressione, valore di abrasione,
dimensioni del prodotto finito).
235
Il valore di incertezza di un certo requisito ottenuto dai vari contributi di incertezza
provenienti dalle attività individuate che li generano può essere confrontato con un
valore obiettivo (ad esempio il valore dichiarato sul marchio o un valore di specifica
chiesto dal cliente). Da questo confronto può essere verificata la conformità dei prodotti relativamente al requisito controllato; non solo, ma attraverso questo confronto è
possibile stabilire se le attività di controllo sono sovradimensionate o insufficienti in relazione al rischio che l’imprenditore vuole assumersi relativamente alla possibilità che
i suoi prodotti non siano conformi. Inoltre, la rappresentazione dei vari contributi di
incertezza, in relazione al loro peso nel calcolo dell’incertezza estesa e specialmente in
rapporto ai costi delle attività che li originano, consente di concentrare gli investimenti
su quelle attività che maggiormente contribuiscono all’incertezza complessiva, ossia
privilegiando gli interventi correttivi sulle attività che risultano maggiormente critiche.
L’opportunità data dalla gestione dell’incertezza delle misure va quindi ben oltre il
semplice concetto di incertezza e la mera attività di misura e controllo, ma investe
le attività produttive nel loro complesso, dal momento che l’incertezza è legata al
rischio di impresa e che le attività che contribuiscono all’incertezza sono associate ai
loro costi.
Nella vecchia concezione deterministica delle misure tale gestione non era praticabile, impedendo di fatto la possibilità di affrontare la non conformità di prodotto e i
costi relativi. Infatti, se è sempre stato ovvio che risparmiare sui controlli comporta
minori costi di produzione ma maggiore rischio, non era possibile mettere in relazione l’ammontare dei costi con un’analisi quantitativa del rischio, senza nemmeno
poter pianificare, sempre in relazione ai costi, gli interventi mirati al maggior risparmio con il minimo rischio.
Nel caso delle indagini sui materiali lapidei mirate alla ricerca dei loro requisiti essenziali da dichiarare con marcatura CE, sulla base di quanto delineato dalle norme
sui lapidei, si propone, relativamente a quelle attività strategiche che influiscono sui
requisiti dei prodotti e sulla bontà dei risultati sperimentali ottenuti, l’individuazione
delle seguenti fonti di incertezza:
• contributo di incertezza dovuto al campionamento, legato alla rappresentatività
del campione prelevato, specie in relazione alla frequenza dei prelievi effettuati
nel tempo ed alla loro quantità in relazione al volume da indagare;
• contributo di incertezza dovuto alla variabilità del misurando, ossia alla variabilità
del requisito cercato all’interno di un volume indagato cui il misurando si riferisce;
• contributo di incertezza dovuto ai diversi effetti che la lavorazione può portare
sullo stesso tipo di pietra, in relazione al parametro cercato (ad esempio la lavorazione superficiale in relazione alle caratteristiche di scivolosità);
• contributo di incertezza relativo alle prove di laboratorio, dovuto principalmente
al grado di accuratezza degli strumenti ed ai metodi di prova;
• eventuali altri contributi di incertezza relativi alla specifica gestione dell’attività
produttiva.
Tutti questi contributi di incertezza sono connessi ad attività previste dalle norme che
vengono di seguito riproposte. Nel linguaggio stesso delle norme si scorge il carattere
aleatorio che tali attività comportano.
236
Per quanto riguarda il campionamento, le norme specificano che quest’ultimo deve
essere “adeguato alla forma fisica della partita in oggetto”. Ove possibile deve essere
eseguito un “campionamento casuale” in cui ogni elemento della partita ha la stessa
probabilità di essere scelto per il campione. Quando il campionamento casuale non
risulta idoneo rispetto ai requisiti di praticità e convenienza, deve essere utilizzato un
procedimento di “campionamento rappresentativo”.
Per quanto riguarda il contributo di incertezza relativo alla variabilità del misurando,
ci si può riferire a quanto le norme stabiliscono in merito al fatto che le prove devono
essere eseguite quando viene sviluppato un nuovo tipo di prodotto ed ogni qualvolta
si riscontra una “variazione significativa” nella materia prima o nel processo di produzione che potrebbe modificare le proprietà del prodotto finito (paragrafo 5.2 delle
UNI EN 1341:2002, UNI EN 1342:2003 e UNI EN 1343:2003).
Inoltre le norme, nella parte relativa alle prove tecnologiche, specificano il numero
minimo di provini da sottoporre a prove, prelevati dall’attività di campionamento
eseguita dal produttore. Questo non impedirebbe, qualora il produttore lo ritenesse
necessario per l’idoneità dei risultati sperimentali, che si possano sottoporre a prova
più provini rispetto al numero minimo prescritto.
Il contributo di incertezza dovuto ai processi di prova in laboratorio dipende invece
dai metodi di prova che definiscono le procedure sperimentali e dal laboratorio che
esegue le prove, sulla base delle prestazioni che è in grado di offrire (queste ultime
sono legate alle caratteristiche degli strumenti impiegati ed alla gestione dei processi
di misurazione).
Di seguito si propone una possibile interpretazione di come potrebbe essere impostato un sistema gestionale dei controlli in produzione, che è stato rappresentato a titolo
di esempio prendendo spunto dalla filosofia Plan Do Check Act della norma ISO 9001:
2000 “Sistemi di gestione per la qualità”.
237
STIMA DEI CONTRIBUTI DI INCERTEZZA
VALORE DICHIARATO
O VALORE TARGET
CONFRONTO
INDIVIDUAZIONE ATTIVITÀ CHE IMPATTANO
SULLA CONFORMITÀ DEI PRODOTTI
RISCHIO
RAPPRESENTATIVITÀ DEL CAMPIONAMENTO
VARIABILITÀ DEL MISURANDO
VARIABILITÀ DOVUTA AI PROCESSI LAVORAZIONE
RISULTATI DEI
CONTROLLI E LORO
INCERTEZZA
INCERTEZZA DOVUTA AL LABORATORIO
ALTRI CONTRIBUTI EVENTUALI
PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI MIRATI
PER OTTIMIZZARE I COSTI IN RELAZIONE AL
BILANCIO DELL’INCERTEZZA
Secondo le attività che maggiormente pesano nel bilancio
dell’incertezza, le azioni correttive potrebbero per esempio
riguardare:
• Modifica delle attività di campionamento (aumento del numero dei campioni, regolamentazione e monitoraggio dei
sistemi di campionamento).
• Aumento della frequenza dei controlli in relazione a sospette
variazioni della materia prima
• Miglioramento delle attività di lavorazione
• Miglioramento della gestione dei controlli interni
• Miglioramento della qualità delle prove (scelta di un laboratorio più
prestazionale, acquisizione di appropriati strumenti e professionalità per l’esecuzione di prove in casa)
• …
238
ANALISI DEI CONTRIBUTI
DI INCERTEZZA IN RELAZIONE
AL LORO PESO E AL COSTO DELLE
ATTIVITÀ CHE LI ORIGINANO
L’esperienza condotta dal Laboratorio Geotecnico del Servizio Geologico
Il Laboratorio Geotecnico del Servizio Geologico della Provincia Autonoma di Trento
ha condotto direttamente ed in collaborazione con il Centro Prove Materiali Lapidei di
Verona un ciclo di prove tecnologiche su 20 tipi distinti di pietra trentina provenienti
da altrettante cave, sottoponendole alle varie indagini previste, per le tre tipologie
(cubetti, lastre e cordoli) di prodotto contemplate dalle norme.
L’esperienza sperimentale porta ad osservare che l’incertezza dovuta all’attività di
prova è spesso sensibilmente inferiore rispetto agli altri contributi di incertezza. Questo è evidenziato dal confronto tra il valore di coefficiente di variazione dei risultati
ottenuti da più provini appartenenti ad uno stesso campione rispetto ai valori di incertezza stimati sulla base delle procedure sperimentali. Il coefficiente di variazione
è ottenuto dal rapporto tra la deviazione standard e il valore medio di una serie di
risultati - appendice C della norma UNI EN 1926:2000 “Metodi di prova per pietre
naturali - Determinazione della resistenza a compressione”.
Del resto, questo è intuibile, poiché l’attività di prova è codificata nei dettagli sia per
quanto riguarda i processi di prova sia per le caratteristiche delle macchine di prova, nonché per le attività di taratura degli strumenti impiegati. Invece, l’attività più
aleatoria che maggiormente incide sulla bontà dei risultati sperimentali è legata principalmente alle operazioni di campionamento ed alla variabilità delle caratteristiche
del prodotto.
I risultati di prova devono essere valutati considerando che la deviazione standard
e il coefficiente di variabilità sono di fatto un ulteriore risultato sperimentale. Infatti,
oltre ai valori medi, massimo e minimo di più determinazioni, la dispersione dei
valori rappresenta essa stessa un riscontro sperimentale che non dipende dalla prestazioni del laboratorio ma dal misurando, tanto che in alcuni casi i metodi di prova
ne prevedono l’espressione sui relativi certificati (è il caso ad esempio di quella per la
determinazione della resistenza a compressione eseguita secondo UNI EN 1926:2000
“Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione della resistenza a compressione”, prevista per i cubetti).
Tale dato dovrebbe essere considerato sia come elemento utile per rappresentare
la situazione di variabilità del lotto indagato, sia come dato di ingresso di una valutazione statistica più ampia, sulla base della quale il produttore può considerare
l’opportunità di concentrare le indagini laddove i risultati sono più dispersi oppure di
rinunciare all’approfondimento adottando valori più cautelativi con le conseguenze
commerciali che solo al produttore spetta considerare.
Nella ponderazione che il produttore o venditore fa circa quali valori dichiarare, egli
dovrà tenere presente che ad ogni controllo effettuato sul prodotto finito quest’ultimo
potrà essere considerato idoneo solo se i valori di ciascun provino non sono inferiori a
quelli dichiarati. In virtù di questo risulterebbe consigliabile dichiarare il valore minimo ottenuto oppure valutare il caso, in presenza di elevati coefficienti di variabilità e
mancati approfondimenti sperimentali, di esporre dati ancora più cautelativi rispetto
al minimo dei valori misurati, quali ad esempio il valore minimo atteso.
Le norme UNI EN 1926:2000 e UNI EN 12372:2001, relativamente alle prove di resistenza a compressione e a flessione rispettivamente, propongono nelle appendici
una valutazione statistica dei risultati di prova, tra cui la determinazione del valore
minimo atteso.
239
Compiti e requisiti del laboratorio prove
Il quadro normativo che riguarda la marcatura CE dei lapidei per esterni individua il
produttore quale unico responsabile circa i valori dichiarati, che ha l’obbligo di eseguire le prove e può decidere se individuare al suo interno le risorse e le competenze
necessarie per condurre in proprio la sperimentazione oppure se incaricare un laboratorio esterno. In entrambi i casi, secondo le norme, non sono necessari particolari
requisiti per il laboratorio che esegue le prove sui lapidei chiarendo però nel dettaglio
procedure sperimentali e caratteristiche tecniche delle macchine di prova.
Essendo il produttore responsabile della scelta del laboratorio che egli interpella,
tocca a lui a decidere se è sufficiente un rapporto professionale di fiducia o se approfondire la bontà della sua scelta chiedendo e verificando particolari garanzie.
Chiarito che non sono necessari, per norma e per legge, particolari requisiti, si possono comunque individuare alcune caratteristiche dei laboratori prova che possono
essere considerate qualificanti per una scelta quantomeno ragionata.
I laboratori che si sono dotati di un sistema di autocontrollo operante su tutte le attività svolte nell’ambito del loro lavoro di sperimentazione, la più importante delle quali
è rappresentata dai processi di conferma metrologica, generalmente sono in grado di
garantire la conformità dei risultati emessi. Un aiuto ai laboratori che attivano queste
attività di autocontrollo proviene dall’applicazione dei contenuti delle norme relative
ai sistemi di gestione per la qualità UNI EN ISO 9001:2000 e dalla norma più specifica
UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2000 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori
di prova e di taratura”, che ricalca la UNI EN ISO 9001:2000, ma che possiede un
capitolo in più riguardante specificamente le competenze tecniche dei laboratori.
I laboratori che hanno deciso di adeguare la loro attività ad una di queste norme
possono decidere di interpellare un ente di certificazione che, attraverso un sistema
di controlli, rilascia loro un certificato, che essi possono vantare nei confronti dei loro
clienti come elemento decisamente qualificante. Nel caso di un laboratorio accreditato UNI EN 17025:2000 l’ente di certificazione è il SINAL - Sistema Nazionale di Accreditamento per i Laboratori. La scelta di accreditarsi è comunque facoltativa; nulla
vieta che un laboratorio si doti di un sistema per la gestione della qualità garantendo
il suo standard attraverso dei controlli interni e dei controlli eseguiti direttamente dai
suoi clienti.
Inoltre, alcune affinità con attività di sperimentazione quali ad esempio prove su rocce o calcestruzzi potrebbero fornire ulteriori elementi per una possibile valutazione
positiva di un laboratorio prove, tanto più se questo ha già maturato esperienza non
solo sulla natura affine dell’oggetto delle proprie analisi ma anche circa l’ottemperanza a determinati requisiti imposti dalla legislazione vigente nei settori per cui
già opera, anche se differenti da quelli dei lapidei (è l’esempio della Legge 1086/71
relativa alle prove sui calcestruzzi o della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici
349/STC relativa a terre e rocce).
Per quanto riguarda i requisiti e la scelta del laboratorio prove, si può infine osservare che il produttore, nella valutazione dei risultati ottenuti dal laboratorio che ha
incaricato, si trova a gestire anche l’incertezza dovuta alle prove attraverso la propria
scelta del laboratorio che più si avvicina alle sue necessità, sulla base del bilancio
complessivo dei contributi di incertezza. Nel caso dell’esperienza del Laboratorio
Geotecnico della Provincia Autonoma di Trento, si è osservato che l’incertezza di
240
prova è di gran lunga inferiore agli altri contributi (frequenza e quantità di campionamento, variazioni nella lavorazione, variazioni nella materia prima), per cui la scelta
del laboratorio, sulla base dell’incertezza di prova che il laboratorio stesso può garantire al produttore, dovrebbe limitarsi nella valutazione di quanto quest’incertezza
pesa nel bilancio complessivo di tutte le fonti di incertezza.
La certificazione CE degli aggregati
La direttiva della Comunità europea 89/106 impone che tutti i prodotti immessi sul
mercato e destinati alle costruzioni siano soggetti a marcatura CE.
Tutto questo è regolato a livello nazionale dai DPR 21 aprile 1993, n. 246, di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione e 10 dicembre 1997,
n. 499 - Regolamento recante norme di attuazione della direttiva 93/68/CEE per la
parte che modifica la direttiva 89/106/CEE in materia di prodotti da costruzione.
I sistemi dell’attestazione di conformità 2+ e 4 presuppongono il rispetto delle stesse
prescrizioni. Si differenziano unicamente per il fatto che la garanzia offerta ai terzi
dal rispetto delle norme EN relative alla marcatura CE, nel caso del livello 4 poggia
solo su un’autocertificazione del produttore, nel sistema 2+ invece poggia su un controllo della produzione effettuato da un terzo (Organismo notificato).
Secondo la norma europea il sistema 2+ è richiesto per tutte quelle applicazioni caratterizzate dalla necessità di un “alto livello di sicurezza”. Il sistema 4 per tutte le
altre applicazioni.
È compito del Ministero competente definire le modalità di individuazione delle opere
ad elevati requisiti di sicurezza.
La pubblicazione del Decreto del Ministero delle attività produttive del 7 aprile 2004
riporta anche le norme relative alla marcatura CE degli aggregati e rende obbligatoria la vendita e l’uso di tali prodotti provvisti del relativo marchio, attestato secondo
il sistema 2+.
Le norme di riferimento per il settore della produzione di aggregati sono divise in
funzione della destinazione d’uso:
• UNI EN 12620:2003 “Aggregati per calcestruzzo”
• UNI EN 13043:2004 “Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali
per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico”
• UNI EN 13055-1:2003 “Aggregati leggeri - aggregati leggeri per calcestruzzo,
malta e malta per iniezione”
• UNI EN 13055-2:2005 “Aggregati leggeri - Parte 2: Aggregati leggeri per miscele
bituminose, trattamenti superficiali e per applicazioni in strati legati e non legati”
• UNI EN 13139:2003 “Aggregati per malta”
• UNI EN 13242:2004 “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti
idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade”
• UNI EN 13383:2003 “Aggregati per opere di protezione (armourstone) specifiche
e metodi di prova”
• UNI EN 13450:2003 “Aggregati per massicciate per ferrovie”
Le norme definiscono inoltre tipo e frequenza delle prove di laboratorio geometriche,
fisiche e chimiche, necessarie per caratterizzare gli aggregati prodotti.
241
Di seguito si riporta uno schema riassuntivo delle prove con la relativa metodologia
ai sensi delle norme UNI EN e la frequenza diversificata in funzione degli specifici
utilizzi dei singoli aggregati.
Sulla base delle norme approvate il produttore di aggregati, possibilmente avvalendosi di consulenti esterni con specifiche esperienze sui sistemi di qualità, deve:
• Predisporre un sistema di controllo del processo documentato secondo le normative di riferimento sopra individuate definito come “Controllo di produzione in
fabbrica (CPF)”.
La gestione della produzione degli aggregati è descritta dalle norme in 9 punti:
1. organizzazione;
2. procedure di controllo;
3. gestione della produzione: descrizione dell’impianto di produzione;
4. controlli e prove;
5. registrazioni;
6. controllo dei prodotti non conformi;
7. movimentazione e stoccaggio;
8. trasporto;
9. formazione del personale.
• Pianificare ed effettuare i controlli iniziali previsti dalle norme di riferimento,
che hanno lo scopo di caratterizzare e designare il prodotto in funzione della sua
possibile destinazione d’uso e sono eseguite su ogni aggregato prodotto secondo
quanto stabilito dalle norme di riferimento.
• Classificare, in base ai risultati delle prove, le diverse caratteristiche degli aggregati prodotti secondo le indicazioni delle norme.
• Pianificare un programma di controlli periodici sugli aggregati, rispettando le frequenze minime e i piani di controllo definiti dalle norme che sono riportati nella
successiva tabella.
Elenco e frequenza prove per marcatura CE
Tipo di prova
Metodo UNI
EN
Utilizzo UNI-EN
Calcestruzzo
Malte
Asfalti
Strade
Requisiti geometrici
analisi granulometrica
933/1
s
s
s
s
indice di forma
933/3
m
m
m
m
indice di appiattimento
933/4
m
m
m
m
contenuto fini
933/1
s
s
s
s
equivalente in sabbia
933/8
s
s
valore di blu
933/9
s
s
superfici frantumate
933/5
242
s
6m
s
m
m
Tipo di prova
Metodo UNI
EN
Utilizzo UNI-EN
Calcestruzzo
Malte
Asfalti
Strade
2a
a
3a
5a
Requisiti fisici
massa volumica e assorbimento
1097/6-9
a
esame petrografico (sezione sottile)
932/3
3a
resistenza alla frammentazione (LA)
1097/2-5
6m
resistenza all’usura (microDeval)
1097/1
2a
spigolosità aggregato fine
933/6-8
resistenza allo shock termico
1367/5
resistenza alla levigazione
1097/8
2a
1097/8A
2a
a
1367/1
2a
2a
6m
a
resistenza all’abrasione superficiale
resistenza gelo/disgelo
a
6m
a
6m
m
a
a
2a
Requisiti chimici
affinità ai leganti bituminosi
12697/11
contaminanti leggeri
1744/1-14
sostanza umica
1744/1-15
a
s
cloruro
1744/1-7
2a
2a
solfati solubili in acido
1744/1-12
a
a
a
zolfo totale
1744/1-11
a
a
a
196/21
2a
carbonato di calcio
s = settimanale
m = mensile
a = annuale
243
a
a
244
Dispositivo legislativo ed urbanistico
dell’attività estrattiva
Giulio Agnoli
Carlo Filz
Principali riferimenti normativi
Ai sensi dell’articolo 105 del Testo unificato delle leggi sullo Statuto speciale del Trentino Alto Adige approvato con D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nelle materie attribuite
alla competenza della Regione o delle province di Trento e di Bolzano, fino a quando
non sia diversamente disposto con leggi regionali o provinciali, si applicano le leggi
dello Stato.
La legge allora vigente in materia mineraria era il Regio decreto 29 luglio 1927, n.
1443, che, all’art. 2, suddivide la ricerca e la coltivazione delle sostanze minerali industrialmente utilizzabili in due categorie:
• prima categoria: miniere (minerali utilizzabili per l’estrazione di metalli, metalloidi e loro composti, anche se detti minerali siano impiegati direttamente;
grafite, combustibili solidi, liquidi e gassosi, rocce asfaltiche e bituminose; fosfati,
sali alcalini e magnesiaci, allumite, miche, feldspati, caolino e bentonite, terre da
sbianca, argille per porcellana e terraglia forte, terre con grado di refrattarietà
superiore a 1.630 gradi centigradi; pietre preziose, granati, corindone, bauxite,
leucite, magnesite, fluorina, minerali di bario e di stronzio, talco, asbesto, marna
da cemento, pietre litografiche; sostanze radioattive, acque minerali e termali,
vapori e gas);
• seconda categoria: cave (torbe; materiali per costruzioni edilizie, stradali ed
idrauliche; terre coloranti, farine fossili, quarzo e sabbie silicee, pietre molari,
pietre coti; altri materiali industrialmente utilizzabili non compresi nella prima
categoria).
