la dimensione internazionale della lotta al

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la dimensione internazionale della lotta al
Anno III
Pubblicazione numero 1
2007
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale -
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INDICE DEL FASCICOLO 1°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
LINA MUSUMARRA , La dimensione internazionale della lotta al doping
pag. 4
nello sport
LUCIO COLANTUONI, ADR e conciliazione nello sport in Italia
pag.19
DOMENICO ZINNARI, Atleti dilettanti, sportivi non professionisti?
pag.58
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
FELICE BLANDO,
Titolo V della Costituzione e ordinamento sportivo
STEFANO CAVIGLIOLI,
Gare di sci e insidie naturali sulla pista: può
rispondere l’organizzatore (ex art. 2051 c.c.) ?
pag.109
pag.132
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
LA SENTENZA PLANICA,
Corte di giustizia delle Comunità Europee
pag.150
(6 marzo 2007)
IL CASO LORBEK, Decisione Commissione Giudicante FIP (21 marzo
pag.172
2007) e decisione Corte Federale FIP (27 marzo 2007)
SENTENZA 401-2007, Problematiche di applicazione della legge n.
280/2003: la competenza del Tar Lazio è di natura inderogabile
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pag. 188
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
LINA MUSUMARRA , La dimensione internazionale della lotta al doping
pag. 4
nello sport
LUCIO COLANTUONI, ADR e conciliazione nello sport in Italia
pag.19
DOMENICO ZINNARI, Atleti dilettanti, sportivi non professionisti?
pag.58
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La dimensione internazionale………
LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA LOTTA
AL DOPING NELLO SPORT
di Lina Musumarra (*)
SOMMARIO:
1. Premessa
2. La dimensione europea ed internazionale della lotta al doping
3. Il Codice Mondiale Antidoping
4. La Convenzione dell’UNESCO contro il doping nello sport
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DOTTRINA
La dimensione internazionale………
1. Premessa.
Il fenomeno del doping nello sport ha assunto aspetti e dimensioni di estrema gravità,
trovando un sempre maggiore coinvolgimento del mondo dei giovani sportivi, a livello non solo
professionistico, ma soprattutto dilettantistico e amatoriale. Recenti studi hanno fornito dati
drammatici: su diecimila ragazzi che fanno sport, tra i tredici e i diciotti anni, il 7% ha ammesso di
fare uso di sostanze dopanti e di averle utilizzate dietro consiglio di amici o allenatori. In generale,
sono stati stimati in 400.000 gli italiani che fanno uso di sostanze dopanti e, calcolando quanto
avviene in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna o la Germania, sono circa 2 milioni gli
europei che ricorrono a sostanze dopanti.
Dall’entrata in vigore, in Italia, della legge 14 dicembre 2000, n. 376, in tema di lotta contro il
doping, l’assunzione e lo spaccio di sostanze dopanti sono in netta crescita: solo i sequestri di
anabolizzanti sono passati dalle 23.637 confezioni del 2000 alle 988.955 del 2005, coinvolgendo
oltre 600mila sportivi, per un valore di circa 800milioni di euro (cfr. A. Lapertosa, Un “affare” da
800mln, in Il Sole 24 Ore Sport, settembre 2005).
Nella Relazione al Parlamento presentata dal Ministero della Salute sullo stato di attuazione
della legge in parola, nonché sull’attività svolta per l’anno 2005 dalla Commissione per la vigilanza
ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, si rileva come la predetta
Commissione abbia sviluppato una mirata programmazione delle campagne formative/informative.
Una particolare attenzione è svolta nei confronti degli Enti di Promozione Sportiva, che
rappresentano una realtà consistente del movimento sportivo di base, verso i quali non era stata
ancora esercitata un’organica azione di prevenzione primaria.
Come è stato efficacemente rilevato nel Forum europeo dello Sport svoltosi a Bruxelles
nell’ottobre del 2001 l’Europa senza frontiere è una realtà per coloro che organizzano il doping, e
ormai da tempo. Non è la stessa cosa per coloro che tentano di combatterlo.
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La dimensione internazionale………
2. La dimensione europea ed internazionale della lotta al doping
Il problema dell’utilizzo di sostanze o metodi artificiali per aumentare la prestazione atletica
ha origini lontane: sin dai Giochi di Berlino del 1936 si parlò dell’uso di efedrina e stricnina nelle
competizioni olimpiche; negli anni successivi, l’opinione pubblica fu scossa dalle morti del ciclista
danese Jensen ai Giochi di Roma del 1960, del ciclista inglese Simpson nel Tour de France del 1967
e del calciatore francese Quadri nel 1968.
Risalgono a questi anni i primi interventi di rilevanza internazionale per combattere un
fenomeno in costante diffusione.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con una risoluzione adottata il 24 settembre
1966, invitava, infatti, i Governi dei Paesi membri a far riconoscere a tutti i livelli del processo
educativo il valore dell’educazione fisica, dello sport e dell’attività di ambiente naturale, come parte
integrante di tale processo. Con la successiva risoluzione del 29 giugno 1967 definiva il doping
somministrazione ad un soggetto sano o utilizzazione da parte dello stesso, per qualsiasi mezzo, di
sostanze estranee all’organismo o di sostanze fisiologiche in quantità o per via anomala, e ciò al
solo scopo di influenzare artificialmente e in modo sleale sulla prestazione sportiva di detto
soggetto in occasione della sua partecipazione ad una competizione.
A distanza di pochi anni, con la risoluzione del 26 ottobre 1973, relativa alla creazione dei
Centri di medicina dello sport, lo stesso Consiglio definisce tale medicina applicazione dell’arte e
della scienza medica, dal punto di vista preventivo e terapeutico, alla pratica dello sport e delle
attività fisiche, al fine di sfruttare le possibilità che offre lo sport di mantenere e di migliorare lo
stato di salute e di evitare eventuali danni. Contestualmente invitava i Governi a promuovere la
pratica, l’insegnamento e la ricerca nel campo della medicina dello sport; a incoraggiare e proporre
le misure adeguate in materia di educazione fisica, di educazione sanitaria e di iniziazione alla
sicurezza.
Con la risoluzione del 24 settembre 1976, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa
raccomandava ai Governi degli Stati membri di fondare la loro politica nazionale sui principi
enunciati nella “Carta Europea dello sport per tutti”, approvata il 20 marzo 1975 a Bruxelles dalla
Conferenza dei ministri europei responsabili dello sport, il cui art. 5 afferma che devono essere
adottate misure per salvaguardare lo sport e gli sportivi da ogni sfruttamento a fini politici,
commerciali o finanziari e da pratiche avvilenti e abusive come l’uso di droghe.
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La dimensione internazionale………
Ciò ha comportato l’adozione, nel 1978, in occasione della seconda Conferenza dei Ministri
europei responsabili dello sport, di una risoluzione su “Doping e salute”, nella quale si raccomanda
ai Governi di: 1) concedere tutto l’appoggio possibile agli organi direttivi dello sport, agli atleti e a
tutti coloro che sono associati allo sport, nei loro sforzi per sopprimere il doping nello sport e
incoraggiarli a prendere le misure necessarie per semplificare e armonizzare le varie
regolamentazioni antidoping adottate dalle Federazioni sportive”;
2) “stabilire dei sistemi di controllo dell’utilizzazione di stimolanti artificiali nello sport e a
tale scopo: a) incoraggiare la messa a punto e la sperimentazione di metodi efficaci che consentano
di scoprire l’uso di sostanze illecite nello sport ed in particolare le sostanze il cui utilizzo è vietato
sia dagli organi direttivi internazionali degli sport sia dalla legislazione nazionale, laddove esiste
una legislazione del genere; b) aumentare il loro contributo alla cooperazione europea nel campo
della ricerca sul doping (...); c) incoraggiare prioritariamente la creazione di laboratori adeguati che
consentano di effettuare dei test e dei controlli seri degli sportivi (...);
3) esaminare l’opportunità, laddove non è stato fatto, della creazione di una commissione
nazionale antidoping allo scopo di garantire il raccordo necessario tra le parti interessate negli sforzi
che mirano ad eliminare il doping nella pratica dello sport;
4) cercare i modi migliori per aiutare gli atleti e le Federazioni che, avendo deciso di opporsi
all’uso di sostanze proibite nella pratica degli sport, sono in tal modo esposti a dei pregiudizi
concreti.
Nel corso della quarta Conferenza dei Ministri europei responsabili dello sport tenutasi a
Malta nel 1984 veniva adottata la “Carta europea contro il doping nello sport”, quale dichiarazione
di principio sui ruoli di ogni partner per rilanciare gli sforzi della campagna antidoping, alla luce
soprattutto della diffusione dell’uso di prodotti doping in nuovi sport e tra sportivi sempre più
giovani, contravvenendo all’etica sportiva e primariamente nuocendo alla salute.
Il 21 giugno 1988 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava una
raccomandazione concernente l’“Istituzione di controlli antidoping senza preavviso e al di fuori
delle gare”.
La prima vera opportunità per i dirigenti sportivi e le autorità governative di discutere insieme
il fenomeno del doping e di concordare una strategia comune a livello internazionale si è avuta con
la “I Conferenza mondiale permanente sul doping nello sport”, svoltasi ad Ottawa dal 26 al 29
giugno 1988 per iniziativa del Governo canadese e del Comitato Internazionale Olimpico. Essa ha
approvato quattro documenti:
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DOTTRINA
La dimensione internazionale………
- Principi sull’eliminazione del fenomeno doping nella pratica sportiva.
- Carta Olimpica Internazionale Antidoping (adottata dal CIO nel settembre 1988).
- Elementi e direttive da utilizzare per contribuire allo sviluppo di una strategia che consenta
l’approvazione e l’adozione della Carta.
- Modello per un programma antidoping nazionale.
Nel corso della sesta conferenza, svoltasi a Reykjavik dal 30 maggio al 1° giugno 1989, i
Ministri europei responsabili dello sport hanno adottato una risoluzione sul doping nello sport,
approvando anche il progetto di convenzione europea contro il doping.
Mentre i documenti del Consiglio d’Europa sopra richiamati costituiscono semplicemente
inviti ai Governi degli Stati membri ad adottare misure e comportamenti sulla base delle indicazioni
e degli indirizzi contenuti nelle risoluzioni o raccomandazioni adottate dal Comitato dei Ministri, la
“Convenzione europea contro il doping nello sport”, firmata a Strasburgo il 16 novembre 1989,
vincola gli Stati firmatari, fra cui l’Italia, ad adottare le misure necessarie per dare effetto alle
disposizioni in essa contenute.
Ratificata dall’Italia il 12 febbraio 1996, con legge 29 novembre 1995, n. 522, la Convenzione
contiene, innanzitutto, la definizione di doping nello sport, da intendersi quale somministrazione
agli sportivi o uso da parte di questi ultimi di classi farmacologiche di agenti di doping o di metodi
di doping.
Si prevede, quindi, l’impegno degli Stati firmatari ad incentivare la collaborazione con le
organizzazioni sportive al fine di elaborare ed applicare ogni adeguato provvedimento per la lotta
contro il doping nello sport, tramite, in particolare, l’”armonizzazione” dei regolamenti antidoping,
sulla base di quelli adottati dalle organizzazioni sportive internazionali.
Nel documento “Il modello europeo di sport”, elaborato dalla Commissione europea nel
novembre 1998, si richiama l’attenzione sul problema del doping e sulle possibili soluzioni per
debellarlo, ricordando, però, che la Comunità non ha la competenza per promuovere una vera e
propria politica antidoping. In ogni caso, l’azione dell’Unione europea in questo campo è stata
rafforzata dalla risoluzione del Consiglio del 3 dicembre 1990, nella quale si sottolinea, tra l’altro,
la necessità della cooperazione tra gli Stati membri ed il Consiglio d’Europa, nonché il
coordinamento delle misure nazionali esistenti.
Nelle conclusioni adottate ad Olimpia nel maggio 1999, in occasione della Prima Conferenza
europea sullo sport, le parti interessate, nel ribadire la volontà di creare una piattaforma di
cooperazione basata su norme il più possibile uniformi per garantire agli atleti la certezza del diritto,
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hanno sottolineato la necessità di combattere le cause concrete che contribuiscono alla
proliferazione del doping: la cultura della droga; il permissivismo; l’eccessiva competitività; gli
interessi in gioco troppo alti; la pressione degli sponsor, sia commerciali che istituzionali. In tale
ambito uno degli obiettivi prioritari è rappresentato dalla tutela dei giovani, i quali vengono
coinvolti troppo presto in gare ad alto livello e quindi sottoposti a pressioni psicologiche ed a
manipolazioni fisiche.
Altrettanto importante è la lotta contro il doping nello sport al di fuori del contesto delle
organizzazioni sportive, con riferimento all’uso ed al commercio di sostanze anabolizzanti e/o
droghe, in base alla legislazione nazionale.
A Losanna, sotto la forte pressione dei mass-media, i responsabili dello sport di alcuni
Governi particolarmente impegnati nella lotta al doping hanno partecipato, nello stesso anno, alla
prima Conferenza Mondiale sul Doping promossa dal CIO, al fine di esaminare le modalità
attraverso le quali attuare una più incisiva e sinergica lotta al doping. Viene così proposta la
costituzione di una Agenzia Mondiale Antidoping (in sigla, AMA o WADA) composta in maniera
paritetica, negli organi di vertice, da esponenti del mondo sportivo e rappresentanti governativi. Si è
sostenuto, in particolare, che la presenza, nel Consiglio di fondazione dell’Agenzia, di
rappresentanti dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa, unitamente ad altri Ministri
competenti per lo sport in rappresentanza delle altre aree continentali, costituisce il coronamento di
una esigenza di creare una stretta sinergia tra la capacità del potere pubblico di intervenire
giudiziariamente nei confronti dei responsabili del commercio illegale delle sostanze dopanti ed i
poteri disciplinari della organizzazione sportiva. La WADA dovrà rappresentare la massima autorità
di riferimento e fonte normativa per la lotta al doping, dovendosi adeguare ai suoi indirizzi lo stesso
CIO, le Federazioni internazionali, il Consiglio d’Europa e l’Unione europea.
L’Agenzia è stata costituita a Losanna il 10 novembre 1999 come fondazione privata secondo
il diritto elvetico e sottoposta alla vigilanza delle autorità federali svizzere (cfr., www.wadaama.org). La sede attuale è a Montreal.
Tra le principali funzioni svolte dall’Agenzia mondiale antidoping è opportuno ricordare:
• la promozione e il coordinamento, a livello internazionale, della lotta contro il doping.
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Tale azione viene svolta in riferimento all’insieme delle questioni relative al fenomeno, a
partire dall’effettuazione di controlli antidoping in gara e fuori gara e, se necessario, in accordo con
le realtà pubbliche e private competenti, fuori gara senza preavviso ;
• l’attivazione di rapporti di collaborazione con le organizzazioni intergovernative, i singoli
Governi, le istituzioni pubbliche, altri organismi privati operanti nel settore, nonché le principali
organizzazioni sportive internazionali (CIO, Federazioni internazionali, Comitati nazionali
olimpici) e gli atleti;
• la pubblicazione, ogni anno, di una lista delle sostanze e dei metodi proibiti nella pratica
sportiva, in accordo con gli organismi pubblici e privati interessati, tra cui le suddette
organizzazioni sportive;
• un’azione volta a favorire a livello internazionale l’armonizzazione delle modalità e delle
procedure scientifiche relative ai prelievi, alle metodologie di analisi e all’omologazione dei
laboratori, nonché delle sanzioni previste in relazione ai singoli Paesi e alle diverse discipline
sportive;
• la promozione e il coordinamento della ricerca in materia di lotta al doping e l’elaborazione
di progetti e di programmi educativi finalizzati alla diffusione di una vera cultura per lo sport pulito,
conforme ai valori etici dello sport.
A livello dei Ministri europei competenti per lo sport, durante e immediatamente dopo il
richiamato appuntamento di Losanna, si è discusso sui requisiti che un organismo come la WADA
dovesse possedere per garantire caratteri di terzietà rispetto ai Governi e alle organizzazioni
sportive.
Tale questione è stata risolta attraverso una particolare composizione del Conseil de fondation,
costituito da un numero massimo di 40 componenti, di cui 18 designati dal movimento olimpico (4
devono essere atleti), altrettanti dalle organizzazioni governative e i rimanenti dal Consiglio, su
proposta congiunta del movimento sportivo e delle autorità pubbliche (cfr., art. 6 Statuto WADA).
Si è affermato che tale particolare composizione costituisca il coronamento di un’esigenza di creare
una stretta sinergia tra la capacità del potere pubblico di intervenire giudiziariamente nei confronti
dei responsabili del commercio illegale delle sostanze dopanti ed i poteri disciplinari
dell’organizzazione sportiva.
L’Agenzia, nel perseguimento degli scopi precedentemente analizzati, elabora e pubblica
ogni cinque anni un determinato programma d’azione.
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DOTTRINA
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I programmi finora adottati (uno relativo al quinquienno 1999-2004 ed il secondo inerente al
periodo 2004-2009) oltre a descrivere gli elementi necessari al raggiungimento, rispettivamente,
degli obiettivi di adozione del codice mondiale anti-doping, prima delle Olimpiadi di Atene del
2004, e dell’implementazione e monitoraggio dell’effettiva applicazione del codice stesso, si
caratterizzano per ulteriori importanti iniziative appartenenti alle seguenti aree tematiche:
- ricerca scientifica: la WADA si impegna ad incrementare il volume di risorse dedicate non
solo allo sviluppo di nuovi metodi per l‘individuazione dell’utilizzo di sostanze (come l’epo o
l’ormone della crescita) e metodi proibiti non rilevabili dai semplici test sulle urine, ma anche alla
ricerca di nuovi prodotti e metodologie atti ad aumentare artificialmente le prestazioni agonistiche
degli atleti (si ricorda che la lista delle sostanze e metodi il cui utilizzo integra il doping è
modificata e pubblicata annualmente sul sito della WADA), con particolare attenzione alla nuova
frontiera del doping genetico.
Secondo quanto riportato dalle pubblicazioni in materia, si stima che dal 2001 WADA abbia
investito più di 14 milioni di dollari in progetti di ricerca. E proprio sul cd. doping genico si
richiama l’accordo concluso nel mese di gennaio 2007 tra la WADA e il Centro Internazionale di
Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste, il quale ha ottenuto dall’Agenzia un
finanziamento di 430.000 dollari per una ricerca finalizzata a identificare in tempi brevi (in
previsione delle Olimpiadi di Pechino nel 2008) i “markers”, ovvero quelle proteine o altre sostanze
che evidenziano la presenza di vettori nell’organismo e quindi l’utilizzo di doping genico.
Test a sorpresa fuori dalle competizioni: rappresentano al tempo stesso il metodo di
accertamento ed il deterrente più efficace nei confronti di coloro che vogliano far ricorso all’utilizzo
di sostanze vietate. Il programma disposto dall’Agenzia integra i regolamenti adottati dalle diverse
federazioni internazionali. In particolare, si prevede che i test siano eseguiti dagli agenti
dell’Agenzia di concerto con le Federazioni Internazionali ed in conformità a quanto da queste
predisposto nei propri regolamenti in materia di test a sorpresa.
A tal proposito, si ricorda che l’Agenzia ha recentemente sottoscritto un accordo con tutte le
Federazioni Internazionali partecipanti alle Olimpiadi, estive ed invernali.
Il programma prevede sia i tradizionali controlli sulle urine ed ematici, che test incrociati
urine-sangue al fine di rilevare la presenza di particolari sostanze come l’EPO.
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DOTTRINA
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In conformità con quanto previsto dalla Dichiarazione di Losanna, la gestione dei risultati,
inclusi gli accertamenti in occasione di risultati sospetti, rimane di esclusiva competenza delle
Federazioni internazionali (così come l’eventuale procedimento disciplinare).
Si prevede, inoltre, l’estensione del programma sui test anche alle discipline sportive non
inserite nel programma olimpico, di concerto con le rispettive Federazioni.
Educazione: ritenendo essenziale, ai fini di una lotta efficace al doping, aumentare la
consapevolezza degli atleti (in particolare dei giovani) sulla minaccia rappresentata dal doping e
sulle conseguenze, sia di tipo medico che disciplinare, dell’eventuale utilizzo di sostanze e metodi
vietati, l’Agenzia ha finanziato numerosi progetti didattici (anche in accordo con i singoli governi
nazionali) finalizzati al potenziamento della politica di prevenzione.
Inoltre, in collaborazione con le agenzie anti-doping nazionali, le federazioni internazionali e
la commissione atleti del CIO, è stato realizzato un programma interattivo che, sotto il nome
“passaporto degli atleti”, permette agli atleti ed ai dirigenti sportivi di reperire tutte le informazioni
a disposizione sui controlli anti-doping attraverso l’utilizzo di semplici link telematici.
In particolare, il programma si articola in tre aspetti principali:
1) gli atleti possono non solo esaminare sul sito materiale educativo sugli effetti dannosi del
doping, ma possono accedere anche ad informazioni esaustive ed aggiornate sui controlli
antidoping, come la relativa disciplina vigente e l’elenco delle sostanze e metodi vietati;
2) viene creata la c.d. “camera di compensazione”, data base in cui vengono inserite, raccolte,
registrate e classificate le informazioni sui controlli anti-doping di ciascun atleta affiliato, ed il cui
contenuto è accessibile esclusivamente da parte dei funzionari autorizzati;
3) grazie al sito internet è possibile stabilire una linea di comunicazione diretta fra atleti e
WADA.
Organizzazioni anti-doping nazionali: un ruolo decisivo per ottenere l’armonizzazione delle
strategie antidoping, è rappresentato dalla creazione e sviluppo di programmi anti-doping nazionali
sufficientemente efficaci. L’Agenzia si è fatta promotrice di programmi di collaborazione e servizi
di consulenza volti ad appoggiare le singole nazioni, ed in particolare i paesi in via di sviluppo, ad
incrementare e sviluppare validi programmi anti-doping in applicazione del codice mondiale.
Le conclusioni adottate ad Olimpia, sopra richiamate, sono state successivamente presentate
dalla Commissione dell’Unione europea nella Relazione di Helsinki del dicembre 1999. A tali
posizioni si è allineato il Comitato delle regioni, il quale, con il parere “Il modello europeo di
sport”, adottato nel settembre 1999, ha sottolineato, in particolare, la necessità di redigere un elenco
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DOTTRINA
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comune delle sostanze proibite nell’Unione europea, allo scopo di evitare una situazione anomala in
cui determinate sostanze sono autorizzate in alcuni Stati membri e vietate in altri.
Tale obiettivo è stato ribadito dalla Presidenza francese dell’Unione europea, nella riunione
dei ministri dello sport del 6 novembre 2000.
Nella Dichiarazione sullo sport adottata dal Consiglio europeo a Nizza (7-9 dicembre 2000),
nella parte relativa alla “Protezione dei giovani sportivi”, si sono sottolineati i vantaggi della pratica
sportiva per i giovani, insistendo sulla necessità che una particolare attenzione sia prestata
all’educazione ed alla formazione professionale dei giovani sportivi di alto livello e, in particolare,
alla prevenzione del doping.
Nel 2001 l’Unione Europea, di concerto con i Comitati Olimpici Europei, alcune Federazioni
sportive internazionali, e in collaborazione con il CIO, ha promosso il progetto denominato
CAFDIS (Concerted action in the fight against doping). Esso consiste nella realizzazione di una rete
capillare di comunicazioni tra organismi nazionali ed internazionali impegnati nella lotta contro il
doping nello sport finalizzata alla raccolta dei risultati e delle informazioni sull’utilizzo di sostanze
e metodologie vietate nello sport (cfr., www.CAFDIS-antidoping.net).
In occasione del Forum europeo sullo sport svoltosi a Bruxelles il 17-18 ottobre 2001, il
gruppo di lavoro che si occupa della lotta contro il doping nello sport, dopo aver sottolineato il
preoccupante sviluppo delle pratiche di doping, quale espressione non più di un comportamento
individuale, ma risultato di azioni organizzate, che mettono in pericolo la salute e la vita degli
sportivi, soprattutto giovani, ha ribadito il problema della mancanza di armonizzazione delle liste,
delle regole e delle procedure.
Inoltre, si è evidenziata l’importanza di combattere le ragioni strutturali che sono alla base
della proliferazione del doping ed in particolare le esigenze economiche che esercitano una forte
pressione sugli atleti. Si tratta dunque di prendere di mira il doping strutturale ed evitare di
focalizzarsi esclusivamente sulla repressione individuale.
Lo sportivo non è il solo colpevole. E’ necessario identificare i fattori che creano un ambiente
nell’ambito del quale l’atleta è talvolta spinto al doping. Va approfondito, inoltre, anche il ruolo dei
medici, promuovendo, pertanto, un vero dialogo sociale a scala europea nell’ambiente sportivo.
Tali principi sono stati ribaditi in occasione del Seminario Euromediterraneo sul doping,
svoltosi a Marrakech il 21-23 gennaio 2002 (cfr., http://europa.eu.int/comm/sport/index_it.html).
In particolare, si è affermato che il doping costituisce un fenomeno internazionale, contro il
quale si impone la cd. “tolleranza zero”.
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DOTTRINA
La dimensione internazionale………
Ciò comporta la necessità per tutti i soggetti coinvolti (Stati, CIO, WADA, Comitati nazionali
olimpici e Federazioni sportive internazionali) di cooperare per promuovere e armonizzare la lotta
contro il doping, adottando non solo sanzioni adeguate, ma anche misure di prevenzione, di
educazione, di formazione e di informazione.
Il Parlamento europeo, con la Risoluzione del 14 aprile 2005 sulla lotta contro il doping nello
sport, ha invitato la Commissione europea ad adottare una politica efficace e integrata in tutti i
settori collegati alla lotta contro il doping, a sostenere una campagna intensiva di informazione e di
sensibilizzazione, nonché a favorire la cooperazione fra gli Stati membri.
3. Il Codice Mondiale Antidoping
Con la sottoscrizione della Dichiarazione di Copenhagen avvenuta al termine della
Conferenza mondiale sul doping svoltasi dal 3 al 5 marzo del 2003, i quasi ottanta Governi
firmatari, i rappresentanti di organizzazioni sovranazionali e la totalità delle Federazioni
Internazionali e dei Comitati Olimpici Nazionali, hanno riconosciuto il ruolo della WADA come
massima autorità di riferimento nella lotta al doping, e si sono impegnati nel suo supporto e
finanziamento. Nel corso della stessa occasione l’Agenzia ha provveduto all’approvazione della
bozza finale del Codice Mondiale Antidoping che, sostituendo il precedente Codice del Movimento
Olimpico adottato dal CIO, viene oggi a rappresentare il documento fondamentale ed universale su
cui si basa il Programma Mondiale Antidoping.
Quest’ultimo costituisce il mezzo elaborato dall’Agenzia al fine del raggiungimento degli
scopi attribuitegli.
In particolare, il Programma, al fine di tutelare il diritto fondamentale degli atleti alla pratica
di uno sport libero dal doping e quindi promuovere la salute, la lealtà e l’uguaglianza di tutti gli
atleti del mondo, e di garantire l’applicazione di programmi antidoping armonizzati, coordinati ed
efficaci sia a livello mondiale che nazionale (…), prevede la realizzazione ed utilizzazione di diversi
strumenti:
• il Codice Mondiale Anti-doping;
• gli Standard Internazionali: documenti tecnicamente diversi dal Codice, ma a cui questo
specificatamente rinvia, volti all’armonizzazione degli specifici aspetti tecnici ed operativi delle
singole normative antidoping ed alla cui aderenza i soggetti firmatari del codice sono obbligati.
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DOTTRINA
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Accanto alla lista delle sostanze e dei metodi vietati, gli Standard Internazionali elaborati dalla
WADA riguardano le procedure relative all’esecuzione dei test, nonché all’accreditamento dei
laboratori e alle esenzioni a fini terapeutici.
Il codice stesso prevede che l'osservanza di uno Standard internazionale in opposizione a un
altro standard o a una pratica o una procedura di natura diversa, è elemento sufficiente a concludere
che le procedure – a cui lo Standard Internazionale si riferisce- sono state eseguite correttamente.
• i cosiddetti “Models of best practice”: veri e propri modelli di regolamenti antidoping
destinati ai soggetti che aderiranno al programma.
Il Codice rappresenta un nuovo corpus di regole finalizzato non solo a rafforzare l’armonia tra
le politiche antidoping elaborate dalle singole Federazioni Internazionali riportate nel pregresso
Codice del Movimento Olimpico, ma anche e soprattutto - per la prima volta - ad armonizzare la
normativa antidoping elaborata dai singoli governi nazionali. In coerenza con tali finalità l’Agenzia
ha elaborato un piano generale che ha portato il codice ad essere pienamente operativo per le
Olimpiadi di Atene del 2004.
Inizialmente si è prevista una prima fase (iniziata nel giugno del 2002) di diffusione e
circolazione della bozza del Codice presso Federazioni, Governi ed organismi internazionali, a cui
ha fatto seguito la seconda fase dedicata all’approvazione da parte dell’Agenzia (avvenuta nella
conferenza di Copenhagen), della versione definitiva del Codice stesso redatta recependo le
proposte di emendamento avanzate dagli organismi alla cui attenzione la bozza era stata
precedentemente sottoposta.
Infine, per quanto attiene la terza fase relativa all’operatività effettiva del codice, è questo
stesso ad individuare le modalità di adesione ed attuazione dei provvedimenti in esso contenuti da
parte dei soggetti interessati. In particolare, nella quarta parte del codice dedicata all’“accettazione,
osservanza e modalità di modificazione del Codice Mondiale Antidoping”, si individua il termine
per l’adesione da parte di tutti gli organismi interessati -sportivi e governativi - coincidente con la
data d’inizio dei Giochi Olimpici di Atene del 2004.
Il termine ultimo, invece, per l’attuazione del Codice (e quindi per l’adeguamento della
propria normativa ai principi e obblighi in questo previsti) risulta diversificato a seconda che si tratti
di organismi sportivi o governativi, essendo previsto come riferimento, per i primi la data di inizio
delle Olimpiadi di Atene 2004, e per i secondi l’inizio delle Olimpiadi Invernali di Torino del 2006.
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DOTTRINA
La dimensione internazionale………
Sono previste sanzioni diverse a seconda che un soggetto firmatario (CNO, FSI) o un Governo
non accettino - prima - o non diano attuazione - dopo - alle norme previste dal World Anti-doping
Code.
Per i Comitati Olimpici Nazionali e le federazioni sportive internazionali che non abbiano
adottato il Codice entro il 13 agosto 2004, la sanzione - comminata dal CIO su indicazione della
WADA - consiste nell’esclusione della propria rappresentanza sportiva ai Giochi di Atene.
Bisogna inoltre ricordare come la Carta Olimpica, grazie ad un recente emendamento,
prevedendo l’obbligatorietà dell’applicazione del Codice da parte del Movimento Olimpico,
sostanzialmente ponga come necessaria l’adozione delle norme previste dal Codice stesso da parte
dei regolamenti delle Federazioni Internazionali affinché le relative discipline sportive possano
continuare ad essere incluse nel programma olimpico.
Per quanto riguarda, invece, l’operato dei governi, l’accettazione ed attuazione del Codice
risultano essere necessarie nel caso in cui una nazione voglia ospitare un’edizione dei Giochi
Olimpici o di un Campionato del Mondo, mentre, affinché un paese possa prendere parte a questi
eventi organizzati nel territorio di un altro stato, è sufficiente che il codice sia stato accettato ed
attuato dal proprio comitato olimpico.
4. La Convenzione dell’UNESCO contro il doping nello sport
Occorre precisare che mentre il CIO, le federazioni internazionali, i Comitati olimpici
nazionali e le organizzazioni nazionali antidoping possono direttamente approvare il Codice
Mondiale Antidoping (firmando una dichiarazione di accettazione comune su approvazione di
ciascuno dei propri rispettivi organi di gestione) che in questo modo diviene per loro direttamente
vincolante, i governi, non potendo essere legalmente vincolati ad un regolamento elaborato da
un’organizzazione di diritto privato come la WADA, si sono limitati alla sottoscrizione della
Dichiarazione di Copenhagen - documento di carattere politico - manifestando così l’impegno a
fornire il proprio supporto alla lotta contro il doping e ad adeguare la propria legislazione ai principi
stabiliti dal Codice.
16
DOTTRINA
La dimensione internazionale………
Per ottenere il riconoscimento ufficiale del Codice e far nascere il conseguente obbligo
positivo a carico degli stati di assicurarne l’effettiva applicazione adottando anche misure di ordine
legislativo, occorre invece la ratifica, da parte dei singoli governi, della Convenzione Internazionale
contro il Doping, il cui testo, elaborato sotto l’egida dell’UNESCO, è stato approvato a Parigi il 21
ottobre 2005 in occasione dell’Assemblea Generale di tale organismo (cfr., www.unesco.org) ed è
entrata in vigore il 1° febbraio 2007.
Si tratta del primo strumento giuridico riconosciuto a livello internazionale attraverso il quale:
a) armonizzare sia le legislazioni nazionali in materia di contrasto al doping, sia la
cooperazione tra Stati, Movimenti e Organizzazioni Sportive internazionali e nazionali nella
realizzazione di controlli antidoping e di programmi di educazione, informazione e ricerca;
b) superare i limiti degli strumenti giuridici internazionali preesistenti in materia, quali:
1) la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1989, sopra richiamata - ratificata dall’Italia nel
1996 – caratterizzata però da una valenza soprattutto europea;
2) il Codice Mondiale Antidoping, istituito, come ricordato, nel 2003 dall’Agenzia Mondiale
Antidoping, come primo strumento internazionale che mira ad armonizzare le regole relative alla
lotta al doping in tutti gli sport e in tutte le Nazioni, ma che non ha forza coercitiva, data la natura,
sostanzialmente privatistica, dell’Agenzia che lo ha emanato.
La Convenzione dell’UNESCO diventa, quindi, il primo strumento giuridico a carattere
obbligatorio, che aspira a dare una risposta ad un problema mondiale, una reazione strutturata ad un
fenomeno che svilisce i valori etici e sociali dello sport, oltre a mettere in pericolo la salute degli
degli sportivi1.
A Parigi, nella sede dell’UNESCO, dal 5 al 7 febbraio 2007, si sono riuniti i Governi parte
della Convenzione impegnandosi ad adottare tutti gli strumenti necessari per combattere il
fenomeno del doping, finanziando, in particolare, il Fondo previsto dalla Convenzione in parola.
Nell’ambito della Conferenza il rappresentante del Ministro dello Sport francese ha evidenziato,
altresì, per quanto riguarda la previsione normativa del reato di doping anche nei confronti
dell’atleta, che la posizione dell'Italia è isolata.
1
A Coccia, La tutela internazionale della salute degli atleti e della lealtà sportiva: la lotta al doping, in AA.VV., Diritto
internazionale dello sport (a cura di G. Greppi e M. Vellano), G. Giappichelli Editore, 2005; G. Valori, Il Diritto nello Sport, G.
Giappichelli Editore, 2005; L. Musumarra, Il doping, in AA.VV., Diritto dello Sport, Le Monnier Università, 2004; R. Nicolai,
La lotta al doping tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in AA.VV., La tutela della salute nelle attività motorie e
sportive: doping e problematiche giuridiche, a cura di Carlo Bottari, Maggioli Editore, 2004; A. Rosano, Il doping nello sport
amatoriale, Istituto Italiano di Medicina Sociale, 2003, pubblicazione fuori commercio.
17
DOTTRINA
La dimensione internazionale………
L'eccessiva penalizzazione nuoce alla lotta contro il doping. Per noi non è normale vedere
un atleta dopato in prigione. Quello che noi proponiamo è che il diritto penale regoli il traffico di
sostanze dopanti.
(*) Avvocato - Professore a contratto di Diritto dello Sport - Università di Firenze
18
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
ADR E CONCILIAZIONE NELLO SPORT IN ITALIA
IN PARTICOLARE: IL RUOLO DELLA CAMERA DI CONCILIAZIONE E
ARBITRATO
PER LO
SPORT ( C.C.A.S.)
PRESSO IL
C.O.N.I.
E LA SUA RECENTE RIFORMA
di Lucio Colantuoni (*)
SOMMARIO:
1. Premessa e generalità
2. Il quadro internazionale delle A.D.R. nello Sport
– 2.1. In particolare: il T.A.S./C.A.S.
3. La Conciliazione sportiva in Italia : la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport
presso il C.O.N.I. (C.C.A.S.) e la sua recente riforma
4. La C.C.A.S. in funzione conciliativa
5. Casistica della C.C.A.S. in funzione conciliativa
6. Considerazioni conclusive.
19
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
1. Premessa e generalità.
Negli ultimi decenni si è registrata, a livello mondiale, una forte spinta culturale verso i
metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione statale (c.d. Alternative
Disputes Resolution methodos, meglio conosciuti con l’acronimo A.D.R.), istituti tramite i quali si
promuovono iniziative, alternative rispetto al sistema ordinario di risoluzione delle controversie,
finalizzate a porre pacifico, nonché legale, rimedio alle liti civili, commerciali e, come si vedrà ,
anche sportive
Sotto il profilo storico, in generale la tendenza a ricorrere a questi strumenti alternativi alla
giurisdizione ordinaria trae la sua forza propulsiva principalmente dagli Stati Uniti ed è
indubbiamente alimentata in maniera espansiva dalla parziale, ma crescente, incapacità dello Stato
di rispondere efficacemente alla domanda di giustizia della società civile, specie in talune aree e
materie.
Più in particolare, la nascita del movimento a favore degli istituti in questione viene fatta
coincidere con un preciso evento storico, ossia la conferenza tenutasi nel 1976 per celebrare il
settantesimo anniversario del discorso tenuto da Rascoe Pound, uno dei massimi esponenti del
diritto privato e processuale civile statunitense, dinanzi all’American Bar Association sul tema “The
Causes of Popular Dissatisfaction with the Administration of Justice”.
In tale sede, nel costatare che nel corso di cinquant’anni di riforme processuali i risultati erano
stati scoraggianti, furono presentate diverse proposte dirette a sottrarre alle Corti Civili alcune
categorie di controversie che sarebbero poi state dirottate verso organi privati, estranei all’apparato
giurisdizionale ed operanti con procedure più snelle ed informali, in maniera tale da sottrarre ai
giudici ordinari il sovraccarico di lavoro.
Negli anni successivi alla Pound Conference il fenomeno in esame si è poi distinto per una
vertiginosa evoluzione che ha visto la creazione di sempre nuovi e diversi procedimenti alternativi
alle forme ordinarie. Quindi, dagli Stati Uniti l’esperienza delle A.D.R. si è diffusa anche in Europa,
acquistando sempre più rilevanza, specie in relazione alle problematiche legate ai consumatori
trovando disciplina nella normativa comunitaria.
Infatti, la sensibilità e l’attenzione del legislatore comunitario per le forme di A.D.R. si è
evoluta nel corso del tempo e trova nella direttiva del 20 maggio 1997 n. 7, peraltro proprio in
materia di protezione dei consumatori nei contratti a distanza, un momento fondamentale,
20
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
sottolineando la necessità di promuovere procedimenti extragiudiziari per favorire l’accesso dei
consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie.
A tale direttiva ha poi fatto seguito la Raccomandazione del 30 marzo 1998 n. 257 sui principi
applicabili agli organismi adibiti alla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di
consumo, in cui si indica come via più idonea per la soluzione delle controversie insorgende la
creazione di procedure come la conciliazione e l’arbitrato nonché il rispetto dei sette principi guida
che ogni Stato Membro dovrebbe garantire alle differenti tipologie di A.D.R.: trasparenza,
indipendenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e rappresentanza.
L’accesso alle procedure alternative di risoluzione delle controversie è inoltre agevolato anche
dalla predisposizione da parte della Commissione di un modello standard di reclamo, reperibile online in ogni lingua dell’Unione Europea.
Con la Raccomandazione del 4 aprile 2001 n. 310/CE la Commissione ha poi proceduto a
stabilire i criteri minimi che vanno garantiti nella gestione delle controversie qualora il soggetto
terzo, individuato dalle parti per risolvere la questione, non emetta alcuna decisione ma si limiti ad
agevolare la soluzione conciliativa.
Infine, con il Libro Verde adottato dalla Commissione il 19 aprile 2002 si è proceduto a
presentare un quadro generale del fenomeno ADR nell’ambito dello spazio giuridico europeo.
Per quanto concerne in particolare il settore sportivo, come si approfondirà meglio nel
prosieguo, il ricorso allo strumento delle A.D.R., ed in specie al modello della Conciliazione, è un
metodo di risoluzione delle controversie piuttosto diffuso ed utilizzato, ritenuto opportuno poiché,
tra i tanti pregi, presenta – come anche ha sottolineato Bernard Foucher, Presidente del Consiglio
Francese dei Conciliatori - l’indiscutibile vantaggio di mantenere le relazioni personali e
professionali tra le parti con tutela della riservatezza reciproca, aspetti questi alquanto rilevanti
nello sport, dove si sa che le relazioni – o meglio le reputazioni e/o l’immagine – sono un valore
importante da preservare e tutelare anche, e soprattutto, in senso commerciale, in un ambiente
ristretto ed a vasta esposizione mediatica1.
La Conciliazione, come noto, è una negoziazione facilitata dall’intervento di un Terzo
imparziale il quale normalmente conduce le parti a ricercare (se possibile) una soluzione della
controversia (Conciliazione Facilitativa). In altri casi il Conciliatore esprime anche un proprio
parere tecnico professionale (Conciliazione Valutativa).
1
Gardiner (cur), Sports Law (2nd), Ed. Cavendish, 2002.
21
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Si tratta quindi, in sostanza, di una procedura negoziale e volontaria che permette alle parti di
elaborare la loro soluzione, ex novo e di natura negoziale, con l’assistenza del conciliatore il cui
scopo, pertanto, è quello di agevolare ed aiutare le parti nel conseguimento di un accordo per loro
soddisfacente, conducendo la trattativa attraverso una considerazione critica delle tesi contrapposte,
al fine di evidenziare anche i rischi connessi ad un eventuale contenzioso.
Se poi la Conciliazione non ha successo, le parti possono sempre devolvere la stessa
controversia al Tribunale o alle procedure arbitrali, senza pregiudizio delle proprie posizioni.
Va osservato, peraltro sinteticamente, che a differenza poi dell'Arbitrato o del Giudizio
Ordinario, dove si perviene ad una decisione autoritativa di un uno o più individui “terzi”(il c.d.
lodo arbitrale o la sentenza) e dove si tende a valutare giuridicamente comportamenti e/o
responsabilità per giungere a soluzioni coercitive, le procedure di Conciliazione, invece, pur
tenendo certamente conto di tali situazioni pregresse, mirano soprattutto a salvaguardare e
perfezionare le future relazioni tra le parti mediante soluzioni negoziali anche creative, che
permettono indubbi vantaggi quali minor costi e maggior celerità, sempre nella “privacy” nelle
procedure, e ciò, soprattutto, grazie all’informalità e all’assenza di limiti giuridici procedurali (ad
esempio, può essere utile per il conciliatore incontrare le parti anche separatamente, dunque senza
contraddittorio diretto) o sostanziali (ad esempio, la soluzione raggiunta non deve essere giustificata
sulla base di una rigorosa logica formale giuridica) 2.
Sotto il profilo strutturale, si evidenzia per completezza che la Conciliazione generalmente si
realizza per il tramite di due fasi procedimentali successive e separate, anche se la prima come si
vedrà è prodromica alla seconda.
In particolare, un’ipotetica procedura di conciliazione esperita presso un organismo ad hoc si
caratterizzerà per le seguenti fasi:
- Attivazione: generalmente con accordo scritto tra le parti;
- Scelta del conciliatore: l’organismo di A.D.R. sceglierà il Conciliatore, tenendo conto delle
specifiche conoscenze tecniche e giuridiche;
- Fase preliminare: precedentemente all’incontro le parti potranno depositare eventuali memorie
scritte per meglio specificare le loro argomentazioni
- Negoziato: il Conciliatore fissa un calendario degli incontri di conciliazione, da tenersi in forma
congiunta e separata
2
M. Coccia , La risoluzione dei conflitti in ambito sportivo, in www.iusport.es
22
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
- Accordo: in caso di accordo si stilerà un documento scritto opportunamente sottoscritto dalle parti
- Mancato accordo: il Conciliatore suggerirà alle parti diverse procedure alternative di risoluzione
della lite
Come si nota, in primis, viene dunque in evidenza il c.d. tentativo di Conciliazione, ossia un
procedimento che si svolge davanti al conciliatore ed in cui lo stesso presenta il programma di
Conciliazione con l’elenco dei punti da discutere e richiede alle parti eventuali memorie.
Successivamente si incontra (se riuscita) la fase dell’accordo, in cui le parti a seguito di una o
più sedute, caratterizzate da un vivace contraddittorio, con l’eventuale assistenza di consulenti o
difensori (con la conseguenza che la difesa tecnica si rivela per essere non obbligatoria),
pervengono alla soluzione finale trasportata poi in un atto scritto che definisce tutti i punti in
contestazione.
In tale fase il conciliatore assume un’importanza vitale in quanto, ferma l’assenza di poteri
autoritativi o coercitivi, deve condurre le trattative facendo ragionare le parti in termini concreti sul
possibile accordo, facilitando anche i rapporti personali in maniera tale che anche in caso di
insuccesso si sia comunque fatto un passo avanti per capire le ragioni di dissenso della controparte
Proprio all’utilizzo di questa specifica tecnica di risoluzione delle controversie anche in
ambito sportivo è dedicato il presente contributo.
2. Il quadro internazionale delle ADR nello Sport
A livello internazionale, la tendenza dei vari Ordinamenti Sportivi è consolidata nel senso di
escludere quanto più possibile la giurisdizione dei Giudici Ordinari in tema di controversie sportive,
preferendo che le stesse siano risolte all’interno degli stessi organismi sportivi da parte dei
competenti organi di giustizia (la c.d. Giustizia Sportiva), oppure (specie in America ed Inghilterra)
da altre ed autorevoli strutture conciliative esterne di carattere generale.
In particolare, l’esponenziale aumento del contenzioso in materia sportiva ha fatto riflettere
numerose organizzazioni sulla convenienza di istituire organismi di rapida risoluzione dei litigi
nella specifica materia.
Col tempo si sono così create differenti realtà istituzionali preposte proprio alla risoluzione
delle controversie sportive e le più significative sono rappresentate da organi quali il T.A.S/C.A.S.
in Svizzera, Tribunal Arbitral du Sport (denominazione francese)/ Court of Arbitration for Sport
(denominazione inglese), oppure l’inglese UK Sport Dispute Risolution Panel (c.d. S.D.R.P.), o
23
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
ancora l’australiano National Sport Dispute Center (c.d. N.S.D.C.). o infine l’olandese Netherlands
Mediation Institute (c.d. N.M.I.).
Senz’altro un’esperienza di rilevante importanza nelle A.D.R. sportive è quella fornita dal
panorama inglese, ed in particolare dal S.D.R.P., organo di recente formazione (2000) con sede a
Londra. La sua articolazione è modellata sull’esempio offerto dal T.A.S./C.A.S. ( di cui meglio si
dirà infra) e anch’esso offre un servizio di mediazione basato sul S.D.R.P. Model Mediation
Agreement (ispirato peraltro a sua volta al C.E.D.R. Model Mediation Agreement). Il conciliatore,
che non è né un Agente né un impiegato dello stesso Ente è scelto dalle parti in un apposito Elenco
depositato presso lo stesso Centro.
Altrettanto significativa è poi l’esperienza rappresentata dal N.S.D.C., organo di A.D.R.
sportiva d’oltre oceano con sede a Sidney. Quest’ultimo nacque nel 1996 e offre anch’esso un
servizio di arbitrato e mediazione a tutti gli individui ed organizzazioni legati allo sport, incluse
anche tutte quelle realtà limitrofe che ruotano attorno a questo
2.1. In particolare il T.A.S/ C.A.S
Nel dettaglio, però, l’esperienza senz’altro più interessante e strutturata è quella rappresentata
dal T.A.S./C.A.S3.
Tale ente fu creato dal Comitato Olimpico Internazionale (C.I.O.) nel 1983, in occasione della
sessione di Nuova Delhi, sotto l’egida dell’allora presidente Juan Antonio Samaranch, in virtù del
fatto che già a partire dai primi anni ‘80 si era cominciata a lamentare la mancanza di una
giurisdizione alternativa (arbitrale o conciliativa) specializzata nel dirimere le controversie sportive
all’interno dell’ordinamento sportivo internazionale.
Attualmente tale organo ha la sede a Losanna (CH) e vanta anche altre due filiali di cui una a
New York (USA) ed una a Sidney (AUS).
La sua composizione, disciplinata dallo Statuto del 30 giugno 1984, è mutata nel tempo
passando dagli originali 60 membri agli attuali 200 (ed oltre) arbitri provenienti da più di 55 paesi
differenti, designati dal C.I.O., dalle Federazioni Internazionali, dai Comitati Nazionali Olimpici e
selezionati in base alle loro conoscenze giuridiche e sportive.
3
L. Fumagalli, La Giurisdizione sportiva internazionale, in Diritto internazionale dello sport, a cura di E. Greppi e M.
Vellano, ed. Giappichelli , 2006;
24
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
L’attività di tale organo in un primo momento incontrò alcune difficoltà, soprattutto per la
supposta carenza di terzietà ed indipendenza dallo stesso CIO, specie per le controversie in cui lo
stesso Comitato Internazionale fosse stato parte in una controversia sulla quale un collegio del
T.A.S. fosse stato chiamato a giudicare.
In tal senso si ricorda la sentenza del 15 marzo 1993 con cui il Tribunale Federale Svizzero, in
una controversia tra un atleta e la Federazione Equestre Internazionale ( F.E.I.), attribuiva al T.A.S.
la qualità di autentico Tribunale Arbitrale indipendente e come tale riconosciuto4.
In seguito il 22 giugno 1994, con la sottoscrizione da parte delle più alte autorità sportive
(C.I.O., F.I.S.), della Convenzione relativa all’istituzione del C.I.AS. ( di cui meglio si dirà in
seguito), la c.d. Convenzione di Parigi, tutte le Federazioni Internazionali, nonché molti Comitati
Nazionali Olimpici, riconoscevano la giurisdizione del T.A.S., inserendo di fatto nei loro Statuti una
clausola di arbitrato in favore dello stesso organo.
Il lungo procedimento di riforma ed indipendenza si completò così il 22 novembre 1994 con
l’entrata in vigore del Codice dell’Arbitrato in materia sportiva, il quale ha regolato
l’organizzazione e la procedura operativa del T.A.S./C.A.S. facendo sì che tale ente assumesse
sempre più una propria autonomia ed indipendenza.
Tale codice è stato di recente oggetto di una moderna opera di rivisitazione per aggiornarlo
con i sopravvenuti orientamenti espressi dallo stesso Ente5.
Dal punto di vista strutturale l’opera di codificazione risulta composta di 69 articoli e si riparte
in due sezioni: la prima spiccatamente statutaria è dedicata alla disciplina degli organi che
concorrono alla risoluzione delle controversie ( S1-S26), mentre la seconda alle disposizioni
procedurali relative allo svolgimento dei giudizi sottoposti al T.A.S.(S27-S69) .
Ma l’autonomia del T.A.S. è stata raggiunta soprattutto grazie alla creazione dell’anzidetto
Consiglio Internazionale per l’Arbitrato Sportivo (il c.d. C.I.A.S. ) una struttura, composta di venti
membri, dotati di competenza giuridica di alto livello, nominati per un periodo rinnovabile di 4
4
La questione era sorta nell’ambito di un giudizio di impugnazione di un lodo emesso dal TAS/CAS, e verteva sulla
necessità di verificare se la pronuncia possedesse i requisiti di una sentenza arbitrale. In particolare, occorreva
analizzare se il collegio fosse imparziale alla luce del principio in base al quale un Collegio Arbitrale organo di
un’associazione (nel caso in esame il FEI) parte dell’arbitrato, non presenterebbe caratteristiche di indipendenza.
I giudici svizzeri stabilirono che nel caso di specie non vi fosse collegamento tra TAS e FEI.
La controversia, però, evidenziava tali problemi nei confronti del CIO con eccezioni rimaste poi non isolate.
Tribunale Federale Svizzero 15 marzo 1993 in RDS 1994, 509
5
L’ultima edizione del Codice attualmente in vigore risale al 1 gennaio 2004.
25
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
anni, che sovrintende alla gestione del T.A.S./C.A.S. ed ha come finalità quella di garantire
l’indipendenza del T.A.S. ( S4)
Al C.I.A.S spettano sia funzioni di carattere organizzativo (come per es. l’adozione e la
modificazione dello stesso Codice dell’Arbitrato6, la nomina dei Presidenti delle Camere in cui si
struttura il T.A.S., la nomina dei componenti della lista da cui devono poi essere scelti gli arbitri
chiamati a risolvere la controversia, la nomina del Segretario Generale del T.A.S.) che altresì
funzioni di carattere finanziario, allorchè amministra il Fondo per il funzionamento del T.A.S.
nonché giurisdizionale come quando è chiamato a pronunciarsi sulla revocazione e sulla ricusazione
degli arbitri.
Al T.A.S. compete invece la risoluzione delle controversie attraverso l’espletamento di
funzioni sia di Arbitrato sia, a partire poi dal 1999, di Conciliazione, potendo anche essere adito per
qualsiasi controversia sportiva a condizione, ovviamente, che le parti (atleti o club, federazioni,
organizzatori di manifestazioni sportive, sponsor, società di media ecc.) gli abbiano assegnato la
competenza a decidere mediante clausola compromissoria7.
Nell’espletamento delle prime l’organo opera in composizione collegiale e si costituisce con
tre arbitri individuati da un apposito Albo predisposto dal C.I.A.S., di cui due scelti dalle parti ed il
terzo designato di comune accordo.
Nell’esercizio invece delle seconde il conciliatore è scelto da un apposito Elenco depositato
presso lo stesso C.I.A.S.
Infine, al T.A.S. spettano anche funzioni consultive8 ( S12; R60-62). Tale funzione può essere
attivata dal C.I.O. dalle F.S.I., dai Comitati Olimpici Nazionali, dalla W.A.D.A., dalle Associazioni
riconosciute dal C.I.O. ed ha ad oggetto qualsiasi questione giuridica collegata all’attività sportiva.
I recenti dati statistici hanno evidenziato come nel corso degli anni, ed in forza dei successivi
interventi di modifica ed adeguamento regolamentari, si è assistito ad un ampliamento delle materie
ad esso sottoposte.
Negli ultimi tempi, infatti, il T.A.S./C.A.S ha trattato casi di doping e questioni di natura
normativa relative all’applicazione di statuti e regolamenti federali, per arrivare, infine, alla
6
Riunito in Seduta plenaria e con la maggioranza dei 2/3 dei membri
7
A tal proposito si sottolinea che sono molte le Federazioni Sportive Internazionali che hanno inserito nello statuto o in
specifici regolamenti di gara la competenza del T.A.S./C.A.S. a risolvere in appello reclami di atleti o club affiliati
contro la Federazione. Si segnala poi che in occasione dei Giochi Olimpici di Atlanta, il C.I.A.S. ha istituito sul luogo
un’apposita camera arbitrale del T.A.S./C.A.S. per risolvere eventuali controversie in via immediata.
In tal senso si ricorda per es. il parere reso il 26.04.05 sul caso Juventus in materia di doping
8
26
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
competenza d’appello sulle statuizioni adottate da organismi interni alle stesse federazioni
relativamente a fatti di natura tecnico – disciplinare.
In funzione arbitrale, esso ha esteso la propria competenza fino a comprendere le vertenze
commerciali legate allo sport (contratti di sponsorizzazione, contratti tra organizzatori di eventi
sportivi e partner di società specializzate in comunicazione per diritti di pubblicità, contratti di
lavoro con atleti, contratti di vendita dei diritti televisivi, ecc).
Quanto invece alle funzioni conciliative, qualora le parti si siano accordate per impegnarsi a
risolvere eventuali controversie sportive tramite l’aiuto di un Conciliatore, queste devono
indirizzare una domanda scritta al T.A.S./C.A.S.e la procedura si svolge dinanzi la Seconda Sezione
dello stesso.
Il Conciliatore aiuterà le parti a trovare una soluzione alla controversia anche se non potrà
imporre una decisione finale alle stesse.
Raggiunto l’accordo questo verrà tradotto in un apposito documento sottoscritto dai presenti.
Durante gli incontri le parti possono poi farsi rappresentare o assistere da persone che non
devono necessariamente essere Avvocati.
La procedura da seguire può essere scelta dalle parti o individuata dal conciliatore.
Quanto ai costi, fino a che l’onorario non è stato pagato al T.A.S./C.A.S. la Conciliazione non
è avviata.
Nel caso poi di conciliazioni internazionali la clausola potrebbe anche includere previsioni
sulla lingua da usare, in assenza il T.A.S./C.A.S. dovrebbe scegliere un altro idioma secondo gli
accordi della Corte, in tal caso si può ordinare alle parti di pagare le relative spese di traduzione.
3. La Conciliazione sportiva in Italia : la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo
Sport presso il C.O.N.I. (C.C.A.S.) e la sua recente riforma
Per quanto concerne, invece, la realtà italiana si evidenzia che l’istituto della Conciliazione
non è un procedimento ignoto all’ordinamento sportivo. Anzi è stato oggetto nel 2000 di espressa
previsione normativa regolamentare, in epoca più recente soggetta ad ulteriore riforma
Infatti, già l'art. 12 dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.),
approvato con D.M. il 28 dicembre 2000 a seguito della significativa riforma dell’ordinamento
sportivo apportata dal c.d. decreto Melandri (D.Lgs. n. 242/99), aveva istituito la Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (C.C.A.S.) introducendo così una novità assoluta nell'ambito
27
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
dell'ordinamento sportivo nazionale, che fino a quel momento era privo di uno specifico organo
sovrafederale di garanzia e di giustizia, ispirato al rispetto dei principi di terzietà autonomia ed
indipendenza e capace di assicurare, da un lato, un numero di procedimenti giurisdizionali più celeri
e, dall’altro, la riduzione del numero delle controversie sottoposte alla cognizione dell'Autorità
Giudiziaria statale.
Con deliberazione del Consiglio Nazionale del C.O.N.I. n. 1188 del 1° agosto 2001, e
successive modifiche ed integrazioni apportate in data 03.06.2003, in attuazione di quanto previsto
appunto dall'articolo 12 dello Statuto C.O.N.I. (2001), è stato poi approvato il Regolamento della
Camera 2001.
Di recente l’assetto dell’ordinamento sportivo è stato nuovamente oggetto di revisione da
parte del legislatore attraverso il c.d. decreto Pescante (D.lgs. 15/04), a seguito del quale, per
conformarsi ai principi in esso contenuto, il C.O.N.I. ha provveduto a deliberare il 23 marzo 2004
il Nuovo Statuto, approvato con D.M. il 23 giugno 2004, cui è poi seguito il nuovo Regolamento
della C.C.AS. approvato il 3 febbraio 2005 il quale si distingue rispetto alla versione precedente per
l’introduzione di rilevanti novità, e di recente rivisitato il 24 gennaio 20069 con alcune precisazione
sulle disposizioni inerenti la Segreteria.
Le previsioni del Nuovo Statuto C.O.N.I. 2004 sono molto significative atteso che le
disposizioni di cui all’art. 12 Statuto C.O.N.I. 2004 consacrano definitivamente la C.C.A.S.
Per quanto concerne i profili strutturali la Camera (che è formata da 9 membri: 5 fissi, tra cui
il Presidente,
e 4 estratti a rotazione semestrale dall’Elenco di esperti formato dalla stessa
C.C.A.S.) “svolge funzioni consultive, promuove la conciliazione e presiede alle procedure arbitrali
in conformità al Regolamento” (art 1)
applicando le norme di diritto e le norme e gli usi
dell’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale.
Dal punto di vista funzionale, quale che sia la funzione esercitata, la Camera ha competenza
ex art. 12 comma 3 Statuto 2004 con pronunzia definitiva, sulle controversie che contrappongono
una F.S.N. (Federazioni Sportive Nazionali) a soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione
però che:
- siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione
o comunque
- si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale.
9
Approvato con delibera della Giunta Nazionale del C.O.N.I. n. 0057 del 24 gennaio 2006
28
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Restano in ogni caso escluse dall’area di competenza della C.C.A.S.
- le controversie di natura tecnico-disciplinare che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni
inferiori a centoventi giorni ( art 12 co. 3);
- le controversie in materia di doping 10 (art. 12 co.3);
- le controversie per le quali siano stati istituiti procedimenti arbitrali nell'ambito delle
Federazioni (art. 12 comma 6 Statuto).
Lo Statuto 2004 prevede ancora che:
alla Camera possa comunque essere devoluta con clausola compromissoria qualsiasi controversia in
materia sportiva anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati ( art. 12 comma 5);
nelle materie riservate agli organi di giustizia sportiva ai sensi dell’art. 2 L. 280/03 è possibile il
ricorso solo all’arbitrato irrituale (art. 12 comma 8).
Per quanto concerne sempre gli aspetti normativi, si segnala ancora che l’attuale Regolamento
della Camera si presenta, rispetto alla versioni precedenti, soprattutto quelle 2001 e 2004,
decisamente più dettagliato nell’analisi delle funzioni espletate dal Consiglio di Presidenza (per es.
elezione dei componenti, emissione del parere non vincolante sulla nomina del Segretario,
ricusazione e revoca degli arbitri, formazione dell’Elenco dei Presidenti dei Collegi ecc., art 1) e
nella previsione di un apposito Registro di gratuito patrocinio istituito dalla Giunta Nazionale per
facilitare la scelta dei difensori, la cui attività si presenta dunque come gratuita ( art.2).
Significative novità, frutto dell’esperienza nel frattempo maturata, si sono introdotte, come si
approfondirà in seguito, anche in materia di termini processuali.
La nuova disciplina pone comunque dei dubbi interpretativi, in quanto il vecchio art. 12
comma 7 Statuto C.O.N.I. 2001, allorchè rimetteva alle parti, tramite clausola compromissoria, la
possibilità di devolvere alla Camera qualsiasi controversia in materia sportiva, faceva
espressamente salve le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3 vecchio Statuto (ossia quelle ora riportate agli
artt. 3 e 6).
10
Questa statuizione assume ora un profilo del tutto nuovo alla luce dell’introduzione del nuovo art. 13 Statuto C.O.N.I.
il quale esplicitamente prevede l’istituzione di un giudice di ultima istanza per le controversie in materia di doping .
La norma, infatti, dispone che il Consiglio Nazionale deve istituire e regolamentare il Giudice di Ultima Istanza con
funzioni concernenti il doping e deliberante sui ricorsi avverso le decisioni in materia degli organi di giustizia delle
Federazioni sportive nazionali e delle Discipline Sportive Associate.
L’art.13 co.2 precisa poi che gli Statuti delle F.S.N. e delle D.S.A. devono prevedere il deferimento al presente giudice e
devono ridurre i termini per lo svolgimento del giudizio, conformandosi anche ai principi fondamentali emanati dal
C.O.N.I. ed alle norme del nuovo Statuto.
29
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Tale dizione, invece, è stata omessa nella nuova versione dello Statuto 2004 ove si dispone
genericamente che alla Camera può essere devoluta tramite clausola compromissoria qualsiasi
controversia in materia sportiva (art 12 comma 5).
Nel silenzio del legislatore, resta da interpretarsi il nuovo scenario attinente ai poteri di
estensione della giurisdizione della Camera per volontà delle parti.
La ratio legis fa propendere per interpretare la disposizione nello stesso senso della vecchia
disciplina.
