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P IETRO C ASU
VOCABOLARIO
SARDO LOGUDORESE-ITALIANO
a cura di Giulio Paulis
Cd-rom con dizione dei lemmi allegato
ISRE
Indice
Dizione dei lemmi nel cd-rom allegato
Sebastiana Calvia
5 Un importante obiettivo raggiunto
7 Introduzione
Direzione editoriale
Paolo Piquereddu
62 Avvertenze per la consultazione
Realizzazione editoriale
Ilisso edizioni
63 Guida grafica alla consultazione
Copertina
Aurelio Candido
64 Elenco delle abbreviazioni
Stampa e allestimento
LEM
67 Vocabolario
Appendici
1369 Appendice I
Lemmi del manoscritto privi di trattazione
1371 Appendice II
Lemmi e varianti recanti nel manoscritto l’indicazione
dell’accento e/o della pronuncia della «z»
1389 Appendice III
Trascrizione dattiloscritta delle voci da A ad Aggradibbile
effettuata dall’Autore
© Copyright 2002
ISRE Istituto Superiore Regionale Etnografico
via Papandrea, 6 - 08100 Nuoro
ILISSO EDIZIONI, www.ilisso.it
ISBN 88-87825-36-X
Un importante obiettivo raggiunto
La pubblicazione del Vocabolario sardo logudorese-italiano di Pietro Casu costituisce un evento il
cui significato travalica i pur rilevantissimi contenuti e meriti culturali dell’opera.
Gli oltre mille fogli, contenenti una quantità straordinaria di dati sul patrimonio lessicale logudorese,
vennero compilati dal Casu dal 1934 al 1947, dopo una fase di raccolta e preparazione cui l’autore
aveva dedicato i venticinque anni precedenti.
Pietro Casu aveva dunque concluso da qualche anno la stesura del manoscritto, quando, nel 1950,
con una interrogazione al Presidente della Giunta e
all’Assessore della Pubblica Istruzione, presentata in
Consiglio Regionale dai consiglieri Morgana, Masia,
Sotgiu, Satta ed Era, venne rappresentata l’opportunità che, considerata la «fondamentale importanza
[del Vocabolario] per lo studio della lingua sarda
… e al fine di assicurare alla Sardegna il merito e il
vanto di aver offerto alla cultura isolana e nazionale
un prezioso e indispensabile strumento di ricerca e
di studio», venisse assunto «l’onere della pubblicazione … a carico dell’Ente Regione». In conseguenza di tale iniziativa, nel volgere di qualche anno,
Pietro Casu dispose nel testamento la donazione del
manoscritto del Vocabolario alla Regione Sarda,
perché ne curasse la pubblicazione.
L’Amministrazione regionale inizialmente affidò
l’incarico dell’edizione del manoscritto a Max Leopold Wagner, ma questi morì nel 1962, lasciando il
lavoro incompiuto.
Per circa vent’anni sull’opera del Casu cadde il silenzio. Nel 1980, l’Assessore regionale della Pubblica
Istruzione, On. Nino Giagu De Martini, affidò il
manoscritto del Vocabolario all’Istituto Superiore Regionale Etnografico, perché provvedesse alla pubblicazione, della cui cura era stato incaricato, nel 1979, il
professor Antonio Sanna, linguista dell’Università di
Cagliari, che scomparve nel 1981. Nel 1983, il Consiglio di Amministrazione dell’ISRE incaricò quattro
cultori di lingua logudorese – diversi per formazione
ed esperienza – della trascrizione e della dattiloscrittura del manoscritto, sotto il coordinamento della professoressa Antonietta Dettori, con l’obiettivo di consegnare l’opera pronta per la stampa. Anche questo
tentativo, probabilmente per l’eterogeneità dei componenti il gruppo dei trascrittori, non ebbe buon esito.
Intanto, la direzione e il personale tecnico-scientifico
dell’ISRE erano pervenuti alla convinzione che la
pubblicazione dell’opera avrebbe potuto avere successo a due condizioni: che venissero garantite l’unità e
l’autonomia della cura scientifica dell’edizione – fu
indicata anche una rosa di nomi di indiscutibile valore scientifico nel cui ambito obbligatoriamente
avrebbe dovuto essere scelto il curatore – e che il lavoro di redazione e di organizzazione editoriale fosse
dato in carico ad una casa editrice di riconosciuta
capacità e prestigio. Il Consiglio di Amministrazione,
assunti tali criteri nella volontà istituzionale dell’Ente, bandì, con deliberazione del 9 dicembre 1997,
un appalto-concorso riservato alle case editrici.
Il bando, accogliendo al riguardo la proposta della
direzione dell’Ente, richiedeva, tra l’altro, che l’edizione cartacea dell’opera fosse accompagnata da un
CD-ROM con le funzioni di ricerca e di ascolto
della corretta pronuncia dei 54.687 lemmi del Vocabolario. La gara fu vinta dalla Ilisso Edizioni di
Nuoro, che s’impegnò a garantire la realizzazione
dell’opera sotto la cura del professor Giulio Paulis,
uno degli studiosi indicati dall’Ente.
La bontà della formula procedurale adottata dall’Istituto, l’alta competenza scientifica garantita dal curatore e l’adeguatezza culturale e professionale dell’editore hanno dato luogo a una consonanza virtuosa che
ha infine consentito di portare a termine l’impresa.
Per l’Istituto Superiore Regionale Etnografico il raggiungimento di questo obiettivo nell’anno del trentennale della sua istituzione è motivo di particolare
soddisfazione: mettendo quest’opera a disposizione
della comunità regionale, degli studiosi e di tutti coloro che hanno a cuore la cultura e la lingua della
Sardegna, da un lato, l’Istituto ha onorato l’impegno assunto quasi cinquant’anni fa dalla Regione
Sarda nei confronti di Pietro Casu; dall’altro conferma il suo ruolo di ente scientifico e di ricerca,
adempiendo in questo modo alla missione che il legislatore regionale gli ha affidato con la legge istitutiva e che gli ha riconfermato, preservandogli specifici compiti nel sistema delle tradizioni popolari,
con la più recente legge regionale n. 26 del 1998.
Paolo Piquereddu
Direttore generale dell’ISRE
Introduzione
Il Vocabolario sardo logudorese-italiano, che qui si pubblica dopo una quasi
cinquantennale attesa, contiene la più ricca e minuziosa descrizione che a
tutt’oggi si possieda del patrimonio lessicale di una varietà linguistica sarda.
Il suo autore, Pietro Casu, fu una delle figure più significative della cultura
sarda della prima metà del Novecento.
Nato a Berchidda il 13 aprile 1878, settimo figlio di una famiglia che traeva i
propri mezzi di sussistenza dalle risorse dell’economia agro-pastorale tradizionale, conseguì la laurea in teologia e fu ordinato sacerdote nel 1900, insegnò
lettere nel seminario di Ozieri dal 1901 al 1906, fu parroco di Oschiri dal
1906 al 1908, quindi resse la parrocchia del suo paese natale ininterrottamente
dal 1912 all’anno della morte, avvenuta il 20 gennaio del 1954 a Berchidda.
Fu prolifico scrittore in lingua italiana, pubblicando: una ricerca giovanile di
carattere storico sulla Barbagia;1 tra il 1910 e il 1929 una serie di romanzi di
argomento sardo, che gli procurarono notorietà e successo in ambienti cattolici nazionali, ma anche critiche malevoli e attriti con le gerarchie ecclesiastiche,
che lo indussero ad abbandonare la letteratura;2 numerose novelle, uscite inizialmente in riviste e giornali della Sardegna e della Penisola, poi raccolte in
cinque volumi stampati fra il 1925 e il 1942;3 la versione dal castigliano di un
libro devozionale del padre gesuita Fiorentino Alcaniz;4 poesie e versi.
Ma la sua fama in Sardegna, più che a questa ragguardevole produzione letteraria in italiano, fu legata popolarmente alla sua attività di oratore sacro e
di poeta in lingua sarda logudorese.
Nell’arco di mezzo secolo, a partire dall’età di ventun anni, Pietro Casu predicò in ben 167 distinti centri dell’isola dal pulpito di 282 chiese diverse,
spesso più volte nel corso degli anni, invitato dalle comunità parrocchiali locali soprattutto in occasione delle feste patronali.5 Era noto ovunque e ovunque ricercato, al pari di una star dei nostri giorni.
Larga eco, per la solennità e la formalità della circostanza e del contesto, suscitò in particolare il discorso in logudorese che egli tenne a Cagliari, il 24
aprile 1926, nella chiesa di Sant’Anna durante il Congresso Mariano, alla
presenza dei vescovi sardi e del cardinale Gaetano Bisleti. Grande impatto,
anche simbolico, ebbe egualmente il suo intervento in lingua logudorese a
1. P. Casu, Spigolature storiche sulla Barbagia, Cagliari, 1904; Aggiunte alle spigolature sulla Barbagia, Sassari, 1905.
2. P. Casu, Notte sarda, Sassari, 1910; Ghermita al core, Roma, 1920; Il voto, Roma, 1921; … per Te,
Sardegna!, Cagliari, 1922; La dura tappa, Alba, 1922 (ripubblicato con il titolo La vigna sterposa, Milano, 1942); Aurora sarda, Cagliari, 1922; Tra due crepuscoli, Torino, 1924; Mal germe, Torino-Genova,
1925; La voragine, Milano, 1926; Santa vendetta, Milano, 1929 (ripubblicato con il titolo “Lux in tenebris”, in Libertà, Sassari, 1937, e con il titolo Cuore veggente, Milano, 1938).
3. P. Casu, L’ultimo bacio della mamma, Milano, 1925; La melagrana, Torino, 1934; Novelle, Milano,
1935; La capanna crollata, Milano, 1937; Fiori di landa, Roma, 1942.
4. P. F. Alcaniz, La devozione al Cuore di Gesù, trad. di P. Casu, Milano, 1939.
5. R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX, con notizie storiche e letterarie dell’epoca, II, Sassari, 1961, p. 580.
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un successivo Congresso Eucaristico di Sassari, di fronte al cardinale di Torino, Maurilio Fossati.6
Di queste prediche, che Casu usava preparare accuratamente scrivendone preventivamente il testo in appositi quadernetti, è stata pubblicata tempo fa una
selezione a cura di G. Soddu,7 pronipote del canonico, ma la maggior parte di
esse è ancora inedita. La lingua in cui sono redatte è il logudorese illustre della
tradizione omiletica sarda, che nella prosa avvolgente del sacerdote berchiddese raggiunge vette non comuni di armonia, musicalità e ritmo: forse eco lontana di una tradizione antica risalente in ultima istanza ai cursus della prosa sacra medioevale, ma nello stesso tempo anche, e in maggior misura, frutto di
un’innata propensione alla struttura formale e acustica del verso e alle cadenze
dell’enunciato poetico. È noto, infatti, che Casu possedeva l’eccezionale capacità di dare prontamente forma di verso all’esposizione di qualsiasi spunto e
idea, tanto da riuscire a tradurre in sardo la Divina Commedia alla velocità di
un canto al giorno, come si apprende dalla prefazione dell’opera che, con il titolo di Sa Divina Cumedia de Dante in limba salda, egli pubblicò nel 1929.8
Anche le celebri Cantones de Nadale, che si sentono ancora oggi cantare in
molte chiese sarde durante la novena natalizia, furono composte di getto nel
dicembre del 1927,9 e così pure molte altre poesie di circostanza.
La vasta produzione poetica del Casu in lingua logudorese, comprendente
anche traduzioni dal latino, dal francese, dall’inglese, dal tedesco e dallo spagnolo, rimasta a lungo sparsa in giornali, riviste, opuscoli o del tutto inedita,
è stata in parte pubblicata recentemente in alcune raccolte,10 che permettono
di apprezzare le qualità artistiche del nostro Autore, al quale nel 1950 venne
assegnato il primo premio “Grazia Deledda” per la poesia dialettale sarda.11
A partire dalla fine del primo decennio del Novecento, Casu andò raccogliendo ampi materiali lessicali in vista della realizzazione di un grande vocabolario della lingua logudorese, progetto al quale aveva già pensato in età
giovanile. La varietà dialettale rappresentata è quella nativa del Casu, ossia il
logudorese comune parlato nel Logudoro occidentale e nord-orientale, ma
sono ben documentate anche varietà logudoresi contigue, in modo particolare il logudorese nord-occidentale o settentrionale. Sono presenti riferimenti pure ai dialetti centrali e barbaricini.12 I lavori preparatori durarono più
6. R. Bonu, Scrittori sardi cit., pp. 580-581, n. 2.
7. P. Casu, Preigas, presentazione di N. Tanda, nota introduttiva di G. Soddu, Sassari, 1979.
8. Dichiarava il Casu: «Cominzada guasi pro bùrula in una passizada a serentina pustis de sos tribaglios
parrocchiales de sa Dominiga, sighida cun vera passione finas a su puntu de ndhe traduire unu cantigu
dogni die, no lassada mai, nè in viaggiu nè in campagna, nè a die nè a notte nè in domo de amigos nè in
osteras, nè in trenu nè in automobile, in pagos meses isteid accabada».
9. P. Casu, Cantones de Nadale, con le melodie di A. Sanna, a cura dell’Associazione Eredi Pietro Casu,
Ozieri, 1998.
10. P. Casu, Cantones, a cura di B. e G. Casu, Ozieri, 1978; Lettere in versi a poeti, artisti ed amici, a cura
di G. Ruju, Cagliari, 1994; Su resuscitadu. Sa cantada de sa cuba. Due poemetti, a cura di G. Ruju, Cagliari, 1994; Versos de Sardigna, a cura di G. Ruju, Cagliari, 1995.
11. R. Bonu, Scrittori sardi cit., p. 585.
12. Il dialetto di Berchidda appartiene alla 2a varietà della classificazione di G. Campus, Fonetica del dialetto logudorese, Torino, 1901; al logudorese occidentale della classificazione di A. Sanna, Il dialetto di Sassari e altri saggi, Cagliari, 1975, pp. 189-230; al logudorese centrale della classificazione di M. Virdis,
“Aree linguistiche”, in Lexikon der Romanistischen Linguistik, herausgegeben von G. Holtus, M. Metzeltin,
Ch. Schmitt, IV, Tübingen, 1988, pp. 905, 907; al logudorese orientale della classificazione su base fonologica proposta da M. Contini, Étude de géographie phonétique et de phonétique instrumentale du sarde,
Alessandria, 1987, p. 548.
Le località e i distretti nominati nel Vocabolario, in relazione alle forme lemmatizzate sono: (villaggi) Aidomaggiore, Aggius, Anela, Banari, Barisardo, Berchidda, Bitti, Bolotana, Bono, Bonorva, Borore, Bosa, Buddusò, Bultei, Busachi, Chiaramonti, Codrongianos, Cuglieri, Dorgali, Dualchi, Fonni, Gavoi, Ghilarza,
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di venticinque anni, mentre la stesura manoscritta dell’opera nella forma
pervenutaci ne richiese altri tredici, dal 9 luglio 1934 al 12 aprile 1947,13
anche se in realtà il Casu continuò a introdurre nel manoscritto integrazioni
e aggiunte sino al termine della sua vita.
Si tratta di un corpus lessicografico imponente, contenuto in una montagna
di fogli, molti dei quali risultano scritti tanto sul fronte quanto sul retro con
una grafia minutissima, non sempre di agevole lettura soprattutto negli inserimenti seriori in interlinea e a margine, ove per ristrettezza di spazio la dimensione della scrittura si riduce ulteriormente. Casu utilizzò per lo più carta uso macchina da scrivere e carta rigata uso protocollo, ma largo fu anche
l’impiego di carta riciclata (lettere, pubblicazioni matrimoniali, circolari parrocchiali e diocesane, fogli di disposizione e avvisi del Partito Nazionale Fascista, ecc.). Ad esempio, buona parte dei lemmi costituenti la lettera I è
scritta su annunci di pubblicazioni matrimoniali e su stampati compilati dalla curia diocesana e dalla parrocchia. Nella lettera E, invece, vengono adoperati fogli di quaderno a quadretti ruotati di 90 gradi, come si deduce dalla
presenza, al centro della pagina, delle righe rosa di margine e dei fori dovuti
alle graffette della rilegatura originaria.14
Mentre è possibile elencare dati oggettivi nel descrivere le caratteristiche esterne
del manoscritto, come si è fatto nelle righe precedenti, più complesso appare il
compito di indicare intenzioni, scopi e finalità dell’impresa lessicografica, il tipo
o i tipi di lettore per i quali essa è stata concepita, la posizione dell’Autore in relazione ad alcuni problemi cruciali di lessicografia e di tecnica lessicografica. Ciò
in considerazione del fatto che manca un’introduzione al Vocabolario scritta dallo stesso Casu, che avrebbe potuto fornire ragguagli su questi punti, consentendo anche di valutare la rispondenza fra propositi programmatici e risultati conseguiti. Tuttavia, se è assente un’introduzione siffatta, come pure lo scioglimento
delle abbreviazioni utilizzate e i riferimenti bibliografici relativi agli autori citati,
vi sono i dati contenuti in alcune voci del dizionario, che possono essere esaminati utilmente per iniziare a impostare il discorso che qui ci interessa.
Illorai, Lollove, Luras, Macomer, Monti, Mores, Nughedu, Nule, Nuoro, Olbia, Oliena, Olzai, Orani, Orgosolo, Orosei, Oschiri, Osilo, Ossi, Ozieri, Padria, Pattada, Paulilatino, Ploaghe, Posada, Pozzomaggiore,
Sarule, Scano Montiferro, Sennori, Siligo, Siniscola, Sorgono, Terranova, Thiesi, Urzulei, Villanova Monteleone; (distretti) Anglona, Barbagia, Baronia, Gallura, Goceano, Logudoro, Marghine, Meilogu, Planargia.
13. Queste date sono state annotate dal Casu rispettivamente sul margine alto del primo foglio del manoscritto, con cui inizia la lettera A (di cui registra anche la data in cui ne ultimò la compilazione: 11
aprile 1936), e nell’ultimo foglio, con cui termina la lettera Z, numerato 1019.
14. Tutti i fogli, indipendentemente dalla loro tipologia, sono piegati al centro in senso verticale in modo da delimitare perfettamente lo spazio destinato alle due colonne in cui si articola ciascuna pagina e
recano per mano dell’Autore la numerazione sul margine alto in posizione centrale.
In mancanza di spazio all’interno delle pagine, le integrazioni vengono riportate su fogli di ridotte dimensioni applicati con colla o nastro adesivo. I fogli aggiunti secondariamente sono individuati con la
notazione bis preceduta dal numero del foglio cui attengono gli inserimenti.
L’inchiostro con cui è scritto il testo di base è generalmente di colore nero, mentre gli inserimenti successivi sono fatti con inchiostri di colore differente (seppia, grigio, ecc.) o a matita. Non sempre, però, la
presenza di vari colori dell’inchiostro è indizio di un’aggiunta successiva. Nel lemma appozàdu, p. es., il
fenomeno sembra attribuibile a una diversa pressione esercitata dalla mano sul pennino. Invece nella lettera I l’alternanza di ampie sezioni redatte con colori distinti (blu/nero) sembra dovuta all’esaurimento
dell’inchiostro con cui era iniziata la scrittura.
I segni grafici indicanti il punto del testo nel quale dev’essere inserita l’aggiunta sono realizzati per mezzo
di una matita rossa o blu.
I fogli presentano uno spessore e una porosità variabili anche all’interno di una stessa sezione: nella lettera
I, p. es., a pagine di grammatura consistente e dalla superficie porosa si affiancano carte sottili e lisce che
determinano un assorbimento irregolare dell’inchiostro. Talvolta sono presenti evidenti tracce di colla alle
estremità dei fogli, causate dall’utilizzo di nastro adesivo, reso necessario dal deterioramento dei bordi.
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Infatti nella ricca esemplificazione con cui sono illustrati valori, funzioni e accezioni delle singole voci lemmatizzate, Casu lascia spesso tralucere la propria
visione del mondo e il suo giudizio su determinati temi, talvolta facendo pure
riferimento esplicito a fatti, eventi o episodi che lo hanno riguardato in prima
persona. Così, p. es., s.v. ràga riporta l’esempio: Pedru Casu ha postu a Dante
in ragas ‘Pietro Casu ha vestito Dante alla sarda, ha tradotto in sardo la Divina Commedia’; s.v. sàrdu adduce tra gli esempi la frase: S’autore de custu Vocabbulariu ha traduidu in Sardu sa Divina Cumedia de Dante, “Sos Sepulcros”
de Foscolo, e medas poesias franzesas, ispagnolas, inglesas, tedescas e latinas ei sas
Lamentasciones de Geremia ‘l’autore di questo Vocabolario ha tradotto in sardo la Divina Commedia di Dante, “I Sepolcri” di Foscolo, e molte poesie
francesi, spagnole, inglesi, tedesche, latine, e le “Lamentazioni” di Geremia’;
s.v. intervistàre esemplifica il verbo posto a lemma con la frase: Ecco chi già
m’han intervistadu tantos subra custu beneittu vocabbolariu, no ndhe cherzo pius
intendhere ‘ecco che m’han già intervistato parecchi su questo benedetto Dizionario, non voglio più saperne altro’; s.v. vocàbbulu informa tra gli esempi:
In custu vocabbolariu ch’ha pius de trintasemiza vocabbulos ‘in questo vocabolario ci son più di trentaseimila vocaboli’; s.v. primàte accenna alla sua partecipazione al Congresso Eucaristico di Budapest, avvenuta nel 1938,15 inserendo nella parte esemplificativa dell’articolo la frase: Hap’intesu a Budapest su
discursu de su Primate de Ispagna ‘ho udito a Budapest il discorso del Primate
di Spagna’; s.v. sàntu 1 fa sapere: Hapo connoschidu già tres annos santos ‘ho già
conosciuto tre anni santi’; s.v. santuàriu comunica: Hapo visitadu pius de
chentu Santuarios in Sardigna, in Continente e in terras istranzas ‘ho visitato
più di cento santuari in Sardegna, nel continente e all’estero’, ecc.
In altri casi manca il riferimento a sé stesso, espresso con il pronome di prima persona o con l’uso dell’intera formula onomastica, come nei materiali
ora citati, ma non vi è dubbio che dietro l’enunciato lessicografico anonimo
vi sia Pietro Casu con tutti i suoi convincimenti ideologici, culturali, politici
e con tutto il suo vissuto personale.
Così, anche se non si possedessero altri elementi d’informazione sugli orientamenti politici del Casu, sarebbe sufficiente mettere a confronto la trattazione
delle voci democristiànu e comunìsta per farsi un’idea abbastanza chiara sull’argomento: mentre, infatti, la nozione di ‘democratico cristiano’ è esemplificata con
la frase: Sos democristianos sun sos veros amigos de su poveru ‘i democristiani sono
i veri amici del povero’, la nozione di ‘comunista’ è chiarita invece con l’esempio: Sos comunistas sun ferozzes che feras, no sun omines ma demonios ‘i comunisti
son feroci come le belve, non sono uomini ma demòni’. D’altra parte la scelta
di campo tra le due ideologie è ribadita anche alla voce capitalìsmu (Sos comunistas cheren fagher sa gherra a su capitalismu, ma si poden diventan capitalistas issos matessi ‘i comunisti voglion far la guerra al capitalismo, ma se possono diventano capitalisti essi stessi’), alla voce propriedàde (Su drittu de propriedade est
antigu cantu s’omine, no isco comente zertos unos arriven a negare su drittu de propriedade ‘il dritto di proprietà è antico quanto l’uomo, non so come certuni vogliano negare il dritto di proprietà’), nonché alla voce sozzialìsta (Cussa femina
est una sozzialista arrabbiada ‘quella donna è una socialista arrabbiata’, Sos sozzialistas cheren custu ei cuddhu ‘i socialisti vogliono questo e quello’).16
Altre volte i riferimenti paiono meno diretti, ma tuttavia meritevoli di essere
considerati. È il caso, p. es., riguardante Grazia Deledda, con cui Casu ebbe
un’aspra polemica negli anni 1921-22 e alla quale rimproverò, tra l’altro, di
trascurare troppo la lingua e la grammatica italiane:17 la scrittrice nuorese è
citata due volte nel nostro manoscritto, una s.v. romanzéri, in modo pienamente giustificato dal significato della voce (Grazia Deleddha fid una grandhe romanzera ‘Grazia Deledda fu una grande romanziera’), l’altra (Grassia
Deleddha haiat fattu solu sas elementares ‘Grazia Deledda aveva frequentato
solo le scuole elementari’) in maniera meno ovvia rispetto al contenuto semantico del lessema elementàre.
Preso atto di tale stato di cose, pare dunque legittimo analizzare alcune affermazioni contenute negli enunciati esemplificativi del dizionario per ricostruire i principi ispiratori dell’operazione lessicografica realizzata dal Casu.
In questa prospettiva d’indagine merita certamente attenzione innanzi tutto
una serie di frasi volte ad affermare e a dimostrare la ricchezza del lessico sardo, in contrapposizione all’opinione comune circa una sua pretesa povertà.
Oltre a quella già menzionata, secondo cui il Vocabolario contiene più di trentaseimila vocaboli (cfr. s.v. vocàbbulu), ricorderemo le seguenti asserzioni: s.v.
ricchèsa: Niunu diat crêr a sa ricchesa de sa limba sarda. Custu dizionariu reggistrat pius de trintachimbe miza paraulas ‘nessuno crederebbe alla ricchezza della
lingua sarda. Questo dizionario registra più di trentacinque mila parole’; s.v.
póveru1: Naran chi su Sardu est una limba povera, ma es veru su contrariu, e creo
chi lu proed unu pagu custu vocabbulariu ‘dicono che il Sardo è una lingua povera, ma è vero il contrario, e credo che lo provi un poco questo vocabolario’.
Appare evidente che Casu annetteva grande importanza al fatto che il suo repertorio lessicografico offrisse – in primo luogo agli stessi Sardi, spesso inclini
a non apprezzare sufficientemente il proprio idioma – una prova visibile, tangibile e numerabile della sua dignità: donde l’insistenza sul numero rilevante
di entrate lessicali del dizionario, in accordo con l’idea (espressa nel quotidiano sassarese La Nuova Sardegna, 10-11 gennaio 1922) che il logudorese è dialetto ricchissimo, «certo tra i dialetti d’Italia, per ricchezza di vocaboli e di frasi
è il terzo e viene dopo il toscano e il veneto». D’altra parte la stessa finalità del
Vocabolario egli assegnava all’altra sua grande impresa, la traduzione della Divina Commedia, ossia quella «de fagher vider chi sa limba salda, s’ha ricchesas
bastantes pro poder vestire cumbenientemente un’opera de sa pius alta impoltanzia
e de tanta difficultade, es digna de mazore considèru dai palte nostra».18
Tuttavia il numero elevato dei lemmi del Vocabolario (in realtà si tratta di
ben 54.687) è raggiunto – occorre rilevarlo – anche grazie all’impiego di
una prassi estranea alla lessicografia scientifica moderna: quella consistente
nell’assegnare un’entrata distinta nella nomenclatura del dizionario a tutte le
forme di grado alterato di aggettivi, sostantivi e avverbi e a tutte le forme di
participio passato dei verbi.
Così, p. es., accanto al sostantivo maschile pàdre ‘frate’ figurano con lemmi
distinti i diminutivi padrighéddhu ‘fraticello, fratino’, padrìttu ‘fratino’, padrùzzu ‘fratuccio, fraticello’; accanto all’avverbio pàgu ‘poco’ sono registrati a
parte, con entrate separate, le forme diminutive paghighéddhu ‘pochettino’,
15. R. Bonu, Scrittori sardi cit., p. 587, n. 7.
16. Il giudizio critico di P. Casu nei confronti dell’ideologia comunista e socialista è espresso nel romanzo … per Te, Sardegna!, per bocca del protagonista Paolo Silvani e si ricava altresì dalla descrizione del
personaggio dell’avvocato Ascanio Pirelli nel romanzo Aurora sarda.
17. G. Ruju, Pietro Casu tra Grazia Deledda e Max Leopold Wagner, Cagliari, 1981, pp. 82-109, in particolare p. 90.
18. P. Casu, Sa Divina Cumedia de Dante in limba salda, Ozieri, 1929, nella prefazione intitolata “Pagas
paraulas a chie lèggede”.
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paghìttu ‘pochino, pochetto’, paghizzéddhu ‘pochettino’; accanto all’aggettivo féu 1 ‘brutto’ s’incontrano con entrate proprie gli alterati feóttu ‘bruttino’,
feùzzu ‘bruttino’, feuzzéddhu ‘bruttino’ e feòna (-e) ‘bruttona, -e’. Parimenti,
nel caso del participio passato dei verbi, pacificàdu ‘pacificato, rappaciato’ ha
un’entrata a sé accanto a pacificàre ‘pacificare, rappaciare’; ferràdu ‘ferrato;
condensato’ accanto a ferràre ‘ferrare; condensarsi’; fermentàdu ‘fermentato’
accanto a fermentàre ‘fermentare, lievitare’, ecc.
Però la propensione a moltiplicare le entrate del dizionario nell’operare lessicografico del Casu non si limita all’aspetto ora esaminato, ma ne interessa
anche altri che possono mettere a rischio uno dei princìpi basilari della lessicografia: quello dell’autenticità dei materiali selezionati, per cui il dizionario
deve limitarsi a registrare solo forme linguistiche realmente esistenti. Per essere sicuro che una determinata occorrenza linguistica sia effettivamente autentica, il lessicografo deve trovare conferma dell’esistenza di essa in fonti
indipendenti da sé stesso, ossia in testi scritti o presso altri informatori.
In particolare i manuali di lessicografia, sia teorica che pratica, mettono in guardia (soprattutto in relazione a lingue i cui meccanismi derivativi sono caratterizzati da un certo grado di regolarità o prevedibilità morfologica) dalla tendenza a
includere acriticamente nel dizionario, tra i derivati di una parola, quelli che Y.
Malkiel ha denominato felicemente latent words,19 ossia formazioni derivate che
potrebbero teoricamente esistere in una determinata lingua, ma che in effetti
non esistono. Infatti, come conseguenza della proprietà generale delle lingue storico-naturali nota con il nome di “arbitrarietà”, nel sistema derivazionale di una
lingua si possono trovare lacune morfologiche, per cui non tutti i morfemi lessicali suscettibili di combinarsi con un certo morfema derivazionale si combinano
in effetti con esso: in italiano, p. es., *lavamento (da lavare) e *dimenticamento
(da dimenticare) sono teoricamente possibili, ma non esistono; egualmente da
punire si ha punizione, ma da stupire non si ha il pur possibile *stupizione. Insomma, nessuna lingua sfrutta appieno le potenzialità offerte dai meccanismi di
formazione delle parole, essendo questi, per loro intrinseca natura, non obbligatori, contrariamente ai meccanismi morfologici della flessione.
Il Casu disconosce questa problematica (in seguito emergerà il perché) ed è
portato a registrare con entrate lessicografiche distinte tutte le formazioni
teoricamente derivabili da una base di derivazione, a prescindere dal rispetto
del principio di autenticità dei materiali selezionati. Così, ad esempio, il
manoscritto del Vocabolario presenta nell’ordine i seguenti lemmi:
attanagadu agg. attanagliato.
attanagadura s.f. attanagliatura.
attanagamentu s.m. attanagliamento.
attanagare tr. attanagliare, lacerare le carni con tanaglie infocate.
Barbaro supplizio antico. (C. de Logu).
In realtà, però, a fronte di queste quattro forme, ciò che esiste è soltanto il
gerundio attanagandollu, attestato nel primo capitolo della Carta de Logu
d’Arborea, quello che detta norme sulle pene da infliggere a chi dovesse rendersi colpevole di lesa maestà e prescrive, appunto, che il reo si depiat dughiri attanagandollu infini assa furcha ‘si debba condurre attanagliato (letteralm.
attanagliandolo) sino alla forca’. Il verbo arborense per ‘attanagliare’ è un
19. Y. Malkiel, “A typological classification of dictionaries on the basis of distinctive features”, in F. W.
Houseolder, S. Saporta (ed.), Problems in Lexicography, Bloomington, 1960 (1962), pp. 3-24.
13
imprestito dall’italiano, in cui la laterale palatale interna era resa con l’affricata prepalatale sonora, secondo l’esito tanaǧǧa < ital. tenaglia, che ancora
vige nell’area dell’antico giudicato di Arborea, ad esempio a Busachi e a Sorgono. Dunque il gerundio del testo medioevale suonava foneticamente [attanaǧǧandollu] e veniva scritto attanagandollu semplicemente per il fatto
che nel XV secolo il digramma <ga> serviva per notare tanto la sillaba [ga],
quanto la sillaba [ǧa]. Cfr., sempre nella Carta de Logu, il part. pass. passivo
‘tagliata’, foneticamente [taǧád̄a], scritto tagiada nei cap. 5 (due volte), 22,
23, 139, ma tagada nei cap. 6, 28.
Siccome non aveva presente la vera natura di questa grafia antica e riteneva
che ciò che è scritto attanagandollu fosse realmente pronunciato [attanagandollu], il Casu ha recuperato al sardo un verbo attanagare e da esso ha derivato a tavolino le forme moderne (e pertanto sprovviste d’indicatore cronologico) attanagadu, attanagadura, attanagamentu, ovviamente del tutto inesistenti.
Un caso simile, anche se di contesto differente, è quello riguardante i seguenti lemmi del manoscritto:
arralada s.f. L’atto di terminare il solco.
arraladura s.f. L’azione e l’effetto del finire il solco, terminare il lavoro.
arralare intr. Finire di tirar la linea (rala), di terminare il solco o la porca.
Questa volta il Casu è partito da una forma arralare incontrata nella riduzione italiana, a cura di V. Martelli, del celebre libro di M. L. Wagner sulla vita
rustica della Sardegna riflessa nella lingua.20 A p. 15 della traduzione eseguita
dal Martelli si legge, infatti: «La linea che il contadino segue arando o zappando si chiama log. rala = cat. ralla ‘linea’, onde arralare ‘finire di tirar la linea, cessare il lavoro’». Purtroppo il Martelli, un professore toscano di botanica sbalestrato in Sardegna, digiuno di conoscenze linguistiche, non si accorse
del fatto che nel testo originale tedesco la lettera l era provvista del segno diacritico indicante in grafia fonetica l’articolazione laterale palatale, e quindi anziché ral’a trascrisse rala, anziché arral’are riportò arralare.
Sebbene non ignori e registri nel Vocabolario la corretta variante logudorese
raglia, Casu ha preso per buone anche le forme errate addotte dal Martelli
(pur impossibili sotto il profilo della fonetica storica del sardo per il trattamento abnorme catal. - l’ - > log. - l -) e a partire dall’inesistente arralare ha
costruito i derivati, altrettanto inesistenti, arralada, arraladura.
Pertanto nell’utilizzare i materiali compresi nel presente Vocabolario, il lettore dovrà tener conto della situazione suddescritta e valutare di volta in volta
la possibilità che derivati formati per mezzo degli affissi più produttivi, soprattutto nel caso in cui il lemma risulti sprovvisto di esemplificazione o sia
dato senza localizzazione, siano forme teoricamente possibili, ma non necessariamente esistenti: si configurino, cioè, come creazioni del Casu.
Sempre in tema di autenticità dei materiali selezionati, alcune considerazioni meritano di essere fatte anche riguardo all’utilizzazione dei dati di altri lavori lessicografici. Come è noto, per il compilatore di un dizionario un’importante fonte d’informazione può essere rappresentata da altri repertori
lessicografici sulla lingua in questione o da studi lessicali o lessicografici ad
20. M. L. Wagner, La vita rustica della Sardegna rispecchiata nella sua lingua, trad. di V. Martelli, Cagliari, 1928. L’originale tedesco M. L. Wagner, Das ländliche Leben Sardiniens im Spiegel der Sprache. Kulturhistorisch-sprachliche Untersuchungen, Heidelberg, 1921, è stato edito recentemente in versione italiana
integrale: La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua, a cura di G. Paulis, Nuoro, 1996.
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essa pertinenti. Quando si serve di tali materiali il lessicografo deve conformare il proprio procedere all’usuale metodo della critica scientifica: nulla va
accettato senza il costante controllo di ogni dettaglio, perché l’esperienza insegna che non esiste praticamente dizionario che non contenga qualche errore, anche solo a livello di refusi di stampa. Il tipo più grave d’errore è rappresentato dai cosiddetti ghost-words, ossia unità lemmatizzate e trattate al
pari di ogni altra entrata del dizionario, pur essendo in realtà parole fantasma che riposano soltanto su un errore della tradizione letteraria, su un’errata interpretazione di essa o su qualche altro fenomeno del genere. Famoso, a
questo proposito, è il caso ricordato da B. Migliorini, concernente il vocabolo settilineo ‘che ha sette linee’, presente in alcuni dizionari italiani, originato semplicemente da un refuso tipografico per rettilineo.21
Anche Casu per il suo lavoro ha potuto servirsi di un altro dizionario, il ben
noto Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo del canonico G. Spano, opera
ottocentesca invero assai meno ricca della sua e differente per struttura e
concezione.22
Siccome lo Spano si giovò per la raccolta dei materiali soprattutto di corrispondenti, per lo più sacerdoti che gli inviavano liste di parole dalle diverse
parti della Sardegna, accadde che, sia per la cattiva trascrizione sia per la grafia
quasi illeggibile di alcuni di quei corrispondenti, vari errori e voci inesistenti
siano penetrati nel suo Vocabolario e ciò ha ingenerato in M. L. Wagner il
dubbio sulla reale esistenza anche di un certo numero di altri vocaboli non
confermati sul luogo.
Circa quest’ultima categoria di parole, occorre sottolineare che alcune di esse sono riportate dal Casu con specificazioni attinenti sia alla definizione, sia
all’esemplificazione, sia alla localizzazione, tali che bisogna considerarle assolutamente sicure (p. es. accoàre, accosiàre, agguttàre, dùccu, ecc.), invece sulle
altre, in cui la trattazione dello Spano viene ripresa senza sostanziali modificazioni e aggiunte, è bene osservare un atteggiamento prudente. Infatti la
circostanza per cui tali termini figurano anche nel Vocabolario del Casu non
può essere considerata a priori una conferma della loro esistenza, atteso che
può essere dimostrato come in altre occasioni Casu abbia accolto senza riserve voci erronee registrate dallo Spano.
Una di queste è il verbo castigire, così illustrato dal Casu:
castigire tr. custodire, conservare. Qui mi lu càstigit donnu Deus
che Domine Dio lo difenda (Mss. A.).
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presente del verbo castigari (nella Carta greca 23: kastikavrh) risalente in modo del tutto regolare al congiuntivo lat. CASTIGET, con il passaggio e > i in sillaba finale tipico del campidanese.
Lo Spano, che – com’è noto – non aveva grande dimestichezza con i dialetti
sardi meridionali, si lasciò ingannare dal fatto che in campidanese la terminazione di 3ª pers. sg. del congiuntivo presente dei verbi della prima coniugazione (amit < AMET) coincide formalmente con la terminazione di 3ª
pers. sg. dell’indicativo presente dei verbi in -iri (finit < FINIT), e quindi dedusse erroneamente dal congiuntivo castigit la forma d’infinito castigiri.
Per quanto le Carte Volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari avessero avuto
una buona edizione per cura di A. Solmi già nel 190523 e una puntuale illustrazione linguistica (relativa anche alla forma castigit) ad opera di P. E. Guarnerio
nel 1906,24 il Casu non si rese conto dell’equivoco in cui era incorso lo Spano e
ne recepì il lemma castigiri. In più pensando che la -i di castigiri fosse un errore
di stampa in luogo di -e (visto che lo Spano attribuiva la forma a manoscritti
logudoresi antichi, e il logudorese ha solo infiniti terminanti per -e), corresse
castigiri in castigire. Con l’effetto di allontanarsi ulteriormente dai dati reali.
Un altro lemma per il quale il Vocabolario del Casu dipende da una lezione
corrotta registrata dallo Spano è:
istungiare tr. (voc. ant.) abbattere, distruggere (C. de L.) …
che riprende l’articolo del canonico ploaghese:
istungiàre, v. a. (C. de L.) distruggere. Istungiare fossadu, atterrar fosso, siepe.
La registrazione dello Spano deriva da una lezione corrotta del cap. 43 della
Carta de Logu, recante istungiarit (così nell’edizione del 1805 di Mameli de’
Mannelli) in luogo del corretto iscungiarjt (qui iscungiarjt fossadu de alcuna
vingna angena ouer ortu o corte de boes) conservato dal manoscritto cagliaritano della Carta, che fu edito da E. Besta nel 1905 con note linguistiche di
P. E. Guarnerio.25 Naturalmente la forma verbale arborense corrisponde a
quella log. iscunzàre ‘atterrare i muri o le siepi che chiudono i terreni’ presente nel repertorio del Casu.
Gli ultimi esempi considerati riguardano il sardo antico e mostrano come Casu,
per documentare la ricchezza del lessico sardo e le sue trasformazioni nel tempo,
volle includere nel dizionario anche un certo numero di vocaboli di epoca medioevale. Ma in questo campo si scontrò con le difficoltà della materia.26
La trattazione ricalca quella dello Spano:
castìgiri, v. a. Log. (MSS. A.) conservare, salvare. Qui milu càstigit
donnu Deus, che Domine Dio lo guardi. Donaz. dei Regoli sardi.
In realtà il verbo in questione appare, nella formula ki mi lu castigit donnu
deu balaus annus et bonus (‘che me lo protegga il signore Iddio per molti e
buoni anni’), non già nei manoscritti antichi logudoresi, come per una svista
riferisce lo Spano, bensì nelle Carte Volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari redatte in campidanese antico. Si tratta della 3ª pers. sg. del congiuntivo
21. B. Migliorini, Che cos’è un vocabolario, Firenze, 1951, p. 78.
22. L’opera fu pubblicata a Cagliari nel 1851-52. Ora è disponibile anche l’edizione ampliata con i 5000
lemmi di un’inedita Appendice manoscritta dell’autore: G. Spano, Vocabolariu Sardu-Italianu e Vocabolario italiano-sardo, a cura di G. Paulis, Nuoro, 1998, 4 voll.
23. A. Solmi, “Le carte volgari dell’archivio arcivescovile di Cagliari. Testi Campidanesi dei secoli XIXIII”, in Archivio Storico Italiano, serie V, 35 (1905), pp. 273-330.
24. P. E. Guarnerio, “L’antico campidanese dei sec. XI-XIII secondo le antiche carte volgari dell’Archivio
Arcivescovile di Cagliari”, in Studi Romanzi, 4 (1906), pp. 189-259.
25. E. Besta, P. E. Guarnerio, “Carta de Logu de Arborea. Testo con Prefazioni illustrative”, in Studi Sassaresi, 3 (1905), edizione del testo alla sez. I, fasc. I, pp. 3-72; prefazioni illustrative alla sez. I, fasc. 2, pp.
3-150 (Besta, “La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico”, pp. 3-68; Guarnerio, “La lingua
della «Carta de Logu» secondo il manoscritto di Cagliari”, pp. 69-145).
26. Infatti nella trattazione dei termini medioevali non mancano ghost-words, interpretazioni fallaci e dati
inesatti, che qui ci corre l’obbligo di chiarire al lettore, per evitare il rischio che utilizzi materiali inattendibili, avvertendolo che nel corpo del Vocabolario si è richiamata l’attenzione sui casi più gravi aggiungendo l’indicazione [sic] al lemma interessato.
«bardolu s.m. pezzo grosso (C.S.P.)» è parola inesistente nel Condaghe di San Pietro di Silki (= C.S.P.) e
scaturisce da un’errata lettura del glossario curato dall’editore (Condaghe di S. Pietro di Silki. Testo logudorese
inedito dei secoli XI-XIII, a cura di G. Bonazzi, Sassari-Cagliari, 1900), che a p. 167 reca: «bardones 212,
uardones 208, od. bàrdolu, pezzetto, bardone pezzo grande». Dunque bàrdolu è, secondo Bonazzi, voce
od[ierna] significante ‘pezzetto’. Nel testo medioevale invece figurano soltanto le forme bardones e uardones.
16
Tuttavia sarebbe ingiusto giudicare l’opera del Casu con i parametri più rigorosi della linguistica e della filologia. Egli era innanzi tutto un poeta, uno
scrittore e un professionista della parola sacra, che aveva preoccupazioni e
interessi diversi da quelli di coloro che al suo tempo coltivavano a livello
specialistico gli studi linguistici e filologici sul sardo. Ed è proprio grazie a
tale “diversità” che egli ci ha dato un’opera come questa, che ci svela in una
maniera unica e irripetibile, in quanto filtrata dalla sua personale sensibilità
di poeta, scrittore e grande oratore religioso in lingua logudorese, la faccia
nascosta della lingua sarda: quella che la scienza linguistica dell’epoca in parte non aveva voluto, in parte non aveva potuto né saputo esplorare.
«barréllu s.m. barile (C.S.P.)». La parola non significa ‘barile’, ma corrisponde certamente al log. barréd.d.u ‘fardellino dei ragazzi’, camp. rust. orréd.d.u ‘gonnella bianca di tela’ e proviene dall’ital. ant. guarnello,
come spiegò già il Salvioni nel 1909 (“Bricicche sarde”, in Archivio Storico Sardo, 5, p. 229) e successivamente Wagner nel 1921 (Das ländliche Leben Sardiniens cit., p. 142) e nel 1941 (Historische Lautlehre des
Sardischen, trad. it. Fonetica Storica del Sardo, a cura di G. Paulis, Cagliari, 1984, pp. 412-413).
«battorpédia s.f. (t. arc.) servi posseduti per un quarto (C.S.P.)». Il significato è quello di ‘bestiame, animali’, letteralm. ‘quadrupedi’, come sappiamo a partire dallo studio sulla lingua del Condaghe di San Pietro di
Silki, pubblicato nel 1902 dal più grande romanista dell’epoca, W. Meyer-Lübke (“Zur Kenntnis des Altlogudoresischen”, in Sitzungsberichte der Kais. Akademie der Wissenschaften, Wien, Bd. 145, Abh. 5, p. 56).
«bérbu s.m. al pl. parole superstiziose. Torrare berbu tornar la parola (C. de L.)…». L’espressione torrare
berbu è estranea alla Carta de Logu; si trova invece in altri testi medioevali, come il Condaghe di San Pietro di Silki e le Carte Volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari.
«berrùdu1 s.m. … Corona de berrudu consiglio degli anziani, che portavano il verruto come segno di autorità (C. de L.) … », «berrùdu2 … Corona berruda → BERRÙDU». Riprende la formulazione dello Spano, s.v. berrùdu: « … Corona berruda o de berudu (C. de L.), il consiglio degli anziani, o giudici, curatori
o ufficiali a torno ogni settimana, così detti perché questi portavano il veruto per giudicare, simile a quello
che portano oggi i Maggiori di Giustizia in certi villaggi». L’esatta denominazione di quello che lo Spano
chiamava ‘consiglio degli anziani’ non è né Corona de berrudu né Corona berruda, bensì Corona de chida
de berruda o Corona de berruda, particolare di una certa importanza per poter ricostruire correttamente la
storia e l’origine della parola.
«bòrçe s.f. porzione. Si scriveva anche borthe. Negli antichi manoscritti (C.S.P. e C.S.N.T.). Credo fosse
abbreviazione di portione (port.e)». La parola in questione non è un sostantivo femminile, bensì una congiunzione significante ‘ma, bensì, piuttosto, anzi, invece, però, soltanto, all’infuori di’, come chiarì Meyer-Lübke nella citata monografia.
«castigàre tr. castigare, punire. Ndh’ha fattu tantas, ma Deu l’ha castigadu ne ha fatto tante, ma Dio l’ha punito.| (voc. ant.) custodire, conservare (C.S.P.)». Il verbo castigare non figura nel Condaghe di San Pietro di
Silki, normalmente indicato dal Casu con la sigla C.S.P. Il Codice di San Pietro di Sorres, altro testo cui potrebbe adattarsi la sigla C.S.P., presenta il vb. castigare nell’accezione di ‘castigare, punire’ (300.24, 340.31,
324.24).
«càstigu s.m. custode del campo, guardiano (C. de L.). Bestires de càstigu vestiti di festa. || lat. cataclistica
(Tert.)». Il sostantivo castigu non occorre mai nella Carta de Logu con l’accezione indicata dal Casu, bensì soltanto in quella di comprensorio in cui si addensavano le vigne, che venivano guardate da persone,
castiadores, compensate solidalmente dai proprietari. Casu è stato fuorviato da una formulazione ingannevole dello Spano alla voce càstigu: «càstigu, m., -adòre m. Log. (C. de L.) custode del campo, guardiano.
Bestire de càstigu (Margh.), veste riservata, di festa, di pompa. La cataclistica di Tertulliano».
«catrìcla s.f. (voc. ant.) pergolato (C.S.P.)». La parola non significa ‘pergolato’, ma va insieme al tipo
centr. katríka, log. kad̄ríg–a, camp. kardíg–a ‘gratella, graticola; distanza tra un solco e l’altro’, come riconobbe già Wagner nel 1941 (Fonetica Storica del Sardo cit., p. 241).
«distacciàre tr. staggire (Cod. di Sorres)». La voce non figura nel Codice di San Pietro di Sorres (ed. A. Sanna), ove le forme per ‘staggire’ sono istasire 48.10, part. pass. istasidu 256.6, 261.12, 268.5; istasidas 228.8.
Nell’accezione di ‘sequestro’ compare istasina 268.8, istacina 228.19.
«doàre tr. sgherbire, rastiare, tagliare le frasche ingombranti in una selva o nei viottoli di campagna …
Anche dovàre (Cod. Rep. Sass.) chiudere … »; «dovàtu s.m. rastrello, chiuso, cinta; luogo sgherbito. (Dova, dovatu, dovare, Cod. Rep. Sass.) → DÒA ecc.». Il significato di ‘chiudere, chiuso, cinta’ attribuito ai lessemi considerati è infondato e riposa su una fantasiosa interpretazione etimologica del Tola: «terreno dogato, cioè cinto o fasciato di legno, presa la similitudine dalla doga». Già il Guarnerio nel 1894, nelle
annotazioni lessicali alla sua edizione degli Statuti Sassaresi (Archivio Glottologico Italiano, 13 (1892-94),
pp. 1-124), spiegò che le forme del log. ant. di cui si tratta corrispondono esattamente al verbo log. mod.
doare, centr. dogare ‘scavare un fosso intorno ai terreni da debbiare, in modo che il fuoco non si propaghi
al di fuori di essi’, che non ha nulla a che vedere con la doga di legno delle botti.
«fàrga s.f. solco. ▫ fargala → BARGÀLA (C.S.P.). || gr. (pharkís) farkivı ruga, solco; (pháros) favroı aratro». La
parola non può significare ‘solco’ perché designa sempre un oggetto di scambio nell’ambito di transazioni
economiche. Casu ha male interpretato la seguente annotazione del Bonazzi (Condaghe di S. Pietro di Silki
cit., p. 173): «farga 150 e fargala 87, forse sono da identificarsi con bargala, v. Cfr. farkivı ruga, e quindi solco, favroı aratro». Dunque Bonazzi esprime l’opinione che farga sia una variante di bargala, voce alla quale
egli assegna il significato di ‘aratro’, da confrontarsi, a suo avviso, con farkivı ‘ruga’, e quindi ‘solco’.
«jumpàdu (~ su, ~ sa, ~ sos) prep. verso. Jumpadu su monte verso il monte (C.S.P.)». La locuzione jumpadu
su monte non occorre nel Condaghe di San Pietro di Silki, né nel Codice di San Pietro di Sorres e jumpadu
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Infatti, agli inizi del Novecento, con la figura dominante di Max Leopold
Wagner, quasi coetaneo del Casu (era nato a Monaco di Baviera nel 1880),
la linguistica sarda aveva assunto un indirizzo decisamente “archeologico” e
rurale, caratterizzato da un interesse quasi esclusivo per la parlata di contadini e pastori e per gli aspetti più conservativi e più genuinamente popolari
della realtà culturale sarda. In quest’ottica romantica, in cui i valori positivi
erano costituiti dal genuino, dall’arcaico e dal primitivo incontaminato, tutto ciò che sapeva di moderno, di urbano, di civilizzato, di culto e che risentiva dell’influsso italiano non destava alcun interesse. Della poesia si considerava soltanto quella schiettamente popolare dei mutos e dei mutettus, non
quella semiculta dei poeti estemporanei e ancor meno quella culta dei poeti
dotti come Gerolamo Araolla, Giovanni Delogu Ibba, Pietro Pisurzi, Luca
Cubeddu, Melchiorre Dore, Diego Mele, ecc. Men che meno attirava l’attenzione la lingua dell’omiletica religiosa, in quanto ricca di latinismi, di italianismi e in genere di cultismi.
Ma l’interesse e il gusto dei Sardi andavano in direzione esattamente opposta, come sottolineava V. Cian in un saggio sulla poesia popolare sarda:27
Essi [i Sardi] vantano, con orgoglio non del tutto illegittimo, una
poesia popolareggiante, più o meno tradizionale, più o meno improvvisata, ma spesso ricca e varia, spesso squisitamente geniale e
meritevole d’esser conosciuta; tutto il resto, tutte le manifestazioni
più genuine della poesia popolaresca o non curano o deridono come troppo umili, troppo rozze, troppo indegne della loro e dell’altrui attenzione.
non è una preposizione, bensì il part. pass. di jumpare ‘oltrepassare’, dunque jumpadu su monte significa
‘oltrepassato il monte, al di là del monte’.
«kersa avv. (voce morta) quando». L’unica forma di questa voce log. ant. tramandataci dai testi è kèrra.
Probabilmente il Casu è incorso in una confusione di schede con kersa ‘lentisco’.
«manu2 avv. (voc. ant.) subito (C.S.P.)». La forma lemmatizzata occorre nel Condaghe di San Pietro di Silki
14 nell’espressione Giraimus manu a parthire sos chi auiamus romasitos. Bonazzi (p. 154) erroneamente interpretò manu come avv. ‘subito, ora’, probabilmente – penso – alla luce della locuzione avverbiale a manu
a manu ‘ora, subito’ registrata dallo Spano. A torto Casu l’ha seguito, nonostante dal 1937 si disponesse
dell’edizione del Condaghe di San Nicola di Trullas e del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, monumenti del sardo antico, ove occorre egualmente il sintagma girare manu, anche nella forma girare manus, che
mostra senza ombra di dubbio come manu (al pl. manus) sia semplicemente la parola per ‘mano’.
«mein prep. (voc. ant.) in, per. Mein domo in casa (C.S.P.)». La forma lemmatizzata non esiste né nel
Condaghe di San Pietro di Silki, né nel Codice di San Pietro di Sorres. Casu è partito dall’annotazione del
Bonazzi (p. 176): «meiu, meia (in, per) 145, 334 in mezzo, per mezzo», riferentesi ai passi 145: e ccollat
per meiu monte de Rolacki; 334: ki fuit in meia sa domestica. Casu, che evidentemente ha preso in considerazione soltanto il glossario del Bonazzi, senza riscontrare i testi originali del Condaghe di San Pietro di
Silki, ha scambiato l’indicazione «(in, per)» del Bonazzi per il significato della forma posta a esponente,
meiu, che, letta male, è diventata mein per influsso del lemma meindòmu registrato da V. Porru (Dizionariu universali sardu-italianu, Cagliari, 1866 (2ª ed.), p. 832) col valore semantico di ‘in casa mia’.
«pone (de) avv. prep. (voc. ant.) dietro, di dietro (C.S.P.)». Casu ha dato credito al glossario del Bonazzi (p.
157: «pone (de) 119, dietro»); erroneamente perché de pone nella scheda 119 del C.S.P. significa semplicemente ‘da mettere (nella donazione)’ nell’enunciato: Posit pro anima sua, Anna, sa muiere de Jannellu, sa
parte sua d’Ersitali, et issu ki ui li rimasit de pone a scu. Petru comporaitilu Gosantine de Martis, et isse positilu
a scu. Petru pro anima sua ‘Anna, la moglie di Jannellu, donò per l’anima sua la proprietà d’Ersitali e quello
che rimase da donare a S. Pietro lo comprò Gosantine de Martis e lo donò lui a S. Pietro, per l’anima sua’.
«prìnkiu agg. (voc. ant.) pregno, gonfio (C.S.P.)». Casu ha dato credito al glossario del Bonazzi (p. 157
«prinkiu 207, nomign. di Pietro de Capriles, p r a e g n u m , pregno, gonfio»); erroneamente perché in
campidanese prínkiu è un sostantivo ancora vivente, con il significato di ‘singulto, singhiozzo’.
«ùrvitu s.m. (voc. ant.) solco, carreggiata (C.S.P.)», «órbitu s.m. solco, carreggiata (C.S.P.)». Casu riproduce la spiegazione del Bonazzi (Condaghe di S. Pietro di Silki cit., p. 155): «órbitu 425, oruitu 414, urvitu 257, orbita, carreggiata, solco», in parte seguita inizialmente anche da Wagner. Questa volta sarebbe
stato preferibile dar credito allo Spano, che registrava la voce ogliastrina urbidu (evidentemente la stessa
cosa del log. ant. urvitu), dandole il significato di ‘chiassajuolo’, glossato camineddu istrintu nella parte
italiano-sardo del Vocabolario.
27. V. Cian, “Per la poesia popolare sarda”, in Vita Nuova, I, nn. 26-27, 29, Firenze, 1889, p. 3.
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E il Casu, a proposito della passione dei Sardi per le gare poetiche degli improvvisatori, espressione di una civiltà metrica e di un’arte del trobear oggi al centro
dell’interesse scientifico,28 annotava significativamente nel Vocabolario, s.v. poète:
Fina dai sos tempos pius antigos unu de sos trattenimentos gradidos a su
populu sardu sun istados sempre sas dispùtas de sos poetes ‘fino dai tempi antichissimi le dispute degli improvvisatori sono state sempre uno
dei trattenimenti più graditi del popolo sardo’. A dies de oe no si faghet festa manna in s’Isula in sa cale no bi siat su cantigu de sos poetes
‘oggi non si celebra in Sardegna una festa di qualche importanza nella quale non ci sia il canto dei poeti estemporanei’.
Parimenti E. Bellorini, trattando della fortuna e dell’apprezzamento della
poesia semidotta in Sardegna, quella che secondo il giudizio del Pitré «di popolare ha soltanto e non sempre il dialetto e qualche verso»,29 non mancava
di rilevare la preferenza dei Sardi per essa, scrivendo:30
Queste canthones sono gradite al popolo quanto i mutos e le battorinas. I giovanotti anzi, quando la sera vanno cantando per le vie in
coro (a bboche ’e tenore), non fanno che ripetere di questi canti; essi
in genere disprezzano i mutos e non apprezzano neppure la battorina;
la canthone è per loro la forma di poesia preferibile. Le canthones se le
ripetono l’un l’altro, chi sa scrivere se ne fa delle copie, ed è assai apprezzato chi ne sa comporre.
Non diversamente andavano le cose per quanto concerne la lingua dell’eloquenza religiosa. Tra tutti i dialetti della Sardegna la linguistica esaltava come
«vero sardo» quelli centrali e soprattutto il bittese, in virtù della vicinanza al
latino, ma i Bittesi si sarebbero indignati se si fosse predicato loro in bittese,
anziché in logudorese illustre. Lo afferma Wagner in un lavoro del 1907 sul
lessico sardo, osservando quanto segue:31
Nel Logudoro poi esiste una lingua artificiale e convenzionale che conosce ciascuno che ha letto poesie dialettali logudoresi. È un logudorese quasi civilizzato al quale serve di base il dialetto centrale del Logudoro, press’a poco quello di Bonorva, chiamata dai Sardi la «Siena Sarda».
In questo dialetto cosidetto puro si fanno versi nel sassarese e nel Meilogu, dove si parla un dialetto molto diverso, nella valle del Tirso e con
una leggera adattazione ai suoni nuoresi anche in tutto il nuorese. Il logudorese centrale è pure la lingua del catechismo e della predica. A Bitti p. es. s’espone il Vangelo nel sonoro dialetto della Valle del Tirso; i
Bittesi lo vogliono così e sarebbero indignati se si predicasse loro in bittese: assistetti io stesso un giorno a Bitti alla spiegazione del catechismo
e osservai come un ragazzo bittese fu severamente ripreso perché pronunziava: In su nomine de su babbu, de su izzu e dessu spiritu santu, con
su izzu alla bittese invece del logudorese su fizu. È chiaro che questa
lingua artificiale lascia anche tracce nel dialetto natio e soltanto così si
spiega qualche irregolarità nei dialetti centrali così conservativi.
28. A. M. Cirese, Ragioni metriche. Versificazioni e tradizioni orali, Palermo, 1988.
29. G. Pitré, “Per la storia della poesia popolare sarda”, in Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari,
8 (1889), pp. 289-290.
30. E. Bellorini, Canti popolari amorosi raccolti a Nuoro, Bergamo, 1893, p. 13, n. 1.
31. M. L. Wagner, “Gli elementi del lessico sardo”, in Archivio Storico Sardo, 3 (1907), p. 413.
19
Soltanto sul finire della sua lunga attività scientifica sul sardo Wagner dedicò alla lingua della poesia un sintetico, eppur efficace, capitolo del suo libro
La lingua sarda. Storia, spirito e forma.32
In esso il linguista tedesco, constatando come la maggior parte dei poeti sardi più famosi siano stati sacerdoti, insisté giustamente sull’influenza esercitata dall’eloquenza ecclesiastica, unica forma di prosa di tipo elevato che il popolo sardo era abituato a sentire quasi giornalmente, sull’altro modo di
espressione elevata, quello della poesia. E siccome le prediche erano infarcite
di latinismi, italianismi e spagnolismi per rendere concetti elevati e complessi e per adattare il registro linguistico alla solennità dell’occasione e del contesto comunicativo, questi elementi penetrarono nella lingua della poesia.
Pur con tali caratteristiche di artificiosità, tuttavia, la lingua poetica in generale e quella dei singoli poeti – concludeva Wagner – meriterebbe uno studio approfondito.
Ma quando Wagner, oramai nel 1950, traeva queste conclusioni e formulava
questo auspicio, la lingua della poesia e quella ad essa connessa dell’eloquenza
ecclesiastica, oltre che praticata attivamente in innumerevoli componimenti
poetici e nei pergami di tutta l’isola, era già stata investigata e documentata in
modo pressoché esaustivo (è difficile segnalare un poeta, grande, minore e persino anonimo, che sia stato trascurato) da Pietro Casu nel Vocabolario. E con
spirito ben diverso da quello sotteso alle ultime indicazioni di Wagner.
Mentre il romanista bavarese considerava la parlata di pastori e di agricoltori
come la più degna di studio e d’indagine scientifica, in quanto quella più
conservativa e meno alterata da elementi stranieri, e concedeva che altri
avrebbero potuto studiare anche la lingua della poesia per ragioni di completezza, Casu, in linea con la categorizzazione della realtà propria dei suoi conterranei dell’epoca, identificava soprattutto nel poeta dialettale colto o semicolto e nell’oratore ecclesiastico i campioni della lingua sarda. Concezione
non lontana da quella dello Spano (morto proprio l’anno in cui P. Casu nasceva), secondo cui:33
Le bellezze … ed i pensieri di questi dialetti [sardi] meglio si rivelano
nelle poesie, perché essendo essi di sua natura poetici e musicali, i
poeti non potevano aver miglior campo per dimostrare la sua naturale armonia, che nelle canzoni che ci hanno tramandato. Per la qual
cosa la lingua del popolo si deve cercare nei componimenti dei suoi
poeti, come la sapienza e la morale nei suoi proverbi.
Di conseguenza Casu, rappresentante e interprete di questa Weltanschauung,
ci presenta una visione del mondo e una dimensione della lingua non contrarie a quelle di Wagner, ma a esse complementari. Per rendersi conto di
questo cambio di prospettiva è sufficiente leggere alcune pagine del Vocabolario. Per esempio, l’articolo dedicato al verbo pònnere, estendentesi per ben
sette colonne, che inizia così:
32. M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia, spirito e forma, Bern, s.d. [1950]; cfr. la riedizione a cura dello
scrivente, Nuoro, 1997, pp. 354-364.
33. G. Spano, Canzoni popolari inedite in dialetto sardo centrale ossia logudorese. Parte prima, Canzoni storiche e profane, Cagliari, 1863, p. 7; riedito a cura di S. Tola (prefazione di A. M. Cirese), I, Nuoro,
1999, p. 67. Si confronti con il brano dello Spano citato nel testo, la descrizione che Casu fa dei poeti
estemporanei nel romanzo Notte sarda cit., p. 187: «I poeti cantavano, e i loro fremiti erano i fremiti del
popolo, i loro scatti gli scatti del popolo, la loro lingua era la lingua del popolo; e accessibili al popolo
erano le massime della filosofia umile e primitiva, che, come arena sul fondo dei ruscelli, si rivelava sotto
la veste ingenua dei versi spontanei, ed era la quintessenza dell’anima popolare».
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pònnere tr. mettere, porre, collocare. Pone sos libberos subra sa banca
metti i libri sul tavolino. Ha postu sa linna in su comasinu, sa cuba in
sa chentina, sa padeddha in su foghile ha messo la legna nel ripostiglio, la botte nella cantina, la pentola sul focolare. Ha postu una proposizzione, una camba ’e cantone prima de s’atera ha collocato una
proposizione, una strofa prima dell’altra.
In primo piano non sono più, come nelle ricerche di Wagner, gli oggetti, le
operazioni tecniche e le usanze del mondo agro-pastorale, con le parole a essi
relative, bensì i libri, la tecnica poetica e i procedimenti organizzativi del discorso, inframezzati a osservazioni generali sulla comune gestione della casa
(la pentola sul fuoco, la legna da conservare nel ripostiglio, ecc.). La cultura
agro-pastorale non costituisce più il centro dell’interesse, sicché al momento
di addurre la terminologia specialistica delle attività agro-pastorali, Casu si rifà
direttamente a Wagner. Come accade, p. es., alla voce sìnnu 1, ove per prima
cosa illustra, con abbondanza di esempi, il significato di ‘segno della croce’,
proprio del linguaggio catechistico e dell’eloquenza religiosa (accezione mancante nel Dizionario Etimologico Sardo del Wagner, nel Vocabolario dello Spano e nel Dizionariu del Porru), poi quando arriva a considerare il valore semantico di ‘segno (per incisione) del bestiame’, Casu passa la palla a Wagner e
riporta una lunga fila di dati, tratti dal già citato volume sulla vita rustica della
Sardegna, nella versione italiana curata dal Martelli.34
La distanza tra Wagner e Casu nell’approccio al mondo agro-pastorale è, dunque, notevole e può essere paradigmaticamente riassunta nell’attacco che Casu
riserva nel Vocabolario alla voce pastòre: Su bonu pastore dat sa vida pro sas ’arveghes suas ‘il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle’. Il pastore del Casu non è
il pastore in carne ed ossa di Wagner, con tutta la sua concreta cultura millenaria, ma quello idealizzato e trasformato in topos letterario dal poeta arcade Pietro
Pisurzi nel celebre componimento allegorico S’anzone, in cui un pastore in cerca
della sua pecorella perduta afferma: Perdia innantis, si las haere happidas, / no
una vida, però milli vidas. Questo motivo letterario tanto incombe nella mente
del Casu, che ritorna anche s.v. masòne ‘branco, gregge’: Su bonu pastore morid a
cuccuru a su masone ‘il buon pastore perde la vita a fianco del gregge’.
Da queste premesse discende che, mentre nei lavori di Wagner le notizie di
tipo “enciclopedico” ed etnografico relative alla cultura agro-pastorale occupano un posto importante, nel dizionario di Casu esse hanno invece carattere generico e occorrenza sporadica, e sono per lo più recuperabili indirettamente attraverso la ricca esemplificazione con cui sono spiegati usi, funzioni
e significati dei vari lessemi.
D’altra parte Wagner, per mezzo di inchieste sul campo svolte tramite questionario nelle più svariate regioni della Sardegna, poteva raccogliere – come
in effetti raccolse – la nomenclatura dialettale relativa a oggetti, attività e usi
del mondo agro-pastorale, ma era ben conscio della difficoltà di penetrare,
da osservatore esterno, quello che, con terminologia moderna, può definirsi
il codice retorico della lingua sarda, cioè l’insieme di usi figurati, espressioni
idiomatiche, locuzioni proverbiali, frasi fatte, ecc.: sequenze sintagmatiche
34. Tuttavia, nell’elencare le principali forme di sinnos, numerate da 1 a 12 nell’originale, fa un po’ di confusione e trasforma il n. 7 trunca e zubale in rundhinina e zubale, che va così a coincidere con il n. 8, anch’esso definito rundhinina e zubale. Inoltre altera il sintagma trunca e sciupada in trunca e cipada. Sempre
dalla stessa fonte – tanto per fare un altro esempio (ma questa volta manca il rimando a Wagner) – Casu
desume la denominazione nuorese per ‘bica di frumento ammucchiato nel campo’, per quanto egli l’adduca nella forma errata goddhepòne presente nella traduzione del Martelli (il quale, tuttavia, nell’errata corrige di p. 151, aveva emendato l’errato goddepòne di p. 29 nella forma realmente esistente goddethòne).
21
che hanno assunto un valore semantico convenzionale, immediatamente e
correttamente comprensibile solo a chi partecipi di tale convenzione.
Se si riflette al fatto che questo complesso di formule, la cui soppressione comporta la mutilazione e lo snaturamento di un idioma, funge da strumento della
retorica e della poesia popolare e che esso è attinente al momento fantastico e
poetico dell’attività linguistica, quello che parla in modo indiretto, per figure e
similitudini,35 non si avrà difficoltà a comprendere che, se c’era qualcuno in
Sardegna in grado di documentare nella prima metà del Novecento in maniera
approfondita e con competenza il codice retorico locale, questi era proprio Pietro Casu, oratore insigne, poeta, romanziere e narratore. E difatti Casu ci offre
una testimonianza formidabile del codice retorico logudorese, che non ha pari
in altre opere lessicografiche del passato e dell’età contemporanea, tale da determinare, anche per questo motivo, la grande importanza del suo Vocabolario.
Rimane tuttavia da chiarire, anche in riferimento al codice retorico, la questione degli italianismi. Diversa era l’attitudine di Casu e di Wagner nei
confronti della lingua italiana. Mentre quest’ultimo, perseguendo obiettivi
di carattere eminentemente storico-etimologico, fuggiva gli italianismi come
il diavolo l’acquasanta (fatto salvo il caso di imprestiti di età antica), il primo li usava liberamente nelle prediche e nei suoi componimenti e li ha documentati in gran numero nel Vocabolario. In Wagner agiva il glottologo e il
dialettologo, in Casu il poeta e il predicatore in limba.
Infatti, contrariamente a quanto accade nelle altre tradizioni dialettali d’Italia, ove l’uso del dialetto assume in genere valenza contestativa rispetto alla
letteratura italiana, in Sardegna la poesia dialettale ha avuto un’impronta
spiccatamente classicistica, e la lingua italiana non è stata concepita in antitesi al dialetto, ma è stata stimata quale lingua-modello classica, cui far riferimento. Donde l’uso abbondante di italianismi in funzione nobilitante e la
tendenza contaminatrice in senso italiano della poesia tradizionale sarda.
Nella fraseologia esemplificativa contenuta nel dizionario, Casu tocca più
volte il tema dell’italianizzazione del sardo, dei neologismi e del purismo. Ecco la documentazione: s.v. italianizàre: «tr. italianizzare. Medas sardos italianizan su faeddhare issoro molti sardi anche parlando la loro lingua italianizzano. | rifl. Medas sardos si sun italianizados molti sardi si son italianizzati. | intr.
ass. Tue italianizas troppu faeddhendhe su sardu tu parlando in sardo, italianizzi troppo»; s.v. purìsmu: «s.m. purismo. Oe no s’ischit mancu ue istat de domo
su purismu oggi nessuno sa neppure dove stia di casa il purismo»; s.v. purìsta:
«s.c. purista. Cantu sun pagos oe sos puristas sardos! quanto son pochi oggi i
puristi sardi!»; s.v. neologìsmu: «s.m. neologismo. No si devene rifiutare de su
totu sos neologismos, cosas e ideas noas cheren paraulas noas non si devono rifiutare del tutto i neologismi, cose e idee nuove pretendono parole nuove».
La posizione del Casu rispetto al problema pare così interpretabile alla luce di
queste annotazioni e dell’analisi dei suoi scritti. Occorre distinguere, innanzi
tutto, fra due fondamentali varietà di lingua: la lingua comune e la lingua
della poesia (e della predica) usata per trattare argomenti elevati. Casu biasima il fatto che la lingua di ogni giorno già ai suoi tempi stia subendo un processo di italianizzazione che la snatura. Il fenomeno doveva riguardare i ceti
più elevati ed istruiti, compresi i sacerdoti sempre meno in grado di predicare
in sardo (s.v. sàrdu: Oe sun paghissimos sos sazzerdotes ch’ischin preigare in sardu
35. Vd. T. Franceschi, “L’Atlante Paremiologico Italiano e la Geoparemiologia”, in Proverbi, locuzioni, modi
di dire nel dominio linguistico italiano, a cura di S. C. Trovato, Roma, 1999, pp. 1-22, in particolare p. 7.
22
‘oggi sono pochissimi i sacerdoti che sanno predicare in sardo’). Il suo, tuttavia, pare essere un “purismo” moderato, aperto all’accoglimento dei neologismi (neoformazioni e prestiti) per soddisfare nuove esigenze e per designare
nuove scoperte, nuovi oggetti, nuove tecnologie.
Diversamente stanno le cose per la lingua della poesia e dell’omiletica: qui vige, a partire dall’Araolla, la tradizione plurisecolare del logudorese illustre,
una “lingua speciale” (mai parlata da nessuno nella pratica, neppure dagli autori che la impiegavano nelle loro opere), in cui la presenza di parole italianizzate e in parte anche derivate dall’italiano, mirava ad innalzare il tono del
discorso. Nei componimenti del Casu la frequenza e il peso dell’elemento
italiano, pur sempre all’interno di un tessuto linguistico prettamente sardo,
descrivono una curva in cui l’apice è rappresentato dalla poesia di argomento
dottrinale ed elevato (p. es. la traduzione della Divina Commedia) e il punto
più basso dalla poesia satirica e dalle lettere in versi agli amici.
Per quanto riguarda l’incidenza dell’elemento italiano, Casu può essere considerato l’ultimo grande erede della tradizione poetica del logudorese illustre.
Successivamente i poeti e gli scrittori hanno abbandonato la norma poetica
tradizionale (i cui numerosi italianismi – con il progressivo diffondersi dell’italiano e con il rapido aumentare del rapporto di subordinazione diglottica del
sardo alla lingua nazionale – non producevano/producono più l’effetto di straniamento e di elevazione tanto apprezzato un tempo) e si sono riappropriati
invece delle singole parlate locali, anche con il recupero arcaizzante dei termini desueti, valutati positivamente in quanto caratteristicamente sardi. Pertanto
oggi sembrano incontrare maggiormente i gusti del pubblico le poesie di Casu
che descrivono scene di vita quotidiana e le lettere rimate, piuttosto che gli
scritti di contenuto moralistico e dottrinale.
Ma la fama che circondò in vita il Casu gli derivò, a livello popolare, dalle
sue prediche, la cui lingua s’inserisce nel solco della tradizione logudorese illustre, una lingua d’arte elevata letterariamente attraverso l’acquisizione di
elementi lessicali d’origine italiana e latinismi.
Non c’è, quindi, da meravigliarsi che la tendenza contaminatrice in senso
italiano, che era abituato a realizzare nell’ambito della predicazione e della
poesia, Casu la metta in atto anche nel campo della lessicografia.
Qui si ispirò, infatti, com’è naturale, a modelli lessicografici italiani, il più
importante dei quali pare essere il Vocabolario italiano della lingua parlata di
G. Rigutini e P. Fanfani (Firenze, 1875), di cui troviamo citate alcune definizioni e locuzioni s.vv. andhajólu, bistìcculu, bòza 2, parìgliu, ràzza, suvrusciàre.
Dell’esemplare di questo vocabolario appartenuto al Casu ho potuto esaminare, grazie alla gentilezza della sig.ra Bastianina Calvia, pronipote di P. Casu,
un lacerto di un centinaio di pagine (pp. 117-220: da attaccataménte a capéllo), provviste di numerose sottolineature e alcune annotazioni a mano, documento facente parte dell’archivio privato dei Casu. Poiché come romanziere,
narratore e scrittore in italiano, Casu amava impiegare una lingua sostenuta,
d’impronta libresca, ricca di arcaismi, quale si rileva anche in certi passi del
nostro dizionario, non sorprende la sua predilezione per il succitato vocabolario; anzi sembra che raccogliendo insieme voci sarde desuete e voci dell’uso
vivo, Casu si metta sulle orme del Fanfani, che soprattutto nella seconda edizione del 1865 del suo Vocabolario della lingua italiana aveva operato una curiosa mescolanza di voci arcaiche rare ed espressioni dell’uso toscano.
Tuttavia è facile constatare come la dipendenza del Casu dal Rigutini-Fanfani vada al di là della condivisione di certi aspetti generali dell’impostazione
23
lessicografica e della strutturazione dei singoli articoli e si spinga in alcuni
lemmi sino al punto di ispirarsi molto da vicino a quest’opera, o addirittura
di tradurla. È quanto avviene, p. es., nella trattazione del logudorese àttu ‘atto, azione’, un italianismo di uso comune, non registrato nel Dizionario
Etimologico Sardo (= DES) di M. L. Wagner:
CASU
RIGUTINI-FANFANI
àttu1 s.m. atto, azione. Attu de superbia, de ira
atto di superbia, d’ira. In attu de ira (ab irato).
Atto s.m. Azione qualunque, per cui si manifesta una qualità o disposizione dell’animo,
come Atto di superbia, di crudeltà, d’amicizia,
di stima, di cortesia, e simili.
Ponner in attu eseguire.
Mettere in atto, Ridurre, Recare all’atto, o in
atto, Porre ad effetto, Effettuare.
Attu de fide, de isperanzia ecc. atto di fede, Particolarm. Atti di fede, di speranza, di carità, di contrizione, sono Quei movimenti
di speranza ecc.
dell’animo, e più comunem. Quelle formule consacrate dalla chiesa, con le quali sono
espressi dal cristiano i sentimenti religiosi di
fede, di speranza, ecc.
Narrer o fagher narrer s’attu de contrissione Dir o Fare l’atto di contrizione, usasi nel lindire o farsi dire l’atto di contrizione, dispor- guaggio familiare per Apparecchiarsi alla
morte, detto di chi si trova in grave pericosi o disporre uno alla morte. |
lo: «Appena vidi i malandrini, dissi l’atto di
contrizione: - A passar di notte in quel luogo c’è da far l’atto di contrizione.»
Figura, sembianza, piglio. In attu ’e cuman- Ed altresì Atteggiamento della persona, Pidhu, de clemenzia in atto di comando, di cle- glio, Sembianza: «La figura è rappresentata
menza. |
in atto di gladiatore: - Stendeva il braccio in
atto di intimazione: - Si contraffaceva in mille atti e tutti meravigliosi.»
Gesto, movimento qualunque. Attos de monicca smorfie da scimmia. Su preigadore faghet zertos gestos chi paren attos de moninca il
predicatore fa certi gesti che sembrano atti
da scimmia. |
Movimento qualunque della persona, del
braccio, della bocca, e simili, Gesto; e dicesi talora anche di animale: «Bisogna accompagnar
con gli atti le parole: - Fece un certo atto con
la bocca, che mi parve di derisione: - Questo
cavallo fa certi atti, che mi piacciono poco.»
Attu pratigu atto pratico. Benner a s’attu
pratigu venir all’atto pratico. |
Atto pratico, La pratica, L’esercizio effettivo
delle cose; onde le maniere Ridurre o Venire
all’atto pratico, per Ridurre o Venire all’effettualità di checchessia: e In atto pratico, posto
avverbialm. vale In pratica, Praticamente.
avv. In s’attu nell’atto, nel punto. Fid in s’attu ’e partire stava sul punto di partire. |
Nell’atto, Nel punto, Nel tempo, di fare alcun che: «Mi giunse l’avviso di partire nell’atto stesso che stavo per muovermi.»
Attu de cumedia o tragedia. Candho so intradu a su teatru fin dendhe già su segundh’attu
quando sono entrato nel teatro davano già
il secondo atto. |
Atto, dicesi una delle parti principali, in che è
diviso un dramma: «Arrivai in teatro, che la
commedia era al secondo atto.» || Atto tragico,
dicesi figuratam. per Fatto che ha dell’orribile, sebbene più comunem. Fatto tragico.
Attos de sos Martires, de sos Apostolos, de sa
Repubblica come in it. |
Atti degli Apostoli, Il libro contenente una
parte della storia degli Apostoli; Atti de’
Martiri, Le memorie dove si narra il martirio d’alcuni confessori della fede cristiana.
Attos de notariu atti notarili. Attu pubblicu e
brivadu. |
Atto, dicesi anche per Contratto, il quale è
pubblico, se fatto con tutte le formalità volute
dalla legge e con intervento di notaro; privato, se fatto senza alcuna solennità formale.
24
CASU
RIGUTINI-FANFANI
Attos giudiziarios atti giudiziari. Attu de accusa. |
T. leg. Atti, si chiamano Quelle scritture,
che dalle parti si presentano ai tribunali; e
anche La raccolta in iscritto degli atti, così
delle parti come dei magistrati (che dicesi
anche Processo), la quale si fa da un impiegato, detto perciò Attuario: «Dagli atti del
processo furono trafugate alcune carte.»
Fagher sos attos a unu citar uno in giudizio, Far gli atti a uno, vale Citarlo in giudizio; e
e spec. far gli atti esecutivi. Oe l’han fattu sos particolarmente Mandar il precetto o il graattos e l’han sequestradu su mesu ’e sa mobi- vamento a un debitore.
glia oggi gli han fatto gli atti esecutivi e gli
han sequestrato la metà dei mobili.
Attos de su Parlamentu, de su Senadu atti Atti, diconsi pure Le memorie, dov’è registrato tutto quello che si discute o si delibeParlamentari, del Senato.
ra nelle sessioni di un Parlamento, di un
Consiglio, d’un’Accademia e simili: «Gli
Atti del Senato, del Parlamento: - Gli Atti
dell’Accademia della Crusca».
Si potrebbe ritenere che questa particolare vicinanza del Vocabolario del Casu
a quello di Rigutini-Fanfani discenda, nel caso specifico di àttu, dal fatto che
si è preso in esame un termine di origine italiana, pur diffuso, ma comunque
recente. Per cui può essere utile verificare come vanno le cose se si appunta
l’attenzione su un italianismo di data antica, perfettamente integrato nel lessico sardo e pertanto registrato nel DES, quale l’aggettivo biàncu ‘bianco’:
CASU
RIGUTINI-FANFANI
biàncu s.m. bianco. No distingher su biancu Distinguere o Conoscere il bianco dal nero, Aver
dai su nieddhu non distinguere il bianco dal tanto discernimento da conoscer le cose quali
sono, e non esser ingannato: «Oramai non è
nero.
più bambino, e conosce il bianco dal nero.»
Mostrare, Far vedere, Dare a vedere bianco
Fagher su biancu nieddhu sconvolgere le co- per nero, Dare a vedere, a credere, una cosa
se, far apparire il contrario della realtà.
per un’altra: «Ma con chi ti pensi di discorrere? A me non si fa vedere bianco per nero.» || Fare di bianco nero, Mentire stravolgendo la verità «Il G. ti fa di bianco nero
con una faccia fresca che incanta.»
Su biancu ’e s’oju cornea opaca. Su biancu
(su giaru o sa giara) de s’ou albume, chiara. |
Bianco dell’occhio, Quella parte di esso che è
bianca, e che gli anatomici chiamano cornea
opaca. || Bianco dell’uovo, Quella sostanza appiccicaticcia nella quale nuota il torlo, detto
scientificam. albume, e comunem. chiara.
Cambiales in biancu cambiali in bianco. | Firmare in bianco, Porre la propria firma apDare su biancu dar di bianco. | Frimmare in piè d’un foglio bianco prima che vi sia scritta o la lettera, o la ricevuta di che si tratta:
biancu firmare in bianco. |
«Aveva fiducia cieca di lei; e gli firmava lettere e cambiali in bianco.» || Dare di bianco,
È il passare più volte sopra cosa scritta o dipinta col pennello intriso nel bianco, per toglierne la veduta: «Su per tutti i muri vi erano scritture laide e gli fu dato di bianco: Un barbaro vescovo fece dar di bianco a tutte le mirabili pitture di Santa Chiara.» || fig.
Non dar effetto altrimenti a un’impresa disegnata: «Avevo fatto disegno di andar via;
ma gli ho dato di bianco.»
25
CASU
Bestire de biancu vestir di bianco. |
RIGUTINI-FANFANI
Vestire di bianco, Vestire con abiti bianchi.
Esserbi differenzia che dai su biancu a su nied- Correrci quanto dal bianco al nero, dicesi per
dhu esserci differenza come dal bianco al ne- significare gran differenza che passi tra due
cose.
ro. |
agg. Pilos biancos capelli bianchi. ’Arva
bianca barba bianca. Iscura sa banca chi no
b’had ’arva bianca → BÀNCA. |
ad. Aggiunto di uno degli estremi colori,
quale è quello della neve e del latte; opposto
a Nero: «Il cigno ha la piuma bianca: - Orso
bianco, Panno bianco, Capelli bianchi.»
Carta bianca carta bianca, facoltà di fare e
disfare. Dare carta bianca concedere tale facoltà; haer carta bianca godere e abusare di
essa. Ndhe faghet de ogni colore, isse ha carta
bianca ne fa di ogni colore, ha carta bianca. |
Carta bianca o Foglio bianco, si chiama quella dove nulla è scritto o stampato: «L’opuscolo verrà 15 pagine, la 16a bianca: - Invece della lettera, misi dentro alla sopraccarta
un foglio bianco.» || Onde Dare o Mandare
altrui carta bianca, Dargli piena facoltà di
trattar negozj secondo la sua prudenza, rimettendosi adesso in tutto e per tutto.
Musca bianca mosca bianca. Cosa rarissima. Di una cosa rarissima suol dirsi che è rara
Esser chei sas muscas biancas esser rarissimo. | come le mosche bianche.
Binu biancu vino bianco, tutto quello che E così diconsi bianche, altre cose che veranon è nero, anche sia dorato, rosso ecc. | mente non sono tali, ma solo per contrappoUa bianca uva bianca, tutta quella che non sto alle nere: «Uva bianca, Vino bianco, ec.»
è nera. | Pedra bianca selce, quarzo bianco. |
Biancu chei su nie bianco come la neve. |
Biancu chei sa tela pallido come un cencio
lavato. Faghersi biancu chei sa tela diventar
pallido sotto una forte commozione.
Fare il viso bianco, Impallidire per grave turbamento d’animo o per paura: «Veduto quel
mostro, fece il viso bianco», che si dice ancora: «Diventò bianco come un panno lavato.»
È facile verificare, dal confronto con il caso esaminato precedentemente, come il trattamento riservato a un italianismo ben radicato quale biàncu sia
identico a quello dianzi riscontrato per àttu, per cui vengono riprese e tradotte dal Casu, insieme al resto, anche collocazioni, frasi idiomatiche, sintagmi
fissi italiani, ecc., che non hanno in sardo alcuna tradizione. E dunque si appalesa la particolare natura di questo dizionario, con il quale il Casu si propone non solo di documentare la lingua logudorese, ma anche di forgiarla e
di crearla sulla base di una dinamica ascendente verso l’italiano, visto come
lingua modello da imitare. Ciò vale anche se si prende in considerazione una
voce appartenente al lessico patrimoniale, quale bàsciu ‘basso’ < BASSUS, la cui
fraseologia rappresentata nel Vocabolario, pur mostrando una maggiore indipendenza da quella italiana, anche per via del sovrapporsi dell’influsso spagnolo (d’altra parte visibile pure nell’aspetto fonetico: la fricativa prepalatale
sorda tradisce l’interferenza con lo sp. ant. baxo), non è esente da tale attitudine italianizzante, come prova la locuzione idiomatica fagher altu e basciu
che riproduce l’espressione idiomatica italiana fare alto e basso:
CASU
RIGUTINI-FANFANI
bàsciu agg. basso, vile, volgare. Ainu basciu Basso ad. Poco elevato, Che si alza poco dal
puddherigu paret (prov.) l’asino basso pare piano, o Che è tale rispetto a un altro oggetto, con cui si paragona, ed è contrario di Alto.
un poledro, in senso morale.
Paraulas bascias parole volgari. Assiones bascias azioni vergognose, vili.
Aggiunto di vocabolo, locuzione, modo, ec.
Volgare, Plebeo, Triviale.
Logu basciu luogo basso, sotto il livello del Detto di luogo, rispetto al livello del mare,
vale Che giace al di sotto di esso.
mare o situato in bassura.
26
CASU
RIGUTINI-FANFANI
Istanzia bascia stanza poco sfogata. Domo
bascia casetta di solo pian terreno. Gianna
bascia.
Detto di stanze, vale Poco sfogate, Che
non hanno la conveniente altezza: «Dorme
in una camera così bassa, che quando si
mette a sedere sul letto batte il capo ne’
travicelli.» … La porta è bassa rispetto alla
facciata.
Abba bascia acqua bassa, poco profonda.
Di acqua, Poco profonda; onde fig. Navigare, Essere, Trovarsi in basse acque, per Essere
in condizione assai difficile.
Tela, pannu basciu di poca larghezza.
Di tela, panno ec. Che ha poca larghezza:
«Di questo velluto in seta ce ne vuole di
più; non vedete com’è basso?»
Preju basciu prezzo basso.
Detto di prezzo, stima e simili, significa Vile:
«Comprare, Vendere a basso prezzo: - I prezzi del grano si mantengono sempre bassi: Le stime del podere son troppo basse.»
Missa bascia messa piana.
Messa bassa, Messa detta a bassa voce, Messa piana; il contrario di Messa cantata.
Tonu basciu tono basso.
Detto di strumento, vale Che è accordato
in un tono inferiore a quello che dovrebbe
avere.
Carrasegare, caresima bascia carnevale, quare- Detto di carnevale, quaresima, pasqua, vale
che cade più presto del consueto: «Quest’ansima bassa.
no il carnevale è molto basso; termina il 25
di febbraio.»
Ojos bascios, miradas bascias occhi, sguardi Basso, vale anche Volto in giù; detto di occhi,
fronte, sguardo, e simili: «Tieni gli sguardi
bassi.
bassi; Se ne ritornò a capo basso»: il che spesso è effetto o di riverenza, o di vergogna, o di
confusione.
Boghe bascia voce bassa.
Detto di voce, tono, suono, e simili, vale
Sommesso, Che poco si eleva; onde la maniera avverbiale A voce bassa o A bassa voce,
Proferendo le parole sommessamente.
Numeru basciu numero basso.
Detto di numero estratto a sorte, Uno dei
minori imborsati: «Quel coscritto ha tirato
su un numero basso.»
Zente bascia volgo. |
Di stato, condizione ec. Volgare, Plebeo: «È
uomo di bassa condizione.»
s.m. la voce più profonda nella scala musicale.
Basso La voce più profonda nella scala musicale.
Fagher altu e basciu far alto e basso, al fig. spa- Fare o Avere degli alti e bassi, parlandosi di
malattia. V. ALTO come pure V. sotto questa
droneggiare.
voce la maniera Fare alto e basso.
Al pl. Sos bascios gli uomini nani, gli umili. | In basso, in luogo basso; e fig. In misera conavv. in basso, giù, al pianterreno, sotto. Sos dizione. Dal lat. bassus, che trovasi usato
de basciu quei di basso. In basciu a bassa vo- spesso come soprannome.
ce, col verbo faeddhare. Sas domos de basciu
le case della bassura, le stanze del pianterreno o del sottosuolo. | prep. sotto (sp. bajo).
Basciu su podere de Ponziu Pilatu sotto Ponzio Pilato. Basciu pena de sa vida sotto la pena della vita. Basciu s’ordine, su cumandhu
de su sindhigu dietro ordine del sindaco. Pro
me basciu firmadu da me sotto scritto. || lat.
bassus.
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Se, dunque, anche le voci appartenenti al fondo latino del lessico sardo non
si sottraggono al processo di innalzamento verso l’italiano, con l’accoglimento di modi di dire italianizzanti, è facile attendersi che la massima dipendenza si avrà nel caso di vocaboli designanti nozioni astratte o di termini
tecnici e scientifici relativi alla civiltà moderna. Può essere indicativo al riguardo il riscontro della pagina 123 del Rigutini-Fanfani con i corrispondenti materiali contenuti nel Vocabolario del Casu:
CASU
RIGUTINI-FANFANI
austeramènte avv. austeramente.
Austeraménte avv. …
austeridàde s.f. austerità.
Austerità s.f. …
austéru agg. austero, rigoroso.
Austèro ad. …
austràle agg. australe.
Austràle ad. …
àustru s.m. austro.
Austro s.m. …
àut àut avv. come in it. e in lat. Anche in
forza di sost. Ponner s’aut aut proporre un
dilemma. Aut aut, o mi pagas o ti zitto aut
aut, o mi paghi o ti cito. No mi ponzas cuss’aut aut, est vanu dogn’imbòligu non propormi codesto dilemma, è inutile ogni astuzia.
Aut, Aut Modo latino e del linguaggio famil., e vale O sì o no: O in uno o in un altro modo: «Aut, aut, o vuoi comprarlo, o
non lo vuoi comprare? - Aut, Aut; o pagare
o andare in carcere.»
auténtica s.f. autentica. Testimonianza au- Auténtica s.f. Approvazione, Testimoniantorevole. S’autentica de sas relichias l’autenti- za autorevole. || Autentica d’una reliquia, La
carta che va unita alle reliquie di Santi e ne
ca delle reliquie.
attesta la verità. || Autentiche, si chiamano
da’ legisti Le nuove costituzioni di Giustiniano, raccolte da Irnerio.
autenticamènte avv. autenticamente.
Autenticaménte avv. …
autenticàre tr. autenticare, legalizzare, convalidare. Hamus giamadu su notariu pro autenticare su cuntrattu abbiamo chiamato il
notaro per autenticare il contratto. Su parracu had autentificadu [sic] sa frimma mia il
parroco ha autenticato la mia firma. | Anche verificare.
Autenticàre tr. Rendere autèntico, Chiarire in forma valida, autorevole, e con pubblica testimonianza render degno di fede. Per
lo più si dice di scrittore: «Autenticare un
atto, una firma, ec.» || Autenticare un racconto, Addurre prove incontrastabili di ciò
che si narra. Part. p. AUTENTICATO.
autenticasciòne s.f. autenticazione. ▫ au- Autenticazióne s.f. …
tenticassiòne, autenticazziòne (tz).
Autenticíssimo sup. …
autentizidàde (tz) s.f. autenticità. Si dub- Autenticità s.f. astr. d’Autentico; Qualità
bitat de s’autentizidade de su testamentu si di cosa autentica: «Si trovò il testamento,
dubita sull’autenticità del testamento.
ma si dubitò forte della sua autenticità.»
auténticu agg. autentico, reale, vero. Custa Autèntico ad. Detto di libro, scrittura, ec. vaest autentica, creìdela questa è autentica, cre- le Reso e provato valido e autorevole. || Detto
detela. || gr. (authentikós) aujqentikovı.
di atto destinato a far fede in giudizio, Che è
rivestito dalle forme prescritte dalla legge. ||
Dicesi anche di ciò che ha o che merita fede:
«Racconto autentico; Prova autentica.» || Per
autentico, posto avverbialm. In forma autentica. – Dal gr. aujqentikovı, lat. authenticus.
autenzìa (tz) s.f. autenticità, veridicità. S’autenzia de sas sagradas Iscritturas la autenticità
e veridicità delle Sacre Scritture.
autìsta s.m. autista.
autobiografìa s.f. autobiografia
Autobiografía s.f. …
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CASU
RIGUTINI-FANFANI
autobiogràficu agg. autobiografico. || gr. Autobiográfico ad. …
(autós) aujtovı (bíos) bivoı (grápho) gravfw.
autòcrate s.m. autocrate, prepotente. Es s’autocrate de Gaddhura è il padrone della Gallura.
Autòcrate o Autòcrata s.m. Colui che ha
potere assoluto, che ha in sé ogni autorità,
come l’Imperator delle Russie. || È un autocrate, si dice figuratam. di Uomo prepotente e che vuol tutto a modo suo. – Dal gr.
aujtokravtwr.
autocraticamènte avv. dispoticamente, prepotentemente.
autocràticu agg. autocratico, dispotico, pre- Autocrático ad. …
potente.
autocrazìa (tz) s.f. autocrazia, dispotismo, Autocrazía s.f. Governo assoluto d’un solo:
prepotenza. || gr. (autós) aujtovı (kratéo) «L’autocrazia è possibile solo in Russia, paese
mezzo barbaro.» Dal gr. aujtovı e kratevw,
kratevw.
Dominare.
autografàre tr. autografare. || gr. (autós) Autografare tr. …
aujtovı (grápho) gravfw.
autografìa s.f. autografia, l’arte di autografare. Autografía s.f. …
autogràficu agg. autografico. Macchina au- Autográfico ad. Che procede con le leggi
tografica torchietto che serve per autografare. dell’autografía. || Telegrafía autografica, Telegrafía che trasmette lo scritto nella forma
stessa che esce dalla penna dello scrittore. ||
Macchina autografica, Torchietto, col quale si
trae copia autografa d’uno scritto su carta comune con inchiostro, al quale fu mescolato
un poco di zucchero.
autògrafu s.m. autografo, scrittura originale, fatta di proprio pugno dall’autore. Anche
in forma d’agg. Iscrittura autografa. Macchina autografa, o sempl. autografu è la macchina autografica.
Autògrafo ad. Aggiunto di scrittura o disegno, vale Fatto di proprio pugno dall’autore:
«Codice autografo del Machiavelli.» || Usasi
comunem. in forza di sost.: «Ora sono in
moda gli album di autografi: - Vorrei un suo
autografo: mi basta anche la sola firma.» –
Dal gr. aujtovgrafoı, lat. autographus.
autòma s.m. automa. Esser, parrer un’automa essere, sembrare un automa. || gr. (áutoma) au[toma [sic].
Autòma s.m. Macchina semovente per effetto di congegni, che pare abbia in sé il principio del suo moto, ed imita specialm. i movimenti de’ corpi animali. || Essere o Sembrare
un automa, dicesi figuratam. di Chi opera
per impulso altrui e quasi mostrando di non
aver coscienza di ciò che fa. – Dall’ad. gr. aujtovmatoı, Che si muove da sè.
automaticamènte avv. automaticamente.
Automaticaménte avv. …
automàticu agg. …
Automático ad. …
autonomìa s.f. autonomia. || gr. (autonomía) Autonomía s.f. …
aujtonomiva.
autónomu agg. autonomo.
Autònomo ad. …
Autopsía s.f. …
autòra s.f. autrice, causa. De totu sos males
mios autora causa di tutti i miei mali.
autòre s.m. autore, promotore, causa. No
s’ischit bene chie siat su veru autore de sa “Gerusalemme vittoriosa” non si sa bene chi sia il
vero autore della “Gerusalemme vittoriosa”.
Autóre s.m. Colui che per virtù di ingegno
scrive un’opera in qual si voglia disciplina,
che ne accresca il pregio, e la faccia progredire. Nome di Autore lo meritano perciò solo i
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CASU
RIGUTINI-FANFANI
Medas cantones antigas curren senza su lumine
de s’autore molte antiche poesie vanno in giro
anonime. Su fizu mannu es s’autore de sa ruina de sa familia il figlio maggiore è la causa
della rovina della famiglia. Fulanu est istadu
s’autore de su cumplottu il tale è stato l’ideatore, il promotore del complotto.
così fatti; ma ora tutti si chiamano Autori, anche gli scrittori di articoli da Giornale || (…)
Opera senza autore, lo stesso che Opera senza
nome d’autore, anonima || (…) Chi ha fatto,
o detto prima di ogni altro la cosa di cui si
parla, oppure Chi n’è prima cagione: «Dio è
l’autore di ogni bene: - Quell’uomo è stato
l’autore di tutti i nostri mali (…).»
autoridàde s.f. autorità, potere, facoltà, diritto. Dademi s’autoridade de los isposare datemi l’autorità di sposarli. In medas logos, sos rês
han pèrdidu dogni autoridade in molti luoghi,
i re han perduto ogni autorità. Medas funzionarios abbusan de s’autoridade molti funzionari abusano dell’autorità.
Autorità s.f. Potere, Facoltà, Diritto che uno
ha di poter fare o dire checchessia: «Infelice è
quello Stato, nel quale i magistrati e le leggi
hanno perduto ogni autorità. : - Atto, Abuso, d’autorità.» ||
Medas babbos no han pius autoridade subra Diritto sopra altre persone, conferitoci a
sos fizos molti padri non han più autorità so- pubblica utilità: «L’autorità del Principe, del
Padre, del Ministro.» ||
pra i figli. |
Stima, reputazione, maggioranza. Omine de Estimazione, Maggioranza, che ci viene dalautoridade uomo d’autorità, reputato, ascol- la virtù, dalla scienza, dal grado: «È un uomo di grande autorità.»
tato, venerato. |
ass. S’autoridade, sas Autoridades come in it. assol. vale le Persone investite di pubblica aule persone investite di pubblica autorità. A sa torità: «A questa festa intervennero le autorità
festa hana leadu parte sas autoridades alla festa del luogo: - L’autorità è sulle tracce del reo.»
han preso parte tutte le autorità. |
Fagher autoridade aver grande peso su una
questione di arte e di scienza. Custu passu ’e
Dante faghed autoridade questo passo di
Dante ha un grande peso. In meighìna, su
professore nostru faghed autoridade in medicina il responso o l’opinione del nostro professore ha un gran peso.
Detto, Passo di scrittore allegato a sostegno
e prova: «Allegò molte autorità di varj filosofi, che tutte cantavano nel modo stesso: Ciò si prova con l’autorità di Dante.» (…) ||
Fare autorità, Avere forza di regola, o di legge: «In materia di musica il B. fa poca autorità.» Dal lat. auctoritas.
Pertanto è vero che il Vocabolario del Casu registra una fraseologia lussureggiante e di grande interesse, ma il lettore dovrà discernere in essa la componente popolare da quella che invece riposa su un’imitazione di modelli lessicografici italiani realizzata dallo stesso Casu. Operazione non facile, questa
richiesta al lettore, visto che nella stragrande maggioranza dei casi l’autore
del dizionario funge nel contempo da informatore di sé stesso e da rappresentante dell’intera comunità linguistica.
Da quanto detto emerge, dunque, che Casu non si è limitato a documentare
con il suo Vocabolario una lingua, come quella logudorese, ma si è preoccupato anche di colmarne le lacune lessicali e di plasmarla conformemente alla
propria sensibilità estetica e linguistica. E se a ciò si aggiunge il fatto che gli
esempi da lui costruiti formano un insieme di asserzioni sul mondo e sull’uomo che riflettono non solo l’ideologia della comunità, ma anche e soprattutto quella sua personale, possiamo concludere che per certi aspetti ci troviamo
di fronte non già a un semplice dizionario, ma a un testo letterario, a un’opera d’arte che si ricollega alle sue poesie e alle sue prediche. Tanto più che,
avendo le caratteristiche principali del discorso pedagogico, l’enunciato lessicografico condivide con il discorso morale, quale esposto in una predica, l’uso
di detti celebri e proverbi, espressione della saggezza popolare, come pure di
consigli tratti dalla morale comune, integrati agli esempi.
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Se si perde di vista tutto questo e si giudica l’opera del Casu con i canoni
più stretti della linguistica e della lessicografia si corre il rischio di non comprenderne la giusta dimensione e di fraintenderne il vero valore.
Cercherò di chiarire con un esempio questo mio pensiero. Il Vocabolario del
Casu presenta una peculiarità singolare sotto il profilo puramente lessicografico, cioè il fatto che assai spesso, all’interno di un articolo, una voce si presenta nel materiale esemplificativo in forma fonetica o morfologica diversa
da quella in cui essa figura lemmatizzata. Così, p. es., in:
caltellòne s.m. cartellone. Esser ancora in su caltellone essere ancora
ai primi elementi. In tres vocales de su cartellone / sun tres meses e mesu
tippi tappa (Capece).
chenadólzu s.m. l’ora o il luogo della cena. A chenadorzu all’ora della
cena. Sos pastores … a chenadolzu solene passare (Mossa). | agg. Isteddhu chenadolzu la stella del ginocchio di Boote. | Pastore chenadolzu o
chenalzu servo, pecoraio che di sera guida al pascolo le gregge.
ojimalzìdu (tz) agg. dagli occhi purulenti. Di un tiratore esperto
(iron.). No ses ojimarzidu, Deu ti gualdet grazie a Dio non hai gli occhi marci.
Nel caso specifico, inoltre, l’anomalia lessicografica risulta accentuata dalla circostanza per cui le varianti cartellone, chenadorzu, ojimarzidu nel Vocabolario non
occorrono lemmatizzate distintamente o come varianti di una forma ad esponente (come invece si verifica altre volte in casi analoghi), sicché viene a essere
disattesa in qualche modo anche la ben nota regola della chiusura dell’enunciato lessicografico, in forza della quale le definizioni, gli esempi e gli altri costituenti dell’articolo devono essere redatti con (o composti da) parole che, a loro
volta, sono fatte oggetto di definizione e che devono formare nuove entrate.
Che cosa è accaduto? Perché Casu concepisce in questo modo gli articoli del
suo dizionario?
È avvenuto semplicemente che nel dialetto nativo del Casu, quello di Berchidda, il nesso r + cons. si muta in l + cons.: FORTE(M) > folte, MORTE(M) >
molte, PORCU(M) > polku, ecc., e dunque Casu pone ad esponente le forme
con l + cons.: caltellòne, chenadólzu, ojimalzìdu caratteristiche della propria
parlata. Quando predica, però, il Casu adopera il logudorese letterario che,
pur basandosi sulla sub-varietà che comprende anche il dialetto di Berchidda,
è, tuttavia, una lingua d’arte soprallocale e come tale include anche tratti di altre varietà. In particolare, per quanto riguarda i nessi formati da r + cons., Casu spesso opera la conversione in l + cons., ma in certe parole tende a conservare la r etimologica, e così nella predica intitolata S’imbreaghera,36 tanto per
fare un esempio concreto, usa sempre le forme corpus ‘corpo’ < CORPUS, porcu
‘porco’ < PORCU(M), corrispondenti a quelle che vigono nella sub-varietà logudorese sud-orientale del Marghine e del Goceano. In relazione ad altre parole,
invece, il suo comportamento è oscillante, e dunque nella stessa frase s’incontra il sostantivo per ‘parte’ (< PARTE(M)) sia nella forma palte sia nella forma
parte (mentres che l’ingullit palte ruet in s’alva, parte in su tuju); si ha egualmente forza e folza ‘forza’ (nos dat forza, li leat sas forzas, li mancan sas forzas, sa forza de digerire, chi lean sas forzas, ma senza folza), zertu e zeltu ‘certo’ (zertos
unos, zertos ateros, ma zeltas paraulas morin in sas laras, zeltas bessin comente poden, zeltunos, zeltamente), mortu e moltu ‘morto, ucciso’, morte e molte ‘morte’
36. P. Casu, Preigas cit., pp. 117-134.
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(sos ojos mortos, paret mortu ma in su ludu paret moltu, c’ana moltu; cun penas
de morte, da una morte improvvisa, de una ’e sas mortes dolorosas, ma chi paret
molte), terzu e telzu ‘terzo’ (Arrividos a su terzu gradu, ma es già a su telzu gradu
de s’imbreaghera, sa telza cun ateros colpos de fuste), morzende ‘morendo’ e morzeit ‘morì’ (morzende de improvvisu), ma De custu male molzeit giovanu.
Tale polimorfismo di esiti fonetici proprio della lingua della predicazione e della
poesia, d’altronde funzionale all’accoglimento del messaggio linguistico anche
in aree dialettali ove non avviene la mutazione r + cons. > l + cons.,37 Casu trasporta con tutta naturalezza nella redazione del suo dizionario, che nella parte
esemplificativa è, in effetti, spesso un’estensione delle sue prediche. Infatti ora il
Casu riprende le donne che vanno in giro con vestiti troppo corti o scollati e si
truccano o truccano le loro figlie,38 ora condanna l’erotismo che corrode i giovani,39 ora lamenta il decadere dei costumi e del senso morale,40 ora esalta il valore e la saggezza delle vecchie generazioni in confronto alle nuove che abbandonano gli aviti costumi,41 ora invita i peccatori al pentimento,42 ecc.
A sottolineare l’affinità tra il discorso omiletico e il testo lessicografico contribuisce anche un’altra non comune caratteristica strutturale degli articoli del Vocabolario: non infrequentemente le singole frasi che esemplificano il significato e
l’uso di una voce, anziché essere tra di loro irrelate sul piano del contenuto, come succede comunemente nei dizionari, si configurano come parti coese di un
discorso unitario, cioè come un vero e proprio frammento di predica. Si osservi,
a cagion di esempio, questa particolarità assai interessante in due articoli relativi
a voci che toccano alcuni dei temi dianzi accennati, fallìre e ingiacchettàdu:
fallìre intr. fallire, far fallimento. Medas negosciantes fazzilmente si
ch’alzan a sas aèras e fazzilmente fallini molti negozianti facilmente
s’inalzano alle nubi e facilmente falliscono. Ma oe no fallin solu sos
interessos, fallit puru s’iscienzia, sa morale, su bonu sensu, sa cussenzia,
ei sos prinzipios pius santos ma oggi non falliscono solo gli interessi
materiali, falliscono anche la scienza, la morale, il buon senso, la coscienza, e i principi più santi.
37. Nel manoscritto delle prediche P. Casu usava annotare luoghi e date della predicazione, e quindi nel
caso della predica analizzata, S’imbreaghera, sappiamo che essa fu tenuta, oltre che in numerose località
ove vige il trattamento r + cons. > l + cons., anche a Ghilarza, Benetutti, Solarussa, Zeddiani e Oristano,
ove il nesso r + cons. si conserva.
38. No si lamentat mai abbastanzia s’ispettorriadura de sas feminas de oe ‘non si lamenta mai abbastanza la scollacciatura delle donne d’oggi’ (s.v. ispettorriadùra), Oe es veramente ’irgonzosa s’iscoeddhadura de zertas feminas
‘oggi è veramente vergognoso il fatto che certe donne han le gonne troppo corte’ (s.v. iscoeddhadùra), Sas giovanas de como giughen sas faldettas che giogantes ‘le giovani moderne hanno le gonnelle corte come le ballerine’, Sas antigas si podian coveccare in conca sas faldettas, ma oe! ‘le nostre maggiori potevano coprirsi la testa
con le gonnelle, ma oggi!’ (s.v. faldètta), In cheja s’invernician sos santos e in domo zertas mamas invernician sas
fizas ‘in chiesa s’inverniciano le statue, e in casa certe madri inverniciano le figlie’, Candho s’invernician crên
de si fagher bellas e si faghen feas ‘quando s’inverniciano credono di farsi belle e si fanno brutte’ (s.v. inverniciàre), Zertas feminas pro si cherrer fagher bellas s’iselmoran cun sos truccos ‘certe donne si vogliono abbellire coi
trucchi e s’imbruttiscono, si deformano’ (s.v. iselmoràre), Cussa giovana s’irrujit sos cavanos ei sas laras cun sos
colores falzos ‘quella giovane si arrossa le guance e le labbra con colori falsi (s.v. irrujìre), Sas mamas matessi oe
truccan sas fizas ‘le madri stesse, oggi, truccano le figlie’, Sas feminas chi si truccan no sun zertu pius bellas e no
sun zertu sabias ‘le donne che si truccano non sono certo più belle e non son certo più savie’ (s.v. truccàre).
39. Giovanos frazigos a vint’annos in un’erotismu zegu e bestiale ‘giovani imputriditi a vent’anni in un erotismo cieco e bestiale’ (s.v. erotìsmu).
40. Ma oe no fallin solu sos interessos, fallit puru s’iscienzia, sa morale, su bonu sensu, sa cussenzia, ei sos prinzipios pius santos ‘ma oggi non falliscono solo gli interessi materiali, falliscono anche la scienza, la morale,
il buon senso, la coscienza, e i principi più santi’ (s.v. fallìre).
41. Sos incalzonados no balen cantu sos irragados ‘quelli che oggi vestono i calzoni non valgono quanto gli
antichi che vestivano le brache’ (s.v. incalzonàdu), Sos ingiacchettados de oe no balen sos incappottados de
deris ‘gli ammodernati non valgono gli antichi’ (s.v. ingiacchettàdu).
42. Pentidi de sas erras tuas e Deu ti dêt perdonare ‘pentiti dei tuoi errori e Dio ti perdonerà’, Segnore, perdonanos sas erras e peccados ‘Signore, perdonaci le mancanze e i peccati’ (s.v. èrra2).
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ingiacchettàdu agg. che veste la giacca. Sos antigos sardos fin incappottados, sos sardos de oe sun ingiacchettados gli antichi sardi indossavano il
cappotto, i sardi moderni la giacca. | sost. Sos ingiacchettados de oe no balen sos incappottados de deris gli ammodernati non valgono gli antichi.
Nel lemma fallìre la coesione testuale tra la prima e la seconda frase esemplificativa è sottolineata dalla congiunzione avversativa ma (con cui inizia il secondo esempio), che esplica la funzione di segnale discorsivo all’interno di
un testo concepito unitariamente; nel lemma ingiacchettàdu, invece, la coerenza dell’intero testo lessicografico è dimostrata dal fatto che il significato
del primo enunciato costituisce la premessa che rende pienamente comprensibile il significato del secondo.
Il Vocabolario, dunque, è spesso una predica sui generis, e all’universo della
predica, quale nucleo psicologico dominante dell’Autore, non raramente fanno riferimento le singole voci, come ad esempio disturbàre, con la frase Cussos ciarrones disturban sa preiga, su preigadore ei sos ch’iscultan ‘quei chiacchieroni disturbano la predica, il predicatore e gli ascoltatori’, frase che fa pensare
all’abitudine del Casu, ricordata da qualche suo biografo, di esigere dall’uditorio il più rigoroso silenzio durante lo svolgimento delle sue prediche.
Se tutto questo è vero, come ritengo lo sia, allora sarà chiaro come mai Casu, che
è un poeta e un predicatore di vaglia prestato alla lessicografia, componga come prassi comune articoli di dizionario in cui la voce in esponente compare nell’esemplificazione e/o nella fraseologia in forma diversa da quella lemmatizzata.
Il polimorfismo, infatti, per il Casu oratore e poeta sembra rappresentare
non già un limite nell’uso di una lingua a scarso grado di standardizzazione
come quella sarda logudorese, bensì un’importante risorsa che va sfruttata a
fini retorici, sia per coinvolgere il maggior numero di ascoltatori, ove le varianti fonetiche e/o morfologiche di una forma riflettano tratti idiosincratici
di varietà dialettali differenti, sia più semplicemente per una ricerca di variatio attraverso il parziale straniamento del corpo della parola. Così, nel testo
della succitata predica sui dannosi effetti prodotti dall’eccessivo consumo di
vino, Casu adopera, all’interno di un brano di poche righe, accanto alla forma ussu ‘orso’ (2 volte), la variante metaplastica ursu (9 volte), più vicina all’etimo italiano orso. Parimenti nel Vocabolario riporta la sequenza lessicale
formante il noto proverbio S’ainu a chie lu sezzit narat: ischelvijadi! ischèrvijadi! su caddhu invece: tènebbi contu, tenebbi contu, introducendo la variatio
ischelvijadi! ischèrvijadi! ‘rompiti il collo! rompiti il collo!’.
Nel dizionario il polimorfismo è ben presente anche nell’uso del codice linguistico italiano,43 e sembra attribuibile, oltre che al gusto per la variatio,
43. P. es. s.v. fogàticu incontriamo, nel breve spazio di una riga, sia l’espressione tassa fuocatico sia la variante
tassa focatico; s.v. offìsciu coesistono ufficio comunale e officio del Genio, del presidente, del notario, del dazio;
s.v. poddhigàda occorrono insieme Pizzico a tre dita, golino, sergozzone e dare un golino, un sorgozzone; s.v.
isbullonàda s’incontra l’azione di levare i chiodoni o “bulloni”, s.v. isbullonàdu si ha invece da cui sono stati levati i bolloni, ancora s.v. isbullonadùra: il togliere, schiodare i “bolloni” e infine s.v. isbullonàre: privare dei
chiodoni o bulloni; s.v. iscabuzzàda si legge allo scioglimento della sòccita, s.v. iscabuzzadùra invece scioglimento della sòccida; s.v. ismascaràre sussistono l’uno accanto all’altro i sintagmi togliersi la maschera e non si è voluto togliere la mascara; s.v. ’entòsa si trova Foro a lato del forno, sfiatatoia vicino a il fumo usciva nero dal forno
per lo sfiatatoio; la definizione di campuzzàre reca campicchiare, vivucchiare, ma l’esempio vivacchiano discretamente; s.v. appuppàda convivono adombrare e aombrato; s.v. chercheddhàda si rileva recalcitrare, ma s.v.
chercheddhàre c’è ricalcitrare; s.v. ubbidiénzia accanto a ubbidienza (3 volte) s’incontra obbedienza (3 volte);
s.v. zócchida la definizione adduce romore e l’esempio rumore; s.v. inciuccàda si legge: l’azione d’ubbriacarsi,
s.v. inciuccàdu: imbriaco, brillo, s.v. inciuccàre: ubbriacare … imbriacato; s.vv. incumentàda, incumentàre e
incuméntu si registrano complessivamente 5 attestazioni di vomere, s.v. incumentàdu c’è invece vomero; s.v.
ingrucciupìdu la definizione suona raggricchiato, di membra, ma l’esempio reca piedi raggricciati e pure s.v.
ingrucciupiméntu si ha raggricciamento di gambe, ecc.
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all’intento didattico d’informare indirettamente il lettore sulla possibilità
d’usare la parola italiana in due o più varianti. Intento che in parte può riconoscersi anche alla base del trattamento dei materiali sardi. Pare provarlo il seguente fatto: le voci la cui grafia presenta nell’esponente la lettera < j > in corpo di parola figurano negli enunciati esemplificativi spessissimo (in tutti o in
parte degli esempi) con la < i > al posto di < j >: p. es. «pàja s.f. paio, coppia.
Ite bella paia! che bella coppia!».44 La circostanza non può ascriversi a un errore
o distrazione del Casu, ma riflette un preciso fatto fonetico. Infatti la parola
per ‘paio’ a Berchidda è pronunciata [páža], nei dialetti del Marghine e del Goceano suona [pája], mentre in zone del Logudoro coesistono i due esiti. Pertanto l’oscillazione grafica rispecchia una concreta realtà fonetica, e dunque
Casu con la sua notazione sembra voler significare che la grafia paja è quella da
preferire, e come tale viene accolta nel lemma, ma è ammissibile anche la grafia paia, riconducibile alla pronuncia [pája] in luogo di [páža], largamente esistente nello spazio linguistico fatto oggetto di documentazione nel Vocabolario.
Ci sia o no questo intento didattico, una cosa comunque è certa: anche per questo aspetto concernente l’alternanza i/j, il Casu lessicografo batte la stessa strada
del Casu poeta, il quale nella poesia Disingannu, composta nel 1934, faceva rimare toroiu e poju nei versi: m’assistad in su toroiu. / Largu de lagrimas poju.45
Tale è, dunque, la complessa motivazione della pratica lessicografica che spinge il Casu a registrare negli enunciati esemplificativi la voce lemmatizzata in
veste diversa da quella posta in esponente. Talvolta la forma divergente dal
lemma è l’unica attestata nell’esemplificazione (p. es., il lemma avvarìssia è illustrato con tre esempi, tutti recanti avarissia), ovvero quella di gran lunga
predominante (p. es., il lemma avvàru è illustrato con sei esempi, di cui uno
soltanto reca avvaru, gli altri cinque hanno avaru). E si verifica pure che la variante difforme dal lemma sia anche quella attestata in altre opere del Casu,
come avviene appunto per avaru, che occorre nel titolo S’avaru di una poesia
del nostro Autore pubblicata ne La Nuova Sardegna del 12 agosto 1949. La
casistica del fenomeno qui discusso è assai varia, e comprende: alternanza di
vocali (ascultàre: iscultendhe, isculta; astrìnta: istrinta; isperiénzia: esperienzia;
delicàdu: dilicadu; discendhènte: descendhente; restabbilìda: ristabbilida; perìssia:
pirissia; peniténzia: penetenzia; currispondhénzia: corrispondhenzia; ìdolu: idulu,
ecc.), alternanza di consonanti (óssiga: ossica; fogàle: focale, ecc.), alternanza di
prefissi (impassientàre: ispassientadu; inchingiàre: acchingiare; isabbisciàre: inabbisciare; avventariàre: inventariare; abbellittàda: imbellittada; allongàda: illongada; isbrunciàda: imbrunciada, ecc.), presenza o assenza di un prefisso (assemàdu: semadu; manettàda: ammanettada; approfettàre: profettat; ammalmuràre:
malmuradu, ecc.), differenza di suffisso (dolénzia: dolentìa, ecc.).
Talvolta il Casu si fa prendere la mano e, per un comprensibile calo dell’attenzione nel faticoso e monotono processo di copiatura del manoscritto, sostituisce la parola lemmatizzata con un suo sinonimo (bónu 1: bene; brozzàre:
arregottadu; bruscàre: buscadu; bullàre: buddhendhe; cannàu: fune; ciaccàdu:
magagnadu, ecc.), con un termine assonante (giustificànte: santificante, ecc.),
con un antonimo (occasionàriu: consuetudinarios, ecc.).
Là dove è parso che la sostituzione potesse creare sconcerto nel lettore, si è posposta alla forma sostituente la notazione [sic], il cui chiarimento, in relazione
44. Cfr. anche fumajólu, istrazzàju, istrobojàda, lampionàju, libberàju, maccarronàju, mamàja, marinàju,
minestràju, nóia, nojósu, nugàju, pascajólu, pinnettàju, pirastràju, piseddhàju, pizzigajólu, pulentàju, pumattàju, saltizzàju, ecc.
45. P. Casu, Versos de Sardigna cit., p. 147.
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ai casi meno banali, si trova nell’elenco alfabetico qui stampato a p. 57, nota
57, contenente la spiegazione di tutti gli interventi sul testo racchiusi tra
due parentesi quadre: [ ].
Si è già detto in precedenza che Casu è stato un grande predicatore e poeta in
lingua sarda prestato (per nostra grande fortuna) alla lessicografia. Egli afferma
(s.v. vocabbolàriu) che A fagher unu vocabbolariu bi cheret tempus e pascescia meda e che (s.v. dizzionàriu) A cumponner unu dizzionariu no bastat s’opera de unu
solu. Proprio perché comporre un dizionario è opera così lunga e faticosa e sarebbe troppo costoso in termini di tempo, lavoro e denaro correggere a posteriori errori o incongruenze dovuti a un difetto d’impostazione, i manuali di lessicografia prescrivono che prima di accingersi alla redazione di un dizionario il
lessicografo disponga di un codice grafico completo e univoco attinente alla lingua da descrivere, metta a punto un sistema di abbreviazioni relative a un numero limitato di qualifiche atte a fornire le necessarie informazioni sulle caratteristiche grammaticali, sui livelli d’uso, sui registri e sulle funzioni delle parole,
determini infine una volta per tutte i criteri per l’organizzazione e la distribuzione dei materiali sia nel lemmario sia all’interno degli articoli del dizionario.
Purtroppo questi aspetti del lavoro lessicografico, che richiedono da parte di
chi è impegnato nella composizione di un dizionario uno spirito sistematico e
il possesso di una teoria linguistica generale alla quale ancorare saldamente e
coerentemente i criteri organizzativi prescelti, non erano in sintonia con le modalità con cui amava estrinsecarsi il libero e multiforme genio di Pietro Casu.
Per quanto riguarda la grafia, il Casu, in armonia con il suo ruolo di oratore,
privilegiò l’avvicinamento della scrittura alla forma parlata della lingua ed elaborò un sistema di trascrizione attento sia alla notazione della consonante occlusiva retroflessa sonora, caratteristica dei dialetti logudoresi e sardi in generale
(caddhu ‘cavallo’ = [kád.d.u], candho ‘quando’ = [kán.d.o]), sia alla resa dei fenomeni di fonetica sintattica che determinano l’alterazione di certi foni iniziali e
finali di parola all’incontro con i foni di altre parole all’interno della frase.
La notazione della consonante retroflessa è piuttosto accurata in tutto il manoscritto; attraverso gli esempi d’uso e la fraseologia s’informa indirettamente il
lettore anche dei casi in cui, negli imprestiti il cui etimo contenga il nesso -nd-,
la cacuminalizzazione -nd- > -n.d. - avviene in modo sporadico: è questo il caso
di propagandàdu (3 esempi propagandhadu), cabubbàndha (1 esempio cabubbanda), candhidatu (2 esempi candidatu), prebbèndha (3 esempi prebbenda),
ecc. Più corretta sul piano lessicografico è la soluzione adottata per prènda ‘pegno’, in cui la forma prendha è registrata come variante di pronuncia accanto
all’esponente prenda ed è poi ripresa in un esempio all’interno dell’articolo.
I fenomeni di fonetica sintattica sono riprodotti nella grafia adottata dal Casu con minore coerenza e sistematicità. La caduta delle consonanti b-, d-, gin posizione intervocalica è normalmente segnata con un apostrofo di fronte
alla vocale successiva (su ’inu < su binu, fattu ’erettu < fattu derettu, su ’attu <
su gattu), ma non infrequentemente tale segno è tralasciato.
Poiché le forme originate in fonetica sintattica tendono a generalizzarsi, occorrendo anche in posizione iniziale assoluta e in sede postconsonantica, Casu riserva un posto a sé nella nomenclatura del dizionario anche a queste varianti
autonome e nota in modo del tutto incostante con il segno di elisione l’aferesi
della consonante originaria: s’incontrano, così, nel manoscritto gli esponenti
’alanzadu, ’alanzare, ’alanzu (da balanzadu, balanzare, balanzu), ecc. accanto a
esponenti come agante, agantinu, agantiu (da bagante, bagantinu, bagantiu),
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ecc., senza che vi sia una ragione per cui in un caso si usi il segno di elisione,
nell’altro si ometta. Nella presente edizione l’impiego dell’apostrofo, che non
indica una pronuncia ma serve semplicemente ad agevolare il lettore nel reperimento delle voci nella nomenclatura del dizionario, è stato regolarizzato ed
esteso ovunque occorra una forma caratterizzata dall’aferesi della consonante
iniziale, quale che sia la sua posizione nella frase.
Altro fenomeno fonosintattico riguardante l’inizio di parola è il mutamento
b- > v- di fronte a -s: es vezzu ( < es bezzu), es vennidu ( < es bennidu), ecc.,
segnato abbastanza regolarmente dal Casu.
Anche la fine di parola è soggetta ad alterazioni fonosintattiche, delle quali
trova notazione, nel sistema di trascrizione adoperato dal Casu, quella concernente la consonante -t della desinenza di 3a pers. sg. dei verbi, che in posizione intervocalica si muta nella corrispondente continua sonora indicata
graficamente con -d: cantad ancora < cantat ancora, faghed ancora < faghet
ancora, finid ancora < finit ancora, ecc.
Non trova, invece, riscontro grafico l’assimilazione di -t alla consonante iniziale della parola successiva (che in Sa Divina Cumedia era, invece, segnata
con l’apostrofo) e si conserva pertanto la -t etimologica: cantat bene (= [kánta bbène]), faghet bene (= [fág–e bbène]), finit bene (= [fíni bbène]), ecc.
Queste regole fonosintattiche di fine parola sono applicate da Casu nella generalità delle occorrenze. Qua e là s’incontra qualche eccezione (p. es.: Unu
cantat ei s’ateru faghet bobboro, s.v. bòbboro; Dagh’iscurigad no abberid a niunu,
s.v. abbèrrere; Su ’addhu toccat a chie ’occhit su porcabru, s.v. ’àddhu, ecc.), su
cui non si è intervenuto con attitudine normalizzante, ma si sono lasciate le
cose come appaiono nel manoscritto, perché esse possono essere indizio del
modo in cui Casu distribuiva le pause nella pronuncia delle singole catene
foniche in questione. Infatti se si realizza una pausa dopo una forma verbale
di 3a pers. sg., essa può essere scritta con -t come se fosse in posizione finale
di frase, anche se risulta seguita da parola iniziante per vocale; e viceversa essa
può essere scritta con -d anche se seguita da parola iniziante per consonante,
perché in pausa le consonanti finali assolute di parola tendono a prendere
dopo di sé una vocale paragogica, sonorizzandosi in ambiente intervocalico.
Le consonanti -n, -s, -t con cui terminano rispettivamente le desinenze verbali
di 3a pers. pl., di 2a pers. sg. e pl., 1a pers. pl. (-s è anche desinenza plurale dei
nomi e degli aggettivi), di 3a pers. sg., quando figurano in pausa, nell’uso orale della lingua, sviluppano dopo di sé una vocale epitetica o paragogica, che
generalmente Casu non segna nella scrittura: faghen, has, hat, ecc. Talvolta
tuttavia tale vocale viene notata: It’abbilidade ch’hasa (s.v. abbilidàde), Inoghe sa
cariasa ei sa castanza no che faghene (s.v. fàghere), Si lu leas cun su fuste già addomèstigada (s.v. addomestigàre), ecc. Queste scritture con la vocale epitetica,
pur minoritarie, sono state riprodotte nella presente edizione senza alcun intervento normalizzatore, innanzi tutto perché rispecchiano una realtà fonetica
e poi perché non sono in disaccordo con la ratio generale del sistema grafico
elaborato dal Casu, che mira a riprodurre nella scrittura, seppur in modo non
del tutto coerente, la pronuncia che assumono le parole nei diversi contesti.
Un trattamento a parte riceve nel codice grafico del Casu la 3a pers. sg. del
presente indicativo del verbo ‘essere’, scritta est davanti a vocale o in pausa
(est andhendhe), ed es di fronte a consonante (es cantendhe).
Varie incoerenze manifesta la notazione delle forme del verbo ‘avere’, che
s’incontrano scritte ciascuna in tre (o quattro) modi diversi: p. es. hapo, hàpo,
àpo, apo ‘io ho’. Queste grafie volubili, talvolta, compaiono all’interno di una
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stessa frase: L’apo cantadu sas allelujas e l’hapo fattu cagliare (s.v. allelùja); …
no ndh’hap’àpidu alliccu perunu; Già ndh’ap’apidu alliccu ’onu (s.v. allìccu).
La passione per la variatio, che Casu mostra nell’uso verbale della lingua, pare,
dunque, realizzarsi anche nella sua trasposizione scritta. Tuttavia l’impiego di
questo sistema policromo comporta alcune conseguenze negative sul piano
pratico, causate dall’equivocità dell’accento grafico, che svolge tanto la funzione
di sostituto della lettera h-, quanto quella di segno indicante la sede vocalica
dell’accento tonico. Poiché non sempre le due funzioni si esplicano in relazione
alla stessa vocale, nascono grafie fuorvianti quali àimus ‘avevamo’ (S’had ismentigadu s’appostivigada ch’àimus fattu e no es vènnidu, s.v. appostivigàda), àpesi ‘ebbi’ (Chi t’àpesi cummegus allogada, s.v. allogàdu), àiat ‘aveva, c’era’ (Fina dai sos
tempos de sos Romanos in Sardigna ch’àiat medas minieras, s.v. minièra), ecc.
Di fronte a grafie di questo tipo, infatti, il lettore comune è portato a leggere
le forme verbali in questione con l’accento tonico sulla vocale a, ciò che è errato perché la pronuncia è rispettivamente [aímus], [appési], [aíat]. Casu dové rendersi conto dell’inadeguatezza di siffatta trascrizione, tant’è che in qualche caso, per rimediare all’ambiguità, introdusse un duplice accento grafico,
come in àèret (Pariat ch’àèret nadu un’eresia, s.v. eresìa), àìana (ndh’àìana lastima fina sas feras, s.v. fèra), ecc., ma questa soluzione singolare (completamente estranea alla tradizione ortografica sarda) non dové soddisfarlo, sicché nella
redazione di alcune lettere del Vocabolario, come la P, mostra la tendenza a
impiegare prevalentemente le grafie con la lettera h-, del tipo has, hat, hapo,
haimus, haer, ecc. Nella presente edizione, per non indurre il lettore in pronunce errate, si è fatta la scelta di generalizzare in ogni caso quest’ultima soluzione e dunque tutte le forme del verbo ‘avere’ iniziano con h-.
Concludiamo il discorso sul verbo ‘avere’ facendo presente che, contrariamente al trattamento riservato agli altri verbi, la 3a pers. sg. del presente indicativo di questo ausiliare è scritta sempre ha (e non hat) di fronte a parola
iniziante con consonante (p. es. ha cantadu, ha leadu, ecc.).
Un’altra grafia che può generare incertezza nel lettore è quella attestata in
esempi quali In custu ’inu c’ha troppu saba ‘in questo vino cotto c’è troppa sapa’ (s.v. sàba); Custas dies c’hamus hàpidu una sagra ‘questi giorni abbiamo avuto una prima messa’ (s.v. sàgra), ecc., ove l’avverbio di luogo che (< HINC(E)),
in seguito all’elisione della -e davanti alla vocale iniziale della parola successiva,
viene scritto < c’ >. In questo modo si oscura l’unità grafica della parola e a
una prima lettura veloce, fatta – come spesso succede – senza riflettere con attenzione al contenuto della frase, si può restare nel dubbio, a seconda del contesto, se l’elemento grafico di cui trattiamo sia da ricondurre all’avverbio di
luogo che o alla congiunzione ca ‘che, perché’. Per questa ragione Casu adotta
anche la grafia del tipo ch’hat (Inoghe ch’ha duas rigas isburradas, s.v. isburràdu),
che nella presente edizione si è ritenuto di dover generalizzare per favorire
l’immediatezza della lettura.
Punta ad evitare equivoci e incertezza nel lettore anche un altro intervento
che, in fase di edizione, ha riguardato la grafia della preposizione da’ ‘da’ e
della 2a pers. sg. dell’imperativo presente del verbo dare.
La preposizione è lemmatizzata come da’ (da dae, dai) e figura in numerosissimi esempi, sia davanti a consonante (Da’ candho ses bènnidu?, ecc.), sia davanti a vocale (ti che ’ogo da’ iscola, s.v. isburronàre; benner da’ unu logu, s.v. bènnere; Bessimiche da’ igue, bischidazzu, s.v. bischidàzzu, ecc.). Non mancano
tuttavia abbondanti attestazioni anche della grafia da: Es malaida da una chida
(s.v. dottòre), chi da in pagu in pagu mi ndhe torras a domo (s.v. concabbéltu), da
un’ora (s.v. ’eréttu), ecc.
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Entrambe le grafie relative alla preposizione ‘da’ coincidono con due grafie
con cui viene espressa la 2a pers. sg. dell’imperativo presente del verbo dare,
come mostrano i seguenti esempi: Da’ un’ischicconada (s.v. ischicconàda), Da’
grassias a Deu (s.v. dàre), Da’ una calcada (s.v. calcàda), Da’ una bistentada a
cussa criadura (s.v. bistentàda), ecc.; Da una cambizada a cussu puddhedru (s.v.
cambizàda), Da una cariada a cussu bicculu (s.v. cariàda), Da un’approfundhada a cussu fossu (s.v. approfundhàda), ecc.
È evidente l’incertezza che può insorgere da scritture come da’ tempus o da
tempus che, fuori contesto, possono essere interpretate, secondo questo sistema grafico, come significanti sia ‘da tempo’ sia ‘da’ tempo, concedi tempo’.
Probabilmente con l’intento di ovviare a difficoltà di questo genere, Casu ricorre frequentemente, per esprimere l’imperativo in questione, non tanto alla
grafia dà (Dà una campianada a custa pedra, s.v. campianàda), quanto alla
grafia dà’: Dà’ una domadeddha a cussu disculu (s.v. domàda), Dà’ una chilchinada a custa fune (s.v. chilchinàda), Dà’ una cobeltada a custu sillabariu
(s.v. cobeltàda), ecc.
Stando così le cose, al fine di garantire la perspicua distinzione delle due forme, nella presente edizione si è generalizzata per la preposizione ‘da’ la grafia
da’, alla quale il Casu stesso dava priorità ponendola in esponente, e per
l’imperativo di dare la scrittura dà’, che è la meglio caratterizzata tra le quattro coesistenti e quella più frequente nella versione dattiloscritta di parte
della lettera A approntata dal Casu, di cui si parlerà più avanti.
Altre oscillazioni grafiche presenti nel manoscritto riguardano la presenza o
l’assenza dell’accento grafico nella congiunzione negativa coordinante copulativa (no b’ha ne Deus nè santos chi lu ’oltet, s.v. firmàre 1; Deu no ha nè prinzipiu nè fine, s.v. fìne 1) e l’uso dell’accento circonflesso per indicare l’esito
della contrazione di due vocali uguali (Candho dês agattare sa pedra filosofale
has a cambiare su piumu in oro e ti des fagher riccu, s.v. filosofàle; crêrsi calchi
cosa … crersi cosa … si cret cosa, s.v. còsa; caminare a pe, s.v. caminàre; caminu
’e pè, s.v. camìnu; dormiresi a sa ficcada, ficcadu, in pês, s.v. dormìre, ecc.).
In entrambi i casi nella presente edizione sono state generalizzate le soluzioni
più frequentemente attestate nel manoscritto e/o di gran lunga prevalenti
nelle altre opere in sardo pubblicate dal Casu, soprattutto in Sa Divina Cumedia. Pertanto la congiunzione negativa coordinante copulativa è sempre
scritta nè … nè (anche in considerazione del fatto che essa è lemmatizzata dal
Casu in questa forma), mentre negli enunciati lessicografici le vocali risultanti dalla contrazione di vocali, che nel manoscritto hanno irregolarmente l’accento circonflesso, recano sempre su di sé tale accento grafico: pê, dêt, crêt,
giû, nôs, ôs, rêr, lêt, ecc. (tuttavia si è lemmatizzato pè, crère, ecc., per indicare,
oltre alla sede dell’accento tonico, il grado di apertura della vocale accentata).
Gli interventi normalizzatori suddescritti, la cui necessità e opportunità risultano dal discorso sin qui svolto, condividono una caratteristica metodologica
comune: non concernono aspetti del codice grafico da cui dipenda l’adeguatezza della scrittura alla sostanza fonica, sicché nessuna informazione linguistica contenuta nel manoscritto va perduta.
La regolarizzazione di scritture concorrenti di questo tipo è comunemente
praticata nell’edizione critica di testi a stampa fatti pubblicare dall’autore e di
manoscritti inediti di rilevanza letteraria, senza che si renda conto di volta in
volta nell’apparato critico di ogni singolo intervento.46 E dunque, a fortiori,
46. Vd. da ultimo G. Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Pascale Dessanai, con una proposta
di edizione critica, Nuoro, 2000.
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tale regolarizzazione può essere attuata nell’edizione del nostro manoscritto,
che non è, né potrebbe essere, per i motivi di cui si dirà appresso, un’edizione
critica. Con lo stesso criterio, cioè senza farne segnalazione in apparato, le
edizioni critiche di testi sardi generalizzano la notazione dell’accento tonico
nelle parole sdrucciole, nonché (ove trattasi di manoscritti inediti) l’uso di <
tz > per l’affricata dentale sorda e di < z > per la corrispondente sonora.
Riguardo all’accento e alla trascrizione delle consonanti affricate dentali, nel
nostro caso si è ritenuto di dover procedere diversamente, sempre in ossequio al principio generale per cui l’edizione del Vocabolario tende innanzi
tutto a consentire il recupero di ogni informazione di carattere linguistico
contenuta nel manoscritto.
La nostra scelta tiene conto della situazione del manoscritto, che è la seguente. Per quanto avesse come modello il Vocabolario di G. Rigutini e P. Fanfani,
in cui è sempre segnato l’accento sulla vocale tonica di ogni lemma (acuto, se
trattasi di vocale medio-alta; grave in caso di vocale medio-bassa) e viene accuratamente distinta per mezzo di un punto soprascritto la z sonora da quella sorda, Casu non recepì tale insegnamento e per ciò che attiene all’accento
lo notò (generalmente nella forma di accento grave) sia nei lemmi sia all’interno degli articoli in modo assolutamente irregolare, e senza segnalare il diverso grado di apertura delle vocali medie (e, o) toniche; invece, per quanto
riguarda l’affricata dentale, fermo restando il fatto che anche in questo caso
non avvertì l’esigenza di specificarne la natura in tutti i lemmi (sicché molte
incertezze rimarrebbero al lettore), notò la sonora in parte con un puntino
diacritico sovrascritto alla z (abbalz·are), in parte facendo seguire il lemma
dall’indicazione (dz) o (z dl.): p. es. conzu (dz), conzale (z dl.), mentre distinse
la sorda o con l’indicazione (tz) successiva all’esponente o scrivendo il lemma
direttamente col digramma tz: p. es. calza (tz), dultze.
Poiché uno dei motivi per cui si consulta più frequentemente un dizionario
è rappresentato dall’esigenza di riscontrare la corretta pronuncia di una parola, è chiaro che una situazione del genere non poteva essere conservata.
Perciò la presente edizione segna su ogni lemma e sui rinvii interni l’accento tonico, sempre grave sulle vocali a, i, u e inoltre sulla e aperta e o aperta
(àla, bìnu, mùru, mèla, mòla), sempre acuto su e chiusa e o chiusa (chéntu,
sónu). Se all’interno di un articolo del Vocabolario compaiono unità lessicali
o forme sarde diverse da quella lemmatizzata, che nel manoscritto rechino
l’accento grafico (grave, come si è detto in precedenza), esse lo conservano
anche nella presente edizione. Quanto all’affricata dentale, la distinzione fra
la sorda e la sonora è assicurata dall’indicazione (tz) che viene fatta seguire
all’esponente che contenga una sorda: bìnza, ma càlza (tz). Tuttavia, al fine
di consentire l’individuazione della parte risalente al Casu nella specificazione di questi dati, si acclude in appendice (pp. 1371-1388) l’elenco dei lemmi e delle varianti recanti nel manoscritto l’indicazione dell’accento e/o della pronuncia di z.
Altro elemento critico della grafia del Vocabolario è costituito dai casi in cui
una parola, generalmente non indigena, ma un imprestito (spesso dotto), è
scritta con una consonante (per lo più occlusiva) geminata in esponente e
con una consonante semplice all’interno dell’articolo, o, meno frequentemente, viceversa: broccheri e brocheri, babbilonia e babilonia, coittare e coitare, patreffiliu e pattreffiliu, trappiantadu e trapiantadu, assoloccare e assolocare,
profetada e profettada, problema e probblema, esiggente e esigente, eteroggeneu e
eterogeneu, ecc.
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Poiché la variazione formale tra l’esponente e i materiali esemplificativi non
può essere considerata nella maggior parte dei casi un semplice errore di
scrittura, ma è la testimonianza di una reale incertezza nella pronuncia della
consonante (spesso determinata dal dissidio tra la volontà di rispettare la
pronuncia scempia della forma italiana e la tendenza ad articolare intensamente le occlusive propria della pronuncia sarda), tale variazione è stata
conservata nella presente edizione come documento di un fatto linguistico,
al pari delle altre variazioni di cui si è trattato nelle righe precedenti, con
l’assunto che, nella prassi del Casu, la forma da privilegiare è quella lemmatizzata, ma anche l’altra risulta ammissibile.
Nel rispetto della necessità di garantire omogeneità di scrittura tra i lemmi di
parole appartenenti a una famiglia lessicale (cioè aventi la stessa base etimologica), gli interventi correttivi sono stati limitati ai casi in cui sussistono elementi per ritenere che ci si trovi di fronte a un errore di scrittura, come accade, p. es., quando un esponente scritto con la consonante semplice o doppia
viene a trovarsi proprio per questo motivo fuori posto nell’ordine alfabetico
della nomenclatura del dizionario: p. es. «amìlciu avv. in mescolanza. V. ammisciu» è corretto in ammìlciu, perché nell’ordine alfabetico è preceduto da
ammilciare e questo da ammilandrare, dunque risulta fuori posto; d’altronde
anche l’etimologia, dichiarata dal rimando, conferma la scrittura -mm-.
Per quanto concerne la notazione dell’affricata dentale, lo stesso Casu osservava s.v. z: «z ultima lettera dell’alfabeto. Zeta, femminile. Come in italiano è
dolce e aspra. La dolce si è scritta quasi generalmente scempia in questo vocabolario e la dura doppia». Il problema sta tutto nell’espressione limitativa
«quasi generalmente», in cui ricadono numerosi casi, relativi soprattutto a
imprestiti dall’italiano, nei quali si usa la scempia o la doppia in conformità
alla scrittura italiana, anziché alla regola su esposta. Purtroppo questa eccezione alla norma generale non viene rispettata costantemente, e dunque s’incontrano l’una accanto all’altra grafie contradditorie – ma in tono con il gusto per la variatio proprio dell’Autore – del tipo dizionariu e dizzionariu,
agonizante e agonizzante, caratterizare e caratterizzadu, persecuzzione e persecuzione, italianizzare e italianizare, sozzialista e sozialista, ecc. Grafie che, tuttavia, non possono trarre in inganno il lettore circa la corretta pronuncia dell’affricata, perché, come si è ricordato in precedenza, è stata da noi aggiunta,
in sede di edizione, un’apposita indicazione, (tz), immediatamente dopo ogni
forma in esponente che contenga un’affricata dentale sorda. D’altra parte,
proprio per evitare simili incongruenze e altre deficienze della scrittura tradizionalmente usata dai poeti, alla quale si attenne il Casu, oggi è ampiamente
invalso l’uso d’impiegare, allorché si scrive comunemente il sardo, il digrafo
tz per notare l’affricata dentale sorda [ts] e la lettera z per notare la corrispondente sonora [dz].
Un ultimo punto, sempre a riguardo della grafia, merita infine d’essere trattato, in relazione alla modalità con cui Casu adduce nel Vocabolario la citazione
di versi e brani di altri poeti e scrittori, o di documenti antichi e moderni.
Generalmente non solo adegua al suo codice grafico la citazione riportata
(persino il sardo medioevale è sottoposto a questo trattamento: cfr. alicàndho, atterùndhe, ecc.), ma ne modernizza pure la lingua. Tale trattamento
modernizzante interessa in modo particolare i versi di Giovanni Delogu Ibba, che fu parroco di Villanova Monteleone e pubblicò nel 1736 l’Index libri vitae, contenente la Tragedia in su isclavamentu de su sacrosantu corpus de
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nostru sennore Iesu Christu e una serie di gosos (inni sacri) in onore dei santi,
che ebbero larga divulgazione popolare. Pasquale Tola, nel suo Dizionario
biografico degli uomini illustri di Sardegna, esaltò la purezza della lingua di
questo poeta, scrivendo:47
E se si eccettua l’Araolla, il quale lo vince al corto nella forza dell’immaginazione, nella profondità dei concetti e nell’abbondanza delle figure, noi non troviamo fra i poeti nazionali, le di cui poesie siano state pubblicate, veruno che lo superi nell’armonia del verso e nella
purità della lingua; anzi in quest’ultimo rispetto tale reputiamo l’esattezza del Delogu, che ove a certe regole ridurre si volesse la lingua logudorese, che è la vera lingua nazionale della Sardegna, non sapremmo indicare fonti migliori per attingerle, fuorché le Rime spirituali
dell’Araolla e gli Inni sacri del nostro autore.
Il Casu condivise evidentemente il giudizio del Tola per la parte attinente a
Delogu Ibba, perché mentre l’Araolla – le cui Rimas diversas spirituales affrontano temi non del tutto consonanti con quelli prediletti dal nostro vocabolarista – è scarsamente rappresentato nel Vocabolario (si contano soltanto 11 citazioni), il parroco di Villanova Monteleone risulta essere, invece, il
poeta in assoluto più citato: ben 633 volte, di contro a Padre Luca 144,
Mossa 135, Cossu 134, Caddeo 130, Zozzò 128, Pisurzi 113, Pilucca 107,
Mele 98, Usai 72, Dore 64, Murenu 60, ecc. Siccome, però, come si è già
più volte rilevato, Casu non intendeva limitarsi a realizzare con il Vocabolario un’opera di pura e semplice documentazione (nel qual caso sarebbe stato
tenuto al rispetto filologico del dettato degli autori citati), ma mirava con il
suo lavoro a contribuire a fare del sardo una lingua di cultura anche attraverso il recupero e la riutilizzazione di voci antiche di ambito letterario, egli
riportò un numero cospicuo di passi di Delogu Ibba,48 in quanto autore assunto a modello di stile e di purezza linguistica, ma in conformità dei suoi
obiettivi linguistici ne modernizzò la lingua. Di questa operazione, che è
importante evidenziare per comprendere appieno le finalità perseguite da
Casu con la sua impresa, gioverà fornire qualche esempio:
DELOGU IBBA
CASU
Qui renunciare quergio doñi faustu / de custu
mundu vanu et alocadu (Isclav. 388).
Chi renunziare cherzo dogni faustu / de custu
mundhu vanu (s.v. fàustu).
De ambos sexos cun desvelu / istegis reformadora (Gosos 247).
De ambos sessos cun disvelu / istezis reformadora (s.v. disvélu).
Cofre de quelu afischadu (Gosos 215, 1).
Cofre de chelu affisciadu (s.v. affisciàdu).
Su exercitu militante / ti africeret inhumanu
(Gosos 129).
S’esercitu militante ti affrizzerad inumanu
(s.v. affrizzàre).
Sensadu hàt sos imbustes / inclavadu que ladru in duos fustes (Isclav. 81-82).
Sensadu ha sos imbustes / incravadu che ladru in duos fustes (s.v. imbùstes).
Imprehendegis una hazaña (Gosos 211).
Imprendhezis un’azzagna (s.v. imprèndhere).
47. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, II, Torino, 1838, pp. 25-26; riedito a
cura di M. Brigaglia, II, Nuoro, 2001, pp. 45-46.
48. Il Casu nell’articolo “Per la lingua sarda”, pubblicato nel giornale sassarese La Nuova Sardegna, 10-11
gennaio 1922, propose una rivitalizzazione del canto dei gosos nelle tradizioni religiose e forse in Delogu
Ibba ammirava soprattutto l’autore di gosos, che ebbero grande fortuna presso il popolo.
41
Tuttavia, come per altri aspetti già esaminati, anche questa volta Casu non
rispettò pienamente il criterio ortografico adottato e non attuò sistematicamente l’adattamento delle citazioni d’autore alla propria grafia, sicché, p. es.,
c’imbattiamo in versi di Celestino Caddeo così trascritti: Essend’issu a su nadidu inespertu (s.v. nàdidu); Cudd’opponimentu / de issu a Giuliu Proculu evidente (s.v. opponiméntu); Fit iscoccada pro sa valentia (s.v. iscoccàre), ecc.
Per questa ragione la normalizzazione del segno di elisione per indicare la
caduta di una consonante, della scrittura da’ per la preposizione ‘da’, della
grafia dà’ per l’imperativo del verbo dare, dell’accento circonflesso in forme
quali dês, lês, crês, ôs, ecc., della lettera h- nelle voci del verbo ‘avere’, di cui si
è riferito nelle righe precedenti, non è stata estesa alle citazioni d’autore nella presunzione che esse, nella forma in cui figurano nel manoscritto, possano anche riprodurre la lezione del testo originario dell’autore, che in ogni
caso è bene conservare.
Sin qui si è parlato dei problemi connessi alla trasposizione grafica della lingua e si sono potuti constatare i vari inconvenienti derivati dal fatto che Casu ha disatteso il principio lessicografico secondo cui, prima di procedere alla fase redazionale di un dizionario, occorre disporre di un sistema grafico
coerente e definito in tutti i suoi particolari.
Analoga esigenza è avvertita in relazione all’individuazione e alla determinazione delle qualifiche grammaticali e degli indicatori che, per lo più sotto
forma di abbreviazioni, danno informazioni relative al registro espressivo del
lemma (fam., com., ant., lett., ecc.), al settore di appartenenza (giur., med.,
bot., zool., fis., ecc.), all’irradiazione semantica (estens., fig., ecc.), ecc. Un
manuale di lessicografia tra i più apprezzati, come quello di L. Zgusta,49
prescrive che «il numero e la forma degli indicatori devono essere decisi prima che il lavoro di compilazione del dizionario abbia inizio», che il repertorio degli indicatori prescelti dev’essere impiegato in tutto il dizionario in
maniera uniforme e che, ove il lessicografo non sia sicuro delle sue decisioni
al riguardo, dovrebbe adottare un sistema di indicatori tale che uno sviluppo delle sue idee causerà soltanto alcune specificazioni ulteriori, non il cambio degli indicatori già scelti.
Anche rispetto a questa problematica l’approccio lessicografico del Casu mostra d’essere di tipo empirico. Infatti ritroviamo qui le stesse oscillazioni e incongruenze che si riscontrano nel campo dell’ortografia. E il nostro intervento a riguardo è stato ispirato agli stessi criteri che hanno regolato gli interventi
di tipo ortografico: ossia si sono in genere normalizzate le abbreviazioni delle
qualifiche grammaticali e degli indicatori che compaiono nell’intestazione e
nelle sedi fisse dell’articolo (s.m., s.f., sost., agg., pron., cong., avv., part. pass.,
part. pres., tr., intr., rifl., ass., recipr., fig., fam., lett., poet., pop., ecc.), mentre si
è conservata in genere la dizione del Casu in contesti più discorsivi o in combinazioni particolari. Faccio un esempio: i significati nati come traslati del significato principale del lemma sono segnalati comunemente per mezzo dell’indicatore fig., così s.v. appizzigàdu si legge: «agg. appiccicato, attaccato,
unito. Appizzigadu cun sa salia appiccicato malamente. Al fig., di cosa che
non ci ha che fare», ma nel derivato appizzigadìttu si ha: «Appizzigadittu che
ambesue che si attacca (figur.) come la mignatta», perché l’informazione è qui
espressa in forma meno strutturata.
49. L. Zgusta, Manual of Lexicography, The Hague-Paris, 1971, p. 322.
42
Altro intervento normalizzatore, che si è reso necessario eseguire a livello di
microstruttura del dizionario, ha riguardato l’impiego con funzione metalinguistica della punteggiatura e delle parentesi, problema che Casu non
sottopose a riflessione preliminare alla stesura dell’opera, sicché il manoscritto pullula anche in questo settore di soluzioni oscillanti, contradditorie
o fuorvianti. Si danno qui di seguito alcuni esempi per consentire al lettore
di farsi un’idea della situazione in cui versa il nostro testo. Si considerino
inizialmente i lemmi isgiarrettadu e isgiarrettare, che sono così trattati nel
manoscritto:
isgiarrettadu ag. pps. scoppiato: scaricato, sgravato. del cielo.
isgiarrettare int. scoppiare, scaricarsi, sgravarsi: delle nuvole.
In relazione alle forme dello stesso verbo, caratterizzate da un significato articolantesi in maniera del tutto identica, l’impiego della punteggiatura (virgola, punto e due punti) è, senza motivo, difforme e, per ciò che riguarda
l’uso del punto dopo «sgravato», anche straniante per via della successiva
preposizione articolata «del» scritta con l’iniziale minuscola.
Ancora:
masone s.m. …| Masone de fizos: de ladros, de birbantes: famiglia
numerosa, branco di ladri, di birbanti. fen. mason.
abbuadu ag. afato: Occulto, nascosto. Da buada, covo.
calcanzile s.m. quartiere. La parte posteriore della scarpa.
Anche dal confronto tra il testo sardo e la versione italiana emerge come in
un caso (dopo Masone de fizos) il segno < : > è impiegato al posto della virgola, dunque per separare significati vicini tra loro, invece nell’altro caso
(dopo «afato») lo stesso segno indica uno stacco semantico addirittura superiore a quello segnalato dal semplice punto fermo, tant’è che la parola successiva «Occulto» è scritta con la lettera iniziale maiuscola, cosa altrettanto
straniante alla luce delle comuni consuetudini ortografiche italiane.
