Scarica 708_Indice e prefazione Introduzione

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Scarica 708_Indice e prefazione Introduzione
Opere di Brelich
Collana diretta da
Andrea Alessandri, Marc Augé, Maria Grazia Bonanno,
Daniel Fabre, Marcello Massenzio, Paolo Scarpi
Angelo Brelich
Introduzione allo studio
dei calendari festivi
Prefazione e cura di
Ignazio E. Buttitta
Editori Riuniti
university press
In copertina: Fasti Praenestini, calendario di Verrio Flacco 6-9 d.C.,
Roma, Palazzo Massimo
L’edizione di questa opera ha beneficiato di un contributo
dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
I edizione in questa nuova collana Aprile 2015
© 2015 Editori Riuniti University Press – Roma
di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978 88 6473 162 9
www.editoririunitiuniversitypress.it
Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC, che unisce fibre riciclate
post-consumo a fibre vergini provenienti da buona gestione forestale e da fonti
controllate
Sommario
Prefazione di Ignazio E. Buttitta............................................................. p. 7
Introduzione allo studio dei calendari festivi - I parte
Premessa��������������������������������������������������������������������������������������������������p. 35
Capitolo I - Feste e computo del tempo���������������������������������������������p. 43
La festa: fenomeno religioso, p. 43; Feste: private e pubbliche, p. 46;
Feste: occasionali e periodiche, p. 50; Origine religiosa del calendario, p.
59; Festa e periodicità, p. 63
Capitolo II - I calendari festivi nella storia......................................... p. 71
Popoli primitivi e preistoria, p. 71; Studi sui calendari festivi dei popoli
primitivi, p. 74; Popoli di cacciatori e raccoglitori, p. 75; Civiltà coltivatrici
primitive, p. 85; L’«opera degli dèi» in Tikopia, p. 91; Il «calendario»
festivo degli Hopi, p. 97; Nascita delle «civiltà superiori», p. 101; Il
calendario festivo in Mesopotamia, p. 103; L’akitu babilonese, p. 109; Il
calendario festivo nell’Egitto antico. Il computo del tempo, p. 113; Le feste
egiziane, p. 119; Considerazioni sulle feste egiziane, p. 126
Introduzione allo studio dei calendari festivi - II parte
La definizione culturale del tempo
Capitolo I - Il II millennio a.C. nell’Oriente mediterraneo.......... p. 131
Capitolo II - Il problema del calendario «proto-indoeuropeo».... p. 137
Capitolo III - Il calendario vedico....................................................p. 145
Capitolo IV - Il calendario persiano.................................................p. 153
Capitolo V - Considerazioni sui calendari vedico e iranico.......... p. 163
Capitolo VI - Il calendario festivo degli Hittiti...............................p. 165
Capitolo VII - Conclusioni................................................................p. 171
Capitolo VIII - I calendari festivi della Grecia antica....................p. 173
Le origini, p. 173
Capitolo IX - Il calendario festivo attico.........................................p. 179
Il calendario attico: inizio dell’anno, p. 179; Il ciclo agrario, p. 185; Il
«ciclo di Theseo», p. 194; Il ciclo dionisiaco, p. 197; Osservazioni finali,
p. 202
Capitolo X - Il calendario arcaico romano......................................p. 207
Descrizione sommaria, p. 207; La questione della data del calendario
arcaico romano, p. 209; Tracce delle condizioni calendariali anteriori alla
codificazione «di Numa», p. 217; L’inizio dell’anno, p. 224; Il solstizio
invernale, p. 228; Osservazioni finali, p. 233
Elenco delle opere citate���������������������������������������������������������������������p. 237
Prefazione
di Ignazio E. Buttitta
Un incontro per nulla casuale. Mi sia consentito partire
da una notazione di tipo biografico. Ho avuto per la prima
volta la netta percezione dell’acume critico e auto-critico di
Angelo Brelich nel corso della stesura della mia tesi di laurea.
Mi fu allora suggerita, da parte del mio correlatore, Giuseppe
Martorana, la lettura del saggio La religione greca in Sicilia (19641965. Cf. Cusumano 2005): un contributo che, al di là del tema
specialistico affrontato, lasciava trasparire la densità e il rigore
del pensiero di Brelich, la pluralità dei suoi interessi, il rifiuto
di ogni sapere pre-costituito, stimolandomi ad approfondire
la conoscenza delle sue opere. In ragione dei miei interessi, la
mia attenzione fu catturata da Introduzione allo studio dei calendari
festivi: ne affrontai lo studio fresco della lettura di Feste agrarie
russe di Vladimir Propp, La grande festa di Vittorio Lanternari, Feste romane di George Dumézil, Il mito dell’eterno ritorno di
Mircea Eliade e del saggio su La rappresentazione del tempo nella
religione e nella magia di Hubert e Mauss. Le pagine di Brelich mi
dischiusero un quadro unitario del fenomeno sostenuto con
rigore dal metodo storico-comparativo. Metodo volto a rendere manifesto il processo storico di formazione dei prodotti
culturali, tra cui, appunto, i calendari e i sistemi festivi che ne
costituiscono la struttura: il tutto – si badi bene – a vantaggio
degli studenti e degli allievi destinatari privilegiati delle sue dispense universitarie.
Ragioni e struttura di Introduzione allo studio dei calendari festivi. I due volumi di Introduzione allo studio dei calendari
festivi, pubblicati tra il 1954 e il 1955 dalle Edizioni dell’Ateneo,
costituiscono le dispense dei corsi tenuti da Angelo Brelich,
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
presso l’Università “La Sapienza” negli anni accademici 1953-54
e 1954-55, quale docente incaricato di Storia delle Religioni. Le
scelte dei contenuti, dell’ordine e dello stile espositivo risentono,
pertanto, dell’utenza a cui Brelich, prioritariamente, intendeva
rivolgersi.
Sin dal titolo le dispense annunziano chiaramente «gli scopi,
il carattere e i limiti» dell’esposizione. Come dichiarato nella premessa, nonostante che negli anni Cinquanta del Novecento si
fossero già sparsamente accumulate sull’argomento «cognizioni
[…] vaste e dettagliate», lo studio dei calendari festivi «costituiva
un campo di studi piuttosto trascurato» (Brelich 1955: I, 5) e
sino allora mai sistematicamente trattato secondo una chiara
prospettiva storico-religiosa (cf. Spineto 2003: 289 s.; Piccaluga
2005: 27 s.). Il corso doveva costituire, pertanto, «molto più un
avviamento al metodo storico dello studio dei calendari festivi
in generale che non l’esposizione di una massa di dati sui diversi
calendari singoli» (Brelich 1955: I, 14), introducendo gli allievi
alla conoscenza dei principali contributi (generali e particolari) rivolti al loro studio e delle relative proposte interpretative.