Questo significa che le parti potranno decidere di devolvere alla Camera “qualsiasi
controversia in materia sportiva”, ma restano fermi i limiti previsti dagli artt. 3 e 6 Nuovo Statuto
2004 (che, si ripete, prevede la competenza della Camera a patto che siano stati previamente
esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a
impugnazione nell’ambito della giustizia federale, e la esclude per le questioni di natura tecnicodisciplinare che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi giorni, nonchè per
le controversie in materia di doping o per quelle per cui si siano istituiti procedimenti arbitrali
nell'ambito delle Federazioni ).
Altra differenza rispetto alla vecchia formulazione statutaria risiede anche nei soggetti
“interlocutori”.
Lo Statuto C.O.N.I. 2001, infatti, parlava sempre indistintamente di F.S.N., D.S.A. ed Enti di
Promozione Sportiva.
Il Nuovo Statuto 2004, invece, detta le sue disposizioni avendo come soggetto referente
esclusivamente le F.S.N.
Per ovviare al gap così creatosi al comma 7 dell’art. 12 si è appositamente stabilito che la
disciplina prevista dall’articolo 12 in riferimento alle F.S.N. si applica integralmente anche alle
D.S.A. (Discipline Sportive Associate) e agli Enti di Promozione Sportiva ove previsto dai rispettivi
statuti.
In tal ultimo senso si esprime ora anche il Nuovo Regolamento della C.C.A.S. 2006, che
all’art. 29 prevede espressamente che la disciplina prevista in riferimento alle F.S.N. si applica
integralmente anche alle D.S.A. e agli Enti di Promozione Sportiva ove previsto dai rispettivi statuti
sicchè ogni riferimento alle F.S.N. è comprensivo del riferimento anche alle D.S.A. e agli Enti di
Promozione Sportiva.
Ancora, si segnala l’importanza rivestita dall’art. 28 del Regolamento il quale prevede, salvo
il diritto ad ogni azione competente alle parti, che qualora ad una “decisione” (lodo arbitrale o
30
DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
accordo conciliativo), non sia data esecuzione nel termine di un mese dalla data di verbalizzazione o
nel diverso termine fissato dagli arbitri o dai conciliatori, la Camera, su richiesta della parte
interessata, invita l’altra parte ad adempierla entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della
diffida.
Scaduto detto termine senza che la parte intimata abbia adempiuto, viene data notizia (con le
modalità previste dal Regolamento) ed il nome dell’inadempiente è comunicato alle autorità
sportive interessate per i provvedimenti di loro competenza.
Per quanto concerne i profili operativi. si ricorda che la C.C.A.S. svolge una triplice funzione
: consultiva, arbitrale e conciliativa; visto l’oggetto specifico del presente contributo. in questa sede
ci si concentrerà principalmente sulle questioni conciliative, pur accennando alle altre funzioni.
Per quanto riguarda, infatti, le funzioni consultive si ricorda brevemente che la Camera emette
pareri, non vincolanti, su questioni giuridiche in materia sportiva, con esclusione di quelle avanti
natura tecnico – sportiva, oppure con riferimento a controversie per cui è in atto una procedura
conciliativa o arbitrale, allorché gli organi dei C.O.N.I. o le Federazioni ne facciano richiesta (ex
art. 3 Regolamento).
Per quanto concerne, invece, le funzioni arbitrali, si segnala che l’art. 8 del Regolamento
dispone che ai sensi dell’art. 3, comma 1, ultimo capoverso, legge 17 ottobre 2003, n 280, le
procedure arbitrali disciplinate nel Regolamento si applicano, alternativamente:
quando sia previsto, anche mediante una specifica clausola compromissoria, nello statuto di
una Federazione sportiva nazionale (ed in tal caso la procedura è ammessa a condizione che siano
previamente esauriti i ricorsi interni alla FSN o comunque si tratti di decisioni non soggette ad
impugnazione nell’ambito della giustizia federale);
quando sia sottoscritta una clausola compromissoria negli atti di tesseramento, di affiliazione
o di domanda di iscrizione ai campionati;
quando vi sia comunque, tra le parti di una controversia riguardante la materia sportiva, un
accordo arbitrale ai sensi dello Statuto del C.O.N.I o di una F.S.N.
Il nuovo regolamento ( art 8), conferma i limiti di competenza stabiliti nello Statuto (art 12),
disponendo che l’arbitrato non potrà essere instaurato nelle materie di cui all’art 4 co 4
Regolamento (vale a dire ribadendo il limite delle sanzioni inferiori a 120 giorni e delle
controversie in materia di doping - già disposto ex art. 12 co. 3 Statuto - e statuendo il divieto di
instaurare una procedura arbitrale per le decisioni delle F.S.N. in tema di revoca o diniego
dell’affiliazione di società sportive, sulle quali ex art. 7 co. 5 Statuto C.O.N.I. ogni competenza è
31
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
riservata alla Giunta Nazionale del C.O.N.I.), nonché rinnovando l’esclusione dalle procedure
arbitrali delle controversie per cui sono stati instaurati procedimenti arbitrali interni alle F.S.N.,
limite già previste ex art. 12 co. 6 Statuto.11.
Pertanto, mentre permane ai fini arbitrali la “ pregiudizialità” dell’obbligo di esperire il
preventivo tentativo di conciliazione12, viene meno, invece, il riferimento all’obbligo di instaurare la
procedura arbitrale decorsi inutilmente 60 giorni dalla relativa istanza di conciliazione (art. 12 co. 5
Statuto 2001).
4. La C.C.A.S. in funzione conciliativa
Per quanto riguarda, quindi, più specificatamente la funzione conciliativa, il titolo III del
Regolamento della Camera13 attribuisce alla stessa un’ampia competenza per la conciliazione di
controversie in materia sportiva, allo scopo di favorire la composizione amichevole in tempi brevi e
con costi contenuti attraverso l’intervento di conciliatori che assistono le parti.
La funzione conciliativa della C.C.A.S., come si è visto, è una condicio sine qua non per poter
poi attivare la procedura arbitrale, nell’eventualità che la Conciliazione non abbia avuto successo.
Tale previsione risponde proprio alle esigenze di predisporre adeguati meccanismi di
soluzione delle controversie estranei ai singoli ordinamenti federali e conformi al principio del
giusto processo, nonché saldamente ancorati al mondo dello sport e alle sue peculiarità, ma in grado
comunque di ridurre il ricorso alla giustizia dello Stato.
Si segnala, inoltre, che con la previsione di tale istituzione sportiva si sono anche superate le
disposizioni legislative settoriali, come quelle relative per esempio al lavoro sportivo.
11
Per completezza si osserva che sotto il vecchio Statuto 2001 la procedura arbitrale era disciplinata dall'art. 12, co. 5, il
quale rinviava al rispetto delle disposizioni inderogabili degli articoli 806 e seguenti del c.p.c. e statuiva che: “qualora
la controversia riguardi una Federazione Sportiva Nazionale, ovvero una Disciplina sportiva associata, ovvero un Ente
di promozione sportiva che abbiano statutariamente accettato la competenza arbitrale della Camera di conciliazione e
arbitrato per lo sport, e a condizione che non sia stata raggiunta la conciliazione entro sessanta giorni dalla relativa
istanza, la controversia può essere sottoposta a istanza del soggetto affiliato, tesserato o licenziato, ovvero a istanza
della Federazione, ovvero della Disciplina sportiva associata, ovvero dall'Ente di promozione sportiva, ad un
procedimento arbitrale presso la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport”.
Tale previsione è stata abrogata nella nuova formulazione dell’art. 11 Statuto CONI 2004 ( già art. 12 Statuto CONI
2001) il quale si limita ora generalmente a stabilire al co. 4 che, in riferimento alle controversie di cui al co. 3 ( ossia
quelle prima previste dal co. 2 dell’art 12 Statuto 2001), gli Statuti e i regolamenti delle Federazioni Sportive
Nazionali, prevedono “l’eventuale procedimento arbitrale”.
12
Con l’eccezione però delle controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati, l’accertamento dei requisiti per
la partecipazione alle competizioni internazionali e per quelle individuate da regolamenti speciali o da accordi di parte.
13
Fumagalli L., op. cit., 133 ss ; per il Nuovo Regolamento cfr. www.coni.it
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Tale rimedio, in specie, si caratterizza per avere un carattere generale, in quanto come
vedremo è suscettibile di applicazione a qualsiasi controversia sportiva, che opponga anche una
federazione sportiva a soggetti affiliati, tesserati o licenziati.
Al sistema gestito dalla C.C.A.S. possono poi devolversi persino controversie in cui sono
coinvolti soggetti estranei all’ordinamento sportivo.
La scelta del C.O.N.I. si ispira a quella compiuta dal C.I.O. nel lontano 1984 con l’istituzione
dell’anzivisto T.A.S./C.A.S. e poggia sulla consapevolezza che il fenomeno generale delle A.D.R
nelle controversie sportive era una realtà riscontrabile solo a livello di istituzioni straniere (seppur
con differenze a seconda dei diversi Stati: in Francia per es. si era privilegiato il modello
conciliativo, mentre in Spagna si era optato per la mera regolamentazione delle procedure arbitrali;
nelle realtà anglosassoni, invece, come si è premesso, il modello delle A.D.R. è stato largamente
recepito con tutte le differenti molteplicità di tipologie applicative).
Si osserva inoltre, per completezza espositiva, che il modello adottato in Italia tiene conto del
sistema francese poiché si riconosce l’importanza di ricercare previamente un accordo tra le parti, al
punto da prevedere non solo la Conciliazione come un’istituzione a sé, ma anche l’imposizione di
un tentativo di conciliazione, esperito il quale (anche in caso di mancato accordo, a differenza dal
modello francese), è possibile ricorrere alla procedura arbitrale.
Certo, rispetto al modello francese, permane la differenza in merito all’obbligatorietà della
Conciliazione, per cui in Italia le procedure conciliative non avranno alcun esito se non per effetto
della comune volontà delle parti.
Ma vediamo ora, in maggior dettaglio, le caratteristiche peculiari.
Come recita il Regolamento (art. 5 comma 2) lo scopo della procedura di Conciliazione è
quello di favorire la composizione amichevole di controversie in tempi brevi e con costi contenuti
attraverso l’intervento di conciliatori i quali sono incaricati di assistere le parti nella ricerca di un
accordo che consenta loro di risolvere la controversia.
Tale funzione conciliativa della C.C.A.S., in particolare, assume una duplice valenza.
Da un lato, si presenta come una condicio sine qua non per poter poi attivare la procedura
arbitrale, nell’eventualità che la Conciliazione non abbia avuto successo, e in tal senso infatti lo
Statuto C.O.N.I. 2004, all’art. 12 comma 4, stabilisce che gli Statuti ed i Regolamenti delle F.S.N.
devono prevedere il tentativo obbligatorio di conciliazione e l’eventuale successivo procedimento
arbitrale.
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La nuova formulazione dell’art. 12 Statuto 2004 non disciplina più in maniera dettagliata
l’istituto della conciliazione limitandosi di fatto ex co. 4 a stabilire, come anzidetto, che in
riferimento alle controversie di cui al comma 3 anzidetto, gli statuti e i regolamenti delle F.S.N.,
prevedono il tentativo obbligatorio di conciliazione e l’eventuale procedimento arbitrale a norma
dello stesso articolo 1214.
Dall’altro lato, si identifica come un modello autonomo di risoluzione delle controversie
sportive.
Il Regolamento, infatti, dispone (art. 4) che la Camera ha competenza a promuovere su
richiesta di uno o più soggetti interessati, la Conciliazione nei seguenti casi:
quando si tratta di una controversia che contrappone una F.S.N. a uno o più soggetti affiliati,
tesserati o licenziati o comunque destinatari delle decisioni di cui al punto successivo;
quando sono stati previamente esauriti i ricorsi interni alla F.S.N., o comunque quando si tratti
di decisioni non soggette ad impugnazione nell'ambito della giustizia federale.
Alla Camera, inoltre, accanto alla competenza a decidere sulle controversie dove è intervenuta
una decisione definitiva, in quanto previamente esauriti tutti i ricorsi interni sportivi o perché
trattasi di decisioni non impugnabili davanti alla giustizia federale, e previo espresso accordo tra le
parti, può essere devoluta ai fini della Conciliazione qualsiasi controversia in materia sportiva,
anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati (art. 4 comma 3 Regolamento).
Resta fermo, però, che la Conciliazione non può essere richiesta, rispettivamente:
da soggetti nei cui confronti è stata irrogata dagli organismi giurisdizionali federali una
sanzione disciplinare inferiore a 120 giorni ovvero una sanzione per violazione delle norme
antidoping;
nonché avverso le decisioni delle F.S.N. in tema di revoca o diniego dell’affiliazione sulle
quali, a norma dell’art. 7 comma 5 lett. n) Statuto 2004, la competenza è riservata alla Giunta
Nazionale del C.O.N.I..
Il Nuovo Regolamento, inoltre, rispetto alla versione del 2004, modifica parzialmente la
disciplina del tentativo obbligatorio di conciliazione, prevedendo che quest’ultimo sia obbligatorio
prima dell’instaurazione di un procedimento arbitrale ai sensi del Titolo IV del Regolamento, ma
escludendo da tale previsione le controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati,
14
Il vecchio statuto C.O.N.I. prevedeva che gli interessati dovevano presentare un’istanza nel termine di 60 giorni
decorrenti dalla data di conoscenza della decisione federale di ultimo grado o comunque non impugnabile.
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l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e per quelle
individuate in regolamenti speciali o negli accordi tra le parti .
In tal senso, infatti, dispone anche il Nuovo Regolamento di arbitrato della C.C.A.S. 2006, per
la “risoluzione delle controversie relative all’applicazione del manuale per l‘ottenimento della
licenza UEFA da parte dei club” nonché quello relativo alle “procedure per le iscrizioni ai
campionati di calcio professionistici” (art 4 ) o ancora il Nuovo Regolamento di arbitrato della
C.C.A.S. per ”la risoluzione delle controversie relative all’iscrizione delle società professionistiche
ai campionati nazionale di pallacanestro” (art. 4 ).
Il Nuovo Regolamento disciplina poi, dettagliatamente, il procedimento d’instaurazione della
procedura (art. 5) .
Si prevede, infatti, che la Conciliazione possa essere richiesta da una o entrambe le parti.
In particolare, la controversia è sottoposta alla Camera dal soggetto affiliato, tesserato o
licenziato ovvero dalla F.S.N. o ancora da soggetti non affiliati, tesserati o licenziati ai sensi
dell’art. 4 comma 3 , con istanza da presentare alla Camera entro il termine perentorio di 30 giorni
dalla data di conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia.
Quanto all’iter instaurativo si osserva che le ultime modifiche hanno anche sostituito la
precedente previsione del Regolamento del 2004 che individuava il termine di presentazione
dell’istanza in 14 giorni dalla conoscenza dell’atto contestato, o entro 3 giorni dall’accettazione del
difensore del Registro per il gratuito patrocinio, senza considerare ancora che il vecchio Statuto
C.O.N.I. 2001 prevedeva, invece, ex art. 12 comma 4 che gli interessati dovevano presentare
un’istanza di Conciliazione nel termine di 60 giorni decorrenti dalla data di conoscenza della
decisione federale di ultimo grado o comunque non impugnabile.
L’istanza deve contenere le informazioni necessarie per la comprensione del caso, per es. la
denominazione ed il domicilio, il nome del legale rappresentante delle persone giuridiche,
l’indirizzo, una breve descrizione della vicenda e delle richieste, con eventuale documentazione
allegata, l’indicazione delle norme statutarie o delle clausole contrattuali che consentono il ricorso
alla Conciliazione e la documentazione comprovante l'avvenuta comunicazione alla controparte.
Contestualmente all’istanza, e a pena di improcedibilità, si dovranno pagare i diritti
amministrativi15.
15
In tal senso cfr. la tabella allegata al Regolamento della C.C.A.S. disciplinante diritti, onorari e spese.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
A questo punto il Presidente della Camera provvederà a nominare il Conciliatore scegliendolo
tra i componenti dell’Elenco di esperti in materia giuridico-sportiva previsto dallo Statuto del
C.O.N.I.16, di cui all’art. 1 del Regolamento stesso. Dopo l’accettazione, il suo nominativo viene
comunicato alle parti a cura della Segreteria.
Ciascun Conciliatore, ricevuta comunicazione dell’incarico dalla Segreteria, deve trasmettere
senza indugio alla stessa la propria accettazione.
Nella dichiarazione di accettazione ciascun Conciliatore deve assumere l’obbligo di
riservatezza indicato all’art. 27 del presente Regolamento.
In merito si osserva che la Conciliazione è un procedimento riservato, il cui svolgimento,
nonchè esito, non sono destinati ad essere pubblicizzati, salvo diverso accordo, e proprio tale
requisito fornisce un’ottima attrattiva per l’istituto da parte di quei contendenti che non vogliono
divulgare notizie relative ai propri affari.
L’attività di Conciliatore è poi gratuita ed è attribuito il gettone di presenza di cui all’art. 25
del Regolamento, per ogni incontro a cui ciascun Conciliatore partecipi.
Entro 7 giorni (e non più 10 come recitava il Regolamento del 2001) dalla ricezione
dell’istanza la controparte può depositare una memoria documentata a sostegno delle proprie
ragioni, inviandone una copia all’istante.
Il Regolamento vigente prevede che nelle controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai
campionati, l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e gli
atti federali non emanati dagli organi di giustizia aventi rilevanza ultraindividuale, il Presidente
della Camera può fissare un termine entro il quale la Federazione Sportiva Nazionale dovrà dare
adeguata e tempestiva pubblicità, mediante l’emissione di un Comunicato Ufficiale, dell’avvenuta
presentazione di un’istanza ai sensi del presente articolo, con l’indicazione della parte attrice,
dell’oggetto e delle domande proposte, nonché della possibilità di intervento ai sensi ed alle
condizioni di cui al presente Regolamento.
Qualora la Federazione sportiva nazionale non provveda nel termine di cui sopra all’emissione
del predetto Comunicato Ufficiale, lo stesso sarà pubblicato sul sito Internet del C.O.N.I. a cura
della Segreteria della Camera.
16
Che, si ricorda, annovera anche magistrati a riposo dalle giurisdizioni ordinarie amministrative e contabili, nonchè
avvocati e professori universitari.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
La disciplina prevede inoltre (art. 5 comma 10) la possibilità dell’intervento di un terzo al
procedimento di conciliazione da altri iniziato, qualora abbia nella controversia insorta tra le parti
un interesse individuale e diretto, specificando le ragioni di tale istanza, il fondamento della propria
legittimazione e l'interesse che la giustifica e formulando le conclusioni che intende proporre nella
Conciliazione.
Sull’istanza di partecipazione decide il Presidente della Camera, sentite, ove occorra, le altre
parti.
Per quanto concerne, più in particolare, l’incontro di conciliazione, il Regolamento (art. 6) è
dettagliato nel prevedere che le parti sono invitate ad uno o più incontri di conciliazione condotti
sotto il profilo processuale in maniera informale, sentendo le stesse separatamente o
congiuntamente, in modo da favorire la ricerca di una soluzione amichevole della controversia.
Nello specifico, le parti devono presentarsi all’incontro di conciliazione, personalmente o a mezzo
di procuratore, e partecipare in buona fede al tentativo di conciliazione, ma possono dichiarare di
voler abbandonare la procedura ove si convincano che questa non abbia prospettive di successo.
Il primo incontro, in ogni caso, deve effettuarsi nel termine di 7 giorni dalla data di deposito
dell’accettazione (e non più 20 giorni come stabiliva il Regolamento del 2001).
Il Conciliatore può invitare a partecipare al procedimento di conciliazione altre parti, se
ritiene che abbiano un interesse rilevante e diretto nella questione, nonché (secondo la novità
introdotta nel 2005) chiedere anche eventuali chiarimenti ed informazioni alle autorità sportive.
Nell’ipotesi in cui l’accordo conciliativo sia raggiunto, questo viene formalizzato per iscritto e
firmato da tutti i partecipanti, ossia parti e Conciliatore.
Più in particolare, queste ultime sono obbligate a dare esecuzione all'accordo nei termini
stabiliti dallo stesso.
In merito si ricorda l’anzidetto art. 28 del Regolamento che prevede che, salvo il diritto ad
ogni azione competente alle parti, qualora ad una decisione non sia data esecuzione nel termine di
un mese dalla data di verbalizzazione, o nel diverso termine fissato dagli arbitri o dai conciliatori, la
Camera, su richiesta della parte interessata, invita l’altra parte ad adempierla entro il termine di 15
giorni dal ricevimento della diffida.
Scaduto detto termine senza che la parte intimata abbia adempiuto, si darà notizia (con le
modalità previste dal Regolamento) e il nome dell’inadempiente sarà comunicato alle autorità
sportive interessate per i provvedimenti di loro competenza.
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Oltre a ciò, salvo il diritto ad ogni azione competente ai creditori, tali disposizioni si applicano
anche nei confronti delle parti che si rendessero inadempienti al pagamento dei diritti
amministrativi, onorari e spese di cui al Regolamento.
A tal proposito, si osserva che il Regolamento della C.C.A.S. non prevede una disciplina
analoga all’art. 185 c.p.c., e pertanto in alcun caso il verbale di conciliazione può considerarsi titolo
esecutivo.
Si precisa inoltre che l’accordo conciliativo è un atto delle parti ed in nessun caso può
considerarsi atto della Camera o del C.O.N.I.
Il nuovo art. 6 comma 6 prevede anche che in caso di raggiungimento dell’accordo, e salvo
diverso contenuto dello stesso, la controparte è tenuta a versare alla parte istante la metà dei diritti
amministrativi da essa corrisposti.
Il Regolamento, ancora, prevede che il Conciliatore possa non sottoscrivere il verbale di
conciliazione, dandone motivata comunicazione scritta alle parti, ovvero apporvi le sue
osservazioni, qualora ritenga che l’accordo non sia conforme a norme e usi dell’ordinamento
sportivo nazionale o internazionale o ai principi di etica sportiva e di equità.
Si precisa poi che entro il termine perentorio di sessanta giorni dal deposito dell’istanza di
conciliazione, se le parti non hanno raggiunto un accordo o (secondo la nuova previsione del
Regolamento) non hanno presentato istanza motivata di proroga di tale termine, la procedura viene
dichiarata estinta dal Conciliatore, ma resta fermo che l’insuccesso della procedura di conciliazione
non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti, tanto che si sottolinea espressamente che le
dichiarazioni delle parti, e quanto verificatosi nel corso di tale procedura, non potranno essere
utilizzati in eventuali procedure arbitrali né potranno essere utilizzati per altri fini.
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5. Rassegna di casi della C.C.A.S. in sede conciliativa
Come è emerso dalle pagine precedenti, in Italia la C.C.A.S., ufficialmente insediatasi come
detto nel 2001, è ormai divenuta un punto di riferimento rilevante nell’ordinamento sportivo
interno, quale organo di risoluzione alternativa delle controversie, specie in sede conciliativa.
A conferma di tale assunto, pare utile esaminare, seppur sinteticamente, la relativa casistica.17
Per ragioni di opportunità redazionale e maggior chiarezza espositiva, la classificazione delle
procedure conciliative più significative che si analizzeranno seguirà il criterio distintivo
dell’effettivo buon esito o meno della Conciliazione della controversia.
5.1. Esito negativo della Conciliazione
Come detto, secondo Regolamento, il Conciliatore esperisce il tentativo di Conciliazione,
fissando gli incontri all'uopo opportuni, ma non può imporre in alcun modo la Conciliazione; essa
deve essere la conseguenza naturale di un accordo intercorso tra le parti, ragion per cui di fronte ad
una netta presa di posizione della controparte di rifiuto della procedura conciliativa, il Conciliatore
non può che prenderne atto.
Le ragioni per cui una Conciliazione possa non portare ad una soluzione positiva della
controversia possono risiedere in diverse motivazioni.
Nella maggior parte dei casi, infatti, la Conciliazione non ha successo:
perché una parte all’ultimo decide di rinunciare o di non voler proseguire con la procedura
conciliativa e pertanto non si presenta all’incontro fissato con la controparte;
A titolo esemplificativo si ricorda il procedimento instaurato dal Cagliari Calcio S.p.A. ove
all’incontro del 16 febbraio 2005 il Conciliatore, preso atto dell’Accordo Transattivo sottoscritto tra
la società Cagliari Calcio S.p.A. ed il Cosenza Calcio 1914 S.p.A., pervenuto lo stesso giorno,
dichiarava concluso il procedimento per rinuncia della parte istante.
- perché una parte non accetta i termini dell’accordo proposto dal Conciliatore o le parti non
riescono a trovare alcun punto di contatto tra le rispettive esigenze;
17
Cfr. www.Coni.it; Colantuoni L., op. cit., 419 ss
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Tale ipotesi si manifesta con frequenza di casi molto alta.
Per esempio, è quanto avvenuto a proposito del procedimento promosso in data 15 febbraio
2002 dal calciatore Jakob Stam, nei confronti della F.I.G.C.: l’avvocato della F.I.G.C aveva espresso
l’indisponibilità della medesima a pervenire ad una sollecita Conciliazione con la memoria ex art. 4,
comma 8, e ha confermato suddetta posizione nel primo incontro. Nel successivo ed ultimo
incontro, avvenuto il 2 marzo 2002, il Conciliatore prendeva atto della posizione della controparte e
dichiarava chiusa la procedura di Conciliazione.
Ancora si ricorda la procedura instaurata dall’A.C.I. Sanremo contro l’A.C.I. in merito al
diritto dello stesso di gestire una gara del campionato rally sia italiano sia mondiale.
In particolare, i difensori dell'A.C.I. Sanremo, nell’incontro del 18 marzo 2004, contestavano
le confutazioni alla posizione rappresentata dall'A.C.I. Sanremo, sia in ordine all'organizzazione di
prova mondiale rally, sia in ordine alle conseguenze derivate dalla privazione dell'organizzazione di
prove per il calendario 2004. Esse rilevavano anche l'impossibilità di replicare all'eccezione da
ultimo sollevata in merito ad una non meglio identificata "nullità della procedura", che avrebbe
dovuto essere formulata prima dell'udienza.
I rappresentanti, inoltre, rammentavano la richiesta di rinvio che era stata concessa per
verificare la fattibilità della proposta, preventivamente richiesta all'A.C.I. Sanremo e che ciò aveva
condotto il legale dell'A.C.I. – C.S.A.I. a richiedere il differimento dell'udienza ed il rinvio.
Il Conciliatore dato atto dell’impossibilità per le parti di pervenire ad un accordo per le
evidenti divergenze manifestate all’incontro dichiarava conclusa la procedura per mancato accordo
tra le parti.
- perché ostano ragioni procedurali rivelatesi poi preclusive.
Questa categoria presenta invece i casi più disparati.
Con riferimento al requisito del previo esaurimento dei ricorsi interni alla Federazione di
appartenenza si segnala l’esito dell'istanza presentata dalla Fortitudo Pallacanestro nei confronti
della F.I.P.
L'istante lamentava che il ricorso proposto dal giocatore De Pol al Collegio Arbitrale ai sensi
degli artt. 39, comma 4, dello Statuto della F.I.P. e 161 ss. del Regolamento Organico della F.I.P. era
viziato da difetto di giurisdizione dell'organo giudicante ed in subordine dall'illegittimità della
composizione di quest'ultimo; inoltre si sosteneva, in via principale, che fosse nullo il contratto nel
quale risultava la clausola compromissoria ed in via subordinata che gli arbitri aditi non fossero
quelli previsti nel contratto.
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
La Camera, nell'incontro del 14 maggio 2002, deliberava che l'eccepito difetto di giurisdizione
non rientrava nella competenza della Camera, in quanto doveva essere sollevato davanti agli stessi
organi di giustizia federale nei cui confronti si voleva farlo valere; nell'incontro del 15 giugno il
Conciliatore, a fronte di una nota della parte istante, confermava quanto espresso nell'incontro del
14 maggio, ricordando il terzo comma dell'art. 12 dello Statuto C.O.N.I. (nel testo in allora vigente
ad esito del D. Lgs. 242/1999 c.d. Decreto Melandri) secondo il quale restano escluse dalla
competenza della Camera di Conciliazione e arbitrato dello sport tutte le controversie tra soggetti
affiliati, tesserati o licenziati, per le quali siano istituiti procedimenti arbitrali nell'ambito delle
F.S.N., ovvero delle D.S.A., ovvero degli Enti di promozione sportiva (art. 12, comma 3, Statuto
C.O.N.I. 2000).
Nella fattispecie, essendo competente sulla questione il Collegio delle Vertenze arbitrali ai
sensi dello statuto della F.I.P., si escludeva la competenza della Camera. Di conseguenza davanti a
quest'ultima non potevano essere addotte ragioni attinenti al merito della controversia.
Ancora, a titolo esemplificativo, si ricorda la vicenda relativa al Cosenza Calcio S.p.A. in
merito alle vicende portate all’attenzione della C.O.V.I.S.O.C.; nell’incontro del 25 agosto 2003 il
rappresentante della F.I.G.C. faceva presente l’impossibilità per la Federazione di aderire ad alcuna
ipotesi conciliativa, poiché gli atti oggetto di censura da parte del Cosenza Calcio erano stati emessi
da Organi Tecnici e come tali potevano essere valutati in sede di riesame solo dalla Camera in sede
Arbitrale. Il Conciliatore, prendendo così atto che tra le parti non si era raggiunto alcun accordo,
dichiarava estinta la procedura per mancato accordo tra le parti.
Sulla stessa linea si pone anche il procedimento instaurato dall’Aquila Calcio, dove il
rappresentante della società sottolineava nell’incontro del 21 agosto 2003 come la stessa appariva
meritevole di essere ammessa al Campionato di competenza avendo la stessa comprovato
l’esecuzione degli adempimenti richiesti e di cui al C.U. F.I.G.C. 151/ A.
Il rappresentante della F.I.G.C. pur apprezzando il comportamento della società, che nel
frattempo aveva anche disposto un aumento del capitale sociale superiore all’indebitamento
contestato, riteneva tuttavia che la materia conteneva valutazioni strettamente tecniche già effettuate
dagli organi competenti e come tali eventualmente oggetto di riesame esclusivamente in sede
arbitrale, e riteneva pertanto l’impossibilità di pervenire ad una Conciliazione.
Per tali motivi il Conciliatore dichiarava conclusa la procedura per mancato accordo.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Sempre poi con riferimento a mancati accordi conseguenti a vizi procedurali si ricorda il
procedimento instaurato dal Savona Calcio e teso al ripescaggio della società; secondo il Legale
della F.I.G.C. nell’incontro del 13 settembre 2004 non sussistevano i margini per una Conciliazione
della vicenda in quanto la società aveva presentato fuori termine – un termine dichiarato perentorio
-i documenti che potessero consentire l’eventuale ripescaggio della società Savona Calcio 1907
S.r.l., anche in considerazione del fatto che una Conciliazione nei termini di cui all’istanza del
Savona Calcio 1907 S.r.l. avrebbe inciso sulle posizioni soggettive di tutte le squadre partecipanti al
campionato di Serie C2.
Secondo il Legale del Savona Calcio 1907 S.r.l., invece, il termine non doveva essere
considerato perentorio ed era quindi possibile integrare la documentazione.
Il Conciliatore, alla luce della documentazione presentata dal Savona Calcio 1907 S.r.l. e delle
dichiarazioni rese dai rispettivi rappresentanti, stante le diverse posizioni sostenute dichiarava
concluso il procedimento per mancato accordo.
Infine, con riferimento all'obbligo in capo alle parti di ispirare il proprio comportamento ad un
principio di buona fede ex art. 4, comma 4, in alcuni casi si è riscontrato un comportamento delle
parti in contrasto con esso.
Innanzitutto si ricorda il procedimento intercorso tra il Cosenza Calcio S.p.A. e la F.I.G.C.
ove nell’incontro del 11 agosto 2004 la Federazione comunicava l’impossibilità della stessa di
partecipare al suddetto incontro e comunque l’indisponibilità della stessa a pervenire ad una
Conciliazione. Il Conciliatore, preso atto delle richieste formulate dai rappresentanti della parte
istante, disponeva la sospensione del procedimento e mandava comunicazione alla segreteria di
inviare alla F.I.G.C. il verbale dell’incontro al fine di comunicare al Conciliatore le proprie ufficiali
determinazioni in ordine all’istanza di Conciliazione in oggetto, atteso che la comunicazione inviata
all’incontro non costituiva posizione ufficiale della Federazione in quanto (come dichiarato dallo
stesso legale della F.I.G.C.) non vi era stato il tempo di acquisire la delega alla Conciliazione.
Ad ogni modo, il Conciliatore stigmatizzava il comportamento delle F.I.G.C. che, pur
considerata l’urgenza della procedura adottata, non si era presentata all’incontro conciliativo fissato
e non aveva presentato neanche alcuna istanza né di rinvio né di chiusura negativa della procedura
con ciò incorrendo in una condotta contraria alla buona fede di cui all’art. 4.4. del Regolamento.
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Nel successivo incontro del 17 agosto 2004 i rappresentanti delle parti osservavano che la
questione non era superata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI n. 5364/2004, in quanto
la stessa sentenza non si era occupata della questione del titolo sportivo relativamente alla serie C1,
mentre la richiesta subordinata relativa alla serie C2 trovava specifico fondamento proprio nella
sentenza n. 5364/2004: si ribadiva, quindi, la necessità che il Conciliatore, al fine specifico di poter
esercitare la funzione attribuitagli, avesse conoscenza piena e completa degli atti in relazione ai
quali era stata proposta l’istanza di Conciliazione e in particolare del provvedimento emanato in
data 27 luglio 2004 dal Consiglio Federale della F.I.G.C., con il quale lo stesso stabiliva che non era
possibile inquadrare la Società Cosenza Calcio 1914 S.p.A. nei campionati professionistici e
ribadiva quindi l’istanza istruttoria proposta nell’atto introduttivo e all’udienza dell’11 agosto 2004..
Il Conciliatore, visti gli atti della Conciliazione ed in particolare la memoria della F.I.G.C. del
13 agosto prot. 1070, con cui la Federazione per i motivi ivi esposti dichiarava formalmente di
abbandonare il procedimento di Conciliazione, considerata l’insussistenza di poteri istruttori in capo
al Conciliatore in base al Regolamento, disponeva la chiusura della procedura conciliativa e
trasmetteva, per aderire a specifica richiesta della F.I.G.C. gli atti della Conciliazione al Presidente
della Camera, affinché si sottoponesse al Consiglio di Presidenza della Camera la richiesta
cancellazione della qualificazione della condotta del rappresentante della F.I.G.C. come contraria
alla buona fede di cui all’art. 4.4 del Regolamento.
Pare inoltre interessante analizzare il procedimento intercorso tra il tesserato A. Longo, parte
istante, e la F.I.D.A.L. Nella circostanza, desumibile dal verbale 9 maggio 2002, il Conciliatore
esprimeva il proprio rammarico per il mutamento d'opinione registrato in capo alla F.I.D.A.L. che,
in un primo momento, aveva espresso la volontà di addivenire ad una soluzione amichevole della
controversia. Nell'occasione il tesserato preannunciava di depositare in pari data istanza di arbitrato.
Proprio quanto alla volontà espressa in seduta camerale di esperire il procedimento arbitrale,
analoga situazione si è avuta nel procedimento tra il calciatore M. Ferrigno e la F.I.G.C., nel corso
del quale, a fronte della dichiarazione di quest'ultima recante la propria indisponibilità a trattare,
l'istante anticipava la propria intenzione di instaurare il procedimento arbitrale.
Con riferimento infine al procedimento promosso dal ciclista G. Sinoppi nei confronti della
F.C.I., quest'ultima risultava assente all'incontro del 16 novembre 2001, ed il Conciliatore, preso
atto della volontà dell'istante che ritiene inutile la prosecuzione del procedimento, dichiara chiuso il
medesimo.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Quindi, dai procedimenti analizzati, se nessuna particolare inerzia o negligenza può essere
imputata al Conciliatore, per quanto concerne le parti, queste ultime in taluni casi hanno mostrato
un atteggiamento ostruzionistico verso una soluzione amichevole in via conciliativa della
controversia.
5.2. Esito positivo della Conciliazione
Sono tuttavia assai numerosi i casi in cui la procedura conciliativa presso la C.C.A.S. ha
conseguito esito positivo.
All’accordo conciliativo, come detto, si può pervenire principalmente in virtù di una
corrispettiva rinuncia alle pretese da parte degli interessati.
Antesignano di questo tipo di accordi conciliativi è stato il procedimento intercorso tra la Free
Basket Arezzo e la F.I.P., conclusosi nell'incontro del l ottobre 2001.
Da una parte la F.I.P. riconoscendo la causa di forza maggiore, si dichiarava disponibile a
riammettere la società sportiva al campionato di serie A2 femminile, nel contempo la parte istante
rinunciava a tutti i giudizi pendenti di fronte al T.A.R.., alla Corte Federale e a qualsiasi altra
pretesa economica connessa con la retrocessione e lo svincolo delle tesserate, nonché a ricorrere
alla giustizia ordinaria e a presentare alla Camera istanza relativamente al procedimento di fronte
alla Corte Federale. Il Conciliatore dichiarava conclusa nei siffatti termini la Conciliazione.
Si sono poi avuti una serie di accordi conciliativi intercorsi nell'ottobre del 2001 a proposito
della nota vicenda di «Passaportopoli» nel calcio professionistico; numerosi giocatori
extracomunitari erano stati trovati in possesso di passaporti falsi e gli organi di giustizia sportiva
avevano comminato sanzioni pesanti a carico dei giocatori e dei dirigenti tesserati e delle società di
appartenenza; nell'occasione, il ricorso alla Camera in sede conciliativa ha ottenuto risultato di
ridurre sensibilmente le squalifiche a fronte di una corrispettiva rinuncia da parte degli istanti.
A tale proposito, in data 12 ottobre 2001 hanno conseguito esito positivo numerose procedure
conciliative.
La prima che si analizza è quella relativa al caso del calciatore interista Recoba, che coinvolse
anche la stessa società Inter ed i relativi dirigenti. In tale procedimento la F.I.G.C., ribadita l'illegittimità ed intangibilità delle decisioni degli organi di giustizia federale, considerati i titoli sportivi
del dirigente della società Inter sig. Oriali (già calciatore campione del mondo 1982) e la disponibilità del calciatore Alvaro Recoba a collaborare in attività di propaganda dei valori sportivi e del
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gioco del calcio nonché ad iniziative a favore della prevenzione di episodi di violenza e razzismo in
occasione di manifestazioni sportive, si dichiarava disponibile alla Conciliazione.
Il Conciliatore, preso atto di siffatta disponibilità, sull’accordo delle parti, disponeva quanto
segue:
- la squalifica a carico del calciatore A. Recoba era ridotta al 31 ottobre 2001;
- l'inibizione a carico del dirigente Oriali era ridotta al 31 dicembre 2001;
- l'ammenda a carico della società Inter era ridotta alla somma di lire 1.400.000.000.
Il giocatore Recoba s'impegnava ad effettuare le prestazioni promozionali di cui sopra e tutte
le parti istanti rinunciavano ad ogni pretesa a qualsiasi ragione e titolo rivendicabile nei confronti
della F.I.G.C.
Le altre procedure in ambito “passaportopoli” furono del tutto simili a quella descritta; a
fronte di una rinuncia da parte degli istanti, nella specie tesserati e società sportive, «ad ogni
pretesa, a qualsiasi ragione e titolo rivendicabile nei confronti della F.I.G.C., suoi organi e
componenti», si raggiunse una Conciliazione, con forte riduzione delle sanzioni a carico delle
società sportive e delle squalifiche a carico dei giocatori e dirigenti coinvolti nel tesseramento
"illegittimo" in questione.
Per promemoria, suddetti procedimenti si riferivano alle seguenti società sportive (e relativi
tesserati): Vicenza per il tesseramento del calciatore Jeda; A.C. Milan per il caso Dida; Sampdoria
per i giocatori (tra l'altro minori d'età) Mekongo, Ze Francis e Job; Udinese per il calciatore Alberto
Neto.
Del tutto simili nell'impostazione, anche se diversi quanto al fatto storico, risultano altre
procedure più recenti.
Innanzitutto, quella che si è conclusa con l'incontro del 31 luglio 2002, che vedeva l'A.P.G.
Bears Pallacanestro Mestre quale parte istante opposta alla F.I.P..
Dietro la richiesta del Conciliatore di cercare una soluzione amichevole della controversia ai
sensi dell'art. 5 del Regolamento, si conveniva quanto segue; la società sportiva da un lato veniva
ammessa al campionato di serie B Eccellenza per l'anno 2002-2003, poi disputato con un numero di
squadre dispari e dall'altra rinunciava a qualsiasi pretesa nei confronti della FIP.
Come si evince, lo schema è il seguente: riammissione del titolo sportivo da una parte e
correlativa rinuncia della società beneficiaria ad avanzare alcunché nei confronti della Federazione
dall'altro.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Ulteriore caso interessante è quello del 21 maggio 2003 relativo al calciatore Stefano Currò al
quale la F.I.G.C. aveva inflitto una pesante sanzione di squalifica a causa dei comportamenti
ingiuriosi tenuti dal giocatore, durante una partita, nei confronti dell'arbitro.
Il Conciliatore suggeriva alle parti di valutare le peculiarità del caso e cioè la minore età del
giocatore e il sincero pentimento mostrato dal giocatore per la vicenda di cui si era reso
protagonista; a tal fine consigliava di valutare la possibilità di ricorrere ad istituti peraltro
contemplati dall'ordinamento sportivo, quali la commutazione della sanzione, tenendo conto che la
F.I.G.C., in casi precedenti ed analoghi, aveva ritenuto di poter legittimamente ridurre, in sede di
Conciliazione, la sanzione.
Il giocatore, dal canto suo, era disposto, essendo consapevole della gravità della sua azione, a
partecipare a quelle iniziative che la Federazione avrebbe ritenuto opportune.
La F.I.G.C., per sua parte, ribadiva la gravità della vicenda e la necessità del rispetto delle
regole come valore etico fondamentale di ogni attività sportiva, e osservava, altresì, come nella
Conciliazione, i relativi atti non costituivano un precedente. La Federazione, però, prendeva in
considerazione le indubbie peculiarità del caso e si rendeva pertanto disponibile a commutare parte
della sanzione.
Sulla base di tali considerazioni, le parti, con l'ausilio del Conciliatore, si accordavano nel
modo seguente: parte del periodo di squalifica era commutato in ammenda e il giocatore avrebbe
dovuto inviare lettera di scuse all'arbitro e partecipare ad un certo numero di riunioni A.I.A. ed
attività di promozione del “fair play” e della correttezza nello sport.
Il precedente cui si è riferito il Conciliatore è quello riguardante il caso V. Amato del 18
settembre 2002, nel quale il giocatore, anch'egli minore, aveva tenuto comportamenti violenti in
sede di partita.
L'accordo conciliativo è simile al precedente giacché si stabilisce, proprio per le peculiarità
del caso, di commutare parte della squalifica in sanzione e si prevede l'obbligo per il calciatore di
partecipare ad un certo numero di riunioni A.I.A. ed attività di promozione etica.
Nello stesso senso si ricorda anche il procedimento proposto dall’A.C. Ostuni Sport contro la
F.I.G.C. per la squalifica inflitta ad un tesserato reo di aver assunto un atteggiamento censurabile ed
in relazione al quale nell’incontro del 10 novembre 2003 le parti erano pervenute ad un accordo
conciliativo in virtù del quale la sanzione poteva essere in parte commutata con la corresponsione
da parte della società di una donazione a favore di enti locali di assistenza e con analoghe iniziative
.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Sempre nella medesima direzione va ricordato anche il procedimento instaurato dall’A.S.
Valdera Calcio e dal suo Presidente, il quale all’incontro del 19 luglio 2004 dichiarava di essersi
reso conto che il proprio comportamento, adottato in occasione dei fatti in questione, era da ritenersi
censurabile e se ne dichiarava pentito, ribadendo la propria buona fede e l’assoluta assenza di
qualsivoglia intento elusivo delle norme federali. Sottolineava poi i traguardi raggiunti in pochi anni
dalla A.S. Valdera Calcio nell’ambito del calcio giovanile e gli ottimi risultati conseguiti dalla stessa
nella Classifica Disciplina della Regione Toscana e pertanto chiedeva che, alla luce di una più
completa visione dei fatti, si potesse ridurre la sanzione inflitta a se stesso ed alla associazione, al
fine di non penalizzare la passione e l’attaccamento alla squadra dei suoi giovani tesserati,
dichiarandosi peraltro disponibile a commutare tutta o parte della sanzione in un’opera di
beneficenza.
Il rappresentante della F.I.G.C. ribadiva preliminarmente la legittimità ed intangibilità delle
decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva ed esprimeva quindi apprezzamento per il
tentativo di Conciliazione proposto dal Conciliatore. Sentito quindi il Comitato Regionale del SGS
della Toscana e la presidenza del Settore Giovanile e Scolastico, nonché tenuto conto dei buoni
precedenti disciplinari della A.S. Valdera Calcio, manifestava quindi la disponibilità della
Federazione a rivedere la sanzione comminata, in considerazione dei particolari aspetti prospettati
dai ricorrenti.
Il Conciliatore interveniva dunque per sottolineare come la riduzione della sanzione inflitta al
Presidente ed alla A.S. Valdera Calcio, trattandosi di associazione sportiva attiva nel calcio
giovanile, potesse essere eventualmente compensata con la corresponsione da parte del Presidente
di una donazione destinata ad enti dedicati all’infanzia come l’U.N.I.C.E.F., istituzione con la quale
il S.G.S. della F.I.G.C. aveva (ed ha) già in essere attività di sostegno.
Esposte e preso atto delle rispettive considerazioni, le parti dichiaravano di pervenire ad una
Conciliazione che prevedeva la revoca dell’ammenda, la riduzione dei punti di penalizzazione
inflitti alla società a fronte della corresponsione della donazione all’U.N.I.C.E.F .
Ulteriormente significativa è ancora la vicenda dell’U. S. Ragusa Calcio, in merito ad un
procedimento avente ad oggetto la richiesta di revoca della squalifica del campo di gioco.
In particolare la U.S. Ragusa S.r.l. nell’incontro del 8 novembre 2004 evidenziava che la
sanzione comminata dagli organi della giustizia sportiva risultava oltremodo afflittiva in ragione sia
delle ingenti spese che la società stava affrontando e che avrebbe dovuto in futuro affrontare sino al
termine dell’anno solare in corso, per organizzare le trasferte in campo neutro, sia per le difficoltà
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
organizzative relative al reperimento di un terreno di gioco in una realtà territoriale carente di
strutture.
La società istante proponeva, pertanto, come soluzione conciliativa, la commutazione della
squalifica del proprio campo nell’obbligo per la società di disputare “a porte chiuse” tutte le partite
casalinghe in calendario, oltre al rimborso alla F.I.G.C. dei diritti amministrativi e delle spese della
procedura.
La società istante riteneva, inoltre, che la disputa delle partite casalinghe a porte chiuse
costituisse un maggiore monito nei confronti della comunità locale per un comportamento in
campo e sugli spalti caratterizzato dal fair play.
La F.I.G.C., visto il positivo atteggiamento della società istante e l’impegno assunto dalla
stessa a porre in essere misure contro il reiterarsi di episodi di violenza, reputava di poter accogliere
la proposta conciliativa della U.S. Ragusa S.r.l. e aderiva pertanto alla stessa proposta
Infine possiamo citare il caso del calciatore Luciano Siquera de Oliveira del 16 dicembre
2002.
Il Conciliatore, anche in questo caso, ricordava alla F.I.G.C. che in casi precedenti attinenti a
violazioni regolamentari in materia di cittadinanza, aveva ritenuto di poter ridurre la sanzione della
squalifica. Il giocatore, inoltre, osserva come tali vicende, sicuramente in sé molto gravi, siano
riconducibili ad eventi risalenti al tempo della sua giovinezza. Il rappresentante della F.I.G.C., pur
ribadendo la non vincolatività dei precedenti e la gravità della vicenda, si dichiarava disponibile a
conciliare. Si stabiliva, quindi, la riduzione della squalifica e l'utilizzo dell'ammenda inflitta al giocatore per la costruzione di spazi dedicati allo sport.
Nel 2005 la CCAS ha visto lo svolgimento di diverse vicende conciliative.
Anzitutto si segnala l’incontro del 21 febbraio 2005 che ha visto coinvolta la FIGC contro un
suo tesserato ed in cui le parti addivenivano ad accordo conciliativo convenendo che a fronte della
riduzione della squalifica il Sig. Aprea, tesserato FIGC, si impegnava a rimborsare alla Federazione
i diritti amministrativi sostenuti per il procedimento e pari all’importo di € 150,00 .
Nell’incontro del 20 luglio 2005, invece, in occasione di un procedimento che vedeva
contrapposti la FIT (Federazione Italiana Tennis) ed un suo tesserato, il sig. E. Trezzi e relativo ad
una interdizione a cariche federali, ancora una volta le parti si accordavano sulla misura della
sanzione, risolvendo così stragiudizialmente la controversia.
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Per quanto concerne invece gli interventi della CCAS nel 2006 si ricorda il procedimento che
ha visti coinvolti il Sig. P. Para e la FIGC ed in merito al quale le parti nell’incontro del 6 aprile
2006 hanno raggiunto un accordo convenendo che da un lato il Sig. Para non solo avrebbe
abbandonato ogni pretesa nei confronti della F.I.G.C. ma avrebbe anche versato una determinata
somma di denaro alla Federazione, affinchè questa la impiegasse per fini sociali, e si sarebbe reso
disponibile ad organizzare entro il 2007, di concerto con la Lega Dilettanti ma con oneri a suo
carico, una manifestazione sociale i cui ricavati sarebbero stati destinati a fini di beneficenza. A
fronte di tali adempimenti la Federazione avrebbe ridotto la sanzione inflittagli dagli organi di
Giustizia Sportiva.
Ancora, si segnala una procedura avente ad oggetto un’istanza relativa ad una penalizzazione
inflitta dagli organi di giustizia Sportiva e conclusasi il 12 giugno 2006 tra la Lega Nazionale
Dilettanti (LND), il Comitato Regionale della Campania della FIGC e la Società Sportiva
Dilettantistica Eclanese al cui esito le parti si sono conciliate stabilendo che a fronte del versamento
da parte del sodalizio sportivo al Comitato Regionale della somma di 3000,00 €, da destinarsi ad
opere benefiche, e dell’assunzione di tutte le spese procedurali, la LND accettava di ignorare ai fini
della gare delle Coppa Disciplina la sanzione della penalizzazione contestata.
Per completezza di esposizione, deve tuttavia segnalarsi, che se nei primi anni di vita della
C.C.A.S. gli accordi conciliativi conclusi davanti a tale organismo avevano raggiunto un numero
considerevole, negli ultimi due anni tale percentuale e lievemente scesa.
Uno degli esempi più eclatanti in tal senso è la recente vicenda dello scandalo “Calciopoli”
che ha animato l’estate del 2006.
Al termine dei due gradi di giustizia interna alla FIGC, infatti, le società coinvolte ( Milan,
Juventus, Lazio Fiorentina) non soddisfatte dalle sanzioni loro comminate, prima dalla CAF ed in
seguito dalla Corte Federale, hanno proseguito le vie dei ricorsi interni arrivando così davanti al
massimo organo di giustizia sportiva ovvero la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso il
CONI.
Inizialmente le società hanno presentato istanza di conciliazione.
In particolare la Juventus F.C. S.p.A nella seduta del 18 agosto 2006 ha evidenziato che la
medesima aveva provveduto ad attuare un’opera di profondo rinnovamento dei quadri societari e
dello svolgimento delle attività sociali connesse all’attività sportiva che riguardavano oltre
quattrocento giocatori e si dichiarava
ampiamente disponibile a collaborare nel processo di
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rinnovamento del mondo calcistico con la Federazione, tenendo conto del fatto che il sodalizio
rappresentava il 25% della tifoseria italiana.
Premesso di reputare le sanzioni comminate dalla Corte Federale sproporzionate ai fatti
accertati ed alle conseguenze economiche che ne sarebbero derivate, proponeva poi che le stesse
sanzioni fossero modificate rispettivamente in:
a. riammissione della squadra in Serie A, seppure con penalizzazione;
b. riassegnazione del titolo di Campione d’Italia 2005/2006.
Al procedimento intervenivano anche come terzi interessati diverse società sportive.
Il Brescia Calcio S.p.A., nell’ipotesi di conciliazione tra le parti incentrata sul depennamento
della penalizzazione delle sanzioni accessorie, chiedeva che si desse luogo alla commutazione della
adottata sanzione della retrocessione all’ultimo posto in classifica in quella della esclusione dal
campionato, con successiva assegnazione al campionato di Serie B.
L’U.S. Lecce S.p.A., si dichiarava invece disponibile a pervenire ad una conciliazione della
controversia solo a condizione che, in luogo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 13,
comma 1, lett. g) CGS, venisse comminata nei confronti della società Juventus F.C. S.p.A la
sanzione della esclusione di cui all’art. 13, comma 1, lett. h) CGS, con l’assegnazione della società
istante al campionato di Serie B. Subordinatamente all’accoglimento della predetta proposta
conciliativa, la U.S. Lecce S.p.A. non si opponeva ad ipotesi conciliative riguardanti le altre
sanzioni comminate alla società istante.
Il F.C. Messina Peloro S.r.l., ritenendo che le decisioni della Corte Federale non fossero
conciliabili in questa sede, in quanto già frutto di un’ampia rivisitazione della normativa sull’illecito
sportivo, si dichiarava indisponibile ad aderire alla richiesta avanzata in via principale dalla parte
istante, rimettendosi alle determinazioni della Federazione per quanto riguardava le sanzioni
accessorie.
I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, prendevano atto ed apprezzavano i
cambiamenti già effettuati e le linee guida di rinnovamento indicate dalla società istante.
In merito alla proposta di conciliazione della parte istante, nonché alle diverse proposte
emerse dagli interventi delle società terze, ritenevano però di non poter aderire alle stesse in quanto,
il loro eventuale accoglimento, avrebbe comportato inevitabilmente l’incidenza diretta su posizioni
di contro-interessati di cui essa non poteva disporre anche in ragione del proprio ruolo istituzionale
super-partes.
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Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto della mancanza di una volontà conciliativa,
dichiarava così concluso il procedimento per mancato accordo tra le parti.
Fallita così la conciliazione la società bianconera presentò ricorso al TAR Lazio per poi
ritirarlo, dopo un lungo braccio di ferro con la FIGC che minacciava pesanti sanzioni, e passò
anch’essa alla via dell’arbitrato sportivo.
In data 23 agosto 2006 è invece la società S.S. Lazio S.p.A. a presentarsi alla conciliazione
ma i rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta conciliativa
avanzata dai rappresentanti della S.S. Lazio S.p.A., dichiaravano di non poter aderire, allo stato,
alla proposta nei termini prospettati.
All’esito di un ulteriore approfondimento, la parte istante nell’auspicio di pervenire alla
soluzione della controversia nell’ambito dell’ordinamento sportivo, dichiarava che, nell’ipotesi di
mancata conciliazione, intendeva proporre la procedura arbitrale, ai sensi del Regolamento della
Camera.
La FIGC, apprezzando il proposito manifestato dalla S.S. Lazio S.p.A. di addivenire alla
soluzione della controversia nell’ambito dei rimedi previsti dall’ordinamento sportivo, esprimeva, a
sua volta, la propria intenzione di accettare comunque la cognizione arbitrale, attesa la peculiarità
della fattispecie.
Il Conciliatore preso quindi atto del mancato raggiungimento dell’accordo e dichiarava
concluso il procedimento.
In data 29 agosto 2006 è invece la società AC Milan S.p.A. a presentarsi alla riunione per la
conciliazione.
Ritenendo infatti di essere stata punita ingiustamente e, comunque in maniera sproporzionata,
la parte istante, nell’auspicio di pervenire alla soluzione della controversia nell’ambito
dell’ordinamento sportivo, dichiarava che, nell’ipotesi di mancata conciliazione, sarebbe stata
comunque disponibile a far valere le proprie ragioni esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento
sportivo.
I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta
conciliativa avanzata dai rappresentanti della A.C. Milan S.p.A., dichiaravano di non poter aderire,
allo stato, alla proposta nei termini prospettati, anche in ragione dell’esistenza di posizioni di terzi
interessati.
A loro volta dichiaravano, peraltro, ampia disponibilità a considerare un’ipotesi conciliativa
che avesse ad oggetto solo le sanzioni accessorie.
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I rappresentanti della società dichiaravano però di non poter aderire alla proposta formulata
dalla FIGC.
Quest’ultima, apprezzando il proposito manifestato dalla A.C. Milan S.p.A. di addivenire
comunque alla soluzione della controversia nell’ambito dei rimedi previsti dall’ordinamento
sportivo, esprimeva, a sua volta, la propria intenzione di accettare la cognizione arbitrale, attesa la
peculiarità della fattispecie. Per quanto riguarda la proposta di sospensione delle sanzioni accessorie
e della squalifica del campo per n. 1 giornata e l’ammenda di € 100.000,00, la FIGC dichiarava la
disponibilità a sospenderne l’esecutività condizionatamente alla presentazione dell’istanza di
arbitrato proposta nei termini di cui al Regolamento della Camera dalla società e sino alla pronuncia
del lodo, anche nella sola parte dispositiva.
Ove la qualifica del campo fosse confermata, alla medesima sarebbe stata data esecuzione nei
termini dell’art. 17, comma 1, del C.G.S..
Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto dell’accordo delle medesime in ordine alla
cognizione arbitrale ed alla sospensione dell’efficacia delle sanzioni accessorie nei termini indicati,
dichiarava concluso il procedimento per mancata conciliazione.
Infine, per quanto concerne la A.C.F. Fiorentina S.p.A. quest’ultima nella riunione del 29
agosto 2006, nella convinzione della correttezza della propria condotta, poneva al primo posto
l’esigenza di tutelare in ogni modo il rispetto e la dignità della società, dei suoi tifosi e della città di
Firenze, ed anteponeva alla pur rilevante questione economica derivante dall’esclusione dalla
Champions League per la stagione in corso e da quella del prossimo anno (in conseguenza della
penalizzazione ad oggi assegnata), la necessità di esperire tutti i gradi di giudizio per veder
riconosciute le proprie ragioni e l’estraneità ai fatti contestati.
In particolare la difesa evidenziava, l’assoluta irrazionalità della decisione della Corte
Federale, nonché le plurime violazioni delle garanzie del contraddittorio nel corso del giudizio. Ad
ogni modo
nell’auspicio di pervenire alla soluzione della controversia nell’ambito
dell’ordinamento sportivo, la società viola dichiarava che nell’ipotesi di mancata conciliazione
intendeva proporre la procedura arbitrale, ai sensi del Regolamento della Camera e questo anche per
il rispetto di tutto il movimento sportivo calcistico.
I rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio, preso atto della proposta
conciliativa avanzata dai rappresentanti della A.C.F. Fiorentina SpA, dichiaravano di non poter
aderire, allo stato, alla proposta nei termini prospettati, anche in ragione dell’esistenza di posizioni
di terzi interessati.
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
A loro volta dichiaravano, peraltro, ampia disponibilità a considerare un’ipotesi conciliativa
che avesse ad oggetto solo le sanzioni accessorie - ammenda e squalifica del campo – con conferma
delle altre.
I rappresentanti della società dichiaravano invece di non poter aderire alla contro – proposta
formulata dalla FIGC, ritenendo, tra l’altro, che la posizione dei terzi fosse di mero fatto.
I rappresentanti della FIGC esprimevano, a loro volta, la propria intenzione di accettare la
cognizione arbitrale, attesa la peculiarità della fattispecie.
Per quanto riguarda la proposta di sospensione delle sanzioni accessorie e della squalifica del
campo per n. 3 giornate e l’ammenda di € 100.000,00, la FIGC si dichiarava disponibile a
sospenderne l’esecutività, condizionatamente alla presentazione dell’istanza di arbitrato proposta
nei termini di cui al Regolamento della Camera dalla società e sino alla pronuncia del lodo, anche
nella sola parte dispositiva.
Ove l’istanza di arbitrato non fosse introdotta entro n. 30 (trenta) giorni dal giorno della
riunione ovvero la squalifica del campo fosse confermata, alla medesima sarebbe stata data
esecuzione nei termini dell’art. 17, comma 1, del C.G.S..
Il Conciliatore, sentite le parti e preso atto dell’accordo delle medesime in ordine alla
cognizione arbitrale ed alla sospensione dell’efficacia delle sanzioni accessorie nei termini indicati,
fermo quanto precede, dichiarava concluso il procedimento per mancata conciliazione.
Lazio, Fiorentina e Milan, fallita la conciliazione, a fronte della sospensione delle pene
accessorie (squalifiche ed ammende) si accordavano così con la FIGC per passare all’arbitrato
sportivo davanti alla medesima CCAS..
In data 27 ottobre 2006 il collegio arbitrale istituito presso la Camera di Conciliazione ed
Arbitrato presso il CONI deliberava all’unanimità i lodi arbitrali che avrebbero definitivamente
messo fine alla lunga querelle.
Dopo il fallimento della conciliazione anche nelle vicende di Calciopoli la CCAS è stata
protagonista di ulteriori tentativi di conciliazione promossi da numerosi soggetti sportivi ma tali
procedimenti hanno confermato il dato acquisito negli ultimi 24 mesi ovvero che le conciliazioni
non si chiudono quasi mai con un accordo risolutivo della controversia.
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Occorrerà quindi attendere se il corso dei futuri procedimenti per ben comprendere se tale
deflazione sia da attribuire ad una mera occasionalità, come ci si auspica, o se, invece, sia da
ricondurre ad uno sfavore generale tipico della realtà italiana verso tale procedura, ed in tal caso
sarà, allora, opportuno analizzare i motivi di tale atteggiamento involutivo rispetto sia all’iniziale
entusiasmo che aveva accolto l’istituzione della CCAS, sia alle differenti realtà europee che invece
esaltano l’efficacia del ricorso alle procedure alternative di risoluzione delle controversie sportive.
6. Considerazioni conclusive
Orbene, alla luce delle considerazioni fin qui prospettate, può concludersi che l’introduzione
dell’istituto della Conciliazione negli ordinamenti sportivi, specie con organi a ciò espressamente e
specialisticamente deputati come il T.A.S./C.A.S. a livello internazionale e la C.C.A.S. in Italia, non
può che essere accolta con interesse.
Come visto, in linea generale, la procedura in esame permette alle parti di ottenere una rapida
soluzione delle controversie che le vede coinvolte, in tempi certi ed a costi contenuti, a tutto
vantaggio delle parti e del “sistema “, per le sue stesse peculiarità.
La risoluzione delle controversie sportive può essere, infatti, solo svantaggiata nel caso in cui
la Giustizia Ordinaria e la Giustizia Sportiva si pongano in costante contrasto ed in concorrenza tra
loro; anzi, è opportuno che i due modelli giurisdizionali convergano e collimino quanto più
possibile, per assicurare una migliore gestione della pratica sportiva ed un miglior funzionamento
del relativo ordinamento, nel suo complesso.
E’ innegabile che, nella trattazione delle controversie sportive, l’istituto conciliativo si sia
distinto proprio per tale capacità, e l’elevato numero di procedure instaurate non ne è che un
esempio: l’innegabile successo di tale modello, sia a livello nazionale che nelle realtà straniere e
soprattutto in sede internazionale (T.A.S. / C.A.S.), manifesta inconfutabilmente la sua rispondenza
alle esigenze di rapidità e celerità delle procedure nonché alle aspettative degli addetti ai lavori e di
chi in genere pratica lo sport.
