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Azienda Pubblica 2.2009 Teoria ed esperienze di management Rivista trimestrale anno XXII numero 2 aprile • giugno 2009 Sommario Editoriale ELIO BORGONOVI Il diritto dovere di valutare e premiare il merito nelle amministrazioni pubbliche 199 ANTONIO BOTTI, MASSIMILIANO VESCI Il piano strategico della città come strumento di governance: potenzialità e criticità 205 FRANCESCA MANES ROSSI L’analisi della solvibilità negli enti locali alla luce di Basilea 2 231 GIANFRANCO REBORA, MATTEO TURRI La governance del sistema universitario in Italia: 1989-2008 259 Saggi Esperienze innovative LUCA DEL BENE, STEFANO MARASCA Misurare le performance per migliorare la gestione: il caso della Provincia di Ancona 285 PAOLO RICCI, TIZIANA LANDI La governance delle società per azioni dei servizi pubblici locali: attualità e prospettive 311 ROBERTA SANTOPIETRO Il sistema contabile della Commissione europea 335 Fonti di approfondimento GIULIA CAPPELLARO, CORRADO CUCCURULLO, MARTA MARSILIO Public private partnership: un’analisi bibliometrica 357 Spoglio riviste 383 In libreria 385 197 Direttore responsabile Paolo Maggioli Direttore Elio Borgonovi Condirettore Renato Mele Coordinatore editoriale Nicola Bellé [email protected] Comitato Editoriale Luca Brusati Alessandro Capocchi Enrico Guarini Marco Ferretti Andrea Francesconi Rosalba Martone Filosa Antonio Nisio Daniela Preite Massimo Sargiacomo Ileana Steccolini Segreteria di redazione Silvia Tanno Comitato scientifico (riportato nell’ultima pagina) Redazione Milano 20136 Via Röntgen, 1 Tel. 02-5836.2600/5297 Fax 02-5836.2598 [email protected] Comitato di indirizzo Luca Anselmi Elio Borgonovi Ferdinando Canaletti Renato Mele Marcella Mulazzani Riccardo Mussari Gianfranco Rebora Condizioni di abbonamento 2009 Il prezzo di abbonamento alla rivista “Azienda Pubblica” è di Euro 106,00 Il prezzo di una copia è di Euro 37,00 Il prezzo di una copia arretrata è di Euro 39,00 I prezzi sopra indicati si intendono Iva inclusa. Il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli s.p.a., Periodici, Via del Carpino, 8 - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN). La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie. L’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno. La Casa Editrice comunque, al fine di garantire la continuità del servizio, in mancanza di esplicita revoca, da comunicarsi in forma scritta entro il trimestre seguente alla scadenza dell’abbonamento, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non è comunque valida se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo. 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Rivista Accreditata AIDEA Editoriale Il diritto dovere di valutare e premiare il merito nelle amministrazioni pubbliche Elio Borgonovi La valutazione di qualsiasi istituzione è un dovere per tutti, secondo le diverse posizioni e responsabilità, in quanto essa è il processo tramite cui si esprime un giudizio sulla capacità di raggiungere i propri fini e costituisce stimolo al continuo miglioramento. Nello schema del rapporto tra singoli cittadini e altri soggetti giuridici e istituzioni pubbliche, la valutazione è anche un diritto, in quanto consente di esprimere un giudizio sul rispetto del principio di equilibrio e di equità tra poteri sovraordinati tipici della istituzione pubblica e garanzia delle persone fisiche e giuridiche private che tali poteri siano effettivamente esercitati nell’interesse generale/pubblico e non per perseguire interessi particolari. Oggi il processo di valutazione delle amministrazioni pubbliche è ancor più rilevante rispetto al passato, poiché oltre alla dimensione istituzionale (equilibrio diritti-doveri nel modello di Stato di diritto) e quella del confronto di diverse concezioni della società tramite processi politici di tipo democratico (dimensione politica), esiste una significativa dimensione economica, ossia di sostenibilità del processo di sviluppo. Esso, infatti, si è realizzato storicamente tramite una evoluzione che può essere sintetizzata in modo semplice, ma non semplicistico, nei seguenti termini. L’aumento della produttività nello svolgimento delle attività primarie, caccia, pesca, agricoltura, pastorizia, ecc. ha consentito durante i secoli di accrescere la capacità di rispondere ai bisogni primari di un numero crescente di