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La ricezione di un bandito: dal Macheath di Gay al
Mackie Messer di Brecht
Maria Elisa Montironi
Ufficialmente fuorilegge e malavitosi, ma al contempo protagonisti di
azioni coraggiose, i banditi sono figure intriganti. Mutuando la descrizione
fornita da Hobsbawm nel suo influente studio sul tema, si può affermare
che essi siano “outlaws whom the lord and the state regard as criminals, but
who […] are considered by their people as heroes, as champions, avengers,
fighters for justice, perhaps even leaders of liberation […]” (Hobsbawm
1985: 13)1. Non sorprende, allora, che l’ondata di delinquenza degli anni
Venti del Settecento, a Londra, abbia reso celebre il genere delle biografie
criminali. Esse venivano vendute con successo a Tyburn, il luogo delle
esecuzioni pubbliche e, nonostante fossero state pensate per edificare
moralmente il popolo e aumentare il valore esemplare della punizione, in
realtà venivano lette come avvincenti resoconti delle grandi imprese dei
banditi, che in più casi ispirarono artisti e scrittori (Guerinot e Jilg 1976: 5).
Il ladro Jack Sheppard, ad esempio, che scappò dalla prigione di Newgate
ben quattro volte, per essere infine giustiziato nel 1724, fu modello per il
personaggio di Macheath, l’eroe de The Beggar’s Opera (1728) di John Gay,
con arrangiamento musicale di Cristoph Pepusch2. Esattamente due secoli
più tardi, Bertolt Brecht scrisse un suo adattamento del dramma, dal titolo
Die Dreigroschenoper (1928), con musiche di Kurt Weill, mantenendo
pressoché immutata la trama, ma ridefinendo sostanzialmente i tratti del
protagonista, per mostrare un gangster non eroico, che agisce in una realtà
in cui criminali e tutori della legge collaborano.
Pur portando il nome di opere, questi testi vogliono essere delle antiopere, configurandosi come commedie in cui il dialogo parlato ha frequenti
escursioni nel canto. Nel segno di una concezione democratica e non elitaria
dell’arte, le melodie e i versi sono lontani dall’aulico e solenne mondo della
lirica e vicini, invece, al pragmatismo e alla spontaneità della cultura
popolare (cfr. Schumacher 1955: 315; Civra 1995: 227-237). Accomunate
dallo spirito critico contro le ingiustizie sociali e dal proporre un teatro che è
strumento euristico e di emancipazione, soprattutto attraverso le canzoni, le
due opere nascono nello spirito del banditismo, tanto formalmente quanto
nei temi.
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1 The Beggar’s Opera: un’anti-opera
The Beggar’s Opera è nota a tutti per essere il primo e più famoso esempio
di uno spettacolo musicale tipicamente inglese chiamato ballad opera (cfr.
Mullini e Zacchi 1992: 208; Civra 1995: 227). Il genere, che si estinse nel
breve tempo di venti anni, consiste in una commedia di argomento satirico
inframmezzata da interventi musicali, basati su canzoni in voga soprattutto a
livello suburbano, dove a musiche originali si adattano nuovi testi. La ballad
opera nasce come parodia della musica dell’Accademia Reale e dell’opera
italiana sullo stile di Händel, che nel Settecento inglese era l’intrattenimento
più apprezzato dall’élite del Paese, ma disprezzato dalla maggioranza degli
amanti del teatro per più di una ragione (cfr. Ralph 1728).
Nella Beggar’s Opera, Gay introduce l’innovazione nel confine di alcune
convenzioni (cfr. Noble 1975). Strutturalmente l’opera consta di
un’introduzione e dei canonici tre atti, e presenta sei personaggi principali,
rispettando in tutto ciò la norma. Dal punto di vista contenutistico, tuttavia,
la tradizione viene stravolta completamente: se i temi delle opere italiane
derivavano solitamente dalla mitologia classica, dalla storia antica e
medievale, e dalla letteratura fantastica, Gay racconta di malavitosi che non
appartengono al mondo dell’opera e simbolicamente lo minano. Si pensi
all’emblematica battuta di Filch, uno dei ladruncoli di Peachum:
I ply’d at the Opera, Madam; and considering ’twas neither dark nor rainy,
so that there was no great Hurry in getting Chairs and Coaches, made a
tolerable hand on’t. These seven Handkerchiefs, Madam. (The Beggar’s Opera
I, VI, p. 57)
Inoltre, contro la moda dei castrati, tanto amati dal pubblico, spesso
impersonanti ruoli centrali nelle opere, il drammaturgo porta in scena un
protagonista la cui virilità è indubbia. Macheath ama il gentil sesso,
frequenta le prostitute e ingravida le donne che vengono condannate, così
da aiutarle ad essere graziate; un compito faticoso, come dimostra Filch, che
lo deve sostituire mentre è in prigione. Dopo aver fatto per un po’ questo
lavoro, il ragazzo è così stanco che sembra “a shotten Herring” (The Beggar’s
Opera III, III, p. 95) e dichiara: “[I]f a Man cannot get an honest Livelyhood
any easier way, I am sure, ’tis what I can’t undertake for another Session”
(The Beggar’s Opera III, III, p. 95).
Oltre a ciò, nella Beggar’s Opera, le dramatis personae sono riportate
nell’elenco suddivise in “men” e “women”, e non secondo le forme della
voce, come vorrebbe la convenzione della lirica italiana. Infatti, un’altra
grande differenza rispetto all’opera classica si riscontra negli interpreti. I
ruoli non sono pensati per cantanti lirici, ma per attori o cantori inglesi,
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scelti per la qualità dell’interpretazione teatrale più che per le loro capacità
vocali3.
