Riforma La Camera approva il reato di tortura Un
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Riforma La Camera approva il reato di tortura Un
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 CONV. IN L. 27/02/2004 N.46 ART. 1, COMMA 1, NO/TORINO Vai sul nostro sito www.riforma.it notizie aggiornamenti abbonamenti SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI RIFORMAL’ECO DELLE VALLI VALDESI: VIA SAN PIO V, 15 10125 TORINO • EURO 1,55 17 APRILE 2015 • ANNO XXIII • NUMERO 15 LA CAMERA APPROVA IL REATO DI TORTURA 80 ANNI FA FU EMANATA LA CIRCOLARE «BUFFARINI GUIDI» Un passo di civiltà Nocivi all’integrità della razza Gian Mario Gillio L a Camera dei deputati, nella seduta del 9 aprile 2015, ha approvato con alcune modifiche la proposta di legge C. 2168 (già approvata dal Senato) che introduce – dopo trent’anni di vuoto legislativo – nel codice penale italiano il reato di tortura. La proposta dovrà tornare tuttavia al Senato. Il disegno di legge, approvato con 244 sì, 14 no e 50 astenuti (M5Stelle) ha tra i suoi riferimenti principali la convenzione Onu contro la Tortura, firmata (anche dall’Italia) a New York nel 1984. L’iter parlamentare è arrivato a pochi giorni dalla sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per reati di tortura in riferimento ai fatti avvenuti all’interno della scuola Diaz in occasione del G8 di Genova nel 2001. «A Genova – ha dichiarato all’agenzia stampa Nev il deputato valdese Luigi Lacquaniti (Pd) al termine della votazione – la protesta sociale di massa, che allora sembrò esaurirsi sotto i colpi dei manganelli e sotto gli idranti delle forze dell’ordine, segnò il declino di un certo modello economico dominante. A distanza di quattordici anni, grazie alla sentenza della Corte di Strasburgo, stiamo tentando di porre un rimedio, seppur tardivo, introducendo il reato di tortura, finora non contemplato dal nostro Ordinamento. Nonostante qualche incertezza, il provvedimento permetterà d’ora in avanti di punire gli atti di tortura con la reclusione». Numerosi atti internazionali prevedono che nessuno possa essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti, tuttavia la maggior parte di questi atti si limita a proibire la tortura ma non ne fornisce una specifica definizione. La discussione alla Camera ha ovviamente spaccato gli schieramenti politici: si è parlato di attacco alla sicurezza nazionale e di intimidazione alle forze dell’ordine nel testo rivisto dalla Camera per la votazione e critiche pesanti sono giunte da parte della Lega Nord, da Fratelli d’Italia e da Forza Italia. Così si è espresso il senatore valdese Lucio Malan (Fi) sentito dall’agenzia Nev: «Chi è nelle mani dello Stato va trattato con ogni garanzia, e a Genova nel 2001 in diversi casi ciò non è avvenuto, e le condanne sono arrivate senza bisogno di reato specifico nel codice che, a esempio, neanche in Germania e Svezia c’è. Oggi rischiamo invece di mettere nelle mani dei delinquenti i carabinieri e i poliziotti, che rischieranno da 5 a 12 anni anche per aver causato “sofferenze psicologiche”. Chi toccherà più un delinquente?». Il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria sui diritti umani del Senato, ritiene che il testo approvato dalla Camera sia mediocre: «Anzitutto – ha detto all’agenzia Nev – perché ha cancellato il riferimento allo stato di privazione della libertà e alla condizione di minorata Il provvedimento fascista che vietava il culto pentecostale è il più grave atto di intolleranza religiosa dopo l’unità d’Italia. Intervista a Carmine Napolitano, preside della Facoltà pentecostale di scienze religiose Marta D’Auria I l 9 aprile del 1935 veniva diramata la circolare n. 600/158, la cosiddetta «Buffarini Guidi» - dal nome dell’allora sottosegretario del Ministero dell’Interno - che bandì il culto pentecostale «essendo risultato che esso si estrinseca e si concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza». Quel provvedimento, considerato il più grave atto di intolleranza religiosa che sia stato compiuto in Italia dopo l’Unità, ebbe gravi ripercussioni sulla vita di centinaia di persone e causò profonde sofferenze alle comunità pentecostali presenti su tutto il territorio. In occasione dell’80° anniversario di quella circolare, abbiamo sentito Carmine Napolitano, preside della Facoltà pentecostale di scienze religiose di Aversa (Ce), progetto della Federazione delle chiese pentecostali in Italia (Fcp). «La circolare «Buffarini Guidi» ha rappresentato la messa al bando di chiese inermi, giovani, composte da persone molto semplici che non riuscivano neanche a capire quali potessero essere le motivazioni per cui un regime così feroce si accanisse tanto contro uno sparuto numero di evangelici poco noto, posizionato soprattutto in aree geografiche e metropolitane periferiche, causando molto dolore e sofferenza. Nonostante molte cose siano state già dette e scritte su quegli anni, credo che gli effetti pratici di quella circolare siano ancora tutti da portare alla luce da un punto di vista storico». — In che senso? «Nella memoria storica delle nostre chiese, alcune delle quali hanno avuto persone direttamente coinvolte in quelle vicende, vi sono narrazioni incredibili di quello che accadde: persone portate via di casa e messe in galera; riunioni di culto interrotte improvvisamente; persone sfollate e mandate via dalle proprie case; gente che venne arrestata e mandata al confino semplicemente per il fatto di essere pentecostale. Vi è stato anche qualche episodio tragico: una persona, finita nel carcere romano di Regina Coeli perché pentecostale, è risultata tra i morti delle Fosse Ardeatine, qualcun altro è morto in un campo di concentramento. Per il popolo pentecostale – che in Italia esisteva da meno di trent’anni ed era fatto da gente semplicissima, come contadini, artigiani, molti dei quali semianalfabeti – ritrovarsi di fronte a un’operazione di quella portata ha segnato profondamente la memoria delle nostre chiese». — Nel 1955 l’infamante circolare venne abrogata. Ma ancora oggi è in vigore la legge sui culti ammessi del 1929 che regolamenta i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni diverse dalla cattolica che non abbiano stipulato una Intesa. Qual è la situazione delle chiese che fanno parte della Federazione delle chiese pentecostali (Fcp)? «Nel secondo dopoguerra molte cose sono cambiate per il mondo pentecostale, per diversi motivi: è mutato il regime statale, è stata approvata la Costituzione italiana, e molti evangelici di più lunga tradizione hanno sposato la causa dei pentecostali, come Giorgio Peyrot, Giorgio Spini, accanto ai quali vanno ricordati importanti personaggi come Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei. Quando la Fcp è nata 20 anni fa, il livello di riconoscimento giuridico delle sue componenti era molto basso. Negli anni la situazione è mutata: quasi tutte le grandi organizzazioni della Federazione, cioè quelle di interesse nazionale, hanno il riconoscimento giuridico; [segue in ultima] [segue in ultima] UN APPELLO INTERRELIGIOSO CULTURA Giovan Luigi Pascale martirio e resistenza di Marco Fratini È uscita una nuova edizione delle «lettere» del pastore valdese che, dopo aver frequentato gli ambienti riformati a Ginevra, predicò in Calabria e, condannato dall’Inquisizione, fu arso vivo a Roma nel 1560. [a pagina 7] Fine della povertà estrema entro il 2030 P iù di 30 fra leader religiosi e CHIESE Carovana per la dignità del lavoro di Marta D’Auria Per iniziativa della Commissione «Globalizzazione e ambiente» della Fcei, par- tita dai tre poli petrolchimici inquinanti della Sicilia e passata per l’Ilva di Taranto, la carovana è giunta a Napoli. Una «tre giorni» per dare voce al movimento per la giustizia ambientale. [a pagina 9] responsabili di organizzazioni di fede hanno lanciato il 9 aprile un appello per porre fine alla povertà entro il 2030, obiettivo condiviso anche dalla Banca Mondiale. «Porre fine alla povertà estrema: un imperativo morale e spirituale» è il titolo del documento, diffuso il 9 aprile, che sottolinea come negli ultimi 25 anni si sia dimezzato il numero di persone costrette a vivere in povertà estrema, cioè con meno di un dollaro al giorno, secondo i parametri universalmente riconosciuti. «Ora, per la prima volta nella storia dell’umanità – recita il testo – esistono la possibilità concreta e la responsabilità morale di riuscire a porre fine a queste condizioni di indigenza. Abbiamo ampia eviden- za da parte della Banca Mondiale di poter raggiungere questo traguardo nei prossimi 15 anni. Questo auspicio deve diventare un imperativo morale perché crediamo fortemente che la qualità di una società si misura in base a come i più poveri ed emarginati vivono. I nostri testi sacri, poi, ci chiamano a combattere le ingiustizie e aiutare i più sfortunati in mezzo a noi». [segue in ultima] Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 2 • all’ascolto della Parola 11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12Il mercenario, che non è pastore e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 3 Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò che è ingrassato, ma non pascete il gregge. 4Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza. 5Esse, per mancanza di pastore, si sono disperse, sono diventate pasto di tutte le bestie dei campi, e si sono disperse. 6Le mie pecore si smarriscono per tutti i monti e per ogni alto colle; le mie pecore si disperdono su tutta la distesa del paese, e non c’è nessuno che se ne prenda cura, nessuno che le cerchi! 7Perciò, o pastori, ascoltate la parola del SIGNORE! 8Com’è vero che io vivo, dice DIO, il Signore, poiché le mie pecore sono abbandonate alla rapina; poiché le mie pecore, che sono senza pastore, servono di pasto a tutte le bestie dei campi, e i miei pastori non cercano le mie pecore; poiché i pastori pascono sé stessi e non pascono le mie pecore, 9perciò, ascoltate, o pastori, la parola del SIGNORE! (Ezechiele 34, 3-9) (Giovanni 10, 11-15) «Io sono il buon pastore» Il futuro del buon pastore è strettamente legato al futuro della gregge. Il buon pastore diventa uno con le sue pecore, le chiama per nome, le cura e fa di tutto per farle crescere bene, perché dalla salute della gregge dipende il suo futuro, la sua vita Jens Hansen C hi non la conosce, l’arte pia che ha come soggetto il buon pastore? Viene dipinto un Gesù vestito di bianco, il vestito senza macchia, senza strappi. Gesù stesso con uno sguardo dolce, un viso che sembra appena uscito da un centro benessere, le mani con unghie ben curate, mani che fanno intravedere che questo Gesù non è capace di lavorare duro, pena vesciche che si formerebbero dopo nemmeno dieci minuti di lavoro duro. Talvolta questo buon pastore porta sulle spalle una pecora o un agnellino ed è circondato da una gregge di belle pecore grasse. E, siamo sinceri, molti degli inni del nostro Innario hanno lo stesso sfondo idilliaco non solo con le melodie, talvolta anche con i testi. Un tale dipinto, una tale melodia, un inno che descrive il buon pastore in colori rosei sono lontani anni luce dalla realtà della vita di un pastore. I pastori di tutti i tempi sono persone ai margini della società, sempre fuori, con un lavoro duro che non da loro un’aspettativa di vita elevata, anzi invecchiano velocemente essendo esposti a tutte le intemperie del tempo. Il conflitto dei pastori con i contadini sedentari ha una lunga cultura e la Bibbia ne è testimone, già al suo inizio, con Caino e Abele. Se poi vediamo come si chiamano i pastori della storia recente – Cowboy, Gaucho – il quadro di persone ruvide, talvolta violente e fuori legge, veloci con il revolver (Cowboy) si completa un quadro in forte contrasto con il nostro immaginario del pastore. È ovvio che Gesù non vuole esaltare la professione del pastore, o meglio, non la vuole idealizzare. Se sceglie la figura del pastore per spiegare com’è lui e per farci capire come dovremmo essere noi, lo fa per la sua abitudine di prendere esempi dall’orizzonte e dall’immaginario collettivi della sua gente. Il pastore è solo lo sfondo, il messaggio non è direttamente collegato a queste figure ruvide ma al modo di esercitare questa professione. Abbiamo da un lato il buon pastore, il buon pastore riceve le sue pecore dal padre, è quindi l’erede, il successore. Le pecore sono del padre, ma il futuro del buon pastore è strettamente legato al futuro della gregge. Ci vogliono impegno e cura. Il buon pastore diventa uno con le sue pecore, le chiama per nome, le cura e fa di tutto per farle crescere bene, perché dalla salute della gregge dipende il suo futuro, la sua vita. Se perde la gregge, perde se stesso, va in bancarotta. Il buon pastore è perciò strettamente legato alle sue pecore, dipende da loro e loro dipendono da lui. Dall’altro lato c’è il mercenario, l’operaio talvolta solo a giornata, che oggi lavora e forse domani non trova lavoro. Le pecore non sono sue. Fa il lavoro per un altro e con esso a malapena si guadagna il pane quotidiano. Il mercenario non ha bisogno di entrare in simbiosi con le pecore, intanto non sono sue. Il mercenario vuole solo arrivare a sera, al pagamento per mettersi qualcosa fra i denti. Ora il Gesù dell’Evangelo di Giovanni si identifica con il buon pastore per dire alla chiesa di Giovanni: non sono un mercenario, non vi lascio orfani in nessuna situazione, sia essa anche difficile. E ora? Che si fa con quest’affermazione del Risorto di essere il buon pastore? Arte pia che relega Gesù nei quadri appesi in camera da letto? Una confessione di fede cantata con fervore prendendo uno degli inni? Se ci limitassimo a ciò saremmo poveri testimoni del Risorto che invece non lascia occasione per rinnovare l’invito a seguirlo. Il Risorto non vuole essere relegato in camera da letto, non vuole essere adorato, infatti, non lo chiede mai a nessuno. Il suo invito costante è: seguimi. Ed è qui che la questione del contrasto fra il buon pastore e il mercenario ci coinvolge in prima persona. Seguitemi, voi siete figlie e figli di Dio, Dio vi affida questo mondo: uomini e donne, animali, piante. Se stanno bene, state bene anche voi, se li trattate male, tutto ciò si ripercuoterà anche su di voi. Non siate mercenari! Ma quante volte lo siamo! Quante volte ci comportiamo come mercenari che agiscono senza una prospettiva positiva da buon pastore, anche all’interno delle nostre chiese nella prospettiva di un PER APPROFONDIRE mondo da custodire. * J. Blenkinsopp, Ezechiele, Ormai chi mi conosce Claudiana, Torino, sa che non celebro * G. Sloyan, Giovanni, Claudiana, Torino, sante cene o non vi * R. Van Drimmelen, partecipo se si usano Economia globale e bicchieri di plastica fede, Claudiana, Torino, usa e getta; essa – con la plastica – è solo una comunione fra mercenari, non una comunione con il buon pastore. Talvolta le chiese cambiano davvero e utilizzano altri bicchieri da lavare. Talvolta scopro che lo fanno solo quando sanno che ci sono io. Lo stesso princicpio vale per le agapi. Fortunatamente ci sono delle chiese dove non ci si comporta più da mercenari, dove si lavano le stoviglie dopo le agapi e non si butta più niente. Se andiamo dalla chiesa alla vita quotidiana, l’orizzonte da mercenario si allarga a dismisura: il cambiamento verso energie rinnovabili? Troppo caro. Meno rifiuti elettronici? Guasta la festa. Merce sfusa invece di confezionata in tanto materiale che poi va in spazzatura? Troppo complicato. Usare meno la macchina? I mezzi pubblici non funzionano, in bici troppo pericoloso, a piedi vanno solo i matti. Viviamo in un mondo di mercenari, stiamo perdendo la sensazione di essere fatti gli uni per le altre. Siamo sulla buona strada per distruggere noi e il pianeta con questa mentalità. Abbiamo solo questo pianeta. Non possiamo lasciarlo e poi abitare un altro. C’è solo questa umanità, non possiamo separarci da essa. C’è una sola comunione fra le creature di Dio, non viviamo se ci autoscomunichiamo da essa. Non abbiamo niente e nessuno oltre al mondo in cui viviamo, il mondo ci è stato affidato da Dio affinché fossimo dei buon pastori e delle buone pastore seguendo l’esempio di Gesù. Già il profeta conosce i «suoi» mercenari, gente che sfascia invece di fasciare, che uccide invece di guarire, che sfrutta invece di condividere. È per questo che il Risorto si identifica con la figura del buon pastore e vuole che lo seguiamo. Il Risorto ha in mente una chiesa in cui la mentalità mercenaria lasci lo spazio alla mentalità del buon pastore, dove la testimonianza della vita che riecheggia domenica dopo domenica nei culti, prenda forma in un impegno di comunione e di condivisione a livello globale. La mentalità mercenaria porta alla morte del Creato e di un numero infinito di persone, l’impegno del buon pastore è in grado di fasciare le ferite e di incamminarsi così verso un altro mondo che vuole rendere possibile e vivibile qui e oggi affinché la Risurrezione non diventi un dogma vuoto ma forza della mia vita e del mio impegno. Rimane quindi un chiaro incarico: abbiate cura di voi, del prossimo, del pianeta. Essere il buon pastore alla fine non vuol dire altro che vivere in una relazione sana rispecchiata dal comandamento che Gesù stesso ci insegna: amare Dio e il prossimo come se stessi, il triangolo dell’amore. Dentro c’è tutto il mondo, tutto il creato, ma in una visione in cui noi non siamo la corona del tutto ma in rete chiamate e chiamati a vivere in armonia. (Terza di una serie di quattro meditazioni) Ti lodiamo per tutto quello che ci doni Signore, ti lodiamo per tutto quello che ci doni. Ci doni la vita, il cibo, la gioia, il tempo. Signore, ti lodiamo per tutto quello che ci chiedi. Ci chiedi di amare la vita, di condividere il cibo, di dare la gioia, di consacrare del tempo per gli altri. Signore, ti lodiamo per tutto quello che ci doni, e per tutto quello che ci chiedi. Perché così ci fai vedere che siamo figlie e figli tuoi, ci insegni che siamo tutti fratelli e sorelle. Ci dici che siamo nati dal tuo amore, e per il tuo amore! Amen. (Tratto da Un sentiero nella foresta, della Cevaa, p. 44) Un Gesù vestito di bianco... Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 3 • fede e spiritualità Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco era molto buono. Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno. Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro. Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta. Disegno di Max Cambellotti Genesi 1, 31; 2, 1-3 Quando ci siamo davvero Essere chiesa è riscoprire di essere una famiglia che ha un giorno speciale in cui si incontra per celebrare la grazia di Dio che ci accoglie per ciò che siamo in Lui Anna Maffei «M ercoledì viene il rabbino! Lo fa lui lo studio biblico». «Sì, l’ho saputo, parlerà sul sabato», «Lo Shabbat, la benedizione del sabato, è nel ciclo di studi biblici sul tempo del creato». «È la prima volta che viene nella nostra chiesa il rabbino capo di Firenze?», «A fare uno studio biblico credo di sì. Mi raccomando…». La raccomandazione alla partecipazione era d’obbligo ma forse non ce n’era bisogno. Nel giorno e nell’ora convenuta un nutrito gruppo di persone riempie la saletta e si pone in ascolto in religioso silenzio mentre Rav Levi racconta come la comunità ebraica, anzi, come ogni famiglia di ebrei osservanti, vive lo Shabbat. Ed è un racconto che affascina i convenuti. «Il sabato inizia col tramonto del venerdì e si conclude con l’uscita delle stelle del giorno dopo e dura, quindi, a seconda dei luoghi e delle latitudini fra le 25 e le 26 ore». Con l’affermazione che il sabato è un giorno più lungo degli altri e con la citazione di Genesi 1, 31-2, 1-3, si apre la serata e il rabbino, a suo agio nella semplicità del contesto comunitario, con voce pacata e occhi luminosi dipinge davanti agli occhi dei presenti quel tempo speciale e benedetto che è da sempre il sabato per il suo popolo. L’accensione delle candele e la loro benedizione, operazione per le comunità ebraiche ortodosse, rigorosamente femminile, così come gran parte della complessa preparazione dei cibi e della tavola, rappresentano l’entrata nel tempo sacro. «È l’abitudine a vivere sin dall’infanzia un giorno in modo così radicalmente diverso dagli altri giorni, che rende il sabato così speciale», dice il rabbino. «Oggi poi il sabato assume un carattere unico anche perché la sfida è di stare per un giorno intero senza tutti quegli oggetti che hanno assunto una così grande importanza nella vita ordinaria, i computer, i cellulari, la televisione. Non è facile ma è possibile. La consuetudine lo rende possibile». Mentre il rabbino parla e cita brani di preghiere, o racconti cabalistici anche buffi o risponde alle nostre curiosità, io penso a quanto sia difficile per noi evitare che cellulari squillino duranti i culti e a quanta fatica facciamo a trovare nelle nostre domeniche il tempo per riposare o il silenzio per meditare. «Il sabato rappresenta un impegno di tutti noi al non fare», dice il rabbino. Impegno al non fare – rimugino io. La serata finisce. Accompagno a casa il Rav, lo ringrazio, e ci scambiamo gli auguri. Quest’anno la pasqua ebraica e quella cristiana coincidono e c’è tanto da fare. È un tempo intenso per noi come per loro. E impegnativo… Ma la riflessione sul sabato, precetto biblico, continua ad accompagnarmi. Così, tornata a casa, vado a ripescare libri sull’argomento e leggo: «Il compimento della creazione è il riposo, il compimento del fare è l’essere. La creazione è l’opera di Dio, ma il sabato è l’essere presente di Dio». Sono frasi del teologo che mi ha formato, Jürgen Moltmann, nel suo libro «Dio nella creazione». Il sabato celebra l’esserci di Dio davanti alla creazione ed è l’invito a noi, come parte di essa, di essere semplicemente davanti a lui. Essere e non fare. Il sabato è dunque per gli ebrei quello che per noi è la grazia. Cioè essere accolti, amati non per quello che si fa ma per quello che si è. Questo pensiero mi piace e – come la grazia – mi dà riposo. Così per gli ebrei, se capisco bene, il sabato è entrare, invitati, nel riposo di Dio, ma è anche: riposarsi insieme, come famiglia, come comunità; e delimitare questo tempo di riposo come spazio accogliente di Dio. Spazio-tempo in cui si è insieme presenti in Dio. E tutto ciò che ostacola questo semplice stare insieme nella sua benedizione viene rimosso, accantonato. La testimonianza del Rav sul sabato ha nutrito anche la mia riflessione sull’essere chiesa, cioè essere quella famiglia che ogni settimana ha un giorno in cui si incontra per celebrare la grazia di Dio che ci accoglie non per quello che facciamo per Lui ma per quello che siamo in Lui. Il giorno del Signore, che per noi è la domenica, è il giorno in cui esserci davvero gli uni per gli altri, il giorno in cui non dovremmo avere fretta, non dovremmo venire continuamente interrotti e disturbati, il giorno in cui non dovremmo essere altrove, la nostra attenzione non dovrebbe essere distratta, il giorno in cui i nostri sguardi, le nostre voci, i nostri corpi, le nostre mani dovrebbero esprimere e celebrare insieme la gioia dell’incontro. Il giorno della gratitudine per il semplice fatto che ci siamo. Certo, nella nostra tradizione, noi resistiamo parecchio al considerarci semplicemente come il popolo della domenica. Siamo chiesa tutti i giorni, ce lo ripetiamo, e per un verso facciamo bene a dircelo. Ma nella pratica la domenica è l’unico giorno in cui riusciamo davvero a incontrarci tutti, o almeno la maggior parte della comunità. Le ragioni le conosciamo – dislocazione geografica sul territorio, problemi lavorativi, traffico, impegni di famiglia, figli, eccetera – dunque anche non volendo siamo per la gran parte il popolo della domenica. Ma se è così, allora, diventiamolo di più! Organizziamoci per esserlo appieno. Miglioriamo la preparazione perché la domenica sia quello che dovrebbe essere, il giorno del Signore, appunto. Attendiamo con trepidazione il giorno della festa, creiamo aspettativa nei nostri bambini. Un giorno Ides, una cara sorella camerunense, mi raccontò che nel suo villaggio la domenica è diversa da tutti gli altri giorni: sin dal primo mattino si sente l’aria di festa, ci si abbiglia con cura con i vestiti e i colori delle grandi occasioni, si sente il trambusto nelle case perché tutti, grandi e bambini, siano pronti in tempo per le lunghe camminate al ritmo dei canti per arrivare in chiesa. E poi i tamburi e il ballo per celebrare il culto al Signore. Senza alcuna fretta. Bello, no? Forse possiamo imparare qualcosa di questo anche noi: restituire alla domenica un carattere speciale. D’altra parte, riprendendo una bella metafora di Abraham J. Heschel, che è valida anche per noi cristiani, è nel tempo e non nello spazio che il Dio della Bibbia costruisce le sue cattedrali. Gli spazi possono essere privati, il tempo invece appartiene a tutti. Sta a noi lasciare tempo a Dio perché lo riempia di se stesso. Di memoria e di futuro. E, facendolo, ci dia gioia. La santità del tempo L ’ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo. A differenza dell’uomo, la cui mente è dominata dallo spazio, per cui il tempo è invariato, iterativo, omogeneo, per cui tutte le ore Abraham sono uguali, senza Joshua qualità, gusci vuoti, Heschel, la Bibbia sente il caIl Sabato, Rusconi 1987, rattere diversificato del tempo: non vi sopp. 15; 17 no due ore uguali; ciascuna ora è unica, la sola concessa in quel momento, esclusiva e infinitamente preziosa. L’ebraismo ci insegna a sentirci legati alla santità del tempo, a essere legati a eventi sacri, a consacrare i santuari che emergono dal grandioso corso di un anno. I Sabati sono le nostre grandi cattedrali; e il nostro Santo dei Santi è un santuario che né i Romani, né i tedeschi sono riusciti a bruciare, un santuario che nemmeno l’apostasia può facilmente di- struggere: il Giorno dell’espiazione. Secondo gli antichi rabbini, non è l’osservanza del Giorno dell’Espiazione, ma il Giorno stesso, l’«essenza del Giorno» che, con il pentimento dell’uomo, espia le colpe di quest’ultimo. Il rituale ebraico può essere caratterizzato come l’arte delle forme significative nel tempo, come architettura del tempo. (…) Una delle parole più eminenti della Bibbia è qadosh, santo; una parola che più di ogni altra rappresenta il mistero e la maestà del divino. Ora, che cosa è stato il primo oggetto santo nella storia dell’universo? È stata una montagna? È stato un altare? La eminente parola qadosh viene usata per la prima volta nel libro della Genesi alla fine della storia della creazione, ed è estremamente significativo che essa venga applicata al tempo: «E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò». Esodo e sabato inscindibilmente legati I sraele ha offerto ai popoli due archetipi di liberazione: l’esodo e il sabato. L’esodo dalla schiavitù verso la terra della libertà è il simbolo attivo della libertà esteriore. Il sabato è il simbolo pacifico della libertà interiore. Jürgen Moltmann, L’esodo rappresenta Dio nella l’esperienza fondacreazione, Queriniana mentale della storia 1986, di Dio, il sabato l’epp. 330-331 sperienza fondamentale della creazione di Dio. L’esodo è l’esperienza fondamentale del Dio che agisce, il sabato del Dio che esiste. Nessun esodo politico, sociale ed economico dall’oppressione, da screditamento e sfruttamento, porta davvero alla libertà di un mondo umano senza passare attraverso il sabato, senza una sospensione di qualsiasi nostra opera, senza l’abbandono e il riposo nella presenza del Signore. Viceversa gli uomini e le donne non troveranno mai la pace sabbatica alla presenza del Signore finché non si libereranno dalla dipendenza e dall’oppressione, dalla disumanità e dall’empietà. Esodo e sabato sono inscindibilmente tra loro congiunti. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 4 • ecumene DAL MONDO CRISTIANO Kenia. 10 avventisti tra le vittime del massacro nell’Università di Garissa. Nel triste bilancio dei 148 studenti cristiani uccisi, il 2 aprile, da uomini armati che hanno fatto irruzione nell’Università di Garissa, in Kenya, vi sono anche 10 avventisti. Tra i morti vi è Eric Nyumbuto, leader della chiesa avventista del campus gestita da studenti. Stanley Rotich, membro della comunità avventista di Garissa, ha riferito che si trovava in un edificio vicino quando ha sentito gli spari; ha pensato allora di chiamare Nyumbuto, ma la conversazione si era interrotta bruscamente perché i telefoni erano stati staccati. Aveva poi appreso che l’amico era morto. Durante l’attacco 500 studenti sono riusciti a fuggire e molti sono rimasti gravemente feriti. Philmon Okal, membro della chiesa avventista di Garissa, è stato uno dei primi poliziotti arrivati sul posto. «Le parole non possono descrivere quanto sia stato orribile questo evento. Ma ciò che è accaduto mi fa pensare che il ritorno di Gesù è molto vicino», ha affermato Okal. «In quel giorno la violenza, la morte e la distruzione non esisteranno più». Diverse persone ritenute complici dell’attacco sono già state arrestate e il governo del Kenya ha promesso una giustizia rapida. Questo è il peggiore attacco mortale avvenuto nel paese in circa due decenni. Il gruppo che ha rivendicato la responsabilità del massacro è lo stesso che ha attaccato il Westgate Mall a Nairobi, nel 2013. La Chiesa avventista del settimo giorno esprime cordoglio per la morte degli studenti uccisi la settimana scorsa. «Siamo straziati da una tale insensata perdita e vi chiediamo di pregare per tutte le vittime di questa terribile tragedia», hanno affermato i membri avventisti di Garissa. Il dipartimento Affari pubblici della Regione Intereuropea della Chiesa ha dichiarato: «Assistiamo con profonda tristezza a questa ultima atrocità. Sono tempi difficili. Viviamo in uno scenario di violenza e di odio in Medio Oriente. Crediamo fermamente che i valori universali basati sulla dignità umana debbano guidare ogni coscienza su questo pianeta. Possa il Signore onniptente darci un cuore misericordioso che ci conduca verso la riconciliazione. Il Si- gnore consoli tutti coloro che sono coinvolti in questa disumana atrocità». (Notizie Avventiste/Ann/EudNews) Sud Sudan. Capo della missione Onu: necessario giungere a un accordo di pace. «In Sud Sudan è necessario arrivare a un accordo di pace. Da parte mia non posso che incoraggiare tutte le parti a contribuire al suo raggiungimento per il bene del popolo del Sud Sudan». Così si è espressa Ellen Margrethe Løj, rappresentante speciale e Bratislava. Come promuovere l’inclusione sociale? Annapaola Carbonatto Giorgia Malanetto S iamo a Svätý Jur, un piccolo paese di cinquemila anime vicino a Bratislava (Slovacchia). Un luogo ameno e semideserto che, nell’ultima settimana di marzo, ha assistito all’arrivo di giovani provenienti da paesi europei e non e di diverse confessioni religiose. Il motivo? La partecipazione all’incontro From Vision to Reality!, organizzato dal Consiglio ecumenico della gioventù in Europa (Cege). Il seminario, avente come obiettivo la comprensione e l’analisi delle diverse dimensioni di esclusione/inclusione sociale presenti nella società attuale, si è svolto presso la sede cittadina di Agape. Qui si è riflettuto sulle strategie da adottare per evitare l’esclusione analizzando i casi di minoranze etniche e religiose in Europa. Può sembrare un’ovvietà, ma è bene ricordare che per promuovere l’inclusione sociale bisogna prima di tutto combattere le diverse forme di emarginazione. È necessario tenere I partecipanti all’incontro di Bratislava sempre a mente che ogni situazione viene valutata dal «nostro» punto di vista occidentale ed europeo, inevitabilmente diverso (né migliore, né peggiore) rispetto a quello di persone provenienti da altri contesti culturali e religiosi. Giovani di popoli diversi hanno priorità diverse e ciò deve essere ricordato quando si ideano e promuovono progetti, che possono non andare a buon fine se non si capiscono i reali bisogni delle persone che si vogliono aiutare. Quando si parla di minoranze bisogna avere come obiettivo l’integrazione e non l’assimilazione. Nei workshop sono stati presentati strumenti e metodologie per organizzare campagne per progetti sociali. A esempio i video prodotti per campagne come No hate speech movement, che si impegna per contrastare i discorsi d’odio che circolano su internet. Si è dedicata anche una giornata a un approccio dal punto di vista teologico, ascoltando il pastore Benjamin Simon e realizzando uno studio biblico in piccoli gruppi. Abbiamo ana- lizzato in particolare i testi in Deuteronomio 10, 17-19 e in Matteo 25, 31-46, concernenti il tema dell’inclusione dello straniero. La settimana è stata poi ricca di incontri con ospiti. Abbiamo ascoltato la testimonianza di Peter Pollak, primo membro di origine rom del Parlamento slovacco, e abbiamo dialogato con alcuni rappresentanti del ministero della Cultura slovacco delle politiche che stanno adottando per favorire la coesistenza di diverse confessioni. Durante il soggiorno i momenti di preghiera comune sono stati curati dai giovani presenti di diverse confessioni religiose, in particolare quelle cattolica, islamica, ortodossa e protestante. Una splendida occasione di condivisione con altre persone della propria tradizione e di accoglienza di modi di pregare, a volte molto diversi dai nostri quotidiani. Dei momenti dove condividere e venirsi incontro, dei veri e propri momenti di inclusione. Losanna. Religioni e media, una coppia impossibile Alberto Corsani D ieu n’existe pas dans mon journal: Dio, nel mio giornale, non c’è. Giornalisti e operatori dell’informazione si sono ritrovati a Losanna, la sera del 26 marzo scorso, a dibattere in un luogo oggi «laico» (un ex locale di culto, aperto alla cittadinanza e alle associazioni culturali), per discutere un tema d’attualità su invito dell’agenzia stampa ProtestInfo, le cui notizie spesso i lettori di Riforma trovano nelle nostre pagine. ProtestInfo, infatti, festeggiava i primi 15 anni di attività, da quando subentrò alla precedente agenzia Spp, creata nel 1928. Il direttore, pastore Michel Kocher, ha condotto una tavola rotonda a cui hanno partecipato giornalisti di quotidiani e altri periodici della Svizzera romanda, ma anche il sociologo delle religioni Philippe Gonzalez (sui cui lavori v. Riforma n. 14, p. 5) e Béatrice Métraux, consigliera di Stato (Dipartimento Istituzioni e Sicurezza del Cantone di Vaud). Argomento della tavola ro- tonda era dunque la presenza, o meglio l’assenza, delle questioni religiose dai mezzi d’informazione «normali», o generalisti. Secondo Gonzalez, il maggior successo nelle trasmissioni tv con rappresentanti delle religioni si ha non tanto quando si parla di religione, o dei contenuti della fede, ma quando si affronta una delle tante angosce che caratterizzano la società nel suo complesso (di nuovo, l’etica, il fine-vita o il sesso, Charlie Hebdo, i preti pedofili, un’ipotesi di legge in Svizzera contro i minareti). Ci si attende una qualche parola dalle comunità di fede: a volte arriva, possiamo dire noi, a volte no. Il peggior caso è quando la comunità di fede ripete quello che la società vuole sentirsi dire: ma questo è un problema che non riguarda i soli operatori dell’informazione, ma investe le chiese, le comunità, le Facoltà di teologia, la predicazione stessa; e nessuno può tirarsi indietro. Per i protestanti c’è poi un problema in più: se i «valori» della cultura protestante sono in buona parte quelli della modernità, c’è il rischio che altri soggetti se ne facciano portavoce, come e anche meglio delle chiese stesse, e le chiese ne risultano espropriate. Ma è forse tipico del protestantesimo costruire gli strumenti critici per analizzare anche se stesso, con i rischi di consunzione delle proprie comunità e di omologazione a visioni del mondo «vicine». Là dove, poi, il protestantesimo è religione maggioritaria, è importante quello che ha fatto notare la Consigliera di Stato a proposito delle nuove norme che regolano il riconoscimento dei soggetti religiosi: non un riconoscimento, in astratto, delle religioni, ma un riconoscimento dei diritti degli aderenti alle religioni stesse, cioè i diritti delle persone in carne e ossa. Alla tavola rotonda erano presenti anche gli operatori dell’informazione convocati quel giorno e il seguente dalla Cepple – Conferenza delle chiese protestanti dei Paesi latini d’Europa – intorno al tema «Religioni e media», una coppia impossibile (oltre a chi scrive e agli operatori delle chiese svizzero-romande, anche i rappresentanti dell’Église protestante unie de France e dell’Église protestante unie de Belgique). Lo snodo principale attorno al quale si è sviluppata la discussione è stato quello dei rapporti fra comunicazione all’interno delle chiese, tra una chiesa e l’altra, tra le chiese dei diversi Paesi e tra le chiese e le rispettive società: ognuno di questi fronti richiede, come è ovvio, un insieme di risposte il più possibile coordinate. Non ultimo, si affaccia il problema della o delle professionalità: le chiese devono avere nei loro organigrammi dei portaparola o dei professionisti dell’informazione? Tre saranno le direttrici lungo le quali proseguire il programma appena avviato a Losanna: le strategie comunicative per le chiese dei Paesi latini; la comunicazione via web; i linguaggi per parlare alla società: appuntamento fra un anno e mezzo/due anni. capo della missione dell’Onu in Sud Sudan, durante un incontro con il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), pastore Olav Fykse Tveit, tenutosi a Ginevra lo scorso 25 marzo. Durante la riunione, Tveit ha sottolineato l’impegno delle chiese per una «pace giusta» in Sud Sudan: «Riaffermiamo l’impegno del Cec ad accompagnare le chiese sud sudanesi nella ricerca della pace. Per noi è importante lavorare con l’Onu e capire quali nuove iniziative Paolo, inventore dell’antisemitismo? Elisabeth Schenker Protestinfo C on Pâques, et après? Paul et l’espérance chrétienne, Simon Butticaz, professore in scienze bibliche dell’Università di Losanna, mette tutto il rigore del metodo storico-critico, delle sue ricerche e della sua erudizione al servizio sia della teologia sia della fede. Ma l’ambizione di questo libro pubblicato da Cabédia è anche di essere uno strumento accessibile a tutti coloro che si interessano alla cultura «giudeo-cristiana» e ai suoi fondamenti. «Paolo di Tarso: un teologo dell’Avvento». Nel percorrere gli scritti di Paolo, l’autore, professore di Nuovo Testamento alla Facoltà di Teologia e di Scienze delle religioni di Losanna, disegna la particolarità della teologia di questa eminente figura del primo cristianesimo che è Paolo di Tarso. Una teologia caratterizzata dalla «speranza», come risulta dallo studio approfondito dei testi, al di là della loro complessità e delle loro contraddizioni interne. Una speranza però «che non è la semplice estrapolazione delle possibilità umane ma che si nutre di un dono di vita che in Gesù Cristo ha trionfato sulla sofferenza e sul male [...] Essa non è futuro semplice: è l’avvenire di Dio, coniugato in tutti i tempi», scrive Simon Butticaz. Ma questa speranza è per tutti? La questione coraggiosa del presunto antisemitismo di Paolo è trattata dall’autore con rigore e finezza a partire dall’insieme dei testi che ci sono giunti, senza cercare di volere salvare ciò che non potrebbe esserlo. Se questa questione è stata apertamente posta fin dall’indomani di uno dei periodi più bui della nostra umanità, le risposte sono state raramente così chiare: l’apostolo Paolo non è in causa. Il libro di Simon Butticaz non entra mai in polemica ma mostra però in modo brillante quello che una lettura esigente dei testi, presi nel loro insieme e posti nel loro contesto, è in misura di rivelare, e come può essere ancora pertinente per i tempi di oggi. Chiudendo questo libro di erudito che si legge come un romanzo, i sospetti si situano altrove: a essere in discussione sono solo le interpretazioni letteralistiche e parziali dei testi ai quali si riferisce la fede. E questo qualunque sia la religione. L’autenticità dei testi biblici non è più oggetto di dibattito. Poche figure del primo cristianesimo hanno fatto scorrere tanto inchiostro quanto quella di Paolo di cui il Nuovo Testamento ha conservato sette lettere. Soltanto sette? François