persone, alle diverse comunità (famiglie in senso allargato, villaggi, tribù, ecc.) di soddisfare anche i bisogni di persone che non erano in grado di farlo autonomamente. Oppure, l’aumento di produttività nello svolgimento delle attività primarie ha consentito di acquisire una forza militare per difendersi da altre popolazioni o per estendere il proprio potere e dominio su di esse. Oppure, ancora, ha consentito di dedicare tempo e risorse a espressioni culturali o alla costruzione di opere di ingegno o di opere d’arte che oggi costituiscono il patrimonio archeologico e culturale di molte nazioni. Passando a tempi più recenti, si può rilevare che l’aumento della produttività delle attività del settore primario (tipicamente agricoltura e allevamento) dell’economia ha generato quel surplus di risorse che ha consentito di trasformare le scoperte della scienza nella messa a punto di macchine e di strumenti tramite cui aumentare la capacità di produrre beni già esistenti, o nuovi in quanto non presenti in natura, in numero sempre maggiore e a costi sempre minori. Si tratta del fenomeno della rivoluzione industriale (produzione di beni a mezzo di beni) e della seconda rivoluzione industriale (definita anche rivoluzione dell’innovazione tecnologica) degli ultimi trenta-quaranta anni che ha aumentato enormemente la capacità di rispondere a bisogni antichi (primari) e a bisogni nuovi per una popolazione sempre più ampia. A sua volta, l’aumento della produttività del settore industriale-manifatturiero di beni materiali (commodities nella terminologia anglosassone) ha creato le condizioni affinché un numero sempre più rilevante di persone potesse dedicarsi ad attività di produzione di “beni immateriali”, di svolgere attività innovative (quali la consegna a domicilio di beni o il collegamento a distanza, via voce e poi con l’immagine, lo scambio di informazioni e i collegamenti in rete. Si è sviluppata la cosiddetta economia dei servizi. Nell’attuale società, appare così ancora più evidente che i problemi critici sono sempre meno quelli della produzione di beni utili a soddisfare bisogni anche crescenti, ma quelli: 199 Azienda Pubblica 2.2009 Editoriale a) del corretto uso dei beni e dei servizi disponibili, aspetto dell’aumento della razionalità dei consumi (privati e pubblici) e della produttività dei consumi, intesa come livello di benessere prodotto in rapporto alla ricchezza, ai beni utilizzati, ecc.; b) della distribuzione delle opportunità di soddisfare bisogni, aspetto della concentrazione della ricchezza visto non solo nella dimensione etica o ideale-ideologica dell’equità, ma anche nella dimensione di sostenibilità dello sviluppo nel futuro; c) della tutela dell’ambiente, aspetto della sostenibilità ambientale; d) dei limiti posti dall’uso di risorse non rinnovabili, ad esempio energia, e della ricerca di fonti rinnovabili, oltre che non inquinanti. La valutazione delle amministrazioni pubbliche si pone su quest’ultimo fronte e risponde alla duplice domanda: a) quali sistemi attuare per fare in modo che le risorse messe a disposizione della comunità, in forma coattiva tramite i tributi, o in forma volontaria tramite prezzi pagati per servizi pubblici utilizzati invece di quelli privati (esempio trasporti) o tramite prestito agli enti pubblici, siano utilizzate per migliorare le generali condizioni di vita e di benessere di individui e di intere comunità? b) Come garantire che le risorse “pubbliche” siano utilizzate per costruire infrastrutture e per erogare servizi di qualità elevata ed efficienti, tali da aumentare la produttività di imprese, la loro competitività a livello internazionale e tali da stimolare comportamenti di consumi privati e pubblici maggiormente sostenibili (esempio raccolta differenziata dei rifiuti, acquisto di bevande confezionate in contenitori biodegradabili, riutilizzo di bottiglie o contenitori per l’acquisto di generi alimentari e altri prodotti distribuiti periodicamente in appositi punti), stili di vita che prevengano e impediscano l’insorgere di malattie che comporterebbero costi elevati per la tutela della salute? Sull’esigenza di introdurre, dove non esistono, o di rendere più rigorosi e razionali, dove già esistono, i sistemi di valutazione del settore pubblico, agiscono stimoli forti ed è presente un ampio accordo, anche se non vanno sottovalutate le resistenze e il potere