01 gennaio 2013 - Giustizia a Milano

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01 gennaio 2013 - Giustizia a Milano
GIUSTIZIA A MILANO
PERIODICO MENSILE DI GIURISPRUDENZA MILANESE
Anno XXVI - n. 1 - Gennaio 2013
Anthea Editrice S.R.L.
Via Freguglia, 4 - MILANO 20122
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Direttore Responsabile: Avv. Carlo Bretzel
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Trib. Milano 415/10.6.1988 - Roc. 21373
Poste Italiane S.p.A. Sped. A.P. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 1 - LO/MI
Consiglio direttivo
Avv. CARLO BRETZEL direttore responsabile
Avv. RAFFAELE CAMASSA - Avv. GIGLIOLA GUERRERI Avv PAOLO GIUGGIOLI - Dott.ssa MARIA VITTORIA BORGHETTI Avv. MARIA CECILIA RUBINI - SALVATORE QUATTROCCHI
Comitato di redazione
Avv. CARLO BRETZEL - Avv. CATERINA DAVELLI - Avv. FILIPPO
ROSADA - DAVIDE RENZI - LAURA QUATTROCCHI
Hanno collaborato a questo numero
Prof. Avv. FILIPPO DANOVI - Avv. ANDREA ANTONELLO - Avv.
PAOLO BERTAZZOLI - Avv. NANCY BONASERA - Avv. EDOARDO
PALMA CAMOZZI - Avv. SERENA CANESTRELLI - Avv. PAOLO CARDONE - Avv. PAOLO COLOMBO - Avv. CATERINA DAVELLI - Avv.
ALESSANDRA GIORGETTI - Avv. LEONARDA MARTINO - Avv.
ANDREA MARZORATI - Avv. ANDREA PAGANINI - Avv. EDOARDO
PALMA CAMOZZI - Avv. FILIPPO ROSADA - Avv. MARIA CECILIA
RUBINI - Avv. MICHELA SCHIRO’ - Avv. IOLANDA SPAGNOLO Avv ANTONIA VETRO
RUBRICHE
1 - PERSONE-FAMIGLIA-SUCCESSIONI
2 - DIRITTI REALI E VENDITE IMMOBILIARI
3 - OBBLIGAZIONI - CONTRATTI TITOLI DI CREDITO
4 - DIRITTO DEL LAVORO
5 - TUTELA DEI DIRITTI
6 - DIRITTO INDUSTRIALE
7 - CIRCOLAZIONE STRADALE
8 - ASSICURAZIONI
9 - RESPONSABILITÀ CIVILE
10 - LOCAZIONI E CONDOMINIO
11 - ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ
12 - PROCEDURE CONCORSUALI
13 - DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
14 - DIRITTO AMMINISTRATIVO
15 - DIRITTO TRIBUTARIO
16 - DIRITTO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE
17 - DIRITTO E PROCEDURA PENALE DEPENALIZZAZIONE
18 - PROCESSO DI COGNIZIONE
Amministrazione/Abbonamenti
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Abbonamento 2013 (11 numeri)
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Stampa del 15 maggio 2013
EDITORIALE
Nell’iniziare un nuovo anno di pubblicazione di questo
mensile rivelatosi utile per gli operatori del diritto, mi consentano i suoi utilizzatori, sia quelli storici sia per diversa ragione quelli di più recente apprezzamento, di ricordare e rievocare il lontano giorno di ventisette anni fa, quando, in quel
di Rivergaro, nel giardino della sua casa sui colli piacentini,
Dante Guerreri proponeva agli amici ivi convocati, Lucio
Rubini, Paolo Giuggioli, Raffaele Camassa, Maria Vittoria
Borghetti, Luigi e Piera Cella, Carlo Bretzel, oltre ovviamente alla sua figlia Gigliola e alla figlia di Lucio, Cecilia, la
creazione di un periodico con la giurisprudenza milanese,
Circondario e Distretto, con riguardo soprattutto alla produzione del Palazzo di Giustizia della nostra città.
L’approvazione è stata unanime ed entusiasta e tutti si sono
messi al lavoro, portando prontamente a termine quello iniziale dell’intestazione, della rubrica, dell’impaginazione,
protrattasi per un decennio a formato lenzuolo, per passare
al lavoro rutinario ed impegnativo della massimazione, insieme a quello impervio, che, in un primo tempo non di breve durata, ci ha impegnati nel reperimento delle sentenze da pubblicare, svolto con accessi presso i Presidenti del Tribunale e
della Corte e poi con frequentazioni continue presso i Presidenti delle varie sezioni, presso giudici collaborativi, presso
le Cancellerie.
Via via la strada si è andata spianando, con allargata disponibilità di sentenze, da selezionare prima di massimarle,
fino alla situazione attuale che, grazie alla collaborazione
tecnica dell’editore, ha consentito non soltanto una più vasta
acquisizione di materiale, ma, soprattutto, la modernizzazione del mezzo di diffusione del giornale, con la sua edizione
elettronica.
Nel licenziare la ventiseiesima annata del periodico, sono
assai lieto di constatare l’apprezzamento che esso incontra
non soltanto presso i colleghi e presso altre persone ed enti
che si riferiscono al diritto, ma anche presso pubblicisti ed
editori che lo menzionano quando commentano giurisprudenza o riportano massime.
Con questo doveroso ricordo e con questo gratificante riscontro mi volgo al futuro, auspicando per il nostro giornale
un perdurante successo, con sostanzioso profitto per gli affezionati abbonati e per tutti i suoi lettori ed utilizzatori.
19 - PROCEDIMENTI SPECIALI
Il Direttore
20 - PROCESSO DI ESECUZIONE
21 - MEDIAZIONE CIVILE
Informativa ex legge 196/03 su www.anthea.it
22 - DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
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GIUSTIZIA A MILANO
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PERSONE
FAMIGLIA
SUCCESSIONI
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 360 - 24 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Garavaglia
Donazione - Donazione rimuneratoria - Revocazione per ingratitudine.
La donazione rimuneratoria è caratterizzata dalla rilevanza
giuridica che assume in essa il motivo dell’attribuzione patrimoniale, essendo correlata specificamente ad un precedente
comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si
pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti, speciale
remunerazione per l’attività svolta; la prova di tale motivo deve
essere ricavabile da elementi intrinseci all’atto di donazione o
in loro mancanza anche estrinseci, purché in quest’ultimo caso tali da manifestare inequivocabilmente l’intento rimuneratorio del donante e, in caso di donazione effettuata ad un parente, tali, per quanto riguarda l’intenzione del donante, da
superare la presunzione (de facto) che essa sia fondata sul
normale affetto che può provarsi tra persone legate da vincolo di parentela.
Va osservato che, ancorché nella donazione rimuneratoria
l’attribuzione patrimoniale non assuma la qualificazione giuridica di corrispettivo, neppure per la parte corrispondente al
valore del servizio reso, ciò nondimeno è richiesta una certa
proporzionalità tra il valore delle cose donate e quello dei servizi resi ricevuti dal disponente, proporzionalità di cui nel caso
di specie, a fronte di un consistente valore economico del donatum, non è stata offerta sufficiente prova e, ancor prima,
adeguata allegazione.
Per quanto attiene al profilo della “riconoscenza” parametro
più adeguato sono le condizioni economiche del donante rispetto al donatum, per valutare se il valore relativo della donazione potesse essere giustificato dalla mera riconoscenza
(nel caso di specie, va osservato che la donante si privò della
nuda proprietà delle sue proprietà immobiliari).
Bene ha pertanto operato il Giudice di prime cure laddove
ha ritenuto che la condotta della donataria integrasse gli
estremi della ingratitudine (cfr. artt. 800 e 801 c.c.), poiché “la
distrazione delle somme indicate, pari quanto meno alla differenza tra le spese affrontate per conto della defunta e quelle
indebitamente prelevate, ha certamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio della defunta” e neppure può essere
posto in dubbio il dolo della donataria - evidenziato anche dal
carattere “occulto” dello storno di fondi da ella operato e dal
successivo perdurante rifiuto di una loro, anche solo parziale,
restituzione- essendo comunque all’uopo sufficiente la volontarietà della condotta tenuta e la consapevolezza di arrecare
un grave pregiudizio alla disponibilità patrimoniale della donante. (P.Ca.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 129 - 16 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Garavardi
Comunione legale - Beni immobili - Acquisto di uno dei coniugi
- artt. 177 c.c. e 179 c.c.
Nel regime di comunione legale tra coniugi i beni immobili
acquistati da uno dei coniugi - quand’anche con i proventi
della sua attività separata - entrano comunque immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione ex art.177
c.c., salva la duplice condizione che si tratti di uno dei beni
personali contemplati dal primo comma dell’art. 179 c.c. e chi
vi sia (nelle ipotesi previste dalle lettere c, d e f) la dichiarazione di “esclusione” prevista dal secondo comma dell’art.179
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c.c. resa dall’altro coniuge che abbia partecipato all’atto di
acquisto
Infatti, in tema di regime della comunione legale fra i coniugi, la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente, prevista nella lettera f) del primo comma dell’art. 179 cod. civ. al
fine di conseguire l’esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni strettamente
personali o con il loro scambio, non è meramente facoltativa.
Quanto poi al profilo per cui, allorché l’acquisto esclusivamente personale si indirizzi ad avere ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati, il secondo comma dell’art. 179 cod.
civ. fissi l’ulteriore requisito della necessaria partecipazione,
all’atto, dell’altro coniuge, un tale trattamento differenziato si
pone in relazione agli evidenti profili di particolare certezza
che (nell’ottica del codice del 1942) debbono accompagnarsi alla circolazione di un tale tipo di beni. Tale partecipazione
all’atto dell’altro coniuge acquista i contenuti di un’“adesione”
alla dichiarazione resa dal coniuge acquirente e di ricognizione del ricorso dei presupposti per l’operatività della natura
meramente ”personale” dell’acquisto. Ne emergono i tratti di
una fattispecie complessa al cui perfezionamento concorrono, ad un tempo, il ricorso effettivo dei presupposti di cui alla
lettera f (o alle lettere c) e d) dell’art. 179 cod. civ.; la relativa
dichiarazione resa dal coniuge il quale si rende “acquirente
esclusivo”, e la “adesiva” partecipazione all’atto dell’altro coniuge. (I.S.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 40 - 9 gennaio 2013 - pres.
Buono - est. Colombo
Azione di simulazione della donazione - Azione revocatoria
della donazione - Alternatività.
L’azione di simulazione della donazione e l’azione revocatoria della donazione, pur diverse per contenuto e finalità,
ben possono essere proposte nello stesso giudizio in forma
alternativa o, anche, eventualmente in via subordinata, senza che la possibilità di esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra. L’unica differenza riguarda soltanto il fatto
che, in caso di domanda alternativa è l’attore a rimettere al
potere discrezionale del giudice la valutazione delle pretese
fatte valere sotto una species iuris piuttosto che l’altra, mentre, in caso di domanda subordinata, si richiede espressamente che il giudice prima valuti la possibilità di accogliere
una domanda e, solo nell’eventualità in cui questa risulti
infondata (o comunque da rigettare), esamini l’ulteriore richiesta. (S.C.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 31 - 9 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Tragni
Adempimento dell’ufficio di esecutore testamentario - Gratuità
- Diritto al rimborso spese a carico dell’eredità - Art. 712 c.c.
- Spese giudiziali - Obbligo di pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle quote ereditarie - Sussiste - Inapplicabilità del principio di solidarietà ex art. 1294 c.c.