Brelich evidenzia innanzitutto la necessità di distinguere tra
due diversi, seppur correlati, aspetti presenti in ogni sistema
calendariale (quello “cronologico” relativo al computo del tempo e quello più squisitamente “religioso”) rilevando l’assenza
di tentativi tesi a «una chiarificazione metodologica rispetto ai
rapporti tra questi due aspetti» (1955: I, 10). L’autore delinea
e definisce così il campo di ricerca, rivendicando l’autonomia
euristica dell’approccio storico-religioso: «Il nostro interesse
verterà sull’aspetto religioso dei calendari, in altri termini sui calendari festivi: sul costituirsi e sul disporsi delle feste nei quadri
cronologici dell’anno, del mese e delle eventuali altre unità di
tempo. Lo studio di questi quadri cronologici, per essi stessi,
non sarà per noi un fine a sé: ma cercheremo, invece, di stabilire, se tra il “computo del tempo” e l’impulso religioso a fissare
feste periodiche vi sia – e in quale senso – un nesso genetico.
La limitazione implicita nel termine “calendari festivi” non è
dunque soltanto una limitazione; è anche una precisazione del
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Prefazione
genere d’interesse scientifico – puramente storico-religioso –
che informerà i seguenti studi» (1955: I, 14).
Nelle pagine di Brelich si dispiega, dunque, un metodo; si
indica chiaramente «un modo di studiare i calendari festivi in
generale – tutti o uno qualsiasi» (1955: I, 15), selezionando
una serie di esempi particolarmente cogenti, disponendoli in
un ordine idealmente cronologico e procedendo così alla descrizione e all’analisi dei sistemi calendariali e festivi di alcune società “primitive” (appunto idealmente associate a quelle
preistoriche) per arrivare alle civiltà “alte” del Vicino Oriente,
dell’India, della Grecia e di Roma antiche. Questa “forzatura
cronologica” – i Pigmei, i Boscimani, i Tobriandesi, ecc. avevano avuto una, sia pur ignota, autonoma e peculiare storia ed
erano ovviamente successivi alle culture preistoriche – trova
una sua precisa ragion d’essere: essa risiede, da un lato, nella
necessità di porre in evidenza gli ineludibili rapporti tra regimi
di sussistenza (e correlate forme di organizzazione sociale e
politica) e il livello di complessità organizzativa dei calendari
cerimoniali e, dall’altro, nell’esigenza di cogliere i «primi germi
del pensiero calendariale» (1955: I, 16), ossia di individuarne
i principi fondativi. Non è, dunque, né la comprensione del
senso della festa né quella del significato di singole feste (men
che mai l’individuazione “fenomenologica” di specifiche tipologie
festive detentrici di un proprio e autonomo significato) l’obiettivo principale di Brelich; piuttosto egli si propone di rilevare,
attraverso lo strumento della comparazione, il dispiegarsi di
uno o più principi strutturanti alla base di tutti i sistemi calendariali e festivi. Per Brelich, che guarda alle concettualizzazioni
del tempo e alle sue specifiche forme di organizzazione come
a costrutti culturali interamente sostenuti da “ragioni umane”,
ogni calendario festivo è, infatti, manifestazione di una cultura
religiosa e «espressione fedele di una concreta civiltà storica»
(1955: II, 66. Cf. Massenzio 1998: 65).
Nondimeno, per necessari fini didattici e di chiarificazione
concettuale, il primo capitolo di Introduzione allo studio dei calendari
festivi, «Feste e computo del tempo», è rivolto alla perimetrazione
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
del “fenomeno” festa di cui si mette in luce la natura religiosa
o comunque riconducibile a originarie istanze di carattere religioso. L’origine dei calendari festivi è «in ogni modo puramente
religiosa», poiché nessun motivo di ordine pratico può spiegare
compiutamente la periodicità delle feste (1955: I, 48), osserva
Brelich, che individua due ampie tipologie dicotomiche: “feste
private e pubbliche” e “feste occasionali e periodiche”. Non
si può qui dar conto estesamente delle sue considerazioni; mi
limito a segnalare che la periodicità festiva, non sempre esclusivamente riferibile alla ricorrenza annuale di fenomeni naturali e alle
connesse attività umane, è un fatto riscontrabile presso tutte le
civiltà, anche le più “primitive”: essa si ritrova, infatti, anche nei
casi in cui mancano precisi sistemi di computo del tempo. Le
forme e i contenuti delle feste, seppur inscindibilmente connessi
alla periodicità naturale, ai ritmi produttivi, ai modi e ai tempi
di accesso alle risorse alimentari, dipendono anche dalle caratteristiche storico-sociali di ciascuna civiltà. Esiste un «carattere
fondamentale della festa» che risiede «nella sua separazione dal
giorno comune», nell’essere cioè sottratta all’usura del tempo
ordinario e caratterizzata da specifiche e stra-ordinarie forme
di comportamento in quanto tempo qualitativamente speciale,
sacro (Brelich 1955: I, 51. Cf. Eliade 1973: 47 e 1989; van der
Leeuw 1975: 304 s.; Cassirer 1988: 175 s.).
Le feste rispondono «al bisogno di sottrarre alla contingenza, al normale scorrere del tempo, determinati momenti della
vita sociale e/o individuale, ai quali si vuole attribuire una particolare enfasi, un significato di carattere culturale» (Massenzio
1998: 64. Cf. Id. 2013: 13 ss.). Esse creano una svolta, una rottura dell’abituale successione cronologica, e consentono con la
loro ripetizione, catartica e solutoria, estranea all’irreversibilità
temporale, il superamento di determinate crisi esistenziali e la
costruzione del senso dell’esistenza (cf. Brelich 1966: 50-51).
Questa operazione di riduzione del sacro entro precisi limiti temporali (e spaziali) permette all’uomo «un contatto, un
rapporto regolabile ed umano con ciò che è essenzialmente
non umano, cioè con il sacro»; un contatto di fatto necessario
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Prefazione
perché risolutore «della crisi connaturata all’esistenza umana»
(1955: I, 54-57. Cf. Spiro 1998: 284 ss.). Nello spazio-tempo
festivo si trovano riunite, infatti, le condizioni che permettono
a oggetti e a gesti, a suoni e a parole di esprimere sacralità consentendo il manifestarsi sensibile e percepibile del divino (cf.
