Scarica 708_Indice e prefazione Introduzione
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Opere di Brelich Collana diretta da Andrea Alessandri, Marc Augé, Maria Grazia Bonanno, Daniel Fabre, Marcello Massenzio, Paolo Scarpi Angelo Brelich Introduzione allo studio dei calendari festivi Prefazione e cura di Ignazio E. Buttitta Editori Riuniti university press In copertina: Fasti Praenestini, calendario di Verrio Flacco 6-9 d.C., Roma, Palazzo Massimo L’edizione di questa opera ha beneficiato di un contributo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. I edizione in questa nuova collana Aprile 2015 © 2015 Editori Riuniti University Press – Roma di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma Tutti i diritti sono riservati ISBN 978 88 6473 162 9 www.editoririunitiuniversitypress.it Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC, che unisce fibre riciclate post-consumo a fibre vergini provenienti da buona gestione forestale e da fonti controllate Sommario Prefazione di Ignazio E. Buttitta............................................................. p. 7 Introduzione allo studio dei calendari festivi - I parte Premessa��������������������������������������������������������������������������������������������������p. 35 Capitolo I - Feste e computo del tempo���������������������������������������������p. 43 La festa: fenomeno religioso, p. 43; Feste: private e pubbliche, p. 46; Feste: occasionali e periodiche, p. 50; Origine religiosa del calendario, p. 59; Festa e periodicità, p. 63 Capitolo II - I calendari festivi nella storia......................................... p. 71 Popoli primitivi e preistoria, p. 71; Studi sui calendari festivi dei popoli primitivi, p. 74; Popoli di cacciatori e raccoglitori, p. 75; Civiltà coltivatrici primitive, p. 85; L’«opera degli dèi» in Tikopia, p. 91; Il «calendario» festivo degli Hopi, p. 97; Nascita delle «civiltà superiori», p. 101; Il calendario festivo in Mesopotamia, p. 103; L’akitu babilonese, p. 109; Il calendario festivo nell’Egitto antico. Il computo del tempo, p. 113; Le feste egiziane, p. 119; Considerazioni sulle feste egiziane, p. 126 Introduzione allo studio dei calendari festivi - II parte La definizione culturale del tempo Capitolo I - Il II millennio a.C. nell’Oriente mediterraneo.......... p. 131 Capitolo II - Il problema del calendario «proto-indoeuropeo».... p. 137 Capitolo III - Il calendario vedico....................................................p. 145 Capitolo IV - Il calendario persiano.................................................p. 153 Capitolo V - Considerazioni sui calendari vedico e iranico.......... p. 163 Capitolo VI - Il calendario festivo degli Hittiti...............................p. 165 Capitolo VII - Conclusioni................................................................p. 171 Capitolo VIII - I calendari festivi della Grecia antica....................p. 173 Le origini, p. 173 Capitolo IX - Il calendario festivo attico.........................................p. 179 Il calendario attico: inizio dell’anno, p. 179; Il ciclo agrario, p. 185; Il «ciclo di Theseo», p. 194; Il ciclo dionisiaco, p. 197; Osservazioni finali, p. 202 Capitolo X - Il calendario arcaico romano......................................p. 207 Descrizione sommaria, p. 207; La questione della data del calendario arcaico romano, p. 209; Tracce delle condizioni calendariali anteriori alla codificazione «di Numa», p. 217; L’inizio dell’anno, p. 224; Il solstizio invernale, p. 228; Osservazioni finali, p. 233 Elenco delle opere citate���������������������������������������������������������������������p. 237 Prefazione di Ignazio E. Buttitta Un incontro per nulla casuale. Mi sia consentito partire da una notazione di tipo biografico. Ho avuto per la prima volta la netta percezione dell’acume critico e auto-critico di Angelo Brelich nel corso della stesura della mia tesi di laurea. Mi fu allora suggerita, da parte del mio correlatore, Giuseppe Martorana, la lettura del saggio La religione greca in Sicilia (19641965. Cf. Cusumano 2005): un contributo che, al di là del tema specialistico affrontato, lasciava trasparire la densità e il rigore del pensiero di Brelich, la pluralità dei suoi interessi, il rifiuto di ogni sapere pre-costituito, stimolandomi ad approfondire la conoscenza delle sue opere. In ragione dei miei interessi, la mia attenzione fu catturata da Introduzione allo studio dei calendari festivi: ne affrontai lo studio fresco della lettura di Feste agrarie russe di Vladimir Propp, La grande festa di Vittorio Lanternari, Feste romane di George Dumézil, Il mito dell’eterno ritorno di Mircea Eliade e del saggio su La rappresentazione del tempo nella religione e nella magia di Hubert e Mauss. Le pagine di Brelich mi dischiusero un quadro unitario del fenomeno sostenuto con rigore dal metodo storico-comparativo. Metodo volto a rendere manifesto il processo storico di formazione dei prodotti culturali, tra cui, appunto, i calendari e i sistemi festivi che ne costituiscono la struttura: il tutto – si badi bene – a vantaggio degli studenti e degli allievi destinatari privilegiati delle sue dispense universitarie. Ragioni e struttura di Introduzione allo studio dei calendari festivi. I due volumi di Introduzione allo studio dei calendari festivi, pubblicati tra il 1954 e il 1955 dalle Edizioni dell’Ateneo, costituiscono le dispense dei corsi tenuti da Angelo Brelich, 7 Introduzione allo studio dei calendari festivi presso l’Università “La Sapienza” negli anni accademici 1953-54 e 1954-55, quale docente incaricato di Storia delle Religioni. Le scelte dei contenuti, dell’ordine e dello stile espositivo risentono, pertanto, dell’utenza a cui Brelich, prioritariamente, intendeva rivolgersi. Sin dal titolo le dispense annunziano chiaramente «gli scopi, il carattere e i limiti» dell’esposizione. Come dichiarato nella premessa, nonostante che negli anni Cinquanta del Novecento si fossero già sparsamente accumulate sull’argomento «cognizioni […] vaste e dettagliate», lo studio dei calendari festivi «costituiva un campo di studi piuttosto trascurato» (Brelich 1955: I, 5) e sino allora mai sistematicamente trattato secondo una chiara prospettiva storico-religiosa (cf. Spineto 2003: 289 s.; Piccaluga 2005: 27 s.). Il corso doveva costituire, pertanto, «molto più un avviamento al metodo storico dello studio dei calendari festivi in generale che non l’esposizione di una massa di dati sui