il pensiero delle immagini

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il pensiero delle immagini
FRANŸOIS BŒSPFLUG
IL PENSIERO
DELLE IMMAGINI
Conversazioni su Dio nell’arte
con Bßrßnice Levet
EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
Presso le nostre edizioni
F. Cassingena-Trßvedy, La bellezza della liturgia
F. Cassingena-Trßvedy, La liturgia, arte e mestiere
M. Morasso, Essere trasfigurato. Una lettura teologica dell’opera di William Congdon
Aa.Vv., Liturgia e arte. La sfida della contemporaneitÜ
Invieremo gratuitamente
il nostro Catalogo generale
e i successivi aggiornamenti
a quanti ce ne faranno richiesta.
www.qiqajon.it
www.monasterodibose.it
Fran¾ois Bœspflug
Il pensiero delle immagini
SOTTOTITOLO: Conversazioni su Dio nell’arte con Bßrßnice Levet
COLLANA:
Liturgia e vita
FORMATO:
21 cm
PAGINE:
207
TITOLO ORIG.: La pensße des images. Entretiens sur Dieu dans l’art, avec Bßrßnice Levet
EDITORE ORIG.: ß Bayard, Montrouge 2011
TRADUZIONE: dal francese a cura di Laura Marino, monaca di Bose
IN COPERTINA: Anna Sedziwy, Il roveto ardente, tecnica mista (2007)
AUTORE:
TITOLO:
ß 2013 EDIZIONI QIQAJON
COMUNIT‘ DI BOSE
13887 MAGNANO (BI)
Tel. 015.679.264 - Fax 015.679.290
isbn 978-88-8227-390-3
INTRODUZIONE
In occasione dell’uscita della seconda edizione del mio libro
Dieu et ses images 1, dato che la prima (2008) si sta esaurendo,
le Edizioni Bayard e Frédéric Boyer mi offrono la possibilità di
pubblicare – e di questo li ringrazio vivamente – una presentazione parlata di quell’opera e della mia ricerca in generale, nella
forma di conversazioni con Bérénice Levet.
Come queste siano nate e si siano svolte è quanto lei spiega
all’inizio. È stato un periodo di gioia prolungata. Nulla di più
gradito a un autore che avere l’occasione di parlare a ruota
libera del suo argomento prediletto, senza i vincoli di un discorso elaborato secondo uno schema, cattedratico. Non che
gli otto incontri non siano stati preparati, e del resto la loro
trascrizione è stata fatta oggetto di attente riletture. Ma in
fondo la conversazione con Bérénice Levet ha assunto l’andamento tipico di una conversazione, con la sua libertà, i suoi
imprevisti. Si è sviluppata come la corrente di un fiume, con
i suoi meandri. A parte naturalmente il fatto che mentre un
fiume obbedisce alla forza di gravità e aggira gli ostacoli, la
conversazione tra una filosofa (Bérénice è autrice di una tesi
di dottorato in filosofia sull’opera di Hannah Arendt) e un
teologo studioso di storia dell’arte è una lotta incessante contro la gravità e tende invece ad andare anche controcorrente,
1 Cf. F. Bœspflug, Dieu et ses images. Une histoire de l’Éternel dans l’art, Montrouge
2011 (tr. it.: Id., Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, Torino 2012).
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proprio perché è attirata verso l’alto dalla curiosità di ciascuno
dei due interlocutori e affronta apertamente le difficoltà invece di evitarle o aggirarle.
Il vantaggio di questo stile è che si arriva a formulazioni
che sono una sorta di dono fugace, frutto dell’incontro. Così, ad esempio, mi sono sorpreso, in più di un’occasione, a
esprimermi più chiaramente che altrove, e anzi talora comprendevo meglio l’oggetto del discorso perché dovevo spiegarlo a
un’interlocutrice presente in carne e ossa. Quando si scrive si
può anche cercare di immaginare dinanzi a sé un lettore tutto
orecchie, attento a ciò che gli si dice, ma non è mica lo stesso
quando un paio d’occhi vi fissa e l’uditore che fatica corruga
inquieto la fronte, o al contrario quando un lampo passa nelle
sue pupille, segno attendibile della comprensione e del gioioso
sollievo che ne segue.