Per la prima categoria è tuttora vigente il Regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, integrato dal Regolamento approvato dal Presidente della Giunta Provinciale di Trento - 5 giugno 2003, n 10 - 131/Leg e successive modifiche. Per la seconda categoria,
la Provincia Autonoma di Trento si è dotata di legge propria e precisamente della
L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e successive modifiche, con l’obiettivo di regolare l’attività
di coltivazione delle cave e delle torbiere e di valorizzare le risorse minerali, in
armonia con gli scopi della programmazione economica e della pianificazione territoriale, con le esigenze di salvaguardia dell’ambiente e con la necessità di tutela
del lavoro e delle imprese; tale legge ha previsto in particolare l’approvazione del
“Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali” e l’istituto dell’autorizzazione onnicomprensiva del sindaco.
Con L.P. 11 marzo 1993, n. 7 è stata inoltre approvata una norma sui “Criteri per
la determinazione dei canoni di concessione delle cave porfido ricadenti su suolo
comunale”.
La sicurezza nell’intero comparto delle miniere, cave e torbiere è disciplinata dal
D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, così come modificato dal D.L. 25 novembre 1996, n. 624
- concernente l’attuazione della direttiva CEE 92/91 - Polizia mineraria.
Particolare di roccia basaltica cava di Pradaglia (Isera)
245
Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
La prima edizione del Piano risale al 1982, quando, data l’importanza che il porfido
rivestiva rispetto alle altre tipologie di materiale, vista l’urgenza di disciplinare l’attività e considerato che la legge lo consentiva (art. 22), fu dapprima pianificato questo
settore con l’approvazione da parte della Giunta provinciale del “Piano stralcio per il
porfido da taglio e pavimentazione”.
Solo più tardi, nel 1987, è stato approvato il Piano che considera tutte le tipologie di
materiali di cava, poi aggiornato nel 1989, nel 1992, nel 1998 e da ultimo nel 2003
(4° aggiornamento).
L’effetto principale del Piano è stato quello di limitare l’attività estrattiva all’interno
di quelle aree ritenute idonee, individuate come “suscettibili di attività estrattiva”,
dettando altresì i criteri, sia per la redazione degli atti di competenza comunale, sia
per la predisposizione dei progetti di coltivazione.
Il processo di cambiamento fra la situazione antecedente al Piano e quella successiva
è durato alcuni anni, ma il riscontro è stato complessivamente positivo, anche se sono
rimasti ancora alcuni nodi da sciogliere, quali ad esempio il problema connesso al
traffico per il trasporto del porfido.
I comuni interessati hanno approvato in tempi ragionevoli gli atti programmatori di
loro competenza, nonostante le notevoli difficoltà derivanti dall’esigenza di coniugare
l’interesse della collettività con quello delle imprese.
Dagli anni ’90, anche grazie all’entrata in vigore della normativa provinciale sulla
Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.), è stato possibile osservare sul territorio il
concretizzarsi dei mutamenti previsti dal Piano.
Nelle cave si è potuto notare un maggior ordine generalizzato, una più razionale e
sicura coltivazione e la realizzazione sempre più frequente di interventi di recupero
ambientale, in particolare anche su numerose discariche di scarti di porfido e cave
dismesse.
Il 4° aggiornamento del Piano, approvato con deliberazione della Giunta provinciale n. 2533 di data 10 ottobre 2003, s’inquadra nella scelta di fondo dello sviluppo
sostenibile fatta propria dal Programma di Sviluppo Provinciale (P.S.P.), che, per
quanto riguarda le risorse minerarie, implica interventi per utilizzazioni razionali dei
giacimenti, per una rilevante riduzione degli smaltimenti in discarica, potenziando
le attività di recupero degli scarti e per un’attenuazione dell’impatto ambientale, sia
prevedendo interventi a basso impatto, sia attraverso il tempestivo ripristino delle
aree già utilizzate.
In tale occasione è stata elaborata anche la “Relazione ambientale strategica” finalizzata ad una valutazione complessiva della pianificazione e all’esame delle singole aree,
nella quale sono state indicate altresì le situazioni problematiche dal punto di vista ambientale; questa relazione ha costituito un utile indirizzo per le scelte di fondo del Piano
e conseguentemente si rifletterà sull’elaborazione dei singoli progetti esecutivi di cava.
Con il 4° aggiornamento del Piano sono state apportate alcune modifiche alle aree
estrattive allo scopo di consentire migliori condizioni di coltivazione dal punto di vista
tecnico - economico e sono stati effettuati alcuni stralci di aree in gran parte inutilizzate, allo scopo di alleggerire la pressione sull’ambiente circostante.
L’estensione delle aree di discarica è stata pressoché azzerata, considerato che gli
scarti di porfido, che fino a pochi anni rappresentavano un grosso problema per lo
246
smaltimento in discarica, hanno trovato una loro totale valorizzazione, impiegati sia
allo stato grezzo per riempimenti e rilevati, sia frantumati nell’edilizia e nell’industria. Sono state stralciate o ridotte alcune aree estrattive ove nel corso dei lavori o
a seguito di un esame più approfondito dei luoghi è stata constatata l’impossibilità
di un corretto e razionale sfruttamento del giacimento, dovuta sia alla cattiva qualità
del materiale sia alle condizioni geomorfologiche del terreno o all’interferenza con
importanti strutture od infrastrutture.
Sono state inoltre stralciate le zone già completamente utilizzate e ripristinate ovvero
quelle destinate, di fatto, ad attività estranea al ciclo produttivo dell’attività di cava.
Nella valutazione complessiva del volume di inerti necessario a soddisfare il
fabbisogno è stato tenuto conto degli orientamenti di politica ambientale che prevedono il coordinamento tra i piani regionali delle attività estrattive e quelli di gestione
dei rifiuti provenienti da costruzioni e demolizioni in modo da limitare l’impiego delle
materie prime ed il riutilizzo dei materiali riciclati.
In tal senso la scarsità di aree estrattive individuate dal Piano nelle valli periferiche,
considerati gli elevati costi di trasporto dell’inerte dal fondovalle, contribuisce a rendere sempre più conveniente l’utilizzo di inerte alternativo proveniente dal riciclaggio
dei rifiuti prodotti localmente dal settore delle costruzioni.
La disponibilità complessiva dei giacimenti di materiali inerti individuati dal Piano,
tenuto conto del consistente contributo offerto dalla provenienza extra cava, dovrebbe
garantire il soddisfacimento delle necessità del settore nel medio termine. Il Piano ha
pertanto previsto un limitato inserimento di nuove aree e solo qualche ampliamento
di aree già individuate, al fine di garantire, pur con prelievi annuali limitati, volumi
disponibili per un periodo il più lungo possibile; l’obiettivo è stato quello di garantire
l’autosufficienza a livello provinciale, cercando di evitare che si verifichino fenomeni
di importazione ed esportazione verso altre province.
In corrispondenza di alcune formazioni calcaree, sulla base dell’interesse manifestato
da operatori del settore industriale dei prodotti per l’edilizia (calce, malte premiscelate per intonaci), é stata prevista la possibilità di coltivare in sotterraneo, limitando
così il più possibile l’impatto ambientale.
È stata comunque garantita la possibilità di ulteriori utilizzi futuri, avendo il Piano
individuato un’esigua porzione delle risorse minerarie presenti in provincia, consentendo allo stesso tempo il soddisfacimento delle esigenze attuali complessive del
settore.
Il Piano ha inoltre alleggerito, per quanto possibile, la pressione sull’ambiente circostante le aree estrattive, (ad esempio nei casi delle zone estrattive “Lago di Valle” a
Fornace, “Posmar” a Grumes).
Nel corso dei lavori preparatori è stata anche effettuata una verifica ambientale ed
idrogeologica delle aree estrattive non ancora oggetto di autorizzazione che sono
state individuate precedentemente alla data di entrata in vigore della L.P. 16 dicembre 1993, n. 42 (modificativa della L.P. 4 marzo 1980, n. 6) ove, all’art. 4 bis,
è prevista la vincolatività del parere forestale e di quello della tutela paesaggisticoambientale.
La relazione illustrativa è stata completamente revisionata, con lo stralcio di quelle
indicazioni di carattere transitorio (inserite circa vent’anni fa all’atto della sua originaria stesura), con l’inserimento dei più recenti riferimenti tecnico normativi e con
247
l’aggiornamento delle tabelle contenenti i dati statistici e le stime riguardanti l’attività
estrattiva.
La cartografia è stata integrata con nuovi tematismi, utili per una migliore comprensione del territorio, quali le ortofoto.
Aree estrattive e potenzialità dei giacimenti di Piano
La superficie delle aree estrattive suddivise per tipo di materiale nonché la potenzialità indicativa dei giacimenti previsti dal vigente “Piano provinciale di utilizzazione
delle sostanze minerali” sono riassunte nella sottostante tabella.
Estensione aree estrattive e riserve probabili per materiale (anno 2003)
Coltivazione a giorno
Tipo di materiale
Superficie
(m2)
Riserve probabili
(m3)
Argilla
300.889
1.100.000
Basalto
25.622
100.000
725.521
5.850.000
25.800
60.000
30.617
20.000
Calcare anche marnoso per
cemento
Calcare da costruzione
Calcare
Gesso
Granito e tonalite
Inerti, pietrisco sabbia e ghiaia
206.108
150.000
4.805.578
29.750.000
Marmo
696.059
990.000
Porfido
4.182.738
44.340.000
Tufo basaltico
TOTALE
19.872
20.000
11.018.804
82.380.000
Estensione delle aree estrattive nelle coltivazioni a giorno (m2)
248
Coltivazione in sotterraneo
Superficie
(m2)
Riserve probabili
(m3)
676.893
35.000.000
676.893
35.000.000
Riserve probabili delle aree estrattive nelle coltivazioni a giorno (m3)
Ubicazione delle aree estrattive individuate dal Piano provinciale di utilizzazione delle
sostanze minerali
249
Elenco delle aree estrattive individuate dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze
minerali
Denominazione
Materiale
a giorno
(m2)
Ala
Pilcante
inerti
341.637
12
Autorizzazioni
vigenti nell’area
(al
31.12.2003)
(n)
10
Ala
Santa Cecilia
Guastum
inerti
81.631
13
1
Ala
Valfredda
inerti
50.798
16
1
608.563
4.06
22
745.942
4.07
9
263.834
5.01
7
Superficie
Comune
Porfido
Trentino
Lastrificato
Porfido
Trentino
Lastrificato
Porfido
Trentino
Lastrificato
in
sotterraneo
(m2)
Tavola
di Piano
(n)
Albiano
Monte Gaggio
Rio Secco
Albiano
Monte Gaggio
Possender
Val Noselari
Albiano
(Fornace Lona-Lases)
Monte Gorsa
Aldeno
(Trento)
Torricella
inerti
65.169
17.01
2
Arco
Patom
calcare
inerti
argilla
86.990
18
1
Arco
(Riva del
Garda)
Piscolo
argilla
39.316
19.01
1
Avio
Cunette
inerti
45.391
20
1
Avio
Masi di Avio
21
1
Lastari - Sacco
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
63.572
Baselga di Piné
(Fornace Lona-Lases)
337.685
5.06
21
Besenello
(Calliano)
Boschispessi
inerti
66.568
22.01
2
Besenello
Crocetta
inerti
93.395
23
1
Besenello
(Calliano)
Posta Vecchia
inerti
68.411
24.01
2
Bleggio
Inferiore
Prà Sarca
argilla
25.438
135
0
Bocenago
Canisaga
inerti
26.931
149
0
Bolbeno
(Zuclo)
Castelar - La
Val
inerti
31.975
25.01
1
Brentonico
Cornalè
Giallo
Mori
35.129
27
1
Brentonico
San Rocco
Giallo
Mori
63.381
28
0
Brez
valle di Arsio
inerti
55.345
29
0
Calavino
Limarò
inerti
85.217
150
0
250
Superficie
in
sotterraneo
(m2)
Tavola
di Piano
(n)
Autorizzazioni
vigenti nell’area
(al
31.12.2003)
(n)
Comune
Denominazione
Materiale
Calavino
(Lasino)
Ponte Oliveti
calcare
e marna
per
cemento
224.497
30.01
1
Calliano
(Besenello)
Boschispessi
inerti
37.274
22.02
1
Calliano
(Besenello)
Posta Vecchia
inerti
33.098
24.02
1
Campodenno
Rio Belasio
argilla
60.856
32
2
Campodenno
Tusana Bassa
argilla
39.446
33
0
Pralungo
Granito
di Cima
d’Asta
33.616
35
1
Canal San Bovo
Val Cortella
inerti
36.269
36
1
Canal San Bovo
Val Cortella
km 1
inerti
17.946
145
0
Canal San Bovo
Val Cortella
km 4
inerti
11.519
146
0
Canazei
Pian Trevisan
152.940
37
1
Capriana
Bus della Vecia
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
67.306
6
1
Castello Molina
di Fiemme
Maso Rive
inerti
54.765
136
1
Castello Molina
di Fiemme
Naronco
Brozzin
inerti
40.130
41
2
Castello Molina
di Fiemme
Tistola
gesso
30.617
43
1
Castello Tesino
Poro
inerti
21.915
137
1
Castelnuovo
Mesole
inerti
14.912
45
1
Castelnuovo
(Villa Agnedo)
Val Coalba
inerti
54.941
46.01
0
Cembra
Cavade
28.162
49
1
Cembra
Val Scorzai
345.288
7
7
Condino
Isoi
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
inerti
164.133
148
0
Condino
Taiade
inerti
62.891
138
0
Coredo
Pozze Longhe
calcare
marnoso
per
cemento
183.413
51
1
Dimaro
La Valle
inerti
48.494
52
1
Dro
Collongo
inerti
237.064
53
2
Dro
Ischia di sotto
argilla
55.559
151
0
Canal San Bovo
251
a giorno
(m2)
Tavola
di Piano
(n)
Autorizzazioni
vigenti nell’area
(al
31.12.2003)
(n)
5.720
139
0
Superficie
in
sotterraneo
(m2)
Comune
Denominazione
Materiale
Folgaria
Micheletto
Calcari
Grigi
Folgaria
Ortesino
inerti
9.933
140
1
Fondo
La Santa
81.293
132
2
Fornace
(Albiano - LonaLases)
Monte Gorsa
5.920
5.08
0
Fornace
(Baselga
di Piné
Lona-Lases)
Pianacci
Santo Stefano
Slopi
Val dei Sari
683.335
5.05
21
Giovo
(Lisignago)
Ceola
99.965
4.02
0
Grigno
Colomarzo
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
Porfido
Trentino
Lastrificato
Porfido
Trentino
Lastrificato
inerti
Grigno
Le Banche
calcare
a giorno
(m2)
27.727
237.656
56
1
152
0
Grigno
Masi Rovigo
inerti
55.324
57
1
Imer
Ponte Rigon
inerti
12.694
59
0
Isera
Pradaglia
basalto
25.622
61
2
Ivano Fracena
La Grotta
argilla
46.354
129
2
88.257
30.02
1
227.982
62
1
Lasino
Roveci
calcare
e marna
per
cemento
Prugna
di Lasino
- Rosso
del Sarca
inerti
33.510
63
1
Lavarone
Esental
Pessatela
11.510
153
0
Levico Terme
Quaere
54.170
65
0
Lisignago
(Giovo)
Spedenal
38.720
4.03
0
Livo
A Val
87.493
66
0
Lona-Lases
(Baselga di
Piné - Fornace)
Caolago
Pianacci
205.611
5.04
8
Lona-Lases
(Albiano Fornace)
Monte Gorsa
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
inerti
Porfido
Trentino
Lastrificato
Porfido
Trentino
Lastrificato
170.159
5.02
5
Luserna
Malga Campo
Calcari
Grigi
4.946
67
0
Mezzano
Val Noana
inerti
25.545
133
0
Mezzocorona
Fornaci
inerti
458.144
68
4
Lasino
(Calavino)
Ponte Oliveti
Lasino
Predera
252
Superficie
Tavola
di Piano
(n)
Autorizzazioni
vigenti nell’area
(al
31.12.2003)
(n)
69
1
a giorno
(m2)
in
sotterraneo
(m2)
inerti
calcare
dolomia
37.866
201.262
Valsorda
inerti
112.413
71
0
Mori
Talpina
Giallo
Mori
233.349
74
2
Mori
Torchel
tufo
basaltico
19.872
75
1
Nago - Torbole
Mala
inerti
calcare
55.269
76
2
Ospedaletto
Rio Lagazin
inerti
70.470
141
1
Pergine
Valsugana
Cirè
inerti
196.848
78.01
3
Pergine
Valsugana
Cirè
inerti
70.792
78.02
2
Predazzo
Al Fol
Granito
Rosa di
Predazzo
32.688
82
1
Predazzo
Canzoccoli
Predazzite
25.051
83
0
Predazzo
Forte Buso
Porfido
Trentino
a Blocchi
42.244
84
1
Riva del Garda
(Arco)
Piscolo
argilla
33.920
19.02
0
Roverè della
Luna
Sort dell’Ischia
inerti
134.015
90
2
Rovereto
Cengi di Marco
inerti calcare
154.908
91
1
Sagron Mis
Mattiuzzi
inerti
17.503
131
1
San Lorenzo in
Banale
Gere di Nembia
inerti
35.418
94
0
Sanzeno
Filiez
inerti
60.585
95
0
Segonzano
Rio Sec
inerti
64.493
97
1
Smarano
Prediere
Calcari
Grigi
15.134
99
0
Storo
Roverselle
inerti
261.939
101
1
Storo
Volta Cavagnol
inerti
34.815
102
0
Strembo
Ponte rosso
Granito
dell’Adamello
139.804
103
3
Terlago
Cava Redi
Rosa di
Terlago
35.616
108
1
Trento
Bivio Lillà
56.965
111
1
Trento
Camparta Vallalta
531.138
4.04
9
Comune
Denominazione
Materiale
Mezzolombardo
Nogarolle
Monclassico
253
calcare
Porfido
Trentino
Lastrificato
142.119
95.856
Superficie
in
sotterraneo
(m2)
Tavola
di Piano
(n)
Autorizzazioni
vigenti nell’area
(al
31.12.2003)
(n)
Comune
Denominazione
Materiale
a giorno
(m2)
Trento
Molini di
Cadine
inerti
19.495
115
1
64.041
117
1
37.028
4.05
1
Trento
Ronchi
Rosso
Trento /
Verdello
Porfido
Trentino
Lastrificato
inerti
Trento
Settefontane
inerti
Trento
Pila
Trento
Rio Secco
54.704
118
1
104.217
119
4
Trento (Aldeno)
Torricella
inerti
9.552
17.02
1
Tuenno
Valgrande
inerti
62.699
120
0
Vallarsa
Giare larghe
inerti
11.018
154
0
Varena
Bancoline
inerti
64.967
121
1
Vervò
Bouzen
calcare
marnoso
per
cemento
85.399
122
1
Villa Agnedo
(Castelnuovo)
Val Coalba
inerti
103.327
46.02
1
Zambana
Ischiello
inerti
57.351
124
2
Zambana
Rauti
inerti
16.757
126
0
Zuclo (Bolbeno)
Castelar La Val
inerti
12.430
25.02
0
Zuclo
Fornace
inerti
TOTALE
43.401
127
11.018.804
TOTALE GENERALE
1
676.893
210
11.695.698
Aree estrattive per pietre ornamentali - attività nell’anno 2002
Denominazione
Tipo di materiale
area estrattiva
Autorizzazioni
di cava vigenti
(n)
Autorizzazioni
di cave in
attività
(n)
Media
addetti
(n)
Produzione
(t)
Val Genova
Granito dell’Adamello
3
3
9
11.900
Pralungo
Granito di Cima d’Asta
1
1
1
3.300
Al Fol
Granito Rosa di Predazzo
Varie
Porfido Trentino Lastrificato
1
1
2
465
111
93
1.258
1.285.254
Forte Buso
Porfido Trentino a Blocchi
1
1
2
3.674
Varie
Rosso Trento
2
2
3
10.073
Varie
Giallo Mori
Totale
254
3
3
6
18.077
122
104
1.280
1.332.743
Situazione del settore nell’anno 2002
Materiale
Autorizzazioni alla coltivazione
(n)
Area autorizzata
m2 (circa)
Volume autorizzato
m3 (circa)
Porfido
108
2.105.641
27.481.692
Inerti
64
2.674.984
28.516.776
Altri materiali
26
983.859
11.187.844
Totale
198
5.764.214
67.186.312
Concessioni di cava ricadenti sul suolo di proprietà comunale
Terminata la seconda guerra mondiale e fino ai primi anni ’60, le cave di proprietà
comunale sono state concesse a terzi quasi esclusivamente a trattativa privata, inizialmente come ricerca (“provino”) e poi come cava vera e propria, in conformità
a contratti di durata generalmente novennale rinnovabili e con canone annuale a
corpo, a prescindere dalla quantità e qualità del materiale estratto, rivalutabile periodicamente.
In prevalenza, nelle cave si lavorava ancora manualmente, le produzioni erano limitate, ma la crescente richiesta del mercato italiano è stata di stimolo per la nascita di
imprese locali che, con limitati investimenti, erano in grado di creare nuove occasioni
di reddito e di lavoro per la popolazione locale.
In presenza di una crescente richiesta di nuove concessioni o di rinnovo di quelle
scadute, i comuni hanno introdotto il metodo dell’asta pubblica o della licitazione
privata, sempre con contratti di durata novennale e canoni a corpo.
La L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m., ha stabilito le modalità di concessione a terzi e di
determinazione del canone delle cave di proprietà comunale, stabilendo in particolare che quest’ultimo si riferisca al volume del materiale estratto.
