a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari

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a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari
a cura di
Renza Baiocco
testi di
Andrea Bovari
Comune di Potenza Picena
Assessorato alla Cultura
supervisione editoriale
Sergio Paolucci Sindaco di Potenza Picena
coordinamento progetto
Renza Baiocco
Andrea Bovari
foto
Luigi Anzalone Studio Fotografico Potenza Picena
Massimiliano Di Chiara
Aido Consolani
Roberto Purifico
Enrico Giorgetti
Nico Coppari
Henry Ruggeri
Foto Club Potenza Picena
Fototeca Comunale “Bruno Grandinetti”
Archivio Storico Comunale
Mostra fotografica “Montecanepino e la sua gente”
progetto e realizzazione grafica
Renza Baiocco
Paolo Accoramboni
ricerca iconografica
Renza Baiocco
si ringrazia per la preziosa collaborazione
Roberto Domenichini
Paolo Peretti
Paolo Onofri
George Dernowski
Lorena Giacobbi
don Andrea Bezzini
Francesca Iacopini
Laura Carota
Fausto Sanpaolo
Piero Cingolani
Uffici del Comune di Potenza Picena
si ringrazia
si ringraziano quanti hanno collaborato
alla realizzazione del progetto
e in particolare per la disponibilità
Sabrina Colle
Claudia Baiocco
l’Istituto di Riabilitazione S. Stefano
patrocinio
GABRIELE BARUCCA
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici
e Etnoantropologici delle Marche – Urbino
“Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie”, così scrive Guido Piovene
a commento del suo Viaggio in Italia svoltosi tra il 1953 e il 1956.
Una di queste “meraviglie” è certamente Potenza Picena col suo territorio, mirabile rispecchiamento, così tipico di questa regione, tra arte e paesaggio, tra le forme della città e la varietà dei
coltivi che la circondano.
Potenza Picena, l’antica Monte Santo, sorge in una zona che è quasi un distillato delle Marche.
Intorno alla città, addossata al crinale della collina e connotata dal tipico cotto chiaro tendente
al roseo, è un paesaggio di struggente dolcezza, senza dissonanze, con pendii poco scoscesi, ma lunghi e punteggiati di piante, quasi a creare un grande e naturale giardino all’italiana.
Non a caso su queste colline rivolte al mare eressero nel Settecento le loro splendide residenze estive alcune delle famiglie più illustri della nobiltà maceratese, i Compagnoni Marefoschi e
i Buonaccorsi. Poi la collina cede a brevi tratti di pianura costiera fino all’incontro con l’Adriatico,
ma purtroppo qui il litorale, come in molte parti della regione, è stato deturpato dai nuovi quartieri sorti dopo la metà del Novecento.
Questo libro racconta la lunga storia di Potenza Picena. Pensata soprattutto per accompagnare il visitatore curioso e attento alla scoperta dei suoi monumenti, delle sue belle chiese e delle
numerose opere d’arte, essa non trascura al pari di raccontare ai suoi abitanti, in particolare a
quelli più giovani, le storie di un passato più o meno prossimo, ricco di tanti fatti significativi, istituzioni prestigiose e personaggi illustri. Così scorrono nella pagine le memorie di un folklore
denso, per feste o ricorrenze religiose e profane, di una tradizione musicale consolidata, di una
realtà produttiva assai vivace.
Ma naturalmente, per quel che a me più interessa, il libro di Potenza Picena – compilato da
Andrea Bovari e curato da Renza Baiocco, “raccoglitori di memorie” locali, ultimi eredi di una
gloriosa tradizione storico-erudita volta al meticoloso esame dell’antica storia cittadina – costituisce una delle prime occasioni di conoscere e far conoscere un patrimonio artistico di grande
interesse, e rammenta perentoriamente a tutti, ciascuno nelle proprie competenze, la sempre
più urgente necessità di proteggerlo e salvaguardarlo. A tal riguardo è doveroso esprimere un
profondo apprezzamento per le iniziative promosse e finanziate dall’Amministrazione Comunale
che in questi ultimi anni hanno consentito il recupero di due importanti chiese della città, Santa
Caterina e Sant’Agostino, permettendo di ricollocarvi sugli altari, nella loro sede originaria, le
opere d’arte precedentemente ospitate nella Pinacoteca Civica e attribuendo loro un nuovo e
vitale ruolo di centri culturali.
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SOMMARIO
5 PRESENTAZIONE DI VITTORIO SGARBI
7 Gabriele Barucca
SALUTI
15 Sergio Paolucci
17 Giulio Silenzi
19 Amedeo Grilli
21 Mario Ferraresi
23 Introduzione di Andrea Bovari
STORIA
31 CENNI DI STORIA LOCALE
39 SACRATA
43 STEMMA COMUNALE
45 UNA FINESTRA SUL PASSATO
45 Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo
46 Il Monte di Pietà
47 I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese
50 Le abitazioni rurali nei secoli scorsi
54 Le “Famiglie primarie santesi” dal XIV al XVIII secolo
54 I nostri emigranti
56 La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza”
57 LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE
57 Piazza Matteotti
65 Il teatro “Bruno Mugellini”
67 I portali
68 Le porte di Monte Santo
72 Il porto di Monte Santo e la torre quadrata
77 Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo
79 Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto
83 L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata
89 Il Convento dei Cappuccini
92 Il Convento dei Frati Minori
96 La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francesco o dei PP. Francescani
Conventuali
100 La chiesa di San Giacomo
104 La chiesa della Madonna delle Grazie
107 La chiesa di Santa Maria della Neve
109 La chiesa di Santo Stefano
115 La chiesa di San Marco
117 L’ex complesso agostiniano
PAESAGGIO
131 2008: la prima Bandiera Blu del Comune di Potenza Picena
132 Potenza Picena
136 Porto Potenza Picena
148 Montecanepino
154 San Girio
159 Villa e giardino Bonaccorsi
ECONOMIA
173 L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE
173 I muratori
179 La sciabica
183 Un giorno con gli sciabecotti
187 LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO
187 L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa
194 L’Aeronautica Militare
195 La Società Ceramica Adriatica
197 La Fornace Antonelli
198 La S.I.F.
198 La Società Automobilistica Potentina
199 La Bontempi
201 La Rogin
202 La Ceramica Montesanto
202 Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini
202 Le altre aziende di rilievo di un recente passato
203 Le realtà produttive di oggi
ARTE E CULTURA
205 IL POLO CULTURALE
205 La biblioteca comunale
206 L’archivio storico comunale
207 La fototeca comunale “Bruno Grandinetti”
209 LA MUSICA
215 Schola Cantorum Santo Stefano
216 Corale Sant’Anna
217 L’organo da sala di Giovanni Fedeli
COSTUME E SOCIETA’
221 RICORRENZE
221 La festa del Grappolo d’Oro
226 Il Presepe vivente
227 La Festa di Sant’Anna
231 “Lo Porto de cent’anni fa”
235 ECCELLENZE SPORTIVE
255 PERSONAGGI ILLUSTRI
269 PARROCI
271 SINDACI
275 CONCLUSIONE
HISTORY
277 Scattered notes on local history
285 The allurement of history and sigh of the sea. Potenza Picena
299 NOTE
301 BIBLIOGRAFIA
Giardino di villa Bonaccorsi
saluti
GIULIO SILENZI
Presidente Provincia di Macerata
Potenza Picena è tra i Comuni più vivaci della Provincia di Macerata: il suo territorio, i suoi cittadini, le attività economiche, le organizzazioni sociali e sportive, le tradizioni storiche e gli eventi culturali caratterizzano questa località qualificandola tra le più importanti della nostra
Provincia.
A Potenza Picena si può apprezzare il mare con la sua spiaggia di sabbia finissima, dal quale
si osservano dolci colline verdi in mezzo alle quali si conservano testimonianze di una storia
antichissima lunga più di duemila anni, ville storiche di rara bellezza architettonica, case rurali
e aziende agricole, esempio dell'operosità e della creatività dei cittadini potentini. A Potenza
Picena si può gustare la migliore enogastronomia, si può trascorrere una vacanza di mare e di
cultura ma anche frequentare locali notturni di grande interesse per molti giovani.
Esprimo a Potenza Picena tutto il mio affetto e la mia simpatia per la ricchezza del suo territorio
e della sua gente con un ringraziamento particolare per la pubblicazione di questo libro che
esalta Potenza Picena e la Provincia di Macerata.
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AMEDEO GRILLI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo
Ricostruire l’identità di un territorio attraverso la riappropriazione degli elementi che costituiscono la storia delle singole comunità locali è sicuramente un obiettivo dell’azione della Fondazione
Cassa di Risparmio di Fermo.
I beni culturali, l’ambiente, il paesaggio di cui oggi disponiamo rappresentano un patrimonio
che ci è stato trasmesso e che dobbiamo valorizzare in una visione dinamica di tutela e di
accrescimento del valore.
La conoscenza è sicuramente lo strumento più immediato per promuovere e divulgare le specificità che caratterizzano le nostre realtà naturali, costruite, modellate e accresciute dal lavoro
dell’uomo.
Per questo abbiamo deciso di aderire alla proposta del Comune di Potenza Picena di condividere la presente esperienza divulgativa attraverso la pubblicazione di un volume di qualità, che
fa apprezzare in modo più approfondito a chi già conosce e che serve a presentare, a chi non
conosce, la bellezza e i valori umani, artistici e ambientali di Potenza Picena.
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MARIO FERRARESI
Presidente Istituto di Riabilitazione Santo Stefano
Parlare di Potenza Picena e parlare dell’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano è un po’ parlare
di una storia comune per quasi cento anni. Da quei lontanissimi primi anni del 1900 quando
venne realizzata la “colonia perugina” ad oggi, storia, economia, persone di questa terra e del
nostro Istituto si sono intrecciate condividendo momenti di crescita e molti momenti difficili.
Oggi, più che mai, il Santo Stefano è una realtà significativa di questo territorio e per noi è un
piacere condividere iniziative come questa che vuole raccontare una storia meravigliosa, quella di un territorio bellissimo e di gente onesta, laboriosa e ospitale.
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INTRODUZIONE DI ANDREA BOVARI
Dar vita ad un libro avente per argomento Potenza Picena e il suo territorio comunale, la sua
storia, le sue tradizioni e caratteristiche principali, le sue eccellenze: il tutto coordinando i contributi storici e letterari di chi, in passato, si è già occupato di temi locali con perizia e passione. L’Amministrazione Comunale, desiderosa di dotarsi di una pubblicazione aggiornata, ha affidato al sottoscritto tale opera di coordinamento, chiedendo di dare alla trattazione uno stile giornalistico, fluido, comprensibile a tutti.
Se il compito sia riuscito o no lo diranno i lettori: di certo non è mancato l’impegno per meritare
la fiducia che il Sindaco Sergio Paolucci e gli Amministratori hanno così generosamente riposto
in chi ha scritto le righe che state leggendo. Alcuni capitoli di questo libro sono stati realizzati
attingendo a lavori già esistenti: ciò è avvenuto, ad esempio, per quelli di natura storica, artistica, sociale, architettonica ed, almeno in parte, relativi alla tradizione locale; altri, invece, sono
stati concepiti traendo spunto dall’attualità, come ad esempio quelli riguardanti le eccellenze
sportive o argomenti dei quali si è avuta esperienza diretta.
Tanti cittadini del Comune di Potenza Picena hanno dato un prezioso contributo a questa pubblicazione ed è giusto esprimere loro un sincero ringraziamento: nelle pagine che seguono verranno indicati i nomi di coloro che hanno messo a disposizione i loro lavori, le loro testimonianze, i loro racconti, dai quali è stata tratta materia per questo libro. In una comunità come la
nostra sono talmente numerosi e vari gli argomenti che meritano attenzione che si rischia di
dimenticarne certamente alcuni: nonostante l’intento di evitare tale evenienza, siamo certi che
qualcuno o qualcosa non abbia trovato spazio in queste pagine e di ciò sinceramente ci scusiamo. Il presente lavoro, in fondo, non nasce con la pretesa di rappresentare un’opera completa e neanche di costituire un punto di riferimento per studiosi di storia o di tradizioni locali: è,
invece, solo un modesto tentativo di raccontare, per sommi capi, alcuni aspetti della nostra terra
e della sua popolazione, in modo che possano essere conosciuti anche da coloro che vivono
in altri luoghi. Speriamo di esserci almeno avvicinati a tale obiettivo.
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IL FASCINO
DELLA STORIA
IL RESPIRO
DEL MARE
Tenuta di Santa Cassella
storia
CENNI DI STORIA LOCALE
Il nostro territorio è ricco di storia: lo testimoniano splendidi edifici arrivati fino a noi in buono
stato di conservazione e molte opere d’arte che possono essere ammirate in vari luoghi. Lo
rivela, inoltre, lo stesso nome di Potenza Picena, scelto nel 1862 a sostituire quello precedente di Monte Santo. Mentre l’attributo “Picena” indica che in questo luogo erano presenti i Piceni prima ancora che Roma esprimesse la sua statura imperiale, il termine “Potenza”
deriva dal nome dell’antica Potentia, florida colonia romana sorta nel 184 a.C. tra l’ultimo
tratto del fiume omonimo e l’abbazia di Santa Maria in Potentia, ora in territorio di Porto
Recanati. Dell’importante colonia romana dà notizia Tito Livio (XXXIX, 44, 10), indicando
come essa fosse stata fondata dai triumviri Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco e
Quinto Fulvio Nobiliore(1). Roma, in quel periodo, intendeva espandersi verso l’Adriatico,
puntando le sue mire di conquista al settore est del Mediterraneo. La scelta del nome
Potentia aveva un significato augurale(2), come eco della recente vittoria punica. Il luogo
individuato per la fondazione della colonia era particolarmente vantaggioso: godeva della
disponibilità di terre fertili da assegnare ai coloni (sei jugeri, circa un ettaro e mezzo a testa),
era in prossimità dello sbocco di una vallata fluviale, la foce del fiume poteva essere utilizzata come porto, il fiume si prestava al trasporto di materiali pesanti, c’era la presenza di
assi viari importanti. Grazie all’interessamento di Marco Fulvio Flacco, vennero eseguite
opere notevoli, come la costruzione di un tempio a Giove, una rete fognaria, un foro con portici e botteghe, un acquedotto. La popolazione della colonia era operosa, distinguendosi,
pare, nella produzione di vasellame e anfore. Nel 56 a.C., come riferisce Cicerone(3), la città
fu colpita da un fortissimo terremoto. Il declino dell’importante colonia romana avvenne,
pare, intorno al VII secolo d.C., in conseguenza di vari dissesti idrogeologici e per il verificarsi della dominazione longobarda. Per salvarsi la vita, diversi abitanti di Potentia sarebbero saliti in collina, dando origine al borgo di Monte Santo, nato intorno all’antica pieve di
Santo Stefano, che si trovava proprio dove adesso c’è piazza Matteotti(4).
Dell’esistenza della pieve di Santo Stefano si ha notizia dal Regesto Farfense, un documento del 947; in esso, il nome della pieve è accostato a quello di Monte Santo. Intorno al 1000,
quest’ultima era uno dei ministeri della contea fermana, cioè una circoscrizione amministrativa di derivazione longobarda.
Nel nostro territorio c’era anche un altro ministero, quello di San Paterniano, che pare sia
stato inglobato da quello di Monte Santo nel XII secolo. Nel medioevo, almeno stando a
quanto si sa, Monte Santo non subì distruzioni; le notizie di un saccheggio effettuato dai
soldati dell’imperatore tedesco Enrico V nel 1116 – di cui riferiscono alcuni studiosi –
potrebbero essere relative al “castello” di San Giovanni, che si trovava in posizione intermedia tra l’attuale Montecanepino e villa Bonaccorsi. La lunga strada che permise la trasformazione da ministero a comune e la graduale emancipazione dalla subalternità feudale nei confronti del vescovo di Fermo venne percorsa durante i secoli XII e XIV. Fu, a quan-
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Resti archeologici
dell’antica Potentia
nell’attuale
territorio di
Porto Recanati
to sembra, un passaggio senza particolari scossoni, quasi una svolta fisiologica maturatasi nel tempo. Il primo passo di questo cammino venne mosso nel 1128: nel settembre di
quell’anno, il vescovo fermano Liberto concesse a Monte Santo un certo grado di autonomia, rinunciando a riscuotere il fodro (diritto di casermaggio) e a presiedere il placitum (tribunale), pur conservando il potere di occuparsi delle “questioni estere” e di pronunciarsi
sui delitti di maggiore gravità. Lo stesso presule di Fermo affidò a due consoli e a dodici
boni homines, rappresentanti degli abitanti di Monte Santo, l’amministrazione locale e i diritti di mercato.
Proseguendo nel cammino verso una più concreta autonomia, si arrivò al luglio del 1199,
quando la popolazione santese, nella piazza di Santo Stefano, stipulò dei patti con il vescovo fermano. In base ad essi, la gente dei “castelli” di Monte San Giovanni e di Gerola (quest’ultimo situato in prossimità del Varco e delle Casette Antonelli) ebbero l’autorizzazione ad
abitare insieme a Monte Santo, tranne alcuni uomini, che dovevano stabilirsi a Coriolano
(Monte Coriolano), vicino al porto da realizzare sulla costa. Al vescovo, in cambio, andava
la disponibilità di alcune decine di uomini e qualche proprietà fondiaria. In aggiunta, coloro che erano stati ammessi ad abitare a Monte Santo fecero promessa di diventare parrocchiani della pieve di Santo Stefano e di costruire, per il presule di Fermo, un palazzo, pro-
Cartina
geografica,
da «Potentia» a
Monte Santo a
Potenza Picena,
Vincenzo Galiè
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Campanile della
chiesa di
Sant’Agostino
babilmente l’edificio che, successivamente, sarebbe diventato sede del Comune. Inoltre
essi assumevano l’impegno di scavare un fossato per far giungere l’acqua del fiume
Potenza verso sud, dove era in programma di costruire il porto. All’alba del 1200 Monte
Santo poteva contare su un’amministrazione locale dotata di una certa autonomia, aveva
giurisdizione su un territorio vasto che andava dal fiume Potenza (a nord) al torrente Asola
(a sud), dal mare Adriatico (ad est) alla zona dell’attuale Castelletta (ad ovest). Il progressivo raggiungimento di una statura giuridico-amministrativa di un certo rilievo e il verificarsi di situazioni favorevoli sembrano aver creato le condizioni ideali per promuovere attività
economiche e commerciali. In questo quadro intervenne il privilegio papale del 14 ottobre
1238 che, allo scopo di sostenere lo sviluppo dei traffici marittimi, assegnava ai castelli di
Civita Nuova e di Monte Santo il completo controllo del litorale dal fiume Chienti all’Asola e
da questo torrente al fiume Potenza. Nei primi cinquant’anni del XIII secolo a Monte Santo
vennero a stabilirsi i rappresentanti di alcuni dei più importanti ordini religiosi. Della nascita del monastero delle Clarisse si hanno notizie certe in un documento del 1227; della presenza dei Francescani parla una pergamena del 1247. Lo stesso San Francesco dovrebbe aver frequentato la nostra terra, stando a quanto sostiene la tradizione. Gli Agostiniani
arrivarono a Monte Santo nel 1250. La completa autonomia comunale della nostra antica
città è rappresentata dalla concessione del diritto di elezione del podestà: ciò avvenne nel
1252 per decisione di Papa Innocenzo IV, confermata sedici anni dopo da Clemente IV. Il
podestà aveva, in quel periodo, competenze giudiziarie.
Dal punto di vista delle relazioni con le altre realtà comunali e in occasione di scontri armati che avevano luogo nella marca di Ancona, Monte Santo dimostrò di essere dalla parte di
Fermo. Quando, nel 1202, la pace di Polverigi fece sospendere le lotte tra Ancona con i
suoi alleati su un fronte Osimo, sull’altro Fermo, Monte Santo venne citata come facente
parte del comitato fermano. Ciò si ripetè nella “concordia” del 1221 tra il marchese di
Ancona, Azzolino d’Este, e il vescovo di Fermo, Pietro. Nei conflitti che coinvolsero i guelfi
(partito papale) e i ghibellini (partito imperiale), la comunità santese pare fosse schierata
con le truppe pontificie. La ribellione del 1283, concretizzatasi con l’occupazione del palazzo del podestà, sembra fosse causata solo da una protesta popolare contro il pagamento
di denaro in favore della chiesa di Roma. Dopo il 1305, anno d’inizio della “cattività avignonese” del Papa, nel nostro territorio regionale vennero alla ribalta signorie o “tirannie”: i
poteri politici e amministrativi finirono nelle mani di potenti famiglie o di singoli individui,
sfuggendo all’autorità centrale (Papa o imperatore) e al controllo delle istituzioni governative comunali. Anche a Monte Santo si registrò tale nuova tendenza, tanto che, tra il 1316 e
il 1318, essa subì le prepotenze dei ghibellini di Lippaccio e Andrea da Osimo. Emerse,
poi, il potere di Puccio da Monte Santo, il cui nome è citato nella pace del 1353, portata a
termine da Giovanni Visconti, Arcivescovo di Milano, chiamato a contrastare quella specie
di anarchia che stava prendendo piede nelle zone del centro e del nord della Penisola. Lo
stesso intento fu alla base della decisione del Papa di inviare nella marca anconetana il
Cardinal Egidio d’Albornoz, autore delle costituzioni che portano il suo nome; in quel tempo
(1357), Monte Santo veniva descritta come comune libero, di grandezza media, con una
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popolazione di quasi mille famiglie. Nell’ottobre del 1377, il Comune santese ottenne la sua
piena autonomia: al podestà venne concesso di esercitare il mero e misto impero, di giudicare qualsiasi reato commesso nel suo territorio di competenza. Nell’estate dell’anno successivo, la città, per difendersi da mercenari bretoni, cercò l’aiuto di Ancona: questa mise
a disposizione trenta soldati per proteggere il suolo santese. Monte Santo seppe valorosamente, nel 1407, respingere le truppe di Ludovico Migliorati, signore di Fermo, intenzionate ad invadere la cittadina: gli aggressori vennero accolti dal lancio di giavellotti e dalle
frecce scagliate dalla sommità delle mura di cinta. Il nucleo abitato di Monte Santo conobbe uno sviluppo attorno all’antica pieve di Santo Stefano.
Statua di Iulia Augusta
terza moglie
dell’imperatore
Augusto, scolpita dopo
il 14 d.C. trovata nel
1793 presso l’Abbazia
di Santa Maria di
Potenza,
Gliptoteca di Monaco
di Baviera in cui è
menzionata come
proveniente da Falerio
Picenus.
Vincenzo Galiè, Da
“Potentia» a Monte
Santo a Potenza Picena
36
Durante il XV secolo le mura contenevano i borghi di San Pietro (l’attuale quartiere
Galiziano), San Paolo (Porta Marina o Girola) e San Giovanni. Sulla costa, le mura e la rocca
del Porto vennero rafforzate nel 1564. Due anni prima la popolazione santese si era opposta con successo al tentativo d’infeudazione sostenuto dalla Santa Sede a vantaggio di
Francesco d’Este, duca di Ferrara.
Nei primi anni del XV secolo il Comune approvò il nuovo regimen del territorio: venne deciso che il consiglio generale fosse composto da 60-80 membri (aventi a disposizione capitali di almeno cinquanta libbre), rappresentanti dei quartieri cittadini (S. Giovanni, S.
Angelo, S. Pietro e S. Paolo). Quarantotto dei consiglieri erano scelti mensilmente, a gruppi di quattro, per assumere il ruolo di priori e gonfaloniere, garantendo sempre la rappresentanza di tutti i quartieri. Vi era, poi, il consiglio minore o speciale, formato da dodici consiglieri generali, il cui capitale individuale non poteva essere inferiore alle cento libbre: essi
erano in numero di tre per ogni quartiere cittadino. Dal 1600 in poi tale ordinamento cambiò, venne meno la corrispondenza degli amministratori ai quartieri, alcune cariche divennero quasi una specie di diritto ereditario, di cui beneficiarono le famiglie nobili. Nel XVI
secolo la popolazione santese era composita, annoverando varie etnie. L’economia era trai-
Raffigurazione di
Monte Santo nel 1773
di Giuseppe Federici,
geometra e catastiere.
Archivio storico
comunale
37
nata dall’agricoltura, dal commercio e dall’artigianato. I proventi di quelle attività permisero a varie persone di diventare piccoli proprietari di immobili, come rivelano i dati catastali. Era sorta una piccola borghesia, che continuò ad esistere per tutto il secolo. Intorno alla
fine del Cinquecento la situazione iniziò a deteriorarsi: l’Italia cominciò a perdere quella
sorta di centralità nell’economia continentale di cui aveva goduto, a causa dello spostamento delle correnti di traffico commerciale verso l’oceano Atlantico. Anche il nostro territorio locale ne risentì: l’attività manifatturiera lasciò il posto ad un fenomeno di accentuata
ruralizzazione. Il potere economico, di conseguenza, passò in mano ai grandi proprietari
terrieri, che inglobarono i piccoli agricoltori.
Dal XVII al XIX secolo, nel territorio santese si imposero le famiglie di nobili come i
Bonaccorsi, i Marefoschi-Compagnoni, i Mazzagalli, i Mancinforte. Disponevano di veri e
propri latifondi, nei quali ebbero forte impulso le coltivazioni agricole, come quelle del granturco, della patata, dell’olivo e della vite. La potenza economica consentì a quelle famiglie
di esercitare una forte influenza nella vita sociale del tempo: la presenza di loro esponenti
in ambito politico e artistico è stata rilevante.
Monte Santo diede il suo contributo durante il Risorgimento: alcuni suoi cittadini presero
parte, nel 1817, ai moti marchigiano-romagnoli e qualche riunione di ‘carbonari’ ebbe luogo
sul nostro territorio.
Le guerre che si sono combattute nel Novecento hanno visto il sacrificio di tanti nostri giovani, che si sono battuti eroicamente per la conquista della libertà e della sicurezza nazionale, nella speranza di una pacifica convivenza tra i popoli. Molti di loro persero la vita in
eventi bellici, lasciando un enorme vuoto nell’esistenza di familiari e amici, oltre che in quella di tutta la comunità locale. Qui vogliamo ricordare due di questi ragazzi coraggiosi, riassumendo nel loro sacrificio quello di tutti gli altri. Mariano Cutini (nato il 13 aprile 1924) e
Mariano Scipioni (16 febbraio 1925), amici tra loro e figli del nostro territorio comunale, avevano rifiutato di rispondere alla chiamata alle armi che, nel novembre 1943, la Repubblica
Sociale Italiana aveva disposto. Lo avevano fatto per convinzioni di fede religiosa e per
amore della libertà. Nel febbraio 1944 si unirono ai patrioti che sui nostri Appennini combattevano i nazi-fascisti. Il 22 marzo 1944, nei pressi di Cessapalombo, a Montalto, furono
fucilati insieme ad altri 24 giovani dal feroce nemico cui si opponevano.
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SACRATA
Sul territorio dove ora si trova Porto Potenza Picena e sulle colline ad essa immediatamente retrostanti, sembra sorgesse Sacrata, nominata nella Tavola Peutingeriana(5). Il vicus
romano, secondo quanto sostenuto dallo studioso don Vincenzo Galiè(6), sembra fosse nei
pressi dell’attuale Montecanepino, perché circa venti secoli fa, il litorale era più arretrato
rispetto ai nostri giorni e la strada era più vicina alle colline. Il luogo era favorevole ad un
insediamento urbano perché godeva dell’esposizione a sud, del riparo dai venti freddi settentrionali e perché la vicinanza del torrente Asola consentiva la probabile risalita di barche
a fondo piatto per trasportare merci. Non è escluso che ci fosse anche un piccolo porto,
utilizzato per la pesca e per il commercio locale. Alcuni ritrovamenti avvenuti nei decenni
scorsi (sepolture, monete consolari, vasellame vario, reperti archeologici) confortano l’ipotesi che Sacrata si trovasse proprio sulle colline a ponente di Porto Potenza Picena: una
presenza che non ha lasciato tracce notevoli ma che contribuisce a dare al nostro territorio una suggestiva valenza storica.
La costa del Piceno nell’antichità classica con
indicazione di Sacrata,
la città di Potentia e
l’antico corso dell’omonimo fiume.
Sala delle carte
geografiche
Musei Vaticani, Roma
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Veduta aerea di Potenza Picena
Abside della collegiata di Santo Stefano e parte delle mure castellane
STEMMA COMUNALE
Lo stemma comunale di Potenza Picena raffigura una croce in campo rosso, sovrapposta
a cinque monti. Secondo il Cenerelli Campana, questi ultimi rappresentavano le “cinque
comuni che formarono il distretto”: Gerola (San Paolo), a nord-est, nei pressi delle Casette
Antonelli; Terchio, detto anche Tergi; Santaro, cioè Monte Maggio; Sacrata; Monte Coriolano. Don Vincenzo Galié ritiene che i cinque colli dello stemma potentino abbiano la
seguente lettura: quello centrale e più alto sia la collina madre, su cui si trovava la Pieve di
Santo Stefano; gli altri quattro simboleggino i quattro quartieri di Monte Santo, indicati nello
statuto, approvato da Callisto III nel 1455: San Paolo, o Girola, a nord-est; San Giovanni, a
sud-est, in zona Monte Canepino e villa Bonaccorsi; San Pietro, a sud-ovest, zona Castelletta; Sant’Angelo, a nord-ovest, zona Marolino e Mulino. Roberto Domenichini individua nel
colle centrale Monte Santo; negli altri quattro minori indica Monte Coriolano (Monte
Grugliano), Girola, Sant’Angelo e San Pietro.
1
2
1 Frontespizio del catasto di Monte Santo,
compilato nel 1762,
raffigurante lo stemma
comunale. Archivio
storico comunale
2 L’attuale stemma
comunale
43
Chiesa di San Francesco con il “pincio”,
anni Venti - Trenta
UNA FINESTRA SUL PASSATO
Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo
Grazie a studi condotti con grande meticolosità e competenza dallo storico Roberto
Domenichini(7), è possibile avere interessanti notizie su alcuni aspetti della società santese
del Trecento. Sono tre le fonti di queste conoscenze: un catasto riferibile al 1371; gli atti
rogati nel 1375 dal notaio Stefano di Domenico; le registrazioni contabili di un mercante di
pannilana dal 1386 al 1388. Il catasto, il cui primo compilatore fu il notaio Stefano di Matteo,
sembra riconducibile al solo quartiere di San Pietro (detto anche di Galazzano; gli altri tre
erano Sant’Angelo, San Paolo o Girola, San Giovanni). Il registro mostra una proprietà molto
frazionata, con imponibili che spesso non raggiungono le dieci libbre. La fascia degli intestatari più modesti (da una a 49 libbre di estimo) è pari al 65% del totale; il raggruppamento successivo (da 50 a 99 libbre) sfiora il 14%; la fascia dei possidenti medi (da 100 a 399
libbre) è quasi il 16%, quella dei medio-alti (da 400 a 1000 libbre) si aggira sul 4%, quella
dei più facoltosi (oltre le 1000 libbre) sull’1%. Cinquanta libbre era la quota minima per
poter essere eletti nel consiglio generale del Comune santese. Dai rogiti del notaio Stefano
di Domenico emerge un certo Aldrianus Nalli, notaio, proprietario di un frantoio e commerciante di pannilana, in una poliedricità di attività che non era affatto rara a quei tempi, dettata dalla volontà di diversificare gli investimenti.
Dal registro notarile di Stefano di Domenico apprendiamo che, nel 1375, Monte Santo poggia su un’economia in prevalenza agricola e presenta una non trascurabile attività commerciale, più in evidenza rispetto a quelle artigianali e manifatturiere. Notevole appare la tendenza all’investimento fondiario, ritenuto bene rifugio. In agricoltura domina l’olivicoltura,
favorita dal clima mite e dalla morfologia del terreno, collinare per quasi il 70%: essa dà
luogo alla produzione e al commercio dell’olio. Il grano e il vino sono gli altri prodotti dell’attività agricola locale. Di un certo rilievo nell’economia santese sono le fornaci che producono laterizi da esportare; da sottolineare anche la produzione di vasi. Il terzo documento preso in esame dallo storico Roberto Domenichini – le registrazioni contabili di un mercante di pannilana – porta alla luce la figura di Vanni di Messer Francesco. Questi è un
facoltoso proprietario terriero che si apre al commercio, soprattutto in campo tessile. Dalle
registrazioni relative alle sue vendite, si hanno interessanti notizie sulla sua attività mercantile. Egli dispone di una vasta gamma di tessuti, dai più economici a quelli di alta qualità,
con un’ampia scelta di colori. La sua clientela arriva dai centri limitrofi (ad esempio
Civitanova, Montelupone, Macerata, Osimo) ma anche da località più lontane (tra le quali
Perugia, Siena, Bologna, Milano), grazie al richiamo delle fiere che, nel basso Medioevo, si
organizzano in molte località della Marca. Intorno alla fine del Cinquecento i traffici commerciali diminuiscono, le attività artigianali e manifatturiere quasi scompaiono: solo il lavoro agricolo continua a sostenere la popolazione locale.
45
Il Monte di Pietà
Nella Monte Santo del XVI secolo(8) la gran parte della popolazione viveva in condizioni di
povertà, situazione comune anche nel resto del continente europeo. Per aiutare i cittadini
a far fronte con un briciolo di dignità alle esigenze del vivere quotidiano, la Chiesa e i governi locali crearono istituti come i monti di pietà. Quello santese iniziò ad operare il 30 gennaio 1558, per iniziativa del Comune, intenzionato ad assistere i poveri nelle loro necessità
di tutti i giorni. Ovviamente, per esistere il monte di pietà doveva dotarsi del denaro occorrente per il prestito su pegno. Il patrimonio dell’istituzione santese derivava principalmente
dal canale pubblico alimentato dal Comune, dal contributo delle istituzioni religiose e da
donazioni varie. Tra i finanziamenti dei privati vi era la questua: il Venerdì Santo, festa del
monte di Pietà, si raccoglievano offerte, come anche nel giorno di Pasqua. I prestiti alle persone bisognose, nei periodi di carestia, erano intesi a far fronte alle necessità alimentari: in
quei frangenti il prezzo del grano saliva, mettendo in grave crisi i salariati. Le persone in
difficoltà economica lasciavano al monte di pietà alcuni loro oggetti: si privavano, ad esempio, di capi di vestiario e di vari oggetti domestici. Lenzuola, camicie e tovaglie, ad esempio, erano tra le voci più ricorrenti tra i pegni lasciati prima del 1700; successivamente iniziarono a prevalere gli oggetti in metallo pregiato. Il monte di pietà santese fu, in definitiva,
un’istituzione assistenziale che dovette intervenire in varie carestie; distribuiva aiuti che fungevano da stimolo al lavoro, sollecitando il debitore al riscatto del pegno in tempi ragionevolmente contenuti.
Alberi di ulivo,
tenuta del Conte
Gian Mario Lazzarini,
località San Girio
46
I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese
Una ‘fotografia’ della vita sociale nel territorio santese di qualche secolo fa è fornita dal
Catasto Federici, realizzato dall’omonimo geometra di Monte Filottrano, cui la comunità
locale aveva affidato il compito di eseguire il rilevamento topografico, la misura e la stima
dei possedimenti(9). Il lavoro del tecnico iniziò nel novembre 1762 e terminò nel 1765. I dati
vennero raccolti in due registri voluminosi: uno descriveva i terreni censiti, la loro misura e
la loro stima; l’altro riguardava le mappe nelle quali i possedimenti territoriali erano riportati graficamente. Pur senza soffermarci sui dati tecnici della realizzazione dei registri catastali del Federici, è giusto segnalare un aspetto originale di quest’opera: il loro indirizzo
fisiocratico, secondo il quale l’estimo veniva calcolato in relazione alla capacità produttiva
del terreno. L’imposta si doveva individuare sulla capacità produttiva del fondo, per cui era
necessario trovare il sistema per passare dal valore del ‘terreno investito’ a quello del ‘terreno nudo’ in maniera oggettiva.
