Raúl verso Washington «Vuole un dialogo vero con la Casa Bianca»
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Raúl verso Washington «Vuole un dialogo vero con la Casa Bianca»
10 ! IMMIGRAZIONE. Più di 40 Mondo VENERDÌ 13 AGOSTO 2010 campi rom sono stati smantellati in Francia e circa 700 persone saranno «ricondotte nel loro paese di origine». Raúl verso Washington «Vuole un dialogo vero con la Casa Bianca» CARDINALE JAIME ORTEGA. Dopo avere fatto da intermediario per la liberazione dei dissidenti, l’arcivescovo dell’Avana sta cercando di aprire un canale di comunicazione con Obama. Ortega è volato due volte verso lo studio ovale. Ma, come ha dichiarato al Washington Post, sarà un processo lento. DI FRANCESCO PELOSO ! «Raul Castro vuole aprire un dialogo diretto con la Casa Bianca». È questa la novità resa nota all’opinione pubblica dal cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, attraverso il Washington Post. L’arcivescovo in questi mesi ha svolto un ruolo sempre più importante nello scenario cubano: dalla liberazione dei prigionieri politici alla mediazione con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ai ripetuti incontri con i massimi esponenti del regime. D’altro canto l’isola soffre i morsi di una crisi economica particolarmente grave, per questo il tema dell’embargo commerciale imposto dagli Usa è di nuovo al centro delle preoccupazioni del regime. Nel frattempo, da aprile a oggi, cioè da quando la questione dei detenuti politici ha destato scalpore a livello internazionale, il cardinale ha avuto modo di incontrare per ben tre vol- te Raul Castro e per due volte si è recato alla Casa Bianca dove ha avuto modo di riferire le novità ad alcuni dei più stretti collaboratori del presidente. Da ultimo il cardinale ha incontrato il generale James Jones, consigliere del Presidente Obama per la sicurezza nazionale, quindi Arturo Valenzuela, segretario aggiunto del Dipartimento di Stato per l’America Latina. È noto che l’amministrazione Obama è disposta a discutere la questione embargo solo a condizione che prenda avvio un processo di riforme democratiche. E tuttavia Ortega ha invitato alla prudenza: «si tratta dell’inizio di un processo che va seguito passo passo, dunque non si può cominciare dalla fine, importante è che il processo parta per davvero». Insomma ci vuole pazienza, è l’arte della realpolitik agevolata dalla stretta economica e mediata dall’esperienza della Chiesa. E però, ha anche detto Ortega, «Castro mi ha ripetuto in diverse occasioni di voler parlare direttamente con il governo degli Stati Uniti in merito a qualsiasi argomento». Nessun limite dunque, il che significa disponibilità a trattare anche temi inerenti ai diritti umani. Non è dichiarazione da poco e per questo è possibile che la Casa Bianca cerchi di non farsi sfuggire l’occasione. Anche perché diverse organizzazioni di esuli cubani a Miami, per la prima volta, non si sono opposte pregiudizialmente alla via diplomatica. È anche chiaro, da parte cubana, che la presidenza Obama potrebbe non ottenere un secondo mandato, è necessario allora cogliere l’attimo provando a superare le resistenze di chi, fra gli alti quadri del regime, non vuole alcun cambiamento. In questa chiave va anche letto il ritorno sulla scena pubblica dell’altro Castro, Fidel, il lìder maximo. Resta il fatto che Raul, all’inizio di agosto, ha aperto la strada ad alcune riforme economiche dando in sostanza una sorta di via libera alla nascita di piccole imprese private. Il ruolo della Chiesa in questo contesto è assai rilevante. Ortega, nello scorso aprile, protestò contro le aggressioni di cui furono oggetto le Damas de blanco, il gruppo di donne che protesta per ottenere la liberazione di sposi, fratelli, parenti e amici, detenuti come prigionieri politici. Un fenomeno paradossalmente così simile a quello che segnò l’inizio della fine della dittatura in Argentina con le sfilate de le madri di Plaza de Mayo, imperterrite nel chiedere, anno dopo anno, notizie dei loro figli desaparecidos. La dura protesta della Chiesa per la repressione delle manifestazioni delle Da- mas è stata immediatamente accolta da Castro e da allora è partito un dialogo che ha avuto anche una ricaduta diplomatica. Lo scorso giugno, infatti, mons. Dominique Mamberti, ministro degli esteri della Santa Sede, ha visitato l’isola caraibica. Nell’occasione l’alto funzionario vaticano ha avuto colloqui con diverse autorità politiche e con lo stesso Raul Castro; nei discorsi ufficiali furono enfatizzati i 75 anni di relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Cuba. È quindi in tale contesto che sono stati liberati fino a ora due dozzine di prigionieri politici, mandati in esilio in Spagna, Cile e Stati Uniti: il governo si è poi impegnato a rilasciarne altri 28. Fra l’altro, in questo caso, la Santa Sede ha agito d’intesa con il governo