Vouga, professore in scienze bibliche e specialista di Paolo, scrive al riguardo nell’Introduction au Nouveau Testament (Labor et Fides, 2008): «Se dunque tutte le lettere del corpus paoliniano si richiamano all’apostolo Paolo [...] secondo un certo consenso della ricerca, sette lettere sono ritenute autentiche, cioè dettate e inviate personalmente dall’apostolo». (Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel) Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 5 • ecumene intraprendere per essere d’aiuto nel procedere dei negoziati di pace – cosa di cui le chiese e il popolo del Sud Sudan hanno disperatamente bisogno». (Nev/Cec) Crimea. Tempi duri per le comunità religiose. Sono tempi duri per le comunità religiose in Crimea. Secondo quanto riportato da un’indagine di Forum 18, le autorità di Mosca hanno imposto alle 1.546 comunità e organizzazioni religiose registrate dalle autorità ucraine di ri-registrarsi per ottenere il riconosci- mento delle autorità russe. Il percorso si è rivelato particolarmente difficile, sia per la presentazione dei documenti richiesti sia per i relativi costi, tanto che alla scadenza del 1° marzo solo 15 entità religiose – l’1% del totale – avevano ricevuto l’aprovazione delle autorità russe, mentre altre 150 stanno aspettando di ricevere una risposta. La mancata registrazione permette alle comunità religiose di riunirsi ma non di stipulare contratti di affitto, avere dei dipendenti o invitare predicatori stranieri. In conseguenza di ciò, non si contano le violazioni della libertà di religione o di credo: controlli e sequestri di materiale religioso, impossibilità di recuperare luoghi di culto confiscati nel periodo sovietico, nuove tasse, espulsione di religiosi stranieri, ridefinizione delle strutture ecclesiastiche per rientrare nei criteri di registrazione imposti, contratti d’affitto rescissi unilateralmente. (Nev/Ve) Usa. Coppia omosessuale consacrata al ministero pastorale. «Non avrei potuto immaginare di festeggiare questo giorno senza mia moglie, la mia migliore amica, al mio fianco», ha dichiarato la neo-consacrata pastora Holly Clark-Porter riferendosi a sua moglie Kaci. Entrambe sono state ordinate ministre di culto della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (Pcusa), a Wilmington, Delaware. Il loro ministero pastorale comincia pochi giorni dopo che la Pcusa ha deciso il cambiamento della definizione di matrimonio nella propria costituzione. La definizione «tra uomo e donna» è stata sostituita con quella più inclusiva «tra due persone», aprendo così alle coppie dello stesso sesso. Ai 20.000 pastori e pastore in servizio della Pcusa è data, tuttavia, la possibilità di rifiutarsi di celebrare le unioni tra persone dello stesso sesso. Il cambiamento è stato sostenuto da 86 presbiteri (i dipartimenti regionali in cui è suddivisa la chiesa), mentre 41 si sono dichiarati contrari. Non sono mancate le polemiche su una questione che impegna le chiese da anni. Le chiese locali della Pcusa sono scese da 10.959 nel 2005 a 10.389 nel 2013, un decremento dovuto in parte anche al passaggio ad altre denominazioni che non consentono le unioni omosessuali. Le pastore Kaci e Holly Calrk-Porter da parte loro testimoniano come la Pcusa, con questo cambiamento, sia diventata la più grande chiesa protestante Usa che accoglie pienamente le coppie Lgbt. (Nev) Burkina Faso. Mamadou Karambiri, ex musulmano diventato «apostolo» Sébastien Fath Bibbia e miracolo, proposto a tutti, qualunque sia la religione di origine. Questo Centre International d’Évangélisation (Cie) tesse una vasta rete di assemblee francofone, disseminate in una trentina di Paesi diversi. Centinaia di pastori francofoni si sono formati all’ascolto dell’apostolo Karambiri, tramite i materiali digitali diffusi dal Cie. L’ intolleranza impetuosa della gente che ha troppa fretta, no grazie. Il cielo, lo si aspetta. Si prende tempo. E si discute. Nonostante tensioni interconfessionali che crescono in vari Paesi dell’Africa dell’Ovest, un’ampia cultura pluralista segna sempre i rapporti sociali: si accetta senza difficoltà la fede dell’altro. Si assiste alle sue feste. Si scambia. E il cambiamento di religione non è la fine del mondo! Nel Burkina Faso, un uomo incarna, più di qualunque altro, questa possibilità pacifica del cambiamento religioso: si tratta del pastore Mamadou Karambiri, ex musulmano e nuova «stella» della francofonia protestante. Una megachurch a Ouagadougou. Nato a Tougan il 7 marzo 1947, Mamadou è cresciuto in una famiglia impregnata di islam tradizionale. Ha recitato il Corano. Ha rispettato il digiuno del mese di Ramadan. Ha effettuato la salat, preghiera rituale, nella sua moschea di Bobo-Dioulasso. Eppure, questo ex musulmano del Burkina Faso è oggi la polena di un protestantesimo di conversione, di Mamadou Karambiri orientamento pentecostale e carismatico, che in quel Paese africano sta avendo una progressione spettacolare. Dopo aver incontrato, dice, il Cristo durante un soggiorno di studi in Francia, a metà degli anni 1970, ha sposato senza indugio la causa evangelica, portato da una vigorosa messa in evidenza dei miracoli che lo Spirito Santo opera nella vita del credente. Successivamente predicatore, quindi pastore, poi apostolo dichiarato (nel 2004), è oggi alla testa della più grossa chiesa del Burkina Faso, e ha fondato, insieme alla sua équipe, un vero e proprio impero religioso. Il suo punto di appoggio è una megachurch, il Tabernacle Béthel Israël, sede del Centre International d’Évangélisation, che riunisce a Ougadougou più di 6000 fedeli ogni domenica. L’obiettivo è quello di un «Dio XXL» (taglia molto ampia), tra Una nuova figura della francofonia protestante. Si potrebbe pensare che un simile percorso di eccezione isoli. Niente affatto. Mamadou Karambiri è oggi una figura rispettata e influente del paesaggio culturale e politico del Burkina Faso e, a questo titolo, la sua voce va molto al di là della cerchia dei suoi fedeli. Ufficiale dell’Ordine nazionale del Burkina Faso nel 2001, decorato dal presidente Blaise Compaoré, questo economista di formazione ha sviluppato una imprenditorialità fondata prima di tutto sulla conversione e sull’inculcare un cristianesimo efficace e fervente. Ma la sua influenza va oltre. In occasione di un congresso evangelico francofono nel 1998, si chiedeva «come costruire le nostre nazioni aiutando i nostri governi. I go- verni non possono fare tutto da soli. Bisogna aiutarli a fare delle nostre nazioni delle nazioni prospere». Ma come, e a quale prezzo? Ampio dossier... Ex adepto delle Assemblee di Dio, Mamadou Karambiri ha in particolare conservato di quella eredità un solido senso dell’organizzazione, di cui usufruisce il suo Centre interdénominationnel international d’évangélisation (Ciie). Ma ha anche preso in prestito dalle tendenze carismatiche più recenti un gusto per il «combattimento spirituale» e la carica profetica. Per cui circola regolarmente, come oratore e come insegnante, in tutto lo spazio della francofonia, dall’Europa al Québec passando attraverso tutta l’Africa dell’Ovest. Nessuna fatwa ha ostacolato il suo percorso. È a viso scoperto e in pieno giorno che questo ex musulmano continua oggi a nutrire la crescita non solo del protestantesimo evangelicale del Burkina Faso ma, più ampiamente, di una francofonia senza confini di cui è diventato uno dei volti imprescindibili. (Regardsprotestants) (Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel) Stati Uniti. La prima università musulmana riconosciuta Kimberly Winston Rns/Protestinter U n college che esige lo studio del poeta inglese William Wordsworth e del Corano per ottenere un diploma è ormai la prima università islamica riconosciuta negli Stati Uniti. Lo Zaytuna College, a Berkeley, in California, è stato riconosciuto nel mese di marzo 2015 dall’Associazione occidentale delle scuole e dei collegi, un’organizzazione accademica che supervisiona gli istituti pubblici e privati negli Usa. Questo nuovo status significa che lo Zaytuna College, che possiede soltanto due edifici e forma una cinquantina di studenti, è un’istituzione legittima di insegnamento superiore, a soli pochi isolati dal suo stimato vicino: l’Università Berkeley. «Essere riconosciuti ci pone allo stesso livello delle altre università», ritiene Colleen Keyes, il vicepresidente di Zaytuna College. «Siamo ormai partner uguali». Questo riconoscimento rafforza la credibilità e lo status dei quindici professori dell’istituto. «Questo significa anche che abbiamo nuove possibilità di collaborazione con i nostri colleghi delle altre università nel Paese», ag- giunge Colleen Keyes: «Possiamo ormai lavorare con le università al livello della formazione di base e al livello postdottorato, nonché con le scuole di teologia che sono numerose a Berkeley». Al tempo della sua creazione, nel 2009, lo Zaytuna College era solo un seminario, poi è diventato un college nel 2010. All’inizio c’era solo una trentina di studenti per dieci professori. I primi studenti hanno ottenuto il loro diploma nel 2014 e nello stesso anno l’istituzione ha comprato due immobili nel quartiere di Holy Hill, dove si trovano diverse università di teologia. Uno degli edifici, una chiesa, viene utilizzato ora come sala di riunione per gli studenti. 50 studenti nel mondo. Oggi, la scuola conta 50 studenti, metà dei quali vengono dalla California e gli altri dal New Jersey, dal Michigan, dal Texas, dalla Florida e dal Missouri. Ci sono altrettanti americani stranieri di cultura pachistana, araba, turca, afroamericana o latina. Tutti gli studenti di Zaytuna College sono musulmani ma nessun prerequisito religioso è necessario per essere ammessi. Lo Zaytuna College – olivo in arabo – è unico negli Usa. Esso propone lo studio dei testi islamici in arabo, compreso il Corano, nella loro forma originale. Lo Zaytuna College propone solo un diploma, un bachelor in Diritto islamico e Teologia. Per ottenerlo, gli studenti cominciano con lo studio delle scienze umane il primo anno: la retorica, la logica, la grammatica inglese, la dissertazione e lo studio delle opere maggiori della letteratura occidentale. Parallelamente, essi studiano l’arabo, il diritto islamico, la storia, le scienze e la matematica. Per ottenere il loro diploma, devono essere capaci di recitare un passo del Corano e avere effettuato lavori comunitari. «Gli studenti capiscono che non c’è dicotomia tra l’islam e l’Occidente», spiega Colleen Keyes. «Il ruolo dei musulmani negli Usa è di considerare l’islam in un ambiente non islamico e di pensare al modo di essere musulmani e americani allo stesso tempo». 24.000 dollari l’anno. I corsi sono misti ma gli studenti devono promettere di non flirtare insieme nell’istituto. Le spese di scolarità ammontano a 15.000 dollari l’anno ai quali vanno aggiunti 9000 dollari per l’alloggio. Raja Ali, una studentessa di secondo anno, di 30 anni, ha scelto lo Zaytuna College prima che fosse riconosciuto. L’annuncio del suo riconoscimento significa molto per lei. «Sono molto contenta per il futuro del College e per quello dei futuri studenti», dice. L’Associazione occidentale delle scuole e dei collegi non ha risposto a domande scritte riguardanti la sua decisione di accreditare il College. Tuttavia, in una lettera del 4 marzo 2015, la presidente del gruppo di accreditamento, Mary Ellen Petrisko, ha dichiarato che il College riuniva le quattro condizioni fondamentali per essere riconosciuto. Le reazioni di fronte a questo accreditamento sono divise. Nomie Darwish, il fondatore dell’organizzazione Arabs for Israel, ha detto a FoxNews.com che il cofondatore dello Zaytuna College, Hatem Bazian, è un «antiIsraele» e un opportunista che utilizza la sua posizione per portare avanti le proprie idee politiche. Altri pareri sono stati più favorevoli. «Non posso fermare le mie lacrime di gioia», ha scritto un lettore sul blog di UC-Berkeley. «Grazie ad Allah! Grazie a tutti i fratelli e le sorelle che hanno dato del loro tempo, del loro denaro e condiviso le loro competenze per fare andare in porto questo progetto». (Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel) Lo Zaytuna College Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 6 • cultura L’epopea interiore «L’altra Heimat», solo due giorni nelle sale Note e guglie La «Passione secondo Matteo» nel Duomo di Milano Paolo Fabbri La distribuzione avvertiva da tempo, nei trailer, che il 31 marzo e il 1° aprile si sarebbe potuto vedere, in Italia, L’altra Heimat, quarto tassello della «saga» sulla patria del regista tedesco Edgar Reitz. Non era, purtroppo, un pesce d’aprile. Due sere due: si può solo sperare nell’uscita di un dvd, come avvenuto per Hannah Arendt di M. von Trotta un anno fa. Se non altro il film è stato proiettato, come sempre si dovrebbe, in lingua originale con sottotitoli. N Alberto Corsani L uogo dell’azione è sempre il villaggio immaginario di Schabbach (in analogia con Morbach, paese natale del regista), nel Massiccio dell’Hunsrück, fra il Reno, la Mosella e la Saar: siamo negli anni 1840-43, dopo la Restaurazione, di cui sconta però gli effetti: ai francesi si sono sostituiti i nobilastri della zona, che vessano la popolazione contadina con tasse, gabelle e spocchiose furfanterie. Il popolo, insieme di veri servi della gleba, fa la fame; gli adulti muoiono di tubercolosi e i bambini di difterite. Edgar Reitz In questo clima, la famiglia del fabbro Johann Simon, progenitore dei Simon delle serie successive, è compatta e disgregata al tempo stesso: Gustav è appena rientrato dal servizio militare; il fratello, Jakob, perde tempo con i suoi libri che parlano di terre esotiche (il Brasile del Pernambuco e di Porto Alegre) invece di lavorare nella forgia; la figlia Lena ha trovato un marito cattolico e un figlio fra le vigne lungo le rive della Mosella. Per questo viene esecrata ripetutamente (in un dialogo che trasuda disprezzo, si dice che il marito non è una persona per bene come «noi evangelische»: opportunamente il sottotitolo traduce il termine tedesco con «protestanti», precisione lessicale non scontata). Jakob sogna i nativi del Brasile e ne studia gli idiomi su libri che arrivano da chissà dove, forse da qualche fiera; ma quando racconta i loro modi di vivere alla ragazza che gli piace (e che poi diventerà moglie di Gustav), non si capisce bene in che misura faccia sfoggio di erudizione e in quale invece non inventi lì per lì: il risultato è lo stesso, la fascinazione per un luogo «altro», dove almeno si possa sfuggire alla fame. dopo la partenza da parte di Gustav sarebbe già sufficiente, in pochi minuti, a rendere il film un capolavoro: tanta è l’ansia, l’aspettativa, il rimpianto nei volti e nelle voci di coloro che ascoltano la lettura fatta da Jakob. Tutto il film, del resto, è costruito sulla dialettica tra interiorità e narrazione: appartiene alla narrazione l’articolazione in immagini (un bianco e nero incredibile, inframmezzato ogni tanto da pochi oggetti a cui viene restituito il colore in elaborazione digitale) dei paesaggi della campagna renana; questi ultimi però spesso diventano primi piani (piante di grano, uccelli della foresta, attrezzi La «voglia di partire» è a metà stradella forgia, zoccoli dei cavalli da tra la necessità di sopravvivenza e da ferrare, telai per tessere) sul cui sfondo si sviluppano le «tiil delirio: un viaggio transoceanirate» di Jakob o le considerazioco, all’epoca, equivaleva a una condanna a morte per un emiDie andere Heimat ni fatte di rassegnazione e digrante su cinque, tra infezioni, – Chronik einer Sehnsucht gnità: «i bambini [morti di difstenti, malavita. E partire signifi- (L’altra patria – Cronaca di terite] ci hanno preceduti nel cava partire per sempre: mesi e un desiderio), regia di E. Regno dei cieli – dice Gustav mesi di viaggio, e poi l’incertez- Reitz, Germania 2013. Con J. dopo uno struggente funerale za. Nessun componente della D. Schneider, A. Bill, M. collettivo – ma qui siamo all’inpiccola carovana che muove da Scheidt, M. Breuer, R. Krie- ferno». Ma la rassegnazione è tale che i genitori dei bambini Schabbach per imbarcarsi alla se, P. Lembeck. 230 minuti appena sepolti non se la prenvolta del Brasile potrebbe realidono né con Dio né con il pasticamente tornare: per chi restore, un po’ compassato, giovasta, è un altro modo di perdere i ne ma autorevole, che predica una Parola diffifigli. E la prima lettera che giunge quasi un anno cile da accettare. * SCHEDA La prima serie di Heimat (termine intraducibile: oltre che patria indica identità, patria interiore) risale al 1984; si compone di 11 episodi girati per la tv (oltre 900 minuti) e si apre alla fine della Prima Guerra mondiale. I tempi si dilatano negli episodi centrali, ambientati nel periodo fra le due guerre, e descrivono Schabbach e i suoi dintorni con «puntate» più concentrate negli anni della Seconda Guerra, negli anni ’50, ’60 e nel 1982. La seconda serie (Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza, 1992, 13 episodi per 26 ore di film) propone Hermann Simon, futuro direttore d’orchestra e compositore, negli anni della sua formazione fra altri giovani aspiranti artisti, che studiano a Monaco di Baviera, negli anni dal 1960 al 1970. Heimat 3 – Cronaca di una svolta epocale (6 episodi usciti nel 2004 per complessivi 700 minuti) si apre con il crollo del Muro di Berlino e arriva al congedo definitivo del protagonista Hermann Simon da Schabbach nell’anno 2000. Il romanticismo stava per sbocciare e dare ordine al vagheggiamento per le terre lontane. La creatività poetica avrebbe fornito un senso alle ferite dell’anima, che per gli abitanti di Schabbach sono soltanto ferite: quando la madre di Jakob guarisce dalla tbc, i figli la portano con una sedia in un campo perché abbia beneficio dal sole; e quando lei rievoca i sei (su nove) figli morti piccoli, sembra destinata a raggiungerli. Invece lei sopravvive, ma la ferita non si rimarginerà mai, portarsela dentro è una caratteristica del suo vivere. Come lo sono i sogni di Jakob. Parola chiave del romanticismo sarà Sehnsucht, di cui ogni traduzione è inadeguata: struggimento è quella che si avvicina di più; aspirazione fallita, disillusione, rimpianto. È curioso, ma creativamente fertile, che il regista abbia proposto questo capitolo della sua saga ora, a posteriori, dopo che ne abbiamo visto il maestoso seguito. el silenzio dell’attesa, lo sguardo sale con la fuga delle pietre lungo le possenti colonne lanciate verso un cielo che vorrebbero raggiungere ma non riescono (e lo simulano allora con le volte ardite a forma di vele distese), che si uniscono a simulare uno slancio ideale verso la volta celeste, verso un oltre ideale, dove abita Dio, plasticamente reso evidente dalle volte stellate, proiettate all’esterno dalle guglie del gotico lombardo. Lingue diverse parlavano muratori, scalpellini, ingegneri, architetti, provenienti dagli angoli più sperduti del continente, ma s’intendevano ugualmente per i canoni di una cultura artistica comune e fors’anche di una fede inquieta ma non ancora platealmente divisa dalle caparbie scelte umane. Un applauso, che si perde nell’ampio spazio della cattedrale di Milano, segna l’arrivo dell’orchestra e il differente costume nordico, che includeva la Passione nel culto reso al Signore e tuttora mantiene l’atmosfera mistica connessa, eliminando ogni manifestazione di palese apprezzamento, pur avendo accantonato l’idea di farne un vero e proprio culto inclusivo del sermone e di tutte le altre componenti. D’altronde, non si può dimenticare che, nella sua concezione originaria –valida ancora oggi nei suoi contenuti essenziali – la «passione» è stata pensata per favorire l’espressione di un sentire che il linguaggio logico-sintattico non riesce a dire, rendendo necessario il ricorso al linguaggio poetico, tipico di gran parte dell’Antico Testamento, che trova forme di altezza inusitata anche nel Nuovo, con punte di altezza immensa come in I Corinzi 13. Oggi la liturgia riformata si limita ad accogliere alcune melodie delle «passioni», adattandole con parole diverse ai momenti specifici del culto, mentre la loro esecuzione integrale resta patrimonio comune delle espressioni di fede nel Cristo vivente. Ciò non ha impedito ad alcuni direttori di attenersi a una interpretazione il più possibile vicina a quella origi- naria: tra questi Gustav Leonhardt, che riduce al minimo le sezioni orchestrali e attribuisce al coro soli tre elementi per voce, ottenendo ritmi più incalzanti, come nella esecuzione proposta a Milano nel corso delle «Settimane Bach» organizzate dalla Società del Quartetto. Ruben Jais ha optato per un coro ampio, che ha ugualmente consentito al maestro di ottenere un discorso musicale dai toni assai differenziati: dal pensieroso coro iniziale Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen («Venite, figlie, piangete con me»), cui si interseca lo struggente O Lamm Gottes unschuldig («O agnello di Dio innocente») al durissimo Er ist des Todes unschuldig! («Merita la morte!») con ampia differenziazione di toni e sempre con profonda intensità, ottenuta con una direzione attenta ai minimi particolari anche nelle prove dei solisti, curando l’accentuazione dei ritmi puntati e staccati, per sottolineare la drammaticità della Passione, pur senza eccedere nella drammaticità di taluni passaggi, fino a dare l’impressione degli eventi come di una dolorosa ma sempre consapevole accettazione della volontà divina. Clemens Loeschmann (evangelista) ha dato sicura continuità al racconto con delicate ma sempre appropriate accentuazioni delle varie situazioni; Filippo Mineccia (alto) ha rappresentato con trasporto il dolore dell’umanità credente di fronte alla tragedia umana e cosmica di Gesù, a partire dal Buss und Reu («Pentimento e rimorso»), splendidamente accompagnato dai flauti traversi, vero pilastro dell’orchestra; struggente e appassionata Céline Scheen, voce materna, espressione della universale sensibilità femminile Ich will dir mein Herz schenken («Voglio donarti il mio cuore»); valide anche le prove del tenore Tim Lawrence e del basso Marco Granata. Ruben Jais ha saputo ottenere dall’orchestra e dai cantanti volta a volta suoni dolci o drammatici con una rigorosa attenzione al testo e una meticolosa quanto intensa direzione ricca spesso di intenso pathos. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 7 • cultura Fra martirio e resistenza Una nuova edizione dell’epistolario del pastore e martire Gian Luigi Pascale In Calabria e nell’entroterra irpinofoggiano, fino alla metà del ’500 alcune migliaia di valdesi, giunti dal Piemonte e dal Delfinato fra XIV e XV secolo, avevano potuto sopravvivere quasi indisturbati. I contatti fra Nord e Sud, garantiti tramite i barba, erano proseguiti senza interruzione anche a seguito dell’adesione alla Riforma. Tuttavia il fermento degli anni ’50 e la transizione verso un’organizzazione delle comunità in parrocchie sul modello ginevrino contribuì a dar loro maggiore visibilità. In seguito alla richiesta di predicatori rivolta dalle colonie calabresi al Consiglio dei pastori di Ginevra, a Guardia, San Sisto e nei borghi vicini giunsero Etienne Negrin da Bobbio Pellice, Giacomo Bonelli originario di Dronero e Giovanni Luigi Pascale, allora a Losanna*. Marco Fratini N ato a Cuneo, Pascale si era trasferito a Ginevra e poi a Losanna, dove frequentò l’Accademia teologica di Pierre Viret e Théodore de Bèze. Nel frattempo la preoccupazione dell’Inquisizione romana era cresciuta nei confronti delle minoranze etniche e religiose. In questo clima la predicazione di Pascale, praticata senza prudenza, invitava i fratelli a non nascondere le proprie convinzioni. Il suo arrivo fu una rottura rispetto ai suoi predecessori. Costretto ad abbandonare San Sisto, si spostò a La Guardia. Il 2 maggio 1559 fu incarcerato nel castello di Fuscaldo (per otto mesi) poi a Cosenza, a Napoli e infine a Roma dove, condannato dall’Inquisizione, il 16 settembre 1560 fu bruciato sul rogo nella piazza di Castel Sant’Angelo. Personaggio di spessore intellettuale e slancio evangelico, in carcere scrisse decine di lettere * agli amici di Ginevra, ai valdesi di Calabria, al fratello Giovanni Bartolomeo e alla fidanzata Camilla Guarino, che presto furono raccolte e pubblicate da Scipione Lentolo e Jean Crespin, con ampia diffusione nell’Europa protestante. Pascale stesso ne raccomandava la pubblicazione, come testimonianza di martirio e come ammaestramento morale nei confronti dei fratelli perseguitati e di coloro che ne seguivano le sorti a distanza. Caratterizzate da un linguaggio ben radicato nelle fonti Didascalia: Gian Luigi Pascale condotto a Roma di fronte al papa (da Adriaen Cornelisz van Haemstede, Historie der martelaren [Storia dei martiri], Dordrecht 1657, p. 249v). Conoscere l’altro Unitre: storia delle religioni ad Aosta Paola Pecoraro I n un momento storico di grande difficoltà nell’affrontare tematiche come l’integrazione religiosa e sociale, in cui «l’altro» appare unicamente come una minaccia e non come una possibilità di confronto, ben si è inserito il corso di Storia delle religioni organizzato ad Aosta dall’Unitrevda e dal Centro culturale protestante nei mesi di febbraio e marzo, realizzato anche grazie ai fondi dell’otto per mille della Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi). Sede del corso la bella sala conferenze della Biblioteca regionale. Il pastore Maurizio Abbà ha svolto il ruolo di coordinatore, ma nello stesso tempo è stato relatore di alcune lezioni e proprio a lui è stato chiesto di avviare per il prossimo anno l’organizzazione di un nuovo corso dato il gradimento dimostrato da questo e bibliche, in particolare di derivazione paolina, tipico di un certo clima culturale da «combattimento spirituale», il testo è fitto di termini guerreschi (nemico, armi, combattimento, esercito, capitani, vittoria), violentemente polemico contro gli «idoli» e contro la messa (horribile idolatria), con numerosi ed espliciti riferimenti all’Antico Testamento. In una sorta di appassionata predicazione, nella consapevolezza dell’inevitabilità e del valore del sacrificio a cui Dio lo ha chiamato, il suo messaggio ai fratelli calabresi si fa via via più esplicito («... bisognava piuttosto morire che abbandonare così santa impresa, e così sentiva la mia coscienza obbligata a predicare loro con l’esempio, poiché non potevo farlo con la voce»). Nell’invocare Dio affinché gli desse la forza per sopportare i patimenti della prigionia e dell’inevitabile supplizio finale, egli è costantemente consapevole di dover sostenere la propria missione come un combattimento e giunge anche a parlare di se stesso come di un soldato. La principale convinzione che egli è chiamato a testimoniare è la verità della Parola di Dio, che consiste innanzitutto nel rifiuto all’idolatria. Se è Dio stesso che lo prepara alla battaglia, specularmente quella dei nemici è una battaglia contro Dio in nome delle tentazioni di Satana. Si tratta di una missione in cui il concetto di battaglia è costantemente affiancato a quello di edificazione della chiesa di Cristo, ed è proprio in tale contesto che Pascale inserisce espliciti riferimenti al martirio, come forma di combattimento e di testimonianza. Pur in questa adesione incondizionata al sacrificio inevitabile a cui Dio lo ha chiamato, Pascale pensa al suo gregge e non pretende da tutti la medesima disponibilità: «ma alcuni diranno che non si sentono le forze per morire per Gesù Cristo, e io rispondo che chi teme di essere vinto combattendo, deve almeno eleggere di vincere fuggendo. Perciò il fuggire vi è lecito; ma piegare i ginocchi a Baal vi è proibito sotto pena della dannazione eterna». Tuttavia, in tutte queste sue esortazioni ai fratelli in pericolo, mai si affaccia la possibilità di una reazione armata contro l’aggressione del nemico, anche se nelle sue pagine quella del martirio appare come una vera e propria forma di resistenza. La testimonianza è, secondo Pascale, utile a far conoscere la Verità di Dio e a svelare gli inganni dei suoi nemici: «D’una consolazione tra le altre ho da ringraziarlo ed è il rumore popolare ch’io intendo essere in queste parti – scrive il 17 marzo 1560 dalla prigione di Cosenza –, in quanto alla religione, di modo che molti, avendo notizia della nostra confessione, si maravigliano della tirannia dei no- dal precedente. Il corso si è sviluppato in otto unità didattiche che hanno visto l’alternarsi di relatori di valore che hanno svolto gli argomenti loro proposti: – Per un alfabeto delle religioni (past. Maurizio Abbà); – I Padri della Chiesa e le religioni non cristiane (prof. René Roux); – Il Cristianesimo protestante da Lutero a Martin Luther King (past. Paolo Ribet); – Il cattolicesimo romano nel XXI secolo: bilanci e prospettive con papa Francesco (Fr. Guido Dotti); – Il continente cristiano differenze e affinità, quale futuro per il cristianesimo (past. M. Abbà); – L’Ebraismo nella vita quotidiana (rabbino Alberto Moshe Somekh); stri avversari. E questa è la cagione che io desidero che la confessione della nostra fede non resti del tutto sepolta; atteso che la nostra detenzione è manifesta in molti luoghi di questa cieca Italia, onde penso che la nostra morte non sarà neanche sepolta. Della quale tanto più mi rallegro quanto più spero che il Signore se ne debba servire per qualche edificazione della sua Chiesa e maggiore assai di quanto farei restando in vita». La coerenza dimostrata da Pascale nel sostenere le proprie convinzioni di fede e nel sostegno che egli (prigioniero prossimo al supplizio) offre ai suoi fratelli calabresi (pur in pericolo ma ancora liberi), non va letta soltanto come dimostrazione di fede incrollabile e disposizione al martirio, ma anche come rinnovata proposta di una forma di resistenza che trae forza da una lunga e ininterrotta catena di testimoni della Verità, in un momento storico in cui si stanno per inaugurare gli scontri confessionali che infiammeranno il regno di Francia per quasi quarant’anni. * Lettere d’un carcerato (1559-1560) annotate e fatte precedere da un cenno biografico sullo scrivente Gian Luigi Pascale per opera di Arturo Muston, Torre Pellice, Libreria «La Luce», 1926, pp. 37-38. Della pubblicazione di Muston esce ora una ristampa a cura delle edizioni Prometeo di Castrovillari, con l’aggiunta di una prefazione tratta da un articolo di Augusto Armand Hugon pubblicata su «Il Ponte», VI, 9-10, 1950. Segnaliamo inoltre la voce «G. L. Pascale» curata da Susanna Peyronel nel vol. 81 del Dizionario biografico degli italiani – Buddha e Gesù Cristo: due Vie a confronto: affinità e diversità (M. Abbà); – Velare, Svelare, Rivelare. Il velo delle donne nelle Religioni (prof. Dario Cosi). La platea sempre attenta, numerosa e partecipe ha mostrato chiaramente interesse per gli argomenti trattati, rivolgendo ai relatori domande e dando origine a dibattiti costruttivi. Iniziative come questa dimostrano chiaramente il desiderio, che emerge da più parti, di confronto su tematiche di spinosa attualità come l’integrazione in tutti i suoi aspetti partendo proprio dal sentire voci diverse, dall’ascoltare differenti punti di vista per arrivare alla consapevolezza che si possono comunicare e vivere differenze personali, e che ciò non è una minaccia, ma una grande ricchezza. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 8 • vita delle chiese AGENDA 17 aprile, venerdì MILANO – Alle 18, al Centro culturale protestante (v. Francesco Sforza 12/a) Simone Maghenzani e Giuseppe Platone intervengono su «Le chiese protestanti nella prima guerra mondiale». 18 aprile, sabato FORANO (RI) – Alle 11, alla chiesa valdese (v. del Passeggio 8), «I cristiani davanti al dramma dell’immigrazione»: presentazione del progetto Mediterranean Hope, con Massimo Aquilante e l’ufficio otto per mille. FIRENZE – Alle 17 alla libreria Claudiana (b.go Ognissanti 14R), per il ciclo «Anglicanesimo, darwinismo e omosessualità nell’età vittoriana», conversazione sulla poesia In memoriam di Alfred Tennyson a cura di Stefano Bini e Massimo Zanoccoli. MILANO – Alle 18,30 al tempio valdese serata su Mozart, con tre concerti per pianoforte e quartetto d’archi. Al pianoforte, Daniele Defilippis, Lorenzo Reho, Claudio Gay. 17 aprile, venerdì – 19 aprile, domenica FIRENZE – Alle 15,30, per il trentennale di «Biblia», convegno «Per sora nostra madre terra»; incontro inaugurale a Palazzo Vecchio, con interventi di Sergio Givone, Piero Stefani, Luigi Ciotti, Luisa Cattaneo. Intervengono nei giorni seguenti Jean Luis Ska, Daniel Marguerat, Romano Penna, Carlo Ossola, Gherardo Colombo, Grazia Francescato, Pietro Greco, Stefania Monti, Benedetto Carucci Viterbi, Enzo Bianchi e Carlo Petrini. Info: 055/8825055 / [email protected] 19 aprile, domenica CINISELLO BALSAMO (MI) – Al Centro culturale «Il Pertini» (p.zza Confalonieri 3), alle 15 «Donne e Costituzione: le radici e il cammino», anteprima nazionale del filmintervista Nadia Gallico Spano, Madre Costituente di Antonella Restelli (2015). Intervengono la regista, Chiara e Paola Spano, Lorenza Carlassare, Debora Migliucci. 21 aprile, martedì - 24 aprile, venerdì ROMA – Alla Facoltà valdese di Teologia (v. Pietro Cossa 42), seminario pubblico e gratuito su «Figure di Cristo nelle epistole ai Colossesi ed agli Efesini: confronto con la Gnosi». A cura di Corina Combet e Jean-Daniel Dubois. Orari: 15-17 per i primi due giorni e 11-13 per i seguenti. 24 aprile, venerdì TRIESTE – Alle 18, alla chiesa riformata elvetica e valdese – basilica di s. Silvestro, «Dell’impossibile libertà di giungere al possesso della propria vita e alla vera comunicazione con gli altri». Ruggero Marchetti parla di Carlo Michelstädter, filosofo e poeta goriziano, morto suicida a 23 anni nel 1910. 25 aprile, sabato RIESI (CL) – Dalle 9, al Servizio Cristiano (v. Monte degli Ulivi 6), giornata del protestantesimo siciliano, con la partecipazione delle chiese battiste, metodiste, valdesi, luterane e avventiste. 27 aprile, lunedì TORINO – Alle 17,30 al Circolo dei Lettori (v. Bogino 9), presentazione del libro di Ercole Ongaro Resistenza nonviolenta 1943-45. Ne discutono con l’autore: Piera Egidi, Bartolo Gariglio, Enrico Peyretti. Susa Una Pasqua «BMV» per tre comunità Davide Rostan «O r egli non disse questo di suo; ma siccome era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi» (Gv. 11, 51-52). Ironicamente il vangelo di Giovanni pone sulle labbra di Caifa la profezia su come la morte di Gesù sia a vantaggio della nazione, senza immaginare che l’effetto sarebbe poi stato ben diverso da ciò che Caifa stesso immaginava. Anche le nostre chiese la domenica di Pasqua si sono radunate per celebrare la resurrezione ma, anziché farlo in piccoli gruppi sparsi in una lunga vallata, quest’anno abbiamo pensato di radunarci in un unico tempio: quello della chiesa battista di Susa (Torino). Ormai da diversi anni la colla- Gianni Fornari amico e collega Marco Rolando i Gianni ho condiviso dal 1988 l’appartenenza alla chiesa valdese e l’interesse appassionato alla teologia e alla cultura protestante. Entrammo, entrambi provenienti dal cattolicesimo, entrambi medici, lui a Ivrea, io a Biella, nelle comunità valdesi, comunità allora affratellate dalla presenza carismatica e intelligente del pastore Gianni Genre, che creò un clima indimenticabile e coinvolgente di passione per la fede e per le questioni teologiche a cui Gianni e io non eravamo estranei. Si veda la sua amicizia con don Luciano, prete operaio di Banchette di Ivrea, presente anche al suo funerale nel tempio valdese di Torino il 21 marzo. Ricordo il mio primo contatto con la teologia protestante attraverso un libro di Italo Mancini, Novecento teologico, edito da Vallecchi, che portava in sovracopertina i nomi di Barth, Bonhoeffer, Bultmann. Ricordo una discussione appassionata e fraterna durante l’Assemblea-Sinodo del 1990 a Roma, in una trattoria del ghetto ebraico sul sinodo di Dordrecht in cui Gianni e io stavamo sinceramente dalla parte dei Gomaristi in linea con Giovanni Diodati e tacciammo di arminianesimo e di semipelagianesimo dei carissimi amici nostri interlocutori. Gianni era un uomo rigoroso, nella sua preparazione scientifica come in tutte le cose che faceva, così come negli ultimi anni faceva il contadino e l’apicoltore nella cascina di Grazia, sua moglie, a Riva di Chieri, ma sapeva anche amare i doni della vita ed essere gioioso e conviviale, e distingueva molto bene il cibo e il vino buono da quello cattivo. Nell’ultima cena fatta insieme dall’amico Gino Lusso, a cui era arrivato stanco e affa- D ticato guidando ancora l’automobile il 17 gennaio scorso, ci eravamo scambiati dei doni per i nostri compleanni che cadono in gennaio e mi aveva regalato una splendida bottiglia di vino francese. Anche quando l’amarezza provata in modo sincero e disinteressato per la chiusura dell’Ospedale valdese di Torino lo coinvolse e indirettamente coinvolse anche me, non venne mai meno in Gianni Fornari la sua sincera e sofferta adesione alla Chiesa valdese. Anzi, l’elaborazione di quel lutto finì per coinvolgerci e farci riscoprire ancora più profondamente le ragioni della nostra amicizia così come era successo anni prima dopo una sua grave malattia con la condivisione delle vacanze in montagna. Non è un caso che nell’ultima telefonata che ebbi con lui, lucido, mi comunicò la sua gioia per la visita in ospedale (questa volta era lui il paziente) di Gianni Genre e delle letture bibliche (Geremia) fatte insieme. La scelta del Salmo 71 per la sua morte, il penultimo del secondo libro dei Salmi prima della chiusura con il salmo regio di Salomone, con la sua caratteristica individuale di sofferenza con sfumature quasi psicologiche e la sua apertura al futuro, riassumono il senso delle sue scelte e della sua vita: «Tu sei stato il mio sostegno fin dal ventre di mia madre: tu sei quel che mi hai tratto fuor dell’interiora d’essa… non abbandonarmi ancora, o Dio, fino alla vecchiezza, anzi fino alla canutezza: fin ch’io abbia annunziato il tuo braccio a questa generazione e la tua potenza a tutti quelli che verranno appresso... perciocché, avendomi fatte sentire molte tribolazioni e mali, tu m’hai di nuovo renduta la vita e m’hai tratto di nuovo fuor degli abissi della terra...». borazione tra la chiesa battista di Meana e quella valdese di Susa ha assunto una sua forma precisa: culti in comune più volte al mese, uno studio biblico quindicinale, il catechismo per adulti e gli incontri ecumenici. Nell’ultimo anno il predicatore locale Ivo Blandino, che cura la chiesa battista di Susa, è diventato anche maestro di canto di una piccola corale che contribuisce alla collaborazione fra le due chiese. Un tempo gli avvisi per segnalare le attività delle chiese usavano il termine adunanza, e anche noi domenica 5 aprile ci siamo adunati di fronte al sepolcro vuoto di Gesù, insieme a Maddalena, a Pietro e al discepolo amato: la chiesa valdese di Susa e le chiese battiste di Susa e di Meana. Spesso i nostri piccoli numeri ci hanno fatto preoccupare per il corpo, per le nostre identità diverse e definite; per i confini dei nostri corpi, individuali e collettivi, e per gli edifici che li raccolgono. Ironicamente anche noi abbiamo avuto bisogno di essere pochi per cominciare a radunarci insieme e per preoccuparci meno dei nostri corpi. Maddalena cercava un corpo la mattina di Pasqua, cercava la concretezza, la materialità, qualcosa che durasse per sempre, un corpo da piangere. Verrà chiamata per nome da un giardiniere, si volterà e dirà «Maestro» e poi andrà ad annunciare, senza che nessuno le abbia dato il permesso, ciò che aveva visto. Cercava un corpo, riceverà un nome e una vocazione. Le nostre tre comunità non si radunavano insieme da anni, abbiamo gioito, ricevuto insieme la Santa Cena e ascoltato la parola del Signore. Il cammino verso il riunire in uno i figli di Dio dispersi è fatto di corpi che si mescolano, si conoscono, si riconoscono e infine si chiamano per nome. È un cammino che ha una vocazione, quella della resurrezione che supera le nostre divisioni e che ci chiama all’annuncio. Che il Signore ci conceda di essere ancora riuniti nel suo nome per rendere testimonianza della sua parola così come oggi l’ha concessa a noi in val di Susa. Carrara La chiesa metodista ricorda la pastora Caterina Dupré Simone Fiaschi a chiesa metodista di Carrara e il suo Consiglio hanno deciso di scrivere questo breve messaggio per ricordare la pastora Caterina Dupré, che ci ha lasciato per far ritorno alla casa del Padre la mattina del 6 aprile; vogliamo testimoniare al marito Vito, alla madre Annemarie, a tutta la sua famiglia e a quanti la conoscevano il profondo affetto e la grande stima che la comunità provava e prova nei suoi confronti. Caterina giunse a Carrara nel settembre del 2001, subito dopo la sua consacrazione; vi rimase solo tre anni durante i quali seppe sempre dare testimonianza della sua profonda fede, vissuta in maniera molto concreta e aperta. Si impegnò in modo particolare con i clandestini, le donne dell’est Europa sfruttate che venivano a chiedere aiuto in chiesa; ai più dubbiosi non si stancava mai di dire «leggi il passo di Matteo 25,35, “Ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste L da bere; fui straniero e mi accoglieste”, e pensa a ciò che Gesù voleva dire e a ciò che dicono direttamente a te oggi questi versetti». Parole attualissime anche ora. Ottima cultrice del cristianesimo ortodosso, raccontava spesso del suo periodo di studio in Russia e a New York, durante i quali aveva potuto conoscere di persona questa nuova realtà, tanto lontana dal nostro essere chiesa quanto interessante, ricca di tradizioni uniche e affascinanti, sconosciute e snobbate in Italia. Dopo un lungo studio biblico sull’Ortodossia, con un grande entusiasmo misto a un po’ di timore, chiese alla comunità se avremmo voluto celebrare il culto dell’alba di Pasqua, culto in cui le tenebre della notte e le luci dell’alba fanno da sfondo al sacrificio di Gesù; questo culto almeno allora veniva celebrato normalmente nella Chiesa ortodossa e non nelle nostre. Da allora, tutti gli anni celebriamo questo culto, dando così voce a un cristianesimo che deve sapere riformarsi volta per volta, aprirsi alle altre realtà, farle sue e non scartarle a priori perché diverse dalla propria tradizione. Siamo grate e grati a lei per il lavoro svolto nella nostra chiesa, per quanto ha saputo insegnarci e darci a livello personale e comunitario. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 9 • vita delle chiese Campania Con la testa e il cuore: terza tappa della carovana per la dignità del lavoro Marta D’Auria U n lungo weekend in cui la testa e il cuore hanno dialogato insieme appassionatamente. Così si può descrivere la terza tappa della «Carovana per la dignità e la sostenibilità del lavoro», iniziativa coordinata dalla Commissione globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). La carovana, partita dalla Sicilia, regione martoriata da tre poli petrolchimici inquinanti, e passata per Taranto, la città dell’Ilva, si è fermata dal 27 al 29 marzo in Campania, nella cosiddetta «Terra dei Fuochi», quel territorio dove per anni si sono concentrati sversamenti illegali di rifiuti urbani, tossici, industriali che hanno provocato un grave danno alla salute dei cittadini e al degrado del territorio. Venerdì pomeriggio, dietro uno striscione colorato, un piccolo corteo di credenti delle chiese evangeliche di Napoli è partito dalla chiesa battista di Arzano e ha percorso le strade cittadine per dire a gran voce il proprio «basta» allo scempio dell’ambiente e allo sfruttamento del lavoro. In prima fila le animatrici della carovana che attraverserà l’Italia durante il 2015: Antonella Visintin, coordinatrice della Glam, e Mariaelena Lacquaniti. ratore ha offerto ai presenti l’opportunità di stare ancora un po’ insieme. L’indomani l’iniziativa si è spostata al centro di Napoli, presso la chiesa valdese di via dei Cimbri, dove nel pomeriggio di sabato 28 marzo si è tenuto il convegno «Lavoro: non solo dati ma denunce, proposte, obbiettivi», moderato da Mariaelena Lacquaniti. Fulvio Frezza, vicepresidente del Consiglio comunale di Napoli, ha presentato una relazione sul lavoro con una particolare attenzione alla situazione della città di Napoli, penalizzata fortemente – come altri comuni italiani – dai tagli governativi. L’investimento sulla formazione e sulla ricerca, e la conservazione e la promozione del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico del territorio comunale e regionale possono essere il volano per la crescita e l’occupazione di tanti, soprattutto dei giovani che vanno all’estero impoverendo il potenziale del proprio paese. È seguito l’intervento di Antonella Visintin che ha ricordato con dati ed esempi circostanziati come lo sviluppo, da obiettivo universale di emancipazione dallo stato di bisogno, sia diventato un lusso e un privilegio di pochi. «Il lavoro oggi non ha dignità, – ha detto Visintin – crea marasma nelle reti sociali e familiari; è lavoro che facciamo senza più saperne il significato. Come cristiani, vogliamo affermare la necessità che lavoro è quello che sa dare la vita e sa restituire dignità alla persona». Dopo un imprevisto e piacevole intermezzo musicale del quartetto mandolinistico «Plectrum», sono state ascoltate le testimonianze di Teresa Musto e Novella Vitale, autrici del libro «Teresa e le altre. Storie di donne nella Terra dei Fuochi», a cura di Marco Armiero, (ed. Jaca Book). Le due testimoni, sollecitate da Annamaria Martuscelli, dell’ass. Cittadini campani per un piano alternativo dei rifiuti, hanno dato voce al vasto movimento per la giustizia ambientale campano, dove le donne svolgono un ruolo rilevante. Se le «storie sono asce di guerra da disseppellire» (Wu Ming), allora queste donne so- no diventate delle «guerriere» che hanno saputo offrire la propria narrazione come strumento di resistenza all’ingiustizia ambientale che non è solo imposta con i blindati e i manganelli, ma anche con una narrativa che sradica qualunque possibile alternativa. È stato infine ascoltato Vincenzo Vanacore, presidente della cooperativa sociale «L’uomo e il legno» che dal 1995 realizza a Scampia percorsi di reinserimento lavorativo per soggetti svantaggiati e a favore di bambini e adolescenti a rischio attraverso corsi di formazione in falegnameria, restauro, arte presepiale, ceramica. La domenica mattina l’esperienza della Carovana è stata condivisa con la comunità battista di Napoli-via Foria riunita per il culto. Tre giorni intensi in cui la fatica della riflessione su lavoro, ambiente, ingiustizia sociale si è stemperata nell’incontro e nella condivisione delle esperienze di uomini e donne provenienti da percorsi diversi che si sono ritrovati compagni e compagne di un cammino comune. Mentre venivano distribuiti volantini ai passanti, incuriositi da questo insolito corteo, per le vie hanno risuonato non solo gli slogan per la difesa dell’ambiente e per un lavoro che non fosse precario e irregolare, ma anche inni evangelici a voler dire che l’impegno per la salvaguardia del creato e la difesa della dignità umana è anche testimonianza della propria fede. Lungo il percorso, il corteo ha fatto alcune brevi soste durante le quali vi sono stati interventi da parte evangelica (il past. Giuseppe Verrillo, della chiesa libera di Volla; il past. avventista Davide Malaguarnera; l’avventista Felix Adado, mediatore culturale), e da parte di rappresentanti di alcune realtà associative (Legambiente e Comitato Terra dei Fuochi). Concluso l’itinerario, i partecipanti sono ritornati nel locale della chiesa battista di Arzano, dove un buffet risto- Napoli Attività di solidarietà ai migranti Altamura Dalla parte delle donne Marta D’Auria Anna Dongiovanni D a anni impegnata sul fronte dell’assistenza sanitaria ai migranti, la Fondazione evangelica Betania ha promosso lo scorso 20 marzo, presso il Centro sociale Casa Mia – E. Nitti a Ponticelli (Na), una giornata di lavoro tra diversi soggetti che sono impegnati in attività di solidarietà ai migranti: le chiese evangeliche napoletane; il Servizio rifugiati e migranti (Srm), la commissione «Essere chiesa insieme» e il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei); la Federazione lavoratori dell’agroindustria (Flai) della Cgil; Emergency. «Quest’incontro – ha affermato in apertura Luciano Cirica, vicepresidente della Fondazione Betania – nasce dalla necessità di organizzare come evangelici, in rete con le altre realtà associative operative sul territorio di Napoli e della Campania, un progetto di lavoro con i migranti che, mettendo a fattor comune le diverse esperienze e disponibilità, possa dar inizio a un’iniziativa la più condivisa e sinergica possibile». I lavori sono entrati nel vivo con interventi a più voci: Marta Bernardini ha presentato il progetto Mediterranean Hope della Fcei che consiste in un Osservatorio sulle migrazioni con sede a Lampedusa e un centro di accoglienza a Scicli «La casa delle culture» (Rg); Franca Di Lecce, direttore del Srm della Fcei, ripercorrendo il trentennale lavoro svolto dal Servizio per la tutela dei diritti dei migranti e rifugiati, ha posto l’accento sulla necessità di decostruire la narrazione della migrazione in chiave emergenziale, in quanto non rispondente alla realtà; Jean René Bilongo della Flai-Cgil ha descritto le condizioni delle migliaia di immigrati impiegati nell’agricoltura, vittime del capolarato e dello sfruttamento lavorativo ed esistenziale ai limiti della schiavitù; la past. Dorothea Mueller ha presentato il programma «Essere chiesa insieme», avviato nel 2000 per promuovere l’incontro e la fraternità multietnica all’interno dell’evangelismo italiano; infine Sergio Serraino ha raccontato l’esperienza di intervento sanitario e di mediazione culturale che dal gennaio 2013 Emergency svolge a Castel Volturno (Ce) non solo a favore dei migranti. Nel pomeriggio, dopo la proiezione del docufilm Dalla fuga all’attesa, di Carmen Té sull’esperienza degli immigrati a Cassibile, è stato dedicato del tempo allo scambio di considerazioni e proposte. In particolare è emersa l’idea di organizzare in rete un punto di ascolto a Castel Volturno rivolto soprattutto alle donne immigrate che in quell’area sono vittime della prostituzione. Prossimamente i presenti si incontreranno per continuare a lavorare sulle proposte emerse. S abato 7 marzo alla chiesa battista di Altamura (Ba), un gruppo numeroso di donne e alcuni uomini hanno partecipato a una conferenza sulla violenza contro le donne, organizzata dalla chiesa ospitante con la collaborazione dell’Associazione delle chiese battiste di Puglia e Basilicata (Aceb/Pb), del Dipartimento di evangelizzazione (De) dell’Ucebi, del Movimento femminile battista (Mfeb) e del Centro antiviolenza italiano (Cai) con sede a Matera. La conferenza è stata introdotta dalla presidente del Mfeb, Lucia Tubito, ed è stata moderata dalla presidente dell’Aceb/Pb, Maria Caputo. Relatrici: la pastora Gabriela Lio, segretaria del De; l’avv. Rosa Melodia, consigliera del Comune di Altamura; l’avv. Ivana Giudice, presidente del Cai, e la segretaria, Giovanna Casamassima. Rosa Melodia ha raccontato l’attività dello «sportello donna» attivato ad Altamura dove le donne, vittime di violenza, potevano contare sull’aiuto di psicologi e di medici. La consigliera ha evidenziato che la violenza è un problema sociale e culturale ed è fondamentale cominciare a cambiare la società attraverso l’educazione, evitando di educare in modo diverso i bambini dalle bambi- ne, insegnando loro che tutti e tutte sono degni di rispetto. Anche le due rappresentanti del Cai di Matera hanno ribadito che la sfida per il cambiamento sta nell’educazione e nell’abbattere i pregiudizi che soffocano e fanno morire quelle donne che potrebbero essere salvate, tutelandole e facendo valere il loro diritto al rispetto, a una vita senza violenza. La pastora Lio ha fatto un mea culpa da parte dei cristiani che nel tempo, a partire da una lettura patriarcale di alcuni testi biblici, hanno legittimato la subordinazione della donna. Ha riferito che nel suo paese d’origine, l’Argentina, ci sono molti casi di violenza sulle donne e, poiché i poliziotti non davano credito alle testimonianze delle donne, sono stati creati dei posti di polizia femminili, dove sono le donne che raccolgono le denunce di violenza. Ha infine ricordato che nelle chiese battiste gli uomini hanno cominciato a interrogarsi sul fenomeno della violenza maschile e stanno riflettendo e lavorando per arginare il problema. Non sarà facile ma è un inizio importante. A conclusione della serata c’è stato l’impegno dei presenti a far sapere che a Matera c’è un Centro che aiuta le donne che subiscono violenza, che divulga la teoria del rispetto e il coraggio di denunciare. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 10 • vita delle chiese Torino Per non perdere la dignità Luigi Pecora* G iovedì 26 marzo, nella sede di Compassion Italia a Torino, alla presenza di alcuni rappresentanti delle chiese valdesi, battiste, avventiste ed Esercito della Salvezza, si è svolto un incontro con Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della campagna «Miseria Ladra» (promossa da «Libera» e dal Gruppo Abele) che ha illustrato la battaglia sociale denominata «reddito di dignità», tesa a sollecitare il parlamento, attraverso una raccolta di firme on-line (www.campagnareddito.it) a rendere operative le proposte di legge pensate da Sel e M5S assieme alle istanze di una minoranza del Pd. I partiti promotori usano le espressioni di «reddito minimo garantito» e «reddito di cittadinanza», ma le associazioni che fanno capo a don Luigi Ciotti hanno preferito usare la formula di «reddito di dignità». La petizione, avviata il 13 marzo, durerà 100 giorni. Lungi dal cavalcare un’onda partitica specifica, l’associazione Libera non chiede altro che quei cittadini i quali hanno votato i propri rappresentanti in parlamento, al netto del colore politico, sollecitino i parlamentari che li rappresentano a emanare una misura di legge che estirpi alla radice la causa della povertà, assoluta e relativa, nel nostro Paese. Si ripete, ormai da tempo e come un mantra, che la grave crisi che ci attraversa, ben peggiore di quella del 1929, sia strutturale, sistemica ed etica. Essa è figlia delle diseguaglianze sociali e, non ultimo, di una politica di austerità che ha pregiudicato importanti e opportuni investimenti. A ciò si aggiungano i tagli dei trasferimenti e il famoso Patto di stabilità, che blocca la possibilità d’investimento degli enti locali e impatta negativamente in primo luogo sui Comuni. E chi ne fa le spese? La povera collettività, della quale fanno parte 10 milioni di nostri connazionali che ogni giorno lottano per salvarsi dalle inquietanti sabbie mobili che minacciano di relegarli nell’invisibilità sociale. E con loro sopravvivono altri 6 milioni di italiani, i quali si trovano a sperimentare la morìa esistenziale della povertà assoluta. L’Unione europea già nel lontano 1992 chiese alle nazioni che ne fossero ancora sprovviste di attuare sostegni al reddito per gli inoccupati; così avvenne per tutti i paesi, tranne che per Bulgaria, Grecia e Italia. Ma Giuseppe De Marzo, durante l’incontro, ci informava che anche la Grecia sta studiando in queste ultime settimane la realizzazione di una misura di supporto per i senza lavoro. I nuovi dati dell’osservatorio socio-economico fotografano una necrotica stagnazione dell’economia italiana, che si trova ai livelli più bassi raggiunti in questi anni di crisi. Impoverimento generale e «redistribuzione al contrario» sono le facce della stessa medaglia neoliberista; il tutto inserito in un contesto di povertà dilagante, pro- Da sinistra: Silvio Galvano e Rino Sciaraffa di Compassion, Luigi Pecora e Giuseppe De Marzo prio perché manca una vera democrazia di prossimità a beneficio delle vittime dell’esclusione sociale. È evidente che disoccupazione, miseria, sfiducia, crisi e stagnazione si alimentino a vicenda. Servono provvedimenti che permettano al ciclo di invertirsi, grazie all’aumento della liquidità familiare. Dalla ripresa dei consumi trarrebbero giovamento sia le imprese che i lavoratori in cerca di impiego. Occorrono misure immediate, proprio come il «reddito di dignità». Il nostro Paese possiede la maglia nera per la povertà minorile e per la dispersione scolastica. È davvero inquietante sapere che il 61% dei giovani ha dichiarato, in un recente sondaggio, che sarebbe disposto ad arruolarsi nella malavita e nelle mafie, pur di avere un reddito. Ed è per questo che la legalità fa il paio con la dignità: perché essa costituisce quelle ta- vole laiche di pietra, rappresentate dal costituzionalismo del Novecento. Per finanziare il «reddito di dignità» occorrono tra i 15 e i 23 miliardi di euro, le cui coperture sono già state individuate; tale sostegno è calcolato, sulla singola persona, nella misura del 60% dello stipendio medio italiano, ossia circa 780 euro al mese. All’interno di tale ammortizzatore, oltre agli indubbi vantaggi sull’economia, è stato studiato un percorso mirato di rioccupazione: il soggetto viene seguito ai fini di una collocazione lavorativa e pertanto gli verranno offerte tre opportunità di lavoro. Ma proprio perché non si tratta di un mero provvedimento assistenzialistico, se tutte e tre le occasioni verranno rifiutate dal soggetto, la persona perderà l’accompagnamento economico. * Libera – Gruppo Abele Catania Inaugurata la Biblioteca «Navarria – Crifò» Silvestro Consoli S abato 28 e domenica 29 marzo, nell’edificio dove si trova il tempio valdese di Catania, è stata inaugurata la biblioteca privata «Navarria – Crifò», dedicata a Salvatore Navarria (Catania 11/09/1912 – 22/10/1986) e Mario Crifò (Patti 20/02/1927 – Catania 13/02/2010). Il primo, professore di storia e filosofia al liceo «N. Spedalieri» di Catania, di famiglia valdese, fu un credente fervente e di ideali progressisti, presidente dell’Ymca dal dopoguerra agli anni ’70. Una personalità poliedrica i cui interessi spaziavano dalla teologia alla vulcanologia. Il se- condo, professore di educazione fisica, fu un lettore appassionato di letteratura e critica, scienze e filosofia: il suo universo fu la sua biblioteca, costruita nell’arco di tutta la vita. L’associazione culturale «S. Navarria» ha voluto realizzare (con il rilevante contributo finanziario dell’otto per mille della Chiesa valdese) questa biblioteca per offrire un servizio alla città e al quartiere, che si esplicherà in primo luogo con la consultazione e il prestito. I libri sono già circa 5000, e la catalogazione a opera di volontari è in corso. Sono stati infatti acquisiti gli strumenti necessari alla catalogazione e all’inserimento dell’archivio nella rete delle biblioteche nazionali. In tale fase sono stati provvidenziale l’aiuto e la consulenza gratuita della professoressa Simona Inserra, docente del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania. Un secondo servizio verso il territorio si esplicherà mediante lo svolgimento di attività culturali e sociali dell’associazione: qui gli spazi della biblioteca assolveranno a un indispensabile compito di supporto logistico. L’associazione «Prof. Salvatore Navarria», costituitasi nel 2012 e formata essenzialmente da membri delle chiese valdese e battista di Catania, ha già in agenda delle attività per l’anno corrente e una prospettiva di quelle che – in futuro – potranno essere strutturali e permanenti. I testi presenti vanno dalla teologia alla storia delle religioni, dalla storia alla filosofia, dalle scienze sociali alle enciclopedie, ecc. Di particolare pregio i volumi di fine Ottocento narranti la storia della Sicilia, i trattati teologici (anche antichi) con particolare riferimento al Nuovo Testamento e una nutrita sezione riguardante la teologia protestante. Il capitale librario proviene da recenti donazioni e da libri già in possesso della chiesa valdese di Catania, eredità della ex biblioteca «Salvatore La Rosa», donati dai figli e dai nipoti dei professori Navarria e Crifò. Inoltre l’associazione ha ripristinato e attrezzato un palcoscenico teatrale preesistente, che risulterà contiguo, senza divisioni, allo spazio del settore librario. Si ha nel complesso un piccolo ma grazioso teatro con 50 posti a sedere, disponibile per attività di animazione e culturali: la biblioteca si presenta così come ambiente polivalente adatto a molte attività. All’inaugurazione, divisa per motivi logistici in due giornate consecutive, sono stati presenti Roberto e Antonio Navarria e Chiara Crifò, rispettivamente figli e nipote dei professori cui è dedicata la biblioteca, ai quali hanno rivolto interventi pieni di commozione, gratitudine e ammirazione. L’inaugurazione ha raccolto coloro che sono stati più vicini all’Associazione, con la presentazione della biblioteca e qualche ora di piacevole intrattenimento: una mostra fotografica realizzata da Linda Barnobi; uno spettacolo presentato da Ernesto Barnobi (deus ex machina di tutto); Rossana Quattrocchi ha letto brani personali e del giovane ed eclettico Alfredo Polizzano (librettista lirico e non solo). L’architetto Alvise Spadaro ha presentato una sua recente fatica letteraria, Le travestite. Donne nella storia. La «Isa’s band» (Isabella Navarria; Francesco Laurino; Giovanni Arena; Vincenzo Marano; Francesco Olivo) ha eseguito brani del classico repertorio jazzistico americano. Premio Acat Italia: «Una laurea per fermare tortura e pena di morte» L’ Acat Italia, associazione cristiana ecumenica che opera dal 1983 «contro la tortura e i trattamenti crudeli, inumani o degradanti, compresa la pena di morte», ha presentato il bando di concorso per il premio di laurea sul tema della tortura e della pena di morte, un progetto finanziato con i fondi 8 per mille della Chiesa valdese iniziato nel 2009. Il premio di laurea, valido per gli anni accademici 2013/2014 e 2014/ 2015, e dell’ammontare di 3.500 euro per ciascun anno accademico, sarà conferito alla migliore tesi su uno dei due temi proposti: 1) L’abolizione della pena di morte: motivazioni, strategie, azioni, impegno, impatto; 2) La tortura e i trattamenti crudeli, inumani o degradanti contro le persone nel mondo contemporaneo: cause, implicazioni, strategie e strumenti per la loro prevenzione e abolizione e per la riabilitazione delle vittime. I partecipanti al bando avranno a disposizione per le loro ricerche le bi- blioteche degli Enti sostenitori: la Federazione internazionale delle Acat a Parigi, l’associazione umanitaria Medici contro la tortura, la Facoltà valdese di Teologia (Roma), le Università Libera Università Maria ss. Assunta (Lumsa) di Roma, Palermo, Taranto, Gubbio, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Roma). Il bando si rivolge agli studenti dei corsi di laurea triennali, magistrali e specialistici di tutte le università italiane presenti sul territorio nazionale, statali e non statali, che rilascino titoli di laurea aventi valore legale, e di università pontificie che rilascino lauree riconosciute in Italia. Il premio viene attribuito a giudizio insindacabile di una commissione esaminatrice nominata da Acat Italia, e la premiazione avverrà nel corso di una cerimonia pubblica. La tesi di laurea e la documentazione devono essere inviate rispettivamente entro il 30 giugno 2015 e il 30 giugno 2016. Per il testo del bando ed eventuali variazioni consultare il sito www.acatitalia.it. