Tv e digitale terrestre: problemi e prospettive

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Tv e digitale terrestre: problemi e prospettive
EVENTI&IDEE
Il digitale terrestre aumenta in modo considerevole il numero dei canali
utilizzabili, sfruttando molto meglio la banda disponibile. La tecnologia
tuttavia si intreccia con scelte politiche, culturali ed economiche.
Il mezzo non è neutro rispetto al messaggio: in particolare, in questo
caso, favorisce di volta in volta un oligopolio o il pluralismo,
la manipolazione o l’informazione, il consumatore o il cittadino.
Tv e digitale terrestre:
problemi e prospettive
di Anselmo Grotti
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on il 2012 si è completato in Italia il passaggio dal segnale analogico al digitale terrestre (Dtt, digital terrestrial television). Il passaggio al Dtt non è solo un fatto
“tecnico” o tantomeno “neutro”: ci permette anzi una
riflessione sui rapporti tra contenuti di informazione e
strumenti della loro diffusione. Il mondo della comunicazione interagisce fortemente con il mondo che abitiamo quotidianamente come cittadini, credenti, genitori, figli, consumatori, ecc. Spesso però rimane radicata la convinzione che ci sia una
distinzione tra contenuto e strumento della comunicazione, nonostante che già a metà del secolo scorso McLuhan scrivesse che
«il mezzo è il messaggio». Di fatto permangono frasi fatte circa la
“neutralità” del mezzo tecnico, per cui la sua bontà e la sua efficacia «dipendono dall’uso che se ne fa». Se poi a
una tale sprovveduta convinzione si unisce l’inAnselmo Grotti
genuità di credere che la tecnologia abbia una
ha insegnato presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università di Siena, dapprima Informatica sola linea di sviluppo abbiamo il mix giusto per
non capire nulla di quanto sta avvenendo sotto
applicata alla filosofia, poi Informatica
i nostri occhi. Le vicende della Dtt per contro
umanistica e Filosofia della comunicazione.
sono molto istruttive a riguardo.
Tra le sue pubblicazioni: Comun I care.
C
Prendersi cura nel tempo della rivoluzione
digitale, Editrice AVE, Roma 2011; Il filo di
Sofia. Etica, comunicazione e strategie
conoscitive nell’epoca di Internet, Bollati
Boringhieri, Torino 2000 (con D. Massaro).
Dalla «paleotelevisione» alla Dtt
Quale è stata la vicenda della tv in Italia? A volte si usa il termine «paleotelevisione» per indicare il periodo 1954/1980, dominato dalla Rai e
dialoghi n. 3 settembre 2012
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dalla sua impostazione «pedagogica». Quando nel 1980 Telemilano diviene rete nazionale con il nome di Canale 5 inizia l’era della
tv commerciale, un periodo che potremmo far terminare al 2010,
con il passaggio dalla tv «generalista» alla televisione «tematica» e
a una diversa modulazione dei media, a partire da Internet. Il trentennio 1980/2010 ha visto il fallimento in Italia del pluralismo televisivo. Il monopolio dello Stato venne giustificato a suo tempo
(Corte costituzionale, 1960) dalla scarsità delle frequenze disponibili, che quindi andavano trattate come bene pubblico e protette da possibili monopoli privati. Mentre però tecnologia e mercato si modificano rapidamente, non altrettanto avviene in campo
sociopolitico e neppure giuridico. Tale inadeguatezza è simboleggiata nella sproporzione tra l’intervento che legittima il monopolio statale nel 1960 (la Corte costituzionale) e quello che dà il via
alla prima tv commerciale italiana (il pretore di Biella... nel caso
della tv via cavo Telebiella). Poiché la tv via cavo non “consumava”
frequenze viene ammessa nel 1974 dalla Corte, la quale nel 1976
concede anche l’utilizzo di un limitato numero di frequenze in
ambito locale. Quando però i canali Fininvest cominciarono a
trasmettere un palinsesto comune alle tv locali aderenti al loro circuito si venne creando di fatto un sistema di reti commerciali nazionali che non era mai stato autorizzato da una legge. La magistratura ordinò lo spegnimento dei ripetitori ed il governo Craxi
emanò prontamente un decreto, poi trasformato in legge, per
riaccenderli. La politica aveva rinunciato a creare le condizioni per
uno sviluppo moderno e pluralista del sistema televisivo, limitandosi
a rendere legale quanto di fatto si era già costituito.
