14 Racconti brevi scritti dai lettori
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14 Racconti brevi scritti dai lettori
INSERTO DA STACCARE E CONSERVARE 14 Racconti brevi scritti dai lettori editing Nuccia Nunzella - disegni Andrea Bassoli Se una sera d’inverno ... Una stufa racconta CasaFacile per Piazzetta (una stufa racconta) (una stufa racconta) se una sera d’inverno... Il lieto fine Concorso CasaFacile – Piazzetta, una bellissima storia fatta di centinaia di vostre storie. Protagonisti: una stufa, una rivista e la vostra eccezionale partecipazione. Giudizio della critica: da leggere assolutamente! Fuoco e ’900 La vecchia casa non è più la stessa, sembra rinata. Non vedo più le pietre, intonacate di bianco, e la cucina di mattoni, con il forno dallo sportello nero dove bruciavamo la legna dei castagni. la passione è accesa! Stufa a pellet P937 con rivestimento in maiolica. Stufa a pellet P958D dotata di telecomando multifunzione. più di 600 elaborati! 74 CF Piazzetta Concorso Sarà stato l’appeal di una stufa Piazzetta, sarà stato l’amore -ricambiato- per CasaFacile, mai un concorso ‘letterario’ aveva visto partecipanti così entusiasti. Più di 600 lettori-autori, da ogni parte d’Italia e di ogni categoria professionale, status ed età! Femmine e maschi, casalinghe ‘disperate’ o felici, architetti col pallino della scrittura, disoccupati fiduciosi, pensionati nostalgici, commercialisti alle prese non con numeri ma con parole, giovani, meno giovani e perfino giovanissimi; nativi digitali, apprendisti digitali e addirittura qualche ‘amanuense’ per storia personale o affezione alla stilografica... Uno a uno vi abbiamo visti, leggendovi, mentre ripercorrevate, forse al calduccio della vostra stufa, i ricordi più significativi della felicità domestica vissuta, presente, o solo immaginata. Qualche volta, persa. Ci siamo commossi. E quando è venuto il momento di scegliere il vincitore, ci siamo subito detti che questa nostra comune ‘avventura’ avrebbe meritato un seguito. Eccolo, adesso, in queste pagine. Con il rimpianto di dover essere ancora una volta parziali... E insieme la certezza che mai come in questo caso è la partecipazione la vera vincitrice. Un caldissimo grazie a tutti. Il direttore Giusi Stufa a pellet P958 C con rivestimento in maiolica. Modello Canazei della collezione Stubotti a Pellet. STUFE Piazzetta: oltre 200 versioni, a legna e pellet. Con Multifuoco System, l’esclusivo sistema di ventilazione. Rivestimenti in maiolica in 30 varianti colore. Il terremoto sì, lo ricordo bene. La mia canna fumaria tremava, poi muri e soffitti si aprivano, le maioliche del pavimento danzavano in aria. Il mio angolo di mondo si sgretolava in un interminabile secondo: come quello di tante persone. Ne ho viste passare, cose e persone! Cominciava il secolo del progresso, e io sono arrivata qui con la mia ghisa lucidata di nero, le molle d’acciaio, il tubo lucente a specchio. Una catasta di legno dopo l’altra, ho visto mantelli diventare cappotti, gonne e capelli accorciarsi, bimbi diventare adulti ed altri crescere, con giochi diversi, ma gli stessi occhi sognanti a Natale, e le stesse finestre nei denti. Ho visto uomini partire, a volte non tornare, e donne aspettare e piangere; poi solo piangere. E d’improvviso ho visto tutti correre, e sono cambiate le voci del mondo. Venivano dentro suoni diversi, non più di ruote e cavalli, ma scoppi e rombi; e gli uomini parlavano più forte, ma senza ascoltarsi. Sono diventata inutile anch’io, per scaldare non si usava più la legna, e la vecchia cucina è rimasta sola, i fornelli spenti. Potevamo consolarci fra noi, ma una stufa e una cucina non sanno le parole per dirsi di un mondo che cambia. Chissà se gli uomini conoscono quelle parole: le persone intorno a me parevano stupite di vedere le cose