Agatha Christie ed il suo enigma: note alla fuga dissociativa

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Agatha Christie ed il suo enigma: note alla fuga dissociativa
Agatha Christie ed il suo enigma:
note alla fuga dissociativa
The mystery of Agatha Christie: notes to the dissociative fugue
LISA ATTOLINI, ALESSANDRA BERTI, CAMILLA MABERINO, ROMOLO ROSSI
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Genova
RIASSUNTO. Agatha Christie, dopo la fuga amnestica nella campagna dello Yorkshire, abbandona la tranquilla vita inglese
per intraprendere numerosi viaggi in Medio Oriente, interessandosi all’archeologia. Parallelamente i protagonisti dei suoi romanzi diventano gli eroi di gialli ambientati alle sorgenti del Nilo. Francesco, durante i disordini in occasione del G8, si allontana dalla folla in tumulto e si dirige verso lo studio dell’analista per una seduta non programmata. Attraverso l’analisi di
due episodi di fuga dissociativa, con simbolismo chiaramente regressivo, effettuiamo alcune considerazioni sul fenomeno tipicamente isterico della dissociazione, che viene a coinvolgere l’intera coscienza dell’Io, alterandone anche le cognizioni spaziali. Solo la complessa ricostituzione della continuità della coscienza dell’Io, e dunque del fil rouge della narrativa della vita,
permette una reale comprensione del fenomeno della fuga dissociativa, sciogliendo l’enigma dei due casi presentati.
PAROLE CHIAVE: fuga dissociativa- coscienza dell’Io-regressione
SUMMARY. After an amnestic fugue to the countryside, Agatha Christie leaves her quiet life in England to start travelling to
the Middle East, interested in archeology. In the meanwhile the characters of her novel become heroes living in Mesopotamia.
During the G8 meeting in Genoa Francesco deviates from the tumulting people and goes to his analyst to have an unespected session. The authors present two cases of dissociative fugues, analyzing the specific mechanisms involved. We are in front
of a dissociation of Ego consciousness that need to reconstruct the fil rouge of life to solve the enigma.
KEY WORDS: dissociative fugue- Ego consciousness-regression
AGATHA CHRISTIE
Quando Jared Cade (1) diede alle stampe “Agatha
Christie e gli undici giorni della sua scomparsa”
(Agatha Christie and the eleven Missing Days), su che
cosa effettivamente accadde alla scrittrice tra il 3 e il 15
dicembre del 1926, sembrò fosse detta l’ultima parola.
Ma l’enigma rimarrà irrisolto, nonostante l’accuratezza delle indagini, mancando quello che ogni psichiatra
sa essere stato il cardine di ogni diagnosi, Agatha Christie stessa.
Utilizzeremo le note biografiche e la ricostruzione
di Cade come preludio e sottofondo al caso di un uomo che, durante gli scontri genovesi del G8, ha manifestato un episodio di dissociazione della coscienza.
Agatha Christie nacque nel Doven nel 1890. Orfana
di padre, in tenera età venne spinta dalla madre alla
musica e al piacere della narrativa. Fu durante un viaggio al Cairo con la madre che scrisse uno dei primi racconti. Nel 1914 sposò l’ufficiale dell’aeronautica militare Archibald Christie e scrisse mantenendone il cognome circa 70 racconti (gli altri uscirono sotto lo
pseudonimo di Mary Westmacott). Arruolatasi come
crocerossina durante la I guerra mondiale, ebbe la responsabilità dell’armadietto dei medicinali e dopo essersi documentata sui loro possibili effetti venefici, decise di scrivere un libro che avrebbe avuto come protagonista un diabolico avvelenatore. Ma solo verso la
fine della guerra scrisse il primo vero racconto poliziesco, “il misterioso caso di …”, che consacrò al mondo
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letterario Hercule Poirot, un personaggio buffo, vanitoso e sufficientemente ossessivo nei ragionamenti per
essere in grado di risolvere ogni intricato delitto.
Il matrimonio con Archie naufragò nel 1926, quando egli stesso il venerdì mattina del 3 dicembre le comunicò di essersi innamorato della giovane Nancy
Neele. Nello stesso anno morì la madre della scrittrice.