Come si è detto, originali rispetto alla convenzione della lirica ne The
Beggar’s Opera sono anche le arie che accompagnano il testo. Nonostante
siano definite “airs”, termine che designa l’asse portante dell’opera italiana
(Surian 1999), esse sono in realtà canzoni con versi adattati ad arie e ballate,
mutuate da quelle più famose e apprezzate dal pubblico inglese: arie di
autori noti, come Purcell e Händel, e ballate del repertorio folcloristico
cittadino, tratte per la maggior parte dalle raccolte di D’Ufrey, non solo
britanniche (ventitré in tutto), ma anche irlandesi, scozzesi, francesi e
italiane (cfr. Flood 1922). I versi di queste ballads sono stati parodiati o,
raramente, lasciati invariati da Gay. La parodia coincide con il senso
etimologico del termine, in quanto il drammaturgo unisce due segni opposti:
versi lirici cantati su note da osteria o al contrario pensieri triviali su dolci
melodie.
2 Il bandito Maceath e la società della Beggar’s Opera
I personaggi dell’opera di Gay sono ladri, banditi e prostitute di una
Londra coeva all’autore, dove domina la dottrina del self interest, tanto nei
soggetti dei sobborghi urbani, quanto nei frequentatori dei ricchi palazzi
della politica, degli affari e della giustizia, che pur non comparendo
materialmente nell’opera, fanno avvertire fortemente la loro esistenza e il
loro potere. The Beggar’s Opera, infatti, non è soltanto una divertente storia di
malavitosi, scritta da un mendicante4 e ispirata alla povertà, ma anche una
pungente satira della Londra settecentesca dei whig, interpreti dei principi
della glorious revolution, sostenitori di una monarchia costituzionale governata
dal parlamento, quindi in teoria più rappresentativa, dove però non
vengono realmente tutelati gli interessi del popolo, perché a farla da padroni
sono clientele e vincoli di parentela. Gay tratteggia una società regolata dalle
leggi del mercato, senza eccezioni neanche per le questioni d’amore o di
giustizia, dove il confine tra legalità e illegalità è labile, e in cui la condotta
etica di politici, aristocratici e professionisti non si discosta da quella dei
protagonisti dei bassifondi di Londra. La trama è infatti basata sui
meccanismi di una morale distorta. Inoltre, le relazioni umane sono
descritte come pervertite dallo spirito del commercio. Lo studioso Nokes
fornisce un’analisi molto interessante in questo senso, mettendo in luce, con
precisione e minuzia, la frequenza con cui vengono utilizzate parole del
gergo economico, riferite soprattutto ai rapporti tra persone. Essa è così
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alta, da indurre Nokes a rinominare l’opera “The Business Man’s Opera”
(Nokes 1995: 437).
Con la Beggar’s Opera, dunque, John Gay compone un testo interamente
animato dal mondo criminale e, al contempo, totalmente investito del ruolo
di satira sociale. Per l’epoca della scrittura si può parlare di un’operazione
temeraria, in quanto ci sono dei personaggi, o meglio atti, a chiave, cioè
modellati su quelli compiuti da persone storiche, dai banditi fino ai politici,
facilmente identificabili per i contemporanei, come testimoniano la stampa e
la letteratura epistolare dell’epoca (cfr. Guerinot e Jilg 1976: 69). Il
personaggio dall’eloquente nome di Peachum, ad esempio, aveva il suo
prototipo nel ricettatore Jonathan Wild, da poco giustiziato per aver
approfittato del sistema legale corrotto che dava ricompense ai grandi
organizzatori della delinquenza, al fine di ottenere informazioni sui criminali
meno pericolosi5.
Particolarmente riconoscibile, inoltre, era la denuncia degli affari illeciti
del primo ministro Sir Robert Walpole nel personaggio del malavitoso
condannato a morte che Mrs Peachum cerca di proteggere, detto “Robin of
Bagshot, alias Gorgon, alias Bluff Bob, alias Carbuncle, alias Bob Booty” (The
Beggar’s Opera I, III: 53). I suoi molteplici nomi svelano il carattere truffaldino
di chi li porta6. Walpole ascese alla carica, che poi mantenne per ben
ventidue anni, salvando il governo e la corte dal grave scandalo del South Sea
Bubble: il fallimento, di cui anche Gay fu vittima, della Compagnia dei Mari
del Sud, che aveva ottenuto la conversione di parte del debito pubblico in
azioni della compagnia, trasformando quindi i creditori dello Stato in
azionisti. Tuttavia, il politico fu accusato dai contemporanei di utilizzare i
soldi pubblici per interessi personali e di gestire il governo grazie al patronage,
esercitando cioè protezione e facoltà di nomina alle cariche militari e civili,
in un intreccio di interessi e favoritismi che restarono spesso non puniti. I
parenti del ministro occupavano uffici statali a tutti i livelli, tanto che il
periodo del suo mandato è criticamente chiamato da alcuni “Robinocracy”
(Dawson 1998: 1255). In seguito all’Opera di Gay, gli oppositori del ministro
iniziarono a chiamarlo “Bluff Bob” (Lewis 1973: 123), un appellativo
congeniale all’uomo, non solo perché ricorda il ladro del play, ma anche
perché Robin, di cui Bob è il diminutivo, è il nome di battesimo del ministro
ed è allo stesso tempo un epiteto, in quanto evoca il verbo inglese “to rob”,
vale a dire rubare. Il pubblico contemporaneo era abituato a questo gioco di
parole legato al nome Robin dall’uso satirico che ne faceva la stampa antigovernativa. Il termine “Bluff”, al posto degli insultanti “Gorgon” e
“Carbuncle”, stava a ricordare la scarsa eleganza dei comportamenti e degli
atteggiamenti del ministro, ma anche il modo atipico con il quale si
guadagnò la carica7.
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Macheath, si è detto, era dipinto come il bandito di strada Jack Sheppard,
criminale che aveva riempito le cronache dei giornali ed era divenuto
leggendario per il suo modo di ingannare le autorità, tanto che il giorno
della sua esecuzione a Tyburn, egli venne festeggiato dal popolo come un
eroe popolare, e il suo tragitto verso il patibolo fu trionfale (Lewis 1973: 13).
