2015 - Prospettive

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2015 - Prospettive
ALLE PAGG. 3/4/5/6/7
Catania - anno XXXI - n. 4 - 1 febbraio 2015 - Euro 0,60 - www.prospettiveonline.it
“Poste Italiane s.p.a.” - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/ 2004 no 46) art. 1, c. 1, DCB - Fil. di CT - Taxe perçue - Tassa riscossa - ISSN: 1720-0881
settimanale regionale di attualità
SPECIALE
SANT’AGATA
“In caso di mancato recapito rinviare al CMP/CPO di Catania, per la restituzione al mittente previo addebito. Il mittente si impegna a pagare la tariffa vigente”
Cresce l’attesa dei catanesi per riabbracciare Sant’Agata
acquistare saggezza...” Gn 3,6) di
porre fine alla spasmodica ricerca di
quel luogo sicuro di adamitica
memoria e contestualmente la festa,
così intesa, permetterebbe di cancellare la corruzione temporale effetto
della fatica ed oppressione diretta
emanazione di quel cibo procacciato
col sudore della fronte (“Con il
sudore del tuo volto mangerai il
pane, finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto...” Gn
3,19).
Ma i desideri sono l’esatto contrario
della speranza cristiana. Infatti il
ria con l’abolizione periodica del desiderio è caratteristica della creatempo e la rigenerazione collettiva tura, che è de-limitata, e pertanto
delle feste calendariali. Così il ritor- cerca di entrare in possesso di ciò
no ciclico alla condizione primoge- che non ha e non gli appartiene.
nia permette ad ogni uomo, ad ogni Mentre la speranza si nutre della
Capodanno, una nuova esistenza. certezza della realizzazione delle
L’immersione esistenziale nell’eter- promesse di Dio che testardamente
nità divina della festa abolisce il si ostina ad essere fedele alla parola
data, pertanto l’Incarnazione (il
tempo profano.
La concezione ciclica scandita dal Natale) rappresenta il volto umano
passaggio delle stagioni configurava della concretezza divina. La speranla festa come un ordine del tempo. za, quindi, poggia sulla potenza di
Infatti il lavoro quotidiano e l’usura Dio, mentre il desiderio è espressiodel tempo storico richiedevano un ne del vuoto dell’uomo.
uomo in relazione, che, nel tempo La Chiesa conserva, anche se in parsacro delle feste, fosse in grado di te, l’ordinamento ciclico delle socierigenerarsi ad ogni ciclo per assicu- tà tradizionali nell’anno liturgico
rare a se stesso una continuità illimi- che celebra gli atti fondamentali deltata. Tutto ciò, più che una mera illu- la vita di Cristo e di Maria, sua
sione, rientra nella sfera del deside- madre, e commemora i santi esemrio (“Allora la donna vide che l’al- plari seguaci di Cristo. Il tempo cribero era buono da mangiare, gradev- stiano è però celebrazione della stoole agli occhi e desiderabile per ria della salvezza, esso è reale perché ha un senso: la redenzione, che
traccia il cammino dell’umanità dalla caduta iniziale fino alla salvezza
finale. Il senso della storia è unico,
perché l’incarnazione, passione e
morte di Cristo sono un fatto unico
e irripetibile. La salvezza, pertanto,
si gioca una sola volta nel tempo
concreto e irripetibile della vita.
Così quell’attenzione alla tradizione come ciclicità collettiva, dove la
comunità, a prescindere dal susseguirsi degli anni e delle feste, viene
percepita come entità superiore ai
singoli che la compongono, si sposta a quella circolarità asimmetrica
individuale che fa di ogni uomo un
re il “Giorno della memoria” indet- attore della salvezza.
to nel 2005 dall’Assemblea generale Attraverso l’evento dell’Incarnaziodelle Nazioni Unite per ricordare le
vittime dell’Olocausto. Per le celeGiuseppe Longo
brazioni partecipano le delegazioni
(segue a pag. 2)
di 38 Paesi. (continua a pag 2)
LA FESTA
una finestra
sull’eternità
L
’uomo si comprende come
essere inserito
in un habitat
vitale regolato
da due costanti che ne determinano la sua posizione: lo spazio e il tempo. Ed è proprio
la percezione di questa de-limitazione e de-finizione a suscitare le proprie insicurezze e paure. Quindi è un
essere sempre proteso alla ricerca di
un luogo sicuro che lo protegga
anche contro il decadimento dell’inesorabile dinamismo storico. Questa tensione alla ricerca di un rifugio
sembra quasi essere retaggio di
quel paradiso perduto, dove puntualmente creatura e Creatore si
incontravano in un luogo stabilito.
Tale protensione ha caratterizzato
l’uomo di generazione in generazione quale essere fragile, insicuro
e soprattutto pauroso nei confronti
di un futuro incerto determinato
dall’inesorabile scorrere del tempo,
simbolo di presente imprendibile,
sospeso tra un passato che non c’è
più e un futuro che non c’è ancora.
Il tempo, quindi, fa paura perché è
precarietà e morte; spaventa il tempo storico e lineare perché porta
sempre ad una fine. E proprio contro
la corruzione del tempo, la liturgia
delle grandi feste calendariali è
ciclica, fuori del tempo in quanto
eterno ritorno. L’uomo ha cercato di
sfuggire alla memoria di un’originale caduta annullando la propria sto-
Auschwitz 70 anni dopo
Il grido della memoria
a “Giornata della
Memoria”, istituita in
Italia il 20 luglio del 2000, nel ricordo dell’apertura dei cancelli di
Auschwitz avvenuta il 27 gennaio
1945, diventa un appuntamento per
non dimenticare la tragedia indelebile della Shoah, per riascoltare le
testimonianze dirette dei pochi
sopravvissuti ancora in vita, per educare le nuove generazioni affinché
mai più possa accadere qualcosa di
simile. L’orrore dell’Olocausto ha
segnato per sempre la storia umana e
le relazioni fra i popoli, col suo
immane carico di vite annientate
L
dall’odio razziale e dal folle disprezzo umano dell’ideologia nazista.
70 anni or sono l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento tedesco di Auschwitz ad ovest di Cracovia, nel sud della Polonia dove furono sterminati dai nazisti 1.100.000
persone, il 90% delle quali ebrei. Fra
il 1.300.000 di prigionieri che furono rinchiusi nel lager più grande del
regime nazionalsocialista, fra il 1940
e il 1945, c’erano anche 140150mila polacchi, 33mila Rom,
15mila sovietici e 25mila persone di
diverse nazionalità. Ad Auschwitz,
superato l’ingresso, si legge la sini-
stramente famosa “Arbeit
macht frei”, e il doppio
recinto in filo spinato della morte con le baracche
in cui gli ebrei vivevano
ammassati a 25 gradi sotto zero e sottoposti a condizioni di vita disumane,
c’è anche la baracca dei
bambini spesso lasciati
senza le madri, si respira ancora il
dolore e si percepiscono le impronte
vive dell’orrore; l’ultimo anniversario decennale con superstiti ancora
vivi: “la loro voce guida il percorso
della memoria”. Il 27 gennaio ricor-
2
Prospettive - 1 febbraio 2015
sommario al n. 4
SPECIALE SANT’AGATA
Devozione _______________3
Sociale __________________5
Tradizione _______________6
INFORMADIOCESI
Notizie in breve ___________8
DIOCESI
Agata nell’anno dedicato
alla Vita Consacrata________8
La Chiesa e gli sposi
cristiani: compagni
di viaggio per sempre ______9
Tavola rotonda
organizzata dall’UCSI
provinciale: Comunicare
il sacro __________________9
Totalmente soggettivo:
Vita da eremita __________11
“Spazio d’accoglienza
Erwin”, dormitorio
con 12 posti letto_________11
Dalla Grecia un terremoto politico in Europa
a Grecia svolta pagina:
apre alla sinistra radicale e chiude all’Europa. Il risultato
delle recenti elezioni ha portato alla
vittoria del partito estremista Syriza,
con a capo Alexis Tsipras nuovo premier greco, il più giovane degli ultimi 150 anni. Quasi un plebiscito con
149 seggi conquistati su 300, due in
meno della maggioranza assoluta. La
Troika (dal russo trojka, terzina),
nell’ambito della politica dell’Unione Europea, organismo di controllo
costituito da rappresentanti della
Commissione europea, della Banca
centrale europea e del Fondo monetario internazionale, ha cominciato a
tremare. Il neo-governo greco sarà,
infatti, il primo della zona-euro che
ha scelto di contrastare apertamente
le condizioni di austerità su cui si
basa il programma di salvataggio del
Paese, sostenuto dalle banche europee. Nel programma elettorale di
Tsipras, di fatto, ci sono il taglio del
debito da trattare con l’Ue, l’aumento delle pensioni, degli stipendi ed il
taglio delle tasse. Misure che il neopremier ha definito delle “emergenze
umanitarie” che sono l’esatto opposto del programma di rigore imposto
dall’alto e che adesso preoccupano i
mercati europei e le istituzioni europee. Per molti analisti si è trattato
L
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Questo numero è stato chiuso
alle ore 13.00 di giovedì 29 gennaio 2015
innanzitutto di un voto di protesta
contro la rigida politica filo-tedesca
e che in questi mesi ha provocato
rabbia, dolore e frustrazione tra la
popolazione greca. Pertanto sono
stati promessi investimenti nel setto-
Il Primo Ministro greco Alexis Tsipras.
Foto AFP/SIR
re pubblico per creare migliaia di
posti di lavoro ed una serie di misure espansive che remano dalla parte
opposta della troika, che negli ultimi
5 anni ha rimesso a posto i conti ma
facendo pagare alla popolazione un
prezzo altissimo. Il timore più grande è che altri Paesi della fascia mediterranea seguano il modello Grecia,
con l’incognita, poi, che la speculazione finanziaria si abbatta sui mercati più deboli. Si prospetta uno
scontro interno al Vecchio Continente che potrebbe far vacillare i palazzi
di Francoforte, Bruxelles e Berlino.
Intanto alla fine di febbraio bisognerà trovare un compromesso per permettere l’erogazione dell’ultima
trance di prestiti che ammonta a 7
miliardi. Sulla base dei precedenti
accordi con il governo passato, per
lo sblocco dei fondi il ‘triumvirato’
europeo chiedeva altre misure drastiche: innalzamento dell’età pensionabile, aumento dell’Iva sul turismo,
maggiore flessibilità nei licenziamenti collettivi e altro ancora. Correttivi che sicuramente Alexis Tsipras non rispetterà per mantenere
fede al programma elettorale. Probabilmente si andrà ad un muro contro
muro, con il rischio default in agguato nel caso non venisse erogato l’ultimo spezzone di prestito. Onde evitare il peggio, uno spiraglio potrebbe
essere l’allungamento dei termini
per i rimborsi, con la riduzione parziale dei tassi d’interesse rimodulati
all’andamento dell’economia greca.
E nella speranza che il debito pubblico non superi il 171%. Anche la
Conferenza Episcopale Greca si è
espressa sull’esito del voto attraverso il suo presidente, mons. Franghiskos Papamanolis: “Un voto storico?
Si vedrà. Con queste elezioni i greci
hanno detto all’Ue che vogliono
seguire una strada fatta non di austerità ma di solidarietà perché è sulla
solidarietà che deve nascere la nuova
Europa”. L’alto prelato ha ribadito
come sia un voto di speranza oltre
ogni delusione: “Un voto di rabbia
espressione di un popolo frustrato,
che soffre e che vedeva nel governo
precedente, guidato da Samaras, nessun segno di sensibilità verso questa
sofferenza. Il popolo ha scelto chi
crede possa dargli un poco di speranza”. Adesso toccherà, però, trovare le
risorse necessarie per mantenere il
programma elettorale: “Qui permane
il dubbio – ha concluso Mons. Papamanolis - con quali soldi? Dove li
troverà? Basterà non pagare i debiti,
o cancellarli come ha detto Tsipras?”.
F.C.
Catania. La Fidapa celebra la Giornata della Memoria
ell’ambito di questa
giornata, la Fidapa,
sezione “Riviera dei Ciclopi” Catania, presidente prof. Isabella Frescura, alla Badia di S. Agata, organizza
un tributo storico culturale in collaborazione con International Societas
Artis, presidente Cynthia Torrisi.
Sono intervenuti illustri relatori: il
prof. Giuseppe Speciale, ordinario di
Storia del diritto medievale e moderno, che ha intrattenuto l’illustre platea
sul tema “L’eredità delle leggi razziali e della Shoah”, mentre il Quartetto Oneiroi ha eseguito: Miniatures
(except), Song, Fly away, Black swallow, Firefly, Sisatura di S. Tsintsadze;
Giardini del Cairo di G. Cuticchio;
Gymnopedie n. 1 di E. Satie; Crisantemi di G. Puccini, riscuotendo lunghi
applausi L’attrice Ada Tringali ha
letto alcuni brani letterari sul tema.
Speciale si è soffermato ed ha approfondito le leggi razziali emanate in
Italia nel 1938, che si limitavano ai
divieti economici per gli ebrei, nonché estese a uffici e scuole, sottolineando le differenze con quelle successive del ’43 quando, purtroppo, si
allargarono anche alla sfera della vita
privata degli ebrei. Coloro che avevano firmato, come Padre Agostino
Gemelli fondatore dell’Università
Cattolica di Milano, le leggi razziali
del ’38, a quel punto si dissociarono e
difesero gli ebrei. I valori etici che
costituiscono l’eredità della shoah
sono stati riportati anche per merito di
alcuni Padri Costituzionali, come
Giorgio La Pira, nella nostra Carta
Fondamentale. La presidente Prof.