La rapidità della procedura conciliativa, la sua flessibilità , l’assenza del formalismo nonché la
scelta di conciliatori dotati di una adeguata preparazione giuridico – sportiva, accompagnata da una
profonda conoscenza dell’ambiente sportivo stesso, contribuiscono sicuramente a questo successo.
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DOTTRINA
ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
L’esperienza conciliativa, pertanto, dimostra indubbiamente come in primis sia assolutamente
auspicabile un coordinamento tra la giustizia sportiva e la giustizia ordinaria e, secondariamente,
che attraverso l’utilizzo della procedura conciliativa si può permettere la risoluzione di conflitti
evitando gli inconvenienti di un procedimento “esclusivamente sportivo”, ma anche quelli di un
“processo statale” in tale ambito.
Tuttavia, pur in questo contesto senz’altro fondamentalmente positivo, non si possono non
avanzare alcune osservazioni critiche.
A tal proposito si ricorda che una peculiarità della Conciliazione Sportiva, così modulata,
risiede nel fatto che le parti in causa sono spesso (se non sempre) da un lato, istituzioni sportive e,
dall’altro, tesserati o affiliati. Si evince, quindi, che nelle controversie aventi ad oggetto
provvedimenti sanzionatori irrogati ai tesserati o affiliati dagli organi federali, l’accordo
conciliativo assume approssimativamente la veste di una sorta di “patteggiamento” tra il soggetto
che ha irrogato la sanzione ed il soggetto che ha subito la stessa.
Sul punto, quindi, ci si interroga su quale sia l’effetto deflativo posto alla base della previsione
dell’istituto.
Guardando al sistema italiano, infatti, si rammenta che la ratio del patteggiamento processualpenalistico è insita nell’effetto deflativo a priori sotteso a tale rito alternativo e, più
specificatamente, risiedente nell’esigenza di evitare l’instaurazione del procedimento penale in sede
ordinaria, con conseguente aumento del carico di lavoro per l’Ufficio Giudiziario.
In sede conciliativa - sportiva, per contro, l’effetto deflativo si dispiegherebbe non a priori,
bensì a posteriori e, pertanto, ci si potrebbe interrogare sull’utilità in tale ottica del mezzo in esame.
La ragione della scelta di conferire all’accordo conciliativo un effetto deflativo “a posteriori”
potrebbe individuarsi nell’esigenza di evitare il ricorso delle parti alla (sola) residuale procedura
arbitrale ( ed eventuale conseguente impugnazione del lodo), atteso che anche in tale sede si
potrebbe “invertire” l’esito della decisione contestata: la ratio pertanto risiederebbe nell’esigenza di
conferire al sistema sportivo una maggiore stabilità, garantita dal mancato ricorso tanto alla
giustizia ordinaria quanto all’ultimo grado arbitrale (e sua eventuale impugnazione) ed alla
conseguente definitiva risistemazione o riassetto degli interessi all'interno del sistema sportivo
stesso.
Tuttavia, non va sottaciuto che a tale modus operandi gli organi della Giustizia Sportiva
guardano con occhio tuttora critico, in quanto gli stessi vedono con ciò in parte vanificato il loro
lavoro di ricerca e repressione degli illeciti sportivi.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
Infine, sempre con riferimento all’ordinamento italiano, si osserva ancora che il legislatore,
con la predetta L. 280/03, ha certamente cercato di armonizzare i due ordinamenti (statale e
sportivo), ma non si possono ignorare le incoerenze che la nuova normativa pone o non risolve. A
tal riguardo non vanno sottaciuti perduranti dubbi di legittimità costituzionale nei confronti del
riaffermato “vincolo di giustizia” per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., legittimati e peraltro
anche rinforzati a seguito dell’approvazione avvenuta con il comunicato ufficiale n. 74/A del 11
settembre 2003 dell’art. 11 bis nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.
18
.
La questione della Giustizia Sportiva, in linea generale e soprattutto nell’Ordinamento Italiano
è, dunque, ancora aperta, ma resta fermo che la nuova normativa è stata apprezzata (da parte di
molti operatori di settore, tra cui il sen. A. Manzella, studioso attento ai problemi giuridici dello
sport) quale conferma e recente tentativo di riconoscere anche in Italia un ruolo centrale alle A.D.R
in ambito sportivo, essendo state esse individuate come lo strumento probabilmente più idoneo a
snellire la congestione delle controversie tramite soluzioni sempre più celeri, efficaci ed utili al fine
di evitare, quanto più possibile, il ricorso eccessivamente frequente (e talora surrettizio e capzioso!)
alla giurisdizione ordinaria in ambito sportivo.
Tale sistema è, senz’altro, ulteriormente perfettibile e ciò potrà accadere, probabilmente, alla
luce e sulla scorta delle varie (e crescenti) esperienze, specie straniere ma anche italiane in materia,
in via di progressiva maturazione quanto a portata e tecnicalità, di cui si è cercato di dare conto nel
presente contributo ed alle quali non si può non guardare quale modello di valutazione e riferimento
per ogni futuro sviluppo.
(*) Avvocato del foro di Milano - Professore a contratto di Diritto Sportivo nell’ Università di
Milano , membro della Commissione disciplinare Lega Nazionale Professionisti Calcio
18
Che prevede la penalizzazione fino a 3 punti per le società e l’inibizione o la squalifica superiore a 6 mesi per i
tesserati “ribelli” che violino la clausola compromissoria di cui all’art. 27 dello Statuto F.I.G.C.
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ADR e conciliazione nello Sport in Italia………
BIBLIOGRAFIA
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Contratti, volume XXIII, ed. Utet, 2004;
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E. Greppi e M. Vellano, Ed. Giappichelli , 2006;
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12. P.Moro, “Giustizia sportiva e diritti processuali”, in “La Giustizia Sportiva” ed. Esperta, 2004;
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15. G. Valori, “Il sistema della giustizia sportiva”, in “Il diritto nello sport”, ed. Giappichelli, 2005;
16. M. Auletta, “Il tribunale arbitrale dello sport”, in giustiziasportiva.it
57
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
ATLETI DILETTANTI, SPORTIVI NON PROFESSIONISTI ?
di Domenico Zinnari (*)
SOMMARIO:
1. La Legge n. 91/81. Ambito applicativo
2.1. Gli atleti professionisti
2.2. Gli atleti non professionisti
3. Gli sportivi non professionisti nella giurisprudenza nazionale ed internazionale
4. La normativa federale
5. La risoluzione delle controversie
6. Conclusioni
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
In tema di qualificazione del rapporto giuridico tra atleti non professionisti ed associazioni e/o
società sportive l’adozione di formule dubitative appare d’obbligo.
I pur recenti e talvolta contraddittori1, per taluni aspetti, interventi nell’ambito dello sport non
professionistico, seppur di rilievo in relazione allo statuto giuridico e fiscale degli enti, non hanno
ritenuto di affrontare alcune problematiche caratterizzanti la materia, perpetuando una sorta di
agnosticismo già manifestato dal legislatore della l. 23 marzo 1981 n. 91.
Intervenendo infatti sulla vexata questio della disciplina del rapporto tra atleti e società
sportive il Legislatore, in quella sede, ebbe esplicitamente a statuire come il rapporto de quo si
costituisca a mezzo di un contratto di lavoro di natura subordinata (salve le tassative ipotesi previste
ex. art. 3 in cui è ammessa la stipula di un contratto d’opera) attraendone, in massima parte, in tal
modo la disciplina nell’alveo del diritto del lavoro.
Ispirandosi nelle sue linee guida alla tutela della libertà contrattuale dell’atleta, si previde
l’abolizione in forma graduale del vincolo sportivo ai sensi dell’art. 16 della l. 91/81 offrendo, nella
sostanza, una pragmatica, seppur parziale, soluzione dell’annosa problematica circa la legittimità
dell’istituto vincolistico nel precipuo campo applicativo (così come individuato dall’art. 2 della l.
91/81), operando una riduzione su scala temporale dello stesso alla durata del contratto di lavoro.
La predisposizione di un rigido filtro selettivo di accesso alla normativa di tutela di cui alla l.
n. 91, in particolare l’art. 2, determinando la tendenziale inapplicabilità agli atleti non professionisti
delle discipline ivi contenute unitamente alla natura evidentemente «emergenziale»2 dell’intervento
1
Basti citare quando accaduto in tema di assicurazione obbligatoria infortuni a favore degli sportivi non professionisti. L’art. 51, co.
1, della l. n. 289/2002 (Finanziaria 2003), prevedeva infatti che «dal 1° luglio 2003, sono soggetti all’obbligo assicurativo gli sportivi
dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli
Enti di promozione sportiva».
Su tale obbligo assicurativo, è successivamente intervenuta anche la l. 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria 2004), il cui art. 205 ha
aggiunto al predetto art. 51 l. 289/2002 il comma 2 bis, con cui si disponeva che «con decreto del ministro per i beni e le attività
culturali, di concerto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti
le modalità tecniche per l’iscrizione all’assicurazione obbligatoria presso l’ente pubblico di cui al D.P.R. 1° aprile 1978, n. 250
(Sportass), nonché i termini, la natura, l’entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi». In realtà però preso atto della palese
violazione delle norme comunitarie in tema di assicurazione il d.l. 30 giugno 2005, n. 115 ha modificato il co. 2-bis, dell'art. 51, della
l. 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003), prevedendo che con decreto interministeriale del Ministro per i beni e le attività
culturali, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti le
federazioni sportive dilettantistiche e gli enti di promozione sportiva, da emanare a decorrere dal 1° agosto 2005 ed entro il 31
dicembre 2006, dovranno essere stabilite le nuove modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione obbligatoria degli sportivi
dilettanti, nonché la natura, l'entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi, dandosi così facoltà alle federazioni ed agli enti di
promozione sportiva di scegliere la compagnia assicuratrice con la quale stipulare le relative convenzioni.
2
A seguito infatti di un clamoroso intervento della magistratura ordinaria che aveva inibito i rappresentanti della Lega Nazionale
Professionisti di svolgere trattative e stipulare contratti aventi ad oggetto il trasferimento dei calciatori, e vietato agli organi della
FIGC di ratificare i contratti eventualmente gia stipulati, ipotizzando la violazione delle norme in materia di collocamento della mano
d’opera, il Governo, su precisa richiesta del CONI e della Federcalcio, dato il concreto pericolo che l’inizio della regolare attività
agonistica fosse compromesso, aveva emanato un d.l.. in tema di interpretazione autentica in materia di disciplina giuridica dei
rapporti tra enti sportivi ed atleti iscritti alle federazioni di categoria (d.l. 14 luglio 1978, n. 367). In sede di conversione (l. 4 agosto
59
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
legislativo, lasciava irrisolti i nodi interpretativi legati da un lato alla problematica del vincolo a
tempo indeterminato nell’area estranea al professionismo ufficializzato, e dall’altro a quella della
qualificazione del rapporto tra sportivi non professionisti e società.
Rimettendo
agli ordinamenti federali la distinzione tra l’attività professionistica e
dilettantistica, in una malintesa valutazione di opportunità circa la salvaguardia dei profili di
autodisciplina in materia, si è finito per avallare la tendenza a perpetrare una linea di demarcazione
meramente formale e frammentaria, conseguendone lo sviluppo in ambito endoassociativo di palesi
difformità di soluzioni e discipline non sempre lineari e coerenti.
Se per quanto attiene l’istituto del vincolo a tempo indeterminato, sulla scorta di un ampio
dibattito utilmente orientato a definire con nettezza i contorni di esso, sì è innescato un processo
ancora in fieri che, preso atto dei profili di illegittimità dello stesso, ha avuto come conseguenza una
complessiva rivisitazione delle discipline federali3, il profilo inerente la qualificazione del rapporto
tra sportivi ufficialmente non professionisti e della correlata normativa di tutela appare ancora
nebuloso.
La figura dell’atleta dilettante, dunque, ad oltre venticinque anni dall’approvazione della l. n.
91, sembrerebbe giuridicamente vivere in una sorta di limbo qualificatorio 4; tale affermazione, per
quanto pregnante, data l’assenza di una specifica disciplina di settore, tralascia di considerare come
a tale impropriamente pretesa lacuna possa e debba ovviarsi, presumibilmente, attraverso
l’applicazione delle normative di diritto comune.
1978, n. 430), il Governo assunse l’obbligo di predisporre studi adeguati ed a presentare entro il 31 marzo 1979 un disegno di legge
organica del settore.
Per la ricostruzione storica delle vicende legate all’approvazione della l. 91/81 A. LENER, Una legge per lo sport?, in Foro it., 1981,
pag. 297.
3
In tema di vincolo sportivo per tutti P. MORO, Vincolo sportivo e diritti fondamentali dei minori, in Vincolo sportivo e diritti
fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 9 seg. ID, Natura e limiti del vincolo sportivo, in Riv. dir. econ. sport., anno 1 n. 2, pag. 8 seg.
Per le prime notazione a seguito Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi
fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite»
statuente la natura a tempo determinato del vincolo si veda E. LUBRANO, Vincolo sportivo pluriennale: verso una fine annunciata, in
GiustiziaSportiva.it, − Rivista Internet di diritto dello sport, anno 1 n. 3, pag. 62.
4
In tal senso A. BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, in Riv. Giur. Lav. e Prev., 1997, pag. 256.
Acutamente, di contro, A DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico, in GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello
sport, anno 2 n. 1, pag. 26 secondo cui i c.d. professionisti di fatto si dibattono «tra l’espressa illegalità delle disposizioni federali che,
pur a fronte degli imperativi e inderogabili precetti costituzionali in tema di lavoro, ne hanno regolato i rapporti ed il contenzioso per
il tramite della fuorviante categoria di dilettanti, le incongruenze di una legislazione fiscale ingiustamente favorente da un lato ma
elusiva, per altro verso, degli istituti previdenziali-assicurativi e, da ultimo, le più generali carenze sia a livello di norme codicistiche,
inadatte e di incerta applicazione, che di legislazione speciale, decisamente velleitaria nella pretesa di disciplinare, discriminandola
sulla scorta di qualificazioni eteronome, l’analoga classe di prestazioni dei professionisti ufficializzati».
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
1. La legge n. 91/81. Ambito applicativo
La l. n. 91/1981 interviene in materia segnata da vigorose dispute dottrinarie e
giurisprudenziale. Se peculiari problematiche non suscitava la collocazione giuridica del rapporto
tra società e le varie figure professionali che progressivamente andavano affermandosi in
correlazione con lo sviluppo della pratica sportiva (allenatori, preparatori, direttori-tecnici ecc.) 5,
l’emersione di elementi di natura patrimoniale nel rapporto atleti/società, esulanti la tradizionale
causa ideal-sportiva, determinavano un’evidente rottura con i modelli ricostruttivi dominanti.
A dinamiche infatti caratterizzate originariamente dalla convergenza di interessi e fini comuni
tra l’atleta ed l’associazione sportiva riconducibili sostanzialmente al modello associativo, veniva
sovrapponendosi una sostanziale ricomposizione strutturale degli enti.
Si distinguevano coloro i quali erano interessati alla vita dell’associazione nei suoi aspetti
organizzativi e gestionali e ne finanziano l’attività da quanti venivano progressivamente esonerati
da ogni forma di contribuzione alla vita associativa diversa dalla pratica dell’attività sportiva con la
previsione in loro favore di corrispettivi in danaro od altre utilità.
In ambito endofederale da un lato si elaboravano modelli disciplinari che, pur valorizzando
l’ineluttabile rilievo economico delle prestazioni, erano tesi a preservare, seppur formalmente, i
dettami dell’olimpismo, dall’altro si favoriva l’introduzione di discipline atte a procedimentalizzare
il recesso unilaterale dell’atleta dal contratto associativo garantendo un diritto di esclusiva alle
singole società nell’utilizzo delle prestazioni atletiche6.
In tale contesto si individuavano due distinte e contrapposte tendenze; una prima che, con
varie accentuazioni, riconduceva il rapporto e la prestazione degli atleti negli schemi tipici del
diritto civile nelle forme del contratto di lavoro subordinato od autonomo, la seconda che, di contro,
propendeva per la riduzione a fenomeno «sui generis» non riconducibile a qualificazioni tipiche ed
a discipline di diritto comune.
5
Basti sul punto analizzare le rassegne di giurisprudenza in materia ove si evidenzia la pacifica collocazione nell’alveo dell’art. 2094
o 2222 c.c. Tra gli altri per un ampio excursus sulla giurisprudenza in materia F. BIANCHI D’URSO, Il contratto di lavoro sportivo, in Il
diritto del lavoro nell’elaborazione giurisprudenziale, vol. XVI, Epidem, 1971.
6
L’istituto del vincolo sportivo si sostanzia infatti nel diniego in capo all’atleta del diritto di recesso unilaterale ad nutum dal
contratto associativo. Nella prassi il vincolo finisce per rappresentare una sorta di patto di esclusiva e non concorrenza tra la società
affiliante e l’atleta affiliato, con l’effetto che all’atto di rinuncia del patto da parte dell’affiliato od alla cessione dei diritti di esclusiva
(il c.d. svincolo o trasferimento) la società si determini a ciò previo un consentaneo ritorno economico.
61
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Detta radicale difformità di orientamenti, condizionata in via pregiudiziale dalla diversa
rilevanza attribuita dagli interpreti al fenomeno sportivo nella sua dimensione ordinamentale 7
talvolta con vaghe suggestione sociologiche8, risulta esser evidentemente superata a seguito della
entrata in vigore della l. n. 91/81.
L’asse della riflessione si spostava dal problema qualificatorio circa la incollocabilità del
rapporto negli schemi propriamente civilistici o giuslavoristici, a quello delle discipline applicabili.
La scelta del legislatore del 1981, in tale contesto, è orientata al fine di approntare una
normativa organica dell’attività sportiva operando una reductio ad unitatem della disciplina del
lavoro sportivo sia sotto il profilo soggettivo, accomunandosi tutti coloro i quali sono partecipi
dell’attività sportiva, sia sotto quello oggettivo, prospettandosi in linea di massima un assetto legale
unificante per le diverse discipline.
7
Sul punto infatti è da notarsi come tutti gli Autori che propugnavano la non riconducibilità negli schemi di diritto comune del
rapporto società sportiva/atleti muovano in misura più o meno accentuata dalle dottrine «pluralistico-ordinamentali» configurando
l’ordinamento sportivo quale ordinamento originario (pur non sovrano) rispetto al quale quello statuale ponentesi in una sostanziale
posizione di indifferenza. Tra gli altri infatti W. CESARINI SFORZA, Diritto del lavoro e diritto sportivo, in Dir. lav., 1951, pag. 257; W.
BIGIAVI, L’Associazione Calcio Torino e la tragedia di Superga, in Giur. it, 1951, pag. 81; I. MARANI TORO, Sport e lavoro, in Riv. dir.
sport., 1971, pag. 176; P. BARILE, La Corte di giustizia delle Comunità Europee ed i calciatori professionisti, in Riv. dir. sport., 1977,
pag. 303. Fautori dell’inquadramento del rapporto tra calciatori e società nell’ambito dell’art. 2094 c.c. tra gli altri: P. G. CANEPELE,
Lineamenti giuridici del rapporto tra associazioni sportive e calciatori, in Riv. Dir. sport., 1950, pag. 399; R. TOSETTO F. MANISCALCHI,
Profili giuridici del fenomeno sportivo con speciale riguardo alla natura giuridica del rapporto tra associazione calcistica e
giocatori, in Foro pad., 1951, pag. 50; M. RAMAT, Aspetti sostanziali e processuali del contratto tra giocatori e associazioni sportive,
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Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, pag. 119; R. DEL GIUDICE, Natura e obblighi previdenziali del
contratto di prestazione sportiva, in Riv. dir. sport., 1966, pag. 3; G. GIACOBBE, op. cit., pag. 1892; G. MAZZONI, Il rapporto di lavoro
nello sport, Giuffrè, 1968, pag. 263 seg.; L. GERACI, Natura del rapporto tra società calcistica e calciatore, in Riv. dir. sport., 1971,
pag. 262; C. GIROTTI, op. cit., pag. 171.
In particolare per la natura autonoma del rapporto F. BIANCHI D’URSO, Il contratto di lavoro sportivo, in Il diritto del lavoro nella
elaborazione giurisprudenziale, op. cit., pag. 443; S. GRASSELLI, L’attività dei calciatori professionisti nel quadro dell’ordinamento
sportivo, Giur. it, 1974, pag. 74; R. SCOGNAMIGLIO, In tema di responsabilità delle società sportive ex art. 2049 per illecito del
calciatore, in Dir e giur., 1963, pag. 81 il quale afferma, in un’ottica pluriqualificatoria, che «l’esistenza di un ordinamento sportivo
autonomo rispetto a quello statuale induce ad una duplice valutazione concorrente: alla stregua infatti dell’ordinamento sportivo si
tratterebbe di un rapporto di lavoro sportivo, disciplinato dalle norme proprie di quell’ordinamento, che si sottrae ad ogni diverso
tentativo di qualificazione secondo la comune esperienza giuridica» ma che ove lo si consideri dal punto di vista dell’ordinamento
dello Stato «assume la configurazione di un contratto d’opera mediante il quale si determina uno scambio tra un compenso e la
prestazione professionale dell’atleta».
Per un efficace excursus circa le diverse tesi maturate nel periodo anteriore all’entrata in vigore della l. 23 marzo 1981, n. 91 vedi M.
T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, 2004, pag. 43 seg.
8
Così anche la Suprema Corte in un’isolata pronuncia (Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Riv. dir. sport., 1963, pag. 100. ove, in tema di
non applicabilità dei divieti di intermediazione nell’ambito delle c.d. cessioni di contratto, ebbe ad affermare l’estraneità del rapporto
atleta-società sportiva alla fattispecie tipica di cui all’art. 2094 c.c. evidenziando la natura in utilitaristica dell’esercizio dell’attività
sportiva. Contra per la riconduzione nell’ambito di cui all’art. 2094 c.c. tra le altre Cass. 5 giugno 1961 n. 2324, in Foro it., 1961,
pag. 1608
62
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Aldilà della mera petizione di principio quale quella contenuta nell’ambito dell’art. 19 la
struttura del testo legislativo appare immediatamente evocativa dell’assunto di cui sopra. Ci si
muove per successive specificazioni dall’ identificazione del campo oggettivo e soggettivo di
applicazione della normativa (art. 2), al peculiare disposto di cui all’art. 3 specificatamente dettato
per la distinzione tra lavoro sportivo autonomo e subordinato per ciò che concerne i soli atleti,
giungendo in ultimo alla disciplina del lavoro subordinato sportivo (art. 4). La struttura evidenzia il
chiaro intento legislativo di definire con circostanziata cura l’ambito applicativo della normativa;
tale fine in realtà, come si osserverà in seguito, non pare utilmente perseguito sia in considerazione
della genericità delle formule adottate, sia di una prassi interpretativa tendente a dilatare il campo di
applicazione soggettiva.
Sotto il profilo oggettivo esso è limitato a quelle che sono definite quali discipline
«regolamentate dal Coni».
La dizione invero appare frutto di una improprietà lessicale non essendo riferibile al Comitato
Nazionale Olimpico Italiano una funzione strettamente regolamentare di alcuna disciplina
sportiva10, dovendosi semmai la menzione riferirsi alle attività sportive disciplinate dalle singole
Federazioni poste sotto la vigilanza del CONI.
Sono dunque esclusi dal campo di applicazione tutta una serie di fattispecie in cui seppur
l’obbligazione contrattuale assunta dal prestatore si riveli di contenuto omologo a quella di uno
«sportivo professionista», essa sia svolta in un contesto diverso da quello definito dall’art. 2 della l.
n. 91 rimanendo estranee alle preoccupazioni e valutazioni poste alla base della normativa, e
ricadenti sotto il «comune» regime codicistico.11
9
Art. 1 l. n. 91/81: «L'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o
dilettantistica, è libero». La formulazione della norma seppur parzialmente velleitaria e riduttiva dato il monopolio di fatto
instaurato dalle Federazioni in relazione ai singoli settori sportivi e al cospetto della circostanza che solo l’attività qualificata come
sportiva e professionistica secondo la disciplina emanata nell’ambito del Coni riceve tutela dalla l. n. 91/81 non toglie valore al ivi
consacrato principio.
Come notato infatti la formulazione induce «a ritenere che l’esercizio dell’attività sportiva in quanto qualificato come libero,
costituisca il contenuto di un diritto fondamentale, e più specificatamente di un diritto della personalità» per quanto attiene i livelli
amatoriali e dilettantistici, mentre per ciò che attiene quelli professionistici rappresenta l’enunciazione del principio « di libertà
contrattuale incompatibile con qualunque vincolo assunto che ne determini in pratica l’annullamento». (D. DURANTI, L’attività
sportiva come prestazione di lavoro, Riv. it. dir. lav., 1988, pag. 705)
10
È infatti nozione basilare che, strictu sensu, il CONI non regolamenti alcuna disciplina sportiva. Soccorre in tal senso il disposto
dell’art. 5 della l. n. 426/1942 allora vigente ai sensi del quale «le federazioni sportive nazionali stabiliscono con regolamenti interni
le norme tecniche ed amministrative per il loro funzionamento e le norme sportive per l’esercizio dello sport controllato» mentre il
CONI sulla base della legge istitutiva citata ha funzioni di organizzazione, coordinamento, e potenziamento dell’attività sportiva da
chiunque esercitata (art. 2 e 3) disponendo di un potere di sorveglianza e di tutela su tutte le organizzazioni che si dedicano allo sport
e ne ratifica direttamente o per mezzo delle federazioni gli statuti ed i regolamenti. In tal senso anche alla luce del c.d. Decreto
Melandri e successive modifiche C. ALVISI, Le fonti statali dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, in Giustizia sportiva e
arbitrato, a cura di C. VACCÀ, Giuffrè, 2006, pag. 3 seg.
11
Sul punto un isolato precedente nella giurisprudenza di merito ha correttamente evidenziato in un giudizio di accertamento circa la
natura del rapporto tra una associazione sportiva ed alcuni giocatori di pelota basca, disciplina da non considerasi tra le attività
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Il senso di tale limitazione, pur nella denotata improprietà, si coglie dall’analisi della ratio
complessiva del testo legislativo e degli strumenti adottati al fine di garantire un «minimun» di
tutele riguardo a ben determinati soggetti operanti nell’ambito dell’organizzazione (ordinamento)
sportivo nazionale; d’altra parte la specialità del rapporto di lavoro sportivo è da ravvisarsi non
tanto nelle caratteristiche delle prestazioni, ossia della natura dell’attività che è oggetto
dell’obbligazione, ma piuttosto nella sua connessione con le peculiari esigenze dell’organizzazione
in cui viene ad inserirsi tanto da richiedere un’ attenta opera di raccordo normativo.
Se per ciò che attiene gli atleti il caso i di prestazioni lavorative al di fuori dell’organizzazione
federale, stante il carattere monopolistico delle stesse, può considerasi come ipotesi limite, ben più
ricorrenti i casi di allenatori–istruttori sportivi che svolgano l’attività didattica di avviamento allo
sport in società od associazioni non affiliate ad alcuna federazione sportiva.
Tale interpretazione , oltre ad esser aderente al testo normativo (di cui si noti l’inciso «ai fini
dell’applicazione della presente legge»), appare atta a coordinare il disposto dell’art. 2 con il
precedente art. 1 circa la «libertà» dell’esercizio dell’attività sportiva anche professionistica al di
fuori delle compagini federali; solo infatti nel caso in cui il rapporto sia «qualificato» da una
federazione affiliata al Coni ossia il lavoratore sia tesserato presso una di queste federazioni
secondo il disposto dell’art. 2 sarà applicabile la disciplina speciale di cui alla l. n. 91.
Oltre alla citata delimitazione del campo di applicazione, quanto al profilo oggettivo il
legislatore pare in parte determinare direttamente un nucleo essenziale di elementi, richiamando i
requisiti della onerosità e della continuità della prestazione, rinviando successivamente alla
normativa federale e del Coni per ciò che attiene la definizione delle qualifiche e la distinzione tra
l’attività sportiva dilettantistica e professionistica.12
In altri termini la nozione di lavoro professionale sportivo sorgerebbe dalla commistione di
requisiti generali e astratti posti dalla legge (onerosità e continuità del rapporto) accanto a requisiti
più specifici (esser parte del rapporto l’atleta, l’allenatore, il direttore tecnico-sportivo, oppure il
regolamentate da organismi sportivi riconosciuti dal Coni, la necessità di procedere alla qualificazione del rapporto sulla base dei
canoni comuni attribuendo a quelli specifici di cui alla l. 91/81 un valore meramente sussidiario. Pretore di Milano, 9 dicembre 1988,
in Riv. it. dir. lav., 1989, II, pag. 426. con nota di A. FORTUNAT
12
In questo senso soprattutto D. DURANTI, op. cit., pag. 707 il quale ritiene circa la natura di tale rinvio che si tratti di un rinvio «non
meramente recettizio giacché tali ultime norme hanno valore in quanto non si pongano in contrasto con le disposizioni inderogabili
stabilite dalla legge».
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
preparatore atletico) di natura soggettiva13, e di un rinvio alla regolamentazione sportiva attraverso
il requisito della qualificazione14. In tale ottica l’onerosità e la
continuità assumerebbero un
carattere autonomo e qualificante.
Quanto all’onerosità, nozione estremamente ampia sussistendo non solo quando sia prevista
una retribuzione in denaro o natura ma anche ogni qual volta il soggetto a favore del quale viene
svolta l’attività lavorativa si obblighi ad una prestazione che sia patrimonialmente valutabile 15,
evidente la visione fortemente alternativa e binaria del problema considerando come già all’epoca
gli sviluppi dell’organizzazione sportiva avevano fatto emergere un qualche rapporto economico nei
confronti del dilettante.
In relazione alla continuità non appare assumere una vera e propria portata discriminante
considerando come una tale modalità di esercizio delle prestazioni sportive è agevolmente
rinvenibile anche nell’ipotesi in cui l’attività sia svolta a titolo dilettantistico (basti a riguardo
rammentare la periodicità, la frequenza degli impegni settimanali cui sono sottoposti atleti e tecnici
anche dilettanti).
Inoltre, ad ulteriore conferma della contraddittorietà del testo, è da notarsi come se la
continuità di esercizio dell’attività sportiva fosse da assumersi quale elemento essenziale della
qualifica di sportivo professionista si dovrebbe a rigore escludere dal novero dei professionisti
l’atleta che ponga in esser la propria prestazione in regime di autonomia almeno nell’ipotesi di cui
all’art. 3 co. 2 ove pare difettare proprio l’elemento della continuità o comunque un tasso
apprezzabile di continuità.
Una lettura più consona, ispirandosi anche alla originaria formulazione del disegno di legge
governativo, ove nell’ambito dell’art. 2, co. 2 si richiamavano a differenza del testo definitivo «la
continuità e la esclusività della prestazione sportiva quali» oggetto delle direttive del Coni per la
distinzione tra l’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica, dovrebbe giungere a
riconoscere come, nel complessivo sistema delineato dall’art. 2 caratterizzato dal rinvio ad una
fonte (sportiva) da cui la nozione di sportivo professionista promana, la normativa statuale abbia
13
Secondo E. PICCARDO, Norme in materia di rapporti tra società e sportivi e professionisti, commento all’art. 2, in Nuov. leg. civ.
comm., 1982, pag. 562, l’individuazione del contenuto reale delle quattro categorie citate deve esser valutato «alla luce del più ampio
contesto dell’ordinamento sportivo vigente» dal momento che «il legislatore volutamente ha finito per concedere una delega in
bianco al Coni ed alle Federazioni sportive (…) che consente un continuo adeguamento nel tempo della portata della normativa che si
realizza sia attraverso la modifica delle caratteristiche della figura dell’allenatore, dell’atleta, del direttore-tecnico-sportivo, del
preparatore atletico, sia attraverso il parallelo evolversi dell’attività e dell’ordinamento sportivo».
14
Per tutti V. FRATTAROLO. Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, 2004, pag. 25 e seg. con ampi riferimenti alla dottrina precedente.
15
M. PERSIANI, Commentario alla l. 23 marzo 1981, op. cit., pag. 568.
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Atleti dilettanti………
inteso porre alcuni inderogabili limiti alla attività «qualificatoria» federale in senso professionistico
dell’attività svolta.16
Sotto il profilo soggettivo la norma in esame predispone una elencazione di figure
professionali di cui è controversa sia l’identificazione in concreto delle stesse, sia il carattere
tassativo o meramente indicativo dell’elencazione.
Se si esclude infatti la figura dell’atleta che risulta tipizzata in senso in univoco nell’ambito
delle normative federali, i contorni delle restanti figure non sembrano delineabili con altrettanta
nitidezza. Fondamentalmente, assumendosi la formula «esercizio dell’attività sportiva» in senso
estensivo, le varie figure elencate dall’art. 2 appaiono accomunate dalla funzionalizzazione delle
loro prestazioni professionali rispetto alla programmazione, pianificazione ed il miglioramento della
performance atletica in relazione agli scopi agonistici.17
Di tutta evidenza dunque come restino estranei alle valutazioni che stanno a fondamento della
l. n. 91 i rapporti di lavoro di tutti quei soggetti che «pur alle dipendenze di una società sportiva,
non svolgono attività agonistica, ma bensì esplicano attività latu sensu amministrativa (segreteria,
contabilità, gestione personale, pubblicità), o che sono addetti in permanenza a servizi vari
(esemplificativamente cura e manutenzione impianti)».18
In vero la dottrina in ordine alla formulazione dell’elencazione delle figure professionali
contenuta nell’art. 2 ha espresso valutazioni contrastanti.
Parte di essa sostiene infatti che il legislatore abbia inteso elencare le figure degli operatori
sportivi più frequenti e note chiaramente optando per il carattere non tassativo dell’elencazione ed
in sostanza rimettendo alle determinazioni regolamentari delle singole federazioni nazionali l’
individuazione di altri professionisti sportivi. 19
16
Così anche G. GIUGNI, La qualificazione di atleta professionista, in Riv. dir. sport. 1986, pag. 169 ove: «non si può pensare che una
federazione stabilisca che un rapporto discontinuo abbia carattere professionistico. possono emergere criteri di carattere integrativo
che rendono più articolata la definizione della condizione di atleta». È da notarsi come Giugni riferisca la problematica de quo alla
figura del solo atleta mentre di contro il testo legislativo si riferisca a tutti gli sportivi professionisti. Indiretta conferma si rinviene
nella Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle
Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» al punto 22 in ove si afferma
che «i criteri per la distinzione tra l’attività sportiva professionistica e non professionistica sono rimessi all’autonomia statutaria nel
rispetto dei principi posti dalla l. 23/3/91 e successive modifiche». Per «principi posti» dovrebbero intendersi l’onerosità e la
continuità.
17
G. GIUGNI, op. cit, pag. 166 il quale nota come «l’art. 2 individua le generiche figure degli sportivi professionisti e lo fa attraverso la
tecnica nota in tutti i contratti di lavoro, dell’elenco delle qualifiche: gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori
atletici». Il carattere peculiare di tale «operazione» è da rinvenirsi secondo l’Autore nella «rilevanza della qualifica soggettiva». Se
infatti «nel comune rapporto di lavoro subordinato, normalmente si acquisisce la qualifica in base all’attività concretamente svolta,
per la qualifica altro non è se non lo specchio individuale del lavoro che viene svolto di fatto» nel caso degli sportivi professionisti la
qualificazione interviene anteriormente alla costituzione del rapporto.
18
G. VIDIRI, op. cit., pag. 232. In termini pressoché analoghi M. DE CRISTOFARO, op. cit., pag. 579.
19
D. DURANTI, op. cit., pag. 706. In tali termini anche M. DE CRISTOFARO, op. cit., pag. 576 secondo cui «si deve ritenere che l’elenco,
apprezzabile per la sua aderenza alla realtà e per l’opportuna equiparazione tra atleti e tecnici, non sia tassativo, ma aperto alla
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
In altri termini il disposto di cui art. 2 andrebbe letto «alla luce del più ampio contesto
dell’ordinamento sportivo vigente» dal momento che «il legislatore volutamente ha finito per
concedere una delega in bianco al Coni ed alle Federazioni sportive (…) che consente un continuo
adeguamento nel tempo della portata della normativa che si realizza sia attraverso la modifica delle
caratteristiche della figura dell’allenatore, dell’atleta, del direttore–tecnico–sportivo, del preparatore
atletico, sia attraverso il parallelo evolversi dell’attività e dell’ordinamento sportivo».20
Di contro si è sostenuto che «la tipizzazione delle figure professionali contenuta nella norma
faccia propendere per la tassatività dell’elencazione mentre una diversa soluzione interpretativa
sarebbe stata sostenibile soltanto se il legislatore avesse utilizzato espressioni letterali più generiche
e onnicomprensive tali da permettere una classificazione dell’art. 2 in termini di norma aperta».21
In linea di massima non appare superfluo sottolineare come la natura di legge speciale della l.
n. 91, provvedimento legislativo contenente vistose deroghe alla disciplina generale del rapporto di
lavoro subordinato, dovrebbe ostare ad ogni forma di estensione in senso analogico della normativa,
e che dunque in tal senso la tassatività dell’elencazione non sia contestabile salvo valutare la
possibilità di una interpretazione al limite estensiva che, muovendo dalla genericità del termine
«allenatore», conduca all’applicazione della normativa de quo anche riguardo ad altre figure di
tecnici sportivi intesi quali soggetti preposti alla programmazione della ottimizzazione della
performance atletica.22
In ordine alle singole ipotesi non destano peculiari perplessità le figure dell’allenatore e del
preparatore atletico; molto più articolata appare di contro la individuazione della nozione di
direttore tecnico-sportivo.
Muovendo infatti dalla dizione letterale dell’art. 2 quella del direttore tecnico-sportivo
sembrerebbe rientrare nel novero dei «tecnici» costituendo una variante lessicale del termine
«allenatore» in relazione alla diversità riscontrabili nelle singole discipline sportive quanto
evoluzione che specialmente sul piano organizzativo può aversi nelle strutture societarie», A. BRECCIA FRATADOCCHI, Profili evolutivi ed
istituzionali del lavoro sportivo, in Dir. lav, 1989, pag. 87 ove si afferma che: «si deve ritenere che l’ambito sia destinato ad allargarsi
accogliendo altri soggetti che ricevono o potranno ricevere la qualificazione dalle federazioni».
20
E. PICCARDO, op. cit., pag. 562. Sul punto anche A. D’HARMANT FRANCOIS, Il rapporto di lavoro subordinato ed autonomo nelle
società sportive, in Riv. dir. sport., 1986, pag. 5 ove si sottolinea come nella «definizione delle categorie dei professionisti sportivi
(…) le relative nozioni trovino un riscontro sostanziale negli statuti e nei regolamenti federali».
21
G. VIDIRI F. BIANCHI D’URSO, op. cit., pag. 9.
22
In questo senso L. LAMBO, Massaggiatori calcistici: lavoratori sportivi o lavoratori comuni, nota a sentenza Pretura di Venezia, 23
luglio 1998, in Riv. dir. sport., pag. 169 Nel caso di specie il Pretore di Venezia ha negato che al contratto di lavoro stipulato tra
massaggiatore e società sportiva professionistica possa esser applicata la disciplina del «lavoro sportivo» ex art. 4 della l. n. 91 in
particolare del co. 8 ove si prevede l’inapplicabilità dell’allora vigente l. 18 aprile 1962 n. 230 ossia delle norme sul lavoro a termine.
67
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
all’individuazione dei soggetti preposti alla conduzione tecnica di una squadra o in generale alla
massimalizzazione delle prestazioni degli atleti.23
Secondo parte della dottrina «la l. n. 91 disciplina il lavoro dei direttori tecnico-sportivi
intendendo far riferimento a coloro che esercitano l’attività sportiva e cioè quel particolare tipo di
direttore sportivo rientrante nel concetto di allenatore operante cioè nel solo campo della
preparazione degli atleti».24
Altra dottrina di contro ritiene che proprio la figura del direttore tecnico-sportivo «sia
destinata ad avere quanto ai contenuti concreti, una nozione meno restrittiva» essendo infatti
riconducibile ad essa tutte quelle figure di dirigenti sportivi che «in passato per passione e del tutto
gratuitamente svolgevano compiti connessi al miglioramento della pratica sportiva, ma che, con la
maggior complessità, raggiunta dal fenomeno sportivo e con la necessità di assumere impegni
sempre più gravosi connessi alla esecuzione della funzione, si sono andati trasformando in
collaboratori retribuiti».25
La pluralità di significati del termine, astrattamente plausibili, è confermata dall’analisi delle
normative della FIGC, nell’ambito delle quali coesistono la figura del direttore tecnico e quella del
direttore sportivo
Quanto alla prima l’art. 17 del Regolamento Sett. Tecn. specifica che «i direttori tecnici sono
abilitati alla conduzione tecnica di squadre di ogni tipo e categoria e compete loro collaborare agli
indirizzi tecnici di tutte le squadre della società per la quale sono tesserati e di partecipare alla loro
attuazione, d'intesa con i tecnici responsabili di ciascuna squadra», delineando chiaramente la figura
di un allenatore particolarmente qualificato che svolge mansioni strettamente di carattere tecnicoagonistiche nella conduzione di squadre, ed in forza delle sue specifiche competenze professionali
si pone come soggetto atto a coordinare l’intera attività, nell’ambito tecnico, svolta dalla società
sportiva (es. settore giovanile).
23
In questo senso l’art. 1 del Regolamento concernente i direttori sportivi di gruppi sportivi professionistici della Federazione
ciclistica Italina secondo cui: «Il Direttore Sportivo è il responsabile tecnico del Gruppo Sportivo, incaricato di organizzare l’attività
sportiva dei corridori e di stabilire le loro condizioni di lavoro. Allo stesso è affidata la conduzione tecnica della squadra con il
compito di orientare, disciplinare e dirigere l’attività agonistica dei corridori che ne fanno parte».
24
C. PASQUALIN, Atti del II Convegno di diritto sportivo sul tema «Nuovi aspetti negoziali nell’attività sportiva», in Riv. dir. sport.,
1983, pag. 82. L’Autore coerentemente ritiene che «la figura del general manager di una società sportiva» e in generale le figure
dirigenziali, «non possa essere ricompresa nell’ambito di applicazione della legge». In questo senso anche G. VIDIRI F. BIANCHI
D’URSO, op. cit., pag. 9 ove si afferma che: «la disposizione ha inteso riferirsi a quei soggetti che alternativamente o congiuntamente
agli allenatori partecipano alla conduzione tecnica delle squadre con esclusione dei direttori sportivi aventi funzioni manageriali».
Conformemente S. GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica degli atleti e degli sportivi professionisti, in
Dir. Lav. 1982, pag. 27 ove pur ammettendo la possibilità di qualche dubbio sulla figura del direttore tecnico sportivo esclude che
«possano esser ricompresi in tale accezione i cosiddetti manager».
25
Così E. PICCARDO, op. cit., pag. 564.
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Quanto alla seconda l’art. 2 del Regolamento dell’elenco speciale dei direttori sportivi, varato
dal Consiglio Federale nella riunione in data 8 giugno 1991, prevede che «è direttore sportivo
indipendentemente dalla denominazione, la persona fisica, che svolge per conto delle Società
Sportive professionistiche, attività concernenti l’assetto organizzativo della Società, ivi compresa
espressamente la gestione dei rapporti anche contrattuali far società e calciatori o tecnici e la
conduzione di trattative con altre Società Sportive, aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori
e/o la stipulazione delle cessioni dei contratti, secondo le norme dettate dall’ordinamento della F. I.
G. C.». delineando una figura chiaramente dai connotati dirigenziali.
Se dunque non par lecito accampare dubbi circa la ricomprensione nell’ambito applicativo
della l. n. 91 del rapporto tra direttore tecnico e società sportiva, ciò appare meno agevole in
relazione alla figura del direttore sportivo con la conseguente applicazione della disciplina
derogatoria ex art. 4.
La giurisprudenza26 individuando le funzioni di direttore sportivo nell’ambito delle società
calcistiche in mansioni totalmente aliene alla preparazione tecnica degli atleti, ossia nella cura
«dell’assetto organizzativo della società compresa la gestione dei rapporti anche contrattuali tra la
società e i calciatori o i tecnici»27, ha chiaramente affermato come «il rapporto contrattuale tra
sportivo professionista (nella specie direttore sportivo) e società sportiva (...) è qualificabile come
rapporto di lavoro subordinato sportivo ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui alla l. 23
marzo 1981 n. 91» a condizione che non «manchi un contratto tipo, ai sensi dell’art. 4 di tal legge»
non potendosi in tali casi il rapporto contrattuale definirsi di natura sportiva, ma ricorrendone i
presupposti, costituendo un «comune rapporto di lavoro subordinato»28.
26
Con la Circolare del 4 giugno 2002 n. 20 l’Enpals ha sottolineato come debbano esser iscritti nel Fondo speciale sportivi
professionisti i direttori tecnici, i direttori sportivi (per il calcio coloro i quali siano iscritti nell’elenco speciale dei direttori sportivi
istituito presso la FIGC), mentre i direttori generali o altri dirigenti amministrativi «trattandosi di dirigenti di impresa industriale
vanno assicurati presso l’INPDAI», chiaramente ricomprendendo i direttori sportivi nel novero degli sportivi professionisti cui ai
sensi dell’art. 9 co. 1 l. n. 91 è estesa l'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, prevista dalla l. 14
giugno 1973, n. 366 per i giocatori e gli allenatori di calcio.
27
Cass. 8 giugno 1995, n. 6439 in Riv. dir. sport., 1996, pag. 747, con nota di M. PAGANELLI. Sul punto anche la successiva Cass. 23
aprile 1998 n. 4207, in Il lav. nella giur., 1998, pag. 946, con commento di L. MATTACE RASO.
28
Cass. giugno 1995, n. n. 6439, cit., pag. 751. Tale pronuncia si rifà all’orientamento del Supremo Collegio secondo cui «la l. n. 91
del 1981 regola un certo tipo di contrattazioni prevedendo la stipulazione di contratti che siano attuazione di futuri accordi collettivi»,
e che in virtù di ciò al di fuori di quest’area «il rapporto deve continuare ad esser regolato dalla normativa comune» (Cass. sez. un., 5
settembre 1986, n. 5430), esclude l’applicabilità della normativa «speciale» della l. n. 91 al rapporto tra direttore sportivo e società
sportiva in assenza della predisposizione da parte della Federazione sportiva e della associazione di categoria interessata di un
contratto tipo come disciplinato dall’art. 4 della legge.
69
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Pur dunque ritenendo la figura del «direttore sportivo» quale inquadrabile nell’ambito degli
sportivi professionisti ex art. 2 la mancata predisposizione di un contratto tipo29 ai sensi dell’art. 4,
co. 1 della l. n. 91 sarebbe ostativa alla applicazione della normativa «speciale».
Tale inquadramento suscita alcune perplessità, ritenendosi la speciale disciplina dettata dalla
l. n. 91 orientata a garantire un quadro normativo di riferimento in relazione a soggetti che
esercitino attività sportiva, cioè le cui prestazioni si caratterizzino da un contenuto direttamente o
indirettamente «agonistico» piuttosto che a soggetti i quali, pur contrattualmente vincolati a società
sportive, svolgano mansioni di carattere dirigenziale o amministrativo30; d’altra parte è da notarsi in
ordine ad una serie di figure professionali, pur conosciute in seno agli organigrammi societari, con
particolare riferimento all’area medico-sanitaria non si è addivenuti ad una estensione del campo di
applicazione della normativa.31
2. 1. Gli atleti professionisti
Se dubbio non vi è circa l’inclusione degli atleti nell’ambito soggettivo di applicazione della l.
n. 91 centrale nell’economia complessiva del testo normativo il disposto di cui all’art. 3.
Il testo normativo segna una netta evoluzione rispetto all’omologo disposto del disegno di
legge originario nell’ambito del quale (art. 4 co. 1) senza alcuna distinzione tra tecnici ed atleti si
prevedeva che: «la prestazione dello sportivo professionista è considerata prestazione di lavoro
autonomo ed è svolta mediante collaborazione coordinata e continuativa tra le parti».
29
Sul punto è da notarsi come già nel 1976 venne costituita l’Associazione dei Direttori e Segretari delle Società Sportive (A. DI.
SE), allo scopo di favorire la crescita in termini di competenze, professionalità e attendibilità di queste figure
L’8 Giugno 1991, finalmente dopo anni di intense trattative, venne alla luce il Regolamento dell’elenco speciale dei Direttori
Sportivi, che definisce il profilo professionale del Direttore Sportivo e fissa le condizioni per l’iscrizione all’istituto Elenco Speciale
degli operatori abilitati allo svolgimento della professione
Successiva è stato stipulato tra F. I. G. C. e A. DI. SE., un Accordo Collettivo con predisposizione del prescritto contratto tipo.
30
È da sottolinearsi come l’Art. 1 dell’Accordo Collettivo tra ADISE e tra Federazione italiana Gioco Calcio (F. I. G. C.), Lega
Nazionale Professionisti - e Lega Professionisti Serie C disponga che: «il presente Accordo Collettivo regola il trattamento
economico e normativo dei rapporti fra le società partecipanti ai campionati professionistici ed i prestatori di lavoro subordinato e/o
autonomo iscritti nell’Elenco Speciale (d’ora innanzi indicati come «tesserati») che svolgano l’attività ivi prevista e che ricoprano
nella Società un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia operativa e potere decisionale».
Il co. 2 dispone che: «rientrano, a titolo esemplificativo, il direttore generale, il direttore sportivo, il segretario generale o di settore»,
con una evidente dilatazione dell’ambito di applicazione della disciplina ex l. n. 91.
31
Ci si riferisce in particolare alla figura del medico sociale (riguardo alla quale Il D.M. 13 marzo 1995 del Ministero della Sanità
prevede l’obbligatoria presenza negli organigrammi societari), del massaggiatore o in generale di tutto il personale medico o
paramedico legato contrattualmente alla società sportiva.
70
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La nuova collocazione rivela il suo carattere essenzialmente definitorio e la funzione centrale
di discriminare tra autonomia e subordinazione della prestazione sportiva dell’atleta, fermo restando
per gli altri sportivi il criterio discretivo desumibile dalla combinazione tra gli art. 2094 e 2222 c.c.32
È opportuno sottolineare come l’art. 3 debba esser letto congiuntamente all’art. 10, co. 1 ai
sensi del quale «possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite
nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata».33
Con tale norma infatti si è voluto da un lato garantire specificatamente l’atleta, dall’altro
sancire la netta distinzione tra attività sportiva svolta a livello professionistico e dilettantistico dal
momento che, almeno fino all’intervento della l. 23 dicembre 2002 n. 28934, la forma di società di
capitali (S. p. A, S. r. L senza scopo di lucro) era da considerasi appannaggio esclusivo delle società
sportive partecipanti ad attività agonistiche qualificate come professionistiche.
Del tutto palese come il riferimento testuale alla figura dell’atleta lascia presumere che il
legislatore abbia volutamente escluso i tecnici professionisti, per i quali la natura giuridica del
datore assume i connotati dell’irrilevanza.35
32
Cfr. A. D’HARMANT FRANCOIS, op. cit., pag. 7. Così anche G. VIDIRI, op. cit., pag. 211. Sul punto L. MERCURI, Sport professionistico,
(rapporto di lavoro e previdenza sociale). in Nuov. mo. dig. it., Utet, pag. 511 il quale afferma come «dal dato normativo, pur
dovendo constatare una certa mancanza di coordinamento tra il co. 1 dell’art. 3 con le altre disposizioni della legge ed in particolare
gli art. 2 e 4, devesi rilevarsi che per le altre figure previste dall’art. 2 (direttori tecnico-sportivi, allenatori, preparatori atletici) la
qualificazione del rapporto in senso subordinato (…) potrà esser accertata ed eventualmente esclusa sulla base degli elementi e dei
criteri forniti dal diritto comune e con riferimento al rapporto concretamente instaurato».
In tal senso non appare condivisibile l’opinione di parte della dottrina secondo cui, considerando come «il contratto di lavoro
autonomo (previsto dall’art. 3, co. 2), si riferisca alla sola prestazione dell’atleta, laddove il contratto di lavoro subordinato sportivo
ha oggetto genericamente la prestazione lavorativa dello sportivo professionista (art. 4 co. 1), si dovrebbe concludere che proprio
l’attività normalmente oggetto di lavoro autonomo (come quella degli allenatori e dei direttori tecnico-sportivi) «diventerebbe alla
stregua delle nuove disposizioni oggetto esclusivo di un contratto di lavoro subordinato». (O. MAZZOTTA, op. cit., pag. 303).
A conferma della erroneità di tale conclusione la giurisprudenza di legittimità ha di contro affermato, nel presupposto che «la l. 23
marzo 1981 n. 91, detta regole per la qualificazione del rapporto di lavoro dell’atleta professionista, stabilendo specificamente l’art. 3
i presupposti della fattispecie, in cui la prestazione pattuita a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato»,
che per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’art. 2 «la sussistenza o meno dei vincolo di subordinazione deve esser
accertata di volta in volta» dunque non escludendo la possibilità che il rapporto tra allenatore e società sia qualificabile quale di
lavoro autonomo. Cass. 28 dicembre 1996, n. 11540, in Riv. Dir. sport., 1997, pag. 233.
33
La norma evidenzia i limiti dell’intervento legislativo così fortemente ancorato al modello di organizzazione sportiva calcistica ed
«esportabile» solo in talune discipline sportive. Sul punto A. LENER, op. cit., pag. 298 ove: «La . n. 91/1981 è essenzialmente una
legge per il calcio non per lo sport professionistico in genere (…)» essendovi degli sport «in relazione ai quali gli schemi della l. n.
91 non servono». Esemplificatamene basti pensare all’ambito tennistico ove l’atleta, pur tesserato per una società sportiva
eventualmente costituita in forma di società di capitali, non stipula alcun contratto con essa, o ai rapporti tra pugile ed il suo
procuratore e l’impresa organizzatrice di spettacoli sportivi (di norma non affiliata alla federazione), al motociclismo o
all’automobilismo nell’ambito dei quali gli atleti stipulano contratti con enti che non sono società sportive affiliate alle federazioni
ma società costruttrici di veicoli.
34
In particolare l’art. 90 co. 1 prevede l’estensione dell’applicazione del regime l. 398/91 (regime fiscale forfetario) anche alle
società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro indirettamente ammettendo la possibilità di
costituire società sportive in tali forme.
35
D’altra parte è il caso di notare come sia vigente un Accordo Collettivo con predisposizione del contratto tipo tra la Lega Nazionale
Dilettanti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (L. N. D. della F. I. G. C.) e l'Associazione Italiana Allenatori di Calcio (A. I. A.
C.) ai sensi dell’art. 4 della l. n. 91/81 «per la disciplina dei rapporti tra le società facenti parte della L. N. D. e gli allenatori
professionisti tesserati dalle medesime società».
71
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Quanto alla singolare «tecnica» normativa adottata parte della dottrina ha enfatizzato la
portata dell’art. 3, co. 2 affermando che nel tracciare lo spartiacque (tra lavoro autonomo e
subordinato) la legge si è affidata a criteri distintivi tipizzati secondo una scelta metodologica di
integrazione e sostituzione dell’art. 2094.
Secondo tale impostazione infatti il termine «requisiti» utilizzato dal legislatore nell’ambito
dell’art. 3, co. 2 sarebbe da assumersi nel suo significato tecnico ossia equivarrebbe a caratteristica
di una fattispecie che serve ad identificarla giuridicamente.
Ponendo il legislatore dunque quali requisiti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro
autonomo quelli elencati dall’art. 3, co. 2 a contrario dovrebbero dedursi quali elementi necessari ai
fini della qualificazione del rapporto di lavoro tra atleta e società sportiva come subordinato che
«l'atleta sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od
allenamento» (lett. b), che l’attività non sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione
sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo «(lett. a), che la
prestazione impieghi una parte rilevante della capacità lavorativa dell’atleta avendo una durata
superiore ad otto ore settimanali, cinque giorni al mese e trenta giorni l’anno» (lett. c).
Nella definizione del contratto di lavoro sportivo subordinato verrebbe dunque meno ogni
riferimento all’eterodirezione attraverso la creazione di «un nuovo tipo legale di contratto di lavoro
subordinato»36; tale scelta sarebbe stata dettata dalle caratteristiche peculiari del contratto di lavoro
sportivo nel quale la marcatissima implicazione della persona dell’atleta, con le sue eccezionali doti
fisiche, assume rilievo ponderante rispetto agli elementi dell’inserimento materiale nell’azienda e
dell’eterodirezione, donde l’opportunità di una speciale nozione della subordinazione che non sia
individuata dal modo d’esser intrinseco della prestazione.
Pur senza tralasciare come l’eterodirezione resti sempre un elemento causale rilevante nel
contratto di lavoro sportivo, nonché un naturalia negotii per effetto dell’applicazione dell’art. 2104
c.c. perderebbe però ogni rilievo distintivo, ribaltando così «un dogma giuslavoristico fino ad oggi
indiscusso uno dei pochi punti fermi su cui si era registrato un consenso unanime in materia di
definizione del lavoro subordinato».37
36
P. ICHINO., «Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento. Art. 2094-95, in Commentario del Codice civile» diretto da P.
SCHLESINGER, GIUFFRÉ, 1992; pag. 100 secondo cui «costatata l’inadeguatezza delle categorie giuslavoristiche tradizionali rispetto alla
caratteristiche del lavoro sportivo, il legislatore ha saputo sottrarsi all’alternativa tra far violenza a quelle categorie e far violenza alla
realtà socio-economica scegliendo di dar vita ad una nuova nozione di subordinazione e di collegare ad essa una disciplina speciale».
Analogamente L. MENGONI, Osservazioni e proposte sulla revisione della legislazione del rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1985,
I, pag. 432 ove. «la l. 91/81 relativa ad un rapporto di lavoro speciale può considerarsi la base per l’enucleazione di un criterio
ermeneutica più generale. la legge esclude infatti la configurabilità di una prestazione di lavoro quando essa pur essendo continuativa
impegni il lavoratore per periodi molto brevi».
37
P. ICHINO, op. cit., pag. 104.
72
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Nello specifico gli elementi identificativi della fattispecie del lavoro subordinato sportivo
sarebbero da individuarsi nelle sue dimensioni essenzialmente temporali rinvenibili nella non
occasionalità della prestazione dedotta in contratto (art. 3, co. 2 lett. a) dunque il suo carattere
continuativo nel suo senso atecnico ossia di prestazione «eccedente» nella sua dimensione
temporale la singola «occasione» sportiva, nell’estensione della prestazione «nell’unità di tempo»
(art. 3, co. 2 lett. c) tale da determinare, superando le soglie minime stabilite, un rilevante
assorbimento della capacità di lavoro38, in una peculiare forma di inserimento della prestazione
nell’organizzazione creditoria rappresentato dalla pattuizione del vincolo di partecipazione alle
sedute di allenamento (art. 3, co. 2 lett. b)39.
L’approccio ricostruttivo illustrato, incentrato sulla considerazione del lavoro subordinato
sportivo come fattispecie legale tipica «alternativa» all’art. 2094 cui fa da corollario l’estensione in
via tipologica dei peculiari indici qualificatori anche a fattispecie estranee all’ambito applicativo
della legge40 , appare però fondamentalmente viziato da alcuni contraddizioni.
Da un lato infatti non pare poter esser assunto quale elemento determinante nella definizione
della figura professionale dell’atleta il dato dell’esibizione in pubblico.
Non che tale aspetto non abbia rilievo, considerando come è innegabile la spettacolarità delle
prestazioni agonistiche, quanto piuttosto sottolineando come il legislatore non lo abbia assunto
quale elemento «ispiratore» dell’intervento in materia, motivato più che dalla peculiarità delle
prestazioni dei lavoratori sportivi come definiti dall’art. 2 dall’inserimento di dette prestazioni in un
38
Sicché il mancato superamento di dette soglie settimanali, mensili, annuali, fa sì che «il relativo rapporto di lavoro non abbia un
peso determinante nella vita professionale dell’atleta ovvero che l’esercizio della sua professionalità non dipenda in misura
preponderante dal rapporto stesso». (P. ICHINO, op. cit., pag. 101). Sembra quasi propugnarsi in tali passi un recupero quale indice
della subordinazione del criterio della dipendenza economica lasciando presumere una prestazione lavorativa inferiore alle soglie
minime previste una sostanziale indipendenza del prestatore dal singolo committente ben potendo data l’esiguità dell’«orario di
lavoro» esser parte di una pluralità di rapporti.
39
Il venir meno del coordinamento spazio-temporale come tratto distintivo del lavoro subordinato sportivo indurrebbe a valorizzare il
vincolo contrattuale assunto, nella misura in cui anche un lavoratore-atleta autonomo, nella sua esibizione in pubblico, ossia nella
partecipazione ad una manifestazione è vincolato ad una determinata collocazione spaziale.
40
Pur non trascurando la forza suggestiva di tale ricostruzione appare in vero «forzoso» considerare la legge sul lavoro sportivo come
valido punto di riferimento atto ad inquadrare tutte quelle prestazioni di attività lavorative che si sostanziano in una esibizione in
pubblico che determinerebbe una sostanziale annullamento del rilievo causale dell’inserimento continuativo della prestazione
nell’organizzazione datoriale. Non pare infatti condivisibile l’assunto in virtù del quale «il campo di applicazione della regola dettata
dalla l. n. 91/81 non sia limitato alla materia del lavoro sportivo» ma «può considerasi come espressione di un criterio di
qualificazione di portata più ampia più ampia». (P. ICHINO, op. cit., pag. 118).
Sotto il profilo poi della disciplina applicabile poi data l’ampiezza del tipo legale desumibile dalla l. n. 91/81 rispetto al tipo
normativo (lavoro sportivo dell’atleta) a cui si riferisce la disciplina speciale contenuta nella legge farebbe si che «la sussunzione nel
tipo legale non comporta la applicazione della disciplina legale» (P. ICHINO, op. cit., pag. 112.)
In altri termini ad esempio il rapporto tra attore teatrale e datore di lavoro andrebbe qualificato in senso autonomo o subordinato alla
luce degli indici individuati dall’art. 3 co. 2 della l. n. 91, se qualificato in termini di lavoro subordinato (ad esempio perché l’attore
sia vincolato ad una serie di sedute di preparazione, o il suo impegno non sia limitato ad una singola rappresentazione od ad una
breve tournèe) sarà applicabile la disciplina di diritto comune e non quella prevista dagli art. 4 e seg. della l. n. 91.
73
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
contesto peculiare rappresentato dall’ordinamento sportivo, con un recupero solo marginale della
specifica natura della prestazione in sede di disciplina applicabile.
Tale considerazione dovrebbe indurre ad affermare il carattere «specialistico» dei presunti
indici di subordinazione dunque la loro «inesportabilità» a fattispecie diverse.
Dall’altro fondamentale lato la ricostruzione appare viziata dal vistoso apriorismo
rappresentato dalla presupposizione in chiave pluralistica della fattispecie del lavoro subordinato
caratterizzata dall’individuazione di una più ristretta figura tipica «forte» di subordinazione
affiancata da una serie di fattispecie tipiche minori, tesi che non trova, de iure condito, consenso
presso la dottrina.
La dottrina a vocazione unitaria ha sottolineato come sia da escludersi che il disposto dell’art.