Dopo il divorzio (1928) la Christie trascorse molto del
suo tempo in viaggi, soprattutto in Medio Oriente, e
nel 1930, durante una vacanza a Mughaiyir in Mesopotamia, incontrò Max Edgar Mallowan, un archeologo,
impegnato negli scavi che dovevano permettere una
parziale ricostruzione dell’antica città sumera di Ur; lo
sposò nel settembre del 1930, e per molti anni nei mesi primaverili lo accompagnò nelle spedizioni archeologiche, prestando anche il suo aiuto. In quel periodo si
interessava attivamente di archeologia e tutto ciò non
è rimasto estraneo all’attività di scrittrice di romanzi
polizieschi, come testimonia il famoso “Death on the
Nile”. Gli ambienti delle missioni archeologiche sono
serviti a condire di esotismo alcune trame e a fare da
sfondo ad alcuni libri che ella chiamò “libri di viaggi all’estero”, e nel 1946 pubblicò un racconto sulle escursioni in Medio Oriente dove in gran parte racconta gli
scavi, che portano alla luce oggetti che a loro volta dicono allo scavatore com’era la vita della gente che un
tempo abitava in quel luogo.
Ancora una volta l’arte agisce da lenitrice di ferite
psichiche e si conferma un’area privilegiata in cui i
conflitti possono trovare sfogo ed essere allo stesso
tempo stemperati grazie alla sublimazione.
Torniamo ora all’episodio che ci interessa, quello
della scomparsa, accompagnata, come testimonia la
stessa autrice, da una completa amnesia per l’accaduto.
Nel 1926, sette mesi dopo la presentazione di the
murder of Roger Ackroyd, dal 4 al 14 dicembre, la scrittrice sparisce da casa. La polizia emette un comunicato sull’accaduto: “E’ scomparsa dalla propria casa Styles, situata a Sunningdale, nel Berkshire, Mrs Agatha
Christie, moglie del colonnello Christie, di 35 anni, alta
5 piedi e 7 pollici, capelli biondo cenere tagliati corti,
occhi grigi, carnagione chiara, robusta, vestita con una
gonna di maglia grigia, un maglione verde, un cardigan
grigio scuro, un piccolo cappello di feltro verde, con un
anello d’oro con una perla. E’ partita da casa con una
Morris Cowley alle 9,45 di venerdì sera, lasciando un
biglietto in cui diceva di andare a fare una gita in auto.
La mattina seguente la macchina è stata trovata abbandonata a Newlands Corner” (2).
In perfetta sintonia con le trame dei suoi gialli il colonnello Christie viene sospettato di omicidio e il
Daily News offre 100 sterline a chiunque sia in grado
di fornire informazioni utili sul ritrovamento.
La scrittrice viene rintracciata solo una settimana
più tardi, allorché una lettera anonima guida la polizia
in un albergo di Harrogate, un centro idroterapico dello Yorkshire, dove è registrata sotto falso nome: Teresa
Neele. Le viene allora diagnosticata un’amnesia, messa in relazione ad un periodo particolarmente delicato,
quando cioè due tristi avvenimenti sono venuti a segnare la sua vita: la morte della madre e l’abbandono
da parte del marito innamoratosi di un’altra donna.
Ma non passano inosservati due particolari, apparentemente acuti ma verosimilmente banali per una
mente abituata a costruire trame inestricabili e ad osservare fin nei minimi particolari gli eventi: Neele, il cognome con cui si era fatta registrare la Christie, è lo
stesso della donna amata dal marito e Teresa e non Therese, come sarebbe stato logico visto il luogo del ritrovamento e la nazionalità della fuggiasca, altro non è che
l’anagramma di “teaser”, molestatore, importuno, seccatore ma anche di problema, rompicapo, enigma.
