Corriere di Romagna - Unindustria Rimini

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Corriere di Romagna - Unindustria Rimini
UNINDUSTRIA RIMINI
Lunedì, 14 dicembre 2015
UNINDUSTRIA RIMINI
Lunedì, 14 dicembre 2015
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14/12/2015 Il Resto del Carlino (ed. Rimini) Pagina 2
GRAZIA BUSCAGLIA
«Le mie aziende divorate dalla banca Ora per mangiare vado alla...
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Istituto costretto a risarcire l' investitore
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ENRICO CHIAVEGATTI
Imprenditore denuncia: «Rovinato dalla
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Tutto cominciò con le magliette E oggi è di tendenza su...
Industry 4.0 e più investimenti L'Emilia­Romagna sogna di mettere...
14/12/2015 La Voce di Romagna
Rovinato e fallito, ora vive con la Caritas
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«Perizia troppo cara, tagliate la parcella»
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MASSIMO DEGLI ESPOSTI, ANDREA RINALDI
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Il Resto del Carlino (ed.
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«Le mie aziende divorate dalla banca Ora per
mangiare vado alla Caritas»
Ex imprenditore chiede alla Finanza di sequestrare i vecchi conti
«IL MIO DISSESTO economico culminato in
due fallimenti?
Colpa di una banca, di Banca Marche. Ero un
uomo di successo, adesso sono costretto a
mangiare alla Caritas. Molte volte ho pensato
anche io di farla finita». La voce trema a
Alessandro Recchia, 59enne veneto, residente
a Savignano, che fino a due anni fa possedeva
un piccolo impero immobiliare nel Riminese
con cantieri a Cerasolo, Rimini e Misano e un
hotel ristrutturato a Miramare.
Assistito dall' avvocato Cristiano Basile, l'
uomo ha deciso di raccontare la sua storia.
«HO APPENA presentato denuncia alla
Guardia di Finanza di Rimini ­ spiega ­ perchè
chiedo che vengano verificate eventuali
condotte penali ma soprattutto di acquisire la
documentazione relativa ai conti delle società.
La mia vita è a pezzi, devo prendere
antidepressivi per andare avanti, sono in cura
da diversi specialisti. E solo perchè ho
commesso l' errore di avere fiducia nel
responsabile di una filiale della Banca Marche,
con il quale ero diventato amico e che invece
mi ha ingannato, facendomi firmare documenti con la scusa di ridurmi il tasso d' interesse dei mutui che
avevo in essere con la banca. Ma non avevo la minima idea di cosa fossero quelle carte anche perché
non mi è mai stata consegnata la copia, nonostante l' avessi richiesta. Non è riuscita ad averli da Banca
Marche neanche una delle mie curatrici fallimentari, come si legge nell' allegato alla denuncia penale».
Quei documenti firmati dall' imprenditore altro non erano che titoli derivati ad alto rischio. Recchia, che
era socio in due imprese, una edile e una alberghiera, aveva acceso un mutuo negli anni 2008 e 2009
per il finanziamento delle sue ditte per 2 milioni e 550mila euro, nonché un fido di 450mila euro. «Nella
primavera del 2009 vengo chiamato dal direttore della filiale che mi prospetta la possibilità di ridurre il
tasso di interesse dello 0,5 % ­ continua l' ex imprenditore ­. Così firmo alcuni documenti necessari a
espletare la pratica. Nonostante ne avessi chiesto la copia, il responsabile della filiale mi dice che
avrebbe conservato tutto lui. E mi fido». Recchia sottoscrisse in varie circostanze i titoli derivati. «Io non
avevo mai sentito parlare di swap o derivati ­ continua ­ me ne accorsi per caso quando, sul conto dall'
home banking, vidi che c' era una strana movimentazione che non avevo effettuato.
La nuova direttrice mi spiegò che avevo firmato dei non ben precisati prodotti derivati. E da lì ha avuto
inizio il mio calvario. Andai anche a Pesaro, a Banca Marche, diverse volte per tentare di sbloccare la
situazione, ma il tutto peggiorò. In forza di quei derivati la banca continuava a trattenermi somme
percentuali e io mi ritrovai senza liquidi e non più in grado di far fronte ai miei obblighi. Ed i creditori, la
banca per prima, mi assalirono. Così le mie due aziende fallirono e ora non ho più nulla. Mi hanno
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portato via anche la casa dei miei figli, quella dei miei suoceri , immobili per oltre tre milioni di euro.
