Von Arx “cattura” il pubblico del San Carlo
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Von Arx “cattura” il pubblico del San Carlo
6 IL CONCERTO SPETTACOLI lunedì 18 marzo 2013 IL CELEBRE VIOLINISTA ACCOMPAGNATO DALL’ORCHESTRA DI PRAGA E DIRETTO DAL MAESTRO CHRISTIAN BENDA Von Arx “cattura” il pubblico del San Carlo di Massimo Lo Iacono NAPOLI. Fabrizio von Arx è tornato al San Carlo nel ruolo di protagonista, che gli compete per il rango artistico conquistato, interprete del primo, famoso, concerto di Max Bruch, per violino ed orchestra, e della fantasia da “Carmen” di De Sarasate, pure con orchestra, compositore di cui era anche il gran bis, ancora con orchestra, dedicato a Napoli con la tarantella. A questa sentita festa della musica, lietissima per l’afflusso di pubblico e per l’entusiasmo generale, che mancavano da tanto tempo alle produzioni del San Carlo, ha partecipato con piacevolissima performance l’orchestra di Praga, con cui von Arx aveva già suonato anni fa a Napoli per l’associazione “Scarlatti”. Sul podio c’era il maestro Christian Benda, singolarmente somigliante nella silhouette al grandissimo Rapahel Kubelick, che ha dedicato il concerto al Papa appena eletto. Il maestro ha guidato la sua bella compagine strumentale sia in eleganti esecuzioni in cui ha dominato da sola la scena - eseguendo di Mozart l’ouverture da LE ECCELLENZE Fabrizio von Arx e il maestro Christian Benda (Foto Luciano Romano) “L’impresario” e poi la sinfonia “Haffner” ed ancora l’ouverture “Egmont” di Beethoven, forse il momento migliore della serata, infine l’ouverture da “Cenerentola” di Rossini - sia accompagnando con sapienza il solista, dialogando con garbo con lui, con un disteso respiro concertante. Alle esecuzioni unicamente orchestrali di ottima fat- tura certo è mancato tuttavia sovente un fraseggio adeguatamente arguto, per Rossini e Mozart, e vario, tranne all’“Egmont”, in cui anche la consistenza del volume, la luminosità degli ottoni erano ben centrati, e coinvolgenti come dovuto. Pure alcuni passi del concerto di Bruch hanno avuto il plastico pathos orchestrale necessario. E qui soprattutto il timbro del “tutti” doveva essere evocativo, come è stato, per l’indispensabile sintonia poetica con l’eleganza della realizzazione della parte solistica. La signorilità della misura espressiva del violinista, intenso e caloroso, in Bruch, ma sempre con squisitezza, sensuale e birichino in “Carmen” ma con la nonchalance ed il piglio aristocratico da gran signore, che esegue una travolgente tarantella con charme senza manierismi, hanno imposto il tono alle esecuzioni delle partiture con solista, memorabili per colori, sottigliezze anche, cantate con bel legato, cesellate all’occorrenza, frizzanti a tratti, in “Carmen” soprattutto, ovviamente. La sapienza tecnica del solista era totalmente trasfigurata sul piano espressivo, lirico, il virtuosismo avvicinato alle urgenze dell’ispirata poesia. Di queste emozioni, quasi tutte è possibile riviverle ancora ascoltando il bellissimo cd della Rca, che contiene i pezzi in programma nel concerto per violino ed orchestra registrati da von Arx e Benda, nonché due suites per violino solo di Ernst Bloch. LA RASSEGNA ENSEMBLE DISSONANZEN Lettura musicale al Madre per il cinema di Man Ray NAPOLI. Si è conclusa, e speria- mo abbia un seguito, la rassegna “Audiovisioni”, progetto curato dalla rete “Namusica” e ospitato dal Madre, che coniuga musica dal vivo e proiezioni filmiche per indagare in modo fortemente emotivo il rapporto tra musica e immagine. L’ultimo appuntamento, “Man Ray Movies”, è stato dedicato ad Emmanuel Rudnitzky, in arte appunto Man Ray, celebre artista statunitense esponente del dadaismo. Affermato fotografo, inizia a occuparsi di cinema quasi per gioco, per “dare movimento alle fotografie”; il risultato è