alle Dalle - Provincia di Treviso

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alle Dalle - Provincia di Treviso
bombe
Dalle
alle
bambole
Frammenti di guerra
e di morte
per strumenti di pace
e di lavoro
Museo Etnografico Provinciale
“Case Piavone”
Gruppo Folcloristico
Trevigiano
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Pinocchio
ricavato da un bossolo di piccolo calibro,
stracci e un tutolo di mais
(Collezione privata)
(in copertina)
Bambola ricavata da un proiettile vuoto,
stracci e brattee di mais
(Collezione privata)
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bombe
Dalle
alle
Dal novembre 1917 al novembre 1918
sulle rive del nostro Piave si affrontarono oltre due milioni di combattenti
di sette diversi eserciti che abbandonarono per vari motivi sul campo di
battaglia finale una quantità enorme
di armamenti, munizioni e residuati
di ogni tipo, soprattutto molte bombe
e granate che hanno continuato a fare
vittime fino a qualche anno fa a quasi
un secolo dalla fine delle ostilità.
Nell’immediato dopoguerra l’opera
di bonifica dei terreni dagli ordigni bellici fu iniziata dal Genio del Regio
Esercito che spesso si avvaleva dell’opera di prigionieri di guerra e poi,
superata la fase di emergenza, il lavoro fu continuato dai recuperanti che
cercavano di sfruttare i vari metalli degli armamenti abbandonati.
L’attività di recupero, specie di bossoli di proiettili, era però incominciata già nel corso della guerra in trincea, quando nelle lunghe e tediose
pause tra i combattimenti i soldati spesso lavoravano a freddo, incidendo o
martellando, proiettili esplosi, schegge e pezzi di arma da conservare come
ricordo o da regalare nelle licenze, dando così origine a un genere di souvenir che fiorisce tuttora.
Ad esempio l’ambulanziere americano Harvey Williams così scriveva
a casa dal fronte del Piave: “12 settembre, 1918. Noyes sta tornando con
un oggetto curioso che ho trovato e lo spedirà a Betty da parte mia. È un
braccialetto fatto con la fascetta staccata dal fondo di un bossolo austriaco”.
11 ottobre 1918: “Porterà con questa lettera un pacchetto di cianfrusaglie che potete dividere tra di voi. Il coltello, fatto con un pezzo di rame,
è per Babe. È fatto della stessa parte del braccialetto di Betty, solo che il
calibro era più grande. Gli oggetti della scatola sono stati raccolti qua e là.
La stoffa strana e colorata viene da un’ala di un aereo austriaco. L’anello di
piccoli quadrati di acciaio viene da una granata, è fatta così per renderla più
letale. Spero che tutto vada bene a casa e che la scatola e il coltello arriveranno senza problemi”.
Anche la volontaria italo-americana Lucrezia Camera, che gestiva privatamente un posto di ristoro per i soldati alleati fuori di Porta San Tomaso,
aveva allestito un piccolo museo di trofei di guerra particolarmente ricco
dopo la battaglia del Solstizio, nel quale figurava “un piccolo bossolo di ottone sul quale era stata adattata una figura di santo nella sua teca con una
bambole
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porta e una piccola croce in cima che rappresentavano il patrono del donatore, San Patrizio, che era stato portato da lui fin dal 1915 e lo aveva salvato
da parecchi incidenti”.
Nel tesoretto bellico spiccava anche “una cassa di munizioni inglese
che sembrava come un dolce o un pasticcio tagliato a cunei a V” e perfino
“una medaglia di bronzo, da un lato la faccia di un soldato agonizzante,
dall’altro il nome del campo di prigionia e la data agosto 1917”.
L’abbondanza e la varietà del materiale a disposizione stimolarono al
massimo la fantasia e l’abilità artigianale sia dei militari che dei civili, soprattutto i contadini, che nei campi arati dalla guerra trovarono una vera e
propria miniera a cielo aperto da cui rifornirsi per riciclare a uso domestico
i residuati bellici.
Inizialmente questi venivano usati come materia prima; ad esempio i
pali tendifili di acciaio temprato venivano trasformati dai fabbri di paese in
robustissimi ferri da equini.
Molti oggetti o arnesi recuperati continuavano a svolgere in tempo di
pace le stesse funzioni che avevano in tempo di guerra, basti pensare alle
marmitte, ai foconi, alle stufette, ai bracieri, alle lanterne da trincea, alle
biciclette da bersagliere, alle zappe, alle vanghe, alle cesoie tagliafili, alle
scalette di corda, affusti, selle.
Singolare è l’uso, tipico dei paesi del Basso Piave, di utilizzare fino agli
anni ‘50-’60 del secolo scorso, le lanterne a soffietto da marcia come lumini
per rischiarare il percorso della Grande Processione del Venerdì Santo.