ostacolante di chi a parole si dice favorevole e nei fatti è contrario, perché vede il rischio della messa in discussione di privilegi acquisiti nel tempo. In questo il Ministro Brunetta troverà un largo consenso. Tuttavia, il tema non è semplice da applicare nel concreto per una serie di motivi che dovranno essere attentamente considerati. Innanzitutto, occorre chiarire cosa si valuta, poiché nel dibattito pubblico, nella percezione delle persone, molte volte anche nelle ricerche e nelle indagini di carattere scientifico, si confonde, o comunque non è esplicitato chiaramente, se si intende valutare le politiche (capacità della classe politica di affrontare i problemi della società con le corrette priorità) la funzionalità degli apparati amministrativi (dei Ministeri, degli Assessorati), la qualità e la professionalità delle persone, a sua volta spesso distinta implicitamente o esplicitamente nella componente della dirigenza pubblica o di tutto il personale pubblico. Certamente la qualità degli amministratori di carica politica (a livello locale, regionale, nazionale e anche sovranazionale) influenza i livelli di efficacia delle amministrazioni, intese come sistemi di persone che, sulla base di conoscenze, competenze e capacità professionali, svolgono funzioni pubbliche o di pubblico interesse, regolano il comportamento di privati, Azienda Pubblica 2.2009 200 Editoriale esempio di soggetti privati che erogano servizi per conto delle amministrazioni, verificano il rispetto non solo delle leggi, ma anche di altre regole, ad esempio la corretta esecuzione degli appalti. Tuttavia, non va dimenticato che la funzionalità delle singole amministrazioni e di interi comparti dell’amministrazione pubblica (enti locali, sanità, giustizia, ecc.) è spesso condizionata da leggi obsolete (a volte vecchie di decenni e che regolano una realtà che non esiste più), da pressioni esterne. A volte si manifesta addirittura la contraddizione di interventi che, avendo una finalità positiva, ad esempio di rendere più trasparente l’attività amministrativa o di ridurre i livelli di sprechi tramite il blocco generalizzato (totale o parziale) delle assunzioni e del turnover, rendono più complessa l’attività amministrativa. Ad esempio, norme sulla trasparenza non coordinate con norme sulla semplificazione della raccolta e trasmissione delle informazioni, o blocco delle assunzioni generalizzato, impediscono a certe amministrazioni di sostituire persone dotate di professionalità specifiche e uniche nell’ente e, quindi, causano la riduzione dei i livelli di funzionalità. Se, poi, si considera la valutazione delle persone, si deve sottolineare che essa dovrebbe essere basata su sistemi in grado di distinguere: a) la professionalità intrinseca della persona (manager pubblico o altra figura professionale); b) le condizioni dell’amministrazione in cui la persona opera (ad esempio in un ente in equilibrio economico sostanziale, in un ente in dissesto, in un ente con personale motivato e qualificato o in un ente in cui prevale personale non professionale, non motivato e, in molti casi, “protetto” sul piano politico). Valutare e, ancor più, mettere a confronto persone che operano in contesti molto differenti, può portare a risultati completamente diversi, se non opposti, a quelli desiderati. Certamente non è facile definire sistemi di valutazione in grado di distinguere tra le componenti sopra indicate. Non è casuale il fatto che H. Minzberg, M. Porter e altri studiosi di management e di organizational theory considerino quelle pubbliche come le organizzazioni “a più elevata complessità in assoluto”. Tuttavia, queste considerazioni dovrebbero suggerire a chi scriverà i Decreti sulla valutazione e a tutti coloro che vorranno introdurre seriamente sistemi di valutazione di non fare affidamento su strumenti semplicistici, spesso abbandonati da decenni dalle imprese perché errati e generatori di distorsione, come sono i sistemi della tipologia “valutazioni sulla base del paradigma dei tempi e metodi”, di utilizzare con determinazione, trasparenza, ma altrettanto controllo, questi sistemi. Inoltre, al contrario di quanto comunemente si crede, almeno negli ultimi due decenni, un certo numero di enti ha introdotto, sperimentato e applicato sistemi di valutazione dei propri risultati e del proprio personale che nulla hanno da invidiare a quelli delle best