Dalla lettura combinata degli articoli 12, 13 e 14 di questa legge, appare manifesta la
volontà del legislatore di voler assicurare che la coltivazione di tutte le aree estrattive
di proprietà comunale individuate dal “Piano” proceda razionalmente nella finalità di
garantire il proficuo, corretto ed integrale sfruttamento del giacimento.
A tale scopo, da un lato è fatto obbligo ai comuni di suddividere le aree estrattive di loro
proprietà in lotti, nel rispetto di quanto indicato dal “Piano” e dal relativo programma
di attuazione a scala comunale, dall’altro sono individuate nell’asta pubblica e nella
licitazione privata le modalità di concessione delle zone di proprietà comunale. In tali
casi il canone è determinato nell’ambito delle procedure per l’aggiudicazione del lotto
ed i relativi aggiornamenti annuali sono disciplinati dall’articolo 15, comma 3.
Quale eccezione, l’articolo 23 - commi 1, 3 e 4, avente natura di norma transitoria,
ha previsto il proseguimento delle attività estrattive in essere alla data del 28 dicembre 1978 fino alla suddivisione in lotti e comunque, qualora dalla suddivisione fosse
vigente una concessione in uno dei lotti, fino all’esaurimento del lotto stesso.
La norma in esame ha di fatto consentito la coltivazione di giacimenti di proprietà
pubblica sulla base di provvedimenti che prescindono dall’esperimento delle procedure di gara.
In tali casi la determinazione del canone di concessione delle cave di porfido di proprietà comunale, è disciplinato dagli articoli 18 ter e 18 quater, introdotti con la L.P.
11 marzo 1993, n. 7, che esclusivamente perseguono la finalità di omogeneizzare i
255
criteri di determinazione dei canoni stessi, garantendo una certa uniformità di comportamento.
È stata allo scopo istituita la Commissione tecnica per la determinazione dei canoni,
a supporto della Giunta provinciale, che nella sua composizione mista (i componenti
sono nominati in uguale misura da Provincia, Comuni e Associazioni di settore), assicura una valutazione ponderata dei vari interessi coinvolti.
Con deliberazione n. 2035, di data 24 febbraio 1995, la Giunta provinciale ha approvato i “Criteri per la determinazione dei canoni di affitto relativi alle cave di porfido
di proprietà pubblica in Provincia di Trento”, così come contenuti nell’elaborato approvato dalla Commissione tecnica per la determinazione dei canoni, nella seduta di
data 19 dicembre 1994.
La Giunta Provinciale, con successive deliberazioni e da ultimo, con deliberazione n.
3082 di data 23 dicembre 2004, ha introdotto alcune modifiche ai criteri precedentemente approvati.
Iter autorizzativi
Condizione preliminare per coltivare un giacimento di materiale di cava è che ricada
in area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali di cui all’art. 2 della L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m. e che il richiedente abbia la
disponibilità del suolo interessato dal progetto di coltivazione.
Per individuare il percorso che l’interessato alla coltivazione di una cava deve seguire
per raggiungere il suo obiettivo è indispensabile anche considerare in via preliminare
se i terreni sono di proprietà pubblica (di solito comunale) oppure privata. Nel primo
caso sarà rilasciata una concessione, nel secondo si tratterà di un’autorizzazione.
Si possono presentare vari casi:
• concessione alla coltivazione di una nuova cava di proprietà comunale: il
comune predispone il progetto e, dopo aver ottenuto i previsti pareri, assegna la
concessione mediante asta pubblica o licitazione privata;
• autorizzazione alla coltivazione di una nuova cava di proprietà privata: secondo la necessità o meno di sottoporre il progetto di coltivazione a “Valutazione
di Impatto Ambientale”, la domanda deve essere rivolta alla Giunta provinciale
ovvero al comune;
• variante di concessione alla coltivazione di una cava di proprietà comunale:
caso che si presenta quando un lotto è stato confermato con diritto a continuare
la coltivazione fino all’esaurimento perché oggetto di una concessione vigente
all’atto della suddivisione in lotti (art. 23 della L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.); il
concessionario predispone un progetto da proporre al comune il quale, dopo aver
ottenuto i previsti pareri, conferma la concessione vigente in conformità a quanto
previsto dal progetto di variante;
• autorizzazione di variante alla coltivazione di una cava di proprietà privata:
secondo la necessità o meno di sottoporre il progetto a “Valutazione di Impatto Ambientale”, la domanda deve essere rivolta alla Giunta provinciale ovvero al comune;
• rinnovo concessione alla coltivazione di una cava di proprietà comunale: in
questo caso, che si presenta solo quando è stato applicato il sopracitato art. 23, il
concessionario predispone un progetto da proporre al comune il quale, dopo aver
256
ottenuto i previsti pareri, rinnova la concessione in conformità a quanto previsto
dal nuovo progetto;
In tutti i cinque casi, gli iter si diversificano a seconda che il comune sia dotato o
meno di programma di attuazione comunale (art. 6 della L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e
s.m.) e, in caso affermativo, se tale programma sia stato preventivamente assoggettato a Valutazione di Impatto Ambientale con esito favorevole (L.P. n. 28/1988 e s.m.).
Qualora si determini quest’ultima situazione (programma di attuazione vigente munito di compatibilità ambientale), il comune, dopo aver ottenuto il parere del Comitato
tecnico interdisciplinare (art. 4 della L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.), può procedere al
rilascio della concessione (cava comunale) o dell’autorizzazione (cava privata).
Nel caso invece che il comune non abbia adottato il programma di attuazione ovvero
lo abbia adottato senza sottoporlo a valutazione di impatto ambientale, l’iter prevede
che per un “volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva) superiore
a determinate soglie (vedere a tale proposito gli schemi alle pagine che seguono), il
progetto sia sottoposto a:
• procedura di valutazione di incidenza (D.G.P. 1018/2001) - la sua conclusione
favorevole consente di procedere con il rilascio dell’autorizzazione/concessione
da parte del comune seguendo l’iter previsto dalla L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.
(rilascio della concessione o dell’autorizzazione sulla base di un progetto di coltivazione sottoposto all’esame preventivo del Comitato tecnico interdisciplinare);
• procedura di verifica - “screening” (regolamento di esecuzione della L.P. n.
28/1988 e s.m.). - con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale per
la Protezione dell’Ambiente è stabilito se il progetto deve o no essere sottoposto a
Valutazione di Impatto Ambientale;
• procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (art. 10 della L.P. n. 28/1988
e s.m.) - la Giunta Provinciale pronuncia la compatibilità ambientale e, nel caso
di cava privata, rilascia contemporaneamente l’autorizzazione, assorbendo quella
resa sotto forma di parere da parte del sindaco, previo pronunciamento del Comitato tecnico interdisciplinare. Nel caso invece di cava comunale, la deliberazione
della Giunta provinciale si limita al pronunciamento della compatibilità ambientale ed è propedeutica al rilascio, previo parere del Comitato tecnico interdisciplinare, della concessione da parte del comune.
Per completezza resta da chiarire che la L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m., all’art. 18
prevede la possibilità che il comune autorizzi, previo parere del Comitato tecnico interdisciplinare e per un periodo massimo di due anni, la ricerca di nuovi giacimenti
in aree non individuate dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali.
In caso di esito favorevole della ricerca, la Giunta provinciale può modificare il Piano
individuando la relativa area estrattiva.
È infine da sottolineare la possibilità che nelle aree estrattive siano installati strutture
o impianti fissi per la coltivazione della cava e la lavorazione del materiale estratto
dalla cava stessa nonché, in misura non prevalente, del materiale proveniente da
altre attività di coltivazione e di scavo. Tale opportunità può essere prevista direttamente dal progetto di coltivazione della cava ovvero successivamente, costituendo
257
in tal caso variante al progetto di coltivazione e, quindi, integrazione all’autorizzazione o alla concessione. Tali strutture o impianti fissi devono avere caratteristiche
costruttive che ne denotino la provvisorietà e possono essere realizzati anche in area
estrattiva esterna a quella autorizzata o concessa per la coltivazione della cava, a
condizione che il richiedente sia titolare di cava e che il programma di attuazione
comunale abbia individuato allo scopo l’area interessata.
È inoltre opportuno descrivere sinteticamente anche l’iter relativo all’ottenimento
della concessione per la coltivazione dei materiali di miniera (quelli definiti di prima
categoria dall’art. 2 del Regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 - Norme di carattere
legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno).
Qualora il giacimento minerario non sia già noto, la concessione per la coltivazione
di una miniera deve essere preceduta dalla ricerca. L’istruttoria della domanda di
permesso di ricerca mineraria (art. 4 e seguenti del D.P.G.P. 5 giugno 2003 n. 10
- 131/Leg. e s.m.), condotta dal Servizio Minerario, prevede la pubblicazione della
domanda all’albo comunale per le eventuali osservazioni, una successiva conferenza
di servizi non obbligatoria ed infine, entro 90 giorni dal ricevimento della domanda,
il provvedimento del dirigente il Servizio Minerario che conferisce o no il permesso di
ricerca. L’area di ricerca è delimitata nella planimetria allegata al provvedimento di
conferimento. Il permesso ha una durata massima di tre anni, prorogabile su richiesta motivata. Il provvedimento di conferimento subordina l’attuazione del programma dei lavori all’ottenimento delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente, in
particolare per quanto concerne l’urbanistica, la tutela paesaggistico-ambientale ed il
vincolo idrogeologico. La ricerca mineraria è soggetta ad un diritto annuo da versare
alla Provincia, proporzionale alla superficie dell’area di ricerca.
La conclusione favorevole della ricerca mineraria consente di chiedere il rilascio della
concessione alla coltivazione del giacimento individuato costituente bene indisponibile della Provincia. Fatto salvo il risarcimento di terzi per quanto concerne gli eventuali danni, non necessita pertanto avere la disponibilità del suolo ove ricade il giacimento. L’istruttoria della domanda di concessione mineraria (art. 11 del D.P.G.P. 5
giugno 2003 n. 10 - 131/Leg. e s.m.), condotta dal Servizio Minerario nel corso di 120
giorni salvo sospensioni, prevede la pubblicazione della domanda all’albo comunale e
sul Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Trentino - Alto Adige per le eventuali
osservazioni. Il rilascio della concessione mineraria, della durata massima di anni
25, deve essere preceduto dal riscontro favorevole sulla compatibilità ambientale del
progetto di coltivazione ai sensi della normativa in materia di Valutazione di Impatto
Ambientale) ed è soggetto ad un diritto annuo da versare alla Provincia, proporzionale alla superficie dell’area di concessione.
La descrizione sintetica degli iter descritti per i materiali di cava è stata riassunta
negli schemi che seguono.
258
RILASCIO CONCESSIONE ALLA COLTIVAZIONE DI UNA NUOVA CAVA DI PROPRIETÀ
COMUNALE
In area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
PROGRAMMA DI ATTUAZIONE COMUNALE
(art. 6 – L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.)
adottato
non sottoposto
a V.I.A.
con V.I.A. positiva
(L.P. n. 28/1988 e
s.m.)
valutazione del “Volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a
quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva)
la cava ricade, anche
parzialmente, in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) come definito dalla
direttiva Habitat 92/43 CEE
e dalla relativa deliberazione della Giunta Provinciale
<100.000
m3
>100.000
m3
Procedura di Valutazione
di incidenza ai sensi
della D.G.P. 1018/2001
• Il comune presenta domanda
all’U.O. per la VIA (allegando
il progetto di massima e la
relazione di incidenza)
• se il progetto viene approvato
dal Comitato Provinciale per
l’Ambiente e successivamente dalla Giunta Provinciale,
si passa alla…
la cava ricade, anche
parzialmente, in un’area
protetta (parchi, biotopi,
ecc.) ma non in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.)
<100.000
m3
>100.000
m3
<200.000
m3
>200.000
<500.00
m3
>500.000
m3
da sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio
della compatibilità ambientale ai sensi
della L.P. n. 28/1988 e s.m.
Procedura di rilascio della concessione ai sensi degli articoli 13 e 14 della L.P. n. 6/1980 e s.m.
• il comune presenta domanda alla
Giunta Provinciale - U.O. per la V.I.A.
(allegando il progetto di massima, lo
studio di impatto ambientale ed il
riassunto non tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture
provinciali competenti (Geologico,
Forestale, Minerario, Urbanistica e
Tutela del Paesaggio, ecc.) esprimono
il proprio parere
• il Comitato Provinciale per l’Ambiente esamina il progetto e fornisce il
parere sulla compatibilità ambientale
alla Giunta Provinciale
• la Giunta Provinciale si pronuncia
sulla compatibilità ambientale e se
questa viene rilasciata…
• Il comune predispone il progetto esecutivo
• il comune richiede parere sul progetto esecutivo
al Comitato Tecnico Interdisciplinare
• il Comitato (previo parere vincolante delle componenti forestale e tutela del paesaggio) esamina il progetto e stabilisce eventuali prescrizioni
fissando l’ammontare della cauzione
• il comune adotta il progetto ed il relativo disciplinare con le eventuali prescrizioni
• il comune procede alla scelta del concessionario
mediante asta pubblica o licitazione privata
IL COMUNE RILASCIA
LA CONCESSIONE
la cava non ricade, neppure parzialmente, né
in un Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.)
né in nessun altro tipo di area protetta (parchi, biotopi, ecc.)
Procedura di verifica (Screening) ai sensi del regolamento di esecuzione della
L.P. n. 28/1988 e s.m.
• Il comune presenta domanda all’U.O. per la V.I.A. (allegando il programma
di coltivazione sotto forma di progetto di massima e la relazione di verifica)
• con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale Protezione Ambiente viene stabilito se il progetto è…
da non sottoporre a V.I.A.
259
non adottato
FINE
RILASCIO AUTORIZZAZIONE ALLA COLTIVAZIONE DI UNA NUOVA CAVA DI
PROPRIETÀ PRIVATA
In area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
PROGRAMMA DI ATTUAZIONE COMUNALE
(art. 6 – L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.)
adottato
non sottoposto
a V.I.A.
con V.I.A. positiva
(L.P. n. 28/1988 e
s.m.)
valutazione del “Volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a
quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva)
la cava ricade, anche
parzialmente, in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) come definito
dalla direttiva Habitat
92/43 CEE e dalla relativa
deliberazione della Giunta
Provinciale
<100.000
m3
Procedura di Valutazione
di incidenza ai sensi
della D.G.P. 1018/2001
• l’interessato presenta
domanda all’U.O. per la
VIA (allegando il progetto di
massima e la relazione di
incidenza)
• se il progetto viene
approvato dal Comitato
Provinciale per l’Ambiente
e successivamente dalla
Giunta Provinciale, si passa
alla…
>100.000
m3
la cava ricade, anche
parzialmente, in un’area
protetta (parchi, biotopi,
ecc.) ma non in un Sito di
Importanza Comunitaria
(S.I.C.)
<100.000
m3
>100.000
m3
da non sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio
della compatibilità ambientale ai sensi
della L.P. n. 28/1988 e s.m.
• l’interessato presenta domanda
al comune (allegando il progetto
esecutivo e la documentazione
attestante la disponibilità del
suolo)
• il comune richiede parere sul
progetto esecutivo al Comitato
Tecnico Interdisciplinare
• il Comitato (previo parere
vincolante delle componenti
forestale e tutela del paesaggio)
esamina il progetto e stabilisce
eventuali prescrizioni fissando
l’ammontare della cauzione
• l’interessato presenta domanda
alla Giunta Provinciale - U.O. per
la V.I.A. (allegando il progetto di
massima, lo studio di impatto
ambientale ed il riassunto non
tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture
provinciali competenti (Geologico,
Forestale, Minerario, Urbanistica
e Tutela del Paesaggio, ecc.)
esprimono il proprio parere
• il Comitato Provinciale per
l’Ambiente esamina il progetto e
fornisce il parere sulla compatibilità
ambientale alla Giunta Provinciale
• la Giunta Provinciale si pronuncia
sulla compatibilità ambientale e se
questa viene rilasciata…
260
la cava non ricade, neppure parzialmente,
né in un Sito di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) né in nessun altro tipo di area
protetta (parchi, biotopi, ecc.)
<200.000
m3
>200.000
<500.00
m3
>500.000
m3
Procedura di verifica (Screening) ai sensi del regolamento di esecuzione della
L.P. n. 28/1988 e s.m.
• l’interessato presenta domanda all’U.O. per la V.I.A. (allegando il
programma di coltivazione sotto forma di progetto di massima e la
relazione di verifica)
• con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale Protezione
Ambiente viene stabilito se il progetto è…
Procedura di rilascio
dell’autorizzazione ai sensi dell’art.
8 della L.P. n. 6/1980 e s.m.
IL COMUNE RILASCIA
L’AUTORIZZAZIONE
non adottato
FINE
da sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio
contestuale dell’autorizzazione e della
compatibilità ambientale ai sensi
dell’art. 10 della L.P. n. 28/1988 e s.m.
• l’interessato presenta domanda alla
Giunta Provinciale - U.O. per la V.I.A.
(allegando il progetto esecutivo, lo
studio di impatto ambientale ed il
riassunto non tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture
provinciali competenti (Geologico,
Forestale, Minerario, Urbanistica
e Tutela del Paesaggio, ecc.)
esprimono il proprio parere
• previo parere del Comitato Tecnico
Interdisciplinare, il sindaco fornisce
l’autorizzazione sotto forma di parere
• il Comitato Provinciale per
l’Ambiente esamina il progetto e
fornisce il parere sulla compatibilità
ambientale alla Giunta Provinciale
LA GIUNTA PROVINCIALE RILASCIA
LA COMPATIBILITÀ AMBIENTALE E
L’AUTORIZZAZIONE
RILASCIO VARIANTE CONCESSIONE ALLA COLTIVAZIONE DI UNA CAVA DI
PROPRIETÀ COMUNALE
In area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
PROGRAMMA DI ATTUAZIONE COMUNALE
(art. 6 – L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.)
adottato
non sottoposto
a V.I.A.
con V.I.A. positiva
(L.P. n. 28/1988 e
s.m.)
valutazione del “Volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a
quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva)
la cava ricade, anche
parzialmente, in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) come definito
dalla direttiva Habitat
92/43 CEE e dalla relativa
deliberazione della Giunta
Provinciale
<100.000
m3
Procedura di Valutazione
di incidenza ai sensi
della D.G.P. 1018/2001
• il concessionario presenta
domanda all’U.O. per la
VIA (allegando il progetto di
massima e la relazione di
incidenza)
• se il progetto viene
approvato dal Comitato
Provinciale per l’Ambiente
e successivamente dalla
Giunta Provinciale, si passa
alla…
Procedura di rilascio della variante
alla concessione ai sensi dell’art. 8
della L.P. n. 6/1980 e s.m.
>100.000
m3
la cava ricade, anche
parzialmente, in un’area
protetta (parchi, biotopi,
ecc.) ma non in un Sito di
Importanza Comunitaria
(S.I.C.)
<100.000
m3
IL COMUNE RILASCIA
261
la cava non ricade, neppure parzialmente,
né in un Sito di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) né in nessun altro tipo di area
protetta (parchi, biotopi, ecc.)
≤200.000
m3
>100.000
m3
>200.000
m3
solo post
variante
>200.000
m3
ante variante
il concessionario presenta
domanda all’U.O. per la
V.I.A. per la valutazione
della sostanzialità della
variante
non
sostanziale
sostanziale
Procedura di verifica (Screening) ai sensi del regolamento di esecuzione della
L.P. n. 28/1988 e s.m.
• il concessionario presenta domanda all’U.O. per la V.I.A. (allegando
il programma di coltivazione sotto forma di progetto di massima e la
relazione di verifica)
• con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale Protezione
Ambiente viene stabilito se il progetto è…
da non sottoporre a V.I.A.
• il concessionario predispone il
progetto esecutivo e lo presenta
al comune
• il comune richiede parere sul
progetto esecutivo al Comitato
Tecnico Interdisciplinare
• il Comitato (previo parere
vincolante delle componenti
forestale e tutela del paesaggio)
esamina il progetto e stabilisce
eventuali prescrizioni fissando
l’ammontare della nuova
cauzione
LA VARIANTE ALLA CONCESSIONE
non adottato
da sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio della compatibilità
ambientale ai sensi della L.P. n. 28/1988 e s.m.
• il concessionario presenta domanda alla Giunta
Provinciale - U.O. per la V.I.A. (allegando il progetto
esecutivo, lo studio di impatto ambientale ed il
riassunto non tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture provinciali
competenti (Geologico, Forestale, Minerario,
Urbanistica e Tutela del Paesaggio, ecc.) esprimono il
proprio parere
• il Comitato Provinciale per l’Ambiente esamina
il progetto e fornisce il parere sulla compatibilità
ambientale alla Giunta Provinciale
• la Giunta Provinciale si pronuncia sulla compatibilità
ambientale e se questa viene rilasciata…
FINE
RILASCIO AUTORIZZAZIONE VARIANTE ALLA COLTIVAZIONE DI UNA CAVA DI
PROPRIETÀ PRIVATA
In area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
PROGRAMMA DI ATTUAZIONE COMUNALE
(art. 6 – L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.)
adottato
non sottoposto
a V.I.A.
con V.I.A. positiva
(L.P. n. 28/1988 e
s.m.)
valutazione del “Volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a
quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva)
la cava ricade, anche
parzialmente, in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) come definito
dalla direttiva Habitat
92/43 CEE e dalla relativa
deliberazione della Giunta
Provinciale
<100.000
m3
Procedura di Valutazione
di incidenza ai sensi
della D.G.P. 1018/2001
• l’interessato presenta
domanda all’U.O. per la
VIA (allegando il progetto di
massima e la relazione di
incidenza)
• se il progetto viene
approvato dal Comitato
Provinciale per l’Ambiente
e successivamente dalla
Giunta Provinciale, si passa
alla…
Procedura di rilascio
dell’autorizzazione ai sensi dell’art.
