Lo scoglio dell`immigrazione Gilda Lyghounis per www

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Lo scoglio dell`immigrazione Gilda Lyghounis per www
Lo scoglio dell'immigrazione
Gilda Lyghounis per www.osservatoriobalcani.org
Farmakonisi, uno scoglio nel mezzo dell'Egeo dove duemila anni fa Giulio Cesare fu
prigioniero dei pirati. Oggi, l'isolotto disabitato è luogo di approdo degli immigrati
clandestini prima che vengano trasferiti nei sovraffollati centri di accoglienza greci.
Su questo scoglio in mezzo all’Egeo, Giulio Cesare è stato prigioniero per un mese. A
Farmakonisi, un isolotto disabitato del Dodecanneso greco a otto miglia nautiche dalla costa
anatolica, il futuro dictator ha passato 38 giorni in mano ai pirati, che lo avevano catturato
insieme alla sua nave e trascinato nel loro nido d’aquila.
Spaventato il ventiseienne Giulio? Niente affatto. Costringeva i carcerieri ad ascoltarlo mentre
declamava poesie. Era il 74 avanti Cristo e Cesare era capitato nel Mediterraneo orientale per
amore, dopo essersi rifiutato di ripudiare la bella Cornelia, figlia di Cinna, uno dei leader del
partito avverso a Silla, il tiranno che in quegli anni faceva il bello e il cattivo tempo a Roma.
Disobbedire ai suoi ordini era costato al promettente ufficiale la condanna a morte e la confisca
della dote della moglie, pena mutata nell’esilio in Oriente per intervento di amici comuni.
Proprio durante questo servizio militare così lontano dall’Urbe si era trovato faccia a faccia con
i predoni del mare che per secoli hanno infestato l’Egeo: “Vogliamo venti talenti per lasciarti
libero” gli intimarono, come racconta Plutarco nella Vita di Cesare. E lui, sprezzante davanti a
quella misera cifra, perché i pirati non avevano capito su quale nobile rampollo avevano messo
le mani, ne promise il doppio. Tanto, una volta libero si sarebbe vendicato noleggiando una
flotta nella vicina città di Mileto, per inseguirli e impalarli uno a uno. Ma adesso, mentre
aspettava che i suoi fidi servitori raccogliessero il riscatto fra i conoscenti, era deciso a godersi
la prigionia in uno scenario selvaggio e bellissimo: come non sentirsi ispirati a recitare
monologhi teatrali, su questo palcoscenico di onde e vento, con lo sfondo di due torri di
guardia che ancora oggi domina l’isola e che anche Cesare doveva certamente vedere, dal
momento che il castello aveva già 300 anni quando il futuro dittatore arrivò qui?
Da allora sono passati più di due millenni, a Farmakonisi non si vede più l’ombra di un pirata.
Al massimo quella di qualche pecora sui frammenti di mosaici paleocristiani vicino al molo, o
dei pochi turisti arrivati con un caicco da Leros per una gita in giornata. L’ultimo abitante, tale
Christos Manoliodis, è morto nel 1966. Ma da qualche anno a Farmakonisi, come nella vicina
Agathonisi, si vedono altre vittime dei predoni del mare: gli immigrati clandestini, portati lì
dagli scafisti, i pirati del XXI secolo.
Solo ad Agathonisi, dove ci sono 112 abitanti, due maestri per 4 scolari ed una capitaneria di
porto attiva, da gennaio sono approdati più di 2000 richiedenti asilo politico (molti arrivano
dagli isolotti greci adiacenti come Farmakonisi o Imia, famosi perché meta da anni, ma
soprattutto in questi giorni, di continui sconfinamenti nello spazio aereo ellenico da parte
dell’aviazione turca: perché Ankara rivendica questi scogli). Nel 2008 sono arrivati in 2500
disperati: il business del traffico di esseri umani è in continuo aumento. Del resto in tutta la
Grecia, secondo i dati del governo, nel 2008 si sono contati circa 140mila “arrivi”.
Ad Agathonisi approdano soprattutto dall’Africa subsahariana e dall’immensa Asia, in
un’Odissea che li porta attraverso deserti o steppe sterminate sulla costa turca. Da lì salire su
un canotto e attraversare otto miglia di mare è uno scherzo, se confrontiamo il ben più lungo e
pericoloso braccio di mare che altri immigrati affrontano per arrivare dalla Libia all’italiana
Lampedusa. Se vengono avvistati in mare dai pescherecci o dalle pattuglie militari greche,
fanno un taglio con un coltello sul canotto così vengono recuperati come naufraghi per la legge
del mare. Di morti annegati in un tragitto così breve non ce ne sono quasi mai. Naturalmente
questi aspiranti abitanti dell’Unione Europea prima di approdare come moderni Ulisse sulle
spiagge o di essere ripescati da una barca hanno già buttato a mare i propri documenti e
dichiarano tutti di essere originari di un Paese in guerra, per richiedere asilo politico.