senza sosta, e non capire. Mi hanno lasciata in un angolo di questa casa vuota, che nessuno abitava. E poi fra le mura rovinate, da cui entravano pioggia e uccelli a cercar posto per i nidi. E in un grande garage, insieme a vecchi mobili salvati dal disastro: la cassapanca di ciliegio, dove le donne di famiglia riponevano stoffe accarezzate come tesori, ricamate in notti insonni; lo scrittoio dove un uomo giovane scriveva lettere d’amore, e diventato adulto, e vecchio, penava sui conti della casa. Ed ora eccomi tornata qui, senza polvere e ruggine, dipinta di rosso e con una canna tutta nera; nel mio sportellino gioca di nuovo il fuoco, ed è cominciato un altro secolo. Ma la legna che brucia, non mi sbaglio, è quella degli stessi castagni. Verranno allora gli stessi bambini, a Natale, con vestiti diversi, ma con le stesse finestre fra i denti. E forse di nuovo le persone andranno più lente, parleranno più piano, ma sapranno ascoltarsi, forse anche meglio di prima. Vincitrice Marilia Ansalone Insegnante (una stufa racconta) se una sera d’inverno... UNA GIORNATA PARTICOLARE Oggi è l’8 dicembre 2012. Per tradizione tutte le famiglie preparano l’albero di Natale. Così fa anche la mia. Stamattina, alle 6.00, ho visto uscire il papà, che stava andando a lavorare con la solita faccia mezza assonnata e mezza imbronciata. Ultimamente si lamenta sempre di più, perché è stanco di lavorare. Spesso si innervosisce di più la sera, mentre cena con tutta la famiglia. Dieci minuti dopo la fine di tutto il suo discorso, ascoltando il tg5 si sente Cristina Parodi ripetere ancora una volta quanto stiano aumentando i giovani disoccupati e quanto sia sempre più difficile trovare un posto di lavoro fisso. A questo mondo, non capisco più di cosa ci si possa lamentare e di cosa no. Comunque, stavo dicendo che alle 6.00 il papà è andato a lavorare. Di conseguenza, è toccato alla mamma e al figlio il compito di preparare l’albero di Natale. Il figlio si è alzato tardi dal letto, e dopo aver fatto colazione, si è subito dato da fare aprendo tutti i rami dell’albero e sistemando luci, festoni e addobbi. Il problema è sorto quando gli è venuta l’idea, in se stessa anche buona, di sistemare dei pezzi di cotone qua e là in salotto per ottenere “l’effetto neve” che avrebbe reso più calda l’atmosfera. Mi sono allarmata quando l’ho visto avvicinarsi a me, e ho capito che voleva mettermene un po’ sopra. Così ho prodotto una fiammata più grande delle altre in segno di difesa, ed è sembrato aver recepito il messaggio, dato che si è subito girato dicendo “mamma anche sulla stufa no, è esagerato”. Sono riusciti a concludere il lavoro la mattina. Dopo pranzo, alle 15.00, è andata a lavorare la mamma, e il figlio è rimasto solo fino all’arrivo del papà alle 17.00, dato che non è riuscito a tornare in anticipo. È passata circa mezz’ora dal suo ritorno, e adesso si sta riposando sul divano, finché il figlio è impegnato davanti alla tv; sta usando un aggeggio che lui chiama playstation, ma non ho bene in mente cosa sia. Adesso che vi ho descritto la famiglia, vi parlo un po’ di me: sono una stufa, una stufa a pellet, che vive in questa calorosa casa di Gaggio da ormai tre anni e mezzo, e devo ammettere che durante tutto questo tempo non ho avuto modo di annoiarmi nemmeno un secondo. Non sono una famiglia numerosa, sono in tre, ma sono tre elementi che da soli valgono per nove e tengono questo appartamento sempre vivo. Adesso vi lascio perché, a proposito di Natale, è appena nato un discorso molto interessante riguardante i regali che arriveranno quest’anno, e non ci tengo a perderlo. Vi terrò informati. Daniele Bottacin Studente A DOMANDA RISPONDE ADR (a domanda risponde): Commissario, io c’ero, ho visto. Tutto è cominciato in agosto. Tonio riempì un secchio e aspettò che qualcuno