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 11 • l’Eco delle Valli Valdesi Verso il 25 aprile. Sono 70 gli anni gli anni trascorsi dal 25 aprile 1945, giorno ufficialmente riconosciuto come data simbolo dalla liberazione dal giogo nazifascista. Numerosi gli appuntamenti previsti. A Pinerolo venerdì 24 alle 21 fiaccolata con partenza da piazza Facta a cura dell’Anpi. Sabato 25 alle 10,45 corteo dal Municipio con deposizione delle corone alla lapide «Ferruccio Parri» con i messaggi del sindaco e di altre autorità. Presente la banda Ana di Pinerolo. Anche due appuntamenti sportivi per l’occasione: sabato 25, 37° trofeo della Resistenza alla piscina di Pinerolo a partire dalle 9 e domenica 26 partenza alle 10 da «Bikecafe» del 39° Gran Premio della Liberazione. Organizza Gsr alpina. Sempre nell’ambito del 25 aprile a Pomaretto presentazione del libro di Lorenzo Tibaldo La rosa bianca – Giovani contro Hitler. La serata si terrà alla sala incontri «Teofilo G. Pons» della Scuola Latina e vedrà la partecipazione di Davide Rosso e dell’autore. Programma ricco a Luserna San Giovanni dove si concentrano i festeggiamenti organizzati dal Comitato val Pellice per la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana. Si inizia già sabato 18 aprile alle 18 nella saletta d’arte con la presentazione delle tesi di laurea di Debora Michelin Salomon (Le donne staffette partigiane) e di Rosaria Popolo (il Pioniere). Intervengono Maria Airaudo, presidentessa onoraria Anpi di Luserna San Giovanni, e Giulio Giordano, presidente Anpi di Torre Pellice. Domenica 19 in piazza Partigiani concerto della filarmonica San Bernardino alle 10,30. A seguire formazione del corteo e deposizione delle corone ai monumenti dei caduti e alle 11,30 interventi di Duilio Canale, sindaco di Luserna San Giovanni, di Lorenzo Tibaldo, presidente del Comitato, e orazione ufficiale di Elvio Fassone. Pranzo alle 12,30 al Bersaglio (prenotazioni al 333.1919289 – 335.6740769). Domenica 26 invece si cammina sulle tracce della guerra partigiana, a cura dell’Anpi di Luserna, dell’Atletica Val Pellice, dell’associazione «Le ciaspole» e della Giovane Montagna di Pinerolo. Il ritrovo è previsto per le 8,30 a Luserna San Giovanni in piazza Savines-le-Lac: la passeggiata, intervallata dal pranzo al sacco, toccherà i luoghi simbolo della Resistenza fra Luserna e Bricherasio. Per informazioni telefonare a 333.3571108 o 335.5793304. A Torre Pellice pranzo partigiano alla Foresteria valdese previsto per sabato 25: prenotazioni al 333.8147757 oppure 0121.932491. PINEROLO Quadri nella corsia. Giovedì 9 aprile gli studenti del Liceo artistico di Pinerolo, accompagnati dal preside e dagli insegnanti hanno donato 16 bellissime tele al reparto chirurgico di «Daily & Weekly Surgery» situato nell’ala nuova dell’Ospedale «Agnelli» di Pinerolo consentendo così di arredare con un tocco di arte, di umanità e di rispetto nei confronti delle persone assistite. Già il 13 febbraio 2013 gli studenti del Liceo, sempre in condivisione con il preside e gli insegnanti, avevano fatto un primo dono importante all’Ostetricia-Ginecologia dell’Ospedale: in quel caso le numerose opere artistiche collocate alle pareti rappresentavano una rielaborazione artistica del valore della nascita, del delicato momento della gravidanza, dei primi giorni di vita, anche nel segno e nel rispetto della multiculturalità. CONTRAPPUNTO Offrire il pane o insegnare a farlo? Si volerà con la fibra ottica? Incontro dei Concistori valdesi: come affrontare le nuove povertà Piervaldo Rostan Samuele Revel «N on offriamo il pesce, insegnamo a pescare». È questa l’idea che il primo Distretto delle chiese valdesi vuole portare avanti: quella di essere sì una chiesa caritatevole ma anche di andare oltre e offrire nuovi spunti per aiutare le persone in difficoltà. Se ne è parlato nella ormai consueta riunione di tutti i Concistori che si è tenuta sabato pomeriggio scorso a Pinerolo, nel tempio. Una partecipazione di anziani e pastori non altissima, dovuta, probabilmente, all’ora e al giorno in cui è stato fissato l’incontro. Al di là di questo si è discusso molto di questo progetto e sono anche scaturite delle riflessioni importanti. Successivamente è stato anche analizzato il mensile «L’Eco delle Valli Valdesi free press» che ogni mese ricevete assieme alla versione settimanale, e ci sono stati commenti positivi. Il tema principale però era quello delle nuove povertà, su cui una commissione ha lavorato su mandato della Conferenza distrettuale. All’incontro il portavoce Davide Rosso ha evidenziato «come sia tragica la situazione sul nostro territorio quando parliamo di nuove povertà. Al centro di ascolto di Pinerolo vengono seguite circa 450 persone che hanno le più svariate rischieste (dai pacchi alimentari, all’aiuto economico ecc.) e allo stesso modo anche in altri Comuni c’è molto lavoro per i centri di ascolto o strutture simili. Vista la situazione abbiamo pensato che si debba fare di più, un ulteriore passo». E il passo va nella direzione del lavoro, che sta alla base di quasi tutte le richieste: le persone sono in difficoltà perché non hanno le risorse economiche che di solito il lavoro offre. «Vogliamo formare delle persone e non solo offrire loro un lavoro che può durare poco e non essere spendibile in futuro come curriculum. Sappiamo che il nostro operato sarà una noce in un mare ma sappiamo anche che è importante iniziare da qualche parte». Il progetto dovrebbe funzionare come un laboratorio dove le persone bisognose trovano chi è disposto a insegnare loro i rudimenti di un mestiere (dal posatore di lose per tetti, al cestaio, al piccolo artigiano ecc). Il progetto è piaciuto ai Concistori che però hanno espresso legittimi dubbi sull’aspetto logistico dell’intervento: dove verrà effettuato, a chi sarà rivolto, che tipi di lavoro potranno essere insegnati. Su una cosa ci si è trovati d’accordo, come ha detto Paolo Corsani del Concistoro di Pomaretto: «Non dobbiamo più solo offrire pesce ma anche insegnare a pescare». Ora la Commissione ha raccolto molte indicazioni su come proseguire il lavoro, che è parso condiviso da tutti seppur con molte indicazioni. La Commissione esecutiva distrettuale ha un fondo che può essere utilizzato per questo progetto, che, come già ricordato, sarà soltanto un piccolo passo in un momento di difficoltà per molti e molte. «Siamo consapevoli – termina Rosso – che un mestiere non si impara in due settimane (o comunque in uno spazio di tempo limitato quale può essere quello di un corso) ma l’obiettivo è di suscitare interesse e dare le nozioni di base che poi potrebbero essere approfondite dai singoli». Teatro delle ombre: «Giosué Gianavello» in scena Sabato 18 aprile, alle 16, all’Asilo dei vecchi di San Germano Chisone, la Diaconia valdese – Coordinamento opere valli e l’Asilo dei vecchi di San Germano Chisone presentano il teatro delle ombre, dal titolo «Giosué Gianavello – Il Leone di Rorà (1617-1690)». Lo spettacolo, inserito all’interno del progetto «Xsone 2.0» e dedicato a grandi e piccini, racconta la storia di Gianavello, condottiero valdese che deve la sua fama all’azione di resistenza e difesa delle valli valdesi. Protagonista delle Pasque Piemontesi del 1655 (il governo del Ducato di Savoia lanciò un’operazione militare contro le popolazioni valdesi, volta ad eliminare la presenza protestante nelle valli), preparò le istruzioni per il glorioso rimpatrio dei valdesi nel 1689. Telecom Italia ha avviato a Pinerolo i lavori per la realizzazione della rete in fibra ottica che renderà disponibili servizi innovativi a cittadini e imprese. Il programma di copertura prevede di raggiungere entro l’anno oltre 10.000 unità immobiliari, grazie alla posa di 21 chilometri di cavi in fibra ottica che permetteranno di collegare oltre 50 armadi stradali alle rispettive centrali. L’iniziativa si inserisce in un piano di sviluppo nazionale di Telecom Italia che prevede di raggiungere il 75% della popolazione entro il 2017. L’investimento programmato da Telecom Italia per lo sviluppo innovativo della banda ultra larga sulla rete di accesso è pari quasi a 3 miliardi di euro nel triennio 2015-2017. Per la posa dei cavi in fibra ottica verranno sfruttate le infrastrutture esistenti di proprietà sia di Telecom Italia sia pubbliche, come ad esempio quella per l’illuminazione della città; si cercherà di limitare al massimo gli scavi e quindi il deterioramento della pavimentazione e, conseguentemente, i ripristini stradali. I lavori sono già iniziati in diverse zone della città e nel corso dell’anno famiglie e imprese di Pinerolo potranno cominciare a usufruire di connessioni con velocità fino a 30 Megabit al secondo che migliorano nettamente l’esperienza della navigazione in rete e abilitano nuovi servizi. Della fibra se ne avvantaggeranno tutti, chi lavora da casa e chi dall’ufficio, chi vorrà vedere video in alta definizione, o semplicemente attivare videosorveglianze o telerilevamenti ambientali. Per quanto riguarda la telefonia mobile a Pinerolo Tim ha realizzato sull’intero territorio comunale la nuova rete 4G raggiungendo una copertura prossima al 100% della popolazione grazie all’adeguamento di 3 stazioni radio base. La rete mobile di nuova generazione Tim offre una velocità significativamente superiore a quella delle reti di precedente generazione, consentendo in questo modo ai cittadini prestazioni e livelli di servizio che velocizzeranno tutto. E alla fine la città avrà anche molte strade rimesse a nuovo... Ma le valli? Continueremo a vedere la tv a singhiozzo, con il digitale che non funziona, con velocità «bradipesche» per quanto riguarda un banale collegamento Internet, con la necessità di attivare segnali Internet via radio che spariscono semplicemente dietro una piccola cresta montana o dietro le fronde di un castagno? Serata al Cai Uget: nel ’57 a Pian Sineive Venerdì 17 aprile alle ore 21 la quarta e ultima delle consuete serate in sede al Cai Uget Val Pellice in piazza Gianavello 30 a Torre Pellice sarà dedicata all’aereo dell’esercito statunitense caduto a Pian Sineive in alta val Pellice sopra la conca del Pra nell’estate 1957. Attraverso letture, immagini e video si ripercorrerà la dinamica dell’incidente, si conoscerà il tipo di aereo coinvolto fino ad arrivare alla ristrutturazione del monumento che ricorda l’evento. La serata è stata resa possibile grazie all’interessamento di Giorgio Cignolo del Cai Uget Torino e Arturo Rigotti del Cai Uget Val Pellice, che saranno presenti. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 12 • l’Eco delle Valli Valdesi APPUNTAMENTI 15 aprile, mercoledì POMARETTO: Alle 20,45, alla Scuola Latina ultima proiezione del Cineforum 2014-2015 con il film «Saving Mr. Banks» (2013) di John Lee Hancock. 17 aprile, venerdì PINEROLO: Alle 17,30 al circolo sociale, presentazione dell’ultimo libro di Giorgio Merlo, «Renzi e la classe dirigente»; intervengono, con l’autore, Guido Bodrato, Gianni Cuperlo, Davide Gariglio. PINEROLO: Per i «Venerdì del Corelli» concerto del Duo Claudio Mansutti e Federica Repini, alle 21, presso la «Sala Concerti Italo Tajo» della chiesa San Giuseppe, via Sommeiller, 5. 18 aprile, sabato PINEROLO: Dalle 9 alle 18, in piazza Facta, la Croce Rossa italiana invita tutti al bazar di solidarietà «Cose di ieri... e di oggi»; le offerte raccolte andranno al sostegno di famiglie in difficoltà. 19 aprile, domenica PINEROLO: Il Cesmap organizza per le 15 al salone dei Cavalieri un pomeriggio dedicato a laboratori ed esperienze sul gioco e i giocattoli attraverso la storia; è richiesto un contributo di 7 euro. Info e prenotazioni allo 0121.794382. 8 marzo «Non ho l’età» Si conclude con buon successo di pubblico il ciclo di appuntamenti realizzati in occasione della giornata internazionale della donna. L’ultimo incontro «Non ho l’età», organizzato in collaborazione con il Coordinamento Donne Spi/Cgil e Auser Insieme Pinerolo, si terrà venerdì 17 aprile alle 18, al Centro sociale s. Lazzaro – via dei Rochis 3, Pinerolo. In quest’occasione verrà presentato il progetto per i «Non mi arrendo», che si pone come obiettivo quello di garantire un maggior coinvolgimento ludico sportivo dei cittadini di terza età. Il tema dell’incontro, «Come riuscire ad invecchiare bene», sarà moderato dalle dr.sse Graziella Rossi e Federica Rosi, rispettivamente geriatra e fisioterapista. Insieme, illustreranno un programma completo di laboratori, ideati sia per donne sia per uomini, che si svolgeranno da aprile a maggio 2015. «Non ho l’età» è un appuntamento che si colloca ancora nel contesto delle attività di «8 marzo e dintorni» e che, da un lato, sottolinea l’importanza e l’utilità della prevenzione e dell’attività fisica, dall’altro offre una possibilità alla cittadinanza di stringere nuovi rapporti e l’occasione di nuovi confronti. Parco del Po Torre e Bobbio non ci stanno Piervaldo Rostan L’ atteggiamento di forte contrapposizione e di netta chiusura alla nuova proposta da parte delle amministrazioni dei Comuni di Bobbio Pellice e Villar Pellice, oltre che di una parte della comunità locale, con la prevalenza (a torto o a ragione) del timore di vincoli, difficoltà burocratiche e controlli, ha caratterizzato il dibattito sull’ipotesi di ampliamento del parco del Po all’alta val Pellice. Se ne è parlato anche durante l’ultima assemblea del Cai Uget Valpellice svoltasi a fine marzo, che alla fine ha approvato un documento. «Si sono chiusi gli spazi per un confronto positivo con la Regione Piemonte, in vista di una possibile ridefinizione del perimetro dell’area protetta e del diritto di rappresentanza negli organismi di gestione. Il nuovo Parco del Monviso verrà comunque costituito, senza l’inserimento in esso di parte del Comune di Bobbio Pellice. Nonostante la precedente opposizione di alcune amministrazioni locali, le Unioni dei Comuni di val Varaita e val Po, dopo un confronto serrato con la Regione e la ridefinizione dei confini dell’area protetta, hanno deciso di aderire alla proposta di costituzione del nuovo parco, valutando che non era possibile perdere una così grande occasione di sviluppo, promozione e tutela del loro territorio. Verrà quindi costituita una vasta area protetta, fortemente caratterizzata sul piano dell’immagine pubblica, capace di attirare attività, proposte e risorse sul suo territorio. La val Pellice rischia, in questo scenario, di rimanere area periferica e marginale, privata della opportunità di godere dei vantaggi promozionali e d’immagine e delle facili- Alcolismo Iniziative al Sert per sensibilizzare al problema el mese di aprile, dedicato a livello internazionale alla prevenzione delle problematiche alcolcorrelate, l’Asl To3, attraverso la struttura Sert di Pinerolo, organizza una serie di iniziative rivolte alla popolazione, finalizzate alla sensibilizzazione e alla diffusone di informazioni corrette sul tema. Le attività si svolgono con il sostegno della Città di Pinerolo e con la preziosa partecipazione di numerose associazioni tra cui Acat, Aza, Fat, Aliseo, Avass, Scuola Latina di Pomaretto. Mercoledì 15 aprile nell’ambito del Cineforum di Pomaretto alle 20,45 sarà possibile N assistere alla proiezione del film «Saving Mr. Banks», una delicata commedia interpretata da Emma Thompson e Tom Hanks, che con ironia affronta il tema delle difficoltà che devono affrontare, nel corso della loro vita, i figli cresciuti da genitori con problemi alcolcorrelati. Venerdì 17 aprile alle 20,30 presso la sala convegni Asl di Pinerolo è in programma una serata pubblica organizzata in collaborazione con l’associazione Anapaca, dal titolo «Alimentare la salute: benessere, stili di vita e consumi alcolici». Il programma 2015 prevede anche un’ini- tazioni per l’accesso a finanziamenti e fondi comunitari riservati alle aree protette». Di fronte a questa situazione, la sezione Cai Uget Val Pellice, pur capendo le motivazioni di opposizione delle amministrazioni, del mondo agricolo e dei cacciatori, in linea con le posizioni prese in materia dai suoi organismi regionali, auspica «che la Regione Piemonte e le amministrazioni comunali di tutta la val Pellice riaprano in tempi brevi il confronto (aperto ai rappresentanti di categoria e delle associazioni di tutela ambientale) sulla possibile integrazione di parte del territorio della valle nel costituendo Parco del Monviso, in modo da poter cogliere, insieme alle valli vicine, tutte le opportunità che la nuova area protetta potrà, nel prossimo futuro, riservare al territorio». E nel frattempo, le amministrazioni di Bobbio e Villar Pellice hanno avviato una riflessione tendente a chiedere alla Regione Piemonte di gestire direttamente i Siti di interesse comunitario della zona riconosciuti dall’Unione europea, quelli della Miricaria germanica, un arbusto che cresce lungo il Pellice fra Villar, Bobbio e Torre Pellice e della grande area del Pra-Barant, noto per la Salamandra lanzai ma anche per il giardino botanico, per le sue radure pascolive e per il grande patrimonio faunistico che offrono alla valle un grande valore turistico. ziativa rivolta soprattutto ai giovani mercoledì 22 aprile alle 16,30 al circolo Arci di Pinerolo, «Non berti