Kerényi 2001: 129), vale a dire di quella potenza “altra” che,
così circoscritta e individuata, gratifica l’uomo e lo salva «dal
rischio vitale di non esserci nell’esistenza storica» (De Martino
1995: 63. Cf. Massenzio 1998: 65). «Ogni fase della periodicità
cosmica o naturale, – scrive Brelich – significa […] un passaggio
da uno stato all’altro, un inizio di una nuova configurazione di
condizioni. Queste sono le ragioni fondamentali e comuni che
[…] spingono anche popoli tecnicamente ed economicamente
primitivissimi ad istituire feste in collegamento con le ricorrenze naturali e cosmiche, anche se, evidentemente, ogni singolo
popolo lo fa in forme concrete differenti. D’altra parte è l’interesse per le feste che promuove in seguito un’osservazione
più attenta delle periodicità cosmiche e naturali, di modo che il
computo del tempo e la stessa astronomia sorgono, in ultima
analisi, da esigenze religiose» (1955: I, 59).
Sulla base di queste considerazioni Brelich procede nella
ricerca dei comuni principi istitutivi dei calendari festivi. Essi
possono essere ricavati attraverso un accorto esercizio della
comparazione interculturale, autentico strumento euristico che
non solo può offrire elementi necessari all’interpretazione di
ogni singolo sistema festivo ma che è anche in grado di rendere
ragione degli eventuali aspetti oscuri presenti nella prassi rituale
(cf. Brelich 2010b: 29). L’autore si dedica, quindi, all’analisi
delle feste periodiche dei popoli “primitivi” o “selvaggi” (la
definizione ha una pura funzione classificatoria e non risente
delle semplificazioni di matrice evoluzionistica). Scrive Brelich:
«Lungi dal voler affermare che la civiltà di un popolo primitivo
attuale corrisponda a quella di un qualsiasi popolo preistorico, noi dovremo necessariamente ammettere che certi grandi
quadri tipologici sono validi per le civiltà di tutti quei popoli che
vivono in condizioni analoghe. Noi non potremo mai sapere
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
le concrete forme del primo pensiero “calendariale” della preistoria: ma poiché lungo tutto il Paleolitico l’umanità visse di
caccia e di raccolta, un esame della periodicità festiva presso gli
attuali popoli di cacciatori e di raccoglitori potrà darci un’idea
del genere delle feste periodiche che poteva esistere in quella
lontana epoca preistorica; e altrettanto vale poi nei riguardi
delle successive fasi preistoriche paragonabili […] ad altre civiltà
primitive attuali (p. es. neolitico e agricoltura primitiva, ecc.),
fino alla comparsa delle civiltà superiori che hanno lasciato
testimonianze dirette (scritte) sui propri sistemi calendariali»
(1955: I, 63-65). Seguendo questa linea, Brelich analizza innanzitutto i sistemi festivi di alcuni “popoli cacciatori e raccoglitori” (Boscimani, Pigmei, Aborigeni australiani), rilevando tra
l’altro che: la periodicità annuale (o il ritorno delle “stagioni”) è
rilevante anche per l’umanità «primitiva per il tema del perenne
rinnovamento»; che «anche popoli cacciatori e raccoglitori – e
non soltanto agricoltori, come generalmente si crede – possono avere feste annuali»; che «più feste, variamente disposte nel
ciclo annuale, possono ugualmente riferirsi all’idea del rinnovamento e dell’inizio»; che «i mezzi del sostentamento materiale
[…] entrano in rapporto, sin da quella fase culturale primitiva,
con la religione, attraverso la celebrazione di feste primiziali»,
poiché «la consacrazione delle primizie – collocata nel tempo
sacro – risponde al bisogno di assicurare la perennità di quelle
fonti dell’esistenza e, d’altra parte, di liberare il loro ulteriore
uso da ogni legame col sacro» (1955: I, 74).
Nell’illustrare i calendari cerimoniali delle “civiltà coltivatrici
primitive”, Brelich, prestando sempre costante attenzione alla
ricostruzione dei contesti esistenziali e storico-sociali, osserva come la produzione degli alimenti permetta «una vita più
sedentaria e quindi la formazione di unità sociali più estese»,
promuova «lo sviluppo delle industrie primitive» e contribuisca «alla moltiplicazione degli interessi umani» (1955: I, 83).
In questa fase culturale anche porzioni più piccole dell’anno
assumono una precisa fisionomia sacrale, «in corrispondenza
alle fasi delle coltivazioni»; ciò fa sì che divenga per la prima
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Prefazione
volta «particolarmente acuto il problema cronologico fondamentale di tutti
i calendari: quello di accordare i “mesi” all’anno» in funzione
della coltivazione. Quest’ultima, infatti, articolandosi in varie
attività, «comporta un maggior numero di momenti “critici”
annuali e quindi una maggior varietà di feste periodiche» (1955:
I, 85-88). Tale problema sarà variamente risolto adottando periodizzazioni su base lunare e/o solare e troverà nuove, e talora
particolarmente complesse, soluzioni presso le civiltà “alte”.
In ragione di quanto osservato, i popoli coltivatori possiedono, in genere, un organico “ciclo festivo annuale” sistemicamente organizzato e caratterizzato da un momento emergente,
una grande festa di capodanno che, nella più parte dei casi, si
rivela connessa con il «raccolto del principale genere alimentare», ossia correlata al «principale interesse vitale» (1955: I,
90). Il valore e i contenuti di questa festa, che “chiude l’anno
precedente” e “apre l’anno successivo”, tuttavia, non possono
essere semplicisticamente ricondotti a mere istanze di carattere economico; in concomitanza si manifesta l’esigenza della
rifondazione periodica dell’ordine sociale e del «ritorno alle
origini dell’esistenza»: ciò porta a istituire un rapporto privilegiato con gli antenati garanti della continuità della vita umana e della fecondità della terra (1955: I, 90-93). Sulla base dei
risultati desunti dall’analisi delle feste degli indigeni dell’isola
di Tikopia e di quelle degli Hopi, Brelich rileva che «anche il
calendario degli Hopi americani, come quello dei Tikopia polinesiani consiste essenzialmente nelle celebrazioni periodiche
dei fondamenti dell’esistenza della società, con una preminenza, tra
questi, dell’agricoltura e dei rapporti tra i singoli gruppi (clans)
in cui la società si articola» (Id., 110).
