a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari
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a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari
a cura di Renza Baiocco testi di Andrea Bovari Comune di Potenza Picena Assessorato alla Cultura supervisione editoriale Sergio Paolucci Sindaco di Potenza Picena coordinamento progetto Renza Baiocco Andrea Bovari foto Luigi Anzalone Studio Fotografico Potenza Picena Massimiliano Di Chiara Aido Consolani Roberto Purifico Enrico Giorgetti Nico Coppari Henry Ruggeri Foto Club Potenza Picena Fototeca Comunale “Bruno Grandinetti” Archivio Storico Comunale Mostra fotografica “Montecanepino e la sua gente” progetto e realizzazione grafica Renza Baiocco Paolo Accoramboni ricerca iconografica Renza Baiocco si ringrazia per la preziosa collaborazione Roberto Domenichini Paolo Peretti Paolo Onofri George Dernowski Lorena Giacobbi don Andrea Bezzini Francesca Iacopini Laura Carota Fausto Sanpaolo Piero Cingolani Uffici del Comune di Potenza Picena si ringrazia si ringraziano quanti hanno collaborato alla realizzazione del progetto e in particolare per la disponibilità Sabrina Colle Claudia Baiocco l’Istituto di Riabilitazione S. Stefano patrocinio GABRIELE BARUCCA Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici delle Marche – Urbino “Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie”, così scrive Guido Piovene a commento del suo Viaggio in Italia svoltosi tra il 1953 e il 1956. Una di queste “meraviglie” è certamente Potenza Picena col suo territorio, mirabile rispecchiamento, così tipico di questa regione, tra arte e paesaggio, tra le forme della città e la varietà dei coltivi che la circondano. Potenza Picena, l’antica Monte Santo, sorge in una zona che è quasi un distillato delle Marche. Intorno alla città, addossata al crinale della collina e connotata dal tipico cotto chiaro tendente al roseo, è un paesaggio di struggente dolcezza, senza dissonanze, con pendii poco scoscesi, ma lunghi e punteggiati di piante, quasi a creare un grande e naturale giardino all’italiana. Non a caso su queste colline rivolte al mare eressero nel Settecento le loro splendide residenze estive alcune delle famiglie più illustri della nobiltà maceratese, i Compagnoni Marefoschi e i Buonaccorsi. Poi la collina cede a brevi tratti di pianura costiera fino all’incontro con l’Adriatico, ma purtroppo qui il litorale, come in molte parti della regione, è stato deturpato dai nuovi quartieri sorti dopo la metà del Novecento. Questo libro racconta la lunga storia di Potenza Picena. Pensata soprattutto per accompagnare il visitatore curioso e attento alla scoperta dei suoi monumenti, delle sue belle chiese e delle numerose opere d’arte, essa non trascura al pari di raccontare ai suoi abitanti, in particolare a quelli più giovani, le storie di un passato più o meno prossimo, ricco di tanti fatti significativi, istituzioni prestigiose e personaggi illustri. Così scorrono nella pagine le memorie di un folklore denso, per feste o ricorrenze religiose e profane, di una tradizione musicale consolidata, di una realtà produttiva assai vivace. Ma naturalmente, per quel che a me più interessa, il libro di Potenza Picena – compilato da Andrea Bovari e curato da Renza Baiocco, “raccoglitori di memorie” locali, ultimi eredi di una gloriosa tradizione storico-erudita volta al meticoloso esame dell’antica storia cittadina – costituisce una delle prime occasioni di conoscere e far conoscere un patrimonio artistico di grande interesse, e rammenta perentoriamente a tutti, ciascuno nelle proprie competenze, la sempre più urgente necessità di proteggerlo e salvaguardarlo. A tal riguardo è doveroso esprimere un profondo apprezzamento per le iniziative promosse e finanziate dall’Amministrazione Comunale che in questi ultimi anni hanno consentito il recupero di due importanti chiese della città, Santa Caterina e Sant’Agostino, permettendo di ricollocarvi sugli altari, nella loro sede originaria, le opere d’arte precedentemente ospitate nella Pinacoteca Civica e attribuendo loro un nuovo e vitale ruolo di centri culturali. 7 SOMMARIO 5 PRESENTAZIONE DI VITTORIO SGARBI 7 Gabriele Barucca SALUTI 15 Sergio Paolucci 17 Giulio Silenzi 19 Amedeo Grilli 21 Mario Ferraresi 23 Introduzione di Andrea Bovari STORIA 31 CENNI DI STORIA LOCALE 39 SACRATA 43 STEMMA COMUNALE 45 UNA FINESTRA SUL PASSATO 45 Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo 46 Il Monte di Pietà 47 I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese 50 Le abitazioni rurali nei secoli scorsi 54 Le “Famiglie primarie santesi” dal XIV al XVIII secolo 54 I nostri emigranti 56 La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” 57 LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE 57 Piazza Matteotti 65 Il teatro “Bruno Mugellini” 67 I portali 68 Le porte di Monte Santo 72 Il porto di Monte Santo e la torre quadrata 77 Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo 79 Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto 83 L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata 89 Il Convento dei Cappuccini 92 Il Convento dei Frati Minori 96 La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francesco o dei PP. Francescani Conventuali 100 La chiesa di San Giacomo 104 La chiesa della Madonna delle Grazie 107 La chiesa di Santa Maria della Neve 109 La chiesa di Santo Stefano 115 La chiesa di San Marco 117 L’ex complesso agostiniano PAESAGGIO 131 2008: la prima Bandiera Blu del Comune di Potenza Picena 132 Potenza Picena 136 Porto Potenza Picena 148 Montecanepino 154 San Girio 159 Villa e giardino Bonaccorsi ECONOMIA 173 L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE 173 I muratori 179 La sciabica 183 Un giorno con gli sciabecotti 187 LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO 187 L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa 194 L’Aeronautica Militare 195 La Società Ceramica Adriatica 197 La Fornace Antonelli 198 La S.I.F. 198 La Società Automobilistica Potentina 199 La Bontempi 201 La Rogin 202 La Ceramica Montesanto 202 Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini 202 Le altre aziende di rilievo di un recente passato 203 Le realtà produttive di oggi ARTE E CULTURA 205 IL POLO CULTURALE 205 La biblioteca comunale 206 L’archivio storico comunale 207 La fototeca comunale “Bruno Grandinetti” 209 LA MUSICA 215 Schola Cantorum Santo Stefano 216 Corale Sant’Anna 217 L’organo da sala di Giovanni Fedeli COSTUME E SOCIETA’ 221 RICORRENZE 221 La festa del Grappolo d’Oro 226 Il Presepe vivente 227 La Festa di Sant’Anna 231 “Lo Porto de cent’anni fa” 235 ECCELLENZE SPORTIVE 255 PERSONAGGI ILLUSTRI 269 PARROCI 271 SINDACI 275 CONCLUSIONE HISTORY 277 Scattered notes on local history 285 The allurement of history and sigh of the sea. Potenza Picena 299 NOTE 301 BIBLIOGRAFIA Giardino di villa Bonaccorsi saluti GIULIO SILENZI Presidente Provincia di Macerata Potenza Picena è tra i Comuni più vivaci della Provincia di Macerata: il suo territorio, i suoi cittadini, le attività economiche, le organizzazioni sociali e sportive, le tradizioni storiche e gli eventi culturali caratterizzano questa località qualificandola tra le più importanti della nostra Provincia. A Potenza Picena si può apprezzare il mare con la sua spiaggia di sabbia finissima, dal quale si osservano dolci colline verdi in mezzo alle quali si conservano testimonianze di una storia antichissima lunga più di duemila anni, ville storiche di rara bellezza architettonica, case rurali e aziende agricole, esempio dell'operosità e della creatività dei cittadini potentini. A Potenza Picena si può gustare la migliore enogastronomia, si può trascorrere una vacanza di mare e di cultura ma anche frequentare locali notturni di grande interesse per molti giovani. Esprimo a Potenza Picena tutto il mio affetto e la mia simpatia per la ricchezza del suo territorio e della sua gente con un ringraziamento particolare per la pubblicazione di questo libro che esalta Potenza Picena e la Provincia di Macerata. 17 AMEDEO GRILLI Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo Ricostruire l’identità di un territorio attraverso la riappropriazione degli elementi che costituiscono la storia delle singole comunità locali è sicuramente un obiettivo dell’azione della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo. I beni culturali, l’ambiente, il paesaggio di cui oggi disponiamo rappresentano un patrimonio che ci è stato trasmesso e che dobbiamo valorizzare in una visione dinamica di tutela e di accrescimento del valore. La conoscenza è sicuramente lo strumento più immediato per promuovere e divulgare le specificità che caratterizzano le nostre realtà naturali, costruite, modellate e accresciute dal lavoro dell’uomo. Per questo abbiamo deciso di aderire alla proposta del Comune di Potenza Picena di condividere la presente esperienza divulgativa attraverso la pubblicazione di un volume di qualità, che fa apprezzare in modo più approfondito a chi già conosce e che serve a presentare, a chi non conosce, la bellezza e i valori umani, artistici e ambientali di Potenza Picena. 19 MARIO FERRARESI Presidente Istituto di Riabilitazione Santo Stefano Parlare di Potenza Picena e parlare dell’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano è un po’ parlare di una storia comune per quasi cento anni. Da quei lontanissimi primi anni del 1900 quando venne realizzata la “colonia perugina” ad oggi, storia, economia, persone di questa terra e del nostro Istituto si sono intrecciate condividendo momenti di crescita e molti momenti difficili. Oggi, più che mai, il Santo Stefano è una realtà significativa di questo territorio e per noi è un piacere condividere iniziative come questa che vuole raccontare una storia meravigliosa, quella di un territorio bellissimo e di gente onesta, laboriosa e ospitale. 21 INTRODUZIONE DI ANDREA BOVARI Dar vita ad un libro avente per argomento Potenza Picena e il suo territorio comunale, la sua storia, le sue tradizioni e caratteristiche principali, le sue eccellenze: il tutto coordinando i contributi storici e letterari di chi, in passato, si è già occupato di temi locali con perizia e passione. L’Amministrazione Comunale, desiderosa di dotarsi di una pubblicazione aggiornata, ha affidato al sottoscritto tale opera di coordinamento, chiedendo di dare alla trattazione uno stile giornalistico, fluido, comprensibile a tutti. Se il compito sia riuscito o no lo diranno i lettori: di certo non è mancato l’impegno per meritare la fiducia che il Sindaco Sergio Paolucci e gli Amministratori hanno così generosamente riposto in chi ha scritto le righe che state leggendo. Alcuni capitoli di questo libro sono stati realizzati attingendo a lavori già esistenti: ciò è avvenuto, ad esempio, per quelli di natura storica, artistica, sociale, architettonica ed, almeno in parte, relativi alla tradizione locale; altri, invece, sono stati concepiti traendo spunto dall’attualità, come ad esempio quelli riguardanti le eccellenze sportive o argomenti dei quali si è avuta esperienza diretta. Tanti cittadini del Comune di Potenza Picena hanno dato un prezioso contributo a questa pubblicazione ed è giusto esprimere loro un sincero ringraziamento: nelle pagine che seguono verranno indicati i nomi di coloro che hanno messo a disposizione i loro lavori, le loro testimonianze, i loro racconti, dai quali è stata tratta materia per questo libro. In una comunità come la nostra sono talmente numerosi e vari gli argomenti che meritano attenzione che si rischia di dimenticarne certamente alcuni: nonostante l’intento di evitare tale evenienza, siamo certi che qualcuno o qualcosa non abbia trovato spazio in queste pagine e di ciò sinceramente ci scusiamo. Il presente lavoro, in fondo, non nasce con la pretesa di rappresentare un’opera completa e neanche di costituire un punto di riferimento per studiosi di storia o di tradizioni locali: è, invece, solo un modesto tentativo di raccontare, per sommi capi, alcuni aspetti della nostra terra e della sua popolazione, in modo che possano essere conosciuti anche da coloro che vivono in altri luoghi. Speriamo di esserci almeno avvicinati a tale obiettivo. 23 IL FASCINO DELLA STORIA IL RESPIRO DEL MARE Tenuta di Santa Cassella storia CENNI DI STORIA LOCALE Il nostro territorio è ricco di storia: lo testimoniano splendidi edifici arrivati fino a noi in buono stato di conservazione e molte opere d’arte che possono essere ammirate in vari luoghi. Lo rivela, inoltre, lo stesso nome di Potenza Picena, scelto nel 1862 a sostituire quello precedente di Monte Santo. Mentre l’attributo “Picena” indica che in questo luogo erano presenti i Piceni prima ancora che Roma esprimesse la sua statura imperiale, il termine “Potenza” deriva dal nome dell’antica Potentia, florida colonia romana sorta nel 184 a.C. tra l’ultimo tratto del fiume omonimo e l’abbazia di Santa Maria in Potentia, ora in territorio di Porto Recanati. Dell’importante colonia romana dà notizia Tito Livio (XXXIX, 44, 10), indicando come essa fosse stata fondata dai triumviri Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco e Quinto Fulvio Nobiliore(1). Roma, in quel periodo, intendeva espandersi verso l’Adriatico, puntando le sue mire di conquista al settore est del Mediterraneo. La scelta del nome Potentia aveva un significato augurale(2), come eco della recente vittoria punica. Il luogo individuato per la fondazione della colonia era particolarmente vantaggioso: godeva della disponibilità di terre fertili da assegnare ai coloni (sei jugeri, circa un ettaro e mezzo a testa), era in prossimità dello sbocco di una vallata fluviale, la foce del fiume poteva essere utilizzata come porto, il fiume si prestava al trasporto di materiali pesanti, c’era la presenza di assi viari importanti. Grazie all’interessamento di Marco Fulvio Flacco, vennero eseguite opere notevoli, come la costruzione di un tempio a Giove, una rete fognaria, un foro con portici e botteghe, un acquedotto. La popolazione della colonia era operosa, distinguendosi, pare, nella produzione di vasellame e anfore. Nel 56 a.C., come riferisce Cicerone(3), la città fu colpita da un fortissimo terremoto. Il declino dell’importante colonia romana avvenne, pare, intorno al VII secolo d.C., in conseguenza di vari dissesti idrogeologici e per il verificarsi della dominazione longobarda. Per salvarsi la vita, diversi abitanti di Potentia sarebbero saliti in collina, dando origine al borgo di Monte Santo, nato intorno all’antica pieve di Santo Stefano, che si trovava proprio dove adesso c’è piazza Matteotti(4). Dell’esistenza della pieve di Santo Stefano si ha notizia dal Regesto Farfense, un documento del 947; in esso, il nome della pieve è accostato a quello di Monte Santo. Intorno al 1000, quest’ultima era uno dei ministeri della contea fermana, cioè una circoscrizione amministrativa di derivazione longobarda. Nel nostro territorio c’era anche un altro ministero, quello di San Paterniano, che pare sia stato inglobato da quello di Monte Santo nel XII secolo. Nel medioevo, almeno stando a quanto si sa, Monte Santo non subì distruzioni; le notizie di un saccheggio effettuato dai soldati dell’imperatore tedesco Enrico V nel 1116 – di cui riferiscono alcuni studiosi – potrebbero essere relative al “castello” di San Giovanni, che si trovava in posizione intermedia tra l’attuale Montecanepino e villa Bonaccorsi. La lunga strada che permise la trasformazione da ministero a comune e la graduale emancipazione dalla subalternità feudale nei confronti del vescovo di Fermo venne percorsa durante i secoli XII e XIV. Fu, a quan- 31 Resti archeologici dell’antica Potentia nell’attuale territorio di Porto Recanati to sembra, un passaggio senza particolari scossoni, quasi una svolta fisiologica maturatasi nel tempo. Il primo passo di questo cammino venne mosso nel 1128: nel settembre di quell’anno, il vescovo fermano Liberto concesse a Monte Santo un certo grado di autonomia, rinunciando a riscuotere il fodro (diritto di casermaggio) e a presiedere il placitum (tribunale), pur conservando il potere di occuparsi delle “questioni estere” e di pronunciarsi sui delitti di maggiore gravità. Lo stesso presule di Fermo affidò a due consoli e a dodici boni homines, rappresentanti degli abitanti di Monte Santo, l’amministrazione locale e i diritti di mercato. Proseguendo nel cammino verso una più concreta autonomia, si arrivò al luglio del 1199, quando la popolazione santese, nella piazza di Santo Stefano, stipulò dei patti con il vescovo fermano. In base ad essi, la gente dei “castelli” di Monte San Giovanni e di Gerola (quest’ultimo situato in prossimità del Varco e delle Casette Antonelli) ebbero l’autorizzazione ad abitare insieme a Monte Santo, tranne alcuni uomini, che dovevano stabilirsi a Coriolano (Monte Coriolano), vicino al porto da realizzare sulla costa. Al vescovo, in cambio, andava la disponibilità di alcune decine di uomini e qualche proprietà fondiaria. In aggiunta, coloro che erano stati ammessi ad abitare a Monte Santo fecero promessa di diventare parrocchiani della pieve di Santo Stefano e di costruire, per il presule di Fermo, un palazzo, pro- Cartina geografica, da «Potentia» a Monte Santo a Potenza Picena, Vincenzo Galiè 33 Campanile della chiesa di Sant’Agostino babilmente l’edificio che, successivamente, sarebbe diventato sede del Comune. Inoltre essi assumevano l’impegno di scavare un fossato per far giungere l’acqua del fiume Potenza verso sud, dove era in programma di costruire il porto. All’alba del 1200 Monte Santo poteva contare su un’amministrazione locale dotata di una certa autonomia, aveva giurisdizione su un territorio vasto che andava dal fiume Potenza (a nord) al torrente Asola (a sud), dal mare Adriatico (ad est) alla zona dell’attuale Castelletta (ad ovest). Il progressivo raggiungimento di una statura giuridico-amministrativa di un certo rilievo e il verificarsi di situazioni favorevoli sembrano aver creato le condizioni ideali per promuovere attività economiche e commerciali. In questo quadro intervenne il privilegio papale del 14 ottobre 1238 che, allo scopo di sostenere lo sviluppo dei traffici marittimi, assegnava ai castelli di Civita Nuova e di Monte Santo il completo controllo del litorale dal fiume Chienti all’Asola e da questo torrente al fiume Potenza. Nei primi cinquant’anni del XIII secolo a Monte Santo vennero a stabilirsi i rappresentanti di alcuni dei più importanti ordini religiosi. Della nascita del monastero delle Clarisse si hanno notizie certe in un documento del 1227; della presenza dei Francescani parla una pergamena del 1247. Lo stesso San Francesco dovrebbe aver frequentato la nostra terra, stando a quanto sostiene la tradizione. Gli Agostiniani arrivarono a Monte Santo nel 1250. La completa autonomia comunale della nostra antica città è rappresentata dalla concessione del diritto di elezione del podestà: ciò avvenne nel 1252 per decisione di Papa Innocenzo IV, confermata sedici anni dopo da Clemente IV. Il podestà aveva, in quel periodo, competenze giudiziarie. Dal punto di vista delle relazioni con le altre realtà comunali e in occasione di scontri armati che avevano luogo nella marca di Ancona, Monte Santo dimostrò di essere dalla parte di Fermo. Quando, nel 1202, la pace di Polverigi fece sospendere le lotte tra Ancona con i suoi alleati su un fronte Osimo, sull’altro Fermo, Monte Santo venne citata come facente parte del comitato fermano. Ciò si ripetè nella “concordia” del 1221 tra il marchese di Ancona, Azzolino d’Este, e il vescovo di Fermo, Pietro. Nei conflitti che coinvolsero i guelfi (partito papale) e i ghibellini (partito imperiale), la comunità santese pare fosse schierata con le truppe pontificie. La ribellione del 1283, concretizzatasi con l’occupazione del palazzo del podestà, sembra fosse causata solo da una protesta popolare contro il pagamento di denaro in favore della chiesa di Roma. Dopo il 1305, anno d’inizio della “cattività avignonese” del Papa, nel nostro territorio regionale vennero alla ribalta signorie o “tirannie”: i poteri politici e amministrativi finirono nelle mani di potenti famiglie o di singoli individui, sfuggendo all’autorità centrale (Papa o imperatore) e al controllo delle istituzioni governative comunali. Anche a Monte Santo si registrò tale nuova tendenza, tanto che, tra il 1316 e il 1318, essa subì le prepotenze dei ghibellini di Lippaccio e Andrea da Osimo. Emerse, poi, il potere di Puccio da Monte Santo, il cui nome è citato nella pace del 1353, portata a termine da Giovanni Visconti, Arcivescovo di Milano, chiamato a contrastare quella specie di anarchia che stava prendendo piede nelle zone del centro e del nord della Penisola. Lo stesso intento fu alla base della decisione del Papa di inviare nella marca anconetana il Cardinal Egidio d’Albornoz, autore delle costituzioni che portano il suo nome; in quel tempo (1357), Monte Santo veniva descritta come comune libero, di grandezza media, con una 35 popolazione di quasi mille famiglie. Nell’ottobre del 1377, il Comune santese ottenne la sua piena autonomia: al podestà venne concesso di esercitare il mero e misto impero, di giudicare qualsiasi reato commesso nel suo territorio di competenza. Nell’estate dell’anno successivo, la città, per difendersi da mercenari bretoni, cercò l’aiuto di Ancona: questa mise a disposizione trenta soldati per proteggere il suolo santese. Monte Santo seppe valorosamente, nel 1407, respingere le truppe di Ludovico Migliorati, signore di Fermo, intenzionate ad invadere la cittadina: gli aggressori vennero accolti dal lancio di giavellotti e dalle frecce scagliate dalla sommità delle mura di cinta. Il nucleo abitato di Monte Santo conobbe uno sviluppo attorno all’antica pieve di Santo Stefano. Statua di Iulia Augusta terza moglie dell’imperatore Augusto, scolpita dopo il 14 d.C. trovata nel 1793 presso l’Abbazia di Santa Maria di Potenza, Gliptoteca di Monaco di Baviera in cui è menzionata come proveniente da Falerio Picenus. Vincenzo Galiè, Da “Potentia» a Monte Santo a Potenza Picena 36 Durante il XV secolo le mura contenevano i borghi di San Pietro (l’attuale quartiere Galiziano), San Paolo (Porta Marina o Girola) e San Giovanni. Sulla costa, le mura e la rocca del Porto vennero rafforzate nel 1564. Due anni prima la popolazione santese si era opposta con successo al tentativo d’infeudazione sostenuto dalla Santa Sede a vantaggio di Francesco d’Este, duca di Ferrara. Nei primi anni del XV secolo il Comune approvò il nuovo regimen del territorio: venne deciso che il consiglio generale fosse composto da 60-80 membri (aventi a disposizione capitali di almeno cinquanta libbre), rappresentanti dei quartieri cittadini (S. Giovanni, S. Angelo, S. Pietro e S. Paolo). Quarantotto dei consiglieri erano scelti mensilmente, a gruppi di quattro, per assumere il ruolo di priori e gonfaloniere, garantendo sempre la rappresentanza di tutti i quartieri. Vi era, poi, il consiglio minore o speciale, formato da dodici consiglieri generali, il cui capitale individuale non poteva essere inferiore alle cento libbre: essi erano in numero di tre per ogni quartiere cittadino. Dal 1600 in poi tale ordinamento cambiò, venne meno la corrispondenza degli amministratori ai quartieri, alcune cariche divennero quasi una specie di diritto ereditario, di cui beneficiarono le famiglie nobili. Nel XVI secolo la popolazione santese era composita, annoverando varie etnie. L’economia era trai- Raffigurazione di Monte Santo nel 1773 di Giuseppe Federici, geometra e catastiere. Archivio storico comunale 37 nata dall’agricoltura, dal commercio e dall’artigianato. I proventi di quelle attività permisero a varie persone di diventare piccoli proprietari di immobili, come rivelano i dati catastali. Era sorta una piccola borghesia, che continuò ad esistere per tutto il secolo. Intorno alla fine del Cinquecento la situazione iniziò a deteriorarsi: l’Italia cominciò a perdere quella sorta di centralità nell’economia continentale di cui aveva goduto, a causa dello spostamento delle correnti di traffico commerciale verso l’oceano Atlantico. Anche il nostro territorio locale ne risentì: l’attività manifatturiera lasciò il posto ad un fenomeno di accentuata ruralizzazione. Il potere economico, di conseguenza, passò in mano ai grandi proprietari terrieri, che inglobarono i piccoli agricoltori. Dal XVII al XIX secolo, nel territorio santese si imposero le famiglie di nobili come i Bonaccorsi, i Marefoschi-Compagnoni, i Mazzagalli, i Mancinforte. Disponevano di veri e propri latifondi, nei quali ebbero forte impulso le coltivazioni agricole, come quelle del granturco, della patata, dell’olivo e della vite. La potenza economica consentì a quelle famiglie di esercitare una forte influenza nella vita sociale del tempo: la presenza di loro esponenti in ambito politico e artistico è stata rilevante. Monte Santo diede il suo contributo durante il Risorgimento: alcuni suoi cittadini presero parte, nel 1817, ai moti marchigiano-romagnoli e qualche riunione di ‘carbonari’ ebbe luogo sul nostro territorio. Le guerre che si sono combattute nel Novecento hanno visto il sacrificio di tanti nostri giovani, che si sono battuti eroicamente per la conquista della libertà e della sicurezza nazionale, nella speranza di una pacifica convivenza tra i popoli. Molti di loro persero la vita in eventi bellici, lasciando un enorme vuoto nell’esistenza di familiari e amici, oltre che in quella di tutta la comunità locale. Qui vogliamo ricordare due di questi ragazzi coraggiosi, riassumendo nel loro sacrificio quello di tutti gli altri. Mariano Cutini (nato il 13 aprile 1924) e Mariano Scipioni (16 febbraio 1925), amici tra loro e figli del nostro territorio comunale, avevano rifiutato di rispondere alla chiamata alle armi che, nel novembre 1943, la Repubblica Sociale Italiana aveva disposto. Lo avevano fatto per convinzioni di fede religiosa e per amore della libertà. Nel febbraio 1944 si unirono ai patrioti che sui nostri Appennini combattevano i nazi-fascisti. Il 22 marzo 1944, nei pressi di Cessapalombo, a Montalto, furono fucilati insieme ad altri 24 giovani dal feroce nemico cui si opponevano. 38 SACRATA Sul territorio dove ora si trova Porto Potenza Picena e sulle colline ad essa immediatamente retrostanti, sembra sorgesse Sacrata, nominata nella Tavola Peutingeriana(5). Il vicus romano, secondo quanto sostenuto dallo studioso don Vincenzo Galiè(6), sembra fosse nei pressi dell’attuale Montecanepino, perché circa venti secoli fa, il litorale era più arretrato rispetto ai nostri giorni e la strada era più vicina alle colline. Il luogo era favorevole ad un insediamento urbano perché godeva dell’esposizione a sud, del riparo dai venti freddi settentrionali e perché la vicinanza del torrente Asola consentiva la probabile risalita di barche a fondo piatto per trasportare merci. Non è escluso che ci fosse anche un piccolo porto, utilizzato per la pesca e per il commercio locale. Alcuni ritrovamenti avvenuti nei decenni scorsi (sepolture, monete consolari, vasellame vario, reperti archeologici) confortano l’ipotesi che Sacrata si trovasse proprio sulle colline a ponente di Porto Potenza Picena: una presenza che non ha lasciato tracce notevoli ma che contribuisce a dare al nostro territorio una suggestiva valenza storica. La costa del Piceno nell’antichità classica con indicazione di Sacrata, la città di Potentia e l’antico corso dell’omonimo fiume. Sala delle carte geografiche Musei Vaticani, Roma 39 Veduta aerea di Potenza Picena Abside della collegiata di Santo Stefano e parte delle mure castellane STEMMA COMUNALE Lo stemma comunale di Potenza Picena raffigura una croce in campo rosso, sovrapposta a cinque monti. Secondo il Cenerelli Campana, questi ultimi rappresentavano le “cinque comuni che formarono il distretto”: Gerola (San Paolo), a nord-est, nei pressi delle Casette Antonelli; Terchio, detto anche Tergi; Santaro, cioè Monte Maggio; Sacrata; Monte Coriolano. Don Vincenzo Galié ritiene che i cinque colli dello stemma potentino abbiano la seguente lettura: quello centrale e più alto sia la collina madre, su cui si trovava la Pieve di Santo Stefano; gli altri quattro simboleggino i quattro quartieri di Monte Santo, indicati nello statuto, approvato da Callisto III nel 1455: San Paolo, o Girola, a nord-est; San Giovanni, a sud-est, in zona Monte Canepino e villa Bonaccorsi; San Pietro, a sud-ovest, zona Castelletta; Sant’Angelo, a nord-ovest, zona Marolino e Mulino. Roberto Domenichini individua nel colle centrale Monte Santo; negli altri quattro minori indica Monte Coriolano (Monte Grugliano), Girola, Sant’Angelo e San Pietro. 1 2 1 Frontespizio del catasto di Monte Santo, compilato nel 1762, raffigurante lo stemma comunale. Archivio storico comunale 2 L’attuale stemma comunale 43 Chiesa di San Francesco con il “pincio”, anni Venti - Trenta UNA FINESTRA SUL PASSATO Vita sociale ed economica nella Monte Santo del XIV secolo Grazie a studi condotti con grande meticolosità e competenza dallo storico Roberto Domenichini(7), è possibile avere interessanti notizie su alcuni aspetti della società santese del Trecento. Sono tre le fonti di queste conoscenze: un catasto riferibile al 1371; gli atti rogati nel 1375 dal notaio Stefano di Domenico; le registrazioni contabili di un mercante di pannilana dal 1386 al 1388. Il catasto, il cui primo compilatore fu il notaio Stefano di Matteo, sembra riconducibile al solo quartiere di San Pietro (detto anche di Galazzano; gli altri tre erano Sant’Angelo, San Paolo o Girola, San Giovanni). Il registro mostra una proprietà molto frazionata, con imponibili che spesso non raggiungono le dieci libbre. La fascia degli intestatari più modesti (da una a 49 libbre di estimo) è pari al 65% del totale; il raggruppamento successivo (da 50 a 99 libbre) sfiora il 14%; la fascia dei possidenti medi (da 100 a 399 libbre) è quasi il 16%, quella dei medio-alti (da 400 a 1000 libbre) si aggira sul 4%, quella dei più facoltosi (oltre le 1000 libbre) sull’1%. Cinquanta libbre era la quota minima per poter essere eletti nel consiglio generale del Comune santese. Dai rogiti del notaio Stefano di Domenico emerge un certo Aldrianus Nalli, notaio, proprietario di un frantoio e commerciante di pannilana, in una poliedricità di attività che non era affatto rara a quei tempi, dettata dalla volontà di diversificare gli investimenti. Dal registro notarile di Stefano di Domenico apprendiamo che, nel 1375, Monte Santo poggia su un’economia in prevalenza agricola e presenta una non trascurabile attività commerciale, più in evidenza rispetto a quelle artigianali e manifatturiere. Notevole appare la tendenza all’investimento fondiario, ritenuto bene rifugio. In agricoltura domina l’olivicoltura, favorita dal clima mite e dalla morfologia del terreno, collinare per quasi il 70%: essa dà luogo alla produzione e al commercio dell’olio. Il grano e il vino sono gli altri prodotti dell’attività agricola locale. Di un certo rilievo nell’economia santese sono le fornaci che producono laterizi da esportare; da sottolineare anche la produzione di vasi. Il terzo documento preso in esame dallo storico Roberto Domenichini – le registrazioni contabili di un mercante di pannilana – porta alla luce la figura di Vanni di Messer Francesco. Questi è un facoltoso proprietario terriero che si apre al commercio, soprattutto in campo tessile. Dalle registrazioni relative alle sue vendite, si hanno interessanti notizie sulla sua attività mercantile. Egli dispone di una vasta gamma di tessuti, dai più economici a quelli di alta qualità, con un’ampia scelta di colori. La sua clientela arriva dai centri limitrofi (ad esempio Civitanova, Montelupone, Macerata, Osimo) ma anche da località più lontane (tra le quali Perugia, Siena, Bologna, Milano), grazie al richiamo delle fiere che, nel basso Medioevo, si organizzano in molte località della Marca. Intorno alla fine del Cinquecento i traffici commerciali diminuiscono, le attività artigianali e manifatturiere quasi scompaiono: solo il lavoro agricolo continua a sostenere la popolazione locale. 