L`ESPERIENZA - Direzione Generale per la Valorizzazione del

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L`ESPERIENZA - Direzione Generale per la Valorizzazione del
Tavolo 1 - L’ESPERIENZA
Tavolo 1 - L’ESPERIENZA
Comprendere, capire, acquisire e conservare nel tempo
l’esperienza della visita per l’accrescimento della conoscenza
Coordinatore: Erminia Sciacchitano
Rapporteur: Simona Bodo
In una società dove il “rumore” e gli slogan sottraggono luce ed ossigeno alla riflessione e
all’approfondimento, i luoghi della cultura si interrogano su come trasformare l’incontro con
il visitatore, magari attirato da una notte bianca, da un’icona vista su un autobus, o da un
concerto jazz, in una vera e propria esperienza culturale, un momento di crescita personale,
da raccontare e ricordare nel tempo.
Una sfida per i musei di oggi, che davanti alla prospettiva di un ampliamento di platea si trovano a dover far passare messaggi complessi attraverso la cruna di un ago troppo fine, correndo il rischio di banalizzare e appiattire ciò che è il risultato di una stratificazione di saperi,
del dialogo fra diverse culture, del rapporto con il territorio.
Per rispondere a questa sfida alcuni musei si mettono in gioco e avviano interessanti sperimentazioni su testi e apparati comunicativi. Un processo raffinato, che cesella testi ricchi e
suggestivi introducendo un a capo per tirare il fiato, un grassetto perché un’eco del testo si
ancori al pensiero, un inciso per spiegare una parola insolita, un paragrafo perche il genitore
possa cogliere rapidamente un concetto e trasmetterlo con orgoglio al suo bambino, un riferimento temporale per chi proviene da un’altra cultura. Nuovi allestimenti, che incuriosiscono
con racconti e storie, mettono a disposizione mappe e guide per orientarsi ed esplorare in libertà, servizi e assistenza perché la mente, dopo una pausa di ristoro, possa concentrarsi sui
nuovi stimoli. Innovazioni prodotte anche grazie alla collaborazione fra mediatori, sociologi,
antropologi, educatori, curatori e conservatori.
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Nel frattempo la “teoria della coda lunga” ci insegna che in una dimensione globale non
solo c’è spazio per le informazioni altamente specializzate, ma che è possibile accendere la
scintilla dell’esperienza anche grazie al contributo della comunità degli utenti, che attraverso
le piattaforme partecipative condivide affinità, relazioni, interessi. Lo sviluppo di internet e dei
social network, i nuovi modelli di produzione e distribuzione resi possibili dalla tecnologia digitale stanno, infatti, modificando gli attuali equilibri verso una maggiore democratizzazione
politica, sociale e tecnologica della cultura dove la frontiera fra creatori e consumatori si fa
sempre più sottile. Un’energia creativa testimoniata dal fiorire di applicazioni per smartphone, siti web, itinerari, visite virtuali.
Trasformazioni che stanno cambiando la modalità di interazione fra amministrazione pubblica e cittadini, anche nel settore culturale, e che suscitano un ampio dibattito in Europa sul
ruolo dei pubblici poteri e del settore privato nella cultura, il modo di funzionamento delle
istituzioni culturali, il tipo e la scala dei sostegni agli artisti, le nuove forme di partenariato e
di approccio a livello paneuropeo, europeo, nazionale, regionale e locale.
Lo sguardo su questo orizzonte è incorniciato dai principi contenuti nella Convenzione Quadro
del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, firmata a Faro nel 2005,
che traccia il quadro di diritti e responsabilità dei cittadini nella partecipazione al patrimonio
culturale, muovendo dal diritto dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale
della comunità e di godere delle arti definito nell’art. 27 della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo. Una Convenzione che “mette in valore„ le dimensioni etico, culturali, ecologiche, economiche, sociali e politiche del patrimonio culturale per lo sviluppo dell’essere
umano e della società, intrecciando la fruizione dei luoghi della cultura con le politiche per
l’inclusione sociale e lo sviluppo sostenibile.
Un’impostazione che si ritrova nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, che all’art. 2
sancisce che i beni “di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività” e che all’art. 6 definisce la valorizzazione come “l’esercizio delle funzioni e la disciplina
delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le
migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte
delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”. Definizione
che traccia una strada per una fruizione consapevole del patrimonio culturale, che stimoli
il pubblico a prendere coscienza dei suoi valori civici, del suo essere risorsa per lo sviluppo
personale e collettivo, un valore da preservare e trasmettere alle generazioni future.
Questo allargamento di sguardo verso orizzonti più ampi impone di fare i conti con le diverse
specificità umane, per implementare buone pratiche basate sulla conoscenza dei bisogni e
delle aspettative culturali del pubblico, sia reale che potenziale. Comprendere che ognuno di
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La teoria della Coda Lunga, elaborata da Chris Anderson, si basa sul presupposto che il mercato dell’industria
culturale si stia via via allontanando dalla propensione a concentrarsi su un insieme relativamente piccolo di beni di
successo per muoversi verso un grande numero di beni di nicchia, dove il consumatore trova maggiore correlazione
ai propri interessi personali. Anderson C. (2007). La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati
2
Un recente studio della Commissione europea sulla dimensione imprenditoriale delle industrie creative rivela che
il 58% delle imprese e’ composto da 1-3 addetti. http://ec.europa.eu/culture/key-documents/doc3124_en.htm
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noi è portatore allo stesso tempo di interessi comuni ai più, e di interessi specifici, legati alla
nostra unicità, radici, cultura e formazione. Accettare che il processo di conoscenza non è
monodirezionale, ma che chi “fruisce” è portatore di un sapere con il quale è necessario interagire. Riconoscere che la matrice della ricchezza del patrimonio culturale italiano affonda
le sue radici non solo nel rapporto con il territorio, ma in una storia impregnata di diversità
culturale, in quella che Renzo Piano, in una recente intervista ha definito “la forza del meticciato”. Una diversità che oggi risuona in ogni visitatore, diverso per sapere, corpo, credenze,
esigenze. Un pubblico che apprende, crea, racconta la propria esperienza di visita e scopre la
natura multipla e dinamica della propria identità grazie alla relazione con altre culture. Unica
e speciale. Un’esperienza da raccontare.
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Erminia Sciacchitano
Responsabile Ricerca e Sperimentazione
Servizio I DGVAL MiBAC
Introduzione al tavolo
Desidero innanzitutto ringraziarvi per essere intervenuti a questo incontro. La vostra partecipazione, così numerosa ma soprattutto così qualificata, per noi è motivo di grande soddisfazione, perche ci segnala che il tema che affrontiamo oggi è attuale e che necessita di momenti di riflessione comune. Sarà molto interessante per noi presentarvi gli esiti delle ricerche in
corso ma soprattutto ascoltare le vostre reazioni e i vostri preziosi commenti.
La mia introduzione, che mira a dare un inquadramento generale rispetto alle tematiche che
verranno affrontate dai nostri relatori, riflette il punto di vista di un tecnico interno all’amministrazione, ma apre lo sguardo oltre i confini nazionali. In particolare vi invito ad indossare
le lenti del Consiglio d’Europa, che vede nella fruizione del patrimonio culturale sancita dal
nostro Codice una declinazione del diritto dell’individuo a partecipare liberamente alla vita
culturale della comunità e di godere delle arti definito nell’art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Quando verso la fine del 2009 abbiamo avviato le nostre attività, la Direzione generale si
è trovata in mano un concetto di valorizzazione dai molteplici significati, un vero e proprio
“nodo gordiano”. Come accade spesso quando ci si trova di fronte alla complessità, abbiamo
dovuto resistere alla tentazione di tagliare drasticamente il nodo per arrivare rapidamente al
nocciolo. Abbiamo deciso, al contrario, di seguire una strada più onerosa: scegliere alcuni dei
fili che compongono il nodo e provare a scioglierli minuziosamente, ma senza perdere la loro
componente armonica e creativa, come vedete rappresentato nella grafica del manifesto.
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L’incontro di oggi, per proseguire nella metafora, vi mostra quello che abbiamo dipanato finora
di tre dei fili che erano intrecciati nel nodo, e questo tavolo, in particolare, snoda il filo dell’esperienza del visitatore rispetto alla sua partecipazione al patrimonio culturale, un concetto
che va oltre a quello di fruizione. Se vogliamo davvero perseguire gli obiettivi che ci assegna
l’art. 6 del Codice, la promozione della conoscenza del patrimonio culturale, non possiamo
limitarci migliorare il comfort fisico, o i servizi complementari alla visita, dobbiamo ingenerare
un’affezione profonda, che non nasca dalla passione o dall’accaloramento, perché le passioni
si bruciano, i fuochi si spengono, ma che maturi a partire dalla consapevolezza, e che resista
nel tempo.
La piena consapevolezza del valore del patrimonio culturale, oggi è un bagaglio di pochi. La
percentuale dei cittadini che partecipa al patrimonio culturale non rappresenta la maggioranza della popolazione.
Basta guardare i dati Istat per constatare che la maggioranza dei visitatori dei nostri musei è
in possesso di un titolo di studi superiore, una persona laureata. Probabilmente questo accade perché quando progettiamo gli apparati di comunicazione, ragioniamo in maniera astratta,
senza conoscere davvero chi viene a visitare i nostri siti. Di conseguenza finiamo per parlarci
allo specchio, ad un riflesso di noi stessi, che ha la nostra stessa formazione, la nostra stessa
visione, oppure costruiamo un identikit totalmente ideale: un supereroe laureato e iper-specializzato, forte e instancabile, capace di superare qualunque barriera di accesso fisico, che
non ha bambini, non manovra passeggini o carrozzine e legge perfettamente testi scritti con
caratteri piccoli, anche in condizione di penombra e da qualunque distanza.
Per ampliare la platea del pubblico dei luoghi della cultura dobbiamo quindi guardare oltre lo
specchio e aprirci al confronto con le diverse specificità delle persone, che sono praticamente
infinite. Ma allo stesso tempo prendere atto che il nostro visitatore non è un supereroe ma un
essere terreno, che ci somiglia molto, ma per quelle esigenze e necessità che condividiamo
con tutto il genere umano. Oltre alla stanchezza fisica, che non ci permette di concentrarci
nella lettura e ci fa velocizzare il passo, alla fame, alle necessità fisiologiche, condividiamo,
infatti, il senso di smarrimento che ci assale se perdiamo l’orientamento, la confusione di
quando non riusciamo a collocare un oggetto nel suo contesto originario, il senso di inadeguatezza generato dal non riuscire ad afferrare un concetto, e quindi di non riuscire a spiegarlo a
chi ci accompagna, il sovraccarico da eccesso di informazioni, la sensazione di dover tornare
“per vedere tutto”, velata dal senso di colpa per non aver adempiuto ad un “dovere”.
Questi aspetti non devono essere trascurati, in quanto sono componenti psicologiche fondamentali nella visita e giocano un ruolo fondamentale nel momento in cui il visitatore decide o
meno di tornare a trovarci, perché nessuno gradisce ripetere un’esperienza negativa. Le indagini ci confermano che gli individui si recano nelle sale dei musei innanzi tutto per un’esigenza di conoscenza e comprensione, quindi per una motivazione legata alla crescita personale,
uno dei più grandi “motori” dell’essere umano. La “piramide”, (FIGURA 1) tratta dalle Linee
guida sulla comunicazione che stiamo elaborando, di cui vi parlerà Cristina Da Milano, mostra
il percorso verso la realizzazione dell’individuo, che parte da una base di soddisfazione di
La ricerca “Il Museo in ascolto”, oggetto dell’intervento di L. Solima in questa stessa giornata, ha registrato un
forte incremento dei laureati (fra gli italiani) ed una diminuzione di tutti gli altri titoli di studio medio-bassi (licenza
elementare, media e diploma). Considerando tutti i visitatori, l’incidenza dei laureati raggiunge circa il 64%.
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Primo colloquio sulla valorizzazione
bisogni fisici, di sicurezza, di bisogni sociali,
fino a giungere al momento della realizzazione di sé. L’esperienza di visita coinvolge,
quindi, la sfera personale, la sfera fisica, la
sfera sociale, tre aspetti fra loro inscindibili
per la soddisfazione del visitatore.
Gli strumenti della comunicazione museale,
necessari per veicolare il contenuto informativo, sono fondamentali, a nostro parere,
per creare o ricreare il legame fra visitatori e patrimonio culturale. Ovviamente non
pretendiamo di affidare esclusivamente al
miglioramento degli apparati comunicativi il
difficile compito di incrementare la fruizione
del patrimonio culturale da parte del cosiddetto “non pubblico”. Le barriere non sono
solamente culturali, ma anche fisiche, economiche, hanno origine nello scarso coordinamento fra i soggetti nel territorio, nella difficoltà di adeguare gli edifici storici per chi ha esigenze
di mobilità specifiche e così via, temi che si affrontano negli altri tavoli.
Il tema era già stato ben delineato dell’Atto
di indirizzo del 2001, dove nell’Ambito VII“Rapporti con il pubblico e relativi servizi” si
fa riferimento esplicito al fatto che i musei
affiancano “al dovere della conservazione
del proprio patrimonio la missione, rivolta a
varie e diversificate fasce di utenti, di renderne possibile la fruizione a scopo educativo,
culturale, ricreativo e altro ancora”. L’Atto di
indirizzo aveva fornito alcune prime linee guida operative, in particolare in un primo documento che allora fu allegato ”Che cosa è un
manuale di base della comunicazione”, che
costituisce il nostro punto di partenza.
Oggi abbiamo però bisogno di introdurre nuove aperture e ulteriori slanci in questa visione e
allargare lo sguardo alla dimensione del dibattito globale. Se è vero che non dobbiamo partire
da zero, ma saggiamente procedere dalla revisione e dall’aggiornamento di questi fondamentali documenti, anche alla luce della successiva entrata in vigore del Codice dei beni culturali
e del paesaggio, è anche vero che dobbiamo comprendere che dal 2001 ad oggi si sono modificati gli equilibri geopolitici, sono accaduti eventi che dobbiamo prendere in considerazione
se vogliamo proporre modelli e soluzioni efficaci per i prossimi anni.
Ad esempio, da un’analisi dei visitatori che abbiamo condotto presso il Museo archeologico
di Firenze, di cui vi parleremo fra poco, è emerso un alto numero di visitatori brasiliani, secon
Atto di indirizzo sui criteri tecnico- scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei - 2001
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do solo ad americani e francesi, maggiore dei visitatori tedeschi. Anche in questo caso, per
comprendere le cause di questo fenomeno dobbiamo distogliere gli occhi dall’identikit del
visitatore ideale, che nel nostro immaginario, quando è straniero, è tedesco, inglese, americano, francese o al massimo giapponese, e guardare alle dinamiche di crescita dei Paesi
BRICS, (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), dove sta crescendo la domanda di consumo
culturale, oltre che la disponibilità economica ad affrontare un viaggio, e di conseguenza a
visitare le città d’arte, in primis il nostro Paese. Un fenomeno importante considerato che il
blocco di questi paesi rappresenta un terzo della popolazione mondiale.
Altro aspetto importante riguarda il dibattito sulle convenzioni internazionali sul patrimonio
culturale, che dal 2000 non sono più incentrate sulle misure per la conservazione. Questo
cambiamento di approccio è il frutto di una presa di coscienza collettiva a seguito della guerra nei Balcani, una guerra molto vicina a noi, al di là di un mare comune. Il Ponte di Mostar,
distrutto in quel conflitto, non era un obiettivo militare, era un obiettivo culturale, perché era
stato costruito dalle comunità musulmane
e cristiane che vivevano sui due diversi lati,
ed era quindi rappresentativo di un dialogo
fra culture che si intendeva troncare. Questo
episodio ha reso evidente che uno dei fattori di rischio più importanti per il patrimonio
culturale è il fattore antropico. Le cause di
distruzione del patrimonio culturale sono,
infatti, raramente dovute a fattori esogeni,
come i terremoti, ma sono più spesso causati dall’uomo: inquinamento, speculazione
immobiliare, guerra ecc.
Il Ponte di Mostar
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Primo colloquio sulla valorizzazione
A partire da quell’episodio matura quindi la consapevolezza che la causa prima della distruzione del patrimonio culturale risiede nella mancanza di consapevolezza dei valori in esso
racchiusi, per questo motivo le convenzioni del XXI secolo s’incentrano sull’uomo, sul soggetto, non più sull’oggetto della tutela. Come esempio vi porto la Convenzione europea del
paesaggio del Consiglio d’Europa la Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale e la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della
diversità delle espressioni culturali. L’ultima Convenzione, la meno conosciuta in Italia, la
Convenzione quadro sul valore dell’eredità culturale per la società, che ci auguriamo che
l’Italia firmi presto, è la più avanzata in questo senso: traccia il quadro di diritti e responsabilità dei cittadini nei confronti del patrimonio culturale e declina le diverse accezioni del valore
del patrimonio culturale per la società, aggiungendo alla tradizionale domanda “Quale patrimonio culturale tutelare e in che modo?”, quella “Perché e per chi valorizzarlo?”.