Isabella Frescura ha evidenziato
l’attualità dell’argomento del razzismo per motivi religiosi, perché
anche oggi la discriminazione religiosa e politica si trova in molte aree del
pianeta, una sua assurda ragione di
essere: l’uccisione di vittime innocenti in Francia, la pulizia razziale religiosa da parte del fondamentalismo
islamico dimostrano l’attualità dell’argomento. La presidente International Societas Artis, prof. Cynthia
Torrisi, che ha curato il tributo musicale riscuotendo parecchio successo,
ha dimostrato l’importanza che la
N
Direzione amministrazione
e redazione:
via Etnea, 8
95121 Catania
Il rigore non paga
Per non dimenticare
musica rivestiva nei campi di concentramento, ed era un momento di
aggregazione in quei lager di orrori e
(continua da pag. 1)
LA FESTA...
ne secondo la Redemptor Hominis
13, 14, l’uomo torna ad essere “via
principale della Chiesa” proprio perché “Cristo stesso è la via principale
della Chiesa”. L’opera di salvezza di
Dio (cioè il ripristino del riposo dopo
la creazione dove l’uomo contempla
Dio e la sua opera), che redime l’uomo attraverso l’uomo è la verità irrinunciabile.
La festa cristiana, quindi, con la sua
ritualità diventa una finestra aperta
sull’eternità.
La festa della santa Patrona Agata
che, puntualmente ogni anno per tre
giorni coinvolge migliaia di devoti,
non solo è una finestra aperta sul bel
salotto barocco siciliano di Piazza
Duomo attraverso cui guardano
catanesi e non, ma è anche la possibilità con la mediazione di un
modello di santità, la Vergine e martire catanese, di vivere oltre il senso
del tempo l’incontro con Dio.
La festa di S. Agata, che si svolge
nei tre giorni dal 3 al 5 febbraio a
Catania, rappresenta sicuramente
una caratteristica forma di espressione della pietà popolare più conosciuta al mondo, grazie soprattutto
alle ricchezza di suggestioni, di
sofferenze che venivano
inflitti a tutti i deportati
di diverse nazionalità;
la musica era protagonista della loro vita che li
accompagnava sino alla
morte, infatti alcuni
andavano a morire suonando il violino. La
musica era strumento di
comunicazione, poiché
spesso erano costretti al
silenzio o avendo lingue
differenti era il mezzo principe che li
univa, portando gioia dell’anima e
solidarietà, ma spesso procrastinava
il tempo della morte poiché i tedeschi li usavano per allietare le loro
serate.
Ha concluso la presidente Fidapa del
Distretto Sicilia dott. Nora Caserta
che ha sottolineato come tutte le
sezioni Fidapa della Sicilia abbiano
celebrato la giornata della memoria,
in particolare si riferisce alla mattinata del 27 gennaio: a Floridia in
alcuni istituti scolastici, si sono svolte manifestazioni patrocinate dall’associazione, affinché la memoria non
diventi oblìo.
memorie, di rimandi all’immaginario, di vita vissuta, di fede genuina e
di un arcipelago di emozioni intensissime quanto fuggevoli.
La pietà popolare è un dato di fatto
nella vita della Chiesa; pertanto va
valorizzata ed educata perché strumento prezioso di esperienza e di
interiorizzazione del mistero rivelato. Ma contestualmente evidenzia
anche inevitabili limiti, soprattutto
in quelle espressioni inquinate da
elementi non coerenti con la dottrina cattolica, che sfociano nella
demolizione del sacro e nell’inneggiamento del profano, alimentando
un errato rapporto tra l’uomo e la
centralità del mistero cristiano.
“Ogni cultura e ogni gruppo sociale
necessita di purificazione e maturazione. Nel caso di culture popolari
di popolazioni cattoliche, possiamo
riconoscere alcune debolezze che
devono ancora essere sanate dal
Vangelo...” (Evangelii Gaudium
69). “Esiste un certo cristianesimo
fatto di devozioni, proprio di un
modo individuale e sentimentale di
vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica pietà
popolare.”(EG 70).
Si rende, così, necessario un processo di inculturazione del Vangelo
perché diventi naturale trasmettere
alle generazioni future anche la fede
che si manifesta in modi sempre
nuovi per fronteggiare le sfide della
contemporaneità.
“Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta
si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi” (EG 123).
Ed ancora nella Evangelii Gaudium
al n. 126 si legge “Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo
inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non
possiamo sottovalutare: sarebbe
come disconoscere l’opera dello
Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla
per approfondire il processo di
inculturazione che è una realtà mai
terminata”.
Nelle pagine seguenti è stato preparato uno speciale della festa di Sant’Agata che non scandisce in maniera temporale i momenti salienti, per
restare ancorato all’assunto di quanto detto sopra, ma viene suddiviso
in tre parti “devozione, sociale e tradizione”. Il prezioso contributo si è
avvalso particolarmente dell' apporto di due collaboratori storici di
questa testata: Giuseppe Adernò e
Antonino Blandini.
Lella Battiato
®
3
Prospettive - 1 febbraio 2015
DEVOZIONE
La Messa dell’Aurora del 4 febbraio
vo, diventando così positiva occasione di fruttuosa catechesi.
Già intorno alle ore cinque del mattino la Cattedrale è stracolma di
fedeli e devoti e da alcuni anni è stata introdotta anche la tradizione della recita del Santo Rosario, intercalato dall’inno di San’Agata, quasi
devoto saluto.
Da alcuni anni l’apertura della
cameretta è ritornata, come un tempo, ad avere maggiore ordine e
disciplina, contrariamente a quanto
accadeva da un ventennio, dove la
devozione alla Santa Patrona manifestava, a volte, atteggiamenti di lite
quia che contiene il cranio della
Santa Martire.
Alle ore sei giungono in cattedrale le
autorità cittadine e S.E. l’Arcivescovo, il quale, dopo il saluto alla Patrona, si prepara per la celebrazione
della Santa Messa, partecipata con
fervida devozione e raccoglimento
Il primo abbraccio
della Città alla SANTA PATRONA
l 4 febbraio, vigilia della
festa di Sant’Agata, la
sveglia suona nel cuore della notte e
quando si giunge nei pressi della
Cattedrale c’è già un brulicare di
gente con il devozionale sacco bianco, cappotti sciarpe e cappelli per il
freddo, che si avvia verso il Duomo,
che da alcuni anni apre molto presto.
Un tempo si attendeva con ansia dietro il portone chiuso per alcune ore
ed era spettacolare la corsa per occupare i posti speciali vicino alla Santa.
Ancor prima degli anni ’70 la messa
dell’aurora era riservata ai Canonici
della Cattedrale, i quali nella Cappella di San’Agata assistevano alla
Messa Prelatizia celebrata dal Cano-
I
nico Tesoriere, responsabile della
gestione e dell’organizzazione della
festa per conto del Capitolo e del
Vescovo, e partecipavano all’uscita
delle Reliquie e del Busto Reliquario dalla “cameretta”.
Terminata la S. Messa, le Reliquie
venivano traslate a spalla dai Chierici tonsurati, sotto al baldacchino
rosso (così come aveva imposto l’Eminentissimo Cardinale Francica
Nava) fino alla porta della Cattedrale, e quindi venivano poi “affidate ai
Cittadini” per il “giro esterno”.
La dimensione post conciliare ha,
man mano, allargato ad un pubblico
sempre più vasto di fedeli la partecipazione alla Messa dell’Aurora, che
oggi viene celebrata dall’Arcivesco-
per predisporre lo spirito, mediante
la preghiera, all’atteso incontro con
la Bella Agata che, quando esce dalla sua buia “cameretta” e trova la
gioia dei suoi devoti, manifesta quasi un volto sorridente e luminoso.
Le espressioni recitate ad alta
voce“Avi du’ occhi ca parunu stiddi,
avi la ucca ca pari na rosa”, rivelano quel forte senso di devoto affetto
dei catanesi verso la giovane concittadina Agata.
La mutazione di espressione si nota
quando la mattina del 6 febbraio, a
conclusione della festa, il Busto
Reliquario viene riposto nella
“cameretta” e allora il volto di Sant’Agata appare triste e i fedeli piangono di emozione rivolgendole un
e di sopraffazione tra i devoti.
Il grido festante “Cittadini, Viva
Sant’Agata” i festosi battimani, lo
sventolio dei fazzoletti bianchi (di
matrice spagnola), in segno di saluto, fanno da cornice all’emozionante
e devota accoglienza della Santa
Patrona che riappare dopo sei mesi,
creando una così emozionante atmosfera, che non si può descrivere se
non si prova.
L’attesa e l’emozione s’intensificano fino al momento in cui il Busto
Reliquario, ricco dei preziosi gioielli, dono ed ex voto dei fedeli devoti,
appare dai cancelli della cappella di
San’Agata e quindi si snoda la prima
breve processione per collocare al
centro del presbiterio la sacra reli-
Con grande soddisfazione dei catanesi alla processione fu permesso di
proseguire fino all’ingresso della
Villa Bellini. La cronaca registrò
così quello straordinario evento religioso: “La celebrazione non ha avuto le manifestazioni esteriori le quali per tanti riflessi possono anche
turbare il raccoglimento di cui le
grandi e potenti emozioni hanno
bisogno perché possano esprimere
tutta la loro significazione.
È stato un accostamento quale è
consentito dal tempo in cui viviamo
e quale lo desiderava lo stato della
coscienza pubblica.
È stata una manifestazione veramente impressionante”.
da parte dei numerosissimi fedeli,
che hanno occupato tutti gli spazi
utili del grande tempio catanese.
Sono ancora vive le espressioni che
ogni anno vengono riproposte:
“Come sarebbe bello se tutte le
domeniche le chiese fossero così
affollate e la partecipazione dei
fedeli fosse sempre così devota”.
Anche le numerose comunioni sanciscono il legame spirituale con la
sacralità della festa che va ben oltre
gli aspetti folcloristici e di pietà
popolare che costituiscono la cornice della festa.
Intanto dalle vetrate delle navate,
cominciano ad apparire le prime luci
dell’alba, che segna l’inizio della
lunga giornata di festa in compagnia
della Santa Patrona.
Al termine della Santa Messa le
Reliquie vengono deposte sull’artistico Fercolo d’argento per il “giro
esterno” la piazza è colma di fedeli e
i primi fuochi d’artificio e le osannanti campane annunciano a tutta la
cittadinanza l’inizio della festa.
Nel saluto di avvio della “processione” il Parroco della Cattedrale illustra il significato valoriale della
“consegna delle sacre Reliquie ai
cittadini devoti” e come la presenza
della Martire Agata per le vie della
Città è segno di protezione e benedizione celeste.
Comincia a formarsi il lungo fiume
di devoti, i quali con il sacco bianco
tirano il cordone del Fercolo e passando da Porta Uzeda, appare il sole
che comincia a salire alto nel cielo ed
è spettacolare la processione nei
pressi degli archi della marina, illuminati dal primo sole della festa e tutto diventa suggestivo e incantevole.
Antonino Blandini
Giuseppe Adernò
5 febbraio 1944
71 anni fa la prima festa del dopoguerra
elle prime settimane del 1944 i
catanesi, liberati dall’incubo e
dal terrore dei bombardamenti,
ebbero la sensazione di essere
entrati nel tanto desiderato
dopoguerra: le scuole e l’università avevano ripreso a funzionare, così gli uffici pubblici,
i negozi, ecc.. La vita di ogni
giorno aveva assunto il tono
della normalità pur tra difficoltà, privazioni, sofferenze di
ogni genere, mentre in gran
parte d’Italia ancora imperversava furiosamente e crudelmente il secondo conflitto
mondiale. Il pensiero correva
veloce a Sant’Agata, alla sua
fastosa festa patronale invernale che ha sempre unito tutti i catanesi attorno alla vara, portata in trionfo per la città. Le ferite inflitte dalla
guerra nel tessuto urbano e nei cuori dei cittadini, però, erano state tante e profonde e i danni provocati dai
bombardamenti erano stati ingenti e
ancora non riparati.
In questo contesto di comprensibili
difficoltà, affrontate da tutti con rinnovata fiducia nell’avvenire, i sacerdoti capitolari della basilica Cattedrale, detti i canonici di Sant’Agata,
avevano deciso, anche se trepidanti
e preoccupati, dietro richiesta del
sindaco Carlo Ardizzone all’arcivescovo Carmelo Patané, di riportare
le venerate reliquie dell’amata protomartire concittadina tra il suo
N
popolo, di farle uscire dal Duomo
rimasto miracolosamente intatto
durante le incursioni aeree che colpirono il seminario arcivescovile e
anche la Casa della Vara, e distrussero il fercolo.
La stampa cittadina registrò, con
accenni commossi e condivisi, il lieto annuncio dell’uscita del prezioso
semibusto reliquiario della Patrona:
“Non una festa (la parola sarebbe
impropria e non aderente al periodo
in cui viviamo) ma invece una celebrazione. Sant’Agata finalmente
riprenderà possesso della sua città.
La rivedrà con i segni ancora vivi
della distruzione, della rovina, la
rivedrà quale la guerra l’ha ridotta,
ma la rivedrà anche nel pieno fervo-
re di un’attività per ogni senso
imponente”.
La notificazione ai cittadini –il termine da noi si identifica con l’aggettivo devoti- da parte della Chiesa
catanese fu accolta con grande e rinnovato entusiasmo: “Per venire
incontro al desiderio vivissimo dei
cittadini si è deciso che la processione di tutte le insigni reliquie di Sant’Agata, il giorno 5 febbraio, si svolga alle ore 16 fuori del Duomo, per
via Etnea fino a piazza Stesicoro e
ritorno, per la stessa via, in Cattedrale. Interverranno i Capitoli della
Cattedrale e della Real Collegiata, il
Clero e il Seminario Arcivescovile. I
devoti di Sant’Agata sono invitati a
seguire la processione indossando il
tradizionale sacco”.
Nel pomeriggio di sabato 5 febbraio
il cattivo tempo non permise lo
svolgimento della processione. Il
breve e ridotto “giro” interno fu
effettuato nel giorno dell’ottava. Il
busto reliquiario, spoglio dei gioielli e cinto soltanto della corona (attribuita dalla tradizione al re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone,
cognato del re di Sicilia Guglielmo
il Buono, venuto in Sicilia nel 11901 per partecipare alla III Crociata), e
lo scrigno reliquario furono posti
sopra un automezzo adornato dai
giardinieri del Comune con garofani bianchi.
Parteciparono al devoto giro il sindaco, il prefetto Antonino Fazio e i
rappresentanti dell’esercito alleato.
