14 Racconti brevi scritti dai lettori

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14 Racconti brevi scritti dai lettori
INSERTO DA STACCARE E CONSERVARE
14 Racconti brevi scritti dai lettori
editing Nuccia Nunzella - disegni Andrea Bassoli
Se una sera
d’inverno
...
Una stufa racconta
CasaFacile per Piazzetta
(una stufa racconta)
(una stufa racconta)
se una sera d’inverno...
Il lieto fine
Concorso CasaFacile – Piazzetta,
una bellissima storia fatta di centinaia di vostre storie. Protagonisti: una stufa, una rivista
e la vostra eccezionale partecipazione. Giudizio della critica: da leggere assolutamente!
Fuoco e ’900
La vecchia casa non è più la
stessa, sembra rinata. Non vedo
più le pietre, intonacate di bianco,
e la cucina di mattoni, con il
forno dallo sportello nero dove
bruciavamo la legna dei castagni.
la passione
è accesa!
Stufa a pellet P937 con
rivestimento in maiolica.
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Sarà stato l’appeal di una stufa Piazzetta, sarà stato
l’amore -ricambiato- per CasaFacile, mai un concorso ‘letterario’ aveva visto partecipanti così entusiasti. Più di 600 lettori-autori, da ogni parte d’Italia e di ogni categoria professionale, status ed età!
Femmine e maschi, casalinghe ‘disperate’ o felici,
architetti col pallino della scrittura, disoccupati fiduciosi, pensionati nostalgici, commercialisti alle
prese non con numeri ma con parole, giovani, meno
giovani e perfino giovanissimi; nativi digitali, apprendisti digitali e addirittura qualche ‘amanuense’
per storia personale o affezione alla stilografica...
Uno a uno vi abbiamo visti, leggendovi, mentre ripercorrevate, forse al calduccio della vostra stufa, i
ricordi più significativi della felicità domestica vissuta, presente, o solo immaginata. Qualche volta,
persa. Ci siamo commossi. E quando è venuto il
momento di scegliere il vincitore, ci siamo subito
detti che questa nostra comune ‘avventura’ avrebbe meritato un seguito. Eccolo, adesso, in queste
pagine. Con il rimpianto di dover essere ancora una
volta parziali... E insieme la certezza che mai come
in questo caso è la partecipazione la vera vincitrice.
Un caldissimo grazie a tutti.
Il direttore Giusi
Stufa a pellet P958 C con
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di ventilazione.
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in maiolica in 30
varianti colore.
Il terremoto sì, lo ricordo bene.
La mia canna fumaria tremava,
poi muri e soffitti si aprivano,
le maioliche del pavimento
danzavano in aria. Il mio angolo
di mondo si sgretolava in un
interminabile secondo: come
quello di tante persone. Ne ho
viste passare, cose e persone!
Cominciava il secolo del
progresso, e io sono arrivata qui
con la mia ghisa lucidata di nero,
le molle d’acciaio, il tubo lucente
a specchio.
Una catasta
di legno dopo
l’altra, ho
visto mantelli
diventare
cappotti,
gonne e capelli
accorciarsi,
bimbi
diventare adulti ed altri crescere,
con giochi diversi, ma gli stessi
occhi sognanti a Natale, e le stesse
finestre nei denti. Ho visto uomini
partire, a volte non tornare, e
donne aspettare e piangere; poi
solo piangere. E d’improvviso
ho visto tutti correre, e sono
cambiate le voci del mondo.
Venivano dentro suoni diversi, non
più di ruote e cavalli, ma scoppi
e rombi; e gli uomini parlavano
più forte, ma senza ascoltarsi.
Sono diventata inutile anch’io, per
scaldare non si usava più la legna,
e la vecchia cucina è rimasta
sola, i fornelli spenti. Potevamo
consolarci fra noi, ma una stufa
e una cucina non sanno le parole
per dirsi di un mondo che cambia.