diversi calendari singoli» (Brelich 1955: I, 14), introducendo gli allievi alla conoscenza dei principali contributi (generali e particolari) rivolti al loro studio e delle relative proposte interpretative. Brelich evidenzia innanzitutto la necessità di distinguere tra due diversi, seppur correlati, aspetti presenti in ogni sistema calendariale (quello “cronologico” relativo al computo del tempo e quello più squisitamente “religioso”) rilevando l’assenza di tentativi tesi a «una chiarificazione metodologica rispetto ai rapporti tra questi due aspetti» (1955: I, 10). L’autore delinea e definisce così il campo di ricerca, rivendicando l’autonomia euristica dell’approccio storico-religioso: «Il nostro interesse verterà sull’aspetto religioso dei calendari, in altri termini sui calendari festivi: sul costituirsi e sul disporsi delle feste nei quadri cronologici dell’anno, del mese e delle eventuali altre unità di tempo. Lo studio di questi quadri cronologici, per essi stessi, non sarà per noi un fine a sé: ma cercheremo, invece, di stabilire, se tra il “computo del tempo” e l’impulso religioso a fissare feste periodiche vi sia – e in quale senso – un nesso genetico. La limitazione implicita nel termine “calendari festivi” non è dunque soltanto una limitazione; è anche una precisazione del 8 Prefazione genere d’interesse scientifico – puramente storico-religioso – che informerà i seguenti studi» (1955: I, 14). Nelle pagine di Brelich si dispiega, dunque, un metodo; si indica chiaramente «un modo di studiare i calendari festivi in generale – tutti o uno qualsiasi» (1955: I, 15), selezionando una serie di esempi particolarmente cogenti, disponendoli in un ordine idealmente cronologico e procedendo così alla descrizione e all’analisi dei sistemi calendariali e festivi di alcune società “primitive” (appunto idealmente associate a quelle preistoriche) per arrivare alle civiltà “alte” del Vicino Oriente, dell’India, della Grecia e di Roma antiche. Questa “forzatura cronologica” – i Pigmei, i Boscimani, i Tobriandesi, ecc. avevano avuto una, sia pur ignota, autonoma e peculiare storia ed erano ovviamente successivi alle culture preistoriche – trova una sua precisa ragion d’essere: essa risiede, da un lato, nella necessità di porre in evidenza gli ineludibili rapporti tra regimi di sussistenza (e correlate forme di organizzazione sociale e politica) e il livello di complessità organizzativa dei calendari cerimoniali e, dall’altro, nell’esigenza di cogliere i «primi germi del pensiero calendariale» (1955: I, 16), ossia di individuarne i principi fondativi. Non è, dunque, né la comprensione del senso della festa né quella del significato di singole feste (men che mai l’individuazione “fenomenologica” di specifiche tipologie festive detentrici di un proprio e autonomo significato) l’obiettivo principale di Brelich; piuttosto egli si propone di rilevare, attraverso lo strumento della comparazione, il dispiegarsi di uno o più principi strutturanti alla base di tutti i sistemi calendariali e festivi. Per Brelich, che guarda alle concettualizzazioni del tempo e alle sue specifiche forme di organizzazione come a costrutti culturali interamente sostenuti da “ragioni umane”, ogni calendario festivo è, infatti, manifestazione di una cultura religiosa e «espressione fedele di una concreta civiltà storica» (1955: II, 66. Cf. Massenzio 1998: 65). Nondimeno, per necessari fini didattici e di chiarificazione concettuale, il primo capitolo di Introduzione allo studio dei calendari festivi, «Feste e computo del tempo», è rivolto alla perimetrazione 9 Introduzione allo studio dei calendari festivi del “fenomeno” festa di cui si mette in luce la natura religiosa o comunque riconducibile a originarie istanze di carattere religioso. L’origine dei calendari festivi è «in ogni modo puramente religiosa», poiché nessun motivo di ordine pratico può spiegare compiutamente la periodicità delle feste (1955: I, 48), osserva Brelich, che individua due ampie tipologie dicotomiche: “feste private e pubbliche” e “feste occasionali e periodiche”. Non si può qui dar conto estesamente delle sue considerazioni; mi limito a segnalare che la periodicità festiva, non sempre esclusivamente riferibile alla ricorrenza annuale di fenomeni naturali e alle connesse attività umane, è un fatto riscontrabile presso tutte le civiltà, anche le più “primitive”: essa si ritrova, infatti, anche nei casi in cui mancano precisi sistemi di computo del tempo. Le forme e i contenuti delle feste, seppur inscindibilmente connessi alla periodicità naturale, ai ritmi produttivi, ai modi e ai tempi di accesso alle risorse alimentari, dipendono anche dalle caratteristiche storico-sociali di ciascuna civiltà. Esiste un «carattere fondamentale della festa» che risiede «nella sua separazione dal giorno comune», nell’essere cioè sottratta all’usura del tempo ordinario e caratterizzata da specifiche e stra-ordinarie forme di comportamento in quanto tempo qualitativamente speciale, sacro (Brelich 1955: I, 51. Cf. Eliade 1973: 47 e 1989; van der Leeuw 1975: 304 s.; Cassirer 1988: 175 s.). Le feste rispondono «al bisogno di sottrarre alla contingenza, al normale scorrere del tempo, determinati momenti della vita sociale e/o individuale, ai quali si vuole attribuire una particolare enfasi, un significato di carattere culturale» (Massenzio 1998: 64. Cf. Id. 2013: 13 ss.). Esse creano una svolta, una rottura dell’abituale successione cronologica, e consentono con la loro ripetizione, catartica e solutoria, estranea all’irreversibilità temporale, il superamento di determinate crisi esistenziali e la costruzione del senso dell’esistenza (cf. Brelich 1966: 50-51). Questa operazione di riduzione del sacro entro precisi limiti temporali (e spaziali) permette all’uomo «un contatto, un rapporto regolabile ed umano con ciò che è essenzialmente non umano, cioè con il sacro»; un contatto di fatto necessario 10 Prefazione perché risolutore «della crisi connaturata all’esistenza umana» (1955: I, 54-57. Cf. Spiro 1998: 284 ss.). Nello spazio-tempo festivo si trovano riunite, infatti, le condizioni che permettono a oggetti e a gesti, a suoni e a parole di esprimere sacralità consentendo il manifestarsi sensibile e percepibile del divino (cf. Kerényi 2001: 129), vale a dire di quella potenza “altra” che, così circoscritta e individuata, gratifica l’uomo e lo salva «dal rischio vitale di non esserci nell’esistenza storica» (De Martino 1995: 63. Cf. Massenzio 