Discorso del Sindaco di Macerata, Romano

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Discorso del Sindaco di Macerata, Romano
Il Sindaco
11 MAGGIO 2010
IV CENTENARIO DELLA MORTE DI PADRE MATTEO RICCI
MACERATA, SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE
DISCORSO COMMEMORATIVO
Rivolgo il mio cordiale saluto alle illustri autorità presenti, a Sua Eminenza Card. Joseph Zen Zekiun, vescovo di Hong Kong , a mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, al signor Prefetto
Vittorio Piscitelli, il signor questore Giuseppe Oddo, agli assessori regionali e provinciali, ai
rappresentanti delle istituzioni territoriali e culturali, alle autorità tutte e ai gentili ospiti che con la
loro presenza hanno voluto onorare questa cerimonia.
E’ questo un momento solenne con cui l’Amministrazione comunale e la città vogliono rendere
omaggio al suo più illustre figlio, padre Matteo Ricci, nei 400 anni dalla morte. E’ per me motivo di
grande onore, in qualità di primo cittadino, presiederlo qui, nella più alta sede istituzionale della
città.
L’11 maggio 1610, l’illustre gesuita maceratese si spegneva a Pechino e la Cina dell’imperatore
Wanli gli concesse - prima volta nella storia di quel popolo - il terreno di sepoltura. La tomba di
Padre Matteo Ricci è ancora oggi custodita nel cimitero di Zhalan, a Pechino e la sua straordinaria
figura amata e onorata dal popolo cinese. Nella sala d’onore del Millennium Museum di Pechino,
padre Matteo Ricci figura tra i grandi della storia cinese, insieme a imperatori, ministri, intellettuali,
eroi della Cina.
E’ questo uno dei segni più evidenti, ancora oggi - dopo quattro secoli dall’epoca in cui egli operò di quanto fu grande Matteo Ricci.
Missionario della Compagnia di Gesù, umanista, matematico, astronomo, cartografo e letterato,
Matteo Ricci fu il primo occidentale che riuscì a entrare in contatto profondo con la cultura e la
società cinesi tanto difficili da penetrare.
Ricci nacque il 6 ottobre 1552 a Macerata, che all’epoca era sede dell’Amministrazione Pontificia
della Marca. Nacque a poche decine di metri da qui, nell’isolato urbano tra le attuali vie Armaroli e
Gramsci e i vicoli Ferrari e Ulissi, dove avevano sede alcuni “fuochi” dell’antica famiglia Ricci. A
Macerata ricevette la sua prima formazione presso il Collegio dei Gesuiti che da poco era stato
aperto in città per volontà espressa dallo stesso fondatore dell’ordine, Ignazio da Loyola
All’età di 16 anni, per studiare legge alla Sapienza di Roma Matteo lasciò Macerata e non vi fece
più ritorno. Da qui entrò nella Compagnia di Gesù dove proseguì la sua formazione secondo la
regola gesuita. Nel 1577 fu inviato prima in India e poi in Cina per ordine di Padre Alessandro
Valignano, il visitatore delle missioni delle 'Indie Orientali'. Le missioni in quella terra così
diffidente e chiusa agli stranieri necessitavano di persone preparate ed in grado di apprendere bene
una lingua tanto difficile. Matteo rispondeva a tali requisiti.
Nei 28 anni trascorsi nel Regno di Mezzo, Ricci con attività instancabile aprì la Cina all’Europa
facendo altresì conoscere a quest’ultima la civiltà del grande Paese orientale. Imparò a conoscere e
ad amare “l’altro mondo della Cina”, verso il quale egli nutrì una profonda simpatia, rispetto ed
amicizia nella sua totalità di storia, cultura e tradizione.
Apprese la lingua cinese ed i classici confuciani. Frequentò i letterati, trasmise - attraverso la
pubblicazione di opere - il pensiero della cultura classica greco-latina, introdusse le conoscenze
scientifiche e la matematica Euclidea grazie anche l’aiuto intelligente ed all’amicizia sincera dei
suoi discepoli Xu Guangqi e Li Zhizao.
Li Madou, XI-TAI - ovvero il Maestro d’Occidente, come lo chiamavano i cinesi - si fece penetrare
profondamente dallo spirito di quel popolo, spinto da amore e rispetto per la sua civiltà.
Mosso dallo spirito di Carità, dall’obbedienza alla missione cui era stato destinato, dalla sua
apertura straordinaria verso il diverso, nonchè dall’amore per la scienza e la conoscenza, Matteo
Ricci fu così l’artefice di una impresa straordinaria: conquistare la fiducia ed il rispetto dei cinesi
fino a farsi accogliere nella città proibita, mettere in contatto due civiltà tanto diverse e lontane,
aprire la reciproca conoscenza.
Ciò che non era riuscito alle potenze del tempo riuscì ad un solo uomo, ad un maceratese.
In tutto questo sta la grandezza di Matteo Ricci: il suo approccio umile e rispettoso, la sua grande
opera di mediazione culturale, la sua lungimiranza, la capacità di affascinare - attraverso
l’integrazione e la reciproca comprensione - una Terra immensa, una tradizione più che millenaria
ne fanno un personaggio straordinario, fondatore della moderna sinologia..