Questa consapevolezza, maturata sul piano del dibattito internazionale, ha portato l’attenzione sulla valorizzazione, intesa come operazione tesa a fare maturare la consapevolezza
da parte del cittadino dei valori incarnati nel patrimonio culturale, non solo del valore economico ma del valore sociale, valori da trasmettere alle generazioni future. Una consapevolezza che contribuisce alla tutela del patrimonio culturale, perché incide alla radice sulle cause
del suo degrado e distruzione.
Altro passaggio fondamentale: nel 2001 si è compreso che, al pari della biodiversità, al pari
delle risorse energetiche e ambientali, la diversità culturale è un valore che dobbiamo preservare e trasmettere alle generazioni future. Si dà per assodato nel nostro dibattito che la
ricchezza del patrimonio culturale italiano affondi le radici nel rapporto col territorio, tema
che viene inserito come ambito VIII nell’Atto di indirizzo già citato proprio per la sua specificità
tutta italiana, ma non si sottolinea con altrettanta forza che la sua matrice è nella diversità culturale che ha caratterizzato la storia
della nostra penisola. Porto come esempio
per tutti la Zisa di Palermo, prodotto dall’incontro fra un re normanno e le maestranze arabe. In una recente intervista
Renzo Piano ha dichiarato che lo straordinario patrimonio culturale italiano trae origine dalla “forza del meticciato”. Bisogna
prenderne atto, introdurre con maggiore
consapevolezza questo tema nel nostro
dibattito, trasformarlo in una nuova linfa,
in particolare quando riflettiamo sulle strategie da adottare per aprire i nostri musei
ai nuovi cittadini, alle comunità migranti,
(Firenze 2000),
(Parigi 2003)
(Parigi 2005)
(Faro, Portogallo, 2005)
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a chi semplicemente viene a visitarci ma
appartiene ad una cultura distante ed ha
quindi bisogno di elementi di mediazione
per comprenderne la storia e la portata
culturale.
Ormai siamo giunti alla consapevolezza che
le politiche sul patrimonio culturale sono
politiche transettoriali poiché incidono su
diverse politiche settoriali. Ad esempio, il
recupero di un centro storico, se ben fatto, può avere effetti sul benessere e sulla
qualità della vita, sull’occupazione, sull’integrazione, sulla sicurezza, sul turismo, sul
senso civico, sull’orgoglio della cittadinanza, come accade nel processo di candidatura a capitale europea della cultura.
La valorizzazione del patrimonio culturale,
se è intesa come operazione che ne rivela
i valori sociali intrinseci: la matrice interculturale, il senso comune di appartenenza ad un luogo, i valori civici, ha quindi un
ruolo sia nella costruzione di una società
democratica e pacifica che nei processi di
sviluppo sostenibile.
Molti musei si sono già attivati in questa
direzione, varando strategie per l’accesso,
l’inclusione sociale e la diversità culturale
nell’ambito delle loro politiche di apertura al
pubblico più ampio. Abbiamo un felice esempio anche italiano, con il progetto A Brera anch’io, che non è l’unico.
Il Victoria and Albert Museum ha addirittura inserito il tema della rappresentatività
delle altre culture nella sua strategia,e riflette questa attenzione nel numero di lingue in cui viene tradotto il suo sito.
Un altro grande dibattito a livello internazionale riguarda il coinvolgimento delle
comunità, anche a seguito dell’entrata in
vigore della Convenzione di Faro. Il tema è
affrontato nel tavolo sulla partecipazione,
ma anche qui va sottolineato che le comu-
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Primo colloquio sulla valorizzazione
nità stanno assumendo sempre più un ruolo di soggetti attivi, che partecipano alle varie fasi
del processo di valorizzazione, dall’identificazione di quel patrimonio culturale che ne incarna
i valori rappresentativi all’adozione di iniziative indipendenti di sensibilizzazione. Sono frontiere per noi lontane, ma è certo che se un cittadino è chiamato in primo luogo ad identificare un
luogo che rappresenta valori in cui si riconosce, è chiaro che sarà più facile per questo stesso
cittadino essere coinvolto nelle attività necessarie per la sua salvaguardia e conservazione.
Altro aspetto in profondo mutamento, è l’affermazione di nuovi modelli di produzione democratica della cultura. Uno studio della Commissione europea sulla dimensione imprenditoriale
delle imprese creative in Europa ci dice che il 58% è composta da uno a tre addetti. Questo
sta cambiando il nostro panorama di azione, ha effetti sul nostro stesso ruolo nella società, e
incide fortemente sulle politiche culturali. Fino a poco tempo fa ci confrontavamo con i grandi
soggetti, i grandi musei, le grandi orchestre, i grandi teatri, adesso iniziamo a confrontarci
con cittadini che non sono solo fruitori ma produttori di cultura. Quindi non siamo più solo
noi a”fornire cultura”, ma oggi dobbiamo anche ascoltare ciò che viene prodotto da questa
straordinaria energia creativa. L’esempio più evidente è Wikipedia, dove addirittura uno dei
temi che per noi è sacro, l’autorevolezza dei contenuti, viene gestito democraticamente sulla
base di un controllo che la comunità fa sulla qualità e pertinenza dei contenuti.
Quando si parla di apertura ad un pubblico più ampio si manifesta un fantasma che tutti
temiamo: banalizzare, abbassare la qualità, semplificare. In realtà la comunicazione dei contenuti culturali ad un pubblico più ampio è il risultato di un’operazione raffinata e addirittura
forse più complessa della comunicazione ad un pubblico specializzato. Si tratta quindi di
una gran bella sfida. Se ci confrontiamo con quanto sta accadendo in altri settori, leggiamo
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segnali che ci dicono che quando ci si apre alla dimensione culturale globale, in realtà si crea
maggiore spazio per le informazioni altamente specializzate e di altissimo livello qualitativo.
L’esempio classico è Amazon, che attraverso un modello di distribuzione “ globale” su internet, e grazie all’uso di filtri molto sofisticati, riesce a consigliare agli utenti, libri particolari,
anche molto specializzati, che soddisfano le esigenze più particolari degli utenti. La quota di
mercato delle pubblicazioni altamente specializzate, introvabili, rare, sta quindi diventando
più ampia delle hit, dei grandi successi. Probabilmente, il nostro timore della banalizzazione
è legato ad un vecchio modello di mercato, che associa all’apertura al pubblico ampio la necessità di cogliere interessi molto generali e comuni al più ampio numero di persone. Invece
ognuno di noi, come ha scritto in un bell’articolo Alessandro Bollo, è un miscuglio di interessi
generici e interessi specifici e quindi ognuno dei nostri visitatori dei nostri musei, delle nostre
aree archeologiche, dei nostri archivi e biblioteche, è attratto sicuramente dalle particolarità.
La comunicazione efficace è quindi uno strumento perché la comunità possa riconoscere i
valori fondamentali del patrimonio. L’art. 1 del Codice, meno citato dell’art. 6, ci dice che La
tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare
la memoria della comunità nazionale
e del suo territorio10. In questo momento storico ciò che è più preoccupante è la crisi dei valori, più di quella
economica. Abbiamo ancora un ruolo
molto importante da svolgere, perché
ogni giorno incontriamo tanta parte
della popolazione, e se riusciremo a
ritrovare nuovi modi per comunicare
ai cittadini quale siano i valori del patrimonio culturale, a permettere loro
di riconnettersi a questo sistema di
valori, sicuramente possiamo incidere
su una dimensione molto importante. Se ci ricordiamo ogni giorno di questo nostro ruolo,
forse alcune delle difficoltà che troviamo nel nostro lavoro possono essere sorrette da una
motivazione alta, più forte, che ci aiuta a superare le mille difficoltà che, non vi nascondo,
condividiamo anche noi quotidianamente.
Con gli altri colleghi della Direzione generale condividiamo con voi in questa giornata una
concezione di valorizzazione che definiamo multi dimensionale, perché mette in valore le dimensioni etico, culturali, ecologiche, economiche, sociali e politiche del patrimonio culturale.
Il filo della nostra giornata si dipana a partire da qui, l’assassino lo sveliamo alla fine.
Alessandro Bollo Nuovi scenari e vecchie liturgie del consumo culturale in: www.fitzcarraldo.it/pdf/artespettatore_bollo.pdf
10
D.Lvo 2004, n. 42 Art. 1 c2.
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Sara Parca
Esperta ricercatrice per la PA
Il Sistema informativo sul pubblico dei luoghi della cultura statali
Contesto, obiettivi, strumento d’indagine
La Direzione Generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale (Servizio I – Valorizzazione del patrimonio culturale, programmazione e bilancio), nell’ambito delle attività istituzionali
volte ad acquisire un quadro conoscitivo per quanto concerne la situazione dei luoghi della
cultura di proprietà statale, ha avviato un’indagine per ricostruire lo stato di fatto della documentazione relativa alla conoscenza dei visitatori e dei “non visitatori” di musei, monumenti
e aree archeologiche.
Oggi sono stata invitata a presentare lo stato di avanzamento di questa ricerca, tutt’ora in
corso, che consiste sostanzialmente in una ricognizione sulle modalità dei rilevamenti effettuati per la conoscenza dei pubblici, al fine di far emergere anche eventuali informazioni su
studi realizzati da soggetti esterni al Ministero per i beni e le attività culturali, non pubblicate
o comunque di non facile reperimento.
L’obiettivo è quello di creare una banca dati in cui verranno elaborati e organizzati i risultati
dell’indagine, utilizzabile per orientare le politiche di settore, per promuovere progetti di sviluppo e incentivazione alla diffusione ordinaria e sistematica delle indagini sul pubblico utili
a supportare le azioni volte ad innalzare la qualità della visita, migliorando la comunicazione
dei contenuti e dei servizi, tenendo conto delle linee guida e degli standard già definiti dal
Decreto ministeriale del 10 maggio 2001 (Atto di indirizzo sui Criteri tecnico-scientifici e standard di funzionamento e di sviluppo dei musei).
La rilevazione è stata organizzata d’intesa con le Direzioni Regionali, gli Istituti Centrali, Na-
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zionali e Speciali, ai quali è stato chiesto di collaborare alla raccolta dei dati che viene effettuata attraverso l’autocompilazione da parte dei singoli istituti di una scheda che riporta
elementi sintetici di informazione sulle indagini commissionate o autorizzate nei luoghi della
cultura statali negli ultimi quindi anni, secondo le seguenti voci:
-
-
-
-
-
-
Titolo dell’indagine
Committente
Istituto/soggetti coinvolti
Con il contributo di
Partners
Tipologia della ricerca (es.: indagini sul pubblico; studi sulla dimensione sociale del museo; studi sui visitatori; studio sul non pubblico; studi sullo sviluppo di nuovi pubblici …)
- Periodo di svolgimento
- Metodologia (es.: indagine tramite questionario; indagine tramite interviste; focus group;
indagine tramite interviste realizzate con supporto tecnologico; analisi qualitativa tramite
osservazione diretta in situ o con utilizzo di sotware dedicato …)
- Note
La richiesta e il censimento di dati essenziali come il titolo dell’indagine, la tipologia e la metodologia della ricerca, il committente e i soggetti coinvolti permettono di ricostruire un profilo
di indicazioni basilari, ossia un “primo livello” di conoscenza, che in una seconda fase potrà
essere approfondito con la richiesta di ulteriori dettagli, come il recupero dei materiali e l’elaborazione dei dati, attraverso il contatto diretto con gli istituti coinvolti nella rilevazione.
Scelta dei luoghi della cultura statali oggetto dell’indagine.
Data la complessa realtà dei luoghi della cultura statali che consta di strutture di varia natura
(musei, monumenti, parchi e aree archeologiche, biblioteche e archivi) e di una molteplicità
di situazioni come ad esempio l’esistenza di circuiti museali (insiemi di musei, gallerie, monumenti e/o aree archeologiche accessibili con un unico biglietto) o di luoghi caratterizzati
dalla compresenza di più beni culturali, nella prima fase di realizzazione del progetto si è reso
necessario procedere a una definizione dell’area d’indagine, ossia all’identificazione degli
istituti da includere nella rilevazione, per i quali abbia un senso chiedere se svolgono indagini
sul pubblico.
La selezione dell’ambito da indagare al momento vede esclusi gli archivi e le biblioteche le cui
peculiarità, distinte da quelle di musei e aree archeologiche, esigono una considerazione a
parte e specifici strumenti di valutazione. La scelta, dunque, si sta basando sulla ricognizione,
l’acquisizione, l’integrazione e il riordino delle informazioni e dei dati relativi ai luoghi della
cultura statali disponibili presso le seguenti fonti informative istituzionali:
- sito web dell’Ufficio di statistica del MiBAC (http://www.statistica.beniculturali.it), database
contenente l’elenco dei Musei, Monumenti e Aree Archeologiche Statali;
- sito web istituzionale del MiBAC (www.beniculturali.it), database contenuto nella sezione di
ricerca dei luoghi della cultura: (http://www.beniculturali.it/MiBAC/opencms/MiBAC/sito-
MiBAC/MenuPrincipale/LuoghiDellaCultura/Ricerca/index.html);
- siti web delle Soprintendenze.
In particolare, nell’individuazione dei soggetti da prendere in considerazione si tiene presente come riferimento la banca dati dell’Ufficio di statistica del Ministero Musei, Monumenti e
Aree Archeologiche Statali aggiornata al 18 febbraio 2011, che individua 452 luoghi della
cultura.
Per la creazione del nuovo database, a partire dall’elenco del SISTAN appena citato, si sta
procedendo a un’ulteriore selezione in cui vengono eliminati, ad esempio:
• antiquaria che hanno caratteristiche più di depositi che non di musei veri e propri e di conseguenza non presentano specifici servizi al pubblico;
• istituti che pur essendo di proprietà statale, in realtà sono gestiti da enti territoriali locali;
• alcuni siti archeologici o monumentali che di fatto non sono aperti al pubblico;
• luoghi di culto come chiese, santuari, abbazie e monasteri.
In tutti questi casi si sta procedendo a una verifica delle reali condizioni contattando direttamente gli istituti o le rispettive Soprintendenze di competenza.
Allo stato attuale l’universo di riferimento è dunque composto da 364 istituti, divisi secondo
le seguenti tipologie:
• musei archeologici
• storico-artistici ed etnoantropologici
• case museo
• monumenti
• aree, parchi e monumenti archeologici
• palazzi reali, castelli e ville
• complessi monumentali
Sono compresi i monumenti e quei luoghi della cultura che pur non disponendo di collezioni,
dunque non essendo assimilabili al modello tipico di museo, espongono beni mobili d’interesse artistico, dipinti murali, mobilio e/o arredi di grande attrazione per il pubblico.
La verifica è tutt’ora in corso e il numero finale dei luoghi della cultura da inserire nell’indagine potrebbe essere ulteriormente modificato.
La distribuzione geografica dei 364 istituti è la seguente: 145 al centro (39,84%), 90 al nord
(24,73%), 129 al sud (35,44%) (grafici 1 e 2).
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Grafico 1
Grafico 2
Primi risultati sull’indice di risposta, verifica e analisi dei dati
Allo stato attuale dei lavori, seppure si tratta di risultati ancora parziali, hanno risposto 59 istituti
distribuiti su 12 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia,
Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana, Veneto) delle complessive 17 coinvolte
nell’indagine (non hanno ancora risposto Calabria, Liguria, Molise, Piemonte, Umbria).
• Un primo dato da rilevare è che gli istituti periferici stanno aderendo in modo non uniforme. Alcuni hanno risposto nei tempi previsti, altri dopo diversi solleciti. Si cerca di reperire i
dati mancanti attraverso contatti telefonici diretti.
• Ad oggi le risposte pervenute rilevano che poco più del il 16% dei luoghi della cultura hanno svolto, commissionato o autorizzato indagini volte alla conoscenza del proprio pubblico
(grafico 3).
60
Primo colloquio sulla valorizzazione
Grafico 3
Grafico 4
• La maggior parte di queste indagini, di approccio quali-quantitativo, sono state condotte
principalmente con la somministrazione di un questionario e, per quanto riguarda la tipologia, sono essenzialmente indagini sul gradimento della visita (customer satisfaction)11.
• Nella maggior parte dei casi i dati non sono stati fatto oggetto di pubblicazione ma solo di utilizzo “interno”, ci sono anche casi in cui i dati vengono raccolti e ma non elaborati.
Gli elementi più significativi finora raccolti sono stati elaborati in tabelle e illustrati con alcuni
grafici di seguito riportati.
Le risposte pervenute sono distribuite sul territorio nazionale come indicato nel grafico 4,
secondo un tasso pari al 44% al nord, il 23% al centro e il 32% al sud.
Due istituti hanno risposto di non aver mai svolto ricerche sul pubblico, di conseguenza le
indagini censite ad oggi sono un numero complessivo di 56.
Di seguito è riportata un’illustrazione grafica delle indagini censite per tipologia d’istituto.
