la dimensione internazionale della lotta al
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la dimensione internazionale della lotta al
Anno III Pubblicazione numero 1 2007 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale - 1 INDICE DEL FASCICOLO 1° PARTE PRIMA DOTTRINA LINA MUSUMARRA , La dimensione internazionale della lotta al doping pag. 4 nello sport LUCIO COLANTUONI, ADR e conciliazione nello sport in Italia pag.19 DOMENICO ZINNARI, Atleti dilettanti, sportivi non professionisti? pag.58 PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA FELICE BLANDO, Titolo V della Costituzione e ordinamento sportivo STEFANO CAVIGLIOLI, Gare di sci e insidie naturali sulla pista: può rispondere l’organizzatore (ex art. 2051 c.c.) ? pag.109 pag.132 PARTE TERZA GIURISPRUDENZA LA SENTENZA PLANICA, Corte di giustizia delle Comunità Europee pag.150 (6 marzo 2007) IL CASO LORBEK, Decisione Commissione Giudicante FIP (21 marzo pag.172 2007) e decisione Corte Federale FIP (27 marzo 2007) SENTENZA 401-2007, Problematiche di applicazione della legge n. 280/2003: la competenza del Tar Lazio è di natura inderogabile 2 pag. 188 PARTE PRIMA DOTTRINA SOMMARIO: LINA MUSUMARRA , La dimensione internazionale della lotta al doping pag. 4 nello sport LUCIO COLANTUONI, ADR e conciliazione nello sport in Italia pag.19 DOMENICO ZINNARI, Atleti dilettanti, sportivi non professionisti? pag.58 3 La dimensione internazionale……… LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA LOTTA AL DOPING NELLO SPORT di Lina Musumarra (*) SOMMARIO: 1. Premessa 2. La dimensione europea ed internazionale della lotta al doping 3. Il Codice Mondiale Antidoping 4. La Convenzione dell’UNESCO contro il doping nello sport 4 DOTTRINA La dimensione internazionale……… 1. Premessa. Il fenomeno del doping nello sport ha assunto aspetti e dimensioni di estrema gravità, trovando un sempre maggiore coinvolgimento del mondo dei giovani sportivi, a livello non solo professionistico, ma soprattutto dilettantistico e amatoriale. Recenti studi hanno fornito dati drammatici: su diecimila ragazzi che fanno sport, tra i tredici e i diciotti anni, il 7% ha ammesso di fare uso di sostanze dopanti e di averle utilizzate dietro consiglio di amici o allenatori. In generale, sono stati stimati in 400.000 gli italiani che fanno uso di sostanze dopanti e, calcolando quanto avviene in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna o la Germania, sono circa 2 milioni gli europei che ricorrono a sostanze dopanti. Dall’entrata in vigore, in Italia, della legge 14 dicembre 2000, n. 376, in tema di lotta contro il doping, l’assunzione e lo spaccio di sostanze dopanti sono in netta crescita: solo i sequestri di anabolizzanti sono passati dalle 23.637 confezioni del 2000 alle 988.955 del 2005, coinvolgendo oltre 600mila sportivi, per un valore di circa 800milioni di euro (cfr. A. Lapertosa, Un “affare” da 800mln, in Il Sole 24 Ore Sport, settembre 2005). Nella Relazione al Parlamento presentata dal Ministero della Salute sullo stato di attuazione della legge in parola, nonché sull’attività svolta per l’anno 2005 dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, si rileva come la predetta Commissione abbia sviluppato una mirata programmazione delle campagne formative/informative. Una particolare attenzione è svolta nei confronti degli Enti di Promozione Sportiva, che rappresentano una realtà consistente del movimento sportivo di base, verso i quali non era stata ancora esercitata un’organica azione di prevenzione primaria. Come è stato efficacemente rilevato nel Forum europeo dello Sport svoltosi a Bruxelles nell’ottobre del 2001 l’Europa senza frontiere è una realtà per coloro che organizzano il doping, e ormai da tempo. Non è la stessa cosa per coloro che tentano di combatterlo. 5 DOTTRINA La dimensione internazionale……… 2. La dimensione europea ed internazionale della lotta al doping Il problema dell’utilizzo di sostanze o metodi artificiali per aumentare la prestazione atletica ha origini lontane: sin dai Giochi di Berlino del 1936 si parlò dell’uso di efedrina e stricnina nelle competizioni olimpiche; negli anni successivi, l’opinione pubblica fu scossa dalle morti del ciclista danese Jensen ai Giochi di Roma del 1960, del ciclista inglese Simpson nel Tour de France del 1967 e del calciatore francese Quadri nel 1968. Risalgono a questi anni i primi interventi di rilevanza internazionale per combattere un fenomeno in costante diffusione. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con una risoluzione adottata il 24 settembre 1966, invitava, infatti, i Governi dei Paesi membri a far riconoscere a tutti i livelli del processo educativo il valore dell’educazione fisica, dello sport e dell’attività di ambiente naturale, come parte integrante di tale processo. Con la successiva risoluzione del 29 giugno 1967 definiva il doping somministrazione ad un soggetto sano o utilizzazione da parte dello stesso, per qualsiasi mezzo, di sostanze estranee all’organismo o di sostanze fisiologiche in quantità o per via anomala, e ciò al solo scopo di influenzare artificialmente e in modo sleale sulla prestazione sportiva di detto soggetto in occasione della sua partecipazione ad una competizione. A distanza di pochi anni, con la risoluzione del 26 ottobre 1973, relativa alla creazione dei Centri di medicina dello sport, lo stesso Consiglio definisce tale medicina applicazione dell’arte e della scienza medica, dal punto di vista preventivo e terapeutico, alla pratica dello sport e delle attività fisiche, al fine di sfruttare le possibilità che offre lo sport di mantenere e di migliorare lo stato di salute e di evitare eventuali danni. Contestualmente invitava i Governi a promuovere la pratica, l’insegnamento e la ricerca nel campo della medicina dello sport; a incoraggiare e proporre le misure adeguate in materia di educazione fisica, di educazione sanitaria e di iniziazione alla sicurezza. Con la risoluzione del 24 settembre 1976, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa raccomandava ai Governi degli Stati membri di fondare la loro politica nazionale sui principi enunciati nella “Carta Europea dello sport per tutti”, approvata il 20 marzo 1975 a Bruxelles dalla Conferenza dei ministri europei responsabili dello sport, il cui art. 5 afferma che devono essere adottate misure per salvaguardare lo sport e gli sportivi da ogni sfruttamento a fini politici, commerciali o finanziari e da pratiche avvilenti e abusive come l’uso di droghe. 6 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Ciò ha comportato l’adozione, nel 1978, in occasione della seconda Conferenza dei Ministri europei responsabili dello sport, di una risoluzione su “Doping e salute”, nella quale si raccomanda ai Governi di: 1) concedere tutto l’appoggio possibile agli organi direttivi dello sport, agli atleti e a tutti coloro che sono associati allo sport, nei loro sforzi per sopprimere il doping nello sport e incoraggiarli a prendere le misure necessarie per semplificare e armonizzare le varie regolamentazioni antidoping adottate dalle Federazioni sportive”; 2) “stabilire dei sistemi di controllo dell’utilizzazione di stimolanti artificiali nello sport e a tale scopo: a) incoraggiare la messa a punto e la sperimentazione di metodi efficaci che consentano di scoprire l’uso di sostanze illecite nello sport ed in particolare le sostanze il cui utilizzo è vietato sia dagli organi direttivi internazionali degli sport sia dalla legislazione nazionale, laddove esiste una legislazione del genere; b) aumentare il loro contributo alla cooperazione europea nel campo della ricerca sul doping (...); c) incoraggiare prioritariamente la creazione di laboratori adeguati che consentano di effettuare dei test e dei controlli seri degli sportivi (...); 3) esaminare l’opportunità, laddove non è stato fatto, della creazione di una commissione nazionale antidoping allo scopo di garantire il raccordo necessario tra le parti interessate negli sforzi che mirano ad eliminare il doping nella pratica dello sport; 4) cercare i modi migliori per aiutare gli atleti e le Federazioni che, avendo deciso di opporsi all’uso di sostanze proibite nella pratica degli sport, sono in tal modo esposti a dei pregiudizi concreti. Nel corso della quarta Conferenza dei Ministri europei responsabili dello sport tenutasi a Malta nel 1984 veniva adottata la “Carta europea contro il doping nello sport”, quale dichiarazione di principio sui ruoli di ogni partner per rilanciare gli sforzi della campagna antidoping, alla luce soprattutto della diffusione dell’uso di prodotti doping in nuovi sport e tra sportivi sempre più giovani, contravvenendo all’etica sportiva e primariamente nuocendo alla salute. Il 21 giugno 1988 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava una raccomandazione concernente l’“Istituzione di controlli antidoping senza preavviso e al di fuori delle gare”. La prima vera opportunità per i dirigenti sportivi e le autorità governative di discutere insieme il fenomeno del doping e di concordare una strategia comune a livello internazionale si è avuta con la “I Conferenza mondiale permanente sul doping nello sport”, svoltasi ad Ottawa dal 26 al 29 giugno 1988 per iniziativa del Governo canadese e del Comitato Internazionale Olimpico. Essa ha approvato quattro documenti: 7 DOTTRINA La dimensione internazionale……… - Principi sull’eliminazione del fenomeno doping nella pratica sportiva. - Carta Olimpica Internazionale Antidoping (adottata dal CIO nel settembre 1988). - Elementi e direttive da utilizzare per contribuire allo sviluppo di una strategia che consenta l’approvazione e l’adozione della Carta. - Modello per un programma antidoping nazionale. Nel corso della sesta conferenza, svoltasi a Reykjavik dal 30 maggio al 1° giugno 1989, i Ministri europei responsabili dello sport hanno adottato una risoluzione sul doping nello sport, approvando anche il progetto di convenzione europea contro il doping. Mentre i documenti del Consiglio d’Europa sopra richiamati costituiscono semplicemente inviti ai Governi degli Stati membri ad adottare misure e comportamenti sulla base delle indicazioni e degli indirizzi contenuti nelle risoluzioni o raccomandazioni adottate dal Comitato dei Ministri, la “Convenzione europea contro il doping nello sport”, firmata a Strasburgo il 16 novembre 1989, vincola gli Stati firmatari, fra cui l’Italia, ad adottare le misure necessarie per dare effetto alle disposizioni in essa contenute. Ratificata dall’Italia il 12 febbraio 1996, con legge 29 novembre 1995, n. 522, la Convenzione contiene, innanzitutto, la definizione di doping nello sport, da intendersi quale somministrazione agli sportivi o uso da parte di questi ultimi di classi farmacologiche di agenti di doping o di metodi di doping. Si prevede, quindi, l’impegno degli Stati firmatari ad incentivare la collaborazione con le organizzazioni sportive al fine di elaborare ed applicare ogni adeguato provvedimento per la lotta contro il doping nello sport, tramite, in particolare, l’”armonizzazione” dei regolamenti antidoping, sulla base di quelli adottati dalle organizzazioni sportive internazionali. Nel documento “Il modello europeo di sport”, elaborato dalla Commissione europea nel novembre 1998, si richiama l’attenzione sul problema del doping e sulle possibili soluzioni per debellarlo, ricordando, però, che la Comunità non ha la competenza per promuovere una vera e propria politica antidoping. In ogni caso, l’azione dell’Unione europea in questo campo è stata rafforzata dalla risoluzione del Consiglio del 3 dicembre 1990, nella quale si sottolinea, tra l’altro, la necessità della cooperazione tra gli Stati membri ed il Consiglio d’Europa, nonché il coordinamento delle misure nazionali esistenti. Nelle conclusioni adottate ad Olimpia nel maggio 1999, in occasione della Prima Conferenza europea sullo sport, le parti interessate, nel ribadire la volontà di creare una piattaforma di cooperazione basata su norme il più possibile uniformi per garantire agli atleti la certezza del diritto, 8 DOTTRINA La dimensione internazionale……… hanno sottolineato la necessità di combattere le cause concrete che contribuiscono alla proliferazione del doping: la cultura della droga; il permissivismo; l’eccessiva competitività; gli interessi in gioco troppo alti; la pressione degli sponsor, sia commerciali che istituzionali. In tale ambito uno degli obiettivi prioritari è rappresentato dalla tutela dei giovani, i quali vengono coinvolti troppo presto in gare ad alto livello e quindi sottoposti a pressioni psicologiche ed a manipolazioni fisiche. Altrettanto importante è la lotta contro il doping nello sport al di fuori del contesto delle organizzazioni sportive, con riferimento all’uso ed al commercio di sostanze anabolizzanti e/o droghe, in base alla legislazione nazionale. A Losanna, sotto la forte pressione dei mass-media, i responsabili dello sport di alcuni Governi particolarmente impegnati nella lotta al doping hanno partecipato, nello stesso anno, alla prima Conferenza Mondiale sul Doping promossa dal CIO, al fine di esaminare le modalità attraverso le quali attuare una più incisiva e sinergica lotta al doping. Viene così proposta la costituzione di una Agenzia Mondiale Antidoping (in sigla, AMA o WADA) composta in maniera paritetica, negli organi di vertice, da esponenti del mondo sportivo e rappresentanti governativi. Si è sostenuto, in particolare, che la presenza, nel Consiglio di fondazione dell’Agenzia, di rappresentanti dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa, unitamente ad altri Ministri competenti per lo sport in rappresentanza delle altre aree continentali, costituisce il coronamento di una esigenza di creare una stretta sinergia tra la capacità del potere pubblico di intervenire giudiziariamente nei confronti dei responsabili del commercio illegale delle sostanze dopanti ed i poteri disciplinari della organizzazione sportiva. La WADA dovrà rappresentare la massima autorità di riferimento e fonte normativa per la lotta al doping, dovendosi adeguare ai suoi indirizzi lo stesso CIO, le Federazioni internazionali, il Consiglio d’Europa e l’Unione europea. L’Agenzia è stata costituita a Losanna il 10 novembre 1999 come fondazione privata secondo il diritto elvetico e sottoposta alla vigilanza delle autorità federali svizzere (cfr., www.wadaama.org). La sede attuale è a Montreal. Tra le principali funzioni svolte dall’Agenzia mondiale antidoping è opportuno ricordare: • la promozione e il coordinamento, a livello internazionale, della lotta contro il doping. 9 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Tale azione viene svolta in riferimento all’insieme delle questioni relative al fenomeno, a partire dall’effettuazione di controlli antidoping in gara e fuori gara e, se necessario, in accordo con le realtà pubbliche e private competenti, fuori gara senza preavviso ; • l’attivazione di rapporti di collaborazione con le organizzazioni intergovernative, i singoli Governi, le istituzioni pubbliche, altri organismi privati operanti nel settore, nonché le principali organizzazioni sportive internazionali (CIO, Federazioni internazionali, Comitati nazionali olimpici) e gli atleti; • la pubblicazione, ogni anno, di una lista delle sostanze e dei metodi proibiti nella pratica sportiva, in accordo con gli organismi pubblici e privati interessati, tra cui le suddette organizzazioni sportive; • un’azione volta a favorire a livello internazionale l’armonizzazione delle modalità e delle procedure scientifiche relative ai prelievi, alle metodologie di analisi e all’omologazione dei laboratori, nonché delle sanzioni previste in relazione ai singoli Paesi e alle diverse discipline sportive; • la promozione e il coordinamento della ricerca in materia di lotta al doping e l’elaborazione di progetti e di programmi educativi finalizzati alla diffusione di una vera cultura per lo sport pulito, conforme ai valori etici dello sport. A livello dei Ministri europei competenti per lo sport, durante e immediatamente dopo il richiamato appuntamento di Losanna, si è discusso sui requisiti che un organismo come la WADA dovesse possedere per garantire caratteri di terzietà rispetto ai Governi e alle organizzazioni sportive. Tale questione è stata risolta attraverso una particolare composizione del Conseil de fondation, costituito da un numero massimo di 40 componenti, di cui 18 designati dal movimento olimpico (4 devono essere atleti), altrettanti dalle organizzazioni governative e i rimanenti dal Consiglio, su proposta congiunta del movimento sportivo e delle autorità pubbliche (cfr., art. 6 Statuto WADA). Si è affermato che tale particolare composizione costituisca il coronamento di un’esigenza di creare una stretta sinergia tra la capacità del potere pubblico di intervenire giudiziariamente nei confronti dei responsabili del commercio illegale delle sostanze dopanti ed i poteri disciplinari dell’organizzazione sportiva. L’Agenzia, nel perseguimento degli scopi precedentemente analizzati, elabora e pubblica ogni cinque anni un determinato programma d’azione. 10 DOTTRINA La dimensione internazionale……… I programmi finora adottati (uno relativo al quinquienno 1999-2004 ed il secondo inerente al periodo 2004-2009) oltre a descrivere gli elementi necessari al raggiungimento, rispettivamente, degli obiettivi di adozione del codice mondiale anti-doping, prima delle Olimpiadi di Atene del 2004, e dell’implementazione e monitoraggio dell’effettiva applicazione del codice stesso, si caratterizzano per ulteriori importanti iniziative appartenenti alle seguenti aree tematiche: - ricerca scientifica: la WADA si impegna ad incrementare il volume di risorse dedicate non solo allo sviluppo di nuovi metodi per l‘individuazione dell’utilizzo di sostanze (come l’epo o l’ormone della crescita) e metodi proibiti non rilevabili dai semplici test sulle urine, ma anche alla ricerca di nuovi prodotti e metodologie atti ad aumentare artificialmente le prestazioni agonistiche degli atleti (si ricorda che la lista delle sostanze e metodi il cui utilizzo integra il doping è modificata e pubblicata annualmente sul sito della WADA), con particolare attenzione alla nuova frontiera del doping genetico. Secondo quanto riportato dalle pubblicazioni in materia, si stima che dal 2001 WADA abbia investito più di 14 milioni di dollari in progetti di ricerca. E proprio sul cd. doping genico si richiama l’accordo concluso nel mese di gennaio 2007 tra la WADA e il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste, il quale ha ottenuto dall’Agenzia un finanziamento di 430.000 dollari per una ricerca finalizzata a identificare in tempi brevi (in previsione delle Olimpiadi di Pechino nel 2008) i “markers”, ovvero quelle proteine o altre sostanze che evidenziano la presenza di vettori nell’organismo e quindi l’utilizzo di doping genico. Test a sorpresa fuori dalle competizioni: rappresentano al tempo stesso il metodo di accertamento ed il deterrente più efficace nei confronti di coloro che vogliano far ricorso all’utilizzo di sostanze vietate. Il programma disposto dall’Agenzia integra i regolamenti adottati dalle diverse federazioni internazionali. In particolare, si prevede che i test siano eseguiti dagli agenti dell’Agenzia di concerto con le Federazioni Internazionali ed in conformità a quanto da queste predisposto nei propri regolamenti in materia di test a sorpresa. A tal proposito, si ricorda che l’Agenzia ha recentemente sottoscritto un accordo con tutte le Federazioni Internazionali partecipanti alle Olimpiadi, estive ed invernali. Il programma prevede sia i tradizionali controlli sulle urine ed ematici, che test incrociati urine-sangue al fine di rilevare la presenza di particolari sostanze come l’EPO. 11 DOTTRINA La dimensione internazionale……… In conformità con quanto previsto dalla Dichiarazione di Losanna, la gestione dei risultati, inclusi gli accertamenti in occasione di risultati sospetti, rimane di esclusiva competenza delle Federazioni internazionali (così come l’eventuale procedimento disciplinare). Si prevede, inoltre, l’estensione del programma sui test anche alle discipline sportive non inserite nel programma olimpico, di concerto con le rispettive Federazioni. Educazione: ritenendo essenziale, ai fini di una lotta efficace al doping, aumentare la consapevolezza degli atleti (in particolare dei giovani) sulla minaccia rappresentata dal doping e sulle conseguenze, sia di tipo medico che disciplinare, dell’eventuale utilizzo di sostanze e metodi vietati, l’Agenzia ha finanziato numerosi progetti didattici (anche in accordo con i singoli governi nazionali) finalizzati al potenziamento della politica di prevenzione. Inoltre, in collaborazione con le agenzie anti-doping nazionali, le federazioni internazionali e la commissione atleti del CIO, è stato realizzato un programma interattivo che, sotto il nome “passaporto degli atleti”, permette agli atleti ed ai dirigenti sportivi di reperire tutte le informazioni a disposizione sui controlli anti-doping attraverso l’utilizzo di semplici link telematici. In particolare, il programma si articola in tre aspetti principali: 1) gli atleti possono non solo esaminare sul sito materiale educativo sugli effetti dannosi del doping, ma possono accedere anche ad informazioni esaustive ed aggiornate sui controlli antidoping, come la relativa disciplina vigente e l’elenco delle sostanze e metodi vietati; 2) viene creata la c.d. “camera di compensazione”, data base in cui vengono inserite, raccolte, registrate e classificate le informazioni sui controlli anti-doping di ciascun atleta affiliato, ed il cui contenuto è accessibile esclusivamente da parte dei funzionari autorizzati; 3) grazie al sito internet è possibile stabilire una linea di comunicazione diretta fra atleti e WADA. Organizzazioni anti-doping nazionali: un ruolo decisivo per ottenere l’armonizzazione delle strategie antidoping, è rappresentato dalla creazione e sviluppo di programmi anti-doping nazionali sufficientemente efficaci. L’Agenzia si è fatta promotrice di programmi di collaborazione e servizi di consulenza volti ad appoggiare le singole nazioni, ed in particolare i paesi in via di sviluppo, ad incrementare e sviluppare validi programmi anti-doping in applicazione del codice mondiale. Le conclusioni adottate ad Olimpia, sopra richiamate, sono state successivamente presentate dalla Commissione dell’Unione europea nella Relazione di Helsinki del dicembre 1999. A tali posizioni si è allineato il Comitato delle regioni, il quale, con il parere “Il modello europeo di sport”, adottato nel settembre 1999, ha sottolineato, in particolare, la necessità di redigere un elenco 12 DOTTRINA La dimensione internazionale……… comune delle sostanze proibite nell’Unione europea, allo scopo di evitare una situazione anomala in cui determinate sostanze sono autorizzate in alcuni Stati membri e vietate in altri. Tale obiettivo è stato ribadito dalla Presidenza francese dell’Unione europea, nella riunione dei ministri dello sport del 6 novembre 2000. Nella Dichiarazione sullo sport adottata dal Consiglio europeo a Nizza (7-9 dicembre 2000), nella parte relativa alla “Protezione dei giovani sportivi”, si sono sottolineati i vantaggi della pratica sportiva per i giovani, insistendo sulla necessità che una particolare attenzione sia prestata all’educazione ed alla formazione professionale dei giovani sportivi di alto livello e, in particolare, alla prevenzione del doping. Nel 2001 l’Unione Europea, di concerto con i Comitati Olimpici Europei, alcune Federazioni sportive internazionali, e in collaborazione con il CIO, ha promosso il progetto denominato CAFDIS (Concerted action in the fight against doping). Esso consiste nella realizzazione di una rete capillare di comunicazioni tra organismi nazionali ed internazionali impegnati nella lotta contro il doping nello sport finalizzata alla raccolta dei risultati e delle informazioni sull’utilizzo di sostanze e metodologie vietate nello sport (cfr., www.CAFDIS-antidoping.net). In occasione del Forum europeo sullo sport svoltosi a Bruxelles il 17-18 ottobre 2001, il gruppo di lavoro che si occupa della lotta contro il doping nello sport, dopo aver sottolineato il preoccupante sviluppo delle pratiche di doping, quale espressione non più di un comportamento individuale, ma risultato di azioni organizzate, che mettono in pericolo la salute e la vita degli sportivi, soprattutto giovani, ha ribadito il problema della mancanza di armonizzazione delle liste, delle regole e delle procedure. Inoltre, si è evidenziata l’importanza di combattere le ragioni strutturali che sono alla base della proliferazione del doping ed in particolare le esigenze economiche che esercitano una forte pressione sugli atleti. Si tratta dunque di prendere di mira il doping strutturale ed evitare di focalizzarsi esclusivamente sulla repressione individuale. Lo sportivo non è il solo colpevole. E’ necessario identificare i fattori che creano un ambiente nell’ambito del quale l’atleta è talvolta spinto al doping. Va approfondito, inoltre, anche il ruolo dei medici, promuovendo, pertanto, un vero dialogo sociale a scala europea nell’ambiente sportivo. Tali principi sono stati ribaditi in occasione del Seminario Euromediterraneo sul doping, svoltosi a Marrakech il 21-23 gennaio 2002 (cfr., http://europa.eu.int/comm/sport/index_it.html). In particolare, si è affermato che il doping costituisce un fenomeno internazionale, contro il quale si impone la cd. “tolleranza zero”. 13 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Ciò comporta la necessità per tutti i soggetti coinvolti (Stati, CIO, WADA, Comitati nazionali olimpici e Federazioni sportive internazionali) di cooperare per promuovere e armonizzare la lotta contro il doping, adottando non solo sanzioni adeguate, ma anche misure di prevenzione, di educazione, di formazione e di informazione. Il Parlamento europeo, con la Risoluzione del 14 aprile 2005 sulla lotta contro il doping nello sport, ha invitato la Commissione europea ad adottare una politica efficace e integrata in tutti i settori collegati alla lotta contro il doping, a sostenere una campagna intensiva di informazione e di sensibilizzazione, nonché a favorire la cooperazione fra gli Stati membri. 3. Il Codice Mondiale Antidoping Con la sottoscrizione della Dichiarazione di Copenhagen avvenuta al termine della Conferenza mondiale sul doping svoltasi dal 3 al 5 marzo del 2003, i quasi ottanta Governi firmatari, i rappresentanti di organizzazioni sovranazionali e la totalità delle Federazioni Internazionali e dei Comitati Olimpici Nazionali, hanno riconosciuto il ruolo della WADA come massima autorità di riferimento nella lotta al doping, e si sono impegnati nel suo supporto e finanziamento. Nel corso della stessa occasione l’Agenzia ha provveduto all’approvazione della bozza finale del Codice Mondiale Antidoping che, sostituendo il precedente Codice del Movimento Olimpico adottato dal CIO, viene oggi a rappresentare il documento fondamentale ed universale su cui si basa il Programma Mondiale Antidoping. Quest’ultimo costituisce il mezzo elaborato dall’Agenzia al fine del raggiungimento degli scopi attribuitegli. In particolare, il Programma, al fine di tutelare il diritto fondamentale degli atleti alla pratica di uno sport libero dal doping e quindi promuovere la salute, la lealtà e l’uguaglianza di tutti gli atleti del mondo, e di garantire l’applicazione di programmi antidoping armonizzati, coordinati ed efficaci sia a livello mondiale che nazionale (…), prevede la realizzazione ed utilizzazione di diversi strumenti: • il Codice Mondiale Anti-doping; • gli Standard Internazionali: documenti tecnicamente diversi dal Codice, ma a cui questo specificatamente rinvia, volti all’armonizzazione degli specifici aspetti tecnici ed operativi delle singole normative antidoping ed alla cui aderenza i soggetti firmatari del codice sono obbligati. 14 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Accanto alla lista delle sostanze e dei metodi vietati, gli Standard Internazionali elaborati dalla WADA riguardano le procedure relative all’esecuzione dei test, nonché all’accreditamento dei laboratori e alle esenzioni a fini terapeutici. Il codice stesso prevede che l'osservanza di uno Standard internazionale in opposizione a un altro standard o a una pratica o una procedura di natura diversa, è elemento sufficiente a concludere che le procedure – a cui lo Standard Internazionale si riferisce- sono state eseguite correttamente. • i cosiddetti “Models of best practice”: veri e propri modelli di regolamenti antidoping destinati ai soggetti che aderiranno al programma. Il Codice rappresenta un nuovo corpus di regole finalizzato non solo a rafforzare l’armonia tra le politiche antidoping elaborate dalle singole Federazioni Internazionali riportate nel pregresso Codice del Movimento Olimpico, ma anche e soprattutto - per la prima volta - ad armonizzare la normativa antidoping elaborata dai singoli governi nazionali. In coerenza con tali finalità l’Agenzia ha elaborato un piano generale che ha portato il codice ad essere pienamente operativo per le Olimpiadi di Atene del 2004. Inizialmente si è prevista una prima fase (iniziata nel giugno del 2002) di diffusione e circolazione della bozza del Codice presso Federazioni, Governi ed organismi internazionali, a cui ha fatto seguito la seconda fase dedicata all’approvazione da parte dell’Agenzia (avvenuta nella conferenza di Copenhagen), della versione definitiva del Codice stesso redatta recependo le proposte di emendamento avanzate dagli organismi alla cui attenzione la bozza era stata precedentemente sottoposta. Infine, per quanto attiene la terza fase relativa all’operatività effettiva del codice, è questo stesso ad individuare le modalità di adesione ed attuazione dei provvedimenti in esso contenuti da parte dei soggetti interessati. In particolare, nella quarta parte del codice dedicata all’“accettazione, osservanza e modalità di modificazione del Codice Mondiale Antidoping”, si individua il termine per l’adesione da parte di tutti gli organismi interessati -sportivi e governativi - coincidente con la data d’inizio dei Giochi Olimpici di Atene del 2004. Il termine ultimo, invece, per l’attuazione del Codice (e quindi per l’adeguamento della propria normativa ai principi e obblighi in questo previsti) risulta diversificato a seconda che si tratti di organismi sportivi o governativi, essendo previsto come riferimento, per i primi la data di inizio delle Olimpiadi di Atene 2004, e per i secondi l’inizio delle Olimpiadi Invernali di Torino del 2006. 15 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Sono previste sanzioni diverse a seconda che un soggetto firmatario (CNO, FSI) o un Governo non accettino - prima - o non diano attuazione - dopo - alle norme previste dal World Anti-doping Code. Per i Comitati Olimpici Nazionali e le federazioni sportive internazionali che non abbiano adottato il Codice entro il 13 agosto 2004, la sanzione - comminata dal CIO su indicazione della WADA - consiste nell’esclusione della propria rappresentanza sportiva ai Giochi di Atene. Bisogna inoltre ricordare come la Carta Olimpica, grazie ad un recente emendamento, prevedendo l’obbligatorietà dell’applicazione del Codice da parte del Movimento Olimpico, sostanzialmente ponga come necessaria l’adozione delle norme previste dal Codice stesso da parte dei regolamenti delle Federazioni Internazionali affinché le relative discipline sportive possano continuare ad essere incluse nel programma olimpico. Per quanto riguarda, invece, l’operato dei governi, l’accettazione ed attuazione del Codice risultano essere necessarie nel caso in cui una nazione voglia ospitare un’edizione dei Giochi Olimpici o di un Campionato del Mondo, mentre, affinché un paese possa prendere parte a questi eventi organizzati nel territorio di un altro stato, è sufficiente che il codice sia stato accettato ed attuato dal proprio comitato olimpico. 4. La Convenzione dell’UNESCO contro il doping nello sport Occorre precisare che mentre il CIO, le federazioni internazionali, i Comitati olimpici nazionali e le organizzazioni nazionali antidoping possono direttamente approvare il Codice Mondiale Antidoping (firmando una dichiarazione di accettazione comune su approvazione di ciascuno dei propri rispettivi organi di gestione) che in questo modo diviene per loro direttamente vincolante, i governi, non potendo essere legalmente vincolati ad un regolamento elaborato da un’organizzazione di diritto privato come la WADA, si sono limitati alla sottoscrizione della Dichiarazione di Copenhagen - documento di carattere politico - manifestando così l’impegno a fornire il proprio supporto alla lotta contro il doping e ad adeguare la propria legislazione ai principi stabiliti dal Codice. 16 DOTTRINA La dimensione internazionale……… Per ottenere il riconoscimento ufficiale del Codice e far nascere il conseguente obbligo positivo a carico degli stati di assicurarne l’effettiva applicazione adottando anche misure di ordine legislativo, occorre invece la ratifica, da parte dei singoli governi, della Convenzione Internazionale contro il Doping, il cui testo, elaborato sotto l’egida dell’UNESCO, è stato approvato a Parigi il 21 ottobre 2005 in occasione dell’Assemblea Generale di tale organismo (cfr., www.unesco.org) ed è entrata in vigore il 1° febbraio 2007. Si tratta del primo strumento giuridico riconosciuto a livello internazionale attraverso il quale: a) armonizzare sia le legislazioni nazionali in materia di contrasto al doping, sia la cooperazione tra Stati, Movimenti e Organizzazioni Sportive internazionali e nazionali nella realizzazione di controlli antidoping e di programmi di educazione, informazione e ricerca; b) superare i limiti degli strumenti giuridici internazionali preesistenti in materia, quali: 1) la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1989, sopra richiamata - ratificata dall’Italia nel 1996 – caratterizzata però da una valenza soprattutto europea; 2) il Codice Mondiale Antidoping, istituito, come ricordato, nel 2003 dall’Agenzia Mondiale Antidoping, come primo strumento internazionale che mira ad armonizzare le regole relative alla lotta al doping in tutti gli sport e in tutte le Nazioni, ma che non ha forza coercitiva, data la natura, sostanzialmente privatistica, dell’Agenzia che lo ha emanato. La Convenzione dell’UNESCO diventa, quindi, il primo strumento giuridico a carattere obbligatorio, che aspira a dare una risposta ad un problema mondiale, una reazione strutturata ad un fenomeno che svilisce i valori etici e sociali dello sport, oltre a mettere in pericolo la salute degli degli sportivi1. A Parigi, nella sede dell’UNESCO, dal 5 al 7 febbraio 2007, si sono riuniti i Governi parte della Convenzione impegnandosi ad adottare tutti gli strumenti necessari per combattere il fenomeno del doping, finanziando, in particolare, il Fondo previsto dalla Convenzione in parola. Nell’ambito della Conferenza il rappresentante del Ministro dello Sport francese ha evidenziato, altresì, per quanto riguarda la previsione normativa del reato di doping anche nei confronti dell’atleta, che la posizione dell'Italia è isolata. 1 A Coccia, La tutela internazionale della salute degli atleti e della lealtà sportiva: la lotta al doping, in AA.VV., Diritto internazionale dello sport (a cura di G. Greppi e M. Vellano), G. Giappichelli Editore, 2005; G. Valori, Il Diritto nello Sport, G. Giappichelli Editore, 2005; L. Musumarra, Il doping, in AA.VV., Diritto dello Sport, Le Monnier Università, 2004; R. Nicolai, La lotta al doping tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in AA.VV., La tutela della salute nelle attività motorie e sportive: doping e problematiche giuridiche, a cura di Carlo Bottari, Maggioli Editore, 2004; A. Rosano, Il doping nello sport amatoriale, Istituto Italiano di Medicina Sociale, 2003, pubblicazione fuori commercio. 17 DOTTRINA La dimensione internazionale……… L'eccessiva penalizzazione nuoce alla lotta contro il doping. Per noi non è normale vedere un atleta dopato in prigione. Quello che noi proponiamo è che il diritto penale regoli il traffico di sostanze dopanti. (*) Avvocato - Professore a contratto di Diritto dello Sport - Università di Firenze 18 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… ADR E CONCILIAZIONE NELLO SPORT IN ITALIA IN PARTICOLARE: IL RUOLO DELLA CAMERA DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO PER LO SPORT ( C.C.A.S.) PRESSO IL C.O.N.I. E LA SUA RECENTE RIFORMA di Lucio Colantuoni (*) SOMMARIO: 1. Premessa e generalità 2. Il quadro internazionale delle A.D.R. nello Sport – 2.1. In particolare: il T.A.S./C.A.S. 3. La Conciliazione sportiva in Italia : la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I. (C.C.A.S.) e la sua recente riforma 4. La C.C.A.S. in funzione conciliativa 5. Casistica della C.C.A.S. in funzione conciliativa 6. Considerazioni conclusive. 19 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… 1. Premessa e generalità. Negli ultimi decenni si è registrata, a livello mondiale, una forte spinta culturale verso i metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione statale (c.d. Alternative Disputes Resolution methodos, meglio conosciuti con l’acronimo A.D.R.), istituti tramite i quali si promuovono iniziative, alternative rispetto al sistema ordinario di risoluzione delle controversie, finalizzate a porre pacifico, nonché legale, rimedio alle liti civili, commerciali e, come si vedrà , anche sportive Sotto il profilo storico, in generale la tendenza a ricorrere a questi strumenti alternativi alla giurisdizione ordinaria trae la sua forza propulsiva principalmente dagli Stati Uniti ed è indubbiamente alimentata in maniera espansiva dalla parziale, ma crescente, incapacità dello Stato di rispondere efficacemente alla domanda di giustizia della società civile, specie in talune aree e materie. Più in particolare, la nascita del movimento a favore degli istituti in questione viene fatta coincidere con un preciso evento storico, ossia la conferenza tenutasi nel 1976 per celebrare il settantesimo anniversario del discorso tenuto da Rascoe Pound, uno dei massimi esponenti del diritto privato e processuale civile statunitense, dinanzi all’American Bar Association sul tema “The Causes of Popular Dissatisfaction with the Administration of Justice”. In tale sede, nel costatare che nel corso di cinquant’anni di riforme processuali i risultati erano stati scoraggianti, furono presentate diverse proposte dirette a sottrarre alle Corti Civili alcune categorie di controversie che sarebbero poi state dirottate verso organi privati, estranei all’apparato giurisdizionale ed operanti con procedure più snelle ed informali, in maniera tale da sottrarre ai giudici ordinari il sovraccarico di lavoro. Negli anni successivi alla Pound Conference il fenomeno in esame si è poi distinto per una vertiginosa evoluzione che ha visto la creazione di sempre nuovi e diversi procedimenti alternativi alle forme ordinarie. Quindi, dagli Stati Uniti l’esperienza delle A.D.R. si è diffusa anche in Europa, acquistando sempre più rilevanza, specie in relazione alle problematiche legate ai consumatori trovando disciplina nella normativa comunitaria. Infatti, la sensibilità e l’attenzione del legislatore comunitario per le forme di A.D.R. si è evoluta nel corso del tempo e trova nella direttiva del 20 maggio 1997 n. 7, peraltro proprio in materia di protezione dei consumatori nei contratti a distanza, un momento fondamentale, 20 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… sottolineando la necessità di promuovere procedimenti extragiudiziari per favorire l’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie. A tale direttiva ha poi fatto seguito la Raccomandazione del 30 marzo 1998 n. 257 sui principi applicabili agli organismi adibiti alla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, in cui si indica come via più idonea per la soluzione delle controversie insorgende la creazione di procedure come la conciliazione e l’arbitrato nonché il rispetto dei sette principi guida che ogni Stato Membro dovrebbe garantire alle differenti tipologie di A.D.R.: trasparenza, indipendenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e rappresentanza. L’accesso alle procedure alternative di risoluzione delle controversie è inoltre agevolato anche dalla predisposizione da parte della Commissione di un modello standard di reclamo, reperibile online in ogni lingua dell’Unione Europea. Con la Raccomandazione del 4 aprile 2001 n. 310/CE la Commissione ha poi proceduto a stabilire i criteri minimi che vanno garantiti nella gestione delle controversie qualora il soggetto terzo, individuato dalle parti per risolvere la questione, non emetta alcuna decisione ma si limiti ad agevolare la soluzione conciliativa. Infine, con il Libro Verde adottato dalla Commissione il 19 aprile 2002 si è proceduto a presentare un quadro generale del fenomeno ADR nell’ambito dello spazio giuridico europeo. Per quanto concerne in particolare il settore sportivo, come si approfondirà meglio nel prosieguo, il ricorso allo strumento delle A.D.R., ed in specie al modello della Conciliazione, è un metodo di risoluzione delle controversie piuttosto diffuso ed utilizzato, ritenuto opportuno poiché, tra i tanti pregi, presenta – come anche ha sottolineato Bernard Foucher, Presidente del Consiglio Francese dei Conciliatori - l’indiscutibile vantaggio di mantenere le relazioni personali e professionali tra le parti con tutela della riservatezza reciproca, aspetti questi alquanto rilevanti nello sport, dove si sa che le relazioni – o meglio le reputazioni e/o l’immagine – sono un valore importante da preservare e tutelare anche, e soprattutto, in senso commerciale, in un ambiente ristretto ed a vasta esposizione mediatica1. La Conciliazione, come noto, è una negoziazione facilitata dall’intervento di un Terzo imparziale il quale normalmente conduce le parti a ricercare (se possibile) una soluzione della controversia (Conciliazione Facilitativa). In altri casi il Conciliatore esprime anche un proprio parere tecnico professionale (Conciliazione Valutativa). 1 Gardiner (cur), Sports Law (2nd), Ed. Cavendish, 2002. 21 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Si tratta quindi, in sostanza, di una procedura negoziale e volontaria che permette alle parti di elaborare la loro soluzione, ex novo e di natura negoziale, con l’assistenza del conciliatore il cui scopo, pertanto, è quello di agevolare ed aiutare le parti nel conseguimento di un accordo per loro soddisfacente, conducendo la trattativa attraverso una considerazione critica delle tesi contrapposte, al fine di evidenziare anche i rischi connessi ad un eventuale contenzioso. Se poi la Conciliazione non ha successo, le parti possono sempre devolvere la stessa controversia al Tribunale o alle procedure arbitrali, senza pregiudizio delle proprie posizioni. Va osservato, peraltro sinteticamente, che a differenza poi dell'Arbitrato o del Giudizio Ordinario, dove si perviene ad una decisione autoritativa di un uno o più individui “terzi”(il c.d. lodo arbitrale o la sentenza) e dove si tende a valutare giuridicamente comportamenti e/o responsabilità per giungere a soluzioni coercitive, le procedure di Conciliazione, invece, pur tenendo certamente conto di tali situazioni pregresse, mirano soprattutto a salvaguardare e perfezionare le future relazioni tra le parti mediante soluzioni negoziali anche creative, che permettono indubbi vantaggi quali minor costi e maggior celerità, sempre nella “privacy” nelle procedure, e ciò, soprattutto, grazie all’informalità e all’assenza di limiti giuridici procedurali (ad esempio, può essere utile per il conciliatore incontrare le parti anche separatamente, dunque senza contraddittorio diretto) o sostanziali (ad esempio, la soluzione raggiunta non deve essere giustificata sulla base di una rigorosa logica formale giuridica) 2. Sotto il profilo strutturale, si evidenzia per completezza che la Conciliazione generalmente si realizza per il tramite di due fasi procedimentali successive e separate, anche se la prima come si vedrà è prodromica alla seconda. In particolare, un’ipotetica procedura di conciliazione esperita presso un organismo ad hoc si caratterizzerà per le seguenti fasi: - Attivazione: generalmente con accordo scritto tra le parti; - Scelta del conciliatore: l’organismo di A.D.R. sceglierà il Conciliatore, tenendo conto delle specifiche conoscenze tecniche e giuridiche; - Fase preliminare: precedentemente all’incontro le parti potranno depositare eventuali memorie scritte per meglio specificare le loro argomentazioni - Negoziato: il Conciliatore fissa un calendario degli incontri di conciliazione, da tenersi in forma congiunta e separata 2 M. Coccia , La risoluzione dei conflitti in ambito sportivo, in www.iusport.es 22 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… - Accordo: in caso di accordo si stilerà un documento scritto opportunamente sottoscritto dalle parti - Mancato accordo: il Conciliatore suggerirà alle parti diverse procedure alternative di risoluzione della lite Come si nota, in primis, viene dunque in evidenza il c.d. tentativo di Conciliazione, ossia un procedimento che si svolge davanti al conciliatore ed in cui lo stesso presenta il programma di Conciliazione con l’elenco dei punti da discutere e richiede alle parti eventuali memorie. Successivamente si incontra (se riuscita) la fase dell’accordo, in cui le parti a seguito di una o più sedute, caratterizzate da un vivace contraddittorio, con l’eventuale assistenza di consulenti o difensori (con la conseguenza che la difesa tecnica si rivela per essere non obbligatoria), pervengono alla soluzione finale trasportata poi in un atto scritto che definisce tutti i punti in contestazione. In tale fase il conciliatore assume un’importanza vitale in quanto, ferma l’assenza di poteri autoritativi o coercitivi, deve condurre le trattative facendo ragionare le parti in termini concreti sul possibile accordo, facilitando anche i rapporti personali in maniera tale che anche in caso di insuccesso si sia comunque fatto un passo avanti per capire le ragioni di dissenso della controparte Proprio all’utilizzo di questa specifica tecnica di risoluzione delle controversie anche in ambito sportivo è dedicato il presente contributo. 2. Il quadro internazionale delle ADR nello Sport A livello internazionale, la tendenza dei vari Ordinamenti Sportivi è consolidata nel senso di escludere quanto più possibile la giurisdizione dei Giudici Ordinari in tema di controversie sportive, preferendo che le stesse siano risolte all’interno degli stessi organismi sportivi da parte dei competenti organi di giustizia (la c.d. Giustizia Sportiva), oppure (specie in America ed Inghilterra) da altre ed autorevoli strutture conciliative esterne di carattere generale. In particolare, l’esponenziale aumento del contenzioso in materia sportiva ha fatto riflettere numerose organizzazioni sulla convenienza di istituire organismi di rapida risoluzione dei litigi nella specifica materia. Col tempo si sono così create differenti realtà istituzionali preposte proprio alla risoluzione delle controversie sportive e le più significative sono rappresentate da organi quali il T.A.S/C.A.S. in Svizzera, Tribunal Arbitral du Sport (denominazione francese)/ Court of Arbitration for Sport (denominazione inglese), oppure l’inglese UK Sport Dispute Risolution Panel (c.d. S.D.R.P.), o 23 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… ancora l’australiano National Sport Dispute Center (c.d. N.S.D.C.). o infine l’olandese Netherlands Mediation Institute (c.d. N.M.I.). Senz’altro un’esperienza di rilevante importanza nelle A.D.R. sportive è quella fornita dal panorama inglese, ed in particolare dal S.D.R.P., organo di recente formazione (2000) con sede a Londra. La sua articolazione è modellata sull’esempio offerto dal T.A.S./C.A.S. ( di cui meglio si dirà infra) e anch’esso offre un servizio di mediazione basato sul S.D.R.P. Model Mediation Agreement (ispirato peraltro a sua volta al C.E.D.R. Model Mediation Agreement). Il conciliatore, che non è né un Agente né un impiegato dello stesso Ente è scelto dalle parti in un apposito Elenco depositato presso lo stesso Centro. Altrettanto significativa è poi l’esperienza rappresentata dal N.S.D.C., organo di A.D.R. sportiva d’oltre oceano con sede a Sidney. Quest’ultimo nacque nel 1996 e offre anch’esso un servizio di arbitrato e mediazione a tutti gli individui ed organizzazioni legati allo sport, incluse anche tutte quelle realtà limitrofe che ruotano attorno a questo 2.1. In particolare il T.A.S/ C.A.S Nel dettaglio, però, l’esperienza senz’altro più interessante e strutturata è quella rappresentata dal T.A.S./C.A.S3. Tale ente fu creato dal Comitato Olimpico Internazionale (C.I.O.) nel 1983, in occasione della sessione di Nuova Delhi, sotto l’egida dell’allora presidente Juan Antonio Samaranch, in virtù del fatto che già a partire dai primi anni ‘80 si era cominciata a lamentare la mancanza di una giurisdizione alternativa (arbitrale o conciliativa) specializzata nel dirimere le controversie sportive all’interno dell’ordinamento sportivo internazionale. Attualmente tale organo ha la sede a Losanna (CH) e vanta anche altre due filiali di cui una a New York (USA) ed una a Sidney (AUS). La sua composizione, disciplinata dallo Statuto del 30 giugno 1984, è mutata nel tempo passando dagli originali 60 membri agli attuali 200 (ed oltre) arbitri provenienti da più di 55 paesi differenti, designati dal C.I.O., dalle Federazioni Internazionali, dai Comitati Nazionali Olimpici e selezionati in base alle loro conoscenze giuridiche e sportive. 3 L. Fumagalli, La Giurisdizione sportiva internazionale, in Diritto internazionale dello sport, a cura di E. Greppi e M. Vellano, ed. Giappichelli , 2006; 24 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… L’attività di tale organo in un primo momento incontrò alcune difficoltà, soprattutto per la supposta carenza di terzietà ed indipendenza dallo stesso CIO, specie per le controversie in cui lo stesso Comitato Internazionale fosse stato parte in una controversia sulla quale un collegio del T.A.S. fosse stato chiamato a giudicare. In tal senso si ricorda la sentenza del 15 marzo 1993 con cui il Tribunale Federale Svizzero, in una controversia tra un atleta e la Federazione Equestre Internazionale ( F.E.I.), attribuiva al T.A.S. la qualità di autentico Tribunale Arbitrale indipendente e come tale riconosciuto4. In seguito il 22 giugno 1994, con la sottoscrizione da parte delle più alte autorità sportive (C.I.O., F.I.S.), della Convenzione relativa all’istituzione del C.I.AS. ( di cui meglio si dirà in seguito), la c.d. Convenzione di Parigi, tutte le Federazioni Internazionali, nonché molti Comitati Nazionali Olimpici, riconoscevano la giurisdizione del T.A.S., inserendo di fatto nei loro Statuti una clausola di arbitrato in favore dello stesso organo. Il lungo procedimento di riforma ed indipendenza si completò così il 22 novembre 1994 con l’entrata in vigore del Codice dell’Arbitrato in materia sportiva, il quale ha regolato l’organizzazione e la procedura operativa del T.A.S./C.A.S. facendo sì che tale ente assumesse sempre più una propria autonomia ed indipendenza. Tale codice è stato di recente oggetto di una moderna opera di rivisitazione per aggiornarlo con i sopravvenuti orientamenti espressi dallo stesso Ente5. Dal punto di vista strutturale l’opera di codificazione risulta composta di 69 articoli e si riparte in due sezioni: la prima spiccatamente statutaria è dedicata alla disciplina degli organi che concorrono alla risoluzione delle controversie ( S1-S26), mentre la seconda alle disposizioni procedurali relative allo svolgimento dei giudizi sottoposti al T.A.S.(S27-S69) . Ma l’autonomia del T.A.S. è stata raggiunta soprattutto grazie alla creazione dell’anzidetto Consiglio Internazionale per l’Arbitrato Sportivo (il c.d. C.I.A.S. ) una struttura, composta di venti membri, dotati di competenza giuridica di alto livello, nominati per un periodo rinnovabile di 4 4 La questione era sorta nell’ambito di un giudizio di impugnazione di un lodo emesso dal TAS/CAS, e verteva sulla necessità di verificare se la pronuncia possedesse i requisiti di una sentenza arbitrale. In particolare, occorreva analizzare se il collegio fosse imparziale alla luce del principio in base al quale un Collegio Arbitrale organo di un’associazione (nel caso in esame il FEI) parte dell’arbitrato, non presenterebbe caratteristiche di indipendenza. I giudici svizzeri stabilirono che nel caso di specie non vi fosse collegamento tra TAS e FEI. La controversia, però, evidenziava tali problemi nei confronti del CIO con eccezioni rimaste poi non isolate. Tribunale Federale Svizzero 15 marzo 1993 in RDS 1994, 509 5 L’ultima edizione del Codice attualmente in vigore risale al 1 gennaio 2004. 25 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… anni, che sovrintende alla gestione del T.A.S./C.A.S. ed ha come finalità quella di garantire l’indipendenza del T.A.S. ( S4) Al C.I.A.S spettano sia funzioni di carattere organizzativo (come per es. l’adozione e la modificazione dello stesso Codice dell’Arbitrato6, la nomina dei Presidenti delle Camere in cui si struttura il T.A.S., la nomina dei componenti della lista da cui devono poi essere scelti gli arbitri chiamati a risolvere la controversia, la nomina del Segretario Generale del T.A.S.) che altresì funzioni di carattere finanziario, allorchè amministra il Fondo per il funzionamento del T.A.S. nonché giurisdizionale come quando è chiamato a pronunciarsi sulla revocazione e sulla ricusazione degli arbitri. Al T.A.S. compete invece la risoluzione delle controversie attraverso l’espletamento di funzioni sia di Arbitrato sia, a partire poi dal 1999, di Conciliazione, potendo anche essere adito per qualsiasi controversia sportiva a condizione, ovviamente, che le parti (atleti o club, federazioni, organizzatori di manifestazioni sportive, sponsor, società di media ecc.) gli abbiano assegnato la competenza a decidere mediante clausola compromissoria7. Nell’espletamento delle prime l’organo opera in composizione collegiale e si costituisce con tre arbitri individuati da un apposito Albo predisposto dal C.I.A.S., di cui due scelti dalle parti ed il terzo designato di comune accordo. Nell’esercizio invece delle seconde il conciliatore è scelto da un apposito Elenco depositato presso lo stesso C.I.A.S. Infine, al T.A.S. spettano anche funzioni consultive8 ( S12; R60-62). Tale funzione può essere attivata dal C.I.O. dalle F.S.I., dai Comitati Olimpici Nazionali, dalla W.A.D.A., dalle Associazioni riconosciute dal C.I.O. ed ha ad oggetto qualsiasi questione giuridica collegata all’attività sportiva. I recenti dati statistici hanno evidenziato come nel corso degli anni, ed in forza dei successivi interventi di modifica ed adeguamento regolamentari, si è assistito ad un ampliamento delle materie ad esso sottoposte. Negli ultimi tempi, infatti, il T.A.S./C.A.S ha trattato casi di doping e questioni di natura normativa relative all’applicazione di statuti e regolamenti federali, per arrivare, infine, alla 6 Riunito in Seduta plenaria e con la maggioranza dei 2/3 dei membri 7 A tal proposito si sottolinea che sono molte le Federazioni Sportive Internazionali che hanno inserito nello statuto o in specifici regolamenti di gara la competenza del T.A.S./C.A.S. a risolvere in appello reclami di atleti o club affiliati contro la Federazione. Si segnala poi che in occasione dei Giochi Olimpici di Atlanta, il C.I.A.S. ha istituito sul luogo un’apposita camera arbitrale del T.A.S./C.A.S. per risolvere eventuali controversie in via immediata. In tal senso si ricorda per es. il parere reso il 26.04.05 sul caso Juventus in materia di doping 8 26 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… competenza d’appello sulle statuizioni adottate da organismi interni alle stesse federazioni relativamente a fatti di natura tecnico – disciplinare. In funzione arbitrale, esso ha esteso la propria competenza fino a comprendere le vertenze commerciali legate allo sport (contratti di sponsorizzazione, contratti tra organizzatori di eventi sportivi e partner di società specializzate in comunicazione per diritti di pubblicità, contratti di lavoro con atleti, contratti di vendita dei diritti televisivi, ecc). Quanto invece alle funzioni conciliative, qualora le parti si siano accordate per impegnarsi a risolvere eventuali controversie sportive tramite l’aiuto di un Conciliatore, queste devono indirizzare una domanda scritta al T.A.S./C.A.S.e la procedura si svolge dinanzi la Seconda Sezione dello stesso. Il Conciliatore aiuterà le parti a trovare una soluzione alla controversia anche se non potrà imporre una decisione finale alle stesse. Raggiunto l’accordo questo verrà tradotto in un apposito documento sottoscritto dai presenti. Durante gli incontri le parti possono poi farsi rappresentare o assistere da persone che non devono necessariamente essere Avvocati. La procedura da seguire può essere scelta dalle parti o individuata dal conciliatore. Quanto ai costi, fino a che l’onorario non è stato pagato al T.A.S./C.A.S. la Conciliazione non è avviata. Nel caso poi di conciliazioni internazionali la clausola potrebbe anche includere previsioni sulla lingua da usare, in assenza il T.A.S./C.A.S. dovrebbe scegliere un altro idioma secondo gli accordi della Corte, in tal caso si può ordinare alle parti di pagare le relative spese di traduzione. 3. La Conciliazione sportiva in Italia : la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I. (C.C.A.S.) e la sua recente riforma Per quanto concerne, invece, la realtà italiana si evidenzia che l’istituto della Conciliazione non è un procedimento ignoto all’ordinamento sportivo. Anzi è stato oggetto nel 2000 di espressa previsione normativa regolamentare, in epoca più recente soggetta ad ulteriore riforma Infatti, già l'art. 12 dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), approvato con D.M. il 28 dicembre 2000 a seguito della significativa riforma dell’ordinamento sportivo apportata dal c.d. decreto Melandri (D.Lgs. n. 242/99), aveva istituito la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (C.C.A.S.) introducendo così una novità assoluta nell'ambito 27 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… dell'ordinamento sportivo nazionale, che fino a quel momento era privo di uno specifico organo sovrafederale di garanzia e di giustizia, ispirato al rispetto dei principi di terzietà autonomia ed indipendenza e capace di assicurare, da un lato, un numero di procedimenti giurisdizionali più celeri e, dall’altro, la riduzione del numero delle controversie sottoposte alla cognizione dell'Autorità Giudiziaria statale. Con deliberazione del Consiglio Nazionale del C.O.N.I. n. 1188 del 1° agosto 2001, e successive modifiche ed integrazioni apportate in data 03.06.2003, in attuazione di quanto previsto appunto dall'articolo 12 dello Statuto C.O.N.I. (2001), è stato poi approvato il Regolamento della Camera 2001. Di recente l’assetto dell’ordinamento sportivo è stato nuovamente oggetto di revisione da parte del legislatore attraverso il c.d. decreto Pescante (D.lgs. 15/04), a seguito del quale, per conformarsi ai principi in esso contenuto, il C.O.N.I. ha provveduto a deliberare il 23 marzo 2004 il Nuovo Statuto, approvato con D.M. il 23 giugno 2004, cui è poi seguito il nuovo Regolamento della C.C.AS. approvato il 3 febbraio 2005 il quale si distingue rispetto alla versione precedente per l’introduzione di rilevanti novità, e di recente rivisitato il 24 gennaio 20069 con alcune precisazione sulle disposizioni inerenti la Segreteria. Le previsioni del Nuovo Statuto C.O.N.I. 2004 sono molto significative atteso che le disposizioni di cui all’art. 12 Statuto C.O.N.I. 2004 consacrano definitivamente la C.C.A.S. Per quanto concerne i profili strutturali la Camera (che è formata da 9 membri: 5 fissi, tra cui il Presidente, e 4 estratti a rotazione semestrale dall’Elenco di esperti formato dalla stessa C.C.A.S.) “svolge funzioni consultive, promuove la conciliazione e presiede alle procedure arbitrali in conformità al Regolamento” (art 1) applicando le norme di diritto e le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale. Dal punto di vista funzionale, quale che sia la funzione esercitata, la Camera ha competenza ex art. 12 comma 3 Statuto 2004 con pronunzia definitiva, sulle controversie che contrappongono una F.S.N. (Federazioni Sportive Nazionali) a soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione però che: - siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque - si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale. 9 Approvato con delibera della Giunta Nazionale del C.O.N.I. n. 0057 del 24 gennaio 2006 28 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Restano in ogni caso escluse dall’area di competenza della C.C.A.S. - le controversie di natura tecnico-disciplinare che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi giorni ( art 12 co. 3); - le controversie in materia di doping 10 (art. 12 co.3); - le controversie per le quali siano stati istituiti procedimenti arbitrali nell'ambito delle Federazioni (art. 12 comma 6 Statuto). Lo Statuto 2004 prevede ancora che: alla Camera possa comunque essere devoluta con clausola compromissoria qualsiasi controversia in materia sportiva anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati ( art. 12 comma 5); nelle materie riservate agli organi di giustizia sportiva ai sensi dell’art. 2 L. 280/03 è possibile il ricorso solo all’arbitrato irrituale (art. 12 comma 8). Per quanto concerne sempre gli aspetti normativi, si segnala ancora che l’attuale Regolamento della Camera si presenta, rispetto alla versioni precedenti, soprattutto quelle 2001 e 2004, decisamente più dettagliato nell’analisi delle funzioni espletate dal Consiglio di Presidenza (per es. elezione dei componenti, emissione del parere non vincolante sulla nomina del Segretario, ricusazione e revoca degli arbitri, formazione dell’Elenco dei Presidenti dei Collegi ecc., art 1) e nella previsione di un apposito Registro di gratuito patrocinio istituito dalla Giunta Nazionale per facilitare la scelta dei difensori, la cui attività si presenta dunque come gratuita ( art.2). Significative novità, frutto dell’esperienza nel frattempo maturata, si sono introdotte, come si approfondirà in seguito, anche in materia di termini processuali. La nuova disciplina pone comunque dei dubbi interpretativi, in quanto il vecchio art. 12 comma 7 Statuto C.O.N.I. 2001, allorchè rimetteva alle parti, tramite clausola compromissoria, la possibilità di devolvere alla Camera qualsiasi controversia in materia sportiva, faceva espressamente salve le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3 vecchio Statuto (ossia quelle ora riportate agli artt. 3 e 6). 10 Questa statuizione assume ora un profilo del tutto nuovo alla luce dell’introduzione del nuovo art. 13 Statuto C.O.N.I. il quale esplicitamente prevede l’istituzione di un giudice di ultima istanza per le controversie in materia di doping . La norma, infatti, dispone che il Consiglio Nazionale deve istituire e regolamentare il Giudice di Ultima Istanza con funzioni concernenti il doping e deliberante sui ricorsi avverso le decisioni in materia degli organi di giustizia delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline Sportive Associate. L’art.13 co.2 precisa poi che gli Statuti delle F.S.N. e delle D.S.A. devono prevedere il deferimento al presente giudice e devono ridurre i termini per lo svolgimento del giudizio, conformandosi anche ai principi fondamentali emanati dal C.O.N.I. ed alle norme del nuovo Statuto. 