Neppure la legislazione successiva è stata efficace. La Legge
Mammì, del 1990, richiedeva a tutti gli operatori obiettività,
completezza e correttezza dell’informazione, apertura alla diversità politica, sociale, culturale e religiosa. La Legge Maccanico
(1997) limitava al 30% la quota massima del singolo operatore.
Ancora una volta però la politica impose alla legge di adeguarsi al
dato di fatto. Con la Legge Gasparri, 2004, viene istituito il Sic
(Sistema integrato delle comunicazioni), che mette assieme radio,
tv, cinema, stampa, editoria, Internet, pubblicità diretta. In questo modo un singolo operatore può arrivare quasi a 5 miliardi di
euro di ricavi in modo del tutto conforme alla legge. Molti giuristi, tra cui Sabino Cassese, espressero forti dubbi. Infine il Decreto Romani (2010) rafforza ancora Mediaset aumentando la possibilità di trasmettere pubblicità per le tv commerciali in chiaro
(proprio dove Mediaset ha una posizione di predominio) e la di-
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minuisce per le tv a pagamento (viene colpita così l’unica concorrente internazionale, Sky, che domina questo settore). La Dtt non
ha modificato questo sostanziale duopolio. I canali sono molto aumentati, ma Rai e Mediaset continuano a controllare più della
metà di quelli in chiaro. Se il passaggio alla Dtt è realtà ormai internazionale, è stato molto criticato il modo in cui in Italia si sono
assegnate le nuove frequenze. Non a caso nel 2006 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia
per violazione della normativa europea sulle comunicazioni elettroniche. La legge europea va letta «nel senso che essa osta ad una
normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore
titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in
mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri
obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati» (Corte
europea dei diritti dell’uomo, 7.6.2012). Si è detto che la Dtt aumenta in modo considerevole il numero dei canali utilizzabili,
sfruttando molto meglio la banda disponibile (che non è più un
bene «scarso» come ai tempi dell’analogico). La tecnologia tuttavia si intreccia con scelte politiche, culturali ed economiche. Il
mezzo non è neutro rispetto al messaggio: in particolare, in questo
caso, favorisce di volta in volta un oligopolio o il pluralismo, la
manipolazione o l’informazione, il consumatore o il cittadino.
Una mancata concorrenza
Per come è fatta orograficamente l’Italia, ad esempio, la Dtt favorisce Mediaset e non la Rai. Storicamente Mediaset eredita dalle
tv locali che ha fagocitato un sistema di ripetitori magari piccoli
ma molto diffusi: quelli più adatti a questo tipo di tecnologia. Alcune zone del Paese non saranno mai coperte dal segnale digitale
terrestre, per cui si è dovuto ricorrere a TivùSat (cioè il paradosso
di un digitale terrestre ricevuto via satellite...). Alle montagne poi
si aggiunge il mare: dall’Adriatico e dal Nordafrica arrivano problemi per la sovrapposizione dei segnali. Che succederà quando
nei canali prima utilizzati dalle tv si installeranno i telefoni cellulari? I tecnici reputano che nelle grandi città si oscurerà un televisore su quattro.