1998: 65). «Ogni fase della periodicità cosmica o naturale, – scrive Brelich – significa […] un passaggio da uno stato all’altro, un inizio di una nuova configurazione di condizioni. Queste sono le ragioni fondamentali e comuni che […] spingono anche popoli tecnicamente ed economicamente primitivissimi ad istituire feste in collegamento con le ricorrenze naturali e cosmiche, anche se, evidentemente, ogni singolo popolo lo fa in forme concrete differenti. D’altra parte è l’interesse per le feste che promuove in seguito un’osservazione più attenta delle periodicità cosmiche e naturali, di modo che il computo del tempo e la stessa astronomia sorgono, in ultima analisi, da esigenze religiose» (1955: I, 59). Sulla base di queste considerazioni Brelich procede nella ricerca dei comuni principi istitutivi dei calendari festivi. Essi possono essere ricavati attraverso un accorto esercizio della comparazione interculturale, autentico strumento euristico che non solo può offrire elementi necessari all’interpretazione di ogni singolo sistema festivo ma che è anche in grado di rendere ragione degli eventuali aspetti oscuri presenti nella prassi rituale (cf. Brelich 2010b: 29). L’autore si dedica, quindi, all’analisi delle feste periodiche dei popoli “primitivi” o “selvaggi” (la definizione ha una pura funzione classificatoria e non risente delle semplificazioni di matrice evoluzionistica). Scrive Brelich: «Lungi dal voler affermare che la civiltà di un popolo primitivo attuale corrisponda a quella di un qualsiasi popolo preistorico, noi dovremo necessariamente ammettere che certi grandi quadri tipologici sono validi per le civiltà di tutti quei popoli che vivono in condizioni analoghe. Noi non potremo mai sapere 11 Introduzione allo studio dei calendari festivi le concrete forme del primo pensiero “calendariale” della preistoria: ma poiché lungo tutto il Paleolitico l’umanità visse di caccia e di raccolta, un esame della periodicità festiva presso gli attuali popoli di cacciatori e di raccoglitori potrà darci un’idea del genere delle feste periodiche che poteva esistere in quella lontana epoca preistorica; e altrettanto vale poi nei riguardi delle successive fasi preistoriche paragonabili […] ad altre civiltà primitive attuali (p. es. neolitico e agricoltura primitiva, ecc.), fino alla comparsa delle civiltà superiori che hanno lasciato testimonianze dirette (scritte) sui propri sistemi calendariali» (1955: I, 63-65). Seguendo questa linea, Brelich analizza innanzitutto i sistemi festivi di alcuni “popoli cacciatori e raccoglitori” (Boscimani, Pigmei, Aborigeni australiani), rilevando tra l’altro che: la periodicità annuale (o il ritorno delle “stagioni”) è rilevante anche per l’umanità «primitiva per il tema del perenne rinnovamento»; che «anche popoli cacciatori e raccoglitori – e non soltanto agricoltori, come generalmente si crede – possono avere feste annuali»; che «più feste, variamente disposte nel ciclo annuale, possono ugualmente riferirsi all’idea del rinnovamento e dell’inizio»; che «i mezzi del sostentamento materiale […] entrano in rapporto, sin da quella fase culturale primitiva, con la religione, attraverso la celebrazione di feste primiziali», poiché «la consacrazione delle primizie – collocata nel tempo sacro – risponde al bisogno di assicurare la perennità di quelle fonti dell’esistenza e, d’altra parte, di liberare il loro ulteriore uso da ogni legame col sacro» (1955: I, 74). Nell’illustrare i calendari cerimoniali delle “civiltà coltivatrici primitive”, Brelich, prestando sempre costante attenzione alla ricostruzione dei contesti esistenziali e storico-sociali, osserva come la produzione degli alimenti permetta «una vita più sedentaria e quindi la formazione di unità sociali più estese», promuova «lo sviluppo delle industrie primitive» e contribuisca «alla moltiplicazione degli interessi umani» (1955: I, 83). In questa fase culturale anche porzioni più piccole dell’anno assumono una precisa fisionomia sacrale, «in corrispondenza alle fasi delle coltivazioni»; ciò fa sì che divenga per la prima 12 Prefazione volta «particolarmente acuto il problema cronologico fondamentale di tutti i calendari: quello di accordare i “mesi” all’anno» in funzione della coltivazione. Quest’ultima, infatti, articolandosi in varie attività, «comporta un maggior numero di momenti “critici” annuali e quindi una maggior varietà di feste periodiche» (1955: I, 85-88). Tale problema sarà variamente risolto adottando periodizzazioni su base lunare e/o solare e troverà nuove, e talora particolarmente complesse, soluzioni presso le civiltà “alte”. In ragione di quanto osservato, i popoli coltivatori possiedono, in genere, un organico “ciclo festivo annuale” sistemicamente organizzato e caratterizzato da un momento emergente, una grande festa di capodanno che, nella più parte dei casi, si rivela connessa con il «raccolto del principale genere alimentare», ossia correlata al «principale interesse vitale» (1955: I, 90). Il valore e i contenuti di questa festa, che “chiude l’anno precedente” e “apre l’anno successivo”, tuttavia, non possono essere semplicisticamente ricondotti a mere istanze di carattere economico; in concomitanza si manifesta l’esigenza della rifondazione periodica dell’ordine sociale e del «ritorno alle origini dell’esistenza»: ciò porta a istituire un rapporto privilegiato con gli antenati garanti della continuità della vita umana e della fecondità della terra (1955: I, 90-93). Sulla base dei risultati desunti dall’analisi delle feste degli indigeni dell’isola di Tikopia e di quelle degli Hopi, Brelich rileva che «anche il calendario degli Hopi americani, come quello dei Tikopia polinesiani consiste essenzialmente nelle celebrazioni periodiche dei fondamenti dell’esistenza della società, con una preminenza, tra questi, dell’agricoltura e dei rapporti tra i singoli gruppi (clans) in cui la società si articola» (Id., 110). L’adozione di un regime esistenziale fondato sull’agricoltura e sull’allevamento, nella misura in cui implica la sedentarizzazione delle società, porta al loro progressivo accrescimento, alla differenziazione e stratificazione sociale, all’affinarsi delle industrie, alla formazione delle città, all’invenzione della scrittura ossia alla nascita delle “civiltà superiori”. A queste sono dedicati specifici paragrafi che prendono in esame i calendari 13 Introduzione allo studio dei calendari festivi festivi della Mesopotamia (con particolare