29 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Tale dizione, invece, è stata omessa nella nuova versione dello Statuto 2004 ove si dispone genericamente che alla Camera può essere devoluta tramite clausola compromissoria qualsiasi controversia in materia sportiva (art 12 comma 5). Nel silenzio del legislatore, resta da interpretarsi il nuovo scenario attinente ai poteri di estensione della giurisdizione della Camera per volontà delle parti. La ratio legis fa propendere per interpretare la disposizione nello stesso senso della vecchia disciplina. Questo significa che le parti potranno decidere di devolvere alla Camera “qualsiasi controversia in materia sportiva”, ma restano fermi i limiti previsti dagli artt. 3 e 6 Nuovo Statuto 2004 (che, si ripete, prevede la competenza della Camera a patto che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale, e la esclude per le questioni di natura tecnicodisciplinare che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi giorni, nonchè per le controversie in materia di doping o per quelle per cui si siano istituiti procedimenti arbitrali nell'ambito delle Federazioni ). Altra differenza rispetto alla vecchia formulazione statutaria risiede anche nei soggetti “interlocutori”. Lo Statuto C.O.N.I. 2001, infatti, parlava sempre indistintamente di F.S.N., D.S.A. ed Enti di Promozione Sportiva. Il Nuovo Statuto 2004, invece, detta le sue disposizioni avendo come soggetto referente esclusivamente le F.S.N. Per ovviare al gap così creatosi al comma 7 dell’art. 12 si è appositamente stabilito che la disciplina prevista dall’articolo 12 in riferimento alle F.S.N. si applica integralmente anche alle D.S.A. (Discipline Sportive Associate) e agli Enti di Promozione Sportiva ove previsto dai rispettivi statuti. In tal ultimo senso si esprime ora anche il Nuovo Regolamento della C.C.A.S. 2006, che all’art. 29 prevede espressamente che la disciplina prevista in riferimento alle F.S.N. si applica integralmente anche alle D.S.A. e agli Enti di Promozione Sportiva ove previsto dai rispettivi statuti sicchè ogni riferimento alle F.S.N. è comprensivo del riferimento anche alle D.S.A. e agli Enti di Promozione Sportiva. Ancora, si segnala l’importanza rivestita dall’art. 28 del Regolamento il quale prevede, salvo il diritto ad ogni azione competente alle parti, che qualora ad una “decisione” (lodo arbitrale o 30 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… accordo conciliativo), non sia data esecuzione nel termine di un mese dalla data di verbalizzazione o nel diverso termine fissato dagli arbitri o dai conciliatori, la Camera, su richiesta della parte interessata, invita l’altra parte ad adempierla entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della diffida. Scaduto detto termine senza che la parte intimata abbia adempiuto, viene data notizia (con le modalità previste dal Regolamento) ed il nome dell’inadempiente è comunicato alle autorità sportive interessate per i provvedimenti di loro competenza. Per quanto concerne i profili operativi. si ricorda che la C.C.A.S. svolge una triplice funzione : consultiva, arbitrale e conciliativa; visto l’oggetto specifico del presente contributo. in questa sede ci si concentrerà principalmente sulle questioni conciliative, pur accennando alle altre funzioni. Per quanto riguarda, infatti, le funzioni consultive si ricorda brevemente che la Camera emette pareri, non vincolanti, su questioni giuridiche in materia sportiva, con esclusione di quelle avanti natura tecnico – sportiva, oppure con riferimento a controversie per cui è in atto una procedura conciliativa o arbitrale, allorché gli organi dei C.O.N.I. o le Federazioni ne facciano richiesta (ex art. 3 Regolamento). Per quanto concerne, invece, le funzioni arbitrali, si segnala che l’art. 8 del Regolamento dispone che ai sensi dell’art. 3, comma 1, ultimo capoverso, legge 17 ottobre 2003, n 280, le procedure arbitrali disciplinate nel Regolamento si applicano, alternativamente: quando sia previsto, anche mediante una specifica clausola compromissoria, nello statuto di una Federazione sportiva nazionale (ed in tal caso la procedura è ammessa a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla FSN o comunque si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell’ambito della giustizia federale); quando sia sottoscritta una clausola compromissoria negli atti di tesseramento, di affiliazione o di domanda di iscrizione ai campionati; quando vi sia comunque, tra le parti di una controversia riguardante la materia sportiva, un accordo arbitrale ai sensi dello Statuto del C.O.N.I o di una F.S.N. Il nuovo regolamento ( art 8), conferma i limiti di competenza stabiliti nello Statuto (art 12), disponendo che l’arbitrato non potrà essere instaurato nelle materie di cui all’art 4 co 4 Regolamento (vale a dire ribadendo il limite delle sanzioni inferiori a 120 giorni e delle controversie in materia di doping - già disposto ex art. 12 co. 3 Statuto - e statuendo il divieto di instaurare una procedura arbitrale per le decisioni delle F.S.N. in tema di revoca o diniego dell’affiliazione di società sportive, sulle quali ex art. 7 co. 5 Statuto C.O.N.I. ogni competenza è 31 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… riservata alla Giunta Nazionale del C.O.N.I.), nonché rinnovando l’esclusione dalle procedure arbitrali delle controversie per cui sono stati instaurati procedimenti arbitrali interni alle F.S.N., limite già previste ex art. 12 co. 6 Statuto.11. Pertanto, mentre permane ai fini arbitrali la “ pregiudizialità” dell’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione12, viene meno, invece, il riferimento all’obbligo di instaurare la procedura arbitrale decorsi inutilmente 60 giorni dalla relativa istanza di conciliazione (art. 12 co. 5 Statuto 2001). 4. La C.C.A.S. in funzione conciliativa Per quanto riguarda, quindi, più specificatamente la funzione conciliativa, il titolo III del Regolamento della Camera13 attribuisce alla stessa un’ampia competenza per la conciliazione di controversie in materia sportiva, allo scopo di favorire la composizione amichevole in tempi brevi e con costi contenuti attraverso l’intervento di conciliatori che assistono le parti. La funzione conciliativa della C.C.A.S., come si è visto, è una condicio sine qua non per poter poi attivare la procedura arbitrale, nell’eventualità che la Conciliazione non abbia avuto successo. Tale previsione risponde proprio alle esigenze di predisporre adeguati meccanismi di soluzione delle controversie estranei ai singoli ordinamenti federali e conformi al principio del giusto processo, nonché saldamente ancorati al mondo dello sport e alle sue peculiarità, ma in grado comunque di ridurre il ricorso alla giustizia dello Stato. Si segnala, inoltre, che con la previsione di tale istituzione sportiva si sono anche superate le disposizioni legislative settoriali, come quelle relative per esempio al lavoro sportivo. 11 Per completezza si osserva che sotto il vecchio Statuto 2001 la procedura arbitrale era disciplinata dall'art. 12, co. 5, il quale rinviava al rispetto delle disposizioni inderogabili degli articoli 806 e seguenti del c.p.c. e statuiva che: “qualora la controversia riguardi una Federazione Sportiva Nazionale, ovvero una Disciplina sportiva associata, ovvero un Ente di promozione sportiva che abbiano statutariamente accettato la competenza arbitrale della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, e a condizione che non sia stata raggiunta la conciliazione entro sessanta giorni dalla relativa istanza, la controversia può essere sottoposta a istanza del soggetto affiliato, tesserato o licenziato, ovvero a istanza della Federazione, ovvero della Disciplina sportiva associata, ovvero dall'Ente di promozione sportiva, ad un procedimento arbitrale presso la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport”. Tale previsione è stata abrogata nella nuova formulazione dell’art. 11 Statuto CONI 2004 ( già art. 12 Statuto CONI 2001) il quale si limita ora generalmente a stabilire al co. 4 che, in riferimento alle controversie di cui al co. 3 ( ossia quelle prima previste dal co. 2 dell’art 12 Statuto 2001), gli Statuti e i regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali, prevedono “l’eventuale procedimento arbitrale”. 12 Con l’eccezione però delle controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati, l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e per quelle individuate da regolamenti speciali o da accordi di parte. 13 Fumagalli L., op. cit., 133 ss ; per il Nuovo Regolamento cfr. www.coni.it 32 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Tale rimedio, in specie, si caratterizza per avere un carattere generale, in quanto come vedremo è suscettibile di applicazione a qualsiasi controversia sportiva, che opponga anche una federazione sportiva a soggetti affiliati, tesserati o licenziati. Al sistema gestito dalla C.C.A.S. possono poi devolversi persino controversie in cui sono coinvolti soggetti estranei all’ordinamento sportivo. La scelta del C.O.N.I. si ispira a quella compiuta dal C.I.O. nel lontano 1984 con l’istituzione dell’anzivisto T.A.S./C.A.S. e poggia sulla consapevolezza che il fenomeno generale delle A.D.R nelle controversie sportive era una realtà riscontrabile solo a livello di istituzioni straniere (seppur con differenze a seconda dei diversi Stati: in Francia per es. si era privilegiato il modello conciliativo, mentre in Spagna si era optato per la mera regolamentazione delle procedure arbitrali; nelle realtà anglosassoni, invece, come si è premesso, il modello delle A.D.R. è stato largamente recepito con tutte le differenti molteplicità di tipologie applicative). Si osserva inoltre, per completezza espositiva, che il modello adottato in Italia tiene conto del sistema francese poiché si riconosce l’importanza di ricercare previamente un accordo tra le parti, al punto da prevedere non solo la Conciliazione come un’istituzione a sé, ma anche l’imposizione di un tentativo di conciliazione, esperito il quale (anche in caso di mancato accordo, a differenza dal modello francese), è possibile ricorrere alla procedura arbitrale. Certo, rispetto al modello francese, permane la differenza in merito all’obbligatorietà della Conciliazione, per cui in Italia le procedure conciliative non avranno alcun esito se non per effetto della comune volontà delle parti. Ma vediamo ora, in maggior dettaglio, le caratteristiche peculiari. Come recita il Regolamento (art. 5 comma 2) lo scopo della procedura di Conciliazione è quello di favorire la composizione amichevole di controversie in tempi brevi e con costi contenuti attraverso l’intervento di conciliatori i quali sono incaricati di assistere le parti nella ricerca di un accordo che consenta loro di risolvere la controversia. Tale funzione conciliativa della C.C.A.S., in particolare, assume una duplice valenza. Da un lato, si presenta come una condicio sine qua non per poter poi attivare la procedura arbitrale, nell’eventualità che la Conciliazione non abbia avuto successo, e in tal senso infatti lo Statuto C.O.N.I. 2004, all’art. 12 comma 4, stabilisce che gli Statuti ed i Regolamenti delle F.S.N. devono prevedere il tentativo obbligatorio di conciliazione e l’eventuale successivo procedimento arbitrale. 33 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… La nuova formulazione dell’art. 12 Statuto 2004 non disciplina più in maniera dettagliata l’istituto della conciliazione limitandosi di fatto ex co. 4 a stabilire, come anzidetto, che in riferimento alle controversie di cui al comma 3 anzidetto, gli statuti e i regolamenti delle F.S.N., prevedono il tentativo obbligatorio di conciliazione e l’eventuale procedimento arbitrale a norma dello stesso articolo 1214. Dall’altro lato, si identifica come un modello autonomo di risoluzione delle controversie sportive. Il Regolamento, infatti, dispone (art. 4) che la Camera ha competenza a promuovere su richiesta di uno o più soggetti interessati, la Conciliazione nei seguenti casi: quando si tratta di una controversia che contrappone una F.S.N. a uno o più soggetti affiliati, tesserati o licenziati o comunque destinatari delle decisioni di cui al punto successivo; quando sono stati previamente esauriti i ricorsi interni alla F.S.N., o comunque quando si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell'ambito della giustizia federale. Alla Camera, inoltre, accanto alla competenza a decidere sulle controversie dove è intervenuta una decisione definitiva, in quanto previamente esauriti tutti i ricorsi interni sportivi o perché trattasi di decisioni non impugnabili davanti alla giustizia federale, e previo espresso accordo tra le parti, può essere devoluta ai fini della Conciliazione qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati (art. 4 comma 3 Regolamento). Resta fermo, però, che la Conciliazione non può essere richiesta, rispettivamente: da soggetti nei cui confronti è stata irrogata dagli organismi giurisdizionali federali una sanzione disciplinare inferiore a 120 giorni ovvero una sanzione per violazione delle norme antidoping; nonché avverso le decisioni delle F.S.N. in tema di revoca o diniego dell’affiliazione sulle quali, a norma dell’art. 7 comma 5 lett. n) Statuto 2004, la competenza è riservata alla Giunta Nazionale del C.O.N.I.. Il Nuovo Regolamento, inoltre, rispetto alla versione del 2004, modifica parzialmente la disciplina del tentativo obbligatorio di conciliazione, prevedendo che quest’ultimo sia obbligatorio prima dell’instaurazione di un procedimento arbitrale ai sensi del Titolo IV del Regolamento, ma escludendo da tale previsione le controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati, 14 Il vecchio statuto C.O.N.I. prevedeva che gli interessati dovevano presentare un’istanza nel termine di 60 giorni decorrenti dalla data di conoscenza della decisione federale di ultimo grado o comunque non impugnabile. 34 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e per quelle individuate in regolamenti speciali o negli accordi tra le parti . In tal senso, infatti, dispone anche il Nuovo Regolamento di arbitrato della C.C.A.S. 2006, per la “risoluzione delle controversie relative all’applicazione del manuale per l‘ottenimento della licenza UEFA da parte dei club” nonché quello relativo alle “procedure per le iscrizioni ai campionati di calcio professionistici” (art 4 ) o ancora il Nuovo Regolamento di arbitrato della C.C.A.S. per ”la risoluzione delle controversie relative all’iscrizione delle società professionistiche ai campionati nazionale di pallacanestro” (art. 4 ). Il Nuovo Regolamento disciplina poi, dettagliatamente, il procedimento d’instaurazione della procedura (art. 5) . Si prevede, infatti, che la Conciliazione possa essere richiesta da una o entrambe le parti. In particolare, la controversia è sottoposta alla Camera dal soggetto affiliato, tesserato o licenziato ovvero dalla F.S.N. o ancora da soggetti non affiliati, tesserati o licenziati ai sensi dell’art. 4 comma 3 , con istanza da presentare alla Camera entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia. Quanto all’iter instaurativo si osserva che le ultime modifiche hanno anche sostituito la precedente previsione del Regolamento del 2004 che individuava il termine di presentazione dell’istanza in 14 giorni dalla conoscenza dell’atto contestato, o entro 3 giorni dall’accettazione del difensore del Registro per il gratuito patrocinio, senza considerare ancora che il vecchio Statuto C.O.N.I. 2001 prevedeva, invece, ex art. 12 comma 4 che gli interessati dovevano presentare un’istanza di Conciliazione nel termine di 60 giorni decorrenti dalla data di conoscenza della decisione federale di ultimo grado o comunque non impugnabile. L’istanza deve contenere le informazioni necessarie per la comprensione del caso, per es. la denominazione ed il domicilio, il nome del legale rappresentante delle persone giuridiche, l’indirizzo, una breve descrizione della vicenda e delle richieste, con eventuale documentazione allegata, l’indicazione delle norme statutarie o delle clausole contrattuali che consentono il ricorso alla Conciliazione e la documentazione comprovante l'avvenuta comunicazione alla controparte. Contestualmente all’istanza, e a pena di improcedibilità, si dovranno pagare i diritti amministrativi15. 15 In tal senso cfr. la tabella allegata al Regolamento della C.C.A.S. disciplinante diritti, onorari e spese. 35 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… A questo punto il Presidente della Camera provvederà a nominare il Conciliatore scegliendolo tra i componenti dell’Elenco di esperti in materia giuridico-sportiva previsto dallo Statuto del C.O.N.I.16, di cui all’art. 1 del Regolamento stesso. Dopo l’accettazione, il suo nominativo viene comunicato alle parti a cura della Segreteria. Ciascun Conciliatore, ricevuta comunicazione dell’incarico dalla Segreteria, deve trasmettere senza indugio alla stessa la propria accettazione. Nella dichiarazione di accettazione ciascun Conciliatore deve assumere l’obbligo di riservatezza indicato all’art. 27 del presente Regolamento. In merito si osserva che la Conciliazione è un procedimento riservato, il cui svolgimento, nonchè esito, non sono destinati ad essere pubblicizzati, salvo diverso accordo, e proprio tale requisito fornisce un’ottima attrattiva per l’istituto da parte di quei contendenti che non vogliono divulgare notizie relative ai propri affari. L’attività di Conciliatore è poi gratuita ed è attribuito il gettone di presenza di cui all’art. 25 del Regolamento, per ogni incontro a cui ciascun Conciliatore partecipi. Entro 7 giorni (e non più 10 come recitava il Regolamento del 2001) dalla ricezione dell’istanza la controparte può depositare una memoria documentata a sostegno delle proprie ragioni, inviandone una copia all’istante. Il Regolamento vigente prevede che nelle controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati, l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e gli atti federali non emanati dagli organi di giustizia aventi rilevanza ultraindividuale, il Presidente della Camera può fissare un termine entro il quale la Federazione Sportiva Nazionale dovrà dare adeguata e tempestiva pubblicità, mediante l’emissione di un Comunicato Ufficiale, dell’avvenuta presentazione di un’istanza ai sensi del presente articolo, con l’indicazione della parte attrice, dell’oggetto e delle domande proposte, nonché della possibilità di intervento ai sensi ed alle condizioni di cui al presente Regolamento. Qualora la Federazione sportiva nazionale non provveda nel termine di cui sopra all’emissione del predetto Comunicato Ufficiale, lo stesso sarà pubblicato sul sito Internet del C.O.N.I. a cura della Segreteria della Camera. 16 Che, si ricorda, annovera anche magistrati a riposo dalle giurisdizioni ordinarie amministrative e contabili, nonchè avvocati e professori universitari. 36 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… La disciplina prevede inoltre (art. 5 comma 10) la possibilità dell’intervento di un terzo al procedimento di conciliazione da altri iniziato, qualora abbia nella controversia insorta tra le parti un interesse individuale e diretto, specificando le ragioni di tale istanza, il fondamento della propria legittimazione e l'interesse che la giustifica e formulando le conclusioni che intende proporre nella Conciliazione. Sull’istanza di partecipazione decide il Presidente della Camera, sentite, ove occorra, le altre parti. Per quanto concerne, più in particolare, l’incontro di conciliazione, il Regolamento (art. 6) è dettagliato nel prevedere che le parti sono invitate ad uno o più incontri di conciliazione condotti sotto il profilo processuale in maniera informale, sentendo le stesse separatamente o congiuntamente, in modo da favorire la ricerca di una soluzione amichevole della controversia. Nello specifico, le parti devono presentarsi all’incontro di conciliazione, personalmente o a mezzo di procuratore, e partecipare in buona fede al tentativo di conciliazione, ma possono dichiarare di voler abbandonare la procedura ove si convincano che questa non abbia prospettive di successo. Il primo incontro, in ogni caso, deve effettuarsi nel termine di 7 giorni dalla data di deposito dell’accettazione (e non più 20 giorni come stabiliva il Regolamento del 2001). Il Conciliatore può invitare a partecipare al procedimento di conciliazione altre parti, se ritiene che abbiano un interesse rilevante e diretto nella questione, nonché (secondo la novità introdotta nel 2005) chiedere anche eventuali chiarimenti ed informazioni alle autorità sportive. Nell’ipotesi in cui l’accordo conciliativo sia raggiunto, questo viene formalizzato per iscritto e firmato da tutti i partecipanti, ossia parti e Conciliatore. Più in particolare, queste ultime sono obbligate a dare esecuzione all'accordo nei termini stabiliti dallo stesso. In merito si ricorda l’anzidetto art. 28 del Regolamento che prevede che, salvo il diritto ad ogni azione competente alle parti, qualora ad una decisione non sia data esecuzione nel termine di un mese dalla data di verbalizzazione, o nel diverso termine fissato dagli arbitri o dai conciliatori, la Camera, su richiesta della parte interessata, invita l’altra parte ad adempierla entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della diffida. Scaduto detto termine senza che la parte intimata abbia adempiuto, si darà notizia (con le modalità previste dal Regolamento) e il nome dell’inadempiente sarà comunicato alle autorità sportive interessate per i provvedimenti di loro competenza. 37 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Oltre a ciò, salvo il diritto ad ogni azione competente ai creditori, tali disposizioni si applicano anche nei confronti delle parti che si rendessero inadempienti al pagamento dei diritti amministrativi, onorari e spese di cui al Regolamento. A tal proposito, si osserva che il Regolamento della C.C.A.S. non prevede una disciplina analoga all’art. 185 c.p.c., e pertanto in alcun caso il verbale di conciliazione può considerarsi titolo esecutivo. Si precisa inoltre che l’accordo conciliativo è un atto delle parti ed in nessun caso può considerarsi atto della Camera o del C.O.N.I. Il nuovo art. 6 comma 6 prevede anche che in caso di raggiungimento dell’accordo, e salvo diverso contenuto dello stesso, la controparte è tenuta a versare alla parte istante la metà dei diritti amministrativi da essa corrisposti. Il Regolamento, ancora, prevede che il Conciliatore possa non sottoscrivere il verbale di conciliazione, dandone motivata comunicazione scritta alle parti, ovvero apporvi le sue osservazioni, qualora ritenga che l’accordo non sia conforme a norme e usi dell’ordinamento sportivo nazionale o internazionale o ai principi di etica sportiva e di equità. Si precisa poi che entro il termine perentorio di sessanta giorni dal deposito dell’istanza di conciliazione, se le parti non hanno raggiunto un accordo o (secondo la nuova previsione del Regolamento) non hanno presentato istanza motivata di proroga di tale termine, la procedura viene dichiarata estinta dal Conciliatore, ma resta fermo che l’insuccesso della procedura di conciliazione non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti, tanto che si sottolinea espressamente che le dichiarazioni delle parti, e quanto verificatosi nel corso di tale procedura, non potranno essere utilizzati in eventuali procedure arbitrali né potranno essere utilizzati per altri fini. 38 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… 5. Rassegna di casi della C.C.A.S. in sede conciliativa Come è emerso dalle pagine precedenti, in Italia la C.C.A.S., ufficialmente insediatasi come detto nel 2001, è ormai divenuta un punto di riferimento rilevante nell’ordinamento sportivo interno, quale organo di risoluzione alternativa delle controversie, specie in sede conciliativa. A conferma di tale assunto, pare utile esaminare, seppur sinteticamente, la relativa casistica.17 Per ragioni di opportunità redazionale e maggior chiarezza espositiva, la classificazione delle procedure conciliative più significative che si analizzeranno seguirà il criterio distintivo dell’effettivo buon esito o meno della Conciliazione della controversia. 5.1. Esito negativo della Conciliazione Come detto, secondo Regolamento, il Conciliatore esperisce il tentativo di Conciliazione, fissando gli incontri all'uopo opportuni, ma non può imporre in alcun modo la Conciliazione; essa deve essere la conseguenza naturale di un accordo intercorso tra le parti, ragion per cui di fronte ad una netta presa di posizione della controparte di rifiuto della procedura conciliativa, il Conciliatore non può che prenderne atto. Le ragioni per cui una Conciliazione possa non portare ad una soluzione positiva della controversia possono risiedere in diverse motivazioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, la Conciliazione non ha successo: perché una parte all’ultimo decide di rinunciare o di non voler proseguire con la procedura conciliativa e pertanto non si presenta all’incontro fissato con la controparte; A titolo esemplificativo si ricorda il procedimento instaurato dal Cagliari Calcio S.p.A. ove all’incontro del 16 febbraio 2005 il Conciliatore, preso atto dell’Accordo Transattivo sottoscritto tra la società Cagliari Calcio S.p.A. ed il Cosenza Calcio 1914 S.p.A., pervenuto lo stesso giorno, dichiarava concluso il procedimento per rinuncia della parte istante. - perché una parte non accetta i termini dell’accordo proposto dal Conciliatore o le parti non riescono a trovare alcun punto di contatto tra le rispettive esigenze; 17 Cfr. www.Coni.it; Colantuoni L., op. cit., 419 ss 39 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Tale ipotesi si manifesta con frequenza di casi molto alta. Per esempio, è quanto avvenuto a proposito del procedimento promosso in data 15 febbraio 2002 dal calciatore Jakob Stam, nei confronti della F.I.G.C.: l’avvocato della F.I.G.C aveva espresso l’indisponibilità della medesima a pervenire ad una sollecita Conciliazione con la memoria ex art. 4, comma 8, e ha confermato suddetta posizione nel primo incontro. Nel successivo ed ultimo incontro, avvenuto il 2 marzo 2002, il Conciliatore prendeva atto della posizione della controparte e dichiarava chiusa la procedura di Conciliazione. Ancora si ricorda la procedura instaurata dall’A.C.I. Sanremo contro l’A.C.I. in merito al diritto dello stesso di gestire una gara del campionato rally sia italiano sia mondiale. In particolare, i difensori dell'A.C.I. Sanremo, nell’incontro del 18 marzo 2004, contestavano le confutazioni alla posizione rappresentata dall'A.C.I. Sanremo, sia in ordine all'organizzazione di prova mondiale rally, sia in ordine alle conseguenze derivate dalla privazione dell'organizzazione di prove per il calendario 2004. Esse rilevavano anche l'impossibilità di replicare all'eccezione da ultimo sollevata in merito ad una non meglio identificata "nullità della procedura", che avrebbe dovuto essere formulata prima dell'udienza. I rappresentanti, inoltre, rammentavano la richiesta di rinvio che era stata concessa per verificare la fattibilità della proposta, preventivamente richiesta all'A.C.I. Sanremo e che ciò aveva condotto il legale dell'A.C.I. – C.S.A.I. a richiedere il differimento dell'udienza ed il rinvio. Il Conciliatore dato atto dell’impossibilità per le parti di pervenire ad un accordo per le evidenti divergenze manifestate all’incontro dichiarava conclusa la procedura per mancato accordo tra le parti. - perché ostano ragioni procedurali rivelatesi poi preclusive. Questa categoria presenta invece i casi più disparati. Con riferimento al requisito del previo esaurimento dei ricorsi interni alla Federazione di appartenenza si segnala l’esito dell'istanza presentata dalla Fortitudo Pallacanestro nei confronti della F.I.P. L'istante lamentava che il ricorso proposto dal giocatore De Pol al Collegio Arbitrale ai sensi degli artt. 39, comma 4, dello Statuto della F.I.P. e 161 ss. del Regolamento Organico della F.I.P. era viziato da difetto di giurisdizione dell'organo giudicante ed in subordine dall'illegittimità della composizione di quest'ultimo; inoltre si sosteneva, in via principale, che fosse nullo il contratto nel quale risultava la clausola compromissoria ed in via subordinata che gli arbitri aditi non fossero quelli previsti nel contratto. 40 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… La Camera, nell'incontro del 14 maggio 2002, deliberava che l'eccepito difetto di giurisdizione non rientrava nella competenza della Camera, in quanto doveva essere sollevato davanti agli stessi organi di giustizia federale nei cui confronti si voleva farlo valere; nell'incontro del 15 giugno il Conciliatore, a fronte di una nota della parte istante, confermava quanto espresso nell'incontro del 14 maggio, ricordando il terzo comma dell'art. 12 dello Statuto C.O.N.I. (nel testo in allora vigente ad esito del D. Lgs. 242/1999 c.d. Decreto Melandri) secondo il quale restano escluse dalla competenza della Camera di Conciliazione e arbitrato dello sport tutte le controversie tra soggetti affiliati, tesserati o licenziati, per le quali siano istituiti procedimenti arbitrali nell'ambito delle F.S.N., ovvero delle D.S.A., ovvero degli Enti di promozione sportiva (art. 12, comma 3, Statuto C.O.N.I. 2000). Nella fattispecie, essendo competente sulla questione il Collegio delle Vertenze arbitrali ai sensi dello statuto della F.I.P., si escludeva la competenza della Camera. Di conseguenza davanti a quest'ultima non potevano essere addotte ragioni attinenti al merito della controversia. Ancora, a titolo esemplificativo, si ricorda la vicenda relativa al Cosenza Calcio S.p.A. in merito alle vicende portate all’attenzione della C.O.V.I.S.O.C.; nell’incontro del 25 agosto 2003 il rappresentante della F.I.G.C. faceva presente l’impossibilità per la Federazione di aderire ad alcuna ipotesi conciliativa, poiché gli atti oggetto di censura da parte del Cosenza Calcio erano stati emessi da Organi Tecnici e come tali potevano essere valutati in sede di riesame solo dalla Camera in sede Arbitrale. Il Conciliatore, prendendo così atto che tra le parti non si era raggiunto alcun accordo, dichiarava estinta la procedura per mancato accordo tra le parti. Sulla stessa linea si pone anche il procedimento instaurato dall’Aquila Calcio, dove il rappresentante della società sottolineava nell’incontro del 21 agosto 2003 come la stessa appariva meritevole di essere ammessa al Campionato di competenza avendo la stessa comprovato l’esecuzione degli adempimenti richiesti e di cui al C.U. F.I.G.C. 151/ A. Il rappresentante della F.I.G.C. pur apprezzando il comportamento della società, che nel frattempo aveva anche disposto un aumento del capitale sociale superiore all’indebitamento contestato, riteneva tuttavia che la materia conteneva valutazioni strettamente tecniche già effettuate dagli organi competenti e come tali eventualmente oggetto di riesame esclusivamente in sede arbitrale, e riteneva pertanto l’impossibilità di pervenire ad una Conciliazione. Per tali motivi il Conciliatore dichiarava conclusa la procedura per mancato accordo. 41 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Sempre poi con riferimento a mancati accordi conseguenti a vizi procedurali si ricorda il procedimento instaurato dal Savona Calcio e teso al ripescaggio della società; secondo il Legale della F.I.G.C. nell’incontro del 13 settembre 2004 non sussistevano i margini per una Conciliazione della vicenda in quanto la società aveva presentato fuori termine – un termine dichiarato perentorio -i documenti che potessero consentire l’eventuale ripescaggio della società Savona Calcio 1907 S.r.l., anche in considerazione del fatto che una Conciliazione nei termini di cui all’istanza del Savona Calcio 1907 S.r.l. avrebbe inciso sulle posizioni soggettive di tutte le squadre partecipanti al campionato di Serie C2. Secondo il Legale del Savona Calcio 1907 S.r.l., invece, il termine non doveva essere considerato perentorio ed era quindi possibile integrare la documentazione. Il Conciliatore, alla luce della documentazione presentata dal Savona Calcio 1907 S.r.l. e delle dichiarazioni rese dai rispettivi rappresentanti, stante le diverse posizioni sostenute dichiarava concluso il procedimento per mancato accordo. Infine, con riferimento all'obbligo in capo alle parti di ispirare il proprio comportamento ad un principio di buona fede ex art. 4, comma 4, in alcuni casi si è riscontrato un comportamento delle parti in contrasto con esso. Innanzitutto si ricorda il procedimento intercorso tra il Cosenza Calcio S.p.A. e la F.I.G.C. ove nell’incontro del 11 agosto 2004 la Federazione comunicava l’impossibilità della stessa di partecipare al suddetto incontro e comunque l’indisponibilità della stessa a pervenire ad una Conciliazione. Il Conciliatore, preso atto delle richieste formulate dai rappresentanti della parte istante, disponeva la sospensione del procedimento e mandava comunicazione alla segreteria di inviare alla F.I.G.C. il verbale dell’incontro al fine di comunicare al Conciliatore le proprie ufficiali determinazioni in ordine all’istanza di Conciliazione in oggetto, atteso che la comunicazione inviata all’incontro non costituiva posizione ufficiale della Federazione in quanto (come dichiarato dallo stesso legale della F.I.G.C.) non vi era stato il tempo di acquisire la delega alla Conciliazione. Ad ogni modo, il Conciliatore stigmatizzava il comportamento delle F.I.G.C. che, pur considerata l’urgenza della procedura adottata, non si era presentata all’incontro conciliativo fissato e non aveva presentato neanche alcuna istanza né di rinvio né di chiusura negativa della procedura con ciò incorrendo in una condotta contraria alla buona fede di cui all’art. 4.4. del Regolamento. 42 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Nel successivo incontro del 17 agosto 2004 i rappresentanti delle parti osservavano che la questione non era superata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI n. 5364/2004, in quanto la stessa sentenza non si era occupata della questione del titolo sportivo relativamente alla serie C1, mentre la richiesta subordinata relativa alla serie C2 trovava specifico fondamento proprio nella sentenza n. 5364/2004: si ribadiva, quindi, la necessità che il Conciliatore, al fine specifico di poter esercitare la funzione attribuitagli, avesse conoscenza piena e completa degli atti in relazione ai quali era stata proposta l’istanza di Conciliazione e in particolare del provvedimento emanato in data 27 luglio 2004 dal Consiglio Federale della F.I.G.C., con il quale lo stesso stabiliva che non era possibile inquadrare la Società Cosenza Calcio 1914 S.p.A. nei campionati professionistici e ribadiva quindi l’istanza istruttoria proposta nell’atto introduttivo e all’udienza dell’11 agosto 2004.. Il Conciliatore, visti gli atti della Conciliazione ed in particolare la memoria della F.I.G.C. del 13 agosto prot. 1070, con cui la Federazione per i motivi ivi esposti dichiarava formalmente di abbandonare il procedimento di Conciliazione, considerata l’insussistenza di poteri istruttori in capo al Conciliatore in base al Regolamento, disponeva la chiusura della procedura conciliativa e trasmetteva, per aderire a specifica richiesta della F.I.G.C. gli atti della Conciliazione al Presidente della Camera, affinché si sottoponesse al Consiglio di Presidenza della Camera la richiesta cancellazione della qualificazione della condotta del rappresentante della F.I.G.C. come contraria alla buona fede di cui all’art. 4.4 del Regolamento. Pare inoltre interessante analizzare il procedimento intercorso tra il tesserato A. Longo, parte istante, e la F.I.D.A.L. Nella circostanza, desumibile dal verbale 9 maggio 2002, il Conciliatore esprimeva il proprio rammarico per il mutamento d'opinione registrato in capo alla F.I.D.A.L. che, in un primo momento, aveva espresso la volontà di addivenire ad una soluzione amichevole della controversia. Nell'occasione il tesserato preannunciava di depositare in pari data istanza di arbitrato. Proprio quanto alla volontà espressa in seduta camerale di esperire il procedimento arbitrale, analoga situazione si è avuta nel procedimento tra il calciatore M. Ferrigno e la F.I.G.C., nel corso del quale, a fronte della dichiarazione di quest'ultima recante la propria indisponibilità a trattare, l'istante anticipava la propria intenzione di instaurare il procedimento arbitrale. Con riferimento infine al procedimento promosso dal ciclista G. Sinoppi nei confronti della F.C.I., quest'ultima risultava assente all'incontro del 16 novembre 2001, ed il Conciliatore, preso atto della volontà dell'istante che ritiene inutile la prosecuzione del procedimento, dichiara chiuso il medesimo. 43 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Quindi, dai procedimenti analizzati, se nessuna particolare inerzia o negligenza può essere imputata al Conciliatore, per quanto concerne le parti, queste ultime in taluni casi hanno mostrato un atteggiamento ostruzionistico verso una soluzione amichevole in via conciliativa della controversia. 5.2. Esito positivo della Conciliazione Sono tuttavia assai numerosi i casi in cui la procedura conciliativa presso la C.C.A.S. ha conseguito esito positivo. All’accordo conciliativo, come detto, si può pervenire principalmente in virtù di una corrispettiva rinuncia alle pretese da parte degli interessati. Antesignano di questo tipo di accordi conciliativi è stato il procedimento intercorso tra la Free Basket Arezzo e la F.I.P., conclusosi nell'incontro del l ottobre 2001. Da una parte la F.I.P. riconoscendo la causa di forza maggiore, si dichiarava disponibile a riammettere la società sportiva al campionato di serie A2 femminile, nel contempo la parte istante rinunciava a tutti i giudizi pendenti di fronte al T.A.R.., alla Corte Federale e a qualsiasi altra pretesa economica connessa con la retrocessione e lo svincolo delle tesserate, nonché a ricorrere alla giustizia ordinaria e a presentare alla Camera istanza relativamente al procedimento di fronte alla Corte Federale. Il Conciliatore dichiarava conclusa nei siffatti termini la Conciliazione. Si sono poi avuti una serie di accordi conciliativi intercorsi nell'ottobre del 2001 a proposito della nota vicenda di «Passaportopoli» nel calcio professionistico; numerosi giocatori extracomunitari erano stati trovati in possesso di passaporti falsi e gli organi di giustizia sportiva avevano comminato sanzioni pesanti a carico dei giocatori e dei dirigenti tesserati e delle società di appartenenza; nell'occasione, il ricorso alla Camera in sede conciliativa ha ottenuto risultato di ridurre sensibilmente le squalifiche a fronte di una corrispettiva rinuncia da parte degli istanti. A tale proposito, in data 12 ottobre 2001 hanno conseguito esito positivo numerose procedure conciliative. La prima che si analizza è quella relativa al caso del calciatore interista Recoba, che coinvolse anche la stessa società Inter ed i relativi dirigenti. In tale procedimento la F.I.G.C., ribadita l'illegittimità ed intangibilità delle decisioni degli organi di giustizia federale, considerati i titoli sportivi del dirigente della società Inter sig. Oriali (già calciatore campione del mondo 1982) e la disponibilità del calciatore Alvaro Recoba a collaborare in attività di propaganda dei valori sportivi e del 44 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… gioco del calcio nonché ad iniziative a favore della prevenzione di episodi di violenza e razzismo in occasione di manifestazioni sportive, si dichiarava disponibile alla Conciliazione. Il Conciliatore, preso atto di siffatta disponibilità, sull’accordo delle parti, disponeva quanto segue: - la squalifica a carico del calciatore A. Recoba era ridotta al 31 ottobre 2001; - l'inibizione a carico del dirigente Oriali era ridotta al 31 dicembre 2001; - l'ammenda a carico della società Inter era ridotta alla somma di lire 1.400.000.000. Il giocatore Recoba s'impegnava ad effettuare le prestazioni promozionali di cui sopra e tutte le parti istanti rinunciavano ad ogni pretesa a qualsiasi ragione e titolo rivendicabile nei confronti della F.I.G.C. Le altre procedure in ambito “passaportopoli” furono del tutto simili a quella descritta; a fronte di una rinuncia da parte degli istanti, nella specie tesserati e società sportive, «ad ogni pretesa, a qualsiasi ragione e titolo rivendicabile nei confronti della F.I.G.C., suoi organi e componenti», si raggiunse una Conciliazione, con forte riduzione delle sanzioni a carico delle società sportive e delle squalifiche a carico dei giocatori e dirigenti coinvolti nel tesseramento "illegittimo" in questione. Per promemoria, suddetti procedimenti si riferivano alle seguenti società sportive (e relativi tesserati): Vicenza per il tesseramento del calciatore Jeda; A.C. Milan per il caso Dida; Sampdoria per i giocatori (tra l'altro minori d'età) Mekongo, Ze Francis e Job; Udinese per il calciatore Alberto Neto. Del tutto simili nell'impostazione, anche se diversi quanto al fatto storico, risultano altre procedure più recenti. Innanzitutto, quella che si è conclusa con l'incontro del 31 luglio 2002, che vedeva l'A.P.G. Bears Pallacanestro Mestre quale parte istante opposta alla F.I.P.. Dietro la richiesta del Conciliatore di cercare una soluzione amichevole della controversia ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, si conveniva quanto segue; la società sportiva da un lato veniva ammessa al campionato di serie B Eccellenza per l'anno 2002-2003, poi disputato con un numero di squadre dispari e dall'altra rinunciava a qualsiasi pretesa nei confronti della FIP. Come si evince, lo schema è il seguente: riammissione del titolo sportivo da una parte e correlativa rinuncia della società beneficiaria ad avanzare alcunché nei confronti della Federazione dall'altro. 45 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Ulteriore caso interessante è quello del 21 maggio 2003 relativo al calciatore Stefano Currò al quale la F.I.G.C. aveva inflitto una pesante sanzione di squalifica a causa dei comportamenti ingiuriosi tenuti dal giocatore, durante una partita, nei confronti dell'arbitro. Il Conciliatore suggeriva alle parti di valutare le peculiarità del caso e cioè la minore età del giocatore e il sincero pentimento mostrato dal giocatore per la vicenda di cui si era reso protagonista; a tal fine consigliava di valutare la possibilità di ricorrere ad istituti peraltro contemplati dall'ordinamento sportivo, quali la commutazione della sanzione, tenendo conto che la F.I.G.C., in casi precedenti ed analoghi, aveva ritenuto di poter legittimamente ridurre, in sede di Conciliazione, la sanzione. Il giocatore, dal canto suo, era disposto, essendo consapevole della gravità della sua azione, a partecipare a quelle iniziative che la Federazione avrebbe ritenuto opportune. La F.I.G.C., per sua parte, ribadiva la gravità della vicenda e la necessità del rispetto delle regole come valore etico fondamentale di ogni attività sportiva, e osservava, altresì, come nella Conciliazione, i relativi atti non costituivano un precedente. La Federazione, però, prendeva in considerazione le indubbie peculiarità del caso e si rendeva pertanto disponibile a commutare parte della sanzione. Sulla base di tali considerazioni, le parti, con l'ausilio del Conciliatore, si accordavano nel modo seguente: parte del periodo di squalifica era commutato in ammenda e il giocatore avrebbe dovuto inviare lettera di scuse all'arbitro e partecipare ad un certo numero di riunioni A.I.A. ed attività di promozione del “fair play” e della correttezza nello sport. Il precedente cui si è riferito il Conciliatore è quello riguardante il caso V. Amato del 18 settembre 2002, nel quale il giocatore, anch'egli minore, aveva tenuto comportamenti violenti in sede di partita. L'accordo conciliativo è simile al precedente giacché si stabilisce, proprio per le peculiarità del caso, di commutare parte della squalifica in sanzione e si prevede l'obbligo per il calciatore di partecipare ad un certo numero di riunioni A.I.A. ed attività di promozione etica. Nello stesso senso si ricorda anche il procedimento proposto dall’A.C. Ostuni Sport contro la F.I.G.C. per la squalifica inflitta ad un tesserato reo di aver assunto un atteggiamento censurabile ed in relazione al quale nell’incontro del 10 novembre 2003 le parti erano pervenute ad un accordo conciliativo in virtù del quale la sanzione poteva essere in parte commutata con la corresponsione da parte della società di una donazione a favore di enti locali di assistenza e con analoghe iniziative . 46 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Sempre nella medesima direzione va ricordato anche il procedimento instaurato dall’A.S. Valdera Calcio e dal suo Presidente, il quale all’incontro del 19 luglio 2004 dichiarava di essersi reso conto che il proprio comportamento, adottato in occasione dei fatti in questione, era da ritenersi censurabile e se ne dichiarava pentito, ribadendo la propria buona fede e l’assoluta assenza di qualsivoglia intento elusivo delle norme federali. Sottolineava poi i traguardi raggiunti in pochi anni dalla A.S. Valdera Calcio nell’ambito del calcio giovanile e gli ottimi risultati conseguiti dalla stessa nella Classifica Disciplina della Regione Toscana e pertanto chiedeva che, alla luce di una più completa visione dei fatti, si potesse ridurre la sanzione inflitta a se stesso ed alla associazione, al fine di non penalizzare la passione e l’attaccamento alla squadra dei suoi giovani tesserati, dichiarandosi peraltro disponibile a commutare tutta o parte della sanzione in un’opera di beneficenza. Il rappresentante della F.I.G.C. ribadiva preliminarmente la legittimità ed intangibilità delle decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva ed esprimeva quindi apprezzamento per il tentativo di Conciliazione proposto dal Conciliatore. Sentito quindi il Comitato Regionale del SGS della Toscana e la presidenza del Settore Giovanile e Scolastico, nonché tenuto conto dei buoni precedenti disciplinari della A.S. Valdera Calcio, manifestava quindi la disponibilità della Federazione a rivedere la sanzione comminata, in considerazione dei particolari aspetti prospettati dai ricorrenti. Il Conciliatore interveniva dunque per sottolineare come la riduzione della sanzione inflitta al Presidente ed alla A.S. Valdera Calcio, trattandosi di associazione sportiva attiva nel calcio giovanile, potesse essere eventualmente compensata con la corresponsione da parte del Presidente di una donazione destinata ad enti dedicati all’infanzia come l’U.N.I.C.E.F., istituzione con la quale il S.G.S. della F.I.G.C. aveva (ed ha) già in essere attività di sostegno. Esposte e preso atto delle rispettive considerazioni, le parti dichiaravano di pervenire ad una Conciliazione che prevedeva la revoca dell’ammenda, la riduzione dei punti di penalizzazione inflitti alla società a fronte della corresponsione della donazione all’U.N.I.C.E.F . Ulteriormente significativa è ancora la vicenda dell’U. S. Ragusa Calcio, in merito ad un procedimento avente ad oggetto la richiesta di revoca della squalifica del campo di gioco. In particolare la U.S. Ragusa S.r.l. nell’incontro del 8 novembre 2004 evidenziava che la sanzione comminata dagli organi della giustizia sportiva risultava oltremodo afflittiva in ragione sia delle ingenti spese che la società stava affrontando e che avrebbe dovuto in futuro affrontare sino al termine dell’anno solare in corso, per organizzare le trasferte in campo neutro, sia per le difficoltà 47 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… organizzative relative al reperimento di un terreno di gioco in una realtà territoriale carente di strutture. La società istante proponeva, pertanto, come soluzione conciliativa, la commutazione della squalifica del proprio campo nell’obbligo per la società di disputare “a porte chiuse” tutte le partite casalinghe in calendario, oltre al rimborso alla F.I.G.C. dei diritti amministrativi e delle spese della procedura. La società istante riteneva, inoltre, che la disputa delle partite casalinghe a porte chiuse costituisse un maggiore monito nei confronti della comunità locale per un comportamento in campo e sugli spalti caratterizzato dal fair play. La F.I.G.C., visto il positivo atteggiamento della società istante e l’impegno assunto dalla stessa a porre in essere misure contro il reiterarsi di episodi di violenza, reputava di poter accogliere la proposta conciliativa della U.S. Ragusa S.r.l. e aderiva pertanto alla stessa proposta Infine possiamo citare il caso del calciatore Luciano Siquera de Oliveira del 16 dicembre 2002. Il Conciliatore, anche in questo caso, ricordava alla F.I.G.C. che in casi precedenti attinenti a violazioni regolamentari in materia di cittadinanza, aveva ritenuto di poter ridurre la sanzione della squalifica. Il giocatore, inoltre, osserva come tali vicende, sicuramente in sé molto gravi, siano riconducibili ad eventi risalenti al tempo della sua giovinezza. Il rappresentante della F.I.G.C., pur ribadendo la non vincolatività dei precedenti e la gravità della vicenda, si dichiarava disponibile a conciliare. Si stabiliva, quindi, la riduzione della squalifica e l'utilizzo dell'ammenda inflitta al giocatore per la costruzione di spazi dedicati allo sport. Nel 2005 la CCAS ha visto lo svolgimento di diverse vicende conciliative. Anzitutto si segnala l’incontro del 21 febbraio 2005 che ha visto coinvolta la FIGC contro un suo tesserato ed in cui le parti addivenivano ad accordo conciliativo convenendo che a fronte della riduzione della squalifica il Sig. Aprea, tesserato FIGC, si impegnava a rimborsare alla Federazione i diritti amministrativi sostenuti per il procedimento e pari all’importo di € 150,00 . Nell’incontro del 20 luglio 2005, invece, in occasione di un procedimento che vedeva contrapposti la FIT (Federazione Italiana Tennis) ed un suo tesserato, il sig. E. Trezzi e relativo ad una interdizione a cariche federali, ancora una volta le parti si accordavano sulla misura della sanzione, risolvendo così stragiudizialmente la controversia. 48 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Per quanto concerne invece gli interventi della CCAS nel 2006 si ricorda il procedimento che ha visti coinvolti il Sig. P. Para e la FIGC ed in merito al quale le parti nell’incontro del 6 aprile 2006 hanno raggiunto un accordo convenendo che da un lato il Sig. Para non solo avrebbe abbandonato ogni pretesa nei confronti della F.I.G.C. ma avrebbe anche versato una determinata somma di denaro alla Federazione, affinchè questa la impiegasse per fini sociali, e si sarebbe reso disponibile ad organizzare entro il 2007, di concerto con la Lega Dilettanti ma con oneri a suo carico, una manifestazione sociale i cui ricavati sarebbero stati destinati a fini di beneficenza. A fronte di tali adempimenti la Federazione avrebbe ridotto la sanzione inflittagli dagli organi di Giustizia Sportiva. Ancora, si segnala una procedura avente ad oggetto un’istanza relativa ad una penalizzazione inflitta dagli organi di giustizia Sportiva e conclusasi il 12 giugno 2006 tra la Lega Nazionale Dilettanti (LND), il Comitato Regionale della Campania della FIGC e la Società Sportiva Dilettantistica Eclanese al cui esito le parti si sono conciliate stabilendo che a fronte del versamento da parte del sodalizio sportivo al Comitato Regionale della somma di 3000,00 €, da destinarsi ad opere benefiche, e dell’assunzione di tutte le spese procedurali, la LND accettava di ignorare ai fini della gare delle Coppa Disciplina la sanzione della penalizzazione contestata. Per completezza di esposizione, deve tuttavia segnalarsi, che se nei primi anni di vita della C.C.A.S. gli accordi conciliativi conclusi davanti a tale organismo avevano raggiunto un numero considerevole, negli ultimi due anni tale percentuale e lievemente scesa. Uno degli esempi più eclatanti in tal senso è la recente vicenda dello scandalo “Calciopoli” che ha animato l’estate del 2006. Al termine dei due gradi di giustizia interna alla FIGC, infatti, le società coinvolte ( Milan, Juventus, Lazio Fiorentina) non soddisfatte dalle sanzioni loro comminate, prima dalla CAF ed in seguito dalla Corte Federale, hanno proseguito le vie dei ricorsi interni arrivando così davanti al massimo organo di giustizia sportiva ovvero la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso il CONI. Inizialmente le società hanno presentato istanza di conciliazione. In particolare la Juventus F.C. S.p.A nella seduta del 18 agosto 2006 ha evidenziato che la medesima aveva provveduto ad attuare un’opera di profondo rinnovamento dei quadri societari e dello svolgimento delle attività sociali connesse all’attività sportiva che riguardavano oltre quattrocento giocatori e si dichiarava ampiamente disponibile a collaborare nel processo di 49 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… rinnovamento del mondo calcistico con la Federazione, tenendo conto del fatto che il sodalizio rappresentava il 25% della tifoseria italiana. Premesso di reputare le sanzioni comminate dalla Corte Federale sproporzionate ai fatti accertati ed alle conseguenze economiche che ne sarebbero derivate, proponeva poi che le stesse sanzioni fossero modificate rispettivamente in: a. riammissione della squadra in Serie A, seppure con penalizzazione; b. riassegnazione del titolo di Campione d’Italia 2005/2006. Al procedimento intervenivano anche come terzi interessati diverse società sportive. Il Brescia Calcio S.p.A., nell’ipotesi di conciliazione tra le parti incentrata sul depennamento della penalizzazione delle sanzioni accessorie, chiedeva che si desse luogo alla commutazione della adottata sanzione della retrocessione all’ultimo posto in classifica in quella della esclusione dal campionato, con successiva assegnazione al campionato di Serie B. L’U.S. Lecce S.p.A., si dichiarava invece disponibile a pervenire ad una conciliazione della controversia solo a condizione che, in luogo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 13, comma 1, lett. g) CGS, venisse comminata nei confronti della società Juventus F.C. S.p.A la sanzione della esclusione di cui all’art. 13, comma 1, lett. h) CGS, con l’assegnazione della società istante al campionato di Serie B. Subordinatamente all’accoglimento della predetta proposta conciliativa, la U.S. Lecce S.p.A. non si opponeva ad ipotesi conciliative riguardanti le altre sanzioni comminate alla società istante. Il F.C. Messina Peloro S.r.l., ritenendo che le decisioni della Corte Federale non fossero conciliabili in questa sede, in quanto già frutto di un’ampia rivisitazione della normativa sull’illecito sportivo, si dichiarava indisponibile ad aderire alla richiesta avanzata in via principale dalla parte istante, rimettendosi alle determinazioni della Federazione per quanto riguardava le sanzioni accessorie. I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, prendevano atto ed apprezzavano i cambiamenti già effettuati e le linee guida di rinnovamento indicate dalla società istante. In merito alla proposta di conciliazione della parte istante, nonché alle diverse proposte emerse dagli interventi delle società terze, ritenevano però di non poter aderire alle stesse in quanto, il loro eventuale accoglimento, avrebbe comportato inevitabilmente l’incidenza diretta su posizioni di contro-interessati di cui essa non poteva disporre anche in ragione del proprio ruolo istituzionale super-partes. 50 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto della mancanza di una volontà conciliativa, dichiarava così concluso il procedimento per mancato accordo tra le parti. Fallita così la conciliazione la società bianconera presentò ricorso al TAR Lazio per poi ritirarlo, dopo un lungo braccio di ferro con la FIGC che minacciava pesanti sanzioni, e passò anch’essa alla via dell’arbitrato sportivo. In data 23 agosto 2006 è invece la società S.S. Lazio S.p.A. a presentarsi alla conciliazione ma i rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta conciliativa avanzata dai rappresentanti della S.S. Lazio S.p.A., dichiaravano di non poter aderire, allo stato, alla proposta nei termini prospettati. All’esito di un ulteriore approfondimento, la parte istante nell’auspicio di pervenire alla soluzione della controversia nell’ambito dell’ordinamento sportivo, dichiarava che, nell’ipotesi di mancata conciliazione, intendeva proporre la procedura arbitrale, ai sensi del Regolamento della Camera. La FIGC, apprezzando il proposito manifestato dalla S.S. Lazio S.p.A. di addivenire alla soluzione della controversia nell’ambito dei rimedi previsti dall’ordinamento sportivo, esprimeva, a sua volta, la propria intenzione di accettare comunque la cognizione arbitrale, attesa la peculiarità della fattispecie. Il Conciliatore preso quindi atto del mancato raggiungimento dell’accordo e dichiarava concluso il procedimento. In data 29 agosto 2006 è invece la società AC Milan S.p.A. a presentarsi alla riunione per la conciliazione. Ritenendo infatti di essere stata punita ingiustamente e, comunque in maniera sproporzionata, la parte istante, nell’auspicio di pervenire alla soluzione della controversia nell’ambito dell’ordinamento sportivo, dichiarava che, nell’ipotesi di mancata conciliazione, sarebbe stata comunque disponibile a far valere le proprie ragioni esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo. I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta conciliativa avanzata dai rappresentanti della A.C. Milan S.p.A., dichiaravano di non poter aderire, allo stato, alla proposta nei termini prospettati, anche in ragione dell’esistenza di posizioni di terzi interessati. A loro volta dichiaravano, peraltro, ampia disponibilità a considerare un’ipotesi conciliativa che avesse ad oggetto solo le sanzioni accessorie. 51 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… I rappresentanti della società dichiaravano però di non poter aderire alla proposta formulata dalla FIGC. Quest’ultima, apprezzando il proposito manifestato dalla A.C. Milan S.p.A. di addivenire comunque alla soluzione della controversia nell’ambito dei rimedi previsti dall’ordinamento sportivo, esprimeva, a sua volta, la propria intenzione di accettare la cognizione arbitrale, attesa la peculiarità della fattispecie. Per quanto riguarda la proposta di sospensione delle sanzioni accessorie e della squalifica del campo per n. 1 giornata e l’ammenda di € 100.000,00, la FIGC dichiarava la disponibilità a sospenderne l’esecutività condizionatamente alla presentazione dell’istanza di arbitrato proposta nei termini di cui al Regolamento della Camera dalla società e sino alla pronuncia del lodo, anche nella sola parte dispositiva. Ove la qualifica del campo fosse confermata, alla medesima sarebbe stata data esecuzione nei termini dell’art. 17, comma 1, del C.G.S.. Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto dell’accordo delle medesime in ordine alla cognizione arbitrale ed alla sospensione dell’efficacia delle sanzioni accessorie nei termini indicati, dichiarava concluso il procedimento per mancata conciliazione. Infine, per quanto concerne la A.C.F. Fiorentina S.p.A. quest’ultima nella riunione del 29 agosto 2006, nella convinzione della correttezza della propria condotta, poneva al primo posto l’esigenza di tutelare in ogni modo il rispetto e la dignità della società, dei suoi tifosi e della città di Firenze, ed anteponeva alla pur rilevante questione economica derivante dall’esclusione dalla Champions League per la stagione in corso e da quella del prossimo anno (in conseguenza della penalizzazione ad oggi assegnata), la necessità di esperire tutti i gradi di giudizio per veder riconosciute le proprie ragioni e l’estraneità ai fatti contestati. In particolare la difesa evidenziava, l’assoluta irrazionalità della decisione della Corte Federale, nonché le plurime violazioni delle garanzie del contraddittorio nel corso del giudizio. Ad ogni modo nell’auspicio di pervenire alla soluzione della controversia nell’ambito dell’ordinamento sportivo, la società viola dichiarava che nell’ipotesi di mancata conciliazione intendeva proporre la procedura arbitrale, ai sensi del Regolamento della Camera e questo anche per il rispetto di tutto il movimento sportivo calcistico. I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta conciliativa avanzata dai rappresentanti della A.C.F. Fiorentina SpA, dichiaravano di non poter aderire, allo stato, alla proposta nei termini prospettati, anche in ragione dell’esistenza di posizioni di terzi interessati. 52 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… A loro volta dichiaravano, peraltro, ampia disponibilità a considerare un’ipotesi conciliativa che avesse ad oggetto solo le sanzioni accessorie - ammenda e squalifica del campo – con conferma delle altre. I rappresentanti della società dichiaravano invece di non poter aderire alla contro – proposta formulata dalla FIGC, ritenendo, tra l’altro, che la posizione dei terzi fosse di mero fatto. I rappresentanti della FIGC esprimevano, a loro volta, la propria intenzione di accettare la cognizione arbitrale, attesa la peculiarità della fattispecie. Per quanto riguarda la proposta di sospensione delle sanzioni accessorie e della squalifica del campo per n. 3 giornate e l’ammenda di € 100.000,00, la FIGC si dichiarava disponibile a sospenderne l’esecutività, condizionatamente alla presentazione dell’istanza di arbitrato proposta nei termini di cui al Regolamento della Camera dalla società e sino alla pronuncia del lodo, anche nella sola parte dispositiva. Ove l’istanza di arbitrato non fosse introdotta entro n. 30 (trenta) giorni dal giorno della riunione ovvero la squalifica del campo fosse confermata, alla medesima sarebbe stata data esecuzione nei termini dell’art. 17, comma 1, del C.G.S.. Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto dell’accordo delle medesime in ordine alla cognizione arbitrale ed alla sospensione dell’efficacia delle sanzioni accessorie nei termini indicati, fermo quanto precede, dichiarava concluso il procedimento per mancata conciliazione. Lazio, Fiorentina e Milan, fallita la conciliazione, a fronte della sospensione delle pene accessorie (squalifiche ed ammende) si accordavano così con la FIGC per passare all’arbitrato sportivo davanti alla medesima CCAS.. In data 27 ottobre 2006 il collegio arbitrale istituito presso la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso il CONI deliberava all’unanimità i lodi arbitrali che avrebbero definitivamente messo fine alla lunga querelle. Dopo il fallimento della conciliazione anche nelle vicende di Calciopoli la CCAS è stata protagonista di ulteriori tentativi di conciliazione promossi da numerosi soggetti sportivi ma tali procedimenti hanno confermato il dato acquisito negli ultimi 24 mesi ovvero che le conciliazioni non si chiudono quasi mai con un accordo risolutivo della controversia. 53 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Occorrerà quindi attendere se il corso dei futuri procedimenti per ben comprendere se tale deflazione sia da attribuire ad una mera occasionalità, come ci si auspica, o se, invece, sia da ricondurre ad uno sfavore generale tipico della realtà italiana verso tale procedura, ed in tal caso sarà, allora, opportuno analizzare i motivi di tale atteggiamento involutivo rispetto sia all’iniziale entusiasmo che aveva accolto l’istituzione della CCAS, sia alle differenti realtà europee che invece esaltano l’efficacia del ricorso alle procedure alternative di risoluzione delle controversie sportive. 6. Considerazioni conclusive Orbene, alla luce delle considerazioni fin qui prospettate, può concludersi che l’introduzione dell’istituto della Conciliazione negli ordinamenti sportivi, specie con organi a ciò espressamente e specialisticamente deputati come il T.A.S./C.A.S. a livello internazionale e la C.C.A.S. in Italia, non può che essere accolta con interesse. Come visto, in linea generale, la procedura in esame permette alle parti di ottenere una rapida soluzione delle controversie che le vede coinvolte, in tempi certi ed a costi contenuti, a tutto vantaggio delle parti e del “sistema “, per le sue stesse peculiarità. La risoluzione delle controversie sportive può essere, infatti, solo svantaggiata nel caso in cui la Giustizia Ordinaria e la Giustizia Sportiva si pongano in costante contrasto ed in concorrenza tra loro; anzi, è opportuno che i due modelli giurisdizionali convergano e collimino quanto più possibile, per assicurare una migliore gestione della pratica sportiva ed un miglior funzionamento del relativo ordinamento, nel suo complesso. E’ innegabile che, nella trattazione delle controversie sportive, l’istituto conciliativo si sia distinto proprio per tale capacità, e l’elevato numero di procedure instaurate non ne è che un esempio: l’innegabile successo di tale modello, sia a livello nazionale che nelle realtà straniere e soprattutto in sede internazionale (T.A.S. / C.A.S.), manifesta inconfutabilmente la sua rispondenza alle esigenze di rapidità e celerità delle procedure nonché alle aspettative degli addetti ai lavori e di chi in genere pratica lo sport. La rapidità della procedura conciliativa, la sua flessibilità , l’assenza del formalismo nonché la scelta di conciliatori dotati di una adeguata preparazione giuridico – sportiva, accompagnata da una profonda conoscenza dell’ambiente sportivo stesso, contribuiscono sicuramente a questo successo. 54 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… L’esperienza conciliativa, pertanto, dimostra indubbiamente come in primis sia assolutamente auspicabile un coordinamento tra la giustizia sportiva e la giustizia ordinaria e, secondariamente, che attraverso l’utilizzo della procedura conciliativa si può permettere la risoluzione di conflitti evitando gli inconvenienti di un procedimento “esclusivamente sportivo”, ma anche quelli di un “processo statale” in tale ambito. Tuttavia, pur in questo contesto senz’altro fondamentalmente positivo, non si possono non avanzare alcune osservazioni critiche. A tal proposito si ricorda che una peculiarità della Conciliazione Sportiva, così modulata, risiede nel fatto che le parti in causa sono spesso (se non sempre) da un lato, istituzioni sportive e, dall’altro, tesserati o affiliati. Si evince, quindi, che nelle controversie aventi ad oggetto provvedimenti sanzionatori irrogati ai tesserati o affiliati dagli organi federali, l’accordo conciliativo assume approssimativamente la veste di una sorta di “patteggiamento” tra il soggetto che ha irrogato la sanzione ed il soggetto che ha subito la stessa. Sul punto, quindi, ci si interroga su quale sia l’effetto deflativo posto alla base della previsione dell’istituto. Guardando al sistema italiano, infatti, si rammenta che la ratio del patteggiamento processualpenalistico è insita nell’effetto deflativo a priori sotteso a tale rito alternativo e, più specificatamente, risiedente nell’esigenza di evitare l’instaurazione del procedimento penale in sede ordinaria, con conseguente aumento del carico di lavoro per l’Ufficio Giudiziario. In sede conciliativa - sportiva, per contro, l’effetto deflativo si dispiegherebbe non a priori, bensì a posteriori e, pertanto, ci si potrebbe interrogare sull’utilità in tale ottica del mezzo in esame. La ragione della scelta di conferire all’accordo conciliativo un effetto deflativo “a posteriori” potrebbe individuarsi nell’esigenza di evitare il ricorso delle parti alla (sola) residuale procedura arbitrale ( ed eventuale conseguente impugnazione del lodo), atteso che anche in tale sede si potrebbe “invertire” l’esito della decisione contestata: la ratio pertanto risiederebbe nell’esigenza di conferire al sistema sportivo una maggiore stabilità, garantita dal mancato ricorso tanto alla giustizia ordinaria quanto all’ultimo grado arbitrale (e sua eventuale impugnazione) ed alla conseguente definitiva risistemazione o riassetto degli interessi all'interno del sistema sportivo stesso. Tuttavia, non va sottaciuto che a tale modus operandi gli organi della Giustizia Sportiva guardano con occhio tuttora critico, in quanto gli stessi vedono con ciò in parte vanificato il loro lavoro di ricerca e repressione degli illeciti sportivi. 