L’autore nutre dunque la speranza che questo libro possa
costituire un’introduzione piacevole e facilmente assimilabile
ai libri più complessi e documentati che ha scritto.
Quanto all’argomento delle conversazioni qui riportate, seguendo un ordine simile a quello della passeggiata organizzata
– flessibile e metodica nel contempo –, si affrontano i diversi aspetti della problematica delle immagini religiose oggi, alla luce del problema specifico della rappresentazione di Dio
nell’arte e nel mondo così com’è attualmente divenuto. L’indice dell’opera può permettere di farsene un’idea.
Questo mondo non necessita di lunghe descrizioni. È quello delle nostre società occidentali secolarizzate, dove la parola
“Dio” non ha più in alcun modo quella valenza di certezza (a
buon diritto o erroneamente, qui poco importa) che pare abbia
avuto nel corso dei secoli. Dio non appartiene più all’orizzonte
comune anche se non ne è totalmente scomparso. Le conversazioni affrontano la situazione generata dalla morte culturale
di Dio, dal suo apparente venir meno. Joseph Moingt, gesuita, è autore di un articolo intitolato: “Lasciare che Dio se ne
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vada” 2. Noi prendiamo atto del fatto che egli è in procinto
di abbandonare la cultura. Dio non è più un soggetto per gli
artisti. Meno che mai, poi, lo è la sua triunità, e non è certo
la mostra organizzata nel 2005 a Parigi 3 che potrà farmi cambiare opinione su questo punto. In compenso, Dio è stato per
lungo tempo, se non da sempre, un soggetto per l’arte. Dio o
gli dèi. In tutte le culture, con poche eccezioni. Ma di quale
Dio si parla in questo libro? Essenzialmente del Dio della fede
cristiana. Da qui gli interrogativi sui quali vertono le nostre
conversazioni. Perché i monoteismi abramitici hanno adottato
una posizione singolare a questo riguardo? Qual è la specificità
del cristianesimo, in particolare in occidente? Possiamo ancora comprendere, cioè fare nostro il significato delle immagini
di Dio che pittori e scultori hanno creato, specie nel corso di
un millennio? E supponendo che la risposta sia positiva, che
cosa ci possono insegnare queste opere? Il gioco vale davvero
la candela, cioè tutta la fatica che si deve fare per immergersi
nuovamente in quel mondo di immagini?
Le nostre riflessioni e i nostri interrogativi si focalizzano
dunque sulla civiltà cristiana e sul nostro rapporto con essa. La
“morte di Dio” è sinonimo di scomparsa irreversibile dell’“immaginario di Dio”? Perché il cristianesimo ha un approccio alle
immagini religiose così differente da quello del giudaismo e
dell’islam? Per quale motivo permette, e persino incoraggia, la
produzione, l’esposizione, la venerazione di immagini di Dio?
Questo atteggiamento tollerante, di apertura, o addirittura di
2 Cf. J. Moingt, “Laisser Dieu s’en aller”, in Dieu , Eglise , Société, a cura di J. Doré,
Paris 1985.
3 Cf. La Trinité: art et mystère, catalogo di una mostra nata da un concorso – “Trinité: an 2000” –, organizzato dai trinitari per l’ottavo centenario dell’approvazione del
loro ordine (nel 1198) da parte di papa Innocenzo III; la mostra si è tenuta in un primo
tempo a Cerfroid, poi presso il municipio del sesto arrondissement di Parigi (lu­glio-ago­
sto 1998). È in tale occasione che sono state presentate cinquanta opere originali sul
tema della Trinità. Il commissario di questa mostra era Roseline Grimaldi-Hierholtz,
autrice di un libro sull’argomento: Images de la Trinité dans l’art, Paris 1995.