riferimento all’Akitu) e dell’antico Egitto, i quali mostrano che «nel centro dell’esperienza religiosa del rinnovamento periodico» di queste civiltà non figurano più «gli elementari interessi legati al sostentamento materiale, bensì l’insieme dell’ordine cosmico. La nuova forma di coscienza che condiziona le nuove forme di una “civiltà superiore” comporta la possibilità di una più ampia “apertura” sul cosmo, nel cui ordine permanente o perennemente rinnovato viene inquadrato anche quello della società nella sua organica forma di stato centralizzato» (1955: II, 131). Si mostra così come le feste, celebrate in tempi e spazi definiti, da un lato disgiungano aspetti estratti dal continuum spazio-temporale, dall’altro ribadiscano sensi e ritmi esistenziali in relazione alla continuità della vita cosmica e sociale. Proponendosi come inserti atemporali nella successione del tempo, le feste realizzano una sintesi tra l’ordine sincronico e quello diacronico, tra passato e presente. «Grazie al rituale, – osserverà Lévi-Strauss – il passato “disgiunto” del mito si articola, da un lato con la periodicità biologica e stagionale, dall’altro con il passato “congiunto” che unisce, attraverso tutte le generazioni, i morti e i vivi» (2004: 256-257). Nella seconda parte di Introduzione allo studio dei calendari festivi, è affrontato il problema del calendario “proto-indoeuropeo”: in questa prospettiva l’Autore, dopo aver rimarcato l’impossibilità di ricostruire l’ordinamento festivo periodico di un presunto popolo originario, illustra il calendario e gli istituti festivi vedici, persiani, hittiti, discutendo specifici problemi cronologici e semantici (l’elaborazione sacerdotale, i rapporti e le influenze tra i diversi sistemi festivi, le relazioni tra ordinamento calendariale e ordinamento sociale, ecc.). Particolarmente dettagliata risulta l’analisi dei “Calendari festivi della Grecia antica” e del “Calendario arcaico romano” (argomento, quest’ultimo, al quale Brelich si stava interessando in quegli anni). Riguardo al calendario rituale attico – sul quale ritornerà estesamente in Paides e Parthenoi (2013 [1969]) – Brelich distingue due tipi di feste: quelle in cui «il momento agrario, che 14 Prefazione tuttavia determina la loro posizione al principio dell’anno, è sublimato e concepito sotto l’aspetto delle condizioni fondamentali dell’esistenza cosmica (Kronia) e civica (Panathenaia)», e quelle che «conservano un nesso più appariscente con il ciclo della coltivazione della terra». Inoltre, mettendo in risalto l’efficacia del metodo storico-comparativo, aggiunge: «Noi, tuttavia, preparati dalla conoscenza delle feste agrarie dei popoli primitivi e, in generale, del significato stesso della festa, non avremo motivo di ridurre il contenuto di queste feste a pure operazioni “magiche” destinate semplicemente a promuovere la fecondità della terra» (1955: II, 89. Cf. Brelich 1985: 81). D’altra parte il ciclo festivo connesso con l’agricoltura, che si distende dal primo all’ultimo mese dell’anno attico e che ne costituisce, da solo, “l’ossatura”, «non dà ragione di tutte le feste». Alcune di esse, infatti, non sembrano avere alcun nesso con l’agricoltura: è il caso di «due feste che – secondo i loro miti etiologici – commemoravano la partenza e il ritorno di Teseo e che operavano una netta bipartizione sul corpo dell’anno attico» (1955: II, 104). Da osservazioni di questo tipo si deduce che ogni calendario è autonoma espressione di una civiltà religiosa organica; per quanto concerne il calendario greco, è da osservare che esso rispecchia «fedelmente il carattere fondamentale» di una civiltà «che unisce in mirabile armonia la libertà creatrice con un severo e tradizionale senso della forma» (1955: II 122-123). Passando all’esame del calendario romano, Brelich si interessa non tanto ai significati delle singole feste, quanto alla sua struttura, vale a dire alle relazioni simboliche fra ricorrenze complementari, alla regolarità numerale nella successione delle feste e al significato delle relative eccezioni, ai rapporti tra le feste fisse e il loro valore teologico, ecc. (cf. Montanari 2010: 21). Per quanto attiene all’importante questione relativa all’esistenza di un unico inizio dell’anno ovvero di più inizi, testimoniati da diversi documenti calendariali, l’Autore si sofferma particolarmente sul capodanno marziale e sulle ragioni che ne avevano potuto giustificare la sua istituzione (Brelich 1955: II, 142 ss. e 154 ss. Cf. Id. 2010a: 139 ss.; Illuminati 1961). Il calendario 15 Introduzione allo studio dei calendari festivi romuleo (così come, successivamente, quello di Numa) fissava il principio dell’anno in marzo in relazione all’equinozio primaverile; la tesi che tale capodanno fosse da mettere in relazione con l’avvento della primavera e il rinnovamento della natura era stata sostenuta da vari autori (cf. p. es. Warde Fowler 1899: 33 ss.). Brelich è di diverso avviso e propende a mettere in rapporto l’inizio dell’anno arcaico con il momento inaugurale del consumo del farro – «unico cereale coltivato dai Romani per diversi secoli» (1955: 159-160) – immediatamente successivo alla sua torrefazione (che avveniva in febbraio e veniva celebrata nel corso dei Fornacalia). Egli osserva a riguardo che «il rinnovamento della natura e della vegetazione» va considerato «un’esperienza vagamente poetica, non un fatto di importanza concreta, specie poi nell’Italia centrale, dove marzo non rappresenta un netto taglio climatico» (2010a: 141; cf. 1955: II, 157 ss.). In Mesopotamia il capodanno si celebrava in marzo, corrispondente al mese della mietitura; a Roma lo stesso mese si caricava di significato non perché segnava il generico risveglio della natura e la garanzia di un futuro raccolto, ma perché al suo interno aveva luogo l’evento di fondamentale importanza economica. Pur essendo, a Roma come altrove, i periodi di transizione caratterizzati da un insieme di riti tesi a rappresentare il rinnovamento sociale e cosmico, l’accento cade quindi sulla «consumazione del principale prodotto agrario» (1955: II, 161; cf. Id. 2010a: 165). In tal modo Brelich ribadisce che le feste di capodanno segnano l’aprirsi di una nuova fase della vita naturale e sociale, in relazione privilegiata con le specificità produttive e con gli ecosistemi locali, anche a prescindere da una immediata rispondenza con i cicli cosmici (solstizi, equinozi) sui quali si fonda l’inizio ufficiale delle stagioni. Nel saggio