Lunedì 2 febbraio 2015, alle ore 18.30, presso il Castello
Ursino, nel nuovo spazio realizzato al 2° piano, si inaugura
la mostra “Diva Agata nelle stanze del sogno” del Maestro
Antonio Santacroce. L’artista sarà presente.
4
Prospettive - 1 febbraio 2015
SPECIALE SANT’AGATA
Il canto delle monache Benedettine allieta il rientro di S. Agata in Cattedrale
Custodire IL TESORO spirituale
a comunità
monastica
delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua
del SS. Sacramento
nutre una devozione
speciale per la Santa
Patrona di Catania. Tutte le monache - anche
quelle che provengono
da altri paesi e province
dell’Isola o altre regioni
(ce ne sono della Calabria e della Campania),
addirittura c’è una Nigeriana! - sono “tutte
devote tutte” della Vergine e Martire Agata. In
lei ammirano un modello di incondizionato
amore a Cristo, fino al
dono di sé, nel quale
specchiarsi.
Dal 1987, dietro incoraggiamento
dell’allora arcivescovo di Catania
mons. Luigi Bommarito, è diventata
assodata tradizione l’esecuzione
dell’ormai celebre canto eseguito
dal sagrato della chiesa, nella
monumentale e suggestiva via Crociferi, il 6 febbraio al rientro del
busto reliquiario in cattedrale, a
conclusione del giro esterno del fercolo. Negli anni precedenti le
monache assistevano in silenzio al
passaggio della Santa da dietro le
finestre della scuola ed era ugualmente una grande emozione, acuita
dall’atmosfera della notte (adesso i
devoti la fanno passare non prima
delle 8 del mattino) e dalla suggestione di quell’amato busto reliquiario attorniato da fiori e ceri accesi.
Un’emozione ben espressa in una
pagina degli Annali: «Dopo aver
dormito soltanto un paio d’ore,
attendiamo la grazia di poterla
vedere, anche se per pochi attimi.
Le facciamo trovare il nostro tratto
di strada illuminato da grandi stelle;
Lei a sua volta accende nei nostri
cuori una luce molto più intensa,
quella dell’amore, del fervore, della
speranza, della gioia. Siamo grate a
Dio per averci fatto dono di sì grande Santa» (5 febbraio 1984).
L’evento di questo canto ha preso
L
via via contorni sempre più vistosi,
divenendo un caso mediatico che
lascia tuttavia tranquille le claustrali, dal momento che esse sono
gioiosamente consapevoli di prestare solo un umile servizio di preghiera e comunione, oltre che manifestare la loro devozione alla Santa
Patrona. Una di loro, rispondendo
ad un’intervista, ha ribadito: «Non
ci sollecitano le riprese televisive,
gli articoli di giornale ed altro, ci
basta essere presenti e pregare con
la gente». Difatti, quello che più
colpisce è il raccoglimento davvero
profondo di quella marea di folla
che, assiepata lungo la via, vive con
le monache un autentico e sentito
momento di preghiera all’interno di
una festa rinomata, purtroppo, spesso solo per il folclore che la circonda. Ed è così che, appena le monache escono dalla porta centrale e si
sistemano dietro la cancellata lungo
la scala, si fa un silenzio improvviso. È solo curiosità? Certo è che gli
occhi di tutti sono carichi di commozione e di una profonda pace
interiore.
Il 6 febbraio 2007, a seguito dei fatti drammatici che il precedente 2
febbraio hanno sconvolto la nostra
città durante il derby Catania-Palermo e la morte dell’ispettore Filippo
Raciti, l’esecuzione del canto è sta-
nche quest’anno, la sera del 3
febbraio, alle 20 in punto, le
campane della Cattedrale suoneranno
improvvisamente a festa e un brevissimo
attacco di un “gioco di fuoco”, coloratissimo
e fumogeno, segnerà il tradizionale avvio dell’attesa e spettacolare scenografia, sonora e
visiva, della “sira ‘e tri”. Subito dopo lo stimolante “anticipo” che ricorda a tanti l’ingresso, veloce ed allegro fino a metà degli anni
Sessanta, dei “giovani cantanti” dei 4 “partiti”
della città, sul palco allestito davanti al prospetto principale di palazzo dei Chierici, nella
gremitissima piazza Duomo, la Corale “Giuseppe Tovini” accompagnata dal Corpo bandistico eseguirà la celebre e commovente “Cantata” a S. Agata, consistente in tre tempi:
Inno, Preghiera e Cabaletta.
Dopo l’immancabile e magico spettacolo pirotecnico –il più grandioso dell’anno- sarà eseguito un concerto di musiche belliniane. Questa Cantata, tanto cara al cuore dei devoti anche
perché segna il conto alla rovescia per poter
correre a “vedere” l’amata Patrona, all’alba,
uscire dalla “cameretta”, è attribuita a Michele
A
ta fatta precedere dalla proclamazione di un brano evangelico commentato con incisività dal cappellano mons. Gaetano Zito e seguito da
alcune intenzioni di preghiera. Da
allora questa “aggiunta”, ben armo-
nizzata con il canto, viene riproposta e vissuta con altrettanta
incisività.
Il testo in latino, che ripropone le
ultime parole di sant’Agata in
carcere, è stato musicato in polifonia nella seconda metà dell’Ottocento dal maestro di origini
napoletane, ma catanese di adozione, Filippo Tarallo. La voce
delle monache lo rende oltremodo soave e fortemente suggestivo:
«Stans Beata Agata in medio carceris, expansis manibus orabat
ad Dominum: Domine Jesu Christe, Magister bone, gratias tibi
ago qui me fecisti vincere tormenta carnificum; jube me Domine
ad tuam immarcescibilem gloriam feliciter pervenire» (Stando
la Beata Agata in mezzo al carcere, elevate le mani pregava il
Signore: Signore Gesù Cristo, Maestro buono, ti ringrazio perché mi
hai fatto vincere i tormenti dei carnefici; esaudiscimi, o Signore, e
fammi pervenire felicemente alla
tua gloria infinita).
Dopo, la Comunità offre un mazzo
di fiori all’amata Santuzza. È proprio commovente la formazione
(incredibilmente faticosa!) di un
piccolo corridoio che viene ricavato
dal restringersi della folla già tanto
stipata per fare passare la monaca
con il suo bel mazzetto. A questa
vengono poi consegnate alcune candele e fiori tra quelli offerti alla
Santa e che ella porta all’interno del
sagrato trionfalmente, con spirito di
fede, perché è come se li offrisse
loro la stessa sant’Agata.
Alla domanda di un giornalista di
Roma, ovviamente poco informato
dei fatti, se le monache custodissero
durante l’anno il famoso tesoro di
sant’Agata, esse hanno prontamente
risposto: «Non custodiamo il busto
reliquiario e il tesoro, tuttavia, come
ogni catanese, conserviamo il tesoro
spirituale che è di gran lunga più
prezioso! Non c’è oro, argento e
gioielli che possono eguagliare l’eredità lasciataci da Agata!».
®
Una stele ricorda lo scampato
pericolo dalla peste
a stele di piazza dei
Martiri dedicata a S.
Agata, detta popolarmente
“la Statua”, ricorda il voto
dei catanesi alla Patrona
durante la peste che devastò
Messina per un anno, a partire dalla primavera del
1743, senza penetrare a
Catania. Il monumento venne
inaugurato
l’anno
seguente, nel giorno della
solennità liturgica della Protomartire.
La peste a Messina, da dove
si diffuse subito nella dirimpettaia Reggio Calabria, era
stata introdotta da marinai
provenienti da Levante e
provocò l’arresto della vita
economica e commerciale. I
L
Cantata in Piazza Duomo
della sera del 3 febbraio
Giarrusso; di quest’autore, presumibilmente
catanese, non si conosce se non il nome trovato tempo fa casualmente nella partitura per
banda. Le cantate in origine erano tre e due si
sono perse. Mons. Nunzio Schilirò, maestro
della Cappella Musicale del Duomo, a tale proposito, precisa che una delle tre, l’attuale, fu da
lui ricostruita in modo rocambolesco. Da un
corista del Teatro Bellini, che faceva parte della parrocchia S. Maria in Ognina curata da
mons. Mariano Foti, anch’egli musicista e cantante agatino con il m° Salvatore Riela, mons.
Schilirò venne a conoscere il testo, parole e
musica, da lui trascritto udendone il canto eseguito dallo stesso corista. Per fortuna assieme
al dr Andrea Dell’Acqua, cercando e ricercando, trovò nell’archivio comunale una parte della banda, da lui rivista e studiata. Così su incarico del comm. Luigi Maina fu sistemata la
“questione” delle cantate, ormai diventata inso-
stenibile, con il ripristino e l’adozione della
Cantata ritrovata “Lo jonico mare”. Per sostituire le altre due andate perdute con la morte
del Riela, il m° Schilirò inserì nel concerto della “Sera del Tre” la “coroncina” di Maugeri, da
lui rielaborata, l’inno del XVII centenario del
martirio, “O Signore dal tetto natìo”, “Va pensiero” e anche brani di Norma.
Riferisce Antonino Marcellino, docente di storia della musica nell’istituto musicale V. Bellini, che Francesco Pastura, in un saggio apparso
sulla “Rivista del Comune di Catania” (gennaio-febbraio 1934), occupandosi dello sviluppo della Cantata, così ne precisa con attenzione
la forma: “La forma musicale della cantata…è
quella classica derivante certamente dalle antiche forme musicali del genere. Consta di tre
tempi: Allegro maestoso, Adagio e Allegro
vivace”.
A.B.
cittadini messinesi fecero ricorso
alla protezione della madonna della
Lettera, di S. Rosolia e di S. Rocco.
L’epidemia è descritta dall’annalista
Ludovico Antonio Muratori che elogia il comportamento del vicerè Corsini, il cui intervento, tempestivo e
risoluto, valse ad evitare la pandemia. Egli fece costruire attorno alla
città cordoni sanitari e proibì l’approdo nelle città del Regno di navi
provenienti dal porto di Messina.
Il morbo nero causò gravissime perdite umane. Il terrore del contagio si
diffuse nelle popolazioni rivierasche. In tale calamità fu riconosciuto
a re Carlo III il merito d’avere messo in moto una serie di validi interventi a favore delle popolazioni colpite e di quelle ancora esenti dal
contagio.
Per la verità, i messinesi in una precedente epidemia (1347) si erano
riversati in massa a Catania, dove
confidavano nella protezione di S.
Agata.
Essi avrebbero voluto le reliquie della Martire nella loro città, ma l’opposizione dei catanesi fu totale. Nel
1522 anche Catania fu colpita dal
morbo e in quella circostanza fece
ricorso a S. Sebastiano, mentre Messina si rivolse a S. Rocco: erano
entrambi ritenuti nel Medioevo
potenti taumaturghi.
Un’altra epidemia, che era dilagata
in tutta Europa, colpì pure la città
etnea (1575); il contagio in Sicilia fu
descritto dall’epidemiologo Gianfilippo Ingrassia di Regalbuto. Infine,
Palermo durante la peste del 1623 si
rivolse a S. Rosalia, il cui culto e
patronato s’impose rapidamente
dopo il ritrovamento delle reliquie e
la cessazione del contagio, che invece imperversò nel resto della Sicilia
fino al 1626.
Blanc
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Prospettive - 1 febbraio 2015
SPECIALE SANT’AGATA
SOCIALE
Reliquia di una mammella
di SANT’AGATA A GALLIPOLI
on tutti i catanesi sanno che in Cattedrale,
allorché le reliquie vengono esposte
alla pubblica venerazione il 12 febbraio e il 17 agosto, manca all’appello la reliquia di una mammella,
che in realtà si trova in
Puglia sempre contesa
dagli abitanti di Gallipoli e Galatina.
La reliquia della Mammella di s. Agata, non
presente a Catania, si
trova, invece, a Galatina,
in provincia di Lecce e
diocesi di Otranto, nella
basilica parrocchiale S.
Caterina d’Alessandria
del sec. XIV, in piazza
Orsini. In realtà, per
ragioni di sicurezza, viene custodita nel museo
del convento dei Frati
minori, annesso alla
basilica, in un reliquiario
d’argento dorato. In
occasione della festa di
S. Agata, il 5 febbraio,
preceduta da un triduo,
la reliquia ritorna in
chiesa, dove una tela e
degli affreschi raffigurano le vicende del martirio di S. Agata.
Tale reliquia del seno della martire
(l’altra si trova custodita nello scrigno reliquiario dentro il sacello del
Duomo), dal 1126 al 1389, fu conservata a Gallipoli, cittadina pugliese sul mar Jonio, sempre in provincia di Lecce, che s’estende nell’isola e nel borgo nuovo collegato con
un ponte. Nella basilica concattedrale di tale città intitolata a S. Agata,
principale patrona della diocesi di
Nardò-Gallipoli, si conservano un
argenteo busto processionale di S.
Agata, una pala d’altare del “Martirio di S. Agata”, una tela della
“Sepoltura di S. Agata”, il vasto
dipinto della crociera del “Martirio
di S. Agata”, tre tele del soffitto della navata centrale con “La Gloria di
S. Agata”, “S. Agata visitata in carcere da S. Pietro”, “Agata placa l’eruzione dell’Etna”, e i due cicli dei
“Fatti della vita di S. Agata”. Anche
se la concattedrale di Gallipoli non
possiede più la reliquia della Mammella, conserva altre reliquie della
nostra protomartire: un’ampollina
del suo sangue, l’osso della falange
del pollice della mano destra, un
pezzetto del braccio, rinchiusi dentro un busto reliquiario d’argento
molto pesante che si porta in processione per la festa, molto sentita dalla popolazione. Rimane tra Gallipoli e Galatina una secolare contesa,
mai sopita del tutto, sulla custodia
della reliquia.