Entrambe le culture ne avrebbero tratto degli insegnamenti futuri, mai ci fu una netta predominanza
dell’una sull’altra ma un reciproco scambio, una simbiosi ed, al fine, un reciproco rispetto.
Quanto sia di attualità questo modo di operare, quanto si abbia bisogno, oggi, di ritrovare quel senso
di accettazione, riconoscimento, ascolto, dialogo credo sia sotto gli occhi di tutti, in contrasto a
rivendicazioni di “primazie” culturali del tutto infondate che nascondono, tra argomentazioni più o
meno scientifiche, un senso di evidente disagio verso ogni forma di diversità culturale , se non
addirittura forme di razzismo e di xenofobia.
Ricci comprese che per penetrare in una cultura così distante da quella occidentale, ma allo stesso
tempo altrettanto grande, occorreva conoscerla e farla propria a cominciare dalla lingua.
“Mi feci cinese in tutto” scrisse ai suoi confratelli. Occorreva in altre parole condividerla ed
attraverso questa condivisione introdurre la conoscenza del pensiero e della cultura occidentale. Fu
una “conquista” pacifica come del resto non poteva che essere, ma soprattutto fu conquista
“reciproca”.
Nell’attuale contesto multietnico e multiculturale che impone il dialogo tra le culture, l’opera di
Matteo Ricci rappresenta un paradigma straordinariamente valido ed attuale, un esempio da imitare
e da seguire.
Non dobbiamo chiuderci in fortezze ideologiche né costruire barriere culturali, ma avere l’umiltà di
imparare a comprendere l’altro perché solo attraverso questa comprensione reciproca potremmo
conoscere pienamente noi stessi - consapevoli come Ricci - che gli uomini sono tutti uguali sotto lo
stesso cielo.
“Matteo Ricci è venuto in Cina in cerca di amici” dicevano gli intellettuali cinesi. L’Amicizia è la
relazione fondamentale tra tutti gli uomini. Attraverso l’Amicizia Ricci ha creato unione e
comunione tra uomini e civiltà che prima non si conoscevano.
Ha saputo riconoscere e valorizzare gli elementi di bene che si trovano nella civiltà umana, trovare i
punti di convergenza tra la dottrina occidentale e quella orientale confuciana. Lo fece con estrema
lealtà, senza mai celare la sua missione e senza porsi in contrapposizione con i suoi interlocutori.
Attraverso le azioni, il suo esempio e la sua missione egli ha concretizzato lo spirito della Carità
come cura dell’altro nell’ambito di un disegno più alto. Anche noi, come lui, dovremmo assumere
nei confronti del mondo lo stesso sguardo: vedere persone diverse ma non vedere diversità.
E’ questo il messaggio e l’esempio più grande che ci viene da Matteo Ricci.
Quando l’opera - o un’impresa, per citare un termine da lui stesso usato – compiuta da un
personaggio della Storia abbraccia valori alti ed universali, come nel caso di Matteo Ricci,
quest’uomo appartiene a tutta l’Umanità.
Siamo consapevoli che Ricci appartenga al mondo, senza dimenticare però le sue radici. Era nato a
Macerata e la sua città è orgogliosa di un figlio tanto illustre e vuol riconoscersi in lui.
Le celebrazioni dei 400 anni della morte di padre Matteo Ricci sono un’occasione - non per una
mera celebrazione - ma per avviare e portare avanti una grande operazione culturale e identitaria per
la città di Macerata nel nome del suo glorioso figlio.
Riconoscersi prima di tutto nel messaggio universale di Matteo Ricci - un messaggio di dialogo e
rispetto tra uomini e culture - e valorizzare la sua figura è un obiettivo cui l’Amministrazione
comunale vuol puntare.
Attraverso Matteo Ricci, Macerata e le Marche vogliono aprirsi al mondo, essere partecipi e
protagoniste della società globale e svolgere un ruolo di primo piano sulla scena dei rapporti
internazionali, a cominciare dalla Cina con cui già sono in essere rapporti di cooperazione culturale,
turistica ed economica.
Un’azione forte che connoti Macerata come la Città di Matteo Ricci per rendere strutturale e
permanente il segno ricciano, richiede la custodia della memoria e la consapevolezza della propria
l’identità.
E’ lo stesso Ricci che ci ricorda l’importanza di mantenere la memoria. Nella prefazione all’opera
“Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina” spiega perché ha voluto
scrivere di quella loro entrata nella Cina: perché non si perdesse traccia di una grande impresa, per
coloro che la porteranno avanti poi, convinto che sarebbe continuata dopo di lui.
“Molte volte, dice Ricci, avviene che, delle grandi Imprese et opere che nel mondo si fecero, non
potettero poi i posteri saperne i principij donde hebbero origine. E ricercando io alle volte la causa
di ciò, non seppi ritruovarne altra, se non l’essere tutte le cose (anco quelle che poi vengono a
riuscire grandissime) ne’ suoi primi principij sì piccole e deboli, che nessuno si può persuadere
facilmente di esse potere sorgere cosa di molto momento; e perciò coloro che le trattano puoco si
curano di notarle e scriverle….