45 Il Monte di Pietà Nella Monte Santo del XVI secolo(8) la gran parte della popolazione viveva in condizioni di povertà, situazione comune anche nel resto del continente europeo. Per aiutare i cittadini a far fronte con un briciolo di dignità alle esigenze del vivere quotidiano, la Chiesa e i governi locali crearono istituti come i monti di pietà. Quello santese iniziò ad operare il 30 gennaio 1558, per iniziativa del Comune, intenzionato ad assistere i poveri nelle loro necessità di tutti i giorni. Ovviamente, per esistere il monte di pietà doveva dotarsi del denaro occorrente per il prestito su pegno. Il patrimonio dell’istituzione santese derivava principalmente dal canale pubblico alimentato dal Comune, dal contributo delle istituzioni religiose e da donazioni varie. Tra i finanziamenti dei privati vi era la questua: il Venerdì Santo, festa del monte di Pietà, si raccoglievano offerte, come anche nel giorno di Pasqua. I prestiti alle persone bisognose, nei periodi di carestia, erano intesi a far fronte alle necessità alimentari: in quei frangenti il prezzo del grano saliva, mettendo in grave crisi i salariati. Le persone in difficoltà economica lasciavano al monte di pietà alcuni loro oggetti: si privavano, ad esempio, di capi di vestiario e di vari oggetti domestici. Lenzuola, camicie e tovaglie, ad esempio, erano tra le voci più ricorrenti tra i pegni lasciati prima del 1700; successivamente iniziarono a prevalere gli oggetti in metallo pregiato. Il monte di pietà santese fu, in definitiva, un’istituzione assistenziale che dovette intervenire in varie carestie; distribuiva aiuti che fungevano da stimolo al lavoro, sollecitando il debitore al riscatto del pegno in tempi ragionevolmente contenuti. Alberi di ulivo, tenuta del Conte Gian Mario Lazzarini, località San Girio 46 I catasti, testimonianze dell’evoluzione del territorio santese Una ‘fotografia’ della vita sociale nel territorio santese di qualche secolo fa è fornita dal Catasto Federici, realizzato dall’omonimo geometra di Monte Filottrano, cui la comunità locale aveva affidato il compito di eseguire il rilevamento topografico, la misura e la stima dei possedimenti(9). Il lavoro del tecnico iniziò nel novembre 1762 e terminò nel 1765. I dati vennero raccolti in due registri voluminosi: uno descriveva i terreni censiti, la loro misura e la loro stima; l’altro riguardava le mappe nelle quali i possedimenti territoriali erano riportati graficamente. Pur senza soffermarci sui dati tecnici della realizzazione dei registri catastali del Federici, è giusto segnalare un aspetto originale di quest’opera: il loro indirizzo fisiocratico, secondo il quale l’estimo veniva calcolato in relazione alla capacità produttiva del terreno. L’imposta si doveva individuare sulla capacità produttiva del fondo, per cui era necessario trovare il sistema per passare dal valore del ‘terreno investito’ a quello del ‘terreno nudo’ in maniera oggettiva. Il terreno coltivato, detto ‘terreno investito’, era il termine di riferimento da cui partire: dal suo valore venivano tolte le spese sopportate dal proprietario e dall’agricoltore, arrivando a dare una valutazione dell’attitudine del terreno nudo. I fondi erano, in tal modo, valutati per la loro fertilità naturale e i proprietari erano addebitati della migliore coltivazione possibile. Essi, pertanto, erano spinti ad effettuare le colture più idonee se volevano evitare di pagare ciò che non producevano e non coltivavano. Nel catasto venivano distinti terreni arativi, prativi e sodivi. I possidenti erano laici ed ecclesiastici; i beni della comunità santese erano inseriti nell’ambito di quelli laici. L’estensione totale del territorio registrato dal Federici era di 4.634,38 ettari: i possedimenti laici ammontavano a 2.994,68 ettari, quelli ecclesiastici totalizzavano 1.371,75; il terreno rimanente apparteneva al Comune e aveva un’estensione di 287,95 ettari. I possedimenti laici erano di piccole, medie e grandi dimensioni. Ai piccoli proprietari (73 su un totale di 91) appartenevano fondi con estensione massima di dieci ettari; i medi proprietari (11 in tutto) possedevano terreni con superficie compresa tra dieci e cento ettari; i grandi proprietari (7 in totale) avevano fondi di estensione superiore a cento ettari. La proprietà più vasta era quella del conte Bonaccorso Bonaccorsi, al quale appartenevano ben 1.006 ettari di terreno; a distanza lo seguivano, nell’ordine, altri nobili, come il marchese Mancinforte Sperelli, il conte Carradori, l’Eredità Marefoschi, il conte Orazio Mazzagalli, il conte Lodovico Bernabei e il conte Michele Rinaldini. I possidenti ecclesiastici erano 38 e questo numero comprendeva conventi, monasteri, abadie e altro. Dal catasto Federici si può dedurre che la maggior parte dei piccoli terreni era lavorata dagli stessi proprietari. Nelle proprietà più grandi, frazionate in più terreni, operava la mezzadria: ciò si desume dall’appartenenza dei grandi proprietari alla nobiltà e dall’esistenza di diverse abitazioni coloniche per i mezzadri. Il catasto Federici non analizza le singole coltivazioni realizzate nel territorio santese ma esse vengono raggruppate sotto la parola ‘arativo misto’. Quest’ultimo interessava quasi il 90% del territorio accatastato e aveva nella cerealicoltura l’attività prevalente. Frequente era la presenza di piante come olmi, pioppi, 47 Frontespizio del catasto di Monte Santo, 1585-1586, catasto Cicconi. Archivio storico comunale 48 querce, salici e mori, alberi che venivano ritenuti di sostegno alle necessità dei fondi, dei proprietari e dei coloni. Ad esempio, la quercia forniva le ghiande per l’alimentazione dei suini e legname; l’olmo vedeva le sue foglie utilizzate come foraggio. Di notevole importanza era la coltura del gelso, vista la diffusione degli allevamenti dei bachi da seta a partire dal Settecento nel centro Italia. Frequente era la presenza di canneti: le canne erano tenute in buona considerazione dagli Statuti comunali perché servivano per sostenere le viti e perché fornivano la ‘cannafoglia’, che si utilizzava per alimentare il bestiame. Molti terreni ospitavano uliveti e vigne: la vite si coltivava a filoni supportati da canne (vigna filonata) o appoggiata ad altre piante (vigna maritata o piantata): pregevoli, fin da allora, i vini prodotti. Oltre al terreno arativo, vi erano il prativo e il sodivo, entrambi di scarse qualità agricole. Le abitazioni rurali erano la testimonianza dell’impegno del colono a custodire i beni che gli erano stati affidati. La mezzadria è la caratteristica dell’agricoltura locale e prevede un podere, una casa e una famiglia contadina che vi opera. L’abitazione riveste un ruolo fondamentale nell’attività: è un edificio che ha diverse funzioni, come quella di sicura dimora per chi vi abita, disponendo di stanze, di un forno per cuocere il pane, di un pozzo di acqua potabile. Per l’allevamento degli animali ha a disposizione stalle, per ospitare i prodotti dell’agricoltura ci sono magazzini adatti, per gli attrezzi da lavoro ambienti idonei. La casa ha anche luoghi destinati alla prima lavorazione dei prodotti, come la cantina per la vinificazione e l’aia per l’essiccazione e la trebbiatura dei cereali. L’abitazione rurale, quindi, è una dimora e insieme la struttura portante dell’azienda agricola. Le sue dimensioni variano in base alla superficie del fondo e alle necessità delle coltivazioni. Nel 1855-1856 il Comune santese ebbe un nuovo catasto, compilato secondo le indicazioni di Papa Gregorio XVI. Rispetto a quello del Federici, il nuovo registro non si affida a misure locali ma si basa su un modulo comune, valido in tutto lo Stato. Inoltre perde di validità il principio della ‘fertilità naturale’ del fondo perché manca di esattezza; al suo posto viene introdotto il criterio dell’ ‘attività relativa’, in base al quale la valutazione del terreno prende in considerazione la natura del suolo, la sua posizione, le coltivazioni che vi si effettuano e ogni altro elemento utile a determinare un sistema di valutazione il più oggettivo possibile. Nel catasto rustico del 1855-1856, poi, si assiste alla scomparsa dei privilegi del clero: i possessori ecclesiastici vengono registrati nello stesso elenco di quelli laici. Dal confronto tra i due catasti emerge la differenza numerica di abitazioni coloniche: in quello del Federici erano 163, nel catasto ottocentesco superano le 400 unità. Tale cospicuo incremento è dovuto alla notevole frammentazione della piccola e media proprietà causata da divisioni per eredità e alla forte diffusione della mezzadria. 49 Le abitazioni rurali nei secoli scorsi Come erano le abitazioni della campagna santese del 1700 e 1800? Grazie ad uno studio accurato di Sabrina Grandinetti(10) è possibile avere un’esauriente panoramica sull’argomento. La maggior parte delle case dei coloni di quel periodo venivano edificate in mezzo ai campi, per dar modo a chi le abitava di vigilare su tutto il podere. Altre costruzioni erano collocate vicino alle strade per facilitare le operazioni commerciali e i collegamenti con il centro urbano. Le case coloniche avevano, in prevalenza, forma rettangolare e le loro dimensioni erano, in qualche modo, direttamente proporzionali all’estensione del podere su cui erano edificate. Il tetto era normalmente a doppia falda, cioè a due spioventi; quello a quattro falde, visto il suo maggior costo di realizzazione, non veniva preferito. Le case erano costruite con pietre e mattoni, ma si utilizzavano anche materiali provenienti da vecchie abitazioni demolite. Non si ha, invece, notizia di costruzioni in legno e argilla. Di particolare interesse è la costruzione a palombara, a colombaia. La palombara è stato il primo insediamento abitativo nelle campagne in epoca medievale; successivamente, adeguandosi alla politica agraria, ha finito per diventare la costruzione dedicata all’allevamento dei colombi terraioli. Nel 1700, quando il concime non venne più fornito da questi volatili ma dai bovini, le palombare cominciarono a perdere la loro funzione, anche se nelle campagne di Monte Santo ne esistevano una ventina intorno al 1765. Per comprendere l’importanza di questo particolare edificio occorre avere presente la sua evoluzione funzionale: quando si iniziò ad investire capitali cittadini sui fondi, prese il via il ripopolamento delle campagne e i contadini trovarono nelle torri medievali, esistenti dal 1200, un punto di riferimento abitativo. La torre cominciò ad essere l’abitazione rurale del colono e della sua famiglia, perdendo la funzione difensiva per la quale era stata costruita, diventando una costruzione integrata nella dimora di campagna. Accanto alla casa a torre iniziarono ad essere costruiti altri edifici a sviluppo orizzontale: nel XVIII secolo la famiglia colonica non abitava nella torre ma se ne serviva come magazzino e, nella sua parte più alta, ricavava una stanza dove allevare i colombi. La palombara era normalmente composta da tre piani, ognuno dei quali ospitava un solo vano. Nel piano terra era ricavato il locale per deporre gli attrezzi da lavoro e per il ricovero degli animali; una scala interna portava al piano intermedio in cui, nei primi tempi dell’insediamento, vi era l’abitazione della famiglia colonica, poi trasferita in una delle costruzioni di fianco alla torre, lasciando maggiore spazio al magazzino nel quale venivano conservati i prodotti dei vari raccolti; salendo ancora su per la scala interna si giungeva al sottotetto, dove venivano allevati i colombi. Gli abitanti della casa-torre avevano, così, la possibilità di sorvegliare gli uccelli che allevavano, provvedendo alle loro necessità. La base della palombara era quasi sempre quadrata, a volte rettangolare; l’edificio aveva un’altezza di circa dodici metri e la dimensione del lato era di sei metri. Il tetto della palombara poteva essere realizzato ad uno, due o quattro spioventi. Il più comune era quello a falda unica, ma era presente anche quello a doppia falda. I materiali che venivano usati per costruire la palombara erano quelli che si trovavano a disposizione nella zona: pietre e laterizi in particolare, anche insie- 50 Meridiana casa colonica del conte Gian Mario Lazzarini, località San Girio me. Le venti torri presenti nel territorio santese erano distribuite quasi uniformemente, con maggiore concentrazione in corrispondenza dei poderi delle famiglie nobili: la famiglia Bonaccorsi, ad esempio, ne possedeva sei. Oggi sono rimaste solo due palombare nel territorio potentino: una si trova in contrada Santa Cassella, l’altra in zona San Girio. Negli anni a cavallo tra il XVIII e XIX secolo si assistette ad un sensibile popolamento delle campagne, che portò ad una crescita numerica e di dimensioni delle case coloniche. La palombara, fatto il suo tempo, lasciò il posto a magazzini spaziosi, necessari per conservare i prodotti agricoli. All’inizio del 1800 le abitazioni rurali santesi fecero registrare modificazioni, che riguardarono principalmente la scala e la pianta della casa. La prima, dall’interno della costruzione, si trasferì all’esterno addossandosi al lato lungo della costruzione e lasciando alla famiglia colonica più spazio abitativo. Ciò consentì anche di realizzare l’indipendenza della parte abitativa dai locali sottostanti, dove si trovavano gli animali. La scala esterna delle abitazioni di campagna santesi era coperta a loggia. La pianta della casa subì delle variazioni nel corso del XIX secolo, diventando più articolata per meglio rispondere alle crescenti esigenze del nucleo familiare. L’edificio abitativo aumentò di dimensioni e ad esso si affiancarono nuove strutture. La pianta della casa abbandonò la forma quadrata per assumere quella rettangolare od anche irregolare. Attorno all’abitazione Panoramica della casa colonica del Conte Gian Mario Lazzarini, località San Girio 51 Casa colonica con palombara, località Santa Cassella comiciarono a costruirsi gli annessi: la capanna, il forno, il porcile, il pozzo e altre piccole costruzioni per le necessità quotidiane. Intorno al 1800, nel territorio santese si introdusse l’allevamento del baco da seta, attività che trasse la propria ragion d’essere dalla crescente domanda di prodotti serici che si verificò in tutto il continente europeo. L’introduzione di questo allevamento nel nostro territorio fece sì che le abitazioni dei coloni subissero delle trasformazioni, fino alla realizzazione di una particolare costruzione, denominata “con bigattiera rialzata”. Intorno alla metà del XIX secolo si assistette al fenomeno della divisione dei fondi agricoli: da un terreno se ne ricavano due o tre. Stessa sorte toccò alle case rurali: da un’abitazione riservata ad un solo nucleo familiare si creò spazio anche per un’altra famiglia di coloni, anch’essa impegnata nella coltivazione di un terreno appartenente allo stesso proprietario. Come è facile immaginare, le condizioni abitative erano tutt’altro che comode: al proposito si parlò delle tre ‘effe’ delle case rurali, sottolineando il freddo di un ambiente in cui il camino fa fumo ma non scalda e dove la fame non si placa. Casa colonica con palombara località San Girio 53 Le “Famiglie primarie” santesi dal XIV al XVIII secolo In un documento autografo di Carlo Cenerelli Campana, conservato presso la Biblioteca Francescana Picena di Falconara Marittima e risalente intorno alla metà del 1800, è riportato l’elenco delle “Famiglie primarie di Monte Santo, esistenti ed estinte” dal secolo XIV al secolo XVIII, “nell’ordine di Cernita, come risulta dai registri comunali”. Le Famiglie riportate sono: Casa Adriani, Casa Amari, Casa Augeni, Casa Barlotti, Casa Bizzarri, Casa Boarese, Casa Bonaccorsi, Casa Bordoni, Casa Busciatti, Casa Carradori, Casagrande, Casanuova, Casa Cenerelli, Casa Censi, Casa Coccetti, Casa Comi, Casa Corraducci, Casa Coti, Casa Credenziati, Casa Fazzini, Casa Fortunati, Casa Gasparini, Casa Gentili, Casa Giacopini, Casa Giri, Casa Graziani, Casa Guardirucci, Casa Guarnieri, Casa Mancini, Casa Marefoschi, Casa Masi, Casa Masini, Casa Massi, Casa Massucci, Casa Mazzagalli, Casa Mazzoni, Casa Meoli, Casa Mercenari, Casa Monaldi, Casa Nobili, Casa Pechieni, Casa Pini, Casa Pettorali, Casa Peroni, Casa Pasquali, Casa Rossi, Casa Ruggeri, Casa Scoccia, Casa Scortecchia, Casa Sereni, Casa Spiriti, Casa Tamberlani, Casa Torri, Casa Torzo (?). La segnalazione del documento autografo del Cenerelli Campana ci è stata fatta dallo storico Roberto Domenichini, che ringraziamo cordialmente. I nostri emigranti Negli ultimi decenni del XIX e nei primi del XX secolo, Potenza Picena diede un contributo importante al fenomeno dell’emigrazione italiana: Argentina, Canada, Stati Uniti d’America e Brasile furono tra le destinazioni più gettonate dai nostri conterranei in cerca di migliori condizioni di vita. Nel 1892 i potentini emigranti raggiunsero il cospicuo numero di 125(11), collocandosi al secondo posto nella provincia di Macerata in questa speciale classifica, preceduti solo dai recanatesi. A lasciare il suolo natio era gente di varie classi sociali: presero la valigia artigiani, operai, marittimi ma anche professionisti. Negli ultimi vent’anni del 1800, nel territorio comunale potentino si registrò un sensibile incremento demografico: il numero degli abitanti crebbe del 9%, raggiungendo quota 8.037. L’aumento dei residenti si verificò in concomitanza di una 54 Piramide de Mayo restaurata nell’ottobre 2008 Inaugurazione della Piramide de Mayo 16 luglio 1967 flessione dell’economia del luogo, dovuta alle difficoltà del mercato agricolo che soffriva della concorrenza delle importazioni di cereali. Dal 1890 e fino all’inizio della prima guerra mondiale l’emigrazione dei potentini fornì manodopera da inviare in Argentina: il movimento era talmente importante da giustificare la presenza di quattro subagenti di emigrazione, mentre anche il segretario comunale e il sindaco collaborarono nel favorire le partenze e nell’assistere gli emigranti a risolvere le questioni relative al viaggio. Le province di Buenos Aires, Santa Fè, Cordoba e Mendoza videro l’arrivo di numerosi immigrati potentini, giunti nel continente americano per essere occupati nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame. Molti di loro erano attratti dalla prospettiva di poter diventare proprietari terrieri dopo alcuni anni di lavoro in loco. A testimonianza del forte legame con la terra argentina esiste oggi a Potenza Picena un monumento: è la Piramide de Mayo, inaugurata il 16 luglio 1967, a ricordare quello stretto rapporto cementatosi con gli anni. 55 La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” Agli inizi del 1900, Porto Potenza Picena aveva poche centinaia di abitanti e le loro principali occupazioni erano il commercio, l’artigianato e la pesca. Per la gran parte della gente locale non mancavano le preoccupazioni di natura economica e ciò rese sentita l’esigenza di creare un’organizzazione che si occupasse di solidarietà sociale. In occasione del Carnevale del 1907, alcuni giovani si unirono per realizzare i festeggiamenti e, successivamente, decisero di conservare quel tipo di aggregazione, versando una quota settimanale di 10 centesimi. Poco dopo, uno di quei ragazzi si ammalò e gli altri, per aiutarlo, misero a disposizione una somma di denaro. Fu questa la nascita della Società di Mutuo Soccorso di Porto Potenza Picena, la cui riunione inaugurale si tenne il 9 giugno 1907, nella casa del signor Giovanni Colocci, in via Regina Margherita, l’edificio a tutti noto come “il Palazzone”, di fronte alla stazione ferroviaria. I soci fondatori erano 46, il signor Colocci venne nominato cassiere e amministratore capo della neonata società, il cui principio fondamentale era la fratellanza e la solidarietà tra i soci e il cui fine unico era il mutuo soccorso materiale, intellettuale e morale. La Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” svolge la sua lodevole attività da oltre un secolo; nel 2007, in occasione dei cento anni dalla fondazione, si è espresso l’auspicio che essa possa “costituire, per la cittadinanza locale, elemento di coesione e aggregazione tra le diverse realtà sociali e culturali che abitano il nostro territorio”(12). Festeggiamenti per i 100 anni della Società Operaia Mutuo Soccorso “Speranza”, Porto Potenza Picena, 2007 56 LUOGHI DI STORIA, DI ARTE E DI FEDE Piazza Matteotti Piazza Matteotti è il cuore di Potenza Picena, lo è sempre stata, fin da quando, in pieno Medioevo, portava il nome di piazza Santo Stefano, in omaggio all’antica pieve intitolata al primo martire della cristianità. Subito dopo l’Unità d’Italia si chiamò piazza Principe di Napoli. Le fanno da cornice palazzi di storiche famiglie potentine, come i Bonaccorsi, i Marefoschi, i Carradori e i Mazzagalli; non sono più presenti, invece, la pieve di Santo Stefano – elevata a Collegiata insigne nel 1754 e demolita nel 1796 – e la chiesa di San Giovanni “de platea”. Il palazzo del Comune, il palazzo del Podestà, la torre civica e il teatro “Bruno Mugellini” sono alcuni degli edifici che circondano e caratterizzano architettonicamente piazza Matteotti. Il palazzo del Comune dovette essere di proprietà del vescovo di Fermo(13) e sembra risalisse al 1199-1200. Nel processo di realizzazione dell’autonomia comunale santese, la struttura, dal Duecento in avanti, ospitò i Consigli Generale e di Credenza, il Magistrato e gli uffici comunali. A metà del Settecento, il palazzo fu ricostruito dal ticinese Pietro Bernasconi, che si era già occupato di villa Bonaccorsi. Al piano superiore vi era una loggia, al di sopra della quale si trovava una ‘torretta’. Intorno al 1850 la loggia fu chiusa per ricavare spazi agli uffici comunali, la ‘torretta’ venne demolita e al suo posto si costruì una soffitta. Nel piano terra c’erano tredici stanze, nelle quali trovavano posto, tra l’altro, lo spaccio del pane, il forno, il Monte di Pietà, la posta e l’archivio pubblico. Attualmente, nella Sala della Giunta del Palazzo Comunale sono esposti i quadri Madonna col Bambino tra i santi Martino e Rocco (1584) di Simone De Magistris, Allegoria della Pace (sec. XVIII) di Corrado Giaquinto e Sant’Emidio (1770) di Benedetto Biancolini. Il palazzo del Podestà risale al XIV secolo ed è stato oggetto di opere di ristrutturazione nel Settecento – probabilmente con la realizzazione della merlatura ghibellina – e nella prima metà dell’Ottocento. L’edificio, nei suoi piani superiori, fu la sede degli uffici del Podestà, magistrato che si occupava prevalentemente di questioni giudiziarie; nel Settecento e nell’Ottocento le sue competenze si ampliarono fino a comprendere argomenti di natura amministrativa. Al piano terra e nel seminterrato c’erano le carceri. La torre civica, sulle cui origini medievali non si hanno molte informazioni, fu ricostruita nel Settecento e ad essa lavorò anche l’architetto Pietro Augustoni alla fine di quel secolo. La struttura, successivamente, venne danneggiata da un fulmine e fu riedificata su progetto dell’ingegner Gustavo Bevilacqua nel 1886. 57 Palazzo Comunale in una foto del secondo dopoguerra Piazza Principe di Napoli, inizi del Novecento 58 Piazza Matteotti oggi Piazza Matteotti con la fontana restaurata nel marzo 2009 59 Madonna col Bambino tra i santi Martino e Rocco Simone De Magistris, 1584, Sala Giunta Allegoria della Pace Corrado Giaquinto, sec. XVIII, Sala Giunta Piazza Principe di Napoli, ora piazza Matteotti, al centro il Palazzo Comunale, 1887 Teatro “Bruno Mugellini”, particolare del soffitto, al centro la tela dipinta dal pittore romano Ignazio Tirinelli, 1862 Il teatro “Bruno Mugellini” Il teatro, autentico gioiello di storia e di arte, è una delle eccellenze di Potenza Picena. Fino al 1856 Monte Santo(14) non disponeva di un teatro stabile, a differenza dei Comuni limitrofi. Per colmare quella lacuna, l’8 marzo di quell’anno il conte Osvaldo Carradori, il dr. Silvestro Bravi e Achille Gasparrini decisero di chiedere al Delegato Apostolico di Macerata l’autorizzazione a costituire una società di azionisti per la costruzione di un teatro stabile nel Comune santese, autorizzazione che venne concessa dopo appena quattro giorni. Il 2 maggio successivo, la seduta consiliare si occupò dell’argomento, in particolare della richiesta dei tre promotori prima citati di ottenere la concessione dell’uso della ‘sala municipale’ e dei due vani adiacenti per costruire un teatro stabile. In quella riunione si sottolineò il vantaggio che la comunità locale avrebbe potuto trarre dalla disponibilità di una tale struttura e si definì il teatro come ‘scuola delle umane passioni, ove si corregge il vizio e la virtù si esalta’. La seduta consiliare concesse l’uso dei locali richiesti, a patto che prima si costituisse legalmente la società degli azionisti. Questa vide ufficialmente la luce il 12 giugno 1856 e della sua nascita si informò il priore comunale con una lettera del 17 giugno. I tre rappresentanti della società – Filippo Bonaccorsi, Arezio Gasparrini e Osvaldo Carradori – fecero subito redigere una perizia provvisoria per la costruzione del teatro e la inviarono all’architetto recanatese Giuseppe Brandoni. Nella seduta consiliare del 4 aprile 1857 venne presentata la proposta di utilizzare per la costruzione del teatro anche i due locali sottostanti alla sala e alle due stanze annesse, in modo da realizzare una struttura più capiente. La richiesta fu accolta all’unanimità. Dopo un’altra perizia tecnica e altri atti amministrativi, in data 20 aprile 1858 il presidente della società teatrale, cav. Filippo Bonaccorsi, e il deputato della stessa società, Silvestro Bravi, assegnarono all’architetto Brandoni i lavori per la costruzione del nuovo teatro nei locali del Comune. Questi terminarono nel novembre 1859; il 20 dicembre successivo venne eseguito il collaudo della nuova struttura. Le decorazioni del teatro furono realizzate dal pittore Filippo Persiani: egli terminò la sua opera dopo l’Unità d’Italia. Forse per celebrare tale avvenimento, venne dipinta l’incoronazione di una donna (l’Italia) sulla parte centrale del soffitto. Il conte Filippo Bonaccorsi propose di aprire il teatro al pubblico in occasione del Carnevale 1862. Il “Bruno Mugellini” ha tre ordini sovrapposti di palchi, una platea a forma di ferro di cavallo, un palcoscenico, due camerini, scale e servizi. La sua capienza totale è di 152 posti a sedere. L’intitolazione del teatro all’illustre musicista avvenne il 28 ottobre 1933. Nel 1970 la struttura venne chiusa al pubblico; nel 1984 iniziarono i lavori di restauro che si conclusero nel febbraio 1990. Oggi il “Mugellini” è un vero e proprio gioiello di arte, storia e cultura, ammirato da chiunque abbia la fortuna di entrarvi. A cura dell’Amministrazione Comunale, ospita interessanti stagioni teatrali, con la partecipazione di noti attori. Il 18 novembre 2006, il teatro ha visto recuperato il suo antico e prezioso sipario, un’autentica opera d’arte che completa in maniera armoniosa l’intera struttura. Esso ha una larghezza di 704 centimetri e un’altezza di 561: è dedicato alla dea Minerva, divinità alla cui tutela gli antichi avevano affidato l’arte e la scienza. Per lunghi anni il sipario era rimasto abbandonato nei depositi 65 comunali, in un oblio dal quale è stato riportato alla luce il 10 marzo 1998 grazie all’intervento di Bruno Grandinetti e di altri cittadini. L’Amministrazione Comunale ha poi provveduto a farne effettuare il restauro e a ricollocarlo nel teatro “Mugellini”. Ignoto è l’autore del sipario: inizialmente si pensava fosse il pittore recanatese Filippo Persiani – l’artista cui si devono le decorazioni del teatro – ma da documenti d’archivio è emerso che il sipario venne acquistato dalla Società Teatrale dal Seminario di Macerata è che è più antico del teatro stesso; il restauro fu eseguito dal pittore potentino Lorenzo Giardetti. Il sipario presenta, nella sua parte centrale, una scena mitologica con la dea Minerva e altri personaggi; nella cornice in alto vi è lo stemma sabaudo dei Savoia in segno di omaggio per l’Unità d’Italia; in basso si nota lo stemma del Comune di Potenza Picena. Grazie all’ultimo restauro – nel corso del quale sono stati rilevati precedenti interventi con tecniche artigianali, eseguiti dai fratelli Rinaldo e Igino Carestia – il sipario ha riacquistato uno splendore artistico notevole e concorre a rendere ancora più bello il teatro “Mugellini”. Interno del teatro “Bruno Mugellini” 66 Portale di Palazzo Properzi sec. XV I portali A Potenza Picena si possono ammirare alcuni portali di eccellente qualità artistica. Presso Palazzo Properzi se ne trovano due ogivali in terracotta, degli inizi del sec. XV; in via Tripoli, al numero 26, si incontra un portale in terracotta, con simboli ebraici, del sec. XVI. In vico Solanelli troviamo il portale in pietra del palazzo Trionfi, oggi Mazzoni, datato 1469. Nel mezzo dell’architrave è scolpito lo stemma di famiglia, sorretto da due putti o angeli. Ai lati dell’architrave vi sono due figure, una maschile e una femminile; sopra vi è un’iscrizione che cita il nome di Giovanni Trionfi, nativo di Monte Santo, che aveva “acquisita” la nobiltà anconitana. Il palazzo doveva essere stato la sua casa natale. Particolare del portale di Palazzo Trionfi, oggi Mazzoni 67 Le porte di Monte Santo La cinta muraria di Monte Santo era dotata di quattro porte d’accesso: Porta Girola (o di San Paolo, conosciuta anche come Porta Marina), Porta San Giovanni (popolarmente denominata “della Madonna delle Grazie”), Porta di Galazzano (o “di Galiziano”, o “di San Pietro” o “Porta Macerata”), Porta del Cunicolo (o “della Cava”). Di esse è giunta in buono stato fino ai nostri giorni soltanto quella “di Galazzano”. Circa l’ubicazione delle porte occorre notare che, in origine, esse non si trovavano nella posizione attuale, ma erano più arretrate perché la cinta muraria di Monte Santo è stata allargata almeno tre volte dalle origini (secoli X-XI) al Quattrocento; pertanto, quelle che conosciamo attualmente sono porte costruite a seguito dell’ultimo allargamento della cinta muraria, probabilmente verificatosi nel secolo XV. Nel corso dei secoli le porte hanno subito vari restauri: gli interventi, in particolare quelli effettuati sulle facciate esterne, hanno risentito dei gusti artistici e delle mode prevalenti in ogni singola epoca. Vediamo, in dettaglio, le quattro porte montesantesi. Porta Girola, anni Trenta 68 PORTA GIROLA. Situata a nord-est, menzionata in documenti risalenti al 1365 ed eretta nei pressi della chiesa della Madonna della Neve, questa porta era l’inizio della strada che conduceva ai porti di Ancona e Recanati. Era una “porta doppia”, cioè aveva una porta che si apriva verso l’interno e un’altra verso l’esterno; nel mezzo poteva ospitare un posto di guardia. In foto scattate intorno agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, si può osservare come la facciata fosse settecentesca, in quanto rifatta seguendo il gusto neoclassico dell’epoca in cui venne realizzata; vennero aggiunti anche dei merli, probabilmente per richiamare le origini medievali della costruzione. Porta Girola venne demolita nel dicembre del 1950(15), sacrificata alle esigenze del crescente traffico automobilistico del tempo che richiedeva una più comoda via d’accesso al centro abitato. PORTA SAN GIOVANNI. Sita a sud-est, vicino alla chiesa della Madonna delle Grazie, molto probabilmente era la porta preferita dalla quale dirigersi verso il Porto di Monte Santo (l’attuale Porto Potenza Picena). Anticamente non esisteva l’attuale strada che dal Varco conduce direttamente al Porto: dal Varco occorreva continuare per la strada di “Palazzo Rosso” Porta San Giovanni prima della demolizione nel 1956 69 Porta di Galiziano o di Galazzano 70 Madonnina di porta Girola opera di Giuseppe Asciutti (oggi villa Compagnoni Marefoschi). Pertanto, per raggiungere il Porto di Monte Santo o quello di Civitanova si partiva da Porta San Giovanni, percorrendo la cosiddetta “Strada del Giardino” o di villa Bonaccorsi. La demolizione di Porta San Giovanni risale al 1956(16), anche in questo caso per rendere più facile l’accesso al centro abitato di Potenza Picena con le automobili. PORTA DI GALIZIANO. Situata a sud-ovest, pare debba il suo nome a quello di un rivo presso il quale venne costruita la fonte omonima, utilizzata in passato per lavare o bere. Era nota anche come “Porta Macerata” perché da essa partiva la strada che conduceva all’omonima città, capoluogo amministrativo della Marca per tutto l’antico regime. Come Porta Girola, anch’essa viene menzionata in documenti del 1365 ed era una “porta doppia”, ospitando un posto di guardia. Nel corso dei secoli ha subito vari interventi di ristrutturazione, come quelli del 156672 e del 1775, anno nel quale venne rifatta la facciata esterna secondo il gusto neoclassico, con l’aggiunta di pinnacoli sulla sommità. Nel 1894 la porta è stata restaurata. Nel 1960 è stata isolata dalle mura castellane(17) e sottoposta ad altro restauro. PORTA DEL CUNICOLO. Posta a nord, nord-ovest, si trovava in quello che ora è il quartiere di Sant’Angelo. In tempi più recenti venne chiamata anche “Porta della Cava” (anche il tratto della strada di circonvallazione sottostante era detto “Strada della Cava”). Della Porta del Cunicolo si ha notizia fin dal 1365. Nell’archivio comunale di Potenza Picena esiste una documentazione visiva di questa porta, grazie ad una pianta a colori disegnata dall’ingegnere comunale Saverio Pierangeli, allegata ad una sua perizia del 1818. La Porta del Cunicolo, di cui si è persa memoria a livello popolare, era più piccola delle altre tre. Nella perizia del 1818 risulta essere già chiusa; di essa resta solo un rudere. 71 Il porto di Monte Santo e la torre quadrata Il trascorrere dei secoli ha un testimone d’eccezione a Porto Potenza Picena: la torre di Sant’Anna, come tutti familiarmente la chiamano. L’imponente edificio è ciò che rimane di una struttura fortificata, eretta in periodo medievale, a scopo difensivo. I documenti antichi ne parlano come dell’ ‘edificio del Porto’ o anche come ‘Porto’ di Monte Santo. Il grande fabbricato, in base a disegni del Settecento, aveva forma quadrangolare, un cortile interno e una porta che dava sul mare. Non vi sono dati certi sulle sue origini. In una pergamena della prima metà del Quattrocento, probabilmente appartenente ad un registro, vi è un primo accenno al forte: vi sono riportate delle spese del Comune, alcune delle quali relative ad acquisto di utensili per il ‘Porto Communis’, a pagamenti per il trasporto di materiale da Monte Santo al Porto, al salario del ‘Capitano del Porto’, tale Alessandro di Domenico. L’archivio del Comune conserva un altro documento importante: in esso, nel febbraio 1426, si registra la nomina di un Capitano del Porto e si riporta l’inventario di beni presenti nell’edificio, forse già a quel tempo fortificato. Lungo il nostro litorale adriatico era particolarmente attenta la vigilanza verso eventuali incursioni nemiche dal mare. Si ha notizia(18) che nel 1484, per prevenire possibili attacchi di imbarcazioni turche, venne attivato un servizio 72 Porto di Monte Santo in una raffigurazione del tardo Seicento da M. L. de Nicolò, Costa difesa, Fano 1998 Pianta della fortezza del porto di Monte Santo di soldati a cavallo che dovevano perlustrare le spiagge per dare l’allarme in caso di avvistamenti di natanti ostili. Nella prima metà del Cinquecento cominciò a farsi urgente il bisogno di rendere il Porto più protetto a causa di più frequenti minacce nemiche. Per meglio difendere il territorio, Papa Pio IV nel 1564 concesse al Comune santese di utilizzare il denaro e i beni confiscati ai rei per sistemare le mura castellane e la rocca del Porto. Non è escluso che quest’ultima sia stata riedificata quasi completamente intorno alla fine del XVI secolo, come testimonierebbe una piccola lapide presente sulla costruzione. Riguardo alla torre (con base quadrata di m 5,70 per lato, un’altezza di m 25, uno spessore delle pareti alla base di m 1,60 e di m 0.50 alla sommità), pare che essa sia stata progettata dall’architetto Verzelli di Recanati. Dalla sommità dell’imponente edificio, scrutando il mare fino all’orizzonte, era possibile avvistare imbarcazioni nemiche in avvicinamento. Immediatamente veniva dato l’allarme a Monte Santo: di giorno con segnali di fumo, di notte con la luce del fuoco e col suono della campana a martello. La presenza di altre torri lungo tutto il litorale adriatico permetteva, con le stesse modalità, di trasmettere l’allarme lungo la linea costiera, mettendo le popolazioni in condizione di organizzare per tempo la difesa. Nel Seicento l’area del Porto dovette vivere un periodo di declino: il calo del commercio sul mare Adriatico è probabile che facesse diminuire l’interesse del Comune santese per il suo Porto, ormai diventato quasi esclusivamente una struttura di difesa militare e sanitaria. Ai primi anni del XVIII secolo risale la prima Torre Nova (in costruzione) tra Monte Santo e il porto di Recanati 73 descrizione abbastanza precisa dell’edificio: in essa si presenta la ‘Torre quadra’, con il ‘maschio’ alto e imponente, coperto di tegole e idoneo per vigilare. Nella costruzione, dotata pure di un pozzo d’acqua potabile e di una chiesetta, abitava solo una famiglia e non vi erano valide armi per difendersi: questo, almeno, è quanto dichiara lo sconosciuto autore del testo. Dopo il 1750, grazie alla crescita economica verificatasi in agricoltura, il Porto torna ad avere un suo ruolo. Nel 1766 il Comune realizza interventi su tutto l’edificio, quindi anche sulla torre, che viene dotata di merli ‘ghibellini’, come le mura perimetrali. Di tali lavori si parla negli atti consiliari e la data è incisa su un mattone dell’edificio. Terminate le guerre napoleoniche, scomparso il fenomeno delle incursioni turche dall’Adriatico, non ha più ragione di essere la funzione difensiva dell’edificio, demanializzato in periodo napoleonico e poi lasciato in semi-abbandono. Il Comune, dopo l’Unità d’Italia, ne tornò in possesso e, dopo alcuni anni, demolì il forte, decidendo di conservare la torre che, nel 1884, vedrà modificata la sua parte superiore. Da ricordare, oltre la torre del Porto, un altro importante presidio del litorale santese: si tratta della “Torre Nova”, situata più a nord, nella giurisdizione della Parrocchia di San Girio. Attualmente la torre di Sant’Anna, ristrutturata nel 1998, ospita un percorso storico(19) apprezzabile durante la salita verso la sommità dell’edificio; didascalie e cartelli esplicativi permettono al visitatore di ottenere le necessarie informazioni. Appese alle pareti interne, vi sono 54 riproduzioni di disegni raffiguranti il litorale adriatico dello Stato Pontificio intorno al 1670, con tutte le fortificazioni e le loro planimetrie, da Porto d’Ascoli fino a Goro, nel Ferrarese. I disegni originali sono conservati alla British Library di Londra. Salendo le eleganti scale in legno della torre si incontrano due plastici che rappresentano la fortezza del ‘Porto’ nel 1667 e Torre Nova in costruzione. Di particolare interesse un dipinto olio su tavola (cm 240x90) di Alessia Bianchini, raffigurante la battaglia di Lepanto. Salendo ancora si incontra un modellino di marciliana, nave da carico veneta; questo tipo di imbarcazione era solito approdare nel porto di Monte Santo per caricare olio, vino, granaglie, prodotti nella nostra terra. Sulla sommità della torre vi sono tre campane di bronzo con superficie decorata. 