practices di imprese o di amministrazioni di altri Paesi. Studiarli a fondo e attivare processi di “trasferimento ad altre amministrazioni” sarebbe la prima cosa da fare. (1) Con riferimento al funzionamento, vari sono gli aspetti che possono essere valutati. La quantità o qualità dei servizi erogati in rapporto ai bisogni reali. Come ad esempio, il numero dei certificati anagrafici o di stato civile, considerando anche il tempo di attesa medio, minimo o massimo dei cittadini; il numero di autorizzazioni e certificazioni per le imprese, anche in questo caso qualificato dal tempo di attesa; il numero e la qualità degli interventi per la pulizia dei 1 Per chi ha adottato e adotta tali strumenti di valutazione, trovare il modo per farli conoscere e inviare articoli ad Azienda Pubblica può essere uno dei canali per raggiungere l’obiettivo. 201 Azienda Pubblica 2.2009 Editoriale luoghi pubblici, per la sicurezza, di interventi di diagnosi e cura appropriati (nel caso di strutture sanitarie), di controlli igenico-sanitari sugli alimenti, di fondi erogati a sostegno di persone o famiglie in stato di disagio o a favore di imprese in fase di avvio, per favorirne lo sviluppo, o per consentire loro di affrontare e superare periodi di crisi, come quello attuale. Si può, invece, valutare la soddisfazione di cittadini, di imprese e di altri soggetti che interagiscono con le amministrazioni pubbliche. È uno degli aspetti posti al centro dell’attenzione dal Ministro Brunetta che collega elementi oggettivi, effettiva qualità dei servizi e rispondenza ai bisogni, con elementi soggettivi, esempio attese dei cittadini o delle imprese che, a volte, si aspettano dall’amministrazione servizi che non rientrano nelle sue funzioni o che non è in grado di erogare per vincoli vari (esempio non ha i poteri formali di intervenire su certi comportamenti). A volte, il livello di soddisfazione/insoddisfazione nei confronti delle amministrazioni dipende da comportamenti di altri soggetti, nei casi limite da comportamenti degli stessi soggetti che si dichiarano insoddisfatti, come nel caso di chi lascia l’auto in sosta (anche se temporanea) in seconda fila e allo stesso tempo si lamenta per la congestione del traffico, o nel caso di imprese che (pur adeguatamente informate e supportate) non presentano tutta la documentazione richiesta e poi si lamentano dei “tempi lunghi della burocrazia”. Certamente la rilevazione, con strumenti sempre più adeguati, del livello di soddisfazione è un necessario passo in avanti nella logica di una amministrazione che deve “essere al servizio” della società. Rilevazioni che devono consentire comparazioni con altre amministrazioni simili e nel tempo (evoluzione), ma che devono essere attentamente valutate prima di trarne giudizi e prendere delle decisioni. Ad esempio, verificare, con opportuni strumenti, che non vi siano distorsioni strutturali, quali il fatto che fanno sentire la propria voce solo o prevalentemente i soggetti insoddisfatti, mentre quelli soddisfatti non si preoccupano di segnalarlo, poiché “ritengono naturale aver ottenuto un certo servizio”. È simile a quanto accade nelle manifestazioni di protesta, motivate o pregiudiziali, nelle quali poche centinaia o poche migliaia di persone organizzate sembrano o si autodefiniscono espressione di insoddisfazione generalizzata, quando invece la larga maggioranza della popolazione (la cosiddetta “maggioranza silenziosa”) di fatto è o si ritiene almeno sufficientemente soddisfatta. Nei confronti tra diverse realtà, poi, occorre tenere conto delle diverse culture e dei diversi atteggiamenti riguardo all’intervento pubblico. C’è chi ha attese molto elevate in rapporto a quanto egli fa per favorire la tutela degli interessi pubblici e chi ha attese “più equilibrate” in rapporto alle difficoltà oggettive. Le popolazioni del primo tipo tenderanno ad esprimere livelli di insoddisfazione mediamente e strutturalmente più elevati dei secondi a parità di qualità dei servizi e di efficienza. Va considerata con favore la politica di rilevare il livello di soddisfazione dei cittadini, delle imprese, di altri soggetti, ma si suggerisce di utilizzare la prima fase di questo processo per capire ed eliminare le possibili distorsioni o uso strumentale delle informazioni. Si auspica, soprattutto, che nella prima fase in cui il sistema non è ancora ben radicato, si evitino