Chissà se gli uomini conoscono
quelle parole: le persone intorno
a me parevano stupite di vedere
le cose senza sosta, e non
capire. Mi hanno lasciata in un
angolo di questa casa vuota, che
nessuno abitava. E poi fra le
mura rovinate, da cui entravano
pioggia e uccelli a cercar posto
per i nidi. E in un grande garage,
insieme a vecchi mobili salvati
dal disastro: la cassapanca di
ciliegio, dove le donne di famiglia
riponevano stoffe accarezzate
come tesori, ricamate in notti
insonni; lo scrittoio dove un
uomo giovane scriveva lettere
d’amore, e diventato adulto, e
vecchio, penava sui conti della
casa. Ed ora eccomi tornata qui,
senza polvere e ruggine, dipinta
di rosso e con una canna tutta
nera; nel mio sportellino gioca di
nuovo il fuoco, ed è cominciato
un altro secolo. Ma la legna che
brucia, non mi sbaglio, è quella
degli stessi castagni. Verranno
allora gli stessi bambini, a Natale,
con vestiti diversi, ma con le
stesse finestre fra i denti. E forse
di nuovo le persone andranno
più lente, parleranno più piano,
ma sapranno ascoltarsi, forse
anche meglio di prima.
Vincitrice
Marilia Ansalone
Insegnante
(una stufa racconta)
se una sera d’inverno...
UNA GIORNATA
PARTICOLARE
Oggi è l’8 dicembre 2012. Per
tradizione tutte le famiglie
preparano l’albero di Natale. Così
fa anche la mia. Stamattina, alle
6.00, ho visto uscire il papà, che
stava andando a lavorare con la
solita faccia mezza assonnata e
mezza imbronciata. Ultimamente
si lamenta sempre di più, perché
è stanco di lavorare. Spesso si
innervosisce di più la sera, mentre
cena con tutta la famiglia. Dieci
minuti dopo la fine di tutto il suo
discorso, ascoltando il tg5 si sente
Cristina Parodi ripetere ancora una
volta quanto stiano aumentando
i giovani disoccupati e quanto
sia sempre più difficile trovare un
posto di lavoro fisso. A questo
mondo, non capisco più di cosa ci
si possa lamentare e di cosa no.
Comunque, stavo dicendo che alle
6.00 il papà è andato a lavorare.
Di conseguenza, è toccato alla
mamma e al figlio il compito di
preparare l’albero di Natale. Il
figlio si è alzato tardi dal letto, e
dopo aver fatto colazione, si è
subito dato da fare aprendo tutti i
rami dell’albero e sistemando luci,
festoni e addobbi. Il problema è
sorto quando gli è venuta l’idea,
in se stessa anche buona, di
sistemare dei pezzi di cotone qua
e là in salotto per ottenere “l’effetto
neve” che avrebbe reso più calda
l’atmosfera. Mi sono allarmata
quando l’ho visto avvicinarsi a me,
e ho capito che voleva mettermene
un po’ sopra. Così ho prodotto una
fiammata più grande delle altre
in segno di difesa, ed è sembrato
aver recepito il messaggio, dato
che si è subito girato dicendo
“mamma anche sulla stufa no,
è esagerato”. Sono riusciti a
concludere il lavoro la mattina.
Dopo pranzo, alle 15.00, è andata
a lavorare la mamma, e il figlio è
rimasto solo fino all’arrivo del papà
alle 17.00, dato che non è riuscito
a tornare in anticipo. È passata
circa mezz’ora dal suo ritorno, e
adesso si sta riposando sul divano,
finché il figlio è impegnato davanti
alla tv; sta usando un aggeggio
che lui chiama playstation, ma
non ho bene in mente cosa sia.
Adesso che vi ho descritto la
famiglia, vi parlo un po’ di me:
sono una stufa, una stufa a pellet,
che vive in questa calorosa casa
di Gaggio da ormai tre anni e
mezzo, e devo ammettere che
durante tutto questo tempo non
ho avuto modo di annoiarmi
nemmeno un secondo. Non sono
una famiglia numerosa, sono in
tre, ma sono tre elementi che da
soli valgono per nove e tengono
questo appartamento sempre
vivo. Adesso vi lascio perché, a
proposito di Natale, è appena nato
un discorso molto interessante
riguardante i regali che arriveranno
quest’anno, e non ci tengo a
perderlo. Vi terrò informati.
Daniele Bottacin
Studente
A DOMANDA
RISPONDE
ADR (a domanda risponde):
Commissario, io c’ero, ho visto. Tutto
è cominciato in agosto. Tonio riempì
un secchio e aspettò che qualcuno
tornasse. Capitò Mario. Appena in
casa si trovò inondato da venti litri
d’acqua. Rimase lì, senza capire,
ma il fuggi-fuggi dei partecipanti
allo scherzo lo riportò alla realtà.
Lei scuote la testa, scherzo cretino!