Gay lo descrive in maniera accattivante, come il galante capitano di una
banda, avvezzo al gioco e ai più prosaici piaceri della vita, brigante
coraggioso che tenta la fuga dal carcere e con intrepido coraggio affronta il
patibolo. Per il principio di giustizia poetica, si dice, Macheath sarà infatti
impiccato. Eroicamente, egli approfitta della sua sfilata da condannato verso
la morte e denuncia l’iniquità della giustizia, che non punisce i ricchi che
delinquono allo stesso modo dei poveri, cantando un’aria dai versi
pungenti8, sulla melodia della celebre “Green Sleevs”:
Since Laws were made for ev’ry Degree,
To curb Vice in others, as well as me,
I wonder we han’t better Company,
Upon Tyburn Tree!
But Gold from Law can take out the Sting;
And if rich Men like us were to swing,
’Twou’d thin the Land, such Numbers to string
Upon Tyburn Tree! (The Beggar’s Opera III, XIII, p. 109)
Poco dopo, il personaggio metadrammatico del mendicante decide che,
per assecondare il gusto del pubblico, Macheath sarà salvato, ma prima di
lasciare che venga rappresentato tale finale positivo, egli afferma che
nell’opera è possibile riscontrare:
[…S]uch a similitude of Manners in high and low Life, that is difficult to
determine whether (in the fashionable Vices) the fine Gentlemen imitate the
Gentlemen of the Road, or the Gentlemen of the Road the fine Gentlemen.
(The Beggar’s Opera III, XVI, p. 112)
Queste parole corroborano l’accusa al sistema legale formulata da
Macheath.
Se l’opera inglese mostra un mondo dominato dall’individualismo
hobbesiano, in cui la condotta di uomini di corte e professionisti non si
discosta affatto da quella di banditi e malavitosi, la versione tedesca
novecentesca presenta una realtà ancora più preoccupante, dove esiste
addirittura uno stretto legame tra tutori della legge e mondo criminale. Alla
fine dell’opera di Brecht, il capo della polizia, amico di Mac e suo ex
compagno di guerra, in maniera alquanto arbitraria, annuncia la grazia della
regina per il condannato, assumendo il ruolo del salvatore. Non per una
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ragione di gusto estetico del pubblico, come in Gay, ma per un intreccio di
interessi tra legalità e illegalità, il bandito non soltanto verrà salvato, ma
anche omaggiato di doni, che ricalcano quelli delle fiabe, ovvero titolo
nobiliare, un castello e una rendita fino alla fine dei suoi giorni.
3 Die Dreigroschenoper: un’anti-opera
Tra il 1920 e il 1922, a Londra, si assiste ad un revival di enorme successo
de The Beggar’s Opera, grazie alla messa in scena di Sir Nigel Playfair e
Frederic Austin. La collaboratrice di Brecht, Elizabeth Hauptmann, scrive
articoli sull’evento e parla con il suo gruppo di lavoro dell’opera inglese, che
apprezza enormemente, portandola, così, all’attenzione del drammaturgo
tedesco. Nel 1928, dunque, in occasione dell’apertura del Theater am
Schiffbauerdamm di Berlino, città che era allora il centro culturale del Paese,
Brecht mette in scena la sua rielaborazione del testo di Gay, con le musiche
di Kurt Weill: Die Dreigroschenoper.
Lo Stück mit Musik di Brecht segna un confine importante nella sua
produzione artistica, collocandosi alla fine della giovanile “bohème
letteraria” (Chiarini 1967: 110) e all’inizio della ricerca di una teoria
antiaristotelica ed epica del teatro. L’opera, “piena di giovanili trovate e
audaci innovazioni stilistiche” (Dallapiazza e Santi 2001: 99), regala al
drammaturgo fama internazionale ed è, ancora oggi, la sua “opera più
famosa e rappresentata” (ibid.). Molti studiosi evidenziano nel testo i risultati
della riflessione del giovane Brecht sul pensiero di Karl Marx, mediata dalla
speculazione filosofica marxista di Karl Korsch (1886-1961)9.
Difatti, da “neofita” marxista e cosciente del potere euristico del teatro,
Brecht mostra la società capitalistica con sguardo spietato, in una perfetta
sintesi di impegno e divertimento (Mittner 1971: 1368), delineandola
tristemente come una realtà in cui il valore della giustizia non trova posto e
il diritto alla felicità, in teoria naturale e inalienabile, è ai fatti utopico e
irrealizzabile. Una realtà, dunque, che va necessariamente cambiata. Anche
dal punto di vista formale, Brecht aiuta il fruitore a mantenere un
atteggiamento di distacco critico e di demistificazione, per essere in grado di
individuare i problemi e trovare soluzioni. Il ruolo dello spettatore diviene,
così, attivo, in contrapposizione a ciò che avviene nel teatro tradizionale.
Questo punto è essenziale per Brecht, in quanto, a suo parere, il
meccanismo del teatro catartico, che artificialmente crea e soddisfa tensioni
nello spettatore, è deleterio perché assopisce l’esigenza di agire nella realtà,
proprio come il capitalismo, che allo stesso modo genera e appaga bisogni.
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Dal punto di vista formale, gli studiosi leggono Die Dreigroschenoper come
“un caso particolare dell’operetta berlinese” (Manciotti 1995: 458), genere
fondato sullo stile della canzone da cabaret. Brecht e Weill utilizzano
l’operetta solamente come forma convenzionale del teatro leggero per farne
una parodia. Secondo la tradizione, infatti, la trama, in tre atti, è presentata
per episodi: un prologo e nove scene. Ci sono però anche elementi
provocatori. In primo luogo i testi cantati, versi originali o ripresi dai grandi
nomi della letteratura, da eseguire in maniera naturale, senza voce impostata,
considerati autonomi rispetto al resto; in secondo luogo l’ambientazione
nella Londra suburbana, al posto della trattazione dei soggetti dell’operetta
berlinese, fantastici, realistico-borghesi o idillici.
Kurt Weill sostiene che lo Stück rappresenti una nuova forma di teatro
d’opera, la cui necessità è fondamentale per la società a sé coeva. Idea
corroborata anche dalla voce autorevole di Adorno che, dopo aver assistito
alla rappresentazione della Dreigroschenoper a Francoforte nel 1928, scrive un
articolo al riguardo e lo conclude definendo l’opera “das wichtigste Ereignis
des musikalischen Theaters: tatsächlich beginnt so vielleicht die Restitution
der Oper durch Wahrheit” (Weill 1928: 271).