una serie di pellicole innovative e sperimentali che, inserite in un contesto - gli anni Venti - in cui si andavano canonizzando i valori estetici del cinema come arte, esercitano una significativa azione provocatoria: con la loro antistruttura e assoluta casualità, distruggono ogni tentativo di incasellare il cinema in categorie artistiche e delimitarne il NELLA SEDE DI VIA SANT’EFRAMO VECCHIO I SEGRETI TRAMANDATI DA PADRE IN FIGLIO Napolitano, l’arte della vera pasticceria artigianale di Mimmo Sica NAPOLI. Aveva poco più di diciotto anni, quando Angelo Napolitano improvvisò un laboratorio di dolci nel “basso” dove abitava, in via Camillo Porzio, una traversa di corso Garibaldi. Voleva mettere a frutto il mestire “rubato” facendo, per vivere, il garzone in varie pasticcerie. Era il 1920 ed era iniziata quella meravigliosa avventura che ha reso la famiglia Napolitano la custode e la continuatrice della vera pasticceria artigianale napoletana. Percorriamo qualche tappa di questo magico viaggio. Angelo, con l'aiuto della fidanzatina Nunzia, che sposò dopo due anni, iniziò a fare brioche, graffes e inventò la “tortina napoletana”, che è stata copiata nel tempo anche a livello industriale. Dopo qualche tempo aprì, in via Giacomo Savarese, il primo laboratorio-pasticceria Napolitano diventando maestro nell'arte dello “sfoglio”, materia prima per fare le sfogliatelle. La vicinanza con la stazione delle Circumvesuviana gli consentì di fare conoscere e apprezzare nell'hinterland la gustosissima “pasta”. La famiglia, intanto cresceva e ciascuno dei tredici figli, tanti ne hanno avuto Angelo e Nunzia, fece la sua scuola nel laboratorio. Solo Vincenzo, però, decise di continuare il mestiere di famiglia e allora il padre gli aprì una pasticceria proprio in quel basso di via Porzio dove lui aveva iniziato. In quel locale fece i primi passi Angelo junior, l’erede naturale nel nome e nel mestire, di nonno Angelo. Mentre papà Vincenzo e mamma Pasqualina incrementavano la loro clientela, il giovane rampollo fu mandato a fare esperienze in laboratori e pasticcerie in Italia e in Europa per portare a casa “nuove tecniche”. A venticinque anni tornò nel negozio di via Porzio, sposò Clementina, e, dopo poco, insieme al fratello Gianni, aprì un laboratorio in via Sant’Eframo Vecchio. Resisi disponibili altri locali nella stessa strada, i fratelli li acquistarono e diedero vita all’attuale esercizio commerciale composto dal laboratorio, dal bar, dalla rosticceria e dalla tavola calda. «Nel frattempo, la scuola è continuata - afferma Angelo - perchè nel laboratorio lavora mio figlio Vincenzo e il figlio di Gianni, che si chiama anche lui Vincenzo. Spesso mi chiedono quale sia la mia specialità. Rispondo che tutte le nostre creazioni sono speciali perchè AL SAN FERDINANDO DODICI SEZIONI PER RICORDARE LA VITA PUBBLICA E PRIVATA DI UNO DEI MAESTRI DEL CINEMA ITALIANO Cirillo continua con Ruccello Vittorio De Sica e la “sua” Napoli all’Ara Pacis NAPOLI. Da mercoledì a domenica, al teatro San Ferdinando il capolavoro di Annibale Ruccello, “Ferdinando” con la regia di Arturo Cirillo. Interpreti dello spettacolo sono Sabrina Scuccimarra, nel ruolo di Donna Clotilde, Monica Piseddu, nel ruolo di Donna Gesualda, Arturo Cirillo, nel ruolo di Don Catello, Nino Bruno, nel ruolo di Ferdinando. Prodotto da Fondazione Salerno Contemporanea - Teatro Stabile d'Innovazione in collaborazione con “Benevento Città Spettacolo”, l’allestimento si avvale delle scene di Dario Gessati, dei costumi di Gianluca Falaschi, delle luci di Badar Farok. Le musiche sono di Francesco De Melis. Considerato uno dei più importanti testi del teatro italiano degli ultimi trenta anni e il capolavoro del drammaturgo di Castellammare di Stabia scomparso nel 1986, Ferdinando è il terzo “incontro” del regista-attore Arturo