In calcanzile, infine, il sintagma nominale «La parte posteriore della scarpa»
ha la funzione di precisare, con ricorso al procedimento perifrastico, quale
delle varie accezioni che competono alla unità polisemica ital. quartiere corrisponde al significato del vocabolo sardo. Ciononostante tale parafrasi è separata dal suo sinonimo per mezzo del punto fermo, come se fra i due elementi esistesse una cesura semantica.
Non è necessario insistere sulle difficoltà interpretative che questa modalità
di impiego della punteggiatura e delle maiuscole può ingenerare: se calcanzile
non fosse una parola già nota, ma uno dei numerosi hapax di etimo oscuro
che contiene la nostra raccolta, si potrebbe restare nel dubbio circa il suo significato, ossia si potrebbe ipotizzare che calcanzile significhi semplicemente
‘parte posteriore della scarpa’, oppure che sia voce polisemica significante, p.
es., ‘nucleo urbanistico’ e ‘parte posteriore della scarpa’. È facile, dunque,
comprendere la necessità d’intervenire su questi aspetti del testo per rendere
il dizionario leggibile, ma anche la delicatezza che comporta un tipo d’intervento come questo, che può incidere su una dimensione fondamentale dell’opera, come quella attinente al significato delle parole.
Altro intervento normalizzante a livello di microstruttura del dizionario ha
interessato il riordino e il completamento di certi dati e indicazioni contenuti nei singoli articoli lessicali.
43
È noto, infatti, che l’articolo di un dizionario si configura come una sequenza
ordinata di frasi, ciascuna della quali fornisce molteplici informazioni. Tale successione fissa di elementi costituenti l’articolo è doppiamente ricorsiva, nel senso
che essa si ripete costantemente da un articolo all’altro, come pure nel corso di
ciascun articolo all’interno di ciascuna sottosezione di esso, che è stabilita in ragione vuoi delle proprietà morfologiche vuoi delle caratteristiche semantiche del
lemma analizzato. Questa segmentazione del testo lessicografico svolge lo stesso
ruolo dell’ordinamento alfabetico dei lemmi nella nomenclatura del dizionario:
permette il reperimento mirato e rapido delle risposte cercate dai lettori.
Nella sua forma più completa l’articolo del dizionario di P. Casu presenta la
seguente struttura virtuale:50
–
–
–
–
entrata lessicale in sardo
marche grammaticali (s.m., s.f., tr., cong., ecc.)
equivalenza del segno in italiano
(marche classificatorie e descrittive: stilistiche, di registro, di settore
e frequenza d’uso, ecc.)
– esempi in sardo
– resa degli esempi in italiano (talvolta manca)
– (passaggi e informazioni semantiche: al fig., per simil., riferito a, ecc.)
– valori traslati ed equivalenze parziali in italiano
– riferimenti etimologici
– rimandi interni di tipo semantico, fonetico, morfologico
Gli elementi dello schema racchiusi tra parentesi sono quelli che mostrano
la maggiore mobilità all’interno dell’articolo.
I più frequenti interventi normalizzatori hanno toccato le marche classificatorie
e descrittive, che, spesso poste dopo la traduzione italiana degli enunciati esemplificativi logudoresi o sparse altrove nel corpo dell’articolo, sono state collocate
– secondo l’uso comune in lessicografia – dopo le qualifiche grammaticali e davanti agli equivalenti italiani del lemma, conformemente ai seguenti esempi:
Eterodossìa s.f. eterodossia. L’accusan de eterodossia: lo accusano di
eterodossia. Lett.
Abbenzinadu agg. brillo, alticcio. Gergo – da Benzina.
diventano, anche con gli altri interventi normalizzatori concernenti l’uso del
corsivo e delle parentesi tonde:
eterodossìa s.f. (t. lett.) eterodossia. L’accusan de eterodossia lo accusano di eterodossia.
abbenzinàdu agg. (gergo) brillo, alticcio. || da benzina.
Ma sono innumerevoli gli articoli che hanno richiesto un più generale riordino degli elementi costitutivi, come, p. es.:
amarantu s.m. amaranto, semprevivo (Sempervivu, sempreiu) ajmav rantoı non marcescibile – Celosia castrensis.
che diventa (all’etimo greco è stata anteposta la traslitterazione in caratteri
latini per facilitare al lettore la consultazione del dizionario):
50. Per lo schema addotto vd. A. Dettori, “Lessicografia sarda: l’inedito Vocabolario logudorese di Pietro
Casu”, in Atti del VII Convegno Internazionale di Linguisti, Milano, 1987, pp. 243-264.
44
amaràntu s.m. amaranto (Celosia castrensis), semprevivo (sempervivu, sempreiu). || gr. (amárantos) ajmavrantoı non marcescibile.
Si è uniformato, inoltre, il modo di indicare la specificazione degli ambiti ai
quali si riferisce particolarmente la definizione, collocandola sempre alla fine
di essa, per cui:
abbattiladu ag.: di lana, lino e sim.: compresso …
abbamare tr. formare il branco (delle pecore) …
diventano:
abbattilàdu agg. compresso, di lana, di lino e sim. …
abbamàre tr. formare il branco, delle pecore …
Per ragioni di uniformità, inoltre, sono state integrate le qualifiche grammaticali assenti o incomplete, come in:
abbaidonzu: guardatura. modo di guardare.
bacculeddhu dim. piccolo bastone, piccola mazza.
costadu s. quel che è capitato …
che diventano:
abbaidónzu s.m. guardatura; modo di guardare.
bacculéddhu s.m. dim. piccolo bastone, piccola mazza.
costàdu2 s.m. quel che è capitato …
Nei cosiddetti nomi “mobili” si è uniformata l’eterogeneità di trattamento
del manoscritto, facendo seguire all’indicazione della categoria grammaticale del maschile la forma del femminile, di regola con la sola terminazione. Pertanto:
pasticcione (a) s.m. (f.) pasticcione (a) …
pasticciadore (a) s.m. impiastricciatore (trice) …
diventano:
pasticciòne s.m. (f. -a) pasticcione (-a) …
pasticciadòre s.m. (f. -a) impiastricciatore (-trice) …
Quando l’articolo adduce la localizzazione della forma in esponente, se il toponimo si riferisce al lemma integralmente, esso è posizionato prima della
definizione, immediatamente dopo le caratteristiche grammaticali; quando
invece il toponimo si riferisce solo a una particolare accezione del lemma,
esso è stato collocato alla fine della parte alla quale è pertinente, rispettando,
nei limiti del possibile, la sequenza registrata nel manoscritto. Pertanto:
puzema s.f. spigo, lavanda. V. Ispigula (Bosa).
preca s.f. fessura, burrone. V. Pelcia, pescia. (Nuor. e Barb.).
abbagadiare … Intr.: abbagadiaresi: far festa, stare in allegria (Siniscola) …
diventano:
puzèma (tz/z) s.f. (Bosa) spigo, lavanda → ISPÌGULA.
prèca s.f. (Nuor. e Barb.) fessura, burrone → PÈLCIA, pèscia.
abbagadiàre … intr. Abbagadiaresi far festa, stare in allegria (Siniscola) …
45
A livello di lemmatizzazione il manoscritto del Vocabolario palesa le stesse
incertezze, oscillazioni e incongruenze che abbiamo già riscontrato negli altri settori, conseguenza del fatto che la compilazione dell’opera non è stata
preceduta dallo scioglimento di alcuni nodi teorici fondamentali.
Capita così che varianti diatopiche di una stessa unità lessicale, differenziate
per via dello stesso fenomeno fonetico, trovino nel dizionario una lemmatizzazione disomogenea. Infatti, per fare qualche esempio, si riscontra che le
varianti fonetiche ainarzu e ainalzu sono lemmatizzate distintamente:
ainalzu s.m. asinaio.
1. ainare tr. rimproverare duramente, svergognare …
ainarzu s.m. asinaio.
Così anche biddhalzu e biddharzu ‘paesucolo’, bidolzu e bidorzu ‘abbeveratoio’, ecc.
Altre volte, invece, quando le varianti diatopiche si susseguono immediatamente l’una all’altra nella nomenclatura del dizionario, esse ricevono entrambe un’entrata distinta, sono disposte su due righe diverse unite dalla
congiunzione «e» e la trattazione lessicografica è svolta in riferimento alla
variante che occupa il secondo posto nell’ordine alfabetico, per esempio:
bocchisolzu e
bocchisorzu s.m. porco di circa un anno …
2. abbamolta e
abbamorta: s.f. laguna.
Altre volte, invece, si adotta la soluzione della lemmatizzazione unica, ponendo tra parentesi tonde di seguito al lemma la terminazione della variante
fonetica concorrente, per esempio:
Ingullidolzu (dorzu) s.m. gola, strozza …
3. innettiadolzu (dorzu) s.m. sarchiatura …
immelzu (rzu) s.m. moneta spicciola …
Altre volte, poi, le due varianti non hanno entrate distinte, ma ne viene
lemmatizzata una sola e l’altra è registrata variamente, a guisa di rinvio, alla
fine dell’articolo in cui è svolta la trattazione lessicale, per esempio:
ilguzu s.m. gargarozzo. V. Irguzu.
isfulcadu ag. mancante d’uno dei due rebbi o rami. Isfurcadu.
4. isfriolzadu ag. pps. avvoltolato, impantanato. | Isfriorzadu.
imbuldonare int. germogliare. Sas ispigas han imbuldonadu: le
spighe han germogliato. Anche Imburdonare.
Altre volte, infine, viene realizzata una sorta di combinazione delle soluzioni
precedenti, secondo la modalità seguente:
illalgare (argare) tr. allargare, dilatare, slargare … | Allontanare …
illargare tr. allargare, ampliare. Allontanare. V. Illalgare.
5. illalgonzu (argonzu) s.m. allargatura, slargatura …
illargonzu s.m. allargamento. V. Illalgonzu.
In stretta connessione con questa problematica vi è, infine, il trattamento
delle entrate plurime rappresentate non più da semplici varianti fonetiche,
ma da varianti morfologiche o da sinonimi, come, per esempio:
46
abberidanca (tanca) e
abberigunza (cunza) s. aprire e chiudere ripetutamente …
imbenujadolzu s.m. e
6. imbenujadore s.m. e
imbenujadorzu s.m. inginocchiatoio, genuflessorio …
Bellincara e
bellinfaccia Buon viso …
Di fronte a un quadro siffatto, si è operato un intervento normalizzatore
che, non potendo incidere in profondità senza intaccare la macrostruttura
dell’opera, ha avuto l’obiettivo limitato di rendere più compatibile la distribuzione dei materiali con il principio di ricorsività innanzi richiamato, facendo in modo, tuttavia, che sia sempre possibile al lettore ricostruire la situazione originaria del manoscritto.
A tale scopo nei casi descritti ai punti 2, 3, 5 e 6 si è lemmatizzata soltanto la
prima variante o la variante scritta per intero e sono state stampate in neretto
corsivo in fondo all’articolo, precedute dal segno ▫ e seguite dagli eventuali
rinvii ad altri lemmi del dizionario, la seconda ed eventualmente terza variante
o la variante registrata nel manoscritto abbreviatamente (che, per ragioni di
chiarezza e di uniformità, viene reintegrata nella sua forma intera). In questa
maniera si è accostato il trattamento dei casi di cui ai punti 2, 3, 5, 6 a quello
dei casi raccolti nel punto 4, per cui il lettore si aspetta di trovare, e va a cercare, le varianti di qualsiasi tipo sempre in fondo all’articolo. Esempi:
bocchisólzu s.m. porco di circa un anno. ▫ bocchisórzu …
2. abbamòlta s.f. laguna. ▫ abbamòrta.
ingullidólzu s.m. gola, strozza … ▫ ingullidórzu.
3. innettiadólzu s.m. sarchiatura … ▫ innettiadórzu.
immélzu (tz) s.m. moneta spicciola … ▫ immérzu (tz) …
illalgàre tr. allargare, dilatare, slargare … | Allontanare … ▫ il5. largàre …
illalgónzu s.m. allargatura, slargatura … ▫ illargónzu …
abberidànca s.m. aprire e chiudere ripetutamente … ▫ abberitànca, abberigùnza, abbericùnza.
6. imbenujadólzu s.m. inginocchiatoio, genuflessorio … ▫ imbenujadòre, imbenujadórzu.
bellincàra s.m. buon viso … ▫ bellinfàccia.
Sempre nell’ambito della lemmatizzazione, numerose oscillazioni e incongruenze si riscontrano nell’approccio a un tema cruciale nella redazione di
un dizionario, quale la distinzione fra voci polisemiche e voci omonimiche.
La trattazione dell’aspetto semantico delle parole, all’interno del quale rientra il discorso su polisemia e omonimia, riveste un’importanza fondamentale
per la fortuna, anche come prodotto editoriale, di un dizionario, poiché è
stato dimostrato attraverso appropriati rilevamenti che, quale che sia il tipo
di dizionario (monolingue, bilingue, ecc.) e il tipo di attività per cui esso viene impiegato (per uso passivo o attivo, orale o scritto della lingua), l’utente
lo consulta soprattutto per trovare risposte sul significato di vocaboli, sintagmi, espressioni idiomatiche, ecc.
47
Ora P. Casu, che aveva senza dubbio una sensibilità linguistica assolutamente
fuori del comune, acuita anche dal suo esercizio come poeta e scrittore in due
lingue, ci ha lasciato con il suo dizionario – in cui profuse, come usava dire, totu sos suores de una vida – una documentazione del lessico logudorese davvero
eccezionale, sia per la ricchezza dei dati (non son poche le parole attestate qui
per la prima volta, a prescindere dai neologismi e dai cultismi), sia per la capacità di cogliere e descrivere le varie sfumature del significato delle unità lessicali,
sia per la copiosa esemplificazione costituita da citazioni d’autore e, ancor di
più, da esempi da lui creati, importanti non solo perché servono a chiarire usi,
funzioni e caratteristiche della voce analizzata, ma anche perché direttamente o
indirettamente propongono modelli, forme e costrutti ad alto potere generativo, atti cioè a promuovere nel lettore l’uso attivo della lingua. Pur con la recente
fioritura di lavori lessicografici (anche di mole considerevole) su diverse varietà
sarde, non v’è a tutt’oggi nessuna opera che – a mio vedere – possa competere
con il Vocabolario del Casu per la minuziosità con cui si descrivono ed esemplificano tutti i possibili usi, significati e combinazioni lessicali di una parola.
Ciò detto sarebbe ingiusto pretendere o attendersi dal Casu – il quale era
prima di tutto un poeta, un grande oratore e uno scrittore – un dizionario
come quello che ci avrebbe confezionato un lessicografo o un linguista di
professione, che magari avrebbe fatto opera perfetta dal punto di vista dell’impianto, della tecnica lessicografica e della teoria linguistica sottesa, ma
avrebbe avuto difficoltà a riempire di materiali il suo bel costrutto.
Casu invece di materiali ne aveva tantissimi e ce li mette tutti a disposizione
con una larghezza straordinaria, ma la loro collocazione e presentazione all’interno del dizionario non sempre sono in linea – bisogna riconoscerlo –
con i canoni della migliore lessicografia. Ciò dipende soltanto in parte dalla
circostanza per cui egli non ha potuto attendere alla stesura definitiva del dizionario, quella da licenziare per la stampa, perché si tratta di fatti strutturali. E d’altronde la versione dattiloscritta di parte della lettera A, che qui si
pubblica in appendice e di cui si parlerà in seguito, pur rappresentando uno
stadio di elaborazione più avanzato rispetto alla corrispondente sezione del
manoscritto, è sì più ricca di esempi e di lemmi, ma condivide pienamente
con il manoscritto tutte le altre caratteristiche di cui qui si discorre.
Per quanto riguarda il problema della polisemia e dell’omonimia, Casu si attiene abbastanza spesso al criterio di assegnare entrate lessicografiche distinte
a omografi appartenenti a categorie grammaticali diverse, anche quando rientrano all’interno della stessa famiglia lessicale o etimologica, e, viceversa, riunisce sotto un solo esponente omografi che condividono la stessa categoria
grammaticale, anche se presuppongono un etimo differente. Per esempio:
mùrru1 s.m. muso, grugno, grifo … [< MURRU]
mùrru2 agg. bianco, canuto, grigio … [< MURINUS]
matriculàre1 tr. matricolare, registrare. [< ital. matricolare]
matriculàre2 agg. di matricola … [< ital. matricolare]
di contro a:
istolàdu agg. (raro) che porta la stola … | Più com. nel senso di
stolido, scemo … [rispett. da ital. stola e da ital. stolido incrociato
con log. isteulàdu ‘stordito dalle chiacchiere’]
calcàre tr. calcare, premere … | Anche per sbadigliare … [rispett.
da CALCARE e da cascàre < CASCARE]
48
Ma le eccezioni sono frequentissime, come mostra il caso di un altro lessema, etimologicamente imparentato con l’ultimo verbo ora citato:
càscu1 s.m. sbadiglio … [der. di cascàre < CASCARE]
càscu2 s.m. elmo, celata … [< ital. casco]
càscu3 agg. calco, fitto, denso … [der. di cascàre < calcàre < CALCARE]
e ancor di più il caso di dìsigu e tìsigu, che, pur essendo varianti puramente
fonetiche della stessa parola, sono trattati diversamente, in sede di lemmatizzazione:
dìsigu agg. tisico, etico … | sost. tisi, etisia. Più com. per oppressione, afflizione, sofferenza morale …
tìsigu1 s.m. etisia. Per estens., dispiacere grave, trepidazione molesta …
tìsigu2 agg. e sost. tisico …
Nessun intervento di normalizzazione è stato effettuato su questi aspetti del
dizionario aventi rilevanza strutturale. Ci si è limitati a fornire di un esponente numerico i lemmi omografi, al fine di consentire il non equivoco rinvio a ciascuno di essi all’interno del dizionario.
Per ciò che attiene ai rimandi interni al dizionario, si è sostituita l’abbreviazione V. del manoscritto (che per lo più precede la forma alla quale avviene
il rinvio, talvolta segue) con il simbolo → e si è stampata in romano chiaro
maiuscoletto la forma fatta oggetto di rimando, qualora essa figuri ad esponente nella nomenclatura del dizionario.
Non sempre il rinvio in fondo all’articolo è segnalato nel manoscritto per
mezzo dell’abbreviazione V., come mostra il seguente esempio:
isfrigurada s.f. l’azione di sfigurare, deturpare, sformare: far brutta
figura … | Isfigurada.
isfriguradu ag. pps. sfigurato, deturpato, deforme … | Isfiguradu.
isfrigurare tr. sfigurare, deturpare … | V. Isfigurare.
Se la forma alla quale si rinvia in questa maniera (si noti che al posto della
barra verticale di separazione può trovarsi anche un semplice punto) compare come lemma autonomo nella nomenclatura del dizionario, il rimando
è stampato secondo la modalità già descritta, cioè:
isfriguràda s.f. l’azione di sfigurare, deturpare, sformare; far brutta
figura … → ISFIGURÀDA.
isfriguràdu agg. e part. pass. sfigurato, deturpato, deforme … →
ISFIGURÀDU.
isfriguràre tr. sfigurare, deturpare … → ISFIGURÀRE.
Ove, invece, la forma alla quale si rinvia (preceduta o no dall’abbreviazione
V.) non compaia come lemma autonomo nella nomenclatura del dizionario
o non compaia altrove nel corpo del dizionario, il rinvio è fatto usando la
formula «Anche + la forma alla quale si rimanda, scritta in carattere romano
chiaro corsivo». Per esempio:
isfriolzada s.f. l’azione di avvoltolare o avvoltolarsi: impantanare …
| Isfriorzada.
49
diventa:
isfriolzàda s.f. l’azione di avvoltolare o avvoltolarsi; impantanare …
Anche isfriorzàda.
Quest’ultimo trattamento avviene in analogia e per generalizzazione del trattamento attestato numerose volte nel manoscritto, come, p. es., in:
immanchinadu ag. pps. sviato, deviato … Anche Ilmanchinadu.
accanto a:
Immanchinada s.f. deviazione, uscita a traverso: azione poco lodevole. … Ilmanchinada.
immanchinare intr. deviare, fuorviare, andare a traverso … Ilmanchinare.
Infine, se la forma alla quale si rinvia non compare come lemma autonomo
nella nomenclatura del dizionario o non compare altrove nel corpo del dizionario, essa è stampata in carattere romano chiaro corsivo (senza l’aggiunta di «Anche»), qualora sia preceduta da un altro rimando stampato in carattere romano chiaro maiuscoletto. Per esempio:
ingultu agg. pps. inghiottito … V. Ingullidu, ingurtu.
diventa:
ingùltu agg. e part. pass. inghiottito … → INGULLÌDU, ingùrtu.
Si avverte, per concludere, che quando nella fraseologia di un articolo è impiegata non già la forma posta in esponente, bensì – secondo l’abitudine del
Casu precedentemente discussa – una sua variante fonetica e questa risulta autonomamente lemmatizzata nel dizionario, può trovarsi aggiunto tra parentesi
quadre il rimando a tale lemma per facilitare la ricerca del lettore. Esempio:
bàstu s.m. basto. Più spesso imbàstu. | agg. guasto, devastato. Chie no
es mortu es bastu (vastu) chi non è morto è guasto → ’ÀSTU[, VÀSTU].
Si precisa, infine, che mentre nell’originale i lemmi – come mostrano anche
gli esempi citati – figurano talvolta con l’iniziale maiuscola e più spesso con
quella minuscola, nella presente edizione del manoscritto si è generalizzata
quest’ultima soluzione, nonostante Casu, probabilmente influenzato dal modello del Vocabolario di Rigutini-Fanfani, abbia optato per la maiuscola iniziale nella versione dattiloscritta di parte della lettera A, della quale si è già
fatto cenno. Questa nostra scelta dipende non solo dal fatto che, come si è
detto, la forma con la minuscola iniziale è quella di gran lunga prevalente nel
manoscritto che qui si pubblica, ma anche dall’esigenza, sottolineata dai manuali di lessicografia pratica, di segnalare, già a livello di lemmatizzazione, le
voci che vanno scritte obbligatoriamente con la lettera iniziale maiuscola, come, p. es., Bolentìnu.
Nessun intervento, invece, è stato possibile introdurre al fine di evidenziare
meglio la strutturazione interna di ciascun articolo, ove lo stesso simbolo
grafico (una barra verticale) è utilizzato sia per distinguere i vari livelli di trattazione in ragione delle differenti qualifiche grammaticali che competono all’esponente, sia per delimitare i diversi valori semantici del lemma, che possono andare dalle più piccole sfumature di significato di una stessa accezione
50
alla distinzione tra veri e propri omonimi, riuniti sotto un unico esponente
secondo la prassi suddescritta.
Questo sistema è abbastanza comodo per il lessicografo, perché gli consente
di accumulare i propri materiali in modo più libero e veloce di quanto gli sarebbe possibile se dovesse segnalare con numeri progressivi e lettere il passaggio da un significato all’altro, o da una sfera semantica all’altra, distinguendo
ordinatamente significati, livelli, usi notevolmente diversi, come pure, all’interno di uno stesso significato o di una stessa sfera semantica, accezioni tra
loro affini. Tale sistema, però, ha per il lettore l’inconveniente di non consentirgli di farsi immediatamente un’idea, con un semplice sguardo, dell’articolazione della voce nelle sezioni che la costituiscono, soprattutto ove la trattazione si estenda notevolmente, come accade non infrequentemente nel
Vocabolario del Casu.
Un tentativo di introdurre indicatori di sezione nel Vocabolario per rispondere a una siffatta esigenza del lettore si è rivelato impossibile (non potendosi nel contempo alterare il testo del manoscritto), a causa della distribuzione spesso eterogenea e mutevole dei dati contenuti nelle singole voci.
L’articolo del Vocabolario di P. Casu nella sua forma più completa, come abbiamo visto, comprende nella sezione finale, prima di eventuali rinvii ad altre voci, un conciso ragguaglio etimologico, espresso, solitamente, senza uso
alcuno della metalingua del dizionario, con la semplice indicazione dell’etimo. Nella presente edizione si è separata la sezione dell’etimologia dal resto
dell’articolo per mezzo di un simbolo costituito da due barre verticali parallele ( || ), in sostituzione della barra semplice o del punto o del trattino che
s’incontrano nel manoscritto.
A beneficio del lettore comune, che potrebbe essere portato a recepire tali
indicazioni etimologiche, diciamo che questa è la parte più caduca del dizionario, che oggi può interessare pressoché esclusivamente dal punto di vista storico, per ricostruire la personalità del Casu anche sotto il profilo della
formazione e della preparazione linguistica.
Casu, per ciò che si evince dal presente dizionario, dai suoi scritti e dalla fama che l’ha circondato in vita, era la persona che probabilmente meglio di
ogni altra al mondo conosceva il tesoro lessicale della varietà logudorese, anche e soprattutto colta, era in grado d’impiegare attivamente tale varietà nell’oratoria sacra con straordinarie capacità retoriche ed era un esimio poeta in
limba, ma non aveva una formazione linguistica tecnica, pur avendo studiato il latino, il greco ed alcune lingue di cultura europee. La sua mostra d’essere una formazione tradizionale tardo-ottocentesca, non ancora permeata
dalle conquiste della linguistica storica e ancora legata a una descrizione delle lingue esemplata sullo schema tradizionale della grammatica latina. Così,
p. es., della preposizione sùtta ‘sotto’ egli dice (s.v.) che «regge l’accusativo, il
genitivo e il dativo»; ai viene lemmatizzato a sé e spiegato come «segnacaso
del dativo coi pronomi: ai custu, ai cussu, ai cuddhu»; della congiunzione e si
afferma che anticamente era et, come in latino, e che il -t si cambia in i in
su babbu ei sa mama, ecc.
Se si pensa che Casu era coetaneo di Wagner e che all’epoca era nozione comune nel campo della glottologia e della filologia romanza che, nel sintagma
scritto da Casu ei sa mama, la i non è l’esito di una mutazione della -t di et,
bensì la continuazione della vocale iniziale dell’articolo determinativo femminile singolare proveniente da IPSA, si avrà la misura della distanza che separa
Casu dalla linguistica del tempo.
51
Nel Vocabolario Casu cita 237 volte Wagner, riservandogli la seconda posizione
tra gli autori più citati, dopo Delogu Ibba, e probabilmente è ancora a Wagner
che egli allude, quando (s.v. prettamènte) scrive: Hapo connotu unu tedescu chi
faeddhaiat prettamente su sardu ‘ho conosciuto un tedesco che parlava prettamente il sardo’. Le suddette citazioni sembrano riferirsi tutte alla già menzionata opera di Wagner del 1921 sulla cultura rustica della Sardegna riflessa nella
lingua, che fu ridotta in traduzione italiana dal Martelli nel 1928. Ed è da
questa traduzione parziale che Casu attinge i dati recependone anche gli errori
introdottivi dal Martelli: (s.v. mòla1) lat. coatile, indicato come etimo di bàttile
‘strato imbottito che si mette all’asino sotto il giogo’, in luogo di coactile, secondo il refuso di Martelli, p. 41; (s.v. ùa) retaladu, rataladu (catal. retallat), invece del corretto retagliadu, ratagliadu ‘qualità d’uva’, secondo Martelli, p. 69;
si aggiungano a questi il caso già menzionato di (s.v. goddhepone) nuor. goddhepone ‘bica di frumento ammucchiato nel campo’, secondo Martelli, p. 29, al
posto del corretto goddhethone, segnalato dallo stesso Martelli, p. 151, e i casi
già esaminati nel dettaglio di arralare e rala anziché arragliare, raglia.
Già sulla base di questi dati si può dubitare che Casu conoscesse la fondamentale Historische Lautlehre des Sardischen, pubblicata da Wagner nel
1941, attraverso la quale sarebbe stato possibile rendersi conto che esiti del
tipo *retaladu < cat. retallat, ecc. sono di per sé sospetti in quanto non conformi al normale trattamento dei suoni in logudorese.51
Ma sono le etimologie esposte nel Vocabolario ad assicurarci del fatto che né
la fonetica storica né l’analisi degli sviluppi storici del sardo rientravano nell’orizzonte culturale del Casu. E poiché senza il fondamento della fonetica
storica la pratica dell’etimologia perde qualsiasi validità scientifica, si comprende come questa parte del Vocabolario sia oggi inesorabilmente superata,
come già lo era nel momento stesso in cui venne composta. Certo, si può
osservare che all’epoca non esisteva ancora il Dizionario Etimologico Sardo
del Wagner e che quindi bisognava ricercare le centinaia di etimologie formulate da questo studioso in una selva di libri e di articoli sparsi nelle più
disparate riviste internazionali, ma era disponibile il basilare Romanisches
etymologisches Wörterbuch (= REW) di W. Meyer-Lübke, che uscì tra il 1911 e
il 1920, fu ristampato nel 1924 e di cui nel 1935 apparve una nuova edizione rielaborata, che, per quanto riguarda il sardo, recepiva una serie di correzioni e aggiunte fatte da M. L. Wagner.
Questo dizionario etimologico romanzo non è mai citato da Casu, che riprende invece le etimologie dello Spano, sicché masòne ‘branco, gregge’ è ricondotto al fenicio mason anziché a MANSIO, -ONE (REW 5311); nèghe ‘colpa,
cagione’ al gr. e[neka anziché a NEX, NECE (REW 5901); affaccàre ‘avvicinare,
accostare’ al fenicio aphac anziché a FACIES (REW 3130), ecc. E quando difettano le indicazioni dello Spano, Casu provvede personalmente a istituire
confronti a orecchio con varie lingue europee, comprese quelle che non
hanno avuto rapporti storici con il sardo, e così còcca ‘focaccia’ è riportato al
ted. kochen, lùscia ‘bugnola, granaio’ al franc. huche, l’interiezione naturale
ajó ‘eh! eh via, via’ al franc. aillons, con la precisazione «che si pronuncia appunto ajon!», ecc. Altre volte la dichiarazione etimologica chiama in campo
51. Anche un altro errore del Vocabolario fa pensare che Casu non avesse grande consuetudine con la
simbologia fonetica: l’inesistente forma nuorese copighina ‘il ceppo della vite’, al posto del corretto cothighìna, sembra dovuto a una confusione del simbolo fonetico (usato talvolta dal Wagner) rappresentante
la fricativa interdentale sorda (l’originario thaúrn dell’alfabeto gotico, mutuato dalla scrittura runica) con
una consonante < p >.
52
elementi vari, come accade per l’esclamazione di meraviglia, d’ironia o di
sprezzo allabbàu!, derivata «da Allah e bau (bau bau)» o per mamuttòne
‘spauracchio’, tratto da «mammut elefante preistorico».
Ma la lontananza del Casu dai metodi dell’etimologia scientifica si riassume al
meglio nella trattazione stringata di un lemma del Vocabolario: «donnigàza s.f.
feudo. || dominicalia (W.) e dñi gaza tesoro», ove il vocabolarista cita l’etimologia di W(agner), alla quale affianca tuttavia una sua spiegazione differente.
Wagner derivava correttamente donnigaza dal lat. dominicalia, attraverso la
fase intermedia donnicalia, attestata in numerosi documenti sardi medioevali
per designare su donnicu, ossia ciò che formava un insieme economico dipendente direttamente dal signore. Questo nome si dava spesso a un possesso e
diede luogo a denominazioni di ville rurali, donde, con la regolare evoluzione del nesso -Lj- in campidanese (cfr. fíllu < FILIU(M)), i nomi di paese Donigalla Siurgus, Donigalla Fenughedu, ecc. In logudorese, ove il nesso -Lj- evolve
nell’affricata dentale sonora [dz] (cfr. fídzu < FILIU(M)), il sardo medioevale
donnicalia è diventato donnigaza a norma di «legge» fonetica. Casu, al quale
non era familiare la fonetica storica del sardo, preferì ricollegare la terminazione di donnigaza al vocabolo lat. gaza ‘tesoro’ (di origine persiana, mediato
dal greco), ad onta di tutta la documentazione medioevale che mostra come
la -z- (= [dz]) di donnigaza sia secondaria e provenga da -Lj-.
Dunque Casu non conseguì i suoi risultati migliori nel campo dell’etimologia (anche se non manca nel Vocabolario qualche buona intuizione: p. es.
mère < MI HERE, baudìttu < ab auditu, ecc.) e neppure mostrò di avere un
feeling particolare per gli studi etimologici, se è vero che nel Vocabolario tutte le volte che parla di questo argomento lo fa in termini poco positivi, scrivendo: Zertas etimologias sun propriu tiradas peri sos pilos ‘certe etimologie
son proprio tirate per i capelli’ (s.v. etimologìa); Sos etimologistas lean tantas
cantonadas chi faghen pena ‘gli etimologisti prendono certi granchi che fan
compassione’ (s.v. etimologìsta).
Ma il lessicografo non dev’essere necessariamente un etimologista (anzi vi sono teorici della lessicografia come J. Casares52 secondo cui il lessicografo «no
debe involucrarse con la investigación del etimólogo»), deve piuttosto essere
bene informato sugli studi scientifici di natura storico-etimologica relativi al
lessico di cui si occupa e saper distinguere tra le etimologie serie e quelle inattendibili, per recepire nel dizionario la proposta più adeguata, in modo da
consentire al lettore di seguire l’evoluzione del significato di una parola e di
comprendere i rapporti di questa con altre voci del dizionario stesso.
Oltre a ciò, la conoscenza dell’etimologia da parte del lessicografo è di grande
importanza ai fini della corretta distinzione tra i fenomeni di omonimia e
quelli di polisemia, perché è proprio attraverso l’etimologia che è possibile capire se due unità omografe (scritte allo stesso modo) e omofone (pronunciate
allo stesso modo) corrispondono a due lemmi autonomi nel vocabolario o a
due accezioni semantiche di una stessa parola. Non è dunque un caso che, a
fronte della non adeguata definizione etimologica dei materiali raccolti, il Vocabolario di P. Casu presenti, come si è visto, evidenti problemi in ordine alla
lemmatizzazione delle forme, col risultato straniante per cui si trovano riunite
in un’unica unità di trattamento entità che non hanno tra loro alcuna relazione dal punto di vista semantico e storico e che l’utente si attenderebbe di vedere lemmatizzate distintamente, come avviene nei comuni dizionari moderni.
52. J. Casares, Introducción a la lexicografía moderna, Madrid, 1950, p. 33.
53
Si consultino, a titolo d’esempio, le voci bastàre ‘bastare, resistere; guastare,
rovinare’, bogàda ‘cavata; bucato’, càne ‘cane; fogna’, coètte ‘razzo; senza coda
(boe coette)’, glóbbulu ‘globulo; strofa di poesia’, ecc.
Come si è detto in precedenza, Casu attese per tutta la vita alla compilazione del Vocabolario e, una volta portata a compimento nell’aprile del 1947
l’ultima stesura manoscritta dell’opera, non cessò di aggiungere sino alla fine
integrazioni e ritocchi. Un ridotto numero di lemmi (152) è rimasto, così,
privo di definizione e di esempi. Abbiamo raccolto questi lemmi in una specifica appendice (cfr. pp. 1369-1370), integrando, tra parentesi quadre, i
dati mancanti, ove essi siano desumibili da altri lessici e dizionari sardi nel
frattempo pubblicati o risultino per altra via di nostra conoscenza. Le 152
voci hanno avuto, in questo modo, la loro spiegazione, eccetto una ventina
cui si dedicherà in seguito un apposito studio.
Intanto il dizionario, come risultava nella sua ultima stesura, aveva assunto
dimensioni cospicue e i costi della pubblicazione sarebbero stati eccessivi
per il Casu. Così nel 1950 alcuni consiglieri regionali, in rappresentanza di
ognuno dei cinque gruppi politici insediati nel Consiglio Regionale della
Sardegna, presentarono una interrogazione volta a far assumere l’onere della
pubblicazione del dizionario all’Ente Regione, che ne sarebbe diventato, col
consenso dell’Autore, esclusivo proprietario.53
In seguito a queste intese, qualche tempo prima di morire, Casu donò, per
disposizione testamentaria, alla Regione Autonoma della Sardegna il manoscritto della sua opera, con questa semplice formula: «Pietro Casu cede alla
Regione Autonoma della Sardegna i manoscritti del suo Vocabolario sardo
logudorese-italiano, perché ne curi la pubblicazione».54
L’edizione dell’opera venne affidata a Max Leopold Wagner, al quale fu consegnato un microfilm del manoscritto.55 Wagner aveva allora settantacinque anni
ed era impegnato nella pubblicazione del suo Dizionario Etimologico Sardo, che
uscì a dispense a partire dal 1957. Morì nel 1962, senza avere avuto il tempo
e le forze di accudire alla compilazione del volume di indici del suo dizionario (che vide la luce nel 1964 a cura di R. G. Urciolo). Non poté pubblicare
53. Riportiamo qui di seguito il testo di tale interrogazione, che segna l’inizio della cinquantennale vicenda della pubblicazione dell’opera dell’illustre berchiddese: «I sottoscritti Consiglieri Regionali, essendo venuti a conoscenza che lo scrittore Pietro Casu, profondo conoscitore e studioso di cose sarde, ha portato a
compimento la compilazione di un dizionario sardo-italiano di vasta mole ed erudizione e di fondamentale importanza per lo studio della lingua sarda, meritando il giudizio favorevole di insigni glottologi italiani
e stranieri, segnatamente tedeschi e francesi; poiché le condizioni economiche dell’illustre autore non gli
consentono di affrontare le spese necessarie per licenziare alle stampe la pregevole opera; al fine di assicurare alla Sardegna il merito ed il vanto di aver offerto alla cultura isolana e nazionale un prezioso e indispensabile strumento di ricerca e di studio: chiedono di interrogare l’on.le Presidente della Giunta e l’on.le
Assessore all’Istruzione per conoscere se non ritengano opportuno e necessario di assumere l’onere della
pubblicazione suddetta a carico dell’Ente Regione che ne diverrebbe, col consenso dell’Autore, esclusivo
proprietario. Gli interroganti chiedono risposta scritta. – F.ti: Morgana, Masia, Sotgiu, Satta, Era».
54. G. Ruju, che, insieme a N. Era, firmò come testimone il suddetto atto di donazione, ne riporta il
breve testo in G. Ruju, Pietro Casu tra Grazia Deledda e Max Leopold Wagner cit., p. 113. Poiché il manoscritto dell’opera è giunto privo di frontespizio, ricaviamo dall’atto di donazione l’ultima volontà dell’Autore circa il titolo del suo lavoro. Del resto non si ha notizia di precise indicazioni precedenti. Nell’articolo “In tema di canti religiosi sardi”, in Sardegna Cattolica, a. XI, n. 36, settembre 1939, p. 4,
riferendosi alla sua impresa lessicografica, Casu parlava genericamente di «un grande Dizionario sardo».
Negli articoli del Vocabolario, come si è visto dai passi già citati, occorre una volta (s.v. ricchèsa) l’espressione «Custu dizionariu», due volte (s.vv. póveru1, sàrdu) l’espressione «custu vocabbulariu» con la u in sillaba interna e, variatio nella variatio, due volte vocabbolariu con la o in sillaba interna: «custu beneittu vocabbolariu» (s.v. intervistàre), «custu vocabbolariu» (s.v. vocàbbulu).
55. Per la notizia vd. una nota redazionale in S’Ischiglia, a. VII (1956), fasc. 1-2 e R. Bonu, Scrittori sardi
cit., p. 589.
54
neppure il manoscritto del Casu, che però lesse e da cui trasse dati che analizzò nel suo dizionario, in cui il nome del Casu ricorre numerose volte.
Oltre che indirettamente, attraverso la frequente citazione nel DES dei materiali lessicali del Casu, Wagner espresse direttamente il suo apprezzamento
per il nostro Vocabolario in un articolo del 1958 in cui si soffermò a illustrare l’origine e gli antefatti del DES:56
Infine ho potuto esaminare il manoscritto dell’ancora inedito dizionario di Monsignor Pietro Casu. Questo è essenzialmente, al pari di
quello dello Spano, un dizionario logudorese settentrionale-italiano.
L’Autore, che nacque a Berchidda e lì operò come parroco, ha raccolto nell’arco della sua vita il lessico della sua terra natia con una completezza esemplare, tenendo conto anche del restante logudorese. La
sua opera si distingue non solo per la ricchezza dei materiali, ma anche per le definizioni precise ed esaurienti e per la considerazione sistematica della fraseologia che, come mostrerò più avanti con qualche
esempio, proprio in relazione al sardo è di grande importanza.
Negletto per oltre vent’anni, nel 1980 il manoscritto fu affidato all’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE), che lo fece restaurare e microfilmare.
Da allora sono trascorsi altri venti anni e passa, durante i quali la cura dell’edizione fu affidata inizialmente (1979) ad Antonio Sanna, che morì poco dopo,
e successivamente ad Antonietta Dettori (1983), che ebbe l’incarico di presiedere e coordinare il lavoro di trascrizione e di dattiloscrittura del manoscritto
(ad opera di un gruppo di lavoro di quattro unità) e di provvedere infine alla
consegna dell’opera dattiloscritta pronta per la stampa. Tale tentativo di edizione, durato quasi dieci anni, non fu coronato da successo. In seguito, con
deliberazione consiliare del 9 dicembre 1997, l’ISRE, tenendo fede al suo impegno nei confronti del Casu, decise di procedere all’edizione del Vocabolario
mediante appalto-concorso riservato alle case editrici, indicando una serie di
parametri operativi e requisiti atti a garantire la realizzazione dell’opera. Si è
arrivati così al nostro tentativo, che ha avuto inizio nel corso del 1998 e che
vede ora la sua conclusione.
Poiché le trascrizioni precedenti si sono rivelate non del tutto affidabili, si è
proceduto ad effettuare ex novo la trascrizione del manoscritto a partire dall’originale, digitando il testo per il trattamento elettronico successivo. Sul testo così ottenuto sono stati apportati gli interventi normalizzatori descritti
nelle pagine precedenti. Alla trascrizione hanno atteso, all’interno della Ilisso Edizioni, i dottori Franco Diana, Francesca Partenza, Maria Antonietta
Piga e Tiziana Serra; alla lavorazione successiva Francesca Partenza e Maria
Antonietta Piga.
L’edizione che si presenta non è, né poteva essere, un’edizione critica, che
avrebbe richiesto impegno editoriale e tempi enormemente maggiori, d’altronde inconciliabili con i limiti fissati dall’ISRE per la pubblicazione dell’opera.
Il manoscritto del Vocabolario non è un volume di poesie o un romanzo, che
si può pubblicare descrivendo in apparato gli interventi sul testo effettuati
dall’editore. Per quanto strano possa sembrare a prima vista, gli interventi
56. M. L. Wagner, “Einiges über die Vorgeschichte, die Entstehung und die Anlage des Dizionario Etimologico Sardo”, in Etymologica. Walther von Wartburg zum siebzigsten Geburtstag, 18 Mai 1958, a cura di
H.-E. Keller, Tübingen, 1958, p. 845.
55
più rilevanti per una corretta interpretazione del testo sono quelli riguardanti
la punteggiatura e la collocazione delle marche d’uso.
Si è visto quale straordinaria confusione e anarchia regni nel nostro manoscritto in relazione all’impiego dei simboli grafici (virgola, punto e virgola,
due punti, punto e trattino), che in ogni voce occorrono numerosissime volte. È necessario normalizzare: ma la normalizzazione, in questo caso, comporta un giudizio dell’editore circa le relazioni di significato intercorrenti tra
le parti del testo separate dal simbolo grafico. E dunque in un’edizione critica
bisognerebbe rendere conto in apparato della situazione originaria del testo.
Ma di questi simboli grafici nel manoscritto ce n’è un’infinità.
Stesso discorso vale per l’ubicazione delle marche d’uso all’interno dell’articolo lessicografico. Una regola rigorosa della lessicografia scientifica vuole
che tali elementi, al pari di ogni altra indicazione funzionalmente simile,
siano collocati sempre a sinistra della parte dell’enunciato lessicografico alla
quale si riferiscono, affinché non sussistano dubbi circa l’estensione della loro validità. Il Casu, invece, infrange molto spesso questa regola, sicché ogni
volta che si sposta una marca d’uso per adeguare la struttura dell’articolo ai
canoni della lessicografia corrente, occorre decidere se quella marca si riferisca a tutti i segmenti che la precedono o solo a parte di essi. Anche in questo caso, intervenendo un giudizio dell’editore, un’edizione critica dovrebbe
documentare la situazione originaria del manoscritto. Ma le marche del genere formano all’interno del nostro manoscritto un numero sterminato.
In un’edizione critica, insieme a questi, bisognerebbe dar ragione anche di
vari altri aspetti. Il tutto col risultato di produrre un’opera mastodontica, ingestibile dall’utente comune, e soprattutto di lunghi tempi realizzativi, per
tacere dei costi.
Non potendo, dunque, la nostra essere un’edizione critica, si sono corretti direttamente gli errori materiali e meccanici in cui è incorso il Casu nella faticosa e (soprattutto per una personalità creativa qual era il nostro Autore) poco
gratificante opera di copiatura del manoscritto. La correzione di questi errori
assai numerosi non pone problemi interpretativi, poiché l’enunciato logudorese è quasi sempre accompagnato dalla traduzione italiana e quindi il confronto fra le due versioni permette di ricostruire la lezione corretta. E dove, seppur
raramente, manca la traduzione, soccorre la considerazione del contesto.
Poiché nell’azione di copiatura il Casu doveva passare continuamente dal sardo all’italiano e viceversa, l’errore più frequente è rappresentato dalle interferenze che si verificano tra una lingua e l’altra: p. es., s.v. ’addhìne: Passare su
addhine a uno, anziché a unu; s.v. afferràda: «l’atto di afferrare, afferramentu», anziché «afferramento»; s.v. apposéntu: «la sala da pranzu», anziché «da
pranzo»; s.v. ammaestradòre: «è un buon ammaestradore», anziché «ammaestratore»; s.v. arrennóu: pesare dai fundhamento, anziché dai fundhamentu;
s.v. arriscàre: S’est arriscadu troppu e b’es restato, anziché b’es restadu; s.v.
chenàre: Chenare a … fae, a basoli, anziché a basolos; s.v. costàre: «custo lavoro
mi costa molto», anziché «questo lavoro»; s.v. màniga: «il manico di questa
zappa o pala … è storta», anziché «è storto», ecc.
Frequenti sono anche le confusioni fra le categorie grammaticali s.m. e s.f. attribuite ai nomi: p. es., nella lettera A il fenomeno si verifica relativamente ai
seguenti lemmi: abbadólzu, accaogàda, aggióttulu, aggregaméntu, affrontadùra,
aghéddhu, aìna, àla 1, àliga, alisànza, allainaméntu, allegràda, alléniu, allentaméntu, ’alvegalzàda, alzàda, alziàda, amìga, ammantaméntu, ammortorzàda,
apporìa, arìnga, armamènta, àscia, àvvru.
56
Ben rappresentati sono pure gli errori di omissione, per lo più di lettere, con
curiose ricorrenze, come, p. es., s.v. carigàju: «fichi secci», anziché «fichi secchi»;
s.v. seccàre: «finiscila, ora mi secci», anziché «mi secchi». Ancora: s.v. abbuluzaméntu: Abbulzamentu de istogomo, anziché abbuluzamentu; s.v. àinu: m’hana
lasadu inoghe che un’ainu, anziché m’hana lassadu …; s.v. abbóddhu: «dano»,
anziché «danno»; s.v. altighìnu: Faddhare in altighinu, anziché Faeddhare …;
s.v. bottulàre: l’ha bottuladu a tera, anziché a terra; s.v. córru: No mi ndh’importad unu coru, anziché unu corru; s.v. mistificàda: pabios, anziché pabiros; s.v.
impostòre: «ingannatore, cirmadore», anziché «ciurmadore»; s.v. bròcca: «cacciar le gambe dentro la bocca», anziché «brocca», ecc.
Un’altra categoria di errori piuttosto frequente è quella determinata da un influsso del contesto in cui si trova la voce corrotta: p. es., s.v. accosconàre: «rimanere indietre», anziché «indietro»; s.v. aggregàre: «si è aggragato alla nostra
compagnia», anziché «si è aggregato»; s.v. ammacculiadùra: e no fio no drommidu ne ischidadu, anziché e no fio nè drommidu nè ischidadu; s.v. ammanìdu:
U’ es su rellezu?, anziché U’ es su rellozu?; s.v. arrolàda: Già ndhe lo so paghendhe s’arrolada, anziché Già ndhe la so paghendhe; s.v. brivàre: «gli han
broibito di andare ai balli», anziché «gli han proibito ~»; s.v. camìja: «si chiama più sposso», anziché «più spesso»; s.v. colostràre: «viventar colostro», anziché «diventar colostro»; s.v. crère: «credo a te perché sei chi sei», anziché «credo a te perché so chi sei»; s.v. mèssere: «ha il gradi di Signore», anziché «ha il
grado di Signore»; s.v. mortàle: Ha s’ojade de su mortale, anziché ha s’ojada; s.v.
pubblicàdu: «bubblicato», anziché «pubblicato»; s.v. sémida: «quasi in lungra
striscia», anziché «quasi in lunga striscia»; s.v. zoccheddhàre: «affluire del sangue a un membre», anziché «affluire del sangue a un membro», ecc.
Un’altra serie di errori riguarda la scrittura della occlusiva retroflessa, p. es.,
s.v. assuttiligàre: nudda, anziché nuddha; s.v. cazzàre: abbelzende sa conca, anziché abbelzendhe sa conca; s.v. mùrta: Nh’hapo muzzadu, anziché Ndh’hapo
muzzadu; s.v. murùddhu: sos muruddos, anziché sos muruddhos, ecc.
Un altro gruppo di errori è rappresentato dalle dittografie e da altri fenomeni di aggiunta: p. es., s.v. appascionàdu: appascioscionadu, anziché appascionadu; s.v. paranìghe: paraninighe, anziché paranighe; s.v. imbiccàda: «hai hai
fatto, hai avuto un buon incontro», anziché «hai fatto, hai avuto un buon
incontro»; s.v. alénu: Alenu alenu cultu o culzu, anziché alenu cultu o culzu;
s.v. àla2: frundhilu a un’alla, anziché frundhilu a un’ala, ecc.
Non sono assenti neppure le trasposizioni, quali: s.v. compudàre: «le guardie
di finanza gli han prequisito la casa», anziché «perquisito»; s.v. imbideàdu:
«aver in ieda», anziché «aver in idea», ecc.
S’incontrano pure fenomeni di errata divisione sintattica della frase (p. es.,
s.v. àgu: Longu cant’unagu, anziché cant’un’agu; s.v. allistràdu: Ndhes bessidu,
anziché Ndh’es bessidu); di mancata indicazione dell’apostrofo (s.v. attuàre:
Est un omineddhu, anziché Est un’omineddhu; s.v. azìgu: un azigu ’e casu, anziché un’azigu ’e casu; s.v. azìrima: un annu, anziché un’annu, ecc.); di scambi
tra punto e apostrofo (s.v. ’alanzàre: S. Italia, anziché S’Italia); di non appropriato impiego del segno di elisione (s.v. astòre: abbramidu che ’astore anziché
abbramidu che astore), ecc.
Se la maggior parte delle correzioni sono obbligate e non pongono problemi
di scelta, altre invece comportano da parte dell’editore l’opzione fra due o
più possibilità. Per esempio, s.v. campiàna il manoscritto riporta la frase: «Segas sos piattos pro sa paga campiana rompe i piatti per la poca attenzione», ove
esiste discrepanza tra la 2a pers. segas del testo sardo e la 3a pers. «rompe» della versione italiana.
57
Sarebbe ugualmente legittimo conservare segas e correggere «rompe» in
«rompi», oppure, al contrario, emendare segas in segat e conservare «rompe».
Nell’edizione si è optato per questa seconda possibilità, ipotizzando che Casu volesse dire effettivamente «rompe i piatti per poca attenzione» e che la
scrittura segas sos piattos sia di tipo fonetico, con la regolare assimilazione -t
s- > -ss-. Pertanto, il testo del manoscritto è stampato nella forma «Sega[t] sos
piattos pro sa paga campiana rompe i piatti per la poca attenzione», con la
convenzione che si chiudono tra parentesi quadre le correzioni che sostituiscono parole o parti di parole presenti nel manoscritto.
Analogamente ci si è regolati nei casi simili a quello della voce berìtta, che
contiene un rinvio ad altro lemma del Vocabolario nella forma corrotta burritta, dietro cui può celarsi tanto berrìtta quanto barrìtta. Si è preferita questa seconda soluzione, sulla base della considerazione che sono più frequenti
le confusioni grafiche tra a e u che quelle tra e ed u. Stando così le cose, il
rinvio è stampato nel vocabolario nella forma → B[A]RRÌTTA.
L’elenco alfabetico delle forme più rilevanti caratterizzate dall’impiego delle
parentesi quadre, quali quelle ora discusse e altre di vario tipo, è riportato
qui di seguito in nota.57 Ciascuna forma corretta è accompagnata dal testo
originale del manoscritto.
57. abbuscìnu come otr[i] : ms. come otre; aggiùdu aggiud[u] de costa : ms. aggiude de costa; aggraviàre
nos graviat [sic] : nos aggraviat; ’alanzàre chi [’alanzede]? : ms. chi alanzadu?; allauccare allauccare [sic] : allancare; ammisciàdu mescolato con [orzo] : ms. mescolato con olio; anadòne s.m. marzaiola, arzavola.
Pianta [sic] : s.m. marzaiola, arzavola. Uccello; annappàdu Ojos [annappados] : ms. Ojos appannados; appizzigàre ch’attaccat [sic] : ch’appizzigat; appressàre com[o] eppuru eppur[u] : ms. come eppuru eppure; arraigadùra cinquecento franchi [sic] : cinquecento lire; arralada arralada [sic] : cfr. introd., p. 13; arraladura
arraladura [sic] : cfr. introd., p. 13; arralare arralare [sic] : cfr. introd., p. 13; asìlu in s’asilo [sic] : in s’asilu;
attanagadu attanagadu [sic] : cfr. introd., p. 12; attanagadura attanagadura [sic] : cfr. introd., p. 12; attanagamentu attanagamentu [sic] : cfr. introd., p. 12; attripizonàdu Rattoppare [sic] : Rattoppato; auffaméntu cust’unfiamentu [sic] : cust’auffamentu; autòma au[toma [sic] : aujtovmatoı; bardolu bardolu [sic] :
cfr. introd., p. 15, nota 26; barréllu barrellu ‘barile’ [sic] : cfr. introd., p. 16, nota 26; berìtta B[A]RRÌTTA :
ms. burritta; bónu1 Ognunu chircat su bene [sic] sou : Ognunu chircat su bonu sou; brozzàre s’est arregottadu
[sic] : s’est brozzadu; bruscàre deved haer buscadu [sic] : deved haer bruscadu; buddhìre se n’è andat[a] : ms.
se n’è andato; bussàre Su [fizu] istat sempre bussendhe a dinari, ma su babbu no cumprendhet : ms. Su babbu
~; campanòne e il battaglio [dieci] quintali : ms. e il battaglio cinque quintali; campiàna Sega[t] sos piattos
pro sa paga campiana rompe i piatti per la poca attenzione : ms. Segas sos piattos ~; cannàu Isse matessi s’ha
postu sa fune [sic] a bula : Isse matessi s’ha postu su cannau a bula; caràttere [c]arakthvr : ms. karakthvr; càrre ma pariat bivu in car[r]e : ms. ~ in carne, pared ancora bivu in car[r]e : ms. ~ in carne, su mundhu ei sa
car[r]e : ms. ~ e i sa carne; castigire castigire [sic] : cfr. introd., p. 14; chérigu fiore d’erba [affaca] : ms. fiore
d’erba accaffa; ciaccàdu Fiadu magagnadu [sic] : Fiadu ciaccadu; cogódi erba [affaca] : ms. erba accaffa;
configiu configiu [sic] : consigiu ‘consiglio’; contàre quel che m’h[a] detto finora : ms. quel che m’hai detto
finora; continentàle che significava [in logudorese] : ms. che significava il logudoreses; copighina copighina [sic] : cothighina; costruìda gli è costata centomila franchi [sic] : gli è costata centomila lire; covaccàdu
una femina tota bene coveccada [sic] : una femina tota bene covaccada; crìmine faceva un freddo [sic] cane :
faceva un caldo cane; cunténtu2 contento [tu] contenti tutti : ms. contento lui contenti tutti; detritire detritire [sic] : derritire; detterrire detterrire [sic] : derritire; dettitire dettitire [sic] : derritire; dilgradessìre disgradessì[re] : ms. Disgradessidu; dirrùtta es vennìda [sic] : es vennida; disfrenàda lasciate [sic] : lasciare; dovìscia dice [sic] : dicono; episcopàdu s’episcopato [sic] : s’episcopadu; evangelizàre [evangelizan] : ms.
evangelizzas; evidénzia è [sic] chiara : era chiara; faeddhàre da [un mese] : ms. da due mesi, ha chiamato il
[servo] : ms. ha chiamato il medico; falzificadòre Falsificadore [sic] : Falzificadore; farìa farìa ‘farina’ [sic] :
‘faville’; fàscia di ferro [sic] : di zinco; fiolètta Fiorèttas [sic] : Fiolettas; fizolàre un anno [sic] : un mese; fìzu
tres [sic] feminas : battor feminas; fòrra Balet più [sic] sa forra : Balet pius sa forra; galànza gal[e]na : ms. galana; giàga sa giag[a] : ms. sa giaghe; giudìsciu Hap[as] giudisciu : ms. Hapi giudisciu; giustificànte Sa grassia
santificante [sic] : Sa grassia giustificante; goddhepone goddhepone [sic] : goddhethone; idèa i[dea [sic] : ijdeva;
ìdra u[dra [sic] : u{dra; idràulicu ujdraulikovı [sic] : uJdraulikovı; ièna uJaivna [sic] : u{aina; igène uJgiveinoı
[sic] : uJgieinovı; imbìligu ombilicus [sic] : umbilicus; impaulàdu d’inverno [sic] : in gennaio; impiàstru
non vale [sic] : non valere; impoddhinàre Infarina [sic] : Impoddhina; impratighiméntu S’impratichimentu [sic] : S’impratighimentu; impreigàre [non le impara] : ms. no las imparat; impressionàda un’impressione
[sic] : un’impressionada; incapparronàre Accapparrona [sic] : Incapparrona; incheràdu faghe [sic] : fagher;
inchilciàre sa guba [sic] : sa cuba; inchimìdu infittidu [sic] : inchimidu; incumbinchìbbile [lo] : ms. ti; infutteràre S’affutterat [sic] : S’infutterat; ingalàre sent[ono] : ms. sente; ingrucciupìda It’ingrunciuppida [sic]
: It’ingrucciupida; innavantàda s’innaventada [sic] : s’innavantada; inoltràre Subit[u] : ms. Subito; inospitàle [Sono] diventat[i] inospital[i] : ms. è diventato inospitale; insistìre è [sic] : es; intéritu intèridu [sic] : interitu; intriscàda fattos [sic] : fattu; irrugàdu alberi [sic] : cavoli; irrusciulàda irru[sciul]ada : ms. irrujadas;
58
L’elenco comprende, all’interno dell’ordine alfabetico, pure le forme che nel
testo edito sono contraddistinte dall’indicatore [sic], il cui uso è volto a evidenziare i cosiddetti “errori culturali” (quali coppas [sic], s.v. mòla 1; rala [sic],
arralare [sic], ecc.), e certe peculiarità dell’uso italiano influenzato dal sardo
(lenticchia [sic], s.v. lentìza); a richiamare l’attenzione su una variante fonetica, morfologica, semantica e sim. con cui la voce lemmatizzata figura nella
fraseologia dell’articolo (nos graviat [sic], s.v. aggraviàre; su bene [sic], s.v. bónu 1; deved haer buscadu [sic], s.v. bruscàre; centomila franchi [sic], s.v. costruìda; arregottadu [sic], s.v. brozzàre; coveccada [sic], s.v. covaccàdu; di ferro
[sic], s.v. fàscia, ecc.). Ciascuna di queste annotazioni è seguita dalla forma
attesa che essa sostituisce, secondo il seguente schema: configiu [sic] : consigiu, copighina [sic] : cothighina, ecc.
Mentre le parentesi quadre sono usate per individuare parole o parti di parole che sostituiscono il testo del manoscritto, le parentesi angolari s’impiegano per indicare le correzioni che aggiungono parole o parti di parole al testo del manoscritto. Per esempio: <ti> pared, s.v. pàrrer; unu punzu de …
peu<e>r, s.v. pùnzu; iscalas faddh<i>as, trunca e <s>ci<u>pada, s.v. sìnnu1; De
sa candida cunsorte / dae Giuseppe <ispo>sada, s.v. cunsòrte, ecc.
Infine con le parentesi graffe si nota l’espunzione di parole o parti di parole:
p. es., Sa muzere s’est abbiz{z}ada de s’incatramonzu chi fin fattendhe a su maridu e l’ha salvadu a tempus ‘la moglie s’è accorta dei raggiri che si ordivano
intorno al marito e l’ha salvato a tempo’ (nel caso specifico la notazione serve a evitare confusioni col vb. abbizzare ‘avvezzare, abituare’).
isbicchillittàre isbiccullittare [sic] : isbicchillittare; iscannittàre disfa[te] : ms. disfare; iscasciulettàdu iscasciulittàdu [sic] : iscasciulettàdu; ischeriàda Ischeriare [sic] sa robba : S’ischeriada de sa robba; ischigliàre malestica [sic] : malestiga; ischilciàda s’iscioppada [sic] : s’ischilciada; iscoittàda un’iscoiz{z}ada [sic] : un’iscoittada; iscombussulàre stavo parla[ndo] : ms. stavo parlato; isconcàdu d’erba [affaca] : ms. d’erba accaffa;
ismascaràda s’ismascherada [sic] : s’ismascarada; isorfanàre gia[cché] : ms. giaghé; ispezzàda s’ispettàda [sic]
: s’ispezzàda; istenuàre mi sun estenuendhe [sic] : mi sun istenuendhe, si sun estenuendhe [sic] : si sun istenuendhe; istiddhiàre cominzandhe [sic] : cominzendhe; istungiare istungiare [sic] : cfr. introd., p. 15; istuppadùra istupponadura [sic] : istuppadura; isviàda giorno [sic] : giovane; kersa kersa [sic] : cfr. introd., p.
17, nota 26; labberìntu labivrinqoı [sic] : labuvrinqoı; lèa2 lèa (Barb.) ‘solco acquaiolo’ [sic] : ‘zolla’; lentìza lenticchia [sic] : lenticchie; lobàda [ch]i : ms. si; luccàia s[c]larea : ms. salarea; mài è molto [bravo] :
ms. è molto ricco; maléstigu non darmi [sic] cavalcatura briosa : non datemi cavalcatura briosa; màncu2
[due] : ms. tre; manettàda S’ammanettada [sic] : Sa manettada; manu2 manu2 [sic] : cfr. introd., p. 17, nota 26; màssa1 S’es cundennadu [sic] : S’es cungedadu; mi’ [sun] : ms. sos; mòla1 Coppas [sic] : Cothas, coatile
[sic] : coactile; murrirùssu dal muso rosso [sic] : dal muso grosso; murrunzàda [nulla] : ms. lunga; mùsca
s’anzena [sic] : sa mia; mùsica È [sic] sempre sa matessi musica : Es sempre sa matessi musica; mustazzigrógu
capelli [sic] : baffi; nàrrere [pietra] : ms. terra; occasionàriu [occasionarios] : ms. consuetudinarios; ordiméntu [quel birbante] : ms. quelle birba; pacchètte pachetti d[i] sigarette : ms. pacchetti da sigarette; palanchìno s. ba{n}langco [sic]: Casu attribuisce erroneamente a palanchìno ‘palo di ferro più piccolo della
palanca’ l’etimo che Rigutini-Fanfani assegnano, s.v., all’omonimo palanchino ‘sorta di portantina orientale’,
ossia la derivazione dal siamese (Casu scrive ar. (o as?)) balangko; paraluminàdu subraluminadu [sic] :
paraluminadu; peleàre a nu[ddh]a : ms. a nulla; perìgulu periculu [sic] : perigulu; piùs a più non posso [sic]
: a pius no poto; pone (de) avv. prep. (voc. ant.) dietro, di dietro [sic] : cfr. introd., p. 17, nota 26; pràju a
fa[gher] : ms. a fare; préstu1 Quantu [sic] : Cantu; presùmu crê[r] : ms. cres; prettamènte [pr]ettamente :
ms. rettamente; prìnkiu pregno, gonfio [sic] : cfr. introd., p. 17, nota 26; prozzessuàle sentia [sic] : sententia; pruh! non può [sic] : non poter; pùntu1 puntu mortu mortu [sic] : puntu mortu; pùnzu il polso [sic] :
il pugno; pupicone pupicone [sic] : pupijone; purgadóriu sembra [sic] : sembrare; raffiajólu È [sic] : Es;
raffrenàda reffrena[da] : ms. reffrenare; rala rala [sic] : cfr. introd., p. 13; regalàdu ridere [sic] : ridete; reherare reherare [sic] : acherare ‘affacciarsi’; retràttu connosco [sic] : connoschio; sàmbene fagher sa[mbene] :
ms. fagher sangue; saràu og[g]i : ms. ogni; segadùra ve[tr]i : ms. vecchi; segnòre signore ti [sic] : signore
lo; serròne ca[ci]o : ms. caso; sìnnu1 [i]nnidas : ms. unnidas; sogàre ca[ci]o : ms. caso; sollizzitàre sollizzi[t]adi : ms. sollizzidadi; subraccubeltùra avv. [sic] : s.f.; suddelegàre poti[d]u : ms. potitu; suffrìdu giorni [sic] : mesi; sunziòne cali[c]e : ms. calige; taccadùra macchiadura [sic] : taccadura; telègrafu telegrafo
[sic] : telegrafu; temperànte me[d]a : ms. menta; tèmpora Sas batto tempora [sic] : Sas battor tempora, geunzu de sa batto tempora [sic] : geunzu de sas battor tempora; terzórdine [maridu] : ms. muzere; tesorizàre qesaurovı [sic] : qhsaurovı; tesòro qesaurovı [sic] : qhsaurovı; testuzzùdu testuzz[u]da : ms. testuzzada;
tìnta1 colomaiu [sic] : calamaiu; tremòre ’eni[t] : ms. ’enin; tùe e [bastat] … e [basta] : ms. e basta … e
mastat; ùa b[o]vale : ms. bavale, rataladu, retaladu [sic] : cfr. introd., p. 51; ungimànnu [grandi] : ms. piccole; vistàdu decumentos [sic] : documentos; zaccàre cazzare [sic] : zaccare; zélu z[h~]loı : ms. zeloı.
59
Si è già avuto modo di ricordare che, tra i materiali pertinenti al Vocabolario
donati dal Casu alla Regione Autonoma della Sardegna, ci è pervenuta anche
una trascrizione dattiloscritta dall’Autore dei primi 28 fogli del manoscritto,
comprendente i lemmi da A ad Aggradibbile. Consta di 85 fogli formato carta
uso bollo, numerati in alto a sinistra (risulta mancante ab initio la pagina 23,
contenente i lemmi compresi tra abbrindadura e abbuccadu), divisi a metà da
una linea verticale tracciata a matita, in modo tale che il testo sia distribuito su
due colonne. Siccome il Casu, per economizzare carta, riduceva al minimo i
margini bianchi, si verifica assai spesso che l’ultima riga del foglio o parti di
essa (ove oramai non era più possibile scrivere a macchina, poiché la carta non
faceva più presa sul rullo di gomma) sia completata a mano dal Casu con una
grafia molto più curata e didascalica di quella del manoscritto, probabilmente
perché la copia dattiloscritta, almeno nella prima intenzione, doveva essere
pensata dall’Autore in vista della successiva composizione tipografica.
Il dattiloscritto non riproduce strettamente il manoscritto, ma spesso lo amplia al fine di portare la trattazione della lettera A, frequentemente abbreviata e lacunosa nel manoscritto (non di rado mancano gli esempi, la traduzione degli esempi, ecc.) allo stesso livello di elaborazione che caratterizza la
trattazione delle altre lettere del manoscritto.
È accresciuto il numero di lemmi con l’introduzione di tutti i possibili derivati in -ada, -adu, -adura, ecc. dei verbi in -are; sono integrati gli esempi di
varie voci (abbandonu, abbuddhada, abbuddhadu, abbuddhadura, abbuffa,
ecc.); vengono aggiunti gli indicatori d’uso (abbarbigare, ecc.), la categoria
grammaticale (abbattiladu, abrione, ecc.), l’equivalente italiano degli esempi
in sardo (abbarriadura, accaddhare, accamba, ecc.), l’etimologia (abriare,
abriore, ecc.), i rinvii (abbuluzu, ecc.); s’incrementa la documentazione paremiologica (abba, ecc.).
Da segnalare, in contrasto con la tendenza ad accrescere il testo del manoscritto, l’eliminazione di due lemmi che figurano in esso (accabba, accarralzare).
Come si è già osservato nella parte dedicata ai problemi ortografici del manoscritto, Casu ebbe difficoltà a mettere a punto un sistema di trascrizione
efficace e coerente in relazione alla distinzione delle affricate dentali sorde e
sonore. Nel dattiloscritto, sotto l’influsso del Vocabolario di Rigutini-Fanfani, egli cercò inizialmente di differenziare graficamente l’affricata sorda da
quella sonora, trascrivendo quest’ultima con la lettera z, cui aggiunge a mano un ricciolo che scende al di sotto della riga. Ma questa soluzione è adottata soltanto nei lemmi compresi tra abbalzada e abbàzinu; da abbenzada
l’affricata dentale sonora viene scritta semplicemente con la lettera z, al pari
dell’affricata sorda corrispondente. Sporadicamente, come nel manoscritto,
l’affricata sorda è scritta direttamente tz o viene aggiunta l’indicazione (tz) al
lemma relativo.
Per quanto riguarda le differenze tra la versione manoscritta e quella dattiloscritta, si rilevano citazioni addotte in forma parzialmente diversa (s.v. affeu:
ms. A bi lis denegare ndh’hapo affeu / dattil. A bi lis dinnegare ndh’apo afeu
(Zicconi); s.v. accorinare: ms. Ahi e cantu mi accorinat Sa sua dezisione / dattil. Ahi cantu m’accorinat – sa dezisione sua! (An.)); oscillazioni nell’uso delle
consonanti doppie (ms. abbeccè / dattil. abbecè (ma l’ordine alfabetico presuppone abbeccè anche nel dattiloscritto); ms. adiu / dattil. addiu); alternanza
fra z e c (s.v. adornu: ms. adornos sazerdotales / dattil. adornos sacerdotales);
oscillazioni nella notazione della vocale paragogica (s.v. abbula: ms. bàstada /
dattil. bastat; s.v. aggradare: ms. aggràdada / dattil. aggradat); oscillazione fra
60
r e l seguite da consonante (s.v. affunadu: ms. oltiju / dattil. ortiju); alternanza
di varianti fonetiche (s.v. abe: ms. bugnu / dattil. bungiu); oscillazioni nella
notazione dei fenomeni di fonetica sintattica (s.v. aggiostradu: ms. s’es vidu /
dattil. s’es bidu); oscillazioni nell’uso dell’h- nelle forme del verbo avere (s.v.
affissu: ms. Àn appicadu / dattil. Han appicadu; s.v. afforrare: ms. Ap’afforradu
/ dattil. Hap’afforradu), ecc.
Per il resto, si riscontrano le stesse incertezze e variazioni del manoscritto nella scrittura della 2a pers. sg. imperat. del verbo ‘dare’ (s.v. abballonada: da; s.v.
abbada: da’; s.v. abbentada: dà; s.v. abbattada: dà’; ma la grafia di gran lunga
prevalente è dà’), nella notazione di j (s.v. abbaianada: Bide s’abbajanada chi
s’ha fattu), ecc.
Affinché il lettore possa avere cognizione precisa e diretta di tutte le particolarità e caratteristiche del Vocabolario, quali appaiono nella versione più prossima alla stampa tra le due elaborate dal Casu, pubblichiamo integralmente in
appendice (pp. 1389-1487) il suddetto dattiloscritto contenente i lemmi da A
ad Aggradibbile. Non si apportano interventi normalizzatori di sorta (a parte
l’uso del corsivo per gli enunciati in sardo) e si indicano di volta in volta nell’apparato a piè di pagina le modifiche introdotte per consentire la lettura
scorrevole del testo: correzione degli errori materiali e uso regolare delle convenzioni adottate dallo stesso Casu in relazione alla punteggiatura e alle abbreviazioni. In caso di difformità (fonetica, morfologica, ecc.) tra esemplificazione e lemma, si è generalizzata negli esempi e nella fraseologia la variante posta
in esponente, documentando puntualmente in apparato quella discrepante
presente nel dattiloscritto, in modo che nessuna informazione linguistica vada
perduta. In tale apparato la forma introdotta nel testo dall’editore, delimitata
a destra da parentesi quadra, è seguita dalla lezione del dattiloscritto.
Un completamento del Vocabolario, che trae origine dallo sviluppo di una felice indicazione dell’ISRE, è rappresentato dal CD-ROM, che consente, con
una serie di funzioni previste dal sistema, la ricerca e la consultazione elettronica di ciascuno dei 54.687 lemmi e relativi articoli formanti il corpus lessicografico. Certo il Casu, che visse nella civiltà della penna stilografica e tante tiradas
de pinna dové fare per compilare e copiare il suo Vocabolario (cfr. s.v. pìnna),
non poteva immaginare che un giorno la sua opera sarebbe stata pubblicata
non solo nell’usuale formato cartaceo a lui noto, ma anche in una nuova forma. Pensiamo però che non avrebbe disapprovato, aperto come era alla modernità. E cliccando l’apposito bottone nella «finestra definizione del lemma»
avrebbe avuto la sorpresa di udire una voce femminile pronunciare i lemmi
del suo Vocabolario, una voce familiare: quella della sua pronipote Bastianina
Calvia, Presidente dell’Associazione Eredi Pietro Casu, che desidero ringraziare, oltre che per questa collaborazione, per le informazioni e il sostegno che
mai mi ha fatto mancare durante tutti gli anni di lavoro.
Mi è grato altresì ringraziare mia figlia Susanna per la collaborazione fornitami
nel riscontro dei materiali in vista dell’edizione di questa raccolta lessicografica.
Ma il Vocabolario di Pietro Casu non avrebbe potuto vedere la luce senza
l’impegno costante dell’ISRE e senza la capacità organizzativa, la professionalità e la perseveranza dell’Ilisso Edizioni, che ha costituito al suo interno un
gruppo di lavoro efficiente e tenace, cui va gran parte del merito della riuscita di quest’impresa. A tutti coloro che hanno collaborato alla presente edizione vada il mio ringraziamento e quello di tutti gli appassionati e studiosi della lingua sarda.
Giulio Paulis
VOCABOLARIO
SARDO LOGUDORESE-ITALIANO
Avvertenze per la consultazione
Caratteri
Nel vocabolario sono utilizzati i seguenti caratteri: neretto
tondo; neretto corsivo; romano chiaro maiuscoletto, corsivo,
tondo. Il neretto tondo si adopera per l’esponente o lemma
stampato in testa all’articolo; il neretto corsivo per le varianti
fonetiche, morfologiche e semantiche collocate nella sezione
finale dell’articolo dopo il simbolo ▫ ; il romano chiaro MAIUSCOLETTO per i rinvii a voci lemmatizzate nella nomenclatura
del vocabolario; il romano chiaro corsivo per gli altri rimandi,
per le qualifiche grammaticali, per gli indicatori d’uso, per gli
enunciati in sardo e per le indicazioni etimologiche; il romano
chiaro tondo per le parti del testo scritte in lingua italiana.
Segni speciali
|
distingue le categorie grammaticali all’interno della
stessa voce e l’uso transitivo del verbo da quello intransitivo o riflessivo, ecc., nonché i diversi valori semantici
del lemma; nell’apparato della trascrizione dattiloscritta
della lettera A effettuata dal Casu (cfr. Appendice III,
pp. 1389-1487) indica la divisione sillabica delle parole
in fin di riga.
||
introduce le indicazioni etimologiche.
▫
introduce le varianti fonetiche, morfologiche, semantiche del lemma.
→
*
rinvia ad altra voce, stampata in romano chiaro maiuscoletto (se è presente nella nomenclatura del vocabolario) o in romano chiaro corsivo (negli altri casi).
apposto a una voce alla quale si rimanda con → indica
che essa si trova nell’Appendice I di pp. 1369-1370.
[ ] racchiudono le correzioni che sostituiscono parole o
parti di parole presenti nel manoscritto. Racchiudono
altresì rimandi aggiuntivi.
< > racchiudono le correzioni che aggiungono parole o
parti di parole al testo del manoscritto.
della voce posta in esponente, richiamando l’attenzione sul fatto che non si tratta di refusi tipografici. Segnala altresì la presenza dei cosiddetti errori culturali e
difformità di altro tipo. Un elenco alfabetico dei casi
più rilevanti, con la relativa spiegazione, si trova nell’Introduzione, p. 57, nota 57.
Ortografia e pronuncia
Nei lemmi e nei rinvii è stato segnato ovunque, a cura dell’editore, l’accento, sempre grave sulle vocali a, i, u e inoltre
sulla e aperta e o aperta (àla, bìnu, mùru, mèla, mòla), sempre
acuto su e chiusa e o chiusa (chéntu, sónu). Se nel corpo dell’articolo il manoscritto presenta parole e forme sarde diverse
da quella lemmatizzata in cui sia notato l’accento, esse conservano l’accento – sempre grave secondo la convenzione
adottata dal Casu – anche nella presente edizione. L’accento
circonflesso non ha valore fonetico, ma è usato per segnare,
nel corpo dell’articolo lessicografico, le vocali risultanti dalla
contrazione di due vocali: pê (da pèe), ôs (da òos), giû (da
giùu), ecc. In voci quali cïucìu ‘pigolio’, cïùddha ‘cipolla’, ecc.
la dieresi (¨) indica che la i non è un semplice segno grafico
avente la funzione di notare il carattere palatale della consonante iniziale c-, bensì una vocale a pieno titolo. L’apostrofo
(’) è impiegato, oltre che per indicare graficamente l’elisione
di una vocale atona in fine di parola all’incontro con un’altra
vocale all’inizio della parola successiva, anche per notare il fenomeno dell’aferesi di una consonante iniziale di parola: ’àsu
(da bàsu), ’èna (da bèna), ’ìa (da bìa), ecc.
Per il resto, nel rimandare al CD-ROM accluso al vocabolario
per la pronuncia dei singoli lemmi, si segnala che ddh nota la
consonante occlusiva geminata cacuminale o retroflessa sonora: pùddha (= [púd.d.a]), ecc., mentre la combinazione grafica
-ndh- rende il nesso [n.d.]: càndho (= [kán.d.o]), ecc. Quanto all’affricata alveodentale, si osservi che la distinzione fra la sorda
e la sonora è assicurata dall’indicazione (tz) apposta all’esponente che contenga una sorda: cónzu ‘boccale di terracotta’
(= [kóndzu]), ma cónzu (tz) ‘concio, conciato’ (= [kóntsu]).
Per ciò che attiene alla lettera j, il Casu osserva che «per lo
più ha il suono dell’i. In alcune località, specialmente se è
nell’interno della parola, ha il suono del j francese». Per i
particolari si rinvia al CD-ROM.
{ } racchiudono le espunzioni.
]
nell’apparato della trascrizione dattiloscritta della lettera A delimita a destra la forma introdotta nel testo dall’editore ed è seguita dalla lezione scorretta del dattiloscritto.
[ ] racchiudono osservazioni dell’editore.
[sic] segnala l’occorrenza negli esempi e nella fraseologia di
varianti grafiche, fonetiche, morfologiche e semantiche
Appendici
Il vocabolario comprende tre appendici:
Appendice I (Lemmi del manoscritto privi di trattazione),
pp. 1369-1370;
Appendice II (Lemmi e varianti recanti nel manoscritto l’indicazione dell’accento e/o della pronuncia della «z»), pp. 13711388;
Appendice III (Trascrizione dattiloscritta delle voci da A a
Aggradibbile effettuata dall’Autore), pp. 1389-1487.
Guida grafica alla consultazione
lemma (o esponente)
indicazioni grammaticali
maléstigu agg. vivo, spiritoso, irrequieto, bizzarro. No mi
diedas calarina malestiga, chi no so tantu seguru in seddha non
darmi [sic] cavalcatura briosa, che non son molto sicuro in
sella. L’han dadu unu caddhu malestigu e ndhe l’ha bettadu gli
han dato un cavallo brioso e l’ha buttato giù.
tavòne s.m. buco, bugigattolo → TUVÒNE.
rinvio
tabbì s.m. stoffa antica. ▫ tabbìu.
etimologia
omografi
indicatore d’uso
articolo (o voce)
variante
subrannaturàle agg. soprannaturale. Amore, grassia subrannaturale amore, grazia soprannaturale. | sost. Cussu no crêd
annuddha in su subrannaturale quello lì non crede affatto nel
soprannaturale. || lat. supernaturalis.
indica le differenti caratteristiche
grammaticali e i diversi valori
semantici del lemma
bóttu1 s.m. vaso di latta, barattolo → BÒTTE2.
bóttu2 s.m. colpo, rumore. De bottu, de unu bottu di colpo,
all’improvviso, all’impensata. Es ruttu de bottu ed es mortu è
caduto di sfascio ed è morto.
fraseologia esplicativa
penùria s.f. (t. lett.) penuria, scarsezza. Più com. →
|| lat. penuria.
CARE-
STÌA1.
comùnu s.m. comune. Robba de su comunu robba de niunu
roba del comune roba di nessuno. | agg. S’ira contr’a Mosè tot’es comuna (Dore). De sa vida evangelica comuna (Murenu).
annappàdu agg. appannato, offuscato. Ojos [annappados]
occhi offuscati. Anima annappada anima rabbuiata.
trascrizione fonetica
racchiudono le espunzioni
muzzighilinéttu (tz) agg. da<l> muso pulito. Per ironia, dei
bimbi.
trìb{b}ula s.f. (Nuoro) trebbiatura → TRÌULA.
manettàda s.f. l’atto di ammanettare. S’ammanettada [sic]
ch’han fattu de cussu innozzente l’han pagada hanno scontato
l’aver messo le manette a quell’innocente.
bòza (tz) s.f. bozza di stampa. Curregger sas bozas correggere
le bozze. [Pron.: oggi bòttsa, Casu probm. bòdza.]
citazioni letterarie
sostituiscono parole o parti di
parole errate nel mscr.
aggiungono parole o parti
di parole al testo del mscr.
segnala varianti grafiche,
fonetiche, morfologiche e
semantiche della voce posta in
esponente nonché errori culturali
e difformità di altro tipo
racchiudono osservazioni
dell’editore
65
Elenco delle abbreviazioni
A., a. = Antico, Antichi, antico, anno
A. Sp. = A. Spano
abbrev. = abbreviazione
acc. = accusativo
accorc. = accorciamento
accr. = accrescitivo
afferm. = affermazione, affermativa
agg. = aggettivo, aggettivale
aggiunt. = aggiuntiva
agric. = agricolo
Aidom(agg). = Aidomaggiore
An. = Anonimo
anat. = anatomico
Angl. = Anglona
Ant., ant(ic). = Antica, antico, antica, anticamente
Ant. Sp. = Ant. Spano
antifr. = antifrasi
Antol. = Antologia
anton. = antonomastico, antonomasticamente
apoc. = apocopato
arab. = arabo
Araol. = Araolla
arc. = arcaico
arch. = architettonico
aritm. = aritmetico
art., artic. = articolo, articolata, articolata
ass(ol)., ass. = assoluto, assolutamente, assolutamente
ast. = astronomico
astr. = astratto
aus. = ausiliare, ausiliari
avv. = avverbio, avverbiale,
avverbialmente
avvers. = avversativo, avversativa
B., b. = Beata, basso
Barb., barb. = Barbagia, barbaro, barbarico
Baron. = Baronia
Ber(ch). = Berchidda
Bit. = Bitti
Bon. = Bono
Bonarc. = Bonarcado
Bonnan. = Bonnannaro
Bonor. = Bonorva
Bos. = Bosa
bot. = botanico
Bud. = Buddusò
burl. = burlesco
Bus. = Busachi
C. de L. = Carta de Logu
C. pop. C. N. = V. Cian, P.
Nurra, Canti popolari sardi,
Palermo, 1893 (Curiosità
popolari tradizionali pubblicate per cura di G. Pitrè,
voll. XI e XIV)
c.s. = come sopra
C.S.N.T. = Condaghe di S.
Nicola di Trullas
C.S.P. = Condaghe di S. Pietro di Silki
cacc. = caccia
calz. = calzolaio
Can., can. = Canonico, canonico
Canz., canz. = Canzone, canzone
Cap. (SS.) Ros. = Capitoli
Santissimo Rosario
Capit. = Capitulos
Car. = Carrus
card. = cardinale
catal. = catalano
caus. = causale
celt. = celtico
Cet. = Cetti
chim. = chimico
chirurg. = chirurgico
Cod. = Codice, Codici
Cod. Rep. (Sass.) o C. d.
R. = Codice della Repubblica di Sassari
Codrong. = Codrongianos
col. = colonna
com. = comune, comunemente
comm. = commerciale
compar., compar. = comparativo, comparativa, comparativo
compl. = complemento
comun. = comunemente
Cond. = Condaghe
cong. = congiunzione
contr. = contrario, contrariamente
corruz. = corruzione
Cron. = Cronaca
Cub. = Cubeddu
Cugl. = Cuglieri
cur. = curiale
deriv. = derivato, derivati
didasc. = didascalia
dim. = diminutivo, diminutivi
dimostr. = dimostrativo
Dipl. = Diploma, Diplomi,
Diplomatico, Diplomatici
dir. = diretto
disgiunt. = disgiuntiva
dispr. = dispregiativo
distrib. = distributivo
disus. = disusato
dl. = dolce
Doc. = Documento, Documenti
Dorg. = Dorgali
dubit. = dubitativo
ebr. = ebraico, ebraica
eccl. = ecclesiastico
econom. = economico
elettr. = elettrotecnica
ellitic. = ellitticamente
enfat(ic). = enfatica, enfatico,
enfaticamente
equiv. = equivalentemente
esclam. = esclamazione, esclamativo, esclamativa
esort. = esortativo, esortazione
estens. = estensione, estensivamente
etim. = etimologia
eufemist. = eufemistico, eufemisticamente
Ev., ev. = Evangelo, Evangeli, evangelo, evangeli
fam. = familiare
fem. = femminile
fen. = fenicio
ferr. = ferroviario
figur., fig. = figuratamente,
figuratamente, figurato
fil(os). = filosofico
finanz. = finanziario
form. = formula
fotog. = fotografico
fr. = francese, frase, fraseologia
freq. = frequentemente
frequent., frequent. = frequentativo, frequentativo
funer. = funerario
G. Cub. = G. Cubeddu
Gall., gall. = Gallura, gallurese
Gar. = Garipa
gen. = generale, genere, generalmente, genericamente
geom. = geometrico
gerg. = gergo
germ. = germanico
Ghil. = Ghilarza
giud(iz)., giud. = giudiziaria,
giudiziario
giur. = giuridico
Goc. = Goceano
G(os). = Gosos
gr. = greco
gramm. = grammaticale
id., id. = idem, idem
Ill(or). = Illorai
imper. = imperativo
impers. = impersonale
imploraz. = implorazione
imprec. = imprecazione, imprecativo, imprecativa
incit. = incitazione
indecl. = indeclinabile
indef. = indefinito
indet. = indeterminato, indeterminativo
indir. = indiretto
inf. = infinito
ingl. = inglese
intens. = intensivo
interiez. = interiezione
interrog. = interrogativo, interrogativa
intr. = intransitivo
inv. = invariabile
invers. = inversione
iperb., iperb(olic). = iperbole, iperbolico, iperbolicamente
iron. = ironia, ironico, ironicamente
irr. = irregolare
it(al). = italiano, italianamente
lat. = latino, latina
leg. = legale
lett. = letterario, letterariamente
letter. = letteralmente
liturg. = liturgico
loc. = locativa
Log., log. = Logudoro, logudorese
mac. = macellaio
Macom. = Macomer
Maltz. = Maltzan
mar. = marinaresco
Margh. = Marghine
Mart. = Martelli
mat. = matematico
med. = medico
med(ioev). = medioevale
Mel. S. = Meloni Satta
metaf. = metaforico, metaforicamente
meteor. = meteorologico
mil. = militare
mitol. = mitologico
Montan. = Montanaru
mor. = morale, moralmente
Ms(s)., ms. = Manoscritto,
Manoscritti, manoscritto,
manoscritti
mus. = musicale
n. = numero
n. = neutro
n.p. = nome proprio
n.p.f. = nome proprio femminile
neg. = negativa, negativo, negativamente
negaz. = negazione
neol. = neologismo
not., notar. = notarile, notarile
Nug(h). (S. N.) = Nughedu
(S. Nicolò)
num. = numerale
Nuor., nuor. = Nuoro, Nuorese, nuorese
ogg. = oggetto
Olz. = Olzai
onomat., onomat. = onomatopeico, onomatopeicamente, onomatopeico, onomatopeica
Or. = Orani
ord. = ordinale
Org. = Orgosolo
orient. = orientale
orol. = orologiaio
Oros. = Orosei
Os. = Ossi (Oschiri?)
Osch. = Oschiri
Oz. = Ozieri
P. Luca = Padre Luca
p. = pagina, parte
parag. = paragone
part. = participio
partic., partic. = particella,
particella, particelle
partit. = partitivo
pass. = passato, passivo
past. = pastorale
Patt. = Pattada
Paulilat. = Paulilatino
pegg. = peggiorativo
pers. = persiano
pers. = persona, personale
Pic. = Picoi
piem. = piemontese
Pis. = Pisurzi
pitt. = pittorico
Pl(an). = Planargia
pl. = plurale
pleon., pleon. = pleonastico,
pleonastica, pleonastico, pleonasticamente
poet., poet. = poetico, poeticamente, poetico, poetica,
poeticamente
polit. = politico
pop., pop. = popolare, popolare
port. = portoghese
Pos. = Posada
Pozz(om). = Pozzomaggiore
pr. = pronuncia
prec. = precedente
prep., prep. = preposizione,
preposizione
pres. = presente
pron. = pronome
pronom., pronom. = pronominale, pronominale
propr. = proprio, propriamente
prov. = proverbio, proverbi
provenz. = provenzale
puer. = puerile
rad. = radice
rafforz. = rafforzativo
recipr. = reciproco
relat. = relativo
rifl. = riflessivo
Rig. Fanf. = Rigutini-Fanfani
rinforz. = rinforzativa, rinforzativo
S. Ag. = S. Agostino
s. = siamese
s.c. = sostantivo comune
s.f. = sostantivo femminile
s.m. = sostantivo maschile
Sal. = Salmo
sanscr. = sanscrito
Sar. = Sarule
sart. = sartoriale
sc. = scena
Scano Mf. o Mont(if). = Scano Montiferro
scherz. = scherzoso, scherzosa,
scherzosamente
scient. = scientifico, scientificamente
scol. = scolastico
sempl(ic)., sempl. = semplice, semplicemente, semplice
sett. = settentrione, settentrionale
sicil. = siciliano
signif. = significato
sim. = simile, simili, similmente
sin. = sinonimo, sinonimi
sing. = singolare
sir. = siriaco
solam. = solamente
Sorg. = Sorgono
sost. = sostantivo
Sp(an). = Spano
sp(agn). = spagnolo, spagnoli
spec(ialm). = speciale, specialmente, specifico, specificamente
sport. = sportivo
Stat. Rep. (Sass.) o Stat.
Sass. = Statuti della Repubblica di Sassari
staz. = stazione
stor. = storico, storicamente
storp. = storpiatura
superf. = superfluo
superl. = superlativo
t. = termine, terminologia
teatr. = teatrale
ted. = tedesco, tedesca
temp. = temporale
teol. = teologico
Tert. = Tertulliano
tess. = tessile
Test. = Testamento
tipogr. = tipografico
tit. = titolo
tr. = transitivo
Trad., trad. = Traduzione,
traduzione
ucc. = uccello, uccelli
umor(ist). = umoristico, umoristicamente
Urz. = Urzulei
V. Mart. = V. Martelli
v. = verso
v.n.p. = verbo neutro passivo
Vang. = Vangelo, Vangeli
var. = variante
variaz. = variazione
Vass. = Vassallo
venat. = venatorio
vezz. = vezzeggiativo
Vid. = Vidal
Vill.franca = Villanovafranca
Villan(ova) Mont. = Villanova Monteleone
Virg. = Virgilio
Vit. = Vitale
voc. = voce, vocabolo, vocaboli
volg., volg. = volgari, volgare, volgarmente, volgare, volgarmente
W. = Wagner
Zus. Ebreu = Zuseppe Ebreu
A
(9 luglio 1934)
a1 s.f. prima lettera dell’alfabeto. A majuscula, a minuscula.
No ischire mancu s’a. Dae s’a a sa zeta dal principio fino alla
fine. Cominzare dae s’a rifarsi dall’a.
a2 prep. a. || lat. ad. La soppressione del d si fa sentire col raddoppiamento della prima consonante della parola che la segue. A mie (pr. ammìe), a bustu (abbùstu), a chena (acchèna).
Perciò in poesia non si fonde in dittongo e non si elide seguita da parola che cominci con vocale, e fa sempre sillaba da sé.
Ä abba e a bentu, ä eda, ä irridos, ä ôs, a ùrulos. Se precede parole che secondo la posizione nel discorso perdono il b o l’attenuano in v (basolu, vasolu, ’asolu fagiolo; bacca, vacca, ’acca)
fa ricomparire il b. A bbasolu, a bbaccas, a bboes, a bbinu. Alla
spagnola si adopera dopo i verbi transitivi come segnacaso dell’accusativo coi nomi propri. Hapo ’idu a Pedru, a Giuanne ho
visto Pietro, Giovanni. Amare a Deus amar Dio. Coi nomi di
parentela senza articolo. Amare a babbu e a mamma; rezzire a
frades e sorres; m’hapo ’isadu a bisaju meu; hap’ojadu a comare; se
i nomi, anche di parentela, sono accompagnati dall’articolo
determinativo il segnacaso scompare. Ha mortu su sogru; ha
lantadu sa connada; had isposadu su fradile; fuit sos omines;
onora sos parentes. Coi pronomi relatativi e indeterminativi.
Assistire a chie nos assistit; perdonare a chie nos offendhet; s’’ides
a chiesisiat; rispetta a tottu. Si adopera come riempitivo nelle
domande dirette e indirette (lat. an). A benis a cazza? A b’es
Pedru? A mi lu faghes custu piaghere? Narali a mi dare…, a si
fagher su fattu sou (invece del che it.). Nella formazione perifrastica del futuro. Hap’a narrer; hap’a mandhigare. Con certi avverbi di tempo: a chito o a taldu presto o tardi, a calda o a
temporada (Pisurzi); e di luogo: a fora, a intro, a subra, a giosso;
e di modo: a pianu, a forte, a fine, a russu, a frigadura, a untura, a pippa, a zigarru. Col verbo faghersi divenire. Chie si faghed a mele, sas muscas si lu liccan; a birgonza de sa zente; a una
zantara; a monicca; a ursu; a pedra; a sale. Anche in attivo. Fagher a pedra, a linna, a sale; fagher a rier, a piangher, a faeddhare. Con alcuni infiniti. A chenare, a bustare, a ilmulzare. Si usa
invece dell’it. da. Dare a mandhigare; custos fruttos sun a bendhere; restad ancora a fagher custu; bestire a preideru, a padre,
a omine; a sa sola. Di. A frealzu, a manzanu, a notte; pienare a
lana, a brou; frunire a seda; forrare a teletta; pienu a trigu; dopo
il verbo volere. No cheriad a faeddhare. Con. Bocchire a fusile;
ferrer a bulteddhu; mazare a fuste; iscuder a pedra, a pumattos;
bustare a maccarrones; cundhire a ozu e aghedu; piantare a palu;
giogare a murrocculas; prendhere a paraulas; fraigare a pedra. In.
A pala, a mascara; torrare a bida; dare a lemusina. Per. Istudiare
(andhare) a preideru, a duttore; fagher a paga, a dinari; giamare
a lumine; a burula, a dispettu; dar a mortu, a bida; col verbo
partire. A Tatari, a Roma. Si adopera invece della preposizione
articolata in moltissimi casi. A cheja, a piatta, a campagna, a
funtana, a palattu; a pala, a palas; a crabas; a linna; a fundhu;
a chimas; a prinzipiu; a segundhu ijaminu; a canes e a corvos;
giompere a tuju, a bula. Non si registrano gli usi che ha comuni con l’italiano, che sono numerosissimi.
abaudìtu avv. per udita. || lat. ab auditu.
àbba s.f. acqua. Abba de funtana, de riu, de poju, de mare; ~
netta, brutta (no s’’ider mai tattu de abba brutta); ~ pioana o
pioìa; ~ panada panata; ~ ferrada ferrata; ~ sabonada; ~ cana,
bulizada torbida; ~ sàmbana salmastra; ~ isaboriada, isciapida
scipita, insipida; ~ trina acquitrino; ~ nieddha il caffè; ~ bianca il latte molto annacquato; ~ cotta colla; ~ de iscapece; ~ de
’idriolu tinta; ~ russa; ~ dulche, anche per caffè molto diluito;
~ salida mare (fina chi toccad abba salida su fogu no si firmat);
~ currente; ~ frimma; ~ muda; ~ santa; ~ drogada; ~ meighinosa; ~ tuccarada; ~ luzziga; ~ limpia vino con molta acqua; ~
olga linfa; ~ serenada; ~ sòrdida, pùdida; ~ appaulada, appojischeddhada; ~ ispalta; ~ limonada, gazosina frizzante; ~ fritta;
~ melineddha, mèlina; ~ tebieddha (ch’istemperat sas manos), tèbia, calda, ’uddhida (’uddhendhe, ch’iscattolad, chi ndhe ’ogat sas
ungeddhas). Filu de ~; trogliu de ~; oju de ~. Andaresiche in abba; chei s’abba a su fogu; che abba ’e piena (torbida, sporca).
Cundhire cun abba e sale. A pane e abba (geunare) a pane e acqua. | Pioggia. Abba lena, seria, serena; ~ forte, furia; ~ a cadinos, a trecchettu, a canales, a pojos, a trainos, a rios, a mares, a
dilluviu, a trumunzones, comente Deus la mandhat (o l’incumandhat). Colpu de ~; abbisciu de ~; dilluviu de ~; frunza de
~. Abba ’e maju. Cubeltura a duas abbas tetto a due spioventi.
Fagher abba piovere. Si no pioet faghed abba. Isfaghersi in abba
(de su mundhu). Andare subr’abba, che boltiju subr’abba. | Lear’abbas dai unu informarsi da uno, chiedere informazioni. Tribagliare sutt’abba lavorar sottacqua, al fig. con inganno. Umpire s’abba cun su chiliru far opera vana o con mezzi inadeguati.
Siccaresi chei s’abba ’e sa lacuna, di fonte che s’asciuga improvvisamente. Pistare s’abba in su pistone … nel mortaio. Parusare
o buffare su ’inu, su caffè, sos licores chei s’abba. Buffare chei s’abba, di medicina. Currer chei s’abba, del danaro. Esser in malas
abbas. Esser a s’abba leada non sapere qual via…, esser disperato. Abba ’e su macchine: già bi ses giompidu abbentrada a s’abba
’e su macchine. Chen’haer abba in brocca essere nella miseria
(C. pop. C. N.). S’abba ’e sa billallara o billellera la pazzia. Sos
ojos sun de abba gli occhi son d’acqua, possono sbagliare. Abba ’e s’oju. Ischire chei s’abba sapere a menadito. Lugher s’abba
in gutturu risplendere per bellezza (Dorgali). A cussa pizzinna
li lughet s’abba in gutturu quella ragazza è un incanto di bellezza. | Sugo. Fruttura de bon’abba frutta saporite. || lat. aqua.
abbà’! interiez. vedi! guarda! → ABBÀIDA.
abbàbbile agg. che si può irrigare, di terreno.
abbaccàbile agg. placabile, calmabile.
abbaccàda s.f. calmata. Su ’entu ha dadu un’abbaccada il
vento s’è un po’ calmato.
abbaccadòre s.m. che calma.
abbaccadùra s.f. calma, sollievo.
abbaccaméntu s.m. l’atto di calmare.
abbaccàre intr. calmarsi, diminuire di violenza. Sa tempesta
had abbaccadu il temporale s’è un po’ calmato. | tr. rallentare,
ammollare. Abbaccare sa fune. || lat. pacare.
abbacchiddhàre intr. camminare col bastone; lentamente dopo una malattia. Arricchirsi. Più usato → IMBACCHIDDHÀRE. ||
da bacchiddhu (lat. bacillus).
abbàda s.f. annacquata; annaffiata.
abbadaloccàre
abbadaloccàre, -ada, tr. trastullare; incantare. | rifl. incantarsi. || ant. badalucco.
abbaddhàda s.f. l’atto d’incallirsi.
abbaddhàdu agg. incallito.
abbaddhadùra s.f. incallimento.
abbaddhàre intr. incallirsi. || da baddhu cuoio.
abbaddherigàre [tr. e rifl.] abbrividire. Abbiosciare, intristire.
abbaddhérigu s.m. rabbrivido. Abbioscimento.
abbadìa s.f. badia. || lat. abbatia.
abbadinàre tr. vincere.
abbadìssa s.f. badessa. || lat. abbatissa.
abbadólzu s.m. abbeveratoio.
abbadòre s.m. annaffiatoio.
abbadórzu → ABBADÓLZU.
abbadrìna s.f. acquitrino. Geloni. Ha s’abbadrina in manos e
in pês.
abbàdu s.m. vinello ottenuto dalla vinaccia fermentata con
l’acqua. | part. pass. di → ABBÀRE. | agg. scimunito. Cherveddhu abbadu. | Di pecora affetta da → ABBADÙRA.
abbadùggine s.f. linfa animale. Malattia del bestiame (idartrosi). ▫ abbadùzu, → ABBAÙGGINE.
abbadùra s.f. annacquatura, annaffiatura. Malattia degli ovini che han pascolato erbe brinate o molto rugiadose. Bolla
acquaiola.
abbadùza s.f. → ABBADÙGGINE.
abbaètta s.f. declivio del tetto.
abbafèra s.f. → ABBADÙGGINE.
abbagadiàre tr. santificare la festa. Abbagadiare sas dies cumandhadas santificare i giorni prescritti. | intr. Abbagadiaresi
far festa, stare in allegria (Siniscola). || lat. vacantivus.
abbagadùra s.f. abbottonatura, allacciatura, affibbiatura.
abbagalzàda s.f. sviluppo.
abbagalzàre tr. sviluppare.
abbagàre tr. abbottonare, allacciare, affibbiare. || da baga.
abbagliàdu part. pass. in forza di agg., incantato, innamorato.
abbagliaméntu s.m. abbagliamento. Inganno.
abbagliàre tr. abbagliare. Ingannare. Offuscare. Abbagliare sa
mente. | rifl. accecare. Chi si ndh’abbagliat dogni abitadore (Cabras). Si miras a Elena ti ndh’abbaglias (P. Luca).
abbagliòre s.m. abbaglio. Offuscamento, accecamento.
abbàgliu s.m. bagliore. Inganno. Leare abbagliu ingannarsi,
cadere in errore. Anche incanto, oggetto d’ammirazione. S’abbagliu de su ’ighinadu l’incanto del vicinato. S’abbagliu meu,
d’un figlio molto amato. || gr. (bálios) bavlioı vario.
abbagliuccaméntu s.m. baloccamento, divertimento, sollazzo.
abbagliuccàre rifl. baloccarsi, svagarsi, divertirsi.
abbagòtta s.f. colla. ▫ àbba còtta.
abbagottàre tr. incollare.
abbàida! interiez. vedi! guarda! osserva! Sta attento! bada!
ecco! || da abbaidare.
abbaidabbàida avv. frequentativo. Esser abbaidabbaida: fit
sempre abbaidabbaida osservava con frequenza, spiava.
abbaidàbbile agg. meritevole d’esser visto.
abbaidàda s.f. guardata. Vista, sguardo. A s’abbaidada no
mi piaghet! Abbaidada mala. Tenz’una abbaidada sonniosa ho
lo sguardo sonnacchioso (Cossu). Feris su coro cun s’abbaidada (Caddeo).
abbaidàdu agg. e part. pass. guardato. Rispettato. Sorvegliato, spiato. Est una femina meda abbaidada … censurata.
abbaidadùra s.f. guardatura. Abbaidadura de traitore guardatura da traditore.
abbaidàre tr. guardare, osservare. No abbaidare in faccia a
niunu. | Rispettare. T’abbàido pro amore de babbu tou. No t’abbàido proghì sias fizu de cavaglieri. Abbaidaresi s’unu a s’ateru
usarsi riguardo. Abbaidare su cane pro su padronu. | Trattare.
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M’abbaidat che cane, che muzere, che fizu. | Criticare, censurare,
malignare. Sa muzere de fulanu l’abbàidana meda. | intr. Abbaidare a sutt’oju, a ojos tortos, a caninu; ~ a fittu, a crabas, a fine, a russu, a chilvesciu (in tralicce). Abbaidare a sa figura: no
m’abbaides a sa frigura, a sos pannos. Abbaidare a sas ricchesas, a
sa bellesa aver di mira; abbaidare a s’onore. | Abbaidaresi una femina farle la corte. | Procurare, tentare, provare. Abbaida de lu
fagher bene. | Abbaidade si podides fagher custu… | No abbaidare
a ispesas, perigulos, patimentos, sacrifissios; no abbaidare a nuddha. || ant. it. abbadare.
abbaidónzu s.m. guardatura; modo di guardare.
abbajanàre intr. diventar giovane (bajanu). Ringiovanire.
abbajoccàda s.f. baloccata. Dàli un’abbajoccada, a cussu pizzinnu ch’es pianghendhe.
abbajoccàdu agg. vispo.
abbajoccadùra s.f. trastullo.
abbajoccàre tr. trastullare. No m’abbajoccas cun cussas ciacciaras
non m’incanti o m’inganni con codeste chiacchiere. || lat. jocari.
abbajóccu s.m. trastullo. L’atto di abbajoccàre. || lat. jocus.
abbajólu s.m. bolla acquajola → ABBADÙRA. | Trogolo.
abbajonàre intr. diventar concavo o convesso, del sughero,
del cartone, d’una tavola ecc. Si dice anche → ACCONCULEDDHÀRE. || da bajone conca di sughero.
abbajuccàda e deriv. → ABBAJOCCÀDA e deriv.
abbalauccàdu agg. smemorato.
abbalauccaméntu s.m. smemorataggine.
abbalauccàre rifl. perder la memoria, istupidirsi, stordirsi.
abbaldènte s.f. acquavite → ABBARDÈNTE.
abbaldulàdu agg. divenuto zolla; compatto come zolla. Zolloso.
abbalduladùra s.f. l’atto di diventar zolla.
abbaldulàre rifl. diventar zolla. || da bàldule, bàrdule.
abbalèna s.f. acquerugiola.
abbalèstra s.f. balestra.
abballàdu agg. di fucile cui è rimasta la palla in mezzo alla
canna.
abballànsa s.f. baldanza; coraggio; rincalzo, appoggio.
abballansàdu part. pass. in forza di agg., ben appoggiato.
Incoraggiato, audace. || sp. abalanzado.
abballansàre tr. incoraggiare, per lo più al male; proteggere.
| intr. gloriarsi, vantarsi, imbaldanzirsi. || sp. abalanzar.
abballàre intr. fermarsi la palla in mezzo alla canna dello
schioppo.
abballassàre tr. vantare, invanire → ABBALLANSÀRE.
abballaviàdu agg. irrequieto; scapato; vispo.
abballaviàre tr. far diventare irrequieto, vispo, svagato, dissipato.
abballàviu s.m. irrequietezza, dissipamento.
abballonàdu part. pass. di abballonàre, avvolto, arrotolato.
abballonadùra s.f. arrotolamento.
abballonàre tr. arrotolare, detto di stoffa. Abballonare sas costas
a unu percoterlo di santa ragione. || da balla, ballone rotolo.
abballuccaméntu s.m. stordimento, raggiro; smemorataggine.
abballuccàre rifl. stordirsi, incantarsi, stupirsi.
abbalvattadùra s.f. l’atto, il modo, il tempo di maggesare.
abbalvattàre tr. maggesare.
abbalvàttu avv. Laorare abbalvattu fare il maggese.
abbalzàre tr. solcare il seminato per lo scolo delle acque.
abbàlzu s.m. acquitrino; luogo pozzangheroso. Solco acquaiolo.
abbamàdu agg. unito in branco, di pecore.
abbamadùra s.f. l’unire in branco.
abbamànos s.m. asciugamano. Unu abbamanos bonu (Ms.
Romana). Anche abbamànu.
abbamàre tr. formare il branco, delle pecore → ’ÀMA, BÀMA,
GÀMA.
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abbambagàdu agg. tutto imbevuto di pioggia, di terreno.
abbambagàre rifl. imbeversi di pioggia. Insollire.
abbamèle s.m. idromele. Gomma che stilla da certi alberi,
orichicco → CUCCUMÈLE, MUCCUMÈLE.
abbammànu s.m. asciugamano → ABBAMÀNOS, abbamànu.
abbamòla s.f. Sa gazosa est abbamola (Ruvu). || da abba ’e mola?
abbamòlta s.f. laguna. ▫ abbamòrta.
abbàndha avv. in disparte. Isse es sempre abbandha! non s’accorda con nessuno. | prep. Abbandha dai sos ateros, dai totu, dai
sa cumpagnia. Lassare a unu abbandha chei s’istrazzu, chei s’istrazzu ’ezzu o bruttu considerare uno come uno straccio, come uno
straccio sporco. Abbandha chei s’istrazzu, chei sa busciacca: tue ses
sempr’abbandha chei sa busciacca.|| da bandha.
abbandhàda s.f. allontanamento, isolamento.
abbandhàdu agg. solitario, appartato. Viver abbandhadu.
abbandhadùra s.f. l’atto e lo stato di abbandhàre. Isolamento.
abbandhaméntu s.m. isolamento, separazione, segregazione.
abbandhàre tr. isolare, appartare. | rifl. segregarsi, appartarsi. Anche unirsi in banda, dei malviventi. Il separarsi di due
coniugi → BESSÌRE fora ’e pare, ispiccàresi.
abbandheràdu agg. alto e diritto e bello, come una bandiera.
|| sp. abanderado.
abbandheràre rifl. diventare alto e diritto e bello come una
bandiera, degli uomini e delle piante.
abbandonadamènte avv. con abbandono, senza ritegno. ||
sp. abandonadamente.
abbandonàdu part. pass. in forma d’agg., abbandonato, derelitto, misero. Abbandonadu fina dai sos suos. Abbandonadu dai
sa manu ’e Deu. Abbandonadu dai Deu e dai su mundhu. | In
forma di sost. Deu pensad a sos abbandonados. Su babbu de sos
abbandonados. | Per fanciullo abbandonato dai genitori e allevato dalla carità pubblica. Ricoveru de sos abbandonados.
abbandonàre tr. abbandonare, lasciare del tutto, trascurare.
Abbandonare sa domo, sa familia, sa patria e sa ecclesia; sos piagheres e sos divertimentos; sos vissios; sa via giusta. | rifl. avvilirsi,
scoraggiarsi; essere trascurato; affidarsi. Aggiuami, m’abbandono a tie. Abbandonaresi in manos de Deu, a sa Provvidenzia
mettersi nelle mani di Dio, della Provvidenza.
abbandónu s.m. abbandono. | avv. In abbandonu: essere,
lassare in abbandonu. || lat. barb. abandonum cosa messa al
bando; dall’ant. germ. bann (bannum, bandum).
abbangiagulàda, -adu, -are tr. e rifl. bagnare il culino, dei
bimbi. Si usa però anche estensivamente per le altre parti del
corpo e per i vestiti. Scherzevole, e frequentativo.
abbangiàre tr. e rifl. bagnare.
abbaòga s.f. linfa. ▫ abbaòlga → ABBADÙGGINE ecc.
abbaósu agg. bavoso → BAÓSU.
abbaraddhàdu agg. invaghito.
abbaraddhaméntu s.m. invaghimento.
abbaraddhàre rifl. invaghirsi.
abbaràddhu s.m. invaghimento.
abbaràttu avv. a vil prezzo. Comporare abbarattu ottenere
facilmente, in affari delicati. Bendhere abbarattu o a su barattu concedere facilmente. || sp. barato; celt. bar (?).
abbarbàre intr. abboccarsi → ACCARÀRE. || da barba.
abbarbigàre rifl. abbarbicare.
abbardènte s.f. acquavite.
abbàre tr. annacquare, innaffiare, irrigare; abbeverare. Abbare
su ’inu, sos fiores, s’ortalissia; sas ’arveghes. | Si ses attediadu, ti
l’abbas! se sei adirato, annacqua il tuo vino, sbollirai! Narali
chi si l’abbet! digli che annacqui il suo vino, che prenda la doccia… ecc.
abbariólu s.m. vinello, acquetta → ABBÀDU.
abbarólu s.m. innaffiatoio.
abbaronàda s.f. atto di abbaronàre; appropriazione.
abbasciàre
abbaronadùra s.f. l’atto e il modo di abbaronàre.
abbaronàre tr. ammucchiare la ghiaia. || da barone mucchio.
| rifl. appropriarsi, impadronirsi, usurpare. || da barone signore e… birbante, prepotente.
abbarónu s.m. l’impadronirsi (Ms. Illorai).
abbaròsa s.f. Sa ’ucca in abbarosa ti dias samunare / prim’’e
chircare a mie (C. pop. C. N.).
abbàrra! interiez. sta fermo! Sta a vedere!
abbarràda s.f. l’atto di abbarràre.
abbarradólzu s.m. luogo dove si arrestano i cavalli da corsa;
meta. ▫ abbarradórzu.
abbarradùra s.f. l’atto e il modo di abbarràre.
abbarraghì! interiez. sta a vedere che… Abbarraghì mi ’occo
pro te!
abbarràre tr. fermare, arrestare, spec. dei cavalli. Su caddhu
l’ha leadu sa manu e no l’ha potidu abbarrare. | Chiudere un
possesso (sin. tancare, incresurare, imprunizzare, W.). | intr. fermarsi, restare. Abbarra cun megus a bustare resta con me a
pranzo. Est abbarradu <incantadu> è rimasto incantato. Abbarrare siccu e pistu restar stupito. || sp. barar arrenare (nel primo
significato da barra guancia, bocca: tirare il freno, la briglia).
abbarriadùra avv. strabocchevolmente. B’es su frutture abbarriadura.
abbarrigàda s.f. compressura; l’atto di comprimere.
abbarrigadùra s.f. il modo di comprimere.
abbarrigàre tr. premere, calcare, comprimere.
abbàrru s.m. l’atto di fermare il cavallo, e il luogo dell’arresto.
Meta → ABBARRADÓLZU (-órzu).
abbaruffaméntu s.m. l’abbaruffarsi.
abbaruffàre rifl. far baruffa, litigare.
abbarvàre tr. (Sennori) guidare, accompagnare verso un luogo. T’abbarvo a s’istradone e torro insegus t’accompagno fino alla strada e retrocedo.
abbarvattadùra → ABBALVATTADÙRA.
abbarvattàre → ABBALVATTÀRE.
abbarvàttu → ABBALVÀTTU.
abbarzàre → ABBALZÀRE.
abbàrzu → ABBÀLZU.
abbasànta s.f. acquasanta. Acquerugiola. Una mundhina chi
pariad abbasanta. Fuire ch<e>i su demoniu a s’abbasanta. L’ha
preigadu (fattu) chei s’abba santa (chei sa manu ’e Deu). Fagher
una cosa cun s’abbasanta farla presto e facilmente. Dare s’abbasanta offrire l’acquasanta all’ingresso della chiesa, riferito spec.
agli sposi novelli. Negare s’abbasanta a unu, a una domo, a una
familia non benedir la casa per il Sabato Santo, per punizione.
Gigher s’abbasanta portar in giro il secchiello dell’acqua santa.
Bettare s’abbasanta scongiurare; benedire la casa. A narrer chi
b’han bettadu s’abbasanta, di luogo che è migliorato. Fare una
brevissima visita. Tandho ses vennidu a bettare s’abbasanta. Bettada de abbasanta cosa facile e breve.
abbasantàre tr. benedire le case con l’acquasanta. Aspergere.
abbasantèra s.f. pila o conca per l’acquasanta. Ses istada toccada chei s’abbasantera (C. pop. C. N.).
abbasanterèddha s.f. dim. di abbasantèra, spec. piletta che
si appende a capo del letto.
abbasàttu s.m. scempio, strage. Maltrattamento.
abbasciàda s.f. l’abbassare, il curvare, lo scendere. Discesa.
Ospizio.
abbasciadèddha s.f. dim. abbassatina.
abbasciadùra s.f. abbassatura, curvatura.
abbasciaméntu s.m. abbassamento.
abbasciàre tr. abbassare, chinare. Abbasciare sa conca, sa fronte.
Abbasciare sos corros umiliarsi, d’un superbo. Abbasciare su preju
diminuire. Abbasciare sa ’oghe. Abbasciare su lughinzu ’e su velone scemare la luce, nei lumi a scartoccio. Fagher abbasciare sa
abbàsciu
cogorosta, sos corros, su zèlimu a unu umiliarlo. Chi che l’abbasciat sos chizos a terra (Cossu). | rifl. chinarsi, umiliarsi, degnarsi. No m’abbascio a benner cun tegus… | intr. andar a ospitare →
FALÀRE.
abbàsciu avv. abbasso, giù. | interiez. abbasso!
abbasolàdu agg. che ha i chicchi molto grossi, di grano.
abbasolàre intr. granire prosperamente, metter chicchi grossi come fagioli, del frumento.
abbastàdu agg. ben provvisto. Già ses abbastadu! (iron.) di
uno che ha poco e sciupa.
abbastànte avv. bastantemente, abbastanza. Più comune →
BASTÀNTE.
abbastànzia (tz) avv. abbastanza.
abbastàre intr. bastare. Attendere, servire. Abbastad a totu.
Al neg. non cessare. No abbastad a ndhe narrer bene, male.
abbastonàda, -adu, -are. Pro chi cun isse abbastonet sos ruttos
dai su chelu (Delogu Ibba). E lassalu abbastonadu / peus de
unu molente (Picoi).
abbàstu s.m. sufficienza. Provvista. De abbastu a sufficienza.
Ndh’hapo de abbastu ne ho le tasche piene! finiscila! || sp. abasto.
abbàte s.m. abate. || lat. abbas, sir. abba padre.
abbatìza s.f. → ABBADÙRA. || lat. aquatilia (W.).
abbattàda s.f. lo sbattere. Dà’ un’abbattada a cuss’ou sbatti
un po’ quell’ovo.
abbattadùra s.f. sbattitura, detto d’uova. Atterramento, superamento, detto di nemici, o d’avversari.
abbattàre tr. atterrare, vincere, rendere impotente. | Sbattere,
di uova e simili. | intr. contrattare, pattuire.
abbàttida s.f. pressione; colpo di fortuna; umiliazione.
abbattìdu part. pass. abbattuto. Importunato. Est una domo
abbattida dai sos istranzos, dai sos pedidores.
abbàttidu agg. abbattuto, smarrito, umiliato.
abbattidùra s.f. l’atto di abbattìre. Seccatura.
abbattigàda s.f. calcata. Dà’ un’abbattigada a cussa farina.
Haer una bona abbattigada, di malattie o di rovesci di fortuna. Umiliazione.
abbattigadòra s.f. (m. -e) calcatrice (-tore).
abbattigàdu part. pass. di abbattigàre.
abbattigadùra s.f. calcatura.
abbattigaméntu s.m. calcamento.
abbattigàre tr. calcare, premere, comprimere; opprimere,
umiliare. Pigiare (calcare uvas, Catone).
abbàttigu s.m. compressione, calcamento. Oppressione.
abbattigùmine s.m. come il precedente.
abbattilàdu agg. compresso, di lana, lino e sim. || da battile.
abbattilàre rifl. comprimersi. Custa lana s’es tota abbattilada.
abbattiméntu s.m. abbattimento. || sp. abatimiento.
abbattìre tr. abbattere, opprimere, maltrattare, umiliare. |
rifl. prostrarsi, scoraggiarsi. || sp. abatir.
abbàttos s.m. pl. patti. Più com. bàttos, pàttos.
abbattostàdu agg. che riceve molti disturbi da parte degli
amici e degli ospiti. Domo meda abbattostada.
abbàttu s.m. idromele.
abbàu1 esclam. di beffa, contro un’esagerazione. E abbau! ei
abbau!
abbàu2 s.m. (Goc.) bava.
abbauccàdu agg. incantato, scimunito. Ingannato.
abbauccaméntu s.m. stordimento. Raggiro. Incanto.
abbauccàre tr. ingannare, raggirare. | rifl. incantarsi → ABBALAUCCÀRE.
abbaùggine s.f. idartrosi, bolla acquaiola. Afflusso di bava.
abbaulaméntu s.m. abbaio.
abbaulàre intr. abbaiare. Più com. → BAULÀRE.
abbaunzabbaùnza s.m. Cant’abbaunza abbaunza (G. A.
Cossu).
70
abbaunzàdu agg. e part. pass. intorbidato.
abbaunzadùra s.f. atto di intorbidare.
abbaunzaméntu s.m. intorbidamento.
abbaunzàre tr. intorbidare, sporcare, mantrugiare. Moralmente, offendere nell’onore, nella stima, specialm. di donna.
Più comune → ABBUNZÀRE e deriv.
abbaùnzu s.m. imbrattamento, intorbidamento. Al fig. persona bacata, spregevole, vile. Bae, chi ses un’abbaunzu! va’ che
sei un cencio sozzo! Più com. → ABBÙNZU.
abbazinàdu part. pass. che ha le vertigini. Incantato. Raggirato.
abbazinadùra s.f. vertigine. Incantagione. Raggiro.
abbazinaméntu s.m. l’atto di abbazinàre. Incantamento.
Raggiro. Vertigine → IMBÀDDHINU.
abbazinàre tr. abbacinare; far girar la testa. Affascinare →
IMBADDHINÀRE.
abbàzinu s.m. l’atto e l’effetto di abbacinare. Fascino. Vertigine.
abbebbereccàdu agg. istupidito.
abbebbereccàre rifl. istupidire.
abbeccè s.m. abbicì. No ischire mancu s’abbeccè essere ignorante, illetterato, analfabeta. Più com. → ABBICCIDDÌ.
abbeccedàriu s.m. abbecedario.
abbéccu!? esclam. Storpiatura beffarda e irosa di abbéru!?
davvero!?
abbelàda s.f. l’atto d’incantarsi. Daghi faghet s’abbelada no
l’ischidat su tronu quando s’incanta…
abbelàdu part. pass. incantato.
abbeladùra s.f. l’azione d’incantare. Incanto.
abbelànte agg. affascinante.
abbelàre rifl. incantarsi. Innamorarsi.
abbeleàre rifl. → ABBELÀRE.
abbelenàdu part. pass. livido, di contusione.
abbelenadùra s.f. l’atto d’allividire.
abbelenàre rifl. allividire, di contusioni.
abbellìbbile agg. che si può abbellire.
abbellìda s.f. un po’ d’abbellimento. S’ha dadu un’abbellida.
Dali un’abbellida.
abbellidòre s.m. che abbellisce, orna, abbiglia.
abbellìdu part. pass. abbellito, ornato, parato.
abbellidùra s.f. ornamento, abbellimento. Abbellitura.
abbelliméntu s.m. l’atto e l’effetto di abbellire.
abbellìre tr. abbellire, adornare, parare, abbigliare. | rifl. farsi bello, pararsi, pavoneggiarsi.
abbellittàda s.f. Frequentativo e meno di abbellìda. Ha fattu un’imbellittada s’è un pochino abbellito. | Un po’ d’imbellettamento.
abbellittàdu agg. diventato un pochino bello. | Imbellettato.
abbellittadùra s.f. l’atto di diventar bellino. | Imbellettatura.
abbellittaméntu s.m. imbellettamento.
abbellittàre intr. diventar un pochino bello. | tr. imbellettare.
abbéllu avv. a poco, piano. Andhare a bellu. A bellu a bellu
piano piano. || da a bellu.
abbèlta (a s’~) → ABBÈRTA.
abbeltamènte → ABBERTAMÈNTE.
abbeltigàda, -adu, -adura, -are → ABBERTIG-.
abbeltighittàdu, -are → ABBERTIGHITT-.
abbeltìnu → ABBERTÌNU.
abbéltu → ABBÉRTU.
abbeltudàre → ABBERTUDÀRE.
abbeltùdiu → ABBERTÙDIU.
abbeltùra → ABBERTÙRA.
abbenàre tr. aprire piccoli solchi perché possano scorrere le
acque stagnanti d’un acquitrino. || da vena, bena.
abbengàda s.f. l’atto d’incantarsi. Faghedi s’abbengada, como!
abbengàdu agg. incantato. Sciocco. Maccu abbengadu stupido, folle.
71
abbengalàre rifl. istupidirsi. Incantarsi.
abbengàre rifl. guardare a bocca aperta. Incantarsi. Abbèngadi, fina chi ti ch’intret su ’oe in bucca!
abbéngu s.m. incanto, stupore. Stupidaggine.
abbènta abbènta avv. di gambe mal ferme (W.).
abbentàda s.f. atto d’incantarsi. | Zaffata, colpo di vento. |
Estro. Como l’es vènnida s’abbentada!
abbentadìttu agg. pieghevole. Pianta abbentaditta che si piega.
abbentàdu agg. incantato, istupidito. Piegato, d’albero. Ua
abbentada uva afata, che non matura.
abbentadùra s.f. l’atto e l’effetto di abbentàre. Balordaggine,
inconsideratezza.
abbentàre tr. trastullare, di bimbi. | rifl. trastullarsi. Sbalordirsi. Perdere il tempo. | Piegarsi. | Asciugarsi alquanto, di terreno. | (Ghil.) respirare. || da bentu vento.
abbentinàre tr. osservare il mantello (bentinu) d’un cavallo,
d’un bue. Anche abbintinnàre.
abbentràda1 s.f. scorpacciata. S’ha fattu un’abbentrada de
’asolu.
abbentràda2 avv. col verbo biere, buffare bere senza misura,
a crepapelle. Con mandhigare mangiare, si dice più comunemente a s’ilventrada. | A s’abbentrada: giomper a s’abba a s’abbentrada.
abbentràre rifl. satollarsi. Mangiare a crepapelle.
abbentruscàda s.f. satolla.
abbentruscàre rifl. satollarsi.
abbéntu s.m. trastullo. Cussa criadura cuminzad a leare, a
cumprendher s’abbentu. | Sbalordimento.
abbenzàre tr. osservare i difetti, criticare.
abbenzinàdu agg. (gergo) brillo, alticcio. || da benzina.
abbenzinadùra s.f. lieve imbriacatura.
abbenzinàre rifl. diventare un po’ brillo. A ticcu ticcu s’est
abbenzinadu un gocciolo dopo l’altro…
abbénzu s.m. critica; osservazione; beffa (W.).
abberàre tr. e rifl. avverare.
abberelàdu agg. stupito, a bocca aperta. Più com. → ABBEVELÀDU.
abberelàre rifl. incantarsi, stupirsi.
abberélu s.m. incanto, stupore.
abberenàdu agg. che ha gli incotti (o le vacche) ai polpacci
o alle cosce. Più com. puddherigàdu.
abberéru avv. Rinforzativo di abbéru davvero.
abberidànca s.m. aprire e chiudere ripetutamente. Lassami
cust’abberidanca (abberigunza) smetti codesto noioso aprire e
chiudere. | In forma d’avv. A s’abberidanca, a s’abberigunza,
col verbo istare. Cussa giovana istat sempre cun sa janna a s’abberigunza. ▫ abberitànca, abberigùnza, abbericùnza.
abbèrrere tr. aprire. Abberrere sa janna, su balcone, sa cascia. Assol., la porta di casa. Dagh’iscurigad no abberid a niunu. Abberrer
un’àidu in sa chijura aprire una callaia nella siepe. | Abberrer su
porcu spararlo. Abberrer sa matta a unu sbudellare, sventrare.
Si no caglias t’abbelzo sa matta (sa ’entre) se non taci ti sventro.
Abberrer sa conca spaccare. Abberrer sa conca cun sa zarra. Abberrer s’oju, sos ojos far attenzione. Acquistare malizia. D’un
malato che comincia a star meglio. Coment’istat fizu tou? Custu manzanu had’abbertu s’oju. A cue già bi l’abberis s’oju! Abberrer sas orijas ascoltare. | Abberrer una littera, unu testamentu,
unu paccu. | Abberrer su libberu. | Abberrer s’iscola cominciare. |
Abberrer sa cazza. | Abberrer bucca, sa ’ucca. No abberrer de laras, sas laras a riere. | Abberrer una buttega. | rifl. spaccarsi. Sa
terra, sa melagranada, sa trae, su muru. | De s’aera, de su chelu.
Si l’est abbertu su chelu. | Aprirsi da sé, di porta e di finestra.
S’est abbeltu su balcone e… | Sbocciare, di fiore. | ass. Custa
janna no abberit, no abberit bene.
abbéttiu
abberriàre intr. gridare, urlare.
abberrinàre tr. succhiellinare. Caglia, chi m’abberrinas sa
conca! || da berrina succhiello.
abbèrta s.f. apertura. A sa prima abberta de sa janna appena
appena aperta la porta. Grande ferita. In conca giughiad
un’abberta chi che l’intraiat su punzu. | Un’abberta ’e balcone
un attimo. Sa vida est… | Abberta ’e laras, de ojos: no hat fattu
mal’abberta ’e ojos. | avv. A s’abberta francamente.
abbertamènte avv. apertamente, francamente.
abbertigàda s.f. vergata, battitura con verghe.
abbertigàdu part. pass. battuto con verghe. Indurito come
una verga, legnoso, detto di pollone o d’erba che tallisce.
abbertigadùra s.f. l’atto di vergare. Indurimento.
abbertigàre tr. percotere con verghe, vergare. Bacchiare. |
rifl. indurirsi, del legno.
abbertighittàdu part. pass. percosso con verghette.
abbertighittàre tr. battere con verghette. Bacchiare.
abbertìnu s.m. spianata. Potesi giomper a un’abbertinu (Pis.).
abbértu part. pass. di abbèrrere, aperto. Faeddhat che unu libberu abbertu. Ojos abbertos. A bucca abberta. Mesa abberta ’e
intrada tavola apparecchiata. Daghi l’hapo lassada / mesa abberta ’e intrada / duas mi cheren dare (Cherchi). | s.m. In s’abbertu,
a s’abbertu. In su possessu es pius s’abbertu chi no su cunzadu.
abbertudàda s.f. l’atto di risensare. S’hat dadu un’abbertudada s’è un po’ risensato.
abbertudàre rifl. risensare.
abbertùdiu s.m. ripresa dei sensi.
abbertùra s.f. apertura, in tutti i significati italiani. Abbertura ’e conca, di persona noiosa e molesta. No ses mal’abbertura
’e conca! Anche di chiasso assordante. Abbertura ’e brazzos, de
ancas distanza da mano a mano, da piede a piede, aperte le
braccia e le gambe. | Libertà. B’es su sartu, sa campagna … ue
sas aves / bi tenen tota abbertura (B. Sotgiu).
abbéru avv. davvero. De abberu veramente, seriamente, di
proposito. De abberu ’eru verissimo. In forma d’agg. Omine de
abberu, femina de abberu uomo, donna di senno, di serietà, di
valore.
abberuéru avv. proprio davvero. Specialm. nelle risposte.
De abberu ses nendhe? Abberueru! O so abberueru sonniendhe
(Delogu Ibba).
abberumìa! esclam. davvero! Nelle risposte. No ndh’hapo
nuddha neghe, abberumia! (Cossu).
abbessiàda s.f. qualche abilità di fare alla meno peggio una
cosa. Qualche somiglianza (bessu verso). Su pintore l’ha dadu
un’abbessiada, ma no es propriu simizante. Qualche idea d’una
cosa. Mi ndh’ha dadu un’abbessiada, ma no mi bàstada.
abbessiàdu agg. abile a fare una cosa; corretto nei modi;
cortese. Già ses abbessiadu! (iron.) sei davvero abile! corretto!
abbessiàre tr. correggere, educare. | rifl. riuscire a fare alla
meno peggio una cosa. Abbessiaresi de iscriere, de sa pintura,
de s’aradu ecc. Di strumento, maneggiarlo con qualche abilità. Abbessiaresi de sa pinna, de su marteddhu ecc.
abbéssiu s.m. abilità, disposizione a far qualche cosa.
abbessiùmine s.m. come il precedente.
abbéssu partic. di paragone. Abbessu de foza, de molente. |
avv. a comodo. No so abbessu! Abbessu ’onu, abbessu malu.
abbète s.m. abete.
abbettiàda s.f. ira momentanea. S’ha dadu un’abbettiada, ma
sùbbitu had infrittadu s’è un po’ adirato… | avv. A s’abbettiada iratamente, sdegnosamente.
abbettiàdu agg. e part. pass. adirato, sdegnoso.
abbettiajólu agg. che s’adira facilmente.
abbettiàre tr. far adirare. Su teraccu had abbettiadu sa mere.
| rifl. adirarsi.
abbéttiu s.m. ira, sdegno, corruccio.
abbevelàda
abbevelàda s.f. l’atto d’incantarsi.
abbevelàdu agg. incantato. Istupidito.
abbeveladùra s.f. l’atto e l’effetto d’incantarsi. Incanto.
abbevelaméntu s.m. incantamento.
abbevelàre rifl. incantarsi. Rimanere a bocca aperta.
abbévelu s.m. incanto. Istupidimento.
abbìa prep. verso. Abbia de sa ’iddha, de su monte.
abbiàda s.f. l’atto di avviare e avvivare. S’ortulanu ha dadu
un’abbiada a su tùrgalu, a su trogliu l’ortolano ha un po’ avviato il rigagnolo. Sa fiama s’ha dadu un’abbiada la fiamma s’è un
po’ avvivata. Abbiadeddha (dim.) ravviatina. || da bia via, ’ia
scriminatura; da biu vivo.
abbiadacchì cong. giacché per fortuna. Abbiadu chi l’hamus! fortuna che l’abbiamo! ▫ abbiadughì.
abbiadùra s.f. l’azione di avviare o avvivare.
abbiàre tr. avviare, spec. di rigagnoli. Avvivare. Ravviare i
capelli. | rifl. avvivarsi.
abbiazzàda (tz) s.f. atto di ravvivare o di ravvivarsi. S’ha dadu un’abbiazzada.
abbiazzàre (tz) tr. ravvivare alquanto. | rifl. ravvivarsi alquanto.
abbiàzzu (tz) avv. (Pos.) tra poco.
abbibbiàre tr. osservare, far notare, avvertire.
abbiccappàre avv. faccia a faccia. Si nos abboiamus (incontramus) abbiccappare bi la fatto ’ider eo! || da a biccu appare.
abbicchizàda s.f. idea, capriccio. A una abbicchizada (benner) venir in mente all’improvviso.
abbicciddì s.m. abbicì.
abbicculàre tr. spezzettare.
abbidamènte avv. avvedutamente.
abbidàre tr. dar delle viti in cibo alle bestie. || da bide.
abbiddhiàre tr. colpire dalla brina. || da biddhìa.
abbidemetìdem avv. consapevolmente; accortamente.
abbìdere rifl. accorgersi → ABBIZÀRE.
abbìdida s.f. l’atto di accorgersi.
abbididamènte avv. avvedutamente. Apposta. Di proposito.
abbididuìdidu avv. a bello studio. Consapevolmente.
abbidiméntu s.m. accorgimento.
abbidràdu agg. ridotto come vetro. Invetrito, di occhio.
abbidradùra s.f. l’effetto di abbidràre.
abbidràre rifl. ridursi come vetro. Indurirsi. Invetrire.
àbbidu s.m. abito. Non per vestito comune, ma per quello
dei religiosi, e per la cappa dei confratelli, e per la veste dei cadaveri. No ti ndhe ’aso s’abbidu non ti bacio l’abito, di uno che
si protesta innocente ed è sospettato colpevole d’una mancanza. Es già cosìdu s’abbidu, di uno che è spacciato. Abbidu non
faghet monza.
abbìdu1 s.m. (Barb.) vita, esistenza.
abbìdu2 part. pass. di abbìdere, accorto, avveduto.
abbiénghidu agg. (Nughedu). Ancu sias abbienghidu.
abbìere intr. accorgersi → ABBÌDERE.
abbigàda s.f. l’effetto di abbigàre. S’ha dadu un’abbigada s’è
un po’ sollevato, fisicamente ed economicamente.
abbigàre tr. appoggiare, aiutare. | rifl. ingegnarsi, barcamenarsi, trovar dei rincalzi, dei mezzi per trarsi d’impaccio.
abbigeàttu s.m. abigeato.
abbighèddha s.f. dim. di àbba, acquerugiola.
abbìgu s.m. appoggio, rincalzo. No tenzo abbigu perunu
non ho alcun appoggio.
àbbila s.f. aquila. Più com. → ÀE.
abbilàdu agg. marcato, segnato. Che ha qualche cicatrice
coperta di peli bianchi, di cavallo. | s.m.
abbiladùra s.f. cicatrice coperta di peli bianchi → SÉMU,
TOCCADÙRA, MALÀNDRA.
abbilàndra s.f. fune che si lega al corno (o al muso) e alla
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corrispondente zampa anteriore delle bestie bovine perché
non saltino i muri o le siepi. Anche acchilàndra.
abbilandradùra s.f. l’atto di abbilandràre.
abbilandràre tr. legare con l’abbilàndra.
abbilàre rifl. coprirsi di peli bianchi, di cicatrice delle bestie
equine.
abbilàstru s.m. aquilastro. Anche metaf., d’un ladro. Gighet
sas ungias che un’abbilastru.
àbbile1 s.m. aquila.
àbbile2 agg. abile, atto, idoneo. | s.m. coscritto idoneo. Sos
abbiles occannu sunu meda. Bessire abbile a sa visita esser dichiarato idoneo alla visita militare. Fagher abbile dichiarare
idoneo alla leva. || lat. habilis.
abbilèsa s.f. abilità, sveltezza.
abbilgonzàre → ABBIRGONZÀRE.
abbilidàde s.f. abilità, sveltezza, destrezza, accorgimento. It’abbilidade ch’hasa! (iron.) come sei maldestro! No ischio ch’haìas
cuss’abbilidade non sapevo che fossi così mal accorto. || lat. habilitas.
abbilidadósu agg. che ha molta abilità. Che si sa ingegnare,
che si trae d’impaccio abilmente. Che riesce facilmente in
vari mestieri.
abbilìnu agg. aquilino, specialm. di voce, di grido.
abbilitàre tr. e rifl. abilitare. | rifl. riuscire. Abbilitaresi de
una cosa riuscire in una cosa.
abbilitasciòne s.f. abilitazione. ▫ abbilitassiòne, abbilitaziòne (tz).
abbilmènte avv. abilmente.
abbiltudàda → ABBERTUDÀDA.
abbiltudàre → ABBERTUDÀRE.
abbimisonàdu agg. e part. pass. (Goc.) gonfio, tumido,
idropico.
abbimisonàre rifl. gonfiarsi, intumidirsi.
abbinadólzu s.m. bastone con cui si gira il maschio del torchio a mano. ▫ abbinadórzu.
abbinàdu agg. avvinato, di botte. Avvinazzato, di persona
brilla.
abbinadùra s.f. l’atto e l’effetto di avvinare.
abbinaméntu s.m. avvinamento.
abbinàre tr. e rifl. avvinare le botti. Avvinazzarsi.
abbinattadùra s.f. l’atto di abbinattàre.
abbinattàre tr. mescolare con vinaccia. Dar della vinaccia
da mangiare alle bestie.
abbinazzàre (tz) rifl. avvinazzarsi.
abbindhulàre tr. abbindolare.
abbintinnàre → ABBENTINÀRE.
abbinzàdu agg. che possiede molte vigne.
abbinzàre intr. possedere delle vigne.
abbioràre tr. e rifl. ravvivare → ABBIVÀRE.
abbirgonzàda s.f. l’atto di svergognare.
abbirgonzàdu part. pass. vergognoso; che è stato svergognato.
abbirgonzàre tr. svergognare. M’had abbirgonzadu in piatta.
| rifl. vergognarsi, sentir vergogna → ISVIRGONZÀRE, meno
comune.
abbirrubbàu avv. di qua e di là. Andhare a abbirrubbau.
abbisàbbis agg. sugoso, acquoso. || da abba.
abbisabbìsa s.f. indovinello.
abbisàda s.f. un po’ di penetrazione. L’atto di avvistare.
abbisàdu agg. indovinato. Suggerito. Persone abbisada scaltrita, ingegnosa, assennata.
abbisadùra s.f. suggerimento. L’atto d’indovinare, d’avvistare.
abbisàre tr. suggerire. Inventare, penetrare, indovinare. Avvistare.
abbisciàda s.f. acquazzone. Rovescio.
abbisciàdu agg. bagnato, immollato, di terreno.
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abbisciadùra s.f. l’atto e l’effetto di abbisciàre.
abbisciàre intr. piovere a rovescio, diluviare. | tr. bagnare,
inzuppare. Al fig. Abbisciare su logu cun sa zarra intronare gli
orecchi di tutti.
abbìsciu s.m. diluvio. Rovescio. Abisso. || lat. abyssus, gr.
(ábyssos) a[bussoı.
abbiscottàdu agg. biscottato, di pane.
abbiscottàre tr. biscottare.
abbisèra avv. col verbo fagher svergognare, svillaneggiare.
Anche rifl. diventare ridicolo. Sporcarsi, imbrattarsi.
abbiséstru avv. Fagher a bisestru rovinare, malmenare.
abbisonzàdu agg. bisognoso.
abbisonzàre intr. bisognare, aver bisogno.
abbissàdu agg. inabissato, sprofondato.
abbissàre tr. e rifl. inabissare, sprofondare.
abbìssi cong. se; nelle domande indirette. Narali, preguntalu
abbissi bi ndh’hàda digli se ce n’è. ▫ a bìder si.
abbistàda s.f. l’atto di abbistàre.
abbistàre tr. avvistare. | rifl. accorgersi, riscotersi, ridestarsi.
abbistidùdine s.f. accortezza, svegliatezza.
abbìstu agg. accorto, sveglio di mente, astuto. Che ha ancora i sensi, di malato.
abbìsu avv. pare. In fine d’un asserto, conferma. Nachi es
mortu fulanu. Abbisu.
abbìsu chi avv. forse, forse che; nelle interrogative. Abbisughì mi crês maccu? forse mi credi matto? Abbisu chi fit isse, su
ladru forse, scommetto, c’è da pensare che era lui, il ladro. ▫
abbisughì.
abbisuméu avv. rinforz. di abbìsu, mi pare. Custa, abbisumeu,
es faula. Si usa in fine d’un asserto come abbisu. Abbisumeu chi
o abbisumeughì. Anche abbisughì.
abbitàbbile agg. abitabile.
abbitàda s.f. l’atto di abitare. Dimora.
abbitadòre s.m. che abita.
abbitàdu s.m. abitato, popolato, villaggio.
abbitànte part. pres. di abitare. | sost. abitante.
abbitànzia (tz) s.f. abitazione, dimora, come atto. Fagher
abbitanzia in unu logu frequentare, bazzicare.
abbitàre intr. dimorare, frequentare, bazzicare. Chi’ abbitad
in zittade, su chi be’’idet faghet. Narami cun chi’ abbìtas e t’hap’a narrer chie ses. Fulanu abbitat meda in sa ’e fulana. Abbitat
meda a cheja, a su zilleri. Abbitad in una domitta ruendhe. |
Raramente tr. Abbitad unu palatteddhu. Meglio in.
abbitasciòne s.f. abitazione. Frequenza in un luogo. Pedru
faghed abbitascione in sa tale domo. ▫ abbitassiòne, abbitaziòne (tz).
abbìte partic. interrog. diretta e indiretta, perché. || lat. ad quid?
abbitriàda s.f. Corruz. di → ARBITRIÀDA.
abbìtriu s.m. Corruz. di → ARBÌTRIU.
abbìtta s.f. dim. di àbba, acquerugiola, pioggerella.
abbìtu s.m. dimora, abitazione come atto o stato. Cussas naes
isfozidas / sun abbitu de istrias (An.). Fagher, tenner, haer abbitu dimorare, frequentare. S’anima chi no tenet como abbitu
(Caddeo). Ue solides fagher sos abbitos (P. Cherchi). Chi faghides abbitu in sas aèras che abitate nell’aria (Mele). Solu in sas
roccas hap’haer abbitu (Pilucca).
àbbitu s.m. disposizione, inclinazione. Abitudine. Abbitu
’onu e abbitu malu. Andharesiche a s’abbitu lasciarsi trarre dall’abitudine.
abbituàda s.f. l’atto d’abituarsi. Ben’hapat s’abbituada chi s’ha
fattu a cussa domo.
abbituàdu agg. e part. pass. abituato, avvezzo. Abbituadu
male o → MALABBITUÀDU.
abbituàle agg. abituale.
abbitualmènte avv. abitualmente.
abboghinàre
abbituàre tr. e rifl. abituare, avvezzare.
abbitudinàriu s.m. che ricade spesso negli stessi peccati.
abbitùdine s.f. abitudine. Consuetudine.
abbiùra s.f. abiura.
abbiuràre tr. e ass. abiurare.
abbivàda s.f. l’atto di avvivare e di ravvivarsi.
abbivàre tr. e rifl. avvivare; ravvivarsi, ridestarsi.
abbizabbòja (a s’~) avv. a momenti opportuni. Hap’a benner a ti servire a s’abbizabboja verrò a servirti quando potrò e
sarà opportuno. Spesso, ma fuggevolmente.
abbizàda s.f. l’atto di accorgersi, svegliarsi. A s’abbizada alla
sveglia.
abbizàre tr. svegliare. Abbiza su teraccu, ch’est ora ’e ’essire sveglia il servo, ch’è già ora d’andare al lavoro. | rifl. accorgersi di
una cosa. Acquistare l’uso della ragione. Dai candho mi so abbizadu. Anche rinsavire. Prima fit malandrinu, fit perdidu de
su visciu, ma como s’est abbizadu. Biadu a chie s’abbizad a tempus. No s’abbizat de su male sou. Di malato che ha perduto i
sensi, si dice chi no s’abbizat. Anche moralmente quando uno
non è conscio della propria bassezza. | A ti ndh’abbizas!
(esclam. di maraviglia) vedi un po’! | ass. Abbizaresi e abbizaresindhe svegliarsi. Mi ndhe so abbizadu, mi so abbizadu tardu.
| Anche tr. abbizamindhe chito svegliami.
abbizèffa avv. a bizzeffe.
abbìzu1 s.m. avvedutezza, assennatezza.
abbìzu2 agg. avveduto, attento. Tene s’oju abbizu sta attento.
Deo chi hapo mente abbiza (Murenu). Femina pagu abbiza
donna poco accorta. Desto. Ovvero s’isto abbizu (An.).
abbìzu3 avv. soltanto, appena. Mi ndh’ha dadu abbizu duos
o duos abbizu. Più com. → ADDÌZU.
abbizzàda (tz), -adu, -are → IMBIZZÀDA ecc. S’isse l’ha d’usu
e si b’est abbizzadu… (Pilucca). Da ch’est istada sa figu cumprida / e unu colvu si b’est abbizzadu (Mannai).
abblacàda s.f. l’atto di placare o placarsi.
abblacàre tr. e rifl. placare e placarsi. Anche del vento, del
mare; dell’ira.
abblandhàda s.f. l’atto di calmare o calmarsi.
abblandhàdu agg. e part. pass. calmato, blando.
abblandhadùra s.f. blandimento. L’atto d’ammansire.
abblandhaméntu s.m. blandimento. || sp. ablandamiento.
abblandhàre tr. e rifl. placare, calmare, ammansire. | intr.
Tandho den abblandare / ogni pena, ogni dolu, ogni dolore
(An.). || sp. ablandar.
abblàndhu s.m. blandizie. Placamento.
abbobboroddhàdu agg. dal ventre gonfio, corpacciuto.
abboddhettàda s.f. l’atto di abboddhettàre. Punt’ha fattu
s’abboddhettada.
abboddhettàre intr. prosperare, crescere precocemente, spec.
di piante.
abboddhéttu s.m. crescenza, sviluppo precoce; rigoglio. |
avv. a proposito, propizio.
abbóddhu s.m. danno, mancanza. Tot’est abboddhu pro sa
domo mia (An.).
abboentàde s.f. volontà. O abboentades malas (Zozzò).
abboffettàda s.f. l’atto e l’effetto di schiaffeggiare; dose di
schiaffi.
abboffettàre tr. schiaffeggiare. || sp. abofetear.
abboghiàda s.f. chiamata. L’atto di chiamare. Gridata.
abboghiaméntu s.m. chiamate ripetute. Lassami s’abboghiamentu. Chiasso.
abboghiàre tr. chiamare. | intr. gridare, schiamazzare. Predicare. Abboghiare a su ’entu predicare invano.
abboghinàda → ABBOGHIÀDA.
abboghinadòre s.m. urlone, chiacchierone.
abboghinàre → ABBOGHIÀRE.
abbóghinu
abbóghinu s.m. vocio, gridio, schiamazzo, chiasso.
abbógu s.m. scroscio di pioggia, acquazzone. Abbondanza.
abbòja1 s.f. incontro, appuntamento. Più com. → ABBÓJU.
abbòja2 prep. incontro. | avv. A s’abboja.
abbojàda s.f. incontro. L’atto d’incontrarsi.
abbojadùra s.f. l’azione d’incontrarsi. Incontro.
abbojaméntu s.m. incontro.
abbojàre tr. incontrare. Ricevere con onore. Abbojare su piscamu. Abbojare sos filos legare. | rifl. incontrarsi. Abbojare
appare unire. | ass. trovarsi per appuntamento. Abboja a sa
traversa a tal’ora trovati a tal ora al bivio. Sos tales abbojan a
domo de fulana (per fini non buoni). Già si sun abbojados! |
Rimare. No abbojad allogu!
abbóju s.m. incontro. Appuntamento. Fagher abboju. Andhare
a s’abboju. Bessire in abboju de unu andar incontro a uno, per
riceverlo. Ricevimento solenne. S’abboju de su prefetto. | Rima.
No had abboju perunu.
abboldàre → ABBORDÀRE.
abbóldu → ABBÓRDU.
abbolicosamènte avv. diabolicamente.
abbolicósu agg. diabolico.
abbólicu agg. diabolico.
abbolìre tr. abolire.
abbolisciòne s.f. abolizione. ▫ abbolissiòne, abboliziòne (tz).
abbolojàda s.f. l’atto di abbolojàre. Confusione, arruffio.
abbolojadòre s.m. mettimale, mettiscandali.
abbolojadùra s.f. l’atto e l’effetto di abbolojàre. Intrico.
abbolojàre tr. intricare, confondere, arruffare. | rifl.
abbolottàda s.f. atto di abbolottàre. Turbamento, confusione,
agitazione.
abbolottadòre s.m. che provoca al tumulto, alla ribellione.
Accollu in manu / cuddh’abbolottadore notte e die! (Fr. Satta).
abbolottàdu agg. turbato, agitato, confuso, esasperato. Biddha abbolottada villaggio in tumulto, in sommossa.
abbolottadùra s.f. l’atto e l’effetto di agitare. Agitazione.
abbolottàre tr. agitare, mettere in tumulto, eccitare alla discordia, turbare. | rifl. turbarsi, agitarsi, confondersi. | ass. tumultuare. Rumoreggiare. || sp. alborotar.
abbolottéri s.m. urlone. Mettimale. Seminator di discordie.
Provocatore. Accattabrighe.
abbolottósu agg. e s.m. chi cerca o causa o fa chiasso, tumulto, provocazione, turbamento.
abbolóttu s.m. rumore, tumulto, discordia, agitazione, turbamento. Lassami s’abbolottu smetti le grida, le chiacchiere.
In abbolottu in confusione, in tumulto, in discordia. Abbolottu mannu, nieddhu, fieru. Fagher abbolottu schiassare, protestare. Minter abbolottu seminar discordie. || sp. alboroto.
abbòltas avv. talora, a volte. Abboltas ried abboltas pianghet.
abbominàbbile agg. abominabile, odioso.
abbominadòra s.f. (m. -e) che abomina.
abbominàdu agg. odioso, odiato.
abbominàndu agg. abominando.
abbominàre tr. abominare. Sa chi dispressio, detesto, abbomìno (An.).
abbominasciòne s.f. abominazione. ▫ abbominassiòne, abbominaziòne (tz).
abbomìniu s.m. abominio.
abbominósu agg. odioso, abominabile.
abbonacciàda s.f. l’atto di abbonacciare. Abbonacciamento.
abbonacciadùra s.f. l’azione e l’effetto di abbonacciare.
abbonacciaméntu s.m. [→ ABBONACCIADÙRA].
abbonacciàre tr. abbonacciare, calmare. | rifl. rappaciarsi.
abbonadòre s.m. pacificatore.
abbonàdu s.m. abbonato. | part. pass. e agg. pacificato, calmato.
abbonaméntu s.m. abbonamento. | Pacificazione. | Bonificamento.
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abbonàre tr. abbonare. Approvare, accettare. Pacificare, calmare. Faghizis prestu abbonare / su tempus calamitosu (Gos.
250). | rifl. abbonarsi. | Far le paci. Ti l’abbono! concedo, son
con te, son d’accordo.
abbònas avv. alle buone. | Torrar’abbonas, più com. a sa bona
rappaciarsi.
abbonazzàdu (tz) part. pass. abbonacciato.
abbonazzaméntu (tz) s.m. abbonacciamento.
abbonazzàre (tz) tr. e rifl. abbonacciare.
abboniàda s.f. miglioramento.
abboniadùra s.f. l’azione di migliorare. Pacificazione.
abboniaméntu s.m. miglioramento.
abboniàre tr. migliorare. | Difendere, scusare una mancanza.
No l’abbonies, chi tantu no ti creo. | rifl. rappattumarsi.
abbonissòro → ABBONUSÓU.
abbóniu s.m. bonificamento; miglioramento. Difesa, scusa.
| Rappaciamento.
abbónu1 s.m. malleveria. || sp. abono.
abbónu2 con l’aggettivo possessivo meu, tou, sou, nostru,
’ostru, issoro, Dio volesse che! || lat. utinam!
abbonusóu avv. a sé. Lassare abbonu sou lasciar libero; abbandonare. | Anche in forma d’agg. invariabile. Est unu fizu,
una fiza abbonusou abbandonati. In questo caso al pl. diventa
abbonissòro. Sos iscolanos de cussu mastru sun tot’abbonissoro.
abbónzu s.m. l’atto d’innaffiare. Innaffiamento.
abbordàre tr. abbordare, affrontare.
abbórdu s.m. abbordo.
abborrèschere tr. aborrire.
abborréschida s.f. aborrimento.
abborréschidu part. pass. aborrito.
abborrèssere tr. aborrire. || sp. aborrecer.
abborressìdu part. pass. aborrito. || sp. aborrecido.
abborressiméntu s.m. aborrimento. || sp. aborrecimiento.
abborriàre intr. ragliare, urlare. Più com. → ORRIÀRE.
abborrìdu agg. aborrito.
abborrigàda s.f. errore, strafalcione.
abborrighinàre intr. muggire, mugghiare.
abborriméntu s.m. aborrimento.
abbosidàde s.f. acquosità.
abbósu agg. acquoso. Sugoso, di frutta.
abbovàda s.f. l’atto d’incantare.
abbovàdu agg. e part. pass. incantato. || sp. abobado.
abbovàre tr. incantare, lusingare. | rifl. incantarsi, invaghirsi,
struggersi. Abbovaresi de una cosa: s’’ides cussa pianta ti ndh’abbovas (Murenu). || sp. abobar.
abbozàda (tz) s.f. abbozzata. [ Pron.: oggi -tz-, Casu probm.
-dz-.]
abbozadùra (tz) s.f. abbozzatura. [ Pron.: oggi -tz-, Casu
probm. -dz-.]
abbozàre (tz) tr. abbozzare. [ Pron.: oggi -tz-, Casu probm.
-dz-.] | rifl. (pron.: dz) invogliarsi. Più com. → IMBOZÀRE.
abbózu (tz) s.m. abbozzo. [ Pron.: oggi -tz-, Casu probm.