Anche nell’ipotesi di gratuità dell’incarico, l’esecutore testamentario ha sempre diritto, in base all’art. 712 c.c., al rimborso delle spese sostenute nell’esercizio di uno dei doveri o poteri che gli derivano dalle funzioni affidategli (nel caso di specie provvedere, per espressa volontà del de cuius, alla sua
cremazione).
Con particolare riguardo alle spese giudiziali, l’attività processuale è uno dei compiti dell’esecutore testamentario connessi all’attuazione della volontà testamentaria.
A norma dell’art. 704 c.c., l’esecutore testamentario ha la facoltà di esercitare le azioni relative all’esercizio del suo ufficio,
ossia all’esecuzione delle disposizioni testamentarie; sicché
le spese sostenute nell’espletamento dei suoi compiti, salva
la responsabilità per la temerarietà delle liti eventualmente in-
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traprese, dovranno essere imputate all’eredità ai sensi dell’art. 712 c.c.
Non può, infatti, condividersi la tesi sostenuta dall’appellante dell’applicazione ai debiti ereditari del principio della
solidarietà tra condebitori di cui all’art. 1294 c.c.
Pur dovendo essere distinte dai debiti ereditari, ossia dai
debiti contratti in vita dal de cuius che si trasmettono con il
patrimonio medesimo a coloro che gli succedono per legge o
per testamento, le spese sostenute dall’esecutore testamentario sono poste “a carico dell’eredità”, in base all’art. 712 c.c.
e, quindi, gravano sugli eredi, in seguito all’apertura della
successione, per effetto dell’acquisto dell’eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, composto sia dai debiti
del defunto, sia dai debiti dell’eredità.
Pertanto, ciascun coerede è tenuto al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari in proporzione della rispettiva quota ereditaria, ai sensi degli artt. 752 e 754 c.c. nonché ex art. 1214
c.c. (P.Co.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 821 - 23 gennaio 2013 - pres. est.
Manfredini
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DIRITTI REALI
E VENDITE
IMMOBILIARI
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 457 - 29 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Chiulli
Danno da occupazione senza titolo di immobili - Sussiste in re
ipsa - Modalità di quantificazione - Valore locativo del bene
immobile.
In tema di occupazione senza titolo di cespiti immobiliari il
danno è in re ipsa, in quanto il proprietario è stato privato della possibilità di conseguire dal bene l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dallo stesso, in relazione alla sua natura
normalmente fruttifera (Cass. civ. n. 24100/2011). In merito alla quantificazione del danno può farsi riferimento al cosiddetto danno figurativo e quindi al valore locativo del bene. (A.P.)
Domanda di divorzio - Obbligo di contribuzione per un coniuge
- Ammissibilità - Presupposti.
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 742 - 22 gennaio 2013 - g.u. Fascilla
In merito ai presupposti che giustificano l’imposizione di
un obbligo di contribuzione ex att. 5 comma VI legge n.
898/70 a carico dell’ex coniuge, in base alla struttura grammaticale e logica del nuovo testo dell’art. 5, l’obbligo per un
coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro
un assegno risulta fondato esclusivamente sulla circostanza
che quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non
può procurarseli per ragioni oggettive, sicché il rapporto di
consequenzialità tra la mancanza dei mezzi adeguati ed il
diritto all’assegno assume carattere esclusivo, nel senso che
per l’attribuzione dell’assegno nessuna altra ragione può
avere rilievo.
Per stabilire il significato dell’espressione “mezzi adeguati”
si deve partire dal rilievo, indiscusso in dottrina e giurisprudenza, che l’adeguatezza dei mezzi si misura con riguardo
alla sufficienza degli stessi ad assicurare il mantenimento del
coniuge, inteso come soddisfazione di tutte le esigenze di vita, indipendentemente dallo stato di bisogno correlato ad una
mera obbligazione alimentare, laddove l’ulteriore precisazione, per chiarire il senso della norma, riguarda il criterio di
commisurazione dell’adeguatezza dei mezzi e il difetto di
redditi adeguati va inteso come difetto di redditi e/o sostanze
od altre utilità sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di
vita che gli sarebbe spettato durante la convivenza, mentre la
determinazione in concreto deve essere commisurata agli
elementi indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno
o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio). Si è peraltro precisato in merito che il parametro di riferimento, ai fini della valutazione di adeguatezza dei redditi del
soggetto che invoca l’assegno, è dato dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità
del medesimo richiedente, non avendo rilievo il più modesto
livello di vita eventualmente subito o tollerato, fermo restando
tuttavia che il coniuge che richiede l’assegno divorzile, per
provare che la sua situazione patrimoniale e reddituale non
consente la conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, ha l’onere di fornire la
dimostrazione della fascia economica di appartenenza della
coppia all’epoca della convivenza e del relativo stile di vita
adottato in periodo di convivenza, nonché l’attuale situazione
economica. (F.R.)
Richiesta accertamento acquisto per usucapione del lastrico
solare - In via subordinata, accertamento dell’usucapione
della servitù di veduta oppure accertamento dell’usucapione dell’esclusivo uso o calpestio del lastrico solare - Presupposti.
Al fine di acquisire per usucapione la proprietà di un bene,
è necessaria la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva e quindi, tra l’altro, non solo del corpus, ma anche dell’animus; inteso il primo come svolgimento
di una attività corrispondente all’esercizio del diritto domenicale ed il secondo quale intento di possedere la cosa per
conto e in nome proprio.
Grava pertanto su colui che invoca l’avvenuta usucapione
l’onere di provare in giudizio la necessaria manifestazione del
proprio dominio esclusivo sulla res attraverso una attività
apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui. (M.C.R.)
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OBBLIGAZIONI
CONTRATTI
TITOLI DI CREDITO
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 380 - 28 gennaio 2013 - pres.
Fabrizi - est. Formica
Appalto privato - Garanzia decennale - Prescrizione termine di
garanzia - Interruzione.
I “gravi difetti” richiesti dall’art.1669 cod. civ. per l’operatività della garanzia decennale, sussistono anche nel caso di
scivolamento delle tegole del tetto dovuto alla mancanza dei
ganci di ritenzione, vale a dire ad una modalità di posa delle
tegole contraria alle regole della buona tecnica e nel caso di
specie a quanto previsto dal capitolato d’appalto.
Invero, il grave difetto della costruzione non necessariamente deve essere tale da determinare rovina o pericolo di
rovina dell’edificio, ma è sufficiente che: 1) riguardi elementi
della costruzione aventi la funzione di consentire l’impiego
duraturo cui è destinata, e tali sono le tegole di rivestimento
del tetto, 2) incida negativamente e in modo significativo sul
godimento dell’immobile medesimo e 3) sia eliminabile solo
GIUSTIZIA A MILANO
con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione di
parti - essenziali o finiture - dell’edificio (Cass. civ. n. 8140/04).
Infatti, il difetto delle tegole (che hanno funzione non solo
estetica ma anche, insieme all’impermeabilizzazione, di difesa dell’edificio dalle intemperie) interessava circa il 25% della
copertura (come precisato dal CTU) ed è tale da mettere in
pericolo la funzione stessa della copertura, mentre se non si
sono verificati fenomeni di infiltrazione ben si spiega con i ripetuti interventi di sostituzione delle tegole fatte negli anni dal
committente.
Ai fini della tempestività della denuncia, la lettera di denuncia del 28 marzo 2006 risulta inviata oltre un anno dopo la piena scoperta dei vizi, collocabile quanto meno nel 8 febbraio
2005 (data della precedente lettera in cui veniva constatato il
difetto di costruzione, costatata la causa e l’imputabilità alla
impresa costruttrice), ossia oltre il termine stabilito dall’articolo 1669 c.c., a pena di decadenza, in un anno dalla scoperta.
(P.Ca.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 219 - 21 gennaio 2013 - pres.
Fabrizi - est. Formica
Art. 1495 c.c.- Vizi - Denuncia - Tempestività - Onere della prova.
Quando il venditore eccepisca la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, spetta all’acquirente, trattandosi di condizione necessaria per l’esercizio dell’azione, l’onere di provare di aver scoperto i vizi in un momento
successivo, di provare esattamente la data della scoperta e la
data della denuncia, onde consentire di valutare se questa è
tempestiva rispetto al termine di legge ex art. 1495 c.c. (I.S.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 182 - 17 gennaio 2013 - pres.
Marescotti - est. Pozzetti
Inadempimento per impossibilità della prestazione - Ammissibilità - Presupposti.
Ai fini dell’esonero da responsabilità contrattuale ai sensi
dell’art. 1218 c.c., l’impossibilità della prestazione deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo e assoluto tale da non poter essere rimosso, deve far riferimento alla prestazione contrattuale in sè e per sé considerata, non a comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto,
e deve essere altresì offerta la prova della non imputabilità,
neppure remota, di tale evento impeditivo al debitore, non essendo rilevante, in mancanza, neppure la configurabilità del
factum principis. (C.D.)
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re la nullità del contratto di intermediazione, o dei singoli atti
negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418 co.1 cc (Cass.
civ. SS.UU. n. 26724/07). (A.V).
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 120 - 16 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Santosuosso
Condizione sospensiva meramente potestativa - Requisito per
la sussistenza.
Per la sussistenza di una condizione sospensiva meramente potestativa, è necessario che essa faccia dipendere l’estinzione del diritto dalla mera volontà di una parte. (S.C.)
Corte Appello - Sez. III civ.- n. 102 - 15 gennaio 2013 - pres.
D’Agostino - est. Cairati
Leasing traslativo - Applicazione dell’art. 1526 cod. civile - Inderogabilità della norma - Sussiste.
Nel caso in cui non risulti contestata la natura di leasing traslativo del contratto posto in essere fra le parti, ravvisabile alla stregua dei criteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini della qualificazione come leasing traslativo di un contratto avente ad oggetto l’utilizzazione di beni
atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo, ciò che rileva è se il godimento temporaneo da parte dell’utilizzatore esaurisca la funzione
economica del bene ovvero la durata del contratto sia predeterminata solo in funzione dell’ulteriore differito trasferimento
del bene e della rateizzazione del prezzo d’acquisto.
Pertanto se il bene locato è un macchinario industriale (autogru) di non recente costruzione, non rapidamente deperibile e che avrebbe potuto essere ancora utilizzato per lungo
tempo nella normale attività d’impresa dopo la scadenza contrattuale a fronte di un modestissimo valore di riscatto ed il canone iniziale appaia particolarmente elevato in modo tale da
ritenersi giustificato solo in vista del trasferimento finale del
bene, in ragione di tale accertata qualificazione giuridica del
rapporto contrattuale, si ritiene di riaffermare la costante giurisprudenza in ordine all’applicabilità dell’art 1526 cod. civ.,
giurisprudenza del resto conforme all’orientamento consolidato della Corte di legittimità, che afferma altresì la non derogabilità di tale disciplina attraverso diversa convenzione fra le
parti.(Cass. civ. n. 19732/2011). (C.D.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 70 - 15 gennaio 2013 - pres.
Buono - est. Barbuto
Contratti collegati - Requisito oggettivo - Requisito soggettivo.
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 144 - 16 gennaio 2013 - pres. Tarantola - est. Sodano
Servizi di investimento finanziario - Nullità per violazione obblighi di informazione - Non sussiste.
La violazione, da parte dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni,
può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni
avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i
successivi rapporti tra le parti; può dare invece luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni compiute in esecuzione del contratto.
In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei doveri di comportamento può determina-
Affinché due contratti possano dirsi collegati debbono sussistere sia il requisito oggettivo - inteso come nesso teleologico tra negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente
in un assetto economico globale e unitario - sia il requisito
soggettivo - costituito dal comune intento pratico delle parti di
volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto
posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la
realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di
vista causale. (F.D.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 53 - 11 gennaio 2013 - pres. est.