intitolato Febrarius, Brelich, rinviando in nota proprio alle sue dispense sui calendari festivi, scrive: «Uno sguardo sui calendari dei più diversi popoli – “primitivi” o “colti”, senza differenza – ci convince subito che l’inizio dell’anno non è casuale: esso si stabilisce, per lo più, in corrispondenza di un evento periodico di essenziale importanza per l’esistenza del popolo; ciò può 16 Prefazione essere, per i popoli agricoltori, la mietitura o, più raramente, l’inizio dei lavori agrari; per i popoli cacciatori e raccoglitori un cambiamento climatico che determina le condizioni della caccia e della raccolta; per i pastori l’uscita o il ritorno delle greggi o la tosatura delle pecore, ecc. Vi sono casi in cui l’inizio dell’anno è legato a un fatto astronomico (levata eliaca di una costellazione, solstizi ed equinozi), ma quasi sempre si può dimostrare che in simili casi il fatto astronomico viene scelto in funzione dell’importanza essenziale della stagione in cui si verifica […]» (2010a: 140). Tutte queste importanti e originali considerazioni sulla struttura e sui meccanismi che presiedevano alla formazione dei calendari festivi sono certamente anche frutto dell’attenzione rivolta da Brelich ai materiali etnologici; lo studio storico-comparato dei calendari ci offre, infatti, una chiave particolarmente efficace per accedere a nuovi livelli di conoscenza della religione e delle religioni, che, nel loro dispiegarsi storico, riflettono le visioni del mondo e simultaneamente gli ordinamenti sociali e politici delle diverse civiltà (cf. Sabbatucci 1988). Considerazioni. Da quanto si è osservato, è possibile apprezzare la densità interpretativa di Introduzione allo studio dei calendari festivi. L’analisi di Brelich va ben oltre il livello di una mera didascalica esposizione di quanto, fino allora, gli studiosi di scienze umane (etnologi, storici delle religioni, antichisti, ecc.) erano andati raccogliendo sull’argomento, nella misura in cui affronta il problema – sollevato da Durkheim (1912) – dell’organizzazione culturale del tempo (cf. Massenzio 2013: 5 ss.). Un problema universalmente umano che riguarda anche il mondo contemporaneo. Brelich, d’altronde, come ha osservato Massenzio, non si limita mai a un’acritica registrazione dei dati ma persegue apertamente l’obiettivo della «ricostruzione del processo di formazione dei fenomeni indagati», della ricerca dei “presupposti” e delle “origini”, preoccupandosi altresì di individuare le cause sottese ai processi di trasformazione (2006: 8-11). Come lo stesso Brelich dichiara, è a partire dall’esigenza 17 Introduzione allo studio dei calendari festivi di tracciare «la linea storica che conduceva […] – dai primi germi del pensiero calendariale fino a quel tipo particolarmente complesso di calendario festivo, […] rappresentato dal “calendario di Numa”» (1955: I, 16), che era maturato l’interesse, se non la necessità, di «approfondire i problemi calendariali in genere» e di individuare un metodo utile ad «essere applicato a qualsiasi altro settore degli studi calendariali» (1955: 15-16). Questo percorso euristico offre all’Autore l’occasione di avanzare proposte metodologiche e interpretative particolarmente fertili e innovative rispetto agli approcci allora dominanti in Italia. La linea di ricerca fatta propria da Brelich è da mettere in rapporto alla lezione storicista di Raffaele Pettazzoni e, in particolare, al discorso sul metodo comparativo: in questa prospettiva si comprende il valore attribuito ai dati etnologici, fondamentali ai fini dell’inquadramento dei fenomeni religiosi (cf. Lanternari 1989: 285 ss.; Massenzio 1998: 63 s.; Montanari 2010: 14 s.). In Introduzione allo studio dei calendari festivi si disvela in sostanza già chiaramente operante quella metodologia storico-comparativa che, ulteriormente affinata, si dispiegherà nei suoi successivi lavori (p. es. Brelich 2010b, 2013). Scriverà, infatti, solo qualche anno più tardi (1958): «I documenti di una religione antica sono sempre frammentari; ma come le lacune di un testo frammentario possono spesso essere colmate, come sanno i filologi, mediante il confronto con testi simili, così anche singoli fatti religiosi lacunosamente documentati possono essere integrati con l’aiuto “filologico” della comparazione, alla luce, cioè, di contesti religiosi (purché accertatamente analoghi) conosciuti più dettagliatamente» (2010b: 29). L’istanza comparativista restava inscindibile dall’esigenza di un’analisi storica delle culture. Partendo dalla considerazione che la periodizzazione festiva costituisce una costante strutturale riscontrabile in diversi tipi di società, occorreva dare ragione delle differenze formali, funzionali e semantiche: ciò si rendeva possibile solo valutando concretamente, senza sommarie e astoriche tipologizzazioni, i regimi esistenziali, l’organizzazione socio-politica, le forme di produzione delle risorse 18 Prefazione alimentari. D’altra parte, l’individuazione di linee di sviluppo culturale proprie delle civiltà storiche non poteva fondarsi su criteri evoluzionistici, di tipo riduttivo, improntati all’idea di un uniforme, progressivo e inarrestabile processo che porta dal primitivo al superiore, dal magico-religioso al razionale, dal semplice al complesso, ecc. Brelich rileva, in proposito, come le comparazioni di stampo evoluzionista tendano «ad accumulare sotto ogni “rubrica” di argomento un numero imponente di documenti, spesso solo superficialmente analoghi, ma soprattutto sempre isolati, strappati cioè all’organica unità culturale cui appartengono e dalle connessioni storiche che potrebbero spiegarli» (1955: I, 67. Cf. Id. 2007: 37 ss.). Non si deve mai prescindere dal legame che intercorre tra le condizioni materiali, gli stili di vita, le strutture sociopolitiche e le espressioni religiose (cf. Lanternari 1989: 285 s. e 1997a: 8 ss.): ciò perché «vi è un’interdipendenza funzionale tra le forme dell’esistenza economico-sociale e le forme culturali umane» (Brelich 1955: I, 63). A parte queste considerazioni, se esistono principi strutturali “universali”, è tuttavia da osservare che ogni cultura presenta sue evidenti peculiarità in relazione alle condizioni storiche (economiche, culturali, sociali, politiche) della sua formazione e del suo sviluppo: «Vi sono fenomeni religiosi che si riscontrano – alcuni in tutte, altri in molte – religioni differentissime. In ogni singola religione essi assumono una forma particolare che dipende o dalla struttura organica storicamente determinata nella singola religione o da altri fattori storici […]. Malgrado la grande varietà di forme particolari, ciascuno di quei fenomeni ha una struttura fondamentale propria. Ciò non significa affatto che una tale struttura sia al di fuori della storia, ma significa soltanto che il fenomeno risponde a condizioni umane storicamente valide in una grande varietà di epoche, luoghi, civiltà e, per questo stesso fatto, si è potuto costituire anche in fasi remotissime della storia umana, anteriori alle più importanti diversificazioni culturali, e mantenersi, in forme sempre variate, attraverso tutte quelle diversificazioni» (1955: I, 18. Cf. Propp 1978: 5 ss.; Jakobson 1980: 13). 