Il terreno coltivato, detto ‘terreno investito’, era il termine di riferimento da cui partire: dal
suo valore venivano tolte le spese sopportate dal proprietario e dall’agricoltore, arrivando
a dare una valutazione dell’attitudine del terreno nudo. I fondi erano, in tal modo, valutati
per la loro fertilità naturale e i proprietari erano addebitati della migliore coltivazione possibile. Essi, pertanto, erano spinti ad effettuare le colture più idonee se volevano evitare di
pagare ciò che non producevano e non coltivavano. Nel catasto venivano distinti terreni
arativi, prativi e sodivi. I possidenti erano laici ed ecclesiastici; i beni della comunità santese erano inseriti nell’ambito di quelli laici. L’estensione totale del territorio registrato dal
Federici era di 4.634,38 ettari: i possedimenti laici ammontavano a 2.994,68 ettari, quelli
ecclesiastici totalizzavano 1.371,75; il terreno rimanente apparteneva al Comune e aveva
un’estensione di 287,95 ettari. I possedimenti laici erano di piccole, medie e grandi dimensioni. Ai piccoli proprietari (73 su un totale di 91) appartenevano fondi con estensione massima di dieci ettari; i medi proprietari (11 in tutto) possedevano terreni con superficie compresa tra dieci e cento ettari; i grandi proprietari (7 in totale) avevano fondi di estensione
superiore a cento ettari. La proprietà più vasta era quella del conte Bonaccorso
Bonaccorsi, al quale appartenevano ben 1.006 ettari di terreno; a distanza lo seguivano,
nell’ordine, altri nobili, come il marchese Mancinforte Sperelli, il conte Carradori, l’Eredità
Marefoschi, il conte Orazio Mazzagalli, il conte Lodovico Bernabei e il conte Michele
Rinaldini. I possidenti ecclesiastici erano 38 e questo numero comprendeva conventi,
monasteri, abadie e altro.
Dal catasto Federici si può dedurre che la maggior parte dei piccoli terreni era lavorata
dagli stessi proprietari. Nelle proprietà più grandi, frazionate in più terreni, operava la mezzadria: ciò si desume dall’appartenenza dei grandi proprietari alla nobiltà e dall’esistenza
di diverse abitazioni coloniche per i mezzadri. Il catasto Federici non analizza le singole
coltivazioni realizzate nel territorio santese ma esse vengono raggruppate sotto la parola
‘arativo misto’. Quest’ultimo interessava quasi il 90% del territorio accatastato e aveva nella
cerealicoltura l’attività prevalente. Frequente era la presenza di piante come olmi, pioppi,
47
Frontespizio
del catasto di
Monte Santo,
1585-1586,
catasto Cicconi.
Archivio storico
comunale
48
querce, salici e mori, alberi che venivano ritenuti di sostegno alle necessità dei fondi, dei
proprietari e dei coloni. Ad esempio, la quercia forniva le ghiande per l’alimentazione dei
suini e legname; l’olmo vedeva le sue foglie utilizzate come foraggio. Di notevole importanza era la coltura del gelso, vista la diffusione degli allevamenti dei bachi da seta a partire
dal Settecento nel centro Italia. Frequente era la presenza di canneti: le canne erano tenute in buona considerazione dagli Statuti comunali perché servivano per sostenere le viti e
perché fornivano la ‘cannafoglia’, che si utilizzava per alimentare il bestiame. Molti terreni
ospitavano uliveti e vigne: la vite si coltivava a filoni supportati da canne (vigna filonata) o
appoggiata ad altre piante (vigna maritata o piantata): pregevoli, fin da allora, i vini prodotti. Oltre al terreno arativo, vi erano il prativo e il sodivo, entrambi di scarse qualità agricole.
Le abitazioni rurali erano la testimonianza dell’impegno del colono a custodire i beni che gli
erano stati affidati. La mezzadria è la caratteristica dell’agricoltura locale e prevede un
podere, una casa e una famiglia contadina che vi opera. L’abitazione riveste un ruolo fondamentale nell’attività: è un edificio che ha diverse funzioni, come quella di sicura dimora
per chi vi abita, disponendo di stanze, di un forno per cuocere il pane, di un pozzo di acqua
potabile.
Per l’allevamento degli animali ha a disposizione stalle, per ospitare i prodotti dell’agricoltura ci sono magazzini adatti, per gli attrezzi da lavoro ambienti idonei. La casa ha anche
luoghi destinati alla prima lavorazione dei prodotti, come la cantina per la vinificazione e
l’aia per l’essiccazione e la trebbiatura dei cereali. L’abitazione rurale, quindi, è una dimora e insieme la struttura portante dell’azienda agricola. Le sue dimensioni variano in base
alla superficie del fondo e alle necessità delle coltivazioni. Nel 1855-1856 il Comune santese ebbe un nuovo catasto, compilato secondo le indicazioni di Papa Gregorio XVI.
Rispetto a quello del Federici, il nuovo registro non si affida a misure locali ma si basa su
un modulo comune, valido in tutto lo Stato. Inoltre perde di validità il principio della ‘fertilità
naturale’ del fondo perché manca di esattezza; al suo posto viene introdotto il criterio dell’
‘attività relativa’, in base al quale la valutazione del terreno prende in considerazione la
natura del suolo, la sua posizione, le coltivazioni che vi si effettuano e ogni altro elemento
utile a determinare un sistema di valutazione il più oggettivo possibile. Nel catasto rustico
del 1855-1856, poi, si assiste alla scomparsa dei privilegi del clero: i possessori ecclesiastici vengono registrati nello stesso elenco di quelli laici. Dal confronto tra i due catasti
emerge la differenza numerica di abitazioni coloniche: in quello del Federici erano 163, nel
catasto ottocentesco superano le 400 unità. Tale cospicuo incremento è dovuto alla notevole frammentazione della piccola e media proprietà causata da divisioni per eredità e alla
forte diffusione della mezzadria.
49
Le abitazioni rurali nei secoli scorsi
Come erano le abitazioni della campagna santese del 1700 e 1800? Grazie ad uno studio
accurato di Sabrina Grandinetti(10) è possibile avere un’esauriente panoramica sull’argomento. La maggior parte delle case dei coloni di quel periodo venivano edificate in mezzo
ai campi, per dar modo a chi le abitava di vigilare su tutto il podere. Altre costruzioni erano
collocate vicino alle strade per facilitare le operazioni commerciali e i collegamenti con il
centro urbano. Le case coloniche avevano, in prevalenza, forma rettangolare e le loro
dimensioni erano, in qualche modo, direttamente proporzionali all’estensione del podere su
cui erano edificate. Il tetto era normalmente a doppia falda, cioè a due spioventi; quello a
quattro falde, visto il suo maggior costo di realizzazione, non veniva preferito. Le case
erano costruite con pietre e mattoni, ma si utilizzavano anche materiali provenienti da vecchie abitazioni demolite. Non si ha, invece, notizia di costruzioni in legno e argilla. Di particolare interesse è la costruzione a palombara, a colombaia.
La palombara è stato il primo insediamento abitativo nelle campagne in epoca medievale;
successivamente, adeguandosi alla politica agraria, ha finito per diventare la costruzione
dedicata all’allevamento dei colombi terraioli. Nel 1700, quando il concime non venne più
fornito da questi volatili ma dai bovini, le palombare cominciarono a perdere la loro funzione, anche se nelle campagne di Monte Santo ne esistevano una ventina intorno al 1765.
Per comprendere l’importanza di questo particolare edificio occorre avere presente la sua
evoluzione funzionale: quando si iniziò ad investire capitali cittadini sui fondi, prese il via il
ripopolamento delle campagne e i contadini trovarono nelle torri medievali, esistenti dal
1200, un punto di riferimento abitativo. La torre cominciò ad essere l’abitazione rurale del
colono e della sua famiglia, perdendo la funzione difensiva per la quale era stata costruita,
diventando una costruzione integrata nella dimora di campagna.
Accanto alla casa a torre iniziarono ad essere costruiti altri edifici a sviluppo orizzontale: nel
XVIII secolo la famiglia colonica non abitava nella torre ma se ne serviva come magazzino
e, nella sua parte più alta, ricavava una stanza dove allevare i colombi. La palombara era
normalmente composta da tre piani, ognuno dei quali ospitava un solo vano. Nel piano
terra era ricavato il locale per deporre gli attrezzi da lavoro e per il ricovero degli animali;
una scala interna portava al piano intermedio in cui, nei primi tempi dell’insediamento, vi
era l’abitazione della famiglia colonica, poi trasferita in una delle costruzioni di fianco alla
torre, lasciando maggiore spazio al magazzino nel quale venivano conservati i prodotti dei
vari raccolti; salendo ancora su per la scala interna si giungeva al sottotetto, dove venivano allevati i colombi. Gli abitanti della casa-torre avevano, così, la possibilità di sorvegliare
gli uccelli che allevavano, provvedendo alle loro necessità. La base della palombara era
quasi sempre quadrata, a volte rettangolare; l’edificio aveva un’altezza di circa dodici metri
e la dimensione del lato era di sei metri. Il tetto della palombara poteva essere realizzato
ad uno, due o quattro spioventi. Il più comune era quello a falda unica, ma era presente
anche quello a doppia falda. I materiali che venivano usati per costruire la palombara erano
quelli che si trovavano a disposizione nella zona: pietre e laterizi in particolare, anche insie-
50
Meridiana
casa colonica
del conte
Gian Mario Lazzarini,
località San Girio
me. Le venti torri presenti nel territorio santese erano
distribuite quasi uniformemente, con maggiore concentrazione in corrispondenza dei poderi delle famiglie nobili: la famiglia Bonaccorsi, ad esempio, ne
possedeva sei. Oggi sono rimaste solo due palombare nel territorio potentino: una si trova in contrada
Santa Cassella, l’altra in zona San Girio.
Negli anni a cavallo tra il XVIII e XIX secolo si assistette ad un sensibile popolamento delle campagne, che
portò ad una crescita numerica e di dimensioni delle
case coloniche. La palombara, fatto il suo tempo, lasciò il posto a magazzini spaziosi,
necessari per conservare i prodotti agricoli. All’inizio del 1800 le abitazioni rurali santesi fecero registrare modificazioni, che riguardarono principalmente la scala e la pianta della casa.
La prima, dall’interno della costruzione, si trasferì all’esterno addossandosi al lato lungo
della costruzione e lasciando alla famiglia colonica più spazio abitativo. Ciò consentì anche
di realizzare l’indipendenza della parte abitativa dai locali sottostanti, dove si trovavano gli
animali. La scala esterna delle abitazioni di campagna santesi era coperta a loggia. La pianta della casa subì delle variazioni nel corso del XIX secolo, diventando più articolata per
meglio rispondere alle crescenti esigenze del nucleo familiare. L’edificio abitativo aumentò
di dimensioni e ad esso si affiancarono nuove strutture. La pianta della casa abbandonò la
forma quadrata per assumere quella rettangolare od anche irregolare. Attorno all’abitazione
Panoramica della casa
colonica del Conte
Gian Mario Lazzarini,
località San Girio
51
Casa colonica con
palombara, località
Santa Cassella
comiciarono a costruirsi gli annessi: la capanna, il forno, il porcile, il pozzo e altre piccole
costruzioni per le necessità quotidiane. Intorno al 1800, nel territorio santese si introdusse
l’allevamento del baco da seta, attività che trasse la propria ragion d’essere dalla crescente domanda di prodotti serici che si verificò in tutto il continente europeo.
L’introduzione di questo allevamento nel nostro territorio fece sì che le abitazioni dei coloni
subissero delle trasformazioni, fino alla realizzazione di una particolare costruzione, denominata “con bigattiera rialzata”. Intorno alla metà del XIX secolo si assistette al fenomeno della
divisione dei fondi agricoli: da un terreno se ne ricavano due o tre. Stessa sorte toccò alle
case rurali: da un’abitazione riservata ad un solo nucleo familiare si creò spazio anche per
un’altra famiglia di coloni, anch’essa impegnata nella coltivazione di un terreno appartenente allo stesso proprietario. Come è facile immaginare, le condizioni abitative erano tutt’altro
che comode: al proposito si parlò delle tre ‘effe’ delle case rurali, sottolineando il freddo di
un ambiente in cui il camino fa fumo ma non scalda e dove la fame non si placa.
Casa colonica
con palombara
località San Girio
53
Le “Famiglie primarie” santesi dal XIV al XVIII secolo
In un documento autografo di Carlo Cenerelli Campana, conservato presso la Biblioteca
Francescana Picena di Falconara Marittima e risalente intorno alla metà del 1800, è riportato l’elenco delle “Famiglie primarie di Monte Santo, esistenti ed estinte” dal secolo XIV al
secolo XVIII, “nell’ordine di Cernita, come risulta dai registri comunali”.
Le Famiglie riportate sono: Casa Adriani, Casa Amari, Casa Augeni, Casa Barlotti, Casa
Bizzarri, Casa Boarese, Casa Bonaccorsi, Casa Bordoni, Casa Busciatti, Casa Carradori,
Casagrande, Casanuova, Casa Cenerelli, Casa Censi, Casa Coccetti, Casa Comi, Casa
Corraducci, Casa Coti, Casa Credenziati, Casa Fazzini, Casa Fortunati, Casa Gasparini,
Casa Gentili, Casa Giacopini, Casa Giri, Casa Graziani, Casa Guardirucci, Casa Guarnieri,
Casa Mancini, Casa Marefoschi, Casa Masi, Casa Masini, Casa Massi, Casa Massucci,
Casa Mazzagalli, Casa Mazzoni, Casa Meoli, Casa Mercenari, Casa Monaldi, Casa Nobili,
Casa Pechieni, Casa Pini, Casa Pettorali, Casa Peroni, Casa Pasquali, Casa Rossi, Casa
Ruggeri, Casa Scoccia, Casa Scortecchia, Casa Sereni, Casa Spiriti, Casa Tamberlani,
Casa Torri, Casa Torzo (?). La segnalazione del documento autografo del Cenerelli Campana ci è stata fatta dallo storico Roberto Domenichini, che ringraziamo cordialmente.
I nostri emigranti
Negli ultimi decenni del XIX e nei primi del XX
secolo, Potenza Picena diede un contributo
importante al fenomeno dell’emigrazione italiana: Argentina, Canada, Stati Uniti d’America e
Brasile furono tra le destinazioni più gettonate
dai nostri conterranei in cerca di migliori condizioni di vita. Nel 1892 i potentini emigranti raggiunsero il cospicuo numero di 125(11), collocandosi al secondo posto nella provincia di
Macerata in questa speciale classifica, preceduti solo dai recanatesi.
A lasciare il suolo natio era gente di varie classi sociali: presero la valigia artigiani, operai,
marittimi ma anche professionisti. Negli ultimi
vent’anni del 1800, nel territorio comunale
potentino si registrò un sensibile incremento
demografico: il numero degli abitanti crebbe
del 9%, raggiungendo quota 8.037. L’aumento
dei residenti si verificò in concomitanza di una
54
Piramide de Mayo
restaurata
nell’ottobre 2008
Inaugurazione della
Piramide de Mayo
16 luglio 1967
flessione dell’economia del luogo, dovuta alle difficoltà del mercato agricolo che soffriva
della concorrenza delle importazioni di cereali.
Dal 1890 e fino all’inizio della prima guerra mondiale l’emigrazione dei potentini fornì manodopera da inviare in Argentina: il movimento era talmente importante da giustificare la presenza di quattro subagenti di emigrazione, mentre anche il segretario comunale e il sindaco collaborarono nel favorire le partenze e nell’assistere gli emigranti a risolvere le questioni relative al viaggio. Le province di Buenos Aires, Santa Fè, Cordoba e Mendoza videro
l’arrivo di numerosi immigrati potentini, giunti nel continente americano per essere occupati nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame. Molti di loro erano attratti dalla prospettiva di poter diventare proprietari terrieri dopo alcuni anni di lavoro in loco. A testimonianza
del forte legame con la terra argentina esiste oggi a Potenza Picena un monumento: è la
Piramide de Mayo, inaugurata il 16 luglio 1967, a ricordare quello stretto rapporto cementatosi con gli anni.
55
La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza”
Agli inizi del 1900, Porto Potenza Picena aveva poche centinaia di abitanti e le loro principali occupazioni erano il
commercio, l’artigianato e la pesca. Per la gran parte della
gente locale non mancavano le preoccupazioni di natura
economica e ciò rese sentita l’esigenza di creare un’organizzazione che si occupasse di solidarietà sociale.
In occasione del Carnevale del 1907, alcuni giovani si unirono per realizzare i festeggiamenti e, successivamente,
decisero di conservare quel tipo di aggregazione, versando una quota settimanale di 10 centesimi. Poco dopo, uno
di quei ragazzi si ammalò e gli altri, per aiutarlo, misero a disposizione una somma di denaro. Fu questa la nascita della Società di Mutuo Soccorso di Porto Potenza Picena, la cui riunione inaugurale si tenne il 9 giugno 1907, nella casa del signor Giovanni Colocci, in via
Regina Margherita, l’edificio a tutti noto come “il Palazzone”, di fronte alla stazione ferroviaria. I soci fondatori erano 46, il signor Colocci venne nominato cassiere e amministratore
capo della neonata società, il cui principio fondamentale era la fratellanza e la solidarietà
tra i soci e il cui fine unico era il mutuo soccorso materiale, intellettuale e morale. La Società
Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” svolge la sua lodevole attività da oltre un secolo;
nel 2007, in occasione dei cento anni dalla fondazione, si è espresso l’auspicio che essa
possa “costituire, per la cittadinanza locale, elemento di coesione e aggregazione tra le
diverse realtà sociali e culturali che abitano il nostro territorio”(12).
Festeggiamenti per i
100 anni della Società
Operaia Mutuo
Soccorso “Speranza”,
Porto Potenza Picena,
2007
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LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE
Piazza Matteotti
Piazza Matteotti è il cuore di Potenza Picena, lo è sempre stata, fin da quando, in pieno
Medioevo, portava il nome di piazza Santo Stefano, in omaggio all’antica pieve intitolata al
primo martire della cristianità. Subito dopo l’Unità d’Italia si chiamò piazza Principe di
Napoli. Le fanno da cornice palazzi di storiche famiglie potentine, come i Bonaccorsi, i
Marefoschi, i Carradori e i Mazzagalli; non sono più presenti, invece, la pieve di Santo
Stefano – elevata a Collegiata insigne nel 1754 e demolita nel 1796 – e la chiesa di San
Giovanni “de platea”. Il palazzo del Comune, il palazzo del Podestà, la torre civica e il teatro “Bruno Mugellini” sono alcuni degli edifici che circondano e caratterizzano architettonicamente piazza Matteotti.
Il palazzo del Comune dovette essere di proprietà del vescovo di Fermo(13) e sembra risalisse al 1199-1200. Nel processo di realizzazione dell’autonomia comunale santese, la struttura, dal Duecento in avanti, ospitò i Consigli Generale e di Credenza, il Magistrato e gli uffici comunali. A metà del Settecento, il palazzo fu ricostruito dal ticinese Pietro Bernasconi,
che si era già occupato di villa Bonaccorsi. Al piano superiore vi era una loggia, al di sopra
della quale si trovava una ‘torretta’. Intorno al 1850 la loggia fu chiusa per ricavare spazi
agli uffici comunali, la ‘torretta’ venne demolita e al suo posto si costruì una soffitta. Nel
piano terra c’erano tredici stanze, nelle quali trovavano posto, tra l’altro, lo spaccio del
pane, il forno, il Monte di Pietà, la posta e l’archivio pubblico. Attualmente, nella Sala della
Giunta del Palazzo Comunale sono esposti i quadri Madonna col Bambino tra i santi
Martino e Rocco (1584) di Simone De Magistris, Allegoria della Pace (sec. XVIII) di Corrado
Giaquinto e Sant’Emidio (1770) di Benedetto Biancolini. Il palazzo del Podestà risale al XIV
secolo ed è stato oggetto di opere di ristrutturazione nel Settecento – probabilmente con la
realizzazione della merlatura ghibellina – e nella prima metà dell’Ottocento.
L’edificio, nei suoi piani superiori, fu la sede degli uffici del Podestà, magistrato che si occupava prevalentemente di questioni giudiziarie; nel Settecento e nell’Ottocento le sue competenze si ampliarono fino a comprendere argomenti di natura amministrativa. Al piano
terra e nel seminterrato c’erano le carceri. La torre civica, sulle cui origini medievali non si
hanno molte informazioni, fu ricostruita nel Settecento e ad essa lavorò anche l’architetto
Pietro Augustoni alla fine di quel secolo. La struttura, successivamente, venne danneggiata da un fulmine e fu riedificata su progetto dell’ingegner Gustavo Bevilacqua nel 1886.
57
Palazzo Comunale
in una foto del secondo
dopoguerra
Piazza Principe
di Napoli,
inizi del Novecento
58
Piazza Matteotti oggi
Piazza Matteotti con
la fontana restaurata
nel marzo 2009
59
Madonna col
Bambino tra i santi
Martino e Rocco
Simone De Magistris,
1584, Sala Giunta
Allegoria della Pace
Corrado Giaquinto,
sec. XVIII,
Sala Giunta
Piazza Principe di Napoli, ora piazza Matteotti, al centro il Palazzo Comunale, 1887
Teatro “Bruno Mugellini”, particolare del soffitto,
al centro la tela dipinta dal pittore romano
Ignazio Tirinelli, 1862
Il teatro “Bruno Mugellini”
Il teatro, autentico gioiello di storia e di arte, è una delle eccellenze di Potenza Picena.
Fino al 1856 Monte Santo(14) non disponeva di un teatro stabile, a differenza dei Comuni limitrofi. Per colmare quella lacuna, l’8 marzo di quell’anno il conte Osvaldo Carradori, il dr.
Silvestro Bravi e Achille Gasparrini decisero di chiedere al Delegato Apostolico di Macerata
l’autorizzazione a costituire una società di azionisti per la costruzione di un teatro stabile nel
Comune santese, autorizzazione che venne concessa dopo appena quattro giorni. Il 2
maggio successivo, la seduta consiliare si occupò dell’argomento, in particolare della
richiesta dei tre promotori prima citati di ottenere la concessione dell’uso della ‘sala municipale’ e dei due vani adiacenti per costruire un teatro stabile. In quella riunione si sottolineò il vantaggio che la comunità locale avrebbe potuto trarre dalla disponibilità di una tale
struttura e si definì il teatro come ‘scuola delle umane passioni, ove si corregge il vizio e la
virtù si esalta’. La seduta consiliare concesse l’uso dei locali richiesti, a patto che prima si
costituisse legalmente la società degli azionisti. Questa vide ufficialmente la luce il 12 giugno 1856 e della sua nascita si informò il priore comunale con una lettera del 17 giugno. I
tre rappresentanti della società – Filippo Bonaccorsi, Arezio Gasparrini e Osvaldo Carradori – fecero subito redigere una perizia provvisoria per la costruzione del teatro e la inviarono all’architetto recanatese Giuseppe Brandoni. Nella seduta consiliare del 4 aprile 1857
venne presentata la proposta di utilizzare per la costruzione del teatro anche i due locali
sottostanti alla sala e alle due stanze annesse, in modo da realizzare una struttura più
capiente. La richiesta fu accolta all’unanimità. Dopo un’altra perizia tecnica e altri atti amministrativi, in data 20 aprile 1858 il presidente della società teatrale, cav. Filippo Bonaccorsi,
e il deputato della stessa società, Silvestro Bravi, assegnarono all’architetto Brandoni i lavori per la costruzione del nuovo teatro nei locali del Comune. Questi terminarono nel novembre 1859; il 20 dicembre successivo venne eseguito il collaudo della nuova struttura.
Le decorazioni del teatro furono realizzate dal pittore Filippo Persiani: egli terminò la sua
opera dopo l’Unità d’Italia. Forse per celebrare tale avvenimento, venne dipinta l’incoronazione di una donna (l’Italia) sulla parte centrale del soffitto. Il conte Filippo Bonaccorsi propose di aprire il teatro al pubblico in occasione del Carnevale 1862. Il “Bruno Mugellini” ha
tre ordini sovrapposti di palchi, una platea a forma di ferro di cavallo, un palcoscenico, due
camerini, scale e servizi. La sua capienza totale è di 152 posti a sedere.
L’intitolazione del teatro all’illustre musicista avvenne il 28 ottobre 1933. Nel 1970 la struttura venne chiusa al pubblico; nel 1984 iniziarono i lavori di restauro che si conclusero nel
febbraio 1990. Oggi il “Mugellini” è un vero e proprio gioiello di arte, storia e cultura, ammirato da chiunque abbia la fortuna di entrarvi. A cura dell’Amministrazione Comunale, ospita interessanti stagioni teatrali, con la partecipazione di noti attori. Il 18 novembre 2006, il
teatro ha visto recuperato il suo antico e prezioso sipario, un’autentica opera d’arte che
completa in maniera armoniosa l’intera struttura. Esso ha una larghezza di 704 centimetri e
un’altezza di 561: è dedicato alla dea Minerva, divinità alla cui tutela gli antichi avevano affidato l’arte e la scienza. Per lunghi anni il sipario era rimasto abbandonato nei depositi
65
comunali, in un oblio dal quale è stato riportato alla luce il 10 marzo 1998 grazie all’intervento di Bruno Grandinetti e di altri cittadini.
L’Amministrazione Comunale ha poi provveduto a farne effettuare il restauro e a ricollocarlo nel teatro “Mugellini”. Ignoto è l’autore del sipario: inizialmente si pensava fosse il pittore recanatese Filippo Persiani – l’artista cui si devono le decorazioni del teatro – ma da
documenti d’archivio è emerso che il sipario venne acquistato dalla Società Teatrale dal
Seminario di Macerata è che è più antico del teatro stesso; il restauro fu eseguito dal pittore potentino Lorenzo Giardetti. Il sipario presenta, nella sua parte centrale, una scena mitologica con la dea Minerva e altri personaggi; nella cornice in alto vi è lo stemma sabaudo
dei Savoia in segno di omaggio per l’Unità d’Italia; in basso si nota lo stemma del Comune
di Potenza Picena. Grazie all’ultimo restauro – nel corso del quale sono stati rilevati precedenti interventi con tecniche artigianali, eseguiti dai fratelli Rinaldo e Igino Carestia – il sipario ha riacquistato uno splendore artistico notevole e concorre a rendere ancora più bello il
teatro “Mugellini”.
Interno del teatro
“Bruno Mugellini”
66
Portale di
Palazzo Properzi
sec. XV
I portali
A Potenza Picena si possono ammirare alcuni portali di eccellente qualità artistica. Presso
Palazzo Properzi se ne trovano due ogivali in terracotta, degli inizi del sec. XV; in via Tripoli,
al numero 26, si incontra un portale in terracotta, con simboli ebraici, del sec. XVI. In vico
Solanelli troviamo il portale in pietra del palazzo Trionfi, oggi Mazzoni, datato 1469. Nel
mezzo dell’architrave è scolpito lo stemma di famiglia, sorretto da due putti o angeli. Ai lati
dell’architrave vi sono due figure, una maschile e una femminile; sopra vi è un’iscrizione
che cita il nome di Giovanni Trionfi, nativo di Monte Santo, che aveva “acquisita” la nobiltà
anconitana. Il palazzo doveva essere stato la sua casa natale.
Particolare
del portale
di Palazzo Trionfi,
oggi Mazzoni
67
Le porte di Monte Santo
La cinta muraria di Monte Santo era dotata di quattro porte d’accesso: Porta Girola (o di
San Paolo, conosciuta anche come Porta Marina), Porta San Giovanni (popolarmente denominata “della Madonna delle Grazie”), Porta di Galazzano (o “di Galiziano”, o “di San
Pietro” o “Porta Macerata”), Porta del Cunicolo (o “della Cava”). Di esse è giunta in buono
stato fino ai nostri giorni soltanto quella “di Galazzano”. Circa l’ubicazione delle porte
occorre notare che, in origine, esse non si trovavano nella posizione attuale, ma erano più
arretrate perché la cinta muraria di Monte Santo è stata allargata almeno tre volte dalle origini (secoli X-XI) al Quattrocento; pertanto, quelle che conosciamo attualmente sono porte
costruite a seguito dell’ultimo allargamento della cinta muraria, probabilmente verificatosi
nel secolo XV. Nel corso dei secoli le porte hanno subito vari restauri: gli interventi, in particolare quelli effettuati sulle facciate esterne, hanno risentito dei gusti artistici e delle mode
prevalenti in ogni singola epoca. Vediamo, in dettaglio, le quattro porte montesantesi.
Porta Girola,
anni Trenta
68
PORTA GIROLA. Situata a nord-est, menzionata in documenti risalenti al 1365 ed eretta nei
pressi della chiesa della Madonna della Neve, questa porta era l’inizio della strada che
conduceva ai porti di Ancona e Recanati. Era una “porta doppia”, cioè aveva una porta che
si apriva verso l’interno e un’altra verso l’esterno; nel mezzo poteva ospitare un posto di
guardia. In foto scattate intorno agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, si può osservare come la facciata fosse settecentesca, in quanto rifatta seguendo il gusto neoclassico
dell’epoca in cui venne realizzata; vennero aggiunti anche dei merli, probabilmente per
richiamare le origini medievali della costruzione. Porta Girola venne demolita nel dicembre
del 1950(15), sacrificata alle esigenze del crescente traffico automobilistico del tempo che
richiedeva una più comoda via d’accesso al centro abitato.
PORTA SAN GIOVANNI. Sita a sud-est, vicino alla chiesa della Madonna delle Grazie, molto
probabilmente era la porta preferita dalla quale dirigersi verso il Porto di Monte Santo (l’attuale Porto Potenza Picena). Anticamente non esisteva l’attuale strada che dal Varco conduce direttamente al Porto: dal Varco occorreva continuare per la strada di “Palazzo Rosso”
Porta San Giovanni
prima della
demolizione nel 1956
69
Porta di Galiziano
o di Galazzano
70
Madonnina di
porta Girola
opera di
Giuseppe Asciutti
(oggi villa Compagnoni Marefoschi). Pertanto, per raggiungere
il Porto di Monte Santo o quello di
Civitanova si partiva da Porta San
Giovanni, percorrendo la cosiddetta “Strada del Giardino” o di
villa Bonaccorsi. La demolizione
di Porta San Giovanni risale al
1956(16), anche in questo caso per
rendere più facile l’accesso al
centro abitato di Potenza Picena
con le automobili.
PORTA DI GALIZIANO. Situata a
sud-ovest, pare debba il suo nome
a quello di un rivo presso il quale
venne costruita la fonte omonima,
utilizzata in passato per lavare o
bere. Era nota anche come “Porta
Macerata” perché da essa partiva
la strada che conduceva all’omonima città, capoluogo amministrativo
della Marca per tutto l’antico regime. Come Porta Girola, anch’essa
viene menzionata in documenti del 1365 ed era una “porta doppia”, ospitando un posto di
guardia. Nel corso dei secoli ha subito vari interventi di ristrutturazione, come quelli del 156672 e del 1775, anno nel quale venne rifatta la facciata esterna secondo il gusto neoclassico,
con l’aggiunta di pinnacoli sulla sommità. Nel 1894 la porta è stata restaurata. Nel 1960 è
stata isolata dalle mura castellane(17) e sottoposta ad altro restauro.
PORTA DEL CUNICOLO. Posta a nord, nord-ovest, si trovava in quello che ora è il quartiere di Sant’Angelo. In tempi più recenti venne chiamata anche “Porta della Cava” (anche il
tratto della strada di circonvallazione sottostante era detto “Strada della Cava”). Della Porta
del Cunicolo si ha notizia fin dal 1365. Nell’archivio comunale di Potenza Picena esiste una
documentazione visiva di questa porta, grazie ad una pianta a colori disegnata dall’ingegnere comunale Saverio Pierangeli, allegata ad una sua perizia del 1818. La Porta del
Cunicolo, di cui si è persa memoria a livello popolare, era più piccola delle altre tre. Nella
perizia del 1818 risulta essere già chiusa; di essa resta solo un rudere.
71
Il porto di Monte Santo e la torre quadrata
Il trascorrere dei secoli ha un testimone d’eccezione a Porto Potenza Picena: la torre di
Sant’Anna, come tutti familiarmente la chiamano. L’imponente edificio è ciò che rimane di
una struttura fortificata, eretta in periodo medievale, a scopo difensivo. I documenti antichi
ne parlano come dell’ ‘edificio del Porto’ o anche come ‘Porto’ di Monte Santo. Il grande
fabbricato, in base a disegni del Settecento, aveva forma quadrangolare, un cortile interno
e una porta che dava sul mare. Non vi sono dati certi sulle sue origini. In una pergamena
della prima metà del Quattrocento, probabilmente appartenente ad un registro, vi è un
primo accenno al forte: vi sono riportate delle spese del Comune, alcune delle quali relative ad acquisto di utensili per il ‘Porto Communis’, a pagamenti per il trasporto di materiale
da Monte Santo al Porto, al salario del ‘Capitano del Porto’, tale Alessandro di Domenico.
L’archivio del Comune conserva un altro documento importante: in esso, nel febbraio 1426,
si registra la nomina di un Capitano del Porto e si riporta l’inventario di beni presenti nell’edificio, forse già a quel tempo fortificato. Lungo il nostro litorale adriatico era particolarmente attenta la vigilanza verso eventuali incursioni nemiche dal mare. Si ha notizia(18) che
nel 1484, per prevenire possibili attacchi di imbarcazioni turche, venne attivato un servizio
72
Porto di Monte Santo
in una raffigurazione
del tardo Seicento
da M. L. de Nicolò,
Costa difesa,
Fano 1998
Pianta della fortezza
del porto
di Monte Santo
di soldati a cavallo che dovevano perlustrare le spiagge
per dare l’allarme in caso di avvistamenti di natanti ostili. Nella prima metà del Cinquecento cominciò a farsi
urgente il bisogno di rendere il Porto più protetto a causa
di più frequenti minacce nemiche. Per meglio difendere
il territorio, Papa Pio IV nel 1564 concesse al Comune
santese di utilizzare il denaro e i beni confiscati ai rei per
sistemare le mura castellane e la rocca del Porto. Non è
escluso che quest’ultima sia stata riedificata quasi completamente intorno alla fine del XVI secolo, come testimonierebbe una piccola lapide presente sulla costruzione. Riguardo alla torre (con base quadrata di m 5,70 per
lato, un’altezza di m 25, uno spessore delle pareti alla base di m 1,60 e di m 0.50 alla sommità), pare che essa sia stata progettata dall’architetto Verzelli di Recanati. Dalla sommità
dell’imponente edificio, scrutando il mare fino all’orizzonte, era possibile avvistare imbarcazioni nemiche in avvicinamento. Immediatamente veniva dato l’allarme a Monte Santo: di
giorno con segnali di fumo, di notte con la luce del fuoco e col suono della campana a martello. La presenza di altre torri lungo tutto il litorale adriatico permetteva, con le stesse
modalità, di trasmettere l’allarme lungo la linea costiera, mettendo le popolazioni in condizione di organizzare per tempo la difesa. Nel Seicento l’area del Porto dovette vivere un
periodo di declino: il calo del commercio sul mare Adriatico è probabile che facesse diminuire l’interesse del Comune santese per il suo Porto, ormai diventato quasi esclusivamente una struttura di difesa militare e sanitaria. Ai primi anni del XVIII secolo risale la prima
Torre Nova
(in costruzione)
tra Monte Santo
e il porto di
Recanati
73
descrizione abbastanza precisa dell’edificio: in essa si presenta la ‘Torre quadra’,
con il ‘maschio’ alto e imponente, coperto
di tegole e idoneo per vigilare. Nella
costruzione, dotata pure di un pozzo d’acqua potabile e di una chiesetta, abitava
solo una famiglia e non vi erano valide
armi per difendersi: questo, almeno, è
quanto dichiara lo sconosciuto autore del
testo. Dopo il 1750, grazie alla crescita
economica verificatasi in agricoltura, il
Porto torna ad avere un suo ruolo. Nel
1766 il Comune realizza interventi su tutto
l’edificio, quindi anche sulla torre, che
viene dotata di merli ‘ghibellini’, come le
mura perimetrali. Di tali lavori si parla negli
atti consiliari e la data è incisa su un mattone dell’edificio.
Terminate le guerre napoleoniche, scomparso il fenomeno delle incursioni turche
dall’Adriatico, non ha più ragione di essere la funzione difensiva dell’edificio, demanializzato in periodo napoleonico e poi
lasciato in semi-abbandono. Il Comune,
dopo l’Unità d’Italia, ne tornò in possesso e, dopo alcuni anni, demolì il forte, decidendo di
conservare la torre che, nel 1884, vedrà modificata la sua parte superiore. Da ricordare,
oltre la torre del Porto, un altro importante presidio del litorale santese: si tratta della “Torre
Nova”, situata più a nord, nella giurisdizione della Parrocchia di San Girio.