L’adozione di un regime esistenziale fondato sull’agricoltura
e sull’allevamento, nella misura in cui implica la sedentarizzazione delle società, porta al loro progressivo accrescimento,
alla differenziazione e stratificazione sociale, all’affinarsi delle
industrie, alla formazione delle città, all’invenzione della scrittura ossia alla nascita delle “civiltà superiori”. A queste sono
dedicati specifici paragrafi che prendono in esame i calendari
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
festivi della Mesopotamia (con particolare riferimento all’Akitu)
e dell’antico Egitto, i quali mostrano che «nel centro dell’esperienza religiosa del rinnovamento periodico» di queste civiltà
non figurano più «gli elementari interessi legati al sostentamento materiale, bensì l’insieme dell’ordine cosmico. La nuova forma
di coscienza che condiziona le nuove forme di una “civiltà superiore” comporta la possibilità di una più ampia “apertura” sul
cosmo, nel cui ordine permanente o perennemente rinnovato
viene inquadrato anche quello della società nella sua organica
forma di stato centralizzato» (1955: II, 131). Si mostra così
come le feste, celebrate in tempi e spazi definiti, da un lato disgiungano aspetti estratti dal continuum spazio-temporale, dall’altro ribadiscano sensi e ritmi esistenziali in relazione alla continuità della vita cosmica e sociale. Proponendosi come inserti
atemporali nella successione del tempo, le feste realizzano una
sintesi tra l’ordine sincronico e quello diacronico, tra passato e
presente. «Grazie al rituale, – osserverà Lévi-Strauss – il passato
“disgiunto” del mito si articola, da un lato con la periodicità
biologica e stagionale, dall’altro con il passato “congiunto” che
unisce, attraverso tutte le generazioni, i morti e i vivi» (2004:
256-257).
Nella seconda parte di Introduzione allo studio dei calendari festivi,
è affrontato il problema del calendario “proto-indoeuropeo”: in
questa prospettiva l’Autore, dopo aver rimarcato l’impossibilità
di ricostruire l’ordinamento festivo periodico di un presunto
popolo originario, illustra il calendario e gli istituti festivi vedici,
persiani, hittiti, discutendo specifici problemi cronologici e semantici (l’elaborazione sacerdotale, i rapporti e le influenze tra
i diversi sistemi festivi, le relazioni tra ordinamento calendariale
e ordinamento sociale, ecc.). Particolarmente dettagliata risulta
l’analisi dei “Calendari festivi della Grecia antica” e del “Calendario arcaico romano” (argomento, quest’ultimo, al quale Brelich
si stava interessando in quegli anni).
Riguardo al calendario rituale attico – sul quale ritornerà
estesamente in Paides e Parthenoi (2013 [1969]) – Brelich distingue due tipi di feste: quelle in cui «il momento agrario, che
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Prefazione
tuttavia determina la loro posizione al principio dell’anno, è
sublimato e concepito sotto l’aspetto delle condizioni fondamentali dell’esistenza cosmica (Kronia) e civica (Panathenaia)», e
quelle che «conservano un nesso più appariscente con il ciclo
della coltivazione della terra». Inoltre, mettendo in risalto l’efficacia del metodo storico-comparativo, aggiunge: «Noi, tuttavia,
preparati dalla conoscenza delle feste agrarie dei popoli primitivi e, in generale, del significato stesso della festa, non avremo
motivo di ridurre il contenuto di queste feste a pure operazioni
“magiche” destinate semplicemente a promuovere la fecondità
della terra» (1955: II, 89. Cf. Brelich 1985: 81). D’altra parte il
ciclo festivo connesso con l’agricoltura, che si distende dal primo all’ultimo mese dell’anno attico e che ne costituisce, da solo,
“l’ossatura”, «non dà ragione di tutte le feste». Alcune di esse,
infatti, non sembrano avere alcun nesso con l’agricoltura: è il
caso di «due feste che – secondo i loro miti etiologici – commemoravano la partenza e il ritorno di Teseo e che operavano una
netta bipartizione sul corpo dell’anno attico» (1955: II, 104).
Da osservazioni di questo tipo si deduce che ogni calendario
è autonoma espressione di una civiltà religiosa organica; per
quanto concerne il calendario greco, è da osservare che esso
rispecchia «fedelmente il carattere fondamentale» di una civiltà
«che unisce in mirabile armonia la libertà creatrice con un severo e tradizionale senso della forma» (1955: II 122-123).
Passando all’esame del calendario romano, Brelich si interessa non tanto ai significati delle singole feste, quanto alla sua
struttura, vale a dire alle relazioni simboliche fra ricorrenze
complementari, alla regolarità numerale nella successione delle
feste e al significato delle relative eccezioni, ai rapporti tra le feste fisse e il loro valore teologico, ecc. (cf. Montanari 2010: 21).
Per quanto attiene all’importante questione relativa all’esistenza
di un unico inizio dell’anno ovvero di più inizi, testimoniati da
diversi documenti calendariali, l’Autore si sofferma particolarmente sul capodanno marziale e sulle ragioni che ne avevano
potuto giustificare la sua istituzione (Brelich 1955: II, 142 ss.
e 154 ss. Cf. Id. 2010a: 139 ss.; Illuminati 1961). Il calendario
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
romuleo (così come, successivamente, quello di Numa) fissava
il principio dell’anno in marzo in relazione all’equinozio primaverile; la tesi che tale capodanno fosse da mettere in relazione
con l’avvento della primavera e il rinnovamento della natura
era stata sostenuta da vari autori (cf. p. es. Warde Fowler 1899:
33 ss.). Brelich è di diverso avviso e propende a mettere in rapporto l’inizio dell’anno arcaico con il momento inaugurale del
consumo del farro – «unico cereale coltivato dai Romani per
diversi secoli» (1955: 159-160) – immediatamente successivo
alla sua torrefazione (che avveniva in febbraio e veniva celebrata nel corso dei Fornacalia). Egli osserva a riguardo che «il
rinnovamento della natura e della vegetazione» va considerato
«un’esperienza vagamente poetica, non un fatto di importanza
concreta, specie poi nell’Italia centrale, dove marzo non rappresenta un netto taglio climatico» (2010a: 141; cf. 1955: II,
157 ss.). In Mesopotamia il capodanno si celebrava in marzo,
corrispondente al mese della mietitura; a Roma lo stesso mese
si caricava di significato non perché segnava il generico risveglio
della natura e la garanzia di un futuro raccolto, ma perché al
suo interno aveva luogo l’evento di fondamentale importanza
economica. Pur essendo, a Roma come altrove, i periodi di
transizione caratterizzati da un insieme di riti tesi a rappresentare il rinnovamento sociale e cosmico, l’accento cade quindi
sulla «consumazione del principale prodotto agrario» (1955:
II, 161; cf. Id. 2010a: 165). In tal modo Brelich ribadisce che
le feste di capodanno segnano l’aprirsi di una nuova fase della
vita naturale e sociale, in relazione privilegiata con le specificità
produttive e con gli ecosistemi locali, anche a prescindere da
una immediata rispondenza con i cicli cosmici (solstizi, equinozi) sui quali si fonda l’inizio ufficiale delle stagioni. Nel saggio
intitolato Febrarius, Brelich, rinviando in nota proprio alle sue
dispense sui calendari festivi, scrive: «Uno sguardo sui calendari
dei più diversi popoli – “primitivi” o “colti”, senza differenza –
ci convince subito che l’inizio dell’anno non è casuale: esso si
stabilisce, per lo più, in corrispondenza di un evento periodico
di essenziale importanza per l’esistenza del popolo; ciò può
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Prefazione
essere, per i popoli agricoltori, la mietitura o, più raramente,
l’inizio dei lavori agrari; per i popoli cacciatori e raccoglitori un
cambiamento climatico che determina le condizioni della caccia
e della raccolta; per i pastori l’uscita o il ritorno delle greggi o la
tosatura delle pecore, ecc. Vi sono casi in cui l’inizio dell’anno
è legato a un fatto astronomico (levata eliaca di una costellazione, solstizi ed equinozi), ma quasi sempre si può dimostrare
che in simili casi il fatto astronomico viene scelto in funzione
dell’importanza essenziale della stagione in cui si verifica […]»
(2010a: 140).