Cirillo con l’autore dopo “L’ereditiera” e “Le cinque rose di Jennifer”. il nostro segreto è la qualità del prodotto e la lavorazione fatta secondo criteri esclusivamente artigianali tramandati per quattro generazioni senza interruzione. Naturalmente ogni cosa che produciamo, sia nel dolce che nel salato, ha un tocco di originalità che la caratterizza. Qualche esempio: la nostra cassata è fatta con ricotta sarda che non ha nulla da invidiare a quella siciliana. Il panettone è il risultato di un personalissimo assemblaggio degli ingredienti e di tre tempi di lievitazione che gli consentono di mantenere la fragranza e la freschezza senza aggiunta di conservanti. Le zeppole sono fritte con oli pregiati per cui l’olio è praticamente “invisibile” non solo per la vista, ma anche per il gusto. Questa magia è frutto di uno studio sulle modalità di cottura. Ciascuna zeppola, infatti, viene cotta per il 50% nel forno e per il 50% in padella. Altra originalità è rappresentata dalle torte rivestite di pasta ghiaccio, cioè con pasta di zucchero. Con questo tipo di impasto creiamo torte a tema. C’è il cliente che la vuole a forma di borsa di Louis Vuitton, quello che invece ama i cartoon di Walt Disney e così via. Facciamo, poi, con il catering, par- ROMA. “Tutti De Sica” è il titolo della mostra dedicata a Vittorio De Sica allestita al museo dell’Ara Pacis di Roma fino al 28 aprile: quattro sale espositive divise in dodici sezioni per rappresentare e ricordare a tutto tondo la vita pubblica e privata di uno dei maestri del cinema italiano. Manifesti originali di alcuni celebri titoli, i quattro premi Oscar vinti con “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Ieri,oggi e domani” e “Il giardino dei Finzi Contini”, i costumi indossati, ritagli di giornali, oltre quattrocento fotografie che lo ritraggono sul set, in teatro ma anche in famiglia e nei momenti di vita mondana, incisioni discografiche, gli oggetti presenti in alcuni film (tra cui la bicicletta di “Ladri di biciclette”) e un percorso multimediale che va dal primo successo con Mario Mattoli, passando per gli anni ’30 e ’40 in cui si è imposto come attore e regista fino alla stagione del Neorealismo che ha visto la nascita di capolavori come “Sciuscià”, “Miracolo a Milano” e “Umberto D”. De Sica era cantante, attore di cinema e di prosa, regista, sceneggiatore, considerato uno dei padri del Neorealismo, intellettuale: tante le foto che lo ritraggono insieme a personaggi Angelo Napolitano con il figlio Vincenzo, il genero Marco e il nipote Vincenzo ticolarissime “alzate” nuziali perchè la fantasia degli sposi è veramente molto fertile. Un discorso a parte meritano i dolci pasquali e quelli natalizi. Il nostro tortano, ad esempio, è fatto con una pasta per niente grassosa, con ingredienti di primissima qualità e con due stadi di lievitazione. La pastiera è di grano vero che noi lavoriamo in laboratorio con la doppia cottura. Tutti i dolci natalizi rispettano rigorosamente la tradizione napoletana. Sono fiero ed orgoglioso di dire che siamo veramente pasticceri artigianali perchè facciamo tutto in casa senza ricorrere ai “precotti” che poi vengono assemblati dando vita ad un prodotto che di artigianale non ha nulla. Siamo rimasti in pochi perchè il mestire del vero pasticciere è in via di estinzione. Quello che si impara nelle scuole del settore è ben poca cosa rispetto ai segreti che si tramandano da padre in figlio e che trovano origine nella passione per l’arte pasticcera». come Pirandello e Moravia; era tuttavia un uomo semplice, a tratti malinconico, il figlio Manuel lo ricorda così: «Un uomo modesto, anticonformista, che non amava le regole del mondo del cinema», nonostante abbia regalato a quel mondo un genere nuovo, un linguaggio popolare che è arrivato a tutti, commovente drammatico e brillante. La