Attualmente la torre di Sant’Anna, ristrutturata nel 1998, ospita un percorso storico(19) apprezzabile durante la salita verso la sommità dell’edificio; didascalie e cartelli esplicativi permettono al visitatore di ottenere le necessarie informazioni. Appese alle pareti interne, vi sono
54 riproduzioni di disegni raffiguranti il litorale adriatico dello Stato Pontificio intorno al 1670,
con tutte le fortificazioni e le loro planimetrie, da Porto d’Ascoli fino a Goro, nel Ferrarese. I
disegni originali sono conservati alla British Library di Londra. Salendo le eleganti scale in
legno della torre si incontrano due plastici che rappresentano la fortezza del ‘Porto’ nel 1667
e Torre Nova in costruzione. Di particolare interesse un dipinto olio su tavola (cm 240x90) di
Alessia Bianchini, raffigurante la battaglia di Lepanto. Salendo ancora si incontra un modellino di marciliana, nave da carico veneta; questo tipo di imbarcazione era solito approdare
nel porto di Monte Santo per caricare olio, vino, granaglie, prodotti nella nostra terra. Sulla
sommità della torre vi sono tre campane di bronzo con superficie decorata.
74
“Torre Nova”
di proprietà del
conte Leopoldo
Bonaccorsi,
1930
La torre del Porto
ristrutturata
nel 1998
75
1
2
1 particolare della
campana di bronzo
della torre
2 interno della torre
3 plastico della
“Torre Nova”
4 teste apotropaiche
della campana di
bronzo della torre
3
4
76
Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo
La presenza del secondo ordine francescano nell’antica Monte Santo ha una significativa
testimonianza nel monastero di San Tommaso Apostolo, fondato anteriormente al 1227(20).
Di esso le prime notizie arrivano da una bolla di Papa Gregorio IX, datata 20 ottobre 1227.
Si narra che a fondare la struttura religiosa siano state due consorelle di Santa Chiara. Il
monastero presenta linee architettoniche sobrie, in accordo con l’umiltà caratteristica
dell’Ordine francescano. A cavallo tra il XVII e XVIII secolo si è avuta la ricostruzione della
chiesa, il cui interno presenta elementi barocchi. Di linee neoclassiche, invece, sono gli
altari in pietra, la cui realizzazione risale al 1780. Attribuiti a pittori di scuola romana sono i
dipinti che raffigurano l’Annunciazione e l’Immacolata tra San Gioacchino, Sant’Anna, San
Francesco e Santa Chiara; L’incredulità di San Tommaso è il titolo di un’altra opera pittorica, eseguita dall’artista Francesco Caccianiga (1700-1781). Nel corso dei secoli la comunità francescana ha ricevuto donazioni provenienti da testamenti di fedeli; l’avvento di
Napoleone e, successivamente, il nuovo clima politico-sociale venutosi a creare dopo
l’Unità d’Italia crearono molte difficoltà alla vita monastica. Nonostante ciò il monastero –
che ospitò per un certo periodo le suore benedettine di Santa Caterina – ha continuato a
rappresentare, per la collettività potentina una significativa presenza, un punto di riferimento rilevante nel tessuto sociale cittadino.
Interno della chiesa
77
Monastero delle
Clarisse, campanile
della chiesa
di San Tommaso
Particolare di
Madonna con
Bambino, S. Lucia
e S. Vincenzo Martire,
autore ignoto,
sec. XVIII,
chiesa di Santa
Caterina d’Alessandria
Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto
Il monastero e la chiesa di Santa Caterina sono stati eretti nel 1280, stando a quanto riporta un catalogo benedettino. Di sicuro il convento – nel quale hanno trovato ospitalità le
monache benedettine – esisteva nel 1348, quando una signora del luogo, tale Gebelosa,
destinò ad esso alcune sue proprietà, come registrato in un documento pergamenaceo
conservato nell’archivio del Comune potentino. Intorno alla metà del XV secolo le autorità
religiose avevano dato l’autorizzazione di realizzare un dipinto con l’immagine della
Vergine: tale opera, che forse venne ospitata nella chiesa, diventò subito oggetto di devozione sia per la gente locale che per i pellegrini in transito per Monte Santo. Monastero e
chiesa non sono intitolati, come si potrebbe pensare, a Santa Caterina da Siena ma alla vergine e martire Santa Caterina d’Alessandria.
All’interno della chiesa (oggi sconsacrata e adibita a fototeca comunale), sull’altare maggiore si trova Sant’Antonio Abate (sec. XVIII), di autore ignoto; ai lati dell’altare maggiore
sono conservate le opere Estasi di S. Teresa (sec. XVIII) e Madonna con Bambino, S. Lucia
e S. Vincenzo Martire (sec. XVIII). Il convento benedettino, dove trascorsero la loro vita
monastica giovani di illustri famiglie santesi, subì interventi di ristrutturazione verso la metà
del XVIII secolo; la chiesa venne quasi riedificata totalmente nella prima metà del secolo
successivo. Anche le suore benedettine, ovviamente, furono penalizzate dagli eventi storici del periodo napoleonico e dell’Unità d’Italia: le monache persero la proprietà dei beni e,
dopo essere state ospitate dalle Clarisse nel monastero di San Tommaso, riuscirono ad
acquistare palazzo Marefoschi e l’annessa chiesa di San Sisto, dove hanno proseguito la
loro attività religiosa.
79
Altare maggiore
della chiesa di Santa
Caterina d’Alessandria,
Sant’Antonio abate
sec. XVIII, autore ignoto
Madonna col Bambino,
San Giovanni Battista e
San Sisto, autore ignoto,
fine sec. XVII
inizi sec. XVIII,
Chiesa di San Sisto
81
Nel corso degli anni il monastero di Santa
Caterina è stato adibito, tra l’altro, ad asilo, orfanotrofio femminile, casa di riposo di signore
anziane gestiti dalle Figlie della Carità (o monache Cappellone), che già in precedenza avevano gestito a Potenza Picena l’ospedale civile. Il
monastero è stato anche utilizzato come sede
della Congregazione di Carità, poi diventata
Ente Comunale di Assistenza.
Attualmente l’ex monastero ospita la casa di
riposo, la fototeca comunale e l’associazione
Amici della Musica, l’Avis e alcuni appartamenti. Il 22 maggio 1933 al monastero delle Benedettine di Potenza Picena venne riconosciuta
ufficialmente la personalità giuridica. All’interno
del monastero delle Benedettine è conservata
l’opera, di autore ignoto, Madonna in gloria con
i SS. Caterina, Benedetto e Scolastica (XVIII
secolo); da sottolineare anche la presenza della
poltrona sulla quale, nel maggio 1874, si sedette Papa Pio IX, in occasione della sua visita a Potenza Picena, nella chiesa della Collegiata
(il Pontefice, nell’occasione, donò alla stessa chiesa un ostensorio e alle suore benedettine
la sua papalina). Nella chiesa di San Sisto si può ammirare il dipinto Madonna col Bambino,
San Giovanni Battista e San Sisto, di autore ignoto.
82
Poltrona su cui sedette
Papa Pio IX nel maggio
del 1874, monastero di
San Sisto
La cappella dei
Cittadini e artisti
L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata
La vita religiosa di Monte Santo prima e Potenza Picena poi è stata ed è tuttora caratterizzata anche dall’opera delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata.
Grazie all’iniziativa di Suor Faustina Mengo (1770-1829), nativa di San Girio e sorretta da
una fede straordinaria, questa congregazione vide la luce nel 1816 ed ebbe in Casa
Mazzagalli la sua culla(21). All’inizio furono cinque le giovani che, riunite dal prevosto don
Luigi Pasquali, dedicarono la loro esistenza alla preghiera, al lavoro e all’educazione della
fanciulle povere, il tutto alla luce del valore redentivo della sofferenza. Nel 1818 le suore si
trasferirono nel convento dei Minori Conventuali e, nel 1820, furono ospiti della casa del
conte Guelfo Rinaldini. Solo nel 1822, con l’autorizzazione dell’Arcivescovo di Fermo,
Cardinale Brancadoro, si spostarono nel collegio della soppressa Compagnia di Gesù.
Guidate da Suor Faustina, esse si distinguevano pure per la loro bravura nei lavori di tessitura, grazie ai quali cercavano di far fronte alle difficoltà economiche, aiutate in ciò anche
da don Pasquali e dai Padri Cappuccini.
La loro maestria al telaio è stata sempre unanimemente apprezzata e ha dato luogo a prodotti di eccellente qualità. Ancora oggi è possibile ammirare i telai, sui quali lavorano alcune ragazze del luogo.
83
Antico Telaio dell’Istituto delle figlie del SS. Redentore
e della Beata Vergine Addolorata
Chiostro dell’Istituto delle figlie del SS. Redentore
e della Beata Vergine Addolorata
Le suore, che crescevano di numero col passare del tempo, davano un’educazione cristiana alle bambine povere del paese, istruendole e assistendole con cura e generosità d’animo. Il 31 marzo 1838 il Papa concesse alle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addolorata
l’abitazione nella prepositura di Monte Santo. L’anno successivo la Congregazione della
Carità di Monte Santo chiese alle suore dell’Addolorata che due di loro si rendessero disponibili per assistere le piccole ospiti nella casa dell’orfanotrofio a Sant’Antonio: era la prima
volta che il loro servizio veniva richiesto al di fuori della Casa madre. Il 2 febbraio 1924 il
Vescovo fermano, Carlo Castelli, emanò il decreto di formale approvazione della
Congregazione delle Suore del SS. Redentore e della B.V. Addolorata.
Nel 1928 il Comune di Potenza Picena sollecitò la superiora Madre Ida Murri ad aprire una
Casa a Porto Potenza Picena: ella ne parlò col parroco don Silvio Spinaci e, successivamente, venne chiesta a Mons. Marinozzi la disponibilità di una grande colonia marina nel
paese rivierasco. Da quel momento in poi la presenza delle suore dell’Addolorata si diffuse in varie località: nel 1930 venne aperta una Casa a Meldola (Forlì); nel 1934 l’Istituto portopotentino si trasferì in via Regina Margherita; nel 1937 si aprì una nuova Casa a
Fontespina; nel 1939 le suore acquistarono un edificio in territorio di Amandola per gestire
un pensionato di giovani studentesse; nel 1944 venne aperta una scuola a Montefalcone
Appennino.
Tra il 1955 e il 1958 vennero eseguiti lavori di ristrutturazione dell’ex collegio dei Gesuiti,
sede delle suore a Potenza Picena. Nel 1971 ebbe inizio l’attività apostolica e missionaria
delle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addolorata in Brasile: gli insegnamenti e il desiderio della fondatrice, Suor Faustina, di aprirsi ai bisogni dei poveri varcavano, così, i confini locali per soccorrere genti di un altro continente. Il 2 febbraio 1990, sotto il pontificato
di Giovanni Paolo II, l’Istituto è divenuto di Diritto pontificio. Tuttora le Suore del SS.
Redentore e della B.V. Addolorata continuano la loro opera educativa e sociale a vantaggio dei giovani e delle famiglie bisognose.
87
Il convento dei Cappuccini
La Sacra Famiglia
e San Giovannino,
Santi di Tito,
fine sec. XVI,
convento dei
Cappuccini
Il consiglio comunale santese, nel marzo 1560, provò a convincere, senza successo, i
Cappuccini a stabilirsi nel suo territorio e per far questo decise di assegnare loro la chiesa
di San Girio e il vicino convento, che prima ospitava i padri Carmelitani. Otto anni dopo il
tentativo si ripeté: la terra offerta per la costruzione del monastero, in quella occasione, era
stata individuata su un colle, che verrà detto ‘dei Cappuccini’, l’attuale Colle Bianco. I frati
gradirono l’invito e, nel giro di due anni (1571-1572) la chiesa fu eretta e venne intitolata a
San Lorenzo Martire. Per motivi ignoti, nella prima parte del XVII secolo i Cappuccini fecero richiesta di demolire tutto il complesso e di edificare un nuovo monastero non lontano dal
luogo dove sorgeva quello precedente. Nel periodo 1653-1657 il convento venne costruito, anche grazie alle donazioni dei fedeli locali. Come gli altri ordini religiosi, anche i Cappuccini subirono le soppressioni dell’età napoleonica. Negli anni successivi all’Unità
d’Italia, chiesa e convento furono abbandonati e chi vi era ospitato si trasferì in case di privati. Il Comune acquistò l’ex monastero nel 1869 per farne un ricovero per mendicanti; nel
1875 i Cappuccini, su loro richiesta, vennero autorizzati ad assistere i ricoverati.
Alla fine del XIX secolo i monaci tornarono in possesso dei loro edifici, chiesa compresa.
Quest’ultima è stata recentemente fatta oggetto di opere di restauro; in essa si trovano
importanti dipinti, come la Deposizione del De Magistris (1576), la Sacra Famiglia e San
Giovannino fine XVI secolo, del pittore toscano Santi di Tito e altre opere di pregio.
89
Altare del convento dei Cappuccini
La Deposizione, Simone De Magistris, 1576,
convento dei Cappuccini
Chiostro
del convento
dei Frati Minori
Il Convento dei Frati Minori
La presenza dei Frati Minori, popolarmente detti “Zoccolanti”, a Monte Santo risale alla
seconda metà del XV secolo. Il pontefice Pio II inviò al Comune, nel 1463, due bolle con le
quali intendeva promuovere la realizzazione di un monastero da costruire a poca distanza
dalla chiesa di San Girio. L’ubicazione indicata, però, non piaceva ai monaci perché la vicina valle del fiume Potenza non garantiva caratteristiche di salubrità; per questo i frati espressero il loro gradimento per un’area prossima al centro abitato santese. Il luogo venne individuato nella collina vicina a porta Galiziano, nei pressi di un bosco. Fu papa Alessandro VI,
nel 1498, ad autorizzare l’insediamento; un anno dopo iniziò la costruzione del monastero e
della chiesa, intitolata a S. Antonio da Padova. La chiesa, nella quale sono stati sepolti membri di importanti famiglie santesi – come i Marefoschi, gli Scoccia e i Mancinforte – conserva opere di un certo rilievo, come una Crocifissione del pittore veneto Palma il Giovane
(1599) e la pala dell’altare maggiore Madonna con Bambino e i santi Giuseppe, Caterina
d’Alessandria, Francesco e Antonio, realizzata da Simone De Magistris (1576).
L’epoca napoleonica ebbe pesanti conseguenze sul monastero. La struttura, venduta a privati, subì delle manomissioni e fu anche impiegata come lazzaretto in occasione di un’epidemia di tifo che si verificò nel 1817. I monaci rientrarono in possesso del convento nel 1831;
dopo l’Unità d’Italia, però, il monastero venne ancora espropriato e utilizzato come caserma
militare. Solo alla fine del XIX secolo i frati sono riusciti a riprendere il possesso di chiesa e
convento, che sono stati ricostruiti nel tempo. Attualmente il convento ospita il centro missionario della provincia dei Frati minori e un bel museo missionario.
92
Altare maggiore
del convento
dei Frati Minori
93
Crocifissione
Palma il Giovane, 1599
convento dei
Frati Minori
Madonna con Bambino
e i Santi Giuseppe,
Caterina d’Alessandria,
Francesco,
Antonio da Padova,
Simone De Magistris,
1576, pala dell’altare
maggiore del convento
dei Frati Minori
La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francesco
o dei PP. Francescani Conventuali
Nell’area del Belvedere Donatori di Sangue, meglio noto come Pincio, sorge la grande chiesa di San Nicolò, comunemente detta di San Francesco. La presenza del Santo di Assisi
dalle nostre parti viene riferita dalla tradizione popolare, secondo la quale i santesi donarono al Poverello e ai suoi seguaci delle piccole case, proprio nella zona dell’attuale Pincio.
Quei piccoli edifici dovettero essere la base sulla quale venne costruito il monastero francescano nel terzo decennio del XIII secolo. I frati, trasferitisi per un periodo di tempo a
Monte Grugliano (Coriolano), tornarono a San Nicolò intorno alla fine dello stesso secolo:
chiesa e monastero divennero luoghi di riferimento importanti per i fedeli locali. La chiesa,
secondo le informazioni fornite dall’inventario del 1729, aveva due navate e sei altari; tra le
opere d’arte presenti c’era un polittico su tavola di Vittore Crivelli, risalente al 1493 e ora
disperso; vi erano anche affreschi eseguiti da Ludovico Urbani nel 1491. La chiesa, come
la vediamo oggi, risale agli anni intorno al 1770: la facciata e il campanile, entrambi di notevoli dimensioni, pare siano stati opera dell’architetto lombardo Pietro Augustoni.
All’interno della chiesa si possono ammirare quattro statue che rappresentano le virtù cardinali; pregevoli anche il coro ad intagli, realizzato dall’ebanista Moschetti, e i confessionali. I dipinti presenti risalgono quasi tutti al XVIII secolo: raffigurano, tra l’altro, un Miracolo di
San Giuseppe da Copertino, La Natività, Il transito di S. Andrea di Avellino. Ai lati del quadro dell’altare maggiore, che rappresenta la Vergine Immacolata tra Angeli e i Santi
Niccolò, Francesco d’Assisi e altro santo francescano (forse S. Giuseppe da Copertino), si
possono vedere due tele relative alla vita francescana. Attualmente la chiesa appartiene al
demanio; quello che resta del convento è stato adibito dal Comune a biblioteca e archivio
storico.
96
La Prudentia
sec. XVIII,
chiesa di
San Francesco
Particolare del coro ad intaglio della chiesa di San Francesco
realizzato dall’ebanista Moschetti, sec. XVIII
La chiesa di San Giacomo
Sita nei pressi di porta Galiziano, la chiesa sembra risalga alla seconda parte del XIV secolo. La sua costruzione e l’officiatura sono relative all’attività della confraternita del Corpus
Christi, nota anche come di San Giacomo, un tempo unita alla confraternita di S. Maria
Maddalena, la cui sede era presso la chiesa dei padri Agostiniani, che portava lo stesso
nome. Nel novembre 1430, la curia fermana autorizzò il priore della confraternita di S. Maria
Maddalena, Ludovico di Tommaso, a costruire un ‘ospedale’ per poveri e malati (venne impiegato pure per ospitare i pellegrini diretti al santuario lauretano); tale costruzione, da edificarsi vicino a porta Galiziano, doveva essere dedicata a San Giacomo Maggiore apostolo. Nel
catasto di Monte Santo del 1371 c’è già notizia della presenza di questa chiesa. Ulteriore conferma della edificazione del sacro edificio si ricava dal rosone in pietra arenaria, che si può
ammirare sulla facciata: secondo vari studiosi, esso risale proprio alla seconda parte del
XIV secolo. Ospedale e chiesa hanno formato un unico complesso fino a circa il 1750: il
primo venne chiuso nel 1765 perché era diventato un riparo di malfattori; la seconda, invece, diventò sede parrocchiale con bolla del 20 ottobre 1774 dell’Arcivescovo di Fermo, cardinale Urbano Paracciani. La chiesa di San Giacomo venne ristrutturata intorno alla fine del
XIX secolo. Nel 1943 c’è stato un ulteriore intervento: è stato eseguito su progetto dell’architetto Eusebio Petetti e ha riguardato la facciata. Nella chiesa è conservato un polittico di
Paolo Bontulli da Percanestro (1507), intitolato La Vergine con Bambino tra i SS. Giacomo
Maggiore e Rocco. Nei due altari laterali si trovano il S. Cuore di Luigi Fontana (sec. XIX) e
San Michele Arcangelo uccide il demonio (sec. XVIII).
100
Rosone in pietra
arenaria sulla
facciata della chiesa
di San Giacomo,
sec. XIV
Vergine con Bambino
tra i SS. Giacomo
Maggiore e Rocco,
polittico di
Paolo Bontulli da
Percanestro, 1507,
chiesa di San Giacomo
Particolare del polittico
di Paolo Bontulli da Percanestro
La chiesa della Madonna delle Grazie
Tra le molte chiese che sorgono a Potenza Picena, quella della Madonna delle Grazie è
particolarmente cara alla gente locale. Si trova vicino a Porta San Giovanni, nel luogo dove
pare vi fosse un’edicola votiva che meritò la devozione dei fedeli. Si racconta che un dipinto della Madonna con il Bambino, risalente all’inizio del XV secolo, dispensasse grazie a
coloro che vi si rivolgevano con fiducia e con la preghiera. Anche nello Statuto comunale,
approvato nel 1455, si parla del luogo come Via Gratiarum, via delle grazie. La fede del
popolo potentino, grande e profonda, ha riservato sempre particolare attenzione a questa
piccola chiesa. Intorno al 1750 essa restò chiusa perché le sue condizioni strutturali non
garantivano la sicurezza; negli anni Ottanta dello stesso secolo la chiesa rischiò anche di
essere demolita per ordine dell’arcivescovo di Fermo, mons. Minucci, intenzionato a servirsi del materiale per restaurare la chiesa di San Giacomo.
Ovviamente la popolazione di Monte Santo si oppose strenuamente alla decisione del prelato fermano: la gente chiese aiuto al conte Leandro Mazzagalli, pregandolo di finanziare i
lavori di recupero della chiesetta e di acquisirne il patronato. La volontà del popolo preval-
104
Affresco della
Madonna
delle Grazie,
inizio sec. XV
se e l’edificio religioso venne ristrutturato e ingrandito, permettendo a più fedeli di frequentarlo: esso divenne anche meta privilegiata dei pellegrini che si recavano a Loreto, i quali
lo visitavano per manifestare la loro autentica devozione e gratitudine. Essi lasciavano exvoto alla Vergine, in particolare tavolette raffiguranti immagini di miracoli. La chiesa della
Madonna delle Grazie venne ampliata nel 1872 per ospitare un maggior numero di fedeli;
nel 1883 fu rifatta la facciata. Undici anni dopo, in un clima di grandi festeggiamenti popolari, si ebbe la solenne incoronazione della Vergine e del Bambino.
Dopo il crollo del tetto, avvenuto nel 1970, la chiesa è stata ricostruita quasi completamente. Le cronache degli anni recenti hanno, purtroppo, dovuto registrare i furti delle corone
d’oro della Madonna e di Gesù: gesti inqualificabili che contrastano profondamente con
l’amore e la fede della gente potentina verso questo caro luogo di culto.
Chiesa di Santa
Maria della Neve,
anni Cinquanta
106
La chiesa di Santa Maria della Neve
Vicino alla porta principale di Potenza Picena (porta Girola) si può ammirare la chiesa dedicata alla Beata Vergine della Neve. Fu costruita, probabilmente, nella prima parte del XV
secolo: ciò pare trovare conferma nel fatto che l’affresco Madonna col Bambino e angeli
che si trova sopra l’altare venga attribuito da alcuni studiosi a Giacomo di Nicola da
Recanati, artista che operava nella nostra regione nel sec. XV, il dipinto sembra sia stato
rimaneggiato più volte nei secoli successivi. Quasi certamente la chiesa, in origine, era di
piccole dimensioni; successivamente, grazie a donazioni, si poterono effettuare lavori di
ampliamento. Nel 1573 il vescovo di Fermo, mons. Maremonti, durante la visita apostolica
di quell’anno, ordinò che fossero realizzate opere di miglioramento strutturale. La chiesa
visibile oggi dovrebbe risalire alla seconda metà del XVII secolo, probabilmente al 1663,
data che si può leggere in una incisione su cotto. Forse dello stesso periodo è il nuovo altare e la casa adiacente, dove abitò un eremita, che dovette fungere da custode dell’edificio
religioso. La loggetta d’ingresso della chiesa fu costruita nel corso del XVIII secolo: essa
poteva dare riparo ai pellegrini diretti a Loreto, garantendo loro una sosta sicura in caso di
maltempo. Nell’estate del 1672 Papa Clemente X concesse il privilegio di indire, ogni anno,
una fiera il 5 agosto, giorno della Beata Vergine della Neve: l’iniziativa, che interessò anche
i giorni 4 e 6 dello stesso mese, dava la possibilità di portare e vendere merce, senza pagare alcuni dazi. Dalla chiesa di Santa Maria della Neve, il 19 settembre di ogni anno, partiva un pellegrinaggio popolare verso il santuario di Loreto, per ringraziare la Vergine dello
scampato pericolo corso da Monte Santo, che stava per essere ‘infeudato’ dalla Santa
Sede e dal duca di Ferrara nel 1562. Tale minaccia svanì per l’orgogliosa reazione della
gente santese. Nei primi anni del XVIII secolo, nella chiesa fu sepolto il marchese Ludovico
Marefoschi: con il suo testamento aveva istituito il conservatorio per le orfane potentine.
Portico restaurato
della chiesa di Santa
Maria della Neve
107
La chiesa di Santo Stefano
Madonna col
Bambino e angeli,
attribuita a Giacomo
di Nicola da
Recanati, sec. XV,
chiesa di Santa
Maria della Neve
Nota come Collegiata, è quella originariamente dedicata a S. Ignazio, appartenuta ai
Gesuiti, i quali potevano disporre anche di un collegio, ospitato nell’edificio annesso. Il progetto dell’intera struttura è opera dell’architetto p. Giovanni De Rosis e risale all’ultima parte
del XVI secolo; nel 1616 fu approvato in maniera ufficiale dal p. Generale della Compagnia
di Gesù. La realizzazione del grande complesso architettonico gesuitico venne promossa
da un benefattore, il nobile Antonio Casagrande, che allo scopo mise a disposizione una
cospicua somma di denaro. A Monte Santo i primi rappresentanti della Compagnia di Gesù
arrivarono intorno al 1580, ospiti di privati, e si misero immediatamente a svolgere la loro
attività religiosa. Alla fine del 1584 vide la luce la congregazione dei “Cittadini e artisti”, intitolata dalla Beata Vergine Assunta, che è stata attiva fino a dopo la seconda guerra mondiale. A quegli stessi anni dovrebbe risalire anche l’istituzione della congregazione dei contadini, che venne dedicata alla Purificazione di Maria. Successivamente ebbero origine le
congregazioni dei nobili, degli ecclesiastici e degli scolari.
La prima pietra del collegio dei Gesuiti fu posta nel maggio 1585 da Fabio De Fabiis, padre
provinciale dell’Ordine, sul luogo dove, in precedenza, sorgevano la chiesa di Santa Lucia
e l’ospedale di San Giuliano. La costruzione della chiesa di S. Ignazio – una delle prime in
Italia dedicata al Santo – iniziò nell’agosto 1631, presente l’arcivescovo di Fermo. Alle
ingenti spese contribuì una donazione del conte Pietro Antonio Marefoschi, che morì proprio in quel periodo. Nel 1773, sotto il papato di Clemente XIV, la Compagnia di Gesù fu
soppressa e anche a Monte Santo la presenza dei Gesuiti venne meno. Nel 1796 l’antica
109
Pieve di Santo Stefano, che sorgeva dove ora c’è piazza Matteotti, venne abbattuta: nel
1754 era stata elevata a Collegiata da Benedetto XIV. La Collegiata e il Capitolo vennero,
così, trasferiti nella chiesa di S. Ignazio che, il 25 maggio 1796, venne dedicata a S. Stefano
protomartire. Sull’altare maggiore della chiesa, dove si trovava il quadro raffigurante S.
Ignazio, opera del romano Giacinto Brandi, vi è collocato il S. Stefano, della scuola del
Pomarancio (prima metà del sec. XVII); nella cappella a sinistra La Pentecoste del milanese Andrea Lanzani (1677); nella seconda di destra si può ammirare La morte di S.
Giuseppe, di cui è autore il fiorentino Benedetto Luti (1666-1724). Altra opera di pregio è
l’organo costruito dai Bazzani di Venezia nel 1848. Una scalinata scende alla cappella
della Congregazione dei Contadini, sottostante la chiesa: le pareti e il soffitto conservano
affreschi di Benedetto Biancolini (sec. XVIII).
Organo della chiesa
di Santo Stefano
realizzato dai Bazzani,
1848
110
La Pentecoste,
Andrea Lanzani,
1677,
chiesa di
Santo Stefano
Cappella dei contadini,
seconda metà sec. XVIII
Santo Stefano
Scuola del Pomarancio,
inizio sec. XVII
Particolare
dell’ostensorio donato
da Papa Pio IX
nel 1874 alla chiesa di
Santo Stefano
La chiesa di San Marco
La chiesetta di San Marco, tuttora esistente, si trova a breve distanza dalla chiesa di Santo Stefano. Dedicata all’Evangelista (fine sec.
XIII-inizi XIV), il più antico documento che attesta la sua esistenza
risale al 1346 ed è stato ritrovato dallo storico Roberto Domenichini.
Rimasta di proprietà della Santa Casa di Loreto, è attualmente
sconsacrata, sembra da più di settanta anni.
115
L’ex complesso agostiniano
Facciata
della chiesa
di Sant’Agostino
oggi auditorium
“F. Scarfiotti”
Nel centro storico di Potenza Picena, a poche decine di metri da piazza Matteotti, si incontra
il complesso di Sant’Agostino: ne fanno parte l’ex convento, la chiesa, il campanile e il chiostro. La presenza degli agostiniani a Monte Santo e nella preesistente chiesa di Santa Maria
Maddalena è testimoniata da un documento conservato in Vaticano e risalente al 2 Luglio
1250. In quella data il vescovo di Fermo, Gerardo, concesse a quei religiosi quella chiesa,
concessione che fu ratificata da Papa Innocenzo IV il 20 Settembre dello stesso anno. Nel XIV
secolo alcuni agostiniani dimorarono nel convento e il Comune offrì cera alla chiesa.
Del 1348 è il testamento di una tale signora Gebelosa che destina dei beni per la “fabrica” di
Santa Maria Maddalena: probabilmente il convento fu ricostruito o almeno ristrutturato intorno alla seconda decade del 1400. La chiesa, fin dalle origini, è intitolata a Santa Maria
Maddalena: agli inizi del XX secolo nel complesso di Sant’Agostino è stata ritrovata una terracotta raffigurante la Santa. Tale opera, attribuita ad Ambrogio Della Robbia, è stata ospitata nella sala della Giunta Municipale di Potenza Picena, poi è stata rubata nel Gennaio 1997.
Secondo alcuni, la preziosa terracotta era, in origine, posizionata sopra l’altare maggiore della
chiesa. Popolarmente il tempio porta la denominazione di Sant’Agostino per il fatto che vi
operavano i padri agostiniani. Fino ai primi decenni del XVIII secolo la chiesa presentava due
navate, quattro archi, otto altari e tre porte. I lavori di rifacimento del complesso pare si protrassero fino al 1770. In seguito a lavori realizzati in anni recenti (2002-2007) la chiesa, sconsacrata, è divenuta sede del centro culturale intitolato alla memoria del premio Oscar
Ferdinando Scarfiotti. L’edificio mostra linee semplici e decorazioni che offrono all’insieme una
sobria eleganza. Entrato dall’ingresso principale, il visitatore può osservare, sulla parete sinistra, il primo altare laterale, dove si conserva un dipinto ad olio su tela della prima metà del
1600, della scuola di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio: San Nicola da Tolentino intercede per le anime del purgatorio. Il secondo altare di sinistra presenta un olio su tela del XVIII
secolo, opera di artista ignoto: essa rappresenta la Vergine col Bambino, Santa Chiara, il
beato Antonio da Amandola, San Clemente da Osimo e Sant’Agostino. Nel terzo altare sinistro si può ammirare la Madonna del Rosario, i cui autori sono stati individuati negli artisti fermani Filippo e Alessandro Ricci (XVIII secolo). Sulla parete dell’abside si trova una grande
tela che mostra Maria Maddalena ai piedi della Croce: l’opera è di Piero Tedeschi. Al centro
della zona absidale è ospitato il prezioso organo da sala di Giovanni Fedeli (1757), restaurato nel 2007. Sull’altro lato della chiesa, presso il terzo altare di destra, vi è un dipinto ad olio
del Settecento, di autore sconosciuto: ritrae la Madonna col Bambino, Santa Monica e
Sant’Agostino. Nel primo altare destro si può osservare una scena del Miracolo del pozzo,
anch’essa del XVIII secolo e di autore ignoto. Nel corpo laterale, oggi utilizzato come foyer, a
ridosso della parete sinistra si nota il paramento dell’altare maggiore; si può ammirare anche
il tabernacolo, opera del Settecento. Nella parte superiore del foyer si trova l’opera di
Bernardino di Mariotto (1506) intitolata Madonna con Bambino tra i SS. Antonio, Francesco e
Angeli musicanti. Attualmente l’ex complesso agostiniano è una struttura polivalente e spaziosa, con funzione di auditorium, sala convegni o ambiente museale.
117
Interno
dell’auditorium
“F. Scarfiotti”
ex chiesa
di Sant’Agostino
La Maddalena ai
piedi della Croce,
Pietro Tedeschi,
seconda metà
del sec. XVIII
L’architettura
dell’auditorium
“F. Scarfiotti”
Madonna con
Bambino tra i Santi
Antonio, Francesco
e Angeli musicanti,
Bernardino di
Mariotto, 1506,
foyer dell’auditorium
“F. Scarfiotti”
Antico
candeliere
San Nicola da
Tolentino intercede
per le anime del
Purgatorio, della
scuola di Cristoforo
Roncalli detto il
Pomarancio,
sec. XVII
Madonna del Rosario, attribuito a Filippo e Alessandro Ricci di Fermo, sec. XVIII
paesaggio
Il territorio comunale di Potenza Picena, bagnato dal mare Adriatico, ha una superficie di 48,2 chilometri quadrati e una popolazione di poco superiore ai 15.000 abitanti.
Se la provincia di Macerata è definita, a buon diritto, “terra delle armonie”, i luoghi
potentini ne sono un esempio validissimo. Un entroterra costituito da dolci colline – sulle
quali le varie colture agricole disegnano geometrie d’autore, apprezzabili nei filari di
viti e negli uliveti – che godono di una benefica esposizione al sole; un litorale pianeggiante, dove chi ama il mare ha a disposizione spiagge sabbiose e ampie. Quattro sono
i nuclei abitativi del territorio comunale potentino: Potenza Picena, Porto Potenza
Picena, Montecanepino e San Girio. Sono centri aventi peculiarità diverse che, messe
insieme, donano alla nostra realtà locale una ricchezza di storia e di tradizione che
non ha nulla da invidiare alle altre città marchigiane e a quelle extraregionali.
Cerimonia della consegna della Bandiera Blu
21 giugno 2008
130
2008: la prima bandiera blu del Comune di Potenza Picena
Nel 2008 il Comune di Potenza Picena ha avuto la sua prima Bandiera Blu, il prestigioso
riconoscimento europeo che premia quelle località che si distinguono, tra l’altro, per la cura
che rivolgono alla qualità dell’ambiente, per le strutture di cui dispongono, per i servizi che
offrono. La lunga strada per arrivare a tale affermazione è stata percorsa con impegno e
determinazione ed è stata caratterizzata da scelte sagge, come quella, ad esempio, di mettere in atto una raccolta differenziata di rifiuti che ha fatto salire il nostro territorio nei primi
posti della relativa classifica nazionale. Negli anni precedenti l’ottenimento della Bandiera
Blu, il Comune potentino ha eseguito opere pubbliche importanti, di riqualificazione urbana, di recupero o di trasformazione di edifici storici, di realizzazione di nuove strutture che
lo hanno legittimato ad aspirare ad un futuro turistico di ottimo livello. Il 21 giugno 2008, solstizio d’estate, alla presenza del Sindaco Sergio Paolucci, di altre autorità e di una gran folla
di persone, si è celebrata la prima conquista della Bandiera Blu della Città di Potenza
Picena: non un punto d’arrivo, come ha detto giustamente il primo cittadino nel suo intervento, ma un trampolino di lancio per meritare di tagliare traguardi ancora più ambiti, rispettando l’ambiente, promuovendo il turismo, continuando a camminare sulla strada di un
lodevole progresso sociale e civile. Anche per il 2009 al Comune di Potenza Picena è stata
assegnata la Bandiera Blu.
131
Potenza Picena
Ha le caratteristiche proprie di un centro medievale: posta su un colle, dotata di una notevole cinta muraria, presenta di sé un’immagine di antica nobiltà. Visitando il centro urbano si
possono apprezzare vari scorci paesaggistici di autentica bellezza: si incontrano ampie ed
eleganti scalinate, piazze di pregevole architettura. Chi ha la fortuna di passeggiare per le vie
cittadine respira aria pura e storia nel medesimo tempo, avendo l’opportunità di ammirare stupendi palazzi, testimonianze sontuose di una nobiltà che alberga ancora nel ricordo della
gente del luogo.