I cambiamenti prendono le mosse dall’esigenza di avere un’arte con
scopi di segno opposto a quelli dell’opera in voga: non evasione e consenso,
ma “invasione” e dissenso. Pertanto la musica, nell’opera di Brecht, si
contrappone alle idee di magia e incanto spesso associate ad essa. Il
drammaturgo desidera modificare la funzione della musica e la realtà
cristallizzata dell’opera, cambiandone innanzitutto l’atteggiamento dei
creatori, scrive il suo collaboratore Weill:
Wichtiger für uns ist die Tatsache, daß hier zum erstenmal der Einbruch in
eine Verbrauchsindustrie gelungen ist, die bisher einer völlig anderen Art
von Musikern, von Schriftstellern reserviert war. (Weill 1929: 325)
Occorre, quindi, pensare ad un nuovo pubblico, argomenta Brecht: “Da
die Oper ihrem Publikum gerade durch ihre Rückständigkeit teuer ist,
müsste man auf den Zustrom neuer Schichten mit neuen Appetiten bedacht
sein” (Brecht 1957: 13). I nuovi destinatari sono persone non abituate a
frequentare l’opera, ma che avendo maturato una nuova coscienza della
realtà, grazie agli importanti eventi storici vissuti, cercano nel teatro la
possibilità di riflettere su questioni di impellente attualità, come quelle della
Zeitoper. Brecht e con lui altri, in particolare Piscator e Feuchtwagner (cfr.
Castri 1973; Chiarini 1980), sono per un “teatro politico”, nel senso più
ampio ed etimologico del termine, di contatto con la realtà e di utilità per il
suo miglioramento.
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Il ritratto impietoso della contemporaneità richiede, innanzitutto, un
linguaggio diverso da quello aulico dei personaggi dell’opera romantica e
wagneriana. Nota Lotte Lenya:
Brechts Sprache schrie nach einer Neuvertonung, nach einer Musik, die
ihrem Tempo, ihrer Durchschlagskraft, ihrer Modernität, ihrem Reichtum an
Unter- und Obertönen das Wasser reichen konnte. (Lenya 1955: 328)
Proprio perché vuole essere accessibile a tutti e non deputato al mero
godimento, questo tipo di linguaggio musicale deve essere alla portata di
attori e non di cantanti10, non importa se stonati, nelle parole di Weill
“musikalischen Laien” (Weill 1929: 327), e deve essere realistico, un
aggettivo su cui il compositore ritorna più volte. Nelle note al testo, Brecht
indica che l’attore deve compiere un “Funktionswechsel” e ancora che egli
deve “nicht nur singen, sondern auch einen Singenden zeigen” (Brecht
1955a: 98). Il drammaturgo passa, successivamente, ad un implicito
riferimento all’elemento parodico nel senso etimologico del termine, scrive
infatti che l’attore deve cantare secondo il metodo del “Gegen-die-Musiksprechen” (Brecht 1955a: 98), non può seguire la melodia e, qualora ciò
avvenga, deve mostrare particolarmente il godimento che ne deriva.
Questo perché la musica deve portare al V-Effekt, un senso di distacco
contrario all’identificazione e all’empatia, che il drammaturgo richiede tanto
al cantante, quanto al ricevente. Antitesi dell’espressione individuale e del
soggettivismo esasperato della lirica, la canzone in Brecht diventa gestuale,
cioè permette al personaggio di mostrare il suo atteggiamento sociale, i suoi
Grundgesten, che rendono possibile l’analisi del reale e una presa di posizione
da parte degli spettatori su ciò che viene loro mostrato.
La musica vuole essere, nelle parole di Brecht: “Schmutzaufwirblerin,
Provokatorin und Denunziantin” (Brecht 1955b: 178). Centrale per ottenere
questi effetti, e con essi il ribaltamento della funzione del teatro da
aristotelico ad epico, è la presenza delle parti cantate come realtà singolari,
staccate dal resto, utilizzando diversi espedienti. Per prima cosa, il musicista
crea un collage volutamente eterogeneo di forme della musica da ballo a lui
coeva e di altri stili musicali, mai perfettamente corrispondenti alle regole
classiche (Hinton 2005: V), ottenendo una separazione di elementi contraria
all’idea di Gesamtkunstwerk wagneriana. Si ascoltano musiche e testi che
hanno assimilato il cabaret tedesco, le ballate di Wedekind, il music-hall
inglese, la canzone commerciale e il jazz. Per un pubblico nuovo e non
necessariamente abituato all’opera vengono utilizzate le varie voci della
Gebrauchsmusik11, di segno anti-romantico, che costituiscono la realtà
musicale di consumo al di fuori dei teatri d’opera.
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Con lo stesso intento di rinnovamento, le melodie sono scritte per un
insieme strumentale da jazz-band, di soli sette elementi per la prima
dell’opera, contrariamente alla grande orchestra “chiusa nel golfo mistico di
derivazione tardoromantica” (Fumagalli 1980: 171). Vengono banditi gli
archi acuti, al contrario hanno voce preponderante i fiati: flauti, clarinetti,
sassofoni, trombe e un fagotto. Nell’orchestra sono anche annoverati
strumenti inediti per un gruppo cameristico, come la batteria, l’argentino
bandoneon, il banjo, la chitarra hawaiana, la celesta e a volte il mandolino.
Si tratta di un magistrale lavoro di composizione che unisce molteplici
elementi sonori, che spaziano da Mozart all’espressionismo viennese, mai
utilizzati in maniera canonica. Nota Pestalozza:
[…N]on soltanto Weill affianca a forme colte (come l’ouverture di carattere
serioso austerizzata da un fugato centrale, o il Corale luterano vera e propria
‘musica di chiesa’ che chiude la ‘piece’, o i frequenti concertati di schietto
impianto operistico), forme decisamente popolaresche (Tango, Fox, Shimmy
e così via); ma all’interno di esse, compie un continuo scambio di valori
stilistici [...]. (Pestalozza 1961: 152)
Hannah Arendt, in un suo saggio su Brecht, scrive una spiegazione
illuminante sulle ragioni che inducono l’autore a scegliere la forma della
ballata nella sua produzione poetica:
La tradizione popolare si è scelta da sé la ballata per assicurarsi attraverso di
essa una propria tradizione non scritta, che accanto e indipendentemente
dalla grande tradizione artistica ha testimoniato di una storia dimenticata e
trascurata, — una forma in cui il popolo tra Moritat, Dienstbotengesänge, canti
popolari e chanson ha tentato di procurarsi una propria immortalità poetica.