11
Ad una prima analisi dei dati sembra che in seguito all’introduzione della Carta della qualità dei servizi (Direttiva
del Ministro, 18 ottobre 2007) ci sia stata anche una conseguente spinta a realizzare questo tipo di indagini sul
pubblico. Il dato necessita, però, di un’ulteriore verifica e approfondimento.
Quaderni della valorizzazione - 2
61
Grafico 5
D’altro canto questo risultato, seppure provvisorio, cambia se i dati rilevati dal nostro censimento si vanno ad integrare con quelli già di nostra conoscenza. Questi riguardano sia ricerche sul
pubblico poste in essere dal MiBAC a livello centrale, di cui possiamo recuperare informazioni
anche se gli istituti coinvolti non hanno ancora compilato la scheda, sia indagini pubblicate e
per la maggior parte recuperate da uno studio che sta svolgendo la Fondazione Fitzcarraldo con
cui ci stiamo via via confrontando. Il rilevamento finale, dunque, produce un risultato diverso rispetto all’indice di risposta da cui siamo partiti in quanto i luoghi della cultura statali che hanno
svolto indagini sul pubblico sono ad oggi un numero complessivo di 93.
Grafico 6
62
Primo colloquio sulla valorizzazione
Incrociando le informazioni, infatti, si registra un aumento soprattutto nella “categoria” museo
pari a 24 istituti: i musei archeologici da 25 diventano 35, i musei storico artistici ed etnoantropologici da 15 crescono a 29. Tra le tipologie di luoghi della cultura censiti si inseriscono anche
2 complessi monumentali, mentre i 6 palazzi, ville e castelli aumentano a 13 (grafico 6).
Rispetto al campione da analizzare, dunque, abbiamo il 26% di istituti che svolgono indagini
per la conoscenza dei loro visitatori a fronte del 74% che non si dedicano né promuovono
quest’attività (grafico 7).
Grafico 7
Grafico 8
Questo risultato conferma alcuni dati già rilevati grazie a una ricerca svolta nel 2007 dall’Ufficio Studi del MiBAC, relativa al progetto Verifica degli standard museali rivolto all’Ambito VII
(Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi) e all’Ambito VIII (Rapporti con il territorio)
dell’Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo
dei musei (DM 10 maggio 2001)12. Tra le diverse domande rivolte agli istituti, al fine di verificare gli standard di qualità, si chiedeva se nel 2006 essi avessero effettuato anche rilevazioni
finalizzate alla conoscenza dei loro visitatori. Un confronto tra i grafici 7 e 8 sottolinea come
il tasso di risposta registrato dall’Ufficio Studi cinque anni fa sia esattamente lo stesso del
nostro censimento, anche se nel 2007 il campione d’indagine era stato ulteriormente ristretto
a 171 istituti, lasciando fuori aree e parchi archeologici per i quali gli standard di qualità che
indica l’Atto di indirizzo del 2001 non sembravano del tutto applicabili.
In sostanza trova conferma il fatto che sono soprattutto i musei a svolgere indagini sul pubblico, come si evince anche dall’aggregazione delle risposte per tipologie analoghe dei luoghi di
cultura: da un lato aree, parchi e monumenti archeologici sono poco meno dell’11%, dall’altro i
musei13 quasi l’84% (grafici 9 e 10).
12
L’indagine dell’Ufficio Studi del MiBAC, realizzata nel 2007 ma riferita all’anno 2006, analizzava un campione
di 171 istituti suddivisi in 90 musei archeologici, 58 musei storico-artistici ed etnoantropologici, 15 palazzi ville e
castelli e 9 case museo.
Risultati pubblicati in Musei pubblico territorio, a cura di A. Maresca Compagna, S. C. Di Marco, E. Bucci, Gangemi
Editore, Roma 2008.
13
In questo caso nella categoria generale di “museo” sono state inserite anche le altre tipologie di luoghi chiusi
che conservano beni mobili o immobili di valore storico artistico o comunque di interesse per il pubblico: la “casa
Quaderni della valorizzazione - 2
63
Grafico 9
Grafico 10
Per quanto riguarda la metodologia, la maggior parte delle indagini sono state realizzate principalmente tramite questionario, soltanto il 2% sono indagini osservanti (grafico 11).
Allo stato attuale dei lavori, la nostra ricerca sta evidenziando alcune criticità che si possono
riassumere come segue:
• mancanza di pianificazione rispetto a questo tipo di azioni nelle politiche di valorizzazione
dei singoli istituti: le rilevazioni effettuate nei luoghi della cultura statali appaiono rare e
discontinue, soprattutto se le si confronta con quelle effettuate in altre Nazioni;
• non è ancora particolarmente avvertita la necessità di verificare l’efficacia delle attività e
dei servizi erogati al fine di orientare le politiche di miglioramento della qualità della visita;
• la conoscenza del pubblico non viene misurata in modo sistematico e analitico, con appositi monitoraggi, sia a causa di una limitata propensione agli aspetti legati al marketing
culturale sia per un’obiettiva carenza di risorse necessarie all’organizzazione e allo svimuseo” e il “palazzo, villa, castello”.
64
Primo colloquio sulla valorizzazione
Grafico 11
luppo delle varie fasi delle indagini, che richiedono, tra l’altro, una preparazione specifica,
in particolare per la parte relativa ai contenuti e all’elaborazione e all’analisi dei dati;
• risulta quasi del tutto assente l’abitudine a effettuare indagini sul “non pubblico”, ossia
presso coloro che non frequentano il museo, al fine di evidenziare i motivi di disinteresse, le
barriere all’accesso (economiche, sociali, culturali, psicologiche) e attivare possibili forme
di promozione.
In questo panorama un’eccezione è costituita dall’Osservatorio permanente sui visitatori della
Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea, istituito nel 2006,
che è preposto alla raccolta e alla elaborazione di dati statistici in collaborazione con l’Ufficio
di Statistica del MiBAC. Tra le attività dell’Osservatorio sono previste indagini conoscitive sul
pubblico della Soprintendenza, anche in collaborazione con Istituzioni universitarie e altri
Istituti di ricerca. Sono state realizzate e pubblicate ricerche che intrecciano diversi approcci
disciplinari e metodologici, avvalendosi anche delle categorie della sociologia, dell’antropologia e della psicologia dell’arte, al fine di qualificare l’esperienza del museo.
Erminia Sciacchitano
Ringrazio Sara Parca per averci fornito questo fondamentale quadro conoscitivo. Troppo
spesso, purtroppo, non si costruisce su un sistema di conoscenze condivise, troppo spesso
capita che le ricerche e gli studi rimangano nei cassetti. La Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale intende condividere tutti i risultati delle ricerche condotte,
pubblicandole sul proprio sito istituzionale, inclusi gli atti di questo convegno e le presentazioni dei relatori, rispondendo in tal modo al proprio compito istituzionale, che è quello di
creare strumenti e di metterli a disposizione. Seguiremo la traccia che ha segnato l’Ufficio
Studi MiBAC, che con costanza ha reso pubblici i contenuti delle ricerche realizzate, che per
noi sono una fonte fondamentale di conoscenza. Passo ora la parola ad Alessandro Bollo,
Fondazione Fitzcarraldo.
Quaderni della valorizzazione - 2
65
66
Primo colloquio sulla valorizzazione
Alessandro Bollo
Fondazione Fitzcarraldo
La conoscenza del pubblico dei luoghi della cultura statali. Verso un sistema nazionale di rilevamento
Buongiorno a tutti, sono Alessandro Bollo, Responsabile Ricerca e Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo. Il tema del mio intervento riguarda principalmente la presentazione dei
risultati di una ricerca che abbiamo recentemente concluso e compiuto insieme alla Direzione
Valorizzazione del MiBAC che si chiama «Indagine sullo stato dell’arte, individuazione e modalità per l’attivazione di raccolta sistematica dei dati sulla conoscenza dei pubblici dei musei»,
titolo lungo e un po’ bizantino dietro cui si cela un percorso di ricerca che intende ricostruire
lo stato dell’arte sulle ricerche inerenti la partecipazione museale, in ambito internazionale e nazionale. Un’ulteriore finalità dello studio risiede nell’individuazione di linee guida per
standardizzare il processo di raccolta e analisi dei dati dei dati a livello locale e centrale dei
musei e luoghi di cultura statali italiani. Unitamente a questi due aspetti volevamo realizzare,
inoltre, un output di ricerca che fosse di effettiva utilità e di immediato utilizzo da parte dei
professionisti del settore: il repertorio di ricerche e materiale bibliografico che è stato raccolto e analizzato nel corso dello studio è andato, infatti, a costituire il nucleo di un database
informatico. Si tratta di un database che, di concerto con la Direzione Valorizzazione, verrà
reso pubblico e accessibile a chiunque intenda consultarlo e utilizzarlo. I materiali archiviati
possiedono un elevato grado di interrogazione che deriva da un processo di indicizzazione
che va oltre le categorie di base come “titolo della ricerca”, “autore”, “anno di pubblicazione”,
“ente committente”; per ciascuna ricerca è, infatti, possibile risalire agli “obiettivi”, ai “target”
specifici cui la ricerca si è rivolta, alle “metodologie” di ricerca quantitative e qualitative uti-
Quaderni della valorizzazione - 2
67
lizzate. Il database consente quindi di utilizzare più filtri di ricerca per ottenere informazioni
molto puntuali, ottenendo, ad esempio, risultati su interrogazioni del tipo: «quali sono le ricerche qualitative che in Europa si occupano di pubblico museale giovane e che hanno utilizzato
come tecnica i focus group?». Complessivamente sono state analizzate circa 260 ricerche, tra
italiane e straniere, di cui 170 disponibili in forma integrale come file .pdf collegato al database. L’analisi dello scenario internazionale, oltre che ad ampliare lo sguardo su realtà straniere
molto differenziate, è servita anche come “liquido di contrasto” per valutare gli elementi di
specificità e, purtroppo, anche di ritardo del contesto italiano, in particolare rispetto a nazioni
che hanno un tradizione di ricerca empirica e di riflessione teorica consolidata: penso ai paesi
di matrice anglosassone, agli Stati Uniti, all’Australia, al modello francese.
Il disegno “a cipolla” qui mostrato (vedi sotto) serve a chiarire come dietro il concetto di pubblico si nasconda in realtà un insieme piuttosto eterogeneo di categorie che instaurano con il
luogo della cultura relazioni e pratiche di coinvolgimento molto differenziate.
L’eterogeneità dei pubblici rimanda ad
una differenziazione anche sul piano della ricerca in termini di obiettivi, di ambito
di osservazione, di metodologie applicate.
Parlare di pubblici vuol dire parlare anche
dell’altro lato della medaglia, ovvero del
cosiddetto “non pubblico”.
I pubblici centrali sono costituiti dai visitatori caratterizzati da un rapporto di
conoscenza, assiduità e coinvolgimento
nei confronti dell’istituzione. Si contraddistinguono, inoltre, per i bassi “costi di attivazione” nei confronti dell’esperienza di
visita, nel senso che il loro coinvolgimento
rispetto ad una determinata proposta culturale non richiede l’abbattimento di barriere di natura culturale, sociale e percettiva. Si tratta di persone caratterizzate, mediamente,
da buoni livelli di istruzione, predisposizione e interesse nei confronti delle diverse opzioni
di natura culturale. Le ricerche ci dicono , infatti, che tra i pubblici centrali esiste una fascia
d’utenza definibile come quella degli “onnivori culturali” rappresentata da persone che hanno
una dieta culturale molto ricca e diversificata: dalla visita ai musei e mostre, alla frequentazione dei concerti e del teatro, alla lettura di giornali e riviste, etc. Il pubblico centrale è la
categoria più analizzata e conosciuta, oggetto di indagini realizzate attraverso questionari, interviste, focus group, etc. Gli obiettivi di ricerca riguardano principalmente l’identità e il profilo
socio-culturale, la ricostruzione dell’esperienza di visita, l’analisi di customer satisfaction, la
valutazione dei processi di apprendimento.
I pubblici occasionali, a differenza di quelli centrali, sono caratterizzati da un rapporto saltuario e incostante nei confronti del museo; la frequenza è spesso determinata da eventi e
situazioni straordinarie (gli eventi cosiddetti “blockbuster” o imperdibili come le mostre di
grande richiamo, le “notti bianche” oppure la visita a musei e monumenti in occasione di
68
Primo colloquio sulla valorizzazione
trasferte per turismo). Si tratta di un pubblico con “costi di attivazione” medi in cui il processo di consumo può essere “frenato” anche da ostacoli di natura culturale (ad esempio,
una inadeguatezza percepita nei confronti di proposte complesse o ritenute particolarmente
impegnative come quelle relative alla musica e all’arte contemporanea). Spesso si tratta di
persone che lamentano una difficoltà a reperire le informazioni in merito all’offerta culturale
del territorio. Le ricerche, sia quantitative sia qualitative, indirizzate ai pubblici occasionali,
sono orientate, ad esempio, a individuare i fattori d’incentivazione che possono trasformare
un pubblico occasionale in un pubblico più coinvolto.
I pubblici di prossimità sono una categoria un po’ particolare, perché costituita da quelle persone che vivono lo spazio del museo senza per questo fruire dell’offerta “centrale” (le collezioni, le mostre): si tratta di coloro che le frequentano le caffetterie, i punti di vendita, o utilizzano
specifici servizi del museo (il wifi free in talune aree museali). L’Osservatorio Permanente sui
Visitatori della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in collaborazione con Fondazione
Fitzcarraldo, ha recentemente realizzato una ricerca sul pubblico del “Caffè delle Arti” della
GNAM quale pubblico di prossimità con l’obiettivo di comprendere i livelli di conoscenza e di
frequentazione degli spazi museali e individuare eventuali fattori di incentivazione14.
I pubblici potenziali sono costituiti da tutte quelle persone che attualmente non frequentano
il museo, anche se potenzialmente potrebbero essere interessati a farlo. La “lontananza” da
un determinato consumo può essere la risultante di un quadro variegato di motivazioni costituito prevalentemente da barriere di natura culturale, sociale, economica e fisica. Rispetto
a questi pubblici diventa, quindi, molto importante valutare, caso per caso, i reali fattori di
incentivo e di disincentivo alla fruizione. Gli studi sui pubblici potenziali rappresentano una
frontiera nuova, soprattutto nel contesto italiano, e sovente sono indirizzati a categorie specifiche: i teenager, gli stranieri residenti, le nuove generazioni, le famiglie con bambini, gli
anziani, i pubblici diversamente abili, etc.
Quando si parla, infine, di non-pubblico si fa riferimento alla fascia di non utenti più “lontana” dal museo e difficilmente intercettabile in primis per mancanza di interesse. A differenza
del pubblico potenziale, nell’immediato, il non-pubblico non sembra coinvolgibile attraverso
forme di incentivazione specifiche o una maggiore efficacia nella comunicazione culturale.
Il loro avvicinamento alla cultura sembra semmai esplorabile attraverso politiche culturali e
percorsi educativi da progettarsi nell’ambito delle principali agenzie formative quali la scuola
e la famiglia e i cui risultati possono essere valutati nel medio e lungo termine.
La presenza di differenti categorie di pubblico (e non pubblico) museale rispetto ai quali indirizzare obiettivi di ricerca e soddisfare necessità conoscitive e valutative specifiche suggeriscono
la costruzione di un quadro concettuale che distingua approcci di ricerca e strumenti di indagine
aggregabili in macro-famiglie di analisi entro cui operare una prima significativa differenziazione. Possiamo individuare tre principali approcci allo studio sulla partecipazione museale:
a) gli studi sulla dimensione sociale, che si rivolgono alla società nel suo complesso e mirano
a misurare i diversi livelli di partecipazione culturale tra cui quelli legati alla fruizione di musei,
14
Fondazione Fitzcarraldo, Osservatorio Permanente sui visitatori della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Il pubblico del Caffè delle Arti, 2010. http://www.fitzcarraldo.it/ricerca/pdf/pubblico_caffearti.pdf
Quaderni della valorizzazione - 2
69
aree archeologiche, luoghi della cultura (tra gli altri, a titolo di esempio l’Indagine sugli “Italiani e il tempo libero” dell’ISTAT, la ricerca “Taking Part” del Department for Culture, Media
and Sport inglese, “Le pratiques culturelles des français” del DEP in Francia e la SPPA negli
Stati Uniti);
b) le indagini sul pubblico, che anziché rivolgersi alla società nel suo complesso si rivolgono
al pubblico che visita musei e il patrimonio culturale;
c) gli studi sui visitatori, che riguardano principalmente la categoria degli studi orientati a
valutare l’efficacia del rapporto tra museo e visitatore in un specifico contesto. Indirizzati
a studiare l’esperienza umana nella sua complessità, gli studi sui visitatori possono porsi
diversi obiettivi tra cui quelli di valutare l’esperienza museale nei suoi diversi aspetti (qualità
dell’allestimento, della comunicazione interna, dei servizi, del sistema di mediazione, etc.), di
analizzare i comportamenti di fruizione, di valutare l’impatto cognitivo generato dalla visita e
l’efficacia dei progetti educativi.