Le tecnologie hanno un costo. Occorre scegliere (politicamente e culturalmente) quali privilegiare. La Dtt è costata molto ai cittadini:
le maggiori spese dei network si sono tradotte in aumento del canone Rai (2008) e della pubblicità Mediaset; gli incentivi per l’acquisto dei decoder sono stati pagati con soldi pubblici (c’è stata
una procedura europea di infrazione in proposito). E non è finita
dialoghi n. 3 settembre 2012
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qui: dal 2015 ci aspetta il Dvb-T2, un digitale di seconda generazione. Prepariamoci a cambiare di nuovo tutti i decoder. Via via
che si diffonderanno le trasmissioni in alta definizione i canali andranno riaccorpati per “reggere” la maggiore pesantezza delle trasmissioni. Forse il digitale terrestre non è proprio così «avanzato»
come in molti ci hanno fatto credere. E se lo Stato si fosse piuttosto impegnato a usare almeno parte dei fondi per la Dtt per creare
un vero accesso generalizzato alla rete in banda larga avremmo
avuto effetti benefici molto più importanti e duraturi (anche per
la Dtt), come vedremo. Il numero dei canali è in effetti aumentato, ma non ha risolto i problemi. In media oggi ci sono duecento
canali per regione. Quelli nazionali sono 135 (93 in chiaro, 32 a
pagamento e 10 on demand). I canali locali sono 1.200, circa sessanta per regione. Nel 2011 il ministro Romani aveva stabilito di
regalare sei nuove frequenze (di cui una per i cellulari), di fatto a
Rai e Mediaset. Il governo Monti ha poi deciso di procedere a
un’asta pubblica in grado non solo di ricavare un introito per lo
Stato, ma anche di facilitare l’accesso di nuovi operatori separando le società che forniscono le infrastrutture da quelle che forniscono i contenuti. Non sappiamo come andrà a finire. Di questi
giorni sono poi le polemiche per la concessione, sostanzialmente
gratuita, di diciannove frequenze (di cui quattro ciascuno a Rai e
Mediaset, tre a Telecom) per i prossimi venti anni. In teoria le tv
locali sono quelle che maggiormente avrebbero potuto (e dovuto)
beneficiare della Dtt. L’estrema confusione con cui si è arrivati al
passaggio, assieme alla crisi generale degli ultimi anni, ha provocato invece un crollo degli investimenti pubblicitari. Assieme al costo per l’adeguamento degli impianti e allo sviluppo dei contenuti per i nuovi canali, il fenomeno ha portato a una crisi grave l’emittenza locale, in cui gioca una parte importante quella di area
«cattolica». La Legge di Stabilità ha ceduto alle compagnie telefoniche i canali dal 61 al 69 (quasi quattro miliardi di euro), canali
però tolti solo alle emittenti locali e non a quelle nazionali. Ma in
dieci regioni, passate da tempo al digitale, erano stati già concessi
a 145 emittenti locali – che dovranno restituirli entro il 2012.
Qualcuno le ha già “liberate” dietro compenso: per altri si arriverà
all’esproprio. In molte regioni quindi ci sarà un secondo passaggio
al digitale. Il Comitato Radio Tv Locali ha preparato una class action per richiedere un risarcimento miliardario allo Stato sulla
modalità del passaggio al digitale terrestre. «Ci hanno venduto all’asta alle società di telecomunicazioni delle frequenze da noi legittimamente occupate, lasciando molte tv locali senza un adeguato cana-
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le di trasmissione. Hanno inventato un assurdo sistema per la numerazione del telecomando digitale per favorire i soliti noti ed i loro
clienti, relegando quasi tutte le tv locali agli ultimi posti del telecomando, per mettere prima di loro programmi nazionali anche di sole
televendite e giochi d’azzardo». L’associazione Aeranti-Corallo (circa 300 tv e 600 radio locali) ha ribadito nel RadioTv Forum del
2012 lo stato di crisi del settore, legato anche alla grande incertezza sulle scelte politico-tecnologiche.