74 “Torre Nova” di proprietà del conte Leopoldo Bonaccorsi, 1930 La torre del Porto ristrutturata nel 1998 75 1 2 1 particolare della campana di bronzo della torre 2 interno della torre 3 plastico della “Torre Nova” 4 teste apotropaiche della campana di bronzo della torre 3 4 76 Il Monastero delle Clarisse di San Tommaso Apostolo La presenza del secondo ordine francescano nell’antica Monte Santo ha una significativa testimonianza nel monastero di San Tommaso Apostolo, fondato anteriormente al 1227(20). Di esso le prime notizie arrivano da una bolla di Papa Gregorio IX, datata 20 ottobre 1227. Si narra che a fondare la struttura religiosa siano state due consorelle di Santa Chiara. Il monastero presenta linee architettoniche sobrie, in accordo con l’umiltà caratteristica dell’Ordine francescano. A cavallo tra il XVII e XVIII secolo si è avuta la ricostruzione della chiesa, il cui interno presenta elementi barocchi. Di linee neoclassiche, invece, sono gli altari in pietra, la cui realizzazione risale al 1780. Attribuiti a pittori di scuola romana sono i dipinti che raffigurano l’Annunciazione e l’Immacolata tra San Gioacchino, Sant’Anna, San Francesco e Santa Chiara; L’incredulità di San Tommaso è il titolo di un’altra opera pittorica, eseguita dall’artista Francesco Caccianiga (1700-1781). Nel corso dei secoli la comunità francescana ha ricevuto donazioni provenienti da testamenti di fedeli; l’avvento di Napoleone e, successivamente, il nuovo clima politico-sociale venutosi a creare dopo l’Unità d’Italia crearono molte difficoltà alla vita monastica. Nonostante ciò il monastero – che ospitò per un certo periodo le suore benedettine di Santa Caterina – ha continuato a rappresentare, per la collettività potentina una significativa presenza, un punto di riferimento rilevante nel tessuto sociale cittadino. Interno della chiesa 77 Monastero delle Clarisse, campanile della chiesa di San Tommaso Particolare di Madonna con Bambino, S. Lucia e S. Vincenzo Martire, autore ignoto, sec. XVIII, chiesa di Santa Caterina d’Alessandria Il Monastero delle Benedettine di Santa Caterina in San Sisto Il monastero e la chiesa di Santa Caterina sono stati eretti nel 1280, stando a quanto riporta un catalogo benedettino. Di sicuro il convento – nel quale hanno trovato ospitalità le monache benedettine – esisteva nel 1348, quando una signora del luogo, tale Gebelosa, destinò ad esso alcune sue proprietà, come registrato in un documento pergamenaceo conservato nell’archivio del Comune potentino. Intorno alla metà del XV secolo le autorità religiose avevano dato l’autorizzazione di realizzare un dipinto con l’immagine della Vergine: tale opera, che forse venne ospitata nella chiesa, diventò subito oggetto di devozione sia per la gente locale che per i pellegrini in transito per Monte Santo. Monastero e chiesa non sono intitolati, come si potrebbe pensare, a Santa Caterina da Siena ma alla vergine e martire Santa Caterina d’Alessandria. All’interno della chiesa (oggi sconsacrata e adibita a fototeca comunale), sull’altare maggiore si trova Sant’Antonio Abate (sec. XVIII), di autore ignoto; ai lati dell’altare maggiore sono conservate le opere Estasi di S. Teresa (sec. XVIII) e Madonna con Bambino, S. Lucia e S. Vincenzo Martire (sec. XVIII). Il convento benedettino, dove trascorsero la loro vita monastica giovani di illustri famiglie santesi, subì interventi di ristrutturazione verso la metà del XVIII secolo; la chiesa venne quasi riedificata totalmente nella prima metà del secolo successivo. Anche le suore benedettine, ovviamente, furono penalizzate dagli eventi storici del periodo napoleonico e dell’Unità d’Italia: le monache persero la proprietà dei beni e, dopo essere state ospitate dalle Clarisse nel monastero di San Tommaso, riuscirono ad acquistare palazzo Marefoschi e l’annessa chiesa di San Sisto, dove hanno proseguito la loro attività religiosa. 79 Altare maggiore della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Sant’Antonio abate sec. XVIII, autore ignoto Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e San Sisto, autore ignoto, fine sec. XVII inizi sec. XVIII, Chiesa di San Sisto 81 Nel corso degli anni il monastero di Santa Caterina è stato adibito, tra l’altro, ad asilo, orfanotrofio femminile, casa di riposo di signore anziane gestiti dalle Figlie della Carità (o monache Cappellone), che già in precedenza avevano gestito a Potenza Picena l’ospedale civile. Il monastero è stato anche utilizzato come sede della Congregazione di Carità, poi diventata Ente Comunale di Assistenza. Attualmente l’ex monastero ospita la casa di riposo, la fototeca comunale e l’associazione Amici della Musica, l’Avis e alcuni appartamenti. Il 22 maggio 1933 al monastero delle Benedettine di Potenza Picena venne riconosciuta ufficialmente la personalità giuridica. All’interno del monastero delle Benedettine è conservata l’opera, di autore ignoto, Madonna in gloria con i SS. Caterina, Benedetto e Scolastica (XVIII secolo); da sottolineare anche la presenza della poltrona sulla quale, nel maggio 1874, si sedette Papa Pio IX, in occasione della sua visita a Potenza Picena, nella chiesa della Collegiata (il Pontefice, nell’occasione, donò alla stessa chiesa un ostensorio e alle suore benedettine la sua papalina). Nella chiesa di San Sisto si può ammirare il dipinto Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e San Sisto, di autore ignoto. 82 Poltrona su cui sedette Papa Pio IX nel maggio del 1874, monastero di San Sisto La cappella dei Cittadini e artisti L’Istituto delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata La vita religiosa di Monte Santo prima e Potenza Picena poi è stata ed è tuttora caratterizzata anche dall’opera delle Figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata. Grazie all’iniziativa di Suor Faustina Mengo (1770-1829), nativa di San Girio e sorretta da una fede straordinaria, questa congregazione vide la luce nel 1816 ed ebbe in Casa Mazzagalli la sua culla(21). All’inizio furono cinque le giovani che, riunite dal prevosto don Luigi Pasquali, dedicarono la loro esistenza alla preghiera, al lavoro e all’educazione della fanciulle povere, il tutto alla luce del valore redentivo della sofferenza. Nel 1818 le suore si trasferirono nel convento dei Minori Conventuali e, nel 1820, furono ospiti della casa del conte Guelfo Rinaldini. Solo nel 1822, con l’autorizzazione dell’Arcivescovo di Fermo, Cardinale Brancadoro, si spostarono nel collegio della soppressa Compagnia di Gesù. Guidate da Suor Faustina, esse si distinguevano pure per la loro bravura nei lavori di tessitura, grazie ai quali cercavano di far fronte alle difficoltà economiche, aiutate in ciò anche da don Pasquali e dai Padri Cappuccini. La loro maestria al telaio è stata sempre unanimemente apprezzata e ha dato luogo a prodotti di eccellente qualità. Ancora oggi è possibile ammirare i telai, sui quali lavorano alcune ragazze del luogo. 83 Antico Telaio dell’Istituto delle figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata Chiostro dell’Istituto delle figlie del SS. Redentore e della Beata Vergine Addolorata Le suore, che crescevano di numero col passare del tempo, davano un’educazione cristiana alle bambine povere del paese, istruendole e assistendole con cura e generosità d’animo. Il 31 marzo 1838 il Papa concesse alle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addolorata l’abitazione nella prepositura di Monte Santo. L’anno successivo la Congregazione della Carità di Monte Santo chiese alle suore dell’Addolorata che due di loro si rendessero disponibili per assistere le piccole ospiti nella casa dell’orfanotrofio a Sant’Antonio: era la prima volta che il loro servizio veniva richiesto al di fuori della Casa madre. Il 2 febbraio 1924 il Vescovo fermano, Carlo Castelli, emanò il decreto di formale approvazione della Congregazione delle Suore del SS. Redentore e della B.V. Addolorata. Nel 1928 il Comune di Potenza Picena sollecitò la superiora Madre Ida Murri ad aprire una Casa a Porto Potenza Picena: ella ne parlò col parroco don Silvio Spinaci e, successivamente, venne chiesta a Mons. Marinozzi la disponibilità di una grande colonia marina nel paese rivierasco. Da quel momento in poi la presenza delle suore dell’Addolorata si diffuse in varie località: nel 1930 venne aperta una Casa a Meldola (Forlì); nel 1934 l’Istituto portopotentino si trasferì in via Regina Margherita; nel 1937 si aprì una nuova Casa a Fontespina; nel 1939 le suore acquistarono un edificio in territorio di Amandola per gestire un pensionato di giovani studentesse; nel 1944 venne aperta una scuola a Montefalcone Appennino. Tra il 1955 e il 1958 vennero eseguiti lavori di ristrutturazione dell’ex collegio dei Gesuiti, sede delle suore a Potenza Picena. Nel 1971 ebbe inizio l’attività apostolica e missionaria delle Figlie del SS. Redentore e della B.V. Addolorata in Brasile: gli insegnamenti e il desiderio della fondatrice, Suor Faustina, di aprirsi ai bisogni dei poveri varcavano, così, i confini locali per soccorrere genti di un altro continente. Il 2 febbraio 1990, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, l’Istituto è divenuto di Diritto pontificio. Tuttora le Suore del SS. Redentore e della B.V. Addolorata continuano la loro opera educativa e sociale a vantaggio dei giovani e delle famiglie bisognose. 87 Il convento dei Cappuccini La Sacra Famiglia e San Giovannino, Santi di Tito, fine sec. XVI, convento dei Cappuccini Il consiglio comunale santese, nel marzo 1560, provò a convincere, senza successo, i Cappuccini a stabilirsi nel suo territorio e per far questo decise di assegnare loro la chiesa di San Girio e il vicino convento, che prima ospitava i padri Carmelitani. Otto anni dopo il tentativo si ripeté: la terra offerta per la costruzione del monastero, in quella occasione, era stata individuata su un colle, che verrà detto ‘dei Cappuccini’, l’attuale Colle Bianco. I frati gradirono l’invito e, nel giro di due anni (1571-1572) la chiesa fu eretta e venne intitolata a San Lorenzo Martire. Per motivi ignoti, nella prima parte del XVII secolo i Cappuccini fecero richiesta di demolire tutto il complesso e di edificare un nuovo monastero non lontano dal luogo dove sorgeva quello precedente. Nel periodo 1653-1657 il convento venne costruito, anche grazie alle donazioni dei fedeli locali. Come gli altri ordini religiosi, anche i Cappuccini subirono le soppressioni dell’età napoleonica. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, chiesa e convento furono abbandonati e chi vi era ospitato si trasferì in case di privati. Il Comune acquistò l’ex monastero nel 1869 per farne un ricovero per mendicanti; nel 1875 i Cappuccini, su loro richiesta, vennero autorizzati ad assistere i ricoverati. Alla fine del XIX secolo i monaci tornarono in possesso dei loro edifici, chiesa compresa. Quest’ultima è stata recentemente fatta oggetto di opere di restauro; in essa si trovano importanti dipinti, come la Deposizione del De Magistris (1576), la Sacra Famiglia e San Giovannino fine XVI secolo, del pittore toscano Santi di Tito e altre opere di pregio. 89 Altare del convento dei Cappuccini La Deposizione, Simone De Magistris, 1576, convento dei Cappuccini Chiostro del convento dei Frati Minori Il Convento dei Frati Minori La presenza dei Frati Minori, popolarmente detti “Zoccolanti”, a Monte Santo risale alla seconda metà del XV secolo. Il pontefice Pio II inviò al Comune, nel 1463, due bolle con le quali intendeva promuovere la realizzazione di un monastero da costruire a poca distanza dalla chiesa di San Girio. L’ubicazione indicata, però, non piaceva ai monaci perché la vicina valle del fiume Potenza non garantiva caratteristiche di salubrità; per questo i frati espressero il loro gradimento per un’area prossima al centro abitato santese. Il luogo venne individuato nella collina vicina a porta Galiziano, nei pressi di un bosco. Fu papa Alessandro VI, nel 1498, ad autorizzare l’insediamento; un anno dopo iniziò la costruzione del monastero e della chiesa, intitolata a S. Antonio da Padova. La chiesa, nella quale sono stati sepolti membri di importanti famiglie santesi – come i Marefoschi, gli Scoccia e i Mancinforte – conserva opere di un certo rilievo, come una Crocifissione del pittore veneto Palma il Giovane (1599) e la pala dell’altare maggiore Madonna con Bambino e i santi Giuseppe, Caterina d’Alessandria, Francesco e Antonio, realizzata da Simone De Magistris (1576). L’epoca napoleonica ebbe pesanti conseguenze sul monastero. La struttura, venduta a privati, subì delle manomissioni e fu anche impiegata come lazzaretto in occasione di un’epidemia di tifo che si verificò nel 1817. I monaci rientrarono in possesso del convento nel 1831; dopo l’Unità d’Italia, però, il monastero venne ancora espropriato e utilizzato come caserma militare. Solo alla fine del XIX secolo i frati sono riusciti a riprendere il possesso di chiesa e convento, che sono stati ricostruiti nel tempo. Attualmente il convento ospita il centro missionario della provincia dei Frati minori e un bel museo missionario. 92 Altare maggiore del convento dei Frati Minori 93 Crocifissione Palma il Giovane, 1599 convento dei Frati Minori Madonna con Bambino e i Santi Giuseppe, Caterina d’Alessandria, Francesco, Antonio da Padova, Simone De Magistris, 1576, pala dell’altare maggiore del convento dei Frati Minori La chiesa di San Nicolò, nota come di San Francesco o dei PP. Francescani Conventuali Nell’area del Belvedere Donatori di Sangue, meglio noto come Pincio, sorge la grande chiesa di San Nicolò, comunemente detta di San Francesco. La presenza del Santo di Assisi dalle nostre parti viene riferita dalla tradizione popolare, secondo la quale i santesi donarono al Poverello e ai suoi seguaci delle piccole case, proprio nella zona dell’attuale Pincio. Quei piccoli edifici dovettero essere la base sulla quale venne costruito il monastero francescano nel terzo decennio del XIII secolo. I frati, trasferitisi per un periodo di tempo a Monte Grugliano (Coriolano), tornarono a San Nicolò intorno alla fine dello stesso secolo: chiesa e monastero divennero luoghi di riferimento importanti per i fedeli locali. La chiesa, secondo le informazioni fornite dall’inventario del 1729, aveva due navate e sei altari; tra le opere d’arte presenti c’era un polittico su tavola di Vittore Crivelli, risalente al 1493 e ora disperso; vi erano anche affreschi eseguiti da Ludovico Urbani nel 1491. La chiesa, come la vediamo oggi, risale agli anni intorno al 1770: la facciata e il campanile, entrambi di notevoli dimensioni, pare siano stati opera dell’architetto lombardo Pietro Augustoni. All’interno della chiesa si possono ammirare quattro statue che rappresentano le virtù cardinali; pregevoli anche il coro ad intagli, realizzato dall’ebanista Moschetti, e i confessionali. I dipinti presenti risalgono quasi tutti al XVIII secolo: raffigurano, tra l’altro, un Miracolo di San Giuseppe da Copertino, La Natività, Il transito di S. Andrea di Avellino. Ai lati del quadro dell’altare maggiore, che rappresenta la Vergine Immacolata tra Angeli e i Santi Niccolò, Francesco d’Assisi e altro santo francescano (forse S. Giuseppe da Copertino), si possono vedere due tele relative alla vita francescana. Attualmente la chiesa appartiene al demanio; quello che resta del convento è stato adibito dal Comune a biblioteca e archivio storico. 96 La Prudentia sec. XVIII, chiesa di San Francesco Particolare del coro ad intaglio della chiesa di San Francesco realizzato dall’ebanista Moschetti, sec. XVIII La chiesa di San Giacomo Sita nei pressi di porta Galiziano, la chiesa sembra risalga alla seconda parte del XIV secolo. La sua costruzione e l’officiatura sono relative all’attività della confraternita del Corpus Christi, nota anche come di San Giacomo, un tempo unita alla confraternita di S. Maria Maddalena, la cui sede era presso la chiesa dei padri Agostiniani, che portava lo stesso nome. Nel novembre 1430, la curia fermana autorizzò il priore della confraternita di S. Maria Maddalena, Ludovico di Tommaso, a costruire un ‘ospedale’ per poveri e malati (venne impiegato pure per ospitare i pellegrini diretti al santuario lauretano); tale costruzione, da edificarsi vicino a porta Galiziano, doveva essere dedicata a San Giacomo Maggiore apostolo. Nel catasto di Monte Santo del 1371 c’è già notizia della presenza di questa chiesa. Ulteriore conferma della edificazione del sacro edificio si ricava dal rosone in pietra arenaria, che si può ammirare sulla facciata: secondo vari studiosi, esso risale proprio alla seconda parte del XIV secolo. Ospedale e chiesa hanno formato un unico complesso fino a circa il 1750: il primo venne chiuso nel 1765 perché era diventato un riparo di malfattori; la seconda, invece, diventò sede parrocchiale con bolla del 20 ottobre 1774 dell’Arcivescovo di Fermo, cardinale Urbano Paracciani. La chiesa di San Giacomo venne ristrutturata intorno alla fine del XIX secolo. Nel 1943 c’è stato un ulteriore intervento: è stato eseguito su progetto dell’architetto Eusebio Petetti e ha riguardato la facciata. Nella chiesa è conservato un polittico di Paolo Bontulli da Percanestro (1507), intitolato La Vergine con Bambino tra i SS. Giacomo Maggiore e Rocco. Nei due altari laterali si trovano il S. Cuore di Luigi Fontana (sec. XIX) e San Michele Arcangelo uccide il demonio (sec. XVIII). 100 Rosone in pietra arenaria sulla facciata della chiesa di San Giacomo, sec. XIV Vergine con Bambino tra i SS. Giacomo Maggiore e Rocco, polittico di Paolo Bontulli da Percanestro, 1507, chiesa di San Giacomo Particolare del polittico di Paolo Bontulli da Percanestro La chiesa della Madonna delle Grazie Tra le molte chiese che sorgono a Potenza Picena, quella della Madonna delle Grazie è particolarmente cara alla gente locale. Si trova vicino a Porta San Giovanni, nel luogo dove pare vi fosse un’edicola votiva che meritò la devozione dei fedeli. Si racconta che un dipinto della Madonna con il Bambino, risalente all’inizio del XV secolo, dispensasse grazie a coloro che vi si rivolgevano con fiducia e con la preghiera. Anche nello Statuto comunale, approvato nel 1455, si parla del luogo come Via Gratiarum, via delle grazie. La fede del popolo potentino, grande e profonda, ha riservato sempre particolare attenzione a questa piccola chiesa. Intorno al 1750 essa restò chiusa perché le sue condizioni strutturali non garantivano la sicurezza; negli anni Ottanta dello stesso secolo la chiesa rischiò anche di essere demolita per ordine dell’arcivescovo di Fermo, mons. Minucci, intenzionato a servirsi del materiale per restaurare la chiesa di San Giacomo. Ovviamente la popolazione di Monte Santo si oppose strenuamente alla decisione del prelato fermano: la gente chiese aiuto al conte Leandro Mazzagalli, pregandolo di finanziare i lavori di recupero della chiesetta e di acquisirne il patronato. La volontà del popolo preval- 104 Affresco della Madonna delle Grazie, inizio sec. XV se e l’edificio religioso venne ristrutturato e ingrandito, permettendo a più fedeli di frequentarlo: esso divenne anche meta privilegiata dei pellegrini che si recavano a Loreto, i quali lo visitavano per manifestare la loro autentica devozione e gratitudine. Essi lasciavano exvoto alla Vergine, in particolare tavolette raffiguranti immagini di miracoli. La chiesa della Madonna delle Grazie venne ampliata nel 1872 per ospitare un maggior numero di fedeli; nel 1883 fu rifatta la facciata. Undici anni dopo, in un clima di grandi festeggiamenti popolari, si ebbe la solenne incoronazione della Vergine e del Bambino. Dopo il crollo del tetto, avvenuto nel 1970, la chiesa è stata ricostruita quasi completamente. Le cronache degli anni recenti hanno, purtroppo, dovuto registrare i furti delle corone d’oro della Madonna e di Gesù: gesti inqualificabili che contrastano profondamente con l’amore e la fede della gente potentina verso questo caro luogo di culto. Chiesa di Santa Maria della Neve, anni Cinquanta 106 La chiesa di Santa Maria della Neve Vicino alla porta principale di Potenza Picena (porta Girola) si può ammirare la chiesa dedicata alla Beata Vergine della Neve. Fu costruita, probabilmente, nella prima parte del XV secolo: ciò pare trovare conferma nel fatto che l’affresco Madonna col Bambino e angeli che si trova sopra l’altare venga attribuito da alcuni studiosi a Giacomo di Nicola da Recanati, artista che operava nella nostra regione nel sec. XV, il dipinto sembra sia stato rimaneggiato più volte nei secoli successivi. Quasi certamente la chiesa, in origine, era di piccole dimensioni; successivamente, grazie a donazioni, si poterono effettuare lavori di ampliamento. Nel 1573 il vescovo di Fermo, mons. Maremonti, durante la visita apostolica di quell’anno, ordinò che fossero realizzate opere di miglioramento strutturale. La chiesa visibile oggi dovrebbe risalire alla seconda metà del XVII secolo, probabilmente al 1663, data che si può leggere in una incisione su cotto. Forse dello stesso periodo è il nuovo altare e la casa adiacente, dove abitò un eremita, che dovette fungere da custode dell’edificio religioso. La loggetta d’ingresso della chiesa fu costruita nel corso del XVIII secolo: essa poteva dare riparo ai pellegrini diretti a Loreto, garantendo loro una sosta sicura in caso di maltempo. Nell’estate del 1672 Papa Clemente X concesse il privilegio di indire, ogni anno, una fiera il 5 agosto, giorno della Beata Vergine della Neve: l’iniziativa, che interessò anche i giorni 4 e 6 dello stesso mese, dava la possibilità di portare e vendere merce, senza pagare alcuni dazi. Dalla chiesa di Santa Maria della Neve, il 19 settembre di ogni anno, partiva un pellegrinaggio popolare verso il santuario di Loreto, per ringraziare la Vergine dello scampato pericolo corso da Monte Santo, che stava per essere ‘infeudato’ dalla Santa Sede e dal duca di Ferrara nel 1562. Tale minaccia svanì per l’orgogliosa reazione della gente santese. Nei primi anni del XVIII secolo, nella chiesa fu sepolto il marchese Ludovico Marefoschi: con il suo testamento aveva istituito il conservatorio per le orfane potentine. Portico restaurato della chiesa di Santa Maria della Neve 107 La chiesa di Santo Stefano Madonna col Bambino e angeli, attribuita a Giacomo di Nicola da Recanati, sec. XV, chiesa di Santa Maria della Neve Nota come Collegiata, è quella originariamente dedicata a S. Ignazio, appartenuta ai Gesuiti, i quali potevano disporre anche di un collegio, ospitato nell’edificio annesso. Il progetto dell’intera struttura è opera dell’architetto p. Giovanni De Rosis e risale all’ultima parte del XVI secolo; nel 1616 fu approvato in maniera ufficiale dal p. Generale della Compagnia di Gesù. La realizzazione del grande complesso architettonico gesuitico venne promossa da un benefattore, il nobile Antonio Casagrande, che allo scopo mise a disposizione una cospicua somma di denaro. A Monte Santo i primi rappresentanti della Compagnia di Gesù arrivarono intorno al 1580, ospiti di privati, e si misero immediatamente a svolgere la loro attività religiosa. Alla fine del 1584 vide la luce la congregazione dei “Cittadini e artisti”, intitolata dalla Beata Vergine Assunta, che è stata attiva fino a dopo la seconda guerra mondiale. A quegli stessi anni dovrebbe risalire anche l’istituzione della congregazione dei contadini, che venne dedicata alla Purificazione di Maria. Successivamente ebbero origine le congregazioni dei nobili, degli ecclesiastici e degli scolari. La prima pietra del collegio dei Gesuiti fu posta nel maggio 1585 da Fabio De Fabiis, padre provinciale dell’Ordine, sul luogo dove, in precedenza, sorgevano la chiesa di Santa Lucia e l’ospedale di San Giuliano. La costruzione della chiesa di S. Ignazio – una delle prime in Italia dedicata al Santo – iniziò nell’agosto 1631, presente l’arcivescovo di Fermo. Alle ingenti spese contribuì una donazione del conte Pietro Antonio Marefoschi, che morì proprio in quel periodo. Nel 1773, sotto il papato di Clemente XIV, la Compagnia di Gesù fu soppressa e anche a Monte Santo la presenza dei Gesuiti venne meno. Nel 1796 l’antica 109 Pieve di Santo Stefano, che sorgeva dove ora c’è piazza Matteotti, venne abbattuta: nel 1754 era stata elevata a Collegiata da Benedetto XIV. La Collegiata e il Capitolo vennero, così, trasferiti nella chiesa di S. Ignazio che, il 25 maggio 1796, venne dedicata a S. Stefano protomartire. Sull’altare maggiore della chiesa, dove si trovava il quadro raffigurante S. Ignazio, opera del romano Giacinto Brandi, vi è collocato il S. Stefano, della scuola del Pomarancio (prima metà del sec. XVII); nella cappella a sinistra La Pentecoste del milanese Andrea Lanzani (1677); nella seconda di destra si può ammirare La morte di S. Giuseppe, di cui è autore il fiorentino Benedetto Luti (1666-1724). Altra opera di pregio è l’organo costruito dai Bazzani di Venezia nel 1848. Una scalinata scende alla cappella della Congregazione dei Contadini, sottostante la chiesa: le pareti e il soffitto conservano affreschi di Benedetto Biancolini (sec. XVIII). Organo della chiesa di Santo Stefano realizzato dai Bazzani, 1848 110 La Pentecoste, Andrea Lanzani, 1677, chiesa di Santo Stefano Cappella dei contadini, seconda metà sec. XVIII Santo Stefano Scuola del Pomarancio, inizio sec. XVII Particolare dell’ostensorio donato da Papa Pio IX nel 1874 alla chiesa di Santo Stefano La chiesa di San Marco La chiesetta di San Marco, tuttora esistente, si trova a breve distanza dalla chiesa di Santo Stefano. Dedicata all’Evangelista (fine sec. XIII-inizi XIV), il più antico documento che attesta la sua esistenza risale al 1346 ed è stato ritrovato dallo storico Roberto Domenichini. Rimasta di proprietà della Santa Casa di Loreto, è attualmente sconsacrata, sembra da più di settanta anni. 115 L’ex complesso agostiniano Facciata della chiesa di Sant’Agostino oggi auditorium “F. Scarfiotti” Nel centro storico di Potenza Picena, a poche decine di metri da piazza Matteotti, si incontra il complesso di Sant’Agostino: ne fanno parte l’ex convento, la chiesa, il campanile e il chiostro. La presenza degli agostiniani a Monte Santo e nella preesistente chiesa di Santa Maria Maddalena è testimoniata da un documento conservato in Vaticano e risalente al 2 Luglio 1250. In quella data il vescovo di Fermo, Gerardo, concesse a quei religiosi quella chiesa, concessione che fu ratificata da Papa Innocenzo IV il 20 Settembre dello stesso anno. Nel XIV secolo alcuni agostiniani dimorarono nel convento e il Comune offrì cera alla chiesa. Del 1348 è il testamento di una tale signora Gebelosa che destina dei beni per la “fabrica” di Santa Maria Maddalena: probabilmente il convento fu ricostruito o almeno ristrutturato intorno alla seconda decade del 1400. La chiesa, fin dalle origini, è intitolata a Santa Maria Maddalena: agli inizi del XX secolo nel complesso di Sant’Agostino è stata ritrovata una terracotta raffigurante la Santa. Tale opera, attribuita ad Ambrogio Della Robbia, è stata ospitata nella sala della Giunta Municipale di Potenza Picena, poi è stata rubata nel Gennaio 1997. Secondo alcuni, la preziosa terracotta era, in origine, posizionata sopra l’altare maggiore della chiesa. Popolarmente il tempio porta la denominazione di Sant’Agostino per il fatto che vi operavano i padri agostiniani. Fino ai primi decenni del XVIII secolo la chiesa presentava due navate, quattro archi, otto altari e tre porte. I lavori di rifacimento del complesso pare si protrassero fino al 1770. In seguito a lavori realizzati in anni recenti (2002-2007) la chiesa, sconsacrata, è divenuta sede del centro culturale intitolato alla memoria del premio Oscar Ferdinando Scarfiotti. L’edificio mostra linee semplici e decorazioni che offrono all’insieme una sobria eleganza. Entrato dall’ingresso principale, il visitatore può osservare, sulla parete sinistra, il primo altare laterale, dove si conserva un dipinto ad olio su tela della prima metà del 1600, della scuola di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio: San Nicola da Tolentino intercede per le anime del purgatorio. Il secondo altare di sinistra presenta un olio su tela del XVIII secolo, opera di artista ignoto: essa rappresenta la Vergine col Bambino, Santa Chiara, il beato Antonio da Amandola, San Clemente da Osimo e Sant’Agostino. Nel terzo altare sinistro si può ammirare la Madonna del Rosario, i cui autori sono stati individuati negli artisti fermani Filippo e Alessandro Ricci (XVIII secolo). Sulla parete dell’abside si trova una grande tela che mostra Maria Maddalena ai piedi della Croce: l’opera è di Piero Tedeschi. Al centro della zona absidale è ospitato il prezioso organo da sala di Giovanni Fedeli (1757), restaurato nel 2007. Sull’altro lato della chiesa, presso il terzo altare di destra, vi è un dipinto ad olio del Settecento, di autore sconosciuto: ritrae la Madonna col Bambino, Santa Monica e Sant’Agostino. Nel primo altare destro si può osservare una scena del Miracolo del pozzo, anch’essa del XVIII secolo e di autore ignoto. Nel corpo laterale, oggi utilizzato come foyer, a ridosso della parete sinistra si nota il paramento dell’altare maggiore; si può ammirare anche il tabernacolo, opera del Settecento. Nella parte superiore del foyer si trova l’opera di Bernardino di Mariotto (1506) intitolata Madonna con Bambino tra i SS. Antonio, Francesco e Angeli musicanti. Attualmente l’ex complesso agostiniano è una struttura polivalente e spaziosa, con funzione di auditorium, sala convegni o ambiente museale. 