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incoraggiamento vale solo per il Dio che si è fatto uomo in
Gesù Cristo, oppure si estende alle raffigurazioni di Dio Padre
e della Trinità? E comunque tutte queste immagini non stanno forse attraversando una fase di invecchiamento improvviso?
Oppure, appunto perché viviamo in un universo dove ogni religione, ogni istituzione, e persino ogni spiritualità, deve accettare di “comunicare” tra l’altro anche attraverso delle immagini,
dobbiamo di conseguenza aspettarci a breve termine l’avvento
di una nuova primavera per le immagini religiose? C’è di che
dubitarne seriamente, non è certo con uno schiocco di dita che
si possono ricreare immagini di Dio convincenti e largamente
recepibili. Da qui, di riflesso, la questione del rapporto che
intercorre tra le raffigurazioni di oggi e quelle di ieri. Il passato ha prodotto un’enorme quantità di immagini delle quali
traboccano musei, chiese, libri d’arte, biblioteche, siti e archivi
di ogni tipo. I responsabili del patrimonio hanno il compito
di conservarle, o di renderle accessibili. Ma per quale uso, al
di là del dovere di memoria? Che uso ne faremo, quale tipo di
valorizzazione selettiva del patrimonio delle immagini di Dio
gli occidentali si apprestano a intraprendere?
Sono alcuni degli interrogativi affrontati nel corso di queste
conversazioni, svoltesi a Parigi tra il febbraio e il marzo del
2011. Senza la presenza di spirito, l’attenzione e le osservazioni pertinenti di Bérénice Levet, ne sono ben cosciente, molte
cose non mi sarebbero venute alle labbra come mi sono venute.
Le devo tutto questo, e a Françoise Bayle sono debitore di decine di osservazioni preziose: per questo la ringrazio vivamente.
La mia riconoscenza va anche ad altri lettori generosi, che non
hanno fatto riserve del loro tempo né della loro attenzione nei
miei confronti: Jocelyne Muller, Évelyne Martini, Marie Lionnet, Régis Ladous e infine Frédéric Boyer stesso, che ha saputo
spronarci con conoscenza di causa.
François Bœspflug
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UN INCONTRO
Ho scoperto il lavoro di François Bœspflug in occasione della pubblicazione della sua opera più importante, Dieu et ses
images. In quel periodo insegnavo filosofia al liceo La Rochefoucauld di Parigi, ed ero stata incaricata di un corso di pastorale che avevo intitolato: “I vangeli letti attraverso i quadri
del museo del Louvre”. Ho integrato la mia scoperta con la
lettura della sua tesi, pubblicata presso le edizioni Cerf 1. Il suo
approccio alle opere d’arte mi ha fin da subito entusiasmato e
le sue analisi stimolanti, da allora, hanno sempre conservato
intatto il loro fascino.
Esposte al suo sguardo e descritte dalla sua penna, le immagini di ispirazione cristiana riprendono vita. A me pare che
sappia immedesimarsi nel pittore, nel momento in cui creava
la sua opera, e si adoperi per riscoprire gli interrogativi che lo
assillavano quando doveva rappresentare una certa scena biblica. Sono gli interrogativi che si impongono all’artista per le
esigenze stesse della sua arte, e ai quali non può sottrarsi, contrariamente al teologo che non è costretto a porseli. François
Bœspflug in questo modo fa emergere la valenza esegetica delle
opere d’arte ed elabora una vera e propria teologia pittorica,
1 Cf. F. Bœspflug, Dieu dans l’art. “Sollicitudini nostrae” de Benoit XIV (1745) et
l’affaire Crescence de Kaufbeuren, Paris 1984 (cf. tr. it.: Id., Dio nell’arte. “Sollicitudini
nostrae” di Benedetto XIV [1745] e il caso Crescenzia di Kaufbeuren, Casale Monferrato
1986).