“Visto che arrivano comunque, potemmo mettere noi una nave a trasportarli dalla Turchia a
qui: e incassare i mille euro a testa che gli scafisti e i loro mandanti chiedono a questi
poveretti” dichiara al quotidiano ateniese “Kathimerini” Vaggelis Kottoros, sindaco di
Agathonisi. “L’unica cosa che chiediamo è che li trasportino il più in fretta possibile nel
moderno centro di accoglienza immigrati di Samo. Non siamo razzisti: ma qui puntiamo ad
essere un paradiso turistico. Per questo abbiamo inscenato una protesta contro il governo che
fa troppo poco per risolvere questo problema”.
Tralasciamo che nei caffè di Agathonisi i turisti vengono spesso serviti da giovani afgani
sottopagati. Quanto alle autorità di Atene, al summit di Bruxelles a fine giugno il primo
ministro Kostas Karamanlis ha puntato il dito contro l’indifferenza di Ankara, che chiude
entrambi gli occhi sul passaggio lungo il proprio territorio di queste carovane di immigrati
illegali che vogliono passare dalle coste anatoliche in Grecia, avendo scovato in questo modo
una via più rapida per entrare in Eurolandia. “Le posizioni della Grecia sono state
assolutamente recepite dagli altri Paesi membri - ha dichiarato il premier ellenico – sono
d’accordo con noi sulla necessità di sensibilizzare e fare pressione sulla Turchia in merito al
problema dell’immigrazione clandestina, in quanto candidata a entrare nella Ue”.
Ma torniamo agli isolotti meta degli immigrati. Da qui vengono portati nelle più grandi isole di
Samo o Chio, sempre nel Dodecanneso, dove ci sono due dei numerosi centri di accoglienza e
detenzione per immigrati illegali: gli altri Centri sono sparsi un po’ in tutta l’Ellade ma sono
concentrati soprattutto a Lesbo, isola nell’Egeo nord orientale sempre di fronte alla Turchia
dalla quale nel 2008 sono passati 12mila clandestini arrivati dalla Somalia, dall’Afghanistan,
dall’Iran, dalla Palestina e da altri Paesi dai quali l’unica speranza di vita era fuggire. Oppure i
Centri si trovano nella zona di confine terrestre fra Grecia e Turchia lungo il fiume Evros in
Tracia, ad Atene e a Patrasso, altro grande punto di attrazione degli immigrati che non
vogliono restare in Grecia ma puntano ad andare nascosti in un Tir su qualche traghetto in
Italia e poi in Francia, Germania o in Inghilterra. A Patrasso c’è ormai una “città nella città” di
migliaia di disperati, ammassati anche in baracche fuori dal controllo della polizia: una volta
erano soprattutto curdi, ora prevalgono gli afgani.
Secondo un recente rapporto di Medici senza frontiere, sezione ellenica, le condizioni di vita nei
Centri di detenzione sono disumane: le persone dormono in ripostigli sovraffollati. Senza
assistenza medica neppure per donne e bambini, senza acqua calda. Un altro esempio?
Secondo il quotidiano comunista “Rizospastis”, i cui giornalisti hanno visitato il Centro di
detenzione di Elliniko, nei sobborghi di Atene, più di 100 profughi sono ammassati in 7 celle:
“Se si alzano in piedi non c’è posto per tutti!”. Per ora è in programma l’apertura, entro la fine
del 2009, di altri tre Centri ad Aspropyrgos, vicino ad Atene, a Ritsona sull’isola Eubea, e un
ennesimo centro ancora nella “bollente” regione del fiume Evros. Perché, sempre secondo
Medici senza frontiere, mentre il traffico di esseri umani dalle coste del Terzo mondo verso
l’Italia e la Spagna sta diminuendo, quello verso la Grecia via Anatolia è in pieno boom.
Secondo la legge ellenica, una volta arrestato un immigrato senza documenti, la polizia lo può
trattenere fino a tre mesi in uno di questi centri se ritiene che la persona costituisca un
pericolo per l’ordine pubblico. Altrimenti, una volta consegnatogli il foglio di via, questi ha
tempo 30 giorni per lasciare il Paese per tornare al proprio, cosa che - esattamente come in
Italia - non avviene mai. Quanto allo status di asilo politico, è stato accordato solo a 8 persone
su 25mila che ne avevano fatto richiesta nel 2007.
Molti immigrati, dicevamo, sognano solo di entrare in Grecia per poi disperdersi per la vasta
Europa. Altri restano nell’Ellade. Con conseguenti “lotte fra poveri” fra neo arrivati e immigrati
di vecchia generazione a tutto vantaggio dei datori di lavoro, che nel migliore dei casi sono
agricoltori, famiglie che hanno bisogno di una badante o costruttori edili, nel peggiore membri
della criminalità organizzata. Prendiamo ancora l’esempio di Samo: i custodi del locale Centro
di detenzione (considerato da una missione dell’Europarlamento un “Centro modello” in
confronto agli altri della Grecia e a quello di Lampedusa in Italia, oltre che a quello di Ceuta
nell’enclave spagnola in Marocco) accordano agli agricoltori samioti il permesso di assoldare,
ogni mattina, per una giornata di lavoro gli “ospiti” del Centro, a patto di riportarli indietro
entro sera. Gli immigrati vengono così pagati 15 euro al dì per raccogliere le olive, contro i 5060 euro al dì che ricevevano i “vecchi” immigrati albanesi arrivati qui negli anni Novanta.
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