19 Introduzione allo studio dei calendari festivi Tali considerazioni possono essere ritenute valide se si riconosce il valore fondamentale che ha la storia sia nella determinazione dei fatti culturali, sia nella conoscenza e nella comprensione di questi ultimi. «Lo storicismo che noi contrapponiamo a ogni indirizzo anti-storico», scriverà Brelich alcuni anni più tardi, «si fonda anzitutto sul fatto obiettivo del continuo – ora lento ora rapido, graduale o radicale – mutare delle culture e sul riconoscimento che esso dipende dalle forze creative delle società umane, che si esplicano nelle varie forme della conservazione e dell’innovazione. Questo storicismo prescinde da ogni presupposto metafisico, da ogni postulato di valori trascendenti e si realizza nell’individuare i fattori che mettono in grado, di volta in volta, di procedere alla scelta di una soluzione culturale. Esso mira a comprendere la novità e la portata di ogni siffatta soluzione mediante il confronto con la situazione precedente e con altre soluzioni scelte in situazioni analoghe (seppure mai identiche) da altre società: donde la sua dimensione comparativa da cui nessuna storiografia può prescindere sotto pena di esaurirsi in mera cronaca locale» (Brelich 1970-72: 26-27. Cf. Eliade 1990: 121 ss.; Montanari 2001: 62 s.; Modzelewski 2008: 19-20). L’esercizio della comparazione, dunque, quando condotto con accortezza e senza estrapolare singoli segmenti dai contesti di appartenenza, sciogliendoli da quelle relazioni sistemiche che contribuiscono a riempirli di senso, si rivela certamente una chiave positiva per la comprensione dei fatti culturali (cf. Pettazzoni 1959; Brelich 1970-72; Cirese 1997: 154 ss.). La marcata opzione teorica e metodologica a favore della storia e dello storicismo sta anche alla base dei rinnovati studi di mitologia comparata: prendiamo il caso dello studioso lituano Algirdas Greimas che in Miti e figure, dopo aver ribadito che non è in alcun modo rilevante «la ricerca di corrispondenze tra questi o quegli dèi considerati separatamente», afferma: «La mitologia comparata è veramente importante perché permette di confrontare e di mettere in evidenza le affinità del pensiero religioso, aiutando il ricercatore a costruirsi modelli di carattere generale, che si rivelano tuttavia strumenti preziosi per affrontare problemi 20 Prefazione specifici di una religione particolare» (1995: 19-20). In sintesi si prestano ad essere comparati in modo costruttivo gli insiemi e i sistemi di credenze e di comportamenti e non figure divine, istituti o simboli rituali considerati isolatamente. Da rifiutare in parallelo è il ricorso alle comparazioni globali di stampo evoluzionista che «procedono per assimilazioni dirette, senza tener conto di quanto è specifico in ogni sistema di cultura. […] Il confronto è valido nella misura in cui si accompagna alla definizione di un campo di ricerca che offra sufficienti garanzie, da un lato di completezza, dall’altro di coerenza interna» (Vernant 1975: IX). Per Brelich il comparativismo costituiva uno strumento necessario a illuminare le analogie e le continuità non meno che le diversità e le fratture tra le diverse società nel loro farsi storico, nei loro processi di formazione e sviluppo in rapporto alle condizioni materiali dell’esistenza ma anche, ineludibilmente, ai contatti con altre culture (cf. Brelich 1976: 45). Esso, muovendosi all’interno di una visione processuale e contestualizzante, rifuggiva tanto dall’evoluzionismo che dal fenomenologismo, richiamando costantemente l’esigenza di un approccio sistemico allo studio dei fenomeni religiosi. Per il Brelich degli anni Cinquanta, infatti, non è metodologicamente corretto e può condurre a interpretazioni fallaci studiare un elemento rituale o una figura cultuale senza considerare «i contesti rituali in cui il culto si realizza» (Bettini 1986: 89) e senza rilevare, da un lato, i rapporti sistemici e le simmetrie che intercorrono tra i singoli istituti festivi, dall’altro, le loro relazioni con la dimensione socio-economica. Tale approccio, che univa gli interessi diacronici all’analisi dei sistemi culturali, si stava affermando anche in ambito etno-antropologico. Così scrive Evans-Pritchard nel 1965: «occorre spiegare i fatti religiosi nei termini della totalità della cultura e della società in cui essi si presentano. […] Questi fatti vanno visti come una relazione reciproca di parti all’interno di un sistema coerente in cui ogni parte ha un senso solo in relazione alle altre, e dove lo stesso sistema ha un senso in relazione con altri sistemi istituzionali, come parte di un più vasto sistema di relazioni» (1971: 186). Pertanto, se lo spazio-tempo della festa può essere considerato uno 21 Introduzione allo studio dei calendari festivi dei luoghi di accesso privilegiati alla conoscenza delle forme e delle idee religiose di una cultura, lo può essere, in primo luogo, solo quando è valutato in rapporto all’insieme di cui è parte integrante. Così osservava, pur partendo da antitetici presupposti, ossia attribuendo un valore autonomo all’esperienza religiosa, il primo maestro di Brelich, Karl Kerényi: «Se esiste un punto da cui possa partire la comprensione della religione antica e in cui l’indagine sulle religioni della scienza dell’antichità e di quella etnologica possano prestarsi reciproco aiuto, consiste proprio nel sondare l’essenza della festa» (2001: 48). Da questa esigenza di analisi sistemica muoverà, tra gli altri, Dumézil, che, in apertura del suo Feste romane, osserva l’importanza dello studio dei calendari cerimoniali (dei principi che presiedono all’organizzazione e alla distribuzione delle feste, dei contenuti delle singole cerimonie e delle relazioni tra queste