8 della L.P. n. 6/1980 e s.m.
• l’interessato presenta domanda
al comune (allegando il progetto
esecutivo e la documentazione
attestante la disponibilità del
suolo)
• il comune richiede parere sul
progetto esecutivo al Comitato
Tecnico Interdisciplinare
• il Comitato (previo parere
vincolante delle componenti
forestale e tutela del paesaggio)
esamina il progetto e stabilisce
eventuali prescrizioni fissando
l’ammontare della cauzione
IL COMUNE RILASCIA
LA VARIANTE ALL’AUTORIZZAZIONE
262
non adottato
>100.000
m3
la cava ricade, anche
parzialmente, in un’area
protetta (parchi, biotopi,
ecc.) ma non in un Sito di
Importanza Comunitaria
(S.I.C.)
<100.000
m3
la cava non ricade, neppure parzialmente,
né in un Sito di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) né in nessun altro tipo di area
protetta (parchi, biotopi, ecc.)
≤200.000
m3
>100.000
m3
>200.000
m3
solo post
variante
>200.000
m3
ante variante
l’interessato presenta
domanda all’U.O. per la
V.I.A. per la valutazione
della sostanzialità della
variante
non
sostanziale
sostanziale
Procedura di verifica (Screening) ai sensi del regolamento di esecuzione della
L.P. n. 28/1988 e s.m.
• l’interessato presenta domanda all’U.O. per la V.I.A. (allegando il
programma di coltivazione sotto forma di progetto di massima e la
relazione di verifica)
• con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale Protezione
Ambiente viene stabilito se il progetto è…
da non sottoporre a V.I.A.
da sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio contestuale
dell’autorizzazione e della compatibilità ambientale ai
sensi dell’art.10 della L.P. n. 28/1988 e s.m.
• l’interessato presenta domanda alla Giunta Provinciale
- U.O. per la V.I.A. (allegando il progetto esecutivo,
lo studio di impatto ambientale ed il riassunto non
tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture provinciali
competenti (Geologico, Forestale, Minerario,
Urbanistica e Tutela del Paesaggio, ecc.) esprimono il
proprio parere
• previo parere del Comitato Tecnico Interdisciplinare, il
sindaco fornisce l’autorizzazione sotto forma di parere
• il Comitato Provinciale per l’Ambiente esamina
il progetto e fornisce il parere sulla compatibilità
ambientale alla Giunta Provinciale
FINE
LA GIUNTA PROVINCIALE RILASCIA LA COMPATIBILITÀ
AMBIENTALE E LA VARIANTE ALL’AUTORIZZAZIONE
RINNOVO CONCESSIONE ALLA COLTIVAZIONE DI UNA CAVA DI PROPRIETÀ
COMUNALE
In area estrattiva individuata dal Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali
PROGRAMMA DI ATTUAZIONE COMUNALE
(art. 6 – L.P. 4 marzo 1980, n. 6 e s.m.)
adottato
non sottoposto
a V.I.A.
con V.I.A. positiva
(L.P. n. 28/1988 e
s.m.)
valutazione del “Volume di estrazione del materiale” (volume di progetto sommato a
quello delle autorizzazioni/concessioni già rilasciate nell’intera area estrattiva)
la cava ricade, anche
parzialmente, in un Sito
di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) come definito
dalla direttiva Habitat
92/43 CEE e dalla relativa
deliberazione della Giunta
Provinciale
<100.000
m3
>100.000
m3
Procedura di Valutazione
di incidenza ai sensi
della D.G.P. 1018/2001
• Il concessionario presenta
domanda all’U.O. per la
VIA (allegando il progetto di
massima e la relazione di
incidenza)
• se il progetto viene
approvato dal Comitato
Provinciale per l’Ambiente
e successivamente dalla
Giunta Provinciale, si passa
alla…
la cava ricade, anche
parzialmente, in un’area
protetta (parchi, biotopi,
ecc.) ma non in un Sito di
Importanza Comunitaria
(S.I.C.)
<100.000
m3
>100.000
m3
da non sottoporre a V.I.A.
<200.000
m3
>200.000
<500.00
m3
>500.000
m3
da sottoporre a V.I.A.
Procedura di V.I.A. ai fini del rilascio
della compatibilità ambientale ai sensi
della L.P. n. 28/1988 e s.m.
• Il concessionario predispone il progetto
esecutivo e lo presenta al comune
• il comune richiede parere sul progetto
esecutivo al Comitato Tecnico Interdisciplinare
• il Comitato (previo parere vincolante delle
componenti forestale e tutela del paesaggio)
esamina il progetto e stabilisce eventuali
prescrizioni fissando l’ammontare della nuova
cauzione
IL COMUNE RINNOVA
LA CONCESSIONE
la cava non ricade, neppure parzialmente,
né in un Sito di Importanza Comunitaria
(S.I.C.) né in nessun altro tipo di area
protetta (parchi, biotopi, ecc.)
Procedura di verifica (Screening) ai sensi del regolamento di esecuzione della
L.P. n. 28/1988 e s.m.
• Il concessionario presenta domanda all’U.O. per la V.I.A. (allegando
il programma di coltivazione sotto forma di progetto di massima e la
relazione di verifica)
• con determinazione del Direttore dell’Agenzia Provinciale Protezione
Ambiente viene stabilito se il progetto è…
Procedura di rilascio della concessione ai sensi
dell’art. 8 della L.P. n. 6/1980 e s.m.
263
non adottato
• il concessionario presenta domanda
alla Giunta Provinciale - U.O. per
la V.I.A. (allegando il progetto di
massima, lo studio di impatto
ambientale ed il riassunto non
tecnico)
• durante l’iter di V.I.A. le strutture
provinciali competenti (Geologico,
Forestale, Minerario, Urbanistica
e Tutela del Paesaggio, ecc.)
esprimono il proprio parere
• il Comitato Provinciale per
l’Ambiente esamina il progetto e
fornisce il parere sulla compatibilità
ambientale alla Giunta Provinciale
• la Giunta Provinciale si pronuncia
sulla compatibilità ambientale e se
questa viene rilasciata…
FINE
264
Applicazioni industriali
265
266
Giulio Agnoli
Mario Bertolini
Dario Milone
Pagina precedente
Granulato di Giallo Mori
Pagina a fianco
Pietrisco di roccia basaltica
Le pietre trentine (minerali di seconda categoria) possono essere impiegate, al pari dei
prodotti d’estrazione mineraria (minerali di prima categoria), anche nel campo dell’industria. La ricerca in tale ambito è volta non solo al miglioramento dei processi produttivi esistenti, ma in particolare all’individuazione di nuovi prodotti e applicazioni.
Il problema degli scarti dell’attività estrattiva ha stimolato la ricerca per il loro recupero ed ha dato impulso a numerose attività di comminuzione (riduzione in piccoli
frammenti) per la produzione di pietrischi e sabbie usate soprattutto dal comparto
edile (per pavimentazioni stradali e come ballast ferroviario).
È importante che la ricerca per nuovi impieghi e per il recupero dei materiali sia sempre allineata alle tecnologie più avanzate poiché è da queste che si giunge a prodotti
innovativi ad alto valore aggiunto.
“Prima d’essere un paese agricolo il Trentino fu un paese industriale. Nei secoli del
Medioevo, quando la bella valle dell’Adige era infestata dalle paludi e le valli laterali
ancora coperte da selve, l’industria mineraria prendeva in Trentino uno sviluppo che
nulla aveva da invidiare a quello dei maggiori centri minerari della Germania. Dal
1100 al 1600 il lavoro nelle miniere ferveva da un capo all’altro del principato; Trento
ebbe zecca propria ed il Trentino il nome di California d’Europa”. Le parole dello studioso trentino Giovanni Battista Trener tratteggiano con efficacia la dimensione storica della tradizione estrattiva trentina. I primi documenti scritti relativi a tale attività
risalgono al XII secolo e in particolare all’atto del 1189 con cui l’imperatore Federico I
di Svevia, detto il Barbarossa, conferì al principe vescovo di Trento Corrado di Beseno
il diritto di sovranità sulle miniere del Principato. L’attività era così sviluppata che il
principe vescovo di Trento Federico Vanga nel 1208 sentì la necessità di regolamentarla con atto formale, il “Codice Vanghiano”, che costituisce uno dei più antichi statuti minerari d’Europa. Un’intensissima attività aveva luogo a poca distanza da Trento
sul monte Calisio (anticamente noto come Monte Argentario). Qui lo sfruttamento
minerario, documentato già in epoca romana, si sviluppa pienamente nel medioevo
con la produzione dell’argento estratto dalla galena argentifera. L’argento serviva
appunto alla zecca del principato vescovile di Trento per battere moneta. Sull’altipiano del Calisio furono contati da Trener, alla fine dell’Ottocento, i resti di ventimila
pozzi, detti “cadini”, per l’estrazione del metallo. Questi pozzi sono in parte ancora
oggi visibili. I minatori operanti nel Trentino giunsero principalmente dalle regioni
tedesche di antica tradizione mineraria (Franconia, Harz) e furono chiamati dalla
popolazione trentina “sibrari” (dal tedesco Silber = argento) o “canopi” (dal tedesco
Knappen = minatore). Il flusso migratorio non fu individuale, ma interessò gruppi già
organizzati che contrattarono in anticipo le condizioni lavorative e giuridiche. Come
si può rilevare nel Codice Vanghiano, eccetto i tributi minerari, essi furono esenti da
qualsiasi altra imposizione e non furono tenuti a riconoscere altra autorità che quella
del principe vescovo, tanto che i minatori costituirono una comunità completamente
autonoma all’interno di quella trentina.
267
Dei minerali trentini che annoverano significative applicazioni industriali nel mondo, i più noti sono la barite di Darzo (Valle del Chiese) e il feldspato di Giustino (Val
Rendena).
La barite rinvenuta nel 1895 nelle località Marìgole e Valcornera consentì l’insediamento a Darzo di tre aziende: Camillo e F.lli Corna Pellegrini (ora Società Mineraria
Baritina S.p.A.), Carlo Maffei & C. (ora Maffei S.p.A.) e S.I.G.M.A. Mineraria.
Oggi, trascorsi più di cento anni, la Società Mineraria Baritina S.p.A. continua ad
estrarre “l’oro bianco” da Marìgole.
La barite di Darzo, a differenza della comune barite utilizzata per rendere pesanti i
fanghi di trivellazione, consente la produzione di prodotti di elevata qualità apprezzati dall’industria chimica, farmaceutica, dei colori, della carta, del tessile, della gomma
ed è stata esportata in tutti i continenti.
Il feldspato (albite) della miniera Maffei di Giustino iniziò ad essere prodotto nel 1947
e utilizzato dalla società Ideal Standard per la produzione di ceramiche per uso sanitario.
Dal 1950 il feldspato estratto a Giustino è trasportato a Trento in uno stabilimento
dotato di raccordo ferroviario per il trasporto, soprattutto verso la Germania.
Negli anni 1970 - 1980 dalla miniera di Giustino sono state prodotte annualmente
circa 200.000 t di feldspato; di questo, notevoli quantità macinate ed insaccate, sono
state esportate in diversi paesi europei, in Africa ed in Asia.
Di seguito sono indicate le principali sostanze minerali estratte in Trentino e utilizzate
nell’industria suddivise nelle due categorie indicate dal Regio decreto 29 luglio 1927,
n. 1443, e precisamente prima e seconda categoria.
268
Sostanze minerali
di prima categoria
269
270
Barite
Si forma per deposito di soluzioni idrotermali, è di colore bianco, giallastro o bruno e
si trova di solito sotto forma di aggregati, può essere pura o contenere altri minerali.
La sua composizione chimica è BaSO4 ed ha elevato peso specifico. È utilizzata principalmente per la produzione di colori e nell’industria cartaria e chimica.
Attualmente è attiva la sola miniera di Marigole-Pice (Storo) dove è estratta barite di
qualità pregiata per l’elevato grado di bianchezza. A causa delle ormai esigue disponibilità di minerale, la miniera si esaurirà nel giro di pochi anni.
Dolomite
Può essere pura o contenere altri elementi, semidura, fragile con sfaldatura in romboedri, generalmente translucida a lucentezza vitrea. I cristalli sono per lo più di colore bianco, rosa, giallastro o incolori. La sua composizione chimica è CaMg (CO3)2.
Nonostante la presenza su tutto il territorio provinciale di estesissimi affioramenti,
le dolomie che presentano interesse dal punto di vista industriale sono limitate. Le
dolomie affioranti nel Trentino contengono generalmente un eccesso di carbonato di
calcio nonché piccole quantità di allumina e ferro; tuttavia esse presentano in molti
casi caratteristiche di purezza chimica e bianchezza che le rendono utilizzabili nell’industria edilizia, dei cementi, chimica e ceramica, del vetro e in agricoltura; inoltre
per produrre calce magnesiaca. In metallurgia. La Dolomite fu utilizzata per circa
mezzo secolo per la produzione di magnesio metallico (leghe leggere) nello stabilimento della Società Magnesio di Bolzano e di carbonato di magnesio presso lo stabilimento della Società Collotta e Cis di Molina di Ledro.
Particolare interesse presentano i giacimenti di Barcesino e Besta (Molina di Ledro)
nonché di Dosseni (Roverè della Luna). Quest’ultimo, con rilevanti disponibilità
estrattive, è l’unico attualmente coltivato.
Feldspati
Aspetti cromatici e materici
del Rosso Trento
Minerali molto diffusi, raramente puri, di colore vitreo e translucidi. Sono componenti essenziali di un gran numero di rocce ignee e metamorfiche, si ritrovano in concentrazioni
economicamente utilizzabili, associati al quarzo, soprattutto nelle pegmatiti. ll gruppo dei
feldspati comprende: KAl(Si3O8) feldspato potassico (Ortoclasio, Microclino); NaAl(Si3O8) feldspato sodico (Albite); CaAl2(Si2O8) feldspato calcico (Anortite); oltre ad una serie di minerali
misti (plagioclasi, pertiti). Le varie qualità di feldspati in commercio sono distinte secondo
il contenuto totale di feldspato ed il rapporto tra Na2O e K2O. Il contenuto di feldspato varia
da 5 - 10% (sabbie naturali feldspatiche) a più del 90% per i prodotti arricchiti. Il rapporto
sodio/potassio è molto variabile da Ortoclasio/Microclino a quasi solo Albite.
271
I feldspati sono i più conosciuti e fra i principali agenti fondenti nella produzione della
ceramica ed essenziali per molti prodotti in vetro. Costituiscono, dopo un trattamento
termico, la matrice vitrea dell’impasto ceramico, conferendo al prodotto importanti
proprietà meccaniche. I feldspati sono anche materiali molto usati per la produzione
di smalti, fritte e vetrine, ai quali forniscono alcali, agiscono sulla resistenza e rendono
lo smalto/rivestimento vitreo più lucido. Nell’industria del vetro i feldspati sono ampiamente usati quali apportatori economici di allumina. Le principali limitazioni per l’uso
dei feldspati nell’industria del vetro derivano dai contenuti di ferro che devono essere
molto bassi. Attualmente molte rocce tipicamente feldspatiche sono messe in commercio senza subire sostanziali lavorazioni, salvo eventuale frantumazione. Naturalmente
prodotti di questo tipo presentano una variabilità della qualità molto accentuata. Tuttavia tali materie prime spesso offrono sufficiente qualità per alcuni impieghi ceramici
a prezzi moderati. Il mercato italiano dei feldspati di qualità alta e medio - alta è in
larghissima parte indirizzato all’industria ceramica, in particolare ai produttori di piastrelle per pavimenti e rivestimenti. In quest’ultimo decennio si è imposto sul mercato il
feldspato turco che soddisfa molte esigenze di qualità e prezzo. Una soluzione alternativa all’utilizzo dei pregiati feldspati di media e alta qualità è rappresentata dall’impiego
di opportuni processi mineralurgici di concentrazione e depurazione delle materie
prime feldspatiche. Le rocce granitiche e le pegmatiti, già da molti anni materia prima
dei feldspati prodotti negli Stati Uniti ed in Scandinavia, offrono infatti alternative alla
scarsa quantità di feldspati puri naturali. In questi ultimi anni anche in Italia alcune
imprese hanno seguito questa strada con ottimi risultati.
La miniera a cielo aperto, ubicata a cavallo del confine tra i comuni di Giustino e
Massimeno, è in fase d’esaurimento, determinando una drastica riduzione della
produzione rispetto agli anni passati. La macinazione del minerale, che in passato
avveniva nei due impianti di Trento e Darzo, recentemente è stata concentrata in
quest’ultimo.
Attualmente è stata attivata una miniera in sotterraneo con rilevanti disponibilità di
minerale in comune di Canal San Bovo dove si estrae roccia granitica che, previa depurazione ottenuta in un impianto localizzato a Marter di Roncegno, è utilizzata come
feldspato nell’industria delle ceramiche.
Fluorite
La fluorite (CaF2), tipico minerale idrotermale filoniano, spesso associato ad altri minerali, è per lo più incolore, ma sovente presenta bellissime fluorescenze viola, verdi
e azzurre.
È utilizzata in grandissima quantità negli impianti siderurgici, per la produzione di
acido fluoridrico ed in quantità minore nell’industria ceramica, del vetro, del cemento
e chimica.
Modeste quantità di minerale sono contenute in piccoli filoni, in Val di Fiemme e
Valsugana, potenzialmente coltivabili solo in sotterraneo, in condizioni tecnico-economiche allo stato attuale insostenibili.
Nelle miniere di Prestavel (Tesero) e Vignola Falesina, chiuse da molti anni, era estratta
fluorite utilizzata principalmente in metallurgia, nelle ceramiche e nell’industria chimica.
Attualmente non sono vigenti concessioni o permessi di ricerca mineraria per fluorite.
272
Miche
I due principali tipi di mica utilizzati industrialmente sono la biotite e la muscovite.
La biotite è un silicato complesso ed ha la seguente composizione chimica K(Mg,
Fe)3[(OH)2 | AlSi3O10]. Solitamente si trova sotto forma di lamine che variano dal nero,
al bruno, al verde scuro. È utilizzata come filler in prodotti catramati.
La muscovite si trova spesso nelle rocce granitiche, negli scisti, negli gneiss e in altre
rocce metamorfiche nonché, sotto forma di sottili lamine argentee, nelle sabbie e
nelle arenarie. Ha una lucentezza madreperlacea, è incolore ed ha la seguente composizione chimica: KAl2[(OH, F)2 | Al Si3 O10]. È un ottimo isolante termico ed elettrico
ed è anche usata nella produzione di carta, gomma, vernici e materiali plastici. Attualmente non sono vigenti concessioni o permessi di ricerca mineraria per miche.
Minerali metalliferi
In Trentino sono presenti numerose manifestazioni minerarie, di solito costituite da
piccoli filoni di solfuri misti di ferro, piombo, zinco, rame, cui si associano frequentemente altri metalli di più elevato valore quali argento ed oro.
Le disponibilità note sono esigue e disseminate sul territorio tanto da non destare un
concreto interesse economico.
Minerali combustibili solidi, liquidi, gassosi
I giacimenti di lignite presenti in Valsugana e nel Trentino meridionale, oggetto di
sfruttamento nel periodo bellico, sono attualmente privi di interesse industriale.
Negli anni ’50 una manifestazione di idrocarburi presso Coredo è stata oggetto di
interesse da parte dell’AGIP con l’esecuzione di un pozzo di ricerca.
Minerali radioattivi
Le modeste disponibilità di minerale radioattivo rinvenuto in Val Rendena negli anni
’50 dall’AGIP, tenuto conto dei grossi problemi di carattere ambientale che conseguirebbero all’eventuale sfruttamento, sono da ritenersi prive di un concreto interesse
sia economico sia strategico.
Nella tabella sottostante è riportato il numero di miniere e ricerche attive e dei rispettivi addetti in tre diversi periodi, riferito a tutti i minerali di prima categoria.
273
anno
miniere e ricerche attive
1954
26
addetti
483
1972
17
287
2004
5
28
Le concessioni minerarie cessate (escluse quelle per acqua minerale), rilasciate dopo
l’anno 1918, sono:
Anno di rilascio
Sostanza minerale
Denominazione
Comune/i
1929
barite
Frattel
Condino
1929
barite
Boldrino
Condino
1931
barite
Dosprè
Storo
1951
barite
Agli Orti
Trento
1953
barite
Malga Dosprè di sotto
Storo
1953
barite
Tonolo
Storo
1956
barite
Zaccon
Borgo Valsugana - Roncegno
1944
dolomite
Sottomonte
Mezzocorona
1948
dolomite
Barcesino
Molina di Ledro
1978
dolomite
Besta
Molina di Ledro Pieve di Ledro
1934
ematite
Latemar
Predazzo
1960
feldspato
Le Lame
Peio
1967
feldspato
Val Caldenave
Scurelle
1942
ferro
Santa Lucia
Peio
1935
fluorite
Prestavel
Tesero - Varena
1953
fluorite
Vignola
Vignola Falesina
1953
fluorite
Erteli
Roncegno
1953
fluorite, solfuri
Fierozzo
Fierozzo - Frassilongo
1959
galena argentifera
Santa Colomba
Albiano - Civezzano Fornace
1959
galena, blenda
Nogarè
Baselga di Piné - Fornace
- Pergine Valsugana
1931
piombo, argento, zinco,
rame, fluorite
Cinquevalli
Roncegno
1930
piombo
Quadrate
Baselga Piné - Fornace Pergine Valsugana
1931
pirite di ferro
Andreolle
Bosentino - Calceranica
- Vattaro
1931
pirite di ferro
Calceranica
Bosentino - Calceranica Pergine Valsugana - Vattaro
1929
rame
Bedovina
Predazzo
1930
rame e piombo
Viarago
Pergine Valsugana
1949
scisti bituminosi
Mollaro
Taio - Tres
1930
scisti bituminosi
ittiolitici
Ciro’
Taio - Tres - Vervò
1967
solfuri misti
Valar
Pergine Valsugana - Vignola
Falesina
274
Sostanze minerali
di seconda categoria
275
276
Argilla
Fronte cava di sabbie alluvionali, cave Pilcante (Ala)
La materia prima utilizzata nel settore dei laterizi è costituita da due tipi di argilla
dalle caratteristiche ben distinte: le marne eoceniche e le argille lacustri quaternarie.