Certo, ma deve capire Commissario,
sono studenti, giovani. Torniamo
a noi. Mario, impassibile, tuonò
vendetta: chiunque, padre, madre,
amante, fosse entrato un casa si
sarebbe beccato una secchiata. Però
bisogna spiegare, davanti alla casa
sta il muro di cinta del carcere.
In strada si trova una modesta
porticina. E lei sa, quella porticina è
l’ingresso al parlatorio per le visite.
Naturalmente, davanti, vi staziona
una guardia armata. Eccoci all’oggi.
Il disgraziato giochetto è sempre in
vigore. Dicembre inoltrato, io sono
una stufa coscienziosa e quindi
in piena attività. Siccome ancora
non era uscita la giusta vendetta
nei confronti di Tonio, Mario decise
che era giunta l’ora. Insomma,
secchio in mano, prese la rincorsa
e lanciò. Sta di fatto che Tonio
riuscì a scansare. L’acqua varcò il
perimetro della terrazza. Chiuda gli
occhi Commissario – fotogrammi
al rallentatore – Mario, Tonio e
gli altri trattengono il respiro,
bloccano ogni gesto, addirittura
io stessa sospendo il calore mentre
la massa d’acqua percorre, in un
tempo indefinito, i quattro piani per
piombare esattamente in testa alla
guardia. Di colpo il tempo accelera.
La guardia sfila il mitra, lo punta
in alto, in basso, davanti, dietro,
e, chissà come, preme il grilletto.
Una raffica, una raffica sola,
commissario, e le pallottole sibilano
come nei film. Parenti, amici,
passanti, si gettano a terra. In casa
fuggono, si nascondono, anch’io
sospendo la fiamma. Ecco, questo
è tutto. Insomma Commissario,
quei 20 litri d’acqua non erano
un attentato, né si voleva favorire
una fuga, e non c’era neppure
l’intenzione di irridere le forze
dell’ordine. Come? Vuole sapere
chi abita la casa? Allora vediamo:
Daniela da Savona, commessa;
Mario da Prato, regista; Cristina
Storia Vera
Questa che vi racconto
è una storia vera.
Il primo si chiamava
Michele, era figlio di Michelangelo
Capurro, un commerciante genovese
che lasciò la sua terra perché
innamorato di una filatrice bolognese:
in dote portava un ramo d’ulivo e
me, una stufa di cotto toscano.
Michele conobbe Amelia,
sarta ricamatrice.
Insieme videro accendere i lampioni
ad olio delle strade con lunghi bastoni,
ascoltarono il rumore delle carrozze
trainate dai cavalli sui ciottoli delle
strade, pedalarono sulle biciclette a
tre ruote, ascoltarono incantati la voce
provenire dalla radio, videro il primo
aereo volare, accesero con un bottone
la prima lampadina elettrica e dissero
“oh!”, guidarono una Balilla, buttarono
via la ghiacciaia per un frigorifero,
comprarono la prima tv ed ebbero
un’unica figlia, Anna. Le diedero in
dote una stufa e un ramo d’ulivo.
Anna, ventenne, sposò Luigi a
Milano; incuranti della guerra
speravano in un futuro migliore.
Luigi portava il dote un tralcio di vite
dell’Oltrepò Pavese ed una zucca
mantovana di sua madre Lodovica.
Ebbero undici figli.
da Buenos Aires, turista; Marcello
da Bari, attore; Paola da Prato,
operaia; Renato da Roma, ladro…
ladro, sì ladro, ora le spiego…
Mario Rellini
Pensionato
La guerrò finì e il mondo tornò a
vivere; la tecnologia e il benessere
avanzarono. Michele aiutò Anna e
Luigi a costruire una grande casa
in mezzo a campi di granturco e
boschi di robinia, fuori Milano.
Io, la vecchia stufa di cotto toscano,
venni posta in un grande magazzino:
la serra della nonna Amelia utilizzata
anche come veranda per giocare.
Il
nonno Michele mi accendeva al
pomeriggio perché i suoi undici
nipoti, finiti i compiti, potessero
giocare al caldo; da bravo genovese
risparmiava sul riscaldamento e non
solo su quello: andava al mercato,
raccoglieva cassette di legno per
accendermi in fretta ed al primo colpo.
Assieme alla nonna Amelia potavano
le piante da frutto e facevano
fascine coi rami, per me.
Il tempo passava, i giochi dei bambini
finirono e si spense il fuoco.
La storia a volte è come una ruota ed
io tornai in Liguria da dove ero venuta.