tornasse. Capitò Mario. Appena in casa si trovò inondato da venti litri d’acqua. Rimase lì, senza capire, ma il fuggi-fuggi dei partecipanti allo scherzo lo riportò alla realtà. Lei scuote la testa, scherzo cretino! Certo, ma deve capire Commissario, sono studenti, giovani. Torniamo a noi. Mario, impassibile, tuonò vendetta: chiunque, padre, madre, amante, fosse entrato un casa si sarebbe beccato una secchiata. Però bisogna spiegare, davanti alla casa sta il muro di cinta del carcere. In strada si trova una modesta porticina. E lei sa, quella porticina è l’ingresso al parlatorio per le visite. Naturalmente, davanti, vi staziona una guardia armata. Eccoci all’oggi. Il disgraziato giochetto è sempre in vigore. Dicembre inoltrato, io sono una stufa coscienziosa e quindi in piena attività. Siccome ancora non era uscita la giusta vendetta nei confronti di Tonio, Mario decise che era giunta l’ora. Insomma, secchio in mano, prese la rincorsa e lanciò. Sta di fatto che Tonio riuscì a scansare. L’acqua varcò il perimetro della terrazza. Chiuda gli occhi Commissario – fotogrammi al rallentatore – Mario, Tonio e gli altri trattengono il respiro, bloccano ogni gesto, addirittura io stessa sospendo il calore mentre la massa d’acqua percorre, in un tempo indefinito, i quattro piani per piombare esattamente in testa alla guardia. Di colpo il tempo accelera. La guardia sfila il mitra, lo punta in alto, in basso, davanti, dietro, e, chissà come, preme il grilletto. Una raffica, una raffica sola, commissario, e le pallottole sibilano come nei film. Parenti, amici, passanti, si gettano a terra. In casa fuggono, si nascondono, anch’io sospendo la fiamma. Ecco, questo è tutto. Insomma Commissario, quei 20 litri d’acqua non erano un attentato, né si voleva favorire una fuga, e non c’era neppure l’intenzione di irridere le forze dell’ordine. Come? Vuole sapere chi abita la casa? Allora vediamo: Daniela da Savona, commessa; Mario da Prato, regista; Cristina Storia Vera Questa che vi racconto è una storia vera. Il primo si chiamava Michele, era figlio di Michelangelo Capurro, un commerciante genovese che lasciò la sua terra perché innamorato di una filatrice bolognese: in dote portava un ramo d’ulivo e me, una stufa di cotto toscano. Michele conobbe Amelia, sarta ricamatrice. Insieme videro accendere i lampioni ad olio delle strade con lunghi bastoni, ascoltarono il rumore delle carrozze trainate dai cavalli sui ciottoli delle strade, pedalarono sulle biciclette a tre ruote, ascoltarono incantati la voce provenire dalla radio, videro il primo aereo volare, accesero con un bottone la prima lampadina elettrica e dissero “oh!”, guidarono una Balilla, buttarono via la ghiacciaia per un frigorifero, comprarono la prima tv ed ebbero un’unica figlia, Anna. Le diedero in dote una stufa e un ramo d’ulivo. Anna, ventenne, sposò Luigi a Milano; incuranti della guerra speravano in un futuro migliore. Luigi portava il dote un tralcio di vite dell’Oltrepò Pavese ed una zucca mantovana di sua madre Lodovica. Ebbero undici figli. da Buenos Aires, turista; Marcello da Bari, attore; Paola da Prato, operaia; Renato da Roma, ladro… ladro, sì ladro, ora le spiego… Mario Rellini Pensionato La guerrò finì e il mondo tornò a vivere; la tecnologia e il benessere avanzarono. Michele aiutò Anna e Luigi a costruire una grande casa in mezzo a campi di granturco e boschi di robinia, fuori Milano. Io, la vecchia stufa di cotto toscano, venni posta in un grande magazzino: la serra della nonna Amelia utilizzata anche come veranda per giocare. Il nonno Michele mi accendeva al pomeriggio perché i suoi undici nipoti, finiti i compiti, potessero giocare al caldo; da bravo genovese risparmiava sul riscaldamento e non solo su quello: andava al mercato, raccoglieva cassette di legno per accendermi in