la patente»: un momento informale di incontro e informazione con la presenza di operatori Asl e di rappresentanti delle associazioni, per affrontare in particolare, ma non soltanto, le problematiche legate ad alcol e guida e alcol e lavoro. Sabato 18 aprile dalle 14 alle 19 in piazza Facta a Pinerolo, Giornata di sensibilizzazione con la presenza di operatori degli enti pubblici e di rappresentanti delle associazioni, con cocktail analcolici offerti dagli allievi del Cfiq (Consorzio per la formazione, l’innovazione e la qualità). Come ogni anno, domenica 7 giugno 50 anni fa Serrata per immigrati italiani Marco Rostan C hiudere le frontiere agli immigrati e fare di loro il capro espiatorio di tutti gli aspetti negativi presenti per la popolazione del paese verso cui è diretta l’immigrazione. Non siamo a Lampedusa, ma sull’Eco delle Valli del 1965, con questo titolo: «La serrata elvetica contro l’immigrazione». La civilissima e in buona parte protestante Svizzera, con un referendum sui problemi della congiuntura economica, aveva approvato una serie di misure: limitazioni degli stagionali, stretto controllo alle frontiere di Chiasso e Briga, sorveglianza sui passaggi da un lavoro all’altro, gruppi rim- patriati dentro un cellulare. Questi immigrati in Svizzera erano italiani, come Matteo Salvini, anche lui propugnatore di serrate per difendere i lavoratori italiani… All’epoca gli immigrati italiani in Svizzera erano 700.000. Il Consiglio delle chiese evangeliche del Cantone di San Gallo affermava che «invece di imprecare contro lo straniero e farne un capro espiatorio, potremmo come svizzeri e protestanti fare cose più importanti». Il compito dei protestanti in Italia, e più precisamente dei valdesi nel Pinerolese, dove essi non sono semplicemente una diaspora minoritaria, ma costituiscono una quota significativa della popolazione, viene affrontato da Giorgio Tourn in una serie di tre articoli, che prendono spunto da due libri sulla storia del Pinerolese, di Arnaldo Pittavino e Vittorio Morero, che ovviamente parlano dei valdesi, il primo in modo documentario accanto ad altre caratteristiche del territorio, il secondo più approfonditamente, a esempio sull’atteggiamento valdese e cattolico durante la Resistenza. Il «ghetto» entro cui erano stati chiusi i valdesi è crollato nel 1848, ma per Tourn la vera storia moderna inizia per le Valli nel 1945. Va bene riflettere sul passato e sull’intreccio fra storia e testimonianza, ma «ci si Centro Culturale «Famiglie oggi» Prende avvio martedì 21 aprile il ciclo seminariale di film promosso dal Centro culturale valdese di Torre Pellice «Famiglie oggi; riscrivere la grammatica delle relazioni»; si tratta di sei serate coordinate da Daniela Di Carlo. Alla visione del film seguirà una discussione sulle tematiche sollevate. La prima sera, ore 21, proporrà «In un mondo migliore» di Susanne Bier (2010). «Casco» La raccolta ha superato i 20.000 euro Fra serate di danze, concerti, cene di autofinanziamento, il cursore che monitora la raccolta di fondi per il «Casco», Cantiere scuola Osasco, ha scavalcato i 20.000 euro superando così il 35% della somma necessaria per realizzare il progetto di ampliamento della scuola agraria. Nella foto la «Corsa col Casco» a Osasco-Garzigliana-Bricherasio tenutasi sabato 11 aprile conclude il ciclo di iniziative la festa di primavera dell’associazione Aliseo, presso la Cascina Nuova di Roletto. (pvr) rivolge ai padri come a uomini vivi, quando si è uomini vivi che camminano verso l’avvenire». Essere vivi significa avere ideali, concezioni del mondo, della libertà e della giustizia. Significa politica e dunque contrasti nella chiesa. Sono gli anni della guerra nel Vietnam, il contrasto politico sul nostro giornale è forte. Il direttore Gino Conte, pur dando spazio alle diverse posizioni, è decisamente solidale con il popolo vietnamita e denuncia l’aggressione «cristiana» da parte degli Stati Uniti (le bombe benedette prima del decollo dei B52). Per altro Conte denuncia con forza la dittatura comunista. Ma le lettere al direttore denunciano il «sinistrismo dilagante sulla stampa evangelica». Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 13 • l’Eco delle Valli Valdesi NELLE CHIESE VALDESI LUSERNA SAN GIOVANNI: Sabato 18 aprile alle 20,30 il tempio ospiterà un concerto a favore della casa Miramonti di Villar Pellice. Partecipano: il Coro del liceo valdese, l’Evangelische Firstwald-Gymnasium di Mössingen (Germania) e «Les Accordéons» di Villar Pellice. PINEROLO: Giovedì 16, alle 21 nei locali del tempio, proseguono gli incontri biblici col pastore Gianni Genre. Sabato 18 aprile, alle 9,30 nei locali del tempio, seminario sulla Riforma con Sergio Rostagno e Luciano Deodato. Alle 20,45 il gruppo teatro valdese presenta «Un filo tenace» in collaborazione con l’Anpi. Domenica 19 aprile alle 10 al tempio di Pinerolo culto a cura di ragazzi/e del III anno di catechismo, con pranzo e giornata comunitaria. POMARETTO: Assemblea di chiesa domenica 19 aprile alle ore 14,30 all’Eicolo Grando, per confrontarci con i risultati del questionario valutati durante la visita della commissione esecutiva distrettuale a gennaio. Sabato 18 aprile alle ore 20,30, il Gruppo Teatro Angrogna presenta, al teatro valdese, lo spettacolo «Vich nella prima guerra mondiale». La Filodrammatica di Pomaretto presenta nel tempio, il 25 aprile alle 21, l’azione scenica: «Per non dimenticare». Mercoledì 22, alle 20,30, riunione a Pomaretto. PRALI: Martedì 21, alle 20, riunione a Orgere e mercoledì 22, alle 20, riunione a Villa. SAN GERMANO: Sabato 18 aprile alle 20,30 nel tempio valdese: «Una fede che canta» concerto del «Brass Ensemble» e della Corale valdese di San Germano Chisone. SAN SECONDO: Sabato 18 aprile alle 20,45 il gruppo teatro della chiesa valdese di Luserna San Giovanni presenta nella sala «George Dandin, ovvero il marito beffato», di Molière. Domenica 19 aprile alle 10, culto celebrato dal Concistoro. TORRE PELLICE: Domenica 19 aprile, alle 16 nel tempio, concerto di primavera con «Cantici dell’evangelismo internazionale», ottoni, voci, piano. Venerdì 17, alle 18, riunione quartierale alla Ravadera. Martedì 21, alle 18, riunione ai Simound e alle 20,30 ai Bouissa. La commissione evangelizzazione organizza un incontro alle 16,30 rivolto a tutti coloro che sono disponibili a collaborare per il «Tempio aperto». VILLAR PELLICE: Domenica 19 aprile, alle 10, culto del Signore in lingua francese al tempio a cura del pastore emerito Bruno Bellion. Martedì 21 aprile, ore 20,30, riunione quartierale alla scuoletta della Piantà. Tema: «I fondamentalismi». VILLASECCA: Domenica 19 aprile, nella chiesa di Chiotti, si svolgerà la festa di canto delle scuole domenicali del II e III circuito. Inizio con il culto, pranzo al sacco e laboratori fino alle 16. Radio Beckwith Evangelica FM 87.80, 96.55 e 88.00 www.rbe.it PineroloSerata sulla violenza di genere Libri Evangelizzare in coppia Alberto Corsani P iù di 500 persone hanno partecipato a Mi fido di te, la serata sulla violenza di genere organizzata dal progetto «xsone» della Diaconia valdese sabato 11 aprile al Teatro Sociale di Pinerolo, nel corso della quale sono stati presentati dieci cortometraggi realizzati da alcune classi degli istituti superiori del Pinerolese. Marco Armand-Hugon, a nome della Csd – Diaconia valdese, ha definito ragazzi e ragazze delle scuole come «ambasciatori» di una nuova sensibilità nei confronti della tematica, e in effetti occorre proprio partire da chi è più giovane per cercare di sovvertire una cultura, antica e tremenda, una miscela di prepotenza, orgoglio, ignoranza di se stessi da parte degli uomini, giovani e meno giovani. Rappresentanti di enti e associazioni presenti sul territorio hanno illustrato la loro azione culturale («Uomini in cammino») o di aiuto alle donne vittime di violenza. La responsabile del progetto, Paola Paschetto, la counselor Alessandra Mattiola, e Anna Giampiccoli, regista dei cortometraggi, hanno illustrato il lavoro svolto con ragazzi e ragazze delle scuole, dai momenti curricolari a quelli extracurricolari: questionari e confronti tra studenti e non solo. Agli studenti sono poi stati sottoposti anche video e spot sulla violenza di genere, e da lì sono partite le scelte linguistiche su quale forma di cortometraggio realizzare. Il video, ha sottolineato Anna Giampiccoli, si presta bene a un lavoro di questo tipo per la sua capacità di esprimere una sintesi, una valutazione, una presa di posizione. Diversi, dunque, gli stili adottati nei film, fra i quali anche quello del Liceo valdese di Torre Pellice; alcuni denotano fra l’altro una non banale «amicizia» di ragazzi e ragazze con i locali della loro scuola, una bella manifestazione d’affetto in un’epoca in cui sembra lecito anche oltraggiare i locali di comune utilizzo, a partire dagli adulti. Su tutti indicherei Guardati, dell’Ist. «A. Prever» di Osasco, il cui protagonista, udendo voci e rumori di una violenta lite, estrae dallo zaino un oggetto che noi non vediamo e, suonato il campanello della casa da cui provengono i drammatici suoni, lo depone di fronte alla soglia. Il maschio di casa va ad aprire quando il ragazzo è già andato via, e trova in terra uno specchio: ognuno (maschio adulto o giovane) si guardi e (si) rifletta. Un’ultima avvertenza: prossimamente la visione dei cortometraggi sarà possibile sul sito del progetto: www.xsone.org. Cai Uget Ricordo di Luca Prochet Il Cai Uget val Pellice ricorda con riconoscenza la guida alpina Luca Prochet per la collaborazione con la sezione all’inizio degli anni Ottanta nell’organizzazione dei primi corsi di alpinismo e sci alpinismo. Non esisteva ancora la Scuola Intersezionale «Valli Pinerolesi» e ogni sezione faceva per sé. È nata così un’esperienza positiva che si è più o meno mantenuta nel tempo e caratterizza ancora oggi il Cai Uget val Pellice: la collaborazione con le guide alpine. Inoltre non possiamo dimenticare la sua lunga e proficua attività di volontario nella stazione di Soccorso Alpino di Torre Pellice, che, accanto ai suoi impegni ad ogni livello, lo ha sempre visto presente, partecipe e attivo in esercitazioni e interventi. Pertanto non solo il direttivo del Cai Uget val Pellice, ma tutti i soci che hanno potuto apprezzare le doti di professionalità e umanità di Luca si stringono attorno a Christine, nostra socia, Simone e Alice, in un forte abbraccio di affetto e solidarietà. Il Consiglio direttivo del Cai Uget val Pellice Renato Coïsson, Alessandro Teofilo Mathieu e Luigia Vinay Mathieu, 17 anni al servizio del Comitato di Evangelizzazione. I libri di storia, anche della storia della chiesa, sono sempre appassionanti, specie se scritti con passione in modo da far rivivere le persone e le situazioni. Ancor più affascinanti sono però le biografie, i diari, le memorie, cioè gli scritti che in modi diversi introducono il lettore in un mondo a lui sconosciuto o poco conosciuto, e lo fanno non come un professore che illustra e documenta, ma come un amico che ti accompagna. In questo volume Renato Coïsson ha fatto ricorso a una via intermedia fra la narrazione storica e la memorialistica, ha infatti narrato a grandi linee l’attività di questi suoi nonni, utilizzando però in modo molto abbondante e appropriato le scritture che li riguardano, nella maggioranza dei casi le loro lettere. Il lettore che entra in questa storia accompagna una coppia che presta servizio in alcune sedi o «stazioni» del Comitato di Evangelizzazione dal 1888 al 1910. Ufficialmente, cioè dal punto di vista dell’Istituzione, il personaggio è lui, maestro nella scuola che l’opera della Chiesa valdese mantiene in quella località. In realtà quando non è presente, è la moglie che supplisce, oltre a gestire una famiglia di sette figli. Il maestro Mathieu infatti non insegna solo a scolaresche di tutti i tipi, ma è evangelista, non solo nella località dove risiede, ma dove lo conducono le imprevedibili chiamate del Signore. Da Coazze a Tenda, da Schiavi d’Abruzzo a Falerna, da Guastalla a Pietra Marazzi per finire a Torre Pellice: sono 23 anni di peregrinazioni nell’Italia umbertina, a scontrarsi con religiosi fanatici e ottusi, finire in carcere perché i carabinieri anziché tutelare i tuoi diritti obbediscono al prete, alloggiare in case fatiscenti e svegliarsi un notte sotto le macerie del tetto caduto in camera da letto. E i problemi finanziari connessi con la numerosa famiglia, gli studi dei figli, la ricerca di una pensione economica e sicura. I membri delle comunità sono spesso di prima generazione, in alcuni casi fermamente convinti, spesso con idee molto confuse, più che chiaramente evangelica la loro posizione è spesso ispirata a un anticlericalismo generico e spesso la presenza valdese (ma questo vale per tutte le chiese evangeliche) è interessante perché offre una scuola e questo garantisce un passo innanzi nella promozione sociale. Il caso del maestro Mathieu è uno fra i tanti, leggere le sue vicende è come leggere quei diari di guerra in cui un soldato narra quanto accade attorno a lui, che ti introducono nella realtà della truppa molto meglio di molti libri di storia. E qui siamo in presenza, è il caso di dirlo, della fanteria del Regno, quella che ha tenuto le posizioni. Da pagine di questa natura si comprende quanto impegno, dedizione, fatica, dispendio di energie abbia rappresentato la nascita della presenza evangelica nel nostro paese, e considerando la realtà odierna viene da chiedersi chi di noi, in situazioni di questo tipo, resisterebbe oggi così a lungo. SERVIZI San Secondo Il culto del Giovedì Santo, occasione di rafforzamento per la comunità Emanuele Genre e è vero che ci sono molti momenti nei quali una comunità di credenti si ritrova e si rafforza, per la chiesa valdese di San Secondo il culto del Giovedì Santo è uno dei più importanti. Sono state oltre centotrenta le persone che la sera del 2 aprile hanno voluto partecipare al culto nella sala delle attività attorno alle tavole apparecchiate, a ricordo del modo in cui è nata la Santa Cena. La meditazione, condotta dal pastore Claudio Pasquet, ha preso spunto S dalla lettura fatta dai precatecumeni di dal capitolo 14 del Vangelo di Marco, e ha fornito alcuni spunti di riflessione sulla Cena del Signore. Un momento che era stato organizzato per celebrare la Pasqua ebraica, per ricordare cioè la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto, ed era perciò per Gesù e i suoi discepoli un’occasione gioiosa. Sappiamo però che quella non fu una festa completa, piena, così come non lo è nessuna delle nostre, perché i piccoli e grandi momenti brutti della vita ci colpiscono oggi come a quei tempi. Gesù era cosciente di quello a cui sarebbe andato incontro, ma accettò comunque di celebrare la ricorrenza, sebbene sapesse che Giuda lo avrebbe tradito, che Tommaso avrebbe dubitato, che Pietro lo avrebbe rinnegato. E così anche noi veniamo accolti, nonostante i nostri inevitabili difetti, malgrado siamo spesso così simili a Pietro, pieni di noi stessi, ricchi di promesse mai mantenute. E a ricordarci la nostra somiglianza con i discepoli sono anche state le preghiere proposte dai catecume- ni e i canti dei bambini della scuola domenicale, che hanno preso parte al culto liturgico con Cena del Signore, celebrata con pane azzimo spezzato dai presenti e succo d’uva, in modo da consentire a tutti di parteciparvi. Al momento di riflessione è seguita una cena comunitaria alla quale hanno preso parte oltre cento persone, a sottolineare un volta di più la dimensione di condivisione che caratterizza l’appuntamento, ormai diventato una piacevole consuetudine della chiesa di San Secondo. guardia medica notturna, prefestiva, festiva: telefono 800-233111 guardia farmaceutica (turni festivi orario 8-22) Farmacie in turno domenica 19 aprile Pinerolo: Nuova, via Giovanni XIII 70, tel: 0121377297 Luserna S. G.: Savelloni, via Fonte Blancio 12, tel: 0121900223; Perosa Argentina: Termini, via Umberto I 1, tel: 012181205. Eliambulanza 118 Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 14 • otto per mille cultoradio Siria: l’emergenza cresce, le risposte diminuiscono Scambio di doni eucaristici Foto Stefano Stranges Luca Maria Negro I Matteo Scali «Y armouk è la fotografia esatta della disperazione della guerra siriana». È questa l’immagine più chiara che possiamo trarre dal buco nero rappresentato oggi dalla Siria, sconvolta da un conflitto che ha superato da tempo la boa dei quattro anni. A fornirla è il direttore della Cooperativa Armadilla, Marco Pasquini, che prima della guerra lavorava insieme a un’associazione di donne siriane, Zahret el Madaen, in una zona poco a sud di Yarmouk, Hajar al Aswad. Oggi, dopo lo scoppio del conflitto, l’attività del centro, finanziato dall’otto per mille della Chiesa valdese, si è spostata a nord, nel quartiere di Midan, «un quarto d’ora a piedi da Yarmouk». Perché si torna a parlare di Yarmouk e che valenza ha nello scacchiere siriano? Molti, al di fuori della Siria, hanno conosciuto questo campo profughi attraverso una foto, diffusa l’anno scorso dall’Unrwa, che mostra un’interminabile fila di persone in coda per ricevere gli aiuti internazionali tra due ali di edifici distrutti. Ma Yarmouk è soprattutto un pezzo della città di Damasco e quando le agenzie di stampa internazionali hanno battuto nei giorni scorsi la notizia degli scontri con l’Isis in quella zona abbiamo chiesto a Marco Pasquini, che da poco è tornato dalla Siria, di aiutarci a comprendere gli eventi. – Innanzitutto ricordaci che cos’è Yarmouk e che cosa è diventato dopo questi anni di guerra. «Yarmouk è un campo profughi palestinese che si trova nella zona sud di Damasco, dentro l’area della città. Da Yarmouk per arrivare al centro di Damasco, prima della guerra, erano sufficienti venti minuti. Un quartiere enorme che dal settembre del 2011 è stato circondato dall’esercito governativo perché in quella zona e in quella limitrofa, Hajar Al Aswad, sono cominciati i primi scontri subito dopo l’inizio delle cosiddette primavere arabe. All’inizio della guerra, fino al settembre 2012, Yarmouk ospitava 180 mila palestinesi. Oggi ci sono circa 18 mila persone». – Yarmouk è un luogo simbolico anche perché è parte della città di Damasco. Come leggiamo le notizie di questi giorni? «Come direttore di Armadilla non condivido quello che viene presentato in questi giorni sulla stampa. Non è vero che lo Stato Islamico ha conquistato il campo profughi.Yarmouk è sempre stato un luogo di grande ribellione, specialmente negli ultimi tre anni. All’inizio parlava di ribelli, poi essi hanno aderito alle varie bande dell’opposizione siriana, più o meno coordinate, dentro cui Al Nusra, l’Al Qaeda siriana, è sempre stata molto presente. Oggi, come è successo in Libia, il brand vincente è quello dell’Isis, quindi hanno deciso di chiamarsi così. Ma non è successo qualcosa in questi giorni di particolarmente differente rispetto a quello che è accaduto negli ultimi tre anni: non c’è una presa militare come può essere successo a Idlib. Non ci sono nuovi scontri ma sono gli stessi che si perpetuano, solo che oggi parlando di Isis si va sui giornali. I morti del periodo passato dove non era esposta la bandiera dell’Isis, non vengono considerati». – Trattandosi di una zona al centro del conflitto le notizie che giungono sono molto contraddittorie e difficilmente verificabili... «Di nuovo non c’è nulla. La novità più grande di questi giorni in Siria è che tutte le varie componenti dell’opposizione, compresa Al Nusra, hanno deciso – notizia ufficiale - di raggrupparsi un’altra volta in una coalizione contro il governo centrale. Questo vuol dire che la scelta di tutto l’Occidente di appoggiare solo esclusivamente l’opposizione siriana porta indirettamente a finanziare un’altra volta Al Nusra, e quindi Al Qaeda. Mi sembra che la storia si ripeta e chi sta pagando il prezzo più alto è la popolazione siriana. La gente all’interno della Siria è stremata. Quando parlo della Siria parlo solo di Damasco: non vado fuori dalla città perché non potrei andarci. È una popolazione che ha quasi perso la speranza per il futuro, e quindi non può esserci che una soluzione politica. Continuare ad appoggiare una pacificazione di questo paese senza una strategia logica e che guardi al futuro, vuole solo dire continuare ad appoggiare un sistema che, da qualunque parte si guardi, uccide migliaia di persone». – Tornando alle persone che subiscono la guerra, che fotografia dobbiamo considerare parlando della crisi umanitaria siriana? «La situazione è tragica. Fino a qualche tempo fa negli occhi della gente leggevi la volontà di andare avanti con la speranza che qualcosa potesse cambiare. Oggi purtroppo è una situazione di remissione totale. Noi lavoriamo con un gruppo di donne e siamo di fronte all’aumento di richieste di servizi da parte delle famiglie. All’inizio davamo esclusivamente servizi di pediatria, fisioterapia e special education per bambini con difficoltà di apprendimento. Durante la guerra il numero delle famiglie è aumentato da 210 a 1380, con un particolare: prima la media della famiglia siriana era di 5 persone, oggi la media è di oltre 11 persone. Questo non perché sia aumentata la demografia ma perché nella tragedia siriana, dove dobbiamo considerare i circa 7 milioni di profughi interni, c’è stata un’aggregazione di famiglie e gruppi famigliari. Quindi il fabbisogno a cui potevamo dare risposta con un kit mensile per cinque persone, grazie anche ai fondi dell’otto per mille della Chiesa valdese, è cresciuto: oggi un kit deve soddisfare 11 persone di media. Non è più un sostegno al reddito, ma stiamo parlando di un’emergenza vera, che costa sempre di più e riesce a dare sempre meno risposte». Riforma/l’Eco delle Valli Valdesi Redazione centrale - Torino Direttore responsabile: Luca Maria Negro via S. Pio V, 15 • 10125 Torino tel. 011/655278 fax 011/657542 e-mail: [email protected] ([email protected]) In redazione: Alberto Corsani (coord. Eco delle Valli Valdesi), Marta D’Auria (coord. per il Centro-Sud), Claudio Geymonat, Jean-Jacques Peyronel, Samuele Revel, Piervaldo Rostan, Federica Tourn (coord. newsletter quotidiana), Sara Tourn. Collaborano: Luca Benecchi, Eugenio Bernardini, Alberto Bragaglia, Avernino Di Croce, Piera Egidi Bouchard, Paolo Fabbri, Fulvio Ferrario, Pawel Gajewski, Maurizio Girolami, Massimo Gnone, Simona Menghini, Debora Michelin Salomon, Victoria Munsey, Nicola Pantaleo, Giuseppe Platone, Giovanna Pons, Gian Paolo Ricco, Davide Rosso, Marco Rostan, Mirella Scorsonelli Redazione di Napoli recapito postale: via Foria, 93 • 80137 Napoli tel. 366/9269149 e-mail: [email protected] Redazione Eco delle Vall Valdesi recapito postale: via Roma 9 - 10066 Torre Pellice (To) tel. 338/3766560 oppure 366/7457837 e-mail: [email protected] 2015 Associato alla Unione stampa periodica italiana Grafica: Pietro Romeo Amministrazione: Ester Castangia Abbonamenti: Daniela Actis ([email protected]) Promozione: Lucilla Tron ([email protected]) Stampa: Alma Tipografica srl - Villanova Mondovì (CN) tel. 0174-698335 Editore: Edizioni Protestanti s.r.l. via S. 