Le argille per maiolica sono generalmente di tipo marnoso, molto fini, con frazione
argillosa non inferiore al 60% e con composizione chimica SiO2 (± 50%) Al2O3+Fe2O3
(± 16%) CaCO3 (± 20%). Quelle da cottoforte sono molto simili alle precedenti ma con
CaCO3 inferiore al 10%, mentre le argille da gres (argille rosse) sono a basso contenuto di carbonati, inferiore al 5% e con la frazione argillosa superiore al 90%.
Le argille marnose e le argille lacustri del Trentino si trovano per lo più nelle zone di
Arco, Riva del Garda, Sardagna, Val di Non, Valsugana. Si tratta di argille che possono essere impiegate nella produzione di laterizi, coppi e, in alcuni casi, maioliche,
cottoforte, gres colorato.
Le marne eoceniche danno luogo ad estesi affioramenti nella zona del Bleggio, nella zona
di Arco e Riva del Garda, in quella di Sardagna, nella bassa Val di Non e nella Val di Cei.
Le argille lacustri quaternarie sono presenti in quasi tutte le vallate, dove costituiscono relitti dell’erosione fluvio-torrentizia e sono localizzate in corrispondenza di piccoli terrazzamenti sui versanti. Il loro utilizzo nell’industria dei laterizi è condizionato
negativamente da due motivi opposti a quelli considerati per le marne eoceniche:
irregolarità e limitatezza dei depositi e incostanza nella composizione chimica, legata
all’origine del deposito. L’unico aspetto positivo, vale a dire che questi depositi possono presentarsi spesso senza copertura o in ogni caso con una copertura molto limitata, è annullato dal fatto che si trovano di solito in versanti al limite di stabilità, dove i
lavori di cava possono innescare notevoli movimenti franosi (cave di Ceramica di Ton
e di Masi di Vigo in Val di Non). Allo stato attuale delle conoscenze, l’approvvigionamento di materie prime per l’industria dei laterizi è legato a depositi generalmente
limitati e in presenza di condizioni morfologiche difficili, dove l’escavazione sottende spesso notevoli problemi di stabilità, paesaggistici e forestali. Questo insieme di
fattori, accompagnato da un progressivo inserimento sul mercato di altri prodotti in
sostituzione dei laterizi, ha determinato da qualche decennio una notevole contrazione di questo particolare settore estrattivo limitandolo a tre sole cave in esercizio. A
situazioni particolari, quali frane e problemi aziendali, è infine riconducibile la chiusura di alcune cave (a Sardagna e nella zona di Arco) che fornivano argilla utilizzata
come correttivo per la produzione di cemento artificiale.
Le limitate risorse conoscitive dei giacimenti di argilla e le difficili condizioni morfologiche per l’escavazione hanno notevolmente contratto questo particolare settore
estrattivo che meriterebbe invece maggior attenzione.
Altro impiego importante è quello delle impermeabilizzazioni, in particolare quelle
per base di appoggio di discariche RSU (Rifiuti Solidi Urbani) e bacini idrici.
277
Argilla
Totale
(t)
36
Produzione
Per laterizi ed altri
usi
(t)
99.360
96.565
195.925
84.233
35
99.810
179.550
78.006
Anno
Cave
(n)
1971
10
1972
8
1973
9
34
110.675
82.340
193.015
97.325
1974
10
28
114.549
50.143
164.692
98.588
1975
10
25
106.863
49.400
156.263
108.208
1976
9
37
27.460
47.815
75.275
46.640
1977
4
6
0
39.750
39.750
12.816
1978
6
8
0
52.900
52.900
30.597
1979
2
3
0
26.219
26.219
13.541
1980
2
9
0
16.800
16.800
11.362
1981
1
2
0
6.300
6.300
8.005
1982
1
1
0
6.400
6.400
10.742
1983
1
1
0
4.630
4.630
5.284
1984
1
7
0
7.220
7.220
6.417
1985
1
2
0
13.127
13.127
28.948
1986
2
3
0
20.812
20.812
43.325
1987
3
7
0
82.683
82.683
134.865
1988
3
7
0
94.074
94.074
154.608
1989
2
5
0
85.449
85.449
114.334
1990
3
7
0
72.330
72.330
151.705
1991
2
7
0
61.024
61.024
98.948
1992
2
7
0
44.968
44.968
70.560
1993
2
7
0
47.541
47.541
75.609
1994
2
6
21.200
54.000
75.200
153.489
1995
2
7
34.000
50.000
84.000
147.707
1996
2
7
26.100
30.000
56.100
104.892
1997
3
8
33.512
54.000
87.512
239.687
1998
3
7
32.008
40.882
72.890
179.415
1999
4
8
30.237
148.070
178.307
452.776
2000
3
6
15.354
66.000
81.354
237.461
2001
3
9
22.220
46.618
68.838
120.392
2002
3
11
31.145
53.189
84.334
476.121
278
Occupati
(n)
Per cemento artificiale
(t)
79.740
Valore
(€)
Basalto e tufo basaltico
I basalti sono rocce vulcaniche molto diffuse, costituite da plagioclasi sodico-calcici
con presenza di minerali accessori soprattutto magneto-titaniferi. Le rocce hanno
cromatismi dal rosso al nero, in rapporto alla quantità di ossido di ferro contenuto,
e struttura di tipo porfirico. In Italia i basalti sono diffusi specialmente nel Veneto tra
Verona, Vicenza e Bassano nonché nel Trentino meridionale.
Queste rocce effusive, legate al magmatismo eocenico, nel Trentino meridionale hanno determinato la formazione del Marmo Grigio Perla. L’unico giacimento di basalto
avente caratteristiche tali da rappresentare interesse sul piano industriale è sito in
località Castel Pradaglia (Isera), dove vi è da molti anni un’attività di produzione di
pietrisco duro per manti bituminosi. In passato la stessa cava ha fornito alcune industrie ceramiche di Sassuolo, nel modenese, per la produzione di piastrelle a pasta
rossa. Il basalto di Isera è stato sperimentato per la produzione di lana di vetro e,
all’inizio degli anni Novanta, per la produzione di granulati colorati ceramizzati.
Il tufo basaltico utilizzato per un certo periodo quale correttivo nella produzione di
cemento, è molto diffuso nella zona compresa tra Mori e Castione di Brentonico dove
esiste ancora una cava in località Sano.
Calcare, calcare marnoso per calce e cemento
Questi materiali sono costituiti principalmente da calcite (CaCO3), minerale comunissimo sia in cristalli singoli, sia in masse compatte con sfaldatura perfetta e lucentezza
vitrea madreperlacea, colore prevalentemente bianco e talvolta grigio, verde pallido
o giallo, per la presenza di impurità.
Sono diffusi in ampie aree del Trentino e sono estratti attualmente da quattro cave,
utilizzandoli quale materia prima nei cementifici di Calavino e della valle di Non.
• Il cementificio ubicato a Sarche di Calavino, entrato in funzione nel 1964, sfrutta
l’adiacente cava di calcare marnoso del Paleocene che interessa due banchi chimicamente diversi e dove l’abbattimento del materiale avviene in maniera selettiva,
al fine di ottenere la giusta miscelazione.
• Il cementificio di Ceole (Riva del Garda) era alimentato da giacimenti di argilla e
marna ubicati nelle vicinanze nonché da una cava di arenaria quaternaria. Per un
breve periodo la marna fu estratta in località Val d’Ir (Arco). Nel 1971 la società
ha ottenuto la concessione mineraria per marna naturale da cemento (sostanza
minerale di prima categoria) in località Calaverna (Arco), ove ha concentrato i
lavori di estrazione attivando una miniera a cielo aperto con disponibilità tali da
garantire il proseguimento dell’attività estrattiva per ancora una decina d’anni.
• Nello stabilimento di Tassullo è prodotta calce eminentemente idraulica e cemento.
Divenuta inutilizzabile la cava di calcare marnoso del Cretaceo, ubicata alle spalle
dello stabilimento, la ditta ha intrapreso, da più di un trentennio, la coltivazione
di marna grigia eocenica nella cava ubicata in località Pozze Longhe (Coredo).
• Lo stabilimento di Mollaro (Taio), che produceva calce eminentemente idraulica
rifornendosi dalla cava di calcari marnosi ubicata nella vicina località Cirò e da
quella in località Bouzen (Vervò), ora produce solo premiscelati per intonaci. Fino
agli anni ’60 lo stabilimento produceva anche piccole quantità di ittiolo per uso
sanitario ricavato dagli scisti ittiolitici del vicino giacimento di Cirò.
279
I calcari sono utilizzati nell’edilizia come pietra ornamentale o da costruzione, e nell’industria nel settore della chimica, del cemento, della calce idrata, della ceramica da
rivestimento, della metallurgia. Trovano inoltre impiego nella produzione di fertilizzanti e di integratori per gli alimenti utilizzati negli allevamenti avicoli.
La produzione di cemento nel Trentino ha origini molto lontane: il primo stabilimento sorse a Piedicastello (Trento) nel 1909. Il calcare era estratto sul posto, mentre la
marna era coltivata dapprima a Cadine (Trento) e in un secondo tempo a Sardagna
(Trento). La produzione annua, di cemento Portland artificiale, era allora di 25.000
t circa. La guerra del 1914 - 1918 bloccò lo sviluppo dell’azienda, in seguito ceduta
alla società “Fabbriche Riunite Cemento e Calce” di Bergamo divenuta poi “Italcementi”, che avviò l’ammodernamento ed il potenziamento dello stabilimento. Circa
una trentina d’anni fa, a causa dell’esaurimento delle cave di calcare di Piedicastello e
dei problemi connessi all’estrazione della marna a Sardagna, la produzione di klinker
nello stabilimento di Trento è stata sospesa.
A nord di Trento sorgevano fornaci per calce idraulica e per calce idrata, chiuse ormai
da circa quarant’anni, che utilizzavano i calcari marnosi paleocenici ivi affioranti.
In località Marco (Rovereto) era in attività uno stabilimento per la produzione di calce
idrata, utilizzata soprattutto nel settore chimico. La materia prima, un tempo costituita dai locali massi delle Marocche, proveniva ultimamente dalla cava di calcare
liassico ubicata in località Lastiela (Rovereto).
Calcare con tenore in CaCO3 vicino al 100% era in passato estratto in varie località
del Trentino per la produzione di calce; si ricordano le cave e le fornaci dismesse
nelle località Marter (Roncegno), Cortella (Canal San Bovo), Passo Gobbera (Imer),
Fornaci (Mezzocorona), Greggi (Monclassico), Al Gazzo (Predazzo), Marco (Rovereto),
Fornace (Zuclo).
Attualmente il calcare, per lo più impuro, è estratto sotto forma di detrito da conoidi
di deiezione ed utilizzato per la produzione di sabbia e ghiaia; potenziali cave per
lo sfruttamento del calcare in sotterraneo, che potrebbero garantire il fabbisogno di
materia prima ad eventuali iniziative di tipo industriale, sono state previste nel Piano
provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali nei comuni di Grigno, Mezzolombardo, Nago-Torbole e Rovereto.
280
Calcare e calcare marnoso per calce e cemento
Anno
Cave
(n)
Occupati
(n)
Produzione
(t)
Valore
(€)
1971
9
43
710.096
196.184
1972
8
36
693.421
181.432
1973
8
37
791.850
211.486
1974
8
33
757.053
242.596
1975
7
28
570.927
182.534
1976
10
37
618.870
309.341
1977
7
29
580.491
319.140
1978
7
26
590.435
387.003
1979
6
28
602.120
389.666
1980
5
26
621.122
567.321
1981
4
26
644.281
648.973
1982
5
26
471.308
464.077
1983
5
27
587.070
716.171
1984
3
17
432.659
467.135
1985
3
17
424.080
473.986
1986
4
16
413.854
472.150
1987
4
16
442.349
560.527
1988
4
16
468.843
610.527
1989
4
15
534.060
661.513
1990
4
16
500.491
703.134
1991
4
16
535.830
792.194
1992
4
16
540.318
808.142
1993
4
15
468.224
729.415
1994
4
15
419.713
613.766
1995
4
12
498.895
758.539
1996
4
15
522.328
784.743
1997
4
14
497.740
725.464
1998
4
12
468.947
715.618
1999
3
12
537.040
708.698
2000
3
12
486.948
619.950
2001
3
12
478.040
645.322
2002
3
12
487.218
686.243
281
Gesso
È composto da solfato di calcio idrato (Ca(SO4)2H2O) ed è molto diffuso. È abbastanza
tenero da essere scalfito facilmente con un’unghia, il colore è per lo più bianco, giallo,
bruno e nero, con lucentezza madreperlacea.
In Trentino l’industria del gesso ha avuto inizio nell’immediato dopoguerra con una
fornace presso Castello di Fiemme ed una presso Sorni di Lavis, alimentate dal materiale estratto da cave ubicate nelle vicinanze degli stabilimenti.
Buona parte del gesso estratto, essendo di ottima qualità (scagliola), trova utilizzo
nell’edilizia per la costruzione di pareti non portanti, in campo medico (ortopedia),
nell’industria della ceramica (stampi), nell’industria chimica, dei fertilizzanti e della
carta, mentre gli scarti e il materiale meno pregiato possono essere usati come correttivo nei cementifici.
I giacimenti di gesso di qualità migliore, localizzati nella zona superiore delle Arenarie di Val Gardena, sono rinvenibili lungo una sottile fascia che va da Cavalese a San
Lugano, lungo la strada Cavalese - Masi in località Marco e nelle località Marmolaia e
Tistola presso Castello di Fiemme. Nel territorio di Condino, lungo la strada che porta
a Castel Condino (località Ronchi), furono estratte modeste quantità di gesso da una
cava sotterranea. Il gesso localizzato nelle formazioni del Werfeniano dà origine ai
piccoli giacimenti di Ravina (Trento) e di Caldonazzo che in passato sono stati oggetto di limitati lavori di coltivazione ed al grande giacimento di Sorni (Lavis), ora non
più coltivato, che è costituito da banchi e da lenti di gesso alternati a marne, dando
origine nell’insieme ad una lente con potenza superiore ai 50 m. Il gesso della formazione a Bellerophon, quantunque risulti molto diffuso nelle zone a cavallo tra le Valli
di Fiemme - Fassa ed il Primiero (San Martino di Castrozza, Bellamonte, Passo Valles
e Val San Nicolò), non è stato oggetto di attività estrattiva, essendo fittamente interstratificato a marne che ne condizionano fortemente le possibilità di coltivazione. La
potenzialità dei giacimenti è stimabile in circa 200.000 t, localizzate nelle Arenarie di
Val Gardena con rendimenti del 70 - 80%, e circa un milione di tonnellate localizzate
nel Werfeniano con un rendimento più basso e qualità più scadente, utilizzabili prevalentemente quale correttivo per cementi. Attualmente l’unica cava attiva è quella
in località Tistola (Castello - Molina di Fiemme), anche se il giacimento è in fase di
esaurimento.
282
Gesso
Anno
Cave
(n)
Occupati
(n)
Produzione
(t)
Valore
(€)
1971
4
19
40.400
27.760
1972
2
9
30.500
27.914
1973
4
23
36.258
49.786
1974
4
18
87.442
92.752
1975
5
25
67.680
74.582
1976
5
23
62.093
56.661
1977
6
17
54.970
55.628
1978
6
12
52.582
48.900
1979
4
12
59.624
101.565
1980
4
9
71.162
142.772
1981
4
10
75.897
179.634
1982
4
11
67.413
209.565
1983
4
7
50.074
198.779
1984
3
6
42.864
191.645
1985
3
5
29.910
115.790
1986
3
3
10.258
67.519
1987
2
3
10.298
58.767
1988
1
2
8.000
51.646
1989
1
2
15.000
76.694
1990
1
2
5.000
25.565
1991
1
2
2.500
12.782
1992
1
1
2.000
16.527
1993
0
0
0
-
1994
0
0
0
-
1995
1
1
9.000
46.481
1996
1
1
10.321
63.622
1997
1
1
12.309
76.285
1998
1
1
10.900
67.553
1999
1
1
16.970
113.936
2000
1
1
11.600
77.882
2001
1
1
11.200
98.333
2002
1
9.800
86.044
283
284
Aggregati
Fino agli anni cinquanta l’approvvigionamento degli aggregati era prevalentemente
basato sull’estrazione dall’alveo dei corsi d’acqua, dai terrazzamenti di origine alluvionale ed in minore quantità dai conoidi di deiezione e dalle falde detritiche. La
contrazione delle escavazioni in alveo dettata da motivi di sicurezza idraulica nonché
l’evoluzione della tecnologia degli impianti di lavorazione degli aggregati negli ultimi
decenni, hanno orientato l’attività di estrazione prevalentemente verso falde detritiche e conoidi di deiezione di fondovalle di grandi dimensioni. Negli ultimi decenni si
è assistito ad una costante crescita della produzione e del consumo di aggregati in
relazione allo sviluppo dell’edilizia privata e dei lavori pubblici.
La sabbia, la ghiaia ed il pietrisco, definiti genericamente inerti, sono aggregati di
valore relativamente basso, ma impiegati in quantità rilevante, sia allo stato semigrezzo nell’allestimento di aree produttive e nei rilevati stradali, sia lavorati per la
produzione di conglomerati cementizi e bituminosi.
Il massiccio impiego di aggregati, unito agli elevati oneri per il trasporto verso i luoghi
di utilizzo, ha determinato l’apertura di un consistente numero di cave, esteso a tutto
il territorio provinciale; sono ancora evidenti i numerosi punti di prelievo dai conoidi
posti lungo la sponda destra della valle dell’Adige in occasione della realizzazione
dell’autostrada del Brennero.
Tra gli aggregati sono compresi anche i granulati che sono ottenuti dalla lavorazione
di rocce selezionate e, quando possibile, dall’utilizzo degli sfridi di materiali estratti
per altri usi. Le rocce dopo essere state frantumate, sono classificate con vagli e in
molti casi anche lavate.
Le classi granulometriche più utilizzate, espresse in millimetri, sono: (0,1 - 0,4) - (0,4
- 0,7) - (0,7 - 1,2) - (1,2 - 1,8) - (1,8 - 2,5) - (2,5 - 4,0) - (4,0 - 8,0) - (8,0 -12,0).
Le differenti qualità chimico-fisiche, i colori, e le classi granulometriche trovano applicazione nelle industrie dei pavimenti di cemento, solitamente lucidati, nella produzione di marmette, di piastrelle di vario tipo, e di marmi sintetici resinati.
Nel Trentino il principale materiale per granulati è il Marmo Grigio Perla, abbastanza
frequente nella zona di Ala.
Per la produzione di granulati si richiede una roccia facilmente lucidabile e di colore
gradevole, nella quale l’eventuale presenza di una fratturazione, più o meno marcata,
è ininfluente. Una parte di granulati è ottenuta come sottoprodotto dell’estrazione dei
blocchi, ma più spesso da cave ove l’abbattimento avviene con normali volate di mine.
Per la produzione di granulati è attualmente utilizzato anche il Giallo Mori, coltivato nella cava Cornalè (Brentonico) ed in sotterraneo nella cava denominata Talpina
(Mori), dove esiste un banco della potenza utile di circa 3 m. Inoltre, nella zona di
Ala, era diffusa l’estrazione del Marmo Grigio Perla e nella valle dei Laghi quella del
Prugna di Lasino, il cui giacimento è individuato dal Piano provinciale di utilizzazione
delle sostanze minerali.
Di seguito si riportano le schede di caratterizzazione petrografica dei principali inerti
estratti e lavorati nel Trentino per la produzione di aggregati e granulati.
La caratterizzazione petrografica è stata eseguita secondo la norma UNI EN 932-3:
2004 “Metodi di prova per determinare le proprietà generali degli aggregati - ProcePietrisco di roccia basaltica
285
dura e terminologia per la descrizione petrografica semplificata” dal Museo Civico di
Rovereto su oltre 50 campioni di sabbia provenienti dai siti estrattivi del Trentino con
l’identificazione e descrizione delle componenti petrografiche costituenti la frazione
granulometrica 850-2.000 μm, ritenuta significativa e rappresentativa della totalità
del campione.
Le sezioni sottili sono state tagliate con microtomo a lama rotante SP 1600 da inglobati in resina della frazione da 850 a 2.000 μm, quest’ultimi effettuati sotto vuoto.