Dalla lettera apocrifa del vescovo di
Catania, l’abate-conte benedettino
Maurizio, si ricavano gli eventi della traslazione, d’andata e di ritorno
da Costantinopoli, delle reliquie di
S. Agata (1040-1126). I due soldati
imperiali, Gisliberto e Goselmo
(originario di Gallipoli?), lungo una
travagliata traversata di rientro in
N
patria, partiti da Corinto, sarebbero
approdati col loro veliero nei “lidi di
Taranto” (Gallipoli?), dove avrebbero fatto celebrare una Messa sopra le
reliquie; poi, le avrebbero tratte dalle faretre per metterle in ordine, ma
Foto del reliquiario della mammella
di Galatina-Gallipoli
nel riassettarle durante quella prima
frettolosa ricognizione, avrebbero
(segue a pagina 11)
L’Associazione “Agata donna per le donne”
L
a specificità del martirio di Sant’Agata
mediante le torture al seno l’hanno resa
speciale protettrice delle donne, ed il tumore al seno è
il più frequente in Italia.
Sono, infatti, oltre 5 milioni, di soggetti coinvolti,
incidendo pesantemente sulla vita dei singoli individui
e sul tessuto sociale, impegnando quindi grandi risorse
da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
Le donne colpite da tumore al seno, soprattutto nella
fascia di età tra i 30 e i 44 anni sono spesso non informate e vittime di questo male che rappresenta proprio
per questo target la prima causa di morte.
In Sicilia la mortalità a causa del tumore al seno è del
15% superiore alla Lombardia. Papa Giovanni Paolo
II ha lanciato forte il suo appello: “curare la malattia e
fare di tutto per prevenirla sono compiti permanenti
del singolo e della società, proprio in omaggio della
dignità della persona e all’importanza del bene della
salute” Non è un problema di cure, ma di ritardo di
diagnosi perché nelle nostre donne è ancora limitata la
cultura della prevenzione. Spesso il medico interviene
quando ormai c’è poco da fare e non è possibile per le
pazienti. La diagnosi precoce, come ormai statisticamente accertato, permette di aumentare notevolmente
le possibilità di guarigione e di garantire cure tempestive, meno invasive e più efficaci. Molte donne, per
quanto consapevoli dell’importanza di fare prevenzione, non aderiscono ai programmi di screening o solo
con scarsa periodicità senza rispettare un programma
di controllo preciso. Ancora oggi la patologia del
tumore al seno subisce un grandissimo livello di disin-
formazione e la partecipazione delle donne alle indagini diagnostiche è spesso limitata dalla paura di
conoscere e dal senso del pudore.
A Catania il 6 gennaio del 2006 si è costituita l’Associazione “AGATA DONNA PER LE DONNE” .
Il nome adottato si lega concettualmente al martirio
della Santa Patrona di Catania nell’aiuto alle donne
affette da tumore al seno che subiscono, oltre al
degrado fisico dovuto alla malattia, la deturpazione di
uno degli aspetti cardine della propria femminilità.
L’associazione da anni persegue l’obiettivo del miglioramento dell’informazione per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore al seno ed aprire un dialogo
con le istituzioni al fine di affrontare tutti i problemi
relativi al tumore al seno: dalla prevenzione alle terapie, dalla riabilitazione al reinserimento affettivo e
sociale, dalla formazione del personale socio-sanitario
alla ricerca scientifica, dalle informazioni alle donne
alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Numerose sono le iniziative importanti nel campo dell’informazione medico-scientifica, della testimonianza, della sensibilizzazione e formazione, che hanno
riscontrato attestazioni di stima e fiducia da parte
degli enti e delle istituzioni coinvolti, nonché delle
numerosissime associate.
L’esperienza realizzata ha confermato che la diagnosi
precoce è l’unica vera arma in grado di ridurre drasticamente le vittime del cancro.
Sara Pettinato
Chirurgo senologo presso
l’Ospedale “Garibaldi” di Nesima
Le offerte per la colletta della Messa Pontificale destinate ad una iniziativa caritatevole
Progetto mensa CARITAS ‘Beato Dusmet’ a Librino
el quartiere Librino
nascerà una mensa
Caritas intitolata alla memoria del
Beato Cardinale Dusmet,Vescovo
amico dei poveri. Per questo motivo, le offerte per la colletta della
solenne Messa Pontificale del 5
febbraio, in occasione della festa di
Sant’Agata, patrona di Catania,
saranno destinate per la realizzazione dell’iniziativa caritatevole. Cosi
come il ricavato della cassetta posta
in Cattedrale durante lo svolgimento delle funzioni agatine e dei proventi di un sorteggio sostenuto
dagli ‘Amici del Rosario’ per la
Missione Sant’Agata. Alle due raccolte si aggiungerà anche quella
promossa all’ingresso della libreria
‘San Paolo’ di via Vittorio Emanuele n°182. Un gesto concreto da parte della Chiesa cittadina che a nome
dell’Arcivescovo Mons. Salvatore
Gristina ha condiviso le intenzioni
della Caritas Diocesana, in pieno
accordo con i parroci della zona, di
aprire una mensa per i poveri presso la Parrocchia “Resurrezione del
Signore” di viale Castagnola n°4.
La mensa sorgerà a sud-ovest di
Catania, in una periferia disagiata
che negli anni è divenuta il simbolo
di tutte le ‘periferie’ della nostra
città. In un luogo dove la crisi, la
sofferenza materiale e spirituale,
sono avvertite in maniera dramma-
N
tica. A Librino, specchio della crisi
che sta investendo la città di Catania, è in crescita il numero delle
persone che si sono ritrovate senza
occupazione (tra i 45 ed i 60 anni) a
causa di improvvisi
licenziamenti,
o
costrette a convivere
con la problematica
del lavoro in nero,
irregolare e saltuario. A questi problemi si aggiunge
anche l’emergenza
abitativa con l’aumento delle famiglie
sottoposte a sfratto
per morosità. E sono
spesso gli uomini,
gravati da un divorzio o da una separazione, a pagare il
prezzo più alto della
crisi finendo a dormire in strada in
mancanza delle risorse necessarie
al mantenimento di moglie e figli. È
questa, purtroppo, la fotografia reale di un contesto che spesso favorisce le organizzazioni criminali alla
ricerca di manovalanza a buon mercato, che controbilancia i dati sulla
disoccupazione giovanile nelle periferie.
E non solo. Così alla luce di quanto
espresso in precedenza, per alleviare
i disagi e venire incontro, in qualche
modo, alle povertà esistenziali delle
famiglie residenti a Librino, la Caritas Diocesana, in pieno accordo con
tutta la Chiesa catanese, sta portando
avanti il progetto di realizzare un’oa-
si di pace e ristoro per i più bisognosi a Librino. Dall’esperienza pastorale di Don Piero Galvano, direttore
dell’Ufficio Pastorale della Carità,
da dieci anni parroco di periferia
presso la parrocchia ‘Beato Padre
Pio da Pietrelcina’ nel quartiere San
Giorgio (al confine con Librino), è
maturata la necessità di coinvolgere
tutta la Chiesa di Catania alla realizzazione di un segno concreto di carità nell’estrema periferia etnea. La
mensa che sorgerà a Librino, matto-
ne dopo mattone, sarà costruita
anche grazie ad un piccolo contributo mensile dei sacerdoti e dei diaconi della Diocesi, che in piena libertà
hanno condiviso l’iniziativa. Ecco
perché la raccolta
delle offerte per la
Messa del Pontificale, nel giorno culmine dei festeggiamenti in onore della
Patrona Agata, rappresenta un segno
concreto di comunione ecclesiale con
i più bisognosi e
verso l’intera comunità civile. Dinanzi
alle
molteplici
povertà esistenziali,
non si può, quindi,
restare indifferenti,
ma si ci deve innanzitutto interrogare su cosa è possibile fare e, con l’aiuto della preghiera,
impegnarsi a trovare risposte adeguate ai problemi del nostro tempo.
Tutti siamo Chiesa, nessuno escluso
e prima di ogni altra cosa, come cristiani, abbiamo il dovere di offrire il
nostro contributo. Se il Signore vorrà, questo segno, di una mensa Caritas a Librino potrebbe diventare realtà.
Filippo Cannizzo
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Prospettive - 1 febbraio 2015
SPECIALE SANT’AGATA
TRADIZIONE
La memoria del dono della luce
a tradizione, la forma,
la denominazione, l’appartenenza di ciascuna candelora è
ben nota ai catanesi. Ciò che, forse,
è meno noto è la loro origine, quale
sia la loro radice nella tradizione
della Chiesa, come si collocano nella tradizione della festa di sant’Agata e a quale particolare evento fanno
riferimento.
La tradizione delle candelore votive
in onore e devozione a sant’Agata ha
il suo riferimento chiaro alla festa
liturgica della Candelora, che si
celebra il 2 febbraio. Festa che è
memoria della presentazione di
Gesù al Tempio e della purificazione
di Maria (Lc 2, 22-39). Dal racconto
dell’evangelista Luca è possibile
raccogliere almeno cinque riferimenti: l’osservanza della legge, da
parte di Giuseppe e Maria; nel vecchio Simeone, l’uomo che desidera
vedere Dio presente e all’opera nella storia dell’umanità; Gesù, compimento delle promesse fatte da Dio e
delle attese del popolo, Lui che è
additato come luce che illumina tutti i popoli; Gesù, presentato come
segno di contraddizione; Anna, l’anziana profetessa, la lode di Dio e la
proclamazione di Gesù non è compito soltanto dell’uomo ma anche della donna. Al centro del racconto è
collocata l’affermazione che Gesù è
la luce che viene ad illuminare l’umanità. La presentazione di Gesù
come luce che illumina è presente
anche altrove nei vangeli, in special
modo di Gv 1, 5a: Gesù, il Verbo
che si fa carne è «la luce splende
nelle tenebre».
È la memoria di questo episodio che
ha assunto la denominazione di festa
della Candelora: in questo giorno si
benedicono le candele, simbolo di Cristo
«luce per illuminare
le genti». La denominazione di festa
della Candelora sembra derivare dal racconto del viaggio in
Terra Santa di Egeria
(IV-V secolo). Per la
festa della purificazione descrive il rito
cosiddetto del Lucernare: «Si accendono
tutte le lampade e i
ceri, facendo così
una luce grandissima» (24, 4). Rito che
pare facesse riferimento anche ad un
preesistente rito pagano, sostituito
poi con un rito cristiano forse da
papa Gelasio I (492-496). In un primo tempo si celebrava il 14 febbraio, 40 giorni dopo l’Epifania. Nel
VI secolo, più opportunamente, dall’imperatore Giustiniano (483-565)
la ricorrenza fu anticipata al 2 febbraio, data in cui si festeggia ancora
oggi. Il giorno successivo, il 3 febbraio, si celebra la festa di san Biagio, giorno in cui la tradizione prevede l’imposizione delle candele,
benedette il giorno prima, sulla gola
dei fedeli attribuendo al gesto un
potere taumaturgico.
Anche a Catania il 3 febbraio è giorno segnato dalla centralità della candela nel ciclo annuale dei festeggiamenti in onore della patrona sant’Agata. Vi è un collegamento fra questa
tradizione e la memoria liturgica del
giorno precedente? A cosa fanno –
dovrebbero fare - riferimento le candelore devozionali in onore di san-
L
Note sulle candelore
nella festa di sant’Agata
t’Agata?
Il racconto della presentazione di
Gesù al tempio è centrato sulla
dichiarazione della sua identità:
egli è la luce che illumina ogni
uomo. La candela accesa, dunque,
diviene segno del lasciarsi illuminare da Gesù, segno della volontà di
vivere illuminati da Lui e, quindi, di
essere luce del mondo, come Gesù
stesso chiede ai discepoli: «voi site
la luce del mondo» (Mt 5,14). A
tutti i discepoli, non solo ai membri
degli istituti di vita consacrata, ai
quali da diversi anni sembra ormai
riservata la giornata del 2 febbraio.
Dall’incontro con Gesù, luce del
mondo, il cristiano è chiamato a
vivere la sua vita quotidiana, i suoi
giorni, a partire dal primo giorno
che segue la festa liturgica della
Candelora, cioè dal 3 febbraio.
L’offerta della cera, delle candele, è
gesto diffuso nella tradizione cristiana, nelle diverse forme devozionali.
Esse sono espressione del bisogno
dell’uomo di vivere nella luce di
Dio, memoria di Gesù-luce accolto
nella propria esistenza, impegno ad
essere luce di Cristo nel tempo e nel
luogo in cui si compie la propria storia, richiesta di intercessione e di
protezione perché non venga mai
meno la luce di Cristo nelle vicende
personali e dell’umanità, soprattutto
nelle difficoltà e nella sofferenza.
In questo contesto si colloca – va ricollocata! - la tradizione catanese
delle candelore del 3 febbraio,
opportunamente chiamate anche
cerei. Le candele del 3 febbraio
affondano la loro origine nella luce
donata per vivere illuminati da Cristo-luce. La festa è anzitutto memoria del dono della luce che abbiamo
ricevuto, che ci ha resi figli di Dio e
illumina la nostra vita: «le tenebre
non l’hanno accolta [la luce …] a
quanti però l’hanno accolta ha dato
il potere di diventare figli di Dio»
(Gv 1, 5b.12). Ce lo ricorda pure la
candela accesa il giorno del nostro
Battesimo: segno di Cristo risorto,
luce che sconfigge anche le tenebre
della morte e, a maggior ragione, in
grado di illuminare e vincere ogni
motivo di angoscia, paura, tristezza,
peccato. La processione con le candele il 3 febbraio contiene pure la
memoria del Battesimo e la dichiarazione pubblica della propria
volontà a vivere quegli aspetti insiti
nella presentazione di Gesù al tempio: l’osservanza della legge, il
saper vedere Dio nella storia, riconoscere in Gesù la luce che illumina
la propria quotidianità, Colui che ci
libera dalle nostre contraddizioni,
condividere e valorizzare la dimensione femminile della lode a Dio e
della proclamazione che in Gesù è
«la redenzione di Gerusalemme», la
redenzione della città.