Quello di Agatha sembra essere l’’enigma del costruttore di enigmi e ad un’analisi attenta emergono
dimensioni parallele: la famosa autrice di gialli è una
donna che per lungo tempo scrive identificandosi in un
uomo, il poliziotto Poirot. Identificazione che per alcuni potrebbe semplicemente essere la risposta femminista alla condizione delle donne di inizio secolo ma che,
insieme all’uso esclusivo del cognome coniugale e all’uso di uno pseudonimo, sembrerebbero essere i sintomi di un più profondo disturbo dell’identità dell’Io.
Una coincidenza biografica ne sembrerebbe la conferma: Agatha fa morire il suo doppio, Poirot, in Sipario e
la notizia della sua morte che appare sul New York Times il 6 agosto del 1975 precede di sei mesi quella della sua autrice, avvenuta il 12 gennaio 1976.
Dalla biografia di Agatha Christie si deduce, quindi,
che il 1926 fu un anno decisivo per la scrittrice Agatha
Christie: nella realtà fuggì dalla vita borghese nella
provincia silenziosa dello Yorkshire, ma anche nelle
sue fictions i personaggi in precedenza appartenenti alla buona borghesia inglese, come quelli descritti nell’Orient Express, diventano gli eroi dei gialli ambientati nel mondo egiziano del Nilo. Si pensi a tal proposito ai cosiddetti “libri di viaggi all’estero” scritti dopo
il 1930: Death on the Nile, Murder in Mesopotamia,
Death comes as the end.
Il confronto tra lo scenario delle opere ambientate
nella sua campagna inglese e i romanzi che si indovano alle sorgenti del Nilo, fa pensare ad una fuga, che in
entrambi i casi si presenta come regressiva.
Rimedia, si direbbe, l’angoscia generata da una realtà
insoddisfacente, sostituendo all’aggressività una attitudine autolesionista accompagnata dal desiderio regressivo di un ritorno intrauterino, come un tentativo di an-
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nullarsi risalendo al momento prenatale invece che rinunciando alla vita, un progetto inconscio che la spinge
a tentare la fortuna e a viaggiare in paesi lontani.
Vediamo adesso il caso che ci ha portato a pensare
alla fuga di Agatha Christie.
APPUNTAMENTO SBAGLIATO
Francesco da qualche mese ha iniziato un trattamento psicoanalitico: un’omosessualità sempre meno
latente sta progressivamente invadendo i suoi pensieri
generando un pressoché continuo stato di allarme. E’
un ragazzo, uno dei tanti che vuole vivere la Genova
del G8 in prima persona, che si prepara per poter dire:
“C’ero anch’io”. La sera del 21 luglio 2001, Francesco
si presenta nello studio dell’analista per una seduta, è
sabato. Dovrebbe, in realtà, venire alla seduta il lunedì
successivo, alle ore 16. L’analista si accorge che per il
ragazzo quella è l’ora della seduta, è lunedì e non sabato, e lo recepisce senza commenti, visto che è libero.
Comincia così, come se nulla fosse, una seduta piuttosto discutibile, in un clima trasognato che l’analista decide di non incrinare, lasciando fluire la narrazione del
paziente che ad un certo punto arriva ad un sogno. Il
ricordo è vago: un gorilla e la sensazione di paura. Le
associazioni al sogno gli fanno venire in mente una
donna brutta e barbuta, un fenomeno da baracconi. La
seduta termina, Francesco come se nulla fosse se ne sta
per andare quando l’analista gli fa notare che quel
giorno è sabato e non il consueto lunedì. Un attimo di
perplessità, la necessità di guardare l’orologio quasi a
ricercare un punto cardinale per orientarsi, ma il paziente tenta di ricostruire senza successo la sequenza
degli avvenimenti che hanno preceduto la seduta: ricorda di aver preso parte al corteo che si snodava lungo Corso Italia verso la Fiera del Mare e null’altro, non
sa cosa stesse facendo e come abbia fatto ad arrivare
allo studio dell’analista dal momento che le strade cittadine erano quasi impraticabili.
Solo più tardi viene ricostruita la sequenza di eventi
che ha portato il paziente in studio. Quel sabato Francesco si trovava dal mattino immerso nella folla che
avrebbe manifestato lungo un percorso periferico rispetto alla fatidica “zona rossa”. La folla si muove lentamente, occupa tutta la strada e i larghi marciapiedi
della tradizionale passeggiata dei genovesi, pressappoco all’altezza di Piazza Rossetti (il nome evoca quello
dell’analista) non tutti svoltano al punto programmato.