Vigorelli
Fideiussione - Liberazione del fideiussore per fatto del credito-
GIUSTIZIA A MILANO
re - Presupposti e limiti - Mancanza di confideiussione - Fideiussore solvens - Surroga legale - Sussiste.
Il fatto del creditore, ai fini della liberazione del fideiussore,
non può consistere nella mera inazione ma deve costituire
violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto, integrante un fatto quantomeno colposo;
tale fatto si deve sostanziare nella sottrazione al fideiussore di
concrete possibilità esistenti nella sfera del creditore al tempo
della garanzia, possibilità che gli avrebbero consentito l’attuazione dell’obbligazione garantita.
Nell’ipotesi in cui si configuri il caso della pluralità di autonome obbligazioni fideiussorie ad unum debitum, assunte distintamente e nell’assenza di un collegamento dovuto ad un
interesse comune dei cogaranti, mancando una confideiussione non è applicabile l’art. 1954 c.c., ma il fideiussore solvens resta surrogato nei diritti che il creditore aveva contro gli
altri fideiussori che avevano dato separata ed autonoma garanzia, sicché il fideiussore solvens subentra nel rapporto obbligatorio nella stessa situazione attiva che faceva capo al
creditore e con le stesse garanzie, potendo agire nei confronti anche di uno solo degli altri fideiussori per la ripetizione di
quanto egli abbia pagato ad estinzione del debito altrui.
(A.G.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 53 - 11 gennaio 2013 - pres. est.
Vigorelli
Contratto di leasing finanziario - Nozione - Presupposti e limiti.
Rientra nell’ipotesi di leasing finanziario il contratto con il
quale una parte (concedente) si impegna a conferire in godimento all’altra parte (utilizzatrice) uno o più beni di proprietà
di un terzo (fornitore) previo acquisto dei beni stessi.
Si configurano, pertanto, due distinti contratti: un contratto
di compravendita - stipulato tra fornitore e concedente - ed un
contratto di leasing - concluso tra concedente e utilizzatore; e
sebbene sussista un collegamento funzionale tra il contratto
di vendita e quello di leasing, l’operazione posta in essere
non determina il sorgere di alcun impegno diretto tra fornitore
e utilizzatore. (A.G.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 47 - 10 gennaio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Obbligazioni e contratti - Eccezione di carenza di giurisdizione
del giudice italiano - Sollevata per la prima volta in appello Inammissibilità.
In tema di obbligazioni derivanti da un contratto di compravendita, deve essere disattesa l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice italiano sollevata per la prima volta in
appello dall’appellante che in primo grado, nel primo atto difensivo (nel caso di specie si trattava di opposizione a decreto ingiuntivo) non ha mosso alcun rilievo in ordine alla giurisdizione del giudice italiano, ragione per cui deve ritenersi
che quest’ultima sia stata tacitamente accettata. Infatti l’art. 4
della Legge 218/1995 stabilisce che l’accettazione della giurisdizione sussiste “se le parti l’abbiano convenzionalmente
accettata e tale accettazione sia approvata per iscritto, ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo”. (A.P.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 47 - 10 gennaio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Obbligazioni e contratti - Eccezione di incompetenza territoriale derogabile sollevata per la prima volta in appello - Inammissibilità.
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In tema di ricorso per decreto ingiuntivo, il giudice del procedimento monitorio può rilevare d’ufficio anche l’incompetenza territoriale derogabile o “semplice”, ma, qualora ciò non
sia avvenuto, l’incompetenza deve essere eccepita dall’opponente con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo come
prevede l’art. 38 c.p.c. (Corte Cost. n. 410/2005). Se invece
l’eccezione viene proposta per la prima volta con l’atto di appello, deve ritenersi inammissibile in quanto tardiva. (A.P.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 14 - 18 gennaio 2013 - pres.
Castellini - est. Pattumelli
Responsabilità del committente - Ipotesi.
La responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera risulta configurabile in via
generale in due casi, vale a dire in presenza di culpa in eligendo - quando cioè l’esecuzione dell’opera risulti affidata ad
impresa manifestamente inidonea - e nell’ipotesi in cui il committente si sia ingerito nell’attuazione dell’opera riducendo
l’appaltatore a nudus minister e così imponendo particolari
modalità, che abbiano costituito la causa del sinistro.
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 11 - 9 gennaio 2013 - pres. est.
Sodano
Applicazione di tassi superiori alla soglia di usura - Condotta illecita della Banca - Condanna al risarcimento dei danni
non patrimoniali - Art. 2059 c c. - Art. 185 c.p.
Nel caso in cui la Banca abbia applicato tassi superiori alla
soglia di usura di cui alla legge 108/1996, la condotta della
stessa, qualificandosi come fatto illecito, integrerebbe in
astratto la commissione del reato di usura, sì da legittimare la
condanna della banca al risarcimento dei danni non patrimoniali che da essa siano conseguiti.
Con riguardo all’an, da sempre la Corte di legittimità ha
chiarito che “la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 cod. civ., in relazione all’art. 185 cod. pen.,
non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale; sicché, ai fini del risarcimento di
detto danno, l’inesistenza di una pronunzia del giudice penale non costituisce impedimento all’accertamento da parte del
giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del
reato” (Cass. civ. n. 22020/07).
Irrilevante la tesi della banca che assume l’insussistenza
dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) in ragione dell’incertezza giurisprudenziale esistente all’epoca dei fatti e del limitato periodo in cui il tasso usurario è stato applicato. Infatti, la
particolare qualifica dell’appellata non vale ad esonerarla
dall’obbligo della puntuale verifica dei tassi via via applicati sì
da escludere il superamento della soglia prevista dalla legge
e da considerarsi, per tale specifica ragione, usuraria. (P. Co.)
Tribunale - Sez. XII civ. - n. 951 - 24 gennaio 2013 - g.u. Maddaloni
Clausole contrattuali onerose - Sottoscrizione separata - Necessità - Forma.
La specifica approvazione scritta richiesta dall’art. 1341
cod. civ. per le clausole contrattuali onerose deve essere effettuata mediante una sottoscrizione separata e distinta da
quella in calce alle condizioni generali del contratto predisposto dall’altra parte, senza che sia necessario, peraltro, che la
distinta sottoscrizione segua una letterale enunciazione della
clausola stessa, essendo sufficiente che tale sottoscrizione
GIUSTIZIA A MILANO
sia apposta dopo un’indicazione idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore, quale quella che richiama il numero o il
contenuto delle singole clausole onerose, e dovendo, altresì,
ritenersi assolto l’obbligo ,imposto dall’art. 1341, secondo
comma, cod. civ. anche quando le dette clausole siano individuate, nella dichiarazione di accettazione autonomamente
sottoscritta, mediante il riferimento al numero d’ordine e all’oggetto di ciascuna clausola (Cass. civ. n. 6976\1995). (F.R.)
Tribunale - Sez. VIII civ. - n. 682 - 18 gennaio 2013 - g.u. Dal
Moro
Conto corrente - Invio periodico degli estratti conto - Contestazione sul saldo - Eccezione di decadenza ai sensi dell’art.
1832 c.c. - Inammissibilità.
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Tribunale - Sez. XI civ. - n. 530 - 16 gennaio 2013 - g.u. Ferrari
Da Grado
Clausola penale - Natura di clausola vessatoria - Esclusione Specifica sottoscrizione - Necessità - Esclusione.
Per giurisprudenza costante, in materia contrattuale, le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura
del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o di
inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano
tra quelle di cui all’art. 1341 cod. civ. e non necessitano, pertanto, di specifica approvazione (Cass. civ. n. 6558/2010).
(A.A.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 422 - 14 gennaio 2013 - g.u. Rolfi
È infondata l’eccezione formulata dalla banca ai sensi dell’art. 1832 c.c., in merito alla decadenza del titolare del conto
dal sollevare le specifiche contestazioni sul saldo del conto
corrente, in quanto la tacita approvazione, in difetto di contestazione degli estratti conto inviati periodicamente al correntista, esula dai rapporti obbligatori sottesi al rapporto di conto
corrente in questione, rispetto ai quali la comunicazione unilaterale non può supplire in alcun modo al difetto originario di
valido accordo scritto. In questo senso è orientata anche la
giurisprudenza della Cassazione, che ha stabilito che “ai sensi dell’art. 1832 c.c., l’approvazione tacita dell’estratto di conto corrente non si estende alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti, ma ha la funzione di certificare la verità storica dei dati riportati nel conto, ivi compresa l’esistenza
degli ordini e delle disposizioni del correntista, menzionati nel
conto stesso come causali di determinate annotazioni di debito” (Cass. civ. n. 3574/11). (M.C.R.)
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 620 - 17 gennaio 2013 - g.u. Brat
Azione per vizi nella compravendita di immobile ex art. 1669
c.c. - Legittimazione passiva del costruttore-venditore - Ammissibilità - Presupposti e limiti.
La giurisprudenza ha, in più riprese, affermato la legittimazione passiva ex art. 1669 c.c. del c.d. “costruttore-venditore”, estendendo a quest’ultimo la responsabilità per gravi difetti stabilita da tale norma, ma tale estensione è avvenuta nell’ipotesi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione
dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero abbia progettato l’opera e diretto i lavori, oppure abbia nominato un direttore dei lavori o sorvegliato personalmente l’esecuzione
dell’opera impartendo precise e continue disposizioni all’appaltatore sui materiali da adoperare, sul modo di procedere e
sulle tecniche operative per i singoli elementi edilizi, sì da rendere l’appaltatore un nudus minister.
Naturalmente, trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie, il profilo di ingerenza diretta del venditore nella costruzione deve essere provato da chi invoca tale titolo di responsabilità. (M.C.R.)
Contratti bancari - Commissione di massimo scoperto - Natura
- Legittimità - Condizioni.
La commissione di massimo scoperto non costituisce una
componente degli interessi od una modalità di calcolo degli
stessi; essa è, infatti, destinata ad operare su un piano diverso ed a remunerare una diversa prestazione della banca consistente nell’integrale ed immediata messa a disposizione dei
fondi di cui all’apertura di credito a semplice richiesta del
cliente. In tal senso, le Istruzioni della Banca d’Italia che qualificano la commissione in termini di “corrispettivo pagato dal
cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione
nell’utilizzo dello scoperto di conto. Tale compenso - che di
norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni - viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi
nel periodo di riferimento” (cfr. Istruzioni per la rilevazione del
tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura in
G.U. 8 gennaio 2003, n. 5 par. C.5).
A tale riguardo il giudice di legittimità ha affermato che essa è
“onere che trova giustificazione quale parziale ristoro per la minore redditività che la banca subisce dovendo tenere a disposizione risorse liquide oltre l’affidamento concesso” (Cass. civ.
n. 870/06). Tale orientamento pare condivisibile, a condizione
che la commissione risulti concordata nello specifico, quanto al
tasso e quanto alle modalità e periodicità del computo.
Ulteriore argomentazione si ricava anche dalla nuova normativa in materia, di cui alla L. n. 2/09, che sanziona con la
nullità quelle disposizioni che prevedono una remunerazione
accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi in
favore del cliente indipendentemente dall’effettivo prelievo
della somma, con ciò dovendosi intendere un mutamento di
prospettiva del legislatore, in base al criterio di successione
delle leggi nel tempo. (A.A.)
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DIRITTO
DEL LAVORO
Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 47 - 29 gennaio 2013 pres. est. Curcio
Reintegra nel posto di lavoro - Proposta del datore di lavoro di
ricollocazione del lavoratore in nuova posizione - Rifiuto del
lavoratore delle posizioni proposte - Licenziamento del lavoratore - Natura non disciplinare del licenziamento - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo per impossibilità
di ricollocare il dipendente in azienda.