55 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… Infine, sempre con riferimento all’ordinamento italiano, si osserva ancora che il legislatore, con la predetta L. 280/03, ha certamente cercato di armonizzare i due ordinamenti (statale e sportivo), ma non si possono ignorare le incoerenze che la nuova normativa pone o non risolve. A tal riguardo non vanno sottaciuti perduranti dubbi di legittimità costituzionale nei confronti del riaffermato “vincolo di giustizia” per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., legittimati e peraltro anche rinforzati a seguito dell’approvazione avvenuta con il comunicato ufficiale n. 74/A del 11 settembre 2003 dell’art. 11 bis nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. 18 . La questione della Giustizia Sportiva, in linea generale e soprattutto nell’Ordinamento Italiano è, dunque, ancora aperta, ma resta fermo che la nuova normativa è stata apprezzata (da parte di molti operatori di settore, tra cui il sen. A. Manzella, studioso attento ai problemi giuridici dello sport) quale conferma e recente tentativo di riconoscere anche in Italia un ruolo centrale alle A.D.R in ambito sportivo, essendo state esse individuate come lo strumento probabilmente più idoneo a snellire la congestione delle controversie tramite soluzioni sempre più celeri, efficaci ed utili al fine di evitare, quanto più possibile, il ricorso eccessivamente frequente (e talora surrettizio e capzioso!) alla giurisdizione ordinaria in ambito sportivo. Tale sistema è, senz’altro, ulteriormente perfettibile e ciò potrà accadere, probabilmente, alla luce e sulla scorta delle varie (e crescenti) esperienze, specie straniere ma anche italiane in materia, in via di progressiva maturazione quanto a portata e tecnicalità, di cui si è cercato di dare conto nel presente contributo ed alle quali non si può non guardare quale modello di valutazione e riferimento per ogni futuro sviluppo. (*) Avvocato del foro di Milano - Professore a contratto di Diritto Sportivo nell’ Università di Milano , membro della Commissione disciplinare Lega Nazionale Professionisti Calcio 18 Che prevede la penalizzazione fino a 3 punti per le società e l’inibizione o la squalifica superiore a 6 mesi per i tesserati “ribelli” che violino la clausola compromissoria di cui all’art. 27 dello Statuto F.I.G.C. 56 DOTTRINA ADR e conciliazione nello Sport in Italia……… BIBLIOGRAFIA 1. M. Coccia, “Fenomenologia della controversia sportiva e dei suoi modi di risoluzione”, in , 4/1997; 2. M. Coccia, “La risoluzione dei conflitti in ambito sportivo” in www.iusport.es; 3. L.Colantuoni, “L’arbitrato sportivo”, in DPG a cura di P. Cendon, collana I Nuovi Contratti, volume XXIII, ed. Utet, 2004; 4. L. Colantuoni, “ADR e Conciliazione in ambito sportivo” in DPG a cura di P. Cendon, collana I Nuovi Contratti, volume XXIII, ed. Utet, 2004; 5. L. Colantuoni e M.Valcada, “La giustizia sportiva e l’arbitrato sportivo”, in “Arbitrato-profili sostanziali” a cura di G.Alpa, Utet, II, 1999; 6. A. De Silvestri, “ La Giustizia Sportiva”, in AA.VV. “Diritto dello Sport”, ed. Le Monnier, 2004; 7. L. Fumagalli, “ La Giustizia Sportiva”, in AA.VV. “Diritto dello Sport”, ed. Le Monnier, 2004; 8. L. Fumagalli, “La risoluzione delle controversie sportive. Metodi giurisdizionali, arbitrali ed alternativi di composizione”, in RDS, 1999; 9. L. Fumagalli, “Arbitrato e Giochi olimpici. 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La Legge n. 91/81. Ambito applicativo 2.1. Gli atleti professionisti 2.2. Gli atleti non professionisti 3. Gli sportivi non professionisti nella giurisprudenza nazionale ed internazionale 4. La normativa federale 5. La risoluzione delle controversie 6. Conclusioni 58 DOTTRINA Atleti dilettanti……… In tema di qualificazione del rapporto giuridico tra atleti non professionisti ed associazioni e/o società sportive l’adozione di formule dubitative appare d’obbligo. I pur recenti e talvolta contraddittori1, per taluni aspetti, interventi nell’ambito dello sport non professionistico, seppur di rilievo in relazione allo statuto giuridico e fiscale degli enti, non hanno ritenuto di affrontare alcune problematiche caratterizzanti la materia, perpetuando una sorta di agnosticismo già manifestato dal legislatore della l. 23 marzo 1981 n. 91. Intervenendo infatti sulla vexata questio della disciplina del rapporto tra atleti e società sportive il Legislatore, in quella sede, ebbe esplicitamente a statuire come il rapporto de quo si costituisca a mezzo di un contratto di lavoro di natura subordinata (salve le tassative ipotesi previste ex. art. 3 in cui è ammessa la stipula di un contratto d’opera) attraendone, in massima parte, in tal modo la disciplina nell’alveo del diritto del lavoro. Ispirandosi nelle sue linee guida alla tutela della libertà contrattuale dell’atleta, si previde l’abolizione in forma graduale del vincolo sportivo ai sensi dell’art. 16 della l. 91/81 offrendo, nella sostanza, una pragmatica, seppur parziale, soluzione dell’annosa problematica circa la legittimità dell’istituto vincolistico nel precipuo campo applicativo (così come individuato dall’art. 2 della l. 91/81), operando una riduzione su scala temporale dello stesso alla durata del contratto di lavoro. La predisposizione di un rigido filtro selettivo di accesso alla normativa di tutela di cui alla l. n. 91, in particolare l’art. 2, determinando la tendenziale inapplicabilità agli atleti non professionisti delle discipline ivi contenute unitamente alla natura evidentemente «emergenziale»2 dell’intervento 1 Basti citare quando accaduto in tema di assicurazione obbligatoria infortuni a favore degli sportivi non professionisti. L’art. 51, co. 1, della l. n. 289/2002 (Finanziaria 2003), prevedeva infatti che «dal 1° luglio 2003, sono soggetti all’obbligo assicurativo gli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva». Su tale obbligo assicurativo, è successivamente intervenuta anche la l. 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria 2004), il cui art. 205 ha aggiunto al predetto art. 51 l. 289/2002 il comma 2 bis, con cui si disponeva che «con decreto del ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità tecniche per l’iscrizione all’assicurazione obbligatoria presso l’ente pubblico di cui al D.P.R. 1° aprile 1978, n. 250 (Sportass), nonché i termini, la natura, l’entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi». In realtà però preso atto della palese violazione delle norme comunitarie in tema di assicurazione il d.l. 30 giugno 2005, n. 115 ha modificato il co. 2-bis, dell'art. 51, della l. 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003), prevedendo che con decreto interministeriale del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti le federazioni sportive dilettantistiche e gli enti di promozione sportiva, da emanare a decorrere dal 1° agosto 2005 ed entro il 31 dicembre 2006, dovranno essere stabilite le nuove modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione obbligatoria degli sportivi dilettanti, nonché la natura, l'entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi, dandosi così facoltà alle federazioni ed agli enti di promozione sportiva di scegliere la compagnia assicuratrice con la quale stipulare le relative convenzioni. 2 A seguito infatti di un clamoroso intervento della magistratura ordinaria che aveva inibito i rappresentanti della Lega Nazionale Professionisti di svolgere trattative e stipulare contratti aventi ad oggetto il trasferimento dei calciatori, e vietato agli organi della FIGC di ratificare i contratti eventualmente gia stipulati, ipotizzando la violazione delle norme in materia di collocamento della mano d’opera, il Governo, su precisa richiesta del CONI e della Federcalcio, dato il concreto pericolo che l’inizio della regolare attività agonistica fosse compromesso, aveva emanato un d.l.. in tema di interpretazione autentica in materia di disciplina giuridica dei rapporti tra enti sportivi ed atleti iscritti alle federazioni di categoria (d.l. 14 luglio 1978, n. 367). In sede di conversione (l. 4 agosto 59 DOTTRINA Atleti dilettanti……… legislativo, lasciava irrisolti i nodi interpretativi legati da un lato alla problematica del vincolo a tempo indeterminato nell’area estranea al professionismo ufficializzato, e dall’altro a quella della qualificazione del rapporto tra sportivi non professionisti e società. Rimettendo agli ordinamenti federali la distinzione tra l’attività professionistica e dilettantistica, in una malintesa valutazione di opportunità circa la salvaguardia dei profili di autodisciplina in materia, si è finito per avallare la tendenza a perpetrare una linea di demarcazione meramente formale e frammentaria, conseguendone lo sviluppo in ambito endoassociativo di palesi difformità di soluzioni e discipline non sempre lineari e coerenti. Se per quanto attiene l’istituto del vincolo a tempo indeterminato, sulla scorta di un ampio dibattito utilmente orientato a definire con nettezza i contorni di esso, sì è innescato un processo ancora in fieri che, preso atto dei profili di illegittimità dello stesso, ha avuto come conseguenza una complessiva rivisitazione delle discipline federali3, il profilo inerente la qualificazione del rapporto tra sportivi ufficialmente non professionisti e della correlata normativa di tutela appare ancora nebuloso. La figura dell’atleta dilettante, dunque, ad oltre venticinque anni dall’approvazione della l. n. 91, sembrerebbe giuridicamente vivere in una sorta di limbo qualificatorio 4; tale affermazione, per quanto pregnante, data l’assenza di una specifica disciplina di settore, tralascia di considerare come a tale impropriamente pretesa lacuna possa e debba ovviarsi, presumibilmente, attraverso l’applicazione delle normative di diritto comune. 1978, n. 430), il Governo assunse l’obbligo di predisporre studi adeguati ed a presentare entro il 31 marzo 1979 un disegno di legge organica del settore. Per la ricostruzione storica delle vicende legate all’approvazione della l. 91/81 A. LENER, Una legge per lo sport?, in Foro it., 1981, pag. 297. 3 In tema di vincolo sportivo per tutti P. MORO, Vincolo sportivo e diritti fondamentali dei minori, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 9 seg. ID, Natura e limiti del vincolo sportivo, in Riv. dir. econ. sport., anno 1 n. 2, pag. 8 seg. Per le prime notazione a seguito Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» statuente la natura a tempo determinato del vincolo si veda E. LUBRANO, Vincolo sportivo pluriennale: verso una fine annunciata, in GiustiziaSportiva.it, − Rivista Internet di diritto dello sport, anno 1 n. 3, pag. 62. 4 In tal senso A. BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, in Riv. Giur. Lav. e Prev., 1997, pag. 256. Acutamente, di contro, A DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico, in GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello sport, anno 2 n. 1, pag. 26 secondo cui i c.d. professionisti di fatto si dibattono «tra l’espressa illegalità delle disposizioni federali che, pur a fronte degli imperativi e inderogabili precetti costituzionali in tema di lavoro, ne hanno regolato i rapporti ed il contenzioso per il tramite della fuorviante categoria di dilettanti, le incongruenze di una legislazione fiscale ingiustamente favorente da un lato ma elusiva, per altro verso, degli istituti previdenziali-assicurativi e, da ultimo, le più generali carenze sia a livello di norme codicistiche, inadatte e di incerta applicazione, che di legislazione speciale, decisamente velleitaria nella pretesa di disciplinare, discriminandola sulla scorta di qualificazioni eteronome, l’analoga classe di prestazioni dei professionisti ufficializzati». 60 DOTTRINA Atleti dilettanti……… 1. La legge n. 91/81. Ambito applicativo La l. n. 91/1981 interviene in materia segnata da vigorose dispute dottrinarie e giurisprudenziale. Se peculiari problematiche non suscitava la collocazione giuridica del rapporto tra società e le varie figure professionali che progressivamente andavano affermandosi in correlazione con lo sviluppo della pratica sportiva (allenatori, preparatori, direttori-tecnici ecc.) 5, l’emersione di elementi di natura patrimoniale nel rapporto atleti/società, esulanti la tradizionale causa ideal-sportiva, determinavano un’evidente rottura con i modelli ricostruttivi dominanti. A dinamiche infatti caratterizzate originariamente dalla convergenza di interessi e fini comuni tra l’atleta ed l’associazione sportiva riconducibili sostanzialmente al modello associativo, veniva sovrapponendosi una sostanziale ricomposizione strutturale degli enti. Si distinguevano coloro i quali erano interessati alla vita dell’associazione nei suoi aspetti organizzativi e gestionali e ne finanziano l’attività da quanti venivano progressivamente esonerati da ogni forma di contribuzione alla vita associativa diversa dalla pratica dell’attività sportiva con la previsione in loro favore di corrispettivi in danaro od altre utilità. In ambito endofederale da un lato si elaboravano modelli disciplinari che, pur valorizzando l’ineluttabile rilievo economico delle prestazioni, erano tesi a preservare, seppur formalmente, i dettami dell’olimpismo, dall’altro si favoriva l’introduzione di discipline atte a procedimentalizzare il recesso unilaterale dell’atleta dal contratto associativo garantendo un diritto di esclusiva alle singole società nell’utilizzo delle prestazioni atletiche6. In tale contesto si individuavano due distinte e contrapposte tendenze; una prima che, con varie accentuazioni, riconduceva il rapporto e la prestazione degli atleti negli schemi tipici del diritto civile nelle forme del contratto di lavoro subordinato od autonomo, la seconda che, di contro, propendeva per la riduzione a fenomeno «sui generis» non riconducibile a qualificazioni tipiche ed a discipline di diritto comune. 5 Basti sul punto analizzare le rassegne di giurisprudenza in materia ove si evidenzia la pacifica collocazione nell’alveo dell’art. 2094 o 2222 c.c. Tra gli altri per un ampio excursus sulla giurisprudenza in materia F. BIANCHI D’URSO, Il contratto di lavoro sportivo, in Il diritto del lavoro nell’elaborazione giurisprudenziale, vol. XVI, Epidem, 1971. 6 L’istituto del vincolo sportivo si sostanzia infatti nel diniego in capo all’atleta del diritto di recesso unilaterale ad nutum dal contratto associativo. Nella prassi il vincolo finisce per rappresentare una sorta di patto di esclusiva e non concorrenza tra la società affiliante e l’atleta affiliato, con l’effetto che all’atto di rinuncia del patto da parte dell’affiliato od alla cessione dei diritti di esclusiva (il c.d. svincolo o trasferimento) la società si determini a ciò previo un consentaneo ritorno economico. 61 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Detta radicale difformità di orientamenti, condizionata in via pregiudiziale dalla diversa rilevanza attribuita dagli interpreti al fenomeno sportivo nella sua dimensione ordinamentale 7 talvolta con vaghe suggestione sociologiche8, risulta esser evidentemente superata a seguito della entrata in vigore della l. n. 91/81. L’asse della riflessione si spostava dal problema qualificatorio circa la incollocabilità del rapporto negli schemi propriamente civilistici o giuslavoristici, a quello delle discipline applicabili. La scelta del legislatore del 1981, in tale contesto, è orientata al fine di approntare una normativa organica dell’attività sportiva operando una reductio ad unitatem della disciplina del lavoro sportivo sia sotto il profilo soggettivo, accomunandosi tutti coloro i quali sono partecipi dell’attività sportiva, sia sotto quello oggettivo, prospettandosi in linea di massima un assetto legale unificante per le diverse discipline. 7 Sul punto infatti è da notarsi come tutti gli Autori che propugnavano la non riconducibilità negli schemi di diritto comune del rapporto società sportiva/atleti muovano in misura più o meno accentuata dalle dottrine «pluralistico-ordinamentali» configurando l’ordinamento sportivo quale ordinamento originario (pur non sovrano) rispetto al quale quello statuale ponentesi in una sostanziale posizione di indifferenza. Tra gli altri infatti W. CESARINI SFORZA, Diritto del lavoro e diritto sportivo, in Dir. lav., 1951, pag. 257; W. BIGIAVI, L’Associazione Calcio Torino e la tragedia di Superga, in Giur. it, 1951, pag. 81; I. MARANI TORO, Sport e lavoro, in Riv. dir. sport., 1971, pag. 176; P. BARILE, La Corte di giustizia delle Comunità Europee ed i calciatori professionisti, in Riv. dir. sport., 1977, pag. 303. Fautori dell’inquadramento del rapporto tra calciatori e società nell’ambito dell’art. 2094 c.c. tra gli altri: P. G. CANEPELE, Lineamenti giuridici del rapporto tra associazioni sportive e calciatori, in Riv. Dir. sport., 1950, pag. 399; R. TOSETTO F. MANISCALCHI, Profili giuridici del fenomeno sportivo con speciale riguardo alla natura giuridica del rapporto tra associazione calcistica e giocatori, in Foro pad., 1951, pag. 50; M. RAMAT, Aspetti sostanziali e processuali del contratto tra giocatori e associazioni sportive, in Foro pad, 1959, pag. 903; R. BORRUSO, Lineamenti del contratto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1963, pag. 52; A. MARTONE, Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, pag. 119; R. DEL GIUDICE, Natura e obblighi previdenziali del contratto di prestazione sportiva, in Riv. dir. sport., 1966, pag. 3; G. GIACOBBE, op. cit., pag. 1892; G. MAZZONI, Il rapporto di lavoro nello sport, Giuffrè, 1968, pag. 263 seg.; L. GERACI, Natura del rapporto tra società calcistica e calciatore, in Riv. dir. sport., 1971, pag. 262; C. GIROTTI, op. cit., pag. 171. In particolare per la natura autonoma del rapporto F. BIANCHI D’URSO, Il contratto di lavoro sportivo, in Il diritto del lavoro nella elaborazione giurisprudenziale, op. cit., pag. 443; S. GRASSELLI, L’attività dei calciatori professionisti nel quadro dell’ordinamento sportivo, Giur. it, 1974, pag. 74; R. SCOGNAMIGLIO, In tema di responsabilità delle società sportive ex art. 2049 per illecito del calciatore, in Dir e giur., 1963, pag. 81 il quale afferma, in un’ottica pluriqualificatoria, che «l’esistenza di un ordinamento sportivo autonomo rispetto a quello statuale induce ad una duplice valutazione concorrente: alla stregua infatti dell’ordinamento sportivo si tratterebbe di un rapporto di lavoro sportivo, disciplinato dalle norme proprie di quell’ordinamento, che si sottrae ad ogni diverso tentativo di qualificazione secondo la comune esperienza giuridica» ma che ove lo si consideri dal punto di vista dell’ordinamento dello Stato «assume la configurazione di un contratto d’opera mediante il quale si determina uno scambio tra un compenso e la prestazione professionale dell’atleta». Per un efficace excursus circa le diverse tesi maturate nel periodo anteriore all’entrata in vigore della l. 23 marzo 1981, n. 91 vedi M. T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, 2004, pag. 43 seg. 8 Così anche la Suprema Corte in un’isolata pronuncia (Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Riv. dir. sport., 1963, pag. 100. ove, in tema di non applicabilità dei divieti di intermediazione nell’ambito delle c.d. cessioni di contratto, ebbe ad affermare l’estraneità del rapporto atleta-società sportiva alla fattispecie tipica di cui all’art. 2094 c.c. evidenziando la natura in utilitaristica dell’esercizio dell’attività sportiva. Contra per la riconduzione nell’ambito di cui all’art. 2094 c.c. tra le altre Cass. 5 giugno 1961 n. 2324, in Foro it., 1961, pag. 1608 62 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Aldilà della mera petizione di principio quale quella contenuta nell’ambito dell’art. 19 la struttura del testo legislativo appare immediatamente evocativa dell’assunto di cui sopra. Ci si muove per successive specificazioni dall’ identificazione del campo oggettivo e soggettivo di applicazione della normativa (art. 2), al peculiare disposto di cui all’art. 3 specificatamente dettato per la distinzione tra lavoro sportivo autonomo e subordinato per ciò che concerne i soli atleti, giungendo in ultimo alla disciplina del lavoro subordinato sportivo (art. 4). La struttura evidenzia il chiaro intento legislativo di definire con circostanziata cura l’ambito applicativo della normativa; tale fine in realtà, come si osserverà in seguito, non pare utilmente perseguito sia in considerazione della genericità delle formule adottate, sia di una prassi interpretativa tendente a dilatare il campo di applicazione soggettiva. Sotto il profilo oggettivo esso è limitato a quelle che sono definite quali discipline «regolamentate dal Coni». La dizione invero appare frutto di una improprietà lessicale non essendo riferibile al Comitato Nazionale Olimpico Italiano una funzione strettamente regolamentare di alcuna disciplina sportiva10, dovendosi semmai la menzione riferirsi alle attività sportive disciplinate dalle singole Federazioni poste sotto la vigilanza del CONI. Sono dunque esclusi dal campo di applicazione tutta una serie di fattispecie in cui seppur l’obbligazione contrattuale assunta dal prestatore si riveli di contenuto omologo a quella di uno «sportivo professionista», essa sia svolta in un contesto diverso da quello definito dall’art. 2 della l. n. 91 rimanendo estranee alle preoccupazioni e valutazioni poste alla base della normativa, e ricadenti sotto il «comune» regime codicistico.11 9 Art. 1 l. n. 91/81: «L'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero». La formulazione della norma seppur parzialmente velleitaria e riduttiva dato il monopolio di fatto instaurato dalle Federazioni in relazione ai singoli settori sportivi e al cospetto della circostanza che solo l’attività qualificata come sportiva e professionistica secondo la disciplina emanata nell’ambito del Coni riceve tutela dalla l. n. 91/81 non toglie valore al ivi consacrato principio. Come notato infatti la formulazione induce «a ritenere che l’esercizio dell’attività sportiva in quanto qualificato come libero, costituisca il contenuto di un diritto fondamentale, e più specificatamente di un diritto della personalità» per quanto attiene i livelli amatoriali e dilettantistici, mentre per ciò che attiene quelli professionistici rappresenta l’enunciazione del principio « di libertà contrattuale incompatibile con qualunque vincolo assunto che ne determini in pratica l’annullamento». (D. DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, Riv. it. dir. lav., 1988, pag. 705) 10 È infatti nozione basilare che, strictu sensu, il CONI non regolamenti alcuna disciplina sportiva. Soccorre in tal senso il disposto dell’art. 5 della l. n. 426/1942 allora vigente ai sensi del quale «le federazioni sportive nazionali stabiliscono con regolamenti interni le norme tecniche ed amministrative per il loro funzionamento e le norme sportive per l’esercizio dello sport controllato» mentre il CONI sulla base della legge istitutiva citata ha funzioni di organizzazione, coordinamento, e potenziamento dell’attività sportiva da chiunque esercitata (art. 2 e 3) disponendo di un potere di sorveglianza e di tutela su tutte le organizzazioni che si dedicano allo sport e ne ratifica direttamente o per mezzo delle federazioni gli statuti ed i regolamenti. In tal senso anche alla luce del c.d. Decreto Melandri e successive modifiche C. ALVISI, Le fonti statali dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, in Giustizia sportiva e arbitrato, a cura di C. VACCÀ, Giuffrè, 2006, pag. 3 seg. 11 Sul punto un isolato precedente nella giurisprudenza di merito ha correttamente evidenziato in un giudizio di accertamento circa la natura del rapporto tra una associazione sportiva ed alcuni giocatori di pelota basca, disciplina da non considerasi tra le attività 63 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Il senso di tale limitazione, pur nella denotata improprietà, si coglie dall’analisi della ratio complessiva del testo legislativo e degli strumenti adottati al fine di garantire un «minimun» di tutele riguardo a ben determinati soggetti operanti nell’ambito dell’organizzazione (ordinamento) sportivo nazionale; d’altra parte la specialità del rapporto di lavoro sportivo è da ravvisarsi non tanto nelle caratteristiche delle prestazioni, ossia della natura dell’attività che è oggetto dell’obbligazione, ma piuttosto nella sua connessione con le peculiari esigenze dell’organizzazione in cui viene ad inserirsi tanto da richiedere un’ attenta opera di raccordo normativo. Se per ciò che attiene gli atleti il caso i di prestazioni lavorative al di fuori dell’organizzazione federale, stante il carattere monopolistico delle stesse, può considerasi come ipotesi limite, ben più ricorrenti i casi di allenatori–istruttori sportivi che svolgano l’attività didattica di avviamento allo sport in società od associazioni non affiliate ad alcuna federazione sportiva. Tale interpretazione , oltre ad esser aderente al testo normativo (di cui si noti l’inciso «ai fini dell’applicazione della presente legge»), appare atta a coordinare il disposto dell’art. 2 con il precedente art. 1 circa la «libertà» dell’esercizio dell’attività sportiva anche professionistica al di fuori delle compagini federali; solo infatti nel caso in cui il rapporto sia «qualificato» da una federazione affiliata al Coni ossia il lavoratore sia tesserato presso una di queste federazioni secondo il disposto dell’art. 2 sarà applicabile la disciplina speciale di cui alla l. n. 91. Oltre alla citata delimitazione del campo di applicazione, quanto al profilo oggettivo il legislatore pare in parte determinare direttamente un nucleo essenziale di elementi, richiamando i requisiti della onerosità e della continuità della prestazione, rinviando successivamente alla normativa federale e del Coni per ciò che attiene la definizione delle qualifiche e la distinzione tra l’attività sportiva dilettantistica e professionistica.12 In altri termini la nozione di lavoro professionale sportivo sorgerebbe dalla commistione di requisiti generali e astratti posti dalla legge (onerosità e continuità del rapporto) accanto a requisiti più specifici (esser parte del rapporto l’atleta, l’allenatore, il direttore tecnico-sportivo, oppure il regolamentate da organismi sportivi riconosciuti dal Coni, la necessità di procedere alla qualificazione del rapporto sulla base dei canoni comuni attribuendo a quelli specifici di cui alla l. 91/81 un valore meramente sussidiario. Pretore di Milano, 9 dicembre 1988, in Riv. it. dir. lav., 1989, II, pag. 426. con nota di A. FORTUNAT 12 In questo senso soprattutto D. DURANTI, op. cit., pag. 707 il quale ritiene circa la natura di tale rinvio che si tratti di un rinvio «non meramente recettizio giacché tali ultime norme hanno valore in quanto non si pongano in contrasto con le disposizioni inderogabili stabilite dalla legge». 64 DOTTRINA Atleti dilettanti……… preparatore atletico) di natura soggettiva13, e di un rinvio alla regolamentazione sportiva attraverso il requisito della qualificazione14. In tale ottica l’onerosità e la continuità assumerebbero un carattere autonomo e qualificante. Quanto all’onerosità, nozione estremamente ampia sussistendo non solo quando sia prevista una retribuzione in denaro o natura ma anche ogni qual volta il soggetto a favore del quale viene svolta l’attività lavorativa si obblighi ad una prestazione che sia patrimonialmente valutabile 15, evidente la visione fortemente alternativa e binaria del problema considerando come già all’epoca gli sviluppi dell’organizzazione sportiva avevano fatto emergere un qualche rapporto economico nei confronti del dilettante. In relazione alla continuità non appare assumere una vera e propria portata discriminante considerando come una tale modalità di esercizio delle prestazioni sportive è agevolmente rinvenibile anche nell’ipotesi in cui l’attività sia svolta a titolo dilettantistico (basti a riguardo rammentare la periodicità, la frequenza degli impegni settimanali cui sono sottoposti atleti e tecnici anche dilettanti). Inoltre, ad ulteriore conferma della contraddittorietà del testo, è da notarsi come se la continuità di esercizio dell’attività sportiva fosse da assumersi quale elemento essenziale della qualifica di sportivo professionista si dovrebbe a rigore escludere dal novero dei professionisti l’atleta che ponga in esser la propria prestazione in regime di autonomia almeno nell’ipotesi di cui all’art. 3 co. 2 ove pare difettare proprio l’elemento della continuità o comunque un tasso apprezzabile di continuità. Una lettura più consona, ispirandosi anche alla originaria formulazione del disegno di legge governativo, ove nell’ambito dell’art. 2, co. 2 si richiamavano a differenza del testo definitivo «la continuità e la esclusività della prestazione sportiva quali» oggetto delle direttive del Coni per la distinzione tra l’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica, dovrebbe giungere a riconoscere come, nel complessivo sistema delineato dall’art. 2 caratterizzato dal rinvio ad una fonte (sportiva) da cui la nozione di sportivo professionista promana, la normativa statuale abbia 13 Secondo E. PICCARDO, Norme in materia di rapporti tra società e sportivi e professionisti, commento all’art. 2, in Nuov. leg. civ. comm., 1982, pag. 562, l’individuazione del contenuto reale delle quattro categorie citate deve esser valutato «alla luce del più ampio contesto dell’ordinamento sportivo vigente» dal momento che «il legislatore volutamente ha finito per concedere una delega in bianco al Coni ed alle Federazioni sportive (…) che consente un continuo adeguamento nel tempo della portata della normativa che si realizza sia attraverso la modifica delle caratteristiche della figura dell’allenatore, dell’atleta, del direttore-tecnico-sportivo, del preparatore atletico, sia attraverso il parallelo evolversi dell’attività e dell’ordinamento sportivo». 14 Per tutti V. FRATTAROLO. Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, 2004, pag. 25 e seg. con ampi riferimenti alla dottrina precedente. 15 M. PERSIANI, Commentario alla l. 23 marzo 1981, op. cit., pag. 568. 65 DOTTRINA Atleti dilettanti……… inteso porre alcuni inderogabili limiti alla attività «qualificatoria» federale in senso professionistico dell’attività svolta.16 Sotto il profilo soggettivo la norma in esame predispone una elencazione di figure professionali di cui è controversa sia l’identificazione in concreto delle stesse, sia il carattere tassativo o meramente indicativo dell’elencazione. Se si esclude infatti la figura dell’atleta che risulta tipizzata in senso in univoco nell’ambito delle normative federali, i contorni delle restanti figure non sembrano delineabili con altrettanta nitidezza. Fondamentalmente, assumendosi la formula «esercizio dell’attività sportiva» in senso estensivo, le varie figure elencate dall’art. 2 appaiono accomunate dalla funzionalizzazione delle loro prestazioni professionali rispetto alla programmazione, pianificazione ed il miglioramento della performance atletica in relazione agli scopi agonistici.17 Di tutta evidenza dunque come restino estranei alle valutazioni che stanno a fondamento della l. n. 91 i rapporti di lavoro di tutti quei soggetti che «pur alle dipendenze di una società sportiva, non svolgono attività agonistica, ma bensì esplicano attività latu sensu amministrativa (segreteria, contabilità, gestione personale, pubblicità), o che sono addetti in permanenza a servizi vari (esemplificativamente cura e manutenzione impianti)».18 In vero la dottrina in ordine alla formulazione dell’elencazione delle figure professionali contenuta nell’art. 2 ha espresso valutazioni contrastanti. Parte di essa sostiene infatti che il legislatore abbia inteso elencare le figure degli operatori sportivi più frequenti e note chiaramente optando per il carattere non tassativo dell’elencazione ed in sostanza rimettendo alle determinazioni regolamentari delle singole federazioni nazionali l’ individuazione di altri professionisti sportivi. 19 16 Così anche G. GIUGNI, La qualificazione di atleta professionista, in Riv. dir. sport. 1986, pag. 169 ove: «non si può pensare che una federazione stabilisca che un rapporto discontinuo abbia carattere professionistico. possono emergere criteri di carattere integrativo che rendono più articolata la definizione della condizione di atleta». È da notarsi come Giugni riferisca la problematica de quo alla figura del solo atleta mentre di contro il testo legislativo si riferisca a tutti gli sportivi professionisti. Indiretta conferma si rinviene nella Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» al punto 22 in ove si afferma che «i criteri per la distinzione tra l’attività sportiva professionistica e non professionistica sono rimessi all’autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla l. 23/3/91 e successive modifiche». Per «principi posti» dovrebbero intendersi l’onerosità e la continuità. 17 G. GIUGNI, op. cit, pag. 166 il quale nota come «l’art. 2 individua le generiche figure degli sportivi professionisti e lo fa attraverso la tecnica nota in tutti i contratti di lavoro, dell’elenco delle qualifiche: gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori atletici». Il carattere peculiare di tale «operazione» è da rinvenirsi secondo l’Autore nella «rilevanza della qualifica soggettiva». Se infatti «nel comune rapporto di lavoro subordinato, normalmente si acquisisce la qualifica in base all’attività concretamente svolta, per la qualifica altro non è se non lo specchio individuale del lavoro che viene svolto di fatto» nel caso degli sportivi professionisti la qualificazione interviene anteriormente alla costituzione del rapporto. 18 G. VIDIRI, op. cit., pag. 232. In termini pressoché analoghi M. DE CRISTOFARO, op. cit., pag. 579. 19 D. DURANTI, op. cit., pag. 706. In tali termini anche M. DE CRISTOFARO, op. cit., pag. 576 secondo cui «si deve ritenere che l’elenco, apprezzabile per la sua aderenza alla realtà e per l’opportuna equiparazione tra atleti e tecnici, non sia tassativo, ma aperto alla 66 DOTTRINA Atleti dilettanti……… In altri termini il disposto di cui art. 2 andrebbe letto «alla luce del più ampio contesto dell’ordinamento sportivo vigente» dal momento che «il legislatore volutamente ha finito per concedere una delega in bianco al Coni ed alle Federazioni sportive (…) che consente un continuo adeguamento nel tempo della portata della normativa che si realizza sia attraverso la modifica delle caratteristiche della figura dell’allenatore, dell’atleta, del direttore–tecnico–sportivo, del preparatore atletico, sia attraverso il parallelo evolversi dell’attività e dell’ordinamento sportivo».20 Di contro si è sostenuto che «la tipizzazione delle figure professionali contenuta nella norma faccia propendere per la tassatività dell’elencazione mentre una diversa soluzione interpretativa sarebbe stata sostenibile soltanto se il legislatore avesse utilizzato espressioni letterali più generiche e onnicomprensive tali da permettere una classificazione dell’art. 2 in termini di norma aperta».21 In linea di massima non appare superfluo sottolineare come la natura di legge speciale della l. n. 91, provvedimento legislativo contenente vistose deroghe alla disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato, dovrebbe ostare ad ogni forma di estensione in senso analogico della normativa, e che dunque in tal senso la tassatività dell’elencazione non sia contestabile salvo valutare la possibilità di una interpretazione al limite estensiva che, muovendo dalla genericità del termine «allenatore», conduca all’applicazione della normativa de quo anche riguardo ad altre figure di tecnici sportivi intesi quali soggetti preposti alla programmazione della ottimizzazione della performance atletica.22 In ordine alle singole ipotesi non destano peculiari perplessità le figure dell’allenatore e del preparatore atletico; molto più articolata appare di contro la individuazione della nozione di direttore tecnico-sportivo. Muovendo infatti dalla dizione letterale dell’art. 2 quella del direttore tecnico-sportivo sembrerebbe rientrare nel novero dei «tecnici» costituendo una variante lessicale del termine «allenatore» in relazione alla diversità riscontrabili nelle singole discipline sportive quanto evoluzione che specialmente sul piano organizzativo può aversi nelle strutture societarie», A. BRECCIA FRATADOCCHI, Profili evolutivi ed istituzionali del lavoro sportivo, in Dir. lav, 1989, pag. 87 ove si afferma che: «si deve ritenere che l’ambito sia destinato ad allargarsi accogliendo altri soggetti che ricevono o potranno ricevere la qualificazione dalle federazioni». 20 E. PICCARDO, op. cit., pag. 562. Sul punto anche A. D’HARMANT FRANCOIS, Il rapporto di lavoro subordinato ed autonomo nelle società sportive, in Riv. dir. sport., 1986, pag. 5 ove si sottolinea come nella «definizione delle categorie dei professionisti sportivi (…) le relative nozioni trovino un riscontro sostanziale negli statuti e nei regolamenti federali». 21 G. VIDIRI F. BIANCHI D’URSO, op. cit., pag. 9. 22 In questo senso L. LAMBO, Massaggiatori calcistici: lavoratori sportivi o lavoratori comuni, nota a sentenza Pretura di Venezia, 23 luglio 1998, in Riv. dir. sport., pag. 169 Nel caso di specie il Pretore di Venezia ha negato che al contratto di lavoro stipulato tra massaggiatore e società sportiva professionistica possa esser applicata la disciplina del «lavoro sportivo» ex art. 4 della l. n. 91 in particolare del co. 8 ove si prevede l’inapplicabilità dell’allora vigente l. 18 aprile 1962 n. 230 ossia delle norme sul lavoro a termine. 67 DOTTRINA Atleti dilettanti……… all’individuazione dei soggetti preposti alla conduzione tecnica di una squadra o in generale alla massimalizzazione delle prestazioni degli atleti.23 Secondo parte della dottrina «la l. n. 91 disciplina il lavoro dei direttori tecnico-sportivi intendendo far riferimento a coloro che esercitano l’attività sportiva e cioè quel particolare tipo di direttore sportivo rientrante nel concetto di allenatore operante cioè nel solo campo della preparazione degli atleti».24 Altra dottrina di contro ritiene che proprio la figura del direttore tecnico-sportivo «sia destinata ad avere quanto ai contenuti concreti, una nozione meno restrittiva» essendo infatti riconducibile ad essa tutte quelle figure di dirigenti sportivi che «in passato per passione e del tutto gratuitamente svolgevano compiti connessi al miglioramento della pratica sportiva, ma che, con la maggior complessità, raggiunta dal fenomeno sportivo e con la necessità di assumere impegni sempre più gravosi connessi alla esecuzione della funzione, si sono andati trasformando in collaboratori retribuiti».25 La pluralità di significati del termine, astrattamente plausibili, è confermata dall’analisi delle normative della FIGC, nell’ambito delle quali coesistono la figura del direttore tecnico e quella del direttore sportivo Quanto alla prima l’art. 17 del Regolamento Sett. Tecn. specifica che «i direttori tecnici sono abilitati alla conduzione tecnica di squadre di ogni tipo e categoria e compete loro collaborare agli indirizzi tecnici di tutte le squadre della società per la quale sono tesserati e di partecipare alla loro attuazione, d'intesa con i tecnici responsabili di ciascuna squadra», delineando chiaramente la figura di un allenatore particolarmente qualificato che svolge mansioni strettamente di carattere tecnicoagonistiche nella conduzione di squadre, ed in forza delle sue specifiche competenze professionali si pone come soggetto atto a coordinare l’intera attività, nell’ambito tecnico, svolta dalla società sportiva (es. settore giovanile). 23 In questo senso l’art. 1 del Regolamento concernente i direttori sportivi di gruppi sportivi professionistici della Federazione ciclistica Italina secondo cui: «Il Direttore Sportivo è il responsabile tecnico del Gruppo Sportivo, incaricato di organizzare l’attività sportiva dei corridori e di stabilire le loro condizioni di lavoro. Allo stesso è affidata la conduzione tecnica della squadra con il compito di orientare, disciplinare e dirigere l’attività agonistica dei corridori che ne fanno parte». 24 C. PASQUALIN, Atti del II Convegno di diritto sportivo sul tema «Nuovi aspetti negoziali nell’attività sportiva», in Riv. dir. sport., 1983, pag. 82. L’Autore coerentemente ritiene che «la figura del general manager di una società sportiva» e in generale le figure dirigenziali, «non possa essere ricompresa nell’ambito di applicazione della legge». In questo senso anche G. VIDIRI F. BIANCHI D’URSO, op. cit., pag. 9 ove si afferma che: «la disposizione ha inteso riferirsi a quei soggetti che alternativamente o congiuntamente agli allenatori partecipano alla conduzione tecnica delle squadre con esclusione dei direttori sportivi aventi funzioni manageriali». Conformemente S. GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica degli atleti e degli sportivi professionisti, in Dir. Lav. 1982, pag. 27 ove pur ammettendo la possibilità di qualche dubbio sulla figura del direttore tecnico sportivo esclude che «possano esser ricompresi in tale accezione i cosiddetti manager». 25 Così E. PICCARDO, op. cit., pag. 564. 68 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Quanto alla seconda l’art. 2 del Regolamento dell’elenco speciale dei direttori sportivi, varato dal Consiglio Federale nella riunione in data 8 giugno 1991, prevede che «è direttore sportivo indipendentemente dalla denominazione, la persona fisica, che svolge per conto delle Società Sportive professionistiche, attività concernenti l’assetto organizzativo della Società, ivi compresa espressamente la gestione dei rapporti anche contrattuali far società e calciatori o tecnici e la conduzione di trattative con altre Società Sportive, aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori e/o la stipulazione delle cessioni dei contratti, secondo le norme dettate dall’ordinamento della F. I. G. C.». delineando una figura chiaramente dai connotati dirigenziali. Se dunque non par lecito accampare dubbi circa la ricomprensione nell’ambito applicativo della l. n. 91 del rapporto tra direttore tecnico e società sportiva, ciò appare meno agevole in relazione alla figura del direttore sportivo con la conseguente applicazione della disciplina derogatoria ex art. 4. La giurisprudenza26 individuando le funzioni di direttore sportivo nell’ambito delle società calcistiche in mansioni totalmente aliene alla preparazione tecnica degli atleti, ossia nella cura «dell’assetto organizzativo della società compresa la gestione dei rapporti anche contrattuali tra la società e i calciatori o i tecnici»27, ha chiaramente affermato come «il rapporto contrattuale tra sportivo professionista (nella specie direttore sportivo) e società sportiva (...) è qualificabile come rapporto di lavoro subordinato sportivo ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui alla l. 23 marzo 1981 n. 91» a condizione che non «manchi un contratto tipo, ai sensi dell’art. 4 di tal legge» non potendosi in tali casi il rapporto contrattuale definirsi di natura sportiva, ma ricorrendone i presupposti, costituendo un «comune rapporto di lavoro subordinato»28. 26 Con la Circolare del 4 giugno 2002 n. 20 l’Enpals ha sottolineato come debbano esser iscritti nel Fondo speciale sportivi professionisti i direttori tecnici, i direttori sportivi (per il calcio coloro i quali siano iscritti nell’elenco speciale dei direttori sportivi istituito presso la FIGC), mentre i direttori generali o altri dirigenti amministrativi «trattandosi di dirigenti di impresa industriale vanno assicurati presso l’INPDAI», chiaramente ricomprendendo i direttori sportivi nel novero degli sportivi professionisti cui ai sensi dell’art. 9 co. 1 l. n. 91 è estesa l'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, prevista dalla l. 14 giugno 1973, n. 366 per i giocatori e gli allenatori di calcio. 27 Cass. 8 giugno 1995, n. 6439 in Riv. dir. sport., 1996, pag. 747, con nota di M. PAGANELLI. Sul punto anche la successiva Cass. 23 aprile 1998 n. 4207, in Il lav. nella giur., 1998, pag. 946, con commento di L. MATTACE RASO. 28 Cass. giugno 1995, n. n. 6439, cit., pag. 751. Tale pronuncia si rifà all’orientamento del Supremo Collegio secondo cui «la l. n. 91 del 1981 regola un certo tipo di contrattazioni prevedendo la stipulazione di contratti che siano attuazione di futuri accordi collettivi», e che in virtù di ciò al di fuori di quest’area «il rapporto deve continuare ad esser regolato dalla normativa comune» (Cass. sez. un., 5 settembre 1986, n. 5430), esclude l’applicabilità della normativa «speciale» della l. n. 91 al rapporto tra direttore sportivo e società sportiva in assenza della predisposizione da parte della Federazione sportiva e della associazione di categoria interessata di un contratto tipo come disciplinato dall’art. 4 della legge. 69 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Pur dunque ritenendo la figura del «direttore sportivo» quale inquadrabile nell’ambito degli sportivi professionisti ex art. 2 la mancata predisposizione di un contratto tipo29 ai sensi dell’art. 4, co. 1 della l. n. 91 sarebbe ostativa alla applicazione della normativa «speciale». Tale inquadramento suscita alcune perplessità, ritenendosi la speciale disciplina dettata dalla l. n. 91 orientata a garantire un quadro normativo di riferimento in relazione a soggetti che esercitino attività sportiva, cioè le cui prestazioni si caratterizzino da un contenuto direttamente o indirettamente «agonistico» piuttosto che a soggetti i quali, pur contrattualmente vincolati a società sportive, svolgano mansioni di carattere dirigenziale o amministrativo30; d’altra parte è da notarsi in ordine ad una serie di figure professionali, pur conosciute in seno agli organigrammi societari, con particolare riferimento all’area medico-sanitaria non si è addivenuti ad una estensione del campo di applicazione della normativa.31 2. 1. Gli atleti professionisti Se dubbio non vi è circa l’inclusione degli atleti nell’ambito soggettivo di applicazione della l. n. 91 centrale nell’economia complessiva del testo normativo il disposto di cui all’art. 3. Il testo normativo segna una netta evoluzione rispetto all’omologo disposto del disegno di legge originario nell’ambito del quale (art. 4 co. 1) senza alcuna distinzione tra tecnici ed atleti si prevedeva che: «la prestazione dello sportivo professionista è considerata prestazione di lavoro autonomo ed è svolta mediante collaborazione coordinata e continuativa tra le parti». 29 Sul punto è da notarsi come già nel 1976 venne costituita l’Associazione dei Direttori e Segretari delle Società Sportive (A. DI. SE), allo scopo di favorire la crescita in termini di competenze, professionalità e attendibilità di queste figure L’8 Giugno 1991, finalmente dopo anni di intense trattative, venne alla luce il Regolamento dell’elenco speciale dei Direttori Sportivi, che definisce il profilo professionale del Direttore Sportivo e fissa le condizioni per l’iscrizione all’istituto Elenco Speciale degli operatori abilitati allo svolgimento della professione Successiva è stato stipulato tra F. I. G. C. e A. DI. SE., un Accordo Collettivo con predisposizione del prescritto contratto tipo. 30 È da sottolinearsi come l’Art. 1 dell’Accordo Collettivo tra ADISE e tra Federazione italiana Gioco Calcio (F. I. G. C.), Lega Nazionale Professionisti - e Lega Professionisti Serie C disponga che: «il presente Accordo Collettivo regola il trattamento economico e normativo dei rapporti fra le società partecipanti ai campionati professionistici ed i prestatori di lavoro subordinato e/o autonomo iscritti nell’Elenco Speciale (d’ora innanzi indicati come «tesserati») che svolgano l’attività ivi prevista e che ricoprano nella Società un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia operativa e potere decisionale». Il co. 2 dispone che: «rientrano, a titolo esemplificativo, il direttore generale, il direttore sportivo, il segretario generale o di settore», con una evidente dilatazione dell’ambito di applicazione della disciplina ex l. n. 91. 31 Ci si riferisce in particolare alla figura del medico sociale (riguardo alla quale Il D.M. 13 marzo 1995 del Ministero della Sanità prevede l’obbligatoria presenza negli organigrammi societari), del massaggiatore o in generale di tutto il personale medico o paramedico legato contrattualmente alla società sportiva. 70 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La nuova collocazione rivela il suo carattere essenzialmente definitorio e la funzione centrale di discriminare tra autonomia e subordinazione della prestazione sportiva dell’atleta, fermo restando per gli altri sportivi il criterio discretivo desumibile dalla combinazione tra gli art. 2094 e 2222 c.c.32 È opportuno sottolineare come l’art. 3 debba esser letto congiuntamente all’art. 10, co. 1 ai sensi del quale «possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata».33 Con tale norma infatti si è voluto da un lato garantire specificatamente l’atleta, dall’altro sancire la netta distinzione tra attività sportiva svolta a livello professionistico e dilettantistico dal momento che, almeno fino all’intervento della l. 23 dicembre 2002 n. 28934, la forma di società di capitali (S. p. A, S. r. L senza scopo di lucro) era da considerasi appannaggio esclusivo delle società sportive partecipanti ad attività agonistiche qualificate come professionistiche. Del tutto palese come il riferimento testuale alla figura dell’atleta lascia presumere che il legislatore abbia volutamente escluso i tecnici professionisti, per i quali la natura giuridica del datore assume i connotati dell’irrilevanza.35 32 Cfr. A. D’HARMANT FRANCOIS, op. cit., pag. 7. Così anche G. VIDIRI, op. cit., pag. 211. Sul punto L. MERCURI, Sport professionistico, (rapporto di lavoro e previdenza sociale). in Nuov. mo. dig. it., Utet, pag. 511 il quale afferma come «dal dato normativo, pur dovendo constatare una certa mancanza di coordinamento tra il co. 1 dell’art. 3 con le altre disposizioni della legge ed in particolare gli art. 2 e 4, devesi rilevarsi che per le altre figure previste dall’art. 2 (direttori tecnico-sportivi, allenatori, preparatori atletici) la qualificazione del rapporto in senso subordinato (…) potrà esser accertata ed eventualmente esclusa sulla base degli elementi e dei criteri forniti dal diritto comune e con riferimento al rapporto concretamente instaurato». In tal senso non appare condivisibile l’opinione di parte della dottrina secondo cui, considerando come «il contratto di lavoro autonomo (previsto dall’art. 3, co. 2), si riferisca alla sola prestazione dell’atleta, laddove il contratto di lavoro subordinato sportivo ha oggetto genericamente la prestazione lavorativa dello sportivo professionista (art. 4 co. 1), si dovrebbe concludere che proprio l’attività normalmente oggetto di lavoro autonomo (come quella degli allenatori e dei direttori tecnico-sportivi) «diventerebbe alla stregua delle nuove disposizioni oggetto esclusivo di un contratto di lavoro subordinato». (O. MAZZOTTA, op. cit., pag. 303). A conferma della erroneità di tale conclusione la giurisprudenza di legittimità ha di contro affermato, nel presupposto che «la l. 23 marzo 1981 n. 91, detta regole per la qualificazione del rapporto di lavoro dell’atleta professionista, stabilendo specificamente l’art. 3 i presupposti della fattispecie, in cui la prestazione pattuita a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato», che per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’art. 2 «la sussistenza o meno dei vincolo di subordinazione deve esser accertata di volta in volta» dunque non escludendo la possibilità che il rapporto tra allenatore e società sia qualificabile quale di lavoro autonomo. Cass. 28 dicembre 1996, n. 11540, in Riv. Dir. sport., 1997, pag. 233. 33 La norma evidenzia i limiti dell’intervento legislativo così fortemente ancorato al modello di organizzazione sportiva calcistica ed «esportabile» solo in talune discipline sportive. Sul punto A. LENER, op. cit., pag. 298 ove: «La . n. 91/1981 è essenzialmente una legge per il calcio non per lo sport professionistico in genere (…)» essendovi degli sport «in relazione ai quali gli schemi della l. n. 91 non servono». Esemplificatamene basti pensare all’ambito tennistico ove l’atleta, pur tesserato per una società sportiva eventualmente costituita in forma di società di capitali, non stipula alcun contratto con essa, o ai rapporti tra pugile ed il suo procuratore e l’impresa organizzatrice di spettacoli sportivi (di norma non affiliata alla federazione), al motociclismo o all’automobilismo nell’ambito dei quali gli atleti stipulano contratti con enti che non sono società sportive affiliate alle federazioni ma società costruttrici di veicoli. 34 In particolare l’art. 90 co. 1 prevede l’estensione dell’applicazione del regime l. 398/91 (regime fiscale forfetario) anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro indirettamente ammettendo la possibilità di costituire società sportive in tali forme. 35 D’altra parte è il caso di notare come sia vigente un Accordo Collettivo con predisposizione del contratto tipo tra la Lega Nazionale Dilettanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (L. N. D. della F. I. G. C.) e l'Associazione Italiana Allenatori di Calcio (A. I. A. C.) ai sensi dell’art. 4 della l. n. 91/81 «per la disciplina dei rapporti tra le società facenti parte della L. N. D. e gli allenatori professionisti tesserati dalle medesime società». 71 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Quanto alla singolare «tecnica» normativa adottata parte della dottrina ha enfatizzato la portata dell’art. 3, co. 2 affermando che nel tracciare lo spartiacque (tra lavoro autonomo e subordinato) la legge si è affidata a criteri distintivi tipizzati secondo una scelta metodologica di integrazione e sostituzione dell’art. 2094. Secondo tale impostazione infatti il termine «requisiti» utilizzato dal legislatore nell’ambito dell’art. 3, co. 2 sarebbe da assumersi nel suo significato tecnico ossia equivarrebbe a caratteristica di una fattispecie che serve ad identificarla giuridicamente. Ponendo il legislatore dunque quali requisiti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro autonomo quelli elencati dall’art. 3, co. 2 a contrario dovrebbero dedursi quali elementi necessari ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro tra atleta e società sportiva come subordinato che «l'atleta sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento» (lett. b), che l’attività non sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo «(lett. a), che la prestazione impieghi una parte rilevante della capacità lavorativa dell’atleta avendo una durata superiore ad otto ore settimanali, cinque giorni al mese e trenta giorni l’anno» (lett. c). Nella definizione del contratto di lavoro sportivo subordinato verrebbe dunque meno ogni riferimento all’eterodirezione attraverso la creazione di «un nuovo tipo legale di contratto di lavoro subordinato»36; tale scelta sarebbe stata dettata dalle caratteristiche peculiari del contratto di lavoro sportivo nel quale la marcatissima implicazione della persona dell’atleta, con le sue eccezionali doti fisiche, assume rilievo ponderante rispetto agli elementi dell’inserimento materiale nell’azienda e dell’eterodirezione, donde l’opportunità di una speciale nozione della subordinazione che non sia individuata dal modo d’esser intrinseco della prestazione. Pur senza tralasciare come l’eterodirezione resti sempre un elemento causale rilevante nel contratto di lavoro sportivo, nonché un naturalia negotii per effetto dell’applicazione dell’art. 2104 c.c. perderebbe però ogni rilievo distintivo, ribaltando così «un dogma giuslavoristico fino ad oggi indiscusso uno dei pochi punti fermi su cui si era registrato un consenso unanime in materia di definizione del lavoro subordinato».37 36 P. ICHINO., «Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento. Art. 2094-95, in Commentario del Codice civile» diretto da P. SCHLESINGER, GIUFFRÉ, 1992; pag. 100 secondo cui «costatata l’inadeguatezza delle categorie giuslavoristiche tradizionali rispetto alla caratteristiche del lavoro sportivo, il legislatore ha saputo sottrarsi all’alternativa tra far violenza a quelle categorie e far violenza alla realtà socio-economica scegliendo di dar vita ad una nuova nozione di subordinazione e di collegare ad essa una disciplina speciale». Analogamente L. MENGONI, Osservazioni e proposte sulla revisione della legislazione del rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1985, I, pag. 432 ove. «la l. 91/81 relativa ad un rapporto di lavoro speciale può considerarsi la base per l’enucleazione di un criterio ermeneutica più generale. la legge esclude infatti la configurabilità di una prestazione di lavoro quando essa pur essendo continuativa impegni il lavoratore per periodi molto brevi». 37 P. ICHINO, op. cit., pag. 104. 72 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Nello specifico gli elementi identificativi della fattispecie del lavoro subordinato sportivo sarebbero da individuarsi nelle sue dimensioni essenzialmente temporali rinvenibili nella non occasionalità della prestazione dedotta in contratto (art. 3, co. 2 lett. a) dunque il suo carattere continuativo nel suo senso atecnico ossia di prestazione «eccedente» nella sua dimensione temporale la singola «occasione» sportiva, nell’estensione della prestazione «nell’unità di tempo» (art. 3, co. 2 lett. c) tale da determinare, superando le soglie minime stabilite, un rilevante assorbimento della capacità di lavoro38, in una peculiare forma di inserimento della prestazione nell’organizzazione creditoria rappresentato dalla pattuizione del vincolo di partecipazione alle sedute di allenamento (art. 3, co. 2 lett. b)39. L’approccio ricostruttivo illustrato, incentrato sulla considerazione del lavoro subordinato sportivo come fattispecie legale tipica «alternativa» all’art. 2094 cui fa da corollario l’estensione in via tipologica dei peculiari indici qualificatori anche a fattispecie estranee all’ambito applicativo della legge40 , appare però fondamentalmente viziato da alcuni contraddizioni. Da un lato infatti non pare poter esser assunto quale elemento determinante nella definizione della figura professionale dell’atleta il dato dell’esibizione in pubblico. Non che tale aspetto non abbia rilievo, considerando come è innegabile la spettacolarità delle prestazioni agonistiche, quanto piuttosto sottolineando come il legislatore non lo abbia assunto quale elemento «ispiratore» dell’intervento in materia, motivato più che dalla peculiarità delle prestazioni dei lavoratori sportivi come definiti dall’art. 2 dall’inserimento di dette prestazioni in un 38 Sicché il mancato superamento di dette soglie settimanali, mensili, annuali, fa sì che «il relativo rapporto di lavoro non abbia un peso determinante nella vita professionale dell’atleta ovvero che l’esercizio della sua professionalità non dipenda in misura preponderante dal rapporto stesso». (P. ICHINO, op. cit., pag. 101). Sembra quasi propugnarsi in tali passi un recupero quale indice della subordinazione del criterio della dipendenza economica lasciando presumere una prestazione lavorativa inferiore alle soglie minime previste una sostanziale indipendenza del prestatore dal singolo committente ben potendo data l’esiguità dell’«orario di lavoro» esser parte di una pluralità di rapporti. 39 Il venir meno del coordinamento spazio-temporale come tratto distintivo del lavoro subordinato sportivo indurrebbe a valorizzare il vincolo contrattuale assunto, nella misura in cui anche un lavoratore-atleta autonomo, nella sua esibizione in pubblico, ossia nella partecipazione ad una manifestazione è vincolato ad una determinata collocazione spaziale. 40 Pur non trascurando la forza suggestiva di tale ricostruzione appare in vero «forzoso» considerare la legge sul lavoro sportivo come valido punto di riferimento atto ad inquadrare tutte quelle prestazioni di attività lavorative che si sostanziano in una esibizione in pubblico che determinerebbe una sostanziale annullamento del rilievo causale dell’inserimento continuativo della prestazione nell’organizzazione datoriale. Non pare infatti condivisibile l’assunto in virtù del quale «il campo di applicazione della regola dettata dalla l. n. 91/81 non sia limitato alla materia del lavoro sportivo» ma «può considerasi come espressione di un criterio di qualificazione di portata più ampia più ampia». (P. ICHINO, op. cit., pag. 118). Sotto il profilo poi della disciplina applicabile poi data l’ampiezza del tipo legale desumibile dalla l. n. 91/81 rispetto al tipo normativo (lavoro sportivo dell’atleta) a cui si riferisce la disciplina speciale contenuta nella legge farebbe si che «la sussunzione nel tipo legale non comporta la applicazione della disciplina legale» (P. ICHINO, op. cit., pag. 112.) In altri termini ad esempio il rapporto tra attore teatrale e datore di lavoro andrebbe qualificato in senso autonomo o subordinato alla luce degli indici individuati dall’art. 3 co. 2 della l. n. 91, se qualificato in termini di lavoro subordinato (ad esempio perché l’attore sia vincolato ad una serie di sedute di preparazione, o il suo impegno non sia limitato ad una singola rappresentazione od ad una breve tournèe) sarà applicabile la disciplina di diritto comune e non quella prevista dagli art. 4 e seg. della l. n. 91. 73 DOTTRINA Atleti dilettanti……… contesto peculiare rappresentato dall’ordinamento sportivo, con un recupero solo marginale della specifica natura della prestazione in sede di disciplina applicabile. Tale considerazione dovrebbe indurre ad affermare il carattere «specialistico» dei presunti indici di subordinazione dunque la loro «inesportabilità» a fattispecie diverse. Dall’altro fondamentale lato la ricostruzione appare viziata dal vistoso apriorismo rappresentato dalla presupposizione in chiave pluralistica della fattispecie del lavoro subordinato caratterizzata dall’individuazione di una più ristretta figura tipica «forte» di subordinazione affiancata da una serie di fattispecie tipiche minori, tesi che non trova, de iure condito, consenso presso la dottrina. La dottrina a vocazione unitaria ha sottolineato come sia da escludersi che il disposto dell’art. 3, co. 2 «modifichi i canoni del diritto comune in base ai quali deve esser individuata l’esistenza di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato», essendo la particolarità della disciplina limitata al prevedere «un limite quantitativo per l’applicabilità della disciplina legale del lavoro sportivo subordinato».41 L’utilizzo del termine «requisiti» sarebbe da intendersi in un significato atecnico, ossia non quale elemento della fattispecie quanto piuttosto quale sinonimo di «casi» o «ipotesi» nell’ambito delle quali emergerebbe la figura dell’atleta professionista autonomo, in contrapposizione con quella dell’atleta «inserito nell’organizzazione di una società sportiva con l’impegno di svolgere una prestazione che è strumento essenziale per l’esplicazione dell’attività sociale».42 Non si è mancato di notare come in realtà «i requisiti specificati dalla lett. a) e b) (…) rientrano nella logica di esclusione del lavoro subordinato così come prefigurato nell’art. 2094 c.c.; il primo, riferendosi alla collaborazione prestata nell’espletamento di un’attività sportiva in una o più manifestazioni tra loro collegate in un breve lasso di tempo, evoca il concetto dell’opus, dell’obbligazione di risultati, il secondo, agganciandosi all’inesistenza dell’obbligo contrattuale di frequentare le sedute di allenamento, richiama la nozione di subordinazione tecnica della diligenza».43 41 M. PERSIANI, op. cit., pag. 573. M. DE CRISTOFARO op. cit., pag. 577. Non sfugge all’Autore come «solo per l’attività sportiva subordinata e per gli aspetti ed i problemi connessi ad una qualificazione di questo tipo il legislatore ha avvertito la necessità di una tutela adeguata degli interessi sociali, economici e professionali degli atleti, dettando una apposita e riservata disciplina». 