Sono costretto a chiedere i soldi a mia madre che vive con la pensione minima. Ho pensato di
uccidermi molte volte, ora voglio giustizia».
Grazia Buscaglia.
GRAZIA BUSCAGLIA
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IL PRECEDENTE
Istituto costretto a risarcire l' investitore
A PROPOSITO di swap, lo scorso novembre
la Corte di appello di Milano ha condannato
u n a banca a r i s a r c i r e u n imprenditore
lombardo che aveva sottoscritto derivati nel
2004. Banca Marche, l' istituto di credito sotto
accusa da parte dell' imprenditore, è lo stesso
istituto interessato in questi giorni dal piano di
salvataggio insieme con Banca Etruria, Carife
e Carichieti.
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Imprenditore denuncia: «Rovinato dalla banca, le
mie aziende nel baratro»
RIMINI. Da imprenditore di successo prima nel
mondo delle quattro ruote (Volvo l' ha premiato
come miglior venditore d' Europa di camion e
bus nel '97) e poi del mattone, a disoccupato
con gravi problemi di salute «che vive della
pensione minima e dell' aiuto dei figli».
Tutto per "colpa", asserisce nell' esposto
denuncia presentato alla guardia di finanza di
Rimini, del direttore di una filiale del Cesenate
della Banca delle Marche.
«Un "amico"» ­ dice con la voce di chi ormai
non sa più che pesci prendere Alessandro
Recchia, 59 anni, veronese d' origine
romagnolo da più di due decenni, residenza a
Savignano sul Rubicone, che quando ha
iniziato a costruire un complesso residenziale
di 14 appartamenti a Misano Adriatico, così
come già fatto con diversi istituti di credito del
territorio, ha aperto con Banca delle Marche
una linea di credito, un finanziamento di 2,550
milioni di euro «a un tasso del 6,20 per cento».
Nello stesso periodo aveva aperto un cantiere
a Cerasolo da cinque appartamenti serviti per
"barattare" la proprietà del' hotel Aurora
Miramare di cui stava partendo la
ristrutturazione. Così, sostiene Recchia,
quando il direttore per due volte a maggio e
nel novembre del 2008, lo ha invitato in
agenzia perché grazie al crac della Leman Brothers poteva scontargli gli interessi di uno 0,50 ogni volta,
«sono corso perché il risparmio sarebbe stato consistente». Ed è stato l' inizio di una lunga agonia
protrattasi fino alla fine del 2013, quando la giustizia ha decretato il fallimento delle sue società. Le firme
apposte a quella che gli era stata presentata come una rinegoziazione, giura e sottoscrive nella
denuncia «su documenti di cui non mi fu data copia» sarebbero state utilizzate dal direttore per
operazioni ad alto rischio con i famigerati Swap che tanti Comuni hanno messo in ginocchio. «Prodotti
di cui io non sapevo neppure dell' esistenza» sottolinea Recchia. Operazioni di cui viene a conoscenza
solo dopo il trasferimento del direttore "amico" che a ogni sua richiesta di copia della documentazione
degli "sconti" sui tassi, secondo l' esposto, fa orecchie da mercante. E che scopre per caso leggendo le
rendicontazioni dei due conti correnti aperti con il finanziamento per l' operazione Misano.
Chiede così spiegazioni alla persona che ha preso il posto del vecchio direttore. «La quale mi dice che
erano stati effettuati dal suo predecessore per fare degli accantonamenti in maniera tale da non correre
il rischio di non aver disponibilità per far fronte ai titoli derivati che, mi sottolineò, avevo sottoscritto ed
erano in perdita». Alle minacce di sporgere denuncia, scrive sempre Recchia nell' esposto, disse «che
avrebbe pensato lei a risolvere la questione, con una rinegoziazione del derivato in modo tale che io
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non ci rimettessi del denaro». Che in effetti lui sottoscrisse il 16 dicembre del 2009: «Nelle loro
intenzioni, dicevano, avrebbero permesso di non perdere le disponibilità finanziarie che avevo e di
recuperare quelle perse».