mostra approfondisce anche il rapporto con personaggi determinanti nel percorso umano e professionale di De Sica: il lungo sodalizio con Cesare Zavattini, amico ed autore di tante sceneggiature; quello con Sophia Loren (i due nella foto), partner perfetta in “Pane Amore e …” e il profondo, intenso e viscerale rapporto che De Sica aveva con Napoli: lui stesso si definiva “nu cafone ’e fora” perché nato a Sora ma legato a Napoli più di un napoletano d’origine: vi si trasferì a tredici anni e cominciò ad esibirsi in spettacoli per i militari ricoverati negli ospedali, imparò tutto il repertorio della canzone napoletana e incise anche numerosi brani della tradizione. De Sica amava Napoli, il suo golfo, le isole e affermava che l’unico motivo per cui non si era ancora trasferito ad Ischia era soltanto a causa dell’assenza di un Casinò. Perla Tortora campo d'azione in base a quegli “specifici” (montaggio, primo piano ecc.) che si andavano teorizzando. Il concerto-spettacolo ha proposto tre film: “Le retour à la raison” (1923), “L'étoile de mer” (1928), “Emak bakia” (1926). Grande protagonista, come di consueto, l’Ensemble Dissonanzen (nella foto): Tommaso Rossi al flauto, Marco Sannini alla tromba, Ciro Longobardi al pianoforte, Francesco D’Errico al sintetizzatore ed elaborazione elettronica. Primo esperimento cinematografico di Man Ray, “Le retour à la raison” è una sorta di collage realizzato in una sola notte con materiali fotografici e filmici in parte già pronti. Provocatorio fin dal titolo - infatti è tutto tranne che razionale - fa ampio uso della tecnica rayograph, scoperta proprio da Man Ray e che da lui prende il nome. Si tratta di un procedimento di impressione della pellicola senza ricorrere alla cinepresa, ma per semplice “contatto” di oggetti comuni (spilli, puntine da disegno, sale e pepe); ne scaturiscono immagini deformate, quasi degli strappi della pellicola, omologhi agli strappi del tessuto discorsivo che il film realizza, come un perfetto oggetto dadaista, con una costruzione al di fuori di ogni struttura formale e contenutistica. Di carattere più narrativo “L'étoile de mer”, basato su una composizione del poeta Robert Desnos: ha per protagonista una stella marina che egli teneva in un barattolo accanto al letto, ed è pervaso da un’atmosfera onirica, in cui si avverte l’influsso della poetica surrealista. “Emak bakia” coniuga la componente astratta e quella narrativa dei due film precedenti: definito dall’autore un cinepoema, indaga l’estetica del frammento e la percezione del movimento attraverso sequenze di forme di luce. Per l’accompagnamento dal vivo di queste proiezioni l’Ensemble Dissonanzen ha scelto Erik Satie, musicista coevo e amico di Man Ray, che lo considerava l’unico in grado di capire l’arte visiva, e quindi di produrre musica con una forte componente visuale; in particolare vengono privilegiate le pagine pianistiche, recuperando così il suono della sala di proiezione dell’epoca, che prevedeva, nella maggior parte dei casi, la presenza del solo pianoforte. Nell’elaborazione realizzata dai Dissonanzen l’originale pianistico viene destrutturato in quelli che sono i minimi termini della materia musicale (incisi, accordi, elementi ritmici), per poi estenderli agli altri strumenti e svilupparli come improvvisazioni; queste ultime sono concepite come reazione alle immagini per libera associazione di idee, secondo uno dei punti cardine dell’estetica dada e surrealista. Un’operazione senza dubbio originale e ardita, che ci restituisce la musica come un organismo vivente, in cui la perizia tecnica è linfa di emozioni. «A coloro che chiederanno la ragione di questa stravaganza - scrive Man Ray - si può semplicemente rispondere traducendo il titolo “Emak bakia”: un’antica espressione basca che significa “non mi seccate”». Viola De Vivo