D’altronde, ci fu un tempo in cui la
mattina del 2 febbraio le autorità cittadine si recavano nel palazzo
vescovile e accompagnavano il vescovo in cattedrale,
dove partecipavano
alla messa solenne
della festa della
Candelora, con la
benedizione delle
candele e la processione. Pur se questa
ricorrenza
non
riguardava direttamente sant’Agata,
tuttavia la celebrazione riceveva particolare solennità
perché in qualche
modo veniva considerata preludio ai festeggiamenti in
onore della patrona, per il suo riferimento alle candele benedette in
quella solenne celebrazione.
Le attuali candelore della festa di
sant’Agata sono sostitutive dei grossi ceri offerti dalle antiche corporazioni di arti e mestieri, come loro
atto di devozione e di impetrazione
di protezione alla santa martire catanese. All’offerta del cereo partecipavano i membri della corporazione e
non soltanto chi, a nome di tutti,
portava la cera. I portatori non venivano retribuiti per questo, perché era
un onore rappresentare la propria
corporazione. Nel tempo, poi, le
grosse candele di cera offerte divennero sempre più grandi e decorate,
fino a far scomparire la cera stessa,
sostituita da una struttura lignea riccamente decorata e dorata, ornata da
angeli, statue e adornata di fiori.
Anche tale struttura, a cannalora, a
portarla a turno e gratuitamente erano membri della corporazione che
rappresentava nell’atto devozionale
verso la patrona di tutti, sant’Agata.
La processione del 3 febbraio era
chiamata della luminaria, perché
tutta la città partecipava all’offerta
della cera alla patrona in segno di
omaggio e di devozione. La cera
sarebbe servita per illuminare l’altare di sant’Agata. I cannalori andavano in processione con tutti gli altri
rappresentanti della città, delle sue
classi sociali e delle sue istituzioni.
La processione fu a carattere penitenziale, di riconoscimento del prioritario e determinate ruolo di protezione e intercessione impetrato alla
martire catanese per tutte le necessità della sua città e dei suoi concittadini.
Se quanto detto sopra ha una qualche validità, allora è evidente che
sarebbe opportuno iniziare finalmente ad interrogarsi sull’attuale
presenza della candelore nella festa
di sant’Agata. Hanno indubbiamente una loro validità e costituiscono
motivo per dare alla festa un particolare tocco di folklore e di popolarità.
Tuttavia, ad esse va recuperata la
ragione fondamentale per cui è sorta
la processione delle candele e per-
ché sono state volute nell’ambito dei
festeggiamenti in onore e devozione
a sant’Agata. Di conseguenza, se le
candelore sono riflesso della festa
del 2 febbraio, è da chiedersi che
significa il giro delle candelore per
le vie della città nelle settimane prima del 3 febbraio. Come pure, se
esse sono espressione della devozione di arti e mestieri, dovrebbe costituire un onore per i membri di ciascuno di essi rendersi disponibile a
portarle, se possibile.
Allo stesso tempo, è da riconsiderare tutta la processione del 3 febbraio,
dalle presenze in essa, non sempre
dettate da ragioni di devozione,
all’offerta della cera da risignificare.
Per cui, si potrebbe (dovrebbe)
anche ripensare la validità dell’offerta della cera lungo il percorso
processionale, anzitutto da parte delle massime autorità cittadine, l’arcivescovo e il sindaco, considerato
che hanno già compiuto il gesto con
la processione cittadina del 3 febbraio. La loro eventuale decisione in
tal senso, non potrebbe rivestire una
valenza pedagogica per i cittadini,
invitandoli a concentrare la loro privata offerta della cera al 3 febbraio,
con la conseguenza di contribuire ad
accelerare il percorso processionale
del fercolo nei giorni 4 e 5 febbraio?
Se è vero, infine, che la presenza de
cannalori nella processione del 4 e 5
febbraio ha una sua consolidata tradizione, è altrettanto vero che esse
erano espressione di una devozione
che accompagnava da vicino il fercolo con il busto e la cassa reliquiaria di sant’Agata, illuminandone e
solennizzandone il percorso. La loro
attuale presenza, così distante dal
fercolo, non sarebbe opportuno
riconsiderarla, per evitare che la
distanza fisica rischi di equivalere da
una forma di distanza “religiosa”?
Il recupero del significato originario
per cui nasce la tradizione delle candelore di sant’Agata e della processione del 3 febbraio sembra assumere il valore di leva per dare un ulteriore, qualificante apporto al recupero, in atto specialmente in questi
ultimi anni, della dimensione più
propriamente religiosa della festa
che, se considerata tra le più emblematiche che si conoscano a livello
internazionale, necessita sempre di
mantenere viva la memoria della sua
prioritaria e imprescindibile dimensione ecclesiale.
Gaetano Zito
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Prospettive - 1 febbraio 2015
SPECIALE SANT’AGATA
LA CORNICE CHE ATTORNIA UN’OPERA D’ARTE VIVA
La carrozza del senato
l 3 febbraio iniziano i
festeggiamenti in onore
della Martire Agata con una spettacolare cerimonia che ha due valenze: una civica con la suggestiva sfilata della “carrozza
del Senato” con i costumi
caratteristici ed una religiosa con la processione della
cera.
Due eventi particolari si
intrecciano nella giornata
del 3 febbraio, che diventa
quasi un prolungamento
della festa liturgica della
candelora, che si celebra il 2
febbraio e nel tempo ha
favorito l’offerta della cera
alla Patrona della Città da
parte del senato e del popolo catanese.
Dal Municipio, al ritmo dei
tamburi degli sbandieratori
nella suggestiva cornice della corte del Palazzo degli
elefanti, il personale del comune
indossa gli originali costumi dei
paggi di corte dai colori bianco e
azzurro con la caratteristica parrucca, e quindi si preparano le due berline del ’700, carrozze trainate da
cavalli bianchi sulle quali salgono le
illustri autorità cittadine e il sindaco
con la fascia tricolore.
Le due carrozze, precedute dalle artistiche 12 candelore, espressione delle corporazioni cittadine, attraversano in salita la via Etnea tra due ali di
I
folla festanti e giungono in Piazza
Stesicoro nei pressi della Chiesa di
Sant’Agata alla fornace, da dove partirà verso mezzogiorno, al suono del-
le campane e delle 12 cannonate, la
solenne processione della cera. Un
lungo corteo di colori, abiti e mantelli, bandiere e stendardi sfila tra due
ali di folla che assiste con devoto
raccoglimento e attenzione ai messaggi spirituali che preparano al
significato religioso dei festeggiamenti in onore della Santa Patrona.
Associazioni, gruppi parrocchiali,
aggregazioni laicali, Unitalsi e
ammalati, Avis e donatori di sangue,
rappresentanti degli enti comunali e
delle aziende municipalizzate, le
delegazioni dei comuni della provincia etnea con stendardi e bandiere,
l’Azione cattolica, il Clero, gli ordini militari e cavallereschi: Ordine pontificio di
San Gregorio Magno,
Sovrano Militare Ordine
di Malta, Ordine Equestre del Santo Sepolcro,
sfilano in processione
portando candele e fiori
che sono offerti in Cattedrale quale dono della
città e dei cittadini alla
Santa Patrona.
Il solenne canto del “Te
Deum”, eseguito dalla
corale della Cappella del
Duomo, conclude la
liturgia di preghiera e di
offerta e introduce al triduo agatino, che conferisce alla festa di San’Agata il riconoscimento da
parte dell’Unesco del titolo di “bene
etno antropologico patrimonio dell’umanità”.
Offrire e accendere un cero votivo in
onore della Martire Agata è un gesto
che accomuna i segni della devozione popolare, preparando lo spirito
alla “ierofania” che consente per
alcuni giorni l’incontro con il sacro e
con la fenomenologia della religione.
Giuseppe Adernò
Consegna dell’ANELLO
agatino all’Arcivescovo
a sera di domenica 25
gennaio, come vuole la
tradizione nella sacra cornice del santuario diocesano Sant’Agata al Carcere, affollato di devoti e alla presenza
della reliquia del Velo della Verginella
Protomartire concittadina, si è rinnovato il simbolico rito –esclusiva catanese dal carattere sacro e profano,
ecclesiale e civile, religioso e civicodella consegna ufficiale dell’anello
“agatino” all’Arcivescovo Mons. Salvatore Gristina, a conclusione della
solenne concelebrazione eucaristica e
a coronamento della pia pratica delle
domeniche agatine e all’inizio dei
festeggiamenti, nello stesso venerato
sito dove Sant’Agata subì la restrizione, conclusasi con il processo, le torture e la condanna a morte, nel carcere del pretorio del proconsole di Quinziano.
Come vuole la tradizione, reintrodotta
tempo fa dal presidente del comitato
organizzativo della festa di Sant’Agata e maestro delle cerimonie del
Comune comm. Luigi Maina, con
riferimento all’antico rito risalente a
don Alvaro Paternò che disciplinò il
cerimoniale cinquecentesco della
festa, è stato il Sindaco a consegnare
all’Arcivescovo il prezioso “anello
della festa” che indosserà fino a giovedì 12 febbraio, giorno dell’ottava,
come segno del simbolico “sposalizio
con la Città di Catania, attraverso la
persona del primo cittadino”.
L
venivano tradizionalmente offerte ai
devoti dalle famiglie nobili che aprivano le loro dimore.
L’anello è ricavato da un cammeo,
gemma incisa a rilievo di color avorio,
appartenuto alla mamma del comm.
Maina: reca impressa l’immagine del
busto reliquiario di S. Agata ed è conservato nella “vetrina dei tesori” della
Galleria dei sindaci di palazzo degli
Elefanti.
Il Gran Coro Lirico Siciliano, diretto
dal m° Francesco Costa, ha eseguito la
“Missa et proprium in festo Sanctae
Agathae”, musiche di tre insigni compositori ecclesiastici italiani, il cardinale fiorentino Domenico Bartolucci,
il monaco bolognese Adriano Banchieri e il canonico catanese Rosario
Licciardello.
Al termine della Divina Liturgia, presieduta da Mons. Gristina, il Coro ha
eseguito in concerto la “Messa dell’Incoronazione” in Do Maggiore KV
317 di Wolfgangus Amedeus Mozart,
uno dei più celebri capolavori di musica sacra liturgica” e “inni agatini” della tradizione religiosa musicale catanese dal Settecento al Novecento;
soprano Gonca Dogan, contralto
Antonella Leotta, tenore Dave Monaco, basse-baritone Riccardo Bosco.
Un grato plauso ai bravi Custodi del
Santo Carcere, che l’infaticabile rettore considera la “nuova realtà giovanile
del Santuario che si impegna per l’organizzazione e la riuscita delle celebrazioni agatine: un auspicio per l’Associazione Sant’Agata al Carcere che
si appresta a confermare un nuovo
impegno nel vivere e diffondere la
testimonianza agatina a partire dal
santuario diocesano agatino”
Mario Ursino
A.B.
Il dolce della festa
i risiamo! Già l’atmosfera è cambiata, anche
le storiche basole della via Etnea
cominciano a vibrare per la gioia di
ospitare il passaggio delle reliquie
della Santa, anzi della Santuzza, tanto cara al cuore dei catanesi.
Uno stato di comprensibile agitazione pervade l’intera città: euforia palpabile in attesa della messa
dell’Aurora, in spasmodica attesa di
rivedere il volto della santa che, al
suo apparire, suscita invocazioni e
colorite esclamazioni (cchiù tempu
passa e cchiù bedda addiventa - è
bedda arripusata) oltre alle
inevitabili richieste di attenzione per
i propri problemi.
Nei due giorni di processione delle
reliquie ospitate nel magnifico fercolo, una folla enorme si accalca per
ammirare le splendide fattezze degli
C
ori e degli argenti e lo straordinario
tesoro di gioielli, preziosi esemplari
di antiche manifatture.
In questo contesto di sincera
devozione si innestano antiche
tradizioni di prodotti dolciari che
trovano origine in episodi del martirio. Come è noto la Santa, tra le
varie umiliazioni spirituali e corporee, dovette subire l’asportazione
dei seni. La città, nel ricordo di
questa tremenda violazione del corpo della giovane Agata, le dedicò un
dolce, la cosiiddetta minnuzza. Si
tratta di piccole cassatelle di ricotta
e glassa con una ciliegina rossa a
ricordare il capezzolo.
A proposito di questo mi diverte
ricordare che, in occasione del ricevimento a casa nostra in onore della
Santa, avevo ordinato le minnuzze
che mi erano state fornite da un’importante pasticceria; per una distrazione la ciliegina rossa era stata
sostituita con una verde. La mia
telefonata divertita fu di questo
tenore: “Sig ... ha visto mai una minnuzza con il capezzolo verde?”. Tra
le mie risate e le sue mi portarono
celermente un congruo numero di
ciliegine rosse che servirono al
ripristino del tradizionale capezzolo
rosso. Altra tradizione dolciaria
delle feste è quella delle olivette, in
ricordo della leggenda che vuole
che, allo spirare della Santa, sotto il
finestrone del Santo Carcere, sia
fiorito improvvisamente un albero
di olivo. Le olivette di pasta reale
ell’ambito dei festeggiamenti in onore di Sant’Agata dal 1988 è stata inserita la manifestazione della consegna della “Candelora d’Oro”. Una targa speciale che
viene consegnata a personaggi illustri
della città che si sono distinti per meriti e azioni degne
di memoria. Lo scorso anno è stato premiato l’astronauta Luca Parmitano e quest’anno il prestigioso riconoscimento sarà assegnato al medico catanese Fabrizio Pulvirenti, che ha contratto l’Ebola in Sierra Leone, dov’era
volontario per Emergency. Con quest’alta onorificenza,
ha detto il sindaco Enzo Bianco, si premia l’esempio di
solidarietà umana che ha raggiunto il suo apice nel mettere a rischio la propria vita per aiutare le popolazioni
del Kurdistan, della Liberia e della Guinea.
Ci vuole, infatti, un gran coraggio
per decidere di recarsi proprio nei
Paesi dove l’epidemia falcia
numerose vittime. La generosità
del dott. Pulvirenti continua
anche dopo la guarigione dal
pericoloso contagio e il suo sangue sarà inviato in Sierra Leone
per curare i malati.