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Il numero 14 del 10 aprile 2015 è stato spedito dall’Ufficio CPO di Torino, Via Reiss Romoli, 44/11, martedì 7 aprile 2015. n queste ultime settimane nel nostro Paese si stanno moltiplicando i segnali di «disgelo ecumenico». A metà febbraio, per la prima volta, il segretario generale della Conferenza episcopale italiana ha partecipato a un convegno della Federazione delle chiese evangeliche; all’inizio di marzo cattolici, evangelici e ortodossi hanno presentato un appello comune contro la violenza sulle donne; a fine mese è stata annunciata la visita di papa Francesco alla chiesa valdese di Torino, che avrà luogo a giugno. Un altro segnale di disgelo, piccolo ma significativo, è venuto pochi giorni fa dal Piemonte: dalla diocesi di Pinerolo, il cui territorio coincide con le Valli tradizionalmente abitate dai valdesi. Qui, in occasione della Pasqua, è avvenuto uno scambio di doni «eucaristici»: i valdesi hanno donato ai cattolici il vino per la veglia pasquale in Duomo, e i cattolici hanno donato ai valdesi il pane per la celebrazione della Cena del Signore, durante il culto della mattina di Pasqua. Il teologo valdese Sergio Rostagno ha spiegato che il gesto prende spunto da un’antica consuetudine delle chiese d’Oriente e d’Occidente, documentata dallo storico Eusebio di Cesarea: pur avendo delle divergenze sull’osservanza di alcuni riti, esse continuavano a praticare la reciproca ospitalità eucaristica. Oggi le chiese sono divise alla mensa del Signore, ma per Rostagno «riscoprire l’antica abitudine di scambiarsi almeno qualche elemento che ricordi la comunione (…) ci aiuta a comprendere che, nella consapevolezza delle tensioni ecumeniche, si può anche ravvisare una reale fraternità», nell’attesa di arrivare a una piena comunione. Per questo lo scambio del pane e del vino a Pasqua, ha detto il pastore valdese di Pinerolo, Gianni Genre, è «una piccola cosa che ha però una valenza simbolica molto forte; è la primizia di qualcosa di più grande». Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che si tratta davvero di una piccola cosa, visto che da anni, anche in Italia, esistono gruppi ecumenici che praticano la reciproca ospitalità eucaristica, sfidando le rigide regole del diritto canonico. Altri potrebbero replicare che le «fughe in avanti» non servono. Personalmente non credo sia utile, in campo ecumenico, contrapporre le iniziative spontanee di base ai gesti più ufficiali, come quello di Pinerolo. In modi diversi le une e gli altri sono espressioni dello stesso desiderio di unità, testimonianze di una fioritura piena di speranza per un ecumenismo non fine a se stesso, ma «affinché il mondo creda» (Giovanni 17, 21). (Rubrica «In cammino verso l’unità della chiesa» della trasmissione di Radiouno «Culto evangelico» curata dalla Fcei, andata in onda domenica 12 aprile). Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • pagina 15 • lettere e commenti La vita di Renzo Bertalot Valdo Bertalot Su «Riforma» del 27 marzo, con un articolo di Mario Cignoni a pag. 15, abbiamo già dato notizia della scomparsa del pastore Renzo Bertalot, avvenuta il 19 marzo. Pubblichiamo ora alcune notizie biografiche redatte dal figlio Valdo Bertalot, segretario generale della Società biblica in Italia. R enzo Bertalot è nato ad Ivrea, il 21 giugno 1929. Dopo il diploma da geometra presso la Olivetti, ha compiuto gli studi teologici presso la Facoltà valdese di teologia a Roma (1948-1952), e all’Università di Princeton (U.S.A. , 1953). Nello stesso 1953 è stato consacrato pastore nel Sinodo della Chiesa valdese e ha svolto il suo ministerio a Torino e a Chivasso. Dal 1954 al 1961 è stato pastore a Montreal (Canada) proseguendo gli studi presso la Mc Gill University dove ha conseguito la specializzazione in teologia (STM) con la tesi The Social Gospel and the Roman Catholic Modernism (1959) e successivamente il dottorato (PhD) con la tesi Imago Christi. An investigation of the doctrine of Man according to the later writings of K. Barth and P. Tillich (1961). Rientrato in Italia, ha esercitato il ministerio pastorale a Torre Pellice (1961-1962) e a Venezia (1962-1967). Sulla scia della propria esperienza canade- I protestanti e il papa Circa «La prima volta del papa» (Riforma n. 13), non si può non condividere lo spirito sia dell’invito rivolto al pontefice sia delle motivazioni che lo sottendono. Dunque il sottoscritto non è da annoverare fra i possibili sostenitori dell’accusa di «tradimento» all’indirizzo dei propri vertici ecclesiastici. Vorrei però sapere se fra i «temi su cui possiamo proporre al papa dei passi in avanti» sia stata prevista (o lo sarà - penso, in particolare, al 2017) se di dialogo ecumenico, il pastore Bertalot è stato fra i pionieri del dialogo ecumenico in Italia fin dagli anni ’60 insieme al sacerdote don Germano Pattaro della diocesi di Venezia e a Maria Vingiani, fondatrice del Segretariato attività ecumeniche (Sae). Insieme a don Pattaro prima e a mons. Luigi Sartori poi, è stato il consulente teologico nazionale del Sae e anche membro fondatore nel 1973 del Gruppo misto di lavoro teologico del Sae. Questa sua «vocazione» per il dialogo ecumenico ha caratterizzato tutta la sua vita e il suo impegno per la diffusione della Bibbia e nell’insegnamento. Negli anni 1967-1989 ha diretto le attività in Italia della Società Biblica Britannica e Forestiera (nota allora anche come Libreria Sacre Scritture) per la diffusione della Bibbia. Fin dall’inizio ha svolto un intenso lavoro di relazioni con tutte le Chiese italiane per promuovere e sostenere il loro impegno missionario «biblico». Negli anni ’70 ha avviato la revisione della Bibbia protestante «Riveduta-Luzzi» (1924) e la traduzione interconfessionale in lingua corrente della Bibbia, «Parola del Signore» (Tilc), realizzata insieme da biblisti cattolici e protestanti ed accolta dalle Chiese per la sua dimensione missionaria. Pubblicata una richiesta capitale che fa la differenza: il ritiro della scomunica a Lutero. La questione mi pare fondamentalmente seria. Da un lato si tratta di una posizione storicamente ormai superata e, quindi, superabile (il che può valere anche esempio fra altri - per le parole di Lutero stesso, secondo il quale sotto il papa «non sapevamo nulla di ciò che un cristiano deve sapere»). Dall’altro, bisogna tener conto della essenza sua propria. Qui, lascio la parola allo storico Thomas Kaufmann: «La condanna dell’eretico non è stata revocata e per la dottrina cattolico-romana è valida RINGRAZIAMENTI «Il vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio» (Giovanni 14, 1) I famigliari della cara Marcella Paschetto ved. Ribet Ringraziano tutti coloro cha hanno preso parte al loro dolore. Un ringraziamento particolare al pastore Claudio Pasquet. «L’Eterno è la mia forza e il mio cantico, ed è stato la mia salvezza» (Salmo 118, 14) Il 12 aprile è serenamente mancata nella sua casa di San Germano Chisone, dove era nata, Paola Vinçon vedova Ribet Lo annunciano la figlia Gabriella con Camillo e i nipoti Enrico, Michele, Claudia e Filippo, e il figlio Andrea con Vera. «Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede» (II Timoteo 4, 7) I famigliari tutti della cara Maria Michelin ved. Garnier di anni 103 ringraziano tutti coloro che in vari modi hanno partecipato al loro lutto. Un ringraziamento particolare alle signore Liviana e famiglia, Clementine e Denise, alla nipote Lilia, al dott. Ghirardi e al pastore Gabrielli. Villar Pellice, 15 aprile 2015 Grazie per la vicinanza nel 1985, a oggi questa traduzione ha avuto una diffusione di circa 14 milioni di copie nelle sue diverse edizioni. Nel 1983, insieme a membri autorevoli delle diverse Chiese italiane, ha fondato la Società Biblica in Italia, associazione interconfessionale senza scopo di lucro per la promozione della Bibbia e per il sostegno di tale missione. Dal 1983 al 1989 ne è stato il primo segretario generale, divenendone successivamente presidente onorario. Il pastore Bertalot ha insegnato in istituzioni accademiche quali: la Facoltà valdese di teologia di Roma, lo Studio teologico del Seminario di Verona, lo Studentato delle Missioni di Bologna, l’Istituto Teologico Saveriano di Parma, l’Istituto di Scienze Religiose di Sorrento-Napoli, le Università di Sassari e di Milano, il Marianum di Roma e l’Istituto di Studi Ecumenici «S. Bernardino» di Venezia. Autore di circa 150 pubblicazioni (libri e articoli), ha tradotto in lingua italiana la Teologia Sistematica di P. Tillich. Era membro onorario dell’American Bible Society (1986) e socio ordinario della Pontifica Accademia Mariologica Internazionale. ancor oggi e per l’eternità. Essa non colpisce solo la persona di Lutero, ma con lui anche tutti coloro che si sentivano e si sentono, direttamente o indirettamente, vincolati alla sua interpretazione del cristianesimo». Sergio Paolo Ronchi, Milano Dopo lo svolgimento del funerale di Caterina Dupré desideriamo esprimere la nostra riconoscenza a tutte le persone che in questi mesi e in particolare nell’ultimo periodo della sua malattia, ci sono stati vicini in modi diversi, facendoci sentire la loro vicinanza e la loro preghiera. Desideriamo, inoltre, far giungere la nostra gratitudine a quanti e quante l’hanno assistita attraverso le cure mediche e infermieristiche: l’equipe dell’Ircc di Candiolo (To), in particolare il dott. Carnevale, la dott. Gallo, la dott. Coha; le ADI di Pinerolo e Pomaretto, l’Uco di Pinerolo. Vogliamo rivolgere anche un pensiero di profonda riconoscenza ancora alla pastora Maria Bonafede e al pastore Gianni Genre, che hanno presieduto il culto in cui abbiamo preso congedo da Caterina, affidandola al Signore in cui ha creduto, come ci ricorda la parola dell’evangelo di Giovanni: «Signore da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna». Rivolgiamo ancora un pensiero affettuoso e grato ai fratelli e alle sorelle della chiesa valdese di Prali e del Centro ecumenico di Agape per il loro sostegno e la loro presenza premurosa in tutti questi mesi passati. Vito Gardiol con Annemarie, Amilda, Eugenio, Cecilia, familiari e parenti tutti. cerca un/a coordinatore/trice ed educa educatori/trici tori/trici ogetto di accoglienza accogl esidenziale per minori stranieri non n accompagnati. p g bando: ormazione, Psicolo Psico educazione/formazione, coo digia, Sociologia, Servizio Sociale (per laa funzione di coor eaa in Scienze dell’ dell educazione/formazione, Psicologia, Sociologia, ogia, Servizio Sociale So ucativo (preferenziale) ione - Costituisce ttitolo preferenziale la la conoscenza di una o più lingue straniere Inviare curriculum vitae in formato europeo e lettera di motivazione a [email protected] entro il 24 aprile 2015. Riforma • numero 15 • 17 aprile 2015 • ultima pagina DALLA PRIMA PAGINA DALLA PRIMA PAGINA lo hanno conseguito in tempi molto recenti; la Chiesa apostolica in Italia, che aderisce alla Fcp, ha stipulato un’Intesa; infine, un altro circuito di chiese che aderisce alla Federazione, sotto un ombrello giuridico denominato “Consulta evangelica”, sta trattando l’Intesa con lo Stato». — Da allora, dunque, è stato più semplice per i pentecostali vivere la propria fede e confessare il proprio culto? «Indubbiamente sì, dagli anni ’60 in poi le chiese pentecostali sono state lasciate un po’ in pace. Questo però non è andato mai di pari passo con una vera possibilità di pari opportunità e di pari dignità, perché sul territorio le chiese hanno sempre risentito di un atteggiamento di ostilità sia da parte delle amministrazioni sia da parte della chiesa di maggioranza». — In Italia ancora non c’è una legge quadro sulla libertà religiosa. Qual è l’impegno della Fcp su questo versante? «Credo che nella Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (Ccers), la Fcp sia stata uno dei soggetti più attivi, in qualche caso contribuendo in modo diretto anche a una discussione che rivalutasse il discorso intorno alla necessità di una legge generale sulla libertà religiosa. Da alcuni anni, poi, nel contesto di una società caratterizzata dal pluralismo religioso, questa è diventata una battaglia di tutto il mondo evangelico, alla quale mi sento di poter dire che la Fcp ha dato un contributo decisivo». — Ottanta anni fa centinaia di pentecostali furono arrestati, subirono minacce e percosse a motivo dell’Evangelo. Oggi, in molte parti del mondo i cristiani vengono uccisi e perseguitati a motivo della loro fede… «Siamo molto colpiti da questi fatti in virtù della memoria delle persecuzioni vissute dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle nella fede che ci hanno preceduto. Da nostre fonti sappiamo che spesso i cristiani perseguitati e uccisi sono di fede pentecostale: dal punto di vista del coinvolgimento emotivo questo è significativo perché vediamo compiersi in altre parti del mondo cose che pensavano di non voler e dover più vedere». Fine della povertà estrema entro il 2030 Nocivi all’integrità della razza (D’Auria) L’appello è nato da una tavola rotonda di leader religiosi, promossa il 18 febbraio dalla Banca Mondiale a Washington. La dichiarazione mira a generare un desiderio sociale e politico nei grandi attori coinvolti al fine di ispirare in loro la volontà di unirsi e ragionare insieme, attingendo dalle molte convinzioni e credenze condivise che uniscono le maggiori religioni mondiali, con l’obiettivo finale di dare alla luce norme e azioni capaci di combattere la povertà. Tra i firmatari dell’appello ci sono i responsabili di Act Alliance (una coalizione di 140 chiese e organizzazioni cristiane impegnate nell’aiuto umanitario), Caritas Internationalis, Alle- anza evangelica mondiale, Esercito della Salvezza e di altre organizzazioni di ispirazione cristiana, ebraica, musulmana, Baha’i, buddista… John Nduna, segretario generale di Act Alliance, ha dichiarato: «Sappiamo che la fine della povertà è possibile. Per fare ciò è necessario unire le forze e far sì che gli Stati diano priorità massima all’inclusione e alla protezione sociale delle parti più marginalizzate della propria popolazione». Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale, ha raccolto la sfida: «Noi e i leader religiosi abbiamo un obiettivo comune: liberare il mondo dalla povertà. Questi impegni richiesti giungono al momento opportuno e le nostre azioni congiunte possono dare forte impulso alle nostre politiche, ispirandole». DALLA PRIMA PAGINA difesa che nel testo del Senato erano il necessario corollario della scelta di qualificare la tortura come un reato comune. Ciònonostante, siccome il meglio è nemico del bene, qualsiasi persona assennata non ha potuto astenersi dal votare a favore del pur discutibile e pur limitato testo all’esame della Camera, pena l’ennesimo affossamento dell’introduzione del reato di tortura nell’andirivieni parlamentare». Il testo prevede che quello di tortura sia un reato comune, punibile con la reclusione da 4 a 10 anni e ascrivibile a chiunque «con violenza o minaccia […] intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata» sofferenze fisico-psichiche per «ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una puni- Un passo di civiltà (Gillio) zione, per vincere una resistenza» o «in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose». Nel nuovo testo è prevista anche l’aggravante quando a commettere il reato è proprio un pubblico ufficiale che agisce con abuso di potere o violando i doveri inerenti alla sua funzione. La legge introduce inoltre il reato di istigazione del pubblico ufficiale (ad altro pubblico ufficiale) a commettere tortura, con una reclusione prevista da 1 a 6 anni. La legge interviene anche su espulsioni, immunità diplomatiche ed estradizioni. Malgrado il testo sia ancora carente in molte sue parti, come ha ricordato il senatore Manconi, l’Italia ha certamente fatto un ulteriore passo di civiltà. Ma dopo quante primavere… Kek e Ccee: appello al rispetto per i Rom e la loro cultura I n occasione della Giornata internazionale dei Rom, che ricorreva l’8 aprile, il vescovo anglicano Christopher Hill, presidente della Conferenza delle chiese europee (Kek, che riunisce le chiese protestanti e ortodosse) e il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) hanno rilasciato un messaggio congiunto a favore del rispetto delle persone Rom e della loro cultura, «dono del Creatore». «Le nostre Chiese in molti luoghi aiutano le comunità Rom a migliorare la loro integrazione sociale – da non confondere con l’assimilazione – pur preservando la cultura Rom. Questo aiuto passa per l’insegnamento doposcuola, i servizi medici, gli aiuti alimentari, le consulenze legali e altre forme di consulenza», si legge nel messaggio che esordisce ricordando come «ogni essere umano è creato a immagine di Dio, qualunque sia la sua lingua e la sua cultura». E verso le chiese i presidenti della Kek e del Ccee lanciano un appello affinché le proprie comunità diventino «sempre più aperte nei confronti dei Rom, che sono spesso esclusi e vivono in povertà ai margini della società», e affinché sostengano le iniziative a favore della loro integrazione sociale. «Operare per la giustizia significa lavorare per una riconciliazione con questo passato». (agenzia Nev)