«Io, imprenditore orgoglio del Sud sconfitto da un distretto fotocopia»

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«Io, imprenditore orgoglio del Sud sconfitto da un distretto fotocopia»
03/07/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Io, imprenditore orgoglio del Sud sconfitto da un distretto fotocopia»
Pasquale Natuzzi: sulla scia dei nostri successi, troppi falsi e illegalità Ma come si faa produrre al costo
industriale di 25 centesimi al minuto? I costi Attorno alla Natuzzi si sono sviluppate aziende formalmente
guidate da cinesi che aprivano e chiudevano ogni 14 mesi. Imprese che lavoravano per la concorrenza
abbassando il costo di produzione
Dario Di Vico
Pasquale Natuzzi è alle prese con una drastica riorganizzazione del suo gruppo e con un piano di 1.700
esuberi che i sindacati locali hanno definito «vergognoso». Ma per anni l'imprenditore pugliese è stato
celebrato dagli intellettuali meridionalisti come una sorta di Adriano Olivetti del Sud. Il distretto del divano
della Murgia era sembrata la risposta di un Mezzogiorno orgoglioso e capace di produrre cultura industriale.
La sua decisione di quotarsi direttamente a New York alimentò il sogno di una Puglia cosmopolita che non
aveva bisogno di pagare il pedaggio a Milano. Ma tanti che lo avevano coccolato nei momenti di splendore
hanno chiuso gli occhi quando è cambiato il registro. Quando come racconta in prima persona, «dieci anni fa
ho cominciato a visitare le prefetture di Bari e di Matera, ho bussato alla Guardia di finanza e ogni volta ho
lasciato denunce precise con fatti, nomi e cognomi». E sì, perché quello che è successo nella Murgia ha
dell'incredibile. Dietro l'azienda leader è nato un sistema di imprese che producevano gli stessi divani,
utilizzavano i lavoratori in cassa integrazione dalla Natuzzi e producevano in Italia a prezzi cinesi. Chi doveva
vigilare non lo ha fatto, i sindacati hanno chiuso gli occhi e attorno alla Natuzzi sono nate e si sono sviluppate
aziende formalmente guidate da cinesi che aprivano e chiudevano ogni 14 mesi.
I nomi li fa lo stesso Natuzzi. «Calia, Chateau d'Ax, Nicoletti, Poltrone e Sofà, tutti hanno adottato lo stesso
modello di business. E il presidente del distretto del salotto della Lucania, Tito Di Maggio, ha dichiarato
ufficialmente di produrre al costo industriale di 25 centesimi al minuto. Ma come fa se il costo industriale di
un'azienda in regola, tipo la mia, è di 92 centesimi!». Come si spiega tutto ciò? La verità è che sono nate
imprese come quelle citate da Natuzzi che in realtà erano solo dei marchi commerciali. Pochi dipendenti, tutto
marketing, una buona spesa pubblicitaria usando come testimonial attrici e miss Italia. Queste aziende sono
cresciute fabbricando divani nelle cantine dei paesi a cavallo tra la Puglia e la Lucania e utilizzando
manodopera in nero o lavoratori Natuzzi in cassa integrazione che trasferivano know how dell'azienda madre.
«Una volta - racconta lo stesso Pasquale - la Guardia di finanza individuò due operai in cassa che stavano
lavorando in un'altra azienda. Noi li licenziammo immediatamente e il magistrato mi ha costretto a
riassumerli».
A condire il giallo del divano imbottito c'è anche la leggenda dei cinesi. Si dice che in zona siano 2 mila, di
sicuro gli italiani ne hanno usati tanti come teste di legno per le coperture amministrative e legali e infatti le
statistiche della locale Camera di Commercio registrano un secco aumento di asiatici alla guida di imprese
attive nella Murgia tra il 2009 e il 2012.
Detto del clima di straordinaria illegalità che ha avvolto il distretto in questi anni senza che la politica
muovesse un dito e che le autorità facessero il loro dovere, è evidente che anche l'imprenditore Natuzzi ha
commesso i suoi errori. Chi conosce le aziende sostiene che avrebbe dovuto organizzare il ciclo produttivo in
maniera meno integrata e più flessibile, che avrebbe dovuto curare di più l'efficienza e che forse ha esagerato
ad aprire negozi (300) in quasi tutto il mondo.
È accaduto che l'Adriano Olivetti del Sud sia rimasto in qualche maniera prigioniero del mito che gli era stato
costruito addosso. Lui, anche in circostanze così drammatiche e nonostante le 73 primavere che ha già
contato, non si dà per vinto. Pensa che i suoi prodotti siano ancora validissimi e giura che non ha nessuna
intenzione di delocalizzare. Se vuol metter fuori 1.700 persone è «per salvare il gruppo» e non mandare tutto
a carte quarantotto.
ENERGIA/INDUSTRIA/LOGISTICA - Rassegna Stampa 03/07/2013
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I divani della Murgia La sfida di produrre a basso costo ma senza trucchi: l'imprenditore ora punta sulle
cooperative di operai. La protesta in azienda e gli scioperi rientrati
03/07/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Per chi resta senza lavoro Natuzzi ha già studiato un'idea: si tratta di recuperare flessibilità produttiva
creando delle cooperative di operai-terzisti capaci di produrre a costi più bassi di due terzi rispetto alla casa
madre e di combattere il «distretto illegale». Riuscirà il capitano d'industria che tutto il Meridione avrebbe
voluto per sé a vincere questa battaglia? La recessione infinita non gioca certo a suo favore ma un primo
risultato ieri lo ha portato a casa. I duri che proponevano lo sciopero sono stati battuti e hanno vinto gli operai
aziendalisti. Così oggi alla Natuzzi comunque si lavora.
dariodivico
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L'azienda
Il gruppo Natuzzi nasce da un'intuizione del suo fondatore Pasquale (nella foto ) nel lontano 1959 ed ha
sempre avuto il suo quartier generale a Santeramo in Colle (Bari), dove ha dato luogo a un fiorente distretto
del divano imbottito con centinaia di pmi legate a doppio filo alle sue vicissitudini. Per storia e per fatturato, al
netto della crisi di questi ultimi anni, è la più grande azienda italiana dell'arredamento ed è uno dei leader
mondiali nei divani in pelle.
A Wall Street
Curiosamente è l'unica realtà del settore a essere quotata a New York (dal 1993) pur non essendo
statunitense. Ha appena annunciato la mobilità di 1.726 lavoratori con contestuale chiusura di due
stabilimenti italiani: quello di Matera e Ginosa (Taranto). Conserva invece i suoi tre stabilimenti esteri: uno in
Romania, l'altro in Cina e l'ultimo in Brasile