L`importanza della mediocrità

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L`importanza della mediocrità
I PENSIERI
DEL SALMONE
L’importanza della mediocrità
(e l’ipocrisia sui Talenti)
“Uno dei presupposti del successo è la mediocrità”
Wim Wenders
Una azienda di consulenza strategica è stata fino alla metà degli anni 90
un’ organizzazione elitaria: poche persone, ossessivamente selezionate, con
il gusto di essere di pochi e per pochi. Quella azienda ha iniziato a crescere
(ad avere successo?) solo quando ha fatto della mediocrità un valore: il tipo
di lavoro fatto (mediocre), il tipo di persone selezionate (mediocri), il nuovo
top management (mediocre).
In molte aziende si afferma ufficialmente l’importanza di selezionare e
motivare le persone eccellenti ed eccezionali, i “Talenti”. Nella realtà è
spesso una ipocrisia: per avere successo (a prescindere se avere successo
sia giusto o no) essere mediocri è una migliore base di partenza. Gli “outliers”
sono, nei fatti, spesso un disturbo alla gestione corrente delle attività.
Poi, ovviamente, sarà sempre possibile e facile trovare dei buoni motivi
per dire che tanto eccezionali non erano: “non fa squadra”, “ha un
brutto carattere”, “i clienti non lo capiscono”, etc. etc. Nella realtà si sta
semplicemente perpetuando una organizzazione mediocre. Non significa
che un’organizzazione mediocre non possa avere successo, anzi.
Tutti noi invece pensiamo di non essere mediocri, quando nella realtà
statisticamente è molto probabile che sia così. Ci piace però immaginare
che facciamo parte di un’organizzazione di eccellenti, e noi di essere i più
eccellenti di tutti.
Una organizzazione di successo nel medio termine è brava a far leva sulla
mediocrità: delle persone che lì lavorano, delle persone che acquistano i
propri prodotti:
• Le politiche di selezione del personale devono capire che per la stragrande
maggioranza delle posizioni non è necessario cercare ed assumere piccoli
geni. Supposto pure di trovarli (e anche qui ci sarebbe da discutere: su
come noi mediocri si possa riuscire a riconoscere e selezionare i pochi
eccezionali....), se la posizione è oggettivamente per attività di medio
livello, assumere uno “overqualified” è un errore. Molto meglio essere
meno ipocriti: dirsi che per molte posizioni ci vogliono buoni vogatori,
e non potenziali CEO. Mettere tanti potenziali capitani a combattere per
vedere chi vince, è una strategia solo apparentemente corretta (anche se
cinica): non è neanche oggettivamente corretta, perché non tiene conto
dei danni che produce nel tessuto profondo dell’organizzazione, e non
porta al successo della specifica iniziativa.
• Premiare lo spirito di squadra, e meno l’individualismo, non deve essere
uno slogan: se ci sono due Maradona nella squadra, ma alla fine perdo,
non va bene. Se poi (come probabile) i due non sono neanche Maradona,
ma si credono tali, e agiscono di conseguenza, peggio ancora.
• Nello sviluppo prodotto, se penso che i miei gusti elitari siano in realtà
comuni ai più, commetto un grande errore, a meno che oggettivamente
non sia e non voglia rimanere in un mercato di nicchia. Al Capo
sviluppo prodotto piacciono cose particolari, di nicchia, esclusive. Se
è inconsciamente frustato dal fatto di lavorare per un’azienda che fa
prodotti di consumo, semmai neanche così interessanti, con un Brand di
massa, e quasi se ne vergogna, non va bene. Semmai passa più tempo
sul Brand di nicchia, in attività velleitarie, che non su quello che porta a
casa la pagnotta.
E nel lungo termine? Beh, nel lungo termine, non funziona proprio cosi…
grazie a Dio.
L’azienda mediocre vive bene anche per anni e anni. Forse è stata eccellente
in periodi storici limitati, e per molto tempo poi beneficia di quel valore iniziale
sopra agli altri creato da poche persone (loro sì veramente eccezionali).
Fino al prossimo momento in cui arriva, per davvero, sul mercato l’outlier, il
talento vero, l’azienda che cambia le regole del gioco. L’azienda mediocre va
in crisi, con tutta la sua ipocrisia sui talenti. E il ciclo ricomincia.
Il professore sceglie l’assistente un po’ meno bravo di lui, così da apparire
inequivocabilmente più importante. Anni dopo l’assistente, a sua volta
diventato professore, sceglierà un assistente un po’ meno bravo, e così via.
Sempre più giù, fino al momento in cui il Professore sceglierà un assistente
all’apparenza meno bravo, ma che invece è così intelligente, un genio
incompreso, da apparire ai poveri occhi del Professore, più mediocre di lui.
E, invece, era un genio.
E il ciclo, allora, grazie a Dio, ricomincia.
Giovanni Carlino
(2013)
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