117 Interno dell’auditorium “F. Scarfiotti” ex chiesa di Sant’Agostino La Maddalena ai piedi della Croce, Pietro Tedeschi, seconda metà del sec. XVIII L’architettura dell’auditorium “F. Scarfiotti” Madonna con Bambino tra i Santi Antonio, Francesco e Angeli musicanti, Bernardino di Mariotto, 1506, foyer dell’auditorium “F. Scarfiotti” Antico candeliere San Nicola da Tolentino intercede per le anime del Purgatorio, della scuola di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, sec. XVII Madonna del Rosario, attribuito a Filippo e Alessandro Ricci di Fermo, sec. XVIII paesaggio Il territorio comunale di Potenza Picena, bagnato dal mare Adriatico, ha una superficie di 48,2 chilometri quadrati e una popolazione di poco superiore ai 15.000 abitanti. Se la provincia di Macerata è definita, a buon diritto, “terra delle armonie”, i luoghi potentini ne sono un esempio validissimo. Un entroterra costituito da dolci colline – sulle quali le varie colture agricole disegnano geometrie d’autore, apprezzabili nei filari di viti e negli uliveti – che godono di una benefica esposizione al sole; un litorale pianeggiante, dove chi ama il mare ha a disposizione spiagge sabbiose e ampie. Quattro sono i nuclei abitativi del territorio comunale potentino: Potenza Picena, Porto Potenza Picena, Montecanepino e San Girio. Sono centri aventi peculiarità diverse che, messe insieme, donano alla nostra realtà locale una ricchezza di storia e di tradizione che non ha nulla da invidiare alle altre città marchigiane e a quelle extraregionali. Cerimonia della consegna della Bandiera Blu 21 giugno 2008 130 2008: la prima bandiera blu del Comune di Potenza Picena Nel 2008 il Comune di Potenza Picena ha avuto la sua prima Bandiera Blu, il prestigioso riconoscimento europeo che premia quelle località che si distinguono, tra l’altro, per la cura che rivolgono alla qualità dell’ambiente, per le strutture di cui dispongono, per i servizi che offrono. La lunga strada per arrivare a tale affermazione è stata percorsa con impegno e determinazione ed è stata caratterizzata da scelte sagge, come quella, ad esempio, di mettere in atto una raccolta differenziata di rifiuti che ha fatto salire il nostro territorio nei primi posti della relativa classifica nazionale. Negli anni precedenti l’ottenimento della Bandiera Blu, il Comune potentino ha eseguito opere pubbliche importanti, di riqualificazione urbana, di recupero o di trasformazione di edifici storici, di realizzazione di nuove strutture che lo hanno legittimato ad aspirare ad un futuro turistico di ottimo livello. Il 21 giugno 2008, solstizio d’estate, alla presenza del Sindaco Sergio Paolucci, di altre autorità e di una gran folla di persone, si è celebrata la prima conquista della Bandiera Blu della Città di Potenza Picena: non un punto d’arrivo, come ha detto giustamente il primo cittadino nel suo intervento, ma un trampolino di lancio per meritare di tagliare traguardi ancora più ambiti, rispettando l’ambiente, promuovendo il turismo, continuando a camminare sulla strada di un lodevole progresso sociale e civile. Anche per il 2009 al Comune di Potenza Picena è stata assegnata la Bandiera Blu. 131 Potenza Picena Ha le caratteristiche proprie di un centro medievale: posta su un colle, dotata di una notevole cinta muraria, presenta di sé un’immagine di antica nobiltà. Visitando il centro urbano si possono apprezzare vari scorci paesaggistici di autentica bellezza: si incontrano ampie ed eleganti scalinate, piazze di pregevole architettura. Chi ha la fortuna di passeggiare per le vie cittadine respira aria pura e storia nel medesimo tempo, avendo l’opportunità di ammirare stupendi palazzi, testimonianze sontuose di una nobiltà che alberga ancora nel ricordo della gente del luogo. Potenza Picena si è chiamata Monte Santo fino al 1862(22): a tale nome non dovettero essere estranee le 27 chiese che, un tempo, il paese contava, oltre a tanti campanili. La cittadina collinare è cresciuta attorno alla splendida piazza Matteotti: ad essa arrivano, da ogni punto cardinale, le vie urbane, quasi in atto di omaggio alla centralità del luogo, punto di riferimento geografico e storico del paese. Qui, infatti, sorgeva l’antica pieve di Santo Stefano, attorno alla quale vennero a stabilirsi coloro che dettero inizio alla realtà urbana santese. Oltre alle numerose ricchezze storiche e architettoniche di Potenza Picena, al visitatore non sfugge la bellezza panoramica che si gode dal belvedere del Pincio(23): agli occhi si apre un paesaggio di straordinaria armonia, che passa dalle vette appenniniche alla costa adriatica, con in mezzo un mare di verdi colline, tra le quali spicca quella su cui si erge la Basilica di Loreto. All’esterno della cinta muraria è andata, nel tempo, sviluppandosi la parte moderna del paese, costituita da vaste aree caratterizzate da nuovi quartieri abitativi. Anche il progresso economico e industriale ha avuto il suo spazio: numerose aziende sono sorte, ad esempio, lungo la strada statale Regina, dove operano ditte i cui prodotti sono apprezzati sia in Italia che all’estero. Nonostante tale sviluppo, Potenza Picena ha conservato la propria identità di paese tranquillo e fiero cultore delle tradizioni locali: la festa del Grappolo d’Oro, che si celebra nella seconda metà di settembre, è l’esempio più calzante di come la comunità potentina sappia dar rilievo ad un’attività – quella della coltivazione della vite – che nei secoli ha rappresentato e tuttora rappresenta, oltre che una concreta fonte di reddito, anche un evento capace di aggregare la gente del luogo e di diventare elemento distintivo di cultura popolare. Passato e presente convivono in maniera armonica a Potenza Picena: la tranquillità dei luoghi, lo splendore architettonico dei suoi edifici e la dolcezza del clima sono i tratti salienti di una città che merita di essere visitata. 132 Porto Potenza Picena Distesa per quasi tre chilometri alle spalle della sua bella spiaggia, è un’apprezzata località balneare, posta sulle più importanti vie di comunicazione nazionali. Sorta agli inizi del 1900, la cittadina rivierasca si presenta come una realtà urbana in rapido sviluppo. La ricettività turistica può contare su una grande struttura (il Natural Village), situata a nord del paese, capace di ospitare molte centinaia di villeggianti: se ad essa si aggiungono i posti letto garantiti da campeggi, alberghi e case di privati, la cifra sale ulteriormente. Moderni impianti sportivi consentono la pratica di numerose discipline e la disputa di campionati di livello nazionale. A Porto Potenza Picena opera il noto Istituto Santo Stefano, realtà sanitaria di eccellente livello nelle terapie riabilitative e in altri campi della medicina. La spiaggia portopotentina offre ampi spazi a chi ama le vacanze al mare: è quasi totalmente sabbiosa, ospita vari e attrezzati stabilimenti balneari. Da alcuni anni è dotata di un elegante lungomare che, verso sud, sale su un belvedere – intitolato nel 2007 a Lord Baden Powell, fondatore del movimento scout – dal quale si gode un’ottima vista sul mare Adriatico. Porto Potenza Picena è in grado di garantire un soggiorno tranquillo a chi venga a trascorrervi un periodo di vacanza: le famiglie possono trovarvi tutti i servizi necessari, i giovani hanno a disposizione locali di ritrovo e discoteche di assoluto livello (come il Babaloo), meta di ragazzi che vi giungono anche da fuori regione. Nei mesi estivi sono varie e interessanti le iniziative proposte dal Comune e dalla Pro Loco: quest’ultima, tra le tante manifestazioni, organizza un’apprezzata sagra delle vongole. Piazza Douhet, piazza della Stazione, piazza Saverio Marotta sono i luoghi dove la gente si incontra più spesso, soprattutto nei giorni di festa o nei vari momenti dell’anno in cui si organizzano manifestazioni pubbliche. In luglio, nel periodo della festa in onore della Patrona Sant’Anna, ad esempio, la cittadina è meta di un elevatissimo numero di visitatori, attratti dal nutrito calendario di iniziative ed, in particolare, dal grandioso spettacolo pirotecnico sul mare. La vita estiva di Porto Potenza Picena ha conosciuto eventi di spettacolo di assoluto rilievo a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Grazie all’attività del celebre Giardino Florida, anima del quale è stato Attilio Principi, si sono avute numerose serate con i migliori cantanti del tempo: nella cittadina rivierasca si sono esibiti gruppi notissimi, tra i quali i Dik Dik, i Camaleonti, l’Equipe 84, o cantanti come Patty Pravo, stabili frequentatori delle zone alte della classifica discografica della Hit Parade. In quegli anni il Giardino Florida era meta consueta di tanta gente che arrivava da tutte le Marche e da fuori regione per assistere a quegli spettacoli di musica leggera. I giovani di allora avevano anche la possibilità di frequentare il Peretos, un locale da ballo all’aperto, situato nella zona sud del paese, a ridosso della linea ferroviaria. Era un luogo di incontro per i ragazzi, residenti e villeggianti, un sano ritrovo dove trascorrere in compagnia alcune ore danzando e ascoltando musica, tra un passaggio e l’altro dei treni sferraglianti sui binari…; poi, magari, si chiudeva la serata con una romantica passeggiata sulla riva del mare, alla luce della luna. Accanto all’imponente torre quadrata, di cui abbiamo già parlato, si trova la chiesa di 136 Sant’Anna, consacrata nel 1926 dall’Arcivescovo di Fermo, Mons. Carlo Castelli: essa custodisce il dipinto Vergine con Bambino tra i Santi Gioacchino e Anna (sec. XVII), della scuola romana. Attorno alla chiesa si è sviluppato, nel corso del tempo, l’abitato di Porto Potenza. Degli anni Sessanta è la chiesa del Corpus Christi, edificata quando la crescita demografica rese necessario un luogo di culto di maggiore capienza. Al suo interno si può ammirare un grande mosaico dal titolo Cristo centro della storia della Salvezza. Particolarmente caro alla popolazione locale è l’oratorio parrocchiale, fondato nel 1948 e denominato “Casa del Fanciullo”. Alla sua costruzione, per la quale il parroco don Mauro Carassai e la comunità di Porto Potenza Picena si impegnarono a fondo, diede un contributo notevolissimo la famiglia perugina dei Conti Conestabile della Staffa, in particolare il Conte Alessio, stimata guida dell’Istituto Santo Stefano. Varie generazioni di giovani sono cresciute negli ambienti dell’oratorio, punto di riferimento di aggregazione sociale, luogo dove trascorrere in modo sano il tempo libero, condividendo i valori cristiani. Nel 2008 è iniziata, su proposta del parroco don Cesare Di Lupidio e di diversi parrocchiani, la costruzione del nuovo oratorio che, affiancando il vecchio, potenzia l’offerta di spazi dedicati ai giovani. 137 Sant’Anna (chiesa nuova) consacrata nel 1926, realizzata dall’architetto Eusebio Angelo Petetti Stazione di Potenza Picena - Montelupone, anni Venti - Trenta 138 Via Regina Margherita, 1950 circa La spiaggia, anni Cinquanta 139 Via Cristoforo Colombo, anni Quaranta 140 3 3 Posa della prima pietra della chiesa del Corpus Christi, 29 giugno 1964 Giocatrici di tennis, nella piazza della Stazione, davanti a palazzo Colucci, inizio Novecento 141 Interno della chiesa di Sant’Anna, consacrata nel 1926 Vergine con Bambino tra i santi Gioacchino e Anna, della scuola romana, seconda metà del sec. XVII Piazza Douhet Parco dei laghetti Montecanepino Percorrendo la direttrice meridionale, che collega Porto Potenza a Potenza Picena, si incontra Montecanepino. Gli studiosi la indicano come l’erede di Castel San Giovanni che, nel medioevo, sorgeva sull’area dove ora si può ammirare villa Bonaccorsi. Intorno alla chiesa di San Giovanni si è sviluppato il piccolo nucleo urbano, particolarmente frequentato nella giornata del Lunedì di Pasqua, quando tanta gente vi arriva per vivere una delle feste più popolari nella tradizione di tutto il territorio comunale(24). La festa di San Vincenzo Ferreri, il lunedì dopo Pasqua, aveva il suo punto di riferimento nella chiesetta di campagna addobbata e illuminata, intitolata a San Giovanni, situata all’inizio della principale strada d’accesso a Montecanepino provenendo da Porto Potenza. Al mattino, alle 11, si celebrava la Santa Messa; al pomeriggio si dava spazio a vari giochi popolari, cui si partecipava con allegria e spontaneo entusiasmo, con la gente che arrivava numerosa dai principali centri del territorio comunale e dai paesi vicini. Tra i giochi più… gettonati vi era quello delle brocche: tali recipienti, appesi ad un filo, dovevano essere colpiti da un giocatore bendato. Dalla brocca rotta poteva uscire anche acqua e allora, per il concorrente, c’era un bagno fuori programma tra le risa dei presenti. In un’atmosfera di serenità, a Montecanepino la giornata trascorreva tra passeggiate, bancarelle e merende all’aria aperta, con la gioia di un contatto diretto con la natura che tornava a vestire i colori e i profumi della primavera. Adesso quella chiesetta di campagna non c’è più; al suo posto è sorta un’edicola dedicata alla Madonna; la festa, invece, continua ad esistere, con attrazioni di vario tipo e con lo spettacolo pirotecnico a sera inoltrata. La mitezza del clima, l’armonia del paesaggio, il sapore ancora vivo della vita agreste danno a Montecanepino una gradevole identità, come ben sanno coloro che vengono a trascorrervi giornate di vacanza a stretto contatto con una natura ancora ricca di autentica genuinità. Sull’origine del nome di questo nucleo urbano, che risale al XIX secolo, devono aver avuto influenza i cosiddetti “canepini”, cioè i cordai, i lavoranti la canapa, che operavano in numero consistente in quest’area. 148 Edicola di casa Giordano Giampaoli Scorcio caratteristico di Montecanepino 149 Valle d’Asola, scorcio panoramico verso i Monti Sibillini 150 Montecanepino, fine anni Cinquanta Chiesa di San Giovanni crollata negli anni Settanta, oggi vi è un’edicola con la statua della Madonna 151 Tenuta Casalis-Douhet San Girio Questa località si trova lungo la strada provinciale che unisce la S.S. Regina a Potenza Picena. Al Santo che dà il nome al nucleo abitato è dedicato il santuario, meta frequentatissima di tanti fedeli. La chiesa, costruita in origine sopra la tomba di San Girio nel 1298, fu riedificata nel 1560; nel 1936 vi vennero realizzate tre navate, una nuova facciata e il campanile. L’abside è del 1951, anno in cui venne scavata la cripta. Stando alla tradizione, il Santo, nato in Francia nel 1274, abbandonò le ricchezze di famiglia per raggiungere, col fratello, la Palestina. Durante il cammino verso tale destinazione, nel nostro territorio si ammalò e cessò di vivere: in quel momento le campane della pieve di Santo Stefano si misero prodigiosamente a suonare. Il corpo di San Girio venne conteso dalle popolazioni di Recanati e di Monte Santo: la disputa fu risolta grazie ad un neonato che, miracolosamente in grado di parlare, disse che la scelta del luogo cui assegnare le spoglie del Santo fosse lasciata a due buoi senza guida. I due animali si fermarono nel punto dove ora c’è il santuario. Caratterizzata da profonda religiosità e da una vocazione agricola ben radicata nella sua gente, la località di San Girio ha da sempre grande devozione per il suo Patrono. La sua festa (25 Maggio) ha tradizioni antiche e il suo momento culminante nell’omaggio di ceri al Santo da parte delle autorità locali e della popolazione. Nel 1952 la festa è stata rivalutata grazie all’iniziativa dell’allora parroco don Elia Malintoppi e dell’Amministrazione Comunale, guidata dal sindaco Lionello Bianchini. Due, in particolare, le iniziative prese in quell’anno: il lavoro di ristrutturazione del santuario e gli interventi artistici (affreschi e quadri) ad opera del prof. Cesare Pavisa di Pesaro; la rivalutazione della tradizione dell’omaggio dei ceri, con una delibera comunale che indicò San Girio Patrono di Potenza Picena. In passato, in occasione della festa del Santo, aveva luogo una fiera del bestiame e di merce di ogni tipo, che richiamava molta gente; attualmente sono in programma manifestazioni religiose, sportive e di spettacolo. Anche il martedì dopo Pasqua era un giorno importante a San Girio: si festeggiava San Vincenzo Ferreri. Al mattino si celebrava la Santa Messa e aveva luogo una processione, con la partecipazione della Confraternita di San Girio del Sangue Sparso; nel pomeriggio avevano luogo alcuni giochi popolari, come la rottura delle pigne e l’albero della cuccagna. Interno del santuario di San Girio 154 Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta Affresco di Cesare Pavisa di Pesaro, anni Cinquanta Villa e giardino Bonaccorsi Una delle eccellenze più notevoli del territorio comunale potentino è villa Bonaccorsi con il suo straordinario giardino all’italiana. Situata nelle vicinanze di Montecanepino, a pochissimi chilometri dal mare Adriatico, la villa potrebbe essersi sviluppata attorno ad un palazzo di campagna del XVI secolo. Il trascorrere del tempo vide l’ampliamento della costruzione, che ebbe il suo periodo migliore dal 1745 in poi, quando a curare i lavori fu chiamato un collaboratore del Vanvitelli, il ticinese Pietro Bernasconi. In tempi più recenti, sono state costruite nuove scuderie. Nel cortile interno della villa si possono ammirare quattro statue, rappresentanti le quattro stagioni, opera di Giovanni Bonazza, scultore veneto, che le realizzò nella prima metà del Settecento. Il complesso costituito dalla villa e dal giardino ha una superficie di quasi cinque ettari. Il giardino, a terrazze digradanti, è un inno all’armonia, un equilibrio perfetto di architettura vegetale e di arte scultorea. Cinque sono le terrazze sulle quali il giardino si sviluppa: esse sono percorse da una scalinata centrale e sono esposte a sud. Nella prima terrazza – che si trova al livello del ‘piano nobile’ della villa e che ospita un ‘giardino segreto’ con statue di argomento mitologico – si possono ancora vedere dei ciottoli dai quali in passato scaturivano zampilli d’acqua simmetrici, che davano vita ad una sorta di tunnel da attraversare senza bagnarsi. Le aiuole sono le assolute protagoniste della seconda terrazza, occupandola con geometrie policrome che catturano lo sguardo. In mezzo ad esse si possono ammirare le statue che raffigurano due “maschere” della Commedia dell’Arte, Arlecchino e Pulcinella. Di rilievo nella terza terrazza, detta ‘viale degli Imperatori’, c’è una pregevole statua rappresentante la dea Flora, ospitata in una nicchia. Ancora le aiuole in grande evidenza nella quarta terrazza, disposte con gradevolissima eleganza geometrica; nella quinta, infine, sono apprezzabili dei vialetti formati da siepi di alloro, che contribuiscono alla globale bellezza del luogo. Le numerose statue che popolano questi spazi rappresentano soggetti umani e individui grotteschi e mitologici: sono di scuola veneta, attribuibili ad Orazio Marinali e ai suoi discepoli. 159 Entrata principale di villa Bonaccorsi Stemma della famiglia Bonaccorsi Statua di Ciccobirbo Particolare di una delle statue del giardino Bonaccorsi attribuita ai fratelli Marinali di Vicenza, sec. XVIII Serra del giardino La statua della dea Flora, situata nella terza terrazza del “viale degli Imperatori” Interno della villa Bonaccorsi Veduta della villa Bonaccorsi, lato sud Giardino Bonaccorsi, tipico esempio di giardino settecentesco all’italiana economia L’OPEROSITÀ DELLA NOSTRA GENTE NELLA TRADIZIONE I muratori Una delle attività che hanno caratterizzato la vita della gente del nostro territorio comunale è quella del muratore. Lo studioso di tradizioni popolari marchigiane Claudio Principi(25) ha trattato con particolare attenzione e ricchezza di dettagli la figura di tale lavoratore, personaggio a volte rude ma schietto e concreto come pochi altri. Tutti sanno che, scherzosamente, ancora oggi gli abitanti di Potenza Picena vengono chiamati “carginelli” e tale spiritosa denominazione è diretta eredità dei muratori, specialmente attivi nella città alta per tanti decenni. L’uso della carge, cioè la calcina, che ne imbrattava i pantaloni, ha finito per dar luogo a quel nomignolo che continua, tenace, a resistere al tempo. Protetti dal loro patrono San Claudio, i muratori sono stati, a lungo e ingiustamente, considerati artigiani di livello inferiore, in quanto esercitavano la loro attività senza vottega, cioè senza poter disporre di un laboratorio al coperto, dotato di luce artificiale. Essi hanno sempre lavorato all’aperto, dipendendo necessariamente dalla luce del sole e dalle condizioni meteorologiche. A far ritenere poco rilevante il loro mestiere c’era la considerazione che non possedessero tecniche complesse o abilità che necessitassero di talento, inoltre maneggiavano materiali di basso costo. Ad essi era richiesta soprattutto prestanza fisica e resistenza alla fatica e alle intemperie, dovendo operare all’aperto. Tradizionalmente, il periodo in cui i muratori erano più attivi – grazie alla più lunga illuminazione diurna – andava dal 3 maggio, giorno di Santa Croce, al 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Croce: era, come più o meno scherzosamente dicevano, un tempo di tribolazione e di “Calvario”, riferendosi alla presenza delle croci in quelle due date. I muratori usavano ritrovarsi per mangiare insieme in due momenti dell’anno: alla festa del loro patrono San Claudio e la sera del Giovedì Santo, dopo la visita ai Sepolcri. Di solito il cibo preferito in tali circostanze era costituito da fagioli, stoccafisso o sardelle, che venivano gustati col consueto appetito proprio della gente abituata a lavorare duro. I pasti di lavoro quotidiani, invece, prevedevano cibi portati da casa, preparati dalle madri o dalle mogli, messi in gamelle o avvolti in grandi fazzoletti. Tre, normalmente, erano le pause che si concedevano durante il lavoro: intorno alle otto, per una quindicina di minuti, facevano colaziò; a mezzogiorno era la volta de lo voccò, detto anche merenna, pasto che veniva rispettato più degli altri perché annunciato dalla campana della chiesa; nel pomeriggio, intorno alle diciassette, si passava alla merennetta, che occupava circa un quarto d’ora. Per la colaziò i muratori portavano da casa grandi fette di pane o porzioni di pagnotte, tra le quali mettevano salumi affettati, frittate o verdure; quando non avevano a disposizione questi tipi di companatico, si procuravano frutta di stagione nelle campagne vicino al luogo di lavoro. Lo voccò, cioè il pasto principale della giornata, veniva a volte riscaldato nel cantiere, dove, in certi casi, si riusciva anche a preparare, magari frettolosamente, un po’ di polenta. 173 Muratori dell’impresa edile di Pasquale Clementoni e figli, al lavoro sul campanile della chiesa di San Francesco nel 1937 L’abbigliamento dei muratori era generalmente rappresentato da indumenti consumati e rattoppati, impolverati, quasi sempre coperti da calcina; come copricapo avevano un berretto di panno o di carta, di solito ricavato da giornali vecchi, piegati a formare una specie di bustina. Le scarpe erano, anch’esse, in male arnese, sformate, sporche, ovviamente, di calcina. Spesso, dalla tasca posteriore dei pantaloni facevano capolino un metro pieghevole di legno – composto da stecche gialle o arancioni – l’estremità di una livella o una voluminosa matita, detta in dialetto làbbise (lapis). Molti e interessanti sono gli attrezzi usati dai muratori; ne prendiamo in esame i più comuni. Col termine di cucchiare si indicano le cazzuole, che sono di vario tipo e si distinguono in relazione al loro impiego. Lo frattazzo è una tavoletta di forma rettangolare – prima fatta di legno duro e ora di acciaio o plastica – dotata di una impugnatura posta lungo la parte mediana di una delle due facce; ci si posa la calcina per distribuirla uniformemente sulle superfici piane, come fondi di pavimenti o intonaci. La callarella, una specie di secchio che serve per trasportare la calcina e per prelevarla con la cazzuola durante le operazioni di muratura; è utile anche per trasportare l’acqua e per contenere attrezzi. A forma di tronco di cono rovesciato, è dotata di un manico arcuato, simile a quello del paiolo, lo callà, dal quale ha derivato, in qualche modo, il nome. Altri arnesi di uso comune sono il martello, la martellina da taglio, la tenaglia, lo scalpello, un piombino con lo spago, la livella a goccia. Prima di costruire una casa, i muratori preparavano un capanno, la varacca, per ospitarvi gli attrezzi che avrebbero dovuto usare e i sacchetti di cemento, calce e gesso. Vicino alla casa in costruzione venivano sistemati laterizi e materiali inerti, un vaglio a rete, un grosso recipiente pieno d’acqua da utilizzare per bagnare i laterizi o per lo spegnimento della calce. Nel cantiere vi era, poi, grande quantità di legname: esso serviva per preparare i ponteggi, per realizzare le strutture provvisorie nella costruzione di scale o volte e per tante Muratori al lavoro in un cantiere, anni Sessanta 175 Muratori al lavoro, anni Sessanta Muratori durante la pausa pranzo, fine anni Cinquanta inizi anni Sessanta 176 Costruzione della casa del Fanciullo (oratorio), anni Cinquanta altre esigenze. Tra i muratori vi era una precisa gerarchia, in cima alla quale si trovava il capomastro che, normalmente, era colui che guidava l’impresa. La sua autorità era indiscussa: egli dirigeva tutti i lavori del cantiere, gestendo opportunamente le risorse umane che aveva a disposizione. Conosceva bene i materiali da utilizzare e sapeva procurarseli a prezzi convenienti. Oltre a supervisionare il lavoro dei suoi dipendenti, partecipava in prima persona alle fasi più importanti della costruzione degli edifici, mettendo in mostra notevoli abilità manuali. Alle dipendenze del capomastro c’erano i muratori, denominati cucchiare, cioè cazzuole; loro sottoposti erano gli apprendisti abbastanza esperti o muratori di seconda categoria, ai quali era affibbiato il nome di menze cucchiare, e i manovali. Sul gradino più basso dei rapporti gerarchici si trovavano li garzù, giovani che si avviavano al mestiere e che dovevano iniziare una lunga gavetta, imparando la tecnica dei loro “superiori”. Quando si costruiva un muro, le cucchiare, cioè i muratori più esperti, si occupavano della parete a facciavista, quella esterna, mentre alle menze cucchiare, notoriamente meno esperte, si affidava il compito di occuparsi della parete interna. I manovali garantivano ai muratori il rifornimento dei materiali necessari alla costruzione, dopo averli opportunamente preparati. Qualche volta la donna era presente in un’impresa edile: il suo compito era quello di spostare da un luogo all’altro del cantiere i materiali che dovevano essere usati dai muratori. Tali oggetti, sistemati in cesti di vimini o contenitori simili, venivano posti sulla testa, sulla quale era preventivamente appoggiato un canovaccio per rendere meno rude il contatto con il peso da sostenere. Come dicevamo in precedenza, l’attività del muratore ha sempre dovuto fare i conti con le condizioni meteorologiche. Se il tempo era inclemente per un lungo periodo, necessariamente si andava incontro ad una disoccupazione che metteva in grosse difficoltà economiche la famiglia. Quando non lavoravano, i muratori si incontravano in candina, cioè in osteria, dove si concedevano qualche bicchiere di vino e passavano il tempo a giocare a carte, alla morra o anche a bocce. La sciabica Muratori in posa teatrale, fine anni Cinquanta inizi anni Sessanta Nella tradizione marinara di Porto Potenza Picena un posto di assoluto rilievo spetta alla pesca con la sciabica. Il nome indica una rete composta da due bracci uguali, simmetrici rispetto ad un sacco centrale (manica), nel quale finiscono per rimanere i pesci catturati. Per calarla in mare si utilizza una barca (lancetta) lunga sei o sette metri, spinta da quattro remi che, a partire da poppa, sono: il remo de preme, che ha una funzione simile a quella del timone; il remo de sgaezzo, che è quello che imprime la spinta maggiore al movimento della barca; il remo de bocca de gola e il remo de prua, quello più avanzato(26). Dopo aver sistemato la rete sul ripiano di poppa (gràtena), quando il sole non è ancora sorto, inizia la cala della sciabeca: da bordo viene lanciata ad un uomo a riva la cima della resta, una fune di canapa lunga circa un centinaio di metri. All’altro capo di essa possono esserne annodate altre, fino a sei o sette, se il padrone della barca (lo parò) ritiene che sia con- 179 Marinai dopo aver tirato la sciabica, anni Cinquanta veniente calare più a largo del solito per catturare pesci più grandi, come sgombri, sugheri, bobbe e mojelle(27). Finito di lasciare in acqua le reste, comincia la messa in mare della rete, il cui inizio è segnalato dalla mazza. Scende subito il primo braccio, caratterizzato da maglie più larghe; il limite inferiore di esso è rappresentato da una corda munita di piombi (lima piommata), che permette alla rete di toccare il fondale; il limite superiore è costituito da una corda dotata di galleggianti in sughero (lima de scorzo), che consente alla sciabica di arrivare in superficie, formando una parete verticale di maglie. Al termine della cala del primo braccio si arriva alla manica, una specie di sacco dalle maglie fittissime, sostenuto a galla da sugheri molto voluminosi, che costituiscono il cosiddetto carriò, la cui visione rappresenta un importante punto di riferimento per i pescatori che, successivamente, dovranno recuperare la rete fino a riva. Il carriò, infatti, è il punto centrale di tutta la struttura di pesca e deve rimanere al centro anche durante tutta la fase di recupero della sciabica. Calata in mare la manica, facendo attenzione a non pijà lo porco (cioè ad evitare che la manica finisca erroneamente sotto la lima de piommo e che, di conseguenza, non si apra durante la pesca), i pescatori sulla barca mettono in acqua il secondo braccio della rete e, dopo di esso, le reste, di numero pari a quelle calate in precedenza. Quando il capo terminale dell’ultima resta giunge in mano ad un altro pescatore sulla battigia, inizia il recupero della rete ad opera di due gruppi di sciabecotti, uno per ogni capo della sciabica. Aiutandosi con lo collà (fascia di tessuto robusto, dotata di una corda che termina con un nodo, lo groppo, utile per “agganciare” la resta), i pescatori si aggrappano alla fune di recupero e, indietreggiando con passo ritmato sulla spiaggia, recupera- 180 no la resta e, di conseguenza, la rete. Col passare dei minuti, il grande arco disegnato sulla superficie del mare dai galleggianti della lima de scorzo si approssima alla riva e si restringe, dato l’avvicinarsi dei due gruppi di recupero tra di loro. Quando la manica è in vicinanza della battigia, alcuni pescatori si occupano di tenere aderente al fondale la lima piommata e di alzare un po’ quella de scorzo, per impedire ai pesci di tentare la fuga. Finalmente arriva a terra il sacco, e diventa comprensibilmente palpabile la curiosità degli sciabecotti di controllare l’entità del pescato. La manica viene aperta con cura e, quando la cattura è buona, agli occhi della “ciurma” appare il suggestivo spettacolo di un argenteo “pavimento” pulsante di vita, formato da pesci guizzanti, come sardoncini, agore, moielle, sgombri e via di questo passo. Si narra di catture notevoli che, per singola cala, hanno portato a riva quintali di pesce, tanto da riempire qualche decina di coffe (i tipici cesti di vimini e canne utilizzati per contenere il pescato). Mentre il recupero della sciabica è in corso ad opera dei due gruppi di sciabecotti sulla riva, alcuni giovani (morè) si dedicano alle reste arrivate in spiaggia: le raccolgono arrotolandole in volute sovrapposte, in modo da renderle disponibili per la cala successiva. Importante è anche l’opera di chi rimane a bordo della barca in acqua (lo bordarolo), controllando che non finisca in secco o che non sia portata via dalla corrente. La prima cala viene denominata cala dell’alba ed è quella che prevede l’uso di più reste; a seguire si effettua la cala de scia; l’eventuale cala pomeridiana viene detta di calandro e può concludersi anche dopo il tramonto del sole. La pesca con la sciabica sulla costa portopotentina Marinai mentre tirano la sciabica, anni Sessanta 181 Marinai aprono il sacco della sciabica, anni Sessanta si praticava già nei primissimi anni del 1900. La prima “ciurma” fu quella di Neno de Sciamoè (Giampaoli), poi furono attive quella degli Alleati (Bovari, Giri, Marconi), del Capitano (Giulio Carlocchia), dell’Ascaro (Arturo Giampaoli), di Nicola Giri, di Gino Giampaoli, dei fratelli Marinelli, di Neno Carota, di Orazio Germondari, di Franco Babbini e di altri ancora. Il periodo più propizio per la pesca con la sciabica andava da aprile a fine ottobre ma, non di rado, tali limiti temporali venivano superati. Durante i conflitti mondiali, gli sciabecotti continuavano a pescare: proprio nei momenti di maggiore difficoltà economica questa attività ha costituito fonte di sostentamento per le famiglie del nostro litorale. Dopo la seconda guerra mondiale gli abitanti del luogo integravano le loro entrate ancora con la sciabica: chi, ad esempio, lavorava alla Ceramica Adriatica o alla fornace Antonelli si assoggettava a levatacce per procurare il cibo o qualche soldo per i bisogni della propria famiglia. Dalla vendita del pesce catturato – effettuata dalle pesciarole con la caratteristica bilancia (vàscula) e con le coffe sul carretto, oltre che direttamente alle pescherie di Civitanova Marche e Porto Recanati – lo parò ricavava i soldi che venivano distribuiti ai componenti della ciurma, seguendo precise priorità: un quarto del ricavato andava alla sciabica, cioè al suo proprietario; i restanti tre quarti venivano divisi in parti uguali nel modo seguente: una alla sciabica, una al proprietario, una ciascuno ai pescatori che avevano partecipato alla pesca. Erano previste anche divisioni più piccole, fino alle quartarole (un quarto di parte), che andava ai novizi, cioè ai ragazzini alle prime armi. Questi ultimi, a volte, nel periodo estivo, dopo aver trascorso la serata al cinema o con gli amici, andavano ad attendere le tre del mattino (orario consueto di partenza 182 per andare a pesca con la sciabica) all’interno della barca, addormentandosi sotto un telone impermeabile. Nei pochi mesi in cui questo tipo di pesca si interrompeva, le barche venivano portate a ridosso della linea ferroviaria e coperte per proteggerle dalle intemperie. In anni recenti i materiali per la costruzione della rete e delle reste sono cambiati: alla canapa, pesante e da asciugare al sole dopo la pesca, è subentrato il nylon, più leggero e non bisognoso di cure particolari. In passato, di pomeriggio era comune vedere distesa ad asciugare sulla spiaggia la sciabica; e familiare era la figura de lo parò che, con la “linguetta” (un particolare attrezzo di legno) riparava i danni subiti dalle maglie della rete a causa di qualche presura (oggetti sui quali la rete stessa si impigliava nelle operazioni di pesca). Accanto a lui vi era la barca, poggiata sulle palanche, robuste traverse di legno a forma di parallelepipedo, sulle quali, al momento del varo, essa scivolava grazie anche al grasso di maiale (lo sego) che i pescatori vi mettevano per rendere meno faticosa la spinta verso le prime onde. Alla fine della stagione di pesca, la rete veniva immersa in un grande recipiente (callara), contenente un liquido di colore marrone scuro, fatto riscaldare ad alta temperatura: aveva luogo la cosiddetta tenta (tinta), un trattamento che serviva a rinforzare la rete, mantenendola in buono stato. Le sciabiche più grandi erano reti che raggiungevano anche i 250 metri di lunghezza, sommando i due bracci e la manica che si apriva tra di loro. Spesso i nostri sciabecotti sceglievano come luogo di pesca le zone vicine alle foci dei fiumi Chienti e Potenza: per arrivarvi dovevano remare per sette-otto chilometri, cosa di per sé già molto impegnativa, dato il peso della barca, che raggiungeva o superava i dieci quintali. Ovviamente la stessa distanza doveva essere coperta al ritorno, a volte ricorrendo all’ausilio dell’arzana, cioè del traino della barca effettuato da alcuni pescatori sulla riva, tramite una resta. Fatica, sudore, sacrificio, ma anche entusiasmo: sono queste le caratteristiche della pesca con la sciabica, attività che univa tra loro le persone, rendendole un gruppo compatto, una sinergia di contributi davvero esemplare. L’attenzione massima nella cala della rete, la sincronia dei movimenti nel suo recupero, il ritmo incalzante dei passi all’indietro sulla spiaggia, l’emozione dell’apertura del sacco che arriva sulla battigia: sono come fotogrammi di un film senza tempo, le fasi di una rappresentazione che, appena terminata, è pronta a ricominciare. Un giorno con gli sciabecotti Il cielo è ancora buio e la brezza di terra pettina la superficie del mare. Sulla spiaggia, nella penombra, alcuni uomini spingono una barca, facendola scivolare sulle palanche, fino ad