Tv generalista e tv tematica. Le emittenti comunitarie
Come sarà la terza fase della televisione? «La domanda di tv non è
mai stata così forte, eppure mai come in questo momento le emittenti
si sono trovate nella necessità di operare forti tagli» (Scaglione). Le
reti generaliste attualmente si attestano sul 70% di ascolti: il 30%
va alla tv tematica. Sta cambiando la modalità di fruizione del
mezzo televisivo. Nel nostro Paese è pochissimo esplorata l’interazione con la Rete. Qualcosa ha fatto la Rai, molto hanno fatto le
emittenti locali, specialmente quelle a carattere comunitario e
non commerciale. Molto particolare il caso di Tv2000 (ex
Sat2000), tv a diffusione nazionale, con discreta presenza in Rete,
percentuali di ascolto medio nelle 24 ore nel 2011 dello 0,10%,
cresciute nel 2012 allo 0,40%, e con punte del 5%. Che ruolo
possono avere le tv locali in un contesto dominato per tre quarti
dai soliti colossi Rai e Mediaset? Dovranno sfruttare fino in fondo
le loro potenzialità: legame con il territorio, qualità delle trasmissioni, connubio con la Rete. Diviene possibile ad esempio realizzare canali tematici formativi legati al territorio. Le emittenti comunitarie, per la loro stessa vocazione, possono stringere alleanze
con le realtà locali per costituire un palinsesto che dia voce alle iniziative locali, alla progettualità, alla creatività. Le caratteristiche di
ciascun sistema di diffusione televisivo non rivestono solamente un
aspetto tecnico, ma coinvolgono le modalità di fruizione del mezzo e
in ultima analisi i suoi stessi contenuti. Si possono ancora fare alcune scelte tecnologiche (e politiche) importanti. Impegnandosi
nella realizzazione di una rete davvero veloce e a banda larga si può
creare un volano importante per l’economia, la tecnologia, i servizi, la formazione. Anche da qui passa il futuro della televisione.
Internet e televisione
Il paradosso italiano è che Internet veloce non è avvertito come
un bisogno né dai consumatori né dalle imprese. Ci manca la
consapevolezza di ciò che ci manca, in un circolo vizioso che mette
dialoghi n. 3 settembre 2012
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insieme difficoltà tecniche di accesso e ignoranza dei vantaggi. La
tv analogica ha unificato il Paese e insegnato l’italiano agli italiani, ma ha stroncato i possibili effetti di acculturazione della scuola media unica. La tv digitale terrestre che apre solo una fessura
eterodiretta ad usum Delphini su ristrette porzioni di web contribuirà a mortificare l’uso libero e profondo della Rete? Ancora
una volta rischiamo un errore di natura politico-culturale: far avvicinare le persone alle tecnologie digitali tentando di far assomigliare
un po’ la tv al computer. Sarebbe molto meglio il contrario: inserire
la tv nella gamma di possibilità del computer, molto più in grado
di far crescere l’autonomia delle persone. Inserire una Internet
depotenziata nella tv lascia le persone in una sorta di “dipendenza” senza che sia possibile far crescere una capacità di scelta e di
controllo sull’offerta dei contenuti. Il ritardo culturale può tradursi in pesanti conseguenze economiche, sociali ed anche educative. La Dtt potrebbe essere una breve tappa intermedia verso
qualcosa di molto diverso. Fa riflettere che quattro giganti del web
stiano pensando di entrare nel settore televisivo: Facebook, Google, Amazon e Apple. Ovviamente modificandolo radicalmente,
inserendo ciascuna il proprio Dna. «La televisione è non solo una
tecnologia o un semplice apparecchio – come un tostapane – che ha
trovato posto nelle nostre case per più di 50 anni. In realtà, funziona
sia come una tecnologia sia come uno strumento di cultural storytelling» (Amanda D. Lotz). Come cittadini, come credenti, come
formatori non possiamo non essere coinvolti da questi passaggi.
Non sempre nel passato si è stati adeguatamente consapevoli. «Il
mezzo è il messaggio» dunque: ma come variante del detto di
Gandhi: «Il mezzo è il fine in costruzione».
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