3, co. 2 «modifichi i canoni del diritto comune in base ai quali deve esser individuata l’esistenza di
un rapporto di lavoro autonomo o subordinato», essendo la particolarità della disciplina limitata al
prevedere «un limite quantitativo per l’applicabilità della disciplina legale del lavoro sportivo
subordinato».41
L’utilizzo del termine «requisiti» sarebbe da intendersi in un significato atecnico, ossia non
quale elemento della fattispecie quanto piuttosto quale sinonimo di «casi» o «ipotesi» nell’ambito
delle quali emergerebbe la figura dell’atleta professionista autonomo, in contrapposizione con
quella dell’atleta «inserito nell’organizzazione di una società sportiva con l’impegno di svolgere
una prestazione che è strumento essenziale per l’esplicazione dell’attività sociale».42
Non si è mancato di notare come in realtà «i requisiti specificati dalla lett. a) e b) (…)
rientrano nella logica di esclusione del lavoro subordinato così come prefigurato nell’art. 2094 c.c.;
il primo, riferendosi alla collaborazione prestata nell’espletamento di un’attività sportiva in una o
più manifestazioni tra loro collegate in un breve lasso di tempo, evoca il concetto dell’opus,
dell’obbligazione di risultati, il secondo, agganciandosi all’inesistenza dell’obbligo contrattuale di
frequentare le sedute di allenamento, richiama la nozione di subordinazione tecnica della
diligenza».43
41
M. PERSIANI, op. cit., pag. 573.
M. DE CRISTOFARO op. cit., pag. 577. Non sfugge all’Autore come «solo per l’attività sportiva subordinata e per gli aspetti ed i
problemi connessi ad una qualificazione di questo tipo il legislatore ha avvertito la necessità di una tutela adeguata degli interessi
sociali, economici e professionali degli atleti, dettando una apposita e riservata disciplina».
43
F. BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, op. cit., pag. 12 i quali riguardo alla lett. c) affermano che esso «dà luogo ad un processo di
detipizzazione della subordinazione canonizzata dalla norma civilistica; con una inusitata quanto insoddisfacente deviazione rispetto
all’ottica tradizionale, secondo la quale l’occasionalità della prestazione non esclude la natura subordinata della medesima, è stato
42
74
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Allora sarebbe da escludersi l’emergere dal complessivo disposto dell’art. 3 di una fattispecie
legale di lavoro subordinato ponentesi al di là dell’art. 2094 c.c., risolvendosi la peculiarità del
disposto normativo all’adozione di metodo di distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, non
legato alla «classica» differenziazione su base concettuale, ma «attraverso l’indicazione di ipotesi
precise di prestazione d’opera».44
Altro profilo di interesse è rappresentato dalla formulazione testuale secondo cui «la
prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di un contratto di lavoro subordinato
regolato dalle norme contenute nella presente legge» (art. 3, co. 1) con la quale il legislatore pare
introdurre una sorta di «presunzione assoluta dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato»45
destinata a venir meno nelle ipotesi previste dal co. 2.
Il richiamo però ad un istituto quale la presunzione iuris et de iure a non pare congruo. Le
presunzioni legali che rappresentano le conseguenze tratte dalla legge da un fatto noto per risalire
ad un fatto ignoto e che attiene alla fase di accertamento compiuto dal giudice intorno al fatto, non
hanno margine di operatività nella misura in cui la subordinazione non si configura quale fatto
storico quanto piuttosto la qualificazione di una fattispecie.
In realtà la percezione della portata dell’art. 3 della l. n. 91 pare possa esser pienamente intesa
solo attraverso una lettura che miri a considerare il complessivo disposto normativo ed in
particolare l’art. 4 che, secondo l’intestazione della rubrica, contiene la disciplina del lavoro
subordinato sportivo.
L’art. 4 ha un contenuto disomogeneo; buona parte delle prescrizioni ivi contenute attengono
più che alla disciplina in sé del rapporto a quella del contratto di lavoro, in senso documentale, ed
al sistema negoziale nel suo complesso.46
infatti attribuito alla brevità del rapporto, tassativamente quantificata dalla norma, valore preclusivo del carattere subordinato del
contratto di lavoro sportivo». Sempre con riferimento all’art. 3 co. 2 lett. c) G. GHEZZI U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Zanichelli,
1995, pag. 47 secondo cui «quest’ultima è la sola ipotesi legalmente prevista in cui il part-time, normalmente ininfluente ai fini della
classificazione del rapporto di lavoro subordinato, lo trasforma addirittura in rapporto di lavoro autonomo».
44
Critico con l’approccio legislativo S. GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica, op. cit., pag. 31 il quale sottolinea come «la
distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non può che discendere dai caratteri concreti con cui si atteggia il rapporto dalle
modalità del rapporto tra i due soggetti, datore di lavoro o committente ed il lavoratore, centrando questa identificazione in modo
primario sulla subordinazione».
45
D. DURANTI, op. cit., pag. 709. Così anche M. PERSIANI, op. cit., pag. 567 secondo cui la norma «sembra stabilire una sorta di
presunzione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato». Così anche G. VIDIRI, op. cit., pag. 210 il quale sottolinea come il
«legislatore abbia posto una presunzione di lavoro subordinato per il solo atleta».
46
In effetti i co. 7, 8, 9 sono finalizzati alla disciplina in senso stretto del rapporto disponendo la istituzione di un peculiare fondo per
la corresponsione dell’indennità di anzianità (co. 7), la inapplicabilità di alcune norme (co. 8, 9), risultando i comma precedenti a
disciplinare forma, contenuto, procedure negoziali del contratto di lavoro subordinato sportivo.
75
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Proprio infatti sul contratto di lavoro risulta imperniato il discorso normativo della l. n. 91;
non casualmente la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è riportata a quella tra contratti di
cui ciascuna di queste prestazioni costituisce oggetto.
Ciò a dire che la fattispecie del lavoro subordinato sportivo non deriva dalle modalità
esplicative del rapporto, recuperate parzialmente nell’ambito dell’art.3 co.2, ma trae la sua essenza
a livello meramente negoziale.
Sembra dunque potersi individuare la portata dell’art. 3 nell’intento di porre un limite
all’autonomia delle parti, nel senso che il rapporto di lavoro professionistico con l’atleta non può
non esser svolto che nello schema causale tipico della subordinazione salvo le eccezionali ipotesi in
cui la prestazione dell’atleta si svolga nello schema del lavoro autonomo.
In linea di fatto l’operazione legislativa, per mezzo della formulazione dell’art. 3 sarebbe atta
a garantire un ampliamento del campo di applicazione del diritto del lavoro, in un ambito ove si
erano manifestate profonde incertezze circa la qualificazione giuridica del rapporto, attraverso
l’assimilazione legale di certe categorie professionali ai lavoratori subordinati.
Con tecnica di ispirazione latamente corporativa, l’appartenenza ad una determinata categoria
professionale dispensa dall’utilizzo di forme contrattuali diverse dal contratto di lavoro subordinato,
assumendosi la fattispecie de quo quale modello social-tipico informatore dei rapporti atleti-società.
L’attenzione è concentrata più che sulla qualificazione del rapporto, sullo strumento
contrattuale e le discipline applicabili; in tal ottica l’art. 4 recupera alcuni aspetti già diffusi
nell’ambito dei c.d. contratti di ingaggio quali la forma scritta, l’utilizzo di modelli standard,
l’approvazione da parte di organi federali, ma insieme rimodella il sistema negoziale attribuendo un
ruolo fondamentale all’autonomia collettiva ed impone contenuti al contratto individuale finalizzati
alla «prevenzione» di surrettizie reintroduzioni di discipline «vincolistiche» limitati della libertà
contrattuale dello sportivo (art. 4, co. 6)47.
47
Art. 4 co. 6 l. 23 marzo 1981 n. 91: «Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della
libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo
svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni». Così ad esempio la previsione del co. 7 ai sensi del quale: «le federazioni sportive
nazionali possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione
della indennità di anzianità al termine dell'attività sportiva a norma dell'art. 2123 del codice civile».
Pur non sfuggendo la difficoltà nella ricognizione interpretativa dell’art. 4 co. 7 data l’ambigua formulazione del testo che pur
richiamando l’istituto dell’indennità di anzianità (art. 2120 c.c.), parla esplicitamente di «termine dell’attività sportiva» e non di
«cessazione del rapporto di lavoro», la peculiarità del riconoscimento di un «potere» unilaterale («possono costituire») alle
federazioni di costituzione dello specifico fondo, nonché la contraddittorietà del riferimento all’art. 2123 c.c. inerente forme
previdenza eventualmente facoltative e non sostitutive della indennità di anzianità (TFR) in realtà pare palese il richiamo al c.d.
«Fondo di accantonamento indennità di fine carriera» costituito nel 1975 fra la Lega Nazionale Professionisti, la Lega Professionisti
di serie C, l'Associazione Italiana Calciatori e l'Associazione Italiana Allenatori Calcio e destinato, per mezzo dei versamenti delle
società datrici a garantire la corresponsione di una indennità di fine carriera.
76
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La tipologia cosi definita è corredata poi da un nucleo di disciplina speciale nell’ambito della
quale taluni potenziali problemi di coordinamento con la normativa comune vengono già risolti in
sede legislativa. L'estensione dell'ambito del lavoro subordinato a fattispecie in cui vengono fatte
prevalere le ragioni di una tutela accentuatamente protettiva dei prestatori si realizza allora a mezzo
del richiamo al prototipo normativo del «lavoro subordinato » salvi gli opportuni adattamenti.Sono
individuati infatti dal legislatore una serie di disposti propri del prototipo normativo di cui si
esclude l’operatività (es.art.4 co.8 e 9 L.91/81), implicitamente ammettendosi l’applicabilità in via
integrativa di tutte le discipline di diritto comune.
2.2. Gli atleti non professionisti.
Il quadro ricostruttivo su evidenziato lascia trasparire come il legislatore, forse
inconsapevolmente, abbia assunto, nel delineare il campo di applicazione della l. n. 91, un modello
fondamentalmente aselettivo.
La scarsa significatività degli elementi discriminati e la prassi di estendere il novero delle
figure professionali confermano tale conclusione lasciando emergere dunque la centralità della
«qualificazione federale»48.
Con particolare riferimento agli atleti, l’art. 2, già in limine, evidenzia le due caratteristiche
che devono essere compresenti ai fine dell’ identificazione; da un alto la titolarità di un contratto di
lavoro sportivo a titolo oneroso avente ad oggetto un’attività svolta con continuità, dall’altro (ma in
ordine logico in via preliminare) l’avvenuta qualificazione dello sportivo come professionista da
parte delle rispettive federazioni nazionali.
Tale opzione legislativa ha, nella realtà fattuale, alimentato le ambiguità circa la qualificazione
giuridica del rapporto tra sportivi dilettanti e società, ingenerando l’inconveniente di sottrarre alla
disciplina della l. n. 91 l’intera area del c.d. professionismo di fatto; è agevole infatti dedurre come
si fornisca del professionismo sportivo una nozione ancorata alla «presenza di elementi che
escludono l’acquisizione di fatto del relativo status».49
48
In senso analogo G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. Civ., 1993, pag. 209, il quale
osserva che «oltre all’assunzione dell’obbligo a svolgere con carattere di continuità l’attività sportiva dietro un corrispettivo
professionale, ulteriore elemento necessario per la configurabilità del professionismo sportivo è dunque la qualificazione attribuita
dall’unico soggetto a ciò legittimato: la federazione competente per il singolo sport».
49
F. BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, op. cit., pag. 7. Tale metodo definitorio legittima l’idea dell’ordinamento sportivo quale «ordinamento
a carattere chiuso» Sul punto G. GIUGNI, op. cit., pag. 170. Circa il carattere «dominante» dell’elemento della qualificazione G.
VALORI, Il diritto nello sport, Giappichelli, 2005, pag. 200 ove: «non è lo svolgimento dell’attività sportiva a titolo oneroso con
77
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La centralità dell’elemento della «qualificazione federale» esige un approfondimento in tema;
«con tale termine ci si riferisce ad una attività di carattere latamente normativo posta in esser dalle
federazioni, in ossequio alle direttive del CONI di contenuto astratto e generale cui, sul piano
dell’individuazione in concreto di chi è professionista, il cosiddetto tesseramento è un momento
successivo e strumentale».50
Quanto al momento generale astratto di normazione (individuabile a livello statutario e/o
regolamentare) puntualmente l’art. 5. 2 lett. d) del D. lgs. 23 luglio 1999, n. 242 prevede che il
Consiglio Nazionale del Coni «stabilisca in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale e
nell'ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale, criteri per la distinzione dell'attività sportiva
dilettantistica da quella professionistica».51
Nel predisporre dunque un’organica disciplina del rapporto di lavoro sportivo, il legislatore
con la l. 91/1981 si richiama formalmente alla tradizionale dicotomia dilettante-professionista
ispirata alla filosofia dell’olimpismo, che, sebbene oggetto a radicali critiche52, trova riscontro ancor
oggi, seppur come si vedrà con carattere non univoco, nell’ambito delle organizzazioni federali
nazionali ed internazionali.53
D’altra parte nell’ ordinamento generale statuale la nozione di atleta dilettante non pare
oggetto di specifica attenzione legislativa assunta come è quale pura espressione dell’assiologia
carattere di continuità a conferire alla prestazione sportiva la qualificazione di attività professionistica o dilettantistica, quanto il
riconoscimento ufficiale da parte delle Federazioni sportive dell’esercizio dell’attività sportiva professionistica per i propri tesserati».
Sul tema della qualificazione anche L. MUSUMARRA, La qualificazione degli sportivi professionisti e dilettanti, in Riv. Dir. Econ. Sport,
2005, pag. 40 seg.
50
G. GIUGNI, op. cit., pag. 167. Tale chiarificazione risulta opportuna considerando come nell’ambito dell’art. 2 la nozione di sportivo
professionista non debba intendersi quale conseguenza del tesseramento del singolo soggetto ma quale conseguenza della scelta delle
singole Federazioni di dar vita nel proprio ad un settore professionistico. La distinzione tra professionisti e dilettanti è infatti rimessa
alle singole federazioni sportive nazionali, secondo direttive del CONI, che in realtà, si limita a verificare una non contraddittorietà
con le norme del CIO e dell’ordinamento sportivo internazionale. Allo stato attuale, non v’è alcun dubbio che la scelta del regime,
professionistico o dilettantistico, ovvero la scelta della compresenza di entrambe le componenti (a seconda dei livelli e/o dei settori
dell’attività) debba trovare espressa menzione nei fini istituzionali della Federazione. Ad oggi secondo la delibera del CONI n. 469
del marzo 1988 è attività sportiva professionistica soltanto l'attività svolta nell'ambito delle seguenti federazioni: Federazione
ciclistica italiana, Federazione Italiana Golf; Federazione Italiana Giuoco Calcio, Federazione Motociclistica Italiana, Federazione
Pugilistica Italiana cui aggiungersi la Federazione Italiana Pallacanestro (a partire dal 1995).
51
Formulazione fondamentalmente richiamata dall’art. 6. 4 lett. d) Statuto Coni adottato il 23 marzo 2004 secondo cui Il Consiglio:
«stabilisce, in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale e nell'ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale e delle
Discipline Sportive associate, criteri per la distinzione dell'attività' sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella
professionistica».
52
Ex plurimis I. MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, Giuffrè, 1977, pag. 136 e seg. il quale sottolinea come «per l’olimpismo il
problema (della distinzione dell’attività professionistica e dilettantistica) non si pone perché secondo tale dottrina solo lo sport
dilettantistico e cioè quello praticato dall’atleta senza ricevere direttamente o indirettamente alcun aiuto economico, è vero sport,
mentre il cosi detto sport professionistico non appartiene alla categoria dello sport ma a quella del lavoro».
53
Per un’ampia ricognizione delle normative statutarie e regolamentari federali sul piano internazionale vedi P. LOMBARDI, II vincolo
degli atleti nel diritto dello sport internazionale, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 97 seg.
78
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
sportiva, ossia come attività agonistica a carattere programmatico orientata al miglioramento dei
risultati.54
In vero il CIO, massima espressione dell’ordinamento sportivo internazionale, quasi
postumamente aderendo alla posizione decoubertiniana sul tema55, ha da tempo rinunciato alla
codificazione della nozione di atleta non professionista.
Il Comitato Olimpico Internazionale riserva a sé infatti un mero potere di approvazione
relativamente ai requisiti di ammissione ai giochi Olimpici (c.d. «eligibilità»), la cui determinazione
è rimessa alle singole Federazioni sportive Internazionali56, ed ha superato ogni preclusione
all’accesso ai giochi quadriennali da parte degli atleti professionisti, a condizione che accettino il
regolamento olimpico che impone esclusivamente il divieto di ogni forma di ricompensa finanziaria
per le prestazioni fornite nel corso della manifestazione57.
In concreto dunque sono le disposizioni degli Statuti e dei regolamenti delle Federazioni
Sportive Internazionali a definire in vario modo lo spartiacque tra attività sportiva professionistica e
non.
54
L’unica definizione di non professionista nell’ambito della legislazione statale era da rinvenirsi nell’attualmente abrogato d. P. r. n.
530 del 1974 (Regolamento di esecuzione della l. n. 426 del 1942) che individuava l’atleta non professionista come colui il quale
«pratica lo sport senza trarne alcun profitto materiale direttamente od indirettamente». D’interesse la definizione di sportivi dilettanti
come «tutti i tesserati che svolgano attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico motorio o quale impiego
del tempo libero, con esclusione di coloro che vengono definiti professionisti dagli specifici regolamenti delle organizzazioni
sportive nazionali di appartenenza o che vengano ricompresi nelle previsioni di cui al d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38» di cui al decreto
interministeriale 17 dicembre 2004, disciplinante le modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione obbligatoria presso la Cassa di
previdenza per l'assicurazione degli sportivi dilettanti, nonché i termini, la natura, l'entità' delle prestazioni e i relativi premi
assicurativi.
Correttamente si è osservato come però in alcuni settori normativi si abbozzi una linea di demarcazione diversa, come ad esempio
l’attuale art. 27 n. 5 bis della l. Bossi-Fini, (l. 30 luglio 2002 n. 189), emendato su esplicita richiesta del CONI, che prevede, ai fini
del rilascio del permesso di soggiorno, l’endiadi «attività sportiva professionistica o comunque retribuita», dizione quest’ultima che
finisce con il costituire un indiretto riconoscimento legislativo del professionismo di fatto. (Cfr. A. De Silvestri, Il lavoro nello sport
dilettantistico, op. cit., pag. 12.
In via applicativa però la citata normativa conduce ad esiti paradossali. La società dilettantistica o professionistica che intenda
avvalersi dell’attività di uno sportivo straniero anche non professionista, dovrà formulare comunque una proposta di soggiorno e una
richiesta di dichiarazione nominativa di assenso per lavoro subordinato sport alla federazione di appartenenza corredata
dall’autorizzazione rilasciata dalla competente Direzione Provinciale del Lavoro anche in ipotesi in cui alcun contratto di lavoro sia
in essere (come nel caso degli atleti non professionisti).Recentemente però il Ministero dell’Interno con la Circolare n.8 del 2 marzo
2007, preso atto, sic stantitibus rebus, della non configurabilità di contratti di lavoro subordinato in ambito non professionistico, ha
esonerato gli atleti extracomunitari dilettanti dalla stipula del contratto di soggiorno.
55
P. DE COUBERTIN, Memorie Olimpiche, Mondadori, Milano, 2003, pag. 95: «Per me lo sport era una religione con chiesa, dogmi,
culto, ma soprattutto sentimento religioso, e mi sembrava infantile collegare tutto ciò al fatto che un atleta potesse aver ricevuto un
pezzo da cento».
56
Cfr. punto 1 Testo di applicazione regola 45 della Carta Olimpica ai sensi del quale: «Ciascuna Federazione Internazionale fissa i
criteri di ammissione relativi ai propri sport secondo la carta Olimpica. Questi criteri devono esser sottoposti all’approvazione della
Commissione esecutiva del CIO».
57
Cfr. art. 45 della Carta olimpica, in particolare il punto 4 del Testo di applicazione. Da tale disposizione si deduce come la
distinzione tra dilettanti e professionisti non abbia rilievo ai fini della partecipazione ai giochi olimpici e, sottotraccia, viene ammessa
la possibilità che un atleta dilettante, al di fuori delle Olimpiadi, sia remunerato per l’attività svolta.
79
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
In tal ambito è dato rilevarsi una gamma ampia e diversificata di soluzioni; dalla notevole
eccezione rappresentata dal regolamento interno della F. I. B. A., la quale da circa dieci anni ha
abolito la distinzione tra professionisti e dilettanti, fino al vigente Regolamento F. I. F. A. in materia
di status e trasferimento dei calciatori, che all’art. 2 considera professionista l’atleta «che ha un
contratto scritto con una società e che in cambio della propria prestazione riceve un pagamento
superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività calcistica».
Nell’assenza di alcun indirizzo da parte del Coni, avendo l’ente pubblico omesso
concretamente di emanare quelle direttive per la distinzione tra attività dilettantistica e
professionistica che pur la legge58 espressamente e con precisione richiede, si è affermata la
tendenza da parte delle singole federazioni ad emanare in proprio discipline in ordine al
riconoscimento all’interno della propria organizzazione di eventuali settori professionistici
indubbiamente non «in armonia» con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale.
Eclatante sul punto il caso FIGC la cui normativa interna, malgrado un esplicito obbligo di
conformazione a riguardo59, pare porsi in evidente difformità, in parte qua, rispetto ai disposti
internazionali in materia.
Basterebbe osservare come tra la definizione di cui all’art. 2 del Regolamento FIFA ed il
combinato disposto degli articoli 29 e 94 ter NOIF sussista una differenza in termini qualitativi
essendo, nel primo caso, la definizione tipicamente ricondotta allo svolgimento dell’attività senza
corrispettivo, mentre nel secondo si ammetta esplicitamente la dazione di voci premiali, compensi,
rimborsi forfetari per definizione del tutto svincolati da rendicontazione circa l’effettivo
sostenimento.
Non casualmente la Dispute Resolution Chamber, organismo di risoluzione delle controversie
in tema di corresponsione di indennità di trasferimento disciplinato dall’art. 22 lett. d) del
Regolamento FIFA citato, ha più volte affermato il principio in virtù del quale il riconoscimento in
forma diretta o indiretta di benefici ultronei rispetto al mero rimborso dei costi per il vitto,
l’alloggio, l’allenamento, l’assicurazione, comporti la perdita dello status di dilettante prescindendo
dalla formale qualificazione federale.60
58
Né da ultimo la Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli
Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» pare aver mutato
rotta prevedendosi al punto 22 che «i criteri per la distinzione tra l’attività sportiva professionistica e non professionistica sono
rimessi all’autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla l. 23/3/91 e successive modifiche».
59
Recita l’art. 1 del Regolamento FIFA riguardante lo Status ed il Trasferimento dei calciatori: «Le singole Federazioni nazionali
sono obbligate a recepire nei propri regolamenti a partire dall'1 luglio 2005 gli artt. 2-8, 10, 11 e 18, mentre le parti rimanenti
potranno essere integrate antro 30 giugno 2007».
60
Ai sensi dell’art. 20 co. 2 del Regolamento FIFA riguardante lo Status ed il Trasferimento dei calciatori: «L'indennità di formazione
è dovuta nei seguenti casi: a) Quando il giocatore sottoscrive il suo primo contratto professionistico; b) Ad ogni trasferimento fino
80
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La mancata, pur ex lege necessaria, predisposizione da parte del CONI di direttive e criteri
validi nella generalità dei casi e l’affermarsi della prassi di approvazione postuma delle
deliberazioni federali in materia, si è tradotta in arbitrarietà e disparità di trattamento.
Emerge dunque una fondamentale «ambiguità e limitatezza della l. 91/81 che demanda alle
federazioni sportive il potere di attribuire il presupposto legale del contratto di scambio mediante il
quale un lavoratore sportivo possa prestare la propria attività a favore di una società a titolo
oneroso»61, in tutte quelle ipotesi pur non ricomprese nel campo di applicazione della legge ma che
realizzino presupposti socio-economici e giuridici analoghi62 .
In tali casi dottrina e giurisprudenza sono fondamentalmente divise quanto alle soluzioni
astrattamente prospettabili.63
Da un lato si afferma la necessità «di attribuire un significato più generale alle norme
definitorie alla legge sul professionismo in quanto indicative dei caratteri che presiedono
all’individuazione qualitativa del rapporto a prescindere dal presupposto legale (la qualificazione ex
art. 2) del professionismo».64
Secondo tale impostazione, pertanto, si deve disattendere la qualificazione degli atleti come
dilettanti in sede di applicazione della l. 91/81, considerando come «il ritorno alla disciplina di
diritto comune per l’area del professionismo di fatto oltre ad urtare con la voluntas legis farebbe
sorgere in termini invertiti problemi di disparità di trattamento».65
alla stagione in cui compie 23 anni e comunque in funzione dello status del giocatore, ossia da dilettante a professionista o da
professionista a professionista».
Il co. 3 prevede altresì che: «L'indennità di formazione non è dovuta: a) Per trasferimento da dilettante a dilettante o per trasferimenti
da professionista a dilettante; b) Se il calciatore è trasferito ad una società della categoria 4; c) Se un club risolve unilateralmente il
contratto di un giocatore senza giusta causa, fermo restando l'indennizzo dovuto ai precedenti club che hanno preparato il giocatore».
Centrale, in ordine alle ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità, la individuazione dello status dell’atleta. La Camera
(Dispute Resolution Chamber, 4 febbraio 2005, inedita) ha ritenuto di qualificare quale «professionista» un atleta formalmente «non
professionista» alla luce della intervenuta pattuizione circa la dazione di somme a titolo di rimborso spese di viaggio in favore dei
familiari dello stesso evidentemente qualificando tale pattuizione come corresponsione indiretta di somme ultronee rispetto ai costi
effettivamente sostenuti.
61
L. MERCURI, voce Sport professionistico (rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Nuoviss. Dig. it, Utet, 1987, pag. 519
62
TAR Lazio, sez. Ter, 5 dicembre 2002, inedita: «Certamente la mancata applicazione al settore del basket femminile della l. 23
marzo 1981, n. 91, è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare difficile configurare come dilettantistico una
attività sportiva comunque connotata dai due requisiti richiesti cui all’art. 2 (remunerazione comunque denominata e la continuità
delle prestazioni) per l'attività professionistica».
63
Sul punto P. SANDULLI, Autotutela collettiva e diritto sportivo, in Dir. Lav., 1989, pag. 281 ove si afferma che l’esclusione dei
dilettanti dal «novero» dei lavoratori se «indiscutibile sul piano formale, in considerazione del rinvio che la l. n. 91 opera rispetto alle
determinazioni del Coni quanto alla qualificazione di alcune attività quali dilettantistiche» non altrettanto certo è se tale rinvio «sia
idoneo ad escludere effettivamente, in presenza di vere e proprie finzioni, l’operatività di quel processo di espansione del diritto del
lavoro».
64
L. MERCURI, op. cit., pag. 519. L’Autore sostiene che qualora non si acceda a tale tesi «della sostanziale irrilevanza del carattere
professionistico dell’attività così come richiesto dalla legge, in ordine alla applicabilità delle normative di tutela del rapporto da essa
prevista resta sempre che tali normative potrebbero venire in discorso in via analogica».
65
F. REALMONTE, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, pag. 374. L’Autore nota come ammettendo la
applicabilità della disciplina di diritto comune «ci si troverebbe nella non facile posizione di spiegare la ragione per la quale agli
atleti esclusi dall’ambito della l. n. 91 si finisca per riservare una tutela qualitativamente più intensa».
81
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Tale indirizzo trova raramente conforto nella giurisprudenza; in un isolato precedente sul
tema66, si è ritenuta ad esempio la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato ai sensi della
l. 91/81 tra un allievo allenatore ed una associazione sportiva affiliata alla Federazione italiana
hockey e pattinaggio.
Altra dottrina, accertata l’impossibilità di estendere la normativa contenuta nell’art. 4 e
seguenti della l. 91/81 oltre il campo di applicazione specificatamente delimitato, e considerando la
natura speciale della legge ex art. 14 delle preleggi, insuscettibile di applicazione indiretta o
analogica67, ritiene che tutte le questioni relative a quei prestatori di lavoro sportivo non
contemplati, ma che in ogni caso svolgano a titolo oneroso la propria attività lavorativa, devono
esser risolti ricorrendo alla normativa comune.
Sul piano dogmatico infatti le relazioni tra le due normative, le norme codicistiche e la l. n.
91/81, possono essere regolate in base al criterio della specialità
con la conseguenza che
ogniqualvolta la fattispecie da regolamentare non presenti i tratti qualificanti della normativa
speciale la stessa non può che ricadere nell'ambito della più ampia disciplina generale.
3. Gli sportivi non professionisti nella giurisprudenza nazionale ed internazionale
66
Pretura Busto Arsizio 12 dicembre 1984 in Giust civ. 1985, pag. 2085 con nota adesiva di C. Zoli. Nel caso di specie in vero non
pare però congruo il richiamo alla l. 91/81 in considerazione dell’assenza della «qualificazione» federale e che la Federazione italiana
hockey e Pattinaggio non riconosce nel suo interno un settore professionistico. Latamente sembrerebbe propugnare l’applicabilità
della normativa di cui alla l. 91/81 anche ad ipotesi estranee al suo campo applicativo Cass. Civ., Sez. Lav. 1 agosto 2003, n. 11751.
In tale pronuncia la Suprema Corte, nel confermare la piena validità di un lodo emesso nell’ambito di una federazione non
professionistica quale la F. I. S. G., ha ritenuto di poter fare riferimento alle previsioni di cui all’art. 4 co. 5 l. 91/81. In senso analogo
già antecedentemente Cass.Civ.,Sez.Lav., 6 aprile 1990, n.2889 ove riguardo ad una controversia tra associazione sportiva ed atleta
non professionista si sostiene che le parti «avvalendosi espressamente della facoltà prevista dal 5 comma dell'art. 4 della L. 91-81,
hanno concordemente devoluto la soluzione della controversia al Collegio Arbitrale costituito a norma del citato articolo con
conseguente applicazione del procedimento previsto dall'art. 23 del Regolamento di disciplina della F.I.G.C., procedimento che, per
sua natura e definizione, ha carattere irrituale, risolvendosi con una pronunzia emessa in unica istanza secondo equità e qualificata
come
definitiva
e
non
impugnabile
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente devesi poi rilevare che nelle controversie di lavoro - a norma dell'art. 5 della L. N.
533 del 1973 - è ammissibile anche l'arbitrato irrituale, purché previsto dalla Legge o dai contratti ed accordi collettivi.
Nella fattispecie la normativa di riferimento è costituita dalla legge N. 91-81 concernente i rapporti fra società e sportivi
professionisti».
67
G. MART.INELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, in Riv. dir. sport., 1993, pag. 17. Sul punto altresì F.
BIANCHI D’URSO G. VIDIRI, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, pag. 8-9, G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra
Codice Civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav. 2002 pag. 39. Su posizioni similari più di recente G. VALORI, op. cit. pag. 200-201,
nonché M. T. SPATAFORA, op. cit., pag. 62 secondo cui: «È legittimo ritenere che, seppur non trovi applicazione la l. n. 91/81
troveranno applicazione le norme di diritto comune e, ricorrendone i requisiti, l’art. 2094 c.c., la normativa dettata in linea generale
per ogni rapporto di lavoro subordinato».
82
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Sul piano della giurisprudenza internazionale, nazionale e talvolta anche arbitrale68 in seno
alle singole federazioni sportive nazionali, va vieppiù consolidandosi la tendenza ad un approccio
meno formalistico tendente a superare il requisito della qualificazione federale.
Tale evoluzione è scandita in maniera perentoria dalla giurisprudenza comunitaria sul tema
ove è affermato il principio in virtù del quale «la semplice circostanza che una federazione sportiva
qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte non è di re sé tale da
escludere che questi ultimi esercitano attività economiche ai sensi dell’art. 2 del Trattato».69 La
sentenza in esame si riconnette alla pregresse pronunce in tema di rapporti tra sport e diritto
comunitario.
In particolare trova sviluppo un profilo incidentalmente accennato dalla sentenza Bosman 70
relativo alla configurabilità quali attività economiche, delle prestazione di servizi rese da atleti che,
pur non essendo qualificati quali professionisti, abbiano un concreto rilievo economico. In
particolare il punto 73 della motivazione «Bosman» nel ribadire che «considerati gli obbiettivi della
Comunità, l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia considerabile attività
economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato», specificava come tra le attività economiche siano da
ricomprendersi «l’attività di calciatori professionisti o semiprofessionisti che svolgono prestazioni
di lavoro subordinato o effettuano prestazione di servizi retribuite».
Il richiamo ai calciatori «semiprofessionisti», non rispondente alle normative sportive
internazionali ed nazionali vigenti dalle quali tale categoria è stata espunta da tempo, pare
probabilmente ricondursi proprio agli atleti che seppur formalmente dilettanti percepiscano
indennità superiori all’importo delle spese sostenute.
68
Esemplificativamente Coll. Arb. Fipav Lodo del 31 marzo 1999 Firenze Volley s.p.a./Schultz Cristine, ove, rilevato che il contratto
portato alla sua cognizione regolava un rapporto qualificabile senz’altro in termini di lavoro, che le relative controversie rientravano
in ogni caso tra quelle elencate nell’art. 409 c. p. c., ed accertato perciò che la clausola compromissoria in esso apposta era inficiata
da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio, in quanto compromette (va) in arbitri in materia devoluta al Pretore in funzione di Giudice
del lavoro in forza di norma inderogabile, ha deciso, «conseguentemente, di non proseguire oltre nella procedura in quanto ogni atto
sarebbe (stato) travolto da nullità».
Conformemente Coll. Arb. Fipav Lodo 13 aprile 2002, Bagnoli/Daytona Volley S.p.A. Per una esaustiva rassegna della
giurisprudenza arbitrale in materia vedi A De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 23
69
Corte di Giust. CE, sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Il lav. nella giur., 2001, pag. 266, punto 46
motivazione. La presa di posizione è estremamente significativa in quanto assunta in un clima complessivo di «apertura» da parte
degli organismi comunitari circa la necessità di instaurare un rapporto collaborativo con le istituzioni sportive nazionali ed
internazionali che appariva compromesso dal noto «affaire Bosman» e, con particolare riferimento all’universo dilettantistico, di
valorizzazione della sua indubitabile funzione sociale. Sul punto vedi l’art. 29 della Dichiarazione sullo sport del trattato di
Amsterdam (1997) ove si afferma che: «La conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso
assume nel forgiare l’identità e nel riavvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell’unione Europea a prestare
ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardino lo sport. In quest’ottica, un’azione
un’attenzione particolare dovrebbe esser riservata alle caratteristiche dello sport dilettantistico». Ma sul punto altresì vedi la
Relazione della Commissione europea al Consiglio Europeo di Helsinki (1999), la Dichiarazione del Consiglio europea di Nizza
(2001).
70
Corte di Giustizia 15 dicembre 1995, causa C-414/95, in Racc. GC 1995, pag. 4921.
83
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La Corte di Giustizia con la sentenza 11 aprile 2000 sfugge alla tralatizia tautologia «è
dilettante chi è qualificato dilettante», muovendo di contro ad una verifica in concreto delle
caratteristiche dell’attività svolta dall’atleta dilettante onde accertarne il rilievo economico e la
configurabilità di essa quale prestazione di servizi ai sensi degli art. 49 e 50 Trattato UE (ex art. 59
e 60).71
Nel caso di specie, data la natura individuale dello sport praticato, la nozione di «prestazione
di servizi» viene originalmente configurata non tanto muovendo dalla circostanza che l’atleta
ricevesse da parte del Comitato olimpico nazionale e dalla Federazione dei compensi correlati ai
risultati sportivi, e che ella avesse stipulato di contratti di sponsorizzazione con un istituto bancario
ed un costruttore di automobili, quanto piuttosto dal dato che la partecipazione di un atleta ad una
competizione «ad alto livello possa comportare la prestazione di servizio diversi, ma strettamente
connessi, anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono».
In altri termini la Corte ha sostenuto che l’organizzazione di una competizione di richiamo
con più atleti gareggianti tra loro si basa sull’attività di questi in quanto produttiva di uno
spettacolo, da cui indirettamente gli organizzatori possono trarne vantaggio tramite la vendita di
biglietti di ingresso alla manifestazione, la cessione dei diritti di trasmissione televisiva.72
Si glissa in ordine alla qualificazione «diretta» della prestazione resa dall’atleta dilettante,
richiamandosi piuttosto al «contesto» economico in cui tale prestazione agonistico-sportiva viene
espletata giustificandosi la sua inclusione nell’ambito della prestazione di servizi 73, e correttamente
evidenziando la dinamica dei rapporti tra atleti ed organizzatori di eventi sportivi.74
71
L’affermazione della irrilevanza della qualificazione formale delle federazioni, è determinata da una ragionevole necessità di un
approfondimento del rilievo economico delle prestazioni sulla scorta della consolidata giurisprudenza della Corte che, considerati gli
obiettivi dell’Unione, ritiene l’attività sportiva disciplinata dal diritto comunitario in quanto configurabile come attività economica ai
sensi dell’art. 2 CE (sentenze della Corte Walrave, punto 4; 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punto 12; Bosman,
punto 73; Deliège, punto 41, nonché 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen) e Castors Braine, Racc. pag. I-2681, punto 32,
Deutscher Handballbund, Racc. pag. I-4135, punti 56-58),
72
Corte di Giust. CE, sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97 punto 57 motivazione: «A mo’ di esempio,
l’organizzatore di siffatta competizione offre all’atleta la possibilità di esercitare la sua attività sportiva misurandosi con altri
concorrenti e correlativamente gli atleti con la loro partecipazione alla competizione permettono all’organizzatore di produrre uno
spettacolo sportivo al quale il pubblico può assistere, che emittenti radiotelevisive possono ritrasmettere e che può interessare quanti
intendono inviare messaggi pubblicitari nonché sponsor. Inoltre l’atleta fornisce ai propri sponsor una prestazione pubblicitaria che
trova supporto nell’attività sportiva stessa».
73
«Con questa chiave interpretativa la Corte ha invitato il giudice nazionale a configurare in termini dilettantistici o professionistici
l’attività della Deliege dando più di un’indicazione nel ritenere tale attività formalmente dilettantistica, ma sostanzialmente tutt’altro
che amatoriale». G. ADAMI, Attività sportiva professionistica o amatoriale secondo il diritto comunitario, in Il lav. nella giur., 2001,
pag. 243
74
A differenza degli sport di squadra ove il rapporto di lavoro intercorre tra atleta e società sportiva a favore della quale lo sportivo si
lega in via esclusiva, negli sport individuali lo sportivo, pur se talvolta tesserato per un circolo o sodalizio sportivo, non è a questi
legato da alcuna rapporto di lavoro, pur potendo partecipare eventualmente alle attività sociali in qualità di socio.
84
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Tale passaggio argomentativo appare comunque sufficiente ad offrire al giudice nazionale dei
parametri atti a qualificare in senso professionistico l’attività svolta dall’atleta formalmente
qualificato dilettante.
Prescindendo dalle risultanze del giudizio75, ciò che rileva nell’economia del discorso, è da un
lato la ribadita applicabilità della normativa comunitaria nell’ambito dell’attività sportiva nella
misura in cui essa possa considerarsi attività economica76, dall’altro la propensione della Corte ad
una interpretazione non restrittiva delle nozioni di lavoratore subordinato o prestatore di servizi.77
Tralasciando il richiamo alla prestazione di servizi, sul punto vi è da notarsi come
costantemente la Corte di Giustizia, in assenza di alcuna specifica definizione di «lavoratore», ha
avvertito la necessità «di intervenire sul punto per evitare che differenti posizioni delle legislazioni
nazionali potessero compromettere le garanzie offerte dal Trattato»78.
La consapevolezza del grande rilievo e delle implicazione della questione ha indotto la
giurisprudenza comunitaria ad affermare come la nozione di lavoratore subordinato non dipenda
dalle specifiche disposizioni normativa dei singoli stati ma da quelle comunitarie; d’altra parte
l’esito interpretativo risulta obbligato per alcuni versi in tal senso considerando come altrimenti
«ciascun stato potrebbe modificare la portata della nozione di lavoratore ed escludere a suo
piacimento determinate categorie di persone dalle garanzie del Trattato».79
La nozione (di lavoratore) «deve esser definita in base a criteri obiettivi che caratterizzano il
rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate» 80,
individuabili nella circostanza che una persona fisica fornisca per un certo periodo di tempo a
favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve
una retribuzione.
75
La Corte non ha ritenuto che i provvedimenti di selezione delle federazioni competenti per poter partecipare ad una competizione
sportiva internazionale determinino un restrizione alla libera prestazione di servizi in considerazione del fatto che la limitazione alla
partecipazione a tornei internazionali «è inerente allo svolgimento della competizione che implica necessariamente l’adozione di
talune norme ed alcuni criteri di selezione» (Punto 64 motivazione) la valutazione dei quali prescindono da considerazioni in ordine
alla situazione personale dell’atleta «come la natura, l’organizzazione ed il finanziamento dello sport interessato». (Punto 65
motivazione)
76
Con ampi richiami alla giurisprudenza Walrave (Corte di giustizia 12 dicembre 1974 n. 36/74) e Donà (Corte di giustizia, 14 luglio
1976 n. 13/76)
77
Cfr. punto 53 motivazione.
78
R. FOGLIA G. SANTORO PASSATELLI, Profili di diritto comunitario del lavoro, Giappichelli, 1996, pag. 112
79
Corte di Giustizia, 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger, in Racc. GC, 1964, pag. 364. In questa direzione la sentenza Levin (Corte
di Giustizia 23 marzo 1982 causa 53/81) ove: «I termini lavoratore e attività subordinata non si trovano espressamente definiti in
alcuna disposizione in materia. Converrà dunque in sede di determinazione del loro significato ai principi interpretativi generalmente
ammessi, assumendo come base il senso che correntemente si attribuisce a queste espressioni nel loro contenuto ed alla luce delle
finalità del Trattato».
80
Corte di Giustizia 3 luglio 1986, causa 66/85, Latrie-Blum c. Land Baden Wuttemberg, in racc. GC, 1986, pag. 2144, punto 17
motivazione.
85
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
L’applicazione di tali criteri, che in buona misura esprimono l’essenza del rapporto di lavoro
subordinato, ai singoli casi concreti in generale è stata caratterizzata da una tendenza a conferire alla
normativa comunitaria la più ampia portata applicativa possibile81.
In particolar modo l’applicazione si è estesa anche a rapporti di lavoro caratterizzati da un
ridotto orario anche quando il corrispettivo percepito sia inferiore al minimo vitale, ed
indipendentemente dal fatto che il reddito da lavoro sia integrato da «un aiuto pecuniario finanziato
con il pubblico denaro»82.
Nella sostanza tutte le volte «in cui ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa reale ed
effettiva, allora bisognerà applicare la disciplina della libera circolazione», non potendo avvalersi di
essa solo coloro che svolgono «attività talmente ridotte da potersi definire marginali ed
accessorie»83.
In questo senso non osterebbe alla qualificazione di «lavoratore» l’assenza di una
controprestazione di natura rigorosamente «retributiva» potendo esser sufficiente la presenza di
utilità economiche patrimonialmente valutabili.84 Se infatti nell’ottica dell’ordinamento nazionale
italiano ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 4 l. 23 marzo 1981 e succ. mod., la nozione di
sportivo professionista, dunque la configurabilità di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato
(cfr quanto agli atleti art. 3 l. 23 marzo 1981 e succ. mod.), seppur con qualche legittimo dubbio,
pare esser ancorata alla presupposta «qualificazione» federale in termini professionistici dell’attività
svolta, in ottica UE il problema dell’assoggettabilità al diritto comunitario dello sport ufficialmente
non
professionistico
si
affranca
dal
rigido
criterio
formalistico
della
distinzione
dilettantismo/professionismo, sottraendosi all’egida delle norme comunitarie solo l’attività di livello
meramente amatoriale.
La giurisprudenza nazionale, in recenti pronunce, pare orientata, timidamente, ad accogliere le
suggestioni comunitarie.
81
La normativa comunitaria sulla libera circolazione trova applicazione anche nei confronti di soggetti che non siano qualificabili
quali lavoratori subordinati potendo ben trattarsi di disoccupati o di lavoratori autonomi, essendo essenziale che lo spostamento da un
paese all’altro dell’unione sia effettuato «per accedere ad un’attività subordinata» (art. 1 Reg. n. 1216)
82
Corte di Giustizia 3 giugno 1986 causa 139/85, Kempf c. Segretario di Stato alla Giustizia, in racc. GC, 1986, pag. 1741.
83
Corte di Giustizia 23 marzo 1982, Levin, cit. Sul punto Corte di Giustizia 29 febbraio 1992, causa 357/89 Roulin c. Minister van
Onderwijs en Wetenshappen, in Racc. GC, 1992, pag. 1059 ove «nel valutare il carattere reale ed effettivo dell’attività esercitata dal
lavoratore, il giudice nazionale ha facoltà di tener conto del carattere irregolare e della durata limitata della prestazione».
84
Ciò evidentemente, nell’ipotesi in cui non si qualificasse quale retribuzione la corresponsione di rimborsi esorbitanti le spese
realmente sostenute da parte degli atleti dilettanti.
86
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
In questo senso il Tribunale di Pescara85, in tema di divieti di tesseramento di atleti non italiani
e discriminazione basata sulla nazionalità (art. 43 e 44 d. lgs. 286 /98).
Nell’ordinanza se da un lato si argomenta in ordine alla riconducibilità dei divieti di
tesseramento alla nozione di «comportamento discriminatorio», rientrando in tale ottica l’interesse
alla pratica dello sport agonistico e l’inserimento nell’ambito delle strutture federali nel novero
delle «libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale ed in ogni altro settore
della vita pubblica», dall’altro, si sottolinea come la «distinzione tra professionismo e dilettantismo
nella prestazione sportiva si mostra, priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via
potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante».
Il Tribunale non si «spinge» oltre; sottolineando il tenore universale della scelta del legislatore
in sede di redazione dell’art. 43, d. lgs. 286/98 attraverso il riconoscimento, quale oggetto di tutela,
di ogni attività di rilievo sociale, non fonda la decisione, pur avendone incidentalmente accennato,
al rilievo patrimoniale ed economico delle prestazioni rese dall’atleta dilettante.
Prescindendo dal problema relativo alla limitazione del «congegno antidiscriminatorio» ai soli
diritti umani e le libertà fondamentali86 e della riconducibilità dell’attività sportiva dilettantistica al
mero novero degli impieghi del tempo libero, il sorprendente solo marginale richiamo nella
fattispecie ai profili più strettamente patrimoniali e giuslavoristici ha costituito presupposto per la
revoca del provvedimento in sede di reclamo.87
85
Trib. Pescara, ordinanza 18 ottobre 2001, in Foro it., 2002, pag. 897.
Sul punto E. CALÒ, Sport e diritti fondamentali, in Corr. giur., 2002, pag. 225.
87
Non casualmente in sede di reclamo (Tribunale di Pescara, ordinanza 14 Dicembre 2001, in Corr. giur. 2002, pag. 223) ha revocato
il provvedimento assunto in prima istanza (che obbligava la Federazione a procedere al tesseramento dell’atleta) ritenendo «la
lamentela del giocatore diretta a far eliminare un pregiudizio ad un bene della vita che non forma oggetto di alcuna libertà
fondamentale, perché né l’art. 2 della Cost., né ulteriori fonti normative di diritto internazionale convenzionale annoverano l’interesse
a far pratica sportiva ed ad impiegare il proprio tempo libero tra le libertà fondamentali dell’individuo».
Sfuggono al Collegio alcune circostanze di fondamentale rilevanza; la cittadinanza comunitaria dell’atleta in virtù della quale egli
dovrebbe godere ai sensi dell’art. 16 del Trattato del diritto di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato
membro», nonché la rilevanza anche sul piano costituzionale dell’attività sportiva ed il rilievo patrimoniale delle prestazioni
dell’atleta.
Pur ammettendo infatti la natura meramente amatoriale e dilettantistica dell’attività, la nozione di cittadinanza europea introdotta dal
Trattato di Maastricht, implicando su un piano politico l’abbandono del carattere meramente economico della costruzione europea e
riferendo il diritto di circolazione e soggiorno al cittadino europeo invece che al lavoratore al cittadino , comporta la considerazione
nel novero dei diritti fondamentali non più soltanto il diritto di stipulare contratti di lavoro, d’opera ma più in generale, qualsiasi
diritto connesso all’esercizio del diritto di circolazione e di stabilimento.
Se il diritto di stabilimento e circolazione non designa rigorosamente e chiaramente le situazioni soggettive riferite al cittadino
comunitario, ma sembra garantire piuttosto lo svolgersi di determinati comportamenti e attività, la realizzazione di tale «situazione di
fatto» passa attraverso il riconoscimento di situazioni soggettive più puntualmente descritte come ad esempio il diritto di non esser
discriminato, in base all’origine nazionale, nell’accesso alla pratica di attività sportiva, quale espressione del più generale diritto di
associazione. Sotto altro aspetto appare «pilatesca» la posizione del Collegio in ordine alla possibilità di qualificare il rifiuto di
tesseramento quale incidente sul connesso diritto al lavoro e aprendo per tale via il riconoscimento della tutelabilità dell’interesse del
ricorrente, trincerandosi esso dietro la formale qualificazione dilettantistica della Federazione italiana Nuoto. Trib. Pescara, ord. 14
dicembre 2001, cit., ove si afferma: «Né l’interesse tutelato del ricorrente può dirsi ricompresso nel diritto del lavoro e quindi facente
parte dei diritti fondamentali perché dalla normativa di settore (art. 5 Statuto F. I..N.) non si ricava alcun modo che il campionato
nazionale di pallanuoto sia stato organizzato su base professionistica».
86
87
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Più risoluto sul tema della qualificazione delle prestazioni rese dagli atleti dilettanti quali
prestazioni di lavoro il Tribunale di Verona88 ove: «valutando unitariamente gli elementi probatori
acquisiti in giudizio (…) è ben possibile affermare la sussistenza di un comportamento
discriminatorio a danno di Ramon Ismael Gato Moya e lesivo del diritto di questi al lavoro»
considerando come «seppur formalmente dilettanti i giocatori come l’odierno ricorrente prestano la
propria attività a favore delle società sportive italiane in virtù di un rapporto contrattuale che
presenta tutte le caratteristiche di un rapporto di lavoro».89
Di analogo tenore l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 12 maggio 2002 ove si
afferma che «i praticanti una disciplina dilettantistica pur essendo esclusi dalla tutela prevista dalla
legge sul professionismo possono svolgere tuttavia la propria attività percependo compensi più o
meno elevati in forza di contratti stipulati con le società sportive» e pertanto in sede cautelare è
tutelabile l’interesse dell’atleta dilettante a scongiurare «la perdita del corrispettivo alla prestazione
sportiva che sarebbe assicurato dal contratto stipulato dalla società».90
Dalla disamina di cui sopra emerge come la giurisprudenza pare assumere quale «obsoleto» il
meccanismo legislativo ex art. 2 l. 91/81 che subordina alla qualificazione federale del rilievo
professionistico dell’attività sportiva, l’applicazione della normativa lavoristica91, propugnando
nelle fattispecie de quo l’accertamento caso per caso della natura del rapporto.
4. La normativa federale
A fronte dell’assenza di una specifica normativa e stante la inapplicabilità dei disposti di cui
alla l. 91/81, l’emersione, storicamente inevitabile, di forme di dilettantismo oneroso92 ha indotto le
88
Tribunale Verona, ord. 23 luglio 2002, citata da E. CROCETTI BERNARDI, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, in
Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 78. In quella sede si definì quale discriminatorio il comportamento della
Federazione Italiana Pallavolo nel negare il tesseramento ad un atleta di nazionalità cubana, in assenza del transfert della federazione
di provenienza.
89
Trib. Verona, ordinanza 23 luglio 2002, cit.
90
Tribunale Reggio Calabria, ordinanza 12 maggio 2002, inedita,. Ma in senso contrario Tribunale di Roma, ordinanza 10 luglio
2002, citata da E. CROCETTI BERNARDI, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, cit., pag. 81 ove si rileva che agli atleti
qualificati dilettanti «non sono applicabili le disposizioni della l. 23 marzo 1981 n. 91» pertanto non sono tutelabili in sede giudiziaria
eventuali pretese violazioni dei principi in materia di libertà contrattuale degli atleti previsti dalla legge sul professionismo da parte di
norme sul tesseramento.
91
F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori e attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, pag. 898. Ciò non tanto in
considerazione del fatto che viene «ove si accordasse rilevanza esclusiva alla qualificazione operata dalle federazioni sportive
nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni ne discenderebbe la disparità di trattamento tra sportivi che svolgono una
prestazione qualitativamente identica», e quindi «delegittimando» il Coni rispetto alle sue funzioni di vigilanza ed indirizzo, quanto
piuttosto in considerazione di una malcelata «inettitudine» sul tema da parte dell’organismo di vertice dello sport nazionale.
92
Il dilettantismo oneroso è stato oggetto di formale riconoscimento in ambito FIGC a partire dalla stagione 1990/1991 con
l’introduzione dell’art. 94 bis N.O.I.F. che consentiva, entro i limiti prefissati, la pattuizione e l’erogazione di varie somme a titolo di
indennità di trasferta, rimborsi forfetari e voci premiali.
88
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
singole federazioni sportive ad approntare una serie di discipline sul tema in coordinamento con la
legislazione fiscale di settore.
Esemplificativamente l’art. 4 bis del Regolamento Esecutivo FIP prevede la facoltà di
erogazione, in favore di tutti i giocatori non professionisti partecipanti a campionati organizzati su
base nazionale e regionale, di rimborsi forfetari, voci premiali, indennità di trasferta od, in via
alternativa e non concorrente, di una somma lorda annuale da corrispondersi in dieci mensilità.
Di contro, in maniera estremamente più restrittiva sotto il profilo soggettivo, l’art. 29 NOIF
della FIGC prevede che «esclusivamente ai calciatori tesserati per società partecipanti ai
Campionati Nazionali della L. N. D. possono essere erogati rimborsi forfetari di spesa, indennità di
trasferta e voci premiali, ovvero somme lorde annuali secondo il disposto dell’art. 94 ter, nel
rispetto della legislazione fiscale vigente ed avuto anche riguardo a quanto previsto dal C. I. O. e
dalla F. I. F. A.».
L’art. 94 ter NOIF, di poi, disciplina in maniera assai rigorosa sotto il profilo formale la
stipulazione degli accordi, imponendo all’uopo specifici oneri di deposito, nonché, in un’ottica
evidentemente calmierante, dei massimali di erogazione.93
Contrariamente ai maggioritari indirizzi dottrinari e giurisprudenziali, un orientamento critico
minoritario muovendo dalla centralità del portato delle normative federali, ove di norma è esclusa
ogni ipotesi di lavoro autonomo o subordinato, riconduce la relazione che si istaura tra l’atleta non
professionista e la società «alla stregua di un accordo o di una convenzione che disciplina aspetti
anche di natura patrimoniale in quanto suscettibili di valutazione economica manifestazione sul
piano statuale di quell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c.», ponentesi su un piano
accessorio ed eventuale rispetto al rapporto di tesseramento.94
Quanto al primo profilo, stante la pacifica qualificazione dei disposti federali in materia quali
espressioni di autonomia privata, non vi è dubbio che l’attuazione della vasta normativa eteronoma,
93
La normativa FIGC presenta invero l’ambigua previsione di un tetto massimo di erogazione pari all’importo previsto a fini fiscali
unicamente quale limite per l’assoggettamento a ritenuta a titolo di imposta dei compensi, premi o indennità di cui all’originario art.
81, co. 1, lettera m) del T.U.I.R., corrisposti per prestazioni sportive erogate nell’esercizio diretto dell’attività sportiva dilettantistica
ad atleti dilettanti.
94
A. GUADAGNINO, Il trattamento previdenziale dei calciatori non professionisti, in Inf. Prev., 2003, n. 2, pag. 423-424 secondo cui «la
relazione, sorta per effetto del tesseramento, tra società e calciatore, non può dare origine ad alcuna forma di lavoro», riconducendosi
il contratto tra sportivo non professionista e società ad una convenzione ex art. 1322 c.c. Isolatamente in giurisprudenza Trib. Gorizia,
ordinanza 5 luglio 2001, inedita, ove si afferma che la relazione tra calciatore dilettante e società sportiva integrerebbe «un rapporto
sinnallagmatico di natura atipica che consente da un lato all’associazione di utilizzare una risorsa umana per realizzare i propri fini
istituzionali, dall’altro all’atleta di esercitare in forma organizzata l’attività ludico-spotiva».
89
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
rispondente ad interessi superiori rispetto a quelli delle parti quali in primo luogo le garanzie e i
diritti costituzionali del lavoro, non sia, in tal caso, superabile dalle norme federali.95
Se, in parte qua, i regolamenti federali sono da assimilarsi a negozi normativi posti in esser
non dalle parti che stipuleranno i futuri contratti, cui l’accordo si riferisce, bensì dall’associazione
cui le parti stesse appartengano, la clausola «esclusa ogni forma di lavoro subordinato o autonomo»
dovrebbe esser oggetto di obbligatorio inserimento nei singoli contratti.
In sede qualificatoria del rapporto il rilievo del nomen juris ha però valenza relativa; ove le
parti, in sede di regolazione dei loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere ogni
forma di lavoro autonomo o subordinato è possibile pervenire ad una diversa qualificazione del
rapporto evidenziando puntualmente la sussistenza in concreto, in corso di svolgimento, degli
elementi tipici delle fattispecie su citate.
D’altra parte il legislatore statale stesso è intervenuto, in specifici settori, ad introdurre un
fattore di sbarramento delle normativa lavoristica in misura direttamente proporzionale al
riconoscimento della meritevolezza del fine che ha dato corpo prestazioni oggettivamente
configurabili quale attività lavorativa.
Così la Legge Quadro sul volontariato 11 agosto 1991, n. 266 che, attraverso una vera e
propria tipizzazione (art. 2, primo co.; cfr. anche art. 3, primo co.) della fattispecie contrattuale del
lavoro volontario, rectius dell'«attività di volontariato», ha reso superfluo il ricorso a categorie
civilistiche ulteriori.
La circostanza che l'attività sia svolta nell'ambito di un'organizzazione di volontariato, la
«personalità» dell'attività, da intendersi come coinvolgimento a pieno titolo della persona e non
preponderanza di eventuali beni strumentali, la «spontaneità», presupponente che l'attività venga
prestata al di fuori di vincoli giuridici preesistenti, la «gratuità», speculare all'art. 2094 implicante il
divieto, infatti testualmente previsto (art. 2, secondo co.), di qualsiasi forma di corrispettivo anche
indiretta ed in ultimo, teleologicamente, il fine esclusivo di solidarietà, assorbente quello negativo
dell'assenza di fini di lucro anche indiretto, sono elementi assunti per sancire l'incompatibilità con
95
Il carattere inderogabile e tassativo della disciplina lavoristica, in reazione a certe tendenze neocontrattualistiche, è ribadito dalla C.
cost. 12 gennaio 1993, n. 121, in Foro it., 1993, I, 2432; C. Cost. n. 115 del 1994, in Foro it., 1994, I, 2656. ove: «(…) non sarebbe
comunque consentito neppure al legislatore negare la qualificazione di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che obiettivamente
abbiamo tale natura ove da ciò derivi l’inapplicabilità di norme inderogabili previste dall’ordinamento (…) pertanto allorquando il
contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento, eventualmente anche in contrasto con le pattuizioni
stipulate e l’eventuale nomen juris enunciato, siano quelli propri del rapporto di lavoro subordinato solo quest’ultima può essere la
qualificazione da dare al rapporto agli effetti della disciplina ad esso applicabile».
90
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni rapporto di contenuto
patrimoniale con l'organizzazione di cui il volontario fa parte (art. 2, terzo co.).96
Il secondo profilo involge di contro una più complessa problematica. Sul piano riscostruttivo
generale è da evidenziarsi come a mezzo del tesseramento l’atleta non professionista, in
considerazione della natura di associazioni parallele97 delle Federazione, assuma lo status di socio
della associazione maggiore e di quella minore (il sodalizio sportivo presso il quale è tesserato salve
le ipotesi di tesseramento diretto alla Federazione).
In sostanza dunque l’atleta è parte di due collegati, ma distinti rapporti, quello di tesseramento
con la rispettiva federazione, e quello di vincolo con la società di appartenenza entrambi di natura
tendenzialmente associativa con comunione di scopo.
In questa fattispecie il perseguimento dell'oggetto sociale ed il soddisfacimento del comune
fine ideal–sportivo dovrebbero assurgere ad elemento identificativo, ovvero come «aspetto causale
tipico» del contratto. Il punto focale, ai fini della qualificazione del rapporto nella sua reale
dinamica, appare quello inerente la verifica circa la configurazione delle prestazione rese dall’atleta
come momento solutorio dell’obbligazione assunta a seguito dell’adesione.
L’acquisizione dello status di atleta comporta la titolarità di un fascio di rapporti giuridici che…virgolette
creano reciproci diritti e doveri nei confronti degli altri atleti, della società sportiva, della
Federazione Nazionale come chiaramente emergente dall’analisi delle normative statutarie e
regolamentari.
96
Correttamente è stato però osservato come lo status di volontario in vero non precluda la possibilità di accertare la sussistenza di
un rapporto di lavoro subordinato ove in concreto vengano ad esser superati i limiti della fattispecie disegnata dal legislatore. Sul
punto R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro e terzo settore, in Riv. it. dir. lav. 2001 pag. 329 ove: «Un dato pur collaterale di identità della
fattispecie è anche quello dell'incompatibilità con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni rapporto
di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui il volontario fa parte (art. 2, terzo co.): colui che è titolare di uno di questi
rapporti non commette, infatti, una semplice violazione della disciplina, ma perde la qualità di volontario». Così anche L. MENGHINI,
Lavoro gratuito e volontariato, in Diritto del Lavoro Commentario diretto da FRANCO CARINCI, Vol. II, Utet, 1998 pag. 82 seg.
97
Sul punto ampiamente R. CAPRIOLI, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Jovene, 1997,
pag. 91 seg. il quale nota come stante il tenore letterale dell’art. 14 co. 1 l. n. 91/81 «le federazioni dovrebbero esser classificate tra le
associazioni complesse che sono formate non da persone fisiche ma da altre associazioni; tuttavia la circostanza che risultino
tesserate presso le singole persone fisiche e il fatto che a queste ultime siano direttamente rivolte numerose disposizioni degli statuti e
dei regolamenti induce a classificarle tra le associazioni parallele, in cui i componenti le associazioni minori sono, al tempo stesso,
membri dell’associazione maggiore». (nota 79 pag. 91). La tesi pare confermata a seguito dell’espressa attribuzione della personalità
giuridica di diritto privato alle federazioni e del riconoscimento del principio di democrazia interna ad opera degli art. 15 co. 2 e 16
co. 1 del decreto Melandri e succ. mod., che associati delle medesime siano, oltre alle affiliate, anche gli atleti e le altre persone
fisiche tesserate, anche se gli statuti federali fanno reticente riferimento solo alle prime. Sulla riconducibilità ad un mero rapporto
associativo vedi Trib. Milano, 3 aprile 1989, in Foro it. 1989, pag. 2951, con nota di De Simone. Tribunale di Napoli, sentenza 29
gennaio 1996, in Riv. dir. sport., 1997, pag. 95 ove si afferma che: «il rapporto tra calciatore non professionista e associazione di
appartenenza sfugge ad ogni configurazione di tipo contrattuale, ed in particolare non è riconducibile ai contratti di collaborazione
(autonomo o subordinata) di diritto comune. (…) In altri termini, una volta che ha avuto luogo l’incontro di volontà tra atleta non
professionista e associazione, in quanto il primo accetta di giocare per la seconda, il rapporto tra tali soggetti è disciplinato
interamente ed in modo esclusivo dalle norme della F. I. G. C».