Con ammirevole umiltà il coraggioso medico che lavora presso
l’unità di malattie infettive
all’Ospedale di Enna, non si
considera un eroe, ma un “un
N
Foto di Alberto Cucchiara
CANDELORA D’ORO al
Medico catanese F. Pulvirenti
soldato ferito in battaglia” e per questa generosità
anche il presidente Napolitano l’ha considerato una
delle “eccellenze italiane”.
Durante la permanenza nell’Istituto Nazionale per le
malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” tutta l’Italia ha
seguito con particolare apprensione le vicende sanitarie
e il successivo trasferimento nell’unità di rianimazione
ad alto isolamento, fino alla dichiarazione di completa
guarigione.
La cerimonia di consegna della candelora d’oro si svolgerà nella corte del Municipio la sera dell’1 febbraio,
dopo la rituale accensione della lampada votiva in onore
della Patrona collocata nella corte del Municipio, Palazzo degli elefanti, dove sono custodite anche le due carrozze che sfileranno nella processione del 3 febbraio per
l’omaggio della cera alla Santa Patrona.
Nella festa di S. Agata la Municipalità cittadina è presente e attiva mediante numerosi gesti e cerimonie quali
ad esempio quello della consegna dell’anello in agata
bianca con l’effige della Santa Martire che il Vescovo
indossa durante il triduo della festa agatina, la carrozza
del Senato con la processione della cera, i giochi d’artificio e l’omaggio floreale.
GiAd
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Prospettive - 1 febbraio 2015
DIOCESI
Agata nell’anno dedicato alla Vita Consacrata
La vera gioia dietro la grata
ollecitate a condividere
alcuni momenti di
intensa grazia vissuti già all’inizio di
questo speciale Anno della Vita Consacrata, ci accingiamo a farlo
lasciandoci guidare da un segno eloquente, quello della lampada consegnata ai rappresentanti delle comunità religiose della diocesi presenti
durante la veglia di preghiera celebrata il 29 novembre 2014 nella
chiesa della badia di Sant’Agata e
presieduta dal nostro Arcivescovo
Mons. Salvatore Gristina.
Così ha evidenziato Papa Francesco
nel suo Messaggio per l’apertura
dell’anno della vita consacrata (30
novembre 2014): «Nel convocare
questo anno della Vita Consacrata, a
cinquant’anni dalla promulgazione
del Decreto conciliare Perfectae
caritatis sul rinnovamento della vita
religiosa, ho voluto anzitutto riproporre a tutta la Chiesa la bellezza e la
preziosità di questa peculiare forma
di sequela Christi. Attraverso una
molteplicità di iniziative, la luminosa testimonianza della Vita Consacrata sarà come una lampada posta
sul candelabro per donare luce e
calore a tutto il popolo di Dio».
Un altro significativo momento di
comunione è stato vissuto proprio
nella nostra chiesa di San Benedetto
in Catania il 19 dicembre 2014. Il
canto del vespro, presieduto dal
nostro Arcivescovo, ha fatto salire al
Cielo le voci dei consacrati e consacrate che, insieme alla nostra comunità monastica, hanno celebrato la
gioia di appartenere a Cristo. E lo
stesso Mons. Gristina, richiamando
la frase di Papa Francesco apposta
nel frontespizio dei libretti - «Questa
è la bellezza della consacrazione: la
gioia, la gioia. Volevo dirvi una parola e la parola è gioia. Sempre dove
sono i consacrati, i seminaristi, le
religiose e i religiosi, i giovani, c’è
gioia, sempre c’è gioia!» (Dal discorso ai Seminaristi, ai Novizi e alle
Novizie, Roma 6 luglio 2013) - ha
sottolineato la bellezza della Vita
Consacrata quale risposta gioiosa
all’Amore.
Dopo l’intenso momento liturgico, il
fraterno incontro tra cordiali saluti e
scambio di esperienze ha sugellato
S
ancor più la comunione che ci unisce
in quel medesimo servizio alla Chiesa che, nella varietà dei carismi,
esprime l’armonia della sequela
Christi quale proposta affascinante e
credibile ancora oggi.
Il 15 gennaio 2015, c’è stata nella
nostra chiesa l’annuale veglia di preghiera in occasione della sosta della
reliquia di sant’Agata. Verso le
16.45, il parroco della Cattedrale ci
ha portato il velo di sant’Agata che
abbiamo accolto con viva commozione. Mons. Barbaro Scionti, con
paterna affabilità, ci ha rivolto un
intenso pensiero spirituale sottolineando il significato che il velo della
nostra Patrona riveste in questo speciale anno della Vita Consacrata.
Alle 19.00 in chiesa esterna, abbiamo cantato il vespro seguito dalla
veglia di preghiera presieduta da
padre Angelo Gatto o. carm., Vicario
episcopale per la Vita Consacrata,
coadiuvato dal nostro diacono permanente Nino Coco. Il Vicario ci ha
regalato una intensa meditazione a
partire dai testi proposti dalla veglia
e sottolineando in particolare l’aspetto creativo dell’amore.
Ed ecco ancora l’icona della lampada. Infatti, all’inizio della veglia, è
stata portata davanti al reliquiario
posto sulla mensa, la lampada consegnataci all’apertura di questo speciale anno. Ancor più è risaltata la bellezza della Vita Consacrata alla luce
della consacrazione di Agata.
Tutta la veglia, animata nel canto dal
coro della Cattedrale diretto dal
maestro Giuseppe Sanfilippo e dall’equipe diocesana di Pastorale giovanile, è stata davvero un momento
di grande grazia.
Il segno della luce quale icona della
Vita Consacrata manifesta particolarmente la sua intensa suggestione
simbolica il 2 febbraio. La festa della Presentazione di Gesù al tempio ci
dona anche l’occasione per ringraziare il Signore per il dono della Vita
Consacrata. Di certo, l’annuale celebrazione in cattedrale si caricherà in
questo 2015 di una più intensa commozione.
Questa giornata, che precede le grandi festività agatine, ne sembra la
logica ed immediata preparazione.
Ancora una volta la vita di Agata si
manifesta quale segno di luce.
Infine, la giornata della Grande
Riparazione, che tradizionalmente
celebriamo il cosiddetto giovedì
grasso, quest’anno coincide con l’ottava di sant’Agata e, pertanto, avrà
in programma soltanto un tempo
prolungato di adorazione silenziosa
culminante con il canto del vespro
alle ore 17.00. Il 12 febbraio, davan-
ti al SS. Sacramento esposto per
tutto il giorno nella nostra chiesa
che rimarrà aperta, metteremo
quella stessa lampada quale richiamo della nostra consacrazione a
Dio offerta per la Chiesa di Catania
e sostenuta dall’amata sant’Agata.
C’è infatti un legame molto forte
tra la nostra vita monastica e la sua.
Oltre alla devozione che tutte proviamo per la Patrona di Catania, va
indicato anche il legame spirituale
che ci unisce alla Vergine e Martire
che, per noi, è modello da imitare,
amica che sentiamo vicina nel
nostro cammino e potente voce di
intercessione presso il Padre. È
significativo che l’affresco del
martirio di sant’Agata nella nostra
chiesa si trovi sopra la grata dietro la
quale, anticamente, venivano fatte le
professioni monastiche, associando
il martirio cruento con il martirio
bianco della fedeltà quotidiana alla
propria vocazione, così come evidenziato in età patristica. Oggi, dopo
il Concilio Vaticano II, i riti per le
professioni monastiche si svolgono
sul presbiterio in una rinnovata concezione teologica e liturgica del loro
significato, ma sempre ancorate ai
secolari e intramontabili valori della
tradizione.
Tante volte, in discorsi o altre testimonianze, abbiamo spesso indicato
il nostro radicamento in questo territorio con fierezza e vanto definendo
Catania la città della Vergine e Martire per antonomasia. Da più di cento anni il carisma benedettino-eucaristico vive e pulsa nel cuore della
Città di Sant’Agata! Tutto ciò lo
esprimiamo con il famoso canto che,
ogni 6 febbraio, regala ai devoti un
suggestivo e intenso momento di
preghiera davanti al fercolo della
Santa in sosta presso la nostra chiesa. Si tratta della preghiera che la
Martire ha elevato in carcere al Cri-
sto suo sposo e musicata in polifonia
da Filippo Tarallo. Le nostre voci
vorrebbero ogni volta comunicare
tutto il palpito “agatino” che da esso
promana, continuando a pregare per
questa nostra bella città e per tutta la
Diocesi. Ci infonda Lei il coraggio
della testimonianza, dell’offerta di
noi stesse senza compromessi o tentennamenti, e ci aiuti a rinnovarci
continuamente nel fervore e nella
dedizione totale a Cristo e alla Chiesa!
Concludendo questa nostra condivisione che si è fatta eco di tante risonanze, vogliamo ricordare l’altro
grande modello e intercessore per la
Vita Consacrata della nostra arcidiocesi, il beato cardinale Giuseppe
Benedetto Dusmet, benedettino e
indimenticabile Pastore della Chiesa
di Catania. Del resto, grande devoto
di sant’Agata, ebbe un legame tutto
speciale proprio con il velo della
Patrona catanese da lui portato in
processione durante la colata lavica
del 1886 che minacciava la cittadina
di Nicolosi.
Riportiamo, quale particolare augurio per tutti i consacrati, ma anche
per ogni fedele consacrato a Dio in
virtù del battesimo, le parole pronunciate dall’Angelo della carità in
ringraziamento ai fedeli in occasione
del suo giubileo episcopale: «O
Gesù, deh! Tu muova i figli miei della diocesi catanese ad ispirarsi agli
esempi di fortezza lasciati loro dalla
gloriosa sant’Agata; Tu li eccita ad
uniformarsi alla Famiglia da te eletta
in terra.
Deh! Tu li mantieni fermi nella
fedeltà alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana e al Papa. Deh! Tu li
conforta di una larga e stabile benedizione».
Le Benedettine
del SS. Sacramento di Catania
Notizie in breve dal 2 all’8 febbraio
Dall’Agenda dell’Arcivescovo
Lunedì 2
• Ore 16.30 Catania, Basilica Collegiata; presiede il rito della
benedizione delle candele e la
processione fino alla Basilica
Cattedrale dove celebra la S.
Messa per la Festa della Presentazione del Signore.
• Ore 19.00 Catania, Chiesa della
Badia S. Agata; assiste al Concerto in onore di S. Agata a cura
del Coro Lirico Siciliano.
Martedì 3
• Ore 12.00 Catania, Chiesa di S.
Agata alla Fornace: guida la Processione per l’offerta della Cera
fino alla Basilica Cattedrale.
• Ore 19.00 Catania, Palazzo del
Municipio: assiste ai tradizionali
inni in onore di S. Agata eseguiti
dalla “Corale Tovini” e ai fuochi
pirotecnici.
Mercoledì 4
• Ore 6.00 Catania, Basilica Cattedrale: celebra la Messa dell’Aurora.
• Ore 10.00 Catania, Sede
C.A.M.A.: celebra la S. Messa.
• Nel pomeriggio, in Piazza Stesi-
coro, rivolge ai fedeli il tradizionale messaggio alla Città.
Giovedì 5
• Ore 10.15 Catania, Basilica Cattedrale: insieme ai Vescovi di
Sicilia, concelebra al Solenne
Pontificale presieduto da Sua
Eminenza il Cardinale Domenico
Calcagno, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
Venerdì 6
• Lavoro interno per la Visita
pastorale.
Sabato 7
• Ore 9.00 Arcivescovado: udienze.
• Ore 18.30 Bronte, Chiesa Madre:
presiede i Vespri e consegna il
Questionario pastorale alle parrocchie del XV Vicariato.
Domenica 8
• Ore 10.30 Paternò, parrocchia
Cristo Re: celebra la S. Messa.
• Ore 16.30 Catania, Basilica Cattedrale: celebra la S. Messa in
occasione della Giornata Mondiale del Malato.
®
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Prospettive - 1 febbraio 2015
DIOCESI
Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia: Dal Sinodo Straordinario
La Chiesa e gli sposi cristiani:
compagni di viaggio per sempre
Parte III
La società contemporanea, di cui i
Padri sinodali hanno messo in risalto
la complessità, è il luogo naturale
all’interno del quale la famiglia è
chiamata a svolgere la missione che le
è propria e per tale motivo richiede, da
parte della Chiesa, una cura particolare. Pertanto all’interno dell’attuale
realtà sociale la famiglia è chiamata
ad accogliere e affrontare le sfide della nuova evangelizzazione attraverso
l’annuncio del “Vangelo della famiglia”, strumento indispensabile per
una nuova conversione del cuore dell’umanità. A tal riguardo il dibattito ha
sottolineato un’attenta cura pastorale
del cammino di preparazione dei
nubendi al sacramento del matrimonio organizzati dalle diocesi e dalle
parrocchie. È questo uno degli ambiti
privilegiati dove poter riscoprire i
valori cristiani e le virtù morali che
rendono il matrimonio santo e missionario. In modo particolare viene privilegiata la castità, definita “condizione
preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale”. Ecco dunque il
prezioso contributo delle coppie che
testimoniano di aver scelto la famiglia
come propria missione. A tal riguardo
i Padri sinodali hanno avvertito l’attenzione con cui devono essere scelti i
temi da affrontare durante i corsi in
preparazione al matrimonio, che
riguardino in particolare i “diversi
aspetti della vita familiare” ed introducano i fidanzati ad una partecipazione sentita alla vita della comunità
ecclesiale di appartenenza. La III parte della Familiaris Consortio invita
coloro che nelle comunità parrocchiali curano i corsi di preparazione al
matrimonio a non abbandonare i giovani sposi nei primi anni di vita coniugale, definito “periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono
nella consapevolezza delle sfide e del
significato del matrimonio”. È bene
che le “coppie esperte”, movimenti ed
associazioni ecclesiali presenti in parrocchia si adoperino affinché l’accompagnamento pastorale sostenga
gli sposi in tutte le varie fasi della loro
vita. Il dibattito sinodale ha inoltre
sottolineato la necessità di valorizzare, all’interno del percorso di iniziazione cristiana dei fanciulli, lo stretto
legame esistente fra il sacramento del
Battesimo e il sacramento del Matri-
monio, sacramenti che costituiscono
la roccia su cui deve essere edificata la
famiglia. La comunità
ecclesiale è chiamata
ad
“evangelizzare
attraverso la famiglia”, ad “incoraggiare gli sposi a un atteggiamento di accoglienza del grande
dono dei figli”, a promuovere la spiritualità familiare sensibilizzando alla preghiera in famiglia o con
altre coppie con cui
“riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della
vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita”. Infine la
Relatio Synodi evidenzia che l’evangelizzazione attraverso la famiglia
attinge il giusto coraggio missionario
dalla partecipazione domenicale
all’Eucarestia, che insieme a liturgie e
pratiche devozionali, per e con la
famiglia, contribuiscono ad edificare
il corpo della Chiesa e a rendere la
società più vera e più giusta. Alla luce
di tali considerazioni l’Assemblea
Sinodale invita tutta la Chiesa universale a riflettere su tali questioni chie-
dendo di rispondere alle seguenti
domande:
28. Come i percorsi di preparazione al
matrimonio vanno proposti in maniera da evidenziare la vocazione e missione della famiglia secondo la fede in
Cristo? Sono attuati come offerta di
un’autentica esperienza ecclesiale?