fretta ed al primo colpo. Assieme alla nonna Amelia potavano le piante da frutto e facevano fascine coi rami, per me. Il tempo passava, i giochi dei bambini finirono e si spense il fuoco. La storia a volte è come una ruota ed io tornai in Liguria da dove ero venuta. Anna e Luigi ereditarono la terra di Michelangelo, misero a posto la vecchia casa, il frutteto, la vigna, l’uliveto e mi portarono con loro. A volte ventidue nipoti si radunano in questa sala e la loro energia riscalda l’atmosfera di questa casa e il mio calore riscalda loro e gli ricorda da quali e quante terre proveniamo. Oggi penso di essere il simbolo di questa famiglia; testimone delle migrazioni, delle fatiche, delle gioie, dei dolori e delle speranze di queste generazioni. Mi sento il perno di una ruota attorno a cui gira la vita di questa grande e forte umanità in piccolo. Chiara Bonizzoni Infermiera (una stufa racconta) se una sera d’inverno... Burn after reading Il vecchio granaio riapre i battenti: fervono i preparativi, respiro adrenalina dal punto focale del mio spazio, torreggiante pezzo della scacchiera sociale di queste quattro case tra i monti. Intorno a me si sono strette madri e zie, sentinelle di balli d’altri tempi. Irraggiavo beatitudine nei circoli matronali favorendo cali di sorveglianza con strategici torpori. Lo ammetto, anche il grammofono aveva la sua personalità, ma era intorno a me che si stabiliva la riuscita di un evento. La sala è quasi una galleria, contro le pareti una teoria di sedie riciclate ed un asse portavivande. Sussiegosi giovanotti si inchinavano davanti alla prescelta e lei, prima di accettare l’invito, cercava il muto assenso dello sguardo parentale. Era l’anticamera degli amori ed io il suo cuore pulsante. Sì, io nella mia fiammante giovinezza, di terra rossa e linee sobrie (detta poi ergonomia), io, per cui il comitato organizzatore aveva fatto incursione nel bosco demaniale in cerca di legna stagionata perché sono di palato esigente, me ne sto qui a proiettare ombre: quanto tempo, quanta cenere! Tra le volute la vedo: è sottile e graziosa come un puledro incerto sulle zampe, di commovente, buffa bellezza tra le amiche che ridono di tutti, liete di bere alla coppa della vita. Viene da me a strofinarsi, ma è il volo nuziale dell’ape ebbra e subito si stacca con una scia di violetta che ben si sposa al mio profumo di pino silvestre. Lui lascia la pila dei dischi e si aggira vago tra i bambini che infestano la pista. Ignorando il protocollo la cinge e scivolano via che li si è già visti in uno Chagall. Complice, mi metto a far fumo, creo scompiglio ed eccoli già sotto le stelle invernali, emanando calore umano che le più svariate miscele arboree non sanno rendere, a pronunciare formule eterne tra i baci. Rientrano arrossati, splendenti di polvere siderale tra lo sdegno intorno a me, sorniona… La memoria sfuma in dissolvenza da cinema muto quell’ultimo ballo con cui si chiuse anche la lunga stagione delle feste al Circolo Rurale: il paese stava riversandosi in periferia… Ora mi caricano di pigne e trucioli assieme a pagine dai margini rossi fitte di una calligrafia insicura: è il diario della ragazza perduta, l’epilogo della storia interrotta consegnato a me, vestale del fuoco sotto la cenere! Nego la mia vocazione alla combustione e contro la mia stessa natura soffoco i bollenti spiriti e mi spengo! Burn after reading, please! Gabriella Ersilia Pace Ceramista cartacce, rimasugli di cibo, legna umida che mi fa tossire e sbuffare come una locomotiva. Quel diavoletto di Giovanni la scorsa domenica, due petardi m’ha messo dentro! Mi son proprio saltati i cerchi! Poi c’è Minù, la gatta, mi si acquatta vicino e inizia il ron ron fastidiosissimo. E che pellet! Direbbe mio nonno che non sopportava la modernità. Fiamma e mandarino Ho caldo! Strano