Una parte del corteo si stacca e iniziano gli scontri con
la polizia, un tumulto disordinato, solo pochi osano avventurarsi vicino alla zona dello scontro, e quando i lacrimogeni cominciano a piovere inizia una fuga disor-
dinata. Francesco si trova lì in mezzo, improvvisamente
il contenimento psichico della folla è venuto meno ed
egli, con la netta sensazione di non sapere che cosa ci
stia a fare, si avvia a piedi verso lo studio dell’analista,
che dista dal luogo dei disordini circa 3 Km.
Al momento della seduta non ha precisi riferimenti
temporo-spaziali, non sa neppure se è venuto a piedi o
in vespa. Potremmo dire che sia venuto in un momento
delicato a farsi contenere in seduta. Ma l’angoscia che
ha travolto Francesco da che cosa è stata generata?
In maniera piuttosto semplicistica potremmo considerare la fuga amnestica come dovuta all’angoscia della manifestazione per il G8, ma non possiamo non tener conto del sogno, che ci svela invece l’angoscia reale che è fluttuata nel momento in cui la folla che conteneva il paziente si è dissipata: un gorilla peloso, che
viene associato ad una madre terribile che lo abbandona senza pietà.
SCIOGLIERE L’ENIGMA:
IL PRINCIPIO ORGANIZZATORE GENERALE
Il principio organizzatore primario delle due fughe
ci pare quello tipicamente isterico, cioè il meccanismo
per il quale, di fronte ad un conflitto insostenibile, si ha
un’alterazione delle funzioni della coscienza.
Intendiamo qui, dunque, riferirci alla coscienza dell’Io, che comprende il sentimento di proprietà dei propri atti di conoscenza, descritta da Karl Jaspers (3), in
maniera ancor oggi insostituibile: “La costruzione della
coscienza dell’Io prevede quattro funzioni. Una è la
continuità temporale: pur essendo notevoli le modificazioni nel flusso temporale: tutti gli atti di coscienza sono
legati da un fil rouge per cui esiste una continuità tra l’Io
di allora e l’Io di adesso. La frattura, l’interruzione di
questa continuità della narrativa è una caratteristica della psicosi”. Vi è poi il sentimento di unità spaziale: comunque dovunque io sia sono sempre io, e non posso essere contemporaneamente in diverse situazioni. Il concetto della ubiquitarietà è tipico della schizofrenia nell’ambito della quale può esistere il vissuto della frammentazione o spaltung. Terza componente è il sentimento della continuità affettiva: “le mie emozioni sono sempre le mie e ho sempre una precisa continuità dei miei
affetti”. Il principio dell’estraneità affettiva è caratteristica della melanconia. Infine si ha il sentimento dei limiti e dei confini, all’interno dei quali c’è il soma, con
l’invalicabile confine cutaneo, ed una serie di elementi
più o meno estesi: percezioni, persone, proprietà, ecc.
Il principio organizzatore centrale risulta connesso
con la metafora economica della convertibilità della
moneta. Ecco dunque la metafora: come una moneta
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può essere convertita in un’altra, mantenendo lo stesso valore, un certo stato interiore può essere convertito da emozioni, o da conflitti, ad un disturbo di vario tipo, per esempio somatico, mantenendo lo stesso valore in termini di sofferenza, ma con contenuti più accettabili. A questa stupenda metafora, cui nessuno, nemmeno il DSM-IV, ha rinunciato, si rifaceva dunque il
principio portante dell’isteria.
Il principio della conversione risale dunque ad una
condizione fondamentale e frequente dell’essere umano: come risolvere una situazione che non lascia alcuna soluzione, che non si possa ottenere senza dolore?
In altre parole, come superare l’impasse data da un
conflitto tra esigenze, vissuti, sentimenti, pulsioni opposti? Non si tratta necessariamente di conflitti di
grande profondità: quotidianamente si riscontrano esigenze simili, che si risolvono di solito con compromessi o rinunce dolorose, ma esiste un altro modo di risolvere il problema.