In realtà l' emorragia non cessò perché la banca continuò a trattenere le somme dovute, così «mi ritrovai
senza liquidi e dunque non più in grado di far fronte ai miei impegni con riferimento al cantiere di
Misano». I mancati proventi della vendita dei 14 appartamenti si sono quindi riflessi anche sull' hotel
Aurora Mare: come la catena di sant' Antonio dal blocco dei lavori di ristrutturazione in men che non si
dica si arrivò all' assedio da parte di fornitori e creditori culminato il 30 agosto del 2013 con la
dichiarazione di fallimento dell' Aurora Mare sas da parte del tribunale di Rimni e della Rar snc il 31
ottobre dello stesso anno. Seduto dietro la scrivania dello studio del suo legale, l' avvocato Cristiano
Basile, sottolinea più volte di come non abbia mai avuto copia di uno dei documenti che gli hanno
rovinato la vita. Neppure quando accompagnato a Pesaro ha avuto risposte esaustive «anche se in
quella grande sede l' alto dirigente con cui ho parlato ha mostrato di sapere tutto».
Un problema, quello delle carte, che ha avuto anche la curatrice dei due fallimenti: ben due sue
richieste, come allegato nell' esposto, non sono state evase da Banca delle Marche.
Per questo nell' esposto denuncia alle fiamme gialle, chiedono il loro sequestro. «Quando ero un
imprenditore di successo e sentivo parlare di qualcuno che si era tolto la vita dopo un rovescio
finanziario, mi guardavo allo specchio e mi dicevo di non capire. Adesso, vi posso garantire, lo capisco.
E molto bene».
ENRICO CHIAVEGATTI
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Il caso. Nell' eventualità di un processo e di una condanna sarebbero loro a dover rifondere le
spese di giustizia sostenute durante le indagini
«Perizia troppo cara, tagliate la parcella»
Una parte degli imputati dell' inchiesta Carim fa ricorso contro il decreto di liquidazione
RIMINI. «Quella perizia? E' troppo cara».
Insorgono alcuni imputati dell' inchiesta Carim:
nel caso di un' eventuale condanna, infatti, la
giustizia presenterebbe loro il conto delle
spese sostenute durante le indagini. Si spiega
così il ricorso presentato nei giorni scorsi al
presidente del Tribunale in opposizione al
decreto di liquidazione per la consulenza
tecnica sul bilancio, vistata dalla procura. Gli
avvocati difensori Giovanni Boldrini e Gian
Paolo Colosimo (per undici posizioni) e Piero
Gualtieri (per due posizioni) contestano la
parcella del professionista e chiedono un
taglio secco (da 180mila euro a 15mila). A loro
avviso il compenso ottenuto dal
commercialista lombardo è eccessivamente
"salato" e andrebbe decurtato. Il lavoro d e l
professionista è alla base dell' inchiesta Carim
conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio
per 23 tra ex ammini stratori, manager e
membri del collegio sindacale (udienza
preliminare 8 marzo 2016). La Guardia di
finanza di Rimini nel mettere sotto la lente la
presunta gestione dei finanziamenti, in anni
ormai lontani, ipotizzò che non sempre erano
assistiti da adeguate garanzie.
Il periodo preso in considerazione dall' inchie
sta va dal 2009 fino al commissariamento
disposto nell' ottobre 2010. Ed è proprio per analizzare i bilanci di quel periodo che la procura si è
rivolta al commercialista lombardo, "fuori piazza" e specializzato in materia bancaria, in particolare per
verificare la consistenza e la veridicità degli accantonamenti in soffe renza. Un passaggio chiave per l'
indagine, anche se i ricorrenti fanno notare che il consulente non partiva da zero, ma aveva già a
disposizione oltre alla dettagliata relazione del Nucleo di polizia tributaria delle fiamme gialle anche
quella ispettiva di Bankitalia.
