Diapositiva 1 - Italia Nostra
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Diapositiva 1 - Italia Nostra
Infinitamente 2013 Uomo e paesaggio: scenari, passioni e misfatti Paesaggi, identità territoriale e reti ecomuseali Giorgio Chelidonio Da oltre 2000 anni il Ponte Pietra segna il paesaggio urbano di Verona: è, dunque, un iconema della veronesità Un iconema, definizione coniata da Eugenio Turri, è «»l’unità elementare della percezione di un paesaggio», cioè quella che maggiormente incarna il genius loci di un territorio. E’ quindi «il riferimento visivo del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio ambiente” (Turri 1998). Le centinaia di foto del Ponte Pietra presenti in Internet ne confermano il ruolo di iconema, ma in realtà esso è percepito solo come paesaggiocartolina. Ma il Ponte Pietra è invece al centro di un complesso e mutevole mosaico geo-antropico che riassume tracce per quasi 50 milioni di anni 968 d.C. (Raterio lasciò Verona) 1891 Quasi 2000 anni fa 1945 2007 Per comprendere un iconema e il panorama in cui è immerso è necessario capirne la complessità, osservandolo anche da punti di vista speculari. Le stessa parola panorama ha una storia recente: composta da «pan» e «horama» (cioè «vedo tutto» in greco) fu coniata da Robert Barker dopo il 1792, quando dipinse questa «veduta» di Londra su un’apposita superficie cilindrica La parola paesaggio, invece, deriva dal francese paysage ma con significato di «luogo di appartenenza», quindi con valore identitario. Un altro sinonimo di paesaggio e di panorama è «veduta», termine sviluppato nella pittura europea dal XVII secolo. («L’Adige a S.Giorgio», G.Van Wittel, 1710) L’idea stessa di visualizzare per intero un paesaggio prese forma in Italia fra il XIII e il XV secolo, passando da funzioni di «sfondo contestualizzante» a proto-panorama …. «Storie di Papa Silvestro», 1246 (SS.Quattro Coronati/Roma) «L’orazione nell’orto», Andrea Mantegna 1459 (Museo di Tours) Anche nel mondo romano l’idea di paesaggio era diffusamente rappresentata, ma in forme decorativo-fantastiche e/o mitologiche. Stabia(NA), 60 d.C. (probabile rappresentazio ne del porto di Pozzuoli Alle origini etimologiche del francese paysage troviamo il latino pagense, cioè «relativo al villaggio», a sua volta connesso al latino pāgus, con originario valore di «cippo di confine» (da păngere 'conficcare'). Si evidenzia così un’antica radice di paesaggio = appartenenza. Villa di Sirmione, I sec.a.C. Villa della Farnesina(Roma), 50 a.C. La pittura romana era legata a quella greca: un esempio, raro ed arcaico, è l’affresco murale di Akrotiri (a Santorini), databile a prima del 1627 a.C., quando questa isola fu devastata dall’esplosione del vulcano Thera. Vi si rappresenta un intero paesaggio, articolato in elementi palaziali, fluviali e collinari, circondato da scene navali. Poiché la civiltà minoica si basava sul controllo navale dei commerci egei, si può dedurre che questa scena volesse raffigurare l’identità locale, magari in chiave elitaria. Anche nelle tombe egiziane del XIII-XIV secolo a.C. vi sono disegni (a tempera) con temi paesaggistici, ma in forma di «scene d’azione» (es. la vendemmia) o di raffigurazioni simboliche, come questa piscina con orto/giardino: rappresenta un ideale del «paradiso» in cui sarebbe vissuto il defunto (Nebamun, uno scriba di corte). Forse la più antica rappresentazione di un paesaggio è il disegno murale di Çatal Huyuk (Turchia), datato a circa 8200 anni fa Vi si raffigura la doppia cima del vulcano Hasan Dağ, con una mappa di città sottostante: più che un’intenzionalità paesaggistica vi si può riconoscere la registrazione grafica di un evento straordinario. Da questa sequenza emerge una domanda: quale percezione del paesaggio poteva avere l’umanità preistorica? Le impronte fossili di Laetoli (Tanzania), datate a 3,6 milioni di anni fa sono la traccia più antica di una camminata bipede: nelle sue ricostruzioni la «coppia» di Australopithecus afarensis vi è raffigurata con un comprensibile senso di stupore: la pioggia di ceneri aveva improvvisamente mutato il loro «paesaggio» abituale! Possiamo, quindi, dedurre e/o ipotizzare che gli ominidi percepissero il «paesaggio come ambiente», cioè come un insieme di opportunità e pericoli. Ne sono esempio le «vie dei canti», descrizioni paesaggistiche specifiche tramandate oralmente con cui i nativi australiani educavano al riconoscere iconemi e skyline di paesaggi tribali distanti: siccome quei cacciatoriraccoglitori intrecciavano relazioni parentali e matrimoniali su grandi distanze, essi avevano necessità di saper anticipare le condizioni ambientali prevalenti in luoghi appartenenti ad altre tribù. Uluru (detta anche Ayers Rock) montagna sacra della tribù Pitjantjajra) Secondi i miti degli aborigeni australiani ogni paesaggio, con i suoi iconemi e skyline, è la sintesi di come venne creato nel «tempo dei sogni». Le sue forme, quindi, corrispondono alle vicende della creazione e il poterle riconoscere si fondava sull’averne memorizzato le singole «storie». In tal modo era possibile prevedere le condizioni ambientali prevalenti di paesaggi mai visti prima. Ne è