Tutte queste importanti e originali considerazioni sulla struttura e sui meccanismi che presiedevano alla formazione dei
calendari festivi sono certamente anche frutto dell’attenzione
rivolta da Brelich ai materiali etnologici; lo studio storico-comparato dei calendari ci offre, infatti, una chiave particolarmente
efficace per accedere a nuovi livelli di conoscenza della religione
e delle religioni, che, nel loro dispiegarsi storico, riflettono le
visioni del mondo e simultaneamente gli ordinamenti sociali e
politici delle diverse civiltà (cf. Sabbatucci 1988).
Considerazioni. Da quanto si è osservato, è possibile apprezzare la densità interpretativa di Introduzione allo studio dei
calendari festivi. L’analisi di Brelich va ben oltre il livello di una
mera didascalica esposizione di quanto, fino allora, gli studiosi di scienze umane (etnologi, storici delle religioni, antichisti,
ecc.) erano andati raccogliendo sull’argomento, nella misura
in cui affronta il problema – sollevato da Durkheim (1912) –
dell’organizzazione culturale del tempo (cf. Massenzio 2013: 5
ss.). Un problema universalmente umano che riguarda anche il
mondo contemporaneo. Brelich, d’altronde, come ha osservato
Massenzio, non si limita mai a un’acritica registrazione dei dati
ma persegue apertamente l’obiettivo della «ricostruzione del
processo di formazione dei fenomeni indagati», della ricerca
dei “presupposti” e delle “origini”, preoccupandosi altresì di
individuare le cause sottese ai processi di trasformazione (2006:
8-11). Come lo stesso Brelich dichiara, è a partire dall’esigenza
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Introduzione allo studio dei calendari festivi
di tracciare «la linea storica che conduceva […] – dai primi
germi del pensiero calendariale fino a quel tipo particolarmente
complesso di calendario festivo, […] rappresentato dal “calendario di Numa”» (1955: I, 16), che era maturato l’interesse, se
non la necessità, di «approfondire i problemi calendariali in
genere» e di individuare un metodo utile ad «essere applicato
a qualsiasi altro settore degli studi calendariali» (1955: 15-16).
Questo percorso euristico offre all’Autore l’occasione di avanzare proposte metodologiche e interpretative particolarmente
fertili e innovative rispetto agli approcci allora dominanti in
Italia. La linea di ricerca fatta propria da Brelich è da mettere in rapporto alla lezione storicista di Raffaele Pettazzoni e,
in particolare, al discorso sul metodo comparativo: in questa
prospettiva si comprende il valore attribuito ai dati etnologici,
fondamentali ai fini dell’inquadramento dei fenomeni religiosi
(cf. Lanternari 1989: 285 ss.; Massenzio 1998: 63 s.; Montanari
2010: 14 s.). In Introduzione allo studio dei calendari festivi si disvela in sostanza già chiaramente operante quella metodologia
storico-comparativa che, ulteriormente affinata, si dispiegherà
nei suoi successivi lavori (p. es. Brelich 2010b, 2013). Scriverà,
infatti, solo qualche anno più tardi (1958): «I documenti di una
religione antica sono sempre frammentari; ma come le lacune
di un testo frammentario possono spesso essere colmate, come
sanno i filologi, mediante il confronto con testi simili, così anche singoli fatti religiosi lacunosamente documentati possono
essere integrati con l’aiuto “filologico” della comparazione, alla
luce, cioè, di contesti religiosi (purché accertatamente analoghi)
conosciuti più dettagliatamente» (2010b: 29).
L’istanza comparativista restava inscindibile dall’esigenza di
un’analisi storica delle culture. Partendo dalla considerazione
che la periodizzazione festiva costituisce una costante strutturale riscontrabile in diversi tipi di società, occorreva dare
ragione delle differenze formali, funzionali e semantiche: ciò
si rendeva possibile solo valutando concretamente, senza sommarie e astoriche tipologizzazioni, i regimi esistenziali, l’organizzazione socio-politica, le forme di produzione delle risorse
18
Prefazione
alimentari. D’altra parte, l’individuazione di linee di sviluppo
culturale proprie delle civiltà storiche non poteva fondarsi su
criteri evoluzionistici, di tipo riduttivo, improntati all’idea di
un uniforme, progressivo e inarrestabile processo che porta
dal primitivo al superiore, dal magico-religioso al razionale, dal
semplice al complesso, ecc. Brelich rileva, in proposito, come le
comparazioni di stampo evoluzionista tendano «ad accumulare
sotto ogni “rubrica” di argomento un numero imponente di
documenti, spesso solo superficialmente analoghi, ma soprattutto sempre isolati, strappati cioè all’organica unità culturale
cui appartengono e dalle connessioni storiche che potrebbero
spiegarli» (1955: I, 67. Cf. Id. 2007: 37 ss.).
Non si deve mai prescindere dal legame che intercorre tra le
condizioni materiali, gli stili di vita, le strutture sociopolitiche
e le espressioni religiose (cf. Lanternari 1989: 285 s. e 1997a: 8
ss.): ciò perché «vi è un’interdipendenza funzionale tra le forme
dell’esistenza economico-sociale e le forme culturali umane»
(Brelich 1955: I, 63). A parte queste considerazioni, se esistono
principi strutturali “universali”, è tuttavia da osservare che ogni
cultura presenta sue evidenti peculiarità in relazione alle condizioni storiche (economiche, culturali, sociali, politiche) della sua
formazione e del suo sviluppo: «Vi sono fenomeni religiosi che
si riscontrano – alcuni in tutte, altri in molte – religioni differentissime. In ogni singola religione essi assumono una forma
particolare che dipende o dalla struttura organica storicamente
determinata nella singola religione o da altri fattori storici […].