43 F. BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, op. cit., pag. 12 i quali riguardo alla lett. c) affermano che esso «dà luogo ad un processo di detipizzazione della subordinazione canonizzata dalla norma civilistica; con una inusitata quanto insoddisfacente deviazione rispetto all’ottica tradizionale, secondo la quale l’occasionalità della prestazione non esclude la natura subordinata della medesima, è stato 42 74 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Allora sarebbe da escludersi l’emergere dal complessivo disposto dell’art. 3 di una fattispecie legale di lavoro subordinato ponentesi al di là dell’art. 2094 c.c., risolvendosi la peculiarità del disposto normativo all’adozione di metodo di distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, non legato alla «classica» differenziazione su base concettuale, ma «attraverso l’indicazione di ipotesi precise di prestazione d’opera».44 Altro profilo di interesse è rappresentato dalla formulazione testuale secondo cui «la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di un contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge» (art. 3, co. 1) con la quale il legislatore pare introdurre una sorta di «presunzione assoluta dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato»45 destinata a venir meno nelle ipotesi previste dal co. 2. Il richiamo però ad un istituto quale la presunzione iuris et de iure a non pare congruo. Le presunzioni legali che rappresentano le conseguenze tratte dalla legge da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto e che attiene alla fase di accertamento compiuto dal giudice intorno al fatto, non hanno margine di operatività nella misura in cui la subordinazione non si configura quale fatto storico quanto piuttosto la qualificazione di una fattispecie. In realtà la percezione della portata dell’art. 3 della l. n. 91 pare possa esser pienamente intesa solo attraverso una lettura che miri a considerare il complessivo disposto normativo ed in particolare l’art. 4 che, secondo l’intestazione della rubrica, contiene la disciplina del lavoro subordinato sportivo. L’art. 4 ha un contenuto disomogeneo; buona parte delle prescrizioni ivi contenute attengono più che alla disciplina in sé del rapporto a quella del contratto di lavoro, in senso documentale, ed al sistema negoziale nel suo complesso.46 infatti attribuito alla brevità del rapporto, tassativamente quantificata dalla norma, valore preclusivo del carattere subordinato del contratto di lavoro sportivo». Sempre con riferimento all’art. 3 co. 2 lett. c) G. GHEZZI U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Zanichelli, 1995, pag. 47 secondo cui «quest’ultima è la sola ipotesi legalmente prevista in cui il part-time, normalmente ininfluente ai fini della classificazione del rapporto di lavoro subordinato, lo trasforma addirittura in rapporto di lavoro autonomo». 44 Critico con l’approccio legislativo S. GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica, op. cit., pag. 31 il quale sottolinea come «la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non può che discendere dai caratteri concreti con cui si atteggia il rapporto dalle modalità del rapporto tra i due soggetti, datore di lavoro o committente ed il lavoratore, centrando questa identificazione in modo primario sulla subordinazione». 45 D. DURANTI, op. cit., pag. 709. Così anche M. PERSIANI, op. cit., pag. 567 secondo cui la norma «sembra stabilire una sorta di presunzione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato». Così anche G. VIDIRI, op. cit., pag. 210 il quale sottolinea come il «legislatore abbia posto una presunzione di lavoro subordinato per il solo atleta». 46 In effetti i co. 7, 8, 9 sono finalizzati alla disciplina in senso stretto del rapporto disponendo la istituzione di un peculiare fondo per la corresponsione dell’indennità di anzianità (co. 7), la inapplicabilità di alcune norme (co. 8, 9), risultando i comma precedenti a disciplinare forma, contenuto, procedure negoziali del contratto di lavoro subordinato sportivo. 75 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Proprio infatti sul contratto di lavoro risulta imperniato il discorso normativo della l. n. 91; non casualmente la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è riportata a quella tra contratti di cui ciascuna di queste prestazioni costituisce oggetto. Ciò a dire che la fattispecie del lavoro subordinato sportivo non deriva dalle modalità esplicative del rapporto, recuperate parzialmente nell’ambito dell’art.3 co.2, ma trae la sua essenza a livello meramente negoziale. Sembra dunque potersi individuare la portata dell’art. 3 nell’intento di porre un limite all’autonomia delle parti, nel senso che il rapporto di lavoro professionistico con l’atleta non può non esser svolto che nello schema causale tipico della subordinazione salvo le eccezionali ipotesi in cui la prestazione dell’atleta si svolga nello schema del lavoro autonomo. In linea di fatto l’operazione legislativa, per mezzo della formulazione dell’art. 3 sarebbe atta a garantire un ampliamento del campo di applicazione del diritto del lavoro, in un ambito ove si erano manifestate profonde incertezze circa la qualificazione giuridica del rapporto, attraverso l’assimilazione legale di certe categorie professionali ai lavoratori subordinati. Con tecnica di ispirazione latamente corporativa, l’appartenenza ad una determinata categoria professionale dispensa dall’utilizzo di forme contrattuali diverse dal contratto di lavoro subordinato, assumendosi la fattispecie de quo quale modello social-tipico informatore dei rapporti atleti-società. L’attenzione è concentrata più che sulla qualificazione del rapporto, sullo strumento contrattuale e le discipline applicabili; in tal ottica l’art. 4 recupera alcuni aspetti già diffusi nell’ambito dei c.d. contratti di ingaggio quali la forma scritta, l’utilizzo di modelli standard, l’approvazione da parte di organi federali, ma insieme rimodella il sistema negoziale attribuendo un ruolo fondamentale all’autonomia collettiva ed impone contenuti al contratto individuale finalizzati alla «prevenzione» di surrettizie reintroduzioni di discipline «vincolistiche» limitati della libertà contrattuale dello sportivo (art. 4, co. 6)47. 47 Art. 4 co. 6 l. 23 marzo 1981 n. 91: «Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni». Così ad esempio la previsione del co. 7 ai sensi del quale: «le federazioni sportive nazionali possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione della indennità di anzianità al termine dell'attività sportiva a norma dell'art. 2123 del codice civile». Pur non sfuggendo la difficoltà nella ricognizione interpretativa dell’art. 4 co. 7 data l’ambigua formulazione del testo che pur richiamando l’istituto dell’indennità di anzianità (art. 2120 c.c.), parla esplicitamente di «termine dell’attività sportiva» e non di «cessazione del rapporto di lavoro», la peculiarità del riconoscimento di un «potere» unilaterale («possono costituire») alle federazioni di costituzione dello specifico fondo, nonché la contraddittorietà del riferimento all’art. 2123 c.c. inerente forme previdenza eventualmente facoltative e non sostitutive della indennità di anzianità (TFR) in realtà pare palese il richiamo al c.d. «Fondo di accantonamento indennità di fine carriera» costituito nel 1975 fra la Lega Nazionale Professionisti, la Lega Professionisti di serie C, l'Associazione Italiana Calciatori e l'Associazione Italiana Allenatori Calcio e destinato, per mezzo dei versamenti delle società datrici a garantire la corresponsione di una indennità di fine carriera. 76 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La tipologia cosi definita è corredata poi da un nucleo di disciplina speciale nell’ambito della quale taluni potenziali problemi di coordinamento con la normativa comune vengono già risolti in sede legislativa. L'estensione dell'ambito del lavoro subordinato a fattispecie in cui vengono fatte prevalere le ragioni di una tutela accentuatamente protettiva dei prestatori si realizza allora a mezzo del richiamo al prototipo normativo del «lavoro subordinato » salvi gli opportuni adattamenti.Sono individuati infatti dal legislatore una serie di disposti propri del prototipo normativo di cui si esclude l’operatività (es.art.4 co.8 e 9 L.91/81), implicitamente ammettendosi l’applicabilità in via integrativa di tutte le discipline di diritto comune. 2.2. Gli atleti non professionisti. Il quadro ricostruttivo su evidenziato lascia trasparire come il legislatore, forse inconsapevolmente, abbia assunto, nel delineare il campo di applicazione della l. n. 91, un modello fondamentalmente aselettivo. La scarsa significatività degli elementi discriminati e la prassi di estendere il novero delle figure professionali confermano tale conclusione lasciando emergere dunque la centralità della «qualificazione federale»48. Con particolare riferimento agli atleti, l’art. 2, già in limine, evidenzia le due caratteristiche che devono essere compresenti ai fine dell’ identificazione; da un alto la titolarità di un contratto di lavoro sportivo a titolo oneroso avente ad oggetto un’attività svolta con continuità, dall’altro (ma in ordine logico in via preliminare) l’avvenuta qualificazione dello sportivo come professionista da parte delle rispettive federazioni nazionali. Tale opzione legislativa ha, nella realtà fattuale, alimentato le ambiguità circa la qualificazione giuridica del rapporto tra sportivi dilettanti e società, ingenerando l’inconveniente di sottrarre alla disciplina della l. n. 91 l’intera area del c.d. professionismo di fatto; è agevole infatti dedurre come si fornisca del professionismo sportivo una nozione ancorata alla «presenza di elementi che escludono l’acquisizione di fatto del relativo status».49 48 In senso analogo G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. Civ., 1993, pag. 209, il quale osserva che «oltre all’assunzione dell’obbligo a svolgere con carattere di continuità l’attività sportiva dietro un corrispettivo professionale, ulteriore elemento necessario per la configurabilità del professionismo sportivo è dunque la qualificazione attribuita dall’unico soggetto a ciò legittimato: la federazione competente per il singolo sport». 49 F. BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, op. cit., pag. 7. Tale metodo definitorio legittima l’idea dell’ordinamento sportivo quale «ordinamento a carattere chiuso» Sul punto G. GIUGNI, op. cit., pag. 170. Circa il carattere «dominante» dell’elemento della qualificazione G. VALORI, Il diritto nello sport, Giappichelli, 2005, pag. 200 ove: «non è lo svolgimento dell’attività sportiva a titolo oneroso con 77 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La centralità dell’elemento della «qualificazione federale» esige un approfondimento in tema; «con tale termine ci si riferisce ad una attività di carattere latamente normativo posta in esser dalle federazioni, in ossequio alle direttive del CONI di contenuto astratto e generale cui, sul piano dell’individuazione in concreto di chi è professionista, il cosiddetto tesseramento è un momento successivo e strumentale».50 Quanto al momento generale astratto di normazione (individuabile a livello statutario e/o regolamentare) puntualmente l’art. 5. 2 lett. d) del D. lgs. 23 luglio 1999, n. 242 prevede che il Consiglio Nazionale del Coni «stabilisca in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale e nell'ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale, criteri per la distinzione dell'attività sportiva dilettantistica da quella professionistica».51 Nel predisporre dunque un’organica disciplina del rapporto di lavoro sportivo, il legislatore con la l. 91/1981 si richiama formalmente alla tradizionale dicotomia dilettante-professionista ispirata alla filosofia dell’olimpismo, che, sebbene oggetto a radicali critiche52, trova riscontro ancor oggi, seppur come si vedrà con carattere non univoco, nell’ambito delle organizzazioni federali nazionali ed internazionali.53 D’altra parte nell’ ordinamento generale statuale la nozione di atleta dilettante non pare oggetto di specifica attenzione legislativa assunta come è quale pura espressione dell’assiologia carattere di continuità a conferire alla prestazione sportiva la qualificazione di attività professionistica o dilettantistica, quanto il riconoscimento ufficiale da parte delle Federazioni sportive dell’esercizio dell’attività sportiva professionistica per i propri tesserati». Sul tema della qualificazione anche L. MUSUMARRA, La qualificazione degli sportivi professionisti e dilettanti, in Riv. Dir. Econ. Sport, 2005, pag. 40 seg. 50 G. GIUGNI, op. cit., pag. 167. Tale chiarificazione risulta opportuna considerando come nell’ambito dell’art. 2 la nozione di sportivo professionista non debba intendersi quale conseguenza del tesseramento del singolo soggetto ma quale conseguenza della scelta delle singole Federazioni di dar vita nel proprio ad un settore professionistico. La distinzione tra professionisti e dilettanti è infatti rimessa alle singole federazioni sportive nazionali, secondo direttive del CONI, che in realtà, si limita a verificare una non contraddittorietà con le norme del CIO e dell’ordinamento sportivo internazionale. Allo stato attuale, non v’è alcun dubbio che la scelta del regime, professionistico o dilettantistico, ovvero la scelta della compresenza di entrambe le componenti (a seconda dei livelli e/o dei settori dell’attività) debba trovare espressa menzione nei fini istituzionali della Federazione. Ad oggi secondo la delibera del CONI n. 469 del marzo 1988 è attività sportiva professionistica soltanto l'attività svolta nell'ambito delle seguenti federazioni: Federazione ciclistica italiana, Federazione Italiana Golf; Federazione Italiana Giuoco Calcio, Federazione Motociclistica Italiana, Federazione Pugilistica Italiana cui aggiungersi la Federazione Italiana Pallacanestro (a partire dal 1995). 51 Formulazione fondamentalmente richiamata dall’art. 6. 4 lett. d) Statuto Coni adottato il 23 marzo 2004 secondo cui Il Consiglio: «stabilisce, in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale e nell'ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale e delle Discipline Sportive associate, criteri per la distinzione dell'attività' sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica». 52 Ex plurimis I. MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, Giuffrè, 1977, pag. 136 e seg. il quale sottolinea come «per l’olimpismo il problema (della distinzione dell’attività professionistica e dilettantistica) non si pone perché secondo tale dottrina solo lo sport dilettantistico e cioè quello praticato dall’atleta senza ricevere direttamente o indirettamente alcun aiuto economico, è vero sport, mentre il cosi detto sport professionistico non appartiene alla categoria dello sport ma a quella del lavoro». 53 Per un’ampia ricognizione delle normative statutarie e regolamentari federali sul piano internazionale vedi P. LOMBARDI, II vincolo degli atleti nel diritto dello sport internazionale, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 97 seg. 78 DOTTRINA Atleti dilettanti……… sportiva, ossia come attività agonistica a carattere programmatico orientata al miglioramento dei risultati.54 In vero il CIO, massima espressione dell’ordinamento sportivo internazionale, quasi postumamente aderendo alla posizione decoubertiniana sul tema55, ha da tempo rinunciato alla codificazione della nozione di atleta non professionista. Il Comitato Olimpico Internazionale riserva a sé infatti un mero potere di approvazione relativamente ai requisiti di ammissione ai giochi Olimpici (c.d. «eligibilità»), la cui determinazione è rimessa alle singole Federazioni sportive Internazionali56, ed ha superato ogni preclusione all’accesso ai giochi quadriennali da parte degli atleti professionisti, a condizione che accettino il regolamento olimpico che impone esclusivamente il divieto di ogni forma di ricompensa finanziaria per le prestazioni fornite nel corso della manifestazione57. In concreto dunque sono le disposizioni degli Statuti e dei regolamenti delle Federazioni Sportive Internazionali a definire in vario modo lo spartiacque tra attività sportiva professionistica e non. 54 L’unica definizione di non professionista nell’ambito della legislazione statale era da rinvenirsi nell’attualmente abrogato d. P. r. n. 530 del 1974 (Regolamento di esecuzione della l. n. 426 del 1942) che individuava l’atleta non professionista come colui il quale «pratica lo sport senza trarne alcun profitto materiale direttamente od indirettamente». D’interesse la definizione di sportivi dilettanti come «tutti i tesserati che svolgano attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico motorio o quale impiego del tempo libero, con esclusione di coloro che vengono definiti professionisti dagli specifici regolamenti delle organizzazioni sportive nazionali di appartenenza o che vengano ricompresi nelle previsioni di cui al d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38» di cui al decreto interministeriale 17 dicembre 2004, disciplinante le modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione obbligatoria presso la Cassa di previdenza per l'assicurazione degli sportivi dilettanti, nonché i termini, la natura, l'entità' delle prestazioni e i relativi premi assicurativi. Correttamente si è osservato come però in alcuni settori normativi si abbozzi una linea di demarcazione diversa, come ad esempio l’attuale art. 27 n. 5 bis della l. Bossi-Fini, (l. 30 luglio 2002 n. 189), emendato su esplicita richiesta del CONI, che prevede, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, l’endiadi «attività sportiva professionistica o comunque retribuita», dizione quest’ultima che finisce con il costituire un indiretto riconoscimento legislativo del professionismo di fatto. (Cfr. A. De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 12. In via applicativa però la citata normativa conduce ad esiti paradossali. La società dilettantistica o professionistica che intenda avvalersi dell’attività di uno sportivo straniero anche non professionista, dovrà formulare comunque una proposta di soggiorno e una richiesta di dichiarazione nominativa di assenso per lavoro subordinato sport alla federazione di appartenenza corredata dall’autorizzazione rilasciata dalla competente Direzione Provinciale del Lavoro anche in ipotesi in cui alcun contratto di lavoro sia in essere (come nel caso degli atleti non professionisti).Recentemente però il Ministero dell’Interno con la Circolare n.8 del 2 marzo 2007, preso atto, sic stantitibus rebus, della non configurabilità di contratti di lavoro subordinato in ambito non professionistico, ha esonerato gli atleti extracomunitari dilettanti dalla stipula del contratto di soggiorno. 55 P. DE COUBERTIN, Memorie Olimpiche, Mondadori, Milano, 2003, pag. 95: «Per me lo sport era una religione con chiesa, dogmi, culto, ma soprattutto sentimento religioso, e mi sembrava infantile collegare tutto ciò al fatto che un atleta potesse aver ricevuto un pezzo da cento». 56 Cfr. punto 1 Testo di applicazione regola 45 della Carta Olimpica ai sensi del quale: «Ciascuna Federazione Internazionale fissa i criteri di ammissione relativi ai propri sport secondo la carta Olimpica. Questi criteri devono esser sottoposti all’approvazione della Commissione esecutiva del CIO». 57 Cfr. art. 45 della Carta olimpica, in particolare il punto 4 del Testo di applicazione. Da tale disposizione si deduce come la distinzione tra dilettanti e professionisti non abbia rilievo ai fini della partecipazione ai giochi olimpici e, sottotraccia, viene ammessa la possibilità che un atleta dilettante, al di fuori delle Olimpiadi, sia remunerato per l’attività svolta. 79 DOTTRINA Atleti dilettanti……… In tal ambito è dato rilevarsi una gamma ampia e diversificata di soluzioni; dalla notevole eccezione rappresentata dal regolamento interno della F. I. B. A., la quale da circa dieci anni ha abolito la distinzione tra professionisti e dilettanti, fino al vigente Regolamento F. I. F. A. in materia di status e trasferimento dei calciatori, che all’art. 2 considera professionista l’atleta «che ha un contratto scritto con una società e che in cambio della propria prestazione riceve un pagamento superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività calcistica». Nell’assenza di alcun indirizzo da parte del Coni, avendo l’ente pubblico omesso concretamente di emanare quelle direttive per la distinzione tra attività dilettantistica e professionistica che pur la legge58 espressamente e con precisione richiede, si è affermata la tendenza da parte delle singole federazioni ad emanare in proprio discipline in ordine al riconoscimento all’interno della propria organizzazione di eventuali settori professionistici indubbiamente non «in armonia» con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale. Eclatante sul punto il caso FIGC la cui normativa interna, malgrado un esplicito obbligo di conformazione a riguardo59, pare porsi in evidente difformità, in parte qua, rispetto ai disposti internazionali in materia. Basterebbe osservare come tra la definizione di cui all’art. 2 del Regolamento FIFA ed il combinato disposto degli articoli 29 e 94 ter NOIF sussista una differenza in termini qualitativi essendo, nel primo caso, la definizione tipicamente ricondotta allo svolgimento dell’attività senza corrispettivo, mentre nel secondo si ammetta esplicitamente la dazione di voci premiali, compensi, rimborsi forfetari per definizione del tutto svincolati da rendicontazione circa l’effettivo sostenimento. Non casualmente la Dispute Resolution Chamber, organismo di risoluzione delle controversie in tema di corresponsione di indennità di trasferimento disciplinato dall’art. 22 lett. d) del Regolamento FIFA citato, ha più volte affermato il principio in virtù del quale il riconoscimento in forma diretta o indiretta di benefici ultronei rispetto al mero rimborso dei costi per il vitto, l’alloggio, l’allenamento, l’assicurazione, comporti la perdita dello status di dilettante prescindendo dalla formale qualificazione federale.60 58 Né da ultimo la Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» pare aver mutato rotta prevedendosi al punto 22 che «i criteri per la distinzione tra l’attività sportiva professionistica e non professionistica sono rimessi all’autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla l. 23/3/91 e successive modifiche». 59 Recita l’art. 1 del Regolamento FIFA riguardante lo Status ed il Trasferimento dei calciatori: «Le singole Federazioni nazionali sono obbligate a recepire nei propri regolamenti a partire dall'1 luglio 2005 gli artt. 2-8, 10, 11 e 18, mentre le parti rimanenti potranno essere integrate antro 30 giugno 2007». 60 Ai sensi dell’art. 20 co. 2 del Regolamento FIFA riguardante lo Status ed il Trasferimento dei calciatori: «L'indennità di formazione è dovuta nei seguenti casi: a) Quando il giocatore sottoscrive il suo primo contratto professionistico; b) Ad ogni trasferimento fino 80 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La mancata, pur ex lege necessaria, predisposizione da parte del CONI di direttive e criteri validi nella generalità dei casi e l’affermarsi della prassi di approvazione postuma delle deliberazioni federali in materia, si è tradotta in arbitrarietà e disparità di trattamento. Emerge dunque una fondamentale «ambiguità e limitatezza della l. 91/81 che demanda alle federazioni sportive il potere di attribuire il presupposto legale del contratto di scambio mediante il quale un lavoratore sportivo possa prestare la propria attività a favore di una società a titolo oneroso»61, in tutte quelle ipotesi pur non ricomprese nel campo di applicazione della legge ma che realizzino presupposti socio-economici e giuridici analoghi62 . In tali casi dottrina e giurisprudenza sono fondamentalmente divise quanto alle soluzioni astrattamente prospettabili.63 Da un lato si afferma la necessità «di attribuire un significato più generale alle norme definitorie alla legge sul professionismo in quanto indicative dei caratteri che presiedono all’individuazione qualitativa del rapporto a prescindere dal presupposto legale (la qualificazione ex art. 2) del professionismo».64 Secondo tale impostazione, pertanto, si deve disattendere la qualificazione degli atleti come dilettanti in sede di applicazione della l. 91/81, considerando come «il ritorno alla disciplina di diritto comune per l’area del professionismo di fatto oltre ad urtare con la voluntas legis farebbe sorgere in termini invertiti problemi di disparità di trattamento».65 alla stagione in cui compie 23 anni e comunque in funzione dello status del giocatore, ossia da dilettante a professionista o da professionista a professionista». Il co. 3 prevede altresì che: «L'indennità di formazione non è dovuta: a) Per trasferimento da dilettante a dilettante o per trasferimenti da professionista a dilettante; b) Se il calciatore è trasferito ad una società della categoria 4; c) Se un club risolve unilateralmente il contratto di un giocatore senza giusta causa, fermo restando l'indennizzo dovuto ai precedenti club che hanno preparato il giocatore». Centrale, in ordine alle ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità, la individuazione dello status dell’atleta. La Camera (Dispute Resolution Chamber, 4 febbraio 2005, inedita) ha ritenuto di qualificare quale «professionista» un atleta formalmente «non professionista» alla luce della intervenuta pattuizione circa la dazione di somme a titolo di rimborso spese di viaggio in favore dei familiari dello stesso evidentemente qualificando tale pattuizione come corresponsione indiretta di somme ultronee rispetto ai costi effettivamente sostenuti. 61 L. MERCURI, voce Sport professionistico (rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Nuoviss. Dig. it, Utet, 1987, pag. 519 62 TAR Lazio, sez. Ter, 5 dicembre 2002, inedita: «Certamente la mancata applicazione al settore del basket femminile della l. 23 marzo 1981, n. 91, è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare difficile configurare come dilettantistico una attività sportiva comunque connotata dai due requisiti richiesti cui all’art. 2 (remunerazione comunque denominata e la continuità delle prestazioni) per l'attività professionistica». 63 Sul punto P. SANDULLI, Autotutela collettiva e diritto sportivo, in Dir. Lav., 1989, pag. 281 ove si afferma che l’esclusione dei dilettanti dal «novero» dei lavoratori se «indiscutibile sul piano formale, in considerazione del rinvio che la l. n. 91 opera rispetto alle determinazioni del Coni quanto alla qualificazione di alcune attività quali dilettantistiche» non altrettanto certo è se tale rinvio «sia idoneo ad escludere effettivamente, in presenza di vere e proprie finzioni, l’operatività di quel processo di espansione del diritto del lavoro». 64 L. MERCURI, op. cit., pag. 519. L’Autore sostiene che qualora non si acceda a tale tesi «della sostanziale irrilevanza del carattere professionistico dell’attività così come richiesto dalla legge, in ordine alla applicabilità delle normative di tutela del rapporto da essa prevista resta sempre che tali normative potrebbero venire in discorso in via analogica». 65 F. REALMONTE, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, pag. 374. L’Autore nota come ammettendo la applicabilità della disciplina di diritto comune «ci si troverebbe nella non facile posizione di spiegare la ragione per la quale agli atleti esclusi dall’ambito della l. n. 91 si finisca per riservare una tutela qualitativamente più intensa». 81 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Tale indirizzo trova raramente conforto nella giurisprudenza; in un isolato precedente sul tema66, si è ritenuta ad esempio la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato ai sensi della l. 91/81 tra un allievo allenatore ed una associazione sportiva affiliata alla Federazione italiana hockey e pattinaggio. Altra dottrina, accertata l’impossibilità di estendere la normativa contenuta nell’art. 4 e seguenti della l. 91/81 oltre il campo di applicazione specificatamente delimitato, e considerando la natura speciale della legge ex art. 14 delle preleggi, insuscettibile di applicazione indiretta o analogica67, ritiene che tutte le questioni relative a quei prestatori di lavoro sportivo non contemplati, ma che in ogni caso svolgano a titolo oneroso la propria attività lavorativa, devono esser risolti ricorrendo alla normativa comune. Sul piano dogmatico infatti le relazioni tra le due normative, le norme codicistiche e la l. n. 91/81, possono essere regolate in base al criterio della specialità con la conseguenza che ogniqualvolta la fattispecie da regolamentare non presenti i tratti qualificanti della normativa speciale la stessa non può che ricadere nell'ambito della più ampia disciplina generale. 3. Gli sportivi non professionisti nella giurisprudenza nazionale ed internazionale 66 Pretura Busto Arsizio 12 dicembre 1984 in Giust civ. 1985, pag. 2085 con nota adesiva di C. Zoli. Nel caso di specie in vero non pare però congruo il richiamo alla l. 91/81 in considerazione dell’assenza della «qualificazione» federale e che la Federazione italiana hockey e Pattinaggio non riconosce nel suo interno un settore professionistico. Latamente sembrerebbe propugnare l’applicabilità della normativa di cui alla l. 91/81 anche ad ipotesi estranee al suo campo applicativo Cass. Civ., Sez. Lav. 1 agosto 2003, n. 11751. In tale pronuncia la Suprema Corte, nel confermare la piena validità di un lodo emesso nell’ambito di una federazione non professionistica quale la F. I. S. G., ha ritenuto di poter fare riferimento alle previsioni di cui all’art. 4 co. 5 l. 91/81. In senso analogo già antecedentemente Cass.Civ.,Sez.Lav., 6 aprile 1990, n.2889 ove riguardo ad una controversia tra associazione sportiva ed atleta non professionista si sostiene che le parti «avvalendosi espressamente della facoltà prevista dal 5 comma dell'art. 4 della L. 91-81, hanno concordemente devoluto la soluzione della controversia al Collegio Arbitrale costituito a norma del citato articolo con conseguente applicazione del procedimento previsto dall'art. 23 del Regolamento di disciplina della F.I.G.C., procedimento che, per sua natura e definizione, ha carattere irrituale, risolvendosi con una pronunzia emessa in unica istanza secondo equità e qualificata come definitiva e non impugnabile Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente devesi poi rilevare che nelle controversie di lavoro - a norma dell'art. 5 della L. N. 533 del 1973 - è ammissibile anche l'arbitrato irrituale, purché previsto dalla Legge o dai contratti ed accordi collettivi. Nella fattispecie la normativa di riferimento è costituita dalla legge N. 91-81 concernente i rapporti fra società e sportivi professionisti». 67 G. MART.INELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, in Riv. dir. sport., 1993, pag. 17. Sul punto altresì F. BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, pag. 8-9, G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra Codice Civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav. 2002 pag. 39. Su posizioni similari più di recente G. VALORI, op. cit. pag. 200-201, nonché M. T. SPATAFORA, op. cit., pag. 62 secondo cui: «È legittimo ritenere che, seppur non trovi applicazione la l. n. 91/81 troveranno applicazione le norme di diritto comune e, ricorrendone i requisiti, l’art. 2094 c.c., la normativa dettata in linea generale per ogni rapporto di lavoro subordinato». 82 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Sul piano della giurisprudenza internazionale, nazionale e talvolta anche arbitrale68 in seno alle singole federazioni sportive nazionali, va vieppiù consolidandosi la tendenza ad un approccio meno formalistico tendente a superare il requisito della qualificazione federale. Tale evoluzione è scandita in maniera perentoria dalla giurisprudenza comunitaria sul tema ove è affermato il principio in virtù del quale «la semplice circostanza che una federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte non è di re sé tale da escludere che questi ultimi esercitano attività economiche ai sensi dell’art. 2 del Trattato».69 La sentenza in esame si riconnette alla pregresse pronunce in tema di rapporti tra sport e diritto comunitario. In particolare trova sviluppo un profilo incidentalmente accennato dalla sentenza Bosman 70 relativo alla configurabilità quali attività economiche, delle prestazione di servizi rese da atleti che, pur non essendo qualificati quali professionisti, abbiano un concreto rilievo economico. In particolare il punto 73 della motivazione «Bosman» nel ribadire che «considerati gli obbiettivi della Comunità, l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia considerabile attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato», specificava come tra le attività economiche siano da ricomprendersi «l’attività di calciatori professionisti o semiprofessionisti che svolgono prestazioni di lavoro subordinato o effettuano prestazione di servizi retribuite». Il richiamo ai calciatori «semiprofessionisti», non rispondente alle normative sportive internazionali ed nazionali vigenti dalle quali tale categoria è stata espunta da tempo, pare probabilmente ricondursi proprio agli atleti che seppur formalmente dilettanti percepiscano indennità superiori all’importo delle spese sostenute. 68 Esemplificativamente Coll. Arb. Fipav Lodo del 31 marzo 1999 Firenze Volley s.p.a./Schultz Cristine, ove, rilevato che il contratto portato alla sua cognizione regolava un rapporto qualificabile senz’altro in termini di lavoro, che le relative controversie rientravano in ogni caso tra quelle elencate nell’art. 409 c. p. c., ed accertato perciò che la clausola compromissoria in esso apposta era inficiata da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio, in quanto compromette (va) in arbitri in materia devoluta al Pretore in funzione di Giudice del lavoro in forza di norma inderogabile, ha deciso, «conseguentemente, di non proseguire oltre nella procedura in quanto ogni atto sarebbe (stato) travolto da nullità». Conformemente Coll. Arb. Fipav Lodo 13 aprile 2002, Bagnoli/Daytona Volley S.p.A. Per una esaustiva rassegna della giurisprudenza arbitrale in materia vedi A De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 23 69 Corte di Giust. CE, sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Il lav. nella giur., 2001, pag. 266, punto 46 motivazione. La presa di posizione è estremamente significativa in quanto assunta in un clima complessivo di «apertura» da parte degli organismi comunitari circa la necessità di instaurare un rapporto collaborativo con le istituzioni sportive nazionali ed internazionali che appariva compromesso dal noto «affaire Bosman» e, con particolare riferimento all’universo dilettantistico, di valorizzazione della sua indubitabile funzione sociale. Sul punto vedi l’art. 29 della Dichiarazione sullo sport del trattato di Amsterdam (1997) ove si afferma che: «La conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare l’identità e nel riavvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell’unione Europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardino lo sport. In quest’ottica, un’azione un’attenzione particolare dovrebbe esser riservata alle caratteristiche dello sport dilettantistico». Ma sul punto altresì vedi la Relazione della Commissione europea al Consiglio Europeo di Helsinki (1999), la Dichiarazione del Consiglio europea di Nizza (2001). 70 Corte di Giustizia 15 dicembre 1995, causa C-414/95, in Racc. GC 1995, pag. 4921. 83 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La Corte di Giustizia con la sentenza 11 aprile 2000 sfugge alla tralatizia tautologia «è dilettante chi è qualificato dilettante», muovendo di contro ad una verifica in concreto delle caratteristiche dell’attività svolta dall’atleta dilettante onde accertarne il rilievo economico e la configurabilità di essa quale prestazione di servizi ai sensi degli art. 49 e 50 Trattato UE (ex art. 59 e 60).71 Nel caso di specie, data la natura individuale dello sport praticato, la nozione di «prestazione di servizi» viene originalmente configurata non tanto muovendo dalla circostanza che l’atleta ricevesse da parte del Comitato olimpico nazionale e dalla Federazione dei compensi correlati ai risultati sportivi, e che ella avesse stipulato di contratti di sponsorizzazione con un istituto bancario ed un costruttore di automobili, quanto piuttosto dal dato che la partecipazione di un atleta ad una competizione «ad alto livello possa comportare la prestazione di servizio diversi, ma strettamente connessi, anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono». In altri termini la Corte ha sostenuto che l’organizzazione di una competizione di richiamo con più atleti gareggianti tra loro si basa sull’attività di questi in quanto produttiva di uno spettacolo, da cui indirettamente gli organizzatori possono trarne vantaggio tramite la vendita di biglietti di ingresso alla manifestazione, la cessione dei diritti di trasmissione televisiva.72 Si glissa in ordine alla qualificazione «diretta» della prestazione resa dall’atleta dilettante, richiamandosi piuttosto al «contesto» economico in cui tale prestazione agonistico-sportiva viene espletata giustificandosi la sua inclusione nell’ambito della prestazione di servizi 73, e correttamente evidenziando la dinamica dei rapporti tra atleti ed organizzatori di eventi sportivi.74 71 L’affermazione della irrilevanza della qualificazione formale delle federazioni, è determinata da una ragionevole necessità di un approfondimento del rilievo economico delle prestazioni sulla scorta della consolidata giurisprudenza della Corte che, considerati gli obiettivi dell’Unione, ritiene l’attività sportiva disciplinata dal diritto comunitario in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 CE (sentenze della Corte Walrave, punto 4; 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punto 12; Bosman, punto 73; Deliège, punto 41, nonché 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen) e Castors Braine, Racc. pag. I-2681, punto 32, Deutscher Handballbund, Racc. pag. I-4135, punti 56-58), 72 Corte di Giust. CE, sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97 punto 57 motivazione: «A mo’ di esempio, l’organizzatore di siffatta competizione offre all’atleta la possibilità di esercitare la sua attività sportiva misurandosi con altri concorrenti e correlativamente gli atleti con la loro partecipazione alla competizione permettono all’organizzatore di produrre uno spettacolo sportivo al quale il pubblico può assistere, che emittenti radiotelevisive possono ritrasmettere e che può interessare quanti intendono inviare messaggi pubblicitari nonché sponsor. Inoltre l’atleta fornisce ai propri sponsor una prestazione pubblicitaria che trova supporto nell’attività sportiva stessa». 73 «Con questa chiave interpretativa la Corte ha invitato il giudice nazionale a configurare in termini dilettantistici o professionistici l’attività della Deliege dando più di un’indicazione nel ritenere tale attività formalmente dilettantistica, ma sostanzialmente tutt’altro che amatoriale». G. ADAMI, Attività sportiva professionistica o amatoriale secondo il diritto comunitario, in Il lav. nella giur., 2001, pag. 243 74 A differenza degli sport di squadra ove il rapporto di lavoro intercorre tra atleta e società sportiva a favore della quale lo sportivo si lega in via esclusiva, negli sport individuali lo sportivo, pur se talvolta tesserato per un circolo o sodalizio sportivo, non è a questi legato da alcuna rapporto di lavoro, pur potendo partecipare eventualmente alle attività sociali in qualità di socio. 84 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Tale passaggio argomentativo appare comunque sufficiente ad offrire al giudice nazionale dei parametri atti a qualificare in senso professionistico l’attività svolta dall’atleta formalmente qualificato dilettante. Prescindendo dalle risultanze del giudizio75, ciò che rileva nell’economia del discorso, è da un lato la ribadita applicabilità della normativa comunitaria nell’ambito dell’attività sportiva nella misura in cui essa possa considerarsi attività economica76, dall’altro la propensione della Corte ad una interpretazione non restrittiva delle nozioni di lavoratore subordinato o prestatore di servizi.77 Tralasciando il richiamo alla prestazione di servizi, sul punto vi è da notarsi come costantemente la Corte di Giustizia, in assenza di alcuna specifica definizione di «lavoratore», ha avvertito la necessità «di intervenire sul punto per evitare che differenti posizioni delle legislazioni nazionali potessero compromettere le garanzie offerte dal Trattato»78. La consapevolezza del grande rilievo e delle implicazione della questione ha indotto la giurisprudenza comunitaria ad affermare come la nozione di lavoratore subordinato non dipenda dalle specifiche disposizioni normativa dei singoli stati ma da quelle comunitarie; d’altra parte l’esito interpretativo risulta obbligato per alcuni versi in tal senso considerando come altrimenti «ciascun stato potrebbe modificare la portata della nozione di lavoratore ed escludere a suo piacimento determinate categorie di persone dalle garanzie del Trattato».79 La nozione (di lavoratore) «deve esser definita in base a criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate» 80, individuabili nella circostanza che una persona fisica fornisca per un certo periodo di tempo a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione. 75 La Corte non ha ritenuto che i provvedimenti di selezione delle federazioni competenti per poter partecipare ad una competizione sportiva internazionale determinino un restrizione alla libera prestazione di servizi in considerazione del fatto che la limitazione alla partecipazione a tornei internazionali «è inerente allo svolgimento della competizione che implica necessariamente l’adozione di talune norme ed alcuni criteri di selezione» (Punto 64 motivazione) la valutazione dei quali prescindono da considerazioni in ordine alla situazione personale dell’atleta «come la natura, l’organizzazione ed il finanziamento dello sport interessato». (Punto 65 motivazione) 76 Con ampi richiami alla giurisprudenza Walrave (Corte di giustizia 12 dicembre 1974 n. 36/74) e Donà (Corte di giustizia, 14 luglio 1976 n. 13/76) 77 Cfr. punto 53 motivazione. 78 R. FOGLIA G. SANTORO PASSATELLI, Profili di diritto comunitario del lavoro, Giappichelli, 1996, pag. 112 79 Corte di Giustizia, 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger, in Racc. GC, 1964, pag. 364. In questa direzione la sentenza Levin (Corte di Giustizia 23 marzo 1982 causa 53/81) ove: «I termini lavoratore e attività subordinata non si trovano espressamente definiti in alcuna disposizione in materia. Converrà dunque in sede di determinazione del loro significato ai principi interpretativi generalmente ammessi, assumendo come base il senso che correntemente si attribuisce a queste espressioni nel loro contenuto ed alla luce delle finalità del Trattato». 80 Corte di Giustizia 3 luglio 1986, causa 66/85, Latrie-Blum c. Land Baden Wuttemberg, in racc. GC, 1986, pag. 2144, punto 17 motivazione. 85 DOTTRINA Atleti dilettanti……… L’applicazione di tali criteri, che in buona misura esprimono l’essenza del rapporto di lavoro subordinato, ai singoli casi concreti in generale è stata caratterizzata da una tendenza a conferire alla normativa comunitaria la più ampia portata applicativa possibile81. In particolar modo l’applicazione si è estesa anche a rapporti di lavoro caratterizzati da un ridotto orario anche quando il corrispettivo percepito sia inferiore al minimo vitale, ed indipendentemente dal fatto che il reddito da lavoro sia integrato da «un aiuto pecuniario finanziato con il pubblico denaro»82. Nella sostanza tutte le volte «in cui ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa reale ed effettiva, allora bisognerà applicare la disciplina della libera circolazione», non potendo avvalersi di essa solo coloro che svolgono «attività talmente ridotte da potersi definire marginali ed accessorie»83. In questo senso non osterebbe alla qualificazione di «lavoratore» l’assenza di una controprestazione di natura rigorosamente «retributiva» potendo esser sufficiente la presenza di utilità economiche patrimonialmente valutabili.84 Se infatti nell’ottica dell’ordinamento nazionale italiano ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 4 l. 23 marzo 1981 e succ. mod., la nozione di sportivo professionista, dunque la configurabilità di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato (cfr quanto agli atleti art. 3 l. 23 marzo 1981 e succ. mod.), seppur con qualche legittimo dubbio, pare esser ancorata alla presupposta «qualificazione» federale in termini professionistici dell’attività svolta, in ottica UE il problema dell’assoggettabilità al diritto comunitario dello sport ufficialmente non professionistico si affranca dal rigido criterio formalistico della distinzione dilettantismo/professionismo, sottraendosi all’egida delle norme comunitarie solo l’attività di livello meramente amatoriale. La giurisprudenza nazionale, in recenti pronunce, pare orientata, timidamente, ad accogliere le suggestioni comunitarie. 81 La normativa comunitaria sulla libera circolazione trova applicazione anche nei confronti di soggetti che non siano qualificabili quali lavoratori subordinati potendo ben trattarsi di disoccupati o di lavoratori autonomi, essendo essenziale che lo spostamento da un paese all’altro dell’unione sia effettuato «per accedere ad un’attività subordinata» (art. 1 Reg. n. 1216) 82 Corte di Giustizia 3 giugno 1986 causa 139/85, Kempf c. Segretario di Stato alla Giustizia, in racc. GC, 1986, pag. 1741. 83 Corte di Giustizia 23 marzo 1982, Levin, cit. Sul punto Corte di Giustizia 29 febbraio 1992, causa 357/89 Roulin c. Minister van Onderwijs en Wetenshappen, in Racc. GC, 1992, pag. 1059 ove «nel valutare il carattere reale ed effettivo dell’attività esercitata dal lavoratore, il giudice nazionale ha facoltà di tener conto del carattere irregolare e della durata limitata della prestazione». 84 Ciò evidentemente, nell’ipotesi in cui non si qualificasse quale retribuzione la corresponsione di rimborsi esorbitanti le spese realmente sostenute da parte degli atleti dilettanti. 86 DOTTRINA Atleti dilettanti……… In questo senso il Tribunale di Pescara85, in tema di divieti di tesseramento di atleti non italiani e discriminazione basata sulla nazionalità (art. 43 e 44 d. lgs. 286 /98). Nell’ordinanza se da un lato si argomenta in ordine alla riconducibilità dei divieti di tesseramento alla nozione di «comportamento discriminatorio», rientrando in tale ottica l’interesse alla pratica dello sport agonistico e l’inserimento nell’ambito delle strutture federali nel novero delle «libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale ed in ogni altro settore della vita pubblica», dall’altro, si sottolinea come la «distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostra, priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante». Il Tribunale non si «spinge» oltre; sottolineando il tenore universale della scelta del legislatore in sede di redazione dell’art. 43, d. lgs. 286/98 attraverso il riconoscimento, quale oggetto di tutela, di ogni attività di rilievo sociale, non fonda la decisione, pur avendone incidentalmente accennato, al rilievo patrimoniale ed economico delle prestazioni rese dall’atleta dilettante. Prescindendo dal problema relativo alla limitazione del «congegno antidiscriminatorio» ai soli diritti umani e le libertà fondamentali86 e della riconducibilità dell’attività sportiva dilettantistica al mero novero degli impieghi del tempo libero, il sorprendente solo marginale richiamo nella fattispecie ai profili più strettamente patrimoniali e giuslavoristici ha costituito presupposto per la revoca del provvedimento in sede di reclamo.87 85 Trib. Pescara, ordinanza 18 ottobre 2001, in Foro it., 2002, pag. 897. Sul punto E. CALÒ, Sport e diritti fondamentali, in Corr. giur., 2002, pag. 225. 87 Non casualmente in sede di reclamo (Tribunale di Pescara, ordinanza 14 Dicembre 2001, in Corr. giur. 2002, pag. 223) ha revocato il provvedimento assunto in prima istanza (che obbligava la Federazione a procedere al tesseramento dell’atleta) ritenendo «la lamentela del giocatore diretta a far eliminare un pregiudizio ad un bene della vita che non forma oggetto di alcuna libertà fondamentale, perché né l’art. 2 della Cost., né ulteriori fonti normative di diritto internazionale convenzionale annoverano l’interesse a far pratica sportiva ed ad impiegare il proprio tempo libero tra le libertà fondamentali dell’individuo». Sfuggono al Collegio alcune circostanze di fondamentale rilevanza; la cittadinanza comunitaria dell’atleta in virtù della quale egli dovrebbe godere ai sensi dell’art. 16 del Trattato del diritto di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro», nonché la rilevanza anche sul piano costituzionale dell’attività sportiva ed il rilievo patrimoniale delle prestazioni dell’atleta. Pur ammettendo infatti la natura meramente amatoriale e dilettantistica dell’attività, la nozione di cittadinanza europea introdotta dal Trattato di Maastricht, implicando su un piano politico l’abbandono del carattere meramente economico della costruzione europea e riferendo il diritto di circolazione e soggiorno al cittadino europeo invece che al lavoratore al cittadino , comporta la considerazione nel novero dei diritti fondamentali non più soltanto il diritto di stipulare contratti di lavoro, d’opera ma più in generale, qualsiasi diritto connesso all’esercizio del diritto di circolazione e di stabilimento. Se il diritto di stabilimento e circolazione non designa rigorosamente e chiaramente le situazioni soggettive riferite al cittadino comunitario, ma sembra garantire piuttosto lo svolgersi di determinati comportamenti e attività, la realizzazione di tale «situazione di fatto» passa attraverso il riconoscimento di situazioni soggettive più puntualmente descritte come ad esempio il diritto di non esser discriminato, in base all’origine nazionale, nell’accesso alla pratica di attività sportiva, quale espressione del più generale diritto di associazione. Sotto altro aspetto appare «pilatesca» la posizione del Collegio in ordine alla possibilità di qualificare il rifiuto di tesseramento quale incidente sul connesso diritto al lavoro e aprendo per tale via il riconoscimento della tutelabilità dell’interesse del ricorrente, trincerandosi esso dietro la formale qualificazione dilettantistica della Federazione italiana Nuoto. Trib. Pescara, ord. 14 dicembre 2001, cit., ove si afferma: «Né l’interesse tutelato del ricorrente può dirsi ricompresso nel diritto del lavoro e quindi facente parte dei diritti fondamentali perché dalla normativa di settore (art. 5 Statuto F. I..N.) non si ricava alcun modo che il campionato nazionale di pallanuoto sia stato organizzato su base professionistica». 86 87 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Più risoluto sul tema della qualificazione delle prestazioni rese dagli atleti dilettanti quali prestazioni di lavoro il Tribunale di Verona88 ove: «valutando unitariamente gli elementi probatori acquisiti in giudizio (…) è ben possibile affermare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a danno di Ramon Ismael Gato Moya e lesivo del diritto di questi al lavoro» considerando come «seppur formalmente dilettanti i giocatori come l’odierno ricorrente prestano la propria attività a favore delle società sportive italiane in virtù di un rapporto contrattuale che presenta tutte le caratteristiche di un rapporto di lavoro».89 Di analogo tenore l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 12 maggio 2002 ove si afferma che «i praticanti una disciplina dilettantistica pur essendo esclusi dalla tutela prevista dalla legge sul professionismo possono svolgere tuttavia la propria attività percependo compensi più o meno elevati in forza di contratti stipulati con le società sportive» e pertanto in sede cautelare è tutelabile l’interesse dell’atleta dilettante a scongiurare «la perdita del corrispettivo alla prestazione sportiva che sarebbe assicurato dal contratto stipulato dalla società».90 Dalla disamina di cui sopra emerge come la giurisprudenza pare assumere quale «obsoleto» il meccanismo legislativo ex art. 2 l. 91/81 che subordina alla qualificazione federale del rilievo professionistico dell’attività sportiva, l’applicazione della normativa lavoristica91, propugnando nelle fattispecie de quo l’accertamento caso per caso della natura del rapporto. 4. La normativa federale A fronte dell’assenza di una specifica normativa e stante la inapplicabilità dei disposti di cui alla l. 91/81, l’emersione, storicamente inevitabile, di forme di dilettantismo oneroso92 ha indotto le 88 Tribunale Verona, ord. 23 luglio 2002, citata da E. CROCETTI BERNARDI, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 78. In quella sede si definì quale discriminatorio il comportamento della Federazione Italiana Pallavolo nel negare il tesseramento ad un atleta di nazionalità cubana, in assenza del transfert della federazione di provenienza. 89 Trib. Verona, ordinanza 23 luglio 2002, cit. 90 Tribunale Reggio Calabria, ordinanza 12 maggio 2002, inedita,. Ma in senso contrario Tribunale di Roma, ordinanza 10 luglio 2002, citata da E. CROCETTI BERNARDI, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, cit., pag. 81 ove si rileva che agli atleti qualificati dilettanti «non sono applicabili le disposizioni della l. 23 marzo 1981 n. 91» pertanto non sono tutelabili in sede giudiziaria eventuali pretese violazioni dei principi in materia di libertà contrattuale degli atleti previsti dalla legge sul professionismo da parte di norme sul tesseramento. 91 F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori e attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, pag. 898. Ciò non tanto in considerazione del fatto che viene «ove si accordasse rilevanza esclusiva alla qualificazione operata dalle federazioni sportive nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni ne discenderebbe la disparità di trattamento tra sportivi che svolgono una prestazione qualitativamente identica», e quindi «delegittimando» il Coni rispetto alle sue funzioni di vigilanza ed indirizzo, quanto piuttosto in considerazione di una malcelata «inettitudine» sul tema da parte dell’organismo di vertice dello sport nazionale. 92 Il dilettantismo oneroso è stato oggetto di formale riconoscimento in ambito FIGC a partire dalla stagione 1990/1991 con l’introduzione dell’art. 94 bis N.O.I.F. che consentiva, entro i limiti prefissati, la pattuizione e l’erogazione di varie somme a titolo di indennità di trasferta, rimborsi forfetari e voci premiali. 88 DOTTRINA Atleti dilettanti……… singole federazioni sportive ad approntare una serie di discipline sul tema in coordinamento con la legislazione fiscale di settore. Esemplificativamente l’art. 4 bis del Regolamento Esecutivo FIP prevede la facoltà di erogazione, in favore di tutti i giocatori non professionisti partecipanti a campionati organizzati su base nazionale e regionale, di rimborsi forfetari, voci premiali, indennità di trasferta od, in via alternativa e non concorrente, di una somma lorda annuale da corrispondersi in dieci mensilità. Di contro, in maniera estremamente più restrittiva sotto il profilo soggettivo, l’art. 29 NOIF della FIGC prevede che «esclusivamente ai calciatori tesserati per società partecipanti ai Campionati Nazionali della L. N. D. possono essere erogati rimborsi forfetari di spesa, indennità di trasferta e voci premiali, ovvero somme lorde annuali secondo il disposto dell’art. 94 ter, nel rispetto della legislazione fiscale vigente ed avuto anche riguardo a quanto previsto dal C. I. O. e dalla F. I. F. A.». L’art. 94 ter NOIF, di poi, disciplina in maniera assai rigorosa sotto il profilo formale la stipulazione degli accordi, imponendo all’uopo specifici oneri di deposito, nonché, in un’ottica evidentemente calmierante, dei massimali di erogazione.93 Contrariamente ai maggioritari indirizzi dottrinari e giurisprudenziali, un orientamento critico minoritario muovendo dalla centralità del portato delle normative federali, ove di norma è esclusa ogni ipotesi di lavoro autonomo o subordinato, riconduce la relazione che si istaura tra l’atleta non professionista e la società «alla stregua di un accordo o di una convenzione che disciplina aspetti anche di natura patrimoniale in quanto suscettibili di valutazione economica manifestazione sul piano statuale di quell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c.», ponentesi su un piano accessorio ed eventuale rispetto al rapporto di tesseramento.94 Quanto al primo profilo, stante la pacifica qualificazione dei disposti federali in materia quali espressioni di autonomia privata, non vi è dubbio che l’attuazione della vasta normativa eteronoma, 93 La normativa FIGC presenta invero l’ambigua previsione di un tetto massimo di erogazione pari all’importo previsto a fini fiscali unicamente quale limite per l’assoggettamento a ritenuta a titolo di imposta dei compensi, premi o indennità di cui all’originario art. 81, co. 1, lettera m) del T.U.I.R., corrisposti per prestazioni sportive erogate nell’esercizio diretto dell’attività sportiva dilettantistica ad atleti dilettanti. 94 A. GUADAGNINO, Il trattamento previdenziale dei calciatori non professionisti, in Inf. Prev., 2003, n. 2, pag. 423-424 secondo cui «la relazione, sorta per effetto del tesseramento, tra società e calciatore, non può dare origine ad alcuna forma di lavoro», riconducendosi il contratto tra sportivo non professionista e società ad una convenzione ex art. 1322 c.c. Isolatamente in giurisprudenza Trib. Gorizia, ordinanza 5 luglio 2001, inedita, ove si afferma che la relazione tra calciatore dilettante e società sportiva integrerebbe «un rapporto sinnallagmatico di natura atipica che consente da un lato all’associazione di utilizzare una risorsa umana per realizzare i propri fini istituzionali, dall’altro all’atleta di esercitare in forma organizzata l’attività ludico-spotiva». 89 DOTTRINA Atleti dilettanti……… rispondente ad interessi superiori rispetto a quelli delle parti quali in primo luogo le garanzie e i diritti costituzionali del lavoro, non sia, in tal caso, superabile dalle norme federali.95 Se, in parte qua, i regolamenti federali sono da assimilarsi a negozi normativi posti in esser non dalle parti che stipuleranno i futuri contratti, cui l’accordo si riferisce, bensì dall’associazione cui le parti stesse appartengano, la clausola «esclusa ogni forma di lavoro subordinato o autonomo» dovrebbe esser oggetto di obbligatorio inserimento nei singoli contratti. In sede qualificatoria del rapporto il rilievo del nomen juris ha però valenza relativa; ove le parti, in sede di regolazione dei loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere ogni forma di lavoro autonomo o subordinato è possibile pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto evidenziando puntualmente la sussistenza in concreto, in corso di svolgimento, degli elementi tipici delle fattispecie su citate. D’altra parte il legislatore statale stesso è intervenuto, in specifici settori, ad introdurre un fattore di sbarramento delle normativa lavoristica in misura direttamente proporzionale al riconoscimento della meritevolezza del fine che ha dato corpo prestazioni oggettivamente configurabili quale attività lavorativa. Così la Legge Quadro sul volontariato 11 agosto 1991, n. 266 che, attraverso una vera e propria tipizzazione (art. 2, primo co.; cfr. anche art. 3, primo co.) della fattispecie contrattuale del lavoro volontario, rectius dell'«attività di volontariato», ha reso superfluo il ricorso a categorie civilistiche ulteriori. La circostanza che l'attività sia svolta nell'ambito di un'organizzazione di volontariato, la «personalità» dell'attività, da intendersi come coinvolgimento a pieno titolo della persona e non preponderanza di eventuali beni strumentali, la «spontaneità», presupponente che l'attività venga prestata al di fuori di vincoli giuridici preesistenti, la «gratuità», speculare all'art. 2094 implicante il divieto, infatti testualmente previsto (art. 2, secondo co.), di qualsiasi forma di corrispettivo anche indiretta ed in ultimo, teleologicamente, il fine esclusivo di solidarietà, assorbente quello negativo dell'assenza di fini di lucro anche indiretto, sono elementi assunti per sancire l'incompatibilità con 95 Il carattere inderogabile e tassativo della disciplina lavoristica, in reazione a certe tendenze neocontrattualistiche, è ribadito dalla C. cost. 12 gennaio 1993, n. 121, in Foro it., 1993, I, 2432; C. Cost. n. 115 del 1994, in Foro it., 1994, I, 2656. ove: «(…) non sarebbe comunque consentito neppure al legislatore negare la qualificazione di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che obiettivamente abbiamo tale natura ove da ciò derivi l’inapplicabilità di norme inderogabili previste dall’ordinamento (…) pertanto allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento, eventualmente anche in contrasto con le pattuizioni stipulate e l’eventuale nomen juris enunciato, siano quelli propri del rapporto di lavoro subordinato solo quest’ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto agli effetti della disciplina ad esso applicabile». 90 DOTTRINA Atleti dilettanti……… qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui il volontario fa parte (art. 2, terzo co.).96 Il secondo profilo involge di contro una più complessa problematica. Sul piano riscostruttivo generale è da evidenziarsi come a mezzo del tesseramento l’atleta non professionista, in considerazione della natura di associazioni parallele97 delle Federazione, assuma lo status di socio della associazione maggiore e di quella minore (il sodalizio sportivo presso il quale è tesserato salve le ipotesi di tesseramento diretto alla Federazione). In sostanza dunque l’atleta è parte di due collegati, ma distinti rapporti, quello di tesseramento con la rispettiva federazione, e quello di vincolo con la società di appartenenza entrambi di natura tendenzialmente associativa con comunione di scopo. In questa fattispecie il perseguimento dell'oggetto sociale ed il soddisfacimento del comune fine ideal–sportivo dovrebbero assurgere ad elemento identificativo, ovvero come «aspetto causale tipico» del contratto. Il punto focale, ai fini della qualificazione del rapporto nella sua reale dinamica, appare quello inerente la verifica circa la configurazione delle prestazione rese dall’atleta come momento solutorio dell’obbligazione assunta a seguito dell’adesione. L’acquisizione dello status di atleta comporta la titolarità di un fascio di rapporti giuridici che…virgolette creano reciproci diritti e doveri nei confronti degli altri atleti, della società sportiva, della Federazione Nazionale come chiaramente emergente dall’analisi delle normative statutarie e regolamentari. 96 Correttamente è stato però osservato come lo status di volontario in vero non precluda la possibilità di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ove in concreto vengano ad esser superati i limiti della fattispecie disegnata dal legislatore. Sul punto R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro e terzo settore, in Riv. it. dir. lav. 2001 pag. 329 ove: «Un dato pur collaterale di identità della fattispecie è anche quello dell'incompatibilità con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui il volontario fa parte (art. 2, terzo co.): colui che è titolare di uno di questi rapporti non commette, infatti, una semplice violazione della disciplina, ma perde la qualità di volontario». Così anche L. MENGHINI, Lavoro gratuito e volontariato, in Diritto del Lavoro Commentario diretto da FRANCO CARINCI, Vol. II, Utet, 1998 pag. 82 seg. 97 Sul punto ampiamente R. CAPRIOLI, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Jovene, 1997, pag. 91 seg. il quale nota come stante il tenore letterale dell’art. 14 co. 1 l. n. 91/81 «le federazioni dovrebbero esser classificate tra le associazioni complesse che sono formate non da persone fisiche ma da altre associazioni; tuttavia la circostanza che risultino tesserate presso le singole persone fisiche e il fatto che a queste ultime siano direttamente rivolte numerose disposizioni degli statuti e dei regolamenti induce a classificarle tra le associazioni parallele, in cui i componenti le associazioni minori sono, al tempo stesso, membri dell’associazione maggiore». (nota 79 pag. 91). La tesi pare confermata a seguito dell’espressa attribuzione della personalità giuridica di diritto privato alle federazioni e del riconoscimento del principio di democrazia interna ad opera degli art. 15 co. 2 e 16 co. 1 del decreto Melandri e succ. mod., che associati delle medesime siano, oltre alle affiliate, anche gli atleti e le altre persone fisiche tesserate, anche se gli statuti federali fanno reticente riferimento solo alle prime. Sulla riconducibilità ad un mero rapporto associativo vedi Trib. Milano, 3 aprile 1989, in Foro it. 1989, pag. 2951, con nota di De Simone. Tribunale di Napoli, sentenza 29 gennaio 1996, in Riv. dir. sport., 1997, pag. 95 ove si afferma che: «il rapporto tra calciatore non professionista e associazione di appartenenza sfugge ad ogni configurazione di tipo contrattuale, ed in particolare non è riconducibile ai contratti di collaborazione (autonomo o subordinata) di diritto comune. (…) In altri termini, una volta che ha avuto luogo l’incontro di volontà tra atleta non professionista e associazione, in quanto il primo accetta di giocare per la seconda, il rapporto tra tali soggetti è disciplinato interamente ed in modo esclusivo dalle norme della F. I. G. C». 