Il licenziamento del lavoratore che, reintegrato in azienda a
seguito di sentenza del Tribunale, rifiuti di prendere servizio
nelle nuove mansioni non ha natura ontologicamente disciplinare ma è riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo.
Il reiterato rifiuto del lavoratore alle proposte della società
deve qualificarsi non quale inadempimento ma quale circostanza che ha determinato nel datore di lavoro la convinzione
di non poter ricollocare nel proprio organico il lavoratore procedendo, così, al suo licenziamento. (P.B.)
Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 27 - 16 gennaio 2013 pres. Sbordone - est. Trogni
Contratto a termine - Nullità del termine apposto - Entrata in vi-
GIUSTIZIA A MILANO
gore articolo 32 legge 183/2010 - Applicabilità di tale norma
anche alle cause pendenti in appello - Risarcimento del
danno - Indennità forfetizzata ed onnicomprensiva - Liquidazione a prescindere dalla costituzione in mora del datore
di lavoro.
L’articolo 32 della legge n. 183/2010 deve essere applicato
anche d’ufficio alle controversie pendenti in grado d’appello.
In tema di risarcimento del danno per i casi di conversione
del contratto di lavoro a tempo determinato l’articolo 32, commi 5, 6 e 7 della legge 183 del 2010 configura una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo.
Pertanto l’indennità va liquidata, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dalla costituzione in mora del
datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivo del lavoratore, trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo intermedio, dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione. (P.B.)
Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 19 - 18 gennaio 2013 pres. est. Pattumelli
Contratto di lavoro subordinato a tempo determinato - Ragioni
produttive - Causale specifica - Sussistenza ragioni giustificative - Termine - Rigetto.
L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita
dall’art. 1 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la
trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che
contraddistinguono una particolare attività e che rendono
conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un
determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la
durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare la
sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le
parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto che la
menzione dell’esigenza di smaltimento della corrispondenza
giacente, con la precisazione del carattere straordinario e l’indicazione dell’ufficio presso il quale la stessa si era verificata,
costituisse una causale giustificatrice dell’apposizione del
termine sufficientemente specifica. Non ha, invece, attribuito
rilevanza all’espletamento, da parte della lavoratrice, nel medesimo periodo, anche di attività di consegna di posta ordinaria in quanto non in contrasto con l’effettività della causale indicata nel contratto di lavoro. (N.B.)
Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 15 - 18 gennaio 2013 pres. est. Pattumelli
Contratto di lavoro subordinato a tempo determinato - Proroga
- Nullità seconda proroga - Costituzione rapporto di lavoro a
tempo indeterminato.
L’art. 4, primo comma, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368,
consente, con il consenso del lavoratore, la proroga del termine del contratto a tempo determinato solo quando la durata
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iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi, la
proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
La seconda proroga apposta al contratto di lavoro deve
pertanto ritenersi nulla e deve essere accertata la sussistenza
fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data della seconda proroga, con la conseguente condanna
della società alla riammissione in servizio del lavoratore e al
pagamento dell’indennità ex art. 32, quinto comma, Legge 4
novembre 2010, n. 183. (N.B.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 2 - 29 gennaio 2013 - pres.
Curcio - est. Pizzi
Lavoratore dipendente - Qualifica - Criteri.
La determinazione della qualifica spettante ad un lavoratore subordinato va effettuata sulla scorta dell’accertamento
delle mansioni effettivamente svolte e del riferimento delle
medesime alle previsioni contrattuali concernenti le qualifiche, nella prospettiva che l’adibizione alle mansioni superiori
deve aver comportato, in modo stabile, l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia e dell’iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata, attraverso un
giudizio di comparazione. (F.D.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 2 - 29 gennaio 2013 - pres.
Curcio - est. Pizzi
Posto di lavoro con aspettativa - Prolungamento - Modalità di
richiesta - Malattia e ferie insostituibilità.
In caso di prolungamento del periodo di conservazione del
posto di lavoro con aspettativa il lavoratore dovrà oltre che
avanzare tempestiva richiesta al datore, esibire certificazione
medica attestante non solo il tipo di malattia ma anche la durata del periodo di assenza, essendo il prolungarsi lo stato di
malattia presupposto essenziale della aspettativa medesima.
Il lavoratore assente per malattia e ulteriormente impossibilitato a riprendere servizio non ha l’incondizionata facoltà di sostituire alla malattia il godimento di ferie maturate quale titolo
della sua assenza allo scopo di bloccare il decorso del periodo di comporto. (F.D.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 2 - 29 gennaio 2013 - pres.
Curcio - est. Pizzi
Mobbing - Caratteristiche.
Il “mobbing” viene inteso come condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro,
che si risolve in reiterati ed univoci comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione
morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo
del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. (F.D.)
Tribunale - Sezione Lavoro - RG 14796/12 - ord. 28 gennaio
2013 - g.u. Lualdi
Rito Fornero - Autista - Violazione colposa codice della strada
- Sinistro stradale - Licenziamento per giusta causa - Mancata rispondenza previsioni CCNL - Sanzione conservativa
- Sproporzione - Illegittimità licenziamento.
GIUSTIZIA A MILANO
Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione
all’illecito commesso - rimesso al giudice di merito - si sostanza nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art.
1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione
disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un
notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero
addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure
provvisoria del rapporto.
Nel caso di specie, l’infrazione contestata al lavoratore (sorpasso in un tratto di strada delimitato da striscia discontinua)
è connaturata ai normali rischi della circolazione stradale e
non integra una violazione di gravità tale da compromettere il
rapporto fiduciario con il datore di lavoro al punto tale da giustificare la risoluzione immediata del rapporto. Il CCNL di riferimento, inoltre, esclude la sanzione del licenziamento per
giusta causa in caso di sinistro stradale verificatosi per colpa
del dipendente prevedendo il diritto del lavoratore alla conservazione del posto per un periodo di sei mesi anche in caso
di ritiro della patente.
La mancata corrispondenza della sanzione espulsiva alle
previsioni della contrattazione collettiva rende il licenziamento
illegittimo. (N.B.)
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Incidente stradale - Prescrizione - Valutazione dell’illecito civile come reato - Conseguenze.
Nella fattispecie riguardante un incidente stradale, deve ritenersi applicabile, quando l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, non il termine di prescrizione biennale,
bensì quello maggiore eventualmente previsto per il reato dall’art. 2947 co. 3 prima parte cc, e ciò a prescindere dalla mancata attivazione di un procedimento penale (per difetto di
querela, di procedibilità ecc), richiedendosi soltanto che il fatto sia astrattamente previsto dalla legge come reato (non anche punito o perseguito) e che il giudice civile, con gli strumenti suoi propri, accerti la sussistenza del fatto-reato in tutti
gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi.
In concreto, nell’ipotesi di sinistro stradale, la descritta situazione ricorre quando il fatto lamentato dal danneggiato è
astrattamente considerato dalla legge come reato (lesioni colpose) e l’esistenza dell’elemento soggettivo in capo al conducente, quale che fosse, può agevolmente desumersi dalle
modalità di verificazione del sinistro, attribuibili alla perdita di
controllo del mezzo, vuoi per un difetto di attenzione o una distrazione del conducente, vuoi per un difetto di perizia, vuoi
infine a causa di una concitata manovra posta in essere per
evitare un probabile urto contro l’altro mezzo. (A.G.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 403 - 28 gennaio 2013 - pres. Tarantola - est. Bonaretti
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TUTELA
DEI DIRITTI
Corte Appello - Sez. II - n. 130 - 16 gennaio 2013 - pres. Crivelli - est. Rollero
Iscrizione ipotecaria - Presupposti.
I presupposti dell’iscrizione ipotecaria da parte dell’esattore di tributi riscossi mediante ruoli sono solamente due: 1) il
debito tributario del contribuente deve risultare da un ruolo
formato dall’ente impositore e consegnato all’esattore nei modi di legge e 2) deve essere decorso il termine stabilito dalla
legge dopo una rituale notifica al contribuente della cartella
esattoriale. (S.C.)
Tribunale - Sez. IV - n. 281 - 10 gennaio 2013 - g.u. Marconi
Azione ex 2932 c.c. - Esecuzione specifica di un preliminare di
vendita di una cosa futura - Esistenza della cosa - Condizione necessaria - Sussiste.
Nel giudizio promosso per l’esecuzione specifica di un preliminare di vendita di una cosa futura, come un appartamento
in corso di costruzione, l’esistenza della cosa medesima costituisce condizione dell’azione che è necessario sussista al
momento della decisione (Cass. civ. n. 7252/06). (F.R.)
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CIRCOLAZIONE
STRADALE
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 403 - 28 gennaio 2013 - pres. Tarantola - est. Bonaretti
Sinistro stradale - Mancato utilizzo delle cinture di sicurezza Fatto colposo del danneggiato - Presupposti e conseguenze - Rilevabilità d’ufficio - Ammissibilità.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza è fatto colposo
del danneggiato- creditore idoneo a contribuire al verificarsi
dell’evento di danno e dunque strumento idoneo a consentire
l’applicazione del disposto dell’art. 1227 co. l, cc.
La previsione del primo comma dell’art. 1227 cc integra
un’ipotesi di mera difesa rilevabile anche d’ufficio, a differenza di quella dell’aggravamento del danno derivante dal comportamento colposo successivo del danneggiato, prevista
dal secondo comma dello stesso articolo, che costituisce
un’eccezione in senso proprio e richiede la tempestiva deduzione della parte interessata.
Ma tale distinzione conosce un’importante eccezione, che
si verifica quando una parte vittoriosa in primo grado e convenuta in appello dal danneggiato soccombente trascura di riproporre tempestivamente la questione del predetto concorso, al fine di evitare che tale deduzione risulti preclusa nell’ulteriore corso del giudizio, essendo la rilevabilità d’ufficio pur
sempre soggetta alle preclusioni processuali maturate. (A.G.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 122 - 16 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Santosuosso
Cinture di sicurezza - Concorso di colpa della vittima trasportata - Necessità di valutazione del referto di pronto soccorso ed ulteriori elementi di prova - Sussiste.
In caso di vittima di incidente stradale, trasportata su di un
veicolo scontratosi frontalmente se nel referto medico-legale,
nel referto del 118 e nel verbale della polizia non vi sia menzione alcuna del mancato allaccio della cintura di sicurezza,
va condivisa la giurisprudenza della Suprema Corte, che ritiene il referto di pronto soccorso, non funzionalmente e scientificamente diretto alla verifica della compatibilità delle lesioni
mortali con l’utilizzo o meno delle cinture di sicurezza, e dunque esso può costituire un indizio, non univoco, da consolidare attraverso la indicazione di ulteriori elementi di prova, che
invece sono favorevoli alla vittima, posto che i tecnici intervenuti sul teatro dell’incidente, ispezionato il veicolo, non hanno
rilevato il mancato utilizzo delle cinture, che avrebbero dovuto
GIUSTIZIA A MILANO
risultare integre anche nel meccanismo di arresto dopo il violentissimo urto per la uscita dell’auto fuori strada e per l’impatto contro un muro con la conseguenza che risulta violato il
combinato disposto dell’art. 2054, comma I, art. 2056 e art.
1227, comma I, tra di loro correlati avendo il danneggiato fornito la prova completa della imputabilità dell’illecito della circolazione al conducente del veicolo, ed essendo fallita la valutazione d’ufficio del concorso di colpa del terzo trasportato.