-dz-.]
abbracàda s.f. il placarsi o calmarsi.
abbracàre → ABBLACÀRE.
abbragàre tr. allacciare i calzoni con le corregge. | rifl. ass.
Abbràgadi, e caglia! legati i calzoni e taci! || da braga.
abbrajàre intr. divenir brace.
abbramìda (a s’~) avv. bramosamente, golosamente. Mandhighare a s’abbramida.
abbramìdu agg. bramoso, goloso. Tribagliare abbramidu
con lena.
abbramidùra s.f. brama, ingordigia. Fregola, uzzolo.
abbramìre tr. bramare.
abbrancàda s.f. l’atto di abbrancare.
abbrancadùra s.f. l’azione e l’effetto di abbrancare.
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abbrancàre tr. abbrancare, aggranfiare, afferrare.
abbranchiàre tr. grancire.
abbraulàdu agg. sparso per terra a stroscia o guazzo, di liquido.
abbrauladùra s.f. l’atto e l’effetto di spargersi a stroscia.
abbraulàre tr. coprire di strosce (il pavimento, la tavola ecc.).
| rifl. diffondersi in strosce.
abbrazzàda (tz) s.f. abbracciata.
abbrazzadùra (tz) s.f. abbracciatura.
abbrazzàre (tz) tr. abbracciare. | ass. fidanzarsi. Istanotte abbrazzan Giuanne e Maria Giovanni e Maria si fidanzano stasera. | rifl. abbracciarsi.
abbrazzètta (tz) avv. a braccetto. Più com. → a sa BRAZZÈTTA.
abbràzzos (tz) avv. in braccio. Leare, gighere, portare abbrazzos: sa tadaja gighet sa criadura abbrazzos. Su piseddhu est
istraccu, lealu abbrazzos.
abbràzzu (tz) s.m. abbraccio. | Fidanzamento.
abbreddhulàdu agg. sventato, frugolo, giocarellone.
abbréddhulu s.m. trastullo, ninnolo. Aggeggio.
abbrembàda s.f. l’atto di rassomigliare, avvistare.
abbrembàre tr. rassomigliare. Confrontare. Conoscere ai lineamenti. | rifl. somigliare.
abbrémbu s.m. somiglianza; confronto. A s’abbrembu: connoscher a s’abbrembu conoscere osservando le fattezze ataviche, il viso, il tipo.
abbrengulàre tr. trastullare, carezzare. | rifl. || forse da berlengare (Pred. volg. ined. di S. Bernard. d. S., I, p. 173).
abbréngulu s.m. trastullo, carezza. Cussa criadura leat s’abbrengulu quel bimbo è già sensibile alle carezze, al trastullo.
abbrentàre rifl. Corruz. di ammentàre. Si dice per dileggio
o per ira. Abbrentadi comente fisti candho ses intradu in domo.
abbreviàda s.f. l’atto di abbreviare. A s’abbreviada in breve,
abbreviatamente.
abbreviàdu agg. abbreviato. In abbreviadu brevemente.
Narrer in abbreviadu alla spiccia. Iscrier in abbreviadu con
abbreviatura.
abbreviadùra s.f. abbreviatura.
abbreviàre tr. abbreviare, accorciare, di strada, di cammino.
| Abbreviarela finirla. Abbreviala, e beni! finiscila, smettila e
vieni! | intr. Abbrevia! orsù, affrèttati, cammina, ecc.
abbreviasciòne s.f. abbreviazione, accorciamento. Abbreviatura. ▫ abbreviassiòne, abbreviaziòne (tz).
abbréviu s.m. abbreviamento.
abbrìgu s.m. riparo (W.).
abbrindàre tr. carezzare, stimare, adulare. Più com. → BRINDÀRE.
abbroàre rifl. diventar barlaccio, dell’uovo. Anche di uno
scimunito si dice: gighet sa conca abbroada, su chelveddhu abbroadu o sos cherveddhos abbroados ha la testa, il cervello come le ova barlacce.
abbroccàre tr. seminare col cavicchio. || da broccu, roccu (W.).
abbrocculàre rifl. tallire o aggrumolarsi, di certe piante erbacee.
abbrontàda s.f. l’atto di diguazzare, spargere un liquido.
abbrontadùra s.f. diguazzamento.
abbrontàre tr. diguazzare, spargere un liquido per terra in
modo che formi delle strosce.
abbrujulàre tr. bruciacchiare.
abbruncàda s.f. l’atto di urtare, o comporre i tizzi o bronconi sul focolare. Dà’ un’abbruncada a cussos tittones ricomponi
un po’ quei bronconi → IRRUNCÀDA.
abbruncàdu agg. e part. pass. urtato, ricomposto. Fogu abbruncadu legna ricomposta.
abbruncadùra s.f. l’azione e l’effetto di urtare, o ricomporre
le legna sul focolare. Attizzamento. Anche irruncadùra.
abbruncàre tr. urtare, investire, percotere. Anche semplice-
abbudronàda
mente toccare (delle ferite) e cagionar dolore. | Ricomporre i
bronchi o tizzi sul focolare, del fuoco. | Al fig. ammassare,
assembrare. Anche irruncàre.
abbrunchiàre per abbruncàre, meno comune.
abbrùnchidu s.m. urto, ostacolo.
abbrunciàda, -are urtare. A dogni pedra abbrùnciada (A. Sp.)
→ IMBRUNCI-.
abbrunconàre tr. attizzare, ricomporre i bronconi sul focolare. | rifl. gonfiarsi come un bronco, di membro contuso; di
ramo contorto ed ispido.
abbrùncu s.m. impedimento, percossa, urto. | Al fig. ammassamento, assembramento. Abbruncu de zente.
abbrunzàda s.f. l’atto di abbronzare.
abbrunzadùra s.f. abbronzatura.
abbrunzàre tr. abbronzare. | rifl. diventar bronzino.
abbrunzigonàdu (tz) agg. diventato come un bronconaccio.
Gighet su brazzu totu abbrunzigonadu.
abbrunzigonàre (tz) rifl. diventare grosso, gonfio, contorto
come un bronconaccio. Si l’est abbrunzigonada s’anca. || da
brunzigone.
abbrùsca abbrùsca s.m. ripetizione dell’atto di bruciacchiare, abbrustiare. Lassami cust’abbrusca abbrusca e arrusti sa
petta adderettura. | In forma avverbiale. No istes gasi abbrusca
abbrusca, ch’est a pelder su tempus.
abbruscàda s.f. l’atto di abbrustiare.
abbruscadèddha s.f. dim. di abbruscàda.
abbruscadùra s.f. l’azione e l’effetto di abbrustiare.
abbruscàre tr. abbruciacchiare, abbrustiare; cuocere solo alla
superficie, e male.
abbruzzésu (tz) agg. miserabile, pitocco.
abbuàda s.f. covo del cinghiale.
abbuàdu agg. afato. Occulto, nascosto. || da buada covo.
abbuàre rifl. guastarsi per effetto del caldo (afa). Nascondersi nel covo, occultarsi. Su polcrabu s’est abbuadu.
abbubbullicàda s.f. l’atto di gonfiarsi.
abbubbullicadùra s.f. gonfiatura.
abbubbullicàre rifl. gonfiarsi, prodursi d’una galla o vescica
sulla pelle. || da bubbullica galla, vescica.
abbuccàda s.f. l’atto di abboccare. Rimprovero. L’hapo dadu,
fattu una bona abbuccada.
abbuccàdu agg. abboccato. In s’orriu continu est abbuccadu
(An.).
abbuccadùra s.f. abboccatura.
abbuccallottàdu agg. istupidito. So restadu abbuccallottadu.
abbuccallottàre rifl. incantarsi, stupirsi, restare a bocca
aperta. || da buccallotto stupido, scemo.
abbuccaméntu s.m. abboccamento.
abbuccàre tr. abboccare. Redarguire, rimproverare, rintuzzare. Chiudere. Abbuccare un’àidu. | rifl. abboccarsi, trovarsi
insieme.
abbucchiàda s.f. boccata; boccaccia. Più com. → BUCCHIÀDA.
abbucchiàre intr. far le boccacce. Più com. → BUCCHIÀRE.
abbùccu s.m. abboccamento. Imboccamento. Esser a s’abbuccu, di un bimbo la cui madre non ha latte e viene nutrito per
imboccamento. | Rimprovero, rintuzzamento, raffaccio. Proghì no mi fattas cust’abbuccu! non occorre mi rimproveri così!
abbudàdu agg. coperto di biodo. Infoltito.
abbudàre tr. coprire di biodo. | rifl. infoltire, crescere in erba
e non in spiga.
abbuddhàda s.f. scorpacciata. Sdegno, risentimento, broncio.
abbuddhàdu agg. rimpinzato. Risentito, sdegnato, imbroncito.
abbuddhadùra s.f. sazietà, rimpinzamento. Broncio, sdegno.
abbuddhaméntu s.m. malumore, broncio.
abbuddhàre rifl. rimpinzarsi. Imbroncire, permalire.
abbudronàda s.f. aggruppamento.
abbudronàdu
abbudronàdu agg. aggrappolato.
abbudronaméntu s.m. raggruppamento, raccolta; folla.
abbudronàre rifl. formarsi a grappolo (budrone). Aggrappolarsi, raggrupparsi, affollarsi.
abbudulàre rifl. incagliarsi, dell’aratro che rimane impedito
da radici o dal troppo fieno. Si diceva anticamente quando
gli aratri eran di legno. Oggi che gli aratri, grazie a Dio, son
di ferro, non si dice più.
abbuèra s.f. nebbia, foschia; rugiada.
abbueràdu agg. colpito dalla nebbia; rugiadoso.
abbueràre rifl. annebbiarsi, coprirsi di rugiada.
abbùffa avv. in fumo. Gratis; coi verbi di volere, pretendere.
abbuffàre tr. soffiare col soffietto. Abbuffa su fogu! Su carvone
no cheret tènnere, abbuffalu ’ene il carbone non vuole accendersi, soffialo bene. | rifl. per imbuffare (più comune) gonfiarsi.
No t’abbuffes … chi…
abbuffiàre tr. redarguire, rimbrottare, rintuzzare.
abbùffu avv. a credenza. Leare, comporare ecc.
abbùgna avv. nella frase esser abbugna esser tutto bagnato.
abbugnàdu part. pass. bagnato.
abbugnàre tr. bagnare. Poco comune. | Mettere nel bugno.
Più com. imbugnàre, → IMBUNGIÀRE. || da bugnu, bungiu.
abbujàdu agg. abbuiato, rabbuiato.
abbujàre tr. oscurare. | rifl. oscurarsi, rabbuiarsi.
abbùla avv. alla gola. Cun s’abba abbula con l’acqua alla gola. Ponner sa fune abbula (metaf.) dominare, rendere schiavo,
seviziare. | Abbula ses de mandhigare! mangi troppo frequentemente! | Ndh’hapo fin’abbula, como bàstada basta, ne son pieno fino agli occhi!
abbulfuddhàdu, -are → ABBURVUDDHÀDU, -ÀRE.
abbulfùddhu → ABBURVÙDDHU.
abbulizàda s.f. mescolata.
abbulizàdu agg. mescolato, di varie specie.
abbulizadùra s.f. l’atto e l’effetto di mescolare. Cose mescolate.
abbulizappàre avv. confusamente, mescolatamente.
abbulizàre tr. mescolare. Abbulizare faes e basolos accozzare
nel discorso idee disparate. Abbulizare a unu in unu dellittu,
in unu fattu, in una chistione ecc. crederlo, accusarlo come
complice. Che lu sun abbulizendhe in sa morte de fulanu. | rifl.
unirsi in compagnia, trattare. Su riccu no s’abbulizat cun sos
poveros. Anche rappacciarsi. Innanti fin totu contrarios, como
si sun totu abbulizados. Qualche volta si rinforza con l’avverbio appare a vicenda, insieme. Sun totu abbulizados appare
contr’a mie son tutti collegati contro di me.
abbulìzu1 s.m. miscuglio. Rimescolio.
abbulìzu2 avv. mescolatamente, confusamente. Insieme. Los
ha postos totu abbulizu li ha messi tutti insieme confusamente.
abbulìzu3 prep. con, in mezzo, insieme con. Ch’ha bettadu
s’orzu abbulizu a su trigu ha gettato l’orzo in mezzo al grano.
Fizu meu, no andhes mai abbulizu a sos malos. Sos omines, in
cheja, no deven istare abbulizu a sas feminas.
abbullonàda s.f. l’atto di ammaccare.
abbullonàdu agg. ammaccato, schiacciato, contuso.
abbullonadùra s.f. ammaccatura.
abbullonàre tr. ammaccare, contundere, schiacciare.
abbulottàda, -adore, -adu, -adura, -are, -eri, -osu, -u → ABBOLOTT-.
abbulunzàda, -adore, -adu, -adura, -amentu, -are → ABBULUZ-.
abbuluttàre tr. (Bitti) imbrogliare, confondere, raggirare.
abbuluzàda s.f. l’atto di intorbidare.
abbuluzadòra s.f. (m. -e) che intorbida.
abbuluzàdu agg. e part. pass. intorbidato. Torbido. Nauseato.
Anche metaf.
abbuluzadùra s.f. l’atto e l’effetto di intorbidare. Nausea,
sconvolgimento di stomaco. Rimescolamento.
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abbuluzaméntu s.m. intorbidamento. Abbuluzamentu de
istogomo, anche in senso traslato. Cuss’omine est unu veru abbuluzamentu de istogomo.
abbuluzàre tr. intorbidare, sconvolgere, dello stomaco. |
rifl. intorbidarsi, sconvolgersi. | Più com. buluzàre e deriv.
abbulùzu s.m. intorbidamento, sconvolgimento.
abbulvaràdu, -are → ABBURVUR-.
abbulvàri → BULVÀRES.
abbulvuddhàda, -adu, -adura, -are, -u → ABBURVUDDH-.
abbulzàda (tz) s.f. tastata di polso. | Al fig. grande perdita o
spesa. Haer una bella abbulzada. Dare una bella abbulzada.
Abbulzadeddha (dim.) tastatina di polso, al fig.
abbulzàdu (tz) part. pass. di abbulzàre, gonfio, di braccio o
di gamba o di estremità.
abbulzadùra (tz) s.f. l’atto di tastare il polso. Gonfiatura.
abbulzàre (tz) tr. tastare il polso. Infliggere una bella mercede, detto spec. dei medici. Su dottore l’had abbulzadu ’ene! il
dottore gli ha tastato bene il polso! | rifl. gonfiarsi → BÙLZU
polso. || dal ladino abulzar.
abbulzeddhàda (tz) s.f. dim. di abbulzàda, nel senso di gonfiezza.
abbulzeddhàdu (tz) agg. gonfio → ABBULZÀDU.
abbulzeddhadùra (tz) s.f. gonfiatura.
abbulzeddhàre (tz) rifl. gonfiarsi. || da bulzeddhu.
abbulzonàdu (tz) agg. bitorzoluto; gonfio.
abbulzonàre (tz) rifl. gonfiarsi, diventar bernoccoluto.
abbumbàda s.f. bevuta, imbriacatura.
abbumbàdu agg. brillo, ubbriaco.
abbumbadùra s.f. imbriacatura.
abbumbàre rifl. ubbriacarsi. Più com. → BUMBÀRE.
abbùmbu s.m. bevanda, spec. vino. Lo stesso bere, e il vizio
di bere. S’abbumbu es chi l’arruìnada. Più com. → BÙMBU.
Voce puerile e scherzevole.
abbundhàda s.f. l’atto d’abbundhàre.
abbundhànte agg. abbondante. Tres metros abbundhantes. ||
sp. abundante.
abbundhantemènte avv. abbondantemente.
abbundhànzia (tz) s.f. abbondanza, ricchezza, benessere. ||
sp. abundancia.
abbundhanziósu (tz) agg. abbondante, ricco.
abbundhàre intr. abbondare. || sp. abundar.
abbunzàda s.f. l’atto di sporcare, macchiare.
abbunzàdu agg. sporcato, macchiato.
abbunzadùra s.f. l’azione e l’effetto di macchiare, sporcare.
abbunzàre tr. macchiare, sporcare, intorbidare. Anche al
fig. | rifl. macchiarsi, spec. al fig.
abbunzósu agg. sporcaccione. Disonesto.
abbùnzu s.m. sporcizia, macchia. Spec. al fig. Ses s’abbunzu
de sa familia sei il disonore, la vergogna, la macchia della famiglia. | Anche le reste della spiga. Abbunzos de s’ispiga.
abburàda s.f. bruciata.
abburàdu agg. bruciato.
abburàre tr. bruciare. Abburat, iscolorit e guastat (Muroni)
→ BÙRA. || lat. aburare, sp. aburar.
abburdonàre rifl. raggrupparsi → ABBUDRONÀRE.
abburinàda, -adore, -adu, -adura, -are → BURIN-.
abburràre e deriv. immergere. Intro boche had abburradu
(Delogu Ibba, Gos., p. 155) → ABBURRIG-.
abburriccàdu agg. diventato asino, buricco. Al fig.
abburriccàre rifl. diventar asino, buricco. Al fig.
abburrìda s.f. l’atto di aborrire, disprezzare, avvilire.
abburrìdu agg. aborrito, spregiato, abbandonato, scansato.
abburridùra s.f. l’atto e l’effetto di aborrire, scansare, sprezzare.
abburrigàda s.f. l’atto di immergere.
abburrigàdu part. pass. immerso nell’acqua.
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abburrigadùra s.f. immersione.
abburrigaméntu s.m. attuffamento, immergimento.
abburrigàre tr. immergere, attuffare. | rifl. tuffarsi. Abburrigaresi in s’abba, in su ludu tuffarsi nell’acqua, sprofondarsi
nel fango.
abburriméntu s.m. aborrimento, disprezzo, orrore.
abburrìre tr. aborrire, sprezzare, scansare, evitare, odiare.
Abburrire su peccadu. Avvilire. Abburrire sa familia, su partidu, sa cumpagnia. | rifl. perdersi, macchiarsi, diventare oggetto d’aborrimento, avvilirsi, disonorarsi. Cun cuss’azione
fulanu s’est abburridu. || sp. aburrir, it. aborrire.
abburruntàda s.f. rimprovero.
abburruntadùra s.f. l’atto di rimproverare. Rimprovero.
abburruntàre tr. rimproverare.
abburrusciàda, -adu, -are → ABBURRUSCÌDA* ecc. || sp. aburujar.
abburruscìdu agg. aborrito, avvilito, disonorato.
abburrusciméntu s.m. aborrimento, avvilimento, disonore.
abburruscìre tr. aborrire, avvilire, disonorare. | rifl. avvilirsi,
disonorarsi, abbrutirsi.
abburvaràda, -adu, -adura, -are → ABBURVUR-.
abburvuddhàda s.f. l’atto di gonfiarsi; gonfiata.
abburvuddhàdu agg. gonfio, imbronciato, risentito.
abburvuddhadùra s.f. l’atto e l’effetto di gonfiarsi, impermalirsi, imbronciarsi. Broncio. Daghi li passat s’abburvuddhadura l’hap’a faeddhare.
abburvuddhaméntu s.m. broncio.
abburvuddhàre rifl. risentirsi, imbronciarsi, gonfiarsi.
abburvùddhu s.m. gonfiezza. | Broncio, risentimento. | avv.
L’han incontradu abburvuddhu l’han trovato morto, già gonfio (W.).
abburvuràda s.f. l’atto di ridursi in polvere.
abburvuràdu agg. ridotto in polvere. Afato. Del color della
polvere da sparo.
abburvuradùra s.f. l’atto e l’effetto di ridursi in polvere.
abburvuràre rifl. polverizzarsi. Essere danneggiato dalla nebbia o dall’afa o dal carbone (Ustilago carbo), del grano → ACCHICCONÀRE, INTEGHÌRE. | Diventare del color della polvere
da sparo per ira o per forte passione. Pariad abburvuradu!
abbusàre intr. abusare. Nascondere (Goc.). Anche tr. Sempr’abbusendhe sa leze de Cristos (An.). | rifl. abusarsi. Nascondersi (Goc). De una femina, violentarla. De un’animale,
commettere bestialità. De sas carres suas, masturbarsi. | tr.
trasgredire. S’ebreu abbusat sa divina legge (Dore).
abbuscàdu agg. (Aidom.) imboschito.
abbusciàda s.f. l’atto d’irrigare.
abbusciàdu agg. inzuppato, sollo.
abbusciadùra s.f. irrigamento. Inzuppamento.
abbusciàre tr. irrigare, immollare. Più com. → ABBISCIÀRE.
abbusciccàdu agg. gonfio come una vescica; vescicoso.
abbusciccàre rifl. gonfiarsi come una vescica. Coprirsi di
vesciche, della pelle.
abbuscinàdu agg. gonfio come un otre. Imbroncito.
abbuscinàre rifl. gonfiarsi come un otre. Al fig. imbroncire.
abbuscìnu avv. come otre. Sun totu abbuscinu son tutti
gonfi come otr[i] (per dispetto). Più com. a un’abbuscinu: sos
fiados mortos fin totu a un’abbuscinu le bestie morte eran tutte gonfie come otri.
abbùsciu s.m. acquazzone. Più com. → ABBÌSCIU.
abbuselcàda s.f. scorpacciata.
abbuselcàdu agg. sazio, rimpinzato.
abbuselcàre tr. saziare, rimpinzare. Cussa criadura mi l’abbuselcan fin’a ischizzare mi rimpinzano quel bimbo fino a
farlo schiattare. | rifl. rimpinzarsi all’eccesso. || da elca.
abbuserigàda s.f. l’atto di metter pancia; di satollarsi.
abbuserigàdu agg. che ha messo pancia. Sazio, rimpinzato.
àbile
abbuserigàre tr. satollare, rimpinzare. | rifl. metter pancia.
abbusivamènte avv. abusivamente.
abbusìvu agg. abusivo. | avv. A s’abbusivu abusivamente, prepotentemente. Pasculare a s’abbusivu (fig.) commettere dissolutezze in campo altrui. Passare a s’abbusivu in unu possessu …
senza il permesso. Cazziare a s’abbusivu contro il divieto.
abbussìnu s.m. gonfiezza. Broncio.
abbùsu s.m. abuso.
abbuttàda s.f. l’atto di gettare.
abbuttadùra s.f. gettatura.
abbuttàre tr. gettare. Più com. → BETTÀRE.
abbuttavangàdu agg. legato alla diavola.
abbuttavangàre tr. legare come si può, alla bella meglio, alla diavola. | Più comune al rifl.
abbuttinàda s.f. l’atto di urtare, travolgere, calpestare.
abbuttinàdu agg. investito, travolto, calpestato. Erva, terra
abbuttinada.
abbuttinadùra s.f. investimento, urto, atterramento.
abbuttinàre tr. investire, travolgere, atterrare, calpestare,
spec. dei cavalli, dei bovi e sim. | Anche al fig. per danneggiare, rovinare, disonorare.
abbùttinu s.m. urto, investimento, atterramento, guasto,
spec. dei pascoli.
abbuttonàda s.f. l’atto di abbottonare.
abbuttonadórzu s.m. nastro, legame (W.).
abbuttonàdu agg. abbottonato, chiuso, non facile a confidarsi. In boccio, di fiori. Rosa abbuttonada poet. per bellezza
vaga, bottone, bocciolo di rosa.
abbuttonadùra s.f. abbottonatura.
abbuttonàre tr. abbottonare. | rifl. abbottonarsi. Specialm.
dei fiori che formano il boccio.
abbuttonèra s.f. bottoniera. Più com. → BUTTONÈRA.
abbuvulàda s.f. l’atto di rannuvolarsi, d’imbroncire.
abbuvulàdu agg. rannuvolato, imbroncito.
abbuvuladùra s.f. l’atto e l’effetto d’imbroncire.
abbuvulàre rifl. rannuvolarsi, imbroncire.
abbùvulu s.m. (metaf.) rannuvolamento.
abbùza s.f. tristezza, corruccio.
abbuzàda s.f. l’atto di rattristarsi, corrucciarsi.
abbuzàdu agg. corrucciato, rattristato.
abbuzadùra s.f. corruccio, tristezza.
abbuzàre rifl. corrucciarsi, rattristarsi. Rabbujarsi. || da buzu, buju.
abbuzzinàda (tz), -adu, -are assassinare. Drommid’abbuzzinein s’amad’anzone (De Rosa).
àbe s.f. ape. Abe canina ape legnaiola; abe manna, maistra, mastra, reina ape regina. | Bi curriat sa zente chei s’abe la gente accorreva come le api. Accudian a cheja che abe a su bugnu. Ses sempre
a murmuttu chei s’abe, di uno che brontola e bofonchia per nulla. S’abe faghet su mele e attere si ndhe gosat (sic vos non vobis mellificatis, apes!). | S’abe faghet su mele. | Punta de s’abe pungiglione.
| Puzone de abe sciame. Andhare che puzon’’e abe essere irrequieto.
abéliu s.m. urlo.
abemàsciu s.m. fuco, pecchione.
abète s.m. abete.
abiàlzu → ABIÀRZU.
abiàna s.f. merope, aperuola, uccello. Più com. → PIÀNA2.
abiàre tr. raccogliere le api nel bugno. Più com. imbugnàre,
imbungiàre.
abiàrgiu s.m. (Fonni) sciame.
abiàrzu s.m. apiaio, apicultore. Apiario, arniaio, bugnereccia.
abiggeàtu s.m. abigeato.
abiggìa s.f. albagia, tracotanza.
àbigu agg. di cinghiale. Più com. → ÀBRINU.
àbile s.f. sugna, sugnaccio.
abiólu
abiólu s.m. vespa. Al fig. sprone, pungolo. Ponner abiolu
spronare, incitare. | Merope, aperuola. | (Margh.).
abismàre tr. inabissare, umiliare. | rifl. perdersi. || sp. abismar.
abìsmu s.m. (t. lett.) abisso. || sp. abismo.
abissàre tr. e intr. inabissare, sommergere, sprofondare. | rifl.
perdersi, rovinarsi. || da abisso; gr.
abìssu s.m. abisso. Ruere in s’abissu. Anton., l’inferno.
abluziòne (tz) s.f. abluzione.
aboléu s.m. puleggio. Si ’oddhid aboleu (C. pop. C. N.) →
PULÉU.
abolìre e deriv. → ABBOLÌRE.
abóliu s.m. avorio. Paren aboliu fine trasparente (Fr. De Rosa).
abriàda s.f. l’atto d’inasprirsi. S’ha dadu un’abriada chi b’haiat
de lu timire. Più com. → ASPRIÀDA.
abriàdu agg. inselvatichito.
abriàre rifl. inselvatichirsi, del porco domestico che a furia
d’incroci diventa cinghiale.
abrigàda s.f. l’atto di mettersi a ridosso; coprirsi.
abrigàre rifl. mettersi a ridosso, coprirsi. || sp. abrigar, fr.
abriter.
abrìgu s.m. ricovero. | agg. aprico; appartato, solitario. || sp.
abrigo.
abrìle s.m. aprile. S’abrile de sa vida, de sos annos.
àbrinu agg. di cinghiale. Sue abrina la femmina del cinghiale. Porcheddhu abrinu cinghialetto. Di uomo selvatico, ignorante e solitario.
abriòne s.m. selvaticone, solitario, ignorante.
abriòre s.m. selvatichezza, asprezza, rancore.
abrìu agg. aspro e selvaggio, di luogo.
abrogàre tr. abrogare.
abrogasciòne s.f. abrogazione. ▫ abrogassiòne, abrogaziòne (tz).
abrógu s.m. rifiuto, ripudio, rinunzia. Pubblicamente fatto
cust’abbrogu (Pilucca).
àbru agg. di cinghiale → ÀBRINU.
abrùra s.f. asprezza, selvatichezza; rancore.
abstànticu agg. estatico. A Teresa es reveladu / in unu abstanticu raptu (Gosos).
abuléju s.m. puleggio, erba odorosa. Più com. → PULÉU. ▫
abuléu. || lat. pulegium.
aburlànta (Fonni) → ARMURÀNTA.
abùzu s.m. (Bitti) avvoltoio.
’àcca → BÀCCA, VÀCCA.
accabaddhàda s.f. l’atto di accavallare o accavallarsi.
accabaddhàdu agg. accavallato, incrociato. Nerviu accabaddhadu.
accabaddhadùra s.f. accavallatura, incrociatura.
accabaddhàre tr. accavallare. | rifl. accavallarsi.
accabàdu agg. assennato, giudizioso. Anche → ACCABIÀDU
(Bultei).
accabaméntu s.m. assennatezza.
accabàre tr. pareggiare due o più capi di filo o di corda.
accabarràda s.f. l’atto di accaparrare; accaparramento.
accabarradòre s.m. accaparratore. Usurpatore.
accabarradùra s.f. l’azione e l’effetto di accaparrare.
accabarraméntu s.m. accaparramento.
accabarràre tr. accaparrare, impegnare, assicurare. | rifl.
procurarsi, conquistare, non sempre lecitamente e non sempre cose buone.
accabarronàda s.f. rinforz. di accabarràda.
accabarronàdu agg. e part. pass. ben coperto di panni.
accabarronàre tr. e rifl. rinforz. di accabarràre. Specialm. in
cattivo senso. Usurpare. | Coprirsi, avvolgersi bene di panni.
Accabarrònadi ’ene ch’es frittu meda copriti bene che fa molto
freddo → INCAPPARRONÀRE.
78
accàbba s.f. fine, morte, per → ACCÀBBU.
accabbàbbile agg. che può esser finito, che deve finire. Custu tribagliu no pared accabbabbile questo lavoro pare non
possa essere finito. || sp. acabable.
accabbàda s.f. l’atto di terminare, compiere. Fagher s’accabbada morire. | Chiusa della ottava. | Più com. → AGABBÀDA.
accabbadòre s.m. uccisore. | agg. che uccide, dà il colpo di
grazia.
accabbàdu part. pass. terminato, compito, finito; morto.
S’accabbadu ’e babbu, s’accabbada ’e sorre mia il povero babbo,
la povera mia sorella. In forma di sost. Su ch’est accabbadu il
defunto che non si vuol nominare. Una vedova dirà: dai
candh’es mortu su ch’est agabbadu, intentendo il marito; e così
una madre del figlio unico, o molto caro. Anche in forma aggettivale. Su ch’est accabbadu ’e babbu, sa ch’est accabbada ’e
mamma, de fiza mia ecc. || sp. acabado.
accabbadùra s.f. finimento, termine.
accàbbala! interiez. finiscila, smettila, son balle!
accabbaméntu s.m. compimento, fine.
accabbanàdu agg. che veste il cappotto, avvolto nel gabbano.
accabbanadùra s.f. l’atto e l’effetto di avvolgersi nel gabbano,
specialm. al fine di occultarsi, travisarsi.
accabbanàre rifl. vestire il gabbano; avvolgersi bene nel
cappotto.
accabbàre tr. terminare. Dar il colpo di grazia, uccidere.
Custas sun penas chi m’accàbbana. | ass. finire; morire (aus. essere e avere). Su malaidu had accabbadu deris il malato è morto ieri. Su male meu no accabbat mai il mio male non finisce
mai. || sp. acabar.
accàbbu s.m. fine, termine. Morte. Fagher mal’accabbu far
cattiva fine, andare a finir male.
accabiàdu agg. (Bultei) assennato, giudizioso → ACCABÀDU.
accabidàda s.f. l’atto di raccattare, raccogliere. Raccolta.
accabidadìttu agg. raccogliticcio, raccattaticcio; vile.
accabidadòra s.f. (m. -e) raccoglitrice (raccoglitore); levatrice.
accabidàdu agg. raccolto, raccattato; ricoverato. Trovatello,
di bimbi abbandonati.
accabidadùra s.f. raccattatura, raccolta. Le cose raccattate o
raccolte.
accabidàre tr. raccogliere, raccattare. Accabidare una maglia
raccattare, ripigliare una maglia. Accabidare sas ispigas spigolare. Raccogliere il parto. | rifl. contrarre. S’had accabidadu una
maladia mala ha contratto una grave malattia. In su zilleri
s’accabidan tottu sos viscios alla bettola si contraggono tutti i
vizi. Accàbidadi custa! prendi questa! to’! | Profittare. Accabidadi s’occasione; accabida su chi ti ’enit, su chi podes; accabida
su pagu pro haer su meda. || sp. acabildar.
accàbidu s.m. raccolta, raccattatura. Cosas de accabidu cose
raccattate, di poco valore.
accabiggiulàda s.f. piccola, minuziosa raccolta; raccattatura
di coserelle.
accabiggiuladùra s.f. l’atto e l’effetto di raccogliere minuziosamente coserelle di poco conto.
accabiggiulàre tr. raccogliere meticolosamente, faticosamente cosette minuscole, disparate. Racimolare.
accabìggiulu s.m. raccolta meticolosa di cosucce.
accabizonàda s.f. legatura, aggiunta di due funi.
accabizonadùra s.f. congiuntura di due funi legate per i capi.
accabizonàre tr. legare insieme, congiungere due funi annodandole per i capi → CABIZÒNE.
accabonadùra s.f. l’atto di inchiodare i fondi (cabone) alla
→ BAJÒNE.
accabonàre tr. mettere i fondi (cabones) alla → BAJÒNE.
accabucciàda, -adura, -are → ACCABUZZ-.
accàbu de… prep. dopo. Accabu de duas dies, de un’annu.
79
accabuzzàda (tz) s.f. legamento, congiungimento di due corde
per i capi. | (t. past.) accozzamento di due greggi sotto certi patti.
accabuzzadùra (tz) s.f. legatura dei capi di una corda. | Unione di due greggi a soccio.
accabuzzaméntu (tz) s.m. legamento. Contratto di sòccita.
accabuzzàre (tz) tr. congiungere insieme due corde o fili per
i loro capi. | Accabuzzare robba raccogliere dei capi di bestiame per formarne un branco. | Accabuzzare duas ’amas riunire
due branchi. | ass. unire i branchi sotto certe condizioni, a
sòccita. Estens. anche per accordarsi fra padroni e servi. Han
accabuzzadu, ma no s’ischit cant’han a istar’umpare → APPASÀRE, ATTERZÀRE.
accàcia s.f. acacia, albero.
accaddhàda s.f. l’atto di accavallare. Accaddhada de frebba
accesso di febbre. Pericolo, sinistro. Già si l’ha bida s’accaddhada! Assalto. L’han dadu un’accaddhada.
accaddhàdu agg. accavallato, messo a cavallo. Già ses accaddhadu hai un bel cavallo. Al fig. essere a posto, in buona posizione. Si rinforza con bene. Già es ben’accaddhadu. Esser ben’accaddhadu a muzere, a fizos, a teraccos, a tancas ecc. aver
buona moglie ecc. Ebba accaddhada cavalla montata.
accaddhadùra s.f. collocamento della pentola sul treppiede.
Monta.
accaddhàre tr. accavallare. | Accaddhare sa padeddha, su labiolu, sa labia collocare la pentola, il paiolo, la caldaia sul
treppiede. | rifl. Accaddharesi provvedersi un bel cavallo. Como già ti ses accaddhadu! Al fig. assestarsi, procurarsi una buona posizione, far fortuna. S’est accaddhadu cun sos dinaris anzenos, cun sos suores suos. | Accavallarsi. Nues fittas che tura /
s’accaddhan in s’aera (A. Sp.). | Montare. Accaddhare sas ebbas
fare la monta delle cavalle (Ms. Macomer).
accaddhigaronàda s.f. l’atto di accavalciare.
accaddhigaronàre tr. accavalciare. | rifl. accavalciarsi.
accaddhigaròne avv. accavalcione.
accaddhonàdu agg. corpacciuto, panciuto.
accàddhu avv. a cavallo, sul dorso, sopra. Esser accaddhu star
bene, in buona posizione. Como già ses accaddhu a muzere, a
maridu ecc. Ponner, ponnersi accaddhu. Ponner accaddhu <sa
pa>deddha […].
accadémia s.f. accademia.
accademicamènte avv. accademicamente.
accadémicu agg. e s.m. accademico.
accadenanciàda s.f. l’atto di attaccarsi come una zecca. Anche al fig. → CADENÀNCIA.
accadenanciàdu agg. attaccato come una zecca.
accadenanciàre rifl. attaccarsi come una zecca. Al fig.
accadìda s.f. occasione, opportunità, circostanza. It’accadida!
accadìdu agg. accaduto. Anche in forma di sost. Lassemus abbandha s’accadidu lasciamo da parte, non consideriamo ciò
che è avvenuto tra noi nel passato. | Abbattuto, oppresso.
accadìre intr. accadere, capitare. Combinare, adattarsi, spec.
al negativo. Custa cosa no accadit non è possibile. | tr. (raro)
(Posada) abbattere, opprimere. | Anche ass. No accadit! non si
può credere, non è vero!
accadriàre tr. tormentare, cruciare. Issa accadriat sas venas
(Caddeo). ▫ accadrijàre.
’accaedonnudéu s.f. insetto campestre, rosso chiazzato di
nero, piatto, oblungo.
accaèssere intr. succedere, capitare, avvenire (Cap. Ros.). ||
sp. acaecer.
accaffiàda, -adura, -are → AGGAFFI-.
accaìda s.f. l’atto di cessare, di tacere.
accaidòre s.m. che fa tacere, o cheta.
accaìdu agg. chetato, tranquillo.
accaidùra s.f. cessazione, appagamento.
accamàre
accaìre tr. chetare, appagare, tranquillare. | rifl.
accaizonàda s.f. l’atto d’intumidirsi o incallirsi quando
punge il tafano.
accaizonàdu part. pass. punto dal tafano, intumidito.
accaizonadùra s.f. gonfiatura per la puntura del tafano.
accaizonàre rifl. intumidirsi per la puntura del tafano →
CAIZÒNE.
accajonàda s.f. incolpazione. L’atto d’incolpare.
accajonàdu agg. incolpato. | Scusabile, che ha buoni motivi.
Poveru ses, ma ses accajonadu / totu sas grascias t’ha negadu
Deu (Serra).
accajonadùra s.f. l’azione e l’effetto d’incolpare.
accajonàre tr. incolpare, accusare.
accalaìzu avv. appena. E no tennermi rea accalaizu / poto…
(Cossu 30). Più com. → CALAÌZU.
accalamàda s.f. l’atto di ansimare.
accalamaméntu s.m. ansimo.
accalamàre intr. ansimare.
accalappiàda s.f. l’atto di accalappiare.
accalappiadòre s.m. ingannatore, ciurmatore.
accalappiadùra s.f. accalappiatura.
accalappiàre tr. accalappiare, rubacchiare. Ingannare.
accalcàda s.f. l’atto d’accalcarsi. Affollamento.
accalcàdu agg. affollato, stipato, infoltito; condensato.
accalcadùra s.f. infoltimento, accalcatura.
accalcàre rifl. accalcarsi, affollarsi. Infoltire, detto di piante.
Condensarsi, detto di certe pietanze. Sa minestra s’accàlcada,
cominzade a bos sèzzere.
accàlche avv. nelle frasi dare, iscudere accalche dar calci, sparare, sferrare.
accalchinàdu agg. ridotto a calce.
accalchinàre tr. ridurre a calce. Calcinare, spargere calce,
detto di terreni o di frumento da semina.
accalmàda, -adu, -are. Sa giustiscia divina / s’accalmet de unu
Deu onnipotente (Pilucca) → CALM-.
accaloràda s.f. l’atto d’accalorarsi.
accaloràdu agg. accalorato.
accaloradùra s.f. l’azione e l’effetto d’accalorarsi.
accaloraméntu s.m. riscaldamento, premura.
accaloràre rifl. scaldarsi, accalorarsi, accaldarsi. Prendere a
cuore, aver premura.
accalorìda, -idu, -idura, -imentu, -ire → ACCALORÀDA ecc.
accaltàda, -adu, -adura, -are → CALT-.
accalvonàda, -adu, -adura, -are, s.f. l’atto di carbonizzarsi →
ACCARVON-.
’accalzàre → BACCARZÀRE.
accalzoffàda (tz), -adura → ACCARZOFF-.
accalzonàda (tz) s.f. l’atto di allacciarsi i calzoni.
accalzonàdu (tz) agg. in calzoni. Al fig. coraggioso. Ben’accalzonadu.
accalzonadùra (tz) s.f. l’atto di mettersi, allacciarsi i calzoni.
accalzonàre (tz) rifl. mettersi, allacciarsi, affibbiarsi, abbottonarsi i calzoni.
’accàlzu s.m. uccello → BACCÀRZU.
accamàda s.f. l’atto di mettere il capestro. Al fig. strettezza,
penuria. S’ha bidu una bona accamada s’è trovato in un grande imbarazzo.
accamàdu agg. che ha il capestro. Al fig. in strettezza, imbarazzato, oppresso, con la fune alla gola. M’incontro accamadu e no poto mover, tòrchere…
accamadùra s.f. l’azione e l’effetto di mettere il capestro. Al
fig. oppressione, imbarazzo, strettezza.
accamàre tr. mettere il capestro, il freno. Al fig. opprimere,
violentare. Accamare sos crabittos mettere ai capretti la musoliera di legno perché non possano suggere il latte. | intr. ansimare.
accàmba
accàmba avv. fino al ginocchio. Bi fit su ludu, su nie accamba. Accaddhu a camba, quando cavalca l’uomo solo, senza dama in groppa. Tenner o mantenner sa robba accamba mettere
uno a custodia del bestiame. || da a camba.
accambàda s.f. l’atto di sostituire il filo rotto del liccio.
accambàdu agg. sostituito, di filo di liccio. Filu accambadu
ritortiglio del liccio. Che ha bei rami, di albero.
accambadùra s.f. l’atto e l’effetto di sostituire un filo rotto.
accambàre tr. sostituire con altro filo un filo rotto del liccio.
| rifl., di albero. Cussa nughe s’es ben’accambada … ha messo
bei rami. | intr. accestire, di erbe.
accameddhàda, -adu, -adura, -are → CAMEDDHÀDA ecc.
accaminzonàdu agg. che ha la musoliera, di capretto.
accaminzonadùra s.f. l’atto di mettere la musoliera al capretto.
accaminzonàre tr. mettere la musoliera al capretto → CAMINZÒNE.
accampàda s.f. l’atto d’accampare o accamparsi. Bell’accampada ’e rejones mi faghes! mi adduci belle ragioni!
accampàdu agg. accampato.
accampadùra s.f. l’azione o l’effetto di accampare.
accampaméntu s.m. accampamento.
accampàre tr. accampare, addurre. | rifl. accamparsi.
accampìgliu s.m. pretesto, appiglio.
accàmu s.m. cappio di fune che si mette nella bocca della
bestia, freno. Strettezza, oppressione. Ponner unu bonu accamu (fig.) legare bene uno, renderlo impotente ad agire diversamente, frenarlo. | Pezzo di legno cilindrico che si lega al
capo dell’agnello per divezzarlo. Museruola. Detto anche →
CÀMU, CAMINZÒNE, CAMUSÒNE, MUSÒNE.
accamusonàda s.f. l’atto di mettere la museruola.
accamusonàdu agg. che ha la museruola (→ CAMUSÒNE).
accamusonadùra s.f. l’azione e l’effetto di mettere la museruola.
accamusonàre tr. mettere la museruola all’agnello o al capretto per divezzarli → CAMUSÒNE museruola, ACCÀMU.
accanàda, -adu, -adura, -are → ACCANIÀDA, -ÀDU, -ADÙRA,
-ÀRE.
accanalzàda, -adu, -adura, -are → ACCANARZ-.
accanarzàda s.f. l’atto di assaltare coi cani. Al fig. tormentare, eccitare, perseguitare.
accanarzàdu agg. tormentato, perseguitato. Scagnato.
accanarzadùra s.f. l’azione e l’effetto di sciogliere i bracchi
da caccia, di assaltare coi cani; di perseguitare, opprimere,
tormentare.
accanarzàre tr. sciogliere i cani da caccia e lanciarli all’inseguimento. Braccheggiare, scagnare. Perseguitare, tormentare.
accandhelàda s.f. l’atto di ridursi come una candela.
accandhelàdu agg. ridotto come una candela. || sp. acandilado.
accandheladùra s.f. l’azione e l’effetto di diventare come
una candela.
accandhelàre rifl. ridursi come una candela, sottile, dritto;
detto del moccio che cola dal naso formando come dei filamenti. || sp. acandilar.
accandhelottàda s.f. l’atto d’incantarsi, istupidirsi.
accandhelottàdu agg. diventato come un candeliere, alto,
diritto. Istupidito.
accandhelottàre rifl. divenire come un candeliere, alto, diritto. Incantarsi, istupidirsi.
accàndho avv. quando, ed ecco. Fimus drommidos, accandho
intendhimus… | Se. Accandho sos bonos sun goi, ite dên esser sos
malos.
accaniàda s.f. l’atto di perseguitare con cani. Maltrattamento, oppressione.
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accaniàdu agg. inseguito da cani, braccheggiato.
accaniadùra s.f. l’azione e l’effetto d’inseguire con cani, di
braccheggiare; di perseguitare. Oppressione.
accaniàre tr. inseguire, con cani; perseguitare, opprimere,
maltrattare.
accanìda s.f. l’atto di accanirsi. Accanimento.
accanidamènte avv. accanitamente.
accanìdu agg. accanito. Sorte accanida.
accanidùra s.f. l’azione e l’effetto di accanirsi.
accaniméntu s.m. accanimento.
accanìre rifl. accanirsi. Sa mala sorte s’est accanida contr’a mie!
accannaittàdu agg. ridotto come cordicella. Legato con cordicella.
accannaittàre tr. legare con cordicella. | rifl. ridursi come
cordicella.
accannonàda s.f. l’atto di ridurre a forma di cilindro. Dà’
un’accannonada a custa pasta.
accannonàdu agg. ridotto in forma cilindrica.
accannonadùra s.f. riduzione in forma di cilindro.
accannonàre tr. dar la forma cilindrica. Accannonare sa pasta ridurre la pasta in pezzi cilindrici. | rifl. ridursi in forma
di cilindro.
accansàbbile agg. che si può ottenere, di grazia, favore e simili.
accansàda s.f. esaudimento. L’atto di ottenere. Intercessione.
accansàre tr. ottenere. Accansare una grassia. | intr. intercedere, dei Santi. | Rendersi propizio. Accansadu dia haer unu
Santu (An.). || sp. alcanzar.
accànsu s.m. intercessione. L’atto di ottenere. No es fazile
s’accansu de cussu disizu non è facile appagare codesto desiderio. || sp. alcance.
accànta1 avv. vicino, di luogo e di tempo.
accànta2 prep. vicino, presso, al fianco. Con la preposizione
a. Accant’a mie, a su muru, a sa piatta.
accantappàre avv. l’uno vicino all’altro.
accantonàda s.f. l’atto di satireggiare; o di rincantucciarsi.
accantonàdu agg. satireggiato. Rincantucciato. Accantonato.
accantonadùra s.f. l’azione e l’effetto di satireggiare; di rincantucciarsi.
accantonaméntu s.m. accantonamento.
accantonàre tr. satireggiare per mezzo di poesie giocose o
di beffa o di biasimo. Accantonare. | rifl. rincantucciarsi.
accàntu1 s.m. Trattenedi un’accantu.
accàntu2 prep. presso, vicino. | Anche avv. Es cue accantu.
accaogàda s.f. illanguidimento.
accaogàdu agg. illanguidito.
accaogadùra s.f. riscaldatura, illanguidimento.
accaogàre rifl. illanguidirsi, venir meno dal caldo. || gr. (káio)
kaivw.
accaparràda, -adu, -adura, -amentu, -are → ACCABARR-.
accappiàda s.f. l’atto del legare.
accappiàdu agg. legato. Al fig. So accappiadu in manos e in
pês son legato mani e piedi.
accappiadùra s.f. legatura; schiavitù; impotenza.
accappiaméntu s.m. legamento. Legame.
accappiàre tr. legare. Rubare; arraffare. | rifl. legarsi, anche
al fig. Contrarre impegno.
accàppiu s.m. legaccio, legame. Impegno.
accappottàdu agg. avvolto nel cappotto.
accappottadùra s.f. l’azione di avvolgersi nel cappotto.
accappottàre rifl. avvolgersi nel cappotto.
accappuzzàda (tz) s.f. l’atto d’incappucciarsi.
accappuzzàre (tz) rifl. incappucciarsi.
accàra1 avv. di fronte, di rimpetto. Abitat cue, accara.
accàra2 prep. con la preposizione a, verso. Accar’a ponente; accar’a sa marina; accar’a bentu.
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accaràda s.f. raffaccio. Abboccamento per darsi ragione vicendevole di torti reciproci.
accaràdu agg. confrontato, giustificato.
accaradùra s.f. l’azione di abboccarsi per dar conto della
condotta reciproca. Raffaccio.
accaraméntu s.m. abboccamento per scagionarsi e pacificarsi. || sp. aca[rea]miento.
accaràre tr. rimproverare, rinfacciare. Riunire gli avversari
per pacificarli. Los han accarados e… | rifl. abboccarsi per
mettere le cose a posto. | ass. apparire, comparire. De sos chelos t’accaresit una lughe e isplendore (Gosos di S. Paolo ap.). ||
sp. aca[rea]r.
accarasciòne s.f. abboccamento, confronto, raffronto. Fagher
accarascione venire a un abboccamento, a una spiegazione.
accarbonàda ecc. → ACCARVON-.
accarenàdu agg. ossuto; alto e ben piantato.
accarèssere tr. gradire. Più com. → AGGRADESSÌRE. ▫ accaressìre.
accarìda s.f. → ACCARÀDA.
accarìdu agg. ardito.
accarigàdu agg. disseccato, appassito. Più com. → CARIGÀDU.
|| da cariga fico secco.
accarìre rifl. abboccarsi → ACCARÀRE.
accarissiàre tr. carezzare. Più com. → CARIGNÀRE.
accaristìa avv. purtroppo!
accarpìda s.f. l’atto di arrotondare i pezzi del pastone.
accarpidùra s.f. l’azione e l’effetto di accarpìre.
accarpìre tr. (Nuoro) ridurre il pastone in pezzi rotondi.
accarralzàre tr. coprire con rottami o frasche (W.).
accartàdu agg. arrolato.
accartàre tr. arrolare; far selezione del bestiame. Più com.
→ ACCASTÀRE.
accàru avv. Haer accaru dir grazie. Has accaru chi ti lassan in
domo puoi dir grazie che ti lasciano a casa.
accarvonàda s.f. l’atto di carbonizzarsi.
accarvonàdu agg. carbonizzato.
accarvonadùra s.f. l’azione e l’effetto di carbonizzarsi.
accarvonàre tr. carbonizzare. | rifl. carbonizzarsi.
accarzoffàda (tz) s.f. l’atto di diventar come un carciofo, di
prosperare.
accarzoffàdu (tz) agg. divenuto come un carciofo, di piante
erbacee a cesto. Lattuca accarzoffada ben compressa, prospera.
|| sp. alcachofado.
accarzoffadùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di accarzoffàre.
accarzoffàre (tz) rifl. diventare fitto, compresso, prospero
come un carciofo, di lattuga e simili piante erbacee a cesto.
’accàrzu s.m. uccello → BACCÀRZU.
accasàdu agg. accasato. Coagulato, di latte → BROZZÀDU,
ARREGOTTÀDU, CREBÀDU, rùpidu.
accasaggiàre tr. Chi fit d’Achimelech accasaggiadu (Dore) →
ACCASAZÀRE.
accasàggiu s.m. ospitalità; buona accoglienza; rinfresco.
accasàre rifl. coagularsi senza quaglio → BROZZÀRE.
accasazàre tr. ricevere con gentilezza; ospitare. || sp. agasajar.
accasàzu s.m. ospitalità. Leare accasazu ospitare, prendere
alloggio. || sp. agasajo.
accasciàda s.f. l’atto di accasciarsi.
accasciàdu agg. accasciato.
accasciàre rifl. accasciarsi.
accasermàdu agg. alloggiato in caserma.
accasermàre tr. alloggiare in caserma.
accasiddhàdu agg. ammonticchiato, accastellinato.
accasiddhàre tr. ammucchiare, ammonticchiare. Accastellare, accastellinare.
accassàbbile, -ada, -adu, -are → ACCANS-.
acchejaméntu
accàssu agg. privo, sprovvisto. Accassu de famine, de sidis morto di fame, di sete.
accastàda s.f. l’atto di migliorar la razza del bestiame con la
selezione.
accastàdu agg. di bestiame migliorato con la selezione.
accastadùra s.f. l’azione e l’effetto di accastàre.
accastàre tr. migliorare il bestiame con la selezione.
accàsu avv. per caso. Anche pro accasu: una ’olta pro accasu
furesit una libbera ’e casu… (Brandino). || sp. acaso.
accatàdu agg. accorto, avveduto.
accatàre rifl. accorgersi.
accàtta s.f. cerca, questua (Ms. Macomer). Accatta de su trigu, de su casu, de sa lana.
accattàre tr. accattare. | intr. mendicare. | (raro) trovare, rinvenire → AGATTÀRE. || lat. captare.
accattarràda s.f. raffreddore.
accattarràdu agg. raffreddato, preso da raffreddore.
accattarràre rifl. raffreddarsi, esser colto dal raffreddore.
accatteddhadùra s.f. l’atto di accatteddhàre.
accatteddhàre tr. riunire i porchetti con la madre.
accàttu s.m. abitudine, difetto, vizio. L’ha de accattu ha quel
difetto, quel vizio, cade spesso in quella colpa. Est accattu de
chie no chered intendhere è vizio di chi non vuol capire. | Incontro, scoperta, rinvenimento. Bonu accattu buona scoperta.
accaulàre rifl. crescere simile al cavolo, di certe piante erbacee a cesto, più piccole del cavolo. Prosperare.
accausàre tr. causare, cagionare. Anche accusare, più comune in questo senso → INCAUSÀRE.
acceleràdu s.m. e agg. Solo per il treno accelerato. Negli altri casi → IMPRESSÀDU, ALLESTRÌDU, ABBREVIÀDU.
accennàre, accennu. Italianismi. → AZZINNÀRE, AZZÌNNU.
accentàdu agg. accentato.
accentàre tr. (raro) accentare. Più com. ponner s’accentu.
accentraméntu s.m. accentramento.
accentràre tr. accentrare.
accéntu s.m. accento.
accentuàre tr. (ricercato, raro) accentare; accentuare.
acceppàda s.f. l’atto di coagularsi.
acceppàdu agg. coagulato.
acceppadùra s.f. coagulamento.
acceppàre rifl. coagularsi, rappigliarsi, aggrumarsi, del sangue.
accèra interiez. guarda!
accèra accèra avv. Istare accera accera affacciarsi con molta
frequenza. Cussa giovana istat sempre accera accera.
acceràda s.f. l’atto di affacciarsi. Sa vida est un’accerada ’e
balcone la vita è breve come l’affacciarsi alla finestra.
acceradòlza s.f. vedetta, altana. ▫ acceradòrza.
acceràdu agg. affacciato alla finestra.
acceràre rifl. affacciarsi alla finestra. | intr. ass. Accera, chi ti
cherzo affacciati che voglio vederti, parlarti.
accéri s.m. candeliere. Acceri a brazzos candeliere a viticci.
accérrimu agg. superl. acerrimo.
accessàre tr. e intr. cessare. Più com. → ZESSÀRE.
accetilène s.f. il lume a gas acetilene. Allughe s’accetilene manna.
acchè s.m. Si no fit pro un’acchè … per un nonnulla, per un
nulla. Più com. → CHE.
accheddhàda s.f. l’atto d’abbrancare e d’imbrancarsi.
accheddhàdu agg. ridotto in branco.
accheddhadùra s.f. l’azione d’abbrancare e d’imbrancarsi.
accheddhàre tr. abbrancare, ridurre a branco. | rifl. imbrancarsi, riunirsi in branco. || da cheddha branco.
acchejàdu agg. rifugiato in chiesa, nell’asilo sacro; al sicuro.
Dato alla Chiesa.
acchejadùra s.f. → ACCHEJAMÉNTU.
acchejaméntu s.m. rifugio, asilo, sicurezza.
acchejàre
acchejàre rifl. rifugiarsi, mettersi al sicuro. || da cheja.
acchénsu agg. privo, sprovvisto. Acchensu ’e su famine, de su
sidis che brucia di fame, di sete. || lat. accensus.
acchentànnos s.m. pl. complimenti, auguri. Dare sos acchentannos far gli auguri.
acchèra, -ada, -adolza (-orza), -adu, -are → ACCÈRA ecc. |
Anche tr. Che l’acchero a su balcone (A. Sp.).
acchereàda s.f. l’atto di acchereàre. Ha fattu s’acchereada.
acchereàre rifl. diventar dritto, bello come un gambo d’asfodelo fiorito, di giovane prospero e grazioso.
accherìda, -idu, -ire → ACCHIRÌDA ecc. Babbos, fizos, ricchesas accheridas (P. Luca).
acchéssidu agg. stanco.
acchètta s.f. cavalla piccola. Al fig. Acchetta brincadora: s’acchetta brincadora / accolla ch’es tor<r>ada (C. pop. C. N). ||
sp. haca, haquilla.
acchettèddha s.f. dim. di acchètta.
acchettéddhu s.m. dim. di acchéttu.
acchettòne s.m. accr. di acchéttu.
acchéttu s.m. cavallo piccolo e di poco pregio. || lat. equus.
acchettùzzu (tz) s.m. dim. dispr. di acchéttu. Acchettuzzu ’e
nuddha cavallino che non val niente.
acchiàda s.f. l’atto di granire; granigione.
acchiàdu agg. granito. Basolu acchiadu fagioli grossi.
acchiàre intr. granire. Custu ’asolu had acchiadu ’ene questi
fagioli son venuti molto grossi.
acchibbòe avv. nelle frasi ponner, giungher acchibboe aggiogare due buoi dispaiati. Benner acchibboe venire di sghembo,
di fianco.
acchibuddhàda s.f. rossore, stizza improvvisa e breve.
acchibuddhàdu agg. rosso come la cipolla per stizza o sdegno.
acchibuddhàre rifl. bruciare in viso, arrossire di sdegno, incollerire.
acchiccàda s.f. l’atto di attizzare.
acchiccàdu agg. attizzato.
acchiccadùra s.f. attizzamento.
acchiccajòla s.f. attizzatoio. Più com. → CHICCÀJU.
acchiccàre tr. attizzare, assettare la legna al fuoco. | Al fig.
attizzare, fomentare, riferito a odio, discordia, passione. Pero
tando acchiccaizis / su fogu de caridade (Delogu Ibba).
acchicconàdu agg. afato, annerito, di grano.
acchicconàre rifl. annerire → ABBURVURÀRE, INTEGHÌRE.
acchidàda s.f. l’atto di aggiustare. Acchidadeddha (dim.) aggiustatina.
acchidàdu agg. aggiustato.
acchidadùra s.f. aggiustatura.
acchidàre tr. aggiustare. Totu sos dolos mi acchidas (A. Sp.).
’acchìddhu s.m. bastone, mazza. Al fig. appoggio, sostegno.
Su ’acchiddhu de sa ’ezzesa mia il sostegno della mia vecchiaia.
Certo pane fatto a bastoncini che si dà ai bambini a capo
d’anno detto anche candhelarzu, ganneu → BACCHÌDDHU. ||
lat. bacillus.
acchidìda s.f. l’atto di caricare.
acchidìdu agg. carico.
acchidìre tr. caricare.
acchietàda s.f. l’atto d’acquietarsi, calmarsi.
acchietàdu agg. calmato, calmo.
acchietàre tr. acquietare, calmare. | rifl. acquetarsi, calmarsi.
acchifìlu avv. a sghembo, attraverso. Benner, esser acchifilu.
acchigulàdu agg. querulo, nojoso, fastidioso.
acchigulàre rifl. lagnarsi, bofonchiare, mormorare. || da chigula.
acchìgulu s.m. lamento, bofonchiamento, nenia.
acchilàndra, -adu, -adura, -are → ABBILÀNDRA ecc.
acchilciàda, -adu, -adura, -are → ACCHIRCI-.
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’acchìle s.m. mandra per le vacche.
acchilibbriàda s.f. l’atto d’equilibrarsi, adattarsi, ingegnarsi.
acchilibbriàdu agg. equilibrato, abile, idoneo, ingegnoso.
acchilibbriàre tr. aggiustare, addestrare. No es praticu, acchilibbrialu tue. | rifl. ingegnarsi. Acchilibbriaresi de una cosa
riuscire a farla alla meno peggio.
acchilìbbriu s.m. equilibrio. Destrezza, abilità, disposizione.
acchillò s.m. cerotto diàchilo → CHILLÒ. | Taffettà.
acchilvésciu avv. in tralic{c}e.
acchilzeniàda s.f. l’atto di dirazzare, intristire, imbozzacchire.
acchilzeniàdu agg. dirazzato, intristito, imbozzacchito.
acchilzeniàre intr. dirazzare, intristire, incattivire, imbozzacchire.
acchilzéniu s.m. intristimento, imbozzacchimento, dirazzamento.
acchimàda s.f. buttata. L’atto di germogliar prosperamente.
acchimàdu agg. ben germogliato; frondoso.
acchimadùra s.f. l’azione di germogliare rigogliosamente.
acchimàre intr. germogliare rigogliosamente. Acquistare
belle fronde.
acchimbòe → ACCHIBBÒE.
acchimeràda s.f. Più com. → INCHIMERÀDA.
acchimeràdu → INCHIMERÀDU.
acchimeràre → INCHIMERÀRE.
acchingiàda s.f. l’atto di mettere, stringere o affibbiare la
cinghia.
acchingiàdu agg. cinghiato, cignato. Che ha la cintola o vita
molto sottile, una vita da vespa, di donna.
acchingiadùra s.f. l’azione e l’effetto di cinghiare o cignare.
acchingiàre tr. cinghiare o cignare. | rifl. Anche al fig. prepararsi a qualche impresa difficile. Acchingiadi ’ene chi s’alzada es mala stringiti bene la cinghia, che la salita è aspra.
acchìnta avv. bocconi, di sfascio. Ruer acchinta.
acchintàda s.f. aggiustatina alla cintura. Dadi un’acchintada.
acchintàdu agg. che ha la cintola o vita ben aggraziata.
acchintàre rifl. stringersi la cintola; aggraziarsi la vita. Disporsi a qualche impresa rischiosa → ACCHINGIÀRE.
acchintulàre rifl. stringersi, allacciarsi la cintola o cintura.
’àcchinu agg. vaccino, di vacca. Latte ’àcchinu, pett’’àcchina
latte, carne di vacca.
acchipaggiàda s.f. l’atto di provvedersi il necessario.
acchipaggiaméntu s.m. equipaggiamento. Provvedimento
del necessario.
acchipaggiàre rifl. provvedersi il necessario. Equipaggiare.
acchipàggiu s.m. provvisione di quanto è necessario per una
casa, o un viaggio o un’impresa. Apparecchio. Equipaggio.
acchipìda s.f. l’atto di raggiungere, guadagnare, terminare.
acchipìdu agg. raggiunto, terminato. Esaurito, spossato.
acchipiméntu s.m. termine, finimento, raggiungimento.
acchipìre tr. terminare, raggiungere, sbrigare. Acchipila!
sbrigati! fa presto!
acchirciàda s.f. l’atto di cerchiare, accerchiare.
acchirciàdu agg. cerchiato, accerchiato. Abbottonato, chiuso, prudente nel parlare. Omine ben’acchirciadu.
acchirciadùra s.f. cerchiatura, accerchiamento.
acchirciàre tr. cerchiare, accerchiare. | rifl. prepararsi, disporsi a un’impresa rischiosa o difficile.
acchirdinàdu agg. e part. pass. stecchito.
acchirdinàre tr. stecchire. | rifl. (Loy).
acchirìda s.f. l’atto di acquistare. Acquisto. [Nel manoscritto
la voce figura lemmatizzata in due diversi punti, con una trattazione che si presta a esser presentata in forma unificata.]
acchirìdu agg. e part. pass. acquistato. Amato, caro. Bene o
male acchiridu. Su male acchiridu mal’andhat male porta male
(… dilabuntur). [Nel manoscritto la voce figura lemmatizzata
83
in due diversi punti, con una trattazione che si presta a esser
presentata in forma unificata.]
acchirìre tr. acquistare. Amare, aver caro (Vass.). | rifl. procacciarsi. Acchiriresi ricchesas, fama. || sp. adquirir. [Nel manoscritto la voce figura lemmatizzata in due diversi punti,
con una trattazione che si presta a esser presentata in forma
unificata.]
acchirràda s.f. bevuta; discesa.
acchirradùra s.f. l’atto di bere o discendere.
acchirràre tr. bere, tracannare; discendere; raccogliere il bestiame in un canto della mandra. Acchirrare unu a sa giustizia, a su
pretore, a su tribunale accusare, citare, far comparire uno dinanzi
alla giustizia. In questo senso più comune → ACCORRÀRE.
acchirriàda s.f. andata.
acchirriadólzu s.m. piolo del telaio che fissa il subbio. ▫ acchirriadórzu.
acchirriadùra s.f. l’atto di compiere, ultimare; andare.
acchirriàre tr. compiere, ultimare. | intr. andare, recarsi a
un luogo. || da chirriu contrada.
acchisciàda s.f. l’atto del riunirsi degli agnelli o capretti o vitelli con le madri non ancora munte o anche dopo la mungitura. Al fig. rimescolamento confuso.
acchisciàre tr. unire gli agnelli o capretti o vitellini con le
proprie madri dopo la mungitura. | rifl. unirsi degli agnelli o
capretti o vitellini con le proprie madri specialm. prima della mungitura. Al fig. unirsi di persone disparate per fini non
sempre onesti o decenti.
acchìsciu s.m. unione degli agnelli o capretti o vitellini prima o dopo la mungitura. Al fig. accozzo di persone di varie
condizioni, accozzaglia.
acchisólzu s.m. porco di circa un anno. ▫ acchisórzu. Anche bocchisórzu, ’occhisórzu.
acchìsta s.f. acquisto. De sa domo infernale sun acchistas
(Murenu).
acchistàda s.f. l’atto di acquistare. Acquisto.
acchistàre tr. acquistare, comprare. | rifl. procacciarsi. Acchistaresi meritu, fama.
acchìstu s.m. acquisto, compra.
acchitàda s.f. l’atto di procacciare, risparmiare.
acchitàre tr. procacciare, risparmiare, guadagnare. | rifl. mettersi a paro nel gioco; rifarsi, vendicarsi. Conciarsi (iron.).
Già ti ses acchitadu!
acchitìda s.f. l’atto di sbrigare, finir presto.
acchitìre tr. sbrigare, finire con sollecitudine. || lat. cito.
acchìto avv. presto. Attardu o acchito presto o tardi. Più
com. → CHÌTO. || lat. cito.
acchittàre tr. procurare, ottenere. Sa vida … non s’acchittat
pius candh’es perdìda. Acchittad a sos poetas grandhe gloria
(Spano).
acchìttu (de) avv. di sorpresa (Loy).
acchìtu s.m. utile, vantaggio, risparmio.
acchituliàdu agg. che si è levato molto per tempo. Sollecito.
acchituliàre rifl. levarsi molto per tempo. Al fig. essere sollecito nel disbrigo d’una faccenda.
acchitùliu s.m. sollecitudine nel levarsi. Premura.
acchivìda s.f. l’atto di affrettare, compiere; ammenare.
acchivìdu agg. e part. pass. affrettato, compiuto. Ammenato.
acchiviméntu s.m. compimento.
acchivìre tr. compiere, affrettare. | Assestare, ammenare.
L’had acchividu unu ciaffu gli ha ammenato uno schiaffo.
acchizàda s.f. l’atto d’accigliarsi, rannuvolarsi.
acchizàdu agg. accigliato, rannuvolato, imbronciato.
acchizadùra s.f. broncio, rannuvolamento.
acchizaméntu s.m. rannuvolamento. No timo s’acchizamentu
tou.
acciséri
acchizàre rifl. accigliarsi, rannuvolarsi. Cambiar colore. ||
da chiza cera, e chizu ciglio.
acchizolàda s.f. l’atto di rincantucciarsi.
acchizolàdu agg. rincantucciato. Timido, vile.
acchizolàre rifl. rincantucciarsi, poltrire, avvilirsi. Anche inchizolàre, → INCOZOLÀRE. || da chizolu e cozolu.
àccia s.f. fiaccola, torcia. || sp. hacha e acha.
acciaccàda s.f. l’atto di ammaccare.
acciaccàdu agg. ammaccato; pieno d’acciacchi.
acciaccadùra s.f. ammaccatura.
acciaccàre tr. ammaccare, soppestare, acciaccare. | rifl. ridursi male, diventar pieno d’acciacchi.
acciaccósu agg. pieno d’acciacchi.
acciàccu s.m. acciacco.
acciappàda s.f. l’atto d’acchiappare, di trovare.
acciappadùra s.f. acchiappamento. Sa die de sas acciappaduras
giorno dei contrattempi. Anche sa die de sas buscas → BÙSCA.
acciappàre tr. acchiappare, afferrare; trovare, rinvenire. Acciappare a Deu drommidu trovare una fortuna impensata. |
ass. Cant’istan a acciappare sun totu Marias Marias ma posca…
finché ancora non hanno ricevuto, ti fan mille promesse, ma
poi… | rifl. trovarsi. Mi so acciappadu presu senza mi ndh’abbizare mi son trovato legato senz’accorgermene. Mi so acciappadu inie pro cumbinassione mi son trovato là per caso.
acciàppu s.m. l’atto e l’effetto dell’acchiappare.
accidentàre intr. (raro) aver un accidente.
accidènte s.m. Benner, falare, ruer un’accidente venire un’accidente. Un’accidente! negaz. ed esclam. perentoria. Ite mi das?
A bi ’enis? Un’accidente!
accidèsa s.f. agrezza.
accìdia s.f. accidia. Più com. → PREÌTTIA.
accidiosamènte avv. accidiosamente. Più com. preittiosamènte.
accidiósu agg. accidioso. Più com. → PREITTIÓSU.
àccidu1 s.m. acido.
àccidu2 agg. acido, acre. Più com. → ÀGRU.
accimàda s.f. l’atto di cimare, pressare.
accimadòre s.m. cimatore.
accimadùra s.f. cimatura.
accimàre tr. cimare, pressare, tosare il pannolano.
accioàda s.f. grugnito.
accioàre intr. grugnire. | tr. chiamare il maiale. || da ciò.
accioccioroddhàdu agg. seduto scompostamente.
accioccioroddhàre rifl. sedersi scompostamente, beatamente; tranquillo come un ciacco. || da ciòccio.
acciòra → ACCÈRA.
accioràda → ACCERÀDA.
accioràre → ACCERÀRE.
accioroboddhàda s.f. rimescolio.
accioroboddhadùra s.f. rimescolatura, acciarpamento.
accioroboddhàre tr. rimescolare, acciarpare.
accioroddhàda s.f. confusione, spec. di parole. Chiacchierata.
accioroddhadòre s.m. chiacchierone, ciancione.
accioroddhadùra s.f. affastellamento di ciance.
accioroddhàre tr. rimescolare, acciarpare. | intr. ciaramellare.
accioroddhéri s.m. ciancione.
accioróddhu s.m. confusione. Ciaramellìo.
acciottàdu! esclam. ironica di vari sensi.
accisàda s.f. l’atto d’incantare. Incanto.
accisadòra s.f. (m. -e) incantatrice (incantatore); maga (mago).
accisàdu agg. incantato; fatato.
accisadùra s.f. l’atto e l’effetto d’incantare. Incantagione.
accisaméntu s.m. incantamento.
accisàre tr. incantare, fatare. Ch’had accisadu dogni cristianu
(Cherchi).
acciséri s.m. incantatore, mago.
acciserìa
acciserìa s.f. incanto, incantagione.
accispàda s.f. l’atto d’infiammarsi. It’accispada chi s’ha fattu
cussu fogu come avvampa quell’incendio.
accispàdu agg. e part. pass. avvampante.
accispàre tr. e intr. avvampare, infiammare. Anche al fig. ||
sp. achispar.
accìsu s.m. incanto. S’accisu meu! tesoro! gioia! S’accisu de su
coro meu, de sos ojos mios. || sp. hec<h>izo fattura e deriv.
àcciu agg. abile, accorto, prezioso. No ses tant’acciu, no! non
sei troppo abile!
acciùa s.f. acciuga. Più com. → AZZÙA.
acciunciulìda s.f. l’atto di aggranchirsi, rannicchiarsi.
acciunciulìdu agg. raggranchito, rannicchiato. Afflitto.
acciunciulìre rifl. aggranchirsi, rannicchiarsi. Affliggersi.
acclamàda s.f. l’atto di acclamare.
acclamàre tr. acclamare.
acclamasciòne s.f. acclamazione. ▫ acclamassiòne, acclamaziòne (tz).
acclàmu s.m. acclamazione.
acclariàda s.f. l’atto di chiarire, rischiarare; affacciarsi.
acclariàre tr. chiarire, rischiarare. | rifl. affacciarsi; andar verso
un luogo. Acclàriadi a s’’addhe va un po’ a vedere verso la valle.
acclarìda s.f. l’atto di manifestarsi, dichiararsi.
acclarìdu agg. manifesto, chiaro.
acclaridùra s.f. l’atto e l’effetto di manifestare o manifestarsi.
acclarìre tr. manifestare, dichiarare. | rifl. manifestarsi, comparire. Solu pro cussu rispettu istas senza ti acclarire.
acclimàda s.f. l’atto d’acclimare.
acclimàdu agg. abituato al clima, acclimato.
acclimàre rifl. acclimarsi.
acclisàre → ECCLISSÀRE. Impallidire. Chi t’acclisas su pizu
dilicadu (Zozzò).
acclìsu s.m. eclisse; crisi.
acclobbàre tr. agglobare. Ridurre in strofe. || sp. copla.
accò avv. ecco. Coi nomi propri o di parentela senz’articolo
si costruisce con la preposizione a. Accò a Pedru, a babbu, a
frade meu. Accò su babbu, su frade. Accò su cane, su duttore.
accò! interiez. per accosta, avvicinati, andiamo!
accòa avv. di luogo e di tempo, in fine, alla coda. L’has a ischire accoa.
accoàda s.f. l’atto d’accodare o accodarsi.
accoàdu agg. accodato.
accoàre tr. accodare. | rifl. accodarsi, indugiare. No t’accoes!
accoccàda s.f. l’atto di aggiustare.
accoccàre tr. aggiustare. Accoccare fattos suos.
accòccia! interiez. aspetta! ferma! indugia! poltrisci! Orsù!
presto!
accòccia accòccia avv. a passo lento, con frequenti fermate;
coi verbi istare, bennere, sighire. Anche a s’accoccia accoccia.
accocciàda s.f. fermata, indugio.
accòcciadi! interiez. sta lì! piàntati! Orsù! presto! andiamo!
accocciaràda s.f. l’atto di diventar concavo.
accocciaràdu agg. concavo, come un cucchiaio. || sp. acucharado.
accocciaràre rifl. diventar concavo, come un cucchiaio, di
foglie.
accocciàre rifl. indugiare, tardare, restar indietro, poltrire;
aver paura. || sp. acocharse accoccolarsi.
accoccioeddhàdu agg. timido come un cucciolo; che sta attaccato alle gonne della mamma.
accoccioeddhàre rifl. star attaccato alle gonne materne. Diventar timido come un cucciolo.
accoccoàdu agg. piccolino, basso.
accoccoàre rifl. divenir piccolo; rannicchiarsi come lumaca.
accoccoìnu avv. Esser accoccoinu esser come lumaca.
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accodàda s.f. l’atto dell’affilare, aguzzare.
accodàre tr. affilare con la cote (code), aguzzare. Più com.
→ ACCUTÀRE.
accoddhìda, -idu, -ire → ACCOGL-. Su sambene fattesin accoddhire (De Rosa).
accóddhu avv. sulle spalle, sul dorso. | prep. Accoddhu a
mie; accoddhu a s’ainu.
accódi! avv. eccoti.
accódia accódia avv. a passo lento, svogliatamente, con
molte fermate; coi verbi andhare, benner, sighire. Anche a
s’accodia accodia.
accodiàda s.f. indugio, fermata; esitazione.
accodiàdu agg. rimasto indietro; superato; tardivo; retrivo.
accodiàre rifl. restar indietro, camminare lentamente, svogliatamente; essere tra gli ultimi; lasciarsi sorpassare. Anche
al fig.
accodomàda, -adu, -adura, -amentu, -are, -u → ACCOMOD-.
Però, si so pastore, mi accodòmo (Pintore).
accogalzàda s.f. l’atto di diventar concavo.
accogalzàdu agg. concavo.
accogalzadùra s.f. concavità.
accogalzàre tr. render concavo. | rifl. diventar concavo. || da
cogalzu cucchiaio di corno (lat. coclearium).
accoghì avv. eppure. Accoghì tue, accogh’isse!
accoghinàda s.f. l’atto del marcire, di un foruncolo o tumore o piaga.
accoghinàdu agg. condensato, di marcia → COGHINÀDU.
accoghinadùra s.f. l’azione e l’effetto di marcire; marcitura.
Indurimento del marciume.
accoghinàre rifl. marcire. Condensarsi, indurirsi della marcia. Anche al fig. corrompersi. Inasprirsi delle sofferenze, delle pene → COGHINÀRE.
accoghinò! avv. Quando si assevera una verità o notizia
lampante e qualcuno s’ostina a negarla.
accoglidìttu agg. raccogliticcio, raccataticcio.
accoglìdu agg. raccolto, raccattato; di poco pregio, vile.
Robba accoglida cosa spregevole.
accoglidùra s.f. raccattatura.
accogliénzia (tz) s.f. accoglienza.
accogliètta s.f. colletta, questua. Fagher un’accoglietta.
accoglìre tr. raccogliere, raccattare; cogliere. Accoglire sa
criadura far da levatrice al momento del parto. ~ pulighe,
peugu, rusta. Accoglire una maladia, unu visciu contrarre.
accogoroddhàda e deriv. del gallo, scardufatto, agguerrito.
accoighinàda s.f. ubbriacatura.
accoighinàdu agg. che ha radici profonde e forti. Al fig. ubbriaco.
accoighinadùra s.f. ubbriacatura.
accoighinàre rifl. (gergo) ubbriacarsi.
accoittàda, -adu, -are affrettarsi ecc. → COITT-. || sp. acoitar.
accoizàda s.f. l’atto di restare indietro.
accoizàdu agg. rimasto indietro.
accoizadùra s.f. l’azione e l’effetto di restare indietro.
accoizàre rifl. restare indietro, seguire con riluttanza o con
paura.
accolconàda s.f. indugio, riluttanza.
accolconàdu agg. rimasto indietro; pigro; riluttante.
accolconàre rifl. restar indietro, venir lentamente, con riluttanza.
accoldàda, -adu, -adura, -are → ACCORD-.
accóldidu → ACCÓRDIDU.
accoldiolàda, -adu, -are → ACCORDIOL-.
accóldu s.m. → ACCÓRDU.
accollàda s.f. l’atto di accollare. A s’accollada con la fune in
collo. E la gitt’a s’istalla a s’accollada (G. Usai).
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accollàdu agg. accollato. | Carico. Como de tantas troppas
accollada (Demontis Licheri).
accolladùra s.f. accollatura.
accollaméntu s.m. accollamento.
accollaràdu agg. di uccello che ha il collare. || sp. acollarado.
accollàre tr. accollare. Legare un cavallo non ancora ben domo a un altro già domo che se lo trae dietro. | rifl. Accollaresi
unu depidu, un’impresa.
accollicàdu agg. che ha la colica.
accollicàre rifl. aver la colica.
accollocàre → COLLOCÀRE, più com.
accollóchiu s.m. colloquio. | Spec. coi carcerati. Su presoneri
es bessidu a s’accollochiu. | Conciliabolo. [Il manoscritto reca
l’accentazione accollochìu.]
accollócu s.m. colloccamento. Stanza, abitazione. Riposo.
Cussu poverittu no had accolloccu illogu.
accollózu s.m. appoggio, ospizio → AFFIÀNZU.
accóllu s.m. accollo.
accóllu! avv. eccolo! Accollu ’enzendhe eccolo che viene.
accolomìa s.f. economia, risparmio.
accolomizàre tr. e intr. ass. economizzare, risparmiare.
accolondràda s.f. l’atto di imbrancare.
accolondràdu agg. imbrancato.
accolondradùra s.f. l’azione e l’effetto di imbrancare.
accolondràre tr. imbrancare le bestie → ACCORRÀRE, ARROCCÀRE.
accolongiàda, -adu, -adura, -are, rifl. avvicinarsi molto al
fuoco per il freddo.
accolostràda s.f. l’atto di coagularsi.
accolostràdu agg. coagulato.
accolostradùra s.f. coagulamento.
accolostràre rifl. coagularsi. || da colostra.
accòlta s.f. l’atto di raccogliere, cogliere, raccattare.
accoltejàdu, -adura, -are, -u → ACCORTEJ-.
accóltu part. pass. di accoglìre, raccolto, colto, raccattato.
accoltùra s.f. raccattatura.
accolumàda s.f. l’atto di colmare; colmata.
accolumàdu agg. colmo, di misura.
accolumadùra s.f. colmatura.
accolumàre tr. colmare.
accólumu avv. in forza d’agg., colmo, pieno cupolo. Duos
cartos accolumu; unu litru ’e castanza accolumu.
accolvulàre → ACCORVULÀRE.
accolzolàdu ecc. → ACCORZOL-.
accomaràdu agg. che ha una buona comare.
accomaràre rifl. acquistare una buona comare.
accometàre tr. assediare, assaltare, affrontare, assoggettare,
sottomettere. Cun cussos accometezis a su mundhu totu cantu
(Gos. di S. Francesco). || sp. acometer.
accómi! avv. eccomi.
accomiàda s.f. l’atto di accomiatare. Commiato.
accomiàdu agg. accomiatato, congedato.
accomiadùra s.f. l’accomiatare o accomiatarsi.
accomiàre tr. e rifl. dare o prender commiato.
accomodàbbile agg. accomodabile.
accomodàda s.f. l’accomodare.
accomodàdu agg. accomodato. Assestato, ben collocato.
accomodadùra s.f. accomodatura.
accomodaméntu s.m. accomodamento.
accomodàre tr. accomodare. | rifl.
accómodu1 s.m. accomodatura. || sp. acomodo.
accómodu2 avv. a comodo. No so accomodu ancora.
accomunàbbile agg. accomunabile.
accomunàda s.f. l’accomunare.
accomunàdu agg. accomunato.
accoppiàdu
accomunadùra s.f. l’accomunare o accomunarsi.
accomunaméntu s.m. accomunamento.
accomunàre tr. e rifl. accomunare.
acconàdu agg. di mala voglia, nauseato, afflitto.
acconàre tr. e rifl. nauseare, affliggere, addolorare.
acconcàda s.f. colpo di testa, ticchio, capriccio, arrischio.
Già l’has fatta s’acconcada! It’acconcada chi l’ha bennidu. No est
istada mala s’acconcada!
acconcadìttu agg. arrischiato, temerario.
acconcadòre s.m. (f. -a) arrischiato, temerario.
acconcàdu agg. arrischiato, temerario.
acconcàre intr. venire, saltar in testa, incaparsi. Acconcarebbìla arrischiarsi, tentare, intraprendere. Fina chi bi l’had acconcada! | Ingrossare, di certe piante bulbose (cipolla, aglio)
e dei cavoli torzuti (a conca).
acconcheddhàre rifl. sdegnarsi, imbroncire, rannuvolarsi.
acconchizàdu agg. incapato.
acconchizàre rifl. incaparsi, intestarsi.
acconcialabiólu → ACCONZALABIÓLU.
acconcìmu s.m. ramaio. Candho ’idas s’acconcimu tappulare
unu melone (An.) → ACCONZÌMU.
acconconàdu agg. intorpidito, accapacciato. Addormentato
profondamente.
acconconàre rifl. intorpidirsi, accapacciarsi. Dormire.
acconculàdu agg. affossato, infossato.
acconculàre rifl. affossarsi, degli occhi spec. e delle guance.
|| da concula.
acconculeddhàdu agg. concavo; affossato. Ojos acconculeddhados.
acconculeddhàre tr. e rifl. affossare, dare o prendere la forma concava, di foglie, di assi, di sughero, degli occhi.
acconnòschere tr. riconoscere.
acconnóschidu part. pass. riconosciuto.
acconomìa s.f. economia.
acconómicu agg. economico.
acconomizàre tr. economizzare.
acconsizàre tr. e rifl. dare e prender consiglio. Più com. →
CONSIZÀRE.
accontèssere intr. succedere, capitare, avvenire. || sp. acontecer.
accontramessèmpre avv. contrariamente, diversamente dagli
altri; coi verbi essere, bessire, faeddhare. || dal salmo Peccatum
meum contra me est semper.
accontràriu avv. contrariamente.
accóntu1 s.m. acconto.
accóntu2 avv. Lear’accontu: già l’ha leadu accontu! Torrare
accontu.
acconzàda (tz) s.f. l’atto di acconciare, riparare.
acconzadamènte (tz) avv. acconciamente.
acconzàdu (tz) agg. acconcio. Già ses acconzadu! sei ben concio, o anche ben adorno!
acconzadùra (tz) s.f. acconciatura.
acconzajólu (tz) s.m. riparatore, rassettatore.
acconzalabiólu (tz) s.m. calderaio, ramaio.
acconzàre (tz) tr. riparare, acconciare; rassettare le vesti; ornare. | rifl. rassettarsi le vesti; insudiciarsi; rovinarsi; conciarsi
per le feste; comporsi, della persona.
acconziminàdu (tz) agg. aggiustato alla diavola.
acconziminàre (tz) tr. riparare alla bella meglio, alla diavola.
acconzìmu (tz) s.m. calderaio, ramaio → ACCONCÌMU.
accónzu1 (tz) s.m. riparazione, acconciatura. L’atto di acconciare, riparare.
accónzu2 (tz) agg. riparato, aggiustato. Ben vestito. Mal ridotto, malconcio. Già ses acconzu! ben’acconzu!
accoppiàda s.f. l’atto di accoppiare, appaiare; inventare.
accoppiàdu agg. accoppiato, appaiato; inventato.
accoppiadùra
accoppiadùra s.f. accoppiatura, appaiamento; invenzione,
finzione.
accoppiaméntu s.m. accoppiamento, appaiamento.
accoppiàre tr. accoppiare, appaiare, unire; inventare. Accoppiare una faula. Già l’has accoppiada ’ene! | rifl. unirsi. Già si
sun ben’accoppiados! | Los had accoppiados su demoniu, di due
sposi che non van d’accordo.
accóppiu s.m. accoppiamento, unione; coppia.
accoràda s.f. l’atto di accorare o accorarsi.
accoràdu agg. accorato, accasciato, prostrato.
accoramènte avv. cordialmente.
accoraméntu s.m. accoramento.
accoràre tr. accorare. | rifl. accorarsi, accasciarsi.
accorazìdu agg. coraggioso, ardito.
accorazìre tr. incoraggiare. Più com. → INCORAGGIÀRE, INCORAGGÌRE.
accorazzàdu (tz) agg. corazzato; di cuor forte, intrepido.
Accorazzadu a tie so amendhe (Puddhighinu).
accordàbbile agg. accordabile.
accordàda s.f. l’atto di accordare.
accordàdu agg. accordato; indotto.
accordadùra s.f. accordatura.
accordàre tr. accordare. Affittare (una tanca, unu possessu).
Accordaresi a unu indurre uno a fare una cosa. S’han accordadu
su babbu a los lassar’andhare a sa festa. | rifl. accordarsi, mettersi d’accordo. Allogarsi servo.
accòrde agg. concorde. Cunzertu accorde.
accórdidu agg. composto, ben assettato. Si dice per lo più
ironicamente. Già ses accòrdidu!
accordiolàda s.f. l’atto di legare con cordicella, o di torcere
come cordicella.
accordiolàdu agg. legato con cordicella; torto come cordicella.
accordiolàre tr. legare con cordicella. Avvolgere la cordicella
intorno alla trottola. Torcere come cordicella. Accordellare.
accórdu1 s.m. accordo. Fitto, pigione. Pagare s’accordu. No
istare a s’accordu.
accórdu2 avv. in fila. De accordu d’accordo.
accorigonàdu agg. duro di cuore, insensibile, crudele.
accorigonàre rifl. diventar duro di cuore, insensibile, crudele.
accorinàda s.f. l’atto di sdegnarsi.
accorinàdu agg. sdegnato.
accorinàre rifl. sdegnarsi, rannuvolarsi, adirarsi. Ahi e cantu
mi accorinat / sa sua dezisione (An.) → CORÌNA.
accorizonàdu agg. aggrumolato.
accorizonàre rifl. aggrumolarsi. || da corizone grumolo.
accornóu s.m. doglia acerba, lutto. Più com. → CONNÓU.
accoronàda s.f. l’atto di raccogliersi attorno. Un’accoronada
’e fizos, de nebodes una corona di figli, di nipoti → ACCÒLTA.
accoronàre rifl. raccogliersi intorno a uno. Più com. → CORONÀRE. Raramente tr. Totu sos fizos han accoronadu su babbu. | Accoronare rattos e fiores intrecciarli in forma di corona.
accorràda s.f. l’atto di accorràre.
accorràdu agg. imbrancato; aggiogato; trascinato.
accorradùra s.f. l’azione di imbrancare, unire i bovi; trascinare dinanzi alla giustizia.
accorraméntu s.m. l’unire un toro con un bove.
accorràre tr. imbrancare, adunare il bestiame nella mandra.
Unire un toro con un bue domito per domarlo. Trascinare
uno dinanzi alla giustizia. Si no mi pagas ti ch’accorro a su pretore. Che l’han accorradu a su tribunale. | rifl. darsi un appuntamento. Abboccarsi.
accorrazzàdu (tz) agg. di bestia intricata per le corna tra le
corna di altra bestia.
accorrazzadùra (tz) s.f. intrico di corna.
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accorrazzàre (tz) rifl. intricarsi delle corna di due o più bestie. Sos voes si sun accorrazzados, ispàrtilos!
accorriàda s.f. l’atto di allegare o digrignare i denti.
accorriadènte s.m. legatura di denti.
accorriàdu agg. allegato, di dente. | Corriattu. (S. Lussorio,
Borore).
accorriadùra s.f. legatura di denti.
accorriaméntu s.m. legatura di denti; digrignamento.
accorriàre tr. allegare, digrignare i denti.
accorriattàda s.f. l’atto di diventare coriaceo; ben cotto.
accorriattàdu agg. coriaceo; ben cotto, di pane; allegato, di
dente.
accorriattàre tr. stringere, digrignare, allegare, di denti;
cuocere bene, del pane. | rifl. diventar coriaceo. Allegarsi.
accorrimbòe avv. → ACCHIBBÒE.
accorrintolàda s.f. l’atto di diventar baccello o come un
baccello o cornetto.
accorrintolàdu agg. diventato baccello, o simile a un baccello o cornetto.
accorrintolàre rifl. diventar baccello, o simile a un baccello
o cornetto.
accorrioncàdu agg. divenuto simile a una cornacchia, vecchio e brutto.
accorrioncàre rifl. diventar come una cornacchia.
accorrochinàre rifl. incaponirsi.
accorronciulàda s.f. → ACCORRINTOLÀDA.
accorronciulàdu agg. → ACCORRINTOLÀDU.
accorronciulàre rifl. → ACCORRINTOLÀRE.
accórru s.m. l’atto di imbrancare, o di accoppiare un toro
con un bove domito, o di trascinare uno dinanzi alla giustizia.
Bagordo, ridotto. | Accorru de intro, accorru de fora la prima e
l’ultima delle cavalle adoperate nella trebbiatura.
accorruttàre tr. fare il corrotto, vestire a lutto per una persona. Più comune → CORRUTTÀRE.
accorruzzàre (tz) frequent. di → ACCORRÀRE. Accorruzzare a
sa giustiscia.
accortejàda s.f. l’atto di corteggiare.
accortejàdu agg. corteggiato.
accortejadùra s.f. l’azione e l’effetto di corteggiare.
accortejàre tr. corteggiare.
accortéju s.m. corteggio.
accórtu agg. (raro) accorto. Pro defendher sa fide istad accortu (Dore).
accóru s.m. accoramento.
accorvulàdu agg. seduto per terra alla beduina.
accorvulàre rifl. sedersi per terra alla beduina, occupando
troppo spazio.
accorzolàda s.f. l’atto di indurirsi, diventar coriaceo.
accorzolàdu agg. indurito come il cuoio, coriaceo.
accorzoladùra s.f. l’atto e l’effetto di diventar coriaceo.
accorzolàre rifl. diventar coriaceo, indurirsi. Anche al fig.,
ma raro.
accosconàda s.f. l’atto di restare indietro, d’impigrire.
accosconàdu agg. restato vilmente indietro, nascosto; impigrito.
accosconadùra s.f. l’azione e l’effetto di poltrire, restare vilmente indietro.
accosconàre rifl. rimanere indietro, essere retrivo, impigrire.
accoscónu s.m. pigrizia, viltà, poltroneria.
accosiàda s.f. l’atto di avvicinarsi, o di accorciare.
accosiàre tr. accorciare, avvicinare. | rifl. avvicinarsi.
accostàda s.f. l’atto di accostare. Accostarsi.
accostàdu agg. accostato. Che ha belle foglie o costole, di
piante (cardi, cavoli, lattughe, e simili).
accostanàdu agg. magro, che gli si contano le costole. | Pieno
di guidaleschi.
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accostanàre tr. e rifl. produrre e produrre [sic] dei guidaleschi (W.).
accostàre tr. e rifl. accostare. | Avvicinarsi. Su pastore la jamat, si l’accostat (Pis.). | intr. crescer bene, vestirsi di belle foglie o costole, di lattughe, cavoli, cardi.
accostazàda s.f. l’atto di fiancheggiare; rincalzo, appoggio.
accostazàdu agg. fiancheggiato, rincalzato, rinfiancato, appoggiato.
accostazadùra s.f. fiancheggiamento, rincalzo, sostegno.
accostazàre tr. fiancheggiare, sostenere, proteggere. Spec. al
fig. Si m’accostazat su superiore, no hapo paura.
accostàzu avv. e prep. a fianco, vicino, rasente.
accostiàda s.f. l’atto di rifugiare o rifugiarsi.
accostiàre tr. rifugiare. | rifl. rifugiarsi.
accostìre intr. avvicinarsi.
accóstis avv. a costo.
accóstiu s.m. rifugio. Luogo a ridosso, protetto, sicuro. Anche al fig.
accostóu s.m. rifugio, scampo.
accóstu s.m. → ACCÓSTIU.
accóstu de avv. a costo di.
accostumàda (a s’~) → ACCOSTUMÀDU1.
accostumàdu1 (a s’~) avv. secondo la consuetudine, l’abitudine, al solito.
accostumàdu2 agg. costumato. Bene o male accostumadu di
buoni o cattivi costumi.
accostumàre tr. e rifl. accostumare, avvezzare, assuefare.
Educare. | intr. costumare, avere per consuetudine, abitudine, vizio.
accottàda s.f. l’atto di collocare, assettare.
accottàdu agg. collocato, assettato. Bene accottadu, di uno
che ha fatto un buon matrimonio. Cotto, rinvigorito con la
sapa, del vino.
accottadùra s.f. collocamento, assestamento.
accottàre tr. collocare, assettare. Rinvigorirlo con la sapa, del
vino → ASSABÀRE. Traversare, di luoghi. Accottare sos mares ei
sos rios (Demontis). Mettere zeppe o schegge; in questo senso
più com. cottàre (da → CÒTTA2). Al fig. accasare, avviar bene,
mettere in buona condizione i figli. | rifl. aggiustarsi. Accottadebos comente podides. Allogarsi. Abituarsi, far il callo alle critiche, alla maldicenza. || sp. acotar.
accottighinàdu agg. → ACCOIGHINÀDU.
accottighinàre rifl. → ACCOIGHINÀRE.
accóttu s.m. collocamento, assettamento; rifugio, riposo, dimora. Cussu disgrassiadu no had accottu illogu.
accovàda s.f. l’atto d’abboccare, rimbrottare.
accovardàdu agg. incodardito.
accovardàre rifl. incodardire. || sp. acobardar.
accovàre tr. abboccare, rimbrottare; far tacere.
accoveccàda, -are → COVECC-.
accovéccu s.m. coperchio. Più com. covéccu.
accozzulàdu (tz) agg. seduto per terra alla beduina.
accozzulàre (tz) rifl. sedersi per terra alla beduina. | Raramente tr. dar la forma di piada, schiacciata. || da cozzula piada, schiacciata (pane).
accrabinàda s.f. l’atto di spiritare.
accrabinàdu agg. spiritato. Sventato, leggero.
accrabinadùra s.f. l’azione e l’effetto di spiritare. Sventatezza, leggerezza.
accrabinàre rifl. spiritare. Esser sventato, leggero.
accrabionàdu agg. indurito come le ficuzzole o come i ficattoli. Ojos accrabionados occhi grossi e un po’ stupidi.
accrabionàre intr. nella frase accrabionare de ojos sbarrare
gli occhi, per stupore o per commozione.
accramàda e deriv. → ACCLAMÀDA ecc.
accuadràre
accrappiolàda s.f. l’atto di sgraffignare, rubacchiare.
accrappioladùra s.f. l’azione e l’effetto di rubacchiare.
accrappiolàre tr. (t. fam.) rubacchiare, sgraffignare.
accrarìre tr. → ACCLARÌRE.
accrastàre → ACCASTÀRE. Sos caddhos de su re los battin de
Casteddhu / pro si los accrastare (C. pop. C. N.).
accreanziàdu (tz) agg. → ACCRIANZIÀDU.
accrébu avv. a dispetto. Accrebu de sa sorte, de sos suos.
accreditàdu agg. accreditato. Tue zertu a sos modos signoriles
subitu ti ndhe ses accreditadu (Cossu 41).
accreditàre tr. accreditare. | rifl. accertarsi, sincerarsi di una
cosa. Al neg. persuadersi. Però no mi ndhe so accreditadu (Cesaracciu). Mancu pro cussu m’accredito ancora (Cesaracciu).
accreditasciòne s.f. l’atto di accreditare. ▫ accreditassiòne,
accreditaziòne (tz).
accréditu s.m. stima, credito, credenza.
accrèschere tr. accrescere. E mi accreschet su dolu (Zus. Ebreu).
accréschida s.f. l’atto di accrescere.
accréschidu agg. accresciuto.
accreschiméntu s.m. accrescimento.
accreschimóniu s.m. accrescimento. Aumento, aggiunta,
esagerazione.
accresuràdu agg. chiuso con siepe.
accresuradùra s.f. chiusura a siepe.
accresuràre tr. chiudere con siepe, assiepare. || da cresura, lat.
clausura.
accriadòre s.m. creditore, che dà fidanza (crenzia). Sos accriadores bellos han a benner a s’austu (Seche).
accriansciàdu agg. accreditato. Che ha creanza, cortese, educato. || sp. acrianzado.
accrianziàdu (tz) agg. che gode credito, accreditato; gentile
di modi.
accrianziàre (tz) tr. accreditare; dar credito; offrire malleveria.
accriminàda s.f. l’atto di imputare, accusare. Accusa, imputazione.
accriminàdu agg. accusato, imputato.
accriminàre tr. imputare, accusare. || lat. crimen.
accrisolàda s.f. l’atto di crogiolare.
accrisolàdu agg. crogiolato. Pius accrisoladu e mundu…
(Delogu Ibba).
accrisoladùra s.f. l’azione e l’effetto di crogiolare.
accrisolàre tr. crogiolare. || sp. acrisolar.
accristàda s.f. l’atto d’inarcar le sopracciglia.
accristàdu agg. rannuvolato; che ha inarcato le sopracciglia
per sdegno e minaccia.
accristadùra s.f. rannuvolamento; sdegno.
accristàre rifl. inarcar le sopracciglia per sdegno o ira.
accristianàdu agg. savio, buono. Già ses accristianadu! (iron.).
|| sp. acristianado.
accrivìda s.f. l’atto di ammenare.
accrivìre tr. menare, ammenare, detto di percosse, colpi. L’had
accrividu unu colpu ’e marteddhu e l’ha mortu.
accrocconàdu agg. restio.
accrocconadùra s.f. restio.
accrocconàre rifl. ribellarsi; esser restio, avere il restio.
’àccu s.m. valico, gola di montagna; forra → BÀCCU, VÀCCU.
accùa avv. e prep. di nascosto. In forma di sost. Accua mia,
tua, sua, nostra, issoro. Accua de su babbu, de su mastru ecc.
Anche a s’accua: pro cussu fit ch’a s’accua a s’accua caminaisti
cun sa conca oltada (Cossu 41); e de accua: custa es cosa de giaru e no de accua (Seche).
accuadradùra s.f. l’atto di quadrare, di confrontare, mettere
in cornice.
accuadràre tr. dar la forma di quadrato. Mettere in cornice.
Dipingere su un quadro. Confrontare.
accuarèlla
accuarèlla s.f. acquerello, vinello.
accuarellàre tr. dipingere ad acquerello.
accuàriu s.m. acquario.
accuàticu agg. acquatico.
accubàda s.f. l’atto di gonfiarsi come una botte.
accubàdu agg. gonfio come una botte. Imbronciato. || sp.
acubado.
accubadùra s.f. gonfiatura, gonfiezza.
accubàre tr. imbottare. Più com. incubàre. | rifl. gonfiarsi
come una botte, per dispetto o per ira.
accubbàda s.f. l’atto di nascondere.
accubbàdu agg. nascosto, occultato.
accubbadùra s.f. l’azione e l’effetto del nascondere.
accubbàre tr. nascondere, occultare, specialm. di mancanze,
malefatte, delitti.
accubuddhàdu agg. incappucciato.
accubuddhadùra s.f. incappucciatura.
accubuddhàre rifl. incappucciarsi.
accuccaccùcca avv. carponi.
accuccàda s.f. l’atto di abbassarsi, rannicchiarsi, rifugiarsi.
accuccadìtta s.f. mattolina, allodola, uccello.
accuccàdu agg. incappucciato; rannicchiato, rifugiato.
accuccadùra s.f. l’azione e l’effetto di rannicchiarsi, imbacuccarsi, rifugiarsi. Al fig. ostinazione, capriccio.
accuccaméntu s.m. abbassamento, il rannicchiarsi o rifugiarsi o ostinarsi.
accuccàre tr. nascondere uno sotto un riparo, riparare, rifugiare. | rifl. nascondersi, rannicchiarsi, rifugiarsi. Ostinarsi nei
propri capricci. | intr. venir in testa. Faghet su chi l’accùccada
fa quel che gli salta in capo.
accucciucciàdu agg. tanto di uno che sta sempre attorno a
un altro più potente di lui per averne protezione, quanto di
un potente che è circondato di simili clienti. Affezionato come un cucciolo. || da cucciucciu.
accucciucciàre rifl. rifugiarsi presso di uno, rendersene umile schiavo o anche sgherro; circondarsi di simile cagnettume e
cagnottume; affezionarsi, attirarsi. Daghi si los accucciucciat,
lis faghet fagher su chi cheret.
accucculliàda s.f. l’atto di accovacciarsi, coprirsi bene.
accucculliàdu agg. accovacciato, ben coperto.
accucculliadùra s.f. l’azione d’accovacciarsi.
accucculliàre rifl. accovacciarsi, coprirsi bene, spec. a letto.
|| lat. cucullus.
accuccunniàre intr. venir a mente, saltar in capo.
accuccuràda s.f. l’atto di colmare, d’assaltare.
accuccuradólzu s.m. incavature semicircolari del giogo. ▫
accuccuradórzu → ARÀDU2.
accuccuràdu agg. colmo, pieno cupolo.
accuccuradùra s.f. colmatura. Assalto.
accuccuràre tr. colmare, riempire a trabocco. Assaltare. |
Aggiogare → ARÀDU2.
accuccurràda s.f. l’atto di accollare i buoi. Assalto. Accuccurrada de frebba accesso.
accuccurradólzu s.m. gombina. Intaglio circolare della trave
da trasportare coi bovi, al quale si lega la corda. | Mancare s’accuccurradolzu mancare il senno, il cervello. ▫ accuccurradórzu.
accuccurràdu agg. di bestia da tiro indomita, aggiogata con
un’altra domita.
accuccurradùra s.f. l’atto di accoppiare una bestia indomita
con un’altra domita per avvezzarla al giogo o al tiro. Mancare s’accuccurradura → ACCUCCURRADÓLZU.
accuccurràre tr. unire una bestia da tiro indomita con un’altra domita per avvezzarla al giogo o al tiro. | Caricare troppo.
| rifl. caricarsi un peso. | A cust’ora l’accuccurrat sa frebba →
CUCCÙRRU. || sp. acurrucar.
88
accùccuru avv. sul capo. Sa brocca gìghela accuccuru. Al colmo, pieno cupolo, di recipiente. Essere accuccuru de una cosa
averne fino agli occhi.
accuccurumeddhàda s.f. l’atto di ammonticchiare.
accuccurumeddhàdu agg. ammonticchiato, ammucchiato.
accuccurumeddhàre tr. ammucchiare, ammonticchiare.
accuddhabbàndha avv. e prep. all’altra sponda, di là da. Sos
voes sun accuddhabbandha. Accuddhabbandha ’e riu o de su
riu. Giumpare accuddhabbandha guadare. Passare accuddhabbandha al fig. passare da un partito a un altro contrario.
accuddhàla avv. e prep. di là. Accuddhala ’e su muru, ’e su
monte di là dal muro, dal monte.
accudìda s.f. l’atto di accorrere.
accudìdu agg. accorso. | agg. Morte accudida morte improvvisa. O si mi ’enit sa mort’accudida… (Zozzò).
accudìre intr. accorrere, precipitarsi, raccogliersi. Sun accudidos sos corvos a su fiagu al fetore sono accorsi i corvi; anche
al fig. Attendere, accudire. No accudo mancu a sas fazzendas
mias. Capitare, piombare. Pro m’accudire sa peus disdiccia
(Cesaracciu). | tr. far in tempo a portare. No l’han accudidu
ma<n>cu s’istremunzione non han fatto in tempo a portargli
la estrema unzione. || sp. acudir.
accuedòtto s.m. acquedotto.
accuéstua s.f. questua, accatto; colletta.
accuestuàre intr. questuare; collettare.
accuggialì avv. cuccia giù! intimazione al cane. Ruer accuggialì, fagher accuggialì restar morto sul colpo.
accuggiàre intr. cucciare. Al fig. prostrarsi, abbattersi, sbaldanzirsi, impoverire. Più com. cuggiàre.
accuguddhàdu agg. incappucciato. In s’oru de sa gianna accuguddhadu (Cossu 22). Sa natura / parte isfrunida e parte
accuguddhada (Muroni).
accuguddhàre rifl. incappucciarsi. Più com. → CUGUDDHÀRE.
accugurradólzu s.m. gombina.
àccuila s.f. aquila. Più com. → ÀE, ÀBBILE1.
accuilàda s.f. l’atto di accovacciarsi, o accovacciolarsi.
accuilàdu agg. accovacciolato, della lepre.
accuilàre rifl. accovacciarsi, accovacciolarsi. || da cuila covacciolo.
accuilettàre tr. accovacciolarsi.
accuilonàre, accuilòne aquilonare, aquilone.
accuistàre tr. acquistare.
accuìstu s.m. acquisto. Guadagno, utile, vantaggio. No b’had
acquistu perunu non v’è alcun guadagno. Fagher acquistu aver
vantaggio, guadagno da un’impresa, da un contratto e simili.
accuitàre intr. far presto, camminare in fretta, sbrigarsi. Più
com. → COITTÀRE.
accuizàre intr. e rifl. restare indietro, alla coda. Più com. →
COIZÀRE.
acculàdu agg. accoccolato, acculato.
acculàre rifl. accoccolarsi, accularsi.
acculiàdu agg. rimasto ultimo. || da culìu.
acculiàre rifl. restar ultimo in una corsa, in un arringo, in una
gara. Innanti fit de sos primos, como s’est acculiadu.
acculìu avv. in ultimo, alla coda. | prep. Acculiu ’e me, de totu
dopo di me, l’ultimo di tutti.
acculpàre rifl. dichiararsi colpevole. Deu, piedade … / chi
m’acculpo, si ois m’azzettades (Zozzò).
accultiàda s.f. → ACCURZIÀDA.
accultiàre tr. e rifl. → ACCURZIÀRE.
accùltu avv. e prep. → ACCÙRZU. | part. pass. di accurrère →
ACCÓRTU, accùrtu.
acculumàda s.f. l’atto di colmare.
acculumàre tr. colmare, riempire fino al colmo.
accùlumu avv. al colmo. | agg. pieno cupolo.
89
acculunzonàdu agg. appallato, appallottolato.
acculunzonàre tr. appallare, appallottolare. Acculunzonare
su casu appallottolare il cacio per farne un manicaretto detto
→ CULUNZÒNES.
acculziàda (tz) s.f. → ACCURZIÀDA.
acculziàre (tz) tr. e rifl. → ACCURZIÀRE.
accùlzu (tz) avv. e prep. → ACCÙRZU.
accumandhàda s.f. l’atto di raccomandare l’anima, di collocare presso qualcuno.
accumandhàdu agg. e part. pass. (Sorradile) collocato presso qualcuno. Accumandhada in domo de…
accumandhàre tr. raccomandare l’anima. Es mortu appena
su preideru l’had accumandhadu.
accumandhasciòne s.f. raccomandazione dell’anima. Dare
s’accumandhascione de s’anima recitare le preci degli agonizzanti. ▫ accumandhassiòne, accumandhaziòne (tz).
accumassàda s.f. l’atto di intridere, impastare la farina.
accumassadòra s.f. la massara che intride, impasta.
accumassàdu agg. intriso, impastato.
accumassadùra s.f. l’azione e l’effetto d’intridere, impastare.
accumassàre tr. intridere, impastare. || sp. amasar.
accumàssu s.m. l’atto di intridere o impastare. Ammasso.
Falaresi a un’accumassu sfasciarsi, lasciarsi cadere di sfascio,
abbattersi, avvilirsi. Faladi a un’accumassu! siediti! Ancu ti fales
a un’accumassu (imprec.) che ti possa ridurre un ammasso di
materia senza vita, che tu possa morire. Fagher un’accumassu
de cosas o de personas. Si m’aprettades ndhe fatto un’accumassu!
se mi stuzzicate faccio uno scempio, una strage! Ponner a
un’accumassu su bestiamine, sos fiados, sos inimigos ammazzare
il bestiame o i nemici l’uno a fianco dell’altro, per vendetta.
accumbeniàdu agg. ben provvisto di quanto può far comodo.
accumbeniàre rifl. procurarsi quanto può far comodo nella
vita. Mi so bene accumbeniadu, no mi mancat nuddha. Cuntratta como, si m’accumbenio, no si ndhe trattat pius.
accumbenienziàdu (tz) agg. → ACCUMBENIÀDU.
accumbenienziàre (tz) rifl. → ACCUMBENIÀRE.
accumbéniu avv. conveniente. Esser, ruer accumbeniu esser
conveniente.
accùmine s.m. acume.
accumonàda s.f. l’atto di unire due branchi in sòccida.
accumonàdu agg. di bestiame unito in sòccida.
accumonadùra s.f. l’azione o l’effetto di unire in sòccida.
accumonaméntu s.m. → ACCUMONADÙRA.
accumonàre tr. unire due branchi in accomandita o in soccio.
accumonónzu s.m. accomandita. Soccio.
accumpagnàdu agg. accompagnato.
accumpagnaméntu s.m. accompagnamento; corteo funebre;
funerale. L’han fattu unu grandhe accumpagnamentu. Corteo
nuziale. | (t. mus.) Accumpagnamentu de organu, de trumbas,
de chitterra. De fruscios, de ’oghes, de lamas ciuciata, scampanacciata.
accumpagnàre tr. accompagnare. Deu t’accumpagnet. Malannu, malasorte chi t’accumpagnet. | Accumpagnare duos boes,
duos oggettos, duos cuadros. | Accumpagnare cun s’organu, cun
sa chiterra. | Accumpagnare a fruscios, a boghes, a zoccos de
manu, a troddhios fare una ciuciata.
accumpanzaméntu s.m. → ACCUMPAGNAMÉNTU.
accumpanzàre tr. → ACCUMPAGNÀRE.
accumulàbbile agg. accumulabile.
accumulàda s.f. l’atto di accumulare.
accumuladamènte avv. accumulatamente.
accumuladòre s.m. accumulatore.
accumulàdu agg. accumulato.
accumuladùra s.f. l’azione e l’effetto di accumulare.
accumulàre tr. accumulare.
accustàre
accumulasciòne s.f. accumulazione. ▫ accumulassiòne, accumulaziòne (tz).
accunnàdu agg. accosciato. Effemminato. Donnaiolo.
accunnàre rifl. accosciarsi. Effemminarsi; darsi alla dissolutezza.
accunoltàbbile agg. consolabile, confortabile. ▫ accunortàbbile.
accunoltàda s.f. l’atto di confortare. ▫ accunortàda.
accunoltàdu agg. confortato. ▫ accunortàdu.
accunoltàre tr. confortare. | rifl. confortarsi, darsi pace. No si
chered accunortare de sa morte de sa mama non sa darsi pace
della morte della mamma. | Accunortaresi de una cosa contentarsi, rassegnarsi. M’accunorto de sa sorte mia, de chentu francos,
de sa meidade de su dèpidu. ▫ accunortàre. || sp. aconhortar.
accunóltu s.m. conforto, consolazione, rassegnazione. Visita dopo il funerale. Pranzo funerario. ▫ accunórtu.
accunortadùra s.f. l’azione e l’effetto di confortare.
accunóstu e deriv. S’iscura, già los hat sos accunostos (Cossu 67).
accunsentìda s.f. l’atto di consentire, acconsentire.
accunsentìdu agg. acconsentito.
accunsentiméntu s.m. acconsentimento, consenso.
accunsentìre intr. acconsentire, consentire.
accuntèssere intr. succedere, capitare; avverarsi. | Esistere. No
podet mai accuntessere / paghe tra nois sinzera (G. M. Pintus). ||
sp. acontecer.
accuntéssidu agg. capitato, successo, avverato.
accuntessiméntu s.m. avveramento, successo.
accuppàda s.f. l’atto di aggrumolarsi.
accuppàdu agg. aggrumolato.
accuppàre rifl. aggrumolarsi, dei cavoli, delle lattughe e simili piante erbacee col grumolo. || sp. acopar.
accuradamènte avv. accuratamente.
accuradèsa s.f. accuratezza.
accuràdu agg. accurato.
accùrrere intr. accorrere.
accùrridu agg. accorso.
accurrìre intr. Pera Marras, accurri a s’abbolottu (Mele).
accùrsu part. pass. accorso. ▫ accùrtu.
accurziàda (tz) s.f. l’atto d’avvicinare o avvicinarsi.
accurziàre (tz) tr. e rifl. avvicinare, accostare. | ass. Accurzia!
No chered accurziare.
accùrzu (tz) avv. e prep. vicino.
accùsa s.f. accusa.
accusàbbile agg. accusabile.
accusàda s.f. accusata, nel gioco delle carte. L’atto di accusare.
accusadòre s.m. accusatore.
accusàdu agg. e sost. accusato.
accusànte s.m. accusatore.
accusàre tr. accusare; confessare; dichiarare, al gioco delle
carte. | rifl. accusarsi, confessarsi, dichiararsi reo.
accusasciòne s.f. accusa. ▫ accusassiòne, accusaziòne (tz).
accusatìvu agg. e sost. accusativo (caso).
accusatóriu agg. accusatorio.
accusciàda s.f. l’atto di raggricchiarsi per nascondersi.
accusciàdu agg. raggricchiato, nascosto.
accusciàre rifl. raggricchiarsi, nascondersi. | intr. Accuscia!
No ha cherfidu accusciare.
accussentìda, -idu, -imentu, -ire → ACCUNSENT-.
accussolzàdu agg. abituato al luogo dove pascola, acclimato, di bestiame.
accussorzàre rifl. abituarsi al luogo di pastura, acclimarsi in
una data regione o sito. || da cussorza.
accustàla avv. di qua. | prep. Accustala ’e su muru, de su riu
di qua dal muro, dal rio.
accustàre tr. → ASCULTÀRE.
accutàda
accutàda s.f. l’atto di affilare, aguzzare. Aguzzata.
accutadòlza → ACCUTADÒRZA.
accutadòre s.m. arrotino.
accutadòrza agg. Pedra accutadorza cote.
accutadùra s.f. l’azione e l’effetto di aguzzare, affilare. Aguzzatura.
accutamènte avv. acutamente.
accutàre tr. aguzzare, affilare. Acutaresi sa limba, su sentidu,
sas dentes.
accutèsa s.f. acutezza. Accutesa de limba.
accùtu agg. acuto, aguzzo, affilato. Ojos acutos, giau acutu,
resolza acuta.
accutupeddhàre tr. rannodare, imbrogliare.
acerbamènte avv. acerbamente.
acerbidàde s.f. acerbità.
acérbu agg. acerbo.
acerrimamènte avv. acerrimamente.
acérrimu agg. acerrimo.
àchila s.f. aquila. Subr’alas de calch’achila altanera (An.).
àcre agg. acre. Cantu pius acres turmentos (Delogu Ibba).
acremènte avv. acremente.
acriàre tr. → AGRIÀRE.
acrisolàre tr. (Aidom.) affinare. || sp. acrisolar.
acrocconàre rifl. ribellarsi, farsi restio → ARREMPELLÀRE.
acupìntu agg. ricamato, trapunto con diversi colori.
adàgiu s.m. adagio, proverbio. Più com. dìcciu. Narat bene
s’adagiu (Gav. Lizos).
adàlide s.m. campione, eroe. Adalide vittoriosu de s’esercitu
– [cristianu] (Gos. di S. Giorgio).
Xnu
adattàbile agg. adattabile.
adattabilidàde s.f. adattabilità, disposizione a adattarsi.
adattàdu agg. adattato, adatto, conveniente.
adattamènte avv. adattamente.
adattaméntu s.m. adattamento.
adattàre tr. e rifl. adattare, conformare. Rassegnarsi.
adattèsa s.f. pieghevolezza, docilità, abilità, grazia.
adàttu agg. adatto, acconcio, conveniente, grazioso. Già ses
adattu! (iron.) come sei inetto, impacciato, brutto!
addainànti avv. e prep. avanti, davanti. Bois camminade addainanti. Si costruisce col genitivo o col dativo. Custas paraulas
no si naran addainant’’e su mastru, addainanti a mie. Come sost.
Addainanti meu, tou, sou ecc. || gr. (katénanti) katevnanti.
addaiségus avv. e prep. dietro. Si costruisce come il precedente.
addajadamènte avv. lentamente, adagio, comodamente.
addajàdu agg. negligente, trascurato, lento, pigro.
addajàre rifl. procedere lentamente, indugiarsi, essere trascurato. Addhàjadi pius!
addàju1 s.m. agio.
addàju2 avv. adagio, lentamente, negligentemente, con calma. A caddhu a su runzinu / ciuffi ciuffi e addaju (A. Sp.). S’incantu primaverile / tranquillu miro addaju (Usai). [Nel manoscritto la voce figura lemmatizzata in due diversi punti, con
una trattazione atta a esser presentata in forma unificata.]
addanànti avv. e prep. → ADDAINÀNTI.
addannàre intr. soffrire. Chi addànnana sos ojos (C. pop. C.
N.).
addaségus avv. e prep. → ADDAISÉGUS.
addèa avv. ecco. Si unisce coi pronomi. Addeami, addeadi,
addèannos, addèabbos, addeàlla, addeàllu, addeàllos eccomi,
eccoti, eccoci, eccovi, eccola, eccolo, eccoli.
addeaghì avv. ecco che. Addeaghi ses mannu!
addéchidu agg. conveniente, decente, grazioso → ADDÈGHERE.
addèda avv. a misura. Li dat su pane addeda. | In forza di agg.
indecl. conveniente, adatto, sufficiente.
90
addedìe avv. di giorno. S’’idet che addedie.
addegadiàdu agg. imbozzacchito.
addegadiàre rifl. imbozzacchire.
addegàdu agg. che ha bei baccelli, di legume.
addegàre intr. metter buoni e bei baccelli, crescere rigogliosamente dei baccelli.
addèghere rifl. confarsi, addirsi, esser conveniente o decente.
Chi l’addeghet su mantu (C. pop. C. N.).
addeleàdu agg. sguaiato, noioso, fastidioso.
addelentàda s.f. combinazione. It’addelentada! | Ticchio, capriccio. No t’ha bennidu mal’addelentada!
addelentàdu agg. avvantaggiato, prospero, arricchito.
addelentaméntu s.m. ingrandimento, raddrizzamento, miglioramento.
addelentàre tr. avvantaggiare, ingrandire, raddrizzare, migliorare. | rifl. prosperare, avvantaggiarsi, arricchirsi, migliorar
condizione. | impers. succedere, capitare. S’est addelentadu chi
no che fit babbu…
addeléntu s.m. combinazione. Talento, abilità, ingegno.
It’addelentu chi tenes! (iron.). Giovanu de addelentu. Corruz. di
taléntu.
addemàre tr. fermare, arrestare. | Imbolsire.
addenòtte avv. di notte.
addensàda s.f. l’atto di addensare.
addensàdu agg. addensato.
addensadùra s.f. l’azione e l’effetto di addensare.
addensaméntu s.m. addensamento.
addensàre tr. e rifl. addensare, condensare.
addentàda s.f. l’atto di addentare.
addentàdu agg. addentato.
addentadùra s.f. addentatura.
addentàre tr. addentare.
addentigàda s.f. l’atto di mordere, addentare; dentata. E si ti
dao calch’addentigada (Usai).
addentigàdu agg. butterato di dentate.
addentigadùra s.f. l’azione e l’effetto di addentare.
addentigàre tr. addentare. Solcare di dentate. No si l’ha
mandhigadu su pane, ma l’ha totu addentigadu.
addentijàda s.f. l’atto di morsicchiare.
addentijàdu agg. morsicchiato. Butterato di dentate.
addentijadùra s.f. solcatura di dentate.
addentijàre tr. morsicchiare. Solcare di dentate.
adderettàda s.f. l’atto di raddrizzare o raddrizzarsi. Miglioramento di condizione. Cussu conchimalu s’ha dadu un’adderettada quel caposcarico s’è un po’ raddrizzato. Dà’ un’adderettada
a cussu ramu raddrizza un po’ codesto ramo. Levarsi da letto.
adderettàdu agg. raddrizzato; migliorato; savio. Già ses adderettadu! (iron.).
adderettaméntu s.m. raddrizzamento.
adderettàre tr. addirizzare, raddirizzare; educare, migliorare;
prosperare; arricchire. | rifl. levarsi in piedi; star composto;
correggersi; arricchirsi. Adderèttadi! Cun su tribagliu e cun sa
bon’annada s’est adderettadu. Cun su visciu non s’adderettat sa
domo! | Adderettaresindhe alzarsi da letto, specialm. dopo una
malattia. Ei su malaidu? Già si ndh’est adderettadu, ma… come va il malato? Si è alzato, ma… || sp. aderezar.
adderéttu avv. dirittamente. Al fig. rettamente, saviamente.
Andhare adderettu camminare per la via dritta, giusta.
adderettùra avv. addirittura. | sost. sostegno, protezione, difesa. S’adderettura de sa domo mia la fortuna della mia casa
(Zozzò.).
adderìre intr. aderire.
addescàda s.f. l’atto di porgere il cibo, d’imboccare.
addescàdu agg. nutrito; imboccato.
addescadùra s.f. l’azione di porgere il cibo, d’imboccare.
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addescàre tr. porgere il cibo alle bestie, ai bimbi (imboccare) o a quelli che non possono cibarsi da sé. | rifl. cibarsi da
sé, generalmente al neg. Ha duos fizigheddos chi appena s’addèscana. Su malaidu es tantu grave chi mancu s’addèscada! |
Raro nel significato italiano di adescare, lusingare.
addéscu s.m. cibo delle bestie. Brodaglia, miscuglio.
addestràda s.f. l’atto di addestrare.
addestràdu agg. addestrato, ammaestrato. Abile.
addestraméntu s.m. addestramento, ammaestramento.
addestràre tr. addestrare, ammaestrare.
addéttu agg. e sost. (raro) addetto.
addevinàda s.f. l’atto d’indovinare, imbroccare.
addevinàdu agg. indovinato.
addevinàre tr. indovinare. Addevinarebbìla. Como già bi l’has
addevinada! adesso l’hai imbroccata!
addevìnu s.m. indovino, mago.
addhàe avv. là, di là, lontano.
addhàeche avv. molto lontano.
addhàne avv. → ADDHÀE.
’àddhe s.f. valle → BÀDDHE.
addheriàda s.f. l’atto di affrettarsi.
addheriàdu agg. che ha fretta, impazienza.
addheriàre rifl. affrettarsi, impazientirsi.
addheriósu agg. frettoloso, impaziente.
addhériu s.m. fretta, impazienza.
’addhijóttu s.m. valloncello → BADDHIJÓTTU.
’addhìju s.m. vallone. Solu in calchi umbrosu addhiju (A. Spano) → BADDHÌJU.
’addhìne s.m. capogiro, vertigine; capostorno, malattia del
baco. Al fig. capriccio, sventatezza. Passare su ’addhine a unu
levargli i capricci → BADDHÌNE, GADDHÌNE.
’addhinósu agg. che soffre il capogiro, il capostorno o ha il
baco. Al fig. capriccioso, lunatico, sventato. Esser che fiadu
’addhinosu non aver pace, vagar di qua e di là. Mi pares unu
fiadu ’addhinosu mi sembri una bestia col baco.
’addhìnzu s.m. → ’ADDHÌNE.
’addhósu agg. coriaceo, duro.
’àddhu s.m. cuoio. Spec. quello del cinghiale. Su ’addhu
toccat a chie ’occhit su porcabru il cuoio spetta a chi ammazza
il cinghiale. | Al fig. pelle dura, incallita. Ponner su ’addhu
abituarsi alle sofferenze, alle critiche o calunnie o persecuzioni, far il callo. Como b’ha postu su ’addhu, no ndhe l’importat
nuddha. | Toccare su ’addhu percotere, maltrattare, opprimere. Es bennidu cun su mazu / a nos toccare su ’addhu (Seche).
addicàre intr. abdicare.
addicasciòne s.f. abdicazione. ▫ addicassiòne, addicaziòne
(tz).
addicciàdu agg. fortunato, felice. || sp. dicha | Passato in proverbio; oggetto di maldicenza. || sp. dicho prov<erbio>.
addignàda s.f. l’atto di degnarsi.
addignàdu part. pass. degnato.
addignàre rifl. degnarsi. Più forte di dignaresi. No s’est addignadu de mi dare sa manu pro m’aggiuare non si è neppure degnato di porgermi la mano per aiutarmi.
addilìre tr. aderire. Aiutare → ADDIRÌRE.
addinaràdu agg. che ha danari, spec. pochi. Già ses addinaradu! Anche danaroso. Più com. → INDINARÌDU. || sp. adinerado.
addinnàre rifl. → ADDIGNÀRE.
addirìda s.f. l’atto di ajutare, soccorrere. Dali un’addirida a
cussu poverittu vieni un po’ in aiuto a quel poveretto.
addirìdu agg. aiutato, appoggiato.
addiriméntu s.m. aiuto, soccorso.
addirìre tr. aiutare, soccorrere con limosine.
addisisperàda (a s’~) avv. disperatamente.
addisisperàdu agg. disperato.
addomestigàda
addisisperàre intr. disperare. Più com. → DISISPERÀRE.
addisispéru s.m. disperazione → DISISPÉRU.
addisòra avv. a ora bruciata, inopportuna, insolita, sospettosa. Mi ’enis a domo addisora, e no ti poto rezire mi vieni a casa
in un’ora insolita e non ti posso ricevere. || sp. adeshora.
addissiòne s.f. → ADDIZIÒNE.
addistémpus avv. in tempo insolito, fuori tempo.
addìte? partic. interrog. a che? perché? Addite servit custu? a
che serve questo?
àdditu agg. aggiunto. Formola di antichi atti notarili.
addizionàre (tz) tr. addizionare.
addiziòne (tz) s.f. addizione.
addìzu avv. un pochino, appena, appena appena, di quantità e di tempo. Est addizu arrividu giunge appena appena.
Ponemindhe addizu mettimene un pochino. Anche in forma
di sost. Ndh’ha mandhigadu un’addizu.
addoàre tr. diboscare. Più com. → DOÀRE.
addobbàda s.f. l’atto di percotere, percossa.
addobbàdu agg. percosso, battuto. Addobbato (raro).
addobbadùra s.f. battitura, percossa.
addobbàre tr. percotere, battere; correggere, castigare. Addobbare a fuste, a marteddhu percotere con bastone, bastonare,
con martello, martellare. | Addobbali! su, orsù, coraggio. Si dice per incitare uno a bere, a darsi bel tempo e simili. Raro per
addobbare it. || sp. adobar conciare.
addóbbu s.m. percossa, battitura. Addobbo (raro).
addochiméntu s.m. insegnamento, avvertenza. Lassendh’andhare cuss’addochimentu (Pilucca).
addóidu s.m. striscia di terreno che si brucia per impedire
un incendio dannoso. Fagher s’addoidu (W.) → DÒA.
addojadìttu agg. ombroso, che adombra facilmente → APPUPPADÌTTU.
addojàdu agg. ombroso, che adombra, di bestia.
addojàre rifl. adombrare. Più com. → ADDROJÀRE, APPUPPÀRE.
addolàre rifl. percotersi il petto per il dolore. Addolendhesi
in costas cun sa coa (P. Luca).
addoliàre tr. Si no caglias, t’addolio sas costas.
addolìdu agg. indolenzito; addolorato, afflitto.
addolimàdu agg. che soffre doglie, dolori fisici o morali.
Doglioso. Pianghet ca est addolimadu.
addolimalzàdu agg. che soffre piccole doglie sparse in tutto
il corpo.
addolimàre tr. tormentare con doglie, produrre dolori fisici o
morali. Su nie m’ha totu addolimadu. Sa morte de babbu m’addòlimat su coro. Sa vida ’e fizu meu mi ndh’addolimat s’anima.
addolimarzàdu agg. indolenzito.
addoliméntu s.m. doglia, dolore; indolenzimento.
addoloìre tr. guardare. Poco com.
addoloràdu agg. addolorato. S’Addolorada; sa Mama addolorada; Nostra Segnora de s’Addolorada. Maria addolorada!
(esclam.).
addoloraméntu s.m. l’addolorare o addolorarsi.
addoloràre tr. e rifl. addolorare e addolorarsi.
addolorìdas s.f. pl. le congiunte del defunto, specialmente
quando fanno il piagnisteo (ciò che capita rarissimamente e
in pochissimi luoghi) in mancanza delle prefiche, di esecrabile remota memoria.
addolorìdu agg. addolorato, indolenzito, sofferente. || sp. adolorido.
addolorìre tr. addolorare. Custa notissia m’addolorit troppu.
addoluméu! povero me! Per mia mala ventura (tou, sou, nostru, ’ostru). Addolumannu! per grande sventura. Addolumannumeu! per mia grande sventura (tou, sou, nostru ecc.).
addomestigàda s.f. l’atto di addomesticare. Già s’ha dadu
un’addomesticada s’è un po’ addomesticato, abituato.
addomestigadòre
addomestigadòre s.m. addomesticatore.
addomestigàdu agg. addomesticato, ammansito, raddolcito.
addomestigadùra s.f. addomesticatura.
addomestigàre tr. addomesticare, ammansire, raddolcire,
educare. | rifl. ammansirsi, addomesticarsi. | intr. addomesticarsi, ammansirsi. Si lu leas cun su fuste già addomèstigada.
addongàdu agg. odiato, oppresso.
addongàre tr. odiare, opprimere, maltrattare.
addonnàda s.f. l’atto d’addomesticare o addomesticarsi.
addonnàdu agg. ammansito, addomesticato.
addonnàre tr. e rifl. ammansare e ammansarsi. | intr. Si ti
giompo già ti fatto addonnare eo! || sp. adonarse conformarsi.
addoppiàda s.f. l’atto di addoppiare.
addoppiàdu agg. addoppiato, doppio.
addoppiadùra s.f. addoppiatura.
addoppiaméntu s.m. addoppiamento.
addoppiàre tr. addoppiare, raddoppiare. Addoppiare sas costas
percotere ben bene. Daghi ndhe l’ha fattu ’irare l’had addoppiadu sas costas. Addoppiare versos, rimas rimare, comporre versi.
addóppiu1 s.m. rima. Fagher un’addoppiu rimare due versi.
addóppiu2 avv. doppiamente, al doppio. Anche in forza
d’agg. Filu addoppiu, funes addoppiu.
addoràda s.f. l’atto di adorare; adorazione; venerazione; invocazione. Da ch’han fattu s’addorada a su santu, si ndhe sun
pesados.
addoràre tr. adorare, venerare; amare svisceratamente. Anche
degli oggetti indegni. Su ’inari, su visciu, s’idulu ’e su peccadu. |
rifl. mettersi in adorazione, pregare dinanzi a qualche statua o
quadro. S’est addoradu a Santu Sabustianu. || lat. adorare.
addorassiòne s.f. Più com. → ADORASCIÒNE ecc. || lat. adoratio.
addordigàda s.f. l’atto di attortigliare, rintuzzare.
addordigàdu agg. attortigliato.
addordigadùra s.f. attortigliatura.
addordigàre tr. attortigliare, rintuzzare.
addorojàda s.f. urlata.
addorojadùra s.f. l’azione e l’effetto di urlare.
addorojàre intr. urlare, piangere urlando.
addoróju1 s.m. grido, urlo.
addoróju2 avv. col verbo pianghere, piangere urlando, dirottamente. Più com. → a TORÓJU.
addóru s.m. idolo. Tue ses s’addoru meu sei il mio idolo.
S’addoru de sa mama sua l’idolo, il tesoro, la gioia della mamma sua. Ch’hap’in manu s’addoru ei s’appentu (Mele).
addossàda s.f. l’atto di addossare, opprimere. Had hapidu
una bona addossada, una bona abbattigada, o per malattia o
per rovina finanziaria, o perdita negli affari. Addossada de
istranzos, de amigos gran numero di ospiti, piombati all’insaputa, come nei tempi dell’aurea ospitalità sarda.
addossàdu agg. addossato. Addossadu de amigos, de istranzos
si dice di chi offre aspitalità a molti amici. Addossadu dai sos
parentes di persona che deve pensare a molti parenti poveri.
Addossadu dai su male oppresso dalle malattie. E semplic. addossadu: est un’omine addossadu meda che ha molti pesi morali
sulle spalle.
addossàre tr. addossare, opprimere, importunare, maltrattare, seccare. No m’addosses tue puru, chi ndh’hapo ’e bastu dai
sos ateros. Daghi m’had addossadu (o si m’est addossadu) su male, no cherzo ’ene a mie matessi. A sa festa l’addossan sos istranzos, e in totu sos tempos sos parentes. | rifl. addossarsi. S’had’addossadu sos depidos de su frade. S’had’addossadu un’impresa chi
no isco s’had’a poder cumprire.
addóssu1 s.m. addossamento, peso, gravame. No t’has postu
mal’addossu! ti sei caricato sulle spalle un troppo grave peso.
Cun penas e addossos con pene e gravami, e percosse (poesia
ant. Via Crucis).
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addóssu2 avv. addosso. Più com. → INDÓSSU, in su DÓSSU.
addottàre tr. → ADOTTÀRE.
addottassiòne s.f. adottazione.
addottoràdu agg. addottorato, laureato; saccente.
addottoràre tr. e rifl. addottorare e addottorarsi. Bi ndh’ha
chi s’addottoran da’ issos matessi e sun duttores de istalla.
addottrinàre tr. → ADDUTTRINÀRE.
addóttu (a s’~) avv. con dare, secondo il costume, l’abitudine.
Pro lu dare a s’addottu (il manto) (C. pop. C. N.). | agg. dotto.
Chi su pius addottu / na’ chi fit Salomone.
addozàre rifl. (raro) affliggersi, addolorarsi.
addrèsta avv. alla destra.
addrestàre tr. metatesi di → ADDESTRÀRE.
addrizzàda (tz) s.f. l’atto di raddirizzare, di levarsi in piedi.
Nel secondo significato più com. → ARRIZZÀDA.
addrizzàdu (tz) agg. raddirizzato, levato in piedi → ARRIZZÀDU.
addrizzadùra (tz) s.f. raddirizzatura.
addrizzàre (tz) tr. raddirizzare, rizzare. | rifl. levarsi, rizzarsi.
Si ndh’addrizzesit de punt’e ischina (P. Luca).
addrojadìttu agg. ombroso, di bestia che adombra.
addrojàdu agg. adombrato.
addrojàre rifl. adombrare.
addrommentìda s.f. l’atto di intormentire, informicolimento.
addrommentìdu agg. intormentito, informicolito.
addrommentidùra s.f. l’atto e l’effetto di intormentire.
addrommentiméntu s.m. intormentimento.
addrommentìre tr. e rifl. intormentire, informicolire → INTREMENTÌRE e deriv.
addrommigàdu agg. intorpidito.
addrommigadùra s.f. intorpidimento, informicolimento.
addrommigàre tr. e rifl. intorpidire, intormentire.
addrommittiolàre tr. addormentare col narcotico, cloroformizzare. | rifl. addormentarsi, per lo più di bimbi o di malati
che stentano a prender sonno. Già s’est addrommittioladu! finalmente s’è addormentato!
addrommittiólu s.m. narcotico, sonnifero, cloroformio.
addronnaméntu s.m. ornamento. Fattendhem’unu bonu addronnamentu (Zozzò).
addronnàre tr. per adornàre. Macari chi t’addronnes (C.
pop. C. N.). De su tou piantu no cres chi m’addronne (Zozzò).
addrummentàdu, -are → ADDROMMENTÌDU, -ÌRE.
addrummentìdu, -ire → ADDROMMENTÌDU, -ÌRE.
addruttinàdu, -are, -inu → ADDUTTRINÀDU ecc.
adduccàdu agg. educato.
adduccaméntu s.m. educazione.
adduccàre tr. educare.
addùccas avv. dunque.
adduccassiòne s.f. educazione.
addùere tr. addurre, allegare, accampare.
addùghere tr. addurre.
adduìbbile agg. adducibile.
adduìda s.f. l’atto di addurre, consentire.
adduìdu agg. addotto.
adduidùra s.f. l’atto di addurre, consentire.
adduiméntu s.m. l’addurre.
adduìre tr. addurre, allegare, accampare. Adduire rejones,
proas. | intr. consentire. Had adduidu a sas rejones mias s’è persuaso, ha acconsentito alle mie ragioni.
addulcàda s.f. l’atto di raddolcire, calmare.
addulcàre tr. raddolcire, calmare, di dolori fisici o morali.
Cun s’amore s’addulcana sas penas (Pilucca). || sp. adulzar.
addulchìda s.f. più comune di → ADDULCÀDA.
addulchiméntu s.m. raddolcimento, diminuzione di dolore.
addulchìre tr. L’had addulchidu unu pagu sa dolima gli ha
calmato un po’ il dolore. Più comune di → ADDULCÀRE.
93
addulzìda (tz), -idu, -ire → ADDULCHÌRE. S’abba amara had
in Gerico addulzidu (Dore).
adduràre intr. fermarsi, restare. Fiza mia, addura in domo
chi ses pius segura → ATTURÀRE.
addurmentàdu, -are → ADDROMMENTÌDU ecc.
adduttoràdu, -are → ADDOTTORÀDU ecc. Si ndhe riet sa
zente adduttorada (A. Cubeddu).
adduttrinàda s.f. l’atto di educare, addottrinare.
adduttrinàdu agg. addottrinato, spec. in cattivo senso. Già es
bene adduttrinadu!
adduttrinadùra s.f. l’atto di addottrinare.
adduttrinaméntu s.m. addottrinamento.
adduttrinàre tr. addottrinare, educare. Anche pervertire
con massime errate, corrompere.
adeguàda, -adu, -amentu, -are (rari). Italianismi.
adelantàda s.f. l’atto di avanzare, andar innanzi.
adelantàdu agg. avanzato, progredito.
adelantàre intr. andar avanti, progredire. Poco com. | rifl. Si
adelantat cun sos suos s’avanza coi suoi (Delogu Ibba). || sp.
adelantar.
aderènte agg. aderente.
aderénzia (tz) s.f. aderenza; appoggio, rincalzo.
aderìre intr. aderire. | rifl. S’aderin totu a sas venereas gitas
(Dore, p. 55, 1). || lat. adhaerere.
adesiòne s.f. adesione.
adesìvu agg. adesivo.
adiacènte agg. adiacente.
adiacénzia (tz) s.f. adiacenza.
adimpìre tr. adempiere. Ognunu est obbligadu a las adimpire
(Dore). Anche adimplìre (Ms. Macomer). || lat. adimplere.
adimplìre intr. adempiere. Restituire. Adimplire sas cosas
imprestadas (Ms. Romana). || lat. adimplère.
adiósu avv. addio! Anche sost. Dare s’adiosu dar l’addio. || sp.
adìu avv. addio. No narrer nè adiu nè adiosu andarsene senza
congedarsi. Adiu sas truddhas! | sost. Dare s’adiu dar l’addio.
Fagher s’adiu far servo, cioè salutare movendo le dita mentre
si tien fermo il resto della mano.
adolescénzia (tz) s.f. adolescenza.
adoperàbbile agg. adoperabile.
adoperàre tr. adoperare.
adoràbbile agg. adorabile.
adoradòre s.m. adoratore.
adoràre tr. adorare. Adorare unu solu Deus. Anche → ADDORÀRE. || lat. adorare.
adorasciòne s.f. adorazione. ▫ adorassiòne, adoraziòne (tz).
adornàbbile agg. adornabile.
adornàda s.f. l’atto di adornare.
adornadòre s.m. adornatore.
adornàdu agg. adorno, adornato.
adornadùra s.f. l’atto e l’effetto di adornare. Ornamento, gala, frangia.
adornaméntu s.m. adornamento, ornamento, gala.
adornàre tr. (raro) adornare, ornare.
adórnu1 agg. (raro) adorno. || sp. adorno.
adórnu2 s.m. ornamento, ciò che serve a ornare, l’atto di
adornare. Adornos sazerdotales paramenti sacri. Cannaccas
(collane) coronas e ateros adornos (Cap. Ros.).
adoróju s.m. piagnisteo, urlio, ululato.
adottadòre s.m. che adotta.
adottàdu agg. adottato. Anche in forza di sost. pupillo. Bi fit
s’adottadore ei s’adottadu.
adottànte part. pres. che adotta. In forma di sost.
adottàre tr. adottare.
adottasciòne s.f. adottazione. ▫ adottassiòne, adottaziòne
(tz).
àera
adottìvu agg. adottivo.
adoziòne (tz) s.f. adozione.
’àdu s.m. vado, guado.
aduladòre s.m. adulatore.
adulàre tr. adulare.
adulasciòne s.f. adulazione. ▫ adulassiòne, adulaziòne (tz).
adulteràbbile agg. adulterabile.
adulteràdu agg. adulterato, falsificato, corrotto.
adulteràre tr. adulterare.
adulterasciòne s.f. adulterazione. ▫ adulterassiòne, adulteraziòne (tz).
adulteriàre intr. commettere adulterio. Anche nel senso di
falsificare, corrompere.
adulterìnu agg. adulterino.
adultériu s.m. adulterio.
adùlteru s.m. adultero.
adùltu s.m. (raro) adulto.
’àdulu agg. curvo, gobbo. Muru ’adulu muro sporgente, che
ha la gobba.
adunàda s.f. adunata.
adunànzia (tz) s.m. adunanza.
adùstu agg. sostenuto. Campos adustos campi aridi, secchi.
àe s.f. uccello, volatile. Aquila, l’uccello per eccellenza, il re
degli uccelli. Anche fig. Esser un’ae essere un’aquila, aver grande ingegno. Bolare che ae camminare celermente, affaticarsi,
lavorare sodamente. Cussu babbu, pro sos fizos, bolat che ae
quel padre, per i figli, si affanna, stracana. Pintare s’ae a bolu
dipingere, ricamare a perfezione, di pittore valente o di brava
ricamatrice. | Ae mala complessivamente per uccelli di rapina.
Dês esser dadu a mandhigare a s’ae. Ancu ti si mandhighet s’ae
mala! che ti possano divorare gli uccelli di rapina! Passàrebbi
s’ae mala quando in un luogo si son commessi atti di vandalismo, o in un branco s’è fatta strage. Su chi suffr’eo no lu suffrat
mancu s’ae! Quando in un luogo si fa molto chiasso si dice
che no bi pasat mancu s’ae, o manc’aes non vi riposa neanche
l’aquila o neanche gli uccelli.
aedàde s.f. (raro) età → EDÀDE.
aelcàda s.f. scorpacciata, satolla.
aelcàdu agg. sazio, satollo oltre misura.
aelcàre rifl. satollarsi, rimpinzarsi, mangiare a crepapelle. ||
da elca ventre.
aelógu s.f. pigotta, vaiolo. Anche ailógu.
aémbru s.m. abilità, ingegno, talento.
aèna s.f. avena. Rustico strumento musicale, zampogna.
aenzàre tr. trovar dei difetti in una persona o cosa, quindi
spregiarla, schivarla, dirne male. Anche → ’ENZÀRE.
aénzia (tz) s.f. possidenza. || da haer avere.
aénzu s.m. difetto, imperfezione. No b’ha bellesa chen’aenzu
→ BÉNZU, ’ÉNZU, vénzu.
àer tr. Anche hàer.
àera s.f. aria, atmosfera. Al pl. il firmamento, il cielo. Sas aeras sun bruttas, nettas il cielo è rannuvolato, sereno. Alzaresìche, ponnersìche in aeras inorgoglirsi, insuperbirsi, e anche
stizzirsi, adirarsi. Anche ponner a unu in sas aèras o in sos
astros stimarlo più del merito, inalzarlo, gonfiarlo a sproposito. Viver in aeras. Giomper a s’aera, toccare sas aeras. Dare punzos o calches a s’aera. | Fisionomia, figura, aspetto. Connoscher
a s’àera conoscere dalla fisonomia, all’aspetto. In Nazaret cun
aera serena (Dore). | Rassomiglianza. Ndh’had un’àera, ma no
est isse gli rassomiglia, ma non è lui. | Nella superstizione popolare vale Spirito del bene o del male. Aera ’ona, aera mala.
Quindi lo scongiuro: si ses aera ’ona ba’ in oraòna, si ses aera
mala, ba’ in oromala! Passada de àera mala infestazione, scorreria diabolica, distruzione. Anche imprecativo: passada de
aera mala! ▫ aèra.
aeràda
aeràda s.f. l’atto di ravvisare. Rassomiglianza. Mi l’hapo dadu un’aerada l’ho un po’ ravvisato.
aeràdu agg. rassomigliato, ravvisato. Indiavolato; stravolto
da passione violenta, da furore. Pariad aeradu sembrava indemoniato.
aeraméntu s.m. rassomiglianza, ravvisamento.
aeràre tr. rassomigliare, ravvisare. | rifl. rassomigliarsi. Arieggiare. Perdere quasi il senno, infuriare, insatanassare.
aeràzza (tz) s.f. pegg. di aria, ariaccia.
àere tr. → HÀERE.
aerèddha s.f. dim. di aria, arietta, brezza.
aerènte agg. somigliante.
aeresìtta s.f. auretta. Unu sero ch’andhàd aeresitta…
aéreu agg. aereo. Cun sas forzas aereas de Acheronte (P. Luca).
aéri s.m. ricchezza, mezzi.
aerìtta s.f. dim. di àera, auretta.
aerósu agg. arioso, arieggiato. D’aspetto pauroso; arcigno.
aerràdu agg. e part. pass. errato, falso. Fizu senz’esser aerradu
figlio leggitimo (An.).
aerràre intr. errare.
aérru s.m. errore. Senz’aerru senza dubbio, veramente.
aéru s.m. dispiacere, dolore.
aèsca s.f. esca.
aescàdu agg. arido come l’esca. Al fig. insipido, svenevole,
sciocco nel parlare.
aèschere intr. fermarsi in gola, fuorviare nel canale respiratorio, dei cibi. Al fig. d’impresa o affare o desiderio che non riesce o s’avvera. Sa tale chered a fulanu, ma l’aesched o l’arrêd
in bula la tale ama il tale, ma non riuscirà a sposarlo.
aéschida s.f. l’atto di fermarsi del cibo in gola.
aéschidu agg. fermato in gola; non riuscito. Soffocato. Male
chi morzas aeschidu! (Cossu 52).
aeschidùra s.f. l’atto e l’effetto di fermarsi in gola o non riuscire.
aescósu agg. sgradevole. De fruttu minudeddhu e aescosu
(Ant. Cubeddu).
aescùmine s.m. insipidezza, sciocchezza, svenevolezza nel parlare.
affaàdu agg. sazio di fave, nutrito con fave; malato di favite.
affaadùra s.f. l’atto di alimentare con fave. Favite.
affaàre tr. alimentare con fave, del bestiame. | intr. morir di
favite.
affàbbia s.f. campeggio.
affàbbile agg. affabile.
affabbilidàde s.f. affabilità.
affabbilmènte avv. affabilmente.
affàcca avv. e prep. vicino. Es cue affacca è là vicino. Affacca a
cheja, a sa piatta, a su riu vicino alla chiesa, alla piazza, al rio.
Affacca appare vicino l’uno all’altro. Istan affaccappare dimorano vicini.
affaccappàre avv. → AFFÀCCA.
affaccàre tr. avvicinare, accostare. | rifl. avvicinarsi. || fen.
aphac.
affaccendhàdu agg. affaccendato, che si dà molto da fare.
affaccendhaméntu s.m. affaccendamento.
affaccendhàre rifl. affaccendarsi, darsi molto da fare.
affaccettàdu agg. lavorato a faccette, sfaccettato.
affaccettadùra s.f. l’atto o l’effetto di sfaccettare o affaccettare.
affaccettàre tr. affaccettare, sfaccettare.
affacchilàdu agg. mascherato, del buricco che trae la macina. Anche al fig. Àinu affacchiladu asino mascherato; buon
uomo cieco, che non s’accorge dei torti che gli si fanno.
affacchilàre tr. mettere la maschera al buricco che tira la
macina. || da facchile maschera.
affacciàda s.f. l’atto di affacciarsi.
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affacciàdu agg. affacciato.
affacciadùra s.f. abboccamento per darsi conto vicendevole
di parole o di fatti.
affacciaméntu s.m. abboccamento, come il precedente.
affacciàre tr. affacciare, presentare. | rifl. affacciarsi, presentarsi.
affàccu avv. Terras e logos ch’haiad affaccu (Dore). Sendhe
affaccu a su fogu (C. pop. C. N.) → AFFÀCCA.
affadàdu agg. fatato, incantato.
affadaméntu s.m. incantamento, affatturamento.
affadàre tr. fatare, incantare, ammaliare. Più com. → FADÀRE.
affadigàdu agg. affaticato.
affadigaméntu s.m. affaticamento.
affadigàre tr. affaticare. | rifl. affaticarsi, travagliarsi.
affainàdu agg. e part. pass. affaccendato. [Nel manoscritto
la voce figura lemmatizzata in due diversi punti, con una
trattazione atta a esser presentata in forma unificata.]
affainàre rifl. affaccendarsi, impegnarsi, ingegnarsi. Si sunu
babbu e fizu affainados (Loy). | tr. molestare, opprimere. Nè
affàines nè turmentes / cuddhu chi pro te moriat (G. M. Pintus). [Nel manoscritto la voce figura lemmatizzata in due diversi punti, con una trattazione atta a esser presentata in forma unificata.]
affaìnu (a s’~) avv. alla ventura.
affaìu (a s’~) avv. liberamente. Andhare a s’affaiu vagabondare. Lassare a s’affaiu abbandonare al proprio capriccio o destino → ISFAÌU.
affaldizàda s.f. l’atto di piegare minutamente una stoffa.
affaldizàdu agg. piegolinato. Bunneddha affaldizada era
l’antica gonna di panno nero che s’indossava per andare in
chiesa o al piagnisteo dei morti.
affaldizadùra s.f. l’atto e l’effetto del piegolinare.
affaldizàre tr. piegare minutamente un panno, una stoffa;
piegolinare. || forse dallo sp. alfardilla nastro di seta.
affallàda s.f. l’atto di avvallare, abbassarsi, diminuire.
affallàdu agg. avvallato, abbassato, diminuito.
affalladùra s.f. avvallamento, abbassamento, diminuzione.
affallàre rifl. avvallarsi, abbassarsi, diminuire. | intr. Su fossu
no had ancora affalladu la fossa non si è ancora avvallata.
affallìdu agg. annebbiato, intristito, afato, del grano → FÉRTU.
affallìre intr. annebbiarsi, intristirsi, del grano.
affaltàdu agg. incolpato, reo. Più com. → INFALTÀDU.
affaltàre tr. incolpare, accusare. Anche per faltàre mancare.
affalzàdu (tz) agg. ingannato, tradito; falsificato.
affalzadùra (tz) s.f. l’atto d’ingannare, tradire, falsificare.
affalzaméntu (tz) s.m. inganno, tradimento.
affalzàre (tz) tr. tradire, ingannare. Affalzare sa fide, su giuramentu, sa promissa.
affalzìa (tz) s.f. falsità. Pianghes s’affalzia chi has portadu
(Zozzò).
affamàdu agg. famato, famoso. No de sa reina affamada (Gos.
Vill.franca). Elias santu affamadu (Delogu Ibba).
affandhàre tr. e rifl. affannare.
affandhènza s.f. faccenda.
affandhenzàre rifl. affaccendarsi.
affàndhu s.m. affanno, pena.
affannadamènte avv. con affanno, penosamente.
affannàdu agg. affannato, ansante.
affannàre tr. affannare, affliggere, tormentare. | rifl. angustiarsi, rattristarsi. Affacchinarsi, darsi molta briga. | intr. essere in pena. Dep’esser pro pius ch’affanne e pene (F. Piras).
affannìa s.f. affanno lungo e penoso.
affannosamènte avv. affannosamente, ansiosamente.
affannósu agg. affannoso, penoso, tormentoso.
affànnu s.m. affanno. Asma, difficoltà di respiro. Premura.
affantàdu agg. che ha una druda. ▫ affantiàdu.