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complemento rigoroso ed efficace della teologia discorsiva.
Senza mai ignorare (né dispensarsi dal leggere) la letteratura
specialistica – cosa che gli permette di evitare il rischio di interpretazioni fantasiose –, egli penetra nella sostanza di quelle
opere che appartengono alla nostra eredità, ma che per molti
dei nostri contemporanei sono divenute lettera morta. In sostanza, l’opera d’arte viene così restituita alla sua dignità di
oggetto di pensiero, cioè al suo statuto di strumento privilegiato di esplorazione e di delucidazione delle verità esistenziali che il cristianesimo ha semplicemente portato alla luce, ma
che gli artisti rendono visibili, alle quali danno carne. Maurice
Merleau-Ponty raccomandava di “andare al museo come ci vanno i pittori, nella gioia del dialogo” 2. Ma per poter dialogare
bisogna anche saper porre domande pertinenti, comprendere
le risposte dipinte e parlare la lingua delle linee e dei colori.
Perché l’artista non pensa con le parole. Così, assistiti nella
scoperta del copioso patrimonio iconografico della cultura cristiana dall’occhio e dalla mente di François Bœspflug, quella
che ci diventa accessibile è l’esperienza di un rapporto dinamico con le opere d’arte.
E poi, in un giorno del marzo o dell’aprile del 2010, vengo
a sapere che la seconda edizione della “Cattedra del Louvre”
– questo appuntamento annuale proposto nell’auditorium del mu­seo in maggio e dedicato alla ricerca in campo archeologico e di
storia dell’arte – è affidata a François Bœspflug. Il programma
è più che promettente: “Il Dio dei pittori e degli scultori. L’Invisibile incarnato” 3. Il ciclo si compone di cinque conferenze
di un’ora e mezza ciascuna: un percorso per comprendere come
un’idea così astratta come quella di un Dio che si rende visibile
attraverso il Figlio abbia potuto suscitare quella che Bœspflug
2 M. Merleau-Ponty, La prose du monde, Paris 1978, p. 102.
3 Cf. F. Bœspflug, Le Dieu des peintres et des sculpteurs: l’invisible incarné, Paris
2010.
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chiama l’“epopea artistica dell’incarnazione”. Dunque ci vado.
L’auditorium è pieno. L’attenzione è notevole, raggiunge un
livello raro, come testimonia la qualità del silenzio.
Alla fine della seconda conferenza, mi permetto di insistere
presso di lui per coinvolgerlo in un dialogo, destinato a comparire sulla rivista Commentaire, con l’autore di un altro libro
importante sul rapporto tra arte e cristianesimo, del quale, per
delicatezza, tacerò il nome. Bœspflug viene immediatamente conquistato dalla proposta, e osserva che nessuno vi aveva
mai pensato prima e che la discussione si ripromette feconda
(conosce il libro, lo ha letto e apprezzato). Reazione analoga
dall’altra parte. Ci ritroviamo dunque alcuni giorni dopo a casa dell’autore in questione. Purtroppo, contrariamente a tutte
le previsioni, l’esperienza fallisce. Come nella guerra di Troia,
l’incontro non ha luogo. Il dialogo tra i due interlocutori non
si instaura. Le mie domande, accuratamente preparate, restano
senza risposta. Il nostro ospite parte con un monologo. Ci lasciamo senza fare commenti, un po’ abbattuti. Ignoro dunque
in quale stato d’animo si trovi l’autore di Dieu et ses images,
tranne per il fatto che, al momento di separarci, per strada, mi
ha dichiarato con accento di sincerità indubitabile, ma in modo
un po’ sibillino: “Non c’è praticamente nulla da conservare
di questo incontro poco felice, eccetto le domande che lei ha
posto”.