buon esempio la storia del bandicoot, un piccolo marsupiale: «Al tempo del sogno il cacciatore Akuka (l’uomo-topo) uccise un bandicoot nonostante fosse un animale del suo stesso clan totemico. Lo mangiò ma il suo ventre si gonfiò facendo uscire tanti piccoli figli che piangevano per la sete. Questi fuggirono fino ad arrivare ad una pozza: ne bevvero tutta l’acqua, ma non bastò. Quando ormai stavano per morire i vicini dell’Ovest sentirono il loro pianto e mandarono nuvole e pioggia. ….. ……..Così ripresero il cammino, ma giunti alla «Roccia della Lucertola” (altro animale totemico) caddero in un torrente in piena e si sciolsero» Tuttora per la tribù Gandangara (New Wales) un piccolo rilievo di arenaria è detto «i Figli rannicchiati in attesa di morire», mentre l’orizzonte, arbustivo e grigiastro viene miticamente interpretato come «la pioggia che arriva da Ovest». Anche disegni rupestri «narrano» storie e mappe del «tempo dei sogni». Un altro esempio di percezione neuroculturale del paesaggio emerge da un racconto fatto, oltre 20 anni fa, da un antropologo nord-americano….. I !Kung sono un’etnia sudafricana che, ancora 20 anni fa, viveva nella savana semi-desertica del Kalahari, con strategie simili a quelle praticate nel Paleolitico Superiore…… Secondo recenti studi genetici il loro DNA mitocondriale ha un grado di diversità così elevato da far ritenere che essi derivino da gruppi separatisi da Homo sapiens già 70 mila anni fa! I !Kung crescono in ambienti di savana arborata spesso pianeggianti, in cui la visibilità non supera i 500 metri. Un giorno l’antropologo portò, con la jeep, un !Kung in una zona distante e montuosa: in quel panorama sconosciuto, guardando dall’alto una mandria di bufali l’indigeno chiese: «Che insetti sono?» Questo è davvero un buon esempio, anche se estremo, di come l’esperienza modella la percezione individuale del paesaggio! Del resto la percezione culturale del paesaggio é confermata dal detto «Si riconosce ciò che già si conosce» ! Riassumendo, emerge l’evidenza che anche in una società pre-tecnologiche la percezione del paesaggio venisse attivamente educata in modi infragenerazionali…. Del resto, anche nelle antiche rappresentazioni italiane del paesaggio sono presenti casi «didattici», come nell’affresco «del buon governo» (Siena 1338-39), immagine di una armoniosità socio-produttiva a cui l’intera comunità doveva tendere. In altre parole senza un’adeguata esperienza di educazione al paesaggio si rischia … lo spaesamento diffuso! E il recente moltiplicarsi dei non-luoghi, urbani o vacanzieri, abitua alla percezione stereotipata dei paesaggi. Inoltre, gli stessi processi educativi scolastici se svolti unicamente in ambienti chiusi contribuiscono a formare mappe cognitive astratte. La dimensione estrema dei non-luoghi è ancor più esemplificata da recenti contesti costruiti per il tempo libero, in cui ambiente e paesaggio sono completamente simulati, come ……. ….. nello Ski Dome, a Dubai, che riproduce un ambiente sciistico ….. o ….. …. nel cosiddetto «Ocean Dome» a Miyazaki, in Giappone, dove viene simulata una finta spiaggia. Concludendo, identità e paesaggio sono stati un binomio infra-generazionale almeno dalla sedentarizzazione neolitica: ad esempio, i monumenti megalitici sarebbero stati iconemi di territori tribali, come il grande tumulo irlandese di Newgrange, eretto 5200 anni fa circa Il crescente inurbamento mondiale produce, come a Shangai, paesaggi-manufatto, veri e propri non-luoghi identitari Quasi come risposta al diffondersi dei non-luoghi identitari sono sorti dapprima i musei all’aperto, (es. Skansen, aperto a Stoccolma nel 1891). Dagli anni ‘70 del XX secolo si sta tuttora affermando la formula «ecomuseo», come il grande «Ecomusé d’Alsace (a Ungersheim/F) Sebbene presentate come complessi di ricostruzioni fedeli e perciò rappresentative di identità (nazionali, regionali o locali), entrambe le formule rischiano di essere percepite come parchi tematici, finendo così per essere omologate a siti di pura fantasia, in cui prevalgono logiche turistiche e commerciali. Riassumendo, la complessità dei paesaggi identitari, come quello del Ponte Pietra, risulta meglio valorizzata e trasmessa dalle reti ecomuseali, articolate in «unità» fra loro interconnesse: chiese, castelli, palazzi, punti panoramici, etc. vanno presentati in modo da evidenziarne sia il contesto crono-culturale sia le relazioni paesaggistiche (scenari antropici, ambientali e geologici). Attrezzandolo con reti di unità ecomuseali, ogni territorio rende comprensibile e valorizzabile la complessità della propria identità paesaggistica, fino a spaziare su cronologie preistoriche e geologiche. Come negli scenari del Baldo-Garda e dell’alta Lessinia, dove è possibile percepire tracce di paleo-paesaggi databili fra 20 e 100 mila anni fa circa Tracce metodologiche delle riflessioni esposte sono tratte da questi 2 testi dedicati alla didattica del paesaggio e a quella della preistoria…. …mentre il CD realizzato in collaborazione con il Comune di Verona tratta un progetto di rete ecomuseale per la Verona antica in sinistra Adige, impropriamente detta, ormai da 2 secoli, Veronetta.