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affantàre rifl. avere una druda. ▫ affantiàre.
affarazzàda (tz) s.f. rimprovero aspro. Dare un’affarazzada.
affarazzàre (tz) tr. rimproverare aspramente.
affàre s.m. affare. No est affare meu; no b’had affare meu.
affariàdu agg. (Goc.) indaffarato, affannato.
affarìstu s.m. affarista, imbroglione.
affàriu s.m. affare. A ponner sos affarios a bandha (An.).
affaròne s.m. affarone, affare prospero, profittevole.
affarruncàre tr. aggranfiare, sgraffignare, rubacchiare.
affasciàda s.f. l’atto di affasciare, affascinare, affastellare.
affasciàdu agg. ridotto in fascio, affastellato. Impensierito,
affannato.
affasciadùra s.f. l’atto e l’effetto di affastellare.
affasciàre tr. affasciare, affascinare, affastellare.
affascinàre tr. affascinare, affastellare.
affascineddhàre tr. ridurre in piccole fascine, affastellare.
affàsciu s.m. premura, ansia, trepidazione.
affàttu avv. affatto.
affatturadòre s.m. affatturatore, stregone, ammaliatore.
affatturàdu agg. affatturato.
affatturaméntu s.m. affatturamento, stregoneria, incanto.
affatturàre tr. affatturare, ammaliare, stregare.
affazzendhàdu (tz) agg. affaccendato.
affazzendhaméntu (tz) s.m. affaccendamento.
affazzendhàre (tz) rifl. affaccendarsi, occuparsi.
affè avv. in fede mia, specie di giuramento. Lu faghen e lu pagan prestu affè! (M. Madao).
affeàda s.f. l’atto di deformare, imbrattare, biasimare, disonorare.
affeadòre s.m. chi deforma, imbratta, calunnia, disonora.
affeàdu agg. deformato, biasimato, disonorato. Cun samben
e carrascios affeada! imbrattata di sangue e di sputi! (Delogu
Ibba).
affeadùra s.f. l’atto e l’effetto di deformare, spregiare, calunniare, disonorare. Es sa bruttura ’e s’umana esistenzia … tottu
su ch’affeo (Cossu 49).
affeàre tr. imbrattare, deformare, svisare; biasimare, calunniare, disonorare, disapprovare. Totu m’han affeadu su cantare
(Mele). || sp. afear.
affedàdu agg. Anche acchisciàdu.
affedàre rifl. → ACCHISCIÀRE.
affegàdu agg. ubbriaco. Che ha sentore di fece, del vino.
affegàre rifl. ubbriacarsi. Prendere il sentor della fece.
affeitàre rifl. disonorarsi, menare una vita vergognosa, di peccato. Della Maddalena (peccados). Fattos in tempos chi si affeitàda (Gosos, p. 387). [La voce è lemmatizzata anche in un altro punto del manoscritto, con la seguente trattazione: rifl.
adornarsi, truccarsi. Fattos in tempos chi si affeitàda fatti nel
tempo in cui Maria Maddalena era peccatrice (Delogu Ibba).]
affèlta s.f. → AFFÈRTA.
afféltu part. pass. → AFFÉRTU.
affeminàdu agg. effeminato, donnajolo. Esser veru lu declarat / unu veru affeminadu (Cub.).
affeminàre rifl. effeminarsi.
affemmarìas avv. all’avvemmaria. T’isetto in domo affemmarias t’aspetto a casa all’avemmaria.
affenàre tr. dare il fieno alle bestie. | intr. morire per aver
mangiato stoppie rugiadose → ALLENTORZÀRE.
affendhenzàdu agg. affaccendato, occupato.
affendhenzàre rifl. affaccendarsi, occuparsi.
affendhénzu s.m. affaccendio, occupazione continua.
affenónzu s.m. somministrazione del fieno alle bestie.
afferidìttu agg. vagabondo, disperso. Fiadu afferidittu bestia
ch’è sfuggita al padrone. Tribagliante afferidittu lavoratore che
si offre senza invito.
affiaccàre
afferràda s.f. l’atto di afferrare, afferramento.
afferradórzu s.m. manico, ansa, luogo dove un oggetto si può
prendere. Lea sa cesta a s’afferradorzu prendi il cesto alle anse.
afferràdu agg. afferrato, preso. | Attaccato. Unu ch’a custu
mundhu est afferradu (An. Terranova).
afferradùra s.f. afferramento.
afferràre tr. afferrare, acciuffare, cogliere; comprendere. |
rifl. acciuffarsi, lottare. | intr. comprendere. Es maccu e no
affèrrada è stolto, e non comprende.
affèrrere tr. rapportare. Afferrer a s’orija o a orijas riferire, rapportare. Anche semplic. fèrrer. M’han affertu a orijas chi ti ses
cojuendhe, chi ses pratichendhe cun cumpanzos malos… | Anche
per offrire. S’est affertu isse matessi s’è offerto spontaneamente. |
rifl. presentarsi. Si s’afferit sa cumbinassione, s’occasione se si presenta l’occasione.
affèrta s.f. raccolta, specialmente di danari, questua, colletta.
Su jaganu es fattendhe s’afferta il sagrestano sta facendo la questua in chiesa.
affertóriu s.m. → OFFERTÓRIU.
affértu part. pass. di affèrrere, riferito; raccolto; offerto.
affessionàdu ecc. → AFFEZIONÀDU.
affestàdu agg. festeggiato, solennizzato. Dies affestadas giorni
di precetto.
affestàre tr. festeggiare, solennizzare. Santificare le feste. Bisonzad affestare sas dies cumandhadas.
affettadamènte avv. affettatamente, con affettazione.
affettàdu agg. affettato, artificioso, lezioso.
affettàre tr. affettare, nel senso di fare o dire una cosa con
sovverchio studio, con ricercatezza.
affettassiòne s.f. affettazione, ricercatezza, studiosità.
affettianàda s.f. l’atto di rifugiarsi, praticare una persona o
un luogo, bazzicare.
affettianàdu agg. avvezzato, assuefatto. | In forza di sost. colui che frequenta un luogo. No che podet bogare dai domo sos
affettianados.
affettianàre rifl. abituarsi, frequentare, bazzicare una casa. Rendersi cliente. S’est affettianadu a cussa domo e no che lu poden
iscasanare (→ ISCASANÀRE). Affettianaresi a sa cheja, a su zilleri.
affettiànu avv. nei giorni di lavoro. Custas vestes ponedilas
affettianu questi abiti indossali nei giorni di lavoro.
afféttu s.m. affetto, amore. Haer affettu nutrire affetto. Ponner affettu porre, prendere affetto.
affettuosamènte avv. affettuosamente. Rezire, trattare affettuosamente.
affettuosidàde s.f. affettuosità.
affettuósu agg. affettuoso, amorevole.
afféu s.m. affronto, interpretazione maligna. Su pius crudele
affeu (An.). Ponner in affeu interpretare malignamente, prendere in cattivo senso. Mirade chi lu ponen in affeu (Mele).
Haer affeu de una cosa vergognarsi. A bi lis denegare ndh’hapo
affeu (Zicconi).
affeudàdu agg. dato, preso in feudo.
affeudàre tr. dare e prendere in feudo.
affezionàda (tz) s.f. l’atto di affezionarsi, di frequentare; frequenza. Affezione.
affezionàdu (tz) agg. affezionato, affettuoso.
affezionàre (tz) tr. affezionare. | rifl. affezionarsi a uno, a
una cosa, col verbo essere; affezionare uno a sé, col verbo avere. S’est affezionadu a sa tia. Sa tia si l’had affezionadu.
affeziòne (tz) s.f. affezione, amore, benevolenza, attaccamento. Haer affezione. Ponner affezione. Perder affezione. Portare
affezione.
affiaccàda s.f. l’atto di afferrare, stretta.
affiaccàre tr. afferrare, stringere con le dita. Affiàccalu ’ene,
chi no t’iscappet stringilo bene che non ti sfugga.
affiadàre
affiadàre rifl. affiatare, prender dimestichezza con uno o a
vicenda. | intr. respirare affannosamente.
affiamusciàda s.f. l’atto di abbrustiare, abbruciacchiare.
affiamusciàdu agg. abbruciacchiato, abbrustiato.
affiamusciadùra s.f. abbruciacchiatura, abbrustiamento.
affiamusciàre tr. abbruciacchiare, abbrustiare.
affiancàda s.f. l’atto d’ingrassare, crescere nei fianchi.
affiancàdu agg. rinvigorito, ingrassato.
affiancadùra s.f. l’atto e l’effetto di ingrassare, rinvigorire.
affiancaméntu s.m. rinvigorimento, ingrassamento.
affiancàre tr. e rifl. rinvigorire, ingrassare, più specialmente
delle bestie.
affianchìdu agg. → AFFIANCÀDU.
affianchìre tr. e rifl. → AFFIANCÀRE.
affianzàda s.f. l’atto di coprire, proteggere, difendere.
affianzàdu agg. coperto, protetto, difeso.
affianzadùra s.f. l’atto e l’effetto di coprire, proteggere, difendere. Coperta da letto; vesti che proteggono dal freddo.
affianzaméntu s.m. l’atto di ben coprirsi, proteggersi dal
freddo.
affianzàre tr. coprire, proteggere. | rifl. ass. coprirsi, proteggersi bene contro il freddo. Affiànzadi ’ene chi sa notte es fritta. Affianzaresi a unu mettersi sotto la protezione di qualcuno. || sp. afianzar.
affiànzu s.m. coperta da letto; vesti che proteggono. Difesa,
protezione. Cun cuss’affianzu no timet su nie con quei vestiti
non teme la neve. S’affianzu de su mere l’ha pèrdidu l’ha rovinato la protezione del padrone.
affibbiàda s.f. l’atto di affibbiare.
affibbiàdu agg. affibbiato.
affibbiadùra s.f. affibbiatura.
affibbiàre tr. affibbiare, imputare. L’han affibbiadu una calunnia mala e no l’ha potida superare gli hanno affibbiato una
calunnia e non l’ha potuta sopportare.
afficcàda s.f. l’atto di far attenzione, di badar bene a una cosa, di sperare.
afficcàdu agg. attento, intento, premuroso; speranzoso; desideroso; saggio, sodo. Afficcadu a su giogu, a sa cazza, a su ’inu
dedito.
afficcànzia (tz) s.f. attenzione. De no haer in me postu afficanzia (Mossa 120).
afficcàre rifl. fissar l’attenzione, desiderare, sperare, occuparsi con intento d’una cosa, impegnarsi. S’est afficcadu a sa
cazza e no faghet pius nuddha s’è dato alla caccia e non fa
null’altro.
affìccu1 s.m. attenzione, cura, impegno, costanza, saggezza.
Tribaglia cun afficcu lavora con cura. Persone de afficcu persona
saggia, di conto. Homine de pagu afficcu, chen’afficcu uomo da
poco, volubile; cosas de pagu afficcu cose trascurabili, cianfrusaglie. | Haer afficcu esser saggio, prudente, sodo. No b’haer afficcu in una persone o in una cosa non esser degno di considerazione, non aver fermezza, costanza. Afficcu b’hada! non mette
conto, è una cosa da nulla! Già b’had afficcu ’onu! Ponner afficcu (ass.) star attento, metter senno. Pone afficcu, mi’ chi rues fa
attenzione, bada che caschi. Fizu meu, pone afficcu, chi como
ses mannu figlio mio rinsavisci, che sei attempato. Ponner afficcu a una cosa badare, far attenzione. Pone afficcu a su chi ses
fattendhe bada a quel che fai. Guardare attentamente. Pon’afficcu a cuddhu signale guarda bene quel segnale. Aver di mira.
Pon’afficcu a sa recumpensa, a sa paga abbi di mira al compenso, alla mercede. Istare a s’afficcu de unu.
affìccu2 avv. Afficc’a erva, a paza; afficc’a su soldu, a s’impiegu.
affidadòra, affidadore s.f. e m. la sposa e lo sposo.
affidàdu agg. che gode fiducia. Est un’omine meda affidadu.
| part. pass. di affidàre (sposare), sposato.
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affidaméntu s.m. affidamento. Est unu tipu chi no dat prenu
affidamentu.
affidanzàdu (tz) agg. garantito, assicurato.
affidanzàre (tz) tr. garantire, assicurare, far fidanza.
affidàre tr. affidare, commettere, confidare. | Prendere in
isposo o in isposa. Had affidadu una femina ricca ha sposato
una donna ricca. Had affidadu unu demoniu ha sposato un
demonio. | rifl. sposarsi, unirsi in matrimonio. Dai candho si
sun affidados no han hapidu un’ora ’e bonu da quando si son
sposati non hanno avuto un’ora di pace. | ass. sposarsi, celebrare il matrimonio. Han affidadu dominiga si son sposati domenica. Innanti de affidare prima di sposarsi. || da fide fede.
affìde avv. in fede, davvero, in verità, formula di giuramento. Affide mia! in fede mia! Affide, bi so andhadu e l’hapo ’idu
davvero, ci sono stato e l’ho visto. Ndhe dùbbito meda! Affide
mia! proprio davvero.
affidigàdu agg. livido. Anche affigadàdu.
affidigàre rifl. diventar livido, specialmente per bile. Anche
affigadàre. || da fidigu fegato.
affìdu s.m. sposalizio, matrimonio, nozze. S’aneddhu ’e s’affidu la fede matrimoniale, in qualche luogo anche l’anello del
fidanzamento. No es torradu cun sos suos mancu a s’affidu non
si è rappaciato con la famiglia neppure allo sposalizio. Affidu
riccu, affidu ’e poveros nozze ricche, povere. Su cùmbidu pariad un’affidu il banchetto pareva un pranzo di nozze. | Consegna. Tenner in affidu avere in consegna.
affiduciàdu agg. che gode molta fiducia, molto credito. Cussu
mercante est affiduciadu in sas mezus bancas quel commerciante
è accreditato presso le migliori banche. Servidore affiduciadu.
affiduciàre tr. dar credito, fiducia; raccomandare uno; prestar fidanza per uno. L’hapo affiduciadu a su mere e l’had imprestadu sa suma chi cheriat.
affiduzzàdu (tz) agg. che ha osato, si è sforzato, peritato.
affiduzzàre (tz) rifl. osare, sforzarsi, peritarsi, sentirsi in forze. No m’affiduzzo ancora, so ancora dèbbile non oso ancora,
son molto debole. Appenas chi m’affiduzzo, benzo a ti fagher
una visita appena mi sentirò in forze verrò a farti visita.
affieràdu agg. infierito, fiero, crudele.
affieràre rifl. infierire, incrudelire. Montar in ira, in furore,
imbestialire. Daghi s’affierat cheret timìdu quando imbestialisce vuol essere temuto.
affìere tr. stringere. Affiere sa manu, sos poddhighes, su punzu
stringere la mano, le dita, il pugno. Affiere su nodu, sa vite, sa
mossa, sa suppressa stringere il nodo, la vite, la morsa, il torchio.
Pressare, comprimere. Affiere su casu (il cacio nella forma). Affiere s’oju fissare l’occhio; guardare attentamente; star attento.
Affie s’oju a cuddha punta guarda attentamente a quella cima.
Affie s’oju, si cheres chi no t’ingànnene sta attento, se vuoi che
non t’ingannino. | rifl. Custu nodu, custa suppressa no si podet
pius affiere questo nodo, questo torchio non si può stringere
più oltre. In questo senso anche ass. Sa tenazza no affiet pius,
non si podet pius affiere le tanaglie non stringono più oltre. | Affierla a unu tener fermo, mettere con le spalle al muro, insistere. Daghi bi l’hap’affissa ha cumpresu, s’es reduidu alle mie insistenze s’è persuaso. Forse dall’antica tortura d’infausta memoria:
per indurre il paziente (a torto o a ragione) a confessare, si dava
un tratto, si torceva, si stringeva la corda… | Affier de ojos sgranare, stralunare gli occhi, fissare con lo sguardo. | M’affiet su
botte, su collare, su bulzu, sa calzetta di capi di vestiario che son
troppo stretti, scarpe che stringono il piede, collo e polso della
camicia, calze che stringono le parti da essi rivestite.
affigadàdu, -are → AFFIDIG-.
affiguràre tr. figurare, raffigurare.
affilàda s.f. l’atto di affilare, aguzzare. Affilata. Più com. → ACCUTÀDA, ARRODÀDA.
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affiladòre s.m. che affila. Più. com. → ACCUTADÒRE, ARRODADÒRE.
affilàdu agg. aguzzato; messo in fila. Sos soldados sun totu
affilados in sa piatta. Diretto verso… Ue ses affiladu? dove sei
diretto? Metaf. di uno che divaga nel parlare o sragiona.
affiladùra s.f. affilatura. Incrinatura; crepa; spaccatura.
affilaméntu s.m. affilamento.
affilàre tr. affilare, aguzzare, in questo senso è raro. Più comune nel senso di avviare, incamminare, guidare. Su mastru
l’had affiladu ’ene il maestro l’ha ben avviato. Sas frizzas e prite
a cua m’has a su coro affiladu? (An.). | rifl. incamminarsi, dirigersi; allontanarsi, più com. infilàresi, → LEÀRE FÌLU. Spaccarsi,
fendersi, più com. filàresi. | Indovinare. No ndh’affilad una
non ne indovina una. Anche ass. Candh’affilat es bravu quando l’indovina è bravo. | Cominciare. Da ch’affilat a sonare no
la finit pius quando comincia a sonare non la finisce più. |
Prendere a. Candh’affilad a esser bonu es troppu ’onu, ma s’affilat a esser malu! | Capitare, accadere. S’affilat chi l’agattas, torramilu se capita che lo trovi, rendimelo.
affilerinàda s.f. l’atto di mettere o mettersi in fila. La fila
stessa, specialmente se è lunga. Una affilerinada ’e zente una
lunga fila di persone. Anche → FILERINÀDA, INFILERINÀDA.
affilerinàdu agg. messo in fila. Affilarato, di piante. Pèssighes affilerinados peschi affilarati; bides affilerinadas viti affilarate. Anche di bestie e di persone.
affilerinadùra s.f. l’atto e l’effetto di mettere o mettersi in
fila.
affilerinàre tr. mettere in fila; piantare in filari. Su capitanu
affilerinat sos soldados in sa piatta. Su massaiu affilerinat sas
mendhulas, sas olias in sa costa. | rifl. mettersi in fila. Sos iscolanos s’affilerinan innanti de intrare a iscola. Succedersi in fila o
in filari. Sas vides s’infilerinan in sa ’inza le viti vengono l’una
dopo l’altra in lunghi filari nella vigna.
affiliàda s.f. l’atto di unire insieme due o più fili.
affiliadùra s.f. l’atto e l’effetto di unire insieme due o più fili.
affiliàre tr. unire insieme due o più fili.
affiliattàda s.f. l’atto di abbreviare, accorciare.
affiliattàdu agg. abbreviato, accorciato.
affiliattàre tr. abbreviare, accorciare.
affilinzonàdu agg. sfilacciato, sfrangiato, sbrindellato. Unu
poverittu totu affilinzonadu.
affilinzonadùra s.f. sfilacciatura, sfrangiatura.
affilinzonàre rifl. sfilacciarsi, sfrangiarsi, sbrindellarsi. Sa
tiaza s’es totta affilinzonada.
affiliónzu s.m. unione di due o più fili.
affiliziòne (tz) s.f. (Bortigali) afflizione.
affìlu avv. dirittamente; a dovere; bene, rettamente. Bessire a
filu rispondere giustamente; riuscire, terminare felicemente.
Andhare, camminare affilu camminare sulla via giusta. Learela
a filu prendere una cosa per il verso giusto, indovinarla. Già
la leas affilu! (iron.) scantoni! divaghi!
affilumestàda s.f. l’atto di accozzare argomenti disparati.
affilumestàdu agg. accozzato.
affilumestadùra s.f. l’atto e l’effetto di accozzare argomenti
disparati.
affilumestàre tr. accozzare nel discorso argomenti disparati.
Nel campo dell’azione, acciabattare, abborracciare, darsi a
molte disparate faccende di poco conto.
affilusigàda s.f. l’atto d’indugiarsi e svagarsi nell’agire e nell’operare.
affilusigàdu agg. pieno di cento faccenduzze che disviano e
inceppano nell’andare al buono.
affilusigadùra s.f. l’atto e l’effetto di divagarsi nell’agire.
affilusigàre rifl. indugiare, disviarsi nell’operare, occupandosi
in faccenduzze di poco conto. Dai cantu s’affilusigat no cum-
affìssa
prit mai nuddha pone mano a tante sciocchezze e non combina mai nulla di sodo. Affilùsigadi de pius! indugia ancora!
affinàda s.f. l’atto di affinare, assottigliare.
affinàdu agg. affinato, assottigliato, perfezionato. || sp. afinado.
affinadùra s.f. affinatura.
affinaméntu s.m. affinamento.
affinàre tr. affinare, assottigliare, perfezionare. | rifl. ingentilirsi, perfezionarsi. Consumarsi per dolore o per malattia.
affìne1 agg. e sost. affine.
affìne2 avv. in fine, finalmente. No benner mai affine non
finir mai.
affinidàde s.f. affinità. Più com. → INTRADÙRA.
affinigàda s.f. l’atto di assottigliare, affinare.
affinigàdu part. pass. assottigliato.
affinigadùra s.f. l’atto e l’effetto di assottigliare.
affinigaméntu s.m. assottigliamento.
affinigàre tr. assottigliare, dimagrare. Sos males affinigan sa
persone. | rifl. assottigliarsi; consumarsi per malattia o per
passione o per sofferenza. Calare. Anche intr. ass. Già has infinigadu! come ti sei assottigliato, come sei dimagrito!
affinigónzu s.m. assottigliamento.
affìnigu s.m. sottigliezza, sofisticheria. Già ndh’has de affinigu! Cura, premura, molestia. Già ti ndhe leas de affinigos. Assottigliamento.
affiorizàda s.f. l’atto di fiorettare, ornare di fiori, disegnare
o ricamare fiori e fregi.
affiorizàdu agg. ornato di fiori o di fregi. Una zella / tota
affiorizada (C. pop. C. N.).
affiorizadùra s.f. fiorettatura.
affiorizàre tr. fiorettare, ornare di fiori, dipingere o disegnare o ricamare fiori e fregi. Più com. → FIORIZÀRE.
affiottulàda s.f. l’atto e l’effetto di affollarsi. Folla, moltitudine. Hapo ’idu un’affiottulada ’e zente in sa piatta in piazza
ho visto una folla di gente.
affiottulàdu agg. affollato, accalcato, abbrancato. ’Arveghes
affiottuladas pecore abbrancate.
affiottuladùra s.f. l’atto di affollarsi, abbrancarsi.
affiottulàre tr. affollare, abbrancare. | rifl. raggrupparsi, affollarsi, abbrancarsi. Sos anzones s’affiottulana in su padru gli
agnelli si abbrancano sul prato.
affirmàda s.f. l’atto d’affermare, consentire. Fagher s’affirmada acconsentire.
affirmadòra s.f. (m. -e) che afferma.
affirmàdu agg. affermato, consentito. Confermato, fortificato.
affirmadùra s.f. l’atto e l’effetto di affermare.
affirmàre tr. affermare, dar per certo, acconsentire. | Fortificare. In sa fide si affirmesin si fortificarono nella fede (Delogu
Ibba).
affirmassiòne s.f. affermazione.
affirmatìva s.f. affermativa. Istare firmu in s’affirmativa
mantenersi nell’affermativa.
affirmativamènte avv. affermativamente. Rispondher affirmativamente.
affirmatìvu agg. affermativo.
affirmaziòne (tz) s.f. affermazione.
affisciàdu agg. serrato. Cofre de chelu affisciadu (Gosos 215, 1).
Arca de celeste manna / piena sendhe affisciada (Delogu Ibba).
affisciàre tr. serrare, legare. Ti fattesin affisciare sa limba
(Delogu Ibba 216). Più com. → FRISCIÀRE.
affiscionàdu agg. affezionato, affettuoso, amoroso. Torra
coment’e prima affiscionadu (Cossu 24).
affiscionàre rifl. affezionarsi.
affìssa s.f. stretta, compressione, pigiatura. Dà’ un’affissa a cussu nodu, a cussa suppressa stringi un po’ codesto nodo, da’ ancora una stretta a codesto torchio. Imbarazzo, carestia, strettezza.
affissàda
Had hapidu una bona affissa s’è visto a mal partito, è stato molto malato, ha sofferto una grande perdita, è stato messo con le
spalle al muro.
affissàda s.f. l’atto di fissare, o fissarsi.
affissàdu agg. fisso, ostinato nella propria opinione o determinazione. Es sempre affissada in su geniu sou e non la movet
niunu è sempre ferma nella propria passione e non la smonta
nessuno. Affissadu vale anche incantato, istupidito.
affissadùra s.f. l’atto e l’effetto di affissare. Incanto, fissazione.
affissàre tr. affissare, fissare. | rifl. fissarsi, ostinarsi nel proprio convincimento. Più com. → FISSÀRE.
affissiòne s.f. affissione. Anche per affezione. Tanta istesit
s’affissione / posta a Gesùs… (Delogu Ibba).
affìssu1 agg. stretto, compresso, compatto. Nodu bene affissu;
mossa, suppressa, tenazza bene affissa. ’Udrone affissu grappolo
serrato, contrario di spargolo. || da → AFFÌERE.
affìssu2 s.m. affisso. Han appiccadu s’affissu de sa leva hanno
messo…
affissùra s.f. l’atto e l’effetto di stringere, comprimere. Strettezza, imbarazzo. S’agattad in grandhe affissura e no podet pagare si trova in grandi strettezze e non può pagare.
affittàbbile agg. affittabile, che si può affittare.
affittàda s.f. l’atto di ridurre a fette.
affittàdu agg. affittato. Domo affittada casa appigionata. Ridotto in fette, tagliato. Conciato per le feste dalle male lingue.
affittadùra s.f. l’atto e l’effetto di tagliare a fette.
affittànte s.m. che dà in affitto o a pigione.
affittàre tr. dare o prendere in affitto o a pigione. Hapo affittadu una tanca e mi ndhe dan chentu iscudos ho dato in affitto
un chiuso e ne ricevo cento scudi. Hapo affittadu una domitta chi pared una tana ho preso a pigione una casupola che pare una tana. | rifl. Affittaresi su cherveddhu, su sentidu non
aver giudizio. No li ponzas mente, s’had affittadu su cherveddhu! non dargli retta, è uno stolido! | Affettare, tagliare a fette. Conciar bene con la maldicenza, dir corna.
affittàvulu s.m. che prende in affitto o a pigione, fittaiuolo,
pigionale. Trattat bene sos affittavulos e totu lu cheren bene tratta bene i fittaioli (i pigionali) e tutti gli vogliono bene.
affittèvole s.m. affittuario.
affittianàda e deriv. → AFFETTIANÀDA e deriv.
affìttu1 s.m. affitto, pigione. Dare, leare in affittu dare o
prendere in affitto o a pigione. Pagare s’affittu.
affìttu2 avv. densamente, strettamente. Semenare affittu seminare densamente. Abbaidare affittu guardare fissamente.
Tessere affittu stringere bene i fili nel tessere. Contrario di a
lascu, a radu. Affittu affittu molto fissamente, sfacciatamente,
con abbaidare guardare.
affìu s.m. patimento, sofferenza. Lagrimas e affios (A. Sp.).
affizàdu agg. che è diventato padre, che ha figli. Isse puru
affizadu! (iron.) anch’egli è padre! per uno che non sarebbe
degno di esser padre.
affizàre rifl. diventar padre o madre, aver prole. Pullulare,
germogliare, delle piante. Più com. → FIZÀRE.
affiziónu avv. bene, accuratamente. Fagher una cosa affizionu farla con diligenza, bene.
affizìre tr. e rifl. affliggere.
affizuónu avv. bene, saggiamente. Fagher affizuonu star savio,
obbedire, dei fanciulli e dei bimbi. || da fizu ’onu buon figliolo.
affliggidamènte avv. mestamente, con afflizione. || sp. afligidamente.
affliggìdu agg. afflitto, mesto, addolorato. || sp. afligido.
affliggiméntu s.m. l’atto di affliggere. Afflizione. Est un’affliggimentu chi no poto superare è un’afflizione che non posso sopportare. || sp. afligimiento.
affliggìre tr. affliggere, addolorare, tormentare. Malaittu chie
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affliggit sa mama. | ass. Sun colpos ch’affliggini son colpi che affliggono. | rifl. affliggersi, rattristarsi, scoraggiarsi. S’affliggit
pro unu nuddha si scoraggia per un nonnulla. || sp. afligir.
affliscàre tr. chiudere a chiave, serrare (C.S.P.). Anche affriscàre, → FRISCIÀRE.
afflissiòne s.f. afflizione, tristezza, tormento. Dare afflissione
causar pena.
afflissionósu agg. afflitto; che soffre afflizione per un altro,
pietoso.
afflittèsa s.f. afflizione abituale. E de sos trinta tres annos numera sas afflittesas (Murenu). Sa desolazione, s’afflittesa (Caddeo). Mira sas afflittesas e affannos (Murenu).
afflittìvu agg. afflittivo. Pena afflittiva. … E cadenas de ferru
acutu afflittivas (Gos. 249).
afflittóriu agg. che affligge. Deus cun pena sa pius afflittoria
(Dore).
afflìttu agg. afflitto, sconsolato, tribolato.
affliziòne (tz) s.f. afflizione.
afflosciàda s.f. l’atto di rallentare, affloscire.
afflosciàdu agg. indebolito, affloscito.
afflosciadùra s.f. l’atto e l’effetto di affloscire, rallentare.
afflosciàre intr. rallentare, affloscire, venir meno. Senza afflosciare niente in sa mortificascione (Gosos 250).
afflottàdu agg. in flotta. Sa gioventura greca est afflottada (P.
Luca).
affluènte s.m. affluente.
affluénzia (tz) s.f. affluenza, abbondanza. Affluenzia de zente
folla. Affluenzia de males. Presso il volgo anche per influenza,
come malattia.
affluenziàdu (tz) agg. influenzato; malato d’influenza.
affluìre intr. (raro) affluire.
affoddhàdu agg. sbolgiato, che fa bolge o borsette; gonfio.
affoddhàre intr. sbolgiare, far bolge o borse. Si dice dei vestiti. || da foddhe, lat. follis mantice, borsa.
affoddhonàdu agg. rigonfio. Ojos affoddhonados occhi rigonfi.
affogàdu agg. affogato; infocato.
affogadùra s.f. l’atto e l’effetto di affogare.
affogaméntu s.m. affogamento.
affogàre tr. e rifl. affogare, strangolare, strozzare, soffocare.
Chi m’affoghet su piantu ei sa pena (Zus. Ebreu). | intr. Affogare in unu prammu de abba perdersi in una sciocchezza, affogare in un bicchier d’acqua. Affogare dai su caldu, dai su fumu
soffocare dal caldo, dal fumo. Affogare in sos dèpidos affogare
nei debiti. | Affogàreche: ch’est affogadu in su riu s’è affogato
nel rio. | Anche affocare, infiammarsi, al fig.
affogazzàda (tz) s.f. l’atto di schiacciare in forma di focaccia.
affogazzàdu (tz) agg. in forma di focaccia. | Incollerito, accaldato.
affogazzadùra (tz) s.f. l’atto di schiacciare in forma di focaccia.
affogazzàre (tz) tr. schiacciare la pasta in forma di focaccia.
| rifl. accaldarsi, incollerirsi, infocarsi d’ira.
affoghilàdu agg. ozioso. Freddoloso, che rimane troppo in
casa accanto al foco. E sempr’infoghiladu int<r>o ’e domo ei
sa robba chi cantet!
affoghilàre rifl. restare ozioso accanto al fuoco. Daghi s’infoghilat no che lu ’ogan manc’a fuste quando si mette accanto al
fuoco non si smonta neanche a bastonate.
affoghizàda s.f. l’atto di accendere il fuoco e di nutrirlo.
affoghizàdu agg. acceso. Su buscu fit totu affoghizadu il bosco bruciava tutto.
affoghizadùra s.f. l’atto di accendere e fomentare il fuoco o
l’incendio.
affoghizàre tr. bruciare, abbruciare. Affoghizare su debbiu, sa
tanca. | ass. incendiare, appiccar fuoco e fomentare l’incendio.
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Est affoghizendhe in sa tanca sta nel chiuso intento a bruciare
le frasche o il debbio. Far dei bruciaticci per addomesticare
un terreno. | rifl. Mira chi tue e totu t’affoghizas (L. Pinna).
affoghìzu s.m. bruciamento; incendio. In sa serra b’had unu
grandhe affoghizu. Cun totu custu affoghizu sos montes nostros
sun sempre nudos con tutti questi incendi i nostri monti son
sempre nudi. | Tassa, focatico, testatico, imposte in genere. ||
da fogu (casa, famiglia), lat. ant. aufuiagium dritto di tagliar
legna nel bosco per il proprio fuoco (Spano).
affogliettàdu agg. come un folletto, vispo, testerella, birichino.
affogliettàre rifl. parlare, comportarsi come un folletto, essere vivace, scapatello. Candho s’affogliettat cheret timidu
quando prende a schiassare vuol esser temuto.
affógu s.m. affogamento, soffocamento. Pericolo, danno,
affanno (metaf.). M’agatto in unu grandhe affogu mi trovo in
grande imbarazzo o strettezza o pericolo.
affòlte avv. → AFFÒRTE.
affoltiàre tr. → AFFORTIÀRE.
affoltigàre tr. → AFFORTIGÀRE.
affoltìre tr. → AFFORTÌRE.
affoltunàdu agg. → AFFORTUNÀDU.
afforàdu agg. accaparrato. Binu, casu, trigu afforadu.
afforàre tr. accaparrare. Had afforadu una partida de bestiamine e no si l’had ancora retiradu. || sp. aforar.
affòrra s.f. fodera. Rincalzo (metaf.).
afforràdu agg. foderato. ~ de ’inari ricco; ~ de zente affollato. || sp. aforrado.
afforradùra s.f. l’atto e l’effetto di foderare. || sp. aforradura.
afforràre tr. foderare. Più com. → FORRÀRE. | Raccogliere, radunare, spec. per fini poco onesti, di gente. | rifl. Afforraresi de
’inari arricchirsi. De zente mala circondarsi di bravi, di segugi.
Rifugiarsi. Afforraresi cun Deu. | Impiallacciare un mobile.
Hap’afforradu unu cantaranu ’ezzu ed es torradu che nou ho impiallacciato un vecchio canterano ed è tornato come nuovo. |
Cacciar dentro, ficcare. Lu giuttan (il corno) addasegus afforradu (Loria). || sp. aforrar.
afforrottulàda s.f. l’atto di mescolare, affastellare.
afforrottulàdu agg. mescolato, affastellato, ammucchiato.
afforrottuladùra s.f. rimescolatura, affastellamento; mucchio.
afforrottulàre tr. rimescolare, affastellare, ammucchiare. Già
ndhe ses afforrottulendhe de cosas! quante cose affastelli, quante
chiacchiere fai!
affórru s.m. fodera, rincalzo. || sp. aforro.
affòrte avv. fortemente, con forza. Iscudere afforte battere
con forza. Mandhigare afforte, tribagliare afforte mangiare, lavorare sodo.
affortiàre tr. afforzare, rafforzare. Più com. → AFFORTÌRE.
affortìda s.f. rafforzata. L’atto di alzar la voce, in contesa. S’ha
dadu un’affortida, ma l’hapo fattu cagliare ha alzato la voce, ma
l’ho fatto tacere.
affortìdu agg. rafforzato. Incollerito. In te matessi affortida
(Pintus).
affortigàda s.f. rafforzata. Sforbiciata.
affortigàdu agg. rafforzato, rincalzato. Sforbiciato.
affortigadùra s.f. rafforzatura. Sforbiciatura.
affortigaméntu s.m. rafforzamento. Sforbiciamento.
affortigàre tr. rafforzare, rincalzare. Sforbiciare.
affortìre tr. rinforzare, rinvigorire. Affortire sa ’oghe alzare la
voce. | rifl. fare il prepotente, braveggiare, adirarsi. Cun megus
no t’affortes, chi no ti timo con me non braveggiare, non ti temo. Ribellarsi, ostinarsi. S’est affortidu e no l’han potidu mòvere s’è ribellato, s’è incapato e non l’hanno smosso. | Infortire,
del vino.
affortunàdu agg. fortunato; prospero; felice. Ben’affortunadu
affràsciu
molto fortunato. Mal’affortunadu sfortunato, sventurato. ||
sp. afortunado.
affortunàre tr. arricchire, prosperare. | rifl. far fortuna, arricchirsi, prosperare. || sp. afortunar.
affóru s.m. caparra, anticipazione di prezzo, acconto → INFÓRU. || sp. aforo.
affossàdu agg. affossato.
affossadùra s.f. affossatura.
affossaméntu s.m. affossamento.
affossàre tr. affossare, far fosse, incavare, avvallare.
affozìdu agg. fogliuto, fronzuto. Più com. → FOZÌDU.
affozittàda s.f. l’atto di pieghettinare, piegolinare.
affozittàdu agg. piegolinato, pieghettinato.
affozittadùra s.f. l’atto e l’effetto di piegolinare, pieghettinare.
affozittàre tr. piegolinare, pieghettinare.
affraighinàda s.f. l’atto di attaccare al muro. L’ha dadu un’affraighinada e no l’ha lassadu bruddhighinare l’ha addossato al
muro e non l’ha lasciato movere.
affraighinàdu agg. attaccato, appiccicato come intonaco al
muro.
affraighinadùra s.f. l’atto e l’effetto di attaccare al muro.
affraighinàre tr. attaccare, appiccicare una cosa a un’altra
come l’intonaco al muro. Di persona, addossarla con violenza a qualche ostacolo e renderla impotente a difendersi. | rifl.
attaccarsi, addossarsi, appiccicarsi. S’est affraighinadu a sa
rocca e no ndhe lu poden istaccare s’è addossato al masso e
nessuno lo può staccare. || da fraigu, fraigare.
affrancàdu agg. affrancato, di lettera o plico che ha il francobollo.
affrancadùra s.f. affrancatura.
affrancàre tr. affrancare, appiccicare il francobollo a una lettera o a un plico. Affranca cussa littera e impostala appiccica il
francobollo a codesta lettera e imbucala.
affranchiàda s.f. l’atto di abbrancare.
affranchiàdu agg. abbrancato, afferrato, acciuffato.
affranchiadùra s.f. l’atto di abbrancare.
affranchiàre tr. abbrancare, afferrare. || da franca, branca.
affranchìdu agg. affrancato.
affranchidùra s.f. francatura delle lettere.
affranchiméntu s.m. franchigia.
affranchìre tr. affrancare, francheggiare. Di lettere, appiccicarvi il francobollo.
affranciàda s.f. l’atto di abbrancare, sgraffignare, rubare.
affranciàdu agg. abbrancato, rubato.
affranciadùra s.f. l’atto e l’effetto di abbrancare, rubare.
affranciàre tr. abbrancare, afferrare; rubare, sgraffignare. Su
ch’haiat bi l’han affranciadu e oe est a sa miseria gli hanno
sgraffignato quanto possedeva e oggi è alla miseria.
affràntu agg. (t. poet.) affranto. In cussu chercu affranta (An.).
affranzesàdu (tz) agg. infetto di mal venereo. || sp. afrancesado.
affranzesadùra (tz) s.f. mal venereo.
affranzesàre (tz) tr. comunicare il mal venereo. | rifl. contrarre la lue venerea. || sp. afrancesarse.
affranzughèna s.f. rimasugli del pasto. Fagher a franzughena
ridurre in frantumi, sminuzzolare.
affrappàda s.f. l’atto di strappare di mano. Stratta.
affrappàdu agg. strappato di mano.
affrappadùra s.f. l’atto e l’effetto di strappar di mano.
affrappàre tr. strappar di mano.
affrasciàdu agg. molto occupato, impensierito, affannato,
tormentato. Già ses pag’affrasciadu!
affrasciàre rifl. affacchinarsi, acciabattarsi. Impensierirsi, affannarsi. No t’affrasces tantu pro me non affannarti tanto per me.
affràsciu s.m. premura, ansia, timore. Learesi affrasciu prendersi cura. No ti lês tant’affasciu, b’ha tempus pro totu non
affràtta
aver tanta premura, c’è tempo per tutto. Esser in affrasciu trovarsi in imbarazzo, in pericolo, in strettezze. Cussa familia est
in affrasciu mannu quella famiglia si trova in grande imbarazzo. | Affaccendio. In cussa domo b’had affrasciu mannu, cras
deved isposare su fizu mannu in quella casa c’è molto affaccendio, domani si sposerà il primogenito.
affràtta affràtta avv. rasente.
affremmarìas avv. all’avemmaria.
affrenàda s.f. l’atto di frenare, raffrenare. S’ha dadu un’affrenada s’è un po’ frenato.
affrenàdu agg. frenato, regolato. Affrenadu in su faeddhare
prudente nel parlare.
affrenadùra s.f. l’atto e l’effetto di frenare, raffrenare.
affrenàre tr. frenare, raffrenare. | rifl. frenarsi, rattenersi,
moderarsi. Affrenaresi in sa limba misurare le parole. Mi so
affrenadu in sa limba, e haio tantas cosas de li narrer! Affrenaresi in su mandhigu regolarsi nel cibo. Più com. → FRENÀRE.
affrènta s.f. disgrazia, sventura. Haer affrenta esser colpito
dalla sventura. Infamia, vergogna. || sp. afrenta.
affrentadamènte avv. ignominiosamente. || sp. afrentadamente.
affrentàdu agg. disgraziato, sventurato, colpito da molte
prove.
affrentàre tr. oltraggiare. || sp. afrentar.
affrentosamènte avv. disgraziatamente, sciaguratamente.
Vergognosamente. Gasi affrentosamente dispacciados così vergognosamente congedati (Delogu Ibba).
affrentósu agg. soggetto a molte disgrazie, sfortunato, sventurato. Dai cantu est affrentosu totu sos males ruen subr’a isse è
zimbello della mala sorte, tutti i mali gli piombano addosso.
A su supplissiu affrentosu (Delogu Ibba). Vergognoso, infame.
Morte affrentosa. || sp. afrentoso.
affrénu s.m. freno, ritegno; impedimento, ostacolo. Si no
haiad hapidu s’affrenu ’e su babbu, si fid arruinadu se non l’avesse frenato il babbo, si sarebbe rovinato. Più com. → REFRÉNU.
affresàda s.f. l’atto di dividere la pasta in pezzi rotondi e di
incrinare, screpolare.
affresàdu agg. diviso in pezzi rotondi, della pasta → FRESÀDU1. Incrinato, screpolato → FRESÀDU2.
affresadùra s.f. l’azione e l’effetto di dividere la pasta in pezzi
rotondi.
affresàre tr. ridurre la pasta in pezzi rotondi, dai quali poi
col matterello si spianeranno le schiacciate o le focacce →
FRÈSA. Incrinare, screpolare → FRESÀRE.
affricchinidàdu agg. ridotto in frantumi. Di proprietà terriera molto frazionata.
affrìere tr. bagnare, inzuppare. | rifl. della polvere da sparo
umida o svigorita che tarda ad accendersi. Custa bulvara s’affried, deved esser infusta o isvalorida questa polvere tarda a
prender fuoco, dev’essere bagnata o svigorita.
affriggìdu e deriv. → AFFLIGGÌDU e deriv.
affrijolàdu agg. ben fritto, cotto come una frittella.
affrijolàre tr. friggere, cuocere bene come una frittella, rosolare.
affrimmagliàre tr. fermare, raffermare, consolidare.
affrisciàdu agg. chiuso a chiave, serrato.
affrisciàre tr. chiudere a chiave, serrare. | rifl. rinchiudersi.
S’est affrisciadu in domo e no cheret bessire. Più com. → FRISCIÀRE. || da frisciu serratura.
affriscionàdu agg. affezionato. Teraccu meda affriscionadu.
Impietosito, pietoso, benefico.
affriscionàre tr. affezionare, ammansire. Affriscionat fina sas
feras ammansisce anche le fiere. Impietosire. Affriscionad a
totu cun sos males suos impietosisce tutti con le sue sventure. |
rifl. affezionarsi. S’est affriscionadu a mie e no si che chered
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andhare. Impietosirsi. S’affriscionat de su poverittu e no si lassat
nuddha si muove a pietà del poveretto e non si lascia nulla.
affrìscu s.m. serratura. Cun tres affriscos o toppas (Cap. Ros.).
affrìssidu part. pass. di affrìere, bagnato, umido; fritto.
affrissionàdu agg. affezionato; afflitto.
affrissionàre rifl. affezionarsi; impietosirsi.
affrissuràdu agg. fritto. Mal concio, oppresso, tormentato
(metaf.).
affrissuràre tr. friggere. Più com. al fig. opprimere, tormentare → FRISSURÀRE.
affrittorìdu agg. freddoloso.
affrittulàre intr. far freddo. Cominzad a affrittulare comincia a far freddo. Innanti ’e affrittulare bisonzat cumprire su semeneriu prima che cominci il freddo bisogna far la semina.
affritturìdu agg. freddoloso, che soffre il freddo.
affritturigàdu agg. infreddolito, intirizzito.
affrizzàda (tz) s.f. l’atto di frecciare, colpire con frizzi, tormentare; frecciata.
affrizzàdu (tz) agg. frecciato, tormentato.
affrizzadùra (tz) s.f. l’atto di frecciare, opprimere, tormentare.
affrizzàre (tz) tr. frecciare, tormentare, addolorare. Fizu
meu, cun su fagher tou m’affrizzas su coro figlio mio, con la tua
condotta mi trapassi il cuore. S’esercitu militante ti affrizzerad
inumanu (Delogu Ibba).
affroddhiàre rifl. impacciarsi, immischiarsi, nei fatti altrui.
Chie no had ite faghere s’affroddhiat sempre in sos fattos de sos
ateros chi non ha da fare s’immischia sempre nei fatti degli altri. Chiacchierare a vanvera, affastellare chiacchiere strampalate. Ite ses affroddhiendhe?
affroddhiéri s.m. ficchino, ciabattone; vanesio; arcifanfano.
Bae, chi ses un’affroddhieri va là, che sei un pasticcione, un millantatore. | In forma d’agg. chiacchierone, pettegolo. Femina
affroddhiera donna pettegola, vana.
affróddhiu s.m. abitudine di ficcarsi nei fatti altrui. Pettegolezzo, chiacchiera; leggerezza, svenevolezza. Lassami sos affroddhios
e faeddha seriamente lascia le sguaiataggini e parla seriamente.
affrontàda s.f. l’atto di svergognare; rimprovero, raffaccio.
M’ha dadu un’affrontada chi m’es dispiàghidu mi ha fatto un
rimprovero che m’è dispiaciuto. Più raro, l’atto di affrontare,
tener fronte.
affrontàdu agg. affrontato. Rimproverato, svergognato. Restare affrontadu de una cosa sentir vergogna. L’had brigadu in
mesu carrera e ndh’es restadu affrontadu l’ha rampognato in
pubblico ed è rimasto confuso.
affrontadùra s.f. rimbrotto, rimprovero, raffaccio.
affrontaméntu s.m. rimprovero.
affrontànte agg. limitrofo, confinante, contiguo.
affrontàre tr. affrontare. Affrontat su leone, s’orcu tien fronte
al leone, all’orco. | Svergognare, rimproverare, confondere.
L’had affrontadu in mesu a totu l’ha svergognato in faccia a
tutti. | rifl. vergognarsi. S’affrontat pro dogni cositta si vergogna per ogni nonnulla. || sp. afrontar.
affrontasciòne s.f. confine, limite, contiguità. ▫ affrontassiòne, affrontaziòne (tz).
affrontosamènte avv. acremente, rudemente. Vergognosamente.
affrontósu agg. vergognoso, disonorevole; duro, rude, detto
di parole, di rimprovero.
affróntu s.m. rimprovero, vergogna, disonore. Fagher affrontu svergognare, vituperare, confondere. No creio mai de mi
fagher cust’affrontu non credevo mai che m’avresti procurato
questo scorno.
affrosciàda s.f. l’atto di incalzare, stimolare, mettere alle strette, rintuzzare. L’hapo dadu una bona affrosciada l’ho messo bene alle strette.
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affrosciàre tr. mettere alle strette, incalzare. Si no l’haio affrosciadu no ndhe cheriad intendhere se non l’avessi spronato,
messo alle strette, non ne voleva sapere. Affrosciarela a unu
cantarla chiara, mettere con le spalle al muro, costringere. Bi
l’hapo bene affrosciada glie l’ho cantata, spiattellata.
affrottàdu agg. unito in frotta. Affrottadu cun cumpanzos
malos imbrancato in male compagnie. Già sun ben’affrottados!
affrottàre rifl. unirsi in frotta, imbrancarsi. In cattivo senso.
Daghi s’est affrottadu cun cussa zente no ndh’ha fattu pius una
’ona da quando si è imbrancato con quella gente non ha fatto più nulla di bene.
affrungiulàdu agg. ritirato, ricoverato.
affrungiulàre tr. ritirarsi, ricoverarsi.
affrunzàdu agg. come una verga, frondoso, frangiato.
affrunzadùra s.f. l’atto di sfrangiare, di rivestirsi di fronde.
affrunzàre rifl. ridursi come una verga, diritto; rivestirsi di
fronde. Sfrangiare. || da frunza che significa verga, bacchetta,
fronda, frangia.
affrunzeddhàre rifl. rivestirsi di fronde tenere.
affrùsciu! avv. niente, nulla. Meda ndh’has? Affrusciu!
affùa avv. nella frase fagher affua scappare, fuggire.
affuènte s.m. In affuent’’e prata piatto d’argento (C. pop. C.
N.) → APPUÈNTE.
affùltu avv. di nascosto, furtivamente.
affumàda s.f. l’atto di affumicare. Dà’ un’affumada a cussu
casu affumica un po’ quel cacio.
affumàdu agg. affumicato. Che sa di bruciaticcio, di fumo,
di cibo. Golpato, del grano.
affumadùra s.f. l’atto e l’effetto di affumicare; bruciaticcio.
affumàre tr. affumicare. | rifl. Di cibo, bruciarsi, saper di fumo. Deu ’aldet chi s’affumet sa padeddha (A. Sp.). Del grano,
guastarsi della golpe.
affumentàda s.f. l’atto di riempiere di fumo. Assiad affumentada! ah quanto fumo!
affumentàdu agg. invaso, impregnato di fumo. S’istanzia fit
tota affumentada la stanza era tutta invasa dal fumo.
affumentadùra s.f. l’atto e l’effetto di riempiere di fumo.
affumentàre tr. riempire, invadere di fumo. Suffumicare.
Affumentare s’istanzia pro che cazzare sa tintula condensare
molto fumo nella stanza per scacciare le zanzare, come facevano i poveri pastori delle plaghe malariche prima che si
avessero le moderne medicine insetticide. Più com. → INFUMENTÀRE.
affuméntu s.m. suffumigio. Più com. → INFUMÉNTU, spec.
per fumo condensato contro le zanzare.
affumigàda s.f. affumicata.
affumigàdu agg. affumicato.
affumigadùra s.f. affumicatura.
affumigàre tr. affumicare.
affumónzu s.m. l’azione o l’effetto di affumare o affumicare.
affunàda s.f. l’atto di legare con funi.
affunàdu agg. legato con funi. Unu carru de ’oltiju ben’affunadu un carro di sughero ben assicurato con funi.
affunadùra s.f. l’atto e l’effetto del legare con funi. Daghi s’affunadura es bene fatta, podimus drommire tranchiglios quando è
ben fatta la legatura del carico, possiamo dormire tranquilli.
affunaméntu s.m. legamento con funi.
affunàre tr. legare, assicurare con funi, specialmente il carico
d’un carro. Affuna ’ene su carru ’e sa linna lega bene le legna
caricate sul carro. | rifl. avvilupparsi, invilupparsi nella fune
con cui è legato, di bestie. Su caddhu s’est affunadu ed est a innijos il cavallo s’è inviluppato nella fune e nitrisce.
affundhàda s.f. l’atto di affondare. Fagher s’affundhada: fit
nadendhe e punt’ha fattu s’affundhada nuotava e improvvisamente è affondato.
affuttìre
affundhàdu agg. affondato. Di piante erbacee, ben accestite.
Lattuca affundhada lattuga ben accestita.
affundhadùra s.f. affondatura.
affundhalzàda, -adu, -are → AFFUNDHARZ-.
affundhaméntu s.m. affondamento.
affundhàre tr. affondare. | intr. andar a fondo. Affundhàreche: sa barca ch’est affundhada. | Accestire, di piante erbacee.
affundharzàdu agg. ben accestita, di pianta erbacea.
affundharzadùra s.f. l’atto di accestire, far grosso cesto.
affundharzàre intr. accestire prosperamente, far cesto rigoglioso. Custa caula ha fattu sa proa de affundharzare! come è
venuto grosso questo cavolo!
affùndhu avv. a fondo. Ischire affundhu, ruer affundhu.
affungàda s.f. l’atto di affondare, sprofondare. Far più profondo. Dà’ un’affungada a cussu fossu, a cussu surcu affonda
un po’ più quel fosso, quel solco.
affungàdu agg. affondato, in tutti i sensi.
affungadùra s.f. affondatura.
affungaméntu s.m. affondamento.
affungàre tr. affondare. | Affungàreche andar a fondo, naufragare. Affungareche in su ludu, in su pantamu affondare nella
melma, impantanarsi. Affungareche in sos depidos rovinarsi, oberarsi di debiti. Affungareche in sos viscios corrompersi nei vizi.
affùnnu prep. (S. Lussurgiu) vicino. Affunnu a s’ortu, a sa
domo vicino all’orto, alla casa. ▫ a fùndhu.
affunónzu s.m. l’atto di legare, assicurare con funi.
affùrtu avv. furtivamente.
affusàda s.f. (scherz.) nella frase fagher s’affusada morire. E Pedru? Eh… si ch’ha fattu s’affusada e Pietro? Eh… ha fatto la
corbelleria d’andarsene all’altro mondo.
affusadòre s.m. mormoratore, susurrone, mettimale.
affusàdu agg. fatto come fuso. Morto. || sp. afusado.
affusàre intr. mormorare, susurrare, seminar discordie. | rifl.
Affusaresiche (scherz.) morire. Forse da irrigidirsi come un fuso. Su ’ezzigheddhu si ch’est affusadu canta canta il vecchietto è
morto allegramente.
affuséri s.m. susurrone, commettimale, mettiscandali.
affusigàda s.f. morte. Fagher s’affusigada morire.
affusigàdu agg. morto.
affusigadùra s.f. l’atto e l’effetto di morire.
affusigàre rifl. morire. Affusigaresiche morirsene. Si ch’est affusigadu se n’è morto. (scherz.).
affusigonàre rifl. accr. morire. Affusigonaresiche.
affustijàda s.f. l’atto di diventar tiglioso, o seccarsi e indurirsi.
affustijàdu agg. tiglioso; rigido; arido; secco.
affustijadùra s.f. l’atto e l’effetto di indurirsi, diventar tiglioso.
affustijàre rifl. diventar tiglioso, irrigidirsi, seccarsi.
affùsu s.m. discordia, confusione.
affùtta s.f. ira, rabbia. Leare affutta adirarsi, impermalire.
affuttàdu agg. adirato, incollerito.
affuttàre rifl. adirarsi. S’affuttat pro unu nuddha s’adira per un
nonnulla.
affutteràda s.f. ira clamorosa e duratura. Leare affutterada avvampar d’ira.
affutteràdu agg. acceso d’ira.
affutteràre rifl. accendersi d’ira che non svampa subito, ma
dura.
affuttìdu agg. spregevole, di poco conto; trascurato, indifferente.
affuttiméntu s.m. trascuranza, menefreghismo, indifferenza.
affuttìre rifl. (t. volg.) infischiarsi. Affuttiresi de una cosa o de
una persone non curarla, essere indifferente. Affuttiresi de totu
esser superbo, o molto ricco, indipendente. Aera de mi ndh’affutto aria di me n’infischio. Affuttiresi de su tempus malu; ~ de
s’istudiu.
affuttìttu
affuttìttu avv. sotto i piedi. Ponner una cosa affuttittu mettere una cosa sotto i piedi, calpestarla. Al fig. maltrattare, opprimere, di persone. S’ha postu affuttittu sa muzere maltratta
la moglie.
agabbàda s.f. l’atto di finire; termine, fine. Fagher s’agabbada
morire. Chi fattas s’agabbada!
agabbàdu agg. terminato, finito; morto. Su ch’est agabbadu
la buon’anima. Candho s’agattaiat su ch’est agabbadu! quando
viveva la buon’anima! Su ch’est agabbadu ’e babbu, sa ch’est
agabbada ’e mamma il povero babbo, la povera mamma; il fu
mio padre, la fu mia madre.
agabbaméntu s.m. compimento, termine, fine; morte.
agabbàre tr. compire, finire, terminare. Agàbbami sa ciarra
lascia le chiacchiere, smetti la spocchia. Agàbbala! finiscila! taci! | ass. morire, spirare. Appena had agabbadu han cominzadu
su teu appena è spirato han cominciato il piagnisteo. Si coniuga con l’ausiliario essere e avere.
agàbbu s.m. fine, termine. Haer malu agabbu finir male,
morir male. Penas, dolores, caminos chi no han mai agabbu pene, dolori, vie che non finiscono mai, molto lunghi.
’agadiàre tr. → BAGADIÀRE.
’agadìu → BAGADÌU1, BAGADÌU2.
agàju s.m. venditore d’aghi.
’agànte agg. A punzu ’agante a mani vuote. Restare a punzu
’agante rimaner senza nulla. Colpu ’agante colpo che fa cecca,
che falla → BAGÀNTE.
’agantìnu. E in su ’agantinu manigamus (A. Sp.). Anche bagantìnu.
’agantìu → BAGANTÌU. Su ’agantiu terreno non coltivato a
fianco di altro coltivato. Pascula sas ’arveghes in su ’agantiu de
sa ’inza pascola le pecore sul tratto non vitato. | agg. che non
ha figliato. S’’acca ruja occannu es restada ’agantia. || corso vacantivu, lat. vacare.
agasòne s.m. buttero → BASÒNE. || lat. agaso.
àgata s.f. agata, pietra preziosa.
agattàda s.f. l’atto di trovare, recuperare.
agattàdu agg. trovato, recuperato. Robba agattada raccattaticcio, cianfrusaglia. Cosa agattada dai Deu regalada, o dai su
chelu falada oggetto rinvenuto, dal cielo piovuto, regalato da
Dio. Proverbio molto comodo per chi non vuole restituire le
cose trovate.
agattadùra s.f. mancia. Dare sa bona agattadura dar la mancia per la restituzione d’un oggetto rinvenuto.
agattàre tr. trovare, rinvenire, scoprire. Agattare unu siddhadu,
unu tesoro trovare, scoprire un tesoro. Agattare iscujas, fòligas
trovare, accampar pretesti. No agattare pasu illogu non aver pace. Agattare su bonu sou far fortuna, trovar la salute. In s’America had agattadu su bonu sou. Had agattadu su bonu sou in sa
campagna. Sorprendere. L’han agattadu furendhe. Agattare su
sou trovare uno che non teme, non indietreggia, che l’affronta.
Già ndh’ha de bravatta! ma già agattat su sou braveggia, ma
trova pane per i suoi denti. Agattare sa sua trovare il meritato
castigo. Mischinu! fina chi no had agattadu sa sua poveretto! ha
trovato alfine il fatto suo. Agattare su pilu in s’ou. Agattar’’enzos
a Nostra Segnora. A forza de inzittu s’agatteit fina Roma. Chie
chircad agattada. | rifl. trovarsi, restare. S’est agattadu inie s’è
trovato là. S’est agattadu presente a su fattu s’è trovato presente
al fatto. S’est agattadu trampadu s’è trovato ciurmato. Agattaresi male restar male. Agattaresi chei su tirigottu da’ un’ala a s’atera
di bambini che girellano e impacciano. Agattaresi bene de una
cosa avvantaggiarsi. Ha tribagliadu e oe si ndh’agattat bene ha
lavorato e oggi sta bene. Agattaresi a bonu pê star bene. Agattaresi friscu: già s’agattat friscu! Essere in vita. Candho s’agattaiat
mamma quando viveva la mamma. No s’agattat pius non vive
più. Esistere. Si naras cussu podes narrer chi no s’agattat Deu.
102
No s’agattad omine chi no hapat sos peccos suos. No s’agattat bellesa chena ’enzu. No s’agattat battijamu chi lu cunbinchet. No
s’agattad ’arva ’e omine, mustazzu ’e omine chi… | ass. buscarle.
No si frimmat fin’a chi no agàttada non s’arresta finché non le
busca. Agattaresindhe. Mi ndh’agattao cun su ’entu in manu
(An.). || lat. acaptare.
agàttu s.m. rinvenimento, scoperta. Bonuagattu! had esclamadu, agattu ’e grandhe valore (An.).
aggaffàda s.f. l’atto di afferrare, agganciare.
aggaffàdu agg. afferrato, agganciato.
aggaffadùra s.f. l’atto e l’effetto di afferrare, agganciare.
aggaffàre tr. afferrare, agganciare; assicurare con spranghette. || da gaffa spranga, gaffu gancio.
aggaffiàda s.f. l’atto di stringere, abbracciare.
aggaffiàdu agg. stretto, abbracciato.
aggaffiadùra s.f. stringimento, abbracciamento.
aggaffiàre tr. stringere con le mani, abbracciare. Aggaffialu
’ene no t’iscappet stringilo bene, che non ti sfugga. Cuss’alvure
no l’aggaffiana mancu tres omines quell’albero non l’abbracciano neppure tre uomini. | ass. intr. stringere, abbracciare.
Es poddhighimuzzu e no aggaffiada ha le dita amputate e non
può stringere.
aggàffiu s.m. possibilità di stringere con le mani o di abbracciare; la stretta stessa, l’abbraccio. Sas manuzzas de cussa
criadura han pagu aggaffiu le manine di codesto bimbo han
breve o poca stretta.
aggajàda s.f. atto di rallegrarsi. S’ha dadu un’aggajada s’è un
po’ rallegrato.
aggajàdu agg. allegro, lieto.
aggajàre rifl. (raro) rallegrarsi. || da gajo.
aggàju s.m. allegria.
aggalàda s.f. l’atto di uguagliare, pareggiare.
aggalàdu agg. uguagliato, pareggiato.
aggalàre tr. uguagliare, pareggiare. Chi t’aggalet no che ndh’hada (Pilucca). Chi potad aggalare custa dea (De Rosa). Più com.
→ AGGUALÀRE.
aggàle agg. uguale. Nade s’aggale a custa ndh’incontrades (Tabareddu). Anche → GÀLE.
aggalenàda s.f. l’atto di socchiudere.
aggalenàdu agg. socchiuso. Che dormicchia; che ha gli occhi socchiusi.
aggalenadùra s.f. l’atto e l’effetto di socchiudere, di dormicchiare.
aggalenàre tr. socchiudere. Aggalena sa janna socchiudi la
porta. | rifl. dormicchiare, appisolarsi. Mi fio appena aggalenadu, accandho hap’intesu unu rumore m’ero appena appisolato, quando ho udito uno strepito. Più com. → INGALENÀRE.
aggàlia! avv. dio volesse! magari! || lat. utinam.
aggallàdu agg. incallito.
aggallàre rifl. (raro) incallire.
aggangàda s.f. l’atto di dare un golino o sorgozzone, di stringere alla gola.
aggangàdu agg. stretto alla gola. Con la fune alla gola, costretto da grande imbarazzo (metaf.). M’incontro aggangadu e
no poto fagher de mancu mi trovo con la corda al collo e non
posso fare altrimenti.
aggangàre tr. stringere alla gola, dare un golino o sorgozzone; costringere, torturare, spingere a cose ingrate e penose.
L’had aggangadu ’ene e no s’est potidu frànghere l’ha costretto e
non s’è potuto rifiutare. || da ganga golino, sorgozzone.
aggangrenàda s.f. l’atto di cancrenare.
aggangrenàdu agg. cancrenoso.
aggangrenadùra s.f. l’atto e l’effetto di cancrenare.
aggangrenaméntu s.m. cancrenamento, cancrena.
aggangrenàre rifl. cancrenare, divenir cancrenoso, far cancrena.
103
Si l’est aggangrenada una manu gli si è cancrenata una mano.
|| sp. agangrenar.
aggangullittàda s.f. l’atto di prendere per la gola. Accesso
di singhiozzi.
aggangullittàdu agg. preso per la gola. Che ha i singhiozzi.
aggangullittàre tr. prendere per la gola. Frequent. di aggangàre. || da gangullittas singhiozzi.
agganìdu agg. desideroso, bramoso; invogliato; che ha appetito.
aggantinàda s.f. l’atto e l’effetto di ammucchiare. Mucchio.
aggantinàdu agg. ammucchiato, ammonticchiato.
aggantinadùra s.f. ammucchiamento.
aggantinàre tr. ammucchiare, ammonticchiare.
aggantitonàre tr. ammassare, accumulare, frequentativo e
accrescitivo del precedente.
agganzàda (tz) s.f. l’atto di agganciare, di stringere fortemente, afferrare, ghermire. Daghi faghet s’agganzada no iscappat se arriva a ghermire non gli sfugge.
agganzàdu (tz) part. pass. agganciato, attaccato a un gancio.
Attaccato, afferrato, ghermito; unito. Agganzados appare. S’unu
agganzadu a s’ateru. Avaro, tirchio, spilorcio (metaf.).
agganzadùra (tz) s.f. l’atto e l’effetto di agganciare, afferrare,
stringere. Avarizia, spilorceria. Dai s’agganzadura mancu mandhigat è tanto avaro che non mangia.
agganzaméntu (tz) s.m. agganciamento, afferramento. Avarizia, grettezza.
agganzàre (tz) tr. agganciare, aggangherare. Agganzare sas
ghettas, sa chintula aggangherare le uose, il cinto. | intr. afferrare, ghermire. Dagh’agganzat no iscappat. Agganzare a su tuju, a
su brazzu ghermire uno al collo, al braccio. | rifl. azzuffarsi,
lottare. Anche importunare con domande. Daghi s’agganzat
no ti lu cazzas pius. | ass. lottare. Beni cun megus a agganzare
vieni con me a lottare.
agganzidùdine (tz) s.f. avarizia, spilorceria, tirchieria.
agganzittàre (tz) tr. aggangherare. || da ganzittu gangherello.
aggànzu (tz) s.m. appiglio, scusa, pretesto.
agganzullittàre (tz) tr. aggangherare. Frequent. di agganzittàre.
agganzùmine (tz) s.m. spilorceria, avarizia. Assiad agganzumine ch’has! quanto sei spilorcio!
aggarbadamènte avv. garbatamente.
aggarbàdu agg. garbato, gentile. Aggarbadas in dogni cumplimentu (Cherchi). || sp. agarbado.
aggarbàre intr. garbare, piacere. Custu fattu no m’aggàrbada.
Più com. → GARBÀRE.
aggarràda s.f. l’atto di afferrare, fermare, stringere.
aggarràdu agg. fermato, afferrato, stretto.
aggarradùra s.f. l’atto e l’effetto di afferrare.
aggarràre tr. afferrare, ghermire. || sp. agarrar.
aggavinàre tr. prendere violentemente, sorprendere, torturare. | rifl. Si sun contra su giustu Gesùs aggavinados (Delogu Ibba 316). || dall’antiquato aggavignare.
aggenàre tr. annoiare, infastidire, nauseare. || fr. gener.
aggeniàdu agg. simpatico, grazioso.
aggéniu avv. con genio, volentieri, bene.
aggènte s.m. agente. Aggente de sas impostas o semplic. s’aggente.
aggenzìa (tz) s.f. agenzia. Per antonomasia, l’agenzia delle
imposte, quella che è più conosciuta!
aggenziàre (tz) tr. commettere, raccomandare. | rifl. ingegnarsi.
aggètta s.f. occhiello, cerchietto d’ottone, femminella. || sp.
ojete.
aggettàre tr. e intr. accettare. Aggetta de andhare tot’umpare
(Usai) → AZZETTÀRE.
aggettìvu s.m. aggettivo.
aggeunàdu agg. digiuno, affamato. E morzein de frittu aggeunados (F. Manca).
aggevolèsa s.f. agevolezza, piacere, favore, cortesia. Faghere,
aggiogulàdu
usare agevolesa. Faghemi cust’agevolesa fammi questo favore.
M’had usadu chentu agevolesas.
agghejàdu agg. stuzzicato, provocato, torturato.
agghejàre tr. pungere, spronare, stuzzicare, provocare, tormentare.
agghéju s.m. sfida, provocazione, fastidio, tormento. Dare
aggheju tormentare, infastidire.
aggherràre tr. afferrare, ghermire.
agghiacciàdu agg. ghiacciato.
agghiacciàre tr. e rifl. agghiacciare e ghiacciare. Agghiacciare su samben in sas venas.
agghiazzàdu (tz) agg. agghiacciato.
agghiazzàre (tz) tr. e rifl. agghiacciare.
agghindhàdu agg. agghindato.
agghindhàre tr. e rifl. agghindare.
agghittìda s.f. l’atto di acchitarsi, vendicarsi, rifarsi.
agghittìdu agg. vendicato, ripagato.
agghittidùra s.f. l’atto e l’effetto d’acchitarsi, rifarsi, ripagarsi.
agghittìre tr. regolare una partita al gioco. | rifl. ripagarsi, rifarsi, vendicarsi. Mi ndh’ha fattu tantas, ma mi so agghittidu!
Più com. → ACCHITÀRE.
aggiacchinàdu agg. inzuppato, immollato.
aggiacchinàre tr. diguazzare. | rifl. immollarsi, inzupparsi.
aggiàcchinu s.m. diguazzamento, stroscia.
aggiànghere tr. aggiungere, unire insieme, congiungere. Aggiangher’appare unire, congiungere insieme. Aggiangher’abba
a mare.
aggiànghida s.f. l’atto di unire, aggiungere. Unione. Meglio
→ AGGIÀNTA.
aggiànghidu agg. aggiunto, unito. Più com. → AGGIÀNTU.
aggianghidùra s.f. l’atto e l’effetto di unire, aggiungere. Più
com. → AGGIANTÙRA.
aggiannappàre avv. nella frase istare, abitare aggiannappare
vivere, dimorare di fronte l’uno all’altro.
aggiànta s.f. aggiunta, unione, congiunzione. A parte mala
e aggianta di soprammercato. M’ha fattu dannu e a parte
mala e aggianta si cheret pagadu.
aggiàntu agg. aggiunto, unito, congiunto.
aggiantùra s.f. l’atto e l’effetto di aggiungere, unire, congiungere. S’es torradu a segare in s’aggiantura s’è rotto ancora nella
congiuntura.
aggiazzàdu (tz) agg. ghiacciato.
aggiazzàre (tz) tr., rifl. e intr. agghiacciare, ghiacciare, gelare.
àggile agg. agile.
aggilèsa s.f. agilità.
aggilidàde s.f. agilità.
aggilitàre tr. render agile, sveltire.
aggilitassiòne s.f. l’atto di sveltire, render agile.
aggilmènte avv. agilmente, con sveltezza.
aggiobàda s.f. l’atto di aggiogare, unire insieme, accoppiare.
aggiobàdu agg. aggiogato, accoppiato. Già si sun bene aggiobados si son bene accoppiati, di due birbe o di due ribaldi.
aggiobadùra s.f. l’atto e l’effetto di aggiogare, accoppiare.
aggiobaméntu s.m. aggiogamento, accoppiamento.
aggiobàre tr. aggiogare, accoppiare. Aggiobare sos voes aggiogare i bovi. | rifl. accoppiarsi, accompagnarsi, in cattivo senso.
S’est aggiobadu cun cumpagnos malos s’è unito con cattivi compagni. Più com. → GIOBÀRE.
aggióbu s.m. aggiogamento, accoppiamento.
aggiogazzàdu (tz) agg. festevole, giulivo, amante del trastullo. Più com. → INGIOGAZZÀDU.
aggiogazzàre (tz) rifl. darsi al trastullo, alla gioia. Più com.
→ INGIOGAZZÀRE.
aggiogulàdu agg. dato al trastullo. Concavo. Ojos aggiogulados occhi infossati.
aggioguladùra
aggioguladùra s.f. l’atto e l’effetto di rendere o diventar
concavo, di sughero o di tavole.
aggiogulàre tr. render concavo, incurvare. Aggiògula cussu
’ortiju da’ la forma cilindrica a quel sughero. | rifl. darsi al
trastullo, trastullarsi. Prendere la forma concava, cilindrica.
Sa tauleddha s’est aggiogulada la tavoletta è diventata concava.
Accartocciarsi, delle foglie.
aggiolottàda s.f. l’atto di diguazzare. Dà’ un’aggiolottada a
cuss’abba diguazza un po’ quell’acqua. Anche metaf. agitazione,
nella frase daresi un’aggiolottada agitarsi un po’, impensierirsi.
aggiolottàdu agg. diguazzato, agitato.
aggiolottadùra s.f. diguazzamento.
aggiolottaméntu s.m. diguazzamento.
aggiolottàre tr. diguazzare, agitare. | rifl. (metaf.) agitarsi,
commoversi, affannarsi. No t’aggiolottes tantu! non agitarti o
affannarti tanto.
aggiolóttu s.m. diguazzamento. Agitazione, affanno; confusione (metaf.).
aggiolviàda s.f. l’atto d’amareggiarsi, adirarsi.
aggiolviàdu agg. amareggiato, adirato.
aggiolviàre tr. amareggiare. M’has aggiolviadu sa vida mi hai
amareggiato l’esistenza. | rifl. amareggiarsi, adirarsi. Mi so aggiolviadu e no hapo potidu drommire mi sono adirato e non
ho potuto prender sonno. || da giolva.
aggioneddhàda s.f. l’atto di render concavo, incurvare.
aggioneddhàdu agg. concavo.
aggioneddhadùra s.f. l’atto e l’effetto di render concavo.
Concavità.
aggioneddhàre tr. render concavo, incurvare. | rifl. diventare concavo. || da gione, bajone, ’agione.
aggiornaméntu s.m. aggiornamento.
aggiornàre tr. aggiornare.
aggiorottàda s.f. l’atto di tumultuare, schiassare.
aggiorottàdu agg. turbato, inasprito, esasperato.
aggiorottàre tr. scompigliare, turbare. | rifl. tumultuare, rumoreggiare; turbarsi.
aggiorràre tr. e rifl. affliggere, angustiare, tormentare → AZZORRÀRE. || da giorra.
aggiórrida s.f. assalto; fastidio, travaglio.
aggiorridàdu agg. aggredito, importunato, infastidito.
aggiorridàre tr. importunare, aggredire con richieste, infastidire (creditori e debitori).
aggiostràdu agg. e part. pass. importunato, seccato, tormentato. Daghi s’es vidu aggiostradu s’es difesu quando s’è visto
tormentato s’è difeso.
aggiostràre tr. infastidire, tormentare, eccitare. Mi ses aggiostrendhe dogni die, a sa fine la pagas mi tormenti tutti i giorni, alla fine la pagherai.
aggiottàdu agg. diventato scotta, sieroso. Nutrito con scotta.
aggiottàre tr. somministrare scotta al majale, nutrire con scotta. Aggiotta su porcu da’ la scotta al majale. | rifl. diventar scotta.
Su latte s’est aggiottadu il latte è diventato sieroso, scotta.
aggiottulàdu agg. chiuso con la nottola.
aggiottuladùra s.f. chiusura con la nottola.
aggiottulàre tr. chiudere con la nottola. | rifl. ficcarsi in
mezzo, insinuarsi, impacciarsi dei fatti altrui.
aggióttulu s.m. intromissione, ingerenza nei fatti altrui. Già
ndh’has de aggiottulu! quanto sei impaccioso, ficchino!
aggiràre intr. S’eco puru affannosa … / s’aggiret luttuosa…
(Tom. Moretti).
aggìre intr. (t. leg.) agire, fare gli atti che occorrono nelle cause. M’had offesu, ma no cherzo aggire m’ha offeso ma non voglio
agire. Semplicemente per agire, comportarsi, contenersi è raro.
Modu de aggire: custu no es modu de aggire. Si cheres esser rispettadu, aggi mezus se vuoi essere rispettato, comportati meglio.
104
aggitadòre s.m. agitatore, perturbatore.
aggitàdu agg. agitato, turbato.
aggitaméntu s.m. agitamento, turbamento.
aggitàre tr. agitare, turbare | rifl. agitarsi, turbarsi.
aggitasciòne s.f. agitazione, turbamento. ▫ aggitassiòne,
aggitaziòne (tz).
aggìu s.m. aizzamento; fastidio, noia, tormento. Dare aggìu
infastidire, tormentare. Più com. → AZÌU.
àggiu s.m. aggio, vantaggio, guadagno. Anche mercede, ricompensa. Cant’es s’aggiu tou? quanto ti spetta?
aggiuacchì avv. meno male che. Aggiuacchì ses sanu meno
male che sei sano.
aggiuànte agg. e sost. aiutante, che aiuta. Sa femina aggiuante
la donna che aiuta. Sos aggiuantes gli aiutanti, quelli che aiutano.
aggiuàre tr. aiutare, soccorrere, sostenere. | rifl. aiutarsi, ingegnarsi, sforzarsi. S’aggiuat comente podet, ma no bi resessit
s’aiuta, s’ingegna come può, ma non riesce. Che si sforza di
mangiare, di curarsi, del malato. Aggiuadi cantu podes, si cheres mezorare. Aggiuare una cosa a unu caricare un peso sulle
spalle di qualcuno. Aggiuali cussa fascia ’e linna. Aggiuaresi
una cosa mettersi una cosa sul dorso. Aggiuadi cussa bertula.
Del fucile, spianarlo. Della bottiglia o del bicchiere, portarseli
alle labbra, bere. Aggiuadila! bevi! E tue aggiuendhedi a sos
coddhos unu fiascu chi paret mesina (An.).
aggiudicàbbile agg. che si può aggiudicare.
aggiudicàda s.f. l’atto di aggiudicare.
aggiudicàdu agg. aggiudicato, assegnato.
aggiudicadùra s.f. l’atto e l’effetto di aggiudicare; assegnamento.
aggiudicàre tr. aggiudicare, assegnare per sentenza o lodo.
L’aggiudico un’amabbile cumpagna (Eva) (Murenu).
aggiudicasciòne s.f. aggiudicazione. ▫ aggiudicassiòne, aggiudicaziòne (tz).
aggiudisciàda s.f. l’atto di metter giudizio. Ha dadu un’aggiudisciada ha un po’ messo giudizio.
aggiudisciàdu agg. che ha giudizio, savio, prudente.
aggiudisciàre tr. far rinsavire, render savio. Si m’apprettas
t’aggiudiscio cun su fuste se mi costringi ti faccio rinsavire col
bastone. | ass. intr. rinsavire. Ti fatto aggiudisciare eo ti faccio
rinsavire io. | rifl. S’est aggiudisciadu ’ene è ben rinsavito, s’è
corretto.
aggiùdu s.m. aiuto, soccorso, sovvenzione. Dare, dimandhare aggiudu. Esser de aggiudu. Aggiudu! aiuto! accorruomo! Aggiud[u] de costa (Mss. Illorai).
aggiummài avv. quasi, circa. Bi ndh’had aggiummai tres ce
n’è quasi tre. Aggiummai m’haiat mortu quasi quasi m’ammazzava. Aggiummai! (esclam.) macché! proprio! proprio vero! (iron.). Tu’ has chentu francos! Aggiummai! tu hai cento lire! Proprio vero! (non è vero).
aggiùnghere tr. aggiungere, unire insieme, congiungere. Aggiungher abba a mare portar nottole ad Atene, aumentare un
male, un danno. Cust’isfreggiu aggiunghed abba a mare questo
sfregio fomenta la discordia. Aggiungher pane a brou aggiunger male a male. Aggiungher abba a su ’inu annacquare il vino. Aggiunghe! aggiungi, di più! Aggiunghe chi… aggiungi
che… | Aggiunghebindhe! aggiungine ancora, esagerazione!
aggiùnghida s.f. l’atto di aggiungere, congiungere.
aggiùnghidu agg. aggiunto, congiunto.
aggiunghidùra s.f. l’atto e l’effetto di aggiungere o congiungere.
aggiùnta s.f. aggiunta. Frangia ed esagerazione nel parlare.
Cuss’est un’aggiunta. De aggiunta per soprappiù, per soprammercato. M’ha faeddhadu male, e de aggiunta cheret chi li dimandhe iscuja m’ha parlato male, e per soprappiù pretende
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che gli chieda scusa. Anticamente anche per giunta. Aggiunta
comunitativa giunta comunale.
aggiuntàda s.f. l’atto di riunirsi. Sos consizeris han fattu s’aggiuntada i consiglieri si son riuniti.
aggiuntadamènte avv. unitamente, in riunione, in assemblea.
aggiuntàdu agg. unito in giunta, in assemblea. Su consizu est
aggiuntadu il consiglio è riunito. Ma in consiliu aggiuntados /
de Milanu in sa zittade (Delogu Ibba).
aggiuntadùra s.f. unione, congiuntura; riunione, assemblea.
aggiuntàre tr. aggiungere, riunire, convocare. Aggiuntare su
consizu, sos membros de su consizu convocare, riunire il consiglio, i membri del consiglio. | rifl. riunirsi, raccogliersi in assemblea. Sos consizeris si sun aggiuntados i consiglieri si son riuniti. || sp.
aggiuntighèddha s.f. dim. piccola aggiunta.
aggiùntu agg. aggiunto, congiunto. Anche sost. per aggiunta.
Cun totu sos aggiuntos con tutte le aggiunte e le complicazioni.
aggiuntùra s.f. aggiunta, giuntura, commessura. Aggiuntura
de sos benujos le giunture delle ginocchia; de sos pês nodi del piede; de sos poddhighes nocca. Frangia ed esagerazione nel parlare.
aggiùos s.m. pl. aiuti. Più com. aggiùdos.
aggiupponàdu agg. che si è bene stretto il giubbetto, o si è
ben avvolto nel giubbone.
aggiupponàre rifl. stringersi bene il giubbetto, avvolgersi
bene nel giubbone per proteggersi dal freddo.
aggiuramentàdu agg. spergiuro. Anche in forza di sost. Est
un’aggiuramentadu è uno spergiuro.
aggiuramentàre intr. spergiurare, tradire il giuramento. |
rifl. S’est aggiuramentadu ha giurato il falso.
aggiustàbbile agg. che si può aggiustare.
aggiustàda s.f. aggiustata. Dare un’aggiustada aggiustare un
po’. Daresi un’aggiustada aggiustarsi un po’, accordarsi. Fagher
un’aggiustada venire a un accordo, comprare a cottimo.
aggiustadamènte avv. aggiustatamente, con aggiustatezza.
aggiustadèsa s.f. aggiustatezza, precisione.
aggiustadòre s.m. aggiustatore; che compra a cottimo; che
procura un accordo; paciere, perito. Bisonzad intendher sos
aggiustadores bisogna udire i periti, i pacieri.
aggiustàdu agg. aggiustato, riparato; convenuto. Su preju aggiustadu il prezzo convenuto. Savio, assennato. Cuss’omine no
es bene aggiustadu codest’uomo non è savio del tutto. Cherveddhos aggiustados mente savia.
aggiustadùra s.f. aggiustatura, riparazione; convenzione.
aggiustaméntu s.m. aggiustamento; rappacificazione.
aggiustàre tr. aggiustare, riparare; pacificare. Aggiustare sos
contos regolare i conti. Anche al fig. Ha de aggiustare sos contos
cun megus ha da fare i conti con me. | Aggiustare fiados, robba,
trigu convenire nel prezzo, impegnare bestiame, grano ecc.,
in commercio | Aggiustare a unu conciarlo. Già t’aggiusto deo!
ti concio io! In questo senso anche rifl. Già ti ses aggiustadu!
come ti sei conciato! Aggiustare sa conca, sos cherveddhos far
rinsavire, correggere. Aggiustare una suma, su numeru, unu
muntone completare una somma, un numero, un mucchio. |
rifl. accordarsi in un contratto; rappacciarsi. Haian innanti
differenzia manna, ma como si sun aggiustados prima erano
lontani nelle vedute, ora si sono accordati. Ingegnarsi, avere
un po’ di abilità in qualche cosa. No est un’ae, ma s’aggiùstada
non è un’aquila, ma vale qualche cosa. | ass. accordarsi. No
han potidu aggiustare non si son potuti intendere. | Aggiustare
de sale, de ispettia, de abba mettere in pentola la debita quantità di sale, di pepe, di acqua e simili.
aggiùstu s.m. accordo, cottimo, convenzione. Dare, bendhere, comporare a s’aggiustu dare, vendere, comprare al prezzo
convenuto. Leare unu tribagliu, un’impresa a s’aggiustu prendere un lavoro, un impresa a cottimo. Benner a un’aggiustu
aggranciméntu
venire a un accomodamento. Ponnersi in aggiustu accordarsi,
comporsi. Istare a s’aggiustu stare ai patti; no istare a s’aggiustu
non rispettare le convenzioni.
aggiuttóriu s.m. aiuto, soccorso, nella esclam. aggiuttoriu!
aiuto! accorruomo! Aggiuttoriu chi so morzendhe! Dare aggiuttoriu aiutare. Negare ogni aggiuttoriu.
aggoglìre tr. → ACCOGLÌRE.
aggóvu s.m. chiuso, ristagno d’aria, caldo.
aggradàbbile agg. aggradevole, piacevole. A boltas est aggradabbile (Mudadu).
aggradabbilmènte avv. gradevolmente, piacevolmente.
aggradàdu agg. piaciuto, gradito.
aggradàre intr. piacere, aggradare. L’aggradat meda su ’inu gli
piace molto il vino. Cussa femina no aggradad a niunu quella
donna non piace a nessuno. Fatto su chi m’aggràdada faccio
quel che mi piace. | rifl. Aggradaresi trovarsi bene in un luogo. Pedru s’aggradad in Tatari, in sa campagna Pietro si trova
bene, vive molto volentieri a Sassari, in campagna. Piacere a
se stesso, esser contento di sé, invanirsi di sé. Cussa giovana
s’aggradad meda, biad’a issa! quella giovane è contenta di sé,
beata lei! | tr. contentare. Chirca de lu aggradare in totu cerca
di contentarlo in tutto.
aggraddhàda s.f. l’atto di nascondersi, rannicchiarsi, accovacciarsi. Fagher s’aggraddhada nascondersi, rannicchiarsi.
aggraddhàdu agg. rannicchiato. Millu cue aggraddhadu sutta su lettu eccolo là rannicchiato sotto il letto. Aggraddhadu
sutta sos lentolos rannicchiato tra le lenzola.
aggraddharàdu agg. impillaccherato, caccoloso, delle pecore.
aggraddharàre rifl. impillaccherarsi, delle pecore.
aggraddhàre rifl. rannicchiarsi, nascondersi, accovacciarsi.
Forse corruz. di aggroddhàre, cioè fare come la volpe (groddhe).
aggradèschere tr. gradire. Più com. → AGGRADESSÌRE. || sp.
aggradéschidu agg. gradito.
aggradèssere tr. gradire. Aggradessi sa bona intenzione gradisci la buona intenzione. || sp. ag<r>adecer.
aggradéssidu agg. gradito, grato. Aggradessìdu riconoscente.
Bene e male aggradessìdu riconoscente, grato, irriconoscente,
ingrato. Pagu aggradessìdu poco grato, poco gradito. [▫ aggradessìdu].
aggradessiméntu s.m. gradimento, riconoscenza, gratitudine.
Haer, mustrare aggradessimentu sentire, mostrare riconoscenza.
No ha perunu aggradessimentu de su bene chi rezit non nutre alcuna riconoscenza del bene che gli si fa. || sp. agradecimiento.
aggradessìre tr. gradire. Aggradessire sos regalos gradire i regali. | intr. aggradare, piacere, essere accetto. No aggradessit a
niunu non piace a nessuno, non è accetto a nessuno. || sp.
ag<r>adecer.
aggradìbbile agg. gradevole, che piace. Cantu m’est aggradibbile cuddhu carignu e affettu mundhanu (Zozzò).
aggradibbilmènte avv. gradevolmente, piacevolmente.
aggradiméntu s.m. gradimento, piacere.
aggradìre tr. (raro) gradire. Più com. → AGGRADESSÌRE.
aggràdu s.m. piacere, genio, volontà. Fagher s’aggradu sou
fare la propria volontà. Segundhu s’aggradu secondo il genio.
Ch’in cussu immagginan daremi aggradu (Delogu Ibba). Esser
de aggradu essere gradito, accetto. || sp. agrado.
aggrancàdu agg. rattrappito.
aggrancàre tr. far rattrappire, raggranchire. Custu frittu m’aggrancat sas manos questo freddo mi fa rattrappire, mi aggranchisce le mani. | rifl. rattrappire, aggranchirsi.
aggrancìdu agg. avaro, spilorcio, tirchio. Già ses pagu aggrancidu! quanto sei tirchio!
aggrancidùdine s.f. avarizia, spilorceria, tirchieria. No has
mala aggrancidudine! sei molto spilorcio!
aggranciméntu s.m. attacco al danaro, avarizia, spilorceria.
aggranciulìdu
aggranciulìdu agg. avaro, spilorcio, dice più di → AGGRANCÌDU.
aggranciuliméntu s.m. dice più di → AGGRANCIMÉNTU.
aggranciùliu s.m. sordidezza, avarizia, spilorceria. Più espressivo e dispregiativo di → AGGRANCIMÉNTU.
aggrangugliàda s.f. l’atto di legarsi, per lo più al fig. e ignominiosamente. Unione illegittima.
aggrangugliàdu agg. legato, al fig. in cattivo senso. Est aggrangugliadu cun una feminazza s’è legato a una femminaccia.
aggrangugliadùra s.f. l’atto e l’effetto di legare alla diavola.
Al fig. unione illegittima e infame.
aggrangugliàre tr. legare alla diavola. Al fig. legare infamemente. | rifl. unirsi fuori legge. S’est aggrangugliadu cun sa teracca si è unito con la serva.
aggrangùgliu s.m. legame illegittimo, vincolo infame.
aggrassiàdu agg. graziato, che ha ottenuto grazia. Aggraziato, grazioso, simpatico. Est unu giovanu meda aggrassiadu.
aggrassiàre tr. graziare. Fit cundennadu a morte ei su re l’had
aggrassiadu era condannato alla morte e il re l’ha graziato.
aggràssias esclam. grazie. Narrer aggrassias dir grazie, dar
grazie. Più com. gràssias, o gràzias.
aggravàda s.f. l’atto di aggravare o aggravarsi. Dare s’aggravada
aggravare, di colpa, di delitto. Su testimonzu l’ha dadu un’aggravada il teste l’ha aggravato. Dare o fagher s’aggravada aggravarsi,
di malato. Dai candho ha dadu o ha fattu s’aggravada no b’ha pius
isperanzia da quando s’è aggravato non si nutre più speranza.
aggravàdu agg. aggravato, in tutti i sensi.
aggravaméntu s.m. aggravamento.
aggravànte agg. aggravante. Circustanzia aggravante. Anche
sost. Custu est un’aggravante pro s’accusadu.
aggravàre tr. aggravare. Aggravare sa culpa, su dellittu, su dannu, sa responsabbilidade. | rifl. aggravarsi, di malattia. Su malaidu s’est aggravadu il malato s’è aggravato.
aggraviàda s.f. l’atto di aggraviàre, render grave. Han dadu
un’atera aggraviada a sas impostas. Un’aggraviada de su male.
aggraviàdu agg. gravato, oppresso. Aggraviadu dai su male,
dai sos pagamentos. Cantu pius aggraviadu / tantu pius dulche
es su mele (Delogu Ibba).
aggraviaméntu s.m. aggravio, gravezza.
aggraviàre rifl. opprimere con gravezze. Su guvernu nos graviat [sic] troppu cun sas rendhas. Su feudatariu aggravaiat troppu sos poveros dipendhentes. Perdono a sos chi m’han aggraviadu
(An.). Dice più di → AGGRAVÀRE.
aggràviu s.m. aggravio. Peso, incomodo. Custu, pro me, est
un’aggraviu mannu. Inasprimento di tasse. Imputazione. Fagher aggraviu de una cosa a unu imputare uno d’una mancanza. Esser de aggraviu esser di peso. Aggraviu de cussenzia aggravio di coscienza. || sp. agravio.
aggraziàda (tz), -adu, -are → AGGRASSI-.
aggredìdu agg. aggredito.
aggredìre tr. aggredire, assaltare, assalire, affrontare.
aggregàdu agg. aggregato, associato.
aggregadùra s.f. aggregazione, l’atto d’aggregarsi.
aggregaméntu s.m. aggregamento.
aggregàre tr. aggregare, associare. | Più com. al rifl. aggregarsi, specialmente non invitato, non gradito. Puntu s’est aggregadu a nois, ma niunu lu podet bider di punto in bianco si
è aggregato alla nostra compagnia, ma nessuno di noi lo può
vedere. No t’aggreghes chi no ti cherimus non aggregarti con
noi, che non ti vogliamo. | Molestare, tormentare.
aggregasciòne s.f. aggregazione. ▫ aggregassiòne, aggregaziòne (tz).
aggrégu s.m. l’atto e l’effetto di aggregarsi. Occasione penosa. Essere, agattaresi in aggregu trovarsi in un brutto impiccio,
in affanno.
aggressiòne s.f. aggressione.
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aggressivamènte avv. animosamente, arditamente.
aggressividàde s.f. animosità, ardire, petulanza.
aggressìvu agg. che aggredisce facilmente, a parole; petulante. Acre, virulento.
aggressòre s.m. aggressore, assassino.
aggroddhàda ecc. || da groddhe volpe.
aggromeràda s.f. l’atto di aggomitolare. Aggromerada ’e zente
folla, moltitudine.
aggromeràdu agg. aggomitolato. Agglomerato.
aggromeradùra s.f. aggomitolatura. Agglomeramento.
aggromeràre tr. aggomitolare. Più raro per agglomerare.
aggromereddhàre rifl. aggomitolare, ridurre in gomitoletti.
aggrugàda s.f. l’atto d’incrociare o attraversare un luogo. Dà’
un’aggrugada a sa tanca attraversa un po’ il chiuso.
aggrugadùra s.f. l’atto e l’effetto d’incrociare o attraversare.
aggrugàre tr. incrociare, attraversare. | rifl. incrociarsi. Sos
duos caminos s’aggrùgana le due vie s’incrociano. Più com. →
RUJÀRE. || da grughe croce.
aggrummàda s.f. l’atto di aggrumarsi.
aggrummàdu agg. raggrumato. Grommato.
aggrummadùra s.f. l’atto e l’effetto di aggrumarsi.
aggrummàre rifl. aggrumarsi. Aggrappolarsi. Sas abes si sun
aggrummadas le api si sono aggrappolate.
aggrumonàda s.f. l’atto d’adirarsi, sdegnarsi. S’ha dadu,
mioccaro, un’aggrumonada, chi b’haiat de lu timire.
aggrumonàdu agg. adirato, sdegnato.
aggrumonadùra s.f. l’atto e l’effetto di sdegnarsi; sdegno, ira.
aggrumonàre rifl. sdegnarsi, adirarsi. S’aggrumònat pro dogni cositteddha si sdegna per un nonnulla.
aggrunciàda s.f. l’atto di ritirare i piedi contraendo le gambe.
Dare, fagher s’aggrunciada.
aggrunciàdu agg. contratto. Pês aggrunciados ritirati, a posto.
aggrunciàre tr. ritirare, dei piedi, quando si sta al focolare.
Aggruncia sos pês, chi l<e>as troppu logu. | Anche rifl. e ass. Aggruncia!
aggruncìdu agg. contratto, intirizzito.
aggruncippìdu agg. increspato, grinzoso, rugoso.
aggruncippìre rifl. raggrinzarsi, diventar rugoso.
aggrunciuppàdu e deriv. → AGGRUNCIUPPÌDU e deriv.
aggrunciuppìda s.f. l’azione di aggranchirsi, raggricchiarsi.
aggrunciuppìdu agg. aggranchito, raggricchiato.
aggrunciuppidùra s.f. l’atto e l’effetto di aggranchire, raggricchiare.
aggrunciuppiméntu s.m. raggricchiamento, aggranchimento.
aggrunciuppìre tr. raggricchiare, aggranchire. Su frittu m’had
aggrunciuppidu sas manos il freddo mi ha aggranchito le mani.
| rifl. aggranchirsi, raggricchiarsi. Mi si sun aggrunciuppidas sas
ancas mi si sono aggranchite le gambe. Anche per paura e viltà. S’est aggrunciuppidu in su cozolu ca timed d’’essire s’è rannicchiato nel canto oscuro perché teme di uscir fuori.
aggrunciuppulàre e deriv. → AGGRUNCIUPPÌRE e deriv.
aggruppàda s.f. l’atto di aggruppare. Aggruppada ’e zente folla.
aggruppàdu agg. aggruppato.
aggruppadùra s.f. l’atto e l’effetto di aggruppare.
aggruppaméntu s.m. raggruppamento.
aggruppàre tr. e rifl. aggruppare, raggruppare.
aggualàda s.f. l’atto di uguagliare. Dare un’aggualada uguagliare, appianare, spianare. Dà’ un’aggualada a cussa terra spiana un po’ quel terreno.
aggualàdu agg. uguagliato, parificato.
aggualadùra s.f. l’azione e l’effetto di uguagliare.
aggualaméntu s.m. uguagliamento.
aggualàre tr. uguagliare. Aggualare su pesu, su numeru, sa
cantidade. Aggualare sa bertula uguagliare il peso nei due fondi della bisaccia. Aggualare s’ispesa, s’intrada.
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agguàle agg. uguale, simile.
aggualèsa s.f. uguaglianza, somiglianza.
agguàlu s.m. atto di uguagliare. Uguaglianza. Paragone. Tra
s’unu ei s’ateru no b’had aggualu tra l’uno e l’altro non v’è paragone.
agguantàda s.f. l’atto di agguantare, prendere; sostenere,
soffrire. Ite mi siat s’agguantada! e questa tu la chiami pazienza, sofferenza, forza?
agguantàdu part. pass. agguantato; sofferto, sostenuto. Cantu dolore agguantadu! quanto dolore sofferto!
agguantàre tr. agguantare, prendere, ghermire. Agguanta custa tazza prendi questo bicchiere. Sopportare, sostenere, soffrire. Agguantare su frittu, su caldu, su famine, su sidis, sa pena,
sa ’irgonza. Agguantala! abbi pazienza! smettila! | rifl. reggersi,
sostenersi. Agguantaresi in ancas, in cambas, in pês reggersi in
gambe. Trattenersi. Appoggiarsi. Agguantadi ancora unu pagu
trattieniti ancora un poco. Agguantadi igue che unu maccu!
trattieniti costà come un matto! Agguantadi a cussu muru appoggiati a codesto muro | ass. reggere, perseverare, durarla. Es
debbile e no agguantat è debole e non regge, non dura. Agguanta! durala! coraggio! forza! | Agguantarela aver pazienza,
tolleranza; smetterla. No la poded agguantare! non sa darsi pace! || sp. aguantar.
agguàntu s.m. resistenza, sofferenza, consistenza. Haer agguantu resistere, sostenere. No han agguantu nè in su bonu nè
in su malu non han resistenza né nel bene né nel male. Cosas
de pagu agguantu cose che duran poco. Pazienza. Bisonzat
ch’hapas unu pagu de agguantu bisogna che abbia un po’ di
pazienza. || sp. aguante.
aggubbàda s.f. l’atto di nascondere, occultare. Fagher s’aggubbada.
aggubbàdu agg. nascosto, occultato.
aggubbadùra s.f. l’atto e l’effetto di nascondere, occultare.
Pro s’aggubbadura de sas mancanzias de su fizu, sa mama como pianghede la madre ora piange per aver occultato le mancanze del figlio.
aggubbàre tr. occultare, nascondere, specialmente di cose
morali, mancanze, difetti, vizi. Aggubbare sa veridade occultare la verità. | ass. Tu’ istas sempre aggubbendhe, ma l’has a bider
a sa fine tu occulti sempre le magagne, ma si vedrà alla fine.
Anche agubbàre.
agguppàda s.f. l’atto di accestire, far cesto, delle piante erbacee.
agguppàdu agg. accestato.
agguppadùra s.f. l’atto e l’effetto di accestire.
agguppàre rifl. accestire → ACCUPPÀRE.
agguttàdu agg. gottoso.
agguttàre tr. stupire, sbalordire. | rifl. esser colto dalla gotta.
aghedàda s.f. l’atto d’inacetire. Daresi un’aghedada inacetire
alquanto. Custu ’inu s’es dendhe un’aghedada questo vino sta
un po’ inacetendo. Al fig. adirarsi, sdegnarsi. Daghi l’hapo
brigadu s’ha dadu un’aghedada, ma subitu l’es passadu quando
l’ho rimproverato, s’è un po’ acceso, ma subito s’è rabbonito.
aghedàdu agg. inacetito. Inasprito, incollerito, sdegnato.
aghedàre rifl. inacetire, inforzare. Al fig. incollerirsi, adirarsi. Aghedaresi innanti de intrare in su carradellu; aghedaresi a
mustu far sentire la propria autorità prima di entrare a far
parte della famiglia, dei fidanzati.
agheddhàda s.f. l’atto d’incrostarsi, inaridirsi.
agheddhàdu agg. incrostato, inaridito. Sa pasta agheddhada
no si podet manipulare. Gighet sas manos totu agheddhadas.
agheddhadùra s.f. incrostatura.
agheddhàre tr. inaridire, render crostoso. Su frittu agheddhat sa pasta il freddo rende crostosa la pasta. | rifl. inaridire,
incrostarsi. Mi s’agheddhan sas manos tocchendhe custos acidos.
agràzzu
aghéddhu s.m. crosta, incrostatura.
aghedìnu agg. un po’ aceto.
aghédu1 s.m. aceto. Faghersi aghedu inacetire. Al fig. incollerire, far il prepotente. Faghersi aghedu innanti de intrare in cuba
inacetire prima di essere messo nella botte, far valere i propri
diritti, dimostrarsi autorevole prima di sposarsi, dei fidanzati.
aghédu2 agg. inacetito, acetoso. Binu aghedu vino inacetito.
aghedùmine s.m. acetume. Al fig. spocchia, boria, prepotenza. Assiad aghedumine! quanta spocchia, quanta scontrosità!
aghélvu agg. acerbo, non maturo.
àghidu s.m. adito, passaggio, callaia. Più com. → ÀIDU2. || lat.
aditus.
àghila s.f. (Terranova) aquila. Aghila de sos coros cazzadora
(Ant. Spano).
àghimu s.m. (Osilo) gancetto del fuso, per àmigu.
àghina s.f. uva. Più com. → ÙA. || lat. acina.
’agiòne s.f. recipiente di sughero usato specialmente in Gallura per il trasporto dell’uva → BAJÒNE, ’AJÒNE, GIÒNE, JÒNE.
àgitu s.m. adito, callaia (C.S.P.).
agnàda s.f. aggiunta, soprappiù.
agnànghere tr. aggiungere, congiungere.
agnanghiméntu s.m. aggiunta, congiungimento.
agnàntu part. pass. aggiunto, congiunto.
agnantùra s.f. aggiunta, congiuntura.
agnùnghere e deriv. → AGGIÙNGHERE e deriv. L’agnungo
pustis una paneritta (An.).
agòne s.m. lotta; agonia. In sos ultimos agones (An.).
agonìa s.f. agonia. Signale o sonu de s’agonia suono speciale di
campana che annunzia la morte di qualcuno. Toccare s’agonia
sonare le campane per tale annunzio ferale. Ancu ti tocchen s’agonia che possa morire. Esser a s’agonia essere agli estremi. S’ora
de s’agonia l’agonia di Gesù al Gethsemani. La pratica devota
che la commemora. Sas tres oras de agonia le tre ore di agonia,
che si commemorano il Venerdì Santo. | Angoscia, dubbio tormentoso, ansia affannosa. So istadu tres dies in agonia ca no
haio rezidu notissias sono stato tre giorni in agonia perché non
avevo ricevuto notizie. | Di persona antipatica, insopportabile.
Caglia, chi ses un’agonia! taci che sei insoffribile! Cussa giovana
est una agonia quella giovane è l’antipatia in persona.
agoniósu agg. agonioso (Pis. Mele). Cun boghe tremulenta
agoniosa. Anche angustiato. Declara cantu sia agoniosu (An.).
De coro agoniosu (Mele).
agonizànte agg. agonizzante. Su malaidu es già agonizante il
malato è già agonizzante. | sost. Sa pregadoria pro sos agonizzantes
la preghiera per gli agonizzanti. Santu Zuseppe es s’avvocadu de
sos agonizantes S. Giuseppe è l’avvocato degli agonizzanti.
agonizàre intr. agonizzare. Su babbu est agonizendhe il padre
è in agonia. Anche al fig.
agónzu s.m. companatico. Più com. aùnzu, imbàrzu.
agramènte avv. agramente, duramente. Rispondhere, trattare
agramente.
agrària s.f. agraria. Istudiante, professore de agraria. Duttore
in agraria.
agràriu agg. agrario. Iscola de agraria. Come sost. quelli che
studiano l’agraria; gli agricoltori, oggi detti rurali.
agrazzàda (tz) s.f. l’atto d’inagrestire della vite e dell’uva. ||
sp. agrazada.
agrazzàdu (tz) agg. inselvatichito, inacerbito. || sp. agrazado.
agrazzadùra (tz) s.f. l’atto e l’effetto d’inselvatichirsi, inacerbirsi.
agrazzàre (tz) rifl. inagrestire, inacerbirsi, della vite e dell’uva. || sp. agrazar.
agràzzu (tz) s.m. uva immatura, acerba; lambrusca, uvizzolo
agresto. Vino ottenuto dall’uva acerba, lambrusco. Infustu in
aghedu, infustu in agrazzu. || sp. ag<r>az.
agrazzùmine
agrazzùmine (tz) s.m. agrestume; quantità di lambrusca o
di uve scadenti. Anche al fig. Scontrosità. It’agrazzumine!
quanta scontrosità!
agrèsa s.f. agrezza. Anche al fig. Agresa in su faeddhare, in su
rispondhere agrezza nel parlare, nel rispondere. Pro chi no mi
faeddhes cun tant’agresa non occorre che mi parli con tanta
agrezza.
agrèsta s.f. (voc. ant.) lambrusca (C. de L.). Più com. →
AGRÀZZU, AGRÙSTU.
agrèste agg. selvatico, aspro. Più com. → ARÈSTE.
agrestìnu agg. agrestino, asprigno.
agrestùmine s.m. agrestume, agrezza.
agriàda s.f. l’atto di diventare un po’ agro. Custu ’inu s’ha dadu un’agriada questo vino s’è un po’ infortito. Al fig. adirarsi
alquanto, ma per poco. S’ha dadu un’agriada, ma luego had
ispupporadu s’è un po’ incollerito, ma ha svampato subito.
agriàdu agg. aspro, acerbo; irritato, incollerito. Piae agriada
piaga inciprignita. Penas agriadas pene esacerbate.
agriadùra s.f. l’atto e l’effetto di inacerbire; irritare.
agriàre tr. inasprire, irritare, esacerbare. Al fig. Agriare sas penas, sas piaes. | rifl. inacetire, inasprirsi; irritarsi, parlare con
agrezza. Custu ’inu, dagh’es vènnidu in pagu, s’est agriadu questo vino agli sgoccioli s’è inacetito. Su padronu s’est agriadu, ei
sa teracca no l’ha cumpatidu il padrone s’è irritato, e la domestica non l’ha compatito. No t’agries tantu! non esser così zolfino! || sp. agriar.
agricoltòre s.m. agricoltore. Più com. massàju o messàju.
agricoltùra s.f. agricoltura. Daresi a s’agricoltura.
agrieddhàda s.f. l’atto di diventare un pochino agro, in senso proprio e al fig. Più com. al figurato. S’ha dadu un’agrieddhada, ma lu connosco chi no li dùrada.
agrieddhàdu agg. un po’ inacetito, inforzato; un po’ irritato.
agrieddhàre rifl. diventare alquanto agro; adirarsi un poco,
avere una piccola vampata. Dice meno di → AGRIÀRE.
agrìle s.m. luogo per pascolo. Terras de agrile terre pascolative (C.S.P.).
agrimensòre s.m. agrimensore. Più com. geòmetra, giómitre.
agrimensùra s.f. agrimensura.
agriòre s.m. agrezza, anche al fig. Assiad agriore! quanta
agrezza! Agriore de faeddhos, de cara.
agrizzàda (tz) s.f. l’atto di inacidirsi, inasprirsi, anche al fig.
S’ha fattu s’agrizzada, ma s’est abbonacciadu luego. Anche per
quella smorfia di disgusto che si fa quando si mangia o si beve cosa agra.
agrizzàdu (tz) agg. divenuto un po’ agro, un po’ aspro; leggermente incollerito. Disgustato.
agrizzadùra (tz) s.f. leggero inasprimento; piccolo sdegno.
Disgusto.
agrizzàre (tz) tr. inasprire leggermente, al proprio e al fig. |
rifl. inasprirsi, incollerirsi. Agrizzaresi de una cosa fare una
smorfia di disgusto dopo aver mangiato o bevuto qualche
cosa agra. Ha mandhigadu limone e si ndh’est agrizzadu.
agrìzzu (tz) agg. agretto, un po’ agro. Custu ’inu est agrizzu
questo vino è un po’ inforzato. Custa pira est unu pagu agrizza queste pere sono un po’ agre, acerbe.
agronomìa s.f. agronomia. Duttore in agronomia.
agrónomu s.m. agronomo.
agrónzu agg. un po’ agro. Cust’aranzu est agronzu. Anche al
fig. Est unu pagu agronzu faeddhendhe.
àgru agg. agro, forte. Binu agru, fruttos agros. Anche al fig.
Agru in su faeddhare. Anche come avv. agramente. Proghì no
faeddhes, no rispondhas tant’agru! puoi far a meno di parlare
o rispondere con tanta agrezza!
agrudùlche agg. agrodolce. | sost. modo di cucinare. M’ha
preparadu un’agrudulche mi ha preparato una vivanda in agro-
108
dolce. Cogher in agrudulche cucinare in agrodolce. Su lèppere
es saboridu meda cottu in agrudulche la lepre è molto saporita
cucinata in agrodolce. | Al fig. Risu agrudulche.
agrùmine s.m. agrezza, acidume. No hapas tant’agrumine
faeddhendhe non parlare con tanta agrezza.
agrùra s.f. agrezza. It’agrura, Deus meu! quant’agrezza, Dio
mio! Per uno che è antipatico nel parlare. || sp. agrura.
agrùstu s.m. agresto, lambrusca, vite inselvatichita. Sa ua de
sos agrustos es sempre pius minuda e no coghet mai ’ene l’uva
delle viti inselvatichite ha sempre gli acini più piccoli e non
matura perfettamente.
agrùzzu (tz) s.m. dim. di agru, agretto, acidetto, un po’ agro.
àgu s.f. ago. Agu fine, russa ago sottile, grosso. Agu de furesi
ago grossetto che si adopera per cucire l’orbace. Agu de tramatta ago più grosso e molto lungo e ricurvo in punta che si
adopera per fare i materassi. Agu de rezzas mòdano. Agu de
gruscè ago torto, uncinetto (fr. crochet). Culu de s’agu cruna.
Istrintu che culu de agu stretto come una cruna. Intrare in su
culu ’e s’agu penetrare nella cruna d’un ago. Per iperbole, di
persona molto sottile. Agu isculada o chena culu ago scrunato.
Agu truncada ago spezzato. Punta de s’agu punta dell’ago. Puntura de agu dolore, affanno, scorno leggerissimo, al fig. No si
supèrat una puntura ’e agu non tollera un nonnulla. A cunfromm’a su ch’hana nadu a mie, custas sun punturas de agu in
confronto alle porcherie che han detto contro di me, queste
son bazzeccole. | Longu cant’un’agu quasi invisibile. Mi fio
cherfidu agattare presente longu cant’un’agu candh’has nadu totu
cussas faulas contr’a mie avrei voluto trovarmi presente almeno
lungo come un ago per udir tutte le calunnie che hai detto
contro di me. | Infilare e isfilare s’agu infilare e sfilare l’ago. Di
una donna poco o punto massara si dice che non infila neanche l’ago. No si cojuat debbadas! no ischid infilare mancu s’agu e
ha il coraggio di sposarsi! non sa infilare neppur l’ago. Ischire
trattare s’agu o trattare bene s’agu essere buona cucitrice. | Infilada de agu gugliata. | Punziudu che agu puntuto come un
ago. Al fig. che s’imbroncia facilmente e mantiene a lungo il
broncio. | Pungher s’agu, isticchire s’agu a unu pungere, ferire
con l’ago. | Ballare in punta de un’agu essere bravo ballerino,
anche molto svelto, leggero. Ballaresi in punta de un’agu rallegrarsi, far festa. | Fagher ballare a unu in punt’a s’agu dominarlo, fargli fare delle cose impossibili. Si no caglias, ti fatto ballare
in punt’a s’agu! se non taci, ti faccio stare a dovere io! | Istare in
punta a s’agu esser molto leggero; per iperb., di persona molto
piccola e molto magra.
agualàda e deriv. → AGGUALÀDA e deriv.
agudèsa s.f. acutezza, arguzia, scaltrezza. Agudesa de limba,
de faeddhos, de talentu.
agudìgliu agg. ardito nel parlare. No ses agudigliu!
agudìssia s.f. ambizione, ardente brama e speranza di ottenere ciò che si desidera. Como andhat bolendhe s’agudissia subra
sas alas de sa passione (Demontis Licheri).
agùdu agg. (raro) acuto. Monte agudu monte acuto. Più
com. → ACCÙTU.
agùglia s.f. spilla. Più com. → AGÙZA2.
aguntàda s.f. l’atto di accorgersi.
aguntàdu agg. accorto.
aguntàre rifl. accorgersi, avvedersi.
agurìa s.f. (Nule) augurio.
agùza1 s.f. guglia. Aguza de su campanile (Mss. Illorai).
agùza2 s.f. spilla, spillo. Culu de s’aguza il capo, il capocchio.
Minudu che culu ’e aguza piccolissimo. Aguza ’e conca o de pilos spillone. Aguzeddha, aguzitta piccole spille. Giogu de aguzittas specie di gioco infantile. Si nascondono sotto un mucchietto di polvere delle spillette e poi vi si butta una pietra, le
spillette che restano scoperte appartengono a chi ha dato il
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colpo. Giogare a aguzas, a aguzittas trastullarsi con detto gioco.
| Mannu cantu un’aguza grande come una spilla. | Intrare,
pungher che un’aguza pungere, penetrare come uno spillo. Per
estens., cacciarsi in mezzo alla calca. Intrat chei s’aguza maccari
bi siat totu su mundhu. Ficchiresi chei s’aguza, oltre che nel senso del precedente, si dice anche per rimanere impalato. Già ti
ficchis chei s’aguza! Ficchidi cue chei s’aguza. | Aguza de s’orija
fossetto dell’orecchio. | Aguza de s’archibusu punto, molla del
cane. Aguza de Nostra Segnora scàndice, geranio. Aguza de santu Giuanne geranio. || sp. aguja.
aguzàda s.f. gugliata. Puntura di spillo. L’ha dadu un’aguzada l’ha punto con lo spillo.
aguzàju s.m. venditore di spille.
aguzàre tr. fermare con spille. Accomodare la polvere nel
focone dello schioppo con una spilla (voc. ant.).
aguzéri s.m. agoraio. Istuzos, aguzeris (Zicconi).
aguzìnu s.m. aguzzino, custode di schiavi, tiranno. Esser
un’aguzinu, trattare che aguzinu esser un carnefice, un oppressore, comportarsi come tiranno. Cussu no es maridu, ma aguzinu colui non è marito, è una croce.
aguzìtta s.f. dim. di aguza, spilletta.
aguzittàdu agg. fermato con spillette.
aguzittàre tr. fermare con spillette.
aguzòne s.m. spillone.
ah! interiez. che come in it. esprime diversi affetti e movimenti dell’animo. Maraviglia: ah ite bellu! oh com’è bello.
Dolore: ah ite dolu! che dolore! Ribrezzo: ah ite pùdidu! ah
come puzza! Sdegno: ah disgrasciadu! ah disgraziato! Rimprovero: ah berricchinu! ah biricchino! Minaccia: ah l’has a bider
ite ti fatt’eo! ah, vedrai che cosa ti farò! Come interrogativo significa come? che cosa hai detto? In questo caso è però un
po’ nasale, come se fosse scritto anh?
àhi! esclam. di gioia, al contrario dell’it. Ahi cantu mi piaghet
oh quanto mi piace. Ohi e ahi (anche al pl. Ohis e ahis). Viver
in ohis e ahis vivere tra le pene e gli affanni. | sost. In calchi rigurosu ahi! (Delogu Ibba).
àhide esclam. rinforz. di ahi.
ahimè interiez. ahimè. Poco com. ahi de mè.
ai segnacaso del dativo coi pronomi: ai custu, ai cussu, ai
cuddhu.
aià! partic. esortativa, su, orsù, coraggio e simili. Anche
esclam. di maraviglia e d’incredulità. B’haiat chentumiza persones… Aià! c’erano centomila persone. Eh! Anche interiez.
di gioia. Inie han bustadu e si sun divertidos. Aià! ivi han desinato e si son divertiti. Ah!
aibbò interiez. ohibò! macché. Bi fit totu su mundhu…
Ahibbò! c’era tutto il mondo… Bum!
aidattonàlzu s.m. custode del maggese. ▫ aidattonàrzu.
aidattòne s.m. maggese, terreno coltivato a biade → BIDATTÒNE, ’IDATTÒNE, VIDATTÒNE.
àidu1 agg. da avido, volenteroso. Intrare aidu a unu tribagliu
cominciare un lavoro con lena. Acuto, vivo, ardente. Disizu aidu desiderio acuto, ardente. Boza, gana, brama aida voglia, brama viva. Hapo una brama aida de mandhigare figu, de andhare
a Tàtari ho vivissima brama di mangiar fichi, d’andare a Sassari. Aidu faeddhendhe acuto nel parlare. Mandhighinzu aidu prurito vivo. Sonnu aidu sonno prepotente. Salato. Salamuja aida.
àidu2 s.m. adito, passaggio, callaia. Pro intrare a sa tanca bisonzat fagher s’aidu in sa chijura per entrare nel chiuso bisogna
aprire un passaggio nella siepe. Abberrer s’aidu aprire la callaia.
Al fig. cominciare, dar l’esempio. Su capu abberzeit s’aidu ei sos
ateros sighèini il capo cominciò e gli altri seguirono. Anche per
togliere di mezzo qualche ostacolo, offrire un’occasione favorevole e gradita, concedere un permesso, una grazia. Si m’abberis (l’abberis, nos abberis, lis abberis) cuss’aidu! se mi concedi
ainnàntis
questo, se ci dai questa opportunità, se ci fai questo favore e
sim. | Cunzare, tancare s’aidu chiudere la callaia. Al fig. terminare, concludere. S’ultimu tancat s’aidu l’ultimo chiude, corona l’opera. Chie restat tancat s’aidu chi resta s’aggiusterà, di
uno che non si cura dei suoi eredi o dei suoi successori in una
carica, e fa il comodaccio suo. A sa fine si cunzat s’aidu. Fagher
aidu o aidos aprire passaggi attraverso la siepe. Intrade, ma no
fattedas aidu entrate pure, ma non aprite callaie nella siepe.
Acconzare sos aidos imprunare le callaie. Al fig. tappare i buchi,
pagare i debiti, regolare gli affari. Ecco un’aidu acconzu! ecco
un affare assestato! | Intrare in aidu, no intrare in aidu o in aidu perunu persuadersi, comprendere ragione, non comprendere affatto ragione. Eppuru eppuru intrad in aidu finalmente
comincia a comprendere la ragione. Cussu beccone no intrad in
aidu perunu quello zoticone non comprende nulla, non si persuade per nessuna ragione. Est unu chi no intrad in aidu è un
testardo. | Currer a s’aidu correre ai ripari. | Onzi fiadu ’essit in
s’aidu sou ogni bestia esce per la propria apertura. Si dice per
dare le attenuanti a chi si è lasciato sfuggire qualche scorreggia
o loffa (volg.).
aillàrgu avv. lontano. Istad aillargu abita lontano. Aillargu
pàssede! stia lontano da noi! Sa morte aillargu passede!
aìma s.f. arnese, attrezzo, strumento da lavoro. Più com. al
pl. Sas aimas. Lea sas aimas e andha a sa zorronada prendi gli
arnesi e va al lavoro. Boltaresi a sas aimas suas ricorrere ai propri mezzi di difesa. In casu ’e bisonzu onzunu si ’oltad a sas aimas suas all’occorrenza ognuno si difende coi propri mezzi.
Così il gatto, quando viene stuzzicato, si ’oltad a sas aimas
suas si difende con le granfie. Anche al fig. Il bimbo che vuole
ottenere qualche cosa e ricorre alle moine… si ’oltad a sas aimas suas. | È anche una corruzione di arma, ma in questo
senso è antiquato.
aìmine s.m. attrezzo, strumento, arnese.
aìmu avv. vicino.
aìna s.f. Sas ainas faghen sas faìnas la buona riuscita del lavoro dipende anche dagli strumenti che si adoperano → AÌMA.
àina s.f. (raro) asina. Più com. ’estia, ’estia ’e mola → BURRÌCCA.
ainàda s.f. azione da ciuco, asinata. Rimprovero acerbo. Dare un’ainada: su mastru ha dadu un’ainada a sos iscolanos chi
fin ciarrendhe il maestro ha rimproverato crudamente gli scolari che ciarlavano.
ainàju s.m. asinaio, che alleva o guida asini. Unu contu si faghet s’ainu e un’ateru s’ainaju un conto fa l’asino e un altro il
conduttore.
ainàlzu s.m. asinaio.
ainàre tr. rimproverare duramente, svergognare. M’had ainadu in mesu piatta mi ha rinfacciato in pubblico.
ainàrzu s.m. asinaio.
aincaìnca avv. troppo. Aincainca de sale, de aghedu ecc.
aìnche avv. → AVVÌNCHE.
ainéddhu s.m. dim. asinello, ciuchino.
ainerìa s.f. asineria, asinità, asinaggine.
ainescamènte avv. asinescamente. S’es cumportadu ainescamente.
ainìna (a s’~) avv. asinescamente. Campare, trattare a s’ainina vivere, comportarsi come un asino.
ainìnu agg. asinino. Latte aininu latte d’asina. Petta ainina
carne asinina. Puddherigu aininu poledro asinino. Bellu chei
su puddherigu aininu bello come un ciuchino. Carignos aininos carezze asinine (calci e morsi). Cariga ainina o burricchina (volg.) sterco d’asino appallato. Cantidu aininu raglio.
Orriu aininu raglio. Anche al fig. Boghe ainina.
ainnàntis avv. prima, davanti, a capo, alla testa. Tu’ andha
ainnantis tu cammina davanti. Anche prep. Ainnantis de me,
de totu prima di me, di tutti, davanti a me, a tutti.
ainòghe
ainòghe avv. moto a luogo, qua. Beni ainoghe vieni qua.
Ainoghe! aiuto! accorruomo! Su fogu! su fogu! ainoghe! aiuto!
aiuto! al fuoco. Ainoghe, chi so anneghendhe aiuto, che annego! Anche ainnòghe.
ainségus avv. dietro, indietro, di dietro. Torrare ainsegus retrocedere.
aintàldos avv. a lunghi tratti, a intervalli; raramente. Andhad
a cheja aintaldos, in sas festas prinzipales va in chiesa raramente,
nelle feste principali. Lu ’ido aintaldos lo vedo raramente.
aintùndhu avv. all’intorno, intorno, in giro. Pijaresi aintundhu ritirare le falde degli abiti lunghi per essere più libero
nel camminare o nel saltare.
àinu s.m. asino, ciuco, buricco. Ainu ’e mola (molente) asino
che si attacca alla macina. Al fig. uomo zotico, ignorante, duro
di testa o di cuore. Ainu mannu: millu s’ainu mannu! Tontu che
ainu; toltu chei s’ainu; fadigosu chei s’ainu; pascenscile chei s’ainu;
dilicadu che ainu; perronicu che ainu. Daghi ’oltat tenciu es peus
de s’ainu. Conca de ainu testa dura. Barras de ainu mascelle d’asino, di uno che parla stupidamente e grida troppo. Orijas de
ainu orecchie d’asino, di uno che ha gli orecchi lunghi e non
ode e non ascolta i consigli. Essere a orijas de ainu essere incaponito nelle proprie convinzioni, sordo alle avvertenze. Est
istadu sempre a orijas de ainu e no ha concluidu mai nuddha è
stato sempre testardo e non ha concluso mai nulla. Laras o,
più spregevole, labbras de ainu chi ha le labbra grosse, alla moresca. Dentes de ainu che ha i denti grossi e forti. | Pês de ainu
chi ha i piedi corti. Peddh’’e ainu colzi russu; a cara ’e peddh’’e
ainu insensibile. | Calches de ainu calci d’asino, al fig. offese che
non penetrano oltre la pelle. Dare su calche de s’ainu comportarsi ingratamente. Pustis de tantu bene chi l’hapo fattu, m’ha
dadu su calche de s’ainu dopo tanto bene che gli ho fatto, all’ingratitudine ha aggiunto anche l’offesa. | Orriu de ainu, o irrònchiu de ainu raglio. Orrios o irronchios d’ainu no alzan a chelu
ragli d’asino non arrivano in cielo. Comente chi orriet (o irrònchiet) s’ainu come se ragli l’asino, si dice di chi non vuol ascoltare ciò che dice un’altro. Candho faeddhas tue es comente ch’irronchiet s’ainu quando parli tu è come se ragliasse l’asino. | Su
risu ’e s’ainu il riso dell’asino, quando scopre i denti e tende il
collo, quindi, ironicamente, fagher su risu ’e s’ainu vale mostrare i denti, con intenzioni non sempre benevole. | Su bancu ’e
s’ainu il banco dell’asino, su cui si facevano sedere un tempo
gli scolari scapestrati o ciuchi. Ponner in su bancu ’e s’ainu confinare uno scolaro nel detto banco. Che l’han postu in su bancu
’e s’ainu. | Su caminu ’e s’ainu: no ischire sinò su caminu ’e s’ainu;
no bessire dae su caminu ’e s’ainu. | S’ainu chi ti diad a calche!
l’asino, che ti scalci! Si dice in malo modo quando non si vuole rivelare la persona su cui si viene interrogati. Chi’ ha battidu
custa littera? S’ainu chi ti diat a calche chi ha portato questa lettera? L’asino ecc. | Currer chei s’ainu in sa falada correre come
l’asino per la discesa, correre a precipizio. | Fagher o esser o leare lega chei s’ainu in sa falada o in su pendhente incaponirsi nelle
proprie convinzioni. | Girare chei s’ainu in sa mola aggirarsi come l’asino che trae la macina, ripetere sempre le stesse cose,
oppure vagabondare oziosamente, bighellonare. Cussu giovanu
istat sempre girendhe chei s’ainu in sa mola quel giovane non fa
altro che bighellonare. | Orriare chei s’ainu ragliare come l’asino. Maccari istes orriendhe chei s’ainu, no t’isculto benché voglia
ragliare come l’asino non ti ascolto. Orriare chei s’ainu ’e rennu
strepitare, urlare come raglia l’asino del fisco. Eallu s’ainu orriendhe. | Trottulinare chei s’ainu trotterellare come l’asino,
camminare a piccoli passi, ma fitti, quasi saltellando. | Samunare sa conca a s’ainu lavar la testa all’asino. | Ponner sa seddha o
su battile a s’ainu metter la sella o la barda all’asino, vestire uno
(e specialmente una) con abiti che non gli convengono. Si dice
anche ponner sos fioccos a s’ainu. | Ponner su facchile a s’ainu
110
mettere la maschera di stracci o di pelle al buricco che trae la
macina. Al fig. segnare col marchio d’infamia un individuo. |
Fagher sa resessida o revertida de su puddherigu de s’ainu, oppure
fagher chei su puddherigu ’e s’ainu andare a finir male dopo aver
cominciato bene. L’asino infatti è bello quando è poledrino, e
poi diventa brutto. Si no cheres segare istelzu, basadi su puddherigu ’e s’ainu se non vuoi rompere vasellame, bacia il poledro
asinino. Bisogna però baciarlo quando si è ancora bimbe, e le
bimbe lo baciano davvero ma vasellame, quando capita, ne
rompono lo stesso. | Ponner fattu a s’ainu seguir l’asino. Si dice
a uno sconclusionato, a cui non si vuol dare soddisfazione. Pone fattu a s’àinu! | Torrare su calche a s’ainu restituire il calcio all’asino, prendersi una vendetta bassa e vergognosa o dannosa.
A faeddhare cun tegus est a torrare su calche a s’ainu. Si ti dat su
calche s’ainu no bi lu torres non rispondere allo stolto. Si torras
su calche a s’ainu dolet pius a tie chi no a isse sei più stolto. | Imbroscinaresi che ainu avvoltolarsi, sdrajarsi scompostamente. |
Tribagliare che ainu lavorare come l’asino, affacchinarsi, stracanare. | Trattare che un’ainu o chei s’ainu trattar male, maltrattare. | Lassare che un’ainu considerare come un asino, abbandonare uno senza tenerne conto. Fio in sa cumpanzia e m’hana
lassadu inoghe che un’ainu ero della compagnia e m’han lasciato
qui solo come un’asino. | ’Ogareche a unu accaddhu a s’ainu
scacciare in malo modo una persona di conto dalla sua carica.
Ch’han bogadu su sindhigu accaddhu a s’ainu hanno scacciato il
sindaco facendogli cavalcare un asino. | Ligare o prendher s’ainu a ue narat o cheret su padronu legar l’asino dove vuole il padrone. | (prov.) S’ainu chi no moled, a culu ponet l’asino che
non macina, s’ingrassa, chi non lavora s’ingrassa. | Es mezus ainu ’iu chi no duttore mortu meglio asino vivo che dottore morto. | Ainu basciu, puddherigu pàrede un asino basso sembra ancora un poledro, un ciuchino giovane, delle persone basse che
sembrano sempre giovani. | S’ainu l’ha battidu ei s’ainu si lu
mandhigat. S’ainu ’attit paza e iss’e totu si la palpazat l’asino
porta la paglia e se la mangia esso stesso, si dice di chi, in una
comitiva, consuma le proprie provviste senza farne parte agli
altri. | S’ainu no mandhigad ispettia o pedrusimula l’asino non
mangia pepe o prezzemolo, l’orzo non è fatto per gli asini. |
S’ainu a chie lu sezzit narat: ischelvijadi! ischèrvijadi! su caddhu
invece: tènebbi contu, tenebbi contu! l’asino a chi lo cavalca dice:
rompiti il collo! rompiti il collo! il cavallo: tieniti fermo, tieniti
fermo in sella. Al fig. le persone vili ci vorrebbero rovinare, le
anime nobili ci vorrebbero redimere. | Tantu pro tantu s’ainu si
la mandhigat! tanto se la mangia l’asino! d’una cosa superflua
che si dona. | Sa seddha istat male a s’ainu la sella non sta bene
all’asino, quando una cosa non s’addice a una persona. | S’ainu s’abbizat de su ’eranu dagh’es passadu l’asino s’accorge della
primavera quando è trascorsa. | Mortu tue, mortu un’ainu ’e
Roseddhu o de ses dinaris se muori tu è come se moia un asinaccio qualsiasi. | S’ainu no connoschet sa coa finachì no la perdet non si conosce il bene finché non si perde. | Su trottulu ’e
s’ainu pagu durat la lena del pigro dura poco. | Unu contu fàghet s’ainu, un’ateru s’ainaju o s’ainarzu un inferiore propone e
il superiore dispone. | S’ainu, curreggidu una ’olta, faghet de
conca si deve ascoltare l’avvertenza fin dalla prima volta. | S’ainu famidu no timet su fuste dinanzi al bisogno, non si bada alle
critiche, alle beffe. | Chie no timet morit chei s’ainu chi non teme muore come l’asino, necessità di esser prudente, accorto,
guardingo. | Sa rutta ’e s’ainu es peus de sa ’e su caddhu di un
male piccolo che ha conseguenze fatali. | Samuna sa cabitta a
s’ainu, ainu est e ainu s’istat. Di un caparbio. | S’ainu daghi non
podet pius si corcat nessuno può far l’impossibile. | A tribagliare
si narad a s’ainu non si deve aver bisogno di incitamento al lavoro. | Su caminu curzu imbezzat s’ainu. | Sos ainos si rattan
unu cun s’ateru. | Chie samunat sa conca a s’ainu peldet tribagliu
111
e sabone. | Sos fattos anzenos imbezzan s’ainu. | Su preideru es
s’ainu ’e domo. | A tempus riet s’ainu quando uno parla intempestivamente. | Sas vestes cumponen s’ainu. | A su mese de maju
orrian sos ainos. | Finzas s’ainu ha s’abilidade sua. | Biadu a chi’
had un’ainu in perra ’e janna. | Ainu chi no faeddhad a corcoriga
si faghet. Sinonimi: molente, burriccu, burragliu, pegus de mola,
poleddhu, ’estia, ’estia ’e mola, calonigu, mussegnore.
ainùmine s.m. asineria, asinaggine. Quantità di asini. Bi fit
totu s’ainumine de sa ’iddha c’erano tutti gli asini del villaggio. Anche al fig.
aiológu s.f. pigotta, vaiuolo (W.) → AELÓGU.
airàbbile agg. che s’adira facilmente.
airabbilidàde s.f. facilità d’adirarsi.
airàda (a s’~) avv. con ira, con lena. Intrareli a s’airada cominciare un lavoro con lena.
airadamènte avv. adiratamente, con ira. || sp. airadamente.
airàdu agg. adirato. Con lena, con brama. Tribagliad airadu
lavora con lena. Esser airadu aver uzzolo, essere in calore.
airaméntu s.m. adiramento.
airàre tr. far adirare. | rifl. adirarsi. S’airat pro unu nuddha
s’adira per un nonnulla. || sp. airar.
airósigu agg. stizzoso, pronto allo sdegno.
airósu agg. sdegnoso, che s’adira facilmente.
aìru s.m. ira, sdegno. Lassa s’airu, chi ti faghet male. Brama
ardente, uzzolo; calore; passione. La cheret bene ch’est un’airu
le vuol tanto bene, che pare ne perda la testa.
aìsa! interiez. su, coraggio.
aìscu s.m. scodella, ciotola; forma, recipiente in cui si comprime il cacio, cascina. In quest’ultimo senso è anche femminile. S’aiscu manna, mesana la forma grande, mezzana.
aisettàre tr. aspettare, attendere. No poto ’essire, ch’aisetto (o
aispetto) zente non posso uscire, aspetto gente. | intr. ass. indugiare. Aispetta ancora unu pagu; aisetta cue aspetta ancora
un poco; aspetta là. ▫ aispettàre.
aispìssu avv. spesso. In caccia è un augurio. Quando si sente uno sparo si augura: aispissu! possa colpire spesso!
aisségus avv. di dietro, dietro. Torrare aissegus tornare indietro. Andhare aissegus camminare dietro. Ainnanti e aissegus dinanzi e dietro. Abbaidare ainnanti e aissegus guardare davanti
e dietro; pensar bene, riflettere. Innanti ’e fagher custu abbàidadi ainnanti e aissegus prima di far questo, pensaci bene.
aìsu! interiez. su, orsù, coraggio, avanti. Aisu, piccioccos! su,
ragazzi!
aìte avv. di desiderio, dio volesse che (utinam latino). Aite
no mi passad inoghe su porcabru! Dio volesse che mi passi a
tiro il cinghiale! ▫ aitéu!
aìte? partic. interrog. perché? Aite mi lu faghes custu? Perché
mi fai questo? | A che cosa. Aite servit custa linna? a che serve
questo legno?
aizéddhu avv. un pochettino. Damindhe aizeddhu, aizigheddhu dammene un pochino. | Anche in forma di sost. Damindhe un’aizeddhu, un’aizigheddhu. Mi bastad un’aizeddhu.
▫ aizighéddhu.
aìzu1 avv. poco. Bi ndh’haìad aizu ce n’era poco. | sost.
un’aizu un poco. Un’aizu de pane un po’ di pane.
aìzu2 avv. appena, a fatica; anche ripetuto aizu aizu appena
appena. Aizu so arrivadu appena sono arrivato. Fio arrividu
aizu aizu ero giunto appena appena. Aizu che so passadu son
passato a fatica. Aìzu b’istad, aizu si bi podet cottulare ci sta
appena, ci si può stipare a fatica.
aizzàda (tz) s.m. l’atto di aizzare.
aizzàdu (tz) agg. aizzato.
aizzaméntu (tz) agg. aizzamento.
aizzàre (tz) tr. (raro) aizzare. Più com. → AZIÀRE, AZZUÀRE
(dei cani), INZERRÀRE.
àju
aìzzu (tz) s.m. aizzamento, incitamento. No ha bisonzu de
aizzu non ha bisogno d’incitamento.
ajadamènte avv. con agio, pacatamente, con calma.
ajàdu agg. calmo; ozioso; che dispone di molto tempo. Comente già ses ajadu! no ti ’occhit su tribagliu! non ti ammazza
il lavoro! sei abbastanza sfaccendato!
’ajàna s.f. fanciulla, vergine, non sposata, nubile. ’Ajana ’e lumine sverginata. ’Ajana ’edusta pulzellona → BAJÀNA, vajàna.
’ajanàre intr. far vita allegra, spassarsi, divertirsi con le fanciulle.
’ajanìa s.f. fanciulleza, giovinezza, il tempo in cui si rimane
celibe o nubile. Ha passadu s’’ajania sua da’ una festa a s’atera
ha passato la sua giovinezza da una sagra all’altra. In bajania
durante la giovinezza.
’ajànu agg. e sost. celibe, giovinetto. Cantos bi ndh’had igue
cojuados? Sun totu ’ajanos quanti ce ne sono là sposati? Son
tutti celibi o nubili. Anche bajànu, → VAJÀNU.
ajètta s.f. (m. -e) anellini di ferro o ottone per proteggere gli
occhielli circolari dei busti e delle scarpe. Sas ajettas de s’imbustu, de sos bottes. Anche → OJÈTTA.
ajó interiez. eh! eh via, via. Ajò chi ti ses ammacchiendhe via,
che ammattisci. | Incitazione. Su, orsù, andiamo! vieni! Ajò!
ajò ch’andhamus a piatta vieni, su, andiamo in piazza. Istare
ajò ajò titubare, essere indeciso. No istes ajò ajò! non essere
così indeciso! || fr. aillons (che si pronuncia appunto ajon!).
ajòe interiez. vieni. Ajoe a domo, ajoe cun megus vieni meco,
vieni a casa. Ajòe, fizu meu, ajoe, pesa (Delogu Ibba). Ajoennondhe andiamocene.
ajóltu! interiez. su, orsù. Ajoltu, movedi! su, moviti! Ajoltru
a lu chilcare (C. pop. C. N.).
’ajòne s.f. recipiente di sughero. ’Ajoneddha piccola concula
di sughero che si lascia nelle fontane, con cui ognuno che vi
capita si possa dissetare. Un’’ajoneddha de abba una concula
d’acqua → BAJÒNE, GIÒNE. || lat. bajula. [La parola è lemmatizzata nel manoscritto anche tra le voci ainùmine e airàbbile,
con la seguente trattazione: s.f. recipiente di sughero che si
usava per trasportare l’uva, e anche per culla rusticana → BAJÒNE, GIÒNE.]
ajonnòche interiez. andiamocene. ▫ ajonnòndhe.
ajòsa! avv. eh, via! Ajosa chi ses sabiu! (iron.) eh, che sei savio! Dadenos a bustare ajosa via! (Mossa, Sos deunzos). Nesit:
ajosa a mie suave sona (P. Luca).
ajóstu avv. su, orsù. Ajostu, lassa cussa malaitta / ae pettaia
(Calvia).
ajózi! incit. andiamo, venite! Ajozi a sa festa venite alla festa.
| Ajozibbèi veniteci. In Tatari b’es su re. Ajozibbèi in Sassari
c’è il re. Andiamoci, venite. Ajozinnoche, ajozinnondhe andiamocene.
’àju agg. baio. Su caddhu ’aju il cavallo bajo → BÀJU1.
àju1 s.m. agio, comodo, comodità. Haer aju poter stare in
ozio, disporre di molto tempo. Est una persone ch’had aju meda è una persona che ha poco da fare. Fagher una cosa cun
aju fare una cosa con comodità. Iscrielu cun aju, ma iscrìelu
’ene scrivilo con comodità, ma scrivilo bene. | Al fig. Haer aju
de… avere un bel dire, un bel fare ecc. Has aju de faeddhare,
de faghere hai un bel dire, un bel fare ecc. Has aju de iscriere,
es surdu e no rispondhede scrivi pure quanto vuoi, è sordo e
non risponde. Hapeid aiu de ispettare! aspettò tanto!
àju2 s.m. contentezza. Haer aju esser contento. Hapo unu
aju chi no lu crês son tanto contento che non lo credi. Morrer
de aju o de su aju esser molto contento. Si moriat de su aju
era contentissimo, giubilante. Ischizzare de su aju (iron.)
schiattare di contentezza. Dai cantu mi piaghet sa birricchinada tua ischizzo de su aju mi piace tanto la tua bricconata, che
schiatto di contentezza. Ite aju! che contentezza!
ajubbòre
ajubbòre s.m. gioia intensa, giubilo, che si rivela quasi con
la luce del sorriso. Su coro mi riesit de ajubbore (Mossa, Sa
mariposa).
’ajulàda, -adu, -adura, -are → BAJULÀDA ecc.
àjulu s.m. gioja. Ite ajulu ch’hapo! (iron.) imagina quanta gioia
provo! | Anche per sopportazione, pazienza. No had ’ajulu perunu non può sopportare un nonnulla. Più com. → BÀJULU.
ajuntàre rifl. unirsi. E a su mundhu si den ajuntare (P. Luca).
ajuòla s.f. aiuola.
ajutòre s.m. che aiuta, assistente. Fidissimos ajutores (Gos.
229).
ajutóriu s.m. ajuto. A sas animas ajutoriu → AGGIUTTÓRIU.
àla1 s.f. ala. Alas largas, culzas, muzzas ali larghe, corte, tarpate. Alas pintas ali screziate. Nieddhu che ala ’e corvu. Haer o gigher alas aver ali, esser molto leggero, svelto. Curriat chi pariad de haer, de gigher o de giugher alas correva tanto che
pareva avesse l’ali ai piedi. Haer alas fortes disporre di molti
mezzi, al fig. Cussu podet bolare, had alas fortes colui può volare, ha ali forti. | Ispuntare, muzzare, segare, truncare sas alas tarpare, troncare le ali, anche al fig. Sa tùrtura no bolat ca l’han
muzzadu (segadu) sas alas la tortora non vola perché le han
tarpato le ali. A cussu giovanu, in su mezus volare, l’han truncadu sas alas a quel giovane sul più bello hanno troncato le ali.
Lantare, ferrer a alas ferire all’ala, al fig. come tarpare le ali. |
Ispargher sas alas alzare, spiegare, allargare le ali, volare, anche
al fig. In custa ’iddhigheddha no si podet zertu ispargher sas alas
in questo piccolo villaggio non si può certo volare, progredire,
slanciarsi. | Cunzare sas alas abbassare le ali. Fagher de alas scotere le ali. | Sutta s’ala ’e Deu sotto la protezione di Dio. Sutta
sas alas de sa miserigordia divina sotto le ali della mirericordia
divina. | A alas ispartas, tesas con le ali tese. Bolare a alas ispartas andare a gonfie vele. | Andhare, currer cun sas alas, fagher,
portare calchi cosa cun sas alas in fretta, con molta sollecitudine. Andha e torra cun sas alas va e torna volando. | Aligheddha,
alitta, aluzza (dim.).
àla2 s.f. banda, parte. Ala mala, ala ’ona il rovescio e il diritto
di un panno. Bestiresi una ’este a s’ala mala indossare un abito
al rovescio. Boltulare unu pinzos a s’ala mala rovesciare un capo di vestiario. Essere a s’ala mala al rovescio. A s’ala manca a
manca; a s’ala dresta a destra. A s’ala ’e nanti davanti; a s’ala ’e
segus di dietro; a s’ala ’e ponente, de levante a ponente, a levante. A s’ala verso, in forza di prep. coi verbi di moto. Bae a s’ala
’e su riu, a s’ala ’e su monte va verso il rio, verso il monte. A
un’ala da banda, a parte. Essere, istare, daresi a un’ala restare,
star a parte, appartarsi, isolarsi. Dadi a un’ala ch’es passendhe
su carru togliti di mezzo, che passa il carro. Es cue a un’ala chi
pared unu cazzadu è lì in un angolo che pare un appestato. |
Ponner, frundhire, lassare, foliare a un’ala mettere a parte, buttare, abbandonare. Ponelu cue a un’ala, frundhilu a un’ala buttalo via. Pone a un’ala sos crapiccios, sos fumos ch’has in conca!
lascia i capricci, i grilli! | A un’ala e a s’atera, a ambas alas da
una parte e dall’altra. Abbaidare a un’ala e a s’atera guardare a
una parte e all’altra. Al fig. tener conto dell’uno e dell’altro
partito. | A cust’ala di qua. A cust’ala de su riu di qua dal rio. A
cuddh’ala di là. Accuddh’ala de su monte di là dal monte. | Essere o daresi a s’ala de unu parteggiare per uno. Tue ses a s’ala ’e
sos riccos tu parteggi per i ricchi. Dadi a s’ala mia parteggia
per me. | Haer a unu in ala aver uno dalla sua. Sos birbantes
han sempre calchi demoniu in ala i birboni han sempre qualche diavolo che li protegge. Per uno molto fortunato si dice
che hat totu sos diaulos in ala ha tutti i diavoli dalla sua. | Fagher ala a unu dar ragione, spalleggiare. Tue faghes sempr’ala a
sos inimigos mios tu dai sempre ragione ai miei nemici e li
spalleggi. Dare s’ala a unu dar ragione a uno. Tue das sempre
s’ala a isse tu dai sempre la ragione a lui. | Haer, tenner ala
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avere il potere, l’autorità, la protezione. Massimu si tened ala /
d’esser de domo sa giae (Cub.).
àla3 s.f. lobo. Ala de su figadu lobo del fegato. Pinna: al […]
le pinne del pesce. Pagina: un’ala de su missale u[…] messale.
Quantità, moltitudine. Un’ala ’e […]. Bi ndh’had un’ala chi
no balet nuddha c’è una quantità, un numero che non vale
nulla. Falda. Ala de su ’entone falda della camicia. Ala ’e saccu.
alabàbbile agg. lodevole, elogiabile.
alabàda s.f. l’atto di lodare, lode, vanto, elogio.
alabàdu agg. lodato, elogiato.
alabànsa s.f. lode, elogio, vanto. Dare, fagher alabansa lodare, elogiare. Dignu de alabanzia degno di lode. | Anche baldanza. Dare alabansa a unu dar ansa. ▫ alabànscia, alabànzia (tz). || sp. alabanza.
alabansàre tr. lodare, elogiare, vantare, celebrare. Anche dar
ansa. Alabansalu, chi si no no es portadu a su malu! incitalo,
stuzzicalo tu, è già tanto portato al male! ▫ alabansciàre,
alabanziàre (tz).
alabàrda s.f. alabarda. || lat. barb. alaparda.
alabàre1 tr. lodare, vantare, elogiare, celebrare. | rifl. vantarsi, millantarsi, gloriarsi. Pro t’alabare sa mente es suspesa (Cabras). Unica ses de poder alabare (Picoi). || sp. alabar.
alabàre2 s.m. traverse che uniscono gli arcioni del basto; parti laterali del petto. || da alapa + ale (Wagner).
alabastrìnu agg. alabastrino, d’alabastro; bianco come l’alabastro. S’atera ruia inzesa alabastrina (Cabras).
alabàstru s.m. alabastro, marmo alquanto trasparente. S’ha
collu e pettus de fine alabastru (P. Luca).
alabàttu s.m. lapazio, rombice, pianta. || lat. lapathium, lapathus.
alabìnna s.f. ridosso, riparo.
alàbu s.m. lode, elogio. Pensendhe in sos alabos de ti dare (Cabras).
aladérru s.m. filirea, aliterno. Più com. → ALIDÉRRU. || lat.
alaternus.
alàdu agg. alato. Inter totu sos alados Anghelos… (Delogu Ibba). Più com. → ALÙDU.
alamàre s.m. alamaro. Più com. → GÀFFA.
alambiccàda e deriv. → LIMBICCÀDA e deriv.
alamégnu agg. codardo, vile. Giaghì guvardu e meda lamegnu (S. Lussorio, Borore).
’alanzàda s.f. l’atto di guadagnare. A un’’alanzada ha binsu
vinti francos → BALANZÀDA, VALANZÀDA e deriv.
’alanzàdu agg. guadagnato.
’alanzàre tr. guadagnare, vincere. Hapo ’alanzadu chentu
francos. Hapo ’alanzadu su cheltu, su prettu, sa lite ho vinto la
lite. Hapo balanzadu una puppia, una suppera ho vinto alla
tombola una bambola, una zuppiera. | ass. guadagnare, vincere. Hapo ’alanzadu a sa lotteria, a sa china ho guadagnato alla
lotteria, alla tombola. Chie crês chi [’alanzede]? S’Italia chi credi che vincerà? L’Italia. Si ’alanzas tue ti do unu regalu se vinci
tu ti faccio un regalo. No bi ’alanzas nuddha non ci guadagni
nulla. Anche balanzàre, valanzàre.
’alànzu s.m. guadagno, utile, vantaggio; vincita. Ponnersi su
’alanzu in sa berritta, in busciacca a uno che spera guadagnare
e si vuol disilludere. Già t’has a ponner su ’alanzu in sa berritta. Ponedi su ’alanzu in sa berritta, in busciacca, come per dire: stai fresco se speri guadagnare in questo affare, intasca i
soldi! Dal fatto che, anticamente, si riponeva il portafoglio o
la borsa in fondo al lungo berrettone sardo. Anche balànzu.
alàscios s.m. pl. attrezzi, strumenti di lavoro. || sp.
alàsias s.f. pl. fregi. I pezzi superiori della rota.
alàttu s.m. laccio, vincolo. Toccad a issos ponner sos alattos
(Puddhighinu). Zertos tales ponzendhe sun alattos (insidie)
(Pilucca) → ALLÀZZU.
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alattuéru s.m. marrubio, pianta.
àlba s.f. alba, spuntar del giorno. Più com. alvéschida o albéschida, albèscher o alvescher. | Camice sacerdotale → CÀJAMU.
albabèlla s.f. la parte scelta del lino.
<a>l<bàc>he s.m. (voc. ant.) orbace (Cod. Dipl.). Oggi fresi o furesi.
<albàda> s.f. vomere → ARVÀDA.
àlbaru s.m. pioppo (populus alba) → FUSTIÀLVU, pustiàrbu.
alberàdu agg. alberato.
alberàre tr. (raro) alberare.
albèrgo s.m. albergo. Più com. → OSTÈRA.
albèschere intr. albeggiare. Anche come sost. alba. A s’albeschere all’alba. Mi peso ogni die a s’albeschere mi alzo ogni giorno all’alba. Ite bellu albeschere! che bell’alba! || lat. albescere.
albéschida s.f. alba. So ’essidu a s’albeschida sono andato al
lavoro dei campi all’alba.
albeschidólzu s.m. alba. ▫ albeschidórzu.
albéschidu part. pass. di albèschere.
albeschìre intr. albeggiare, far giorno. Più com. → ALBÈSCHERE.
albiàre tr. imbiancare → ARBIÀRE (Illorai, Macomer). [Il manoscritto reca: imbiancare (Illorai: arbiare. Deriv. Macom. V.
Arbiare.]
albinàda s.f. l’atto di intonacare, imbiancare. Dà’ un’albinada a cussu muru imbianca un po’ quel muro.
albinàdu agg. imbiancato, intonacato.
albinadùra s.f. l’azione e l’effetto d’imbiancare, intonacare.
albinàre tr. imbiancare, intonacare → INALBINÀRE, INNALVINÀRE. || lat. albus.
albinàttu agg. bianchiccio.
albìnu s.m. terra bianca, pozzolana.
àlbis (in) avv. di bianco. Dognunu in albis vestidu (Gos. Innoc.).
albìssia s.f. strenna. E cherzo regalare cun albizia (S. Luss.,
Borore). ▫ albìzia (tz).
albitràda, -adu, -are, -ariamente, -atu, -iu, -u → ARBITRÀDA
ecc.
albòre s.m. alba, albore. De albores mattutinos (Delogu Ibba).
alborìnu (a s’~) avv. aurora celestiale, alla prima alba.
albrìssias s.f. pl. strenne. In albrissias bos pedimus Maria sa
libbertade (Delogu Ibba). Più com. istrìnas. ▫ albrìzzias (tz).
|| sp. albricias.
albrittiàda ecc. → ARBITRIÀDA ecc.
àlca, -ada, -adu, -adura → ÀRCA ecc.
àlcali s.m. alcali, spirito. Più com. → ÀLCOL.
alcanamènte avv. → ARCANAMÈNTE.
alcansàre tr. ottenere, impetrare → ACCANSÀRE. || sp. alc.
alcànsu s.m. impetrazione, conseguimento → ACCÀNSU.
alcànu s.m. arcano → ARCÀNU2.
alcànzelu s.m. → ARCÀNZELU.
alcàre tr. → ARCÀRE.
alchéri s.m. → ARCHÉRI.
alchèrmes s.m. alchermes, liquore.
alchibbusàda, -are, -era, -eri, -eria, -u → ARCHIBBUS-.
alchibèdra s.f. arciprete → ARCHIBÈDRA.
alchibiscamàdu, -u → ARCHIBISCAM-.
àlchida s.f. lena, possibilità.
alchidàre intr. respirare, moversi. No hàer tempus mancu de
alchidare non aver tempo neppur di respirare, di moversi.
àlchidu s.m. fiato, respiro, forza, coraggio. Lena. No haer
alchidos de fagher una cosa non aver la forza di fare una cosa.
Dagh’’ideid a mie no hapeit manc’alchidos de si cuare, de aberrer sa bucca quando mi vide non ebbe neanche il coraggio di
nascondersi, di aprir bocca.
alchidùca s.m. (f. -chessa) arciduca, arciduchessa. Anche archiduc-.
alciàre
alchilàda s.f. l’atto di impastoiare → ARCHILÀDA, aschilàda.
alchiladólzu s.m. pastoia. ▫ alchiladórzu.
alchilàdu agg. impastoiato.
alchiladùra s.f. l’azione e l’effetto di impastoiare. Pastoia.
alchilàlzu agg. che ha le gambe lunghe. ▫ alchilàrzu.
alchilàre tr. impastoiare.
alchìle s.m. garetto. Poplite (non garetto) (W.). No arrivire
mancu a s’alchile de unu essere molto inferiore. | esclam. imprec. Colpu ’e balla a s’alchile! Per estens. anche per tibia o
stinco. Anche archìle, → ASCHÌLE con tutti i deriv. || gr.
(as<che>lis) as<ke>liı (Spano).
alchilidébbile agg. dai garetti deboli.
alchilidùra s.f. struttura delle gambe. Alchilidura bella, fea
bella o brutta disposizione delle gambe. No has mal’alchilidura! come son brutte le tue gambe!
alchilifìne agg. dagli stinchi sottili.
alchilifòlte agg. dagli stinchi robusti e forti. ▫ alchilifòrte.
alchilifoscigàdu agg. dagli stinchi contorti, dalle gambe storte.
alchilifrìghe agg. che ha le gambe storte. Al fem. alchilifrìga.
alchilifrìmmu agg. dai garetti saldi, che non si move per ogni
nonnulla.
alchililóngu agg. che ha le gambe lunghe. Al fig. vagabondo,
bighellone.
alchilirùssu agg. dagli stinchi grossi, vigorosi.
alchilitruncàdu agg. dagli stinchi spezzati.
alchimàlu agg. pessimo. Anche archimàlu.
alchimìa s.f. alchimia. || arab. al e kimia.
alchimìna s.f. prima mina, mina principale, profonda.
alchiminàda s.f. scoppio di mina. | esclam. di maraviglia. Alchiminada, cantu curret! per bacco, come corre!
alchimìssa s.f. spigo, lavanda; erba canfora.
alchimìsta s.m. alchimista.
alchitettàda, -adu, -adura, -are, -onicu, -ettu, -ettura → ARCHITETT-.
alchiviàdu, -adura, -are, -ista, -u → ARCHIVI-.
alchizòne s.m. → ARCHIZÒNE.
alchìzu s.m. → ARCHÌZU.
àlcia s.f. ascia → ÀSCIA. Scheggia. Gioco infantile → ÀLZA.
alciàda s.f. l’atto di salire. Salita. Alciada mala, ripida salita
malagevole, aspra, ripida. Aumento di prezzo. Comente sun
sos prejos? Ch’had hapidu un’alciada come sono i prezzi? C’è
stato un aumento. Alciada ’e conca colpo di testa. Alciada ’e
sambene un tuffo di sangue. O semplicemente alzada capriccio, ticchio, collera, stizza. L’ha bennidu un’alciada, e no ha
bidu su ch’ha fattu gli è montato il sangue alla testa e non ha
saputo quel che ha fatto. | Alzata. Alciada ’e manos alzata di
mani. | L’atto di scheggiare, spezzare → ALZÀDA con tutti i
deriv., ASCIÀDA, ARZIÀDA.
alciadólzu s.m. montatoio. Specie di gradinata rustica sui
muri a secco per poterli passare a piedi. Alciadolzu de sas puddhas scaletta a pioli dove si appollaiano le galline. ▫ alciadórzu → ALZADÓLZU (-órzu).
alciàdu agg. salito. Alzato. Aumentato. Ridotto in ischeggie
→ ASCIÀDU.
alciadùra s.f. l’atto e l’effetto di salire e di sollevare. Quel vino che resta nella botte quando questa per la diminuzione del
contenuto s’è dovuta sollevare, quindi vino torbido, scadente,
feccioso. Nos ha passadu s’alciadura ci ha offerto del vino torbido e cattivo. Al fig. roba scadente, rimasuglio. | L’azione e l’effetto di scheggiare.
alciàre tr. alzare, sollevare. Alciare sos brazzos, sa conca, sa
manu. Aumentare di prezzo. Istamus friscos, sos mercantes han
alciadu su trigu stiamo freschi, i mercanti hanno elevato il
prezzo del grano. Alciare sos corros insuperbirsi, al fig. | Anche scheggiare → ASCIÀRE. | rifl. adirarsi, stizzirsi, sdegnarsi.