Come rinnovarli e migliorarli?
29. Come la catechesi di iniziazione
cristiana presenta l’apertura alla vocazione e missione della famiglia? Quali passi vengono visti come più urgen-
ti? Come proporre il rapporto tra battesimo – eucaristia e matrimonio? In
che modo evidenziare il carattere di catecumenato e di mistagogia che i percorsi di preparazione al matrimonio vengono spesso ad assumere? Come coinvolgere la comunità in questa preparazione?
30. Sia nella preparazione che
nell’accompagnamento dei primi anni di vita matrimoniale viene adeguatamente valorizzato
l’importante contributo di testimonianza e di sostegno che possono dare famiglie, associazioni
e movimenti familiari? Quali
esperienze positive possono essere
riportate in questo campo?
31. La pastorale di accompagnamento
delle coppie nei primi anni di vita
familiare – è stato osservato nel dibattito sinodale – ha bisogno di ulteriore
sviluppo. Quali le iniziative più significative già realizzate? Quali gli aspetti da incrementare a livello parrocchiale, a livello diocesano o nell’ambito di associazioni e movimenti?
Mariella e Giuseppe Magrì
Tavola rotonda organizzata dall’UCSI provinciale in occasione della festa di S. Francesco di Sales
COMUNICARE IL SACRO - La festa di Sant’Agata a Catania
n occasione della festa di San
Francesco di Sales, patrono dei
giornalisti, l’UCSI provinciale di Catania ha
dato un particolare contributo alla riflessione
sul tema “COMUNICARE IL SACRO - La
festa di Sant’Agata a Catania”.
Nella splendida e monumentale
chiesa barocca della Badia di
Sant’Agata, ha avuto luogo il 26
gennaio una tavola rotonda, alla
quale è intervenuto l’Arcivescovo di Catania Mons. Gristina,
esprimendo il plauso per l’iniziativa e per la scelta del tema,
in linea con l’azione pastorale di
riordino della festa nel recupero
della sua primaria connotazione
di carattere religioso.
La comunicazione del sacro passa attraverso i mass media ed il
giornalista Salvo La Rosa ha
testimoniato come la diretta televisiva della festa raggiunge tutte
le case in Sicilia e nel mondo.
L’iniziativa fu avviata nel 1991,
quando la processione della Santa ha avuto
una formula ridotta a causa della Guerra del
Golfo ed i missili partivano da Sigonella, e
nel tempo è stata ripetuta con una sempre
maggiore crescente audience e gradimento
specie dagli anziani, ammalati, carcerati e cittadini di Catania fuori sede.
Il consulente regionale dell’UCSI, don Paolo
Buttiglieri, ha evidenziato come il modello
perfetto di comunicazione efficace del sacro è
al cuore di tutte le religioni e tende alla
“comunicazione di Dio”.
Dalla grande ouverture: la creazione e le tre
successive fasi: la Rivelazione del Padre nell’Antico testamento; l’Incarnazione del Figlio,
nella “pienezza dei tempi”; l’effusione dello
Spirito Santo a Pentecoste, Dio ha comunicato
all’uomo, sconvolgendo i canoni linguistici
della comunicazione umana.
Comunicare il sacro significa entrare in un
“complesso interrelato di elementi”: la fonte e
I
il significato, il messaggio, il ricevente e il
significato attribuito al messaggio ricevuto.
Tutto ciò avviene in maniera “asimmetrica”
alla “conformazione” non segue la “cosignificazione”. Il sacro è numinoso (numen), evoca
un universo simbolico mai sganciato dalla
realtà è un elemento nella struttura della
coscienza e sono tipiche le espressioni: “Il
sacro non si tocca”, è intangibile, mentre “Il
santo si deve toccare”, e sollecita contatto
taumaturgico.
Nella fede popolare la fenomenologia del
sacro si manifesta con l’identificazione con
il santo e la devozione si manifesta in forme
ed espressioni, a volte, non sempre pertinenti e coerenti.
Spesso la comunicazione sulla festa assume
aspetti specifici di carattere ora turistico, ora
commerciale, sviando e trascurando il vero
significato religioso ed ha portato ad esempio un esperimento mal riuscito di un articolo scritto da una giornalista new age, la quale evidenzia della festa la dimensione della
luce, come di una festa pagana.
Sullo specifico religioso della festa di
San’Agata à intervenuto Mons. Gaetano
Zito, vicario della pastorale della cultura, il
quale ha evidenziato come la tradizione della
grande festa catanese nel tempo ha subito
modificazioni e cambiamenti ed oggi il tutto
va indirizzato verso la specifica connotazione
religiosa ed ecclesiale.
La tradizione fa da
supporto, ma non può
prevalere sull’essenzialità, favorendo l’interazione dei tre soggetti
protagonisti della festa:
la chiesa, il comune, i
devoti.
Positiva è risultata la
testimonianza del dott.
Giuseppe Carbonaro,
fondatore e presidente
degli amici del Rosario, un gruppo ecclesiale che dal 1995, secondo lo statuto approvato
da Mons. Luigi Bommarito, operano una
speciale “missione” di
testimonianza e di preghiera tra i devoti con il
“sacco bianco” che tirano il cordone del fercolo con le sacre reliquie della Santa. Una
capillare azione di formazione spirituale
accompagna il gruppo dei devoti per l’intero
anno mediante incontri di formazione e di spiritualità.
Il piccolo gruppo adesso è cresciuto e durante
la Messa dell’Aurora vengono benedetti ottomila rosari che vengono distribuiti tra i devoti
durante la processione.
L’intervento di Giovanni Finocchiaro, un giovane devoto, che ha testimoniato l’atteggiamento religioso dei gesti, delle emozioni, della partecipazione intensa alla festa, ha confermato la “pietas” della devozione che lascia un
segno nella formazione della persona.
Agli interventi programmati, coordinati dal
presidente provinciale dell’UCSI, Giuseppe
Adernò, hanno fatto seguito gli interventi di
Rossella Jannello, giornalista de “La Sicilia”;
Marco Pappalardo, addetto stampa della Cattedrale e dell’avv. Renato Camarda del comitato per la legalità della festa.
I fatti connessi alla festa di San’Agata, le
infiltrazioni mafiose, la morte di un devoto, e
il dibattito nelle aule dei tribunali sollecitano
una riappropriazione del senso religioso della
festa che negli anni Settanta è stata trascurata
ed una rinnovata vitalità religiosa a beneficio
dell’intera comunità civile.
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Prospettive - 1 febbraio 2015
DIOCESI
Riflessioni sul Vangelo
L’INTERMEDIARIO
IV DOM T.O. / B - Dt 18,15-20; Sal 94/95,1-2;6-9; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28
L’uomo è veramente curioso. Ha la possibilità di parlare e trattare direttamente
con Dio e vuole l’intermediario: “Avrai
così quanto hai chiesto al Signore, tuo
Dio, sull’Oreb il giorno dell’assemblea,
dicendo: “Che io non oda più la voce del
Signore, mio Dio, e non veda più questo
grande fuoco, perché non muoia”. Il
Signore concede un profeta che si deve
ascoltare: “Io susciterò loro un profeta in
mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca
le mie parole ed egli dirà loro quanto io
gli comanderò”. Il Signore chiederà conto
di quanto il profeta comunica.
Il profeta però non deve avere la presunzione di dire quello che Dio non gli ha
comunicato; così i rapporti con Dio passano attraverso il suo messaggero.
Paolo desidera che ogni uomo sia libero
da preoccupazioni per dedicarsi totalmente alle cose del Signore e come piacere a
Lui. Il significato di questo ragionare di
Paolo mi sembra sia duplice: ognuno nello
suo stato deve adempiere i doveri richiesti
e secondo il rapporto con Dio è sempre da
privilegiare ciò che conta: che ci si comporti degnamente e si resti fedele al Signore. Gesù ha dato l’esempio del comportamento degno e serio: “Ed erano stupiti del
suo insegnamento: egli infatti insegnava
loro come uno che ha autorità e non come
i loro scribi”.
La gente riconosce nell’intermediario per
eccellenza - quale è Gesù - l’autorevolezza
e la differenza tra il suo insegnamento e
quello degli scribi. Anche gli spiriti
immondi temono l’autorevolezza di Gesù:
“Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei
venuto a rovinarci, Io so chi tu sei: il santo
di Dio". Gesù libera l’uomo, posseduto
dallo spirito impuro, gli restituisce la
libertà. Ciò fa restare più attoniti: quest’uomo insegna con autorità, restituisce
la libertà perduta agli uomini, chiama al
suo seguito.
Non si può rimanere indifferenti o inerti.
Il profeta va ascoltato e bisogna darsi da
fare per aiutare gli uomini ad essere liberi.
Leone Calambrogio
San Paolo in briciole
Le vedove 1Tm 5,3-16
Alle vedove si deve onore, se sono veramente vedove. Se hanno figli o nipoti, questi devono imparare ad osservare i loro
doveri verso quelli della propria famiglia e
contraccambiare i loro genitori: questa è
cosa gradita a Dio. Colei che è veramente
vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e
alla preghiera giorno e notte; al contrario,
quella che si abbondona ai piaceri, anche
se vive, è già morta. Tutto ciò deve essere
oggetto di raccomandazione per essere
irreprensibili. Se poi qualcuno non si
prende cura dei propri cari, soprattutto di
quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele.
Nel catalogo delle vedove, per essere iscritta, la vedova doveva avere non meno di
sessant’anni, essere stata moglie di un solo
uomo, conosciuta per le sue opere buone e
cioè avere allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, essere venuta in
soccorso degli afflitti, avere esercitato ogni
opera di bene. Nel catalogo non bisognava
accettare le vedove giovani perché quando
vogliono sposarsi di nuovo abbandonano
Cristo e si attirano un giudizio di condanna, poiché infedeli al loro primo impegno.
Inoltre non avendo nulla da fare si abituano a girare qua e là per le case e sono
non soltanto oziose ma pettegole e curiose,
parlando di ciò che non conviene. Paolo
desidera che le più giovani si risposino,
abbiano figli, governino la loro casa per
non dare agli avversari alcun motivo di
biasimo. Alcune infatti sono già perse dietro a Satana. Se qualche donna credente
ha con sé delle vedove, provveda lei a loro
e il peso non ricada sulla Chiesa, perché
questa possa venire incontro a quelle che
sono veramente vedove.
L.C.
Io sono veramente credente se ogni giorno mi lascio plasmare la vita dal Signore
Entrare
Io so che Cristo vuole qualcosa da
me, che desidera entrare nelle mie
parole, nelle mie mani, nei miei sentimenti, nel mo andare e nel mio
venire.
Nel conflitto tra il nostro cuore
d’ombra e la nostra parte di luce,
Cristo entra come mani e occhi nuovi.
Nel cap. 10 della prima Lettera ai
Corinzi Paolo rievoca le vicende del
popolo ebraico durante la marcia nel
deserto: “I nostri padri furono tutti
sotto la nuvola e tutti attraversarono
il mare, tutti furono battezzati... nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale”.
Paolo ricorda i segni miracolosi, con
i quali Dio voleva attrarre a sé il
popolo per farne la comunità dell’alleanza, per condurlo verso la terra
della libertà. Ma la libertà, che Dio
offriva, era rischiosa. Chiedeva il
pieno affidamento a Dio e il coraggio di cercare giorno per giorno la
strada in mezzo ai pericoli del deserto.
Coraggio
Il popolo non ebbe questo coraggio e
si sottrasse spesso all’azione di Dio.
Peccò di sfiducia, di viltà e di idolatria. Rimpianse la vita che conduceva in Egitto. Cercò di superare la
fatica e la rudezza del deserto col
ricorso a piaceri meschini: “Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si
alzò per divertirsi”. Dietro queste
parole sta la nostalgia delle feste
dove si mescolano idolatria e licenziosità. Per questo “della maggior
parte di loro Dio non si compiacque
e perciò furono abbattuti nel deser-
Il colpo d’ala dell’ amore
to” . Non basta partecipare materialmente ai grandi eventi della salvezza; occorre entrare spiritualmente
nel loro dinamismo.
Paolo continua: “Tutte queste cose,
però, accaddero a loro come esempio
e sono state scritte come ammonimento per noi, per i quali è arrivata
la fine dei tempi”.
Paolo vede riprodursi nella vita dei
cristiani le infedeltà dell’antico
popolo di Dio. I cristiani di Corinto
si accostano all’Eucaristia, ma non si
lasciano plasmare interiormente dalle esigenze della vita cristiana: si
espongono ai rischi della idolatria,
non sanno rinunciare alle proprie
esigenze per edificare i fratelli nella
carità, creano divisioni nella comunità.
Nel cap. 11 Paolo è più esplicito: il
modo con cui i Corinzi celebrano la
cena del Signore è degno di biasimo.
Non produce salvezza, ma condanna,
perché essi non lasciano che la carità di Cristo, presente nell’Eucaristia,
attragga e trasformi i loro cuori.