Anna e Luigi ereditarono la terra
di Michelangelo, misero a posto la
vecchia casa, il frutteto, la vigna,
l’uliveto e mi portarono con loro.
A volte ventidue nipoti si radunano in
questa sala e la loro energia riscalda
l’atmosfera di questa casa e il mio
calore riscalda loro e gli ricorda da
quali e quante terre proveniamo.
Oggi penso di essere il simbolo di
questa famiglia; testimone delle
migrazioni, delle fatiche, delle
gioie, dei dolori e delle speranze
di queste generazioni.
Mi sento il perno di una ruota
attorno a cui gira la vita di questa
grande e forte umanità in piccolo.
Chiara Bonizzoni
Infermiera
(una stufa racconta)
se una sera d’inverno...
Burn after
reading
Il vecchio granaio riapre i
battenti: fervono i preparativi,
respiro adrenalina dal
punto focale del mio spazio,
torreggiante pezzo della
scacchiera sociale di queste
quattro case tra i monti.
Intorno a me si sono strette
madri e zie, sentinelle di
balli d’altri tempi. Irraggiavo
beatitudine nei circoli
matronali favorendo cali di
sorveglianza con strategici
torpori. Lo ammetto, anche
il grammofono aveva la sua
personalità, ma era intorno a
me che si stabiliva la riuscita
di un evento. La sala è quasi
una galleria, contro le pareti
una teoria di sedie riciclate
ed un asse portavivande.
Sussiegosi giovanotti si
inchinavano davanti alla
prescelta e lei, prima di
accettare l’invito, cercava il
muto assenso dello sguardo
parentale. Era l’anticamera
degli amori ed io il suo
cuore pulsante. Sì, io
nella mia fiammante
giovinezza, di terra
rossa e linee sobrie
(detta poi ergonomia),
io, per cui il comitato
organizzatore aveva
fatto incursione nel
bosco demaniale in
cerca di legna stagionata
perché sono di palato
esigente, me ne sto qui a
proiettare ombre: quanto
tempo, quanta cenere! Tra
le volute la vedo: è sottile e
graziosa come un puledro
incerto sulle zampe, di
commovente, buffa bellezza
tra le amiche che ridono
di tutti, liete di bere alla
coppa della vita. Viene da
me a strofinarsi, ma è il volo
nuziale dell’ape ebbra e
subito si stacca con una scia
di violetta che ben si sposa al
mio profumo di pino silvestre.
Lui lascia la pila dei dischi e si
aggira vago tra i bambini che
infestano la pista. Ignorando
il protocollo la cinge e
scivolano via che li si è già
visti in uno Chagall. Complice,
mi metto a far fumo, creo
scompiglio ed eccoli già
sotto le stelle invernali,
emanando calore umano
che le più svariate miscele
arboree non sanno rendere, a
pronunciare formule eterne
tra i baci. Rientrano arrossati,
splendenti di polvere siderale
tra lo sdegno intorno a me,
sorniona… La memoria sfuma
in dissolvenza da cinema
muto quell’ultimo ballo
con cui si chiuse anche la
lunga stagione delle feste al
Circolo Rurale: il paese stava
riversandosi in periferia…
Ora mi caricano di pigne e
trucioli assieme a pagine
dai margini rossi fitte di
una calligrafia insicura:
è il diario della ragazza
perduta, l’epilogo della storia
interrotta consegnato a me,
vestale del fuoco sotto la
cenere! Nego la mia vocazione
alla combustione e contro la
mia stessa natura soffoco
i bollenti spiriti e mi spengo!
Burn after reading, please!
Gabriella Ersilia Pace
Ceramista
cartacce, rimasugli di cibo,
legna umida che mi fa tossire e
sbuffare come una locomotiva.
Quel diavoletto di Giovanni la
scorsa domenica, due petardi
m’ha messo dentro!
Mi son proprio saltati
i cerchi! Poi c’è
Minù, la gatta, mi
si acquatta vicino
e inizia il ron ron
fastidiosissimo.
E che pellet!
Direbbe mio nonno
che non sopportava
la modernità.
Fiamma e
mandarino
Ho caldo! Strano per una
come me, sarà l’età. D’altra
parte son venticinque anni
che mi usano. Senza ritegno
alcuno. Qui in campagna
mica vanno per il sottile. Mio
dovere mantenere l’ambiente
accogliente e climaticamente
inappuntabile. Sono stanca,
anzi, veramente stufa!