spagnolo e con il ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos. Un’intesa non scontata considerati i contrasti che anno segnato le relazioni fra Madrid e Santa Sede negli ultimi anni. Qualcosa dunque si muove, anche se la partita è tutt’altro che decisa. Nel frattempo il cardinale Ortega, a Washington, ha ricevuto un importante riconoscimento dai “Cavalieri di Colombo”, potente organizzazione cattolica americana che ha un forte peso in Vaticano. Il capo della Revolución fa 84 anni Ormai la sua Cuba non esiste più FIDEL CASTRO. Amato, odiato, temuto. Nonostante tutto, ancora vivo. Il Líder máximo ! ATTENTATI. Per l’ex guardia del corpo hanno provato a ucciderlo 638 volte ! SEGUE DALLA PRIMA PAGINA ! «Fidel è morto, la notizia verrà diffusa tra pochi giorni, la mia fonte è attendibile». Frasi come questa sono apparse in rete nel 2007 e chissà quante volte sono circolate di bocca in bocca. Solo che il Líder máximo non è morto, tutt’altro. Sopravvissuto nel 2006 a un duro intervento all’intestino che lo ha costretto, poco tempo dopo, a cedere il potere al fratello Raúl, il capo della Revolución è riapparso in pubblico almeno 8 volte nelle ultime settimane. Chiede a Obama di evitare una guerra nucleare e vorrebbe tanto che Israele non attaccasse l’Iran. Concede un’intervista a cinque giornalisti venezuelani, forse anche per l’amicizia che sembra legarlo al presidente Chávez, ma non dice una parola sulle voci che vorrebbero Raúl pronto a intraprendere un dialogo con l’odiata Washington. Quella che, per Fidel, vuole piegare l’isola a logiche imperialistiche e riprendere il controllo di tutte quelle aziende da lui espropriate e nazionalizzate durante il suo governo. Quella che, tramite la Cia, ha provato a ucciderlo centinaia di volte, 638 per la precisione, e in tutti i modi possibili. Secondo le dichiarazioni della sua ex guardia del corpo, Fabian Escalante, hanno tentato di tutto: un sigaro esplosivo, una tuta da sub infettata da funghi e un attentato di tipo mafioso con armi da fuoco. Episodi talmente singolari da meritare di essere raccolti in un documentario, 638 Ways To Kill Castro (638 modi per uccidere Castro). In patria, una serie di riforme lo resero all’inizio molto festeggia mentre il fratello apre agli Stati Uniti. popolare facendo pensare al popolo che il sogno tanto annunciato dal loro presidente potesse essere possibile. La chiusura delle case da gioco e di tolleranza, la lotta senza quartiere al traffico di droga, la diminuzione dei canoni d’affitto del 30-50 per cento con progressiva trasformazione degli inquilini in proprietari, riduzione del prezzo di medicinali, li- bri scolastici, tariffe elettriche, telefoniche e trasporti urbani. Poi, però, per il regime cominciano le difficoltà: l’accordo fra Usa e Urss per risolvere la crisi dei missili nucleari nell’ottobre del 1962 mette Castro in secondo piano. Decide così di appoggiare le guerriglie comuniste e in una di queste, in Bolivia, morirà Ernesto “Che” Guevara. La sua figura, per alcuni versi, è avvolta dal mistero. Poco si sa della sua vita privata. Qualcuno lo vorrebbe omosessuale, motivo per cui, dicono, odierebbe tanto i gay. Altri, come la giornalista statunitense, o, per dirla alla Fidel, yankee, Ann Louise Bardach gli attribuiscono diversi matrimoni nonché varie relazioni clandestine e, ovviamente, altrettanti figli. Ma nessun erede della Revolución. Il suo primogenito si chiama Fidelito ed è nato nel 1949 quando Castro era ancora sposato con la prima moglie Myrta Diaz-Balart. Altri cinque bambini sono nati tra il 1962 e il 1974 dall’unione con Dalia Soto del Valle, donna che avrebbe sposato segretamente solo nel 1980 e che sarebbe apparsa in tv al suo fianco solo nel 2003. Poi ci sarebbero gli illegittimi. Ma nonostante questo, il probabile successore sarebbe Alejandro, il figlio di Raúl. Il fratello nell’ombra, l’eterno secondo. Più discreto e più aperto a compromessi di Fidel, che sta cambiando la direzione politica del Paese lasciando i nostalgici della rivoluzione in attesa di un segno del loro Líder che però non ha più l’incisività di un tempo. Sabato scorso ha parlato per la prima volta negli ultimi quattro anni davanti al parlamento dell’Avana: il discorso è durato appena dodici minuti. È invecchiato, Fidel. Niente più interventi fiume che costringevano il popolo a stare ore in piedi per ascoltarlo. Piuttosto la necessità di avere qualcuno che lo aiutasse a sedersi dopo il suo intervento, un bastone, un braccio a cui appoggiarsi. Cerca di far rivivere la Revolución, ma i tempi e la salute non glielo concedono. Troppe persone iniziano a pensarla diversamente da lui, a partire dal fratello. Che rimarrà anche in disparte, ma nei fatti sta compiendo delle riforme che cambieranno per sempre la sua Cuba. Vedremo come. E soprattutto, alla fine si capirà se davvero la storia lo assolverà. GIULIA DE LUCA