incontrare l’acqua. A poppa è sistemata la rete, pronta ad essere calata per la pesca. Gli uomini salgono a bordo e si mettono a remare verso il luogo dal quale inizierà la cala della sciabica. Sulla spiaggia qualcuno cammina nella stessa direzione, in attesa di ricevere il capo della fune di recupero della rete. L’ aria della notte è piuttosto fresca; per tenersi caldi i pescatori indossano una maglia, sulla quale hanno già infilato il collare che li aiuterà nelle 183 La lancetta, con la rete sulla “graténa” entra in acqua fasi successive della loro attività. L’alba non è ancora spuntata e il paese, al di là della ferrovia, dorme; il silenzio è rotto solo dal passaggio di un treno che sferraglia solitario, fino a scomparire in lontananza. Quando la barca arriva sul luogo scelto per la pesca, la fune di recupero della rete viene lanciata a terra e presa in consegna da chi la stava aspettando. Ci siamo: la cala della sciabica può iniziare. Mentre la barca si allontana dalla riva verso il largo spinta dai remi, la prima a scendere in acqua è la resta, la fune di recupero il cui capo è già in mano ai pescatori sulla battigia. Quando la corda è finita, gli uomini a bordo iniziano a mettere in mare la rete, descrivendo un arco: si comincia con la prima ala della sciabica, si passa successivamente al sacco, si prosegue con la seconda ala. Completata la cala della rete, la barca si avvia verso riva, lasciando in acqua la seconda fune di recupero, il cui capo verrà affidato ad altri uomini a riva. Il grande arco è, finalmente, disegnato sulla superficie del mare: le operazioni di recupero possono avere inizio. I due gruppi di uomini cominciano il loro compito: aiutandosi con il collare, in fila indiana afferrano la corda e indietreggiano sulla spiaggia, ritmicamente, come stessero interpretando un’antica danza. Quanta forza mettano lo rivelano le impronte dei piedi sulla sabbia, profonde e 184 nette, equidistanti tra loro. Aiutandosi con mani, braccia e spalle, i pescatori portano a riva metri di fune, avvicinando sempre più l’arco di rete alla spiaggia. La corda recuperata viene raccolta in modo ordinato, disponendola a cerchi sovrapposti, in modo che sia pronta per il successivo utilizzo. Contemporaneamente i due gruppi di recupero cominciano a ridurre la distanza che li separa, stringendo progressivamente l’arco della rete, segnalato sulla superficie dell’acqua dai galleggianti. Il chiarore dell’alba ormai illumina lo scenario di pesca: ai primi raggi del sole scintillano d’argento i cefali che cercano di sfuggire alla rete provando a scavalcarla. A riva, intanto, sono giunte le parti iniziali delle due ali della sciabica: i gruppi di recupero sono adesso molto vicini tra di loro e aumentano il ritmo della loro azione. I pescatori, per evitare che i pesci scappino sul fondo, tengono il più possibile bassa l’estremità inferiore della rete. Il sacco, con le sue maglie fittissime, è a pochi metri Gli sciabecotti recuperano l’ultima parte della sciabica 185 da riva: l’animazione dei pescatori aumenta, c’è gran voglia di vedere quanto pesce contenga. Come già avvenuto per la resta, anche la rete viene raccolta a cerchi sovrapposti, pronta ad una nuova cala. Con un ultimo sforzo gli sciabecotti tirano il sacco sulla battigia e, disponendosi a cerchio, pian piano lo aprono. Ai loro occhi appare un argenteo tappeto palpitante di vita: papalina, sardoncini, mojelle, àgore (28), anche qualche triglia, si dimenano sul fondo del sacco, tra alcune foglie verdi d’alga. E’ tempo di mettere il pescato nelle coffe, preparandolo per la successiva vendita, cui provvederanno le pesciarole. Agli uomini non resta che caricare sulla barca funi e rete e riprendere il mare per un’altra cala: c’è tempo per pescare ancora, a casa aspettano fiduciosi pesce per la tavola e qualche lira per tirare avanti. I pescatori sistemano “reste” e rete per una nuova cala LE AZIENDE NEL NOSTRO TERRITORIO L’Istituto Santo Stefano, una realtà preziosa L’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano intreccia la sua esistenza con quella di Porto Potenza Picena ed è opportuno conoscere, seppure a grandi linee, come è nato e come si è sviluppato il rapporto tra l’importante struttura sanitaria e la cittadina che la ospita. Nel 1923, il conte Gian Carlo Conestabile della Staffa, di nobile e generosa famiglia perugina, venne a Porto Potenza e acquistò un terreno in riva al mare(29). Vi costruì un edificio che, negli anni successivi, ospitò gratuitamente dapprima vedove e orfani perugini della guerra mondiale, poi fanciulli di Perugia (in luglio) e di Assisi (in agosto), predisposti alla tubercolosi. La grande struttura, successivamente, divenne ospedale e prese il nome di Istituto Chirurgico Elioterapico Divina Provvidenza. Nel 1961(30), visto che un numero crescente di posti-letto non veniva utilizzato per mancanza di richieste di ricovero, venne valutata la possibilità di orientare la struttura assistenziale verso nuove forme di ricovero con soggetti diversi. L’amministratore unico, il conte Alessio Conestabile della Staffa, fratello del già citato Gian Carlo, nel marzo 1961 organizzò a Roma un incontro cui presero parte l’Avv. Giuseppe Cassano, suo genero, il dottor Gualtiero Bugatti, suo procuratore, e il dottor Lanfranco Ricchi, direttore amministrativo del “Divina Provvidenza”, per l’avvio di una valida soluzione alternativa. La via scelta fu quella del ricovero di pazienti spastici, soggetti necessitanti di ricovero per cure riabilitative. Su delega del conte Alessio, il dottor Ricchi prese contatti con il Ministero della Sanità e a 187 Roma consegnò la documentazione relativa all’esecuzione di alcune modifiche necessarie per trasformare la struttura portopotentina, accogliendo non più malati sanatoriali ma invalidi civili, necessitanti di riabilitazione fisica e mentale. Il Ministero consigliò la scelta del prof. Maurizio Formica, della Clinica Neurologica dell’Università di Roma, che divenne responsabile medico del programmato istituto di riabilitazione. Egli seguì con grande cura l’organizzazione della nuova struttura e la ricerca del personale specializzato per le attività di fisiochinesiterapia, logoterapia e terapia occupazionale. Tutto il piano terra del padiglio- 188 Pazienti durante la elioterapia, anni Sessanta ne “Nord” del Divina Provvidenza (familiarmente noto come Santo Stefano perché posizionato nei pressi di un’abitazione privata nella cui prossimità era funzionante una cappella intitolata al Protomartire) venne interessato dai lavori di trasformazione. Quando fu realizzato il complesso “Divina Provvidenza”, nella zona nord di Porto Potenza c’erano poche case, per cui esso veniva chiamato dalla popolazione locale “La Colonia”, data la sua posizione isolata e anche per via dell’attività promossa dalla Famiglia Conestabile della Staffa, volta ad ospitare gratuitamente tanta gente umbra. A fine giugno 1962, tutto il piano terra del padiglione Nord era pronto con le sue camere di degenza, i servizi igienici rinnovati, il refettorio, le sale di terapia, l’ambulatorio medico e altre importanti dotazioni. Il dottor Ricchi propose di intitolare la nuova struttura “Istituto di Riabilitazione Santo Stefano” e tale denominazione venne accettata dal presidente Alessio Conestabile della Staffa e dagli altri suoi collaboratori. Il 4 agosto 1962, con diciotto giovani, iniziò ufficialmente la vita dell’istituto, organizzato per accogliere gli adolescenti invalidi che necessitavano di cure per il recupero globale. La benedizione dei locali venne impartita da don Angelo Panicciari, cappellano dell’Istituto. Nell’ottobre dello stesso anno prese avvio la prima classe dell’Avviamento Professionale – inizio di una lunga e proficua collaborazione con la Scuola pubblica – e gli insegnanti si Interno del giardino dell’Istituto 189 posero il problema preliminare della formazione avviando lo sviluppo della personalità, dando fiducia e sicurezza agli allievi. Nel marzo 1963 gli ospiti erano già cento e provenivano da tutta Italia; nell’ottobre 1965 il numero era salito a duecentocinquanta. La preziosa e competente attività del “Santo Stefano” venne apprezzata da vari Ministri della Sanità che si succedettero negli anni: a Porto Potenza arrivarono, nell’ordine, Giulio Pastore, Camillo Ripamonti, Remo Gaspari e Vittorino Colombo. La crescente richiesta di ricoveri da tutto il territorio nazionale impose alla dirigenza dell’istituto l’ampliamento della struttura esistente: il modo più rapido fu quello di riconvertire il contiguo istituto “Divina Provvidenza” in centro per invalidi civili, che fornì altri trecentocinquanta posti letto. Nel contempo, nella zona nord venne realizzato il palazzo degli studi, con ben ventiquattro locali destinati alla didattica. Nel marzo 1969 il conte Alessio, per ragioni di salute, lasciò la carica di presidente del consiglio di amministrazione al genero, l’avv. Giuseppe Cassano. Il primo ottobre 1969 nacque la “Comunità Santo Stefano”, concreta testimonianza di inserimento nella società dei giovani dimessi dal Santo Stefano; l’inaugurazione ufficiale della casa comunitaria ebbe luogo il 23 gennaio 1970. Tale casa chiude il ciclo di riabilitazione e segna lo sbocco logico dell’opera dell’Istituto, dedicata al recupero dei suoi ospiti. Il 3 febbraio 1970 morì il conte Alessio, che aveva vissuto nell’umiltà e nella dedizione e che aveva scelto di vivere nella semplicità e nella povertà di una cameretta all’ultimo piano del grande istituto per essere più vicino agli ospiti. Il ”Santo Stefano” diede impulso alla realizzazione di due scuole, una per terapisti della riabilitazione e una per educatori specializzati. Il 30 marzo 1972 alla presidenza del consiglio di amministrazione giunse il prof. Bruno Fida. Nel maggio 1973 nacque la Società Cooperativa di lavoro a responsabilità limitata, che diede concreto sbocco occupazionale ad una trentina di ricoverati: è il superamento della emarginazione e l’affermazione del diritto alla vita e alla convivenza tra uguali, principio fondamentale del vivere civile. Nel 1974, a seguito della crescente richiesta di ricoveri e della assoluta indisponibilità di posti letto liberi, il dottor Ricchi suggerì al prof. Fida la realizzazione di un incontro con vari medici provinciali per studiare qualche iniziativa per rispondere positivamente alle richieste di famiglie con figli necessitanti di assistenza riabilitativa. Il prof. Fida accettò la proposta e affidò al dottor Ricchi l’incarico di provvedere a vari incontri con i medici provinciali di Marche, Abruzzo e Molise. Il primo centro ambulatoriale “Santo Stefano” nelle Marche fu inaugurato il 7 Settembre 1974 con la presenza del Sottosegretario alla Sanità, on. Franco Foschi. Nel tempo sono stati aperti numerosi altri centri ambulatoriali nelle Marche e in altre regioni. Nel 1985 divenne presidente del CdA del Santo Stefano il prof. Cosimo Cassano. Ulteriori lavori edili permisero l’aggiornamento di vari padiglioni per la riabilitazione ospedaliera post-acuzie, di nuovi uffici amministrativi; si è ristrutturato un edificio per un centro diagnostico di elevato livello specialistico. Il 9 marzo 1998 morì il prof. Cosimo Cassano; alla presidenza lo sostituì il dottor Antonio Rosali, dimessosi nel 2006. La carica è stata, poi, assunta dal dottor Mario Ferraresi. Il 15 Giugno 2007, a Milano, presso la sede del Gruppo De Benedetti, si sono incontrate la presidenza dell’Istituto di Riabilitazione “Santo Stefano” e la “HSS”, la Holding Sanità e Servizi del Gruppo CIR. Le due parti hanno sottoscritto un contratto con il 190 Suore della Carità “Cappellone”, in servizio presso l’Istituto, fine anni Cinquanta Infermiere in posa, anni Sessanta 191 Pulizia delle tazze, anni Sessanta Ospiti dell’Istituto, anni Sessanta 192 quale la “HSS” ha acquistato il 100% della “Santo Stefano SpA”: in base a tale accordo il gruppo marchigiano mantiene la piena autonomia operativa, con mandato a qualificare i servizi erogati nella Regione Marche e di espandere la sua attività nel centro Italia e lungo la dorsale adriatica. Conservati anche i livelli occupazionali e confermato il management del “Santo Stefano”, con il dottor Ferraresi che resta presidente e con il dottor Enrico Brizioli amministratore delegato. La popolazione locale deve molto all’Istituto Santo Stefano, sia dal punto di vista occupazionale che da quello dell’alto valore morale e sociale della sua lunga e lodevole attività. In questa grande struttura, ora unanimemente riconosciuta come una delle più importanti nel panorama sanitario nazionale e internazionale, si è sempre lavorato con impegno a favore di chi dalla vita ha avuto meno, contribuendo alla costruzione della società dell’uomo per tutti gli uomini. Oltre all’alto livello di aggiornamento tecnico e scientifico, l’istituto si è meritato la fiducia della gente per essere una comunità di vita, una frontiera avanzata di una umanità più consapevole, verso la piena affermazione di ogni singola personalità, al di là del dolore, della compassione, avendo ben presente il senso della libertà nella società e della pari dignità degli uomini. Architettura dell’interno, anni Sessanta 193 L’Aeronautica Militare Stemma del 14° Gruppo Radar Da vari decenni l’Aeronautica Militare è una presenza familiare sul nostro territorio comunale. La decisione di costituire in loco un Centro Radar, che contribuisse ad assicurare la difesa aerea sui nostri cieli, venne presa dallo Stato Maggiore aeronautico nell’Aprile del 1956(31). Così, da tanti anni, giorno e notte, il personale militare del 14° Centro Radar sta operando per garantire l’efficienza degli apparati e la loro migliore utilizzazione. Il compito primario è quello di fornire, via radio, informazioni ai piloti dei velivoli intercettori, realizzando il controllo dello spazio aereo, l’avvistamento, l’intercettazione, l’identificazione, la guida caccia, per impedire violazioni dello spazio aereo stesso. Dal 1° gennaio 2000, a seguito della chiusura del 14° Gruppo Radar, le strutture logistiche site a Porto Potenza sono state acquisite dalla Scuola Perfezionamento Sottufficiali A.M. di Loreto, e quindi impiegate per la ricettività dei frequentatori dei corsi di perfezionamento sottufficiali e dei corsi I.G.P. per sergenti maggiori. Tali strutture sono state incrementate per ospitare circa duecento unità, con alloggi, laboratorio di informatica e multimediale, sistema di videoconferenza, mensa unificata e altro ancora, per permettere lo svolgimento dei compiti istituzionali. Dal 2000 si ospitano anche corsi di perfezionamento per il personale volontario di truppa, appartenente alle diverse categorie professionali e distaccato nei vari settori di impiego della Forza Armata. La base operativa, nel complesso delle sue strutture tecnico-operative, è rimasta sul territorio potentino. Nel corso del tempo, il legame tra l’Aeronautica Militare e la popolazione locale si è fatto sempre più stretto e molte famiglie si sono costituite tra i militari e le giovani del luogo. Il radar del 14° Centro dell’Aeronautica Militare 194 La Società Ceramica Adriatica E’ stata un’azienda particolarmente importante nella storia della nostra realtà locale, avendo dato lavoro a centinaia di famiglie, contribuendo allo sviluppo sociale ed economico del territorio. Sorto nel 1923 con il nome di “Stabilimento Mattonelle Antonelli-Tebaldi”, ebbe un inizio di attività molto difficile, che richiese ingenti capitali per far fronte alle perdite che si verificavano con disarmante regolarità. Ci furono vari tentativi di dare una soluzione definitiva alle frequenti difficoltà economiche, ma, nonostante tutto, nel 1941 venne decisa la chiusura dello stabilimento, che fu posto in liquidazione, vendendo i macchinari che vi si trovavano. Sembrava il malinconico tramonto di un’azienda importante e delle speranze di occupazione per tanta gente, ma non fu così. L’anno successivo, infatti, un gruppo di imprenditori tosco-liguri, dimostrando coraggio e fiducia nel futuro, presero lo stabilimento dall’ I.R.I., con l’intenzione di evitarne lo smantellamento e di farlo tornare operativo, nono- Operai al lavoro, anni Trenta 195 stante le pessime condizioni in cui si trovava. Il lodevole intento, però, trovò sul suo cammino le difficoltà relative alla seconda guerra mondiale, che videro la fabbrica requisita prima dall’Aeronautica Militare Italiana, poi dalle forze repubblichine, successivamente dalle forze alleate e infine dai soldati polacchi, che lo lasciarono alla fine del 1946. Le profonde ferite del terribile conflitto mondiale non scoraggiarono quel gruppo di industriali tosco-liguri di cui si è detto qui sopra: con grande impegno, sia professionale che finanziario, essi ricostruirono lo stabilimento, che riprese a funzionare nell’agosto 1947. Da allora e per molti anni la Società Ceramica Adriatica ha conosciuto un costante sviluppo industriale che l’ha portata ad essere una delle migliori d’Europa nel suo campo produttivo e che ha dato lavoro a parecchie centinaia di persone. Tale successo imprenditoriale ha visto come maggiore protagonista il Comm. Eugenio Quaglia, presidente e amministratore delegato della S.C.A.: era un uomo che aveva la rara qualità di possedere, ad un tempo, doti di illuminata imprenditoria e di sensibilità umana. Oltre che per i suoi successi industriali, seppe distinguersi per iniziative di carattere sociale, tra le quali la realizzazione di un asilo nido e di un doposcuola a Porto Potenza Picena, una colonia montana a Penna San Giovanni, il tutto per accogliere e assistere i figli dei dipendenti della sua azienda. Nel 1958 ad Eugenio Quaglia il presidente della Repubblica conferì il titolo di Cavaliere al Merito del Lavoro, onorificenza meritata con una professionalità davvero notevole. La posizione di prestigio della S.C.A. nel campo industriale nazionale e internazionale durò per altro tempo, poi venne progressivamente perduta per l’affermarsi di aziende concorrenti. Nella storia locale, però, l’attività di questo stabilimento ha lasciato un’impronta indelebile e ad esso il ricordo della popolazione corre ancora con sincera gratitudine. 196 Donne alla scelta delle mattonelle, fine anni Cinquanta inizi anni Sessanta La Fornace Antonelli In posizione collinare, lo Stabilimento Laterizi Antonelli (popolarmente noto come Fornace Antonelli) è stata una delle industrie ‘storiche’ del nostro territorio. Venne fondato da Francesco Antonelli intorno al 1860 e iniziò l’attività produttiva con la fabbricazione a mano di laterizi. Nel 1910, grazie ai progressi tecnologici del tempo, l’azienda introdusse i primi macchinari, con la conseguente soppressione della lavorazione a mano e con un notevole aumento della produzione. La ‘Fornace’ seppe distinguersi per la validità dei suoi prodotti, realizzati con l’ottima qualità dell’argilla ferruginosa usata. La fabbrica seppe costruirsi una vasta clientela, sia in Italia che all’estero: particolarmente rinomate erano le “tegole Antonelli”, le cui caratteristiche erano apprezzate ovunque. Lo stabilimento diede lavoro a tante persone locali nel corso dei decenni, costituendo una importante fonte di reddito per numerose famiglie. Operai della Fornace con il conte Antonelli, anni Trenta Stabilimento conserviero Massalombarda, anni Cinquanta La S.I.F. (Società Italo Francese) Negli anni Trenta del secolo scorso era attiva a Porto Potenza Picena la S.I.F.: si occupava della produzione di conserva di pomodoro e, successivamente, di pomodori pelati. Lo stabilimento, che inizialmente operava con l’energia fornita da un motore a vapore, lavorava stagionalmente, garantendo l’occupazione a varie decine di persone. Nel corso degli anni l’azienda ha cambiato denominazione: è stata la Ditta Alberto Cavalli, la S.I.L.A. (della Federconsorzi), la Massalombarda. Lo stabilimento conserviero, che è stato attivo fino al 1959, presentava la caratteristica ‘ciminiera’, un’elevata costruzione che gareggiava in altezza con la torre quadrata vicina alla chiesa di Sant’Anna e che rappresentava una rilevante peculiarità del paesaggio portopotentino. Il conferimento dei pomodori all’azienda avveniva, nei primi tempi, utilizzando carri trainati da buoi, mezzi di trasporto poi sostituiti dai camion. La S.A.P. (Società Automobilistica Potentina) Nasce nel 1923 e si sviluppa nel trasporto pubblico locale. Negli anni allarga la sua attività con il trasporto da noleggio e attività di scuolabus per i comuni del comprensorio maceratese. Attualmente sono trentacinque i mezzi a disposizione della società. 198 La Bontempi Operai mentre accordano le fisarmoniche, anni Cinquanta Nel 1937 iniziava la sua attività un’azienda destinata a diventare leader mondiale nel suo settore, contribuendo a far conoscere ovunque il nome di Potenza Picena. Fondata da Egisto Bontempi, nasceva la Bontempi, all’inizio azienda produttrice di fisarmoniche; successivamente diventerà protagonista assoluta nella produzione degli strumenti musicali giocattolo. Negli anni Sessanta, con l’avvento dell’elettronica, l’ ing. Paolo Bontempi ha iniziato una nuova grande fase di sviluppo industriale, che ha portato l’azienda ad essere protagonista nel settore strumenti musicali per oltre quarant’anni nei mercati nazionali e internazionali. Puntando sulla tecnologia e sulla qualità, la ditta potentina ha meritato fin da subito la fiducia di una clientela sempre più vasta, divenendo autorevole ambasciatrice del “made in Italy” nel mondo. La ditta Bontempi, mentre dava lavoro a centinaia di famiglie del nostro territorio e diventava punto di riferimento irrinunciabile per l’economia locale, diffondeva i suoi prodotti in ogni angolo del pianeta, permettendo ai bambini di ogni continente di familiarizzare con la musica e di imparare a suonare. La realizzazione degli strumenti musicali giocattolo è sempre avvenuta all’interno dell’azienda, grazie ad uno staff di progettazione di elevato livello tec- nico: una generazione di professionisti si è presa cura dell’elettronica, degli stampi, della qualità e delle certificazioni, fino ai metodi produttivi. L’avvento delle tecnologie informatiche ha trovato pronta la Bontempi a rispondere alle nuove sollecitazioni del mercato, sempre garantendo l’assoluta bontà degli strumenti prodotti, nel rispetto delle attese e della tradizione maturata. Alle notevoli difficoltà che hanno investito il settore a livello globale, sorte soprattutto per la concorrenza dei Paesi asiatici, l’azienda ha risposto senza perdere quote di mercato, conservando quella posizione di prestigio che ovunque le viene riconosciuta. Attualmente la Bontempi produce oltre il 60% della propria collezione di strumenti musicali in Italia, grazie a capacità organizzative e tecnologiche di primissimo livello. Accanto agli strumenti musicali giocattolo, l’azienda potentina, con il brand Farfisa, progetta e introduce nei mercati internazionali prodotti elettronici di fascia medio-alta, strumenti musicali tecnologici, destinati al settore professional. La filosofia di espansione dell’azienda ha portato alla nascita di una nuova società, la Bontoys. Creata per coprire tutto il settore del giocattolo, essa sviluppa e distribuisce una vasta gamma di prodotti legati all’immagine dei più amati personaggi televisivi. Nuove e importanti sfide rilanciate con successo dalla Bontempi sotto la guida dell’attuale presidente Cristina Ficozzi. Operai durante l’assemblaggio delle fisarmoniche, anni Cinquanta La Rogin Nel mondo dell’abbigliamento femminile e del “made in Italy”, la Rogin ha interpretato un ruolo di primo piano. Le origini dell’azienda potentina risalgono al 1962, anno in cui partì il percorso creativo e imprenditoriale dei titolari Alberto Rosciani, Juska Rosciani e Cameranesi. Nata come laboratorio nel quale operavano poche sarte e animata dalla determinazione di entrare a far parte dei grandi protagonisti della moda italiana, la Rogin si è imposta progressivamente all’attenzione generale per la sua creatività, la raffinata qualità dei suoi capi e la professionalità di chi vi ha lavorato. Messasi in luce anche attraverso le partecipazioni a manifestazioni importanti come Pret-à-Porter di Parigi, Pitti Donna a Firenze e Modit a Milano, l’azienda di Potenza Picena divenne una realtà economica di grande valore per il nostro territorio comunale, dando lavoro ad oltre duecento donne e contribuendo al benessere della popolazione locale e del circondario. Le collezioni disegnate da Juska Rosciani hanno saputo emergere nel panorama della moda e dell’eleganza, tenendo ben presenti i valori della tradizione e dando il giusto spazio ad un tocco di modernità che proietta lo stile nel futuro. La Rogin ha meritato riconoscimenti internazionali, come il premio Style, conferito dal Club della Mela di New York, il premio alla carriera Pitti Donna di Firenze, l’Ambrogino d’Oro Città di Milano, il premio Bizarre della Atkinsons Profumi, il premio Smile di Milano. Sfilata di moda, al centro della passerella la sig.ra Juska Rosciani, anni Ottanta 201 La Ceramica Montesanto Nasce nel 1968 per iniziativa di Aldo Gandolfi, già dirigente della Società Ceramica Adriatica, e del figlio Mario. All’inizio l’azienda poteva contare su un unico altoforno, poi, col passare del tempo, la dotazione si è ampliata con altre strutture produttive. Nei primi anni di attività, la Ceramica Montesanto si è avvalsa della competenza tecnica di collaboratori giunti da Sassuolo, i quali hanno insegnato il mestiere ai tanti lavoratori della nostra zona, che non avevano conoscenze specifiche. Nel 1986 l’azienda si è trasformata in cooperativa, alla cui guida è Fabio Mazzieri. I prodotti, realizzati con materiali di ottima qualità, sono apprezzati nei mercati nazionali e internazionali. Costruzioni Nautiche Fratelli Carlini Agli inizi degli anni Trenta, in via De Gasperi di Porto Potenza Picena, nasce il cantiere dei Fratelli Carlini e per circa venti anni costruisce cutter e imbarcazioni da diporto. Note caratteristiche del cantiere sono gli off-shore che vincono nella classe 500 e 1000 cmc dei campionati italiani ed europei. Negli anni Trenta e Quaranta i piloti che vinsero i campionati furono Emilio Osculati, Piero Morosi e l’industriale cinematografico Scaligero Scalera. Ricordiamo il record nazionale su idroscivolante con motore Isotta-Fraschini di 120 km/h. Ennio Clementoni continuò l’arte del maestro d’ascia con vari riconoscimenti nazionali. Le altre aziende di rilievo di un recente passato Prima della seconda guerra mondiale iniziò la sua attività la CAMICERIA MARINA a Porto Potenza Picena, l’azienda operò fino al 1985 grazie alla competente guida di Arnaldo Paniconi. Negli anni successivi, a Porto Potenza Picena cominciarono la loro attività alcune aziende che hanno avuto una certa rilevanza nel tessuto economico locale. L’ ITALORTO, in qualche modo diretta erede della SIF, si è occupata in particolare della lavorazione dei pomodori, preparando confezioni di pelati e di conserve; l’EDALIT è stata una ditta importante nella produzione e vendita di marmettoni, con clientela nazionale e internazionale; la STYLINT, ancora in attività, si è distinta nella realizzazione di capi di biancheria intima e abbigliamento. Grazie all’energia imprenditoriale di Adriano Offidani e Gino Matteucci, queste realtà produttive hanno garantito a molte famiglie una preziosa occupazione, contribuendo allo sviluppo sociale della cittadina rivierasca e dei centri limitrofi. 202 Le realtà produttive di oggi Sono molte e di varia natura le attività economiche del nostro territorio comunale, a testimonianza dell’operosità di chi lo abita. A differenza di un passato più o meno recente, dove figuravano realtà occupazionali con diverse centinaia di dipendenti (ricordiamo, ad esempio, la Società Ceramica Adriatica e la Bontempi), attualmente le aziende locali non raggiungono cifre così alte, anche se alcune contano, comunque, una settantina di lavoratori. Il panorama produttivo mostra imprese artigiane e industriali distribuite sull’intero territorio, con buona concentrazione lungo la Strada Regina. Tra le attività si segnalano quelle relative all’ortofrutta, alla panificazione, alla produzione e lavorazione di componenti per l’industria calzaturiera, alla produzione di ruote per timoni di imbarcazioni, alla produzione di macchine agricole, alla produzione di camicie, all’edilizia, alla pitturazione edile e industriale, alla tipografia, alla falegnameria, alla lavorazione di materie plastiche, alla produzione di scatole e cartoni; di rilievo sono anche le aziende che si occupano della progettazione hardware e software, dell’assemblaggio di parti meccaniche e plastiche, dei circuiti stampati, dell’abbigliamento, di stampi, buste e sacchetti, ceramiche, biancheria, gelati, metalli preziosi con relativa lavorazione; presenti anche quelle che si occupano di coltivazioni agricole, di edilizia, di trasformazione delle uve, del trasporto di linea, di prestazione di servizi di perforazione, della raccolta e trasporto di rifiuti speciali in genere, di lavorazione di fondi per calzature. Attive anche le aziende che producono piastrelle e ceramiche, mobili, infissi e porte, calzature, stampi per suole, cavi elettrici, vini, mole abrasive, materie plastiche, oggetti elettronici ed elettrodomestici; da segnalare anche la presenza di ditte che si dedicano alla costruzione edile, all’automazione industriale, alla falegnameria, alla confezione e imballaggi per conto terzi, ai cablaggi industriali per la realizzazione di prodotti elettromeccanici. Sul territorio sono presenti, inoltre, numerose aziende nel settore del commercio di prodotti alimentari e della ristorazione, varie officine meccaniche e altro ancora. Discorso a parte merita l’Istituto Santo Stefano: come in passato, questa grande struttura sanitaria dà lavoro a centinaia di famiglie, confermando la sua importanza vitale per l’economia locale. Tra le aziende del nostro territorio, tutte mediamente di buon livello, spiccano alcune di eccellenza per i servizi forniti e la qualità dei prodotti. La NSC (National Service Company), operante dal 1985, è attiva nel settore petrolifero, con tecnologie e interventi di alto livello professionale; la Elettromedia, fondata nel 1987, è leader mondiale nel mercato car audio col marchio Audison, producendo amplificatori, altoparlanti e accessori; la “Savoretti Armando & c snc”, nata nel 1965, è prima in Italia nella costruzione di ruote di timone e volanti per imbarcazioni; la Goldenplast SpA, fondata nel 1993, è leader nella produzione dei compounds termoplastici, destinati all’esportazione in tutto il mondo e in vari settori. Data la tradizione agricola locale, una citazione particolare meritano le case vinicole Santa Cassella, la Montesanto e la Montecoriolano, i cui vini sono apprezzati ovunque. 203 ar te e cultura IL POLO CULTURALE La biblioteca comunale Sita in via Trento, la biblioteca comunale, gestita dal 2005 da un’associazione culturale, è articolata in due sezioni, l’antica e la moderna. In totale vi sono conservati oltre 21.000 volumi, patrimonio che si arricchisce con frequenti donazioni di enti pubblici e di privati. La sezione moderna dispone di una buona dotazione di testi di storia locale e di storia e cultura marchigiana. Particolarmente ricco è il settore della narrativa, della poesia e della critica letteraria. Sono presenti circa 90 periodici (mensili, settimanali, quotidiani, ecc.), compresi quelli in abbonamento, in donazione e in disuso; disponibile anche una buona dotazione di materiale multimediale, relativo ad enciclopedie, film e musica. Ricco è il settore dedicato all’infanzia e all’adolescenza, che dispone di varie opere pedagogiche destinate a genitori ed educatori. Da sottolineare, inoltre, l’esistenza di un fondo musicale, intitolato ai donatori “Diegi-Beltrami”, che comprende le partiture di 96 opere classiche, custodite in un mobile apposito. La sezione antica della biblioteca comprende circa 1.600 opere, tra libri a stampa e opuscoli manoscritti. I più numerosi sono libri dei secoli XVII e XVIII, le “cinquecentine” sono circa 140; è presente anche un incunabolo ben conservato ma acefalo (mancano i primi sette fogli), con capilettera dipinti a mano in inchiostro rosso e blu. Si conservano anche 42 manoscritti librari. La biblioteca di Potenza Picena ha registrato un incremento notevole nel numero degli utenti, che arrivano da tutto il territorio comunale potentino e dai comuni limitrofi. La biblioteca, che dispone anche di quattro postazioni di PC, offre numerosi servizi e organizza interessanti iniziative per la promozione della lettura tra i bambini e i ragazzi. 205 L’archivio storico comunale Attiguo alla biblioteca è l’archivio storico comunale. Esso custodisce documenti relativi ad un lunghissimo periodo di tempo, dal XIII al XX secolo. La documentazione più antica è composta da circa 160 volumi di atti consiliari, “istrumenti”, camerlenghi (atti della tesoreria del Comune), catasti, ecc., dei secoli XIV-XVIII, e da materiale membranaceo (144 pergamene, di cui la più antica è del 1252 e la più recente è del 1672). Il documento cartaceo più antico è un registro catastale del 1369-70. L’archivio è articolato in una parte relativa al periodo dell’ “Ancien Régime” (dal Medioevo al 1808), in una seconda riguardante l’età napoleonica (18081815), in una terza che va dalla fine del potere napoleonico in Italia all’unità italiana (1816-1860) e una quarta che comprende il periodo successivo all’unità della Penisola. La documentazione relativa all’ “Antico Regime” si divide, a sua volta, in un archivio “privato” o “segreto” e in un archivio generale. Nella prima di queste ripartizioni vi sono gli statuti comunali del XVI secolo, copia manoscritta degli statuti confermati e approvati da Papa Eugenio IV nella prima metà del 1400, con capilettera in inchiostro color seppia, rosso o verde. Di rilievo sono anche le Reformationes, una raccolta di leggi e decreti desunta dai Libri dei Consigli (ante 1526-1619), oltre ai già citati Consigli Comunali, che si riferiscono ad un periodo di tempo che va dal XIV secolo al 1808 (con lacune) e ai documenti riguardanti il Camerlengato (1481-1809). Ricca è pure la documentazione che ha per oggetto il Monte di Pietà (dal 1558 al 1838) e anche quella relativa agli atti notarili, suddivisa in base al notaio. In periodo napoleonico i documenti sono distinti in 12 categorie e ogni categoria in rubriche. Da segnalare, tra gli archivi aggregati, quello dell’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza): esso conserva documenti che vanno dal XVIII secolo al 1978. 