Pertanto, a fortiori, non può ritenersi provata la circostanza
del mancato allaccio delle cinture di sicurezza, nemmeno
esplicitata, ma solo eventualmente suggerita, dal referto del
pronto soccorso. (C.D.)
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RESPONSABILITÀ
CIVILE
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 500 - 31 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Federici
Responsabilità per danni da cose in custodia ex art.2051 c.c. Grande magazzino - Scalino all’entrata - Insidia o trabocchetto - Non sussistenza.
Perché si configuri responsabilità per i danni da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., è sufficiente che sussista un nesso
causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, a prescindere da ogni valutazione riguardo la condotta del custode e
l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la
funzione della norma è essenzialmente quella di imputare la
responsabilità a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, vigilando sulle modalità d ‘uso e di conservazione della stessa.
Tale responsabilità è esclusa dal caso fortuito, fattore che
attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì
al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che
ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i
caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.
Proprio perché riferito alle modalità di causazione del danno, il fortuito va inteso nel senso più ampio, comprensivo del
fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché
detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (cfr. Cass.
civ. n. 4279/08).
Corollario di tale principio è la regola posta dall’art. 1227,
comma 1, c.c., la quale prevede la riduzione del risarcimento
in presenza della colpa del danneggiato e perviene quindi
coerentemente ad escludere che possa considerarsi danno
risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso.
Attesa la genericità della norma, deve poi intendersi che la
colpa sussista non solo in ipotesi di violazione da parte del
creditore-danneggiato di uno specifico obbligo giuridico, ma
anche nel caso in cui si verifichi violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica,
con la conseguenza che, così come nel caso di concorso del
comportamento colposo del danneggiato nella produzione
del danno, anche nel caso di comportamento commissivo o
omissivo colposo del medesimo danneggiato, sufficiente da
solo a determinare l’evento, deve escludersi il rapporto di
causalità delle cause precedenti (Cass. civ. n. 584/2001).
Il Giudice della sentenza oggetto di gravame ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso concreto, pervenendo alla condivisibile conclusione, secondo cui l’insorgere della situazione di pericolo poi sfociata nell’evento lesivo lamentato dall’odierno appellante debba individuarsi non tanto in un
processo dannoso cagionato dall’intrinseco dinamismo lesivo
connaturale al “gradino” ove il danneggiato è inciampato,
quanto piuttosto nell’incedere incauto e distratto di quest’ultimo, sufficiente da solo a provocare il danno. (P.Ca.)
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Corte Appello - Sez. II civ. - n. 453 - 29 gennaio 2013 - pres.
est. de Ruggiero
Caduta da cavallo dell’alunno di centro di equitazione - Clausola di esonero di responsabilità del centro di equitazione Nullità - Ammissibilità - Presupposti e limiti - Danno cagionato da animale.
Le pattuizioni contrattuali volte ad escludere la responsabilità del centro di equitazione per i danni subiti da un alunno
caduto da cavallo sono nulle ai sensi del primo comma dell’art. 1229 c.c. laddove esse volessero esonerare il centro da
ogni responsabilità, anche derivante da comportamenti gravemente colposi ovvero dolosi; sono altresì nulle per contrarietà all’ordine pubblico ai sensi dei capoverso del medesimo
art. 1229 c.c. con riguardo a violazioni da parte del centro, anche per colpa lieve, che possano pregiudicare il diritto alla salute dell’attrice.
Deve, inoltre, escludersi la legittimità delle clausole di esonero di responsabilità per i casi in cui il centro adottasse comportamenti contrari a norme di sicurezza, ovvero negligenti,
imprudenti o imperiti che possano determinare una lesione alla salute degli allievi (si pensi, a titolo di esempio, a indicazioni non corrette da parte degli insegnanti o all’uso di ostacoli
non adeguati alla preparazione degli allievi). Deve, infatti,
escludersi la possibilità che un soggetto autorizzi un altro
soggetto a porre in essere un comportamento lesivo della salute del primo senza assumersene le responsabilità.
Sono, invece, da ritenersi legittime le clausole di esonero di
responsabilità che incidano sul piano della ripartizione del rischio derivante da un’attività che implica di per sé un certo
grado di pericolosità, indipendentemente dalla colpa di chi la
esercita o di chi ne gestisce la pratica.
La ragione che sottende all’art. 2052 c.c. è quella di attribuire le conseguenze negative del comportamento dell’animale
a chi ne ritrae anche le conseguenze positive: si tratta del c.d.
principio del cuius commoda, eius est incommoda, che non
costituisce norma di ordine pubblico e può quindi essere convenzionalmente derogata dalle parti.
La ripartizione delle conseguenze derivanti dall’intrinseco
dinamismo dell’animale prescinde dal tema dei rischi per la
salute, che sono invece insiti in tale dinamismo, e ha piuttosto
una valenza in termini economici: se l’art. 2052, sulla base del
predetto principio, prevede che il proprietario o l’utilizzatore
dell’animale debba rispondere dei danni causati dal medesimo, nello stesso modo in cui riceve le utilità derivanti dall’animale, non può ritenersi vietato che il proprietario o l’utilizzatore, in un’ottica di regolamento contrattuale con altri soggetti
che vengano in contatto con l’animale, disciplini diversamente la responsabilità per i danni.
Nel caso di una scuola di equitazione, si può ipotizzare che
venga stabilito un certo costo delle lezioni in relazione all’assunzione, da parte dell’allievo, del rischio connesso all’esercizio della pratica equestre e pertanto la deroga all’art. 2052
c.c. trova una giustificazione economica del tutto legittima e
meritevole di interesse, anche ai sensi dell’art. 1322 c.c.: non
si tratta in alcun modo di disporre del diritto alla salute, bensì
di valutare nell’ambito dei contrapposti interessi delle parti a
chi porre a carico le possibili conseguenze sulla salute dell’allievo, che sono intrinsecamente connesse con la pratica dell’equitazione.
Infatti, le dichiarazioni di volontà rilasciate dall’alunno sull’assunzione in proprio dei rischi e sul conseguente esonero
da responsabilità del centro seguono alla dichiarazione di
scienza sulla potenziale pericolosità collegata all’esercizio
dell’attività equestre: tale pericolosità può evidentemente riguardare anche la salute dello stesso allievo, che con le clausole sottoscritte ha consapevolmente assunto su di sé il rischio direttamente connesso all’uso dell’animale.
È con la scelta di iscriversi alla scuola che l’alunno ha, legittimamente, disposto della propria salute, ben sapendo che le
cadute da cavallo possono avvenire e possono determinare
lesioni personali: in caso contrario, si dovrebbe giungere alla
conclusione che ogni attività che possa mettere in pericolo la
GIUSTIZIA A MILANO
salute sarebbe illecita e dunque si dovrebbe giungere a ritenere illeciti i contratti stessi che riguardino l’esercizio di tali attività; devono invece ritenersi compatibili con le norme citate
non solo i regolamenti contrattuali che hanno a oggetto pratiche sportive o di altro genere intrinsecamente pericolose ma
anche che ripartiscono secondo gli interessi delle parti le
conseguenze dannose derivanti da tali pratiche.
In alcun modo si legittima la parte esonerata dalla responsabilità per i danni ad aggravare il rischio alla salute insito nell’attività pericolosa, perché le clausole devono essere ritenute
nulle relativamente all’esonero della responsabilità per colpa,
anche lieve, del centro ippico: pertanto con le suddette clausole, correttamente interpretate, l’allievo non dispone in alcun
modo del proprio diritto alla salute, che rimane invece integro,
ancorché nei limiti determinati dall’esposizione al rischio derivante dalla pratica equestre.
I principi sanciti dal più volte citato art. 1229 c.c. si applicano anche alle fattispecie di responsabilità extracontrattuale;
del resto non v’è ragione perché debba essere sottratta all’autonomia delle parti la possibilità di disciplinare convenzionalmente ogni rapporto che le possa vedere coinvolte, indipendentemente dall’origine di tale rapporto. (A.G.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 433 - 28 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Tragni
Responsabilità del custode della cosa - Superamento della
presunzione di colpevolezza - Onere della prova a carico
del danneggiato e del custode - Differenze.
È onere del danneggiato dare la prova della dinamica del
fatto dannoso, fornendo con precisione la dimostrazione delle
modalità del sinistro e comprovando il nesso eziologico tra la
cosa in custodia e il danno, nesso che sussiste sia se il nocumento è stato causato dal dinamismo connaturato alla cosa,
sia se in essa è insorto un agente dannoso, ancorché proveniente dall’esterno.
Lo stato dei luoghi deve integrare una situazione di vero e
proprio pericolo, tanto meno occulto, situazione che deve necessariamente essere caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non riconoscibilità oggettiva del pericolo e
della non prevedibilità soggettiva del pericolo stesso, non facilmente evitabile con l’adozione della normale accortezza.
Occorre richiamare il principio secondo cui l’evento deve
essere ascritto esclusivamente alla condotta del danneggiato
qualora possa valutarsi che la sua stessa condotta non accorta abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il
danno, se non altro per la mancata attenzione che sarebbe
stata dallo stesso, o da chi ne aveva la sorveglianza, pretendibile quale utente.
Il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno
ed estraneo, deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché quanto meno essa è intrinsecamente
pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è
suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle cautele normali da parte dello stesso danneggiato,
tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del
comportamento colposo, perché negligente, imprudente o
imperito, del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a interrompere del tutto il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità del custode.
In definitiva, tanto nel caso in cui si deduca una responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2043 c.c., tanto in quello in cui
possa ravvisarsi una responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.
2051 c.c., l’esistenza di un comportamento colposo dell’utente danneggiato esclude la responsabilità della stessa, qualora si tratti di un comportamento idoneo a interrompere il nesso
eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso. (A.G.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 294 - 23 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Tragni
10
Danno da fatto illecito - Danno non patrimoniale - Criteri di determinazione e integralità del risarcimento - Diritto al risarcimento danno esistenziale - Sussiste - Valutazione equitativa.
Quando il fatto illecito si configura come reato, il danno non
patrimoniale sofferto dalla persona offesa e` risarcibile nella
sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione
di interessi non connotati da rilevanza economica.
In tale categoria il danno non patrimoniale da lesione alla
salute costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva,
nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare
il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici.
Tuttavia, non si hanno duplicazioni risarcitorie in presenza
della liquidazione dei diversi aspetti negativi derivanti causalmente dal fatto illecito o dall’inadempimento.
I danni non patrimoniali di cui all’art. 2059 c.c., pure se costituiscono un’unica voce di danno, sono suscettibili di atteggiarsi con varie modalità e secondo molteplici aspetti nei singoli casi.
In particolare la fattispecie di danno morale va intesa come
autonoma voce integrante la più ampia categoria del danno
non patrimoniale.
Quanto al danno cosiddetto esistenziale, esso deve ritenersi integrato nel pregiudizio al fare areddituale del soggetto,
determinante una modifica peggiorativa della personalità da
cui consegue una alterazione del modo di rapportarsi con gli
altri nell’ambito della comune vita di relazione, e che non degeneri in patologie medicalmente accertabili, e dunque in
danno biologico.
Il principio di integralità del risarcimento del danno impone
che nessuno degli aspetti di cui si compendia la categoria generale de danno non patrimoniale rimanga priva di ristoro. Deve quindi ritenersi ragionevolmente che nessuna limitazione è
consentita nella liquidazione del danno biologico, morale ed
esistenziale, che e` compito del Giudice accertare nella effettiva consistenza, a prescindere dal nome attribuitogli, anche
attraverso sistemi di valutazione equitativa che consentano la
maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento. (A.V.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 122 - 16 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Santosuosso
Risarcimento del danno non patrimoniale - Genitore deceduto
nelle more del processo - Criteri.