Tutti i giorni, con la sola
eccezione di brevi periodi
estivi, mi riempion la pancia
di ogni sorta di combustibile:
Ecco, pure Maria, ore ed ore
a cuocer sulle mie spalle
casseruole di pesanti arrosti
e condimenti, minestroni
puzzolenti e salse ricche
d’aglio che io non sopporto.
Lo so, sono irritabile oltre
modo e scorbutica. Anche le
stufe hanno i loro periodi no!
Per fortuna c’è Matilde. Mi
profuma con le bucce di
mandarino che sanno di Natali
antichi. E lì mi commuovo.
Ravvivo la fiamma e mi
riempio di quell’aroma. Poi mi
addormento nel silenzio della
cucina nelle notti d’inverno. La
neve scende copiosa. Aspetto lo
“zolfanello del mattino dopo”.
Sergio Donfrancesco
Medico
IL CUORE
DELLA CASA
Se una sera d’inverno
Mi lasciassero parlare
Sapessi quante cose
Avrei da raccontare!
Matilda è il mio nome
E nessuno lo sa
Sono una buona stufa
Di tanti anni fa.
Diffondo nell’ambiente
Un magico calore
E ho uno scomparto
Adatto a cucinare.
Riunisco attorno a me
Tutta la famiglia
Di cui conosco nonna
Madre ed anche figlia.
Ed è per tutto questo
Che sono orgogliosa
Perché mi sento come
Il cuore della casa.
I nonni raccontavan
Qui favole e leggende
Ai piccoli impauriti
Nascosti tra le tende.
Tra sogni di castelli
E principi fatati
Io intanto cucinavo
Dei piatti prelibati.
I bimbi son cresciuti
Portando qui i morosi
Li ho visti prima prendersi
Lasciarsi e infine sposi,
i nonni invecchiare
i figli: genitori
ma sempre a tutti loro
io scaldo ancora i cuori.
Con le manine aperte
E piene di stupore
Stan piccoli a distanza
Con il giusto timore.
Le loro vocine allegre
E le domande attente
S’intonano d’incanto
Al fuoco scoppiettante.
Ho assistito a fatti
Spiacevoli e felici
Han chiaccherato qui
Parenti, amori, amici.
Vicino e attorno a me
In un clima accogliente
Ho imparato storie
Conosciuto gente.
Lo so che tutto ciò
Può apparire strano
Ma proprio qui di fianco
C’è un comodo divano.
Si chiama Serafino
È un tipo un poco schivo
Ma apprezzo il
Suo carattere
Non troppo espansivo.
Però ultimamente
Mi batte forte il cuore:
Arriva un’altra stufa
Magari anche migliore
Che attraverso tubi
E canalizzazioni
Potrà scaldare l’acqua
Fin nei termosifoni!
Ho chiesto a Serafino
“Che cosa posso fare?”
Mi ha detto rilassato
“Non ti preoccupare!
Di là c’è un camino
Che ha maggior potenza
Da qui lo vedo bene:
Ma è in un’altra stanza…
Perciò secondo me
Continua a riscaldare
Di questa casa tu
Rimani sempre il cuore!”.
Daniela
Polo Grillo
Commessa
(una stufa racconta)
se una sera d’inverno...
Gelide
Ah, come al solito, non
sta mai ferma, mai! Si
è schiantata un’altra
volta contro quel vaso.
È veramente incorreggibile
quella fatina. È arrivato di
nuovo l’inverno e le fatine
del gelo sono tornate a farci
compagnia. Per fortuna
arrivano loro, altrimenti
Susanna, la dolce vecchietta
che servo ormai da quindici
anni, rimarrebbe sola. Ha un
figlio, veniva a farle visita
una volta ogni settimana,
ma ora si è trasferito a
Pechino e se non ci fossero
le Gelide lei rimarrebbe
sola, sempre. Lei è molto
premurosa con loro, prepara
sempre moltissimi biscotti
dalle mille forme e sapori.
Per loro, che sono alte non
più di tre centimetri, sono
giganteschi, ma li divorano
alla stessa velocità con
cui girano attorno alla
testa di Gobli, il gatto,
stuzzicandolo finché
non comincia a graffiare
l’aria nel tentativo di
acchiapparle. Si confondono
con le luci del piccolo albero
di Natale. Alcune sono così
abili da riuscire a imitare
l’alternarsi delle lucine. Le
più piccole ascoltano con
attenzione e con sguardi
increduli e curiosi le storie
che racconta loro la paziente
Susanna. Solo quando
nevica hanno il coraggio di
avventurarsi in giardino.