per una come me, sarà l’età. D’altra parte son venticinque anni che mi usano. Senza ritegno alcuno. Qui in campagna mica vanno per il sottile. Mio dovere mantenere l’ambiente accogliente e climaticamente inappuntabile. Sono stanca, anzi, veramente stufa! Tutti i giorni, con la sola eccezione di brevi periodi estivi, mi riempion la pancia di ogni sorta di combustibile: Ecco, pure Maria, ore ed ore a cuocer sulle mie spalle casseruole di pesanti arrosti e condimenti, minestroni puzzolenti e salse ricche d’aglio che io non sopporto. Lo so, sono irritabile oltre modo e scorbutica. Anche le stufe hanno i loro periodi no! Per fortuna c’è Matilde. Mi profuma con le bucce di mandarino che sanno di Natali antichi. E lì mi commuovo. Ravvivo la fiamma e mi riempio di quell’aroma. Poi mi addormento nel silenzio della cucina nelle notti d’inverno. La neve scende copiosa. Aspetto lo “zolfanello del mattino dopo”. Sergio Donfrancesco Medico IL CUORE DELLA CASA Se una sera d’inverno Mi lasciassero parlare Sapessi quante cose Avrei da raccontare! Matilda è il mio nome E nessuno lo sa Sono una buona stufa Di tanti anni fa. Diffondo nell’ambiente Un magico calore E ho uno scomparto Adatto a cucinare. Riunisco attorno a me Tutta la famiglia Di cui conosco nonna Madre ed anche figlia. Ed è per tutto questo Che sono orgogliosa Perché mi sento come Il cuore della casa. I nonni raccontavan Qui favole e leggende Ai piccoli impauriti Nascosti tra le tende. Tra sogni di castelli E principi fatati Io intanto cucinavo Dei piatti prelibati. I bimbi son cresciuti Portando qui i morosi Li ho visti prima prendersi Lasciarsi e infine sposi, i nonni invecchiare i figli: genitori ma sempre a tutti loro io scaldo ancora i cuori. Con le manine aperte E piene di stupore Stan piccoli a distanza Con il giusto timore. Le loro vocine allegre E le domande attente S’intonano d’incanto Al fuoco scoppiettante. Ho assistito a fatti Spiacevoli e felici Han chiaccherato qui Parenti, amori, amici. Vicino e attorno a me In un clima accogliente Ho imparato storie Conosciuto gente. Lo so che tutto ciò Può apparire strano Ma proprio qui di fianco C’è un comodo divano. Si chiama Serafino È un tipo un poco schivo Ma apprezzo il Suo carattere Non troppo espansivo. Però ultimamente Mi batte forte il cuore: Arriva un’altra stufa Magari anche migliore Che attraverso tubi E canalizzazioni Potrà scaldare l’acqua Fin nei termosifoni! Ho chiesto a Serafino “Che cosa posso fare?” Mi ha detto rilassato “Non ti preoccupare! Di là c’è un camino Che ha maggior potenza Da qui lo vedo bene: Ma è in un’altra stanza… Perciò secondo me Continua a riscaldare Di questa casa tu Rimani sempre il cuore!”. Daniela Polo Grillo Commessa (una stufa racconta) se una sera d’inverno... Gelide Ah, come al solito, non sta mai ferma, mai! Si è schiantata un’altra volta contro quel vaso. È veramente incorreggibile quella fatina. È arrivato di nuovo l’inverno e le fatine del gelo sono tornate a farci compagnia. Per fortuna arrivano loro, altrimenti Susanna, la dolce vecchietta che servo ormai da quindici anni, rimarrebbe sola. Ha un figlio, veniva a farle visita una volta ogni settimana, ma ora si è trasferito a Pechino e se non ci fossero le Gelide lei rimarrebbe sola, sempre. Lei è molto premurosa con loro, prepara sempre moltissimi biscotti dalle mille forme e sapori. Per loro, che sono alte non più di tre centimetri, sono giganteschi, ma li divorano alla stessa velocità con cui girano attorno alla testa di Gobli, il gatto, stuzzicandolo finché non comincia a graffiare l’aria nel tentativo di acchiapparle. Si confondono con le luci del piccolo albero di Natale. Alcune sono così abili da riuscire a imitare l’alternarsi delle lucine. Le più piccole ascoltano con attenzione e con sguardi increduli e curiosi le storie che