91 DOTTRINA Atleti dilettanti……… In ordine specificatamente ai rapporti tra atleti e società di appartenenza non è dato rinvenire alcun obbligo ultroneo da parte dell’atleta rispetto alla generica propensione all’esercizio dell’attività sportiva. La stessa disciplina del vincolo sportivo si limita ad imporre un generico dovere positivo di fornire le proprie prestazioni alla società per cui è vincolato, di fatto incoercibile sul piano endoassociativo non potendosi in alcun modo precludere allo stesso l’eventuale astensione dalle prestazioni, ed un diverso correlato obbligo di non prestare la propria attività in favore di altri soggetti affiliati.98 A livello dilettantistico apicale, la natura stessa dell’attività agonistico-sportiva, omologa sotto il profilo quantitativo e qualitativo rispetto a quella formalmente professionistica, fa sì che appresso alla mera propensione allo svolgimento, costituente il substrato della volontà diretta all’esplicazione della prestazione, si allineino ulteriori operazioni contrattuali. Si interverrà, ad esempio, per regolare la cadenza cronologica delle prestazioni dell’atleta fin dalla fase preparatoria, si prevederà l’assoggettamento dell’atleta alle direttive societarie con correlativa comminazione di sanzioni disciplinari in ipotesi di inosservanza di queste ultime. Sostenere che tali elementi non abbiano carattere distintivo in quanto da ritenersi necessariamente connaturati alla prestazione dello sportivo, con particolare accentuazione negli sport di squadra ,appare riduttivo considerando come nessun obbligo corra in capo all’atleta di in virtù del contratto associativo. Per quanto appaia corretto evidenziare come la natura associativa informi invero la massima parte dei rapporti tra atleti e società, è improbo ricondurre le relazioni negoziali, così caratterizzate, quali manifestazioni di attività che non si pongono in rapporto di scambio e corrispettività, sprovviste del tutto di autonomia dal punto di vista causale ed assorbite nel modulo associativo. Particolarmente emblematica, seppur in via indiretta, sul punto è lo sviluppo della normativa fiscale; ad un atteggiamento di sostanziale disinteresse del legislatore tributario si è infatti sostituito negli ultimi vent’anni una crescente attenzione in ordine alla disciplina delle «compensi» elargiti nell’ambito dilettantistico ad atleti ed soggetti diversi. In particolar modo l’art. 27 della l. 342 del 2000, che sostituisce la lettera m del co. 1 dell’art. 67 del Tuir, ricomprende unitariamente non solo le tipiche indennità di trasferta, i rimborsi forfettari, i premi, ma altresì i compensi (che implicitamente ammettono la corrispettività delle 98 Questo sì rilevante quale inadempimento della clausola associativa. In caso di violazione infatti sono chiamati a rispondere disciplinarmente sia il calciatore autore del doppio tesseramento ex art. 40 co. 4 N. O. I. F, sia le società che indebitamente ha utilizzato le prestazioni che vedrebbero irrogare la sanzione della perdita della gara in classifica nell’ipotesi di impiego di un calciatore in posizione irregolare. 92 DOTTRINA Atleti dilettanti……… prestazioni effettuate) nelle categoria dei redditi diversi indubbio indice della rilevanza economica del fenomeno. La normativa fiscale in materia in realtà è espressione di una scelta di politica del diritto tendente a favorire uno statuto fiscale speciale in relazione alla condizione soggettiva (esser il soggetto erogante associazione o società riconosciuta dal Coni) e del tipo di attività svolta (esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica), tanto da assoggettarsi a tal regime anche rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale resi in favore delle società sportive dilettantistiche. Le recenti interpretazioni offerte dall’Enpals99, seppur riferibili ai soli direttori tecnici, istruttori, massaggiatori, lasciano chiaramente trasparire come soggette alla disciplina fiscale riferibile alla categoria dei redditi diversi, tradizionalmente qualificata quale categoria residuale, siano i soli compensi non conseguiti nell’esercizio di arti o professioni, inteso quale esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo, ovvero in relazione alla qualità di lavoratore subordinato, venendone riaffermata la necessità, ai fini dell’assoggettamento ad obbligo contributivo, di appurare prioritariamente la reale natura del rapporto. Viene superandosi così la tendenza, espressione di una impropria commistione tra la qualificazione meramente fiscale e quella civilistica, in virtù della quale, stante la ricomprensione dei compensi nell’ambito dei redditi diversi, per ciò solo il rapporto tra sportivi, in senso lato, e società od associazioni sia da rubricarsi al di fuori delle tipologie del lavoro autonomo e subordinato in un ambito non meglio definito di atipicità.100 Non si tratta necessariamente di appurare la natura simulata del contratto associativo, che pur rappresenta un indefettibile prius logico-giuridico, quanto piuttosto di evidenziare come le parti 99 Circolare Enpals del 3 marzo 2006 n. 7; Circolare Enpals del 7 agosto 2006 n. 13. In particolare la Circolare 7 agosto 2006 n. 13, non riferibile agli atleti per espressa disposizione, intervenendo in via parzialmente correttiva prevede l’assoggettamento alla contribuzione previdenziale dei compensi, nella misura ultronea alla somma di euro 4500, quale indice di non marginalità, corrisposti dal CONI, le Federazioni sportive, l’Unire, dagli enti di Promozione sportiva ed ogni altro organismo che persegua finalità sportive dilettantistiche a direttori tecnici, istruttori-allenatori, massaggiatori che prestino anche in via non esclusiva, attività professionale con carattere di abitualità 100 Il dato normativo fiscale, come recepito dalla FIGC ad esempio, non va enfatizzato in ogni caso. L’art. 94 ter co. 6 Noif dispone che «gli accordi concernenti l’erogazione di una somma annuale lorda non potranno prevedere importi superiori ad euro 25. 822 secondo il disposto della l. 21. 11. 2000 n. 342». L’ importo elevato, da ultimo, ad euro 28. 158, 28 per effetto dell’emendamento apportato con la lettera b) del co. 3 dell’Art. 90 l. 27. 12. 2002 n. 289, costituisce, in vero per l’ordinamento dello Stato, unicamente il limite per l’assoggettamento a ritenuta a titolo di imposta dei compensi, premi o indennità, corrisposti per prestazioni sportive erogate nell’esercizio diretto dell’attività sportiva dilettantistica ad atleti dilettanti. La normativa statale riconosce infatti che possano essere erogati ad atleti dilettanti importi di qualunque entità, assumendosi, ai fini fiscali, che emolumenti (comunque denominati), in proposito, eventualmente eccedenti i 28. 158, 28 euro siano assoggettati a ritenuta a titolo d’acconto. 93 DOTTRINA Atleti dilettanti……… possano stabilire di dare vita a diversi e distinti contratti (sia nel senso di volere soltanto l'effetto tipico dei singoli negozi posti in essere, sia nel senso di volere anche il coordinamento e il collegamento tra gli stessi per il raggiungimento di un fine ulteriore), con conseguente ammissibile sussistenza accanto od in collegamento con il rapporto associativo di un distinto rapporto che implichi prestazioni e modalità esplicative delle stesse , pur inerenti latamente l’oggetto sociale, parte di una specifica pattuizione.101 D’altra parte le modalità concrete dello svolgimento delle prestazioni agonistico –sportive rese dagli atleti non professionisti, in particolar modo a livelli di dilettantismo apicale, non lasciano particolari dubbi in merito alla qualificazione dei rapporti ricorrendo quella serie di indici essenziali e sussidiari elaborati dalla giurisprudenza individuativi della fattispecie legale del lavoro subordinato.102 5. La risoluzione delle controversie. Relativamente alla disciplina inerente la risoluzione delle eventuali controversie tra sportivi non professionisti e società in linea tendenziale sono individuabili due prevalenti modelli; il primo affida la risoluzione ad organi endoassociativi o soggetti delegati di carattere permanente, l’altro di contro rimette la cognizione delle insorgende controversie a collegi arbitrali costituiti ad hoc,di norma, con competenza residuale rispetto agli organi federali, disciplinati secondo lo schema 101 Non escludendosi l’ipotesi di qualificarli quali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Il co. 3 dell’art. 61 del D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 sottrae alla disciplina del lavoro a progetto «i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche», che continuano perciò ad avere cittadinanza giuridica 102 Per un ampio repertorio della giurisprudenza di merito vedi R. ZANOTTI, Nota a Trib. Rom 7 febbraio 1995, in Riv. dir. sport 1995, pag. 636. nonché P. MORO, Questioni di diritto sportivo, Euro 92, 1999, pag. 35 seg. Da ultimo propendono per la qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato le seguenti sentenze: Trib. Lav. Grosseto 11 settembre 2003, n. 518, inedita; Trib. Lav. Bari., 10 marzo 2003, n., 6270, inedita; Trib. Lav. Ancona 4 luglio 2001, n. 147, in Inf. Prev., 2002, pag. 1084 con nota di A. Guadagnino. Qualificano quale contratto di prestazione d’opera personale e continuativa e coordinata quello concluso tra un atleta ed una società dilettantistica di pallavolo Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, pag. 140; Trib. Roma, ord. 7 febbraio 1995, cit., ove: «Il rapporto contrattuale tra atleta e società sportiva, non costituita nella forma di società di capitali, è escluso dal campo di applicazione della l. 91/81 ai sensi dell’art. 10; ciò non impedisce tuttavia di considerare il rapporto di collaborazione in questione come prestazione d’opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato». Per tale qualificazione vedi anche la sentenza della Pretura di Lecce 20 gennaio 1999, inedita, ove: «la prestazione calcistica dilettantistica dedotta nel contratto oggetto del presente giudizio è una prestazione, pur non lavorativa subordinata ex art. 94 ter Norme Federali ed art. 3 l. 91/81, c.d. parasubordinata in quanto personale continuativa e coordinata». Non casualmente di recente la Federazione Ciclistica Italiana attesa l’esigenza di certezza e di trasparenza nei rapporti tra atleti ed affiliati del mondo dilettantistico ha previsto la possibilità di stipulare «contratto di lavoro sportivo per ciclista dilettante» al di fuori della disciplina della l. n. 91/81. 94 DOTTRINA Atleti dilettanti……… classico che attribuisce a ciascuna parte il potere di nominare il proprio arbitro ed agli arbitri così nominati il potere di decidere concordemente la nomina del terzo. Quanto al primo esemplificativamente l’ordinamento FIGC, affida, ai sensi l’art. 21 bis del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, la cognizione alla Commissione Accordi Economici della L.N.D. Il predetto articolo prevede che la Commissione Accordi Economici: «è competente a giudicare, in prima istanza, su tutte le controversie insorte tra calciatori e calciatrici tesserati con società partecipanti ai campionati Nazionali Dilettanti organizzati dalla LND e le relative società concernenti (…) gli accordi relativi all’erogazione di una somma lorda annuale di cui all’art. 94 ter, delle NOIF». Due i profili di rilievo: la natura dell’istituto di cui prima facie si rivela la non ricomprensibilità nell’ambito degli organi propriamente federali, annoverandosi presumibilmente tra i soggetti delegati, essendo esso istituito presso la Lega Nazionale Dilettanti, l’altro la circoscritta competenza dello stesso in riferimento tanto al profilo soggettivo delle parti in causa («calciatori/calciatrici tesserati con società partecipanti ai Campionati Nazionali della L. N. D.») sia all’oggetto sostanziale della controversia («accordi relativi all’erogazione di una somma lorda annuale di cui all’art. 94 ter, delle NOIF»).103 In relazione al primo aspetto premesso come la Lega Nazionale Dilettanti associa «in forma privatistica, senza fine di lucro le società affiliate alla Figc che partecipino ai campionati nazionali, regionali e provinciali»104 è da rilevarsi come l’art. 21 bis, co. 1 dello Statuto della Lega Nazionale Dilettanti preveda che la Commissione sia composta «dal Presidente, un Vicepresidente e un numero di dieci componenti, nominati dal Presidente di Lega per due stagioni sportive». In altri termini stante la natura stessa della LND la nomina dei componenti la Commissione Accordi Economici è, per i disposti statutari su menzionati, rimessa alla discrezionale scelta di un soggetto, il Presidente della Lega Nazionale Dilettanti, diretta espressione di una delle sole parti in causa. 103 L’art. 21 bis co. 4 Reg. LND dispone esplicitamente in tema di procedibilità del ricorso che a pena di inammissibilità dello stesso debba esser ad esso allegato copia dell’accordo ritualmente depositato, confermando così la limitazione della possibilità di cognizione circa la globalità dei rapporti tra atleti non professionisti e società. 104 Art. 1 Statuto Lega Nazionale Dilettanti 95 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Nel caso di specie a seguito l’emersione di forme di dilettantismo oneroso105 in occasione della recente riforma106 della disciplina prevista in tema di accordi economici degli atleti dilettanti, dopo ampie discussioni in ordine alla opportunità di avvalersi di un modulo arbitrale per derimere le controversie insorgenti dalle nuove fattispecie, il riformatore federale ha inteso, scientemente evitando il ricorso a soluzioni che mutuassero quelle adottate per il settore professionistico, istituire un organo giustiziale di Lega le cui pronunce, in vero difficilmente possono esser «recuperate» sul piano statuale quali veri e propri lodi. Osta a ciò in via pregiudiziale la radicale nullità del vincolo di giustizia, in parte qua assunto come clausola compromissoria, essendo la determinazione di un elemento essenziale dell’arbitrato, quale quello della nomina degli arbitri, rimesso né consensualmente alle parti, né ad un soggetto che può definirsi tecnicamente terzo. Le diverse modalità escogitabili al fine della nomina degli arbitri trovano inderogabile limite nel principio di ordine pubblico in virtù del quale il sistema di nomina deve rispettare la parità delle parti, nel senso che esso non è valido, e rende nulla la clausola compromissoria, quando una delle parti, in detto sistema, si avvantaggia rispetto alle altre. Se in senso formale infatti il Presidente della LND può considerasi terzo, non essendo in vero egli parte in causa, non può esserlo in senso sostanziale quale soggetto equidistante in quanto organica espressione dell’assemblea della Lega Nazionale Dilettanti107, conseguendone il valore meramente endoassociativo delle pronunce della Commissione Accordi Economici. Le considerazioni di cui sopra induco a ridiscutere la valenza concreta di tralatizie valutazione circa l’emersione automatica in ambito statuale dei provvedimenti in materia economica quali 105 Il dilettantismo oneroso è stato oggetto di formale riconoscimento in ambito FIGC a partire dalla stagione 1990/1991 con l’introduzione dell’art. 94 bis N. O. I. F. che consentiva, entro i limiti prefissati, la pattuizione e l’erogazione di varie somme a titolo di indennità di trasferta, rimborsi forfetari e voci premiali. All’uopo per la risoluzione delle controversie fu istituito la Lega Nazionale Dilettanti la Commisione Vertenze Economiche LND la cui posizione era estremamente singolare «perché pur funzionante sul piano dell’effettività risulta sprovvista di ogni legittimazione formale ad emettere decisioni vincolanti nell’ordinamento federale». A. DE SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati nella Federazione italiana Giuoco Calcio, in Riv. Dir. sport., 2002 pag. 547 cui si rinvia per l’analisi della struttura e del funzionamento degli organi. 106 Sul tema ampiamente A. DE SILVESTRI, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002 pag. 31 seg. 107 Così Cass. Civ., sez. I, 29 novembre 1999, n. 13306: «Costituisce requisito di validità della clausola compromissoria il fatto che gli arbitri vengano nominati con il concorso della volontà dei contraenti e non siano espressione della volontà di una soltanto delle parti, in quanto il concorso di entrambe le parti nella nomina degli arbitri soddisfa un insopprimibile valore di garanzia dell'imparzialità di chi è chiamato a risolvere una controversia; valore che prescinde dalla natura rituale o irrituale dell'arbitrato». Conformemente Cass. Civ, Sez. I, 25 marzo 1998, n. 3136. La Deliberazione del 22 ottobre 2003 n. 1250 del Consiglio nazionale del Coni in tema di «Principi di Giustizia sportiva» prevede esplicitamente al punto 6 co. 3 che, ove le federazioni intendano istituire procedure arbitrali, le parti concorrano in maniera paritaria alla nomina degli arbitriti o che gli stessi siano nominati da un terzo imparziale imparziale. 96 DOTTRINA Atleti dilettanti……… arbitrati108; almeno nel caso di specie occorre non prestar fede all’idea di poter qualificare la norma «vincolo di giustizia» previsto dagli statuti federali quale clausola compromissoria che, intervenendo su materia, quella dei rapporti economici tra associati ed affiliati, per definizione disponibile, e considerando la terzietà degli organi federali giudicanti essendo di norma l’ente federale soggetto estraneo alla contesa, realizzi una legittima rinuncia alla tutela giurisdizionale.109 -110 108 Di recente lapidariamente la Camera di Concilazione ed Arbitrato per lo Sport, lodo 5 dicembre 2006, G.D.S. San Filippo Neri Casalotti Tanas/ F.I.G.C. e A.C. Siena Spa ha sostenuto che «nel contesto dell’ordinamento sportivo, la CVE e la CAF sono a tutti gli effetti organi di giustizia sportiva della Federazione e pertanto non possono considerasi procedimenti arbitrali». Le controversie cd. di natura economica tra società affiliate alla FIGC sono devolute ai sensi dell’art.45 CGS alla cognizione della Commissione Vertenze Economiche in primo grado ed alla Corte d’Appello Federale in secondo. Ove tale modello di risoluzione si configurasse come un vero e proprio procedimento arbitrale ,caratterizzato dal doppio grado di giudizio, ai sensi dell’art.8 co.4 del Reg. dovrebbe escludersi la competenza della Camera per esser già istituito un procedimento arbitrale endofederale. Contrariamente al dictum della Camera vedasi Cas.Civ.sez.I, 27 settembre 2006, n.21006 secondo cui il modello di risoluzione delle controversie c.d.economiche è da ricondursi nell’alveo dell’arbitrato irritale.Sull’incompetenza della Camera di Concilazione ed Arbitrato per lo Sport in tema di impugnazione dei lodi arbitrali ex art. 4 L.n.91/81 malgrado il contrario avviso della Corte Federale FIGC (C.U. 16 aprile 2004 n.14) vedasi il lodo 28 settembre 2004, Salernitana Sport Spa/ Matias Ricardo Veron / F.I.G.C.Derimente a riguardo l’art.30 co.3 del nuovo Statuto FIGC approvato dall’Assemblea Federale del 22 febbraio 2007 ove si statuisce come non siano soggette ad arbitrato presso la Camera CONI le controversie decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dai contratti collettivi o dai regolamenti federali, nonché quelle decise in primo grado dalla Commissione Vertenze Economiche. 109 Sul punto gia F. P. LUISO, La giustizia sportiva, Giuffrè, 1975, pag. 296. È da rilevarsi come, abbandonando definitivamente l'orientamento che riscontrava una questione di competenza nell’ ipotesi di exceptio compromissi per arbitrato rituale riguardante la devoluzione di una controversia alla cognizione del giudice ordinario o alla cognizione sostitutiva degli arbitri, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, pronunziandosi in sede di regolamento di giurisdizione, ha evidenziato come le modifiche apportate dalla l. 5 gennaio 1994 n. 25 agli art. 825, 826, 827, 828, 829 e 830 e 831 c. p. c. con l'eliminazione anche del nomen di sentenza arbitrale, attribuito nel testo originale del codice di rito al lodo, abbiano finito per far superare ogni dubbio sulla natura del dictum arbitrale, quale atto di autonomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un giudizio compiuto da un soggetto il cui potere ripete la sua fonte nell'investitura conferitagli dalle parti (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2000 n. 1251; Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 527). Dalla natura dell'arbitrato rituale o irrituale e dal dictum che lo definisce discende, coerentemente, che gli arbitri non svolgono una funzione sostitutiva della giurisdizione statuale e che essi, pertanto, non sono configurabili come organi giurisdizionali dello Stato. La concezione della natura privata dell'arbitrato porta, quindi, a qualificare il procedimento arbitrale come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale e la devoluzione delle controversie ad arbitri quale rinunzia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato (Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2000 n. 1251; Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 527, Cass. 4 giugno 2001 n. 7533). 110 Oggetto nella prassi di comune identificazione, clausola compromissoria e vincolo di giustizia, di contro si muovo su piano assolutamente distinti e si configurano come istituti ontologicamente distinti. Accomunati dalla matrice volontaria la prima mira fondamentalmente ad offrire una alternativa alla giurisdizione statale, il secondo di contro a precludere l’accesso alla stessa. Il processo di identificazione è talvolta alimentato dalla incerta e contraddittoria formulazione degli statuti federali ove ad esempio si individua quale clausola compromissoria l’impegno assunto in conseguenza del tesseramento, e la conseguente accettazione dello statuto, di sottoporre le controversie di natura tecnico disciplinare ed economica al giudizio di organi associativi, ove in realtà non si intende con ciò rimettere la controversia ad arbitri quanto piuttosto accettare la «giurisdizione» degli organi federali. Le autorevoli pronunce, (tra le altre da ultimo Cassazione Civile, sez. I, sentenza n. 18919 del 28 settembre 2005 secondo cui l’allora vigente art. 24 Statuto FIGC deve esser interpretato quale «rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale» configurante sul piano dell’ordinamento statuale una «clausola compromissoria per arbitrato irrituale» che «si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia») paiono muovere da una prospettiva erronea. unificante. Sulla distinzione tra vincolo di giustizia e clausola compromissoria vedi M. SANINO, Diritto sportivo, Cedam, 2002 pag. 464 ove: «Nella prassi è accaduto che con il termine clausola compromissoria sia indicata genericamente la posizione nella quale si trova l’atleta nei confronti della Federazione, ricomprendendosi anche la preclusione che allo stesso viene imposta di rivolgersi al giudice statale in forza del vincolo di giustizia». Altresì A. DE SILVESTRI, Il contenzioso tra pari ordinati, op. cit., pag. 512 ove: «L’atteggiamento di chi in dottrina si è occupato di vincolo di giustizia è da tempo costantemente attestato sull’equivoco che esso, uno e bino allo stesso tempo affondi cioè le sue radici oltre che nelle Carte Federali nella stessa 97 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Altro profilo di rilievo è rappresentato all’oggetto sostanziale della controversia. La discrasia tra realtà fattuale e dato regolamentare che vede frequentemente ricorrere, nella prassi, la stipulazione di contratti al di fuori dai netti limiti delineati dal combinato disposto degli art. 29 e 94 ter NOIF, ha indotto lo stesso legislatore federale a prevedere in tali casi una esplicita deroga alla disciplina di cui all'art. 27 co. 2 NOIF Recita infatti l’art. 94, co. 2 NOIF: «Le eventuali azioni promosse dai tesserati dinanzi alla autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi di cui alla lett. a) del precedente comma, non rientrano, escluse le azioni aventi ad oggetto la corresponsione di premi diversi da quelli previsti dal precedente art. 93, co. 1, tra quelle previste dall’art. 27, co. 2, dello Statuto della F. I. G. C.». L’art. 94, co. 1 lett. a) individua quali accordi vietati quelli «tra società e tesserati che prevedano compensi, premi ed indennità in contrasto con le norme regolamentari, con le pattuizioni contrattuali e con ogni altra disposizione federale» configurando di contro alla lett. b) una difforme ipotesi di accordi vietati caratterizzati dal porsi in condizione integrativo/sostitutiva di accordi ritualmente formalizzati (stante il rigorismo negoziale che informa l’ordinamento federale) e regolarmente depositati presso la competente Lega. Pur accomunate ambedue le ipotesi quanto all'aspetto disciplinare, in entrambi i casi infatti le società ed i loro legali rappresentanti nonché i tesserati sono passibili di sanzioni per la stipulazione di tali accordi in ambito endoassociativo (art. 7 Codice giustizia sportiva), esse si differenziano in relazione alla «azionabilità» dei diritti derivanti da tali accordi presso l’Autorità Giudiziaria Ordinaria. La difformità normativa è motivata presumibilmente sotto un profilo sostanziale dalla natura simulatoria degli accordi, in genere simulazione relativa quoad pretium, che potenzialmente potrebbe comportare la confliggenza tra giudicato sportivo e giudicato statale, sussistendo la tutela delle ragioni derivanti dall’accordo simulato presso il Collegio Arbitrale ex art. 4 l. 91/81 normativa statale, ed è proprio sulla scorta di tale erroneo convincimento che esso è stato assimilato in tutto o in parte alla clausola compromissoria prevista dal codice di rito alla cui stregua è stato sotto più profili analizzato». Per la distinzione tra procedimenti arbitrali e procedimenti semigiurisdizionali vedi L. FUMAGALLI, La risoluzione delle controversie sportive: metodi giurisdizionali, arbitrali ed alternativi di composizione, in Riv. Dir. Sport 1999, pag. 250 il quale sostiene la «possibilità di individuare nei procedimenti di soluzione delle controversie sportive concretamente offerti dagli ordinamenti federali, una loro caratterizzazione in senso arbitrale o meno, così da distinguere procedimenti di tipo arbitrale e procedimenti di tipo differente (quasi giurisdizionale)». L’Autore nota come l’analisi di composizione delle controversie sotto il profilo della distinzione tra procedure di tipo arbitrali e procedure di tipo semi giurisdizionale sia interessante ai fini di segnalare una certa sfiducia delle organizzazioni sportive per le procedure arbitrali (con particolar riferimento alle controversie disciplinari) quasi si trattasse di una sorta di «abdicazione» di sovranità, auspicando di contro un sempre più frequente ricorso a metodi arbitrali dal momento che «solo meccanismi di tipo arbitrale, svolgendo una funzione sostitutiva della giurisdizione statale, quando intervengono su questioni suscettibili di definizione in via arbitrale, sono idonei a produrre risultati suscettibili di sanzioni anche nell’ordinamento statale» (pag. 254). 98 DOTTRINA Atleti dilettanti……… (relativamente agli atleti professionisti) o presso la Commissione Accordi Economici LND, e quelle derivanti dall’accordo dissimulato presso l’AGO. 111 La prescritta necessità dell’autorizzazione in deroga in questi casi pare allora strumentale a prevenire ipotetiche declaratorie da parte del giudice statuale di inefficacia del contratto simulato che si porrebbero in contrasto, in linea teorica, con le eventuale pronunce dei collegi arbitrali per la risoluzione delle controversie tra sportivi professionisti e società o degli organi permanenti inerenti i contratti simulati. Di contro per ciò che concerne la tutela dei diritti derivanti da accordi di cui alla lett. a), l’art. 94, co. 2 prevede esplicitamente che «le eventuali azioni promosse dai tesserati innanzi l’autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi di cui alla lett. a) del precedente comma, non rientrano, tra quelle previste dall’art. 27, co. 2 dello statuto della FIGC». La norma pare avere un carattere latamente dissuasivo circa la stipulazione di accordi contrari alle normative federali ma altresì evidenzia come i diritti derivanti dalla la stipulazione di contratti in dispregio alle forme convenzionali previste, alle procedure di deposito, ai limiti economici possano trovar tutela presso la giurisdizione ordinaria statuale ex art. 3 l. 280/2003. La sottile ed accorta architettura predisposta dal legislatore federale che, in deroga, esonera il tesserato dall’osservanza del vincolo di giustizia nell’ipotesi di accordi in contrasto con la normativa federale, poggia tanto valutazioni di ordine «procedimentale», stante la non «giustiziabilità» delle eventuali controversie insorgenti presso i costituiti organi di giustizia, quanto 111 In vero la potenziale confliggenza tra «giudicato sportivo» e giudicato statale appare quale mera ipotesi di scuola in relazione ai contratti di lavoro degli atleti professionisti considerando il disposto di cui all’art.4 co.1 L.91/81. Secondo la dottrina maggioritaria (G. VIDIRI, Sulla forma scritta del contratto di lavoro sportivo, in Giust. Civ., 1993, pag. 2839;ID., Contratto di lavoro dello sportivo professionista, patti aggiuntivi e forma ad substantiam, in Giust. civ., 1999, pag. 1613; ID., Forma del contratto di lavoro tra società sportive ed atleti professionisti e controllo delel federazione sportiva nazionale, in Riv. Dir. Sport., 2000, pag. 540) dal dato normativo emergerebbe in maniera incontrovertibile coma la validità giuridica del contratto individuale sia condizionata dall’ esperimento di un iter procedimentale articolato in tre fasi rappresentate dal ricorso alla forma scritta richiesta ab substantiam, la redazione del contratto sulla base di quello tipo concordato dalle associazioni di categoria (realizzabile attraverso la sottoscrizione di moduli e formulari), il deposito del contratto presso la federazione sportiva per consentirne il controllo.l’imposizione da parte del legislatore.Conseguirebbe pertanto il disconoscimento di qualunque rilevo giuridico a pattuizioni (contratti di assunzione o patti aggiuntivi- integrativi) non risultanti dai contratti tipo depositati per l’approvazione presso le federazioni sportive per nullità derivante da violazione di norme imperative. In tal senso Cass., 4 marzo 1999, n. 1855, in Giust. civ., 1999, pag. 1611; Cass 12 ottobre 1999, n. 11462, in Riv. dir. sport, 2000, pag. 535. Pur con lievi differenze in ordine all’inquadramento giuridico dell’ istituto dell’ approvazione federale, configurata ora come condicio juris ora come quale elemento di integrazione di una fattispecie complessa, le sentenze muovono dall’idea comune che le prescrizioni previste dall’art. 4 comma 1 e 2, in combinato disposto con l’art.12, aventi tutte natura imperativa, siano preordinate ad assoggettare le attività maggiormente onerose per la società alla verifica da parte degli organismi federali al fine di garantire il rigore e l'ortodossia finanziaria indispensabili ai fini del regolare e trasparente esercizio dell'attività sportiva. Contra sul punto in dottrina E. CARINGELLA, Brevi considerazioni in tema di forma del contratto di lavoro sportivo in Riv. Dir. Sport., 1994, pag. 683 nonché J.Tognon Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, in Rivista Giuslavoristi.it., 2005 i quali ritengono che l’analisi logico-sintattica della disposizione normativa disvelerebbe l’intenzione del legislatore di attivare il meccanismo sanzionatorio nella sola ipotesi di assenza di forma scritta paventando così la necessità di una lettura frammentata del disposto di cui all’art.4 co.1e 2 l.91/81.Per tale posizione in giurisprudenza vedasi Trib. Perugia 21 maggio 1993, in Riv. Dir. Sport., pag. 2837 nonché Trib. Perugia 10 aprile 1996, in Rass. Giur. Umbra, 1996, pag. 417. 99 DOTTRINA Atleti dilettanti……… su ragioni di ordine sostanziale ossia che accordi di tal fatta invalidi ed inefficaci nell’ambito dell’ordinamento federale siano perfettamente validi nell’ordinamento generale ivi trovando la «naturale» sede di tutela. Inoltre la norma pare sancire il principio, aliunde ricavabile, in virtù del quale in relazione alla normativa in vigore in ambito federale può correttamente argomentarsi di sussistenza di vincolo di giustizia e, quindi, di eventuale necessità della preventiva istanza di deroga ex art. 27, co. 4 Statuto Federale solo in presenza di una controversia che possa essere delibata dagli organi deputati. Con ciò implicitamente, quanto inevitabilmente, ammettendo che esistono atti pretesi quali elusivi dell’obbligo statutario solo in presenza di giustiziabilità sportiva della controversia. In difetto infatti di potestas iudicandi degli organi di giustizia interni il ricorso al Giudice Ordinario per tali controversie assume natura integrativa/sostitutiva di un difetto di «giurisdizione» domestica sportiva112. In tale ipotesi sussiste un mero obbligo di comunicazione delle eventuali iniziative giudiziarie, palesemente strumentale al deferimento per violazione delle norme in materia economico gestionale (art. 7 Codice giustizia sportiva), la cui elusione dovrebbe comportare la mera violazione dell’art. 1 CGS quale fonte di costante riempimento di doveri di condotta non rinvenienienti da altri e più specifici precetti. Altri ordinamenti federali hanno di contro inteso adottare il modello propriamente arbitrale di risoluzione delle controversie tra sportivi non professionisti e società.113 112 Sul Punto Commissione Disciplinare Serie C 18 maggio 2005, in CU n. 221 del 18 maggio 2005. Nel caso di specie l’Organo della Federazione Italiana Giuco Calcio ha evidenziato il principio in virtù del quale non è passibile di irrogazione di sanzioni disciplinari per violazione dell’art. 27 co. 2, 3 e 4 dello Statuto l’affiliato o tesserato che abbia adito la magistratura ordinaria a tutela dei propri diritti laddove essi non siano tutelabili a mezzo di deferimento ad organo endoassociativo. Nel caso di specie trattatavasi di accordo di partecipazione sui diritti economici rinvenienti dalla titolarità del contratto di lavoro sportivo (c.d. comproprietà) stipulato tra società affiliate in forme diverse da quelle stabilite dall’art. 102 bis NOIF. «Premesso che è pacifico in atti che la documentazione posta a fondamento della citazione in giudizio operata dalla Società non poteva essere sottoposta al giudizio di un organo di giustizia domestica, stante la irritualità della documentazione stessa, si pone il quesito se nonostante tutto alla società presunta danneggiata incombesse l’obbligo di munirsi della preventiva autorizzazione per poter procedere alla salvaguardia dei propri diritti in sede ordinaria. A tale quesito la Commissione ritiene di dare risposta negativa, stante il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela dei propri diritti. Quanto sopra esposto trova avallo decisivo nella considerazione che il dettato normativo dell’art. 27, co. 2, dello Statuto non contempla la fattispecie che ci occupa, essendo principio consolidato secondo cui le norme che accordano i benefici, che comminano sanzioni e che impongono preclusioni non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica». Analogamente Commissione Disciplinare Serie C, 08 marzo 2006, in CU n. 248/C del 08 marzo 2006. ove si afferma che: «la parte che ha pattuito compensi al nero non può certo ricorrere alla Giustizia Sportiva per far valere diritti patrimoniali maturati con pattuizioni non consentite e dunque non garantite dall’ordinamento federale ma se lo ritiene deve rivolgersi all’AGO» ricorso che «non comporta un possibile contrasto tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo federale, e quindi, per principio generale, non occorrere richiedere la apposita autorizzazione». Sul punto anche Commissione Disciplinare Serie C, 19 maggio 2006, in CU n. 343/C del 22 maggio 2006 ove si afferma l’ insussistenza della violazione dell’art. 27 Statuto FIGC in ipotesi di ricorso ex art. 700 cpc per la sospensione della pubblicazione del nominativo sul registro informatico dei protesti in considerazione del fatto che «il provvedimento de quo non poteva esser utilmente chiesto né concesso dagli organi di giustizia privi di potestas iudicandi in proposito e per il giudizio di merito in ordine all’azione cautelare». 113 Esemplificativamente l’art. 106 del Regolamento di Giustizia FIP. 100 DOTTRINA Atleti dilettanti……… La previsione ab origine di remissione al giudizio arbitrale di veri e propri collegi arbitrali delle controversie connesse all’attività sportiva elude la problematica inerente la possibilità di emersione delle pronunce a livello statuale. Si pone però una ulteriore tematica; ove infatti dovesse astrattamente qualificarsi il rapporto atleti/società quale di lavoro subordinato dovranno vagliarsi in concreto i possibili profili di nullità della clausola sia che essa sia pattuita nell’ambito dei contratti individuali, sia che si faccia riferimento ai soli disposti statutari.114 L’art. 806 c.p.c., come modificato dal D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, esplicitamente infatti statuisce che «le controversie di cui all’art.409 possono esser decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro». La riforma legislativa, abolendo il precedente disposto di cui all’art.806 c.p.c., ha superato, da un lato, ogni aporia interpretativa determinata dal mancato coordinamento con l’art.808 c.p.c. come novellato dalla L.n.533/1973 in ordine all’ammissibilità del compromesso nelle controversie di lavoro, dall’altro ha riaffermato la necessità, al fine di devolvere in arbitrato una controversia di lavoro, di una manifestazione di volontà generale espressa in sede legislativa o sindacale. Stante la pacifica riconduzione dell’arbitrato sportivo in materia economica al modello irrituale e l’ inapplicabilità del disposto di cui all’art. 4, co. 4 l. n. 91/81 che prefigura una forma di arbitrato ex lege, l’assenza di precostitituzione in sede di contrattazione collettiva, dovrebbe far propendere per nullità del patto compromissorio individuale.115 6. Conclusioni Vi è da domandarsi se la rivendicazione di autonomia dell’ordinamento sportivo possa tradursi, nella prospettiva del diritto del lavoro, in un fattore di impenetrabilità della normativa lavoristica. La limitatezza dell’intervento legislativo del 1981 e la passività degli organismi sportivi preposti nell’adeguare alla fisiologica crescita in senso professionale del movimento il novero delle 114 Anche a seguito della riforma di cui al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, che brevemente si sunteggerà, pare possa ritenersi che le prescrizioni circa la necessità della autorizzazione legislativa o sindacale dell’istituto arbitrale non attenga l’arbitrabilità della lite quanto incida sulla validità del patto compromissorio, rectius della convenzione arbitrale, individuale. 115 In tema di arbitrato irrituale in materia di lavoro il legislatore nell’ambito della recente riforma non ha inteso chiarire i problematici rapporti tra gli arbitrati previsti dai contratti collettivi ex art. 5 della l. n. 533/1973 e quelli di cui all’art. 412 ter e quater Cpc. Per un ampio commento alla luce del D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 vedasi M. BOVE, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. Dir. Arb., Giuffrè, 2006, pag. 879. Specificatamente sulla questione della arbitrabilità delle controversie di lavoro in assenza di autorizzazione sindacale A. De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 36 101 DOTTRINA Atleti dilettanti……… discipline e dei settori professionistici, hanno ingenerato una evidente forma di discriminazione tra gli atleti. Ad oggi interi movimenti sportivi (esempio emblematico la pallavolo) e trasversalmente l’intero sport femminile, sono esclusi, in ragione di discutibili valutazioni, da quell’apparato di garanzie contrattuali e d’ordine assicurativo, previdenziale, di sicurezza sociale, riservati, alla luce dei vigenti assetti normativi, ad una elitaria cerchia di soggetti. Lo status quo pare determinato dall’erronea percezione dell’attività formalmente non professionistica come un universo indistinto;in tale contesto di contro convivono l’attività sportiva di base (avviamento ed addestramento in età giovanile), quella propriamente amatoriale, tipicamente intesa come forma di impiego del tempo libero, l’attività dilettantistica di vertice . Le succitate realtà sono in vero latrici di esigenze difformi. Se occorre sottolineare come non pare possa sostenersi l'idea di una sorta di statuto speciale dello sportivo non professionista costruendo una continuità ideale fra la natura del «datore di lavoro», vincolato alla non distribuzione dei profitti, e la presunta attenuazione dei caratteri scambistici del rapporto, vero è anche come non siano da condividersi alcune tendenze totalizzanti emerse di recente. Ci si riferisce in particolar modo alla Proposta di Legge n. 5605, presentata il 9 febbraio 2005, prima firmataria l’On.le Moroni, mirante a garantire una disciplina organica della prestazione sportiva non professionistica esclusivo a titolo oneroso. Si prevede infatti la possibilità di stipulare definiti contratti di prestazione sportiva, tecnica e didattica per lo svolgimento di attività in forma autonoma o subordinata, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto. La proposta inoltre prevede un nucleo minimo di disciplina del rapporto ad essi erano inoltre estese sia la possibilità della contrattazione collettiva con conseguente predisposizione di un contratto-tipo, che l’apposizione di una clausola compromissoria per la devoluzione del contenzioso ad un collegio arbitrale L’ampia platea delle figure interessate sarebbe inoltra soggetta, all’iscrizione obbligatoria allo speciale Fondo pensioni gestito dall’ENPALS. 102 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Di tenore parzialmente analogo il Disegno di Legge n. 720 «Norme in materia di previdenza degli sportivi non professionisti», primo firmatario Sen. Scalera, ove all’art. 1 si prevede che : «Gli atleti, gli allenatori, gli istruttori, gli insegnanti, i maestri e i tecnici,i direttori sportivi, i direttori tecnici, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori atletici privi della qualificazione di sportivi professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), che esercitano l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto, sono tenuti ad iscriversi all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi professionisti». Per quanto sia favorevolmente da accogliersi la rinnovata attenzione legislativa tesa ad un'estensione mirata di misure di protezione sociale finalizzata ad una mutazione in senso migliorativo delle tutele, tali tipo di interventi appaiono da non condividersi . Sotto il profilo metodologico non è auspicabile la sovrapposizione di ulteriori interventi legislativi specificatamente riferibili ai soggetti esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della l. n. 91/81, che porrebbero delicate problematiche di coordinamento normativo. Vigente la l.91/81, al fine di rimodulare in senso estensivo l’ambito applicativo della norma, centrale si rileverebbe il ruolo del Comitato Olimpico Nazionale a mezzo dell’emanazione di specifiche direttive circa la distinzione tra attività professionistica e non. L’ampliamento dell’area del professionismo e la conseguente estensione della platea dei soggetti beneficiari delle normative di tutela comportebbe indubbiamente costi gravosi, basti pensare al carico fiscale e previdenziale, presumibilmente non immediatamente sostenibili se non oggetto di programmazione a medio-lungo termine; d’altra parte indubitabile appare come l’evoluzione in senso professionale dello svolgimento dell’attività rappresentanti un formidabile volano per la massimizzazione della performance agonistica con evidenti ripercussioni in senso positivo in ordine ai potenziali ricavi degli «imprenditori sportivi». Tale percorso, difficoltoso ed implicante un processo di complessiva rivisitazione del movimento sportivo nazionale, non potrebbe prescindere dal riconoscimento in capo agli atleti delle basilari garanzie sociali. Le delicate implicazioni di una eventuale estensione del campo applicativo della l.91/81 consentono, medio tempore, di apprezzare il tentativo posto in esser nell’ambito dell’ordinamento cestitico dall’associazione Giocatori Italiana Basket Associati (GIBA) di giungere alla definizione 103 DOTTRINA Atleti dilettanti……… di un protocollo di intesa con le competenti Leghe finalizzato alla definizione di una disciplina uniforme dei rapporti tra atleti e società del settore non professionistico. Presupposto essenziale di tale iniziativa è costituito dalla previsione dell’art.4 bis comma 5 Regolamento Esecutivo FIP ove è contemplata la possibilità di stipulazione di definiti «accordi economici collettivi». Ferma la improprietà del riferimento a forme e modalità tipiche dell’autonomia collettiva, scarsamente calzanti data l’ irrilevanza lavoristica, in linea teorica, delle prestazioni rese in ambito non professionistico, anche per espresso disposto dell’art.4 bis comma 2 Regolamento Esecutivo FIP, e la conseguente insussistenza di «legittimazione» delle parti contraenti, in concreto tali accordi dovrebbero configurasi quali negozi normativi tesi a disciplinare le future contrattazione a livello individuali, soggetti, per la sola parte economica, alla preventiva approvazione federale. La effettiva vincolatività sul piano individuale del protocollo è affidata alla predisposizione di un contratto tipo nell’ambito del quale è acclusa una clausola di accettazione del contenuto.In ottica pragmatica il protocollo non accenna, né evidentemente potrebbe farlo, a profili inerenti la qualificazione del rapporto limitandosi a richiamare il combinato disposto dell’art. 2 l. 91/81 e dell’art. 4 bis del Regolamento Esecutivo della F.I.P e la disciplina fiscale prevista per i compensi degli atleti non professionisti dall’art. 81 comma 1 lettera m del TUIR. Esso interviene, di contro, in termini significativi sulla disciplina del rapporto con particolar riferimento a quei profili ove, nella prassi, più marcatamente si sono manifestate aporie interpretative ed applicative.116 Una direzione del tutto innovativa pare, da ultimo, esser stata intrapresa dalla Commissione di studio per la riforma della disciplina del professionismo sportivo e delle società sportive insediatasi 116 Nell’ambito del Protocollo vengono identificati con sufficiente margine di certezza diritti e doveri reciproci delle parti definendosi conseguentemente un sistema, anche a livello procedurale, di irrogazioni di sanzioni disciplinari.In via del tutto innovativa, a chiusura del sistema endofederale teso a garantire l’esecuzione dei lodi arbitrali o comunque le azioni di recupero credito, viene istituito un Fondo di Garanzia e Solidarietà finalizzato alla devoluzione di sussidi a favore degli atleti ai quali non sia corrisposto regolarmente il compenso, ingaggiati da società che siano state dichiarate morose disposizioni federali o che siano state dichiarate fallite. Inoltre ulteriormente si reitera l’obbligo della Lega Nazionale in rappresentanza e per conto delle società ad essa appartenenti a garantire una copertura assicurativa in favore di tutti i giocatori tesserati per le squadre partecipanti al campionato nazionale maschile per il caso di morte e di invalidità permanente da infortunio con massimali variabili. Oggetto di disciplina anche le ipotesi di malattia od infortunio, che non siano dovuti a condotta sregolata dell'atleta o comunque a cause attribuibili a sua colpa grave; in tali casi è affermato il principio in virtù del quale compete all'atleta l’intero compenso stabilito nell’eventuale accordo economico.In tema di tutela sanitaria è altresì previsto che la società sia tenuta a garantire all’atleta una completa e qualificata assistenza sanitaria tramite il servizio sanitario, per quanto previsto, ovvero tramite strutture private e/o della società stessa, ed ad assumersene i costi per la parte non coperta dal servizio sanitario. 104 DOTTRINA Atleti dilettanti……… presso il Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive per iniziativa del Ministro Melandri con l’obbiettivo di svolgere una ricognizione generale sullo stato di applicazione della l. n.91 del 1981 e di formulare ipotesi normative di riforma.La novella della norma dovrebbe, nelle intenzioni della Commissione, passare attraverso la definizione di un nuovo genus di lavoratore sportivo;si assisterebbe alla creazione di una specifica fattispecie di lavoratore sportivo al di là ed al di fuori di ogni riferimento alla natura autonoma o subordinata del rapporto, individuando, al contempo, un limite soglia quantitativo (presumibilmente l’entità dei compensi annui lordi fiscalmente considerati unitariamente quale redditi diversi) superato il quale lo sportivo accederebbe agli statuti protettivi.Nelle more dell’ elaborazione di una proposta normativa si impone una breve riflessione circa le linee guida che parrebbero esser intraprese dalla Commissione. Nell’alternativa tra il muovere da ridefinizioni tipizzanti della specifica realtà sociale per assegnare alle fattispecie così ex novo misure diversificate di tutela o piuttosto partire dalla rimodulazione delle stesse dando per ferme le fattispecie così come fissate nell’ordinamento, operando semmai delle forme di riaggregazioni, in proposito, la Commisione pare optare decisamente per la prima ipotesi.In linea tendenziale la creazione di un nuovo modello contrattuale costituisce espressione di una impostazione ideologica che intende fornire la possibilità di superare presunte incapienze e/o rigidità dell’attuale assetto legislativo. In altri termini il superamento della tradizionale dicotomia subordinazione-autonomia, attraverso la formalizzazione di una nuova tipologia contrattuale, dovrebbe esser asservita all’attenuazione delle tensioni che in tema di qualificazione si addensano attorno a figure caratterizzate da un sorta di «incollocabilità».In realtà però sotto il profilo qualificatorio, almeno per quanto attiene gli atleti, problematiche di tal fatta, stante il disposto dell’art.3 l.n.91/81, non si sono mai manifestate identificandosi il nodo gordiano della materia nella definizione dell’area del professionismo sportivo. Allora evidente come il dare cittadinanza giuridica ad una sorta di innovativo tertiun genus nel microcosmo delle «prestazioni sportive» si configuri, potenzialmente, quale presupposto per l’applicazione di un diverso regime giuridico e fiscale, i cui contorni però ad oggi non risultano definiti, rispetto all’attuale assetto legislativo della materia imperniata, tendenzialmente, sul riconoscimento della natura subordinata del rapporto atleti-società. 105 DOTTRINA Atleti dilettanti……… Non può non sottolinearsi il timore che l’operazione miri ad un surrettizio allentamento delle garanzie riconosciute al lavoro subordinato. In termini positivi sembrerebbe superarsi l’angusta nozione di professionismo come accolta nell’ambito della L.n..91/81. Appare evidente, infatti, come sia depotenziato, se non del tutto eliminato, il ruolo della qualificazione federale quale presupposto di accesso alle normative di tutela;tale innovativo aspetto però dovrebbe coordinarsi con le prerogative dell’ordinamento sportivo in tema distinzione tra attività sportiva professionistica e non.Sotto altro profilo l’individuazione di una linea di esenzione commisurata all’entità del compenso non pare di per sè sufficiente. Se ragionevolmente si tende a garantire il doveroso distinguo tra prestazioni che non possono prescindere da una tutela sociale, da quelle caratterizzate da minimalità di risvolti economici lasciano presumere la natura meramente amatoriale dell’attività, è opportuno prevenire eventuali pratiche elusive nelle zone di confine. Tale forma di prevenzione potrà forse utilmente perseguirsi attraverso la previsione a sommatoria di dati tipizzanti della novella fattispecie legati alle modalità esplicative del rapporto, almeno di non voler fondare il tipo su profili meramente negoziali. Un punto focale sarà indubbiamente rappresentato, di poi, dal concreto apparato di discipline applicabili. Vi è da domandarsi se verrà preservatol’attuale assetto o si provvederà ad una totale rivisitazione . Quale sarà nel rinnovato contesto il ruolo dell’autonomia collettiva?.Quali le tutele d’ordine sanitario, assicurativo, previdenziale?. Si provvederà a favorire il riscatto dei periodi di attività sportiva prestata anteriormente all’eventuale entrata in vigore della nuova legge riguardo i soggetti ad oggi non formalmente professionisti?. Vi sarà l’estensione delle disposizioni di tutela e sostegno della maternità?117.Ma soprattutto, al di là della previsione di una specifica disciplina, quale il coordinamento con le norme di diritto comune?.La via intrapresa per garantire il riconoscimento di basilari diritti e tutele agli atleti, ma più in generale agli sportivi, oggi esclusi dal campo applicativo della l.91/198, pare allo stato ammantata di incertezze. 117 A riguardo si segnala il punto 29 dei «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» approvati in data 28 febbraio 2007 dal Consiglio Nazionale del Coni ove si prevede: «Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi ed indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del rapporto con la società sportiva di appartenenza». 106 DOTTRINA Atleti dilettanti……… (*) Avvocato del foro di Lecce 107 DOTTRINA PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA SOMMARIO: FELICE BLANDO, Titolo V della Costituzione e ordinamento sportivo STEFANO CAVIGLIOLI, Gare di sci e insidie naturali sulla pista: può rispondere l’organizzatore (ex art. 2051 c.c.) ? 108 pag.109 pag.132 Titolo V della Costituzione... SENTENZA 29 DICEMBRE 2004 N.424 Pres. ONIDA - Red. QUARANTA - Regioni Toscana (avv.ti Bora e Lorenzoni), Valle d’Aosta (avv. Luciani) ed Emilia-Romagna (avv.ti Mastragostino e Falcon) c. Presidente Consiglio dei ministri (avv. St. Mandò). (1) Corte costituzionale - Giudizio di costituzionalita’ - Giudizio in via di azione - Pluralità di questioni - Trattazione e decisione separata in ordine ad alcune delle questioni proposte - Riserva di decisione sulle restanti questioni. (2) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Disciplina da adottarsi con regolamenti statali - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata lesione della potestà legislativa concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo” e della potestà regolamentare della Regione Ius superveniens modificativo delle norme censurate - Rinuncia al ricorso e relativa accettazione Estinzione del giudizio. (3) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Disciplina da adottarsi con regolamenti statali - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata lesione della potestà legislativa concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo” e della potestà regolamentare della regione - Ius superveniens modificativo della norma censurata nel senso voluto dalle ricorrenti - Norma non attuata - Cessazione della materia del contendere. (4) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Istituzione presso il coni del relativo registro, prescrizione delle modalità di tenuta, efficacia dell’iscrizione per l’accesso a contributi pubblici - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata lesione dell’autonomia legislativa regionale - Ius superveniens abrogativo delle norme censurate - Norme non attuate - Cessazione della materia del contendere. (5) Sport - In genere - Impianti e attrezzature sportive - Disciplina statale per la gestione e l’uso - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata lesione della potestà legislativa concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo”, dell’autonomia degli enti locali e delle istituzioni scolastiche - Non fondatezza delle questioni. (6) Sport - Enti di promozione sportiva - Conferimento di 1 milione di euro per l’anno 2004 - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Intervento finanziario diretto dello stato in materia di competenza regionale, con lesione dell’autonomia regionale - Illegittimità costituzionale. 109 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Va riservata a separate pronunce la decisione sulle questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sollevate con i medesimi atti introduttivi ed aventi ad oggetto disposizioni diverse da quelle contenute, rispettivamente, nell’art. 90, commi 18, 20, 21, 22, 24, 25 e 36, e nell’art. 4, comma 204, oggetto delle questioni definite, per omogeneità di materia, con la presente sentenza. Va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 25, comma 1, secondo periodo, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il giudizio avente ad oggetto le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 90, commi 18, 20 e 22, della l. 27 dicembre 2002 n. 289, sollevate in riferimento all’art. 117, commi 3 e 6, Cost., a seguito della rinuncia al ricorso, da parte della Regione Toscana, intervenuta in considerazione delle modifiche normative recate dal d.l. 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con mod., nella legge 21 maggio 2004, n. 72. Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost., dell’art. 90, comma 18, della legge n. 289 del 2002, che prevedeva l’emanazione di una normativa regolamentare governativa per l’attuazione delle nuove disposizioni recata dalla legge, per intervenuto ius superveniens, perché, successivamente alla proposizione dei ricorsi, l’art. 90 l. 27 dicembre 2002 n. 289 è stato modificato dal d.l. n. 72 del 2004, conv., con mod., nella legge n. 128 del 2004, che ha sostituito il comma 18, aggiungendo anche i commi 18-bis e 18-ter, non sussistendo le condizioni per il trasferimento della impugnazione sulle nuove disposizioni e tenuto conto che le norme impugnate non hanno avuto alcuna attuazione. Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dell’art. 90, commi 20, 21 e 22, della legge n. 289 del 2002, in tema di istituzione presso il CONI e di disciplina del registro delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, per intervenuto 'ius superveniens', perché, successivamente alla proposizione dei ricorsi, le disposizioni sono state abrogate dal d.l. n. 72 del 2004, come conv. nella legge n. 128 del 2004, tenuto conto che le norme impugnate non hanno avuto alcuna attuazione (ord. n. 443/2202 e sent. n. 347/2001). Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117 Cost. e all’art. 10 legge cost. n. 3 del 2002, dell’art. 90, commi 24, 25 e 26, della legge n. 289 del 2002, concernente l’utilizzazione di impianti sportivi. Posto che, con la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, l’ordinamento sportivo è stato inserito nel nuovo testo dell’art. 117, comma 3, tra le materie oggetto di competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni, e che non 110 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... può dubitarsi che la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive rientri nella materia dell’ordinamento sportivo, lo Stato deve limitarsi alla determinazione, in materia, dei principi fondamentali, spettando invece alle Regioni la regolamentazione di dettaglio, salvo una diversa allocazione, a livello nazionale, delle funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario, in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza con riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 118, comma 1, Cost., diversa allocazione di funzioni non ricorrente nella specie: il comma 24, nello stabilire che l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali deve essere aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri oggettivi, a tutte le società e associazioni sportive, è, all’evidenza, una disposizione che fissa un principio fondamentale per l’utilizzazione degli impianti in questione, il godimento dei quali deve essere consentito, appunto in via generale, a tutti i cittadini; lo è, del pari, il comma 25, che detta regole generali dirette a garantire che la gestione degli impianti sportivi comunali, quando i Comuni non vi provvedano direttamente, avvenga di preferenza mediante l’attribuzione a determinati organismi sportivi, in via surrogatoria rispetto ai possibili atti di autonomia degli enti locali, e quindi nel rispetto delle scelte appunto autonomistiche degli enti stessi, ai quali è assicurata, in via principale, la possibilità di gestire direttamente gli impianti in questione; e così il comma 26 che, relativamente agli impianti sportivi di pertinenza di istituti scolastici, fissa regole, espressive di principi fondamentali della materia, secondo le quali, compatibilmente con le esigenze dell’attività didattica e delle attività sportive della scuola, anche extracurriculari, i suddetti impianti devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nello stesso Comune in cui si trova l’istituto scolastico, o in Comuni confinanti, intendendo così salvaguardare innanzitutto l’utilizzazione di impianti sportivi scolastici, e, subordinatamente a tali esigenze e per finalità di interesse collettivo, garantire una fruibilità generale degli impianti stessi, salvaguardando prioritariamente, da un lato, le esigenze della scuola e, dall’altro, la funzionalità delle strutture annesse agli istituti scolastici (sentt. nn. 517 del 1987, 241 e 303 del 2003). E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003, che stabilisce che, per consentire lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, nonché per il finanziamento e il potenziamento dei programmi relativi allo sport sociale, agli enti di promozione sportiva è destinata la somma di 1 milione di euro per l’anno 2004. 111 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... La previsione di un siffatto finanziamento, sicuramente attinente alla materia dell’ordinamento sportivo di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., non può non comportare un diretto coinvolgimento delle Regioni, in quanto anch’esse titolari di potestà legislativa nella specifica materia, laddove è del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore e ai relativi criteri di riparto, né prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni (sentt. n. 49 e 16 del 2004 e n. 370 del 2003). 112 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... TITOLO V DELLA COSTITUZIONE E L’ORDINAMENTO SPORTIVO di Felice Blando (*) SOMMARIO: 1. L’ordinamento sportivo tradizionale e la nuova materia ordinamento sportivo nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e Regioni. 2. Alcuni recenti interventi normativi e giurisprudenziali. 3. La collocazione dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni. 4. La disciplina dell’impiantistica sportiva e il finanziamento degli enti di promozione sportiva. 113 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Con la sentenza n. 424 del 20041, la Corte costituzionale inizia a districarsi nel caos verbale2 della materia ordinamento sportivo (art. 117, terzo comma, lettera l, Cost.). Si tratta di una problematica del tutto nuova e alquanto complessa, sulla quale – nonostante l’ormai alluvionale letteratura sul titolo V della Costituzione e per contro la sempre crescente produzione scientifica sul diritto sportivo – gli interpreti hanno preferito procedere con molta cautela 3. Essi, in verità, si sono astenuti dal dare indicazioni sull’argomento e, conseguentemente, tale intricata matassa è ancora del tutto da dipanare4. Anche nella pronuncia in commento l’espressione ordinamento sportivo è richiamata ma non definita ex se; il suo significato, poi, non è ricavabile nemmeno dal contesto della motivazione che, giova precisarlo, non spicca certamente per coerenza logica né per correttezza argomentativa. In linea generale, la prima impressione che si ha nell’affrontare l’argomento è che l’introduzione dell’ordinamento sportivo all’interno della Carta Costituzionale risenta, forse più di ogni altra, della circostanza che il legislatore abbia individuato le materie inserite nell’art. 117, terzo comma, Cost. ricorrendo ad “etichette concettualmente assai vaghe ed ambigue, come tali suscettibili di dar luogo ad imprevedibili esiti ricostruttivi-applicativi”5. 1 La sentenza è pubblicata in Giur. cost., 2005, 4503 ss. e – per la parte in diritto – in Cons. st., 2004, II, 2410. Per un commento critico (come emerge dal titolo stesso del contributo) si v. R. BIN, Quando la Corte prende la motivazione “sportivamente” (nota la sent. 424/2004), in Forum di Quad. cost. del 4 ottobre del 2005 (in corso di pubblicazione in Le Regioni, 2005). L’estensore della sentenza, Alfonso Quaranta, è autore di importanti scritti di diritto sportivo quali Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, 29; Sulla natura giuridica delle Federazioni sportive nazionali, in Riv. dir. sport., 1986, 172 e Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in Riv. pen. econ., 1990, 230. 2 E’ l’espressione utilizzata da Mazziotti in ordine alle enumerazioni costituzionali del vecchio testo della Costituzione: M. MAZZIOTTI, Studi sulla potestà legislativa delle Regioni, Milano, 1961, 128. 3 Per Forlenza il riferimento dell’ordinamento sportivo nella Costituzione comporterà la difficoltà di poter considerare “come autonomo un ordinamento giuridico, nel momento stesso in cui la Costituzione della Repubblica ne affida il riconoscimento e la disciplina legislativa a soggetti pubblici, quali lo Stato e le Regioni”: O. FORLENZA, in AA.VV., Diritto dello sport, Firenze, 2004, 27 e 28. 4 Uno spunto di notevole interesse si trova in S. BARTOLE – R. BIN – G. FALCON – R. TOSI, Diritto regionale. Dopo le riforme, Torino, 2003, 152, ad avviso dei quali “La competenza in materia di ordinamento sportivo sembra alludere – ferma ovviamente l’esistenza di un livello nazionale, attualmente organizzato intorno al CONI [...] – ad una possibile differenziazione, sia pure entro un quadro unitario, della struttura organizzativa delle Federazioni sportive”. 5 L’efficace inciso si trova in T. MARTINES – A. RUGGERI – C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, VII ed., Milano, 2005, 165. 114 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... 