I loro minuti corpicini
volteggiano nell’aria
come fiocchi di neve che
si rifiutano di toccare
terra, grazie alle loro ali si
confondono benissimo. A
loro piacciono moltissimo
i bambini e alle volte si
avvicinano così tanto che
il loro respiro fa far loro
le capriole in aria. Quando
giunge Natale aiutano la
signora Susanna a scartare
i pacchi regalo, sono così
minute che fanno una fatica
immane, ma quando vedono
il sorriso della signora
Susanna di fronte a quello
speditole dal figlio, vengono
ricompensate di ogni fatica.
Si ricaricano di forza vitale
e sono pronte a scartare
un altro pacco. Insomma,
queste fatine saranno anche
gelide e piccole, ma con un
loro abbraccio sarebbero
capaci di sciogliere anche
il più duro dei cuori, anche
il più grande dei pupazzi
di neve. Sono una di
quelle piccole cose, quasi
invisibili, che rendono la
vita di alcune persone,
quasi invisibili, visibilmente
migliore. Io nel frattempo
continuo a lavorare
e... tutti, col mio fuoco
scoppiettante, a riscaldare.
Marika Vener
Studentessa
COHOUSING
Sono una delle prime cose entrate qui.
“Dà calore”, “sa di famiglia”, “senza non
mi sembra neanche di stare in casa”, sono i
commenti più sentiti negli ultimi giorni. Mi
fanno piacere, eccome se mi fanno piacere!
Così come sono contenta di essere il fulcro
di questo strano esperimento…
Beh si, tre coppie di vecchietti che decidono di convivere per condividere fatiche,
acciacchi, affitto e ricordi non possono che
essere definiti un esperimento! Coraggioso
e anche originale, a suo modo. Siamo in
una nuova casa, organizzata per loro: io
non potevo certo mancare!
D’altra parte ho sempre fatto parte della
loro vita, da bambini avevano certe case!
Grandi, fredde, da contadini. Fredde fino a
quando non veniva acceso il mio fuoco, che
scaldava pure l’anima. Altro che riscaldamento moderno! Nulla più del fuoco vivo,
della fiamma ipnotica, di quell’ancestrale
timore e fascino riesce a catturare chiunque
venga a sedersi un po’ vicino a me.
Quante risate sentirò! E le canzoni, il dialetto, le ricette, i nipoti, la guerra, la miseria, la paura e la stanchezza… insomma
la vita!
Avrò il piacevole compito di accogliere le
loro confidenze, scaldare vecchi cuori e
corpi, riunirli davanti a me per sentirli leggere, raccontare e forse litigare…
Io li scalderò col fuoco, ma loro, son sicura,
scalderanno me con la loro vicinanza.
E a me, stufa moderna eppure antichissima, spetta anche questa volta il compito
di far sentire un po’ meno freddo a questi
“matti” che hanno scelto di vivere assieme.
Barbara Bochicchio
Educatrice
Il “calore”
dei ricordi
Sono una stufa piuttosto vecchia,
e nel tempo la casa e la famiglia
dove vivo sono cambiate attorno
a me, ma io sono sempre in bella
mostra al centro del salotto.
La nonna è stata la migliore
compagna delle mie lunghe
giornate, sedeva sul divanetto
lavorando a maglia e cantando
con quel sorriso semplice che
negli anni le aveva lasciato due
righe leggere sul viso. La piccola
Chiara la guardava ammirata
mentre aggiungeva la legna, e
lei mi diceva: «Mi piace tanto
stare davanti alla stufa accesa.
Il fuoco è una buona compagnia.
Non mi fa mai sentire sola». E
sul suo viso si disegnava ancora
un volta quel sorriso dolce
e genuino mentre la piccola
guardava divertita le fiamme
giocare e rincorrersi sulla legna.
È strano come il mio continuo
esistere sia diverso da quello delle
persone. A volte mi chiedo come si
sentono gli uomini, così soggetti
al tempo. Chiara è grande ora,
una bella ragazza che gira per
casa sempre di corsa, ma non si
è mai dimenticata di me. A volte
mi accorgo che mi guarda con lo
stesso sguardo divertito di tanti
anni fa. Capita ancora che mi
accarezzi il coperchio, con le sue
mani fredde, così io le regalo un
po’ del mio calore. Da quando
la nonna non c’è più, le mie
giornate sono più solitarie, ma ho
imparato a controllare l’orologio
sulla parete vicina e so che verso
LORO
le sei tutti i miei cari tornano,
felici di vedermi mi accendono,
e parlano delle loro giornate. A
volte ridono e vorrei tanto poterlo
fare con loro! Penso che sia la cosa
più bella dell’essere uomini! Ieri
sera Billy stava facendo le feste al
papà e con la sua coda potente ha
fatto cadere un soprammobile. C’è
stato un momento di silenzio in
cui persino Billy si è ammutolito.