Le baionette micidiali degli Arditi sono state usate fino a pochi anni fa dai
norcini per la maialatura e molti “caret da batalion” pesanti carri dismessi
del nostro esercito, sono stati adattati dai “carioti” o carrettieri del Piave per
dare il via all’attività di trasporto di
ghiaia e inerti che è alla base dello
sviluppo degli autotrasporti particolarmente fiorente in provincia.
In qualche caso gli oggetti
sono stati leggermente modificati,
come gli elmetti che, forniti di un
gancio, sono diventati dei bracieri
per le “mòneghe” che riscaldavano
Portachiavi, ricavato
da un bossolo di pallottola di fucile
(Collezione privata)
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le camere delle case coloniche
oppure, fissati a un palo, si
adoperavano per spargere acqua
o liquami sui campi; le casse di
munizioni sono diventate culle.
L’ingegnosità contadina e
artigianale ha dato vita a una
incredibile serie di oggetti di uso
quotidiano ottenuti dai residuati:
anelli,
collane,
braccialetti,
pendenti, accendini, portasigarette,
trinciasigari, posacenere, macinini,
pepaiole, porta-sale, tagliapane,
porta-uova,
porta-bottiglie,
Portatovaglioli,
sottocappe, porta-stecchini, e portaricavato da bossoli di vario calibro
tovaglioli, coltelli da caccia e da
e schegge di bombe (Collezione privata)
pesca, posate, fermacarte, porta-foto,
scaldini, bracieri, scaldaletto, porta-penne, tagliacarte, porta-candela,
fermaporte, scatole, astucci, campane, e campanelli, porta-fiori, cornici,
lucerne e perfino bambole e pupazzi, usati sia come giocattoli che come
soprammobili.
La lavorazione artistica dei reperti bellici ha privilegiato sin dall’inizio
il ricorso ai bossoli di rame e ottone per la loro duttilità che permetteva la
martellatura a freddo, accessibile anche al di fuori delle botteghe artigiane.
Scriveva a questo proposito il giornalista Sandro Zanotto nel suo saggio “Il rame nel mondo contadino veneto” pubblicato nel volume “L’arte del
rame” edito dal Gruppo Folcloristico Trevigiano nel 1990:“L’artigianato del
rame nel Veneto ha una singolare ripresa, esclusiva dell’area trevigiana, durante la guerra 1915-18. Nei numerosi campi di concentramento militari i
prigionieri di guerra dell’esercito austriaco (forse croati o ungheresi), si dedicarono a lavorare i bossoli d’artiglieria. Da quelli di piccolo calibro (spesso
in rame) ricavavano accendisigari, dalle corone in rame dei proiettili ricavavano braccialetti e dai bossoli d’ottone dei medi calibri ricavavano vasi da
fiori elegantemente sagomati e ornati in stile liberty. Quest’ultimo genere
ebbe una straordinaria fortuna, tanto che ancor oggi sulle vecchie tombe
nei cimiteri di campagna si possono incontrare vasi che prima servirono a
lanciare proiettili. I più vecchi di noi ricorderanno di questi vasi nelle case
dell’infanzia e nei negozi di fioraio di un tempo”.
Nella zona del Grappa i fondi di bossoli di piccolo calibro sono stati
usati per coniare medaglie e monete commemorative nel periodo fra le due
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Portastuzzicadenti,
ricavato da bossoli di vario calibro
(Collezione privata)
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guerre.
In realtà la lavorazione dei bossoli non è nata nei campi di prigionia,
ma nelle trincee dove, tra attacchi e contrattacchi, nei lunghi periodi di
pausa snervante con la noia, il tedio e l’ansia che li contraddistinguevano,
si attendeva e si lavorava per ingannare il tempo e creare qualche ricordo da
riportare a casa nelle licenze.
Si sviluppavano così nuove forme di passatempo e nuovi rapporti speciali fra commilitoni, un legame indissolubile soprattutto fra i sopravvissuti
alla morte quotidiana e quelli che erano “andati avanti”.
Annotava un fante trevigiano alla fine del suo diario di guerra: “Ho
scritto queste pagine perché io ricordi perennemente coloro che, sui campi
di battaglia, al mio fianco, spogliarono il fiore della loro giovane esistenza
per ornare di petali fragranti la Vittoria sull’altare della Patria”.
Così, accanto ai motivi geometrici incisi nei primi tempi con chiodi o
baionette, compaiono sui bossoli anche dei motivi floreali per ricordare il
sacrificio di tante giovani
vite.
Dopo la guerra la lavorazione dei bossoli viene continuata dai recuperanti che riforniscono
le numerose botteghe dei
calderai che hanno fatto nascere la tradizione
veneta degli oggetti artistici in rame e lavorati a
martello secondo modelli
colti ma anche popolari,
destinati a usi domestici,
ma anche culturali e cimiteriali.