Laonde, volendo io in qualche parte obviare a questo mancamento nelle cose della entrata de’
nostri e delle primitie della Christianità in questo vastissimo regno della Cina, mi mossi adesso a
raccogliere e disporre in ordine le cose più notabili di quelle che sino dal principio avevo notate in
questa materia…”
Ricci ci ha tramandato la memoria della sua impresa. Noi dobbiamo raccogliere e conservare questa
memoria perché attraverso la Memoria una comunità costruisce la propria identità.
Penso che noi, la gente della terra natale di Matteo Ricci e le sue istituzioni, dobbiamo e possiamo
assumerci questo compito.
Spesso si disquisisce se sia stato più grande in Ricci la figura di Religioso rispetto a quella
dell’intellettuale: è mia modesta opinione che noi oggi celebriamo l’uomo a tutto tondo senza
alcuna connotazione: l’uomo che seppe predicare senza predicare, che seppe insegnare senza
insegnare.
Le tante iniziative promosse in occasione del IV Centenario della morte hanno questo spirito che
non si spegnerà con la fine dell’anno ricciano.
Proseguirà, invece, affinché la figura di P. Matteo Ricci, restata per tre secoli nell’ombra a causa
delle note vicende a lui successive, possa trovare il riconoscimento che merita e perché la sua
apertura e lungimiranza culturale diventino anche il tratto distintivo e identitario della sua terra,
della sua città natale.
I progetti che il Comune sta portando avanti - insieme ad altre istituzioni - si inquadrano in questa
nuova visione della città. Sono la realizzazione dell’IRO (Istituto relazioni con l’Oriente) e del
Museo ricciano come polo museale e documentale per valorizzare la figura di Padre Matteo Ricci
nonché centro di attività di studio e ricerca finalizzate allo sviluppo delle relazioni con la Cina e con
l'estremo Oriente.
Esso si inserisce nel più ampio progetto di riordino e potenziamento del sistema dei musei che va
sotto il nome di "Museo diffuso", imperniato sul settecentesco palazzo Buonaccorsi appena
restaurato, che in un unico percorso di alto valore culturale coinvolgerà anche le raccolte d’arte del
Museo Diocesano e di Palazzo Ricci.
Il nostro progetto è, dunque, la sempre maggiore connotazione di Macerata come città di Matteo
Ricci, la città della cultura, del dialogo, dell’integrazione e cooperazione tra i popoli seguendo la
strada da lui stesso tracciata.
Penso che la grande impresa di Matteo Ricci abbia avuto il suo germe anche nella sua terra natale e
nella sua personalità che, secondo i biografi, presentava tratti riscontrabili nel carattere
marchigiano: schivo, umile, riservato e operoso, ma al tempo stesso accorto ed avveduto.
Per questo, vorrei concludere il mio omaggio a Padre Matteo Ricci, nel giorno in cui celebriamo i
400 anni della morte, con le parole con cui Li Madou descrive la sua terra al governatore Wang
Pang, indicandola nel mappamondo da lui realizzato - tratte dal libro “Il chiosco delle Fenici”.
«Non sono nato a Roma, ma in questa terra di mezzo sul mare Adriatico. Si chiama Marche ed è
abitata da uomini sobri e prudenti, più amanti del silenzio che delle parole, molto versati nel
lavoro. Nel centro c'è una città che si chiama Macerata, distesa dentro mura di mattone chiaro e
rosa, sopra un colle che guarda il mare verso Oriente. Qui sono nato, qui vivono mio padre, mia
madre e i miei fratelli». …
«Macerata, Macerata», rispose Wang Pan. «Deve essere una città nobile e fortunata, se può
educare figli come voi, Li Madou». E poi aggiunse: «Non capisco come vostro padre abbia potuto
lasciarvi partire per questo lungo viaggio senza ritorno» …
Matteo si sentì toccare nell'anima. Esitò un istante e rispose: «Mio padre ha sofferto molto per la
mia partenza; ma ha approvato il viaggio dei diecimila li, convinto che fosse necessario perché
uomini che abitano terre tanto lontane, respirando sotto la cappa dello stesso cielo, possano
conoscersi e vivere in pace. Desidero visitare la Cina e descriverla agli uomini dell'Occidente,
anche per non rendere vano il suo sacrificio».
Questo il messaggio che Macerata vuol far proprio nel nome di Ricci.
In realtà, Matteo Ricci è ancora vivo. Nella misura in cui, oggi ed in futuro, noi sapremo ricordarlo
– sapremo cioè offrire e testimoniare quotidianamente la sua vita, le sue opere, il suo ingegno, le
sue indiscutibili qualità umane – Padre Matteo Ricci vivrà per sempre fra noi e Macerata, questa
bellissima terra, la sua gente vivrà insieme a lui ed in nome dei suoi preziosi insegnamenti.
Grazie
Romano Carancini