Ritornando alla ricerca e al campione analizzato possiamo evidenziare come negli ultimi cinque anni siano aumentati, a livello europeo e nazionale, l’interesse e l’utilizzo delle diverse
tipologie di ricerca, con una maggiore diffusione, nello specifico, degli studi sui visitatori che
precedentemente venivano realizzati sono in determinati contesti (principalmente in quelli di
matrice anglosassone) e adesso vengono sperimentati anche in Italia. Un altro aspetto importante riguarda la netta prevalenza di indagini condotte una tantum (83%); si tratta indubbiamente di un limite che indebolisce la capacità di fornire supporti conoscitivi alla policies e alle
strategie dei singoli musei dal momento che sono le indagini periodiche e i monitoraggi quelli
che consentono la raccolta di dati statistici comparabili nel tempo e finalizzati alla comprensione dinamica dei comportamenti della società nel suo complesso, e quindi dei consumi
culturali nello specifico.
Ciascuna indagine si pone più obiettivi, e quelli più ricorrenti riguardano principalmente
l’identità e il profilo socio-culturale del pubblico, l’analisi dei comportamenti di fruizione e
dei consumi culturali. Frequente, inoltre, la valutazione della qualità dell’esperienza, mentre
la valutazione di efficacia (evaluation) di specifici progetti museografici e comunicativi incide
in maniera abbastanza rilevante nel campione, coerentemente con la sostanziosa quota di
studi sui visitatori presente. Relativamente alle metodologie e agli strumenti, il questionario
rimane – a livello internazionale e nel contesto italiano – lo strumento principe per la raccolta
dei dati (utilizzato nel 69% delle ricerche), anche se spesso viene integrato da strumenti di
natura qualitativa come interviste e focus group. All’estero si segnala una maggiore frequenza di studi e ricerche che utilizzano le indagini osservanti come strumento di indagine. Nel
caso del questionario, la modalità di raccolta del dato prevalente è quella attraverso supporto
cartaceo (60% dei casi), seguita dal metodo CATI (19%), CAPI (15%) e CAWI (il ricorso a Internet è ancora numericamente molto modesto – 4% - ed è stato utilizzato principalmente in
esperienze non italiane).
Se circa una ricerca su due affronta il problema del pubblico in termini complessivi e generali,
sempre più diffuse stanno diventando le indagini che si focalizzano su pubblici specifici, come
il pubblico scolastico, il non pubblico (soprattutto all’estero), i giovani, i turisti, gli anziani. Le
ricerche sul “pubblico virtuale” sono ancora agli albori, pur presentando motivi di interesse
crescenti. Il pubblico che frequenta i siti web e i social network dei musei è lo stesso che poi
li visita?Come fare a trasformare l’esperienza virtuale in reale? e come intensificare l’esperienza reale grazie alla nuove tecnologie? Sono alcune delle molte domande cui questo tipo
di indagine potrebbe contribuire a trovare una risposta.
70
Primo colloquio sulla valorizzazione
Ritornando alla situazione italiana, i soggetti che maggiormente conducono e realizzano le
ricerche sono i centri di ricerca privati, gli istituti pubblici (come l’ISTAT) e il MiBAC (che nell’ultimo decennio, anche grazie all’attività dell’Ufficio Studi, ha promosso indagini sul pubblico dei musei statali a scala nazionale). Più ridotta è la presenza delle università; in questo
ambito la collaborazione con università e dipartimenti di ricerca potrebbe essere vista come
un’opportunità da ricercare con maggiore intensità e mutuale beneficio.
Un ultimo aspetto riguarda la difficoltà, generalizzata, a trasformare i dati delle ricerche in
conoscenza utile al miglioramento delle politiche e delle strutture. Non è, infatti, infrequente
che le ricerche vengano abbandonate dopo la fase di raccolta dei dati, che si registrino intoppi, ritardi, difficoltà nelle fase di analisi e interpretazione e che i risultati (una volta condivisi)
non producano cambiamenti sostanziali e non attivino di processi di apprendimento e di
miglioramento organizzativo. Secondo una recente ricerca della Regione Lombardia, di tutti
i musei lombardi che hanno svolto indagini sul pubblico negli ultimi due anni, solo il 60% ha
analizzato i dati, e meno di un museo su quattro li ha effettivamente utilizzati per migliorare il
servizio15. Si crea, per così dire, un “ciclo vizioso” in cui la mancata conclusione della singola
ricerca depotenzia l’intero processo di sensibilizzazione e di diffusione della prassi di conoscenza del pubblico perché si demotivano gli attori coinvolti e diminuisce l’utilità percepita e
attribuita a questo tipo di strumenti. Occorre, quindi, agire in termini sistemici proponendo
innovazioni, anche radicali, che obblighino a rivedere le modalità e le priorità di conoscenza
del pubblico, anche in virtù di un maggiore aderenza alle raccomandazioni e alle linee guida
previste dagli Standard.
In questa fase sembra più che mai raccomandabile e opportuna la creazione di un sistema
di rilevazione omogeneo a livello centrale, che standardizzi le procedure di raccolta e di trasferimento dei dati tra locale e centrale e permetta di costruire quadri conoscitivi affidabili
e aggiornati sulle condizioni di accessibilità del pubblico, sulla sua soddisfazione e sui suoi
bisogni, che superi al contempo la frammentarietà e la discontinuità dello stato delle conoscenze attuali. Il sistema, se adeguatamente progettato, avrebbe il vantaggio di separare il
ciclo della ricerca, spartendo e attribuendo a ciascun soggetto compiti realistici e fattibili. A
livello locale competerebbe l’impostazione metodologica, la raccolta e l’inserimento dati, a
livello centrale l’analisi, l’elaborazione, la produzione di statistiche, la restituzione e la comunicazione dei dati.
Erminia Sciacchitano
Ringrazio Alessandro Bollo e confermo che la Direzione generale sta riflettendo concretamente sulla costituzione di un Osservatorio sul pubblico dei luoghi della cultura, pur dovendo fare
i conti con le scarse risorse economiche e umane a disposizione. Quindi non solo raccolgo la
proposta auspici, ma la rafforzo confermando che si tratta di uno dei progetti che abbiamo in
cantiere. Passo la parola a Ludovico Solima.
15
Mascheroni S., Diani M.G, Gariboldi A., Valutazione delle politiche regionali di educazione alla cultura, Éupolis
Lombardia, Milano, 2011, pag.36-37.
Quaderni della valorizzazione - 2
71
72
Primo colloquio sulla valorizzazione
Ludovico Solima
Dipartimento di Strategie Aziendali, Facoltà di Economia, Seconda Università
degli Studi di Napoli
“Il museo in ascolto”. Nuove strategie di comunicazione per i musei statali
Introduzione
Nel 1999, l’Ufficio Studi del Ministero per i beni e le attività culturali, con il coordinamento
scientifico di chi scrive, avviò un’indagine campionaria di tipo sperimentale sui visitatori di
dodici istituti museali statali, al fine di acquisire indicazioni utili a comprendere lo svolgimento
dei processi di comunicazione nei musei.
In quell’occasione furono raccolti ed elaborati 4.000 questionari di indagine che analizzarono
il gradimento dei principali strumenti di comunicazione utilizzati, quali la segnaletica interna
(indicazioni di percorsi e servizi), le didascalie, i pannelli informativi o le schede mobili, le cartine/guide a stampa/pieghevoli, le visite guidate e le audioguide, le postazioni multimediali,
il personale di vigilanza alle sale.
L’anno successivo (2000) i principali risultati di quell’ampio lavoro furono editi nel volume,
curato da Ludovico Solima, “Il pubblico dei musei. Indagine sulla comunicazione nei musei
statali italiani”, Gangemi editore, Roma.
In questo decennio, tale indagine ha costituito un punto di riferimento essenziale per gli studiosi e gli operatori del settore, testimoniato peraltro dalla quantità e qualità delle citazioni ad
essa riferite sia in pubblicazioni scientifiche che nel corso di convegni e seminari.
A dieci anni di distanza da quella importante esperienza di analisi è apparso di grande interesse, d’intesa con la Direzione Generale per la Valorizzazione, fare il punto della situazione
della comunicazione dei musei statali italiani attraverso una nuova edizione della ricerca, che
Quaderni della valorizzazione - 2
73
ha consentito non solo di aggiornare i dati raccolti nel corso della prima edizione ma anche
di raccoglierne di nuovi.
Più in particolare, dopo un decennio in cui si è discusso dell’importanza di introdurre nuove
forme di gestione – e di comunicazione – all’interno dei musei italiani, il confronto tra i risultati delle due indagini in discorso consente di conoscere le modifiche intervenute nei seguenti
ambiti:
• profilo demografico dei visitatori dei musei;
• gradimento, da parte del pubblico, dei sistemi di comunicazione impiegati dai musei;
• giudizio dei visitatori sull’efficacia delle scelte comunicative effettuate dai musei;
• indicazioni circa le opportunità di perfezionare i processi comunicativi dei musei.
A ciò sono stati aggiunti ulteriori approfondimenti, non contenuti nella prima edizione del
lavoro, ma ritenuti di estrema utilità, quali, ad esempio: il rapporto fra musei, da un lato, e
residenti e turisti (nazionali e stranieri), dall’altro, su temi quali la motivazione della visita, la
soddisfazione, le esigenze di fruizione etc. nonché il ruolo delle nuove tecnologie come strumento di comunicazione evoluto.
Inoltre, analogamente a quanto realizzato nella precedente edizione della ricerca, è stato
indagato anche il punto di vista degli addetti ai lavori, attraverso lo svolgimento di colloqui in
profondità con un panel di esperti qualificati.
La progettazione del questionario di rilevazione
Il questionario d’indagine è stato reso disponibile in inglese e francese, oltre che in italiano,
ed ha previsto solo domande a risposta “chiusa”, che ricalcano quelle utilizzate per l’indagine
“Il museo si interroga” del 1999, integrate da modifiche o nuove domande suggerite dall’analisi della letteratura dell’ultimo decennio in tema di visitors studies. Si è cercato, in ogni caso
e nei limiti del possibile, di mantenere invariato il questionario rispetto alla sua formulazione
del ’99, al fine di consentire la massima comparabilità dei dati.
Dal punto di vista della struttura del questionario, essa ha previsto una sequenza di domande
tale da aiutare i visitatori a ripercorrere le diverse fasi dell’esperienza di visita. Particolare attenzione è stata dedicata, oltre che agli strumenti di comunicazione “tradizionali”, alle
nuove tecnologie dell’informazione; tale aspetto costituisce infatti, insieme a quello legato al
rapporto tra musei e turismo, uno degli approfondimenti che caratterizza questa particolare
edizione dell’indagine.
La selezione dei musei
Dopo attente valutazioni congiunte con la Direzione Generale per la Valorizzazione del MiBAC,
si è pervenuti all’individuazione dei musei da includere nella rilevazione. Si è scelto, laddove
possibile, di lasciare invariati i musei della prima edizione dell’indagine; si è quindi proceduto
ad alcune sostituzioni unicamente nei casi in cui fattori contingenti rendevano difficile o impossibile lo svolgimento della rilevazione (Tabella 1).
74
Primo colloquio sulla valorizzazione
Tabella 1. I musei inclusi nell’indagine. Anni 1999 e 2011
Il numero totale di questionari raccolti è risultato pari a 4.549; la somministrazione del questionario è avvenuta durante il periodo compreso tra il mese di dicembre 2010 e quello di
giugno 2011.
Di seguito, si dà conto dei principali risultati, rimandando alla pubblicazione integrale della
ricerca per tutti gli altri aspetti che non saranno trattati in questa sede.
Il profilo dei visitatori
Il 56% del pubblico è composto da donne, in diminuzione rispetto all’edizione precedente
della ricerca, quando erano il 59%; la presenza di ragazzi (15-24 anni) passa dal 28% di un
decennio fa al 14%, a fronte di una triplicazione degli anziani (65 anni e oltre), che passano
dal 4,5% ad oltre il 13% (Grafico 7).
Grafico 7. I visitatori per classi di età. Anni 1999 e 2011
La presenza degli stranieri passa dal 54% di un decennio fa al 42% attuale; gli italiani, viceversa, aumentano in misura complementare, dal 46% al 58%.
Se nel 1999 la quota di residenti era del 28%, oggi risulta pari al 18%, con un decremento
Quaderni della valorizzazione - 2
75
importante di 10 punti percentuali; si registra un incremento dal 37% al 53% dei laureati (fra
gli italiani) ed una contestuale diminuzione di tutti gli altri titoli di studio medio-bassi (licenza
elementare, media e diploma). Considerando tutti i visitatori, l’incidenza dei laureati raggiunge circa il 64%.
Prima della visita
Per reperire informazioni sull’offerta di musei e mostre, il pubblico utilizza principalmente
internet (67%), la carta stampata (45%) ed il “passaparola” (32%), mentre la conoscenza
del museo visitato ha la sua fonte, per oltre un terzo del pubblico (circa 35%), in libri o guide
turistiche; circa il 22% dichiara invece di conoscere “da sempre” il museo visitato, mentre
pressappoco il 15% indica nel “passaparola” e negli stimoli forniti dalla scuola o dall’università il principale canale di conoscenza (Grafico 8).
Dal confronto con i dati del ’99, si osserva un drastico ridimensionamento dell’importanza
di libri e guide turistiche, che perdono circa 10 punti percentuali, e del passaparola, che ne
perde circa 8. Per converso, si registra un innalzamento di 13 punti di internet, che acquisisce
quindi un ruolo primario come fonte di conoscenza ed informazione sui musei.
Grafico 8. Le fonti di conoscenza sul museo visitato. Anni 1999 e 2011
76
Primo colloquio sulla valorizzazione
Per quanto attiene alla motivazione della visita, essa è innanzi tutto di carattere cognitivo
(57%), poi estetica o edonistica (entrambe al 30%); rispetto all’edizione precedente della
ricerca, il peso delle dimensioni cognitive ed estetiche risulta diminuito.
Il 60% dei visitatori si documenta sul museo prima di recarvisi; la gran parte di essi (55%) lo
fa attraverso le guide turistiche a stampa; il 30% utilizza il sito internet del museo ed il 22%
fa riferimento a libri e cataloghi.
Le informazioni pre-visita ricercate sono relative alle opere esposte ed alle collezioni (71%)
nonché all’accessibilità della struttura (orari, tariffe etc.) per il 55%. Il sito internet del museo
è consultato in fase antecedente la visita da circa il 30% del pubblico; di questi, il 63% vi trova
le informazioni desiderate, mentre circa un terzo le trova solo in parte.
Durante la visita
La gran parte del pubblico (46%) effettua la visita in compagnia dei propri familiari, circa un
terzo lo fa con amici o conoscenti ed il 17% da solo.
Oltre l’80% del pubblico dichiara di aver notato o d’aver fatto uso degli strumenti o canali
di comunicazione museali inclusi nella ricerca; relativamente alle visite guidate, il tasso di
utilizzo è del 28%; quello delle audioguide è del 26% (Grafico 9). Rispetto all’indagine del
1999, vi è un generale incremento di quanti notano, usano o interagiscono con gli strumenti
di comunicazione disponibili nei musei.
Grafico 9. La visibilità degli “strumenti” di comunicazione. Anni 1999 e 2011
Quaderni della valorizzazione - 2
77
Tra gli strumenti o canali di comunicazione e mediazione che fanno registrare i tassi più alti
di valutazioni positive, vi sono l’allestimento (88%), il personale di sala (78%) e le didascalie (77%). Diversamente, tra quelli per i quali si rilevano i tassi più alti di insoddisfazione vi
sono le audioguide (48%), le visite guidate (39%), le cartine, i pieghevoli o le guide a stampa
nonché la segnaletica esterna (38%) – Grafico 10. Rispetto all’indagine del ’99, diminuisce
la soddisfazione per tutti gli strumenti di comunicazione indagati, eccetto che per pannelli
informativi e schede mobili, rimasti invariati, e per le didascalie, che hanno registrato un
incremento.
Infine, didascalie e pannelli informativi sono giudicati leggibili, rispettivamente, per il 79% ed
il 76% del pubblico.
Grafico 10. Il livello di soddisfazione per gli “strumenti” di comunicazione. Anni
1999 e 2011
(*) Nell’indagine del ’99 la domanda relativa alla soddisfazione per l’allestimento aveva una diversa
formulazione; si è comunque operato il confronto che ha però un valore solo indicativo.
78
Primo colloquio sulla valorizzazione
Dopo la visita
Il 60% dei visitatori dichiara che avrebbe desiderato ricevere più informazioni durante il corso della visita; fra questi, oltre il 60% indica in testi scritti (guide, cataloghi, pannelli etc.) lo
strumento preferito per riceverne; circa un quarto preferisce gli incontri con il personale del
museo o le postazioni multimediali. Inoltre, quasi il 60% chiede approfondimenti su tematiche legate alle collezioni museali, mentre circa la metà sente l’esigenza di un inquadramento
delle opere nel contesto storico o geografico (Grafico 11). Rispetto ad un decennio fa, cresce
la domanda di informazioni sulla storia del museo e sull’inquadramento delle opere nel contesto storico-geografico; diminuisce invece l’esigenza di informazioni analitiche sulle collezioni.