Potenza Picena si è chiamata Monte Santo fino al 1862(22): a tale nome non dovettero essere
estranee le 27 chiese che, un tempo, il paese contava, oltre a tanti campanili. La cittadina collinare è cresciuta attorno alla splendida piazza Matteotti: ad essa arrivano, da ogni punto cardinale, le vie urbane, quasi in atto di omaggio alla centralità del luogo, punto di riferimento
geografico e storico del paese. Qui, infatti, sorgeva l’antica pieve di Santo Stefano, attorno
alla quale vennero a stabilirsi coloro che dettero inizio alla realtà urbana santese. Oltre alle
numerose ricchezze storiche e architettoniche di Potenza Picena, al visitatore non sfugge la
bellezza panoramica che si gode dal belvedere del Pincio(23): agli occhi si apre un paesaggio
di straordinaria armonia, che passa dalle vette appenniniche alla costa adriatica, con in
mezzo un mare di verdi colline, tra le quali spicca quella su cui si erge la Basilica di Loreto.
All’esterno della cinta muraria è andata, nel tempo, sviluppandosi la parte moderna del
paese, costituita da vaste aree caratterizzate da nuovi quartieri abitativi.
Anche il progresso economico e industriale ha avuto il suo spazio: numerose aziende sono
sorte, ad esempio, lungo la strada statale Regina, dove operano ditte i cui prodotti sono
apprezzati sia in Italia che all’estero. Nonostante tale sviluppo, Potenza Picena ha conservato la propria identità di paese tranquillo e fiero cultore delle tradizioni locali: la festa del
Grappolo d’Oro, che si celebra nella seconda metà di settembre, è l’esempio più calzante di
come la comunità potentina sappia dar rilievo ad un’attività – quella della coltivazione della
vite – che nei secoli ha rappresentato e tuttora rappresenta, oltre che una concreta fonte di
reddito, anche un evento capace di aggregare la gente del luogo e di diventare elemento
distintivo di cultura popolare. Passato e presente convivono in maniera armonica a Potenza
Picena: la tranquillità dei luoghi, lo splendore architettonico dei suoi edifici e la dolcezza del
clima sono i tratti salienti di una città che merita di essere visitata.
132
Porto Potenza Picena
Distesa per quasi tre chilometri alle spalle della sua bella spiaggia, è un’apprezzata località balneare, posta sulle più importanti vie di comunicazione nazionali. Sorta agli inizi del
1900, la cittadina rivierasca si presenta come una realtà urbana in rapido sviluppo. La ricettività turistica può contare su una grande struttura (il Natural Village), situata a nord del
paese, capace di ospitare molte centinaia di villeggianti: se ad essa si aggiungono i posti
letto garantiti da campeggi, alberghi e case di privati, la cifra sale ulteriormente. Moderni
impianti sportivi consentono la pratica di numerose discipline e la disputa di campionati di
livello nazionale.
A Porto Potenza Picena opera il noto Istituto Santo Stefano, realtà sanitaria di eccellente
livello nelle terapie riabilitative e in altri campi della medicina. La spiaggia portopotentina
offre ampi spazi a chi ama le vacanze al mare: è quasi totalmente sabbiosa, ospita vari e
attrezzati stabilimenti balneari. Da alcuni anni è dotata di un elegante lungomare che, verso
sud, sale su un belvedere – intitolato nel 2007 a Lord Baden Powell, fondatore del movimento scout – dal quale si gode un’ottima vista sul mare Adriatico. Porto Potenza Picena è
in grado di garantire un soggiorno tranquillo a chi venga a trascorrervi un periodo di vacanza: le famiglie possono trovarvi tutti i servizi necessari, i giovani hanno a disposizione locali di ritrovo e discoteche di assoluto livello (come il Babaloo), meta di ragazzi che vi giungono anche da fuori regione. Nei mesi estivi sono varie e interessanti le iniziative proposte
dal Comune e dalla Pro Loco: quest’ultima, tra le tante manifestazioni, organizza un’apprezzata sagra delle vongole. Piazza Douhet, piazza della Stazione, piazza Saverio Marotta
sono i luoghi dove la gente si incontra più spesso, soprattutto nei giorni di festa o nei vari
momenti dell’anno in cui si organizzano manifestazioni pubbliche. In luglio, nel periodo
della festa in onore della Patrona Sant’Anna, ad esempio, la cittadina è meta di un elevatissimo numero di visitatori, attratti dal nutrito calendario di iniziative ed, in particolare, dal
grandioso spettacolo pirotecnico sul mare.
La vita estiva di Porto Potenza Picena ha conosciuto eventi di spettacolo di assoluto rilievo
a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Grazie all’attività del celebre
Giardino Florida, anima del quale è stato Attilio Principi, si sono avute numerose serate con
i migliori cantanti del tempo: nella cittadina rivierasca si sono esibiti gruppi notissimi, tra i
quali i Dik Dik, i Camaleonti, l’Equipe 84, o cantanti come Patty Pravo, stabili frequentatori
delle zone alte della classifica discografica della Hit Parade. In quegli anni il Giardino
Florida era meta consueta di tanta gente che arrivava da tutte le Marche e da fuori regione
per assistere a quegli spettacoli di musica leggera. I giovani di allora avevano anche la
possibilità di frequentare il Peretos, un locale da ballo all’aperto, situato nella zona sud del
paese, a ridosso della linea ferroviaria. Era un luogo di incontro per i ragazzi, residenti e villeggianti, un sano ritrovo dove trascorrere in compagnia alcune ore danzando e ascoltando musica, tra un passaggio e l’altro dei treni sferraglianti sui binari…; poi, magari, si chiudeva la serata con una romantica passeggiata sulla riva del mare, alla luce della luna.
Accanto all’imponente torre quadrata, di cui abbiamo già parlato, si trova la chiesa di
136
Sant’Anna, consacrata nel 1926 dall’Arcivescovo di Fermo, Mons. Carlo Castelli: essa custodisce il dipinto Vergine con Bambino tra i Santi Gioacchino e Anna (sec. XVII), della scuola
romana. Attorno alla chiesa si è sviluppato, nel corso del tempo, l’abitato di Porto Potenza.
Degli anni Sessanta è la chiesa del Corpus Christi, edificata quando la crescita demografica rese necessario un luogo di culto di maggiore capienza. Al suo interno si può ammirare
un grande mosaico dal titolo Cristo centro della storia della Salvezza. Particolarmente caro
alla popolazione locale è l’oratorio parrocchiale, fondato nel 1948 e denominato “Casa del
Fanciullo”. Alla sua costruzione, per la quale il parroco don Mauro Carassai e la comunità di
Porto Potenza Picena si impegnarono a fondo, diede un contributo notevolissimo la famiglia
perugina dei Conti Conestabile della Staffa, in particolare il Conte Alessio, stimata guida
dell’Istituto Santo Stefano. Varie generazioni di giovani sono cresciute negli ambienti dell’oratorio, punto di riferimento di aggregazione sociale, luogo dove trascorrere in modo sano il
tempo libero, condividendo i valori cristiani. Nel 2008 è iniziata, su proposta del parroco don
Cesare Di Lupidio e di diversi parrocchiani, la costruzione del nuovo oratorio che, affiancando il vecchio, potenzia l’offerta di spazi dedicati ai giovani.
137
Sant’Anna
(chiesa nuova)
consacrata nel 1926,
realizzata dall’architetto
Eusebio Angelo Petetti
Stazione di Potenza
Picena - Montelupone,
anni Venti - Trenta
138
Via Regina Margherita,
1950 circa
La spiaggia,
anni Cinquanta
139
Via Cristoforo
Colombo,
anni Quaranta
140
3
3
Posa della prima pietra
della chiesa del
Corpus Christi,
29 giugno 1964
Giocatrici di tennis,
nella piazza della
Stazione, davanti a
palazzo Colucci,
inizio Novecento
141
Interno della
chiesa di
Sant’Anna,
consacrata
nel 1926
Vergine con Bambino
tra i santi Gioacchino
e Anna, della scuola
romana, seconda metà
del sec. XVII
Piazza Douhet
Parco dei laghetti
Montecanepino
Percorrendo la direttrice meridionale, che
collega Porto Potenza a Potenza Picena, si
incontra Montecanepino. Gli studiosi la indicano come l’erede di Castel San Giovanni
che, nel medioevo, sorgeva sull’area dove
ora si può ammirare villa Bonaccorsi.
Intorno alla chiesa di San Giovanni si è sviluppato il piccolo nucleo urbano, particolarmente frequentato nella giornata del Lunedì
di Pasqua, quando tanta gente vi arriva per
vivere una delle feste più popolari nella tradizione di tutto il territorio comunale(24).
La festa di San Vincenzo Ferreri, il lunedì
dopo Pasqua, aveva il suo punto di riferimento nella chiesetta di campagna addobbata e illuminata, intitolata a San Giovanni,
situata all’inizio della principale strada d’accesso a Montecanepino provenendo da
Porto Potenza. Al mattino, alle 11, si celebrava la Santa Messa; al pomeriggio si dava spazio a vari giochi popolari, cui si partecipava con allegria e spontaneo entusiasmo, con la gente che arrivava numerosa dai principali centri del territorio comunale e dai paesi vicini. Tra i giochi più… gettonati vi era quello
delle brocche: tali recipienti, appesi ad un filo, dovevano essere colpiti da un giocatore
bendato. Dalla brocca rotta poteva uscire anche acqua e allora, per il concorrente, c’era
un bagno fuori programma tra le risa dei presenti. In un’atmosfera di serenità, a Montecanepino la giornata trascorreva tra passeggiate, bancarelle e merende all’aria aperta, con
la gioia di un contatto diretto con la natura che tornava a vestire i colori e i profumi della primavera. Adesso quella chiesetta di campagna non c’è più; al suo posto è sorta un’edicola
dedicata alla Madonna; la festa, invece, continua ad esistere, con attrazioni di vario tipo e
con lo spettacolo pirotecnico a sera inoltrata.
La mitezza del clima, l’armonia del paesaggio, il sapore ancora vivo della vita agreste
danno a Montecanepino una gradevole identità, come ben sanno coloro che vengono a trascorrervi giornate di vacanza a stretto contatto con una natura ancora ricca di autentica
genuinità. Sull’origine del nome di questo nucleo urbano, che risale al XIX secolo, devono
aver avuto influenza i cosiddetti “canepini”, cioè i cordai, i lavoranti la canapa, che operavano in numero consistente in quest’area.
148
Edicola di casa
Giordano Giampaoli
Scorcio caratteristico
di Montecanepino
149
Valle d’Asola, scorcio panoramico verso i Monti Sibillini
150
Montecanepino,
fine anni Cinquanta
Chiesa di
San Giovanni crollata
negli anni Settanta,
oggi vi è un’edicola
con la statua della
Madonna
151
Tenuta Casalis-Douhet
San Girio
Questa località si trova lungo la strada provinciale che unisce la S.S. Regina a Potenza
Picena. Al Santo che dà il nome al nucleo abitato è dedicato il santuario, meta frequentatissima di tanti fedeli. La chiesa, costruita in origine sopra la tomba di San Girio nel 1298, fu
riedificata nel 1560; nel 1936 vi vennero realizzate tre navate, una nuova facciata e il campanile. L’abside è del 1951, anno in cui venne scavata la cripta. Stando alla tradizione, il
Santo, nato in Francia nel 1274, abbandonò le ricchezze di famiglia per raggiungere, col fratello, la Palestina. Durante il cammino verso tale destinazione, nel nostro territorio si ammalò e cessò di vivere: in quel momento le campane della pieve di Santo Stefano si misero prodigiosamente a suonare. Il corpo di San Girio venne conteso dalle popolazioni di Recanati
e di Monte Santo: la disputa fu risolta grazie ad un neonato che, miracolosamente in grado
di parlare, disse che la scelta del luogo cui assegnare le spoglie del Santo fosse lasciata a
due buoi senza guida. I due animali si fermarono nel punto dove ora c’è il santuario.
Caratterizzata da profonda religiosità e da una vocazione agricola ben radicata nella sua
gente, la località di San Girio ha da sempre grande devozione per il suo Patrono. La sua festa
(25 Maggio) ha tradizioni antiche e il suo momento culminante nell’omaggio di ceri al Santo da
parte delle autorità locali e della popolazione. Nel 1952 la festa è stata rivalutata grazie all’iniziativa dell’allora parroco don Elia Malintoppi e dell’Amministrazione Comunale, guidata dal
sindaco Lionello Bianchini. Due, in particolare, le iniziative prese in quell’anno: il lavoro di
ristrutturazione del santuario e gli interventi artistici (affreschi e quadri) ad opera del prof.
Cesare Pavisa di Pesaro; la rivalutazione della tradizione dell’omaggio dei ceri, con una delibera comunale che indicò San Girio Patrono di Potenza Picena. In passato, in occasione della
festa del Santo, aveva luogo una fiera del bestiame e di merce di ogni tipo, che richiamava
molta gente; attualmente sono in programma manifestazioni religiose, sportive e di spettacolo.
Anche il martedì dopo Pasqua era un giorno importante a San Girio: si festeggiava San
Vincenzo Ferreri. Al mattino si celebrava la Santa Messa e aveva luogo una processione,
con la partecipazione della Confraternita di San Girio del Sangue Sparso; nel pomeriggio
avevano luogo alcuni giochi popolari, come la rottura delle pigne e l’albero della cuccagna.
Interno
del santuario
di San Girio
154
Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta
Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta
Villa e giardino Bonaccorsi
Una delle eccellenze più notevoli del territorio comunale potentino è villa Bonaccorsi con il
suo straordinario giardino all’italiana. Situata nelle vicinanze di Montecanepino, a pochissimi chilometri dal mare Adriatico, la villa potrebbe essersi sviluppata attorno ad un palazzo
di campagna del XVI secolo. Il trascorrere del tempo vide l’ampliamento della costruzione,
che ebbe il suo periodo migliore dal 1745 in poi, quando a curare i lavori fu chiamato un
collaboratore del Vanvitelli, il ticinese Pietro Bernasconi. In tempi più recenti, sono state
costruite nuove scuderie.
Nel cortile interno della villa si possono ammirare quattro statue, rappresentanti le quattro
stagioni, opera di Giovanni Bonazza, scultore veneto, che le realizzò nella prima metà del
Settecento. Il complesso costituito dalla villa e dal giardino ha una superficie di quasi cinque ettari. Il giardino, a terrazze digradanti, è un inno all’armonia, un equilibrio perfetto di
architettura vegetale e di arte scultorea.
Cinque sono le terrazze sulle quali il giardino si sviluppa: esse sono percorse da una scalinata centrale e sono esposte a sud. Nella prima terrazza – che si trova al livello del ‘piano
nobile’ della villa e che ospita un ‘giardino segreto’ con statue di argomento mitologico – si
possono ancora vedere dei ciottoli dai quali in passato scaturivano zampilli d’acqua simmetrici, che davano vita ad una sorta di tunnel da attraversare senza bagnarsi. Le aiuole
sono le assolute protagoniste della seconda terrazza, occupandola con geometrie policrome che catturano lo sguardo. In mezzo ad esse si possono ammirare le statue che raffigurano due “maschere” della Commedia dell’Arte, Arlecchino e Pulcinella. Di rilievo nella
terza terrazza, detta ‘viale degli Imperatori’, c’è una pregevole statua rappresentante la dea
Flora, ospitata in una nicchia. Ancora le aiuole in grande evidenza nella quarta terrazza,
disposte con gradevolissima eleganza geometrica; nella quinta, infine, sono apprezzabili
dei vialetti formati da siepi di alloro, che contribuiscono alla globale bellezza del luogo. Le
numerose statue che popolano questi spazi rappresentano soggetti umani e individui grotteschi e mitologici: sono di scuola veneta, attribuibili ad Orazio Marinali e ai suoi discepoli.
159
Entrata principale di villa Bonaccorsi
Stemma della
famiglia Bonaccorsi
Statua di
Ciccobirbo
Particolare di una
delle statue del
giardino Bonaccorsi
attribuita ai fratelli
Marinali di Vicenza,
sec. XVIII
Serra
del giardino
La statua della
dea Flora, situata
nella terza terrazza del
“viale degli Imperatori”
Interno della
villa Bonaccorsi
Veduta della villa Bonaccorsi, lato sud
Giardino Bonaccorsi,
tipico esempio di giardino
settecentesco all’italiana
economia
L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE
I muratori
Una delle attività che hanno caratterizzato la vita della gente del nostro territorio comunale
è quella del muratore. Lo studioso di tradizioni popolari marchigiane Claudio Principi(25) ha
trattato con particolare attenzione e ricchezza di dettagli la figura di tale lavoratore, personaggio a volte rude ma schietto e concreto come pochi altri. Tutti sanno che, scherzosamente, ancora oggi gli abitanti di Potenza Picena vengono chiamati “carginelli” e tale spiritosa denominazione è diretta eredità dei muratori, specialmente attivi nella città alta per
tanti decenni. L’uso della carge, cioè la calcina, che ne imbrattava i pantaloni, ha finito per
dar luogo a quel nomignolo che continua, tenace, a resistere al tempo. Protetti dal loro
patrono San Claudio, i muratori sono stati, a lungo e ingiustamente, considerati artigiani di
livello inferiore, in quanto esercitavano la loro attività senza vottega, cioè senza poter
disporre di un laboratorio al coperto, dotato di luce artificiale. Essi hanno sempre lavorato
all’aperto, dipendendo necessariamente dalla luce del sole e dalle condizioni meteorologiche. A far ritenere poco rilevante il loro mestiere c’era la considerazione che non possedessero tecniche complesse o abilità che necessitassero di talento, inoltre maneggiavano
materiali di basso costo. Ad essi era richiesta soprattutto prestanza fisica e resistenza alla
fatica e alle intemperie, dovendo operare all’aperto.
Tradizionalmente, il periodo in cui i muratori erano più attivi – grazie alla più lunga illuminazione diurna – andava dal 3 maggio, giorno di Santa Croce, al 14 settembre, giorno
dell’Esaltazione della Croce: era, come più o meno scherzosamente dicevano, un tempo di
tribolazione e di “Calvario”, riferendosi alla presenza delle croci in quelle due date. I muratori usavano ritrovarsi per mangiare insieme in due momenti dell’anno: alla festa del loro
patrono San Claudio e la sera del Giovedì Santo, dopo la visita ai Sepolcri. Di solito il cibo
preferito in tali circostanze era costituito da fagioli, stoccafisso o sardelle, che venivano
gustati col consueto appetito proprio della gente abituata a lavorare duro. I pasti di lavoro
quotidiani, invece, prevedevano cibi portati da casa, preparati dalle madri o dalle mogli,
messi in gamelle o avvolti in grandi fazzoletti. Tre, normalmente, erano le pause che si concedevano durante il lavoro: intorno alle otto, per una quindicina di minuti, facevano colaziò;
a mezzogiorno era la volta de lo voccò, detto anche merenna, pasto che veniva rispettato
più degli altri perché annunciato dalla campana della chiesa; nel pomeriggio, intorno alle
diciassette, si passava alla merennetta, che occupava circa un quarto d’ora. Per la colaziò
i muratori portavano da casa grandi fette di pane o porzioni di pagnotte, tra le quali mettevano salumi affettati, frittate o verdure; quando non avevano a disposizione questi tipi di
companatico, si procuravano frutta di stagione nelle campagne vicino al luogo di lavoro. Lo
voccò, cioè il pasto principale della giornata, veniva a volte riscaldato nel cantiere, dove,
in certi casi, si riusciva anche a preparare, magari frettolosamente, un po’ di polenta.
173
Muratori dell’impresa
edile di Pasquale
Clementoni e figli,
al lavoro sul campanile
della chiesa
di San Francesco
nel 1937
L’abbigliamento dei muratori era generalmente rappresentato da indumenti consumati e
rattoppati, impolverati, quasi sempre coperti da calcina; come copricapo avevano un berretto di panno o di carta, di solito ricavato da giornali vecchi, piegati a formare una specie
di bustina. Le scarpe erano, anch’esse, in male arnese, sformate, sporche, ovviamente, di
calcina. Spesso, dalla tasca posteriore dei pantaloni facevano capolino un metro pieghevole di legno – composto da stecche gialle o arancioni – l’estremità di una livella o una voluminosa matita, detta in dialetto làbbise (lapis).
Molti e interessanti sono gli attrezzi usati dai muratori; ne prendiamo in esame i più comuni. Col termine di cucchiare si indicano le cazzuole, che sono di vario tipo e si distinguono
in relazione al loro impiego. Lo frattazzo è una tavoletta di forma rettangolare – prima fatta
di legno duro e ora di acciaio o plastica – dotata di una impugnatura posta lungo la parte
mediana di una delle due facce; ci si posa la calcina per distribuirla uniformemente sulle
superfici piane, come fondi di pavimenti o intonaci. La callarella, una specie di secchio che
serve per trasportare la calcina e per prelevarla con la cazzuola durante le operazioni di
muratura; è utile anche per trasportare l’acqua e per contenere attrezzi. A forma di tronco
di cono rovesciato, è dotata di un manico arcuato, simile a quello del paiolo, lo callà, dal
quale ha derivato, in qualche modo, il nome. Altri arnesi di uso comune sono il martello, la
martellina da taglio, la tenaglia, lo scalpello, un piombino con lo spago, la livella a goccia.
Prima di costruire una casa, i muratori preparavano un capanno, la varacca, per ospitarvi
gli attrezzi che avrebbero dovuto usare e i sacchetti di cemento, calce e gesso. Vicino alla
casa in costruzione venivano sistemati laterizi e materiali inerti, un vaglio a rete, un grosso
recipiente pieno d’acqua da utilizzare per bagnare i laterizi o per lo spegnimento della
calce. Nel cantiere vi era, poi, grande quantità di legname: esso serviva per preparare i
ponteggi, per realizzare le strutture provvisorie nella costruzione di scale o volte e per tante
Muratori
al lavoro in
un cantiere,
anni Sessanta
175
Muratori
al lavoro,
anni Sessanta
Muratori durante
la pausa pranzo,
fine anni Cinquanta
inizi anni Sessanta
176
Costruzione della
casa del Fanciullo
(oratorio),
anni Cinquanta
altre esigenze. Tra i muratori vi era una precisa gerarchia, in cima alla quale si trovava il
capomastro che, normalmente, era colui che guidava l’impresa. La sua autorità era indiscussa: egli dirigeva tutti i lavori del cantiere, gestendo opportunamente le risorse umane
che aveva a disposizione. Conosceva bene i materiali da utilizzare e sapeva procurarseli a
prezzi convenienti. Oltre a supervisionare il lavoro dei suoi dipendenti, partecipava in prima
persona alle fasi più importanti della costruzione degli edifici, mettendo in mostra notevoli
abilità manuali. Alle dipendenze del capomastro c’erano i muratori, denominati cucchiare,
cioè cazzuole; loro sottoposti erano gli apprendisti abbastanza esperti o muratori di seconda categoria, ai quali era affibbiato il nome di menze cucchiare, e i manovali. Sul gradino
più basso dei rapporti gerarchici si trovavano li garzù, giovani che si avviavano al mestiere e che dovevano iniziare una lunga gavetta, imparando la tecnica dei loro “superiori”.
Quando si costruiva un muro, le cucchiare, cioè i muratori più esperti, si occupavano della
parete a facciavista, quella esterna, mentre alle menze cucchiare, notoriamente meno
esperte, si affidava il compito di occuparsi della parete interna. I manovali garantivano ai
muratori il rifornimento dei materiali necessari alla costruzione, dopo averli opportunamente preparati. Qualche volta la donna era presente in un’impresa edile: il suo compito era
quello di spostare da un luogo all’altro del cantiere i materiali che dovevano essere usati
dai muratori. Tali oggetti, sistemati in cesti di vimini o contenitori simili, venivano posti sulla
testa, sulla quale era preventivamente appoggiato un canovaccio per rendere meno rude
il contatto con il peso da sostenere. Come dicevamo in precedenza, l’attività del muratore
ha sempre dovuto fare i conti con le condizioni meteorologiche. Se il tempo era inclemente per un lungo periodo, necessariamente si andava incontro ad una disoccupazione che
metteva in grosse difficoltà economiche la famiglia. Quando non lavoravano, i muratori si
incontravano in candina, cioè in osteria, dove si concedevano qualche bicchiere di vino e
passavano il tempo a giocare a carte, alla morra o anche a bocce.
La sciabica
Muratori
in posa teatrale,
fine anni Cinquanta
inizi anni Sessanta
Nella tradizione marinara di Porto Potenza Picena un posto di assoluto rilievo spetta alla
pesca con la sciabica. Il nome indica una rete composta da due bracci uguali, simmetrici
rispetto ad un sacco centrale (manica), nel quale finiscono per rimanere i pesci catturati.
Per calarla in mare si utilizza una barca (lancetta) lunga sei o sette metri, spinta da quattro
remi che, a partire da poppa, sono: il remo de preme, che ha una funzione simile a quella
del timone; il remo de sgaezzo, che è quello che imprime la spinta maggiore al movimento della barca; il remo de bocca de gola e il remo de prua, quello più avanzato(26). Dopo
aver sistemato la rete sul ripiano di poppa (gràtena), quando il sole non è ancora sorto, inizia la cala della sciabeca: da bordo viene lanciata ad un uomo a riva la cima della resta,
una fune di canapa lunga circa un centinaio di metri. All’altro capo di essa possono esserne annodate altre, fino a sei o sette, se il padrone della barca (lo parò) ritiene che sia con-
179
Marinai dopo
aver tirato
la sciabica,
anni Cinquanta
veniente calare più a largo del solito per catturare pesci più grandi, come sgombri, sugheri, bobbe e mojelle(27). Finito di lasciare in acqua le reste, comincia la messa in mare della
rete, il cui inizio è segnalato dalla mazza. Scende subito il primo braccio, caratterizzato da
maglie più larghe; il limite inferiore di esso è rappresentato da una corda munita di piombi
(lima piommata), che permette alla rete di toccare il fondale; il limite superiore è costituito
da una corda dotata di galleggianti in sughero (lima de scorzo), che consente alla sciabica di arrivare in superficie, formando una parete verticale di maglie.
Al termine della cala del primo braccio si arriva alla manica, una specie di sacco dalle
maglie fittissime, sostenuto a galla da sugheri molto voluminosi, che costituiscono il cosiddetto carriò, la cui visione rappresenta un importante punto di riferimento per i pescatori
che, successivamente, dovranno recuperare la rete fino a riva. Il carriò, infatti, è il punto
centrale di tutta la struttura di pesca e deve rimanere al centro anche durante tutta la fase
di recupero della sciabica. Calata in mare la manica, facendo attenzione a non pijà lo porco
(cioè ad evitare che la manica finisca erroneamente sotto la lima de piommo e che, di conseguenza, non si apra durante la pesca), i pescatori sulla barca mettono in acqua il secondo braccio della rete e, dopo di esso, le reste, di numero pari a quelle calate in precedenza. Quando il capo terminale dell’ultima resta giunge in mano ad un altro pescatore sulla
battigia, inizia il recupero della rete ad opera di due gruppi di sciabecotti, uno per ogni
capo della sciabica. Aiutandosi con lo collà (fascia di tessuto robusto, dotata di una corda
che termina con un nodo, lo groppo, utile per “agganciare” la resta), i pescatori si aggrappano alla fune di recupero e, indietreggiando con passo ritmato sulla spiaggia, recupera-
180
no la resta e, di conseguenza, la rete. Col passare dei minuti, il grande arco disegnato sulla
superficie del mare dai galleggianti della lima de scorzo si approssima alla riva e si restringe, dato l’avvicinarsi dei due gruppi di recupero tra di loro. Quando la manica è in vicinanza della battigia, alcuni pescatori si occupano di tenere aderente al fondale la lima piommata e di alzare un po’ quella de scorzo, per impedire ai pesci di tentare la fuga.
Finalmente arriva a terra il sacco, e diventa comprensibilmente palpabile la curiosità degli
sciabecotti di controllare l’entità del pescato. La manica viene aperta con cura e, quando
la cattura è buona, agli occhi della “ciurma” appare il suggestivo spettacolo di un argenteo “pavimento” pulsante di vita, formato da pesci guizzanti, come sardoncini, agore, moielle, sgombri e via di questo passo. Si narra di catture notevoli che, per singola cala, hanno
portato a riva quintali di pesce, tanto da riempire qualche decina di coffe (i tipici cesti di
vimini e canne utilizzati per contenere il pescato).
Mentre il recupero della sciabica è in corso ad opera dei due gruppi di sciabecotti sulla
riva, alcuni giovani (morè) si dedicano alle reste arrivate in spiaggia: le raccolgono arrotolandole in volute sovrapposte, in modo da renderle disponibili per la cala successiva.
Importante è anche l’opera di chi rimane a bordo della barca in acqua (lo bordarolo), controllando che non finisca in secco o che non sia portata via dalla corrente. La prima cala
viene denominata cala dell’alba ed è quella che prevede l’uso di più reste; a seguire si
effettua la cala de scia; l’eventuale cala pomeridiana viene detta di calandro e può concludersi anche dopo il tramonto del sole. La pesca con la sciabica sulla costa portopotentina
Marinai mentre
tirano la sciabica,
anni Sessanta
181
Marinai aprono
il sacco della sciabica,
anni Sessanta
si praticava già nei primissimi anni del 1900. La prima “ciurma” fu quella di Neno de
Sciamoè (Giampaoli), poi furono attive quella degli Alleati (Bovari, Giri, Marconi), del Capitano (Giulio Carlocchia), dell’Ascaro (Arturo Giampaoli), di Nicola Giri, di Gino Giampaoli,
dei fratelli Marinelli, di Neno Carota, di Orazio Germondari, di Franco Babbini e di altri ancora. Il periodo più propizio per la pesca con la sciabica andava da aprile a fine ottobre ma,
non di rado, tali limiti temporali venivano superati.
Durante i conflitti mondiali, gli sciabecotti continuavano a pescare: proprio nei momenti di
maggiore difficoltà economica questa attività ha costituito fonte di sostentamento per le
famiglie del nostro litorale. Dopo la seconda guerra mondiale gli abitanti del luogo integravano le loro entrate ancora con la sciabica: chi, ad esempio, lavorava alla Ceramica
Adriatica o alla fornace Antonelli si assoggettava a levatacce per procurare il cibo o qualche soldo per i bisogni della propria famiglia. Dalla vendita del pesce catturato – effettuata dalle pesciarole con la caratteristica bilancia (vàscula) e con le coffe sul carretto, oltre
che direttamente alle pescherie di Civitanova Marche e Porto Recanati – lo parò ricavava i
soldi che venivano distribuiti ai componenti della ciurma, seguendo precise priorità: un
quarto del ricavato andava alla sciabica, cioè al suo proprietario; i restanti tre quarti venivano divisi in parti uguali nel modo seguente: una alla sciabica, una al proprietario, una ciascuno ai pescatori che avevano partecipato alla pesca. Erano previste anche divisioni più
piccole, fino alle quartarole (un quarto di parte), che andava ai novizi, cioè ai ragazzini alle
prime armi. Questi ultimi, a volte, nel periodo estivo, dopo aver trascorso la serata al cinema o con gli amici, andavano ad attendere le tre del mattino (orario consueto di partenza
182
per andare a pesca con la sciabica) all’interno della barca, addormentandosi sotto un telone impermeabile. Nei pochi mesi in cui questo tipo di pesca si interrompeva, le barche
venivano portate a ridosso della linea ferroviaria e coperte per proteggerle dalle intemperie. In anni recenti i materiali per la costruzione della rete e delle reste sono cambiati: alla
canapa, pesante e da asciugare al sole dopo la pesca, è subentrato il nylon, più leggero e
non bisognoso di cure particolari. In passato, di pomeriggio era comune vedere distesa ad
asciugare sulla spiaggia la sciabica; e familiare era la figura de lo parò che, con la “linguetta” (un particolare attrezzo di legno) riparava i danni subiti dalle maglie della rete a causa
di qualche presura (oggetti sui quali la rete stessa si impigliava nelle operazioni di pesca).
Accanto a lui vi era la barca, poggiata sulle palanche, robuste traverse di legno a forma di
parallelepipedo, sulle quali, al momento del varo, essa scivolava grazie anche al grasso di
maiale (lo sego) che i pescatori vi mettevano per rendere meno faticosa la spinta verso le
prime onde. Alla fine della stagione di pesca, la rete veniva immersa in un grande recipiente (callara), contenente un liquido di colore marrone scuro, fatto riscaldare ad alta temperatura: aveva luogo la cosiddetta tenta (tinta), un trattamento che serviva a rinforzare la rete,
mantenendola in buono stato. Le sciabiche più grandi erano reti che raggiungevano anche
i 250 metri di lunghezza, sommando i due bracci e la manica che si apriva tra di loro.
Spesso i nostri sciabecotti sceglievano come luogo di pesca le zone vicine alle foci dei
fiumi Chienti e Potenza: per arrivarvi dovevano remare per sette-otto chilometri, cosa di per
sé già molto impegnativa, dato il peso della barca, che raggiungeva o superava i dieci
quintali. Ovviamente la stessa distanza doveva essere coperta al ritorno, a volte ricorrendo
all’ausilio dell’arzana, cioè del traino della barca effettuato da alcuni pescatori sulla riva, tramite una resta. Fatica, sudore, sacrificio, ma anche entusiasmo: sono queste le caratteristiche della pesca con la sciabica, attività che univa tra loro le persone, rendendole un gruppo compatto, una sinergia di contributi davvero esemplare. L’attenzione massima nella cala
della rete, la sincronia dei movimenti nel suo recupero, il ritmo incalzante dei passi all’indietro sulla spiaggia, l’emozione dell’apertura del sacco che arriva sulla battigia: sono come
fotogrammi di un film senza tempo, le fasi di una rappresentazione che, appena terminata,
è pronta a ricominciare.
Un giorno con gli sciabecotti
Il cielo è ancora buio e la brezza di terra pettina la superficie del mare. Sulla spiaggia, nella
penombra, alcuni uomini spingono una barca, facendola scivolare sulle palanche, fino ad
incontrare l’acqua. A poppa è sistemata la rete, pronta ad essere calata per la pesca. Gli
uomini salgono a bordo e si mettono a remare verso il luogo dal quale inizierà la cala della
sciabica. Sulla spiaggia qualcuno cammina nella stessa direzione, in attesa di ricevere il
capo della fune di recupero della rete. L’ aria della notte è piuttosto fresca; per tenersi caldi
i pescatori indossano una maglia, sulla quale hanno già infilato il collare che li aiuterà nelle
183
La lancetta, con la
rete sulla “graténa”
entra in acqua
fasi successive della loro attività. L’alba non è ancora spuntata e il paese, al di là della ferrovia, dorme; il silenzio è rotto solo dal passaggio di un treno che sferraglia solitario, fino a
scomparire in lontananza. Quando la barca arriva sul luogo scelto per la pesca, la fune di
recupero della rete viene lanciata a terra e presa in consegna da chi la stava aspettando.
Ci siamo: la cala della sciabica può iniziare. Mentre la barca si allontana dalla riva verso il
largo spinta dai remi, la prima a scendere in acqua è la resta, la fune di recupero il cui capo
è già in mano ai pescatori sulla battigia. Quando la corda è finita, gli uomini a bordo iniziano a mettere in mare la rete, descrivendo un arco: si comincia con la prima ala della sciabica, si passa successivamente al sacco, si prosegue con la seconda ala. Completata la
cala della rete, la barca si avvia verso riva, lasciando in acqua la seconda fune di recupero, il cui capo verrà affidato ad altri uomini a riva. Il grande arco è, finalmente, disegnato
sulla superficie del mare: le operazioni di recupero possono avere inizio. I due gruppi di
uomini cominciano il loro compito: aiutandosi con il collare, in fila indiana afferrano la corda
e indietreggiano sulla spiaggia, ritmicamente, come stessero interpretando un’antica
danza. Quanta forza mettano lo rivelano le impronte dei piedi sulla sabbia, profonde e
184
nette, equidistanti tra loro. Aiutandosi con mani, braccia e spalle, i pescatori portano a riva
metri di fune, avvicinando sempre più l’arco di rete alla spiaggia. La corda recuperata viene
raccolta in modo ordinato, disponendola a cerchi sovrapposti, in modo che sia pronta per
il successivo utilizzo. Contemporaneamente i due gruppi di recupero cominciano a ridurre
la distanza che li separa, stringendo progressivamente l’arco della rete, segnalato sulla
superficie dell’acqua dai galleggianti. Il chiarore dell’alba ormai illumina lo scenario di
pesca: ai primi raggi del sole scintillano d’argento i cefali che cercano di sfuggire alla rete
provando a scavalcarla. A riva, intanto, sono giunte le parti iniziali delle due ali della sciabica: i gruppi di recupero sono adesso molto vicini tra di loro e aumentano il ritmo della loro
azione. I pescatori, per evitare che i pesci scappino sul fondo, tengono il più possibile
bassa l’estremità inferiore della rete. Il sacco, con le sue maglie fittissime, è a pochi metri
Gli sciabecotti
recuperano l’ultima
parte della sciabica
185
da riva: l’animazione dei pescatori aumenta, c’è gran voglia di vedere quanto pesce contenga. Come già avvenuto per la resta, anche la rete viene raccolta a cerchi sovrapposti,
pronta ad una nuova cala. Con un ultimo sforzo gli sciabecotti tirano il sacco sulla battigia
e, disponendosi a cerchio, pian piano lo aprono. Ai loro occhi appare un argenteo tappeto
palpitante di vita: papalina, sardoncini, mojelle, àgore (28), anche qualche triglia, si dimenano sul fondo del sacco, tra alcune foglie verdi d’alga. E’ tempo di mettere il pescato nelle
coffe, preparandolo per la successiva vendita, cui provvederanno le pesciarole. Agli uomini non resta che caricare sulla barca funi e rete e riprendere il mare per un’altra cala: c’è
tempo per pescare ancora, a casa aspettano fiduciosi pesce per la tavola e qualche lira
per tirare avanti.