Prove fisico - chimiche per marcatura CE di aggregati
Tipologie
Prova
Metodo
Unità
massa volumica
e assorbimento
1097/6
Mg/m3
assorbimento d’acqua
1097/6
resistenza alla
frammentazione (LA)
Carbonatici
Misti
alluvionali
Porfirici
2,78 - 2,81
2,53 - 2,59
2,61 - 2,75
%
0,7 - 1
0,5 - 1,2
0,3 - 1,9
1097/2 - 5
LA
20
16 - 35
20
resistenza all’usura
(microDeval)
1097/1
Mde
10
10 - 25
10 - 20
resistenza alla levigazione
1097/8
PSV
41 - 44
56
38 - 44
resistenza gelo/disgelo
1367/1
%
<1
<1-2
<1
cloruro
1744/1 - 7
%
0,001 - 0,002
0,001 - 0,0015
0,0018 - 0,002
solfati solubili in acido
1744/1 - 12
%
< 0,2
0,2 - 0,8
0,2 - 0,8
zolfo totale
1744/1 - 11
%
<1
<1
<1
196/21
% CO2
14 - 21
<2
20 - 27
carbonato di calcio
LA =
Mde =
PSV =
Valore ottenuto dopo frantumazione a secco del campione (minore è il valore migliore è l’aggregato)
valore ottenuto dopo frantumazione ad umido del campione (minore è il valore migliore è l’aggregato)
valore di resistenza del campione all’azione dei pneumatici (maggiore è il valore migliore è l’aggregato)
Prove eseguite ai sensi della normativa sulla marcatura CE nel periodo giugno - dicembre 2004 da C.E.T. Consorzio Estrattivo Trentino - Servizi S.r.l., su più di 400 campioni di aggregati.
286
Aggregati misto alluvionali
L’analisi allo stereomicroscopio evidenzia l’abbondanza di granuli carbonatici con
frammenti di ignimbriti e apliti (quarzo, feldspato e miche), subordinatamente si riconoscono elementi di fillite. Tra i minerali in granuli sono presenti calcite e quarzo.
Gli elementi che compongono la sabbia sono subangolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile conferma la presenza di frammenti di rocce metamorfiche
scistose, magmatiche a struttura afirica o intersertale ed infine (come si vede al centro dell’immagine a nicols incrociati) di carbonati a cemento cristallino con bioclasti
e pellets. Fra i minerali in granuli, il quarzo è il più abbondante.
Microfotografia a nicols incrociati
287
Aggregati calcarei
L’analisi allo stereomicroscopio mostra una natura monolitologica dei granuli, costituiti da calcari e calcari cristallini d’aspetto microcristallino. L’unico minerale presente in granuli è la mica.
I granuli, a bassa sfericità, appaiono da angolosi a molto angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile mostra come tutti i frammenti appartengano a calcari cristallini, eccetto alcuni calcari a pellets, bioclasti e qualche cristallo di calcite.
Microfotografia a nicols paralleli
288
Aggregati dolomitici
L’analisi allo stereomicroscopio evidenzia come i granuli siano tutti costituiti da calcari dolomitici e dolomie d’aspetto microcristallino. Per la frazione presa in considerazione non sono presenti minerali in granuli.
I granuli appaiono di bassa sfericità, da molto angolosi ad angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile conferma la natura monolitologica del campione esaminato, costituito da calcari microcristallini. Il mosaico formato da calcite spatica è riconoscibile nell’immagine a nicols paralleli.
Microfotografia a nicols paralleli
289
Aggregati basaltici
L’analisi allo stereomicroscopio rivela la natura monolitologica del campione, costituito esclusivamente da frammenti di basalto olivinico. Per quanto riguarda i minerali
in granuli, sono presenti in maniera accessoria solo i plagioclasi.
I granuli appaiono a bassa sfericità e angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile conferma la natura monolitologica del campione rappresentato da basalti con bei cristalli di olivina, pirosseni e plagioclasi (dalla tipica forma
allungata). Si riconoscono granuli di orneblenda.
Microfotografia a nicols paralleli
290
Aggregati porfirici
L’analisi allo stereomicroscopio rivela la natura monolitologica dei granuli costituiti
esclusivamente da frammenti di ignimbrite (porfido in senso lato). Fra i minerali in
granuli si riconosce principalmente il quarzo.
I granuli appaiono a bassa sfericità, da molto angolosi ad angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile conferma la natura monolitologica del campione rappresentato da rocce magmatiche effusive di tipo ignimbritico, con vari minerali in granuli: quarzo, biotite, feldspati alterati e anfiboli.
Microfotografia a nicols paralleli
291
Granulati di Giallo Mori
L’analisi allo stereomicroscopio rivela la natura monolitologica del campione, costituito per la sua totalità da frammenti di calcare giallo a pellets (Giallo Mori, Formazione del Calcare Oolitico di San Vigilio). Per quanto riguarda i minerali in granuli, è
presente solo calcite in forma spatica.
I granuli appaiono a sfericità medio bassa e molto angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile, consentendo di verificare la struttura raggiata delle concrezioni oolitiche, conferma l’appartenenza dei frammenti sedimentari al Calcare Oolitico di San Vigilio. Sono poi presenti, in maniera meno frequente, elementi di calcari
microcristallini e calcari bioclastici. La calcite, dal tipico doppio sistema di sfaldatura
a 60°, costituisce l’unico minerale in granuli.
Microfotografia a nicols paralleli
292
Granulati di Prugna di Lasino
L’analisi allo stereomicroscopio evidenzia la natura monolitologica di questo campione,
costituito esclusivamente da calcare micritico rosso cupo (Formazione Rosso Ammonitico Veronese). L’unico minerale in granuli presente è la calcite in forma spatica.
I granuli sono a bassa sfericità e angolosi.
Microfotografia allo stereomicroscopio - ingrandimenti 16 X
L’analisi in sezione sottile conferma la natura monolitologica del campione rappresentato esclusivamente da biocalcareniti a foraminiferi. La calcite costituisce l’unico
minerale in granuli.
Microfotografia a nicols incrociati
293
294
Aggregati
Anno
Cave
(n)
Occupati
(n)
Produzione
(t)
Valore
(€)
1971
168
285
1.564.000
368.935
1972
159
256
1.336.000
350.639
1973
175
255
1.579.000
546.489
1974
100
118
985.000
453.867
1975
110
122
1.162.000
472.923
1976
110
156
1.013.000
877.599
1977
95
149
1.266.000
1.014.877
1978
100
179
1.293.000
1.413.907
1979
75
163
1.426.000
1.643.585
1980
76
222
1.719.000
2.365.534
1981
86
231
1.780.000
3.088.250
1982
96
244
2.033.000
3.664.420
1983
100
239
2.085.000
3.913.791
1984
93
240
2.117.000
4.036.651
1985
84
198
2.052.000
4.188.734
1986
91
187
2.333.000
4.282.193
1987
72
153
2.549.000
4.716.835
1988
69
166
2.864.000
6.645.743
1989
62
154
3.039.000
8.013.931
1990
59
157
2.941.000
9.093.653
1991
62
162
2.932.000
10.369.595
1992
58
152
2.944.000
11.219.394
1993
51
130
2.397.000
9.261.083
1994
50
127
2.650.000
12.088.939
1995
50
138
2.653.000
9.692.110
1996
49
132
2.622.000
10.327.003
1997
51
129
2.648.000
10.542.779
1998
53
139
2.733.000
11.117.424
1999
51
150
2.839.000
11.809.197
2000
53
148
2.840.000
11.791.548
2001
52
152
2.799.000
12.553.530
2002
54
132
2.478.652
12.753.073
Particolare di fronte cava di sabbia alluvionale,
cave Pilcante (Ala)
295
296
Stima del consumo
nell’anno 2000
(m3/anno)
Residenti al
31.12.2000
(n)
Stima del consumo
nell’anno 2000
(m3/residente)
C. 1
186.000
18.268
10,18
C. 2
92.000
9.790
9,40
C. 3
210.000
25.476
8,24
C. 4
265.000
45.148
5,87
C. 5
911.000
159.541
5,71
C. 6
325.000
36.730
8,85
C. 7
135.000
14.975
9,02
C. 8
275.000
35.384
7,77
C. 9
298.000
42.083
7,08
C. 10
388.000
81.380
4,77
C. 11
90.000
9.084
9,91
3.175.000
477.859
6,64
Comprensorio
Provincia
Da cave disciplinate
dalla L.P. 6/1980
(m3)
Da escavazioni
occasionali
(m3)
Da scarti
di porfido
(m3)
Da riciclaggio
e selezione materiali
di demolizione
(m3)
Da demanio
idrico e bacini
artificiali
(m3)
Totale
(m3)
1.327.000
700.000
1.100.000
200.000
129.000
3.456.000
38,40%
20,25%
31,83%
5,79%
3,73%
100%
Granito dell’Adamello (Tonalite)
297
Pietra da coti
Piccole quantità di questa pietra, utilizzata per affilare le lame, sono state estratte in
Val di Non, presso Sanzeno, dove nel periodo tra la prima e seconda guerra mondiale
si coltivava in sotterraneo un’arenaria a cemento calcareo attribuita al Cretaceo, e
presso Rumo, dove la pietra, anche qui estratta in sotterraneo, è costituita da arenarie quarzifere muscovitiche a cemento calcareo marnoso; pietra da coti fu pure
estratta nella zona di Bosco (Civezzano). Il vigente Piano provinciale di utilizzazione
delle sostanze minerali non individua giacimenti di pietra da coti e pertanto non si
effettua estrazione.
Pietra per macine
In Val dei Mocheni e nella zona di Storo fu estratto conglomerato quarzifero (Formazione del Conglomerato di Ponte Gardena) utilizzato per la realizzazione di macine
da mulino. Il vigente Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali non
individua giacimenti di pietra per macine e pertanto non si effettua estrazione.
Quarzo e silici
In natura, le silici (SiO2) includono molti materiali quali quarzo (tripoli), farine fossili,
che si ritrovano in roccia, granuli e polveri. Questi materiali si diversificano fra loro
per molti fattori: dimensioni o forma delle particelle, durezza o grado di cristallizzazione. I materiali silicei si trovano facilmente e relativamente a basso costo.
Il quarzo, minerale molto comune, di aspetto e colore molto diversi, è il principale
costituente della crosta terrestre e un componente essenziale di molte rocce ignee,
metamorfiche e sedimentarie.
Il Trentino, fino a qualche decennio fa, era produttore della massima parte del quarzo
necessario a soddisfare i fabbisogni delle industrie locali ormai dismesse, ad eccezione di alcuni tipi di sabbie speciali, a notevole tenore in silice ed esenti da ferro,
utilizzate specialmente per la produzione di carburo di silicio. Modeste quantità di
quarzo erano esportate nelle province limitrofe.
I giacimenti più noti oggetto di attività estrattiva nel passato, sono localizzati in località Monte Orno (Vignola Falesina), a Novaledo, in Val Calamento (Telve), in Val Campelle (Scurelle), in Val d’Algone (Bleggio Inferiore) e a Malga Movlina (Giustino).
La sua vasta gamma di impieghi ne fa uno dei minerali più importanti per l’industria
moderna, trovando conveniente applicazione nella produzione di leghe per la metallurgia, abrasivi, ceramiche, vetri, pavimenti industriali, colori, rivestimenti murari.
Fra gli usi principali del quarzo, delle quarziti e delle sabbie di quarzo, si ricorda l’impiego nelle industrie dei vetri, delle porcellane, degli smalti, delle maioliche nonché
per la produzione di manufatti refrattari silicei, in particolare per il rivestimento di
forni.
La produzione di quarzo, che ha raggiunto i massimi livelli verso la fine degli anni
’60, proveniva essenzialmente dai due giacimenti di Monte Orno (coltivato nella cava
sotterranea di Fontanelle) e di Val d’Algone. La coltivazione è cessata verso il 1970
in concomitanza con la chiusura degli stabilimenti di Trento Nord e di Bolzano, dove
era utilizzato quale materia prima per la produzione di ferro-silicio.
298
Torba
Taglio a distacco di blocco in Verdello
cava Pila (Trento)
Oltre alle torbiere recentemente chiuse di Lago Pudro a Madrano (Pergine Valsugana), di Laghetto delle Regole (Castelfondo) e di Palù Longa (Carano) che fornivano
materiale utilizzato in floricoltura ed orticoltura come fertilizzante, sono da ricordare
quelle per l’estrazione della torba utilizzata come combustibile e ubicate in varie
località del Trentino: Baselga di Piné, Brez, Cembra, Cles, Fiavé, Folgaria, Fornace,
Lavarone, Levico Terme, Lomaso, Siror, Tonadico, Trento (Viote), Tuenno, Pieve Tesino, Predazzo, Vermiglio (Tonale).
Nonostante la buona disponibilità, ma considerato lo scarso interesse attuale, il vigente Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali non individua giacimenti di torba e pertanto da alcuni anni non si effettua estrazione.
299
300
Settori di utilizzo industriale
di alcuni minerali di base
Dolomite
Feldspato
x
x
x
x
x
x
x
x
Gesso
Granato
x
x
Zeoliti
x
Processi di
raffinazione
Refrattari
Plastica
Carta
Pitture
Metallurgico
Vetro e fibra di
vetro
Fonderia
Isolamento
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Talco
Filtri
Inerti e fillers
Elettrico ed
elettronico
x
x
Mica
Silice
x
x
Assorbimento
Calcite
x
Gomma
x
Perforazioni
x
Materiali per
l’edilizia
x
Barite
Chimici
Ceramici
Argille
Agricoltura e
fertilizzanti
Minerali di base
Abrasivi
Settori di utilizzo
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Prodotti di carica naturali
I materiali di scavo e di risulta, aventi determinate qualità, possono essere trasformati
in cariche minerali naturali che si affiancano nell’uso industriale ai prodotti sintetici
(polimeri). Le cariche naturali sono minerali di varia natura e composizione, macinati
singolarmente o mescolati, che sono impiegati come riempitivi nelle plastiche. Questo
settore industriale ha avuto e continua ad avere una considerevole evoluzione che
consente l’impiego di rocce e minerali di natura molto diversa.
Le caratteristiche tecniche delle cariche minerali naturali dipendono da vari fattori:
la natura del giacimento, le condizioni di estrazione, il trattamento (che comporta
spesso processi di arricchimento) e diverse fasi di selezione e macinazione. Nel caso
di riutilizzo di materiali di scarto, questi diventano prodotti commerciali a tutti gli
effetti. Principali settori di applicazione sono: vernici, gomma, antiparassitari, fertilizzanti, refrattari, abrasivi, fonderie, ferodi, freni.
Secondo la loro natura chimico-mineralogica i prodotti di carica si possono distinguere nelle seguenti famiglie: Silici e Silicati, Solfati e Carbonati.
Pietrisco di porfido
• Silici e Silicati
Questa famiglia include un numero rilevante di prodotti naturali. Le silici cristalline
sono cariche a facile dispersione, hanno influenza limitata sulla viscosità, sono di
solito opacizzanti e molto abrasive. Le silici sedimentarie, per la loro natura molto
301
fine, sono di scarso impiego a causa del colore tendenzialmente grigio o giallognolo
marcato. I silicati di alluminio sono rappresentati da molti prodotti, quali l’argilla, il
caolino, la mica, il talco. Sono tutti prodotti che possono avere valenze importanti per
la loro reattività che migliora i legami tra le particelle di carica ed il legante, con effetto sensibile sulla viscosità della vernice e sulla coesione della pellicola. I principali
settori applicativi del quarzo sono: idropitture, refrattari, isolanti elettrici.
• Solfati
Il prodotto più comune è il solfato di bario o barite. La barite ha molti vantaggi essendo un prodotto pressoché inalterabile agli agenti chimici e con influenza quasi
nulla sulla viscosità delle vernici. L’elevata densità del minerale conferisce al prodotto
particolari peculiarità rispetto ad altri prodotti di carica. I principali settori applicativi
della barite sono: vernici, plastica, vetreria, freni e ferodi.
• Carbonati
Sono sicuramente i prodotti di carica più impiegati nelle pitture, anche perché sono i
meno costosi e i maggiormente diffusi. Questi prodotti non hanno particolare influenza sull’insieme delle proprietà delle pitture e possono essere impiegati in dosi massicce. I carbonati normalmente impiegati sono la calcite e la dolomite. I principali settori
applicativi della calcite e della dolomite sono: vernici, plastica, gomma e carta.
Composizione dei calcari e delle dolomiti (% massa)
Classificazione
CaCO3
MgCO3
CaO
MgO
CO2
0
100,00
0,00
56,03
0,00
44,00
Calcare
0÷5
100,00÷97,71
0,00÷2,29
56,03÷54,75
0,00÷1,09
44,00÷44,16
5÷10
97,71÷95,43
2,29÷4,57
54,75÷53,47
1,09÷2,18
44,16÷44,35
10÷50
95,43÷77,14
4,57÷22,86
53,47÷43,22
2,18÷10,93
44,35÷45,85
Calcare
magnesiaco
Calcare
dolomitico
Dolomia calcarea
Note
CaMg(CO3)2
Calcite
50÷90
77,14÷58,84
22,86÷41,16
43,22÷32,97
10,93÷19,68
45,85÷47,35
Dolomia
90÷100
58,84÷54,27
41,16÷45,73
32,97÷30,41
19,68÷21,86
47,35÷47,73
Dolomite
100
54,27
45,73
30,41
21,86
47,73
Estratto da: “L’Industria Mineraria nel Trentino - Alto Adige” secondo volume, pag. 23 opera citata
I carbonati di calcio sono i minerali più diffusi
sulla superficie terrestre. Nella produzione di
cariche sono normalmente impiegati marmi,
calcite dura, cristallina o microcristallina, meno
frequenti carbonati di origine sedimentaria. Le
polveri di pietra carbonatica sono molto impiegate per cariche economiche e sono generalmente
bianche.
Campi di impiego delle cariche naturali
Le cariche naturali sono utilizzate per la produzione di collanti, malte adesive, gomme e resine sintetiche. Nelle stesse oltre al quarzo trovano impiego molti altri minerali silicei e calcareo magnesiaci.
Le dolomie sono cariche che si sono diffuse
molto tempo dopo le cariche calcitiche e sono
costituite da prodotti macro cristallini, microcristallini e saccaroidi. Quest’ultimo tipo di dolomie
fornisce un ottimo materiale di carica per alcune
peculiarità chimico/fisiche quali la bianchezza e
la forma particellare dei cristalli.
• Colori, pitture, rivestimenti plastici murali per interni ed esterni
In questo campo sono in genere utilizzate sabbie di quarzo naturali tondeggianti
d’importazione nonché granulati silicei nazionali (sabbie di porfido). Sono pure molto
usati minerali silicei e non, macinati a tagli granulometrici di diverse finezze. L’impiego di prodotti di carica, per i rivestimenti plastici murali per interni ed esterni, è
condizionato da alcune proprietà quali: il pH, le impurità, la struttura e le granulome-
302
trie. Il pH può variare da 5 a 10 e non ha in genere un’importanza rilevante, eccetto
alcuni casi particolari che impiegano resine ad elevata acidità o emulsioni acquose
molto basiche. Le impurità sono sempre presenti in percentuali variabili da piccole
ad elevate; quelle di origine silicea sono normalmente presenti nelle cariche carbonatiche e nelle bariti. Gli ossidi di sali metallici, in genere ossidi di ferro, sono presenti
in percentuali basse e conferiscono colorazioni dal grigio all’avorio. Il ferro di usura,
proveniente dalla comminuzione e macinazione, anche in piccolissime quantità, è
molto nocivo. I sali solubili sono sempre considerati, nella generalità delle pitture,
forti elementi di disturbo. La struttura delle cariche è molto importante e può essere
distribuita in tre forme:
• lamellare
• cristallina
• amorfa
La forma lamellare dei silicati ha effetto sulla viscosità e sul potere di sospensione. La
forma cristallina dei solfati e di alcuni carbonati, comporta generalmente un potere
di deflocculazione dei pigmenti. La barite, in conseguenza della sua elevata densità,
conferisce alle pitture particolari proprietà, ben note nell’industria della gomma e
della carta, che ne facilitano l’applicazione. La forma di tipo amorfo di molti silicati ed
alcuni carbonati, in particolare argille, è necessaria alla produzione di buone pitture.
La granulometria è caratterizzata da importanti fattori quali il taglio superiore e il
taglio inferiore. Il taglio superiore è la dimensione massima delle particelle che intervengono sull’aspetto finale della mano di pittura. Il taglio inferiore è la dimensione
delle particelle fini che differisce in modo sostanziale secondo la natura dell’origine
della carica. In generale i silicati contengono particelle più fini. Le cariche cristalline,
come i carbonati e le bariti, sono più grossolane e hanno quantità limitate di particelle inferiori al micron. Molto elevate sono le particelle fini inferiori ai 0,5 micron nei
prodotti di origine sedimentaria, nelle argille e nei caolini. La ripartizione granulometrica delle cariche è di grande importanza e varia in funzione della formulazione
e delle caratteristiche del prodotto desiderato. La ricerca e la messa a punto delle
cariche in una pittura è un problema molto delicato; per questo i produttori di pitture
sono particolarmente attenti nella valutazione delle cariche minerali.
• Coperture
Per le coperture di stabilimenti industriali, di capannoni, di magazzini ed altro, sono
largamente usate lastre bitumate a volte ricoperte di granulato minerale (quarzo,
porfido, basalto, granito) di dimensioni (0,1 - 0,4) mm e (0,7 - 1,2) mm, denominate
“tegole canadesi”. Per coperture di abitazioni civili sono usate “tegole in cemento”,
non solo colorate, ma anche rivestite di granulati minerali, in passato molto diffusi
nella forma di granulati colorati di quarzo ceramizzato.
• Agglomerati
Nelle fabbriche di rivestimenti e pavimenti sono generalmente impiegati granulati di
pietra carbonatica agglomerati con resine. Per aumentare la resistenza all’abrasione
sono utilizzate rocce dure.