L' esame dei crediti in sofferenza, secondo l' in terpretazione dei ricorrenti, avrebbe dovuto considerarsi
ricompreso nel vaglio dei bilanci. Le spese di giustizia, stando ai loro calcoli, a quel punto avrebbero
dovuto scendere drasticamente: tra i seimila e i quindicimila euro, al massimo.
L' avvocatura generale dello Stato (presso la Corte d' appello di Bologna), prima di autorizzare la
liquidazione della parcella, aveva invitato la procura a riconsiderare l' importo. Il ricalcolo, sulla base
delle voci indicate dal professionista, si è però assestato più o meno sul "conto" precedente,
comprensivo dell' Iva. La procura ha così liquidato complessivamente l' ammontare di 180mila euro.
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Corriere di Romagna
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Gli imputati, attraverso i loro difensori, esprimono adesso dei dubbi sulla legittimità dei criteri e sulla
congruità degli importi. I legali chiedono di riconsiderare la correttezza dei parametri di spesa addotti
dal perito. La con sulenza è comunque inattaccabile sul piano della complessità e della rilevanza. Nei
bilanci della banca emerse, tra l' altro, che non venivano svalutati i crediti concessi a soggetti o società
che non potevano onorare i propri debiti verso l' istituto. La perizia contribuì a portare alla luce
valutazioni arbitrarie e sproporzionate. I ricorrenti negano però che si tratti di una "vendetta". Più che
agli sprechi pubblici, pensano alle loro di tasche. Il commercialista, noto e apprezzato, rischia invece di
dover restituire la somma in eccesso qualora l' impugnazione fosse accolta. Non è neppure chiaro
adesso chi dovrà valutare se calare o meno la mannaia sui conti del consulente tecnico. E' probabile
che il presidente del tribunale deleghi la questione a un altro giudice civile: ricorsi del genere a Rimini
sono più unici che rari. L' esito, incerto. (a.r.
)
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Corriere Imprese (ed.
Emilia Romagna)
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L' azienda La storia
Tutto cominciò con le magliette E oggi è di tendenza
su Vogue Japan
C' è stato un momento che ha fatto da
spartiacque nella vita di Yuri Scarpellini e di
suo figlio Michael. Era intorno all' estate del
2008, quando cominciarono a comparire in
giro per la Riviera magliette raffiguranti un
atletico Gianni Agnelli in bianco e nero. Chi
poteva pensare di trasformare in icona l'
Avvocato? Proprio loro due, che a quell' idea
così pazza ne affiancarono altre, scritte
graffianti, bon mots, marchi griffati interamente
stravolti. Colori fluo o scritte nere su sfondo
bianco. Con delle magliette non proprio
convenzionali Happiness si stava affacciando
sul panorama modaiolo italiano.
«Quando davo il meglio con la mia creatività
facevo merchandising per i club di mezza
Europa, di Ibiza, stampavo le bandane per
Pantani, le maglie per i tour della Pausini, per
Marco Simoncelli», racconta Scarpellini, che
alla parola fondatore preferisce «mentor», e al
riposo tantissimo sport come corsa, nuoto e
bicicletta (in azienda ha fatto installare una
palestra, e altre tre ne ha donate alla città di
Rimini).
Scarpellini ha lavorato anche quattro anni con
Richmond e dieci con Dsquared, ma è il figlio,
dopo aver lavorato a Londra e aver studiato al
Fashion institute of design and merchandising,
che lo spinge a fare il salto di qualità. La prima
collezione viene presentata al White nel 2008 e le maglie riminesi vengono acquistate da broker che le
usavano a loro volta come gadget. Yuma Srl, la società che oggi produce e distribuisce i prodotti a
marchio Happiness, incorpora l' azienda di serigrafia di Scarpellini attiva da oltre 30 anni. I soci sono lo
stesso Scarpellini con la compagna Manuela Mussoni.
Golden Boys srl è invece la società proprietaria del marchio Happiness e Rock' n'Roll, nonché di altri
marchi minori. I soci qui sono Michael Scarpellini e suo padre. Le due società sono collegate da un
contratto di licenza in esclusiva per entrambi i marchi.