Fra le botteghe artigianali che battono il
rame a Treviso tra le due
guerre mondiali possiamo
trovare la dinastia dei PoPortauovo,
lisseni, originari della Val
ricavato dalla lavorazione a freddo
di Non, attivi già dal 1864;
di una base di proiettile
la dinastia dei Bornini che
(Collezione privata)
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vicino al Ponte di San Leonardo avevano numerosi operai e apprendisti nel
1900. Vanno ricordati anche i De Longhi e poi Berto Antonello, Piero Peloso,
Toni Moro e Toni De Pin attivi nel quartiere di Fiera, fino a Ermnes Ferroli,
originario del Bellunese, ultimo calderaio ambulante di Treviso.
A questi artigiani stanziali si aggiungono quelli nomadi, gli zingari della tribù dei “Kaldresh”, che introducono nella decorazione figurazioni fantastiche ispirate a motivi vegetali e ritmi ambulanti con stilizzazioni astratte
che sono di origine orientale.
Tra le decorazioni floreali si ripete con grandissima frequenza il motivo dell’edera; questa ornamentazione, presente pure nei vasi liturgici come
simbolo di vita eterna, era diffusa già in epoca classica assieme alle immagini della rosa che abbellivano le coppe e i vasi destinati a Bacco in ossequio
alla credenza che una corona di edera e di rose potesse difendere il bevitore
dall’ebbrezza modesta e soprattutto dal rischio di rivelare dei segreti sotto
l’effetto dell’alcool.
L’agronomo Jacopo Agostinetti di Cimadolmo, attivo nel Seicento, ci
informa poiché nella Marca Trevigiana vigeva l’uso di decorare i “secchi da
vino” con file di foglioline d’edera in rame che non avevano solo una funzione estetica ma servivano pure per indicare il livello del liquido contenuto.
Il motivo del festone rampicante di edera su bossoli ha però un’altra
possibile origine: siccome l’edera sempreverde è uno dei simboli della vita,
serviva a ribadire il legame fra commilitoni anche oltre la morte.
Sappiamo poi da testimonianze orali che le foglie di edera scolpite corrispondevano spesso al numero dei superstiti di una formazione combattente
e così rinsaldavano il patto memoriale fra i reduci e i caduti.
In occasione del primo centenario della conclusione della Grande Guerra è emersa la tendenza di alcuni artisti nel comporre installazioni che usano residuati della guerra, anche dell’ultima.
A Treviso si è affermato lo scultore Costante “Tino” Ruzzini che da piccolo è stato vittima di un’esplosione provocata da un ordigno bellico: da allora crea delle sculture metalliche con materiale reperito nelle sue ricerche
fra Piave e Grappa, dando vita a un vero percorso di memorie di guerra dal
titolo significativo di “Frammenti di pace”.
Questa tendenza non è solo italiana ma ha una diffusione internazionale; alla Biennale di quest’anno, nel Padiglione del Mozambico, lo scultore
Gonçalo Mabunda presenta una serie di “Troni” formati da armi (fucili, mitragliatrici, pistole, mine, elmetti) usate nella sanguinosa guerra civile che
per sedici anni ha devastato il Paese africano.
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Vaso decorato,
ricavato da un proiettile
sagomato in stile liberty
con decorazioni floreali e animali
(Collezione privata)
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Sulla riva destra del Piave, in località Lovadina di Spresiano, è stato
realizzato recentemente un vero e proprio monumento, completo di altare
da campo, con residuati della Grande Guerra raccolti dallo scultorerecuperante Roberto Bertelli per ricordare i caduti militari e civili del primo
conflitto mondiale.
In occasione delle celebrazioni per il Centenario della Prima Guerra
Mondiale si sono tenute mostre museali sul tema della riconversione a uso
domestico di materiale bellico, prima fra tutte l’originale mostra “La vita
dopo la Grande Guerra, l’arte del riciclo di materiali bellici”, allestita a Villa
Marini Rubelli di San Zenone degli Ezzelini e corredata da un catalogo con
la prefazione di Ermanno Olmi.
Emanuele Bellò
Portacenere,
ricavato da una bomba a mano italiana SIPE
(Collezione privata)
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Campanella,
ricavata dalla lavorazione a freddo
di un bossolo di rame
(Collezione privata)
bombe
Dalle
alle
bambole
Testi di Emanuele Bellò
Foto del FAST - Foto Archivio Storico della Provincia
Coordinamento editoriale dell’Ufficio Cultura
della Provincia di Treviso
Stamperia della Provincia di Treviso
Ottobre 2015
Portacandela,
ricavato da un fondello
di proietto
(Collezione privata)
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