I pescatori sistemano
“reste” e rete per una
nuova cala
LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO
L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa
L’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano intreccia la sua esistenza con quella di Porto
Potenza Picena ed è opportuno conoscere, seppure a grandi linee, come è nato e come si
è sviluppato il rapporto tra l’importante struttura sanitaria e la cittadina che la ospita. Nel
1923, il conte Gian Carlo Conestabile della Staffa, di nobile e generosa famiglia perugina,
venne a Porto Potenza e acquistò un terreno in riva al mare(29). Vi costruì un edificio che,
negli anni successivi, ospitò gratuitamente dapprima vedove e orfani perugini della guerra
mondiale, poi fanciulli di Perugia (in luglio) e di Assisi (in agosto), predisposti alla tubercolosi. La grande struttura, successivamente, divenne ospedale e prese il nome di Istituto
Chirurgico Elioterapico Divina Provvidenza.
Nel 1961(30), visto che un numero crescente di posti-letto non veniva utilizzato per mancanza di richieste di ricovero, venne valutata la possibilità di orientare la struttura assistenziale verso nuove forme di ricovero con soggetti diversi. L’amministratore unico, il conte
Alessio Conestabile della Staffa, fratello del già citato Gian Carlo, nel marzo 1961 organizzò a Roma un incontro cui presero parte l’Avv. Giuseppe Cassano, suo genero, il dottor
Gualtiero Bugatti, suo procuratore, e il dottor Lanfranco Ricchi, direttore amministrativo del
“Divina Provvidenza”, per l’avvio di una valida soluzione alternativa. La via scelta fu quella
del ricovero di pazienti spastici, soggetti necessitanti di ricovero per cure riabilitative. Su
delega del conte Alessio, il dottor Ricchi prese contatti con il Ministero della Sanità e a
187
Roma consegnò la documentazione relativa all’esecuzione di alcune modifiche necessarie
per trasformare la struttura portopotentina, accogliendo non più malati sanatoriali ma invalidi civili, necessitanti di riabilitazione fisica e mentale. Il Ministero consigliò la scelta del
prof. Maurizio Formica, della Clinica Neurologica dell’Università di Roma, che divenne
responsabile medico del programmato istituto di riabilitazione. Egli seguì con grande cura
l’organizzazione della nuova struttura e la ricerca del personale specializzato per le attività
di fisiochinesiterapia, logoterapia e terapia occupazionale. Tutto il piano terra del padiglio-
188
Pazienti durante
la elioterapia,
anni Sessanta
ne “Nord” del Divina Provvidenza (familiarmente noto come Santo Stefano
perché posizionato nei pressi di un’abitazione privata nella cui prossimità era
funzionante una cappella intitolata al
Protomartire) venne interessato dai
lavori di trasformazione.
Quando fu realizzato il complesso
“Divina Provvidenza”, nella zona nord
di Porto Potenza c’erano poche case,
per cui esso veniva chiamato dalla
popolazione locale “La Colonia”, data
la sua posizione isolata e anche per via dell’attività promossa dalla Famiglia Conestabile
della Staffa, volta ad ospitare gratuitamente tanta gente umbra. A fine giugno 1962, tutto il
piano terra del padiglione Nord era pronto con le sue camere di degenza, i servizi igienici
rinnovati, il refettorio, le sale di terapia, l’ambulatorio medico e altre importanti dotazioni. Il
dottor Ricchi propose di intitolare la nuova struttura “Istituto di Riabilitazione Santo Stefano”
e tale denominazione venne accettata dal presidente Alessio Conestabile della Staffa e
dagli altri suoi collaboratori. Il 4 agosto 1962, con diciotto giovani, iniziò ufficialmente la vita
dell’istituto, organizzato per accogliere gli adolescenti invalidi che necessitavano di cure
per il recupero globale. La benedizione dei locali venne impartita da don Angelo Panicciari,
cappellano dell’Istituto.
Nell’ottobre dello stesso anno prese avvio la prima classe dell’Avviamento Professionale –
inizio di una lunga e proficua collaborazione con la Scuola pubblica – e gli insegnanti si
Interno del giardino
dell’Istituto
189
posero il problema preliminare della formazione avviando lo sviluppo della personalità,
dando fiducia e sicurezza agli allievi. Nel marzo 1963 gli ospiti erano già cento e provenivano da tutta Italia; nell’ottobre 1965 il numero era salito a duecentocinquanta. La preziosa
e competente attività del “Santo Stefano” venne apprezzata da vari Ministri della Sanità che
si succedettero negli anni: a Porto Potenza arrivarono, nell’ordine, Giulio Pastore, Camillo
Ripamonti, Remo Gaspari e Vittorino Colombo. La crescente richiesta di ricoveri da tutto il
territorio nazionale impose alla dirigenza dell’istituto l’ampliamento della struttura esistente:
il modo più rapido fu quello di riconvertire il contiguo istituto “Divina Provvidenza” in centro
per invalidi civili, che fornì altri trecentocinquanta posti letto. Nel contempo, nella zona nord
venne realizzato il palazzo degli studi, con ben ventiquattro locali destinati alla didattica.
Nel marzo 1969 il conte Alessio, per ragioni di salute, lasciò la carica di presidente del consiglio di amministrazione al genero, l’avv. Giuseppe Cassano. Il primo ottobre 1969 nacque
la “Comunità Santo Stefano”, concreta testimonianza di inserimento nella società dei giovani dimessi dal Santo Stefano; l’inaugurazione ufficiale della casa comunitaria ebbe luogo il
23 gennaio 1970. Tale casa chiude il ciclo di riabilitazione e segna lo sbocco logico dell’opera dell’Istituto, dedicata al recupero dei suoi ospiti. Il 3 febbraio 1970 morì il conte
Alessio, che aveva vissuto nell’umiltà e nella dedizione e che aveva scelto di vivere nella
semplicità e nella povertà di una cameretta all’ultimo piano del grande istituto per essere
più vicino agli ospiti. Il ”Santo Stefano” diede impulso alla realizzazione di due scuole, una
per terapisti della riabilitazione e una per educatori specializzati. Il 30 marzo 1972 alla presidenza del consiglio di amministrazione giunse il prof. Bruno Fida.
Nel maggio 1973 nacque la Società Cooperativa di lavoro a responsabilità limitata, che
diede concreto sbocco occupazionale ad una trentina di ricoverati: è il superamento della
emarginazione e l’affermazione del diritto alla vita e alla convivenza tra uguali, principio fondamentale del vivere civile. Nel 1974, a seguito della crescente richiesta di ricoveri e della
assoluta indisponibilità di posti letto liberi, il dottor Ricchi suggerì al prof. Fida la realizzazione di un incontro con vari medici provinciali per studiare qualche iniziativa per rispondere positivamente alle richieste di famiglie con figli necessitanti di assistenza riabilitativa. Il
prof. Fida accettò la proposta e affidò al dottor Ricchi l’incarico di provvedere a vari incontri con i medici provinciali di Marche, Abruzzo e Molise.
Il primo centro ambulatoriale “Santo Stefano” nelle Marche fu inaugurato il 7 Settembre
1974 con la presenza del Sottosegretario alla Sanità, on. Franco Foschi. Nel tempo sono
stati aperti numerosi altri centri ambulatoriali nelle Marche e in altre regioni. Nel 1985 divenne presidente del CdA del Santo Stefano il prof. Cosimo Cassano. Ulteriori lavori edili permisero l’aggiornamento di vari padiglioni per la riabilitazione ospedaliera post-acuzie, di
nuovi uffici amministrativi; si è ristrutturato un edificio per un centro diagnostico di elevato
livello specialistico. Il 9 marzo 1998 morì il prof. Cosimo Cassano; alla presidenza lo sostituì il dottor Antonio Rosali, dimessosi nel 2006. La carica è stata, poi, assunta dal dottor
Mario Ferraresi. Il 15 Giugno 2007, a Milano, presso la sede del Gruppo De Benedetti, si
sono incontrate la presidenza dell’Istituto di Riabilitazione “Santo Stefano” e la “HSS”, la
Holding Sanità e Servizi del Gruppo CIR. Le due parti hanno sottoscritto un contratto con il
190
Suore della Carità
“Cappellone”, in servizio
presso l’Istituto,
fine anni Cinquanta
Infermiere in posa,
anni Sessanta
191
Pulizia delle tazze,
anni Sessanta
Ospiti dell’Istituto,
anni Sessanta
192
quale la “HSS” ha acquistato il 100% della “Santo Stefano SpA”: in base a tale accordo il
gruppo marchigiano mantiene la piena autonomia operativa, con mandato a qualificare i
servizi erogati nella Regione Marche e di espandere la sua attività nel centro Italia e lungo
la dorsale adriatica. Conservati anche i livelli occupazionali e confermato il management
del “Santo Stefano”, con il dottor Ferraresi che resta presidente e con il dottor Enrico Brizioli
amministratore delegato.
La popolazione locale deve molto all’Istituto Santo Stefano, sia dal punto di vista occupazionale che da quello dell’alto valore morale e sociale della sua lunga e lodevole attività. In
questa grande struttura, ora unanimemente riconosciuta come una delle più importanti nel
panorama sanitario nazionale e internazionale, si è sempre lavorato con impegno a favore
di chi dalla vita ha avuto meno, contribuendo alla costruzione della società dell’uomo per
tutti gli uomini. Oltre all’alto livello di aggiornamento tecnico e scientifico, l’istituto si è meritato la fiducia della gente per essere una comunità di vita, una frontiera avanzata di una
umanità più consapevole, verso la piena affermazione di ogni singola personalità, al di là
del dolore, della compassione, avendo ben presente il senso della libertà nella società e
della pari dignità degli uomini.
Architettura
dell’interno,
anni Sessanta
193
L’Aeronautica Militare
Stemma del
14° Gruppo Radar
Da vari decenni l’Aeronautica Militare è una presenza familiare sul
nostro territorio comunale. La decisione di costituire in loco un Centro
Radar, che contribuisse ad assicurare la difesa aerea sui nostri cieli,
venne presa dallo Stato Maggiore aeronautico nell’Aprile del 1956(31).
Così, da tanti anni, giorno e notte, il personale militare del 14° Centro
Radar sta operando per garantire l’efficienza degli apparati e la loro migliore utilizzazione. Il
compito primario è quello di fornire, via radio, informazioni ai piloti dei velivoli intercettori, realizzando il controllo dello spazio aereo, l’avvistamento, l’intercettazione, l’identificazione, la
guida caccia, per impedire violazioni dello spazio aereo stesso. Dal 1° gennaio 2000, a seguito della chiusura del 14° Gruppo Radar, le strutture logistiche site a Porto Potenza sono state
acquisite dalla Scuola Perfezionamento Sottufficiali A.M. di Loreto, e quindi impiegate per la
ricettività dei frequentatori dei corsi di perfezionamento sottufficiali e dei corsi I.G.P. per sergenti maggiori. Tali strutture sono state incrementate per ospitare circa duecento unità, con
alloggi, laboratorio di informatica e multimediale, sistema di videoconferenza, mensa unificata
e altro ancora, per permettere lo svolgimento dei compiti istituzionali. Dal 2000 si ospitano
anche corsi di perfezionamento per il personale volontario di truppa, appartenente alle diverse categorie professionali e distaccato nei vari settori di impiego della Forza Armata. La base
operativa, nel complesso delle sue strutture tecnico-operative, è rimasta sul territorio potentino. Nel corso del tempo, il legame tra l’Aeronautica Militare e la popolazione locale si è fatto
sempre più stretto e molte famiglie si sono costituite tra i militari e le giovani del luogo.
Il radar del 14° Centro
dell’Aeronautica
Militare
194
La Società Ceramica Adriatica
E’ stata un’azienda particolarmente importante nella storia
della nostra realtà locale,
avendo dato lavoro a centinaia di famiglie, contribuendo
allo sviluppo sociale ed economico del territorio. Sorto
nel 1923 con il nome di
“Stabilimento
Mattonelle
Antonelli-Tebaldi”, ebbe un
inizio di attività molto difficile,
che richiese ingenti capitali
per far fronte alle perdite che
si verificavano con disarmante regolarità. Ci furono vari tentativi di dare una soluzione definitiva alle frequenti difficoltà economiche, ma, nonostante tutto, nel 1941 venne decisa la
chiusura dello stabilimento, che fu posto in liquidazione, vendendo i macchinari che vi si
trovavano. Sembrava il malinconico tramonto di un’azienda importante e delle speranze di
occupazione per tanta gente, ma non fu così. L’anno successivo, infatti, un gruppo di
imprenditori tosco-liguri, dimostrando coraggio e fiducia nel futuro, presero lo stabilimento
dall’ I.R.I., con l’intenzione di evitarne lo smantellamento e di farlo tornare operativo, nono-
Operai al lavoro,
anni Trenta
195
stante le pessime condizioni in cui si trovava. Il lodevole intento, però, trovò sul suo cammino le difficoltà relative alla seconda guerra mondiale, che videro la fabbrica requisita
prima dall’Aeronautica Militare Italiana, poi dalle forze repubblichine, successivamente
dalle forze alleate e infine dai soldati polacchi, che lo lasciarono alla fine del 1946. Le profonde ferite del terribile conflitto mondiale non scoraggiarono quel gruppo di industriali
tosco-liguri di cui si è detto qui sopra: con grande impegno, sia professionale che finanziario, essi ricostruirono lo stabilimento, che riprese a funzionare nell’agosto 1947. Da allora e
per molti anni la Società Ceramica Adriatica ha conosciuto un costante sviluppo industriale che l’ha portata ad essere una delle migliori d’Europa nel suo campo produttivo e che ha
dato lavoro a parecchie centinaia di persone. Tale successo imprenditoriale ha visto come
maggiore protagonista il Comm. Eugenio Quaglia, presidente e amministratore delegato
della S.C.A.: era un uomo che aveva la rara qualità di possedere, ad un tempo, doti di illuminata imprenditoria e di sensibilità umana. Oltre che per i suoi successi industriali, seppe
distinguersi per iniziative di carattere sociale, tra le quali la realizzazione di un asilo nido e
di un doposcuola a Porto Potenza Picena, una colonia montana a Penna San Giovanni, il
tutto per accogliere e assistere i figli dei dipendenti della sua azienda. Nel 1958 ad Eugenio
Quaglia il presidente della Repubblica conferì il titolo di Cavaliere al Merito del Lavoro, onorificenza meritata con una professionalità davvero notevole. La posizione di prestigio della
S.C.A. nel campo industriale nazionale e internazionale durò per altro tempo, poi venne
progressivamente perduta per l’affermarsi di aziende concorrenti. Nella storia locale, però,
l’attività di questo stabilimento ha lasciato un’impronta indelebile e ad esso il ricordo della
popolazione corre ancora con sincera gratitudine.
196
Donne alla scelta
delle mattonelle,
fine anni Cinquanta
inizi anni Sessanta
La Fornace Antonelli
In posizione collinare, lo Stabilimento Laterizi Antonelli (popolarmente noto come Fornace
Antonelli) è stata una delle industrie ‘storiche’ del nostro territorio. Venne fondato da
Francesco Antonelli intorno al 1860 e iniziò l’attività produttiva con la fabbricazione a mano
di laterizi. Nel 1910, grazie ai progressi tecnologici del tempo, l’azienda introdusse i primi
macchinari, con la conseguente soppressione della lavorazione a mano e con un notevole
aumento della produzione. La ‘Fornace’ seppe distinguersi per la validità dei suoi prodotti,
realizzati con l’ottima qualità dell’argilla ferruginosa usata. La fabbrica seppe costruirsi una
vasta clientela, sia in Italia che all’estero: particolarmente rinomate erano le “tegole
Antonelli”, le cui caratteristiche erano apprezzate ovunque. Lo stabilimento diede lavoro a
tante persone locali nel corso dei decenni, costituendo una importante fonte di reddito per
numerose famiglie.
Operai della Fornace
con il conte Antonelli,
anni Trenta
Stabilimento
conserviero
Massalombarda,
anni Cinquanta
La S.I.F. (Società Italo Francese)
Negli anni Trenta del secolo scorso era attiva a Porto Potenza Picena la S.I.F.: si occupava
della produzione di conserva di pomodoro e, successivamente, di pomodori pelati. Lo stabilimento, che inizialmente operava con l’energia fornita da un motore a vapore, lavorava
stagionalmente, garantendo l’occupazione a varie decine di persone. Nel corso degli anni
l’azienda ha cambiato denominazione: è stata la Ditta Alberto Cavalli, la S.I.L.A. (della
Federconsorzi), la Massalombarda. Lo stabilimento conserviero, che è stato attivo fino al
1959, presentava la caratteristica ‘ciminiera’, un’elevata costruzione che gareggiava in
altezza con la torre quadrata vicina alla chiesa di Sant’Anna e che rappresentava una rilevante peculiarità del paesaggio portopotentino. Il conferimento dei pomodori all’azienda
avveniva, nei primi tempi, utilizzando carri trainati da buoi, mezzi di trasporto poi sostituiti
dai camion.
La S.A.P. (Società Automobilistica Potentina)
Nasce nel 1923 e si sviluppa nel trasporto pubblico locale. Negli anni allarga la sua attività con il trasporto da noleggio e attività di scuolabus per i comuni del comprensorio maceratese. Attualmente sono trentacinque i mezzi a disposizione della società.
198
La Bontempi
Operai mentre
accordano le
fisarmoniche,
anni Cinquanta
Nel 1937 iniziava la sua attività un’azienda destinata a diventare leader mondiale nel suo
settore, contribuendo a far conoscere ovunque il nome di Potenza Picena. Fondata da
Egisto Bontempi, nasceva la Bontempi, all’inizio azienda produttrice di fisarmoniche; successivamente diventerà protagonista assoluta nella produzione degli strumenti musicali
giocattolo. Negli anni Sessanta, con l’avvento dell’elettronica, l’ ing. Paolo Bontempi ha iniziato una nuova grande fase di sviluppo industriale, che ha portato l’azienda ad essere protagonista nel settore strumenti musicali per oltre quarant’anni nei mercati nazionali e internazionali. Puntando sulla tecnologia e sulla qualità, la ditta potentina ha meritato fin da subito la fiducia di una clientela sempre più vasta, divenendo autorevole ambasciatrice del
“made in Italy” nel mondo.
La ditta Bontempi, mentre dava lavoro a centinaia di famiglie del nostro territorio e diventava punto di riferimento irrinunciabile per l’economia locale, diffondeva i suoi prodotti in ogni
angolo del pianeta, permettendo ai bambini di ogni continente di familiarizzare con la musica e di imparare a suonare. La realizzazione degli strumenti musicali giocattolo è sempre
avvenuta all’interno dell’azienda, grazie ad uno staff di progettazione di elevato livello tec-
nico: una generazione di professionisti si è presa cura dell’elettronica, degli stampi, della
qualità e delle certificazioni, fino ai metodi produttivi. L’avvento delle tecnologie informatiche ha trovato pronta la Bontempi a rispondere alle nuove sollecitazioni del mercato, sempre garantendo l’assoluta bontà degli strumenti prodotti, nel rispetto delle attese e della tradizione maturata. Alle notevoli difficoltà che hanno investito il settore a livello globale, sorte
soprattutto per la concorrenza dei Paesi asiatici, l’azienda ha risposto senza perdere quote
di mercato, conservando quella posizione di prestigio che ovunque le viene riconosciuta.
Attualmente la Bontempi produce oltre il 60% della propria collezione di strumenti musicali in Italia, grazie a capacità organizzative e tecnologiche di primissimo livello.
Accanto agli strumenti musicali giocattolo, l’azienda potentina, con il brand Farfisa, progetta e introduce nei mercati internazionali prodotti elettronici di fascia medio-alta, strumenti
musicali tecnologici, destinati al settore professional. La filosofia di espansione dell’azienda ha portato alla nascita di una nuova società, la Bontoys. Creata per coprire tutto il settore del giocattolo, essa sviluppa e distribuisce una vasta gamma di prodotti legati all’immagine dei più amati personaggi televisivi. Nuove e importanti sfide rilanciate con successo dalla Bontempi sotto la guida dell’attuale presidente Cristina Ficozzi.
Operai durante
l’assemblaggio
delle fisarmoniche,
anni Cinquanta
La Rogin
Nel mondo dell’abbigliamento femminile e del “made in Italy”, la Rogin ha interpretato un
ruolo di primo piano. Le origini dell’azienda potentina risalgono al 1962, anno in cui partì il
percorso creativo e imprenditoriale dei titolari Alberto Rosciani, Juska Rosciani e
Cameranesi. Nata come laboratorio nel quale operavano poche sarte e animata dalla
determinazione di entrare a far parte dei grandi protagonisti della moda italiana, la Rogin
si è imposta progressivamente all’attenzione generale per la sua creatività, la raffinata qualità dei suoi capi e la professionalità di chi vi ha lavorato. Messasi in luce anche attraverso
le partecipazioni a manifestazioni importanti come Pret-à-Porter di Parigi, Pitti Donna a
Firenze e Modit a Milano, l’azienda di Potenza Picena divenne una realtà economica di
grande valore per il nostro territorio comunale, dando lavoro ad oltre duecento donne e
contribuendo al benessere della popolazione locale e del circondario. Le collezioni disegnate da Juska Rosciani hanno saputo emergere nel panorama della moda e dell’eleganza, tenendo ben presenti i valori della tradizione e dando il giusto spazio ad un tocco di
modernità che proietta lo stile nel futuro. La Rogin ha meritato riconoscimenti internazionali, come il premio Style, conferito dal Club della Mela di New York, il premio alla carriera Pitti
Donna di Firenze, l’Ambrogino d’Oro Città di Milano, il premio Bizarre della Atkinsons
Profumi, il premio Smile di Milano.
Sfilata di moda,
al centro della
passerella la sig.ra
Juska Rosciani,
anni Ottanta
201
La Ceramica Montesanto
Nasce nel 1968 per iniziativa di Aldo Gandolfi, già dirigente della Società Ceramica
Adriatica, e del figlio Mario. All’inizio l’azienda poteva contare su un unico altoforno, poi, col
passare del tempo, la dotazione si è ampliata con altre strutture produttive. Nei primi anni
di attività, la Ceramica Montesanto si è avvalsa della competenza tecnica di collaboratori
giunti da Sassuolo, i quali hanno insegnato il mestiere ai tanti lavoratori della nostra zona,
che non avevano conoscenze specifiche.
Nel 1986 l’azienda si è trasformata in cooperativa, alla cui guida è Fabio Mazzieri. I prodotti, realizzati con materiali di ottima qualità, sono apprezzati nei mercati nazionali e internazionali.
Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini
Agli inizi degli anni Trenta, in via De Gasperi di Porto Potenza
Picena, nasce il cantiere dei Fratelli Carlini e per circa venti
anni costruisce cutter e imbarcazioni da diporto. Note caratteristiche del cantiere sono gli off-shore che vincono nella
classe 500 e 1000 cmc dei campionati italiani ed europei.
Negli anni Trenta e Quaranta i piloti che vinsero i campionati
furono Emilio Osculati, Piero Morosi e l’industriale cinematografico Scaligero Scalera. Ricordiamo il record nazionale su
idroscivolante con motore Isotta-Fraschini di 120 km/h.
Ennio Clementoni continuò l’arte del maestro d’ascia con vari
riconoscimenti nazionali.
Le altre aziende di rilievo di un recente passato
Prima della seconda guerra mondiale iniziò la sua attività la CAMICERIA MARINA a Porto
Potenza Picena, l’azienda operò fino al 1985 grazie alla competente guida di Arnaldo
Paniconi. Negli anni successivi, a Porto Potenza Picena cominciarono la loro attività alcune
aziende che hanno avuto una certa rilevanza nel tessuto economico locale. L’ ITALORTO, in
qualche modo diretta erede della SIF, si è occupata in particolare della lavorazione dei
pomodori, preparando confezioni di pelati e di conserve; l’EDALIT è stata una ditta importante nella produzione e vendita di marmettoni, con clientela nazionale e internazionale; la
STYLINT, ancora in attività, si è distinta nella realizzazione di capi di biancheria intima e abbigliamento. Grazie all’energia imprenditoriale di Adriano Offidani e Gino Matteucci, queste
realtà produttive hanno garantito a molte famiglie una preziosa occupazione, contribuendo
allo sviluppo sociale della cittadina rivierasca e dei centri limitrofi.
202
Le realtà produttive di oggi
Sono molte e di varia natura le attività economiche del nostro territorio comunale, a testimonianza dell’operosità di chi lo abita. A differenza di un passato più o meno recente, dove
figuravano realtà occupazionali con diverse centinaia di dipendenti (ricordiamo, ad esempio, la Società Ceramica Adriatica e la Bontempi), attualmente le aziende locali non raggiungono cifre così alte, anche se alcune contano, comunque, una settantina di lavoratori.
Il panorama produttivo mostra imprese artigiane e industriali distribuite sull’intero territorio,
con buona concentrazione lungo la Strada Regina. Tra le attività si segnalano quelle relative all’ortofrutta, alla panificazione, alla produzione e lavorazione di componenti per l’industria calzaturiera, alla produzione di ruote per timoni di imbarcazioni, alla produzione di
macchine agricole, alla produzione di camicie, all’edilizia, alla pitturazione edile e industriale, alla tipografia, alla falegnameria, alla lavorazione di materie plastiche, alla produzione di
scatole e cartoni; di rilievo sono anche le aziende che si occupano della progettazione hardware e software, dell’assemblaggio di parti meccaniche e plastiche, dei circuiti stampati,
dell’abbigliamento, di stampi, buste e sacchetti, ceramiche, biancheria, gelati, metalli preziosi con relativa lavorazione; presenti anche quelle che si occupano di coltivazioni agricole, di edilizia, di trasformazione delle uve, del trasporto di linea, di prestazione di servizi di
perforazione, della raccolta e trasporto di rifiuti speciali in genere, di lavorazione di fondi
per calzature. Attive anche le aziende che producono piastrelle e ceramiche, mobili, infissi e porte, calzature, stampi per suole, cavi elettrici, vini, mole abrasive, materie plastiche,
oggetti elettronici ed elettrodomestici; da segnalare anche la presenza di ditte che si dedicano alla costruzione edile, all’automazione industriale, alla falegnameria, alla confezione
e imballaggi per conto terzi, ai cablaggi industriali per la realizzazione di prodotti elettromeccanici. Sul territorio sono presenti, inoltre, numerose aziende nel settore del commercio di prodotti alimentari e della ristorazione, varie officine meccaniche e altro ancora.
Discorso a parte merita l’Istituto Santo Stefano: come in passato, questa grande struttura
sanitaria dà lavoro a centinaia di famiglie, confermando la sua importanza vitale per l’economia locale.
Tra le aziende del nostro territorio, tutte mediamente di buon livello, spiccano alcune di
eccellenza per i servizi forniti e la qualità dei prodotti. La NSC (National Service Company),
operante dal 1985, è attiva nel settore petrolifero, con tecnologie e interventi di alto livello
professionale; la Elettromedia, fondata nel 1987, è leader mondiale nel mercato car audio
col marchio Audison, producendo amplificatori, altoparlanti e accessori; la “Savoretti
Armando & c snc”, nata nel 1965, è prima in Italia nella costruzione di ruote di timone e
volanti per imbarcazioni; la Goldenplast SpA, fondata nel 1993, è leader nella produzione
dei compounds termoplastici, destinati all’esportazione in tutto il mondo e in vari settori.
Data la tradizione agricola locale, una citazione particolare meritano le case vinicole Santa
Cassella, la Montesanto e la Montecoriolano, i cui vini sono apprezzati ovunque.
203
ar te e cultura
IL POLO CULTURALE
La biblioteca comunale
Sita in via Trento, la biblioteca comunale, gestita dal 2005 da un’associazione culturale, è articolata in due sezioni, l’antica e la moderna. In totale vi sono conservati oltre 21.000 volumi,
patrimonio che si arricchisce con frequenti donazioni di enti pubblici e di privati. La sezione
moderna dispone di una buona dotazione di testi di storia locale e di storia e cultura marchigiana. Particolarmente ricco è il settore della narrativa, della poesia e della critica letteraria.
Sono presenti circa 90 periodici (mensili, settimanali, quotidiani, ecc.), compresi quelli in
abbonamento, in donazione e in disuso; disponibile anche una buona dotazione di materiale
multimediale, relativo ad enciclopedie, film e musica. Ricco è il settore dedicato all’infanzia e
all’adolescenza, che dispone di varie opere pedagogiche destinate a genitori ed educatori.
Da sottolineare, inoltre, l’esistenza di un fondo musicale, intitolato ai donatori “Diegi-Beltrami”,
che comprende le partiture di 96 opere classiche, custodite in un mobile apposito.
La sezione antica della biblioteca comprende circa 1.600
opere, tra libri a stampa e opuscoli manoscritti. I più numerosi
sono libri dei secoli XVII e XVIII,
le “cinquecentine” sono circa
140; è presente anche un incunabolo ben conservato ma acefalo (mancano i primi sette fogli),
con capilettera dipinti a mano in
inchiostro rosso e blu. Si conservano anche 42 manoscritti librari.
La biblioteca di Potenza Picena
ha registrato un incremento notevole nel numero degli utenti, che
arrivano da tutto il territorio
comunale potentino e dai comuni limitrofi. La biblioteca, che
dispone anche di quattro postazioni di PC, offre numerosi servizi
e organizza interessanti iniziative
per la promozione della lettura
tra i bambini e i ragazzi.
205
L’archivio storico comunale
Attiguo alla biblioteca è l’archivio
storico comunale. Esso custodisce documenti relativi ad un lunghissimo periodo di tempo, dal
XIII al XX secolo.
La documentazione più antica è
composta da circa 160 volumi di
atti consiliari, “istrumenti”, camerlenghi (atti della tesoreria del
Comune), catasti, ecc., dei secoli XIV-XVIII, e da materiale membranaceo (144 pergamene, di
cui la più antica è del 1252 e la
più recente è del 1672). Il documento cartaceo più antico è un
registro catastale del 1369-70.
L’archivio è articolato in una
parte relativa al periodo dell’
“Ancien Régime” (dal Medioevo
al 1808), in una seconda riguardante l’età napoleonica (18081815), in una terza che va dalla
fine del potere napoleonico in Italia all’unità italiana (1816-1860) e una quarta che comprende il periodo successivo all’unità della Penisola.
La documentazione relativa all’ “Antico Regime” si divide, a sua volta, in un archivio “privato” o “segreto” e in un archivio generale. Nella prima di queste ripartizioni vi sono gli statuti comunali del XVI secolo, copia manoscritta degli statuti confermati e approvati da Papa
Eugenio IV nella prima metà del 1400, con capilettera in inchiostro color seppia, rosso o
verde. Di rilievo sono anche le Reformationes, una raccolta di leggi e decreti desunta dai
Libri dei Consigli (ante 1526-1619), oltre ai già citati Consigli Comunali, che si riferiscono
ad un periodo di tempo che va dal XIV secolo al 1808 (con lacune) e ai documenti riguardanti il Camerlengato (1481-1809). Ricca è pure la documentazione che ha per oggetto il
Monte di Pietà (dal 1558 al 1838) e anche quella relativa agli atti notarili, suddivisa in base
al notaio. In periodo napoleonico i documenti sono distinti in 12 categorie e ogni categoria
in rubriche. Da segnalare, tra gli archivi aggregati, quello dell’E.C.A. (Ente Comunale di
Assistenza): esso conserva documenti che vanno dal XVIII secolo al 1978.
206
La fototeca comunale “Bruno Grandinetti”
Il 6 Luglio 2007 è avvenuta l’inaugurazione
della fototeca comunale “Bruno Grandinetti”,
ospitata in alcuni locali del complesso della
chiesa e del monastero di Santa Caterina, in
corso Vittorio Emanuele a Potenza Picena. La
realizzazione della nuova istituzione culturale
è stata possibile grazie alla donazione, effettuata dagli eredi, del grandissimo fondo fotografico di Bruno Grandinetti.
Questi è stato testimone fedele e prezioso
della storia locale dal 1950 in avanti: davanti
all’obiettivo della sua macchina è fluita la vita
della gente locale, sono passati gli eventi più
significativi di una comunità operosa, legata
alle sue tradizioni, giustamente fiera delle sue
radici.
La fototeca conserva un vero e proprio tesoro:
per ciò che concerne il materiale strettamente
fotografico, vi sono circa 15.000 stampe (in
bianco e nero, a colori, alcune ritoccate a mano, altre ancora da inventariare), più di 50.000
negativi (dalle lastre in vetro ai sali di bromuro d’argento degli anni ’50 alle più recenti pellicole), circa 20.000 diapositive. Gli ‘scatti’ di Bruno Grandinetti rappresentano una documentazione di inestimabile valore, una fonte inesauribile di personaggi, storie, tradizioni
scritte con le immagini, con grande sensibilità e impareggiabile perizia tecnica. Il grande
fotografo potentino si è pure dedicato, con la consueta maestria, alla documentazione dei
beni artistici del Comune di Potenza Picena.
Donazione di
apparecchiatura
fotografica della
famiglia Bruno
Grandinetti
207
Nella fototeca possono essere ammirate anche varie attrezzature fotografiche di epoche
diverse, importanti testi tecnici relativi al mondo fotografico e una rilevante emeroteca specializzata, nella quale spiccano i numeri della rivista “Progresso Fotografico”, molto quotati nel mercato antiquario. Il grande patrimonio donato al Comune dalla famiglia Grandinetti
costituisce una realtà culturale di notevole valore, una eccezionale opportunità di consultazione e studio per tutti coloro che vogliano approfondire la conoscenza del territorio comunale potentino.
Inaugurazione della
Fototeca Comunale
“Bruno Grandinetti”
6 luglio 2007
208
LA MUSICA
Monte Santo ha un lungo e importante rapporto con la musica. Grazie a recenti studi di
Paolo Peretti e Fabio Quarchioni(32), possiamo disporre di informazioni utili a ripercorrere il
cammino coperto dai cultori delle sette note nel nostro territorio comunale. Se dati certi
mancano relativamente al periodo più antico, indicazioni più precise arrivano con il basso
Medioevo: in quel periodo la musica veniva praticata nelle chiese e nelle comunità religiose, particolarmente presenti nella nostra realtà urbana del tempo, come la francescana,
l’agostiniana e la benedettina. Nel secolo XV si mise in luce un tal Paolo da Montesanto,
musico di eccellente talento, che fu cantore presso la corte pontificia. Nella prima parte del
Cinquecento la musica dovette essere praticata anche come intrattenimento mondano e
privato nell’ambito delle famiglie aristocratiche e tra gli intellettuali che le frequentavano.