Il danno non patrimoniale non può essere ridotto a seguito
della morte, avvenuta nelle more del processo, di uno dei genitori titolari del diritto al risarcimento stesso.
Infatti, il risarcimento del danno non patrimoniale per morte
del familiare viene calcolato dal giudice in via equitativa e, secondo l’Osservatorio per la giustizia civile di Milano, nota
esplicativa 2011, prevede “una forbice che permetta di tenere
conto di tutte le circostanze del caso concreto, (tipizzabili, in
particolare, nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità e intensità
della relazione affettiva familiare residua, nella qualità e intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la vittima)”.
Tra i suddetti criteri, non rientra in alcun modo la presunzione di durata della vita residua dei familiari sopravvissuti. Dunque, il risarcimento del danno non patrimoniale, per decesso
del congiunto, rappresenta il ristoro dovuto ai familiari sopravvissuti a causa dell’evento morte. La quantificazione del risarcimento, poi, potrà essere diversa a seconda della qualità e
intensità della relazione tra il defunto e i familiari titolari del risarcimento, senza che il fattore tempo incida sulla quantificazione.
L’accoglimento della tesi secondo cui il risarcimento del
GIUSTIZIA A MILANO
danno non patrimoniale è stato effettuato sulla base di una valutazione presuntiva che tiene conto del periodo di concreta
sofferenza e che detta presunzione deve ritenersi superata
dal decesso della persona sopravvissuta con conseguente
necessità di rideterminazione della somma risarcitoria da
commisurare all’arco di tempo intercorrente tra la data del sinistro e quella del decesso, porterebbe all’inaccettabile conseguenza di trattare in maniera diversa posizioni tra loro identiche, titolari del medesimo interesse giuridicamente tutelato.
Sulla base della predetta tesi, si dovrebbe accogliere il paradossale assunto secondo il quale andrebbe calcolato in misura significativamente diversa il risarcimento nei confronti
del genitore in età avanzata e quello nei confronti del genitore
ancora giovane, poiché diversa sarebbe la loro aspettativa di
vita futura. (C.D.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 122 - 16 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Santosuosso
Danno patrimoniale a favore dei genitori superstiti - Liquidazione in via equitativa - Criteri.
Il risarcimento del danno patrimoniale spetta ai genitori in
caso di decesso del figlio anche quando quest’ultimo non
percepiva, data l’età, un reddito continuativo (cfr. Cass.
8333/2004 e 3260/2007).
La quantificazione di tale danno può essere effettuata dal
giudice in via presuntiva, tenendo conto delle circostanze del
caso concreto e non già in via astrattamente ipotetica, dovendosi conferire rilievo all’insieme degli elementi costituiti dalla
condizione economica del genitori sopravvissuti, dalla loro
aspettativa ad un trattamento pensionistico, dalla loro età e da
quella del figlio, dalla prevedibile entità del futuro reddito del
defunto.
In considerazione delle condizioni familiari, l’età della vittima e il suo stato di convivenza con i genitori e il fratello, può
essere liquidato, in via equitativa, il risarcimento del danno
patrimoniale per lucro cessante in favore degli eredi.
Il danno patrimoniale futuro deve essere calcolato in via
equitativa e presuntiva sulla base del probabile contributo
che la vittima avrebbe versato alla famiglia in un arco di tempo dì circa 10 anni, periodo in cui, sulla base della comune
esperienza, avrebbe continuato a convivere con la famiglia
di origine.
Tale somma viene individuata, in via presuntiva, in euro
19.200,00, che corrisponde a euro 2.400,00 all’anno e a circa
euro 200,00 al mese (da intendersi come quota del suo reddito - euro 600,00 circa - riservata al contributo alla vita familiare, già detratto, quanto da lui fruito a titolo di coabitazione) per
i primi sei anni di sopravvivenza di entrambi i genitori, mentre
per i successivi quattro anni, l ‘importo va dimezzato e riconosciuto esclusivamente alla madre, nella misura, quindi, di euro 1.200,00 all’anno per quattro anni, pari a euro 4.800,00.
(C.D.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 10 - 9 gennaio 2013 - pres.
est. Patrone
11
Tribunale - Sez. V civ. - n. 451 - 15 gennaio 2013 - g.u. Malaspina
Domanda iure successionis per la liquidazione in favore degli
eredi del danno non patrimoniale patito dal de cuius - Commisurazione della misura dei postumi permanenti all’effettivo lasso di tempo di sopravvivenza - Sussiste.
In tema di domanda iure successionis per la liquidazione in
favore degli eredi del danno non patrimoniale patito dal de
cuius, va rilevato, per quanto riguarda i postumi invalidanti di
carattere permanente, che la misura degli stessi va commisurata all’effettivo lasso di tempo di sopravvivenza del de cuius
che segna appunto il limite in cui la menomazione dell’integrità. psicofisica ha dispiegato i suoi pregiudizievoli effetti.
(Nel caso di specie, avuto riguardo all’età del deceduto (nato nel 1935) all’epoca della stabilizzazione della patologia iatrogena 69 anni, nonché alla durata della vita media della popolazione maschile: 80 anni, facendo applicazione delle tabelle in uso presso questo Tribunale che prevedono per il
danno non patrimoniale I.P. al 9/10% l’importo di euro
15.717,50 e procedendo alla divisione di detto importo per gli
11 anni (80 - 69) di aspettativa di vita (euro 1.428,86) e alla
moltiplicazione dell’importo risultante per i 4 anni di effettiva
sopravvivenza dalla data di stabilizzazione della patologia iatrogena (5.3.2004) al decesso (1.5.2008): si perviene all’importo di euro 5.715,45 da aumentarsi del 50% per personalizzazione.) (F.R.)
10
LOCAZIONI
E CONDOMINIO
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 457 - 29 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Chiulli
Comunione condominio - Individuazione delle parti comuni Modalità.
In tema di condominio, ai fini dell’individuazione delle parti
comuni, ove non possano soccorrere né i titoli contrattuali originari di proprietà, né le ipotesi elencate dall’art. 1117 c.c., si
deve fare ricorso ai principi individuati dalla giurisprudenza.
In particolare occorrerà verificare in concreto se il bene è oggettivamente o potenzialmente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse generale. Alla luce di
quanto sopra, il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando
assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo o dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria, ma non anche quando
abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzo come vano autonomo. (A.P.)
Danno non patrimoniale - Onere della prova.
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 681 - 18 gennaio 2013 - g.u. Folci
È onere dell’attore fornire la prova del danno non patrimoniale di cui sollecita il risarcimento (prova da assolvere almeno con l’allegazione del tipo di pregiudizio lamentato e delle
forme che esso concretamente assunse nelle singole fattispecie), escludendo qualsivoglia automatismo risarcitorio specie
in relazione al c.d. danno morale. Al fine dell’assolvimento di
detto onere non può valere la sola richiesta di C.T.U., dovendosi fare richiamo dell’orientamento giurisprudenziale, del
tutto consolidato, che nega all’accertamento peritale d’ufficio
qualsivoglia funzione surrogatoria dell’onere di prova gravante sulle parti. (S.C.)
Amministratore - Azione per il recupero di somme anticipate ex
art. 1720 c.c. - Onere della prova in capo alle parti.
In tema di condominio negli edifici, poiché il credito per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio
si fonda, ex art. 1720 c.c, sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con condomini, l’amministratore
deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini - e quindi il condominio - che sono tenuti, quali mandanti, a
rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, devono dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di tenere indenne l’ammi-
GIUSTIZIA A MILANO
nistratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita
(Cass. civ. n. 7498/06).
Ciò posto, se l’amministratore uscente che reclami nei
confronti del condominio un credito da anticipazioni per
spese condominiali deve dimostrare che il rendiconto consuntivo indicante tali somme sia stato approvato dall’assemblea, deve altresì provare che dette anticipazioni siano state
effettuate con fondi personali o a lui riferibili, ovvero deve dimostrare l’effettivo esborso delle dette somme da parte sua.
(F.R.)
11
ASSOCIAZIONI E
SOCIETÀ
12
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 8 - 29 gennaio 2013 - pres.
est. Castellini
Società - Cancellazione - Effetti estintivi.
La cassazione, confermando il proprio giudizio sugli effetti
definitivamente estintivi della cancellazione delle società anche di persone, la assimila alla morte della persona fisica, cui
consegue l’interruzione del giudizio, con la possibilità di riassumerlo nei confronti dei soci come se fossero gli eredi della
persona giuridica. (F.D.)
12
PROCEDURE
CONCORSUALI
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 313 - 23 gennaio 2013 - pres.
Mariani - est. Montoro
Società di persone - Scioglimento per mancata ricostituzione
della pluralità dei soci - Presupposti e conseguenze - Atto di
cessione da socio superstite a terzo - Ammissibilità - Sussiste.
Lo scioglimento della società di persone per mancata ricostituzione della pluralità di soci entro il termine di sei mesi non
determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo alla società, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto.
L’attesa semestrale dell’eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta
del socio superstite di non trovare altri soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale. Una siffatta vicenda non
integra una trasformazione nel senso tecnico bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e persona giuridica per natura, e non
solo per forma.
In tal senso, l’atto di cessione dall’intestatario-soci superstite all’acquirente può ben essere legittimamente effettuato dall’unico socio rimasto e regolarmente trascritto nei pubblici registri e, per converso, il rifiuto dell’acquirente a concludere la
compravendita deve essere è configurato come ingiustificato
inadempimento. (A.G.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 449 - 29 gennaio 2013 - pres.
Fabrizi - est. Fagnoni
Revocatoria fallimentare - Fallimento convenuto - Competenza
- Conflitto tra gli artt. 24 L.F e 52 L.F. - Soluzione.
Qualora il convenuto in revocatoria fallimentare sia dichiarato fallito nelle more del giudizio, tale giudizio prosegue davanti al foro del pregresso fallimento, in cui il curatore ha proposto la domanda revocatoria, atteso che il conflitto ravvisabile tra l’art. 24 L. Fall. (secondo cui il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere delle azioni che ne
derivano) e l’art. 52 L. Fall. (per il quale, aperto il fallimento,
ogni credito deve essere accertato secondo le norme previste
per la insinuazione e la verificazione dello stato passivo) deve
essere risolto nel senso che, mentre il tribunale che ha dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l’atto pregiudizievole ai creditori resta competente a decidere l’inefficacia (o
meno) dell’atto, le pronunzie di pagamento o di restituzione,
conseguenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al
tribunale che ha dichiarato il fallimento del terzo, secondo le
modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti
dei terzi. (I.S.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 449 - 29 gennaio 2013 - pres.
Fabrizi - est. Fagnoni
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 203 - 18 gennaio 2013 - pres. Tarantola - est. Sodano
Società di persone a tempo determinato - Recesso del socio Presupposti e conseguenze - Modifica del contratto sociale
- Accettazione degli altri soci - Necessità - Successiva
esclusine - Inammissibilità.
Nella società personale contratta per un tempo determinato, il recesso di uno dei soci, che non venga esercitato nè per
giusta causa, nè nei casi previsti dal contratto sociale, comporta la modificazione del medesimo contratto e, pertanto,
necessita del consenso degli altri soci, quale accettazione,
che è atto a forma libera - al pari del negozio cui si riferisce - e
può essere desunta anche da facta concludentia univoci. In
tal caso, determinando lo scioglimento del rapporto sociale al
momento stesso del suo perfezionamento, il recesso prevale
rispetto all’esclusione successivamente deliberata dagli altri
soci, in quanto il principio secondo cui, nel concorso di più
cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad
un socio, deve ritenersi operante quella che si verifichi per prima, trova applicazione anche nel caso di concorso fra recesso ed esclusione. (A.G.)