Malgrado la grande varietà di forme particolari, ciascuno di quei
fenomeni ha una struttura fondamentale propria. Ciò non significa affatto che una tale struttura sia al di fuori della storia, ma
significa soltanto che il fenomeno risponde a condizioni umane
storicamente valide in una grande varietà di epoche, luoghi,
civiltà e, per questo stesso fatto, si è potuto costituire anche in
fasi remotissime della storia umana, anteriori alle più importanti
diversificazioni culturali, e mantenersi, in forme sempre variate,
attraverso tutte quelle diversificazioni» (1955: I, 18. Cf. Propp
1978: 5 ss.; Jakobson 1980: 13).
19
Introduzione allo studio dei calendari festivi
Tali considerazioni possono essere ritenute valide se si riconosce il valore fondamentale che ha la storia sia nella determinazione dei fatti culturali, sia nella conoscenza e nella comprensione di questi ultimi. «Lo storicismo che noi contrapponiamo
a ogni indirizzo anti-storico», scriverà Brelich alcuni anni più
tardi, «si fonda anzitutto sul fatto obiettivo del continuo – ora
lento ora rapido, graduale o radicale – mutare delle culture e
sul riconoscimento che esso dipende dalle forze creative delle
società umane, che si esplicano nelle varie forme della conservazione e dell’innovazione. Questo storicismo prescinde da ogni
presupposto metafisico, da ogni postulato di valori trascendenti
e si realizza nell’individuare i fattori che mettono in grado, di
volta in volta, di procedere alla scelta di una soluzione culturale.
Esso mira a comprendere la novità e la portata di ogni siffatta
soluzione mediante il confronto con la situazione precedente
e con altre soluzioni scelte in situazioni analoghe (seppure mai
identiche) da altre società: donde la sua dimensione comparativa
da cui nessuna storiografia può prescindere sotto pena di esaurirsi in mera cronaca locale» (Brelich 1970-72: 26-27. Cf. Eliade
1990: 121 ss.; Montanari 2001: 62 s.; Modzelewski 2008: 19-20).
L’esercizio della comparazione, dunque, quando condotto con
accortezza e senza estrapolare singoli segmenti dai contesti di
appartenenza, sciogliendoli da quelle relazioni sistemiche che
contribuiscono a riempirli di senso, si rivela certamente una chiave positiva per la comprensione dei fatti culturali (cf. Pettazzoni
1959; Brelich 1970-72; Cirese 1997: 154 ss.).
La marcata opzione teorica e metodologica a favore della storia e dello storicismo sta anche alla base dei rinnovati studi di
mitologia comparata: prendiamo il caso dello studioso lituano
Algirdas Greimas che in Miti e figure, dopo aver ribadito che non
è in alcun modo rilevante «la ricerca di corrispondenze tra questi
o quegli dèi considerati separatamente», afferma: «La mitologia
comparata è veramente importante perché permette di confrontare e di mettere in evidenza le affinità del pensiero religioso,
aiutando il ricercatore a costruirsi modelli di carattere generale,
che si rivelano tuttavia strumenti preziosi per affrontare problemi
20
Prefazione
specifici di una religione particolare» (1995: 19-20). In sintesi si
prestano ad essere comparati in modo costruttivo gli insiemi e
i sistemi di credenze e di comportamenti e non figure divine,
istituti o simboli rituali considerati isolatamente. Da rifiutare in
parallelo è il ricorso alle comparazioni globali di stampo evoluzionista che «procedono per assimilazioni dirette, senza tener conto
di quanto è specifico in ogni sistema di cultura. […] Il confronto
è valido nella misura in cui si accompagna alla definizione di un
campo di ricerca che offra sufficienti garanzie, da un lato di completezza, dall’altro di coerenza interna» (Vernant 1975: IX).
Per Brelich il comparativismo costituiva uno strumento necessario a illuminare le analogie e le continuità non meno che le
diversità e le fratture tra le diverse società nel loro farsi storico, nei
loro processi di formazione e sviluppo in rapporto alle condizioni materiali dell’esistenza ma anche, ineludibilmente, ai contatti
con altre culture (cf. Brelich 1976: 45). Esso, muovendosi all’interno di una visione processuale e contestualizzante, rifuggiva
tanto dall’evoluzionismo che dal fenomenologismo, richiamando
costantemente l’esigenza di un approccio sistemico allo studio dei
fenomeni religiosi. Per il Brelich degli anni Cinquanta, infatti, non
è metodologicamente corretto e può condurre a interpretazioni
fallaci studiare un elemento rituale o una figura cultuale senza
considerare «i contesti rituali in cui il culto si realizza» (Bettini
1986: 89) e senza rilevare, da un lato, i rapporti sistemici e le
simmetrie che intercorrono tra i singoli istituti festivi, dall’altro, le
loro relazioni con la dimensione socio-economica. Tale approccio, che univa gli interessi diacronici all’analisi dei sistemi culturali,
si stava affermando anche in ambito etno-antropologico. Così
scrive Evans-Pritchard nel 1965: «occorre spiegare i fatti religiosi
nei termini della totalità della cultura e della società in cui essi
si presentano. […] Questi fatti vanno visti come una relazione
reciproca di parti all’interno di un sistema coerente in cui ogni
parte ha un senso solo in relazione alle altre, e dove lo stesso
sistema ha un senso in relazione con altri sistemi istituzionali,
come parte di un più vasto sistema di relazioni» (1971: 186). Pertanto, se lo spazio-tempo della festa può essere considerato uno
21
Introduzione allo studio dei calendari festivi
dei luoghi di accesso privilegiati alla conoscenza delle forme e
delle idee religiose di una cultura, lo può essere, in primo luogo,
solo quando è valutato in rapporto all’insieme di cui è parte integrante. Così osservava, pur partendo da antitetici presupposti,
ossia attribuendo un valore autonomo all’esperienza religiosa, il
primo maestro di Brelich, Karl Kerényi: «Se esiste un punto da
cui possa partire la comprensione della religione antica e in cui
l’indagine sulle religioni della scienza dell’antichità e di quella etnologica possano prestarsi reciproco aiuto, consiste proprio nel
sondare l’essenza della festa» (2001: 48). Da questa esigenza di
analisi sistemica muoverà, tra gli altri, Dumézil, che, in apertura
del suo Feste romane, osserva l’importanza dello studio dei calendari cerimoniali (dei principi che presiedono all’organizzazione e
alla distribuzione delle feste, dei contenuti delle singole cerimonie e delle relazioni tra queste temporalmente e funzionalmente
intercorrenti) ai fini della comprensione delle forme religiose:
«Per la religione pubblica, il principale supporto di questa pratica
[religiosa] è il calendario e, all’interno del calendario, il quadro
delle feste fisse» (1989: 9).