racconta loro la paziente Susanna. Solo quando nevica hanno il coraggio di avventurarsi in giardino. I loro minuti corpicini volteggiano nell’aria come fiocchi di neve che si rifiutano di toccare terra, grazie alle loro ali si confondono benissimo. A loro piacciono moltissimo i bambini e alle volte si avvicinano così tanto che il loro respiro fa far loro le capriole in aria. Quando giunge Natale aiutano la signora Susanna a scartare i pacchi regalo, sono così minute che fanno una fatica immane, ma quando vedono il sorriso della signora Susanna di fronte a quello speditole dal figlio, vengono ricompensate di ogni fatica. Si ricaricano di forza vitale e sono pronte a scartare un altro pacco. Insomma, queste fatine saranno anche gelide e piccole, ma con un loro abbraccio sarebbero capaci di sciogliere anche il più duro dei cuori, anche il più grande dei pupazzi di neve. Sono una di quelle piccole cose, quasi invisibili, che rendono la vita di alcune persone, quasi invisibili, visibilmente migliore. Io nel frattempo continuo a lavorare e... tutti, col mio fuoco scoppiettante, a riscaldare. Marika Vener Studentessa COHOUSING Sono una delle prime cose entrate qui. “Dà calore”, “sa di famiglia”, “senza non mi sembra neanche di stare in casa”, sono i commenti più sentiti negli ultimi giorni. Mi fanno piacere, eccome se mi fanno piacere! Così come sono contenta di essere il fulcro di questo strano esperimento… Beh si, tre coppie di vecchietti che decidono di convivere per condividere fatiche, acciacchi, affitto e ricordi non possono che essere definiti un esperimento! Coraggioso e anche originale, a suo modo. Siamo in una nuova casa, organizzata per loro: io non potevo certo mancare! D’altra parte ho sempre fatto parte della loro vita, da bambini avevano certe case! Grandi, fredde, da contadini. Fredde fino a quando non veniva acceso il mio fuoco, che scaldava pure l’anima. Altro che riscaldamento moderno! Nulla più del fuoco vivo, della fiamma ipnotica, di quell’ancestrale timore e fascino riesce a catturare chiunque venga a sedersi un po’ vicino a me. Quante risate sentirò! E le canzoni, il dialetto, le ricette, i nipoti, la guerra, la miseria, la paura e la stanchezza… insomma la vita! Avrò il piacevole compito di accogliere le loro confidenze, scaldare vecchi cuori e corpi, riunirli davanti a me per sentirli leggere, raccontare e forse litigare… Io li scalderò col fuoco, ma loro, son sicura, scalderanno me con la loro vicinanza. E a me, stufa moderna eppure antichissima, spetta anche questa volta il compito di far sentire un po’ meno freddo a questi “matti” che hanno scelto di vivere assieme. Barbara Bochicchio Educatrice Il “calore” dei ricordi Sono una stufa piuttosto vecchia, e nel tempo la casa e la famiglia dove vivo sono cambiate attorno a me, ma io sono sempre in bella mostra al centro del salotto. La nonna è stata la migliore compagna delle mie lunghe giornate, sedeva sul divanetto lavorando a maglia e cantando con quel sorriso semplice che negli anni le aveva lasciato due righe leggere sul viso. La piccola Chiara la guardava ammirata mentre aggiungeva la legna, e lei mi diceva: «Mi piace tanto stare davanti alla stufa accesa. Il fuoco è una buona compagnia. Non mi fa mai sentire sola». E sul suo viso si disegnava ancora un volta quel sorriso dolce e genuino mentre la piccola guardava divertita le fiamme giocare e rincorrersi sulla legna. È strano come il mio continuo esistere sia diverso da quello delle persone. A volte mi chiedo come si sentono gli uomini, così soggetti al tempo. Chiara è grande ora, una bella ragazza che gira per casa sempre di corsa, ma non si è mai dimenticata di me. A volte mi accorgo che mi guarda con lo stesso sguardo divertito di tanti anni fa. Capita ancora che mi accarezzi il coperchio, con le sue mani