206 La fototeca comunale “Bruno Grandinetti” Il 6 Luglio 2007 è avvenuta l’inaugurazione della fototeca comunale “Bruno Grandinetti”, ospitata in alcuni locali del complesso della chiesa e del monastero di Santa Caterina, in corso Vittorio Emanuele a Potenza Picena. La realizzazione della nuova istituzione culturale è stata possibile grazie alla donazione, effettuata dagli eredi, del grandissimo fondo fotografico di Bruno Grandinetti. Questi è stato testimone fedele e prezioso della storia locale dal 1950 in avanti: davanti all’obiettivo della sua macchina è fluita la vita della gente locale, sono passati gli eventi più significativi di una comunità operosa, legata alle sue tradizioni, giustamente fiera delle sue radici. La fototeca conserva un vero e proprio tesoro: per ciò che concerne il materiale strettamente fotografico, vi sono circa 15.000 stampe (in bianco e nero, a colori, alcune ritoccate a mano, altre ancora da inventariare), più di 50.000 negativi (dalle lastre in vetro ai sali di bromuro d’argento degli anni ’50 alle più recenti pellicole), circa 20.000 diapositive. Gli ‘scatti’ di Bruno Grandinetti rappresentano una documentazione di inestimabile valore, una fonte inesauribile di personaggi, storie, tradizioni scritte con le immagini, con grande sensibilità e impareggiabile perizia tecnica. Il grande fotografo potentino si è pure dedicato, con la consueta maestria, alla documentazione dei beni artistici del Comune di Potenza Picena. Donazione di apparecchiatura fotografica della famiglia Bruno Grandinetti 207 Nella fototeca possono essere ammirate anche varie attrezzature fotografiche di epoche diverse, importanti testi tecnici relativi al mondo fotografico e una rilevante emeroteca specializzata, nella quale spiccano i numeri della rivista “Progresso Fotografico”, molto quotati nel mercato antiquario. Il grande patrimonio donato al Comune dalla famiglia Grandinetti costituisce una realtà culturale di notevole valore, una eccezionale opportunità di consultazione e studio per tutti coloro che vogliano approfondire la conoscenza del territorio comunale potentino. Inaugurazione della Fototeca Comunale “Bruno Grandinetti” 6 luglio 2007 208 LA MUSICA Monte Santo ha un lungo e importante rapporto con la musica. Grazie a recenti studi di Paolo Peretti e Fabio Quarchioni(32), possiamo disporre di informazioni utili a ripercorrere il cammino coperto dai cultori delle sette note nel nostro territorio comunale. Se dati certi mancano relativamente al periodo più antico, indicazioni più precise arrivano con il basso Medioevo: in quel periodo la musica veniva praticata nelle chiese e nelle comunità religiose, particolarmente presenti nella nostra realtà urbana del tempo, come la francescana, l’agostiniana e la benedettina. Nel secolo XV si mise in luce un tal Paolo da Montesanto, musico di eccellente talento, che fu cantore presso la corte pontificia. Nella prima parte del Cinquecento la musica dovette essere praticata anche come intrattenimento mondano e privato nell’ambito delle famiglie aristocratiche e tra gli intellettuali che le frequentavano. Agli inizi del Seicento ebbe una certa rinomanza Dionisio Pettorali da Montesanto, cantore contralto della cappella di Loreto; intorno alla metà dello stesso secolo si realizzò l’attività musicale del frate agostiniano Girolamo Amadori da San Costanzo, originario del Pesarese ma venuto a risiedere nella nostra città, probabilmente esercitando la sua arte presso la chiesa di Sant’Agostino. Nella secondà metà del Seicento, nel monastero francescano di San Tommaso, seppe emergere in campo musicale la clarissa suor Angela Benedetta Bongiovanni, nativa di Servigliano. Il suo talento artistico si manifestava quando suonava il clavicembalo e anche quando cantava accompagnandosi con esso. I secoli XVIII e XIX ci regalano un panorama più ricco di informazioni sulla musica della nostra realtà locale. Gli studiosi citati invitano ad individuare tre ambiti, in particolare, nell’attività musicale santese del Settecento e dell’Ottocento: 1) la musica presso le dimore di famiglie aristocratiche; 2) la musica vocale e strumentale nelle chiese; 3) la musica cittadina e l’istruzione musicale pubblica. Tra le famiglie nobili di Monte Santo, che dedicarono uno spazio importante alla cultura musicale, vi è quella dei Compagnoni Marefoschi. A palazzo si faceva musica sia per occasioni sacre che profane: si tenevano feste da ballo, nelle quali si eseguivano sia brani strumentali che vocali-strumentali; si svolgevano celebrazioni liturgiche, nella cappella privata o nelle chiese che erano sotto il patronato della potente famiglia, e feste religiose. Anche i conti Bonaccorsi seppero onorare la musica, tanto che nella loro villa era operante un corpo filarmonico al completo, detto “del Giardino”. Un evento importante nel campo della musica di chiesa si ebbe nel 1754, in occasione dell’innalzamento a Collegiata insigne dell’antica Pieve di Santo Stefano. Venne deciso di dotare la chiesa di un organo nuovo e di stipendiare un organista in forma stabile. Negli anni successivi si cercò di affidare gli incarichi di organista e di maestro di cappella ad un’unica persona. Tra i religiosi musicisti si può ricordare il frate minore conventuale Antonio Maria Costantini, originario di Monte Santo, che fu attivo nella prima metà dell’Ottocento, producendo centinaia di composizioni musicali per le feste dell’anno liturgico. Tra gli altri suoi incarichi, fu apprezzatissimo maestro di cappella ad Assisi e Padova. Nel 1832 Monte Santo ebbe il suo primo mae- 209 Il maestro Bruno Mugellini stro pubblico di musica: tale compito venne assegnato all’ascolano Leopoldo Angelini – da tre anni residente nel centro collinare – che doveva impartire lezioni gratuite a quattro allievi del luogo, provenienti da famiglie “non possidenti”. Con Settimio Barlesi, nel maggio 1861, la figura del maestro comunale si occupò contemporaneamente dell’istruzione degli allievi, della direzione della banda e dell’istruzione dei suoi membri. La banda musicale di Monte Santo vide la luce nel novembre 1842 e fu posta sotto l’alto patronato del cardinale Filippo De Angelis, arcivescovo di Fermo. A presiederla erano i conti Filippo Bonaccorsi e Camillo Compagnoni Marefoschi, rappresentanti delle due più note famiglie nobili del territorio. Nel 1947 avvenne la ricostituzione post-bellica della banda musicale, affidata alla pregevole direzione del maestro Edgardo Latini. Sono molti e di talento i potentini che seppero distinguersi in campo musicale. Non possiamo, per ragioni di spazio, elencarli tutti ma riteniamo opportuno dedicarci ad alcuni di loro. BRUNO MUGELLINI (Potenza Picena 1871 - Bologna 1912) compì i suoi studi di composizione e pianoforte al liceo di Bologna, guidato dai maestri Tofano, Busi e Martucci. A soli 24 anni compose il poema Alle fonti del Clitunno, che ebbe l’onore di dirigere alla Scala di Milano; a 26 divenne insegnante di pianoforte al liceo del capoluogo emiliano, poi ne assunse la direzione. Il suo talento concertistico gli meritò molti successi sia in Italia che all’estero: Mugellini, del quale vennero particolarmente apprezzate la tecnica e la sensibilità artistica, fu interprete impareggiabile di titani della musica come Bach e Chopin. La fama del nostro grande musicista è legata anche al Metodo di esercizi tecnici, autentica e irrinunciabile guida in particolare per gli studenti di pianoforte. A Bruno Mugellini, Potenza Picena ha intitolato il suo splendido teatro nel 1933. 210 GIAMBATTISTA BONI (Potenza Picena 1875 - Fermo 1964) divenne sacerdote presso il Seminario Arcivescovile di Fermo e si impegnò nella propaganda della musica sacra, dando vita alla Cappella Aloisiana, rivista mensile con testi e musica per voci bianche, cui diedero il loro contributo, tra gli altri, noti maestri come Amadei, Lazzarini, Matthey e Tebaldini. A 33 anni, come ci informa Norberto Mancini nelle sue Visioni Potentine (33), diventò organista della Collegiata S. Michele Arcangelo di Fermo e direttore della Schola Cantorum dei seminari regionale e diocesano. Grazie alla sua infaticabile opera, la musica sacra conobbe grande diffusione e riscosse interesse sia nella diocesi fermana che oltre i confini di essa. Giambattista Boni, che si distinse nelle produzioni musicali ed editoriali, compose undici Messe: la nona riscosse il convinto apprezzamento del Maestro Perosi. FLAVIO CLEMENTONI (Potenza Picena 1886 - Fano 1958) studiò sotto la guida dei Maestri Amilcare Zanella e Antonio Cicognani, rispettivamente direttore e vicedirettore del conservatorio “Rossini” di Pesaro. A Loreto frequentò altri importanti personaggi del panorama musicale del tempo, come i maestri Ulisse Matthey e Giovanni Tebaldini, dai quali seppe trarre preziosi insegnamenti. L’attività artistica di Flavio Clementoni aveva il dono della spontaneità, della fantasia, della originalità e si meritò il plauso di istituzioni a livello nazionale. Tra le sue opere più note ci sono le composizioni corali Ave Maria, Il Cantico delle Creature, l’opera in tre atti Il ritratto della mamma e, soprattutto, Mater Dei, oratorio in tre parti, per cori, soli e grande orchestra, sul quale diedero giudizi molto positivi Pietro Mascagni e Lorenzo Perosi. Degne di nota anche le quattro Messe da requiem dedicate alla figlia Maria Luisa. ARTURO CLEMENTONI (Potenza Picena 1894 - Ascoli Piceno 1984) si diplomò al conservatorio “Rossini” di Pesaro in direzione e strumentazione a vent’anni; dopo la prima guerra mondiale proseguì gli studi e conseguì il diploma di organo e di composizione organistica. A Flavio e Arturo Clementoni con la madre Annunziata 211 212 Il maestro Edgardo Latini con la banda musicale, durante una manifestazione nella chiesa di San Francesco, anni Ottanta Loreto si perfezionò sotto la guida dei maestri della basilica lauretana, Barbieri, Tebaldini e Matthey. Le sue qualità gli meritarono la direzione della Cappella di San Nicola a Tolentino e quella di S. Emidio ad Ascoli Piceno. In quest’ultima città diede vita alla Scuola Ceciliana per i giovani della diocesi e alla Scuola Gregoriana nel monastero di clausura delle Benedettine. Nel capoluogo piceno divenne direttore artistico del teatro Ventidio Basso. Il suo capolavoro di musica sacra è la Missa Jubilaris, premiata da Papa Pio XII con la Commenda dell’Ordine di San Silvestro. Le sue composizioni vengono tuttora eseguite in ambito nazionale e internazionale. La musica del nostro territorio comunale deve molto al maestro EDGARDO LATINI. Nativo di Morrovalle, fin da bambino aveva manifestato il suo talento per la musica. Frequentati i Conservatori “Rossini” di Pesaro e quello romano di “Santa Cecilia”, si diplomò in strumentazione e composizione. Docente di ruolo di educazione musicale nelle Scuole Medie, diresse una scuola per pianoforte, chitarra e organo elettronico a Civitanova Marche. Nel suo palmares figurano successi in vari concorsi di musica leggera e classica. In virtù della sua grande preparazione e maestria, nel 1947 gli venne affidato il compito di riorganizzare la banda musicale e la scuola di musica a Potenza Picena. Grazie alla sua guida, la banda musicale è diventata una delle migliori delle Marche. Il maestro Edgardo Latini è stato uno dei maggiori collaboratori della Schola Cantorum per la quale fu apprezzato organista. In questi ultimi anni hanno messo in evidenza il loro talento musicale i fratelli Reggioli. ENRICO REGGIOLI (classe 1965), diplomato in pianoforte principale al Conservatorio “Rossini” di Pesaro e in Direzione orchestrale a Pescara, è un apprezzato maestro d’orchestra dal 1999. Da allora ha maturato un ricco bagaglio di esperienze lavorando a fianco di Maestri come Acs, Morandi, Renzetti e, dal 2008, Oren. Al suo attivo figurano direzioni d’orchestra in Italia e all’estero. Nel 2002, a Yokohama, ha diretto l’orchestra internazionale di Tokyo nelle prove del concerto The three Tenors, collaborando con Carreras, Domingo e Pavarotti. Tra le sue apprezzate direzioni vi sono quelle dell’Orchestra Sinfonica del teatro di Limoges, dell’Orchestra “Verdi” di Salerno, dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Budapest, dell’Orchestra Filarmonica delle Marche, dell’orchestra del teatro “La Monnaie” di Bruxelles. Tra le opere da lui dirette figurano Il Trovatore, Falstaff e Un ballo in maschera di Verdi, Cavalleria Rusticana di Mascagni, Pagliacci di Leoncavallo, L’Italiana in Algeri e La Cenerentola di Rossini, L’Elisir d’amore di Donizetti. SERGIO REGGIOLI (1970), all’età di soli sei anni, ha avuto il primo approccio con il violino; poi, nel 1992, si è diplomato al conservatorio “Rossini” di Pesaro. Nei primi anni ’90 ha frequentato la scuola di Mogol (CET), facendo le prime esperienze con la composizione di canzo- 213 ni e brani strumentali, avvicinandosi al mondo della musica pop-rock e collaborando con autori e compositori dei Nomadi. Nella storia musicale di Sergio ha avuto grande importanza l’incontro con il civitanovese Giuseppe Gismondi (già chitarrista di Ivan Graziani). Nel 1998 Reggioli ha fatto il suo ingresso nei Nomadi; nel 2006, con loro, ha vinto la classifica ‘Gruppi’ al Festival di Sanremo, centrando anche il secondo posto assoluto. Con il mitico gruppo emiliano, Sergio ha al suo attivo diverse partecipazioni al Concerto del Primo Maggio a Roma; suona il violino in modo eccellente e ha dato un contributo notevole al rinnovato successo dei Nomadi; è bravo anche con le percussioni, le chitarre acustiche ed elettriche, i flauti, la tromba e altri strumenti. I Nomadi al festival di Sanremo nel 2006 214 Schola Cantorum Santo Stefano E’ la più antica istituzione cittadina: vide la luce nel 1796, per volontà del Preposto della Collegiata di Santo Stefano, passata dall’antica Pieve, che si trovava nella piazza principale, nella chiesa di S. Ignazio, divenuta Chiesa Parrocchiale. Siccome ci si era dotati di un organo, si pensò alla costituzione di una corale che prestasse il suo servizio accompagnando la popolazione di Monte Santo nel suo cammino di fede. La Schola Cantorum effettuò il suo primo servizio in occasione della celebrazione della Santa Messa nel giorno di Pasqua, il 27 marzo 1796. Da allora, giovandosi del talento di grandi uomini di musica, è arrivata fino a noi, mutando il nome in quello di Corale Santo Stefano. In oltre due secoli di vita, essa è cresciuta sia nel numero dei suoi componenti sia nella qualità delle interpretazioni, con un vasto repertorio che comprende, tra l’altro, composizioni polifoniche, spirituals e musica moderna. Moltissimi i luoghi dove la Corale Santo Stefano si è esibita: da molti centri marchigiani, a numerose città italiane, a località estere come Zante (Grecia), Berlino, Budapest, Stettino (Polonia). Il 10 settembre 1995 ha avuto l’onore di cantare a Montorso di Loreto in occasione della Santa Messa celebrata da Sua Santità Giovanni Paolo II, nell’ambito dell’incontro con i giovani d’Europa. 215 Corale Sant’Anna Nata a Porto Potenza Picena nel 1985 per iniziativa di appassionati di musica, la Corale Sant’Anna ha un organico a voci miste e si compone di oltre trenta elementi. Il suo repertorio spazia dalla polifonia classica rinascimentale alla musica contemporanea. Nonostante la sua ancora breve esistenza, ha fatto registrare un gran numero di esibizioni, relative sia all’attività liturgica che concertistica. Tra i luoghi dove la Corale Sant’ Anna ha cantato ci sono i Santuari della Madonna del Rosario di Pompei, di San Gabriele, di Santa Rita da Cascia; le Basiliche della Santa Casa di Loreto, di San Francesco d’Assisi, di San Pietro a Roma e di Sant’Antonio a Padova, il duomo di Fermo e quello di Macerata. Si è esibita anche in diretta televisiva su Raiuno, in occasione della Santa Messa celebrata nella chiesa dell’Istituto Santo Stefano dall’Arcivesco di Fermo, Gennaro Franceschetti; ha preso parte a diverse rassegne musicali, tra cui il Festival Internazionale di canto corale Alto Adige, e ha cantato anche in Slovenia. Presta servizio liturgico nella chiesa del Corpus Christi, a Porto Potenza Picena nelle più grandi solennità. 216 L’organo da sala di Giovanni Fedeli Tra i tesori d’arte e di storia che Potenza Picena custodisce, un posto di rilievo lo merita uno straordinario organo da sala, opera del maestro organaro camerte Giovanni Fedeli (17111782). Ospitato nell’ex chiesa di Sant’Agostino, è uno strumento di particolare pregio, che appartenne alla famiglia dei nobili Compagnoni Marefoschi: successivamente venne portato nella chiesa delle monache Clarisse di San Tommaso, prima di trovare la collocazione attuale. L’anno di costruzione del prezioso organo è il 1757: l’autore e la datazione sono documentati da un’iscrizione rilevabile dietro il piede della canna centrale di facciata e da una scritta su altra parte dello strumento. La ‘mano’ del Fedeli, inoltre è riconoscibile da alcuni dettagli stilistici nella decorazione dell’organo. Questo, racchiuso in una artistica cassa lignea decorata ad intarsio, ha la tastiera che presenta preziose copertine in osso su alcuni tasti. Le splendide canne interne sono costituite della stessa lega di stagno di quelle di facciata (anziché essere di piombo, come di regola) e in essenza di castagno. Grazie ad un intervento di restauro eseguito con eccellente maestria, l’organo è tornato allo splendore originario ed è stato possibile ripristinare la sua inimitabile qualità sonora. La ‘creatura’ del Fedeli, grazie alle sue caratteristiche, è utilizzabile per l’impiego solistico, per il dialogo con altri strumenti o con la voce. Attualmente l’organo da sala è collocato al centro della zona absidale della ex chiesa di Sant’Agostino, sotto un grande dipinto di Piero Tedeschi (1750-1805) raffigurante la Maddalena ai piedi della Croce. Vittorio Sgarbi ammira l’organo di Giovanni Fedeli, aprile 2007 217 218 L’organo Giovanni Fedeli, 1757, restaurato nel dicembre 2007 Prospetto dei tiranti dei registri con gli originali cartellini manoscritti La tastiera 219 costume e società RICORRENZE La festa del Grappolo d’Oro Un omaggio ad uno dei frutti più generosi della nostra terra, un appuntamento in cui tradizione agricola e autentica cultura popolare si fondono mirabilmente, regalando emozioni e gioia di vivere: questa è, in estrema sintesi, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’, un vero e proprio inno all’uva e, di conseguenza, al vino. La prima edizione, datata 1955, era intitolata ‘Festa dell’Uva’ e già allora era caratterizzata dall’entusiasmo di chi la promuoveva e di chi vi prendeva parte. Le prime edizioni(34) erano semplici sagre paesane, con carri trainati da buoi: erano carri agricoli che rappresentavano la vendemmia, la cantina, la lavorazione del vino. In seguito essi diventarono vere e proprie opere d’arte, fino ad arrivare all’edizione in cui il G.S. Potentia 1945 allestì un carro denominato “Grappolo d’Oro”: era costituito da un tralcio di ferro con acini illuminati da lampadine. L’opera, acquistata dalla Pro Loco, è stata per anni esposta all’ingresso di Potenza Picena e la ‘Festa dell’Uva’ è diventata ‘Festa del Grappolo d’Oro’. Gli ultimi giorni di settembre sono dedicati a questa manifestazione che propone una gara di carri allegorici, allestiti da maestri carristi, in rappresentanza delle contrade locali. Per l’occasione, lo scorrere tranquillo della vita quotidiana di Potenza Picena subisce una piacevole accelerazione ed è facile lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera di festa che si respira nelle vie e nelle piazze. Le locande e le taverne propongono le loro eccellenze culinarie, accompagnate da Ragazze in costume tradizionale potentino, anni Cinquanta 221 Carro del Grappolo d’Oro, fine anni Cinquanta vini di qualità, mentre la musica rallegra gli animi. Organizzata dalla locale Pro Loco, in collaborazione col Comune di Potenza Picena, la ‘Festa del Grappolo d’Oro’ è uno degli appuntamenti più noti del calendario delle manifestazioni folkloristiche delle Marche. Dal mattino alla sera è un trionfo di colori, di suoni, di sapori: si mettono in evidenza i policromi costumi dei figuranti e degli sbandieratori, le note delle chiarine, il gusto delle pietanze che attirano i buongustai, il profumo del mosto. Sulle colline che circondano il centro abitato, i filari delle vigne disegnano interminabili linee parallele in un gioco geometrico che cattura gli occhi. Il profumo del mosto, che si sente nell’aria, inebria e diffonde allegria. La ‘Festa del Grappolo d’Oro’, che ritualmente si apre con la dichiarazione ufficiale del messaggero di Bacco a cavallo, si articola in diversi giorni e ha in programma convegni su argomenti enogastronomici e sulle tradizioni locali, con la partecipazione di eminenti esperti del settore. Della bellezza della manifestazione folkloristica di Potenza Picena si sono potute rendere conto anche le delegazioni della città irlandese di Templemore, di quella inglese di Burford e di quella francese di Premilhat: gli ospiti d’oltre confine ne hanno apprezzato ogni aspetto, ogni particolare, portando nei loro Paesi le emozioni vissute nel Settembre potentino. Gruppo folck “Montesanto 1992” Grappolo d’Oro 2002 223 Ragazza mentre recita, fine anni Cinquanta 224 Ragazza in costume tradizionale potentino, edizione 2006 225 Il Presepe vivente Il presepe vivente di Potenza Picena è diventato uno dei più visitati e apprezzati in ambito regionale, grazie all’accuratezza della rappresentazione e al fascino del luogo che la ospita: il bosco del convento dei Frati Minori. Circa duecento personaggi, indossanti vesti realizzate con scrupolosa fedeltà ai modelli originali, animano le molte scene allestite sui duemila metri quadrati interessati dall’evento, insieme con animali, attrezzi e arredi relativi all’antico popolo ebraico. Musiche e luci concorrono a rendere il tutto particolarmente suggestivo, creando un’atmosfera che invita alla riflessione e dona emozioni profonde. La rappresentazione potentina della natività, che ha mosso i primi passi potendo contare sulla consulenza di don Carlo Leoni, è un’opera artisticamente apprezzabile e, soprattutto, diventa strumento prezioso di trasmissione di valori umani e religiosi; inoltre, grazie ad essa i suoi organizzatori – gli “Amici del Presepe” – raccolgono offerte che poi devolvono in beneficenza. La prima scena che il visitatore incontra nel bosco dei Frati Minori è relativa al Paradiso Terrestre, l’ultima riguarda la Gerusalemme Celeste: in mezzo vi sono alcuni degli eventi più importanti e noti della vita di Gesù. 226 La Festa di Sant’Anna Nella ancor breve storia di Porto Potenza Picena, la festa di Sant’Anna (26 luglio) organizzata impeccabilmente da un apposito comitato, è un evento fondamentale sia dal punto di vista religioso che sociale. Attorno all’omonima chiesa è cresciuta la comunità locale nel secolo scorso, accogliendo gente giunta qui da varie regioni italiane per cercare lavoro o per ricevere cure all’Istituto Santo Stefano. La Patrona, madre di Maria, è una presenza molto importante nel cuore dei portopotentini e la sua festa viene vissuta intensamente. Il suono delle campane della torre di Sant’Anna ha sempre annunciato, di primo mattino, l’attesa ricorrenza. Negli anni Sessanta e Settanta, al largo della nostra spiaggia, arrivava una nave della Marina Militare, che giungeva per la concomitante Festa del Marinaio e in onore della Patrona. La giornata, anche oggi, è ricca di altri momenti di celebrazione, come quello molto commovente del lancio in mare di una corona d’alloro per ricordare i caduti delle guerre mondiali. Vari decenni fa, la raccolta di fondi per organizzare le manifestazioni in onore della Patrona era a cura dei cosiddetti “festaroli”(35) che, fin dal tempo della battitura, si recavano in campagna per racimolare un po’ di grano da vendere al mulino per ricavare qualche soldo. L’immagine di Sant’Anna (una tela ora appesa nella sacrestia della chiesa del Corpus Christi) veniva portata in processione su una sorta di barella munita di due stanghe, sostenuta a spalla da quattro persone; seguiva il “baldacchino”, di broccato oro, portato da sei fedeli. In spiaggia, la festa viveva momenti di grande divertimento. Uno di questi si svolgeva in mare ed era una sorta di albero della cuccagna: all’estremità di un palo di legno, che sporgeva dalla prua di una barca, era fissata una bandierina. I concorrenti, a turno, dove- Nave della Marina Militare Italiana per la Festa di Sant’Anna, anni Sessanta - Settanta 227 Fuochi per la festa di Sant’Anna Torre quadrata, sec. XVI e chiesa di Sant’Anna vano andarla a prendere avanzando lungo il palo, cosparso di grasso: numerose e accompagnate dalle risa del pubblico sulla spiaggia le frequenti cadute in acqua. Altra gara era quella della cattura di anatre che venivano lasciate libere in uno specchio di mare circondato da barche: a nuoto i partecipanti al gioco dovevano agguantarle. Di sera si poteva assistere, in piazza della Stazione, al lancio di un pallone aerostatico pieno di luci; completavano il programma serale l’apprezzato concerto della Banda musicale di Potenza Picena e l’estrazione di una tombola. In anni recenti nuove attrazioni sono giunte a sostituire quelle appena ricordate: il Palio di Sant’Anna, la gara dei castelli di sabbia e il grande spettacolo pirotecnico sul mare sono tra gli appuntamenti di spicco. Di invariato, invece, resta il profondo amore dei portopotentini per la loro Patrona, un sentimento che non tramonta mai da queste parti. 230 “Lo Porto de cent’anni fa” Un’iniziativa culturale che sta costruendosi una bella tradizione è Lo Porto de cent’anni fa, promossa dal Centro Studi Portopotentino. Gli ideatori di tale appuntamento estivo, che ha luogo nel primo sabato d’agosto, si propongono di riportare alla luce momenti e personaggi della cittadina rivierasca di un secolo fa. Circa duecento figuranti in costume d’epoca (tra il 1900 e il 1920) danno vita a diverse ambientazioni differenziate per ceti sociali: così si possono ammirare i nobili nella loro eleganza, i contadini intenti ai loro lavori quotidiani ed eccellenti interpreti del Saltarello marchigiano, i pescatori nel loro tipico abbigliamento, i villeggianti. Le vie e le piazze di Porto Potenza Picena, come per incanto, diventano un ammirato palcoscenico sul quale fluisce la vita di un secolo fa, immagini che, senza questa intelligente e ben organizzata rievocazione, finirebbero per essere dimenticate. Accanto a Lo Porto de cent’anni fa vanno segnalati due altri appuntamenti che hanno luogo il giorno dopo: la Rievocazione degli Antichi Mestieri e la Pesca con la sciabica. La prima, che si svolge nella suggestiva ambientazione del Rione Casette, passa in rassegna alcuni dei lavori tipici di un tempo: nei loro costumi si possono ammirare, ad esempio, le tessitrici, il birrocciaio, il falegname, il maniscalco, lo scrivano, il fruttivendolo, il costruttore di nasse, e così via. Per i turisti e per le nuove generazioni è un’autentica opportunità di conoscere alcune occupazioni del passato, per i più anziani è un momento di nostalgia e anche di commozione per un tempo ormai andato. Rilevante, poi, è la rievocazione della pesca con la sciabica, che viene proposta nel tratto di mare antistante il circolo “Il Faro”. Vengono rivissute tutte le fasi relative alla pesca con la grande rete: la sua cala, il suo faticoso recupero da parte degli sciabecotti, la vendita del pescato da parte delle pesciarole e poi, per concludere, vi è anche un assaggio di squisito brodetto con pesce dell’Adriatico. Figuranti de “Lo Porto de cent’anni fa”, Centro Studi Portopotentino, 2006 231 Sfilata in abiti d’epoca, 2006 Ballo in piazza Douhet, 2006 Gli “sciabecotti”, 2006 233 ECCELLENZE SPORTIVE Potenza Picena e il suo territorio comunale vantano un movimento sportivo qualitativamente e quantitativamente di notevole rilievo, ai vertici nella Provincia di Macerata. Al 2008 risultano ufficialmente attive ben 35 società sportive, alle quali aderiscono diverse centinaia di tesserati nelle diverse discipline praticate. Di quanto sia radicato lo sport tra i giovani del Comune potentino sono testimonianza le varie edizioni finora svoltesi delle Olimpiadi della Provincia di Macerata: i nostri ragazzini partecipano sempre in gran numero e, proprio nel 2008, si sono piazzati nientemeno che al secondo posto nel medagliere generale, precedendo Comuni più grandi, come Macerata (terza), Recanati (quinta), Tolentino (decima). I giovani atleti potentini sono saliti sul secondo gradino del podio avendo conquistato 27 medaglie d’oro, 14 d’argento e 12 di bronzo, un bilancio davvero entusiasmante. La cosa più importante, però, non è il fatto di aver centrato tanti successi ma il poter contare su una gioventù che, praticando lo sport, cresce sana e lontana il più possibile dai pericoli di questo tempo, che matura nel rispetto del prossimo e delle regole. Siccome, però, è giusto celebrare le affermazioni sportive, nelle pagine che seguono passiamo in rassegna, disciplina per disciplina, tutti coloro che le hanno ottenute a livello nazionale e internazionale: per ragioni di spazio non abbiamo potuto dedicarci né ai campioni provinciali né a quelli regionali, ai quali rivolgiamo comunque un applauso. Catalogare nomi di atleti e di squadre che, nel corso degli anni, si sono fatti onore ai massimi livelli, non è cosa facile: si rischia di dimenticare qualcuno o qualche impresa importante. Per questo si è ricorso all’aiuto di varie persone che, nelle rispettive discipline, conservano memoria storica di fatti e personaggi che hanno dato lustro alla loro attività sportiva. Le prossime pagine, in modo necessariamente sintetico, passano in rassegna, in ordine alfabetico, gli sport dal più ricco palmares. Atletica Leggera Nei primi anni ’90, l’atletica leggera ha regalato grandi soddisfazioni allo sport locale. Il quel periodo, grazie alla Società Podistica Seco, presieduta da Franco Leandrini, arrivarono diversi titoli italiani a dar lustro al palmares sportivo del nostro territorio. Il 14 Settembre 1990 ai campionati italiani di Cesenatico, MARIO MORETTI si guadagnò la medaglia d’oro sui 5.000 metri, imitato dal suo compagno di squadra ANDREA ACQUA che s’impose sui 100 metri piani; il giorno dopo, sempre Moretti vinse sui 10.000 metri, mentre Acqua centrò l’argento sui 200 metri piani. A Viareggio, il 12 Settembre 1992, Mario Moretti conquistò l’oro nazionale sui 5.000 metri e LEONARDO AGOSTINELLI arrivò secondo sulla stessa distanza; ventiquattro ore dopo, Agostinelli si mise al collo un altro argento, sui 10.000 metri. A Roseto 235 degli Abruzzi, il 9 Maggio 1993, Mario Moretti si laureò campione italiano dei 10.000 metri su strada. Altro alloro tricolore per lo stesso atleta giunse il 23 Settembre 1995 a Cesenatico: Mario sbaragliò la concorrenza sui 10.000 metri. Nel 1999, a Marina di Massa, l’Atletica Potenza Picena vinse la medaglia d’oro nel campionato italiano di mezza maratona. Nel 2008, a Caserta, MAURIZIO BONVECCHI si è laureato campione italiano nella categoria M50 di corsa campestre. Baseball In questa disciplina sportiva possiamo vantare numerosi atleti, provenienti dal Baseball Club Le Pantere, che si sono meritati la convocazione in maglia azzurra. RICCARDO RICCOBELLI (classe 1983) ha vestito per la prima volta la casacca della Nazionale Ragazzi nel 1995. Ha preso parte a numerosi raduni della rappresentativa italiana, con la quale ha partecipato al campionato europeo a Praga, dove la compagine azzurra ha conquistato il titolo continentale. MICHELE QUATTRINI (classe 1987) è stato chiamato in Nazionale Ragazzi nel 2000, ha partecipato a molti raduni del team italiano. Dall’età di tredici anni è sempre stato selezionato per le formazioni di categoria. Nel 2005 ha disputato il Mundialito (una specie di campionato mondiale giovanile) svoltosi in Spagna e, l’anno successivo, a quello di Trieste: in entrambe le competizioni è risultato il miglior lanciatore. Nel 2008, dopo tre anni di militanza in serie A2, ha raggiunto la massima serie nelle file dei Pirati di Rimini, dove gioca nel ruolo principe di lanciatore. RICCARDO GIUSTI ha partecipato al Mundialito in Giappone, GABRIELE QUATTRINI ha disputato, con la Nazionale Ragazzi, il Mundialito di Milano del 2006 e il MondialHit in Abruzzo nel 2007, insieme con ENRICO SIMONETTI. Bocce Grazie all’attività di quattro società bocciofile (Delfino, Montesanto, Riviera e Vittoria), le bocce hanno avuto uno sviluppo importante nel nostro territorio comunale. Gli allori ottenuti sono stati e sono di caratura elevatissima. Il primo risultato eccellente è datato 1969: a Ferrara, RENATO TURCHI, LUIGI BILÒ e NANDO BELLUCCINI si laureano campioni italiani nella “terna” Allievi. L’anno successivo il titolo tricolore lo colgono, a Milano, SESTO ZALLOCCO, MARIO GALASSI e NELLO MARTINELLI, che si impongono nella “terna” categoria B. Nel 1972, a Treviso, ENZO ZALLOCCO e GAETANO FRATTARI vincono l’alloro nazionale nella “coppia” categoria C. Dodici mesi dopo, sul più alto gradino del podio italiano, a Voghera, salgono FRANCO PEZZOLA, LUIGI BAFFO e GRAZIANO TRAMANNONI che sbaragliano il campo nella “terna” categoria C. Le nostre bocce continuano a mietere vittorie e, nel 1975, LEONE MOBILI e DANTE TORRESI conquistano l’oro tricolore a Teramo, dominando nella “coppia” categoria B. Dopo 236 una pausa di otto anni, nel 1983 si torna a vincere il titolo nazionale: ci riesce, a Parma, LUCA PETRELLI, insieme a Giorgio Mammalucco e Simone Elisei, imponendosi nella “terna” Ragazzi. Passano altri sette anni e, nel 1990, arriva la maglia tricolore nei campionati per società: al Flaminio di Roma si laurea campione d’Italia la Bocciofila Vittoria, con i giocatori Luca Petrelli, SAURO PETRELLI, GIUSEPPE MICUCCI e DOMENICO DARI, c.t. Giuseppe Petrelli. Nel 1995 la palma del migliore della Penisola va a MICHELE SGOLASTRA che a Fano, in compagnia di Giacomo Gallucci, vince la “coppia” Ragazzi. Il nuovo millennio ripropone i fasti di quello passato. Nel 2002, a Verona, MIRKO GAROFOLO, insieme con Massimiliano Petrocchi, conquista il titolo italiano nella “coppia” Ragazzi. Doppio squillo di tromba per le nostre bocce anche nell’anno successivo: a Brescia, MANUEL MACELLARI, col compagno Andrea Bigioni, vince l’oro tricolore nella “coppia” Allievi; sotto la guida del c.t. Attilio Macellari, MANUEL MACELLARI partecipa alla conquista del titolo italiano Juniores per società. Anche nel 2004 i nostri boccisti salgono in cattedra: LUCA GELOSI, insieme