Agli inizi del Seicento ebbe una certa rinomanza Dionisio Pettorali da Montesanto, cantore
contralto della cappella di Loreto; intorno alla metà dello stesso secolo si realizzò l’attività
musicale del frate agostiniano Girolamo Amadori da San Costanzo, originario del Pesarese
ma venuto a risiedere nella nostra città, probabilmente esercitando la sua arte presso la
chiesa di Sant’Agostino. Nella secondà metà del Seicento, nel monastero francescano di
San Tommaso, seppe emergere in campo musicale la clarissa suor Angela Benedetta
Bongiovanni, nativa di Servigliano. Il suo talento artistico si manifestava quando suonava il
clavicembalo e anche quando cantava accompagnandosi con esso. I secoli XVIII e XIX ci
regalano un panorama più ricco di informazioni sulla musica della nostra realtà locale. Gli
studiosi citati invitano ad individuare tre ambiti, in particolare, nell’attività musicale santese
del Settecento e dell’Ottocento: 1) la musica presso le dimore di famiglie aristocratiche; 2)
la musica vocale e strumentale nelle chiese; 3) la musica cittadina e l’istruzione musicale
pubblica. Tra le famiglie nobili di Monte Santo, che dedicarono uno spazio importante alla
cultura musicale, vi è quella dei Compagnoni Marefoschi. A palazzo si faceva musica sia
per occasioni sacre che profane: si tenevano feste da ballo, nelle quali si eseguivano sia
brani strumentali che vocali-strumentali; si svolgevano celebrazioni liturgiche, nella cappella privata o nelle chiese che erano sotto il patronato della potente famiglia, e feste religiose. Anche i conti Bonaccorsi seppero onorare la musica, tanto che nella loro villa era operante un corpo filarmonico al completo, detto “del Giardino”. Un evento importante nel
campo della musica di chiesa si ebbe nel 1754, in occasione dell’innalzamento a Collegiata
insigne dell’antica Pieve di Santo Stefano. Venne deciso di dotare la chiesa di un organo
nuovo e di stipendiare un organista in forma stabile. Negli anni successivi si cercò di affidare gli incarichi di organista e di maestro di cappella ad un’unica persona. Tra i religiosi
musicisti si può ricordare il frate minore conventuale Antonio Maria Costantini, originario di
Monte Santo, che fu attivo nella prima metà dell’Ottocento, producendo centinaia di composizioni musicali per le feste dell’anno liturgico. Tra gli altri suoi incarichi, fu apprezzatissimo maestro di cappella ad Assisi e Padova. Nel 1832 Monte Santo ebbe il suo primo mae-
209
Il maestro
Bruno Mugellini
stro pubblico di musica: tale compito venne assegnato all’ascolano Leopoldo Angelini – da
tre anni residente nel centro collinare – che doveva impartire lezioni gratuite a quattro allievi del luogo, provenienti da famiglie “non possidenti”. Con Settimio Barlesi, nel maggio
1861, la figura del maestro comunale si occupò contemporaneamente dell’istruzione degli
allievi, della direzione della banda e dell’istruzione dei suoi membri. La banda musicale di
Monte Santo vide la luce nel novembre 1842 e fu posta sotto l’alto patronato del cardinale
Filippo De Angelis, arcivescovo di Fermo. A presiederla erano i conti Filippo Bonaccorsi e
Camillo Compagnoni Marefoschi, rappresentanti delle due più note famiglie nobili del territorio. Nel 1947 avvenne la ricostituzione post-bellica della banda musicale, affidata alla pregevole direzione del maestro Edgardo Latini. Sono molti e di talento i potentini che seppero distinguersi in campo musicale. Non possiamo, per ragioni di spazio, elencarli tutti ma
riteniamo opportuno dedicarci ad alcuni di loro.
BRUNO MUGELLINI (Potenza Picena 1871 - Bologna 1912) compì i suoi studi di composizione e pianoforte al liceo di Bologna, guidato dai maestri Tofano, Busi e Martucci. A soli 24
anni compose il poema Alle fonti del Clitunno, che ebbe l’onore di dirigere alla Scala di
Milano; a 26 divenne insegnante di pianoforte al liceo del capoluogo emiliano, poi ne
assunse la direzione. Il suo talento concertistico gli meritò molti successi sia in Italia che
all’estero: Mugellini, del quale vennero particolarmente apprezzate la tecnica e la sensibilità artistica, fu interprete impareggiabile di titani della musica come Bach e Chopin. La
fama del nostro grande musicista è legata anche al Metodo di esercizi tecnici, autentica e
irrinunciabile guida in particolare per gli studenti di pianoforte. A Bruno Mugellini, Potenza
Picena ha intitolato il suo splendido teatro nel 1933.
210
GIAMBATTISTA BONI (Potenza Picena 1875 - Fermo 1964) divenne sacerdote presso il
Seminario Arcivescovile di Fermo e si impegnò nella propaganda della musica sacra,
dando vita alla Cappella Aloisiana, rivista mensile con testi e musica per voci bianche, cui
diedero il loro contributo, tra gli altri, noti maestri come Amadei, Lazzarini, Matthey e
Tebaldini. A 33 anni, come ci informa Norberto Mancini nelle sue Visioni Potentine (33), diventò organista della Collegiata S. Michele Arcangelo di Fermo e direttore della Schola
Cantorum dei seminari regionale e diocesano. Grazie alla sua infaticabile opera, la musica
sacra conobbe grande diffusione e riscosse interesse sia nella diocesi fermana che oltre i
confini di essa. Giambattista Boni, che si distinse nelle produzioni musicali ed editoriali,
compose undici Messe: la nona riscosse il convinto apprezzamento del Maestro Perosi.
FLAVIO CLEMENTONI (Potenza Picena 1886 - Fano 1958) studiò sotto la guida dei Maestri
Amilcare Zanella e Antonio Cicognani, rispettivamente direttore e vicedirettore del conservatorio “Rossini” di Pesaro. A Loreto frequentò altri importanti personaggi del panorama musicale del tempo, come i maestri Ulisse Matthey e Giovanni Tebaldini, dai quali seppe trarre
preziosi insegnamenti. L’attività artistica di Flavio Clementoni aveva il dono della spontaneità,
della fantasia, della originalità e si meritò il plauso di istituzioni a livello nazionale. Tra le sue
opere più note ci sono le composizioni corali Ave Maria, Il Cantico delle Creature, l’opera in
tre atti Il ritratto della mamma e, soprattutto, Mater Dei, oratorio in tre parti, per cori, soli e grande orchestra, sul quale diedero giudizi molto positivi Pietro Mascagni e Lorenzo Perosi.
Degne di nota anche le quattro Messe da requiem dedicate alla figlia Maria Luisa.
ARTURO CLEMENTONI (Potenza Picena 1894 - Ascoli Piceno 1984) si diplomò al conservatorio “Rossini” di Pesaro in direzione e strumentazione a vent’anni; dopo la prima guerra mondiale proseguì gli studi e conseguì il diploma di organo e di composizione organistica. A
Flavio e Arturo
Clementoni con la
madre Annunziata
211
212
Il maestro Edgardo
Latini con la banda
musicale, durante
una manifestazione
nella chiesa
di San Francesco,
anni Ottanta
Loreto si perfezionò sotto la guida dei maestri della basilica lauretana, Barbieri, Tebaldini e
Matthey. Le sue qualità gli meritarono la direzione della Cappella di San Nicola a Tolentino
e quella di S. Emidio ad Ascoli Piceno. In quest’ultima città diede vita alla Scuola Ceciliana
per i giovani della diocesi e alla Scuola Gregoriana nel monastero di clausura delle
Benedettine. Nel capoluogo piceno divenne direttore artistico del teatro Ventidio Basso. Il
suo capolavoro di musica sacra è la Missa Jubilaris, premiata da Papa Pio XII con la
Commenda dell’Ordine di San Silvestro. Le sue composizioni vengono tuttora eseguite in
ambito nazionale e internazionale.
La musica del nostro territorio comunale deve molto al maestro EDGARDO LATINI. Nativo di
Morrovalle, fin da bambino aveva manifestato il suo talento per la musica. Frequentati i
Conservatori “Rossini” di Pesaro e quello romano di “Santa Cecilia”, si diplomò in strumentazione e composizione. Docente di ruolo di educazione musicale nelle Scuole Medie,
diresse una scuola per pianoforte, chitarra e organo elettronico a Civitanova Marche. Nel
suo palmares figurano successi in vari concorsi di musica leggera e classica. In virtù della
sua grande preparazione e maestria, nel 1947 gli venne affidato il compito di riorganizzare
la banda musicale e la scuola di musica a Potenza Picena. Grazie alla sua guida, la banda
musicale è diventata una delle migliori delle Marche. Il maestro Edgardo Latini è stato uno
dei maggiori collaboratori della Schola Cantorum per la quale fu apprezzato organista.
In questi ultimi anni hanno messo in evidenza il loro talento
musicale i fratelli Reggioli. ENRICO REGGIOLI (classe 1965),
diplomato in pianoforte principale al Conservatorio “Rossini” di
Pesaro e in Direzione orchestrale a Pescara, è un apprezzato
maestro d’orchestra dal 1999.
Da allora ha maturato un ricco bagaglio di esperienze lavorando a fianco di Maestri come Acs, Morandi, Renzetti e, dal
2008, Oren. Al suo attivo figurano direzioni d’orchestra in Italia
e all’estero. Nel 2002, a Yokohama, ha diretto l’orchestra internazionale di Tokyo nelle prove del concerto The three Tenors,
collaborando con Carreras, Domingo e Pavarotti. Tra le sue
apprezzate direzioni vi sono quelle dell’Orchestra Sinfonica del teatro di Limoges,
dell’Orchestra “Verdi” di Salerno, dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Budapest,
dell’Orchestra Filarmonica delle Marche, dell’orchestra del teatro “La Monnaie” di
Bruxelles. Tra le opere da lui dirette figurano Il Trovatore, Falstaff e Un ballo in maschera di
Verdi, Cavalleria Rusticana di Mascagni, Pagliacci di Leoncavallo, L’Italiana in Algeri e La
Cenerentola di Rossini, L’Elisir d’amore di Donizetti.
SERGIO REGGIOLI (1970), all’età di soli sei anni, ha avuto il primo approccio con il violino; poi,
nel 1992, si è diplomato al conservatorio “Rossini” di Pesaro. Nei primi anni ’90 ha frequentato la scuola di Mogol (CET), facendo le prime esperienze con la composizione di canzo-
213
ni e brani strumentali, avvicinandosi al mondo della musica pop-rock e collaborando con
autori e compositori dei Nomadi. Nella storia musicale di Sergio ha avuto grande importanza l’incontro con il civitanovese Giuseppe Gismondi (già chitarrista di Ivan Graziani).
Nel 1998 Reggioli ha fatto il suo ingresso nei Nomadi; nel 2006, con loro, ha vinto la classifica ‘Gruppi’ al Festival di Sanremo, centrando anche il secondo posto assoluto. Con il
mitico gruppo emiliano, Sergio ha al suo attivo diverse partecipazioni al Concerto del Primo
Maggio a Roma; suona il violino in modo eccellente e ha dato un contributo notevole al rinnovato successo dei Nomadi; è bravo anche con le percussioni, le chitarre acustiche ed
elettriche, i flauti, la tromba e altri strumenti.
I Nomadi al festival
di Sanremo nel 2006
214
Schola Cantorum Santo Stefano
E’ la più antica istituzione cittadina: vide la luce nel 1796, per volontà del Preposto della
Collegiata di Santo Stefano, passata dall’antica Pieve, che si trovava nella piazza principale, nella chiesa di S. Ignazio, divenuta Chiesa Parrocchiale. Siccome ci si era dotati di un
organo, si pensò alla costituzione di una corale che prestasse il suo servizio accompagnando la popolazione di Monte Santo nel suo cammino di fede. La Schola Cantorum effettuò il suo primo servizio in occasione della celebrazione della Santa Messa nel giorno di
Pasqua, il 27 marzo 1796. Da allora, giovandosi del talento di grandi uomini di musica, è
arrivata fino a noi, mutando il nome in quello di Corale Santo Stefano. In oltre due secoli di
vita, essa è cresciuta sia nel numero dei suoi componenti sia nella qualità delle interpretazioni, con un vasto repertorio che comprende, tra l’altro, composizioni polifoniche, spirituals
e musica moderna. Moltissimi i luoghi dove la Corale Santo Stefano si è esibita: da molti
centri marchigiani, a numerose città italiane, a località estere come Zante (Grecia), Berlino,
Budapest, Stettino (Polonia). Il 10 settembre 1995 ha avuto l’onore di cantare a Montorso di
Loreto in occasione della Santa Messa celebrata da Sua Santità Giovanni Paolo II, nell’ambito dell’incontro con i giovani d’Europa.
215
Corale Sant’Anna
Nata a Porto Potenza Picena nel 1985 per iniziativa di appassionati di musica, la Corale
Sant’Anna ha un organico a voci miste e si compone di oltre trenta elementi. Il suo repertorio spazia dalla polifonia classica rinascimentale alla musica contemporanea. Nonostante
la sua ancora breve esistenza, ha fatto registrare un gran numero di esibizioni, relative sia
all’attività liturgica che concertistica. Tra i luoghi dove la Corale Sant’ Anna ha cantato ci
sono i Santuari della Madonna del Rosario di Pompei, di San Gabriele, di Santa Rita da
Cascia; le Basiliche della Santa Casa di Loreto, di San Francesco d’Assisi, di San Pietro a
Roma e di Sant’Antonio a Padova, il duomo di Fermo e quello di Macerata. Si è esibita
anche in diretta televisiva su Raiuno, in occasione della Santa Messa celebrata nella chiesa dell’Istituto Santo Stefano dall’Arcivesco di Fermo, Gennaro Franceschetti; ha preso
parte a diverse rassegne musicali, tra cui il Festival Internazionale di canto corale Alto
Adige, e ha cantato anche in Slovenia. Presta servizio liturgico nella chiesa del Corpus
Christi, a Porto Potenza Picena nelle più grandi solennità.
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L’organo da sala di Giovanni Fedeli
Tra i tesori d’arte e di storia che Potenza Picena custodisce, un posto di rilievo lo merita uno
straordinario organo da sala, opera del maestro organaro camerte Giovanni Fedeli (17111782). Ospitato nell’ex chiesa di Sant’Agostino, è uno strumento di particolare pregio, che
appartenne alla famiglia dei nobili Compagnoni Marefoschi: successivamente venne portato nella chiesa delle monache Clarisse di San Tommaso, prima di trovare la collocazione
attuale. L’anno di costruzione del prezioso organo è il 1757: l’autore e la datazione sono
documentati da un’iscrizione rilevabile dietro il piede della canna centrale di facciata e da
una scritta su altra parte dello strumento. La ‘mano’ del Fedeli, inoltre è riconoscibile da
alcuni dettagli stilistici nella decorazione dell’organo. Questo, racchiuso in una artistica
cassa lignea decorata ad intarsio, ha la tastiera che presenta preziose copertine in osso su
alcuni tasti. Le splendide canne interne sono costituite della stessa lega di stagno di quelle di facciata (anziché essere di piombo, come di regola) e in essenza di castagno. Grazie
ad un intervento di restauro eseguito con eccellente maestria, l’organo è tornato allo splendore originario ed è stato possibile ripristinare la sua inimitabile qualità sonora. La ‘creatura’ del Fedeli, grazie alle sue caratteristiche, è utilizzabile per l’impiego solistico, per il dialogo con altri strumenti o con la voce. Attualmente l’organo da sala è collocato al centro
della zona absidale della ex chiesa di Sant’Agostino, sotto un grande dipinto di Piero
Tedeschi (1750-1805) raffigurante la Maddalena ai piedi della Croce.
Vittorio Sgarbi
ammira l’organo
di Giovanni Fedeli,
aprile 2007
217
218
L’organo Giovanni
Fedeli, 1757,
restaurato nel
dicembre 2007
Prospetto dei tiranti dei
registri con gli originali
cartellini manoscritti
La tastiera
219
costume e società
RICORRENZE
La festa del Grappolo d’Oro
Un omaggio ad uno dei frutti più generosi della nostra terra, un appuntamento in cui tradizione agricola e autentica cultura popolare si fondono mirabilmente, regalando emozioni e
gioia di vivere: questa è, in estrema sintesi, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’, un vero e proprio
inno all’uva e, di conseguenza, al vino.
La prima edizione, datata 1955, era intitolata ‘Festa dell’Uva’ e già allora era caratterizzata
dall’entusiasmo di chi la promuoveva e di chi vi prendeva parte. Le prime edizioni(34) erano
semplici sagre paesane, con carri trainati da buoi: erano carri agricoli che rappresentavano la vendemmia, la cantina, la lavorazione del vino. In seguito essi diventarono vere e proprie opere d’arte, fino ad arrivare all’edizione in cui il G.S. Potentia 1945 allestì un carro
denominato “Grappolo d’Oro”: era costituito da un tralcio di ferro con acini illuminati da lampadine. L’opera, acquistata dalla Pro Loco, è stata per anni esposta all’ingresso di Potenza
Picena e la ‘Festa dell’Uva’ è diventata ‘Festa del Grappolo d’Oro’. Gli ultimi giorni di settembre sono dedicati a questa manifestazione che propone una gara di carri allegorici,
allestiti da maestri carristi, in rappresentanza delle contrade locali. Per l’occasione, lo scorrere tranquillo della vita quotidiana di Potenza Picena subisce una piacevole accelerazione ed è facile lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera di festa che si respira nelle vie e nelle
piazze. Le locande e le taverne propongono le loro eccellenze culinarie, accompagnate da
Ragazze in costume
tradizionale potentino,
anni Cinquanta
221
Carro del
Grappolo d’Oro,
fine anni Cinquanta
vini di qualità, mentre la musica rallegra gli animi. Organizzata dalla locale Pro Loco, in
collaborazione col Comune di Potenza Picena, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’ è uno degli
appuntamenti più noti del calendario delle manifestazioni folkloristiche delle Marche. Dal
mattino alla sera è un trionfo di colori, di suoni, di sapori: si mettono in evidenza i policromi costumi dei figuranti e degli sbandieratori, le note delle chiarine, il gusto delle pietanze che attirano i buongustai, il profumo del mosto. Sulle colline che circondano il centro
abitato, i filari delle vigne disegnano interminabili linee parallele in un gioco geometrico
che cattura gli occhi. Il profumo del mosto, che si sente nell’aria, inebria e diffonde allegria. La ‘Festa del Grappolo d’Oro’, che ritualmente si apre con la dichiarazione ufficiale
del messaggero di Bacco a cavallo, si articola in diversi giorni e ha in programma convegni su argomenti enogastronomici e sulle tradizioni locali, con la partecipazione di eminenti esperti del settore. Della bellezza della manifestazione folkloristica di Potenza Picena
si sono potute rendere conto anche le delegazioni della città irlandese di Templemore, di
quella inglese di Burford e di quella francese di Premilhat: gli ospiti d’oltre confine ne
hanno apprezzato ogni aspetto, ogni particolare, portando nei loro Paesi le emozioni vissute nel Settembre potentino.
Gruppo folck
“Montesanto 1992”
Grappolo d’Oro 2002
223
Ragazza mentre recita,
fine anni Cinquanta
224
Ragazza in costume
tradizionale potentino,
edizione 2006
225
Il Presepe vivente
Il presepe vivente di Potenza Picena è diventato uno dei più visitati e apprezzati in ambito
regionale, grazie all’accuratezza della rappresentazione e al fascino del luogo che la ospita: il bosco del convento dei Frati Minori. Circa duecento personaggi, indossanti vesti realizzate con scrupolosa fedeltà ai modelli originali, animano le molte scene allestite sui duemila metri quadrati interessati dall’evento, insieme con animali, attrezzi e arredi relativi
all’antico popolo ebraico. Musiche e luci concorrono a rendere il tutto particolarmente suggestivo, creando un’atmosfera che invita alla riflessione e dona emozioni profonde. La rappresentazione potentina della natività, che ha mosso i primi passi potendo contare sulla
consulenza di don Carlo Leoni, è un’opera artisticamente apprezzabile e, soprattutto,
diventa strumento prezioso di trasmissione di valori umani e religiosi; inoltre, grazie ad essa
i suoi organizzatori – gli “Amici del Presepe” – raccolgono offerte che poi devolvono in
beneficenza. La prima scena che il visitatore incontra nel bosco dei Frati Minori è relativa
al Paradiso Terrestre, l’ultima riguarda la Gerusalemme Celeste: in mezzo vi sono alcuni
degli eventi più importanti e noti della vita di Gesù.
226
La Festa di Sant’Anna
Nella ancor breve storia di Porto Potenza Picena, la festa di Sant’Anna (26 luglio) organizzata impeccabilmente da un apposito comitato, è un evento fondamentale sia dal punto di
vista religioso che sociale. Attorno all’omonima chiesa è cresciuta la comunità locale nel
secolo scorso, accogliendo gente giunta qui da varie regioni italiane per cercare lavoro o
per ricevere cure all’Istituto Santo Stefano. La Patrona, madre di Maria, è una presenza
molto importante nel cuore dei portopotentini e la sua festa viene vissuta intensamente. Il
suono delle campane della torre di Sant’Anna ha sempre annunciato, di primo mattino, l’attesa ricorrenza.
Negli anni Sessanta e Settanta, al largo della nostra spiaggia, arrivava una nave della
Marina Militare, che giungeva per la concomitante Festa del Marinaio e in onore della
Patrona. La giornata, anche oggi, è ricca di altri momenti di celebrazione, come quello
molto commovente del lancio in mare di una corona d’alloro per ricordare i caduti delle
guerre mondiali. Vari decenni fa, la raccolta di fondi per organizzare le manifestazioni in
onore della Patrona era a cura dei cosiddetti “festaroli”(35) che, fin dal tempo della battitura,
si recavano in campagna per racimolare un po’ di grano da vendere al mulino per ricavare qualche soldo.
L’immagine di Sant’Anna (una tela ora appesa nella sacrestia della chiesa del Corpus
Christi) veniva portata in processione su una sorta di barella munita di due stanghe, sostenuta a spalla da quattro persone; seguiva il “baldacchino”, di broccato oro, portato da sei
fedeli. In spiaggia, la festa viveva momenti di grande divertimento. Uno di questi si svolgeva in mare ed era una sorta di albero della cuccagna: all’estremità di un palo di legno, che
sporgeva dalla prua di una barca, era fissata una bandierina. I concorrenti, a turno, dove-
Nave della Marina
Militare Italiana per la
Festa di Sant’Anna,
anni Sessanta - Settanta
227
Fuochi per la festa di Sant’Anna
Torre quadrata,
sec. XVI
e chiesa di
Sant’Anna
vano andarla a prendere avanzando lungo il palo, cosparso di grasso: numerose e accompagnate dalle risa del pubblico sulla spiaggia le frequenti cadute in acqua. Altra gara era
quella della cattura di anatre che venivano lasciate libere in uno specchio di mare circondato da barche: a nuoto i partecipanti al gioco dovevano agguantarle. Di sera si poteva
assistere, in piazza della Stazione, al lancio di un pallone aerostatico pieno di luci; completavano il programma serale l’apprezzato concerto della Banda musicale di Potenza Picena
e l’estrazione di una tombola. In anni recenti nuove attrazioni sono giunte a sostituire quelle appena ricordate: il Palio di Sant’Anna, la gara dei castelli di sabbia e il grande spettacolo pirotecnico sul mare sono tra gli appuntamenti di spicco. Di invariato, invece, resta il
profondo amore dei portopotentini per la loro Patrona, un sentimento che non tramonta mai
da queste parti.
230
“Lo Porto de cent’anni fa”
Un’iniziativa culturale che sta costruendosi una bella tradizione è Lo Porto de cent’anni fa,
promossa dal Centro Studi Portopotentino. Gli ideatori di tale appuntamento estivo, che ha
luogo nel primo sabato d’agosto, si propongono di riportare alla luce momenti e personaggi della cittadina rivierasca di un secolo fa. Circa duecento figuranti in costume d’epoca (tra
il 1900 e il 1920) danno vita a diverse ambientazioni differenziate per ceti sociali: così si
possono ammirare i nobili nella loro eleganza, i contadini intenti ai loro lavori quotidiani ed
eccellenti interpreti del Saltarello marchigiano, i pescatori nel loro tipico abbigliamento, i villeggianti. Le vie e le piazze di Porto Potenza Picena, come per incanto, diventano un ammirato palcoscenico sul quale fluisce la vita di un secolo fa, immagini che, senza questa intelligente e ben organizzata rievocazione, finirebbero per essere dimenticate. Accanto a Lo
Porto de cent’anni fa vanno segnalati due altri appuntamenti che hanno luogo il giorno
dopo: la Rievocazione degli Antichi Mestieri e la Pesca con la sciabica. La prima, che si
svolge nella suggestiva ambientazione del Rione Casette, passa in rassegna alcuni dei
lavori tipici di un tempo: nei loro costumi si possono ammirare, ad esempio, le tessitrici, il
birrocciaio, il falegname, il maniscalco, lo scrivano, il fruttivendolo, il costruttore di nasse, e
così via. Per i turisti e per le nuove generazioni è un’autentica opportunità di conoscere
alcune occupazioni del passato, per i più anziani è un momento di nostalgia e anche di
commozione per un tempo ormai andato. Rilevante, poi, è la rievocazione della pesca con
la sciabica, che viene proposta nel tratto di mare antistante il circolo “Il Faro”. Vengono rivissute tutte le fasi relative alla pesca con la grande rete: la sua cala, il suo faticoso recupero
da parte degli sciabecotti, la vendita del pescato da parte delle pesciarole e poi, per concludere, vi è anche un assaggio di squisito brodetto con pesce dell’Adriatico.
Figuranti de “Lo Porto
de cent’anni fa”,
Centro Studi
Portopotentino, 2006
231
Sfilata in abiti
d’epoca, 2006
Ballo in piazza Douhet,
2006
Gli “sciabecotti”,
2006
233
ECCELLENZE SPORTIVE
Potenza Picena e il suo territorio comunale vantano un movimento sportivo qualitativamente e quantitativamente di notevole rilievo, ai vertici nella Provincia di Macerata. Al 2008 risultano ufficialmente attive ben 35 società sportive, alle quali aderiscono diverse centinaia di
tesserati nelle diverse discipline praticate. Di quanto sia radicato lo sport tra i giovani del
Comune potentino sono testimonianza le varie edizioni finora svoltesi delle Olimpiadi della
Provincia di Macerata: i nostri ragazzini partecipano sempre in gran numero e, proprio nel
2008, si sono piazzati nientemeno che al secondo posto nel medagliere generale, precedendo Comuni più grandi, come Macerata (terza), Recanati (quinta), Tolentino (decima). I
giovani atleti potentini sono saliti sul secondo gradino del podio avendo conquistato 27
medaglie d’oro, 14 d’argento e 12 di bronzo, un bilancio davvero entusiasmante. La cosa
più importante, però, non è il fatto di aver centrato tanti successi ma il poter contare su una
gioventù che, praticando lo sport, cresce sana e lontana il più possibile dai pericoli di questo tempo, che matura nel rispetto del prossimo e delle regole. Siccome, però, è giusto
celebrare le affermazioni sportive, nelle pagine che seguono passiamo in rassegna, disciplina per disciplina, tutti coloro che le hanno ottenute a livello nazionale e internazionale:
per ragioni di spazio non abbiamo potuto dedicarci né ai campioni provinciali né a quelli
regionali, ai quali rivolgiamo comunque un applauso.
Catalogare nomi di atleti e di squadre che, nel corso degli anni, si sono fatti onore ai massimi livelli, non è cosa facile: si rischia di dimenticare qualcuno o qualche impresa importante. Per questo si è ricorso all’aiuto di varie persone che, nelle rispettive discipline, conservano memoria storica di fatti e personaggi che hanno dato lustro alla loro attività sportiva. Le prossime pagine, in modo necessariamente sintetico, passano in rassegna, in ordine alfabetico, gli sport dal più ricco palmares.
Atletica Leggera
Nei primi anni ’90, l’atletica leggera ha regalato grandi soddisfazioni allo sport locale. Il quel
periodo, grazie alla Società Podistica Seco, presieduta da Franco Leandrini, arrivarono
diversi titoli italiani a dar lustro al palmares sportivo del nostro territorio. Il 14 Settembre
1990 ai campionati italiani di Cesenatico, MARIO MORETTI si guadagnò la medaglia d’oro sui
5.000 metri, imitato dal suo compagno di squadra ANDREA ACQUA che s’impose sui 100
metri piani; il giorno dopo, sempre Moretti vinse sui 10.000 metri, mentre Acqua centrò l’argento sui 200 metri piani. A Viareggio, il 12 Settembre 1992, Mario Moretti conquistò l’oro
nazionale sui 5.000 metri e LEONARDO AGOSTINELLI arrivò secondo sulla stessa distanza; ventiquattro ore dopo, Agostinelli si mise al collo un altro argento, sui 10.000 metri. A Roseto
235
degli Abruzzi, il 9 Maggio 1993, Mario Moretti si laureò campione italiano dei 10.000 metri
su strada. Altro alloro tricolore per lo stesso atleta giunse il 23 Settembre 1995 a
Cesenatico: Mario sbaragliò la concorrenza sui 10.000 metri. Nel 1999, a Marina di Massa,
l’Atletica Potenza Picena vinse la medaglia d’oro nel campionato italiano di mezza maratona. Nel 2008, a Caserta, MAURIZIO BONVECCHI si è laureato campione italiano nella categoria M50 di corsa campestre.
Baseball
In questa disciplina sportiva possiamo vantare numerosi atleti, provenienti dal Baseball
Club Le Pantere, che si sono meritati la convocazione in maglia azzurra. RICCARDO
RICCOBELLI (classe 1983) ha vestito per la prima volta la casacca della Nazionale Ragazzi
nel 1995. Ha preso parte a numerosi raduni della rappresentativa italiana, con la quale ha
partecipato al campionato europeo a Praga, dove la compagine azzurra ha conquistato il
titolo continentale. MICHELE QUATTRINI (classe 1987) è stato chiamato in Nazionale Ragazzi
nel 2000, ha partecipato a molti raduni del team italiano. Dall’età di tredici anni è sempre
stato selezionato per le formazioni di categoria. Nel 2005 ha disputato il Mundialito (una
specie di campionato mondiale giovanile) svoltosi in Spagna e, l’anno successivo, a quello di Trieste: in entrambe le competizioni è risultato il miglior lanciatore. Nel 2008, dopo tre
anni di militanza in serie A2, ha raggiunto la massima serie nelle file dei Pirati di Rimini,
dove gioca nel ruolo principe di lanciatore. RICCARDO GIUSTI ha partecipato al Mundialito in
Giappone, GABRIELE QUATTRINI ha disputato, con la Nazionale Ragazzi, il Mundialito di
Milano del 2006 e il MondialHit in Abruzzo nel 2007, insieme con ENRICO SIMONETTI.
Bocce
Grazie all’attività di quattro società bocciofile (Delfino, Montesanto, Riviera e Vittoria), le
bocce hanno avuto uno sviluppo importante nel nostro territorio comunale. Gli allori ottenuti sono stati e sono di caratura elevatissima. Il primo risultato eccellente è datato 1969: a
Ferrara, RENATO TURCHI, LUIGI BILÒ e NANDO BELLUCCINI si laureano campioni italiani nella
“terna” Allievi. L’anno successivo il titolo tricolore lo colgono, a Milano, SESTO ZALLOCCO,
MARIO GALASSI e NELLO MARTINELLI, che si impongono nella “terna” categoria B. Nel 1972, a
Treviso, ENZO ZALLOCCO e GAETANO FRATTARI vincono l’alloro nazionale nella “coppia” categoria C. Dodici mesi dopo, sul più alto gradino del podio italiano, a Voghera, salgono FRANCO
PEZZOLA, LUIGI BAFFO e GRAZIANO TRAMANNONI che sbaragliano il campo nella “terna” categoria C. Le nostre bocce continuano a mietere vittorie e, nel 1975, LEONE MOBILI e DANTE
TORRESI conquistano l’oro tricolore a Teramo, dominando nella “coppia” categoria B. Dopo
236
una pausa di otto anni, nel 1983 si torna a vincere il titolo nazionale: ci riesce, a Parma,
LUCA PETRELLI, insieme a Giorgio Mammalucco e Simone Elisei, imponendosi nella “terna”
Ragazzi. Passano altri sette anni e, nel 1990, arriva la maglia tricolore nei campionati per
società: al Flaminio di Roma si laurea campione d’Italia la Bocciofila Vittoria, con i giocatori Luca Petrelli, SAURO PETRELLI, GIUSEPPE MICUCCI e DOMENICO DARI, c.t. Giuseppe Petrelli. Nel
1995 la palma del migliore della Penisola va a MICHELE SGOLASTRA che a Fano, in compagnia di Giacomo Gallucci, vince la “coppia” Ragazzi. Il nuovo millennio ripropone i fasti di
quello passato. Nel 2002, a Verona, MIRKO GAROFOLO, insieme con Massimiliano Petrocchi,
conquista il titolo italiano nella “coppia” Ragazzi. Doppio squillo di tromba per le nostre
bocce anche nell’anno successivo: a Brescia, MANUEL MACELLARI, col compagno Andrea
Bigioni, vince l’oro tricolore nella “coppia” Allievi; sotto la guida del c.t. Attilio Macellari,
MANUEL MACELLARI partecipa alla conquista del titolo italiano Juniores per società. Anche nel
2004 i nostri boccisti salgono in cattedra: LUCA GELOSI, insieme con Marco Sabbatici, conquista il titolo nazionale di “coppia” Allievi a Venezia; in Ungheria, al campionato europeo
a squadre, MANUEL MACELLARI vince con la rappresentativa italiana il titolo continentale. Il
2005 vede ancora Manuel Macellari in splendida evidenza: a Carpi diventa campione tricolore nella “terna” Allievi, insieme con Paolo Macori e Marco Sabbatini. Passano altri dodici mesi e si torna a primeggiare in Italia: lo fanno la giovanissima JESSICA GELOSI, che domina nell’ “individuale” Ragazze a Bologna, e Manuel Macellari che s’impone nell’ “individuale” categoria B a Monza. Nel 2007 è la volta di Luca Petrelli: vince l’oro nazionale a Reggio
Emilia nell’ “individuale” categoria A.
Calcio
Il campanilismo che, più di adesso, ha caratterizzato i rapporti tra Potenza Picena e Porto
Potenza, ha sempre avuto nel calcio una delle sue vetrine privilegiate. La storia sportiva
locale ha, soprattutto, i colori giallorossi (potentini) e rossoneri (portopotentini), entità cromatiche che hanno dato vita al ‘derby infinito’ tra le squadre dei due centri, con la cornice
chiassosa di un pubblico sempre ‘caldo’ e interessato. I cori verso i ‘carginelli’ o gli ‘sciabecotti’ sono le espressioni goliardiche e, a loro modo, simpatiche dei sostenitori delle due
compagini, una nota suggestiva nel rispetto delle regole e del prossimo.
Nel calcio NICOLA BOVARI (1945) occupa una posizione di rilievo nel racconto della nostra
storia sportiva. In serie D già a 16 anni (nella Sangiorgese), ha meritato la prima convocazione in Nazionale a 17, giocando nella formazione azzurra Juniores in Romania. Passato
all’Inter, ha vinto con i nerazzurri il torneo “De Martino” e ha risposto ad un’altra chiamata
della Nazionale italiana, impegnata in Inghilterra (in squadra giocava anche Gigi Riva). Nel
secondo anno di sua permanenza nel club di Angelo Moratti ha effettuato la preparazione
precampionato a San Pellegrino con la Grande Inter dei vari Mazzola, Corso e Suarez. Il
debutto di Nicola in serie A è avvenuto a 19 anni, all’Olimpico di Roma, con la maglia del
237
I ragazzi premiati per
le III Olimpiadi della
Provincia di Macerata,
Festa dello Sport 2008
Dirigenti della società
Baseball Club
“Le Pantere”,
Giuseppe Carestia,
Ernesto Riccobelli,
Bruno Mancini,
Festa dello Sport 2008
238
Remo Scoccia
mentre viene premiato
da Roberto Luchini
e Andrea Bovari,
per l’impegno profuso
nel ciclismo,
Festa dello Sport 2006
Componenti della
squadra di calcio “Bar
Maritozzo”, campioni
italiani amatori 1987,
da sinistra Andrea
Bovari, Silvano Meriggi,
Manlio Ramadori,
Giovanni Sampaolo,
Mario Girotti, Enzo
Balloriani, Marcello
Paolucci, Luciano
Marabini, Edoardo
Veroni,
Festa dello Sport 2007
239
Bari. L’allenatore gli ha sempre affidato il compito di marcare il giocatore avversario di maggior classe: così si è preso ‘cura’ di campioni come Haller, Amarildo, gente di talento
sopraffino. Successivamente Bovari ha disputato numerosi campionati tra serie B e C.