fredde, così io le regalo un po’ del mio calore. Da quando la nonna non c’è più, le mie giornate sono più solitarie, ma ho imparato a controllare l’orologio sulla parete vicina e so che verso LORO le sei tutti i miei cari tornano, felici di vedermi mi accendono, e parlano delle loro giornate. A volte ridono e vorrei tanto poterlo fare con loro! Penso che sia la cosa più bella dell’essere uomini! Ieri sera Billy stava facendo le feste al papà e con la sua coda potente ha fatto cadere un soprammobile. C’è stato un momento di silenzio in cui persino Billy si è ammutolito. Ho pensato che quella povera donna di porcellana mi faceva compagnia da una ventina d’anni. Poi il silenzio si è rotto quando la mamma è scoppiata a ridere guardandone i resti: «Era ora, non la sopportavo davvero più!» . Anche io avrei voluto ridere perché mi sono ricordata che quando l’avevano regalata alla nonna… aveva detto alla piccola Chiara: «Beh, prima o poi pulendo si romperà no? È bruttissima!» e tutte e due avevano sorriso. Forse anche Chiara se ne è ricordata perché, mentre raccoglieva i cocci, le ho visto scendere una lacrima. Ho tentato di soffiare il calore sul suo viso per asciugarla. Del resto il calore dei ricordi è quello che permette di continuare a ridere nella vita… anche per noi stufe! Tabita Valsecchi Pittrice-illustratrice Ci sono quelle volte in cui mi impediscono la visuale con il loro continuo passaggio o perché si sdraiano davanti a me (e a volte addirittura sopra di me!). Ma come si permettono, dico io? Lei dice che “fanno casa e sono di compagnia”. Lo diceva anche di me un tempo, poi sono arrivati loro. Quelle piccole pesti, parassiti che non sono altro! Mi usano solo per scaldarsi e non danno niente in cambio. Lei a volte mi passa a fianco, mi cura e mi pulisce con delicatezza. Mentre loro sono coccolati e accuditi tutti i giorni. Io vedo tutto e da qui, sono in una posizione strategica che domina il salone, e so tutto di tutti. Lui lavora tanto ed è spesso fuori casa, ma adora piazzare i suoi piedoni davanti a me al suo rientro, godendo del mio tepore, quando fuori è grigio, freddo e piove. Lei lavora tutto il giorno, ma quando torna la sera ama sedersi vicino a me facendo la maglia. Ma eccoli che arrivano, loro ci sono sempre, tutto il giorno a ronzarmi intorno. A volte faccio brutti pensieri e desidero che arrivi presto la stagione calda, così mi si tolgono dai piedi per qualche mese. Quei due piccoli parassiti sociali. Bestiole pelose che loro chiamano… “i gatti”. Caterina Maroni Impiegata (una stufa racconta) se una sera d’inverno... AMORE MA LA NOTTE... Che bello oggi quando Bea è tornata da scuola! Si è messa a mangiare gli spaghetti che le avevo tenuto in caldo, mentre teneva i piedi infreddoliti appoggiati a me. Ma io aspetto la notte!!.. Che profumino quelle mele, oramai sono cotte, le ho cucinate piano piano, così tutti mi son venuti vicino per vedere a che punto erano. Ma la notte, la notte!!.. E dopo cena tutti lì attorno a me. Come mi sento importante! Mi emoziono e divento davvero rossa. Ma è lui che aspetto!! Mi butta uno sguardo d’intesa: “Tranquilla, tra poco arrivo; guardali, li hai già fatti sonnecchiare. Ci vanno, ci vanno a letto” E finalmente si! A gambe incrociate, seduto davanti a me, sì, ci guardiamo negli occhi. Io mi sto spegnendo, ma a lui piaccio così. Com’è tenero, così assorto, mi guarda, mi fissa. Le mie ultime lingue di fuoco gli fanno balenare gli occhi per seguirle. Lui sta lì fermo, immobile, il cuore gli dorme già. Una crosticina di cenere copre l’ultimo ciocco. Poi: “CIOK”. Il ciocco si spezza, lasciando vedere tutto il fuoco che c’è ancora in me e alcune faville volano in alto, come un piccolo fuoco artificiale. Lui sobbalza, mi manda un ultimo sguardo languido, poi socchiude gli occhi scodinzolando. Io sono