Non allorché cominciò a occuparsi di marxismo, ma quando iniziò a portare
in onore la forma ballatesca — Brecht si è schierato dalla parte degli
oppressi. (Arendt 1968: 589)
Come la forma della ballata, anche quella del jazz ha rilevanza semantica.
Parafrasando le affermazioni di Hannah Arendt appena citate per
commentare l’operazione poetica di Brecht, si può affermare che Weill si
appropria della matrice popolare del jazz per schierarsi dalla parte degli
oppressi. Arrivato dall’America in Germania nel 1924, il jazz è il simbolo del
benessere americano, mito del “nuovo ceto medio delle grandi città”
(Dallapiazza e Santi 2001: 53), ma anche della musica moderna che si ispira
alla macchina e ai ritmi ripetitivi e regolari della produzione e della
metropoli. Al contempo, questo genere musicale è popolare a livello
internazionale, quindi può configurarsi come il punto di incontro tra
avanguardia e massa. Non si deve dimenticare, inoltre, che le leggendarie
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origini del jazz vanno rintracciate negli spiritual e nel blues degli schiavi
africani, comprati e venduti sulla Congo Square di New Orleans. I temi
ricorrenti di questi canti, spesso marce funebri, sono dolenti come le note
delle loro melodie. Si parla, ad esempio, del sacrificio di Cristo, dell’amara
speranza di una libertà ultraterrena, della condizione dolorosa di chi è stato
sradicato dalla propria terra e dei problemi derivanti dal conflitto di razza
(Carles et al. 2000).
Per di più, il jazz è veramente congeniale alla concezione brechtiana di
teatro, perché si configura come il linguaggio sonoro per eccellenza della
rottura con il passato e impone all’ascoltatore un atteggiamento attivo, in
quanto per apprezzare l’esecuzione occorre seguire il modo in cui ogni
musicista lavora sul tema come un artigiano. Al contrario, il valzer assurge a
segno della rassicurante tradizione, tanto delle regole musicali, quanto del
passato imperiale. È in questa giustapposizione di elementi che risiede la
forza aggressiva e polemica della musica di Weill che, contro l’opera
tradizionale, non mira all’irrazionalismo romantico, ma al razionalismo
illuminista. Così, la realtà viene mostrata come modificabile anche attraverso
la musica.
4. La società oggetto di satira nella Dreigroschenoper
La satira sociale dell’opera di Brecht è analoga a quella della fonte, anche
se il valore della critica non è legato a un luogo e a un tempo precisi. Le
coordinate temporali e topiche sono volutamente riconoscibili ma vaghe. La
vicenda infatti si svolge in una “Schein-London” (Lucchesi 2001: 209) fatta
dei suoi elementi più turistici e noti. Non ci sono indicazioni temporali
precise, ma si parla sia di un re che di una regina al trono, vengono ricordate
come esperienze del passato prossimo le avventure dell’esercito britannico
in India e le musiche sono coeve all’opera. Leggendo però le parole dello
stesso Brecht nella conversazione con il regista Strehler, si evince che
l’ambientazione è più tarda di un secolo rispetto alla Beggar’s Opera e ritrae
l’Inghilterra vittoriana, scelta perché lontana abbastanza per essere osservata
criticamente e allo stesso modo conosciuta a sufficienza per far funzionare il
meccanismo satirico (Bunge 1955: 189).
Il testo del drammaturgo di Augusta prende le mosse dall’equazione tra
malavitosi e dirigenti della fonte, però aggravata dal fatto che i due mondi
sono legati da rapporti di collaborazione. Nella sua satira sociale, Brecht
non fa uso di personaggi a chiave come Gay, ma intende rappresentare tipi
umani. Si tratta di un’operazione critica, non tanto verso precisi personaggi
storicamente esistiti, ma in maniera più ampia contro la Weltanschauung del
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capitalismo e dell’ipocrisia sociale che investe tutta la realtà. Jonathan
Jeremiah Peachum, ad esempio, è un “Geschäftsmann” (Die Dreigroscenoper,
p. 9), descritto nell’elenco dei personaggi come “Besitzer der Firma ‘Bettlers
Freund’” (Die Dreigroscenoper, p. 6). Dietro i rassicuranti nomi biblici c’è un
uomo che utilizza la Bibbia come testo da citare per indurre le persone alla
carità, e trarne profitto. Allo stesso modo, sotto la caritatevole insegna del
negozio si nasconde, in realtà, un’organizzazione di sfruttamento basata sul
sistema capitalistico, e che fa leva sul comportamento morale dettato dalla
religione. Macheath, a sua volta, si dice appartenente ai “kleinen
bürgerlichen Handwerker” (Die Dreigroscenoper III, IX, p. 94), seppur noto
criminale con l’abitudine ossessiva per la frequentazione dei bordelli, che
egli definisce una delle sue “Gewohnheiten” (Die Dreigroscenoper II, V, p. 53),
e chiama l’appuntamento settimanale in quei luoghi “mein Donnerstag” (Die
Dreigroscenoper II, V, p. 53). Questo elemento è funzionale alla
caratterizzazione, in quanto suona come la parodia del linguaggio della
classe borghese per definire l’incontro settimanale con i compagni di un
club.
Molto importanti per la realizzazione di questo processo ricettivo sono le
figure create ex-novo, in particolare quella di Brown, il capo della polizia di
Londra, padre di Lucy e, come si è detto, vecchio compagno di guerra di
Mac. Questa figura è fondamentale per mostrare che gli appartenenti ai
mondi ufficialmente contrapposti della legalità e dell’illegalità, in realtà, si
accordano e comandano l’esercizio della giustizia. Emblematica, a questo
proposito, è anche la presenza del capo della polizia e del pastore
protestante, altro personaggio aggiunto da Brecht, al matrimonio di
Macheath. Le due figure nuove evidenziano la corruzione della legge, sia
nella realtà terrena che in quella spirituale.