con Marco Sabbatici, conquista il titolo nazionale di “coppia” Allievi a Venezia; in Ungheria, al campionato europeo a squadre, MANUEL MACELLARI vince con la rappresentativa italiana il titolo continentale. Il 2005 vede ancora Manuel Macellari in splendida evidenza: a Carpi diventa campione tricolore nella “terna” Allievi, insieme con Paolo Macori e Marco Sabbatini. Passano altri dodici mesi e si torna a primeggiare in Italia: lo fanno la giovanissima JESSICA GELOSI, che domina nell’ “individuale” Ragazze a Bologna, e Manuel Macellari che s’impone nell’ “individuale” categoria B a Monza. Nel 2007 è la volta di Luca Petrelli: vince l’oro nazionale a Reggio Emilia nell’ “individuale” categoria A. Calcio Il campanilismo che, più di adesso, ha caratterizzato i rapporti tra Potenza Picena e Porto Potenza, ha sempre avuto nel calcio una delle sue vetrine privilegiate. La storia sportiva locale ha, soprattutto, i colori giallorossi (potentini) e rossoneri (portopotentini), entità cromatiche che hanno dato vita al ‘derby infinito’ tra le squadre dei due centri, con la cornice chiassosa di un pubblico sempre ‘caldo’ e interessato. I cori verso i ‘carginelli’ o gli ‘sciabecotti’ sono le espressioni goliardiche e, a loro modo, simpatiche dei sostenitori delle due compagini, una nota suggestiva nel rispetto delle regole e del prossimo. Nel calcio NICOLA BOVARI (1945) occupa una posizione di rilievo nel racconto della nostra storia sportiva. In serie D già a 16 anni (nella Sangiorgese), ha meritato la prima convocazione in Nazionale a 17, giocando nella formazione azzurra Juniores in Romania. Passato all’Inter, ha vinto con i nerazzurri il torneo “De Martino” e ha risposto ad un’altra chiamata della Nazionale italiana, impegnata in Inghilterra (in squadra giocava anche Gigi Riva). Nel secondo anno di sua permanenza nel club di Angelo Moratti ha effettuato la preparazione precampionato a San Pellegrino con la Grande Inter dei vari Mazzola, Corso e Suarez. Il debutto di Nicola in serie A è avvenuto a 19 anni, all’Olimpico di Roma, con la maglia del 237 I ragazzi premiati per le III Olimpiadi della Provincia di Macerata, Festa dello Sport 2008 Dirigenti della società Baseball Club “Le Pantere”, Giuseppe Carestia, Ernesto Riccobelli, Bruno Mancini, Festa dello Sport 2008 238 Remo Scoccia mentre viene premiato da Roberto Luchini e Andrea Bovari, per l’impegno profuso nel ciclismo, Festa dello Sport 2006 Componenti della squadra di calcio “Bar Maritozzo”, campioni italiani amatori 1987, da sinistra Andrea Bovari, Silvano Meriggi, Manlio Ramadori, Giovanni Sampaolo, Mario Girotti, Enzo Balloriani, Marcello Paolucci, Luciano Marabini, Edoardo Veroni, Festa dello Sport 2007 239 Bari. L’allenatore gli ha sempre affidato il compito di marcare il giocatore avversario di maggior classe: così si è preso ‘cura’ di campioni come Haller, Amarildo, gente di talento sopraffino. Successivamente Bovari ha disputato numerosi campionati tra serie B e C. NELLO MALIZIA (1950), molisano di nascita ma trasferitosi a Potenza Picena fin da piccolo, è stato uno dei migliori portieri italiani per almeno un decennio. Vestita la maglia delle giovanili giallorosse, è passato poi alla Maceratese (serie C), trampolino di lancio per approdare al Perugia nel 1974, salendo in serie A con la formazione umbra, nella quale si mise in grande evidenza. Sua destinazione successiva è stata Cagliari (1983), ancora nella massima serie. Lasciata l’isola, ha continuato a mostrare la sua bravura in squadre professionistiche come il Padova e l’Atalanta. Appese le scarpe al proverbiale chiodo, ha iniziato a svolgere l’attività di preparatore dei portieri nella società nerazzurra di Bergamo, giovandosi della grande esperienze maturata in tanti anni sui campi di tutta Italia. Una delle pagine più emozionanti del libro del calcio locale è stata scritta nell’ottobre 1987 dalla squadra del BAR MARITOZZO, allenata da Marcello Paolucci, protagonista del calcio amatoriale. La formazione del presidente Silvano Meriggi stacca il biglietto per le finali di Foggia, da disputarsi nello stadio “Pino Zaccheria”, impianto da 25.000 spettatori. Nella città pugliese, il Bar Maritozzo gioca la semifinale contro la compagine di Cagliari, che il pronostico dà favorita per la finale per il titolo italiano. Sembra debba essere il classico confronto impossibile, con gli isolani pronti a far un sol boccone dei malcapitati marchigiani e invece, come a volte capita nello sport, le previsioni della vigilia vanno miseramente in frantumi e il Bar Maritozzo approda all’atto conclusivo, tra lo stupore generale ma con pieno merito. In finale c’è un altro grande scoglio: è la squadra di Brescia, anch’essa, come quella sarda, pronosticata per la conquista dello scudetto tricolore. I lombardi sono una compagine robusta e tecnicamente dotata, dimostrano di meritare il credito di cui godono e passano in vantaggio di un gol. Sembra il colpo di grazia per le speranze del nostro team che, invece, ha la forza di non disunirsi e di reagire con ordine e lucidità, fino al raggiungimento del pareggio, con la rete di Morgoni. Il risultato non cambia più fino al 90’ e ciò rende necessario il ricorso ai calci di rigore per laureare la squadra campione d’Italia. Qui i bresciani, loro malgrado, trovano sul loro cammino Marco Malatini, un portiere che, particolarmente ispirato, riesce a parare ben tre loro penalties, consegnando il titolo tricolore alla sua compagine. L’impresa è compiuta: il nostro calcio amatoriale è sul tetto d’Italia. Ciclismo Lo sport del pedale ha una lunga tradizione nel nostro territorio comunale, a cominciare dal 1945, anno di fondazione del Gruppo Ciclistico Sant’Antonio, poi diventato Gruppo Sportivo Potentia. Ecco gli atleti che si sono maggiormente distinti e le loro affermazioni più rilevanti. MARIO MANCINI (1943) vanta venticinque vittorie tra i Dilettanti, un titolo di campione tosca- 240 no di categoria nel 1966, la maglia azzurra della Nazionale italiana. Ha disputato due stagioni tra i Professionisti (1966-1967) avendo per compagni di squadra prima Taccone e Ritter, poi Faggin; ha preso parte al Giro d’Italia, alla Milano-Sanremo (una volta 25°, l’altra 31°), al Giro di Lombardia (17° assoluto, 4° degli italiani), alla Coppa Agostoni (12°). In anni più recenti si è messo in luce in campo amatoriale, vincendo due ‘bronzi’ nazionali e un ‘argento’ europeo. TONINO CIARROCCA (1957) ha ottenuto i suoi maggiori successi da Dilettante di seconda serie (5 vittorie e un titolo regionale) e di prima serie (20). Brillante il suo 5° posto al Giro d’Italia di categoria nel 1978, che gli ha aperto le porte della Nazionale azzurra, con la quale ha preso parte al Giro del Messico, al Giro di Romania (secondo posto in una tappa) e al Tour de l’Avvenire in Francia. Ha corso anche al Giro di Jugoslavia, al Giro del Lussemburgo e al Giro d’Australia, vincendo la tappa Brisbane-Sidney e conquistando la quarta posizione nella classifica finale. GIANCARLO BALDONI (1958) ha ottenuto cinque vittorie da Dilettante nel 1981, anno in cui è giunto 15° nel Giro d’Italia di categoria ed è stato convocato in Nazionale, disputando il Giro del Venezuela con la maglia azzurra. Nel 1982 è passato al professionismo, disputando il Giro d’Italia e prendendo parte a competizioni di prestigio come la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia, la Tirreno-Adriatico. LUCA STEFANELLI (1972) ha colto una cinquantina di vittorie, sia su pista che su strada. Nel 1998, a Livorno, ha vinto il titolo italiano di ciclismo su pista, nel chilometro da fermo. Al suo attivo sette titoli regionali su pista, il 7° posto al campionato europeo di ciclismo su pista nella velocità nel 1990, a Brno (Repubblica Ceca), il 13° nel campionato mondiale su pista nella velocità olimpica a Bordeaux (Francia). Vari i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo; il suo record personale nella specialità del chilometro da fermo è di 1’05”130, ottenuto in Coppa del Mondo a Cali, in Colombia. MASSIMO MANCINI (1975), figlio di Mario, nel 1998 ha conquistato il secondo posto al campionato italiano Dilettanti a San Daniele del Friuli. Al suo attivo alcune vittorie in ambito internazionale, correndo con atleti del calibro di Di Luca e Bettini. Non è passato al professionismo. MARINA ROMOLI (1988), sotto la competente guida del padre Giordano, nel 2004 è giunta terza tra le Allieve nella Coppa Rosa, e ha vinto il campionato italiano a squadre per società, sia su strada che su pista, a Dalmine e Bergamo col G.S. Potentia 1945. Nel 2006, tra le Juniores, ha colto il secondo posto ai campionati italiani su strada e la medaglia d’argento ai Mondiali di Spa, in Belgio, nella stessa specialità. Su pista ha conquistato la Coppa Europa nella specialità “Eliminazione”, il titolo italiano nella Corsa a punti, il secondo posto nello “Scratch”, la classifica Oscar Tuttobici. Dal 2007 è entrata nel professionismo, vincendo subito due ‘bronzi’ nazionali su pista. ALESSIA MASSACCESI (1989), anche lei allieva di Giordano Romoli, ha vinto nel 2004 il ‘bronzo’ ai campionati italiani su strada e su pista Allieve, nella velocità; nello stesso anno ha conquistato il titolo nazionale a squadre su pista e strada con il G.S. Potentia 1945. Nel 2005, ancora Allieva, è giunta seconda nella Coppa Rosa, terza nel campionato italiano a 241 cronometro e si riconferma campionessa nazionale a squadre sia su strada che su pista a Montegrotto e Padova. L’anno seguente ha vinto il campionato italiano Juniores su strada e il Gran Premio della Liberazione. Nel 2007 ha conquistato il Braccio Cronomen; dal 2008 è professionista. Altra ciclista potentina molto valida è MARTINA SCOPPA (1988), pluricampionessa regionale in varie categorie e autrice di numerosi piazzamenti in gare femminili e promiscue (con i maschi) a livello nazionale. Tra le sue migliori prestazioni il settimo posto da esordiente ai campionati italiani a Porto Sant’Elpidio, il quinto tra le Juniores ai campionati italiani in Friuli (2006). E’ giunta ventunesima agli Europei di Valkenburg (Olanda). Nel 2007, da Under 20, Martina è stata convocata in maglia azzurra e ha partecipato alle prestigiose corse del Nord Europa, tra cui il Giro delle Fiandre. Nel 2008 ha preso parte al Giro di Germania e al Tour De France, maturando preziose esperienze. La SCUOLA DI CICLISMO POTENTIA 1945 – RINASCITA, che rappresenta un intelligente esempio di collaborazione sportiva tra Potenza Picena e Porto Potenza, è formata da bambini la cui età varia da sette ai dodici anni e che sono inseriti nella categoria Giovanissimi. Nel 2003, a Bari, questa Scuola è riuscita a classificarsi al terzo posto assoluto nella classifica nazionale; nel 2008 ha vinto il titolo regionale. Una vita lunga, ricca di attività e di meritati riconoscimenti: REMO SCOCCIA (1912) è uno straordinario esempio di impegno nel sociale, espresso con generosità e competenza in vari settori. In ambito sportivo la sua storia inizia già nel 1926 nell’atletica leggera, praticata fino al 1932. Dal 1935 al 1939 è giudice di gara della Federazione Italiana di Atletica Leggera, poi la seconda guerra mondiale lo vede nelle vesti di sottufficiale in artiglieria, dove gli viene assegnata la Croce di bronzo al merito di guerra. Lasciato finalmente alle spalle il conflitto mondiale, nel 1945 prende parte alla fondazione del Gruppo Ciclistico Sant’Antonio (che diventerà Gruppo Sportivo Potentia), del quale diventa segretario, poi presidente dal 1955 fino al 1985. Tra le cariche sportive assunte, ricordiamo quella di vicepresidente vicario del Comitato regionale marchigiano della Federazione Ciclistica Italiana. Tra i numerosissimi riconoscimenti e onorificenze deI mondo dello sport è giusto sottolineare la Stella d’Argento del CONI (1977), il Distintivo d’Oro della F.C.I. (1989), il Distintivo d’Oro d’onore della Unione Nazionale Veterani dello Sport (1995), la Stella d’Oro del CONI (1998), il Diploma d’Oro del Comitato Olimpico Internazionale (2001) e la Medaglia d’Oro C.R.M. della F.C.I. per i decenni al servizio del ciclismo marchigiano e italiano. Scoccia è uno dei fondatori della Pro Loco di Potenza Picena e presidente onorario della Sezione Veterani dello sport “M. & P. Sassetti” di Potenza Picena. Eccellenti le onoreficence civili delle quali è stato insignito: Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana nel 1980, Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana nel 1985, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana nel 1991. 242 Hockey su prato L’hockey su prato ha una importante tradizione a Potenza Picena. Già nel 1984/85, la squadra locale aveva conquistato il palcoscenico nazionale, salendo in serie A2 dove è restata fino al 1992/93. Nel frattempo le compagini giovanili hanno ottenuto eccellenti risultati: nel 1988, a Roma, la squadra Under 14 si è laureata campione italiana ai Giochi della Gioventù; nel 2001 la compagine Under 16, allenata dal bravo Paolo Belvederesi, si è messa al collo l’oro tricolore. La squadra maggiore è tornata in serie A2 grazie agli spareggi svoltisi a San Vito Romano nel giugno 2007: una bella soddisfazione per il tecnico Belvederesi, il delegato regionale Paolo Grandinetti e il presidente Aido Consolani. LORENZO CONSOLANI, uno dei giocatori più rappresentativi dell’ H.C. Potenza Picena, ha avuto una significativa esperienza con la maglia della Nazionale Italiana Under 18 nel biennio 1991-1992. Nel primo anno, ha partecipato, ad Amsterdam, al torneo internazionale HDM, avendo come avversarie le compagini di Inghilterra e Olanda; poi ha disputato gli incontri Italia-Francia a Roma in luglio, Spagna-Italia a Barcellona in settembre, ItaliaCecoslovacchia a Padova in novembre. Nel 1992 è sceso in campo a Cholet (Francia) per Francia-Italia in aprile, a Praga per la Poligras Cup in maggio-giugno, a Roma per ItaliaCanada in luglio, nel Torneo Internazionale di Spagna a Barcellona in luglio-agosto, a Padova per Italia-Svizzera in settembre. Judo e karate Il judo è una disciplina sportiva che vanta interpreti di ottimo livello nel nostro territorio comunale. VINICIO MORGONI (1956) ha ottenuto il titolo nazionale UISP nel 1978 a Mestre, nella categoria kg 71; nel 1979 è stato componente della squadra azzurra al campionato europeo CSIT in Belgio e della formazione italiana che ha partecipato al campionato preolimpico denominato Hapoel Games in Israele. Nel 1980 ha disputato il campionato internazionale UISP svoltosi in Bulgaria. Grazie all’ASD Jigoro Kano, fondata nel 1976, sono stati ottenuti altri risultati di rilievo. SERGIO LINARDELLI (1962) già a 16 anni ha risposto alla prima convocazione nella Nazionale maggiore UISP, divenendone titolare a 18 e rimanendo in ‘rosa’ fino al 1985. E’ stato campione italiano UISP nel 1983 e 1984, secondo nel 1978, 1979, 1982, 1985, terzo nel 1980, 1981, 1986, 1987, 1989 e 1992. Oltre a primeggiare in varie competizioni internazionali, è riuscito a conquistare il bronzo nella classifica a squadre ai campionati europei del C.S.I.T. di Lisbona nel 1980 e di Roma nel 1982. GIANCARLO GIRONELLI (1949) ha al suo attivo un quinto posto ai campionati italiani Filpj a Firenze nel 1974 e un bronzo ai campionati italiani UISP nel 1982 a Mestre; insegnante di judo prima a Potenza Picena poi ad Ancona, ha fatto parte per anni della commissione tecnica nazionale UISP. MARIA CUTINI si è ben distinta ai campionati italiani UISP: due medaglie d’argento (1980-1981) e due di bronzo (1978-1979); un argento ai campionati italiani Filpj a Chiavari. 243 Raduno Ferrari per il 40° anniversario di Lodovico Scarfiotti, piazza Matteotti, 8 giugno 2008 Un terzo posto ai campionati nazionali anche per STEFANIA LINARDELLI, ottenuto nel 1978 a Castelfranco Emilia. OSVALDO CAROTA si è aggiudicato un argento tricolore nel 1978, a Mestre, e un bronzo nel 1979 a Milano. ANDREA GELOSI, sempre ai campionati italiani UISP, è salito sul secondo gradino del podio nel 1981 a Napoli, sul terzo nel 1979 a Milano. MASSIMO LINARDELLI si è laureato campione nazionale nel 1981 a Torino. LUIGI BORRONI, convocato in nazionale UISP nel 1984, ha vinto l’oro ai campionati italiani nel 1984 e 1985, il bronzo nella classifica a squadre agli Europei del C.S.I.T. nel 1984 in Francia. ALBERTO CITTADINI ha conquistato il titolo nazionale nel 1982 a Torino. AUGUSTO MERLINI ha centrato un bronzo tricolore nel 1985 a Torino. GIANCARLO SENIGAGLIESI è giunto terzo nello stesso anno nel capoluogo piemontese, stesso piazzamento ottenuto da GUGLIELMO SACCONI. Nel karate, specialità combattimento, CHRISTIAN CARESTIA (1987) ha conquistato il bronzo tricolore tra i Cadetti ad Ostia (2003), l’argento nella categoria Juniores (2004) sempre ad Ostia, il bronzo europeo a S. Polten, in Austria (2004). Kickboxing PAOLO ROSSI (classe 1980) ha fatto registrare eccellenti risultati nella difficilissima disciplina del Kickboxing. Si tratta di uno sport da combattimento che unisce caratteristiche del Karate giapponese con il pugilato occidentale: si ha la combinazione di tecniche di calcio, tipiche delle arti marziali orientali, con i colpi di pugno propri della boxe. In questo sport Paolo ha conquistato nel 2003 il titolo europeo Dilettanti nella categoria kg 86; nello stesso anno, con i colori del Club Antea, ha colto a Roma la medaglia di bronzo al campionato italiano. Nella carriera di Paolo vanno sottolineate anche le convocazioni in maglia azzurra e la partecipazione ai campionati mondiali di Massa Carrara. FEDERICO MORGONI (1992), dopo essersi piazzato al primo posto nella classifica del Centro Sud Italia, ha conquistato la medaglia d’argento ai campionati italiani kickboxing, categoria Kg 60, nel 2008, ad Ariccia, nel Lazio. Pallacanestro Il basket fece capolino nella nostra realtà locale negli anni Cinquanta del secolo scorso. A Porto Potenza Picena questa disciplina si praticava sull’area dove ora sorge la casa parrocchiale di via Trieste, poi anche nello ‘storico’ spazio del Giardino Florida. Da allora, con qualche pausa nel corso degli anni, la pallacanestro si è guadagnata una posizione importante nel panorama del nostro movimento sportivo. FABIO PRINCIPI (1962-1996) è stato il più forte giocatore di basket del nostro territorio e uno dei più validi delle Marche. Mossi i primi passi nella Sacrata Basket a metà degli anni Settanta, la sua brillante carriera si è sviluppata nella Sangiorgese e ha avuto momenti di gloria nelle formazioni Nazionali Giovanili e nella disputa del campionato italiano di serie A. 246 La costante ascesa di Fabio subì un rallentamento a causa di un infortunio al ginocchio, ma nonostante ciò egli riuscì ad essere uno degli migliori giocatori per più di un decennio, mettendo in luce una classe cristallina sui campi di B e C di mezza Italia. I tremila punti realizzati e il grandissimo numero di rimbalzi conquistati gli hanno meritato una posizione di rilievo nella storia della pallacanestro marchigiana. A causa di un incidente stradale, ha cessato di vivere nel 1996. A Fabio Principi è intitolato il Palasport di Porto Potenza Picena. Pallavolo Albino Massaccesi, alto dirigente della Lube, Festa dello Sport 2006 La nostra tradizione pallavolistica è ben radicata e di alto livello. Sia in campo maschile che in quello femminile abbiamo interpreti di rilievo, capaci di farsi onore in campo nazionale, alla pari di compagini di città capoluoghi di provincia, con bacini di utenza sportiva di grandezza molto superiore al nostro. Nella pallavolo femminile, il VOLLEY TORRESI ha avuto anni di splendore sia nel campionato nazionale di serie B2, frequentato per varie stagioni, che in quello di B1, nel quale ha militato nel 2003. In ambito maschile, il VOLLEY POTENTINO ha raggiunto la B1 nel 2005 e, da quell’anno, ha collezionato piazzamenti in crescendo nella classifica finale: ottavo nella stagione d’esordio, sesto nel 2006, quarto nel 2007 e terzo nel 2008, alle soglie dell’ingresso nel playoff per la promozione in serie A2. PIERO BONARINI (1947) è stato il primo potentino a giocare nella serie A di pallavolo. Nella stagione agonistica 1968-69 vestiva la maglia dell’Esercito Napoli (Terza Compagnia Speciale Atleti). In quell’anno seppe distinguersi in maniera egregia ed ebbe l’opportunità di affrontare squadre del calibro della ‘mitica’ Panini Modena e della Ruini Firenze. MATTEO ZAMPONI, classe 1978, ha vissuto stagioni importanti nella pallavolo di livello nazionale. A soli 15 anni ha fatto parte della squadra azzurra pre-juniores, con la quale ha disputato i campionati europei (Barcellona) e mondiali (Portorico). Matteo ha giocato tre anni in serie A1 nelle file della Lube Banca Marche Macerata, nella seconda metà degli anni Novanta, per poi vestire le maglie di altre compagini di ottimo livello in altre categorie. La carriera pallavolistica di ALBINO MASSACCESI (1950) può essere presa ad esempio sia per i successi raggiunti che per la completezza dei ruoli ricoperti (giocatore, allenatore, dirigente). Avvicinatosi allo sport in età adolescenziale con gli amici dell’Oratorio di Porto Potenza, nel 1971 entra nel Cus Macerata da allenatore, dando inizio ad una eccellente ascesa nel mondo della pallavolo, sia come tecnico che in veste dirigenziale. Dal 1973 al 1975 è presidente della Fipav Macerata, dal 1976 al 1986 è prima consigliere poi vicepresidente della Fipav Marche. Nel 1990 passa alla neonata A.S. Volley Lube Treia. Nella società treiese, campione d’Italia 2005/2006 e vincitrice dei maggiori allori internazionali, Albino ha ricoperto gli incarichi di direttore sportivo, direttore generale, presidente e vicepresidente. Le sue qualità professionali gli hanno meritato uno spazio di rilievo 247 anche nel consiglio di amministrazione della Lega Pallavolo Serie A, che lo ha visto presente ininterrottamente dal 1995 al 2004, sia come consigliere che come vicepresidente. ROMANO GIANNINI (1970) si è messo in luce come tecnico: nel 2003-2004 ha allenato la Videx Grottazzolina in serie A2. Pesca sportiva RICCARDO CARINELLI (1980) si è laureato campione italiano di pesca sportiva, tecnica carpfishing, nel 2003 a Chieti (in coppia con Fabio Buccolini). Nel 2005 e nel 2007 ha preso parte agli incontri internazionali tra Italia e Francia; nel 2005 in Belgio, 2007 in Serbia e nel 2008 in Sud Africa ha partecipato al campionato del mondo. La sua prima convocazione in maglia azzurra è del 2005. Il 16 e 17 novembre 2007, sulla spiaggia di Ugento (Lecce), un altro nostro concittadino ha vinto il titolo tricolore, imponendosi nel campionato italiano a Box nella pesca sportiva. Si tratta di SIMONE MARABINI, classe 1975, che ha conquistato l’ ‘oro’ tricolore insieme con i compagni di squadra Rizzuni e Matteucci, tutti portacolori della A.S.D.P. Golden Fish di Civitanova Marche. Alla gara pugliese hanno preso parte ben 270 concorrenti, in rappresentanza di 43 società. Sport paralimpico Il medagliere del nostro sport locale deve moltissimo ai ragazzi dell’Associazione Sportiva Santo Stefano, ‘stelle’ di prima grandezza nelle discipline paralimpiche. Lo straordinario palmares della società rivierasca ci costringe ad una sintesi dei suoi migliori risultati, fornitici con grande cortesia e precisione dalla signora Tiziana Savoia. In ATLETICA LEGGERA, ai campionati italiani, dal 1983 al 2008, i ragazzi del Santo Stefano hanno vinto 258 medaglie d’oro, 120 d’argento e 65 di bronzo nelle varie specialità praticate. Ecco l’elenco di tutti i medagliati: Teresa Albano, Federico Bartolucci, Giancarlo Capecci, Michele Capecci (13 ori), Amico Ceresani, Raul Curzola, Michele Dentamaro, Florindo De Palatis, Angelo Di Gregorio, Federico Dubini, Anna D’Urbano, Agostino Fellini, Natale Foti, Sergio Greci, Bruno Iervicella (22 ori), Giovanni Loiacono (23 ori), Patrizia Mastrogiovanni (12 ori), Mario Matteis, Angelo Merlo (15 ori), Michele Miani (21 ori), Mario Nai, Filomena Pantalone (10 ori), Antonia Paolini, Luisa Pocognoli (48 ori), Riccardo Rossini (10 ori), Fortunato Ruberto, Vincenzo Saccente, Fabio Staffolani, Maria Antonietta Stipa, Gaetano Terrevoli (14 ori), Marco Torregiani,Vito Antonio Vitale, Michela Volpe (12 ori). In ambito internazionale, l’atletica leggera del Santo Stefano ha avuto in Giovanni Loiacono il suo protagonista assoluto. Ecco i suoi successi: Giochi Paralimpici di New York nel 1984: oro nel disco (primato del mondo, con m 31,20), argento nel peso; campionati europei 248 di Bruxelles nel 1985: argento nel peso, bronzo nel giavellotto; Giochi Internazionali di Parigi del 1987: oro nel disco; Giochi Paralimpici di Seoul del 1988: bronzo nel disco; Robin Hood Games di Nottingham del 1989: oro nel disco (record mondiale con m 33,94), argento nel peso; campionati europei di Bruxelles del 1989: argento nel disco. Ai Disability Athletics International di Birmingham del 1997, Teresa Albano ha vinto tre ori (100, 200, 400 metri piani), Florindo De Palatis un oro e un argento (giavellotto e peso), Bruno Iervicella due ori (100 e 200), Giovanni Loiacono tre argenti (peso, disco giavellotto), Marco Torregiani tre ori (100, 200, 400). Nel BASKET IN CARROZZINA l’A.S. S.Stefano ha una tradizione di assoluto prestigio. Nel campionato italiano di serie A1 si è classificata tre volte al terzo posto (1994/95, 1999/2000, 2006/2007); in serie A2 si è classificata in prima posizione nel 2004/2005. In campo internazionale brillano, in particolare, le vittorie nella Vergauwen Cup del 1996 (successo in finale sui tedeschi dell’UBC Munster) e nella Brinkmann Cup del 2004 (vittoria in finale sulla compagine Kik Veterani Tuzla della Bosnia Erzegovina) e del 2006 (vittoria in finale sugli spagnoli dell’Amfiv Vital Vigo). Da segnalare, inoltre, i successi in vari tornei internazionali. Ai campionati italiani di SOLLEVAMENTO PESI del 1989, nella categoria 65 kg, argento per Angelo Merlo e Bronzo per Michele Dentamaro; nel 1990, nella categoria 90-100 kg, oro per Merlo e argento per Dentamaro. Nel TIRO A SEGNO eccelle ANTONIO MARTELLA (aria pistol, sport pistol, pistola calibro 22, pistola libera 50 m), plurimedagliato in vari campionati europei e mondiali (Linz 1994, Yarvenpaa 1995, Santander 1998, Wroclaw 2005, Suhl 2007) e alle Paraolimpiadi (Atlanta 1996). Ottimo anche il palmares di GIANCARLO IORI (pistola 10 m, pistola calibro 22, pistola 25 m), con prestigiose affermazioni in rassegne europee e mondiali (Santander 1998, Kyungnam 2002, Wroclaw 2005, Sargans 2006, Suhl 2007) e ai Giochi del Mediterraneo del 2001 a Tunisi. MAURIZIO NIOSI ha conquistato un argento ai Giochi del Mediterraneo di Tunisi 2001 e un bronzo ai campionati mondiali di Sargans nel 2006. Nella squadra della ASD Anthropos di Civitanova Marche si sono messi in grande evidenza alcuni ragazzi potentini. Nelio Piermattei, presidente dell’associazione civitanovese, ci ha gentilmente fornito i seguenti dati. Tra il 2000 e 2004, TERESA ALBANO ha conquistato cinque titoli nazionali (nei 100, 200 e 400 metri piani). Palmares ricchissimo quello di MARIO SMORLESI nel nuoto, rana, stile libero, dorso, staffetta). Dal Luglio del 2000 ha collezionato medaglie ai Giochi nazionali Special Olympics (Fiuggi, Caorle, Pescara, Bari, Pugnochiuso, Lignano Sabbiadoro). Nel 2003 ai Giochi Mondiali Special Olympics di Dublino è diventato campione iridato nei 50 metri farfalla e nella staffetta 4x50 mista, conquistando anche il bronzo nei 50 metri dorso. SERENA CANTORO (stile libero, dorso, staffetta) ha conquistato numerose medaglie ai campionati italiani (Bari, Lignano Sabbiadoro, Pugnochiuso). Vanta sei titoli tricolori. LORENA DALFINO (rana, dorso, staffetta) ha al suo attivo quattro ori nazionali. LINDA BARCHIESI (nuoto e atletica) e TEODORO REBEZZI (nuoto) hanno dato il loro importante contributo alla qualificazione della loro squadra alla fase finale della Coppa Italia, poi vinta dalla stessa compagine dell’Anthropos. 249 La sig.ra Casalis - Douhet mentre viene omaggiata dal capitano dell’ “Ala Douhet” Marcello Giampaoli, campo sportivo Douhet, anni Cinquanta 250 Ragazzi mentre giocano al calcio balilla, anni Cinquanta La squadra di tiro alla fune di Porto Potenza Picena ai vertici della specialità in ambito nazionale, anni Trenta 251 La traversata in moscone da Veli Rat alla spiaggia Portopotentina Tra il 7 e l’8 luglio 2007 GIANCARLO GIRONELLI sì rende protagonista di un’impresa sportiva di rilievo: la traversata in pattìno (il popolare moscone) da Veli Rat, in Croazia, fino alla spiaggia portopotentina del circolo Il Faro, due luoghi divisi da circa 70 miglia marine, qualcosa come 130 chilometri! Sorretto da una grande determinazione, frutto di una solida disciplina mentale maturata con la pratica del judo, inizia una lunga e meticolosa preparazione in vista della eccezionale prova. Per effettuarla si costituisce un comitato organizzatore e il maestro d’ascia Guido Graziani realizza un apposito pattìno, un autentico gioiello di tecnica artigianale, frutto di una lunghissima esperienza nella costruzione nautica. Il 7 luglio è il giorno della partenza da Veli Rat, fissata per le ore 18,00. Nonostante le previsioni meteorologiche abbiano indicato buone condizioni atmosferiche e marine, la prima parte della prova è caratterizzata da un fastidioso vento di scirocco, che aumenta progressivamente e che fa incrementare il moto ondoso, fino a notte fonda. Giancarlo, la cui andatura media è stata prevista in 2,8-3 nodi orari, deve contrastare una forte corrente, che ne riduce la velocità, fin quasi a farlo fermare. Consumando tesori di energie solo per battersi contro il mare, Gironelli è costretto ad appoggiarsi ad una delle barche che lo accompagnano, fino a che il vento diminuisce. Superate le critiche condizioni ambientali avverse, riprende a vogare con rinnovata lena. Dopo circa 27 ore dall’inizio della prova, Giancarlo arriva sulla spiaggia portopotentina, atteso da centinaia di persone che lo accolgono con entusiasmo e affetto, per sottolinearne il coraggio e il valore dell’impresa compiuta. 252 Guido Graziani nel suo laboratorio Giancarlo Gironelli durante la traversata, luglio 2007 Inaugurazione del campo sportivo “Skorpion”, costruito dall’omonimo 2° corpo di armata polacco, 1946 Squadra di pallavolo “Sacrata”, 1968 Bindelli, Colafranceschi, Bonarini, Meriggi, Esposto, Campugiani, Paolucci, Rebichini, Massaccesi 253 PERSONAGGI ILLUSTRI Vari potentini, nativi e adottivi, si sono messi in luce nel corso del tempo in diversi ambiti della vita sociale. Di quelli che hanno saputo eccellere nella musica ci siamo occupati nelle pagine relative a quest’arte. Nel presente capitolo ci dedichiamo a coloro che si sono distinti in altri settori; certamente altri avrebbero pure meritato di figurare nella lista che segue, ma si è cercato, anche per motivi di spazio, di offrire una panoramica il più possibile sintetica e significativa(36). Giuseppe Asciutti Statua lignea del sec. XVII, raffigurante uno degli apostoli, pinacoteca comunale Giuseppe Asciutti (1898-1981) è stato un grande artista e un grande uomo, al quale la popolazione locale è profondamente grata per la generosa dedizione dimostrata nel contribuire alla formazione artistica e professionale di tanti ragazzi del luogo. Dopo aver studiato presso le Accademie di Belle Arti di Urbino e di Roma e aver conseguito il diploma, fu docente di disegno, plastica e intaglio nella Scuola d’Arte Giannini di Pergola. Nel 1926 operò presso il Laboratorio d’Arte Antica Angelelli a Roma. Due anni dopo tornò a Potenza Picena e fu insegnante di disegno ai corsi di Avviamento Professionale di Porto Recanati e Potenza Picena. Successivamente ha ricoperto il ruolo di direttore della Scuola d’Arte “Ambrogio della Robbia”, insegnando a tanti giovani il disegno, elementi di architettura, l’impiego del cemento, la lavorazione artistica del ferro, nozioni d’intaglio. Asciutti ha rappresentato una guida sicura e competente per coloro che hanno voluto occuparsi d’arte. Prese parte ad importanti mostre, da quelle allestite nella nostra provincia (Macerata nel 1922, Recanati nel 1937, Macerata nel 1944, Montelupone nel 1957) a quella di Roma nel 1926 e di Buenos Aires nel 1936. Realizzò, tra l’altro, pitture ad olio, ritratti, paesaggi, pergamene in miniatura, sculture in legno, disegni architettonici: il tutto con il comun denominatore di una tecnica sopraffina e una pregevole sensibilità. Tra le sue opere più importanti figurano la pala dell’altare maggiore della chiesetta rurale in contrada Molino Vecchio di Potenza Picena, dipinto intitolato La Sacra Famiglia di Nazareth, e la cappella di Lourdes, realizzata presso i Padri Cappuccini di Potenza Picena, lavoro eseguito in cemento, che riproduce la grotta dell’apparizione della Madonna a Bernadette. Maestro di numerose tecniche artistiche, si è distinto anche per la sua grande umiltà e per la sua profonda fede in Dio. 255 Umberto Boccabianca Nato a Ripatransone (Ap) nel 1860, giunse a Potenza Picena nel novembre 1882, vincitore di concorso per maestro elementare; nel 1894 assunse l’incarico di Direttore scolastico. A proprie spese fondò, nel 1887, la Scuola di Lavoro Educativo, seconda in ambito nazionale dopo quella di Ripatransone, diretta dal suo vecchio insegnante, l’illustre pedagogista prof. Emidio Consorti. L’anno seguente, Boccabianca divenne direttore della Scuola di Disegno, che era stata fondata nel 1873 dal prof. Domenico Filippetti, trasformandola dapprima in Scuola Popolare, successivamente in Scuola d’Arte Applicata all’Industria, con riconoscimento ministeriale nel 1896: essa diede una preziosa formazione a muratori, fabbri e falegnami, insegnando il mestiere a tanti giovani del luogo. Nel 1891 Boccabianca istituì la Sezione Femminile di Disegno, diventata nel 1899 Sezione Femminile della Scuola d’Arte e intitolata alla Regina Margherita di Savoia: vi impararono il mestiere ricamatrici, sarte e cucitrici, che acquisirono maestria in queste attività. Nel 1900 il Ministero della Pubblica Istruzione gli conferì la medaglia d’argento per meriti acquisiti nell’ambito dell’educazione popolare. La Scuola d’Arte maschile fu intitolata, nel 1905, ad Ambrogio della Robbia, il noto artista fiorentino che ebbe casa e laboratorio a Monte Santo nel 1524. Boccabianca diede grande impulso alla scuola locale, che seppe mettersi in luce a livello regionale e nazionale. In qualità di direttore della scuola elementare di Potenza Picena, promosse iniziative a favore degli alunni poveri e meritevoli, dimostrando anche grande sensibilità e generosità. Il Prof. Umberto Boccabianca insieme alle alunne della Scuola Femminile di Disegno. Interno del Chiostro di S. Agostino, fine Ottocento 256 Balduino Bocci Laureatosi in Medicina e Chirurgia a Bologna, Balduino Bocci (1852-1945) andò a perfezionarsi a Vienna e Parigi. Nel 1882 fu nominato assistente alla cattedra di Fisiologia a Roma; due anni dopo lo troviamo docente in Fisiologia all’università capitolina. Nel 1892 fu nominato medico provinciale di Roma. Tre anni più tardi ebbe l’incarico di professore, prima straordinario poi ordinario, di Fisiologia a Siena. Con grande talento di scienziato si occupò, tra l’altro, di ottica fisiologica e meccanica cardiaca. In campo medico fu autore de L’immagine visiva cerebrale e di Guida allo studio sperimentale della fisiologia. Balduino Bocci fu anche ottimo letterato: amò Virgilio, Dante, Leopardi e Pascoli. Tra le sue opere citiamo il poema in versi sciolti Le Api, il poema epico Italia! Italia! e Argomenti della Divina Commedia. Bonaccorso Bonaccorsi Laureatosi all’Università di Perugia, Buonaccorso Buonaccorsi (1620-1678) iniziò a Roma un’importante carriera ecclesiastica, con incarichi di grande responsabilità, fino alla creazione cardinalizia, avvenuta il 29 novembre 1663, ad opera di Papa Clemente IX. Gli fu assegnata la legazione di Bologna da Clemente X, poi confermata da Innocenzo XI. Di carattere energico e forte, si adoperò con determinazione per eliminare gli episodi di violenza e di malvivenza che si verificavano in quella città. Quando morì, il suo corpo venne portato a Loreto e sepolto nella basilica mariana. Mons. Giovanni Cotognini Nato a Potenza Picena il 3 dicembre 1908, Giovanni Cotognini frequentò il Seminario di Fermo, per poi laurearsi in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Apprezzato per il suo prezioso servizio sacerdotale in vari centri marchigiani, è stato anche assistente diocesano delle suore dell’Istituto “Figlie del SS. Redentore e Beata Vergine Addolorata” di Potenza Picena e membro del Tribunale Matrimoniale Ecclesiastico Regionale. Docente di Lettere presso l’Istituto magistrale “Bambin Gesù” di Fermo e professore di Diritto in Seminario, mons. Cotognini si è distinto anche per i suoi studi dedicati alla storia e alle memorie locali e per alcune interessanti pubblicazioni, tra le quali ricordiamo Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena e Memorie Storiche dell’Istituto ‘Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata’. 