felice! Vittoria Cattani Pensionata Lui. Lei. Sono entrati come moderni principi, desiderosi di sfilare gli abiti ingombranti. Li ho visti amarsi. Più e più volte. Cenare sul tappeto. Consumare un solo lato del divano per stare abbracciati. Darsi malati per stare soli. Ridere per un mestolo sbagliato. Piangere per una foto incomprensibile. E poi lei ha portato a casa un randagio. Lui seccato ma per niente sorpreso. Due occhioni scuri dentro una palla di pelo bianca e nera. Lo amano. Lei dice che il destino è l’unico che azzecca i regali. E ho visto lui amare lei. Anche se stanca. Anche se nervosa. Anche se grassa. E poi ho visto lei stare male. E lui guardare continuamente l’orologio. E massaggiarle la schiena. E farla sedere e poi camminare e poi farla risedere. E lei piangeva. Lui sapeva cosa fare: cronometrare, respirare, consolare. Poi ha fatto una telefonata. Poche parole. L’ha guardata come volesse fotografare l’istante –“ora dobbiamo andare, ci aspettano”-. E se l’è portata via. È tornato da solo. Stanco. Non l’ho vista per giorni. Lui usciva, tornava, sistemava la casa. Poi un mercoledì eccoli varcare di nuovo la sogli insieme. Belli. Felici. E con il loro cuore avvolto in una copertina azzurra: era arrivato Tommaso. Federica Sartori Disoccupata COME UN’AVVENTURA Un lieve tremito fa oscillare i nostri corpi avvolti nell’oscurità, in questa atmosfera all’apparenza calma, ma ricca di attese e trepidazione. Gli spazi iniziano a scarseggiare, con gli ultimi che si sono uniti dovremmo essere al completo; siamo qui, nel buio del silenzio cerchiamo di scrutarci e conoscerci e nel frattempo tendiamo l’orecchio. Da fuori arrivano lievi suoni di preparativi, passi soffusi, qualche oggetto è stato spostato, forse. Di nuovo ci giungono distinti calpestii più pesanti e decisi; poi l’incontro tra le nocche e la porta in metallo, materiali differenti si scontrano e scivolano, attriti sonori e soffici contatti, e un sussulto, come di scintilla. Sembra che il nostro gruppo stia iniziando a muoversi, pian piano, nella stessa direzione. Si iniziano a percepire voci al di là, sembrano maschili, ma anche femminili, di persone adulte e di ragazzi. Se ne uniscono altre timide e soffuse poi si moltiplicano, si sovrappongono e sembrano essere tutte intorno a noi. Si intuiscono saluti, risate, baci, gioiose conversazioni… Noi intanto stiamo proseguendo la marcia, costante e regolare, iniziando ad appassionarci a questo camminare insieme verso una meta. È ancora molto buio attorno e la fantasia vola per dar forma e colore a quei suoni. Ora il percorso è più stretto, non sono più in mezzo al gruppo, ma procedo in ordinata fila indiana. Sto sudando per il caldo e l’emozione, sento che mi sto avvicinando alla meta, so che tra poco avrò la possibilità di capire, sapere, conoscere… Ecco, ci siamo! La luce è davvero intensa e per un attimo mi sembra che l’ultima cosa ad essere mutata sia il sottofondo di quelle voci, da nero a bianco. Poi all’improvviso i colori e le forme emergono dall’altra parte del vetro. La scena è bellissima. Ci sono luci, suoni, calore umano, tutti insieme; differenze e condivisioni si fondono in una varietà di vita incredibile al di là di questo schermo; la possibilità di essere qui a godere di questo spettacolo è immensa e la passione per la vita mi infiamma e brucio di emozioni. D’improvviso mi sento leggero, sospinto da una nuova forza mi allargo e mi distendo liberandomi nell’aria e il vetro non c’è più. Mi volto indietro e con la coda dell’occhio scorgo la bocchetta d’aerazione della stufa da cui stanno arrivando anche gli altri miei compagni d’avventura, ex trucioli di pellet che ormai mi appaiono trasformati nella nuova natura e il loro caldo abbraccio mi accompagna all’inizio di questa avventura nella vita. Lucia Brizzi Architetto