Nel primo anno di vita Happiness arriva in 200 retail italiani accanto a brand più famosi. Il resto lo hanno
fatto i vip; tra i testimonial involontari si segnalano i coniugi Totti e Beckham, Fabrizio Corona, lo chef
Gordon Ramsay, Paris Hilton, Anne Hathaway, Belen Rodriguez. Ormai da antologia è la foto che ritrae
Nicole Minetti con la maglia «Senza t­shirt sono ancora meglio». Oggi i capi Happiness e Rock' n'Roll
nascono tutti a Rimini, l' azienda conta 60 dipendenti con un' età media di 28 anni. Il fatturato è di 13
milioni di euro, più un volume generato dagli accordi di licenza pari a 5 milioni, in crescita del 25%
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Corriere Imprese (ed.
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rispetto al 2014. Vengono venduti in 2.000 punti vendita, 650 solo in Italia (di cui 8 diretti che
diventeranno 10 nei primi 6 mesi del 2016). Il Giappone è il Paese che registra le vendite maggiori,
dopo l' Italia.
Non a caso Happiness è finito pure sulla cover di Vogue Japan.
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Corriere Imprese (ed.
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Industry 4.0 e più investimenti L'Emilia­Romagna
sogna di mettere il turbo alla ripresa
di Massimo Degli Esposti e Andrea Rinaldi
Cresce la voglia di investire delle aziende
emiliano ­romagnole; salgono anche la quota
di fatturato destinato agli investimenti (il 4,4%
contro il 4% del 2013), e l' importo medio per
le 40 maggior aziende della regione che da
sole hanno realizzato il 70% del valore
complessivo. Un' azienda su due ha introdotto
nuove tecnologie nel settore dell' informatica e
delle telecomunicazioni e tre su quattro lo
faranno comunque nei prossimi due anni. Un
quadro incoraggiante, dunque, quello tracciato
dal sedicesimo rapporto sugli investimenti
delle aziende industriali dell' Emilia­Romagna
realizzato dalle territoriali di Confindustria i n
collaborazione con Banca Intesa Sanpaolo.
Tuttavia l' indagine evidenzia anche una serie
di fattori che ostacolano i nuovi investimenti.
Primo fra tutti l' incertezza sul futuro, poi la
difficoltà nel reperire risorse finanziarie e il
difficile rapporto con la burocrazia. Infine il
rapporto evidenzia una certa difficoltà delle
nostre imprese a cogliere pienamente il rilievo
di alcuni cambiamenti strategici nel modo di
fare industria, in particolare la sfida di Industria
4.0, ancora un oggetto misterioso per un'
azienda su due. La presentazione del
rapporto, giovedì scorso, è stata seguita da un
dibattito fra rappresentanti dell' industria e
curatori del rapporto.
Marchesini Le piccole imprese soffrono di un' informazione non sufficiente sui macro trend dello
sviluppo industriale Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria EmiliaRomagna ha evidenziato
come il fattore dimensionale sia critico anche per gli investimenti.
Una piccola impresa su cinque, infatti, non ha realizzato investimenti l' anno scorso e non lo farà
nemmeno quest' anno. Le Pmi sono anche quelle meno informate sulle tematiche di Industria 4.0, quelle
più in ritardo nell' introduzione di nuove tecnologie Ict e quelle che ancora hanno più difficoltà nel
reperire finanziamenti. Principalmente le piccole imprese, ma più in generale il tessuto industriale
Emiliano ­Romagnolo, soffrono quindi di «una insufficiente informazione sui macro trend legati allo
sviluppo industriale e avrebbero necessità di essere accompagnati nella scoperta di nuove opportunità
tecnologiche e nuovi sbocchi commerciali sui mercati esteri».
Per Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, «il 2016 potrà essere l' anno del la svolta
per gli investimenti delle imprese italiane». Merito di una combinazione di fattori quali un credito sempre
più disponibile, i tassi di interesse mai così bassi e le prospettiva di ripresa che si stanno rafforzando.
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Per quanto riguarda l' Emilia­Romagna, lo studioso di Intesa si aspetta un comportamento che nel 2016
anticiperà la tendenza generale italiana: «Ci sono già segnali positivi della domanda di credito e del
comparto delle imprese che vedono una risalita. Nel 2016 saremo più forti».