Le granulometrie sono molto diverse: dalla polvere fine a pezzature di oltre 10 cm.
303
• Pavimentazioni
Per i pavimenti industriali ad alta resistenza in cemento (pavimenti autolivellanti)
sono utilizzati generalmente granulati duri depolverati di dimensioni (0,7 - 1,8) e (1,2
- 1,8) mm. I granulati da rocce silicee conferiscono alla pavimentazione proprietà
antipolvere, antiusura ottenute dall’alta resistenza meccanica.
• Materie plastiche
La quantità di materie plastiche “caricate” o “rinforzate” con aggiunta di minerali macinati o micronizzati è in continuo aumento. I minerali hanno consentito di produrre
materie plastiche importanti dato il notevole miglioramento delle proprietà fisiche che
è possibile ottenere. I minerali inoltre hanno avuto e continuano ad avere importanza
economica rilevante poiché consentono un notevole risparmio di resina (che coincide
con un risparmio energetico) e costano molto meno. Le cariche minerali permettono la
produzione di plastiche molto resistenti e funzionali, con un notevole minor peso dei
prodotti tradizionali metallici. Il minor peso è estremamente importante, ed è soprattutto l’industria automobilistica a sfruttare queste proprietà nei componenti dei veicoli.
Ogni minerale utilizzato apporta alle materie plastiche proprietà specifiche che si riflettono sul prodotto finale e consentono una riduzione del costo delle plastiche stesse. Non
esiste alcun minerale che abbia un’applicazione universale in tutti i polimeri.
Impianto di frantumazione e vagliatura
304
Metodi di trattamento dei minerali
Il processo di innovazione tecnologica e produttiva deve mirare al miglioramento della
qualità delle produzioni. Negli ultimi decenni si è assistito ad un’evoluzione del concetto di qualità che ha imposto alle aziende nuovi modelli organizzativi. Poiché la qualità
delle materie prime è una caratteristica legata al tipo di impiego ed alle tecnologie di
produzione utilizzate, è importante che siano impostati dei cicli di analisi periodici e
continui.
Il sistema di lavorazione delle materie prime, sia artigianale sia industriale, necessita
sempre più, per mantenersi competitivo, di investimenti nella ricerca tecnologica, sia per
migliorare la qualità del prodotto, sia per consentire un recupero del minerale estratto.
La scelta del livello di trattamento dei minerali industriali, sabbie naturali, sabbie e
pietrischi frantumati, lavati, classificati, che possono soddisfare molte e disparate esigenze, dipende essenzialmente dai limiti economici imposti dal mercato e dall’effettiva
fattibilità del processo scelto. Di conseguenza, l’operatore deve individuare la scelta
ottimale tra un ventaglio di alternative per valutare la combinazione del trattamento
economico più indicato per il prodotto specifico. In quest’ottica, è necessario conoscere
vari metodi di trattamento e considerare l’applicazione di queste tecniche per il raggiungimento dell’obiettivo. In generale, come prima classificazione si constata come
possano essere rimossi i contaminanti o il prodotto utile attraverso meccanismi fisici,
chimici e meccanici. Si tratta comunque di una distinzione di massima che deve essere
studiata ed approfondita caso per caso e secondo le reali condizioni di utilizzo.
Schema di separatore a rullo a terre rare
Separatori a rullo alle terre rare ad alta intensità
È un semplice sistema a pulegge e nastro montati all’interno di un’intelaiatura. La
puleggia di testa è costituita da un insieme di magneti in terre rare ad alta energia,
tali da consentire la produzione di campi magnetici ad elevata potenza. Il materiale
è depositato sul nastro da una tramoggia e distribuito uniformemente da un alimentatore vibrante. Il nastro trascina il minerale nel campo magnetico della puleggia di
testa. Le particelle debolmente magnetiche sono attratte dal magnete rotante che,
cambiandone la traiettoria, consente la loro separazione dal materiale non magnetico, grazie al posizionamento calcolato del deflettore.
I separatori a magnete permanente ad alta intensità sono macchine che si avvalgono
delle più moderne tecniche per ottenere campi magnetici ad alto gradiente, onde garantire una buona separazione delle particelle paramagnetiche di sabbie, graniglie e
prodotti essiccati in genere.
Le applicazioni per la lavorazione dei minerali, quali sabbie silicee o silico-feldspatiche da utilizzare per la produzione di vetro, ceramiche ed altro, impongono la rimozione dei contaminanti apportatori di Fe2O3.
I moderni separatori a rullo alle terre rare ad alta intensità sono un sistema molto
avanzato e generalmente non molto costoso che consente di ottenere prodotti di elevata qualità. Queste tecniche consentono di impiegare al meglio le risorse limitate di
305
alcuni minerali quali il quarzo ed i feldspati, diversamente inutilizzabili a causa delle
contaminazioni ferrose. Il separatore magnetico a secco ad alta intensità tecnicamente avanzato consente di ottenere ottime prestazioni con la rimozione del minimo degli
scarti. La separazione è affidabile e costante per lunghi periodi di tempo.
Il magnete permanente richiede un basso consumo energetico rispetto ai sistemi elettromagnetici alimentati elettricamente. Più modelli con rulli di diametro e lunghezza
diversi consentono di soddisfare tassi di produzione sia bassi sia elevati con il minor
numero di macchine.
Il fermo macchina per la sostituzione del nastro è di brevissima durata e le manutenzioni ordinarie possono essere eseguite durante i tempi morti. Solitamente la progettazione è modulare con la possibilità di aggiungere stadi successivi all’installazione
iniziale con conseguente massima flessibilità di utilizzo.
Le macchine sono disposte per una efficace depolverazione in modo da non disperdere polveri fini nell’aria. L’intensità massima del campo magnetico, che può arrivare
ai 21.000 gauss, è raggiunta sulla superficie del rullo.
Schema di impianto per cernita ottica
Cernita ottica
Gran parte dei processi industriali utilizzati per il trattamento delle materie prime
destinate all’ingresso nel mercato prevede l’abbattimento del minerale, la sua frantumazione, classificazione, lavaggio ed infine il processo di arricchimento. Quest’ultimo
processo si avvale di tutte quelle operazioni necessarie ad incrementare i tenori e le
proprietà fisico-chimiche utili della roccia estratta.
Le caratteristiche petrografiche di molti minerali sono tali da consentire la separazione della parte utile dalla parte inerte operando su granulometrie da 10 a 180 mm. Per
depositi di questo tipo è importante ai fini economici operare un pre-arricchimento
prima del trasporto del minerale all’impianto di trattamento.
La cernita ottica è un’importante alternativa per la selezione dei minerali. Il suo principio di funzionamento si basa sulla certezza che la separazione tra il minerale inerte
e quello utile sia possibile attraverso la sola ricognizione ottica. Differenze di colore
e/o di brillantezza delle singole frazioni di roccia possono essere valutate in tempo
reale con portate di oltre 40 m3/h. La cernita ottica utilizza un algoritmo che simula la
mente umana per la valutazione di quello che è buono e di quello che non lo è, in base
alle informazioni rilevate dalla vista. In altre parole, ciò che è distinguibile dall’uomo
può essere distinto dalla macchina. Il suo sistema funzionale è alquanto semplice;
ben altra cosa è la tecnologia impiegata per la sua attuazione.
Il cuore della macchina è rappresentato dal sistema ottico, composto di telecamere a scansione lineare che acquisiscono l’immagine di due facce del minerale durante la sua caduta
libera. L’immagine è istantaneamente inviata al sistema di elaborazione che, in tempo reale, la analizza e la confronta con un insieme di elementi precostituiti di campioni noti allo
scopo di stabilire se la roccia cadente deve essere rigettata o trattenuta. Se il frammento di
roccia deve essere scartato, il sistema computerizzato invia un segnale che aziona un getto
d’aria compressa tale da deviare la traiettoria di caduta del frammento stesso.
La cernita ottica può essere la soluzione ideale per tutti i casi dove è necessario accrescere la qualità del materiale. I benefici economici derivanti da questa scelta si ripercuotono su tutto il processo produttivo che segue l’estrazione, fino all’ottenimento
del prodotto finale.
306
Flottazione
La flottazione, come processo di concentrazione di minerali, inizia ad essere utilizzato alla fine dell’Ottocento, ma l’uso della flottazione a schiuma selettiva moderna
risale al 1920.
Lo sfruttamento continuo ed intensivo delle miniere metallifere e il loro costante
impoverimento, la sempre maggior richiesta di metalli, hanno consentito alla flottazione, in un tempo relativamente breve, uno sviluppo che ha raggiunto proporzioni
considerevoli.
Questa tecnologia ha dato e dà la possibilità di trattare un numero elevato di minerali
anche non metallici quali la calcite, il quarzo, i feldspati e le miche.
Le condizioni di flottazione principali sono:
• la quantità dell’acqua
• la qualità dell’acqua
• il riciclo dell’acqua
• la finezza di macinazione
• la durata del processo
• lo stato della roccia
Il principio della flottazione consiste nel rendere “idrofoba” (respingente l’acqua) o
“idrofila” (attirante l’acqua) la superficie delle particelle di minerale mediante l’aggiunta di additivi chimici.
Nell’operazione di flottazione è insufflata aria in modo che le particelle di minerale
rese idrofobe, aventi una maggiore affinità con l’aria, siano più facilmente catturate e
quindi portate in superficie nelle macchine di flottazione (celle di flottazione).
Per rendere l’operazione industrialmente efficace, occorre impiegare anche dei tensioattivi (collettori) che generano una resistente schiuma. Con questo meccanismo
si riesce più facilmente a catturare il minerale da separare, mentre quello che non
aderisce alle bollicine d’aria si deposita sul fondo della cella di flottazione.
Uno dei fattori più importanti per l’efficacia della flottazione è rappresentato dalle
dimensioni delle particelle dei minerali da separare; per questo quasi sempre l’operazione di flottazione è preceduta dalla macinazione della roccia, allo scopo di “liberare” i minerali che si vogliono separare e di ottimizzarne le dimensioni per facilitarne
il meccanismo di adesione alle bolle d’aria.
Altre operazioni di preparazione dei minerali alla flottazione sono:
• “attrizione”, allo scopo di pulire le superfici dei minerali da separare;
• “slimatura”, allo scopo di eliminare le frazioni più fini che assorbono i reagenti e
di rivestire le superfici dei grani riducendone la capacità di contatto con le bolle
d’aria.
L’operazione di flottazione è comunque sempre preceduta dal “condizionamento”, che
consiste nell’aggiunta alla sospensione in acqua del minerale da flottare (slurry) degli
additivi chimici necessari per attivare la flottazione. Per quest’operazione si impiegano
delle vasche con agitatore aventi lo scopo di tenere in sospensione le particelle minerali.
Il processo di separazione mediante flottazione è reso industrialmente possibile con
l’impiego di additivi che modificano le caratteristiche chimiche della sospensione in
acqua contenente i minerali da trattare.
Con l’impiego di additivi chiamati “collettori” si attivano le particelle idrofobe che
saranno raccolte con le schiume flottate.
307
Con l’impiego di additivi chiamati “depressivi” si impedisce la flottazione di alcuni
minerali (flottazione inversa).
Con l’impiego invece di sostanze “attivanti” si ottiene la flottazione di minerali che
normalmente non sono flottabili.
L’impiego di additivi chiamati “schiumatori” permette di controllare la stabilità e le
dimensioni delle bolle d’aria che portano in superficie i minerali flottati (schiume).
Macchine di flottazione meccaniche
Le macchine di flottazione (celle di flottazione) servono per tenere in sospensione le
particelle di minerale, disperdere meccanicamente l’aria in piccole bolle, favorire il
contatto tra le particelle di minerale e l’aria insufflata, formare un’adeguata schiuma,
avere un adeguato volume della vasca (tempo di permanenza) per la separazione.
Le celle di tipo meccanico hanno bisogno di iniezione d’aria mediante aerazione meccanica o iniezione di aria compressa.
All’interno della macchina di flottazione l’aria insufflata provoca delle microbolle che
aderiscono ai minerali attivati dagli additivi con conseguente alleggerimento e risalita
in superficie; l’asportazione di queste schiume mineralizzate avviene con pale rotanti.
Attraverso la regolazione degli additivi “schiumatori” si deve fare in modo che le bolle
non siano né tanto grandi da rompersi, con conseguente perdita dei minerali flottati,
né tanto piccole da impedire la risalita del minerale sottostante.
Macchine di flottazione pneumatiche a colonna
Le celle di flottazione pneumatiche si differenziano da quelle meccaniche in quanto
non hanno nessun agitatore per l’aerazione meccanica della sospensione in acqua dei
minerali; tutta l’aria necessaria alla flottazione avviene per iniezione compressione
che, con un particolare dispositivo chiamato sparger, forma le microbolle necessarie
al trasporto del minerale flottato.
Inoltre, le celle pneumatiche non hanno pale rotanti e pertanto l’asportazione delle
schiume avviene per stramazzo; per regolare la quantità di schiume da asportare è
previsto un dispositivo di controllo e regolazione automatica del livello.
Essiccazione
Essiccatori rotanti equipaggiati con depolveratore
Gli essiccatori più idonei per i materiali inerti provenienti da attività estrattive sono
del tipo rotativo con funzionamento equicorrente, dove il movimento del materiale
avviene nello stesso senso dei gas caldi.
Questo consente una migliore regolazione della temperatura ed un rendimento termico più elevato.
L’essiccatore è costituito da un cilindro, rotante intorno ad un asse orizzontale,
equipaggiato da una serie di palette interne di avanzamento e rimescolamento del
materiale.
Il corpo cilindrico dell’essiccatore è posto in rotazione da un motoriduttore che comanda un albero coassiale al cilindro fissato ad un’estremità del tamburo, mentre
all’altra estremità è installato un robusto cerchione che poggia su due rulli folli di
rotolamento. La lubrificazione dei rulli è affidata a pani di grafite che appoggiano sui
rulli stessi.
308
Impianto di vagliatura
Le due testate fisse alle estremità del cilindro rotante sono:
• testata di alimentazione e combustione: il materiale è scaricato in una tramoggia
fissata alla testata e quindi introdotto nel cilindro attraverso uno scivolo dotato di
piastra antiusura. Sulla testata è fissato il bruciatore, con un’opportuna angolazione per evitare che il materiale introdotto disturbi la fiamma;
• testata di comando: è costituita da un motoriduttore pendolare che comanda un
albero fissato all’estremità dell’essiccatore. Vicino a questa estremità è installata
la cappa per lo scarico del materiale e per l’aspirazione dei gas inviati al filtro. Il
materiale da essiccare è in un primo tratto spinto in avanti da una serie di palette
ad angolatura opportuna, in modo che la fiamma possa liberamente svilupparsi
senza interferenze col materiale, evitando così la possibile cattiva combustione
con formazione di ossido di carbonio. Il processo in equicorrente prevede di introdurre il materiale umido nella zona più calda della fiamma, assicurando un ottimo
sfruttamento del calore disponibile senza peraltro danneggiare il materiale, dato
che il calore della fiamma è assorbito soprattutto dall’evaporazione dell’acqua
presente.
Nel tratto successivo del cilindro, quando ormai il processo di combustione è completo, il materiale è ripreso da una serie di palette di rimescolamento, con angolatura
diversa, che lo fanno avanzare più lentamente ma con un maggiore rimescolamento,
favorendo così il suo contatto con i fumi caldi della combustione.
Alla fine del cilindro il materiale essiccato è scaricato attraverso una valvola a contrappeso installata sul fondo della cappa, mentre dall’alto escono i fumi polverosi che
devono andare al filtro per l’abbattimento delle polveri trascinate dai gas.
Il requisito essenziale di un buon essiccatore è l’elevato rendimento termico che si
traduce in bassi consumi energetici, da contenere entro 1100 - 1150 kcal per ogni kg
di acqua evaporata.
Tipi di essiccatori
L’essiccatore può essere:
• a semplice percorso: costituito da un solo cilindro nel quale il materiale entra da
una parte ed esce dalla parte opposta. Questo essiccatore ha minor rendimento termico, che può essere migliorato con l’installazione di cellette a nido d’ape interne e
con la coibentazione esterna ed è indicato per materiali ad elevata umidità.
• a doppio percorso: composto di due cilindri coassiali e solidali tra loro. Il materiale entra nel cilindro interno e, dopo averlo percorso interamente, cade in quello
esterno, dove una palettatura ad angolazione opposta lo fa ritornare nell’intercapedine tra i due cilindri per completare l’essiccazione sempre a contatto con i gas.
Questo essiccatore ha maggior rendimento termico ed è indicato per l’essiccazione
spinta.
Taglie e consumi degli essiccatori
La taglia minima è un essiccatore di diametro 800 mm e lunghezza 4 - 5 m, che può essiccare 5 ÷ 6 t/h, con un consumo di 30 - 40 m3/h di metano, per umidità del 5 ÷ 7%.
La taglia massima è un essiccatore di diametro 2.400 mm e lunghezza 12 - 14 m, che
può essiccare 50 ÷ 60 t/h, con un consumo intorno a 350 m3/h di metano, per umidità
del 5 ÷ 7%.
309
Per portate superiori conviene adottare più essiccatori in parallelo, perché oltre certe
dimensioni peggiora il rimescolamento del materiale e quindi cala il rendimento di
essiccazione.
Funzionamento del depolveratore
Il depolveratore è costituito da un corpo centrale, entro il quale sono contenute le
maniche filtranti, da una tramoggia inferiore per la raccolta delle polveri e da una
camera superiore (plenum) per la ripresa dell’aeriforme depurato.
All’ingresso nel filtro, l’aeriforme polveroso è convogliato in una precamera dove
sono subito depositate le particelle con una granulometria superiore a 20 micron,
che cadono sul fondo per effetto della brusca riduzione di velocità e del cambio di
direzione del flusso.
Successivamente, a causa della depressione generata dal ventilatore di coda, l’aeriforme è costretto a passare attraverso le maniche filtranti, procedendo dall’esterno
verso l’interno; la polvere più fine si deposita sulla superficie esterna delle maniche
dove forma uno strato che contribuisce all’azione filtrante, determinando un aumento
della perdita di carico.
Per mantenere questa perdita di carico ad un valore di regime è necessario staccare
la polvere dalle maniche mediante un lavaggio in controcorrente realizzato mediante
un sistema distributivo ad aria compressa. Il sistema, composto di valvole a membrana, rampe di soffiaggio e tubi Venturi, permette di scaricare nelle maniche un’onda
di pressione che si propaga sino in fondo ad elevata velocità determinando un forte
scuotimento delle maniche stesse.
La polvere staccata dalle maniche cade nella tramoggia sottostante ed è quindi evacuata dallo scaricatore rotante.
Il dimensionamento e la geometria del sistema di eiezione ad aria compressa hanno
un’importanza determinante sull’efficienza del lavaggio e sono stati pertanto definiti
sulla base di accurate esperienze che hanno permesso di ottimizzare la pulizia delle
maniche con il minimo consumo di aria compressa.
Il filtro è dotato di un misuratore di pressione differenziale tra monte e valle delle maniche, che dà il consenso alla sequenza di lavaggio quando la pressione differenziale
supera un valore prefissato regolabile. Questo permette una notevole riduzione dei
consumi di aria compressa ed una minore usura delle maniche, che sono lavate solo
quando è necessario.
L’apparecchiatura di lavaggio ha 4 set-point di intervento regolabili:
DP1: pressione differenziale minima, con segnale di allarme
DP2: pressione differenziale sotto la quale il lavaggio è fermo
DP3: pressione differenziale alla quale inizia il lavaggio
DP4: pressione differenziale massima, con segnale di allarme
Macinazione a secco
Molte rocce o minerali sono macinati impiegando molini rivestiti di gomma, silice,
allumina sinterizzata ed utilizzando ciottoli di silice o di allumina che non ne alterano
le proprietà chimiche.
Queste macchine sono per lo più costituite da un cilindro orizzontale che gira su
grandi perni cavi azionati da un motore elettrico a bassa velocità controllato da un
310
motoriduttore di potenza e timer elettronici. Da uno dei perni cavi entra il materiale
da macinare, questo rotola entro il tamburo caricato con corpi macinanti ed esce
triturato dall’altra estremità.
L’azione di macinazione avviene per urto, schiacciamento e sfregamento, grazie al
movimento rotante impresso ai corpi macinanti contenuti nel tamburo. I ciottoli sono
sollevati per aderenza alla parete cilindrica; quelli più esterni che acquisiscono maggior velocità e forza centrifuga producono la rottura per urto dei frammenti più grossolani, mentre quelli centrali, meno veloci, rotolando e strisciando fra loro schiacciano e polverizzano il minerale che occupa i vuoti tra i ciottoli medesimi. Usando un
sistema di macinazione con circuito chiuso e trasporto ad aria è possibile ottenere
una macinazione fine a “basso costo”.
La finezza del prodotto è potenzialmente illimitata ed inoltre è possibile tenere sotto controllo costante la granulometria. Il minerale macinato che esce dal molino è trasportato
al separatore a vento che in molti casi è abbinato ad un vaglio classificatore o ad una
batteria di cicloni.
Il minerale sopra misura torna al molino cadendo per gravità mentre il prodotto finito
è convogliato al silo di carico.
Applicazioni
La macinazione del minerale grezzo, con conseguente trasformazione in polvere, dipende dalla sua tendenza a fendersi, dalla sua friabilità, dalla porosità, dalla durezza
e dalla struttura. Questi fattori sono determinanti per stabilire la macinabilità e vanno
studiati caso per caso. Tali fattori sono tanto rilevanti da richiedere prove molto accurate per un corretto dimensionamento dell’impianto.
Molti settori industriali dimostrano un crescente interesse per il reperimento di rocce
o minerali macinati finemente e caratterizzati da un fuso granulometrico definito.