1. L’ordinamento sportivo tradizionale e la nuova materia ordinamento sportivo nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Lo sport è un settore dell’esperienza giuridica difficilmente delimitabile; è “materia polimorfa” perché esistono una grande varietà di discipline sportive le quali possono essere praticate a diversi livelli territoriali (internazionale, nazionale, regionale, cittadino, ecc.) e in ambiti economici differenziati (per professione, per diletto e/o per svago) per la cui regolamentazione devono necessariamente essere utilizzati strumenti giuridici differenziati. Com’è stato ben detto, lo sport, “lungi dall’essere considerato come una “materia” unitariamente intesa, imputata ad un’unica sfera soggettiva e funzionale, tanto rispetto alle attività che agli impianti ad essa relativi, appare rifrangersi in una varietà di elementi ordinamentali e organizzativi suscettivi di sussunzione sotto una pluralità di materie”6. Ciò malgrado in Italia, quando si parla di «ordinamento sportivo», si è concordi nel ritenere che esso si identifichi nell’organizzazione che ha il suo perno nel CONI e nelle Federazioni sportive 7, e ciò sia perché in tale ordinamento possono riscontrarsi tutti gli elementi tipici di un ordinamento giuridico8– comunemente individuati in una plurisoggettività, in una normazione ed in una connessa organizzazione –, sia perché esso è caratterizzato da un’ampia sfera di autonomia9, articolandosi anche 6 Così E. GIZZI, Regioni e sport, in Riv. dir. sport., 1988, 35. Si v. G. MORBIDELLI, Gli enti dell’ordinamento sportivo, in V. CERULLI IRELLI – G. MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico e enti pubblici, Torino, 1994, 173. 8 In argomento v. F. MODUGNO, Legge – Ordinamento giuridico – Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1985, 249 ss. In proposito è d’obbligo menzionare M.S. GIANNINI, Prime note sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, 10 ss.; ID, Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV congresso internazionale di sociologia, Roma, 1951, 1 ss. (ora, entrambi in Scritti. Volume terzo 1949-1954, Milano, 2003, 83 ss., e 403 ss.; ID, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, 219 (anche negli Scritti. Volume quarto 1955-1962, Milano, 2004, 337 ss.); ID, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. pubbl., 1986, 671 ss.; e, ancor prima, W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., 1933, I, 1381 ss. e anche in Riv. dir. sport., 1969, 359 ss. 9 Una rivisitazione moderna e originale del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo focalizza l’attenzione sulla circostanza che le “originarie concezioni di autonomia sportiva, che erano state formulare in epoca di statalismo trionfante e dunque in posizione difensiva, risultano oggi puntualmente adeguate alla situazione della modernità statuale: ora che solo nell’equilibrio delle autonomie è la forza di uno Stato che funziona” per cui tale autonomia oggi non è più “autofondata sulla libertà di associazione e quindi libertà da ma oggi fondato sulla libertà di governare di un settore basilare della società. Libertà affermativa, non solo negativa. Non c’è più lo Stato che certifica e delega nel settore dello sport. Ma c’è lo Stato che cambia e si trasforma in Stato pluralistico delle autonomie e quindi assume il dato dell’autonomia sportiva come un a priori da coordinare con altre autonomie e con le altre istituzioni”: A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie, in Riv dir. sport., 1993, 1 e passim). 7 115 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... in un ordinamento di livello internazionale rappresentato dal Comitato Internazionale Olimpico10 e dalle Federazioni internazionali11. Un simile ordinamento, è appena il caso di accennarlo, anche se non dotato di sovranità, è caratterizzato comunque dalla originarietà e dalla capacità di porre regole sportive uniformi, al punto da costituire l’unico esempio di ordinamento giuridico sorto nel ventesimo secolo. Basta la lettura del secondo articolo della legge di riforma del CONI (d.lgs. n. 242 del 1999, meglio noto come decreto Melandri)12 per rendersi conto come sia forte la dipendenza di quest’ultimo, ente spiccatamente nazionale, dall’ordinamento sportivo mondiale13. 10 Sul C.I.O. si v. A. MARANI TORO, Il Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.) e la vicenda del Sud-Africa, in Riv. dir. sport., 1968, 10 e G. DE STEFANI, Olimpiadi e Comitato Olimpico Internazionale, ivi, 1972, 173. Un’aggiornata analisi di tale organismo si trova adesso in M. VELLANO, voce Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.), in Digesto, disc. pubbl., Aggiornamento **, Torino, 2005, 153. 11 Osserva Giannini che l’ordinamento sportivo “costituisce quasi un riscontro in vitro della teoria romaniana degli ordinamenti giuridici, per le continue incidenze che ha negli ordinamenti giuridici statali”: M.S. GIANNINI, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1986, 21, nt. 6. I lavori più completi (oltre quelli citati alla nota n. 8) che riprendono la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, applicandola al settore sportivo, restano a tutt’oggi quello di F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano, 1975, passim, e di A. E I. MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, Milano, 1977; cui adde, per citare alcune delle opere più significative, G.P. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli, 1979, 79 ss.; R. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, in Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 1988, 513 ss.; R. FRASCAROLI, voce Sport (dir. pubbl. e priv.), in Enc. dir., v. XLIII, Milano, 1990, 513 ss.; F. MODUGNO, Giustizia e sport: problemi generali, in Riv dir. sport., 1993, 329; G. GUARINO, Lo sport quale «formazione sociale», in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, 347 ss.; S. CANGELLI, L’ordinamento giuridico sportivo, Foggia, 1988; F. FRACCHIA, voce Sport, in Digesto, disc. pubbl., v. XIV, Torino, 1999, 467; C. ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il C.O.N.I. e la regolamentazione dello sport, Milano, 2000; R. PRELATI, La prestazione sportiva, Milano, 2003. Un attacco alla collocazione del fenomeno sportivo nell’ambito della teoria ordinamentale si trova in L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici: analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir. sport., 1998, 5 ss.; ID, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999 (per una critica alle tesi di quest’ultimo A., v. M. RUOTOLO, Giustizia sportiva e costituzione, in Riv. dir. sport., 1998, 403 e ss.). In giurisprudenza valore emblematico a tutt’oggi assumono Cass. civ., 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, 894 nonché in Riv. dir. sport., 1963, 100, secondo cui l’ordinamento sportivo “attinge la sua origine a un ordinamento superstatuale, anche se diverso da quello internazionale, ordinamento originario anche se non sovrano, che è caratterizzato dalla plurisoggettività, dalla organizzazione e dalla potestà normativa” e Cass. civ., 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., I, 862, con nota di BARONE; in Giust. civ., 1978, I, 897 nonché in V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, 1995, 32. 12 Un commento teso a cogliere i tratti più innovativi della riforma si deve a G. NAPOLITANO, Il «riordino» del CONI, in AA.VV, Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli, 1999, 9 ss.; ID, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva: prime considerazioni sul decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di «riordino» del C.O.N.I., 617 ss.; adde, L. DI NELLA, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, in Riv. dir. sport., 2000, 103 ss; B. MARCHETTI, Lo sport, in Diritto amministrativo speciale, t. 1°, II ed., nel Trattato di diritto Amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, 933 ss.; per un’analisi più ampia si v., ALVISI, Autonomia privata, cit., 18 ss.; M. SANINO, Diritto sportivo, Padova, 2002, 81 ss. 13 Più precisamente l’art. 2, primo comma, del d.lgs 242/99 dopo aver definito il CONI, recita che l’ente «si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato Olimpico Internazionale». Occorre avvertire che l’ordinamento sportivo interno, diversamente da quello mondiale, è derivato (v. QUARANTA, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, cit., 231). 116 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Prova ne sia che la sua finalità principale consiste appunto nell’approntare la preparazione e lo svolgimento degli eventi sportivi di vertice, che culminano appunto nella celebrazione delle olimpiadi14. Per quanto concerne poi l’attività normativa in senso ampio che concerne l’ordinamento sportivo, è noto che, secondo una ripartizione ormai consolidata15, essa si divide in tre zone: la prima zona è retta esclusivamente dalla normativa statale; la seconda, viceversa, è costituita unicamente da norme emanate dallo stesso ordinamento sportivo in senso stretto. Vi è poi un’ultima zona, per così dire intermedia, nella quale le due normazioni entrano in contatto, talora sovrapponendosi e talaltra ponendosi in conflitto. Cospicui esempi di norme del primo genere si hanno nelle regole sull’organizzazione amministrativa del CONI (cfr., art. 117 Cost., comma terzo, lett. g) e in quelle sulla legislazione previdenziale degli sportivi16; esempi della seconda specie, al contrario, si rinvengono nelle norme che in buona sostanza governano e regolano lo svolgimento delle gare. Esempi della terza specie sono le norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo miranti alla repressione della violenza nello svolgimento delle gare e alla lotta al fenomeno del doping, le norme sui rapporti tra le società e gli atleti, ecc. Si comprende quindi che in realtà solo nell’ambito delle norme della seconda specie, vale a dire nella normazione tecnica, l’ordinamento sportivo esibisce la sua completa autonomia dall’ordinamento statale, e che solo nell’ambito di tale normazione l’ordinamento sportivo è ordinamento diverso da quello statale17. Da ciò discende anche il consequenziale monopolio che l’ordinamento sportivo detiene nell’elaborazione della disciplina giuridica inerente la normativa tecnica-sportiva18 (arbitraggi, redazione 14 E’ noto che detta finalità abbia funzionato da elemento propulsore per la nascita e lo sviluppo del CONI. Per maggiore ragguagli si confronti L. RIGO, Storia della normativa del C.O.N.I. Dalle sue origini alla legge istitutiva del 1942 (1ª Parte), in Riv. dir. sport., 1986, 565 ss.; ID, Storia della normativa del C.O.N.I. Dalle sue origini alla legge istitutiva del 1942 (2ª Parte), in Riv. dir. sport., 1987, 219 ss.; si v. inoltre R. SIMONETTA, L’organizzazione dello sport, in Riv. dir. sport., 1954, 26 ss; M.V. DE GIORGI, Libertà e organizzazione nell’attività sportiva, in Giur. it., 1975, IV, 123 ss.; P. PIAZZINI, Dalle antiche alle moderne olimpiadi – Evoluzione tecnica e legislativa dello sport, in Riv. dir. sport., 1975, 3 ss.; ROSSI, Enti pubblici associativi, cit., 87-97. 15 Su cui per una approfondita ricognizione v. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, cit., 513 ss. 16 A. CIRANNA, Sport: profili previdenziali e assicurativi, in M. COLUCCI (a cura di), Lo sport e il diritto. Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004, 37; M. GIUA – L. SANZI, Il lavoro sportivo professionistico tra previdenza ed antinfortunistica, Macerata, 2005. 17 Sul punto v. per tutti G. LIOTTA, La responsabilità civile dell'organizzatore sportivo: ordinamento statale e regole tecniche internazionali, in Europa e dir. priv., 1999, 1137 ss.; dello stesso A., amplius, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, Napoli, 2005, 25 ss. 18 la configurazione delle norme tecniche come norme estranee all’ordinamento statale è orientamento ormai costante in giurisprudenza: Cass. civ., sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399 in Giur. it., I, 1, 1281 e in FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo, cit., 212; TAR Lazio, sez. III, 15.7.1985, n. 1099, in Giust. civ., 1986, I, 2630; TAR Lazio, sez. III, 20.8.1987, n. 1449, in Giur. it., 1988, III, 1, 40. A quanto consta vi è solo un precedente giurisprudenziale contrario, P. Brindisi, 30.7.1985, in Riv. dir. sport., 1986, 327, secondo la quale le relative controversie rientrano nella giurisdizione 117 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... delle carte federali, assegnazione dei punti, organizzazione e redazione dei calendari delle gare, approvazione dei risultati, regole per l’affiliazione o tesseramento, rapporti con gli ordinamenti statuali), sicché qualsiasi atleta o associazione sportiva che in Italia voglia partecipare ai campionati agonistici (più importanti) e ottenere l’omologazione dei propri risultati deve chiedere per così dire la cittadinanza all’interno dell’ordinamento sportivo, impegnandosi al rispetto delle sue regole, pena la propria condanna allo stato di soggetto apolide nell’universo sportivo agonistico. Neanche il considerevole intervento normativo statale e comunitario che, con il passare degli anni, si è rovesciato nel settore dello sport, ha nella sostanza alterato il nucleo fondamentale sopradescritto 19. E dire che qui i conflitti sono spesso risultati aspri e duri20. Il fenomeno dell’espansione dell’intervento statale e comunitario ha riguardato solo alcuni settori sportivi, ed è stato accompagnato da una crescita dell’attività non sportiva svolta da soggetti dell’ordinamento sportivo21. dell’autorità giudiziaria ordinaria. Per maggiori ragguagli in argomento si v. ancora LIOTTA, Op. ult. loc. cit. Ciò è confermato anche dalla relazione governativa al d.l. n. 220 del 2003, ove l’ordinamento sportivo viene appunto inteso quale «insieme organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle discipline sportive ed ai soggetti affiliati alla Federazioni sportive». Il testo integrale della relazione è consultabile in Guida al dir., 2003, n. 34, 136. 20 Sul punto basta ricordare due vicende emblematiche che hanno segnato profondamente i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale e comunitario. La prima riguarda la complessa e intrigata questione giudiziaria del Catania Calcio, dell’estate del 2003, che ha addirittura provocato l’emanazione del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con modificazioni dalla L. 17 Ottobre 2003, n. 280 (un completo e analitico quadro della vicenda si trova in Diritto e Giustizia, n. 31, 2003, Inserto speciale, Storie di Tar…sport. I quattro mesi che hanno sconvolto il calcio). La seconda è quella relativa alla nota pronuncia sul caso Bosman (Corte Giust. com. eur., 15 dicembre, 1995, causa C-415/93, in Foro it., 1996, IV, 1 s., con note di S. BASTIANON, Bosman, il calcio e il diritto comunitario nonché G. VIDIRI, Il «Caso Bosman» e la circolazione dei calciatori professionisti nell’ambito della Comunità europea), in seguito alla quale, com’é noto, si è sviluppata un abbondante e ricca produzione scientifica: ci limitiamo a segnalare i lavori di M. CLARICH, La sentenza Bosman, verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, in Riv. dir. sport., 1996, 393 e A. MANZELLA, L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman, ivi, 409. Più in generale sui rapporti da diritto comunitario e ordinamento sportivo si v. i recenti contributi di S. WEATHERILL, «Fair play please!»: recent developments in the application of EC law to sport, in Common market law review, 2003, 51, e di S. AGRIFOGLIO, Pluralismo ordinamentale, localismi giuridici e principio di sussidarietà: una chiave di lettura per l’Europa, in www.Lexitalia.it. 21 E’ fenomeno ormai noto a tutti che nello sport, o più precisamente che in un certo sport, l’aspetto legato ai valori olimpionici ceda il passo agli aspetti prettamente economici e commerciali. Tale evoluzione dello sport è fortemente stigmatizzata nell’opera di MARANI TORO, Gli ordinamenti, cit., 77 ss. Una diversa lettura è offerta da chi (R. CAFFERATA, Introduzione, in S. CHERUBINI – M. CANIGIANI, Esperienze internazionali di marketing sportivo, Torino, 1998) afferma che lo sport rappresenta il più chiaro esempio della rivincita, sul piano economico sociale, delle attività reputate per lungo tempo improduttive o minori, che si è tradotta in crescenti investimenti di capitali, nascita e sviluppo di nuove iniziative, maggiori occasioni di lavoro e, più in generale, incremento delle capacità di generare valore. Nella letteratura italiana sugli aspetti squisitamente economici e commerciali legati allo sport si segnala la ricca ricerca di M. FERRARA, L’organizzazione dello sport, Torino, 2003. Si veda inoltre, M. BAGHERO – S. PERFUMO – F. RAVANO (a cura di), Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1999. Si veda anche il volume monografico di Economia e diritto del terziario, «Economia e gestione delle attività sportive», 1998, n. 1, ed ivi, in particolare, i saggi di R. CAFFERATA, Tendenze strutturali della crescita dello sport come 'business' e di C. PEPE – F. DE FRANCESCHI, Soggetti e dinamiche di marketing nelle attività sportive. Il dibattito si è sviluppato soprattutto nella letteratura nordamericana, tra i tanti v. J.J. SEWART, The commodification of sport, in International review for sociology of sport, vol. 22, 1987, 171; J. MAGUIRE, The commercializiation of English elite basketball, ivi, vol. 23, 1988, 305; H. LOBMEYER - L. WEIDINGER, Commercialization as a dominant factor in the America sports scene: Sources, developments, perspectives, ivi, vol. 27, 1992, 309; E.M. LEIFER, Making the majors. The transformation of team sports in America, Cambridge, Massachusetts, 19 118 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... L’esistenza dell’ordinamento sportivo tradizionale (identificandosi nella presenza della «Confederazione CONI» secondo la definizione data dall’art. 2, 1° comma, del d.lgs 242 come modificato dal d.lgs n. 15 del 2004)22, la sua collocazione nell’ambito dell’ordinamento mondiale sportivo e la circostanza che tale ordinamento detenga il monopolio nel dettare le norme tecniche degli sport agonistici, tutto ciò delinea e limita l’ampio quadro entro il quale lo Stato e le Regioni si trovano a poter incidere con la propria legislazione. In realtà allorché la Costituzione parla di ordinamento sportivo non si riferisce già all’istituzione delineata da Santi Romano (in tal caso, infatti, si avrebbe una vera e propria contraddizione in termini), bensì a quel settore della normazione statale e regionale che ha ad oggetto lo sport. In altri termini, ordinamento sportivo nel settore costituzionale sarebbe soltanto il diritto statale o regionale speciale che si riferisce allo sport. Non può quindi trovare accoglimento la tesi secondo la quale la nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, della Carta costituzionale faccia riferimento proprio alla concezione tradizionale di ordinamento sportivo23, perché la menzionata formulazione pecca di eccessiva generalizzazione, sovrapponendo una materia tutta nuova, qual’é quella espressa in Costituzione, ad un’istituzione quale quella sportiva le cui categorie concettuali sono ormai disegnate da una lunga elaborazione normativa, dottrinale e giurisprudenziale. Se si accettano le considerazioni che precedono ne consegue che, al di là dell’area dell’ordinamento sportivo tradizionalmente inteso, per individuare la nuova materia ordinamento sportivo occorre procedere con cautela e verificare materia per materia, in qualche ipotesi addirittura caso per caso, se la singola fattispecie normativa può essere sussunta nell’alveo dell’ordinamento sportivo. Al riguardo un ausilio importante è offerto da una recente sentenza della Corte Costituzionale e dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280. London, 1995. 22 Il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, introduce modifiche e integrazioni al d.lgs 242/1999, sulla base della riapertura della delega disposta dall’art. 1, L. 6 luglio 2002, n. 137. Per la definizione di quest’ultimo intervento legislativo come «secondo riordino» del CONI si v. G. NAPOLITANO, L’adeguamento del regime giuridico del Coni e delle federazioni sportive, in Giorn. dir. amm., 2004, 353. Occorre menzionare anche l’art. 8 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138 (convertito, con lievi modifiche, nella L. 8 agosto 2002, n. 178), che ha costituito e disciplinato la Coni Servizi s.p.a, una società operativa che affianca il CONI, cui è stato trasferito tra l’altro il personale di quest’ultimo ente. Su tale intervento legislativo si vedano i saggi contenuti nel volume S. CHERUBINI – C. FRANCHINI (a cura di), La riforma del Coni. Aspetti giuridici e gestionali, Milano, 2004; M. COZZI – A. DRAGO, La regolazione e lo sviluppo organizzativo del sistema sportivo italiano, Roma, 2004. Un quadro d’insieme è in O. FORLENZA, in AA.VV., Diritto dello sport, cit., 42-79. 23 Questa chiave di lettura è in E. PICOZZA, I rapporti generali tra ordinamenti, in C. FRANCHINI (a cura di), Gli effetti delle decisioni dei giudici sportivi, Torino, 2004, 1. 119 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... 2. Alcuni recenti interventi normativi e giurisprudenziali. Già con la sentenza n. 282 del 2002 la Corte costituzionale aveva precisato come, nella ricostruzione del quadro costituzionale alla luce della riforma del titolo V, si debba muovere “non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale”24. Per la verità, una pronuncia della Corte successiva alla riforma costituzionale aveva già provveduto a fornire un’indicazione in ordine ad una competenza legislativa statale in materia di sport. Più precisamente con la sentenza n. 241 del 2003 (decisione richiamata anche dalla sentenza in commento) la Consulta aveva deciso in merito ad un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Toscana25, in relazione al decreto 27 novembre 1999 del ministro per i beni e le attività culturali, che aveva provveduto alla ricostituzione del consiglio d’amministrazione dell’Istituto per il credito sportivo per il quadriennio 1999-2002, e non aveva previsto una rappresentanza delle Regioni in seno al consiglio stesso, con ciò, a dire della Regione Toscana, violando il 4° comma, dell’art. 157 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 11226. La Corte costituzionale – limitandoci all’esame dei profili più vicini alla nostra indagine – al fine di risolvere il conflitto aveva qualificato l’Istituto per il credito sportivo quale ente di diritto pubblico ed era giunta alla conclusione che l’attività da questo esercitata fosse da inquadrare nell’ambito dell’attività bancaria. E ciò, si badi, anche se veniva espressamente affermato che tale istituto svolgeva certamente “un’attività suscettibile di incidere sull’ordinamento sportivo che, in forza del 3° comma dell’art. 117 Cost., forma oggetto di competenza legislativa concorrente”. L’incidenza della riforma costituzionale nella materia del credito sportivo trovava riscontro – ad avviso della Corte – nell’art. 10 della l. 6 luglio 2002 n. 137, il quale, appunto nel quadro delineato dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, aveva nuovamente delegato il governo a 24 Per un commento alla sentenza richiamata v. C. TUCCIARELLI, La sentenza n. 282 del 2002 della Corte costituzionale: prime interpretazioni delle disposizioni costituzionali sull’esercizio del potere legislativo delle Regioni, in Forum di Quad. Cost. del 3 luglio del 2002; A. D’ATENA, La Consulta parla…e la riforma del Titolo V entra in vigore (nota a C. Cost. n. 282/2002), in Forum dell’AIC del 25.9.2002. 25 La sentenza è pubblicata in Foro it., I, 2004, 672, con nota di richiami. 26 Tale norma affidava a un regolamento di delegificazione riordino dell’Istituto «anche garantendo una adeguata presenza dell’organo di amministrazione di rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali» (per un primo commento si v. L. COEN, Commento all’art. 157 del d.lg n. 112 del 1998, in G. FALCON (a cura di), Lo Stato autonomista, Bologna, 1998, p. 521). Peraltro, tale regolamento, emanato con d.P.R. 20 ottobre 2000 n. 453, è stato annullato poiché non aveva attuato un vero progetto di decentramento ed ha viceversa sottoposto l’ente pubblico creditizio alla vigilanza del ministero dei beni culturali in luogo della Banca d’Italia, v. TAR Lazio, sez. II, 13 dicembre 2001, n. 11336, in Foro it., Rep. 2002, voce Sport, n. 57. 120 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... riordinare i compiti dell’Istituto per il credito sportivo, prevedendo che nel consiglio di amministrazione dell’ente fosse assicurata la presenza di rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali27. In concreto, dalla pronuncia della Corte emergeva chiaramente, da un lato, che la nuova materia ordinamento sportivo era suscettibile di influenzare alcuni aspetti della disciplina del credito sportivo e, dall’altro, che la disciplina dell’Istituto ricadeva nell’ambito della competenza esclusiva della legislazione statale giacché esso svolgeva attività aventi ad oggetto l’esercizio del credito28. Con l’adozione della legge n. 280 del 2003, di conversione con modifiche del decreto governativo d’urgenza n. 220 del 2003, anche la disciplina della c.d. giustizia sportiva è stata attratta nell’orbita della c.d. legislazione esclusiva riservata allo Stato29. 27 Tale delega non è stata però esercitata. Essa, occorre qui ricordare, prevedeva l’adozione di uno o più decreti legislativi di “riassetto normativo” in materia di sport, diretti a realizzare tre obiettivi: armonizzare la legislazione dei princìpi generali a cui si ispirano gli Stati dell’Unione europea in materia di doping; riordinare i compiti dell’Istituto per il credito sportivo; garantire strumenti di finanziamento anche a soggetti privati. L’Istituto è attualmente disciplinato dall’art. 4, commi 14, 191 e 192 della L. 24 dicembre 2003 n. 350, oltre che dalle residue disposizioni della L. 24 dicembre 1957 n. 1295, modificata dalla L. 18 febbraio 1983, n. 50, che ha costituito l’Istituto (con specifico riguardo all’originario assetto si v. A. MARANI TORO, voce Credito sportivo, in Nss. D.I., Appendice, II, Torino, 1980, 950), ma è stata poi in gran parte abrogata dall’art. 161, d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385. Sulla travagliata vicenda della disciplina normativa del credito sportivo si v. O. FORLENZA, Il credito sportivo «conquista» un nuovo statuto, in Guida al dir., Dossier mensile, La manovra economica, 2004, 146; ID, Diritto dello sport, cit., 97-98. 28 C’è anche chi ha suggerito l’opportunità, stante l’assetto costituzionale scaturito dalla l. Cost. n. 3 del 2001, di attuare un decentramento regionale dell’Istituto per il credito sportivo e il suo riordino in istituti regionali: in questi termini, A. ZUCCHETTI, Il quadro normativo generale, in AA.VV., in La gestione degli impianti sportivi, Milano, 2003, 39. 29 Nonostante che l’intervento di una legge generale sulla giustizia sportiva fosse invocato da tempo (cfr., le conclusioni del contributo di MODUGNO, Giustizia e sport, cit., p. 351), la legge n. 280/2003 ha ottenuto ampie e aspre critiche dalla dottrina: v., per esempio, M. LIBERTINI, Regole sportive e concorrenza sleale, in AIDA, XII - 2003, p. 466 il quale rileva come tale legge “lascia un po’ sconcertati: un intervento legislativo, che era nato con il fine di rafforzare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, la ha, in realtà, ridimensionata entro confini più certi, ma probabilmente più ristretti di quelli che risultavano sanciti nella l. 401/89. L’unica innovazione certa è costituita dalla sottrazione di competenza ai tribunali amministrativi di provincia, certo giustificata dall’eccesso di sensibilità da questi manifestata verso le proteste delle società sportive locali”. Altrettanto negativo è il giudizio di A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in P. MORO (a cura di), La giustizia sportiva. Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Forlì, 2004, 87, per il quale “la legge creerà sicuramente più problemi degli invero pochi che ha risolto, costringendo l’interprete a misurarsi necessariamente con un referente specifico palesemente inadeguato che potrebbe persino mostrarsi fuorviante”. Un quadro d’insieme sulla legge si trova R. COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, in Nuove leg. civ. comm., 2004, 705 ss.; v. anche P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, Rimini, 2005. Gli interventi giurisprudenziali più significativi a seguito dell’emanazione della legge sono TAR Lazio, sez. III ter, 1 aprile 2004, n. 2987, in Trib. amm. reg., 2004, I, 87; Cass., sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14666 e Cons. St., 9 luglio 2004, n. 5025 entrambe in Nuova giur. civ. comm., 2005, 263 ss., con commenti di M. BASILE, «La giurisdizione sulle controversie con le federazioni sportive» e A.R. TASSONE, «Tra arbitrato amministrato e amministrazione arbitrale: il caso della “Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport”». Il primo commentatore mette in evidenza come sia auspicabile un intervento della Consulta utile a far chiarezza sulle questioni relative alla compatibilità della legge con alcune norme della Costituzione, e segnatamente gli artt. 24, 102 e111: BASILE, Op. cit., 287; nello ordine di idee anche G. MANZI, Vietata la partecipazione ai pronostici per le società sportive controllate, in Guida al dir., n. 43, 2003, 18 ss. Di notevole interesse è una recente ordinanza del Trib. Genova, sez. fer., del 26-27 agosto 2005, n. 564 (in Guida al dir., n. 40, 2005, 44, con commento di G. CARUSO, L’operato del Coni e delle Federazioni esula dalla competenza dei tribunali e in Dir. e giust., f. 36, Inserto speciale, 2005, 54 e ivi l’articolo di L. GIACOMARDO, I TAR…Tecipanti al campionato ovvero: quelli che…il fischio d’inizio lo dà il tribunale), nella quale è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 103 Cost., dell’articolo 3 del d.l. n. 220/2003, nella parte in cui riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative agli atti del Coni e delle Federazioni sportive riguardanti sanzioni disciplinari che incidono su situazioni giuridiche soggettive 121 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Già in seguito all’emanazione del d.l, n. 220, i primi commentatori avevano lamentato la potenziale lesione delle prerogative delle Regioni, in ordine all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché non si teneva conto della presenza in Costituzione della materia ordinamento sportivo30. Ma è chiaro come un provvedimento legislativo che aveva tracciato l’area delle situazioni soggettive giuridicamente rilevanti nell’orbita del diritto statale, delle regole sulla giurisdizione e sulla competenza e che aveva disciplinato il conseguente regime processuale rientrava pienamente nelle attribuzioni esclusive dello Stato, con particolare riguardo alla materia dell’ordinamento civile e a quella della giurisdizione e delle norme processuali (art., 117, secondo comma, lett. l)31. Ma è pur sempre sotto il profilo costituzionale che appare necessario evidenziare come il provvedimento menzionato esibisca profili che si trovano tra loro in stridente contrasto. Sintetizzando: la giustizia sportiva trova il suo fondamento nel principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuto come un principio dell’ordinamento statale (art. 1, comma, 1); tale riconoscimento, a sua volta, si inscrive, unitamente alla tutela del pluralismo e delle libertà associative, nel quadro del principio di sussidiarietà (art. 118, comma 4°, Cost.). L’autonomia dell’ordinamento sportivo trova, inversamente, un limite nei «casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo» (art. 1, comma, 2); tale norma, invero, ridimensiona notevolmente l’autonomia a favore dell’ordinamento di settore, dato che, da un lato, lo Stato ne riconosce l’autonomia, dall’altro, rimane sostanzialmente arbitro – attraverso i suoi organi giurisdizionali – di fissare l’an e il quantum di tale autonomia e del connesso concetto di rilevanza giuridica32. I primi interventi giurisprudenziali e normativi in materia indicano come sia il settore del credito sportivo che quello della giustizia sportiva rientrino nell’orbita delle riserve legislative di esclusiva rilevanti per l’ordinamento generale, considerato che “tale riserva non configura un arbitrio legislativo, ma trae la sua ragion d’essere, i suoi limiti e le sue modalità dall’appartenenza dell’ordinamento sportivo nazionale ad un ordinamento di carattere internazionale, con la conseguente, specifica, esigenza di certezza, ai fini del regolare svolgimento delle competizioni sportive nazionali e internazionali”. 30 Lo spunto critico è di T. E. FROSINI, Perplessità sull’applicazione ai processi in corso, in Guida al dir., 2003, n. 34, 145; ID, Il diritto nel calcio ovvero un calcio al diritto?, in Quaderni cost., 2004, 155. Si v. anche P. MORO, Giustizia sportiva e diritti processuali, in La giustizia sportiva, cit., 24. 31 In questo senso si esprime anche G. DE MARZO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corr. giur., 2003, 1265. 32 Al riguardo importanti profili di lettura offre la già citata decisione n. 5025/2004 del Consiglio di Stato; più in particolare rilevanti sono le sue ricadute sul valore dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, su cui v., in posizioni antitetiche, G. NAPOLITANO, Caratteri e prospettive dell’arbitrato amministrativo sportivo, in Giornale dir. amm., 2004, 1153 e F. LUBRANO, L’ordinamento sportivo come sostanziale autorità amministrativa indipendente dopo la L. n. 280/2003 e la sentenza n. 5025/2004 del Consiglio di Stato, in Giust. amm., 2004, 643; si v. anche G. VIDIRI, Le controversie sportive e il riparto della giurisdizione, in Giust. civ., 2005, I, 1629. E’ da registrare, comunque, che alcune pronunce dei Tar si discostano dall’orientamento del Cons. di stato, v. ad es. TAR Lazio, sez. III, 7 aprile 2005, n. 2571, in Giorn. dir. amm., 2005, 958, con commento di F. GOISIS, Il lodo arbitrale (irrituale) della Camera di conciliazione ed arbitrato del Coni e la giurisdizione amministrativa. 122 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... competenza statale: due settori (soprattutto quello della giustizia sportiva) che gli studiosi di diritto sportivo hanno sempre inquadrato viceversa nelle materie normative di competenza dell’ordinamento sportivo tradizionale33. E’ proprio ciò avvalora la tesi per cui il significato di ordinamento sportivo scaturente dalla riforma del titolo V della Costituzione è irriconducibile al concetto tradizionale di ordinamento sportivo. 3. La collocazione dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni. L’inserimento dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente operato dalla legge costituzionale n. 3/2001 non ha comportato innovazioni radicali in termini di ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di governo dello sport34. Nella sostanza, infatti, la riforma del titolo V va ad inserirsi su un preesistente assetto normativo e giurisprudenziale della materia, già in larga misura definito e strutturato da specifiche norme di riferimento35. 33 Cfr., ad esempio, QUARANTA, Op. ult. cit., 233. Andrebbero invece incrementate forme di collaborazione e di compresenza fra le varie istituzioni statali e regionali, piuttosto che l’erezione di rigidi steccati fra ambiti di competenza e poteri. Si è osservato, infatti, che alla luce delle esigenze autonomiste e regionaliste dell’attuale ordinamento costituzionale, andrebbe accresciuta la partecipazione di Regioni e enti locali in ordine all’attività di normazione e amministrazione dello sport, si badi però che tale risultato va perseguito non solo mediante interventi normativi delle Regioni nell’ambito sportivo, ma anche potenziando la presenza di rappresentanti di Regioni e enti locali all’interno degli organi del Coni e delle Federazioni sportive e incoraggiando la stipulazione di convenzioni tra gli enti territoriali e la Coni Servizi S.p.A.: in questi termini, MARCHETTI, Lo sport, cit., 952. Una attenta dottrina ha, di recente, invocato la necessità di un intervento del legislatore diretto a regolare il rapporto tra le competenze dello Stato e quelle Regione e degli enti locali in materia di sport: NAPOLITANO, L’adeguamento del regime giuridico del Coni e delle federazioni sportive, cit., 357. 35 Sul ruolo delle Regioni nelle attività sportive si è sviluppata una significativa letteratura a cavallo tra la metà degli anni settanta e gli anni ottanta, v. specialmente G. BERTI, Premesse e ipotesi sui compiti della regione nel servizio sociale dello sport, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, 600 ss., S. BARTOLE, Istituzioni e attività sportive nelle regioni ad autonomia ordinaria, in Reg., 1982, 255 ss., e E. GIZZI, Regioni e sport, cit., 35 ss. Per ulteriori analisi dell’argomento aggiungi G. RENATO, Ordinamento giuridico sportivo e ordinamento regionale, in Riv. dir. sport., 1951, 3 ss.; A. ALBANESI, Sport e regione, ivi, 1972, 299 ss.; A. COCHETTI, Lo sport nel diritto regionale, ivi, 1973, 149 ss.; P. PIAZZINI, Sport e regioni, ivi, 1980, 14 ss.; V. GERI, Tentativo di una delimitazione normativa autonoma dello sport nella Regione, ivi, 1988, 361; D. MASTRANGELO (a cura di), Aspetti giuspubblicistici dello sport, Bari, 1994, ed in particolare i saggi di N.A. CALVANI, Il riparto di competenze in materia sportiva tra stato, regioni e enti locali, p. 51 ss. e A. LATILLA, La legislazione regionale in materia sportiva, p. 77 ss. Di utile consultazione risulta la voce Sport e tempo libero di F.C. RAMPULLA, in Guida delle autonomie locali, 1978, 578 ss.; 1979, 678 ss.; 1980, 573 ss.; e, poi, nell’Annuario delle autonomie locali, 1981, 576 ss.; 1982, 592 ss.; 1983, 684; 1984, 678; 1986, 523. La voce è stata continuata da S. LIPPARINI, ivi, 1987, 474; 1988, 529 ss.; 1989, 535; 1990, 516 ss.; 1991, 591 ss.; e da G.D. CANANEA 1992, 512; 1993, 523 ss.; 1994, 522 ss.; 1995, 521 ss.; 1996, 530 ss. In seguito alla legge Cost. n. 3/2001 non vi sono contributi dottrinali che affrontano in maniera organica la problematica del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di sport nonché il ruolo rivestito da queste in tale materia. 34 123 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... In tale quadro normativo un posto centrale è occupato dall’art. 2, primo comma, del d.lgs n. 242, che ha ribadito che al CONI spetta «la promozione della massima diffusione della pratica sportiva […], nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616». Il d.P.R n. 616 del 1977 – adottato in seguito ai lavori della Commissione Giannini che ha ideato un aggancio della materia dello sport con quella del turismo, superando così la esclusione dello sport dalle materie di competenza regionale previste dall’originario articolo 117 della Costituzione 36 – all’art. 56, lett. b, ha attribuito alle Regioni la funzione inerente alla «promozione di attività sportive e ricreative», ma ha mantenuto «ferme le attribuzioni del C.O.N.I. per l’organizzazione delle attività agonistiche ad ogni livello e le relative attività promozionali»37. Le attribuzioni del CONI vengono, quindi, ad essere assunte come parametro di riferimento e come limite alle attività promozionali delle Regioni, allorché riguardano attività “agonistiche”38. Ne consegue la contrapposizione, ai fini del riparto delle relative competenze, fra sport amatoriale, svolto a livello ricreativo e collegato al tempo libero, e sport agonistico, sottoposto a regole organizzative e di svolgimento in vista del conseguimento di risultati rilevanti sul piano delle classifiche, dei tempi e dei records ufficiali nelle diverse discipline dello sport e riconosciute dagli organismi nazionali e internazionali39. La Corte costituzionale, con un’importante decisione emessa circa quattro lustri addietro, ha confermato che la linea di divisione fra le competenze statali e regionali, quale stabilita dall’art. 56 del 36 In proposito v. E. GIZZI, Rilievi metodologici sulle proposte della Commissione Giannini, in Riv. dir. sport., 1976, 355. Cfr., M.P. CHITI, Commento art. 56 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in A. BARBERA e F. BASSANINI (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, Bologna, 1978, 355, e in E. CAPACCIOLI e F. SATTA (a cura di), Commento al decreto 616, Milano, 1980, 937, il quale esprime disapprovazione sul collegamento tra sport e turismo. 38 Un ulteriore e significativo indice della competenza del Coni a svolgere un ruolo orientato principalmente a curare le discipline sportive di vertice è dato dalla soppressione ad opera dell’art. 1, comma n. 3, del d.lgs. n. 15/04, del comitato nazionale sport per tutti, istituito quale organo del Coni dall’art. 3, lett. f del d.lgs. n. 242/99. Tale comitato, infatti, si poneva come organo di raccordo tra le organizzazioni istituzionali dello sport e le autonomie locali, ed aveva come fine concreto il potenziamento dello sport sociale, partecipando ad iniziative di promozione e propaganda (art. 10, d.lgs n. 242/10, abrogato a sua volta dal comma n. 17, del d.lgs. n. 15/04). 39 Sulle ulteriori distinzioni (e, sulla rilevanza giuridica di tali distinzioni) tra “agonismo occasionale” e “agonismo programmato”, e, nell’ambito di quest’ultimo, tra “agonismo a programma limitato” e “agonismo a programma illimitato”, deve rivolgersi a MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, cit., 72 ss.; 411 ss. e 446 ss. Come è stato esattamente osservato (GIZZI, Regioni e sport, cit., 44-46) deve farsi attenzione a non identificare lo sport agonistico con lo sport professionistico, anzi “tutti coloro che sotto varia forma praticano lo sport per diletto o per benessere fisico, possono anche farlo in modo sistematico, attraverso una specifica preparazione tecnica e sotto la guida di allenatori, allo scopo di cimentarsi nel corso di gare organizzate, sicché anche in questi casi si può dare vita all’agonismo sportivo” e, inversamente, si evidenzia “la presenza d’una zona neutra, quale rappresentata da talune attività sportive che, pur praticate in forma agonistica, non siano correlate a discipline previste e organizzate secondo il sistema federazioni CONI». 37 124 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... d.P.R. 616/1977, è «quella fra l’organizzazione delle attività sportive agonistiche, che sono riservate al CONI, e quella delle attività di base e non agonistiche, che invece spettano alle regioni»40. La tenuta di tale sistema è difatti confermata, in primo luogo, dalla stessa sentenza in commento – numero 8.1 del considerato in diritto – che pone il d.P.R. 616/1977 e un precedente decisum della stessa Corte del 1987 a base della risoluzione del punto della controversia inerente la rispettiva competenza dello Stato e delle Regioni in materia d’impianti sportivi. Un ulteriore significativo indice è dato dalla circostanza che la legislazione regionale che ha disciplinato lo sport in seguito alla riforma del titolo V, si sviluppa in buona sostanza lungo le linee del preesistente assetto statale della materia, così come in larga parte definito dall’art. 2 del d.lgs 242/9941. Al riguardo, in questa sede è sufficiente rilevare che nessuna delle leggi regionali in materia di sport si richiama o, quanto meno, menziona la riforma operata con la legge costituzionale n. 3/2001. Ma vi è un’ulteriore e decisiva considerazione che fa propendere per la tenuta del sistema di competenze sopradelineato. Si allude alle diverse finalità che perseguono le Regioni e il CONI: in altre parole quest’ultimo, quale ente esponenziale dell’ordinamento giuridico sportivo, tende per forza di cose a privilegiare gli aspetti tecnico-competitivi dello sport, i quali a loro volta determinano effetti trainanti non soltanto sotto il profilo della divulgazione della pratica sportiva ma, soprattutto sotto il 40 La sentenza è pubblicata in numerose riviste tra cui Le Regioni, 1988, 431, con commento di F.C. RAMPULLA, La corte si “esercita” sullo sport, e Foro it., 1989, I, 3354, con nota di richiami. Com’è noto, il conflitto di attribuzioni era sorto in occasione dello svolgimento dei campionati mondiali di calcio organizzati in Italia nel 1990. Tale linea di demarcazione, inoltre, può ritenersi operante anche per gli enti territoriali minori quali province e comuni. A tal riguardo la Corte dei Conti della Regione Puglia ha disposto che «I comuni hanno il compito di propulsori delle attività sportive non agonistiche, ossia di base; pertanto essi possono impiegare le proprie risorse finanziarie solo per stimolare, gestire e assistere le manifestazioni sportive di carattere ludico, nell’interesse di tutta la popolazione locale, essendo preclusa l’elargizione di contributi a società sportive agonistiche in genere, sia a livello professionistico che a livello dilettantistico»: sent. 1 giugno 1995, n. 72, in Riv. corte conti, 1995, 101. 41 Dall’analisi della legislazione regionale successiva alla riforma del titolo V della Costituzione emerge, infatti, che le Regioni intendono valorizzare il momento sociale e culturale della pratica motorio-sportiva, sia predisponendo strumenti che rendano effettivo il diritto del cittadino di sviluppare la propria personalità anche attraverso l’attività sportiva, sia incrementando il sostegno delle associazioni sportive che nascono e si sviluppano nel loro territorio. Non solo, settori di intervento nelle nuove leggi regionali concernono ambiti già regolamentati dalle Regioni quali l’impiantistica sportiva; l’istruzione professionale e la formazione degli operatori sportivi; la tutela sanitaria e la medicina dello sport; il sostegno di iniziative riservate ai disabili; la effettuazione di studi, ricerche pubblicazioni in materia sportiva; i rapporti di collaborazione con gli enti scolastici e con gli organi centrali e periferici del Coni e delle Federazioni sportive. Le suddette leggi regionali, inoltre, si caratterizzano per la comune aspirazione ad una regolamentazione organica e completa del fenomeno sportivo, cfr. l.r. Liguria 5 febbraio 2002, n. 6, Norme per lo sviluppo degli impianti e delle attività sportive e fisico-motorie; l.r. Lazio 20 giugno 2002, n. 15, Testo unico in materia di sport; l.r. Lombardia 8 ottobre 2002, n. 26, Norme per lo sviluppo dello sport e delle professioni sportive in Lombardia; l.r. Friuli-Venezia 3 aprile 2003, n. 8, Testo unico in materia di sport e tempo libero; l.r. Valle d'Aosta 1 aprile 2004, n. 3, Nuova disciplina degli interventi a favore dello sport; l.r. Basilicata 1 dicembre 2004, n. 26, Nuove norme in materia di sport. Per una diversa chiave di lettura si v. comunque S. MARZOT, La ripartizione delle competenze in materia di pianificazione territoriale degli impianti sportivi con particolare riferimento a quelle comunali, in C. BOTTARI (a cura di), La realizzazione e la gestione degli impianti sportivi comunali, Rimini, 2005, 37 ss., e spec. 59-60. 125 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... profilo economico, giacché moltiplicano i loro effetti comunicativi “di senso di appartenenza, di emozione, di godimento estetico”42. Per converso, gli enti comunitari, come le Regioni, sono portati per loro natura a dare prevalenza agli aspetti sociali dell’attività sportiva; vale a dire a ciò che favorisce la comunità piuttosto che l’individuo43. Tali ultimi aspetti, poi, vengono realizzati prevalentemente valorizzando e sostenendo l’associazionismo sportivo territoriale, nonché garantendo e promuovendo l’interesse e la partecipazione popolare alla pratica sportiva anche attraverso il potenziamento e l’ampio accesso agli impianti sportivi44. Su tali premesse si può affermare che tendenzialmente le Regioni non hanno alcun interesse a rivendicare potestà sull’organizzazione dello sport nazionale e che, viceversa, il CONI non ha alcun interesse ad ingerirsi nelle variegate e sempre crescenti attribuzioni assunte dalle Regioni nell’ambito dello sport sociale45. Al riguardo, tuttavia, è doveroso rilevare che non è possibile tracciare una linea netta di demarcazione tra l’attività agonistica, di competenza esclusiva del CONI, e l’attività non agonistica di competenza delle Regioni, giacché tra le due menzionate attività vi sono notevoli aree di interferenza. Si pensi, ad esempio, che il CONI è anche portatore di interessi sociali quali il sostegno e la diffusione della pratica sportiva tra i soggetti disabili e la lotta contro ogni forma di discriminazione nello sport. Ed ancora, molto spesso il rapporto tra queste due forme di attività sportive è reticolare. Infatti, se da un canto la struttura di vertice dello sport nazionale è modellata in funzione dello sviluppo e del potenziamento dello sport agonistico, dall’altro lato quest’ultimo funge da propellente per lo sport amatoriale, il quale, com’è noto, nasce e si sviluppa seguendo i meccanismi e i richiami dello sport agonistico46. 42 Così LIBERTINI, Regole sportive e concorrenza sleale, cit., 461. BERTI, Premesse e ipotesi sui compiti delle Regioni, cit., 612. 44 Rileva esattamente LATILLA, La legislazione regionale in materia di sport, cit., 85, che “la concreta possibilità per il singolo di praticare attività sportive e, quindi, di poter usufruire, in condizioni ottimali, delle attrezzature e degli impianti necessari, è, infatti, quasi sempre subordinata all’esistenza di un’organizzazione stabile che si faccia portatrice delle esigenze del gruppo nei confronti delle istituzioni competenti e, nel contempo, assicuri la piena utilizzazione delle strutture”. Per una valorizzazione delle associazioni che operano nell’area delle attività sportive cfr. C. PARRINELLO, Attività sportive e sviluppo delle persona, in Dir. fam, 1991, 767. 45 Tuttavia bisogna puntualizzare che le Regioni in materia di sport, pur rimanendo loro sottratto il settore dello sport agonistico, esercitano un notevole numero di competenze, seppur formalmente esercitate nell’ambito di altre materie (Cfr. F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, in G. SANTANIELLO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, 2004, 87). 46 M.T.CIRENEI, Società sportive, in Nss. D.I., Appendice, VII, Torino, 1987, 87; e in giurisprudenza, T.A.R. Lazio, Sez. III, 20 aprile 1987, n. 1449, in Giur. it., 1987, III, 1, p. 40. 43 126 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Tutte tali circostanze confermano le osservazioni svolte circa la scarsa portata innovativa, sotto il profilo sostanziale, dell’inserimento dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente47. 4. La disciplina dell’impiantistica sportiva e il finanziamento degli enti di promozione sportiva. Nella fattispecie di cui ci si occupa le Regioni avevano impugnato disposizioni della legge finanziaria del 2003 appartenenti a materie tra loro diverse, anche se collegate dal comune denominatore dello sport: alcune disposizioni – in parte abrogate e in parte modificate dalla L. n. 128/2004 – riguardavano la disciplina di vari aspetti delle associazioni sportive48; altre l’uso degli impianti sportivi che appartengono agli enti territoriali e agli enti scolastici nonché l’eventuale affidamento a terzi della loro gestione ovvero la loro utilizzazione al di fuori dell’attività scolastica; un’ultima norma impugnata (art. 4, comma 204, L. n. 289/2003) della finanziaria 2004 aveva ad oggetto un finanziamento concesso dallo Stato agli enti di promozione sportiva. Orbene, alcune delle questioni più delicate – relative alle associazioni sportive – sulle quali la Corte era chiamata a decidere sono cadute perché, nelle more del giudizio, sono state abrogate e modificate le norme impugnate dalle Regioni ed è stata quindi dichiarata cessata la materia del contendere49. 47 In questo senso è orientato anche SANINO, Diritto sportivo, cit., 101. Più precisamente la L. n. 128 del 2004 – adeguandosi alle istanze avanzate dalle Regioni nei rispettivi ricorsi – ha abrogato i commi 20, 21, 22 e modificato il comma 18 dell’art. 90 della L. n. 289/2002. In buona sostanza con la modifica apportata a quest’ultima norma è stato abolito l’obbligo per le associazione e società sportive dilettantistiche di conformare lo statuto e l’atto costitutivo alle norme e direttive del CONI, nonché agli statuti e ai regolamenti delle Federazioni sportive nazionali o dell’ente di promozione sportiva nell’ipotesi di affiliazioni a tali enti. Inoltre, ed è questa la conseguenza più importante, è stata eliminata l’istituzione presso il Coni del registro delle società e associazioni sportive dilettantistiche, tale iscrizione era – secondo il comma 22, dell’art. 90 – condizione necessaria per poter usufruire di contributi pubblici di qualsiasi natura. I commi da 2 a 16 dell’art. 90 contengono misure a carattere economico – soprattutto sgravi e agevolazioni fiscali – volte al sostegno delle organizzazioni sportive dilettantistiche (su cui v. N. FORTE, Società e associazioni sportive. Regime civilistico e fiscale, Milano, 2005, p. 12 ss.). 49 Di notevole interesse è la pronuncia del Cons. Stato, sez. consult. atti norm., 14 luglio 2003, n. 2694, in relazione allo schema di regolamento governativo volto ad attuare l’art. 90 della l. n. 289/2002, ove la materia dell’ordinamento civile (lett. l, comma II, art. 117, Cost.), è stata configurata come in grado di attrarre alla competenza esclusiva del legislatore statale ambiti normativi altrimenti riconducibili anche all’ordinamento sportivo. In particolare, secondo il Consiglio di Stato, il regolamento proposto al suo vaglio perseguiva principalmente “la finalità di adeguare la disciplina civilistica delle persone giuridiche e delle società a quelle figure particolari – ma di grande diffusione e rilievo – costituite dalle associazioni e dalle società senza scopo di lucro che organizzano attività sportiva dilettantistica. In altri termini, per questo aspetto (comprendete, ad esempio, le norme su statuti e atti costitutivi) lo schema di regolamento mira a delineare un profilo essenziale e uniforme, su tutto il territorio nazionale, delle figure suddette nell’ambito dell’ordinamento civile. In questo caso, l’intervento regolamentare disciplina tali figure nella qualità di soggetti di diritto privato e non nella qualità di soggetti di diritto sportivo: come tale, esso trova, in linea generale, il suo fondamento costituzionale nella lettera l) del secondo comma dell’articolo 117, che fa rientrare l’ordinamento civile tra le materie di competenza esclusiva statale”. 48 127 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Nel corso del giudizio le Regioni avevano ritenuto invasive della loro competenza le norme in materia di impianti sportivi (art. 90, commi 24, 25 e 26, legge finanziaria 2003) sulla base di due principali considerazioni: a) la valorizzazione del principio di autonomia degli enti locali e delle istituzioni scolastiche; b) la lettura rigida dell’art. 117, quarto comma, Cost., vale a dire della c.d. competenza residuale delle Regioni. La difesa erariale si era mossa viceversa lungo un’interpretazione, seppur con toni più o meno sfumati, tesa a ricondurre l’uso e la gestione degli impianti sportivi nella materia ordinamento sportivo, affermando il “conseguente potere dello Stato di porre principi fondamentali”. La Corte ha risolto il conflitto avendo ritenuto seccamente che non è dubitabile che la disciplina degli impianti sportivi e delle attrezzature sportive rientri nella materia dell’ordinamento sportivo. Le motivazioni che spingevano la Corte a tale affermazione – anche se non ben esplicitate nella sentenza - si basano sull’assunto che le norme sull’uso degli impianti sportivi sono dirette a rendere più agevole l’utilizzazione degli impianti di pertinenza di comuni e istituti scolastici da parte di tutti i cittadini, delle società e delle associazioni sportive. Si tratta infatti di regole encomiabili, visto che sono volte ad ampliare e promuovere allo stesso tempo l’interesse e la partecipazione popolare alle attività sportive, e dato che «l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive» (comma 24, art. 90)50. E’ del tutto condivisibile, perciò, l’indirizzo della Corte, che non ha ripreso le sollecitazioni della difesa delle Regioni, e ha così salvato dall’illegittimità costituzionale norme portatrici di interessi socialmente rilevanti e meritevoli di tutela. Certo è che la pronuncia in commento, avendo collocato la materia dell’impiantistica sportiva all’interno di un settore in cui lo Stato è titolare del potere di porre norme di principio, disegna un assetto che comporta un notevole indebolimento della competenza ormai piena che le Regioni avevano acquisito in materia di impiantistica sportiva51. Basta al riguardo ricordare che la sentenza n. 517/1987 aveva loro riconosciuto importanti prerogative in materia, statuendo che «mentre lo Stato è pienamente legittimato a programmare e a decidere gli interventi sugli impianti e sulle attrezzature necessari per l’organizzazione delle attività sportive agonistiche, le regioni vantano invece la corrispondente competenza in relazione all’organizzazione delle attività sportive non agonistiche»; e che, in un secondo momento – vale a dire in seguito all’emanazione dell’art. 157 del d.lgs. 112/1998 –, veniva loro 50 Per una lettura tesa alla valorizzazione di questa norma come un vero e proprio principio cfr. D. DONATI, La gestione degli impianti sportivi, in La realizzazione e la gestione, cit., 262. 51 Sul punto si v. i corretti rilievi di MARCHETTI, Lo sport, cit., p. 954. 128 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... attribuita anche la funzione relativa alla pianificazione e programmazione degli impianti destinati ad ospitare manifestazione sportive agonistiche. La Corte ha dichiarato anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003 (finanziaria 2004) che disponeva un finanziamento a favore degli enti di promozione sportiva al fine di consentire lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e la promozione di programmi relativi allo sport sociale. L’attività svolta dagli enti di promozione sportiva, ad avviso della Corte, ricadendo nell’ambito della legislazione “concorrente” – qual’é appunto l’ordinamento sportivo – comporta che qualsiasi intervento finanziario in materia necessita di un diretto coinvolgimento delle Regioni. La conclusione a cui giunge la pronuncia si inserisce nell’ambito di un orientamento ormai consolidato dalla Corte; essa, infatti, ha più volte affermato che gli interventi finanziari diretti in materia di competenza non “esclusiva” dello Stato – senza il passaggio attraverso i filtri dei programmi regionali – ledono l’autonomia finanziaria della Regione52. Ma anche questa parte della decisione in esame suscita talune perplessità: due osservazioni al riguardo, sono dunque necessarie. E così, in primo luogo, si rileva che la Corte giunge alla decisione con una motivazione viziata da evidente tautologia: il finanziamento erogato dallo Stato riguarda lo sport; conseguentemente il medesimo finanziamento rientra giocoforza nella materia ordinamento sportivo. E’ evidente che questo modus procedendi produce il risultato di allargare in modo smisurato i confini della materia ordinamento sportivo cosicché – come si è esattamente osservato – la sentenza della Corte comporta che “ora lo sport, quale sia il modo o il contesto in cui è praticato, quali le attività in cui si estrinseca o la tipologia degli impianti di cui si serve, non ha più addentellati con altri settori, quali il turismo, ma rientra sempre e comunque nella materia ordinamento sportivo”53. 52 In un importante pronuncia (sent. n. 16 del 2004 e, analogamente, sent. n. 49 dello stesso anno) la Corte osserva, infatti che “ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di diventare uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza”: per un commento si v. M. BARBERO, Tipizzazione delle entrate di Regioni ed enti locali e modalità di finanziamento delle funzioni amministrative: la posizione della Corte costituzionale (nota alle sent. n. 16 e n. 49 del 2004), in www.Federalismi.it, n. 4 del 2004; A. MORRONE, Il regime dei trasferimenti finanziari statali. La regione come ente di governo e di coordinamento finanziario, in giur. cost., 2004, 652 ss.; C. SALAZAR, l’art. 119 Cost. tra (ina)attuazione e “flessibilizzazione ” , in Forum di Quad. cost. 53 L’inciso è di BIN, Quando la Corte, cit., parr. 4. Come già accennato, il collegamento tra sport e turismo operato dall’art. 56 del d.p.r. del 1977, n. 616 ha suscitato parecchie perplessità in dottrina; si v. l’autorevole opinione di Sandulli per il quale “appare strano” questo collegamento dello sport alla materia del turismo e dell’industria alberghiera “mentre forse sarebbe stato meno improprio (ma pur sempre forzato) il riferimento alla promozione della salute”: A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, t. 2°, XV ed., Napoli, 1989, 1083. Per GIZZI, Regioni e sport, cit., 37, nt. 3, invece, sarebbe stato più “logico” accostare le attribuzioni regionali inerenti allo sport alla materia sanitaria. Riguardo al settore sanitario lo stesso d.P.R. n. 616 prevede all’art 27 lett. g il trasferimento alle Regioni delle 129 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Passando alla seconda osservazione bisogna sottolineare che se la Corte avesse tenuto conto della natura e dell’ambito territoriale in cui operano gli enti di promozione sportiva54 avrebbe potuto salvare la norma in oggetto dalla declaratoria di incostituzionalità. Tali enti dal punto di vista formale si qualificano come persone giuridiche di diritto privato, e inoltre per la loro stessa natura estendono il loro raggio d’azione su tutto il territorio nazionale al fine di diffondere le discipline sportive, di promuovere l’attività sportiva tra i giovani e di organizzare l’attività amatoriale55. Sotto il profilo sociale tali enti traggono la loro origine dall’essere tutti portatori ed espressione di correnti ideologiche e socio-politiche diverse nonché dal diverso modo di intendere il valore della vita associativa56. In altre parole si è al cospetto di istanze e interessi (pur orbitanti nel mondo dello sport) che si spingono al di là dell’angusto ambito regionale collocandosi in una dimensione che travalica gli stretti interessi locali; interessi locali di cui, al contrario, le regioni sono portatrici57. funzioni attinenti «all’igiene e alla tutela sanitaria dell’attività sportiva»: in argomento, per un quadro aggiornato, v. F. BRIGUGLIO, La tutela sanitaria delle attività sportive, in C. BOTTARI (a cura di), Attività motorie e attività sportive: problematiche giuridiche, Padova, 2002, 159 ss. 54 In argomento si v. S. BENVENUTI, Gli enti di promozione sportiva, in Studi sen., 1987, 7 ss.; R. AMOROSINO, Gli enti di promozione sportiva, Roma, 1985, 1 ss.; RISTORI, Gli enti di promozione sportiva, in Città e reg., 1981, 45 ss. Di recente, una sintetica ed efficace analisi si trova in L. SELLI, in AA.VV., Dirtto dello sport, cit., 81-85; si v. anche G. VALORI, Il diritto nello sport. Principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005, 83-86. 55 Nel nostro ordinamento manca un intervento legislativo che definisca con precisione i requisiti e le attribuzioni degli enti di promozione sportiva. Bisogna comunque puntualizzare che alcuni di tali enti sono dotati di strutture organizzatorie che, per la loro complessità, non sono affatto inferiori a quelli delle federazioni sportive nazionali (Cfr. S. BENVENUTI, Gli enti di promozione sportiva, 20). Ai fini del riconoscimento sportivo da parte del Coni degli enti di promozione sportiva (sulla cui portata e rilevanza cfr. sempre BENVENUTI, op. ult. loc. cit.) il d.P.R. 28 marzo 1986, n. 157, recante nuove norme di attuazione della legge 16 febbraio 1942, n. 426, all’art. 32 stabiliva che esse dovessero essere “organizzazioni polisportive d’importanza nazionale che svolgano attività di diffusione e promozione” delle discipline sportive (la stessa locuzione “organizzazioni polisportive d'importanza nazionale” ai fini del riconoscimento degli enti di propaganda sportiva era già adottata dall’art. 32 del d.P.R. 2 agosto 1974, n. 530, recante norme d'attuazione della legge 16 febbraio 1942, n. 426). Attualmente, ai sensi dell’art 5, comma 2, lett. c, del d.lgs 242/1999, tali enti sono riconosciuti ai fini sportivi dal consiglio nazionale del Coni sulla base di determinati parametri fissati dallo statuto di quest’ultimo ente. I parametri (che in buona sostanza, tranne lievi modifiche, ripetono quelli del precedente statuto approvato il 24 marzo del 2000) per ottenere il riconoscimento, previsti dallo statuto del Coni approvato dal Consiglio il 23 marzo del 2004, sono: a) avere la natura di associazioni sia riconosciute ai sensi degli artt. 12 ss. c.c., che non riconosciute; b) avere uno statuto conforme ai principi della democrazia interna e delle pari opportunità; c) essere presenti in almeno quindici Regioni e settanta province; d) comprendere un numero di società o associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 90, L. n. 289/2002, affiliate non inferiore a mille, con un numero di iscritti non inferiore a centomila; e) aver svolto da almeno quattro anni attività nel campo della promozione sportiva. 56 In questi termini BENVENUTI, Gli enti, cit., 24. 