Mittner nota, inoltre, la sottolineatura brechtiana della stretta relazione
tra colonialismo e capitalismo. Il noto germanista evince tale connessione
dal fatto che la conoscenza e la complicità tra Brown e Macheath, che egli
definisce una “trovata divertente e straniante, anzi agghiacciante” (Mittner
1971: 1369), è avvenuta durante le guerre coloniali. Questo punto risponde
alla lettura dell’imperialismo fatta dagli studiosi e dai politici marxisti, che
hanno analizzato le cause economiche di questo fenomeno e le conseguenti
trasformazioni del sistema capitalistico. Lenin, ad esempio, definisce
l’imperialismo come “lo stadio monopolistico del capitalismo” (Lenin 1965:
637).
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5. Mackie Messer
Nel nuovo contesto storico appena descritto, il bandito non ha il fascino
del giustiziere e non è caratterizzato dai tratti eroici del Macheath di Gay. È
vero che, nell’estrema libertà che precede la morte, il criminale pronuncia
critiche durissime contro la società ufficiale, attualizzando l’attacco al
sistema della giustizia dell’opera inglese e giungendo a conclusioni che sono
ancora oggi estremamente rilevanti e che conferiscono al bandito un’aurea
romantica:
Wir kleinen bürgerlichen Handwerker, die wir mit dem biederen Brecheisen
an den Nickelkassen der kleinen Ladenbesitzer arbeiten, werden von den
Groβunternehmern verschlungen, hinter denen die Banken stehen. Was ist
ein Dietrich gegen eine Aktie? Was ist ein Einbruch in eine Bank gegen die
Gründung einer Bank? (Die Dreigroscenoper, III, IX, p. 94, corsivo mio).
Tuttavia, poco dopo, l’amico e capo della polizia Brown, nei panni di un
messo reale a cavallo, annuncia a Mackie Masser la grazia e la concessione di
un titolo nobiliare. Un esito che denuncia una realtà corrotta forse ancora
più significativa in relazione al presente e che spoglia il bandito di ogni virtù
eroica12.
Brecht introduce il protagonista dell’opera all’inizio della stessa, mediante
un canto dal titolo “Die Moritat von Mackie Messer”, che segue l’ouverture
musicale. La canzone viene eseguita da un cantastorie come prologo del
testo, ma la sua funzione è quella di presentare il personaggio principale.
La Moritat è un genere congeniale alla scena e al personaggio di Mac.
Esso indica infatti un canto solitamente eseguito all’aperto, sulle piazze e nei
mercati, come nel caso dell’opera di Brecht, in quanto il contesto è la fiera
annuale di Soho. Inoltre, come suggerisce il termine originale Mordtat13, che
significa fatto di sangue, esso tratta temi di cronaca nera, descrivendo
episodi cruenti e brutali. Nel canto dell’opera sono elencati, appunto, i
misfatti della vita del giovane protagonista.
La Moritat di Brecht presenta nove quartine in cui si alternano versi di
otto e sette sillabe, ottenendo un ritmo piacevole, sottolineato dalla rima del
secondo e quarto verso di ogni strofe, ad eccezione della quarta dove c’è
solo assonanza. È possibile rintracciare nel canto due parti distinte. Nelle
prime strofe, infatti, Mac è dipinto come fine criminale e bandito
romantico, tratteggiato nel quadro di una natura serena, utilizzando
parallelismi divertenti, quasi fanciulleschi, accompagnati da una dolce
melodia di tonalità alta eseguita con l’harmonium; nelle strofe successive,
invece, Mac viene descritto come un malavitoso abominevole e ipocrita, che
compie azioni senza scrupoli, comunicate in maniera diretta e cruda, senza
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le ambientazioni edulcorate e gli attenuanti filtri di artifici retorici, anche se
la musica, che ha lo stile nostalgico e spontaneo del blues, si fa più attraente.
Alle semplici note dell’harmonium si aggiungono, in un elegante concerto di
suoni, scandito dai piatti, il piano, le percussioni, i fiati e il banjo. La strofe
di cesura è la quinta: i suoi versi presentano un diverso stile del racconto,
contemporaneamente cambia l’arrangiamento musicale e, sulla scena,
appaiono Peachum con moglie e figlia.
Le prime due strofe sottolineano la caratteristica di Macheath che più sta
a cuore a Brecht quando afferma che egli è una “bürgerliche Erscheinung”
(Brecht 1955a: 93): un bandito “borghese” che calcola con estrema
precisione i suoi atteggiamenti, per costruire un’immagine di sé simile a
quella romanzata, che tanto affascina le persone, inducendole a dimenticare
la negatività e l’opportunismo delle sue azioni. Osserva Brecht:
Die Einschränkung des Blutvergießens auf ein Minimum, seine
Rationalisierung ist Geschäftsprinzip: im Notfall legt Herr Macheath
Beweise außerordentlicher Fechtkunst ab. Er weiß, was er seinem Rufe
schuldig ist: eine gewisse Romantik dient, wenn gesorgt wird, daß sie sich
herumspricht, dieser oben erwähnten Rationalisierung. Er sieht streng
darauf, daß sämtliche kühnen oder zumindest Schrecken einflößenden Taten
seiner Untergebenen ihm selber zugeschrieben werden […]. (Brecht 1955a:
93)
Ciò che viene descritto nelle prime strofe è proprio questa costruzione
puramente estetica e legata all’apparenza del personaggio di Mac. Egli è
assimilato ad un pescecane, ma, da animale razionale, è superiore, in quanto
riesce a celare il coltello che usa per uccidere, mentre il pesce non può
nascondere i suoi denti. Questa similitudine animalesca è tutta brechtiana,
non è annoverata tra le tante usate da Gay, ma si ritrova invece nella
precedente produzione poetica dello scrittore tedesco, precisamente nella
poesia “Das Schiff”, una delle Hauspostille, come pesce pericoloso per i denti
appuntiti. Nella Dreigroschenoper il significato è più profondo: il pescecane,
come il capitalista, si ciba esclusivamente dei pesci più grandi, che hanno
mangiato i più piccoli (cfr. Mittner 1971: 1361), d’altronde l’animale designa
in senso figurato l’approfittatore in situazioni di guerra o dopoguerra. Il
parallelismo continua nella strofe successiva che dà inizio ai riferimenti alla
natura con parole che sono vere e proprie macchie di colore, in questo caso
il rosso del sangue che tinge le acque del Tamigi, quando il pescecane miete
vittime, contrapposto alla tecnica perfetta di Mac che riesce a nascondere le
prove grazie ad un guanto.