Dato che la questione impercorribile riguarda sempre la relazione con l’altro, un modo per annullarla consiste nell’alterare lo strumento della relazione, o meglio
nel spostare il problema sullo strumento della relazione, e questo può avvenire al livello più semplice, facendo ammalare, per vie complesse e diverse, il corpo, dalla cefalea (comune metodo quasi proverbiale per non
partecipare ad un evento sociale, o ad una situazione
sessuale, o a un compito troppo gravoso e obbligato) all’ipertensione, alle irregolarità dell’alvo, fino al passo
falso che procura la frattura. In fondo, la frattura provocata da un movimento incauto, inconsciamente progettato, non è molto diversa dalla malattia prodotta da
un atteggiamento evitante e masochistico, pur avendo
una causa somatica intermedia più evidente.
Nel tempo, la grande famiglia psicologica e psicopatologica che ha come denominatore comune il meccanismo della conversione, e che si accomunava clinicamente sotto il termine di isteria, si è venuta, con motivazioni solo cliniche e non del tutto giustificatamente,
a dividere in parti, assumendo un assetto tripartito
(Disturbo Somatoforme, Disturbo di Conversione, Disturbo Dissociativo) (4). Nel DSM-IV i sintomi appena descritti si riscontrano nel gruppo in cui l’elemento
centrale è l’alterazione soggettiva del funzionamento
somatico, l’antica sindrome di Briquet, col nome di Disturbo Somatoforme.
Ad un livello più complesso possono essere alterate
le vie di comunicazione classiche, cioè la funzione motoria, sensitiva e sensoriale. Non c’è dubbio che una
paralisi, un mutismo, una amaurosi o una sordità stravolgano totalmente l’atmosfera relazionale e giustifichino ogni caduta comunicativa, depurando il difetto
relazionale dal senso di colpa. In questi casi viene abo-
lita con la rimozione l’origine del problema, tramutando il complesso “non vorrei” in un deciso e più semplice non posso. A volte poi il risultato di banalizzazione
somatica del problema si ottiene con la globalizzazione della perdita motoria o sensoriale: per esempio il
non vorrei fare questo si banalizza in non posso muovermi, o il non vorrei vedere questa cosa si banalizza in
sono cieco.
Quest’ultima fu una delle prime eventualità ad essere notate nel geniale lavoro di Freud (5), quando fu
rilevata la doppia funzione della sensorialità visiva,
una generica ed aspecifica, più precisamente sessuale,
generica in quanto condivisa con altre sensorialità e
sensitività, ed una altamente specifica di questo ambito sensoriale, e cioè l’apprezzamento di forme, distanze, colori, ecc. La necessità di rimuovere la funzione
sessuale della visione, cioè la conflittualità che cade
sulla sensibilità aspecifica, investe anche quella specifica, abolendo anch’essa, con un’onda di rimozione che
potrà determinare la cecità psicogena.
Nella nosologia attuale il quadro clinico corrispondente, forse il più aderente al termine di isteria, che ha
mantenuto convenzionalmente il nome di Disturbo di
Conversione, è quello in cui l’espressione clinica è appunto l’alterazione o l’abolizione della funzione motoria, sensitiva e sensoriale, o l’alterazione della coscienza dell’Io nelle sue manifestazioni più globali.
Ad un livello ancora più elevato, e qui entriamo nel
discorso che si riferisce ai nostri casi -Agatha Christie
e Francesco-, può essere interessata la funzione relazionale assai complessa, che è la coscienza dell’Io. Qui
si va dall’amnesia psicogena, alle dissociazioni di coscienza (6,7), dove comunque è evidente che siamo
sempre nello stratagemma di annacquare la funzione
relazionale, ai livelli maggiori, dalla memoria alla menzogna, alle tecniche di teatro.