La sera stessa ricevo da lui una mail che mi testimonia la sua
vicinanza, perché intuisce in quale stato di sgomento debba
trovarmi dopo un così cocente insuccesso. Non soltanto tale
sollecitudine mi commuove fortemente, ma François Bœspflug
mi propone di andare avanti ugualmente. Ha intuito, dietro
le mie domande, la possibilità di raccogliere materiale per un
libro, e non solo per un articolo di poche pagine. Ne parlerà nel
giro di poco tempo a Frédéric Boyer, che si mostrerà favorevole
e al quale io spedirò una sorta di breve riassunto. Tale è la genesi della serie di conversazioni all’origine di questo libro. Sono
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state realizzate (preparate, registrate, trascritte, rielaborate) su
un periodo di diverse settimane, non senza qualche sforzo di
volontà, ma in un clima di entusiasmo.
Possa quest’ultimo essere percepibile e contagioso.
Bérénice Levet
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EPILOGO
A un mese di distanza dalla fine degli incontri con Bérénice
Levet e alla vigilia dell’invio del manoscritto definitivo all’editore avrei alcune riflessioni da consegnare per iscritto, nell’intento
di prevenire eventuali domande dei lettori circa il genere letterario di queste conversazioni e l’assenza di riproduzioni in un libro
che di fatto non fa che parlare di opere d’arte, o poco ci manca.
Ma prima vorrei spendere una parola riguardo a un’altra assenza che si può constatare, e forse anche considerare infelice:
l’assenza di conclusioni. Non ce ne sono e non abbiamo cercato
di inventarcene, per diverse ragioni. Un libro o una conferenza
devono necessariamente avere una conclusione, una conversazione può farne a meno, ed è ciò che accade nella maggior
parte dei casi. Mi è parso artificioso cercare di concludere una
passeggiata così libera su un terreno tanto vasto. Questo riguarda le immagini, ma anche il genere letterario adottato. Tale
raccolta di conversazioni termina quindi così come si conclude
una conversazione, all’improvviso, in modo un po’ brusco, e
non perché l’argomento sia stato esaminato a fondo in lungo e
in largo, né perché i protagonisti del dialogo abbiano esaurito
gli argomenti, ma più semplicemente perché il tempo passa, si
ha la sensazione di aver detto abbastanza e che ci sia fin troppa
carne al fuoco. Meglio fermarsi prima che i lettori arrivino al
limite della pazienza.
Diamo l’impressione che queste conversazioni siano nate
spontaneamente, senza seguire un progetto? Avremmo torto se
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cercassimo di farlo credere. È stata messa a punto una scaletta,
in questo caso da me, per distribuire il contenuto bene o male su
otto incontri e ripartire le problematiche delle quali avevo desiderio di parlare con la mia interlocutrice, che ha fatto suo questo
progetto. Strada facendo sono nati nuovi interrogativi, dei quali
abbiamo parlato man mano o rinviandoli a un incontro successivo. Ma alla fine dell’ottava conversazione, le questioni che rimanevano da trattare, in particolare quella della possibilità delle
religioni (la loro capacità e la loro disponibilità) di esprimersi in
una lista chiusa di immagini, avrebbero impresso al nostro confronto una svolta e orientato la riflessione verso nuovi orizzonti.
Ora, non era il caso di mettere troppa carne al fuoco. Una volta
realizzato il piano prospettato all’inizio bisognava fermarsi.
Ma è chiaro che non si è mai finito di parlare di immagini,
anche quando si è vincolati, come lo sono io, a un’angolatura
apparentemente molto specifica, come quella delle immagini di
Dio. La conversazione avrebbe potuto proseguire, certamente.