91
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
In ordine specificatamente ai rapporti tra atleti e società di appartenenza non è dato rinvenire
alcun obbligo ultroneo da parte dell’atleta rispetto alla generica propensione all’esercizio
dell’attività sportiva. La stessa disciplina del vincolo sportivo si limita ad imporre un generico
dovere positivo di fornire le proprie prestazioni alla società per cui è vincolato, di fatto incoercibile
sul piano endoassociativo non potendosi in alcun modo precludere allo stesso l’eventuale astensione
dalle prestazioni, ed un diverso correlato obbligo di non prestare la propria attività in favore di altri
soggetti affiliati.98
A livello dilettantistico apicale, la natura stessa dell’attività agonistico-sportiva, omologa sotto
il profilo quantitativo e qualitativo rispetto a quella formalmente professionistica, fa sì che appresso
alla mera propensione allo svolgimento, costituente il substrato della volontà diretta all’esplicazione
della prestazione, si allineino ulteriori operazioni contrattuali.
Si interverrà, ad esempio, per regolare la cadenza cronologica delle prestazioni dell’atleta fin
dalla fase preparatoria, si prevederà l’assoggettamento dell’atleta alle direttive societarie con
correlativa comminazione di sanzioni disciplinari in ipotesi di inosservanza di queste ultime.
Sostenere che tali elementi non abbiano carattere distintivo in quanto da ritenersi
necessariamente connaturati alla prestazione dello sportivo, con particolare accentuazione negli
sport di squadra ,appare riduttivo considerando come nessun obbligo corra in capo all’atleta di in
virtù del contratto associativo.
Per quanto appaia corretto evidenziare come la natura associativa informi invero la massima
parte dei rapporti tra atleti e società, è improbo ricondurre le relazioni negoziali, così caratterizzate,
quali manifestazioni di attività che non si pongono in rapporto di scambio e corrispettività,
sprovviste del tutto di autonomia dal punto di vista causale ed assorbite nel modulo associativo.
Particolarmente emblematica, seppur in via indiretta, sul punto è lo sviluppo della normativa
fiscale; ad un atteggiamento di sostanziale disinteresse del legislatore tributario si è infatti sostituito
negli ultimi vent’anni una crescente attenzione in ordine alla disciplina delle «compensi» elargiti
nell’ambito dilettantistico ad atleti ed soggetti diversi.
In particolar modo l’art. 27 della l. 342 del 2000, che sostituisce la lettera m del co. 1 dell’art.
67 del Tuir, ricomprende unitariamente non solo le tipiche indennità di trasferta, i rimborsi
forfettari, i premi, ma altresì i compensi (che implicitamente ammettono la corrispettività delle
98
Questo sì rilevante quale inadempimento della clausola associativa. In caso di violazione infatti sono chiamati a rispondere
disciplinarmente sia il calciatore autore del doppio tesseramento ex art. 40 co. 4 N. O. I. F, sia le società che indebitamente ha
utilizzato le prestazioni che vedrebbero irrogare la sanzione della perdita della gara in classifica nell’ipotesi di impiego di un
calciatore in posizione irregolare.
92
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
prestazioni effettuate) nelle categoria dei redditi diversi indubbio indice della rilevanza economica
del fenomeno.
La normativa fiscale in materia in realtà è espressione di una scelta di politica del diritto
tendente a favorire uno statuto fiscale speciale in relazione alla condizione soggettiva (esser il
soggetto erogante associazione o società riconosciuta dal Coni) e del tipo di attività svolta (esercizio
diretto di attività sportiva dilettantistica), tanto da assoggettarsi a tal regime anche rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non
professionale resi in favore delle società sportive dilettantistiche.
Le recenti interpretazioni offerte dall’Enpals99, seppur riferibili ai soli direttori tecnici,
istruttori, massaggiatori, lasciano chiaramente trasparire come soggette alla disciplina fiscale
riferibile alla categoria dei redditi diversi, tradizionalmente qualificata quale categoria residuale,
siano i soli compensi non conseguiti nell’esercizio di arti o professioni, inteso quale esercizio per
professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo, ovvero in relazione alla qualità di
lavoratore subordinato, venendone riaffermata la necessità, ai fini dell’assoggettamento ad obbligo
contributivo, di appurare prioritariamente la reale natura del rapporto.
Viene superandosi così la tendenza, espressione di una impropria commistione tra la
qualificazione meramente fiscale e quella civilistica, in virtù della quale, stante la ricomprensione
dei compensi nell’ambito dei redditi diversi, per ciò solo il rapporto tra sportivi, in senso lato, e
società od associazioni sia da rubricarsi al di fuori delle tipologie del lavoro autonomo e
subordinato in un ambito non meglio definito di atipicità.100
Non si tratta necessariamente di appurare la natura simulata del contratto associativo, che pur
rappresenta un indefettibile prius logico-giuridico, quanto piuttosto di evidenziare come le parti
99
Circolare Enpals del 3 marzo 2006 n. 7; Circolare Enpals del 7 agosto 2006 n. 13. In particolare la Circolare 7 agosto 2006 n. 13,
non riferibile agli atleti per espressa disposizione, intervenendo in via parzialmente correttiva prevede l’assoggettamento alla
contribuzione previdenziale dei compensi, nella misura ultronea alla somma di euro 4500, quale indice di non marginalità, corrisposti
dal CONI, le Federazioni sportive, l’Unire, dagli enti di Promozione sportiva ed ogni altro organismo che persegua finalità sportive
dilettantistiche a direttori tecnici, istruttori-allenatori, massaggiatori che prestino anche in via non esclusiva, attività professionale con
carattere di abitualità
100
Il dato normativo fiscale, come recepito dalla FIGC ad esempio, non va enfatizzato in ogni caso. L’art. 94 ter co. 6 Noif dispone
che «gli accordi concernenti l’erogazione di una somma annuale lorda non potranno prevedere importi superiori ad euro 25. 822
secondo il disposto della l. 21. 11. 2000 n. 342». L’ importo elevato, da ultimo, ad euro 28. 158, 28 per effetto dell’emendamento
apportato con la lettera b) del co. 3 dell’Art. 90 l. 27. 12. 2002 n. 289, costituisce, in vero per l’ordinamento dello Stato, unicamente
il limite per l’assoggettamento a ritenuta a titolo di imposta dei compensi, premi o indennità, corrisposti per prestazioni sportive
erogate nell’esercizio diretto dell’attività sportiva dilettantistica ad atleti dilettanti. La normativa statale riconosce infatti che possano
essere erogati ad atleti dilettanti importi di qualunque entità, assumendosi, ai fini fiscali, che emolumenti (comunque denominati), in
proposito, eventualmente eccedenti i 28. 158, 28 euro siano assoggettati a ritenuta a titolo d’acconto.
93
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
possano stabilire di dare vita a diversi e distinti contratti (sia nel senso di volere soltanto l'effetto
tipico dei singoli negozi posti in essere, sia nel senso di volere anche il coordinamento e il
collegamento tra gli stessi per il raggiungimento di un fine ulteriore), con conseguente ammissibile
sussistenza accanto od in collegamento con il rapporto associativo di un distinto rapporto che
implichi prestazioni e modalità esplicative delle stesse , pur inerenti latamente l’oggetto sociale,
parte di una specifica pattuizione.101
D’altra parte le modalità concrete dello svolgimento delle prestazioni agonistico –sportive rese
dagli atleti non professionisti, in particolar modo a livelli di dilettantismo apicale, non lasciano
particolari dubbi in merito alla qualificazione dei rapporti ricorrendo quella serie di indici essenziali
e sussidiari elaborati dalla giurisprudenza individuativi della fattispecie legale del lavoro
subordinato.102
5. La risoluzione delle controversie.
Relativamente alla disciplina inerente la risoluzione delle eventuali controversie tra sportivi
non professionisti e società in linea tendenziale sono individuabili due prevalenti modelli; il primo
affida la risoluzione ad organi endoassociativi o soggetti delegati di carattere permanente, l’altro di
contro rimette la cognizione delle insorgende controversie a collegi arbitrali costituiti ad hoc,di
norma, con competenza residuale rispetto agli organi federali, disciplinati secondo lo schema
101
Non escludendosi l’ipotesi di qualificarli quali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Il co. 3 dell’art. 61 del D.
Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 sottrae alla disciplina del lavoro a progetto «i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e
continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche», che
continuano perciò ad avere cittadinanza giuridica
102
Per un ampio repertorio della giurisprudenza di merito vedi R. ZANOTTI, Nota a Trib. Rom 7 febbraio 1995, in Riv. dir. sport 1995,
pag. 636. nonché P. MORO, Questioni di diritto sportivo, Euro 92, 1999, pag. 35 seg.
Da ultimo propendono per la qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato le seguenti sentenze: Trib. Lav. Grosseto 11
settembre 2003, n. 518, inedita; Trib. Lav. Bari., 10 marzo 2003, n., 6270, inedita; Trib. Lav. Ancona 4 luglio 2001, n. 147, in Inf.
Prev., 2002, pag. 1084 con nota di A. Guadagnino.
Qualificano quale contratto di prestazione d’opera personale e continuativa e coordinata quello concluso tra un atleta ed una società
dilettantistica di pallavolo Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, pag. 140; Trib. Roma, ord. 7 febbraio 1995, cit., ove:
«Il rapporto contrattuale tra atleta e società sportiva, non costituita nella forma di società di capitali, è escluso dal campo di
applicazione della l. 91/81 ai sensi dell’art. 10; ciò non impedisce tuttavia di considerare il rapporto di collaborazione in questione
come prestazione d’opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato».
Per tale qualificazione vedi anche la sentenza della Pretura di Lecce 20 gennaio 1999, inedita, ove: «la prestazione calcistica
dilettantistica dedotta nel contratto oggetto del presente giudizio è una prestazione, pur non lavorativa subordinata ex art. 94 ter
Norme Federali ed art. 3 l. 91/81, c.d. parasubordinata in quanto personale continuativa e coordinata».
Non casualmente di recente la Federazione Ciclistica Italiana attesa l’esigenza di certezza e di trasparenza nei rapporti tra atleti ed
affiliati del mondo dilettantistico ha previsto la possibilità di stipulare «contratto di lavoro sportivo per ciclista dilettante» al di fuori
della disciplina della l. n. 91/81.
94
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
classico che attribuisce a ciascuna parte il potere di nominare il proprio arbitro ed agli arbitri così
nominati il potere di decidere concordemente la nomina del terzo.
Quanto al primo esemplificativamente l’ordinamento FIGC, affida, ai sensi l’art. 21 bis del
Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, la cognizione alla Commissione Accordi Economici
della L.N.D.
Il predetto articolo prevede che la Commissione Accordi Economici: «è competente a
giudicare, in prima istanza, su tutte le controversie insorte tra calciatori e calciatrici tesserati con
società partecipanti ai campionati Nazionali Dilettanti organizzati dalla LND e le relative società
concernenti (…) gli accordi relativi all’erogazione di una somma lorda annuale di cui all’art. 94 ter,
delle NOIF».
Due i profili di rilievo: la natura dell’istituto di cui prima facie si rivela la non
ricomprensibilità nell’ambito degli organi propriamente federali, annoverandosi presumibilmente
tra i soggetti delegati, essendo esso istituito presso la Lega Nazionale Dilettanti, l’altro la
circoscritta competenza dello stesso in riferimento tanto al profilo soggettivo delle parti in causa
(«calciatori/calciatrici tesserati con società partecipanti ai Campionati Nazionali della L. N. D.») sia
all’oggetto sostanziale della controversia («accordi relativi all’erogazione di una somma lorda
annuale di cui all’art. 94 ter, delle NOIF»).103
In relazione al primo aspetto premesso come la Lega Nazionale Dilettanti associa «in forma
privatistica, senza fine di lucro le società affiliate alla Figc che partecipino ai campionati nazionali,
regionali e provinciali»104 è da rilevarsi come l’art. 21 bis, co. 1 dello Statuto della Lega Nazionale
Dilettanti preveda che la Commissione sia composta «dal Presidente, un Vicepresidente e un
numero di dieci componenti, nominati dal Presidente di Lega per due stagioni sportive».
In altri termini stante la natura stessa della LND la nomina dei componenti la Commissione
Accordi Economici è, per i disposti statutari su menzionati, rimessa alla discrezionale scelta di un
soggetto, il Presidente della Lega Nazionale Dilettanti, diretta espressione di una delle sole parti in
causa.
103
L’art. 21 bis co. 4 Reg. LND dispone esplicitamente in tema di procedibilità del ricorso che a pena di inammissibilità dello stesso
debba esser ad esso allegato copia dell’accordo ritualmente depositato, confermando così la limitazione della possibilità di
cognizione circa la globalità dei rapporti tra atleti non professionisti e società.
104
Art. 1 Statuto Lega Nazionale Dilettanti
95
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Nel caso di specie a seguito l’emersione di forme di dilettantismo oneroso105 in occasione
della recente riforma106 della disciplina prevista in tema di accordi economici degli atleti dilettanti,
dopo ampie discussioni in ordine alla opportunità di avvalersi di un modulo arbitrale per derimere le
controversie insorgenti dalle nuove fattispecie, il riformatore federale ha inteso, scientemente
evitando il ricorso a soluzioni che mutuassero quelle adottate per il settore professionistico, istituire
un organo giustiziale di Lega le cui pronunce, in vero difficilmente possono esser «recuperate» sul
piano statuale quali veri e propri lodi.
Osta a ciò in via pregiudiziale la radicale nullità del vincolo di giustizia, in parte qua assunto
come clausola compromissoria, essendo la determinazione di un elemento essenziale dell’arbitrato,
quale quello della nomina degli arbitri, rimesso né consensualmente alle parti, né ad un soggetto che
può definirsi tecnicamente terzo.
Le diverse modalità escogitabili al fine della nomina degli arbitri trovano inderogabile limite
nel principio di ordine pubblico in virtù del quale il sistema di nomina deve rispettare la parità delle
parti, nel senso che esso non è valido, e rende nulla la clausola compromissoria, quando una delle
parti, in detto sistema, si avvantaggia rispetto alle altre.
Se in senso formale infatti il Presidente della LND può considerasi terzo, non essendo in vero
egli parte in causa, non può esserlo in senso sostanziale quale soggetto equidistante in quanto
organica espressione dell’assemblea della Lega Nazionale Dilettanti107, conseguendone il valore
meramente endoassociativo delle pronunce della Commissione Accordi Economici.
Le considerazioni di cui sopra induco a ridiscutere la valenza concreta di tralatizie valutazione
circa l’emersione automatica in ambito statuale dei provvedimenti in materia economica quali
105
Il dilettantismo oneroso è stato oggetto di formale riconoscimento in ambito FIGC a partire dalla stagione 1990/1991 con
l’introduzione dell’art. 94 bis N. O. I. F. che consentiva, entro i limiti prefissati, la pattuizione e l’erogazione di varie somme a titolo
di indennità di trasferta, rimborsi forfetari e voci premiali. All’uopo per la risoluzione delle controversie fu istituito la Lega Nazionale
Dilettanti la Commisione Vertenze Economiche LND la cui posizione era estremamente singolare «perché pur funzionante sul piano
dell’effettività risulta sprovvista di ogni legittimazione formale ad emettere decisioni vincolanti nell’ordinamento federale». A. DE
SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati nella Federazione italiana Giuoco Calcio, in Riv. Dir. sport., 2002 pag. 547 cui si rinvia per
l’analisi della struttura e del funzionamento degli organi.
106
Sul tema ampiamente A. DE SILVESTRI, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, in Vincolo
sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002 pag. 31 seg.
107
Così Cass. Civ., sez. I, 29 novembre 1999, n. 13306: «Costituisce requisito di validità della clausola compromissoria il fatto che
gli arbitri vengano nominati con il concorso della volontà dei contraenti e non siano espressione della volontà di una soltanto delle
parti, in quanto il concorso di entrambe le parti nella nomina degli arbitri soddisfa un insopprimibile valore di garanzia
dell'imparzialità di chi è chiamato a risolvere una controversia; valore che prescinde dalla natura rituale o irrituale dell'arbitrato».
Conformemente Cass. Civ, Sez. I, 25 marzo 1998, n. 3136. La Deliberazione del 22 ottobre 2003 n. 1250 del Consiglio nazionale del
Coni in tema di «Principi di Giustizia sportiva» prevede esplicitamente al punto 6 co. 3 che, ove le federazioni intendano istituire
procedure arbitrali, le parti concorrano in maniera paritaria alla nomina degli arbitriti o che gli stessi siano nominati da un terzo
imparziale imparziale.
96
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
arbitrati108; almeno nel caso di specie occorre non prestar fede all’idea di poter qualificare la norma
«vincolo di giustizia» previsto dagli statuti federali quale clausola compromissoria che,
intervenendo su materia, quella dei rapporti economici tra associati ed affiliati, per definizione
disponibile, e considerando la terzietà degli organi federali giudicanti essendo di norma l’ente
federale soggetto estraneo alla contesa, realizzi una legittima rinuncia alla tutela giurisdizionale.109
-110
108
Di recente lapidariamente la Camera di Concilazione ed Arbitrato per lo Sport, lodo 5 dicembre 2006, G.D.S. San Filippo Neri
Casalotti Tanas/ F.I.G.C. e A.C. Siena Spa ha sostenuto che «nel contesto dell’ordinamento sportivo, la CVE e la CAF sono a tutti gli
effetti organi di giustizia sportiva della Federazione e pertanto non possono considerasi procedimenti arbitrali». Le controversie cd. di
natura economica tra società affiliate alla FIGC sono devolute ai sensi dell’art.45 CGS alla cognizione della Commissione Vertenze
Economiche in primo grado ed alla Corte d’Appello Federale in secondo. Ove tale modello di risoluzione si configurasse come un
vero e proprio procedimento arbitrale ,caratterizzato dal doppio grado di giudizio, ai sensi dell’art.8 co.4 del Reg. dovrebbe
escludersi la competenza della Camera per esser già istituito un procedimento arbitrale endofederale. Contrariamente al dictum della
Camera vedasi Cas.Civ.sez.I, 27 settembre 2006, n.21006 secondo cui il modello di risoluzione delle controversie c.d.economiche è
da ricondursi nell’alveo dell’arbitrato irritale.Sull’incompetenza della Camera di Concilazione ed Arbitrato per lo Sport in tema di
impugnazione dei lodi arbitrali ex art. 4 L.n.91/81 malgrado il contrario avviso della Corte Federale FIGC (C.U. 16 aprile 2004 n.14)
vedasi il lodo 28 settembre 2004, Salernitana Sport Spa/ Matias Ricardo Veron / F.I.G.C.Derimente a riguardo l’art.30 co.3 del
nuovo Statuto FIGC approvato dall’Assemblea Federale del 22 febbraio 2007 ove si statuisce come non siano soggette ad arbitrato
presso la Camera CONI le controversie decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dai contratti
collettivi o dai regolamenti federali, nonché quelle decise in primo grado dalla Commissione Vertenze Economiche.
109
Sul punto gia F. P. LUISO, La giustizia sportiva, Giuffrè, 1975, pag. 296. È da rilevarsi come, abbandonando definitivamente
l'orientamento che riscontrava una questione di competenza nell’ ipotesi di exceptio compromissi per arbitrato rituale riguardante la
devoluzione di una controversia alla cognizione del giudice ordinario o alla cognizione sostitutiva degli arbitri, la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite, pronunziandosi in sede di regolamento di giurisdizione, ha evidenziato come le modifiche apportate
dalla l. 5 gennaio 1994 n. 25 agli art. 825, 826, 827, 828, 829 e 830 e 831 c. p. c. con l'eliminazione anche del nomen di sentenza
arbitrale, attribuito nel testo originale del codice di rito al lodo, abbiano finito per far superare ogni dubbio sulla natura del dictum
arbitrale, quale atto di autonomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un giudizio compiuto da un soggetto il cui
potere ripete la sua fonte nell'investitura conferitagli dalle parti (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2000 n. 1251; Cass., Sez.
Un., 3 agosto 2000 n. 527).
Dalla natura dell'arbitrato rituale o irrituale e dal dictum che lo definisce discende, coerentemente, che gli arbitri non svolgono una
funzione sostitutiva della giurisdizione statuale e che essi, pertanto, non sono configurabili come organi giurisdizionali dello Stato.
La concezione della natura privata dell'arbitrato porta, quindi, a qualificare il procedimento arbitrale come ontologicamente
alternativo alla giurisdizione statuale e la devoluzione delle controversie ad arbitri quale rinunzia all'azione giudiziaria ed alla
giurisdizione dello Stato (Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2000 n. 1251; Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 527, Cass. 4 giugno 2001 n.
7533).
110
Oggetto nella prassi di comune identificazione, clausola compromissoria e vincolo di giustizia, di contro si muovo su piano
assolutamente distinti e si configurano come istituti ontologicamente distinti. Accomunati dalla matrice volontaria la prima mira
fondamentalmente ad offrire una alternativa alla giurisdizione statale, il secondo di contro a precludere l’accesso alla stessa.
Il processo di identificazione è talvolta alimentato dalla incerta e contraddittoria formulazione degli statuti federali ove ad esempio si
individua quale clausola compromissoria l’impegno assunto in conseguenza del tesseramento, e la conseguente accettazione dello
statuto, di sottoporre le controversie di natura tecnico disciplinare ed economica al giudizio di organi associativi, ove in realtà non si
intende con ciò rimettere la controversia ad arbitri quanto piuttosto accettare la «giurisdizione» degli organi federali.
Le autorevoli pronunce, (tra le altre da ultimo Cassazione Civile, sez. I, sentenza n. 18919 del 28 settembre 2005 secondo cui l’allora
vigente art. 24 Statuto FIGC deve esser interpretato quale «rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale» configurante sul
piano dell’ordinamento statuale una «clausola compromissoria per arbitrato irrituale» che «si fonda sul consenso delle parti, le quali,
aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia»)
paiono muovere da una prospettiva erronea. unificante. Sulla distinzione tra vincolo di giustizia e clausola compromissoria vedi M.
SANINO, Diritto sportivo, Cedam, 2002 pag. 464 ove: «Nella prassi è accaduto che con il termine clausola compromissoria sia indicata
genericamente la posizione nella quale si trova l’atleta nei confronti della Federazione, ricomprendendosi anche la preclusione che
allo stesso viene imposta di rivolgersi al giudice statale in forza del vincolo di giustizia». Altresì A. DE SILVESTRI, Il contenzioso tra
pari ordinati, op. cit., pag. 512 ove: «L’atteggiamento di chi in dottrina si è occupato di vincolo di giustizia è da tempo costantemente
attestato sull’equivoco che esso, uno e bino allo stesso tempo affondi cioè le sue radici oltre che nelle Carte Federali nella stessa
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Altro profilo di rilievo è rappresentato all’oggetto sostanziale della controversia. La discrasia
tra realtà fattuale e dato regolamentare che vede frequentemente ricorrere, nella prassi, la
stipulazione di contratti al di fuori dai netti limiti delineati dal combinato disposto degli art. 29 e 94
ter NOIF, ha indotto lo stesso legislatore federale a prevedere in tali casi una esplicita deroga alla
disciplina di cui all'art. 27 co. 2 NOIF
Recita infatti l’art. 94, co. 2 NOIF: «Le eventuali azioni promosse dai tesserati dinanzi alla
autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi di cui alla lett. a) del
precedente comma, non rientrano, escluse le azioni aventi ad oggetto la corresponsione di premi
diversi da quelli previsti dal precedente art. 93, co. 1, tra quelle previste dall’art. 27, co. 2, dello
Statuto della F. I. G. C.».
L’art. 94, co. 1 lett. a) individua quali accordi vietati quelli «tra società e tesserati che
prevedano compensi, premi ed indennità in contrasto con le norme regolamentari, con le pattuizioni
contrattuali e con ogni altra disposizione federale» configurando di contro alla lett. b) una difforme
ipotesi di accordi vietati caratterizzati dal porsi in condizione integrativo/sostitutiva di accordi
ritualmente formalizzati (stante il rigorismo negoziale che informa l’ordinamento federale) e
regolarmente depositati presso la competente Lega.
Pur accomunate ambedue le ipotesi quanto all'aspetto disciplinare, in entrambi i casi infatti le
società ed i loro legali rappresentanti nonché i tesserati sono passibili di sanzioni per la stipulazione
di tali accordi in ambito endoassociativo (art. 7 Codice giustizia sportiva), esse si differenziano in
relazione alla «azionabilità» dei diritti derivanti da tali accordi presso l’Autorità Giudiziaria
Ordinaria.
La difformità normativa è motivata presumibilmente sotto un profilo sostanziale dalla natura
simulatoria degli accordi, in genere simulazione relativa quoad pretium, che potenzialmente
potrebbe comportare la confliggenza tra giudicato sportivo e giudicato statale, sussistendo la tutela
delle ragioni derivanti dall’accordo simulato presso il Collegio Arbitrale ex art. 4 l. 91/81
normativa statale, ed è proprio sulla scorta di tale erroneo convincimento che esso è stato assimilato in tutto o in parte alla clausola
compromissoria prevista dal codice di rito alla cui stregua è stato sotto più profili analizzato». Per la distinzione tra procedimenti
arbitrali e procedimenti semigiurisdizionali vedi L. FUMAGALLI, La risoluzione delle controversie sportive: metodi giurisdizionali,
arbitrali ed alternativi di composizione, in Riv. Dir. Sport 1999, pag. 250 il quale sostiene la «possibilità di individuare nei
procedimenti di soluzione delle controversie sportive concretamente offerti dagli ordinamenti federali, una loro caratterizzazione in
senso arbitrale o meno, così da distinguere procedimenti di tipo arbitrale e procedimenti di tipo differente (quasi giurisdizionale)».
L’Autore nota come l’analisi di composizione delle controversie sotto il profilo della distinzione tra procedure di tipo arbitrali e
procedure di tipo semi giurisdizionale sia interessante ai fini di segnalare una certa sfiducia delle organizzazioni sportive per le
procedure arbitrali (con particolar riferimento alle controversie disciplinari) quasi si trattasse di una sorta di «abdicazione» di
sovranità, auspicando di contro un sempre più frequente ricorso a metodi arbitrali dal momento che «solo meccanismi di tipo
arbitrale, svolgendo una funzione sostitutiva della giurisdizione statale, quando intervengono su questioni suscettibili di definizione
in via arbitrale, sono idonei a produrre risultati suscettibili di sanzioni anche nell’ordinamento statale» (pag. 254).
98
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
(relativamente agli atleti professionisti) o presso la Commissione Accordi Economici LND, e quelle
derivanti dall’accordo dissimulato presso l’AGO. 111
La prescritta necessità dell’autorizzazione in deroga in questi casi pare allora strumentale a
prevenire ipotetiche declaratorie da parte del giudice statuale di inefficacia del contratto simulato
che si porrebbero in contrasto, in linea teorica, con le eventuale pronunce dei collegi arbitrali per la
risoluzione delle controversie tra sportivi professionisti e società o degli organi permanenti inerenti
i contratti simulati.
Di contro per ciò che concerne la tutela dei diritti derivanti da accordi di cui alla lett. a), l’art.
94, co. 2 prevede esplicitamente che «le eventuali azioni promosse dai tesserati innanzi l’autorità
giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi di cui alla lett. a) del precedente
comma, non rientrano, tra quelle previste dall’art. 27, co. 2 dello statuto della FIGC».
La norma pare avere un carattere latamente dissuasivo circa la stipulazione di accordi contrari
alle normative federali ma altresì evidenzia come i diritti derivanti dalla la stipulazione di contratti
in dispregio alle forme convenzionali previste, alle procedure di deposito, ai limiti economici
possano trovar tutela presso la giurisdizione ordinaria statuale ex art. 3 l. 280/2003.
La sottile ed accorta architettura predisposta dal legislatore federale che, in deroga, esonera il
tesserato dall’osservanza del vincolo di giustizia nell’ipotesi di accordi in contrasto con la
normativa federale, poggia tanto valutazioni di ordine «procedimentale», stante la non
«giustiziabilità» delle eventuali controversie insorgenti presso i costituiti organi di giustizia, quanto
111
In vero la potenziale confliggenza tra «giudicato sportivo» e giudicato statale appare quale mera ipotesi di scuola in relazione ai
contratti di lavoro degli atleti professionisti considerando il disposto di cui all’art.4 co.1 L.91/81. Secondo la dottrina maggioritaria
(G. VIDIRI, Sulla forma scritta del contratto di lavoro sportivo, in Giust. Civ., 1993, pag. 2839;ID., Contratto di lavoro dello
sportivo professionista, patti aggiuntivi e forma ad substantiam, in Giust. civ., 1999, pag. 1613; ID., Forma del contratto di lavoro
tra società sportive ed atleti professionisti e controllo delel federazione sportiva nazionale, in Riv. Dir. Sport., 2000, pag. 540) dal
dato normativo emergerebbe in maniera incontrovertibile coma la validità giuridica del contratto individuale sia condizionata dall’
esperimento di un iter procedimentale articolato in tre fasi rappresentate dal ricorso alla forma scritta richiesta ab substantiam, la
redazione del contratto sulla base di quello tipo concordato dalle associazioni di categoria (realizzabile attraverso la sottoscrizione di
moduli e formulari), il deposito del contratto presso la federazione sportiva per consentirne il controllo.l’imposizione da parte del
legislatore.Conseguirebbe pertanto il disconoscimento di qualunque rilevo giuridico a pattuizioni (contratti di assunzione o patti
aggiuntivi- integrativi) non risultanti dai contratti tipo depositati per l’approvazione presso le federazioni sportive per nullità
derivante da violazione di norme imperative. In tal senso Cass., 4 marzo 1999, n. 1855, in Giust. civ., 1999, pag. 1611; Cass 12
ottobre 1999, n. 11462, in Riv. dir. sport, 2000, pag. 535. Pur con lievi differenze in ordine all’inquadramento giuridico dell’ istituto
dell’ approvazione federale, configurata ora come condicio juris ora come quale elemento di integrazione di una fattispecie
complessa, le sentenze muovono dall’idea comune che le prescrizioni previste dall’art. 4 comma 1 e 2, in combinato disposto con
l’art.12, aventi tutte natura imperativa, siano preordinate ad assoggettare le attività maggiormente onerose per la società alla verifica
da parte degli organismi federali al fine di garantire il rigore e l'ortodossia finanziaria indispensabili ai fini del regolare e trasparente
esercizio dell'attività sportiva.
Contra sul punto in dottrina E. CARINGELLA, Brevi considerazioni in tema di forma del contratto di lavoro sportivo in Riv. Dir.
Sport., 1994, pag. 683 nonché J.Tognon Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, in Rivista Giuslavoristi.it.,
2005 i quali ritengono che l’analisi logico-sintattica della disposizione normativa disvelerebbe l’intenzione del legislatore di attivare
il meccanismo sanzionatorio nella sola ipotesi di assenza di forma scritta paventando così la necessità di una lettura frammentata del
disposto di cui all’art.4 co.1e 2 l.91/81.Per tale posizione in giurisprudenza vedasi Trib. Perugia 21 maggio 1993, in Riv. Dir. Sport.,
pag. 2837 nonché Trib. Perugia 10 aprile 1996, in Rass. Giur. Umbra, 1996, pag. 417.
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
su ragioni di ordine sostanziale ossia che accordi di tal fatta invalidi ed inefficaci nell’ambito
dell’ordinamento federale siano perfettamente validi nell’ordinamento generale ivi trovando la
«naturale» sede di tutela.
Inoltre la norma pare sancire il principio, aliunde ricavabile, in virtù del quale in relazione alla
normativa in vigore in ambito federale può correttamente argomentarsi di sussistenza di vincolo di
giustizia e, quindi, di eventuale necessità della preventiva istanza di deroga ex art. 27, co. 4 Statuto
Federale solo in presenza di una controversia che possa essere delibata dagli organi deputati. Con
ciò implicitamente, quanto inevitabilmente, ammettendo che esistono atti pretesi quali elusivi
dell’obbligo statutario solo in presenza di giustiziabilità sportiva della controversia. In difetto infatti
di potestas iudicandi degli organi di giustizia interni il ricorso al Giudice Ordinario per tali
controversie assume natura integrativa/sostitutiva di un difetto di «giurisdizione» domestica
sportiva112.
In tale ipotesi sussiste un mero obbligo di comunicazione delle eventuali iniziative giudiziarie,
palesemente strumentale al deferimento per violazione delle norme in materia economico gestionale
(art. 7 Codice giustizia sportiva), la cui elusione dovrebbe comportare la mera violazione dell’art. 1
CGS quale fonte di costante riempimento di doveri di condotta non rinvenienienti da altri e più
specifici precetti.
Altri ordinamenti federali hanno di contro inteso adottare il modello propriamente arbitrale di
risoluzione delle controversie tra sportivi non professionisti e società.113
112
Sul Punto Commissione Disciplinare Serie C 18 maggio 2005, in CU n. 221 del 18 maggio 2005. Nel caso di specie l’Organo
della Federazione Italiana Giuco Calcio ha evidenziato il principio in virtù del quale non è passibile di irrogazione di sanzioni
disciplinari per violazione dell’art. 27 co. 2, 3 e 4 dello Statuto l’affiliato o tesserato che abbia adito la magistratura ordinaria a tutela
dei propri diritti laddove essi non siano tutelabili a mezzo di deferimento ad organo endoassociativo. Nel caso di specie trattatavasi di
accordo di partecipazione sui diritti economici rinvenienti dalla titolarità del contratto di lavoro sportivo (c.d. comproprietà) stipulato
tra società affiliate in forme diverse da quelle stabilite dall’art. 102 bis NOIF. «Premesso che è pacifico in atti che la documentazione
posta a fondamento della citazione in giudizio operata dalla Società non poteva essere sottoposta al giudizio di un organo di giustizia
domestica, stante la irritualità della documentazione stessa, si pone il quesito se nonostante tutto alla società presunta danneggiata
incombesse l’obbligo di munirsi della preventiva autorizzazione per poter procedere alla salvaguardia dei propri diritti in sede
ordinaria. A tale quesito la Commissione ritiene di dare risposta negativa, stante il principio costituzionale che garantisce a tutti la
tutela dei propri diritti. Quanto sopra esposto trova avallo decisivo nella considerazione che il dettato normativo dell’art. 27, co. 2,
dello Statuto non contempla la fattispecie che ci occupa, essendo principio consolidato secondo cui le norme che accordano i
benefici, che comminano sanzioni e che impongono preclusioni non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica».
Analogamente Commissione Disciplinare Serie C, 08 marzo 2006, in CU n. 248/C del 08 marzo 2006. ove si afferma che: «la parte
che ha pattuito compensi al nero non può certo ricorrere alla Giustizia Sportiva per far valere diritti patrimoniali maturati con
pattuizioni non consentite e dunque non garantite dall’ordinamento federale ma se lo ritiene deve rivolgersi all’AGO» ricorso che
«non comporta un possibile contrasto tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo federale, e quindi, per principio generale, non
occorrere richiedere la apposita autorizzazione».
Sul punto anche Commissione Disciplinare Serie C, 19 maggio 2006, in CU n. 343/C del 22 maggio 2006 ove si afferma l’
insussistenza della violazione dell’art. 27 Statuto FIGC in ipotesi di ricorso ex art. 700 cpc per la sospensione della pubblicazione del
nominativo sul registro informatico dei protesti in considerazione del fatto che «il provvedimento de quo non poteva esser utilmente
chiesto né concesso dagli organi di giustizia privi di potestas iudicandi in proposito e per il giudizio di merito in ordine all’azione
cautelare».
113
Esemplificativamente l’art. 106 del Regolamento di Giustizia FIP.
100
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
La previsione ab origine di remissione al giudizio arbitrale di veri e propri collegi arbitrali
delle controversie connesse all’attività sportiva elude la problematica inerente la possibilità di
emersione delle pronunce a livello statuale.
Si pone però una ulteriore tematica; ove infatti dovesse astrattamente qualificarsi il rapporto
atleti/società quale di lavoro subordinato dovranno vagliarsi in concreto i possibili profili di nullità
della clausola sia che essa sia pattuita nell’ambito dei contratti individuali, sia che si faccia
riferimento ai soli disposti statutari.114
L’art. 806 c.p.c., come modificato dal D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, esplicitamente infatti
statuisce che «le controversie di cui all’art.409 possono esser decise da arbitri solo se previsto dalla
legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro». La riforma legislativa, abolendo il precedente
disposto di cui all’art.806 c.p.c., ha superato, da un lato, ogni aporia interpretativa determinata dal
mancato coordinamento con l’art.808 c.p.c. come novellato dalla L.n.533/1973 in ordine
all’ammissibilità del compromesso nelle controversie di lavoro, dall’altro ha riaffermato
la
necessità, al fine di devolvere in arbitrato una controversia di lavoro, di una manifestazione di
volontà generale espressa in sede legislativa o sindacale.
Stante la pacifica riconduzione dell’arbitrato sportivo in materia economica al modello
irrituale e l’ inapplicabilità del disposto di cui all’art. 4, co. 4 l. n. 91/81 che prefigura una forma di
arbitrato ex lege, l’assenza di precostitituzione in sede di contrattazione collettiva, dovrebbe far
propendere per nullità del patto compromissorio individuale.115
6. Conclusioni
Vi è da domandarsi se la rivendicazione di autonomia dell’ordinamento sportivo possa
tradursi, nella prospettiva del diritto del lavoro, in un fattore di impenetrabilità della normativa
lavoristica.
La limitatezza dell’intervento legislativo del 1981 e la passività degli organismi sportivi
preposti nell’adeguare alla fisiologica crescita in senso professionale del movimento il novero delle
114
Anche a seguito della riforma di cui al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, che brevemente si sunteggerà, pare possa ritenersi che le
prescrizioni circa la necessità della autorizzazione legislativa o sindacale dell’istituto arbitrale non attenga l’arbitrabilità della lite
quanto incida sulla validità del patto compromissorio, rectius della convenzione arbitrale, individuale.
115
In tema di arbitrato irrituale in materia di lavoro il legislatore nell’ambito della recente riforma non ha inteso chiarire i problematici
rapporti tra gli arbitrati previsti dai contratti collettivi ex art. 5 della l. n. 533/1973 e quelli di cui all’art. 412 ter e quater Cpc. Per un
ampio commento alla luce del D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 vedasi M. BOVE, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. Dir. Arb.,
Giuffrè, 2006, pag. 879. Specificatamente sulla questione della arbitrabilità delle controversie di lavoro in assenza di autorizzazione
sindacale A. De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 36
101
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
discipline e dei settori professionistici, hanno ingenerato una evidente forma di discriminazione tra
gli atleti. Ad oggi interi movimenti sportivi (esempio emblematico la pallavolo) e trasversalmente
l’intero sport femminile, sono esclusi, in ragione di discutibili valutazioni, da quell’apparato di
garanzie contrattuali e d’ordine assicurativo, previdenziale, di sicurezza sociale, riservati, alla luce
dei vigenti assetti normativi, ad una elitaria cerchia di soggetti.
Lo status quo pare determinato dall’erronea percezione dell’attività formalmente non
professionistica come un universo indistinto;in tale contesto di contro convivono l’attività sportiva
di base (avviamento ed addestramento in età giovanile), quella propriamente amatoriale,
tipicamente intesa come forma di impiego del tempo libero, l’attività dilettantistica di vertice .
Le succitate realtà sono in vero latrici di esigenze difformi.
Se occorre sottolineare come non pare possa sostenersi l'idea di una sorta di statuto speciale
dello sportivo non professionista costruendo una continuità ideale fra la natura del «datore di
lavoro», vincolato alla non distribuzione dei profitti, e la presunta attenuazione dei caratteri
scambistici del rapporto, vero è anche come non siano da condividersi alcune tendenze totalizzanti
emerse di recente.
Ci si riferisce in particolar modo alla Proposta di Legge n. 5605, presentata il 9 febbraio 2005,
prima firmataria l’On.le Moroni, mirante a garantire una disciplina organica della prestazione
sportiva non professionistica esclusivo a titolo oneroso. Si prevede infatti la possibilità di stipulare
definiti contratti di prestazione sportiva, tecnica e didattica per lo svolgimento di attività in forma
autonoma o subordinata, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso in qualsiasi forma
corrisposto.
La proposta inoltre prevede un nucleo minimo di disciplina del rapporto ad essi erano inoltre
estese sia la possibilità della contrattazione collettiva con conseguente predisposizione di un
contratto-tipo,
che l’apposizione di una clausola compromissoria per la devoluzione del
contenzioso ad un collegio arbitrale
L’ampia platea delle figure interessate sarebbe inoltra soggetta, all’iscrizione obbligatoria
allo speciale Fondo pensioni gestito dall’ENPALS.
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Di tenore parzialmente analogo il Disegno di Legge n. 720 «Norme in materia di previdenza
degli sportivi non professionisti», primo firmatario Sen. Scalera, ove all’art. 1 si prevede che : «Gli
atleti, gli allenatori, gli istruttori, gli insegnanti, i maestri e i tecnici,i direttori sportivi, i direttori
tecnici, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori atletici privi della qualificazione di sportivi
professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate dal Comitato olimpico nazionale italiano
(CONI), che esercitano l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte
di un compenso in qualsiasi forma corrisposto, sono tenuti ad iscriversi all’assicurazione
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di
assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi
professionisti».
Per quanto sia favorevolmente da accogliersi la rinnovata attenzione legislativa tesa ad
un'estensione mirata di misure di protezione sociale finalizzata ad una mutazione in senso
migliorativo delle tutele, tali tipo di interventi appaiono da non condividersi .
Sotto il profilo metodologico non è auspicabile la sovrapposizione di ulteriori interventi
legislativi specificatamente riferibili ai soggetti esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della
l. n. 91/81, che porrebbero delicate problematiche di coordinamento normativo.
Vigente la l.91/81, al fine di rimodulare in senso estensivo l’ambito applicativo della norma,
centrale si rileverebbe il ruolo del Comitato Olimpico Nazionale a mezzo dell’emanazione di
specifiche direttive circa la distinzione tra attività professionistica e non.
L’ampliamento dell’area del professionismo e la conseguente estensione della platea dei
soggetti beneficiari delle normative di tutela
comportebbe indubbiamente costi gravosi, basti
pensare al carico fiscale e previdenziale, presumibilmente non immediatamente sostenibili se non
oggetto di programmazione a medio-lungo termine; d’altra parte indubitabile appare come
l’evoluzione in senso professionale dello svolgimento dell’attività rappresentanti un formidabile
volano per la massimizzazione della performance agonistica con evidenti ripercussioni in senso
positivo in ordine ai potenziali ricavi degli «imprenditori sportivi».
Tale percorso, difficoltoso ed implicante un processo di complessiva rivisitazione
del
movimento sportivo nazionale, non potrebbe prescindere dal riconoscimento in capo agli atleti
delle basilari garanzie sociali.
Le delicate implicazioni di una eventuale estensione del campo applicativo della l.91/81
consentono, medio tempore, di apprezzare il tentativo posto in esser nell’ambito dell’ordinamento
cestitico dall’associazione Giocatori Italiana Basket Associati (GIBA) di giungere alla definizione
103
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
di un protocollo di intesa con le competenti Leghe finalizzato alla definizione di una disciplina
uniforme dei rapporti tra atleti e società del settore non professionistico.
Presupposto essenziale di tale iniziativa è costituito dalla previsione dell’art.4 bis comma 5
Regolamento Esecutivo FIP ove è contemplata la possibilità di stipulazione di definiti «accordi
economici collettivi».
Ferma la improprietà del riferimento a forme e modalità tipiche dell’autonomia collettiva,
scarsamente calzanti data l’ irrilevanza lavoristica, in linea teorica, delle prestazioni rese in ambito
non professionistico, anche per espresso disposto dell’art.4 bis comma 2 Regolamento Esecutivo
FIP, e la conseguente insussistenza di «legittimazione» delle parti contraenti, in concreto tali
accordi dovrebbero configurasi quali negozi normativi tesi a disciplinare le future contrattazione a
livello individuali, soggetti, per la sola parte economica, alla preventiva approvazione federale.
La effettiva vincolatività sul piano individuale del protocollo è affidata alla predisposizione di
un contratto tipo nell’ambito del quale è acclusa una clausola di accettazione del contenuto.In ottica
pragmatica il protocollo non accenna, né evidentemente potrebbe farlo, a profili inerenti la
qualificazione del rapporto limitandosi a richiamare il combinato disposto dell’art. 2 l. 91/81 e
dell’art. 4 bis del Regolamento Esecutivo della F.I.P e la disciplina fiscale prevista per i compensi
degli atleti non professionisti dall’art. 81 comma 1 lettera m del TUIR. Esso interviene, di contro, in
termini significativi sulla disciplina del rapporto con particolar riferimento a quei profili ove, nella
prassi, più marcatamente si sono manifestate aporie interpretative ed applicative.116
Una direzione del tutto innovativa pare, da ultimo, esser stata intrapresa dalla Commissione di
studio per la riforma della disciplina del professionismo sportivo e delle società sportive insediatasi
116
Nell’ambito del Protocollo vengono identificati con sufficiente margine di certezza diritti e doveri reciproci delle parti definendosi
conseguentemente un sistema, anche a livello procedurale, di irrogazioni di sanzioni disciplinari.In via del tutto innovativa, a
chiusura del sistema endofederale teso a garantire l’esecuzione dei lodi arbitrali o comunque le azioni di recupero credito, viene
istituito un Fondo di Garanzia e Solidarietà finalizzato alla devoluzione di sussidi a favore degli atleti ai quali non sia corrisposto
regolarmente il compenso, ingaggiati da società che siano state dichiarate morose disposizioni federali o che siano state dichiarate
fallite. Inoltre ulteriormente si reitera l’obbligo della Lega Nazionale in rappresentanza e per conto delle società ad essa appartenenti
a garantire una copertura assicurativa in favore di tutti i giocatori tesserati per le squadre partecipanti al campionato nazionale
maschile per il caso di morte e di invalidità permanente da infortunio con massimali variabili. Oggetto di disciplina anche le ipotesi
di malattia od infortunio, che non siano dovuti a condotta sregolata dell'atleta o comunque a cause attribuibili a sua colpa grave; in
tali casi è affermato il principio in virtù del quale compete all'atleta l’intero compenso stabilito nell’eventuale accordo economico.In
tema di tutela sanitaria è altresì previsto che la società sia tenuta a garantire all’atleta una completa e qualificata assistenza sanitaria
tramite il servizio sanitario, per quanto previsto, ovvero tramite strutture private e/o della società stessa, ed ad assumersene i costi per
la parte non coperta dal servizio sanitario.
104
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
presso il Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive per iniziativa del Ministro
Melandri con l’obbiettivo di svolgere una ricognizione generale sullo stato di applicazione della l.
n.91 del 1981 e di formulare ipotesi normative di riforma.La novella della norma dovrebbe, nelle
intenzioni della Commissione, passare attraverso la definizione di un nuovo genus di lavoratore
sportivo;si assisterebbe alla creazione di una specifica fattispecie di lavoratore sportivo al di là ed
al di fuori di ogni riferimento alla natura autonoma o subordinata del rapporto, individuando, al
contempo, un limite soglia quantitativo (presumibilmente l’entità dei compensi annui lordi
fiscalmente considerati unitariamente quale redditi diversi) superato il quale lo sportivo
accederebbe agli statuti protettivi.Nelle more dell’ elaborazione di una proposta normativa si
impone una breve riflessione circa le linee guida che parrebbero esser intraprese dalla
Commissione.
Nell’alternativa tra il muovere da ridefinizioni tipizzanti della specifica realtà sociale per
assegnare alle fattispecie così ex novo misure diversificate di tutela o piuttosto partire dalla
rimodulazione delle stesse dando per ferme le fattispecie così come fissate nell’ordinamento,
operando semmai delle forme di riaggregazioni, in proposito, la Commisione
pare optare
decisamente per la prima ipotesi.In linea tendenziale la creazione di un nuovo modello contrattuale
costituisce espressione di una impostazione ideologica che intende fornire la possibilità di superare
presunte incapienze e/o rigidità dell’attuale assetto legislativo.
In altri termini il superamento della tradizionale dicotomia subordinazione-autonomia,
attraverso la formalizzazione di una nuova tipologia contrattuale, dovrebbe esser asservita
all’attenuazione delle tensioni che in tema di qualificazione
si addensano attorno a figure
caratterizzate da un sorta di «incollocabilità».In realtà però sotto il profilo qualificatorio, almeno per
quanto attiene gli atleti, problematiche di tal fatta, stante il disposto dell’art.3 l.n.91/81, non si sono
mai manifestate identificandosi il nodo gordiano della materia nella definizione dell’area del
professionismo sportivo.
Allora evidente come il dare cittadinanza giuridica ad una sorta di innovativo tertiun genus
nel microcosmo delle «prestazioni sportive» si configuri, potenzialmente, quale presupposto per
l’applicazione di un diverso regime giuridico e fiscale, i cui contorni però ad oggi non risultano
definiti, rispetto all’attuale assetto legislativo della materia imperniata, tendenzialmente,
sul
riconoscimento della natura subordinata del rapporto atleti-società.
105
DOTTRINA
Atleti dilettanti………
Non può non sottolinearsi il timore che l’operazione miri ad un surrettizio allentamento delle
garanzie riconosciute al lavoro subordinato. In termini positivi sembrerebbe superarsi l’angusta
nozione di professionismo come accolta nell’ambito della L.n..91/81.
Appare evidente, infatti, come sia depotenziato, se non del tutto eliminato, il ruolo della
qualificazione federale quale presupposto di accesso alle normative di tutela;tale innovativo aspetto
però dovrebbe coordinarsi con le prerogative dell’ordinamento sportivo in tema distinzione tra
attività sportiva professionistica e non.Sotto altro profilo l’individuazione di una linea di esenzione
commisurata all’entità del compenso non pare di per sè sufficiente.
Se ragionevolmente si tende a garantire il doveroso distinguo tra prestazioni che non possono
prescindere da una tutela sociale, da quelle caratterizzate da minimalità di risvolti economici
lasciano presumere la natura meramente amatoriale dell’attività, è opportuno prevenire eventuali
pratiche elusive nelle zone di confine.
Tale forma di prevenzione potrà forse utilmente perseguirsi attraverso la previsione a
sommatoria di dati tipizzanti della novella fattispecie legati alle modalità esplicative del rapporto,
almeno di non voler fondare il tipo su profili meramente negoziali.
Un punto focale sarà indubbiamente rappresentato, di poi, dal concreto apparato di discipline
applicabili. Vi è da domandarsi se verrà preservatol’attuale assetto o si provvederà ad una totale
rivisitazione .
Quale sarà nel rinnovato contesto il ruolo dell’autonomia collettiva?.Quali le tutele d’ordine
sanitario, assicurativo, previdenziale?. Si provvederà a favorire il riscatto dei periodi di attività
sportiva prestata anteriormente all’eventuale entrata in vigore della nuova legge riguardo i soggetti
ad oggi non formalmente professionisti?. Vi sarà l’estensione delle disposizioni di tutela e sostegno
della maternità?117.Ma soprattutto, al di là della previsione di una specifica disciplina, quale il
coordinamento con le norme di diritto comune?.La via intrapresa per garantire il riconoscimento di
basilari diritti e tutele agli atleti, ma più in generale agli sportivi, oggi esclusi dal campo applicativo
della l.91/198, pare allo stato ammantata di incertezze.
117
A riguardo si segnala il punto 29 dei «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle
Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» approvati in data 28 febbraio 2007 dal Consiglio
Nazionale del Coni ove si prevede: «Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo attività sportiva
dilettantistica anche a fronte di rimborsi ed indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al
mantenimento del rapporto con la società sportiva di appartenenza».
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DOTTRINA
Atleti dilettanti………
(*) Avvocato del foro di Lecce
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DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
FELICE BLANDO,
Titolo V della Costituzione e ordinamento sportivo
STEFANO CAVIGLIOLI,
Gare di sci e insidie naturali sulla pista: può
rispondere l’organizzatore (ex art. 2051 c.c.) ?
108
pag.109
pag.132
Titolo V della Costituzione...
SENTENZA 29 DICEMBRE 2004 N.424
Pres. ONIDA - Red. QUARANTA - Regioni Toscana (avv.ti Bora e Lorenzoni), Valle d’Aosta (avv.
Luciani) ed Emilia-Romagna (avv.ti Mastragostino e Falcon) c. Presidente Consiglio dei ministri
(avv. St. Mandò).
(1) Corte costituzionale - Giudizio di costituzionalita’ - Giudizio in via di azione - Pluralità di
questioni - Trattazione e decisione separata in ordine ad alcune delle questioni proposte - Riserva di
decisione sulle restanti questioni.
(2) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Disciplina da adottarsi con
regolamenti statali - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata lesione della potestà legislativa
concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo” e della potestà regolamentare della Regione Ius superveniens modificativo delle norme censurate - Rinuncia al ricorso e relativa accettazione Estinzione del giudizio.
(3) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Disciplina da adottarsi
con regolamenti statali - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata
lesione della potestà legislativa concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo” e della
potestà regolamentare della regione - Ius superveniens modificativo della norma censurata nel senso
voluto dalle ricorrenti - Norma non attuata - Cessazione della materia del contendere.
(4) Sport - In genere - Associazioni sportive dilettantistiche - Istituzione presso il coni
del relativo registro, prescrizione delle modalità di tenuta, efficacia dell’iscrizione per l’accesso a
contributi pubblici - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata lesione
dell’autonomia legislativa regionale - Ius superveniens abrogativo delle norme censurate - Norme
non attuate - Cessazione della materia del contendere.
(5) Sport - In genere - Impianti e attrezzature sportive - Disciplina statale per la
gestione e l’uso - Ricorsi delle Regioni Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna - Denunciata lesione
della potestà legislativa concorrente nella materia dell’“ordinamento sportivo”, dell’autonomia degli
enti locali e delle istituzioni scolastiche - Non fondatezza delle questioni.
(6) Sport - Enti di promozione sportiva - Conferimento di 1 milione di euro per l’anno
2004 - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Intervento finanziario diretto dello stato in materia
di competenza regionale, con lesione dell’autonomia regionale - Illegittimità costituzionale.
109
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Va riservata a separate pronunce la decisione sulle questioni di legittimità costituzionale
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sollevate con i
medesimi atti introduttivi ed aventi ad oggetto disposizioni diverse da quelle contenute,
rispettivamente, nell’art. 90, commi 18, 20, 21, 22, 24, 25 e 36, e nell’art. 4, comma 204, oggetto
delle questioni definite, per omogeneità di materia, con la presente sentenza.
Va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 25, comma 1, secondo periodo, delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il giudizio avente ad oggetto le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 90, commi 18, 20 e 22, della l. 27 dicembre 2002 n. 289,
sollevate in riferimento all’art. 117, commi 3 e 6, Cost., a seguito della rinuncia al ricorso, da parte
della Regione Toscana, intervenuta in considerazione delle modifiche normative recate dal d.l. 22
marzo 2004, n. 72, convertito, con mod., nella legge 21 maggio 2004, n. 72.
Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost., dell’art. 90, comma 18, della
legge n. 289 del 2002, che prevedeva l’emanazione di una normativa regolamentare governativa
per l’attuazione delle nuove disposizioni recata dalla legge, per intervenuto ius superveniens,
perché, successivamente alla proposizione dei ricorsi, l’art. 90 l. 27 dicembre 2002 n. 289 è stato
modificato dal d.l. n. 72 del 2004, conv., con mod., nella legge n. 128 del 2004, che ha sostituito il
comma 18, aggiungendo anche i commi 18-bis e 18-ter, non sussistendo le condizioni per il
trasferimento della impugnazione sulle nuove disposizioni e tenuto conto che le norme impugnate
non hanno avuto alcuna attuazione.
Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dell’art. 90, commi 20, 21 e 22, della
legge n. 289 del 2002, in tema di istituzione presso il CONI e di disciplina del registro delle società
e delle associazioni sportive dilettantistiche, per intervenuto 'ius superveniens', perché,
successivamente alla proposizione dei ricorsi, le disposizioni sono state abrogate dal d.l. n. 72 del
2004, come conv. nella legge n. 128 del 2004, tenuto conto che le norme impugnate non hanno
avuto alcuna attuazione (ord. n. 443/2202 e sent. n. 347/2001).
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117 Cost. e
all’art. 10 legge cost. n. 3 del 2002, dell’art. 90, commi 24, 25 e 26, della legge n. 289 del 2002,
concernente l’utilizzazione di impianti sportivi. Posto che, con la riforma del Titolo V della parte
seconda della Costituzione, l’ordinamento sportivo è stato inserito nel nuovo testo dell’art. 117,
comma 3, tra le materie oggetto di competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni, e che non
110
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
può dubitarsi che la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive rientri nella materia
dell’ordinamento sportivo, lo Stato deve limitarsi alla determinazione, in materia, dei principi
fondamentali, spettando invece alle Regioni la regolamentazione di dettaglio, salvo una diversa
allocazione, a livello nazionale, delle funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario,
in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza con riferimento alla
disciplina contenuta nell’art. 118, comma 1, Cost., diversa allocazione di funzioni non ricorrente
nella specie: il comma 24, nello stabilire che l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli
enti locali territoriali deve essere aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di
criteri oggettivi, a tutte le società e associazioni sportive, è, all’evidenza, una disposizione che fissa
un principio fondamentale per l’utilizzazione degli impianti in questione, il godimento dei quali
deve essere consentito, appunto in via generale, a tutti i cittadini; lo è, del pari, il comma 25, che
detta regole generali dirette a garantire che la gestione degli impianti sportivi comunali, quando i
Comuni non vi provvedano direttamente, avvenga di preferenza mediante l’attribuzione a
determinati organismi sportivi, in via surrogatoria rispetto ai possibili atti di autonomia degli enti
locali, e quindi nel rispetto delle scelte appunto autonomistiche degli enti stessi, ai quali è
assicurata, in via principale, la possibilità di gestire direttamente gli impianti in questione; e così il
comma 26 che, relativamente agli impianti sportivi di pertinenza di istituti scolastici, fissa regole,
espressive di principi fondamentali della materia, secondo le quali, compatibilmente con le
esigenze dell’attività didattica e delle attività sportive della scuola, anche extracurriculari, i
suddetti impianti devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive
dilettantistiche aventi sede nello stesso Comune in cui si trova l’istituto scolastico, o in Comuni
confinanti, intendendo così salvaguardare innanzitutto l’utilizzazione di impianti sportivi scolastici,
e, subordinatamente a tali esigenze e per finalità di interesse collettivo, garantire una fruibilità
generale degli impianti stessi, salvaguardando prioritariamente, da un lato, le esigenze della
scuola e, dall’altro, la funzionalità delle strutture annesse agli istituti scolastici (sentt. nn. 517 del
1987, 241 e 303 del 2003).
E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003, che
stabilisce che, per consentire lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, nonché per il
finanziamento e il potenziamento dei programmi relativi allo sport sociale, agli enti di promozione
sportiva è destinata la somma di 1 milione di euro per l’anno 2004.
111
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
La previsione di un siffatto finanziamento, sicuramente attinente alla materia
dell’ordinamento sportivo di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., non può non comportare un
diretto coinvolgimento delle Regioni, in quanto anch’esse titolari di potestà legislativa nella
specifica materia, laddove è del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore e ai relativi
criteri di riparto, né prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni (sentt. n. 49 e 16
del 2004 e n. 370 del 2003).
112
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
E L’ORDINAMENTO SPORTIVO
di Felice Blando (*)
SOMMARIO:
1. L’ordinamento sportivo tradizionale e la nuova materia ordinamento sportivo
nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
2. Alcuni recenti interventi normativi e giurisprudenziali.
3. La collocazione dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente tra
lo Stato e le Regioni.
4. La disciplina dell’impiantistica sportiva e il finanziamento degli enti di promozione
sportiva.
113
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Con la sentenza n. 424 del 20041, la Corte costituzionale inizia a districarsi nel caos verbale2 della
materia ordinamento sportivo (art. 117, terzo comma, lettera l, Cost.).
Si tratta di una problematica del tutto nuova e alquanto complessa, sulla quale – nonostante l’ormai
alluvionale letteratura sul titolo V della Costituzione e per contro la sempre crescente produzione
scientifica sul diritto sportivo – gli interpreti hanno preferito procedere con molta cautela 3. Essi, in
verità, si sono astenuti dal dare indicazioni sull’argomento e, conseguentemente, tale intricata matassa è
ancora del tutto da dipanare4.
Anche nella pronuncia in commento l’espressione ordinamento sportivo è richiamata ma non definita
ex se; il suo significato, poi, non è ricavabile nemmeno dal contesto della motivazione che, giova
precisarlo, non spicca certamente per coerenza logica né per correttezza argomentativa.
In linea generale, la prima impressione che si ha nell’affrontare l’argomento è che l’introduzione
dell’ordinamento sportivo all’interno della Carta Costituzionale risenta, forse più di ogni altra, della
circostanza che il legislatore abbia individuato le materie inserite nell’art. 117, terzo comma, Cost.
ricorrendo ad “etichette concettualmente assai vaghe ed ambigue, come tali suscettibili di dar luogo ad
imprevedibili esiti ricostruttivi-applicativi”5.
1
La sentenza è pubblicata in Giur. cost., 2005, 4503 ss. e – per la parte in diritto – in Cons. st., 2004, II, 2410. Per un
commento critico (come emerge dal titolo stesso del contributo) si v. R. BIN, Quando la Corte prende la motivazione
“sportivamente” (nota la sent. 424/2004), in Forum di Quad. cost. del 4 ottobre del 2005 (in corso di pubblicazione in
Le Regioni, 2005). L’estensore della sentenza, Alfonso Quaranta, è autore di importanti scritti di diritto sportivo quali
Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, 29; Sulla natura giuridica delle
Federazioni sportive nazionali, in Riv. dir. sport., 1986, 172 e Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale,
in Riv. pen. econ., 1990, 230.
2
E’ l’espressione utilizzata da Mazziotti in ordine alle enumerazioni costituzionali del vecchio testo della Costituzione:
M. MAZZIOTTI, Studi sulla potestà legislativa delle Regioni, Milano, 1961, 128.
3
Per Forlenza il riferimento dell’ordinamento sportivo nella Costituzione comporterà la difficoltà di poter considerare
“come autonomo un ordinamento giuridico, nel momento stesso in cui la Costituzione della Repubblica ne affida il
riconoscimento e la disciplina legislativa a soggetti pubblici, quali lo Stato e le Regioni”: O. FORLENZA, in AA.VV.,
Diritto dello sport, Firenze, 2004, 27 e 28.
4
Uno spunto di notevole interesse si trova in S. BARTOLE – R. BIN – G. FALCON – R. TOSI, Diritto regionale. Dopo le
riforme, Torino, 2003, 152, ad avviso dei quali “La competenza in materia di ordinamento sportivo sembra alludere –
ferma ovviamente l’esistenza di un livello nazionale, attualmente organizzato intorno al CONI [...] – ad una possibile
differenziazione, sia pure entro un quadro unitario, della struttura organizzativa delle Federazioni sportive”.
5
L’efficace inciso si trova in T. MARTINES – A. RUGGERI – C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, VII ed., Milano,
2005, 165.
114
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
1. L’ordinamento sportivo tradizionale e la nuova materia ordinamento sportivo
nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
Lo sport è un settore dell’esperienza giuridica difficilmente delimitabile; è “materia polimorfa”
perché esistono una grande varietà di discipline sportive le quali possono essere praticate a diversi livelli
territoriali (internazionale, nazionale, regionale, cittadino, ecc.) e in ambiti economici differenziati (per
professione, per diletto e/o per svago) per la cui regolamentazione devono necessariamente essere
utilizzati strumenti giuridici differenziati.