Nel DSM-IV il gruppo in cui l’alterazione fondamentale è il clivage orizzontale della coscienza dell’Io
è quello dei Disturbi Dissociativi. Lo stile isterico, infatti, nei suoi aspetti più che di conversione e somatoformi, di dissociazione e di personalità doppia o multipla, mette in funzione i diversi livelli di coscienza dell’Io, non destrutturati ma scissi e paralleli, sovra e sottostanti, e consente di manipolare la realtà con scissioni, amnesie psicogene, pseudologie, scotomi di coscienza, difficoltà di inserire gli eventi in schemi temporali
riferiti alla dimensione emotiva (8).
LA FUGA
Nella fuga dissociativa l’alterazione dell’identità
personale può rappresentare una componente centra-
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le del quadro, ma la fuga di solito si manifesta come
episodio isolato, e questi pazienti non presentano la
molteplicità di personalità ed i cambiamenti fluidi tipici del Disturbo Dissociativo dell’Identità.
La patologia dissociativa fa riferimento anche al
principio organizzatore delle psicosi acute, in cui l’elemento centrale è la destrutturazione o, in altre parole,
la scomposizione della coscienza in pezzi o stratificazioni. Gli elementi che rappresentano punti di convergenza e di embricatura tra i due stili sono la dissociazione, la destrutturazione della coscienza, la depersonalizzazione, il ritiro dell’investimento affettivo. In genere, le modalità estreme di risposta sono messe in
moto da una situazione particolare, i cui cardini sono
da un lato la improvvisa caduta della rimozione, riguardante i contenuti intollerabili, dovuta ad eventi
vari, come aumento delle richieste pulsionali e sociali,
traumi emotivi, particolari situazioni conflittuali, modificazioni somatiche di rilievo; dall’altro, l’impossibilità e l’incompetenza dei meccanismi di difesa più
strutturati, come la negazione, ed in certo modo la globalità e la passività della proiezione. Il contenuto è in
genere un contenuto separativo intollerabile, che una
volta trapassato dal mondo interno all’hic et nunc tragico, si manifesta senza ordine e come realtà attuale
scompaginante e sconvolgente: la dissociazione e la
destrutturazione della coscienza dell’Io sono, pur a diversi livelli gerarchici, gli unici modi di espressione. Si
vede come tra isteria e psicosi acute la parentela sia
assai stretta.
Il livello maggiore di manipolazione dello strumento relazionale è quello più sottile, anche perché sfuma
nel comportamento poliedrico della persona normale.
Non c’è dubbio che non vi sia cosa così plastica e modificabile come la consapevolezza ed il comportamento relazionale. Menzogne non più vissute come menzogne, omissioni che diventano cancellazioni, sul modello del nondum matura erat.
Ma a questo livello di distorsione, di sommovimento dei contenuti della coscienza dell’Io e delle linee generali del comportamento relazionale, tocchiamo un
punto generale: la grande plasticità delle funzioni relazionali più raffinate immette il meccanismo generale
della conversione, intesa in senso lato e originario, nel
campo generale delle relazioni tra le persone, e quindi
nel campo della norma, anche se pur sempre di conversione si tratta.
In particolare, il principio organizzatore isterico fa
riferimento proprio alla dissociazione della coscienza,
con meccanismi di difesa progressivi, dall’espressività
somatoforme all’alterazione della comunicazione e
della relazione. Esso si fonda sul presupposto che il
conflitto non sia risolvibile a livello dell’Io e si renda,
quindi, necessaria la destrutturazione della coscienza
e l’alterazione della comunicazione, secondo il principio per cui “non sa la mano destra quel che fa la sinistra”.
Questo funzionamento è comune nelle reazioni da
catastrofe, quando la coscienza dell’Io non ce la fa più
a tollerare l’impatto emotivo di una situazione troppo
gravosa e allora si cancella. Esempio tipico è quello degli incidenti automobilistici con tamponamenti a catena, in seguito ai quali molto spesso si trovano persone
che vagano nei dintorni senza sapere chi sono o da dove vengono. Opera in questi casi il più primitivo, il più
antico e grossolano modo di difesa, non diverso da
quello che usa l’animale quando fa il morto, quando
cioè perde il tono muscolare e non fugge né si muove,
neppure se scosso (9).