àlcol
S’est alciadu, ma cum pagas paraulas l’hap’ammasettadu s’è un
po’ incollerito, ma con poche parole l’ho ammansato. Ribellarsi. Su pobulu s’est alzadu il popolo s’è rivoltato. | intr. salire,
montare, andar su, con l’ausiliare essere: so alciadu a su monte
son salito al monte. Aumentare di prezzo, con l’ausiliare hàere: su ’inu, su trigu, had alciadu il prezzo del vino, del grano
ha aumentato. | Alciarebbìla, nella esclam. alciabbìla! quando
si dice una esagerazione. Bi dêd haer hapidu assumancu chimbighentos cristianos. Bum! alciabbìla! ci saranno state almeno
cinquecento persone. Bum! contane anche di più. Più com.
→ ALZÀRE con tutti i deriv. Anche asciàre, arziàre.
àlcol s.m. alcool. Più com. → ISPÌRITU.
alcólicu agg. alcoolico.
alcolìsmu s.m. alcoolismo.
alcolizàdu agg. alcoolizzato.
alcolizàre tr. e rifl. alcoolizzare. Como s’est alcolizadu e in su
chi nàrada no b’ha pius filu ’e prendhere ora è alcoolizzato e in
quel che dice non c’è più né capo né coda.
alcorànu s.m. alcorano.
alcòva s.f. alcova. || arab. al e kobba volta, cupola; sp. alcoba.
àlcu, -ubbalénu, -echélu, -edonnudéu, -esòle, -léntu → ÀRCU
ecc.
’aldàdu agg. e sost. → ’ARDÀDU.
’aldamànu s.m. → ’ARDAMÀNU.
aldamènte! esclam. ironica di maraviglia, stroppiatura di allamente! → ARDAMÈNTE.
’aldàre → BARDÀRE, ’ARDÀRE. Deus ti ’aldet. Deu ’aldet! Dio
liberi! | rifl. ’Aldadi ene! guardati bene…
aldentemènte avv. → ARDENTEMÈNTE.
’àldia s.f. guardia. Fagher ’aldia proteggere, difendere → ’ÀRDIA, BÀRDIA.
’aldiànu s.m. guardiano, custode. ’Aldianu de sa robba, de ’inza custode del bestiame, della vigna. Parrer un’’aldianu de ’inza
parlare a voce alta, gridare → ’ARDIÀNU, bardiànu.
’aldiàre tr. custodire, difendere. ’Aldiare su bestiamine, su trigu custodire i branchi, i seminati. | rifl. guardarsi → ’ARDIÀRE,
BARDIÀRE.
aldidamènte, aldidu → ARDID-.
aldimentàre, -osamente, -osu, -u → ARDIMENT-.
aldìre, -one, -ore, -òria → ARD-.
aldósu, àldu → BARD-.
aldùra, -urosu, -uzu → ARD-.
aldùtu agg. astuto. Un’ampulla ’e gazosa m’ha dadu a istuppare una femina alduta (C. pop. C. N.).
alenàda s.f. fiato. A un’alenada d’un fiato. Biere o buffare a
un’alenada bere in un fiato, a una sorsata.
alenaméntu s.m. respirazione.
alenàre intr. respirare. Appena alenaiat respirava appena. Ei
su malaidu? Est ancora alenendhe il malato? Respira ancora.
alenicùlzu (tz) agg. asmatico, che ha il respiro affannoso. ▫
alenicùrzu (tz).
alenipùdidu agg. dal fiato puzzolente. No si li poded istare
acculzu, ch’est alenipudidu non gli si può star vicino, perché
ha il fiato puzzolente.
alentàre tr. soffiare. Scaldare col respiro. Brutos l’alentan l’adoran mortales (il Bambino Gesù) lo scaldano col respiro gli animali, lo adorano gli uomini (Aidom.).
’alènte agg. valente, forte → BALÈNTE.
’alentèsa s.f. valentia. Circostanza propizia. Si servit (si ’alet)
de ogni ’alentesa, de s’’alentesa si vale della circostanza propizia,
di ogni buona circostanza.
’alentìa s.f. valentia, coraggio, bravura.
aléntu s.m. coraggio, bravura. In su corpus cun alentu (Delogu Ibba). Anche soffio. Cun su naturale alentu (Delogu Ibba).
[Nel manoscritto lemmatizzato ’alentu.]
114
alénu s.m. soffio, respiro. Haer ancora s’alenu, esser ancora cun
s’alenu respirare ancora, essere ancora in vita. Si dice anche
delle botti che contengono ancora qualche po’ di vino. Custu
carradellu had ancora s’alenu questa botte ce ne dà ancora.
Haer appena s’alenu, esser a s’alenu essere agli estremi, agli sgoccioli. Su malaidu est a s’alenu, sun fattendhe già su baule il malato è agli estremi, si appresta già la bara. Custu carradellu est a
s’alenu questa botte è agli sgoccioli. Alenu cultu o culzu (curtu,
curzu) affanno, fiato grosso, asma. Alenu malu, pudidu fiato
fetido, puzzolente. | Haer s’alenu de su ’iju tramandare un grato odore, di persona; (letter.) avere l’odore del vitellino da latte. Si usa più com. al neg. No ha s’alenu de su ’iju! non tramanda l’odore del vitellino da latte! Al fig. di uno che è scontroso e
allontana da sé i suoi simili. | Mancu un’alenu! silenzio! non
fiatare! Nello stesso senso: no ti ’essat mancu un’alenu! Anche
nel senso di parlare, svelare, manifestare un segreto. No mi
ch’ha bessidu alenu non ho fiatato, ho conservato il segreto. |
Leare alenu, torrar’alenu respirare. No mi lassas mancu leare,
torrar’alenu non mi lasci neanche respirare. | Lassare s’alenu a
unu risparmiargli la vita. L’ha lassadu appena s’alenu gli ha lasciato appena il respiro. | Connoscher a s’alenu conoscere al respiro, all’odore. | A un’alenu, tot’a un’alenu d’un fiato. Hapo
nadu sa lessione tota a un’alenu ho recitato la lezione tutta d’un
fiato. Hapo cultu chentu passos totu a un’alenu ho corso cento
passi d’un fiato.
’àlere intr. valere. Custu rellozu ’alet chentu francos questo
orologio vale cento lire. In questo senso anche al rifl. Custu
caddhu si ’alet dughentos iscudos questo cavallo vale duecento
scudi. | rifl. valersi, servirsi. Si ’alet de sos drittos suos si vale dei
suoi dritti. | No si ’alet de isse matessi non si può movere. Anche ass. No si ’alet pius non si può movere → BÀLERE, VÀLERE.
alèrta (a s’~) avv. all’erta. Istare a s’alerta stare allerta. Ista, ist’a
s’alelta (Pilucca). ▫ alèlta.
alètta s.f. aletta, piccola ala. Alettas de pische pinne. Alettas de
camija falde di camicia.
alève agg. infedele, disleale. Ca ’enit Giudas aleve (Delogu
Ibba). || sp.
alevosìa s.f. slealtà, tradimento, infedeltà. || sp. alevosia.
alevósu agg. sleale, infedele, traditore. Su discipulu alevosu
Giuda. De tantos moradores alevosos (Demontis Licheri). || sp.
àlfa s.f. alfa, prima lettera dell’alfabeto greco. Principio. Alfa
e omega principio e fine, Dio.
alfabbètto s.m. alfabeto, abbicciddì.
alféri s.m. alfiere. Capitanu e forte alferi. (Aidom.).
’àlfida s.f. costo, valore. No had ’alfida peruna non ha alcun
valore, è deprezzato. Sette iscudos de ’alfida sette scudi di costo.
’àlfidu part. pass. di ’àlere, valso. Mi so ’alfidu de sas rejones
mias mi son valso delle mie ragioni.
alfiéri s.m. alfiere.
àlga s.f. spazzatura, immondezza. Anche al fig. Alga ’e muntonalzu spazzatura buttata sul mondezzaio; persona vile, infame.
Mudu tue, alga ’e muntonalzu! taci tu, immondezza! | Gigher,
portare, trattare chei s’alga trattare una persona o cosa con disprezzo, con noncuranza. Cussu maridu trattat sa muzere chei
s’alga quel marito tratta la moglie come la spazzatura. Cussu
maccottu gighet su ’inari chei s’alga quel pazzerello spende i denari come la rena. Non bidimus chei s’alga (Pis.). | Frundhireche,
fuliareche a unu in s’alga buttare uno sulla spazzatura. | Carrare
a unu algas de muntonalzu colmare uno di vituperi. Daghi
m’ha carradu algas de muntonalzu mi chered abboniare cun sas
lusingas dopo avermene dette di tutti i colori mi vuol rabbonire con le moine. | Esser de sa peus alga de sa ’iddha o de su logu
essere della bordaglia, della peggior genia del paese.
àlgada s.f. maciulla. ’Ulteddhu ’e s’algada coltello di legno
(parte mobile); pês de s’algada sostegno → ÀRGADA, bàrgada.
115
algadàda, -adu, -adura, -are maciulla[…]llare → ARGADÀDA
e BARGADÀDA, -ADÙRA, -ÀRE.
algadarìa s.f. → ALGARARÌA.
algamìle agg. schifoso, nauseante → ARGAMÌLE, ASCAMÌLE.
àlgana s.f. maciulla → ÀRGADA.
alganàre tr. maciullare → ARGADÀRE.
àlganu s.m. argano → ÀRGANU.
algararìa s.f. putiferio. Pesare, fagher un’algararia sollevare
un putiferio. Pro una cosa ’e nuddha ndh’ha pesadu un’algararia per un nonnulla ha sollevato un putiferio.
àlgebra s.f. algebra. || arab. al gebr.
algébricu agg. algebrico.
algebrìsta s.m. algebrista, chi sa l’algebra.
alghentàda s.f. l’atto di sciogliere al foco lo strutto. Dare
un’alghentada scaldare un po’, sciogliere un po’ lo strutto. Per
l’atto d’inargentare → ARGHENTÀDA.
alghentàdu part. pass. sciolto al caldo, dello strutto. Argentato.
alghentadùra s.f. soluzione dello strutto al calore. Argentatura → ARGHENTADÙRA.
alghentàre tr. sciogliere lo strutto al calore del foco. Alghenta cuss’ozu pro frier sas cattas sciogli quell’olio per friggere le
frittelle. Argentare → ARGHENTÀRE.
alghentéri, -eria, -inu, -olu, -u → ARGHENTÉRI ecc.
àlghida s.f. maciulla → ÀRGADA.
alghìddha s.f. argilla.
alghinàda, -adu, -adura, -are, -e → ARGHIN-.
àlgia s.f. spazzatura, immondezza → ÀLGA, ÀRGA.
algominzàda ecc. → ARGOMINZÀDA ecc.
alguazìle s.m. sbirro.
alguèna s.f. strozza, gola → ARGUÈNA.
alguìda, -idu, -ire → ARGUÌDA.
’algùle s.m. → ’ARGÙLE.
alguléntu s.m. → ARGULÉNTU.
algùmene s.f. mucchio d’immondezze, di spazzature → ÀLGA, ARGÙMENE.
algumentàda, -adore, -adu, -are, -assione, -u → ARGUMENT-.
alguminzàda, -adu, -ura. Alguminzadu provvisto. ~ bene.
alguminzàre tr. fornire. Ammobiliare, addobbare, preparare. | rifl. sbrigarsi, affrettarsi, spicciarsi. Alguminzadi e beni
cun megus spicciati e vieni con me. Anche provvedersi.
algumìnzu s.m. arnese, bagaglio, provvista, fornimento. In
cussa domo b’ha donz’alguminzu in quella casa v’è quanto occorre. Preparativo. Ancora no che ’ido alguminzu perunu.
algùnu pron. alcuno.
algùtu agg. → ARGÙTU.
algùzia (tz) s.f. arguzia.
alguzìnu s.m. aguzzino.
’àlia s.f. baldanza. Lear’’alia prender baldanza → BÀLIA.
’aliàda s.f. l’atto di soffrire, sopportare, perdonare.
’aliàdu agg. sofferto, compatito.
’aliadùra s.f. l’atto e l’effetto di sopportare; sopportazione.
’aliàre tr. soffrire, sopportare, perdonare. Caddhu chi ’aliat sa
seddha, sa groppera cavallo che sopporta la sella e una seconda
persona in groppa. | rifl. Caddhu chi no si ’aliat sa seddha.
’Aliare o ’aliaresi ingiurias, burulas, beffes sopportare ingiurie,
burle, beffe. No si ’aliat nuddha non sopporta la minima contrarietà. Anche baliàre, → BAJULÀRE. || lat. bajulare.
àlias avv. diversamente. || lat. alias.
alibastrìnu, alibastru → ALABASTR-. Cun cuddha cara tua
alibastrina (Pilucca).
alibbéllu agg. dalle ali belle.
alibbiàncu agg. dalle ali bianche.
alibbrujàdu agg. dalle ali bruciate. Una mariposa alibbrujada una farfalla dalle ali bruciate. Al fig. una giovane intaccata
nella reputazione.
àlighe
alibbrùnu agg. dalle ali brune.
alibbrùttu agg. dalle ali sporche.
alibèddhe s.m. pipistrello. Più com. tirriolu peddhe, titirriolu
impeddhadu. Sorighe pinnadile nottola.
alibelgàda s.f. l’atto di saziarsi alquanto. Daresi un’alibelgada:
daghì s’ha dadu un’alibelgada ha nadu prommoredeu dopo essersi alquanto <saziato> ha reso grazie a Dio.
alibelgàdu agg. sazio, satollo.
alibelgadùra s.f. l’azione e l’effetto di saziare, satollare.
alibelgàre tr. saziare. Es vennidu unu poverittu e l’han alibelgadu coment’han potidu è giunto un mendico e l’han satollato come han potuto. | rifl. metter qualche cosa in corpo. Sinonimo
di mangiare. S’est alibelgadu ’ene s’è ben satollato, rimpinzato.
àlibi s.m. (t. giur.) alibi. Chircare, procuraresi un’alibi, s’alibi
cercare, procurarsi l’alibi, come in it.
alibìntu s.m. (f. -a) fringuello (Alapicta ficedula). ▫ alipìntu
(-a).
alicàndho avv. (voc. ant.) mai (C.S.P.).
alicùltu agg. dalle ali corte. ▫ alicùlzu (tz), alicùrtu, alicùrzu (tz).
alidàda s.f. l’atto di alitare; alito. Dare un’alidada alitare un
poco. Anche ammaestramento, emendazione.
alidàdu agg. alitato. Ammaestrato, emendato.
alidàre tr. ammaestrare, correggere, emendare. || lat. validare. | intr. alitare, respirare. || da alidu alito.
alidébbile agg. dalle ali deboli, non resistente al volo. Anche al fig.
alidéddhu s.m. aglio selvatico. Più com. → ALIDRÉDDHU.
alidérru s.m. alaterno, filirea (Ramnus alaternus). Traes de aliderru travi di alaterno. || sp. aladierna.
alidipìntu agg. dalle ali dipinte.
’alidòre agg. che vale, che ha corso. Dinari ’alidore danaro
che ha corso. Vittorioso. Su ’alidore es custu il vincitore è questo. Coraggioso, robusto, valente. ’Alidore de isse matessi che
può dominare sé stesso. No esser ’alidore de isse matessi non
poter disporre di sé stesso. ’Essire ’alidore, faghersi ’alidore de
unu, de una cosa dominare una persona, vincere un ostacolo.
Pustis de tanta battaza ndhe so ’essidu (mi ndhe so fattu) ’alidore dopo tanta lotta ho vinto → BALIDÒRE. || da bàlere valere.
alidòre s.m. alito, fiato, profumo. || lat. halitus alito.
alidréddhu s.m. porro selvatico. Fine che alidreddhu di persona molto sottile, molto magra. Truncaresi che alidreddhu
spezzarsi come un fuscello.
àlidu s.m. alito, fiato, respiro. No andhaiat manc’un’alidu de
’entu non spirava alito di vento. No narrer alidu non fiatare.
No haer alidu perunu, no haer manc’alidu non avere neanche
il respiro.
alienàbbile agg. (t. giur) alienabile.
alienàre tr. alienare, vendere. Più freq. → BÈNDHERE, ’ÈNDHERE. Alienare de sentidu privare di sensi (del nobile linguaggio e
formula notarile).
alienasciòne s.f. alienazione. Alienazione mentale. ▫ alienassiòne, alienaziòne (tz).
aliéntu s.m. fiato, alito. Brivu de su sentidu e alientu (P. Luca).
Custu fiagu suffocad alientos (Murenu). De [o Da?] sos alientos
vitales (An.).
aliénu agg. alieno, contrario (del nobile linguaggio).
alifalàdu agg. dalle ali cascanti. Andhendhe pei pei alifaladu
(Muroni).
àliga s.f. immondezza, spazzatura.
aligadòlza s.f. convolvolo. ▫ aligadòrza.
aligàlza s.f. ravano, radica. ▫ aligàrza.
aligàre tr. concimare, buttare la spazzatura.
aligàrzu s.m. mucchio di spazzature, immondezze.
àlighe s.m. pan giallo. Farina impastata con sapa, con cui si
alighemùru
fanno dei dolci casalinghi. || lat. alica farina di spelta o alicus
salato, gr. (áls) a{lı.
alighemùru s.m. ombelico di venere. Più com. calighemùru,
salighemùru.
aligrógu agg. dalle ali gialle. Unu pabareddhu aligrogu una
farfalletta dalle ali gialle.
àligu s.m. → ÀLIGHE. || lat. halica.
aligùmine s.m. legume. Gen. cibo. No ch’had aligumine perunu non c’è alcun cibo → LEGÙMINE.
aligùsta s.f. aragosta. Più com. → ALIÙSTA.
àlikis pron. (voc. ant.) qualcuno (C.S.P.). || lat. aliquis.
alilàrgu agg. dalle ali larghe.
alilezéru agg. dalle ali leggere.
alilóngu agg. dalle ali lunghe.
alimànnu agg. dalle ali grandi.
alimbiscàdu agg. dalle ali invischiate.
alimentàda s.f. l’atto d’alimentare, nutrire.
alimentàdu part. pass. alimentato, nutrito.
alimentàre tr. alimentare, cibare, nutrire. | rifl. nutrirsi. Dai
cantu est avaru mancu s’alimentat è tanto avaro che neppur si
nutre. | Al fig. come in it. S’alimentat de odiu, de faulas, de
porcherias.
alimentósu agg. ricco di alimenti, di cibi. Est una terra alimentosa meda è una terra che produce molti cibi. Est una
domo alimentosa è una casa ben fornita d’alimento.
aliméntu s.m. alimento, nutrimento, cibo. Più spec. il pane.
Perder, burrusciare s’alimentu. | Al pl. Sos alimentos il necessario per vivere. Dare, passare sos alimentos somministrare il necessario per la vita. Haer drittu a sos alimentos aver dritto agli
alimenti.
alimètta s.f. bottoncino d’osso o di madreperla che si usava
per lo più per le camicie. Corruz. di animètta. Simile l’it. animella: rotellina d’osso. Anche limètta, per aferesi.
aliminòre agg. dalle ali piccole.
alimùzzu (tz) agg. dalle ali tarpate. Al fig. Esser che puzone
alimuzzu essere come un uccello dalle ali tarpate.
alindàre tr. circoscrivere, limitare. | intr. confinare (Mss.
spagn.).
alinédu s.m. alneto, ontaneto.
àlinu s.m. alno, ontàno.
alióttu s.m. (voc. ant.) aliotto, cerchio delle zimarre attorno
alle braccia.
àlipe s.m. grasso, adipe, sugna → ÀBILE.
alipèddhe s.m. pipistrello → ALIBÈDDHE.
alipendhèndhe agg. dalle ali penzolanti. Che ha le falde a
strascico, di vestito.
alipesùdu agg. dalle ali gravi, pesanti. Poco agile al volo.
aliprésu agg. dalle ali legate, inceppate. Al fig.
alipùntu agg. dalle ali ferite.
’alìre s.f. piccolo barile. S’alireddha e s’alirone (An.). Anche →
’ARÌLE, BARÌLE, BARRÌLE.
alirùju agg. dalle ali rosse. Una puzoneddha aliruja un uccellino dalle ali rosse.
alirùssu agg. dalle ali grosse.
alisàndru s.m. macerone, smirnio, erba di sapore acre che
cresce negli acquitrini. Anche → LISÀNDRU.
alisànza s.f. lasagna. || lat. laganum, gr. (láganon) lavganon.
alisèddha s.f. grano o fagiolo non maturo, vuoto.
alispàltu agg. dalle ali distese. Bolare alispaltu volare con le
ali ben distese.
alistampàdu agg. dalle ali forate, bucate, ferite.
alistrìntu agg. dalle ali strette.
alistroppiàdu agg. dalle ali storpiate, ferite.
alitrobojàdu agg. dalle ali aggrovigliate, d’insetti.
alitruncàdu agg. dalle ali stroncate.
116
’àliu s.m. sopportazione, pazienza, forza, coraggio. No had
’aliu perunu non ha alcun coraggio. Anche per alito. Cantu li
durat s’’aliu. Anche bàliu, baliàre. || da ’aliare.
aliùsta s.f. aragosta. Campare a forza de aliusta vivere bene.
No campad a aliusta no! non vive da Lucullo, no!
alivalàdu agg. dalle ali strascicanti. Unu puddhu alivaladu
un gallo che trascina il frascone. ▫ alifalàdu.
alivéu agg. dalle ali brutte. ▫ aliféu.
alivìne agg. dalle ali sottili. Una mariposa, unu babbaudu
alivine una farfalla, un insetto dalle ali trasparenti. ▫ alifìne.
alivòlte agg. dalle ali robuste, forti. ▫ alivòrte, alifòrte.
alivoscigàdu agg. dalle ali storte, contorte. ▫ alifoscigàdu.
alivrundhìdu agg. dalle ali strascicanti. ▫ alifrundhìdu.
àlla esclam. di ammirazione. Alla ite mannu! corbezzoli, com’è grosso! Lo Spano lo fa derivare dal greco (allà) ajlla;.
Propenderei a crederlo derivato da balla palla, che si usa anche come esclamazione, o da Allah. || sp. alà.
allabbàu! esclam. di maraviglia o d’ironia o di sprezzo. Allabbàu ite bandhidu ’e timire! corbezzoli, che terribile bandito! ||
da Allah e bau (bau bau).
allaccàdu agg. marcio, guasto, corrotto.
allàccana avv. confinante. Es cue allaccana è lì al confine. |
prep. Allaccana a su cunzadu meu confinante al mio chiuso.
Allaccana a sa ’inza confinante alla vigna.
allaccanàda s.f. l’atto di ansimare, avvizzirsi, imbozzacchire.
allaccanàdu agg. stanco, ansante, ansimante; appassito, abbiosciato, avvizzito; imbozzacchito.
allaccanadùra s.f. affanno, ansimo; languore, debolezza, avvizzimento, appassitura.
allaccanaméntu s.m. → ALLACCANADÙRA.
allaccanappàre avv. confinante. Sos duos possessos sun allaccanappare i due possessi sono confinanti.
allaccanàre tr. confinare, di terreni, di chiusi. In sa partimenta hamus allaccanadu sos cunzados nella divisione abbiamo sistemato i confini dei chiusi. | intr. ansimare, languire, stancarsi, di uomini o di bestie. Appassire, avvizzire, abbiosciare, di
fiori. Imbozzacchire, di frutti || gr. (lanchano) lagcanw (Sp.)?
allaccàre intr. marcire, guastarsi, corrompersi, abbiosciarsi.
alladdhajonàdu agg. diventato caccola o simile alla caccola.
alladdhajonadùra s.f. l’atto e l’effetto di diventar caccola o
come caccola.
alladdhajonàre rifl. diventar caccola o simile alla caccola.
Cussa figu s’est alladdhaionada quei fichi son diventati come
caccole.
alladdharàdu agg. appallottolato.
alladdharadùra s.f. appallottolatura.
alladdharàre rifl. appallottolarsi. Impazzire. || da laddhara
caccherello.
alladdharonàdu agg. → ALLADDHAJONÀDU.
alladdharonàre rifl. → ALLADDHAJONÀRE.
alladiàre tr. distendere, schiacciare, dilatare, si dice della pasta da cui si forma la stiacciata. Più com. → ILLADIÀRE.
allagàdu agg. allagato, inondato.
allagaméntu s.m. allagamento, inondazione.
allagàre tr. allagare, inondare.
allagàzu s.m. acquitrino, fangaia, fanghiglia. No ch’ha mal’allagazu! quanta fanghiglia!
allainàdu agg. sporco, merdoso.
allainadùra s.f. l’atto e l’effetto di sporcarsi per diarrea.
allainaméntu s.m. diarrea → ALLAINADÙRA.
allainàre rifl. sporcarsi, per causa della diarrea.
allalgàda, -adu, -adura, -amentu, -are, -u → ALLARG-.
allambrìdu agg. ghiotto, avido, bramoso, affamato.
allamènte avv. esclam. di maraviglia ironica.
allampàda s.f. → ALLAMPIÀDA.
117
allampalùghe avv. a luce scarsa. Bider, distinghere allampalughe veder confusamente.
allampàre tr. spalancare, sbarrare, degli occhi.
allampiàda s.f. lampeggio, balenio, guizzo di luce. Allampiada de ojos sbarramento d’occhi. Imbriacatura incipiente. S’ha
dadu un’allampiada s’è un po’ imbriacato. | Breve istante. In
un’allampiada in un attimo.
allampiadamènte avv. con occhi sbarrati. Abbaidare allampiadamente guardare con occhi bene aperti.
allampiadòre s.m. che guarda con occhi sbarrati.
allampiàdu agg. sbarrato, spalancato, di occhio. Afato, non
giunto a maturità, di grano. Brillo, alticcio, di persona. Bae,
no ti ponzo mente, chi ses mesu allampiadu va là, non ti do retta, che sei mezzo brillo.
allampiadùra s.f. l’atto e l’effetto di spalancare gli occhi; d’intristirsi (del grano). Leggera imbriacatura. Gighiad una mesa
allampiadura, no cheriat calculadu non voleva esser preso sul
serio, aveva una mezza imbriacatura.
allampiàre tr. sbarrare, spalancare gli occhi. Had allampiadu
sos ojos e m’ha fattu a timire ha sbarrato gli occhi e m’ha fatto
temere. | rifl. intristire, del grano. Imbriacarsi, delle persone.
Fit festa e s’est allampiadu era festa e s’è un po’ imbriacato.
Anche ammattire. Allampiadu ti ses oh?! sei ammattito? | intr.
veder da lontano, confusamente.
allampionàda s.f. l’atto di piantarsi melensamente, stupidamente. S’ha fattu s’allampionada in sa janna chi pariad unu
truncu s’è piantato là sulla soglia, che pareva un tronco.
allampionàdu agg. alto come un lampione; istupidito. Brillo.
allampionàre rifl. piantarsi come un lampione, come uno
stupido. Allampionadi cue, chi ses bellu meda! piantati costà,
che sei un bel figuro! Ubbriacarsi. S’est allampionadu, e no
b’had ite bi cuntrestare s’è ubbriacato e non gli si può parlare.
allanàdu agg. muffato, ammuffito.
allanadùra s.f. muffa.
allanàre rifl. ammuffire, muffare. Custu pane s’est allanadu.
Più com. allanìre.
allancàda s.f. l’atto di curvarsi, piegarsi, ammollirsi. Fagher
s’allancada curvarsi, piegarsi. Sa trae ha fattu s’allancada e b’ha
de timire chi ndhe ruat sa cubertura la trave ha ceduto e c’è da
temere che crolli il tetto.
allancàdu agg. piegato, curvo.
allancadùra s.f. l’atto e l’effetto del piegarsi, cedere. Pone
unu puntellu in s’allancadura ’e sa trae metti un puntello dove
la trave ha ceduto.
allancaméntu s.m. piegamento, curvatura.
allancàre intr. piegarsi, cedere. Su fuste had allancadu (o est
allanchendhe), timo chi si trùnchede il bastone ha ceduto, temo che si spezzi. | Al fig. Cedere alquanto alle ragioni degli
altri dopo una certa cocciutaggine nelle proprie. Pariad una
rocca, ma a sa fine had allancadu pareva irremovibile, ma finalmente s’è lasciato smontare.
allàncu s.m. piegamento, curva.
allandhàre tr. nutrire con ghiande. Più com. → ALLANDHIÀRE.
allandhiàdu agg. nutrito, ingrassato con ghiande. Porcos allandhiados.
allandhiadùra s.f. l’azione e l’effetto d’ingrassare con le
ghiande.
allandhiàre tr. nutrire, ingrassare i porci con le ghiande, tenerli a pascere nel bosco ghiandifero.
allanìre rifl. → ALLANÀRE.
allardàdu agg. pillottato.
allardadùra s.f. pillottamento.
allardàre tr. pillottare. Allarda cuss’arrustu, ch’es romasu meda
pillotta codesto arrosto, che è molto magro. | rifl. ingrassarsi.
Anche metaf. ass. Allardare de una cosa inorgoglirsi.
allazzadùra
allardiàdu e deriv. → ALLARDÀDU e deriv.
allargàda s.f. allargata. L’atto di allargare o di allontanarsi.
Dà’ un’allargada a cuss’istampa allarga un po’ codesto foro.
Faghersiche s’allargada da’ una domo allontanarsi da una casa.
Daghì l’hapo brigadu si ch’ha fattu s’allargada poiché l’ho rimproverato s’è allontanato da casa.
allargadèddha s.f. dim. allargatina.
allargàdu agg. allargato. Allontanato.
allargadùra s.f. l’atto e l’effetto di allargare; allargatura.
allargaméntu s.m. allargamento, dilatazione.
allargàre tr. allargare, dilatare, diffondere. Allargare sos brazzos, sas ancas, su coro, sa manu. Allontanare. Allargache cussu
cane allontana codesto cane. Schivare. Allargare s’occasione, su
perigulu. | rifl. allargarsi. Sa mancia s’allargat sempre pius la
macchia s’allarga sempre più. Allontanarsi. Allargadi dai su fogu, dai su caddhu, dai su riu allontanati dal fuoco, dal cavallo,
dal rio. Allargaresi faeddhendhe, in su cuntrestu, in su contu diffondersi. Allargaresiche. Si ch’est allargadu dai domo e no ischimus proite s’è allontanato dalla famiglia e non sappiamo perché. | intr. allontanarsi. Allarga dai su foghile allontanati dal
focolare. Allargade da’ inoghe allontanatevi. Allargade, chi devet
passare su carru scostatevi, fate largo, che deve passare il carro.
allàrgu avv. lontano. S’arrejonu nos portat troppu allargu, finemula l’argomento ci porta troppo lontano, finiamola. Allargu
dai me, musas profanas! lontano da me, muse profane. Allargu
passet! sia lontano da me, da noi, di male o disgrazia o persona
nociva. Passareche allargu da’ una cosa non poter conseguire un
vantaggio sperato. Chered a Maria, ma che passad allargu vorrebbe sposare Maria, ma non è pane per i suoi denti. Istareche
allargu star lontano. Istache allargu dai cussu cumpagnu allontanati da quel compagno. Mirare, puntare allargu aver delle
mire, delle speranze esagerate. Isse puntad allargu, ma su tiru
no b’arrivit egli mira lontano, ma il tiro non vi arriva. Dai zertos amigos, allargu! da certi amici è meglio star lontani!
allarmàda s.f. l’atto di allarmare; timore, paura, agitazione.
allarmàdu agg. allarmato, agitato.
allarmàre tr. e rifl. allarmare, agitare, impressionare.
allàrme s.m. allarme; timore, agitazione. Dare s’allarme.
allaschiàda s.f. l’atto di diradare.
allaschiàdu agg. diradato.
allaschiàre tr. e rifl. diradare. Più com. → ILLASCHIÀRE.
allattàdu agg. allattato.
allattadùra s.f. l’atto di allattare.
allattàlza s.f. → ALLATTÀRZA.
allattaméntu s.m. allattamento.
allattànte s.m. stolone, verga.
allattàre tr. allattare, nutrire col latte. Ae ch’allattat sos fizos
uccello che allatta i figli: il pipistrello. Un’arvure de guale condissione no ndh’allattan sos buscos inter tantos (M. Madao). | tr.
Ch’allattat chimas, fozas e ispinas (P. Luca). | intr. ass. prendere, ricevere umore. Custa funtana allattat dai su riu questa
fonte riceve le acque dal rio.
allattàrza s.f. nutrice, balia.
allattónzu s.m. allattamento.
allàttu s.m. allattamento. Dare, fagher s’allattu dare il latte.
allauccadu [sic] agg. abbattuto, prostrato.
allauccare [sic] intr. abbattere, prostrare, venir meno.
allavranzàdu agg. appoggiato, ricoverato, protetto.
allavranzàre tr. ricoverare, proteggere. | rifl. ripararsi, mettersi a ridosso.
allavrànzu s.m. ridosso, riparo, ricovero.
allàzu s.m. fangaia, acquitrino → LÀZU, ALLAGÀZU.
allazzàda (tz) s.f. l’atto di allacciare.
allazzàdu (tz) agg. allacciato, legato. Al fig. in mala parte.
allazzadùra (tz) s.f. allacciatura, laccio.
allazzàre
allazzàre (tz) tr. allacciare, legare. | rifl. abbiosciarsi, perdere
il brio.
allazzìna! (tz) esclam. di beffa. Allazzina cantu ses bellu.
allàzzu (tz) s.m. laccio, legame, vincolo; speranza. Truncare
sos allazzos, totu sos allazzos rompere ogni indugio, lasciar tutto. Trunca sos allazzos e beni lascia tutto, e vieni. Anche rompere l’amicizia. Cum Pedru hamus truncadu totu sos allazzos
con Pietro l’abbiamo rotta. Perdere dogni allazzu perdere ogni
speranza, smarrirsi, scoraggiarsi.
alleàdu s.m. alleato.
alleànzia (tz) s.f. alleanza, lega, unione. In alleanzia unitamente. Fagher, haer alleanzia.
alleàre rifl. (raro) alleare. Alleare sas dentes allegare (Nug.).
allebiàda s.f. alleggerimento, sollievo. Su male ha dadu un’allebiada, su malaidu had hapidu un’allebiada la malattia s’è un
po’ alleggerita, il malato ha avuto un po’ di sollievo.
allebiàdu agg. alleggerito, sollevato.
allebiàre tr. alleggerire, sollevare, calmare. Allebiare su pesu.
Sas paraulas tuas m’allebian su dannu. | rifl. calmarsi, alleggerirsi, spec. di dolore, di malattia. Daghi si m’allebiat sa pena t’hap’a iscriere ti scriverò quando mi si sarà calmato un po’ il dolore. Anche ass. Daghi m’allebiat su male. Su male no chered
allebiare ancora.
alledaminàda s.f. l’atto di concimare. Dare un’alledaminada
fare una leggera concimazione.
alledaminàdu agg. concimato.
alledaminàre tr. concimare. Anche scacazzare. Had alledaminadu totu su logu ha lordato tutto il pavimento, il luogo.
alledaminónzu s.m. concimazione.
allèga s.f. ragione. Bogare allegas mettere in campo scuse e
pretesti. Già ndhe ses boghendhe de allegas! quante scuse!
quanti pretesti! Giuttendhe milli iscusas e allegas (An.).
allegàdu agg. e sost. allegato. Chiacchierino, svelto, vivace,
pronto nel parlare. Una piseddha allegada.
allegantìnu agg. chiacchierone, che parla troppo.
allegàre tr. addurre, presentare, di ragioni e di documenti. |
intr. addurre scuse, pretesti, difendere le proprie ragioni. No alleghes, chi tantu no ti creo non insistere, che tanto non ti credo.
allegasciòne s.f. allegazione. ▫ allegassiòne.
allegàttu s.m. scusa, pretesto, ragione. No cherzo tantos allegattos! Allegato.
allegràda s.f. l’atto di rallegrarsi. Daresi un’allegrada, faghersi
s’allegrada rallegrarsi un poco. L’hapo fattu una burula, e s’ha
dadu un’allegrada o s’ha fattu s’allegrada gli ho detto uno scherzo e s’è alquanto rallegrato. | Imbriacatura leggera.
allegramànte s.m. tipo allegro, amante dell’allegria. Est un’allegramante e divertit una masonada è un burlone e diverte una
compagnia.
allegramènte avv. Passaresila, camparesila allegramente.
allegràre tr. rallegrare. Allegrare unu coro tristu di cosa o di
persona che conforta e rallegra. | rifl. rallegrarsi. Diventare alticcio, avvinazzarsi. Allegraresi cun unu congratularsi. Allegraresi a binu.
allegrèsa s.f. allegrezza.
allegrìa s.f. allegria, allegrezza, gioia. S’allegria ’e domo la festa,
l’angelo della casa. S’allegria ’e domo es sa padeddha l’allegrezza
della casa è la pentola. Bestes de allegria (contrario a bestes de
luttu, de dolu) vesti che s’indossano quando non si è in lutto.
Bestiresi de allegria, o in allegria rivestire gli abiti consueti dopo il lutto. Fagher allegria divertirsi molto, far baldoria. In sa
festa han fattu allegria meda alla festa si son molto divertiti.
Crebare, iscioppare, morrer de allegria (iron.) vivere in tristezza.
Comente ’ides, crebo de allegria! come vedi, schiatto per la contentezza! | Suono di campana per il trasporto funebre dei bimbi. Sonare s’allegria. | Al pl. rintocchi di festa.
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allegrittàda s.f. l’atto di rallegrarsi un pochino. Spec. nella
frase daresi un’allegrittada, per bere più del bisogno e diventare un po’ alticcio.
allegrittàre rifl. diventare un po’ alticcio. In sas festas s’allegrittat e faghed a rier sa zente nelle feste beve un po’ e fa ridere
la gente.
allegrìttu agg. allegro, contento. Poverittu allegrittu povero
ma contento. Alticcio. Fid allegrittu no b’haiat cabu in su chi
naraiat era un po’ alticcio e parlava a vanvera.
allegrizziàre (tz) intr. suonare le campane a festa.
allegròne1 s.m. grande allegrezza. Pro cuddhu grandhe allegrone ch’apezis, Virgine pura (Gos. del Ros., mist. glor., p. 233).
allegròne2 s.m. uomo molto allegro.
allégru agg. allegro, contento, gioioso, vispo. Alticcio, brillo.
Allegru a binu: no li ponzas mente, ch’est allegru a binu non
dargli retta, che è brillo. | Colore allegru, logu allegru, bestes allegras, ojos allegros, contu allegru, risu allegru. | Istar allegru. |
Ist’allegru, istade allegros! Allegru che cicciri.
allegrùzzu (tz) agg. un po’ alticcio.
allegrùzzulu (tz) agg. un po’ allegro, contento, vispo. Es poveru, ma es sempre allegruzzulu è povero ma è sempre contento.
allelùja esclam. alleluja. | s.f. nella frase cantare sas allelujas a
unu parlar chiaro, cantargliela, non aver peli sulla lingua. L’hapo cantadu sas allelujas e l’hapo fattu cagliare glie le ho spifferate tutte senza riguardo e l’ho fatto ammutolire. Cun totu sas
allelujas (sos pippiriolos) con tutti i grilli in testa. Ancu ti canten
s’alleluja! (ai bimbi).
allelujàre tr. rimproverare, parlare francamente, spifferarla,
vituperare. M’had allelujadu in piatta chi no b’haiat de no
l’abbaidare pius in faccia mi ha vituperato in pubblico e meriterebbe che non lo guardassi più in viso. Istat sempre allelujendhe a s’unu e a s’ateru. || sp. aleluyado.
allelzàda (tz) s.f. l’atto di prendere la mira, mirare.
allelzàre (tz) intr. prender la mira, mirare. Prima de isparare, allelza ’ene prima di sparare, mira bene.
allenàbbile agg. che può rallentarsi. Calmabile.
allenàda s.f. l’azione di calmare, rallentare. Dare un’allenada.
Fagher s’allenada calmarsi. Dà’ un’allenada a cussa fune rallenta un po’ codesta fune. Su ’entu ha fattu s’allenada il vento s’è
un po’ calmato.
allenàdu agg. rallentato, calmato.
allenadùra s.f. l’atto e l’effetto di rallentare, calmare.
allenaméntu s.m. rallentamento, calma.
allenàre tr. rallentare, calmare, alleviare. Allena custu nodu rallenta questo nodo. Allenare sa fua, sa cursa rallentare la corsa, la
foga. Allenare sa pena, s’affannu, sa dòlima alleggerire, calmare
l’affanno, il dolore, la doglia. Allenare su piantu frenare il pianto. | rifl. Su ’entu s’est allenadu il vento s’è calmato. | ass. intr. calmarsi. S’abba had allenadu la pioggia ha diminuito. Da ch’allenat, bessimus quando spioverà usciremo. Ammollare, mollare.
Chie tirad e chie allenat chi tira e chi molla. Piegarsi, arrendersi,
smontarsi dall’ostinatezza. A cussas paraulas ha cominzadu a allenare a quelle parole è diventato arrendevole. || da lene.
alleniàda s.f. alleggerimento, sollievo. Su dolore m’ha dadu
un’alleniada il dolore mi si è un po’ alleggerito.
alleniàdu agg. alleggerito, alleviato.
alleniàre tr. alleggerire, alleviare. Alleniare sas penas, sos affannos, sas dolimas, su pesu.
alléniu s.m. sollievo, alleggerimento. No hapo alleniu perunu non ho alcun sollievo. Dare alleniu. Sa pena no m’ha dadu alleniu perunu la mia pena non ha avuto alcun sollievo.
allentàda s.f. l’atto di rallentare, rammollire, piegare, rendere
o diventare flessibile. Sa frunza ha dadu un’allentada la verga
è diventata un po’ flessibile. Sa chera hat fattu s’allentada la cera s’è un po’ rammollita.
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allentàdu agg. rallentato, rammollito, flessibile.
allentaméntu s.m. rammollimento, flessibilità, rallentamento.
allentàre tr. rallentare, rammollire, rendere flessibile. | rifl.
scoraggiarsi, venir meno. | ass. Custu ferru no chered allentare
questo ferro non si vuole rammollire. Ti fatto allentare eo! ti
faccio piegare io!
allentolzàdu, -are → ALLENTORZ-.
allentorìdu agg. rugiadoso, bagnato di rugiada.
allentorìre rifl. coprirsi di rugiada.
allentorzàdu agg. morto di rugiada.
allentorzàre intr. morir di rugiada o di brina, delle pecore.
alléntu s.m. rallentamento, rammollimento. | avv. lentamente,
a poco a poco. Sas campanas toccan allentu allentu le campane
sonano lentamente.
allénu avv. lentamente; lievemente. Andhare, caminare, tribagliare allenu andare, lavorare lentamente. Toccare allenu toccar
lievemente. Faeddhare allenu parlar basso, a voce sommessa.
allenzàda (tz) s.f. l’atto di raddrizzare, regolare col piombino.
allenzàdu (tz) agg. raddrizzato, regolato col piombino.
allenzàre (tz) tr. raddrizzare, regolare col piombino. | rifl. disporsi, prepararsi. Allènzadi! (iron.) preparati. Cheres andhare
a sa festa, has gana de ti divertire, allènzadi! vorresti andare alla
festa, hai voglia di divertirti, temo che ti rimanga in gola!
alleppàdu agg. aguzzo come un coltellaccio (leppa); ciarliero,
chiacchierone; pronto a difendersi con la lingua; maledico.
allepporeddhàdu agg. innamorato; cascamorto, vagheggino.
allepporeddhàre rifl. innamorarsi.
allepporìdu agg. ringalluzzito, ravvivato, vispo.
allepporizzàdu (tz) agg. allegro, vivace, ringalluzzito.
allepporizzàre (tz) rifl. ringalluzzirsi, ravvivarsi.
alleppuzzàdu (tz) agg. vispo, vivace, acuto; maledico, linguacciuto.
alleppuzzàre (tz) rifl. ravvivarsi, ringalluzzirsi.
allepruadéddhu agg. dim. spiccio, svelto, loquace.
allepruàdu agg. vispo, vivace.
allèra s.f. beffa, vituperio, vergogna. Trumba e allera de su
logu.
allereddhàdu agg. incantato, istupidito.
allereddhàre tr. stordire, incantare, istupidire.
alleriàdu agg. invaghito, innamorato.
alleriàre rifl. invaghirsi, innamorarsi.
allerìna avv. concordemente, d’accordo.
allèrta s.f. attenzione, vigilanza. Dare s’allerta a sos soldados,
a sas sentinellas. | avv. Istare allerta vigilare.
allestìre tr. (t. poet.) allestire. Titu ha su grandhe esercitu allestidu (Dore). | deriv.
allestrìda s.f. l’atto di sbrigare, spicciare, sollecitare. Dare
un’allestrida a su tribagliu affrettare il lavoro.
allestrìdu agg. spiccio, sollecito.
allestridùra s.f. disbrigo, sollecitudine, premura.
allestriméntu s.m. allestimento, compimento.
allestrìre tr. sbrigare, spicciare, compiere, finire. Allestrire su
tribagliu avviar bene il lavoro. Allestrire su passu, s’andhare, sas
ancas affrettare il cammino. | rifl. sbrigarsi, spicciarsi. Allestridi! allestridebos! spicciati, spicciatevi.
allestrittìvu agg. atto ad allestire, a ben avviare.
alletrangàdu agg. legato in qualche mala pratica, al fig. Alletrangadu cun una feminazza legato a una femminaccia.
allètta s.f. pronostico, destino. Nascher in mala alletta.
allettadòre s.m. e agg. allettatore.
allettàdu agg. allettato, attirato, ingannato.
allettadùra s.f. allettamento, inganno, attrazione.
allettaméntu s.m. allettamento, inganno. Pius attraet cun
allettamentos (P. Luca).
allettànte agg. attraente, allettante.
allibbiàre
allettàre tr. allettare, attirare, incantare, ingannare. Pius no
m’allettat no sa vista amena (An.).
allettatìvu agg. allettativo, attraente.
allevadòre s.m. allevatore.
allevàdu agg. allevato.
allevadùra s.f. l’azione e l’effetto di allevare.
allevaméntu s.m. allevamento. S’allevamentu de sos caddhos
luogo dove si allevano gli stalloni.
allevàre tr. allevare, educare. Cale tigre t’ha potidu allevare?
(Mossa 105).
alleventàda s.f. l’atto di sbalestrare.
alleventàdu agg. sbalestrato; istupidito, stordito. Abbiosciato,
avvizzito, sciupato, di fiore. Del pane sardo che ha trapassato
il lievito, quindi s’indurisce e s’incrosta prima della cottura.
alleventàre tr. sbalestrare; stordire; abbiosciare, sciupare. |
rifl. stordirsi, istupidirsi; abbiosciarsi, spec. di erbe e fiori.
alleverìdu agg. vivace, vispo, irrequieto, pronto.
alleviàda s.f. l’atto di alleviare, alleggerire. Dare un’alleviada.
alleviàdu agg. alleggerito, alleviato.
alleviadùra s.f. alleviamento, alleggerimento.
alleviaméntu s.m. sollievo. De s’umana burrasca alleviamentu
(De Rosa).
alleviàre tr. alleviare, alleggerire. Alleviare sas penas, sos affannos, su pesu alleggerire le pene, gli affanni, il peso. | rifl. Su
malaidu s’est unu pagu alleviadu l’infermo s’è un po’ sollevato.
| Anche intr. ass. Custas penas mias no allèviana mai queste
mie pene non s’alleggeriscono mai.
alléviu s.m. sollievo, alleggerimento, conforto. Custu pro me
est un’alleviu questo per me è un conforto.
allezeràre tr. alleggerire, sollevare, confortare.
allezéri avv. leggermente, delicatamente. Faghe allezzeri, camina allezeri fa piano, cammina senza far rumore.
allezerìda s.f. l’atto di alleggerire, sollevare.
allezeridamènte avv. leggermente, delicatamente.
allezerìdu agg. alleggerito, sollevato, confortato.
allezerigàda s.f. l’atto di alleggerire un poco. Su male ha dadu un’allezerigada la malattia ha migliorato alquanto. Su malaidu s’ha fattu s’allezerigada il malato sta un po’ meglio. Faghersindhe s’allezerigada alzarsi. Si mi ndhe fatto s’allezerigada!
se mi alzo, guai!
allezerigàdu agg. alleggerito, sollevato alquanto. Che sta un
po’ meglio, di malato.
allezerigàre tr. alleggerire, sollevare alquanto. Allezerigali su
pesu alleggeriscigli il peso. | rifl. alleggerirsi; migliorare, di malattia. Allezerigaresindhe alzarsi dopo una malattia. Oe si
ndh’est allezerigadu oggi s’è un po’ alzato. | ass. intr. Allizeriga!
allezeriméntu s.m. alleggerimento, sollievo, conforto; miglioramento. Oe b’had un’allezerimentu in su male oggi si nota
un miglioramento nel malato.
allezerìre tr. e rifl. alleggerire, alleviare, sollevare.
alliàda s.f. l’atto di assalire in combutta. Sos canes, sos corvos
han fattu s’alliada a su caddhu mortu i cani, i corvi, si son precipitati con impeto sulla carogna del cavallo.
alliàdu part. pass. di alliàre.
alliàre rifl. precipitarsi con impeto, assalire. Si li sun alliados sos
canes l’hanno assalito i cani. Chi ti s’allìen sos corvos (imprec.).
allibbeltadàdu agg. → ALLIBBERTADÀDU.
allibberittàdu agg. ben piegato, piegolato. Bunneddha allibberittada.
allibbertadàdu agg. che si piglia troppa libertà. Caru meu,
tue ses troppu allibbertadadu in custa domo caro mio, ti prendi troppa libertà in questa casa.
allibbiàdu agg. goduto.
allibbiaméntu s.m. godimento, vantaggio, profitto.
allibbiàre rifl. godersi, profittare. Allibbiaresi de una cosa.
alliccàdu
alliccàdu agg. abituato, assuefatto.
alliccanzàdu (tz) agg. ingordo, goloso, che cerca i cibi squisiti, leccardo.
alliccanzàre (tz) rifl. diventar goloso, leccardo.
alliccàre rifl. abituarsi, avvezzarsi, amare. | Prender gusto. In
cussa domo b’alliccat, b’had alliccadu.
allicchidìdu agg. ornato, addobbato; terminato, concluso.
Anche sbricio. Allicchididu ’e totu. Più com. illichidìdu.
allicchidiméntu s.m. compimento, conclusione di conti.
allicchidìre tr. concludere, definire. Allicchidire sos contos fare
i conti. Allicchidire sos affares, sas fazendhas assettare gli affari. |
rifl. sbrigarsi. Allicchididi e beni sbrigati e vieni. Daghi s’est illicchididu de sos affares es partidu quando s’è sbrigato delle faccende è partito. Anche vendere. S’est allicchididu ’e totu ha
venduto tutto. In quest’ultimo senso più com. illicchidìre.
allìccu s.m. guadagno, profitto, vantaggio. No haer alliccu
perunu de una cosa non trarre alcun profitto da una cosa. De
sos dinaris male ’alanzados no ndh’hap’hàpidu alliccu perunu
non ho avuto alcun profitto dai danari mal guadagnati. Già
ndh’hap’hapidu alliccu ’onu!
alliévu s.m. allievo.
alligagàmba s.m. legaccio.
alligazzàdu (tz) agg. legato, anche moralmente in mala parte.
Est alligazzadu cun una feminazza ha una praticaccia.
alligazzadùra (tz) s.f. vincolo, legamento fatto alla diavola.
alligazzàre (tz) tr. legare alla bella meglio. | rifl. in mala parte. Daghi si sun alligazzados appare, ndhe faghen de dogni colore dacché si sono intesi, ne fanno di tutti i colori. Convivere
illegittimamente. S’est alligazzadu cun sa sorrastra e vivene che
canes s’è accoppiato con la cugina e convivono come cani.
alligazzulàre (tz) tr. unire con legaccioli, legare malamente.
allignàre intr. allignare.
allìgu s.m. pietà, compassione.
allijàda s.f. lisciata. Dare un’allijada.
allijàdu agg. lisciato. Pallido, livido, illividito.
allijadùra s.f. lisciatura. Pallore, lividezza.
allijàre tr. lisciare, spianare. | rifl. impallidire, illividire.
allìju s.m. spianatura, lisciatura.
allilliràdu agg. indurito, rigido. Pane allilliradu molto duro,
che si spezza come il vetro.
allilliraméntu s.m. brama, delirio.
allìmba avv. nella frase leare allimba cogliere in parole, in
falso latino. || lat. capere in sermone.
allimbàdu agg. criticato, malfamato, vituperato.
allimbàre tr. criticare, mormorare, indiziare. Han agattadu
un’omine mortu male e sun allimbendhe a fulanu han trovato
un assassinato e indiziano come omicida il tale. Più com. il
frequentativo → ALLIMBIZÀRE.
allimbìdu agg. bramoso, affamato. Curret s’una ei s’atera allimbida (Mossa). Più com. → ALLIMÌDU.
allimbizàda s.f. diceria, fama, critica. Nd’hap’intesu un’allimbizada ho udito una diceria vaga. Mala allimbizada mala fama.
allimbizàdu agg. oggetto di critiche, di mala fama. Indiziato.
allimbizadùra s.f. l’azione di indiziare, criticare, infamare.
allimbizàre tr. maltrattare con le dicerie, criticare; indiziare.
Han irrobbadu sa domo de su sindhigu, e sun allimbizendhe a
fulanu e a suttanu hanno svaligiato la casa del sindaco e s’indiziano il tale e il tal altro. No bi torres pius a cussa domo, ti
sun allimbizendhe troppu non tornar più in quella casa, si
mormora troppo sulla tua frequenza.
allimbrìdu agg. ingordo.
allimbrinàdu agg. spiccio, sollecito.
allimbrìre rifl. satollarsi. Est andhandhe in s’ierru a s’allimbrire (A. Sp.).
allimìdu agg. avido, affamato, bramoso, avaro, ingordo. No
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mi ’enzas gasi allimidu allimidu, chi tantu tot’es nuddha non
presentarti così impaziente, non otterrai nulla.
allimidùra s.f. (raro) brama, ansia, impazienza.
allimiméntu s.m. brama, avarizia, ingordigia. Dai s’allimimentu si mandhigat fina sas pedras ha tanta ingordigia che divora le pietre.
allimizzìdu (tz) agg. bramoso, avido, che non vede il momento.
allimonàdu agg. della forma del limone o di losanga, o di
romboide.
allimpiàda, -adu, -adura, -are → LIMPI-.
allìnia avv. in fila. Ponner allinia mettere in fila.
alliniàda s.f. l’atto di allineare, mettere in fila.
alliniàdu agg. allineato, messo in fila. Rigato.
alliniadùra s.f. l’azione di allineare.
alliniaméntu s.m. allineamento.
alliniàre tr. allineare, mettere in fila. | rifl. allinearsi.
allinnàda s.f. l’atto di disseccarsi o di allignare.
allinnàdu agg. secco; allignato, ben cresciuto, prospero.
allinnàre intr. seccarsi, inaridirsi. Crescere, prosperare, allignare. | tr. bastonare. Andhadindhe… prima chi sas costas no
t’allinne (Cabanna).
allìnzadi! (tz) esclam. prepàrati! Tue cheres dinari, allìnzadi! abberi sa buscitta (iron.) tu vorresti dei danari, prepara il borsellino.
allinzàre (tz) tr. preparare, approntare. | rifl. disporsi, sperare,
bramare.
allìnzu (tz) s.m. speranza, vantaggio.
allisciàda s.f. lisciata.
allisciàdu agg. lisciato.
allisciadùra s.f. lisciatura.
allisciàre tr. lisciare, anche al fig.
allistàdu agg. listato, fatto a liste; messo in lista.
allistàre tr. listare; mettere in lista, elencare.
allistìdu agg. Allistidu cun onore in sas cristianas bandheras
(Aidom.).
allistràdu agg. messo in lista. Ben acconcio nella capigliatura. Ndh’es bessidu a fora totu ben’allistradu è uscito fuori coi
capelli ben ravviati. Infioccato. Sa giovana fit tota ben’allistrada la giovane era tutta fiocchi e gale. Caddhu cun sa coa allistrada cavallo con la coda intrecciata e infioccata.
allistradùra s.f. ravviamento dei capelli; acconciatura della
testa.
allistràre tr. mettere in lista, elencare. Acconciare, infioccare.
In questo senso per lo più rifl. Perdet totu su tempus allistrendhesi perde tutto il tempo nell’infioccarsi. | rifl. farsi le trecce.
Allistradi ’ene, ch’has de andhare a sa festa disponi bene le trecce, che devi andare alla festa.
allistrìda, -idu, -idura, -imentu, -ire → ALLESTRÌDA ecc.
allìu s.m. forza, vigore, brio, tenacia. No had alliu perunu
non ha alcun vigore. De alliu che ha forza, tenacia. Ti paret
gasi, ma es de alliu ti sembra così debole, ma la dura, è tenace, resiste.
allivellàre tr. → LIVELLÀRE.
alliviàre e deriv. → ALLEVIÀRE.
allìviu s.m. sollievo, alleggerimento. Dona a su coro penadu
sempre alliviu a su dolore (An.).
allizàda s.f. l’atto di appassire. Sos fiores s’han dadu un’allizada i fiori si sono un po’ appassiti.
allizàdu agg. appassito.
allizadùra s.f. appassimento.
allizàre tr. far appassire. Su sole allizat sos fiores il troppo sole
fa appassire i fiori. | rifl. appassire, anche al fig. Sas rosas dai su
tantu caldu si sun allizadas le rose, alla caldura, sono appassite.
Sa giuventura s’allizat la giovinezza appassisce. Allizaresi innanti ’e su tempus invecchiare precocemente. Puntu s’est allizada e
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paret bezza ’e chent’annos! di punto in bianco s’è intristita, e
sembra vecchia di cent’anni! || da lizu giglio.
allizerigàda, -adu, -adura, -amentu, -are → ALLEZERIG-.
allizoràre intr. → ALLIZÀRE e deriv. Subr’unu allizoradu
biancu lizu (E. Caddeo).
allò avv. ecco. Allollu eccolo.
alloallói s.m. tripudio, gioia rumorosa. Già che ndh’ha de
alloallòi! quanta festa, quanto tripudio!
alloccàdu agg. impazzito. De custu mundhu vanu e alloccadu di
questo mondo vano e impazzito (Delogu Ibba) → ALOCÀDU.
allochélu avv. eccolo là, vedilo là.
alloddhiàdu agg. manieroso, affettato.
alloddhiàre intr. essere affettato, smanceroso, lezioso.
allóddhiu s.m. affettazione, caricatura, smanceria, lezio.
allodiàle agg. allodiale.
allódiu s.m. allodio.
allogàdu agg. affittato, appigionato. Allogato come servo.
Est allogadu in domo de su duttore è servo in casa del dottore.
| Unito. Chi t’hapesi cummegus allogada (Murenu).
allogaméntu s.m. appigionamento, affitto.
allogàre tr. affittare e appigionare. Had allogadu sa tanca ei
sa domo ha affittato il podere e appigionato la casa. | rifl. allogarsi come servo. No podiat campare e s’est allogada non poteva vivere e s’è allogata serva. Allogaresi su cherveddhu appigionare il cervello, perder la tramontana.
allogattéri s.m. pigionale; fittaiolo. Nel secondo senso si dice
più comunemente allogatteri de tancas, de saltos, de ’inzas, de
terrinos.
alloggiadòre s.m. chi dà alloggio, albergatore, oste.
alloggiàdu part. pass. alloggiato, ospitato.
alloggiaméntu s.m. alloggiamento, appartamento. In su palattu b’haiad alloggiamentos de lussu nel palazzo v’erano appartamenti di lusso.
alloggiàre tr. alloggiare, albergare, ospitare. | intr. dimorare,
abitare, albergare, alloggiare. Faghem’ischire ue alloggias fammi sapere dove abiti.
alloggìdu part. pass. alloggiato.
alloggìre tr. alloggiare. Meno com.
allóggiu s.m. alloggio, albergo, ospitalità. Dare alloggiu albergare, ricoverare. Haer unu bellu alloggiu avere una bella casa. Fagher alloggiu alloggiare, abitare, dimorare.
alloghèra s.f. fitto, pigione. Pro s’alloghera de sa tanca per il
fitto del podere (Ms. Macomer).
allógu s.m. affitto, pigione. Dare a s’allogu dare in affitto o a
pigione. Leare a s’allogu prendere in affitto o a pigione. Pagare
s’allogu pagare il fitto o la pigione. Domos d’allogu case prese a
pigione. Vivere, istare in domos d’allogu vivere a pigione. Anche la mercede dei servi. No pagat mai s’allogu a sos teraccos.
Più com. in questo senso su soldu.
alloìdu agg. indietreggiato, respinto.
alloiméntu s.m. indietreggiamento, respingimento.
allóina s.f. sciolta, diarrea.
alloinàre rifl. aver la sciolta, la diarrea → ALLAINÀRE.
alloìre tr. respingere, far tornare indietro. Alloire unu zensu, unu
sensale estinguere un censo. Più com. illuìre e luìre. | rifl. purificarsi, pentirsi, convertirsi. Si oe, peccadore, no ti allois (Seche).
allollóju s.m. insulto, maledizione, imprecazione. Bennidos
mi son cuddhos allollojos (Zozzò).
allóllu avv. eccolo là, vedilo là.
allominzàda, -adu, -adura, -are, -u → ALLUMINZ-.
allomuràre tr. → ALLORUMÀRE.
allondhélu avv. eccolo qua, eccolo che viene.
allongàda s.f. l’atto di allungare. Dare un’allongada allungare. Dà’ un’illongada a custa ’este allunga alquanto questa veste.
allongadamènte avv. lungamente, prolissamente.
allotturàdu
allongàdu agg. allungato.
allongadùra s.f. allungamento, prolungamento.
allongàre tr. allungare, prolungare. Allongare sa chistione,
s’arrejonu allungare la disputa, il discorso. | rifl. Allongaresi dilungarsi, indugiarsi. S’est allongadu troppu in sa preiga è stato
troppo lungo nella predica. Più com. → ILLONGÀRE e deriv. ||
lat. longus.
allonghiàre tr. allungare.
allóngu avv. a lungo, lungamente. Allongu allongu distesamente. Isterrujaresi allongu allongu sdraiarsi tutto disteso. Contare sas cosas allongu allongu raccontare per filo e per segno.
Drommire allongu dormir profondamente. Cascare allongu
sbadigliare a lungo, sgangheratamente.
allontanàda s.f. l’atto di allontanarsi, separazione. Faghersìche s’allontanada dai unu logu o dai una persone allontanarsi
da un luogo o da una persona. Già si ch’ha fattu allontanada
’ona! si è bene allontanato!
allontanàdu agg. allontanato.
allontanaméntu s.m. allontanamento, separazione.
allontanàre tr. e rifl. allontanare.
allontànu avv. lontano. Sa ’iddha che fid ancora meda allontanu il villaggio era ancora molto lontano.
alloràda s.f. l’atto di legare con cinghie di pelle (loros).
alloràdu agg. legato con cinghie di pelle, semplicemente legato.
alloradùra s.f. l’azione e l’effetto di legare con cinghie di pelle.
alloràre tr. legare i buoi con le cinghie di pelle dette loros. ||
lat. lorum.
allorigàda s.f. l’atto di inanellare, acciambellare, arroncigliare. Dare un’allorigada, faghersi s’allorigada.
allorigàdu agg. inanellato, acciambellato. Pilos allorigados capelli riccioluti. Funes allorigadas funi acciambellate. Serpente
allorigadu serpente avvolto a spira.
allorigadùra s.f. l’azione e l’effetto di avvolgere; avvolgimento.
allorigaméntu s.m. avvolgimento.
allorigàre tr. avvolgere, acciambellare, inanellare, arricciare.
Allorigare sos pilos arricciare i capelli. Allorigare sa coa arroncigliare la coda. | rifl. Allorigaresi acciambellarsi, accovacciarsi,
avvolgersi, arrotolarsi. Su ’attu s’est allorigadu subra sa chijina
il gatto si è acciambellato sulla cenere. Sa colora s’est allorigada
a su fuste la biscia s’è avvolta al bastone. Custos pilos no si cheren allorigare questi capelli non si vogliono arricciare. Allorigaresi a unu sos pilos pro paura rizzarsi a uno i capelli per paura. Dai cantu hapo timidu mi si sun allorigados sos pilos ho
temuto tanto che mi si son rizzati i capelli sul capo. | ass. affastellare scuse e pretesti e disviamenti nel discorso. Fid allorighendhe allorighendhe chi no la finiat mai affastellava pretesti
su pretesti, sconclusionato, e non la finiva più.
allorighittàdu agg. inanellato, riccioluto.
allorighittàre tr. avvolgere in piccoli anelli, arricciolare, inanellare. Frequent. di → ALLORIGÀRE.
alloristràdu agg. allacciato, affardellato.
alloristradùra s.f. allacciamento, affardellamento.
alloristràre tr. allacciare, affardellare; inseguire, raggiungere.
|| lat. lorum.
allorónzu s.m. l’azione e l’effetto di legare i buoi con cinghie
di pelle. S’alloronzu che lead ora meda il legare i buoi richiede
il suo tempo.
allororoscàdu agg. aizzato, impermalito.
allororoscàre intr. abbaiare rabbiosamente. | Al fig. gridare,
urlare con ira.
allorumàdu agg. aggomitolato.
allorumadùra s.f. aggomitolamento.
allorumàre tr. aggomitolare. | rifl. aggomitolarsi, rannicchiarsi, raggricchiarsi; ravvoltolarsi.
allotturàdu agg. acciambellato.
allotturadùra
allotturadùra s.f. l’azione e l’effetto di acciambellare.
allotturàre tr. acciambellare. | rifl. acciambellarsi. Pro sa dolima forte s’es totu allotturadu a causa del forte dolore s’è acciambellato. Allotturaresi de su risu ridere convulsamente.
allozàre → ALLOGGIÀRE e deriv.
allozìre tr. alloggiare, albergare.
allozitàre tr. frequentativo del prec. Di vario senso. No allozito nè olzu nè trigu. No allozito ne mancu unu soddhu (Zozzò).
allózu s.m. → ALLÓGGIU.
àllu! avv. eccolo. Allu ’enzendhe! eccolo che viene! Allu ch’est
inoghe eccolo che è qua.
alluàdu agg. avvelenato con euforbia.
alluadùra s.f. l’azione e l’effetto di avvelenare con euforbia.
alluaméntu s.m. avvelenamento con euforbia.
alluàre tr. avvelenare l’acqua dei tonfani con euforbia per
fare una pesca abbondante. Più com. → LUÀRE. || da lue.
allucchettàda s.f. guizzo di luce, lampo. S’es vida s’allucchettada e subitu s’est intesu s’isparu s’è visto il lampo e subito s’è
udito lo sparo.
allucchettàdu agg. solforato; del vino medicato con lo zolfo.
allucchettadùra s.f. l’azione e l’effetto del solforare; medicamento del vino con lo zolfo. || catal. lluquet zolfanello (W.).
allucchettàre tr. medicare con lo zolfo. Lampeggiare.
allùcru s.m. lucro, vantaggio, profitto. Già ndh’has hapidu allucru ’onu de totu su suore tou! hai avuto un bel profitto di tutto il tuo sudore!
alludàdu agg. infangato.
alludàre tr. infangare. || da ludu, lat.
allùdere intr. alludere.
alludraàdu agg. acquitrinoso, pantanoso.
alludraàre tr. e rifl. impantanare, infangare. || lat. luter.
allughentàdu agg. acceso, infiammato. Brillo, alticcio.
allughentàre tr. accendere. | rifl. imbriacarsi alquanto, diventare alticcio. S’est allughentadu e che li ’essiat paraulas curiosas era un po’ alticcio e diceva delle parole curiose.
allughì avv. ecco che. Allughì ses infadosu! ecco che diventi
noioso!
allùghidu part. pass. acceso.
allughidùra s.f. l’atto e l’effetto di accendere; accensione.
allughiméntu s.m. accendimento.
allughinzàda s.f. l’accensione iniziale del fuoco. A s’allughinzada alla prima accensione del fuoco.
allughinzàdu agg. acceso inizialmente. Sporco, sozzo.
allughinzadùra s.f. l’atto e l’effetto di accendere inizialmente il fuoco.
allughinzàre tr. cominciare ad accendere il fuoco, avviare il
fuoco. Allughinzare s’oju offendere, urtare l’occhio. Sporcare,
annerire come il lucignolo. Anche alluminzàre e deriv.
allughìnzu s.m. stipa, trucioli, quanto serve per la prima accensione del fuoco. Accenditoio. Anche allumìnzu.
allughitìvu agg. accensibile, infiammabile.
alluinàda s.f. abbaglio, vertigine.
alluinàdu agg. abbagliato, che ha le vertigini. Proite, mariposa alluinada (Pinna).
alluinadùra s.f. abbagliamento, abbarbagliamento, vertigine.
alluinaméntu s.m. abbagliamento, vertigine.
alluinàre tr. abbagliare, abbarbagliare. | rifl. avere le vertigini. Mi so alluinadu e no hapo pius distintu inue fio ho avuto le
vertigini e non sapevo più dove fossi. Più com. → ILLUINÀRE.
Si usa anche per allainàre, alloinàre aver la sciolta, sporcare.
alluìnu s.m. vertigine; bagliore. Più com. illùinu.
allumàda s.f. l’atto di accendere. A sa prima allumada alla
prima accensione.
allumàdu agg. acceso, infiammato. Sa campagna es tota allumada la campagna è avvampante.
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allumadùra s.f. l’azione e l’effetto di accendere, infiammare.
allumàncu avv. almeno. Allumancu esserat bella! almeno
fosse bella! Più com. → ASSUMÀNCU.
allumàre tr. accendere, infiammare. Allumare sos ojos fiammeggiare dagli occhi; anche al fig. aprir bene gli occhi, far attenzione. Piccioccu, alluma ’ene sos ojos ragazzo, apri bene gli
occhi. Allumare su fogu, sas discordias rinfocolare le ire, le discordie. Allumare sos coros accendere i cuori.
allumenàdu agg. nominato, che ha nome o nomignolo.
allumenadùra s.f. l’atto di nominare, dare il nome, o affibbiare un nomignolo. Il nomignolo stesso.
allumenàre tr. nominare, proverbiare, affibbiare un nomignolo.
allumenténtu avv. precisamente, specificatamente. Sa die de
Pasca allumententu precisamente il giorno di Pasqua. Narali
allumententu chi si fattat su fattu sou digli chiaramente che
badi ai fatti suoi. Corruz. di a nomen tentu.
alluminàda s.f. l’atto di nominare.
alluminàdu agg. nominato.
alluminàre tr. nominare, dare il nome.
alluminzàda e deriv. → ALLUGHINZÀDA e deriv.
allummàdu e deriv. → ALLUMÀDU e deriv.
allunàdu agg. in forma di luna. Che ha piccole stelle d’olio.
Brou allunadu brodo molto grasso. | Colpito dal sole a scacchi, a “lune”, di seminato.
allunàre rifl. coprirsi di stelle di grasso. Su brou s’es totu allunadu il brodo s’è tutto coperto di stelle d’olio. | Colpire i seminati a “lune”, a scacchi, del sole.
allunzinàre (tz) rifl. abbassare le orecchie, del cavallo scontento, imbizzito → AMMUTTIGHINÀRE.
alluppàda s.f. vampa, lampo. Alluppada de ojos sbarramento,
fiammeggiamento d’occhi. No ha fattu mal’alluppada de ojos!
oh come ha sbarrato gli occhi! | Difficoltà, pericolo, angoscia,
molestia, soffocazione. No s’ha bidu mal’alluppada! in quale
pericolo s’è visto! da quale pericolo s’è liberato!
alluppadòre s.m. soffocatore.
alluppàdu agg. acceso, infiammato. Angosciato, soffocato,
oppresso. Ojos alluppados occhi sbarrati, fiammeggianti.
alluppadùra s.f. sbarramento, fiammeggiamento, vampata,
fiammata. | Angoscia, pericolo, molestia, soffocazione. Alluppadura de ojos sbarramento d’occhi, lampeggiamento di
occhi.
alluppaméntu s.m. → ALLUPPADÙRA.
alluppàre tr. accendere, infiammare; sbarrare, spalancare;
molestare, opprimere, angustiare. Alluppare sos ojos sbarrare
gli occhi, fiammeggiare dagli occhi. In questo senso anche
intr. Alluppare de ojos: punt’alluppeit de ojos e lu timesi di
punto in bianco ha sbarrato gli occhi e l’ho temuto.
alluppiàda e deriv. → ALLUPPÀDA e deriv. S’alluppiat, in custu,
e cun vemenzia (Mossa 122).
allurduràdu agg. imbrattato, lordato.
allurduràre tr. (Barb.) imbrattare, lordare. Anche al fig.
allùrpu s.m. soffocamento → ALLUPPADÙRA.
allusingàda s.f. l’atto di carezzare; carezza, lisciata, lusinga.
Dare, fagher una lusingada carezzare, lisciare. Si lu cheres reduire, dali (o fagheli) una lusingada se lo vuoi persuadere, fagli una lisciatina.
allusingàdu agg. carezzato, lisciato, lusingato.
allusingadùra s.f. l’azione e l’effetto di lusingare, carezzare,
lisciare.
allusingàre tr. lusingare, carezzare, lisciare. Allusingaresi a
unu carezzarlo, lisciarlo. Allusingadilu, e has a bider chi no es
tantu malu carezzalo, e vedrai che non è tanto cattivo. S’had
allusingadu su babbu e l’ha dadu su permissu ha fatto cento
moine, e il padre gli ha dato il permesso.
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allusìngu s.m. carezza, moina, lezio, lusinga. No b’ha bisonzu
de tantos allusingos, su ch’hapo ’e ti dare ti lu do su matessi non
occorrono tante moine, ciò che devo darti te lo do lo stesso.
allusiòne s.f. allusione.
allusìvu agg. allusivo.
allustràre tr. Più com. → ILLUSTRÀRE, LUSTRÀRE.
allùsu part. pass. di allùdere, alluso.
allùtta s.f. l’atto di accendere. Accensione. Fagher s’allutta
accendersi, anche al fig. No s’ha fattu mal’allutta! come s’è acceso d’ira! | Pericolo, sciagura. Bidersi mala allutta scampare
da grave pericolo. No s’ha bidu mal’allutta qual grave pericolo ha corso. | Anche in buona parte, grande fortuna. Già si
l’ha bida s’allutta! quanto è stato fortunato!
alluttàdu agg. abbrunato, vestito di lutto. Littera alluttada
lettera listata a nero. | Compianto; oggetto di piagnisteo.
alluttàre tr. piangere su di un morto, vestire di lutto per esso.
Es mortu su fizu mannu e l’han alluttadu forte è morto il figlio
maggiore, e l’han molto pianto, e han fatto un lutto stretto. |
rifl. Alluttaresi vestirsi di lutto. Sas sorres si sun alluttadas pro sa
morte de su frade le sorelle vestono di nero per la morte del fratello. | Lo Spano nota anche il senso di accendersi, avvivarsi,
ma in questa accezione si usa nel dialetto meridionale. Nel
Logudoro è più com. in questo senso allùghere.
alluttòre s.m. (Fonni) accenditore. Candelabro.
allùttu part. pass. acceso, infiammato, avvampante. Bettaresiche in su fogu alluttu gettarsi nel fuoco avvampante. Alluttu
’e frebba, o semplic. alluttu che ha febbre alta.
alluviòne s.f. alluvione.
alluzanàdu agg. ingrassato, pingue, fertile, di terreno.
alluzanàre tr. ingrassare, infertilire il terreno → LUZÀNA.
alluzzàda (tz) s.f. l’atto di ravvisare, conoscere, distinguere.
alluzzàdu (tz) agg. ravvisato, conosciuto.
alluzzàre (tz) tr. ravvisare, conoscere, distinguere. Alluzzare
sos (o de) ojos aguzzare la vista.
alluzzinàdu (tz) agg. allucinato.
alluzzinadùra (tz) s.f. allucinazione.
alluzzinaméntu (tz) s.m. allucinamento.
alluzzinàre (tz) tr. allucinare, abbagliare. | intr. Alluzzinare
de ojos aguzzare gli occhi, la vista. Anche alluzzinare sos ojos
aprir bene gli occhi.
àlma1 s.f. (t. lett.) anima, poco com. De s’alma senza peccadu (Delogu Ibba). Chi tenet s’alma affannada (Capitta).
àlma2, almada e deriv. → ÀRMA e deriv.
almanaccàda s.f. l’atto di almanaccare.
almanaccàdu agg. almanaccato.
almanaccàre tr. almanaccare, fantasticare.
almanàccu s.m. (raro) almanacco. Più com. → CALENDÀRIU,
zaravàgliu, CIARABÀLLU.
alme- → ARMEalmi- → ARMIalmìa s.f. viso, figura. Mustras una bona almia c’a totu sos coros
gustas (Pilucca).
almo- → ARMO-.
àlmu1 s.m. seme delle carte. Cartas de su matessi almu carte
dello stesso seme. | Schiena, dorso. In s’almu giughed unu
mossu mannu.
àlmu2 agg. (raro, poet.) almo, inclito. O insidiada s’alma tua
bellesa? (Pis.).
almùglia s.f. indumento corale. Cotta o almuglia.
almultàlzu s.m. luogo dove nascono molti asfodeli.
almùltu s.m. asfodelo, pianta.
almurànta s.f. armoraccio, erba.
almuttédu s.m. luogo dove nascono molti asfodeli.
almùttu s.m. asfodelo.
alò interiez. su, andiamo, orsù. || fr. allons!
alteriàre
alocàdu agg. matto, folle. De custu mundhu vanu e alocadu
(Delogu Ibba, p. 340). || sp. loco.
àloe s.m. aloe.
alòre s.m. (Terranova) odore, profumo. Ca tened aromaticu
s’alore (Ant. Spano). || sp. olor.
àlpaca s.f. specie di stoffa.
alpàcca s.f. alpacca, metallo.
alpinìsmu s.m. alpinismo.
alpinìsta s.m. alpinista.
alpìnu agg. alpino. | sost. soldato alpino.
altalèna s.f. altalena. Più com. → BANZIGALLÈLLA.
altamènte avv. altamente.
altanàre intr. intirizzire → ARTANÀRE.
altanèra, -eri. Subr’alas de calch’achila altanera (An.).
altàre s.m. altare. Altare mazore lo stomaco. Onzunu pensad
(carrad) a s’altare sou ognuno pensa ai propri cari. | Anche s.f.
Faghet s’altare ricca in dogni cosa (Dore). Dae s’altare sua sedulesa (Calvia).
altària s.f. altezza. Su campanile ha trinta metros de altaria.
àlte e deriv. → ÀRTE e deriv.
altèa s.f. altea, bismalva. Unguentu de altea. E profumos d’altea
e raighinas (Mele). || lat. althaea, gr. (althéia) ajlqeiva.
altef- → ARTEF-.
alteràbbile agg. alterabile.
alterabbilidàde s.f. alterabilità.
alteràda s.f. l’atto di alterarsi. S’ha dadu un’alt[e]rada, ma l’es
passadu luego s’è un po’ alterato, ma s’è rimesso subito.
alteràdu agg. alterato, adirato. Dagh’est alteradu no podet bider a niunu quando è in collera non può veder nessuno. Alteradu a binu avvinazzato, ubbriaco.
alteradùra s.f. alterazione.
alteraméntu s.m. alteramento.
alteràre tr. alterare, irritare. Alterare su samben in sas venas far
bollire il sangue nelle vene. Caglia chi m’altèras su sambene taci, che mi sconvolgi il sangue. Alterare sa conca, su cherveddhu
scombussolare la testa. Alterare sos minuzos sconvolgere le viscere. Anche al fig. | rifl. alterarsi. Imbriacarsi. No t’altères, chi
tantu no ti timo non alterarti, che tanto non mi fai paura. Inciprignirsi, di piaghe. Corrompersi, del sangue. Si l’est alteradu su sambene e no es pius cuddhu gli si è corrotto il sangue e
non è più quello.
alterasciòne s.f. alterazione. Alterascione de sambene rimescolio del sangue; turbamento, corruzione del sangue. ▫ alterassiòne, alteraziòne (tz).
altercàre intr. altercare.
altercassiòne s.f. altercazione (Cap. Ros.).
alterèsa s.f. alterezza, alterigia; superbia, spocchia; collera.
Eh eh! no b’ha bisonzu de tanta alteresa eh eh! smetti un po’
codesta spocchia.
altéria s.f. arteria. De fogu abbundhan alterias venas (P. Luca).
alteriàda s.f. l’atto di gonfiarsi, impermalirsi, inciprignirsi,
infortire (del vino). Sa ferida s’ha dadu un’alteriada. Su mere
s’ha dadu un’alteriada, ma l’es passadu.
alteriàdu agg. gonfio, inciprignito. Bua alteriada, brazzu e
camba alteriados. Impermalito, incollerito. Infortito, di vino.
alteriàre tr. gonfiare, irritare, inciprignire. Più com. al rifl.
gonfiarsi, di membra e di tumori; inciprignirsi, di piaghe; infortire, del vino; impermalirsi, dell’uomo. Daghi ’enit su frittu si m’alterian sas ancas quando fa freddo mi si gonfiano le
gambe. Si m’est alteriada sa bua e no poto mover su brazzu mi
si è gonfiato il tumore e non posso movere il braccio. Custu
’inu s’est alteriadu questo vino s’è infortito. Babbu s’est alteriadu e m’ha dadu una briga il babbo si è adirato e m’ha sgridato. E comente s’alterian de chizos… (Cossu). [Una macchia nel
manoscritto copre eventuali altre scritture.]
alteriósu
alteriósu agg. collerico, altezzoso.
alterìu s.m. gonfiezza, peggioramento; collera, spocchia, delicatezza. A ndh’has de alteriu! quanto sei spocchioso! quanto
sei delicato!
alternàda s.f. l’atto di alternare. S’han dadu s’alternada si sono alternati.
alternàdu agg. alternato.
alternàre tr. e rifl. alternare, avvicendare. Sempre alternendhe
amores e suspiros (An.).
alternatìva s.f. alternativa.
alternativamènte avv. alternativamente.
alternatìvu agg. alternativo.
alternòas corruz. di […]. Vostè sì ch’est alternoas (Seche).
alternòs s.m. alternos, rappresentante che ha tutti i poteri
del rappresentato.
altérnu agg. alterno, vicendevole. Anche sost. per alternativa
(Barb.).
altéru agg. altero, superbo, iroso.
altèsa s.f. altezza. Altesa reale altezza reale. Altesa divina.
althrolìttu s.m. dim. piccolo astore (C. pop. C. N.).
alti- → ARTI-.
altìa s.f. altezza.
altighéddhu agg. dim. di alto.
altighìnu agg. un po’ alto. Faeddhare in altighinu parlare a
voce un po’ alta. Faeddhali in altighinu, ch’es mesu surdu parlagli un po’ alto, perché è un po’ sordo. Altighinu vale anche
mezzo brillo. Faeddhaiat gasi ca fid unu pagu altighinu parlava così perché era un po’ alticcio.
altìnu agg. alto. Sottile, metallica, argentina, di voce. Faeddhare in altinu parlare a voce alta.
altìssimu agg. superl. di alto. S’Altissimu.
altìttu agg. un po’ alto.
altitùdine s.f. altitudine.
altivèsa s.f. superbia, spocchia, prepotenza.
altìvu agg. superbo, spocchioso, prepotente. Cun d’una altiva grida mi faghet atterrare (Cherchi). Cuddhos modos altivos (Puddhighinu).
altolocàdu agg. e sost. altolocato.
àltu agg. alto, eccelso, eminente, nobile. Larga, di stoffa.
Profondo, di scarpata, di fosso. Altu mare; sole altu; boghe alta; preziu altu; carrasciale, caresima, pasca alta; tiru altu; bi
l’ha fatt’alta. | sost. il cielo. Dai s’altu. Dai altu a basciu: abbaidare a unu dai altu a basciu. In altu: faeddhare in altu parlare a voce alta; naralu in altu dillo a voce alta. Fagher altu e
basciu farla da padrone. In cussa domo sa teracca faghed altu
e basciu in quella casa la serva fa da padrona. Lu podes narrer
altu lo puoi dir fortemente, sicuramente.
altuddhàre rifl. accapponarsi, della pelle; l’arricciarsi dei peli.
altuddhìda s.f. l’atto di abbrividire.
altuddhìdu agg. accapponato, della pelle; abbrividito; freddoloso, infreddolito. Altuddhidu de paura che ha la pelle accapponata per paura. | Spaventato.
altuddhìre tr. spaventare. Cussu contu m’had altuddhidu. |
rifl. accapponarsi; temere; tremare per freddo. Si mi sun altuddhidos sos pilos mi si son rizzati i capelli. Altuddhiresi de
una cosa; ancora mi ndh’altuddho. | intr. B’ha de altuddhire
c’è da rabbrividire.
altùddhu s.m. arricciamento dei peli; accapponamento della
pelle. Sensazione che si prova per freddo, o ribrezzo o paura.
Candho bi penso ancora mi ’enit s’altuddhu quando ci penso
mi sento ancora rabbrividire.
altùra s.f. altura; altezza. Abitare, essere, istare in s’altura abitare in montagna. Su ’entu falat dai s’altura il vento vien giù dal
monte. Sa domo ha deghe metros de altura la casa ha dieci metri d’altezza.
124
altùria s.f. (Mores) altura. Gherreri, ti augùro chi s’alturia la
lasses a su nie e a su ’entu (Calvia).
altùriu s.m. membro. Anche artùriu.
altùza s.f. truciolo. ▫ altuzòla → ASCIÙZA.
’àlu avv. ancora, tuttora. ’Àlu bi ses in sa idea? sei ancora incaponito nella tua opinione? Anche → GÀLU2.
alùdu agg. alato. Frommija aluda formica alata. Pibera aluda specie di drago, che ricorre frequentemente nelle fiabe.
alùnna s.f. alunna.
alunnàdu s.m. alunnato.
alùnnu s.m. alunno, scolaro, convittore, collegiale.
alùzza (tz) s.f. dim. di ala, aluccia.
’àlva s.f. barba → ’ÀRVA. ’Alva bianca vecchio. Iscura sa banca
ecc. Ponner ’alva. Fin’a s’’alva. Fagher s’’alva a unu, al fig. | Faghersi a ’alva ’e oro saziarsi.
alvàda s.f. vomere → ARVÀDA.
alvadàdu agg. di aratro che ha il vomere. Duos arados alvadados.
alvadadùra s.f. l’azione di collocare il vomere nell’aratro. Es fattendhe s’alvadadura de s’aradu sta mettendo il vomere all’aratro.
alvadàre tr. fornire di vomere l’aratro. Alvada cuss’aradu e poi
cuminza a laorare metti il vomere e poi comincia l’aratura.
’alvattàda s.f. l’atto di dissodare con l’aratro. Dare un’’arvattada dissodare un po’, fare la prima aratura.
’alvattadòre s.m. dissodatore, aratore.
’alvattàdu agg. dissodato con la prima aratura.
’alvattàre tr. dissodare con la prima aratura → ’ARVATTÀRE.
’alvàttu s.m. dissodamento, prima aratura. Fagher su ’alvattu
preparare la terra fin dalla primavera per la semina autunnale;
quindi si chiama anche beranile → ’ARVÀTTU, barvàttu. || da
arvum aptare.
’alvattundhulàdu agg. dalla barba tagliata con le forbici,
non rasa.
’alvegalzàda s.f. l’atto di curare, custodire le pecore. Isteid
una bona ’alvegalzada!
’alvegalzàre intr. custodire le pecore.
’alvegàlzu s.m. pecoraio.
’alvegàza s.f. pecorume, pecoraglia.
’alvèghe s.f. pecora → ’ARVÈGHE, bervèghe.
’alveghìnu agg. pecorino, di pecora.
’alveghìu s.m. pecorume, quantità di pecore, pecoraglia.
alvéju s.m. ricovero, sostegno, protezione.
àlvere s.c. albero. Bio su colvu in s’alvere gioghendhe (Mannai).
Anche àlvure, → ÀRVURE.
’alvéri s.m. barbiere.
’alverìa s.f. bottega di barbiere, barbieria.
alvèschere intr. albeggiare. Pèsadi ch’est alvèschidu o had alveschidu alzati, è l’alba. A s’alvèschere all’alba. Ischidami a s’alvèschere svegliami all’alba. || lat. albescere.
alvéschida s.f. alba. A s’alveschida all’alba.
alveschidólzu s.m. alba, aurora.
alvéschidu part. pass. albeggiato. Su die est alveschidu è spuntato il giorno.
’alvibbécchinu agg. dalla barba di becco.
’alvibbéllu agg. dalla barba formosa.
’alvibbiàncu agg. dalla barba bianca.
’alvibbrùndhu agg. dalla barba bionda.
’alvicùlzu (tz) agg. dalla barba corta. ▫ ’alvicùrzu (tz), ’alvigùlzu (tz), ’alvigùrzu (tz).
’alvifàttu agg. dalla barba rasa.
’alviféu agg. dalla barba brutta.
’alvigrógu agg. dalla barba bionda.
alvìju s.m. ricovero, rifugio.
’alvilóngu agg. dalla barba lunga.
’alvimùltinu agg. dalla barba rossiccia o biondiccia.
125
’alvimusculàdu agg. dalla barba grigia.
alvìna s.f. brezza. Anche avrìna, → FRÌNA.
alvinàre intr. correr la brezza. Anche avrinàre, avrinzàre.
alvinàttu agg. bianchiccio.
’alviniéddhu agg. dalla barba nera.
’alvirìcciulu agg. dalla barba riccioluta.
’alvispàltu agg. dalla barba diffusa.
’alvispànu agg. dalla barba rossiccia pallida.
’alvitrobojàdu agg. dalla barba arruffata.
’alvitùndhu agg. dalla barba rotonda.
’alvitùsu agg. dalla barba tagliata con le forbici.
àlvu agg. bianco. Pili alvu dal pelo bianco. Fusti alvu dal fusto bianco (Populus alba).
’alvùdu agg. barbuto. Una femina alvuda una donna barbuta; anche al fig. coraggiosa, brava.
’alvùle s.m. barbazzale.
alvuràdu agg. alberato. Terrinu alvuradu terreno alberato. |
sost. luogo ricco d’alberi. Sun pasculendhe in s’alvuradu pascolano tra gli alberi.
alvuràre tr. arricchire di piante un terreno. Est alvurendhe
su cunzadu chi b’ha de lu ’idere pianta molti alberi nel chiuso,
mette conto di vederlo. Drizzare, sollevare in alto, piantare.
Alvurare sa rughe inalzare, piantare la croce. Alvurare su fusile
spianare il fucile.
alvurédu s.m. albereto, luogo ricco d’alberi. In sa tanca b’had
unu bellu alvuredu nel podere v’è un delizioso albereto.
alvùttu s.m. asfodelo.
’àlza s.f. falangio, specie di ragno velenoso. Anticamente
quando uno fosse stato appinzato da quest’insetto, veniva
sotterrato fino al punto della morsicatura e intorno gli danzavano sette fanciulle o sette mogli o sette vedove secondo il
colore della bestiola morditrice, e si cercava di stordirlo con
canti e con gazarra semiselvaggia. Se il disgraziato non guariva, veniva messo nel forno tiepido, finché non sudasse. Il
Berni confonde questo ragno con la tarantola o solifuga, forse perché in alcune parti dell’Italia meridionale si usavano le
stesse tregende intorno a colui che fosse stato morsicato dalla
tarantola → ’ÀRZA.
àlza (tz) s.f. giuoco fanciullesco, che consiste nel buttar in
aria una moneta e indovinare la faccia che resta visibile dopo
la caduta. Giogare a s’alza, bìnchere a s’alza giocare, vincere a
codesto gioco.
alzàda (tz) s.f. alzata. Alzada ’e conca, testa capriccio, ticchio.
Alzada ’e manos: votare a alzada ’e manos votare per acclamazione. Alzada ’e palas, de coddhos spallucciata. Alzada ’e ojos
attimo. In un’alzada ’e ojos. Salita, erta. Alzada ràbbida, ratta
salita ripida. In alzada in salita. A s’alzada alla salita. Su pagare est in alzada il pagare è duro → ALCIÀDA.
alzadólzu (tz-z) s.m. ▫ alzadórzu (tz-z) → ALCIADÓLZU.
alzàdu (tz) agg. salito. Deus ti ’aldet de poveru alzadu.
alzadùra (tz) s.f. → ALCIADÙRA.
alzàre (tz) tr. alzare, sollevare. Alzare sa manu, sa conca. Aumentare. Alzare su preju, sa pejone, su soldu. Alzare sa ’oghe.
Alzare sa cogorosta alzar la cresta. Alzare pinnone levar bandiera. | rifl. adirarsi, stizzirsi. Maccari t’alzes e ti fales no m’importat nuddha se ti accaldi e scalmani non m’importa un fico.
Sollevarsi, ribellarsi, di popolo. || sp. alzarse. | intr. salire,
montare. Aumentar di prezzo. | L’imperativo alza! oltre che il
significato comune, ha anche quello di fa vedere, scostati, levati di mezzo. Àlzalu o alza a lu ’idere fammelo vedere; alza
dai cue, chi devo passare scostati, levati di mezzo che devo passare → ALCIÀRE, ASCIÀRE, arziàre.
alzeffàla (tz) s.m. salire e discendere frequente. Lassami cust’alzeffala, chi mi ses innaentendhe smetti codesto salire e
scendere stucchevole, mi secchi. | avv. A s’alzeffala nella frase
amantiósu
istare a s’alzeffala salire e discendere frequentemente. Istat tota
die a s’alzeffala e no si podet supportare. ▫ alza e fala (tz).
alzenìna s.f. mondiglia del grano, rifiuto. M’has lassadu sas
alzeninas m’hai lasciato il rifiuto → GHINÌNA, GHIGHÌNA, ’ENÌNA, ginìna, ZENÌNA, ’ERÌNA.
alziàda (tz) s.f. alzata, salita.
alziàre (tz) tr. → ALZÀRE.
alzigogulàre intr. arzigogolare, ghiribizzare.
alzigógulu s.m. arzigogolo, ghiribizzo. Bogare alzigogulos accampare pretesti.
alzìu (tz) s.m. grande quantità, massa, miscuglio. B’haiad
un’alziu ’e zente c’era una gran folla. Anche archivio (raro).
alziviàda (tz), -adu, -are → ARCHIVIÀDA ecc.
alzìvu (tz) s.m. archivio → ARCHÌVIU.
alzòla s.f. aia. Trebbiatura, raccolta. A un’alzola. Isterrer s’alzola → ARZÒLA.
alzolàda s.f. aiata. Alzolada ’e zente gran numero di persone
spec. sedute o accoccolate o sdraiate in cerchio.
alzolàdu agg. butterato. Cari alzoladu dalla faccia butterata.
Trigu alzoladu grano raccolto.
alzoladùra s.f. trebbiatura.
alzolàre tr. trebbiare. Alzolare su trigu, s’orzu. | intr. Hamus
finidu de alzolare abbiamo finito la trebbiatura.
alzólu s.m. orzaiolo. Mandhare su alzolu. Si dice per ischerzo
quando ci vien rifiutato qualche cosa da mangiare che è in vista.
Si no mi ndhe das ti mandho su alzolu (superstizione). Vajolo.
alzòne (tz) s.m. arcione. De alzone bravo, coraggioso. Si ses
omine de alzone, beni cum megus se sei bravo vieni con me.
’àlzu agg. variegato, di colore cangiante e vario → ’ÀRZU. Ant.
vàrgiu (bàrgiu). || lat. varius.
àlzu (tz) s.m. l’alzo del fucile.
’àma s.f. branco, gregge. ’Ama de ’arveghes, de porcos branco
di pecore, di porci. ’Ama ’e ladros, de zente branco di ladri, di
persone. Porcos de un’’ama bricconi della stessa risma. No mi
los mentoves, sun totu porcos de un’’ama non nominarli, son tutti della stessa risma. Porcos d’un’’ama totu una petta la scheggia
ritrae, i figli ricopiano i difetti dei padri → BÀMA, GÀMA.
amàbbile agg. amabile.
amabbilèsa s.f. amabilità.
amabbilidàde s.f. amabilità.
amabbilmènte avv. amabilmente.
amàda s.f. amata.
amadòre s.m. amatore. A unu chi t’est istadu / sempre fidele
amadore (An.). Chi pones s’amadore in sepultura (Pilucca).
amadrìna s.f. piccolo branco o gregge.
amàdu agg. amato.
amadùra s.f. commessura, congiuntura. Amadura de sas pedras
in su muru.
amàlgama s.f. amalgama, mescolanza.
amalgamàre tr. (raro) amalgamare, mescolare.
amalgamènte avv. amaramente → AMARGAMÈNTE.
amalgàre tr. amareggiare → AMARGÀRE.
amàlgu agg. amaro. Amalgu piantu amaro pianto.
amalgùra s.f. amarezza, afflizione.
amansciàdu agg. manieroso, garbato, affabile.
amansciàre rifl. comportarsi garbatamente, affabilmente.
Macari siat riccu, s’amansciat cun totu sebbene sia ricco si comporta affabilmente con tutti.
amànsciu s.m. garbo, affabilità, modo di comportarsi affabilmente. Had unu bellu amansciu ha un bel garbo.
amanscìvile agg. garbato, affabile.
amànte agg. amante. Amante de su giogu, de su ’inu, de sas festas, de s’istudiu. | sost. amante, amoroso, drudo.
amantiósu agg. amante, dedito, portato a una cosa. Amantiosu ’e sa cazza, ’e su divertimentu, de su giogu dedito alla caccia,
amaramènte
ai divertimenti, al gioco. Desideroso. So amantiosu de andhare
a sa festa son desideroso d’andare alla festa.
amaramènte avv. amaramente.
amaràntu s.m. amaranto (Celosia castrensis), semprevivo (sempervivu, sempreiu). || gr. (amárantos) ajmavrantoı non marcescibile.
amàre tr. amare. Amare a Deu subra totu sas cosas ei su prossimu comente a nois matessi. Dare e leare faghed amare.
amarèsa s.f. amarezza, nel proprio e nel fig.; cordoglio, afflizione; rancore, astio. Haer amaresa contr’a unu nutrir astio,
rancore contro qualcuno.
amarètte s.m. amaretto, il noto dolce. Amarettes de Aristanis.
amargamènte avv. amaramente, crudamente. Piangher amargamente.
amargàre tr. amareggiare. Amargare sas dies, sa vida. Tue
m’amargas sa vida cun <su> fagher tou col tuo fare mi amareggi la vita. Amargare su piantu amareggiare il pianto. Amargare
su dolore, su dolu accrescere il dolore. || sp. amargar e deriv.
amàrgu agg. amaro. Cun amargos suspiros (Cherchi).
amargùra s.f. amarezza, cordoglio. Passenzia in tanta amargura / su Babbu Eternu mi diat.
amaritùdine s.f. (raro, lett.) amarezza. Amaritudine fea (G.
Usai).
amàru agg. amaro. Amaru piantu. In senso proprio è raro.
amàsona s.f. (raro, lett.) amazzone (Vidal).
amatìsta s.f. ametista, pietra preziosa. Gli antichi credevano che fosse rimedio contro l’ubbriachezza. || gr. (améthistos)
ajmevqistoı non ubriaco.
amatóriu agg. (raro) amatorio.
’ambàghe s.m. bambagia, cotone. Calzettas, maglias de ’ambaghe calze, maglie di cotone → BAMBÀGHE. Imboligare a
’ambaghe imbambagiare. Al fig. circondare di mille premure.
’ambèsa s.f. mancanza di sale. Scipitezza, insulsaggine. No
si ndhe podet mandhigare dai s’’ambesa questo cibo è immangiabile perché è sciocco. Caglia, prommoredeu! it’’ambesa! taci, per amor di Dio, che scipitaggine! Anche bambèsa.
ambesùa s.f. sanguisuga, mignatta. Anche al fig. avaraccio,
tirchio. Esser un’ambesua; attaccaresi che ambesua; suzzare,
mordere che un’ambesua essere una sanguisuga, attaccarsi, succhiare come una mignatta. Ambesua de s’archibbusu scannellatura della canna.
ambesuàdu agg. d’animale e specialmente di cavallo che,
nel bere, è stato morsicato dalle sanguisughe.
ambesuàju s.m. pescatore o venditore di mignatte.
ambesuàre intr. pescare sanguisughe.
ambesùe s.f. → AMBESÙA.
ambìddha s.f. anguilla. Ambiddha salida anguille salate. Leare ambiddha prendere delle batoste. Si sighis, cundenna, leas
ambiddha! se continui, birba, le prendi! Tenner ambiddha immollarsi sotto la pioggia. Hoe già ndh’has tentu de ambiddha!
oggi ti sei bene immollato! Dare sa coa de s’ambiddha a tennere lungo prometter con attender corto.
ambiddhàju s.m. pescatore d’anguille.
ambiddhàlzu agg. che caccia anguille. Corvu ambiddhalzu
uccello che caccia anguille, merga, marangone, tarabuso. Al
fig. uomo avido, rapace. Millu su corvu ambiddhalzu! eccolo
l’avvoltoio! il corvo vorace.
ambiddhàre intr. pescare anguille. Campat sa vida ambiddhendhe vive dalla pesca delle anguille.
ambiddhàrzu agg. → AMBIDDHÀLZU.
ambientàdu agg. ambientato, acclimato, avvezzo.
ambientàre tr. e rifl. ambientare, acclimare.
ambiènte s.m. ambiente, clima. Stanza, vano. Viver in ambiente malu vivere in un cattivo ambiente.
ambìgu agg. ambiguo, equivoco, oscuro, a doppio senso.
126
ambiguamènte avv. ambiguamente.
ambiguidàde s.f. ambiguità, oscurità, doppio senso.
ambilàdu e deriv. → ABBILÀDU e deriv.
’ambiòre s.m. mancanza di sale, scipitezza, sciocchezza →
BAMBIÒRE.
ambìre tr. (raro) ambire.
ambissionàdu agg. desideroso, bramoso. Ben intenzionato.
|| sp. ambicionado.
ambissionàre tr. ambire. || sp. ambicionar.
ambissiòne s.f. ambizione. Brama, tendenza.
ambissiósu agg. ambizioso. Bramoso.
ambisùe e deriv. → AMBESÙA e deriv.
’ambìttu agg. dim. alquanto sciocco (senza sale), tanto al
proprio che al fig. → BAMBÌTTU.
’ambìzzu (tz) agg. → ’AMBÌTTU.
’ambóghinu agg. → ’AMBÌTTU.
àmbos pron. entrambi. || sp.
ambosdùos pron. pl. ambedue. [Il manoscritto reca ambosdues.]
ambospàris avv. entrambi insieme.
àmbra s.f. ambra. Limpiu, giaru chei s’ambra, comente ambra chiaro come l’ambra.
àmbria s.f. ambra.
ambrósia s.f. (raro, lett.) ambrosia.
’àmbu agg. non salato, sciocco, insipido, insulso. Al fig. →
BÀMBU.
àmbu s.m. ambo, due numeri giocati alla tombola, al lotto.
ambulànte agg. ambulante. Bendhidore ambulante.
ambulànzia (tz) s.f. ambulanza.
ambulàre intr. ambulare, camminare. Ben’ambulan in via,
vecchio indovinello e scongiuro. Fin’a como podio nessi ambulare.
ambulàrzu s.m. → AMBULÀZU.
ambulatóriu s.m. ambulatorio; sala di cura, operatoria.
ambulàzu s.m. bestiame sterile, spec. il branco delle vacche
non figliate. Tue tenta s’ambulazu tu custodisci il branco delle vacche sterili.
àmbulu s.m. passo, foga nel camminare. Caddhu chi had
ambulu cavallo che cammina di buon passo. | Tinta ottenuta
col Daphne Gnidium (truiscu: trubiscus) con la quale si tinge
l’orbace.
’ambùra s.f. mancanza di sale, insipidezza, insulsaggine,
sciocchezza → BAMBÙRA.
’ameddhàdu agg. imbrancato. Est ’ameddhadu cun sos peus
de sa ’iddha è in compagnia dei peggiori del luogo.
’ameddhàre tr. unire due branchi (’amas), semplicemente
imbrancare. | Attirare a sé. Si l’han ’ameddhadu sos birbantes
se lo sono attirato i birbanti. | rifl. accompagnarsi, imbrancarsi. S’est ’ameddhadu cun sos bandhidos, cun sos ladros s’è imbrancato coi banditi, coi ladri → GAMEDDHÀRE, quasi gemellare. || da gama.
’améddhiga s.f. gemello. Piccolo, nano.
’ameddhigàdu agg. di agnello che ha poppato da due madri.
’ameddhigàre tr. far poppare un agnello da due madri. Anche gameddhigàre (gemellicare) (W.).
’améddhighe (de) avv. → ’AMEDDHIGÀDU.
’améddhu s.m. unione, società, combriccola.
amèga e deriv. → AMMÈGA.
àmen s.m. In un’amen in un attimo.
amenidàde s.f. amenità, delizia.
amènta s.f. menta.
améntu s.m. correggia o altri legami per allacciare il giogo
alle corna dei bovi. || lat. amentum.
aménu agg. ameno, delizioso. Tipu amenu. Campagna amena.
ameràre tr. aggiungere.
127
americànu agg. americano. Faeddhare in americanu. | sost.
colui che torna dall’America dove aveva immigrato. Sun torrados sos americanos son tornati quelli ch’erano in America
per lavorare.
ametìsta s.f. → AMATÌSTA.
amiàntu s.m. amianto, metallo. || gr. (amíantos) ajmivantoı
incorrotto.
amichèvole (a s’~) avv. all’amichevole, di buon accordo. Finire sa lite a s’amichevole comporre la lite con compromesso.
Fagher sos contos a s’amichevole far i conti di buon accordo.
Trattare a s’amichevole trattare alla buona, con semplicità.
Mandhigare a s’amichevole mangiare senza etichetta, seduti
senza distinzione di gradi.
amicìzia (tz) s.f. amicizia, famigliarità. || lat.
amiciziàdu (tz) agg. che ha una praticaccia. Raro in senso
buono.
amiciziàre (tz) rifl. unirsi con una praticaccia. Dai candho
s’est amiciziadu cun fulana, no ha pius sa conca a postu da quando ha per amica la tale, non ha più la testa a posto. Si usa anche in buona parte, ma più raramente. Si sun amiciziados appare e andhan de accordu si sono ben amicati e van d’accordo.
amidàdu agg. inamidato.
amidàre tr. inamidare. Più com. → IMMADONÀRE.
àmidu s.m. amido. Più com. → MADÒNE.
amìga s.f. fanta, druda. L’han arrestadu in domo de s’amiga.
amigàdu agg. che ha molti amici, o molti compagni. Amigadu chei sa rusta accompagnato come le cimici (che generalmente sono numerose). Generalmente in senso cattivo, che
ha delle praticacce. Fulanu est amigadu cun sa teracca.
amigànzia (tz) s.f. familiarità, benevolenza. Faeddhare, trattare in amiganzia parlare, trattare familiarmente.
amigàre rifl. amicare, raro in senso buono. Più com. per unirsi con qualche praticaccia. S’est amigadu cun una berdularia s’è
unito con una cagna randagia. Mai sas Musas ti s’han’amigare
(Cabanna).
àmighe s.m. gancio, amo. Bettare s’amighe gettar l’amo. Anche al fig. Cussa piseddha bettat s’amighe a medas, ma ancora no
es resessida a si piscare unu maridu quella giovane getta l’amo a
molti, ma ancora non è riuscita a pescare un marito.
amigòne s.m. accr. amicone.
amìgu s.m. amico. Amigu de su giogu, de su ’inari (o de su
soddhu), de su ’inu, de sa tazza amico del gioco, del danaro, del
vino, del bicchiere e simili. Amigu de su coro amico del cuore.
Amigu de piseddhidade o de pizzinnìa amico d’infanzia. | Amigu ’e domo amico di casa. | S’amigu o cuddh’amigu l’amico,
quell’amico, di persona nota che non si vuol nominare. |
Cuddh’amigu il demonio. | Amigu, amigu caru vocativo con
cui si riprende, si rimprovera anche uno mai visto. Amigu caru, custu no andhat bene amico, questo non sta. | Amigos amici, risposta che si dà quando si bussa e si chiede: chi è? | Amigos pius de innanti amici più di prima, modo di troncare un
affare che non conviene. | Amigu de s’amigu ospite già sconosciuto presentato da un’altro ben noto. Bisonzat trattar’’ene
s’amigu de s’amigu bisogna trattar bene l’amico dell’amico, si
diceva quando l’ospitalità sarda era virtù largamente e sinceramente praticata. | De amigu da amico. Faeddhare, trattare de
amigu parlare, trattare da amico. | Fagher de amigos essere amici. Paulu e Pedru faghen de amigos Paolo e Pietro sono amici. |
S’amigu meu es su soddhu l’amico mio è il danaro. | Amigu, in
cattivo senso, il drudo. | Proverbi.
àmigu s.m. timone del carroccio → ÀMIGHE.
amilanàdu agg. e part. pass. spaventato. Timendhe che covarde amilanadu temendo come un codardo atterrito (Delogu
Ibba). || sp. amilanado, -ar.
àmina s.f. anima.
ammadainaméntu
aminàre tr. animare, incoraggiare.
aminèddha s.f. torlo. Ou de duas amineddhas ovo con doppio
torlo. Abbattare s’amineddha de s’ou sbattere il torlo.
aminósu agg. animoso, coraggioso.
àminu s.m. animo, coraggio, forza. Haer aminu aver animo;
lear’aminu prender animo. Zertos fizos lean aminu a su malu
dai s’esempiu de sos babbos certi figli s’incoraggiano al male dagli esempi cattivi di padri.
àmis s.m. stoffa antica. Amis, saia istampada, perfetuella (Zicconi).
amistàde s.f. amicizia, amistà. Raro in cattivo senso.
amìttu s.m. amitto, parte dei paramenti sacerdotali.
amizìssia (tz) s.f. amicizia.
ammaccàdu agg. ammaccato; impazzito; incantato, sbalordito.
ammaccadùra s.f. ammaccatura; incanto, sbalordimento.
ammaccàre tr. ammaccare. Come impazzire è raro. Incantare.
ammaccarronàdu agg. della forma d’un maccherone. Istupidito. M’istas igue ammaccarronadu! resti costà istupidito!
ammaccarronàre rifl. restare sbalordito, stordito, istupidito.
S’est ammaccarronadu cuntemplendhe sa meraviza s’è istupidito nel contemplar la maraviglia. Anche prendere la forma del
maccherone, allungarsi.
ammacchiàda s.f. l’atto d’impazzire; di stordirsi, incantarsi.
Faghersi s’ammacchiada incantarsi. S’ha fattu s’ammacchiada e no
s’ismontad ancora s’è là incantato e ancora non si strappa di lì.
ammacchiàdu agg. impazzito, pazzo. Giovanu, est ammacchiadu (Cubeddu). Incantato, invaghito. Ammacchiadu de su
giogu, de s’istudiu, de sa cazza folle per il gioco, lo studio, la
caccia, e sim.
ammacchiadùra s.f. follia, pazzia. | Sbalordimento, maraviglia.
ammacchiaméntu s.m. ammattimento, impazzimento. Incanto; stupore.
ammacchiàre tr. incantare, maravigliare. Cun duas pastoccias
l’had ammacchiadu l’ha incantato con due chiacchiere. | rifl.
incantarsi, invaghirsi. S’est ammacchiadu de fulana e ndhe perdet su sentidu s’è invaghito della tale e ne perde il senno.
ammàcchiu s.m. follia, demenza. Maraviglia, incanto. Esser
un’ammacchiu esser un incanto. Custu fizu, custu fiore, custu
cuadru est un’ammacchiu questo figlio, questo fiore, questo
quadro è una maraviglia, un incanto. Ses ammacchiu ’e su
mundhu (Pilucca).
ammàccu s.m. → AMMÀCCHIU.
ammacculiàda s.f. assopimento. Faghersi s’ammacculiada assopirsi. Su malaidu s’ha fattu s’ammacculiada il malato s’è un
po’ assopito.
ammacculiàdu agg. assopito.
ammacculiadùra s.f. sopore, sonno leggero. M’es vennida
comente un’ammacculiadura e no fio nè drommidu nè ischidadu m’è venuto una specie di sopore e non ero né sveglio né
addormentato.
ammacculiaméntu s.m. assopimento.
ammacculiàre tr. (raro) assopire, addormentare. Ammacculia
cussa criadura cun calchi muttu addormenta codesta creatura
con la ninnananna. | Più raro nel senso d’incantare, ingannare.
L’had ammacculiadu cun sas lusingas l’ha incantato con le lusinghe. | Più com. al rifl. assopirsi, addormentarsi. S’est ammacculiadu como como s’è assopito or ora. Anche per star fermo. Ammacculiadi cue e no ti movas! sta lì fermo e non moverti!
ammaccùliu s.m. sopore, letargo. Haer s’ammacculiu, esser in
ammacculiu avere il letargo, essere in letargo. Benner s’ammacculiu venire il letargo. M’es vennidu s’ammacculiu e no isco mancu it’hapo m’è venuto il letargo e non so il disturbo che soffro.
ammadainàda s.f. l’atto di perdere i sensi, svenimento.
ammadainàdu agg. che ha perduto i sensi, svenuto.
ammadainaméntu s.m. svenimento.
ammadainàre
ammadainàre rifl. svenire, perdere i sensi. De repente s’est ammadainadu e pariat mortu improvvisamente è svenuto e pareva morto.
ammadittàdu agg. Fiore ammadittadu (C. pop. C. N.).
ammadreddhàdu agg. sguaiato, insipido, sempliciotto.
ammadreddhàre rifl. far lo sguaiato, lo scempiato, il matto.
ammadriàdu agg. ridotto a madrevite.
ammadriàre tr. ridurre a madrevite.
ammadrigàda s.f. l’atto di mettere il lievito. A un’ammadrigada had ammadrigadu sette mesuras in una volta ha messo il
lievito a sette misure di farina.
ammadrigàdu agg. che ha ricevuto il fermento, il lievito.
Disfatto, insulso. Omine ammadrigadu poltrone, sfaccendato.
ammadrigadùra s.f. l’azione e l’effetto di mettere il lievito.
ammadrigàre tr. mettere il lievito. Devo ancora ammadrigare sa farina devo ancora mettere il lievito nella farina. | rifl.
disfarsi, scomporsi. Altrove anche disseccarsi, rassodarsi.
ammadroddhàdu agg. accovacciato, raggrancito.
ammadroddhàre rifl. accovacciarsi, rannicchiarsi, raggricchiarsi.
ammaduinàdu agg. privo di sensi, svenuto.
ammaduinàre tr. far perdere i sensi con percosse e simili. |
rifl. svenire, perdere i sensi.
ammaduràda s.f. l’atto d’ingrossare. Assiad ammadurada ch’ha
fattu custa mela! quanto si sono ingrossate queste mele! Ammadurada de ojos sbarramento d’occhi. Fatteid un’ammadurada de ojos e lu timesi ha sbarrato gli occhi e mi fece paura.
ammaduràdu agg. ingrossato. Ojos ammadurados occhi spalancati, sbarrati per stupore o paura.
ammaduraméntu s.m. ingrossamento. | Ammaduramentu
de ojos sbarramento d’occhi.
ammaduràre tr. nella frase ammadurare sos ojos spalancare,
sbarrare gli occhi per paura o forte commozione. | intr. ingrossare, delle frutta. S’aranzu ocannu had ammaduradu pagu gli aranci quest’anno son venuti poco grossi.
ammaestràbbile agg. ammaestrabile.
ammaestradòre agg. ammaestratore. Ammaestradore de caddhos, de animales ammaestratore di cavalli, di bestie. Di uno
che corregge con la verga, che è rigoroso nel punire, si dice:
est unu bonu ammaestradore è un buon ammaestratore.
ammaestràdu agg. ammaestrato. Caddhu, cane, animale
ammaestradu cavallo, cane, animale ammaestrato. Si cheriat
resessire, già fit bene ammaestradu se voleva riuscire, era ben
addestrato.
ammaestraméntu s.m. ammaestramento. Si lu cherzo fagher
no hapo bisonzu de ammaestramentu se voglio farlo non ho bisogno di suggerimenti.
ammaestràre tr. ammaestrare, educare, dirigere. Più spec.
addestrare gli animali a imitare l’uomo. Had ammaestradu
una moninca chi sonat finzas sa chitterra ha ammaestrato una
scimmia che suona anche la chitarra. | Si usa anche in cattivo senso. Ammaestrare a su malu, a su peccadu, a su visciu insegnare il male, il peccato, il vizio.
ammaffulàda s.f. l’atto di ammassare, sedersi di sfascio, accoccolarsi scompostamente.
ammaffulàdu agg. ammassato; accoccolato, aggomitolato.
ammaffulàre rifl. ammassarsi; sedersi scompostamente, raggomitolarsi. Ammàffuladi cue e ista mudu siediti lì e sta zitto.
|| da maffa massa.
ammàffulu s.m. massa, ammassamento. Essere a un’ammaffulu esser tutto una massa. Sun tottu cue a un’ammaffulu son
tutti là ammassati in disordine. Un’ammaffulu ’e zente un
ammasso di persone. Faghersi a un’ammaffulu diventare una
massa. Custa pira s’es fatta tota a un’ammaffulu queste pere si
son tutte ridotte a un ammasso, si son guaste, son marcite.
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Ruer a un’ammaffulu cadere scompostamente; sèzzersi a
un’ammaffulu sedersi con iscompostezza.
ammagàda s.f. l’atto di appiattarsi, nascondersi. Fagher s’ammagada appiattarsi, nascondersi. Puntu s’ha fattu s’ammagada
e ha tiradu ecco che s’è nascosto e ha sparato.
ammagadìttu agg. timido, che per nulla nulla si nasconde.
Fiadu ammagadittu bestia ombrosa. Omine ammagadittu uomo poco coraggioso. Semenare ammagadittu seminar rado. ||
catal. amagadet nascosto.
ammagàdu agg. nascosto, rannicchiato. Ammagadu in su
lettu nascosto, rannicchiato nel letto.
ammagadùra s.f. nascondimento, rannicchiamento.
ammagagnàdu agg. magagnato, acciaccoso.
ammagagnàre rifl. magagnarsi, perdere la salute.
ammaganzàdu agg. magagnato. Astuto, furbo.
ammaganzàre rifl. magagnarsi. Infurbire.
ammagàre rifl. appiattarsi, nascondersi, rannicchiarsi. Appena ’idet calchi perigulu s’ammagat che unu leppere appena subodora qualche pericolo si rannicchia come una lepre.
ammagarinàdu agg. marginato, livellato.
ammagarinàre tr. marginare, livellare, dei muri delle case.
Fare le sponde (sa magarina) sul canale a tegoli (W.).
ammaghiàre tr. affatturare.
ammainàda s.f. l’atto di ammainare. Dà’ un’ammainada a cussas velas ammaina un po’ codeste vele. Anche incanto, magia.
ammainàdu agg. ammainato. Incantato, affatturato.
ammainàre tr. ammainare. Ammainare sas velas ammainare
le vele. | Incantare, affatturare. M’had ammainadu e no hap’ischidu ite narrer m’ha incantato e non ho saputo che cosa dire.
ammajàda s.f. l’atto d’incantare, incanto, magia. Faghersi
s’ammajada incantarsi. Sun tres oras chi l’ispetto, si deved haer
fattu s’ammajada son tre ore che l’attendo, dev’essere incantato.
ammajadòre s.m. incantatore; fattucchiere; mago, stregone.
ammajàdu agg. incantato, affatturato. No lu ’ides cue abbaidendhe? pared ammajadu non lo vedi là come guarda? sembra
affatturato. Addormentato profondamente. In cussa domo, su
notte paren totu ammajados sembra che in quella casa la notte
dormano tutti un sonno d’incantesimo.
ammajadùra s.f. fattucchieria, incantesimo. Su geniu chi l’ha
postu paret cosa de ammajadura questo suo amore sembra effetto di fattucchieria.
ammajalzàre intr. far fattucchierie, affatturare, stregare.
ammajàre tr. incantare, affatturare. Cussa pizzinna paret chi
l’hapad ammajadu quella ragazza pare l’abbia stregato.
ammajuccàdu agg. ammansito, rabbonito.
ammajuccàre tr. ammansire, abbonire, placare.
ammajucculàre tr. prendere con le buone. Si l’had ammajucculadu ed es vennidu coibbasciu coibbasciu l’ha preso con le
buone ed è venuto mogio mogio. Anche al fig.
ammajùcculu s.m. carezza, amorevolezza. A furia de ammajucculu l’ha fattu appasigare a furia di moine l’ha calmato.
ammajungulàre tr. → AMMAJUCCULÀRE.
ammajùngulu s.m. → AMMAJÙCCULU.
ammalaìa avv. finalmente. Ammalaia chi s’’idet zente finalmente si vede qualcuno. S’orcu es crebadu! Ammalaia!
ammalaidàre rifl. ammalarsi. Più com. immalaidàre.
ammalappèna avv. a mala pena, appena appena. Ammalappena l’hapo potidu fagher viu appena l’ho potuto destare.
Bi ndh’haìat tres ammalappena ve n’erano appena tre.
ammalfuddhàdu agg. ammassato, ridotto a un marciume.
ammalfuddhàre rifl. ridursi a una massa di marciume, di
frutta e simili.
ammalisciàda s.f. l’atto di ammalizzire. Ben’hapat s’ammalisciada chi s’ha fattu! potevamo pregare che aprisse gli occhi!
ammalisciàdu agg. ammalizzito, malizioso, furbo, scaltrito.
129
ammalisciaméntu s.m. l’azione di ammalizzire.
ammalisciàre tr. ammalizzire, render malizioso. Sos cumpanzos malos l’han ammalisciadu i cattivi compagni l’hanno
ammalizzito. | rifl. diventar malizioso. Dai candho s’est ammalisciadu no paret pius cuddhu da quando s’è ammalizzito
non pare più quello.
ammalmiàdu agg. appassito, vizzo.
ammalmiàre rifl. appassire, avvizzire.
ammalmuràdu agg. di sasso, incantato, stupito, impietrito.
ammalmuràre rifl. diventar di sasso per lo stupore o il terrore, incantarsi, stupirsi. A cussas malas novas puntu mi so malmuradu a quelle cattive notizie son diventato di sasso.
ammaltariàdu agg. scaltrito, ammalizzito.
ammaltariàre rifl. scaltrirsi, ammalizzirsi.
ammaltizzàdu (tz) agg. fatto maturare con impiastri, di tumore e simili.
ammaltizzàre (tz) tr. far maturare un ascesso, o tumore o
foruncolo con applicargli degli empiastri o cataplasmi. Ammaltizza ’ene cussa bua, chi si no tardat troppu a malzire applica dei buoni impiastri a codesto tumore, se no tarda troppo a
maturare.
ammalturàdu agg. malato cronico, acciaccoso.
ammalturàre rifl. diventar acciaccoso, cronico.
ammalturiàdu agg. pieno di acciacchi, paralitico.
ammalturiàre rifl. ammalarsi per lungo tempo.
ammamaluccàdu agg. stupito, stordito, incantato.
ammamaluccàre tr. incantare, stordire. | rifl. S’ammamaluccat pro unu nuddha s’incanta per un nonnulla.
ammamarazzàdu (tz) agg. che sta sempre attaccato alle gonnelle della madre. No lu contes a isse, es troppu ammamarazzadu non contarlo, lui, è sempre attaccato alle gonnelle della
mamma.
ammamiddhàdu agg. rifugiato, protetto. Es bene ammamiddhadu è ben protetto.
ammamiddhàre rifl. rifugiarsi presso la madre, semplic. rifugiarsi, ricoverarsi, rintanarsi. || da mamiddha mammella.
ammamizàdu agg. → AMMAMIDDHÀDU.
ammamizàre tr. dare il vitello o l’agnello orfano ad altra
madre (W.) → AMMAMIDDHÀRE. || da mama madre, o dal lat.
mamma mammella.
ammanadàre tr. (raro) ridurre in mannelli o in covoni il
grano mietuto. Abbrancare, afferrare come un mannello.
ammanammànu avv. per mano. Leare, gighere ammanammanu prendere, guidare uno tenendolo per mano. Al fig. Gigher ammanammanu guidare un ignorante adulto come si
conduce un bimbo per mano, guidare meticolosamente.
ammanappàre avv. tenendosi per mano. Sun passizendhe
ammanappare passeggiano tenendosi per mano. Vicendevolmente. S’aggiuan ammanappare s’aiutano a vicenda. Tribagliare ammanappare lavorare insieme. Gigher sa domo ammanappare condurre la casa di buon accordo.
ammàncu s.m. ammanco, deficit. Fagher ammancu.
ammancughì avv. a meno che. Ammancughì no b’andhes
tue a meno che non ci vada tu.
ammancumàle avv. meno male, un po’ meglio. Esser ammancumale star meglio, di malati. E semplicemente star bene. Comente ses? Già so ammancumale come stai? Sto bene.
ammandronàdu agg. impoltronito.
ammandronàre tr. e rifl. impoltronire. Innanti istudiaiat meda,
ma como s’est ammandronadu (ammandronidu) troppu prima
studiava molto, ma ora poltrisce troppo. ▫ ammandronìre.
ammanettàdu agg. ammanettato. L’han passadu in piatta
ammanettadu.
ammanettàre tr. ammanettare. No l’han potidu ammanettare mai non l’han potuto mai ammanettare.
ammarfaddhàdu
ammaniàdu agg. apparecchiato; ben fornito di attrezzi. Cussu mastru es bene ammaniadu quell’artefice è ben provvisto di
attrezzi del mestiere.
ammaniàre tr. preparare, apparecchiare, fornire d’attrezzi e
di strumenti e di suppellettili. Innanti ’e ti cojare, ammaniadi ’ene sa domo prima d’accasarti, fornisciti bene la casa.
ammanìdu agg. maneggevole, che si può ben prendere e usare con le mani. Est un’aìma ben’ammanida è un arnese molto
maneggevole. Anche custodito, conservato, riposto. U’ es su
rellozu? Es bene ammanidu dov’è l’orologio? È ben custodito.
ammaninchìntu avv. con le mani alla cintura. Si t’istas ammaninchintu e no t’ilvoligas faghes male. Leare a unu ammaninchintu cingergli la vita col braccio. La lêid ammaninchintu
e si ponzein a passizare.
ammanìre tr. custodire, riporre, conservare. Te’ s’aneddhu,
ammànilu ’ene to’ l’anello, custodiscilo bene.
ammàniu s.m. attrezzo, strumento da lavoro, suppellettile,
tutto ciò che serve come arnese manuale. Est una domo chi
b’had ammanios meda è una casa dove son molti arnesi.
ammanizzàdu (tz) agg. pronto, preparato, apparecchiato.
Già l’hapo bona doda ammanizzadu (An.).
ammanizzaméntu (tz) s.m. apprestamento, apparecchiamento.
ammanizzàre (tz) tr. preparare, approntare, apparecchiare. |
rifl. disporsi. Ammanizzadi a partire disponiti a partire.
ammanìzzu (tz) s.m. preparazione, apparecchio. Pro sa festa
che ’ido ammanizzu meda vedo molti preparativi per la festa.
ammannàre tr. disporre i covoni in manne.
ammannazzàdu (tz) agg. corpulento, ossuto.
ammanniàre intr. (raro) diventar grande, crescere, andar
innanzi negli anni. Più com. immannìre, ilmagnàre.
ammannìdu agg. ingrandito, cresciuto, ingrossato. | Raccolto con le mani a giumella, messo sotto le mani.
ammannìre tr. raccogliere con le mani a giumella, mettere
sotto le mani, impastar la farina. Ammanni cussa fae raccogli
quelle fave. Preparare. A Paulu ammannideli recattu (Cabanna). | intr. ingrandire, divenir grande, crescere, ingrossare.
Più com. immannìre, ilmagnàre.
ammànnu avv. in grande. Ammannu ammannu alla grande.
Sestare, segare a mannu far le porzioni grosse; spendere più del
possibile. Tue sestas troppu ammannu, caru meu! tu spendi
troppo, mio caro! Anche far dei progetti irrealizzabili.
ammannujàdu agg. ridotto in covoni.
ammannujàre tr. accovonare, ammannare.
ammantàdu agg. ammantato, coperto.
ammantadùra s.f. copertura; coperte da letto.
ammantaméntu s.m. coprimento; coperta.
ammantàre tr. ammantare, coprire. | rifl. coprirsi, ammantarsi.
ammanteddhàre tr. coprire i bimbi con le pezze (manteddhos).
ammàntu s.m. (raro) ammanto. Coperta.
ammànu avv. a mano. Iscrittura ammanu manoscritto. Fattu ammanu fatto a mano. Recamadu ammanu ricamato a mano. Contrario di a macchina. Ammanu ammanu per mano.
Leare, gigher, portare ammanu ammanu prendere, condurre
per mano → AMMANAMMÀNU.
ammanudènta avv. per mano. Leare, gigher ammanudenta
prendere, condurre per mano. Lealu ammanudenta e andhade prendilo per mano e andate. ▫ a mànu tènta.
ammanuzàdu agg. mantrugiato, maltrattato con le mani.
ammanuzadùra s.f. mantrugiamento, malmenio.
ammanuzaméntu s.m. palpeggiamento, maltrattamento con
le mani.
ammanuzàre tr. mantrugiare, malmenare con le mani.
ammarfaddhàdu agg. → AMMALFUDDHÀDU.
ammarfaddhàre
ammarfaddhàre rifl. → AMMALFUDDHÀRE.
ammàrgiu s.m. (Pos.) armadio.
ammarmuràdu, -are → AMMALMUR-.
ammarradórzu s.m. mandra per buoi (C. pop. C. N.).
ammarranàdu agg. scoraggiato, avvilito.
ammarranàre tr. sfidare, provocare. | rifl. scoraggiarsi, avvilirsi, lasciarsi vincere dalla paura.
ammarturàdu, -are → AMMALTUR-.
ammarturiàdu, -are → AMMALTURI-.
ammaschingànnu avv. con inganno, a tradimento. L’han
fattu andhare a una concheddha ammaschingannu e inie l’hana
mortu l’hanno attirato con inganno a una conca e là l’hanno
ucciso.
ammasciàre rifl. del sughero.
ammascinàre rifl. isterilire, della vite; tallire, delle cipolle.
ammasedàda s.f. l’atto di ammansire. Dare un’ammasedada
ammansire un po’. Fagher s’ammasedada ammansire.
ammasedàdu agg. ammansito, mansuefatto.
ammasedaméntu s.m. ammansimento.
ammasedàre tr. ammansire, mansuefare. | rifl. e intr. divenir
mansueto, ammansirsi. Medas ammasedan cun su famine molti
ammansiscono con la fame. Si ti ponzo manu eo, già ammasedas se ti metto le mani addosso io, vedrai che ammansisci.
ammasettàda, -are → AMMASED-.
ammasonadàdu agg. aggregato. Domiciliadu e ammasonadadu in Berchidda (Cron. 139).
ammasonadàre rifl. aggregarsi.
ammassàda s.f. ammasso. Un’ammassada ’e birbantes un ammasso di birbanti.
ammassàdu agg. ammassato.
ammassadùra s.f. ammasso.
ammassaméntu s.m. ammassamento.
ammassàre tr. e rifl. ammassare, ammucchiare.
ammassimàdu agg. scaltrito, astuto, furbo; ben edotto.
ammassimàre tr. scaltrire, illuminare, consigliare; anche al
male. Già l’ha bene ammassimadu sa bona mama! (iron.) l’ha
ben scaltrito la buona madre! || da massima.
ammàssu s.m. ammasso. Un’ammassu ’e zente moltitudine di
persone. In cussa familia sun totu un’ammassu ’e ladros in quella famiglia son tutti un branco di ladri.
ammassulàdu agg. rannicchiato, accovacciato, poltrone. Ti
ndh’istas cue ammassuladu in su cuzolu… te ne stai costì accovacciato in un angolo…
ammassulàre rifl. rannicchiarsi, accovacciarsi, restarsene ozioso, indifferente. Ammassuladi cue, chi su fogu es già brujendhe sa
’inza! accovacciati costà, l’incendio raggiunge già la vigna!
ammassùle avv. oziosamente. Fattu a massùle acciambellato,
immobile, inerte. || a massùle.
ammatroffàdu agg. grasso, gonfio, goffo.
ammatroffàre rifl. crescere grasso, goffo. Innanti pariat trizile, ma poi puntu s’est ammatroffadu prima pareva sottile, ma
poi…
ammattàdu agg. inselvato, ricoverato tra le macchie. Che
ha la mollica non ben cotta, di pane. Custu pane est ammattadu, no si ndhe podet mandhigare questo pane ha la mollica
quasi cruda, non se ne può mangiare.
ammattanàdu agg. affannato, travagliato.
ammattanaméntu s.m. affanno, travaglio, fatica. Learesi ammattanamentu affannarsi. Cantu ammattanamentu chi ti leas
quanto ti affanni.
ammattanàre rifl. affannarsi, agitarsi, stracanare, affacchinarsi. Più com. → MATTANÀRE coi deriv.
ammattàre tr. spengere. Deus cherfat ch’ammatten cussu fogu
(Zozzò). | rifl. inselvarsi, imboscarsi, rifugiarsi tra le macchie.
Restar con la mollica non ben cotta, del pane. Su calore de su
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furru fit troppu ei su pane s’est ammattadu era troppo il calore
del forno e il pane è rimasto con la mollica un po’ cruda.
ammattiàda s.f. l’atto di comporre alla bella meglio un dissidio, o di mettere a tacere una mancanza.
ammattiàre tr. comporre alla bella meglio un dissidio, una
questione. Occultare, coprire, mettere a tacere una mancanza, un reato, un delitto. L’han ammattiada, sinò che deviat finire sos ossos in galera l’han messa a tacere, diversamente doveva morire in galera.
ammattigaronàdu agg. panciuto. || da matta.
ammattolàre tr. battere, bastonare → MATTÓLU.
ammattonàdu agg. ammattonato. In forma di mattone;
duro come un mattone.
ammattonadùra s.f. ammattonatura.
ammattonaméntu s.m. ammattonamento.
ammattonàre tr. ammattonare.
ammattulàda s.f. l’azione di ammazzolare, anche delle carte.
Dà’ un’ammattulada a cussas cartas raccogli in mazzo codeste
carte. Composizione d’un dissidio alla bella meglio. Ammucchiamento di carte dello stesso seme fatto a scopo d’inganno
dai bari.
ammattulàdu agg. ammazzolato. Fiores ammattulados ammazzolati. Cartas ammattuladas carte dello stesso seme accoppiate per barare.
ammattuladùra s.f. l’azione e l’effetto di ammazzolare. Composizione di dissidi incresciosi alla bella meglio. Occultamento
di mancanze o reati o delitti.
ammattulàre tr. ammazzolare. Ammattulare fiores, cartas, linu
e simili. Ammattulare una chistione comporre un dissidio. Ammattulare unu dellittu occultare, mettere a tacere un delitto.
L’han ammattulada coment’han pòtidu, sinò fin dolores! l’han
composta come han potuto, se no eran dolori! → AMMATTIÀRE.
ammàttulu s.m. imbroglio, inganno; composizione d’una
birbonata; occultamento d’un delitto.
ammaudinàda s.f. l’azione di perdere i sensi. Daresi un’ammaudinada, faghersi s’ammaudinada svenirsi, perdere i sensi.
ammaudinàdu agg. svenuto, fuori dei sensi.
ammaudinaméntu s.m. stordimento, svenimento.
ammaudinàre tr. privar dei sensi. Su velenu l’had ammaudinadu il veleno gli ha fatto perdere i sensi. | rifl. svenire, perdere i sensi, diventar smemorato. Chen’ischire comente, puntu
s’est ammaudinadu senza saper come, improvvisamente è svenuto.
ammauràdu agg. intontito, sbalordito.
ammauràre tr. sbalordire. Sa ’ennida tua m’had ammauradu
la tua venuta m’ha sbalordito. | rifl. A lu ’ider mi so ammauradu al vederlo mi sono sbalordito.
ammavelàdu agg. raddolcito, rabbonito, ammansito.
ammavelàre tr. e rifl. raddolcire, rabbonire, ammansire.
ammazzacàne (tz) s.m. accalappiacani.
ammazzapiógu (tz) s.m. stafisàgra, erba. L’intruglio dei semi di quest’erba usato per ammazzare i pidocchi.
ammazziàda (tz) s.f. l’atto di battere con la mazza, ossia col
martello grosso dei fabbri o dei tagliapietre.
ammazziàdu (tz) agg. battuto con grosso martello → MAZZIÀDU.
ammazziadùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di battere con grosso martello.
ammazziàre (tz) tr. battere, schiacciare con grosso martello.
Su frailalzu es mazziendhe s’alvada il fabbro sta schiacciando il
vomere con la mazza. Su piccapedreri es mazziendhe sa pedra il
tagliapietre sta battendo le pietre con la mazza.
ammazzigàre (tz) rifl. rannicchiarsi, nascondersi, infrascarsi.
ammazzonàdu (tz) agg. astuto, furbo come la volpe. Inselvato, intanato.
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ammazzonàre (tz) rifl. divenire astuto come la volpe. Intanarsi, appostarsi.
ammazzuccàda (tz) s.f. l’atto di battere con la clava.
ammazzuccàdu (tz) agg. battuto con la clava.
ammazzuccadùra (tz) s.f. battitura con la clava.
ammazzuccàre (tz) tr. battere con la clava. Più com. → MAZZUCCÀRE.
ammecciàda s.f. l’atto di prender di mira.
ammecciàdu agg. spianato, pronto per mirare, del fucile.
Fid addainanti cun su fusile ammecciadu, ite cherìo fagher? mi
stava davanti col fucile spianato, che volevo fare?
ammecciàre tr. spianare il fucile. | intr. prender la mira, mirare. Ammeccia ’ene, sinò faddhis mira bene, senò fallirai il
colpo. No hapo hapidu mancu tempus de ammecciare non ho
avuto neanche il tempo di mirare.
’ammeddhàre tr. → ’AMEDDHÀRE.
’amméddhiga e deriv. → ’AMÉDDHIGA e deriv.
ammedizzàdu (tz) agg. rattoppato.
ammedizzadùra (tz) s.f. rattoppatura.
ammedizzàre (tz) tr. rimediare. Rattoppare, di vesti.
ammedràre tr. sbaldanzire.
ammèga avv. nell’atto, nell’ora. Essere ammega de… con l’infinito: so ammega d’’ennere vengo adesso adesso, giungo appena.
So ammega de cumprire a bustare sto terminando il desinare.
ammegàre tr. terminare, finire. Ammegala! finiscila! taci!
ammègas avv. → AMMÈGA.
ammégu avv. → AMMÈGA.
ammelàdu agg. melato, dolce. Paraulas ammeladas parole
dolci.
ammelàre tr. raddolcire col miele; al fig. semplic. raddolcire.
Ammelare sa ’oghe, sos faeddhos Più com. → MELÀRE. | rifl. di
ape che muore affogata nel miele. | Ammelare per → AMMERÀRE. Ammelare su carradellu. | Legare il salsiccione o salame
in tanti spazi simili alle mele.
ammelciàre tr. → AMMECCIÀRE e deriv. Più com. nel senso
di porre la miccia.
ammellàda s.f. l’atto di placare, diminuire, cessare.
ammellàdu agg. placato, diminuito, cessato.
ammellàre tr. placare, diminuire, cessare; scacciare. Ammellare sos dubbios scacciare i dubbi (Mossa).
amméllu s.m. calma, diminuzione, cessazione.
ammelmàdu agg. Bene o male ammelmadu che ha belli o
brutti lineamenti, membra bene o male proporzionate.
ammelmàre tr. ravvisare dai lineamenti. Mi l’hap’ammelmadu a sa cara l’ho ravvisato al tipo.
àmmen interiez. amen, così sia. In un’ammen in un attimo.
Si dice anche ammen Gèsu, o ammen Gesùs.
ammèndha s.f. ammenda, riparazione. Castigo. Multa.
ammendhadòre s.m. riparatore.
ammendhàdu agg. riparato, risarcito.
ammendhadùra s.f. riparazione, risarcimento.
ammendhaméntu s.m. emendamento.
ammendhàre tr. riparare, risarcire, scontare, emendare. Postu
mi so in chilca ’e m’ammendhare (Pilucca). Anche per → AMMINDHÀRE.
amméndhu s.m. riparazione, risarcimento, emendamento.
ammendhulàdu agg. in forma di mandorla.
ammendhulittàdu agg. in forma d’una piccola mandorla.
ammenezzàre (tz) tr. minacciare.
ammenézzu (tz) s.m. minaccia.
ammengésu s.m. attimo, nella frase in un’ammengesu in un
attimo. [Il manoscritto reca in un’ammengisu.]
ammentàda s.f. l’atto di ricordare. Ben’hapat s’ammentada
chi si ndh’ha fattu! non se n’è ricordato invano, meglio non se
ne fosse ricordato!
ammìndhigu
ammentadólzu s.m. solo nella frase es tempus de ammentadolzu! la cosa è così antica che non si può ricordare!
ammentàdu agg. ricordato. Che ha già ricevuto la raccomandazione dell’anima dal sacerdote, di malato.
ammentàre tr. ricordare, rammentare. In questo senso come
tr. è raro. Si usa nel senso di dare la raccomandazione dell’anima ai moribondi. Su vicariu est ammentendhe su malaidu il
parroco dà la raccomandazione dell’anima all’agonizzante. |
Più com. è il rifl. tr. e intr. Ammentaresi una cosa o de una
cosa. Ammentadi sas promissas o de sas promissas chi m’has fattu
ricorda le promesse o ricordati delle promesse che m’hai fatto.
Se t’ammentassi come Meleagro (Dante, Purg. XXV, 22). | Tornare, venire a mente. Cantas boltas s’idea si m’ammentat (An.).
amméntu s.m. ricordo, memoria. Est un’ammentu de mamma, e l’hapo caru è un ricordo della mamma e l’ho caro. Haer
ammentu ricordare. Tenner s’ammentu mantenere il ricordo.
Haer in ammentu aver a mente e in cuore.
ammeràdu agg. ricolmo, strabocchevole, riboccante.
ammeràre tr. ricolmare fino all’orlo. Ammera cuss’ampulla,
cussa padeddha ricolma codesta bottiglia, codesta pignatta.
Da chi l’hapo ammeradu sa cuscutta (A. Sp.).
ammeravizàdu agg. maravigliato, stupito.
ammeravizàre tr. maravigliare, stupire. | rifl. maravigliarsi,
stupirsi. Mi so ammeravizadu de s’insistenzia tua mi son maravigliato della tua insistenza. Più com. → MERAVIZÀRE.
ammeriàdu agg. preso di mira, mirato.
ammeriàre tr. mirare, prender di mira. Ammeria ’ene s’iscaccu mira bene il bersaglio. Più com. al rifl. S’had ammeriadu
’ene sa conca e had isparadu ha mirato bene alla testa e ha sparato. | Anche intr. ass. Ammeria e tira mira e spara. Anche →
AMMIRIÀRE.
ammermàdu, -are raffreddarsi, intasarsi del naso (mermos) (W.).
ammesàdu agg. ammezzato, ridotto a metà.
ammesàre tr. ammezzare, ridurre a metà. Si sun postos a
mandhigare su regottu e han ammesadu s’aìscu si son messi a
mangiare la ricotta e hanno ammezzato il recipiente.
ammessàrzu s.m. stallone. Anche come agg. Caddhu ammessarzu.
ammessèdes avv. grazie.
Ammessìa s.m. Messia. S’est incarnadu in seru Ammessia
(An. Terranova).
ammésu avv. in forma d’agg. inv. a metà, a mezzo. Ampulla
ammesu bottiglia piena a mezzo. Càlighe ammesu, calighes ammesu calice, calici pieni a metà. Sa padeddha est ammesu, sos
labiolos sun ammesu la pentola, i paioli son pieni solo a metà.
ammeuddhàdu agg. grasso, forte.
ammeuddhàre intr. ingrassare, diventar forte. || da meuddhu.
ammiccàda s.f. cenno. Fagheli un’ammiccada chi ’enzat fagli
cenno che venga. Ammiccada de ojos cenno con gli occhi.
ammiccàdu agg. accennato, chiamato con cenno.
ammiccadùra s.f. cenno, segnale.
ammiccàre intr. (raro) ammiccare, far cenno.
ammilandràre tr. → ABBILANDRÀRE.
ammilciàre tr. mescolare → AMMISCIÀRE, MISCIÀRE.
ammìlciu avv. in mescolanza → AMMÌSCIU.
ammilindràre tr. carezzare, vezzeggiare.
amminattàre tr. minacciare. Amminattendhe a totu / sa ruina
(Demontis Licheri).
ammindhàdu agg. di bestiame messo a pascolare nel chiuso
separato detto mindha → AMMENDHÀDU.
ammindhàre tr. mettere a pascolare il bestiame nella mindha
o chiuso separato da ciò. Anche per → AMMENDHÀRE.
ammìndhigu avv. scarsamente, con taccagneria. Cussu riccone dad a mandhigare ammindhigu a sos teraccos quel ricco
sfondolato dà cibo scarso ai servi. Cussu maridu mantened
amminestràre
ammindhigu sa muzere quel marito mantiene a stecchetto la
moglie. Già mi lu das pag’ammindhigu custu ’inu! come me
lo dai scarso sto vino! Anche amméndhigu, ammendhìgu (a
mendico) come si da ai poveri, in genere.
amminestràre intr. scodellare, servire la minestra.
ammingàre tr. accorciare, rimpicciolire, restringere, diminuire. Sestadore sestat e cosidore ammingat il tagliatore fa i tagli
abbondanti, il cucitore restringe. | Màndhigu, istipendhiu ammingadu cibo, stipendio diminuito.
amminìcculu s.m. amminicolo. Sostegno, appoggio, artifizio.
amministradòre s.m. amministratore. Bonu o malu amministradore buono o cattivo amministratore. Amministradore
pubblicu, de sa giustissia ecc.
amministràdu agg. amministrato. | sost. al pl. coloro che
son soggetti all’amministrazione pubblica. Sos amministradores si deven curare de su bene de sos amministrados i pubblici
amministratori si devon curare del bene degli amministrati.
amministràre tr. amministrare, governare. Amministrare su
patrimoniu amministrare il patrimonio. Amministrare sos benes de sos orfanos amministrare i beni degli orfani. No es vonu
a amministrare su sou e l’han dadu a amministrare su Comune.
| ass. No ischid amministrare non sa amministrare.
amministrasciòne s.f. amministrazione, governo. Libberos de
amministrazione. Gigher s’amministrassione tenere l’amministrazione. Leare, lassare s’amministrascione assumere, lasciare l’amministrazione. ▫ amministrassiòne, amministraziòne (tz).
amministratìvu agg. amministrativo. Elessiones amministrativas elezioni amministrative. Dirittu amministrativu dritto
amministrativo.
ammìntere intr. venir bene in maturità, del grano. Gen. in
senso negativo.
ammintirottàre rifl. frammischiarsi, intrugliarsi negli affari
altrui. Daghi s’est ammintirottadu fulanu sas fazzendhas si sun
imbrogliadas de pius da quando si è intrugliato il tale la matassa s’è maggiormente arruffata.
amminudàdu agg. rimpicciolito, sminuzzato.
amminudàre tr. rimpicciolire, sminuzzare. Pensare seriamente, riflettere, meditare con attenzione. Amminuda sa
chistione innanti de dezidire medita bene la questione prima
di decidere.
amminùdu avv. a piccoli pezzi. Sega s’insalada amminudu
taglia l’insalata a piccoli pezzi. Iscrier amminudu scrivere con
caratteri piccoli e fitti. Contare amminudu raccontare minutamente, nei minimi particolari.
amminuzzàdu (tz) agg. sminuzzato. Pane amminuzzadu
pane sminuzzolato.
amminuzzàre (tz) tr. sminuzzare, ridurre in minuzzoli.
amminuzzulàdu (tz) agg. sminuzzolato, ridotto in pezzettini molto piccoli.
amminuzzulàre (tz) tr. sminuzzolare.
amminùzzulu (tz) s.m. sminuzzolamento.
ammiràbbile agg. ammirabile.
ammirabbilidàde s.f. ammirabilità. Dignu de ammirabbilidade ammirabile, degno d’esser ammirato.
ammirabbilmènte avv. ammirabilmente.
ammiradòre s.m. ammiratore. Ammiradore de sa bellesa, de
sa bonidade, de s’arte ecc.
ammiràdu agg. ammirato.
ammiragliàdu s.m. ammiragliato.
ammiràgliu s.m. ammiraglio.
ammirànte s.m. fiocco di cardinale, pianta.
ammiràre tr. ammirare. Anche per badare. Ammira chi no
ruas.
ammirasciòne s.f. ammirazione. Haer ammirascione pro unu,
pro una cosa ammirare. Esser s’ammirascione de…: es s’ammira-
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scione de tota sa ’iddha è l’ammirazione di tutto il villaggio.
Puntu de ammirazione. ▫ ammirassiòne, ammiraziòne (tz).
ammiratìvu agg. ammirativo.
ammiriàda s.f. presa di mira. L’atto di mirare.
ammiriàre tr. → AMMERIÀRE.
ammìriu avv. di fronte, di rimpetto, in linea retta, in mira.
Est igue ammiriu è là di fronte. | Come prep. Ammiriu a… di
fronte a… Est ammiriu a sa funtana è di rimpetto alla fontana.
ammìru s.m. ammirazione, oggetto d’ammirazione. Est
un’ammiru, es s’ammiru ’e totu.
ammisciàda s.f. l’atto di mescolare o di immischiarsi. Fagher s’ammisciada mescolare, immischiarsi.
ammisciàdu agg. mescolato. Trigu ammisciadu a olzu grano
mescolato con [orzo].
ammisciadùra s.f. rimescolatura.
ammisciappàre avv. mescolato insieme. Fae e basolu ammisciappare fave e fagioli mescolati insieme. Promiscuamente.
Omines e feminas ammisciappare uomini e donne promiscuamente.
ammisciàre tr. mescolare. Al fig. Ammisciare faes e basolos
affastellare argomenti disparati; fare discorsi sconclusionati.
It’impappulu! ammiscendhe ndhe ses de faes e basolos! quante
chiacchiere! che pappardella!
ammìsciu avv. mescolatamente, confusamente. Ponner ammisciu mescolare.
ammiscràre tr. → AMMISCIÀRE.
ammìssa s.f. compimento, maturazione, da → AMMÌNTERE.
Ardire, coraggio.
ammissàlzu s.m. stallone. ▫ ammissàrzu.
ammissiàre tr. → AMMISCIÀRE.
ammissìbbile agg. ammissibile. Custu no est ammissibbile.
ammissibbilidàde s.f. ammissibilità.
ammissiòne s.f. ammissione. Isaminu, tassa de ammissione
esame, tassa di ammissione. Anche per ambizione. Est un’omine chi no had ammissione peruna è un uomo che non ha alcuna ambizione.
ammìssu agg. ammesso. Coraggioso, ardito. Volonteroso,
che ha gran buona voglia di apprendere e di operare. Est unu
giovanu meda ammissu a su tribagliu è un giovane che ha
molta voglia di lavorare.
ammissughì avv. ammesso che, concesso che.
ammisturàda s.f. l’atto di mescolare; mescolanza. Fagher
un’ammisturada de tantas cosas mescolare insieme tante cose.
Anche al fig. affastellamento di chiacchiere.
ammisturàdu agg. mescolato, non genuino, che ha in sé
molte misture. Custu es vinu ammisturadu questo è vino drogato, adulterato.
ammisturaméntu s.m. mescolamento, adulterazione.
ammisturàre tr. mescolare. Adulterare, falsificare, di bevande. Ammisturare appare mescolare insieme. Al fig. affastellare
chiacchiere sconclusionate.
ammistùru s.m. mescolanza. Adulterazione. Minestrone. Accozzaglia di cose disparate.
ammìttere tr. ammettere.
ammittìda s.f. l’atto di ammettere, accettare. Ammissione.
ammittìdu agg. ammesso, accettato.
ammittìre tr. ammettere, concedere, accettare, approvare,
permettere.
ammobbigliàdu agg. ammobiliato.
ammobbigliaméntu s.m. ammobiliamento.
ammobbigliàre tr. ammobiliare. Più com. → MOBBIGLIÀRE.
ammoddhaccàda s.f. l’atto di immollare, cadere nel fango.
ammoddhaccàdu agg. infangato, impantanato. Terrinu
ammoddhaccadu.
ammoddhaccàre tr. e rifl. infangare, impantanare. Custu
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caminu s’es totu ammoddhaccadu dai sa tant’abba a causa delle
molte piogge questo sentiero s’è tutto impantanato, è tutto
una pozzanghera.
ammòddhe avv. in molle. Ponner ammoddhe mettere in molle. Bettare ammoddhe buttare in acqua. Cottu ammoddhe, di
uovo, tenero, un po’ meno di bazzotto. Anche in forma d’agg.
e detto sempre d’uovo. A ilmulzare m’hapo leadu duos ôs ammoddhe a colazione ho mangiato due ova tenere (alla cocca).
ammoddhigàda s.f. l’atto di ammollire, intenerire; di venir
meno, svenirsi. Dare un’ammoddhigada, fagher s’ammoddhigada rammollirsi alquanto.
ammoddhigàdu agg. ammollito, intenerito. Svenuto. Sa muzere che l’hana missa a domo ammoddhigada la moglie l’han
portata a casa svenuta. Pane ammoddhigadu pane spugnoso.
ammoddhigadùra s.f. ammollimento.
ammoddhigaméntu s.m. ammollimento. Svenimento, deliquio. L’es vennidu s’ammoddhigamentu in sa carrera gli è venuto lo svenimento sulla via.
ammoddhigàre tr. ammollire, intenerire. Ammoddhigare sa
fae mettere in molle le fave. Ammoddhigare su linu → APPOJÀRE, IMPOJÀRE. Anche al fig. Ammoddhigare su coro intenerire,
commovere, toccare il cuore. | rifl. ammollirsi, rammollirsi,
intenerirsi. Più com. svenirsi. S’est ammoddhigada tres voltas
in una manzanada s’è svenuta tre volte in una mattinata. Anche per scoraggiarsi. No s’ammoddhigat pro dogni cosa non
viene meno per ogni nonnulla. Ammoddhigaresi de su risu
scompisciarsi dalle risa.
ammoddhizzàda (tz) s.f. l’atto di sprimacciare.
ammoddhizzàdu (tz) agg. sprimacciato. Drommire in lettu
ammoddhizzadu dormire in letto sprimacciato, soffice.
ammoddhizzadùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di sprimacciare.
ammoddhizzaméntu (tz) s.m. sprimacciamento.
ammoddhizzàre (tz) tr. sprimacciare, render soffice il letto.
Maccari no m’ammoddhizzen bene su lettu, ispero de drommire
benché non mi sprimaccino bene il letto, spero di dormire.
ammoddhìzzu (tz) s.m. cose soffici, come coltri, guanciali,
altri panni che si stendono sopra il duro (o terra o tavola) per
coricarvisi sopra. Fizu meu, ti preparo unu bellu ammoddhizzu inoghe, acculzu a su foghile, no hamus lettu figlio mio, ti
preparo uno strato soffice qui, vicino al focolare, ché non abbiamo letto. No es nuddha, tia, so istraccu e no hapo bisonzu ’e
ammoddhizzu non fa nulla, zia, sono stanco e non ho bisogno di alcuno strato morbido.
ammoderàda, -adu, -are → MODERÀDA ecc.
ammoderinàda s.f. mucchio, affastellamento. Ammoderinada de ciarras, de faeddhos mucchio di ciarle, affastellamento
di chiacchiere.
ammoderinàdu agg. ammucchiato, ammassato. B’haiat tanta pedra ammoderinada c’eran molti sassi ammonticchiati.
ammoderinàre tr. ammucchiare, ammassare, ammonticchiare. Ammoderinare pedra ammucchiar sassi. Ammuderinare ciarras, faeddhos ammassare, affastellare chiacchiere, parole.