Grafico 11. Le esigenze informative durante la visita. Anni 1999 e 2011
Per quel che riguarda la soddisfazione complessiva per la visita, quasi il 95% dei visitatori
esprime una valutazione positiva, con un incremento dal 92,6% del 1999.
Per quanto riguarda l’immagine del museo nella prospettiva degli utenti, indagata attraverso
il metodo delle associazioni mentali, la sequenza più significativa di associazioni mentali risulta tempio-documentario-studiare-stimolare, uguale a quella dell’indagine del ’99.
Per quanto riguarda il rapporto “post-visita”, il 65% del pubblico si dichiara interessato a ricevere un qualche tipo di informazione o aggiornamento da parte del museo; il 32% dichiara
di preferire la consultazione del sito internet del museo, mentre il 25% esprime la propria
preferenza per il canale della posta elettronica.
Infine, circa il 40% del pubblico si dichiara interessato all’utilizzo di strumenti tecnologici quali
tablet o altri dispositivi per avere accesso ad informazioni relative alle collezioni durante la visita.
Quaderni della valorizzazione - 2
79
Una chiave interpretativa dei risultati
In un decennio i musei sono cambiati, il loro pubblico anche, ma probabilmente con una
velocità più elevata. Questo potrebbe essere, in estrema sintesi, lo scenario messo in luce
dalla ricerca.
Tra le evidenze più interessanti, infatti, è possibile segnalare: la diminuzione della presenza di
donne; il dimezzamento dei ragazzi e la contestuale triplicazione degli anziani16; la riduzione
degli stranieri17 ed il simmetrico aumento degli italiani; la crescita della presenza dei laureati.
Già questi elementi mostrano come l’universo di riferimento dei musei statali italiani si sia
modificato.
In prima istanza, occorre considerare il “luogo” in cui avviene il contatto iniziale tra il museo
ed il pubblico; ci si riferisce a quella importante fase antecedente la visita nella quale un
individuo acquisisce informazioni sull’offerta culturale e, nel caso specifico della presente
ricerca, sulle proposte di musei e mostre18.
Il luogo principale di tale “incontro” è la rete internet, poi la carta stampata, quindi il “passaparola”. Quanto al primo di questi “luoghi”, la sua rilevanza è mostrata ampiamente dai
dati raccolti; un impegno a rafforzare la presenza dei musei statali italiani sulla rete appare
ineludibile, in considerazione anche dei costi relativamente ridotti che tale strumento ha, se
rapportato ad altri mezzi di comunicazione di massa. Una esigenza per certi versi analoga è
riferibile alla carta stampata, punto di riferimento ancora rilevante per il pubblico potenziale.
La presenza su giornali, riviste di settore o generaliste è quasi sempre, nel settore culturale,
il frutto di attività di relazione con il settore dei media e non già di investimenti di tipo pubblicitario, i cui costi sono spesso al di sopra delle capacità finanziarie delle istituzioni museali.
Vi è poi il “passaparola”, che costituisce un canale a prima vista difficilmente controllabile da
parte dei musei; ciò è vero solo in parte, in quanto entrare nei meccanismi di “passaparola”
transita fondamentalmente per la capacità di fornire ai visitatori un’esperienza di fruizione
appagante, unica e di valore, che valga la pena di essere raccontata; in altre parole, entrare
nel “passaparola” ha a che fare con il cuore della qualità dell’esperienza museale ed in questa prospettiva è possibile affermare che si tratta di qualcosa che in certa misura ricade sotto
il controllo dei musei stessi. In ogni caso, appare evidente come tutti i tre principali canali di
informazione culturale del pubblico dei musei siano – seppure con intensità diversa – alla
portata di tali istituti e andrebbero pertanto attentamente tenuti presente nella gestione delle
attività di comunicazione.
Nella medesima direzione vanno i dati relativi alla fonte di conoscenza sul museo visitato;
si tratta innanzi tutto di libri e guide turistiche, di una conoscenza sedimentata, del passaparola e di luoghi educativi (scuola e università). Sviluppando una riflessione su ciascuno di
questi elementi, appare evidente come in tutti i casi abbia un ruolo fondamentale la qualità
dell’esperienza di visita; a ciò si aggiunge, nei casi di libri e guide turistiche (si pensi in special
16
Per un’interessante riflessione sugli anziani al museo, si veda Simone, 2003 ed Australian Museum, National
Museum of Australia-Canberra, 2002.
17
È possibile ipotizzare che la diminuzione degli stranieri sia da ricondurre al diverso periodo di rilevazione delle
due indagini: quella del ’99 realizzata tra giugno e luglio, la presente condotta da dicembre a giugno.
18
Sul tema dei processi pre-visita, si veda anche l’interessante indagine attraverso focus group contenuta in BolloGariboldi, 2008, riferita ai visitatori del Sistema dei Musei della Provincia di Modena.
80
Primo colloquio sulla valorizzazione
modo alle guide specializzate) e dei luoghi educativi, il ruolo essenziale – come già visto a
proposito della carta stampata – delle azioni di pubbliche relazioni finalizzate, da un lato, a
fornire motivo agli editori per includere e consigliare il proprio museo ai lettori e, dall’altro, a
sensibilizzare sia il sistema scolastico che quello universitario, con proposte di visita in linea
con le esigenze didattiche e scientifiche dei diversi destinatari. Queste opportunità risultano
già sfruttate dai musei che, in questo caso, non devono fare altro che proseguire con ancora
maggiore convinzione in questa direzione. A questo va però aggiunto il nuovo ruolo di internet
– già osservato in relazione al punto precedente – che nel corso del decennio, com’era d’altronde prevedibile, ha assunto un ruolo di straordinaria importanza nel processo di ricerca e
selezione delle informazioni da parte del singolo individuo.
Nella sua ricerca di informazioni funzionali alla preparazione della visita, il pubblico fa dunque principalmente riferimento alle guide turistiche a stampa ed al sito internet del museo,
in primo luogo per avere in anticipo dettagli sulle collezioni esposte ed in secondo luogo per
reperire informazioni relative all’accessibilità del museo (orari, tariffe etc.) e sui servizi offerti.
In questa prospettiva, è precisa responsabilità dei musei vigilare sull’accuratezza di queste
informazioni di base veicolate dalle guide turistiche e aggiornare quelle pubblicate sul proprio sito internet. A questo riguardo, dai dati emerge che margini di miglioramento sul sito
internet come canale di informazione a favore dei potenziali visitatori esistono, in quanto si è
osservata un’ampia porzione di utenti (pari ad uno su tre) che non ha trovato quanto cercato
nelle pagine web del museo visitato. Infatti, anche dai colloqui con gli esperti è emerso come
nell’ambito della comunicazione “verso l’esterno” e con particolare riferimento al sito internet
museale, vi siano specifiche criticità legate alla mancanza di autonomia, competenze e risorse dei musei che, nei casi limite, genera l’impossibilità di modificarlo o tenerlo aggiornato.
Conoscere le motivazioni che inducono le persone a visitare i musei costituisce un elemento importante19. Dall’indagine emerge con chiarezza uno stimolo di tipo cognitivo/formativo:
gli individui si recano nelle sale dei musei innanzi tutto per un’esigenza di conoscenza e
comprensione; tale dato da solo giustifica l’enfasi e l’attenzione volta alla dimensione comunicativa degli istituti museali, attraverso la quale si veicola il processo di trasmissione delle
conoscenze20.
Se si considera inoltre che la gran parte delle visite viene svolta all’interno di gruppi familiari,
quindi presumibilmente anche con bambini o adolescenti, se ne deduce come le attività di
comunicazione museale richiedano un’attenzione particolare, dovendosi rivolgere a gruppi
che al loro interno presentano disomogeneità strutturali anche molto importanti. Tale evidenza, tuttavia, costituisce anche un’importante opportunità: quella di cercare di attivare e
stimolare, grazie ai processi di comunicazione, nell’ambito di tali gruppi familiari, la nascita
di discussioni, scambi di pareri, domande reciproche etc., che sono la base per un apprendimento informale partecipativo.
Entrando nel merito del cuore della ricerca – la relazione tra pubblico e strumenti di comuni19
Sul tema, si faccia riferimento, tra gli altri, a Falk, 2009, Slater, 2007 e Prentice-Davies-Beeho, 1997.
20
Sulla dimensione cognitiva nonché emotiva della fruizione museale, si veda il contributo di Mastandrea, 2008.
Quaderni della valorizzazione - 2
81
cazione museale – va in primo luogo osservato quanto avvenuto nel corso del decennio: una
crescita rilevante di consapevolezza.
Detto in altre parole, il pubblico museale sa cosa aspettarsi oggi da un museo in termini di
comunicazione, molto più di quanto non fosse un decennio fa. L’attenzione rivolta alla presenza di tutti gli strumenti di comunicazione, molto più ampia dell’indagine del ’99, indica
esattamente quanto appena detto. Permane un elemento di criticità la questione della segnaletica esterna, notoriamente un aspetto rilevante per il comfort e l’agio dell’accessibilità
al museo, in particolare per i non residenti; i dati sembrano indicare un problema relativo alla
sua visibilità (con ogni probabilità, in alcuni casi, anche rispetto alla sua stessa presenza) su
cui occorre forse effettuare delle verifiche, pur non trattandosi di un elemento direttamente
dipendente dalle scelte museali.
Per quanto riguarda invece il gradimento degli strumenti di comunicazione, allestimento e
didascalie sono ai primi posti insieme ad un canale “atipico”, costituito dalle informazioni veicolate dal personale di accoglienza e vigilanza, un elemento la cui rilevanza è emersa anche
dai colloqui con gli esperti. Diversamente, le visite guidate e più in particolare le audioguide
mostrano ampie zone d’ombra, raccogliendo numerosi giudizi di segno negativo da parte degli utenti. Più in generale, va però osservato come, rispetto ad un decennio fa, la valutazione
favorevole per gli strumenti indagati sia generalmente diminuita, in alcuni casi anche in misura molto significativa (visite guidate e audioguide), fatta eccezione per i “testi scritti”, cioè
pannelli informativi e didascalie, queste ultime le uniche che hanno fatto registrare un risultato positivo. Si tratta evidentemente dei risultati degli sforzi compiuti in questi anni dal MiBAC
proprio sul fronte della comunicazione affidata al testo scritto, ed i dati raccolti ne certificano
i buoni risultati anche in termini di leggibilità degli stessi21. Non bisogna comunque allentare
la tensione su tutti gli altri elementi della comunicazione verso i quali un pubblico più attento,
maturo e consapevole si è mostrato anche più severo e critico di dieci anni fa. D’altra parte,
come emerso anche dai colloqui con gli esperti, pure nella prospettiva degli operatori esistono margini di ampio miglioramento proprio nell’ambito delle strategie di comunicazione22.
Ancora, va osservato che per molti visitatori le esigenze informative23 non sono interamente
soddisfatte nel corso della visita, segno abbastanza evidente di una certa ritrosia o difficoltà
dei musei a trasmettere, nel modo giusto, grandi quantità di informazioni. A questo riguardo,
21
Contributi interessanti su un’efficace costruzione delle didascalie e dei testi scritti in generale sono contenuti, tra
gli altri, in Musée du Louvre-Université d’Avignon, 2007, Blunden, 2006, Bitgood, 2000 ed Hinton, 2000.
22
Su questi temi, si confronti la valutazione espressa in TCI, 2009: “ultimo aspetto di rilievo, che emerge dai questionari
compilati del Dossier Musei 2009 e anche dall’iniziativa MonitorMusei, è che i musei non comunicano abbastanza con
i propri visitatori e verso il pubblico potenziale: la segnaletica interna (didascalie, indicazioni del percorso di visita ecc.)
è spesso un aspetto critico che non agevola l’esperienza nelle strutture museali e quella esterna (es. in prossimità della
struttura) è poco efficace anche perché non è sempre il risultato di un coordinamento “strategico” con gli enti pubblici
territoriali. Anche in questo caso, occorre un cambiamento di paradigma: la comunicazione, così come la segnaletica o
il rapporto con il pubblico, non sono attività da gestire puramente sul piano amministrativo/burocratico (pur indispensabile) ma devono essere improntate al criterio dell’efficacia rispetto agli obiettivi, ovvero incrementare, con tutti gli
strumenti possibili, la notorietà, l’accessibilità e la fruibilità dei musei”; p. 25. Si veda anche quanto contenuto in BolloGariboldi, 2008.
23
Sul tema delle esigenze informative dei visitatori museali si veda Booth, 1998.
82
Primo colloquio sulla valorizzazione
i dati indicano come strumento per ulteriori approfondimenti, innanzi tutto i testi scritti, nel
solco della tradizione, in secondo postazioni multimediali, in una prospettiva di maggiore
innovazione, infine gli incontri con il personale del museo, in una inedita volontà di stabilire
una forma di relazione con la “vita” stessa degli istituti museali, incarnata da chi ogni giorno vi
opera24. Quest’ultima, in particolare, costituisce un’indicazione di estremo interesse, perché
si tratta di una soluzione fino ad oggi poco esplorata e perché essa va nella corretta direzione
della valorizzazione delle risorse umane e delle conoscenze sedimentate all’interno dell’organizzazione museale, in coerenza con quanto osservato in apertura di questo lavoro e con
quanto emerso in maniera molto chiara anche nel corso delle interviste agli esperti.
Di pari interesse, oltre al come cui si è appena accennato, è il cosa possa essere oggetto
di ulteriori approfondimenti nelle sale museali. Sono in particolare due gli aspetti che, nella
prospettiva del pubblico, necessitano di maggiore ricchezza: da un lato, dettagli sulle collezioni, com’era prevedibile attendersi; dall’altro, un più ampio inquadramento storico e/o
geografico delle opere esposte. Tuttavia, è soprattutto la visione diacronica che consente di
interpretare meglio i dati raccolti: con un incremento importante della richiesta di maggiori
informazioni sulla storia del museo e sulla contestualizzazione storico-geografica delle opere
ed una diminuzione della richiesta di informazioni di dettaglio sulle opere, il pubblico esprime
in maniera abbastanza chiara l’esigenza di una visione d’insieme spesso trascurata dai musei, che tendono invece a privilegiare la specificità dell’opera. Si tratta di un cambiamento di
prospettiva estremamente interessante, perché implica il passaggio da una lettura del museo
di tipo enciclopedico (o verticale) ad una di tipo narrativo (o longitudinale) e richiede pertanto
l’adozione di una nuova metafora comunicativa, basata sul racconto più che sul dato o sulla
singola informazione.
Se molti cambiamenti, che si è cercato di mettere in evidenza, sono intervenuti nel decennio
che separa questa dalla precedente indagine, non appare essersi modificato in maniera sostanziale né il gradimento generale per l’esperienza di visita, né l’immaginario del pubblico
rispetto al museo che – come dieci anni fa – è associato ai termini tempio, documentario,
studiare e stimolare. Questi dati non sorprendono, se si pensa che ciò che è avvenuto nel
mondo dei musei – e nel mondo dei visitatori di musei – negli ultimi anni ha a che fare sicuramente con profondi mutamenti ma non certo con rivoluzioni in grado di far “cambiare pelle”
al sistema museale italiano, che è rimasto infatti ancorato alla propria identità fatta di “sacralità” dell’arte (il tempio), di divulgazione mono-direzionale (documentario), di apprendimento
formale (studiare) e di una funzione culturale dinamica (stimolare)25.
L’indagine ha poi consentito di aprire prospettive interessanti in relazione alla costruzione di
una sorta di “rapporto stabile” – o se si preferisce, di fidelizzazione – tra visitatore e museo. È
emerso infatti un vasto interesse per la possibilità di essere costantemente aggiornati circa le
attività degli istituti, in particolare mediante internet. Anche in questo caso, si tratta di un’in24
Sul giusto mix fra diversi canali informativi, si veda un interessante ricerca contenuta in Meijer-Scott, 2009, relativa agli ausili all’interpretazione messi a disposizione dalla Tate Modern in occasione di un’esposizione su Rothko.
25
Su questo punto, si segnala, per analogia tematica, l’interessante contributo che verte sul tema dell’immagine
di sé del visitatore, dell’immagine del museo e sulla conseguente fruizione dello stesso, contenuto in GottesdienerVilatte-Vrignaud, 2008.
Quaderni della valorizzazione - 2
83
dicazione di opportunità che, da parte dei musei, attende solo di essere esplorata in tutte
le sue potenzialità e declinazioni. In maniera per certi versi simile, sebbene in misura meno
evidente, un’ulteriore opportunità per la comunicazione in ambito museale è costituita, così
come emerso dai dati raccolti, dall’impiego delle nuove tecnologie dell’informazione (smartphone, tablet etc.) durante lo svolgimento del processo di fruizione, cui quattro visitatori su
dieci si sono detti interessati.