NELLO MALIZIA (1950), molisano di nascita ma trasferitosi a Potenza Picena fin da piccolo, è
stato uno dei migliori portieri italiani per almeno un decennio. Vestita la maglia delle giovanili giallorosse, è passato poi alla Maceratese (serie C), trampolino di lancio per approdare al Perugia nel 1974, salendo in serie A con la formazione umbra, nella quale si mise in
grande evidenza. Sua destinazione successiva è stata Cagliari (1983), ancora nella massima serie. Lasciata l’isola, ha continuato a mostrare la sua bravura in squadre professionistiche come il Padova e l’Atalanta. Appese le scarpe al proverbiale chiodo, ha iniziato a
svolgere l’attività di preparatore dei portieri nella società nerazzurra di Bergamo, giovandosi della grande esperienze maturata in tanti anni sui campi di tutta Italia.
Una delle pagine più emozionanti del libro del calcio locale è stata scritta nell’ottobre 1987
dalla squadra del BAR MARITOZZO, allenata da Marcello Paolucci, protagonista del calcio
amatoriale. La formazione del presidente Silvano Meriggi stacca il biglietto per le finali di
Foggia, da disputarsi nello stadio “Pino Zaccheria”, impianto da 25.000 spettatori. Nella
città pugliese, il Bar Maritozzo gioca la semifinale contro la compagine di Cagliari, che il
pronostico dà favorita per la finale per il titolo italiano. Sembra debba essere il classico confronto impossibile, con gli isolani pronti a far un sol boccone dei malcapitati marchigiani e
invece, come a volte capita nello sport, le previsioni della vigilia vanno miseramente in frantumi e il Bar Maritozzo approda all’atto conclusivo, tra lo stupore generale ma con pieno
merito. In finale c’è un altro grande scoglio: è la squadra di Brescia, anch’essa, come quella sarda, pronosticata per la conquista dello scudetto tricolore. I lombardi sono una compagine robusta e tecnicamente dotata, dimostrano di meritare il credito di cui godono e
passano in vantaggio di un gol. Sembra il colpo di grazia per le speranze del nostro team
che, invece, ha la forza di non disunirsi e di reagire con ordine e lucidità, fino al raggiungimento del pareggio, con la rete di Morgoni. Il risultato non cambia più fino al 90’ e ciò rende
necessario il ricorso ai calci di rigore per laureare la squadra campione d’Italia. Qui i bresciani, loro malgrado, trovano sul loro cammino Marco Malatini, un portiere che, particolarmente ispirato, riesce a parare ben tre loro penalties, consegnando il titolo tricolore alla sua
compagine. L’impresa è compiuta: il nostro calcio amatoriale è sul tetto d’Italia.
Ciclismo
Lo sport del pedale ha una lunga tradizione nel nostro territorio comunale, a cominciare dal
1945, anno di fondazione del Gruppo Ciclistico Sant’Antonio, poi diventato Gruppo
Sportivo Potentia. Ecco gli atleti che si sono maggiormente distinti e le loro affermazioni più
rilevanti.
MARIO MANCINI (1943) vanta venticinque vittorie tra i Dilettanti, un titolo di campione tosca-
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no di categoria nel 1966, la maglia azzurra della Nazionale italiana. Ha disputato due stagioni tra i Professionisti (1966-1967) avendo per compagni di squadra prima Taccone e
Ritter, poi Faggin; ha preso parte al Giro d’Italia, alla Milano-Sanremo (una volta 25°, l’altra
31°), al Giro di Lombardia (17° assoluto, 4° degli italiani), alla Coppa Agostoni (12°). In anni
più recenti si è messo in luce in campo amatoriale, vincendo due ‘bronzi’ nazionali e un
‘argento’ europeo.
TONINO CIARROCCA (1957) ha ottenuto i suoi maggiori successi da Dilettante di seconda
serie (5 vittorie e un titolo regionale) e di prima serie (20). Brillante il suo 5° posto al Giro
d’Italia di categoria nel 1978, che gli ha aperto le porte della Nazionale azzurra, con la
quale ha preso parte al Giro del Messico, al Giro di Romania (secondo posto in una tappa)
e al Tour de l’Avvenire in Francia. Ha corso anche al Giro di Jugoslavia, al Giro del
Lussemburgo e al Giro d’Australia, vincendo la tappa Brisbane-Sidney e conquistando la
quarta posizione nella classifica finale.
GIANCARLO BALDONI (1958) ha ottenuto cinque vittorie da Dilettante nel 1981, anno in cui è
giunto 15° nel Giro d’Italia di categoria ed è stato convocato in Nazionale, disputando il Giro
del Venezuela con la maglia azzurra. Nel 1982 è passato al professionismo, disputando il
Giro d’Italia e prendendo parte a competizioni di prestigio come la Milano-Sanremo, il Giro
di Lombardia, la Tirreno-Adriatico.
LUCA STEFANELLI (1972) ha colto una cinquantina di vittorie, sia su pista che su strada. Nel
1998, a Livorno, ha vinto il titolo italiano di ciclismo su pista, nel chilometro da fermo. Al suo
attivo sette titoli regionali su pista, il 7° posto al campionato europeo di ciclismo su pista
nella velocità nel 1990, a Brno (Repubblica Ceca), il 13° nel campionato mondiale su pista
nella velocità olimpica a Bordeaux (Francia). Vari i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo;
il suo record personale nella specialità del chilometro da fermo è di 1’05”130, ottenuto in
Coppa del Mondo a Cali, in Colombia.
MASSIMO MANCINI (1975), figlio di Mario, nel 1998 ha conquistato il secondo posto al campionato italiano Dilettanti a San Daniele del Friuli. Al suo attivo alcune vittorie in ambito internazionale, correndo con atleti del calibro di Di Luca e Bettini. Non è passato al professionismo.
MARINA ROMOLI (1988), sotto la competente guida del padre Giordano, nel 2004 è giunta
terza tra le Allieve nella Coppa Rosa, e ha vinto il campionato italiano a squadre per società, sia su strada che su pista, a Dalmine e Bergamo col G.S. Potentia 1945. Nel 2006, tra
le Juniores, ha colto il secondo posto ai campionati italiani su strada e la medaglia d’argento ai Mondiali di Spa, in Belgio, nella stessa specialità. Su pista ha conquistato la Coppa
Europa nella specialità “Eliminazione”, il titolo italiano nella Corsa a punti, il secondo posto
nello “Scratch”, la classifica Oscar Tuttobici. Dal 2007 è entrata nel professionismo, vincendo subito due ‘bronzi’ nazionali su pista.
ALESSIA MASSACCESI (1989), anche lei allieva di Giordano Romoli, ha vinto nel 2004 il ‘bronzo’ ai campionati italiani su strada e su pista Allieve, nella velocità; nello stesso anno ha
conquistato il titolo nazionale a squadre su pista e strada con il G.S. Potentia 1945. Nel
2005, ancora Allieva, è giunta seconda nella Coppa Rosa, terza nel campionato italiano a
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cronometro e si riconferma campionessa nazionale a squadre sia su strada che su pista a
Montegrotto e Padova. L’anno seguente ha vinto il campionato italiano Juniores su strada
e il Gran Premio della Liberazione. Nel 2007 ha conquistato il Braccio Cronomen; dal 2008
è professionista.
Altra ciclista potentina molto valida è MARTINA SCOPPA (1988), pluricampionessa regionale in
varie categorie e autrice di numerosi piazzamenti in gare femminili e promiscue (con i
maschi) a livello nazionale. Tra le sue migliori prestazioni il settimo posto da esordiente ai
campionati italiani a Porto Sant’Elpidio, il quinto tra le Juniores ai campionati italiani in Friuli
(2006). E’ giunta ventunesima agli Europei di Valkenburg (Olanda). Nel 2007, da Under 20,
Martina è stata convocata in maglia azzurra e ha partecipato alle prestigiose corse del
Nord Europa, tra cui il Giro delle Fiandre. Nel 2008 ha preso parte al Giro di Germania e al
Tour De France, maturando preziose esperienze.
La SCUOLA DI CICLISMO POTENTIA 1945 – RINASCITA, che rappresenta un intelligente esempio di
collaborazione sportiva tra Potenza Picena e Porto Potenza, è formata da bambini la cui età
varia da sette ai dodici anni e che sono inseriti nella categoria Giovanissimi. Nel 2003, a
Bari, questa Scuola è riuscita a classificarsi al terzo posto assoluto nella classifica nazionale; nel 2008 ha vinto il titolo regionale.
Una vita lunga, ricca di attività e di meritati riconoscimenti: REMO SCOCCIA (1912) è uno straordinario esempio di impegno nel sociale, espresso con generosità e competenza in vari
settori. In ambito sportivo la sua storia inizia già nel 1926 nell’atletica leggera, praticata fino
al 1932. Dal 1935 al 1939 è giudice di gara della Federazione Italiana di Atletica Leggera,
poi la seconda guerra mondiale lo vede nelle vesti di sottufficiale in artiglieria, dove gli
viene assegnata la Croce di bronzo al merito di guerra. Lasciato finalmente alle spalle il
conflitto mondiale, nel 1945 prende parte alla fondazione del Gruppo Ciclistico
Sant’Antonio (che diventerà Gruppo Sportivo Potentia), del quale diventa segretario, poi
presidente dal 1955 fino al 1985. Tra le cariche sportive assunte, ricordiamo quella di vicepresidente vicario del Comitato regionale marchigiano della Federazione Ciclistica Italiana.
Tra i numerosissimi riconoscimenti e onorificenze deI mondo dello sport è giusto sottolineare la Stella d’Argento del CONI (1977), il Distintivo d’Oro della F.C.I. (1989), il Distintivo
d’Oro d’onore della Unione Nazionale Veterani dello Sport (1995), la Stella d’Oro del CONI
(1998), il Diploma d’Oro del Comitato Olimpico Internazionale (2001) e la Medaglia d’Oro
C.R.M. della F.C.I. per i decenni al servizio del ciclismo marchigiano e italiano. Scoccia è
uno dei fondatori della Pro Loco di Potenza Picena e presidente onorario della Sezione
Veterani dello sport “M. & P. Sassetti” di Potenza Picena. Eccellenti le onoreficence civili
delle quali è stato insignito: Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana nel 1980, Ufficiale
al Merito della Repubblica Italiana nel 1985, Commendatore al Merito della Repubblica
Italiana nel 1991.
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Hockey su prato
L’hockey su prato ha una importante tradizione a Potenza Picena. Già nel 1984/85, la squadra locale aveva conquistato il palcoscenico nazionale, salendo in serie A2 dove è restata
fino al 1992/93. Nel frattempo le compagini giovanili hanno ottenuto eccellenti risultati: nel
1988, a Roma, la squadra Under 14 si è laureata campione italiana ai Giochi della Gioventù;
nel 2001 la compagine Under 16, allenata dal bravo Paolo Belvederesi, si è messa al collo
l’oro tricolore. La squadra maggiore è tornata in serie A2 grazie agli spareggi svoltisi a San
Vito Romano nel giugno 2007: una bella soddisfazione per il tecnico Belvederesi, il delegato regionale Paolo Grandinetti e il presidente Aido Consolani.
LORENZO CONSOLANI, uno dei giocatori più rappresentativi dell’ H.C. Potenza Picena, ha
avuto una significativa esperienza con la maglia della Nazionale Italiana Under 18 nel biennio 1991-1992. Nel primo anno, ha partecipato, ad Amsterdam, al torneo internazionale
HDM, avendo come avversarie le compagini di Inghilterra e Olanda; poi ha disputato gli
incontri Italia-Francia a Roma in luglio, Spagna-Italia a Barcellona in settembre, ItaliaCecoslovacchia a Padova in novembre. Nel 1992 è sceso in campo a Cholet (Francia) per
Francia-Italia in aprile, a Praga per la Poligras Cup in maggio-giugno, a Roma per ItaliaCanada in luglio, nel Torneo Internazionale di Spagna a Barcellona in luglio-agosto, a
Padova per Italia-Svizzera in settembre.
Judo e karate
Il judo è una disciplina sportiva che vanta interpreti di ottimo livello nel nostro territorio
comunale. VINICIO MORGONI (1956) ha ottenuto il titolo nazionale UISP nel 1978 a Mestre,
nella categoria kg 71; nel 1979 è stato componente della squadra azzurra al campionato
europeo CSIT in Belgio e della formazione italiana che ha partecipato al campionato preolimpico denominato Hapoel Games in Israele. Nel 1980 ha disputato il campionato internazionale UISP svoltosi in Bulgaria. Grazie all’ASD Jigoro Kano, fondata nel 1976, sono stati
ottenuti altri risultati di rilievo. SERGIO LINARDELLI (1962) già a 16 anni ha risposto alla prima
convocazione nella Nazionale maggiore UISP, divenendone titolare a 18 e rimanendo in
‘rosa’ fino al 1985. E’ stato campione italiano UISP nel 1983 e 1984, secondo nel 1978,
1979, 1982, 1985, terzo nel 1980, 1981, 1986, 1987, 1989 e 1992. Oltre a primeggiare in
varie competizioni internazionali, è riuscito a conquistare il bronzo nella classifica a squadre ai campionati europei del C.S.I.T. di Lisbona nel 1980 e di Roma nel 1982. GIANCARLO
GIRONELLI (1949) ha al suo attivo un quinto posto ai campionati italiani Filpj a Firenze nel
1974 e un bronzo ai campionati italiani UISP nel 1982 a Mestre; insegnante di judo prima a
Potenza Picena poi ad Ancona, ha fatto parte per anni della commissione tecnica nazionale UISP. MARIA CUTINI si è ben distinta ai campionati italiani UISP: due medaglie d’argento
(1980-1981) e due di bronzo (1978-1979); un argento ai campionati italiani Filpj a Chiavari.
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Raduno Ferrari per il 40° anniversario di Lodovico Scarfiotti,
piazza Matteotti, 8 giugno 2008
Un terzo posto ai campionati nazionali anche per STEFANIA LINARDELLI, ottenuto nel 1978 a
Castelfranco Emilia. OSVALDO CAROTA si è aggiudicato un argento tricolore nel 1978, a
Mestre, e un bronzo nel 1979 a Milano. ANDREA GELOSI, sempre ai campionati italiani UISP,
è salito sul secondo gradino del podio nel 1981 a Napoli, sul terzo nel 1979 a Milano.
MASSIMO LINARDELLI si è laureato campione nazionale nel 1981 a Torino. LUIGI BORRONI, convocato in nazionale UISP nel 1984, ha vinto l’oro ai campionati italiani nel 1984 e 1985, il
bronzo nella classifica a squadre agli Europei del C.S.I.T. nel 1984 in Francia. ALBERTO
CITTADINI ha conquistato il titolo nazionale nel 1982 a Torino. AUGUSTO MERLINI ha centrato un
bronzo tricolore nel 1985 a Torino. GIANCARLO SENIGAGLIESI è giunto terzo nello stesso anno
nel capoluogo piemontese, stesso piazzamento ottenuto da GUGLIELMO SACCONI.
Nel karate, specialità combattimento, CHRISTIAN CARESTIA (1987) ha conquistato il bronzo tricolore tra i Cadetti ad Ostia (2003), l’argento nella categoria Juniores (2004) sempre ad
Ostia, il bronzo europeo a S. Polten, in Austria (2004).
Kickboxing
PAOLO ROSSI (classe 1980) ha fatto registrare eccellenti risultati nella difficilissima disciplina
del Kickboxing. Si tratta di uno sport da combattimento che unisce caratteristiche del
Karate giapponese con il pugilato occidentale: si ha la combinazione di tecniche di calcio,
tipiche delle arti marziali orientali, con i colpi di pugno propri della boxe. In questo sport
Paolo ha conquistato nel 2003 il titolo europeo Dilettanti nella categoria kg 86; nello stesso
anno, con i colori del Club Antea, ha colto a Roma la medaglia di bronzo al campionato italiano. Nella carriera di Paolo vanno sottolineate anche le convocazioni in maglia azzurra e
la partecipazione ai campionati mondiali di Massa Carrara.
FEDERICO MORGONI (1992), dopo essersi piazzato al primo posto nella classifica del Centro
Sud Italia, ha conquistato la medaglia d’argento ai campionati italiani kickboxing, categoria Kg 60, nel 2008, ad Ariccia, nel Lazio.
Pallacanestro
Il basket fece capolino nella nostra realtà locale negli anni Cinquanta del secolo scorso. A
Porto Potenza Picena questa disciplina si praticava sull’area dove ora sorge la casa parrocchiale di via Trieste, poi anche nello ‘storico’ spazio del Giardino Florida. Da allora, con
qualche pausa nel corso degli anni, la pallacanestro si è guadagnata una posizione importante nel panorama del nostro movimento sportivo.
FABIO PRINCIPI (1962-1996) è stato il più forte giocatore di basket del nostro territorio e uno
dei più validi delle Marche. Mossi i primi passi nella Sacrata Basket a metà degli anni
Settanta, la sua brillante carriera si è sviluppata nella Sangiorgese e ha avuto momenti di
gloria nelle formazioni Nazionali Giovanili e nella disputa del campionato italiano di serie A.
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La costante ascesa di Fabio subì un rallentamento a causa di un infortunio al ginocchio, ma
nonostante ciò egli riuscì ad essere uno degli migliori giocatori per più di un decennio, mettendo in luce una classe cristallina sui campi di B e C di mezza Italia. I tremila punti realizzati e il grandissimo numero di rimbalzi conquistati gli hanno meritato una posizione di rilievo nella storia della pallacanestro marchigiana. A causa di un incidente stradale, ha cessato di vivere nel 1996. A Fabio Principi è intitolato il Palasport di Porto Potenza Picena.
Pallavolo
Albino Massaccesi,
alto dirigente
della Lube,
Festa dello Sport 2006
La nostra tradizione pallavolistica è ben radicata e di alto livello. Sia in campo maschile che in quello femminile abbiamo
interpreti di rilievo, capaci di farsi onore in campo nazionale,
alla pari di compagini di città capoluoghi di provincia, con
bacini di utenza sportiva di grandezza molto superiore al
nostro. Nella pallavolo femminile, il VOLLEY TORRESI ha avuto
anni di splendore sia nel campionato nazionale di serie B2, frequentato per varie stagioni, che in quello di B1, nel quale ha
militato nel 2003. In ambito maschile, il VOLLEY POTENTINO ha
raggiunto la B1 nel 2005 e, da quell’anno, ha collezionato piazzamenti in crescendo nella classifica finale: ottavo nella stagione d’esordio, sesto nel 2006, quarto nel 2007 e terzo nel 2008, alle soglie dell’ingresso nel
playoff per la promozione in serie A2.
PIERO BONARINI (1947) è stato il primo potentino a giocare nella serie A di pallavolo. Nella
stagione agonistica 1968-69 vestiva la maglia dell’Esercito Napoli (Terza Compagnia
Speciale Atleti). In quell’anno seppe distinguersi in maniera egregia ed ebbe l’opportunità
di affrontare squadre del calibro della ‘mitica’ Panini Modena e della Ruini Firenze.
MATTEO ZAMPONI, classe 1978, ha vissuto stagioni importanti nella pallavolo di livello nazionale.
A soli 15 anni ha fatto parte della squadra azzurra pre-juniores, con la quale ha disputato i campionati europei (Barcellona) e mondiali (Portorico). Matteo ha giocato tre anni in serie A1 nelle
file della Lube Banca Marche Macerata, nella seconda metà degli anni Novanta, per poi vestire le maglie di altre compagini di ottimo livello in altre categorie. La carriera pallavolistica di
ALBINO MASSACCESI (1950) può essere presa ad esempio sia per i successi raggiunti che per la
completezza dei ruoli ricoperti (giocatore, allenatore, dirigente). Avvicinatosi allo sport in età
adolescenziale con gli amici dell’Oratorio di Porto Potenza, nel 1971 entra nel Cus Macerata da
allenatore, dando inizio ad una eccellente ascesa nel mondo della pallavolo, sia come tecnico
che in veste dirigenziale. Dal 1973 al 1975 è presidente della Fipav Macerata, dal 1976 al 1986
è prima consigliere poi vicepresidente della Fipav Marche. Nel 1990 passa alla neonata A.S.
Volley Lube Treia. Nella società treiese, campione d’Italia 2005/2006 e vincitrice dei maggiori
allori internazionali, Albino ha ricoperto gli incarichi di direttore sportivo, direttore generale, presidente e vicepresidente. Le sue qualità professionali gli hanno meritato uno spazio di rilievo
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anche nel consiglio di amministrazione della Lega Pallavolo Serie A, che lo ha visto presente
ininterrottamente dal 1995 al 2004, sia come consigliere che come vicepresidente.
ROMANO GIANNINI (1970) si è messo in luce come tecnico: nel 2003-2004 ha allenato la Videx
Grottazzolina in serie A2.
Pesca sportiva
RICCARDO CARINELLI (1980) si è laureato campione italiano di pesca sportiva, tecnica carpfishing, nel 2003 a Chieti (in coppia con Fabio Buccolini). Nel 2005 e nel 2007 ha preso parte
agli incontri internazionali tra Italia e Francia; nel 2005 in Belgio, 2007 in Serbia e nel 2008
in Sud Africa ha partecipato al campionato del mondo. La sua prima convocazione in
maglia azzurra è del 2005.
Il 16 e 17 novembre 2007, sulla spiaggia di Ugento (Lecce), un altro nostro concittadino ha
vinto il titolo tricolore, imponendosi nel campionato italiano a Box nella pesca sportiva. Si
tratta di SIMONE MARABINI, classe 1975, che ha conquistato l’ ‘oro’ tricolore insieme con i
compagni di squadra Rizzuni e Matteucci, tutti portacolori della A.S.D.P. Golden Fish di
Civitanova Marche. Alla gara pugliese hanno preso parte ben 270 concorrenti, in rappresentanza di 43 società.
Sport paralimpico
Il medagliere del nostro sport locale deve moltissimo ai ragazzi dell’Associazione Sportiva
Santo Stefano, ‘stelle’ di prima grandezza nelle discipline paralimpiche. Lo straordinario palmares della società rivierasca ci costringe ad una sintesi dei suoi migliori risultati, fornitici con
grande cortesia e precisione dalla signora Tiziana Savoia. In ATLETICA LEGGERA, ai campionati
italiani, dal 1983 al 2008, i ragazzi del Santo Stefano hanno vinto 258 medaglie d’oro, 120 d’argento e 65 di bronzo nelle varie specialità praticate. Ecco l’elenco di tutti i medagliati: Teresa
Albano, Federico Bartolucci, Giancarlo Capecci, Michele Capecci (13 ori), Amico Ceresani,
Raul Curzola, Michele Dentamaro, Florindo De Palatis, Angelo Di Gregorio, Federico Dubini,
Anna D’Urbano, Agostino Fellini, Natale Foti, Sergio Greci, Bruno Iervicella (22 ori), Giovanni
Loiacono (23 ori), Patrizia Mastrogiovanni (12 ori), Mario Matteis, Angelo Merlo (15 ori), Michele
Miani (21 ori), Mario Nai, Filomena Pantalone (10 ori), Antonia Paolini, Luisa Pocognoli (48 ori),
Riccardo Rossini (10 ori), Fortunato Ruberto, Vincenzo Saccente, Fabio Staffolani, Maria
Antonietta Stipa, Gaetano Terrevoli (14 ori), Marco Torregiani,Vito Antonio Vitale, Michela Volpe
(12 ori). In ambito internazionale, l’atletica leggera del Santo Stefano ha avuto in Giovanni
Loiacono il suo protagonista assoluto. Ecco i suoi successi: Giochi Paralimpici di New York nel
1984: oro nel disco (primato del mondo, con m 31,20), argento nel peso; campionati europei
248
di Bruxelles nel 1985: argento nel peso, bronzo nel giavellotto; Giochi Internazionali di Parigi
del 1987: oro nel disco; Giochi Paralimpici di Seoul del 1988: bronzo nel disco; Robin Hood
Games di Nottingham del 1989: oro nel disco (record mondiale con m 33,94), argento nel
peso; campionati europei di Bruxelles del 1989: argento nel disco. Ai Disability Athletics
International di Birmingham del 1997, Teresa Albano ha vinto tre ori (100, 200, 400 metri piani),
Florindo De Palatis un oro e un argento (giavellotto e peso), Bruno Iervicella due ori (100 e 200),
Giovanni Loiacono tre argenti (peso, disco giavellotto), Marco Torregiani tre ori (100, 200, 400).
Nel BASKET IN CARROZZINA l’A.S. S.Stefano ha una tradizione di assoluto prestigio. Nel campionato italiano di serie A1 si è classificata tre volte al terzo posto (1994/95, 1999/2000,
2006/2007); in serie A2 si è classificata in prima posizione nel 2004/2005. In campo internazionale brillano, in particolare, le vittorie nella Vergauwen Cup del 1996 (successo in finale sui tedeschi dell’UBC Munster) e nella Brinkmann Cup del 2004 (vittoria in finale sulla
compagine Kik Veterani Tuzla della Bosnia Erzegovina) e del 2006 (vittoria in finale sugli
spagnoli dell’Amfiv Vital Vigo). Da segnalare, inoltre, i successi in vari tornei internazionali.
Ai campionati italiani di SOLLEVAMENTO PESI del 1989, nella categoria 65 kg, argento per
Angelo Merlo e Bronzo per Michele Dentamaro; nel 1990, nella categoria 90-100 kg, oro
per Merlo e argento per Dentamaro.
Nel TIRO A SEGNO eccelle ANTONIO MARTELLA (aria pistol, sport pistol, pistola calibro 22, pistola libera 50 m), plurimedagliato in vari campionati europei e mondiali (Linz 1994, Yarvenpaa
1995, Santander 1998, Wroclaw 2005, Suhl 2007) e alle Paraolimpiadi (Atlanta 1996).
Ottimo anche il palmares di GIANCARLO IORI (pistola 10 m, pistola calibro 22, pistola 25 m),
con prestigiose affermazioni in rassegne europee e mondiali (Santander 1998, Kyungnam
2002, Wroclaw 2005, Sargans 2006, Suhl 2007) e ai Giochi del Mediterraneo del 2001 a
Tunisi. MAURIZIO NIOSI ha conquistato un argento ai Giochi del Mediterraneo di Tunisi 2001
e un bronzo ai campionati mondiali di Sargans nel 2006.
Nella squadra della ASD Anthropos di Civitanova Marche si sono messi in grande evidenza
alcuni ragazzi potentini. Nelio Piermattei, presidente dell’associazione civitanovese, ci ha gentilmente fornito i seguenti dati. Tra il 2000 e 2004, TERESA ALBANO ha conquistato cinque titoli
nazionali (nei 100, 200 e 400 metri piani). Palmares ricchissimo quello di MARIO SMORLESI nel
nuoto, rana, stile libero, dorso, staffetta). Dal Luglio del 2000 ha collezionato medaglie ai Giochi
nazionali Special Olympics (Fiuggi, Caorle, Pescara, Bari, Pugnochiuso, Lignano Sabbiadoro).
Nel 2003 ai Giochi Mondiali Special Olympics di Dublino è diventato campione iridato nei 50
metri farfalla e nella staffetta 4x50 mista, conquistando anche il bronzo nei 50 metri dorso.
SERENA CANTORO (stile libero, dorso, staffetta) ha conquistato numerose medaglie ai campionati italiani (Bari, Lignano Sabbiadoro, Pugnochiuso). Vanta sei titoli tricolori. LORENA DALFINO
(rana, dorso, staffetta) ha al suo attivo quattro ori nazionali. LINDA BARCHIESI (nuoto e atletica) e
TEODORO REBEZZI (nuoto) hanno dato il loro importante contributo alla qualificazione della loro
squadra alla fase finale della Coppa Italia, poi vinta dalla stessa compagine dell’Anthropos.
249
La sig.ra
Casalis - Douhet
mentre viene
omaggiata dal
capitano
dell’ “Ala Douhet”
Marcello Giampaoli,
campo sportivo
Douhet,
anni Cinquanta
250
Ragazzi mentre
giocano al
calcio balilla,
anni Cinquanta
La squadra di
tiro alla fune di
Porto Potenza Picena
ai vertici della
specialità in ambito
nazionale, anni Trenta
251
La traversata in moscone da Veli Rat alla spiaggia Portopotentina
Tra il 7 e l’8 luglio 2007 GIANCARLO GIRONELLI sì rende protagonista di un’impresa sportiva di
rilievo: la traversata in pattìno (il popolare moscone) da Veli Rat, in Croazia, fino alla spiaggia portopotentina del circolo Il Faro, due luoghi divisi da circa 70 miglia marine, qualcosa
come 130 chilometri! Sorretto da una grande determinazione, frutto di una solida disciplina mentale maturata con la pratica del judo, inizia una lunga e meticolosa preparazione in
vista della eccezionale prova. Per effettuarla si costituisce un comitato organizzatore e il
maestro d’ascia Guido Graziani realizza un apposito pattìno, un autentico gioiello di tecnica artigianale, frutto di una lunghissima esperienza nella costruzione nautica. Il 7 luglio è il
giorno della partenza da Veli Rat, fissata per le ore 18,00. Nonostante le previsioni meteorologiche abbiano indicato buone condizioni atmosferiche e marine, la prima parte della
prova è caratterizzata da un fastidioso vento di scirocco, che aumenta progressivamente e
che fa incrementare il moto
ondoso, fino a notte fonda.
Giancarlo, la cui andatura media
è stata prevista in 2,8-3 nodi
orari, deve contrastare una forte
corrente, che ne riduce la velocità, fin quasi a farlo fermare.
Consumando tesori di energie
solo per battersi contro il mare,
Gironelli è costretto ad appoggiarsi ad una delle barche che lo
accompagnano, fino a che il
vento diminuisce. Superate le
critiche condizioni ambientali
avverse, riprende a vogare con
rinnovata lena. Dopo circa 27
ore dall’inizio della prova,
Giancarlo arriva sulla spiaggia
portopotentina, atteso da centinaia di persone che lo accolgono con entusiasmo e affetto, per
sottolinearne il coraggio e il
valore dell’impresa compiuta.
252
Guido Graziani
nel suo laboratorio
Giancarlo Gironelli
durante la traversata,
luglio 2007
Inaugurazione del
campo sportivo
“Skorpion”, costruito
dall’omonimo 2° corpo
di armata polacco,
1946
Squadra di pallavolo
“Sacrata”, 1968
Bindelli,
Colafranceschi,
Bonarini, Meriggi,
Esposto, Campugiani,
Paolucci, Rebichini,
Massaccesi
253
PERSONAGGI ILLUSTRI
Vari potentini, nativi e adottivi, si sono messi in luce nel corso del tempo in diversi ambiti della
vita sociale. Di quelli che hanno saputo eccellere nella musica ci siamo occupati nelle pagine
relative a quest’arte. Nel presente capitolo ci dedichiamo a coloro che si sono distinti in altri settori; certamente altri avrebbero pure meritato di figurare nella lista che segue, ma si è cercato,
anche per motivi di spazio, di offrire una panoramica il più possibile sintetica e significativa(36).
Giuseppe Asciutti
Statua lignea
del sec. XVII,
raffigurante uno
degli apostoli,
pinacoteca comunale
Giuseppe Asciutti (1898-1981) è stato un grande artista e un grande uomo, al quale la popolazione locale è profondamente grata per la
generosa dedizione dimostrata nel contribuire
alla formazione artistica e professionale di tanti
ragazzi del luogo. Dopo aver studiato presso le
Accademie di Belle Arti di Urbino e di Roma e
aver conseguito il diploma, fu docente di disegno, plastica e intaglio nella Scuola d’Arte
Giannini di Pergola. Nel 1926 operò presso il
Laboratorio d’Arte Antica Angelelli a Roma.
Due anni dopo tornò a Potenza Picena e fu
insegnante di disegno ai corsi di Avviamento
Professionale di Porto Recanati e Potenza Picena. Successivamente ha ricoperto il ruolo di direttore della Scuola d’Arte “Ambrogio della Robbia”, insegnando a tanti giovani il disegno, elementi di architettura, l’impiego del cemento, la lavorazione artistica del ferro, nozioni d’intaglio.
Asciutti ha rappresentato una guida sicura e competente per coloro che hanno voluto occuparsi d’arte. Prese parte ad importanti mostre, da quelle allestite nella nostra provincia (Macerata
nel 1922, Recanati nel 1937, Macerata nel 1944, Montelupone nel 1957) a quella di Roma nel
1926 e di Buenos Aires nel 1936. Realizzò, tra l’altro, pitture ad olio, ritratti, paesaggi, pergamene in miniatura, sculture in legno, disegni architettonici: il tutto con il comun denominatore di una
tecnica sopraffina e una pregevole sensibilità. Tra le sue opere più importanti figurano la pala
dell’altare maggiore della chiesetta rurale in contrada Molino Vecchio di Potenza Picena, dipinto intitolato La Sacra Famiglia di Nazareth, e la cappella di Lourdes, realizzata presso i Padri
Cappuccini di Potenza Picena, lavoro eseguito in cemento, che riproduce la grotta dell’apparizione della Madonna a Bernadette. Maestro di numerose tecniche artistiche, si è distinto anche
per la sua grande umiltà e per la sua profonda fede in Dio.
255
Umberto Boccabianca
Nato a Ripatransone (Ap) nel 1860, giunse a Potenza Picena nel novembre 1882, vincitore
di concorso per maestro elementare; nel 1894 assunse l’incarico di Direttore scolastico. A
proprie spese fondò, nel 1887, la Scuola di Lavoro Educativo, seconda in ambito nazionale dopo quella di Ripatransone, diretta dal suo vecchio insegnante, l’illustre pedagogista
prof. Emidio Consorti. L’anno seguente, Boccabianca divenne direttore della Scuola di
Disegno, che era stata fondata nel 1873 dal prof. Domenico Filippetti, trasformandola dapprima in Scuola Popolare, successivamente in Scuola d’Arte Applicata all’Industria, con
riconoscimento ministeriale nel 1896: essa diede una preziosa formazione a muratori, fabbri e falegnami, insegnando il mestiere a tanti giovani del luogo. Nel 1891 Boccabianca istituì la Sezione Femminile di Disegno, diventata nel 1899 Sezione Femminile della Scuola
d’Arte e intitolata alla Regina Margherita di Savoia: vi impararono il mestiere ricamatrici,
sarte e cucitrici, che acquisirono maestria in queste attività. Nel 1900 il Ministero della
Pubblica Istruzione gli conferì la medaglia d’argento per meriti acquisiti nell’ambito dell’educazione popolare. La Scuola d’Arte maschile fu intitolata, nel 1905, ad Ambrogio della
Robbia, il noto artista fiorentino che ebbe casa e laboratorio a Monte Santo nel 1524.
Boccabianca diede grande impulso alla scuola locale, che seppe mettersi in luce a livello
regionale e nazionale. In qualità di direttore della scuola elementare di Potenza Picena, promosse iniziative a favore degli alunni poveri e meritevoli, dimostrando anche grande sensibilità e generosità.
Il Prof. Umberto
Boccabianca insieme
alle alunne della
Scuola Femminile di
Disegno.
Interno del Chiostro
di S. Agostino,
fine Ottocento
256
Balduino Bocci
Laureatosi in Medicina e Chirurgia a Bologna, Balduino Bocci (1852-1945) andò a perfezionarsi a Vienna e Parigi. Nel 1882 fu nominato assistente alla cattedra di Fisiologia a Roma;
due anni dopo lo troviamo docente in Fisiologia all’università capitolina. Nel 1892 fu nominato medico provinciale di Roma. Tre anni più tardi ebbe l’incarico di professore, prima straordinario poi ordinario, di Fisiologia a Siena. Con grande talento di scienziato si occupò, tra l’altro, di ottica fisiologica e meccanica cardiaca. In campo medico fu autore de L’immagine visiva cerebrale e di Guida allo studio sperimentale della fisiologia. Balduino Bocci fu anche ottimo letterato: amò Virgilio, Dante, Leopardi e Pascoli. Tra le sue opere citiamo il poema in versi
sciolti Le Api, il poema epico Italia! Italia! e Argomenti della Divina Commedia.
Bonaccorso Bonaccorsi
Laureatosi all’Università di Perugia, Buonaccorso Buonaccorsi (1620-1678) iniziò a Roma
un’importante carriera ecclesiastica, con incarichi di grande responsabilità, fino alla creazione cardinalizia, avvenuta il 29 novembre 1663, ad opera di Papa Clemente IX. Gli fu
assegnata la legazione di Bologna da Clemente X, poi confermata da Innocenzo XI. Di
carattere energico e forte, si adoperò con determinazione per eliminare gli episodi di violenza e di malvivenza che si verificavano in quella città. Quando morì, il suo corpo venne
portato a Loreto e sepolto nella basilica mariana.