Anche → AMMUDERINÀRE, AMMUREDINÀRE. || da moderina,
muredina moriccia.
ammodernàda s.f. l’atto di ammodernare. Sa Sardigna puru s’ha dadu o s’ha fattu un’ammodernada anche la Sardegna
si è un po’ ammodernata.
ammodernàdu agg. ammodernato, rimodernato.
ammodernadùra s.f. ammodernatura. Sos vezzos no poden
bider s’ammodernadura de sos costumenes antigos i vecchi non
possono soffrire l’ammodernatura dei costumi antichi.
ammodernàre tr. e rifl. ammodernare, rimodernare, incivilire. Custos piseddhos si sun ammodernendhe, ma no sempre in su
bonu questi giovani si stanno ammodernando, ma non sempre nel bene. Maccari s’ammodernet cantu si siat, restat sempre
ammonìre
unu pezzu ’e molente s’incivilisca pure quanto vuole, resterà
sempre un bel pezzo di somaro.
ammodìdu agg. discreto, di belle maniere, gentile. Dai cant’est ammodidu ch’es fina troppu è anche troppo discreto. Est
una giovana ben’ammodida è una giovane molto gentile.
ammodìre rifl. essere discreto, garbato, gentile. Fizu meu,
candho t’has ammodire? figlio mio, quando sarai garbato?
ammódu avv. a modo; in condizione. Esser ammodu: si ses
ammodu… no so.
ammolàda s.f. l’atto d’infrascarsi fuggendo le mosche, di arrotondare le macine.
ammolàdu agg. rifugiato tra le frasche per fuggir le mosche,
di bestiame. Arrotondata, di macina. Ammucchiati in massa
conica, di sassi.
ammoladùra s.f. arrotondatura della macina.
ammolàre tr. arrotondare la macina. Ammassare i sassi in
forma conica o nuragica. | Del bestiame che si aggruppa per
paura delle mosche (far mola, mulinello, W.).
ammolentàdu agg. incitrullito, impecorito, inciuchito, inasinito.
ammolentàre rifl. incitrullire, impecorire, inciuchire, inasinire. Pariat chi diad haer fattu calchi cosa, ma s’est ammolentadu e no si ndhe ’ogat nuddha sembrava che avrebbe fatto
qualche cosa, ma s’è inasinito e non se ne cava nulla.
ammollàda s.f. l’atto di allentare, ridursi. Ha dadu un’ammollada s’è un po’ allentato. Al fig., s’è un po’ smontato dalla
sua ostinatezza.
ammollàdu agg. allentato. Indotto.
ammollàre tr. ammollire. Pro ammollare unu coro presuntuosu (Delogu Ibba). Allentare. Ammolla cussa fune ammolla la
fune. | intr. lasciarsi convincere, venire a patti, cedere. Pariad
una rocca, ma già had ammolladu sembrava fermo come una
rupe, ma ha già un po’ ceduto. Anche di sostanze dure che si
ammolliscono. Custa chera had ammolladu questa cera s’è un
po’ ammollita.
ammoltàdu, -are, -iadu, -iare, -idu, -ijinada, -ijinadu, -ijinare, -izamentu, -izare, -olzadu, -olzare → AMMORTÀDU ecc.
ammonestadòre s.m. ammonitore, consigliere.
ammonestàdu agg. ammonito, avvertito, avvisato.
ammonestadùra s.f. ammonimento, avviso, avvertenza, consiglio.
ammonestaméntu s.m. ammonimento, avvertimento.
ammonestàre tr. ammonire, avvertire, consigliare. Isculta
como su chi s’ammonestat (An.). || sp. amonestar.
ammonestasciòne s.f. ammonizione, consiglio, avvertenza.
Pubblicazione di matrimonio in chiesa. Prima, segunda, terza
ammonestassione prima, seconda, terza pubblicazione. ▫ ammonestassiòne, ammonestaziòne (tz).
ammonìaca s.f. ammoniaca.
ammoniacàle agg. ammoniacale.
ammonìacu agg. ammoniaco. Sale ammoniacu sale ammoniaco.
ammonìda s.f. l’atto di ammonire, di pubblicare. L’ha dadu
una bona ammonida gli ha dato una buona avvertenza. Han
fattu sa primma ammonida han fatto la prima pubblicazione.
ammonìdu agg. pubblicato. Inabile ai pubblici uffizi. Anche
in forma di sost. Est un’ammonidu, sun totu ammonidos e matriculados è un ammonito, son tutti ammoniti e matricolati.
ammoniméntu s.m. ammonimento, avviso. Si lu dias cumprendhere, custu pro te est un’ammonimentu se volessi comprenderlo, questo per te è un avviso.
ammonìre tr. ammonire, avvisare, consigliare. Più com. per
pubblicare in chiesa. Oe su parracu had ammonidu su coju de
fulanu, e poi had ammonidu sa vizilia ei sa festa, e tantas ateras
cosas oggi il parroco ha pubblicato il matrimonio del tale, e
ammonisciòne
poi la vigilia e la festa e tante altre cose. Anche per dichiarare
inabile agli uffizi pubblici. A furia de ndhe fagher fina chi l’han
ammonidu. | intr. e passivo esser detti, pubblicati in chiesa, degli sposi. Eris Andria e Giuanna han ammonidu, oppure sun
istados ammonidos ieri è stato pubblicato in chiesa il matrimonio futuro di Andrea e Giovanna.
ammonisciòne s.f. ammonizione, consiglio. Pubblicazione di
matrimonio. Munizione da caccia. Hap’ispesu bindhighi francos in ammoniscione ho speso quindici lire in munizioni da
caccia. Pane de ammoniscione pane della truppa. ▫ ammonissiòne, ammoniziòne (tz).
ammonitóriu s.m. pubblicazione di matrimonio.
ammóniu s.m. ammonio.
ammontàre intr. (raro) ammontare, sommare, ascendere.
ammontizzellàre (tz) tr. ammucchiare, ammonticchiare.
[Part. pass.] ammontizzellàdu.
ammormàdu agg. ammorbato, infetto.
ammormaméntu s.m. fetore, puzza.
ammormàre tr. ammorbare, infettare, corrompere.
ammorocculàdu agg. ammucchiato, appallato; rannicchiato.
ammorocculàre tr. e rifl. ammucchiare, appallare; rannicchiarsi.
ammorottulàre tr. → AMMURUTTULÀRE.
ammortàda s.f. l’atto di calpestare, maltrattare; spegnere.
Dare un’ammortada cominciare a spengersi, di fuoco.
ammortàdu agg. calpestato, malmenato. Smorzato, spento.
ammortàre tr. calpestare, malmenare, maltrattare. Smorzare, spengere. | rifl. spengersi.
ammortiàda s.f. l’atto di smorzare, spengere.
ammortiàdu agg. smorzato, spento.
ammortiàre tr. smorzare, spengere.
ammortighinàda s.f. l’atto di smorzarsi alquanto. Anche di
dormire. Eppuru eppuru s’ha dadu un’ammortighinada pustis
d’esser istadu totu su manzanu pianghendhe finalmente s’è un
po’ addormentato, dopo aver pianto tutta la mattinata.
ammortighinàdu agg. smorzato, quasi spento. Su fogu ammortighinadu (An.).
ammortighinàre tr. e rifl. smorzare, spegnere. | rifl. anche
addormentarsi (familiare). S’est ammortighinadu como como,
e già fit tempus s’è addormentato or ora, ed era tempo.
ammortijinàda, -adu, -are → AMMORTIGHINÀDA ecc.
ammortizàda, -adu, -amentu, -are → AMMORTIGHINÀDA ecc.
Oltre il senso novissimo del falso italiano ammortizzare e deriv. per estinguere un prestito.
ammortorzàda s.f. (scherz.) l’atto di addormentarsi. Faghedi
s’ammortorzada, pezzu ’e galera! addormentati, pezzo da galera!
ammortorzàdu agg. addormentato.
ammortorzàre tr. e rifl. addormentare. | Al rifl. è anche usato scherzevolmente per morire. Si ch’est ammortorzadu a nonant’annos se n’è morto a novant’anni.
ammossàda s.f. l’atto di addentare, mordere e di stringere
con la morsa.
ammossàdu agg. addentato; stretto nella morsa.
ammossadùra s.f. morsicatura; stringimento nella morsa.
ammossàre tr. addentare, mordere; stringere con la morsa.
Ammossare su pane, sa petta mordere il pane, la carne. Su cane
ammosseit su porcabru il cane addentò il cinghiale. | intr. semplic. mangiare. Istat tota die ammossendhe, no s’istraccat de ammossare sta tutto il giorno mangiando, non si stanca di mangiare. Anche mangiare avidamente, golosamente. No ischid
ateru sinò ammossare non sa far altro che diluviare.
ammosséschidu. No bides ch’’e su piantu est ammosseschidu?
(Cossu 52).
ammossigàre tr. frequent. di ammossàre, mordicchiare; addentare, mordere. Più com. → MOSSIGÀRE morsicare.
134
ammóssu avv. coi denti, tra i denti, in bocca. Dare ammossu
mordere. Ista attentu, mi’ chi su cane dad ammossu sta attento,
bada che il cane morde. Giugher, portare ammossu tenere, portare tra i denti. Sa pibera giughet (portad) ammossu unu trotischeddhu la serpe acquaiola ha tra i denti una piccola trota.
Leare ammossu pigliar coi denti, tra i denti. Si no la podes leare
ammanu, leala ammossu se non puoi prenderla con le mani,
prendila coi denti. Tenner, gigher ammossu, al fig., non perdonare né scordare un’offesa. Dai candho l’han isfattu sa ’inza, la
tenet (gighet) sempr’ammossu da quando gli han distrutto la vigna, l’ha sempre fitta in cuore come un chiodo.
ammudàre rifl. ammutire, tacere. Chi s’ammudat sa limba a
tremulia (Ruvo).
ammuderinàre e deriv. → AMMODERINÀRE, AMMUREDINÀRE.
ammudrujàda, -adu, -adura, -are avviluppare, aggrovigliare,
appallottolare.
ammudrujonàda s.f. l’atto di aggrovigliare, avviluppare, appallare grossolanamente.
ammudrujonàdu agg. aggruppato, aggrovigliato, ingrossato,
gonfio, appallato.
ammudrujonàre tr. avviluppare, aggrovigliare. | rifl. aggrovigliarsi, ingrossarsi, gonfiarsi; ammassarsi; appallottare, appallottolare. Dice più di ammudrujàre di cui è quasi un accrescitivo.
ammudurràdu agg. ammutito, ammutolito, silenzioso, taciturno.
ammudurràre rifl. ammutire, ammutolire, divenir taciturno. Puntu s’est ammudurradu e no si ndhe li tirat paraula
mancu cun sos ganzos ha chiuso la bocca e non gli si cava una
parola neppur con gli argani.
ammùffa avv. in istato di ubbriachezza avanzata. Esser ammuffa essere ubbriaco fradicio. Faghersi ammuffa ubbriacarsi.
Es tota die ammuffa; ogni die de festa si faghed ammuffa è tutto
il giorno ubbriaco; ogni giorno di festa s’ubbriaca.
ammuffàdu agg. ammuffito. Ubbriaco.
ammuffàre rifl. ammuffire, prender la muffa, esser guasto
dalla muffa. Ubbriacarsi.
ammuinàdu agg. stordito, che ha in testa il ronzio.
ammuinadùra s.f. stordimento, zufolio, ronzio.
ammuinaméntu s.m. zufolio, ronzio, stordimento.
ammuinàre tr. stordire, infastidire, annojare, rompere il capo. Accabbami custu fragassu, chi mi ses ammuinendhe smetti
codesto rumore, che mi stordisci.
ammuìnu s.m. rumore, strepito, confusione, turbamento.
Lassami cust’ammuinu! smetti codesto fragore!
ammultiàda s.f. l’atto di allentare, indocilire. Dali un’ammultiada a cussa ’eltiga allenta un po’ codesta verga.
ammultiàdu agg. allentato, indocilito.
ammultiadùra s.f. allentamento, indocilimento.
ammultiàre tr. allentare, indocilire → AMMUSTIÀRE.
ammulzàdu agg. messo in salamoia. Casu ammulzadu.
ammulzàre tr. del cacio, metterlo nella salamoia. ▫ ammurzàre.
ammundhulàre rifl. accasarsi, maritarsi, ammogliarsi.
ammunestàda e deriv. → AMMONESTÀDA ecc. Pro ca sa veridade l’ammunestat / chie ingannad ingannadu restat (P. P. Pintore).
ammunìda e deriv. → AMMONÌDA ecc.
ammuntadòre s.m. incubo → AMMUTTADÒRE.
ammuntàre tr. coprire; proteggere, riparare dal freddo.
ammuntonàda s.f. l’atto di ammucchiare, aggruppare. Dà’
un’ammuntonada a cussa pedra ammucchia un po’ quei sassi.
Ammuntonada ’e zente moltitudine di persone. Ammuntonada
’e fiados branco di bestie.
ammuntonàdu agg. ammucchiato, ammonticchiato; aggruppato; ammassato; aggrappolato.
135
ammuntonadùra1 s.f. ammucchiamento; aggruppamento;
ammasso.
ammuntonadùra2 (a) avv. in gran quantità. Bi fit su ’inari
a ammuntonadura v’era il danaro a mucchi.
ammuntonàre tr. ammucchiare, ammonticchiare, ammassare. Ammuntonare pedra, ledamine, trigu; fiados, robba, paraulas,
faulas. Ammuntonare appare (rafforzativo) ammucchiare insieme. | rifl. agglomerarsi, aggrupparsi. Tota sa zente s’est ammuntonada in piatta tutta la gente s’è agglomerata in piazza. | intr.
ass. ammucchiar soldi, ricchezze. Est un’isuridu chi no pensat sinò a ammuntonare è un tirchio che non pensa più che a ammassar danari. Anche concludere gli affari con imbrogli. No est
un’omine onestu, pensat sempre a ammuntonare non è un uomo
onesto, pensa sempre a ingannare. || sp. amontonar.
ammùntu s.m. coperta; riparo; protezione. Portare pagu o
meda ammuntu in su lettu avere poche o molte coperte sul
letto; in sa persone essere bene o male protetti dal freddo, indossare vestiti leggeri o pesanti.
ammuràdu agg. chiuso da muri.
ammuragliàdu agg. chiuso, cinto di muraglia.
ammuragliàre tr. cingere di muraglia o semplic. di muro.
ammuràre tr. chiudere, circondare con muri. Più com. murare, tancare a muru.
ammureddhàdu agg. ammucchiato, ammassato, di sassi.
ammureddhadùra s.f. ammucchiamento, ammonticchiamento.
ammureddhàre tr. ammonticchiare, ammucchiare, ammassare, specialmente di pietre.
ammuredinàre e deriv. → AMMODERINÀRE e deriv.
ammurmuttìdu agg. stupido, ammutito, ammutolito.
ammurmuttìre intr. ammutire, ammutolire; istupidirsi.
ammurottulàda, -adu, -adura, -are → AMMURUTTUL-.
ammurràdu agg. abbronzito. Corruz. di ammoràdu moro, nero. Legato al muso, di animale. | Anche ammusito, imbroncito.
ammurradùra s.f. legatura al muso. Est a frenediga, si ndhe
cheret leare s’ammurradura non sta mai fermo, si vuol liberare
dalla legatura del muso.
ammurralàdu agg. che ha la museruola.
ammurralàre tr. mettere la museruola. Ammurrala su cane, ca
sinò ti faghen sa contravvinzione metti la museruola al cane, se
no ti dichiarano in contravvenzione. Più com. → MURRALÀRE.
ammurrappàre avv. muso contro muso. Prendhere, ligare
ammurrappare, drommire ammurrappare.
ammurràre tr. abbronzire, annerire. Corruz. di ammorare
(moro). Legare al muso, al → NARÌLE o NARÙLE.
ammurrazzàda (tz) (a s’~) avv. all’imbrunire.
ammurrazzàre (tz) intr. imbrunire. Est ammurrazzendhe si
fa notte, imbruna.
ammurreddhàdu agg. imbroncito, crucciato.
ammurreddhàre rifl. imbroncire, impermalirsi, crucciarsi.
ammurrigheddhàdu agg. che ha un po’ di broncio.
ammurrigheddhàre rifl. prendere un po’ di broncio.
ammurrionàdu agg. impermalito, crucciato.
ammurrionàre rifl. impermalirsi, indispettirsi, crucciarsi.
S’ammurrionat pro unu nuddha, guai a chie lu toccat prende
cappello per ogni nonnulla, guai a chi lo tocca.
ammurtijinàda, -adu, -are → AMMORTIGHINÀDA ecc.
ammuruttulàda s.f. l’atto di ammucchiare o appallare o di
rannicchiarsi o aggomitolarsi. S’erittu, a su minimu pisinzu,
si faghet s’ammuruttulada il riccio, al minimo strepito, s’aggomitola.
ammuruttulàdu agg. ammucchiato, appallato, aggrumato;
rannicchiato, aggomitolato. Bessi a una ’olta, ch’istas gasi ammuruttuladu in su cozolu va fuori una buona volta, che stai
sempre raggomitolato, rannicchiato in un canto. Farina am-
ammutriàre
muruttulada farina appallata, aggrumata. Lana ammuruttulada lana arruffata. Ammuruttuladu che unu lorumu ’e trama
rannicchiato come un gomitolo di lana.
ammuruttuladùra s.f. ammucchiamento, ammassamento.
Custu no si narat cumpostura, ma ammuruttuladura questo
non si chiama comporre in bell’ordine, ma affastellamento,
ammassamento.
ammuruttulàre tr. ammucchiare, ammassare, appallare. Ammuruttulare pedra, lana. Paraulas, faulas. | rifl. appallarsi, aggrumarsi. Custa farina, custa pasta, custa gomma s’est tota ammuruttulada questa farina (o pasta o gomma) s’è tutta appallottolata,
è diventata granellosa. Rannicchiarsi, raggomitolarsi. No t’ammuruttules igue, chi pares unu cucciucciu inchijinadu non rannicchiarti costà, che sembri un cucciolo ceneroso.
ammurzàdu, -are → AMMULZ-. Anche murzàdu, -àre.
ammusàdu agg. legato al muso.
ammusadùra s.f. legatura al muso.
ammusàre tr. legare al muso → AMMURRÀRE.
ammusciàda s.f. l’atto d’imbroncire.
ammusciàdu agg. imbroncito, adirato.
ammusciàre tr. e rifl. imbroncire. Fit tota die che una pasca,
indun’induna s’est ammusciadu è stato allegro tutto il giorno,
improvvisamente s’è impermalito.
ammussàdu agg. pulita e preparata con la pampanata, di
botte.
ammussàre tr. lavare la botte con la pampanata.
ammustàdu agg. avvinata, di botte.
ammustàre tr. avvinare. Pigiare, ammostare.
ammustazzàdu (tz) agg. che ha la punta nera, di grano. Di
zappa cui sono state messe le alette di acciaio.
ammustazzàre (tz) tr. metter le alette d’acciaio a una zappa.
Su frailalzu no m’had ancora ammustazzadu sa zappitta il fabbro non mi ha ancora acciaiato la zappetta. | rifl. guastarsi,
ammalarsi, del grano.
ammustèlchere rifl. svenirsi, cadere in deliquio. A su colpu
mi so ammustèlchidu.
ammustélchida s.f. svenimento, deliquio. Had hapidu, l’es
vennida un’ammustelchida ha avuto, gli è venuto uno svenimento.
ammustélchidu agg. svenuto.
ammustiàre intr. indocilire, allentare, ammollare. Al fig. Ses
gasi tostu, ma già has a benner a ammustiare! sei così duro,
ma vorrai ben mollare! || da mustiu.
ammustràda s.f. l’atto di mostrare.
ammustràdu agg. mostrato.
ammustràre tr. mostrare, manifestare, far vedere. Sas feminas,
oe, ammustran sas ancas ei su sinu le donne, oggi, lasciano scoperte le gambe e il petto. Ammustrare s’oju ’e su ciappe mostrare
il deretano per disprezzo o per sfida, frase volgare quanto l’atto.
ammustrèschere, -ida, -idu → AMMUSTÈLCHERE ecc.
ammutìdu agg. ammutito, ammutolito.
ammutinàda s.f. l’atto di ammutinare. S’ammutinada lis es
costada cara a sos soldados i soldati han pagato caro l’ammutinamento.
ammutinàdu agg. ammutinato.
ammutinaméntu s.m. ammutinamento.
ammutinàre rifl. ammutinarsi, sollevarsi, ribellarsi.
ammutìre rifl. (raro) ammutire, ammutolire.
ammutriàda s.f. broncio, cruccio.
ammutriadamènte avv. crucciosamente, irosamente.
ammutriàdu agg. imbroncito, crucciato, rannuvolato.
ammutriaméntu s.m. rannuvolamento, cruccio, malumore.
ammutriàre rifl. rannuvolarsi, crucciarsi, imbroncire. Dai
deris s’est ammutriadu e no ischimus pro ite s’è rannuvolato da
ieri e non sappiamo per qual cagione.
ammutrighinàre
ammutrighinàre rifl. → AMMUTTIGHINÀRE.
ammuttàda s.f. l’atto di cantare la ninna nanna. Dà’ un’ammuttada a cussa criadura, no bides ch’est arrebentendhe? ninna
un po’ il bimbo, non vedi che scoppia dal pianto?
ammuttadòre s.m. incubo. Spirito, secondo l’antica superstizione, che pesava sullo stomaco dei giacenti producendo una
penosa oppressione. S’ammuttadore de sette berrittas incubo
dalle sette berrette; orco, uomo crudele o per lo meno antipatico, sperticato.
ammuttàdu agg. ninnato. Elogiato, degno di poesia.
ammuttadùra s.f. ninna nanna.
ammuttaméntu s.m. ninna nanna. Gara di poesia.
ammuttàre tr. ninnare, cullare cantando. Com’es postu, si no
l’ammuttana no si drommit mai adesso è abituato, non dorme
mai se non lo ninnano. Intendhes ite ’oghe? es Rosa chi est ammuttendhe su ’e doighi fizos. Diat parrer su primu, Deu la mantenzat!
senti che voce? è Rosa che ninna il dodicesimo figlio. Parrebbe il
primo, che Dio la benedica! | Anche ass. Dai su manzanu a su
sero no s’istraccat de ammuttare dal mattino alla sera non si stanca
di ninnare. | Più raro per cantare poesie improvvisate (muttos),
per quanto lo Spano lo dia come unico significato.
ammuttighinàdu agg. imbizzito, che abbassa le orecchie per
ira, di cavallo. Sordo, ostinato. Est ammuttighinadu in s’opinione sua e no intendhed a niunu è ostinato nella propria opinione e non ascolta nessuno.
ammuttighinàre rifl. imbizzirsi, abbassar le orecchie per ira,
del cavallo. Ostinarsi, far il sordo agli ammonimenti. Daghì
s’ammuttighinad est inutile a li narrer nuddha! quando s’intesta è inutile dirgli nulla!
ammùttu s.m. ninna nanna. Intendhes cuss’ammuttu? Ite bellu! odi quella ninnananna? Com’è bella!
ammuttullonàdu agg. incantato, istupidito, imbecillito. Istas
cue ammuttullonadu, chi pares unu maccu resti così imbecillito, che sembri un matto davvero.
ammuttullonàre rifl. comportarsi come un incantato, istupidirsi, ammutolire, restare a bocca aperta. Puntu s’est ammuttullonadu chi faghiat lastima.
ammuzzighilàdu (tz) agg. imbroncito, ammusonito.
ammuzzighilàre (tz) rifl. imbroncire, ammusire, ammusonire. Daghi s’ammuzzighìlad es su giau de sa cumpagnia quando imbroncisce è il chiodo della brigata.
ammuzzigonàda (tz) s.f. l’atto di ingrossare. Assiad ammuzzigonada ch’has fattu! quanto ti sei ingrossato!
ammuzzigonàdu (tz) agg. ingrossato; tarchiato. Ozioso, inerte.
ammuzzigonàre (tz) rifl. e intr. ingrossare. S’est ammuzzigonadu, o had ammuzzigonadu che truncheddhu s’è ingrossato,
come un piccolo tronco. Diventar poltrone, ozioso.
ammùzzu (tz) avv. cortamente. Segare, tagliare, truncare ammuzzu tagliar corto; anche al fig. usar poche parole, dir brevemente, o anche interrompere un discorso. Omine truncadu
ammuzzu uomo di poche parole, poco espansivo, poco concludente.
amoràda s.f. innamorata, fidanzata, promessa sposa.
amoradìttu agg. dato agli amori, facile agli amori. Lass’istare
a Elena amoraditta (P. Luca).
amoràdu s.m. l’innamorato, il fidanzato, il promesso sposo.
amoràre intr. Daghi si l’had amorada pro un’annu l’ha lassada dopo aver fatto all’amore con lei per un anno l’ha lasciata
→ INNAMORÀRE.
amorazzàre (tz) intr. fare all’amore per leggerezza, senza serie intenzioni. Est istadu tota sa pizzinnìa sua amorazzendhe ei
como es solu chei su cane. | Anche tr. e rifl. Totu sos de bascia
manu si lu fin amorazzendhe (Mossa 162).
amorazzòla (tz) s.f. (m. -u) facile agli amori leggeri. Deris
amorazzola e libertina (Barbaricinu).
136
amòre s.m. (più raro s.f.) amore. Chi s’amore est a mie professada (Franz. Alvaru). S’amore professada. Issa si rendhed a s’amore
anzena (P. Luca). Amore de Deu e de su prossimu; de babbu paterno; de mamma materno; de frades e de sorres fraterno. Amore
de isse matessi. Amore propriu amor proprio. Amore pro su ’inari
o de su ’inari; de su giogu, de s’istudiu. Ass. amore per le persone
di diverso sesso. Amore mundhanu, de su mundhu. Cantones,
muttos, litteras, libberos, contos de amore. Maladia de amore,
frebba de amore. L’oggetto dell’amore. Cosa o persona o azione
eccellente: es s’amore de sa familia. Custa rosa est un’amore.
Faeddhat tantu ’ene, ch’est un’amore. | S’eternu, su summu Amore
Dio. S’amore incarnadu, cruzificadu, sacramentadu Gesù. | Bellu che un’amore. | Cun amore: istudiare, tribagliare. | Pro amore.
Pro amor’’e Deu, o prommoredeu per amor di Dio. Anche per
esclam.: prommoredeu! Sa lemusina prommoredeu! | Pro amore
mia, tua, sua, ’ostra; e pro amore meu, tou, sou, ’ostru. Faghelu
pro amore mia (Zus. Ebreu). | Pro amore o pro forza per amore
o per forza. | Fagher una cosa, tribagliare pro amore de Deu fare
una cosa, lavorare gratis. | Essere, intrare in amore andare, entrare, essere in amore, degli animali e delle piante. Custas piantas sun in amore. | Haer amore aver amore. | Esser totu amore
pro una persone o una cosa esser tutto amore. | Fagher s’amore
fare all’amore. | Leàreche s’amore, fagher perder s’amore. | Perder
s’amore. | Portare amore. | Truncare s’amore. | (prov.) Chie de
amore si leat, de arrabbiu si lassat chi per amor si piglia, per
rabbia si scompiglia. | avv. Amore amore dolcemente.
amoréddhu s.m. dim. amorino. Sos amoreddhos ti ballan in
tundhu.
amorìbile agg. Amoribile, amabile e grassiosa (Serra).
amoridàde s.f. amorevolezza, benignità, bontà.
amorìdu agg. amoroso, amorevole.
amorìvile agg. amorevole, benigno, mite.
amorivilidàde s.f. amorevolezza, bontà, benignità, mitezza.
amorivilmènte agg. amorevolmente, benignamente.
amorosamènte avv. amorosamente.
amoroséddhu agg. dim. amorosetto.
amorosidàde s.f. amorevolezza, benignità, bontà.
amorósu agg. amoroso, benigno, buono.
amovìbbile agg. amovibile.
amovibbilidàde s.f. amovibilità.
amparàda s.f. l’atto di ricoverare, difendere. Ricovero, difesa.
Dare amparada dar rifugio. Haer amparada trovar rifugio.
amparadòre s.m. protettore, difensore, favoreggiatore.
amparàdu agg. rifugiato, difeso, protetto.
amparadùra s.f. rifugio, difesa, protezione.
amparaméntu s.m. favoreggiamento, difesa, protezione.
amparàre tr. ricoverare, difendere, proteggere, favorire, aiutare. Reina de su Rosariu sos devotos amparade regina del Rosario,
proteggete i devoti. | rifl. rifugiarsi, ricoverarsi. || sp. amparar.
ampàru s.m. rifugio, ricovero, difesa, protezione, favore. Dare amparu ricoverare, proteggere, sostenere. || sp. amparo.
ampiamènte avv. ampiamente.
àmpiu agg. ampio.
amplamànu s.f. libertà. Dare, learesi amplamanu dare, prendersi libertà. Si das amplamanu a zertas servidoras!
amplamènte avv. ampiamente.
amplària s.f. ampiezza, larghezza.
amplèsa s.f. ampiezza, larghezza.
ampliàda s.f. l’atto di ampliare. Hap’intenzione de dare un’ampliada a custa istanzia ho intenzione di ampliare alquanto
questa stanza.
ampliàdu agg. ampliato.
ampliaméntu s.m. ampliamento.
ampliàre tr. ampliare, accrescere, aumentare. Ampliare su patrimoniu.
137
ampliasciòne s.f. ampliamento, allargamento. ▫ ampliassiòne, ampliaziòne (tz).
ampliatìvu agg. ampliativo.
amplificadòre s.m. che amplifica, esagera; amplificatore.
amplificàdu agg. amplificato, magnificato, esaltato.
amplificàre tr. amplificare, magnificare, esagerare, esaltare.
amplificasciòne s.f. amplificazione, esagerazione. ▫ amplificassiòne, amplificaziòne (tz).
amplosidàde s.f. magnificenza; superbia, spocchia.
amplósu agg. magnifico; orgoglioso, superbo, spocchioso.
àmplu agg. ampio, largo, spazioso.
amplùra s.f. ampiezza, larghezza.
ampollosamènte e deriv. → AMPULLOSAMÈNTE.
ampramànu s.f. → AMPLAMÀNU.
ampriàda ecc. → AMPLIÀDA ecc.
amprìddha s.f. scilla, pianta → ASPRÌDDHA.
amprificadòre e deriv. → AMPLIFICADÒRE ecc.
amprosidàde, amprosu → AMPLOSIDÀDE, AMPLÓSU.
amprùa s.f. tela velata. | Erba rossiccia. Laras de amprua
labbra coralline.
ampruddhiàdu agg. imbroncito, rannuvolato, sdegnato.
ampruddhiàre rifl. risentirsi, imbroncire, sdegnarsi.
ampùa s.f. specie di stoffa. Velu de ampua. Laras d’ampua
(Pilucca) → AMPRÙA.
ampùlla s.f. ampolla, bottiglia. Amigu de s’ampulla beone.
Basare, dare ’asos a s’ampulla bere. Cherrer bene s’ampulla amare
il vino. Bier dai s’ampulla bever direttamente dalla bottiglia.
ampullìtta s.f. ampollina. Sas ampullittas le ampolline che
servono per la Messa. Suzzare sas ampullittas bere il vino delle
ampolline che avanza al sacerdote dopo la Messa. Quindi il
sagrestano vien detto anche suzzampullittas. Mudu, tue, suzzampullittas! taci tu, che succhi le ampolline!
ampullòne s.m. accr. di ampùlla, bottiglia grande, spesso rivestita con tessuto di vimini o di canna → BUTTIGLIÒNE.
ampullosamènte avv. ampollosamente.
ampullosidàde s.f. ampollosità.
ampullósu agg. ampolloso, gonfio.
amputàre tr. (raro) amputare. Più com. → SEGÀRE, TRUNCÀRE.
amputasciòne s.f. amputazione. ▫ amputassiòne, amputaziòne (tz).
àmu s.m. amo. Piscare cun sos amos pescare con gli ami. Amu
de su fusu gancetto del fuso a mano. A un’amu ripiegato in se
stesso. Es sempre cue a un’amu dai sa dolima è là raggomitolato per il dolore. Faghersi a un’amu dae sa paura, dai sa dolima.
amurigàre rumare (Martelli)!?
àna pron. ciascuno (C.S.P.). Anche → CÀNA. | Affanno, asma.
It’ana ch’has oe! come sei affannato oggi!
anabbattìsta s.m. anabattista.
anaccorètta s.m. anacoreta, romito.
anaccorìtta s.m. anacoreta. Sagrados Anacoritas (Delogu Ibba 66).
anacreóntica s.f. anacreontica. Un’anacreontica de Padre Lucca.
anacronìsmu s.m. anacronismo.
anacronisticamènte avv. anacronisticamente.
anacronìsticu agg. anacronistico.
anadadòre s.m. nuotatore. Più com. → NADADÒRE.
anadàre intr. nuotare. Più com. → NADÀRE.
anàde s.f. anitra. Anade reale mergo; ~ cun chighirista germano di Barberia; ~ conchinieddha capo negro; ~ conchilde germano reale. Più com. → NÀDE. || sp. anade.
anademèle s.f. donnola.
anadighèddha s.f. dim. di anitra, anatrotto.
anadìglia s.f. anatrella.
anadìsca s.f. anitra giovane.
anadòne s.m. marzaiola, arzavola. Pianta [sic]. (Cetti).
anchifìne
anagógicu agg. anagogico.
anagràmma s.m. anagramma. Arte, erta, Roma, Amor.
analfabbètta s.m. analfabeta.
anàlisi s.f. analisi. Analisi logica, grammaticale. Analisi de s’orina, de s’abba.
analiticamènte avv. analiticamente.
analìticu agg. analitico. Metudu analiticu.
analizàre tr. analizzare. Analizare unu periudu, sas abbas.
analogìa s.f. analogia.
analogicamènte avv. analogicamente.
analógicu agg. analogico.
anàlogu agg. analogo.
anarchìa s.f. anarchia.
anarchicamènte avv. anarchicamente.
anàrchicu agg. e sost. anarchico. Sos anarchicos han postu fogu
a Parlamentu gli anarchici hanno incendiato il Parlamento.
anàtema s.m. anatema, scomunica.
anatematizàre tr. anatematizzare, scomunicare.
anatomìa s.f. anatomia. Il popolo guasta notomia che è più
com. Fagher sa notomia sezionare i cadaveri. Al fig. esaminare scrupolosamente, rigorosamente.
anatomicamènte avv. anatomicamente.
anatómicu agg. anatomico.
anatomìsta s.m. anatomista. Più com. notomìsta.
anatomizàre tr. anatomizzare. Più com. → NOTOMIZÀRE. Al
fig. esaminare scrupolosamente, rigorosamente. Ti notomizo
s’anima ti scruto l’anima. Ti notomizo tota sa vida.
ànca s.f. gamba, zampa. Ancas de cristianu, de caddhu, de leppere, de puddha, de musca, de ranzolu. Ancas de su banchittu, de
sa mesa, de su cantaranu. Ancas de musca scrittura minuta e
mal fatta. Mazzone de duas ancas. Haer ancas vonas, fortes aver
buone gambe. Andhare a un’anca, a tres ancas, a battor ancas
far la pecorina. Esser a ancas de zichi aver le gambe sottili e
gracili. Gigher sas ancas che ferrittos aver le gambe sottili come
ferri da calze (!!!). Gigher s’anca a pipa aver la gamba piegata in
alto come per il passo scozzese. Learesi sas ancas fuggire. Si no
ischis sa lescione a istasera, leadi sas ancas se non saprai la lezione stasera, meglio scappa! Leare sas ancas, del vino, che conduce bel bello alla tentennina. Custa vernaccia mi leat sas ancas
questa vernaccia mi lega le gambe. Parare, ponner s’anca dare il
gambetto. Segare, truncare sas ancas mettere il bastone tra le
ruote a uno, tarpargli le ali, rovinarlo. Sa morte de babbu m’ha
truncadu sas ancas la morte di mio padre m’ha rovinato. Sezzer o sêre a ancas a rughe sedere con le gambe incrociate, alla
beduina. Sèzzere o sêre a ancas ispartas sedere con le gambe distese. Sezzer anca subr’anca sedere con le gambe accavalciate. A
s’anca ti dàs, s’anca ti dolet se ti dai delle manacciate all’anca,
duole prima a te. Un’ater’unu che Zuanne meu pro cuss’anca ’e
sorre ndhe cheria (Mele).
àncara s.f. (Nuoro) gancio, uncino.
ancarìtta s.f. → ANGALLÌTTA.
ancaròne s.m. artiglio. Gancio, uncino (Ghil.).
ancasubrànca avv. con le gambe accavalciate.
anchèddha s.f. → ANGALLÌTTA.
anchètta s.f. piccola cavallina, che cammina bene. Est una
bon’anchetta. Girandolone, vagabondo, di persona. | Vizio del
cavallo che non va ben di portante; nella frase fagher s’anchetta.
anchibbéllu agg. dalle gambe belle.
anchibbrujàdu agg. dalle gambe bruciate.
anchibbuósu agg. dalle gambe malate di foruncoli.
anchicùrzu (tz) agg. dalle gambe corte.
anchidébbile agg. dalle gambe deboli e gracili.
anchieréttu agg. dalle gambe diritte.
anchifàlchinu agg. dalle gambe arcuate, in forma di falce.
anchifìne agg. dalle gambe sottili.
anchifòrte
anchifòrte agg. dalle gambe forti.
anchifoscigàdu agg. dalle gambe contorte.
anchifragassàdu agg. dalle gambe fratturate, fracassate.
anchighèddha s.f. dim. di gamba.
anchilàrgu agg. dalle gambe lunghe.
anchilàrzu agg. dalle gambe lunghe.
anchìlla s.f. ancella → ANZÌLLA, TERÀCCA.
anchilóngu agg. dalle gambe lunghe. Vagabondo; camminatore.
anchimànnu agg. dalle gambe lunghe.
anchiminòre agg. dalle gambe corte, piccole.
anchimùzzu (tz) agg. dalle gambe amputate.
anchìna s.f. (m. -e) tela di Nanking.
anchìnu agg. dalle gambe sottili.
anchióinu agg. dalle gambe simili alle bovine. || sp. anquiboyuno.
anchiprésu agg. dalle gambe legate; impacciato nel camminare.
anchipuddherigàdu agg. dalle gambe tutte macchiate di incotti.
anchirujàdu agg. dalle gambe rotte.
anchirùssu agg. dalle gambe grosse; ancacciuto.
anchisìccu agg. dalle gambe stecchite. || sp. anquiseco.
anchispàltu agg. dalle gambe distese.
anchistroppiàdu agg. dalle gambe storpiate.
anchitétteru agg. dalle gambe rigide.
anchitórtu agg. dalle gambe storte.
anchitróddhinu agg. (Bonorva) dalle gambe storte.
anchitruncàdu agg. dalle gambe spezzate, rotte.
anchìtta s.f. dim. di gamba. Fagher s’anchitta ballare. Andhare a s’anchitta andare a calzoppo (Spano).
ància s.f. ancia, linguetta dell’imboccatura di certi strumenti
da fiato.
ancionàdu agg. raggricchiato, rannicchiato.
ancionàre rifl. raggricchiarsi, rannicchiarsi. Daghi s’ancionad
in su foghile no lu movet niunu quando si rannicchia accanto
al fuoco non lo smove più nessuno.
anciòne (a) avv. A un’ancione a un gomitolo. Mezus si ndh’istad a un’ancione in domo se ne sta meglio rannicchiato in casa.
anciunìdu Pizzinnu mucconosu, anciunidu (A. Sp.).
ancòne s.m. che ha le gambe grosse, ancacciuto.
ancòra avv. ancora, finora. Di nuovo. Bi so andhadu, ma bi
devo andhare ancora ci son già stato, ma ci devo ritornare.
àncora s.f. àncora.
ancoràdu agg. ancorato.
ancoràggiu s.m. ancoraggio.
ancoraghì cong. ancorché, sebbene, quantunque.
ancoraméntu s.m. l’atto di ancorare.
ancoràre tr. ancorare. Abbrancare, artigliare.
ancoraschì cong. sebbene, quantunque.
àncu1 s.m. dubbio, difficoltà, ostacolo, impedimento. Chena
o senz’ancu, senz’ancu perunu senza dubbio alcuno. Cun calchi
ancu, cun ancu con qualche dubbio, con dubbio. Faeddhare
cun ancu, o senz’ancu parlare dubbiosamente o asseverantemente. Promittire senz’ancu promettere senza incertezza, senza
condizione. No cherzo custos ancos: promittimi senz’ancu! non
voglio questi tentennamenti, queste condizioni: prometti senza riserve! Agattare, haer, fagher, ponner ancu trovare, esserci,
porre dubbio, incontrare difficoltà in una cosa. Più com. al
neg. Dia ’enner, ma b’agatto cust’ancu verrei, ma trovo questa
difficoltà. No bi ponzo ancu perunu non ho alcun dubbio.
àncu2 esclam. di desiderio, Dio volesse che (utinam latino).
Ancu ’enzat mamma! Dio volesse che venga la mamma! Ancu
’alanze sa lotteria! possa vincere alla lotteria! Più com. nelle imprecazioni. Ancu che ruas in unu fossu! possa cadere in un fosso!
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ancujàdu agg. raggricchiato, rannicchiato; ricurvo. Ferru ancujadu ferro curvo. Pessone ancujada persona raggricchiata.
ancujàre tr. curvare, piegare, ritirare. Ancuja sas ancas, chi no
ch’ha logu pro sos ateros ritira, ripiega le gambe, che non c’è
posto per gli altri. Ancuja custu filuverru e faghemi unu ganzu
curva questo filferro e fammi un gangherello.
ancùju s.m. racchiocciolamento, raggricchiamento, rannicchiamento. Esser a un’ancuju esser tutto raggomitolato, raggricchiato, rannicchiato. Istat sempre in domo a un’ancuju ei sa familia morit de famine se ne sta tutto il santo giorno raggomitolato
in casa e la famiglia patisce la fame. Su malaidu es totu a un’ancuiu l’infermo pare un gomitolo, è tutto aggomitolato.
ancunfiàdu agg. dalle gambe gonfie.
àncus cong. sebbene, quantunque. Ancus ti mustres cun megus
tirana (Careddu). Ancus chi siat feu benché sia brutto (Delogu
Ibba). ▫ ancuschì.
ancùzza (tz) s.f. dim. di anca, zampetta, piccola gamba. Sas
ancuzzas de cussa criadura. Ancuzzas de musca.
andhàda s.f. andata. Bona siat s’andhada. Andhada e torrada,
andhada e bènnida andata e ritorno. Bona s’andhada e mezus
sa torrada. A s’andhada all’andata. S’andhada ’e tottu morte.
Fagher s’andhada ’e totu o semplic. s’andhada: babbu es fattendhe s’andhada ’e totu. Su vicariu es fattendhe s’andhada. Andhada ’e maccos partenza da matti, sia a causa di cattivo tempo, o
di poca speranza di un qualsiasi frutto, o per la lunga assenza.
Sun andhados a cazza, ma a custa die e senza cane, est un’andhada ’e maccos! sono stati matti a partire, questa non è giornata da caccia, senza cani poi! Fagher s’andhada de sos maccos
trattenersi troppo in un luogo. Sun ancora a torrare, issos faghen sempre s’andhada ’e sos maccos non sono ancora rincasati,
han sempre l’usanza di trattenersi troppo. Fagher s’andhada de
su corvu a bidere far la partenza del corvo noetico, andare e
non tornare. | Andhada ’e tempus, o semplic. andhada tratto di
tempo. B’es già un’andhada ’e tempus, un’andhada v’è già un
bel tratto di tempo. Un’andhada ses cue a cràmida! si no t’istraccas tue, già bistas un’andhada da quando m’importuni con le
tue suppliche! se non ti stanchi tu, la duri ancora un bel tratto. | Andhada de su corpus evacuazione, andata del corpo.
andhadòre s.m. e agg. camminatore; girovago, girandolone,
bighellone. Su ferru andhadore il ferro che cammina, definizione del treno fatta da un rustico.
andhàdu agg. andato, partito; spacciato, morto, guasto. E Pedru? Pedru est andhadu e Pietro? È partito. Su malaidu? Si no
est unu meraculu, est andhadu il malato? Se non è un miracolo,
è già spacciato. Custu ’inu est andhadu questo vino è guasto.
andhadùra s.f. andatura. Lu connosco a s’andhadura lo conosco all’andatura. Andhadura bella, fea bel modo o brutto modo di camminare.
andhàila s.f. sandalo. Sas andhailas de sos padres i sandali dei
frati. Corruz. di → ANDHÀLIA, SANDÀLIA.
andhàina s.f. ordine, filare; direzione; cammino. Andhaina
de sa mola il giro del buricco che tirava la macina. Ognunu in
s’andhaina sua ognuno per la propria via, ognuno è abile nella
propria professione. Es sempre (semus sempre a) sa matessi
andhaina è sempre la stessa cosa, siamo sempre lì. Sighire
sempre sa matessi andhaina non correggersi, persistere nel male. Sighire s’andhaina de sos mannos, de sos ateros seguir la via
dei maggiori, l’esempio degli altri. Andhare sempre in sa matessi andhaina non saper far altro di nuovo, ripetere sempre le
solite operazioni, non progredire. No bessire dai s’andhaina
sua non imparare nulla di nuovo (come l’asino, che, attaccato
alla macina, era costretto a fare sempre lo stesso giro). Anche
“la striscia di terreno che nel zappare il contadino occupa con
la larghezza del suo passo e lunghezza del manico della zappa” (Soro, W.).
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andhajoléddhu agg. di bimbo che fa i primi passi. Fizu meu
fid ancora andhajoleddhu candho l’es mortu su babbu mio figlio faceva ancora i primi passi quando gli è morto il padre.
andhajólu s.m. bustino con le dande per reggere i bimbi nei
primi passi. “Arnese fatto di vimini, in forma di cono troncato in cima e in fondo molto slargato, dentro al quale si pongono i bambini perché imparino a camminare” (Rig. Fanf.)
che i toscani chiamano cestino. | agg. di bimbo che comincia
a camminare da solo. S’ultimu fizu est appena andhajolu l’ultimo figlio cammina appena da solo.
àndhala s.f. (Barb.) sentiero.
andhàlia s.f. sandalo → ANDHÀILA.
andhaliéni s.m. andirivieni. Lassami cust’andhalieni smetti
codesto andare e venire senza scopo. | agg. e sost. vagabondo,
girellone, di persone. Est un’andhalieni ’e prima vaglia è un
vero vagabondo. Una femina andhalieni, un’omine andhalieni.
andhalitòrra s.m. andirivieni. B’haiad un’andhalitorra ’e zente, bi deved haer suzzessu calchi disgrascia c’era un andirivieni
di gente, dev’esser capitata qualche disgrazia. Esser o istare a
s’andhalitorra andare e venire frequentemente; vagabondare,
bighellonare. Istat sempre a s’andhalitorra a sa ’inza, chissà ite
bi dêd esser fattendhe! va e viene continuamente alla vigna, chi
sa che diamine vi sta facendo! Es sempre a s’andhalitorra a cussa domo! bazzica troppo in quella casa!
andhamènta s.f. andamento; il modo di procedere delle cose
o delle persone; più frequente in cattivo senso. Dagh’ha bidu
comente fit s’andhamenta ’e zertos unos, no si ndh’es pius fidadu
dopo che ha visto il comportamento di certa gente, non se
n’è più fidato.
andhaméntu s.m. andamento, processo, sviluppo. S’andhamentu de sa maladia nos lassat calchi isettu l’andamento della
malattia ci lascia qualche speranza. S’andhamentu de su pretu
mi dirrenat l’andamento della lite mi scoraggisce.
andhàna s.f. → ANDHÀINA.
andhàndha (a s’~) avv. nella frase istare a s’andhandha andare con troppa frequenza.
andhànta s.f. andatura. Lu connosco a s’andhanta lo conosco
al modo di camminare. Haer andhanta ’ona, o mala; esser de
bona o mala andhanta camminar bene, o male. Bestiamine
de mal’andhanta bestiame che salta i muri e pascola in chiusi
altrui. Abitudine di vagabondare. A ndh’has de andhanta! Condotta, comportamento. M’hap’a regulare segundhu s’andhanta
chi faghes.
andhantalìnu (a s’~) avv. nella frase trobeire a s’andhantalinu
impastoiare largamente. Contrario di trobeire a → ISPEDÀZU.
andhantànu s.m. camminatore, girandolone, bighellone. No
mi ndhe faeddhes, est un’andhantanu non parlarmene, è un
vagabondo. | agg. Bestiamine andhantanu bestiame che salta i
muri. Omine andhantanu, femina andhantana uomo, donna
che sta poco in casa.
andhànte agg. andante, scadente, ordinario, comune. De calidade andhante di qualità ordinaria. Preju andhante prezzo
corrente.
andhantemènte avv. andantemente, solo nel senso di ordinariamente, scadentemente. Andhantemente b’agatto a fulanu ordinariamente ci trovo il tale. Iscried andhantemente scrive così e così, alla meno peggio, né bene né male.
andhantìna s.f. dim. di andhanta, nell’ultimo significato di
abitudine di vagabondare. Lassami cust’andhantina nè cabu e nè
coa! smetti codesto bighellonare che non ha né capo né coda!
andhànza (tz) s.f. andatura. Rumor di passi. Foras s’intendhiad un’andhanza, s’andhanza de zente fuori si udiva romor
di passi.
andhànzia (tz) s.f. gravidanza. E isto noe meses cun s’andhanzia (Pisurzi).
andhàre
andhàre intr. andare. Camminare, muoversi, agire, anche di
cose, di macchine. Su molinu a denotte no andhat. Custu rellozu andhat bene. Sa macchina andhat male. Nell’ass. si sottintende bene. Como sa cosa andhat adesso la cosa va (bene). Custu, fizu meu, no andhat questo, figlio mio, non va (bene).
Andhare de bene in mezus o dai malu in peus andar di bene in
meglio o di male in peggio. Andhare a trazu strisciare. Nendhe,
andha a trazu e manighendhe terra (Dore). | Aver credito, fruttare, di professione, mestiere. Cust’arte oe no andhat pius quest’arte oggi non va più. Aver spaccio, di mercanzie. Su frustanu
in custa ’iddha andhat meda il fustagno, in questo villaggio si
vende, va. | Esser giusti, di conti. Sos contos ch’has fattu no àndhana i conti che hai fatto non vanno. | Piacere, aggradire.
Custa musica no m’àndhada questa musica non mi va. Sos macarrones no m’àndhana i maccheroni non mi vanno. | Di vesti,
andhare bene o male. Cussos calzones m’andhan bene, sa gianchetta m’andhat male i calzoni mi vanno, la giacca non mi va. |
Andhare de corpus andar di corpo. | Andàrendhe scomparire,
svanire, di macchia, di bruttura. Sa tacca de sa pira no ndh’andhat mai le macchie lasciate dal sugo delle pere non scompaiono. In questo senso si adopera anche transitivamente. S’abba
ndh’andhat fina su macchine l’acqua fa sparire anche la pazzia.
Su sabone ’onu ndh’andhat dogni bruttura il buon sapone fa
sparire ogni sporcizia. | È tr. anche per strappare, staccare.
Àndhandhe custu buttone strappa questo bottone. Ndh’had
andhadu sas fozas ha staccato le foglie. | Andharesiche o andharesindhe partire, morire. Ziu Pedru si ch’est (si ndh’est) andhadu
zio Pietro se n’è andato, se n’è morto. | Consumarsi, sciuparsi,
di danari, di patrimonio. Cun custa vida lussosa si ndh’andhan
sos milliones chei s’abba con questa vita lussuosa se ne vanno i
milioni come l’acqua. Andharesiche a su chelu morire. | Andhare in oromala, andhar a terra, in bulvara, in burdellu andare in
rovina, perdersi, fallire. Andhare a veras capitare veramente.
Mirade chi no es giogu chi sa cosa andhad a veras (Manno). |
Andhare abbagnu non riuscire, di affare, di contratto. Su coju
est andhadu abbagnu il matrimonio è fallito. Andhare a culissègus rinculare. | Andhare per iglì e per iglià andar di qua e di là,
vagabondare. Andhare chei sa fantasima correre, non aver riposo. | Andhare ’erettu andar direttamente. | Andhare chei su bentu o che bentu. | Avere relazioni d’amicizia, più com. nel senso
negativo. Sas duas familias no àndhana le due famiglie l’hanno
rotta. | Si unisce frequentemente con avverbi che denotano la
maniera di camminare. Andhare tamba tamba (tombi tombi) o
balla balla o bànziga bànziga barcollare; andhare fòsciga fòsciga
scutrettolare; andhare toppi toppi zoppicare; andhare a toppu: la
faghen andhare a toppu (Manno); andhare rue rue, a rue pesa
cadere spesso nel camminare; andhare mùsina mùsina andar
annusando; e molti altri che saranno riportati a suo tempo. |
Lassar andhare lasciar andare, lasciar correre, lasciar perdere,
abbandonare, lasciare, lasciar libero. Lassa andhare sa fune abbandona, lascia la fune. Lassa andhare su cane lascia libero il
cane, sciogli, sguinzaglia il cane. Gettare, emettere, di grido,
voce, sospiro. Ha lassadu andhare una ’oghe, unu gridu, unu suspiru ha emesso una voce, un grido, un sospiro. Di colpo, pugno, percosse, bastonate. Ha lassadu andhare unu colpu chi si li
dat ficchid inie ha lasciato andare un colpo che, se lo raggiunge, lo fredda. Lassaresi andhare lasciarsi andare, abbandonarsi,
trascurarsi, accasciarsi. | Andha! andhade! va là! andate! Andha,
chi no es veru! va là, che non è vero! | Andhemus! andiamo!
Andhemus! chi no si trattat gasi sa zente andiamo! la gente non
si tratta così! | Coment’andhad andhad come la va la va. | Coment’andha chi… come va che…, nelle interrogazioni dirette e
indirette. | A u’ andhad andhat dove va va. | Andhare a domo de
su diaulu andare a casa del diavolo. | (prov.) … | sost. A
un’andhare; a cuss’andhare; a su matess’andhare.
andharéddhu
andharéddhu agg. e sost. girellone, vagabondo, bighellone.
andharìnos s.m. pl. gnocchi.
andharìnu agg. ordinario, scadente. Terra andharina terreno
poco fertile.
àndhe! esclam. di maraviglia. Andhe vista ch’hapo ’idu! che
spettacolo ho visto! Andhe maccu chi ses! come sei pazzo!
Andhe manna chi l’has nada! come l’hai detta grossa!
andhebbéni s.m. andirivieni. Lassami cust’andhebbeni smetti
codesto andirivieni. Istare a s’andhebbeni andare e tornare con
frequenza.
’andhèla s.f. bandiera → BANDHÈLA, BANDHÈRA.
andhèra s.f. viuzza, viuzzoletta, sentieruolo, anche viale. Il
camminare qua e là, specialmente in caccia. Learesila in andhera dei malati che non la danno vinta al male leggero, non
si mettono a letto, e cercano quasi di trastullare il malessere.
No mi sento ’ene, ma mi la leo in andhera non mi sento bene,
ma porto a passeggio il male.
andhettòrra s.m. andirivieni. Già ndh’has de andhettorra!
candho l’has a finire? quando la finirai con codesto va e vieni?
àndhidu s.m. andito; traccia.
àndia s.f. barella, portantina, bussola, trono portatile, specialmente quello che s’adopera per portare i santi in processione. Giugher, portare in andhias trasportare con barella, con
bussola. Al fig. esaltare, magnificare, trattare con venerazione.
Aspetta chi t’hamus a giugher in andias! sta a vedere che dovremo venerarti come un santo! → a PANTÈA || sp. andas.
andìra s.f. filastrocca. Narrer sa cosa tot’a un’andira dire una cosa d’un fiato, senza pausa. Legger a un’andira leggere senza fermarsi, senza tener conto dei segni di punteggiatura. Cantone a
un’andira componimento poetico senza divisione di strofe. ||
da un ritornello dell’antico canto sardo: andira andira andòi!
andiràre tr. e intr. Solu pro sa piluch’eo t’andiro (P. Senes).
andìro andìro. Cantendhe a versu a versu andiro andiro (Pis.).
androghéri agg. furbo, malizioso, astuto, birba, anche in bon
senso.
andùcas avv. corruz. di edduccas dunque.
aneddhàda s.f. l’atto di arricciare. Dà’ un’aneddhada a cussos
pilos arriccia un po’ […].
aneddhàdu agg. riccio, riccioluto. Gighet sos pilos aneddhados,
pared un’angheleddu ha i capelli ricciuti, sembra un angioletto.
Che ha l’anello al dito. E aneddhadu es puru! duttore èste? ha
l’anello in dito! è forse dottore?
aneddhàre tr. arricciare, arricciolare. S’istat sempre aneddhendhe sos pilos, oras e oras per ore e ore sta arricciolandosi i
capelli. | rifl. arricciarsi, arricciolarsi. Si li sun aneddhados sos
pilos gli si sono arricciolati i capelli.
anéddhu s.m. anello. Aneddhu de s’abbrazzu anello degli sponsali. Aneddhu de isposare fede matrimoniale. Dare, ponner s’aneddhu pigliare in isposa, sposare. Dà’, chi no l’ha dadu (o postu) ancora s’aneddhu! là, là, che non l’ha ancora sposata! Gigher
sa ’ucca che un’aneddhu aver la bocca molto piccola. Gigher su
chintu che un’aneddhu aver la vita da vespa. Che diat minter
(intrare) sa balla in un’aneddhu caccerebbe la palla dentro un
anello, è un abilissimo tiratore. Caru che un’aneddhu caro come
un anello. S’aneddhu meu de oro! l’anello mio d’oro! dicon le
madri ai loro bimbi. Aneddhu cun sa pedra, cun sa gema, cun sa
pèrela anello gemmato. Ligare un’aneddhu cun sa pedra incastonare una gemma nell’anello. | Vale anche ghiera, cerchietto. |
Aneddhos de s’ischina vertebre. | Aneddhu de pilos ricciolo.
anéddotu s.m. aneddoto.
anelàdu agg. (raro) anelato, desiderato, bramato.
anelànte agg. affannoso, ansante.
anelàre intr. anelare, bramare. Anelare a su chelu. Su tiranu /
anelat tenner in manu su nignu (Delogu Ibba). || lat. anhelare.
anèlla s.f. (Ghil.) occhiello.
140
anelósu agg. bramoso. || sp. anheloso.
anélu s.m. anelito, brama, ardore. Cun anelu bramosamente,
ardentemente. Si battizan sas turbas cun anelu (Dore). Disizados … cun anelu (P. Luca). S’ispetu sou e anelu (Delogu Ibba).
|| sp. anhelo.
anemìa s.f. anemia.
anémicu agg. anemico.
anfanèra agg. lusinghevole, seducente. Puddha anfanera gallina bianca. Femina anfanera seduttrice.
anfanéri agg. faceto, giocoso, giovialone.
anfanìa s.f. lusinga, burla; pazzia. Chircain s’occasione de li
fagher s’anfania (Mossa 162).
anfìbbiu agg. anfibio.
anfibbologìa s.f. anfibologia, ambiguità, doppio senso.
anfibbologicamènte avv. anfibologicamente.
anfibbológicu agg. anfibologico.
anfiteàtru s.m. anfiteatro.
’angàle s.m. palato. No arrivire mancu a su ’angale di cibo o
bevanda insufficiente. De custu ’inu no mi ndh’arrivit mancu
a su ’angale questo vino non mi giunge neanche alla gola. Restare a bangale asciuttu. | Giogaia del bove.
angallìtta s.f. calzoppo, piè zoppo. Andhare, giogare a s’angallitta camminare, giocare a piè zoppo.
angallittàre intr. camminare, giocare a piè zoppo.
àngara s.f. matassa.
angarìa s.f. angheria, sopruso, prepotenza, violenza.
angariadòre s.m. vessatore, prepotente, oppressore.
angariàdu agg. angariato, oppresso.
angariaméntu s.m. oppressione, angheria.
angariàre tr. angariare, opprimere, vessare. || b. lat. angariare
(secondo Spano, dal pers. angari corridori, che costringevano
gli altri a correre con loro).
angariósu agg. oppressore, violento, vessatore.
angatùrra s.f. baccello di certe piante, spec. del rafano. || Spano anguis terrae (?!!).
’angàzu s.m. groviglio di spini, di rovi, di pruni. Forcata di
pruni. Pone in sa chijura unu ’angazu ’e prunizza metti nella
siepe una forcatella di prunicce. Grovigliolo, nodo di fili nella
matassa (W.). | In qualche luogo anche matassa (Marghine e
Planargia).
angelicàle agg. angelico. Sos coros angelicales i cori degli angeli.
angelicamènte avv. angelicamente.
angelicànu agg. angelico.
angélicu agg. angelico.
angelòtto s.m. tortello, tortellino, agnellotto, raviolo.
ànghela s.f. di donna bella e buona. Cussa giovana est un’anghela quella giovane è un angelo.
anghelìtta s.f. → ANGALLÌTTA. | dim. di angela. O singulare
anghelitta (Caddeo).
ànghelu s.m. angelo. Anghelu de sa guardia o custodiu l’angelo
custode. Anghelu de sa guardia! esclam. di maraviglia, di stupore. Anghelos de su chelu! esclam. di dolore. In genere sono i
bimbi, specialmente morti. Es sonendhe s’allegria de un’anghelu;
sun fattendhe s’accumpanzamentu de un’anghelu; che sun gittendhe un’anghelu sta sonando il segno del funeralino d’un bimbo;
si fa il funeralino d’un bimbo; portano al cimitero un bimbo
morto. Morrer che anghelu, drommiresi che un’anghelu far la
morte del giusto. Boghe de anghelu, cara de anghelu voce, viso
d’angelo. S’anghelu ’e domo l’angelo della famiglia. Anghelu fora
e demoniu in domo angelo fuori, con gli estranei, e demonio in
casa, coi suoi. Anghelu nieddhu il demonio. Anghelos! si dice ai
bimbi quando si svegliano di soprassalto. Gloria ’e sos anghelos
paradiso. In sa gloria de sos anghelos che siat sia in paradiso, si
dice quando si ricorda un caro morto.
anghelùra s.f. illibatezza, purezza, bellezza angelica.
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anghìna s.f. valloncello.
angiàle s.m. palo cui era legata la catena o la fune che legava
le cavalle all’aia → FUSTELÀRZU, RÓCCU de arzola.
angiàre intr. → ANZÀRE. Anche per → ANGIÀLE.
angiàri s.m. seconda cavalla della trebbiatura. Ponner a angiari legare una cavalla al secondo posto nella trebbiatura.
angìna s.f. angina.
anginósu agg. che soffre l’angina.
anglicanésimu s.m. anglicanesimo.
anglicànu agg. e sost. anglicano.
angóniu s.m. dolore, affanno, tortura, pena.
angràle agg. in età di poter figliare. Mannu e angrale bello e
grande.
angù s.m. vezzo, carezza. Fagher s’angù carezzare. Oe b’ha de
li fagher s’angù! oggi vuol essere proprio carezzato!
angùla s.f. (Ghil.) uovo. Pane de angula pane della Pasqua di
risurrezione.
angulàdu agg. fatto ad angoli, angolato, angoloso.
angulàre agg. angolare.
angularmènte avv. angolarmente.
angùle s.m. giogaia del bove → ’ARGÙLE.
angulósu agg. angoloso.
àngulu s.m. angolo.
angùstia s.f. angustia, pena, oppressione, sofferenza. Dare
angustias procurare sofferenze, tribolazioni. Ponner in angustia affliggere, addolorare. Fizu meu, cun sa vida chi ses fattendhe mi pones in angustia figlio mio, con la tua condotta mi
affliggi. Campare, essere, vivere in angustia vivere in pena, in
afflizione. In rima si fa anche piana: angustìa.
angustiadamènte avv. afflittamente, dolorosamente, tristemente.
angustiàdu agg. addolorato, afflitto, rattristato. Viver angustiadu menar vita triste.
angustiàre tr. affliggere, addolorare, rattristare. Caglia, chi
m’angustias su coro taci, che mi trapassi il cuore. | rifl. rattristarsi, affliggersi, addolorarsi. Daghi l’han fattu su contu s’est
angustiadu all’udire il racconto s’è tutto rattristato.
angustiosamènte avv. dolorosamente, tristemente.
angustiósu agg. afflitto, doloroso, triste. Chi mi lassas angustiosu (A. Delogu).
angùstu agg. (raro) angusto.
ànice s.f. anice, anace → ÀNIS.
ànida s.f. respiro affrettato, affanno, asma.
anidàre intr. respirare affrettatamente, ansimare, ansare.
ànima s.f. anima, spirito, la parte immateriale dell’uomo. Gesùs ha leadu unu corpus e un’anima comente l’hamus nois in su
sinu de Maria Virzine Gesù ha preso un corpo e un’anima come li abbiamo noi nel seno di Maria Vergine. In corpus e in
anima in corpo e anima. Fid isse in corpus e in anima era lui
veramente. | Sostanza spirituale separata dal corpo. Sas animas
de su Purgadoriu, de sos mortos, de sos cundennados le anime del
Purgatorio, dei nostri morti, dei dannati. Sa bon’anima (ass.) si
dice quando si fa menzione di un defunto caro tra i cari che
non si vuol nominare. Si dice anche sa bonanima de… coi nomi di parentela, o anche di persone rispettabili. Sa bon’anima
de babbu, de mamma, de frade meu, de fiza mia, de su mastru,
de su vicariu, de su duttore. Qualche volta è ironico. Sa bonanima de s’aguzinu la bon’anima del carnefice. Anima giusta,
salva di persona morta in grazia di Dio. Anima cundennada di
persona morta fuori della grazia divina. Anima cundennada,
pèrdida, irrazionale, iscellerada, incartada, sentensciada, al fig.
manigoldo, scellerato, bruto, mostro; anche di fanciulli irrequieti, vispi, birichini. | Perder s’anima, cundennaresi s’anima
dannarsi. | Lograre, salvare s’anima salvar l’anima. | Bocchire s’anima uccider l’anima col peccato, con lo scandalo. Cantos
ànima
babbos bocchin s’anima ’e sos fizos cun su mal’ijemplu! quanti
padri uccidono l’anima dei figli col mal esempio! | Incartare,
intregare s’anima a su diaulu dar l’anima al diavolo. Incartare
significa più specialmente stringere patto in iscritto (espresso
da carta) col diavolo. Quindi anima incartada (incaltada) data
al diavolo, che ha stretto patto espresso col diavolo. | Pensare a
s’anima prepararsi alla morte. | Raccumandhare s’anima; dare sa
raccumandhascione de s’anima recitare le preghiere degli agonizzanti. | Lassare, testare pro s’anima lasciare in testamento per
l’anima. Anche dare pro s’anima dare, beneficare i poveri per
l’anima. L’hapas, o gasi l’hapas pro s’anima, in forma di ringraziamento per un bene ricevuto (il bene che mi hai fatto, la
consolazione o contentezza che mi hai procurato, ridondi a
vantaggio dell’anima tua). Pro s’anima! (esclam.): caglia, pro s’anima, chi ndhe ruet su tauladu! taci, per amor di Dio, che casca il soffitto! | Pro s’anima tua, pro s’anima de babbu tou, de sos
mortos tuos, pro cuddh’anima pius cara, modi di implorazione
per indurre a misericordia. Peri s’anima per l’anima, giuramento. | Grascia de s’anima la salvezza eterna. Anima in grascia
anima in grazia di Dio. | Coscienza morale. Anima cotta,
nieddha, pìdiga coscienza cauterizzata, nera. Haer un’anima
avere una coscienza. Si no fit ch’hap’un’anima, dias bider a mie!
se non fosse che ho una coscienza, impareresti a conoscermi!
No haer, no giugher anima esser senz’anima, non aver coscienza, esser senza coscienza. Bae, chi no giughes anima! va là che
sei senza coscienza! Mi’ s’anima! formola di giuramento accompagnata dal gesto d’imposizione della mano al petto. |
Lassare, ponner subra s’anima gravare la coscienza d’una cosa.
Ti lasso subra s’anima chi pustis morte mia fattas milli francos de
lemusina ti lascio come obbligo di coscienza di dare in limosina mille lire dopo la mia morte. Haer subra s’anima aver sulla
coscienza. Cussu mascazzu ha pesos meda subra s’anima quel farabutto ha molti pesi sulla coscienza. Anche per aver sullo stomaco. S’azione chi m’has fattu l’hapo ancora subra s’anima e no
la poto diggirire l’azionaccia che mi hai fatto l’ho ancora sullo
stomaco e non posso mandarla giù. | Giugher s’anima chei su
chiccone, chei su carvone aver la coscienza nera come il carbone, come il tizzone. Toccaresi s’anima giurare. Tòccadi s’anima!
giura! | Anima, per principio del sentimento, e per il sentimento stesso. Cantare, preigare, faeddhare cun anima, cun s’anima cantare, predicare, parlare con l’anima, con sentimento.
Cun tota s’anima, cun tota s’anima mia. Con pregare, amare,
cherrer bene, istimare amare con tutta l’anima, vivamente.
Anima mia, come in it., per esprimere un vivo affetto. Ite cheres, anima mia? che vuoi, anima mia? | Arrivire, andhare a s’anima de unu toccare il cuore, giungere all’anima. | Bogarendhe,
furarendhe s’anima cavar l’anima, rubar l’anima. Cussos teraccos
ndhe li ’ogan (furan) s’anima quei servi gli rubano anche l’anima. | Dare s’anima dar tutto. Daghi lis ha dadu s’anima, l’han
abbandhonadu chei su cane dopo che ha dato loro tutto, l’hanno abbandonato come un cane. | Esser s’anima de unu logu, de
un’affare, de una festa, e simili come in italiano. Esser unu coro
e un’anima. | Anima, semplicemente per vita. Dare s’anima a
Deu morire. Su malaidu ha dadu s’anima a Deu il malato è
spirato. D’un ribaldo si direbbe. Dare s’anima a su diaulu dar
l’anima al diavolo. Giogaresi s’anima giocarsi l’anima. Buttarendhe, reversarendhe s’anima vomitare, recere l’anima. | Persona, abitante. Sa ’iddha ha tremiza animas il villaggio conta tremila anime. Libberu, registru de sas animas stato d’anime.
Cura de animas cura d’anime. Babbu de animas il parroco, il
pastore, il sacerdote. No b’haer anima ’ia non esserci anima viva. Anima peruna nessuno. Anima ’e purgadoriu, anima patendhe o patidora persona che soffre, miserabile, bisognosa.
Anima feroze, crudele (o cudrele) persona cinica, stoica, che soffre senza lamentarsi. Anima simple o ijimple persona semplice,
animàda
ignorante, ingenua. Anima netta bambino. Lassadela, pover’anima netta! lasciatelo, povero bimbo! Anima pura, limpia, onesta
persona proba, innocente, santa. Anima geuna, famida, sedida,
isurida persona digiuna, affamata, assetata, avara. | Coraggio,
ardire. Bastare s’anima.
animàda s.f. l’atto di animare, avvivare, incoraggiare. Si deid
un’animada s’incoraggiò un poco. Dà’ un’animada a cussu fogu avviva un po’ il fuoco. Animadeddha (dim.).
animadamènte avv. animatamente, con foga, con passione.
Faeddhare animadamente.
animadòre agg. e s.m. animatore, incoraggiatore. Est istadu s’animadore de sa masonada è stato l’animatore della compagnia.
animàdu agg. animato, incoraggiato. Festa animada, fogu
animadu. | s.m. essere animato. Fit mer’’e cumandhare ogni
animadu (Dore).
animalàzzu (tz) s.m. pegg. di animale, animalaccio. Est unu
veru animalazzu, chi no paret mancu battijadu è un vero animalaccio, non sembra neanche battezzato. Lassal’istare, animalazzu! lascialo stare, animalaccio!
animàle1 s.m. animale. Sos cristianos ei sos animales gli uomini e le bestie. Viver che animale vivere animalescamente, da
bruti. Auniresi chei sos animales vivere in concubinaggio. Esser
un’animale, chei s’animale esser ignorante, perverso, bruto.
animàle2 agg. (raro) d’animale.
animaléddhu s.m. dim. di animale.
animalèsca (a s’~) avv. animalescamente. Viver a s’animalesca
vivere animalescamente.
animaléscu agg. (raro) di animale, proprio di animale, degno
di animale.
animalidàde s.f. animalità, in cattivo senso. Bi chered a cumprendher tota s’animalidade de cussu tipu ci vuole a comprendere tutta la perversità di quel tipo.
animalìna (a s’~) avv. animalescamente.
animalìnu agg. animalesco, di animale.
animalùzzu (tz) s.m. dim. vezz. di animale, animalino, spec.
degli insetti.
animàre tr. animare, ravvivare, incoraggiare. Animare a su
visciu. | rifl. ravvivarsi, incoraggiarsi, prender animo. Innanti
fin perdendhe, ma poi si sun animados e han bintu prima soccombevano, poi però si sono incoraggiati e han vinto. Sa festa s’est animada a candh’a sera la festa s’è animata verso sera.
animasciòne s.f. animazione, foga, sentimento; risentimento.
M’ha faeddhadu cun animassione mi ha parlato con risentimento, con passione. ▫ animassiòne, animaziòne (tz).
animèddha s.f. dim. di anima, creaturina. Canta pena mi
dat cust’animeddha! (Cossu).
animèddhas s.f. pl. limosine erogate in suffragio dei defunti.
animètta s.f. piccolo bottone d’osso o di madreperla → ALIMÈTTA, LIMÈTTA. Animetta de corporale palla che copre la patena (Ms. Macomer).
animibbéllu agg. dall’anima bella.
animibbiàncu agg. dall’anima candida.
animibbrùttu agg. dall’anima sporca, dalla coscienza sporca.
animicundennàdu agg. anima dannata, perduta.
animidùru agg. duro di cuore, crudele.
animiféu agg. dall’anima brutta.
animinéttu agg. dall’anima limpida, dalla coscienza pulita.
animiscelleràdu agg. scellerato, scapato, monello, birichino.
animosamènte avv. animosamente, arditamente, coraggiosamente, appassionatamente.
animoséddhu agg. arditello, coraggioso.
animosidàde s.f. animosità; odio, livore, rancore; passione.
animósu agg. animoso, ardito, coraggioso; odioso, appassionato.
ànimu s.m. coraggio, ardire; brama, foga; passione. Omine
142
de animu uomo ardito. Leare animu farsi coraggio. Sos fizos
lean animu a su visciu dae sos babbos. Perder animu scoraggiarsi. Perdersi de animu scoraggiarsi. Sun persones chi si perden de
animu pro unu nuddha son persone che si scoraggiano per
ogni nonnulla. Dar’animu dar coraggio, impulso. Sos malos
cumpanzos dan animu a fagher male i cattivi compagni spingono al male. Haer in animu sperare. Hap’in animu de cumprire su tribagliu in tota sa chida spero di compiere il lavoro in
tutta la settimana. Anche per aver l’intenzione. Hap’in animu
de andhare cras a Tàtari ho l’intenzione di andar domani a
Sassari. Bastare, o no bastare s’animu avere o non aver coraggio. No li bastat s’animu de andhare solu addenotte non gli basta l’animo d’uscir fuori solo di notte. Tribagliare, istudiare
cun animu lavorare, studiare con lena. Iscuder, mazare cun
animu ammenare, battere con forza. Faeddhare cun animu
parlare con passione, con rancore.
ànis s.f. anice. Fenuju anis finocchio coltivato → FENUJÀNIS.
anìscu agg. vispo, lieto, leggero, svelto; bramoso, avido;
amante del bel sesso.
anisètta s.f. specie di liquore a base d’anice.
annàda s.f. annata, il corso d’un anno. Annada mala, ’ona cattiva o buona annata, in quanto al raccolto o alle entrate o ai
guadagni. Pro sos segnores es sempre annada ’ona e pro sos poveros
es sempre annada mala per i signori è sempre una buona annata, e per i poveri è sempre una cattiva annata. Annada fritta o
de frittura, calda o de calura, ’entosa o de ’entu, pioana o abbosa
o de abbisciu annata fredda, calda, ventosa, piovosa. Annada ’e
trigu, de fae, de ua ecc. annata prospera per il raccolto del grano, delle fave, per abbondanza d’uva ecc. Annada ’e tilibirche,
de pùlighe, de ruga ecc. annata in cui abbondano le cavallette, le
pulci, i bruchi ecc. Annada ’e famine, de siccagna, de sidis annata di fame, di siccità ecc. Annada de colcorija annata di zucche;
al fig. annata di molte riprovazioni agli esami. Annada ’e cojuos
annata di matrimoni. Annada de mortina triste annata di decessi. Pasca marturina annada ’e mortina quando capita la Pasqua in marzo, le morti son frequenti. Annada ’e faulas annata
di fandonie. Longu chei s’annada mala lungo come la cattiva
annata. | L’entrata, lo stipendio d’un anno. L’hapo antizipadu
un’annada ’e soldu gli ho antecipato un’annata di mercede. In
un’iscutta comporat s’annada (A. Cubeddu). | (prov.) Annada
mala e tintieddhu. S’annada faghet sa biadia la buona annata
porta la contentezza, la pace (biadia). Annada de ’inu, annada
de pagu tinu. Sa die de santu Callistu / candh’est asciutta e bentosa / annada sicca e belosa / candh’est infusta e serena / annada
’ona e piena.
annaemèle s.f. → ANNAEMÙRU.
annaemùru s.f. donnola.
annaentàre tr. e rifl. infastidire, annoiare. Più com. → INNAENTÀRE.
annaéntu s.m. fastidio, noia. Più com. → INNAÉNTU.
annaigàre intr. → INNAIGÀRE.
annàigu s.m. → INNÀIGU1.
annajàda s.f. l’atto di annusare, odorare, fiutare. Dare un’annajada.
annajàdu agg. annusato, fiutato.
annajadùra s.f. l’azione di annusare.
annajàre tr. annusare, odorare, fiutare. Anche al fig. indovinare, prevedere.
annàju1 s.m. l’atto di annusare, fiutare. Più com. al fig. abilità di indovinare, di prevedere. Omine de bon’annaju uomo di
buon naso, che indovina, conosce le persone all’odore.
annàju2 s.m. siepe, riparo, chiusura; pruniccia. Serradu, tancadu, cunzadu a annaju chiuso con siepe.
annàle s.m. anniversario, ricorrenza annuale. Oe giompet
s’annale de su colzu babbu oggi cade l’anniversario della morte
143
del povero babbo. Le cerimonie funebri che si celebrano nell’annua ricorrenza della morte. Es tocchendhe s’annale, sun zelebrendhe sa Missa de s’annale de mamma suonano per l’anniversario, celebrano la Messa dell’anniversario della buon’anima
della mamma. Annale de prima, de sugundha classe funzioni
anniversarie di prima, di seconda classe.
annàles s.m. pl. (t. stor.) annali.
annalìsta s.m. annalista, scrittore di annali.
annànghere tr. aggiungere, congiungere, attaccare, collegare, unire. Annàngher sa coa a su contadu aggiungere le frange,
i commenti al racconto. Annàngher duos foglios attaccare due
fogli. Annangher duos cabos, duas funes legare insieme due capi di filo, due funi.
annànghida s.f. l’atto di aggiungere, congiungere, unire, attaccare. Più com. → ANNÀTTA.
annànghidu agg. aggiunto, congiunto, attaccato, unito. Più
com. → ANNÀTTU.
annanghidùra s.f. l’azione e l’effetto di aggiungere, congiungere ecc. Più com. → ANNATTÙRA.
annànza (tz) s.f. (Barb.) anniversario.
annappàda s.f. l’atto di appannare, offuscare.
annappàdu agg. appannato, offuscato. Ojos [annappados]
occhi offuscati. Anima annappada anima rabbuiata.
annappadùra s.f. offuscamento, appannatura.
annappaméntu s.m. offuscamento.
annappàre tr. e rifl. appannare, offuscare. Custu fumu m’annappat sos ojos questo fumo mi offusca gli occhi. Su frittu had
annappadu sos vidros il freddo ha appannato i vetri. Dai su
tantu piantu mi si sun annappados sos ojos a furia di piangere
mi si sono offuscati gli occhi.
annàppu s.m. offuscamento; inganno. Nel secondo significato più com. → INNÀPPU. Innappu in ojos (haer) non vederci
bene.
annarilàdu agg. di bestia legata al narile (ramo biforcuto incastrato al muro delle mandre).
annarilàre tr. legare le vacche mungane e i vitellini da latte
durante la mungitura.
annarìle agg. addomesticato, ammansito. Bacca annarile
vacca domestica. Anche come sost. Pruh! annarile!
annasàda s.f. fiutata, annusata. Dare un’annasada annusare,
anche al fig. Ha dadu un’annasada a su logu e ha boltadu sas
palas ha annusato un po’ il luogo e ha voltato le spalle.
annasàdu agg. fiutato, odorato, annusato.
annasadùra s.f. l’azione e l’effetto di annusare.
annasàre tr. annusare, fiutare, odorare. Al fig. indovinare,
prevedere.
annaspàbbile agg. che può avvolgersi sul naspo.
annaspàda s.f. l’atto di annaspare o avvolgere sul naspo.
annaspàdu agg. avvolto sul naspo.
annaspadùra s.f. avvolgimento sul naspo.
annaspàre tr. avvolgere sul naspo per formare la matassa. ||
da naspa.
annàsu annàsu avv. nella frase andhare annasu annasu andar annusando (W.).
annàtta s.f. aggiunta. Al fig. frangia, commento. Fagher o
ponner s’annatta a unu fattu aggiungere le frange, la coda, il
commento a un fatto. Sa sustanzia già es cussa, ma b’has postu
s’annatta la sostanza è quella, ma hai aggiunto le frange. A
parte mala e annatta (o aggianta) per soprassello. A parte mala e annatta mi l’ha mandhadu a domo cussu muzzigone! per
soprassello me l’ha mandato a casa quel tanghero! Pro annatta per soprappiù. | Congiuntura, punto ove una cosa si congiunge con l’altra. S’annatta est inoghe la congiuntura è qua.
annattàbbile agg. che si può aggiungere o congiungere.
annattàda s.f. l’atto di aggiungere o congiungere.
annéu
annattàre tr. aggiungere, congiungere, attaccare, unire, rannodare.
annàttu agg. aggiunto, congiunto, attaccato, rannodato.
annattùra s.f. aggiunta; frangia, coda, commento. Su fundhamentu b’est, su restu es totu annattura il fondamento c’è, il
resto son tutte frange. Petta de annattura, anche al fig. per gli
affini. | Congiuntura, punto ove una cosa si congiunge con
l’altra. S’es segada in s’annattura s’è strappata sul punto di congiunzione.
anneàdu agg. infastidito, rannuvolato, rattristato, afflitto.
anneàre tr. infastidire, rattristare, addolorare. Caglia, chi
m’anneas taci, che mi rattristi. | rifl. rannuvolarsi, rattristarsi,
addolorarsi.
annebbiàda s.f. l’atto di sdegnarsi, crucciarsi. Daresi un’annebbiada sdegnarsi, adirarsi.
annebbiàdu agg. adirato, sdegnato, crucciato.
annebbiàre tr. e rifl. sdegnare, crucciare, addolorare.
annébbiu s.m. cruccio, sdegno, ira.
annecciàdu agg. macchiato, bacato, guasto, magagnato. Ojos
annecciados.
annecciadùra s.f. l’azione e l’effetto di macchiare, bacare,
guastare.
annecciàre tr. e rifl. macchiare, bacare, guastare. || da neccia
macchia, magagna.
annegàdu agg. annegato. Anche sost. Sos annegados ndhe los
han battidos in carru dai su riu han portato in carro dal rio gli
annegati. | Anche soffocato.
annegadùra s.f. l’atto e l’effetto di annegare. Sunu mortos de
annegadura son morti annegati. Anche per soffocazione.
annegaméntu s.m. annegamento e soffocamento.
annegàre tr. annegare, affogare. Annegare de lagrimas irrigare
di lacrime. O de lagrimas luego bos annego (Pisurzi). | Anche
per soffocare. Custu fumu m’est anneghendhe questo fumo mi
sta soffocando. | Anche intr. ass. Inoghe si ch’annègat dai su
peuer qui si soffoca dalla polvere.
annégu s.m. annegamento o soffocamento. Più com. al fig.
ambascia, affanno, tristezza grave.
annelviàdu agg. scervellato, che ha l’argento vivo, i nervi
scossi, irritati. Annelviadu dai su giogu. ▫ annerviàdu.
annelviàre rifl. irritarsi, seccarsi, perder la bussola. A cussa
vista mi so annerviadu a quella vista ho perduto la calma. No
mi fattas annerviare non farmi perdere la bussola. ▫ annerviàre.
annessalzàre tr. pescare al rio con le nasse. ▫ annessarzàre.
Anche nessàrzu.
annessàrzu s.m. stallone.
annessiòne s.f. annessione.
annéssu agg. annesso, connesso.
annestràda s.f. l’atto di addestrare.
annestràdu agg. addestrato. Est istadu ben’annestradu dai sa
mama, e had ischidu bene rispondhere è stato ben imboccato
dalla madre e ha saputo risponder bene. Per lo più in cattivo
senso. Male annestradu mal consigliato, male avviato.
annestraméntu s.m. addestramento, avviamento, guida.
annestràre tr. addestrare, educare, consigliare, avvezzare; anche al male. Su babbu ladru annestrat sos fizos a furare il padre
ladro addestra i figli al furto. Annestrar’’ene (iron.) addestrare
al male. Dali a fizos tuos, chi già ti los annestrat bene! affidagli
pure i tuoi figlioli, che te li educa bene!
annettàre tr. pulire. E cominzana totu annetta e friga (Capece).
annèttere tr. annettere. Più com. → ATTACCÀRE. Ite b’annettis a cue? cosa ci vuoi attaccare? Al fig.
annéu s.m. fastidio, noia; tristezza; cruccio. Viver in anneos
vivere in affanno, tra gli affanni. Dogni male suffridu e dogni
anneu (Mele).
anneulàda
anneulàda s.f. l’atto di rannuvolarsi. Su chelu s’ha dadu un’anneulada ma no ha piòppidu il cielo s’è un po’ rannuvolato ma
non è piovuto.
anneulàdu agg. rannuvolato, nuvoloso, nebbioso. Su chelu
est unu pagu anneuladu il cielo è un po’ nuvoloso. Sa punta ’e
su monte est anneulada nebbiosa. | Golpato, di grano. | Stranito, annebbiato, sconvolto, di cervello o capo.
anneuladùra s.f. l’atto di rannuvolarsi.
anneulaméntu s.m. rannuvolamento.
anneulàre rifl. rannuvolarsi, d’aria, di cielo. Guastarsi della
golpe, detto di grano. Sconvolgersi, stranirsi, detto di cervello.
annéulu s.m. rannuvolamento. Al fig. offuscamento, cruccio, sdegno. In s’anneulu ’e cara istudiada (Barbaricinu).
anniàdu agg. nevoso. Più com. → NIÀDU.
anniàre intr. nevicare. Più com. → NIÀRE. | tr. annoiare, infastidire. Dogni ranzèna m’anniat (Puddhighinu).
anniccàda s.f. l’atto di adirarsi. S’ha fattu un’anniccada! s’è
adirato molto!
anniccàdu agg. sdegnato, imbronciato, adirato.
anniccadùra s.f. sdegno, broncio, ira. Sa mia no est anniccadura, es dispiaghere non sento rancore, ma dispiacere.
anniccajólu agg. facile all’ira, zolfino. Lassalu cussu, ch’est
un’anniccajolu scansalo, colui, è un zolfino.
anniccàre tr. crucciare. No m’annicches, fizu meu, mi’ chi leas
(coglis) non crucciarmi, figlio mio, bada che le prendi! | rifl.
sdegnarsi, adirarsi. L’hapo fattu una burula e luego s’est anniccadu gli ho fatto uno scherzo e subito s’è adirato. A chie s’anniccat frasca (o corrìa) per lados chi s’adira venga sotterrato fra
le frasche come gli uccisi, o venga flagellato.
annicchelàda, -adu, -amentu, -are → ANNICCHILÀDA ecc.
Bidendhe sa calunnia annicchelada (P. Luca).
annicchilàda s.f. l’atto di annientare.
annicchilàdu agg. annichilato, annientato, umiliato. Ded
esser a sa morte annicchiladu (P. Luca).
annicchilaméntu s.m. annientamento, umiliazione.
annicchilàre tr. annichilare, annientare, atterrare, umiliare.
Cun sos reziros pro m’annicchilare (P. Cherchi). Iefte sos Amorreos annicchilat (Dore).
annicchilìre tr. annichilire.
annìcchis avv. niente, a niente, per niente. No baler, servire
annicchis non valer nulla, non esser buono a far nulla. Cussu
giovanu no balet (no servid) annicchis quel giovane non vale
nulla, non è buono a nulla.
annicrìnu agg. (Nuoro) di terreno in riposo per un anno →
ANNIJÌNU. || sp. añojal.
annidàdu agg. annidato, ricoverato. Est annidadu in cussa
domo e no che lu ’ògana manc’a fuste s’è ricoverato in quella
casa e non lo cacciano neppure a bastonate. S’istercu de una
rundhine annidada (Dore).
annidaméntu s.m. l’azione di annidarsi, ricoverarsi.
annidàre rifl. annidarsi, ricoverarsi; rinchiudersi. Daghi si
ch’annidad in cantina, bae e chircalu! quando si rinchiude nella cantina, va e trovalo! Ite m’importat chi annida / unu coro
in pettus vivu? (An.).
annieddhigàda s.f. l’atto d’annerire, imbrunire. L’ha dadu
una bona annieddhigada cun sa tinta, ma ancora no es nieddhu ’ene l’ha ben imbrunito, ma non è ancora ben nero.
annieddhigàdu agg. annerito, imbrunito. Cara annieddhigada volto fuligginoso.
annieddhigadùra s.f. annerimento.
annieddhigaméntu s.m. annerimento.
annieddhigàre tr. annerire, imbrunire, abbronzare. Più com.
→ INNIEDDHIGÀRE.
annientàda s.f. l’atto di annientare.
annientàdu agg. annientato, abbattuto, umiliato.
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annientaméntu s.m. annientamento, abbattimento, umiliazione.
annientàre tr. annientare, abbattere, prostrare, umiliare. Cussos viscios e burruscios annientan sas familias questi vizi e queste
prodigalità rovinano le famiglie. | rifl. umiliarsi, rovinarsi. Cun
cuss’azione indigna s’est annientadu con quell’indegna azione s’è
rovinato.
annigósu agg. di terreno che non rende ogni anno → MENTÓSU.
annigràda s.f. l’atto di nitrire, nitrito. Su caddhu no l’hapo
’idu, ma hap’intesu s’annigrada ch’ha fattu il cavallo non l’ho
visto, ma ho udito il nitrito.
annigràre intr. nitrire. Più com. innijàre, ninnijàre.
annigràrzu agg. di terreno che riposa un anno.
annigridàre intr. nitrire.
annìgridu s.m. nitrito → INNÌJU, NINNÌJU, inninnìju.
annigrìnu agg. di terra che riposa un anno → ANNIJÌNU.
annìgru s.m. bestia di un anno → ANNÌJU.
annìja s.f. femmina di un anno; sopranna.
annijàlzu agg. → ANNIJÀRZU.
annijàre intr. nitrire → INNIJÀRE, ninnijàre.
annijàrzu agg. di femmina che figlia e dà il latte due anni
di seguito. Bacca, ’arveghe, craba annijarza.
annìjidu s.m. nitrito.
annijìnu agg. di un anno. Fiadu annijinu bestia d’un anno.
Latte annijinu latte di femmina che lo dà da più d’un anno.
Terras annijinas terre che riposano da anni.
annìju s.m. sopranno, bestia di un anno. Anniju ’arveghinu,
crabinu, porchinu, caddhinu pecora, capra, porco, cavallo di
un anno. || lat. anniculus.
annìle s.m. mandra degli agnelli. || lat. agnile.
annìnna s.f. (voc. puer.) sonno, riposo. Bae anninna, fizitta
va a dormire, figlietta. Drommire anninna dormire, riposare.
anninnàre tr. ninnare. Anninnia anninnare ritornello di
ninnananna popolare.
anninnìa s.f. ninnannanna, anche culla. Andhare anninnia, a
s’anninnia andare a dormire. Corcaresi in s’anninnia coricarsi
nella culla. Piagher s’anninnia covare il letto, amare troppo il riposo, esser dormiglione. Est unu chi li piaghet troppu s’anninnia
è uno che cova troppo il letto. Cantare s’anninnia cantar la ninnannanna, in cattivo senso cantarla chiara, rimproverare, vituperare. Si bi ’enzo, già ti la canto deo s’anninnia! se ci vengo, te
la canto! Ritornello delle ninnennanne. Anninnia anninnia.
anninnijàre intr. nitrire.
anninnò Cantendhe noroninni e anninnò (Pis).
annistìa s.f. amnistia, perdono. Oe es die de annistia oggi è
giorno di perdono. || gr. (amnestéia) ajmnhsteiva.
annistiàdu agg. e sost. amnistiato. Oe sun bennidos dai presone
sos annistiados oggi son tornati dalla prigione gli amnistiati.
annistiàre tr. amnistiare, perdonare. || gr. (ámnemi) a[mnhmi.
anniversàriu agg. e sost. anniversario. Anniversariu de sa vittoria anniversario della vittoria. | Più spec. per l’ufizio funebre che si celebra nell’annua ricorrenza della morte. Oe faghen s’anniversariu de su sindhigu oggi celebrano l’anniversario
del sindaco. Missa de anniversariu messa d’anniversario.
annò? partic. interrog. vero? Oe es mercuris, annò? oggi è mercoldì, vero? | Abbreviazione di annòta guarda, osserva, gua’, ve’.
Annò ite bellu ch’es custu fiore guarda com’è bello questo fiore.
annoàda s.f. l’atto di rinnovellare o germogliare o rinverdire.
annoàdu agg. rinnovellato; germogliato, in germoglio; rinverdito.
annoadùra s.f. germoglio, rampollo; rinverdimento. Annoadura ’e sas piantas.
annoàre tr. rinnovellare, rimettere a nuovo. Sos fiados annoan su pilu le bestie cangiano il pelo. Sas piantas annoan sas
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fozas le piante rimetton le foglie. Sos omines annoan sas dentes
gli uomini rimettono i denti. | rifl. rinnovellarsi. Più com.
intr. ass. Sas piantas annoan le piante si rinnovellano, germogliano, rinverdiscono. Anche al fig. Crês tue chi m’annoan sas
dies? credi che mi si rinnovellan gli anni?
annodàda s.f. l’atto di annodare, rannodare o ricongiungere.
annodàdu agg. annodato, rannodato, ricongiunto.
annodadùra s.f. l’azione e l’effetto di annodare. Annodatura, punto ove una cosa è annodata o congiunta con un’altra.
annodaméntu s.m. rannodamento, congiungimento, annodatura.
annodàre tr. annodare, rannodare, congiungere. Annoda ’ene
sos cabos annoda bene i fili. | Annodare a mortu o a nodu mortu annodare senza cappi. Al fig. stipulare un contratto inscindibile. Eris hamus annodadu a nodu mortu, no si podet pius
furriare ieri ci siamo accordati definitivamente, non si può più
tornare indietro. | rifl. aggrovigliarsi, invilupparsi. Custu filu
s’est totu annodadu questo filo s’è tutto aggrovigliato. Ricongiungersi, di frattura o rottura d’ossa. In quest’ultimo significato si adopera più comunemente l’intr. ass. Su brazzu truncadu no had ancora annodadu ’ene il braccio rotto non si è
ancora ricongiunto bene.
annodidàdu agg. → ANNODITTÀDU.
annodischeddhàdu agg. pieno di piccoli nodi; annodato a
piccoli nodi. Che ha molti nodi, di legno.
annodischeddhàre tr. legare con piccoli nodi.
annodittàdu agg. ben noto, ben distinto, ben conosciuto,
ben determinato. Custas sun dies annodittadas questi son giorni ben determinati, distinti. Sendhe lizu annodittadu (Delogu
Ibba). Su rampu bellu annodittadu / cun cuddhas rosas de
grandhe tenore (Cabras).
annodittàre tr. segnare, marcare, distinguere, discernere. Tra
totu sos cumpagnos han annodittadu a isse tra tutti i compagni
han segnato a dito lui.
annódu s.m. annodatura, congiuntura. Cust’ossu ha fattu
’ene s’annodu quest’osso (rotto) s’è ben ricongiunto.
annoellàdu agg. rinnovellato, germogliato, rampollato, rinverdito.
annoellàre tr. rinnovellare, germogliare, rinverdire → ANNOÀRE.
annogradórzu s.m. giuntura.
annogràdu agg. ricongiunto, di ossa rotte.
annogràre rifl. ricongiungersi, di ossa rotte.
annojadólzu s.m. giuntura.
annojàdu agg. → ANNOGRÀDU. Annoiato, infastidito.
annojadùra s.f. giuntura, nodo. Ricongiungimento d’ossa
rotte.
annojaméntu s.m. ricongiungimento d’ossa spezzate.
annojàre tr. annoiare, infastidire. Custa vida m’annojat troppu
questa vita mi annoia troppo. | rifl. annoiarsi. In custu logu solitariu m’annoio in questa solitudine m’annoio. | Rannodarsi,
ricongiungersi, di ossa rotte o di rami stroncati. Altrove → ANNUJÀRE.
annóju s.m. ricongiungimento, rannodamento. Dispetto,
picca. Cun rabbia e annoju bi lis depo cantare a ficca in s’oju
(Pisurzi).
annomenténtu avv. nominatamente → ALLUMENTÉNTU.
annòna s.f. annona.
annonàriu agg. annonario.
annórios s.m. pl. nella frase annos e annorios anni e anni.
annosidàde s.f. l’essere annoso; vecchiezza.
annósigu agg. capriccioso, strano → MENTÓSIGU.
annósu agg. annoso, vecchio, attempato. Incontrad a Isaccu
bezzu e annosu.
annotàbbile agg. che si può vedere, distinguere, discernere.
ànnu
Da’ inoghe sa domo no est annotabbile da qui la casa non si
può vedere. Como l’has bidu pius annotabbile (Murenu).
annotadòre s.m. che prende nota, annotatore. Che vede bene e discerne facilmente le cose lontane.
annotàdu agg. ravvisato, distinto.
annotadùra s.f. l’atto di notare; nota, appunto.
annotaméntu s.m. annotazione.
annotàre tr. annotare, notare; registrare, allibrare. Annota custas vaccas nota queste vacche. | Vedere, scorgere, discernere.
Annotesi in su campu duos omines vidi sul campo due uomini. |
In questo senso si usa anche l’intr. ass. Oe no annoto annuddha
oggi non vedo affatto. No annotas? non ci vedi? | Annota! guarda! vedi! | rifl. Annotaresi mettersi in istrada, rendersi noto.
annotasciòne s.f. annotazione, postilla, registrazione. ▫ annotassiòne, annotaziòne (tz).
annótu s.m. indizio. Connoscher a s’annotu conoscere agli indizi. Caminare, viaggiare a s’annotu camminare per via d’indizi.
annóu1 s.m. rinnovamento, rifacimento, riparazione. S’annou de sas domos m’es costadu milli iscudos il rifacimento delle
case m’è costato mille scudi. Annou de sas piantas germoglio,
novellame.
annóu2 avv. di nuovo, a nuovo; la prima volta. Postu annou
di abito indossato la prima volta. Di persona che veste abiti
nuovi. Fin totu postos annou vestivan tutti abiti di festa. Benner annou a unu logu venir la prima volta. No so ’enzendhe
annou! non vengo mica la prima volta! Acconzare annou rimettere a nuovo. Cust’istagnale pared acconzadu annou questa
secchia pare rimessa a nuovo.
annozàdu agg. → ANNUZÀDU.
annozàre tr. e rifl. → ANNUZÀRE. Sansone pius s’aìrad e s’annozat (Dore 62. 1).
annózu s.m. → ANNÙZU.
ànnu s.m. anno. Annu solare, lunare, ecclesiasticu, finanziariu.
Annu santu, giubbilare o de su giubbileu. | Anche per annata.
Un’annu ’e paga, de soldu. S’annu de sa gherra, de su famine, de
sa siccagna. | Spazio lungo di tempo. Un’annu ses promittendhe
de mi fagher una visita! da quanto tempo mi vai promettendo
una visita! S’annu presente (ocannu). S’annu passadu l’anno corrente, l’anno passato. S’annu chi ’enit, un’ater’annu o a s’ater’annu l’anno venturo. S’annu pustis l’anno dopo, seguente. | Intro
s’annu entro l’anno. | A s’annu, o in s’annu all’anno. Una ’olta a
s’annu o in s’annu una volta all’anno, rarissimamente. | Annu
cun annu per tutto l’anno. | Un’annu cun s’ateru in media annuale. | Totos doighi meses de s’annu tredici mesi dell’anno, sempre. | No est un’annu, no est ancora un’annu non è l’anno, non è
ancora passato un anno. Un’annu pijadu un anno intero. Com’es s’annu, un’annu a como, un’annu faghet un anno fa. | Dai
annu in annu d’anno in anno, anno per anno. | Chent’annos,
mill’annos, annos e annorios cent’anni, mille anni, anni e anni. |
A chent’annos! a molti anni! Si usa anche come sost. Dare sos acchentannos far gli auguri. | Bezzu de chent’annos vecchione. | Sos
primos annos, sos annos de sa pizzinnia o de sa piseddhidade, de
sa giuventura, de s’edade cumprida, de sa ’ezzesa l’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza, l’età matura, la vecchiaia. Annos sighidos
anni di seguito. Bi so istadu degh’annos sighidos ci son stato dieci
anni di seguito. | Haer sos annos suos essere attempato. Naras
ch’es piseddha: caglia, ch’ha sos annos suos! dici ch’è giovinetta: taci, che ha i suoi anni. | Haer sos annos de Matusalemme aver gli
anni di Matusalem. | Cumprire, giomper sos annos finire, compire gli anni. Oe cumprit sos annos sa mere e b’hamus festa oggi
è il compleanno della padrona e facciamo festa. Finire sos annos morire. Leare sos annos cominciare. | Imprestare sos annos
dispensare sugli anni, nelle ordinazioni sacre. Ha nadu sa prima missa a vintitres annos, duos bi los han imprestados ha detto
la prima Messa a ventitré anni, gliene han dispensato due. |
annuàda
Impreare bene s’annu impiegar bene il tempo. | Perder s’annu perder l’anno. | Passare sos annos passar la vita. | Cabu ’e annu (cabuannu) capo d’anno. Fagher su cabuannu in unu logu passare
il capo d’anno. Ha fattu su cabuannu in Casteddhu ha passato il
capo d’anno a Cagliari. A cuminzu, a prinzipiu ’e annu al principio dell’anno. | A fin’’e annu alla fine dell’anno. A fin’’e annu
t’hap’a pagare ti pagherò alla fin dell’anno. | A fin’’e annos dopo
molti anni. A fin’’e annos l’hapo ’idu l’ho visto dopo molti anni. |
Cun s’andhar’’e sos annos col correre degli anni. | Parrer chent’annos, mill’annos sapere, parer mill’anni. | (prov.) Annu nou, vida
noa. Sos annos si contan a sos àinos. Sos annos passan e niunu si
ndh’abbizat. Inter sos dannos ei sos annos sa persona s’isfrasciat.
Un’annu e unu pane pagh’istan a che passare (pagu durat).
annuàda s.f. l’atto di rannuvolarsi. Su chelu s’ha dadu un’annuada il cielo s’è un po’ rannuvolato.
annuàdu agg. rannuvolato, nuvoloso. Chelu annuadu cielo
nuvoloso. Cara annuada faccia rannuvolata.
annuadùra s.f. rannuvolamento, nuvolo.
annuàle agg. annuale, anno.
annualidàde s.f. stipendio, mercede, entrata annuale.
annualmènte avv. ogni anno, annualmente.
annuàre tr. e rifl. Totu custu fumu annuat su chelu tutto questo fumo annuvola il cielo. S’aèra s’es tota annuada l’aria s’è
tutta rannuvolata. Al fig. rannuvolarsi, rattristarsi. A su currèggiu s’annuat si rannuvola alla minima correzione.
annuàriu s.m. annuario, calendario.
annuènte agg. annuente.
annuénzia (tz) s.f. annuenza, consentimento.
annuìdu agg. annuito.
annuìre intr. annuire, acconsentire.
annujàre tr. e rifl. → ANNOGRÀRE, ANNOJÀRE.
annullàbbile agg. che si può o si deve annullare. Cuntrattu,
attu, testamentu annullabbile contratto, atto, testamento che
si può o si deve annullare.
annullàdu agg. annullato, abrogato. Legge annullada legge
abrogata.
annullaméntu s.m. annullamento, abrogazione.
annullàre tr. annullare, abolire, abrogare, invalidare. Han annulladu su testamentu de su tiu hanno annullato il testamento
dello zio. Annullare una sentenzia annullare una sentenza.
annullatìvu agg. → ANNULLATÓRIU.
annullatóriu agg. annullativo. Decretu annullatoriu decreto
che annulla, annullativo.
annumenténtu avv. nominatamente → ALLUMENTÉNTU.
annunziàda (tz) s.f. l’atto di annunziare, annunzio. S’annunziada de s’anghelu l’annuncio dell’angelo. S’Annunziada la SS.
Annunziata e anche la festa dell’Annunziazione. Babbu ’enid
a s’Annunziada il babbo verrà per la festa dell’Annunziata.
annunziadòre (tz) s.m. annunziatore. S’anghelu annunziadore Gabriele.
annunziàdu (tz) agg. annunziato; previsto, profetizzato. Es
vennida s’annada mala annunziada è venuta la cattiva annata
prevista.
annunziadùra (tz) s.f. annunzio, previsione.
annunziaméntu (tz) s.m. avviso, annunzio.
annunziàre (tz) tr. annunziare; prevedere; predire, presagire.
Sa ’ennida de sas rundhines annunziat su ’eranu la venuta delle
rondini annunzia la primavera. Custa littera m’annunziat sa
’ennida de su piscamu questa lettera m’annunzia la venuta del
Vescovo. | Annunziare sa paraula de Deu predicare la parola
di Dio. | Anche della persona. A Maria, e l’ha fatta annunziare (Dore).
annunziassiòne (tz) s.f. annunziazione; l’annunzio dell’Angelo a Maria. La festa che commemora tal avvenimento, 25
marzo. ▫ annunziaziòne (tz-tz).
146
annùnziu (tz) s.m. annunzio, avviso, presagio, augurio. Hap’hapidu unu malu annunziu, es mortu s’amigu ho ricevuto una
cattiva notizia, è morto l’amico. Ha cantadu s’istria, cust’est
unu malu annunziu ha cantato il gufo, questo è un cattivo
presagio. Dicevano i superstiziosi: pace all’anima loro. Annunziu de gherra presagio, pronostico di guerra. Dare annunziu,
rezire annunziu dare, ricevere annunzio.
annusàda s.f. l’atto di annusare, fiutare; annusata.
annusàdu agg. odorato, fiutato.
annusadùra s.f. annusata, annuso.
annusàre tr. annusare, odorare, fiutare. Al fig. indovinare,
prevedere.
annuscàda s.f. annusata.
annuscàdu agg. annusato.
annuscadùra s.f. annusata.
annuscàre tr. annusare, fiutare.
annuzadìttu agg. facile al broncio, che per nulla nulla si sdegna.
annuzàdu agg. sdegnato, imbroncito, adirato.
annuzadùra s.f. broncio, sdegno. Daghi li passat s’annuzadura quando gli passa lo sdegno, gli sbollisce l’ira.
annuzàre tr. e rifl. sdegnare, incollerire, adirare.
annùzu s.m. sdegno, broncio, collera, ira. It’es s’annuzu chi
tenes? ite t’hapo fattu? perché sei sdegnato contro di me? che
cosa t’ho fatto? Lassami s’annuzu smetti lo sdegno. | Esser in
annuzu o annuzu essere in discordia. Sas duas familias sun
annuzu le due famiglie sono in discordia.
anò! interiez. sù, orsù, andiamo! → ALÒ! || fr. allons.
anói interiez. → ANÒ.
anomalìa s.f. anomalia, irregolarità.
anòmalu agg. anomalo, irregolare.
anónima s.f. lettera anonima. Ha rezidu un’anonima e ha
fattu milli suspettos ha ricevuto una lettera anonima e ha fatto
mille sospetti.
anónimu agg. anonimo. Recursu anonimu, littera anonima.
Sos solitos viles l’han fattu unu recursu anonimu i soliti vili gli
han fatto un ricorso anonimo. | Anche in forma di sost. coloro che fanno scritture anonime contro gli altri. Deus nos bardet dai sos anonimos Iddio ci liberi dagli anonimi. No timo sos
anonimos non temo gli anonimi.
anormàle agg. anormale, irregolare.
anormalidàde s.f. anormalità, irregolarità.
anotomìa s.f. anatomia → NOTOMÌA.
ànsa s.f. sete. Sos mandhigos salidos ponen ansa i cibi salati
producono molta sete. | Baldanza. Lear’ansa imbaldanzire. Si
lis allenas su frenu, sos fizos lean ansa se allenti loro il freno, i
figli imbaldanziscono. Dare ansa incoraggiare. Sa legge mala
dad ansa a sos birbantes le cattive leggi incoraggiscono i bricconi. | (raro) affanno, difficoltà di respiro.
ansànte agg. ansante, che respira con affanno.
ansciànu agg. corruz. di anzianu, anziano, vecchio.
ànsia s.f. ansia; brama. Angoscia. Ansia mala indisposizione di
stomaco, voglia di rivedere. Ansias de morte angoscia mortale.
ansiàre rifl. ansare, affliggersi, rattristarsi, impensierire.
ansìdu agg. assetato. Bramoso (fig.). So arrividu a sa punta tot’ansidu sono arrivato alla cima che bruciavo per la sete. Che
corvu ansidu come corvo bramoso.
ansiedàde s.f. ansietà, bramosia. Affanno, pena. Viver in ansiedade viver tra gli affanni.
ansìle s.m. martora → ’ASSÌLE.
ansiosamènte avv. ansiosamente; con brama; tristemente.
ansiósu agg. ansioso, bramoso; affannoso. So ansiosu de
ischire coment’andhad a parare sono ansioso di sapere come
andrà a finire.
ansùra s.f. sete ardente. So brujendhe dai s’ansura brucio di sete.
147
ànta1 s.f. riparo, ridosso, ricovero, difesa, protezione. Anta ’e
muru, de chijura riparo del muro, di siepe. Anta d’’entone falda, ala della camicia. Anta de furru parte anteriore del forno,
bocca del forno. Di, o puzò, a t’istas a un’anta! (Cossu 70). Anta de ’inza siepe o primo filare della vigna. Anta ramo a vari
rebbi, a cui si appendevano nelle case rustiche i vari oggetti o
attrezzi agricoli o pastorali → ISTÀNTE, FURCÀLZU. Haer unu
in anta, o a s’anta aver uno propizio. | Difesa. Anta ’e ladros, de
birbantes, de bandhidos protettore dei bricconi. | Dare, fagher
anta dar ragione, proteggere. | Leare anta imbaldanzirsi. | Esser
anta esser difesa. Cussu fizu es s’anta de sa familia quel figlio è il
puntello della famiglia. S’anta de sa parentela, de sa ’iddha la
difesa della parentela, del villaggio. Pro sos cristianos anta difesa
dei cristiani (Delogu Ibba). || sp. anta.
ànta2 desinenza, come in italiano, dei numeri dal 40 al 90.
Quindi si dice: arrivare, giompere a sos anta raggiungere gli
anta. Leare sos anta incominciare gli anta. Essere in sos anta
essere agli anta, e simili.
’antadìttu agg. millantatore, vanerello → BANTADÌTTU.
’antadòre agg. vantatore, vanaglorioso.
antagonìsmu s.m. antagonismo, contrasto. || gr. (antagónismos) ajntagwvnismoı.
antagonìsta s.m. antagonista, avversario. || gr. (antagonistés)
ajntagwnisthvı.
àntala s.f. ragione, protezione, difesa. Dare antala dar ragione. Tue das sempre antala a chi’ ha tortu tu dai sempre ragione
a chi ha torto. | Fagher antala difendere, proteggere. Iscuru a
chie faghed antala a sos malos guai a chi protegge i birbanti.
antàle s.m. parte anteriore di checchessia.
’antàle s.m. dentale dell’aratro di legno. Tronco appuntito
in avanti, in cui s’infila il vomere → ARÀDU2.
antalèddha s.f. (Orosei) grembiule.
antalèna s.f. (Marghine) grembiule. ▫ antalène → FÀLDA,
FRÀNDHA, sodàle, saùcciu, CHÌNTA, devantàle.
antalìre s.m. spigolo, canto. Stipite → CANTARÌLE.
’antàre tr. e rifl. vantare. No es pro mi ’antare, no lu fatto pro
mi ’antare non lo dico per vanto. Como cheres a ti ’antare
adesso vuoi pavoneggiarti. Chie si ’antat male si sentit chi si
loda s’imbroda. Ogni ortulanu si ’antat sa chibuddha sua ogni
ortolano loda le proprie cipolle, ognuno decanta i propri meriti. Chie mi ’antat m’isprejat chi mi vanta mi sprezza.
antarèlla s.f. (Busachi) grembiule.
antarìle s.m. → ANTALÌRE.
antàrticu agg. antartico.
antavaggiàre tr. vantare, lodare.
antavàggiu s.m. vanto, lode. | Baldanza. | Vantaggio, utilità.
’antàzu s.m. battacchio o battaglio. Campanaccio → ’ATTÀZU,
BATTÀZU.
ànte prep. (voc. ant.) prima. Ante de nois, ante aurora prima di
noi, prima dell’aurora (Mss. antichi). | sost. → COÉRU. || sp. ante.
antecedènte e deriv. → ANTEZEDÈNTE e deriv.
antèddha s.f. pezzo di cuoio che si lega avanti alle capre
(W.). Grembiule (Nuoro).
anteddhàre tr. legare le capre con l’ → ANTÈDDHA perché
non saltino i muri.
antedìttu agg. anzidetto, sopraddetto (form. not.).
àntela s.f. (Siniscola) grembiule.
antelucànu agg. antelucano.
antemuràle s.m. antemurale, riparo.
antenàdu s.m. antenato. Sos antenados gli antenati, i maggiori. Ah sun sas gioias de sos antenados (Cossu 68).
antènna s.f. antenna.
antepònnere tr. anteporre, preferire.
anteposiziòne (tz) s.f. preferenza.
antepóstu agg. anteposto, preferito.
antidiluviànu
anteriòre agg. anteriore.
anterioridàde s.f. anteriorità.
anteriormènte avv. anteriormente.
antesignànu s.m. antesignano, alfiere, portabandiera. Capo,
guida, condottiero. Gloriosu antesignanu / de sa zeleste milizia
(S. Michele) (Laudi antiche). O invittu antesignanu de s’esercitu valente (Gos. di S. Stefano protomartire). [La prima citazione occorre nel manoscritto nella forma: Gloriosu antesignanu
(Laudi antiche) De sa zeleste milizia (S. Michele). Lo scritto
presenta una linea orizzontale di cancellatura.]
antezedènte (tz) agg. antecedente, precedente.
antezedentemènte (tz) avv. precedentemente.
antezedénzia (tz-tz) s.f. antecedenza, precedenza.
antezèdere (tz) tr. antecedere, precedere.
antezessòre (tz) s.m. antecessore, predecessore. Sos antezessores nostros i nostri maggiori, i nostri antenati.
àntia prep. e avv. vicino, in procinto. In antias de ndhe ruere lì
lì per cadere. Esser in antias essere in dubbio.
antiànnu avv. l’anno scorso. || sp. antaño.
antibizzàda (tz) s.f. l’atto di antecipare, aumentare, progredire, anticipo, aumento, progresso. Già l’ha fatta s’antizipada! l’ha fatto il bell’antecipo, il bell’aumento, il bel progresso
[→ ANTIZIPÀDA].
antibizzàdu (tz) agg. anticipato; aumentato, migliorato. In
antecipo, di orologio. Custu rellozu es sempre antibizzadu quest’orologio va sempre in antecipo. Summas antibizzadas somme antecipate. Benes antibizzados beni aumentati, migliorati.
antibizzàre (tz) tr. anticipare. Antibizzami unu mese de paga
antecipami un mese di paga. Di patrimonio, accrescerlo, migliorarlo. Had antibizzadu su bene de su doppiu ha aumentato i
suoi beni del doppio. | rifl. giungere prima del tempo. Già ti
ses antibizzadu! S’est antibizzadu de un’ora sei giunto troppo
presto! È venuto un’ora prima. | intr. ass. anticipare, andar prima; camminare in anticipo, di orologio. Su rellozu de su campanile antibizzat de quartu ’e ora l’orologio della torre va innanzi d’un quarto d’ora. Aumentare, migliorare il patrimonio.
Su fizu no had antibizzadu annuddha il figlio non ha fatto alcun aumento sui beni paterni.
antibìzzu (tz) s.m. anticipato; aumento, vantaggio, miglioria,
progresso. Ti do tres francos in antibizzu ti do tre lire antecipate. Su maridu no ha fattu antibizzu perunu in sos benes de sa
muzere il marito non ha fatto alcun aumento o miglioria sui
beni della moglie. In cust’affare no b’hapo antibizzu perunu da
quest’affare non ritraggo alcun vantaggio o guadagno.
antiblasfému agg. antiblasfemo. Campagna antiblasfema
crociata antiblasfema.
anticàmera s.f. anticamera. Fagher anticamera far anticamera. Anticamera de s’inferru luogo nefando, di peccato, di scandalo. Cussa domo, dai sas brigas, paret s’anticamera de s’inferru
quella casa, per le tante risse, pare l’anticamera dell’inferno.
anticattólicu agg. anticattolico.
anticlericàle agg. anticlericale.
anticlericalésimu s.m. anticlericalismo.
anticostituzionàle (tz) agg. contro la costituzione.
anticristiànu agg. anticristiano.
anticrìstu s.m. anticristo. Esser un’anticristu, o s’anticristu di
uno che combatte la religione o la chiesa, o mena una vita
contraria alla legge di Dio. Feu che un’anticristu brutto come
un anticristo. Parrer un’anticristu o s’anticristu sembrare l’anticristo.
anticuàriu s.m. antiquario.
antidàta s.f. antidata, data anticipata con inganno.
antidemocràticu agg. antidemocratico.
antidemocrazìa (tz) s.f. antidemocrazia.
antidiluviànu agg. antidiluviano, antichissimo, remotissimo,
antìdotu
primitivo. Aradu, telarzu antidiluvianu aratro, telaio che si
usavano prima del diluvio.
antìdotu s.m. (raro) antidoto, medicina, rimedio.
antifebbrìle agg. antifebbrile.
antìfona s.f. antifona. Rammanzina, rampogna, seccatura.
Cantare s’antifona a unu cantarla a uno, rimproverarlo. Intonare s’antifona cominciare un discorso fastidioso o increscioso, fare una proposta sgradevole. No m’intones cuss’antifona, so
surdu a orijas non farmi codesti discorsi, da quell’orecchio
non odo. Esser sempre sa matessi antifona esser sempre la stessa
cosa stucchevole. Preigad e gridat, ma es sempre sa matessi antifona, cunfessaresi! predica e grida, ma ripete sempre la stessa
antifona, confessarsi! Lu cumprendho, es sempre sa matessi antifona capisco, si tratta sempre della stessa noia. Ite bella antifona! (iron.) che bel principio! | No mi cominzes cun cuss’antifona! || gr. (antíphona) ajntivfwna (n. pl.).
antifonàda s.f. l’atto di mormorare, rimproverare, di recitar
le antifone. Ha fattu una bella antifonada.
antifonàre intr. leggere o cantare le antifone. Si estende anche al recitare i versetti dei salmi e le parti variabili della messa. Versicolare. Chi’ est antifonendhe? Su jaganu chi recita le
antifone o versicola? Il sagrestano. | Rampognare, rimproverare; malignare. Est istadu antifonendhe mes’ora s’è trattenuto a
malignare per un’ora.
antifonàriu s.m. antifonario, libro corale. Chi canta le antifone.
antìfrasi s.f. antifrasi. Eumenidi, le furie. || gr. (antiphrásis)
ajntifravsiı.
antifrasticamènte avv. antifrasticamente.
antifràsticu agg. antifrastico.
antigàda s.f. l’atto di sollevarsi, alzarsi, migliorare, guarire.
Diaulu s’antigada! non mi fossi mai mosso, non avessi mai intrapreso quest’affare, non mi fosse mai venuta quest’idea! Faghersi s’antigada sollevarsi un poco, di un malato o rovinato
negli interessi. Ei su malaidu? Già si ndh’ha fattu s’antigada,
ma no es saldu saldu il malato? Si è un po’ levato, ma ancora
non è ben guarito.
antigàglia s.f. anticaglia, cose antiche, fuori d’uso, fuori di
moda.
antigàle agg. antico, vecchio.
antigamènte avv. anticamente.
antigàre rifl. sollevarsi, alzarsi, migliorare condizione, uscire
d’impaccio. Generalmente al neg. Es ruttu e no s’antigat pius è
caduto e non si solleva più. Dai candho han fattu bancarrutta
non si sun pius antigados da quando han fallito non si son più
rialzati. Pro isse no s’antigat zertu! lui, non esce certo più d’imbarazzo! Anche esser di moda. De custas cosas no si ndh’antigat
pius queste cose son tutte fuor di moda. || sp. antiguar.
antighidàde s.f. antichità. Niunu ischit s’antighidade de cust’arvure nessuno sa l’antichità di quest’albero. Sas antighidades de sa ’iddha le antichità del villaggio. | In s’antighidade anticamente, nell’antichità. | Usu connottu dai s’antighidade uso,
consuetudine antichissimi. | Cosas de s’antighidade cose antiche, fuori di moda, inammissibili. Custas sun cosas de s’antighidade va là, queste son fandonie.
antigoriamènte avv. antichissimamente.
antigóriu agg. antichissimo. In antigoriu o in s’antigoriu
(avv.) antichissimamente, in tempi molto antichi. | Vecchissimo. Cuss’omine est antigoriu, no s’ischit mancu cantos annos hada quell’uomo è vecchissimo, non si sa neppure quanti anni
abbia. | Antigu e antigoriu (rinforz.) antichissimo. Su fattu est
antigu e antigoriu il fatto è antichissimo.
antigristàre tr. e intr. malignare, vilipendere; maltrattare,
opprimere. Far bricconate. Vendicarsi.
antigrìstos s.m. anticristo. Ribaldo, mostro.
148
antìgu agg. antico, vecchio. | sost. sos antigos gli antichi, i
maggiori, gli antenati. Istoria antiga storia solita, cosa stucchevole. Cust’est istoria antiga de sos viles questa è abitudine
dei vili. A s’antiga all’antica. Omines, bestes, paraulas a s’antiga uomini, vestiti, parole all’antica, semplici. | Dicciu antigu
proverbio, detto antico.
antiguàldia s.f. avanguardia. ▫ antiguàrdia.
antigùmine s.m. anticaglia, anticume.
antiguvernatìvu agg. antigovernativo, contro il governo.
antilogìa s.f. antilogia, contraddizione.
antimeridiànu agg. antimeridiano.
antimilitàre agg. antimilitare.
antimilitarésimu s.m. antimilitarismo.
antimonàrchicu agg. antimonarchico, contrario alla monarchia.
antimoniàle agg. antimoniale.
antimóniu s.m. antimonio, minerale. || lat. antimonium,
arab. ath mud.
antinazionàle (tz) agg. antinazionale, contrario alle istituzioni.
antinefrìticu agg. antinefritico.
antinervìnu agg. antinervino.
antinevràlgicu agg. antinevralgico.
antinomìa s.f. antinomia, contraddizione di princìpi.
antipàba s.m. antipapa.
antipassàdu s.m. antenato. Sos antipassados gli antenati. Sos
antipassados suos (Ms. Romana). || sp. antepasado.
antipàstu s.m. antipasto. Piccola correzione che ne annunzia
una più grave. Lea, custu es s’antipastu piglia, verrà poi il grosso.
antipatìa s.f. antipatia, avversione. Hapo antipatia pro sos imbreagones, pro sas cantones sento antipatia per gli ubbriaconi,
per la poesia. Anche mattana, nella frase learesi antipatia. Pro
me no ti lês antipatia peruna per me non affannarti affatto. ||
gr. (antipátheia) ajntipavqeia.
antipaticamènte avv. antipaticamente.
antipàticu agg. antipatico. Ite femina antipatica! che donna
antipatica! | sost. persona antipatica. Lassalu, ch’est un’antipaticu lascialo, che è un antipatico.
antipatigamènte, antipatigu → ANTIPATICAMÈNTE, ANTIPÀTICU.
antipéttus s.m. parapetto. S’antipettus de su ponte il parapetto
del ponte.
antìpodu s.m. antipodo. Sos antipodos gli antipodi. Esser a
sos antipodos cun unu essere di opinioni opposte.
antipòrta s.f. riparo amovibile che si mette di giorno davanti alle imposte della porta.
antipùtridu agg. antiputrido, contro la putredine.
antiquària s.f. antiquaria.
antiquàriu agg. e sost. antiquario.
àntis avv. anzi. Antis bene o antis de bene; antis mezus anzi meglio. Ndhe chircaio duos e ndh’hap’agattadu battor, antis de bene!
ne cercavo due e ne ho trovato quattro, meglio così! || sp. antes.
antisàla s.f. antisala.
antiscorbùticu agg. antiscorbutico.
antisétticu agg. antisettico.
antisociàle agg. antisociale.
antisocialìsmu s.m. antisocialismo.
antisocialìstu s.m. antisocialista.
antistéricu agg. antisterico.
antìtesi s.f. antitesi.
antiteticamènte avv. antiteticamente.
antitéticu agg. antitetico.
antitìficu agg. antitifico.
antizipàda (tz) s.f. l’atto di anticipare.
antizipàdu (tz) agg. anticipato, precoce. Ierru antizipadu
inverno precoce. Annada antizipada annata precoce.
149
antizipàre (tz) tr. anticipare. | intr. come in it., camminare
avanti e anticipar danari. Como tue antizipas, pustis hap’a pagare adesso tu antecipi, pagherò in seguito. Custu rellozu antizipat troppu quest’orologio anticipa troppo.
antologìa s.f. antologia. || gr. (anthología) ajnqologiva.
antonomàsia s.f. antonomasia.
antonomasticamènte avv. antonomasticamente.
antonomàsticu agg. antonomastico.
antrecóru s.m. anticuore → MORTEMÀLA.
antropofagìa s.f. antropofagia. || gr. (anthropophagía) ajnqrw pofagiva.
antropòfagu agg. antropofago. || gr. (anthropophágos) ajnqrw pofavgoı.
’àntu s.m. vanto, lode. Daresi su ’antu darsi vanto. Meritare
’antu meritar lode. Perder su ’antu perder la lode → BÀNTU,
VÀNTU.
antùa s.f. affanno, mattana, batosta. Leare s’antua accaldarsi,
pigliarle. Poverittu! già l’ha leada s’antua! poveretto! come si è
accaldato, come le ha pigliate! Dare s’antua picchiar sodo. Già
bi l’ha dada s’antua a su fizu! l’ha picchiato ben bene, il figlio!
antùnna s.f. fungo.
antùrzu s.m. avvoltoio → ’UNTÙLZU.
ànu s.m. (raro) ano, culo. ▫ ànus. | Anice → ÀNIS.
anulàre agg. anulare.
anzàda s.f. figliata. L’atto di sgravarsi, figliare. Ha fattu una
bona anzada s’è ben sgravata.
anzàdu agg. figliato. Cane anzada cagna figliata. Chei sa cane anzada incollerito come la cagna figliata.
anzadùra s.f. figliatura. Dai sa prima anzadura, s’’acca no ha
bijadu pius dopo la prima figliatura, la vacca è divenuta sterile. A s’anzadura sa robba cheret pius assistida al tempo della
figliatura le bestie vogliono essere meglio curate.
anzalóriga s.m. (Ghil.) ragno.
anzàre intr. figliare, partorire. Si dice solo delle bestie. Per
beffa anche delle donne. È termine generale. In particolare
della pecora e della capra si dice → CRIÀRE; della vacca ’ijàre,
→ BIJÀRE; della scrofa → POLCIÀRE; della cavalla → PUDDHERIGÀRE.
anzéligu agg. angelico, si usa quasi solo nella frase ironica
già ses anzeligu! come sei amorevole!
anzénu agg. altrui, appartenente ad altri. Sa robba anzena la
roba altrui. Terras anzenas paesi stranieri. Come sost. Mios,
tuos, suos, nostros, vostros e anzenos parenti e non parenti. Ha
cumbidadu a misciu, suos e anzenos ha invitato promiscuamente, parenti ed estranei. Su meu (su tou, su sou, su nostru,
su ’ostru) ei s’anzenu le cose mie e le altrui. Lea su tou e lassa
s’anzenu prendi il tuo e lascia l’altrui. In peddhe anzena corrias
largas. || sp. ajeno.
anzèra s.f. figliatura.
anzèsa s.f. (Ghil.) saltabecca.
ànzia (tz) → ÀNTIA. Gigher in anzias trattare con premurosi
riguardi. La giughian in anzias e cun totu no fit cuntenta le
usavano mille delicatezze e con tutto non era contenta.
anzianéddhu (tz) agg. dim. anzianotto. Cominzas a esser
anzianeddhu cominci a essere un po’ anzianotto.
anzianèsa (tz) s.f. anzianità, vecchiezza.
anzianìa (tz) s.f. anzianità, vecchiaia.
anzianidàde (tz) s.f. anzianità, vecchiaia. L’han approvadu
pro anzianidade l’han promosso per anzianità. So intradu in
s’anzianidade sono entrato nell’età matura. So in mesu a s’anzianidade sono tra gli anziani, tra i vecchi. Rispettade s’anzianidade rispettate i vecchi.
anziànu (tz) agg. anziano, attempato, vecchio. Est unu pagu
anziana, ma est ancora forte è un po’ anziana, ma è forte ancora. | sost. S’anzianu il capo. Benzad a inoghe s’anzianu venga qua
aoadùra
il capo. Sos anzianos i vecchi, i maggiori, gli antenati. Comente
naran sos anzianos hap’a fagher farò come dicono i vecchi.
ànzias1 (tz) sost. pl. voglia, desiderio. Hap’anzias de fagher su
viaggiu bramo di fare il viaggio. In anzias. Anche àntias.
ànzias2 (tz) avv. anzi. Anzias ti naro chi ti cheret bene anzi ti
dico che ti vuol bene. | Anzias bettas pius risplendhore (Picoi).
anzìlla (tz) s.f. ancella, serva. È rimasto solo nel significato
di giovane leggera, irrequieta. Milla s’anzilla! eccola la scapata, la farfallina! Pared un’anzilla sembra una rondinella.
ànzis (tz) avv. anzi → ÀNTIS.
anzisdebbène (tz) avv. meglio così. Tue no bi andhas, bei
andho deo. Anzisdebbene! tu non ci vai, ci vado io! Meglio così!
anzonàda agg. di pecora allevata in casa da agnella, che ha
partorito in casa.
anzonàre tr. allevare in casa una pecora fino alla figliatura.
anzòne s.m. agnello. Anzone masciu agnello. Anzone femina
agnella. Masedu che anzone, innozente che anzone mansueto,
innocente come un agnello. Esser un’anzone esser mite come
un agnello. A bi trattare es propriu un’anzone a trattare con
lui è proprio un agnello, anche di altre bestie mansuete: custu ’oe, custu caddhu est un’anzone questo bove, questo cavallo
è mansueto come un agnello. Anzone pascale agnello pasquale. | Anzone, e spec. al dim. anzoneddhu, è vezzeggiativo che
si adopera per indicare una persona molto cara. Tue ses s’anzone mia tu sei la mia agnella, dirà poeticamente al suo idolo
l’innamorato. S’anzoneddhu meu, s’anzoneddhu ’e mamma,
s’anzoneddhu ’e domo l’agnellino mio, l’agnellino di mamma,
l’agnellino della casa, dirà una madre al suo beniamino. |
S’anzoneddhu! l’agnellino! si dirà ironicamente a un volpone.
| Anzoneddhu ’e latte agnellino da latte. Anzone jerrile agnello
nato nell’inverno e ammazzato un po’ adulto. Anzone berrile
agnello nato in primavera. | Anzone muroninu il figlio del
muflone. La femminetta è chiamata → BÈTTA, BÌTTA, bìttera.
anzonìna s.f. lana d’agnello. Hapo comporadu duas libberas
de anzonina e mi la so filendhe ho comprato due libbre di lana
d’agnello e la sto filando.
anzonìnu agg. d’agnello. Pilu anzoninu pelo d’agnello. Petta anzonina, sambene anzoninu carne, sangue d’agnello. |
Cantu unu fele anzoninu come un fiele d’agnello, che è molto piccolo.
’ànzu s.m. bagno. Al fig. percosse, busse, correzione manuale. Dare unu ’anzu, unu bonu ’anzu picchiar solennemente.
Leare unu ’anzu ricevere busse. Fizu meu, si no istas chietu ti
do unu ’anzu: mi’ chi leas unu bonu ’anzu figlio mio sta cheto,
se no ti picchio: le prendi sode! → BÀNZU.
anzùa (tz) s.f. acciuga. Faghersi a un’anzua divenir piccolo piccolo, rimpicciolirsi per paura. Corruz. di → AZZÙA. || fr. anchois.
anzulàda (tz) s.f. l’atto di diventar malato cronico.
anzulàdu (tz) agg. divenuto malato cronico, invalido.
anzulàre (tz) tr. e rifl. M’had anzuladu su tribagliu, sa gherra;
mi so anzuladu soldadendhe m’ha rovinato la salute, il lavoro,
la guerra, la vita militare.
anzulèsa (tz) s.f. → ANZULÌA.
anzulìa (tz) s.f. malattia cronica, invalidità. B’hap’in domo povertade e anzulia in casa mia ci sono la povertà e le malattie.
ànzulu (tz) agg. malato cronico, invalido. Una persone anzula coment’e deo no deved esser obbligada a trabagliare una persona invalida come me non dovrebbe essere obbligata a lavorare. | sost. infermo, malato cronico, invalido. In domo b’hapo
duos anzulos de mantenner e bi cheret fortilesa a casa ho due
invalidi da mantenere e ci vuole pazienza. | Sa cominione de
sos anzulos la comunione pasquale dei malati.
aoàdu agg. che ha, porta uova. Nidu aoadu nido che ha già
le ova. Puddha, trota aoada gallina, trota che ha le ova.
aoadùra s.f. il tempo in cui gli ovipari hanno le ova nell’ovaja.
aoàre
aoàre intr. formare le ova. Sas puddhas, sos pisches cominzan a
aoare le galline, i pesci cominciano a formare le ova nell’ovaia.
aojàdu agg. ammaliato, affatturato. Criadura aojada bambino colpito da malocchio.
aojadùra s.f. fattura, incanto, fattucchieria.
aojaméntu s.m. affatturamento, incantagione, malocchio.
aojàre tr. fissare, guardare attentamente. Ammaliare, affatturare, incantare. Poverittu, l’han aojadu o l’han post’oju poveretto, l’han colpito col malocchio! | intr. adombrare, di cavallo.
Custu runzinu ogni puzoneddhu lu faghed aojare questo ronzino a ogni piccolo uccello adombra. || sp. aojar e deriv.
aóju s.m. incanto, fattura. || sp. aojo.
aolzàdu, -are → AORZ-.
aoràdu agg. messo in disparte, confinato, cacciato. Su birbante deved esser aoradu dai sos galantomines il briccone dev’essere allontanato dai galantuomini.
aoràre tr. allontanare, separare, confinare. Sos vigliaccos si deven aorare i vigliacchi si devono allontanare, bandire. || da oru,
gr. (óros) o[roı monte, fine.
aorcàdu agg. incollerito, adirato, sdegnato. Fid aorcadu e no
l’hapo potidu faeddhare era adirato e non gli ho potuto parlare.
aorcàre rifl. adirarsi, insatanassarsi. No t’aorches in cussu modu, chi faghes fuire sa piseddhina! non insatanassarti a codesto
modo, che fai scappare i bambini! || da orco.
aorìstu s.m. aoristo.
aorràdu agg. risparmiato.
aorràre tr. risparmiare → AURRÀRE. Sos rimproveros m’aorra
(Mossa). || sp. ahorrar.
aórru s.m. risparmio, economia → AÙRRU. || sp. ahorro.
aòrta s.f. aorta.
aortìdu, -ire, -inzu → AURT-.
aorzàdu agg. nutrito con orzo. Dai su frittu, in cussa domo
bi morit su caddhu aorzadu è tanto il freddo in quella casa,
che vi morrebbe il cavallo ben ingrassato con orzo. Anche di
bestia malata per aver mangiato troppo orzo. S’ebba est aorzada e ha sa collica la cavalla, per aver mangiato troppo orzo, ha
la colica.
aorzàre tr. ingrassare con orzo. Aorza sos boes, si cheres chi ti
cumpran su laorzu da’ molto orzo ai bovi, se vuoi che la durino per tutta l’aratura. | intr. ass. Aorzare ammalarsi per aver
mangiato troppo orzo.
aòs agg. indecl. di nido che ha le ova. In s’ortu b’ha duos nidos
aôs. ▫ a òs.
aossàdu agg. di forte ossatura. Si cheret tribagliare, già es ben aossadu se vuole lavorare, ha ben salde le ossa. | Di uno cui è rimasto qualche osso in gola. No podet faeddhare, ch’est aossadu!
aossadùra s.f. l’effetto d’aver qualche ossa in gola.
aossàre intr. raggiungere lo sviluppo delle ossa. Su puddhedru no si devet domare fin’a chi no aossat bene il poledro non
dev’esser domato finché non abbia ben formate le ossa. Aver
qualche osso in gola. Eo mastigo ’ene, ca timo de aossare mastico bene, io, perché temo non mi rimanga qualche osso nella
strozza.
aostàda s.f. l’atto di astenersi. Dai candho m’ha brigadu babbu, mi do calchi aostada dai su ’inu da quando il babbo m’ha
ripreso, mi astengo un po’ dal vino. Fizu meu, faghedindhe
s’aostada dai cussa domo figlio mio, astieniti a poco a poco
dall’andare a quella casa.
aostàdu agg. astenuto.
aostàre rifl. astenersi. Aostaresi dai su giogu astenersi dal gioco.
Aostaresi de una persone allontanarsi da una persona. | Peritarsi.
M’aosto de l’abbojare mi perito d’incontrarlo. | Vergognarsi. Li
dia faeddhare, ma mi ndh’aosto gli parlerei, ma ho vergogna. |
Mi ndh’aosto fina de bi passare in carrera faccio a meno anche
di passare per la strada.
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aozàdu agg. rancido; grasso; impotente per pinguedine. Intristito, arrestato nel germogliare dalle troppe piogge, imputridito nei solchi, del grano.
aozaméntu s.m. impinguamento; sfinimento.
aozàre intr. ingrassare, impinguare, diventare quasi impotente per pinguedine. | tr. arrestare le biade nel loro sviluppo.
Sas abbas, ocannu, han aozadu su laore le piogge, quest’anno,
hanno intristito i seminati. | rifl. morir di sfinimento, delle
bestie. Su ’oe s’est aozadu dai su troppu tribagliu il bove è morto di sfinimento a causa del troppo lavoro. Diventar rancide,
troppo oleose, delle noci.
apatìa s.f. apatia, indifferenza.
apàticu agg. e sost. apatico, apatista. ▫ apàtigu.
àpoca s.f. ricevuta. Chi s’apoca m’has fattu a tempus sou (An.).
Apoca de ressivida (Ms. Macomer).
appabaglionàda s.f. l’atto di raggrupparsi, infoltire.
appabaglionàdu agg. raggruppato, infoltito, di piante. Trigu
appabaglionadu grano molto folto, denso.
appabaglionadùra s.f. l’atto e l’effetto d’infoltire.
appabaglionàre rifl. addensarsi, infoltire, specialmente delle
erbe e delle piante. Custu chercu s’es bene appabaglionadu questa
quercia è ben fronzuta. || sp. pabellon stendardo, baldacchino.
appabassàda s.f. l’atto di appassire, avvizzire. A custas caluras
sa ua s’ha dadu (o fattu) un’appabassada a queste caldure l’uva
s’è un po’ appassita. Dà’ un’appabassada a cussa cariasa fa un
po’ appassire codeste ciliege.
appabassàdu agg. appassito, avvizzito. Giovana appabassada
giovine avvizzita.
appabassadùra tr. avvizzimento, appassimento.
appabassàre tr. e rifl. appassire, avvizzire, intristire, disseccare. Sas bajanas de oe s’appabassan a vint’annos le giovani d’oggi
appassiscono a vent’anni. Sa pruna s’est appabassada in s’alvure
le susine si sono intristite sui rami. Più com. → PABASSÀRE.
appabassinàdu agg. disseccato, ingiallito.
appabassinàre tr. e rifl. disseccare, ingiallire, intristire. || da
pabassinu specie di dolce. Pangiallo (Spano).
appabiglionàdu e deriv. → APPABAGLIONÀDU. Nel Log. sett.
si dice del letto a baldacchino. Lettu appabiglionadu. Anche
→ IMPABIGLIONÀDU.
appabiglionàre tr. munire il letto di baldacchino. Han appabiglionadu su lettu ’e sa carama cun domascu hanno ornato
il letto della camera principale con baldacchino di damasco
→ IMPABIGLIONÀRE. || sp. pabellon.
appaddhottulàda s.f. l’atto di appallottolare. Dà’ un’appaddhottulada a cussa pasta appallottola un po’ quella pasta.
appaddhottulàdu agg. appallottolato, aggrumato, granelloso.
Custa terra es tota appaddhottulada, isfarinala ’ene questa terra
è tutta appallottolata, sfarinala bene.
appaddhottuladùra s.f. appallottolamento.
appaddhottulaméntu s.m. appallottolamento.
appaddhottulàre tr. e rifl. appallottolare. Custu casu s’est totu
appaddhottuladu questo cacio s’è tutto appallottolato.
appadrinàdu agg. protetto, difeso.
appadrinàre tr. proteggere, difendere. Proghì sas bostras lareas
/ hat Deus appadrinadu. (Gos. di S. Andrea, An.).
appadronàda s.f. l’atto d’impadronirsi. S’ha fattu s’appadronada de sa ’inza s’è impadronito della vigna.
appadronàdu agg. impadronito.
appadronàre rifl. impadronirsi, per lo più con forza, illecitamente. S’est appadronadu de sa tanca mia, e deo che resto fora
s’è impadronito del mio chiuso, e io resto fuori.
appagàbbile agg. appagabile, calmabile.
appagàda s.f. l’atto di appagare, calmare. Dà’ un’appagada a
cussa criadura ch’est arrebentendhe calma un po’ codesta creatura che scoppia dal pianto. Babbu s’ha dadu un’appagada,
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fid attediadu meda il babbo era molto adirato, ora si è calmato un pochino.
appagàdu agg. appagato, calmato.
appagaméntu agg. appagamento; carezza.
appagàre tr. appagare. Appagare sos gustos, sos disizos, sa brama.
Appagami custu disizu appaga questo mio desiderio. | Calmare;
rappaciare; carezzare, specialm. dei bimbi. No si cagliat fina chi
sa mama no l’appagat non smette di piangere finché la mamma
non lo carezza. Fin duos annos annuzu e los had appagados su
vicariu da due anni erano in discordia e li ha rappaciati il parroco. | rifl. calmarsi, smettere di piangere. Fit pianghendhe pius
de mesora, eppuru eppuru s’est appagadu piangeva da più di mezzora, finalmente ha smesso. | Riconciliarsi, rappaciarsi. Pustis
de tantos annos de inimicizia, deris si sun appagados dopo tanti
anni d’inimicizia, ieri si son riconciliati. || da paghe pace.
appaghéddhu avv. un pochino.
appaghiadòre s.m. pacificatore, paciere.
appaghiàre tr. e rifl. pacificare, rappaciare. Appaghia sos coros, beneighe (Montanaru).
appagnàda s.f. l’atto di condensarsi, rassodarsi.
appagnàdu agg. condensato, rassodato.
appagnàre rifl. condensarsi, rassodarsi.
appàgu avv. a poco, poco; lentamente, adagio. Andhare appagu camminar adagio. Tribagliare appagu lavorar poco, lentamente, svogliatamente. Bùffalu appagu, su ’inu, marideddhu
meu! bevi poco vino, maritino mio! Appagu appagu a poco a
poco. Anche appagu pagu.
appajàda s.f. l’atto di appajare, accoppiare.
appajadòre s.m. paraninfo, accoppiatore.
appajàdu agg. accoppiato. Già sun ben’appajados! son degni
l’uno dell’altro!
appajadùra s.f. appajatura.
appajaméntu s.m. accoppiamento.
appajàre tr. appajare, accoppiare. Deu los faghet ei su demoniu los appajat Dio li fa e il diavolo li accoppia. | rifl. accoppiarsi, accompagnarsi.
appàla avv. a spalla, sulle spalle, sul dorso. Giugher, portare
appala portare a spalle. Giughelu appala, su saccu, chi no ses
siccu portalo a spalle, il sacco, che non hai i cancheri. Esser cun
sa rughe appala portare la croce, vivere in affanni. So sempre
cun sa rughe appala, su cunfessore meu! padre, porto sempre la
croce!
appàlas avv. alle spalle, dietro le spalle. Gighiat sos inimigos
appalas aveva i nemici alle spalle. | prep. Appalas de su monte
alle spalle del monte.
appalasappàre avv. l’un contro l’altro. Ponner appalasappare
inimicare. Cussu vigliaccu ha postu sas duas familias appalasappare il vigliacco ha inimicato le due famiglie. Esser appalasappare essere in discordia. Sos duos frades sun sempre appalasappare i
due fratelli son sempre in discordia.
appalfaruzàre tr. sbriciolare, sminuzzolare. Più com. → ISPARFARUZÀRE.
appàlfidu part. pass. di appàrrere, apparso.
appalonàdu agg. rigido come un palo. T’istas igue appalonadu, mòvedi! stai lì come un palo, mòviti! Ndh’has d’aju dogni
die appalonadu che unu maccu… (Cossu 65).
appalonàre rifl. irrigidirsi come un palo. Incantarsi. Appalònadi, si ’enit sa piena, ti che pijat incantati a codesto modo, se
cala la piena, ti trascina. S’est appalonadu addainanti a su balcone de s’innamorada e no l’ischidat mancu su tronu s’è incantato sotto la finestra della ragazza e non lo desterebbe il tuono.
appalpàda s.f. palpata. Dare un’appalpada dare una palpata.
appalpàdu agg. palpato, palpeggiato. Delicato nel vivere,
schizzinoso.
appalpadùra s.f. l’atto e l’effetto di palpare.
appampàda
appalpaméntu s.m. palpamento.
appalpappàlpa s.m. ripetuto palpare. Lassami cust’appalpappalpa smetti codesto palpeggiare. | avv. A s’appalpappalpa
brancolone → PALPAPÀLPA.
appalpàre tr. palpare, tasteggiare. Su zegu appalpaiat su
’inari pro lu connoscher si fit bonu il cieco palpava le monete
per accertarsi che fossero buone. | Circondare di premure, di
delicatezze. Sa mama, appalpendhelu comente l’appalpat, l’ha
pèrdidu la madre, circondandolo così di delicatezze, l’ha rovinato. | rifl. circondarsi di delicatezze, usarsi mille riguardi.
Cuss’omine s’appalpat troppu, pared una femineddha quell’uomo si risparmia troppo, pare una femminuccia.
appalpeddhàda s.f. l’atto di palpeggiare.
appalpeddhàdu agg. palpeggiato, mantrugiato.
appalpeddhadùra s.f. palpeggiatura.
appalpeddhaméntu s.m. palpeggiamento.
appalpeddhàre tr. palpeggiare.
appalpéddhu s.m. palpeggiamento. Già ndh’has de appalpeddhu! no la podes finire? lo palpeggi troppo! non puoi smetterla?
appalpidàre tr. palpeggiare.
appàlpidu s.m. tasto, tatto. | avv. A s’appalpidu al tasto, a tastoni. Andhare a s’appalpidu.
appalpòne (a s’~) avv. a tastoni, al tasto. A casaccio, a vanvera (fig.). Caminare a s’appalpone andar a casaccio. Andhendhe
a s’appalpone, a man’in muru (Cossu 80).
appàlpu s.m. palpamento, palpeggiamento. Tasto, tatto. |
avv. A s’appalpu a tastoni. Andhare, caminare a s’appalpu camminar tentoni, a tastoni. Anche al fig. | Connoscher a s’appalpu conoscere al tatto.
appalpuzàda s.f. palpeggiata.
appalpuzàdu agg. palpeggiato, brancicato, mantrugiato.
appalpuzadùra s.f. palpeggiamento, mantrugiamento.
appalpuzaméntu s.m. mantrugiamento.
appalpuzàre tr. palpeggiare minutamente, mantrugiare, brancicare. A furia de l’appalpuzare cussa figu la guastas a furia di
mantrugiarlo, codesto fico lo sciupi.
appaltàda, -amente → APPART-.
appaltadòre s.m. appaltatore. Appaltadore de tribaglios, de
impresas appaltatore di lavori, d’imprese.
appaltàdu agg. appaltato → APPARTÀDU.
appaltadùra s.f. → APPARTADÙRA.
appaltaméntu s.m. appaltamento, appalto → APPARTAMÉNTU.
appaltàre tr. appaltare. Han appaltadu sos tribaglios de su campusantu hanno appaltato i lavori del cimitero → APPARTÀRE.
appàlte avv. → APPÀRTE.
appaltenènte, -enenzia, -enidura, -enimentu, -ènnere, -ennidu
→ APPART-.
appàltu s.m. appalto. Dare, leare in appaltu dare, prendere
in appalto, in accollo.
appalumbrìna avv. a bacìo.
appamentàda s.f. l’atto di comprimere, calpestare, indurire
la terra.
appamentàdu agg. compresso, indurito. Custa terra, a furia
de tantu travigu, es tota appamentada questo terreno, dopo
tanto traffico, s’è tutto indurito.
appamentadùra s.f. l’atto e l’effetto dell’indurire della terra.
appamentàre tr. comprimere, indurire la terra. Custos voes ei
custos carros appamentan sa terra questi bovi e questi carri induriscono, comprimono la terra. | rifl. indurirsi, comprimersi, del terreno. Custu terrinu s’est appamentadu daghi sun passados sos soldados il terreno dove son passati i soldati s’è tutto
indurito.
appampàda s.f. l’atto di avvampare, bruciacchiare. Custos alvures <han> hapidu una bona appampada questi alberi sono
stati ben avvampati.
appampàdu
appampàdu agg. avvampato, bruciacchiato nelle fronde, di
albero.
appampadùra s.f. l’atto e l’effetto di avvampare, offendere
con la vampa, abbronzare. Sos alvures sun totu grogos dai s’appampadura gli alberi son tutti gialli per essere stati avvampati
dall’incendio.
appampàre tr. avvampare, offendere con la vampa, abbronzare. Su fogu no ha fattu dannu meda, ma had appampados totu sos alvures de s’ortu l’incendio non ha prodotto molti danni, ma ha avvampato tutti gli alberi dell’orto.
appàmpu s.m. l’effetto di avvampare.
appannàda s.f. l’atto di appannare. Sos ojos mi s’han dadu
un’appannada mi si sono un po’ offuscati gli occhi.
appannàdu agg. appannato, offuscato. Ojos, bidros appannados occhi, vetri appannati. Vista appannada vista offuscata.
appannadùra s.f. appannatura.
appannàggiu s.m. appannaggio.
appannaméntu s.m. appannamento, offuscamento.
appannàre tr. appannare, offuscare. Sa frittura ’e sa notte
had appannadu sos vidros il freddo della notte ha appannato i
vetri. Custu fumu m’est appannendhe sa vista questo fumo mi
sta offuscando la vista. | rifl. Appannàresi appannarsi, offuscarsi. Dagh’isto leggendhe unu pagu mi s’appannan sos ojos
quando sto a leggere un poco mi si offuscano gli occhi.
appànnu s.m. velo agli occhi, appannamento, offuscamento.
appantamàdu agg. ridotto un pantano.
appantamàre tr. e rifl. ridurre un pantano. Sas abbas han
appantamadu s’’utturinu le piogge han ridotto il viottolo in
un pantano. Sa carrera s’est appantamada la via è diventata un
pantano.
appantariàdu agg. spaventato, impaurito.
appantariàre tr. impaurire, spaventare.
appantàriu s.m. paura, spavento, timore.
appappinàda s.f. l’atto d’impiastrare.
appappinàdu agg. impiastrato, ridotto un impiastro.
appappinadùra s.f. impiastratura.
appappinàre tr. e rifl. impiastrare.
appappulàda s.f. l’atto di ciaramellare.
appappulàre intr. ciaramellare, imbrogliare con parole →
IMPAPPULÀRE.
àppara s.f. cipollina selvatica, aglietto. Falaresi chei s’appara
abbiosciarsi, avvizzire, venir meno. Fàladi cue chei s’appara!
sta lì fermo! non mòverti! Chei s’appara ’e maju: ch’hamus fattu sa falada chei s’appara ’e maju (Seche).
apparàda s.f. parata, l’atto di parare. S’has frittu, dà’ un’apparada a sas manos a su fogu se hai freddo, para un po’ le mani
al foco.
apparadòre s.m. credenza. || sp. aparador.
apparàdu agg. parato. Solenne, di messa. Oe hana nadu una
missa apparada oggi han cantato una messa solenne.
apparadùra s.f. l’atto e l’effetto di parare; paratura.
apparàggiu s.m. preparativi. A che ndh’ha de apparaggiu
quanti preparativi ci sono. | Anche per parata, sontuosità, solennità.
apparalumenàda s.f. l’atto di affibbiare un nomignolo, di soprannominare.
apparalumenàdu agg. che ha un nomignolo, soprannominato. Giuanne Ruda, apparalumenadu mazzone.
apparalumenàre tr. soprannominare. Sos pizzinnos s’apparalumenan s’unu a s’ateru i fanciulli s’affibbian dei soprannomi
l’uno all’altro.
apparaméntu s.m. paramento sacro.
apparàre tr. parare. Appàra sa manu chi ti conto su ’inari para,
stendi la mano che ti conto i danari. Appara s’orija, chi sùbbitu
ti lu naro! (iron.) para bene l’orecchio, che te lo dico davvero! |
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Anche adornare. Sun apparendhe sa cheja pro sa festa stan
parando la chiesa per la festa. | rifl. Appararesi in s’ispiju specchiarsi.
apparàtu s.m. preparativi. Già ch’ha bell’apparatu! ci son proprio dei bei preparativi! | Il necessario per la Messa solenne.
Prepara s’apparatu, giaghì ch’ha tres preideros giacché ci son tre
sacerdoti, prepara per la messa solenne. | avv. Apparatu […] apparatu di funzione sacra, solenne, cioè celebrata con l’assistenza
del diacono e del suddiacono. Su pèsperu l’hana nadu a unu
preideru, ma sa missa la cantan in apparatu il vespro l’han detto
d’accolito, ma la messa la cantano solenne. | Funzione funebre.