Questo accessorio ritorna nel testo come elemento caratterizzante del
vestiario dell’uomo, diventando emblema della sua ipocrisia14.
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L’inconsapevole Frau Peachum, che non sa chi sia veramente Mac, lo trova
elegante, dice infatti: “Der Herr hat meine Tochter und mich immer nur mit
Glacéhandschuhen angefaßt” (Die Dreigroscenoper I, I, p. 15). Il marito, che
invece conosce bene il giovane uomo, completa: “So, weiße Handschuhe
und einen Stock mit einem Elfenbeingriff und Gamaschen an den Schuhen
und Lackschuhe und ein bezwingendes Wesen und eine Narbe” (Die
Dreigroscenoper I, I, p. 15). Macheath studia ogni particolare: il suo aspetto
esteriore è da gentiluomo, impeccabile, il suo essere bandito risulta solo dal
tocco romantico dato da una cicatrice sul collo.
Nella quarta e quinta strofe, come nella tradizione lirica del
romanticismo, c’è un riferimento alla natura che fa da sfondo all’azione,
icasticamente data attraverso note cromatiche. L’acqua verde del fiume vede
cadere morti come se ci fossero epidemie di peste o colera, invece la causa è
Mac, e una domenica in cui il cielo è terso, si racconta, un uomo giace
morto sulla riva del fiume.
La tecnica narrativa è simile a quella utilizzata nelle fiabe, in questi versi
si ritrovano la visibilità e la rapidità (cfr. Calvino 1988) tipiche dei racconti
popolari. Le immagini ben chiare e semplici richiamano anche i disegni della
Moritat. La dimensione iconica delle parole non può che portare l’ascoltatore
a dipingere mentalmente la scena in maniera fumettistica. Sembrano versi,
come osserva Slupinski, scritti con il fine di soddisfare “das Bedürfnis des
bürgerlichen Zuschauers an Kitsch und Räuberromantik” (Slupinski 1972:
35). Lo studioso sostiene che questo tipo di rappresentazione, unito alla
mancanza della formulazione di una morale, porti a non prendere sul serio
la criminalità di Mac. Le strofe successive, però, smentiscono questa
osservazione. Dalla quinta, in cui si racconta che “Schmul Meier” (Die
Dreigroscenoper, p. 7) è scomparso e, insieme a lui, altri uomini ricchi, si ha un
punto di svolta verso una rappresentazione più spietata e malvagia di Mac.
La musica, come si è detto, diventa paradossalmente più gradevole e
trascinante, perché la melodia, prima semplice, viene arrangiata con il
risultato di un ritmo coinvolgente.
Le quattro strofe che seguono continuano nel segno di una narrazione
più realistica e cruda, in cui si danno nome e cognome dei morti, vittime di
omicidi atroci. L’immagine del criminale Mac non lascia più spazio a visioni
romantiche. Le azioni elencate sono aberranti e prive di motivazioni
scaturite dalla ricerca di giustizia sociale: una donna, identificata con nome e
cognome, è stramazzata a terra con una coltellata al seno; un semplice
vetturale, di cui pure si dice il nome, è scomparso. Nella ottava strofe si
enuncia il delitto più atroce: “Und das große Feuer in Soho / Sieben Kinder
und ein Greis” (Die Dreigroscenoper, p. 8). Come un titolo di giornale che
vuole essere d’impatto e quindi utilizza una sintassi marcata, così questi
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versi sono sintagmi nominali senza verbo, la morte è sottintesa perché più
importante per la notizia è il particolare orrendo dell’infanticidio. La
reazione di Mac e della gente è sempre indifferenza e omertà, come si
evince dal verbo “wissen” ripetuto nella forma negativa per tre volte.
L’ultima strofe è provocatoria. Essa è centrale per il significato del testo.
Come si diceva prima, a differenza della Moritat classica non viene dato un
commento morale ai fatti narrati, però la domanda “Mackie, welches war
dein Preis?” (Die Dreigroscenoper, p. 8), con cui termina questa canzone
introduttiva, induce a pensare alle conseguenze di quanto raccontato,
soprattutto perché viene ripetuta dal cantastorie anche con il solo
accompagnamento dell’harmonium, senza altre sonorità che distraggono,
sottolineandone l’importanza. Ogni richiesta di giustizia o di moralità che
scaturisce da questo prologo viene rifiutata.
Il finale, come si è detto, non rivela una punizione esemplare per Mac o
una riflessione etica, non riserva prezzi da pagare al bandito, ma solo onori
e doni da ricevere, grazie all’aiuto di un’autorità istituzionale.
6. Brecht il bandito
Bertolt Brecht viene definito, a ragione, come “the most notorious
appropriator of other men’s art in the twentieth century” (Michael 1987:
144). Egli è conosciuto per i suoi debiti letterari, per le sue riscritture e per i
suoi prestiti, denunciati o meno. La stessa Die Dreigroschenoper, che gli fa
guadagnare fama internazionale, gli costa una famosa denuncia per plagio
(cfr. Brecht 1960). Nel corso della sua carriera, Brecht mutua opere dai
talenti più grandi della letteratura, come, ad esempio, Shakespeare,
Rimbaud, Verlaine, Schiller, Shaw e Marlowe. Ma il furto brechtiano non
vuole essere una contraffazione, un’estorsione fine a se stessa; al contrario,
esso è simile al furto di un bandito. Brecht agisce come una sorta di Robin
Hood culturale: ruba il testo dal canone letterario per reinterpretarlo e
riscriverlo a suo modo, al fine di promuovere la voce degli umili, che spesso
non è ascoltata, agendo, dunque, per il trionfo della giustizia sociale.