Analoghe riflessioni si ritrovano nei lavori di Servier sulle
feste dei Berberi dell’Algeria (1962) e di Propp sulle feste agrarie
russe (1978); lavori che, proprio a partire dalla considerazione
delle feste come articolati simbolici a carattere sistemico, sostengono la necessità di condurre analisi complessive dei calendari
cerimoniali. I singoli istituti festivi trovano pienezza di senso
solo nel rapporto con gli altri, per cui è imprescindibile lo studio
delle relazioni che ciascun fenomeno intrattiene con l’insieme
dei fenomeni di cui esso è una componente significativa. «La nostra scienza – afferma Propp – richiede che i fenomeni vengano
studiati in tutti i loro legami condizionanti: una singola festa, di
conseguenza, può essere compresa correttamente solo quando
si studi l’intero ciclo annuale delle feste» (1978: 42). In sostanza,
poiché un rito festivo è un elemento non isolato, né isolabile, di
un sistema di rinvii e rispondenze temporali, funzionali e simboliche (il calendario cerimoniale) di cui esso costituisce solo
un elemento tra gli altri, esso può essere pienamente compreso
22
Prefazione
solo all’interno e in relazione a questi sistemi (Smith 1981 e
1988. Cf. p. es. Bourdieu 2005: in part. 305 ss.; Cacopardo 2010).
Ogni lettura dei fatti e delle espressioni culturali, osserva Caillois,
perde gran parte del suo valore quando essi «restano avulsi dal
loro contesto, dall’insieme delle credenze e dei comportamenti
di cui fanno parte e che conferiscono loro un senso» (2001: 9.
Cfr. Miceli 1989: 123; Gellner 1992: in part. pp. 31-61): questo
perché in ogni fenomeno culturale, come insegna Bogatirëv,
seguendo la nozione di struttura di Koffka, ciascun elemento
«raggiunge la sua completezza soltanto per mezzo degli altri e
insieme con gli altri» (1982: 57). È sulla base di questo genere
di considerazioni che Propp potrà rilevare come i contenuti dei
riti di Capodanno, di Carnevale e della Pasqua, delle feste di
primavera e del raccolto siano riconducibili a una precisa fase
storico-sociale, quella iniziale dell’agricoltura, e che Greimas potrà scrivere: «le feste calendariali sono legate all’alternanza delle
stagioni e, nelle società agrarie, all’avvicendarsi dei lavori dei
campi e delle preoccupazioni degli uomini. Questi lavori, che si
ripetono da un anno all’altro, eseguiti secondo regole stabilite
e modalità prescritte, dovevano essere benedetti e protetti dai
geni tutelari; la loro riuscita forniva l’occasione di ringraziare
gli dèi e di manifestare la propria gioia. Non è dunque possibile
separare l’eterno ritorno dei lavori e delle feste dalla religione:
gli dèi vi partecipano quanto gli uomini. I riti e i miti, la liturgia
e la teologia sono inseparabili» (1995: 4).
Anche da questa prospettiva emerge l’importanza – condivisa da vari studiosi – di una delle tesi che sostengono Introduzione
allo studio dei calendari festivi, ossia che lo studio storico-comparato degli articolati mitologici e rituali può offrire un contributo
decisivo alla comprensione delle ideologie, delle istituzioni e
delle prassi socio-culturali: il loro esame, infatti, ci dischiude «un
universo mentale, diverso dal nostro, di difficile accesso, sconcertante ancorché familiare sotto certi aspetti […] rivelando più
chiaramente l’alfabeto» di cui coloro che ci hanno preceduto
«si sono serviti per spiegare il mondo» (Vernant 1975: VIII;
Miceli 1989: 16).
23
Introduzione allo studio dei calendari festivi
All’esigenza di prendere in considerazione i contesti e ai
rapporti sistemici tra le sue diverse componenti materiali e
immateriali è certamente da ricondursi l’attenzione rivolta da
Brelich alle strategie di accesso alle risorse alimentari, quindi
alla dimensione produttiva, come fattori condizionanti delle
scelte e delle forme socio-culturali. La complessità di rapporti
che intercorrono tra sfera religiosa e sfera economica, la cui
comprensione resta ineludibile ai fini di una corretta interpretazione dei fenomeni religiosi nel loro storicamente concreto
dispiegarsi, accompagnerà, in modo più o meno esplicito, tutta
la riflessione brelichiana. Ne costituiscono prova, tra le altre,
le dispense del corso da egli tenuto durante l’anno accademico 1965-1966, rese note al pubblico solo nel 2007, dedicate
appunto al nesso economia-religione nell’analisi delle culture,
dove l’autore si confronterà direttamente con le teorie marxiane e weberiane, rilevandone la portata euristica per l’indagine
storico religiosa (2007: 31 ss. Cf. Massenzio 1988; Santiemma
1990). Non si tratta però di individuare delle leggi astratte e di
affermare una qualche forma di determinismo che vincoli ineludibilmente le scelte dando luogo ad esiti astoricamente identici;
si tratta, piuttosto, di problematizzare la connessione tra fatti
religiosi e fatti economici – quindi anche ambientali e tecnologici – misurandone la portata all’interno delle vicende storiche
di ogni civiltà. Anche in questo caso prevale la polemica nei
confronti dell’approccio fenomenologico teso a individuare le
cosiddette strutture fondamentali dei fenomeni religiosi, viste
come «permanenti, universali e perciò indipendenti dalla storia».
Infatti «nei limiti in cui si riesca a individuare il nesso tra fenomeni religiosi e concrete situazioni economiche, si riconduce il
fatto religioso nell’ambito della storia» (Brelich 2007: 35).
In conclusione, tra le costanti che determinano la formazione e la trasformazione del pensiero calendariale – e più in
generale degli orientamenti delle varie religioni – emergono
i modi di reperimento delle risorse alimentari. Sono i tempi
dell’accesso a queste risorse, correlati ai ritmi della natura e
alle forme della produzione, che condizionano, ab origine, il pri24
Prefazione
mo strutturarsi del tempo festivo e dell’organizzazione sociale:
«vi è un’interdipendenza funzionale tra le forme dell’esistenza
economico-sociale e le forme culturali umane» (Brelich 1955:
I, 63). Nelle società preistoriche, antiche e “primitive”, tanto in
quelle di cacciatori-raccoglitori quanto in quelle agro-pastorali,
sono innanzitutto i ritmi produttivi e riproduttivi che, segnando
la fine e l’inizio di specifiche fasi dei cicli vitali, rappresentano la
fine e l’inizio di segmenti temporali qualitativamente diversi, organizzando i ritmi della vita civile e religiosa: «nascita, crescita,
maturazione, raccolto dell’alimento avvengono attraverso una
serie di interventi umani e ciascuno di questi interventi, disseminati a determinati intervalli lungo il ciclo annuale, dev’essere
sacralmente garantito» (Brelich 1955: I, 83).