Inzensu gratu ottenebret su venerandu apparatu (Ogana).
appàre avv. a vicenda, vicendevolmente. Aggiuaresi appare
aiutarsi a vicenda. Abbaidaresi appare guardarsi l’un l’altro. |
Appare e a patta al pareggio. Como semus appare e a patta adesso siamo al pareggio. A biccu appare; a con[c]a ~; a front’appare;
fagher appare; a pês appare; a cul’appare; a cuccuru appare; ruer
appare; ponner appare. | A mes’appare metà per uno. Dare o leare unu terrinu, unu masone a mes’appare dare o pigliare terre a
mezzadria o bestiame a soccida. | Ammisciu appare confusamente. Es totu ammisciu appare (ammisciappare) fae e basolu
son mescolati confusamente, fave e fagioli. Viver ammisciu appare vivere promiscuamente. | Benner appare unirsi, incontrarsi. Candho ’enin appare ndhe naran de dogni colore, ndhe ’attin
dai ponente e dai levante. | Unirsi in matrimonio. Sun bennidos
appare, unu surdu e una zega si sono accoppiati un sordo e una
cieca. No benner appare non accordarsi. No poden benner appare in sos contos non si possono accordare sui conti. Non avverarsi, di sogni. Zertos sonnos maccos no poden benner mai appare
certi sogni stupidi non si possono mai avverare. Eppuru zertos
sonnos benin appare eppure certi sogni s’avverano. Emmo! chei
sas muscas biancas! sì, come le mosche bianche. | Bettare appare
mescolare confusamente. Bettar’appare faes e basolos mescolare
fave e fagioli. Al fig. affastellare chiacchiere sconclusionate. Como ses bettendh’appare faes e basolos adesso affastelli delle sciocchezze. Bidersi appare: no si sun bidos pius appare. Bogare appare
districare, discernere, distinguere. Sun tantos ma no ndhe ’ogo
appare. | Ponner appare seminar zizzania, inimicare. Ha fattu
chei su diaulu, los ha postos totu appare ha fatto come il diavolo,
ha seminato la discordia tra i compagni. In questo senso anche
ponner a palas appare. Ponner appare vale anche paragonare,
confrontare. Già b’ha de los ponner appare, unu es sa die ei s’ateru es sa notte non si possono paragonare, uno è il giorno, l’altro
la notte. | Appare vale anche insieme. Cosire, cungiunghere, attaccare, unire appare cucire, congiungere, attaccare, unire insieme. | Appar’appare: fagher appar’appare appena a tempo, al
tempo stesso. | Fatt’appare l’uno dietro l’altro, l’uno dopo l’altro. Tres fatt’appare tre, l’uno dopo l’altro.
apparécchiu s.m. (neol.) apparecchio, per congegno, macchina. Apparecchiu radio.
apparentàdu agg. divenuto parente, imparentato. Bene apparentadu che ha buoni parenti, specialmente ricchi. | sost. parente. Cun d’unu propriu meu apparentadu (Ant. Spano).
apparentàre rifl. imparentarsi. S’est apparentadu cun sas mezus familias de su logu s’è imparentato con le migliori famiglie del luogo.
apparènte agg. apparente, appariscente.
apparentemènte avv. apparentemente.
apparénzia (tz) s.f. apparenza, aspetto. De apparenzia, in apparenzia in apparenza, apparentemente. Bellu de apparenzia,
ma feu de coro bello d’aspetto, ma brutto di cuore. De bella
apparenzia di bell’aspetto. Pro apparenzia per ostentazione,
per salvare le apparenze. Lu faghet pro apparenzia, su bene fa il
bene per ostentazione. Mi faeddhat e mi rispettat pro apparenzia mi saluta e mi rispetta per salvar le apparenze. | Salvare
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s’apparenzia salvare le apparenze. | Anche appariscenza. Ha
meda apparenzia, ma in fundhu in fundhu… ha molta appariscenza, ma in fondo… Esser de apparenzia aver appariscenza.
appàrfida s.f. l’atto di apparire. A s’apparfida de s’Anghelu,
Maria s’est turbada all’apparir dell’Angelo, la Vergine si turbò.
appàrfidu agg. e part. pass. apparso.
apparìda s.f. apparita. A s’apparida de su sole all’apparita del
sole. Fagher s’apparida apparire → APPÀRFIDA.
apparìdu agg. → APPÀRFIDU.
apparidùra s.f. apparizione, comparsa.
appariénzia (tz) s.f. → APPARÉNZIA.
appariméntu s.m. apparizione, comparsa.
apparinàda s.f. l’atto di uguagliare, livellare il terreno; di
mettere in fila i cavalli prima della corsa. Dà’ un’apparinada a
custu giassu livella un po’ questo tratto di terreno. A s’apparinada, ispara appena i cavalli sono in fila, spara (per dare il segno della partenza).
apparinadólzu s.m. → APPARINADÓRZU.
apparinadòre s.m. colui che mette in fila i cavalli per la corsa.
apparinadórzu s.m. luogo dove si mettono in fila i cavalli
per la corsa. Punto di partenza.
apparinàdu agg. uguagliato, livellato, di terreno. Di cavalli,
messi in fila, pronti per la corsa. Daghi sos caddhos fin apparinados, had isparadu quando i cavalli erano in fila (l’uno a
fianco dell’altro), ha sparato.
apparinadùra s.f. livellamento, del terreno. L’azione e l’effetto di mettere in fila i cavalli per la corsa. Pro s’apparinadura bi
cherfeit mes’ora per mettere in fila i cavalli s’impiegò mezz’ora.
apparinàre tr. uguagliare, livellare, del terreno; colmare, dei
fossi. Apparina custu terrinu, apparina ’ene sos fossos uguaglia
questo terreno, colma bene i fossi. | Ordinare, mettere in fila,
l’uno a fianco dell’altro, i cavalli prima della corsa. In questo
senso anche intr. Candho sos caddhos no appàrinan comente si
devet, sa cursa no resessit mai ’ene quando i cavalli non si ordinano come si deve, le corse non riescono mai bene. | Anche
confrontare, paragonare. Cust’iscrittura no l’apparines cun
cuddha non confrontare questa scrittura con quella.
apparinónzu s.m. l’atto di livellare, ordinare, mettere in fila.
A s’apparinonzu de sos caddhos, b’andhas tue a ordinare i cavalli
per la corsa vai tu. Dai s’apparinonzu ses vida sa camorra fin
dalla disposizione dei cavalli s’è visto l’imbroglio.
apparìre intr. (raro) apparire → APPÀRRERE.
appàris avv. nella frase fagher apparis incontrarsi, giungere
allo stesso tempo. Esser apparis apparis arrivare fino all’orlo.
S’abba est apparis apparis a sa ribba l’acqua è giunta all’orlo
della sponda. Sa mesura ’e su trigu est apparis apparis, oppure
su trigu est apparis apparis a sa mesura la misura del grano è
piena fino all’orlo. | Anche come prep. Apparis a uguale a, simile a. Daghi dês esser apparis a mie has a faeddhare quando
sarai simile a me potrai parlare.
apparisciòne s.f. apparizione. S’apparissione de s’Anghelu a
Maria l’apparizione dell’Angelo a Maria. ▫ apparissiòne, appariziòne (tz).
apparizàda s.f. l’atto di livellare il terreno. Dare un’apparizada a sa terra.
apparizàdu agg. livellato, uguagliato, appianato, spianato.
apparizadùra s.f. l’azione e l’effetto di livellare. Livellamento, spianamento.
apparizaméntu s.m. livellamento.
apparizàre tr. livellare, uguagliare il terreno. Sun apparizendhe sa piatta pro sa festa stanno livellando la piazza per la
festa. || lat. paris uguale.
apparizzàda (tz) s.f. l’atto di apparecchiare, apparecchio.
B’haiad una bella apparizzada ’e cosas bonas c’era un bell’apparecchio di cose buone.
appartenénzia
apparizzàdu (tz) agg. apparecchiato. Candho so andhad’eo sa
banca fit già apparizzada quando sono arrivato io la tavola
era già apparecchiata. Arrivare a banca apparizzada, quando
un ospite giunge all’ora del pasto. Anche al fig. arrivare a cose fatte.
apparizzadùra (tz) s.f. apparecchiamento, apprestamento.
apparizzàre (tz) tr. apparecchiare, apprestare, specialm. della
tavola. Apparizza ’ene sa banca, chi ch’hamus istranzos apparecchia bene la tavola, abbiamo ospiti.
apparizzónzu (tz-z) s.m. modo e atto di apparecchiare. Ite
bell’apparizzonzu chi m’has fattu! che bel modo d’apparecchiare!
apparìzzu (tz) s.m. apparecchio, servizio da tavola. A cantu
pared, oe no ch’ha tantu bonu apparizzu pro su pranzu a quanto pare, oggi non ci son tanto buoni preparativi per il pranzo.
Oe, ch’es festa, ponimus s’apparizzu ’e lussu oggi, che è festa,
mettiamo a tavola il servizio, l’apparecchio di lusso. Apparizzu de cucciares, de furchettas, de ’ulteddhos servizio di cucchiai,
di forchette, di coltelli.
apparónzu s.m. l’atto di parare. So ’ezzu e cun s’apparonzu ’e
sas manos a su fogu no m’iscaldo son vecchio e col parare le mani al foco non mi scaldo.
appàrrere intr. (verbo irregolare) apparire, comparire. Innanti ’e l’appàrrer s’Anghelu, Maria fit preghendhe prima che le
apparisse l’Angelo, Maria pregava.
appàrsidu part. pass. apparso. O veru astru / apparsidu in
oriente (Delogu Ibba).
appartàda s.f. l’atto di assettare o mettere a parte, o allontanarsi o appartarsi. Dà’ un’appartada a custa coghina metti un
po’ in assetto questa cucina. Già si ch’ha fattu una bona appartada dai domo nostra si è ben allontanato dalla nostra casa.
| avv. A s’appartada appartatamente. Si la vived a s’appartada e
no chircad a niunu se ne vive solitario e non cerca nessuno.
appartadamènte avv. appartatamente, in disparte, in solitudine.
appartàdu agg. assettato; appartato; solitario. Su logu es bene
appartadu, sos istranzos como poden bennere la casa è bene assettata, vengano pure gli ospiti. Si ndh’istad sempre appartadu
vive sempre solitario.
appartadùra s.f. l’azione e l’effetto di assettare; assetto, riordinamento.
appartaméntu s.m. appartamento, aggregato di più stanze.
S’appartamentu de istiu, de sos istranzos l’appartamento d’estate, degli ospiti. | Anche per isolamento, allontanamento. Ben’happat s’appartamentu chi si ch’ha fattu dai nois si è ben allontanato da noi.
appartàre tr. assettare, riordinare. Apparta sa camera ’ona,
chi ’enit Mussegnore assetta la camera migliore, che viene il
Vescovo. | Allontanare, fuggire. Apparta sas occasiones malas
fuggi le cattive occasioni. | Ritirare, toglier di mezzo. Apparta
custos ramos, custas cadreas ritira, metti a posto questi rami,
queste sedie. | rifl. appartarsi, vivere solitario, ritirarsi, allontanarsi. S’est appartadu dai dogni soziedade, dai sos zilleris, dai sa
cheja s’è allontanato da ogni compagnia, dalle bettole, dalla
chiesa. | Togliersi di mezzo, ritirarsi a un lato, tirarsi da banda. Appàrtadi, fizu meu, chi sun currendhe sos caddhos tìrati da
banda, figlio mio, che corrono i cavalli.
appàrte avv. a parte, in disparte. Lassare apparte lasciare in
disparte. Ponner apparte risparmiare. Su teraccu es ponzendhe
apparte totu su soldu il servo risparmia tutta la mercede. Paren
poveros ma sun sempre ponzendh’a parte sembrano poveri, ma
aumentano sempre le loro sostanze.
appartenènte agg. appartenente. Custos sun benes appartenentes a sa cheja, guai a chie los toccat questi son beni appartenenti
alla chiesa, guai a chi li tocca.
appartenénzia (tz) s.f. appartenenza. Ti lasso sa domo cun totu
appartenidùra
sas appartenenzias ti lascio la casa con tutte le pertinenze, con
gli annessi.
appartenidùra s.f. l’atto di appartenere.
apparteniméntu s.m. pertinenza, spettanza.
appartènnere intr. appartenere, spettare, toccare. Custas
tancas appartenin a sa Comune questi chiusi appartengono al
Comune. | Importare. Custas sun cosas chi no m’appartenin
non m’importa nulla di queste cose. | Far parte. Custos sozios
appartenin a su gremiu de Santa Lughia questi soci appartengono alla società Santa Lucia.
apparténnidu part. pass. appartenuto. Hapo sempre appartènnidu a sa soziedade de sos galantomines ho sempre appartenuto alla classe dei galantuomini.
appàrtu agg. apparso. Dai candho est appartu su sole da
quando è apparso il sole.
appasàda s.f. l’atto d’unirsi con contratto di mezzadria o di
soccida.
appasàdu agg. unito in mezzadria o in sòccida.
appasadùra s.f. l’azione e l’effetto di unirsi in mezzadria o
soccida. Il contratto stesso.
appasàre intr. unirsi, associarsi con contratto di mezzadria o
di soccida. | Pascolare (W.) → ACCABUZZÀRE. | tr. appagare, acchetare. Appasa cussu pupu, ch’es pianghendhe calma, cheta quel
bimbo, che piange. | rifl. calmarsi, acquietarsi. Eppur’eppuru
s’est appasadu finalmente s’è acquietato. || da pasu riposo, calma.
appascensciàdu agg. paziente, che ha molta pazienza. ▫ appascesciàdu.
appasciàda s.f. l’atto di pascolare, pascere.
appasciàdu agg. pascolato.
appasciàre intr. pascolare, pascere. Sas ’arveghes sun appasciendhe in sa tanca le pecore pascolano nel chiuso.
appascionàdu agg. addolorato, tormentato. Bramoso; dedito, appassionato. Cussa viuda es meda appascionada quella
vedova è molto afflitta. Appascionadu a su giogu, a su ’inu, a
sa cazza dedito al gioco, al vino, alla caccia.
appascionàre tr. affliggere, addolorare. Sa vida ’e fizu meu
m’appascionat la condotta di mio figlio mi tormenta. | rifl.
appassionarsi. Daghi s’est appascionadu a (o de) s’istudiu no
bessit pius allogu da quando s’è appassionato per lo studio
non esce più.
appasciòne s.f. patimento, sofferenza, pena; passione. Più
com. → PASCIÒNE.
appascìu avv. liberamente, a volontà, in grande abbondanza.
Pascula<re> appasciu pascolare liberamente, abusivamente. Custos cunzados sun totu appas[ciu] questi chiusi sono aperti, liberi; i muri, le siepi son tutti rovinati, <non> riparano abbastanza. M’ha fattu o s’ha leadu totu su logu meu appascìu attraversa
tutti i miei possessi senza alcun riguardo, <abusi>vamente.
appàsciu s.m. pasciona, pascolo. Sito pascolativo vicino alla
masseria.
appasiadórzu s.m. chiuso dove si mette a pascolo il bestiame, spec. bovino.
appasigàda s.f. l’atto di calmare, chetare. Su ’entu s’ha dadu
un’appasigada il vento s’è un po’ calmato. Eppur’eppuru cussu
pizzinnu s’ha fattu s’appasigada finalmente quel bimbo s’è chetato.
appasigàdu agg. calmo, cheto. Est unu piseddhu appasigadu
è un bimbo cheto, savio.
appasigàre tr. calmare, chetare. Appasigare sas criaduras chetare i bimbi. | rifl. calmarsi, chetarsi. Daghi s’est appasigadu su
mare sas barcas sun partidas appena s’è calmato il mare le barche son partite. Fizu tou s’est appasigadu como como tuo figlio
s’è chetato adesso adesso. | intr. esser cheto, savio; riposare.
Curreggi a fiza tua, chi no chered appasigare correggi tua figlia,
che non vuol star ferma. Appasiga, fiza mia! cheta, figlia mia!
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Su malaidu no poded appasigare il malato non può riposare. |
Appàsiga! cheto, sta fermo, giù le mani! Appàsiga si no ti sicco
sas ungias giù le mani se no ti spezzo gli artigli, si dirà a un
manesco. || sp. apaciguar.
appasighizàda s.f. l’atto di chetarsi, riposarsi alquanto.
appasighizàdu agg. alquanto quieto, riposato.
appasighizàre intr. riposare un poco, chetarsi alquanto.
appàsigu s.m. calma, riposo. A ndh’has de appasigu! sta fermo!
cheto! No haer appasigu esser inquieto, irrequieto; non trovar
riposo o pace. Dai duas dies no had appasigu, pared unu variadu da due giorni non ha pace, pare un forsennato. | De appasigu cheto, savio. Pizzinnu de appasigu fanciullo cheto, savio.
appassàda s.f. l’atto di poggiare verso il montatoio. Dà’
un’appassada a cussu caddhu, chi cherzo sèzzere fa poggiare un
po’ il cavallo al montatoio, che voglio montar in sella. A s’appassada ’e s’ebba subitu so sèzzidu a brincu appena la cavalla s’è
accostata al montatoio son subito saltato in sella.
appassàdu agg. accostato al montatoio, di cavallo.
appassàre tr. accostare il cavallo al montatoio. Appassami ’ene
su caddhu chi già ischis chi no so tantu bonu caddheri fa poggiar
bene il cavallo al montatoio, sai bene che non sono un buon
cavallerizzo. | intr. accostarsi, poggiare, della cavalcatura. Su
caddhu no chered appassare il cavallo non si vuol accostar bene
al montatoio. Appassa! poggia, accòstati! si dice al cavallo per
farlo poggiare. | Appassare si dice anche di donna di facili costumi. | Gli ammodernati dicono poggiare → PÒGGIA!
appassenziàdu (tz) agg. paziente, tollerante.
appassenziàre (tz) intr. aver pazienza.
appassientàdu agg. paziente, che ha molta pazienza.
appassienziàdu (tz) agg. paziente.
appassionàda s.f. l’atto di appassionarsi. S’ha fattu un’appassionada macca a su giogu ’e sas cartas s’è follemente appassionato per il gioco delle carte.
appassionadamènte avv. appassionatamente. L’istimad appassionadamente l’ama appassionatamente.
appassionadèsa s.f. appassionatezza. Cun s’appassionadesa
sua binchet dogni ostaculu con la sua appassionatezza vince
ogni ostacolo.
appassionàdu agg. appassionato. Appassionadu a s’istudiu, a su
giogu, a su teatru appassionato per lo studio, il gioco, il teatro.
appassionaméntu s.m. appassionamento. No podet bincher
s’appassionamentu ch’ha pro sa cazza non può vincere l’appassionamento che ha per la caccia.
appassionàre tr. appassionare. S’istudiu l’appassionat lo studio lo appassiona. L’had appassionadu s’istoria de su logu sou
l’ha appassionato lo studio della storia della propria regione. |
rifl. appassionarsi, prender grande interesse. Mi so appassionadu a su bigliardu e no mi ndhe pot’istare mi sono appassionato
per il gioco del bigliardo e non me ne posso astenere. | intr.
appassionare, soffrire, patire. Fagher appassionare a unu: lu faghed appassionare cun sa mala cundutta sua lo fa soffrire con la
sua cattiva condotta.
appassónzu s.m. modo di poggiare del cavallo al montatoio.
Custu caddhu no ha bellu appassonzu questo cavallo non ha
bel modo di accostarsi al montatoio. Anche il semplice atto
di accostarsi del cavallo. Cust’animale es visciosu in s’appassonzu questa bestia è difettosa nel poggiare al montatoio.
appàssu s.m. Caddhu de malu appassu cavallo che non poggia bene → APPASSÓNZU. | avv. a passo. Caminare, andhare
appassu e no currendhe camminare al passo e non di corsa.
Appassu appassu un passo dopo l’altro, lentamente. Appassu
appassu s’arrivit fin’a Casteddhu un passo dopo l’altro, bel bello s’arriva fino a Cagliari.
appastàda s.f. l’atto di saziare, satollare. M’hapo fattu una bon’appastada de ’asolu mi son fatto una bella satolla di fagioli.
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Custos maccarrones m’han dadu una bon’appastada questi maccheroni m’hanno ben saziato.
appastàdu agg. sazio, satollo. So bene appastadu cun su primu piattu sono ben sazio con la prima portata.
appastàre tr. saziare, satollare. Sa minestra m’appastat bastantemente la minestra mi sazia abbastanza. | intr. dar sostanza.
Custa petta lanza no appastad annuddha questa carne magra
non dà affatto sostanza.
appàsu s.m. terreno da pascolo → PASÀLE.
appatentàdu agg. patentato, che ha la patente. Mastru appatentadu, mastra ’e partu appatentada maestro patentato, levatrice patentata → PATENTÀDU.
appatentàre tr. munire di patente. Ha fattu duos annos de
iscola e subbitu l’han appatentadu! ha fatto due anni di scuola
e subito gli han concesso la patente! Est unu disculu, eppuru
est appatentadu è un briccone, eppure ha il permesso di porto
d’arme → PATENTÀRE.
appatènte s.f. patente. Dare, haer s’appatente dare, aver la patente. Appatente de ladru, de birbante, de maccu qualifica di ladro, di birba, di stolto. In modo spec. si dice per il permesso
di porto d’arme. Est andadu a cazza chen’appatente e l’han fattu
sa contravvinzione è andato a caccia senza il permesso di porto
d’arme e l’han dichiarato in contravvenzione → PATÈNTE.
appàtta avv. patta, far patta. Essere appare e appatta esser pari
e patta.
appattàda s.f. l’atto di uguagliare, di pacificare. Nel gioco
delle carte, raggiungere i punti dell’avversario.
appattàdu agg. uguagliato; pacificato, rappaciato. Fin sempre
apprima, ma como sun appattados erano sempre in discordia,
ora sono in pace.
appattadùra s.f. l’azione e l’effetto di uguagliare, di rappattumarsi.
appattàre tr. comporre, uguagliare, aggiustare, assestare. Han
appattadu sas cosas e si sun postos in paghe hanno aggiustate le
divergenze e si son rappattumati. | rifl. rappaciarsi, pacificarsi.
Si ndh’hana nadu de dogni colore, ma si sun appattados se ne
son detti di tutti i colori, ma si son rappaciati.
appattiàda s.f. l’atto di aggiustare, comporre, pacificare. S’han
dadu un’appattiada, ma no sun ancora fieros fieros si sono un po’
messi d’accordo, ma non son ancora veramente amici.
appattiàdu agg. aggiustato alquanto. Est una chistione appattiada è una questione che si avvia verso il componimento.
Cosas appattiadas, discordias appattiadas cose, discordie sopite.
appattiàre tr. comporre alla bella meglio, aggiustare divergenze; mettere a tacere. Han appattiadu sas cosas, si no ndhe
deviat benner unu prozessu de si ndhe lingher sos poddhighes
han composto le cose alla meno peggio, se no si dava luogo
a un processo da leccarsene le dita.
appàttu s.m. fatica, travaglio; sofferenza.
appaulàda s.f. l’atto d’impaludare. Sas abbas s’han fattu
un’appaulada manna in sa tanca le piogge mi hanno impaludato il chiuso.
appaulàdu agg. raccolto in palude o in stroscia. Abba appaulada; binu appauladu acqua impaludata; guazzo, stroscia
di vino.
appauladùra s.f. l’azione e l’effetto di impaludare o formar
strosce.
appaulàre tr. impaludare. Sas abbas tropposas occannu m’appaulan sa ’inza le soverchie piogge m’impaludano la vigna. |
rifl. impaludarsi. S’undha, sa piena s’est appaulada in s’ortu le
acque del rio, dopo la piena, si sono impaludate nell’orto.
appazàda s.f. l’atto di abbiadare, dar la paglia al bestiame.
appazadòre s.m. colui che sparge la paglia sulla soglia d’una
giovane, per disprezzo. Comente cussu tou appazadore (Pippia).
appazàdu agg. abbiadato, cui è stata data la profenda. | Trigu
appeddhigàre
appazadu frumento che è cresciuto nello stelo, ma ha mal
granito.
appazàre tr. abbiadare, dar la paglia, la profenda al bestiame
→ APPROENDHÀRE. | Spargere la paglia sulla soglia d’una giovane per disprezzo.
appè avv. a piedi. Andhare, caminare, viaggiare appê andare,
camminare, viaggiare a piedi. A u’ andhat su re appê la ritirata,
il cesso. Torrare dai accaddhu appê decadere di condizione, diventar povero. Fit tantu superbu, ma es torradu dai accaddhu
appê era tanto spocchioso, ma è ben decaduto. Esser nè accaddhu nè appê essere né a piedi né a cavallo, cavalcare un
ronzino malandato; (metaf.) essere né carne né pesce, star così
così, né bene né male.
appeàda s.f. l’atto di smontare da cavallo. A s’appeada, m’ha
subbitu assaltiadu appena sono smontato, m’ha tosto assalito.
appeàdu agg. smontato da cavallo. Fit già appeadu candho so
arrividu eo quando sono arrivato io era già smontato. | Di bestia, legata al piede, impastojata.
appeaméntu s.m. impastojamento.
appeàre tr. impastoiare, legare ai piedi. Appea cuss’’acca, ch’es
brincaditta impastoia quella vacca, che salta troppo i ripari. |
rifl. smontare da cavallo. Appèadi, ch’andhamus umpare cuntrestendhe smonta, che camminiamo discorrendo insieme.
appedazzàda (tz) s.f. l’atto di ristabilirsi in salute. Daresi, faghersi un’appedazzada: so istadu unu mese malaidu, ma como
già m’hapo dadu (o fattu) un’appedazzada … ma ora mi sono
alquanto rimesso.
appedazzàre (tz) intr. rimettersi alquanto in salute, passarsela discretamente. Su malaidu es cominzendhe a appedazzare il
malato comincia a rimettersi, s’è alzato, sbriga un po’ le sue
faccenduzze. Candho fit cominzendh’a appedazzare, es ruttu in
s’atera maladia quando cominciava a rimettersi, è caduto in
un’altra malattia. Coment’istas? No b’ha male, so appedazzendhe
come stai? Non c’è male, sono in piedi. | Anche sfaccendare,
acciaccinarsi, attapinarsi, acciappinarsi, arrabattarsi. Poveru
diaulu! istat sempre appedazzendhe, ma no concluit mai nuddha
poveraccio! s’attapina, ma non conclude mai nulla. Has aju de
appedazzare, poveru fisti e poveru dês esser! hai un bel affacchinarti, eri povero e sarai povero!
appèddha s.f. latrato, abbaio.
appeddhàda s.f. abbajata, abbaiamento lungo. Daghi sos canes s’han fattu un’appeddhada, eppur’eppuru si sun acchietados
dopo che i cani hanno lungamente abbajato, si sono finalmente acquetati.
appeddhadòre s.m. abbajatore, fastidioso, chiacchierone.
appeddhàdu1 part. pass. malignato, tormentato. Appeddhadu dai ogn’ala tormentato da ogni parte. Es pienu de depidos
ed est appeddhadu da’ ogn’ala è oberato di debiti e tutti gli abbajano attorno.
appeddhàdu2 agg. infittito, ridotto quasi come pelle, di
panno lavato. || lat. pellis.
appeddhàre intr. abbaiare. Sos canes sun istados tota notte appeddhendhe i cani hanno abbaiato per tutta la notte. | Anche
al fig. Appeddha, appeddha! ndh’has aju de appeddhare! abbaja,
abbaja! hai un bell’abbajare! Cane ch’appeddhat no pigat cane
che abbaia non morde. Su cane appeddhad in domo de su padronu ogni cane abbaia nel suo pagliaio.
appéddhida s.f. abbaiata. Oe già ndh’han de appeddhida sos
canes come abbajano a lungo oggi i cani.
appéddhidu s.m. latrato, abbaio. Su cane ha dadu un’appeddhidu e semus bessidos totu a sa janna il cane ha abbajato e siamo usciti tosto alla soglia.
appeddhigadòre s.m. che abbaja pacatamente ma con frequenza. Al fig. petulante, noioso.
appeddhigàre intr. abbajare frequentemente ma senza foga.
appéddhu
Su cacciucciu istaiad appeddhighendhe e fit fastizosu il cucciolo
abbajava con frequenza e insistenza ed era assai nojoso. Al fig.
No m’istes igue appeddhighendhe, chi m’has già issurdidu sas
orijas non star costì ciaramellando, ché m’hai già assordato.
appéddhu s.m. abbaio, latrato. Al fig. Lassami custos appeddhos!
smetti codesti abbai, codeste lamentele, codeste avvertenze!
appeddhuncàdu agg. dimagrito, che è tutt’ossa e pelle. Al fig.
oberato di debiti, rovinato. Innanti fit de sos pius riccos de su logu, como es totu appeddhuncadu prima era uno dei più ricchi
della contrada, ora è crivellato di debiti.
appeddhuncàre rifl. dimagrire, spolparsi, avvizzirsi, diventar
tutt’ossa e pelle. De tantu rassu chi fidi, como s’es totu appeddhuncadu prima era tanto grasso, e ora è uno scheletro. Al
fig. indebitarsi fino agli occhi. Zente chi s’appeddhuncat pro su
’inu gente che si carica di debiti per il vino.
appeddhùzzu (tz) s.m. dim. piccolo abbàio.
appedicciàdu agg. aggrovigliolato, di filo.
appedicciàre tr. e rifl. aggrovigliare, aggrovigliolare. Attentu,
no appedicces su filu fa attenzione, non aggrovigliare il filo.
Custos filos si sun tottu appedicciados questi fili si son tutti aggrovigliati.
appedòne avv. a piedi. Andharesìche appedone andarsene a
piedi.
appedràda s.f. lo stato di chi non può andar del corpo per
aver mangiato molti fichi d’India. Ha mandhigadu figu India
meda e si ndh’ha buscadu una bona appedrada ha mangiato
molti fichi d’India e non può partorire. | L’atto di petrificarsi.
appedràdu agg. che non può andar del corpo. | Anche petrificato. Al fig. duro come la pietra, fiero, coraggioso, temerario.
appedradùra s.f. l’atto e l’effetto di non poter andar del corpo. S’appedradura l’ha fruttadu duas dies de lettu la mancata
evacuazione per la scorpacciata dei fichidindia gli ha fruttato
due giorni di letto. | Anche petrificazione. Al fig. indurimento.
appedraméntu s.m. [→ APPEDRADÙRA].
appedràre tr. produrre stitichezza. Sa figuindia l’had appedradu tantas voltas e no iscaddhat i fichi d’India l’han fatto diventare stitico tante volte e non è ancora scottato. | rifl. petrificarsi, indurirsi, condensarsi. Custu tuccaru s’es totu appedradu
questo zucchero s’è tutto appallato.
appedreàda s.f. l’atto di fare la sassaiola. La sassaiola stessa.
Sa piseddhina s’han fattu un’appedreada e como sun totu umpare la ragazzaglia ha fatto una sassaiola, ora è in buon accordo
→ PEDRÀDA.
appedreàre intr. fare la sassaiola, tirar sassi. Istan tota sa die
appedreendhe e no s’istraccana mai tutto il santo giorno non
fanno altro che tirar dei sassi e non si stancano mai. | Anche
lapidare; avvilire, maltrattare. Fizos ch’appedrean sos babbos!
appedriàre tr. gravare di tasse i terreni. || lat. praedium.
appedrigàda s.f. l’atto di lapidare e di rabberciare i muri con
zeppe. Candho fit fuendhe had hàpidu una bona appedrigada
mentre fuggiva ha ricevuto una buona pioggia di sassi. Su muru ndhe fit ruendhe, ma como had hapidu una bona appedrigada
il muro era cadente, ma ora è stato ben rabberciato con zeppe.
appedrigadòre s.m. lapidatore. Sos appedrigadores de sant’Istèvene i lapidatori di santo Stefano. | agg. che ha il vizio di tirar
sassi, spec. di fanciulli. Est unu pizzinnu appedrigadore è un ragazzo che ha il brutto vizio di lanciar sassi a tutti.
appedrigàdu agg. lapidato. Coperto di sassi, assicurato con
sassi. Si cheres chi su ’entu no ndhe las bettet, bisonzat chi sas
teulas sian bene appedrigadas se vuoi che non le butti via il
vento, è necessario che le tegole siano assicurate con pietre.
appedrigadùra s.f. lapidazione. S’appedrigadura de sant’Istevene la lapidazione di santo Stefano. Assicurazione con pietre
o con zeppe. S’appedrigadura de sa cubeltura m’es costada duas
oras l’assicurare le tegole con sassi m’è costato due ore. Cun
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un’appedrigadura su muru istad in pê con un po’ di rabberciamento di zeppe il muro potrà stare in piedi.
appedrigàre tr. lapidare. Candh’han appedrigadu a sant’Istevene, Saulu teniat contu sas vestes de sos appedrigadores quando
è stato lapidato santo Stefano, Saulo custodiva le vesti dei lapidatori. | Far bersaglio di sassate. Est unu fizu chi ch’appedrigat sa mama intro ’e domo è un ragazzaccio che prenderebbe a
sassate anche la mamma. | Assicurare con sassi. Appedriga cussu giuncu, sinò su ’entu che lu pijat assicura con sassi codesti
giunchi, se no il vento li porta via. | Di muri, rabberciarli con
zeppe. | Al fig. tormentare, maltrattare.
appedrighinàda s.f. rabberciamento dei muri con pietruzze
e con zeppe. Dare o fagher un’appedrighinada rabberciare i
muri alla meno peggio.
appedrighinàdu agg. rabberciato alla bella meglio, di muro.
appedrighinadùra s.f. rabberciamento dei muri con zeppe.
appedrighinàre tr. imbottire i muri con pietruzze, rabberciarli
con zeppe. Daghi los han appedrighinados, custos muros sun fortes abbastanzia dopo che li hanno ben rabberciati, questi muri
son forti abbastanza. | rifl. ridursi in piccole zolle o palle. Custu
tuccaru s’est appedrighinadu questo zucchero s’è appallottolato.
appedrischeddhàda s.f. l’atto di appallottolare.
appedrischeddhàdu agg. appallottolato. Custa farina es tota
appedrischeddhada questa farina è tutta appallottolata. Terra
appedrischeddhada terra appallottolata.
appedrischeddhàre rifl. appallottolarsi, specialm. della farina.
appeigàda s.f. l’atto di calpestare. L’ha tentu e l’ha dadu una
bona appeigada l’ha acchiappato e gli ha dato dei bei calci.
appeigàdu agg. calpestato. Legato al piede.
appeigadùra s.f. l’azione e l’effetto di calpestare. Legatura al
piede.
appeigaméntu s.m. calpestamento. Legamento al piede.
appeigàre tr. calpestare. Andha or’oru, mi’ chi ses appeighendhe su laore cammina fuor fuori, bada che calpesti il seminato.
| Legare una bestia al piede → PÉIGA. | Attaccare alle poppe
d’una bestia un figlio estraneo.
appeittàda s.f. l’atto di calpestare. Dà’ un’appeittada a su fenu e istuda su fogu calpesta un po’ il fieno e spengi l’incendio.
appeittàdu agg. calpestato. Custa erva es tota appeittada quest’erba è tutta calpestata.
appeittadùra s.f. l’azione e l’effetto di calpestare. S’’ided ancora s’appeittadura de sos fiados si vede ancora il calpestamento
del bestiame.
appeittàre tr. calpestare. B’est intrada s’’ama intrea e had appeittadu totu s’ortu v’è penetrato tutto il branco e ha calpestato tutto l’orto.
appeittigàda, -adu, -adura, -amentu, -are, -u → APPETTIGÀDA
ecc.
appejonadòre s.m. chi dà o prende a pigione.
appejonàdu agg. appigionato, affittato.
appejonadùra s.f. l’azione e l’effetto di appigionare.
appejonàre tr. dare o prendere a pigione o in affitto. Appigionare o affittare.
appejòne avv. a pigione. Dare o leare appejone. Esser appejone
a pensione.
appelfilàdu agg. sottile, snello. Cun su chintu appelfiladu →
APPERFILÀDU.
appellàbbile agg. appellabile. Causa, sentenzia appellabbile.
appellàdu agg. appellato. Sentenzia appellada.
appellànte agg. appellante, chi appella. Sa parte appellante la
parte che appella. Anche sost. come in it. Sas ispesas sunu ruttas subra s’appellante le spese del processo sono state addebitate all’appellante.
appellàre tr. appellare. Had appelladu sa sentenzia si è appellato dalla sentenza. | ass. intr. Had appelladu a Cassazione
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si è appellato alla Cassazione. | Appellaresindhe a unu rimettersi al giudizio di uno. Mi ndh’appello a tie, si sun cosas mancu de pensare me ne appello a te, se queste son cose manco da
pensare. | (voc. ant.) chiamare. Si appellât tando allora si chiamava (Condaghe). In questo senso è caduto.
appellasciòne s.f. appello. No b’had appellassione dai Deu
(Delogu Ibba). ▫ appellassiòne.
appellìda s.f. (t. disus.) richiamo, rimprovero.
appellidàre intr. (t. disus.) toccare, spettare. Ti appellidan
benes mannos dopo morte ti aspettano grandi beni (Vidal).
appéllu s.m. appello, l’appellarsi da un tribunale all’altro.
Corte de appellu, consizeri de appellu, sentenzia de appellu; derettu de appellu; recursu in appellu; giudissiu de appellu. Senz’appellu senz’appello, inappellabile. No b’haer appellu: sa cosa
es goi e non b’had appellu la cosa è così e non c’è appello. |
Anche chiamata. Fagher s’appellu, rispondher a s’appellu far la
chiama, rispondere all’appello.
appelpassàre rifl. arrischiare, osare. Che frade appassionadu
m’appelpasso… (Ant. Spano).
appèna1 s.m. un poco, un pochettino. Dami un’appena de
cussu pane dammi un pochettino, un pezzettino di quel pane. Un’appena de farina un pochettino di farina. No ha mancu un’appena de cherveddhu non ha neppure un tantino, un
briciolo di cervello.
appèna2 avv. appena, a fatica. So tantu debbile chi appena
mi rezo son così debole che appena sto in piedi. | avv. di
quantità, un tantino, poco poco. Damindhe appena appena
de cussu mele dammi un pochino di codesto miele. | avv. di
tempo. Appena so arrividu m’ha fattu visita mi ha reso visita
appena sono arrivato. | avv. di qualità. Appena moddhe, appena longu un po’ molle, un po’ lungo. | Appena appena (rafforz.). Est appena appena longhittu è un pochino lunghetto.
appenàdu agg. impietosito. Appenadu de tantas disgrascias
mias m’had aggiuadu che unu frade impietosito di me per tante mie sventure mi ha aiutato come un fratello. | Afflitto, tribolato, affannato. Cussa povera mama est appenada pro sa tortura de sos fizos quella madre è tribolata per la malvagità dei
figli. | Condannato a una pena.
appenadùra s.f. pena, compassione. Condanna.
appenaghì avv. appena che. Appenaghì cheno ’enzo appena
avrò cenato verrò.
appenaméntu s.m. commiserazione, compassione. Condanna.
appenàre tr. condannare. | Commovere, addolorare. Cussa
vista m’had appenadu quella vista m’ha addolorato. | rifl. commoversi, impietosirsi. M’appeno de sa ’ezzesa de mamma tua, si
no… ho pietà della vecchiezza di tua madre, diversamente…
Si Deu non si ndh’appenat… se Dio non ha pietà di noi…
appènas avv. → APPÈNA2.
appenaschì avv. → APPENAGHÌ.
appèndhere tr. (raro) appendere.
appéndhidu part. pass. (raro) appeso.
appendhiméntu s.m. (raro) appendimento.
appendhìzziu (tz) s.m. quartiere d’una città. S’appendhizziu
de Turre Manna il quartiere della Gran Torre.
appendhìzzu (tz) s.m. → APPENDHÌZZIU.
appendhulizzàdu (tz) agg. che ha praticacce. Carico, oberato di debiti.
appendhulizzàre (tz) rifl. amicarsi, legarsi con praticacce.
Caricarsi di debiti.
appendhùzza (tz) s.f. amicizia, per lo più illecita. Debito.
appendhùzzulu (tz) s.m. amicizia leggera; appoggio. Debito.
appendìce s.f. appendice.
appendicìte s.f. appendicite.
appenéddhu avv. dim. un pochino. Anche sost. Dami
un’appeneddhu de farina dammi un pochettino di farina.
apperrighinàre
appensadamènte avv. appensatamente, cautamente. Con
premeditazione. Mi l’ha fattu appensadamente me l’ha fatto
con premeditazione.
appensadèsa s.f. assennatezza, accortezza. Balet pius s’appensadesa ch’ha Nanni chi no totu sas ricchesas tuas vale più l’accortezza di Gianni che non tutte le tue ricchezze.
appensàdu agg. appensato, cauto; accorto. Est unu giovanu
meda appensadu è un giovane molto accorto, molto provvido.
appensàre tr. ricordare, suggerire, indettare. Si no mi l’appensas
tue no mi ndh’ammento pius se tu non me lo ricordi non l’ho
più a mente. Appensami tue, chi so cunfusu suggeriscimi, consigliami tu, che son confuso.
appénsu s.m. accortezza, cautela. Est un’omine chen’appensu perunu è un uomo di nessuna accortezza. Omine de appensu uomo accorto, intelligente, provvido. Zente de pagu appensu gente
di poca accortezza. | Pro su pagu appensu per la poca riflessione.
No l’hapo fattu pro su male, est istadu pro su pagu appensu non
l’ho fatto per male, è stata la poca riflessione.
appentàda s.f. l’atto di trastullarsi, baloccarsi. Dadi ancora
un’appentada, sinò no ndh’has perdidu ateru de tempus! trastullati ancora, che non hai perduto abbastanza tempo!
appentàdu agg. trastullato, baloccato. Attirato, ingannato.
appentàre tr. trastullare, baloccare. Appenta cussa criadura,
intantu ch’andho a s’abba balocca codesto bimbo, mentre vado a prender l’acqua. | rifl. Sos pizzinnos s’appentan cun chentu cosigheddhas i fanciulli si baloccano con cento coserelle. Incantarsi. No t’appentes in caminu, torra lestru non incantarti
per strada, torna alla svelta.
appéntu s.m. trastullo, balocco, ninnolo. S’appentu ’e domo
il trastullo, la festa della casa. | Hap’in domo s’addoru ei s’appentu (Mele).
apperdijàdu agg. bruciacchiato → APPERDISÀDU.
apperdimentàdu agg. perduto, guasto, fradicio. Alimentos
apperdimentados.
apperdimentàre tr. e rifl. perdere, guastare.
apperdiméntu avv. abbondantemente, strabocchevolmente.
Curren rios de mele a perdimentu (Mossa) → a PERDIMÉNTU.
apperdisàdu agg. E cantas no si sun apperdisadas (farfalle al
lume) (Pinna).
apperfescionàdu agg. perfezionato, che ha molte buone
qualità. Apperfescionadu de trattu di bell’aspetto, ben proporzionato di membra. In dogni modu apperfessionada (Cherchi).
▫ apperfessionàdu, apperfezionàdu (tz).
apperfilàdu agg. sottile.
apperitìvu s.m. aperitivo.
apperràdu agg. diviso per metà. Cocciuto, intestato. Apperradu peus de su burricu cocciuto più dell’asino.
apperràre tr. dividere per metà. | rifl. intestarsi. Como s’est
apperradu gai e no lu movet niunu adesso s’è incapato così e
non lo smonta nessuno. | In questo senso anche ass. Apperrare: como ch’had apperradu, bae e movelu adesso che s’è intestato, chi lo smonta? || da perra metà; ostinatezza.
apperrighinàda s.f. l’atto di indugiare, star saldo in un luogo,
insistere. Già l’ha fatta igue s’apperrighinada, paret chi ch’hapat
postu raighina l’ha fatto lì il bell’indugio, pare che abbia messo
le radici.
apperrighinàdu agg. indugiato, fermo, insistente, abbarbicato. Incapato. Est igue apperrighinadu in su giannile e no si cheret movere è lì fermo sulla soglia e non si vuol movere. Al fig.
Apperrighinadu in sas ideas suas fermo nelle sue idee.
apperrighinaméntu s.m. cocciutaggine, ostinatezza. It’apperrighinamentu! che ostinatezza!
apperrighinàre rifl. indugiare, fermarsi a lungo con ostinatezza. Incaponirsi. Iscuru a chie s’apperrighinad in s’idea mala!
misero chi s’ostina in una cattiva idea!
appès
appès avv. ai piedi. Andhare, benner appês umiliarsi. M’es vennidu appês a mi pregare è venuto a pregarmi. Bettaresi appês buttarsi ai piedi. Si l’es bettadu appês gli si è buttato ai piedi. | prep.
Appês de sa turre, de su monte ai piedi della torre, del monte.
appesilàdu agg. aggruppato, legato a penzolo.
appesilàre tr. aggruppare, unire, legare a penzolo.
appesìle s.m. penzolo. Appesìle de ua, de mela, de pira penzolo d’uva, di mele, di pere.
appesìliche s.m. (Nuoro) penzolo d’uva.
appesólzu s.m. penzolo. ▫ appesórzu.
appestàda s.f. l’atto di appestare, appuzzare. It’appestada ’e
logu! com’è appuzzato questo luogo!
appestàdu agg. e sost. appestato, appuzzato.
appestadùra s.f. l’azione e l’effetto di appestare, appuzzare.
appestaméntu s.m. appuzzamento.
appestàre tr. appestare, appuzzare. Custu mortorzu appestat
totu su logu questa carogna appuzza tutto il sito. Anche al fig.
appetènte agg. (raro) appetente.
appeténzia (tz) s.f. (raro) appetenza.
appetèssere tr. appetire, desiderare. ▫ appètere. || sp. apetecer.
appetéssidu agg. appetito, desiderato.
appetìdu agg. (raro) appetito, desiderato.
appettigàda s.f. l’atto di calpestare. Segundhu s’appettigada
chi li faghen sos fiados, su trigu naschet male secondo come lo
calpestano le bestie, il grano nasce male.
appettigàdu agg. calpestato. Trascurato, maltrattato, disprezzato. Est appettigadu dai totu tutti lo maltrattano, lo disprezzano.
appettigadùra s.f. l’azione e l’effetto di calpestare. Giugher
a appettigadura maltrattare, malmenare. Giughet sa muzere a
appettigadura tratta la moglie come uno straccio. Giughet su
’inari a appettigadura tratta i danari come la rena.
appettigaméntu s.m. calpestamento. Maltrattamento, disprezzo.
appettigàre tr. calpestare, maltrattare, disprezzare. Appettigare
ludu camminare per sentieri acquitrinosi. Custu si narad appettigare ludu, no caminare questo si chiama calpestar fango,
non camminare. Appettigare ispina camminare per luoghi spinosi. Appettigare su furesi pestare l’orbace, ciò che un tempo
dove non c’erano le gualchiere si faceva primitivamente coi
piedi. | Appettigare a tottu calpestare tutti, d’un prepotente che
non usa riguardi per nessuno. Est un’orcu ch’appettigad a totu è
un orco che calpesta tutti. | Appettigare sa giustiscia calpestar la
giustizia. | No si lassare appettigare non lasciarsi calpestare. Est
un’omine chi no si lassad appettigare dai nisciunu è un uomo
che si fa rispettare, che si difende. | Appettigare merda, frase triviale per compiere delle azionacce indegne. Custu si narad appettigare merda questo si chiama calpestare sterco.
appéttigu s.m. calpestamento, calpestio. Disprezzo, maltrattamento.
appettorizàda s.f. l’atto di travolgere urtando col petto, del
cavallo. Su caddhu l’ha dadu un’appettorizada ed es ruttu il cavallo l’ha urtato col petto e l’ha travolto. Had hapidu una
bona appettorizada dai su caddhu ha ricevuto un forte urto
del petto del cavallo.
appettorizàdu agg. travolto dall’urto del cavallo.
appettorizàre tr. urtare col petto, travolgere, atterrare con
l’urto del petto del cavallo. L’had appettorizadu su caddhu l’ha
travolto il cavallo. | Appettorizare su laore calpestare il seminato.
appettorìzu s.m. urto col petto del cavallo. Calpestio.
appettòrra s.f. petto → PETTÒRRA.
appettorràdu agg. pettoruto, dal seno molto sviluppato.
Legato al petto.
appettorràre tr. legar bene al petto. | intr. sviluppare nel seno, ingrossar di torace.
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appettòrras avv. fino al petto. M’arrivid appettorras m’arriva
fino al petto. B’haiat trigu altu appettorras de s’omine c’era frumento alto fino al petto dell’uomo. B’haiat nive appettorras
c’era neve fino alle ascelle. | In grande quantità. In cussa ’iddha b’es su ledamine, su famine appettorras in quel villaggio v’è
la sporcizia a mucchi, una fame spaventosa.
appéttus prep. in paragone, in confronto. Su sole, appettus
de ateras istellas, es minore minore il sole, in confronto di altre
stelle, è piccolo piccolo.
appeùmbu avv. a piombo. Custu muru no est appeumbu
questo muro non è a piombo.
appeùttu avv. quattoni, quatton quattoni. Andhare appeuttu, appeuttu appeuttu camminar quattoni, quatton quattoni.
appezzàdu (tz) agg. di alta statura. Est un’omine bene appezzadu è un uomo molto alto.
appezzaméntu (tz) s.m. appezzamento. Ha chimbe o ses appezzamentos, pro sa ’iddha nostra si podet narrer riccu ha cinque o sei appezzamenti, per il nostro paese si può dir ricco.
appezzàre (tz) rifl. diventar alto, di buona statura. Su giovanu s’est appezzadu coitendhe il giovane è diventato alto precocemente. | intr. ass. Ha coitadu a appezzare è diventato alto
molto presto.
appèzzos (tz) avv. a pezzi. Fagher appezzos far a pezzi, rompere, stracciare. A mossos ha fattu appezzos su ’estire s’è stracciate le vesti coi denti. | In forma d’agg. stracciato, sbrindellato. Gighiat sos calzones appezzos portava i calzoni stracciati.
appiadàdu agg. quatto, curvo, inclinato. | Impietosito, pietoso. Preguntesit appiadadu a sa femina (Vass.).
appiadaméntu s.m. curvamento, abbassamento.
appiadàre rifl. (raro) curvarsi, inchinarsi, abbassarsi.
appiagàdu agg. ferito, solcato di piaghe. Mirami su costazu
appiagadu (Murenu). Custu coro appiagadu (G. M. Masala).
appiagàre tr. ferire, solcare di piaghe.
appianàbbile agg. appianabile, che si può appianare.
appianàda s.f. l’atto di appianare, lisciare, levigare, piallare.
Dà’ un’appianada a custu terrinu, a custa maniga de zappu appiana un po’ questo terreno, liscia, leviga questo manico della
zappa. Daghi mi do un’appianadeddha a sos pilos hap’a benner
dopo che mi sarò data una lisciatina ai capelli verrò.
appianàdu agg. appianato, lisciato, levigato, piallato. Piatta
appianada piazza spianata, livellata. Pumas appianadas piume
lisciate, levigate. | Di questioni, divergenze, composte. Custas
como sun chistiones appianadas pro sempre queste, adesso, sono
questioni appianate, composte per sempre.
appianadùra s.f. l’appianare, il lisciare, il levigare, il comporre.
appianaméntu s.m. appianamento, al proprio e al figurato.
appianàre tr. appianare; lisciare, levigare, piallare; comporre.
Han appianadu su caminu de s’istazione hanno appianato la
strada della stazione. Est appianendhe cussu fuste pro ndhe fagher unu bacculinu sta lisciando, levigando quel bastone per
farne un bastoncino. Si no appianades sas chistiones ch’hazis in
familia, no passo pius in domo tua se non componete le divergenze di famiglia, non passerò più in casa tua.
appiantonàdu agg. piantonato. Sa domo de su sindhigu est appiantonada la casa del sindaco è piantonata. | Rigido, immobile come una sentinella. Ite faghes cue appiantonadu? che fai costà impalato?
appiantonàre tr. piantonare, custodire con sentinelle. | Estens.,
far la guardia, custodire gelosamente. Pro sa ’elosia appiantonat
sa muzere die e notte per la gelosia fa la guardia alla moglie giorno e notte.
appiànu1 s.m. (raro) appianamento. Sun fattendhe s’appianu
de sa piatta fanno lo spianamento della piazza.
appiànu2 avv. piano, lentamente. Andhare, caminare appianu
andare, camminar adagio, con lentezza. Tribagliare appianu
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lavorar fiaccamente. Faeddhare appianu parlare lentamente, a
voce bassa.
appiàriu s.m. apiario. Più com. → CASIDDHÈRA.
appiattàre rifl. → APPIETTÀRE.
appibiàre tr. → PIBIÀRE.
appiccadólzu s.m. appiccagnolo. Appicca s’istagnale a s’appiccadorzu e beni a bustare attacca la secchia all’appiccagnolo e
vieni a desinare. | Al fig. scusa, pretesto. Lassami custos appiccadorzos e finila smettila una buona volta con codeste scuse
magre. ▫ appiccadórzu.
appiccàdu agg. appiccato, appeso, impiccato. Es restadu appiccadu a sa trae è rimasto appeso al trave. | Anche sost. Più
com. → IMPICCÀDU.
appiccadùra s.f. appiccatura. S’appiccadura de sa ua es fatta
male l’uva è stata appesa male.
appiccàglia s.f. penzolo, mazzetto. Un’appiccaglia de ua un
penzolo d’uva.
appiccaméntu s.m. appendimento, appiccamento.
appiccàre tr. appendere, sospendere. Appicca su fusile a su giau
appendi il fucile al cavicchio. | Anche per impiccare. L’han appiccadu, Deu ’aldet, a s’alvure l’hanno, Dio liberi, impiccato a
un albero. | rifl. aggrapparsi, appendersi. S’est appiccadu a su ramu e no ndh’es ruttu s’è aggrappato al ramo e non è caduto.
S’est appiccadu ’e manu sua s’è impiccato. | Appiccadi! bae e appiccadi! va là! va e scavezzati il collo! va alla malora!
appicchionàda s.f. l’atto di desiderare, bramare; appetire,
spec. di cibo.
appicchionàdu agg. desideroso, bramoso, spec. di cibo. Es
meda appicchionadu a sos fruttures ha un debole per le frutta.
appicchionàre rifl. invogliarsi, desiderare, bramare; sentirsi
portato, spec. di cibo. S’est appicchionadu a sos dulzes e no
ndhe lu podimus istransire ha contratto un debole per i dolci
e non lo possiamo correggere.
appicchiónu s.m. desiderio, brama, debole per un cibo. No
has mal’appicchionu pro custa beneitta petta! hai un bel debole
per questa benedetta carne!
appiccòne s.m. (Barb.) rocchio di salsiccia. Penzolo (Dualchi).
appiccónia s.f. desiderio, brama; estro, speranza. | Penzolo.
appicconiàdu agg. → APPICCHIONÀDU.
appicconiaméntu s.m. → APPICCHIÓNU.
appicconiàre rifl. → APPICCHIONÀRE.
àppidu part. pass. de haer, avuto, ricevuto. Chi had appidu
had appidu chi le ha son sue. [Nella presente edizione si è
generalizzata la scrittura alternativa hàppidu, egualmente documentata nel manoscritto.]
appiedàdu agg. impietosito.
appiedàre rifl. impietosirsi.
appienadùra s.f. il ripieno → PIENADÙRA.
appiénu avv. appieno, pienamente. Connoscher appienu conoscer profondamente, pienamente. | (t. culinario) un modo
di cucinare i volatili, riempiendo il ventre della frattaglia con
altri ingredienti. A terzu piattu b’haiat duas puddhas appienu
per terzo piatto c’eran due galline con ripieno.
appiettàdu agg. raggrumato, cagliato. Sambene, latte appiettadu sangue aggrumato, latte cagliato.
appiettàre rifl. raggrumarsi, del sangue; cagliarsi, del latte.
appighinzonàda s.f. l’atto di inaridire (la bocca).
appighinzonàdu agg. e part. pass. inaridito, della bocca.
appighinzonàre tr. (Pattada) inaridire. S’iscarzoffa appighinzonat sa ’ucca i carciofi inaridiscono il palato.
appìgliu s.m. appiglio, scusa, pretesto. No bi andho pro no li
dare appigliu perunu non ci vado per non dargli alcun pretesto.
appijàda s.f. l’atto di piegare, avvolgere.
appijàdu agg. piegato, ripiegato, a pieghe; gualcito.
appijàre tr. piegare, ripiegare; gualcire. | rifl. gualcirsi, di
appinnuladùra
stoffe. Ti che ses sèzzidu subra ei custu pannu s’est appijadu ti
sei seduto sopra questo panno e l’hai sgualcito.
appiliàda s.f. l’atto di assaltare. A s’appiliada chi l’han dadu
(o fattu) sos poveros, no si los ha potidos cazzare i poveri l’hanno assaltato in modo che non si è potuto schivare.
appiliàdu agg. che assalta. Puntu s’ha bidu sos corvos appiliados all’improvviso s’è visto assalito dai corvi.
appiliàre tr. assalire, assaltare. | rifl. Sa ’ulturina s’est appiliada
a su mortorzu gli avvoltoi si son buttati dando assalto alla carogna. Fogarsi intorno a una persona. Sos fizos si sun appiliados
a sa mama i figli si son fogati intorno alla madre. | Attaccarsi a
uno, seccare, importunare. Tue, daghi t’appilias a unu ses peus
de sa zecca quando t’attacchi a uno sei peggio della zecca.
appìliu s.m. insistenza, cocciutaggine, nell’attaccarsi a uno
per pregarlo e ottenerne un favore. Gesummaria it’appiliu! che
insistenza, che cocciutaggine, Dio mio! | Anche per appiglio.
E dognunu de issos let s’appiliu (Calvia 22).
appillìda s.f. → APPILIÀDA.
appillìre rifl. Sos corvos si sun appillidos a s’alvure e in unu domine s’han mandhigadu tota sa figu i corvi si son buttati sull’albero e in un attimo han divorato tutti i fichi → APPILIÀRE.
appillòtta appillòtta avv. nella frase giugher appillotta appillotta, giugher a s’appillotta palleggiare, mandar di qua e di là,
sballottare. Anche a s’appillòtta. || da pilotta palla, o da Pilato?
(giugher, portare, mandhare dai Erodes a Pilatu).
appimpirinàda s.f. l’atto di accosciarsi. S’ha fattu s’appimpirinada ei su cumpagnu l’es brincadu assubra s’è accosciato e il
compagno gli è saltato addosso.
appimpirinàdu agg. accosciato.
appimpirinàre rifl. accosciarsi. Appimpirìnadi, chi no bi
giompo a ti ponner su tedile accosciati, che non arrivo a metterti il cercine sul capo.
appinniccàda s.f. l’atto di attaccarsi a uno, seccarlo, molestarlo.
appinniccàdu agg. attaccato, molesto. Pieno di grattacapi,
di molestia.
appinnicciàda s.f. l’atto di formare la roccata, il pennecchio.
No ischit fagher bene s’appinnicciada non sa ben formare il
pennecchio.
appinnicciàdu agg. ridotto in pennecchio, inconocchiato.
Lana, linu appinnicciadu.
appinnicciadùra s.f. l’azione e l’effetto di formare il pennecchio, d’inconocchiare.
appinnicciàre tr. ridurre in pennecchio il lino o la lana, inconocchiare. Lea custa lana e appinnicciala in custa rucca
prendi questa lana e inconocchiala in questa rocca.
appinnonàda s.f. l’atto di rimaner ritto in piedi con fastidio
altrui. Daghi si faghet s’appinnonada, pared unu fuste de bandhera quando si pianta ritto, sembra un’asta di bandiera.
appinnonàdu agg. ritto in piedi come una pertica; incantato. Proite m’istas cue appinnonadu, chi mi leas su sole? perché te
ne stai costì impalato, che mi fai ombra? | Coa appinnonada
coda ritta.
appinnonadùra s.f. l’azione e l’effetto d’impalarsi, rizzarsi.
appinnonàre rifl. impalarsi, rizzarsi. S’est appinnonadu in sa
gianna e no beniat mai s’ora ’e si ch’andhare s’è impalato sulla
soglia e non se n’andava più! | Appinnonare sa coa rizzare la coda. Su mazzone appinnonaiat sa coa pomposu pomposu la volpe
rizzava la coda tutta orgogliosa.
appinnulàda s.f. l’atto di sgranare gli occhi. Appinnulada de
ojos sbarramento d’occhi. No ha fattu mala appinnulada de
ojos! oh come ha sbarrato gli occhi!
appinnulàdu agg. di occhi, sbarrati, sgranati.
appinnuladùra s.f. sbarramento, sgranamento d’occhi. Had
un’appinnuladura de ojos chi pared unu foressidu ha un certo
modo di sbarrare gli occhi, che sembra un folle.
appinnulàre
appinnulàre tr. sgranare, sbarrare, degli occhi. Anche intr.
con de. Appinnulare sos ojos, oppure appinnulare de ojos sgranare, sbarrare gli occhi per maraviglia o paura.
appiòssa s.f. correzione manuale, percosse, battiture, busse.
Dare s’appiossa percotere, picchiare, dare delle busse. Daghi no
ha cherfidu cagliare mai, sa mama l’ha dadu s’appiossa giacché
non la voleva smettere e continuava a frignare, la madre glie
le ha date sode.
appióttu avv. quattoni. Appiottu appiottu quatton quattoni.
Anche a s’appiottu. Andhare, caminare appiottu, appiottu appiottu o a s’appiottu camminar quatto quatto. | Di nascosto.
Sos ladros benin guasi sempre a s’appiottu i ladri vengon quasi
sempre di nascosto, guardinghi.
appiràda s.f. catasta, mucchio. L’atto di accatastare, ammucchiare. Un’appirada ’e pane una catasta di schiacciate.
appiràdu agg. accatastato, ammucchiato. Su pane fit totu appiradu subra sa mesa i pani (sardi) eran tutti messi l’uno sull’altro in forma di catasta sopra la mensa.
appiradùra s.f. l’azione e l’effetto di accatastare.
appiràre tr. accatastare, mettere l’uno sull’altro, quasi esclusivamente dei pani sardi o schiacciate o di oggetti che nella
forma rassomigliano al pane. Appiralu ’ene, cussu pane, ca sinò
ndhe ruet mettili bene l’uno sull’altro, codesti pani, se no la
catasta si sfascia.
appìsa avv. nella frase bidersila appisa vedersela brutta,
scamparla bella. Già es torradu, ma si l’ha bida appisa è tornato, ma l’ha scampata bella. Doloroso ricordo della esosa signoria di Pisa.
appischinàdu agg. allagato, impaludato.
appischinadùra s.f. allagamento, impaludamento.
appischinàre rifl. allagarsi, impaludarsi. S’abba s’es tota appischinada in su campu le piogge hanno impaludato il campo.
appìsciulu s.m. chiacchierio, ciaramellio. Oe già ndh’has de
appisciulu oggi sei proprio un chiacchierone. | Anche fretta,
impazienza. No b’ha bisonzu ’e tant’appisciulu non occorre
tanta fretta.
appìssi cong. Corruz. di a bider si per vedere se → ABBÌSSI.
appistizonàda s.f. l’atto di raggrumarsi, appallottolarsi.
appistizonàdu agg. raggrumato, appallottolato.
appistizonadùra s.f. l’azione e l’effetto di appallottolarsi,
raggrumarsi.
appistizonàre rifl. raggrumarsi, appallottolarsi, coagularsi.
Custa farina s’es tota appistizonada questa farina s’è tutta appallottolata. | Anche rannicchiarsi.
appistulàda, -adu, -adura, -are → APPISTIZON-.
appistulàdu agg. ulcerato.
appisturàda → APPISTULÀDA.
appisulinàda s.f. l’atto di appisolarsi. S’ha fattu un’appisulinada, ma subbitu s’est ischidadu s’è appisolato, ma s’è svegliato
subito.
appisulinàdu agg. appisolato. No fio drommidu, fio solu appisulinadu non ero addormentato, ero solo appisolato.
appisulinàre rifl. appisolarsi. Si fid appisulinadu tandho
tandho s’era appisolato allora allora. Daghi su malaidu s’appisulinat, cagliade sa zarra dopo che il malato s’appisola, tacete.
appitànzia (tz) s.f. pietanza, cibo. Oe no ch’had appitanzia
peruna oggi non c’è alcun alimento.
appitìdu agg. appetito, desiderato.
appitìre tr. (raro) appetire.
appitissìda s.f. l’atto di appetire.
appitissìdu agg. appetito, desiderato, di cibo.
appitissìre tr. appetire, desiderare. Appitissire sa petta, sos
maccarrones desiderare la carne, i maccheroni. Si no appitissis
sa petta, ti frio un’ou se non appetisci la carne, ti friggo un
ovo. | Più comune è la costruzione inversa. Sa petta no m’ap-
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pitissit, sos maccarrones oe no m’appitìssini la carne non mi va,
oggi i maccheroni non mi piacciono.
appititosamènte avv. appetitosamente.
appititósu agg. appetitoso, che ha appetito. Che cane appititosu come cane affamato.
appitìtu s.m. appetito, fame. No b’ha chei s’appetitu! [sic] non
c’è che l’appetito, quando si ha appetito non si è molto schizzinosi. Mandhigare cun appititu o chena (senza) appititu mangiare con o senza appetito. | Appititu ’e canes fame da cani. |
Fagher venner s’appititu far venire, aguzzare l’appetito. | Passare o leare s’appititu far passare, togliere l’appetito. Custa broa
mi passat s’appititu codesta broda mi toglie l’appetito. Fizu
meu, si merendhas como, ti leat s’appititu pro chenare figlio
mio, se merendi adesso, non avrai più voglia di cenare.
appìtta appìtta avv. nella frase istare appitta appitta guardare
con l’acquolina in bocca uno che mangia.
appittanculàre intr. andare alla caccia d’inviti, capitare in
casa altrui all’ora dei pasti. Andhat sempre appittanculendhe
dai domo in domo va di casa in casa per scroccare un invito.
appittànculu agg. e sost. chi va alla caccia degli inviti.
appittàre intr. fermarsi a guardar chi mangia con l’intenzione di essere invitato. Istat sempre appittendhe in sas giannas
anzenas sta sempre alla porta degli altri all’ora dei pasti per
essere invitato.
appittigàre tr. pizzicare. Anche pittigàre.
appìttighe avv. Dar appittighe pizzicare, dar dei pizzicotti.
Al fig. molestare, offendere. Istat sempre dendh’appittighe a
s’un’e a s’ateru cun sa limba e cun sos recursos molesta, offende
continuamente or l’uno or l’altro con la lingua e coi ricorsi. |
Bogarendhe unu o una cosa appittighe notare una persona o
una cosa tra tante, per lo più in mala parte. Bi ndh’haiat tantos de piseddhos in sa battagliola, e ndh’han bogadu appittighe a
fizu meu ce n’eran tanti di ragazzi alla sassaiola, e han notato
solamente mio figlio. | Leare, coglire appittighe prendere una
cosa stringendola col pollice e con l’indice, oppure prendere
con le molle. Coglindhe cussa braja appittighe prendi la brace
con le molle. Leare a pittighe (fig.) prendere a male, legarsi al
dito. Est un’omine chi lead appittighe dogni paraula è un uomo
che si lega al dito ogni parola. S’ha leadu appittighe ca no ses
andhadu a lu visitare s’è preso a male perché non sei andato a
salutarlo. ▫ a pìttighe.
appittighinóju avv. nelle frasi basare (’asare) o dare unu ’asu
(o ’asos) o leare appittighinoju baciare uno stringendogli carezzevolmente le guance col pollice e con l’indice d’entrambe le
mani. Si li naras cussu, no ti ’asad (o no ti leat) zertu appittighinoju! se gli dici questo, non ti colma certo di carezze! ▫ a pìttighe in óju.
appìttu1 s.m. speranza, desiderio. | Cortiletto → CIAPPÌTTU.
appìttu2 avv. in attesa. Istar appittu, esser appittu aspettare,
sperare. So sempr’appittu a tie aspetto sempre te. Es sempr’appittu a s’impiegu chi l’han promissu spera sempre l’impiego che
gli han promesso. Es sempr’appittu a su mannau sta sempre
aspettando la manna. Ist’appittu! spera, stai fresco! Tue cheres
irricchire, ist’appittu! tu vuoi arricchirti, stai fresco! | Istar appittu confidare, aver fiducia. Chie istad appittu a s’aggiudu anzenu medas vias restad ingannadu chi attende l’aiuto altrui spesso
resta ingannato. Colzu a chi’ istad appittu a s’anzenu misero colui che pone la sua speranza sull’altrui. | Anche con la preposizione de. Appittu de…: appittu de ervas totu su eranu (P. Serra).
àppiu s.m. sedano. || lat. apium.
appizàdu agg. collocato a strati, l’uno sopra l’altro. Rattoppato con molte toppe anche l’una sull’altra.
appizàre tr. collocare l’uno sopra l’altro, a strati. Si dice di
cose molto piatte o di panni. Appiza cussas còzzulas accatasta
codeste schiacciate mettendole l’una sull’altra. | Rattoppare
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con molte toppe. | Appizare faltas, mancanzias, dellittos imputare mancanze, delitti. | rifl. gualcirsi, far delle pieghe.
appizzàda (tz) s.f. l’atto di cucire alla diavola uno strappo. Dà’
un’appizzada a custa segadura raffrigna un po’ questo rotto.
appizzàdu (tz) agg. raffrignato, cucito alla meno peggio.
appizzadùra (tz) s.f. cucitura alla carlona, frinzello, raffrigno.
Cust’est un’appizzadura comente si siat, l’hap’a cosire mezus posca
questo è un raffrigno qualunque, lo cucirò meglio in seguito.
appizzàre (tz) tr. cucire alla meno peggio, raffrignare uno
strappo, un rotto, uno sbrendolo. Appizzalu comente podes,
l’has a cosire comente si toccat dagh’andhamus a biddha raffrignalo come puoi, lo cucirai per bene quando arriveremo a casa.
àppizze (tz) s.m. apice, punta, coserella. Esser a s’appizze essere a conoscenza. Narami, tue chi ses sempr’a s’appizze de dogni
cosa dimmi, tu che sai sempre tutte le notizie. Fid a s’appizze
de tota sa manovra conosceva anche nei particolari tutte le
mene. | Istare a s’appizze esser sempre pronto, stare attento,
stare in vedetta. Ist’a s’appizze, e curre a sa prima ’oghe sta in
guardia, e corri alla prima chiamata. | Leare una cosa a s’appizze considerare anche le piccolezze, impressionarsi anche
delle minuzie. Es tantu dilicadu chi leat dogni cosa a s’appizze è
tanto delicato che s’impressiona d’ogni nonnulla.
appizzigàda (tz) s.f. l’atto di appiccicare, attaccare. Appiglio,
pretesto. Chircat sempre s’appizzigada pro gherrare cun totu
cerca ogni pretesto per attaccarsi con tutti. | Persone chi no
had appizzigada peruna uomo sbricio, che non ha alcuna
buona dote o alcuna abilità o alcuna via da seguire.
appizzigadìttu (tz) agg. appiccicoso, appiccicaticcio. | Omine
appizzigadittu uomo che si attacca agli altri con tenacia. Appizzigadittu che ambesue che si attacca (figur.) come la mignatta.
appizzigàdu (tz) agg. appiccicato, attaccato, unito. Appizzigadu cun sa salia appiccicato malamente. Al fig., di cosa che
non ci ha che fare. Appizzigados appare uniti insieme. Istan
sempre appizzigados appare stan sempre insieme. | Acciuffati,
accapigliati. No los bides igue appizzigados? non li vedi là, come s’accapigliano? | Contiguo, attiguo. Istan in sa domo appizzigada a sa nostra abita<no> nella casa attigua alla nostra.
| Anche in forma d’avv. Istat appizzigadu a sa cheja abita in
una casa attigua alla chiesa.
appizzigadùra (tz) s.f. appiccicatura. Appiglio, pretesto.
Cust’est un’appizzigadura calesisiat questo è un pretesto qualunque. Appizzigadura cun sa salia appiccicatura con la saliva, di cosa debolmente attaccata a un’altra, con la quale non
ha che fare.
appizzigàgnulu (tz) agg. seccante, importuno, fastidioso. No
ses malu appizzigagnulu! come sei importuno! | Appiccichino.
appizzigàre (tz) tr. appiccicare, attaccare, unire, congiungere.
Appizzigare a salia o cun sa salia appiccicare con la saliva. Al fig.
unire debolmente, con legame fragile, in unione non durevole.
Unire due cose di cui l’una non ha che fare o ha poco da fare
con l’altra. Contat sos esempios ei sa morale bi l’appizzigad a salia
racconta gli esempi e la morale ve la appiccica con la saliva. |
Appizzigare unu malu lumine, un’approvelzu, una mancia affibbiare un soprannome, una macchia, un’infamia. | Appizzigare
unu male, una maladia, unu visciu attaccare una malattia, un
vizio. Sos piseddhos s’appizzigan sos males ei sos viscios pari pari i
ragazzi si comunicano a vicenda le malattie del corpo e dell’anima. | ass. Appizzigare come in it. Custa gomma no appizzigat
questa gomma non appiccica. Attaccarsi, di malattie. Est una
maladia ch’attaccat [sic], dà’ attenzione fa attenzione, è una malattia contagiosa. Aver attinenza, averci che fare. Su ch’ha nadu
no appizzigad allogu ciò che hai [sic] detto non ci ha nulla che
fare. Non ndh’appizzigat nè a muru nè a gianna non c’è né capo
né coda, non attacca. Ite b’appizzigat custu? che ci ha da fare,
questo? | Giovare, di istruzione, di educazione. Had unu bonu
applumàdu
mastru, ma de sas leisciones no ndhe l’appizzigat nuddha. | Aggrapparsi, tenersi fermo, saldo. Appizziga a sa giua, mi’ chi ndhe
rues! aggrappati alla criniera del cavallo, bada che caschi! Est
unu chi b’appizzigat bene accaddhu è uno che sta saldo in sella. |
Appizzigare appare unirsi in conversazione, in combutta. | rifl.
Appizzigaresi attaccarsi. Daghi s’appizzigad es chei s’ambesua
quando s’attacca è peggio della mignatta. Specialm. al fig. | Appizzigaresi appare ammassarsi, appiastrarsi, appiastricciarsi. |
Acciuffarsi, accapigliarsi. Daghi si sun appizzigados appare no los
han potidos ispartire dopo che si sono accapigliati non li han
potuti spartire. Anche di disputanti, di poeti estemporanei. |
Appizzigaresi a sas rejones suas attaccarsi alle proprie ragioni.
| Appizzigaresi a su ferru ruju attaccarsi ai rasoi.
appìzzigu (tz) s.m. insistenza, cocciutaggine nel domandare,
nel pregare. Gesummaria it’appizzigu! Dio mio, che insistenza! | Appiccichino. No ses mal’appìzzigu! che noioso! che importuno!
appizzinnàdu (tz) agg. ringiovanito.
appizzinnàre (tz) rifl. ringiovanire, giovineggiare.
appizzinnìdu (tz) agg. tornato giovane. Gioviale.
appizzinnìre (tz) rifl. ringiovanire, farsi fanciullo.
applacàda s.f. l’atto di placare.
applacàdu agg. placato, calmo. Candho ’idas applacadu s’elefante (An.).
applacàre tr. placare. Bois solu lu applachezis voi solo lo placaste (Delogu Ibba).
applaticàdu agg. dato a mutuo.
applaticàre tr. dar a mutuo (Cond. S. Pietro). || lat. placitum.
applaudìda s.f. l’atto di applaudire. Ben’hapat s’applaudida
chi l’han fattu mai l’avessero applaudito.
applaudìdu agg. applaudito.
applaudìre tr. applaudire, approvare, elogiare, vantare.
applàusu s.m. applauso; lode, elogio, vanto. No chirches mai
sos applausos de su mundhu non cercar mai gli applausi del
mondo. Sos applausos de zerta zente sun peus de sos insultos gli
applausi di certa gente son peggio che gli insulti.
applicàbbile agg. applicabile. Sa preigadoria pro su male no
est applicabbile a Deu … per il male …
applicàdu agg. applicato. Applicadu a s’istudiu applicato allo
studio.
applicàre tr. applicare. Applicare sa mente, s’impignu, sas forzas
applicare la mente, l’impegno, le forze. Applicare sa Missa applicare la Messa. Applicare su Rosariu applicare il Rosario. | Applicare a sas animas de su Purgadoriu far conto di aver perduto
un credito, un prestito, la mercede e simili. Has imprestadu
’inari a fulanu? applicalu a sas animas de su Purgadoriu hai dato danari a prestito al tale? fa conto d’averli buttati a mare. Sa
padrona ti devet su soldu? applicalu a sas animas de su Purgadoriu la padrona ti deve la mercede? fa conto di non averla mai
servita. | rifl. Applicaresi applicarsi, come in it. Rivolgersi. In su
bisonzu s’est applicadu a totu sos Santos nel bisogno s’è rivolto a
tutti i Santi. Ricorrere. S’est applicadu a totu sas artes, a totu sos
mesos ha fatto ricorso a tutte le arti, a tutti i mezzi. | ass. Applicare per applicare la Messa. Oe hap’applicadu pro sa bon’anima
de babbu oggi ho applicato per la bon’anima del babbo. Sos
parracos oe deven applicare pro su pobulu i parroci oggi devono
applicare per il popolo.
applicasciòne s.f. applicazione. Limosina per l’applicazione
delle Messe. In custos tempos de carestia e de paga fide no si ha
pius mancu applicassiones in questi tempi di caristia e di poca
fede non si han più neppure elemosine per le Messe. ▫ applicassiòne, applicaziòne (tz).
applìcu s.m. applicazione, cura, premura, attenzione. Fagher
una cosa cun applicu far una cosa con impegno, con cura.
applumàdu agg. che ha già messo le piume.
applumàre
applumàre intr. metter le piume. | Al fig. metter giudizio.
Tue no applumas pius!
appobiddhàda s.f. l’atto d’impadronirsi. S’appobiddhada de
sos benes anzenos l’ha pagada! ha pagato l’essersi impadronito
dei beni altrui!
appobiddhàdu agg. impadronito.
appobiddhàre rifl. impadronirsi, usurpare. Iscuru a chie s’appobiddhat de sa cos’anzena infelice chi usurpa la roba altrui.
appoccalìsse s.m. apocalissi.
appoccalìtticu agg. apocalittico.
appoccioccioroddhàdu agg. seduto alla beduina, scompostamente.
appoccioccioroddhàre rifl. sedersi alla beduina, scompostamente.
appòcope s.f. apocope.
appócrifu agg. apocrifo.
appoddhàda s.f. l’atto di percotere, picchiare. L’ha dadu
un’appoddhada chi l’ha lassadu pro mortu l’ha picchiato di santa ragione.
appoddhàdu agg. picchiato, percosso. Affaticato, stanco, accaldato. Che so arrividu a domo totu appoddhadu sono arrivato a casa stracco morto. || da poddha bussa, fatica.
appoddhàre tr. picchiare, bastonare. Maridos ch’appoddhan
sas muzeres! ite bellesa! mariti che picchiano la moglie! che incanto! | rifl. Appoddharesi affaticarsi, accaldarsi, stracanare.
Candho si narat chi s’ateru s’appoddhat! quando poi uno s’affatica, stracana, s’affacchina!
appoddhigàda s.f. l’atto di schiacciare il pane con le dita dopo averlo disteso col matterello. | Le ditate stesse. Ecco, s’’iden
ancora sas appoddhigadas ecco, si vedono ancora le ditate.
appoddhigàdu agg. schiacciato con le dita, del pane. Segnato di ditate. Custu pabiru es totu appoddhigadu questa carta è
tutta sporca di ditate.
appoddhigadùra s.f. l’azione e l’effetto di schiacciare o di
sporcare con le dita. Le stesse impronte delle dita, le ditate.
S’appoddhigadura indicat manos de femina le ditate indicano
mani femminili.
appoddhigàre tr. schiacciare o sporcare con le dita; mantrugiare, palpeggiare. Appoddhiga ’ene custu pane, chi chered affinigadu
comprimi bene ancora questa schiacciata, che va assottigliata
ancora. Lassa su telu, no bides chi l’appoddhigas? lascia il telo, non
vedi che lo insudici con le ditate? No appoddhighes sa figu, chi
s’ischizzat non comprimere con le dita il fico, che si spiaccica.
appoddhighìnzu s.m. mantrugiamento, palpeggio.
appoddhigónzu s.m. l’atto di schiacciare o sporcare con le
dita.
appóddhigu s.m. mantrugiamento. Impronte delle dita.
appoddhilàdu agg. appollajato.
appoddhilàre rifl. appollajarsi.
appoderàdu1 s.m. procuratore, reggitore → PODATTÀRIU.
appoderàdu2 agg. potente, prepotente, superbo. Bided unu
molente appoderadu (P. Luca.). | Impadronito, possessore.
Ispiritos de s’omine apoderados demoni che posseggono l’uomo
(Delogu Ibba). Ecco custu zigante appoderadu (Dore).
appoderàre tr. frenare, ritenere. Appodera sa brama frena la
brama. Più com. → PODERÀRE. | rifl. dominarsi, rendersi padrone, impadronirsi. S’est appoderadu de sa robba anzena, l’had
a piànghere s’è impadronito della roba altrui, la pagherà. No
mi poto appoderare de su visciu ’e sa pippa non posso vincere il
vizio di fumare. | Invasare, del demonio.
appoderìu avv. abusivamente, prepotentemente. Intrare in
unu logu, passare appoderìu entrare con prepotenza in un luogo, attraversarlo contro la volontà del padrone. Si l’agatto passendhe in logu meu appoderìu la suspirat! se lo trovo passar nei
miei possessi contro il mio divieto la paga!
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appodìtticu agg. apodittico, chiaro, evidente.
appoggiàda s.f. l’atto di appoggiare, appoggiata.
appoggiadòre s.m. che appoggia, protegge, difende, ajuta. Es
s’appoggiadore de sos malandrinos è il protettore dei birbanti.
appoggiàdu agg. appoggiato. Difeso, protetto, aiutato. Est
appoggiadu dai sos canes mannos de sa ’iddha e faghet su chi cheret è protetto dai pezzi grossi del Comune e fa quel che vuole.
appoggiadùra s.f. appoggiatura. Appoggio, difesa, protezione, soccorso.
appoggiàre tr. appoggiare. Aiutare, difendere, proteggere.
Appoggiare sos birbantes no ti faghet zertu onore proteggere i
birbanti non ti fa certo onore. | rifl. Appoggiaresi, in senso
proprio e figurato. Appoggiadi a su muru appoggiati al muro.
Eo m’appoggio a sos galantomines e tue a sos malandrinos io
m’appoggio ai galantuomini e tu ai ribaldi.
appóggiu s.m. appoggio. Rincalzo, protezione, aiuto. Est
un’omine ch’had appoggios medas e fortes è un uomo che ha
molte protezioni e forti rincalzi.
appói avv. dopo, in seguito.
appojàdu agg. messo in acqua, immollato, macerato, del lino.
appojadùra s.f. l’azione e l’effetto d’immollare il lino.
appojàre tr. mettere il lino a macerare, immollare il lino. ||
da poju.
appojolàda s.f. l’atto o lo stato di stagnare.
appojolàdu agg. appozzato, stagnante.
appojoladùra s.f. appozzamento.
appojolàre tr. stagnare, appozzarsi, dell’acqua. In su caminu
s’est appojolada tota s’abba e no si podet passare sul viottolo s’è
appozzata tutta l’acqua e non ci si può passare.
appologìa s.f. apologia, difesa.
appologìsta s.m. apologista.
appólogu s.m. apologo.
appoltantàdu agg. che cammina bene di portante.
appoltantàre tr. addestrare il cavallo a camminar di portante.
appoltànte avv. di portante. Andhare a poltante andar di
portante. Al fig. andar benone, avviarsi verso una buona riuscita, spec. degli affari. Sos affares mios sun andhendhe appoltante i miei affari vanno benone. || da a poltante.
appòmpa avv. Berritta appompa con la berretta diritta, in
segno di gala, di vanità.
appompàdu agg. pettoruto, interito, superbo, vanaglorioso.
Caminare appompadu camminar pettoruto, orgoglioso.
appompàre rifl. pavoneggiarsi, braveggiare.
appompiàda s.f. l’atto di aguzzare gli occhi.
appompiàdu agg. aguzzato, degli occhi.
appompiadùra s.f. aguzzamento della vista.
appompiàre tr. aguzzare, sgranare gli occhi. Appompia ’ene
sos ojos aguzza bene gli occhi. Guardare con attenzione, fissamente. Nell’ultimo senso più com. pompiàre.
appomposittàdu agg. (Pattada) ben guernito; vanaglorioso.
appònnere tr. attribuire, imputare. Apponner una mancanzia, unu delittu imputare una mancanza, un delitto. Apponner unu partidu affibbiare, prevedere. A Rosa l’apponen su fizu
’e su sindhigu si vocifera che Rosa si sposerà col figlio del sindaco. | rifl. Apponnersi presentarsi, dichiararsi, intervenire, interloquire. Han agattadu un’aneddhu e s’est apposta Lughia s’è
trovato un anello e s’è presentata (come padrona) Lucia. Lu
cherian ponner in prejone, ma s’est appostu su podestà lo volevano mettere in prigione, ma è intervenuto il podestà. Si no
s’apponet niunu, faghimus sa conclusione se non interloquisce
più nessuno, passiamo alla conclusione. | Prestarsi, venire in
aiuto. Sos veros amigos s’apponen a sos bisonzos.
apponsciàda s.f. l’atto di darsi aria, di atteggiarsi a savio.
apponsciàdu agg. che si dà aria, che si atteggia a savio; imbroncito, infastidito.
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apponsciadùra s.f. l’azione e l’effetto di atteggiarsi a savio,
di darsi aria.
apponsciàre tr. aguzzare. Apponsciare sas laras, su murru, su
muzzighile aguzzare le labbra, storcere il muso in segno di disprezzo, di spocchia, di dispetto. Dagh’ha bidu su teraccu in
mesu a sa comitiva, had apponsciadu su muzzighile quando ha
visto il servo in mezzo alla comitiva, ha storto il muso. | Anche intr. ass. Dagh’apponsciat de laras, o semplic. dagh’apponsciat, no b’ha perigulu chi ’etted una paraula quando stringe le
labbra e sporge il muso, non c’è verso che dica più una parola.
apporàdu agg. afflitto, angustiato, misero → APPURÀDU.
apporàre rifl. affliggersi, addolorarsi, affannarsi. Ajosa, no
m’apporas sa passenzia (Ant. Spano) → APPURÌRE. || gr. (aporéo)
ajporevw.
apporìa s.f. strettezza, imbarazzo → APPURÌA. || gr. (aporía)
ajporiva.
apporreàre rifl. → APPARÀRE.
apporrètta s.f. sussidio, colletta, questua di beneficenza.
Andhad addainanti a furia de apporrettas va innanzi a furia di
sussidi e di questue → PORRÈTTA. || lat. porrectum.
apporrìda s.f. l’atto di porgere, riferire, rapportare. Si trattat
de un’apporrida de zente faularza si tratta d’un rapporto fatto
da bugiardi.
apporrìdu agg. porto, dato in ajuto; rapportato. Faulas, trijinas, ciacciaras apporridas bugie, chiacchiere, dicerie rapportate.
apporridùra s.f. cose porte, rapportate. L’azione di porgere,
riferire.
apporriméntu s.m. l’azione di porgere.
apporrìre tr. porgere. Appòrrimi sa rucca porgimi la conocchia. Riferire, rapportare. M’han apporridu tantas bellas notissias de sa bella cundutta tua m’han riferito tante belle notizie
della tua bella condotta. | Anche intr. ass. M’han apporridu chi
tue has nadu male de me m’han riferito che tu hai detto male
di me. B’ha zente chi no faghed atteru sinò iscultare e apporrire
c’è della gente che non fa altro che ascoltare e riferire. | Apporrire a orijas far pervenire agli orecchi, rapportare. | Anche aiutare, soccorrere, dare. Est una teracca chi apporrit meda a sos
suos è una domestica che aiuta molto i suoi.
appòrta s.f. rapporto, cosa rapportata. No ti fides de sas apportas de zertos unos non fidarti di quanto ti rapportano certuni → APPORRÌDA.
apportantàdu, -are → APPOLTANT-.
apportànte avv. → APPOLTÀNTE.
appórtu part. pass. → APPORRÌDU.
apposentàda s.f. l’atto di sedersi o star fermo lungamente.
Daghi s’ha fattu s’apposentada in su gaffè no ndhe l’han potidu tirare dopo che s’è seduto al caffè non son riusciti a strapparvelo.
apposentàdu agg. seduto, radicato. Fid inie apposentadu,
comente si no tenzerat nuddha ’e fàghere stava lì, come se non
avesse da far niente.
apposentàre rifl. sedersi comodamente, radicarsi in un luogo. S’est apposentadu in mesu a sos cumbidados e no s’es movidu
finzas a s’ultimu s’è seduto tra i convitati con bella faccia fresca e non s’è mosso più fino all’ultimo. | Semplicemente sedersi. Apposèntadi ’ene e no ti movas siediti lì e non moverti.
apposéntu s.m. stanza, camera, sala. Domo e apposentu cucina e camera. S’apposentu ’e corcare, de drommire la camera da
letto. S’apposentu de rezzire il salotto di ricevimento. S’apposentu de mandhigare la sala da pranzo. S’apposentu de sos
istranzos la camera degli ospiti. || sp. aposento.
appositamènte avv. apposta. Es vennidu appositamente pro te
è venuto apposta per te.
appósitu agg. saputello. Tandho es vessidu Pedru, appositu appositu allora è uscito a parlare Pietro, con sicumera. Arditello.
No est appositu mancu! vedi, com’è arditello (nel parlare)! |
appostólicu
avv. a tempo opportuno, propizio. Su regalu chi m’has mandhadu m’es vennidu appositu il regalo che m’hai mandato m’è
giunto opportunamente.
apposiziòne (tz) s.f. apposizione.
appòsta1 s.f. appunto, critica, imputazione. L’hana fattu
medas appostas gli han fatto molti appunti, addebiti. Apposta
falza falso appunto.
appòsta2 avv. apposta. No l’hapo fattu apposta non l’ho fatto
apposta. Per burla, per ischerzo. Mi lu ses nendh’apposta! me lo
dici per burla! No ti creo, chi ses apposta non ti credo, me lo dici per scherzo. | Anche come agg. indecl. inventato. Custas sun
cosas apposta queste son cose inventate. | Anche de apposta: como no faeddho de apposta, faeddho in su seriu ora non scherzo,
parlo sul serio. Contados de apposta racconti inventati. No es
veru, ma de apposta non è vero, ma inventato. | Consizeris de
apposta, soldados de apposta finti consiglieri, finti soldati.
appostàda s.f. l’atto di postarsi, mettersi in agguato. S’ha
fattu s’appostada in su caminu s’è appostato sul sentiero.
appostàdu agg. postato, in agguato. Fid appostadu in mesu a
sa tuppa era postato in mezzo alla macchia. Più com. → IMPOSTÀDU.
appostadùra s.f. agguato, appostamento.
appostaméntu s.m. appostamento. L’han assaltiadu in s’appostamentu l’hanno assalito nell’appostamento.
appostàre tr. fissare. Appostare una die, una festa fissare un
giorno, una festa. Han appostadu s’isposoriu pro sa prima dominiga ’e maju han fissato le nozze per la prima domenica di
maggio. | Appostare, attendere al varco. Su cazzadore appostat
sa fera ei su ladru su passizeri il cacciatore apposta la fiera e il
ladro il viandante. | rifl. postarsi, mettersi in agguato. In questa forma è più com. → IMPOSTÀRE.
appostasìa s.f. apostasia.
appostatàre intr. apostatare.
appòstatu s.m. apostata.
appostemàdu agg. infetto da postema. Figadu, pumone appostemadu fegato, polmone malato di postema. | Arido, secco, di
terreno.
appostemàre rifl. impostemire, marcire.
appostivigàda s.f. l’atto di fissare, determinare. S’had ismentigadu s’appostivigada ch’haimus fattu e no es vènnidu s’è dimenticato che avevamo fissato questo giorno per l’incontro e
non è venuto.
appostivigàdu agg. fissato, determinato. In sa die appostivigada semus andhados totu a sa ’inza nel giorno fissato siamo
andati tutti alla vigna.
appostivigàre tr. fissare, determinare, stabilire. Appostivighemus sa die giusta fissiamo, determiniamo il giorno preciso.
appostìza (de) avv. per appiccicatura, per affibbiatura. Lumine
de appostiza soprannome. Maridu de appostiza marito… posticcio. Culpas de appostiza accuse false, imputazioni calunniose.
appostizàdu agg. apposto, affibbiato, appiccicato.
appostizàre tr. apporre, affibbiare, appiccicare. L’han appostizadu unu paralumine feu gli hanno affibbiato un soprannome brutto.
appostìzu agg. posticcio. De appostizu → de APPOSTÌZA.
appòstola s.f. Fatta apostola sagrada (Delogu Ibba).
appostolàdu s.m. apostolato.
appostolàre tr. apostatare. Chi de sos deos han apostoladu (S.
Lussorio, Borore).
appostólica (a s’~) avv. all’apostolica, alla semplice, alla buona. Preigare a s’appostolica predicare semplicemente, senza
fronzoli.
appostolicamènte avv. apostolicamente.
appostólicu agg. apostolico. Simbulu appostolicu il Credo.
Colleggiu appostolicu collegio apostolico.
appóstolu
appóstolu s.m. apostolo. Su prinzipe, su Cabu de sos appostolos S. Pietro. Manos e pês de appostolu mani e piedi grandi.
|| gr. (apóstolos) ajpovstoloı.
appostorìa s.f. falso sospetto, falsa imputazione. Isteit mortu
pro appostoria de una morte fu ucciso per falso sospetto di assassinio.
appostrofàdu agg. apostrofato. Littera appostrofada lettera
apostrofata.
appostrofàre tr. apostrofare, metter l’apostrofo. | L’had appostrofadu in mesu carrera l’ha apostrofato in pubblica via.
appòstrofe s.f. apostorfe.
appóstrofu s.m. apostrofo.
appóstu1 agg. apposto, affibbiato, imputato. Che si presta
nei bisogni. Had amigos meda appostos ha amici che si prestano molto.
appóstu2 avv. a posto, come si deve. Chi’ ha sa cussenzia appostu no timed a niunu chi ha la coscienza tranquilla non teme nessuno. Est un’omine ch’ha sa mente, sa conca, su cherveddhu appostu è uno che ha il cervello a posto. | Ponner appostu
mettere a posto, far stare a dovere. Si m’apprettas ti ponzo appostu deo se mi secchi t’aggiusto io. Anche come agg. indecl.
Cuss’est un’omine appostu, cussas sun feminas appostu è un uomo, son donne a posto.
appostùra s.f. l’azione e l’effetto di apporre, imputare, prestarsi. Pro appostura per falsa imputazione, per calunnia.
appoteósi s.f. apoteosi.
appozàda s.f. l’atto di calmarsi, detto del vento; di proteggere dal freddo, detto di vesti e di coperte. Inoghe che dad
un’appozada su ’entu qui il vento è calmo, non infuria, non
giunge. Bell’appozada mi dad (o faghet) custa ’este! questa veste
non mi protegge affatto dal freddo.
appozàdu agg. protetto dal vento, di luogo; protetta dal
freddo, di persona. Custu est unu logu bene appozadu questo
è un sito ben protetto dal vento. Si ndh’istaiat bene appozadu
in su lettu se ne stava ben protetto sotto le coperte.
appozàre tr. proteggere dal vento, dal freddo. Custu gabbanu m’appozat ch’est una bellesa questo gabbano mi protegge
ottimamente dal freddo. | intr. ass. Custa cocce no appozad
annuddha questa coltre non riscalda. | Di luogo immune da
vento. Inoghe ch’appozat meda, frimmemunos un’iscutta qui si
è a ridosso del vento, fermiamoci un poco. || da appoggiare.
appozósu agg. che protegge dal vento e dal freddo. Logu appozosu; beste, carralzadura appozosa luogo protetto, a ridosso
del vento; veste, coperta che riscalda.
appózu s.m. luogo protetto; protezione dal vento e dal freddo. Inoghe pasamus, chi ch’had appozu riposiamoci qui che è
un sito protetto dal vento. Logu de appozu, bestes de appozu. |
In appozu, in s’appozu, a s’appozu a ridosso, al calduccio.
appramàdu agg. spaventato, atterrito.
appramàre tr. e intr. spaventare, atterrire → ISPRAMMÀRE.
apprammàdu agg. che ha la figura di una palma; prospero,
caro.
apprammizàdu agg. che ha la forma di una palma; alto,
eretto, bello come una palma. Giovanu apprammizadu giovine ben formato, alto, diritto.
apprammizàre tr. conservare, aver caro come una palma, vale a dire come un oggetto prezioso e caro. Es s’aneddhu ’e povera mamma e l’hapo apprammizadu ’ene è l’anello della mia povera mamma e l’ho ben conservato perché mi è molto caro.
appranàre e deriv. → APPIANÀRE e deriv.
appraniàda s.f. l’atto di invescare, impaniare.
appraniàdu agg. invescato, impaniato.
appraniadùra s.f. impaniatura.
appraniàre tr. impaniare, invescare; allettare, accalappiare.
apprantonàre e deriv. → APPIANTON-.
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appregonàdu agg. bandito. Bandhidu appregonadu: mi trattas comente chi sia unu bandhidu appregonadu mi tratti come
che sia un bandito segnalato.
appregonàre tr. bandire, pubblicare o imporre con bando;
sbandire.
appremiàdu agg. costretto, obbligato. S’es vidu appremiadu
s’è visto costretto.
appremiàre tr. costringere, obbligare. L’han appremiadu sos
suos l’han costretto i parenti.
apprémiu s.m. costrizione, violenza. Lu fatto pro appremiu
lo faccio per costrizione.
appremòre avv. benissimo, a proposito. Custa giacchetta l’istad
(l’andhad) appremore questa giacca gli sta benissimo. Ses vennidu propriu appremore sei venuto proprio a proposito, opportunamente.
appremuràdu agg. frettoloso; solerte; incitato, stimolato.
Est un’omine meda appremuradu è un uomo molto diligente,
molto spiccio. Daghi s’’ided appremuradu già faghet calchi cosa se è stimolato fa qualche cosa.
appremuràre tr. incitare, stimolare. L’appremùrat sa mama e
tandho si movet lo stimola la madre e allora si move. | rifl. affrettarsi. Appremùradi, ch’es tardu affrettati, che è tardi. | Curarsi, aver cura. Su duttore nostru s’appremùrat meda de sos malàidos il nostro medico si piglia molta cura dei malati.
apprendhènte s.m. apprendista.
apprèndhere tr. apprendere, imparare, comprendere. Apprendher sa leiscione, una cantone imparare a memoria la lezione, una poesia. Contrarre, imitare. Apprendher su bonu ei su
malu. Trovare. Apprendhendhebi gustu, ispassu e giogu (Fr. Cesaracciu). | intr. ass. Est unu piseddhu chi no apprendhet è un
giovane che non capisce. Apprendhet fazilmente apprende, impara subito.
apprendhìbbile agg. che si può apprendere.
apprendhidòre s.m. apprendista.
apprendhìsta s.m. apprendista.
apprensìbbile agg. timido, ombroso.
apprensibbilidàde s.f. timidezza, ombrosità.
apprensionàdu agg. che ha apprensione, apprensionito.
apprensionàre tr. intimidire, scoraggiare; mettere in sospetto. Ogni cosa l’apprensionat ogni contrarietà lo scoraggia. | rifl.
apprensionirsi; vergognarsi. S’apprensionat de nuddha s’apprensionisce per un nonnulla. S’apprensionat fina de sa mama
ha vergogna anche dinanzi alla mamma. | (t. curiale) → TENTURÀRE sequestrare.
apprensiòne s.f. apprensione; timidezza, vergogna. Ma custas sun totu apprensiones chi ti pones in conca ma codeste son
tutte apprensioni che ti metti in capo. Haer apprensione fina
de sos frades! esser timido, vergognoso anche coi fratelli!
apprensionósu agg. che ha apprensione, timidezza, vergogna.
apprensìva s.f. apprensiva.
apprensìvu agg. apprensivo, timido. Est unu giovanu meda
apprensivu è un giovane molto timido. Sensibile. No sun pius
apprensivos (Puddhighinu).
apprenzionàdu (tz) e deriv. → APPRENSIONÀDU e deriv.
apprepotentàda s.f. l’azione di appropriarsi indebitamente.
apprepotentàdu agg. [→ APPREPOTENTÀRE].
apprepotentàre rifl. appropriarsi con la prepotenza.
apprepotenziàdu (tz) agg. prepotente.
appresàda s.f. l’atto di predare.
appresàdu agg. ladrone, pirata. Per maggior forza ladrone
appresadu.
appresàre intr. predare, rapinare, pirateggiare. | Anche tr. rapire. Chi cun arte ti chered appresare (An.). Sinò coros pro appresare (Madao, Corsaria).
appressàda s.f. l’atto di affrettare. Dare, fagher s’appressada
165
affrettare, affrettarsi. Dà’ un’appressada a custu tribagliu affretta un po’ codesto lavoro. S’ha fattu s’appressada s’è affrettato.
appressàdu agg. affrettato, frettoloso, sollecito.
appressadùra s.f. l’azione e l’effetto di affrettare. Fretta, premura.
appressàre tr. affrettare, sollecitare, stimolare. Appressa su
passu affretta il passo. Appressalu, ch’es troppu mandrone stimolalo, ch’è troppo pigro. | rifl. affrettarsi. Innanti fid andhendhe
a bellu, com[o] eppuru eppur[u] s’est appressadu prima andava
adagio, adesso finalmente s’è affrettato.
apprèsse avv. in fretta, presto, tra poco. Già intendhes appressse! non odi mica alla prima voce!
appressiàbbile, -adu, -adore, -are → APPREZZI-.
appréssiu s.m. apprezzamento, stima. Istesit su ’ostru appressiu fu il vostro apprezzamento (Delogu Ibba).
appressuràda s.f. l’atto di affrettare, incitare. Dadi un’appressurada, ch’andhas troppu appianu affrettati un po’, che vai
troppo adagio.
appressuràdu agg. affrettato, stimolato; maltrattato. So appressuradu dai sa mala sorte sono oppresso, incalzato dalla
mala sorte. Pro sa fuga appressurada per la fuga affrettata
(Delogu Ibba). S’accurziad a su lettu appressuradu (P. Luca).
appressuràre tr. affrettare, incitare, stimolare; opprimere.
M’appressùrat su bisonzu e devo caminare mi stimola il bisogno e devo andare. Appressuradu dai chentu males oppresso
da cento mali.
appressùru s.m. incitamento; oppressione. No hapo bisonzu
de appressuros non ho bisogno di incitamenti. Vived in tantos
appressuros vive tra tante oppressioni.
apprestàre tr. (raro) apprestare. | rifl. disporsi, apprestarsi.
apprésu1 part. pass. di apprèndhere, appreso, imparato.
apprésu2 avv. e prep. appresso, vicino. Appresu a s’ortu vicino all’orto. Est igue appresu è lì vicino.
apprettàda s.f. l’atto di incitare, costringere, stringere; valutare. Dà’ un’apprettada a su caddhu sprona il cavallo. Apprettada de dannu valutazione, estimo di un danno.
apprettadamènte avv. in gran fretta; forzatamente, necessariamente.
apprettadòre s.m. estimatore, perito. Già l’han a bider sos
apprettadores! si vedrà!
apprettàdu agg. incalzato, costretto; valutato.
apprettadùra s.f. l’azione e l’effetto di stimolare, costringere,
valutare. Pro s’apprettadura de su dannu sos bonos omines cheren vinti francos per la valutazione del danno i periti chiedono
venti lire.
apprettànte agg. importante, grave. Su titulu pius apprettante
(Vass.).
apprettàre tr. stimolare, costringere, stringere. Stuzzicare. Appretta su burriccu stimola l’asinello. Si no lu chered intendher a
bonas, apprettalu a malas se non vuol capirla alle buone, costringilo alle cattive. M’apprettat su botte la scarpa mi stringe
il piede. Si m’apprettas, ti fatto ’ider chie so eo se mi stuzzichi,
se mi ci tiri pei capelli, ti faccio vedere chi son io. | Valutare,
estimare, di danno. Appretta su dannu e ti l’hap’a pagare valuta
il danno e te lo pagherò. | rifl. Apprettaresi affaticarsi, affacchinarsi, stracanare. Su poveru dialu s’apprettad in su tribagliu
e no si faghet mancu sa vida il poveretto s’affacchina nel lavoro
e non guadagna neppure la vita.
apprettasciòne s.f. incitamento, pericolo; valutazione. ▫
apprettassiòne.
apprettigadólzu s.m. pressa; ceppo per premere il cacio nella forma.
apprettigàre tr. premere, comprimere.
apprettòne s.m. pericolo, rischio. Calca, ressa (W.).
appréttu s.m. fretta, sollecitudine. No has mal’apprettu! oh
appròbe
quanta fretta! | Strettezza, necessità; pericolo. Agattaresi, bidersi, incontraresi, esser in apprettu trovarsi in strettezze, in bisogno, in imbarazzo. S’agattaiad in apprettu e ha bendhidu fina
s’aneddhu de isposare s’è trovata in strettezze e ha venduto anche l’anello di sposa. S’apprettu no giughed ojos il bisogno è
cieco. A s’apprettu si ch’’ettad in su riu nel pericolo si salta in
acqua. A s’apprettu si mandhigan fina sos sorighes se si ha fame
si mangiano anche i topi. Apprettu ’e famine, de sidis fame, sete ardente, cieca. | Valutazione, estimo, di danno. Istare a s’apprettu accettare l’estimo, la valutazione dei danni. Il danno
stesso. Pagare s’apprettu pagare il danno.
apprettùra s.f. imbarazzo, oppressione. Ponner in apprettura costringere, stringere. Sos fiancos ponzendhe in apprettura (P. Luca).
apprezzettàre (tz) tr. santificare. Ne apprezzetto sas dies de
festa (Zozzò).
apprezziàbbile (tz) agg. apprezzabile, pregevole. Had una
grascia apprezziabbile ha una grazia incantevole, che attira.
apprezziabbilmènte (tz) avv. pregevolmente.
apprezziadòre (tz) s.m. apprezzatore, estimatore.
apprezziàdu (tz) agg. apprezzato, stimato. Est unu giovanu
apprezziadu dai totu è un giovane stimato da tutti. Sas ricchesas sun apprezziadas dai sos pius le ricchezze sono apprezzate dai più.
apprezziadùra (tz) s.f. stima, valutazione.
apprezziaméntu (tz) s.m. apprezzamento, estimo.
apprezziàre (tz) tr. apprezzare, stimare, aver caro. Sos santos
apprezzian sa povertade i santi han cara la povertà. Pagos apprezzian sos poveros pochi stimano i poveri. Sa virtude est apprezziada dai totu sos bonos la virtù è apprezzata da tutti i
buoni. | rifl. Apprezziaresi de una cosa o de una persona stimare, considerare degno di sé, degnare, desiderare. Maccari dama s’apprezziat fina de sos poveros benché signora stima anche
i poveri. Cussu maccu no s’apprezziat de nuddha quello sciocco
non ammira niente, non è contento di niente. Sa signoricca
no s’apprezziat de mancuna de sas fedales la signorina disprezza, scansa tutte le coetanee, non degna alcuna delle coetanee.
apprezziasciòne (tz) s.f. apprezzamento, valutazione, stima.
▫ apprezziassiòne (tz).
apprezziatìvu (tz) agg. apprezzativo.
apprézziu (tz) s.m. stima, valutazione; pregio, credito. Tenner
apprezziu de una persona o de una cosa aver in pregio, apprezzare, pregiare. | Cosa, persona de apprezziu cosa, persona pregevole.
appricàdu, -are, -assione → APPLIC-.
apprìcu1 s.m. → APPLÌCU.
apprìcu2 agg. aprico, solatio.
apprigàdu agg. ben coperto, ben protetto.
apprigàre tr. e rifl. aggrinzare, aggrinzire → APPIJÀRE.
apprighizonàdu agg. aggrinzito.
apprighizonàre tr. e rifl. (Goc.) aggrinzare, gualcire.
apprìgu1 agg. aprico, solatio; a ridosso. Logu apprigu luogo
protetto dal vento.
apprìgu2 s.m. inclinazione, applicazione.
apprìma avv. in discordia. Esser apprima essere in discordia.
Est apprima cun totu sos suos è in discordia con tutti i parenti.
| Prima, in principio, innanzi. No m’istimas che apprima non
m’ami come prima. ▫ apprìmma.
apprìmmu avv. per primo, in principio, prima. Tu’ andhas
apprimmu tu vai per primo, prima vai tu. Apprimmu mi cherias bene, como m’odias prima mi amavi, ora m’odi. | prep. Apprimmu ’e me, apprimmu ’e totu prima di me, innanzi a tutti.
▫ apprìmu.
appròas avv. a gara. Approas de pare.
approbbàdu agg. nominato, mentovato.
approbbàre tr. nominare, menzionare, ricordare.
appròbe avv. vicino. Abìtat cue approbe abita lì vicino. | prep.
approbiànu
Approbe a sa piatta vicino alla piazza. Approbe approbe vicinissimo. | Sos de approbe i vicini. De sos de approbe e de atesu dei
vicini e dei lontani (Delogu Ibba).
approbiànu agg. vicino. Sa tanca approbiana il chiuso vicino, attiguo. Sos approbianos i vicini. S’iscandhalu de totu sos
approbianos lo scandalo di tutti i vicini → PROBIÀNU.
approbiàre tr. avvicinare. | intr. avvicinarsi, esser vicino. Sa
tanca approbiad a sa ’iddha il chiuso è vicino al villaggio.
Chi sa ruina fid approbiendhe (Dore).
appróbu s.m. esperimento, prova. Benner a un’approbu venire a un esperimento.
approdàda s.f. l’atto di approdare. Appenas han fattu s’approdada han saludadu sa terra nadia appena sono approdati han
salutato la terra natia.
approdàdu agg. approdato.
approdàre intr. approdare, entrare in porto. | Raro nel senso
di giovare.
appródu s.m. approdo. Giovamento. Non ndh’hamus approdu
perunu non ne abbiamo alcun vantaggio, alcun giovamento.
approegliàdu agg. soprannominato.
approegliàre tr. soprannominare, affibbiare nomignoli;
mormorare, sparlare. Istat sempre approegliendhe sa zente sta
sempre malignando, sparlando dell’uno e dell’altro.
approégliu s.m. soprannome, nomignolo → APPROVÉLZU
(-rzu).
approendhàda s.f. l’atto di dar la profenda. A s’approendhada ch’ha fattu ’e su caddhu es ruttu mortu ’e repente appena ha
dato la profenda al cavallo è caduto fulminato da paralisi.
approendhadòre s.m. che dà la profenda, che dà da mangiare abbondantemente.
approendhàdu agg. che ha ricevuto la profenda. Impiegadu
ben’approendhadu impiegato ben pagato, ben pasciuto.
approendhadùra s.f. somministrazione della profenda. La
profenda stessa. A custu caddhu no li bastat s’approendhadura
a questo cavallo non basta la profenda.
approendhàre tr. dar la profenda. Approendha su caddhu e
poi bae a passizu da’ la profenda al cavallo e poi va a passeggio. | Pagare lautamente, spesso per fini non buoni. Es bene
approendhadu dai su mere, si lu cheret servire… no sempre pro
su bonu è ben pagato, ben pasciuto dal padrone, se vuol servirlo… non sempre nel bene.
approfettàda s.f. l’atto di profittare, abusare. S’approfettada
chi t’has fattu de su bene de sos orfanos no ti proigat zertu il
vantaggio illecito che hai tratto dalle sostanze degli orfani
non ti gioverà certo.
approfettàdu agg. profittato.
approfettàre intr. profittare, trar profitto. Approfettat de totu
pro s’irricchire profitta di tutto per arricchirsi. | rifl. approfittarsi, abusarsi. S’approfettat de s’ignoranzia de sos ateros s’abusa dell’ignoranza altrui. Avvantaggiarsi. Balanzat meda, ma no si
ndh’approfettat guadagna, ma non se ne avvantaggia. Godere.
S’isuridu assumad e assumad e mancu si profettat de su sou l’avaro accumula, ma non gode, non si serve della roba sua →
PROFETTÀRE.
approfittàre e deriv. → APPROFETTÀRE e deriv.
approfundhàda s.f. l’atto di approfondare. Dà’ un’approfundhada a cussu fossu approfondisci un po’ codesta buca.
approfundhàdu agg. approfondato.
approfundhadùra s.f. l’azione e l’effetto di approfondare.
approfundhàre tr. approfondare.
approfundhìda, -idu, -ire → APPROFUNDHÀDA e deriv.
approfundhiméntu s.m. approfondimento.
approntàda s.f. l’atto di approntare, apprestare. Faghersi s’approntada approntarsi, apprestarsi, prepararsi.
approntàdu agg. approntato, disposto, preparato.
166
approntaméntu s.m. apprestamento, preparazione.
approntàre tr. approntare, apprestare, preparare. | rifl. disporsi, prepararsi. S’est approntendhe pro sa festa si sta preparando
per la festa. Approntadi! prepàrati! Si dice per disingannare uno.
Tue cheres dinari, appròntadi! tu vuoi danari, stai fresco!
appróntu s.m. preparazione, apprestamento. | avv. De approntu d’improvviso, sùbito. Moversi de approntu: s’es mòvidu
(pesadu) de approntu su ’entu s’è mosso (levato) il vento d’improvviso.
appropósitu avv. a proposito. | Anche in forma d’agg. indecl. Custos sun dinaris appropositu questi son danari (che mi
vengono) a proposito.
appropriàbbile agg. appropriabile.
appropriàda s.f. l’atto di appropriare o appropriarsi o affibbiare o imputare. Taccia. Assiad appropriada chi l’han fattu!
che insulsa taccia gli han dato!
appropriadamènte avv. appropriatamente, in modo appropriato.
appropriàdu agg. appropriato, affibbiato, imputato; adatto,
conveniente.
appropriadùra s.f. l’azione di affibbiare, appropriare.
appropriaméntu s.m. l’azione di appropriarsi.
appropriàre tr. appropriare; affibbiare, imputare. L’han appropriadu sa morte de fulanu gli hanno imputato la morte del
tale. Li sun appropriendhe pro maridu su mastru de iscola le
stanno affibbiando per fidanzato il maestro di scuola. | rifl.
appropriarsi, far suo. S’est appropriadu de sa robba anzena, oppure, s’had appropriadu sa robba anzena s’è impadronito della
cosa altrui. S’had appropriadu una cantone chi no fit sa sua s’è
dichiarato autore d’una poesia che non era sua. Anche considerare diretti a sé una lode o un biasimo o una diceria e simili. S’had appropriadu su ch’hamus nadu nois dominiga ha preso
come detto per lui il nostro discorso di domenica.
appropriasciòne s.f. appropriazione. ▫ appropriassiòne,
appropriaziòne (tz).
approssimàda s.f. l’azione di ingravidare. Imbroncito. L’azione di avvicinare (raro).
approssimàdu agg. ingravidato. Al fig. gonfio, imbroncito.
approssimadùra s.f. gonfiamento, broncio. Ingravidamento.
approssimàre intr. ingravidarsi. Al fig. gonfiarsi, imbroncire.
Raro per approssimare, avvicinare.
approssimativamènte avv. approssimativamente, circa.
approssimatìvu agg. approssimativo. Calculu approssimativu.
appróu agg. indecl. e avv. alla prova, provato, come si deve.
Custos ôs sun cottos approu queste ova son cotte al punto, benone. Custos sun maccarrones approu questi maccheroni sono
ottimi. | avv. E si finz’ai como has curtu approu (An.).
approvàbbile agg. approvabile. Cust’idea no est approvabile
quest’idea non si può accettare.
approvàda s.f. l’atto di approvare, promovere. Promozione.
Cuss’approvada li costat! la promozione gli costa!
approvàdu agg. approvato, promosso. | sost. Sos approvados
sun chimbe i promossi son cinque.
approvaméntu s.m. approvazione. Ti mandho a s’approvamentu (Caddeo).
approvàre tr. approvare, promovere. Approvo su chi naras,
ma no bi poto ’ennere approvo quanto dici, ma non ci posso
venire. Han approvadu sa proposta de s’anzianu hanno approvato la proposta dell’anziano. | Anche ass. come in it. Narami
s’approvas o si no dimmi se approvi o disapprovi.
approvasciòne s.f. approvazione, promozione. No hapo bisonzu de s’approvascione tua non ho bisogno della tua approvazione. Fizu meu meritaiat s’approvascione e l’hana reprovadu
mio figlio meritava la promozione e l’hanno riprovato. ▫ approvassiòne, approvaziòne (tz).
167
approvelzàda s.f. l’atto di affibbiare un soprannome. S’approvelzada chi l’han fattu l’ha postu de malumore l’essere stato
soprannominato gli ha fatto venire il malumore.
approvelzàdu agg. soprannominato. Vituperato, schernito.
Bidendhesi approvelzadu in mesu carrera s’es meda attediadu
vistosi vilipeso in pubblico s’è molto sdegnato.
approvelzàre tr. affibbiare un soprannome. Vilipendere, vituperare, ingiuriare. L’han approvelzadu mattimannu gli han
messo il soprannome di pancione. Istat sempre approvelzendhe a totu non fa altro che vituperare il prossimo.
approvélzu s.m. soprannome, nomignolo.
approverzàda, -adu, -are, -u → APPROVELZÀDA ecc.
approvvidìdu agg. provvisto (Zus. Ebreu).
approvvidìre tr. provvedere. Cherzo chi approvididu siat s’Egittu de pane (Zus. Ebreu).
approvvistàdu agg. ben provvisto.
approvvistàre tr. ben fornire. | rifl. far buona provvista.
Prima de partire, s’es ben’approvistadu prima di partire, ha fatto buone provviste.
apprumàre intr. → APPLUMÀRE.
appubadàda s.f. l’atto di formare il pennecchio, d’inconocchiare.
appubadàdu agg. inconocchiato, ridotto a pennecchio.
appubadàre tr. ridurre in pennecchio, inconocchiare. Daghi fino de appubadare custa lana già ’enzo verrò quando avrò
finito d’inconocchiare questa lana.
appubulàda s.f. folla, raccolta di popolo. B’haiad una grandhe appubulada ’e zente c’era una gran folla di persone. | Pericolo, rischio. No s’ha bidu mala appubulada! ha corso un gran
rischio.
appubulàdu agg. affollato. B’haiat meda zente appubulada
c’era molta gente affollata.
appubulaméntu s.m. affollamento.
appubulàre rifl. raccogliersi, affollarsi. Tota sa zente, a sa
notiscia dolorosa, s’est appubulada in piatta tutta la gente, alla
triste notizia, s’è raccolta in piazza.
appubusonàda s.f. crocchio, gruppo. Appubusonada ’e zente
crocchio di persone.
appubusonàdu agg. in forma di ciocca. Infioccato. Raggruppato. Fiore appubusonadu fiore a ciocca. Giovana appubusonada ragazza infioccata, ornata di gale. Zente appubusonada persone aggruppate.
appubusonàre tr. infioccare. Sas mamas ch’appubusonan sas
fizas dai minoreddhas no las cheren bene le madri che infioccano le figlioline non le amano santamente. | rifl. diventar
ciocca, mazzo, penzolo. Raggrupparsi.
appuddhàda s.f. l’atto di ringalluzzire; di deporre i cacchioni, delle api.
appuddhàdu agg. ringalluzzito, insuperbito, tronfio. Diventato cacchione.
appuddhalzàda s.f. l’atto di appollaiarsi. S’appuddhalzada
chi si ch’ha fattu in su trenu s’è appollaiato nel treno.
appuddhalzàdu agg. e part. pass. appollaiato. Appuddhalzadu in su cozolu appollaiato nel canto riposto.
appuddhalzàre rifl. appollaiarsi. Si ch’appuddhalzad appena
iscurigat s’appollaia (si mette a letto) all’imbrunire.
appuddhàre rifl. ringalluzzirsi, insuperbirsi, braveggiare,
come fa il gallo (puddhu) in mezzo alle galline. Deporre i
cacchioni, delle api.
appuddhighinàda s.f. l’atto di giovineggiare, ingalluzzirsi.
appuddhighinàdu agg. ringalluzzito.
appuddhighinàre rifl. ringalluzzirsi, giovaneggiare, braveggiare. || da puddhighinu galletto.
appuddhionàda s.f. l’atto di appollaiarsi, accovacciarsi, posarsi con agio.
appuntàda
appuddhionàdu agg. appollaiato, accovacciato.
appuddhionàre rifl. appollaiarsi, accovacciarsi, posarsi a tutt’agio. S’est appuddhionada in mesu a sa mezus zente comente
ch’esserad una dama s’è seduta come se fosse una dama in
mezzo alle persone più ragguardevoli.
appuènte s.m. recipiente per l’acqua da mettere accanto al
letto → AFFUÈNTE.
appugnalàda s.f. pugnalata.
appugnalàdu agg. pugnalato, trafitto.
appugnaladùra s.f. l’azione di pugnalare.
appugnalàre tr. pugnalare.
appuligàda s.f. l’atto di strozzare, di mettere il golino.
appuligàdu agg. strozzato.
appuligàre tr. strozzare, soffocare col golino.
appulpuzàda s.f. l’atto di palpeggiare, brancicare.
appulpuzàdu agg. palpeggiato, brancicato.
appulpuzadùra s.f. palpeggiatura, brancicamento.
appulpuzaméntu s.m. palpeggiamento, mantrugiamento.
appulpuzàre tr. palpeggiare, mantrugiare, brancicare. Dar a
mangiare bricioli di carne (W.).
appumàre intr. metter le piume. | Al fig. metter giudizio.
appumizàda s.f. l’atto di pomiciare. Dà’ un’appumizada a
cuss’iscala pomicia un po’ questa scala.
appumizàdu agg. pomiciato.
appumizadùra s.f. pomiciatura.
appumizàre tr. pomiciare, dare la pomice. Fid appumizendhe su marmaru de su cantaranu e ha segadu una cìcchera dava
la pomice al marmo del cassettone e ha rotto una chicchera.
appungàdu agg. affatturato, ammaliato.
appungàre tr. affatturare, incantare, ammaliare, stregare →
PÙNGA. Anche fornire di amuleto (punga) per preservare dalle malie.
appungheddhàda s.f. l’atto di raffrignare. Dà’ un’appungheddhada a cust’istrazzu raffrigna un po’ questo straccio.
appungheddhàdu agg. raffrignato, cucito alla diavola.
appungheddhadùra s.f. cucitura alla meno peggio, raffrigno, frinzello.
appungheddhàre tr. raffrignare, rinfrinzellare, cucire alla
diavola. Appungheddhami custos calzones, chi mi los hapo
istrazzados in su rualzu rinfrinzellami i calzoni, che me li son
strappati tra i rovi.
appungheddhónzu s.m. l’azione e l’effetto di raffrignare.
Cucito. Tra su filonzu ei s’appungheddhonzu mi che passat sa
die nel filare e nel cucire mi passa la giornata. Custu no mi
pagat mancu s’appungheddhonzu questo non mi paga neanche
il cucito.
appùnta agg. indecl. aguzzo, puntuto. Dami unu giau, unu
lapis appunta dammi un chiodo aguzzo, una matita ben appuntata. | prep. verso. Appunta in altu, appunt’a chelu verso il
cielo, in alto.
appuntàbbile agg. appuntabile, accusabile.
appuntabbilidàde s.f. qualità di chi può essere accusato di
colpe o difetti. Grascias a Deu, fin’a como, no hapo appuntabbilidade peruna grazie a Dio, finora, credo di non essere appuntabile.
appuntacchélu avv. con la punta rivolta in alto. Cun su fusile appuntacchelu con la punta del fucile rivolta in aria.
appuntàda s.f. l’atto di appuntare, aguzzare, accusare. Dà’
un’appuntada a custu roccu aguzza un po’ questo piolino. Dà’
un’appuntada a cantu t’hapo nadu scrivi un po’ quanto t’ho
detto. No istes appittu a ti fagher s’appuntada non aspettar che
ti si accusi. | Fermata, riposo. Fagher s’appuntada fermarsi, riposarsi. Fattemus inoghe un’appuntada, un’appuntadeddha facciamo qua una fermata, una fermatina. E fatto s’appuntada de
pes in sa carrera (Pis.).
appuntadòlza
appuntadòlza, -olzu → APPUNTADÒRZA, -ÓRZU.
appuntadòre s.m. appuntatore, notatore; critico, maldicente.
appuntadòrza s.f. → APPUNTADÓRZU.
appuntadórzu s.m. frascato, ricovero temporaneo dei pastori nomadi di un tempo lontano.
appuntàdu1 s.m. appuntato, graduato militare.
appuntàdu2 agg. appuntato, aguzzato, accusato, tacciato. Lapis appuntadu, versos appuntados, femina appuntada de lizeresa
matita appuntita, versi trascritti, donna tacciata di leggerezza.
appuntadùra s.f. appuntatura. Pagami solu s’appuntadura de
s’arvada pagami solo l’appuntatura del vomere.
appuntaméntu s.m. appuntamento; appunto, taccia, accusa.
Nos hamus dadu s’appuntamentu pro s’avemmaria ci siamo dato appuntamento per l’avemmaria. Li faghen appuntamentu
de haer maltrattadu sa mama l’accusano d’aver maltrattato la
madre. Ha medas appuntamentos in sa giustiscia ha molti appuntamenti nella casella penale. | Fermata, sosta.
appuntàre tr. appuntare, aguzzare, scrivere, trascrivere, tacciare, accusare; cucire alla meglio, cucicchiare. Appunta custu
zou aguzza questo chiodo. Appunta custu dicciu nota, scrivi
questo proverbio. L’appuntan de mancanzias virgonzosas l’accusano di mancanze vergognose. Appunta comente podes cust’abberta raffrigna come puoi questo strappo. | rifl. e ass. intr. fermarsi, sostare. Appuntadi o appunta inoghe unu pagu fèrmati
qua un poco. Qualche volta anche tr. Appuntare su pê, su passu fermare il piede, il passo. Appuntare in domo o appuntare su
pê in domo viver ritirato. Appunta in domo, fiza mia, chi sun
tempos malos vivi ritirata, figlia mia, che son tempi tristi.
appunteddhàda, -adu, -are → APPUNTELL-.
appuntellàda s.f. l’atto di puntellare; di piantarsi. Dare un’appuntellada puntellare un po’. Faghersi s’appuntellada piantarsi.
appuntellàdu agg. puntellato. Fermo, piantato, saldo.
appuntelladùra s.f. puntellatura.
appuntellàre tr. puntellare. Appuntella sa cubertura, sinò ti
ndhe ruet puntella il tetto, se no crolla. | rifl. Appuntellaresi
fermarsi, piantarsi fortemente sul terreno. S’est appuntelladu
in mesu carrera e no s’es cherfidu ismontare s’è piantato in
mezzo alla strada e non s’è voluto movere. Anche aggiustarsi,
assestarsi, reggersi alla meglio. In su disastru s’est appuntelladu
coment’ha pòtidu nel disastro s’è assestato, è rimasto in piedi
come ha potuto. | intr. ass. tener duro, resistere. Appuntella,
pisè! tieni duro, ragazzo! coraggio! forza!
appuntéllu s.m. puntello, sostegno. Resistenza. Omine de
pagu appuntellu uomo di poca resistenza.
appuntìnu avv. a puntino, precisamente, esattamente. Faghet totu sas fazzendhas suas appuntinu fa tutte le sue faccende
scrupolosamente.
appuntolzàda s.f. pungolata.
appuntolzàdu agg. pungolato, incitato.
appuntolzadùra s.f. pungolatura.
appuntolzàre tr. pungolare, stimolare, incitare.
appuntorzàda, -adu, -adura, -are → APPUNTOLZ-.
appùntu1 s.m. appunto, nota, taccia, accusa. M’hapo ismentigadu sos appuntos in domo ho dimenticato gli appunti a
casa. Zertos appuntos no mi faghen nè caldu nè frittu certi
appunti non mi fanno né caldo né freddo. Appuntos de giustiscia appuntamenti giudiziari. | De appuntu, di bestiame
che non salta i ripari, che resta facilmente nel chiuso ove pascola. Sas vaccas mias sun de appuntu, poto drommire tranquillu le mie vacche non saltano i muri, posso dormire tranquillo. De pagu appuntu, anche di persone, specialmente di
servizio, che non mettono radice presso un padrone e non
sono costanti nel lavoro. Had hàpidu sempre teraccos e zorronatteris de pagu appuntu ha avuto sempre dei servi e delle
opre girovaghi.
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appùntu2 avv. appunto, precisamente, propriamente.
appunzàda s.f. l’atto di dare o darsi dei pugni. L’han dadu una
bona appunzada gli han dato una buona dose di pugni. A sa
notiscia s’ha dadu un’appunzada alla notizia s’è garontolata.
appunzàdu agg. garontolato, percosso con pugni.
appunzadùra s.f. l’azione e l’effetto del garontolare. Dai
s’appunzadura es tota addolimalzada a causa dei pugni che ha
ricevuto (o che s’è dati) è ancora tutta una doglia.
appunzàre tr. garontolare, percotere con pugni. Sos cumpagnos l’han totu appunzadu i compagni l’han tutto garontolato.
| rifl. darsi dei pugni a se stesso; scambiarsi dei pugni. Daghi
l’hana nadu chi su maridu fit mortu, s’es tota appunzada appena
le han detto che era morto il marito, s’è selvaggiamente percossa. Qualche volta si dice (perché si fa) per manifestar contentezza e allora i pugni sono leggeri naturalmente. Dai s’allegria s’es tota appunzada per l’allegrezza s’è tutta percossa. | Raro
per prendere a pugnelli, afferrare, abbrancare.
appunziàda (tz) s.f. l’atto di aguzzare. Appunziada ’e laras,
de mu<rru>, de muzzighile broncio, gravità, contegno. Dà’
un’appunziada a custu lapis appunta un po’ questo lapis. No
ha mal’appunziada ’e laras! lu connosco a s’appunziada ’e sas laras, de su murru, de su muzzighile vedi com’è imbronciato! lo
conosco al modo come sporge le labbra, come storce il muso.
appunziàdu (tz) agg. appuntato, aguzzo. Contegnoso, imbroncito. Est appunziadu cummegus è imbroncito con me.
appunziadùra (tz) s.f. aguzzamento. Appunziadura ’e laras
broncio, gravità, contegno.
appunziaméntu (tz) s.m. aguzzamento. Appunziamentu ’e
laras contegno, gravità esagerata.
appunziàre (tz) tr. appuntare, aguzzare. Appunziare unu
giau appuntare, aguzzare un chiodo. Appunziare sas laras
stringere, storcere le labbra in segno di sprezzo o di rancore o
di spocchia. | rifl. imbroncire. Dai calchi tempus s’est appunziadu cummegus da qualche tempo s’è imbroncito con me.
appunzirigàre (tz) tr. aguzzare, appuntare. Appunzirigare
sos ojos aguzzar gli occhi. | Anche intr. Appunzirigare de ojos.
appùnziu (tz) s.m. contegno, gravità ridicola, spocchia. Già
ndh’has de appunziu, custu manzanu! come sei spocchioso, stamattina!
appunzulàre (tz) tr. aguzzare, appuntare. Appunzulare sos ojos
o de ojos.
appuppàda s.f. l’atto di adombrare. A su ’olu de una merula
su caddhu s’ha fattu s’appuppada e mi ndhe so ’idu in terra al
volo d’un merlo il cavallo s’è improvvisamente aombrato e
mi son visto a terra.
appuppadìttu agg. di cavallo che s’adombra per ogni nonnulla. Est unu runzinu appuppadittu, no ti fides è un ronzino
che s’adombra per ogni nonnulla, non fidarti.
appuppadòre agg. che s’adombra facilmente. Caddhu appuppadore.
appuppàdu agg. aombrato.
appuppàre rifl. adombrare. In mes’ora s’est appuppadu tres
voltas in mezz’ora s’è adombrato tre volte. | Anche al fig., di
persone. No t’appuppes pro dogn’umbra, chi ses omine! non tremare per ogni ombra, sei uomo!
appuràda s.f. l’atto di purificare, purgare, appurare, verificare, accertare. No est istadu cuntentu fina chi no ha fattu s’appurada ’e totu non s’è acquetato finché non ha appurato tutto. |
Imbarazzo, pericolo, rischio. Anche apporàda, → APPURÌDA.
appuràdu agg. appurato, verificato. Custa es veridade appurada questa è verità appurata. | S’arrempellat appuradu (Mannu)
→ APPORÀDU, APPURÌDU.
appuràre tr. appurare, purificare. Innanti ’e fagher passos, appura ’ene sas cosas prima di far passi, appura bene le cose. | Molestare, mettere in imbarazzo, provare. No m’appures sa passenzia
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non farmi perdere la pazienza. No l’appuredas a tia Maria (Cossu). | rifl. Si m’appuro / es candho penso chi t’amo (A. Sp.).
appurìa s.f. strettezza, pericolo, rischio, imbarazzo → APPORÌA.
appurìda s.f. strettezza, pericolo. No s’ha bidu mal’appurida!
ha corso un grosso rischio.
appurìdu agg. ch’è in strettezze, in pericolo; costretto, obbligato. L’ha fattu, appuridu dai su bisonzu. Daghi s’es vidu appuridu ha dèvidu zèdere ha ceduto quando s’è visto costretto.
appuriméntu s.m. pericolo, rischio, strettezza.
appurìre tr. opprimere, molestare, costringere, mettere in
imbarazzo. L’appurit meda sa povertade lo incalza la povertà.
No l’appuredas a tia Maria (Cossu 44) → APPORÀRE.
appurpuzàre e deriv. → APPALPUZ-.
appùru s.m. molestia, strettezza. So in appuru mi trovo in
strettezza.
appusentàda, -adu, -are, -u → APPOSENTÀDA ecc.
appusinàda s.f. l’atto di imbroncire.
appusinàdu agg. imbroncito.
appusinadùra s.f. broncio, risentimento, rancore. No t’es passada ancora s’appusinadura? non t’è ancora passato il risentimento?
appusinàre rifl. imbroncire. S’est appusinadu ca no l’hamus
gittu a piatta s’è imbroncito perché non l’abbiamo condotto
in piazza.
appustemàda ecc. → APPOSTEM-.
appùstis avv. e prep. dopo, in seguito. Innanti andh’eo, appustis andhas tue prima vado io, dopo vai tu. Appustis de tantos males, ecco sa morte! dopo tanti mali, ecco la morte!
appusuddhàda s.f. l’atto di marcire, ammassarsi; al fig. di
sedersi di sfascio. Faghedi s’appusuddhada cue! siedi là, marcisci là!
appusuddhàdu agg. marcio, ammassato. Seduto immobile.
appusuddhadùra s.f. l’azione e l’effetto di marcire, imputridire. Al fig. l’azione di sedere immobile.
appusuddhàre rifl. marcire, imputridire, tarlare. Al fig. lasciarsi andare di sfascio e restare immobile, come una massa morta.
Appusùddhadi cue in su cozolu e no ti zìrighes! accùcciati là in un
canto, e non ti movere! Anche → PUSUDDHÀRE e deriv.
appùtta s.f. cocciutaggine, intestatura. Ponnersi s’apputta incaponirsi nella propria opinione, non darla vinta. No ti ponzas s’apputta, caru meu, chi no has rejone non incaponirti, caro
mio, che non hai ragione.
apputtaiólu agg. incapato, ostinato, che non la dà vinta. Es
su pius apputtaiolu de sos cumpagnos è il più incapato, testardo
dei compagni.
appuzonàda s.f. l’atto di gettare i polloni.
appuzonàdu agg. che ha gettato i polloni. Fitto, denso, che
ha molti gambi, di grano. Di ape, raccolta in sciame.
appuzonàre tr. aggruppare. | rifl. raggrupparsi, raccogliersi in
sciame, delle api. Gettare i polloni, i gambi. Custu trigu s’est
appuzonadu ’ene questo grano ha messo bene i gambi, s’è affittito. In questo senso anche intr. ass. Su trigu cominzad appuzonare. Più com. → PUZONÀRE e deriv. || da puzone pollone.
appuzònes agg. indecl. che ha gli uccellini, di nido. Hap’agattadu duos nidos aôs e unu appuzones ho trovato due nidi con le
ova e uno con gli uccellini.
àpus prep. (voc. ant.) presso (C.S.P.).
aquadràre tr. → ACCUADRÀRE.
aquarèlla s.f. → ACCUARÈLLA.
aquarellàre tr. → ACCUARELLÀRE.
aquàriu s.m. → ACCUÀRIU.
aquàticu agg. → ACCUÀTICU.
àquila s.f. aquila. Solo nel senso di insegna romana. Negli
altri sensi → ÀBBILE1.
aquilìnu agg. → ABBILÌNU.
aràdu
aquilonàre → ACCUILONÀRE.
aquilòne → ACCUILON-.
àra s.f. ara, altare. Ramo forcuto per imprunare, per → VÀRA.
Aratura, seminagione. Candho s’ara es bene fatta, b’had isperanzias vonas quando l’aratura è fatta bene, c’è da aver buona
speranza. | Ara, misura di superficie.
arabbescàdu agg. arabescato, ornato con fregi.
arabbescàre tr. arabescare, ornare con arabeschi, con fregi.
arabbéscu s.m. arabesco, rabesco, fregio formato da fogliami, fiori, animali strani.
aràbbicu agg. arabico. Numeros arabbicos, gomma arabbica.
aràbbile agg. arabile. B’ha tres ettaros de terrinu arabbile ci
son tre ettari di terreno arabile.
arabbìsta s.m. arabista, che conosce bene la lingua e la letteratura araba.
àrabbu agg. arabo. Limbazu arabbu lingua araba. Caddhu
arabbu e caddhàrabbu cavallo arabo, stallone. Al fig. donnaiolo.
Selvaggio, crudele. Igue sun tot’arabbos là son tutti selvaggi. |
sost. l’Arabo. Sos Arabbos no han sa religione nostra gli Arabi non
professano la religione nostra. S’arabbu la lingua araba. Cumprendhet fina s’arabbu comprende anche l’arabo. Cosa difficile,
incomprensibile. Pro me cust’est arabbu per me questo è arabo.
Faeddhare in arabbu parlar arabo. Si mi faeddhas in arabbu no
ti poto rispondhere se parli arabo non ti posso rispondere.
aràda s.f. l’atto di arare. Dà’ sa prima arada a s’ortu ara per la
prima volta l’orto.
araddhàda s.f. l’atto e lo stato di incrostare, far gromma.
araddhadòre s.m. paletta; rallo, radula → ARÀDU2.
araddhàdu agg. grommoso, incrostato. Custa cuba es tota
araddhada questa botte è tutta grommosa.
araddhadùra s.f. incrostatura; la gromma o crosta stessa.
araddhàre rifl. incrostarsi, coprirsi di gromma.
aràddhu s.m. gromma, crosta, tartaro. Araddhu de carradellos gromma delle botti, tartaro. | Sporcizia, sozzura, sudiciume. Giughet subra duos poddhighes de araddhu ha addosso due
dita di sudiciume. Al fig. Giugher s’araddhu esser dedito al vino, essere una botte. Caglia, no mi lu mentoves cussu muffosu,
giughet fina s’araddhu taci, non menzionarlo neppure, quel
beone, è una botte col tartaro. Anche → RÀDDHU.
aradòre s.m. aratore. Pone sos fruttos de un’aradore (Cubeddu).
aràdu1 agg. arato. Terras aradas terre arate.
aràdu2 s.m. aratro. Aradu de linna, de ferru aratro di legno, di
ferro. Aradu de ’inza aratro più piccolo che serve per arare le
vigne. Parti dell’antico aratro di legno: ’antale, dentale, ’entale
(m. e f.) dentale (lat. dentale, dentalia, Virg.); limbatta o punta
la punta del dentale dove s’infila il vomere; testa de s’’antale
l’altro capo; lettu de s’aradu la parte superiore del dentale. |
Istea, isteva, istantarìle steva, stevola e stiva; manale, màniga,
manissa, manu, manunta, manunza, manuzza, rughe (sp. manicia, it. manuccia). | Timona e timone timone (lat. temo). |
Ispada, cunfirmu e cunfimmu perno che congiunge il timone
col dentale. | Conzolu, conzu, cotta, cozza piolo o bietta che fissa la spada al timone (conus, conjus per cuneus; cocia). Codiana,
cojana, coggiana, congiana, conzu il piolo o la bietta che fissa il
timone alla stevola (da coda; conjus, cuneus). | Oricrale, oricras,
orijas, taulittas le orecchie (aures, Virg.). Trassile, ladrau la verga che unisce le orecchie. | Arbata, arbada, albada, alvada,
ajvada vomere (urbum, pars aratri, Isidoro; vervactum, Guarnerio, Zanardelli; albatus, Wagner. Perchè non da ’arva?). |
Cabija, crapìca, crabiga pernio della punta del timone per l’attacco al giogo (lat. clavicula). Piru, pireddhu de sa crapica chiodo di legno con cui si fissa il pernio al giogo (pirus, pirulus). |
Giuale, juale, jubale giogo (lat. jugale). Accuccuratoriu (-doriu),
accuccuradolzu (-rzu), cameddhas o cameddhos de su juale incavature semicircolari del giogo, sotto cui sta la nuca dei bovi
aradùra
(da cùccuru). Quindi accuccurare aggiogare. Sesuja, sisuja, susuja (lora subjugia); bajone, cajone, caggione (ansione, ansa);
g<i>ussorgia, ussorza (<j>unxoria); fazzolu (fasciolu) gòmbina
it.; roccu de sa sisuja: cabija (clavicula) cavicchio. | Loros, amentos funi di pelle (lorum, amentum). Redinaios, redrinacos funi
di canapa (retinaculum redini). | Puntorzu pungolo (punctorium); strùmbulu, frùmbulu (stumulus per stimulus). Araddhadore o arraddhadore o palitta o ziradore rallo, radula, ralla, l’estremità inferiore del pungolo. Giunghere e isgiunghere,
ingainare e isgainare (gajone), allorare e illorare (loru) sos voes.
aradùra s.f. aratura. B’had ancora tres zorronadas de aradura.
aragàddha s.f. crosta rossa che lascia il sudore sulla cute.
aragaddhàre rifl. (Barb.) → ARADDHÀRE.
aràgna s.f. lampadario.
aragòne s.f. bile, amarezza. Fegato, coraggio. Omine de aragone uomo di fegato.
aragonésu agg. amaro.
aragonósu agg. bilioso, collerico.
aràldica s.f. araldica.
araméntu s.m. aratura.
aràna s.f. rana.
aranzàda (tz) s.f. aranciata, specie di dolce fatto a base di
scorza d’arancio con zucchero o miele.
aranzàdu agg. infreddolito, intirizzito.
aranzàju (tz) s.m. che vende arance e agrumi, aranciaio.
aranzédu (tz) s.m. aranceto, agrumeto.
aranzìnu (tz) agg. arancino, di arancio.
aranzolàdu agg. (Barb.) pieno di ragnatele.
arànzu (tz) s.m. arancio. Aranzu sanghignu arancio dal sugo
rosso, sanguigno. Aranzu linnosu, istupposu, asciuttu arancio
stopposo. Aranzu, o aranzu chena chiu o sena pisu (volg.) peto.
Bettare un’aranzu o aranzos petare.
aràre tr. arare.
aratóriu agg. aratorio. | sost. terreno da arare.
aràtru s.m. ▫ aràtu → ARÀDU2.
aravòna s.f. (C.S.P.). Corruz. di orabbona (hora bona) →
BONÒRA.
aràzza (tz) s.f. razza.
arazzàdu (tz) agg. tapezzato, ornato di arazzi.
aràzzu (tz) s.m. arazzo.
’àrba s.f. barba.
arbàda s.f. vomere.
arbàle agg. arvale.
’arbattàre, ’arbattu → ’ARVATTÀRE, BARVATTÀRE. || lat. vervactum.
arberàdu agg. alberato.
arberadùra s.f. alberatura.
arberàre tr. alberare. Inalberare. Arberare sa rughe.
àrbere s.c. albero. Anche àlvure.
arbiàre tr. imbiancare, di muri. Arbiare a palitta intonacare
(Ms. Macomer) → ALBIÀRE.
arbìddha s.f. scilla, pianta → ASPRÌDDHA.
arbitràda s.f. l’atto di arbitrare. No l’ha bennidu mala arbitrada! che razza di idea gli è venuta in capo!
arbitràdu s.m. arbitrato.
arbitràle agg. arbitrale. Sentenzia arbitrale sentenza di arbitri.
arbitràre intr. e rifl. arbitrare. Mi so arbitradu de intrare a su
cunzadu mi son preso la libertà di entrare al chiuso. | tr. stimare. E cuddhu tantu chi han arbitrare sos peritos, lu ponzat
ecc. (Cap. Ros.).
arbitrariamènte avv. arbitrariamente, capricciosamente.
arbitràriu agg. arbitrario, capriccioso.
arbitràtu s.m. arbitrato.
arbitriàda s.f. idea, capriccio. It’arbitriada chi l’ha bennidu!
che idea gli è saltata! A un’arbitriada a occhio e croce. A giu-
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dicare a un’arbitriada, podet baler deghe francos a giudicare alla
grossa, può valere dieci lire.
arbitriàdu agg. ingegnoso, abile.
arbitriàre rifl. ingegnarsi, curarsi. S’arbitriat de campare senza
dipendher dai niunu si sforza di vivere indipendente. Arbitriaresi de una cosa intendersi di una cosa. Es pastore, ma s’arbitriad de
s’art’’e sa linna è pastore, ma sa fare un po’ anche il falegname.
arbitriósu agg. ingegnoso, abile.
arbìtriu s.m. arbitrio. Ingegno, capacità, abilità. Capriccio.
Faghet totu de arbitriu sou e no es sempre chi l’azzertat fa tutto
secondo il proprio arbitrio e non sempre indovina. Omine
de arbitriu uomo di abilità. Pro arbitriu per capriccio.
àrbitru s.m. arbitro. Più com. → BONÓMINE.
àrbore s.m. (t. poet.) albero. Logu pro fagher nidu in sos arbòres (P. Luca).
arbóreu agg. arboreo.
arbrittiàda e deriv. Corruz. di → ARBITRIÀDA e deriv.
àrbu s.m. chiara, albume dell’ovo. | Catenella del freno che si
attacca sotto il labbro inferiore del cavallo → ’ARBÙLE, ’ARVÙLE.
’arbùle s.m. barbazzale.
arbulottàre tr. → ABBOLOTTÀRE.
arburàdu agg. alberato.
arburàre tr. alberare. Inalberare. Crocifiggere. L’han arburadu faccia a sa campagna (Murenu).
àrbure s.m. albero.
arburèddha s.f. alberetto. Pania.
arbùstu s.m. arbusto.
àrca s.f. arca. Arca de Noè arca di Noè; anche per luogo dove
sono raccolte molte bestie. Semplicemente s’arca. Arca de su Testamentu arca del Testamento. Arca de sienzia arca di scienza.
arcàda s.f. arcata.
arcàdia s.f. arcadia.
arcadicamènte avv. arcadicamente.
arcàdicu agg. arcadico.
arcàdu agg. arcato, curvo, uncinato. Un’omine arcadu un uomo curvo.
arcaicamènte avv. arcaicamente.
arcàicu agg. arcaico.
arcaìsmu s.m. arcaismo.
arcanamènte avv. arcanamente, misteriosamente.
arcànu1 s.m. arcano, mistero, segreto. Cumprendher s’arcanu
comprendere il mistero. Iscoberrer s’arcanu scoprire il segreto.
Manifestare s’arcanu manifestare il segreto.
arcànu2 agg. arcano, segreto, misterioso.
arcànzelu s.m. arcangelo. Bellu che un’arcanzelu bello come
un arcangelo.
arcàre tr. curvare, piegare. | rifl. curvarsi, diventar curvo. Ha
chimbant’annos e s’es totu arcadu ha cinquant’anni ed è già diventato curvo.
arcàzza (tz) s.f. cerva o muflona d’un anno. Isparendh’in su
monte a un’arcazza (Mossa 176).
arcazzionàdu (tz) agg. infreddolito.
arcazzionàre (tz) intr. infreddolire.
arcàzzu (tz) s.m. cervo o muflone d’un anno.
archeologìa s.f. archeologia.
archeologicamènte avv. archeologicamente.
archeológicu agg. archeologico.
archeólogu s.m. archeologo.
archéri s.m. arciere.
archétipu s.m. archetipo, modello.
archètte s.m. archetto. Sos archettes i piccoli congegni.
archibbusàda s.f. archibugiata. Archibbusada! (esclam.).
archibbusàre tr. ferire o uccidere con archibugiate.
archibbusèra s.f. archibusiera, ordine di piccole feritoie nelle
muraglie.
171
archibbuséri s.m. archibusiere, soldato armato d’archibugio.
Sos battorchentos archibbuseris sardos cumbattein a Lepanto valorosamente e binchein una bandhera turca ch’est ancora in Casteddhu i quattrocento archibusieri sardi combatterono valorosamente a Lepanto e conquistarono una bandiera turca che
ancora si conserva a Cagliari. | Fabbricante di archibugi, di
fucili e altre armi. Armaiolo.
archibbuserìa s.f. quantità di archibugi, gran numero di archibugiate. B’haiad archibbuseria meda c’erano molti archibugi. Bi fattein una grandhe archibbuseria, a sa festa alla festa
spararono molte archibugiate.
archibbusériga esclam. di maraviglia per archibugiata!
archibbùsu s.m. archibugio, schioppo, fucile. Sos bandhidos
antigos drommian cun s’archibbusu in mesu ’e ancas i banditi
antichi dormivano con l’archibugio tra le gambe.
archibèdra s.m. arciprete.
archibìscabu s.m. arcivescovo (Ms. Sorradile).
archibiscamàdu s.m. arcivescovado.
archibìscamu s.m. arcivescovo.
archilàda e deriv. → ALCHILÀDA e deriv.
archimandrìta s.m. archimandrita.
archimìna, archiminada! → ALCHIMÌNA, -ÀDA.
archisinagógu s.m. archisinagogo.
architettàda s.f. l’atto di architettare, ordire, macchinare. Est
istada una bella architettada ch’han fattu contr’a mie è stata
una perfida macchinazione che hanno ordito contro di me.
architettàdu agg. architettato, ordito, macchinato.
architettadùra s.f. macchinazione.
architettàre tr. architettare, ordire, macchinare. L’han architettadu unu bellu pianu e b’es ruttu senza mancu si ndh’abbizare
gli hanno ordito un bel piano e c’è cascato senza avvedersene.
architettonicamènte avv. architettonicamente.
architettónicu agg. architettonico.
architéttu s.m. architetto.
architettùra s.f. architettura.
archìttu s.m. dim. archetto.
archivéri s.m. archivista.
archiviàda s.f. l’atto di archiviare. In s’ultima archiviada has
fattu un’isbagliu nell’ultima archiviata hai commesso un errore.
archiviadòre s.m. che archivia.
archiviàdu agg. archiviato, registrato.
archiviadùra s.f. l’azione e l’effetto di archiviare. Drittos de
archiviadura dritti d’archivio.
archiviàre tr. archiviare. Sas pastorales de su Piscamu deven esser
totu archiviadas le pastorali del Vescovo van tutte archiviate.
archivìsta s.m. archivista. Anche agg. Su canonigu archivista
il canonico archivista.
archìviu s.m. archivio.
archìvu s.m. archivio. Archivu prodigiosu / de grassias e de favores (Delogu Ibba).
archizàre intr. archeggiare.
archizòne s.m. ricamo ad arco. Fattu a archizones ricamato
ad archi.
archìzu s.m. archetti di ricamo. Archeggio.
arcidùca s.m. arciduca.
arciduchèssa s.f. arciduchessa.
arcòne s.m. cervo o muflone d’un anno.
arcònte s.m. arconte.
arcòva s.f. alcova.
àrcu s.m. arco. Arcu de Noè, de Donnu Deu, alcubbalenu, arcu ’e sole arco baleno, iride. Arcu de bòvida arco di volta. Arcu
de sa pettorra clavicola. | Arco, arme. Arcu cun sas frizzas arco
con le frecce.
arcubbalénu s.m. arcobaleno.
àrcu ’e chélu s.m. iride.
ardòre
àrcu ’e dónnu déu s.m. arcobaleno.
àrcu ’e sòle s.m. iride.
arculéntu s.m. abròtano, erba.
’ardàda s.f. l’azione di vigilare, custodire, proteggere.
’ardàdu agg. vigilato, custodito, liberato. | sost. quel tratto di
terreno che gli antichi pastori chiudevano intorno all’ovile.
’ardamànu s.m. guardamano, manopola, ferro dello schioppo che difende il grilletto.
ardamènte avv. piuttosto, ma; solamente. Ardamente a custu ses bonu! solamente a questo sei buono!
’ardàre tr. guardare, vigilare, proteggere, liberare. Deu ’ardet!
Deu no ndhe ’ardet Dio liberi; Deu ti ndhe ’ardet Dio te ne liberi; Deu ndhe ’ardet dogni cristianu o a totu Dio salvi (da
questo) ogni cristiano. | rifl. ’Ardaresi guardarsi, guardarsi bene. ’Àrdadi dai sos perigulos guardati dai pericoli. ’Ardadi ’ene
de andhare cun sas malas cumpagnias guardati bene dall’andare coi cattivi. | Stare in guardia. ’Ardadi! sta in guardia!
’ardàrzu s.m. terreno dove crescono molti cardi selvatici, sterile. Had unu cunzadeddhu ch’es totu unu ’ardarzu ha un piccolo
chiuso che è tutto coperto di cardi selvatici. Anche bardàrzu.
ardènte agg. ardente, infocato, veemente, forte. Fogu ardente, disizu, brama, sidis ardente fuoco, desiderio, sete ardente.
ardentemènte avv. ardentemente. Amare, disizare, bramare
ardentemente.
àrdere intr. (raro) ardere.
’àrdia s.f. guardia. S’’ardia de Santu Costantinu la guardia dei
cavalcatori che corrono in onore di S. Costantino. Sas ’ardias
piccoli congegni di ferro; i denti della chiave.
’ardiàda s.f. l’atto di proteggere, liberare, guardare.
’ardiàdu agg. protetto, custodito, liberato. Custu est unu
giassu ’ardiadu dai sos ventos questo è un sito protetto dai venti. Su masone est ’ardiadu da’ unu bonu cane il branco è custodito da un buon cane.
’ardiànu s.m. guardiano, custode.
’ardiàre tr. guardare, custodire, proteggere, liberare. ’Ardiare sa
mandra custodire la mandra. Sant’Arvara nos ’ardiet dae su lampu S. Barbara ci liberi dal fulmine. | rifl. ’Ardiaresi dai su fogu
guardarsi dal fuoco. Est unu paraliticu chi no si poded ’ardiare
mancu dai su fogu è un paralitico che non si può guardare neppur dal fuoco → ’ARDÀRE, BARDÀRE.
ardidamènte avv. arditamente, aspramente. Faeddhare ardidamente parlare coraggiosamente, senza peli sulla lingua.
ardidaméntu s.m. ardimento, coraggio.
ardidèsa s.f. arditezza, calore, coraggio.
ardìdu agg. ardito, coraggioso. Faeddhare ardidu parlare con
calore, senza paura o riguardo.
ardimentàre tr. affrontare con ardimento. Pro Venus chi a sos
coros ponet gherra / ell’e ite non dia ardimentare? (Mossa).
ardimentosamènte avv. ardimentosamente.
ardimentósu agg. ardimentoso, coraggioso, intraprendente.
ardiméntu s.m. ardimento, coraggio, audacia.
ardìre s.m. ardire, coraggio, sfacciataggine. It’ardire ch’has
happidu a m’accusare de custu che coraggio hai avuto accusandomi di questo. E has s’ardire de ti presentar’a mie? e hai la
sfacciataggine di presentarti a me?
’ardòne s.m. sughero → BARDÒNE. | Sovero bruciato (W.).
ardòre s.m. ardore, forza, impeto. Faeddhare cun ardore parlare con calore. | Arsura, caldura. S’ardore de sas fiamas l’ardore delle fiamme. S’ardore de su sidis la grande arsura. S’ardore de sa pena no mi lassat faeddhare la pena cocente non mi
lascia parlare. | Senz’ardore languido, svenevole. Est una femineddha senz’ardore perunu è una femminetta senz’alcuna
energia. | Cun ardore severamente. Sa die de su Giudisciu Gesùs dêt faeddhare cun ardore il giorno del giudizio Gesù parlerà severamente.
ardória
ardória s.f. coraggio, forza, spigliatezza. Haer ardoria esser
forte, coraggioso, audace.
’ardósu agg. di terreno dove crescono molti cardi. Anche
bardósu.
’àrdu s.m. cardo → BÀRDU.
ardùra s.f. arsura, ardore, bruciore.
ardurósu agg. ardente, focoso.
arduzósu agg. arrischiato, coraggioso; rischioso.
ardùzu s.m. ardire, coraggio, faccia. E pro cussu no ha s’arduzu de si presentare addainanti de cristianos! e tutta via non ha
la faccia di presentarsi dinanzi a cristiani! | Pigare s’arduzu venir in mente. No ti pighet s’arduzu de fagher custu, sinò… non
ti venga in mente di far questo, se no… | Fagher passare s’arduzu fiaccare la baldanza.