Fallimento - Revocatoria ordinaria - Curatore - Presupposti Eventus damni - Prova.
L’azione revocatoria ordinaria proposta dal curatore tende a
tutelare la garanzia patrimoniale di tutti i creditori presenti e futuri dell’imprenditore non è necessario distinguere tra atti negoziati anteriori o posteriori al sorgere dei crediti altrui, perché
l’essenza del rimedio si basa sull’unico pregiudizio possibile:
quello che con l’atto in frode si sia determinato o aggravato lo
stato d’insolvenza dell’imprenditore. I presupposti dell’azione
sono due: oggettivo, cioè il pregiudizio dei creditori, diminuzione quantitative, qualitativa o pericolo di diminuzione del
patrimonio del debitore (eventus damni); soggettivo, relativo
ai soggetti che lo hanno posto in essere, consistente nella
consapevolezza di arrecare con il proprio atto un pregiudizio
ai creditori, consapevolezza che deve essere propria del debitore (scientia damni) e consapevolezza che deve essere
propria del terzo che ha tratto beneficio dall’atto (consilium
fraudis). La sussistenza del presupposto oggettivo deve essere accertata caso per caso ed è il curatore a dover provare
la consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore dopo il compimento dell’atto. (I.S.)
GIUSTIZIA A MILANO
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 82 - 15 gennaio 2013 - pres.
Marini - est. Valdatta
Amministrazione straordinaria - Azione revocatoria fallimentare - Ammissibilità.
Non essendo l’azione revocatoria istituto derogatorio alla
disciplina generale del fallimento, nessun carattere “selettivo”, configurabile come aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87 (già
art. 92) del Trattato CE (nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea) può essere ravvisato allorché l’azione revocatoria sia esercitala nell’ambito
dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla legge 3 aprile 1979n.95; né può distinguersi tra esercizio dell’azione nella fase c.d. di risanamento e
nella fase c.d. di liquidazione della procedura di amministrazione straordinaria, si da limitarne la compatibilità con l’ordinamento comunitario al solo esercizio nella seconda fase, e
dunque non prima del momento in cui inizia la liquidazione dei
beni, atteso che ciò che rileva, ai fini della individuazione dell’aiuto di Stato, non è che l’azione sia esercitata prima o durante la liquidazione dei beni, quanto che essa sia direttamente ed esclusivamente destinata alla conservazione dell’impresa nel mercato, piuttosto che all’estinzione delle sue
passività (Cass. civ. n. 1152/07).
Pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del motivo di gravame con il quale l’appellante rinnova l’eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità dell’azione di revocatoria fallimentare
proposta in primo grado perché confliggente con la disciplina
comunitaria in materia di aiuti di Stato nel caso in cui nulla
venga dedotto a confutazione delle argomentazioni svolte dal
Tribunale a sostegno della pronuncia di rigetto, pronuncia peraltro conforme all’indirizzo consolidato della Suprema Corte
in materia. (C.D.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 74 - 15 gennaio 2013 - pres.
Buono - est. Fabrizi
Reclamo ex art. 18 L. fall. - Mancata comparizione delle parti Applicabilità dell’art. 348 comma 2 c.p.c.
Ove il reclamante, pure ritualmente costituitosi, non sia
comparso all’udienza fissata in seno al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, e poiché deve ritenersi che sia applicabile anche alla procedura in camera di
consiglio l’art. 348 2’’ c.p.c. se nessuno sia comparso alla
successiva udienza, appositamente fissata, va dichiarata
l’improcedibilità del gravame. (A.V.)
18
PROCESSO DI
COGNIZIONE
13
ne della definizione del thema decidendum e del thema probandum -, destinate, tra l’altro, a porre un limite temporale alla facoltà delle parti di produrre nuovi documenti e richiedere
l’ammissione di nuovi mezzi di prova.
Posto tale principio, il Giudice può stabilire se una causa è
matura per andare in decisione anche alla udienza di prima
comparizione (art. 180 c.p.c. -nella formulazione antecedente
le riforme della L. n. 80 del 2005 e della L. n. 263 del 2005).
Non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’attore,
al quale non è stata concessa l’udienza per le deduzioni
istruttorie, quando questi sia stato invitato a fornire chiarimenti e documentazione in ordine alla questione preliminare di
prescrizione, anche tramite concessione di termine per il deposito di una memoria di replica e nuovo termine ex art. 183 V
comma - previgente -, tanto più che la rimessione al collegio o
il trattenimento della causa in decisione non comporta la perdita del diritto ad integrare le deduzioni istruttore, ai sensi dell’art. 187 4’’ c.p.c., qualora, dopo che la causa sia stata incamerata per la decisione, risulti che occorra, invece, procedere alla istruzione della causa. (A.V.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 400 - 28 gennaio 2013 - pres. Vigorelli - est. Bonaretti
Condanna alle spese di lite - Principio della soccombenza sostanziale.
Il criterio per pervenire alla regolamentazione delle spese in
caso di condanna ad una somma sensibilmente inferiore a
quella richiesta nella domanda non può che essere quello
della soccombenza sostanziale, da apprezzarsi con riguardo
alla responsabilità dell’introduzione e della prosecuzione della lite (cui è sempre connesso il rischio del suo esito) e al raffronto tra I’entità delle pretese iniziali e quella dei valori infine
riconosciuti.
Il ricorso al monitorio per euro 12.252,80 e il riconoscimento
(finale) di un effettivo credito di euro 475,71 induce dunque la
corte ad addebitare la lite a pretese sostanzialmente ingiustificate della banca.
Né quest’ultima può fondatamente invocare a sostegno
precedenti e diversi orientamenti giurisprudenziali, sia perché
l’initium litis è del 2004 (di ottobre il decreto e del 25.11.2004
la notifica dell’opposizione) e ancora precedenti sono varie
pronunce della suprema corte sfavorevoli alle banche sulle
questioni dell’anatocismo e della validità delle clausole con il
rinvio alle condizioni praticate sulla piazza, mentre allo stesso
anno 2004 risale la già menzionata pronuncia delle sezioni
unite n.21095 (che su dette questioni ha posto un punto fermo), sia e soprattutto perché la decisione di iniziare (e proseguire) una lite comporta comunque la consapevole assunzione del rischio del suo esito.
Infine - e al riguardo - neppure giovano alla banca la decisione di proseguire la lite l’esito della CTU e il fatto che la “riduzione” della domanda, per quanto ammissibile, sia stata
formulata soltanto con gli scritti conclusivi, costringendo così
l’appellante a svolgere ulteriori difese. (P.Ca.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 424 - 28 gennaio 2013 - pres. De
Ruggiero - est. Tragni
Corte Appello - Sez. V civ. - n. 370 - 24 gennaio 2013 - pres.
Serra - est. Troiani
L. 26 novembre 1990, n. 353 - Preclusioni processuali e istruttorie.
Notificazione del ricorso e del decreto di fissazione udienza
presidenziale divorzile fuori termine - Conseguenze - Inammissibilità dell’appello.
La riforma del processo civile operata dalla L. n. 353 del
1990 ha disegnato un processo suddiviso per fasi successive, tendenzialmente distinte tra loro e consequenziali (la fase
preparatoria, quella istruttoria e quella decisoria) alle quali si
correlano preclusioni all’esercizio dei poteri processuali non
previste nel previgente sistema processualcivilistico - che
consentiva al contrario una possibile alternanza di udienze di
trattazione e probatorie, con eventuale progressiva evoluzio-
Nei procedimenti che si svolgono con il rito camerale, quale
quello avverso una sentenza di separazione personale dei coniugi, l’omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione d’udienza determina l’improcedibilità dell’appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154 CPC, si determina la decadenza dell’attività processuale cui è finalizzato per mancanza d’istanza di
GIUSTIZIA A MILANO
proroga prima della scadenza (Cass. civ. n. 27086 /2011, cfr.
anche Cass. S.U. n. 20604 del 30/7/2008).
Al riguardo si consideri anche la chiara ordinanza n.11992
del 17/5/2010, con la quale la Corte di legittimità ha affermato
che “nei procedimenti di impugnazione che si svolgono con
rito camerale (nella specie in materia di assegno divorzile),
l’appello, pur tempestivamente proposto mediante il deposito
del ricorso nel termine previsto dalla legge, è improcedibile
ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta nel termine prescritto,
non essendo consentito al giudice -alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio
della cosiddetta ragionevole durata del processo ex art. 111,
secondo comma, Cost.- di assegnare all’appellante, previa
fissazione di un’altra udienza di discussione, un nuovo termine per provvedervi, a norma dell’art. 291 c.p.c.”. (P.Ca.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 338 - 23 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Tragni
Ricorso in Cassazione - Art. 369 c. 1 c.p.c. - Termine perentorio
- Deposito copia informe del ricorso.
Se è vero che l’art. 369 c. 1 c.p.c., quando prescrive il deposito del ricorso, allude al deposito dell’atto in originale, con
la conseguenza che il deposito della copia del ricorso non
può di regola essere considerato idoneo all’adempimento
dell’onere di deposito, è altrettanto vero che la giurisprudenza
della Cassazione è pervenuta a fissare il principio per cui il
deposito nella cancelleria della Corte di Cassazione di una
copia informe del ricorso, anziché dell’originale, non determina improcedibilità del ricorso stesso qualora non vi siano dubbi sulla conformità all’originale della copia. Tale facoltà, peraltro, è espressamente prevista nell’ipotesi di notificazione a
mezzo posta, dall’art. 5 comma III legge n. 890/1982. (M.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 259 - 22 gennaio 2013 - pres. de
Ruggiero - est. Calendino
Competenza territoriale - Amministrazione pubblica - Competenza - Applicabilità dell’art. 25 c.p.c. - Necessità.
Nelle cause in cui l’amministrazione pubblica risulta convenuta in giudizio dinanzi al giudice ordinario l’unica norma applicabile in tema di competenza territoriale è sempre stata
considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza l’art. 25
c.p.c., sicchè risulta competente il giudice ove è sorta o deve
eseguirsi l’ obbligazione oggetto della domanda. (I.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 137 - 16 gennaio 2013 - pres.
est. de Ruggiero
Processo civile - Mancata concessione dei termini per le istanze istruttorie richiesti dalle parti - Nullità del giudizio - Limiti.
La mancata concessione dei termini per formulare istanze
istruttorie - pur richiesti dalla parte - non genera automaticamente la nullità del procedimento di primo grado e della successiva sentenza, ben potendo il giudice fin dalla prima
udienza ritenere la causa matura per la decisione, in particolare, allorché ritenga infondata la domanda anche ammessa
la ricostruzione del fatto come descritto in citazione e nei documenti allegati. (A.P.)
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Il giudice ordinario non ha giurisdizione per conoscere della legittimità della iscrizione a ruolo e/o della debenza del tributo cui si riferiva la cartella esattoriale notificata al contribuente, questioni riservate alla cognizione delle commissioni
tributarie. Al giudice ordinario è riservata, quindi, solo la valutazione dei presupposti formali dell’iscrizione ipotecaria (debito risultante da un ruolo, notifica della cartella esattoriale,
decorso di un termine della notifica), ma è precluso qualsiasi
sindacato sulla legittimità del ruolo e/o della cartella esattoriale. (S.C.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 100 - 15 gennaio 2013 - pres.
est. Pozzetti
Appello - Convenuto contumace in primo grado - Preclusioni.