Il regolare svolgimento dei processi di generazione e accrescimento è attribuito – per decisione culturale – all’intervento delle
entità divine che così manifestano il loro potere. Dalla benevolenza degli dèi si vuole che dipendano, infatti, la buona riuscita
della semina, la germinazione dei semi, il raccolto abbondante e i
parti degli animali domestici. Eventi, questi, non a caso celebrati
ciclicamente nel corso di grandi feste annuali che li inseriscono
nei quadri della fondazione dell’ordine cosmico. Ha osservato
Lévêque: «Nel corso della genesi delle attività agro-pastorali di
produzione, il ciclo delle stagioni si impone come una realtà
primordiale. […] Ad ogni modo, esso sembra proprio regolare
tutto il rituale. È durante il Neolitico che si costituisce realmente
un ordo che si organizza in relazione alla successione delle fasi
vegetative, ordo che strutturerà il calendario festivo delle grandi
religioni del Bronzo» (1991: 61). È in ragione di questo fatto che
i cicli festivi delle società antiche, come anche quelli delle società
preindustriali, sebbene «spesso collegati con più complesse concezioni liturgiche, mitologiche ed anche teologiche, come pure
con celebrazioni di carattere politico», lasciano sempre intravedere un retroterra agrario (Grottanelli 1993: 15).
Esiste, in definitiva, un’antica e indubbia interconnessione
tra calendari cerimoniali e cicli della produzione, i quali, secondo le latitudini e le specie coltivate, possono essere più o
25
Introduzione allo studio dei calendari festivi
meno evidentemente correlati con i cicli stagionali, le cui cesure sono servite da orientamento tanto nelle fasi dell’attività
economica, quanto nella regolamentazione dei ritmi della vita
individuale e collettiva, e ciò già in epoca protostorica e, probabilmente, assai prima. Già Hubert e Mauss, nel noto saggio
del 1909, La rappresentazione del tempo nella religione e nella magia,
sottolineavano che «i termini calendariali sono fatti coincidere
e con i fenomeni che indicano approssimativamente il reale
mutamento delle stagioni – apparire della prima violetta, del
primo maggiolino, della prima rondine, delle cicogne, canto del
cuculo, ecc. – e con i momenti critici del corso di determinati
astri, Luna, Sole, Sirio, Venere, ecc.» (1991: 114). A suggello di
quanto appena detto va ricordata l’osservazione di van Gennep
secondo cui «per gli uomini le stagioni non rivestono un interesse particolare se non per le ripercussioni economiche che
comportano tanto sull’attività essenzialmente industriale che
si svolge durante l’inverno, quanto sull’attività inerente l’agricoltura e la pastorizia nel periodo della primavera e dell’estate»
(1981: 157). Analogamente James, trattando delle antiche feste
stagionali delle civiltà del Mediterraneo orientale, potrà osservare che «di qualsiasi genere fossero le caratteristiche comuni
o indipendenti, le feste stagionali dovevano necessariamente
collegarsi innanzitutto al corso periodico dei fenomeni climatici
[…]. Quando l’agricoltura e la pastorizia divennero i principali
mezzi di sussistenza, le feste vennero riferite alle operazioni
relative, governate a loro volta dal ciclo della natura: primavera
e autunno, estate e inverno» (1961: 149). Non si discosta da
questa impostazione Leach, secondo il quale è «la successione
delle attività economiche che dà la misura del tempo» (1973:
207). Brelich, cui facciamo ritorno, fa osservare che la relazione
tra economia e organizzazione culturale del tempo rappresenta un orientamento di ricerca che deve essere sottoposto a
costante verifica, tenendo conto del concreto articolarsi delle
singole civiltà storiche. È ben chiaro che per Brelich le feste
periodiche costituiscono i “cardini di ogni calendario”, nella
misura in cui sottraggono al divenire i momenti del tempo che
26
Prefazione
rivestono importanza esistenziale per un determinato gruppo
umano, per una determinata società.
Non dissimili considerazioni ricorrono nelle pagine di uno
dei più autorevoli antropologi italiani, Vittorio Lanternari, il
cui nome non può essere disgiunto da quello di Brelich. Nello
specifico, il suo classico lavoro sul capodanno, La grande festa.
Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali (1976
[1959]), risente (in modo creativo) dell’impostazione teorica
brelichiana relativa ai calendari. D’altronde egli stesso ha dichiarato di aver appreso da Brelich «la lezione del comparativismo
storico come metodo illuminante dopo averlo visto applicare
per la prima volta da Pettazzoni», riconoscendogli inoltre il
merito di avere arricchito, integrando «acume filologico con
sapere etnologico, su un impianto storicista e contestualizzante
[…], le stesse potenzialità dell’etnologia religiosa applicandone
il metodo nell’analisi delle religioni classiche» (1997b: 30. Cf.
2005: 11).
Altre numerose sollecitazioni suscita la lettura delle dispense
di Brelich che ora, trasformate in libro, possono finalmente
circolare tra studiosi e studenti per stimolarli a riflettere su un
tema di interesse cruciale: la disciplina culturale del tempo.
A parte i suoi meriti scientifici, il presente lavoro testimonia di
un’epoca in cui, seppur tra molte difficoltà e diffidenze, metodi
e materiali non restavano circoscritti entro ristretti ambiti disciplinari; un’epoca della quale non ho potuto godere che la fase
del tramonto. Auguriamoci allora che la riedizione delle opere
di Brelich possa contribuire a ridare slancio a quel “nuovo umanesimo”, auspicato da Brelich e da De Martino ma non ancora
realizzato, indispensabile per poter dar senso al nostro futuro.
Il testo qui presentato rispetta fedelmente quello originale.
Gli interventi si sono limitati alla correzione di refusi e di qualche evidente svista dovuta alla originale redazione dattiloscritta,
con l’aggiunta di qualche singola parola o locuzione, e ad aggiustamenti nella punteggiatura. Si è, invece, ritenuto opportuno
procedere all’integrazione dei riferimenti bibliografici.
27
Introduzione allo studio dei calendari festivi
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