le “classifiche” dei più bravi e dei meno bravi che, si ripete, potrebbero dare una rappresentazione distorta della realtà e si suggerisce di utilizzare queste rilevazioni soprattutto per analisi interne finalizzate a migliorare il servizio. La valutazione dell’amministrazione, poi, può riguardare i risultati economico-finanziari, aspetto particolarmente rilevante in questa fase storica per la necessità di rispetto del patto di stabilità e negli ultimi mesi a causa dell’effetto combinato della crisi economica: minori entrate per la riduzione del Pil e dei redditi soggetti a tassazione e aumento della pressione per utilizzare la spesa pubblica con finalità anticiclica. Molte sono le considerazioni che si possono fare al riguardo. Come valutare un positivo equilibrio economico-finanziario e, indirettamente, come Azienda Pubblica 2.2009 202 Editoriale valutare i dirigenti e gli amministratori pubblici, in realtà dissestate che hanno ottenuto rilevanti miglioramenti senza raggiungere situazioni di equilibrio, rispetto a dirigenti e amministratori che hanno agito in situazioni già solide o, comunque, meno problematiche? Come valutare chi ottiene l’equilibrio economico-finanziario agendo su livelli di efficienza interna e, quindi, mantenendo (o addirittura aumentando) i livelli di servizi, e chi ottiene l’equilibrio cercando di individuare ed eliminare servizi non appropriati, inutili o di scarsa utilità e chi, invece, persegue e ottiene l’equilibrio economico-finanziario ricorrendo a “tagli indiscriminati e omogenei di spesa”? Occorre, poi, richiamare l’attenzione sul fatto che, come avviene anche nelle imprese, si possono adottare politiche che consentono di raggiungere l’equilibrio di breve periodo, ma trasferiscono al futuro problemi e vincoli di rigidità o invece perseguire e raggiungere l’equilibrio nel breve periodo tenendo presenti le esigenze di mantenere un equilibrio anche nel lungo periodo. L’orientamento all’equilibrio di breve o di medio-lungo periodo può caratterizzare sia la dirigenza, per motivi di carriera o per differenti professionalità, sia gli amministratori di carica politica, per ragioni di consenso elettorale. Sono noti, anche dall’esperienza di imprese, banche, famiglie, assicurazioni non profit, i problemi e le gravi crisi causate da sistemi di valutazione e da conseguenti decisioni eccessivamente orientati a risultati (di servizi, di soddisfazione, di equilibrio economico-finanziario) di breve periodo. Nelle amministrazioni pubbliche logiche e strumenti di valutazione non bilanciati ed eccessivamente orientati al breve, possono di fatto, anche se non nelle intenzioni, ostacolare scelte di riforme strutturali i cui effetti si manifestano solo nel medio-lungo periodo. A seguito della limitata attenzione data finora all’aspetto della valutazione rispetto a quello della programmazione e della definizione (promessa) di obiettivi, oggi ci si trova in una situazione che si può definire “l’incudine”, attuare riforme e scelte strutturali, e “il martello”, necessità comunque di applicare sistemi di valutazione in grado di esprimere giudizi equilibrati sulle performance di breve periodo per mettere in crisi, e possibilmente eliminare, la cultura dell’autoreferenzialità che ancora caratterizza una parte troppo estesa delle amministrazioni pubbliche, anche se non mancano e non sono pochi gli esempi di amministrazioni pubbliche che da anni usano sistemi di valutazione dei vari aspetti sopra ricordati, alcuni dei quali potrebbero essere presi da esempio anche da imprese e da realtà del privato. Le tecniche e i processi di valutazione, sono condizionati dal fine prescelto che può essere quello di: a) riconoscere e premiare, anche sul piano economico tramite la componente di “retribuzione legata ai risultati”, dei dirigenti e di altre posizioni organizzative; b) realizzare migliori processi di progressione economica, all’interno delle fasce di inquadramento o di carriera; c) individuare, far emergere e valorizzare persone dotate di alto potenziale che, non di rado, nelle amministrazioni pubbliche rappresentano “risorse sprecate” poiché non accettano logiche di schieramento, di appartenenza o, più semplicemente, perché fanno con impegno e dedizione il proprio dovere senza preoccuparsi di mettersi in mostra o di privilegiare l’apparenza rispetto all’essere e all’operare. Al riguardo si sottolinea