Una chiara consapevolezza circa i cambiamenti negli stili di comunicazione e informazione
è emersa anche presso gli esperti intervistati, che hanno però anche denunciato un diffuso
senso di inadeguatezza rispetto alle nuove sfide connesse a tali mutamenti, che ha come
conseguenza finale una sottoutilizzazione della comunicazione digitale. Tuttavia, va anche
segnalato come le modalità innovative di comunicazione digitale basate sulla telefonia mobile e sui social network, siano state negli ultimi anni al centro dell’attenzione della Direzione
Generale per la Valorizzazione del MiBAC come modalità per avvicinare il pubblico di giovani
e dei residenti.
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Gottesdiener H., Vilatte J-C., Vrignaud P., 2008, Image de soi-image du visiteur et pratiques des musées
d’art, in «Culture études», n. 3.
84
Primo colloquio sulla valorizzazione
Erminia Sciacchitano
Ringrazio Ludovico Solima e con l’occasione aggiungo alcuni ringraziamenti doverosi, in primis ad Adele Maresca Compagna, che ha “vegliato” sull’indagine seguendola con costanza,
ma anche a tutti i Soprintendenti, i direttori dei Musei coinvolti, i referenti, e tutta la rete di
colleghi che si è attivata per effettuare questa rilevazione superando tante difficoltà, e aggiungendo questo impegno ai numerosissimi che devono affrontare quotidianamente, nelle
condizioni che chi lavora in questo Ministero conosce bene, e per questo li ringrazio doppiamente. Questa rilevazione è il risultato di un grande impegno collettivo che ci ha anche dato
la misura di quanto sia sostenibile questo tipo di attività sul territorio. Per effettuarla a livello
sistematico, si dovrebbe fare molto, molto affidamento all’impegno personale. Li ringrazio
veramente di cuore. Passo la parola a Cristina Da Milano.
Quaderni della valorizzazione - 2
85
Cristina Da Milano
ECCOM - Centro Europeo per l’Organizzazione e il Management Culturale
La comunicazione all’interno dei musei statali:
segnaletica interna, didascalie e pannelli
Eccom-Centro Europeo per l’Organizzazione e il Management Culturale ha avuto l’incarico
dalla direzione generale valorizzazione di svolgere un lavoro di assistenza tecnica relativo alla
comunicazione interna dei musei statali. Pur essendo l’incarico di tipo tecnico, ovviamente il
lavoro è stato articolato in fasi differenti, alcune più teoriche altre più prettamente tecniche.
Si è trattato precisamente di tre fasi: la prima fase è stata la redazione di linee guida che
non è ancora del tutto completata, la seconda un’indagine sul gradimento e sull’efficacia
della comunicazione interna presso il Museo Nazionale Archeologico di Firenze - e qui colgo
l’occasione per ringraziare la Soprintendenza nelle persone delle Dott.sse Barbera e Cuniglio
e la Direttrice del Museo Nazionale Archeologico Dott.ssa Cianferoni e del Museo Egizio Dott.
ssa Guidotti per la disponibilità e la collaborazione - e la terza fase è stata l’opportunità che
abbiamo avuto di svolgere il nostro lavoro di assistenza tecnica nella predisposizione di alcuni
nuovi pannelli per un nuovo allestimento del Museo Egizio.
Non mi soffermerò sulle prime due fasi, mentre mi concentrerò sul terzo aspetto del nostro
lavoro. Tutti i dati e le informazioni saranno reperibili sul sito della direzione generale.
Per quel che riguarda le linee guida, saranno strutturate in questo modo: ci sarà una parte più
teorica in cui si affronta il tema dell’accesso fisico, culturale ed economico nei musei per poi
arrivare al punto che più interessa noi del gruppo di lavoro di Eccom e la direzione generale
per la Valorizzazione, che è proprio quello dell’accesso culturale, perché è chiaro che quando si
parla di sistemi di comunicazione interna, quindi pannelli, didascalie, segnaletica, si parla soprattutto di accessibilità culturale. Si scenderà quindi nel dettaglio dell’accessibilità culturale,
86
Primo colloquio sulla valorizzazione
cercando di capire a chi comunicare, cosa comunicare, come comunicare, tenendo presente
che questo tipo di processo comunicativo si basa sull’idea di una forte attenzione, di una centralità del visitatore. Infine, si tratterà degli aspetti più tecnici, cioè quelli dell’accessibilità e della leggibilità dei testi, intendendo per leggibilità tutte le caratteristiche fisiche, la grandezza del
corpo, il contrasto tra lo sfondo e il carattere, e la posizione del testo, mentre per accessibilità
si intende proprio la comprensibilità dei contenuti sia da un punto di vista sintattico sia da un
punto di vista dell’uso dei termini specialistici (vedremo in dettaglio qualche esempio).
La seconda fase del nostro lavoro ha riguardato la possibilità che abbiamo avuto di svolgere
una piccola indagine sui visitatori che in realtà assomiglia molto a quelli studi sui visitatori di
cui parlava Alessandro Bollo, perché ci siamo focalizzati proprio sul tema dell’efficacia della
comunicazione interna del museo e sul gradimento della visita: gli obiettivi di questa indagine
erano essenzialmente questi, quindi molto circoscritti. Come strumenti dell’indagine abbiamo
utilizzato il libro dei commenti dei visitatori, che il museo ci ha messo gentilmente a disposizione, e delle interviste semi strutturate e abbiamo poi realizzato un’indagine osservante.
Attraverso la combinazione di questi tre strumenti siamo giunti a delle conclusioni che troverete esposte in dettaglio nel rapporto finale del nostro lavoro. In questa sede, ve ne presento
solo alcuni.
Emerge chiaramente un generale apprezzamento per il museo e per la sua collezione, però
emergono anche dei problemi specifici relativi agli aspetti che poi ci interessavano in particolar modo: problemi di leggibilità dei testi, caratteri piccoli, posizionamento del pannello o della
didascalia non appropriato, problemi di accessibilità culturale, testi troppo lunghi e troppo
complessi da un punto di vista sintattico, richiesta di maggior informazioni (a conferma di
quello che diceva prima Ludovico Solima, c’è comunque una richiesta sempre crescente di
informazioni però di informazioni che dovrebbero essere possibilmente veicolate in maniera chiara e semplice). Rispetto all’indagine osservante il principale risultato emerso è che
abbiamo riscontrato degli indici di attrazione molto bassi, il che significa che pochissimi dei
visitatori entrati nelle sale in cui noi abbiamo svolto l’indagine osservante si sono soffermati
a leggere pannelli e didascalie (tanto per fare un esempio, in un’unica giornata su 58 persone
entrate solo 2 hanno letto il pannello oggetto dell’indagine).
Terminata questa fase di indagine, abbiamo avuto l’opportunità, sempre grazie alla disponibilità del Museo e della Soprintendenza, di poter lavorare su alcuni testi che dovevano essere riformulati per un nuovo allestimento di alcune sale del Museo Egizio che sono state aperte alla
fine di Settembre. Abbiamo avuto la possibilità di lavorare operativamente su questi pannelli,
fornendo un’assistenza tecnica al museo solo per quel che riguarda l’accessibilità culturale,
e non lavorando sulla leggibilità.
Entrando nel merito dei sette pannelli, ho scelto di mostrarvi tre paragrafi presi da tre di
questi pannelli per farvi capire su cosa siamo intervenuti. Nel rapporto finale troverete i testi
completi e potrete meglio comprendere quale è stato il processo di scambio di idee e collaborazione che ha portato a questo risultato.
Nel primo caso siamo intervenuti per cercare di dare delle coordinate temporali e geografiche
che potessero aumentare la comprensione di chi legge, quindi abbiamo suggerito di esprimere in maniera chiara in che periodo regnò Diocleziano e di spiegare in maniera chiara cosa
si intende per alto Egitto, come sapete è una locuzione che può generare confusione in un
visitatore non particolarmente esperto. Un altro testo che ho scelto riguarda invece un altro
tipo di assistenza relativa alla modifica della sintassi della frase: se leggete il testo originale e
poi il testo modificato vi accorgerete che in realtà a livello di termini è cambiato poco, è cam-
Quaderni della valorizzazione - 2
87
biata la struttura della frase, abbiamo cercato di renderla più comprensibile sintatticamente e
l’abbiamo anche spezzata in due per separare i due concetti, l’eremitaggio e il monachesimo.
L’ultimo esempio che vi ho preparato riguarda invece l’uso di termini specialistici: nel testo
originale si faceva riferimento a ushabti e a un modello di tavola di offerta in fayence, il nostro
suggerimento è stato quello di spiegare i due termini specialistici aprendo una parentesi in
cui appunto inserire una spiegazione. Devo dire invece che in questo la direzione del museo è
andata oltre perché poi il testo modificato invece ha completamente rovesciato i termini delle
questione, cioè si è preferito dare rilievo alla spiegazione quindi scrivere “alcune statuette
funerarie” e mettere tra parentesi il termine specialistico e addirittura per quel che riguarda
la tavola d’offerta è sparita la definizione in fayence, in una forma che trovo decisamente più
efficace di quanto non avessimo suggerito noi inizialmente.
Vi dicevo che non siamo intervenuti sulla leggibilità dei pannelli, qui vi faccio vedere un esempio, purtroppo la diapositiva non rende giustizia, ma questo è uno dei nuovi pannelli, vedete
che nella parte superiore vi è un blocco di testo che è in italiano, la parte invece inferiore è un
blocco di testo con la traduzione in inglese. Noi avevamo suggerito e proposto che all’interno
del testo i vari paragrafi fossero differenziati con dei brevi titoli che spiegassero il contenuto e
questa proposta era stata condivisa dalla direzione del museo: però poi c’è stato un problema
tecnico, di spazio all’interno del pannello e l’unico modo per conservare questi brevi titoli da
mettere prima dei paragrafi sarebbe stato quello di ridurre il corpo del testo. Si è deciso quindi
di mantenere il corpo del testo più grande per facilitare la lettura, sacrificando i titoletti dei
paragrafi, ma questo ovviamente serve a farvi capire come poi sia sempre necessario armonizzare le esigenze di leggibilità e accessibilità dei testi.
Concludo dicendovi che tutto questo lavoro che noi abbiamo svolto è stato informato da due
principi di base, la centralità del visitatore da una parte e l’assoluta necessità di mantenere
degli elevati standard scientifici anche in termini di comunicazione dall’altra. La centralità
del visitatore non può e non deve mai diventare una scusa per banalizzare la comunicazione. Il nostro intento era quello di dare un aiuto, un supporto per cercare di rendere questa
comunicazione, nelle specifico la comunicazione testuale di quei pannelli, più accessibile ad
un numero maggiore di visitatori ma senza per questo rinunciare ovviamente ad un livello di
scientificità elevato. Questo è stato possibile per quel che riguarda questo particolare progetto, questa particolare attività perché si è attivata una sinergia, una collaborazione, devo dire
molto proficua e molto fruttuosa tra competenze diverse, tra persone appartenenti a organizzazioni diverse e questo è uno degli aspetti più positivi di questa esperienza.
Erminia Sciacchitano
Aggiungo ai ringraziamenti già fatti da Cristina Da Milano, altri due nomi importanti, innanzitutto la soprintendente Mariarosaria Barbera, senza la cui disponibilità tutto questo non sarebbe stato realizzato, la d.ssa Cianferoni e la d.ssa Guidotti che hanno seguito molto da vicino in
questo lavoro, oltre rinnovare i ringraziamenti nei confronti dell’arch. Lucrezia Cuniglio.
Ora svelo “l’assassino ma molti di voi l’hanno già scoperto. Il filo che abbiamo dipanato, il senso di tutto il tavolo mi sembra che sia ora chiaro: siamo partiti dalla costruzione di un quadro
conoscitivo, tesa a formulare un quadro strategico, che a sua volta non vuole fermarsi, ma comincia già ad individuare quali sono le possibili modalità operative e gli strumenti da usare. Un
paio di affondi ci hanno aiutato a valutare sia la sostenibilità del sistema, sia quanto attraverso
queste iniziative riusciamo effettivamente a incidere sul cambiamento.
88
Primo colloquio sulla valorizzazione
Per quanto riguarda gli strumenti: metteremo a disposizione queste linee guida, che non devono essere considerate come un documento chiuso ma come un work in progress. Lo metteremo sul tavolo e registreremo così le reazioni, le risposte e i contributi ulteriori. Stiamo
disegnando anche un secondo strumento dedicando una piccola parte del nostro budget,
purtroppo molto limitato, a supportare effettivi e concreti progetti di miglioramento, supportati
in questa attività dal S’ed, il Centro per i servizi educativi del Museo e del Territorio che opera
nell’ambito del Servizio II Comunicazione e promozione del patrimonio culturale, della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, che ha gran parte delle competenze
che ci servono e collaborerà con noi per realizzare un modulo di assistenza e di formazione per
la scrittura e la realizzazione dei progetti, quindi ringrazio per la disponibilità Patrizia De Socio.
Chiudo presentando la figura che è qui accanto e che non ha preso la parola fino ad adesso,
ma riporterà in plenaria i contenuti di questo tavolo. È Simona Bodo e ha l’arduo compito di
essere il nostro rapporteur e quindi di raccontare agli altri partecipanti all’incontro di oggi
il filo logico che abbiamo seguito e quali sono i contenuti che a suo parere ritiene rilevanti.
Filtrerà quanto ci siamo detti attraverso la sua visione, complementare rispetto alla nostra,
che è incentrata principalmente sulla tematica della partecipazione e delle problematiche di
diversità culturale e inclusione sociale nei musei, ed è per questo motivo l’abbiamo chiamata
e la ringrazio in anticipo per avere accettato di farsi portavoce per tutti noi.
Quaderni della valorizzazione - 2
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90
Primo colloquio sulla valorizzazione
Interventi e dibattito conclusivo dei tavoli tecnici
Anna Contardi
Associazione Italiana Persone Down
Sono la coordinatrice nazionale dell’Associazione Italiana Persone Down (www.aipd.it), che è
un’associazione nazionale con 43 sedi in Italia e che si occupa di persone con la sindrome
down. Sto partecipando in questo periodo anche al progetto Ad Arte sul sistema di valutazione
e l’accessibilità, però la riflessione che volevo fare entra proprio nello specifico dei temi che
abbiamo affrontato in questo gruppo e che ho trovato molto interessante.
La prima riflessione che volevo fare è che si è parlato poco di un pubblico potenziale, nuovo
che è in grande crescita, che è quello delle persone con disabilità intellettiva. Non so quanti
ne sono consapevoli, ma è un pubblico con una caratteristica particolare in questo momento
perché si è allungata moltissimo l’aspettativa di vita, se voi pensate che negli anni ’40 un
bambino con la sindrome down aveva aspettativa di vita di 12 anni di e oggi ne ha una di 62,
capite bene come siano cambiate le cose. Non solo, questa è una popolazione, soprattutto in
età adulta, che ha molto tempo libero e che quindi ha un potenziale tempo da spendere nella
fruizione dei beni culturali . Grazie poi a chi concretamente sta lavorando con loro: famiglie,
operatori , e’ una popolazione che sta crescendo in livelli di autonomia e di consapevolezza
e quindi, mentre magari 40 anni fa non ci si poneva il problema di un persona con disabilità
intellettiva, che se ne poteva andare al museo da solo, oggi ci dobbiamo porre seriamente
questo problema. Allora, è chiaro che questa è un’utenza che ha un potenziale di crescita
molto ampio se teniamo conto di alcune esigenze, che tra l’altro sono esigenze di questa
popolazione ma sono, come spesso accade per le esigenze dei diversi più diversi, delle esigenze che danno spazio alle piccole diversità di tutti. Alcune delle cose che abbiamo sentito
nella relazione sui bisogni espressi dal pubblico, sull’accessibilità, sullo stile “narrativo” nella
presentazione di un museo, sono esigenze specifiche delle persone con disabilità intellettiva,
però sono anche esigenze degli anziani, di chi conosce poco la lingua italiana, dei bassi livelli
culturali; è chiaro quindi che mettere a fuoco bene che cosa vuol dire rendere accessibile
le strutture museali per persone con disabilità intellettiva vuol dire in realtà guardare a uno
scenario molto più ampio e il tema centrale è quello dell’alta comprensibilità. Noi abbiamo
sentito nell’ultima relazione alcune cose in tal senso però, secondo me, affrontate in modo
non molto scientifico: l’alta comprensibilità ha delle regole che sono regole ormai condivise
anche a livello internazionale, che poi la chiamiamo alta comprensibilità in Italia, easy reading
da un’altra parte o plain language, stiamo parlando della stessa cosa. Ci sono ormai degli
studi e delle esperienze anche abbastanza significative, sia sulla presentazione dei contenuti
Quaderni della valorizzazione - 2
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del testo sia dal punto di vista della presentazione della forma del testo. Secondo me su questo si può fare veramente molto, anche con poca spesa e si può lavorare bene; tra l’altro ci
sono già delle esperienze anche italiane su questo, ovviamente non solo sul tema museale
ma sull’alta comprensibilità di cui a Roma si parlava già negli anni ’80 con la cattedra di De
Mauro, quando si fece il primo quotidiano ad alta comprensibilità, Due Parole. Il tema dell’alta
comprensibilità va poi declinato nelle guide, nei depliant, nella cartellonistica, nel web, nel
sistema di orientamento all’interno delle strutture museali perché anche la comprensibilità e
la visibilità dei sistemi di orientamento fanno parte della comunicazione comprensibile. Come
Associazione Italiana Persone Down è un tema che curiamo molto e su cui stiamo lavorando
da tanti anni all’interno dei nostri progetti per lo sviluppo dell’autonomia e dell’indipendenza
dei giovani e degli adulti in cui abbiamo cominciato a produrre, diciamo materiale grigio, cioè
schede per facilitare l’accessibilità etc. Abbiamo cominciato a elaborare linee guida per le
guide che lavorano con noi a volte nelle visite museali e abbiamo fatto già alcune pubblicazioni che riguardano in qualche misura il turismo e i monumenti. Tra l’altro partiremo a Gennaio con un progetto internazionale di cui siamo capofila che si chiama ”Smart tourism” con
cui andremo a realizzare, coinvolgendo direttamente nella redazione persone con sindrome
Down, tre guide ad alta comprensibilità di Roma, Dublino e Lisbona. C’è quindi un patrimonio
di esperienze che possiamo condividere col Ministero, se c’è l’intenzione di lavorare su delle
linee guida all’interno. Nel progetto Ad arte io ho predisposto un contributo per la formazione, però si può lavorare di più anche sulla traduzione di alcune schede museali. Si possono
creare delle sinergie sia con il Ministero sia con le singole strutture che sono interessate.