257 Raffaele Curi Laureato in Storia dell’Arte, si è meritato un posto importante nel mondo del cinema, interpretando una ventina di films. Il primo di questi è un capolavoro della cinematografia mondiale, Il Giardino dei Finzi Contini, diretto da Vittorio De Sica, opera che ha conquistato l’Oscar quale miglior film straniero nel 1972. Nella filmografia di Curi spiccano anche Il Gatto di Luigi Comencini, Jazz Band e Impiegati di Pupi Avati, Scherzi da prete di Pier Francesco Pingitore e Claretta di Pasquale Squitieri. E’ stato collaboratore di Man Ray e validissimo collaboratore di Giancarlo Menotti al Festival di Spoleto. Nel 1983 si è occupato dell’Arena Sferisterio di Macerata, in cui venne allestita un’edizione particolarmente felice della Bohème, con la regia di Ken Russell. Nel 2006 è stato eletto “Marchigiano dell’anno”. Interior designer, regista di grandi eventi internazionali e recentemente autore di uno script per Martin Scorsese, Curi è attualmente apprezzato direttore artistico della Fondazione Alda Fendi, che si distingue per la sua sperimentazione teatrale e per la promozione e produzione di esperimenti artistici multimediali. 258 Roberto Domenichini Classe 1954, Roberto Domenichini è un valente e stimato studioso di storia locale. Laureato in Filosofia con lode presso l’Università degli Studi di Macerata, diplomato archivista-paleografo con lode presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Scuola speciale per Archivisti e Bibliotecari, si distingue per l’accuratezza e la competenza nei suoi studi. Domenichini, che presta servizio nell’archivio di Stato di Ancona ed è responsabile della Sala di studio di questo Istituto, è autore di molte pubblicazioni storico-scientifiche, tra le quali ricordiamo: Il dipartimento del Metauro nell’età napoleonica (1808-1815). Divisioni territorialiamministrative e stato della popolazione (1987), Evoluzione demografica nella città e diocesi di Ancona nel XVIII secolo (1989), Fonti documentarie per la storia contemporanea nell’Archivio di Stato di Ancona (1991), Note sulla presenza della Compagnia di Gesù in alcune località della Marca. La fondazione dei collegi (1994). Tra le pubblicazioni dedicate alla realtà santese vi sono: Monte Santo (Potenza Picena): una “terra” della Marca anconitana e i suoi catasti; secc. XIV-XVIII (1995), Fonti ecclesiastiche locali per la storiografia: l’archivio parrocchiale di Monte Santo (Potenza Picena) 1994, Aspetti della società e dell’economia santese nel tardo Trecento (1997). Roberto Domenichini è membro della Deputazione di Storia patria per le Marche e socio dell’Accademia marchigiana di Scienze, lettere e arti. Severino Donati Severino Donati con la moglie Giuseppina Petroselli, 1975 Nel panorama artistico potentino, Severino Donati (1915-1982) si è meritato un posto di rilievo per un’operazione culturale che ha dell’incredibile. Perito industriale, elettrotecnico di professione, socialmente impegnato e amante della letteratura, si è dedicato con passione e competenza al dialetto potentino, alla sua difesa e rivalutazione. Utilizzando con sensibilità e maestria il nostro vernacolo, Donati ha tradotto nell’idioma locale la Divina Commedia di Dante Alighieri e i Vangeli; inoltre ha realizzato raccolte di poesie (Mondesando che rride, Mondesando che piagne, Galazzà e dintorni, Vrange rosce) che costituiscono, nello stesso tempo, una preziosa testimonianza sulla vita locale e un amore profondo per la sua terra. Le sue poesie sono “pennellate di colore che non hanno nessuna pretesa artistica, ma solo lo scopo di non far dimenticare la variopinta vita dei nostri non lontani predecessori”. Donati volle completare il suo impegno letterario realizzando Appunti per un glossario del dialetto di Potenza Picena, un testo per aiutare il lettore meno preparato a comprendere meglio il significato e le sfumature del vernacolo potentino. 259 260 Spartito de La Putindina parole di Severino Donati, musica di Edgardo Latini. Il testo in vernacolo è all’interno del libro Galazzà e dintorni Don Vincenzo Galiè Nato a Montefiore dell’Aso (Ap) nel 1940, potentino d’adozione, sacerdote dal 1965, è un illustre studioso della topografia antica e dell’archeologia delle basse Marche, nonché autore di oltre cinquanta pubblicazioni sulle ricerche compiute. Parroco a Montecanepino, nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista, dal 1967 al 1986 (anno della soppressione della stessa), ha insegnato religione presso il liceo scientifico “Leonardo da Vinci” di Civitanova Marche e ha svolto il ruolo di assistente spirituale nell’Istituto di Riabilitazione “Santo Stefano” di Porto Potenza Picena. E’ stato cappellano nei cantieri italiani all’estero, in Zambia e Iran. Nominato rettore del Collegio Arcivescovile “Fontevecchia” di Fermo, nel dicembre 1998 ha ricevuto, per decisione dell’Arcivescovo di Fermo, Mons. Franceschetti, la nomina di abate parroco di Campofilone, dove svolge la sua missione pastorale. Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Macerata, don Vincenzo Galiè ha compiuto studi approfonditi di topografia e archeologia, utilizzando anche il georadar, che individua resti archeologici situati diversi metri sottoterra. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza ed il Chienti e lungo il litorale (1980), Da Potentia a Monte Santo a Potenza Picena (1992), importante studio sulla città romana di Potentia. Norberto Mancini Norberto Mancini (1909-1980) è uno dei letterati illustri del nostro territorio comunale. Insegnante e uomo di grande serietà professionale, animato da sincero amore per la sua terra, ad essa e alla sua storia ha dedicato studio e approfondimento. Tra le opere che ci ha donato vogliamo ricordare Potentini illustri, La mia terra e Visioni Potentine, preziosi lavori che ancora oggi costituiscono punti di riferimento irrinunciabili per chiunque voglia conoscere il nostro recente passato. Con raffinatezza letteraria e squisita sensibilità ha saputo divulgare gli usi, i costumi, le tradizioni del 261 nostro territorio, contribuendo a salvarli dall’oblio. Seppe eccellere anche come poeta, creando composizioni di rara bellezza ed eleganza. Le sue opere hanno rappresentato fonti utilissime per preparare il presente libro e di ciò gli siamo grati. Prospero Marefoschi Compiuti gli studi universitari a Fermo, Prospero Marefoschi (1653-1732) si trasferì a Roma, dove intraprese la professione di avvocato, per poi assumere incarichi ecclesiastici. Papa Innocenzo XII lo elesse votante di segnatura e, successivamente, uditore del camerlengo. Il pontefice Clemente XI lo nominò segretario del buon governo, poi anche vescovo di Cesarea. Papa Benedetto XIII lo creò cardinale il 20 dicembre 1724; lo stesso pontefice lo nominò Vicario di Roma. Il cardinal Marefoschi fu sepolto a Roma, nella chiesa di San Salvatore in Lauro. Luigi Miti Nato a Potenza Picena il 30 Dicembre 1914, Luigi Miti occupa una posizione di primissimo piano nel mondo medico regionale e nazionale. Laureato in Medicina e Chirurgia a Roma nel 1940, specializzato in malattie del tubo digerente, sangue e ricambio, in malattie dell’apparato respiratorio, in cardiologia, ha ricoperto importanti incarichi anche come docente universitario. In periodo bellico si è distinto anche come antifascista, partecipando alla Resistenza con il Gruppo di Azione Patriottica. La sua brillante carriera medica ha conosciuto un’ascesa prestigiosa, che lo ha portato a ricoprire, più volte, il ruolo di primario nella sanità anconetana. Autore di 110 pubblicazioni scientifiche, il prof. Miti è stato Presidente dell’Accademia Medico-Chirurgica del Piceno, ha ricevuto tra l’altro, la medaglia d’oro dell’Ordine dei Medici della Provincia di Ancona per “aver contribuito con la professionalità ad aumentare il prestigio della struttura pubblica ospedaliera nella città di Ancona”, la medaglia d’argento al merito della Sanità Pubblica con decreto del Presidente della Repubblica, e numerosi altri riconoscimenti giunti a premiare una vita dedicata alla medicina e una professionalità di altissimo livello. 262 Ferdinando Scarfiotti Ferdinando Scarfiotti (1941-1994) è stato uno dei migliori scenografi del cinema italiano. La sua straordinaria carriera ebbe inizio nel 1963, come assistente di Luchino Visconti, col quale poi collaborò per il film Morte a Venezia; nel 1972 si fece conoscere a Hollywood per la sua collaborazione artistica con Billy Wilder. Il suo incontro con Bernardo Bertolucci portò alla realizzazione di scenografie per films come Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Il tè nel deserto, L’ultimo imperatore, opera per la quale ottenne il Premio Oscar nel 1988, insieme con Bruno Cesari e Osvaldo Desideri, per la migliore scenografia e arredamento. Scarfiotti ha collaborato con altri illustri registri: tra gli altri ricordiamo Brian De Palma per Scarface, John Schlesinger, Barry Levinson per Toys, che gli valse, nel 1993, una nuova candidatura all’Oscar. Ferdinando Scarfiotti espresse il suo grande talento anche in teatro, collaborando con Luca Ronconi ed Eduardo De Filippo. Al nostro eccellente scenografo l’Amministrazione Comunale di Potenza Picena ha intitolato l’auditorium dell’ex complesso di Sant’Agostino. 263 Gian Luigi Scarfiotti Nativo di Torino (1939) ma potentino d’adozione, è uno dei fotografi italiani più apprezzati. Compiuti gli studi classici in Italia ed economici in Svizzera, ha iniziato a fotografare fin da bambino, passione trasmessagli dal padre. Giunto nelle Marche ha collaborato con riviste di viaggi e sport; dal 1970 si è dedicato professionalmente al fotogiornalismo, compiendo numerosi viaggi in ogni parte del mondo, occupandosi di attualità, di ricerca sociale, di folclore e di eventi bellici. Varie e importanti le sue collaborazioni con testate come Newsweek, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Aramco Magazine, Atlante, Paris Match. Le sue foto vengono scelte per servizi fotografici per la pubblicità di aziende e compagnie aeree. Dal 1981 vive in Toscana, da dove parte per effettuare servizi foto-giornalistici per l’editoria e la pubblicità. Numerose le sue mostre fotografiche in Italia e all’estero: nel 2008 anche Potenza Picena ne ha ospitata una di eccellente livello. E’ iscritto all’Albo nazionale dei giornalisti e al GADEF. 264 Lodovico Scarfiotti Nasce a Torino nel 1933, la sua carriera nell’automobilismo della quale ci limitiamo a ricordare alcuni brillanti successi, con le corse in salita e con le competizioni Turismo. Prese parte alla Mille Miglia nel 1956, imponendosi nella categoria 1300. Nel 1957 vinse il titolo di campione italiano Velocità Turismo e il Trofeo della Montagna, successi ripetuti l’anno seguente. Nel 1962, su Ferrari, conquistò il Campionato Europeo della Montagna. Altri due successi internazionali giunsero nel 1963: la 12 Ore di Sebring, in coppia con Surtees, e la 24 Ore di Le Mans, con Bandini. Dello stesso anno è il debutto in Formula Uno, quando prese parte al Gran Premio d’Olanda, gara in cui riuscì a classificarsi al sesto posto. Nel 1964, conquistò, tra l’altro, la 1000 chilometri del Nurburgring in coppia con Vaccarella. Due anni dopo l’Associazione Costruttori lo scelse come “Miglior pilota dell’anno”, titolo che già era stato suo nel 1962. Il suo momento di maggior splendore si ebbe in occasione del Gran Premio d’Italia del 1966, a Monza: alla guida di una Ferrari conquistò il gradino più Lodovico Scarfiotti con Enzo Ferrari. Modena, prova Lucangeli, 1962 265 alto del podio, realizzando il sogno degli sportivi italiani di vedere al primo posto l’accoppiata “Rossa-pilota italiano”, un abbinamento che i tantissimi tifosi del ‘Cavallino rampante’ auspicano da sempre. Oltre che per la scuderia di Maranello, Scarfiotti corse per la Eagle e per la Cooper, sulla cui vettura, nel 1968, ottenne due quarti posti, uno al Gran Premio di Spagna e l’altro a Montecarlo. In totale prese parte a dieci gran premi in Formula Uno, collezionando diciassette punti; nel 1966 si piazzò al decimo posto nella classifica finale piloti. Un incidente pose fine alla sua vita nel giugno 1968, durante una gara in salita a Rossfeld, in Germania. Campioni potentini nati all’estero La vocazione sportiva di Potenza Picena si manifesta anche nel suo essere patria adottiva di campioni di livello internazionale. Alcuni di loro, grazie a progenitori originari del nostro territorio comunale, sono diventati ufficialmente potentini. GABRIELA SABATINI, nativa di Buenos Aires (1970), è stata una delle tenniste più talentuose di tutti i tempi. Campionessa mondiale juniores nel 1984, a soli diciotto anni vinse la medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Seoul nel singolare femminile e il torneo di Wimbledon nel doppio con Steffi Graf. Nel 1990 si aggiudicò l’Open degli Stati Uniti; l’anno successivo fu battuta dalla Graf nel singolare del torneo di Wimbledon. Gabriela, bella quanto brava, ha vinto per quattro volte (1988-1989-1991-1992) gli Internazionali d’Italia, diventando amatissima beniamina del pubblico italiano. Nel 1994 ha dominato il Master Virginia Slims, come già aveva fatto nel 1988. L’ultimo torneo del suo sontuoso palmares è stato quello vinto a Sydney nel 1995; l’anno seguente, a soli 26 anni, ha deciso di appendere la racchetta al chiodo. MAURO GERMAN CAMORANESI (1976) è originario della cittadina argentina di Tandil. Ha iniziato il suo cammino nel calcio professionistico in Messico, nel Santos Laguna, per poi passare al team uruguaiano del Montevideo Wanderers. Tornato in Argentina per vestire la maglia del Banfield, si è successivamente trasferito in Messico, nelle file del Cruz Azul. Nell’estate del 2000 passò all’Hellas Verona; il suo esordio in serie A è avvenuto nell’ottobre di quell’anno. Nell’estate 2002 è passato alla Juventus, diventando campione d’Italia l’anno dopo. Grazie alle sue qualità tecniche di centrocampista di fascia, ha visto aprirsi le porte della Nazionale Italiana nel 2003. Nel 2006, con la maglia azzurra, ha partecipato alla conquista del Campionato mondiale in Germania. Pur con avi di origine abruzzese, CICERO JOAO DE CEZARE, detto CICINHO, è diventato cittadino di Potenza Picena. Nato in Brasile, a Pradopolis, nel 1980, ha iniziato la sua carriera calcistica nelle formazioni giovanili del Botafogo. Nel 2003 ha indossato la casacca dell’Atletico Mineiro, l’anno successivo è passato al Sao Paolo, vincendo il campionato paulista. Il 2005 è stato un anno d’oro per lui: ha conquistato la Confederation Cup con la Nazionale Brasiliana, mentre, con il Sao Paolo, ha vinto la Coppa Libertadores e il mondia- 266 le per club Fifa. Nel dicembre 2005 è giunto in Europa per vestire la maglia del Real Madrid. Nell’estate 2007 è diventato giocatore della Roma, con la quale, nel maggio 2008, ha vinto la Coppa Italia. Dotato di pregevole tecnica, è noto per il suo gioco combattivo e spiccatamente offensivo. Rapido nella corsa, possiede una buona abilità nei cross. Altri due calciatori di spicco sono diventati cittadini di Potenza Picena: PAULO CESAR ARRUDA PARENTE (1978), nato ad Osasco in Brasile, ha vestito le maglie del Flamengo, del Botafogo, del Vasco da Gama, del Santos e del Paris Saint Germain; Teixeira da Silva Renan (1985), originario di Caieiras, sempre in Brasile, ha militato nel Sao Paolo, nel Cruzeiro e nel Vitoria, vincendo la Coppa Libertadores e il campionato mondiale per club nel 2005. Gabriela Sabatini 267 PARROCI La forte tradizione cattolica della nostra terra ha nei parroci dei punti di riferimento insostituibili. Per la gente locale sono stati e sono, oltre che ministri di culto, persone alle quali chiedere consigli, esporre problemi quotidiani o anche comunicare gioie. Di seguito riportiamo i nomi dei parroci di Potenza Picena, Porto Potenza Picena, San Girio e Montecanepino, che hanno operato dagli inizi del 1900 fino ai nostri giorni. Per Potenza Picena, il parroco don Andrea Bezzini, ci ha fornito i nominativi dei parroci della Prepositura di Santo Stefano, che è stata fino al 1989 la parrocchia principale e in quella data ha assorbito le altre due parrocchie potentine: San Giovanni Evangelista in Montecanepino e San Giacomo a Porta Galiziano. Ecco l’elenco dei parroci: fino al 1921: don GIUSEPPE GIRONELLI; dal 1921 al 1923: don VINCENZO LEONI come amministratore; dal 1923 al 1927: don GIUSEPPE GIORGINI; dal 1927 al 1929: don GIUSEPPE CORALLINI come amministratore, poi come parroco solo nel 1930; dal 1931 al 1951: don MARONE CESANELLI; dal 1952 al 1978: don GIACOMO FORTUNATI; dal 1978 al 1988: don PRIMO PENNACCHIONI; dal 1988 al 2006: don CARLO LEONI; dal 2007: don ANDREA BEZZINI. Operano in parrocchia la Confraternita Corpus Christi e della Morte e Orazione: sono state soppresse quelle del Suffragio, del SS.mo Sacramento, dei SS. Rocco e Martino Ecco i parroci a Porto Potenza Picena: dal 1915 al 1947: don SILVIO SPINACI; dal 1947 al 1982: don MAURO CARASSAI; dal 1982 : don CESARE DI LUPIDIO. A San Girio: dal 1890 al 1917: don ANTONIO PIERCONTI; dal 1920 al 1938: don ENRICO ACCIARRI; dal 4 settembre 1938 al 30 ottobre 1938: don FRANCESCO CAMPOLUNGO; dal 30 ottobre 1938 al 12 marzo 1939: don MARONE CESANELLI (economo); dal 12 marzo 1939 al 6 maggio 1946: don ROBERTO REMIA (rinunciatario); dal 6 maggio 1946 all’8 settembre 1946: don FERNANDO ANGELICI (economo); dal 1946 al 1979: don ELIA MALINTOPPI; dal 1979: don ALDO MARINOZZI. Annunciazione, attribuito a C. Todini, sec. XVIII, Convento dei Cappuccini I parroci di Montecanepino sono stati: dal 1957 al 1967: don ORESTE PIGNOLONI; dal 1967 al 1986: don VINCENZO GALIÈ. 269 SINDACI FILIPPO BONACCORSI (ottobre1860 - novembre 1860), presidente della Commissione municipale. PIETRO BOCCI (dicembre 1860 - febbraio 1861), presidente della Commissione municipale. LUIGI GASPARINI (marzo 1861 - aprile 1861), assessore facente funzione di sindaco. GAETANO SOLFANELLI (maggio 1861 - ottobre1862). LUIGI GASPARINI (ottobre1862 - gennaio 1863), facente funzione di sindaco. ALESSANDRO CANEPINI (febbraio 1863 - maggio 1865). EMIDIO CARDINALI, ALESSANDRO CANEPINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI, LUIGI GASPARINI, PIETRO BOCCI (maggio 1865 - dicembre 1866): assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco. LUIGI GASPARINI (dicembre 1866 - luglio 1867). AREZIO GASPARINI, CRISIPPO PAOLO CORI, FILIPPO BONACCORSI (agosto 1867 - maggio 1869), assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco. ALESSANDRO CANEPINI (maggio 1869 - febbraio 1874). LUCIANO BOCCI (maggio 1874 - luglio 1880). FILIPPO BOCCI, CESARE BRUNACCI e SILVESTRO BRAVI (novembre 1880 - maggio 1882), assessori che si susseguono facenti funzione di sindaco. LUCIANO BOCCI (settembre 1882 - novembre 1889). (dicembre 1889 - dicembre 1890) si susseguono diversi sindaci facenti funzione. PIETRO FELICI (gennaio 1891 - febbraio 1892). GIUSEPPE PIERANGELI, BENEDETTO BROCCOLO, LOREDANO FILIPPUCCI, PIETRO FELICI (marzo 1892 ottobre1893), assessori che si susseguono quali sindaci facenti funzione. PIETRO FELICI (ottobre1893 - luglio 1895). ETTORE BOCCI (ottobre1895 - gennaio 1899). ALESSANDRO BUONACCORSI (agosto 1899), rimane in carica pochi giorni. BONACCORSO BONACCORSI (novembre 1899 - agosto 1900). ETTORE BOCCI (settembre 1900 - luglio 1905). ETTORE BOCCI (settembre 1905 - novembre 1907). Mura castellane di Potenza Picena, anni Cinquanta CARLO BONACCORSI (dicembre 1907 - novembre 1912). 271 CARLO BONACCORSI (dicembre 1912 - aprile 1918). BONACCORSO BONACCORSI (agosto 1918 - febbraio 1919). RODOLFO FIORETTI (febbraio 1919 - marzo 1919), commissario prefettizio. BLANDO TORRESI (marzo 1919 - luglio 1919), commissario prefettizio. CARLO CORSI (luglio 1919 - settembre 1920), commissario prefettizio. GUGLIELMO GASPARRINI (ottobre1920 - luglio 1923). LODOVICO SCARFIOTTI (agosto 1923 - maggio 1924), commissario prefettizio. F. MARCUCCI (maggio 1924), commissario prefettizio, firma solo una seduta. AMEDEO PENNESI (giugno 1924 - luglio 1924), commissario prefettizio.. PAOLO SCARFIOTTI (luglio 1924 - aprile 1927). PAOLO SCARFIOTTI (aprile 1927 - agosto 1929), podestà. NICOLA SPINACI (settembre 1929 - maggio 1934), commissario prefettizio (sostituito, nel periodo settembre-ottobre1933 da RENATO DE ANGELIS). FRANCESCO FORMICONI (maggio 1934 - ottobre1935), commissario prefettizio. L’8 febbraio 1935 è nominato podestà, il 9 giugno si dimette; viene sostituito dal delegato podestarile CESARE MAGGINI, che poi si dimette; torna Formiconi fino al 23 ottobre1935. GERIO MATTEUCCI (ottobre1935 - novembre 1935), commissario prefettizio. CESARE MAGGINI (novembre 1935 - ottobre1937), commissario prefettizio, poi podestà a decorrere dal marzo 1936. GIOVANNI VOLPINI (ottobre1937 - febbraio 1938), commissario prefettizio. CESARE MAGGINI (febbraio - luglio 1939), podestà. AZZOLINO CLEMENTONI (luglio 1939 - luglio 1940), commissario prefettizio. CESARE MAGGINI (agosto 1940 - ottobre1940), commissario prefettizio. GIOVANNI VOLPINI (ottobre1940 - marzo 1942), commissario prefettizio. CLODOMIRO GIORGINI (marzo 1942 - marzo 1944), commissario prefettizio. Tra il dicembre 1943 e il febbraio 1944 è sostituito da RENATO DE ANGELIS. LUIGI ORSINI (marzo 1944 - luglio 1944), commissario prefettizio. GIOVANNI PASQUALI (luglio 1944). Dal novembre 1944 gli subentra il vicesindaco GIUSEPPE PASTOCCHI. GIUSEPPE NAZZARENO PASTOCCHI (dicembre 1944 - settembre 1945). ANTONIO MAZZONI (settembre 1945 - marzo 1946). ANTONIO CARESTIA (marzo 1946 - luglio 1951). 272 NAZZARENO RICCOBELLI (giugno 1951 - maggio 1952). LIONELLO BIANCHINI (maggio 1952 - novembre 1960). GIUSEPPE SILVANO MAZZONI (novembre 1960 - giugno 1964). FERNANDO PERRI (luglio 1964 - novembre 1964), commissario prefettizio. ROLANDO SIMONETTI (gennaio 1965 - giugno 1970). ALBERTO ROSCIANI (agosto 1970 - ottobre1972). GABRIELE NOCELLI (novembre 1972 - giugno 1975). MARIA MAGI MIGNANELLI (settembre 1975 - settembre 1985). LEONARDO MELATINI (ottobre 1985 - luglio 1990). PAOLO MOSCIONI (luglio 1990 - febbraio 1993). LEONARDO MELATINI (aprile 1993 - maggio 1995). MARIO MORGONI (maggio 1995 - giugno 2004). SERGIO PAOLUCCI (giugno 2004). 273 CONCLUSIONE Un viaggio nel nostro territorio comunale, visitandone i luoghi d’arte, di storia, di cultura, ammirandone il paesaggio, conoscendone alcune tradizioni, incontrando i personaggi che gli hanno dato lustro nel corso del tempo: questo libro, opera sinergica perché scritta con il contributo di tante persone, vuole essere un omaggio alla nostra realtà locale. Dalle antiche origini, che affondano le loro radici in secoli lontani, alla vita presente, si è cercato di dar rilievo ad alcune peculiarità di questa terra, nel tentativo di offrirle al lettore perché le possa apprezzare sempre di più e, magari, approfondirne la conoscenza con apposito studio personale. Potenza Picena e il suo territorio costituiscono un armonico insieme in cui si fondono la memoria di un passato antico e nobile, la realtà di un dinamico presente in divenire, la speranza di un futuro in cui possano realizzarsi le prospettive di crescita di una comunità sociale viva e operosa. Nel corso di questi ultimi decenni il tessuto sociale del luogo, fedele custode della propria identità, ha progressivamente accolto chi è venuto da altre regioni italiane e dal resto del mondo per stabilirsi a vivere e lavorare in questa terra, in uno spirito di collaborazione e di rispetto reciproco. E la natura ospitale della gente locale ha reso fisiologica questa integrazione, che diventa una risorsa per un avvenire di sviluppo e comprensione. Fontana piazza Matteotti con la torre civica, anni Cinquanta 275 Chiesa di San Francesco con il viale sottostante al “pincio”, anni Cinquanta Parco dei laghetti NOTE 1 Edvige Percossi Serenelli, Potentia quando poi scese il silenzio…, Milano, Federico Motta Editore S.p.A., 2001, pag.26. 2 Tesi di laurea di Eleonora Forti, Viabilità e idrografia picena in epoca romana, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Classiche, Anno Accademico 1995-96, pag.35. 3 Edvige Percossi Serenelli, op. cit., pag.38. 4 La maggior parte delle notizie storiche di questo capitolo sono state tratte dalla pubblicazione Monte Santo Itinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena, realizzato dalla locale Amministrazione Comunale nell’ottobre 1998, curato da Roberto Domenichini, Duilio Corona e Moreno Campetella. 5 La Tavola Peutingeriana è una copia del XIII secolo di un’antica carta romana che rappresentava un sommario delle strade dell’Impero Romano. Ha il nome del suo antico proprietario Konrad Peutinger di Augsburg. 6 Don Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale, estratto da “Studi Maceratesi”, Atti del XVI Convegno di Studi Maceratesi. Civitanova Marche, 29-30 novembre 1980, pag.18. 7 Roberto Domenichini, Aspetti della società e dell’economia santese nel tardo Trecento in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Storici Maceratesi, 1999, pagg.289-316. 8 Gessica Zallocco, Il Monte di Pietà santese nei secoli XVI-XVIII in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg. 317-384. 9 Tesi di laurea di Debora Selmarini, I Catasti di Monte Santo tra Settecento e Ottocento, Università di Macerata, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Moderne, Anno Accademico 1997-98. 10 Sabrina Grandinetti, Case coloniche e poderi a Montesanto tra ’700 e ’800 in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.385-410. 11 Carlo Pongetti, L’emigrazione transoceanica dal Maceratese e il caso di Potenza Picena in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.507-528. 12 Informazioni tratte da Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” G. Colocci Un secolo di storia 19072007 di Maria Grazia Tedeschi. 13 Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza, Tipografia San Giuseppe, 1992, pag.49. 14 Mauro Mancini, Il teatro Bruno Mugellini Cenni storici, Potenza Picena, 1990. Apprezzato funzionario comunale per tanti anni, Mancini ha contribuito, con studio e competenza e animato da profondo amore per la sua terra, alla valorizzazione del patrimonio culturale potentino. Il suo libro sul teatro Mugellini è una preziosa documentazione sulla storia di questo meraviglioso gioiello d’arte e di cultura. 15 Notizie tratte dalla pubblicazione Porta Galiziano e le altre porte di Monte Santo nella storia, curata dal nostro concittadino Paolo Onofri, cultore di storia locale. 16 Idem 17 Idem 18 Maria Lucia De Nicolò, La costa difesa, Fano, Edit. Grapho 5, 1998, pag.65. 19 Informazioni fornite da Piero Cingolani, nostro concittadino, cultore di storia. A lui e ai suoi collaboratori nella Pro Loco portopotentina si deve, in larga parte, l’elegante sistemazione dell’interno della torre. 20 Informazioni tratte da Le Clarisse a Potenza Picena di Anna Rosa Curi Monelli, Nanni Morelli, P. Giuseppe Santarelli. 299 21 Informazioni tratte da Memorie Storiche dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata” di Mons. G. Cotognini, Sr. M. Candida Italiani e don Giovanni Carnevale S.D.B. 22 Il nome Potenza Picena venne scelto dal Consiglio Comunale il 21 dicembre 1862. 23 Il Pincio attualmente ha il nome di “Belvedere Donatori del Sangue”. 24 La festa di San Vincenzo Ferreri. 25 Claudio Principi, I muratori nostrali nell’oralità del passato in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.62-166. 26 Le notizie sulla pesca con la sciabica sono state raccolte dalla testimonianza orale dei pescatori portopotentini. Un grazie particolare va al sig. Antonio Giampaoli per la sua disponibilità a fornire la maggior parte dei dettagli riportati in queste pagine. 27 In italiano le ‘bobbe’ si dicono boghe, le ‘mojelle’ sono i cefali. 28 In italiano la ‘papalina’ è detta bianchetto, cioè novellame di sarda; i ‘sardoncini sono il novellame delle sardine, le ‘agore’ sono le aguglie. 29 Informazione tratta dal discorso commemorativo pronunciato, in onore del Conte Alessio Conestabile della Staffa, da Sua Eccellenza Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, il 10 giugno 1973, in occasione del 25° anniversario della fondazione dell’Oratorio Parrocchiale “Casa del Fanciullo” di Porto Potenza Picena. 30 La sintesi della storia dell’Istituto Santo Stefano ci è stata cortesemente fornita dal dr. Lanfranco Ricchi, per molti anni apprezzato direttore amministrativo dello stesso istituto. 31 Le notizie relative all’Aeronautica Militare ci sono state cortesemente fornite dal Tenente Colonnello Antonio Casole, che vi ha svolto una brillante carriera. Parallelamente ad essa, egli ha sviluppato il suo talento artistico, che ha dato luogo a validissime opere scultoree e pittoriche, che gli hanno meritato prestigiosi riconoscimenti. Una sua mostra personale ad Altoetting, in Germania, è stata inaugurata dall’allora Cardinal Ratzinger, diventato poi Papa Benedetto XVI. Notevole il contributo di Casole in numerose iniziative culturali e di impegno sociale. Il Capo dello Stato, Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. 32 Paolo Peretti, Fabio Quarchioni, Contributi per una storia della musica a Potenza Picena (già Montesanto) in «Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi» (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999, pagg.411-506. 33 Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958, pag.81. 34 Informazioni fornite dal Comm. Remo Scoccia. 35 Informazioni fornite dal nostro concittadino Fausto Sampaolo, presidente del Centro Studi Portopotentino. 36 Nel 1950 Norberto Mancini pubblicò Potentini Illustri, una ricca panoramica sui personaggi locali che seppero mettersi in luce in vari settori della vita sociale. Si invita a leggere quel libro per avere una più completa conoscenza dell’argomento. 300 BIBLIOGRAFIA Carlo Cenerelli Campana, Istoria dell’antica città di Potenza rediviva in Montesanto, Ripatransone, Giacomo Jaffei e Figli, 1852. Norberto Mancini, Potentini Illustri, Recanati (Mc), Industria Tipografica Pupilli, 1950. Norberto Mancini, Visioni Potentine, Fermo, Stabilimento Tipografico Sociale, 1958. Anna M. Eustacchi Nardi, Contributo allo studio delle Tradizioni Popolari Marchigiane, Firenze, Leo S. Olschki – Editore, 1958. Domenico Spadoni, Alcune costumanze e curiosità storiche marchigiane (Provincia di Macerata), Bologna, Arnaldo Forni Editore S.p.A., 1974. Vincenzo Galiè, Insediamenti e strade romano-medievali tra il Potenza e il Chienti e lungo il litorale, Macerata, Centro di Studi Storici Maceratesi, 1982. Paolo Jacobelli, Giorgio Mangani, Valerio Paci, Atlante Storico del territorio marchigiano, Ancona, Industrie Grafiche F.lli Aniballi per conto della Cassa di Risparmio di Ancona, 1983. Mons. Giovanni Cotognini, Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena, Forlì, Grafiche M D M, 1988. Mons. Giovanni Cotognini, Sr. M. Candida Italiani, don Giovanni Carnevale S.D.B., Memorie Storiche dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata”, Pollenza (Mc), Tipografia Mariana, 1991. Vincenzo Galiè, Da “Potentia” a Monte Santo a Potenza Picena, Pollenza (Mc), Tipografia San Giuseppe, 1992. Callisto Urbanelli, Giuseppe Santarelli, Nanni Monelli, I Cappuccini a Potenza Picena, Ancona, Edizioni Aniballi, 1993. Anna Rosa Curi Monelli, Nanni Morelli, P. Giuseppe Santarelli, Le Clarisse a Potenza Picena, Ancona, Aniballi Grafiche S.r.l., 1993. Maurizio Mauro, Castelli Torri Cinte Fortificate delle Marche, Ravenna, Casa Editrice Adriapress Snc, 1996. Roberto Domenichini, Duilio Corona, Moreno Campetella, Monte Santo, Pollenza (Mc), Tipolitografia San Giuseppe Srl, 1998. Maria Lucia De Nicolò, La costa difesa, Fano, Editrice Grapho 5, 1998. AA.VV., Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi (Potenza Picena 22-23 novembre 1997), Macerata, Centro di Studi Maceratesi, 1999. Maria Grazia Tedeschi, Società Operaia di Mutuo Soccorso “Speranza” G. Colocci. Un Secolo di Storia 1907-2007. Marco Coppari, Mauro Ferrante, Paolo Peretti, L’organo Giovanni Fedeli a Potenza Picena (1757 - 2007), Macerata, Scocco&Gabrielli, 2007. 301 Sant’Emidio, Benedetto Biancolini, 1770, Sala Giunta Il mare di Porto Potenza Picena Stampa a cura della Scocco&Gabrielli srl - Macerata nel mese di maggio 2009 www.scoccogabrielli.it