Com’è stato ben detto, lo sport, “lungi dall’essere considerato come una “materia” unitariamente
intesa, imputata ad un’unica sfera soggettiva e funzionale, tanto rispetto alle attività che agli impianti ad
essa relativi, appare rifrangersi in una varietà di elementi ordinamentali e organizzativi suscettivi di
sussunzione sotto una pluralità di materie”6.
Ciò malgrado in Italia, quando si parla di «ordinamento sportivo», si è concordi nel ritenere che
esso si identifichi nell’organizzazione che ha il suo perno nel CONI e nelle Federazioni sportive 7, e ciò
sia perché in tale ordinamento possono riscontrarsi tutti gli elementi tipici di un ordinamento
giuridico8– comunemente individuati in una plurisoggettività, in una normazione ed in una connessa
organizzazione –, sia perché esso è caratterizzato da un’ampia sfera di autonomia9, articolandosi anche
6
Così E. GIZZI, Regioni e sport, in Riv. dir. sport., 1988, 35.
Si v. G. MORBIDELLI, Gli enti dell’ordinamento sportivo, in V. CERULLI IRELLI – G. MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico
e enti pubblici, Torino, 1994, 173.
8
In argomento v. F. MODUGNO, Legge – Ordinamento giuridico – Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale
del diritto, Milano, 1985, 249 ss. In proposito è d’obbligo menzionare M.S. GIANNINI, Prime note sugli ordinamenti
giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, 10 ss.; ID, Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV
congresso internazionale di sociologia, Roma, 1951, 1 ss. (ora, entrambi in Scritti. Volume terzo 1949-1954, Milano,
2003, 83 ss., e 403 ss.; ID, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, 219 (anche negli
Scritti. Volume quarto 1955-1962, Milano, 2004, 337 ss.); ID, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir.
pubbl., 1986, 671 ss.; e, ancor prima, W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in
Foro it., 1933, I, 1381 ss. e anche in Riv. dir. sport., 1969, 359 ss.
9
Una rivisitazione moderna e originale del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo focalizza l’attenzione sulla
circostanza che le “originarie concezioni di autonomia sportiva, che erano state formulare in epoca di statalismo
trionfante e dunque in posizione difensiva, risultano oggi puntualmente adeguate alla situazione della modernità
statuale: ora che solo nell’equilibrio delle autonomie è la forza di uno Stato che funziona” per cui tale autonomia oggi
non è più “autofondata sulla libertà di associazione e quindi libertà da ma oggi fondato sulla libertà di governare di un
settore basilare della società. Libertà affermativa, non solo negativa. Non c’è più lo Stato che certifica e delega nel
settore dello sport. Ma c’è lo Stato che cambia e si trasforma in Stato pluralistico delle autonomie e quindi assume il
dato dell’autonomia sportiva come un a priori da coordinare con altre autonomie e con le altre istituzioni”: A.
MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie, in Riv dir. sport., 1993, 1 e passim).
7
115
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
in un ordinamento di livello internazionale rappresentato dal Comitato Internazionale Olimpico10 e
dalle Federazioni internazionali11.
Un simile ordinamento, è appena il caso di accennarlo, anche se non dotato di sovranità, è
caratterizzato comunque dalla originarietà e dalla capacità di porre regole sportive uniformi, al punto da
costituire l’unico esempio di ordinamento giuridico sorto nel ventesimo secolo.
Basta la lettura del secondo articolo della legge di riforma del CONI (d.lgs. n. 242 del 1999, meglio
noto come decreto Melandri)12 per rendersi conto come sia forte la dipendenza di quest’ultimo, ente
spiccatamente nazionale, dall’ordinamento sportivo mondiale13.
10
Sul C.I.O. si v. A. MARANI TORO, Il Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.) e la vicenda del Sud-Africa, in Riv. dir.
sport., 1968, 10 e G. DE STEFANI, Olimpiadi e Comitato Olimpico Internazionale, ivi, 1972, 173. Un’aggiornata analisi
di tale organismo si trova adesso in M. VELLANO, voce Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.), in Digesto, disc.
pubbl., Aggiornamento **, Torino, 2005, 153.
11
Osserva Giannini che l’ordinamento sportivo “costituisce quasi un riscontro in vitro della teoria romaniana degli
ordinamenti giuridici, per le continue incidenze che ha negli ordinamenti giuridici statali”: M.S. GIANNINI, Il pubblico
potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1986, 21, nt. 6. I lavori più completi (oltre quelli citati alla nota n.
8) che riprendono la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, applicandola al settore sportivo, restano a tutt’oggi
quello di F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano, 1975, passim, e di A. E I. MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi,
Milano, 1977; cui adde, per citare alcune delle opere più significative, G.P. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del
rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli, 1979, 79 ss.; R. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, in
Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 1988, 513 ss.; R. FRASCAROLI, voce Sport (dir. pubbl. e priv.), in Enc. dir., v.
XLIII, Milano, 1990, 513 ss.; F. MODUGNO, Giustizia e sport: problemi generali, in Riv dir. sport., 1993, 329; G.
GUARINO, Lo sport quale «formazione sociale», in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, 347 ss.; S. CANGELLI,
L’ordinamento giuridico sportivo, Foggia, 1988; F. FRACCHIA, voce Sport, in Digesto, disc. pubbl., v. XIV, Torino, 1999,
467; C. ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il C.O.N.I. e la regolamentazione dello sport, Milano,
2000; R. PRELATI, La prestazione sportiva, Milano, 2003. Un attacco alla collocazione del fenomeno sportivo
nell’ambito della teoria ordinamentale si trova in L. DI NELLA, La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici:
analisi critica dei profili teorici e delle applicazioni al fenomeno sportivo, in Riv. dir. sport., 1998, 5 ss.; ID, Il fenomeno
sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999 (per una critica alle tesi di quest’ultimo A., v. M. RUOTOLO, Giustizia
sportiva e costituzione, in Riv. dir. sport., 1998, 403 e ss.).
In giurisprudenza valore emblematico a tutt’oggi assumono Cass. civ., 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, 894
nonché in Riv. dir. sport., 1963, 100, secondo cui l’ordinamento sportivo “attinge la sua origine a un ordinamento
superstatuale, anche se diverso da quello internazionale, ordinamento originario anche se non sovrano, che è
caratterizzato dalla plurisoggettività, dalla organizzazione e dalla potestà normativa” e Cass. civ., 11 febbraio 1978, n.
625, in Foro it., I, 862, con nota di BARONE; in Giust. civ., 1978, I, 897 nonché in V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo
nella giurisprudenza, Milano, 1995, 32.
12
Un commento teso a cogliere i tratti più innovativi della riforma si deve a G. NAPOLITANO, Il «riordino» del CONI, in
AA.VV, Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli, 1999, 9 ss.; ID, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva:
prime considerazioni sul decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di «riordino» del C.O.N.I., 617 ss.; adde, L. DI
NELLA, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, in Riv. dir. sport., 2000, 103 ss; B. MARCHETTI, Lo sport, in
Diritto amministrativo speciale, t. 1°, II ed., nel Trattato di diritto Amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003,
933 ss.; per un’analisi più ampia si v., ALVISI, Autonomia privata, cit., 18 ss.; M. SANINO, Diritto sportivo, Padova, 2002,
81 ss.
13
Più precisamente l’art. 2, primo comma, del d.lgs 242/99 dopo aver definito il CONI, recita che l’ente «si conforma ai
principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato
Olimpico Internazionale». Occorre avvertire che l’ordinamento sportivo interno, diversamente da quello mondiale, è
derivato (v. QUARANTA, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, cit., 231).
116
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Prova ne sia che la sua finalità principale consiste appunto nell’approntare la preparazione e lo
svolgimento degli eventi sportivi di vertice, che culminano appunto nella celebrazione delle olimpiadi14.
Per quanto concerne poi l’attività normativa in senso ampio che concerne l’ordinamento sportivo,
è noto che, secondo una ripartizione ormai consolidata15, essa si divide in tre zone: la prima zona è retta
esclusivamente dalla normativa statale; la seconda, viceversa, è costituita unicamente da norme emanate
dallo stesso ordinamento sportivo in senso stretto.
Vi è poi un’ultima zona, per così dire intermedia, nella quale le due normazioni entrano in
contatto, talora sovrapponendosi e talaltra ponendosi in conflitto. Cospicui esempi di norme del primo
genere si hanno nelle regole sull’organizzazione amministrativa del CONI (cfr., art. 117 Cost., comma
terzo, lett. g) e in quelle sulla legislazione previdenziale degli sportivi16; esempi della seconda specie, al
contrario, si rinvengono nelle norme che in buona sostanza governano e regolano lo svolgimento delle
gare.
Esempi della terza specie sono le norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo
miranti alla repressione della violenza nello svolgimento delle gare e alla lotta al fenomeno del doping,
le norme sui rapporti tra le società e gli atleti, ecc.
Si comprende quindi che in realtà solo nell’ambito delle norme della seconda specie, vale a dire
nella normazione tecnica, l’ordinamento sportivo esibisce la sua completa autonomia dall’ordinamento
statale, e che solo nell’ambito di tale normazione l’ordinamento sportivo è ordinamento diverso da
quello statale17.
Da ciò discende anche il consequenziale monopolio che l’ordinamento sportivo detiene
nell’elaborazione della disciplina giuridica inerente la normativa tecnica-sportiva18 (arbitraggi, redazione
14
E’ noto che detta finalità abbia funzionato da elemento propulsore per la nascita e lo sviluppo del CONI. Per
maggiore ragguagli si confronti L. RIGO, Storia della normativa del C.O.N.I. Dalle sue origini alla legge istitutiva del
1942 (1ª Parte), in Riv. dir. sport., 1986, 565 ss.; ID, Storia della normativa del C.O.N.I. Dalle sue origini alla legge
istitutiva del 1942 (2ª Parte), in Riv. dir. sport., 1987, 219 ss.; si v. inoltre R. SIMONETTA, L’organizzazione dello sport, in
Riv. dir. sport., 1954, 26 ss; M.V. DE GIORGI, Libertà e organizzazione nell’attività sportiva, in Giur. it., 1975, IV, 123
ss.; P. PIAZZINI, Dalle antiche alle moderne olimpiadi – Evoluzione tecnica e legislativa dello sport, in Riv. dir. sport.,
1975, 3 ss.; ROSSI, Enti pubblici associativi, cit., 87-97.
15
Su cui per una approfondita ricognizione v. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva, cit., 513 ss.
16
A. CIRANNA, Sport: profili previdenziali e assicurativi, in M. COLUCCI (a cura di), Lo sport e il diritto. Profili
istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004, 37; M. GIUA – L. SANZI, Il lavoro sportivo professionistico tra
previdenza ed antinfortunistica, Macerata, 2005.
17
Sul punto v. per tutti G. LIOTTA, La responsabilità civile dell'organizzatore sportivo: ordinamento statale e regole
tecniche internazionali, in Europa e dir. priv., 1999, 1137 ss.; dello stesso A., amplius, Attività sportive e responsabilità
dell’organizzatore, Napoli, 2005, 25 ss.
18
la configurazione delle norme tecniche come norme estranee all’ordinamento statale è orientamento ormai costante in
giurisprudenza: Cass. civ., sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399 in Giur. it., I, 1, 1281 e in FRATTAROLO, L’ordinamento
sportivo, cit., 212; TAR Lazio, sez. III, 15.7.1985, n. 1099, in Giust. civ., 1986, I, 2630; TAR Lazio, sez. III, 20.8.1987,
n. 1449, in Giur. it., 1988, III, 1, 40. A quanto consta vi è solo un precedente giurisprudenziale contrario, P. Brindisi,
30.7.1985, in Riv. dir. sport., 1986, 327, secondo la quale le relative controversie rientrano nella giurisdizione
117
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
delle carte federali, assegnazione dei punti, organizzazione e redazione dei calendari delle gare,
approvazione dei risultati, regole per l’affiliazione o tesseramento, rapporti con gli ordinamenti statuali),
sicché qualsiasi atleta o associazione sportiva che in Italia voglia partecipare ai campionati agonistici (più
importanti) e ottenere l’omologazione dei propri risultati deve chiedere per così dire la cittadinanza
all’interno dell’ordinamento sportivo, impegnandosi al rispetto delle sue regole, pena la propria
condanna allo stato di soggetto apolide nell’universo sportivo agonistico.
Neanche il considerevole intervento normativo statale e comunitario che, con il passare degli anni,
si è rovesciato nel settore dello sport, ha nella sostanza alterato il nucleo fondamentale sopradescritto 19.
E dire che qui i conflitti sono spesso risultati aspri e duri20.
Il fenomeno dell’espansione dell’intervento statale e comunitario ha riguardato solo alcuni settori
sportivi, ed è stato accompagnato da una crescita dell’attività non sportiva svolta da soggetti
dell’ordinamento sportivo21.
dell’autorità giudiziaria ordinaria. Per maggiori ragguagli in argomento si v. ancora LIOTTA, Op. ult. loc. cit.
Ciò è confermato anche dalla relazione governativa al d.l. n. 220 del 2003, ove l’ordinamento sportivo viene appunto
inteso quale «insieme organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle discipline sportive ed ai soggetti
affiliati alla Federazioni sportive». Il testo integrale della relazione è consultabile in Guida al dir., 2003, n. 34, 136.
20
Sul punto basta ricordare due vicende emblematiche che hanno segnato profondamente i rapporti tra l’ordinamento
sportivo e quello statale e comunitario. La prima riguarda la complessa e intrigata questione giudiziaria del Catania
Calcio, dell’estate del 2003, che ha addirittura provocato l’emanazione del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con
modificazioni dalla L. 17 Ottobre 2003, n. 280 (un completo e analitico quadro della vicenda si trova in Diritto e
Giustizia, n. 31, 2003, Inserto speciale, Storie di Tar…sport. I quattro mesi che hanno sconvolto il calcio). La seconda è
quella relativa alla nota pronuncia sul caso Bosman (Corte Giust. com. eur., 15 dicembre, 1995, causa C-415/93, in
Foro it., 1996, IV, 1 s., con note di S. BASTIANON, Bosman, il calcio e il diritto comunitario nonché G. VIDIRI, Il «Caso
Bosman» e la circolazione dei calciatori professionisti nell’ambito della Comunità europea), in seguito alla quale,
com’é noto, si è sviluppata un abbondante e ricca produzione scientifica: ci limitiamo a segnalare i lavori di M. CLARICH,
La sentenza Bosman, verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, in Riv. dir. sport., 1996, 393 e A.
MANZELLA, L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman, ivi, 409. Più in generale sui rapporti da diritto
comunitario e ordinamento sportivo si v. i recenti contributi di S. WEATHERILL, «Fair play please!»: recent developments
in the application of EC law to sport, in Common market law review, 2003, 51, e di S. AGRIFOGLIO, Pluralismo
ordinamentale, localismi giuridici e principio di sussidarietà: una chiave di lettura per l’Europa, in www.Lexitalia.it.
21
E’ fenomeno ormai noto a tutti che nello sport, o più precisamente che in un certo sport, l’aspetto legato ai valori
olimpionici ceda il passo agli aspetti prettamente economici e commerciali. Tale evoluzione dello sport è fortemente
stigmatizzata nell’opera di MARANI TORO, Gli ordinamenti, cit., 77 ss. Una diversa lettura è offerta da chi (R. CAFFERATA,
Introduzione, in S. CHERUBINI – M. CANIGIANI, Esperienze internazionali di marketing sportivo, Torino, 1998) afferma che
lo sport rappresenta il più chiaro esempio della rivincita, sul piano economico sociale, delle attività reputate per lungo
tempo improduttive o minori, che si è tradotta in crescenti investimenti di capitali, nascita e sviluppo di nuove
iniziative, maggiori occasioni di lavoro e, più in generale, incremento delle capacità di generare valore. Nella letteratura
italiana sugli aspetti squisitamente economici e commerciali legati allo sport si segnala la ricca ricerca di M. FERRARA,
L’organizzazione dello sport, Torino, 2003. Si veda inoltre, M. BAGHERO – S. PERFUMO – F. RAVANO (a cura di), Per sport
e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1999. Si veda anche il volume monografico di Economia e diritto del
terziario, «Economia e gestione delle attività sportive», 1998, n. 1, ed ivi, in particolare, i saggi di R. CAFFERATA,
Tendenze strutturali della crescita dello sport come 'business' e di C. PEPE – F. DE FRANCESCHI, Soggetti e dinamiche di
marketing nelle attività sportive. Il dibattito si è sviluppato soprattutto nella letteratura nordamericana, tra i tanti v. J.J.
SEWART, The commodification of sport, in International review for sociology of sport, vol. 22, 1987, 171; J. MAGUIRE,
The commercializiation of English elite basketball, ivi, vol. 23, 1988, 305; H. LOBMEYER - L. WEIDINGER,
Commercialization as a dominant factor in the America sports scene: Sources, developments, perspectives, ivi, vol. 27,
1992, 309; E.M. LEIFER, Making the majors. The transformation of team sports in America, Cambridge, Massachusetts,
19
118
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
L’esistenza dell’ordinamento sportivo tradizionale (identificandosi nella presenza della
«Confederazione CONI» secondo la definizione data dall’art. 2, 1° comma, del d.lgs 242 come
modificato dal d.lgs n. 15 del 2004)22, la sua collocazione nell’ambito dell’ordinamento mondiale
sportivo e la circostanza che tale ordinamento detenga il monopolio nel dettare le norme tecniche degli
sport agonistici, tutto ciò delinea e limita l’ampio quadro entro il quale lo Stato e le Regioni si trovano a
poter incidere con la propria legislazione.
In realtà allorché la Costituzione parla di ordinamento sportivo non si riferisce già all’istituzione
delineata da Santi Romano (in tal caso, infatti, si avrebbe una vera e propria contraddizione in termini),
bensì a quel settore della normazione statale e regionale che ha ad oggetto lo sport. In altri termini,
ordinamento sportivo nel settore costituzionale sarebbe soltanto il diritto statale o regionale speciale
che si riferisce allo sport.
Non può quindi trovare accoglimento la tesi secondo la quale la nuova formulazione dell’art. 117,
terzo comma, della Carta costituzionale faccia riferimento proprio alla concezione tradizionale di
ordinamento sportivo23, perché la menzionata formulazione pecca di eccessiva generalizzazione,
sovrapponendo una materia tutta nuova, qual’é quella espressa in Costituzione, ad un’istituzione quale
quella sportiva le cui categorie concettuali sono ormai disegnate da una lunga elaborazione normativa,
dottrinale e giurisprudenziale.
Se si accettano le considerazioni che precedono ne consegue che, al di là dell’area dell’ordinamento
sportivo tradizionalmente inteso, per individuare la nuova materia ordinamento sportivo occorre procedere
con cautela e verificare materia per materia, in qualche ipotesi addirittura caso per caso, se la singola
fattispecie normativa può essere sussunta nell’alveo dell’ordinamento sportivo.
Al riguardo un ausilio importante è offerto da una recente sentenza della Corte Costituzionale e
dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280.
London, 1995.
22
Il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, introduce modifiche e integrazioni al d.lgs 242/1999, sulla base della riapertura della
delega disposta dall’art. 1, L. 6 luglio 2002, n. 137. Per la definizione di quest’ultimo intervento legislativo come
«secondo riordino» del CONI si v. G. NAPOLITANO, L’adeguamento del regime giuridico del Coni e delle federazioni
sportive, in Giorn. dir. amm., 2004, 353. Occorre menzionare anche l’art. 8 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138 (convertito,
con lievi modifiche, nella L. 8 agosto 2002, n. 178), che ha costituito e disciplinato la Coni Servizi s.p.a, una società
operativa che affianca il CONI, cui è stato trasferito tra l’altro il personale di quest’ultimo ente. Su tale intervento
legislativo si vedano i saggi contenuti nel volume S. CHERUBINI – C. FRANCHINI (a cura di), La riforma del Coni. Aspetti
giuridici e gestionali, Milano, 2004; M. COZZI – A. DRAGO, La regolazione e lo sviluppo organizzativo del sistema
sportivo italiano, Roma, 2004. Un quadro d’insieme è in O. FORLENZA, in AA.VV., Diritto dello sport, cit., 42-79.
23
Questa chiave di lettura è in E. PICOZZA, I rapporti generali tra ordinamenti, in C. FRANCHINI (a cura di), Gli effetti
delle decisioni dei giudici sportivi, Torino, 2004, 1.
119
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
2. Alcuni recenti interventi normativi e giurisprudenziali.
Già con la sentenza n. 282 del 2002 la Corte costituzionale aveva precisato come, nella
ricostruzione del quadro costituzionale alla luce della riforma del titolo V, si debba muovere “non tanto
dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al
contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale”24.
Per la verità, una pronuncia della Corte successiva alla riforma costituzionale aveva già provveduto
a fornire un’indicazione in ordine ad una competenza legislativa statale in materia di sport.
Più precisamente con la sentenza n. 241 del 2003 (decisione richiamata anche dalla sentenza in
commento) la Consulta aveva deciso in merito ad un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione
Toscana25, in relazione al decreto 27 novembre 1999 del ministro per i beni e le attività culturali, che
aveva provveduto alla ricostituzione del consiglio d’amministrazione dell’Istituto per il credito sportivo
per il quadriennio 1999-2002, e non aveva previsto una rappresentanza delle Regioni in seno al
consiglio stesso, con ciò, a dire della Regione Toscana, violando il 4° comma, dell’art. 157 del d.lgs. 31
marzo 1998, n. 11226.
La Corte costituzionale – limitandoci all’esame dei profili più vicini alla nostra indagine – al fine di
risolvere il conflitto aveva qualificato l’Istituto per il credito sportivo quale ente di diritto pubblico ed
era giunta alla conclusione che l’attività da questo esercitata fosse da inquadrare nell’ambito dell’attività
bancaria. E ciò, si badi, anche se veniva espressamente affermato che tale istituto svolgeva certamente
“un’attività suscettibile di incidere sull’ordinamento sportivo che, in forza del 3° comma dell’art. 117
Cost., forma oggetto di competenza legislativa concorrente”.
L’incidenza della riforma costituzionale nella materia del credito sportivo trovava riscontro – ad
avviso della Corte – nell’art. 10 della l. 6 luglio 2002 n. 137, il quale, appunto nel quadro delineato dal
nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, aveva nuovamente delegato il governo a
24
Per un commento alla sentenza richiamata v. C. TUCCIARELLI, La sentenza n. 282 del 2002 della Corte costituzionale:
prime interpretazioni delle disposizioni costituzionali sull’esercizio del potere legislativo delle Regioni, in Forum di
Quad. Cost. del 3 luglio del 2002; A. D’ATENA, La Consulta parla…e la riforma del Titolo V entra in vigore (nota a C.
Cost. n. 282/2002), in Forum dell’AIC del 25.9.2002.
25
La sentenza è pubblicata in Foro it., I, 2004, 672, con nota di richiami.
26
Tale norma affidava a un regolamento di delegificazione riordino dell’Istituto «anche garantendo una adeguata
presenza dell’organo di amministrazione di rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali» (per un primo
commento si v. L. COEN, Commento all’art. 157 del d.lg n. 112 del 1998, in G. FALCON (a cura di), Lo Stato autonomista,
Bologna, 1998, p. 521). Peraltro, tale regolamento, emanato con d.P.R. 20 ottobre 2000 n. 453, è stato annullato poiché
non aveva attuato un vero progetto di decentramento ed ha viceversa sottoposto l’ente pubblico creditizio alla vigilanza
del ministero dei beni culturali in luogo della Banca d’Italia, v. TAR Lazio, sez. II, 13 dicembre 2001, n. 11336, in Foro
it., Rep. 2002, voce Sport, n. 57.
120
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
riordinare i compiti dell’Istituto per il credito sportivo, prevedendo che nel consiglio di amministrazione
dell’ente fosse assicurata la presenza di rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali27.
In concreto, dalla pronuncia della Corte emergeva chiaramente, da un lato, che la nuova materia
ordinamento sportivo era suscettibile di influenzare alcuni aspetti della disciplina del credito sportivo e,
dall’altro, che la disciplina dell’Istituto ricadeva nell’ambito della competenza esclusiva della legislazione
statale giacché esso svolgeva attività aventi ad oggetto l’esercizio del credito28.
Con l’adozione della legge n. 280 del 2003, di conversione con modifiche del decreto governativo
d’urgenza n. 220 del 2003, anche la disciplina della c.d. giustizia sportiva è stata attratta nell’orbita della
c.d. legislazione esclusiva riservata allo Stato29.
27
Tale delega non è stata però esercitata. Essa, occorre qui ricordare, prevedeva l’adozione di uno o più decreti
legislativi di “riassetto normativo” in materia di sport, diretti a realizzare tre obiettivi: armonizzare la legislazione dei
princìpi generali a cui si ispirano gli Stati dell’Unione europea in materia di doping; riordinare i compiti dell’Istituto per
il credito sportivo; garantire strumenti di finanziamento anche a soggetti privati. L’Istituto è attualmente disciplinato
dall’art. 4, commi 14, 191 e 192 della L. 24 dicembre 2003 n. 350, oltre che dalle residue disposizioni della L. 24
dicembre 1957 n. 1295, modificata dalla L. 18 febbraio 1983, n. 50, che ha costituito l’Istituto (con specifico riguardo
all’originario assetto si v. A. MARANI TORO, voce Credito sportivo, in Nss. D.I., Appendice, II, Torino, 1980, 950), ma è
stata poi in gran parte abrogata dall’art. 161, d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385. Sulla travagliata vicenda della disciplina
normativa del credito sportivo si v. O. FORLENZA, Il credito sportivo «conquista» un nuovo statuto, in Guida al dir.,
Dossier mensile, La manovra economica, 2004, 146; ID, Diritto dello sport, cit., 97-98.
28
C’è anche chi ha suggerito l’opportunità, stante l’assetto costituzionale scaturito dalla l. Cost. n. 3 del 2001, di attuare
un decentramento regionale dell’Istituto per il credito sportivo e il suo riordino in istituti regionali: in questi termini, A.
ZUCCHETTI, Il quadro normativo generale, in AA.VV., in La gestione degli impianti sportivi, Milano, 2003, 39.
29
Nonostante che l’intervento di una legge generale sulla giustizia sportiva fosse invocato da tempo (cfr., le conclusioni
del contributo di MODUGNO, Giustizia e sport, cit., p. 351), la legge n. 280/2003 ha ottenuto ampie e aspre critiche dalla
dottrina: v., per esempio, M. LIBERTINI, Regole sportive e concorrenza sleale, in AIDA, XII - 2003, p. 466 il quale rileva
come tale legge “lascia un po’ sconcertati: un intervento legislativo, che era nato con il fine di rafforzare l’autonomia
dell’ordinamento sportivo, la ha, in realtà, ridimensionata entro confini più certi, ma probabilmente più ristretti di quelli
che risultavano sanciti nella l. 401/89. L’unica innovazione certa è costituita dalla sottrazione di competenza ai tribunali
amministrativi di provincia, certo giustificata dall’eccesso di sensibilità da questi manifestata verso le proteste delle
società sportive locali”. Altrettanto negativo è il giudizio di A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento
sportivo nazionale, in P. MORO (a cura di), La giustizia sportiva. Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Forlì,
2004, 87, per il quale “la legge creerà sicuramente più problemi degli invero pochi che ha risolto, costringendo
l’interprete a misurarsi necessariamente con un referente specifico palesemente inadeguato che potrebbe persino
mostrarsi fuorviante”. Un quadro d’insieme sulla legge si trova R. COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in materia di
giustizia sportiva, in Nuove leg. civ. comm., 2004, 705 ss.; v. anche P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, Rimini, 2005. Gli
interventi giurisprudenziali più significativi a seguito dell’emanazione della legge sono TAR Lazio, sez. III ter, 1 aprile
2004, n. 2987, in Trib. amm. reg., 2004, I, 87; Cass., sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14666 e Cons. St., 9 luglio 2004, n.
5025 entrambe in Nuova giur. civ. comm., 2005, 263 ss., con commenti di M. BASILE, «La giurisdizione sulle
controversie con le federazioni sportive» e A.R. TASSONE, «Tra arbitrato amministrato e amministrazione arbitrale: il
caso della “Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport”». Il primo commentatore mette in evidenza come sia
auspicabile un intervento della Consulta utile a far chiarezza sulle questioni relative alla compatibilità della legge con
alcune norme della Costituzione, e segnatamente gli artt. 24, 102 e111: BASILE, Op. cit., 287; nello ordine di idee anche
G. MANZI, Vietata la partecipazione ai pronostici per le società sportive controllate, in Guida al dir., n. 43, 2003, 18 ss.
Di notevole interesse è una recente ordinanza del Trib. Genova, sez. fer., del 26-27 agosto 2005, n. 564 (in Guida al dir.,
n. 40, 2005, 44, con commento di G. CARUSO, L’operato del Coni e delle Federazioni esula dalla competenza dei
tribunali e in Dir. e giust., f. 36, Inserto speciale, 2005, 54 e ivi l’articolo di L. GIACOMARDO, I TAR…Tecipanti al
campionato ovvero: quelli che…il fischio d’inizio lo dà il tribunale), nella quale è stata ritenuta manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 103 Cost., dell’articolo 3 del d.l. n. 220/2003,
nella parte in cui riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative agli atti del
Coni e delle Federazioni sportive riguardanti sanzioni disciplinari che incidono su situazioni giuridiche soggettive
121
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Già in seguito all’emanazione del d.l, n. 220, i primi commentatori avevano lamentato la potenziale
lesione delle prerogative delle Regioni, in ordine all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché non si teneva
conto della presenza in Costituzione della materia ordinamento sportivo30.
Ma è chiaro come un provvedimento legislativo che aveva tracciato l’area delle situazioni
soggettive giuridicamente rilevanti nell’orbita del diritto statale, delle regole sulla giurisdizione e sulla
competenza e che aveva disciplinato il conseguente regime processuale rientrava pienamente nelle
attribuzioni esclusive dello Stato, con particolare riguardo alla materia dell’ordinamento civile e a quella
della giurisdizione e delle norme processuali (art., 117, secondo comma, lett. l)31.
Ma è pur sempre sotto il profilo costituzionale che appare necessario evidenziare come il
provvedimento menzionato esibisca profili che si trovano tra loro in stridente contrasto. Sintetizzando:
la giustizia sportiva trova il suo fondamento nel principio di autonomia dell’ordinamento sportivo,
riconosciuto come un principio dell’ordinamento statale (art. 1, comma, 1); tale riconoscimento, a sua
volta, si inscrive, unitamente alla tutela del pluralismo e delle libertà associative, nel quadro del principio
di sussidiarietà (art. 118, comma 4°, Cost.).
L’autonomia dell’ordinamento sportivo trova, inversamente, un limite nei «casi di rilevanza per
l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento
sportivo» (art. 1, comma, 2); tale norma, invero, ridimensiona notevolmente l’autonomia a favore
dell’ordinamento di settore, dato che, da un lato, lo Stato ne riconosce l’autonomia, dall’altro, rimane
sostanzialmente arbitro – attraverso i suoi organi giurisdizionali – di fissare l’an e il quantum di tale
autonomia e del connesso concetto di rilevanza giuridica32.
I primi interventi giurisprudenziali e normativi in materia indicano come sia il settore del credito
sportivo che quello della giustizia sportiva rientrino nell’orbita delle riserve legislative di esclusiva
rilevanti per l’ordinamento generale, considerato che “tale riserva non configura un arbitrio legislativo, ma trae la sua
ragion d’essere, i suoi limiti e le sue modalità dall’appartenenza dell’ordinamento sportivo nazionale ad un ordinamento
di carattere internazionale, con la conseguente, specifica, esigenza di certezza, ai fini del regolare svolgimento delle
competizioni sportive nazionali e internazionali”.
30
Lo spunto critico è di T. E. FROSINI, Perplessità sull’applicazione ai processi in corso, in Guida al dir., 2003, n. 34,
145; ID, Il diritto nel calcio ovvero un calcio al diritto?, in Quaderni cost., 2004, 155. Si v. anche P. MORO, Giustizia
sportiva e diritti processuali, in La giustizia sportiva, cit., 24.
31
In questo senso si esprime anche G. DE MARZO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo tra spinte
autonomistiche e valori costituzionali, in Corr. giur., 2003, 1265.
32
Al riguardo importanti profili di lettura offre la già citata decisione n. 5025/2004 del Consiglio di Stato; più in
particolare rilevanti sono le sue ricadute sul valore dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, su cui v., in posizioni
antitetiche, G. NAPOLITANO, Caratteri e prospettive dell’arbitrato amministrativo sportivo, in Giornale dir. amm., 2004,
1153 e F. LUBRANO, L’ordinamento sportivo come sostanziale autorità amministrativa indipendente dopo la L. n.
280/2003 e la sentenza n. 5025/2004 del Consiglio di Stato, in Giust. amm., 2004, 643; si v. anche G. VIDIRI, Le
controversie sportive e il riparto della giurisdizione, in Giust. civ., 2005, I, 1629. E’ da registrare, comunque, che alcune
pronunce dei Tar si discostano dall’orientamento del Cons. di stato, v. ad es. TAR Lazio, sez. III, 7 aprile 2005, n. 2571,
in Giorn. dir. amm., 2005, 958, con commento di F. GOISIS, Il lodo arbitrale (irrituale) della Camera di conciliazione ed
arbitrato del Coni e la giurisdizione amministrativa.
122
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
competenza statale: due settori (soprattutto quello della giustizia sportiva) che gli studiosi di diritto
sportivo hanno sempre inquadrato viceversa nelle materie normative di competenza dell’ordinamento
sportivo tradizionale33.
E’ proprio ciò avvalora la tesi per cui il significato di ordinamento sportivo scaturente dalla riforma del
titolo V della Costituzione è irriconducibile al concetto tradizionale di ordinamento sportivo.
3. La collocazione dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente tra
lo Stato e le Regioni.
L’inserimento dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione concorrente operato dalla
legge costituzionale n. 3/2001 non ha comportato innovazioni radicali in termini di ripartizione delle
competenze tra i diversi livelli di governo dello sport34.
Nella sostanza, infatti, la riforma del titolo V va ad inserirsi su un preesistente assetto normativo e
giurisprudenziale della materia, già in larga misura definito e strutturato da specifiche norme di
riferimento35.
33
Cfr., ad esempio, QUARANTA, Op. ult. cit., 233.
Andrebbero invece incrementate forme di collaborazione e di compresenza fra le varie istituzioni statali e regionali,
piuttosto che l’erezione di rigidi steccati fra ambiti di competenza e poteri. Si è osservato, infatti, che alla luce delle
esigenze autonomiste e regionaliste dell’attuale ordinamento costituzionale, andrebbe accresciuta la partecipazione di
Regioni e enti locali in ordine all’attività di normazione e amministrazione dello sport, si badi però che tale risultato va
perseguito non solo mediante interventi normativi delle Regioni nell’ambito sportivo, ma anche potenziando la presenza
di rappresentanti di Regioni e enti locali all’interno degli organi del Coni e delle Federazioni sportive e incoraggiando la
stipulazione di convenzioni tra gli enti territoriali e la Coni Servizi S.p.A.: in questi termini, MARCHETTI, Lo sport, cit.,
952. Una attenta dottrina ha, di recente, invocato la necessità di un intervento del legislatore diretto a regolare il
rapporto tra le competenze dello Stato e quelle Regione e degli enti locali in materia di sport: NAPOLITANO,
L’adeguamento del regime giuridico del Coni e delle federazioni sportive, cit., 357.
35
Sul ruolo delle Regioni nelle attività sportive si è sviluppata una significativa letteratura a cavallo tra la metà degli
anni settanta e gli anni ottanta, v. specialmente G. BERTI, Premesse e ipotesi sui compiti della regione nel servizio
sociale dello sport, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, 600 ss., S. BARTOLE, Istituzioni e attività sportive nelle regioni ad
autonomia ordinaria, in Reg., 1982, 255 ss., e E. GIZZI, Regioni e sport, cit., 35 ss. Per ulteriori analisi dell’argomento
aggiungi G. RENATO, Ordinamento giuridico sportivo e ordinamento regionale, in Riv. dir. sport., 1951, 3 ss.; A.
ALBANESI, Sport e regione, ivi, 1972, 299 ss.; A. COCHETTI, Lo sport nel diritto regionale, ivi, 1973, 149 ss.; P. PIAZZINI,
Sport e regioni, ivi, 1980, 14 ss.; V. GERI, Tentativo di una delimitazione normativa autonoma dello sport nella Regione,
ivi, 1988, 361; D. MASTRANGELO (a cura di), Aspetti giuspubblicistici dello sport, Bari, 1994, ed in particolare i saggi di
N.A. CALVANI, Il riparto di competenze in materia sportiva tra stato, regioni e enti locali, p. 51 ss. e A. LATILLA, La
legislazione regionale in materia sportiva, p. 77 ss. Di utile consultazione risulta la voce Sport e tempo libero di F.C.
RAMPULLA, in Guida delle autonomie locali, 1978, 578 ss.; 1979, 678 ss.; 1980, 573 ss.; e, poi, nell’Annuario delle
autonomie locali, 1981, 576 ss.; 1982, 592 ss.; 1983, 684; 1984, 678; 1986, 523. La voce è stata continuata da S.
LIPPARINI, ivi, 1987, 474; 1988, 529 ss.; 1989, 535; 1990, 516 ss.; 1991, 591 ss.; e da G.D. CANANEA 1992, 512; 1993, 523
ss.; 1994, 522 ss.; 1995, 521 ss.; 1996, 530 ss.
In seguito alla legge Cost. n. 3/2001 non vi sono contributi dottrinali che affrontano in maniera organica la problematica
del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di sport nonché il ruolo rivestito da queste in tale materia.
34
123
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
In tale quadro normativo un posto centrale è occupato dall’art. 2, primo comma, del d.lgs n. 242,
che ha ribadito che al CONI spetta «la promozione della massima diffusione della pratica sportiva […],
nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616».
Il d.P.R n. 616 del 1977 – adottato in seguito ai lavori della Commissione Giannini che ha ideato un
aggancio della materia dello sport con quella del turismo, superando così la esclusione dello sport dalle
materie di competenza regionale previste dall’originario articolo 117 della Costituzione 36 – all’art. 56,
lett. b, ha attribuito alle Regioni la funzione inerente alla «promozione di attività sportive e ricreative»,
ma ha mantenuto «ferme le attribuzioni del C.O.N.I. per l’organizzazione delle attività agonistiche ad
ogni livello e le relative attività promozionali»37.
Le attribuzioni del CONI vengono, quindi, ad essere assunte come parametro di riferimento e
come limite alle attività promozionali delle Regioni, allorché riguardano attività “agonistiche”38.
Ne consegue la contrapposizione, ai fini del riparto delle relative competenze, fra sport amatoriale,
svolto a livello ricreativo e collegato al tempo libero, e sport agonistico, sottoposto a regole
organizzative e di svolgimento in vista del conseguimento di risultati rilevanti sul piano delle classifiche,
dei tempi e dei records ufficiali nelle diverse discipline dello sport e riconosciute dagli organismi
nazionali e internazionali39.
La Corte costituzionale, con un’importante decisione emessa circa quattro lustri addietro, ha
confermato che la linea di divisione fra le competenze statali e regionali, quale stabilita dall’art. 56 del
36
In proposito v. E. GIZZI, Rilievi metodologici sulle proposte della Commissione Giannini, in Riv. dir. sport., 1976, 355.
Cfr., M.P. CHITI, Commento art. 56 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in A. BARBERA e F. BASSANINI (a cura di), I nuovi
poteri delle Regioni e degli enti locali, Bologna, 1978, 355, e in E. CAPACCIOLI e F. SATTA (a cura di), Commento al
decreto 616, Milano, 1980, 937, il quale esprime disapprovazione sul collegamento tra sport e turismo.
38
Un ulteriore e significativo indice della competenza del Coni a svolgere un ruolo orientato principalmente a curare le
discipline sportive di vertice è dato dalla soppressione ad opera dell’art. 1, comma n. 3, del d.lgs. n. 15/04, del comitato
nazionale sport per tutti, istituito quale organo del Coni dall’art. 3, lett. f del d.lgs. n. 242/99. Tale comitato, infatti, si
poneva come organo di raccordo tra le organizzazioni istituzionali dello sport e le autonomie locali, ed aveva come fine
concreto il potenziamento dello sport sociale, partecipando ad iniziative di promozione e propaganda (art. 10, d.lgs n.
242/10, abrogato a sua volta dal comma n. 17, del d.lgs. n. 15/04).
39
Sulle ulteriori distinzioni (e, sulla rilevanza giuridica di tali distinzioni) tra “agonismo occasionale” e “agonismo
programmato”, e, nell’ambito di quest’ultimo, tra “agonismo a programma limitato” e “agonismo a programma
illimitato”, deve rivolgersi a MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi, cit., 72 ss.; 411 ss. e 446 ss. Come è stato
esattamente osservato (GIZZI, Regioni e sport, cit., 44-46) deve farsi attenzione a non identificare lo sport agonistico con
lo sport professionistico, anzi “tutti coloro che sotto varia forma praticano lo sport per diletto o per benessere fisico,
possono anche farlo in modo sistematico, attraverso una specifica preparazione tecnica e sotto la guida di allenatori, allo
scopo di cimentarsi nel corso di gare organizzate, sicché anche in questi casi si può dare vita all’agonismo sportivo” e,
inversamente, si evidenzia “la presenza d’una zona neutra, quale rappresentata da talune attività sportive che, pur
praticate in forma agonistica, non siano correlate a discipline previste e organizzate secondo il sistema federazioni CONI».
37
124
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
d.P.R. 616/1977, è «quella fra l’organizzazione delle attività sportive agonistiche, che sono riservate al
CONI, e quella delle attività di base e non agonistiche, che invece spettano alle regioni»40.
La tenuta di tale sistema è difatti confermata, in primo luogo, dalla stessa sentenza in commento –
numero 8.1 del considerato in diritto – che pone il d.P.R. 616/1977 e un precedente decisum della stessa
Corte del 1987 a base della risoluzione del punto della controversia inerente la rispettiva competenza
dello Stato e delle Regioni in materia d’impianti sportivi.
Un ulteriore significativo indice è dato dalla circostanza che la legislazione regionale che ha
disciplinato lo sport in seguito alla riforma del titolo V, si sviluppa in buona sostanza lungo le linee del
preesistente assetto statale della materia, così come in larga parte definito dall’art. 2 del d.lgs 242/9941.
Al riguardo, in questa sede è sufficiente rilevare che nessuna delle leggi regionali in materia di sport
si richiama o, quanto meno, menziona la riforma operata con la legge costituzionale n. 3/2001.
Ma vi è un’ulteriore e decisiva considerazione che fa propendere per la tenuta del sistema di
competenze sopradelineato. Si allude alle diverse finalità che perseguono le Regioni e il CONI: in altre
parole quest’ultimo, quale ente esponenziale dell’ordinamento giuridico sportivo, tende per forza di
cose a privilegiare gli aspetti tecnico-competitivi dello sport, i quali a loro volta determinano effetti
trainanti non soltanto sotto il profilo della divulgazione della pratica sportiva ma, soprattutto sotto il
40
La sentenza è pubblicata in numerose riviste tra cui Le Regioni, 1988, 431, con commento di F.C. RAMPULLA, La corte
si “esercita” sullo sport, e Foro it., 1989, I, 3354, con nota di richiami. Com’è noto, il conflitto di attribuzioni era sorto
in occasione dello svolgimento dei campionati mondiali di calcio organizzati in Italia nel 1990. Tale linea di
demarcazione, inoltre, può ritenersi operante anche per gli enti territoriali minori quali province e comuni. A tal
riguardo la Corte dei Conti della Regione Puglia ha disposto che «I comuni hanno il compito di propulsori delle attività
sportive non agonistiche, ossia di base; pertanto essi possono impiegare le proprie risorse finanziarie solo per stimolare,
gestire e assistere le manifestazioni sportive di carattere ludico, nell’interesse di tutta la popolazione locale, essendo
preclusa l’elargizione di contributi a società sportive agonistiche in genere, sia a livello professionistico che a livello
dilettantistico»: sent. 1 giugno 1995, n. 72, in Riv. corte conti, 1995, 101.
41
Dall’analisi della legislazione regionale successiva alla riforma del titolo V della Costituzione emerge, infatti, che le
Regioni intendono valorizzare il momento sociale e culturale della pratica motorio-sportiva, sia predisponendo
strumenti che rendano effettivo il diritto del cittadino di sviluppare la propria personalità anche attraverso l’attività
sportiva, sia incrementando il sostegno delle associazioni sportive che nascono e si sviluppano nel loro territorio. Non
solo, settori di intervento nelle nuove leggi regionali concernono ambiti già regolamentati dalle Regioni quali
l’impiantistica sportiva; l’istruzione professionale e la formazione degli operatori sportivi; la tutela sanitaria e la
medicina dello sport; il sostegno di iniziative riservate ai disabili; la effettuazione di studi, ricerche pubblicazioni in
materia sportiva; i rapporti di collaborazione con gli enti scolastici e con gli organi centrali e periferici del Coni e delle
Federazioni sportive. Le suddette leggi regionali, inoltre, si caratterizzano per la comune aspirazione ad una
regolamentazione organica e completa del fenomeno sportivo, cfr. l.r. Liguria 5 febbraio 2002, n. 6, Norme per lo
sviluppo degli impianti e delle attività sportive e fisico-motorie; l.r. Lazio 20 giugno 2002, n. 15, Testo unico in materia
di sport; l.r. Lombardia 8 ottobre 2002, n. 26, Norme per lo sviluppo dello sport e delle professioni sportive in
Lombardia; l.r. Friuli-Venezia 3 aprile 2003, n. 8, Testo unico in materia di sport e tempo libero; l.r. Valle d'Aosta 1
aprile 2004, n. 3, Nuova disciplina degli interventi a favore dello sport; l.r. Basilicata 1 dicembre 2004, n. 26, Nuove
norme in materia di sport. Per una diversa chiave di lettura si v. comunque S. MARZOT, La ripartizione delle competenze
in materia di pianificazione territoriale degli impianti sportivi con particolare riferimento a quelle comunali, in C.
BOTTARI (a cura di), La realizzazione e la gestione degli impianti sportivi comunali, Rimini, 2005, 37 ss., e spec. 59-60.
125
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
profilo economico, giacché moltiplicano i loro effetti comunicativi “di senso di appartenenza, di
emozione, di godimento estetico”42.
Per converso, gli enti comunitari, come le Regioni, sono portati per loro natura a dare prevalenza
agli aspetti sociali dell’attività sportiva; vale a dire a ciò che favorisce la comunità piuttosto che
l’individuo43. Tali ultimi aspetti, poi, vengono realizzati prevalentemente valorizzando e sostenendo
l’associazionismo sportivo territoriale, nonché garantendo e promuovendo l’interesse e la
partecipazione popolare alla pratica sportiva anche attraverso il potenziamento e l’ampio accesso agli
impianti sportivi44.
Su tali premesse si può affermare che tendenzialmente le Regioni non hanno alcun interesse a
rivendicare potestà sull’organizzazione dello sport nazionale e che, viceversa, il CONI non ha alcun
interesse ad ingerirsi nelle variegate e sempre crescenti attribuzioni assunte dalle Regioni nell’ambito
dello sport sociale45.
Al riguardo, tuttavia, è doveroso rilevare che non è possibile tracciare una linea netta di
demarcazione tra l’attività agonistica, di competenza esclusiva del CONI, e l’attività non agonistica di
competenza delle Regioni, giacché tra le due menzionate attività vi sono notevoli aree di interferenza. Si
pensi, ad esempio, che il CONI è anche portatore di interessi sociali quali il sostegno e la diffusione
della pratica sportiva tra i soggetti disabili e la lotta contro ogni forma di discriminazione nello sport.
Ed ancora, molto spesso il rapporto tra queste due forme di attività sportive è reticolare. Infatti, se
da un canto la struttura di vertice dello sport nazionale è modellata in funzione dello sviluppo e del
potenziamento dello sport agonistico, dall’altro lato quest’ultimo funge da propellente per lo sport
amatoriale, il quale, com’è noto, nasce e si sviluppa seguendo i meccanismi e i richiami dello sport
agonistico46.
42
Così LIBERTINI, Regole sportive e concorrenza sleale, cit., 461.
BERTI, Premesse e ipotesi sui compiti delle Regioni, cit., 612.
44
Rileva esattamente LATILLA, La legislazione regionale in materia di sport, cit., 85, che “la concreta possibilità per il
singolo di praticare attività sportive e, quindi, di poter usufruire, in condizioni ottimali, delle attrezzature e degli
impianti necessari, è, infatti, quasi sempre subordinata all’esistenza di un’organizzazione stabile che si faccia portatrice
delle esigenze del gruppo nei confronti delle istituzioni competenti e, nel contempo, assicuri la piena utilizzazione delle
strutture”. Per una valorizzazione delle associazioni che operano nell’area delle attività sportive cfr. C. PARRINELLO,
Attività sportive e sviluppo delle persona, in Dir. fam, 1991, 767.
45
Tuttavia bisogna puntualizzare che le Regioni in materia di sport, pur rimanendo loro sottratto il settore dello sport
agonistico, esercitano un notevole numero di competenze, seppur formalmente esercitate nell’ambito di altre materie
(Cfr. F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, in G. SANTANIELLO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo,
2004, 87).
46
M.T.CIRENEI, Società sportive, in Nss. D.I., Appendice, VII, Torino, 1987, 87; e in giurisprudenza, T.A.R. Lazio, Sez.
III, 20 aprile 1987, n. 1449, in Giur. it., 1987, III, 1, p. 40.
43
126
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Tutte tali circostanze confermano le osservazioni svolte circa la scarsa portata innovativa, sotto il
profilo sostanziale, dell’inserimento dell’ordinamento sportivo tra le materie di legislazione
concorrente47.
4. La disciplina dell’impiantistica sportiva e il finanziamento degli enti di promozione
sportiva.
Nella fattispecie di cui ci si occupa le Regioni avevano impugnato disposizioni della legge
finanziaria del 2003 appartenenti a materie tra loro diverse, anche se collegate dal comune
denominatore dello sport: alcune disposizioni – in parte abrogate e in parte modificate dalla L. n.
128/2004 – riguardavano la disciplina di vari aspetti delle associazioni sportive48; altre l’uso degli
impianti sportivi che appartengono agli enti territoriali e agli enti scolastici nonché l’eventuale
affidamento a terzi della loro gestione ovvero la loro utilizzazione al di fuori dell’attività scolastica;
un’ultima norma impugnata (art. 4, comma 204, L. n. 289/2003) della finanziaria 2004 aveva ad oggetto
un finanziamento concesso dallo Stato agli enti di promozione sportiva.
Orbene, alcune delle questioni più delicate – relative alle associazioni sportive – sulle quali la Corte
era chiamata a decidere sono cadute perché, nelle more del giudizio, sono state abrogate e modificate le
norme impugnate dalle Regioni ed è stata quindi dichiarata cessata la materia del contendere49.
47
In questo senso è orientato anche SANINO, Diritto sportivo, cit., 101.
Più precisamente la L. n. 128 del 2004 – adeguandosi alle istanze avanzate dalle Regioni nei rispettivi ricorsi – ha
abrogato i commi 20, 21, 22 e modificato il comma 18 dell’art. 90 della L. n. 289/2002. In buona sostanza con la
modifica apportata a quest’ultima norma è stato abolito l’obbligo per le associazione e società sportive dilettantistiche
di conformare lo statuto e l’atto costitutivo alle norme e direttive del CONI, nonché agli statuti e ai regolamenti delle
Federazioni sportive nazionali o dell’ente di promozione sportiva nell’ipotesi di affiliazioni a tali enti. Inoltre, ed è
questa la conseguenza più importante, è stata eliminata l’istituzione presso il Coni del registro delle società e
associazioni sportive dilettantistiche, tale iscrizione era – secondo il comma 22, dell’art. 90 – condizione necessaria per
poter usufruire di contributi pubblici di qualsiasi natura. I commi da 2 a 16 dell’art. 90 contengono misure a carattere
economico – soprattutto sgravi e agevolazioni fiscali – volte al sostegno delle organizzazioni sportive dilettantistiche
(su cui v. N. FORTE, Società e associazioni sportive. Regime civilistico e fiscale, Milano, 2005, p. 12 ss.).
49
Di notevole interesse è la pronuncia del Cons. Stato, sez. consult. atti norm., 14 luglio 2003, n. 2694, in relazione allo
schema di regolamento governativo volto ad attuare l’art. 90 della l. n. 289/2002, ove la materia dell’ordinamento civile
(lett. l, comma II, art. 117, Cost.), è stata configurata come in grado di attrarre alla competenza esclusiva del legislatore
statale ambiti normativi altrimenti riconducibili anche all’ordinamento sportivo. In particolare, secondo il Consiglio di
Stato, il regolamento proposto al suo vaglio perseguiva principalmente “la finalità di adeguare la disciplina civilistica
delle persone giuridiche e delle società a quelle figure particolari – ma di grande diffusione e rilievo – costituite dalle
associazioni e dalle società senza scopo di lucro che organizzano attività sportiva dilettantistica. In altri termini, per
questo aspetto (comprendete, ad esempio, le norme su statuti e atti costitutivi) lo schema di regolamento mira a
delineare un profilo essenziale e uniforme, su tutto il territorio nazionale, delle figure suddette nell’ambito
dell’ordinamento civile. In questo caso, l’intervento regolamentare disciplina tali figure nella qualità di soggetti di
diritto privato e non nella qualità di soggetti di diritto sportivo: come tale, esso trova, in linea generale, il suo
fondamento costituzionale nella lettera l) del secondo comma dell’articolo 117, che fa rientrare l’ordinamento civile tra
le materie di competenza esclusiva statale”.
48
127
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Nel corso del giudizio le Regioni avevano ritenuto invasive della loro competenza le norme in
materia di impianti sportivi (art. 90, commi 24, 25 e 26, legge finanziaria 2003) sulla base di due
principali considerazioni: a) la valorizzazione del principio di autonomia degli enti locali e delle
istituzioni scolastiche; b) la lettura rigida dell’art. 117, quarto comma, Cost., vale a dire della c.d.
competenza residuale delle Regioni.
La difesa erariale si era mossa viceversa lungo un’interpretazione, seppur con toni più o meno
sfumati, tesa a ricondurre l’uso e la gestione degli impianti sportivi nella materia ordinamento sportivo,
affermando il “conseguente potere dello Stato di porre principi fondamentali”.
La Corte ha risolto il conflitto avendo ritenuto seccamente che non è dubitabile che la disciplina degli
impianti sportivi e delle attrezzature sportive rientri nella materia dell’ordinamento sportivo.
Le motivazioni che spingevano la Corte a tale affermazione – anche se non ben esplicitate nella
sentenza - si basano sull’assunto che le norme sull’uso degli impianti sportivi sono dirette a rendere più
agevole l’utilizzazione degli impianti di pertinenza di comuni e istituti scolastici da parte di tutti i
cittadini, delle società e delle associazioni sportive. Si tratta infatti di regole encomiabili, visto che sono
volte ad ampliare e promuovere allo stesso tempo l’interesse e la partecipazione popolare alle attività
sportive, e dato che «l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è
aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e
associazioni sportive» (comma 24, art. 90)50.
E’ del tutto condivisibile, perciò, l’indirizzo della Corte, che non ha ripreso le sollecitazioni della
difesa delle Regioni, e ha così salvato dall’illegittimità costituzionale norme portatrici di interessi
socialmente rilevanti e meritevoli di tutela.
Certo è che la pronuncia in commento, avendo collocato la materia dell’impiantistica sportiva
all’interno di un settore in cui lo Stato è titolare del potere di porre norme di principio, disegna un
assetto che comporta un notevole indebolimento della competenza ormai piena che le Regioni avevano
acquisito in materia di impiantistica sportiva51. Basta al riguardo ricordare che la sentenza n. 517/1987
aveva loro riconosciuto importanti prerogative in materia, statuendo che «mentre lo Stato è pienamente
legittimato a programmare e a decidere gli interventi sugli impianti e sulle attrezzature necessari per
l’organizzazione delle attività sportive agonistiche, le regioni vantano invece la corrispondente
competenza in relazione all’organizzazione delle attività sportive non agonistiche»; e che, in un secondo
momento – vale a dire in seguito all’emanazione dell’art. 157 del d.lgs. 112/1998 –, veniva loro
50
Per una lettura tesa alla valorizzazione di questa norma come un vero e proprio principio cfr. D. DONATI, La gestione
degli impianti sportivi, in La realizzazione e la gestione, cit., 262.
51
Sul punto si v. i corretti rilievi di MARCHETTI, Lo sport, cit., p. 954.
128
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
attribuita anche la funzione relativa alla pianificazione e programmazione degli impianti destinati ad
ospitare manifestazione sportive agonistiche.
La Corte ha dichiarato anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 204, della legge n. 350
del 2003 (finanziaria 2004) che disponeva un finanziamento a favore degli enti di promozione sportiva
al fine di consentire lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e la promozione di programmi relativi
allo sport sociale.
L’attività svolta dagli enti di promozione sportiva, ad avviso della Corte, ricadendo nell’ambito della
legislazione “concorrente” – qual’é appunto l’ordinamento sportivo – comporta che qualsiasi
intervento finanziario in materia necessita di un diretto coinvolgimento delle Regioni.
La conclusione a cui giunge la pronuncia si inserisce nell’ambito di un orientamento ormai
consolidato dalla Corte; essa, infatti, ha più volte affermato che gli interventi finanziari diretti in materia
di competenza non “esclusiva” dello Stato – senza il passaggio attraverso i filtri dei programmi regionali
– ledono l’autonomia finanziaria della Regione52.
Ma anche questa parte della decisione in esame suscita talune perplessità: due osservazioni al
riguardo, sono dunque necessarie.
E così, in primo luogo, si rileva che la Corte giunge alla decisione con una motivazione viziata da
evidente tautologia: il finanziamento erogato dallo Stato riguarda lo sport; conseguentemente il
medesimo finanziamento rientra giocoforza nella materia ordinamento sportivo.
E’ evidente che questo modus procedendi produce il risultato di allargare in modo smisurato i confini
della materia ordinamento sportivo cosicché – come si è esattamente osservato – la sentenza della Corte
comporta che “ora lo sport, quale sia il modo o il contesto in cui è praticato, quali le attività in cui si
estrinseca o la tipologia degli impianti di cui si serve, non ha più addentellati con altri settori, quali il
turismo, ma rientra sempre e comunque nella materia ordinamento sportivo”53.
52
In un importante pronuncia (sent. n. 16 del 2004 e, analogamente, sent. n. 49 dello stesso anno) la Corte osserva,
infatti che “ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di diventare uno
strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti locali, e di
sovrapposizione di politiche e indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti
materiali di propria competenza”: per un commento si v. M. BARBERO, Tipizzazione delle entrate di Regioni ed enti
locali e modalità di finanziamento delle funzioni amministrative: la posizione della Corte costituzionale (nota alle sent.
n. 16 e n. 49 del 2004), in www.Federalismi.it, n. 4 del 2004; A. MORRONE, Il regime dei trasferimenti finanziari
statali. La regione come ente di governo e di coordinamento finanziario, in giur. cost., 2004, 652 ss.; C. SALAZAR, l’art.
119 Cost. tra (ina)attuazione e “flessibilizzazione ” , in Forum di Quad. cost.
53
L’inciso è di BIN, Quando la Corte, cit., parr. 4. Come già accennato, il collegamento tra sport e turismo operato
dall’art. 56 del d.p.r. del 1977, n. 616 ha suscitato parecchie perplessità in dottrina; si v. l’autorevole opinione di
Sandulli per il quale “appare strano” questo collegamento dello sport alla materia del turismo e dell’industria
alberghiera “mentre forse sarebbe stato meno improprio (ma pur sempre forzato) il riferimento alla promozione della
salute”: A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, t. 2°, XV ed., Napoli, 1989, 1083. Per GIZZI, Regioni e sport,
cit., 37, nt. 3, invece, sarebbe stato più “logico” accostare le attribuzioni regionali inerenti allo sport alla materia
sanitaria. Riguardo al settore sanitario lo stesso d.P.R. n. 616 prevede all’art 27 lett. g il trasferimento alle Regioni delle
129
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Passando alla seconda osservazione bisogna sottolineare che se la Corte avesse tenuto conto della
natura e dell’ambito territoriale in cui operano gli enti di promozione sportiva54 avrebbe potuto salvare
la norma in oggetto dalla declaratoria di incostituzionalità.
Tali enti dal punto di vista formale si qualificano come persone giuridiche di diritto privato, e
inoltre per la loro stessa natura estendono il loro raggio d’azione su tutto il territorio nazionale al fine di
diffondere le discipline sportive, di promuovere l’attività sportiva tra i giovani e di organizzare l’attività
amatoriale55.
Sotto il profilo sociale tali enti traggono la loro origine dall’essere tutti portatori ed espressione di
correnti ideologiche e socio-politiche diverse nonché dal diverso modo di intendere il valore della vita
associativa56.
In altre parole si è al cospetto di istanze e interessi (pur orbitanti nel mondo dello sport) che si
spingono al di là dell’angusto ambito regionale collocandosi in una dimensione che travalica gli stretti
interessi locali; interessi locali di cui, al contrario, le regioni sono portatrici57.
funzioni attinenti «all’igiene e alla tutela sanitaria dell’attività sportiva»: in argomento, per un quadro aggiornato, v. F.
BRIGUGLIO, La tutela sanitaria delle attività sportive, in C. BOTTARI (a cura di), Attività motorie e attività sportive:
problematiche giuridiche, Padova, 2002, 159 ss.
54
In argomento si v. S. BENVENUTI, Gli enti di promozione sportiva, in Studi sen., 1987, 7 ss.; R. AMOROSINO, Gli enti di
promozione sportiva, Roma, 1985, 1 ss.; RISTORI, Gli enti di promozione sportiva, in Città e reg., 1981, 45 ss. Di recente,
una sintetica ed efficace analisi si trova in L. SELLI, in AA.VV., Dirtto dello sport, cit., 81-85; si v. anche G. VALORI, Il
diritto nello sport. Principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005, 83-86.
55
Nel nostro ordinamento manca un intervento legislativo che definisca con precisione i requisiti e le attribuzioni degli
enti di promozione sportiva. Bisogna comunque puntualizzare che alcuni di tali enti sono dotati di strutture
organizzatorie che, per la loro complessità, non sono affatto inferiori a quelli delle federazioni sportive nazionali (Cfr. S.
BENVENUTI, Gli enti di promozione sportiva, 20). Ai fini del riconoscimento sportivo da parte del Coni degli enti di
promozione sportiva (sulla cui portata e rilevanza cfr. sempre BENVENUTI, op. ult. loc. cit.) il d.P.R. 28 marzo 1986, n.
157, recante nuove norme di attuazione della legge 16 febbraio 1942, n. 426, all’art. 32 stabiliva che esse dovessero
essere “organizzazioni polisportive d’importanza nazionale che svolgano attività di diffusione e promozione” delle
discipline sportive (la stessa locuzione “organizzazioni polisportive d'importanza nazionale” ai fini del riconoscimento
degli enti di propaganda sportiva era già adottata dall’art. 32 del d.P.R. 2 agosto 1974, n. 530, recante norme
d'attuazione della legge 16 febbraio 1942, n. 426). Attualmente, ai sensi dell’art 5, comma 2, lett. c, del d.lgs 242/1999,
tali enti sono riconosciuti ai fini sportivi dal consiglio nazionale del Coni sulla base di determinati parametri fissati dallo
statuto di quest’ultimo ente. I parametri (che in buona sostanza, tranne lievi modifiche, ripetono quelli del precedente
statuto approvato il 24 marzo del 2000) per ottenere il riconoscimento, previsti dallo statuto del Coni approvato dal
Consiglio il 23 marzo del 2004, sono: a) avere la natura di associazioni sia riconosciute ai sensi degli artt. 12 ss. c.c.,
che non riconosciute; b) avere uno statuto conforme ai principi della democrazia interna e delle pari opportunità; c)
essere presenti in almeno quindici Regioni e settanta province; d) comprendere un numero di società o associazioni
sportive dilettantistiche di cui all’art. 90, L. n. 289/2002, affiliate non inferiore a mille, con un numero di iscritti non
inferiore a centomila; e) aver svolto da almeno quattro anni attività nel campo della promozione sportiva.