Sarebbe stato possibile prevedere altri incontri (fino a dieci, o
dodici, o quindici) che completassero gli otto precedenti affrontando le questioni fino a quel momento tralasciate. Tuttavia il
progetto non era fare un discorso esaustivo, ma soltanto un’introduzione a diversi aspetti di una ricerca di ampio respiro e ad
alcune delle problematiche che si incontrano strada facendo.
Mi resta da giustificare l’assenza di riproduzioni delle opere
d’arte. Innanzitutto ci tengo a scagionare l’editore, che mi aveva
proposto di prevederne un certo numero. Avevo già cominciato
a stilarne la lista e a inserire nel testo i rimandi alle figure, ma
poi ho cambiato idea. Di fatto mi è parso che l’inserimento di
immagini avrebbe portato a un ibrido: né un bel libro d’arte, né
un’opera di pensiero. Di comune accordo con Frédéric Boyer e
Bérénice Levet, alla fine abbiamo deciso che non ce ne sarebbero state. Non mi sono pentito di questa decisione e vorrei ora
cercare di convincere i lettori che è molto meglio così, perché
questo libro si propone di evocare più che di mostrare. Ambisce a
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stimolare l’occhio e l’intelligenza sul tema sulle immagini, ma tenendole a distanza. Certo, alcune sono state descritte abbastanza approfonditamente, al punto da ricordare quella pratica che
i greci chiamavano ékphrasis: un modo di far esistere e rendere
presente, grazie alle parole che la descrivono, un’opera scomparsa per sempre, così efficacemente che la perdita sembra meno
grave e il dolore per quella perdita si attenua. Con questo, sono
ben lontano dal credere che il genere letterario di questi dialoghi
si avvicini a quello dell’ékphrasis, ma vorrei solo suggerire con tale accostamento che ciò che mi stava a cuore prima di ogni altra
cosa non era tanto comunicare al lettore la mia ammirazione per
alcune opere d’arte che mi sono care, cosa che ho fatto altrove e
in diverse occasioni, ma contribuire a convincerlo della prodigiosa riserva di pensiero che si trova nelle immagini quando si presti
loro attenzione e si rifletta su ciò che mostrano.
È questo ciò che vuole suggerire anche il titolo, elegante ma
ambiguo – lo ammetto senza problemi proprio perché l’ho scelto deliberatamente –, che ho dato a questi dialoghi: Il pensiero
delle immagini. Può evidentemente essere inteso come genitivo
soggettivo, come il pensiero che un ricercatore del mio genere,
che si interessa di immagini, può elaborare per diversi decenni
su questo tema, ma anche nel senso di genitivo oggettivo: e
cioè le immagini, ancora prima che il ricercatore elabori un
pensiero su di loro, sono portatrici di pensiero, fanno pensare, hanno la dignità del pensiero. Paul Ricœur ha coniato una
formula felice: “Il simbolo dà a pensare”. Ciò che vale per il
simbolo vale a maggior ragione per le immagini dipinte o scolpite. Frutto del pensiero di un artista, dei suoi committenti o
dei destinatari, dell’ambiente circostante e del loro tempo, le
opere d’arte spingono a pensare, e questo ben oltre il loro territorio di origine, in luoghi lontani e ad anni di distanza. È il
loro fascino, è il loro potere.
François Bœspflug
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INDICE
   5
INTRODUZIONE
   9
UN INCONTRO
  13PERCHÉ INTERESSARSI ALLE IMMAGINI?
  41LE INNUMEREVOLI IMMAGINI ARTISTICHE
DEL DIO INIMMAGINABILE
  69ICONOLOGIA COMPARATA: ELEMENTI DISTINTIVI
DEL CRISTIANESIMO
  95IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTAZIONE
DELLA TRINITÀ DI DIO
117LE IMMAGINI DI DIO: STORIA DEL PASSATO?
139
IMPARARE A GUARDARE
161LE IMMAGINI SONO TUTTE DELLO STESSO VALORE?
185PENSIERO FIGURATIVO, PENSIERO DISCORSIVO
203EPILOGO
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