Il convenuto rimasto contumace in primo grado non si sottrae, ove si costituisca in appello, ai divieti di cui all’art. 345
c.p.c., e, quindi, non può in tale sede avanzare domande riconvenzionali non proposte nella precedente fase, né eccezioni che amplino l’ambito delle questioni oggetto d’esame in
primo grado, essendo in appello precluso di addurre elementi e circostanze ivi non prospettati, che introducano nel giudizio di secondo grado un nuovo tema di indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia, con conseguente
violazione del principio del doppio grado di giurisdizione.
(S.C.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 91 - 15 gennaio 2013 - Pres.
Marescotti - Cons. rel. Pozzetti
Notifica a persona giuridica ex art. 145 c.p.c. - Notifica al legale rappresentante ex art. 140 c.p.c. - Non necessità - Inammissibilità in grado di appello della eccezione della residenza anagrafica del legale rappresentante.
La notifica del decreto ingiuntivo è ritualmente effettuata nel
rispetto della procedura prescritta dall’art. 145 c.p.c. quando,
tentata una prima volta presso la sede legale della società risultante dal Registro delle Imprese, ma non andata a buon fine per “irreperibilità del destinatario”, viene effettuata alla società in persona del socio accomandatario presso la residenza dello stesso risultante dalla visura camerale, in “temporanea assenza del destinatario”, mediante immissione del relativo “avviso” nella “cassetta corrispondente dello stabile in indirizzo” e mediante deposito del plico presso l’ufficio postale
di pertinenza con invio di “comunicazione di avvenuto deposito con raccomandata”.
Non essendo stato ritirato l’atto entro il periodo di compiuta
giacenza, né nei sei mesi successivi, durante i quali rimase
depositato presso l’Ufficio Postale, la notifica, pertanto, deve
ritenersi ritualmente avvenuta.
Non trova applicazione, nel caso di specie, l’invocato deposito nella Casa Comunale di cui all’art. 140 c.p.c., posto che vi
era indicata la persona fisica, che rappresentava la società
destinataria.
Quanto all’eccepita erroneità dell’indirizzo della residenza
del socio accomandatario, si ritiene la novità dell’eccezione e
la sua conseguente inammissibilità in grado d’appello; inoltre,
l’indirizzo presso cui venne eseguita la notifica era quello risultante, quale residenza, dalla visura camerale. (P.Co.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 68 - 15 gennaio 2013 - pres.
Buono - est. Bondì
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 130 - 16 gennaio 2013 - pres.
Crivelli - est. Rollero
Art. 292 c.p.c. - Notifica al contumace della comparsa dell’interveniente - Necessità.
Cartella esattoriale - Giurisdizione del giudice ordinario - Limiti.
Per espressa disposizione dell’art. 292 c.p.c., deve essere
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notificata al contumace ogni comparsa contenente domande
da chiunque proposte, interveniente compreso. (Nel caso di
specie, in forza di tale principio la Corte d’Appello ha dichiarato nulla la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la contumace a favore degli intervenienti senza la necessaria previa integrazione del contraddittorio sulla corrispondente domanda, con conseguente rimessione al primo giudice della causa relativa ai rapporti tra la contumace in primo
grado e l’interveniente.) (M.S.).
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 67 - 15 gennaio 2013 - pres.
Lombardi - est. Barbuto
Appello civile - Mero richiamo agli argomenti svolti in primo
grado - Inammissibilità.
In tema di giudizio di appello, il gravame proposto dall’appellante dovrà essere giudicato inammissibile se si risolve in
un mero richiamo agli argomenti svolti in primo grado e, quindi, in una ripetizione dei medesimi senza che la motivazione
del giudice di prime cure venga effettivamente criticata. (A.P.)
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Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 4 - 18 gennaio 2013 - pres.
Curcio - est. Pizzi
Giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c. - Preclusioni - Giudicato implicito.
Il giudizio di rinvio quale prefigurato dagli articoli 394 c.p.c.
si profila come “procedimento a struttura chiusa nel quale non
solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum formulando nuove domande o nuove eccezioni ma sono altresì
da ritenersi operanti le preclusioni che derivano dal giudicato
implicito formatosi con la sentenza emessa dalla Corte di
Cassazione” … “ che attiene “agli accertamenti già compresi
nell’ambito di tale enunciazione” cosicché il giudice di rinvio
“non può estendere la propria indagine a questioni che, pur
se non esaminate nel giudizio di legittimità costituiscono il
presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame
delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare
gli effetti della sentenza di Cassazione, in contrasto con il
principio di intangibilità”. (S.C.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 350 - 11 gennaio 2013 - g.u. Cattaneo
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 47 - 10 gennaio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Appello civile - Nuove produzioni documentali - Limiti - Onere
della prova.
Va dichiarata l’inammissibilità ex art. 345, comma 3 c.p.c.
della produzione documentale per la prima volta effettuata in
appello dall’appellante se la parte stessa non dimostra di non
essere stata in grado di produrla già nel giudizio di primo grado e che i documenti di cui si tratta sono indispensabili ai fini
del decidere. (A.P.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 22 - 9 gennaio 2013 - pres. Secchi - est. D’Anella
Compensazione delle spese di lite in caso di rigetto della domanda - Inammissibilità - Accoglimento dell’appello - Decisione sulle spese di lite di primo e secondo grado - Ammissibilità - Criteri di liquidazione.
Nel caso in cui il giudice di prime cure accolga la domanda riconvenzionale della convenuta e respinga la domanda
di risarcimento dei danni formulata dall’attrice, la pronuncia
di compensazione delle spese di lite tra le predette parti
non può aver luogo, con la conseguenza che deve essere
accolto l’appello sul punto con riforma della sentenza impugnata.
Il pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio
segue la soccombenza dell’appellante nei confronti degli appellati e le spese del primo grado sono liquidate secondo le
tariffe previgenti, mentre quelle del gravame sono da liquidarsi con i criteri previsti dal DM 140/12. (C.D.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 4 - 18 gennaio 2013 - pres.
Curcio - est. Pizzi
Litispendenza - Riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e
giudice amministrativo.
La litispendenza, ai sensi ed agli effetti dell’art. 39 c.p.c., si
riferisce alla proposizione della stessa causa davanti a giudici diversi nell’ambito della giurisdizione ordinaria, e, pertanto,
non può valere ad introdurre deroghe ai criteri di riparto della
giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo,
ancorché aditi con la medesima domanda. (S.C.)
Procedimento civile - Sospensione ex art. 295 c.p.c. - Presupposti.
Il rapporto di dipendenza tra due giudizi che giustifica la sospensione necessaria si deve porre non sul piano del rito ma
su quello del merito, quale riflesso della dipendenza tra le situazioni sostanziali oggetto dei processi. Invero, secondo la
prevalente dottrina e la giurisprudenza sostanzialmente pacifica della Corte di Cassazione, la pregiudizialità va intesa nel
senso che l’esistenza di una situazione sostanziale sia fatto
costitutitvo o comunque elemento della fattispecie di un’altra
situazione sostanziale (Cass. civ. n. 11566/2003). A tale proposito, la stessa Corte di Cassazione ha ribadito che la pregiudizialità che rende necessaria la sospensione del giudizio
è soltanto quella che può dar luogo ad un contrasto tra giudicati, non potendosi ravvisare tale rapporto di pregiudizialità
tra la domanda di accertamento del credito e l’azione di simulazione, nullità o revocatoria proposta dal creditore nei confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale posto in essere dal debitore. (A.A.)
Tribunale - Sez. I civ. - n. 12182 - 7 novembre 2012 - g.u. Flamini
Giudicato - Dedotto e deducibile - Causa di responsabilità per
omesso consenso informato dopo altro giudizio per responsabilità medica - Inammissibilità.
Conformemente al costante orientamento della Corte di
Cassazione (cfr. Cass. 22520/2011, 21200/2009 e
24664/2007) occorre ribadire, in primo luogo, che l’autorità
del giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile
in relazione al medesimo oggetto, cioè non solo le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito), ma anche
tutte quelle altre - proponibili sia in via di azione che in via di
eccezione - le quali, sebbene non dedotto specificamente,
costituiscono tuttavia precedenti logici, essenziali e necessari alla pronuncia (giudicato implicito). Il principio appena
enunciato concerne, in particolare, le ragioni non dedotte che
si presentino come un antecedente logico necessario rispetto
alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi precluso alle parti stesse la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili
con il diritto accertato. Come evidenziato nelle pronunce sopra ricordate, occorre ribadire che gli effetti del giudicato sostanziale si estendono non solo alla decisione relativa al bene
della vita chiesto, ma a tutte le statuizioni inerenti all’esistenza
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e alla validità del rapporto dedotto in giudizio necessarie ed
indispensabili onde pervenire a quella pronuncia su di esso e,
quindi, anche al deducibile in relazione al medesimo oggetto,
comprendente tute le possibili questioni proponibili sia in via
di azione, sia in via di eccezione, le quali sebbene non dedotto specificamente costituiscono tuttavia precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia medesima.
Il vincolo del giudicato opera solo in presenza di una sentenza, divenuta irrevocabile, che sia intercorsa tra le medesime parti ed abbia avuto il medesimo oggetto. L’identità dell’oggetto della causa si determina in base sia al petitum sia alla causa petendi.
(Nel caso di specie è stato applicato il principio sopra esposto nei confronti di un soggetto che a intentato una causa di risarcimento danni per mancato consenso informato dopo aver
già proposto un giudizio per responsabilità medica) (F.R.)
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PROCEDIMENTI
SPECIALI
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 21 - 9 gennaio 2013 - pres. Secchi - est. Zoia
Opposizione a decreto ingiuntivo - Intervenuto pagamento del-
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la somma ingiunta prima della emissione della sentenza Pagamento parziale - Revoca del decreto ingiuntivo - Sussiste - Pagamento nelle more dell’instaurazione del giudizio
di opposizione - Cessazione della materia del contendere Sussiste.
Nel sistema delineato dal codice di procedura civile, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia come un
procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle
condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma
si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di
fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza e
non a quello, anteriore, della domanda o dell’emissione del
provvedimento opposto.
Per orientamento conforme - e più volte ribadito dalla Suprema Corte (Cass. civ. n. 21432/2011) il decreto va revocato
“in toto” anche a fronte di parziale pagamento intervenuto, a
nulla rilevando l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto
estintivo, sostituendosi, la sentenza di condanna, al pagamento di residui importi del credito, all’originaria ingiunzione
di pagamento.
Nel caso di specie, essendo pacifico che l’importo ingiunto
in pagamento con il decreto era stato corrisposto dall’ingiunto
nelle more dell’instaurazione del giudizio di opposizione, appare evidente che, già in sede di prima udienza, il credito monitoriamente azionato risultava estinto per intervenuto pagamento, circostanza che avrebbe dovuto comportare la declaratoria di cessazione della materia del contendere sulla pretesa azionata. (P. Co.)
I nostri abbonati noteranno che anche questo numero esce in formato ulteriormente
ampliato. Il risultato è stato raggiunto con notevole impegno che ci proponiamo di poter mantenere per il futuro, onde offrire un più ampio servizio che confidiamo venga
apprezzato.
L’editore Anthea srl
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con apposita segnalazione entro il 31 dicembre, verranno considerati tacitamente rinnovati e verrà emesso regolare documento fiscale. L’abbonamento, però, non può essere disdetto se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. 3° Il rinnovo
dell’abbonamento deve essere effettuato entro il 31 marzo: trascorso tale termine, l’Amministrazione provvederà direttamente all’incasso nella maniera più opportuna, addebitando le relative spese. 4° La limitata disponibilità di copie arretrate
richiede il controllo, da parte dell’abbonato, della progressione numerica riportata sui fascicoli. Verrà rispedito a titolo gratuito, solo il numero reclamato mancante al ricevimento del successivo. Diversamente, la rispedizione sarà effettuata al
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