56
In questi termini BENVENUTI, Gli enti, cit., 24.
57
Bisogna tuttavia segnalare che l’ultimo statuto del Coni identifica un nuovo soggetto, ossia gli enti di promozione
sportiva su base regionale (cfr. anche SELLI, Diritto dello sport, cit., 84 ad avviso del quale è tramite la L. n. 289 del
2002, art. 90, comma 18, lett. b, che si introduce il soggetto testé menzionato nel nostro ordinamento giuridico). Per il
riconoscimento di questi enti lo statuto prevede gli stessi requisiti richiesti per gli enti di promozione sportiva nazionali,
ovviamente con una dislocazione in tutte le province e nella Regione di riferimento mentre il numero di società e
associazioni dilettantistiche affiliate è rimesso ad un regolamento approvato dal Consiglio nazionale del Coni. A
tutt’oggi l’unico ente di promozione sportiva su base regionale riconosciuto dal Coni è lo SportPadania: per queste
130
NOTE A SENTENZA
Titolo V della Costituzione...
Conseguentemente imporre un obbligatorio passaggio normativo delle Regioni in materie
totalmente estranee al loro raggio d’azione è frutto di un’evidente forzatura interpretativa.
Per quanto riguarda, poi, le conseguenze pratiche della decisione in commento, è agevole rilevare
che il suo effetto immediato consiste nella privazione del finanziamento a beneficio degli enti in
questione. Tale finanziamento, è appena il caso di rilevarlo, rivestiva particolare importanza giacché in
seguito alla grave situazione finanziaria del CONI, gli enti di promozione sportiva nel tempo hanno
subito notevoli riduzioni delle risorse economiche: le tentazioni dirigiste delle regioni – stavolta – hanno
comportato principalmente un grave danno patrimoniale in capo a detti enti.
Difatti, una volta che la “partita” è stata chiusa, la conferenza dei presidenti delle Regioni e delle
province autonome, consapevole di tale pregiudizio, ha approvato un documento ufficiale, chiedendo
allo Stato di erogare lo stesso la somma stanziata con la legge finanziaria58.
(*) Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico
presso l’Università degli Studi di Palermo
informazioni consulta il sito www.coni.it, ove si trova l’elenco di tutti gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal
Coni.
58
Si tratta di un documento approvato nella seduta della conferenza del 13.1.2005: per la lettura del testo si v.
www.regioni.it.
131
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
Gara agonistica di sci da fondo – Caduta di un concorrente per urto contro
un’asperità non visibile del terreno – Lesioni - Azione di risarcimento del danno
– Responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’organizzatore – Non sussiste.
TRIBUNALE DI TRENTO
SEZIONE DISTACCATA DI CAVALESE
SENTENZA
nella causa iscritta sub n. 12005 del ruolo degli affari contenziosi dell’anno 2003
da
X. (…)
– ATTORE –
contro
Y SCARL (…)
– CONVENUTO –
e contro
Z SPA (…)
– CHIAMATO –
avente ad oggetto: risarcimento danni
(omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
<<Con atto di citazione dd. 7/1/03 il sig. X conveniva in giudizio la società in epigrafe
indicata esponendo di avere preso parte, il 30 gennaio del 2000, alla 27a edizione della gara
agonistica “Marcialonga di Fiemme e Fassa”, competizione di sci da fondo a tecnica libera.
Assumeva di avere urtato con lo sci una pietra invisibile, perché ricoperta da un sottile velo di neve,
emersa dal fondo nevoso e di aver subito, all’esito dell’urto, una caduta che gli procurava delle
lesioni personali.
Ritenendo responsabile l’ente sopra citato della caduta chiedeva conseguentemente il
risarcimento dei danni patiti.
Nel giudizio così radicato si costituiva la Y Scarl con comparsa dd. 5/3/03, instando per la
chiamata in causa della società Z. Nel proprio scritto difensivo contestava an e quantum della
domanda attorea evidenziando la molteplicità di versioni rese dall’attore in merito alla dinamica del
132
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
sinistro. Concludeva quindi chiedendo la reiezione delle domande attoree e, subordinatamente, la
condanna della terza chiamata a corrispondere direttamente all’attore quanto di spettanza di
quest’ultimo per la denegata ipotesi di accoglimento delle domande da lui spiegate. (…)
Si costituiva in giudizio la Società Z, con comparsa dd. 5/6/03, la quale deduceva
l’infondatezza della domanda attorea evidenziando la genericità, incertezza delle allegazioni di
parte attrice, l’inesistenza di una situazione di obiettiva insidia per lo sciatore. (…)
Veniva esperita l’istruttoria probatoria e all’udienza del 22/9/05 le parti precisavano le
conclusioni.
Il Giudice assegnava i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e di
replica trattenendo la causa in decisione allo scadere dei termini suddetti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda introdotta nel presente giudizio da parte attrice è infondata e va pertanto respinta.
Queste le motivazioni.
Nel caso di specie si pone innanzitutto il problema di inquadrare giuridicamente il tipo di
responsabilità astrattamente imputabile alla odierna convenuta, ente gestore della pista in cui si è
verificato l’incidente per cui è causa.
Deve certamente escludersi la sussistenza di una responsabilità contrattuale in difetto di
rigorosa prova dell’esistenza di accordi, espliciti o impliciti, in virtù dei quali l’ente chiamato in
causa dovesse provvedere alla manutenzione della pista.
A carico dell’ente suddetto può configurarsi una responsabilità fondata sull’art. 2051 CC e
cioè per danno cagionato dalle cose in custodia. Un tanto anche in considerazione che parte
convenuta non ha contestato di essere custode della pista, offrendo altresì prove testimoniali e
documentali che hanno dimostrato la corretta e costante manutenzione della pista nel tratto in cui il
sinistro è avvenuto (…). La soluzione trova il conforto anche della pronuncia della Suprema Corte
(Cass. civ. 10/2/05 n. 2706).
La giurisprudenza, di legittimità e di merito, statuisce anche che il danneggiato, per far
valere la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., non è esonerato dal provare un efficace nesso
causale tra la cosa in custodia e il danno (…). Deve escludersi nel caso di specie che l’attore abbia
fornito adeguata prova della sussistenza di una pericolosità intrinseca della pista in questione, della
133
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
sussistenza di un adeguato nesso causale tra la cosa e l’infortunio da lui subito e quindi del fatto
costitutivo della domanda da lui introdotta.
Già nell’atto introduttivo del presente giudizio l’attore, che per ben 19 volte ha partecipato
alla competizione, non chiarisce la dinamica del sinistro, dichiara di avere urtato una “pietra
invisibile perché ricoperta da sottile velo di neve”……, allegazioni che sono pure contrastanti con
le produzioni documentali di entrambe le parti. (…)
A ciò si aggiunga che i testi indicati da parte attrice nulla di rilevante hanno espresso in merito
alla dinamica del sinistro. (…) In particolare la teste W contribuisce altresì a dimostrare
l’inesistenza di un pericolo occulto affermando “arrivata in cima alla pista ho cominciato a vedere
del ghiaccio e dei sassi per cui mi sono tolta gli sci e sono andata giù a piedi”. Con ciò evidenziando
una situazione perfettamente normale nel corso di una competizione con l’alto numero di
partecipanti riconosciuto dalle parti, che si snoda, come è notorio, lungo un tracciato naturale e
apprezzabile soprattutto da chi, per un alto numero di volte, ha partecipato alla medesima
competizione e ne conosce il teatro. (…)
Deve pertanto affermarsi, nel caso concreto, che la caduta dell’attore sia imputabile semmai a
una disattenzione della parte offesa, con la conseguenza che la res va relegata a fattore occasionale
dell’evento. (…)>>
134
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
GARE DI SCI E INSIDIE NATURALI SULLA PISTA:
PUO’ RISPONDERE L’ORGANIZZATORE EX ART. 2051 C.C. ?
di Stefano Caviglioli (*)
SOMMARIO:
1) Il caso.
2) Obblighi di preparazione e manutenzione del terreno della pista di sci destinata alla
gara: contenuto e limiti.
3) La gara di sci e l’art. 2051 c.c.
4) Conclusioni.
135
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
1) Il caso
Durante lo svolgimento nel 2003 della nota gara agonistica di sci da Fondo ‘La Marcialonga
di Fiemme e Fassa’ un concorrente che si trovava nelle posizioni di retrovia urtava contro una pietra
emergente dal fondo nevoso della pista e cadeva a terra riportando lesioni; indi conveniva avanti al
Tribunale di Trento – sez. distaccata di Cavalese – la società organizzatrice della competizione per
ottenere il risarcimento dei danni subiti, assumendo che tale ostacolo costituiva una situazione di
insidia / trabocchetto, sia perché era coperto da un sottile strato di neve, sia perché non era possibile
prevederne la presenza su una pista che si presumeva sicura, sia perché non era agevolmente
superabile con i sottili e leggeri sci calzati dai fondisti.
Specificatamente l’attore sosteneva che la società convenuta – quale organizzatrice della gara
e custode della pista – aveva il dovere di adottare ogni cautela idonea ad eliminare tutti gli ostacoli
presenti sul percorso e di evitare situazioni di pericolo eccedenti la normale alea sportiva: ciò non
solo ai sensi delle norme del Regolamento Internazionale della FIS e del Regolamento FISI – che
impongono all’organizzatore di gare di sci da Fondo e Granfondo (come la ‘Marcialonga’) di
eliminare gli ostacoli spianando la pista e di realizzare tutti i controlli e gli accorgimenti necessari
per garantire la sicurezza degli atleti anche in condizioni ambientali sfavorevoli – ma anche alla
luce del generale principio del neminem laedere. Invece, secondo l’attore, la società convenuta
aveva mancato di ottemperare ai predetti suoi obblighi e tale omissione integrava diversi profili di
responsabilità a suo carico.
In particolare la società organizzatrice avrebbe violato sia l’art. 2043 c.c. – in quanto la pietra
in questione avrebbe integrato un’illecita situazione di insidia / trabocchetto – sia l’art. 2050 c.c. –
sull’asserito presupposto che le competizioni di sci da Fondo assumono i caratteri della pericolosità
– sia l’art. 2051 c.c., alla luce di recente orientamento giurisprudenziale secondo cui il gestore di
una pista da sci ne è il custode ed è a tale titolo oggettivamente responsabile per tutti i danni
ricollegabili alla presenza sulla stessa di ostacoli.
L’attore deduceva anche la responsabilità contrattuale della convenuta, asserendo che, a
seguito del pagamento della quota di iscrizione, il concorrente aveva stipulato un vero e proprio
rapporto negoziale con l’organizzatore il quale aveva quindi assunto – tra l’altro – l’obbligo di
predisporre e mantenere in perfette condizioni la pista ovvero di eliminare o segnalare i pericoli
colà esistenti.
136
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
La convenuta respingeva ogni addebito evidenziando che l’attore aveva fornito, durante le
trattative ante causam per il risarcimento del danno, plurime versioni dei fatti, tra loro incompatibili
e comunque tali da destare perplessità sull’effettiva causa del sinistro; negava comunque l’esistenza
nella specie di una situazione di pericolo occulto sulla pista ed invocava in subordine la scriminante
del c.d. rischio sportivo a carico dell’atleta.
I testi assunti dichiaravano che l’incidente era avvenuto su un tratto del percorso che gli
addetti all’organizzazione avevano ben preparato e ispezionato prima della gara e costantemente
controllato durante la stessa, ma sul quale erano presenti in alcuni punti ghiaccio e sassi, peraltro
percepibili in anticipo da tutti i concorrenti.
In sede di decisione il Tribunale riteneva apodittico l’assunto attoreo di colpa contrattuale
della convenuta e riconduceva tutti gli addebiti di responsabilità extracontrattuale all’art. 2051 c.c.
sul ritenuto presupposto che la società organizzatrice della competizione era anche la custode della
pista; peraltro riteneva che l’attore non aveva dimostrato né la pericolosità intrinseca del terreno di
gara né il nesso causale tra l’asserita insidia e l’evento dannoso; respingeva quindi ogni sua
domanda. La sentenza passava in giudicato.
Tralasciando in questa sede la problematica relativa alla responsabilità contrattuale
dell’organizzatore di gare sportive per il danno subito dal concorrente - non affrontata ex professo
dal Tribunale – e quella relativa all’applicabilità nella specie dell’art. 2050 c.c. – essendo pacifico
che né le gare di sci di Fondo né la loro organizzazione integrano di per sé attività pericolosa - si
intendono qui proporre alcune considerazioni sugli obblighi concernenti l’allestimento e la
manutenzione delle piste su cui vengano organizzate gare di sci (in particolare di Fondo) e
sull’applicabilità all’organizzatore dell’art. 2051 c.c. – che disciplina la responsabilità per cose in
custodia – per il danno subito dall’atleta a causa dell’imperfetto stato del terreno di gara. Si
registrano infatti sempre più frequentemente controversie giudiziarie attivate dagli utenti (anche
agonisti) delle piste di sci per sinistri attribuiti a qualche anomalia del terreno.
137
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
2) Obblighi di preparazione e manutenzione del terreno della pista di sci destinata alla
gara: contenuto e limiti.
E’ noto che i luoghi naturalmente destinati alle competizioni (stadi, piste coperte, ecc.) sono
soggetti a preventiva omologazione da parte delle Federazioni competenti; in tal caso
l’organizzatore deve provvedere alla regolare manutenzione dell’area di svolgimento della gara per
conservarla nello stato in cui si trovava al momento dell’omologazione e per impedirne così un
degrado che possa causare situazioni di pericolo per quanti lo frequentano.
Peraltro svariate competizioni possono essere effettuate in luoghi normalmente destinati a
scopi diversi dall’attività sportiva (corsa su strada, ciclo-cross, moto-cross, rallye, ecc.). In questo
caso l’organizzatore ha il dovere primario di verificare se il luogo scelto per la competizione
garantisca, oltre che il normale svolgimento della stessa sotto il profilo tecnico-sportivo, anche la
sicurezza degli atleti e degli spettatori; ma egli ha anche il dovere di individuare ed eliminare sul
percorso di gara eventuali ‘insidie’ o ‘trabocchetti’, ossia quelle situazioni di rischio per
l’incolumità altrui caratterizzate dalla invisibilità e/o imprevedibilità del pericolo.
Vi sono poi particolari discipline sportive che impongono all’organizzatore una peculiare
valutazione sull’idoneità del luogo ove esse si svolgono. In materia di alpinismo, ad esempio, la
scelta della montagna ove compiere l’impresa comporta per l’organizzatore l’obbligo di conoscere
‘geologicamente’ il percorso scelto per la scalata; e ciò anche in funzione della scelta delle
attrezzature più adatte per lo stato del terreno e per le prevedibili variazioni meteorologiche tipiche
di quel luogo.
Un altro caso singolare è quello delle competizioni motonautiche ‘off-shore’ dove
l’organizzatore è tenuto a prevedere – con l’ausilio dei bollettini meteorologici – le variazioni della
forza del mare1.
Tutte le suddette esigenze si riscontrano nell’organizzazione delle gare di sci alpino che
invero si tengono su piste naturali – omologate dalla competente Federazione internazionale o
nazionale ma destinate ad attività non sciistiche al di fuori della stagione invernale – caratterizzate
di per sé dalla presenza di asperità e altre anomalie del terreno e soggette al mutamento delle
condizioni meteorologiche; perciò tali piste necessitano una particolare attività di preparazione e
manutenzione in occasione della singola gara per garantire un fondo adeguatamente innevato che
1
Per le suddette distinzioni vedi: DINI P., L’Organizzatore e le competizioni: limiti della responsabilità, in Riv. Dir. Sport., 1971, 426;
VIDIRI G., La responsabilità civile nell’esercizio delle attività sportive, in Giust, civ., 1994, 202.
138
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
eviti il rischio di cadute da parte dei concorrenti. Segnatamente l’organizzatore della gara di sci da
Fondo di rilievo internazionale è tenuto a osservare le norme previste nel Regolamento
Internazionale di Sci (RIS), il quale detta una serie di minute prescrizioni in tema di apprestamento
del terreno e che si ritiene utile qui riportare almeno in parte:
– <<Devono essere rimosse pietre, radici, cespugli e altri ostacoli. Le piste devono essere
pulite prima dell’inizio dell’inverno in modo da poter permettere lo svolgimento della gara anche
con poca neve. I tratti di pista con problemi di drenaggio devono essere sistemati. La preparazione
a secco deve essere fatta in modo da poter permettere lo svolgimento della gara con circa 30 cm. di
neve. Deve venir fatta particolare attenzione nella preparazione delle discese e delle curve (art.
315.1.1) –
La pista deve essere preparata secondo la larghezza raccomandata dal manuale per le
omologazioni e secondo il tipo di gara.
La pista deve permettere ai concorrenti di sciare e sorpassarsi senza ostacolarsi a vicenda. Il
percorso deve essere abbastanza largo da permettere una buona battitura” (art. 315.2.2) – Tutti gli
ostacoli dovranno essere rimossi dal tracciato di gara per una larghezza che permetta come
minimo una doppia corsia per tutto il percorso di gara.
Per le gare a tecnica libera la larghezza dovrà consentire sorpassi senza problemi (art.
384.1.1) – La pista dovrà essere lisciata e preparata al fine di consentire lo svolgimento della gara
nella massima sicurezza anche con una minima copertura di neve (art. 384.4.1) – La pista dovrà
essere battuta e tracciata nel corso dell’inverno per assicurare una base solida per l’allestimento
finale (art. 384.4.2) - Nelle gare a tecnica libera il percorso dovrà essere ben pressato e
sufficientemente largo per consentire ai concorrenti di sciare fianco a fianco (art. 384.4.3).>>.
A quest’ultimo proposito il Regolamento tecnico FISI dispone specificatamente che <<tutte le
piste dovranno avere i seguenti requisiti: neve battuta, spianata, pressata e fresata su tutto il
percorso, con larghezza minima di m. 4 e, ove necessario, con binario tracciato (art. 4.6.1)>>.
Il predetto Regolamento tecnico internazionale dispone poi che <<per tutti i concorrenti ci
devono essere le stesse condizioni durante la gara…. (art.315.2.4)>>. Ciò configura il generale
obbligo dell’organizzatore di mantenere la pista nelle medesime condizioni per tutto l’arco di
svolgimento della competizione.
Né va dimenticata al riguardo la regola dettata dalla FISI per tutte le gare di sci alpino, secondo
cui il Giudice arbitro ha il diritto di interrompere o annullare la gara se un pericolo grave minaccia i
concorrenti oppure in caso di eventi o pericoli imprevisti (art. 604.4.2 del Regolamento Tecnico
139
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
Federale); il che può all’evidenza verificarsi anche a seguito della sopravvenuta impossibilità di
percorrere il terreno di gara in condizioni di sicurezza.
Pare peraltro opportuno segnalare che tali regole tecniche sono conformi ai precetti dettati per
ogni gestore di impianti sciistici dalla Legge 24/12/2003 n. 363 (contenente norme in materia di
sicurezza delle piste di sci da Discesa e da Fondo), la quale prevede – tra l’altro – che egli è tenuto a
segnalare l’eventuale esistenza di cattive condizioni del fondo della pista e deve provvedere a
rimuovere i pericoli oggettivi dipendenti dallo stato del terreno o altri pericoli atipici esistenti sulla
pista stessa (art. 7 n. 2).
E’ evidente che le suddette normative hanno lo scopo di evitare la presenza sul percorso di
gara di situazioni di pericolo per l’incolumità degli atleti, oltre che di consentire la regolarità della
competizione garantendo a tutti i partecipanti le medesime condizioni di pista secondo i requisiti
tecnici prescritti. Tuttavia è caso frequente nel corso della competizione sciistica che le iniziali – in
ipotesi perfette – condizioni della pista vengono alterate per il continuato passaggio dei concorrenti
e/o per il cambiamento delle condizioni atmosferiche, con conseguente verificarsi di anomalie sul
terreno, quali pietre, detriti, lastre di ghiaccio, ecc.; ciò accade soprattutto nelle gare di Fondo e
Granfondo, che sono notoriamente frequentate da migliaia di concorrenti e si svolgono su percorsi
lunghi decine di chilometri, nell’arco di parecchie ore.
Ci si chiede quindi se tali situazioni di pericolo integrino violazione da parte
dell’organizzatore ai suddetti obblighi cautelari e conseguente sua responsabilità per il danno subito
dal concorrente (sempre che esse presentino i caratteri della ‘insidia / trabocchetto’, ossia della
invisibilità e/o imprevedibilità del pericolo); oppure se l’evento dannoso riconducibile a tali
anomalie ‘naturali’ del terreno possa considerarsi lo sfortunato esito del rischio sportivo
volontariamente accettato dall’atleta nel momento in cui ha deciso di partecipare alla gara.
In considerazione della particolarità della fattispecie in esame pare opportuno prendere le
mosse dall’analisi degli orientamenti seguiti da Dottrina e Giurisprudenza in tema di obblighi
cautelari del gestore di una normale pista di sci e di sua responsabilità in caso di danni subiti da
sciatori non agonisti a causa di ostacoli naturali presenti sul tracciato.
Specificatamente alcuni Autori hanno osservato che, in tema di danno connesso alle
condizioni naturali della pista, occorre un attento esame delle circostanze del caso concreto: è
evidente infatti che il gestore non può essere chiamato a rispondere per ogni sasso che affiori o per
ogni lastra di ghiaccio che si formi né può segnalare allo sciatore ogni anomalia di momento in
momento; d’altra parte vige il principio che chi si dedica all’esercizio dello sci deve essere
140
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
consapevole del rischio normale che affronta ed è responsabile della propria attività liberamente
determinata, nei limiti che devono essergli noti; deve essere quindi sua cura percorrere la pista con
le cautele che corrispondono alle sue capacità, specie quando non ne conosca le condizioni
specifiche del momento.
Né certamente il gestore della pista può essere chiamato a rispondere delle naturali difficoltà ed
esposizioni del percorso, né di quanto sia riconducibile in via esclusiva al fatto degli utenti di essa2.
Secondo altri Studiosi l’opera di battitura del fondo nevoso ingenera senz’altro negli sciatori
un sicuro affidamento circa l’agibilità e sicurezza della pista, al quale corrisponde l’obbligo del
gestore di effettuare al meglio la preparazione del terreno, effettuando gli interventi prescritti negli
Ordinamenti specifici che regolano la materia.
Al proposito si è tuttavia precisato che il gestore della pista è tenuto ad adottare tutti quegli
accorgimenti che sono diretti a tutelare specificamente la sicurezza fisica dell’utente, precipuamente
di fronte alla situazione di insidia inopinabile; ma non anche quelli previsti da norme rivolte ad altre
finalità. Infatti è notorio che lo sciatore generalmente subisce danno a causa di carenze nella
manutenzione della pista, la quale – utilizzata da migliaia di utenti – palesa rapidamente
inconvenienti che l’esercente spesso non è organizzato ad eliminare con la prontezza necessaria
(affioramento di sassi, protezione di ostacoli non evitabili sul percorso, mancanza di innevamento
non segnalata, ecc.).
Quindi se da un lato è necessario individuare con precisione gli obblighi cautelari e i criteri di
responsabilità del gestore della pista di sci, dall’altro lato essi non vanno estesi sino a pretendere
l’eliminazione di qualunque margine del rischio che lo sciatore aprioristicamente accetta per il solo
fatto di dedicarsi a uno sport che implica pericoli.
E’ invece regola fondamentale per tale sportivo sciare ‘a vista’, ovvero controllare sempre dove
va a finire secondo una ragionevole valutazione della situazione, in termini di velocità e terreno3.
Secondo recente Dottrina il gestore della pista deve prevenire solo i danni concretamente
prevedibili ed evitabili alla luce di un criterio di diligenza, prudenza e, soprattutto, perizia
nell’apprestamento e nella manutenzione del percorso – da adottarsi secondo la migliore tecnica del
momento – tenuto conto anche della condotta del danneggiato e dell’assunzione volontaria da parte
2
LUZZATTO L.M., Questioni di diritto in relazione alle piste di sci, in AA.VV., Problemi giuridici di infortunistica sciatoria – Atti del
Convegno di Cortina 2-5 luglio 1975, Milano, 1976, 172.
3
BEVILACQUA G., Responsabilità per infortuni derivanti da difetti di apprestamento o manutenzione delle piste di sci, in Riv. Dir.
Sport., 1983, 540.
141
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
di quest’ultimo di una certa quantità di rischio soggettivo, il quale costituisce una componente
ineliminabile della pratica sportiva in generale e sciatoria in particolare4.
Tali concetti sono stati espressi più volte anche dalla Giurisprudenza.
Così Tribunale Bolzano 8/11/1975 (in Resp. civ. prev. 1977, 611 e ss.) ha evidenziato che lo
sport sciistico per sua natura porta lo sciatore a contatto con il terreno della pista e quindi egli deve
fronteggiare con particolare prudenza e perizia le insidie colà esistenti; anzi <<proprio l’esistenza
di queste ultime costituisce l’attrattiva di quello sport che, volto a padroneggiare mezzi di rapida
andatura su terreni accidentati, ha il suo margine di pericolo e trova il suo fascino nella varietà di
conformazione del terreno e nell’imprevisto circa ostacoli contrapposti a una discesa altrimenti
piatta e banale; non per nulla le piste sciistiche spesso percorrono boschi e pendii particolarmente
ripidi, si svolgono nelle curve più varie e più imprevedibili…… e sono sempre insidiate dalle
condizioni della neve…… quindi un obbligo di segnalare i pericoli e di mettere in guardia contro di
essi può esistere soltanto quanto ai pericoli macroscopici, difficilmente fronteggiabili anche con
una particolare prudenza e una particolare perizia, quali frane, precipizi anormali nel luogo da
percorrersi, sbarramenti creatisi all’improvviso……..>>.
Analogamente Corte di Appello Trento 28/2/1979 (in Resp. civ. prev. 1980, 706 e ss.) ha
ribadito che il gestore della pista <<non può rispondere di fatti contingenti, l’affiorare di una
roccia, il formarsi di una lastra di ghiaccio o l’abbattimento di una barriera o di segnali, in quanto
non si può certo pretendere che possa provvedere o rimediare in ogni momento ed in ogni punto:
l’utente della pista è tenuto a percorrerla con le cautele necessarie nell’esercizio di un’attività
sportiva che implica necessariamente un certo grado di pericolosità e di imprevisto, specialmente
quando non la si conosca perché si percorre per la prima volta……>>5.
Tali concetti sono stati più volte ribaditi dai Giudici di merito. Così il Tribunale Torino
23/4/1987 n. 1848 (in Riv. Giur. Circ. trasp. 1989, 762) ha negato che potesse costituire una insidia
la presenza di un muro di neve sito ai lati della pista, contro il quale era andato a cozzare uno
sciatore.
Il Tribunale di Trento nella sentenza 98/1996 (inedita) ha affermato che <<colui che cura la
manutenzione di una pista da sci è responsabile dei sinistri verificatisi sulla stessa solo quando
4
VIOLA M., La responsabilità civile nell’incidente sciistico, Forlì, 2002, 74-75.
5
Su tali presupposti i predetti Giudici di primo e secondo grado sono giunti ad escludere la responsabilità del gestore della pista per
la collisione di uno sciatore contro una baita non segnalata presente sul percorso. In senso critico vedi le considerazioni di BONDONI
G., Risponde il gestore di impianto sciistico di risalita per insidia non segnalata?, in Resp. civ. prev. 1977, 611 e ss. Questi ha
osservato da un lato che esiste l’obbligo per il gestore della pista di sci di eliminare o ridurre i rischi esistenti sulla stessa, secondo il
criterio della diligenza media, quando ciò sia possibile; dall’altro lato che vanno rimosse o segnalate anche le situazioni di pericolo
che non sono fronteggiabili da sciatori particolarmente esperti.
142
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
abbia colpevolmente posto in essere, od omesso di rimuovere, situazioni di pericolo occulto o
insidioso, tale da impedire all’utente di adottare tempestive ed efficaci cautele per evitare il danno:
non spetta dunque alcun risarcimento allo sciatore danneggiatosi urtando contro un sasso quando
lo stato di impercorribilità della pista era evidente>>.
Analogamente il medesimo Tribunale – sez. staccata di Cles – 12/11/2001 ha escluso la
responsabilità del gestore per il danno dell’atleta incappato in alcuni detriti presenti sulla pista non
solo considerando che la ridotta dimensione degli stessi era inidonea a determinare il sinistro, ma
anche tenendo conto che tale situazione è normale in un tracciato che si snoda su percorsi
fronteggiati da rocce e alberi6.
Tali pronunce sono peraltro conformi al corrente orientamento della Suprema Corte in tema
di anomalie naturali della pista di sci. In particolare Cass. civ. III, 15/2/2001 n. 2216 ha escluso la
responsabilità del gestore per il danno subito dallo sciatore che era incappato in un ciuffo d’erba
sulla pista, seppur mal coperto dalla neve, confermando le precedenti sentenze dei Giudici di merito
le quali avevano accertato <<la colpa esclusiva della condotta imprudente dello sciatore che cadde
perché non riuscì a superare una situazione non particolarmente difficoltosa e ben prevedibile
(come infatti fecero gli altri sciatori che lo precedevano)>>.
Dal suddetto excursus emerge dunque che – in generale – il gestore della pista non risponde
dei danni subiti dagli sciatori a causa della presenza di ostacoli naturali presenti sul tracciato o in
prossimità di questo, sul presupposto fondamentale che questi da un lato non sono direttamente
imputabili al fatto dell’uomo, dall’altro lato costituiscono un rischio connaturato alla pratica dello
sci e accettato volontariamente da chi la esercita, il quale è quindi tenuto a prevedere la loro
possibile presenza sul percorso e ad adeguare al meglio la propria condotta7.
6
La sentenza è riportata in “La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive dalla comparazione”, a cura di Izzo U.
e Pascuzzi G., Torino, 2006, 116.
7
Invece la Giurisprudenza tende a ravvisare la responsabilità del gestore della pista nel caso in cui lo sciatore sia incappato in un
ostacolo ‘artificiale’, il quale presenti i caratteri vuoi della scarsa visibilità vuoi dell’imprevedibilità.
Ad esempio Tribunale Bolzano 11/8/1980 (in Resp. civ. prev. 1981, 93 e ss.), ha ravvisato tale situazione nel caso di uno sciatore il
quale, percorrendo il piano di salita di uno ski-lift, era incappato in una stuoia di plastica che copriva una gobbetta del terreno
scarsamente innevata e che, sollevatasi da terra perché non ben fissata, aveva bloccato lo scorrimento degli sci del trasportato
determinando la sua rovinosa caduta. In tale situazione i Giudici non hanno attribuito valore scriminante al fatto che la pista venisse
sistemata giornalmente dal gestore dell’impianto, ma hanno ravvisato in tale circostanza la prova che questi non aveva provveduto
durante la giornata a controllare regolarmente le condizioni di un punto della pista in cui la stessa presenza del tappetino evidenziava
la precarietà dell’innevamento, che poteva venir meno per il frequente passaggio degli sciatori.
Degna di nota è la decisione del Tribunale di Modena dd. 12/11/1990 (in Diritto dei Trasporti, 1992, 579 e ss.) che ha ravvisato una
imprevedibile insidia per lo sciatore nella presenza non segnalata sulla pista di sci di un ‘gatto delle nevi’ che stava effettuando
l’opera di battitura del fondo nevoso ancora in orario di apertura al pubblico.
Si segnala poi la pronuncia del Tribunale di Trento dd. 18/4/2000 (in La responsabilità sciistica…, cit., 113), ove si è affermata la
responsabilità del gestore per insidia presente sulla pista nel caso di collisione di uno sciatore contro la transenna in ferro posta alla
fine del tracciato e su cui era apposta una piccola rondella acuminata scarsamente visibile.
143
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
Tuttavia è evidente che tali principi non sono applicabili tout court all’organizzazione di un
gara di sci: sia perché l’atleta confida nel fatto che la pista sia perfettamente preparata e mantenuta
dall’organizzatore e dai suoi ausiliari, ai sensi dei vigenti Regolamenti sportivi; sia perché il
concorrente non è in condizione di prestare la massima attenzione a ogni punto del percorso mentre
è proteso a raggiungere il miglior risultato agonistico.
Quindi il dovere dell’organizzatore della competizione sciistica di prevenire l’insorgenza di
pericoli derivanti da insidie naturali sulla pista ha un contenuto senz’altro più ampio di quello
incombente sul gestore della stessa.
Ciò peraltro non significa che la presenza di qualsivoglia anomalia sul terreno di gara sia
attribuibile al mancato assolvimento da parte dell’organizzatore ai suddetti suoi stringenti obblighi
cautelari. Infatti non va dimenticato che sulla situazione particolare della pista da sci possono
giocare, imprevedibilmente ed improvvisamente, fattori ed elementi obiettivi indipendenti dalla sua
preparazione e manutenzione (per mutamento di condizioni meteorologiche, ecc.) i quali non
possono evidentemente attribuirsi a responsabilità dell’organizzatore8.
Inoltre va considerato che pure le competizioni sciistiche che si svolgono a basse velocità e su
terreni di limitata pendenza - come le gare di Fondo - sono caratterizzate da elementi di rischio
ineliminabile, il quale viene accettato dall’atleta che vi partecipa; in particolare il Fondista è
consapevole che, durante lo svolgimento della gara, può urtarsi con un altro concorrente o può
incappare in qualche tratto del percorso usurato a seguito del passaggio degli atleti che lo hanno
preceduto.
Ma i danni eventualmente sofferti a seguito di tali prevedibili situazioni rientrano nell’alea
normale di tale pratica sportiva e ricadono di per sé sullo stesso atleta; infatti l’organizzatore, al fine
di sottrarsi da ogni responsabilità per tali eventi, ha il solo dovere di predisporre le normali cautele
idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, alla stregua dei
criteri di garanzia e protezione che egli ha l’obbligo di rispettare nel caso concreto9.
Nel caso delle gare di Fondo tali cautele consistono proprio nel preparare in modo idoneo la
pista secondo i Regolamenti sportivi vigenti e nel predisporre ed attuare un servizio di costante
controllo della stessa; ma certo non si può pretendere che l’organizzatore provveda a controllare
l’intero percorso ‘metro per metro’ per tutto l’arco di svolgimento dell’agone, durante il quale si
verificano inevitabili alterazioni del manto nevoso per le suesposte ragioni.
8
MARTINO C. Osservazioni sulla responsabilità civile nelle gare sciistiche in AA.VV., Problemi giuridici di infortunistica sciatoria Atti del Convegno di Cortina 2-5 luglio 1975, Milano, 1976, 197.
9
Tale principio è ormai consolidato in Giurisprudenza: vedi da ultimo Cass. civ. III, 8/11/2005 n. 21664.
144
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
In definitiva si ritiene che l’organizzatore della gara di sci deve certo preparare e mantenere il
terreno di gara secondo le regole della miglior tecnica, osservando principalmente le norme
regolamentari sportive di riferimento; tuttavia l’obbligo da parte sua di sistemare il tracciato durante
la competizione sussiste solo quando gli addetti al controllo del percorso sono in grado di percepire
il verificarsi di evidenti anomalie, che possano mettere in pericolo l’incolumità degli atleti o alterare
in modo significativo la regolarità della gara; ma tali non possono considerarsi sassi, pezzi di roccia
et similia, emersi dal fondo della pista ma nascosti alla vista altrui da uno strato di neve.
Conseguentemente l’atleta sciatore che sia incappato in tali situazioni deve sopportarne le
conseguenze dannose, atteso che esse rientrano nel rischio tipico delle competizioni sciistiche, in
particolare quelle di Fondo.
3) La gara di sci e l’art. 2051 c.c.
Il Tribunale di Cavalese ha ricondotto il caso in esame all’art. 2051 c.c. che – come noto –
pone una presunzione di responsabilità a carico di colui che ha un effettivo e costante potere di
vigilanza sulla cosa da cui è derivato il danno; detto Giudicante ha tuttavia ritenuto che nella specie
tale articolo di legge non è stato violato dall’organizzatore della gara / custode della pista, in quanto
il danneggiato non ha fornito adeguata prova dell’esistenza né dell’intrinseca pericolosità del
percorso né di un concreto nesso causale tra il bene custodito e l’evento dannoso, come richiesto da
pacifica Giurisprudenza.
E’ noto che l’astratta applicabilità dell’art. 2051 c.c. ai proprietari / gestori di impianti sportivi
costituisce una questione da tempo controversa. Infatti, secondo la Giurisprudenza maggioritaria, il
dovere di custodia ricorre solo nei casi in cui la res che ha causato l’evento dannoso è dotata di
intrinseco dinamismo proprio e quindi la responsabilità del gestore per incidenti verificatisi sulle
piste va ricondotta all’art. 2043 c.c 10.
Secondo un più recente orientamento giurisprudenziale l’art. 2051 c.c. è applicabile anche per i
danni riferibili a cose inerti, cioè prive di autonomo movimento, quali i luoghi di svolgimento
dell’attività sportiva.
Segnatamente in tema di sinistri sui campi di sci si segnalano: Cass. civ. III, 10/2/2005 n. 2706
concernente l’urto di una sciatore contro un ostacolo posto ai lati della pista; Cass. Civ. III,
10
Vedi in materia sciistica: Cass. civ. III, 15/2/2001 n. 2216, cit.; 12/5/2000 n. 6113; 10/5/2000 n. 5953; Tribunale Bolzano
27/7/1998 in Riv. giur. circ. trasp., 1999, 347; conforme è Tribunale Roma 4/1/1997 in Riv. Dir. Sport., 1997, 504 e ss., in un caso di
danno subito da un giocatore su un campo di ‘calcio a cinque’.
145
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
18/1/2006 n. 832 riguardante la presenza sulla pista di un manufatto in legno, il quale aveva
provocato la caduta di uno sciatore; Cass. Civ. III, 19/7/2004 n. 13334 in un caso di sinistro su tratto
di pista privo di neve, non adeguatamente segnalato 11.
Se può condividersi la tesi secondo cui la pista di sci può essere oggetto di un generale
obbligo di custodia da parte del suo gestore, pare tuttavia discutibile che tale dovere incomba
sull’organizzatore di una gara di sci con le caratteristiche della ‘Marcialonga’, soprattutto alla luce
della natura oggettiva della responsabilità ex art. 2051 c.c. da ultimo ritenuta dalla Suprema Corte.
In particolare Cass. Civ. 2706/2005 (richiamata dal Tribunale di Cavalese) ha affermato la
responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore di una pista da sci per il danno patito da uno sciatore
inesperto che, percorrendo una pista di lieve pendenza ed agevole tracciato, aveva colliso contro
una recinzione sostenuta da paletti in legno non imbottiti, collocata in un punto ove era ben visibile
per gli sciatori.
Specificatamente i Supremi Giudici hanno sottolineato che il nesso di causalità con l’evento
dannoso si poneva, nel caso concreto, non con la pista di sci bensì con l’ostacolo fisso che vi era
stato costruito o, meglio, <<con le peculiari caratteristiche, nel luogo in cui il sinistro si è
verificato, della pista>>; talchè questa non poteva essere equiparata a <<una qualsiasi strada
facilmente percorribile, nella quale la caduta assume il carattere di evento accidentale>>, come
evidentemente ritenuto dalla Corte di Appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano –
nell’impugnata sentenza dd. 19/9/2000.
Indi i predetti Giudici hanno affermato il principio che il gestore / custode di una pista di sci,
frequentata da utenti dei più diversi livelli di capacità tecniche, è oggettivamente responsabile per
tutti i danni ricollegabili alla presenza di ostacoli artificiali, dovendo egli tenere conto della
situazione di pericolo che questi possono determinare nel contesto ambientale in cui sono stati posti
e in relazione alle attività che ivi si svolgono; conseguentemente non basta, per escludere la
responsabilità del gestore ex art. 2051 c.c., che sia concretamente provata la sua assenza di colpa ma
occorre la prova rigorosa del caso fortuito (il quale può anche dipendere dal comportamento
colposo della vittima purché questo assuma i caratteri di elemento imprevisto ed imprevedibile),
11
Peraltro tale principio è stato anche applicato a terreni di gara ‘artificiali’: così Cass. Civ. III, 28/10/1995 n. 11264 ha ravvisato
responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico del gestore di un impianto di tennis per il trauma riportato da un giocatore a causa di una
piccola buca presente sul campo di giuoco. In senso critico a tale impostazione vedi PONZANELLI G., Chi risponde dei danni causati da
una buca nel campo da tennis ?, in Danno e Responsabilità, 1996, 74 e ss., il quale si è chiesto se un piccolo avvallamento sul terreno
di gara possa modificare gli equilibri della dinamica giuridica, trasformando in fonte di risarcimento una situazione che normalmente
non sarebbe tale.
146
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
atteso che il predetto articolo di Legge <<non lega la responsabilità del custode a una presunzione
di colpa dello stesso ma al rischio per i danni che non dipendono da caso fortuito>>.
Tali argomentazioni non appaiono applicabili alla fattispecie in esame, non solo perché il
sinistro in discorso è avvenuto a seguito dell’impatto dello sciatore contro un ostacolo naturale,
scarsamente visibile, presente sulla pista ma anche perché esso è occorso su un percorso di
notevolissima lunghezza (ca. 70 Km) a un atleta assai esperto, il quale si presume in grado di
fronteggiare quanto meno situazioni di pericolo prevedibile, come l’incappare – dopo il passaggio
di numerosi concorrenti – in qualche asperità del terreno non ricoperta perfettamente dalla neve.
Quindi si ritiene più corretto ritenere che l’organizzatore della gara di sci (in quanto ritenuto
custode della pista) ha il dovere di verificare preventivamente la pericolosità del percorso con la
massima diligenza e competenza tecnica, alla stregua delle condizioni ambientali e dei fattori
naturali che caratterizzano i luoghi – parimenti al gestore di una normale pista da sci – ma non
anche l’obbligo di proteggere gli atleti da tutte le anomalie che possono formarsi o emergere sul
terreno nel corso della competizione, potendosi riferire il suo dovere di manutenzione e intervento
solo in relazione ai pericoli visibili e presenti su percorsi di limitata estensione, tali da permettere un
controllo capillare da parte sua.
Conseguentemente si dovrebbe escludere l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. all’organizzatore
della gara sciistica in relazione a una modesta insidia – quale un sasso o una buca – che si verifichi
accidentalmente sulla pista di sci da Fondo e ricondurre invece all’art. 2043 c.c. la fattispecie del
danno subito dall’atleta a causa di tale situazione; ciò soprattutto nel caso delle competizioni di
Granfondo, che si svolgono su percorsi lunghi decine di chilometri ove non può compiutamente
attuarsi il dovere di controllo del custode.
Inducono peraltro a tale soluzione sia il tradizionale orientamento giurisprudenziale che
riconduce il danno da insidia / trabocchetto alla clausola generale di responsabilità sia la generale
opinione che l’organizzatore di competizioni sportive può rispondere del danno subito dall’atleta
solo nel caso in cui questi abbia concretamente dimostrato che il danno è stato causato (o
concausato) dalle concrete modalità di organizzazione della gara o di gestione dell’impianto
sportivo e dalla mancanza di adeguate misure di sicurezza12.
12
Vedi da ultimo in Giurisprudenza Cass. civ. 8/11/2005 n. 21664, cit.; Tribunale Cassino 18/4/2002 in Giur. romana 2002, 383.
147
NOTE A SENTENZA
Gare di sci e insidie naturali...
4) Conclusioni
Alla luce di quanto suesposto si può sostenere che l’atleta sciatore rimasto danneggiato per
essersi imbattuto in un’insidia naturale del terreno di gara deve rigorosamente provare la colpa
dell’organizzatore ai sensi dell’art. 2043 c.c.; infatti se si presumesse tale requisito soggettivo di
responsabilità o, peggio, si ritenesse l’organizzatore oggettivamente responsabile per qualunque
anomalia della pista, si finirebbe con l’addebitare allo stesso tutti gli eventi dannosi verificatisi su
percorsi lunghi anche decine di chilometri, ove egli non può ovviamente esercitare quel costante e
puntuale potere di controllo che costituisce il presupposto fondamentale della responsabilità ex art.
2051 c.c.
Peraltro va evidenziato che la possibilità di incorrere in eventuali anomalie del piano sciabile
durante una gara di sci cui partecipano migliaia di concorrenti rientra nel rischio tipico di tale
competizione sportiva, il quale deve essere sopportato esclusivamente dall’atleta che decide di
concorrervi, soprattutto quando egli ha la possibilità di valutare in concreto l’esistenza di rischi sul
tracciato di gara, come nel caso esaminato dal Tribunale di Cavalese.
(*) Avvocato del foro di Trento
148
NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
LA SENTENZA PLANICA,
Corte di giustizia delle Comunità Europee
pag.150
(6 marzo 2007)
IL CASO LORBEK, Decisione Commissione Giudicante FIP (21 marzo
pag.172
2007) e decisione Corte Federale FIP (27 marzo 2007)
SENTENZA 401-2007, Problematiche di applicazione della legge n.
280/2003: la competenza del Tar Lazio è di natura inderogabile
149
pag.188
Sentenza Placanica…
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE
(GRANDE SEZIONE) - 6 MARZO 2007
Nei procedimenti riuniti C 338/04, C 359/04 e C 360/04,
aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art.
234 CE, dal Tribunale di Larino (C 338/04) e dal Tribunale di Teramo (C 359/04 e C 360/04) con
decisioni 8 e 31 luglio 2004, pervenute in cancelleria rispettivamente il 6 e il 18 agosto 2004, nei
procedimenti penali a carico di
Massimiliano Placanica (C 338/04),
Christian Palazzese (C 359/04),
Angelo Sorricchio (C 360/04),
(omissis)
- La normativa italiana inerente all’organizzazione di giochi d’azzardo, in quanto contiene il
divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza
di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni alla libertà di
stabilimento e alla libera prestazione dei servizi;
- Le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali possano essere ammesse a titolo di misure
derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate,
conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale;
- Spetta ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di
soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal
governo nazionale, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini
criminali o fraudolenti. Inoltre, spetta ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino
le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro
proporzionalità;
- Gli arrt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli
operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati
regolamentati;
150
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
- Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati
membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale
competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite
dal diritto comunitario;
- Uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una
formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale formalità viene rifiutato o è reso
impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto comunitario;
- Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale che impone una sanzione penale per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di
scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa
nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a
causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro;
SENTENZA
1. Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.
2.Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali a carico dei sigg.
Placanica, Palazzese e Sorricchio per violazione della normativa italiana relativa alla raccolta di
scommesse. Esse si inseriscono in contesti normativi e di fatto analoghi a quelli che hanno dato
luogo alle sentenze 21 ottobre 1999, Zenatti (causa C 67/98, Racc. pag. I 7289), e 6 novembre 2003,
Gambelli e a. (causa C 243/01, Racc. pag. I 13031).
Ambito normativo
3. La normativa italiana stabilisce, in sostanza, che la partecipazione all’organizzazione di
giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse, è sottoposta all’ottenimento di una
concessione e di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione di tale normativa è passibile di
sanzioni penali che possono andare fino ad una pena detentiva di tre anni.
151
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Le concessioni
4. L’attribuzione delle concessioni per l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi era
gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI») e
dall’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (in prosieguo: l’«UNIRE»), che erano
abilitati ad organizzare le scommesse connesse con manifestazioni sportive organizzate o svolte
sotto il loro controllo. Questo risultava dal combinato disposto del decreto legislativo 14 aprile
1948, n. 496 (GURI n. 118 del 14 aprile 1948), dell’art. 3, n. 229, della legge 28 dicembre 1995, n.
549 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 1995), e dell’art. 3, n. 78, della legge
23 dicembre 1996, n. 662 (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996).
5. Norme specifiche per l’attribuzione delle concessioni sono state fissate dal decreto del
Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 giugno 1998, n. 174 (GURI n. 129 del 5 giugno 1998; in
prosieguo: il «decreto n. 174/98»), per quanto riguarda il CONI, e dal decreto del Presidente della
Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 (GURI n. 125 del 1° giugno 1998), per quanto riguarda l’UNIRE.
6. Quanto alle concessioni rilasciate dal CONI, il decreto n. 174/98 prevedeva che l’attribuzione
avvenisse tramite gara. In tale attribuzione il CONI doveva in particolare garantire la trasparenza
dell’azionariato dei concessionari e una razionale distribuzione dei punti di raccolta e di
accettazione delle scommesse nel territorio nazionale.
7. Al fine di assicurare la trasparenza dell’azionariato, l’art. 2, n. 6, del decreto n. 174/98
prevedeva che, nel caso in cui il concessionario fosse costituito in forma di società di capitali, le
azioni aventi diritto di voto dovevano essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o
in accomandita semplice, e non potessero essere trasferite per semplice girata.
8. Le disposizioni relative all’attribuzione di concessioni da parte dell’UNIRE erano analoghe.
9. Nel 2002 le competenze del CONI e dell’UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi
sono state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all’Amministrazione autonoma
dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
10. In forza di una modifica introdotta in tale occasione dall’art. 22, n. 11, della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Supplemento ordinario alla GURI n. 305 del 31 dicembre 2002; in
prosieguo: la «legge finanziaria per il 2003»), tutte le società di capitali, senza limitazione alcuna
relativamente alla loro forma, possono ormai partecipare alle gare per l’attribuzione delle
concessioni.
152
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Le autorizzazioni di polizia
11. Un’autorizzazione di polizia può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o
autorizzati da parte di ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e
gestione delle scommesse.
Queste condizioni per l’attribuzione risultano dall’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n.
773, recante approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26
giugno 1931), come modificato dall’art. 37, n. 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000; in prosieguo: il «regio decreto»).
12. Inoltre, in forza del combinato disposto degli artt. 11 e 14 del regio decreto, l’autorizzazione
di polizia non può essere rilasciata ad un soggetto che ha subito una condanna a determinate pene o
per particolari delitti, in particolare per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o per
violazione della normativa relativa ai giochi d’azzardo.
13. Una volta rilasciata l’autorizzazione, il titolare, in forza dell’art. 16 del regio decreto, deve
consentire che le forze dell’ordine accedano, in qualsiasi momento, ai locali destinati all’esercizio
dell’attività soggetta ad autorizzazione.
Le sanzioni penali
14. L’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del giuoco e delle
scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive
(GURI n. 294 del 18 dicembre 1989), come modificata dall’art. 37, n. 5, della legge n. 388 (in
prosieguo: la «legge n. 401/89») prevede le seguenti sanzioni penali per l’esercizio abusivo di
attività di giuoco o di scommessa:
«1. Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di
concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o
concorsi pronostici su attività sportive gestite dal [CONI], dalle organizzazioni da esso dipendenti o
dall’[UNIRE]. Chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre
competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e
con l’ammenda non inferiore a lire un milione (…).
153
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e
fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà
pubblicità al loro esercizio è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila
a lire un milione.
3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1,
fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre
mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
(…)
4 bis Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione,
autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia
qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o
in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi
genere da chiunque accettate in Italia o all’estero.
(…)».
La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione
15. Nella sua sentenza 26 aprile 2004, n. 111/04 (in prosieguo: la «sentenza Gesualdi»), la Corte
Suprema di Cassazione ha esaminato la compatibilità della normativa italiana in materia di giochi
d’azzardo con gli artt. 43 CE e 49 CE. Da quanto risulta dalla sua analisi, tale giudice è pervenuto
alla conclusione che la detta normativa non è incompatibile con gli artt. 43 CE e 49 CE.
16. Nella sentenza Gesualdi, la Corte Suprema di Cassazione constata che il legislatore italiano
persegue da diversi anni una politica espansiva nel settore dei giochi di azzardo allo scopo evidente
di aumentare le entrate fiscali e che la normativa italiana non potrebbe essere in alcun modo
giustificata in base a scopi legati alla tutela dei consumatori o consistenti nel limitare la propensione
al gioco dei consumatori o nel contenere l’offerta di gioco.
Essa ha piuttosto individuato quale scopo reale della normativa italiana l’intenzione di
canalizzare le attività di gioco d’azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile
degenerazione criminale. Per tali motivi, la normativa italiana sottoporrebbe a controllo e vigilanza
i soggetti che esercitano la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici ed i luoghi in cui tale
esercizio è svolto.
154
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
La Corte Suprema di Cassazione ha giudicato che questi obiettivi, in quanto tali, possono
giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
17. Per quanto riguarda le condizioni miranti a garantire la trasparenza dell’azionariato dei
concessionari, condizioni che avevano in particolare per effetto di escludere dalle gare per le
concessioni le società i cui singoli azionisti non erano identificabili in qualsiasi momento, la Corte
Suprema di Cassazione constata nella sentenza Gesualdi che la normativa italiana non opera alcuna
discriminazione, neanche indiretta, a danno delle società straniere, poiché ha per effetto di escludere
non solo le società di capitali straniere i cui azionisti non possono essere identificati con precisione,
ma anche tutte le società di capitali italiane i cui azionisti non possono essere identificati con
precisione.
Cause principali e questioni pregiudiziali
L’attribuzione di concessioni
18. Dai fascicoli risulta che, ai sensi delle disposizioni della normativa italiana, il CONI ha
indetto, in data 11 dicembre 1998, una gara per l’attribuzione di 1 000 concessioni per la gestione
delle scommesse sulle competizioni sportive, in quanto questo numero di concessioni è stato
considerato, sulla base di una specifica valutazione, sufficiente per tutto il territorio nazionale.
Simultaneamente, 671 nuove concessioni sono state messe a concorso dal Ministero dell’Economia
e delle Finanze in accordo con il Ministero delle Politiche agricole e forestali per l’accettazione di
scommesse sulle competizioni ippiche e 329 concessioni esistenti sono state automaticamente
rinnovate.
19. L’applicazione delle disposizioni relative alla trasparenza dell’azionariato in vigore all'epoca
di dette gare ha avuto in particolare l’effetto di escludere dalle gare gli operatori costituiti in forma
di società le cui azioni erano quotate nei mercati regolamentati, in quanto per tali società
l’identificazione costante e precisa dei singoli azionisti era impossibile. In seguito a queste gare, nel
1999 sono state attribuite alcune concessioni valide per sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo
di sei anni.
155
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
La società Stanley International Betting Ltd
20. La Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley») è una società di diritto
inglese appartenente al gruppo Stanley Leisure plc, società di diritto inglese quotata alla Borsa di
Londra (Regno Unito). Entrambe le società hanno la propria sede sociale in Liverpool (Regno
Unito). Il gruppo opera nel settore dei giochi d’azzardo e rappresenta il quarto maggior bookmaker
e il primo gestore di case da gioco nel Regno Unito.
21. La Stanley è uno dei canali operativi del gruppo Stanley Leisure plc al di fuori del Regno
Unito. Essa è debitamente autorizzata ad operare come allibratore in tale Stato membro in forza di
una licenza rilasciata dal Comune di Liverpool ed è assoggettata ai controlli di ordine pubblico e
sicurezza da parte delle autorità britanniche, ad accertamenti interni sul regolare svolgimento delle
attività, a controlli da parte di una società privata di audit e a controlli da parte del Tesoro e
dell’amministrazione doganale del Regno Unito.
22. La Stanley, avendo interesse ad acquisire concessioni per almeno 100 punti di accettazione
di scommesse nel territorio italiano, si era informata circa la possibilità di partecipare alle gare, ma
si era resa conto di non poter soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell’azionariato per il
fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati. Essa non ha quindi preso parte alla
gara e non detiene nessuna concessione per la gestione delle scommesse.
I centri di trasmissione dati
23. La Stanley opera in Italia tramite l’intermediazione di oltre duecento agenzie, comunemente
denominate «centri di trasmissione dati» (in prosieguo: i «CTD»). Questi ultimi offrono i loro
servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso
telematico che consente loro di accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito. Gli
scommettitori possono in tal modo, per via telematica, inviare alla Stanley proposte di scommesse
sportive selezionate all’interno dei programmi di eventi e quotazioni forniti dalla Stanley, nonché
ricevere l’accettazione di tali proposte, pagare le loro poste e, se del caso, riscuotere le loro vincite.
24. I CTD sono gestiti da operatori indipendenti legati alla Stanley da contratto. I sigg.
Placanica, Palazzese e Sorricchio, imputati nell’ambito dei procedimenti principali, sono, tutti e tre,
gestori di CTD legati alla Stanley.
156
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
25. Dal fascicolo trasmesso dal Tribunale di Teramo risulta che i sigg. Palazzese e Sorricchio,
prima di avviare le loro attività, avevano chiesto alla Questura di Atri autorizzazioni di polizia ai
sensi dell’art. 88 del regio decreto. Queste domande sono rimaste senza risposta.
La domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Larino (procedimento C 338/04)
26. Il Pubblico Ministero, addebitando al sig. Placanica di aver commesso il reato di cui all’art.
4, n. 4 bis, della legge n. 401/89, ossia di aver esercitato, in qualità di gestore di un CTD per conto
della Stanley, un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza l’autorizzazione di polizia
richiesta, ha avviato un procedimento penale a suo carico dinanzi al Tribunale di Larino.
27. Tale giudice nutre dubbi relativamente alla fondatezza delle conclusioni cui la Corte
Suprema di Cassazione è pervenuta nella sentenza Gesualdi per quanto riguarda la compatibilità
dell’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89 con il diritto comunitario. Esso si chiede se gli obiettivi di
ordine pubblico invocati dalla Corte Suprema di Cassazione siano idonei a giustificare le restrizioni
di cui trattasi.
28. In tale contesto, il Tribunale di Larino ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Valuti la Corte adita la conformità della norma di cui all’art. 4, [n.] 4 bis, della legge n. 401/89
con i principi espressi dagli artt. 43 [CE] e segg. e 49 [CE], in materia di stabilimento e di libertà di
prestazione dei servizi transfrontalieri, anche alla luce del contrasto interpretativo emerso nelle
decisioni della Corte (…) (in particolare nella Sentenza Ga[m]belli e a. [soprammenzionata])
rispetto alla decisione della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite [nella causa Gesualdi]; in
particolare, si chiarisca l’applicabilità della normativa sanzionatoria riportata nell’imputazione e
contestata al sig. Placanica nello Stato italiano».
Le domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e
C 360/04)
29. La Questura di Atri, che addebita ai sigg. Palazzese e Sorricchio di aver esercitato un’attività
organizzata al fine di facilitare la raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di
polizia, ha proceduto al sequestro preventivo dei loro locali e delle loro attrezzature in forza dell’art.
4, n. 4 bis, della legge n. 401/89.
157
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Poiché il Pubblico Ministero ha convalidato i sequestri, i sigg. Palazzese e Sorricchio hanno
proposto, ciascuno, un ricorso contro queste misure di sequestro dinanzi al Tribunale di Teramo.
30. Tale giudice ritiene che le restrizioni imposte alle società di capitali quotate nei mercati
regolamentati che hanno impedito loro, nel 1999, di partecipare all’ultima gara per l’attribuzione di
concessioni per l’esercizio delle attività di scommessa siano incompatibili con i principi del diritto
comunitario poiché operano una discriminazione nei confronti degli operatori non italiani.
Di conseguenza, analogamente al Tribunale di Larino, il detto giudice nutre dubbi circa la
fondatezza della sentenza Gesualdi.
31. In tale contesto, il Tribunale di Teramo ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«In particolare è necessario al Tribunale [di Teramo] conoscere se [gli artt. 43, primo comma,
CE e 49, primo comma, CE] possano essere interpretat[i] nel senso che sia possibile agli Stati
membri derogare temporaneamente (per un tempo pari a 6 12 anni) al regime di libertà di
stabilimento e di libertà della prestazione di servizi nell’ambito dell’Unione europea, legiferando
nel seguente modo, senza determinare un “vulnus” dei richiamati principi comunitari
– attribuendo ad alcuni soggetti concessioni per lo svolgimento di determinate attività di
prestazione di servizi, valide per 6/12 anni, sulla base di un regime normativo che aveva portato ad
escludere dalla gara di attribuzione talune tipologie di concorrenti (non italiani);
– modificando quel regime giuridico, avendo preso atto successivamente della non conformità di
esso ai principi di cui agli artt. 43 [CE] e 49 [CE], nel senso di consentire nel futuro la
partecipazione anche a quei soggetti che erano stati esclusi;
– non procedendo alla revoca delle concessioni rilasciate sulla base del precedente regime
normativo, come detto, ritenuto lesivo dei principi della libertà di stabilimento e della libera
circolazione dei servizi e all’indizione di una nuova gara in applicazione della nuova normativa, ora
rispettosa di detti principi;
– continuando per contro a perseguire chiunque operi in collegamento con quei soggetti che,
[benché] abilitati a tale attività nello Stato membro di origine, erano stati esclusi dalla gara proprio a
causa di quelle preclusioni contenute nelle precedenti previsioni normative, in seguito rimosse».
158
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
32. Con una prima ordinanza del presidente della Corte, datata 14 ottobre 2004, i procedimenti
C 359/04 e C 360/04 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della
sentenza. Con una seconda ordinanza del presidente della Corte, del 27 gennaio 2006, è stata
disposta la riunione del procedimento C 338/04 con i procedimenti C 359/04 e C 360/04 ai fini della
fase orale e della sentenza.
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
33. Nel procedimento C 338/04, tutti i governi che hanno presentato osservazioni, ad eccezione
del governo belga, mettono in discussione la ricevibilità della questione sottoposta. Per quanto
riguarda i procedimenti C 359/04 e C 360/04, i governi italiano e spagnolo nutrono dubbi sulla
ricevibilità della questione sottoposta. Relativamente al procedimento C 338/04, i governi
portoghese e finlandese sostengono che la decisione di rinvio del Tribunale di Larino non contiene
informazioni sufficienti che consentano di fornire una soluzione, mentre, secondo i governi italiano,
tedesco, spagnolo e francese, la questione sottoposta riguarda l’interpretazione del diritto nazionale
e non quella del diritto comunitario e invita, di conseguenza, la Corte a pronunciarsi sulla
compatibilità di norme di diritto interno con il diritto comunitario.
I governi italiano e spagnolo operano una riserva identica per quanto riguarda la ricevibilità
della questione posta nei procedimenti C 359/04 e C 360/04.
34. Per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite alla Corte nell’ambito di una
decisione di rinvio, occorre ricordare che queste informazioni non servono solo a consentire alla
Corte di dare soluzioni utili, ma devono anche conferire ai governi degli Stati membri nonché alle
altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della
Corte di giustizia. A tal fine, risulta da una giurisprudenza costante che è, da un lato, necessario che
il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni
sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate.
Dall’altro, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice
nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto comunitario ed a ritenere necessaria la
formulazione di questioni pregiudiziali alla Corte.
159
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
In tale contesto, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui
motivi della scelta delle disposizioni comunitarie di cui chiede l’interpretazione e sul nesso che
individua tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla
causa principale (v., in particolare, in tal senso, sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C 320/90
a C 322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I 393, punto 6; 6 dicembre 2005, cause riunite C
453/03, C 11/04, C 12/04 e C 194/04, ABNA e a., Racc. pag. I 10423, punti 45-47, nonché 19
settembre 2006, causa C 506/04, Wilson, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39).