àrea s.f. area.
areddhàda s.f. l’atto d’incrostarsi, disseccarsi. Faghersi s’areddhada: custa pasta s’ha fattu s’areddhada questa pasta s’è incrostata.
areddhàdu agg. incrostato; inaridito.
areddhadùra s.f. incrostatura. L’azione d’inaridire.
areddhaméntu s.m. incrostamento; inaridimento.
areddhàre tr. e rifl. incrostare, inaridire. Mi s’est areddhada
tota sa peddhe accurziendhe troppu sas manos a su fogu accostando troppo le mani al fuoco mi si è inaridita tutta la pelle.
Sa pasta s’es tota areddhada la pasta s’è tutta incrostata.
arèna s.f. arena, rena, sabbia. Chei s’arena in grande abbondanza, in gran numero. Bi fin sos omines chei s’arena v’era una
grandissima folla di gente. In cussa domo bi pioet su ’inari chei
s’arena in quella casa ci piovono i danari in grande abbondanza. | Leare, giughere, trattare una cosa chei s’arena: fizu meu, su
’inari no si trattat (giughet) chei s’arena figlio mio, i danari non
si trattano come l’arena. | Male de s’arena o de sas pedras renella. E tinghene de samben sas arenas (P. Luca) → RÈNA.
arenàda s.f. melagrana.
arenàdu agg. arenato, arrenato.
arenaméntu s.m. arenamento.
arenàre tr. e intr. arenare e arrenare. | rifl. confondersi, turbarsi nel discorso. In su pius bellu su preigadore s’est arenadu
sul più bello il predicatore s’è turbato, s’è arenato.
arenàrzu s.m. renischio, terreno arenoso; renone → RENÀZZU.
arènga s.f. aringa, pesce.
arenosidàde s.f. arenosità.
arenósu agg. arenoso.
arénzia (tz) s.f. razza → ERÉNZIA.
areopagìta agg. areopagita, dell’Areopago. || gr. (areiopagités)
ajreiopagithvı.
areopàgu s.m. areopago, tribunale supremo di Atene. || gr.
(áreios) a[reioı di Marte e (págos) pavgoı colle.
areoplànu s.m. aeroplano.
areostàticu agg. aereostatico.
areòstatu s.m. aereostato.
arèse s.f. razza. Volpe. Sa mal’arese → RÈSE.
arestàda s.f. l’azione d’inselvatichire; di ritirarsi dal consorzio
umano, di vivere appartato. No s’ha fattu mala arestada si è
ben inselvatichito → ISARESTÀDA, ARESTÌDA.
arestàdu agg. inselvatichito; ritirato → ARESTÌDU, isarestìdu.
arestàre rifl. inselvatichire, delle bestie. Appartarsi, diventar
misantropo, intrattabile, degli uomini. Dialu ti ndhe lêt, s’Ebba
castanza / ello pro cussu ti ses arestada! → ARESTÌRE, ISARESTÀRE.
arèste agg. agreste, selvatico, indomito. Lattuca areste lattuga
selvatica. Boes arestes bovi indomiti. Che non si lascia facilmente accalappiare, di persona. Cussa giovana ti paret gasi allegra, ma est areste quella giovane ti sembra così leggera, ma
va e acchiappala! Misantropo, intrattabile. | sost. In mesu a sos
arestes: es sempre creschidu in mesu a sos arestes tra le bestie.
172
arestìda s.f. → ARESTÀDA.
arestìdu agg. → ARESTÀDU.
arestidùdine s.f. selvatichezza, intrattabilità, scontrosità, misantropia; rozzezza. Si leo cussu cantu de s’ozastru già bi la fatto
passar’eo s’arestidudine se piglio quel bastone d’oleastro glie la
faccio passar io la selvatichezza.
arestìnu agg. de areste. A s’arestinu all’animalesca. Esser pesadu a s’arestinu essere allevato come una bestia.
arestìre rifl. inselvatichire → ARESTÀRE, di cui è più comune.
arestìu s.m. selvatichezza, rozzezza. Lassami s’arestiu e beni a
domo smetti la selvatichezza e vieni a casa.
arestùmine s.m. selvatichezza, scontrosità, riservatezza, misantropia. Si lassaiat s’arestumine, no diad esser mancu tantu ingrata se vincesse la scontrosità, non sarebbe mica tanto brutta.
aréu s.m. famiglia, branco → CHÈDDHA, ’ÀMA.
’àrfida, -u → ’ÀLFIDA, -U.
àrga s.f. spazzatura, immondezza → ÀLGA.
àrgada s.f. maciulla, gramola. Parrer un’argada essere loquace, chiacchierone. ’Ulteddhu de s’argada coltello. Pês de s’argada sostegno → ÀLGADA.
argadàda s.f. l’atto di maciullare; maciullata, gramolata. Custa es sa ’e tres argadadas questa è la terza gramolata.
argadadòre s.m. maciullatore, gramolatore.
argadàdu agg. maciullato, gramolato. Al fig. ben conciato
dalle male lingue.
argadadùra s.f. gramolatura.
argadàre tr. maciullare, gramolare. Al fig. conciare per le feste, tartassare con la lingua. Sas comares l’han ben’argadada le
comari l’hanno bene tartassata. | intr. malignare, mormorare,
spettegolare. Istan argadendhe dai su manzanu a su sero stan
sempre a spettegolare tutto il santo giorno.
argadarìa s.f. putiferio → ALGARARÌA.
argamìle s.m. immondezza, spazzatura. Al fig. Baediche, argamile! va via, che mi fai nausea! → ASCAMÌLE.
àrgana s.f. maciulla, gramola → ÀRGADA.
arganàre tr. maciullare, gramolare → ARGADÀRE.
àrganu s.m. argano. Più com. → CRÌCCHI.
arganzàre tr. maciullare, gramolare.
argàsa s.f. pecora o capra, cui è stato ammazzato o tolto il figlio.
argasàda agg. di pecora o capra privata del figlio.
argasàre tr. privare del feto le pecore o le capre. Altrove →
ISTELLÀRE, ISTEDDHÀRE.
argazìnu s.m. chiocciolino.
arghentàda s.f. l’atto d’inargentare. Sa prima arghentada no
es resessida la prima inargentatura non è riuscita.
arghentàdu agg. inargentato. Luna arghentada luna d’argento. Più com. → IMPRATEÀDU.
arghentadùra s.f. inargentatura. Sa prima arghentadura
ndh’est andhada la prima inargentatura è sparita.
arghentàre tr. inargentare. Hapo fattu arghentare su càlighe e
paret nou ho fatto inargentare il calice, e sembra nuovo. Più
com. → IMPRATEÀRE. Arghentare sos peazos [sic] de sa rughe ei
s’asta (Ms. Macomer). | Depurare. Arghentare sa saba, su mele
raffinare la sapa, il miele facendoli bollire. [La citazione dal
Ms. Macomer occorre anche s.v. bràzzu, con sos brazzos in
luogo di sos peazos.]
arghentéri s.m. argentiere.
arghenterìa s.f. argenteria.
arghentìnu agg. argentino. Sonu arghentinu, boghe arghentina, tìnnida arghentina suono, voce, tinnire argentini.
arghentòla s.f. matassa (C.S.P.) → AZZÒLA.
arghentólu s.m. strozza, gorgozzule → INGRASTÓLU.
arghéntu s.m. argento. Arghentu’ ìu argento vivo. Più com.
→ PRÀTA.
173
àrghida s.f. maciulla, gramola.
arghidàre tr. maciullare, gramolare.
arghìddha s.f. argilla → LUZÀNA.
arghiddhósu agg. argilloso.
arghinàda s.f. l’atto di arginare. Dà’ un’arghinada a su surcu
argina un po’ il solco acquaiolo.
arghinàdu agg. arginato. Rizolu ben’arghinadu ruscello ben
arginato.
arghinadùra s.f. arginatura. Sa piena ch’ha pijadu s’arghinadura la piena ha trasportato l’arginatura.
arghinaméntu s.m. arginamento.
arghinàre tr. arginare, riparare.
àrghine s.m. argine, riparo.
arghiòla s.f. aia e deriv. → ARZÒLA e deriv.
àrgia s.f. immondezza, spazzatura → ÀLGA.
arginàre tr. → ARGHINÀRE.
àrgine s.m. → ÀRGHINE.
argominzàda s.f. l’atto di principiar la tessitura; di provvedere, allestire. Dadi un’argominzada, ch’est ora preparati un po’,
che è tempo.
argominzàdu agg. allestito, preparato, provveduto.
argominzadùra s.f. allestimento, preparazione.
argominzàre tr. allestire, preparare, provvedere. | rifl. sbrigarsi; provvedersi. Argominzadi ’ene e andhemus prepàrati,
provvediti bene e partiamo.
argomìnzu s.m. principio della tessitura. Arnese, bagaglio,
provvista → ALGUMÌNZU e deriv., irguminzàda, -àdu, -àre ecc.
arguài s.m. ansia, pena, affanno. So pro te in arguai sono per
te in ansia, in affanno (Mossa).
arguèna s.f. gola, strozza. Tirarendhe unu segretu dai s’arguena strappare un segreto zeloso. Ti ndhe la tiro dai s’arguena!
indovino ciò che hai in animo. Tirarendhe s’arguena strozzare.
arguène s.f. laringe (W.).
arguìda s.f. l’atto di arguire; di sbrigarsi, affrettarsi. Dadi
un’arguida e beni sbrigati e vieni. Dagh’hap’a dare un’arguida
a sos affares, hap’a bennere quando avrò un pochino assestato
queste faccende, verrò.
arguìdu agg. arguito. Preparato, assestato. Ei cust’affare puru
est arguidu e anche quest’affare è assestato.
arguiméntu s.m. preparazione, assestamento.
arguìre tr. arguire. Preparare, affrettare, assestare. | rifl. sbrigarsi, affrettarsi. Argùidi, ch’est ora ’e andhare sbrigati, ch’è
tempo di partire.
’argùle s.m. giogaia del bove.
arguléntu s.m. abròtano, erba.
argùmene s.m. mucchio, monte d’immondezza. Al fig. ammasso di difetti, di persona degna di disprezzo. S’argumine
tou che cheriat como! dovevi venir proprio tu, adesso, mucchio
d’immondezza!
argumentàda s.f. l’atto di argomentare, chiacchierare, contrastare.
argumentadòre s.m. argomentatore.
argumentàdu agg. argomentato.
argumentàre tr. argomentare, arguire, inferire. Dai sa cara
no argumentes sempre su coro dalle apparenze non giudicare
sempre il cuore. | intr. ass. argomentare, addurre argomenti;
chiacchierare, contrastare. Da’ un’ora ses argumentendhe! non
la finisci di chiacchierare! Sun tota sa sera argumentendhe sono
in contrasto tutta la serata.
argumentasciòne s.f. argomentazione. L’atto di argomentare, disputare. Parte delle esercitazioni teologiche. ▫ argumentassiòne, argumentaziòne (tz).
arguméntu s.m. argomento, ragione, motivo. Dare argumentu dar motivo o pretesto. L’ha dadu argumentu de lu brigare gli
ha dato motivo di sgridarlo.
àrma
arguminzàda, -adu, -adura, -are, -u → ARGOMINZÀDA ecc.,
ecc.
argùstu s.m. vite inselvatichita → AGRÙSTU.
argùtu agg. arguto, perspicace.
argùzia (tz) s.f. arguzia, argutezza, perspicacia, lepidezza.
arguziósu (tz) agg. arguto, lepido, perspicace.
ària s.f. aria. Più com. aèra e àera. Che puzoneddhu in s’aria
(C. pop. C. N.).
arianésimu s.m. arianesimo.
ariànu agg. e s.m. ariano.
àrichi interiez. ironica di disapprovazione, bene, ma bene,
bravo!
arìda s.f. diminuzione. Nella frase dare un’arida diminuire,
calmarsi alquanto. Su ’entu, su frittu ha dadu un’arida il vento, il freddo ha diminuito un poco. | Anche per correzione,
emendazione. S’ha dadu un’arida s’è un po’ corretto.
aridamènte avv. aridamente.
aridàre tr. e rifl. (raro) → AREDDHÀRE. Più com. → ARRIDÀRE.
aridèsa s.f. aridezza.
arididàde s.f. aridità. Per lo più al fig. Arididade de ispiritu
aridità di spirito.
àridu agg. arido. Per lo più al fig. Nel senso proprio più com.
→ ÀRRIDU.
ariètta s.f. arietta, canzoncina. Allegru che pasca, s’es fina postu a cantare un’arietta allegro come una pasqua, ha preso anche a cantare un’arietta.
arigà! voce con cui si stimolano le bestie. Anche àrri.
’arigàdu agg. passato, superato. | avv. posdomani → BARIGÀDU.
’arigàre tr. passare, trapassare → BARIGÀRE.
arigàrza s.f. radice, ravano.
arijàlza s.f. radice, ravano.
’arìle s.f. barile → ’ALÌRE, BARÌLE, BARRÌLE.
arimética s.f. aritmetica.
’arìna s.f. farina. ’Arina càpute farina che si dà ai bimbi come
dono di capodanno.
arinàdu agg. arrenato. Sa barca est arinada / avvicin’a su portu (C. pop. C. N.).
arìnga s.f. arringa, discorso, spec. in tribunale.
aringàre tr. e intr. arringare.
arìngu s.m. arringo. Corsa, palio.
arìnzu s.m. aratura. A su tempus de s’arinzu al tempo dell’aratura. Deris hapo cumpridu s’arinzu ieri ho terminato l’aratura.
ariòna s.f. portamento maestoso.
arioplànu s.m. aeroplano.
ariósu agg. arioso.
aristocràticu agg. aristocratico.
aristocrazìa (tz) s.f. aristocrazia. In su cumbidu b’es tota s’aristocrazia nel pranzo c’è tutta l’aristocrazia.
aritimética s.f. aritmetica.
arizzésu (tz) s.m. colletta fra compagni per bere o mangiare
insieme. Fagher s’arizzesu: no ha cumbidadu unu solu, ma pro
buffare han fattu s’arizzesu non ha invitato uno solo, ma per
bere han fatto la colletta.
arlicchinàda s.f. arlecchinata, bricconata.
arlicchìnu s.m. arlecchino. Fagher sa frigura de arlicchinu far
la figura di arlecchino.
àrma s.f. arma. S’arma de sos Carabineris, o solam. s’arma
l’arma benemerita. Giamare s’arma, recurrere a s’arma chiamare l’arma, ricorrere all’arma dei Carabinieri. | Arme. Arma
fritta o ferru frittu arme da taglio, arma bianca. Arma ’e fogu
arme da fuoco. Benner a sas armas curtas (curzas) venire a ferri corti. Boltaresi, recurrer a sas armas suas ricorrere ai propri
argomenti (che possono essere materiali o morali). I bimbi,
che non hanno altre armi, si servono delle unghiette per
sgraffiare e si dice che recurren o si ’oltan a sas armas issoro.
IRGOMINZÀDA
armàda
Ognunu recurred a sas armas suas ognuno si vale delle proprie
ragioni, dei propri mezzi. | Esser sutta sas armas essere, stare
sotto le armi. | Leare sas armas, lassare sas armas armarsi, disarmarsi, ingaggiare e finire una guerra. | Presentare sas armas
presentare le armi. Ponner in armas mettere in arme. Anche
accendere gli animi. Ha postu in armas tota sa ’iddha ha acceso gli animi in tutto il villaggio. | Nel linguaggio volgare, il
membro virile.
armàda s.f. armata. Armada ’e mare flotta; armada ’e terra
esercito, truppa. | L’atto di armare o armarsi. A s’armada chi
s’ha fattu totu l’han timidu appena s’è armato ha incusso paura in tutti.
armàdu agg. fornito, guernito, munito. Armadu de fusile; de
corros, de ungias; de rejones armato di fucile; di corna, di unghie; di ragioni. Ponte, bovida armada ponte, volta armata.
Cimentu armadu cemento armato. | sost. Si li prensentan in su
buscu tres armados gli si presentano nel bosco tre armati.
armadùra s.f. armatura. Armadura de gherra; de bovida, de
ponte; de corros armatura di guerra; di volta, di ponte; di corna.
armajólu s.m. armaiuolo.
armamènta s.f. il complesso delle armi. Custa es tota s’armamenta mia queste son tutte le mie armi. Spec. armamenta ’e
corros le corna.
armaméntu s.m. armamento. Custu est unu veru armamentu
’e gherra questo è un vero armamento di guerra.
armàre tr. armare, guernire d’armi. Armare sos soldados, una
fortalesa, una nae armare i soldati, una fortezza, una nave.
Armare unu ponte, un’arcu, una bovida armare un ponte, un
arco, una volta. | rifl. indossare le armi. Sos soldados si sun
armados e sun prontos a gherrare i soldati si sono armati e son
pronti a combattere. Armaresi de rejones, de iscujas armarsi di
ragioni, di pretesti. Armaresi de passenzia, de bona voluntade,
de coraggiu armarsi di pazienza, di buona volontà, di coraggio. | ass. Sa Germania s’est armendhe accua la Germania si
arma in segreto.
armàriu s.m. armadio. Armariu abbertu armadio senza sportelli, semplice ripostiglio nel muro, armadio a muro. Armariu cunzadu armadio con imposte. || lat. armarium.
armarìzzu (tz) s.m. armigero; bellicoso. Focoso; accattabrighe.
armarólu s.m. armaiolo.
’armbinàre tr. → ’ARMINÀRE, barminàre.
armellìnu s.m. ermellino.
armentàdu agg. imbrancato, unito in branco.
armentàre tr. imbrancare, formare un branco. Armentare
sas ebbas riunire in branco le cavalle.
armentàriu s.m. amministratore (C.S.P.).
armentàrzu s.m. ufficiale maggiore, giudice del dipartimento. Economo della Diocesi in sede vacante (Cod. di Sorres).
arméntu s.m. armento. Armentu de ’oes, de ’accas, de ’arveghes armento di buoi, di vacche, branco di pecore. Pastoriu,
lassade sos armentos (Pis.). | Grande quantità o massa di persone o di oggetti. Che ndh’had un’armentu e tue no agattas nuddha! ce n’è qua tanto e tu non trovi nulla! Un’armentu ’e
zente, un’armentu ’e ’inari un mondo di gente, un monte di
danari. Un’armentu ’e rejones un mondo di ragioni.
arméri s.m. armaiuolo. | Anche armigero; bellicoso, focoso.
armerìa s.f. armeria. | Anche per armata. S’armeria infernale
l’armata infernale.
armesìnu s.m. armesino, drappo che si frabbricava a Ormuz.
armìddha s.f. timo, serpillo, sermolino (Serpillum).
armiddhàda s.f. bella vista, compostezza. Caddhu de bona
armiddhada cavallo di bella vista, ben formato.
armiddhàdu agg. ben composto, agghindato.
armiddhàre rifl. agghindarsi, comporsi della persona, ornarsi per una bella comparsa. || lat. armillae ornamenti.
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armìgeru s.m. (raro) (Aidom.) armigero. A Nicanore armigeru Barone (Dore).
armìgnu s.m. ermellino, insegna canonicale. Su ch’es muzzetta est armignu (An.).
armigoddhìnu (a) avv. ad armacollo, a tracolla. Giugher,
portare a armigoddhinu portare ad armacollo.
armigóddhu s.m. bretella. Sos armigoddhos le bretelle.
armilàre intr. mugghiare, mugliare, muggire, del bestiame
bovino.
armillàre agg. armillare.
’arminàda s.f. l’atto di scardassare (cardare, carminare) la lana.
’arminadórzu s.m. luogo dove si scardassa la lana. L’azione
stessa di scardassar la lana.
’arminàdu agg. scardassato.
’arminadùra s.f. l’azione e l’effetto di scardassare la lana.
’arminàre tr. scardassare, cardare, carminare la lana → GRAMINÀRE, carminàre, barminàre. | Al fig. mormorare, tartassare
con la lingua.
arminzàda s.f. l’atto di preparare, corredare, ornare.
arminzàdu agg. preparato, ornato.
arminzadùra s.f. l’azione e l’effetto di preparare, disporre,
corredare.
arminzàre tr. principiare, preparare, corredare. Arminzare
sa padeddha condizionare la pentola, mettere insieme gli ingredienti che occorrono per la pietanza. Arminzare s’aradu
fornire l’aratro di quanto è necessario.
’arminzòne s.m. specie di cardo, crispignolo, cicerbita.
armìnzu s.m. strumento, arnese, arredo, corredo. Sos arminzos quanto è necessario, annesso e connesso, a una cosa principale. Arminzos de domo, de s’aradu, de su giuale; arminzos de
gherra utensili da casa, attrezzi dell’aratro, del giogo; strumenti di guerra. Accollu cun totu sos arminzos suos eccolo con tutto
il suo bagaglio di strumenti, utensili, arredi. Su carru cun totu
sos arminzos il carro con tutti gli accessori. Anche al fig. amminicoli, pretesti, ragioni, argomenti ecc. Onzunu si ’alet de
sos arminzos suos ognuno si vale dei propri mezzi.
armissàriu s.m. stallone. || lat. admissarius (W.).
armistìziu (tz) s.m. armistizio.
armizàre intr. armeggiare. Al fig. congiurare, macchinare
contro qualcuno.
armonìa s.f. armonia. Armonia de cantigos, de sonos armonia di
canti, di suoni. Armonia de opiniones, de coros accordo di opinioni, di cuori. Viver in armonia o in bon’armonia vivere concordemente. No b’haer armonia non esserci pace e concordia.
armonicamènte avv. armonicamente, concordemente.
armónicu agg. armonico, armonioso.
armoniosamènte avv. armoniosamente.
armoniósu agg. armonioso.
àrmu s.m. guidalesco, cicatrice. Armu de cartas seme delle
carte da gioco.
armurànta s.f. armoraccio, rafano selvatico, coclearia. || lat.
armoracea.
armurzàre tr. mettere il cacio nella salamoia. Anche ammurzàre. | intr. ruminare → RAMUZÀRE.
armusètta s.f. mozzetta. || lat. armutium.
armùttu s.m. asfodello.
aròma s.m. aroma.
aromàticu agg. aromatico.
aromatizànte agg. aromatizzante.
aromatizàre tr. aromatizzare.
aròmatu s.m. aroma.
àrpa s.f. arpa.
arpeggiàda s.f. l’atto di arpeggiare.
arpeggiàre intr. arpeggiare.
arpéggiu s.m. arpeggio.
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arpìa s.f. arpia. Al fig. donnaccia.
arpilàda s.f. l’atto di agghiacciare, accapponare la pelle.
arpilàdu agg. atterrito, che ha la pelle accapponata; abbrividito.
arpilàre tr. accapponare la pelle; abbrividire; raccapricciare.
Più com. urpilàre. || lat. horripilare.
àrra s.f. arra, pegno. Un’aneddhu bos ponzesit / pro arras de
vera isposa (Lodi di S. Caterina, V. Mart.). | Fede, anello matrimoniale. Anche semplicemente anello.
arrabazzàda (tz) s.f. raccolta.
arrabazzàdu (tz) agg. raccolto.
arrabazzadùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di raccogliere.
arrabazzàre (tz) tr. raccogliere, raccattare.
arrabazzonàda (tz) s.f. l’atto d’ingrossare.
arrabazzonàdu (tz) agg. ingrossato.
arrabazzonadùra (tz) s.f. ingrossamento.
arrabazzonàre (tz) intr. ingrossare → RABAZZÒNE.
arrabbattàda s.f. l’atto di arrabattarsi. | avv. A s’arrabbattada
strapazzosamente.
arrabbattàdu agg. strapazzato, affacchinato.
arrabbattadùra s.f. l’azione e l’effetto di affacchinarsi, arrabattarsi.
arrabbattàre rifl. arrabattarsi, affacchinarsi, stracanare.
arrabbàttu s.m. affacchinamento, grave fatica.
arrabbiàda s.f. l’atto di adirarsi, incollerirsi, sdegnarsi. | avv.
A s’arrabbiada sdegnosamente, irosamente. Faeddhat sempre
a s’arrabbiada, b’ha de lu timire.
arrabbiadìttu agg. facile all’ira, allo sdegno.
arrabbiàdu agg. adirato, sdegnato. Candho ses arrabbiadu,
no faeddhes.
arrabbiàre tr. far andare in collera. Si m’arrabbias, la ’ides se
mi fai adirare, la vedrai. | rifl. adirarsi, sdegnarsi, andar in collera. A sas primas paraulas s’arrabbieit che demoniu alle prime
parole montò in furore. | intr. ass. Bider e no toccare faghed
arrabbiare vedere e non toccare fa arrabbiare.
arrabbidàre intr. infuriare, smaniare. Arrabbidare de sa dolima perder la testa, vagellare, smaniare per il dolore.
arrabbiósu agg. iroso, collerico, bilioso.
arràbbiu s.m. sdegno, collera, ira. Chie de amore (de geniu)
si leat, de arrabbiu si lassat chi si sposa con amore si separa
con furore. Fortunatamente in rari casi disgraziati. | Learesi
arrabbiu adirarsi. No ti ndhe lês tant’arrabbiu! lascia correre!
arraccàda s.f. orecchino. || sp. arracada.
arràda s.f. l’atto di errare. Errore, sbaglio; colpa, mancanza.
Cun custu ha fattu un’arrada manna con questo ha commesso una grave mancanza.
arraddhadòre s.m. paletta che termina il pungolo del bifolco → ARÀDU2.
arraddhàdu agg. incrostato, ingrommato.
arraddhàre rifl. incrostarsi, ingrommarsi.
arraddhonìdu agg. incrostato, ingrommato. Anche al fig.,
di cattive abitudini inveterate, di vizi cronici. Giughet su coro
arraddhonidu, ha sa cussenzia arraddhonida ha il cuore incrostato, ha la coscienza sporca.
arraddhoniméntu s.m. l’atto d’ingrommarsi, incrostarsi,
indurirsi.
arràdu agg. errato, sbagliato → ERRÀDU.
arraffiàda s.f. l’atto di arraffare, grancire.
arraffiàdu agg. arraffato, grancito.
arraffiadùra s.f. l’azione e l’effetto di arraffare. Daghi no
ndhe li dana, faghed a arraffiadura quando non glie ne danno, arraffa.
arragàdu agg. che ha ben legate le brache. Al fig. ben preparato, ben disposto.
arragàre tr. legare bene le brache o i calzoni. | rifl. legarsi
bene, abbottonarsi, aggiustarsi le brache. Si dice anche al fig.
arramattàda
per prepararsi, disporsi a un’impresa importante, rischiosa.
Arràgadi ’ene, chi no perdas sos calzones cingiti bene, prepàrati
bene, che non perda i calzoni.
arragliàdu agg. sistemato, disposto in fila, in ordine.
arragliàre tr. sistemare, livellare, disporre in fila, ordinare. |
Terminare la zappatura del lavoro (W.).
arraigàda s.f. l’atto di ficcare i pali in una vigna.
arraigàdu agg. fornito di pali. Sa ’inza es tota arraigada le viti son tutte fornite di pali.
arraigadùra s.f. l’atto e l’effetto di ficcare i pali in una vigna.
S’arraigadura solu m’es costada chimbighentos francos la sola
fornitura dei pali m’è costata cinquecento franchi [sic].
arraigàre tr. fornire di pali. Arraigare sa ’inza. | rifl. adirarsi,
sdegnarsi.
arraighinàda s.f. l’atto di metter radici. Anche al fig. Daghi
s’ha fattu s’arraighinada, no l’han potidu mover pro tota sa sera
dopo che ha preso radici (in casa), non l’han potuto smontare per tutta la sera. Daghi su visciu faghet s’arraighinada, no es
tantu fazile a l’irraighinare quando il vizio mette ben radici,
non è facile sradicarlo.
arraighinàdu agg. radicato, che ha ben messo radici. Inveterato, cronico. Abbitudine arraighinada abitudine inveterata.
arraighinàre rifl. metter radici, radicarsi. Al fig. trattenersi
molto, abbarbicarsi; diventar inveterato, per lo più di passioni, di vizi, d’abitudini. S’arraighinad in su zilleri e no b’ha versu de ndhe lu fagher vessire mette radici nella bettola e non c’è
verso di farlo uscire. Si l’est arraighinadu su visciu de su ’inu
ed es su riu de sa domo gli si è radicato in corpo il vizio del vino ed è la sventura della famiglia.
arraigónzu s.m. l’azione e l’effetto di fornir di pali. Trinta
liras pro s’arraigonzu trenta lire per il collocamento dei pali.
arrajolàdu agg. rabbioso, idrofobo. Al fig. furioso, cieco di furore. Dai cantu sa brama, pariad arrajoladu sembrava idrofobo.
arrajoladùra s.f. rabbia, idrofobia. Furore cieco, passione cieca. Es mortu de arrajoladura è morto d’idrofobia.
arrajolaméntu s.m. idrofobia, rabbia. Cecità, furore di passione. Lassami cust’arrajolamentu e ammentadi chi ses omine
scoti codesta indegna passione e ricòrdati che sei uomo.
arrajolàre rifl. e intr. diventar idrofobo, anche al fig. Su cane
pius masedu s’est arrajoladu il cane più mansueto è diventato
idrofobo. Si no li dan a Lughia, arrajolat se non gli danno
Lucia, perde il senno, muore di rabbia.
arrajolìda s.f. l’atto di arrabbiare, diventar idrofobo. Anche
al fig.
arrajolìdu agg. arrabbiato, idrofobo. Cane arrajolidu cane
rabbioso, idrofobo. Anche al fig. Pariad unu cane arrajolidu
pareva un cane arrabbiato.
arrajolìre rifl. e intr. → ARRAJOLÀRE.
arralada [sic] s.f. l’atto di terminare il solco.
arraladura [sic] s.f. l’azione e l’effetto di finire il solco, terminare il lavoro.
arralare [sic] intr. finire di tirar la linea (rala), di terminare
il solco o la porca.
arramàda s.f. l’atto d’infrascare, ornar di rami.
arramàdu agg. ornato di frasche, di rami.
arramadùra s.f. l’azione e l’effetto d’infrascare, ornar di rami.
arramàre tr. ornar di frasche, di rami le chiese nelle feste,
spargere i fiori per le vie dove passa la processione. Pro Pasca
han arramadu tota sa cheja per la Pasqua hanno ornato di rami
tutta la Chiesa.
arramattàda s.f. affacchinamento, fatica grave. Learesi un’arramattada, una bona arramattada affacchinarsi, stracanare. |
avv. A s’arramattada furiosamente, con lena, affannosamente.
Faeddhare, tribagliare a s’arramattada parlare affrettatamente,
lavorare con furia.
arramattàdu
arramattàdu agg. affannato, affacchinato, accaldato.
arramattàre rifl. affacchinarsi, stracanare. S’arramattat tota
die pro campare stracana tutto il santo giorno per vivere.
arrambàda s.f. l’atto di appoggiare. L’appoggio stesso, il sostegno. No haer arrambada peruna non aver alcun appoggio,
essere abbandonato da tutti, misero.
arrambàdu agg. appoggiato. Arrambadu a su muru appoggiato al muro. Al fig. protetto, aiutato, difeso. Est una familia
ben’arrambada è una famiglia ben protetta, ben difesa.
arrambadùra s.f. l’atto e l’effetto di appoggiare o appoggiarsi. Appoggio, sostegno. Had agattadu una bona arrambadura ha trovato un buon appoggio, un buon rincalzo.
arrambàre tr. appoggiare. Arramba su fuste in su cozolu appoggia il bastone nell’angolo. | rifl. appoggiarsi. Anche al fig.
Arràmbadi no a sos riccos ma a sos onestos cerca i tuoi protettori non tra i ricchi ma tra i galantuomini. S’est arrambadu a
cussa familia e si ndh’est agattadu ’ene s’è addossato a quella famiglia e se n’è trovato bene.
arràmbu s.m. appoggio, sostegno. Protezione, difesa. Had
hapidu un’arrambu ’onu in su duttore ha trovato un buon appoggio nel dottore.
arraminàre tr. ossidare (W.).
arrampanàda s.f. l’atto di resistere, durarla.
arrampanàdu agg. resistente, tenace.
arrampanàre intr. resistere, durarla. | tr. sopportare. No ti
poto arrampanare (Puddhighinu). No lu poto pius arrampanare (An.).
arrampàre tr. spalancare, sbarrare gli occhi → ALLAMPÀRE.
arrampiàre tr. → ALLAMPIÀRE.
arrampionàda s.f. l’atto di aggranfiare, arraffare.
arrampionàdu agg. aggranfiato, arraffato.
arrampionadùra s.f. l’azione e l’effetto di arraffare, rubare.
arrampionàre tr. rubare, aggranfiare, arraffare.
arramponàda s.f. l’atto di durarla, di resistere; resistenza,
tenacia. Su malaidu, pro como, ha fattu s’arramponada il malato, per adesso, ha resistito, la dura.
arramponàdu agg. che resiste, la dura. Bidelu cue, arramponadu vedilo là, resistente, tenace.
arramponadùra s.f. l’atto e l’effetto di durarla, resistere; resistenza, tenacia.
arramponàre intr. durarla, resistere. Comente ses? Eh, fin’a como so arramponendhe come stai? Eh, finora resisto come posso. Arrampòna! dùrala! Si dice scherzevolmente ad uno che è
ammalato.
arrampónu s.m. resistenza, tenacia.
arrampuzàda s.f. l’atto di campicchiare, ingegnarsi.
arrampuzadùra s.f. l’azione e l’effetto d’industriarsi, ingegnarsi.
arrampuzàre rifl. ingegnarsi, industriarsi.
arrancàda s.f. l’atto di zoppicare. Fagher s’arrancada zoppicare.
arrancadùra s.f. l’azione e l’effetto di zoppicare.
arrancaméntu s.m. zoppicamento.
arrancàre tr. strappare, arraffare. | intr. zoppicare, camminare malamente, faticosamente. Arranca arranca bi so arrividu zoppica zoppica ci sono arrivato. | Piegarsi verso terra, dei
rami stracarichi.
arràncu s.m. camminare penoso, faticoso.
arrandhàdu agg. munito di pizzo, di frangia. Tiaza arrandhada tovaglia che ha il pizzo. Più com. → RANDHITTÀDU.
arrandhàre tr. (raro) munire di pizzo o frange.
arraneddhàda s.f. l’atto di appallottolarsi.
arraneddhàdu agg. appallottolato, granelloso.
arraneddhadùra s.f. l’azione e l’effetto di appallottolarsi.
arraneddhàre rifl. diventare granelloso, appallarsi, appallottolarsi. Custa farina s’es tota arraneddhada questa farina s’è tutta appallottolata.
176
arrangàre e deriv. → ARRANCÀRE e deriv. | Più <com.> intr.
affondare nel fango.
arrangiàda s.f. l’atto di aggiustare, accomodare, riparare.
Dare, daresi un’arrangiada riparare, accomodarsi, aggiustarsi.
arrangiàdu agg. riparato, aggiustato. Contos arrangiados
conti definiti; chistione arrangiada questione composta.
arrangiadùra s.f. riparazione, definizione, componimento.
arrangiaméntu s.m. accomodamento. Benner a un’arrangiamentu venire a un compromesso, a una composizione amichevole. Fagher arrangiamentu fare un compromesso.
arrangiàre tr. aggiustare, accomodare, assestare, comporre. Arrangiare unu fusile, unu contu, una perfidia, una lite riparare un
fucile, definire un conto, comporre una discordia, una lite. | rifl.
aggiustarsi, ingegnarsi. Daghi l’es mortu su maridu s’est arrangiada coment’ha potidu e ndh’es bessida cun onore dopo che le è morto il marito s’è ingegnata come ha potuto e ne è uscita con onore. | Arrangiaresi in calchi professione intendersi un po’ di qualche
cosa. S’arrangiad unu pagu in sa pintura, in s’art’’e sa linna s’intende un po’ di pittura, di lavori in legno. | Arrangiaresi comporre dissensi, liti, definire conti. Fin in chistione, ma si sun arrangiados erano in discordia, ma si son accordati. | Anche in
mala parte, per ricorrere a mezzi non tanto leciti. Zertu fit reu
de su dellittu, ma sos suos si sun arrangiados ed est istadu assoltu
certo era reo del delitto, ma i suoi han brigato ed è stato assolto.
arràngiu s.m. riparazione, definizione, composizione. Pagami s’arrangiu de sa ’istrale pagami la riparazione della scure.
Oe fit s’arrangiu de sos contos, de sa lite oggi si faceva la definizione dei conti, la composizione della lite. | Fagher arrangiu
venire a un accomodamento, a un compromesso. Esser in arrangiu esser in via di composizione, di pacificazione. | Fagher
mal’arrangiu esser peggio. Si no ti servis e mandhigas, mal’arrangiu faghes! se non ti servi e mangi, peggio per te!
arrangiuzzàre (tz) rifl. ingegnarsi alquanto. S’arrangiuzzat
comente podet e campat s’ingegna come può e la tira.
arranzàdu agg. ridotto in zolla o palla, di sale e di zucchero.
| → ARRANGIÀDU.
arranzadùra s.f. l’azione di ridursi in zolla o palla. Ringhio,
ustolio. | → ARRANGIADÙRA.
arranzaméntu s.m. ringhio, ustolio. | → ARRANGIAMÉNTU.
arranzàre rifl. ridursi in zolla o palle, del sale e dello zucchero. | Ringhiare, ustolare. | → ARRANGIÀRE.
arranzarrànza s.f. invidia. | avv. lima lima! Crepa, schiatta!
arrànzia (tz) s.f. errore, sbaglio. Cumpatimi, si fatto calchi arranzia.
arrànzu s.m. → ARRÀNGIU.
arrapanàre intr. affacchinarsi, stracanare → RABANÀRE.
arrappadòre s.m. barbiere, parrucchiere.
arrappàre tr. tosare.
arrappiànte agg. ladro. Maccu arrappiante pazzo delinquente.
arrappiàre tr. rapire, togliere con violenza.
arrappionàre tr. rapire, rapinare.
arràppu avv. Segare sos pilos, tundher arrappu tosare, tagliare
molto vicino alla cute. Anche di altre cose, al fig.
arràre intr. errare, mancare. Su ’onu candh’arrat, fin’a terra no
abbarrat quando erra il savio, cade più in fondo degli altri
(corruptio optimi pessima). | rifl. Arraresila sbagliarla grossa.
Arrada ti l’has! hai sbagliato di grosso!
arrasadòre s.m. rasiera → RAIDÒRE.
arrasàdu agg. raso.
arrasadùra s.f. l’atto di radere.
arrasàre tr. radere, nel senso di scolmare con la rasiera. Arrasa cussa mesura, ch’est accolumu scolma quella misura che è
troppo piena. | Anche intr. per pregare, recitare l’ufficio. Lassalu, no lu disturbes ch’est arrasendhe lascialo, non disturbarlo
che recita il breviario. Più com. → RESÀRE.
177
’arrasólu s.m. biancospino, pianta.
arràstu s.m. traccia, segno, avanzo. No ch’had arrastu perunu
non c’è alcuna traccia.
arràsu agg. indecl. e avv. scolmato, raso, di misura. Damindhe duos cartos arrasu dammene due quarti rasi, scolmati.
arraulàda s.f. l’atto di diventar idrofobo, crudele.
arraulàdu agg. idrofobo, arrabbiato.
arrauladùra s.f. l’azione e l’effetto dell’arrabbiare, incrudelire. Idrofobia, rabbia.
arraulàre intr. e rifl. arrabbiare, diventar idrofobo → ARRAJOLÀRE, ARRAJOLÌRE.
arraunzàre e deriv. → RAUNZÀRE e deriv.
arraùnzu avv. con brontolio, o bofonchiamento, o ustolio.
Sun sempre arraunzu postu stan sempre brontolando, ustolando → RAÙNZU.
arrazolàdu, -are, -idu, -ire → ARRAJOLÀDU ecc.
arràzza (tz) s.f. → RÀZZA.
arrazzionàdu (tz) agg. in calore, in foia, in amore, del cavallo.
arrazzionàre (tz) intr. entrare in amore.
arrazzonàdu (tz), -are → ARRAZZIONÀDU, -ÀRE.
arrazzonìdu (tz) → ARRAZZIONÀDU.
arrazzonìre (tz) → ARRAZZIONÀRE.
arrè! interiez. di minaccia. Arrè arrè! ferma!
arrèa interiez. sta a vedere che… Arreaghì m’impauris! sta a
vedere che mi fai paura! Poco importa. Si no benis ti lasso! Arreaghì! se non vieni ti lascio! Poco male! Aspetta che… Arrea
chi ti leo in coa! aspetta che ti prendo in grembo! Per lo più
ironico. ▫ arreaghì!
arreàdu agg. fermato, fermo.
arrealìa s.f. contesa, contrasto, disputa. Essere, istare arrealias
essere in contesa. In cussa domo sun arrealias (a realias) tra
babbos e fizos in quella casa son sempre in contesa → REALÌA.
arrealiàre intr. disputare, contendere, litigare. Istan dai su
manzanu a su sero arrealiendhe stan tutto il giorno a leticare
→ REALIÀRE.
arreàre tr. fermare, arrestare. Arrea cussu caddhu ferma quel
cavallo. | intr. fermarsi, sostare. Arrea chi ti chelzo faeddhare
aspetta che voglio parlarti.
arrearrè avv. Istare arrearrè fermarsi molto spesso nel camminare.
arrearrèa (a s’~) avv. Andhare a s’arrearrea camminare lentamente facendo molte fermate.
arrebattàdu agg. rapito in estasi. De continu arrebattada /
in estasis soberanos (Gos. 158).
arrebattàre tr. rapire in estasi, estasiare. | rifl. accaldarsi, affliggersi. Pro custu corru invanu s’arrebattan (Loria).
arrebboccàda s.f. l’atto di piangere irosamente.
arrebboccàdu agg. che piange irosamente. Mudu, arrebboccadu! bilioso!
arrebboccàre rifl. piangere stizzosamente, implacabilmente.
arrebbóccu s.m. bile, ira espressa con pianto implacabile.
arrebbusàda s.f. l’atto di rabberciare, intonacare con calce il
muro.
arrebbusàdu agg. rinforzato, intonacato con calce.
arrebbusadùra s.f. l’azione e l’effetto di rinforzare, intonacare con calce.
arrebbusàre tr. intonacare, rinforzare con calce.
arrebellàda s.f. l’atto di ribellarsi, ribattere.
arrebellàdu agg. ribellato, ribattuto.
arrebellàre intr. ribellare; resistere; ribattere. Sos poveros si
sun arrebellados de pagare sas tassas i poveri si son rifiutati di
pagar le tasse. A sas accusas had arrebelladu cun sas rejones suas
contro le accuse ha ribattuto con le proprie ragioni. Nell’ultimo senso, più com. → REBELLÀRE. | Su corvu subra sa figu
mia s’arrebellat (Mannai).
arregòlta
arrebéllu s.m. ribellione, sommossa; tenacia; ribattimento.
Su pobulu est in arrebellu il popolo è in sommossa.
arrebentàda s.f. l’atto di scoppiare, crepare.
arrebentàdu agg. scoppiato, crepato.
arrebentadùra s.f. l’azione e l’effetto dello schiattare, crepare. Scoppio.
arrebentaméntu s.m. schiattamento, scoppio.
arrebentàre intr. scoppiare, schiattare, crepare. Spec. al fig.
Arrebentare dai su piantu schiattare dal lungo pianto. Leala
cussa criadura, ch’est arrebentendhe prendila in braccio quella
criatura che sta per scoppiare dal lungo pianto. Bi ndh’ha pro
arrebentare! ce n’è da scoppiare, schiattare! Anche arreventàre
e deriv. (Terranova).
arrebéntu s.m. crepacuore; scoppio; lungo pianto doloroso.
arrebettàre → ARREBATTÀRE.
arrebisàle agg. cotto con acqua e sale.
arrebuzzulàdu (tz) agg. raccolto, guadagnato. Ricco, ben fornito.
arrebuzzulàre (tz) tr. raccogliere, raggranellare. | rifl. arricchirsi.
arreccàda s.f. orecchino. || sp. arracada.
arredàre tr. (raro) arredare.
arrédu s.m. (raro) arredo.
arredundhàda, -adu, -are arrotondare → REDUNDHÀDA ecc.
arredùndhu avv. tutt’intorno, intorno intorno. Totu sas
tancas arredundhu fin de su marchesi tutti i chiusi intorno intorno erano del marchese.
arregàdu agg. impigliato tra le imposte racchiuse, di persona
o di vesti.
arregàre tr. e rifl. impigliare tra le imposte racchiuse. Ha serradu sa porta ei su gabbanu s’est arregadu ha chiuso la porta e
il cappotto è rimasto impigliato.
arreghentiàda s.f. l’atto d’inasprirsi, detto di ferite, di tumori. Sa bua, a custu frittu, s’ha dadu un’arreghentiada il tumore,
a questo freddo, s’è inasprito. | Al fig. l’atto di incollerire. A
s’arreghentiada chi s’ha fattu, l’hapo timidu s’è tanto incollerito,
che l’ho temuto.
arreghentiàdu agg. inasprito, inciprignito. Al fig. incollerito,
adirato.
arreghentiadùra s.f. l’azione e l’effetto d’inasprire, inciprignire; incollerire.
arreghentiaméntu s.m. inasprimento. Collera, ira.
arreghentiàre tr. inasprire, irritare, spec. di piaghe o di tumori. Su frittu m’had arreghentiadu sa bua il freddo mi ha irritato il foruncolo. Anche al fig. Arreghentiare sa pena, sas
piaes de su coro inasprire la pena, le piaghe del cuore. | rifl.
inasprirsi, irritarsi. Si mi sun arreghentiadas totu sas dolimas mi
si sono inasprite tutte le doglie. No t’arreghenties, chi crebas!
non adirarti, che schiatti!
arrèghere tr., rifl. e intr. arrestare, arrestarsi, sostare → ARRÈRE, ARRÈZERE.
arréghida s.f. l’atto di fermare, fermarsi; sosta. Fagher arreghida sostare.
arregóglida s.f. raccolta.
arregóglidu agg. raccolto, raccattato.
arregògliere tr. raccogliere, raccattare, cogliere, riunire → REGÒGLIERE.
arregoglìre tr. raccogliere → REGOGLÌRE.
arregoldànzia (tz) s.f. ricordo. Spec. il rintocco funebre. Es
sonendhe s’arregoldanzia pro s’anniversariu è il rintocco funebre per l’anniversario.
arregoldàre tr. ricordare, rammentare. Rintoccare a morto.
arrególdu s.m. ricordo, memoria. Cust’est un’arregoldu de
poveru frade meu questo è un ricordo del mio povero fratello.
arregòlta s.f. raccolta.
arrególtu
arrególtu agg. raccolto, raccattato.
arregonàda s.f. l’atto di ribellarsi.
arregonàdu agg. ribellato, rivoltato.
arregonaméntu s.m. ribellione, rivolta.
arregonàre rifl. ribellarsi, rivoltarsi.
arregordànzia (tz) → ARREGOLDÀNZIA.
arregordàre → ARREGOLDÀRE.
arregórdu → ARREGÓLDU.
arregórtu agg. raccolto, raccattato.
arregottàdu agg. rappreso, rappigliato, del latte che si guasta →
BROZZÀDU, CREBÀDU (Benetutti), rùpidu (Pattada), ACCASÀDU.
arregottadùra s.f. l’atto e l’effetto di rapprendersi del latte
senza caglio o presame.
arregottàre rifl. rapprendersi senza caglio o presame o per il
sudiciume dei recipienti o per troppa durata. Si sas lamas no
sunu bene samunadas, su latte in su lu cogher s’arregottat frecuente se i recipienti non sono ben lavati, il latte nella cottura
si rappiglia con frequenza. | Si dice anche del sangue, per disprezzo. Caglia tue, chi ti s’est arregottadu su sambene taci tu,
che hai il sangue molto sieroso.
arreguzzulàre (tz) tr. raccapezzare, raccogliere. | rifl. raccapezzarsi, ripigliarsi finanziariamente.
arrejonàda s.f. l’atto di ragionare, discorrere, conversare.
Nos hamus fattu una bella arrejonada innanti de nos separare
prima di separarci abbiamo conversato a lungo.
arrejonadìttu agg. loquace, portato alla conversazione, chiacchierone.
arrejonadòre s.m. ragionatore, buon parlatore.
arrejonàdu agg. ragionevole, saggio, che ha ragione e conosce la ragione. Bene o male arrejonadu che parla bene o male,
che persuade o commove con le sue ragioni. Est un’omine bene arrejonadu e si faghed iscultare è un uomo che parla saggiamente e si fa ascoltare.
arrejonadùra s.f. l’azione di ragionare o conversare. | avv. A
arrejonadura, nella frase preigare a arrejonadura predicare
conversando, senza enfasi, semplicemente.
arrejonaméntu s.m. ragionamento, conversazione. M’ha
fattu milli arrejonamentos, ma no m’ha persuasu mi ha fatto
mille ragionamenti, ma non m’ha persuaso.
arrejonàre intr. ragionare, conversare, discorrere. Arrejonare
bene o male ragionar bene o male. Arrejonare cun sos cùidos,
cun sos pês o cun sa conca intro su saccu ragionare coi gomiti,
coi piedi o con la testa nel sacco. Arrejonare de pulitica, de pastorizia, de musica parlare, discorrere, ragionare di politica, di
pastorizia, di musica. No si ndh’arrejonat nemmancu! non se
ne parla, non se ne ragiona! Arrejonare in su seriu o pro burula
ragionare sul serio o per scherzo.
arréjonu s.m. discorso, conversazione, ragionamento. Hap’intesu un’arrejonu in carrela a tarda notte ho udito un parlottio
in istrada a notte tarda. No mi piaghiat s’arrejonu e mi so ritiradu non mi garbava il discorso e mi son ritirato. Bell’arrejonu!
(iron.) bel discorso! Arrejonu ’e maccos discorso da pazzi. De
custu, manc’arrejonu! di questo, neanche parola! ▫ arrejónu.
arremàdu agg. arenato. Raffreddato, infreddato, colto da infreddatura.
arremadùra s.f. infreddatura, raffreddore, reuma. Arrenamento.
arremàre rifl. arrenare. Infreddare, raffreddare. Buscarsi un’infreddatura o raffreddore. So ’essidu senza sumbreri e mi so arremadu sono uscito senza cappello e ho colto un’infreddatura.
arremattàda (a s’~) avv. irosamente, furiosamente. Ponnersi
a caddhu a s’arremattada (Pisurzi).
arremattàdu agg. adirato, furioso, impetuoso. Anima arremattada (Pilucca).
arremattàre rifl. adirarsi, infuriare. Stracanare, affacchinarsi.
178
arremiarzàda s.f. l’atto di ammucchiare, abbicare. Sos massajos han fattu s’arremiarzada de su trigu i contadini hanno
abbicato i covoni. Mucchio, moltitudine. It’arremiarzada ’e
zente! che moltitudine di persone!
arremiarzàdu agg. ammucchiato, ammassato, aggruppato.
Canta zente arremiarzada, cantu trigu arremiarzadu quanta
gente aggruppata, quanto grano ammucchiato.
arremiarzadùra s.f. l’azione e l’effetto d’ammucchiare.
arremiarzàre tr. ammucchiare, abbicare, ammassare, accatastare, raggruppare. Arremiarzare su trigu abbicare il frumento.
Arremiarzare faulas ammassare menzogne. | rifl. raccogliersi,
raggrupparsi. Si b’had arremiarzadu unu mundhu ’e zente vi si
è raccolto un mondo di gente. | ass. abbicare. Sos massajos han
finidu de arremiarzare i contadini hanno finito di abbicare.
arremoddhàda s.f. l’atto di rammolire.
arremoddhàdu agg. ammollito, rammolito.
arremoddhadùra s.f. l’azione e l’effetto di rammollire.
arremoddhàre rifl. e intr. ammollire, rammollire.
arremollàda s.f. l’atto di rammollire; cedere.
arremollàdu agg. rammollito; ceduto.
arremollàre intr. rammollire. Al fig. cedere, smontarsi dai
propri propositi. Fit sempre duru che una pedra, ma como già
had arremolladu era sempre duro come una pietra, ma ora
ha ceduto.
arremonìre tr. nascondere, conservare → REMONÌRE.
arrempellàda s.f. l’atto d’impuntarsi, piantarsi, sostenersi;
resistere.
arrempellàdu agg. impuntato, fermo, resistente. Al fig. Es
sempre arrempelladu in sa idea sua è sempre fisso nella propria idea.
arrempelladùra s.f. insistenza, pertinacia, ostinazione. Puntellatura.
arrempellàre tr. assicurare, puntellare. Arrempella cussa janna assicura, puntella codesta porta. | rifl. piantarsi, impiantarsi, resistere, ribellarsi. S’est arrempelladu in s’intrada e no
l’han potidu movere s’è piantato sulla soglia e non l’han potuto smovere. | ass. intr. reggersi, resistere. Arrempella! mi’ chi
rues reggiti bene! bada che caschi.
arrempéllu s.m. puntello, sostegno. Pone cust’arrempellu a
su balcone metti questo puntello alla finestra. Al fig. No had
arrempellu perunu non ha alcun sostegno, alcun rincalzo.
arrenàre tr. arrenare; pulire con la rena → ARENÀRE.
arrendhadòre s.m. fittaiolo.
arrendhàdu agg. affittato. | part. pass. impadronito. Arrendhadu de s’anzenu impadronito della roba altrui.
arrendhaméntu s.m. affitto. Cust’ortu no lu tenzo arrendhamentu (Zicconi).
arrendhàre tr. dare o prendere in affitto. Had arrendhadu
totu su ’ortiju pro degh’annos ha affittato tutto il sughero per
dieci anni. | rifl. impadronirsi. S’est arrendhadu de unu possessu anzenu s’è impadronito di un podere altrui.
arrèndhere rifl. arrendersi, darsi vinto, cedere. Sos bandhidos no si sun cherfidos arrendhere i banditi non si son voluti
arrendere. Più com. → RÈNDHERE.
arrendhìbbile agg. arrendevole, cedevole.
arrendhibbilidàde s.f. arrendevolezza.
arrendhibbilmènte avv. arrendevolmente.
arréndhidu agg. arreso, piegato, umiliato. Più com. → RÉNDHIDU.
arréndhu s.m. affitto, fitto. Dare o leare in arrendhu dare o
prendere in affitto.
arrenegàre tr. rinnegare. Arrenegadu han su santu battizu
(Zozzò).
arrennegàda s.f. l’atto di adirarsi.
arrennegàdu agg. adirato, incollerito, sdegnato.
179
arrennegaméntu s.m. l’azione di adirarsi, sdegnarsi. Ira,
collera, stizza.
arrennegàre tr. far adirare, provocare a sdegno, a collera. No
m’arrenneghes, chi ti ndhe podet benner male non farmi adirare, che te ne può venir danno. | rifl. adirarsi, sdegnarsi, stizzirsi. Si t’arrennegas es peus pro te se t’adiri è peggio per te.
arrennégu s.m. ira, collera, sdegno, stizza. Learesi arrennegu
adirarsi, stizzirsi. Lassare s’arrennegu calmarsi.
arrennèschere intr. riuscire. Si m’arrenneschet! se mi riesce!
Arrenneschere in calchi fattu o impresa o professione riuscir a
fare un’azione, a condurre bene a fine un’impresa, a esercitar
bene la professione → RENNÈSCHERE.
arrennéschida s.f. riuscita. Bona o mala arrenneschida buona
o cattiva riuscita.
arrennéschidu agg. riuscito.
arrennoàda s.f. l’atto di rinnovare. Han dadu un’arrennoada
a sa cheja hanno un po’ rinnovato la chiesa.
arrennoàdu agg. rinnovato.
arrennoadùra s.f. l’azione e l’effetto di rinnovare.
arrennoaméntu s.m. rinnovamento.
arrennoàre tr. rinnovare. | rifl. rinnovarsi. | intr. ass. rinnovarsi. S’edade passada no arrennoat pius, s’arvure siccu no arrennoat pius l’età passata più non si rinnova, l’albero secco
più non rinverde.
arrennóu s.m. rinnovamento, rinnovo. No baled arrennou,
bisonzat de ndhe la pesare dai fundhamentu non basta un rinnovamento, è necessario fabbricar la casa dalle fondamenta.
arrentarrènta (a s’~) avv. soffermandosi a ogni tratto, nella
frase andhare, caminare a s’arrentarrenta.
arreoàre intr. (Goc.) dissentire, aver diversa opinione.
arrepentìda s.f. l’atto di pentirsi. Fit malu, ma como s’ha fattu
una bona arrepentida era cattivo, ma s’è proprio ben pentito.
arrepentìdu agg. pentito, convertito.
arrepentiméntu s.m. pentimento. Cun s’arrepentimentu de
totu sos peccados mios col pentimento di tutti i miei peccati.
arrepentìre rifl. pentirsi, convertirsi. In sa fura no bastat su
s’arrepentire, bisonzat restituire nel furto non basta pentirsi,
bisogna restituire.
arrepiccàdu agg. ornato, provveduto. Es partidu ben’arrepiccadu è partito ben provveduto.
arrepiccàre rifl. ornarsi, vestirsi bene. No faghed ateru, cussa
giovana, che arrepiccaresi quella giovane non sa far altro che
infronzolarsi.
arrepicconàda s.f. l’atto d’impuntarsi, resistere.
arrepicconàdu agg. impuntato, fermo, incapato, ostinato.
arrepicconàre rifl. (Bosa) impuntarsi, ostinarsi, resistere.
arrère tr. fermare, arrestare. M’arrêd in piatta e mi faghet: da’
u’’enis? mi ferma in piazza e mi dice: donde vieni? Arrê su passu e isculta ferma il passo e ascolta. | rifl. fermarsi, arrestarsi.
Su trenu in s’istazione nostra no s’arrêde il treno alla nostra stazione non si ferma. Su tempus no s’arrêt mai il tempo non si
ferma mai. | intr. ass. Su direttu inoghe no arrêde il diretto qua
non si ferma. Arrêre in bula, o solam. arrêre fermare in gola.
Has cuss’isettu, ma t’arrêd in bula, o solam. t’arrêde hai codesta
speranza, ma ti rimane in gola.
arrèsa s.f. (Bitti) preghiera. || sp.
arresàre tr. e intr. recitare. Pregare.
arrèschere intr. fermare in gola. Cheres balanzare chentu
francos? t’arrèsched in bula, o solo t’arrèschet vuoi guadagnare
cento lire? ti rimane in gola. M’est arreschidu su mossu mi si è
fermato il boccone nella strozza. | Anche per avrèschere, alvèschere. M’iscurigat e m’arreschet (Mele).
arréschida s.f. l’atto di fermarsi in gola.
arréschidu agg. fermato in gola. Su mossu arreschidu lu fit
affoghendhe il boccone fermo in gola lo stava soffocando.
arrèzere
arresentàre intr. → ARRESETTÀRE.
arresettàdu agg. calmo, tranquillo, posato, composto. Pizzinnu arresettadu fanciullo quieto, savio. | Domito, mansueto. Innanti fit rude, ma como già es bene arresettadu prima era
indomito, ma adesso è ben domato.
arresettàre tr. (raro) domare, indocilire. | rifl. calmarsi. Su
malaidu s’est arresettadu como como l’infermo s’è calmato appena adesso. | intr. calmarsi, chetarsi, tranquillarsi. Pariad
unu demoniu, eppur’eppuru como già had arresettadu pareva
un demonio, finalmente adesso s’è calmato. Arresetta, pisè, sinò la leas! chetati, sta fermo, bambino, se no le prendi!
arreséttu s.m. calma, riposo. Su malaidu no poded agattare
arresettu perunu il malato non può trovare alcun riposo. Piseddhu chi no had arresettu ragazzo che non sta mai fermo.
Istare in arresettu esser calmo, quieto, posato.
’arresólu s.m. fascio di spine.
arrèssa s.f. fermata, sosta. Fagher arressa fermarsi, sostare.
arréssu agg. fermato, fermo. Custu rellozu est arressu, sa macchina est arressa questo orologio è fermo, questa macchina è
ferma. Abba arressa acquitrino. Samben arressu sangue che
non circola. Arressu in su faeddhare o faeddhendhe tartaglione,
balbuziente.
arrestadòre s.m. che arresta.
arrestàdu agg. arrestato. | sost. Sos arrestados los han truvados
a Tatari.
arrestàre tr. arrestare, catturare. Arrestare sos bandhidos, sos
ladros: es passadu unu mese dai candho l’han arrestadu è passato un mese da quando l’hanno arrestato.
arréstu s.m. arresto, cattura. In arrestu in istato d’arresto.
Ponner in arrestu arrestare, mettere in arresto. Diclarare in arrestu intimare l’arresto. Sa legge minettat s’arrestu la legge commina l’arresto.
arrésu part. pass. di arrèndhere, arreso.
arretràttu s.m. arretrato. Esser in arretrattu. Pagare sos arretrattos.
arrettàda s.f. l’atto di rizzarsi.
arrettàre intr. rizzarsi. In senso volgare, del pene.
arrettolàda s.f. aggruppamento. Arrettolada de ’arveghes
branco di pecore.
arrettolàdu agg. imbrancato.
arrettoladùra s.f. l’azione e l’effetto di raggruppare, imbrancare.
arrettolàre tr. raggruppare, unire in branco. Arrettolamus sos
duos masoneddhos e los pastorigamus umpare uniamo i due piccoli branchi e li sfruttiamo insieme.
arréttu agg. eretto, del pene. Al fig., sempre però volgare, vivace, spiritoso, pronto, impetuoso.
arréu1 s.m. ornamento. || sp. arreo.
arréu2 avv. continuamente, abbondantemente, copiosamente.
Piangher arreu piangere a rivi, a lungo, amaramente. || sp. arreo.
arreulàda s.f. l’atto di posare, cioè deporre nel fondo del vaso le fecce, detto dei liquidi torbidi. Posata.
arreulàdu agg. di liquido che ha fatto la posata.
arreuladùra s.f. posatura o fondata.
arreulàre rifl. e intr. posare, deporre le fecce in fondo al recipiente. Custu ’inu no s’est (o no had) ancora arreuladu ’ene
questo vino non ha ancora posato.
arréulu s.m. posata, posatura, fondata. Anche al fig. calma,
riposo. No haer arreulu non aver pace, riposo.
arreventàda, -adu, -are (Terranova) → ARREBENT-.
arrevéssu avv. al rovescio. Cussa teracca faghet tot’arrevessu
quella serva fa tutto al rovescio. Tue ses arrevessu ’e totu tu sei
al rovescio di tutti, non t’accordi con nessuno.
arrèzere tr., rifl. e intr. fermare, arrestare, sostare. Arreze su
carru ferma il carro. No t’arrezas in caminu non fermarti per
via. No chered arrezere non si vuole fermare → ARRÈRE.
arrezzàdu
arrezzàdu (tz) agg. munito di reticelle. Balcone arrezzadu finestra munita di reticella contro le zanzare.
arrezzadùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di munire di reticelle
le finestre.
arrezzàre (tz) tr. munire di reticelle le finestre contro le zanzare. Arrezza cussu balcone, ch’inoghe ch’ha tintula meda metti
le reticelle alle finestre, perché qui ci son molte zanzare.
’arriàda s.f. l’atto di caricare → BARRIÀDA.
’arriàdu agg. caricato, carico → BARRIÀDU.
arrialìa s.f. corruccio. Essere arrialia (W.).
’arriàre tr. caricare, nel solo significato di imporre dei pesi.
’Arria su caddhu e andha carica il cavallo e parti. ’Arriare sa
cuscienscia caricare la coscienza. In qualche luogo anche rigare
(Pos.). | rifl. caricarsi. Si ’arriat che burriccu si carica come l’asino. ’Arriaresi de peccados, de dellittos, de impiccios caricarsi di
peccati, di delitti, d’impicci. ’Arriaresi de bruttura, de tintieddhu, de farina, de piuere imbrattarsi di sporcizia, di fuliggine,
di farina, di polvere. ’Arriaresi de dèpidos caricarsi di debiti. |
intr. ass. fare il carico. Su peccadore no s’istraccat mai de ’arriare il peccatore non si stanca mai di far il carico.
arribbàda s.f. l’atto di riporre, conservare.
arribbàdu agg. riposto, conservato. Trigu arribbadu a s’ierru.
arribbàre tr. conservare, custodire. Arribbare a candho tronat
conservare a miglior occasione. Ironico, come per il miglior
vino di Cuneo. Custu es bonu, su ’inu, ma ndhe tenzo mezus!
Arribbadilu a candho tronat! questo vino è buono, ma ne ho
anche migliore! Serbalo per miglior occasione! | ass. conservare, risparmiare. S’avaru no pensat sinò arribbare l’avaro non
pensa che a riporre.
arribbónzu s.m. l’azione di serbare, riporre.
arrìbbu s.m. nella frase ponner in arribbu mettere in serbo,
conservare, riporre.
arriccàre (Barb.) → ARRICCHÌRE.
arricchìda s.f. l’atto di arricchire.
arricchìdu agg. arricchito.
arricchiméntu s.m. arricchimento. Su veru arricchimentu es
su ’e s’anima il vero arricchimento è quello dell’anima.
arricchìre tr. e rifl. arricchire. Più com. → IRRICCHÌRE.
arricciàda s.f. l’atto di arricciare. Dami un’arricciada a custos
pilos arricciami un po’ questi capelli.
arricciàdu agg. arricciato. Pilos arricciados capelli arricciati.
arricciadùra s.f. arricciatura.
arricciaméntu s.m. arricciamento.
arricciàre tr. e rifl. arricciare.
arricciulàda s.f. l’atto di arricciolare.
arricciulàdu agg. arricciolato.
arricciuladùra s.f. arricciolatura.
arricciulaméntu s.m. arricciolamento.
arricciulàre tr. e rifl. arricciolare.
arridàda s.f. l’atto di disseccare, indurire.
arridàdu agg. disseccato, indurito. Pane arridadu pan duro.
arridàre tr. e rifl. disseccare, indurire. Custu pane es pagu
cottu, àrridalu unu pagu in sa braja questo pane non è ben
cotto, abbrustoliscilo un po’ sulle braci. Custu pane, maccari
cottu deris, s’est arridadu troppu questo pane, per quanto cotto ieri, s’è indurito troppo.
arridéllu s.m. (Barb.) filirea.
arridèsa s.f. aridezza, durezza.
àrridu agg. secco, duro, asciutto. Pane àrridu pane secco,
duro, asciutto. Salamuja àrrida salamoja forte. | Anche al fig.
No ses arridu, no! quanto sei duro, intrattabile!
arrigàda s.f. l’atto di rigare.
arrigàdu agg. rigato. Pabiru arrigadu carta rigata.
arrigadùra s.f. rigatura. S’arrigadura no es giara la rigatura
non è chiara.
180
arrìgamu s.m. maggiorana, pianta.
arrigàre tr. rigare. Arriga sa pagina cun su lapis e iscrie riga la
pagina con la matita e poi scrivi.
arrighittàda s.f. l’atto di righettare.
arrighittàdu agg. righettato.
arrighittàre tr. righettare. Imbrattare di segni la pagina.
Istas sempre arrighittendhe sas paginas e no iscries nuddha imbratti sempre le pagine e non scrivi nulla di buono.
arrimàda s.f. l’atto di appoggiare; di adirarsi. A s’arrimada
con collera, con ira, con sdegno.
arrimàdu agg. appoggiato. Arrimadu Longinos a un’ateru soldadu Longino appoggiato a un altro soldato (Delogu Ibba).
Adirato, sdegnato. Mal’arrimadu con cattive intenzioni, mal
disposto, crucciato, adirato. Daghi l’hapo ’idu gasi mal’arrimadu, l’hap’’oltadu sas palas poiché l’ho visto così mal disposto, gli ho voltato le spalle.
arrimàre tr. appoggiare. Arrima s’iscala a su balcone appoggia
la scala alla finestra. Deporre. Arrima s’’ulteddhu deponi il coltello. Ogni malinconia arrima e lassa (An.). | rifl. Arrimaresi
appoggiarsi, addossarsi. Anche al fig. Arrimaresi a una familia
cercar rifugio, appoggio presso una famiglia. Fermarsi. Ma isse no si parat nè si arrimat (Mele). Adirarsi, disperarsi, scoraggiarsi, smarrirsi.
arrìmu s.m. appoggio, sostegno, rincalzo, protezione. Senz’arrimu perunu senz’alcun appoggio, abbandonato da tutti.
Si no hada / un’arrimu in terra rutta (P. Luca). Tronco (Ghil.).
arrìnga arrìnga avv. lima lima! schiatta! scoppia. Arringarringa, ma no bi ’enis a sa festa! lima lima, ma non vieni con
me alla festa!
arringàda s.f. aringa. Haer mandhigadu arringada o sorighes
salidos aver mangiato aringhe o topi salati, si dice di uno che
ha molta sete.
arringàre tr. far adirare. Si m’arringas ti ndh’impudas se mi fai
adirare, te ne penti.
arrìngu s.m. arringo, corsa, giostra, lotta. Anche al fig. In
s’arringu fini meda, ma unu had hapidu sa vittoria erano molti
in lotta, ma uno solo ha ottenuto la vittoria.
arriscàbbile agg. arrischievole.
arriscàda s.f. l’atto di arrischiare. Ha fattu una mala arriscada
s’è messo in un brutto rischio. Fagher s’arriscada arrischiarsi.
arriscadamènte avv. arrischiatamente, con rischio.
arriscadòre s.m. che s’arrischia, che osa.
arriscàdu agg. arrischiato, temerario, ardimentoso. Est unu giovanu med’arriscadu è un giovane molto imprudente, temerario.
arriscàre tr. arrischiare. Arriscare sa vida, sa salude arrischiare
la vita, la salute. | rifl. arrischiarsi, avventurarsi, esporsi al rischio. Mi so arriscadu cun s’isettu chi mi resessat mi sono arrischiato con la speranza che mi riesca. No t’arrisches andhare a
sa sola a su monte non arrischiarti di andar solo al monte.
S’est arriscadu troppu e b’es restadu s’è esposto troppo al rischio
e c’è restato. | Anche ass. osare. Pro fagher calchi cosa bisonzad
arriscare per ottener qualche cosa bisogna osare. Chie no arriscat no piscat chi non risica non rosica.
arriscosamènte avv. rischiosamente.
arriscósu agg. coraggioso, ardito, intraprendente; rischioso.
Giovanu arriscosu; affare arriscosu giovane coraggioso, noncurante del pericolo; affare pericoloso.
arrìscu s.m. rischio, pericolo; coraggio, temerità. Esser in arriscu essere in pericolo. Ponnersi in arriscu mettersi in pericolo.
’arrisòne s.m. fascio di pruni → BARISÒNE.
’àrriu1 s.m. carico, peso. Unu ’arriu de linna, de pedra un carico
di legna, di pietra. Unu ’arriu de peccados un caso [sic] di peccati. Su ’arriu de sa rughe il peso della croce. Cun sa tutorìa de sos
orfanos t’has postu subra de palas unu ’arriu mannu con la tutela
degli orfani ti sei messo sulle spalle un gran peso → BÀRRIU.
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’àrriu2 agg. carico, pieno, ricco. ’Arriu de fruttures carico di
frutti. ’Arriu de piogu pieno di pidocchi. ’Arriu de peccados, de
viscios, de dellittos carico di peccati, di vizi, di delitti. ’Arriu de
tinta, de farina, de bruttura imbrattato di inchiostro, di farina, di sporcizia. ’Arriu de responsabbilidade carico di responsabilità. ’Arriu a navìu, a macchine stracarico.
’arriùra s.f. carico.
arrivàda s.f. l’atto di arrivare, arrivo. A s’arrivada ch’ha fattu
l’ha leadu sa frebba all’arrivo è stato colto dalla febbre.
arrivàdu agg. arrivato.
arrivàre tr. agguantare, afferrare; condurre, far giungere.
T’arrivet su Segnore a professare (Murgia). Si t’arrivo, la suspiras! se t’agguanto, la paghi! | rifl. agguantarsi, afferrarsi. Si sun
arrividos e si ndh’han dadu pari pari si sono accapigliati e se
ne son date a vicenda. | intr. arrivare, giungere.
arrivìda s.f. l’atto di arrivare, arrivo. A s’arrivida all’arrivo. Fagher s’arrivida arrivare; anche osare. No creio mai chi fatterat
cuss’arrivida non avrei mai creduto che avrebbe osato tanto.
arrivìdu agg. arrivato.
arrivìre intr. arrivare, giungere. Est arrividu babbu è arrivato
il babbo. Sun arrividos sos materiales sono arrivati i materiali.
Su dèpidu no arrivid a milli francos il debito non arriva a mille lire. Chie creiat ch’arriverad a tantu? chi credeva che arrivasse a tanto? No arrivit manc’a sos coddhos de sa mama non arriva neanche alle spalle della madre. Chi’ arrivid a fagher custu
cheret narrer chi no ha coro chi arriva a far questo vuol dire
che non ha cuore. No arrivid a legger su babbu nostru non riesce a leggere il padrenostro.
arrìvu s.m. arrivo.
arrizonìdu agg. increspato. Al fig. severo, accigliato, burbero.
arrizonìre rifl. incresparsi. Al fig. accigliarsi.
arrizzàda (tz) s.f. l’atto di rizzarsi e di arricciare.
arrizzàdu (tz) agg. rizzato, ritto, eretto; ricciuto, arricciato.
Pilos arrizzados.
arrizzadùra (tz) s.f. arricciatura. Arrizzadura ’e pilos arricciatura di capelli.
arrizzàre (tz) tr. rizzare, raddrizzare. Arrizza cussa pedra rizza
codesta pietra. | Arricciare. Fid arrizzendhe sos pilos de sa padroneddha stava arricciando i capelli della padroncina. | Arrizzarendhe sollevare da terra oggetto oblungo o persona caduta. Arrizzandhe cuss’istatua solleva da terra quella statua. |
rifl. arricciarsi, rizzarsi. Dai s’assucconu si mi sun arrizzados sos
pilos per lo spavento mi si son rizzati i capelli.
arrobbarìa s.f. furto, latrocinio (Mss. ant.).
arroccàda s.f. l’atto di fermare; arrestare, legare.
arroccàdu agg. fermato, circuito, legato. Sas vaccas sun arroccadas in su ’acchile le vacche sono rinchiuse nella mandra.
arroccadùra s.f. l’azione e l’effetto di fermare, bloccare, rinchiudere, legare.
arroccàre tr. fermare, arrestare, rinchiudere, legare. Sos traos
fin fuendhe e los hap’arroccados in su cozolu de su cunzadu i tori
fuggivano e li ho bloccati nell’angolo del chiuso → ARRÓCCU.
arrocchittàda s.f. l’atto e lo stato d’intristire o imbozzacchire; d’infrascare.
arrocchittàdu agg. intristito, imbozzacchito, delle piante.
Infrascato, munito di sostegni di frasche.
arrocchittàre tr. infrascare. Si dice dei legumi o delle piante
rampicanti, che si assicurano con frasche. Eris hap’arrocchittadu totu su ’asolu ieri ho infrascato tutti i fagioli. | rifl. intristire, imbozzacchire. Custas mendhuleddhas si sun totu arrocchittadas questi piccoli mandorli si sono intristiti.
arrocchizàdu agg. seccato, importunato, infastidito.
arrocchizàre tr. seccare, importunare, infastidire, insultare.
arróccu s.m. chiuso circolare, dove si rinchiude o si blocca il
bestiame.
arrogantiàre
arrodàda s.f. l’atto di arrotare. Dà’ un’arrodada a sos ’ulteddhos arrota un po’ i coltelli. Dare un’arrodada a sa limba arrotare la lingua.
arrodadòre s.m. arrotino.
arrodàdu agg. arrotato. Ispada arrodada, limba arrodada,
dentes arrodados spada, lingua arrotata, denti arrotati.
arrodadùra s.f. arrotatura. Cust’arrodadura de sa ’istrale no es
fatta ’ene l’arrotatura di questa scure non è ben fatta. Pagami
s’arrodadura de sa resolza pagami l’arrotatura del coltello.
arrodafóltighe s.m. arrotino. ▫ arrodafórtighe, arrodafóscighe.
arrodàre tr. arrotare. Anche al fig. Arrodare sa limba, sas dentes arrotare la lingua, i denti. Arrodadi sas dentes! Si dice ad
uno che ha delle speranze difficilmente realizzabili. | intr. Arrodare vagare, girandolare, vagabondare.
arrodarròda avv. nella frase istare, andhare arrodarroda bighellonare.
arroddhonìdu, -imentu → ARRADDHONÌDU ecc.
arrodeàre tr. circondare → ARRODIÀRE.
arrodiàda s.f. l’atto di circondare, circuire.
arrodìa de sarméntu s.f. pranzo che si dà ai vignaioli dopo
la piantagione delle viti fatta gratuitamente.
arrodiàdu agg. circondato, circuito. Arrodiadu dai malos
cumpanzos circondato da cattivi compagni. Cussu riccu es
sempre arrodiadu dai sos poverittos quel ricco è sempre circondato dai poveretti. Es sempre arrodiadu dai sos birbantes è
sempre circondato da furfanti.
arrodiadùra s.f. l’azione e l’effetto di circondare, circuire.
arrodiàre tr. circondare, circuire a scopo non sempre onesto.
Lu sun sempr’arrodiendhe pro l’ispozare de cant’hada lo stan
sempre circuendo per strappargli quanto possiede.
arrodiarródia avv. a zonzo. Andhare, istare arrodiarrodia vagabondare, bighellonare; circuire per ingannare, per tentare.
Su demoniu istat sempre arrodia arrodia il demonio sta sempre
attorno alle anime per indurle in tentazione.
arrodigliàda s.f. l’atto di tagliare la pasta con la rotellina.
arrodigliàdu agg. tagliato con la rotellina.
arrodigliadùra s.f. l’azione e l’effetto di tagliare con la rotellina.
arrodigliàre tr. tagliare la pasta con la rotellina da ciò.
arródiu s.m. giro, circuito, circolo. A ndh’has de arrodiu!
tantu no ndhe cherz’intendhere come mi circuisci! tanto non
ne voglio sapere.
arrodulàda s.f. l’atto di arrotolare. Dà’ un’arrodulada a cussu pabiru arrotola un po’ quella carta.
arrodulàdu agg. arrotolato. Libberu arroduladu libro arrotolato.
arroduladùra s.f. arrotolatura. S’arroduladura ha guastu su
fogliu l’arrotolatura ha gualcito il foglio.
arrodulàre tr. arrotolare. Arrodula cussas cartas bulladas e giughelas a s’avvocadu arrotola quelle carte da bollo e portale dall’avvocato.
arrogàdu agg. abrogato.
arrogantàda (a s’~) avv. con severità, con asprezza, con veleno; col verbo faeddhare parlare.
arrogantàre intr. essere arrogante, parlare arrogantemente;
bisticciare, contrastare, leticare. Istat tota die arrogantendhe
cun s’unu e cun s’ateru sta tutto il santo giorno leticando col
primo che gli capita.
arrogànte agg. arrogante, prepotente. Anche come sost. Sos
arrogantes cheren timidos gli arroganti vogliono essere temuti.
arrogantemènte avv. arrogantemente, con arroganza.
arrogantìa s.f. arroganza, prepotenza.
arrogantiàdu agg. pieno d’arroganza, arrogante.
arrogantiàre intr. usar prepotenza, arroganza. Cun megus no
arrogànzia
arrogànties, chi bi ’alanzas pagu con me non usar prepotenza,
ci guadagni ben poco.
arrogànzia (tz) s.f. arroganza, prepotenza.
arrogàre tr. abrogare. | rifl. (raro) arrogarsi, attribuirsi, appropriarsi.
arrogliàda s.f. l’atto di bloccare, raggiungere, circuire.
arrogliàdu agg. bloccato, circuito, rinchiuso.
arrogliadùra s.f. l’azione e l’effetto di bloccare, circuire, rinchiudere.
arrogliàre tr. circuire, bloccare, rinchiudere nel chiuso circolare, detto → RÓGLIU, ARRÓCCU. Han arrogliadu sos bandhidos in sa pinnetta e los han postos in friscu, si podet torrar’alenu
han circondato i banditi nella capanna e li han messi al fresco, si può respirare. Anche al fig. Fin tota chida cazziendhe
cussu riccone pro s’opera de beneficenzia e finalmente l’han arrogliadu davan la caccia a quel riccone da una settimana per
l’opera di beneficenza e finalmente l’hanno fermato. | rifl. arrolarsi, inscriversi. Si sun arrogliados a sa Cofadria si sono inscritti nella Confraternita (Cap. Ros.).
arrógliu s.m. assedio, blocco, attorniamento. Pustis de tantu
arrogliu l’han piscadu dopo tanto armeggio l’han pescato.
arróju s.m. contrada, luogo, sito.
arrolàda s.f. l’atto di arrolare. Già ndhe la so paghendhe s’arrolada chi m’hapo fattu a sa marina l’essermi arrolato alla marina
oggi mi costa.
arrolàdu agg. arrolato.
arrolaméntu s.m. arrolamento. S’arrolamentu de sos volontarios.
arrolàre tr. arrolare. | rifl. arrolarsi.
arrólu avv. col verbo piànghere piangere gridando.
arròma s.f. indovinello, gioco infantile, in cui si propone un
indovinello da spiegare e finché non si è spiegato si danno
delle battiture con un mazzetto d’erbe. || sp.
arromadiàdu agg. colto da infreddatura, raffreddato.
arromadiàre tr. Su ’essir’a fora caldu m’had arromadiadu l’essere uscito fuori accaldato m’ha fatto venire il raffreddore. |
rifl. raffreddarsi, cogliere un’infreddatura. Bessindhe dai cheja
mi so arromadiadu uscendo di chiesa ho colto un raffreddore.
arromulàre tr. arrotolare; rotolare.
arroncàda s.f. l’atto di ragliare. Est andhadu a cantare e ha
fattu un’arroncada è andato a cantare e ha ragliato.
arroncadùra s.f. l’azione di ragliare. Custu no si narat cantigu,
si narad arroncadura questo non si chiama cantare, si chiama
ragliare. | Zoppicamento.
arroncàre intr. ragliare. Propriamente dell’asino. Ma anche
al fig. Arronca cantu cheres, mancu ca t’intendho raglia pure
quanto vuoi, come se non t’udissi. | Parlare con voce nasale.
arroncarrònca avv. Cant’istat sempre gai arronc’arronca (Cossu 45).
arroppàda s.f. l’atto di battere. Percossa, correzione manuale. L’ha dadu una bona arroppada ca no had ischidu sa leiscione
l’ha picchiato ben bene perché non ha saputo la lezione.
arroppadòre s.m. battitore.
arroppàdu agg. battuto, percosso, punito.
arroppadùra s.f. battitura, percossa.
arroppaméntu s.m. percotimento.
arroppàre tr. battere, picchiare, percotere, bastonare. | rifl.
battersi, percuotersi per dolore, per disperazione. Dagh’had
ischidu chi fit mortu su frade s’est tota arroppada quando ha saputo ch’era morto il fratello si è date molte percosse.
arrostàre intr. ragliare → ARRONCÀRE.
arrotìnu s.m. arrotino.
arrozzàdu (tz) agg. risoluto. Anche arrocciàdu.
arrozzàre (tz) intr. vagare, bighellonare. Ardire, osare. Arrozzabila! coraggio! Anche arrocciàre.
arrozzarròzza (tz-tz) avv. col verbo andhare andar in giro,
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spiando; bighellonare, origliare per conoscere i fatti altrui.
Camminare toccandosi l’un l’altro.
arrózzu (tz) avv. fino alle radici, completamente; coi verbi
mandhigare, fagher, delle erbe, trattandosi di bestiame. Sun
intradas sas ’arveghes a su trigu e si l’hana mandhigadu arrozzu,
o han fattu arrozzu sono entrate le pecore al seminato, e han
divorato tutto fino alle radici.
àrru s.m. errore, mancanza.
arrualzàda s.f. l’atto di coprirsi di rovi e di spine.
arrualzàdu agg. coperto di rovi e di spine; inselvatichito, di
luogo.
arrualzadùra s.f. l’azione e l’effetto di coprirsi di rovi e di spine.
arrualzàre rifl. coprirsi di rovi, di spini; inselvatichirsi, di terre.
arruddhàdu agg. di caffè che non ha ben deposto la posatura.
arruddhàre rifl. non deporre bene la posatura, del caffè.
arrueddhulàda s.f. l’atto di arrotondare un corpo solido.
arrueddhulàdu agg. arrotondato, fatto in forma di fusaiolo.
arrueddhuladùra s.f. arrotondamento.
arrueddhulàre tr. arrotondare, dar la forma di fusaiolo.
arruffàda s.f. l’atto di arruffare, increspare, arricciare.
arruffàdu agg. arruffato, increspato, arricciato. Pilos arruffados capelli ricciuti. Puddha arruffada gallina dalle piume ricciute. Caula, lattuca arruffada cavolo crespo, lattuga crespa.
arruffadùra s.f. arricciatura. Arruffadura ’e pilos arricciatura
di capelli.
arruffàre tr. arruffare, arricciare, increspare. Sas signoriccas
oe s’arruffan sos pilos le signorine oggi s’arricciolano i capelli. |
rifl. arricciarsi, incresparsi, arruffarsi. Sos pilos si l’arruffan de
per issos le si arricciano i capelli naturalmente.
arruffónzu s.m. arricciamento, increspamento, arruffamento.
arrughìda s.f. l’atto di arrochire. Cust’est un’arrughida chi s’ha
fattu, ch’es tres dies chi no pìulat s’è tanto arrochito che sembra
afono.
arrughìdu agg. arrochito, rauco, afono. Boghe arrughida voce roca.
arrughidùra s.f. raucedine.
arrughiméntu s.m. raucedine. Daghi ndh’es faladu dai sa trona, l’es vennidu s’arrughimentu appena è disceso dal pulpito,
l’ha colto la raucedine.
arrughìnzu s.m. (raro) raucedine.
arrughìre tr. arrochire. Su troppu abboghiare m’had arrughidu il gridar troppo m’ha arrochito. | rifl. e intr. Pustis de
chimbe minutos de preiga, s’est arrughidu dopo cinque minuti
di predica s’è arrochito. Cuss’avvocadu no arrughit mai quell’avvocato non arrochisce mai.
arruguzzulàda (tz) s.f. raccolta scarsa e faticosa.
arruguzzulàdu (tz) agg. raccolto penosamente.
arruguzzuladùra (tz) s.f. l’azione e l’effetto di raccogliere
con pena.
arruguzzulàre (tz) tr. raccogliere con difficoltà, con pena.
Hap’arruguzzuladu pagos soddhos da’ una domo a s’atera, chi no
bàstana mancu pro sas candhelas ho raggranellato pochi soldi
girando da una casa all’altra e non bastano neppure per le
candele.
arruinàda s.f. l’atto di rovinare e rovinarsi. A s’arruinada chi
s’ha fattu, totu l’han abbandonadu appena s’è rovinato, tutti
son fuggiti.
arruinadamènte avv. rovinosamente.
arruinadòmos agg. e sost. che rovina le case, le famiglie. Sos
fizos de oe si naran arruinadomos.
arruinadòre agg. che rovina. Visciu arruinadore vizio che rovina. Maridu arruinadore marito che distrugge. | sost. distruttore.
arruinàdu agg. rovinato.
arruinadùra s.f. l’azione e l’effetto di rovinare. Più com. →
ARRUÌNU.
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arruinàre tr. rovinare, distruggere, sempre al fig. Arruinare sas
familias, sas […] rovinare le famiglie, i paesi, gli interessi, la vista, la salute. | rifl. rovinarsi, ridursi in povertà, in misere condizioni anche morali e sociali. Cun su negosciu s’est arruinadu s’è
rovinato col commercio. Cun cussa mala assione s’est arruinadu
pro dies suas con quella bricconeria s’è rovinato per tutta la vita.
arruinósu agg. rovinoso, che rovina.
arruìnu s.m. rovina, dissesto. Sempre al fig. Cust’est arruinu
mannu questa è una gran rovina. S’arruinu ’e domo, de sa
’iddha la rovina della casa, del paese.
arrujàda s.f. l’atto di arroventare il ferro; o di arrossare; o di
spezzare.
arrujàdu agg. arroventato, del ferro. Arrossato.
arrujadùra s.f. arroventatura. L’azione e l’effetto di arrossare.
| avv. di traverso. Passare arrujadura.
arrujàre tr. arroventare. Arrossare. | rifl. arrossire, diventar
rosso. | Attraversare, vagare. Totu cantu su mundhu hap’arrujadu (Tabareddu).
arrujazzàda (tz) s.f. l’atto di spezzare. Dà’ un’arrujazzada a
cussa linna spezza un po’ quella legna. Anche l’atto di arrossire, diventare alquanto rosso o acquistare un po’ i colori della
salute dopo una malattia. Fit sempre chei sa chera, como ha
dadu un’arrujazzada era sempre del color della cera, ora ha ripreso i colori naturali.
arrujazzàdu (tz) agg. ridotto in pezzi. Arrossato, alquanto
rubicondo.
arrujazzadùra (tz) s.f. l’atto e l’effetto di ridurre in pezzi e di
arrossare o arrossire.
arrujazzàre (tz) tr. ridurre in pezzi, spezzare. Arrujazza cussos
truncos pro los ponner in su fogu spezza quei tronchi per metterli nel fuoco. | rifl. e intr. arrossire, acquistare i colori della
salute, o accaldarsi dopo una corsa, uno sforzo. Arroventare
alquanto, del ferro.
arrujìda → IRRUJÌDA.
arrujìdu agg. arroventato. Arrossato. Più com. → IRRUJÌDU.
arrujidùra s.f. arroventatura. Arrossimento e arrossamento.
arrujìre tr. arroventare. Arrossare e arrossire. Più com. → IRRUJÌRE.
arrùjos avv. a pezzi. Fagher arrujos ridurre a pezzi. | agg. spezzato, sbrindellato. […].
arrujulàda s.f. l’atto di vagare, bighellonare, girare. Giro. S’ha
fattu un’arrujulada peri sas tancas ha vagato per i chiusi.
arrujuladùra s.f. l’azione e l’effetto di girellare, bighellonare.
arrujulàre intr. camminare a vanvera, vagabondare, girellare. Istat sempre arrujulendhe peri su logu e no concluit mai
nuddha sta sempre a bighellonare fuori di casa e non conclude mai nulla.
arrujulòne avv. in moto, in giro. Andhare, istare arrujulone
andare in giro, in moto per cose da nulla o per vagabondaggio.
arrùjulu s.m. l’andare in giro, l’essere in moto, per lo più per
cose di poco conto. A ndh’has de arrùjulu! possibile chi no reposes mai? che affaccendio! possibile che non ti voglia riposare?
arrùmba avv. con la gobba, di muri e simili. Custu muru est
arrumba questo muro è con la gobba. Fagher arrumba sbolgiare, dei vestiti → RÙMBA gobba.
arrumbàda s.f. l’atto di appoggiare, addossare.
arrumbàdu agg. appoggiato. Arrumbadu a su muru, a sa janna appoggiato al muro, alla porta. Al fig. protetto, difeso. Es
bene arrumbadu in dogni manera è ben protetto in tutti i sensi.
arrumbadùra s.f. appoggio, sostegno.
arrumbaméntu s.m. appoggio.
arrumbàre tr. appoggiare, addossare. Proteggere, sostenere.
Puntellare. Arrumba cue su fusile e sedi appoggia là il fucile e
siediti. L’arrumbat su tiu, sinò… lo sostiene lo zio, se no…
Arrumba cussu muru […]. Al fig. cercare appoggio, sostegno.
arrusciadòre
S’est arrumbadu a sa familia de su sindhigu e no lu làssana
morrer de famine s’è appoggiato alla famiglia del sindaco e
non lo lasciano morire di fame. Arrumbare unu diciu affibbiare, applicare un proverbio.
arrumbarrùmba avv. tentoni, appoggiandosi di quando in
quando ai muri o a possibili sostegni. Andhare, caminare a s’arrumbarrumba. Arrumba arrumba e a su rue pesa (Cossu 29). ▫
a s’arrumbarrùmba.
arrùmbu s.m. sostegno, appoggio, rincalzo. Protezione.
Puntello. Cussu es zertu unu bonu arrumbu quello è certo un
buon appoggio. Es zente chi no had arrumbu perunu è gente
che non ha alcun sostegno, alcuna protezione.
arrumpellàda s.f. → ARREMPELLÀDA.
arrumpellàdu agg. impuntato, ribelle.
arrumpelladùra s.f. ribellione, resistenza.
arrumpellàre rifl. impuntarsi, resistere, opporsi, rivoltarsi,
ribellarsi.
arrumpéllu s.m. rivolta, ribellione, resistenza. | agg. ribelle,
aspro, indocile.
arruncàda s.f. l’atto d’avvicinare il muso al capezzolo. Semplicemente di suggere, poppare. Daghi faghet s’arruncada no
ndhe lu poden [leare?] dai sa titta.
arruncàdu agg. Arruncadu a sa titta attaccato al capezzolo,
poppante.
arruncadùra s.f. l’azione e l’effetto del poppare.
arruncappàre avv. muso contro muso. Fin drommidos arruncappare erano addormentati muso contro muso.
arruncàre intr. accostare il muso (runcu) alla poppa per poppare. Semplicemente poppare. Cussa criadura no s’istraccat mai
de arruncare codesta creatura non si stanca mai di poppare. Al
fig. osare, ardire. Sa robba es cara, chie b’arruncad a la comporare? la merce è cara, chi ha il coraggio di comprarne?
arrùncu s.m. avvicinamento del muso a checchessia. Più
spec. l’atto di poppare. A sas criaduras piaghet s’arruncu ai
bimbi […].
arrundhàda s.f. l’atto di ripararsi sotto le gronde o semplicemente di ripararsi dalla pioggia a ridosso di checchessia.
arrundhàdu agg. riparato dalla pioggia. Est igue arrundhadu sutta s’alvure è là, riparato sotto quell’albero.
arrundhàre tr. riparare dalla pioggia. Cuss’alvure arrundhat
nessi deghe persones quell’albero ripara dalla pioggia almeno
dieci persone. | rifl. ripararsi, cercar riparo dalla pioggia. Sos
pastores s’arrundhan comente poden in sa campagna i pastori in
campagna si riparano dalla pioggia come possono.
arrunzàdu agg. che ha contratto la rogna, rognoso.
arrunzadùra s.f. l’azione e l’effetto di contrarre la rogna.
arrunzàre intr. contrarre la rogna → RÙNZA.
arrunzinàdu (tz) agg. peggiorato, venuto meno, deteriorato.
Caddhu arrunzinadu cavallo diventato ronzino.
arrunzinàre (tz) rifl. peggiorare, venir meno, tralignare. Tue
puru, no t’arrunzines goi pizzinnu! e tu, non abbiosciarti da
così giovane!
arrunzonàdu agg. ingrassato, dalle reni ben coperte di grasso,
forte.
arrunzonadùra s.f. impinguamento.
arrunzonàre intr. impinguare, ingrassare.
arrunzonìdu agg. dai reni sani e forti.
arrunzonìre intr. ingrassare, diventar forte.
arruolàda s.f. l’atto d’arruolare.
arruolàdu agg. arrolato.
arruolaméntu s.m. arruolamento.
arruolàre tr. e rifl. arruolare.
arrusciàda s.f. impeto, assalto. Passata. Arrusciada de abba,
de fogu → IRRUSCIÀDA.
arrusciadòre s.m. (Bosa) innaffiatoio. || sp. ruscar [sic].
arruspiàda
arruspiàda s.f. l’atto di accagliare.
arruspiàdu agg. accagliato, rappreso.
arruspiadùra s.f. l’azione e l’effetto di accagliare, rapprendere.
arruspiàre rifl. rapprendersi.
arrustìda s.f. l’atto di arrostire; e anche di scaldarsi a lungo.
Daghi s’ha fattu una bona arrustida, si ch’est andhadu dacché
s’è scaldato ben bene al fuoco, se n’è andato.
arrustìdu agg. arrostito; scaldato ben bene.
arrustidùra s.f. arrostitura.
arrustificéris s.m. arrosto. Ite b’ha como? Unu pagu de arrustificeris che c’è adesso? Un po’ d’arrosto.
arrustiméntu s.m. arrostimento.
arrustìre tr. arrostire. Arrusti custa petta anzonina pro terzu
piattu arrostisci questa carne d’agnello per terzo piatto. | rifl.
scaldarsi ben bene al fuoco. Istat sempre arrustendhesi in su
brajeri e pro cussu gighet sas ancas totu puddherigadas sta a scaldarsi lungamente al braciere e perciò ha le gambe tutte piene
di incotti (o vacche). | Anche ass. Custa petta no chered arrustire questa carne non arrostisce ancora.
arrustìsciula s.f. arrosticciana?
arrùstu1 s.m. arrosto. Como ’attide s’arrustu adesso servite
l’arrosto. Fumu senz’arrustu fumo senz’arrosto o molto fumo
e poco arrosto.
arrùstu2 avv. arrosto. Cogher arrustu cuocere arrosto. Coghedilu arrustu fanne quel che vuoi, per me non serve. Ponnersi
arrustu e a buddhidu esporsi a tutte le fatiche.
arsenàle s.m. arsenale.
arsenicàle agg. arsenicale.
arsénicu s.m. arsenico.
àrsidu agg. bruciato, secco (C. de L.).
arsiprèste s.m. arciprete (Mss. Illorai).
àrsitu agg. bruciato.
arsùra s.f. arsura. Povertà, miseria. Sete cocente. Fio morzendhe dai s’arsura morivo di sete.
àrtana s.f. nebbia fredda. || lat. arctus settentrione.
artanàdu agg. intirizzito.
artanaméntu s.m. intirizzimento.
artanàre intr. intirizzire.
artàre → ALTÀRE.
àrte s.f. arte, professione, mestiere. S’arte de chentu fastijos l’arte della tessitura. S’arte de su calzulaiu, de su frailarzu, de su
fraigamuru la professione di calzolaio, fabbro, muratore. Omine chen’arte, o chen’arte peruna uomo che non è addetto ad alcuna professione. Omine de dogn’arte, de medas artes uomo che
può fare molte professioni. Omine ch’ischit, o ischit fagher dogn’arte uomo che si adatta a far tutto, al fig. molto furbo, molto intraprendente e di pochi scrupoli. | Art’’e mojos professione
vile. Fagher art’’e mojos non avere alcuna professione proficua.
Arte fine quella che propriamente si chiama arte. | Cun arte
con arte, con astuzia. Cosa fatta cun arte cosa fatta a bella posta, con scopo inconfessabile. S’art’’e su mazzone finzione, astuzia. E nè faghia s’art’’e su mazzone (P. P. Pintore).
artefàttu agg. artefatto, adulterato, falsificato. Binu artefattu
vino adulterato.
artéfize (tz) s.m. artefice.
artejanìa s.f. artigianeria.
artejànu s.m. e agg. artigiano, artefice.
artéria s.f. arteria → ALTÉRIA (P. Luca).
arteriósu agg. arterioso.
artèsa s.f. altezza.
artesànu s.m. artigiano.
artéticu agg. artetico.
àrticu agg. artico.
articulàda s.f. processo (W.).
articuladamènte avv. articolatamente.
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articulàdu agg. articolato. Imputato.
articulàre tr. articolare, pronunziar distintamente. Imputare,
incriminare. L’articulan de tantos dellittos gli imputano tanti
delitti.
articulasciòne s.f. articolazione. ▫ articulassiòne, articulaziòne (tz).
articulàta s.f. imputazione, capo d’accusa. Intendho articulatas dogni die (An. Terranova).
artìculu s.m. articolo. Articulu ’e fide articolo di fede. Su chi
narat, no est articulu ’e fide quel che dice non è articolo di fede. Articulu ’e morte articolo, punto di morte. No ha perdonadu mancu in articulu ’e morte non ha perdonato neanche
in punto di morte. In sa buttega de piatta b’had articulos meda nel negozio della piazza si vendono molti articoli. Articulos de regulamentu articoli del regolamento. Articulos de su
codice articoli del codice. No istad abbaidendhe sos articulos
de su codice! non si cura degli articoli del codice. Articulos de
giornale articoli di giornale. Articulu ’e fundhu articolo di
fondo o editoriale. | Ostacolo, difficoltà. Cantos articulos bi
ponet! (W.).
artifissiàdu agg. artifiziato, adulterato. ▫ artifiziàdu (tz).
artifissiàle agg. artificiale. | sost. ciò che è fatto dall’arte, in
opposizione a quello che è fatto dalla natura. Su naturale ei
s’artifissiale s’aggiuan appare il naturale e l’artifiziale s’aiutano a
vicenda. ▫ artifiziàle (tz).
artifissialmènte avv. artificialmente. ▫ artifizialmènte (tz).
artifissiosamènte avv. artificiosamente. ▫ artifiziosamènte
(tz).
artifissiosidàde s.f. artificiosità. ▫ artifiziosidàde (tz).
artifissiósu agg. artificioso. ▫ artifiziósu (tz).
artifìssiu s.m. artifizio; inganno; macchinazione. ▫ artifìziu (tz).
artìfize (tz) s.m. artefice, professionista.
artigliéri s.m. artigliere.
artiglierìa s.f. artiglieria. I grossi strumenti di guerra. Pezzos
de artiglieria cannoni. Carros de artiglieria carri. | La milizia
che adopera l’artiglieria. Capitanu de artiglieria capitano d’artiglieria. Sa gherra la cominzat s’artiglieria l’artiglieria dà principio alla guerra.
artìgliu s.m. artiglio.
artijanerìa s.f. artigianeria.
artijànu s.m. artigiano.
artiòcoro s.m. linguella, erba → ISCIÒCCORO.
artìsta s.m. artista, professionista. Sos artistas gli operai. Bi
fin totu, massajos, pastores e artistas.
artisticamènte avv. artisticamente.
artìsticu agg. artistico.
artrìticu agg. artritico.
àrtu agg. alto.
artuddhàda s.f. accapponamento della pelle.
artuddhàdu agg. che ha la pelle accapponata.
artuddhadùra s.f. accapponamento della pelle.
artuddhaméntu s.m. accapponamento della pelle.
artuddhàre intr. accapponarsi della pelle, rabbrividire.
artuddhìda → ARTUDDHÀDA.
artuddhìdu agg. Ndh’es vennidu totu artuddhidu ’e su frittu è
giunto tutto rabbrividito. Ancora est artuddhidu dai sas paraulas chi l’hana nadu ancora rabbrividisce ricordando le parole
che gli hanno detto → ARTUDDHÀDU.
artuddhiméntu → ARTUDDHAMÉNTU.
artuddhìre intr. → ARTUDDHÀRE.
artùra → ALTÙRA.
artùrios s.m. pl. membra. Chi mi leas arturios e testa (Mossa
141).
’àru s.m. forca, bidente. || lat. varus.
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àrula s.f. arella. Recinto coperto per ricoverare i capretti. Altrove, stabbiolo dei majali, detto comunemente → CHERÌNA
(cherra, chirra: cherina).
arulàre tr. mettere nell’arella, nello stabbiolo i capretti o i
porcetti.
’àrva s.f. barba → ’ÀLVA.
arvàda s.f. vomere.
arvadàre tr. munire l’aratro di vomere.
’arvattàre e deriv. → ’ALVATTÀRE e deriv.
’arvàttu → ’ALVÀTTU.
arvàzze (tz) s.m. orbace.
’arvegarzàda, -are, -u → ’ALVEGALZ-.
’arvèghe, -ile, -inu → ’ALVEGH-.
arvèna s.f. avena.
àrvere s.c. albero.
’arvéri s.m. barbiere.
’arverìa s.f. barbieria.
arvèschere e deriv. → ALVÈSCHERE e deriv.
àrvu1 agg. bianco.
àrvu2 s.m. stecconato, siepe.
’arvùdu agg. barbuto.
’arvùle s.m. barbazzale.
arvuràdu agg. → ALVURÀDU.
arvuràre → ALVURÀRE.
àrvure s.c. albero.
arvurédu s.m. albereto.
’arvùta s.f. barbazzale.
arvùttu s.m. asfodelo.
’àrza s.f. → ’ÀLZA.
arzàda (tz) e deriv. → ALCIÀDA e deriv.
àrzana (tz) s.f. nebbia fredda.
arzanàdu (tz) agg. intirizzito. Guasto dalla nebbia.
arzàre (tz) → ALCIÀRE, ALZÀRE.
arziàda (tz) e deriv. → ALCIÀDA e deriv.
arzigógulu s.m. arzigogolo. Lassami custos arzigogulos!
arziviàda (tz) e deriv. → ARCHIVIÀDA ecc.
arzìvu (tz) s.m. archivio.
arzòla e deriv. → ALZÒLA e deriv. Bettare arzola seminare.
Bettad arzola cun tribagliu e munza (Murenu).
arzolàdu agg. butterato.
arzólu s.m. orzaiolo.
arzòne (tz) s.m. arcione.
’àrzu agg. variegato, di colore cangiante → ’ÀLZU, bàrgiu,
vàrgiu. || lat. varius.
àsa s.f. ansa, manico ripiegato e unito al vaso con le due estremità.
asàdu agg. munito d’anse. Sa brocca asada la brocca che ha le
anse. | [’asàdu] agg. baciato. Anche basàdu.
asàre tr. munire d’anse. | [’asàre] tr. baciare → BASÀRE.
ascalamàda s.f. l’atto di affannarsi, accaldarsi.
ascalamàdu agg. affannato, accaldato.
ascalamàre rifl. affannarsi, accaldarsi (Martelli).
ascamàda s.f. l’atto di nauseare.
ascamàdu agg. nauseato. So ascamadu de totu su ch’hap’intesu.
ascamadùra s.f. l’azione e l’effetto di nauseare.
ascamàre tr. nauseare. Caglia, chi m’ascamas! taci, che mi
nausei! | Ascamaresi de una cosa nausearsi di qualche cosa;
anche al fig. Anche vergognarsi. Cussu riccu s’ascamat de sos
poveros quel ricco si vergogna dei poveri.
ascamìle s.m. cosa o persona che fa nausea. Bessimi dai dainanti, ascamile! va via, immondezza! Cuss’omine est un’ascamile quell’uomo è nauseante.
ascamósu agg. nauseante, schifoso. Cuadi, ascamosu chi no
ses ateru nasconditi, schifoso che non sei altro.
àscamu s.m. nausea, schifo. Haer ascamu de unu o de una
asciùtta
cosa sentir nausea, aver schifo di qualcuno o di qualche cosa.
Fagher ascamu produrre nausea, far schifo. Caglia, chi mi faghes ascamu! taci, che mi fai nausea! | Esser s’ascamu de sa familia, de sa parentella (o de sa zenia), de sa ’iddha, de su logu, de
totu essere la vergogna della famiglia, della parentela, del paese, del luogo, di tutti. || gr. (áschimos) a[scimoı.
ascàre intr. condensarsi, del sanguinaccio. Punnat de ascare.
ascendhènte s.m. ascendente. Sos ascendhentes. Più com. sos
mazores, sos mannos, sos antipassados. Giajos, bisajos, ascendhentes, tios (Delogu Ibba).
ascendhénzia (tz) s.f. ascendenza. Sos primos Genitores / e
ascendhenzia ’ostra Reina santa (Delogu Ibba).
ascensiòne s.f. ascensione. La festa dell’Ascensione di Gesù
Cristo.
ascética s.f. ascetica.
ascéticu agg. ascetico.
ascetìsmu s.m. ascetismo.
aschémia s.f. nausea, schifo.
ascherósu agg. nauseante, schifoso. E intentos ascherosos
(Laudi S. Lucia). || sp. asqueroso.
aschiàre rifl. aver nausea, schifo → ASCAMÀRE.
àschida s.f. lena, possa, possibilità → ÀLCHIDA.
aschidàre intr. → ALCHIDÀRE.
àschidu s.m. respiro, forza, coraggio, lena → ÀLCHIDU.
aschilàda, -adorzu, -adu, -adura, -are → ALCHIL-.
aschìle, aschili- → ALCHÌLE ecc. Ei cussos fioccos ch’in aschiles
giughes ligados a nodu ’e rosa? (Cossu [..]).
aschiólu s.m. ascia.
àscia s.f. ascia. Mastru ’e ascia maestro d’ascia, falegname. |
Scheggia. Ascia ’e linna, ’e pedra scheggia di legno, di pietra.
S’ascia dai su truncu ndh’es bessida (Cossu 51). Ascia ’e pane
un pezzo di pane. No b’hapo mancu un’ascia ’e pane non ho
in casa neppure una briciola. Ascia ’e raju fulmine. Passizat
drittu che ascia ’e raju (A. Cubeddu). | Fagher in ascias ridurre in ischegge, spezzare. | Faghersi in ascias spezzarsi, scheggiarsi. Al fig. farsi a pezzi, affannarsi → ÀLCIA. | Gioco infantile → ÀLZA.
asciàda s.f. salita, alzata. L’atto di scheggiare. Asciada mala,
ripida salita aspra, ripida. Asciada ’e brazzos alzata di braccia.
Asciada ’e preju aumento di prezzo. Dà’ un’asciada a cussu
truncu riduci un po’ in ischegge quel tronco → ALCIÀDA.
asciàdu agg. salito. Asciadu a su monte. | Alzato, sollevato. A
brazzos asciados con le braccia alzate. | Aumentato. Preju asciadu prezzo aumentato. | Ridotto in ischegge. Truncu asciadu
tronco scheggiato → ALCIÀDU.
asciadùra s.f. l’azione di salire, sollevare, aumentare, scheggiare → ALCIADÙRA.
àscia e fàla avv. Cun su pè ascia e fala dae s’aradu (Muroni).
asciàre tr. alzare, aumentare, sollevare. Scheggiare. | rifl. alzarsi; ribellarsi, sollevarsi. Ridursi in ischegge. | intr. salire, montare. Ascian a chelu una pregadoria (Cossu) → ALCIÀRE.
asciólu s.m. ascia. || lat. asciabolus.
asciòne s.m. crescione, nasturzo.
asciucconàda s.f. l’atto di spaventare. Spavento. Ndh’had hapidu (o ndh’ha leadu) una bella asciucconada ha avuto un forte spavento.
asciucconàdu agg. spaventato.
asciucconadùra s.f. l’azione e l’effetto di spaventare e spaventarsi. Dai s’asciucconadura de su notte no est istadu pius bonu dallo spavento dell’altra notte non s’è più rimesso.
asciucconàre tr. e rifl. spaventare, spaventarsi.
asciuccónu s.m. spavento. Had hapidu unu grandhe asciucconu ha avuto un grande spavento.
asciugànte agg. solo unito a carta.
asciùtta (a s’~) avv. asciuttamente. Ha rispostu a s’asciutta.
asciuttàda
Mandhigare a s’asciutta mangiare senza companatico. Restare
a s’asciutta senza nulla.
asciuttàda s.f. l’atto di asciugare. Custos pannos han dadu
un’asciuttada questi panni si sono un po’ asciugati.
asciuttàdu agg. asciugato.
asciuttadùra s.f. l’azione e l’effetto di asciugare.
asciuttamènte avv. asciuttamente.
asciuttàre tr. asciugare. Asciutta cussos muccaloros chi mi bisonzan pro viaggiu asciuga quei fazzoletti che mi occorrono per
viaggio. | rifl. asciugarsi, prosciugarsi. | Sa paule no s’est ancora
asciuttada la palude non s’è ancora prosciugata. Al fig. Quando
parla un insipido si dice: asciuttat dogni funtana asciuga ogni
fontana. | rifl. asciugarsi. | intr. divenire asciutto. Custos pannos
no cheren asciuttare questi panni tardano ad asciugare.
asciuttèsa s.f. asciuttezza. Più com. al fig. insulsaggine, insipidezza nel parlare. Deu meu it’asciuttesa! siccat su riu! Dio
mio com’è insipido! asciuga il rio!
asciuttòre s.m. asciuttore. Più com. al fig. insipidezza.
asciùttu agg. asciutto, prosciugato. Segaligno, magro. Sbricio. Insipido, insulso. Riu asciuttu rio secco. Linna asciutta
legno arido; pannos asciuttos panni asciutti. Pane asciuttu pane scusso, senza companatico. Preigadore asciuttu predicatore
insulso. Asciuttu de ’inari asciutto a danari. | A ojos asciuttos a
occhi asciutti. | Asciuttu chei s’esca asciutto come l’esca. Al fig.
| A bucca asciutta, a dentes asciuttos restare a mani vuote, a
bocca asciutta, a denti asciutti. | sost. luogo asciutto. Passade
inoghe in s’asciuttu. | avv. A s’asciuttu.
asciuttùra s.f. asciuttezza, asciuttore. Luogo asciutto. Semus
passados in s’asciuttura siamo passati sull’asciutto. | Al fig. insipidezza, insulsaggine. It’asciuttura, Deu meu! siccat su samben
in sas venas che insipidezza, Dio mio! gela il sangue nelle vene.
asciùza s.f. piccola scheggia, truciolo. Povera ’ezza! no b’haiat
manc’un’asciuza ’e linna povera vecchia! non aveva in casa
neppur una scheggia di legna. Bae a buttega e battimi unu pagu de asciuza va alla bottega (del falegname) e prendimi un
po’ di trucioli.
asciuzàre intr. raccogliere piccole schegge o trucioli. Su poverittu fid asciuzendhe in su muntonarzu il mendicante raccattava piccole schegge di legna nel mondezzaio.
ascòndere rifl. nascondersi (Meloni Satta, Passione di G. C.).
ascósu agg. nauseante, schifoso. Schifiltoso. Baediche dai gue,
brutt’ascosu! va via, brutto schifoso!
ascrittìziu (tz) agg. ascritto, inscritto, arrolato.
ascrìttu agg. ascritto, associato, aggregato. Ascrittu a sa soziedade de sos faulalzos aggregato alla società dei ballisti.
àscu s.m. nausea, schifo, ribrezzo. Ponner ascu a unu mandhigu o a una cosa o a una persona sentir nausea d’un cibo,
non poter sopportare una persona o una cosa. Dai s’ultima
imbreaghera solenne ha postu ascu a su ’inu dall’ultima solenne imbriacatura ha a nausea il vino. Pro culpa de indigestione
hapo post’ascu a sa cariasa per una indigestione non posso più
mangiare ciliege, mi fan nausea le ciliege. Ca l’hap’avvertidu
m’ha post’ascu e no mi podet bidere.
ascùccia s.f. scolta, guardia, sentinella. Propriamente la monaca che fa sentinella a un’altra monaca.
ascultàda s.f. l’atto d’ascoltare. S’ascultada ch’has fattu a sa
janna la pagas pagherai l’aver origliato alla porta.
ascultàdu agg. ascoltato. Est un’omine meda ascultadu è un
uomo molto ascoltato.
ascultàre tr. ascoltare. Ascultare sa missa ascoltar la messa.
Ascultare sos consizos, sas rejones, sas pregadorias ascoltare i consigli, le ragioni, le preghiere. | intr. ascoltare. Chi’ istad iscultendhe sos males suos intendhed chi sta ad origliare alle porte
altrui ode parlare dei propri difetti. Isculta e caglia ascolta e
taci → ISCULTÀRE.
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ascùltu s.m. ascolto. Dare ascultu dar ascolto.
ascurtàda ecc. → ASCULTÀDA ecc.
asfàltu s.m. asfalto.
asfissìa s.f. asfissia.
asfissiàdu agg. asfissiato.
asfissiàre intr. soffocare.
asfìtticu agg. asfittico, asfissiato.
’àsi avv. così → GÀSI.
’asìe avv. così → GASÌE.
asièndha s.f. ricchezza. Anche sièndha.
asìlu s.m. asilo, ricovero, rifugio. Asilu infantile asilo infantile.
Parrer unu pizzinnu de s’asilo [sic] sembrare un bimbo [dell’asilo]. No so ancora o pius in s’asilo [sic] non sono più un bimbo.
Mastra de asilu maestra d’asilo.
àsima s.f. asma.
asinàda s.f. rimprovero acerbo. L’ha dadu un’asinada in carrera.
asinàdu agg. rimproverato acerbamente.
asinàre tr. rimproverare aspramente, svillaneggiare.
a s’incóntru avv. a fianco, a margine, di scrittura.
asinerìa s.f. (raro) asineria, asinità. || it.
’asittàre tr. sbaciucchiare.
’asìttu s.m. dim. bacetto. ▫ basìttu.
àsma s.f. asma. Più com. → AFFÀNNU, BÀTTIMU.
asmàticu agg. asmatico.
’asolàda s.f. fagiolata → BASOLÀDA.
’asólu s.m. fagiolo. ’Asolu caddhinu lupino → BASÓLU.
asonàre intr. guardare, custodire le cavalle al pascolo.
asòne s.m. custode, guardiano di cavalle. || lat. agaso.
asperèsa s.f. asprezza. In sa punghente asperesa / de una ispinosa malesa (Delogu Ibba).
aspèrges s.m. aspersione con l’acqua benedetta. Fagher s’asperges benedire con l’acquasanta, specialm. le case nel Sabbato Santo.
asperidàde s.f. asprezza.
aspersiòne s.f. aspersione.
aspersóriu s.m. aspersorio.
àsperu agg. aspro. Cun un’asperu desertu (Delogu Ibba). Chi
cante amores nè aspera gherra (P. Luca).
aspettàda s.f. l’atto di aspettare.
aspettàdu agg. aspettato.
aspettàre tr. aspettare, attendere. So aspettendhe a babbu
aspetto mio padre. | intr. aspettare. Aspetta cue aspetta là. Più
com. → ISPETTÀRE.
aspettatìva s.f. aspettativa. In aspettativa. Dimandhare, ottenner s’aspettativa.
aspéttu s.m. aspetto, figura. De bellu aspettu, de aspettu seriu
di bell’aspetto, d’aspetto serio. | L’aspettare. Attesa. Esser in
aspettu aspettare, attendere, sperare.
àspide s.m. aspide. Inter aspides surdos costituidu (P. Luca).
aspidèsa s.f. asprezza di sapore. Al fig. mordacità, asprezza
di carattere.
aspidòre s.m. asprezza di sapore.
àspidu agg. aspro di sapore. Mordace, velenoso nel parlare;
scontroso. Cantu ses aspidu faeddhendhe! come sei aspro nel
parlare!
aspirànte agg. aspirante, che aspira. | sost. Sos aspirantes gli
aspiranti. Sos aspirantes fini meda ei sos postos pagos.
aspiràre intr. aspirare, tendere. Aspiro a pius cosas soberanas
(Dore).
aspirasciòne s.f. aspirazione, speranza, desiderio. ▫ aspirassiòne, aspiraziòne (tz).
aspramènte avv. aspramente.
asprèsa s.f. asprezza, scabrosità.
aspriàda s.f. l’atto d’inasprire, aguzzare. Dà’ un’aspriada a sa
serra, a sa falche aguzza un po’ la sega, la falce. Sa ferida, a
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custu frittu, had hapidu un’aspriada la ferita, a questo freddo,
s’è un po’ inasprita.
aspriàdu agg. inasprito, inciprignito; aguzzato. Odios aspriados dai s’imprudenzia de sos maccos odi inaspriti dall’imprudenza degli stolti. Isdentendheli sa serra / chi portat sempre
aspriada (Delogu Ibba).
aspriadùra s.f. aguzzatura.
aspriaméntu s.m. inasprimento; aguzzamento.
aspriàre tr. inasprire, inciprignire, anche al fig. M’asprias sas
piaes de su coro m’inasprisci le piaghe dell’anima. | Aguzzare.
Aspriare sa serra, sa falche aguzzare la sega, la falce. | rifl. inasprirsi, anche al fig. S’est aspriadu contra de me s’è inasprito
contro di me. Sas vindittas no solu de zessare si sun aspriadas
le vendette non solo non son cessate ma si sono inasprite.
asprìddha s.f. scilla, pianta.
aspriddhàlzu s.m. terreno dove c’è molta scilla, infecondo.
asprìghine s.f. sterilità. | agg. Terra asprìghine terra sterile.
asprìgnu agg. asprigno.
asprìle s.m. sterilità. | agg. aspro, infecondo, di terreno.
asprìne s.m. terreno infecondo. Strebbiaccio. Calastrino.
asprìnu agg. asprigno, aspretto. | sost. luogo aspro, sterile.
Bisonzat tribagliare in s’asprinu pro mezorare su terrinu per migliorare il terreno, bisogna lavorare sull’incolto.
aspriòre s.m. asprezza di sapore.
asprìttu agg. aspretto. Custu ’inu est asprittu questo vino è
un po’ aspro.
asprìzzu (tz) agg. asprigno. Custu ’inu est asprizzu questo vino è asprigno. Custa pruna est asprizza queste susine sono
asprigne.
aspròre s.m. asprezza.
asprosidàde s.f. asprezza.
asprósu agg. aspro.
àspru agg. aspro. Sabore aspru, paraulas aspras, tribaglios
aspros sapore aspro, parole aspre, lavori aspri. | avv. aspramente. Mi ses faeddhendhe tropp’aspru, modèra sos faeddhos
mi parli troppo aspramente, modera le parole. | sost. Leare
s’aspru, haer s’aspru aver l’aspro, del vino. Custa vernaccia ha
già s’aspru questa vernaccia ha già l’aspro.
asprùra s.f. asprezza. S’asprura ’e sos faeddhos es peus de s’asprura ’e sos colpos l’asprezza delle parole è peggiore dell’asprezza
delle busse. De s’ijerru s’asprura, sos rigores.
àssa s.f. arsura, sete → ÀNSA. Assa fetida, gomma.
assabàda s.f. l’atto di raddolcire, di metter la sapa nel mosto.
assabàdu agg. raddolcito, del mosto in cui è stata messa la
sapa → ACCOTTÀDU.
assabàre tr. raddolcire con la sapa. Assabare su mustu raddolcire e rinforzare il mosto con la sapa → ACCOTTÀRE. | Mettere la polvere nel bacinetto, accomodar la miccia. | rifl. diventar dolce.
assabbòna avv. alla buona, alle buone; in pace. Assabbona
’e Deu. Esser, torrare assabbona. Ponner assabbona.
assabescàdu agg. sempliciotto.
assabèschere tr. avvertire, osservare, notare. No podia assabescher perunu movimentu (Mossa 123). | rifl. accorgersi, avvedersi. No mi so assabeschidu de nuddha non mi sono accorto
di nulla.
assabéschidu agg. avvertito, osservato, notato. Accorto, avveduto.
assabiàda s.f. l’atto di rinsavire. Già ha dadu un’assabiada si è
un po’ rinsavito.
assabiàdu agg. rinsavito.
assabiàre intr. rinsavire. Ma candh’assabias tue, piccioccu? ma
quando vorrai rinsavire, ragazzaccio?
assabiensciàdu agg. sapiente, saggio. Già ses pagu assabiensciadu oe! (iron.) oh come sei sapiente, oggi!
assacchiàda
assaboràda s.f. l’atto di assaporare.
assaboràdu agg. assaporato.
assaboraméntu s.m. assaporamento.
assaboràre tr. assaporare. Più com. nella forma riflessiva. Assaboraresi de una cosa trattenere in bocca un cibo per gustarne
meglio il sapore. Al fig. Assaboraresi de sa musica, de sa preiga,
de sas cantones assaporare la musica, le prediche, le poesie.
assaboriàda s.f. Dice più di assaboràda.
assaboriàdu agg. Dice più di assaporato. Di uno sciocchino,
ironicamente si dice: assaboriadu ses! Cantu ses assaboriadu!
come sei scipito!
assaboriàre tr. Dice più di assaporare. | rifl. Assaboriadindh’’ene de custu mele, mi’ ch’es s’ultimu trattieni in bocca
questo miele che è l’ultimo. Anche al fig. Si ti ponzo manu,
ti ndh’assaborias! se te le do, le assapori bene! Crogiolarsi in
una cosa.
assaborìdu agg. assaporato.
assaborìre rifl. crogiolarsi in una cosa. Anche iron. Ti do
una sussa chi ti ndh’assaboris ti do delle busse di cui sentirai a
lungo l’effetto. | ass. comprendere. O ses tue ch’has male assaboridu o sei tu che hai compreso al rovescio (A. Sanna).
assaborizàda s.f. l’atto di assaporare, di crogiolarsi in una cosa.
assaborizàdu agg. assaporato. Crogiolato in una cosa.
assaborizàre tr. conservare in bocca il sapore, trattenere in bocca il cibo per gustar meglio il sapore, godere lungamente di una
cosa. Più com. al rifl. Assaborizaresi de una cosa; anche al fig.
assaccarràda s.f. assalto, accesso. Un’assaccarrada ’e frittu e de
frebba un accesso di freddo e di febbre. L’atto di coprirsi per
riguardarsi dal freddo. A su frittu bi chered una bona assaccarrada contro il freddo bisogna coprirsi bene.
assaccarràdu agg. ben coperto. Tue ses bene assaccarradu, ma
eo so ’estidu ’e tela tu sei ben coperto, ma io son vestito di tela.
Assalito. Assaccarradu de istranzos assalito da molti ospiti. Assaccarradu ’e frebba colto da forte accesso di febbre. Assaccarradu ’e depidos oberato di debiti. Assaccarradu ’e males, de dilgrascias soffocato di mali, aggravato di sventure.
assaccarradùra s.f. coperta; tutto ciò che serve per proteggere il corpo dal freddo. In s’ijerru bi cheret bona assaccarradura
d’inverno son necessarie buone coperte al letto e buone vesti.
Assaccarradura ’e males, de disgrassias, de depidos peso di malanni, di sventure, di debiti.
assaccarraméntu s.m. assalto, accesso. Assaccarramentu de
istranzos assalto improvviso d’ospiti. Assaccarramentu ’e males.
assaccarràre tr. coprire, proteggere dal freddo. Assaccarralu
’ene, su pizzinnu, chi gai si podet drommire coprilo bene, il
bimbo, che così si può addormentare. | Assaltare. L’han assaccarradu sos amigos e ha devidu fagher unu grandhe pranzu
l’hanno assaltato gli amici e ha dovuto far loro un gran pranzo. Malannu chi t’assaccarret! (imprec.) che ti venga il malanno! | rifl. coprirsi, riguardarsi dal freddo. Assaccarradi ’ene cun
su gabbanu, ch’andhat sa tramuntana copriti bene col gabbano, che tira la tramontana.
assaccàrru s.m. coperta, protezione, difesa. Ista notte ponidemi meda assaccarru, chi tenzo frittu meda stanotte mettetemi
sul letto molte coperte, che ho molto freddo. Sas ricchesas sunu unu bonu assaccarru … difesa. Assalto, accesso. Assaccarru
de amigos, de males, de frebba, de depidos.
assacchettàda s.f. l’atto di avvolgersi bene il collo.
assacchettàdu agg. col collo ben avvolto e protetto dal freddo.
assacchettadùra s.f. l’azione e l’effetto di avvolgersi bene il
collo.
assacchettàre rifl. avvolgersi bene il collo per proteggersi dal
freddo.
assacchiàda s.f. l’atto di assalire, assaltare, assediare. Ajò chi damus un’assacchiada a s’amigu e nos faghimus cumbidare a chenare.
assacchiàdu
assacchiàdu agg. assediato, assalito, assaltato.
assacchiadùra s.f. l’azione e l’effetto di assediare, assalire, assaltare. Assalto.
assacchiàre tr. assediare, assalire, assaltare. Che l’han assacchiadu in sa concheddha e l’han tentu l’hanno attorniato, assaltato nella conca e l’hanno arrestato. Sos amigos l’han assacchiadu in domo e no l’hana lassadu ’essire gli amici l’hanno
assaltato in casa e non gli han permesso di uscire.
assacchittàdu, -are → ASSACCHETTÀDU ecc.
assacchizàda s.f. l’atto di assaltare, assalire. Han dadu s’assacchizada a sa pinnetta e l’han irrobbada han dato l’assalto alla
casa colonica e l’han saccheggiata. Assacchizada de cumpagnos.
assacchizadòre s.m. assalitore, saccheggiatore.
assacchizàdu agg. saccheggiato.
assacchizadùra s.f. l’azione e l’effetto di saccheggiare. Saccheggio, assalto.
assacchizaméntu s.m. saccheggiamento, saccheggio.
assacchizàre tr. assaltare, assalire, saccheggiare. Anche in
buona parte. Da’ in pagu in pagu l’assacchizan sos amigos a s’ora
’e s’’ustu.
assacchìzu s.m. assalto, saccheggiamento. B’had hapidu
un’assacchizu ’e amigos, de istranzos ha avuto un assalto di
amici, di ospiti.
assaccòa avv. all’ultimo, indietro. Restare assaccoa venir in
coda, in fine.
assacconàdu agg. impigrito, obeso. Caddhu assacconadu cavallo pesante, che camminando rinsacca.
assacconàre rifl. ingrossarsi, diventar pingue, pesante, pigro.
Giovanos chi s’assacconan a vint’annos e sun brivos de sa person’issoro giovani che diventano obesi a vent’anni e si muovono
a stento.
assàda s.f. l’atto di abbrustolire. Dà’ un’assada a cussu pane
abbrustolisci alquanto quel pane.
assàdu agg. abbrustolito, ben cotto. Pane assadu pane abbrustolito. || sp. asado.
assadùra s.f. abbrustolimento.
assaéddhu s.m. l’anello di metallo o striscia di pelle che s’affibbia o cuce intorno alla zampa del porco, a cui è attaccata la
catena o la fune. Anche quello che è attaccato al guinzaglio
del cane.
assaffaìu avv. liberamente → AFFAÌU.
assaffìnes avv. alla fine, alla fin fine, alla fin dei conti. Assaffines ses castigadu, e bàstada.
assàgna s.f. (Aidom.) muta di cani. Andhendhe unu cazzadore a cazza cun grandhe assagna andando un cacciatore a caccia
con gran muta di cani (canesia). Oppure prodezza, coraggio.
|| sp. hazaña.
assagnàre tr. scovare, trovare. Ch’in aterue mezus no ndh’assagnas (Pilucca).
assagòa avv. in fine, in ultimo. L’has a bider assagoa lo vedrai
all’ultimo.
assagùlza (tz) avv. alle corte.
assài avv. assai, molto. Chi de narrer ancora haio assai. Bellu
assai.
assaisségus avv. all’ultimo. Ch’assaissegus benin divididos.
assajàra avv. chiaramente.
assalariàda s.f. l’atto di salariare; di abbonarsi al medico.
S’assalariada mi costat sessanta francos l’abbonamento al medico mi costa sessanta lire.
assalariàdu agg. salariato. Assalariadu dai su Comune salariato dal Comune. Abbonato al medico. So assalariadu a su Professore sono abbonato al Professore.
assalariaméntu s.m. abbonamento al medico.
assalariàre tr. salariare. Innanti serviat gratis, como l’had assalariada prima serviva gratis, adesso l’ha salariata. Abbonare al
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medico. Had assalariadu tota sa familia ha abbonato al medico tutta la famiglia. | rifl. abbonarsi al medico. S’est assalariadu pro s’annu nou s’è abbonato al medico per il nuovo anno.
assaldàda s.f. l’atto di saldare i conti. Hamus dadu un’assaldada a sos contos e semus restados bonos amigos abbiamo saldato un po’ i conti e siamo rimasti buoni amici.
assaldàdu agg. saldato, assestato, di conti, di questioni. Cust’est un’affare assaldadu quest’è un affare assestato.
assaldadùra s.f. sistemazione di conti, di affari.
assaldàre tr. pagare a saldo, saldare, assestare, sistemare. Como t’assaldo su contu ’ezzu adesso ti saldo il vecchio conto.
Anche per saldare con metallo. Pro assaldare su timanzale per
saldare la navicella (Macomer).
assàldu avv. a saldo. Pagare assaldu pagare a saldo. Sas rendhas minores las pago assaldu, pro sas ateras do accontos le imposte piccole le pago a saldo, per le altre do acconti.
assaliàda s.f. l’atto di assaggiare, gustare appena. L’hapo dadu
solamente un’assaliada l’ho semplicemente assaggiato.
assaliàdu agg. assaggiato.
assaliàre tr. assaggiare, gustare appena. Custu si narad assaliare e no mandhigare questo si dice assaggiare e non mangiare. ||
da salìa saliva.
assalimbèsse avv. al rovescio. S’haia postu sa giacchetta assalimbesse s’era messa la giacca al rovescio.
assalònga avv. alle lunghe.
assaltàda s.f. l’atto di assaltare → ASSALTIÀDA.
assaltàdu agg. Cun cussu coro assaltadu (Delogu Ibba).
assaltanàda s.f. l’atto di assaltare, spaventare, atterrire. Nos
han dadu una bella assaltanada ci han fatto provare un grande spavento.
assaltanàdu agg. spaventato, sconcertato, agitato per la paura.
assaltanàre tr. spaventare, agitare. Custas sun cosas ch’assaltanan sa zente, no si deven ispargher queste son cose che agitano
la gente, non si devono diffondere. Caglia, chi m’assaltanas taci, che mi fai perdere il cervello.
assaltànu s.m. spavento, agitazione, rivolgimento, sommossa.
Gran rumore e confusione. In cussa domo b’had unu grandhe
assaltanu in quella casa c’è un gran tumulto.
assaltàre tr. assalire, assaltare, invadere. Più com. → ASSALTIÀRE.
assaltiàda s.f. l’atto di assaltare. Han dadu s’assaltiada a sa
carrozza pro irrobbare sos passizeris hanno assaltato la carrozza
per rapinare i viaggiatori.
assaltiàdu agg. assalito, assaltato. Appena s’es vidu assaltiadu,
s’es bettadu a terra appena s’è visto assalito s’è buttato a terra.
assaltiàre tr. assalire, assaltare. Sos bandhidos han assaltiadu
su palattu ’e su marchesi i banditi hanno assaltato la casa del
marchese.
assàltiu s.m. assalto, attacco. In s’assaltiu de sos ladros b’had hapidu duos mortos nell’attacco contro i ladri ci son stati due morti.
assaltizàda s.f. l’atto di assalire a più riprese. Sos de sa serra
han hapidu una bona assaltizada i montagnoli sono stati varie
volte assaliti dai briganti.
assaltizàdu agg. assalito, assaltato varie volte. Est unu logu
meda assaltizadu dai sos malos.
assaltizàre tr. frequentativo di assaltàre, assalire, assaltare replicatamente; spaventare. In sos tempos antigos sos Moros assaltizaian sas costas de Sardigna nei tempi antichi i Mori assalivano con frequenza le coste della Sardegna.
assaltìzu s.m. assalto replicato, frequente. Grande confusione
e spavento. No b’ha mal’assaltizu in cussa domo! quanta confusione, quanto rumore è in quella casa!
assàltu s.m. assalto, attacco. Su prim’assaltu l’hamus hapidu
dominiga, su segundu gioia il primo attacco l’abbiamo avuto
domenica, il secondo giovedì.
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assalvàdu agg. assicurato, ipotecato.
assalvàre tr. assicurare, dei censi (form. notarile). Qualche
volta assegurare e assalvare.
assamàla avv. alle cattive. Leare assamala. Esser assamala.
Ponner assamala.
assamànna avv. alla grande.
assambelluttàdu agg. aggrumato, del sangue. Petta assambelluttada carne sfibrata e lacerata dall’arma da taglio o dall’accoratoio o dalla palla e che anche dopo la cottura conserva il colore del sangue raggrumato.
assambelluttàre rifl. raggrumarsi, del sangue e della carne.
Dai su fragassu de su punzone su coro s’es totu assambelluttadu
a causa del rovinio dell’accoratoio il cuore s’è tutto lacerato e
sfibrato.
assambenàdu agg. simpatico, gradevole, faceto, spiritoso;
che si fa stimare. Est unu giovanu meda assambenadu è un
giovane molto simpatico, molto destro. Ironicamente si dice
del contrario. Ih! cantu ses assambenadu! ah! come sei antipatico, maldestro!
assambesuàdu agg. dissanguato dalle sanguisughe. Al fig.
strizzato, spremuto come il limone, impoverito.
assaminùda avv. al minuto.
assamùda avv. in silenzio, alla muta. Andhaian totu assamuda camminavano tutti in silenzio. | Istare o istaresi a sa muda
tacere, far silenzio. Tue ista o ìstadi a sa muda tu, taci.
assamudàdu agg. che tace, che fa silenzio.
assamudàre rifl. tacere, far silenzio. Est istadu un’ora faeddhendhe, eppur’eppuru s’est assamudadu è stato un’ora a parlare, finalmente ha taciuto. Assamùdadi, tue tu, fa silenzio.
assangiàda s.f. l’atto di impigliare, imprigionare. Dare, haer
un’assangiada: had hapidu un’assangiada tra sas perras de sa
gianna è rimasto imprigionato tra le imposte della porta.
assangiàdu agg. impigliato, imprigionato. Es restadu assangiadu sutta sa trae.
assangiadùra s.f. l’azione e l’effetto dell’impigliare o imprigionare.
assangiàre tr. impigliare, imprigionare. Assangiachelu in mesu a cussos truncos imprigionalo, caccialo in mezzo a quei
tronchi. | rifl. cacciarsi, impigliarsi, restare imprigionato. S’est
assangiadu sutt’a sos cantones è rimasto imprigionato sotto i
cantoni. Si l’est assangiada sa ’este a su balcone gli è rimasta
impigliata la veste alla finestra.
assangraàdu agg. destro, simpatico. Per lo più iron. Già ses
assangraadu! come sei antipatico, mal destro! → ASSAMBENÀDU. || sp. sangre.
assaniàdu agg. contento, tranquillo, pacifico. La cojuo e mi
ndh’isto assaniadu (An.).
assannàda s.f. azzannata, zannata. Su polcrabu cun duas assannadas ha mortu su cane il cinghiale con due zannate ha ucciso il cane.
assannàdu agg. morsicato, azzannato.
assannadùra s.f. azzannatura.
assannaméntu s.m. azzannamento.
assannàre tr. azzannare, addentare, mordere, morsicare. Si
t’assannat su polcrabu, faghe contu chi b’ha de timire se ti azzanna il cinghiale, renditi conto che c’è da temere. | intr. crescere
straordinariamente, degli alberi e delle piante.
assàre tr. abbrustolire. Assami su pane, a bider si lu poto diggirire de pius abbrustoliscimi il pane per vedere se lo digerirò
più facilmente.
assarìzza (tz) avv. in piedi. Mandhigare assarizza mangiare
in piedi. Ritto.
assartizàda ecc. → ASSALTIZ-.
assartizzàdu (tz) agg. ridotto a salsiccia o in forma di salsiccia.
assartizzàre (tz) tr. ridurre a salsiccia o in forma di salsiccia.
assàzziu
assarùssa avv. alla grossa, alla carlona. Bessiresindhe assarussa,
bessireche assarussa sbrigarsene alla grossa.
assarùstiga avv. alla rustica, rusticamente.
assarùza avv. rozzamente, alla rozza.
assasségus avv. in ultimo, in fine, in coda.
assassèlva avv. in osservazione, in guardia.
assassinàda s.f. l’atto di guastare, devastare, rovinare. It’assassinada ’e logu! come han devastato questo luogo!
assassinadòre s.m. devastatore, guastatore, desolatore. Assassinadore de sas familias. So in su mundhu un’assassinadore
(Zozzò).
assassinàdu agg. assassinato, rovinato, devastato. Est una familia assassinada è una famiglia rovinata. So assassinadu son
rovinato.
assassinadùra s.f. l’azione e l’effetto di guastare, rovinare, assassinare.
assassinaméntu s.m. devastazione, rovina.
assassinàre tr. assassinare. Han assassinadu una povera ’ezza
hanno assassinato una povera vecchia. | Rovinare, guastare,
devastare. Had assassinadu unu patrimoniu ha dilapidato un
patrimonio. M’han assassinadu sa ’inza m’han devastato la vigna. | rifl. rovinarsi. S’est assassinadu pro dies suas s’è rovinato
per tutta la vita.
assassìniu s.m. assassinio. Reu de assassiniu, cundennadu pro
assassiniu reo d’assassinio, condannato per assassinio. Al fig.
Cussu matrimoniu est un’assassiniu quel matrimonio è un assassinio, una ribalderia.
assassìnu s.m. assassino, ribaldo. Anche al fig. Assassinu de sa
fama, de s’onore. || arab. hasciscin.
assàssinu s.m. devastazione, rovina. A bider s’assàssinu chi
m’han fattu in s’ortu, b’ha de pianghere al vedere la devastazione dell’orto c’è da piangere. Anche strage, sciupìo. Assàssinu
de bestiamine, de ’inari strage di bestiame, sciupìo di danari.
assazàda s.f. l’atto di assaggiare.
assazàdu agg. assaggiato.
assazadùra s.f. l’azione e l’effetto di assaggiare.
assazàre tr. assaggiare. Si no cheres propriu chenare, assaza assumancu calchi cosa se non vuoi proprio cenare, assaggia almeno qualche cosa. No assazare nuddha non mangiar nulla. In
tota sa die no had assazadu nuddha in tutto il giorno non ha
mangiato nulla. | Assazare sa presone, sa galera provar la prigione, la galera. Si sighid a m’infadare li fatto assazare sa presone se
continua a molestarmi gli faccio provare la prigione. | Assazare
a unu sperimentarne la severità, la forza, il rigore, le percosse.
Si no caglias m’assazas se non taci, sai chi son io, le prendi.
[Nell’interlinea, in corrispondenza del segmento ‘nulla. In
tota’ della riga inferiore e: ‘cenare, assaggia’ della riga superiore,
il manoscritto reca l’inserzione li[..]da peruna, in cui le lettere
di non chiara lettura sembrano essere en.]
assazassàza avv. a piccoli e frequenti bocconi, o sorsi. Istare
assazassaza assaggiare con frequenza. Istat tota sa die assazassaza e a sos pastos no had appititu sta tutto il giorno mangiucchiando e ai pasti non ha appetito.
assàzu s.m. assaggio. Discreta quantità. B’hamus hapidu
un’assazu ’e fae abbiamo raccolto una quantità discreta di fave. | Anche per saggio.
assazzàre (tz) tr. e rifl. saziare, saziarsi → ATTATTÀRE, TATTÀRE.
assazziàre (tz) rifl. rallegrarsi crudelmente, incrudelire, inferocire. L’ha mortu e s’est assazziadu de su cadavere ha incrudelito contro il cadavere. S’est assazziadu de sa disfortuna mia s’è
barbaramente rallegrato della mia sventura.
assàzziu (tz) s.f. contentezza per una vittoria non sempre legittima, per un male altrui. Haer, learesi, tenner assazziu de una cosa rallegrarsi spietatamente. Hat sempre assazziu de su male anzenu si contenta barbaramente dell’altrui male. | Dare assazziu
àsse
darla vinta. Maccari crebes no ti do cuss’assàzziu puoi anche
schiattare, ma non te la do vinta → ATTÀTTINU, ATTÀTTU2.
àsse s.f. asse. Moneta; linea imaginaria; legno segato. Come
in it. Patrimonio. In asse il patrimonio intero. In asse sunu riccos, ma si pàrtini ndhe los pìbio finché godono insieme il patrimonio sono ricchi, ma se lo dividono li compiango. In asse
poden haer dughentamiza francos in tutto possono avere ducentomila lire.
asseàdu agg. che sa di sego. Al fig. ben comodo in casa, sfaccendato, ozioso. Comente già ses asseadu e no dês haer de ti
ndhe ’ogare s’oju! siccome stai ben comodo a casa e non hai
nulla da fare! Istare asseadu essere in ozio forzato. So inoghe
asseadu e no mi poto ’idere son qua forzatamente ozioso e non
mi posso vedere. || da sea sede.
asseàre tr. condire o cuocere col sego. | rifl. prendere il sapore o l’odore del sego; condensarsi come il sego. Darsi all’ozio
o soffrire in un ozio forzato. S’est asseadu in domo e no b’ha
versu de lu movere s’è anneghittito, infingardito in casa e non
c’è verso di farlo uscire.
assebeltàda s.f. l’atto di scorgere, distinguere.
assebeltàdu agg. scorto, distinto.
assebeltàre tr. scorgere, distinguere. Ha cun sa coa ’e s’oju assebertadu (A. Sp.) → SEBELTÀRE, sebestàre.
assebéltu s.m. vista, potenza di scorgere, distinguere. Anche
al fig. No had assebeltu perunu.
asséberu avv. a scelta. Si comporas, ti los do asseberu se compri, te li do a scelta. In forza d’agg. indecl. Trigu asseberu, fae
asseberu, bittellos asseberu grano scelto, fave scelte, vitelli scelti.
assebestàda, -adu, -are, -u → ASSEBELT-.
assedàda s.f. l’atto di portare i covoni all’aia.
assedàdu agg. portato all’aia, del frumento da trebbiare.
assedaméntu s.m. il portare i covoni all’aia.
assedàre tr. portare i covoni all’aia. Messas, assedas, triulas e
bizas (Muroni) → CARRUCCÀRE.
assediàda s.f. l’atto di assediare.
assediàdu agg. assediato, importunato, molestato. Assediadu
dai sos poverittos importunato dai poveri. Anche per → ASSEÀDU, ASSETTIÀDU.
assediànte agg. e sost. assediante.
assediàre tr. assediare, circondare, importunare, molestare.
M’assedian sos males mi circondano le sventure. | Anche per
isolare, relegare, confinare → ASSETTIÀRE.
assédiu s.m. assedio. Ponner assediu porre, mettere assedio. |
Anche per relegazione, confino, isolamento → ASSÉTTIU.
assedónzu s.m. trasporto dei covoni all’aia per la trebbiatura.
asseghettàda s.f. l’atto di trasportare i covoni all’aia.
asseghettàre tr. trasportare i covoni all’aia → CARRUCCÀRE,
SEDÀRE. || lat. seges, segetare (W.).
asseghettónzu s.m. trasporto dei covoni all’aia o il tempo in
cui si compie.
asseghìda s.f. l’atto d’inseguire, perseguitare. Inseguimento.
asseghìdu agg. inseguito, perseguitato.
asseghìre tr. inseguire, perseguitare (C. de L.).
assegnoràdu agg. insignorito. Maccari siad assignoradu es restadu sempre unu burricu benché sia insignorito è restato sempre un asino.
assegnoràre rifl. insignorirsi. Zente chi s’assegnorad in una die
torrad appê in un’ora quelli che s’insignoriscono in un giorno
tornano in basso in un’ora.
assegnorittàdu agg. azzimato, lisciato.
assegnorittàre rifl. vestire come un signorino, scimmiottare
i signorini.
asseguràda s.f. l’atto di assicurare, puntellare, rinforzare.
Lettera assicurata. M’est arrivida un’assegurada cun milli francos intro m’è giunta un’assicurata con dentro mille franchi. |
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Assegurada de coju fidanzamento. | avv. A s’assegurada sicuramente, tranquillamente. Drommire a s’assegurada dormire
d’un sonno profondo, senza preoccupazioni. Drommi puru a
s’assegurada, chi no ch’ha periculu perunu dormi pure tranquillamente, che non c’è alcun pericolo.
asseguradòre s.m. assicuratore, mallevadore.
asseguràdu agg. assicurato, puntellato, rinforzato. Littera assegurada lettera assicurata. Cubeltura assegurada tetto puntellato.
Muru asseguradu muro rinforzato. | sost. assicurato. Sos assegurados a custa cumpagnia a sos sessant’annos rezzin sa pensione gli assicurati a questa compagnia ricevono la pensione a sessant’anni.
asseguradùra s.f. l’azione e l’effetto di assicurare.
asseguraméntu s.m. assicurazione. Asseguramentu de su coju
fidanzamento.
asseguràre tr. assicurare, puntellare, rincalzare, rinforzare.
Assegurare sa vida assicurare la vita. Assegurare sa vittoria assicurare la vittoria. Assegurare sa trae puntellare la trave. | rifl.
assicurarsi, sincerarsi. Innanti de partire s’est asseguradu de comente fin sas cosas prima di partire s’è sincerato dello stato
delle cose. Assicurar la vita o i beni presso qualche Società di
assicurazione. S’est asseguradu a sa Fondiaria ha stipulato contratto d’assicurazione presso la Fondiaria.
assegurasciòne s.f. assicurazione. Assegurascione de coju fidanzamento. Dare assegurascione dar assicurazione; far malleveria;
concedere ipoteca. ▫ assegurassiòne, asseguraziòne (tz).
assegurónzu s.m. assicurazione. Asseguronzu de coju, o semplic. asseguronzu fidanzamento. Oe han fattu s’asseguronzu Pedru e Lughia Pietro e Lucia si son fidanzati oggi.
asségus1 prep. dopo. Assegus a… dietro a…
asségus2 (a s’~) avv. all’ultimo, in fine, in coda. Su babbu beniad assassegus il padre veniva all’ultimo. Assassegus ti lasso che
un’ainu! in ultimo ti pianto come un somaro! → ASSASSÉGUS.
asselenàda s.f. l’atto di calmare, mitigare, rasserenare. Su
tempus s’ha dadu un’asselenada il tempo s’è un po’ rasserenato.
asselenàdu agg. rasserenato, calmato, mitigato. Aèras asselenadas arie serene.
asselenàre rifl. rasserenarsi, mitigarsi, calmarsi. Sa tempesta
s’est asselenada la tempesta s’è calmata.
asselénu avv. con calma, tranquillamente, lentamente.
asseliàda s.f. l’atto di tranquillarsi, calmarsi. Pustis de tanta
gherra cun sa morte como s’ha dadu un’asseliada dopo una lunga lotta con la morte ora s’è un po’ calmato.
asseliàdu agg. tranquillo, sereno, calmo. La cojuo e mi ndh’isto
asseliadu (Pietro Canu). Una vida asseliada (Usai).
asseliàre rifl. tranquillarsi, calmarsi, rasserenarsi. S’est asseliadu como como s’è calmato or ora. Cominzo a m’asseliare (Usai).
asséliu s.m. calma, riposo, pace. Disgrasciadu, no had asseliu
illogu povero disgraziato, non ha riposo in alcun luogo.
asseltóriu agg. assertorio.
asseltudiàdu agg. quieto, posato. Per lo più iron. Già ses asseltudiadu! come sei irrequieto!
asseltùdiu agg. posatezza, dolcezza di modi. Abbaidade s’asseltudiu de cussu piseddhu (iron.) guardate l’irrequietezza di
quel ragazzo.
assèlva (a s’~) avv. in guardia, in osservazione. Istade a s’asselva (a s’asserva e assasselva) state in guardia. Dogni cosa in amare est a s’asserva (Mossa) [→ ASSASSÈLVA].
asselziòne (tz) s.f. asserzione.
assemàda s.f. l’atto di storpiare, lasciar segno delle percosse.
assemàdu agg. segnato, storpiato. Es bene semadu a su brazzu è ben storpiato al braccio [→ SEMÀDU].
assemàre tr. e rifl. storpiare, segnare. Più com. → SEMÀRE. ||
gr. (sêma) sh`ma, (semêion) shmei`on.
assemblèa s.f. assemblea, adunanza. Cras si reunit s’assemblea
de sos sozios domani si riunirà l’assemblea dei soci.
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assembràda s.f. l’atto di rassomigliare alquanto. Rassomiglianza leggera. Had un’assembrada de su frade ha una leggera
rassomiglianza col fratello. Anche l’atto di ravvisare imperfettamente. Mi l’hapo dadu un’assembrada, ma no fio seguru
mi pareva d’averlo ravvisato, ma non ero sicuro.
assembràdu agg. rassomigliato, ravvisato.
assembràre tr. rassomigliare, ravvisare. Tra sos tantos hap’assembradu a fulanu tra i molti ho ravvisato il tale. | rifl. arieggiare, somigliare, rassembrare. S’assembrat meda a sa sorre si
rassomiglia molto alla sorella.
assemidàdu agg. di terreno che è reticolato di sentieruzzi;
specialm. di prato erboso che è stato attraversato per lungo e
per traverso da qualche branco di bestie.
assemidàre tr. incrocicchiare un terreno specialmente pascolativo con sentieruzzi. Sas ’arveghes m’han assemidadu tota sa
tanca le pecore han fatto un reticolato di sentieruzzi in tutto
il chiuso.
assemodàda s.f. l’atto di attillarsi, adornarsi. Cust’est un’assemodada chi no finit mai! non finisce mai d’adornarsi!
assemodàdu agg. attillato, adornato, vestito con ricercatezza. Pizzinna assemodada fanciulla in ghingheri.
assemodàre rifl. attillarsi, vestire con ricercatezza, mettersi in
ghingheri. Lassala, chi s’est assemodendhe addainant’a s’ispiju
lasciala, che si sta attillando dinanzi allo specchio.
assempiàda s.f. l’atto di aggiustare, comporre, piegolinare.
assempiàdu agg. aggiustato, composto, piegolinato. Bunneddha assempiada gonna piegolinata.
assempiàre tr. comporre, aggiustare, piegolinare → AFFOZITTÀRE.
assempriàdu agg. composto, idoneo, adatto, abile. Già ses assempriadu! (iron.) come sei strano, buono a nulla! | Anche ravvisato.
assempriàre tr. ravvisare. Già mi l’hap’assempriadu l’ho ravvisato.
assémpru s.m. esempio, somiglianza, similitudine. || lat. exemplum.
assèndhere intr. derivare, nascere. Dai su visciu ndh’assèndhene medas males dal vizio derivano molti mali. Arrivare, giungere, pervenire, ascendere. So assèndhidu fin’a su monte sono
arrivato fino al monte.
asséndhida s.f. l’atto di derivare; derivazione.
asséndhidu agg. derivato, provenuto; arrivato, giunto, asceso.
Chie podet contare totu sos dannos chi ndhe sun assèndhidos? chi
può valutare tutti i danni che ne son derivati?
assendràdu agg. raffinato, purificato, senza macchia. Dan
preziosu chilate / a s’oro fine assendradu dan prezioso carato all’oro fino senza macchia (Delogu Ibba, Gos. Innoz., p. 116).
|| sp. acendrado.
assendràre tr. raffinare, purificare. || sp. acendrar.
assenegàda s.f. l’atto d’invecchiare. Ben’hapat s’assenegada
ch’ha fattu! sarebbe stato meglio che non fosse invecchiato.
assenegàdu agg. invecchiato.
assenegàre intr. invecchiare. || lat. senex.
assensadèsa s.f. assennatezza, prudenza, accortezza.
assensàdu agg. sensato, assennato, prudente, accorto. Est
un’omine meda assensadu è un uomo molto giudizioso.
assensalàdu agg. gravato di censo. Binza assensalada vigna su
cui grava un censo. Su ch’had est assensaladu ipotecato (Seche).
assensalàre tr. gravare di censo. Pro seguridade m’had assensaladu una domo per sicurtà ha gravato di censo in mio favore
una casa.
assensòre s.m. assessore, giudice. Assensores poderosos / in sos
divinos rigores (Delogu Ibba, p. 65). De su re celestiale / giustissimos assensores (Delogu Ibba 83). Incaricato dei censi
(Mss. Illorai).
asserìre
assénsu s.m. assenso, consenso. Dar’assensu consentire. | Deretano → ASSÉSSU.
assentàda s.f. l’atto di collocare; scrivere, notare. A sa prima
assentada ndh’hamus iscrittu chentu nel primo appunto ne abbiamo scritto cento. | avv. A s’assentada posatamente, seriamente. Iscrier a s’assentada scrivere adagio, ponderatamente;
faeddhare a s’assentada parlar seriamente.
assentadòre s.m. chi colloca; chi nota, scrive, prende appunti.
assentàdu agg. collocato; notato, scritto, trascritto. Sicuro.
Ponner no poto unu passu assentadu (Picoi).
assentàre tr. collocare. Assenta cussu carradellu colloca la botte
sulla calastra. Vestire, adornare. Assentendhe s’isposa (A. Sp.).
Notare, scrivere, appuntare. Assenta sas ispesas de su viaggiu nota
le spese del viaggio. | rifl. inscriversi. Mi so assentadu in sa Soziedade de S. Lughia mi sono inscritto alla Società di S. Lucia.
Sedersi. Assèntadi igue, e mudu! siediti costà e taci! Impegnarsi,
curarsi. Anzis a la cultivare / cun premura pius m’assento (An.). |
Assentarsi. S’est assentadu pro duos meses si è assentato per due
mesi. In quest’ultimo senso è raro; piu com. → AUSENTÀRE.
assènte agg. assente. Anche sost. Marca sos assentes nota gli
assenti. Più com. → AUSÈNTE. | Anche privo. Assente d’ogni
allegria / e d’ogni modu ’e gosare (An.).
asséntu1 s.m. nota, appunto, scrittura. Pro proa già m’has a
bogare s’assentu! per prova mi produrrai lo scritto! | Fermezza,
riposo. Istare in assentu stare in riposo. No haer assentu illogu
non star mai fermo, vagare di qua e di là. Fagher a