Mons. Giovanni Cotognini
Nato a Potenza Picena il 3 dicembre 1908, Giovanni Cotognini frequentò il Seminario di
Fermo, per poi laurearsi in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Apprezzato per il suo prezioso servizio sacerdotale in vari centri marchigiani, è stato anche
assistente diocesano delle suore dell’Istituto “Figlie del SS. Redentore e Beata Vergine
Addolorata” di Potenza Picena e membro del Tribunale Matrimoniale Ecclesiastico
Regionale. Docente di Lettere presso l’Istituto magistrale “Bambin Gesù” di Fermo e professore di Diritto in Seminario, mons. Cotognini si è distinto anche per i suoi studi dedicati
alla storia e alle memorie locali e per alcune interessanti pubblicazioni, tra le quali ricordiamo Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena e Memorie Storiche dell’Istituto ‘Figlie
SS. Redentore e B.V. Addolorata’.
257
Raffaele Curi
Laureato in Storia dell’Arte, si è meritato un posto importante nel mondo del cinema, interpretando una ventina di films. Il primo di questi è un capolavoro della cinematografia mondiale, Il Giardino dei Finzi Contini, diretto da Vittorio De Sica, opera che ha conquistato
l’Oscar quale miglior film straniero nel 1972. Nella filmografia di Curi spiccano anche Il
Gatto di Luigi Comencini, Jazz Band e Impiegati di Pupi Avati, Scherzi da prete di Pier
Francesco Pingitore e Claretta di Pasquale Squitieri. E’ stato collaboratore di Man Ray e
validissimo collaboratore di Giancarlo Menotti al Festival di Spoleto. Nel 1983 si è occupato dell’Arena Sferisterio di Macerata, in cui venne allestita un’edizione particolarmente felice della Bohème, con la regia di Ken Russell. Nel 2006 è stato eletto “Marchigiano dell’anno”. Interior designer, regista di grandi eventi internazionali e recentemente autore di uno
script per Martin Scorsese, Curi è attualmente apprezzato direttore artistico della
Fondazione Alda Fendi, che si distingue per la sua sperimentazione teatrale e per la promozione e produzione di esperimenti artistici multimediali.
258
Roberto Domenichini
Classe 1954, Roberto Domenichini è un valente e stimato studioso di storia locale. Laureato
in Filosofia con lode presso l’Università degli Studi di Macerata, diplomato archivista-paleografo con lode presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Scuola speciale per
Archivisti e Bibliotecari, si distingue per l’accuratezza e la competenza nei suoi studi.
Domenichini, che presta servizio nell’archivio di Stato di Ancona ed è responsabile della Sala
di studio di questo Istituto, è autore di molte pubblicazioni storico-scientifiche, tra le quali
ricordiamo: Il dipartimento del Metauro nell’età napoleonica (1808-1815). Divisioni territorialiamministrative e stato della popolazione (1987), Evoluzione demografica nella città e diocesi
di Ancona nel XVIII secolo (1989), Fonti documentarie per la storia contemporanea nell’Archivio di Stato di Ancona (1991), Note sulla presenza della Compagnia di Gesù in alcune località della Marca. La fondazione dei collegi (1994). Tra le pubblicazioni dedicate alla realtà santese vi sono: Monte Santo (Potenza Picena): una “terra” della Marca anconitana e i suoi catasti; secc. XIV-XVIII (1995), Fonti ecclesiastiche locali per la storiografia: l’archivio parrocchiale di Monte Santo (Potenza Picena) 1994, Aspetti della società e dell’economia santese nel
tardo Trecento (1997). Roberto Domenichini è membro della Deputazione di Storia patria per
le Marche e socio dell’Accademia marchigiana di Scienze, lettere e arti.
Severino Donati
Severino Donati
con la moglie
Giuseppina Petroselli,
1975
Nel panorama artistico potentino, Severino Donati
(1915-1982) si è meritato un posto di rilievo per
un’operazione culturale che ha dell’incredibile.
Perito industriale, elettrotecnico di professione,
socialmente impegnato e amante della letteratura, si
è dedicato con passione e competenza al dialetto
potentino, alla sua difesa e rivalutazione. Utilizzando
con sensibilità e maestria il nostro vernacolo, Donati
ha tradotto nell’idioma locale la Divina Commedia di
Dante Alighieri e i Vangeli; inoltre ha realizzato raccolte di poesie (Mondesando che rride, Mondesando che piagne, Galazzà e dintorni, Vrange
rosce) che costituiscono, nello stesso tempo, una preziosa testimonianza sulla vita locale e un
amore profondo per la sua terra. Le sue poesie sono “pennellate di colore che non hanno nessuna pretesa artistica, ma solo lo scopo di non far dimenticare la variopinta vita dei nostri non
lontani predecessori”. Donati volle completare il suo impegno letterario realizzando Appunti
per un glossario del dialetto di Potenza Picena, un testo per aiutare il lettore meno preparato a
comprendere meglio il significato e le sfumature del vernacolo potentino.
259
260
Spartito de
La Putindina
parole di Severino
Donati, musica di
Edgardo Latini.
Il testo in vernacolo
è all’interno del libro
Galazzà e dintorni
Don Vincenzo Galiè
Nato a Montefiore dell’Aso (Ap) nel 1940, potentino d’adozione, sacerdote dal 1965, è un illustre
studioso della topografia antica e dell’archeologia
delle basse Marche, nonché autore di oltre cinquanta pubblicazioni sulle ricerche compiute. Parroco a Montecanepino, nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista, dal 1967 al 1986 (anno della
soppressione della stessa), ha insegnato religione
presso il liceo scientifico “Leonardo da Vinci” di
Civitanova Marche e ha svolto il ruolo di assistente spirituale nell’Istituto di Riabilitazione “Santo
Stefano” di Porto Potenza Picena. E’ stato cappellano nei cantieri italiani all’estero, in Zambia e Iran.
Nominato rettore del Collegio Arcivescovile
“Fontevecchia” di Fermo, nel dicembre 1998 ha ricevuto, per decisione dell’Arcivescovo di
Fermo, Mons. Franceschetti, la nomina di abate parroco di Campofilone, dove svolge la
sua missione pastorale. Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Macerata, don
Vincenzo Galiè ha compiuto studi approfonditi di topografia e archeologia, utilizzando
anche il georadar, che individua resti archeologici situati diversi metri sottoterra. Tra le sue
pubblicazioni ricordiamo Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza ed il Chienti
e lungo il litorale (1980), Da Potentia a Monte Santo a Potenza Picena (1992), importante
studio sulla città romana di Potentia.
Norberto Mancini
Norberto Mancini (1909-1980) è uno dei letterati
illustri del nostro territorio comunale.
Insegnante e uomo di grande serietà professionale, animato da sincero amore per la sua terra, ad
essa e alla sua storia ha dedicato studio e approfondimento. Tra le opere che ci ha donato vogliamo ricordare Potentini illustri, La mia terra e Visioni
Potentine, preziosi lavori che ancora oggi costituiscono punti di riferimento irrinunciabili per chiunque voglia conoscere il nostro recente passato.
Con raffinatezza letteraria e squisita sensibilità ha
saputo divulgare gli usi, i costumi, le tradizioni del
261
nostro territorio, contribuendo a salvarli dall’oblio. Seppe eccellere anche come poeta, creando composizioni di rara bellezza ed eleganza. Le sue opere hanno rappresentato fonti
utilissime per preparare il presente libro e di ciò gli siamo grati.
Prospero Marefoschi
Compiuti gli studi universitari a Fermo, Prospero Marefoschi (1653-1732) si trasferì a Roma,
dove intraprese la professione di avvocato, per poi assumere incarichi ecclesiastici. Papa
Innocenzo XII lo elesse votante di segnatura e, successivamente, uditore del camerlengo.
Il pontefice Clemente XI lo nominò segretario del buon governo, poi anche vescovo di
Cesarea. Papa Benedetto XIII lo creò cardinale il 20 dicembre 1724; lo stesso pontefice lo
nominò Vicario di Roma. Il cardinal Marefoschi fu sepolto a Roma, nella chiesa di San
Salvatore in Lauro.
Luigi Miti
Nato a Potenza Picena il 30 Dicembre 1914, Luigi
Miti occupa una posizione di primissimo piano nel
mondo medico regionale e nazionale. Laureato in
Medicina e Chirurgia a Roma nel 1940, specializzato in malattie del tubo digerente, sangue e
ricambio, in malattie dell’apparato respiratorio, in
cardiologia, ha ricoperto importanti incarichi
anche come docente universitario. In periodo bellico si è distinto anche come antifascista, partecipando alla Resistenza con il Gruppo di Azione
Patriottica. La sua brillante carriera medica ha
conosciuto un’ascesa prestigiosa, che lo ha portato a ricoprire, più volte, il ruolo di primario nella
sanità anconetana. Autore di 110 pubblicazioni
scientifiche, il prof. Miti è stato Presidente dell’Accademia Medico-Chirurgica del Piceno,
ha ricevuto tra l’altro, la medaglia d’oro dell’Ordine dei Medici della Provincia di Ancona per
“aver contribuito con la professionalità ad aumentare il prestigio della struttura pubblica
ospedaliera nella città di Ancona”, la medaglia d’argento al merito della Sanità Pubblica
con decreto del Presidente della Repubblica, e numerosi altri riconoscimenti giunti a premiare una vita dedicata alla medicina e una professionalità di altissimo livello.
262
Ferdinando Scarfiotti
Ferdinando Scarfiotti (1941-1994) è stato uno dei migliori scenografi del cinema italiano. La
sua straordinaria carriera ebbe inizio nel 1963, come assistente di Luchino Visconti, col
quale poi collaborò per il film Morte a Venezia; nel 1972 si fece conoscere a Hollywood per
la sua collaborazione artistica con Billy Wilder. Il suo incontro con Bernardo Bertolucci portò
alla realizzazione di scenografie per films come Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Il tè
nel deserto, L’ultimo imperatore, opera per la quale ottenne il Premio Oscar nel 1988, insieme con Bruno Cesari e Osvaldo Desideri, per la migliore scenografia e arredamento.
Scarfiotti ha collaborato con altri illustri registri: tra gli altri ricordiamo Brian De Palma per
Scarface, John Schlesinger, Barry Levinson per Toys, che gli valse, nel 1993, una nuova
candidatura all’Oscar. Ferdinando Scarfiotti espresse il suo grande talento anche in teatro,
collaborando con Luca Ronconi ed Eduardo De Filippo. Al nostro eccellente scenografo
l’Amministrazione Comunale di Potenza Picena ha intitolato l’auditorium dell’ex complesso
di Sant’Agostino.
263
Gian Luigi Scarfiotti
Nativo di Torino (1939) ma potentino d’adozione, è uno dei fotografi italiani più apprezzati.
Compiuti gli studi classici in Italia ed economici in Svizzera, ha iniziato a fotografare fin da
bambino, passione trasmessagli dal padre. Giunto nelle Marche ha collaborato con riviste
di viaggi e sport; dal 1970 si è dedicato professionalmente al fotogiornalismo, compiendo
numerosi viaggi in ogni parte del mondo, occupandosi di attualità, di ricerca sociale, di folclore e di eventi bellici. Varie e importanti le sue collaborazioni con testate come
Newsweek, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Aramco Magazine, Atlante, Paris Match. Le sue
foto vengono scelte per servizi fotografici per la pubblicità di aziende e compagnie aeree.
Dal 1981 vive in Toscana, da dove parte per effettuare servizi foto-giornalistici per l’editoria
e la pubblicità. Numerose le sue mostre fotografiche in Italia e all’estero: nel 2008 anche
Potenza Picena ne ha ospitata una di eccellente livello. E’ iscritto all’Albo nazionale dei giornalisti e al GADEF.
264
Lodovico Scarfiotti
Nasce a Torino nel 1933, la sua carriera nell’automobilismo della quale ci limitiamo a ricordare alcuni brillanti successi, con le corse in salita e con le competizioni Turismo.
Prese parte alla Mille Miglia nel 1956, imponendosi nella categoria 1300.
Nel 1957 vinse il titolo di campione italiano Velocità Turismo e il Trofeo della Montagna, successi ripetuti l’anno seguente. Nel 1962, su Ferrari, conquistò il Campionato Europeo della
Montagna. Altri due successi internazionali giunsero nel 1963: la 12 Ore di Sebring, in coppia con Surtees, e la 24 Ore di Le Mans, con Bandini. Dello stesso anno è il debutto in
Formula Uno, quando prese parte al Gran Premio d’Olanda, gara in cui riuscì a classificarsi al sesto posto.
Nel 1964, conquistò, tra l’altro, la 1000 chilometri del Nurburgring in coppia con Vaccarella.
Due anni dopo l’Associazione Costruttori lo scelse come “Miglior pilota dell’anno”, titolo che
già era stato suo nel 1962. Il suo momento di maggior splendore si ebbe in occasione del
Gran Premio d’Italia del 1966, a Monza: alla guida di una Ferrari conquistò il gradino più
Lodovico Scarfiotti
con Enzo Ferrari.
Modena, prova
Lucangeli, 1962
265
alto del podio, realizzando il sogno degli sportivi italiani di vedere al primo posto l’accoppiata “Rossa-pilota italiano”, un abbinamento che i tantissimi tifosi del ‘Cavallino rampante’
auspicano da sempre.
Oltre che per la scuderia di Maranello, Scarfiotti corse per la Eagle e per la Cooper, sulla
cui vettura, nel 1968, ottenne due quarti posti, uno al Gran Premio di Spagna e l’altro a
Montecarlo. In totale prese parte a dieci gran premi in Formula Uno, collezionando diciassette punti; nel 1966 si piazzò al decimo posto nella classifica finale piloti. Un incidente
pose fine alla sua vita nel giugno 1968, durante una gara in salita a Rossfeld, in Germania.
Campioni potentini nati all’estero
La vocazione sportiva di Potenza Picena si manifesta anche nel suo essere patria adottiva
di campioni di livello internazionale. Alcuni di loro, grazie a progenitori originari del nostro
territorio comunale, sono diventati ufficialmente potentini.
GABRIELA SABATINI, nativa di Buenos Aires (1970), è stata una delle tenniste più talentuose di
tutti i tempi. Campionessa mondiale juniores nel 1984, a soli diciotto anni vinse la medaglia
d’argento ai Giochi Olimpici di Seoul nel singolare femminile e il torneo di Wimbledon nel
doppio con Steffi Graf. Nel 1990 si aggiudicò l’Open degli Stati Uniti; l’anno successivo fu
battuta dalla Graf nel singolare del torneo di Wimbledon. Gabriela, bella quanto brava, ha
vinto per quattro volte (1988-1989-1991-1992) gli Internazionali d’Italia, diventando amatissima beniamina del pubblico italiano. Nel 1994 ha dominato il Master Virginia Slims, come
già aveva fatto nel 1988. L’ultimo torneo del suo sontuoso palmares è stato quello vinto a
Sydney nel 1995; l’anno seguente, a soli 26 anni, ha deciso di appendere la racchetta al
chiodo.
MAURO GERMAN CAMORANESI (1976) è originario della cittadina argentina di Tandil. Ha iniziato il suo cammino nel calcio professionistico in Messico, nel Santos Laguna, per poi passare al team uruguaiano del Montevideo Wanderers. Tornato in Argentina per vestire la
maglia del Banfield, si è successivamente trasferito in Messico, nelle file del Cruz Azul.
Nell’estate del 2000 passò all’Hellas Verona; il suo esordio in serie A è avvenuto nell’ottobre di quell’anno. Nell’estate 2002 è passato alla Juventus, diventando campione d’Italia
l’anno dopo. Grazie alle sue qualità tecniche di centrocampista di fascia, ha visto aprirsi le
porte della Nazionale Italiana nel 2003. Nel 2006, con la maglia azzurra, ha partecipato alla
conquista del Campionato mondiale in Germania.
Pur con avi di origine abruzzese, CICERO JOAO DE CEZARE, detto CICINHO, è diventato cittadino di Potenza Picena. Nato in Brasile, a Pradopolis, nel 1980, ha iniziato la sua carriera
calcistica nelle formazioni giovanili del Botafogo. Nel 2003 ha indossato la casacca
dell’Atletico Mineiro, l’anno successivo è passato al Sao Paolo, vincendo il campionato paulista. Il 2005 è stato un anno d’oro per lui: ha conquistato la Confederation Cup con la
Nazionale Brasiliana, mentre, con il Sao Paolo, ha vinto la Coppa Libertadores e il mondia-
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le per club Fifa. Nel dicembre 2005 è giunto in Europa per vestire la maglia del Real Madrid.
Nell’estate 2007 è diventato giocatore della Roma, con la quale, nel maggio 2008, ha vinto
la Coppa Italia. Dotato di pregevole tecnica, è noto per il suo gioco combattivo e spiccatamente offensivo. Rapido nella corsa, possiede una buona abilità nei cross. Altri due calciatori di spicco sono diventati cittadini di Potenza Picena: PAULO CESAR ARRUDA PARENTE
(1978), nato ad Osasco in Brasile, ha vestito le maglie del Flamengo, del Botafogo, del
Vasco da Gama, del Santos e del Paris Saint Germain; Teixeira da Silva Renan (1985), originario di Caieiras, sempre in Brasile, ha militato nel Sao Paolo, nel Cruzeiro e nel Vitoria,
vincendo la Coppa Libertadores e il campionato mondiale per club nel 2005.
Gabriela Sabatini
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PARROCI
La forte tradizione cattolica della nostra terra ha nei parroci dei punti di riferimento insostituibili. Per la gente locale sono stati e sono, oltre che ministri di culto, persone alle quali
chiedere consigli, esporre problemi quotidiani o anche comunicare gioie. Di seguito riportiamo i nomi dei parroci di Potenza Picena, Porto Potenza Picena, San Girio e Montecanepino, che hanno operato dagli inizi del 1900 fino ai nostri giorni.
Per Potenza Picena, il parroco don Andrea Bezzini, ci ha fornito i nominativi dei parroci
della Prepositura di Santo Stefano, che è stata fino al 1989 la parrocchia principale e in
quella data ha assorbito le altre due parrocchie potentine: San Giovanni Evangelista in
Montecanepino e San Giacomo a Porta Galiziano. Ecco l’elenco dei parroci:
fino al 1921: don GIUSEPPE GIRONELLI;
dal 1921 al 1923: don VINCENZO LEONI come amministratore;
dal 1923 al 1927: don GIUSEPPE GIORGINI;
dal 1927 al 1929: don GIUSEPPE CORALLINI come amministratore, poi come parroco solo nel 1930;
dal 1931 al 1951: don MARONE CESANELLI;
dal 1952 al 1978: don GIACOMO FORTUNATI;
dal 1978 al 1988: don PRIMO PENNACCHIONI;
dal 1988 al 2006: don CARLO LEONI;
dal 2007: don ANDREA BEZZINI.
Operano in parrocchia la Confraternita Corpus Christi e della Morte e Orazione: sono state
soppresse quelle del Suffragio, del SS.mo Sacramento, dei SS. Rocco e Martino
Ecco i parroci a Porto Potenza Picena:
dal 1915 al 1947: don SILVIO SPINACI;
dal 1947 al 1982: don MAURO CARASSAI;
dal 1982 : don CESARE DI LUPIDIO.
A San Girio:
dal 1890 al 1917: don ANTONIO PIERCONTI;
dal 1920 al 1938: don ENRICO ACCIARRI;
dal 4 settembre 1938 al 30 ottobre 1938: don FRANCESCO CAMPOLUNGO;
dal 30 ottobre 1938 al 12 marzo 1939: don MARONE CESANELLI (economo);
dal 12 marzo 1939 al 6 maggio 1946: don ROBERTO REMIA (rinunciatario);
dal 6 maggio 1946 all’8 settembre 1946: don FERNANDO ANGELICI (economo);
dal 1946 al 1979: don ELIA MALINTOPPI;
dal 1979: don ALDO MARINOZZI.
Annunciazione,
attribuito a C. Todini,
sec. XVIII, Convento
dei Cappuccini
I parroci di Montecanepino sono stati:
dal 1957 al 1967: don ORESTE PIGNOLONI;
dal 1967 al 1986: don VINCENZO GALIÈ.
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SINDACI
FILIPPO BONACCORSI (ottobre1860 - novembre 1860), presidente della Commissione municipale.
PIETRO BOCCI (dicembre 1860 - febbraio 1861), presidente della Commissione municipale.
LUIGI GASPARINI (marzo 1861 - aprile 1861), assessore facente funzione di sindaco.
GAETANO SOLFANELLI (maggio 1861 - ottobre1862).
LUIGI GASPARINI (ottobre1862 - gennaio 1863), facente funzione di sindaco.
ALESSANDRO CANEPINI (febbraio 1863 - maggio 1865).
EMIDIO CARDINALI, ALESSANDRO CANEPINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI, LUIGI
GASPARINI, PIETRO BOCCI (maggio 1865 - dicembre 1866): assessori che si susseguono
facenti funzione di sindaco.
LUIGI GASPARINI (dicembre 1866 - luglio 1867).
AREZIO GASPARINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI (agosto 1867 - maggio 1869),
assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco.
ALESSANDRO CANEPINI (maggio 1869 - febbraio 1874).
LUCIANO BOCCI (maggio 1874 - luglio 1880).
FILIPPO BOCCI, CESARE BRUNACCI e SILVESTRO BRAVI (novembre 1880 - maggio 1882), assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco.
LUCIANO BOCCI (settembre 1882 - novembre 1889).
(dicembre 1889 - dicembre 1890) si susseguono diversi sindaci facenti funzione.
PIETRO FELICI (gennaio 1891 - febbraio 1892).
GIUSEPPE PIERANGELI, BENEDETTO BROCCOLO, LOREDANO FILIPPUCCI, PIETRO FELICI (marzo 1892 ottobre1893), assessori che si susseguono quali sindaci facenti funzione.
PIETRO FELICI (ottobre1893 - luglio 1895).
ETTORE BOCCI (ottobre1895 - gennaio 1899).
ALESSANDRO BUONACCORSI (agosto 1899), rimane in carica pochi giorni.
BONACCORSO BONACCORSI (novembre 1899 - agosto 1900).
ETTORE BOCCI (settembre 1900 - luglio 1905).
ETTORE BOCCI (settembre 1905 - novembre 1907).
Mura castellane
di Potenza Picena,
anni Cinquanta
CARLO BONACCORSI (dicembre 1907 - novembre 1912).
271
CARLO BONACCORSI (dicembre 1912 - aprile 1918).
BONACCORSO BONACCORSI (agosto 1918 - febbraio 1919).
RODOLFO FIORETTI (febbraio 1919 - marzo 1919), commissario prefettizio.
BLANDO TORRESI (marzo 1919 - luglio 1919), commissario prefettizio.
CARLO CORSI (luglio 1919 - settembre 1920), commissario prefettizio.
GUGLIELMO GASPARRINI (ottobre1920 - luglio 1923).
LODOVICO SCARFIOTTI (agosto 1923 - maggio 1924), commissario prefettizio.
F. MARCUCCI (maggio 1924), commissario prefettizio, firma solo una seduta.
AMEDEO PENNESI (giugno 1924 - luglio 1924), commissario prefettizio..
PAOLO SCARFIOTTI (luglio 1924 - aprile 1927).
PAOLO SCARFIOTTI (aprile 1927 - agosto 1929), podestà.
NICOLA SPINACI (settembre 1929 - maggio 1934), commissario prefettizio (sostituito, nel
periodo settembre-ottobre1933 da RENATO DE ANGELIS).
FRANCESCO FORMICONI (maggio 1934 - ottobre1935), commissario prefettizio. L’8 febbraio
1935 è nominato podestà, il 9 giugno si dimette; viene sostituito dal delegato podestarile
CESARE MAGGINI, che poi si dimette; torna Formiconi fino al 23 ottobre1935.
GERIO MATTEUCCI (ottobre1935 - novembre 1935), commissario prefettizio.
CESARE MAGGINI (novembre 1935 - ottobre1937), commissario prefettizio, poi podestà a
decorrere dal marzo 1936.
GIOVANNI VOLPINI (ottobre1937 - febbraio 1938), commissario prefettizio.
CESARE MAGGINI (febbraio - luglio 1939), podestà.
AZZOLINO CLEMENTONI (luglio 1939 - luglio 1940), commissario prefettizio.
CESARE MAGGINI (agosto 1940 - ottobre1940), commissario prefettizio.
GIOVANNI VOLPINI (ottobre1940 - marzo 1942), commissario prefettizio.
CLODOMIRO GIORGINI (marzo 1942 - marzo 1944), commissario prefettizio. Tra il dicembre
1943 e il febbraio 1944 è sostituito da RENATO DE ANGELIS.
LUIGI ORSINI (marzo 1944 - luglio 1944), commissario prefettizio.
GIOVANNI PASQUALI (luglio 1944). Dal novembre 1944 gli subentra il vicesindaco GIUSEPPE
PASTOCCHI.
GIUSEPPE NAZZARENO PASTOCCHI (dicembre 1944 - settembre 1945).
ANTONIO MAZZONI (settembre 1945 - marzo 1946).
ANTONIO CARESTIA (marzo 1946 - luglio 1951).
272
NAZZARENO RICCOBELLI (giugno 1951 - maggio 1952).
LIONELLO BIANCHINI (maggio 1952 - novembre 1960).
GIUSEPPE SILVANO MAZZONI (novembre 1960 - giugno 1964).
FERNANDO PERRI (luglio 1964 - novembre 1964), commissario prefettizio.
ROLANDO SIMONETTI (gennaio 1965 - giugno 1970).
ALBERTO ROSCIANI (agosto 1970 - ottobre1972).
GABRIELE NOCELLI (novembre 1972 - giugno 1975).
MARIA MAGI MIGNANELLI (settembre 1975 - settembre 1985).
LEONARDO MELATINI (ottobre 1985 - luglio 1990).
PAOLO MOSCIONI (luglio 1990 - febbraio 1993).
LEONARDO MELATINI (aprile 1993 - maggio 1995).
MARIO MORGONI (maggio 1995 - giugno 2004).
SERGIO PAOLUCCI (giugno 2004).
273
CONCLUSIONE
Un viaggio nel nostro territorio comunale, visitandone i luoghi d’arte, di storia, di cultura,
ammirandone il paesaggio, conoscendone alcune tradizioni, incontrando i personaggi che
gli hanno dato lustro nel corso del tempo: questo libro, opera sinergica perché scritta con
il contributo di tante persone, vuole essere un omaggio alla nostra realtà locale. Dalle antiche origini, che affondano le loro radici in secoli lontani, alla vita presente, si è cercato di
dar rilievo ad alcune peculiarità di questa terra, nel tentativo di offrirle al lettore perché le
possa apprezzare sempre di più e, magari, approfondirne la conoscenza con apposito studio personale.
Potenza Picena e il suo territorio costituiscono un armonico insieme in cui si fondono la
memoria di un passato antico e nobile, la realtà di un dinamico presente in divenire, la
speranza di un futuro in cui possano realizzarsi le prospettive di crescita di una comunità
sociale viva e operosa. Nel corso di questi ultimi decenni il tessuto sociale del luogo, fedele custode della propria identità, ha progressivamente accolto chi è venuto da altre regioni italiane e dal resto del mondo per stabilirsi a vivere e lavorare in questa terra, in uno spirito di collaborazione e di rispetto reciproco. E la natura ospitale della gente locale ha reso
fisiologica questa integrazione, che diventa una risorsa per un avvenire di sviluppo e comprensione.
Fontana
piazza Matteotti
con la torre civica,
anni Cinquanta
275
Chiesa di San Francesco
con il viale sottostante al “pincio”,
anni Cinquanta
Parco dei laghetti
NOTE
1
Edvige Percossi Serenelli, Potentia quando poi scese il silenzio…, Milano, Federico Motta Editore S.p.A.,
2001, pag.26.
2
Tesi di laurea di Eleonora Forti, Viabilità e idrografia picena in epoca romana, Università degli Studi di Urbino,
Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Classiche, Anno Accademico 1995-96, pag.35.
3
Edvige Percossi Serenelli, op. cit., pag.38.
4
La maggior parte delle notizie storiche di questo capitolo sono state tratte dalla pubblicazione Monte Santo
Itinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena, realizzato dalla locale Amministrazione Comunale nell’ottobre 1998, curato da Roberto Domenichini, Duilio Corona e Moreno Campetella.
5
La Tavola Peutingeriana è una copia del XIII secolo di un’antica carta romana che rappresentava un sommario delle strade dell’Impero Romano. Ha il nome del suo antico proprietario Konrad Peutinger di Augsburg.
6
Don Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale,
estratto da “Studi Maceratesi”, Atti del XVI Convegno di Studi Maceratesi. Civitanova Marche, 29-30 novembre 1980, pag.18.
7
Roberto Domenichini, Aspetti della società e dell’economia santese nel tardo Trecento in «Atti del XXXIII
Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Storici
Maceratesi, 1999, pagg.289-316.
8
Gessica Zallocco, Il Monte di Pietà santese nei secoli XVI-XVIII in «Atti del XXXIII Convegno di Studi
Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.
317-384.
9
Tesi di laurea di Debora Selmarini, I Catasti di Monte Santo tra Settecento e Ottocento, Università di
Macerata, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Moderne, Anno Accademico 1997-98.
10 Sabrina Grandinetti, Case coloniche e poderi a Montesanto tra ’700 e ’800 in «Atti del XXXIII Convegno di
Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999,
pagg.385-410.
11 Carlo Pongetti, L’emigrazione transoceanica dal Maceratese e il caso di Potenza Picena in «Atti del XXXIII
Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi
Maceratesi, 1999, pagg.507-528.
12 Informazioni tratte da Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” G. Colocci Un secolo di storia 19072007 di Maria Grazia Tedeschi.
13 Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza, Tipografia San Giuseppe, 1992,
pag.49.
14 Mauro Mancini, Il teatro Bruno Mugellini Cenni storici, Potenza Picena, 1990. Apprezzato funzionario comunale per tanti anni, Mancini ha contribuito, con studio e competenza e animato da profondo amore per la sua
terra, alla valorizzazione del patrimonio culturale potentino. Il suo libro sul teatro Mugellini è una preziosa
documentazione sulla storia di questo meraviglioso gioiello d’arte e di cultura.
15 Notizie tratte dalla pubblicazione Porta Galiziano e le altre porte di Monte Santo nella storia, curata dal nostro
concittadino Paolo Onofri, cultore di storia locale.
16 Idem
17 Idem
18 Maria Lucia De Nicolò, La costa difesa, Fano, Edit. Grapho 5, 1998, pag.65.
19 Informazioni fornite da Piero Cingolani, nostro concittadino, cultore di storia. A lui e ai suoi collaboratori nella
Pro Loco portopotentina si deve, in larga parte, l’elegante sistemazione dell’interno della torre.
20 Informazioni tratte da Le Clarisse a Potenza Picena di Anna Rosa Curi Monelli, Nanni Morelli, P. Giuseppe
Santarelli.
299
21 Informazioni tratte da Memorie Storiche dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata” di Mons. G.
Cotognini, Sr. M. Candida Italiani e don Giovanni Carnevale S.D.B.
22 Il nome Potenza Picena venne scelto dal Consiglio Comunale il 21 dicembre 1862.
23 Il Pincio attualmente ha il nome di “Belvedere Donatori del Sangue”.
24 La festa di San Vincenzo Ferreri.
25 Claudio Principi, I muratori nostrali nell’oralità del passato in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi»
(Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.62-166.
26 Le notizie sulla pesca con la sciabica sono state raccolte dalla testimonianza orale dei pescatori portopotentini. Un grazie particolare va al sig. Antonio Giampaoli per la sua disponibilità a fornire la maggior parte dei
dettagli riportati in queste pagine.
27 In italiano le ‘bobbe’ si dicono boghe, le ‘mojelle’ sono i cefali.
28 In italiano la ‘papalina’ è detta bianchetto, cioè novellame di sarda; i ‘sardoncini sono il novellame delle sardine, le ‘agore’ sono le aguglie.
29 Informazione tratta dal discorso commemorativo pronunciato, in onore del Conte Alessio Conestabile della
Staffa, da Sua Eccellenza Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, il 10 giugno 1973, in occasione del
25° anniversario della fondazione dell’Oratorio Parrocchiale “Casa del Fanciullo” di Porto Potenza Picena.
30 La sintesi della storia dell’Istituto Santo Stefano ci è stata cortesemente fornita dal dr. Lanfranco Ricchi, per
molti anni apprezzato direttore amministrativo dello stesso istituto.
31 Le notizie relative all’Aeronautica Militare ci sono state cortesemente fornite dal Tenente Colonnello Antonio
Casole, che vi ha svolto una brillante carriera. Parallelamente ad essa, egli ha sviluppato il suo talento artistico, che ha dato luogo a validissime opere scultoree e pittoriche, che gli hanno meritato prestigiosi riconoscimenti. Una sua mostra personale ad Altoetting, in Germania, è stata inaugurata dall’allora Cardinal
Ratzinger, diventato poi Papa Benedetto XVI. Notevole il contributo di Casole in numerose iniziative culturali
e di impegno sociale. Il Capo dello Stato, Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale al
Merito della Repubblica Italiana.
32 Paolo Peretti, Fabio Quarchioni, Contributi per una storia della musica a Potenza Picena (già Montesanto) in
«Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di
Studi Maceratesi, 1999, pagg.411-506.
33 Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958, pag.81.
34 Informazioni fornite dal Comm. Remo Scoccia.
35 Informazioni fornite dal nostro concittadino Fausto Sampaolo, presidente del Centro Studi Portopotentino.
36 Nel 1950 Norberto Mancini pubblicò Potentini Illustri, una ricca panoramica sui personaggi locali che seppero mettersi in luce in vari settori della vita sociale. Si invita a leggere quel libro per avere una più completa
conoscenza dell’argomento.
300
BIBLIOGRAFIA
Carlo Cenerelli Campana, Istoria dell’antica città di Potenza rediviva in Montesanto, Ripatransone, Giacomo
Jaffei e Figli, 1852.
Norberto Mancini, Potentini Illustri, Recanati (Mc), Industria Tipografica Pupilli, 1950.
Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958.
Anna M. Eustacchi Nardi, Contributo allo studio delle Tradizioni Popolari Marchigiane, Firenze, Leo S. Olschki –
Editore, 1958.
Domenico Spadoni, Alcune costumanze e curiosità storiche marchigiane (Provincia di Macerata), Bologna,
Arnaldo Forni Editore S.p.A., 1974.
Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale, Macerata,
Centro di Studi Storici Maceratesi, 1982.
Paolo Jacobelli, Giorgio Mangani, Valerio Paci, Atlante Storico del territorio marchigiano, Ancona, Industrie
Grafiche F.lli Aniballi per conto della Cassa di Risparmio di Ancona, 1983.
Mons. Giovanni Cotognini, Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena, Forlì, Grafiche M D M, 1988.
Mons. Giovanni Cotognini, Sr. M. Candida Italiani, don Giovanni Carnevale S.D.B., Memorie Storiche dell’Istituto
“Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata”, Pollenza (Mc), Tipografia Mariana, 1991.
Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza (Mc), Tipografia San Giuseppe, 1992.
Callisto Urbanelli, Giuseppe Santarelli, Nanni Monelli, I Cappuccini a Potenza Picena, Ancona, Edizioni Aniballi,
1993.
Anna Rosa Curi Monelli, Nanni Morelli, P. Giuseppe Santarelli, Le Clarisse a Potenza Picena, Ancona, Aniballi
Grafiche S.r.l., 1993.
Maurizio Mauro, Castelli Torri Cinte Fortificate delle Marche, Ravenna, Casa Editrice Adriapress Snc, 1996.
Roberto Domenichini, Duilio Corona, Moreno Campetella, Monte Santo, Pollenza (Mc), Tipolitografia San Giuseppe Srl, 1998.
Maria Lucia De Nicolò, La costa difesa, Fano, Editrice Grapho 5, 1998.
AA.VV., Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro
di Studi Maceratesi, 1999.
Maria Grazia Tedeschi, Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” G. Colocci. Un Secolo di Storia 1907-2007.
Marco Coppari, Mauro Ferrante, Paolo Peretti, L’organo Giovanni Fedeli a Potenza Picena (1757 - 2007), Macerata, Scocco&Gabrielli, 2007.
301
Sant’Emidio, Benedetto Biancolini, 1770, Sala Giunta
Il mare di Porto Potenza Picena
Stampa a cura della Scocco&Gabrielli srl - Macerata
nel mese di maggio 2009
www.scoccogabrielli.it