35. La decisione di rinvio del Tribunale di Larino (procedimento C 338/04) soddisfa questi
requisiti. Infatti, in quanto l’ambito normativo nazionale nonché gli argomenti dedotti dalle parti
sono in sostanza identici al contesto nel quale si inseriva la sentenza Gambelli e a., sopra
menzionata, un rinvio a questa sentenza era sufficiente per consentire sia alla Corte sia ai governi
degli Stati membri e alle altre parti interessate di identificare l’oggetto della controversia di cui alla
causa principale.
36. Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di
cooperazione istituito dall’art. 234 CE, è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali
incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito
di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno
con le disposizioni del diritto comunitario. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice
nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di
valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare,
sentenze 30 novembre 1995, causa C 55/94, Gebhard, Racc. pag. I 4165, punto 19, nonché Wilson,
citata, punti 34 e 35).
37. A tale riguardo, l’avvocato generale ha rilevato giustamente, al paragrafo 70 delle sue
conclusioni, che il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale dal Tribunale di
Larino (procedimento C 338/04) invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una
disposizione di diritto interno con il diritto comunitario.
Tuttavia, benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa è formulata, nulla le
impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di
interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla
compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.
160
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
38. Nella questione pregiudiziale sottoposta dal Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e
C 360/04) si identificano con precisione gli effetti di una serie di interventi legislativi nazionali e si
chiedono alla Corte chiarimenti sulla compatibilità di questi effetti con il Trattato CE. Di
conseguenza, con tale questione non si chiede alla Corte a pronunciarsi sull’interpretazione del
diritto nazionale o sulla compatibilità di quest’ultimo con il diritto comunitario.
39. Le questioni sottoposte sono pertanto ricevibili.
Sulle questioni pregiudiziali
40. Dai fascicoli trasmessi alla Corte risulta che un operatore che intende esercitare, in Italia,
un’attività nel settore dei giochi d’azzardo deve conformarsi ad una normativa nazionale che
presenta le seguenti caratteristiche, ossia:
– l’obbligo di ottenere una concessione;
– un sistema di attribuzione delle dette concessioni, mediante una gara che esclude taluni tipi di
operatori e, in particolare, le società i cui singoli azionisti non siano identificabili in qualsiasi
momento;
– l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, e
– sanzioni penali in caso di violazione della normativa di cui trattasi.
41. Con le questioni pregiudiziali sottoposte, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici
nazionali chiedono in sostanza se gli artt. 43 CE e 49 CE si oppongano ad una normativa nazionale
relativa ai giochi d’azzardo, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, nella misura in cui tale
normativa presenti siffatte caratteristiche.
42. La Corte ha già dichiarato che la normativa nazionale di cui trattasi nelle cause principali, in
quanto contiene il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi
d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni
alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Gambelli e a., citata, punto
59 e dispositivo).
43. Da un lato, le restrizioni imposte ad intermediari quali gli imputati nelle cause principali
costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento di società stabilite in un altro Stato membro, quali
la Stanley, che effettuano un’attività di raccolta di scommesse in altri Stati membri per il tramite di
un’organizzazione di agenzie, quali i CTD gestiti dagli imputati nella causa principale (v. sentenza
Gambelli e a., citata, punto 46).
161
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
44. D’altra parte, il divieto imposto a intermediari quali gli imputati nelle cause principali di
agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore,
quale la Stanley, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari
svolgono la propria attività, costituisce una restrizione al diritto del detto prestatore alla libera
prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei
destinatari dei servizi medesimi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 58).
45. Ciò premesso, occorre esaminare se le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali
possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46
CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi
imperativi di interesse generale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 60).
46. A tale riguardo, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi
di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa
eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono
stati ammessi dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C 275/92,
Schindler, Racc. pag. I 1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc. pag.
I 6067, punti 32 e 33; Zenatti, citata, punti 30 e 31, nonché Gambelli e a., citata, punto 67).
47. In tale contesto, le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le
conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate
ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un
potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine
sociale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 63).
48. A tal riguardo anche se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica
in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione
perseguito, le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni che risultano
dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.
49. Di conseguenza, occorre esaminare separatamente per ciascuna delle restrizioni imposte
dalla normativa nazionale in particolare se essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo
perseguito dallo Stato membro interessato e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento
di questo. In ogni caso, queste restrizioni devono essere applicate in modo non discriminatorio (v.,
in tal senso, sentenze Gebhard, citata, punto 37; Gambelli e a., citata, punti 64 e 65, nonché 13
novembre 2003, causa C 42/02, Lindman, Racc. pag. I 13519, punto 25).
162
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Sul requisito di una concessione
50. Al fine di poter operare nel settore dei giochi d’azzardo in Italia, un operatore deve ottenere
una concessione. In forza del sistema di concessioni utilizzato, il numero di operatori è limitato.
Per quanto riguarda l’accettazione di scommesse, il numero di concessioni per la gestione delle
scommesse sulle competizioni sportive diverse dalle competizioni ippiche e il numero di
concessioni per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche sono, ciascuno, limitati a
1000.
51. Occorre rilevare innanzi tutto che il fatto che questo numero di concessioni per le due
categorie, come risulta dai fascicoli, sia stato considerato «sufficiente» per tutto il territorio
nazionale sulla base di una valutazione specifica non può di per sé giustificare gli ostacoli alla
libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che derivano da tale limitazione.
52. Per quanto riguarda gli obiettivi che possono giustificare tali ostacoli, nel presente contesto
deve essere operata una distinzione tra, da un lato, l’obiettivo mirante a ridurre le occasioni di gioco
e, dall’altro, nella misura in cui i giochi d’azzardo sono autorizzati, l’obiettivo mirante a lottare
contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e
canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati.
53. Relativamente al primo tipo di obiettivo, dalla giurisprudenza risulta che, anche se possono,
in via di principio, essere giustificate restrizioni del numero degli operatori, tali restrizioni devono
in ogni caso rispondere all’intento di ridurre considerevolmente le opportunità di gioco e di limitare
le attività in tale settore in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, citate sentenze Zenatti,
punti 35 e 36, nonché Gambelli e a., punti 62 e 67).
54. Ora, è pacifico, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che il
legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di
incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere
fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare
l’offerta di giochi.
55. Infatti, è il secondo tipo di obiettivo, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle
attività di gioco d’azzardo per fini criminali o fraudolenti canalizzandole in circuiti controllabili,
che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi nelle cause
principali sia dalla Corte Suprema di Cassazione sia dal governo italiano nelle sue osservazioni
presentate dinanzi alla Corte. In tale ottica, una politica di espansione controllata del settore dei
163
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
giochi d’azzardo può essere del tutto coerente con l’obiettivo mirante ad attirare giocatori che
esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività
autorizzate e regolamentate.
Come hanno rilevato in particolare i governi belga e francese, al fine di raggiungere questo
obiettivo, gli operatori autorizzati devono costituire un’alternativa affidabile, ma al tempo stesso
attraente, ad un’attività vietata, il che può di per sé comportare l’offerta di una vasta gamma di
giochi, una pubblicità di una certa portata e il ricorso a nuove tecniche di distribuzione.
56. Il governo italiano ha del resto menzionato elementi di fatto quali, in particolare,
un’indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse realizzata dalla sesta commissione
permanente (Finanze e Tesoro) del Senato italiano.
Tale indagine conoscitiva ha concluso che le attività di giochi e di scommesse clandestine
vietate in quanto tali costituiscono un problema rilevante in Italia al quale potrebbe porre rimedio
un’espansione di attività autorizzate e regolamentate. Pertanto, secondo la detta indagine
conoscitiva, la metà del fatturato totale del settore dei giochi d’azzardo in Italia deriva da queste
attività illegali.
È stato quindi ritenuto realizzabile, estendendo attività di giochi e di scommesse autorizzate
dalla legge, recuperare dalle dette attività illegali una parte del fatturato per un importo almeno
equivalente a quello che deriva dalle attività autorizzate dalla legge.
57. Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che
consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire
l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Per contro, la Corte non dispone di
elementi di fatto sufficienti per valutare, in quanto tale, la limitazione del numero globale delle
concessioni in relazione ai requisiti derivanti dal diritto comunitario.
58. Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero
di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato
dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini
criminali o fraudolenti. Inoltre, spetterà ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni
soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro
proporzionalità.
164
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Sui bandi di gara
59. Il Tribunale di Teramo (procedimenti C 359/04 e C 360/04) evidenzia esplicitamente
l’esclusione delle società di capitali, i cui singoli azionisti non erano identificabili in ogni momento,
e quindi della totalità delle società quotate nei mercati regolamentati, dalle gare per l’attribuzione di
concessioni.
La Commissione delle Comunità europee ha rilevato che questa restrizione ha come
conseguenza di escludere da queste gare gli operatori comunitari più importanti nel settore dei
giochi d’azzardo, operatori che sono costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono
quotate nei mercati regolamentati.
60. Occorre rilevare, in via preliminare, che la questione della legittimità delle condizioni
imposte nei bandi di gara del 1999 è lungi dall’essere stata privata di oggetto dalle modifiche
legislative intervenute nel 2002, che consentono ormai a tutte le società di capitali, senza alcuna
limitazione per quanto riguarda la loro forma, di partecipare alle gare al fine di un’attribuzione di
concessioni. Infatti, come rileva il Tribunale di Teramo, poiché le concessioni attribuite nel 1999
erano valide per un periodo di sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni e poiché
nessuna nuova gara era prevista nel frattempo, l’esclusione dal settore dei giochi di azzardo di
società di capitali quotate nei mercati regolamentati nonché di intermediari quali gli imputati nelle
cause principali che potrebbero agire per conto di tali società rischia di produrre effetti fino al 2011.
61. La Corte ha già dichiarato che, anche se l’esclusione dalle gare si applica indistintamente a
tutte le società di capitali quotate nei mercati regolamentati che possono essere interessate da
concessioni, siano esse stabilite in Italia o in un altro Stato membro, la normativa nazionale in
materia di bandi di gara, nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari è
dovuta al fatto che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società
di capitali quotate nei mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni,
costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di stabilimento (sentenza Gambelli e a., citata,
punto 48).
62. Indipendentemente dalla questione se l’esclusione delle società di capitali quotate nei
mercati regolamentati si applichi, in effetti, allo stesso modo agli operatori stabiliti in Italia ed a
quelli provenienti da altri Stati membri, tale esclusione totale va oltre quanto è necessario per
raggiungere l’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo
siano implicati in attività criminali o fraudolente.
165
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 125 delle sue conclusioni, esistono
altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività degli operatori nel settore dei giochi di azzardo
che limitano in modo minore la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, come
quello consistente nel raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti.
Tale constatazione è corroborata dal fatto che il legislatore italiano ha creduto di poter abrogare
completamente la detta esclusione con la legge finanziaria per il 2003 senza tuttavia sostituirla con
altre misure restrittive.
63. Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo
numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta
all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei
diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia
che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di
natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di
effettività) (v. sentenze 20 settembre 2001, causa C 453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I 6297,
punto 29, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C 392/04 e C 422/04, i-21 Germany e Arcor, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57).
Tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni quanto la messa a concorso
di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo.
Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di
concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di
beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può
costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori.
64. Gli arrt. 43 CE e 49 CE devono quindi essere interpretati nel senso che ostano ad una
normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più
continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di
capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
166
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Sul requisito di un’autorizzazione di polizia
65. La condizione che coloro che operano nel settore dei giochi d’azzardo nonché i loro locali
siano assoggettati ad un controllo iniziale e ad una sorveglianza continua contribuisce chiaramente
all’obiettivo mirante a evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente
e sembra essere una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo.
66. Tuttavia, dal fascicolo risulta che gli imputati nelle cause principali erano disposti a
procurarsi autorizzazioni di polizia e ad assoggettarsi a tale controllo e a tale sorveglianza. Infatti,
poiché le autorizzazioni di polizia vengono rilasciate solo ai titolari di una concessione, sarebbe
stato impossibile per gli imputati nelle cause principali ottenere tali autorizzazioni.
A tale riguardo, dal fascicolo risulta anche che i sigg. Palazzese e Sorricchio, prima di avviare le
loro attività, avevano chiesto autorizzazioni di polizia conformemente all’art. 88 del regio decreto,
ma le loro domande non avevano avuto seguito.
67. Ora, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 123 delle sue conclusioni, il
procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisce, in tali circostanze, i
vizi sopra identificati che inficiano l’attribuzione di concessioni.
La mancanza di autorizzazione di polizia, di conseguenza e in ogni caso, non potrà essere
addebitata a soggetti quali gli imputati nelle cause principali che non avrebbero potuto ottenere tali
autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una
concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto
comunitario.
Sulle sanzioni penali
68. Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati
membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale
competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite dal
diritto comunitario (v. sentenza 19 gennaio 1999, causa C 348/96, Calfa, Racc. pag. I 11, punto 17).
69. Risulta inoltre dalla giurisprudenza che uno Stato membro non può applicare una sanzione
penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale
formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto
167
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
comunitario (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 1983, causa 5/83, Rienks, Racc. pag. 4233, punti
10 e 11).
70. Ora, risulta che soggetti quali gli imputati nelle cause principali, nella loro qualità di gestori
di CTD collegati ad una società che organizza scommesse, che è quotata nei mercati regolamentati
ed è stabilita in un altro Stato membro, non potevano comunque ottenere le concessioni e le
autorizzazioni di polizia richieste dalla normativa italiana poiché, in violazione del diritto
comunitario, la Repubblica italiana subordina il rilascio di un’autorizzazione di polizia al possesso
di una concessione e poiché, all’epoca dell’ultimo bando di gara nelle cause principali, tale Stato
membro aveva rifiutato di attribuire concessioni a società quotate nei mercati regolamentati.
In tale contesto, la Repubblica italiana non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di
un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a
soggetti quali gli imputati nelle cause principali.
71. Occorre quindi constatare che gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso
che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che
impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato
un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di
polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le
dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto
comunitario, di concederle loro.
72. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte
nel modo seguente:
1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di
registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in
assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato,
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi
previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero
di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a
prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua ad
168
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le
cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a
soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di
raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla
normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o
autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di
concederle loro.
169
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Sulle spese
73. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di
registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in
assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato,
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi
previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero
di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a
prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a
escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le
cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa
nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a
soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di
raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla
normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o
autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di
concederle loro.
(omissis)
170
GIURISPRUDENZA
Sentenza Placanica…
Nota della redazione:
la presente decisione conferma la posizione sostenuta dalla Corte di Giustizia nel caso Gambelli (Corte
di Giustizia CE, 6 novembre 2003, C 243/2001) in tema di compatibilità della legislazione italiana (legge n.
401/1989) con il Trattato UE. Secondo la Corte, il sistema monopolistico predisposto in tema di gioco e
scommesse (tra cui quelle sportive) a favore dello Stato italiano costituisce una restrizione alla libertà di
stabilimento ed alla libera prestazione di servizi.
Dopo il caso Gambelli, la Corte di Cassazione aveva ribadito la legittimità del sistema italiano. Questa
nuova decisione della Corte di Giustizia potrebbe costituire l’impulso per una nuova discussione
sull’argomento.
Il tema è di particolare interesse se considerato con riferimento ai contratti di sponsorizzazione e di
abbinamento che società estere che svolgono attività di gioco e/o scommesse on line hanno concluso o
potrebbero concludere con società sportive italiane.
Ad oggi tale attività di sponsorizzazione è al limite del consentito dalla legge n. 401, perché
sembrerebbe costituire pubblicizzazione di attività di gioco e/o scommesse vietata in Italia. (A.B)
171
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
IL CASO LORBEK ALL’ULTIMO GRADO
DI GIUSTIZIA SPORTIVA
FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO
COMUNICATO UFFICIALE N. 650 DEL 21 MARZO 2007
COMMISSIONE GIUDICANTE NAZIONALE N. 81
Deferimento, da parte della Procura Federale, del tesserato Andrea Cirelli, per violazione degli
artt. 2 comma 1, 39 e 43 del Regolamento di Giustizia e della società Pallacanestro Treviso S.p.a.
per violazione dell’art. 44 del Regolamento di Giustizia.
La Commissione Giudicante Nazionale
Presidente: Lucente
Componenti: Costantini – D’Andria – Fargnoli – Martone - Paone
Relatore: Lucente
Visto l’atto di deferimento della Procura Federale del tesserato Cirelli Andrea, Team Manager
della Pallacanestro Treviso S.p.a., per avere lo stesso, in concorso con terzi, al fine di favorire la
Pallacanestro Treviso S.p.a., violato gli artt. 2, comma 1, 39 e 43 del Regolamento di Giustizia,
richiedendo ed ottenendo dagli Uffici della Lega Basket serie A, di inserire nel fascicolo del
tesseramento del giocatore Cuccarolo Gino un atto di risoluzione contrattuale, con data anteriore a
quella di effettiva presentazione, con ciò alterando o tentando di alterare l’elenco degli atleti
professionisti tesserati ed iscritti a referto per la società trevigiana, che in tal modo avrebbe avuto
modo di utilizzare iscrivendolo a referto altro atleta professionista, nonché della Pallacanestro
Treviso S.p.a., in persona del Legale Rappresentante pro tempore, per rispondere a titolo di
responsabilità oggettiva, ai sensi ed agli effetti dell’art. 44 del R.G., degli atti di frode sportiva posti
in essere dal proprio dirigente Cirelli Andrea;
172
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
visti gli atti di indagine espletati dalla Procura Federale, la quale nel corso della discussione
dinanzi a questa Commissione chiedeva applicarsi nei confronti del Cirelli la sanzione
dell’inibizione per la durata di anni cinque per l’ipotesi contestata di frode sportiva, nonché nei
confronti della Pallacanestro Treviso S.p.a. la penalizzazione di 18 punti, oltre alla revoca della
Coppa Italia conquistata all’esito del torneo conclusosi a Bologna in data 11.2.2007 (senza
assegnazione della stessa) in applicazione dell’art. 44 R.G.;
sentite le parti le quali, riportandosi alle rispettive memorie, chiedevano nei confronti del Cirelli
la sanzione contenuta nel minimo prevista dagli artt. 2 e 39 R.G., ritenendo nella specie
configurabile la mera ipotesi della violazione degli obblighi di lealtà e correttezza;
sentite inoltre le conclusioni rassegnate nell’interesse della Pallacanestro Treviso S.p.a. nella
memoria depositata, con cui si chiedeva in via principale, previa derubricazione del comportamento
ascritto al Cirelli Andrea, la declaratoria di non luogo a provvedere in ordine all’applicazione della
sanzione richiesta nei confronti della Pallacanestro Treviso S.p.a., ed in via subordinata
l’applicazione della sanzione disciplinare nel minimo edittale di cui all’art. 44, ultimo comma, del
Regolamento di Giustizia;
OSSERVA
Risulta pacificamente accertato che in data 15 novembre 2006 la Pallacanestro Treviso S.p.a
stipulava contratto professionistico con Cuccarolo Gino, depositato in Lega il 16.11.2006,
pervenendo con la sua iscrizione a referto il 3 dicembre 2006 e con quella successiva di altro atleta
professionista, Shumpert, il 30.12.2006, al numero limite previsto di 18 giocatori professionisti
schierabili in ogni stagione sportiva, ai sensi dell’art. 1 comma 3 del Regolamento Esecutivo–
Settore Professionistico, ripreso con formulazione pressoché identica all’art. 6, lettere f) e g) della
Convenzione in essere tra Lega e Federazione Italiana Pallacanestro.
In data 4.1.2007 la Pallacanestro Treviso S.p.a. stipulava ulteriore contratto professionistico con
Lorbek Ezarem, superando con la successiva iscrizione a referto nella gara di campionato
disputatasi il 7.1.2007, il previsto numero massimo di 18 giocatori professionisti schierabili
nell’anno sportivo in corso.
La Pallacanestro Treviso S.p.a. e comunque il dirigente della stessa Cirelli Andrea, a quel punto,
allo scopo evidente di ovviare alla irregolarità della posizione che il Lorbek aveva ed avrebbe
173
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
assunto nelle partite disputate e disputande in qualità di 19° giocatore professionista iscritto a
referto, con la connivenza del Segretario Generale della Lega Basket di Serie A Massimo Zanetti,
depositava un atto di risoluzione consensuale del contratto sportivo professionistico dell’atleta
Cuccarolo Gino, recante data anteriore a quella dell’effettiva presentazione, 17 novembre 2006
invece dell’11 gennaio 2007, al fine di rendere disponibile il 18° posto, per altro giocatore
professionista Lorbek, peraltro già tesserato ed utilizzato in campionato dalla Pallacanestro Treviso
S.p.a.. Di detta situazione la F.I.P. veniva tenuta all’oscuro.
Detto comportamento, malgrado ogni contraria intenzione del Cirelli, diveniva presto di
pubblico dominio.
Ciò premesso, osserva la Commissione che il fatto appare senz’altro sussumibile nell’ipotesi di
cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 43 del R.G., secondo cui costituisce, tra gli altri, frode
sportiva “qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto falsa identità o falsa
attestazione delle qualifiche o delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto”.
Qualora, infatti, l’intento del Cirelli, con il deposito retrodatato della risoluzione del contratto
professionistico del Cuccarolo, avesse raggiunto lo scopo prefisso, il Lorbek, pur non trovandosi
nelle condizioni di regolarità necessarie per l’iscrizione a referto, avrebbe potuto partecipare alle
residue gare di campionato senza mettere a repentaglio l’esito delle stesse in caso di eventuale
formale contestazione della sua irregolare posizione;
detto comportamento esula certamente dall’ipotesi regolamentare di cui all’art.39 R.G. e
consente viceversa di configurare l’ipotesi più grave di cui all’art. 43 dello stesso Regolamento.
Ai fini della sussistenza dell’atto di frode sportiva non è necessario infatti che si verifichi
l’evento fraudolento perseguito. Tutti i casi di frode cui al primo comma dell’art. 43 R.G.,
presuppongono dei semplici tentativi diretti ad assicurarsi un qualsiasi vantaggio o un qualsiasi utile
risultato, tanto che l’ipotesi di frode sportiva consumata, prevista dal terzo comma dello stesso
articolo, integra un’ipotesi di frode sportiva aggravata.
Vanno peraltro disattese tutte le argomentazioni difensive in tema di idoneità del tentativo,
atteso che il requisito dell’idoneità degli atti non è richiesto per il perfezionamento della frode
sportiva, essendo sufficiente la direzione dell’atto a fini illeciti, la cui rilevanza ex art. 43 R.G. può
restare circoscritta anche nei limiti dell’attività meramente preparatoria dello stesso.
Ciò posto, è indubbio che il comportamento del Cirelli non si sottrae alla contestata
responsabilità per frode sportiva; responsabilità che non può che essere ascritta interamente al
medesimo, non soltanto in quanto unico deferito, ma anche perché lo stesso si è assunto l’intera
174
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
responsabilità dell’iniziativa, pur apparendo palese l’interesse e soprattutto il vantaggio che dal
comportamento fraudolento del proprio dirigente avrebbe tratto la Pallacanestro Treviso S.p.a..
Se peraltro l’intera responsabilità va ascritta al Cirelli, non va, al contempo, sovradimensionata
la responsabilità dello stesso, il cui ruolo nella vicenda non appare scevro da corresponsabilità e
connivenze, sia all’interno che al di fuori del mero ambito societario trevigiano.
Va per tanto affermata la responsabilità del Cirelli per la frode sportiva a lui contestata e con la
concessione delle attenuanti atipiche di cui all’art. 19 4° comma ultima parte R.G., considerato
quanto previsto all’art. 43, comma 2 R.G. per le fattispecie a livello di tentativo, appare equo
irrogare al medesimo la sanzione dell’inibizione da qualsiasi attività federale e sociale per la durata
di anni due (pena base anni 4, diminuita considerando le circostanze sopra individuate, ex art. 43
comma 2 R.G. ed ex art. 19, 4° comma ultima parte R.G.).
Quanto alla società Pallacanestro Treviso S.p.a. la determinazione della sanzione va effettuata
con riferimento alla gravità del fatto nel suo complesso, tenuto conto del nocumento arrecato
all’immagine del movimento cestistico professionistico. Occorre infatti considerare come la
Pallacanestro Treviso S.p.a. sia ormai da molti anni una delle più importanti e prestigiose società di
basket a livello nazionale ed europeo. Da essa ci si sarebbe attesi e ci si attenderebbe una condotta
estremamente rigorosa e chiara nel rispetto delle procedure e della normativa regolamentare,
nell’adozione al suo interno di sistemi di controllo finalizzati ad evitare il verificarsi di condotte
quali quella ascritta al proprio dirigente Cirelli, e nell’assunzione di iniziative cautelative, una volta
appresa la situazione di irregolarità di un proprio tesserato professionista, pur nell’incertezza in cui
la Pallacanestro Treviso S.p.a. afferma di aver versato nell’occasione circa la portata della norma
regolamentare di cui all’art. 1 comma 3 del Regolamento Esecutivo-Settore Professionistico.
A fronte di tali valutazioni, si devono al contempo, sempre ai fini della determinazione della
sanzione, considerare le azioni assunte dalla società nei confronti del proprio team manager Cirelli
Andrea, il suo licenziamento, la collaborazione prestata nel corso delle indagini, il comportamento
processuale, e la condotta pregressa della società unitamente agli indiscussi meriti sportivi ed ai
titoli conquistati.
Non può essere condiviso l’assunto accusatorio della Procura Federale, secondo cui la sanzione
andrebbe determinata sulla base delle gare disputate in posizione irregolare dal Lorbek. Qualsiasi
calcolo effettuato sulla base di tali parametri costituirebbe una palese violazione del principio di
legalità e consentirebbe di applicare in modo surrettizio sanzioni ormai precluse dalla cosiddetta
definitiva intangibilità dell’omologazione degli incontri.
175
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
Alla stregua di tali considerazioni appare equo fissare in dodici punti la penalizzazione
applicabile alla società Pallacanestro Treviso S.p.A. ex art. 44, terzo comma, R.G., nella classifica
del campionato in corso.
Nessuna diversa sanzione appare viceversa applicabile al di fuori di quella prevista dal suddetto
articolo. Va pertanto disattesa qualsiasi diversa richiesta dell’Organo requirente con riferimento alla
revoca della Coppa Italia, in quanto priva di qualsiasi fondamento regolamentare.
P.Q.M.
Dichiara Cirelli Andrea, responsabile di frode sportiva ex art. 43, 1° comma lettera c) R.G., e per
l’effetto, con la concessione delle attenuanti atipiche previste dall’art. 19, 4° comma R.G., lo
inibisce da qualsiasi attività sociale e federale per la durata di anni due, a decorrere dal 21
marzo2007.
Visto l’art. 44, terzo comma R.G., applica alla Pallacanestro Treviso S.p.a. la sanzione della
penalizzazione di punti 12 nella classifica del campionato in corso.
Rigetta le residue richieste della Procura Federale.
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GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO
COMUNICATO UFFICIALE N. 672 DEL 27 MARZO 2007
CORTE FEDERALE N. 44
Ricorsi proposti dalla Procura Federale, dal sig. Andrea Cirelli e dalla società Pallacanestro
Treviso S.p.A. avverso la decisione della Commissione Giudicante Nazionale che, su deferimento
della Procura Federale, ha disposto l’inibizione per anni due del sig. Andrea Cirelli e la
penalizzazione di dodici punti nella classifica del Campionato in corso per la società Pallacanestro
Treviso S.p.A..
La Corte Federale
Presidente: Ricciardi
Componenti: De Stefano – Di Marco – Grotti – Izzo – Persichelli – Sica – Villoresi
Relatore: Sica
Esaminati i ricorsi in appello in data 23 marzo 2007 della Procura Federale, del sig. Cirelli
Andrea – assistito dagli Avv.ti Alessandro Gracis di Conegliano e Giorgio De Arcangelis di Roma –
e della Pallacanestro Treviso S.p.A. in persona del Presidente Giorgio Buzzavo – assistito dagli
Avv.ti Prof. Franco Coppi del foro di Roma ed Antonino De Silvestri del foro di Vicenza – avverso
il provvedimento della Commissione Giudicante Nazionale del 21 marzo 2007 n. 81, C.U. 650 di
pari data, con il quale – a seguito di deferimento della Procura Federale del tesserato Andrea Cirelli,
per violazione degli artt. 2, comma 1, (“obbligo di lealtà e correttezza”) 39 (“violazione dei principi
di lealtà e correttezza”) e 43 (“atti di frode sportiva”) del Regolamento di Giustizia e della Società
Pallacanestro Treviso S.p.A. per violazione dell’art. 44 (“responsabilità oggettiva per atti di frode
sportiva”) del Regolamento di Giustizia - è stata comminata la sanzione dell’inibizione da qualsiasi
attività sociale e federale per la durata di due anni, a decorrere dal 21 marzo 2007 nei confronti di
Cirelli Andrea, ritenuto responsabile di frode sportiva ex art. 43, comma 1, lettera c) R.G. (…
177
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto falsa identità o falsa attestazione
delle qualifiche o delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto”), con la concessione delle
attenuanti atipiche previste dall’art. 19, comma 4 R.G. (“il giudice, indipendentemente dalle
circostanze [attenuanti] previste nel precedente comma può prendere in considerazione altre
circostanze diverse qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della sanzione”) nonché è
stata applicata alla Pallacanestro Treviso S.p.A. la sanzione della penalizzazione di punti dodici
nella classifica del campionato, ex art. 44, comma 3 R.G. (“La responsabilità è sanzionata da una
penalizzazione di uno o più punti in classifica a seconda della gravità e dei danni che tali atti hanno
arrecato all’immagine del movimento cestistico nazionale”), rigettate le residue richieste della
Procura Federale;
ritenuto, in particolare, che la Procura Federale ha censurato la decisione impugnata 1) per la
mancata revoca dell’assegnazione della Coppa Italia 2007, atteso che la Pallacanestro Treviso
S.p.A. ha disputato le partite necessarie per accedere alla Final Eight schierando un giocatore in
posizione palesemente irregolare, e 2) per l’esiguità della pena irrogata in ragione della assoluta
gravità della violazione regolamentare, sia dal punto di vista strettamente giuridico sportivo, sia da
quello più pubblicistico dell’immagine del movimento, concludendo per la irrogazione alla
Pallacanestro Treviso S.p.A. della penalizzazione di 18 punti e per l’inibizione da ogni attività
federale e sociale per il Cirelli di anni 3 e mesi 4, con pena base anni 5 e riduzione di un terzo per la
concessione delle attenuanti atipiche relative alla condotta processuale;
ritenuto, altresì, che il dirigente della Pallacanestro Treviso S.p.A. ha dedotto:
1) la violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 43 R.G. e motivazione contraddittoria, atteso
che, secondo la giurisprudenza federale, la punibilità del tentativo di illecito passa per una
necessaria previa verifica positiva della idoneità della condotta ad offendere il bene tutelato, da
valutarsi in concreto ex ante (lodo Modena Calcio / F.I.G.C. del 31/3/2005 e lodo Fiorentina S.p.A.
/ F.I.G.C. del 27/10/2006 della Camera di Conciliazione Arbitrato del CONI); inoltre, richiamati gli
artt. 49 (delitto impossibile) e 56 (tentativo) c.p., ha evidenziato la necessità della verifica positiva
dell’idoneità della condotta, della concreta offensività della stessa e della possibilità di raggiungere
lo scopo illecito presupposto; pertanto la di lui condotta non avrebbe dato luogo all’alterazione della
lista dei 18 giocatori iscrivibili a referto, sia sotto il profilo giuridico che dal punto di vista
materiale;
2) la mancata applicazione dell’art. 39 C.G.S. (R.G.) e 3) la violazione dei criteri di applicazione
della pena e delle attenuanti e l’omessa motivazione sul punto, concludendo per la cassazione della
178
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
sentenza della Commissione Giudicante Nazionale, previa derubricazione dell’incolpazione
ascrittagli, ritenendo integrata la fattispecie di cui agli artt. 2 e 28 C.G.S. (R.G.), e per la condanna
alla pena di interdizione di mesi 3 o di quella ritenuta di giustizia;
ritenuto, infine, che la Pallacanestro Treviso S.p.A. ha formulato richiesta di interpretazione
dell’art. 44 R.G., ai sensi dell’art. 46, comma 3, dello Statuto Federale (“La Corte Federale è
competente ad interpretare lo statuto ed i Regolamenti vigenti nell’ambito della Federazione”), in
ordine “… alla legittimità dell’estensione della responsabilità oggettiva per frode oggettiva alla
società anche nell’ipotesi in cui quest’ultima tenga un comportamento addirittura contrario a quello
commesso dal tesserato nell’asserito interesse della società”; nel merito ha dedotto
1) l’inconfigurabilità degli atti di frode sportiva di cui all’art. 43, comma 1, lett. c) R.G.; ed ha
chiesto la derubricazione dell’illecito ascritto al Cirelli in quello di “violazione dei principi di lealtà
e correttezza” di cui all’art. 39 R.G. con conseguente inapplicabilità alla Pallacanestro Treviso
S.p.A. di qualsiasi sanzione a titolo di responsabilità oggettiva, mancando nel Regolamento di
Giustizia la previsione tipica;
2) ha osservato che la sanzione applicata è eccessiva ed ha chiesto l’applicazione della misura
minima prevista dall’art. 44 R.G..
Sentite le parti che, nel riportarsi ai rispettivi atti di impugnativa, hanno ulteriormente illustrato i
motivi di censura concludendo come precisato nei ricorsi, la Corte, nel dare luogo, preliminarmente,
ad una più completa ricostruzione degli eventi oggetto di giudizio necessaria per pervenire alle
valutazioni degli atti e comportamenti degli incolpati ed alle conseguenti determinazioni di seguito
specificate, osserva in fatto e diritto.
In data 16 novembre 2006 veniva depositato in Lega contratto professionistico, stipulato in data
15 novembre 2006, tra la società Pallacanestro Treviso S.p.A. ed il giocatore Cuccarolo, già
“giovane di serie” proveniente dal vivaio della società;
successivamente, a causa di difficoltà della squadra derivanti anche da infortuni di propri
giocatori, la società stessa, dopo aver contrattualizzato i giocatori Bryant Smith (16 novembre 2006)
e Preston Shumpert (26 dicembre 2006), decideva di stipulare contratto professionistico con il
giocatore Erazem Lorbek (3 gennaio 2007), il quale risultava a primo referto nella gara della
quindicesima giornata di campionato, ove compariva a referto anche il giocatore Cuccarolo;
179
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
acquisita evidentemente cognizione che il giocatore Lorbek risulta il 19° professionista a referto,
in ragione delle precedenti contrattualizzazioni, il dirigente Cirelli si recava presso gli Uffici della
Lega, ove, in data 11 gennaio 2007, consegnava al Segretario Massimo Zanetti una lettera a propria
firma retrodatata al 16 novembre 2006 con allegato un atto di risoluzione consensuale di contratto
sportivo professionistico tra la società e il giocatore Cuccarolo retrodatato 16 novembre 2006; su
tale lettera il Segretario Zanetti apponeva un timbro attestante la data di deposito il giorno 17
novembre 2006;
risulta dagli atti del procedimento (dichiarazione rilasciata al Procuratore Federale dallo Zanetti
in data 24 febbraio 2007, con deposito della lettera diretta al Presidente Prandi datata 21 febbraio
2007) che, nell’occasione, il dirigente Cirelli, in situazione di grave difficoltà, affermava di essersi
sbagliato nell’inviare il contratto professionistico del giocatore Cuccarolo;
successivamente, in data 15 gennaio 2007, il Presidente della società telefonava al Presidente
della Lega ponendogli quesito sul se un “giovane di serie”, stipulato contratto professionistico,
mantenesse il suo status al fine del limite di 18 giocatori a referto di cui al ricordato art. 1, comma
3, delle Norme Generali del R.E. Settore Professionistico;
a seguito del responso negativo del Presidente della Lega, il Presidente della società otteneva
che la Lega stessa chiedesse un parere legale pro-veritate, successivamente reso;
gli elementi probatori di cui sopra comprovano, in modo inequivocabile, la falsità dell’atto di
risoluzione consensuale già più volte citato, costituente esso stesso atto con valenza di attestazione,
in ogni caso corroborato in detta valenza dal timbro di deposito apposto, con l’indicazione
retrodatata del 17 novembre 2006, negli Uffici della Lega;
ciò premesso e ritenuto in fatto, in ordine ai motivi di appello delle parti, occorre esaminare, in
ordine logico e giuridico, quelli articolati dalla Pallacanestro Treviso S.p.A. e dal sig. Andrea
Cirelli.
Le censure sopra ricordate e le ulteriori argomentazioni illustrate nella discussione orale,
nonostante la loro ampia articolazione e la loro peculiare acutezza, sono tutte infondate;
con riferimento all’impugnativa della Pallacanestro Treviso S.p.A., la Corte rileva
preliminarmente, quanto all’interpretazione dell’art. 44 R.G., che l’ipotesi dell’esimente per la
fattispecie di responsabilità oggettiva di una società per atti di frode sportiva è presente nel
Regolamento di Giustizia, ma è limitata al caso di commissione di detti atti da parte dei sostenitori e
sotto la condizione che venga provato che la società, i dirigenti e i tesserati ne siano rimasti estranei
ed inconsapevoli (art. 44, comma 2 R.G.); laddove, nella fattispecie, l’atto è stato posto in essere da
180
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
un dirigente, con consapevolezza da parte della società firmataria di detto atto che non ha fornito
alcuna prova, né principio di prova, contraria;
a fronte di tale puntuale previsione, non è consentita alla Corte l’interpretazione prospettata
dalla società in quanto, in disparte ogni altra considerazione attinente anche al merito della vicenda,
essa si risolverebbe in un’inammissibile integrazione della normativa regolamentare; funzione
certamente non consentita alla Corte.
Il secondo motivo di censura della società è relativo al merito della vicenda nell’ambito di una
contestazione sul piano giuridico della sussistenza, nel caso concreto, dei fatti come contestati dal
Procuratore Federale, nonché del richiamo ai concetti, propriamente penalistici, afferenti il reato
impossibile e l’idoneità degli atti in materia di tentativo;
ritiene la Corte che la puntuale ricostruzione degli eventi, con inerente valutazione delle
risultanze probatorie in atti in uno al notorio, dimostri, con assoluta tranquillità, la piena ricorrenza,
nel caso, di un atto di frode sportiva ai sensi dell’art. 43, comma 1 lettera c), R.G.; precisamente
dell’atto di frode sportiva riscontrabile in presenza di un “qualsiasi atto diretto a consentire la
partecipazione a gare sotto … falsa attestazione … delle condizioni necessarie per l’iscrizione a
referto”;
più precisamente, nel caso di specie, l’atto di frode sportiva deve essere individuato nella c.d.
risoluzione del contratto con il giocatore Gino Cuccarolo diretta a consentire l’iscrizione a referto
del giocatore Erazem Lorbek;
al riguardo necessitano due preliminari puntualizzazioni:
in primis, la limitazione del numero dei giocatori con contratto professionistico iscrivibili a
referto nel corso di un campionato a stagione sportiva costituisce vincolo regolamentare e
convenzionale (tra F.I.P. e Lega Pallacanestro Società Serie A) diretto e gravante sulle società;
pertanto, il superamento di quel limite è addebitabile direttamente alle società che di esso
(superamento) sono tenute a rispondere;
sul punto, la responsabilità delle società non è minimamente attenuata, in casi quale quello in
esame, da ipotetiche corresponsabilità o errori imputabili ad altri soggetti e, in particolare, alla
Federazione, alla Lega ed ai loro organismi;
quindi, la dedotta circostanza che il dirigente Cirelli abbia consegnato la documentazione al
Segretario della Lega o, d’altro lato, l’avvenuta omologazione dei risultati delle gare aventi a referto
il giocatore Lorbek risultano del tutto irrilevanti;
181
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
in secundis, l’art. 43 R.G. qualifica atto di frode sportiva “qualsiasi atto diretto a …”;
si è, quindi, in presenza di un’ipotesi di illecito disciplinare a consumazione anticipata: nel senso
che, come rilevato anche da attenta dottrina, non è necessario che la frode si consumi (ad es., che il
risultato di una gara venga concretamente alterato), risultando sufficiente che il soggetto agente
ponga in essere un atto, di qualunque genere, finalizzato al raggiungimento di uno qualunque degli
obiettivi illeciti elencati nel citato articolo; invero nella norma non sono richiamati i requisiti
dell’idoneità e della univocità che costituiscono elementi necessari perché si concretizzi la
fattispecie del delitto tentato secondo le previsioni del codice penale italiano;
in tale ottica e come esattamente ritenuto dal giudice di primo grado, non rileva, quindi, il
riferimento difensivo all’idoneità dell’atto posto in essere, se non nel senso che tale atto deve avere
natura esterna (cioè, deve essere portato all’esterno dal e del soggetto agente) e deve essere diretto
(cioè finalizzato) al raggiungimento del fine illecito sanzionato dal Regolamento di Giustizia;
ciò premesso, dalla ricostruzione degli eventi oggetto di giudizio, emerge chiara la
responsabilità di elevata gravità del dirigente Cirelli, cui consegue la responsabilità oggettiva della
società da individuare al limite della responsabilità diretta;
invero, stante la posizione sopranumeraria del giocatore Lorbek, il dirigente – necessita ripetere
– si recava presso gli Uffici della Lega, ove consegnava la lettera a propria firma retrodatata al 16
novembre 2006 con allegato un atto di risoluzione consensuale del contratto col giocatore
Cuccarolo retrodatato 16 novembre 2006, attestato quale depositato il giorno 17 novembre 2006, e
motivato come segue:”Causa disguido è stato spedito in data 15 novembre modulo di contratto
professionistico con l’atleta in oggetto tesserato per la nostra società quale giovane di serie. Vi
preghiamo di non volerne tener conto e alleghiamo a tal proposito modulo di risoluzione…”;
l’esposta motivazione della risoluzione del contratto de quo mirava chiaramente ad accreditare
la tesi dell’errore (“Causa disguido …”), cioè di un vizio del consenso invalidante, in modo da porre
nel nulla detto contratto (“…Vi preghiamo di non volerne tenere conto …”) e, conseguentemente,
far apparire, nonché utilizzare a proprio fine non lecito, il giocatore Cuccarolo quale giammai
divenuto professionista ma “rimasto” giovane di serie;
non pare, allora, un caso che la lettera retrodata 16 novembre e l’allegato atto di risoluzione
consensuale vengano acquisiti; sull’allegato (che è l’atto particolarmente rilevante al fine illecito)
venga apposta attestazione di deposito in Lega in data 17 novembre 2006; successivamente, tali atti
siano trattenuti presso la Lega per la consapevolezza che il loro invio in Federazione avrebbe
attirato l’attenzione dell’Ufficio Tesseramento provocando i conseguenti accertamenti e l’emergere
182
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
della questione, così impedendo il risultato costituente obiettivo dell’iniziativa: far sì che il
giocatore Lorbek venisse iscritto a referto, nonostante ciò non fosse consentito;
e va anche rilevato, sin da ora e per le valutazioni nella determinazione della sanzione, che l’atto
di risoluzione consensuale risulta sottoscritto dalla società;
quel che, però, necessità considerare a questo punto è che, in presenza di un responso negativo
del Presidente della Lega, di cui sopra si è fatto cenno, e sia pur in attesa di un parere legale, la
società abbia iscritto a referto nelle quattro gare successive (del 14, 21, 28 gennaio e 4 febbraio
2007) il giocatore Lorbek, omettendo di farlo, in quelle medesime gare, per il giocatore Cuccarolo,
peraltro sino alla gara del 7 gennaio 2007 (14° giornata) iscritto a referto ben nove volte;
allorquando, nell’apparente dubbio di liceità dell’iscrizione a referto del giocatore Lorbek pur in
presenza di altri 18 professionisti tra cui il giocatore Cuccarolo (in realtà, la stessa iniziativa assunta
dal dirigente dimostra in sé la consapevolezza dell’insussistenza di detta liceità), comportamento
lineare avrebbe imposto di iscrivere a referto Cuccarolo, omettendo di farlo per il giocatore Lorbek;
ad ulteriore conferma delle riscontrate e comprovate convinzioni della Corte in tema di condotta
degli odierni appellanti, non può non aggiungersi che, successivamente al termine della Final Eight
e pur in presenza del parere richiesto e reso in senso favorevole alla tesi della società, nella gara del
18 febbraio 2007 il giocatore Lorbek non veniva iscritto a referto dalla società (e non lo sarà più
anche per il contratto stipulato con altra società con effetto dal 28 febbraio 2007), mentre “rientrava
nei ranghi” il Cuccarolo, poi sempre presente a referto sino alla gara del 25 marzo 2007;
assume rilievo, in proposito, l’elemento di fatto che il giocatore Cuccarolo è rimasto
contrattualizzato quale professionista con la società, come dalla stessa ammesso attraverso la
produzione, nel giudizio di primo grado, dei cedolini di stipendio sino al mese di febbraio 2007;
il che comprova, in modo inequivocabile, la falsità dell’atto di risoluzione consensuale già più
volte citato, costituente esso stesso – come già rilevato – atto con valenza attestativa, in ogni caso
corroborato nella sua valenza dal timbro di deposito apposto, con l’indicazione retrodatata del 17
novembre 2006, negli Uffici della Lega;
e proprio l’acclarata (e ammessa dalle stesse difese) falsità ideologica dell’atto di risoluzione
consensuale dimostra l’intendimento e il comportamento fraudolento;
questi ultimi risultano evidenti per quanto attiene alla legittimazione per l’iscrizione a referto del
giocatore Lorbek, in quanto essa derivava, secondo l’intendimento fraudolento posto in essere, dal
“mantenimento” del giocatore Cuccarolo quale “giovane di serie”, il quale – va sottolineato ancora
una volta – proveniva dal vivaio della società e sino al 15 novembre 2006 (cioè, appena 50 giorni
183
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
prima la stipulazione del contratto col giocatore Lorbek) era effettivamente un “giovane di serie”,
che tutti gli alti interessati e controinteressati ben avrebbero potuto continuare a ritenere tale;
inoltre, l’intendimento e il comportamento fraudolento comprovano anche che il dirigente ben
sapeva della posizione irregolare del giocatore Lorbek; perché, altrimenti, giammai avrebbe ritenuto
di strutturare e consegnare negli Uffici della Lega un atto di risoluzione consensuale
ideologicamente falso;
non è logico porre in essere un atto falso per giustificare una situazione lecita o dubbia, atteso
che il dubbio deve indurre al chiarimento e non alla falsificazione;
e neppure può valere, in senso contrario, il chiarimento tardivamente chiesto dalla società,
poiché, come già osservato, a seguito della richiesta e in presenza di un primo responso telefonico
negativo (quello dato dal Presidente Prandi) comportamento coerente o, almeno, prudente avrebbe
dovuto condurre alla non iscrizione a referto del giocatore Lorbek, che, invece, la società voleva
schierare ed ha continuato a schierare sin quando consentito dall’esito del comportamento
fraudolento posto in essere dal suo dirigente (cioè, sin quando la problematica non emergeva nella
sua realtà per l’attenzione ad essa riservata da altre società tra il 13 e il 14 febbraio 2007,
allorquando il Presidente della Lega Prandi chiedeva notizie sulla posizione del giocatore Cuccarolo
al Segretario della Lega, che la segnalava nella sua realtà e negli atti relativi depositati in Lega dal
dirigente);
sussiste, dunque, la violazione dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G., con ciò respingendosi ogni
diversa valutazione e derubricazione richiesta dalle difese.
Resta da esaminare la questione concernente lo status del “giovane di serie”, cioè, se questi
mantenga il suo status anche una volta stipulato contratto da professionista. Sul punto e in sede di
discussione orale, il difensore del dirigente ha richiamato l’articolo 2 dello Statuto del C.O.N.I. che
detta, tra l’altro, principi in materia di tutela dei giovani atleti.
In ordine alla questione concernente lo status del “giovane di serie”, la Corte, in disparte i
contrastanti pareri acquisiti agli atti, deve rilevare che risulta dirimente, ai fini dell’osservanza della
norma regolamentare sopra richiamata (art. 1 comma 3 R.E. Settore Professionistico), la
formulazione della disposizione secondo la quale – in ogni stagione sportiva - la società non può
iscrivere a referto più di 18 giocatori professionisti, anche in caso di infortunio;
sono prescritti, quindi, un limite temporale ben definito (ogni stagione sportiva) ed un tetto
numerico (18 giocatori professionisti) che è automaticamente superato all’atto della stipula del
contratto con un “giovane di serie” e della sua approvazione nelle forme regolamentari e che resta
184
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
invariato anche in caso di infortunio; è da osservare che lo status del “giovane di serie
professionista” non è previsto dalle norme federali e non può essere introdotto con operazione
additiva;
pertanto, il “giovane di serie” che stipula contratto da professionista perde definitivamente il
suo status per acquisire, in toto, quello di giocatore professionista;
né rileva, in contrario, il richiamo del difensore del Cirelli ai principi dettati dall’articolo 2 dello
Statuto del C.O.N.I. in quanto questi trovano, nel caso di specie, pieno recepimento nella normativa
della F.I.P. attraverso l’esclusione del “giovane di serie” dal numero dei 18 giocatori iscrivibili a
referto nel corso del campionato;
in virtù delle suestese argomentazioni, gli appelli della società e del dirigente vanno respinti,
relativamente all’insussistenza dell’illecito di frode sportiva;
in ordine alla determinazione delle conseguenti sanzioni, è da rigettare la richiesta del
Procuratore Federale di revoca dell’assegnazione della Coppa Italia 2007 per l’assorbente ragione
che siffatta sanzione non è prevista dalla normativa regolamentare della F.I.P.;
in ordine all’entità delle sanzioni da irrogare al Cirelli ed alla Pallacanestro Treviso S.p.A., la
Corte, decidendo sui contrapposti appelli, ritiene di dover aggravare l’entità delle sanzioni irrogate
dalla Commissione Giudicante Nazionale;
invero e quanto al dirigente, il comportamento di frode sportiva, come sopra individuato e
descritto, risulta di particolare gravità per le modalità con le quali è stato posto in essere ed è stato
mantenuto nel tempo;
innanzitutto, formare e depositare in Lega un atto negoziale ideologicamente falso rappresenta,
in sé, un fatto di particolare gravità perché contrario ai basilari principi etici dello sport;
inoltre, come già detto, emerge dalle risultanze del procedimento un comportamento di frode
sportiva particolarmente insidioso, atteso che il falso atto di risoluzione consensuale del contratto
riguardava un (ex) “giovane di serie”, cresciuto nel vivaio della società, in modo da rendere assai
difficilmente percepibile dalle altre società il mutamento dello status del giocatore e il conseguente
raggiungimento del numero massimo di giocatori professionisti iscrivibili a referto;
intendimento, quest’ultimo, ben riuscito, se è vero, come è vero, che il giocatore Lorbek ha
potuto essere iscritto a referto in ben cinque gare senza che alcuno si accorgesse della sussistente
irregolarità sottostante;
185
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
quindi, considerando che la sanzione per la frode sportiva consumata di particolare gravità può
consistere nella radiazione, ritiene la Corte che, nella presente fattispecie connotata da particolare
gravità, la sanzione dell’inibizione debba essere rapportata al massimo previsto pari a cinque anni,
su tale sanzione base la Corte ritiene che possano essere concesse le attenuanti atipiche previste
dall’articolo 19, comma 4 ultima parte, R.G., valutando positivamente le (sia pure non integrali)
ammissioni del dirigente dinanzi al Procuratore Federale;
conseguentemente, la sanzione dell’inibizione, confermatane la decorrenza come fissata in
primo grado, va determinata in 3 anni e 4 mesi;
quanto alla società, ritiene, anzitutto, la Corte che, pur in presenza di un’ipotesi di responsabilità
oggettiva, la determinazione della sanzione non debba essere totalmente e matematicamente
rapportata a quella dell’autore dell’illecito, ben potendosi apprezzare, anche e quantomeno, ulteriori
aspetti della vicenda attribuibili direttamente alla società medesima;
in proposito, ferma la già ravvisata particolare gravità dell’illecito, dalla continuata iscrizione a
referto del giocatore Lorbek – tanto più in presenza di un responso negativo da parte del Presidente
della Lega e sia pure in attesa di un parere legale (sul punto si rinvia a quanto prima osservato) –
sono derivati danni molto ingenti all’immagine del movimento cestistico nazionale proprio in
ragione che siffatta violazione di particolare gravità è stata posta in essere da una società di
massima importanza, notorietà e rappresentatività, anche in campo internazionale;
infatti, appare evidente che constatare che una società di massimo livello si induca, pur di
potenziare le proprie capacità sportive, a falsificare atti per ottenere illeciti tesseramenti significa
non solo mortificare l’intero movimento ma farlo altresì apparire come “amministrativamente
dopato” e profondamente privo di quella eticità che deve permeare i comportamenti dei tesserati ad
ogni livello sportivo e massimamente a quelli di altissima evidenza pubblica e mediatica;
quindi, in presenza di un illecito di particolare gravità, mantenuto nel tempo sin quando ciò è
stato possibile (cfr. supra), e di danni che la Corte ritiene e valuta molto ingenti per l’immagine del
movimento cestistico nazionale, portato all’attenzione pubblica a causa di comportamenti illeciti e
antisportivi in luogo di successi nazionali o internazionali, la penalizzazione di punti in classifica,
che costituisce la sanzione prevista, non può che essere parametrata a canoni di elevata severità, che
si ritiene da rapportare adeguatamente alla fattispecie concreta nella misura di quindici punti da
scontare nel campionato in corso;
186
GIURISPRUDENZA
Il caso Lorbek…
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni ulteriore
istanza e deduzione:
in parziale accoglimento dell’appello della Procura Federale conferma la responsabilità per
frode sportiva ex art. 43 comma 1 lettera c) R.G. del sig. Andrea Cirelli e la responsabilità oggettiva
ex art. 44 comma 1 R.G. della società Pallacanestro Treviso S.p.A.; per l’effetto, concesse le
attenuanti atipiche ex art. 19 comma 4 R.G., determina la sanzione dell’inibizione da ogni attività
federale e sociale a carico del sig. Andrea Cirelli per anni tre e mesi quattro a decorrere dal 21
marzo 2007 e la sanzione della penalizzazione di 15 punti in classifica nella corrente stagione
sportiva ex art. 44 comma 3 R.G. a carico della società Pallacanestro Treviso S.p.A..
Rigetta i ricorsi del sig. Andrea Cirelli e della Pallacanestro Treviso S.p.A. e dispone
incamerarsi il contributo ricorso versato dal Cirelli e addebitarsi sulla scheda contabile della società
ricorrente il contributo ricorso.
Nota Redazionale:
Al momento di uscita del n. 1/2007 di Giustizia Sportiva non si è ancor formato il "Giudicato sportivo"
sulla vicenda relativa all'iscrizione a referto dell'atleta Lorbek quale 19 giocatore professionista per la
Benetton Treviso e dunque in violazione dell'art. 1 comma 3 del Regolamento escutivo del settore
professionista.
Il 16 aprile la FIP, la Pallacanestro Treviso e team manager Cirelli non hanno trovato l'accordo per una
conciliazione per cui si procederà all'arbitrato in Camera del CONI (la prima udienza non è stata ancora
fissata). Di certo è indispensabile che la procedura arbitrale termini prima della fine della regular season
perchè diversamente l'esclusione della Benetton dalla post season (ad oggi rischia persino di retrocedere in
serie A/2) diverrebbe definitiva a prescindere dal giudizio del Collegio arbitrale tenuto conto che i play off
sono già stati da tempo "calendarizzati".
Per il merito della vicenda, e per un primo commento preliminare, cfr. anche Jacopo Tognon, Lorbek,
frode sportiva o mera irregolarità?, in Il Sole 24 ore sport, marzo 2007. Sin d'ora, peraltro, con riserva di
approfondire nel prossimo numero della Rivista, è opportuno precisare che non appare per nulla equa la
sanzione di 15 punti di penalità inflitti in secondo grado dalla Corte Federale, con riformatio in peius della
già afflittiva sanzione di 12 punti irrogata in primo grado (JT)
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GIURISPRUDENZA
Sentenza 401-2007 Tar Puglia…
SENTENZA 401 – 2007 TAR PUGLIA SEDE DI BARI
La competenza del T.A.R. Lazio stabilita dall’art. 3, comma 2, legge n. 280/2003 per le
controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni
sportive e non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2
della legge n. 280/2003 ha carattere inderogabile, sia in quanto avente carattere esclusivo sia in
quanto rilevabile d’ufficio.
E’ quindi indifferente qualificare tale competenza come di tipo territoriale o funzionale, atteso
che anche nella prima ipotesi resta inapplicabile il meccanismo ordinariamente previsto per le
questioni di competenza tra organi giurisdizionali di primo grado.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA
Sede di Bari - Sezione Seconda
nelle persone dei magistrati:
PIETRO MOREA
PRESIDENTE
DORIS DURANTE
COMPONENTE
FRANCESCO BELLOMO
COMPONENTE - relatore
all'esito dell'udienza camerale del 8 febbraio 2007
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso n. 126/2007, proposto da LIONETTI MICHELE, rappresentato e difeso da Serlenga
Avv. Giacinta Maria;
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Sentenza 401-2007 Tar Puglia…
CONTRO
- l'Unione Italiana Tiro a Segno - Ente Pubblico e Federazione Sportiva del Coni - ,
rappresentato e difeso da Lubrano Avv. enrico e da Gagliardi La Gala Avv. Franco;
- il Comitato Regionale per la Puglia Unione Italiana Tiro A Segno
e nei confronti
- di Ippolito Paolo
per l'annullamento
previa sospensione dell’esecuzione
- della delibera del Consiglio direttivo n.128/06 del 24.11.2006, recante lo scioglimento del
Consiglio direttivo della Sezione di Barletta e conseguente Commissariamento della stessa;
- di ogni altro atto presupposto, e comunque connesso, ancorchè non conosciuto, tra cui, ove
occorra,
a) la deliberazione del Consiglio Direttivo della U.I.T.S. n.73 del 4.8.2006; le relazioni afferenti la
visita ispettiva svoltasi il 5 e 6 ottobre;
b) la nota del Presidente del Comitato regionale Puglia in data 19 ottobre 2006;
c) la nota prot. P.F./11.07, a firma del Procuratore Federale della U.I.T.S., recante contestazione di
addebiti
Visto il ricorso ed allegati,
Vista la domanda di sospensione della efficacia del provvedimento impugnato, presentata in via
incidentale dalla parte ricorrente
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell'Unione Italiana Tiro a Segno
Visti i documenti e le memorie delle parti
Visti tutti gli altri atti di causa
Relatore all'udienza del 8 febbraio 2007 il giudice Francesco Bellomo ed uditi i difensori delle parti
presenti, come da verbale
Considerato che sussistono i presupposti per una decisione in forma semplificata ai sensi degli artt.
3 e 9 L. 205/00
Ritenuto quanto segue
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Sentenza 401-2007 Tar Puglia…
Fatto e diritto
1. Con ricorso notificato il 25.1.07 all'Unione Italiana Tiro a Segno, al Comitato Regionale per
la Puglia Unione Italiana Tiro a Segno, a Ippolito Paolo, depositato il 25.1.07, LIONETTI
MICHELE domandava l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia:
- della delibera del Consiglio direttivo n.128/06 del 24.11.2006, recante lo scioglimento del
Consiglio direttivo della Sezione di Barletta e conseguente Commissariamento della stessa;
- di ogni altro atto presupposto, e comunque connesso, ancorchè non conosciuto, tra cui, ove
occorra, la deliberazione del Consiglio Direttivo della U.I.T.S. n.73 del 4.8.2006; le relazioni
afferenti la visita ispettiva svoltasi il 5 e 6 ottobre; la nota del Presidente del Comitato regionale
Puglia in data 19 ottobre 2006; la nota prot. P.F./11.07, a firma del Procuratore Federale della
U.I.T.S., recante contestazione di addebiti.
A fondamento del ricorso, premesso che il provvedimento impugnato si fondava sul presunto
accertamento a carico del ricorrente di gravi irregolarità della gestione contabile ed amministrativa
a seguito dell'ispezione condotta il 5 e 6 ottobre 2006 (le cui risultanze erano condensate nella
relazione data 11 novembre 2006), deduceva molteplice censure di violazione di legge ed eccesso di
potere, lamentando in particolare la violazione dell'art. 17, comma 4 dello Statuto dell'Ente in
relazione agli artt. 1, 3, 7 e 10 L. 241/90.
Si costituiva in giudizio l'Unione Italiana Tiro a Segno, eccependo l’incompetenza funzionale
del T.A.R. .
Replicava sul punto il ricorrente.
La causa veniva trattata all'udienza del 8 febbraio 2007, fissata per l'esame della domanda
cautelare, dove le parti venivano sentite anche sulla possibilità di una decisione nel merito.
2. Il ricorso risulta manifestamente definibile, sicchè, essendo il contraddittorio completo e
l'istruttoria documentale esauriente, il Collegio procede a decisione in forma semplificata.
L’impugnazione ha per oggetto il provvedimento con cui l’Unione Italiana Tiro a Segno
(Federazione sportiva facente parte del C.O.N.I.) ha disposto il commissariamento della Sezione di
Barletta, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 17, comma 4 del suo Statuto.
Si tratta di fattispecie riconducibile all’art. 3 L. 280/03.
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Art. 3. Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria
1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario
sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto
atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi
di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste
dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive
di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23
marzo 1981, n. 91.
2. La competenza di primo grado spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure
cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma. Le questioni di
competenza di cui al presente comma sono rilevabili d'ufficio.
3. Davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente motivata
ai sensi dell'articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e seguenti
dell'articolo 23-bis della stessa legge.
La diversa opinione del ricorrente - argomentata sulla base dell’inciso “esauriti i gradi di
giustizia sportiva” - è priva di pregio.
La disposizione si riferisce testualmente a “ogni altra (rispetto alle questioni meramente
patrimoniali) controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle
Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi
dell'articolo 2”.
Non, dunque, solo a quelle che spettano preliminarmente (ma non in via assorbente) agli organi
di giustizia sportiva.
L’inciso “esauriti i gradi di giustizia sportiva” vale piuttosto a chiarire che, ove siano in gioco
tali controversie, la giurisdizione statale può essere adita solo dopo il previo esperimento della
tutela assicurata dall’ordinamento sportivo.
Ciò posto occorre verificare quali siano le conseguenze nel caso in esame dell’applicazione
dell’art. 3 L. 280/03 e, segnatamente, del comma 2, il quale fissa la competenza esclusiva, anche per
l'emanazione di misure cautelari, in capo al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede
in Roma, stabilendo che la relativa questione è rilevabile d'ufficio.
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Il Collegio ritiene tale competenza di carattere inderogabile, sia in quanto avente carattere
esclusivo sia in quanto rilevabile d’ufficio.
Ciò premesso resta indifferente qualificare la competenza come di tipo territoriale o funzionale,
atteso che anche nella prima ipotesi resta inapplicabile il meccanismo ordinariamente previsto per le
questioni di competenza tra organi giurisdizionali di primo grado, in virtù della speciale previsione
di cui alla citata disposizione.
Ne consegue che va dichiarato sic et simpliciter l’incompetenza del T.A.R. di Bari.
Ulteriori statuizioni - in particolare quella di trasmettere gli atti al giudice competente, come
richiesto in via subordinata dal ricorrente - sarebbero palesemente irrituali, non essendo previste
dall’anzidetta norma speciale.
Spese compensate, attesa la novità della questione e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali sul
punto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari - Seconda Sezione,
pronunciando sul ricorso proposto come in epigrafe dichiara la propria incompetenza.
Compensa le spese.
La presente sentenza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria di
questo Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
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