temporalmente e funzionalmente intercorrenti) ai fini della comprensione delle forme religiose: «Per la religione pubblica, il principale supporto di questa pratica [religiosa] è il calendario e, all’interno del calendario, il quadro delle feste fisse» (1989: 9). Analoghe riflessioni si ritrovano nei lavori di Servier sulle feste dei Berberi dell’Algeria (1962) e di Propp sulle feste agrarie russe (1978); lavori che, proprio a partire dalla considerazione delle feste come articolati simbolici a carattere sistemico, sostengono la necessità di condurre analisi complessive dei calendari cerimoniali. I singoli istituti festivi trovano pienezza di senso solo nel rapporto con gli altri, per cui è imprescindibile lo studio delle relazioni che ciascun fenomeno intrattiene con l’insieme dei fenomeni di cui esso è una componente significativa. «La nostra scienza – afferma Propp – richiede che i fenomeni vengano studiati in tutti i loro legami condizionanti: una singola festa, di conseguenza, può essere compresa correttamente solo quando si studi l’intero ciclo annuale delle feste» (1978: 42). In sostanza, poiché un rito festivo è un elemento non isolato, né isolabile, di un sistema di rinvii e rispondenze temporali, funzionali e simboliche (il calendario cerimoniale) di cui esso costituisce solo un elemento tra gli altri, esso può essere pienamente compreso 22 Prefazione solo all’interno e in relazione a questi sistemi (Smith 1981 e 1988. Cf. p. es. Bourdieu 2005: in part. 305 ss.; Cacopardo 2010). Ogni lettura dei fatti e delle espressioni culturali, osserva Caillois, perde gran parte del suo valore quando essi «restano avulsi dal loro contesto, dall’insieme delle credenze e dei comportamenti di cui fanno parte e che conferiscono loro un senso» (2001: 9. Cfr. Miceli 1989: 123; Gellner 1992: in part. pp. 31-61): questo perché in ogni fenomeno culturale, come insegna Bogatirëv, seguendo la nozione di struttura di Koffka, ciascun elemento «raggiunge la sua completezza soltanto per mezzo degli altri e insieme con gli altri» (1982: 57). È sulla base di questo genere di considerazioni che Propp potrà rilevare come i contenuti dei riti di Capodanno, di Carnevale e della Pasqua, delle feste di primavera e del raccolto siano riconducibili a una precisa fase storico-sociale, quella iniziale dell’agricoltura, e che Greimas potrà scrivere: «le feste calendariali sono legate all’alternanza delle stagioni e, nelle società agrarie, all’avvicendarsi dei lavori dei campi e delle preoccupazioni degli uomini. Questi lavori, che si ripetono da un anno all’altro, eseguiti secondo regole stabilite e modalità prescritte, dovevano essere benedetti e protetti dai geni tutelari; la loro riuscita forniva l’occasione di ringraziare gli dèi e di manifestare la propria gioia. Non è dunque possibile separare l’eterno ritorno dei lavori e delle feste dalla religione: gli dèi vi partecipano quanto gli uomini. I riti e i miti, la liturgia e la teologia sono inseparabili» (1995: 4). Anche da questa prospettiva emerge l’importanza – condivisa da vari studiosi – di una delle tesi che sostengono Introduzione allo studio dei calendari festivi, ossia che lo studio storico-comparato degli articolati mitologici e rituali può offrire un contributo decisivo alla comprensione delle ideologie, delle istituzioni e delle prassi socio-culturali: il loro esame, infatti, ci dischiude «un universo mentale, diverso dal nostro, di difficile accesso, sconcertante ancorché familiare sotto certi aspetti […] rivelando più chiaramente l’alfabeto» di cui coloro che ci hanno preceduto «si sono serviti per spiegare il mondo» (Vernant 1975: VIII; Miceli 1989: 16). 23 Introduzione allo studio dei calendari festivi All’esigenza di prendere in considerazione i contesti e ai rapporti sistemici tra le sue diverse componenti materiali e immateriali è certamente da ricondursi l’attenzione rivolta da Brelich alle strategie di accesso alle risorse alimentari, quindi alla dimensione produttiva, come fattori condizionanti delle scelte e delle forme socio-culturali. La complessità di rapporti che intercorrono tra sfera religiosa e sfera economica, la cui comprensione resta ineludibile ai fini di una corretta interpretazione dei fenomeni religiosi nel loro storicamente concreto dispiegarsi, accompagnerà, in modo più o meno esplicito, tutta la riflessione brelichiana. Ne costituiscono prova, tra le altre, le dispense del corso da egli tenuto durante l’anno accademico 1965-1966, rese note al pubblico solo nel 2007, dedicate appunto al nesso economia-religione nell’analisi delle culture, dove l’autore si confronterà direttamente con le teorie marxiane e weberiane, rilevandone la portata euristica per l’indagine storico religiosa (2007: 31 ss. Cf. Massenzio 1988; Santiemma 1990). Non si tratta però di individuare delle leggi astratte e di affermare una qualche forma di determinismo che vincoli ineludibilmente le scelte dando luogo ad esiti astoricamente identici; si tratta, piuttosto, di problematizzare la connessione tra fatti religiosi e fatti economici – quindi anche ambientali e tecnologici – misurandone la portata all’interno delle vicende storiche di ogni civiltà. Anche in questo caso prevale la polemica nei confronti dell’approccio fenomenologico teso a individuare le cosiddette strutture fondamentali dei fenomeni religiosi, viste come «permanenti, universali e perciò indipendenti dalla storia». Infatti «nei limiti in cui si riesca a individuare il nesso tra fenomeni religiosi e concrete situazioni economiche, si riconduce il fatto religioso nell’ambito della storia» (Brelich 2007: 35). In conclusione, tra le costanti che determinano la formazione e la trasformazione del pensiero calendariale – e più in generale degli orientamenti delle varie religioni – emergono i modi di reperimento delle risorse alimentari. Sono i tempi dell’accesso a queste risorse, correlati ai ritmi della natura e alle forme della produzione, che condizionano, ab origine, il pri24 Prefazione mo strutturarsi del tempo festivo e dell’organizzazione sociale: «vi è un’interdipendenza funzionale tra le forme dell’esistenza economico-sociale e le forme culturali umane» (Brelich 1955: I, 63). Nelle società preistoriche, antiche e “primitive”, tanto in quelle di cacciatori-raccoglitori quanto in quelle agro-pastorali, sono innanzitutto i ritmi produttivi e riproduttivi che, segnando la fine e l’inizio di specifiche fasi dei cicli vitali, rappresentano la fine e l’inizio