Continuano a essere divisi tra loro,
anzi, proprio in occasione delle riunioni in cui si celebra la cena del
Signore, essi aggravano le divisioni e
recano offesa ai fratelli più poveri .
L’Eucaristia è incompatibile con le
divisioni nella Chiesa ! Incombe
sulla comunità cristiana il rischio
che l’Eucaristia, non assecondata nel
dinamismo di carità che da essa promana, non riesca a superare gli egoismi e le incomprensioni che emergono nella vita comunitaria. A sua volta, questa nostra debolezza e meschinità, non raggiunta e purificata dal-
l’Eucaristia, ci rende ancora più
impreparati e ottusi dinanzi al mistero eucaristico.
Pensiamo alle tensioni che affliggono la vita delle comunità e ci inquietano più frequentemente. Per esempio, c’è la tensione tra fissità e mobilità. C’è una fissità che privilegia le
tradizioni e le istituzioni, ma senza
cogliere il loro orientamento interiore verso il mistero di Gesù e verso il
bene delle persone; e c’è al contrario
una mobilità inquieta, scontenta, dissacratrice, che non sopporta il tempo
necessario per capire il valore delle
cose e dei gesti tradizionali.
Modelli
Oggi è particolarmente sentita la
tensione tra parrocchia e gruppi. La
parrocchia interpreta l’esigenza della
continuità; della completezza degli
elementi necessari per la costituzione della Chiesa; dell’attenzione ai
bisogni religiosi fondamentali delle
persone
che
vivono in un
determinato territorio.
I gruppi, invece,
interpretano l’istanza
della
molteplicità e
specificità dei
doni e dei servizi in relazione a
diverse situazioni e portano l’attenzione su quei
settori della vita
pastorale che
corrispondono
più da vicino alla mobilità dell’uomo
d’oggi.
Tra queste istanze, che chiedono di
essere armonizzate, possono nascere, invece, delle contrapposizioni.
Bisognerebbe poter descrivere con
maggiore completezza queste tensioni, se non altro per renderci conto
che esse possono rappresentare un
fenomeno positivo, perché esprimono il sofferto cammino della comunità verso una figura storica di Chiesa
che, in nome della propria fedeltà al
Signore, si impegna seriamente nei
problemi concreti dell’uomo. Vogliamo sottolineare che una lettura di
queste tensioni nella luce dell’Eucaristia aiuterebbe a scoprire la loro
complementarità.
Infatti l’Eucaristia, poiché è l’attrazione di tutti gli aspetti della vita nel
mistero di Cristo e del Padre, richiede una piena fedeltà alla storia di
Gesù e alle forme rituali e istituzionali che a lui ci uniscono, ma, nel
medesimo tempo, invita a una presenza multiforme, capillare, cordiale
in tutti gli aspetti della vita umana,
che devono essere orientati verso
Cristo.
A volte alla visione, che discende
dall’Eucaristia, sostituiamo le visioni che dipendono dai pregiudizi, dai
modi di intendere la vita comunitaria.
Le diverse prospettive, anziché integrarsi, si radicalizzano in contrapposizioni, che ci mettono nell’occasione di essere pungenti nei giudizi,
duri nei comportamenti, focosi nelle
discussioni, caparbi nei programmi.
Corriamo così il rischio di accrescere le tensioni, le esplosioni di nervosismo, i risentimenti amari, la pigrizia nell’intuire i bisogni altrui, ecc.
Se accettassimo il progetto di vita
comunitaria che ci deriva dall’Eucaristia, troveremmo la vera valorizzazione anche dei modi di vedere e
soprattutto sperimenteremmo la forza della carità di Cristo.
Padre Angelico Savarino
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Prospettive - 1 febbraio 2015
Totalmente Soggettivo
o scrivo con un po’ di
imbarazzo: ho vissuto
per alcuni decenni quasi da eremita
virtuale. I cento metri dalla casa alla
Chiesa erano il mio piccolo mondo
mattutino: le stesse persone che
andavano al lavoro, allo stesso orario, il loro buongiorno e la mia
benedizione, qualche rapida considerazione sulla vita quotidiana: così
per molti anni.
Era il mio piccolo mondo delle sette
del mattino, per tutte e quattro le
stagioni; poi subentrava il mondo
più grande, ma che coincideva sempre con il perimetro del territorio
parrocchiale, senza sconfinamenti
ma anche senza restrizioni.
Non leggevo quotidiani, di televisione quasi niente, di notiziari quelli
radiofonici, di cronaca cittadina
qualche frammento che mi veniva
raccontato.
Sommo analfabeta riguardo al computer e solo curioso nel sentir parlare di internet e sopratutto molto sorpreso di quel chiedere e dare amicizia per via cibernetica: non sapevo
cosa fosse né tuttora mi convince.
Anche di cronaca ecclesiastica sapevo ben poco. Insomma conducevo
una vita scialba in fatto di consumo
di notizie e vergognosamente lacunosa su cronache civili ed ecclesiastiche. Non ero sordomuto ma nemmeno provavo senso di colpa per la
mia volontaria ignoranza: e a qualche confratello che voleva tirarmi
giù dal mio limbo dicevo amabilmente: per favore, non raccontarmi
nulla! Ma arrivò il momento della
grande botta sismica che sconvolse
il mio quieto vivere e furono le
parole pesantissime del cardinale
Ratzinger ad una Via Crucis: “Non
dobbiamo pensare anche a quanto
Cristo debba soffrire della sua stessa Chiesa? Quante volte celebriamo
soltanto noi stessi senza renderci
conto di Lui? Quanta poca fede
c’è... Quanta sporcizia c’è nella
Chiesa...”.
Un fulmine mi accecò di paura: cosa
stava succedendo alla Chiesa e nella
Chiesa? Mi tornava alla mente il grido supplice e accorato di Paolo VI:
Chiesa di Dio, cosa dici di te stessa?
L
(continua da pag. 5)
RELIQUIA...
trascurato (o fatto apposta?) di
riprendere la reliquia di una mammella, che perciò sarebbe rimasta sul
posto. La reliquia sarebbe stata poi
miracolosamente ritrovata a Galatina.
Tradizioni e leggende pugliesi raccontano che quando –l’8 agosto
1126- i due soldati sbarcarono al
lido (di Gallipoli?) – sul litorale
distante tre miglia dalla cittadina,
non lontano dalla punta c.d. “dei
cutrieri”, ove il mare forma un’insenatura, nel sito che si sarebbe chiamato dopo “lu puzziello” dove c’era
una fonte d’acqua dolce- prelevarono le reliquie dalle faretre, ma
dimenticarono una delle mammelle,
la quale rimase presso la fontana.
Gisliberto e Goselmo proseguirono
il loro viaggio verso la Sicilia senza
accorgersi di quanto era accaduto.
Poco dopo, una donna, vedova da
poco tempo, venne sul posto con la
figlioletta lattante; essa dopo aver
Vita da eremita
Altro colpo che mi procurò sgomento e disagio fu la Lettera di Papa
Benedetto XVI alla Chiesa di Irlanda, ai suoi Vescovi e ai suoi preti:
uno scritto crudo e drammatico, un
grido che squarciò il silenzio inquietante su di un mondo tenebroso. Non
sapevo niente di niente e ne rimasi
avvilito e sconvolto. Nel fare una
impietosa e dolorosa analisi dei fattori che contribuirono all’esplodere
di quegli scandali,
il Papa enumerò
queste cause:
a) “Procedure inadeguate per determinare l’idoneità
dei candidati al
sacerdozio e alla
vita religiosa;
b) Insufficiente
formazione umana, morale, intellettuale, e spirituale nei seminari
e nei noviziati;
c) Una tendenza
nella società a
favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e
per evitare scandali”.
Queste parole ed altre altrettanto
gravi mi stordirono per intere settimane.
Ma come si fa a fare il prete con una
insufficiente formazione umana,
morale, intelletuale e spirituale? Io
non sono nessuno per giudicare, ma
il deficit di quei quattro aggettivi
porta dritto alla depressione nel
popolo di Dio che ha diritto di essere guidato da personalità ben strutturate.
Altro avvenimento che procurò
sconquasso a me e a tutta la comunità cattolica fu la rinunzia di Papa
Benedetto al compito di guidare la
Chiesa. Era stanchezza fisica, solitudine, amarezza, angoscia indincibile, oscuramento di cammino? Oppure un immenso amore a Cristo e alla
Chiesa? O che altro? Certamente se
ne andava in clausura un uomo mite
e solo; e scendeva dal soglio pontificio con umile gravità e immensa
dignità un pontefice a cui la Chiesa
deve somma riverenza e gratitudine.
Mi sorprese, tuttavia, il fatto che da
parte delle istituzioni e delle persone autorevoli più vicine al Santo
Padre, non si esprimesse a lui la pur
minima richiesta di ripensamento,
come a volergli significare che si
aveva ancora bisogno della sua preziosa missione apostolica.
E vennero poi i giorni di Papa Francesco e furono un gran benefico colpo al cuore per la comunità cristiana
e un gioioso soprassalto di stupore
per la imprevedibile vitalità della
Chiesa Cattolica. Ma di questo parlerò in seguito.
Intanto si concludevano per me gli
anni vissuti da eremita virtuale e
ritornavo nel mondo dei miei simili,
e ci tornavo in compagnia di Papa
Francesco. Il che mi sembrò cosa
piacevolissima.
Adios.
Giuseppe Bruno
La Caritas Diocesana gestirà gli ingressi nella struttura al SS. Crocifisso dei Miracoli
“Spazio d’accoglienza Erwin”,
dormitorio con 12 posti letto
iapre lo “Spazio d’accoglienza Erwin”. Il
dormitorio, con a disposizione 12
posti letto presso i locali della parrocchia del SS. Crocifisso dei Miracoli (in Via E. Pantano, 42) affidata
ai padri gesuiti, sarà gestito dalla
Caritas Diocesana di Catania per l’emergenza freddo di questi mesi.
L’Help Center della Stazione Centrale nella persona della Dott.ssa
Valentina Calì, assistente sociale
Caritas, si occuperà dell’ingresso
degli ospiti che avranno la possibilità di cenare e di usufruire del servizio doccia.
Lo spazio d’accoglienza, nato nel
gennaio 2014 dalla volontà di Padre
Gianni Notari, è gestito autonomamente dai parrocchiani in collaborazione con la Caritas Diocesana e in
sinergia con gli studenti che frequentano le aule studio della parrocchia.
Rispetto all’anno scorso i locali sono
stati ampliati, con l’aggiunta di un
angolo cucina ed una stanza per permettere ai volontari di passare la notte. Al momento vengono ospitati
anche numerosi concittadini che si
sono ritrovati in strada per mancanza
di un lavoro o in seguito ad una separazione familiare. Grazie alla sensibilità del parroco è stato così possibile trovare una sistemazione tempo-
lavato i panni s’addormentò. La
bambina, invece, riuscì a quattro piedi a trovare casualmente la mammella e per istinto incominciò a succhiarla, non sapendo staccarsene.
Alla madre dormiente apparve s.
Agata che la invitò a trovare la
figlioletta con la mammella in bocca. Fu subito informato il vescovo
Baldrico, il quale, convocati clero e
popolo, si recò in processione sul
posto. Nessuno, però, riuscì a staccare la bambina dalla mammella. Il
vescovo ordinò che i sacerdoti recitassero il confiteor e confessassero i
loro peccati. Ma ciò fu inutile. Uno
dei sacerdoti suggerì al vescovo che
si recitassero le litanie dei santi fino
alla chiesa di S. Cataldo, patrono
della città.
Al momento in cui il nome di Agata
fu invocato (sancta Agatha, ora pro
nobis) per 3 volte, la bambina lasciò
cadere la reliquia della mammella.
Non si sa per quanto tempo la mammella sia rimasta a Taranto (?); poi
sarebbe stata trasferita a Gallipoli,
dove la chiesa maggiore di S. Giovanni Grisostomo fu intitolata a S.
Agata. Nel 1380, Raimondello del
Balzo Orsini, principe di Taranto,
l’avrebbe fatta trasferire furtivamente a Galatina, nel monastero dei
Padri Olivetani. Da allora S. Agata
divenne pure patrona di questa città.
La cittadinanza di Gallipoli sentì il
bisogno di esprimere la sua gratitudine facendo modellare con l’arte
del cesello la teca contenente la reliquia. Oggi nel tesoro della concattedrale resta solo il basamento inferiore del reliquiario, in argento e cristallo.
I gallipolini cercarono di tornare in
possesso della reliquia, ma nel 1494
re Alfonso II d’Aragona ordinò che
fosse posta sotto la custodia del
castellano di Lecce. Qualche mese
prima che re Carlo VIII invadesse il
regno di Napoli, gli Olivetani si adoperarono affinché la reliquia ritornasse a Galatina.
R
Antonino Blandini
ranea per numerosi senza fissa dimora, migranti inclusi. Il dormitorio a
bassa soglia prende il nome del
40enne austriaco morto sotto i portici di Corso Sicilia nel Natale 2013,
nell’anonimato e nell’indifferenza
collettiva.
Per ovviare all’emergenza freddo ed
abitativa della nostra città, la Caritas
Diocesana nel prossimo futuro prevede la realizzazione di un dormitorio per uomini e padri separati. Men-
tre sono attivi tre Gruppi Appartamento – di cui uno da un bene confiscato alla mafia - per donne e ragazze madri con minori al seguito.
Anche in questo caso per informazioni sulle modalità di accesso alle
strutture bisogna rivolgersi presso il
‘Centro D’Ascolto’ dell’Help Center
dal lunedì al venerdì dalle ore 9:00
alle ore 12.
®
Avviso ai lettori
Archivio Prospettive
È possibile consultare l’archivio completo dei numeri precedenti di
Prospettive inerenti all’intero anno 2012, del 2013 e del 2014 direttamente
sul sito del settimanale diocesano ww.prospettiveonline.it. Mentre
l’acquisto di copie in archivio avviene solo nella sede del periodico.
Inoltre l’abbonamento può effettuarsi anche online.
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Prospettive - 1 febbraio 2015