Grazie.
Germano Paini
Università Milano Bicocca
Le due parole che più frequentemente sono state utilizzate in questa importante occasione
del 1° Colloquio sono esperienza e valorizzazione.
Ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale l’esperienza dei fruitori dei beni culturali è
l’elemento chiave.
Troppo spesso però la nostra attenzione si concentra esclusivamente sull’esperienza di fruizione diretta del bene culturale, come se il nostro compito fosse “creare le condizioni perché
il nostro visitatore possa disporre al meglio ma “qui ed ora” del bene”.
Così facendo trascuriamo le fasi che precedono e seguono il momento “topico”.
Nell’ottica della valorizzazione è necessario concepire un allungamento del ciclo di vita dell’esperienza, un’estensione del nostro raggio d’azione temporale rispetto al patrimonio che
abbiamo in carico.
Allungando il ciclo di vita possiamo generare un “circuito virtuoso” per comprendere e corrispondere meglio alle esigenze che caratterizzano i nostri “pubblici”
L’allungamento del ciclo di vita della fruizione di beni culturali rappresenta:
1.un’opportunità diretta per noi, perché ci consente di veicolare con maggior cura e maggior
pertinenza informazioni e conoscenze relative al “bene” specifico e al patrimonio nel suo
complesso
92
Primo colloquio sulla valorizzazione
2.un’opportunità per il pubblico in quanto corrisponde al bisogno di “connettere” il bene culturale al sistema di conoscenze in cui l’utente è collocato.
Pur considerando particolarmente rilevanti le tematiche relative al punto 1, la mia riflessione
si concentrerà sulle opportunità per il pubblico, a partire da una premessa a mio avviso fondamentale.
Per introdurre la questione richiamerò qui una citazione tratta da un libro di un pedagogista
che è stato fondamentale nel mio percorso formativo: Andrea Canevaro.
Canevaro nel suo libro I Bambini che si perdono nel bosco (1976) parla dei bambini nel loro
rapporto con l’esperienza scolastica.
Riferita al contesto che stiamo trattando possiamo pensare queste argomentazioni come
riferibili ai nostri diversi “pubblici” in rapporto al patrimonio culturale.
Quando un bambino va a scuola, è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa.
Ci sono bambini che si riempiono le tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra,
in modo da saper trovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna. Ma ci
sono bambini che non riescono a fare provvista di sassolini e lasciano delle briciole
di pane secco come traccia per tornare a casa. E’ una traccia molto fragile e bastano
le formiche a cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più tornare a
casa.
La scuola è come un bosco in cui alcuni sanno ritrovare la propria strada, sanno leggerla e sanno orientarsi: passano la giornata nel bosco e si divertono a scoprirlo, a
conoscerlo nelle sue bestiole e nei suoi alberi e riescono a collegare tutto questo alla
traccia e alla memoria che li riporta a casa. Sono padroni di un territorio perché sono
padroni dei segni per riconoscerlo e per collegarlo; e la loro casa non è un posto remoto e divenuto inaccessibile, ma è una possibilità e quindi una presenza da cui ci si può
allontanare sicuri di ritornare.
Altri bambini passano la giornata nel bosco e anche loro imparano tante cose: conoscono alberi e piante, animali e insetti, ma alla fine della giornata conoscono anche la
paura di non sapersi orientare, di non sapere la strada di casa. Hanno imparato tanto,
forse, e lo dimenticano perché non riescono a collegarlo alla traccia ed alla memoria
della strada di casa: il bosco diventa il posto pauroso in cui si perdono, senza riconoscere le proprie tracce, sempre estranei e sempre respinti.
I bambini che sanno tornare a casa sono capaci anche di andare avanti nel bosco ed
oltre il bosco.
I bambini che si sono persi non sanno tornare a casa e non sanno neppure andare
avanti, perché ogni passo che fanno è sempre per perdersi un po’ di più, per non
saper riconoscere niente di sé e delle cose che stanno loro attorno: se si incontrano tra loro non si riconoscono e non sanno neppure diventare compagni di strada.
Non hanno strada, perché non sanno leggere i segni che possono costituire una strada
o un sentiero: sono condannati a vagabondare senza spazio e senza tempo, e possono
preferire di venire rinchiusi in una gabbia.
Andrea Canevaro, I bambini che si perdono nel bosco, La Nuova italia, 1976
Quaderni della valorizzazione - 2
93
Canevaro ci dice che i bambini per trarre dall’esperienza scolastica i benefici auspicati devono riuscire a “connettere” le azioni che compiono a scuola in un quadro di riferimento articolato e coordinato che coinvolge l’insieme della loro esperienza.
Tracciare il percorso per non esserne spettatore passivo e disorientato, ma attore attivo e
partecipe.
Tracciare i percorsi per non perdersi.
Tracciare la strada per saper espandere i contatti e gli argomenti, ma soprattutto per connetterli ed organizzarli.
Tracciare la strada per governare la nostra vita e non esserne governati.
Definirei questo passaggio in termini di “attribuzione di pertinenza” alla singola azione.
Rendere le nostre azioni pertinenti rispetto alla nostra esperienza ci garantisce di saperle
valorizzare.
Nella nostra riflessione sulla valorizzazione del patrimonio culturale dobbiamo considerare
che la fruizione di un bene culturale deve riuscire ad innestarsi nel quadro dell’esperienza
complessiva dei nostri utenti.
Senza questo legame, che è in grado di attribuire “pertinenza”, anche la fruizione fisica di un
bene culturale (l’ingresso in un museo ad esempio) non si rivela che uno dei semplici passaggi nel “bosco” in cui i nostri utenti si perdono. Così come peraltro ci perdiamo noi in altri
contesti in cui non sappiamo creare i legami necessari.
A distanza di tempo la lettura che possiamo fare della fenomenologia prospettata da Canevaro si arricchisce di un nuovo tassello, che rappresenta contemporaneamente un elemento
“a carico” e una chance per il superamento dell’enpasse in cui si trovano “i bambini che si
perdono nel bosco”.
L’affermarsi dei fenomeni della società dell’informazione e della conoscenza genera da un
lato un effetto ancora più distraente e dispersivo aumentando i rischi di “smarrimento”. Gli
stimoli aumentano vertiginosamente e il carico gestionale diviene insostenibile soprattutto
per coloro che non sono attrezzati.
Al contempo però le possibilità della “rete” aumentano le opportunità teoricamente disponibili e l’adesione ai fenomeni della rete (anche se poco consapevole e acritica) crea di fatto un
engagement che, se opportunamente sfruttato, costituisce la base di sviluppi collaborativi e
di accrescimento della pertinenza.
Riprendendo l’immagine prospettata oggi Canevaro parlerebbe di “percorrere le strade della
rete”: rete delle conoscenze e delle esperienze tra loro connesse.
E riconoscerebbe che non è più sufficiente distribuire sul percorso (nostro e dei nostri bambini) “sassolini personali” che necessariamente si intreccerebbero con le tracce di altri, confondendo le nostre strade con i loro percorsi.
Il governo dei processi di acquisizione e gestione delle proprie conoscenze costituisce un aspetto
trasversale, ma sarebbe sbagliato pensare ad una competenza acquisita attraverso un processo individuale in cui ciascun bambino si attiva spontaneamente o sotto la guida degli adulti.
La competenza per la gestione della conoscenza acquisita e per la costruzione di un proprio
percorso emerge dall’interazione sociale.
94
Primo colloquio sulla valorizzazione
Canevaro oggi ci direbbe che nemmeno i sassolini sono sufficienti perché il “traffico” nel territorio è cresciuto esponenzialmente.
Intendiamoci se io distribuisco i miei sassolini e il movimento in quel territorio è limitato io
ritrovo la strada abbastanza agevolmente, ma se le opportunità di esperienze sono diventate
“iperboliche” è probabile che nel territorio, lungo il mio percorso non ci siano solo i miei sassolini, ma ci siano anche i sassolini di altri.
In questo senso la differenza non è più tra coloro che dispongono di “sassolini” (solidi e persistenti) e chi dispone di “briciole di pane” inaffidabili.
Dobbiamo guardare ad un’altra distinzione: tra chi traccia percorsi da solo convinto che la sua
capacità di trovare la strada sia garantita, e chi invece ha capito che i sassolini posati lungo la
strada sono sassolini di percorsi di rete, dove ognuno di noi, mentre traccia la sua strada sa
di incontrare e incrociare i percorsi degli altri.
La definizione dei percorsi si intreccia necessariamente ed inevitabilmente con la traccia del
percorso degli altri e delle tracce degli altri deve tenere conto.
Il processo di costruzione di percorsi non è più solo individuale; è un “atto sociale” in cui si
sperimentano interconnessioni con l’azione degli altri e ci si attrezza a gestirne opportunità e
ostacoli, valori e criticità.
Un processo dinamico in cui ci si confronta con gli altri per imparare, per crescere e per trarre
le maggiori opportunità dalle nostre esperienze.
Il processo che si genera a partire dal sistema di interconnessioni socialmente definite grazie
alle interazione in rete, rende iper-pertinenti le nostre azioni cioè accresce l’attribuzione di
sempre crescente adeguatezza al nostro agire per la costruzione di un esperienza ricca, plurale e articolata in grado di limitare il nostro rischio di “perderci nel bosco”.
Quanto più la nostra azione è caratterizzata in termini di iper-pertinenza maggiore sarà la
nostra capacità di sfruttare le opportunità e di valorizzare ciascuna delle nostre esperienze.
Possiamo pensare ora che la nostra sfida è rivolta alla progettazione di percorsi per la valorizzazione che ricompongano le diverse componenti dell’esperienza di fruizione del patrimonio
culturale caratterizzandole in termini di iper-pertinenza per renderle più adeguate alle nostre
esigenze e in grado di aiutarci a limitare il rischio, sempre in agguato, di “perderci nel bosco”.
Claudio Rosati
Direttore del Museo Enrico Caruso
Complimenti, innanzi tutto, ai colleghi per il lavoro svolto; mi sembra che sia stato fatto un
passo decisivo per superare il divario che nel campo abbiamo con altri paesi europei. Possiamo, quindi, attendere ora con fiducia gli sviluppi necessari. Come procedere? Le sollecitazioni
che vengono da questo incontro sono tante e non è possibile riprenderle una ad una. Tento
Quaderni della valorizzazione - 2
95
di riassumere le idee che mi suggeriscono in una considerazione generale che pongo sotto la
voce “risorse umane”. Credo che un impegno rilevante, simile almeno a quello che si mette
nell’advertising e nelle campagne, dovrebbe essere profuso nella comunicazione interna,
nella formazione e nella valorizzazione di tutto il personale che lavora nel museo. Non c’è
organizzazione che possa comunicare efficacemente se prima non comunica al suo interno
e, forse, il museo è, in questo senso, una delle istituzioni più refrattarie anche per la forte
accentazione individuale che hanno, al suoi interno, i saperi disciplinari. Ho ascoltato la custode di un museo ricordare con nostalgia il direttore che l’aveva introdotta a un mondo che
per lei era del tutto ignoto. “Spesso mi diceva – ricorda la custode -, riferendosi ai dipinti della
pinacoteca: Come stanno i nostri bambini?”. Lo storico dell’arte, forse inconsapevolmente,
ma con intelligenza arricchiva di senso il compito che l’operatrice svolgeva. Naturalmente la
questione non si può risolvere solo con l’accortezza delle buone maniere. Bisogna pensare
alla comunicazione interna, o comunicazione organizzativa, come a una risorsa per un’efficace proiezione all’esterno del museo. Altrimenti tutto diventa più difficile e la strada da
percorrere sarà inevitabilmente tutta in salita. Attenzione a guardare alle esperienze di altri
paesi senza considerare questo retroterra culturale e organizzativo che alla nostra vista non
appare, ma che è ben presente nelle pratiche quotidiane come una condizione, appunto, di
ordinarietà. Per questo motivo ogni innesto di attività nuove che non tenga di conto di questa
base di partenza è destinato ad avere risultati modesti se non a fallire. La sfida del 2.0 è già
persa in partenza se prima non si comunica all’interno. L’obiettivo è pertanto quello di creare
un clima interno in cui ogni azione sia percepita come conseguenza naturale della missione
che il museo intende perseguire. Un clima che metta al centro le persone che lavorano, che
pratichi l’ascolto attivo, che miri alla condivisione delle soluzioni. La diffusione del questionario –mi sembra che ora lo adottino il 26% dei musei presi in considerazione – dipende
sicuramente da una convinzione culturale più che da forme di imposizione. Il questionario
deve essere acquisito come uno strumento della cassetta degli attrezzi professionali perché
fa parte della pratica museografica. Solo in questo modo saremo sicuri della sua efficacia e
di una tensione all’ascolto in tutta la sfera del museo, dall’album dei visitatori all’osservazione del pubblico. Nel momento in cui il museo si afferma sempre di più – e in qualche modo
lo ribadiscono i dati presentati da Ludovico Solima – come spazio di contatto, di incontro tra
saperi e sensibilità diverse,di scambio tra rappresentazioni scientifiche e desideri e attese del
visitatore, l’ascolto del pubblico non può essere limitato a una scelta di marketing, diventa
una componente, appunto, della pratica museografica. I dati dell’indagine di Solima rivelano
l’importanza che il pubblico stesso dà agli addetti al museo come mediatori, come facilitatori
della relazione con il museo. Un’indicazione nello stesso senso viene da Siena dove da due
anni si svolge un’indagine sui giovani e il museo. Dalla ricerca emerge una richiesta che può
sorprendere: al museo viene chiesto di essere un museo. Quello ideale è per i giovani un
museo che organizza anche incontri con gli artisti e, per una parte di interessati, mostre di
collezionismo. Per parlare del suo patrimonio il museo ricorre – sempre per chi ha partecipato
all’indagine - anche al linguaggio del teatro e della musica. Si caratterizza come spazio del
fare più che del vedere; luogo di incontro più che di visita; propone un ventaglio di possibilità
da scegliere (laboratori, conferenze, visite guidate, etc.) più che un contenuto. E’ un museo,
insomma, dove la componente relazionale è determinante. I lunchtime talks della National
Gallery, a Londra, che presentano periodicamente al pubblico un’opera in un breve spazio di
tempo testimoniano, in primo luogo, di un museo che valorizza le sue risorse umane.
La valutazione di quello che è stato fatto finora non può, comunque, che essere positiva. Cre-
96
Primo colloquio sulla valorizzazione
do, nel concludere questo intervento, che si debba virare ora su un più deciso investimento
nelle risorse umane perché solo una comunicazione dell’offerta del museo pensata all’interno della missione stessa del museo, può garantire meglio il raggiungimento dell’obiettivo di
rendere familiare e non straordinaria la relazione con il museo.
Adele Maresca
Ufficio studi - Segretario generale MiBAC
Anch’io mi unisco al coro dei complimenti per l’ottimo lavoro svolto dai funzionari della Direzione generale per la valorizzazione, in collaborazione con studiosi di grande esperienza e
competenza.
Ritengo sia molto importante aver affrontato tematiche così rilevanti ai fini della progettazione
delle politiche culturali e della gestione del patrimonio, della qualità dell’offerta e dell’ampliamento della partecipazione, sviluppando riflessioni e analisi che consentiranno, mi auguro, di
imprimere un forte slancio alle attività dei nostri istituti, superando quel senso di incertezza
e malessere diffuso, connesso alle difficoltà economiche e sociali del momento.