di segmenti temporali qualitativamente diversi, organizzando i ritmi della vita civile e religiosa: «nascita, crescita, maturazione, raccolto dell’alimento avvengono attraverso una serie di interventi umani e ciascuno di questi interventi, disseminati a determinati intervalli lungo il ciclo annuale, dev’essere sacralmente garantito» (Brelich 1955: I, 83). Il regolare svolgimento dei processi di generazione e accrescimento è attribuito – per decisione culturale – all’intervento delle entità divine che così manifestano il loro potere. Dalla benevolenza degli dèi si vuole che dipendano, infatti, la buona riuscita della semina, la germinazione dei semi, il raccolto abbondante e i parti degli animali domestici. Eventi, questi, non a caso celebrati ciclicamente nel corso di grandi feste annuali che li inseriscono nei quadri della fondazione dell’ordine cosmico. Ha osservato Lévêque: «Nel corso della genesi delle attività agro-pastorali di produzione, il ciclo delle stagioni si impone come una realtà primordiale. […] Ad ogni modo, esso sembra proprio regolare tutto il rituale. È durante il Neolitico che si costituisce realmente un ordo che si organizza in relazione alla successione delle fasi vegetative, ordo che strutturerà il calendario festivo delle grandi religioni del Bronzo» (1991: 61). È in ragione di questo fatto che i cicli festivi delle società antiche, come anche quelli delle società preindustriali, sebbene «spesso collegati con più complesse concezioni liturgiche, mitologiche ed anche teologiche, come pure con celebrazioni di carattere politico», lasciano sempre intravedere un retroterra agrario (Grottanelli 1993: 15). Esiste, in definitiva, un’antica e indubbia interconnessione tra calendari cerimoniali e cicli della produzione, i quali, secondo le latitudini e le specie coltivate, possono essere più o 25 Introduzione allo studio dei calendari festivi meno evidentemente correlati con i cicli stagionali, le cui cesure sono servite da orientamento tanto nelle fasi dell’attività economica, quanto nella regolamentazione dei ritmi della vita individuale e collettiva, e ciò già in epoca protostorica e, probabilmente, assai prima. Già Hubert e Mauss, nel noto saggio del 1909, La rappresentazione del tempo nella religione e nella magia, sottolineavano che «i termini calendariali sono fatti coincidere e con i fenomeni che indicano approssimativamente il reale mutamento delle stagioni – apparire della prima violetta, del primo maggiolino, della prima rondine, delle cicogne, canto del cuculo, ecc. – e con i momenti critici del corso di determinati astri, Luna, Sole, Sirio, Venere, ecc.» (1991: 114). A suggello di quanto appena detto va ricordata l’osservazione di van Gennep secondo cui «per gli uomini le stagioni non rivestono un interesse particolare se non per le ripercussioni economiche che comportano tanto sull’attività essenzialmente industriale che si svolge durante l’inverno, quanto sull’attività inerente l’agricoltura e la pastorizia nel periodo della primavera e dell’estate» (1981: 157). Analogamente James, trattando delle antiche feste stagionali delle civiltà del Mediterraneo orientale, potrà osservare che «di qualsiasi genere fossero le caratteristiche comuni o indipendenti, le feste stagionali dovevano necessariamente collegarsi innanzitutto al corso periodico dei fenomeni climatici […]. Quando l’agricoltura e la pastorizia divennero i principali mezzi di sussistenza, le feste vennero riferite alle operazioni relative, governate a loro volta dal ciclo della natura: primavera e autunno, estate e inverno» (1961: 149). Non si discosta da questa impostazione Leach, secondo il quale è «la successione delle attività economiche che dà la misura del tempo» (1973: 207). Brelich, cui facciamo ritorno, fa osservare che la relazione tra economia e organizzazione culturale del tempo rappresenta un orientamento di ricerca che deve essere sottoposto a costante verifica, tenendo conto del concreto articolarsi delle singole civiltà storiche. È ben chiaro che per Brelich le feste periodiche costituiscono i “cardini di ogni calendario”, nella misura in cui sottraggono al divenire i momenti del tempo che 26 Prefazione rivestono importanza esistenziale per un determinato gruppo umano, per una determinata società. Non dissimili considerazioni ricorrono nelle pagine di uno dei più autorevoli antropologi italiani, Vittorio Lanternari, il cui nome non può essere disgiunto da quello di Brelich. Nello specifico, il suo classico lavoro sul capodanno, La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali (1976 [1959]), risente (in modo creativo) dell’impostazione teorica brelichiana relativa ai calendari. D’altronde egli stesso ha dichiarato di aver appreso da Brelich «la lezione del comparativismo storico come metodo illuminante dopo averlo visto applicare per la prima volta da Pettazzoni», riconoscendogli inoltre il merito di avere arricchito, integrando «acume filologico con sapere etnologico, su un impianto storicista e contestualizzante […], le stesse potenzialità dell’etnologia religiosa applicandone il metodo nell’analisi delle religioni classiche» (1997b: 30. Cf. 2005: 11). Altre numerose sollecitazioni suscita la lettura delle dispense di Brelich che ora, trasformate in libro, possono finalmente circolare tra studiosi e studenti per stimolarli a riflettere su un tema di interesse cruciale: la disciplina culturale del tempo. A parte i suoi meriti scientifici, il presente lavoro testimonia di un’epoca in cui, seppur tra molte difficoltà e diffidenze, metodi e materiali non restavano circoscritti entro ristretti ambiti disciplinari; un’epoca della quale non ho potuto godere che la fase del tramonto. Auguriamoci allora che la riedizione delle opere di Brelich possa contribuire a ridare slancio a quel “nuovo umanesimo”, auspicato da Brelich e da De Martino ma non ancora realizzato, indispensabile per poter dar senso al nostro futuro. Il testo qui presentato rispetta fedelmente quello originale. Gli interventi si sono limitati alla correzione di refusi e di qualche evidente svista dovuta alla originale redazione dattiloscritta, con l’aggiunta di qualche singola parola o locuzione, e ad aggiustamenti nella punteggiatura. Si è, invece, ritenuto opportuno procedere all’integrazione dei riferimenti bibliografici. 27 Introduzione allo studio dei calendari festivi Bibliografia della Prefazione Bell C., 1997, Ritual. 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