Ho pensato che quella povera
donna di porcellana mi faceva
compagnia da una ventina
d’anni. Poi il silenzio si è rotto
quando la mamma è scoppiata
a ridere guardandone i resti: «Era
ora, non la sopportavo davvero
più!» . Anche io avrei voluto ridere
perché mi sono ricordata che
quando l’avevano regalata alla
nonna… aveva detto alla piccola
Chiara: «Beh, prima o poi pulendo
si romperà no? È bruttissima!»
e tutte e due avevano
sorriso. Forse anche
Chiara se ne è ricordata
perché, mentre
raccoglieva i cocci, le
ho visto scendere una
lacrima. Ho tentato di
soffiare il calore sul
suo viso per asciugarla.
Del resto il calore dei
ricordi è quello che
permette di continuare
a ridere nella vita…
anche per noi stufe!
Tabita Valsecchi
Pittrice-illustratrice
Ci sono quelle volte in cui mi
impediscono la visuale con
il loro continuo passaggio o
perché si sdraiano davanti a me
(e a volte addirittura sopra di
me!). Ma come si permettono,
dico io? Lei dice che “fanno
casa e sono di compagnia”. Lo
diceva anche di me un tempo,
poi sono arrivati loro. Quelle
piccole pesti, parassiti che non
sono altro! Mi usano solo per
scaldarsi e non danno niente in
cambio. Lei a volte mi passa a
fianco, mi cura e mi pulisce con
delicatezza. Mentre loro sono
coccolati e accuditi tutti i giorni.
Io vedo tutto e da qui, sono in
una posizione strategica che
domina il salone, e so tutto
di tutti. Lui lavora tanto ed
è spesso fuori casa, ma adora
piazzare i suoi piedoni davanti
a me al suo rientro, godendo
del mio tepore, quando fuori
è grigio, freddo e piove.
Lei lavora tutto il giorno, ma
quando torna la sera ama
sedersi vicino a me facendo la
maglia. Ma eccoli che arrivano,
loro ci sono sempre, tutto il
giorno a ronzarmi intorno.
A volte faccio brutti pensieri
e desidero che arrivi presto
la stagione calda, così mi si
tolgono dai piedi per qualche
mese. Quei due piccoli parassiti
sociali. Bestiole pelose che
loro chiamano… “i gatti”.
Caterina Maroni
Impiegata
(una stufa racconta)
se una sera d’inverno...
AMORE
MA LA NOTTE...
Che bello oggi quando
Bea è tornata
da scuola! Si è messa a mangiare
gli spaghetti che le avevo tenuto
in caldo, mentre teneva i piedi
infreddoliti appoggiati a me.
Ma io aspetto la notte!!..
Che profumino quelle mele,
oramai sono cotte, le ho
cucinate piano piano, così
tutti mi son venuti vicino per
vedere a che punto erano.
Ma la notte, la notte!!..
E dopo cena tutti lì attorno a me.
Come mi sento importante!
Mi emoziono e divento
davvero rossa.
Ma è lui che aspetto!!
Mi butta uno sguardo d’intesa:
“Tranquilla, tra poco arrivo;
guardali, li hai già fatti
sonnecchiare. Ci vanno,
ci vanno a letto”
E finalmente si!
A gambe incrociate, seduto
davanti a me, sì, ci guardiamo
negli occhi. Io mi sto spegnendo,
ma a lui piaccio così. Com’è
tenero, così assorto, mi guarda,
mi fissa. Le mie ultime lingue
di fuoco gli fanno balenare gli
occhi per seguirle. Lui sta lì
fermo, immobile, il cuore gli
dorme già. Una crosticina di
cenere copre l’ultimo ciocco.
Poi: “CIOK”. Il ciocco si spezza,
lasciando vedere tutto il fuoco
che c’è ancora in me e alcune
faville volano in alto, come un
piccolo fuoco artificiale. Lui
sobbalza, mi manda un ultimo
sguardo languido, poi socchiude
gli occhi scodinzolando.
Io sono felice!