57 Bisogna tuttavia segnalare che l’ultimo statuto del Coni identifica un nuovo soggetto, ossia gli enti di promozione sportiva su base regionale (cfr. anche SELLI, Diritto dello sport, cit., 84 ad avviso del quale è tramite la L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 18, lett. b, che si introduce il soggetto testé menzionato nel nostro ordinamento giuridico). Per il riconoscimento di questi enti lo statuto prevede gli stessi requisiti richiesti per gli enti di promozione sportiva nazionali, ovviamente con una dislocazione in tutte le province e nella Regione di riferimento mentre il numero di società e associazioni dilettantistiche affiliate è rimesso ad un regolamento approvato dal Consiglio nazionale del Coni. A tutt’oggi l’unico ente di promozione sportiva su base regionale riconosciuto dal Coni è lo SportPadania: per queste 130 NOTE A SENTENZA Titolo V della Costituzione... Conseguentemente imporre un obbligatorio passaggio normativo delle Regioni in materie totalmente estranee al loro raggio d’azione è frutto di un’evidente forzatura interpretativa. Per quanto riguarda, poi, le conseguenze pratiche della decisione in commento, è agevole rilevare che il suo effetto immediato consiste nella privazione del finanziamento a beneficio degli enti in questione. Tale finanziamento, è appena il caso di rilevarlo, rivestiva particolare importanza giacché in seguito alla grave situazione finanziaria del CONI, gli enti di promozione sportiva nel tempo hanno subito notevoli riduzioni delle risorse economiche: le tentazioni dirigiste delle regioni – stavolta – hanno comportato principalmente un grave danno patrimoniale in capo a detti enti. Difatti, una volta che la “partita” è stata chiusa, la conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome, consapevole di tale pregiudizio, ha approvato un documento ufficiale, chiedendo allo Stato di erogare lo stesso la somma stanziata con la legge finanziaria58. (*) Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Palermo informazioni consulta il sito www.coni.it, ove si trova l’elenco di tutti gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni. 58 Si tratta di un documento approvato nella seduta della conferenza del 13.1.2005: per la lettura del testo si v. www.regioni.it. 131 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... Gara agonistica di sci da fondo – Caduta di un concorrente per urto contro un’asperità non visibile del terreno – Lesioni - Azione di risarcimento del danno – Responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’organizzatore – Non sussiste. TRIBUNALE DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI CAVALESE SENTENZA nella causa iscritta sub n. 12005 del ruolo degli affari contenziosi dell’anno 2003 da X. (…) – ATTORE – contro Y SCARL (…) – CONVENUTO – e contro Z SPA (…) – CHIAMATO – avente ad oggetto: risarcimento danni (omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO <<Con atto di citazione dd. 7/1/03 il sig. X conveniva in giudizio la società in epigrafe indicata esponendo di avere preso parte, il 30 gennaio del 2000, alla 27a edizione della gara agonistica “Marcialonga di Fiemme e Fassa”, competizione di sci da fondo a tecnica libera. Assumeva di avere urtato con lo sci una pietra invisibile, perché ricoperta da un sottile velo di neve, emersa dal fondo nevoso e di aver subito, all’esito dell’urto, una caduta che gli procurava delle lesioni personali. Ritenendo responsabile l’ente sopra citato della caduta chiedeva conseguentemente il risarcimento dei danni patiti. Nel giudizio così radicato si costituiva la Y Scarl con comparsa dd. 5/3/03, instando per la chiamata in causa della società Z. Nel proprio scritto difensivo contestava an e quantum della domanda attorea evidenziando la molteplicità di versioni rese dall’attore in merito alla dinamica del 132 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... sinistro. Concludeva quindi chiedendo la reiezione delle domande attoree e, subordinatamente, la condanna della terza chiamata a corrispondere direttamente all’attore quanto di spettanza di quest’ultimo per la denegata ipotesi di accoglimento delle domande da lui spiegate. (…) Si costituiva in giudizio la Società Z, con comparsa dd. 5/6/03, la quale deduceva l’infondatezza della domanda attorea evidenziando la genericità, incertezza delle allegazioni di parte attrice, l’inesistenza di una situazione di obiettiva insidia per lo sciatore. (…) Veniva esperita l’istruttoria probatoria e all’udienza del 22/9/05 le parti precisavano le conclusioni. Il Giudice assegnava i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e di replica trattenendo la causa in decisione allo scadere dei termini suddetti. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda introdotta nel presente giudizio da parte attrice è infondata e va pertanto respinta. Queste le motivazioni. Nel caso di specie si pone innanzitutto il problema di inquadrare giuridicamente il tipo di responsabilità astrattamente imputabile alla odierna convenuta, ente gestore della pista in cui si è verificato l’incidente per cui è causa. Deve certamente escludersi la sussistenza di una responsabilità contrattuale in difetto di rigorosa prova dell’esistenza di accordi, espliciti o impliciti, in virtù dei quali l’ente chiamato in causa dovesse provvedere alla manutenzione della pista. A carico dell’ente suddetto può configurarsi una responsabilità fondata sull’art. 2051 CC e cioè per danno cagionato dalle cose in custodia. Un tanto anche in considerazione che parte convenuta non ha contestato di essere custode della pista, offrendo altresì prove testimoniali e documentali che hanno dimostrato la corretta e costante manutenzione della pista nel tratto in cui il sinistro è avvenuto (…). La soluzione trova il conforto anche della pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ. 10/2/05 n. 2706). La giurisprudenza, di legittimità e di merito, statuisce anche che il danneggiato, per far valere la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., non è esonerato dal provare un efficace nesso causale tra la cosa in custodia e il danno (…). Deve escludersi nel caso di specie che l’attore abbia fornito adeguata prova della sussistenza di una pericolosità intrinseca della pista in questione, della 133 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... sussistenza di un adeguato nesso causale tra la cosa e l’infortunio da lui subito e quindi del fatto costitutivo della domanda da lui introdotta. Già nell’atto introduttivo del presente giudizio l’attore, che per ben 19 volte ha partecipato alla competizione, non chiarisce la dinamica del sinistro, dichiara di avere urtato una “pietra invisibile perché ricoperta da sottile velo di neve”……, allegazioni che sono pure contrastanti con le produzioni documentali di entrambe le parti. (…) A ciò si aggiunga che i testi indicati da parte attrice nulla di rilevante hanno espresso in merito alla dinamica del sinistro. (…) In particolare la teste W contribuisce altresì a dimostrare l’inesistenza di un pericolo occulto affermando “arrivata in cima alla pista ho cominciato a vedere del ghiaccio e dei sassi per cui mi sono tolta gli sci e sono andata giù a piedi”. Con ciò evidenziando una situazione perfettamente normale nel corso di una competizione con l’alto numero di partecipanti riconosciuto dalle parti, che si snoda, come è notorio, lungo un tracciato naturale e apprezzabile soprattutto da chi, per un alto numero di volte, ha partecipato alla medesima competizione e ne conosce il teatro. (…) Deve pertanto affermarsi, nel caso concreto, che la caduta dell’attore sia imputabile semmai a una disattenzione della parte offesa, con la conseguenza che la res va relegata a fattore occasionale dell’evento. (…)>> 134 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... GARE DI SCI E INSIDIE NATURALI SULLA PISTA: PUO’ RISPONDERE L’ORGANIZZATORE EX ART. 2051 C.C. ? di Stefano Caviglioli (*) SOMMARIO: 1) Il caso. 2) Obblighi di preparazione e manutenzione del terreno della pista di sci destinata alla gara: contenuto e limiti. 3) La gara di sci e l’art. 2051 c.c. 4) Conclusioni. 135 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... 1) Il caso Durante lo svolgimento nel 2003 della nota gara agonistica di sci da Fondo ‘La Marcialonga di Fiemme e Fassa’ un concorrente che si trovava nelle posizioni di retrovia urtava contro una pietra emergente dal fondo nevoso della pista e cadeva a terra riportando lesioni; indi conveniva avanti al Tribunale di Trento – sez. distaccata di Cavalese – la società organizzatrice della competizione per ottenere il risarcimento dei danni subiti, assumendo che tale ostacolo costituiva una situazione di insidia / trabocchetto, sia perché era coperto da un sottile strato di neve, sia perché non era possibile prevederne la presenza su una pista che si presumeva sicura, sia perché non era agevolmente superabile con i sottili e leggeri sci calzati dai fondisti. Specificatamente l’attore sosteneva che la società convenuta – quale organizzatrice della gara e custode della pista – aveva il dovere di adottare ogni cautela idonea ad eliminare tutti gli ostacoli presenti sul percorso e di evitare situazioni di pericolo eccedenti la normale alea sportiva: ciò non solo ai sensi delle norme del Regolamento Internazionale della FIS e del Regolamento FISI – che impongono all’organizzatore di gare di sci da Fondo e Granfondo (come la ‘Marcialonga’) di eliminare gli ostacoli spianando la pista e di realizzare tutti i controlli e gli accorgimenti necessari per garantire la sicurezza degli atleti anche in condizioni ambientali sfavorevoli – ma anche alla luce del generale principio del neminem laedere. Invece, secondo l’attore, la società convenuta aveva mancato di ottemperare ai predetti suoi obblighi e tale omissione integrava diversi profili di responsabilità a suo carico. In particolare la società organizzatrice avrebbe violato sia l’art. 2043 c.c. – in quanto la pietra in questione avrebbe integrato un’illecita situazione di insidia / trabocchetto – sia l’art. 2050 c.c. – sull’asserito presupposto che le competizioni di sci da Fondo assumono i caratteri della pericolosità – sia l’art. 2051 c.c., alla luce di recente orientamento giurisprudenziale secondo cui il gestore di una pista da sci ne è il custode ed è a tale titolo oggettivamente responsabile per tutti i danni ricollegabili alla presenza sulla stessa di ostacoli. L’attore deduceva anche la responsabilità contrattuale della convenuta, asserendo che, a seguito del pagamento della quota di iscrizione, il concorrente aveva stipulato un vero e proprio rapporto negoziale con l’organizzatore il quale aveva quindi assunto – tra l’altro – l’obbligo di predisporre e mantenere in perfette condizioni la pista ovvero di eliminare o segnalare i pericoli colà esistenti. 136 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... La convenuta respingeva ogni addebito evidenziando che l’attore aveva fornito, durante le trattative ante causam per il risarcimento del danno, plurime versioni dei fatti, tra loro incompatibili e comunque tali da destare perplessità sull’effettiva causa del sinistro; negava comunque l’esistenza nella specie di una situazione di pericolo occulto sulla pista ed invocava in subordine la scriminante del c.d. rischio sportivo a carico dell’atleta. I testi assunti dichiaravano che l’incidente era avvenuto su un tratto del percorso che gli addetti all’organizzazione avevano ben preparato e ispezionato prima della gara e costantemente controllato durante la stessa, ma sul quale erano presenti in alcuni punti ghiaccio e sassi, peraltro percepibili in anticipo da tutti i concorrenti. In sede di decisione il Tribunale riteneva apodittico l’assunto attoreo di colpa contrattuale della convenuta e riconduceva tutti gli addebiti di responsabilità extracontrattuale all’art. 2051 c.c. sul ritenuto presupposto che la società organizzatrice della competizione era anche la custode della pista; peraltro riteneva che l’attore non aveva dimostrato né la pericolosità intrinseca del terreno di gara né il nesso causale tra l’asserita insidia e l’evento dannoso; respingeva quindi ogni sua domanda. La sentenza passava in giudicato. Tralasciando in questa sede la problematica relativa alla responsabilità contrattuale dell’organizzatore di gare sportive per il danno subito dal concorrente - non affrontata ex professo dal Tribunale – e quella relativa all’applicabilità nella specie dell’art. 2050 c.c. – essendo pacifico che né le gare di sci di Fondo né la loro organizzazione integrano di per sé attività pericolosa - si intendono qui proporre alcune considerazioni sugli obblighi concernenti l’allestimento e la manutenzione delle piste su cui vengano organizzate gare di sci (in particolare di Fondo) e sull’applicabilità all’organizzatore dell’art. 2051 c.c. – che disciplina la responsabilità per cose in custodia – per il danno subito dall’atleta a causa dell’imperfetto stato del terreno di gara. Si registrano infatti sempre più frequentemente controversie giudiziarie attivate dagli utenti (anche agonisti) delle piste di sci per sinistri attribuiti a qualche anomalia del terreno. 137 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... 2) Obblighi di preparazione e manutenzione del terreno della pista di sci destinata alla gara: contenuto e limiti. E’ noto che i luoghi naturalmente destinati alle competizioni (stadi, piste coperte, ecc.) sono soggetti a preventiva omologazione da parte delle Federazioni competenti; in tal caso l’organizzatore deve provvedere alla regolare manutenzione dell’area di svolgimento della gara per conservarla nello stato in cui si trovava al momento dell’omologazione e per impedirne così un degrado che possa causare situazioni di pericolo per quanti lo frequentano. Peraltro svariate competizioni possono essere effettuate in luoghi normalmente destinati a scopi diversi dall’attività sportiva (corsa su strada, ciclo-cross, moto-cross, rallye, ecc.). In questo caso l’organizzatore ha il dovere primario di verificare se il luogo scelto per la competizione garantisca, oltre che il normale svolgimento della stessa sotto il profilo tecnico-sportivo, anche la sicurezza degli atleti e degli spettatori; ma egli ha anche il dovere di individuare ed eliminare sul percorso di gara eventuali ‘insidie’ o ‘trabocchetti’, ossia quelle situazioni di rischio per l’incolumità altrui caratterizzate dalla invisibilità e/o imprevedibilità del pericolo. Vi sono poi particolari discipline sportive che impongono all’organizzatore una peculiare valutazione sull’idoneità del luogo ove esse si svolgono. In materia di alpinismo, ad esempio, la scelta della montagna ove compiere l’impresa comporta per l’organizzatore l’obbligo di conoscere ‘geologicamente’ il percorso scelto per la scalata; e ciò anche in funzione della scelta delle attrezzature più adatte per lo stato del terreno e per le prevedibili variazioni meteorologiche tipiche di quel luogo. Un altro caso singolare è quello delle competizioni motonautiche ‘off-shore’ dove l’organizzatore è tenuto a prevedere – con l’ausilio dei bollettini meteorologici – le variazioni della forza del mare1. Tutte le suddette esigenze si riscontrano nell’organizzazione delle gare di sci alpino che invero si tengono su piste naturali – omologate dalla competente Federazione internazionale o nazionale ma destinate ad attività non sciistiche al di fuori della stagione invernale – caratterizzate di per sé dalla presenza di asperità e altre anomalie del terreno e soggette al mutamento delle condizioni meteorologiche; perciò tali piste necessitano una particolare attività di preparazione e manutenzione in occasione della singola gara per garantire un fondo adeguatamente innevato che 1 Per le suddette distinzioni vedi: DINI P., L’Organizzatore e le competizioni: limiti della responsabilità, in Riv. Dir. Sport., 1971, 426; VIDIRI G., La responsabilità civile nell’esercizio delle attività sportive, in Giust, civ., 1994, 202. 138 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... eviti il rischio di cadute da parte dei concorrenti. Segnatamente l’organizzatore della gara di sci da Fondo di rilievo internazionale è tenuto a osservare le norme previste nel Regolamento Internazionale di Sci (RIS), il quale detta una serie di minute prescrizioni in tema di apprestamento del terreno e che si ritiene utile qui riportare almeno in parte: – <<Devono essere rimosse pietre, radici, cespugli e altri ostacoli. Le piste devono essere pulite prima dell’inizio dell’inverno in modo da poter permettere lo svolgimento della gara anche con poca neve. I tratti di pista con problemi di drenaggio devono essere sistemati. La preparazione a secco deve essere fatta in modo da poter permettere lo svolgimento della gara con circa 30 cm. di neve. Deve venir fatta particolare attenzione nella preparazione delle discese e delle curve (art. 315.1.1) – La pista deve essere preparata secondo la larghezza raccomandata dal manuale per le omologazioni e secondo il tipo di gara. La pista deve permettere ai concorrenti di sciare e sorpassarsi senza ostacolarsi a vicenda. Il percorso deve essere abbastanza largo da permettere una buona battitura” (art. 315.2.2) – Tutti gli ostacoli dovranno essere rimossi dal tracciato di gara per una larghezza che permetta come minimo una doppia corsia per tutto il percorso di gara. Per le gare a tecnica libera la larghezza dovrà consentire sorpassi senza problemi (art. 384.1.1) – La pista dovrà essere lisciata e preparata al fine di consentire lo svolgimento della gara nella massima sicurezza anche con una minima copertura di neve (art. 384.4.1) – La pista dovrà essere battuta e tracciata nel corso dell’inverno per assicurare una base solida per l’allestimento finale (art. 384.4.2) - Nelle gare a tecnica libera il percorso dovrà essere ben pressato e sufficientemente largo per consentire ai concorrenti di sciare fianco a fianco (art. 384.4.3).>>. A quest’ultimo proposito il Regolamento tecnico FISI dispone specificatamente che <<tutte le piste dovranno avere i seguenti requisiti: neve battuta, spianata, pressata e fresata su tutto il percorso, con larghezza minima di m. 4 e, ove necessario, con binario tracciato (art. 4.6.1)>>. Il predetto Regolamento tecnico internazionale dispone poi che <<per tutti i concorrenti ci devono essere le stesse condizioni durante la gara…. (art.315.2.4)>>. Ciò configura il generale obbligo dell’organizzatore di mantenere la pista nelle medesime condizioni per tutto l’arco di svolgimento della competizione. Né va dimenticata al riguardo la regola dettata dalla FISI per tutte le gare di sci alpino, secondo cui il Giudice arbitro ha il diritto di interrompere o annullare la gara se un pericolo grave minaccia i concorrenti oppure in caso di eventi o pericoli imprevisti (art. 604.4.2 del Regolamento Tecnico 139 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... Federale); il che può all’evidenza verificarsi anche a seguito della sopravvenuta impossibilità di percorrere il terreno di gara in condizioni di sicurezza. Pare peraltro opportuno segnalare che tali regole tecniche sono conformi ai precetti dettati per ogni gestore di impianti sciistici dalla Legge 24/12/2003 n. 363 (contenente norme in materia di sicurezza delle piste di sci da Discesa e da Fondo), la quale prevede – tra l’altro – che egli è tenuto a segnalare l’eventuale esistenza di cattive condizioni del fondo della pista e deve provvedere a rimuovere i pericoli oggettivi dipendenti dallo stato del terreno o altri pericoli atipici esistenti sulla pista stessa (art. 7 n. 2). E’ evidente che le suddette normative hanno lo scopo di evitare la presenza sul percorso di gara di situazioni di pericolo per l’incolumità degli atleti, oltre che di consentire la regolarità della competizione garantendo a tutti i partecipanti le medesime condizioni di pista secondo i requisiti tecnici prescritti. Tuttavia è caso frequente nel corso della competizione sciistica che le iniziali – in ipotesi perfette – condizioni della pista vengono alterate per il continuato passaggio dei concorrenti e/o per il cambiamento delle condizioni atmosferiche, con conseguente verificarsi di anomalie sul terreno, quali pietre, detriti, lastre di ghiaccio, ecc.; ciò accade soprattutto nelle gare di Fondo e Granfondo, che sono notoriamente frequentate da migliaia di concorrenti e si svolgono su percorsi lunghi decine di chilometri, nell’arco di parecchie ore. Ci si chiede quindi se tali situazioni di pericolo integrino violazione da parte dell’organizzatore ai suddetti obblighi cautelari e conseguente sua responsabilità per il danno subito dal concorrente (sempre che esse presentino i caratteri della ‘insidia / trabocchetto’, ossia della invisibilità e/o imprevedibilità del pericolo); oppure se l’evento dannoso riconducibile a tali anomalie ‘naturali’ del terreno possa considerarsi lo sfortunato esito del rischio sportivo volontariamente accettato dall’atleta nel momento in cui ha deciso di partecipare alla gara. In considerazione della particolarità della fattispecie in esame pare opportuno prendere le mosse dall’analisi degli orientamenti seguiti da Dottrina e Giurisprudenza in tema di obblighi cautelari del gestore di una normale pista di sci e di sua responsabilità in caso di danni subiti da sciatori non agonisti a causa di ostacoli naturali presenti sul tracciato. Specificatamente alcuni Autori hanno osservato che, in tema di danno connesso alle condizioni naturali della pista, occorre un attento esame delle circostanze del caso concreto: è evidente infatti che il gestore non può essere chiamato a rispondere per ogni sasso che affiori o per ogni lastra di ghiaccio che si formi né può segnalare allo sciatore ogni anomalia di momento in momento; d’altra parte vige il principio che chi si dedica all’esercizio dello sci deve essere 140 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... consapevole del rischio normale che affronta ed è responsabile della propria attività liberamente determinata, nei limiti che devono essergli noti; deve essere quindi sua cura percorrere la pista con le cautele che corrispondono alle sue capacità, specie quando non ne conosca le condizioni specifiche del momento. Né certamente il gestore della pista può essere chiamato a rispondere delle naturali difficoltà ed esposizioni del percorso, né di quanto sia riconducibile in via esclusiva al fatto degli utenti di essa2. Secondo altri Studiosi l’opera di battitura del fondo nevoso ingenera senz’altro negli sciatori un sicuro affidamento circa l’agibilità e sicurezza della pista, al quale corrisponde l’obbligo del gestore di effettuare al meglio la preparazione del terreno, effettuando gli interventi prescritti negli Ordinamenti specifici che regolano la materia. Al proposito si è tuttavia precisato che il gestore della pista è tenuto ad adottare tutti quegli accorgimenti che sono diretti a tutelare specificamente la sicurezza fisica dell’utente, precipuamente di fronte alla situazione di insidia inopinabile; ma non anche quelli previsti da norme rivolte ad altre finalità. Infatti è notorio che lo sciatore generalmente subisce danno a causa di carenze nella manutenzione della pista, la quale – utilizzata da migliaia di utenti – palesa rapidamente inconvenienti che l’esercente spesso non è organizzato ad eliminare con la prontezza necessaria (affioramento di sassi, protezione di ostacoli non evitabili sul percorso, mancanza di innevamento non segnalata, ecc.). Quindi se da un lato è necessario individuare con precisione gli obblighi cautelari e i criteri di responsabilità del gestore della pista di sci, dall’altro lato essi non vanno estesi sino a pretendere l’eliminazione di qualunque margine del rischio che lo sciatore aprioristicamente accetta per il solo fatto di dedicarsi a uno sport che implica pericoli. E’ invece regola fondamentale per tale sportivo sciare ‘a vista’, ovvero controllare sempre dove va a finire secondo una ragionevole valutazione della situazione, in termini di velocità e terreno3. Secondo recente Dottrina il gestore della pista deve prevenire solo i danni concretamente prevedibili ed evitabili alla luce di un criterio di diligenza, prudenza e, soprattutto, perizia nell’apprestamento e nella manutenzione del percorso – da adottarsi secondo la migliore tecnica del momento – tenuto conto anche della condotta del danneggiato e dell’assunzione volontaria da parte 2 LUZZATTO L.M., Questioni di diritto in relazione alle piste di sci, in AA.VV., Problemi giuridici di infortunistica sciatoria – Atti del Convegno di Cortina 2-5 luglio 1975, Milano, 1976, 172. 3 BEVILACQUA G., Responsabilità per infortuni derivanti da difetti di apprestamento o manutenzione delle piste di sci, in Riv. Dir. Sport., 1983, 540. 141 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... di quest’ultimo di una certa quantità di rischio soggettivo, il quale costituisce una componente ineliminabile della pratica sportiva in generale e sciatoria in particolare4. Tali concetti sono stati espressi più volte anche dalla Giurisprudenza. Così Tribunale Bolzano 8/11/1975 (in Resp. civ. prev. 1977, 611 e ss.) ha evidenziato che lo sport sciistico per sua natura porta lo sciatore a contatto con il terreno della pista e quindi egli deve fronteggiare con particolare prudenza e perizia le insidie colà esistenti; anzi <<proprio l’esistenza di queste ultime costituisce l’attrattiva di quello sport che, volto a padroneggiare mezzi di rapida andatura su terreni accidentati, ha il suo margine di pericolo e trova il suo fascino nella varietà di conformazione del terreno e nell’imprevisto circa ostacoli contrapposti a una discesa altrimenti piatta e banale; non per nulla le piste sciistiche spesso percorrono boschi e pendii particolarmente ripidi, si svolgono nelle curve più varie e più imprevedibili…… e sono sempre insidiate dalle condizioni della neve…… quindi un obbligo di segnalare i pericoli e di mettere in guardia contro di essi può esistere soltanto quanto ai pericoli macroscopici, difficilmente fronteggiabili anche con una particolare prudenza e una particolare perizia, quali frane, precipizi anormali nel luogo da percorrersi, sbarramenti creatisi all’improvviso……..>>. Analogamente Corte di Appello Trento 28/2/1979 (in Resp. civ. prev. 1980, 706 e ss.) ha ribadito che il gestore della pista <<non può rispondere di fatti contingenti, l’affiorare di una roccia, il formarsi di una lastra di ghiaccio o l’abbattimento di una barriera o di segnali, in quanto non si può certo pretendere che possa provvedere o rimediare in ogni momento ed in ogni punto: l’utente della pista è tenuto a percorrerla con le cautele necessarie nell’esercizio di un’attività sportiva che implica necessariamente un certo grado di pericolosità e di imprevisto, specialmente quando non la si conosca perché si percorre per la prima volta……>>5. Tali concetti sono stati più volte ribaditi dai Giudici di merito. Così il Tribunale Torino 23/4/1987 n. 1848 (in Riv. Giur. Circ. trasp. 1989, 762) ha negato che potesse costituire una insidia la presenza di un muro di neve sito ai lati della pista, contro il quale era andato a cozzare uno sciatore. Il Tribunale di Trento nella sentenza 98/1996 (inedita) ha affermato che <<colui che cura la manutenzione di una pista da sci è responsabile dei sinistri verificatisi sulla stessa solo quando 4 VIOLA M., La responsabilità civile nell’incidente sciistico, Forlì, 2002, 74-75. 5 Su tali presupposti i predetti Giudici di primo e secondo grado sono giunti ad escludere la responsabilità del gestore della pista per la collisione di uno sciatore contro una baita non segnalata presente sul percorso. In senso critico vedi le considerazioni di BONDONI G., Risponde il gestore di impianto sciistico di risalita per insidia non segnalata?, in Resp. civ. prev. 1977, 611 e ss. Questi ha osservato da un lato che esiste l’obbligo per il gestore della pista di sci di eliminare o ridurre i rischi esistenti sulla stessa, secondo il criterio della diligenza media, quando ciò sia possibile; dall’altro lato che vanno rimosse o segnalate anche le situazioni di pericolo che non sono fronteggiabili da sciatori particolarmente esperti. 142 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... abbia colpevolmente posto in essere, od omesso di rimuovere, situazioni di pericolo occulto o insidioso, tale da impedire all’utente di adottare tempestive ed efficaci cautele per evitare il danno: non spetta dunque alcun risarcimento allo sciatore danneggiatosi urtando contro un sasso quando lo stato di impercorribilità della pista era evidente>>. Analogamente il medesimo Tribunale – sez. staccata di Cles – 12/11/2001 ha escluso la responsabilità del gestore per il danno dell’atleta incappato in alcuni detriti presenti sulla pista non solo considerando che la ridotta dimensione degli stessi era inidonea a determinare il sinistro, ma anche tenendo conto che tale situazione è normale in un tracciato che si snoda su percorsi fronteggiati da rocce e alberi6. Tali pronunce sono peraltro conformi al corrente orientamento della Suprema Corte in tema di anomalie naturali della pista di sci. In particolare Cass. civ. III, 15/2/2001 n. 2216 ha escluso la responsabilità del gestore per il danno subito dallo sciatore che era incappato in un ciuffo d’erba sulla pista, seppur mal coperto dalla neve, confermando le precedenti sentenze dei Giudici di merito le quali avevano accertato <<la colpa esclusiva della condotta imprudente dello sciatore che cadde perché non riuscì a superare una situazione non particolarmente difficoltosa e ben prevedibile (come infatti fecero gli altri sciatori che lo precedevano)>>. Dal suddetto excursus emerge dunque che – in generale – il gestore della pista non risponde dei danni subiti dagli sciatori a causa della presenza di ostacoli naturali presenti sul tracciato o in prossimità di questo, sul presupposto fondamentale che questi da un lato non sono direttamente imputabili al fatto dell’uomo, dall’altro lato costituiscono un rischio connaturato alla pratica dello sci e accettato volontariamente da chi la esercita, il quale è quindi tenuto a prevedere la loro possibile presenza sul percorso e ad adeguare al meglio la propria condotta7. 6 La sentenza è riportata in “La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive dalla comparazione”, a cura di Izzo U. e Pascuzzi G., Torino, 2006, 116. 7 Invece la Giurisprudenza tende a ravvisare la responsabilità del gestore della pista nel caso in cui lo sciatore sia incappato in un ostacolo ‘artificiale’, il quale presenti i caratteri vuoi della scarsa visibilità vuoi dell’imprevedibilità. Ad esempio Tribunale Bolzano 11/8/1980 (in Resp. civ. prev. 1981, 93 e ss.), ha ravvisato tale situazione nel caso di uno sciatore il quale, percorrendo il piano di salita di uno ski-lift, era incappato in una stuoia di plastica che copriva una gobbetta del terreno scarsamente innevata e che, sollevatasi da terra perché non ben fissata, aveva bloccato lo scorrimento degli sci del trasportato determinando la sua rovinosa caduta. In tale situazione i Giudici non hanno attribuito valore scriminante al fatto che la pista venisse sistemata giornalmente dal gestore dell’impianto, ma hanno ravvisato in tale circostanza la prova che questi non aveva provveduto durante la giornata a controllare regolarmente le condizioni di un punto della pista in cui la stessa presenza del tappetino evidenziava la precarietà dell’innevamento, che poteva venir meno per il frequente passaggio degli sciatori. Degna di nota è la decisione del Tribunale di Modena dd. 12/11/1990 (in Diritto dei Trasporti, 1992, 579 e ss.) che ha ravvisato una imprevedibile insidia per lo sciatore nella presenza non segnalata sulla pista di sci di un ‘gatto delle nevi’ che stava effettuando l’opera di battitura del fondo nevoso ancora in orario di apertura al pubblico. Si segnala poi la pronuncia del Tribunale di Trento dd. 18/4/2000 (in La responsabilità sciistica…, cit., 113), ove si è affermata la responsabilità del gestore per insidia presente sulla pista nel caso di collisione di uno sciatore contro la transenna in ferro posta alla fine del tracciato e su cui era apposta una piccola rondella acuminata scarsamente visibile. 143 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... Tuttavia è evidente che tali principi non sono applicabili tout court all’organizzazione di un gara di sci: sia perché l’atleta confida nel fatto che la pista sia perfettamente preparata e mantenuta dall’organizzatore e dai suoi ausiliari, ai sensi dei vigenti Regolamenti sportivi; sia perché il concorrente non è in condizione di prestare la massima attenzione a ogni punto del percorso mentre è proteso a raggiungere il miglior risultato agonistico. Quindi il dovere dell’organizzatore della competizione sciistica di prevenire l’insorgenza di pericoli derivanti da insidie naturali sulla pista ha un contenuto senz’altro più ampio di quello incombente sul gestore della stessa. Ciò peraltro non significa che la presenza di qualsivoglia anomalia sul terreno di gara sia attribuibile al mancato assolvimento da parte dell’organizzatore ai suddetti suoi stringenti obblighi cautelari. Infatti non va dimenticato che sulla situazione particolare della pista da sci possono giocare, imprevedibilmente ed improvvisamente, fattori ed elementi obiettivi indipendenti dalla sua preparazione e manutenzione (per mutamento di condizioni meteorologiche, ecc.) i quali non possono evidentemente attribuirsi a responsabilità dell’organizzatore8. Inoltre va considerato che pure le competizioni sciistiche che si svolgono a basse velocità e su terreni di limitata pendenza - come le gare di Fondo - sono caratterizzate da elementi di rischio ineliminabile, il quale viene accettato dall’atleta che vi partecipa; in particolare il Fondista è consapevole che, durante lo svolgimento della gara, può urtarsi con un altro concorrente o può incappare in qualche tratto del percorso usurato a seguito del passaggio degli atleti che lo hanno preceduto. Ma i danni eventualmente sofferti a seguito di tali prevedibili situazioni rientrano nell’alea normale di tale pratica sportiva e ricadono di per sé sullo stesso atleta; infatti l’organizzatore, al fine di sottrarsi da ogni responsabilità per tali eventi, ha il solo dovere di predisporre le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, alla stregua dei criteri di garanzia e protezione che egli ha l’obbligo di rispettare nel caso concreto9. Nel caso delle gare di Fondo tali cautele consistono proprio nel preparare in modo idoneo la pista secondo i Regolamenti sportivi vigenti e nel predisporre ed attuare un servizio di costante controllo della stessa; ma certo non si può pretendere che l’organizzatore provveda a controllare l’intero percorso ‘metro per metro’ per tutto l’arco di svolgimento dell’agone, durante il quale si verificano inevitabili alterazioni del manto nevoso per le suesposte ragioni. 8 MARTINO C. Osservazioni sulla responsabilità civile nelle gare sciistiche in AA.VV., Problemi giuridici di infortunistica sciatoria Atti del Convegno di Cortina 2-5 luglio 1975, Milano, 1976, 197. 9 Tale principio è ormai consolidato in Giurisprudenza: vedi da ultimo Cass. civ. III, 8/11/2005 n. 21664. 144 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... In definitiva si ritiene che l’organizzatore della gara di sci deve certo preparare e mantenere il terreno di gara secondo le regole della miglior tecnica, osservando principalmente le norme regolamentari sportive di riferimento; tuttavia l’obbligo da parte sua di sistemare il tracciato durante la competizione sussiste solo quando gli addetti al controllo del percorso sono in grado di percepire il verificarsi di evidenti anomalie, che possano mettere in pericolo l’incolumità degli atleti o alterare in modo significativo la regolarità della gara; ma tali non possono considerarsi sassi, pezzi di roccia et similia, emersi dal fondo della pista ma nascosti alla vista altrui da uno strato di neve. Conseguentemente l’atleta sciatore che sia incappato in tali situazioni deve sopportarne le conseguenze dannose, atteso che esse rientrano nel rischio tipico delle competizioni sciistiche, in particolare quelle di Fondo. 3) La gara di sci e l’art. 2051 c.c. Il Tribunale di Cavalese ha ricondotto il caso in esame all’art. 2051 c.c. che – come noto – pone una presunzione di responsabilità a carico di colui che ha un effettivo e costante potere di vigilanza sulla cosa da cui è derivato il danno; detto Giudicante ha tuttavia ritenuto che nella specie tale articolo di legge non è stato violato dall’organizzatore della gara / custode della pista, in quanto il danneggiato non ha fornito adeguata prova dell’esistenza né dell’intrinseca pericolosità del percorso né di un concreto nesso causale tra il bene custodito e l’evento dannoso, come richiesto da pacifica Giurisprudenza. E’ noto che l’astratta applicabilità dell’art. 2051 c.c. ai proprietari / gestori di impianti sportivi costituisce una questione da tempo controversa. Infatti, secondo la Giurisprudenza maggioritaria, il dovere di custodia ricorre solo nei casi in cui la res che ha causato l’evento dannoso è dotata di intrinseco dinamismo proprio e quindi la responsabilità del gestore per incidenti verificatisi sulle piste va ricondotta all’art. 2043 c.c 10. Secondo un più recente orientamento giurisprudenziale l’art. 2051 c.c. è applicabile anche per i danni riferibili a cose inerti, cioè prive di autonomo movimento, quali i luoghi di svolgimento dell’attività sportiva. Segnatamente in tema di sinistri sui campi di sci si segnalano: Cass. civ. III, 10/2/2005 n. 2706 concernente l’urto di una sciatore contro un ostacolo posto ai lati della pista; Cass. Civ. III, 10 Vedi in materia sciistica: Cass. civ. III, 15/2/2001 n. 2216, cit.; 12/5/2000 n. 6113; 10/5/2000 n. 5953; Tribunale Bolzano 27/7/1998 in Riv. giur. circ. trasp., 1999, 347; conforme è Tribunale Roma 4/1/1997 in Riv. Dir. Sport., 1997, 504 e ss., in un caso di danno subito da un giocatore su un campo di ‘calcio a cinque’. 145 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... 18/1/2006 n. 832 riguardante la presenza sulla pista di un manufatto in legno, il quale aveva provocato la caduta di uno sciatore; Cass. Civ. III, 19/7/2004 n. 13334 in un caso di sinistro su tratto di pista privo di neve, non adeguatamente segnalato 11. Se può condividersi la tesi secondo cui la pista di sci può essere oggetto di un generale obbligo di custodia da parte del suo gestore, pare tuttavia discutibile che tale dovere incomba sull’organizzatore di una gara di sci con le caratteristiche della ‘Marcialonga’, soprattutto alla luce della natura oggettiva della responsabilità ex art. 2051 c.c. da ultimo ritenuta dalla Suprema Corte. In particolare Cass. Civ. 2706/2005 (richiamata dal Tribunale di Cavalese) ha affermato la responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore di una pista da sci per il danno patito da uno sciatore inesperto che, percorrendo una pista di lieve pendenza ed agevole tracciato, aveva colliso contro una recinzione sostenuta da paletti in legno non imbottiti, collocata in un punto ove era ben visibile per gli sciatori. Specificatamente i Supremi Giudici hanno sottolineato che il nesso di causalità con l’evento dannoso si poneva, nel caso concreto, non con la pista di sci bensì con l’ostacolo fisso che vi era stato costruito o, meglio, <<con le peculiari caratteristiche, nel luogo in cui il sinistro si è verificato, della pista>>; talchè questa non poteva essere equiparata a <<una qualsiasi strada facilmente percorribile, nella quale la caduta assume il carattere di evento accidentale>>, come evidentemente ritenuto dalla Corte di Appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano – nell’impugnata sentenza dd. 19/9/2000. Indi i predetti Giudici hanno affermato il principio che il gestore / custode di una pista di sci, frequentata da utenti dei più diversi livelli di capacità tecniche, è oggettivamente responsabile per tutti i danni ricollegabili alla presenza di ostacoli artificiali, dovendo egli tenere conto della situazione di pericolo che questi possono determinare nel contesto ambientale in cui sono stati posti e in relazione alle attività che ivi si svolgono; conseguentemente non basta, per escludere la responsabilità del gestore ex art. 2051 c.c., che sia concretamente provata la sua assenza di colpa ma occorre la prova rigorosa del caso fortuito (il quale può anche dipendere dal comportamento colposo della vittima purché questo assuma i caratteri di elemento imprevisto ed imprevedibile), 11 Peraltro tale principio è stato anche applicato a terreni di gara ‘artificiali’: così Cass. Civ. III, 28/10/1995 n. 11264 ha ravvisato responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico del gestore di un impianto di tennis per il trauma riportato da un giocatore a causa di una piccola buca presente sul campo di giuoco. In senso critico a tale impostazione vedi PONZANELLI G., Chi risponde dei danni causati da una buca nel campo da tennis ?, in Danno e Responsabilità, 1996, 74 e ss., il quale si è chiesto se un piccolo avvallamento sul terreno di gara possa modificare gli equilibri della dinamica giuridica, trasformando in fonte di risarcimento una situazione che normalmente non sarebbe tale. 146 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... atteso che il predetto articolo di Legge <<non lega la responsabilità del custode a una presunzione di colpa dello stesso ma al rischio per i danni che non dipendono da caso fortuito>>. Tali argomentazioni non appaiono applicabili alla fattispecie in esame, non solo perché il sinistro in discorso è avvenuto a seguito dell’impatto dello sciatore contro un ostacolo naturale, scarsamente visibile, presente sulla pista ma anche perché esso è occorso su un percorso di notevolissima lunghezza (ca. 70 Km) a un atleta assai esperto, il quale si presume in grado di fronteggiare quanto meno situazioni di pericolo prevedibile, come l’incappare – dopo il passaggio di numerosi concorrenti – in qualche asperità del terreno non ricoperta perfettamente dalla neve. Quindi si ritiene più corretto ritenere che l’organizzatore della gara di sci (in quanto ritenuto custode della pista) ha il dovere di verificare preventivamente la pericolosità del percorso con la massima diligenza e competenza tecnica, alla stregua delle condizioni ambientali e dei fattori naturali che caratterizzano i luoghi – parimenti al gestore di una normale pista da sci – ma non anche l’obbligo di proteggere gli atleti da tutte le anomalie che possono formarsi o emergere sul terreno nel corso della competizione, potendosi riferire il suo dovere di manutenzione e intervento solo in relazione ai pericoli visibili e presenti su percorsi di limitata estensione, tali da permettere un controllo capillare da parte sua. Conseguentemente si dovrebbe escludere l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. all’organizzatore della gara sciistica in relazione a una modesta insidia – quale un sasso o una buca – che si verifichi accidentalmente sulla pista di sci da Fondo e ricondurre invece all’art. 2043 c.c. la fattispecie del danno subito dall’atleta a causa di tale situazione; ciò soprattutto nel caso delle competizioni di Granfondo, che si svolgono su percorsi lunghi decine di chilometri ove non può compiutamente attuarsi il dovere di controllo del custode. Inducono peraltro a tale soluzione sia il tradizionale orientamento giurisprudenziale che riconduce il danno da insidia / trabocchetto alla clausola generale di responsabilità sia la generale opinione che l’organizzatore di competizioni sportive può rispondere del danno subito dall’atleta solo nel caso in cui questi abbia concretamente dimostrato che il danno è stato causato (o concausato) dalle concrete modalità di organizzazione della gara o di gestione dell’impianto sportivo e dalla mancanza di adeguate misure di sicurezza12. 12 Vedi da ultimo in Giurisprudenza Cass. civ. 8/11/2005 n. 21664, cit.; Tribunale Cassino 18/4/2002 in Giur. romana 2002, 383. 147 NOTE A SENTENZA Gare di sci e insidie naturali... 4) Conclusioni Alla luce di quanto suesposto si può sostenere che l’atleta sciatore rimasto danneggiato per essersi imbattuto in un’insidia naturale del terreno di gara deve rigorosamente provare la colpa dell’organizzatore ai sensi dell’art. 2043 c.c.; infatti se si presumesse tale requisito soggettivo di responsabilità o, peggio, si ritenesse l’organizzatore oggettivamente responsabile per qualunque anomalia della pista, si finirebbe con l’addebitare allo stesso tutti gli eventi dannosi verificatisi su percorsi lunghi anche decine di chilometri, ove egli non può ovviamente esercitare quel costante e puntuale potere di controllo che costituisce il presupposto fondamentale della responsabilità ex art. 2051 c.c. Peraltro va evidenziato che la possibilità di incorrere in eventuali anomalie del piano sciabile durante una gara di sci cui partecipano migliaia di concorrenti rientra nel rischio tipico di tale competizione sportiva, il quale deve essere sopportato esclusivamente dall’atleta che decide di concorrervi, soprattutto quando egli ha la possibilità di valutare in concreto l’esistenza di rischi sul tracciato di gara, come nel caso esaminato dal Tribunale di Cavalese. (*) Avvocato del foro di Trento 148 NOTE A SENTENZA PARTE TERZA GIURISPRUDENZA SOMMARIO: LA SENTENZA PLANICA, Corte di giustizia delle Comunità Europee pag.150 (6 marzo 2007) IL CASO LORBEK, Decisione Commissione Giudicante FIP (21 marzo pag.172 2007) e decisione Corte Federale FIP (27 marzo 2007) SENTENZA 401-2007, Problematiche di applicazione della legge n. 280/2003: la competenza del Tar Lazio è di natura inderogabile 149 pag.188 Sentenza Placanica… CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE (GRANDE SEZIONE) - 6 MARZO 2007 Nei procedimenti riuniti C 338/04, C 359/04 e C 360/04, aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Larino (C 338/04) e dal Tribunale di Teramo (C 359/04 e C 360/04) con decisioni 8 e 31 luglio 2004, pervenute in cancelleria rispettivamente il 6 e il 18 agosto 2004, nei procedimenti penali a carico di Massimiliano Placanica (C 338/04), Christian Palazzese (C 359/04), Angelo Sorricchio (C 360/04), (omissis) - La normativa italiana inerente all’organizzazione di giochi d’azzardo, in quanto contiene il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi; - Le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale; - Spetta ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo nazionale, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. Inoltre, spetta ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità; - Gli arrt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati; 150 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… - Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario; - Uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto comunitario; - Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che impone una sanzione penale per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro; SENTENZA 1. Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE. 2.Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali a carico dei sigg. Placanica, Palazzese e Sorricchio per violazione della normativa italiana relativa alla raccolta di scommesse. Esse si inseriscono in contesti normativi e di fatto analoghi a quelli che hanno dato luogo alle sentenze 21 ottobre 1999, Zenatti (causa C 67/98, Racc. pag. I 7289), e 6 novembre 2003, Gambelli e a. (causa C 243/01, Racc. pag. I 13031). Ambito normativo 3. La normativa italiana stabilisce, in sostanza, che la partecipazione all’organizzazione di giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse, è sottoposta all’ottenimento di una concessione e di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione di tale normativa è passibile di sanzioni penali che possono andare fino ad una pena detentiva di tre anni. 151 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Le concessioni 4. L’attribuzione delle concessioni per l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi era gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI») e dall’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (in prosieguo: l’«UNIRE»), che erano abilitati ad organizzare le scommesse connesse con manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il loro controllo. Questo risultava dal combinato disposto del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (GURI n. 118 del 14 aprile 1948), dell’art. 3, n. 229, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 1995), e dell’art. 3, n. 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996). 5. Norme specifiche per l’attribuzione delle concessioni sono state fissate dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 giugno 1998, n. 174 (GURI n. 129 del 5 giugno 1998; in prosieguo: il «decreto n. 174/98»), per quanto riguarda il CONI, e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 (GURI n. 125 del 1° giugno 1998), per quanto riguarda l’UNIRE. 6. Quanto alle concessioni rilasciate dal CONI, il decreto n. 174/98 prevedeva che l’attribuzione avvenisse tramite gara. In tale attribuzione il CONI doveva in particolare garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari e una razionale distribuzione dei punti di raccolta e di accettazione delle scommesse nel territorio nazionale. 7. Al fine di assicurare la trasparenza dell’azionariato, l’art. 2, n. 6, del decreto n. 174/98 prevedeva che, nel caso in cui il concessionario fosse costituito in forma di società di capitali, le azioni aventi diritto di voto dovevano essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice, e non potessero essere trasferite per semplice girata. 8. Le disposizioni relative all’attribuzione di concessioni da parte dell’UNIRE erano analoghe. 9. Nel 2002 le competenze del CONI e dell’UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi sono state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze. 10. In forza di una modifica introdotta in tale occasione dall’art. 22, n. 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Supplemento ordinario alla GURI n. 305 del 31 dicembre 2002; in prosieguo: la «legge finanziaria per il 2003»), tutte le società di capitali, senza limitazione alcuna relativamente alla loro forma, possono ormai partecipare alle gare per l’attribuzione delle concessioni. 152 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Le autorizzazioni di polizia 11. Un’autorizzazione di polizia può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse. Queste condizioni per l’attribuzione risultano dall’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), come modificato dall’art. 37, n. 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000; in prosieguo: il «regio decreto»). 12. Inoltre, in forza del combinato disposto degli artt. 11 e 14 del regio decreto, l’autorizzazione di polizia non può essere rilasciata ad un soggetto che ha subito una condanna a determinate pene o per particolari delitti, in particolare per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o per violazione della normativa relativa ai giochi d’azzardo. 13. Una volta rilasciata l’autorizzazione, il titolare, in forza dell’art. 16 del regio decreto, deve consentire che le forze dell’ordine accedano, in qualsiasi momento, ai locali destinati all’esercizio dell’attività soggetta ad autorizzazione. Le sanzioni penali 14. L’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive (GURI n. 294 del 18 dicembre 1989), come modificata dall’art. 37, n. 5, della legge n. 388 (in prosieguo: la «legge n. 401/89») prevede le seguenti sanzioni penali per l’esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa: «1. Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal [CONI], dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall’[UNIRE]. Chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione (…). 153 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… 2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire un milione. 3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione. (…) 4 bis Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero. (…)». La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione 15. Nella sua sentenza 26 aprile 2004, n. 111/04 (in prosieguo: la «sentenza Gesualdi»), la Corte Suprema di Cassazione ha esaminato la compatibilità della normativa italiana in materia di giochi d’azzardo con gli artt. 43 CE e 49 CE. Da quanto risulta dalla sua analisi, tale giudice è pervenuto alla conclusione che la detta normativa non è incompatibile con gli artt. 43 CE e 49 CE. 16. Nella sentenza Gesualdi, la Corte Suprema di Cassazione constata che il legislatore italiano persegue da diversi anni una politica espansiva nel settore dei giochi di azzardo allo scopo evidente di aumentare le entrate fiscali e che la normativa italiana non potrebbe essere in alcun modo giustificata in base a scopi legati alla tutela dei consumatori o consistenti nel limitare la propensione al gioco dei consumatori o nel contenere l’offerta di gioco. Essa ha piuttosto individuato quale scopo reale della normativa italiana l’intenzione di canalizzare le attività di gioco d’azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale. Per tali motivi, la normativa italiana sottoporrebbe a controllo e vigilanza i soggetti che esercitano la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici ed i luoghi in cui tale esercizio è svolto. 154 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… La Corte Suprema di Cassazione ha giudicato che questi obiettivi, in quanto tali, possono giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. 17. Per quanto riguarda le condizioni miranti a garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari, condizioni che avevano in particolare per effetto di escludere dalle gare per le concessioni le società i cui singoli azionisti non erano identificabili in qualsiasi momento, la Corte Suprema di Cassazione constata nella sentenza Gesualdi che la normativa italiana non opera alcuna discriminazione, neanche indiretta, a danno delle società straniere, poiché ha per effetto di escludere non solo le società di capitali straniere i cui azionisti non possono essere identificati con precisione, ma anche tutte le società di capitali italiane i cui azionisti non possono essere identificati con precisione. Cause principali e questioni pregiudiziali L’attribuzione di concessioni 18. Dai fascicoli risulta che, ai sensi delle disposizioni della normativa italiana, il CONI ha indetto, in data 11 dicembre 1998, una gara per l’attribuzione di 1 000 concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive, in quanto questo numero di concessioni è stato considerato, sulla base di una specifica valutazione, sufficiente per tutto il territorio nazionale. Simultaneamente, 671 nuove concessioni sono state messe a concorso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in accordo con il Ministero delle Politiche agricole e forestali per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche e 329 concessioni esistenti sono state automaticamente rinnovate. 19. L’applicazione delle disposizioni relative alla trasparenza dell’azionariato in vigore all'epoca di dette gare ha avuto in particolare l’effetto di escludere dalle gare gli operatori costituiti in forma di società le cui azioni erano quotate nei mercati regolamentati, in quanto per tali società l’identificazione costante e precisa dei singoli azionisti era impossibile. In seguito a queste gare, nel 1999 sono state attribuite alcune concessioni valide per sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni. 155 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… La società Stanley International Betting Ltd 20. La Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley») è una società di diritto inglese appartenente al gruppo Stanley Leisure plc, società di diritto inglese quotata alla Borsa di Londra (Regno Unito). Entrambe le società hanno la propria sede sociale in Liverpool (Regno Unito). Il gruppo opera nel settore dei giochi d’azzardo e rappresenta il quarto maggior bookmaker e il primo gestore di case da gioco nel Regno Unito. 21. La Stanley è uno dei canali operativi del gruppo Stanley Leisure plc al di fuori del Regno Unito. Essa è debitamente autorizzata ad operare come allibratore in tale Stato membro in forza di una licenza rilasciata dal Comune di Liverpool ed è assoggettata ai controlli di ordine pubblico e sicurezza da parte delle autorità britanniche, ad accertamenti interni sul regolare svolgimento delle attività, a controlli da parte di una società privata di audit e a controlli da parte del Tesoro e dell’amministrazione doganale del Regno Unito. 22. La Stanley, avendo interesse ad acquisire concessioni per almeno 100 punti di accettazione di scommesse nel territorio italiano, si era informata circa la possibilità di partecipare alle gare, ma si era resa conto di non poter soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell’azionariato per il fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati. Essa non ha quindi preso parte alla gara e non detiene nessuna concessione per la gestione delle scommesse. I centri di trasmissione dati 23. La Stanley opera in Italia tramite l’intermediazione di oltre duecento agenzie, comunemente denominate «centri di trasmissione dati» (in prosieguo: i «CTD»). Questi ultimi offrono i loro servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso telematico che consente loro di accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito. Gli scommettitori possono in tal modo, per via telematica, inviare alla Stanley proposte di scommesse sportive selezionate all’interno dei programmi di eventi e quotazioni forniti dalla Stanley, nonché ricevere l’accettazione di tali proposte, pagare le loro poste e, se del caso, riscuotere le loro vincite. 24. I CTD sono gestiti da operatori indipendenti legati alla Stanley da contratto. I sigg. Placanica, Palazzese e Sorricchio, imputati nell’ambito dei procedimenti principali, sono, tutti e tre, gestori di CTD legati alla Stanley. 156 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… 25. Dal fascicolo trasmesso dal Tribunale di Teramo risulta che i sigg. Palazzese e Sorricchio, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto alla Questura di Atri autorizzazioni di polizia ai sensi dell’art. 88 del regio decreto. Queste domande sono rimaste senza risposta. La domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Larino (procedimento C 338/04) 26. Il Pubblico Ministero, addebitando al sig. Placanica di aver commesso il reato di cui all’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89, ossia di aver esercitato, in qualità di gestore di un CTD per conto della Stanley, un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza l’autorizzazione di polizia richiesta, ha avviato un procedimento penale a suo carico dinanzi al Tribunale di Larino. 27. Tale giudice nutre dubbi relativamente alla fondatezza delle conclusioni cui la Corte Suprema di Cassazione è pervenuta nella sentenza Gesualdi per quanto riguarda la compatibilità dell’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89 con il diritto comunitario. Esso si chiede se gli obiettivi di ordine pubblico invocati dalla Corte Suprema di Cassazione siano idonei a giustificare le restrizioni di cui trattasi. 28. In tale contesto, il Tribunale di Larino ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Valuti la Corte adita la conformità della norma di cui all’art. 4, [n.] 4 bis, della legge n. 401/89 con i principi espressi dagli artt. 43 [CE] e segg. e 49 [CE], in materia di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfrontalieri, anche alla luce del contrasto interpretativo emerso nelle decisioni della Corte (…) (in particolare nella Sentenza Ga[m]belli e a. [soprammenzionata]) rispetto alla decisione della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite [nella causa Gesualdi]; in particolare, si chiarisca l’applicabilità della normativa sanzionatoria riportata nell’imputazione e contestata al sig. Placanica nello Stato italiano». Le domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e C 360/04) 29. La Questura di Atri, che addebita ai sigg. Palazzese e Sorricchio di aver esercitato un’attività organizzata al fine di facilitare la raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia, ha proceduto al sequestro preventivo dei loro locali e delle loro attrezzature in forza dell’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89. 157 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Poiché il Pubblico Ministero ha convalidato i sequestri, i sigg. Palazzese e Sorricchio hanno proposto, ciascuno, un ricorso contro queste misure di sequestro dinanzi al Tribunale di Teramo. 30. Tale giudice ritiene che le restrizioni imposte alle società di capitali quotate nei mercati regolamentati che hanno impedito loro, nel 1999, di partecipare all’ultima gara per l’attribuzione di concessioni per l’esercizio delle attività di scommessa siano incompatibili con i principi del diritto comunitario poiché operano una discriminazione nei confronti degli operatori non italiani. Di conseguenza, analogamente al Tribunale di Larino, il detto giudice nutre dubbi circa la fondatezza della sentenza Gesualdi. 31. In tale contesto, il Tribunale di Teramo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «In particolare è necessario al Tribunale [di Teramo] conoscere se [gli artt. 43, primo comma, CE e 49, primo comma, CE] possano essere interpretat[i] nel senso che sia possibile agli Stati membri derogare temporaneamente (per un tempo pari a 6 12 anni) al regime di libertà di stabilimento e di libertà della prestazione di servizi nell’ambito dell’Unione europea, legiferando nel seguente modo, senza determinare un “vulnus” dei richiamati principi comunitari – attribuendo ad alcuni soggetti concessioni per lo svolgimento di determinate attività di prestazione di servizi, valide per 6/12 anni, sulla base di un regime normativo che aveva portato ad escludere dalla gara di attribuzione talune tipologie di concorrenti (non italiani); – modificando quel regime giuridico, avendo preso atto successivamente della non conformità di esso ai principi di cui agli artt. 43 [CE] e 49 [CE], nel senso di consentire nel futuro la partecipazione anche a quei soggetti che erano stati esclusi; – non procedendo alla revoca delle concessioni rilasciate sulla base del precedente regime normativo, come detto, ritenuto lesivo dei principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi e all’indizione di una nuova gara in applicazione della nuova normativa, ora rispettosa di detti principi; – continuando per contro a perseguire chiunque operi in collegamento con quei soggetti che, [benché] abilitati a tale attività nello Stato membro di origine, erano stati esclusi dalla gara proprio a causa di quelle preclusioni contenute nelle precedenti previsioni normative, in seguito rimosse». 158 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… 32. Con una prima ordinanza del presidente della Corte, datata 14 ottobre 2004, i procedimenti C 359/04 e C 360/04 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza. Con una seconda ordinanza del presidente della Corte, del 27 gennaio 2006, è stata disposta la riunione del procedimento C 338/04 con i procedimenti C 359/04 e C 360/04 ai fini della fase orale e della sentenza. Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali 33. Nel procedimento C 338/04, tutti i governi che hanno presentato osservazioni, ad eccezione del governo belga, mettono in discussione la ricevibilità della questione sottoposta. Per quanto riguarda i procedimenti C 359/04 e C 360/04, i governi italiano e spagnolo nutrono dubbi sulla ricevibilità della questione sottoposta. Relativamente al procedimento C 338/04, i governi portoghese e finlandese sostengono che la decisione di rinvio del Tribunale di Larino non contiene informazioni sufficienti che consentano di fornire una soluzione, mentre, secondo i governi italiano, tedesco, spagnolo e francese, la questione sottoposta riguarda l’interpretazione del diritto nazionale e non quella del diritto comunitario e invita, di conseguenza, la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con il diritto comunitario. I governi italiano e spagnolo operano una riserva identica per quanto riguarda la ricevibilità della questione posta nei procedimenti C 359/04 e C 360/04. 34. Per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite alla Corte nell’ambito di una decisione di rinvio, occorre ricordare che queste informazioni non servono solo a consentire alla Corte di dare soluzioni utili, ma devono anche conferire ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia. A tal fine, risulta da una giurisprudenza costante che è, da un lato, necessario che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dall’altro, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto comunitario ed a ritenere necessaria la formulazione di questioni pregiudiziali alla Corte. 159 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… In tale contesto, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni comunitarie di cui chiede l’interpretazione e sul nesso che individua tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla causa principale (v., in particolare, in tal senso, sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C 320/90 a C 322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I 393, punto 6; 6 dicembre 2005, cause riunite C 453/03, C 11/04, C 12/04 e C 194/04, ABNA e a., Racc. pag. I 10423, punti 45-47, nonché 19 settembre 2006, causa C 506/04, Wilson, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39). 35. La decisione di rinvio del Tribunale di Larino (procedimento C 338/04) soddisfa questi requisiti. Infatti, in quanto l’ambito normativo nazionale nonché gli argomenti dedotti dalle parti sono in sostanza identici al contesto nel quale si inseriva la sentenza Gambelli e a., sopra menzionata, un rinvio a questa sentenza era sufficiente per consentire sia alla Corte sia ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate di identificare l’oggetto della controversia di cui alla causa principale. 36. Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’art. 234 CE, è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare, sentenze 30 novembre 1995, causa C 55/94, Gebhard, Racc. pag. I 4165, punto 19, nonché Wilson, citata, punti 34 e 35). 37. A tale riguardo, l’avvocato generale ha rilevato giustamente, al paragrafo 70 delle sue conclusioni, che il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale dal Tribunale di Larino (procedimento C 338/04) invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto comunitario. Tuttavia, benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa è formulata, nulla le impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario. 160 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… 38. Nella questione pregiudiziale sottoposta dal Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e C 360/04) si identificano con precisione gli effetti di una serie di interventi legislativi nazionali e si chiedono alla Corte chiarimenti sulla compatibilità di questi effetti con il Trattato CE. Di conseguenza, con tale questione non si chiede alla Corte a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale o sulla compatibilità di quest’ultimo con il diritto comunitario. 39. Le questioni sottoposte sono pertanto ricevibili. Sulle questioni pregiudiziali 40. Dai fascicoli trasmessi alla Corte risulta che un operatore che intende esercitare, in Italia, un’attività nel settore dei giochi d’azzardo deve conformarsi ad una normativa nazionale che presenta le seguenti caratteristiche, ossia: – l’obbligo di ottenere una concessione; – un sistema di attribuzione delle dette concessioni, mediante una gara che esclude taluni tipi di operatori e, in particolare, le società i cui singoli azionisti non siano identificabili in qualsiasi momento; – l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, e – sanzioni penali in caso di violazione della normativa di cui trattasi. 41. Con le questioni pregiudiziali sottoposte, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici nazionali chiedono in sostanza se gli artt. 43 CE e 49 CE si oppongano ad una normativa nazionale relativa ai giochi d’azzardo, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, nella misura in cui tale normativa presenti siffatte caratteristiche. 42. La Corte ha già dichiarato che la normativa nazionale di cui trattasi nelle cause principali, in quanto contiene il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 59 e dispositivo). 43. Da un lato, le restrizioni imposte ad intermediari quali gli imputati nelle cause principali costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento di società stabilite in un altro Stato membro, quali la Stanley, che effettuano un’attività di raccolta di scommesse in altri Stati membri per il tramite di un’organizzazione di agenzie, quali i CTD gestiti dagli imputati nella causa principale (v. sentenza Gambelli e a., citata, punto 46). 161 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… 44. D’altra parte, il divieto imposto a intermediari quali gli imputati nelle cause principali di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, costituisce una restrizione al diritto del detto prestatore alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 58). 45. Ciò premesso, occorre esaminare se le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 60). 46. A tale riguardo, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C 275/92, Schindler, Racc. pag. I 1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc. pag. I 6067, punti 32 e 33; Zenatti, citata, punti 30 e 31, nonché Gambelli e a., citata, punto 67). 47. In tale contesto, le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine sociale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 63). 48. A tal riguardo anche se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito, le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità. 49. Di conseguenza, occorre esaminare separatamente per ciascuna delle restrizioni imposte dalla normativa nazionale in particolare se essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito dallo Stato membro interessato e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, queste restrizioni devono essere applicate in modo non discriminatorio (v., in tal senso, sentenze Gebhard, citata, punto 37; Gambelli e a., citata, punti 64 e 65, nonché 13 novembre 2003, causa C 42/02, Lindman, Racc. pag. I 13519, punto 25). 162 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Sul requisito di una concessione 50. Al fine di poter operare nel settore dei giochi d’azzardo in Italia, un operatore deve ottenere una concessione. In forza del sistema di concessioni utilizzato, il numero di operatori è limitato. Per quanto riguarda l’accettazione di scommesse, il numero di concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive diverse dalle competizioni ippiche e il numero di concessioni per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche sono, ciascuno, limitati a 1000. 51. Occorre rilevare innanzi tutto che il fatto che questo numero di concessioni per le due categorie, come risulta dai fascicoli, sia stato considerato «sufficiente» per tutto il territorio nazionale sulla base di una valutazione specifica non può di per sé giustificare gli ostacoli alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che derivano da tale limitazione. 52. Per quanto riguarda gli obiettivi che possono giustificare tali ostacoli, nel presente contesto deve essere operata una distinzione tra, da un lato, l’obiettivo mirante a ridurre le occasioni di gioco e, dall’altro, nella misura in cui i giochi d’azzardo sono autorizzati, l’obiettivo mirante a lottare contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati. 53. Relativamente al primo tipo di obiettivo, dalla giurisprudenza risulta che, anche se possono, in via di principio, essere giustificate restrizioni del numero degli operatori, tali restrizioni devono in ogni caso rispondere all’intento di ridurre considerevolmente le opportunità di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, citate sentenze Zenatti, punti 35 e 36, nonché Gambelli e a., punti 62 e 67). 54. Ora, è pacifico, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l’offerta di giochi. 55. Infatti, è il secondo tipo di obiettivo, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività di gioco d’azzardo per fini criminali o fraudolenti canalizzandole in circuiti controllabili, che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi nelle cause principali sia dalla Corte Suprema di Cassazione sia dal governo italiano nelle sue osservazioni presentate dinanzi alla Corte. In tale ottica, una politica di espansione controllata del settore dei 163 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… giochi d’azzardo può essere del tutto coerente con l’obiettivo mirante ad attirare giocatori che esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività autorizzate e regolamentate. Come hanno rilevato in particolare i governi belga e francese, al fine di raggiungere questo obiettivo, gli operatori autorizzati devono costituire un’alternativa affidabile, ma al tempo stesso attraente, ad un’attività vietata, il che può di per sé comportare l’offerta di una vasta gamma di giochi, una pubblicità di una certa portata e il ricorso a nuove tecniche di distribuzione. 56. Il governo italiano ha del resto menzionato elementi di fatto quali, in particolare, un’indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse realizzata dalla sesta commissione permanente (Finanze e Tesoro) del Senato italiano. Tale indagine conoscitiva ha concluso che le attività di giochi e di scommesse clandestine vietate in quanto tali costituiscono un problema rilevante in Italia al quale potrebbe porre rimedio un’espansione di attività autorizzate e regolamentate. Pertanto, secondo la detta indagine conoscitiva, la metà del fatturato totale del settore dei giochi d’azzardo in Italia deriva da queste attività illegali. È stato quindi ritenuto realizzabile, estendendo attività di giochi e di scommesse autorizzate dalla legge, recuperare dalle dette attività illegali una parte del fatturato per un importo almeno equivalente a quello che deriva dalle attività autorizzate dalla legge. 57. Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Per contro, la Corte non dispone di elementi di fatto sufficienti per valutare, in quanto tale, la limitazione del numero globale delle concessioni in relazione ai requisiti derivanti dal diritto comunitario. 58. Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. Inoltre, spetterà ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità. 164 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Sui bandi di gara 59. Il Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e C 360/04) evidenzia esplicitamente l’esclusione delle società di capitali, i cui singoli azionisti non erano identificabili in ogni momento, e quindi della totalità delle società quotate nei mercati regolamentati, dalle gare per l’attribuzione di concessioni. La Commissione delle Comunità europee ha rilevato che questa restrizione ha come conseguenza di escludere da queste gare gli operatori comunitari più importanti nel settore dei giochi d’azzardo, operatori che sono costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. 60. Occorre rilevare, in via preliminare, che la questione della legittimità delle condizioni imposte nei bandi di gara del 1999 è lungi dall’essere stata privata di oggetto dalle modifiche legislative intervenute nel 2002, che consentono ormai a tutte le società di capitali, senza alcuna limitazione per quanto riguarda la loro forma, di partecipare alle gare al fine di un’attribuzione di concessioni. Infatti, come rileva il Tribunale di Teramo, poiché le concessioni attribuite nel 1999 erano valide per un periodo di sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni e poiché nessuna nuova gara era prevista nel frattempo, l’esclusione dal settore dei giochi di azzardo di società di capitali quotate nei mercati regolamentati nonché di intermediari quali gli imputati nelle cause principali che potrebbero agire per conto di tali società rischia di produrre effetti fino al 2011. 61. La Corte ha già dichiarato che, anche se l’esclusione dalle gare si applica indistintamente a tutte le società di capitali quotate nei mercati regolamentati che possono essere interessate da concessioni, siano esse stabilite in Italia o in un altro Stato membro, la normativa nazionale in materia di bandi di gara, nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari è dovuta al fatto che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di capitali quotate nei mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni, costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di stabilimento (sentenza Gambelli e a., citata, punto 48). 62. Indipendentemente dalla questione se l’esclusione delle società di capitali quotate nei mercati regolamentati si applichi, in effetti, allo stesso modo agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri, tale esclusione totale va oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo siano implicati in attività criminali o fraudolente. 165 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 125 delle sue conclusioni, esistono altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività degli operatori nel settore dei giochi di azzardo che limitano in modo minore la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, come quello consistente nel raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti. Tale constatazione è corroborata dal fatto che il legislatore italiano ha creduto di poter abrogare completamente la detta esclusione con la legge finanziaria per il 2003 senza tuttavia sostituirla con altre misure restrittive. 63. Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v. sentenze 20 settembre 2001, causa C 453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I 6297, punto 29, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C 392/04 e C 422/04, i-21 Germany e Arcor, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57). Tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo. Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori. 64. Gli arrt. 43 CE e 49 CE devono quindi essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. 166 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Sul requisito di un’autorizzazione di polizia 65. La condizione che coloro che operano nel settore dei giochi d’azzardo nonché i loro locali siano assoggettati ad un controllo iniziale e ad una sorveglianza continua contribuisce chiaramente all’obiettivo mirante a evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e sembra essere una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo. 66. Tuttavia, dal fascicolo risulta che gli imputati nelle cause principali erano disposti a procurarsi autorizzazioni di polizia e ad assoggettarsi a tale controllo e a tale sorveglianza. Infatti, poiché le autorizzazioni di polizia vengono rilasciate solo ai titolari di una concessione, sarebbe stato impossibile per gli imputati nelle cause principali ottenere tali autorizzazioni. A tale riguardo, dal fascicolo risulta anche che i sigg. Palazzese e Sorricchio, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto autorizzazioni di polizia conformemente all’art. 88 del regio decreto, ma le loro domande non avevano avuto seguito. 67. Ora, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 123 delle sue conclusioni, il procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisce, in tali circostanze, i vizi sopra identificati che inficiano l’attribuzione di concessioni. La mancanza di autorizzazione di polizia, di conseguenza e in ogni caso, non potrà essere addebitata a soggetti quali gli imputati nelle cause principali che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario. Sulle sanzioni penali 68. Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario (v. sentenza 19 gennaio 1999, causa C 348/96, Calfa, Racc. pag. I 11, punto 17). 69. Risulta inoltre dalla giurisprudenza che uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto 167 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… comunitario (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 1983, causa 5/83, Rienks, Racc. pag. 4233, punti 10 e 11). 70. Ora, risulta che soggetti quali gli imputati nelle cause principali, nella loro qualità di gestori di CTD collegati ad una società che organizza scommesse, che è quotata nei mercati regolamentati ed è stabilita in un altro Stato membro, non potevano comunque ottenere le concessioni e le autorizzazioni di polizia richieste dalla normativa italiana poiché, in violazione del diritto comunitario, la Repubblica italiana subordina il rilascio di un’autorizzazione di polizia al possesso di una concessione e poiché, all’epoca dell’ultimo bando di gara nelle cause principali, tale Stato membro aveva rifiutato di attribuire concessioni a società quotate nei mercati regolamentati. In tale contesto, la Repubblica italiana non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a soggetti quali gli imputati nelle cause principali. 71. Occorre quindi constatare che gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro. 72. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte nel modo seguente: 1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE. 2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. 3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua ad 168 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. 4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro. 169 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Sulle spese 73. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE. 2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. 3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. 4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro. (omissis) 170 GIURISPRUDENZA Sentenza Placanica… Nota della redazione: la presente decisione conferma la posizione sostenuta dalla Corte di Giustizia nel caso Gambelli (Corte di Giustizia CE, 6 novembre 2003, C 243/2001) in tema di compatibilità della legislazione italiana (legge n. 401/1989) con il Trattato UE. Secondo la Corte, il sistema monopolistico predisposto in tema di gioco e scommesse (tra cui quelle sportive) a favore dello Stato italiano costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi. Dopo il caso Gambelli, la Corte di Cassazione aveva ribadito la legittimità del sistema italiano. Questa nuova decisione della Corte di Giustizia potrebbe costituire l’impulso per una nuova discussione sull’argomento. Il tema è di particolare interesse se considerato con riferimento ai contratti di sponsorizzazione e di abbinamento che società estere che svolgono attività di gioco e/o scommesse on line hanno concluso o potrebbero concludere con società sportive italiane. Ad oggi tale attività di sponsorizzazione è al limite del consentito dalla legge n. 401, perché sembrerebbe costituire pubblicizzazione di attività di gioco e/o scommesse vietata in Italia. (A.B) 171 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… IL CASO LORBEK ALL’ULTIMO GRADO DI GIUSTIZIA SPORTIVA FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO COMUNICATO UFFICIALE N. 650 DEL 21 MARZO 2007 COMMISSIONE GIUDICANTE NAZIONALE N. 81 Deferimento, da parte della Procura Federale, del tesserato Andrea Cirelli, per violazione degli artt. 2 comma 1, 39 e 43 del Regolamento di Giustizia e della società Pallacanestro Treviso S.p.a. per violazione dell’art. 44 del Regolamento di Giustizia. La Commissione Giudicante Nazionale Presidente: Lucente Componenti: Costantini – D’Andria – Fargnoli – Martone - Paone Relatore: Lucente Visto l’atto di deferimento della Procura Federale del tesserato Cirelli Andrea, Team Manager della Pallacanestro Treviso S.p.a., per avere lo stesso, in concorso con terzi, al fine di favorire la Pallacanestro Treviso S.p.a., violato gli artt. 2, comma 1, 39 e 43 del Regolamento di Giustizia, richiedendo ed ottenendo dagli Uffici della Lega Basket serie A, di inserire nel fascicolo del tesseramento del giocatore Cuccarolo Gino un atto di risoluzione contrattuale, con data anteriore a quella di effettiva presentazione, con ciò alterando o tentando di alterare l’elenco degli atleti professionisti tesserati ed iscritti a referto per la società trevigiana, che in tal modo avrebbe avuto modo di utilizzare iscrivendolo a referto altro atleta professionista, nonché della Pallacanestro Treviso S.p.a., in persona del Legale Rappresentante pro tempore, per rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi ed agli effetti dell’art. 44 del R.G., degli atti di frode sportiva posti in essere dal proprio dirigente Cirelli Andrea; 172 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… visti gli atti di indagine espletati dalla Procura Federale, la quale nel corso della discussione dinanzi a questa Commissione chiedeva applicarsi nei confronti del Cirelli la sanzione dell’inibizione per la durata di anni cinque per l’ipotesi contestata di frode sportiva, nonché nei confronti della Pallacanestro Treviso S.p.a. la penalizzazione di 18 punti, oltre alla revoca della Coppa Italia conquistata all’esito del torneo conclusosi a Bologna in data 11.2.2007 (senza assegnazione della stessa) in applicazione dell’art. 44 R.G.; sentite le parti le quali, riportandosi alle rispettive memorie, chiedevano nei confronti del Cirelli la sanzione contenuta nel minimo prevista dagli artt. 2 e 39 R.G., ritenendo nella specie configurabile la mera ipotesi della violazione degli obblighi di lealtà e correttezza; sentite inoltre le conclusioni rassegnate nell’interesse della Pallacanestro Treviso S.p.a. nella memoria depositata, con cui si chiedeva in via principale, previa derubricazione del comportamento ascritto al Cirelli Andrea, la declaratoria di non luogo a provvedere in ordine all’applicazione della sanzione richiesta nei confronti della Pallacanestro Treviso S.p.a., ed in via subordinata l’applicazione della sanzione disciplinare nel minimo edittale di cui all’art. 44, ultimo comma, del Regolamento di Giustizia; OSSERVA Risulta pacificamente accertato che in data 15 novembre 2006 la Pallacanestro Treviso S.p.a stipulava contratto professionistico con Cuccarolo Gino, depositato in Lega il 16.11.2006, pervenendo con la sua iscrizione a referto il 3 dicembre 2006 e con quella successiva di altro atleta professionista, Shumpert, il 30.12.2006, al numero limite previsto di 18 giocatori professionisti schierabili in ogni stagione sportiva, ai sensi dell’art. 1 comma 3 del Regolamento Esecutivo– Settore Professionistico, ripreso con formulazione pressoché identica all’art. 6, lettere f) e g) della Convenzione in essere tra Lega e Federazione Italiana Pallacanestro. In data 4.1.2007 la Pallacanestro Treviso S.p.a. stipulava ulteriore contratto professionistico con Lorbek Ezarem, superando con la successiva iscrizione a referto nella gara di campionato disputatasi il 7.1.2007, il previsto numero massimo di 18 giocatori professionisti schierabili nell’anno sportivo in corso. La Pallacanestro Treviso S.p.a. e comunque il dirigente della stessa Cirelli Andrea, a quel punto, allo scopo evidente di ovviare alla irregolarità della posizione che il Lorbek aveva ed avrebbe 173 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… assunto nelle partite disputate e disputande in qualità di 19° giocatore professionista iscritto a referto, con la connivenza del Segretario Generale della Lega Basket di Serie A Massimo Zanetti, depositava un atto di risoluzione consensuale del contratto sportivo professionistico dell’atleta Cuccarolo Gino, recante data anteriore a quella dell’effettiva presentazione, 17 novembre 2006 invece dell’11 gennaio 2007, al fine di rendere disponibile il 18° posto, per altro giocatore professionista Lorbek, peraltro già tesserato ed utilizzato in campionato dalla Pallacanestro Treviso S.p.a.. Di detta situazione la F.I.P. veniva tenuta all’oscuro. Detto comportamento, malgrado ogni contraria intenzione del Cirelli, diveniva presto di pubblico dominio. Ciò premesso, osserva la Commissione che il fatto appare senz’altro sussumibile nell’ipotesi di cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 43 del R.G., secondo cui costituisce, tra gli altri, frode sportiva “qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto falsa identità o falsa attestazione delle qualifiche o delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto”. Qualora, infatti, l’intento del Cirelli, con il deposito retrodatato della risoluzione del contratto professionistico del Cuccarolo, avesse raggiunto lo scopo prefisso, il Lorbek, pur non trovandosi nelle condizioni di regolarità necessarie per l’iscrizione a referto, avrebbe potuto partecipare alle residue gare di campionato senza mettere a repentaglio l’esito delle stesse in caso di eventuale formale contestazione della sua irregolare posizione; detto comportamento esula certamente dall’ipotesi regolamentare di cui all’art.39 R.G. e consente viceversa di configurare l’ipotesi più grave di cui all’art. 43 dello stesso Regolamento. Ai fini della sussistenza dell’atto di frode sportiva non è necessario infatti che si verifichi l’evento fraudolento perseguito. Tutti i casi di frode cui al primo comma dell’art. 43 R.G., presuppongono dei semplici tentativi diretti ad assicurarsi un qualsiasi vantaggio o un qualsiasi utile risultato, tanto che l’ipotesi di frode sportiva consumata, prevista dal terzo comma dello stesso articolo, integra un’ipotesi di frode sportiva aggravata. Vanno peraltro disattese tutte le argomentazioni difensive in tema di idoneità del tentativo, atteso che il requisito dell’idoneità degli atti non è richiesto per il perfezionamento della frode sportiva, essendo sufficiente la direzione dell’atto a fini illeciti, la cui rilevanza ex art. 43 R.G. può restare circoscritta anche nei limiti dell’attività meramente preparatoria dello stesso. Ciò posto, è indubbio che il comportamento del Cirelli non si sottrae alla contestata responsabilità per frode sportiva; responsabilità che non può che essere ascritta interamente al medesimo, non soltanto in quanto unico deferito, ma anche perché lo stesso si è assunto l’intera 174 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… responsabilità dell’iniziativa, pur apparendo palese l’interesse e soprattutto il vantaggio che dal comportamento fraudolento del proprio dirigente avrebbe tratto la Pallacanestro Treviso S.p.a.. Se peraltro l’intera responsabilità va ascritta al Cirelli, non va, al contempo, sovradimensionata la responsabilità dello stesso, il cui ruolo nella vicenda non appare scevro da corresponsabilità e connivenze, sia all’interno che al di fuori del mero ambito societario trevigiano. Va per tanto affermata la responsabilità del Cirelli per la frode sportiva a lui contestata e con la concessione delle attenuanti atipiche di cui all’art. 19 4° comma ultima parte R.G., considerato quanto previsto all’art. 43, comma 2 R.G. per le fattispecie a livello di tentativo, appare equo irrogare al medesimo la sanzione dell’inibizione da qualsiasi attività federale e sociale per la durata di anni due (pena base anni 4, diminuita considerando le circostanze sopra individuate, ex art. 43 comma 2 R.G. ed ex art. 19, 4° comma ultima parte R.G.). Quanto alla società Pallacanestro Treviso S.p.a. la determinazione della sanzione va effettuata con riferimento alla gravità del fatto nel suo complesso, tenuto conto del nocumento arrecato all’immagine del movimento cestistico professionistico. Occorre infatti considerare come la Pallacanestro Treviso S.p.a. sia ormai da molti anni una delle più importanti e prestigiose società di basket a livello nazionale ed europeo. Da essa ci si sarebbe attesi e ci si attenderebbe una condotta estremamente rigorosa e chiara nel rispetto delle procedure e della normativa regolamentare, nell’adozione al suo interno di sistemi di controllo finalizzati ad evitare il verificarsi di condotte quali quella ascritta al proprio dirigente Cirelli, e nell’assunzione di iniziative cautelative, una volta appresa la situazione di irregolarità di un proprio tesserato professionista, pur nell’incertezza in cui la Pallacanestro Treviso S.p.a. afferma di aver versato nell’occasione circa la portata della norma regolamentare di cui all’art. 1 comma 3 del Regolamento Esecutivo-Settore Professionistico. A fronte di tali valutazioni, si devono al contempo, sempre ai fini della determinazione della sanzione, considerare le azioni assunte dalla società nei confronti del proprio team manager Cirelli Andrea, il suo licenziamento, la collaborazione prestata nel corso delle indagini, il comportamento processuale, e la condotta pregressa della società unitamente agli indiscussi meriti sportivi ed ai titoli conquistati. Non può essere condiviso l’assunto accusatorio della Procura Federale, secondo cui la sanzione andrebbe determinata sulla base delle gare disputate in posizione irregolare dal Lorbek. Qualsiasi calcolo effettuato sulla base di tali parametri costituirebbe una palese violazione del principio di legalità e consentirebbe di applicare in modo surrettizio sanzioni ormai precluse dalla cosiddetta definitiva intangibilità dell’omologazione degli incontri. 175 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… Alla stregua di tali considerazioni appare equo fissare in dodici punti la penalizzazione applicabile alla società Pallacanestro Treviso S.p.A. ex art. 44, terzo comma, R.G., nella classifica del campionato in corso. Nessuna diversa sanzione appare viceversa applicabile al di fuori di quella prevista dal suddetto articolo. Va pertanto disattesa qualsiasi diversa richiesta dell’Organo requirente con riferimento alla revoca della Coppa Italia, in quanto priva di qualsiasi fondamento regolamentare. P.Q.M. Dichiara Cirelli Andrea, responsabile di frode sportiva ex art. 43, 1° comma lettera c) R.G., e per l’effetto, con la concessione delle attenuanti atipiche previste dall’art. 19, 4° comma R.G., lo inibisce da qualsiasi attività sociale e federale per la durata di anni due, a decorrere dal 21 marzo2007. Visto l’art. 44, terzo comma R.G., applica alla Pallacanestro Treviso S.p.a. la sanzione della penalizzazione di punti 12 nella classifica del campionato in corso. Rigetta le residue richieste della Procura Federale. 176 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO COMUNICATO UFFICIALE N. 672 DEL 27 MARZO 2007 CORTE FEDERALE N. 44 Ricorsi proposti dalla Procura Federale, dal sig. Andrea Cirelli e dalla società Pallacanestro Treviso S.p.A. avverso la decisione della Commissione Giudicante Nazionale che, su deferimento della Procura Federale, ha disposto l’inibizione per anni due del sig. Andrea Cirelli e la penalizzazione di dodici punti nella classifica del Campionato in corso per la società Pallacanestro Treviso S.p.A.. La Corte Federale Presidente: Ricciardi Componenti: De Stefano – Di Marco – Grotti – Izzo – Persichelli – Sica – Villoresi Relatore: Sica Esaminati i ricorsi in appello in data 23 marzo 2007 della Procura Federale, del sig. Cirelli Andrea – assistito dagli Avv.ti Alessandro Gracis di Conegliano e Giorgio De Arcangelis di Roma – e della Pallacanestro Treviso S.p.A. in persona del Presidente Giorgio Buzzavo – assistito dagli Avv.ti Prof. Franco Coppi del foro di Roma ed Antonino De Silvestri del foro di Vicenza – avverso il provvedimento della Commissione Giudicante Nazionale del 21 marzo 2007 n. 81, C.U. 650 di pari data, con il quale – a seguito di deferimento della Procura Federale del tesserato Andrea Cirelli, per violazione degli artt. 2, comma 1, (“obbligo di lealtà e correttezza”) 39 (“violazione dei principi di lealtà e correttezza”) e 43 (“atti di frode sportiva”) del Regolamento di Giustizia e della Società Pallacanestro Treviso S.p.A. per violazione dell’art. 44 (“responsabilità oggettiva per atti di frode sportiva”) del Regolamento di Giustizia - è stata comminata la sanzione dell’inibizione da qualsiasi attività sociale e federale per la durata di due anni, a decorrere dal 21 marzo 2007 nei confronti di Cirelli Andrea, ritenuto responsabile di frode sportiva ex art. 43, comma 1, lettera c) R.G. (… 177 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto falsa identità o falsa attestazione delle qualifiche o delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto”), con la concessione delle attenuanti atipiche previste dall’art. 19, comma 4 R.G. (“il giudice, indipendentemente dalle circostanze [attenuanti] previste nel precedente comma può prendere in considerazione altre circostanze diverse qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della sanzione”) nonché è stata applicata alla Pallacanestro Treviso S.p.A. la sanzione della penalizzazione di punti dodici nella classifica del campionato, ex art. 44, comma 3 R.G. (“La responsabilità è sanzionata da una penalizzazione di uno o più punti in classifica a seconda della gravità e dei danni che tali atti hanno arrecato all’immagine del movimento cestistico nazionale”), rigettate le residue richieste della Procura Federale; ritenuto, in particolare, che la Procura Federale ha censurato la decisione impugnata 1) per la mancata revoca dell’assegnazione della Coppa Italia 2007, atteso che la Pallacanestro Treviso S.p.A. ha disputato le partite necessarie per accedere alla Final Eight schierando un giocatore in posizione palesemente irregolare, e 2) per l’esiguità della pena irrogata in ragione della assoluta gravità della violazione regolamentare, sia dal punto di vista strettamente giuridico sportivo, sia da quello più pubblicistico dell’immagine del movimento, concludendo per la irrogazione alla Pallacanestro Treviso S.p.A. della penalizzazione di 18 punti e per l’inibizione da ogni attività federale e sociale per il Cirelli di anni 3 e mesi 4, con pena base anni 5 e riduzione di un terzo per la concessione delle attenuanti atipiche relative alla condotta processuale; ritenuto, altresì, che il dirigente della Pallacanestro Treviso S.p.A. ha dedotto: 1) la violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 43 R.G. e motivazione contraddittoria, atteso che, secondo la giurisprudenza federale, la punibilità del tentativo di illecito passa per una necessaria previa verifica positiva della idoneità della condotta ad offendere il bene tutelato, da valutarsi in concreto ex ante (lodo Modena Calcio / F.I.G.C. del 31/3/2005 e lodo Fiorentina S.p.A. / F.I.G.C. del 27/10/2006 della Camera di Conciliazione Arbitrato del CONI); inoltre, richiamati gli artt. 49 (delitto impossibile) e 56 (tentativo) c.p., ha evidenziato la necessità della verifica positiva dell’idoneità della condotta, della concreta offensività della stessa e della possibilità di raggiungere lo scopo illecito presupposto; pertanto la di lui condotta non avrebbe dato luogo all’alterazione della lista dei 18 giocatori iscrivibili a referto, sia sotto il profilo giuridico che dal punto di vista materiale; 2) la mancata applicazione dell’art. 39 C.G.S. (R.G.) e 3) la violazione dei criteri di applicazione della pena e delle attenuanti e l’omessa motivazione sul punto, concludendo per la cassazione della 178 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… sentenza della Commissione Giudicante Nazionale, previa derubricazione dell’incolpazione ascrittagli, ritenendo integrata la fattispecie di cui agli artt. 2 e 28 C.G.S. (R.G.), e per la condanna alla pena di interdizione di mesi 3 o di quella ritenuta di giustizia; ritenuto, infine, che la Pallacanestro Treviso S.p.A. ha formulato richiesta di interpretazione dell’art. 44 R.G., ai sensi dell’art. 46, comma 3, dello Statuto Federale (“La Corte Federale è competente ad interpretare lo statuto ed i Regolamenti vigenti nell’ambito della Federazione”), in ordine “… alla legittimità dell’estensione della responsabilità oggettiva per frode oggettiva alla società anche nell’ipotesi in cui quest’ultima tenga un comportamento addirittura contrario a quello commesso dal tesserato nell’asserito interesse della società”; nel merito ha dedotto 1) l’inconfigurabilità degli atti di frode sportiva di cui all’art. 43, comma 1, lett. c) R.G.; ed ha chiesto la derubricazione dell’illecito ascritto al Cirelli in quello di “violazione dei principi di lealtà e correttezza” di cui all’art. 39 R.G. con conseguente inapplicabilità alla Pallacanestro Treviso S.p.A. di qualsiasi sanzione a titolo di responsabilità oggettiva, mancando nel Regolamento di Giustizia la previsione tipica; 2) ha osservato che la sanzione applicata è eccessiva ed ha chiesto l’applicazione della misura minima prevista dall’art. 44 R.G.. Sentite le parti che, nel riportarsi ai rispettivi atti di impugnativa, hanno ulteriormente illustrato i motivi di censura concludendo come precisato nei ricorsi, la Corte, nel dare luogo, preliminarmente, ad una più completa ricostruzione degli eventi oggetto di giudizio necessaria per pervenire alle valutazioni degli atti e comportamenti degli incolpati ed alle conseguenti determinazioni di seguito specificate, osserva in fatto e diritto. In data 16 novembre 2006 veniva depositato in Lega contratto professionistico, stipulato in data 15 novembre 2006, tra la società Pallacanestro Treviso S.p.A. ed il giocatore Cuccarolo, già “giovane di serie” proveniente dal vivaio della società; successivamente, a causa di difficoltà della squadra derivanti anche da infortuni di propri giocatori, la società stessa, dopo aver contrattualizzato i giocatori Bryant Smith (16 novembre 2006) e Preston Shumpert (26 dicembre 2006), decideva di stipulare contratto professionistico con il giocatore Erazem Lorbek (3 gennaio 2007), il quale risultava a primo referto nella gara della quindicesima giornata di campionato, ove compariva a referto anche il giocatore Cuccarolo; 179 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… acquisita evidentemente cognizione che il giocatore Lorbek risulta il 19° professionista a referto, in ragione delle precedenti contrattualizzazioni, il dirigente Cirelli si recava presso gli Uffici della Lega, ove, in data 11 gennaio 2007, consegnava al Segretario Massimo Zanetti una lettera a propria firma retrodatata al 16 novembre 2006 con allegato un atto di risoluzione consensuale di contratto sportivo professionistico tra la società e il giocatore Cuccarolo retrodatato 16 novembre 2006; su tale lettera il Segretario Zanetti apponeva un timbro attestante la data di deposito il giorno 17 novembre 2006; risulta dagli atti del procedimento (dichiarazione rilasciata al Procuratore Federale dallo Zanetti in data 24 febbraio 2007, con deposito della lettera diretta al Presidente Prandi datata 21 febbraio 2007) che, nell’occasione, il dirigente Cirelli, in situazione di grave difficoltà, affermava di essersi sbagliato nell’inviare il contratto professionistico del giocatore Cuccarolo; successivamente, in data 15 gennaio 2007, il Presidente della società telefonava al Presidente della Lega ponendogli quesito sul se un “giovane di serie”, stipulato contratto professionistico, mantenesse il suo status al fine del limite di 18 giocatori a referto di cui al ricordato art. 1, comma 3, delle Norme Generali del R.E. Settore Professionistico; a seguito del responso negativo del Presidente della Lega, il Presidente della società otteneva che la Lega stessa chiedesse un parere legale pro-veritate, successivamente reso; gli elementi probatori di cui sopra comprovano, in modo inequivocabile, la falsità dell’atto di risoluzione consensuale già più volte citato, costituente esso stesso atto con valenza di attestazione, in ogni caso corroborato in detta valenza dal timbro di deposito apposto, con l’indicazione retrodatata del 17 novembre 2006, negli Uffici della Lega; ciò premesso e ritenuto in fatto, in ordine ai motivi di appello delle parti, occorre esaminare, in ordine logico e giuridico, quelli articolati dalla Pallacanestro Treviso S.p.A. e dal sig. Andrea Cirelli. Le censure sopra ricordate e le ulteriori argomentazioni illustrate nella discussione orale, nonostante la loro ampia articolazione e la loro peculiare acutezza, sono tutte infondate; con riferimento all’impugnativa della Pallacanestro Treviso S.p.A., la Corte rileva preliminarmente, quanto all’interpretazione dell’art. 44 R.G., che l’ipotesi dell’esimente per la fattispecie di responsabilità oggettiva di una società per atti di frode sportiva è presente nel Regolamento di Giustizia, ma è limitata al caso di commissione di detti atti da parte dei sostenitori e sotto la condizione che venga provato che la società, i dirigenti e i tesserati ne siano rimasti estranei ed inconsapevoli (art. 44, comma 2 R.G.); laddove, nella fattispecie, l’atto è stato posto in essere da 180 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… un dirigente, con consapevolezza da parte della società firmataria di detto atto che non ha fornito alcuna prova, né principio di prova, contraria; a fronte di tale puntuale previsione, non è consentita alla Corte l’interpretazione prospettata dalla società in quanto, in disparte ogni altra considerazione attinente anche al merito della vicenda, essa si risolverebbe in un’inammissibile integrazione della normativa regolamentare; funzione certamente non consentita alla Corte. Il secondo motivo di censura della società è relativo al merito della vicenda nell’ambito di una contestazione sul piano giuridico della sussistenza, nel caso concreto, dei fatti come contestati dal Procuratore Federale, nonché del richiamo ai concetti, propriamente penalistici, afferenti il reato impossibile e l’idoneità degli atti in materia di tentativo; ritiene la Corte che la puntuale ricostruzione degli eventi, con inerente valutazione delle risultanze probatorie in atti in uno al notorio, dimostri, con assoluta tranquillità, la piena ricorrenza, nel caso, di un atto di frode sportiva ai sensi dell’art. 43, comma 1 lettera c), R.G.; precisamente dell’atto di frode sportiva riscontrabile in presenza di un “qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto … falsa attestazione … delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto”; più precisamente, nel caso di specie, l’atto di frode sportiva deve essere individuato nella c.d. risoluzione del contratto con il giocatore Gino Cuccarolo diretta a consentire l’iscrizione a referto del giocatore Erazem Lorbek; al riguardo necessitano due preliminari puntualizzazioni: in primis, la limitazione del numero dei giocatori con contratto professionistico iscrivibili a referto nel corso di un campionato a stagione sportiva costituisce vincolo regolamentare e convenzionale (tra F.I.P. e Lega Pallacanestro Società Serie A) diretto e gravante sulle società; pertanto, il superamento di quel limite è addebitabile direttamente alle società che di esso (superamento) sono tenute a rispondere; sul punto, la responsabilità delle società non è minimamente attenuata, in casi quale quello in esame, da ipotetiche corresponsabilità o errori imputabili ad altri soggetti e, in particolare, alla Federazione, alla Lega ed ai loro organismi; quindi, la dedotta circostanza che il dirigente Cirelli abbia consegnato la documentazione al Segretario della Lega o, d’altro lato, l’avvenuta omologazione dei risultati delle gare aventi a referto il giocatore Lorbek risultano del tutto irrilevanti; 181 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… in secundis, l’art. 43 R.G. qualifica atto di frode sportiva “qualsiasi atto diretto a …”; si è, quindi, in presenza di un’ipotesi di illecito disciplinare a consumazione anticipata: nel senso che, come rilevato anche da attenta dottrina, non è necessario che la frode si consumi (ad es., che il risultato di una gara venga concretamente alterato), risultando sufficiente che il soggetto agente ponga in essere un atto, di qualunque genere, finalizzato al raggiungimento di uno qualunque degli obiettivi illeciti elencati nel citato articolo; invero nella norma non sono richiamati i requisiti dell’idoneità e della univocità che costituiscono elementi necessari perché si concretizzi la fattispecie del delitto tentato secondo le previsioni del codice penale italiano; in tale ottica e come esattamente ritenuto dal giudice di primo grado, non rileva, quindi, il riferimento difensivo all’idoneità dell’atto posto in essere, se non nel senso che tale atto deve avere natura esterna (cioè, deve essere portato all’esterno dal e del soggetto agente) e deve essere diretto (cioè finalizzato) al raggiungimento del fine illecito sanzionato dal Regolamento di Giustizia; ciò premesso, dalla ricostruzione degli eventi oggetto di giudizio, emerge chiara la responsabilità di elevata gravità del dirigente Cirelli, cui consegue la responsabilità oggettiva della società da individuare al limite della responsabilità diretta; invero, stante la posizione sopranumeraria del giocatore Lorbek, il dirigente – necessita ripetere – si recava presso gli Uffici della Lega, ove consegnava la lettera a propria firma retrodatata al 16 novembre 2006 con allegato un atto di risoluzione consensuale del contratto col giocatore Cuccarolo retrodatato 16 novembre 2006, attestato quale depositato il giorno 17 novembre 2006, e motivato come segue:”Causa disguido è stato spedito in data 15 novembre modulo di contratto professionistico con l’atleta in oggetto tesserato per la nostra società quale giovane di serie. Vi preghiamo di non volerne tener conto e alleghiamo a tal proposito modulo di risoluzione…”; l’esposta motivazione della risoluzione del contratto de quo mirava chiaramente ad accreditare la tesi dell’errore (“Causa disguido …”), cioè di un vizio del consenso invalidante, in modo da porre nel nulla detto contratto (“…Vi preghiamo di non volerne tenere conto …”) e, conseguentemente, far apparire, nonché utilizzare a proprio fine non lecito, il giocatore Cuccarolo quale giammai divenuto professionista ma “rimasto” giovane di serie; non pare, allora, un caso che la lettera retrodata 16 novembre e l’allegato atto di risoluzione consensuale vengano acquisiti; sull’allegato (che è l’atto particolarmente rilevante al fine illecito) venga apposta attestazione di deposito in Lega in data 17 novembre 2006; successivamente, tali atti siano trattenuti presso la Lega per la consapevolezza che il loro invio in Federazione avrebbe attirato l’attenzione dell’Ufficio Tesseramento provocando i conseguenti accertamenti e l’emergere 182 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… della questione, così impedendo il risultato costituente obiettivo dell’iniziativa: far sì che il giocatore Lorbek venisse iscritto a referto, nonostante ciò non fosse consentito; e va anche rilevato, sin da ora e per le valutazioni nella determinazione della sanzione, che l’atto di risoluzione consensuale risulta sottoscritto dalla società; quel che, però, necessità considerare a questo punto è che, in presenza di un responso negativo del Presidente della Lega, di cui sopra si è fatto cenno, e sia pur in attesa di un parere legale, la società abbia iscritto a referto nelle quattro gare successive (del 14, 21, 28 gennaio e 4 febbraio 2007) il giocatore Lorbek, omettendo di farlo, in quelle medesime gare, per il giocatore Cuccarolo, peraltro sino alla gara del 7 gennaio 2007 (14° giornata) iscritto a referto ben nove volte; allorquando, nell’apparente dubbio di liceità dell’iscrizione a referto del giocatore Lorbek pur in presenza di altri 18 professionisti tra cui il giocatore Cuccarolo (in realtà, la stessa iniziativa assunta dal dirigente dimostra in sé la consapevolezza dell’insussistenza di detta liceità), comportamento lineare avrebbe imposto di iscrivere a referto Cuccarolo, omettendo di farlo per il giocatore Lorbek; ad ulteriore conferma delle riscontrate e comprovate convinzioni della Corte in tema di condotta degli odierni appellanti, non può non aggiungersi che, successivamente al termine della Final Eight e pur in presenza del parere richiesto e reso in senso favorevole alla tesi della società, nella gara del 18 febbraio 2007 il giocatore Lorbek non veniva iscritto a referto dalla società (e non lo sarà più anche per il contratto stipulato con altra società con effetto dal 28 febbraio 2007), mentre “rientrava nei ranghi” il Cuccarolo, poi sempre presente a referto sino alla gara del 25 marzo 2007; assume rilievo, in proposito, l’elemento di fatto che il giocatore Cuccarolo è rimasto contrattualizzato quale professionista con la società, come dalla stessa ammesso attraverso la produzione, nel giudizio di primo grado, dei cedolini di stipendio sino al mese di febbraio 2007; il che comprova, in modo inequivocabile, la falsità dell’atto di risoluzione consensuale già più volte citato, costituente esso stesso – come già rilevato – atto con valenza attestativa, in ogni caso corroborato nella sua valenza dal timbro di deposito apposto, con l’indicazione retrodatata del 17 novembre 2006, negli Uffici della Lega; e proprio l’acclarata (e ammessa dalle stesse difese) falsità ideologica dell’atto di risoluzione consensuale dimostra l’intendimento e il comportamento fraudolento; questi ultimi risultano evidenti per quanto attiene alla legittimazione per l’iscrizione a referto del giocatore Lorbek, in quanto essa derivava, secondo l’intendimento fraudolento posto in essere, dal “mantenimento” del giocatore Cuccarolo quale “giovane di serie”, il quale – va sottolineato ancora una volta – proveniva dal vivaio della società e sino al 15 novembre 2006 (cioè, appena 50 giorni 183 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… prima la stipulazione del contratto col giocatore Lorbek) era effettivamente un “giovane di serie”, che tutti gli alti interessati e controinteressati ben avrebbero potuto continuare a ritenere tale; inoltre, l’intendimento e il comportamento fraudolento comprovano anche che il dirigente ben sapeva della posizione irregolare del giocatore Lorbek; perché, altrimenti, giammai avrebbe ritenuto di strutturare e consegnare negli Uffici della Lega un atto di risoluzione consensuale ideologicamente falso; non è logico porre in essere un atto falso per giustificare una situazione lecita o dubbia, atteso che il dubbio deve indurre al chiarimento e non alla falsificazione; e neppure può valere, in senso contrario, il chiarimento tardivamente chiesto dalla società, poiché, come già osservato, a seguito della richiesta e in presenza di un primo responso telefonico negativo (quello dato dal Presidente Prandi) comportamento coerente o, almeno, prudente avrebbe dovuto condurre alla non iscrizione a referto del giocatore Lorbek, che, invece, la società voleva schierare ed ha continuato a schierare sin quando consentito dall’esito del comportamento fraudolento posto in essere dal suo dirigente (cioè, sin quando la problematica non emergeva nella sua realtà per l’attenzione ad essa riservata da altre società tra il 13 e il 14 febbraio 2007, allorquando il Presidente della Lega Prandi chiedeva notizie sulla posizione del giocatore Cuccarolo al Segretario della Lega, che la segnalava nella sua realtà e negli atti relativi depositati in Lega dal dirigente); sussiste, dunque, la violazione dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G., con ciò respingendosi ogni diversa valutazione e derubricazione richiesta dalle difese. Resta da esaminare la questione concernente lo status del “giovane di serie”, cioè, se questi mantenga il suo status anche una volta stipulato contratto da professionista. Sul punto e in sede di discussione orale, il difensore del dirigente ha richiamato l’articolo 2 dello Statuto del C.O.N.I. che detta, tra l’altro, principi in materia di tutela dei giovani atleti. In ordine alla questione concernente lo status del “giovane di serie”, la Corte, in disparte i contrastanti pareri acquisiti agli atti, deve rilevare che risulta dirimente, ai fini dell’osservanza della norma regolamentare sopra richiamata (art. 1 comma 3 R.E. Settore Professionistico), la formulazione della disposizione secondo la quale – in ogni stagione sportiva - la società non può iscrivere a referto più di 18 giocatori professionisti, anche in caso di infortunio; sono prescritti, quindi, un limite temporale ben definito (ogni stagione sportiva) ed un tetto numerico (18 giocatori professionisti) che è automaticamente superato all’atto della stipula del contratto con un “giovane di serie” e della sua approvazione nelle forme regolamentari e che resta 184 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… invariato anche in caso di infortunio; è da osservare che lo status del “giovane di serie professionista” non è previsto dalle norme federali e non può essere introdotto con operazione additiva; pertanto, il “giovane di serie” che stipula contratto da professionista perde definitivamente il suo status per acquisire, in toto, quello di giocatore professionista; né rileva, in contrario, il richiamo del difensore del Cirelli ai principi dettati dall’articolo 2 dello Statuto del C.O.N.I. in quanto questi trovano, nel caso di specie, pieno recepimento nella normativa della F.I.P. attraverso l’esclusione del “giovane di serie” dal numero dei 18 giocatori iscrivibili a referto nel corso del campionato; in virtù delle suestese argomentazioni, gli appelli della società e del dirigente vanno respinti, relativamente all’insussistenza dell’illecito di frode sportiva; in ordine alla determinazione delle conseguenti sanzioni, è da rigettare la richiesta del Procuratore Federale di revoca dell’assegnazione della Coppa Italia 2007 per l’assorbente ragione che siffatta sanzione non è prevista dalla normativa regolamentare della F.I.P.; in ordine all’entità delle sanzioni da irrogare al Cirelli ed alla Pallacanestro Treviso S.p.A., la Corte, decidendo sui contrapposti appelli, ritiene di dover aggravare l’entità delle sanzioni irrogate dalla Commissione Giudicante Nazionale; invero e quanto al dirigente, il comportamento di frode sportiva, come sopra individuato e descritto, risulta di particolare gravità per le modalità con le quali è stato posto in essere ed è stato mantenuto nel tempo; innanzitutto, formare e depositare in Lega un atto negoziale ideologicamente falso rappresenta, in sé, un fatto di particolare gravità perché contrario ai basilari principi etici dello sport; inoltre, come già detto, emerge dalle risultanze del procedimento un comportamento di frode sportiva particolarmente insidioso, atteso che il falso atto di risoluzione consensuale del contratto riguardava un (ex) “giovane di serie”, cresciuto nel vivaio della società, in modo da rendere assai difficilmente percepibile dalle altre società il mutamento dello status del giocatore e il conseguente raggiungimento del numero massimo di giocatori professionisti iscrivibili a referto; intendimento, quest’ultimo, ben riuscito, se è vero, come è vero, che il giocatore Lorbek ha potuto essere iscritto a referto in ben cinque gare senza che alcuno si accorgesse della sussistente irregolarità sottostante; 185 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… quindi, considerando che la sanzione per la frode sportiva consumata di particolare gravità può consistere nella radiazione, ritiene la Corte che, nella presente fattispecie connotata da particolare gravità, la sanzione dell’inibizione debba essere rapportata al massimo previsto pari a cinque anni, su tale sanzione base la Corte ritiene che possano essere concesse le attenuanti atipiche previste dall’articolo 19, comma 4 ultima parte, R.G., valutando positivamente le (sia pure non integrali) ammissioni del dirigente dinanzi al Procuratore Federale; conseguentemente, la sanzione dell’inibizione, confermatane la decorrenza come fissata in primo grado, va determinata in 3 anni e 4 mesi; quanto alla società, ritiene, anzitutto, la Corte che, pur in presenza di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, la determinazione della sanzione non debba essere totalmente e matematicamente rapportata a quella dell’autore dell’illecito, ben potendosi apprezzare, anche e quantomeno, ulteriori aspetti della vicenda attribuibili direttamente alla società medesima; in proposito, ferma la già ravvisata particolare gravità dell’illecito, dalla continuata iscrizione a referto del giocatore Lorbek – tanto più in presenza di un responso negativo da parte del Presidente della Lega e sia pure in attesa di un parere legale (sul punto si rinvia a quanto prima osservato) – sono derivati danni molto ingenti all’immagine del movimento cestistico nazionale proprio in ragione che siffatta violazione di particolare gravità è stata posta in essere da una società di massima importanza, notorietà e rappresentatività, anche in campo internazionale; infatti, appare evidente che constatare che una società di massimo livello si induca, pur di potenziare le proprie capacità sportive, a falsificare atti per ottenere illeciti tesseramenti significa non solo mortificare l’intero movimento ma farlo altresì apparire come “amministrativamente dopato” e profondamente privo di quella eticità che deve permeare i comportamenti dei tesserati ad ogni livello sportivo e massimamente a quelli di altissima evidenza pubblica e mediatica; quindi, in presenza di un illecito di particolare gravità, mantenuto nel tempo sin quando ciò è stato possibile (cfr. supra), e di danni che la Corte ritiene e valuta molto ingenti per l’immagine del movimento cestistico nazionale, portato all’attenzione pubblica a causa di comportamenti illeciti e antisportivi in luogo di successi nazionali o internazionali, la penalizzazione di punti in classifica, che costituisce la sanzione prevista, non può che essere parametrata a canoni di elevata severità, che si ritiene da rapportare adeguatamente alla fattispecie concreta nella misura di quindici punti da scontare nel campionato in corso; 186 GIURISPRUDENZA Il caso Lorbek… P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni ulteriore istanza e deduzione: in parziale accoglimento dell’appello della Procura Federale conferma la responsabilità per frode sportiva ex art. 43 comma 1 lettera c) R.G. del sig. Andrea Cirelli e la responsabilità oggettiva ex art. 44 comma 1 R.G. della società Pallacanestro Treviso S.p.A.; per l’effetto, concesse le attenuanti atipiche ex art. 19 comma 4 R.G., determina la sanzione dell’inibizione da ogni attività federale e sociale a carico del sig. Andrea Cirelli per anni tre e mesi quattro a decorrere dal 21 marzo 2007 e la sanzione della penalizzazione di 15 punti in classifica nella corrente stagione sportiva ex art. 44 comma 3 R.G. a carico della società Pallacanestro Treviso S.p.A.. Rigetta i ricorsi del sig. Andrea Cirelli e della Pallacanestro Treviso S.p.A. e dispone incamerarsi il contributo ricorso versato dal Cirelli e addebitarsi sulla scheda contabile della società ricorrente il contributo ricorso. Nota Redazionale: Al momento di uscita del n. 1/2007 di Giustizia Sportiva non si è ancor formato il "Giudicato sportivo" sulla vicenda relativa all'iscrizione a referto dell'atleta Lorbek quale 19 giocatore professionista per la Benetton Treviso e dunque in violazione dell'art. 1 comma 3 del Regolamento escutivo del settore professionista. Il 16 aprile la FIP, la Pallacanestro Treviso e team manager Cirelli non hanno trovato l'accordo per una conciliazione per cui si procederà all'arbitrato in Camera del CONI (la prima udienza non è stata ancora fissata). Di certo è indispensabile che la procedura arbitrale termini prima della fine della regular season perchè diversamente l'esclusione della Benetton dalla post season (ad oggi rischia persino di retrocedere in serie A/2) diverrebbe definitiva a prescindere dal giudizio del Collegio arbitrale tenuto conto che i play off sono già stati da tempo "calendarizzati". Per il merito della vicenda, e per un primo commento preliminare, cfr. anche Jacopo Tognon, Lorbek, frode sportiva o mera irregolarità?, in Il Sole 24 ore sport, marzo 2007. Sin d'ora, peraltro, con riserva di approfondire nel prossimo numero della Rivista, è opportuno precisare che non appare per nulla equa la sanzione di 15 punti di penalità inflitti in secondo grado dalla Corte Federale, con riformatio in peius della già afflittiva sanzione di 12 punti irrogata in primo grado (JT) 187 GIURISPRUDENZA Sentenza 401-2007 Tar Puglia… SENTENZA 401 – 2007 TAR PUGLIA SEDE DI BARI La competenza del T.A.R. Lazio stabilita dall’art. 3, comma 2, legge n. 280/2003 per le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive e non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 280/2003 ha carattere inderogabile, sia in quanto avente carattere esclusivo sia in quanto rilevabile d’ufficio. E’ quindi indifferente qualificare tale competenza come di tipo territoriale o funzionale, atteso che anche nella prima ipotesi resta inapplicabile il meccanismo ordinariamente previsto per le questioni di competenza tra organi giurisdizionali di primo grado. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA Sede di Bari - Sezione Seconda nelle persone dei magistrati: PIETRO MOREA PRESIDENTE DORIS DURANTE COMPONENTE FRANCESCO BELLOMO COMPONENTE - relatore all'esito dell'udienza camerale del 8 febbraio 2007 ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso n. 126/2007, proposto da LIONETTI MICHELE, rappresentato e difeso da Serlenga Avv. Giacinta Maria; 188 GIURISPRUDENZA Sentenza 401-2007 Tar Puglia… CONTRO - l'Unione Italiana Tiro a Segno - Ente Pubblico e Federazione Sportiva del Coni - , rappresentato e difeso da Lubrano Avv. enrico e da Gagliardi La Gala Avv. Franco; - il Comitato Regionale per la Puglia Unione Italiana Tiro A Segno e nei confronti - di Ippolito Paolo per l'annullamento previa sospensione dell’esecuzione - della delibera del Consiglio direttivo n.128/06 del 24.11.2006, recante lo scioglimento del Consiglio direttivo della Sezione di Barletta e conseguente Commissariamento della stessa; - di ogni altro atto presupposto, e comunque connesso, ancorchè non conosciuto, tra cui, ove occorra, a) la deliberazione del Consiglio Direttivo della U.I.T.S. n.73 del 4.8.2006; le relazioni afferenti la visita ispettiva svoltasi il 5 e 6 ottobre; b) la nota del Presidente del Comitato regionale Puglia in data 19 ottobre 2006; c) la nota prot. P.F./11.07, a firma del Procuratore Federale della U.I.T.S., recante contestazione di addebiti Visto il ricorso ed allegati, Vista la domanda di sospensione della efficacia del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente Visto l’atto di costituzione in giudizio dell'Unione Italiana Tiro a Segno Visti i documenti e le memorie delle parti Visti tutti gli altri atti di causa Relatore all'udienza del 8 febbraio 2007 il giudice Francesco Bellomo ed uditi i difensori delle parti presenti, come da verbale Considerato che sussistono i presupposti per una decisione in forma semplificata ai sensi degli artt. 3 e 9 L. 205/00 Ritenuto quanto segue 189 GIURISPRUDENZA Sentenza 401-2007 Tar Puglia… Fatto e diritto 1. Con ricorso notificato il 25.1.07 all'Unione Italiana Tiro a Segno, al Comitato Regionale per la Puglia Unione Italiana Tiro a Segno, a Ippolito Paolo, depositato il 25.1.07, LIONETTI MICHELE domandava l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: - della delibera del Consiglio direttivo n.128/06 del 24.11.2006, recante lo scioglimento del Consiglio direttivo della Sezione di Barletta e conseguente Commissariamento della stessa; - di ogni altro atto presupposto, e comunque connesso, ancorchè non conosciuto, tra cui, ove occorra, la deliberazione del Consiglio Direttivo della U.I.T.S. n.73 del 4.8.2006; le relazioni afferenti la visita ispettiva svoltasi il 5 e 6 ottobre; la nota del Presidente del Comitato regionale Puglia in data 19 ottobre 2006; la nota prot. P.F./11.07, a firma del Procuratore Federale della U.I.T.S., recante contestazione di addebiti. A fondamento del ricorso, premesso che il provvedimento impugnato si fondava sul presunto accertamento a carico del ricorrente di gravi irregolarità della gestione contabile ed amministrativa a seguito dell'ispezione condotta il 5 e 6 ottobre 2006 (le cui risultanze erano condensate nella relazione data 11 novembre 2006), deduceva molteplice censure di violazione di legge ed eccesso di potere, lamentando in particolare la violazione dell'art. 17, comma 4 dello Statuto dell'Ente in relazione agli artt. 1, 3, 7 e 10 L. 241/90. Si costituiva in giudizio l'Unione Italiana Tiro a Segno, eccependo l’incompetenza funzionale del T.A.R. . Replicava sul punto il ricorrente. La causa veniva trattata all'udienza del 8 febbraio 2007, fissata per l'esame della domanda cautelare, dove le parti venivano sentite anche sulla possibilità di una decisione nel merito. 2. Il ricorso risulta manifestamente definibile, sicchè, essendo il contraddittorio completo e l'istruttoria documentale esauriente, il Collegio procede a decisione in forma semplificata. L’impugnazione ha per oggetto il provvedimento con cui l’Unione Italiana Tiro a Segno (Federazione sportiva facente parte del C.O.N.I.) ha disposto il commissariamento della Sezione di Barletta, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 17, comma 4 del suo Statuto. Si tratta di fattispecie riconducibile all’art. 3 L. 280/03. 190 GIURISPRUDENZA Sentenza 401-2007 Tar Puglia… Art. 3. Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria 1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91. 2. La competenza di primo grado spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma. Le questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d'ufficio. 3. Davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa legge. La diversa opinione del ricorrente - argomentata sulla base dell’inciso “esauriti i gradi di giustizia sportiva” - è priva di pregio. La disposizione si riferisce testualmente a “ogni altra (rispetto alle questioni meramente patrimoniali) controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2”. Non, dunque, solo a quelle che spettano preliminarmente (ma non in via assorbente) agli organi di giustizia sportiva. L’inciso “esauriti i gradi di giustizia sportiva” vale piuttosto a chiarire che, ove siano in gioco tali controversie, la giurisdizione statale può essere adita solo dopo il previo esperimento della tutela assicurata dall’ordinamento sportivo. Ciò posto occorre verificare quali siano le conseguenze nel caso in esame dell’applicazione dell’art. 3 L. 280/03 e, segnatamente, del comma 2, il quale fissa la competenza esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, in capo al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, stabilendo che la relativa questione è rilevabile d'ufficio. 191 GIURISPRUDENZA Sentenza 401-2007 Tar Puglia… Il Collegio ritiene tale competenza di carattere inderogabile, sia in quanto avente carattere esclusivo sia in quanto rilevabile d’ufficio. Ciò premesso resta indifferente qualificare la competenza come di tipo territoriale o funzionale, atteso che anche nella prima ipotesi resta inapplicabile il meccanismo ordinariamente previsto per le questioni di competenza tra organi giurisdizionali di primo grado, in virtù della speciale previsione di cui alla citata disposizione. Ne consegue che va dichiarato sic et simpliciter l’incompetenza del T.A.R. di Bari. Ulteriori statuizioni - in particolare quella di trasmettere gli atti al giudice competente, come richiesto in via subordinata dal ricorrente - sarebbero palesemente irrituali, non essendo previste dall’anzidetta norma speciale. Spese compensate, attesa la novità della questione e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali sul punto. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari - Seconda Sezione, pronunciando sul ricorso proposto come in epigrafe dichiara la propria incompetenza. Compensa le spese. La presente sentenza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria di questo Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. 192 GIURISPRUDENZA