«Ci sono già segni positivi De Felice Il 2016 potrà essere l' anno della svolta per l' espansione del
credito.
MASSIMO DEGLI ESPOSTI, ANDREA RINALDI
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La Voce di Romagna
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Rovinato e fallito, ora vive con la Caritas
IL CASO Spuntano come funghi cittadini e imprenditori truffati da Banca Marche La
storia del 59enne Alessandro Recchia
"Non ho più niente, ho perso tutto. I miei
immobili e quelli intestati a mio suocero sono
stati messi all'asta, mi hanno rovinato.
Alessandro Recchia, 59enne imprenditore
edile­alberghiero, nato a Verona ma
trasferitosi a Savignano sul Rubicone 35 anni
fa, è un uomo disperato.
Sabato scorso, assistito dall'avvocato
Cristiano Basile, si è finalmente deciso a
denunciare alla Guardia di Finanza di Rimini
quella che lui considera una truffa a tutti gli
effetti.
Di mezzo c'è Banca Marche, rea, secondo
l'imprenditore, di averlo raggirato facendogli
sottoscrivere con l'inganno titoli derivati (detti
anche swap). Con l'istituto di credito
marchigiano ­ racconta Recchia ­ avevo
stipulato due mutui, uno da 2 milioni e 550mila
euro, l'altro da 459mila, soldi che mi servivano
per completare la costruzione di 14
appartamenti a Misano e ristrutturare un hotel
a Miramare. Siamo tra fine 2008 e inizio 2009,
quando la situazione inizia a precipitare: L'ex
direttore della filiale di Savignano, al quale mi
legava un rapporto di fiducia, un giorno mi
convoca per una sorta di ricontrattazione del
mutuo, proponendomi un abbattimento degli
interessi di mezzo punto. Un'occasione che
l'imprenditore coglie al volo: Firmo in tre distinte occasioni dei contratti, dei quali però non mi è mai
stata rilasciata copia, per avere tassi più agevolati. Mi sembra una proposta allettante e poi di quel
direttore io mi fidavo. Invece, l'imprenditore, non immagina di aver sottoscritto la condanna a morte'
delle sue imprese: In realtà mi avevano fatto firmare dei titoli derivati che stavano erodendo tutto il
capitale del mutuo ­ spiega Recchia ­. E' stato questo inganno a condurmi alla rovina: i soldi del mutuo
sono finiti tutti nelle perdite dei derivati. In pochissimo tempo mi sono ritrovato senza liquidità, il
fallimento è stato una conseguenza inevitabile. Nelle mani, purtroppo, il 59enne originario di Verona non
ha praticamente nulla per riuscire a dimostrare la presunta truffa. La maggior parte dei documenti,
infatti, sono ancora in possesso della banca, che si è rifiutata persino di consegnarli alla curatrice
fallimentare nominata dal Tribunale. La scrivente ha richiesto a Banca delle Marche la produzione di
copia dei movimenti e della contrattualistica regolante i rapporti intrattenuti con la società fallita già a far
data dalla prima decina di dicembre 2013 ­ si legge in una relazione depositata alla cancelleria del
Tribunale di Forlì dalla professionista ­. Ulteriore sollecito è stato inviato poco prima di Natale, ma ad
oggi alcun documento è stato prodotto dall'istituto di credito. Ora alle fiamme gialle, con il deposito della
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denuncia­querela, l'imprenditore ha chiesto di verificare eventuali condotte penali, ma soprattutto di
acquisire quella stessa documentazione che neanche la curatela fallimentare è riuscita a farsi
consegnare da Banca Marche. Mi hanno distrutto ­ ribadisce ancora una volta Recchia ­, sono caduto in
depressione e oggi vivo grazie all'aiuto dei miei figli e della Caritas. Per fortuna la mia famiglia non mi
ha abbandonato, ma andare avanti è dura. Prima, quando leggevo di gente che si suicidava dopo aver
perso tutto, mi dicevo: «Ma come si fa? Non farei mai una cosa del genere». Ora, invece, li capisco.
Lamberto Abbati
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