che efficaci sistemi di valutazione devono supportare sistemi di incentivazione economica mirati e selezionati, superando la consuetudine ancora presente in molte amministrazioni di “distribuzione a pioggia” o a “rotazione programmata” della retribuzione di risultati. Per essere efficaci i sistemi di valutazione e di incentivazione devono premiare i singoli, 203 Azienda Pubblica 2.2009 Editoriale ma allo stesso tempo devono evitare di diffondere anche nelle amministrazioni la cultura del “rampantismo” che ha causato non pochi e non marginali danni a molte imprese e all’economia di mercato. Occorre ricordarsi sempre che i risultati di una istituzione, di una azienda pubblica o privata, dipendono dal contributo di ogni singola persona, ma anche dalla collaborazione tra persone che appartengono allo stesso servizio, unità organizzativa, direzione, Comune, Provincia, Regione, Ministero, altra amministrazione. Di conseguenza, i sistemi di valutazione e di collegati riconoscimenti economici e non economici devono premiare i singoli, il che è positivo anche per coloro che, in un dato periodo, non ottengono riconoscimenti poiché costituisce stimolo al miglioramento. Tuttavia, occorre applicare sistemi di valutazione o di motivazione idonei a riconoscere e a premiare elementi di collaborazione tra persone, tra unità organizzative. Ad esempio, introducendo e dando un coerente peso ai cosiddetti “obiettivi trasversali”, ossia che sono raggiungibili e raggiunti solo se vi è un elevato spirito di collaborazione. I sistemi di valutazione e di correlata motivazione devono essere tali da stimolare contemporaneamente lo spirito di emulazione e la volontà di continuo miglioramento dei singoli e da rafforzare il senso del lavoro di équipe e di appartenenza. Se non si è in grado di trovare un soddisfacente equilibrio, che è diverso nelle diverse amministrazioni, si rischia di generare quello che può essere definito “schizofrenia organizzativa” o “stress da valutazione”. Ognuno cerca di ottenere valutazioni (e incentivi) individuali dando sempre limitato peso a quegli aspetti dell’amministrazione che richiedono forte coordinamento e collaborazione. L’effetto finale potrebbe paradossalmente essere il miglioramento dei singoli servizi o aree di attività, ma il peggioramento complessivo della funzionalità dell’amministrazione. Il rischio connesso al ricorso a sistemi di valutazione troppo semplicistici e immediati rispetto alla complessità oggettiva, soggettiva, istituzionale, politica delle amministrazioni pubbliche potrebbe dare una ulteriore conferma di uno dei postulati matematici: in un sistema, la somma degli ottimi parziali non costituisce l’ottimo del sistema stesso. Azienda Pubblica 2.2009 204 Saggi Governance e pianificazione strategica Il piano strategico della città come strumento di governance: potenzialità e criticità Antonio Botti Ricercatore presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università di Salerno Massimiliano Vesci Ricercatore presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università di Salerno SOMMARIO: 1. Premessa: gli obiettivi del lavoro. 2. Base di partenza scientifica: il quadro teorico di riferimento e le ipotesi di ricerca. 3. L’oggetto dell’indagine. 4. La metodologia della ricerca. 5. L’organizzazione e lo sviluppo dell’indagine. 6. La descrizione del fenomeno: rete naturale o governata? 7. I meccanismi di stimolo all’attuazione delle decisioni. 8. Il processo di negoziazione. 9. Il processo di comunicazione. 10. Conclusioni. Appendice. Il mutamento del contesto competitivo ha indotto molte città (sia europee che italiane) a progettare il proprio futuro attraverso la redazione di un piano strategico. Il lavoro si propone di analizzare, basandosi sulle esperienze italiane, alcune problematiche di governance che si riscontrano nella formulazione e nella implementazione di un piano strategico territoriale. Le problematiche sono analizzate ipotizzando che i soggetti che partecipano al processo di costruzione, prima, e alla implementazione, poi, di un piano strategico si muovano secondo logiche di network dando luogo ad una configurazione organizzativa “a rete”. In the last decade, changes in the competitive environment have led a lot of municipalities to plan their activities by the formulation of a strategic plan. The paper analyzes the characteristics of “governance” during the process of elaboration and implementation of the plan. The work focuses on the Italian experience. The hypothesis is that the stakeholders involved in the planning process create a network organization with their behaviours. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno – Università degli Studi del Sannio, giugno 2008. Pur essendo l’intero lavoro frutto di uno sforzo congiunto, i §§ 2, 3, 7 sono stati redatti da Antonio Botti, i §§ 4, 5, 6, 8, 9 da Massimiliano Vesci e i §§ 1 e 10 da entrambi gli autori. Il presente lavoro è un risultato delle attività di ricerca svolte nell’ambito dei seguenti progetti presso l’Università degli Studi di Salerno: 1. “Il ruolo dei processi di programmazione e controllo nella managerializzazione della pubblica amministrazione” ex 60% anno 2007; 2. “Analisi delle condizioni di ambiente interne ed esterne a supporto dell’intensità manageriale nella pubblica amministrazione”, ex 60% anno 2007 Parole chiave: governance – reti – pianificazione strategica Key words: governance – network – strategic planning 205 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica 1. Premessa: gli obiettivi del lavoro La globalizzazione dei mercati, il processo di integrazione europea, la devoluzione dei poteri dal centro verso la periferia sono solo tre dei fenomeni che stanno contribuendo a ridefinire il ruolo dello Stato, rinforzando i livelli locali di governo. Il mutamento del contesto competitivo è certamente uno dei fattori che hanno indotto un certo numero di città a progettare il proprio futuro attraverso la redazione di un piano strategico. Questo strumento è stato utilizzato sia in aree caratterizzate da esigenze di riconversione, conseguenti alla crisi di alcune attività economiche (è questo il caso delle città di Amburgo, Birmingham, Liverpool e Manchester), sia in città molto dinamiche chiamate ad affrontare problemi di forte competizione internazionale (come Lione, Barcellona, Amsterdam e Torino). In Italia, l’introduzione del piano strategico come strumento di governance ha visto anche la creazione di una rete (www.recs.it) tesa a favorire la condivisione delle esperienze e lo scambio delle good practices. La progettazione del futuro di una città o di un territorio attraverso l’articolazione di un piano strategico, che i promotori spesso definiscono come “un atto di condivisione”, tra una molteplicità di attori, “di un futuro desiderato per il territorio”, attiva logiche di governance diverse rispetto al tradizionale paradigma verticistico, che prevede la definizione degli interventi secondo uno schema di tipo rigidamente top-down. Il presente lavoro si rifà al concetto di governance inteso come capacità dei governi di modellare strutture e processi socio-economici (Mayntz, 1999) in cui le relazioni tra autorità politiche e altri soggetti sono gestite adottando uno stile cooperativo e interattivo (Eljassen-Kooiman, 1993). Il lavoro si propone di analizzare, basandosi sulle esperienze italiane, alcune problematiche di governance che si riscontrano nella formulazione e nella implementazione di un piano strategico territoriale. Tali problematiche sono analizzate ipotizzando che i soggetti che partecipano al processo di costruzione, prima, e alla implementazione, poi, di un piano strategico si muovano secondo logiche di network dando luogo a una configurazione organizzativa “a rete”. (1) Il modello reticolare viene pertanto utilizzato come lente diaframmatica per leggere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i soggetti che partecipano alla pianificazione strategica della città al fine di verificare se nella realtà si riscontrano le caratteristiche peculiari che la teoria evidenzia per tale struttura organizzativa ovvero per analizzare se e quanto i processi e le strutture organizzative si avvicinano o si discostano dal framework teorico. I problemi che generalmente pone la formulazione e la successiva im- 1 In dottrina si riscontrano numerose posizioni che considerano la rete una forma organizzativa autonoma, distinta e non residuale rispetto al mercato e alla gerarchia (GRANDORI 1989, 1995, 1997; LORENZONI, 1990, 1997; SODA, 1998; RICCIARDI, 2003). Azienda Pubblica 2.2009 206 Saggi Governance e pianificazione strategica plementazione di un piano strategico di una città possono essere ricondotti ai seguenti aspetti (Cavenago, 2004; Mazzara, 2006): – attivazione e gestione della rete degli stakeholder; – coordinamento tra azioni, interventi previsti e dinamica finanziaria; – gestione delle misure e degli interventi; – controllo del grado di avanzamento del piano. 