Ne è la dimostrazione ciò che è stato scritto in un’edizione italiana
dell’opera di Gay del 1943, curata da Vinicio Marinucci che, dopo aver
lamentato il fatto che l’opera di Gay era stata messa in scena in Italia
soltanto in versioni influenzate dalla riscrittura brechtiana e mai nella sua
forma originale, afferma che una duplice motivazione lo spinse a tale
pubblicazione: il valore artistico del testo e la necessità “di togliere al lavoro
la vernice propagandistica applicatavi dal rifacimento di Brecht” (Marinucci
1942: 27).
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Ciò prova che la rilettura del drammaturgo tedesco — nelle sue
numerosissime operazioni di riscrittura sempre libero, eroico e assetato di
giustizia come un bandito (cfr. Hobsbawm 1985: 113) — ha realmente
rinvigorito l’opera settecentesca, rendendola di nuovo scomoda e tagliente,
dunque, funzionale e significativa.
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Note
1
È importante ricordare che il testo citato, come è noto, tratta il tema del banditismo
sociale, solitamente rurale più che urbano.
2 Gay mutuò temi e contenuti dalla contemporanea narrativa criminale, che aveva come
protagonisti i personaggi della malavita londinese e che era molto popolare all’epoca in
particolare nella forma delle biografie criminali (cfr. Gladfelder 2001), come ad esempio
Memoirs of the Life and Times of the Famous Jonathan Wild (1726) di Alexander Smith.
Tuttavia, la sua narrazione è estremamente originale. Come spiega Lewis: “[H]is comic
and ironic handling of the subject-matter is totally different from the usual mixture of
lurid sensationalism and moral platitudes” (Lewis 1973: 14).
3 Si riportano di seguito i nomi degli interpreti protagonisti della prima rappresentazione:
Hall (Lockit); Mrs Egleton (Lucy); Walker (Macheath); Hippisley (Peachum); Mrs
Martin (Mrs Peachum); Miss Fenton (Polly), “born and bread in the Mint” (Macklin
citato in Nokes 1995: 419), allora uno dei quartieri più malfamati di Londra.
4 Il personaggio metadrammatico del mendicante si dichiara autore dell’opera
nell’introduzione della stessa (cfr. “Introduction”: 50).
5 Le vicende di questo personaggio vennero ricostruite rigorosamente e narrate da Daniel
Defoe in True and Genuine Account of the Life and Actions of the Late Jonathan Wild (1725) e
vennero descritte nella forma del romanzo da Henry Fielding in The History of the Life of
the Late Mr Jonathan Wild the Great (1743).
6 Altri critici rintracciano delle allusioni a Walpole anche in Lockit e Peachum, infatti Gay
evita volutamente associazioni fisse in questo senso (cfr. Lewis 1973; Nokes 1995).
Molti sono, comunque, i tratti in comune con Macheath. Come il capitano è capo di un
gruppo di criminali che estorce soldi, così il ministro è a capo del governo che si
macchia della stessa colpa e inoltre Walpole, come Macheath, ha una nota relazione
extra-coniugale (cfr. Lewis 1973; Guerinot e Jilg 1976).
7 La satira politica e sociale di Gay riprende molti paragoni, tecniche e termini familiari alla
scrittura dell’opposizione, come quella de The Craftsman o del Mist’s Weekly Journal, in
cui, nel giugno del 1725, furono pubblicati due articoli formalmente riguardanti il
bandito Wild, ma in realtà riferiti a Walpole (cfr. Guerinot e Jilg 1976).
8 Ciò ha un corrispondente nella realtà inglese del Settecento. I condannati venivano portati
in carro per le strade di Londra, da Newgate a Tyburn, con una sosta alla parrocchia di
St Giles-in-the-Fields per l’ultimo bicchiere concesso. La prassi del last journey era stata
ideata per permettere che l’esecuzione pubblica portasse i condannati alla vergogna e
che avesse, per gli spettatori, valore deterrente. Essa in realtà, spiega Lewis, “provided a
kind of entertainment, often taking on an almost carnival spirit with the criminals
playing the parts of heroes” (Lewis 1973: 128).
9 Sull’argomento si vedano, tra gli altri, Rash 1963 e Kellner 20102 [1980].
10 Per la prima dell’opera, il regista Engel si avvalse di attori di diversa provenienza artistica:
dal teatro di prosa Lotte Lenya (Jenny) ed Erich Ponto (Peachum); dal cabaret Rosa
Valetti (Mrs Peachum), Roma Bahn (Polly) e Kurt Gerron (Tiger Brown); dall’operetta
Harald Paulsen (Macheath).
11 Questa espressione è mutuata dal francese musique d’emblement, legata ad un
commento di Matisse sulla musica di Satie, giudicata piacevole sottofondo in
contrapposizione al sentimento individuale esasperato dalla musica romantica.
L’utilizzo che ne fa Brecht è però diverso in quanto vuole essere musica che induce alla
riflessione e che mina l’opera culinaria (cfr. Fumagalli 1980).
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La figura di Mac delineata da Brecht è tristemente attuale e ricorda molto il “Sistema”
descritto da Saviano in Gomorra, che, come si legge nella presentazione del libro in
copertina, si configura come una “organizzazione affaristica con […] una zona grigia
sempre più estesa in cui diviene arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta
direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie. […U]n fenomeno
criminale profondamente influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica, per cui i boss
si ispirano negli abiti e nelle movenze a divi del cinema, e a creature dell’immaginario,
dai gangster di Tarantino alle sinistre apparizioni de Il corvo con Brandon Lee”
(Saviano 2007).
13 Si pensa sia possibile leggere nell’etimologia anche la parola moralità.
14 Emblematico è anche il nome della cantina dove Mac è solito dare appuntamento a Polly
e alla madre, cioè “Tintenfisch” (I, I, p. 15), l’animale che si difende offuscando la
realtà.
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