Dato lo scarso tempo a disposizione non raccoglierò i tanti spunti interessanti presenti negli
interventi dei relatori, sui quali avremo modo di soffermarci più diffusamente quando saranno
concluse le ricerche, ma mi limiterò ad alcune osservazioni sintetiche e molto concrete sulle
azioni da promuovere, in particolare per la conoscenza del pubblico e del non-pubblico.
Le politiche di valorizzazione del Ministero, è stato detto, non possono prescindere dalla conoscenza dei visitatori degli “istituti della cultura”, della tipologia, delle aspettative e delle valutazioni finali dell’esperienza compiuta. I risultati delle indagini, sommariamente presentati
in questa sessione, consentiranno certamente di acquisire un quadro conoscitivo d’insieme
indispensabile per orientare le politiche nazionali, concorreranno a diffondere corrette metodologie e ad attivare, si auspica, sistemi permanenti di monitoraggio. Naturalmente esse forniscono anche elementi precisi di analisi riferite ai singoli istituti individuati come campione.
Siamo tutti consapevoli, però, dell’estrema varietà del nostro patrimonio culturale e delle
singole realtà che lo compongono quanto a tipologia, collocazione geografica e relativa attrattività. Le politiche di valorizzazione potranno essere sostenute e guidate dal centro, ma dovranno essere comunque programmate e valutate in sede locale, sulla base delle specifiche
“missioni” e degli obiettivi individuati come prioritari. L’”ascolto” del pubblico, l’attenzione ai
dati quantitativi e qualitativi diventa quindi essenziale per ciascun museo, e la valutazione
non può che essere fatta in relazione alle caratteristiche degli specifici territori, dei suoi abitanti e turisti, delle altre istituzioni culturali che vi operano.
Le indagini più approfondite sul pubblico dovranno certamente essere estese al maggior numero di strutture (magari con la collaborazione delle Università, utilizzando stagisti e dottorandi) e ripetute con cadenza periodica, ma non si può dimenticare che una prima, essenziale
conoscenza del profilo anagrafico dei visitatori potrebbe essere agevolmente acquisita mediante strumentazioni permanenti e automatiche di rilevazione da attivare all’ingresso.
Conosciamo tutti le lacune del nostro sistema informativo, nonostante l’impegno dell’Ufficio
di statistica. E i problemi permarranno, se non si individuano a monte, cioè nei singoli istituti,
delle forme di rilevazione che abbiano come obiettivo non più soltanto il riscontro amministrativo, la certificazione contabile dell’avvenuto pagamento (o dell’esonero o riduzione), ma
Quaderni della valorizzazione - 2
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la registrazione certa e automatica degli effettivi visitatori. È assurdo, a mio avviso, che non
si possano contare gli ingressi nei singoli musei che costituiscono un circuito (sia pur pagati
con un unico biglietto o con una card); che non si possano distinguere i visitatori delle mostre
ospitate nel museo rispetto ai visitatori delle collezioni permanenti (in caso di biglietto integrato); che non si possano ripartire i biglietti degli utenti non paganti nelle due fasce dei minori
di 18 anni e degli oltre sessantacinquenni. Analogamente le visite scolastiche dovrebbero
essere costantemente monitorate (i dati ci sono, visto che esse sono autorizzate). Integrando
e confrontando la documentazione dei Servizi educativi (sui progetti di maggior respiro) e dei
concessionari, quando attivi, sui servizi (visite guidate, laboratori e altro), si disporrebbe di
un’analisi più completa sulla partecipazione dei giovani alla vita del museo.
Su questo sistema informativo permanente la Direzione generale per la valorizzazione potrebbe attivarsi, studiando e dirimendo, d’intesa con l’Ufficio di statistica e con le direzioni
regionali, eventuali problemi pratici connessi alle rilevazioni.
Infine vorrei invitare i colleghi della direzione generale e degli istituti periferici qui presenti
a sviluppare una riflessione particolare sul non-pubblico, perché è su quello che si gioca il
nostro futuro e anche la nostra ragion d’essere.
Sarebbe auspicabile che i dati sulla propensione o l’effettiva frequentazione degli istituti culturali, disponibili a livello nazionale e locale, confrontati con quelli sui visitatori effettivi dello
specifico museo - e degli altri musei del territorio - costituiscano l’oggetto di un confronto periodico all’interno degli istituti (magari allargato a categorie sensibili a tali problematiche, attraverso consultazione di focus group e dibattiti pubblici) al fine di riconsiderare criticamente
l’immagine del museo e la sua offerta culturale, e progettare nuove forme di comunicazione
e di coinvolgimento della popolazione residente.
Veronica de Vecchis
Funzionario Storico dell’arte della Direzione regionale dell’Abruzzo
Ringrazio i responsabili del settore per l’ opportunità offerta di raccontare l’esperienza personale e professionale, come storico dell’arte della Soprintendenza ai Beni Storico Artistici
e Etnoantropolici, (B.S.A.E.), vissuta a L’Aquila a seguito del sisma del 6 aprile 2009. Questa
situazione di emergenza, vissuta prima in Umbria, poi in Molise e successivamente a L’Aquila,
ha cambiato il modo di pormi verso il bene culturale. Ha fatto emergere, con forza, la lettura
della funzione dell’oggetto d’arte strettamente legata alle esigenze umane, generando un
conflitto tra rapporto solidale e ruolo istituzionale. Quest’ultimo ci rende attivi, consapevoli
dell’importanza dell’esperienza professionale, non burocrati, ma sempre vigili nell’espletamento delle procedure, consci di essere fautori di un “lacerto di storia”. Perciò invito i colleghi
a non sottovalutare mai l’importanza del proprio ruolo e della conoscenza territoriale, in
particolare, a rispettare il significato simbolico che lega quell’opera d’arte a quel luogo. L’importanza dell’oggetto devozionale è ciò che rappresenta per la persona, che va ben oltre la
religione, la corrente artistica, la firma d’autore e la fruizione intesa come conoscenza.
In una catastrofe la concezione tradizionale dell’arte perde di significato, è assolutamente prioritario mettere in salvo, anche a rischio della propria vita e prima dei beni personali, quell’oggetto sacro che raffigura la continuità, il vissuto, l’identità della collettività di un dato territorio.
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Primo colloquio sulla valorizzazione
A L’Aquila non abbiamo perso soltanto il Museo Nazionale d’Abruzzo, abbiamo perso l’identità collettiva. Infatti se chiedete ad un aquilano:” che cosa ti manca?”; La prima cosa che
risponde è il Castello. Perché questo luogo rappresentava il cardine della città, con la sua
sede museale, il suo Auditorium ed il suo parco, semplicemente un unicum che offriva la possibilità: della passeggiata, dell’incontro, della visita guidata, della formazione, della didattica
alle scuole anche con progetti per i diversamente abili, ( non vedenti). In sintesi si è disgregato
quel rapporto interpersonale, quel legame vivo, sentito con la città lasciando in ciascuno di
noi il disagio dell’ appartenenza.
L’esperienza mi ha insegnato che, non è opportuno eleggersi a paladini della cultura, poiché
siamo soltanto vigili custodi di un certo valore di un’opera d’arte, il nostro compito è quello
di custodire la memoria e ciò che rappresenta per noi tutti. Vi porto l’esempio della scultura
in legno dorato raffigurante Madonna con Bambino del XV secolo, senza dubbio di notevole
valore storico artistico, ma vi siete mai chiesti che significato assume quella Madonna per
quella comunità di un piccolo centro raso al suolo con decine di vittime? Stiamo parlando di
Onna un piccolo entro storico in provincia di L’Aquila, di cui sicuramente avete sentito parlare.
Bisognava mediare tra l’esigenza di culto della popolazione e quella culturale. Insieme alla
Soprintendente Dott. Anna Imponente abbiamo trovato l’escamotage per non portarla via dal
campo prima della festa patronale perché, in quel contesto, l’oggetto d’arte era la “Madonna”, come è stato detto da una signora era “l’anima del paese”.
Queste esperienze ci cambiano dentro ed è difficile controllare le emozioni soprattutto in
pubblico.
Vorrei anche aggiungere un altro piccolo tassello che è stato fondamentale sia per la prima
emergenza che l’attività successiva di messa in sicurezza: la banca dati, frutto della catalogazione della Soprintendenza sopra indicata. Abbiamo avuto la grande opportunità di portare
avanti il Progetto del MiBAC denominato: “ARTPAST” in collaborazione con la Scuola Superiore
Normale di Pisa, che, dietro nostra richiesta, immediatamente, ha trasmesso l’elenco generale degli edifici schedati della zona colpita da sisma.
Nessuno poteva prevedere una tale situazione apocalittica con crolli interni nel forte spagnolo: sono crollate le volte nel settore degli uffici, nell’Archivio Catalogo, dove ho lavorato 20
anni, sono esplose le pareti, i classificatori sono precipitati al piano inferiore, impedendo di
fatto il recupero delle schede per motivi di sicurezza.
Alla luce di quanto è accaduto, è indispensabile far conoscere all’esterno il nostro lavoro
perché, nonostante le difficoltà e le umiliazioni che i funzionari ricevono ogni giorno, vuoi per
la mancanza di fondi o perché non si raggiunge l’obiettivo, si lavora con serietà e professionalità.
Purtroppo, ancora oggi, all’interno delle Istituzioni manca l’esigenza della condivisione delle
informazioni e degli esiti della ricerca.
L’esperienza aquilana ci ha insegnato che il patrimonio culturale è stato messo in salvo
grazie all’impegno profuso dalle diverse professionalità appartenente al MiBAC, ai Vigili del
Fuoco, alla Protezione Civile con il sostegno anche della popolazione locale..
Sorge dal cuore un ringraziamento a tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito e continuano a sostenerci, soprattutto adesso che abbiamo la consapevolezza dell’entità della
perdita.
Quaderni della valorizzazione - 2
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Patrizia de Socio
Responsabile S’ed. Centro per i servizi educativi del museo e del territorio.
Direzione generale per la valorizzazione - Servizio II
Vorrei fornire un piccolo contributo alla riflessione di tutti i partecipanti, a margine delle interessanti relazioni presentate in questa sessione, portando l’esperienza del Centro per i servizi
educativi del museo e del territorio.
Un osservatorio dal quale, da molti anni, analizziamo le modalità con cui avviene il dialogo
tra sistema scolastico nazionale e rete dei servizi educativi.
Un dialogo che ha innescato nel pubblico ‘potenziale’ dei luoghi della cultura (quello che
poc’anzi abbiamo visto essere collocato nel penultimo livello della rappresentazione grafica
dei frequentatori dei musei) processi di interesse, curiosità e, via via, comprensione dell’impianto epistemologico delle discipline dell’arte. Ed in particolare: i linguaggi e i codici delle
opere e dei manufatti; la forza del loro essere segno e testimonianza di un’interazione millenaria di idee-uomini-territorio-paesaggio; l’aspetto storico-culturale.
Un lavoro condiviso, tra professionalità del museo e della scuola, a partire dalla fase di progettazione e, ancora prima, dall’ individuazione dei bisogni: Un settore in cui si sono conseguiti
negli anni eccellenti risultati, in termine di formazione di competenze e di facilitazione del
processo di sviluppo della coscienza civile dei ragazzi.
Oggi tuttavia gli educatori, sia quelli dentro la scuola che al di fuori di essa, assistono ad una
fase di transizione che ha i caratteri veri e propri di una rivoluzione dell’apprendimento o
meglio, delle maniere tradizionali in cui fino ad ora si è appreso. Mi riferisco al rapidissimo
mutamento dei modelli mentali dei nostri giovani, influenzato profondamente da Internet e da
quanto la tecnologia offre loro. Da un apprendimento naturale, fatto attraverso l’esperienza
diretta su realtà vere in cui l’adulto educatore giocava un ruolo autorevole di trasmissione
di conoscenza, si è passati ad un apprendimento mediato da altri veicoli di conoscenza e di
scoperta in cui l’adulto può perdere la capacità di dialogare e mettersi in relazione.
E’ necessario dunque analizzare lo stato dell’arte ed individuare le criticità, i problemi e i
campi di azione più a rischio in questo senso.
A cominciare dall’adeguamento dei progetti e delle offerte presentati alla scuola che è, formalmente e sostanzialmente, un’ agenzia autonoma dello Stato. Come tale è in grado di
progettare e rimodulare, se non del tutto almeno in parte, i quadri orari e, quindi, decidere
come e in che misura dare spazio ad attività educative e didattiche che però, verosimilmente, non potranno essere più legate alle consuete formule proposte dai servizi educativi in cui
la quantità di ore destinate alle attività in museo diventa insostenibile per la scuola sia per
motivi economici (per esempio i costi per gli spostamenti) che logistici (per esempio il problema delle assistenze durante le uscite).
E un problema di linguaggio. Da sempre le generazioni si confrontano e, probabilmente, ogni
generazione adulta ha vissuto il confronto con i suoi giovani come una situazione di particolare criticità comunicativa. Certo è che il fenomeno sembra aver subito un’accelerazione
particolare, con il successo dei social network, o dei nuovi media. E allora, come rivolgersi ai
ragazzi, come farli innamorare dell’arte e della cultura, con quali parole, con quali strumenti?
Su quali terreni, al di fuori della scuola, cercarli?
Proseguiamo con le risorse didattiche che debbono, senza indugi, adeguarsi alle mutate
necessità dei docenti, divisi come sono tra tecniche tradizionali e nuovi media. Penso alle
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Primo colloquio sulla valorizzazione
Lavagne Interattive Multimediali ed alle straordinarie opportunità che forniscono ad ogni educatore, a patto di poter attingere a materiali realmente alternativi al libro di testo tradizionale,
quindi più ricchi, più flessibili, più versatili. Pensate all’opportunità che ci si presenta: allestire, nei nostri siti, contenuti di livello scientifico elevato presentati però con un linguaggio ad
alto livello di comprensione e progettati per essere serbatoio versatile di spunti didattici con
repertori di immagini, video,interviste,percorsi, schede di osservazione e così via. Un vero
esempio di programmazione nazionale e di collaborazione interistituzionale sui temi del patrimonio culturale ! I materiali che i servizi educativi potrebbero fornire, in forza della grande
esperienza maturata con decine di migliaia di studenti, costituirebbero l’ossatura di lezioni
declinabili dai docenti sulle esigenze e sui bisogni delle classi e con uno sguardo costante
alle testimonianze del loro territorio.
In parte ciò viene fatto ma è abbastanza evidente che perlopiù si tratta di materiali riversati
in rete senza un’effettiva attenzione a quel pubblico potenziale di cui si diceva. Piuttosto, si
tratta di testi destinati ad un pubblico già ‘conquistato’, in una qualche misura, già esperto e
informato, lontano dalla scuola e dai suoi bisogni.
E veniamo agli obiettivi. Dobbiamo osservare con estrema attenzione i fenomeni in atto, per
acquisire sufficienti elementi di valutazione per questi processi di cambiamento nell’apprendere. Dobbiamo fornire alle scuole strumenti didatticamente utili per guidare questa continua
intersezione tra tradizione e innovazione. Dobbiamo adeguare i nostri linguaggi e trovare modalità comunicative per avvicinare i ragazzi alla cultura senza timore di sperimentare nuove
tecniche, guidati da rigide basi scientifiche e anche da molto buon senso.
Dobbiamo rafforzare la nostra presenza al fianco della scuola perché è lì che si crea la prima situazione di rischio. Il rischio cui mi riferisco, e torno al penultimo livello del grafico, è
la perdita del pubblico potenziale che potrebbe vivere più da vicino, e ancora non lo fa, il
patrimonio culturale come realtà che avvicina se stessi al territorio in cui si trascorre la vita e
che dovrebbe frequentare biblioteche, andare a teatro, ascoltare musica o recarsi nei musei
come pratica indispensabile della propria esistenza. Rammento a questo proposito l’esperienza del servizio educativo de L’Aquila a seguito del terremoto del 2009, e lo faccio collegandomi all’intervento di poco fa. Consapevoli di come fosse importante riavviare il rapporto
tra scuole e patrimonio culturale, inteso come ricostruzione di un rapporto con l’identità di
sé che sembrava completamente perduta, chiedemmo il sostegno di tutta la rete dei servizi
educativi per riallestire la biblioteca del servizio educativo de L’Aquila andata completamente
distrutta e permettere alla responsabile, Maria Antonietta Cianetti, di ricominciare la sua attività con le scuole. Un’esigenza forte che muoveva da alcuni segnali preoccupanti: la perdita
dell’abitudine alla curiosità, alla conoscenza, quasi una sonnolenza della mente che la scuola
da sola non può risolvere. L’attività è ripresa, con altri modi e con altri mezzi, certo, ma ancora con lo stesso obiettivo di fondo: esserci come testimonianza istituzionale che fa ‘parlare’
il bene, che da solo, e per semplice osservazione diretta non è certo in grado di ‘esprimere’
tutti i suoi contenuti. Esserci per aiutare i ragazzi a crescere, a comprendere, conoscere, a
divenire cittadini responsabili.
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