L’alterazione della coscienza dell’Io la ritroviamo
anche nel Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS),
diagnosi non pura che maschera spesso la diagnosi reale. Nell’ambito del DPTS riconosciamo, infatti, la perplessità sospesa, l’angoscia fluttuante e intermittente,
la rielaborazione ossessiva e la coazione a ripetere l’evento. Il trauma nell’hic et nunc ripete il trauma
profondo; il trauma profondo è ricercato per tornare a
prima, per retrocedere e la ricerca avviene per via masochistico-narcisistica; l’evento è trattato regressivamente attraverso la coscienza alterata. Nel sottogruppo isterico del DPTS, la perdita è in atto ma non è
completa e si ovvia con la richiesta anomala d’amore.
CONCLUSIONE
Tenendo conto degli attributi della coscienza dell’Io, possiamo dire che nelle due fughe che abbiamo
presentato viene alterata la funzione comunicativa, e
l’alterazione è al livello più elevato: domina la scissione della coscienza dell’Io e l’amnesia, seguendo il
principio per cui “non sa la mano destra quel che fa la
mano sinistra”, ma con una espressione altamente
simbolica.
Ma non è sufficiente: è necessario coinvolgere un
secondo principio organizzatore, più che isterico, che
altera le cognizioni spaziali, crea una condizione spaziale nuova (dove “lontano” significa in realtà “vicino”), portando alla formazione di un altrove che risolve il conflitto (guadagno primario). Potremmo dire che
si tratti di un ritorno a dove si era partiti.
Agatha Christie diventa l’esempio di una fuga strutturata: va in campagna e nella fiction cambia luogo,
ambiente, fino all’Egitto, va sempre più lontano, in
realtà più vicino, nel senso che il movimento è regressivo, a ciò che è più arcaico, e ritorna all’antico. L’ar-
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cheologia egizia, di grande valore archeologico e storico, rimanda infatti alla vita infantile, permettendo interiormente il ritrovamento di ciò che è anticamente
perduto ed è di grande valore.
Allo stesso modo, Francesco ritorna dall’analista e
nello spazio dello studio analitico ritrova il personaggio buono nello spazio recettivo, ragionevole, che rappresenta il contrario del gorilla pauroso, e cioè la madre buona opposta alla donna barbuta.
Per forme di questo genere, per Agatha Christie e
per Francesco, non abbiamo farmaci. Intervenire è difficile, e consiste nel ricostituire in modo complesso, attraverso l’ascolto, la percezione profonda, la rara osservazione interlocutoria, l’inserimento transferale
della storia antica, il fil rouge della narrativa interna, la
continuità della coscienza dell’Io nel tempo e nello
spazio, la coerenza di una storia della vita con tutte le
sue antiche e recenti frustrazioni, che erano state perdute nella concitazione di dover far fronte ad uno
smacco e ad una ferita narcisistica intollerabile. A me-
no che non si possa risolvere il problema scrivendo libri, possibilmente capolavori.
BIBLIOGRAFIA
1. Cade J: Agatha Christie and eleven missing days. Peter Owen
Publishers, UK, 1998.
2. Ercoli E: Biografia di Agatha Christie. La Nuova Italia, Firenze,
1978.
3. Jaspers K: Psicopatologia generale. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1964.
4. Rossi R: Il problema dell’isteria. In Cassano GB, Pancheri P, Pavan L, et al (a cura di) Trattato Italiano di Psichiatria. Masson,
Milano, 1999.
5. Freud S: I disturbi visivi psicogeni nell’interpretazione psicoanalitica. OSF, Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
6. Berti A, Maberino C: I fuggitivi, Rivista di psichiatria. Il Pensiero Scientifico Editore, 2003, 3, 142-150.
7. Berti A: I disturbi dissociativi. In Pancheri P (a cura di) Il punto
su: Errori terapeutici in psichiatria. Scientific Press srl., 2000.
8. Shapiro D: Stili nevrotici. Astrolabio, Roma, 1969.
9. Van Der Kolk BA: Psychological trauma. American Psychiatric
Press, Washington DC, 1987.
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