La produzione di questi prodotti richiede tecnologie complesse e consumi elevati di
energia. Recentemente sono apparsi sul mercato sistemi macinanti a secco e ad umido ad alta intensità di nuova generazione, che sfruttano la forza centrifuga e l’attrito
con concetti innovativi. Sono sistemi associati a classificatori a circuito chiuso in grado di produrre curve granulometriche molto ristrette ed adatte a mantenere le forme
geometriche naturali dei cristalli dopo la macinazione. Questi molini hanno consumi
di energia inferiori di due o tre volte rispetto ai normali molini a palle, sono di dimensioni contenute e possono essere installati senza fondazioni.
Macinazione di minerali duri
Si riportano i dati tecnici operativi riferiti ad un molino cilindrico rivestito internamente
con piastrelle da 75 mm di spessore in allumina sinterizzata, con scarico di testa e macinazione a secco di quarzite frantumata, essiccata, di pezzatura 0,2 - 0,3 mm.
I prodotti finiti sono classificati con separatore a vento ad alta efficienza con rendimento medio del 70% circa.
Schema di molino
Molino cilindrico
Diametro 2.500 mm
Lunghezza 5.500 mm
Motore elettrico
Potenza 220 kW
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Carica macinante
Sfere di allumina diametro 2,5 pollici
Riempimento molino 50% circa pari a 30 t
Consumo carica 1.200 g/t circa
Potenza impiegata 45 kW/t circa
Prodotti finiti
Macinati con granulometrie da 45 a 160 micron
Produzione oraria
2,9 t/h per granulometria di 45 (± 3%) micron
4,9 t/h per granulometriadi 71 (± 2%) micron
6,3 t/h per granulometria di 100 (± 2%) micron
7,3 t/h per granulometria di 160 (± 2%) micron
Frantoio a cono
Frantumazione
La frantumazione è il processo meccanico normalmente utilizzato per ridurre le
dimensioni di un materiale: si frantumano rocce e pietre per ottenere materiali da
costruzione, per rilevati stradali, si frantumano le marne per ricavare cementi, si
frantumano le rocce per separare la parte sterile dalla parte utile.
Secondo i casi, si deve procedere con operazioni diverse che dipendono dalla natura
del materiale (tenace, tenero, duro, fragile, cristallino, vetroso) e si ottengono elementi di dimensioni più piccole distribuiti per grandezza (granulometria). In tutti i casi, i
corpi che si frantumano non sono regolari e neppure i frantumati ottenuti.
La frantumazione delle rocce può avvenire per azione simultanea di urti, colpi, pressioni e
per molte altre e disparate combinazioni alle quali si aggiunge l’attrito dei grani fra loro.
Non tutte le azioni sono efficaci o lo sono nella stessa misura, cosicché si hanno perdite inevitabili di rendimento dovute sia alle stesse macchine, a causa dell’attrito delle
parti mobili, sia alla polvere che si deposita fra le parti in movimento. Cospicui vantaggi per la frantumazione sono ottenuti con macchine predisposte allo smaltimento
veloce del prodotto frantumato, alla sensibile riduzione della formazione di polveri,
ad una sensibile riduzione dell’attrito delle parti in movimento.
Le macchine per la frantumazione possono dividersi in:
• frantoi primari (a mascelle, a doppia ginocchiera, giratori, a martelli)
• frantoi secondari (granulatori a mascelle, ad urto, a cono, a martelli, cilindraie)
Prestazioni elevate con costi contenuti di esercizio e di usura, lunga durata operativa,
elevata resa del prodotto, con piena rispondenza delle caratteristiche granulometriche desiderate, sono oggi possibili con i moderni frantoi a cono.
Tipo di azione della macchina per frantumare
Azione
Tipo di frantoio
Pressione
Urto
Percussione
A mascelle
+
+
-
-
A cono
+
-
-
+
A martelli
-
+
+
-
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Taglio
Schema di vaglio
Schema di separatore ad aria
Vagliatura
I vagli sono per lo più costituiti da un telaio fisso, uno o più telai mobili ed un sistema
di collegamento ad un dispositivo di vibrazione.
Il telaio fisso è composto da piedritti di ancoraggio, da un involucro di rivestimento,
da una parte mobile completa di sportelli, da una bocca di alimentazione, da una
bocca di scarico e da bocchette per la depolverazione. Del telaio mobile fanno parte
gli elementi di selezione con relativi gruppi di appoggio, il piano di raccolta del fino
ed il sistema di collegamento al vibratore.
Il sistema di collegamento parte fissa - parte mobile è costituito da più molle in acciaio speciale che servono ad assicurare la vibrazione degli elementi di selezione.
L’intensità della vibrazione può essere variata per regolare la quantità e la qualità
degli elementi da selezionare.
Il materiale da vagliare è distribuito in modo uniforme sulla superficie vagliante da
uno o più silos dotati di dispositivi per la regolazione dei flussi. L’ampiezza e la frequenza della vibrazione sono regolate in funzione del tipo e dimensione del materiale
che si vuole ottenere.
È possibile ottenere vagliatura di polveri fini sino ai 100 micron e anche meno.
Classificatori ad aria
Molti impianti di comminuzione, vagliatura e macinazione di minerali sono ottimizzati con processi di classificazione ad aria ad elevata efficienza.
Il consumo globale di energia di un impianto può essere ridotto drasticamente se
l’efficienza di classificazione è alta, inoltre la capacità di produzione può essere incrementata in modo significativo e consentire importanti risultati economici.
I separatori sono progettati per assicurare un’efficienza di classificazione granulometrica molto elevata da 5 a 200 micron secondo le dimensioni e sono disponibili con
portate da 200 kg/h a 80 t/h ed oltre.
Il materiale di alimentazione entra nel classificatore miscelato con aria attraverso un
dispositivo posizionato in modo da convogliarlo su un piatto centrale che, ruotando,
disperde il materiale nella camera di separazione dove ha inizio la classificazione
tramite l’azione forzata di un vortice.
Il materiale grossolano è scaricato dal classificatore per gravità mentre la frazione
fine è recuperata dal relativo separatore.
Per una classificazione e distribuzione granulometrica più efficiente e più precisa i
separatori possono essere integrati in un sistema a circuito chiuso con cicloni.
La strumentazione installata nel circuito del classificatore fornisce i dati necessari relativi ai parametri di operatività di classificazione e al controllo delle sue operazioni.
La regolazione solitamente è automatica ed è svolta attraverso un sistema di controllo
computerizzato.
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314
Promotori
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316
Provincia Autonoma di Trento
La Provincia autonoma di Trento è un ente pubblico territoriale cui sono attribuite
forme e condizioni particolari di autonomia, secondo la disciplina dello statuto (art.
3, secondo comma dello statuto).
La Provincia esercita poteri e funzioni che sono propri di una regione: in particolare
essa esercita una competenza legislativa, approva quindi leggi nei settori più importanti della vita sociale ed economica locale, entro un ampio complesso di competenze
assegnate dallo statuto e svolte nelle norme di attuazione.
Nel 1971 alla Provincia sono stati attribuiti nuovi o più ampi poteri legislativi ed
amministrativi, con conseguente aumento dei poteri di governo, attraverso la cessione di competenze già attribuite alla regione, e il progressivo trasferimento di nuove
attribuzioni e competenze da parte dello Stato (di solito con i relativi beni, personale,
finanziamenti). Questo è avvenuto grazie soprattutto alle norme di attuazione, che
hanno progressivamente dettagliato ed arricchito il sistema delle competenze provinciali, alla luce dei principi statutari.
La Provincia ha quindi assunto il ruolo di ente di governo, di regia e di indirizzo della
società locale, quantomeno negli ambiti economicamente e socialmente più rilevanti;
è al livello provinciale che sono conseguentemente cresciuti gli interventi normativi,
gli apparati e le risorse (personale, beni, disponibilità finanziarie).
La Provincia è vista dallo statuto non solo come un ente di legislazione o di indirizzo
o di programmazione, ma anche come un ente di amministrazione: per l’art. 18, secondo comma dello statuto, la delega di funzioni amministrative agli enti locali è solo
eventuale e circoscritta negli ambiti.
La riforma statutaria del 2001 ha ulteriormente incrementato gli ambiti di competenza provinciale (riducendoli alla Regione), ed ha attribuito alla Provincia una serie
di nuove competenze: la competenza elettorale, la competenza ad adottare la legge
sulla forma di governo, la competenza ad approvare le leggi sui referendum e sulle
iniziative popolari provinciali.
Fra le tante competenze di cui la Provincia è titolare vi è quella relativa all’attività
estrattiva, cave e miniere, in cui dal 1971 la Provincia esercita a pieno le proprie
competenze.
Negli anni ’80 la Provincia, per prima in Italia, ha regolamentato l’attività estrattiva
ed ha pianificato la coltivazione delle cave attraverso il “Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali”, più volte aggiornato negli anni seguenti. Nel 2003 è
stato approvato il IV aggiornamento, attualmente in vigore.
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Fronte cava Cornalè di Giallo Mori (Brentonico)
Info
Provincia Autonoma di Trento
Piazza Dante, 15
38100 Trento
tel. 0461.495111
www.provincia.tn.it
[email protected]
Pagina a fianco
Fronte cava di Porfido Trentino Lastrificato
(Valle di Cembra)
317
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento raccoglie in
sé la rappresentanza di tutte le categorie imprenditoriali presenti sul territorio e si
configura come un osservatorio privilegiato sul panorama economico provinciale con
il compito di curare gli interessi espressi dall’intero sistema per favorirne lo sviluppo, garantire la corretta regolazione del mercato e mediare il rapporto tra imprese e
pubblica amministrazione.
Negli anni, l’Ente camerale è riuscito a consolidare i propri ambiti di attività, fornendo agli utenti un servizio che si è rivelato utile, spesso indispensabile, sia per il
progresso individuale di ciascuna azienda, sia per l’avanzamento del mondo imprenditoriale trentino.
Gli sforzi non si sono però concentrati solo sul consolidamento di sistemi e funzioni
già esistenti - come l’attività del Registro delle imprese e le indagini dell’Ufficio studi
e ricerche - ma, da un lato sono stati garantiti innovazione e aggiornamento tecnologico a tutti i servizi, dall’altro è stata ampliata la competenza operativa.
Negli ultimi mesi, infatti, accanto all’attività tradizionale, l’Ente camerale ha assunto
nuovi impegni ed incarichi che svolge in collaborazione con la Provincia Autonoma
di Trento e che riguardano in via primaria la promozione del territorio, l’internazionalizzazione e la formazione. In ambito promozionale, viene gestita l’attività degli
Osservatori delle produzioni trentine, sia per quanto riguarda il settore agroalimentare, sia per quello del legno e della pietra. Essi costituiscono un’insostituibile fonte
di informazioni, in base alla quale orientare, definire e pianificare le strategie promozionali.
Dal novembre 2004 poi, con l’apertura di Palazzo Roccabruna, il prestigioso edificio
cinquecentesco nel centro storico di Trento, acquistato e restaurato dalla Camera di
Commercio, viene potenziata l’attività di promozione e valorizzazione dei prodotti
trentini di qualità con un programma ricco di iniziative culturali. Altra competenza
camerale è quella di favorire il percorso di apertura internazionale delle aziende
trentine, divenuto ormai cruciale per lo sviluppo economico. Per agevolare questo
processo è stata creata una nuova struttura, denominata “Trentino Sprint”, che offre
una serie di servizi istituzionali di carattere informativo, di consulenza e di assistenza, per garantire un supporto concreto a chi desidera ampliare la propria attività
imprenditoriale e affrontare le dinamiche commerciali estere.
Al suo interno sono collocati lo Sportello unico provinciale per l’internazionalizzazione delle imprese, creato in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento, e
l’Euro Info Centre. Parallelamente, l’impegno camerale si è concentrato sulla formazione professionale, uno dei propri maggiori poli di attività.
La trasformazione della propria azienda speciale “Accademia di commercio e turismo” in “Accademia d’impresa” ne ha modificato e approfondito gli ambiti di competenza.
Il nuovo assetto operativo mantiene il compito di organizzare e realizzare “tutte quelle iniziative volte all’accrescimento formativo e di conoscenze tecnico professionali
specifiche per gli operatori economici dei settori commerciali, distributivi e ricettivi
in genere”, a cui si aggiunge la possibilità di predisporre servizi organizzati di promozione delle produzioni trentine di qualità e di internazionalizzazione.
318
Info
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
via Calepina, 13
38100 Trento
tel. 0461.887111
www.tn.camcom.it
[email protected]
Trentino Spa - Società di Marketing Territoriale
Promozione non solo del turismo ma del territorio nel suo insieme, della sua immagine, dei suoi prodotti, della sua cultura. Si parte dall’identità alpina per definire un
insieme coerente di valori e offerte concrete: paesaggi, cultura, enogastronomia, attività, eventi. Mettere in rete molteplici soggetti e gestire il marketing.
Non solo promozione del turismo, ma marketing di tutto un territorio, dai prodotti tipici alla cultura: è questo il compito della Trentino Spa che nel 2003 ha preso il posto
della Azienda di Promozione Turistica del Trentino (APT). Il nuovo soggetto, che ha la
forma di una società per azioni, ha inoltre un ruolo di collegamento e coordinamento
con tutti gli altri soggetti che operano nel settore: Provincia, Camera di Commercio,
Università, APT d’ambito, Consorzi e Pro Loco, Associazioni di categoria, operatori,
imprese. In concreto la Trentino Spa è responsabile dell’immagine turistica e territoriale del Trentino in senso ampio, della gestione del marchio, della promozione e
pubblicità del Trentino come sistema integrato di valori e attività, della valorizzazione
delle specificità, dell’attività di marketing sui diversi mercati (pubblicità, promozione,
fiere, web, sponsorizzazioni), delle relazioni esterne e rapporti con i media, ricerca e
analisi dei singoli mercati, attività editoriali di supporto, collaborazione con gli operatori di promozione turistica locale e supporto alla commercializzazione, oltre che nel
turismo, nello sport, nella cultura, nell’artigianato e nelle produzioni di qualità.
Info
Trentino Spa
Società di marketing territoriale del Trentino
via Romagnosi, 11
38100 Trento
tel 0461.21.93.00
fax 0461.219400
www.visittrentino.it
[email protected]
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Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento
Fondata nel 1946, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento
raggruppa oggi circa 11.000 imprese. Da sempre si è profusa per la valorizzazione
e la crescita del mondo artigiano che attualmente rappresenta nel nostro territorio il
primo comparto economico privato del Trentino. L’Associazione direttamente ed indirettamente, attraverso proprie società di servizi, fornisce alle imprese varie tipologie
di assistenza, legate tanto a servizi storici/tradizionali quali paghe e contabilità, tanto
a servizi innovativi quali sicurezza sul lavoro e marcatura CE.
L’Associazione conta tra gli iscritti numerose imprese del settore lapideo, in un raggio d’azione che va dall’attività di estrazione, all’attività di trasformazione e di posa.
Tali imprese hanno fortemente contribuito a far conoscere la pietra trentina ed i suoi
particolari utilizzi nei centri storici di mezzo mondo.
Info
Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento
via Brennero, 182
38100 Trento
tel. 0461.80.38.00
fax 0461.82.43.15
www.artigiani.tn.it
[email protected]
Associazione Industriali della Provincia di Trento
L’associazione rappresenta più di 800 aziende trentine, in prevalenza piccole e medie
industrie con 32.000 addetti complessivi, operanti in tutti i settori della produzione.
Per questo e per l’impegno che investe nella diffusione delle proposte e della cultura
delle imprese presso le istituzioni e l’opinione pubblica, l’associazione è tra i più autorevoli soggetti del contesto provinciale. L’Associazione si avvale di strutture specialistiche che consentono alle imprese un’ampia gamma di servizi, supporto essenziale
per affrontare con successo le molteplici problematiche di una realtà economica e
sociale in rapida evoluzione. L’associazione si occupa di tutti i problemi specifici del
settore della produzione lapidea locale, ponendosi come interlocutore privilegiato tra
attività delle aziende e amministrazione pubblica.
Info
Associazione degli Industriali della Provincia di Trento
Palazzo Stella - via Degasperi, 77
38100 Trento
tel. 0461.93.25.00
fax 0461.93.35.51
www.confindustria.tn.it
info@confindustria.tn.it
Tipico cubetto di Porfido Trentino Lastrificato
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Federazione Trentina delle Cooperative
Da 110 anni è l’ente di rappresentanza, tutela e assistenza delle 563 realtà cooperative che operano sul territorio trentino.
La Federazione Trentina delle Cooperative è stata fondata nel 1895 da don Lorenzo Guetti, l’ispiratore della realtà socio economica che oggi conta 206 mila soci e 36.000 dipendenti ed è attiva nei settori del credito, del commercio, dell’agricoltura e dei servizi.
Il sistema a rete del movimento cooperativo si articola su 50 Casse Rurali con 364
sportelli; 115 cooperative agricole di cui 14 cantine sociali, 40 consorzi frutta, 24 caseifici sociali, 36 cooperative di servizio, 1 cooperativa zootecnica; 93 Famiglie Cooperative, Sait e 369 punti vendita, di cui 2 Superstore, 6 discount, 49 supermercati e
284 negozi di vicinato e 28 extra alimentari; 292 cooperative di lavoro-servizio-sociali-abitazione, di cui 172 di produzione lavoro e servizi, 69 sociali, 51 di abitazione.
Nel settore lapideo la Federazione conta diversi consorzi tra imprese e alcune cooperative di produzione e lavoro che si occupano di estrazione, trasformazione e commercializzazione.
Info
Federazione Trentina delle Cooperative
via Segantini 10
38100 Trento
tel. 0461/898111
fax 0461/985431
www.cooperazionetrentina.it
[email protected]
Consorzio Estrattivo Trentino
Fondato nel 1991 da nove imprese, il consorzio oggi ne riunisce più di cento: una realtà che
è cresciuta in modo rilevante negli ultimi dieci anni, sviluppando un’importante opera di
coordinamento e di servizio in favore di tutto il settore estrattivo provinciale. Il consorzio è
in primo luogo uno spazio di incontro, di approfondimento di informazioni, di scambio e di
reciproco arricchimento per tutte le attività di estrazione, lavorazione e trasformazione delle materie prime. Il consorzio - che aderisce all’Associazione degli Industriali della Provincia di Trento e alla Federazione Trentina delle Cooperative - fornisce un contributo attivo
alla crescita degli organismi di rappresentanza delle categorie imprenditoriali del Trentino,
ed è anche un importante punto di riferimento su scala nazionale per quanto riguarda le
iniziative associazionistiche e le forme di collegamento in genere del settore estrattivo.
Info
Consorzio Estrattivo Trentino
p.zza Mosna, 16
38100 Trento
tel. e fax 0461.23.74.20
www.cet.bz
[email protected]
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E.S.Po. - Ente Sviluppo Porfido
L’area produttiva del porfido trentino, con le sue 150 aziende e 1.600 addetti, è una
realtà primaria nel panorama economico della provincia di Trento. L’E.S.Po. è stato
istituito nella prima metà degli anni ’70 da imprenditori che operano nel settore del
porfido, con l’intento di creare un polo di riferimento e un volano di iniziative per divulgare la conoscenza e l’utilizzo del porfido, unico per qualità e resa estetica. L’ente
organizza infatti convegni, visite guidate alle zone estrattive, corsi per la posa del
porfido, indice concorsi per la progettazione, partecipa alle più qualificate esposizioni
fieristiche. L’E.S.Po. si propone inoltre come interlocutore per l’assistenza nelle fasi
di progettazione e promuove una costante evoluzione tecnologica e razionalizzazione
del lavoro. Grande attenzione è posta infine nella qualità dei prodotti, tanto da costituire volontariamente nel 1996 un marchio collettivo denominato “Porfido Trentino
Controllato”, il cui regolamento di produzione è più restrittivo delle norme comunitarie emanate in materia di standard (EN 1341 - EN1342 - EN 1343). Controlli periodici
eseguiti da incaricati del Consorzio garantiscono il rispetto del regolamento da parte
degli oltre 60 associati.
Info
E.S.Po. - Ente Sviluppo Porfido
via Sant’Antonio, 36
38041 Albiano
tel. 0461.68.97.99
fax 0461.68.90.99
www.porfido.it
info@porfido.it
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Bibliografia
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Pagina precedente
Fronte cava di Rosso Trento, cava Pila (Trento)
Pagina a fianco
Particolare di fronte cava di sabbia alluvionale,
cave Pilcante (Ala)
AA.VV., Architetture di pietra, Venezia 1987.
AA.VV., Atti del Congresso Internazionale “Giornate del Vetro ’79 - Venezia”, in “Rivista della stazione sperimentale del vetro”, vol. 9, n. 5, Venezia 1979.
AA.VV., Atti del Symposium internazionale sui giacimenti minerali delle Alpi, vol. 1,
2, 3, 4, in “Economia Trentina”, Trento 1966.
AA.VV., Enciclopedia della scienza e della tecnica, Milano 1979.
AA.VV., Il marmo nel mondo, Carrara 1986.
AA.VV., La Pieve e la Collegiata di Santa Maria Assunta di Arco, Calliano 1991.
AA.VV., Le cave del Piemonte, Torino 1980.
AA.VV., Pietre ornamentali del Piemonte, Torino 2000.
AA.VV., Proceeding of the International Symposium on Fine Particles Processing, 2
voll., Las Vegas February 24 - 28, 1980.
AA.VV., Third Industrial Minerals International Congress, London 1978.
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Finito di stampare
nel mese di maggio 2008
da Litografia Stella, Rovereto (Tn)