Vittoria Cattani
Pensionata
Lui. Lei. Sono entrati come
moderni principi, desiderosi di
sfilare gli abiti ingombranti. Li
ho visti amarsi. Più e più volte.
Cenare sul tappeto. Consumare
un solo lato del divano per stare
abbracciati. Darsi malati per
stare soli. Ridere per un mestolo
sbagliato. Piangere per una foto
incomprensibile. E poi lei ha
portato a casa un randagio. Lui
seccato ma per niente sorpreso.
Due occhioni scuri dentro una
palla di pelo bianca e nera. Lo
amano. Lei dice che il destino
è l’unico che azzecca i regali.
E ho visto lui amare lei. Anche
se stanca. Anche se nervosa.
Anche se grassa. E poi ho visto
lei stare male. E lui guardare
continuamente l’orologio. E
massaggiarle la schiena. E farla
sedere e poi camminare e poi
farla risedere. E lei piangeva. Lui
sapeva cosa fare: cronometrare,
respirare, consolare. Poi ha fatto
una telefonata. Poche parole. L’ha
guardata come volesse fotografare
l’istante –“ora dobbiamo andare,
ci aspettano”-. E se l’è
portata via. È tornato
da solo. Stanco. Non
l’ho vista per giorni.
Lui usciva, tornava,
sistemava la casa.
Poi un mercoledì
eccoli varcare di
nuovo la sogli insieme.
Belli. Felici. E con il loro
cuore avvolto in una copertina
azzurra: era arrivato Tommaso.
Federica Sartori
Disoccupata
COME
UN’AVVENTURA
Un lieve tremito fa oscillare i
nostri corpi avvolti nell’oscurità,
in questa atmosfera all’apparenza
calma, ma ricca di attese e
trepidazione. Gli spazi iniziano
a scarseggiare, con gli ultimi
che si sono uniti dovremmo
essere al completo; siamo qui,
nel buio del silenzio cerchiamo
di scrutarci e conoscerci e nel
frattempo tendiamo l’orecchio.
Da fuori arrivano lievi suoni di
preparativi, passi soffusi, qualche
oggetto è stato spostato, forse.
Di nuovo ci giungono distinti
calpestii più pesanti e decisi; poi
l’incontro tra le nocche e la porta
in metallo, materiali differenti
si scontrano e scivolano, attriti
sonori e soffici contatti, e un
sussulto, come di scintilla.
Sembra che il nostro gruppo
stia iniziando a muoversi, pian
piano, nella stessa direzione.
Si iniziano a percepire voci al di
là, sembrano maschili, ma anche
femminili, di persone adulte
e di ragazzi. Se ne uniscono
altre timide e soffuse poi si
moltiplicano, si sovrappongono
e sembrano essere tutte intorno
a noi. Si intuiscono saluti, risate,
baci, gioiose conversazioni…
Noi intanto stiamo proseguendo
la marcia, costante e regolare,
iniziando ad appassionarci a
questo camminare insieme verso
una meta. È ancora molto buio
attorno e la fantasia vola per dar
forma e colore a quei suoni.
Ora il percorso è più stretto,
non sono più in mezzo al
gruppo, ma procedo in ordinata
fila indiana. Sto sudando per
il caldo e l’emozione, sento
che mi sto avvicinando alla
meta, so che tra poco avrò la
possibilità di capire, sapere,
conoscere… Ecco, ci siamo!
La luce è davvero intensa e per un
attimo mi sembra che l’ultima
cosa ad essere mutata sia il
sottofondo di quelle voci, da nero
a bianco. Poi all’improvviso i
colori e le forme emergono
dall’altra parte del vetro. La scena
è bellissima. Ci sono luci, suoni,
calore umano, tutti insieme;
differenze e condivisioni si fondono
in una varietà di vita incredibile
al di là di questo schermo; la
possibilità di essere qui a godere
di questo spettacolo è immensa e
la passione per la vita mi
infiamma e brucio di emozioni.
D’improvviso mi sento leggero,
sospinto da una nuova forza mi
allargo e mi distendo liberandomi
nell’aria e il vetro non c’è più.
Mi volto indietro e con la coda
dell’occhio scorgo la bocchetta
d’aerazione della stufa da cui
stanno arrivando anche gli altri
miei compagni d’avventura, ex
trucioli di pellet che ormai mi
appaiono trasformati nella nuova
natura e il loro caldo abbraccio
mi accompagna all’inizio di
questa avventura nella vita.
Lucia Brizzi
Architetto