2. Base di partenza scientifica: il quadro teorico di riferimento e le ipotesi di ricerca L’ipotesi di base di questo lavoro è che la struttura organizzativa a rete sia il modello teorico cui si suppone possa essere ricondotto il processo di pianificazione che caratterizza la costruzione e l’implementazione dei piani strategici delle città. La scelta di analizzare il fenomeno della pianificazione strategica territoriale attraverso il modello reticolare discende dalla flessibilità del concetto di rete, che può essere agevolmente adattato a diverse situazioni (Barnes, 1972), nonché dalle potenzialità di tale modello che, come sottolinea Collins (1992), consente di coniugare la dimensione micro (comportamenti degli attori coinvolti) con quella macro (effetti economico-sociali). La rete nasce come strumento concettuale per descrivere ed esplorare le relazioni sociali nelle comunità, nei gruppi e nelle istituzioni. Tale modello è stato poi applicato allo studio delle relazioni tra imprese, portando parte della dottrina a considerarlo una specifica modalità organizzativa (cfr. nota 1). La vasta categoria di forme organizzative riconducibili al concetto di rete è stata studiata ipotizzando un continuum di assetti istituzionali, contrattuali e organizzativi che si pongono in posizione intermedia tra l’impresa integrata (gerarchia) e il mercato perfetto. (2) Gli studi, pertanto, si sono concentrati sullo sviluppo delle relazioni, sul potere decisionale, sugli strumenti di coordinamento e sulle differenze istituzionali e organizzative (Grandori, 1989, 1995, 1997; Grandori, Soda, 1995; Lorenzoni, 1997), proponendo diverse classificazioni (Soda, 1998) basate su specifiche variabili incentrate sull’intensità e la forza delle relazioni, sul grado di formalizzazione e sul tipo di interdipendenza. L’aspetto relazionale interessa le modalità di sviluppo della rete. Essa può essere promossa da un soggetto che assume una posizione baricentrica e svolge un ruolo di coordinamento: si parla in tal caso di rete centrata (Grandori, Soda, 1991; Ricciardi, 2003). In mancanza di un attore centrale, invece, la dottrina definisce la rete paritetica (Grandori, Soda, 1991) o simmetrica (Ricciardi, 2003). 2 Di impresa rete si parla sia con riferimento al caso di imprese giuridicamente autonome legate da vincoli associativi, sia nel caso di accordi di natura contrattuale, sia ancora nel caso di imprese che hanno una struttura proprietaria e organizzativa unica, ma che si articolano al loro interno in strutture con elevata autonomia (BUTERA, 1997). 207 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica Il potere decisionale è ricollegato al controllo proprietario detenuto dal soggetto che è al centro della rete (Soda, 1998) mentre gli strumenti di coordinamento (3) risultano differenziati in funzione di come si configurano i rapporti tra gli attori. Il coordinamento può essere formalizzato attraverso contratti di scambio o di associazione: è questo il caso della rete burocratica (Grandori, Soda, 1995), che può essere sia centrata che paritetica. Ai meccanismi di controllo burocratico spesso sono associati meccanismi sociali di coordinamento quali la fiducia, la condivisione delle informazioni e l’orizzonte temporale del rapporto (Soda, 1998). Queste ultime forme di reti, teorizzate da Barney e Ouchi (1985), presentano contemporaneamente meccanismi di coordinamento di mercato e sociali o di clan. Nella rete si ha, quindi, lo sviluppo di un rapporto collaborativo tra una pluralità di soggetti che cooperano verso il perseguimento di un obiettivo comune (Soda, 1998). Tale circostanza si riscontra anche nei casi esaminati di pianificazione strategica delle città in cui il coinvolgimento degli stakeholder è indicato come un obiettivo del processo. Gli elementi che formano una struttura reticolare sono costituiti da (Lomi, 1991, Butera, 1997): – – – – nodi o sistemi, rappresentati da entità orientate ai risultati; connessioni, ossia gli elementi che collegano i nodi; strutture, che sono la configurazione dei nodi e delle connessioni; proprietà operative, che sono le regole che disciplinano il funzionamento della rete. La progettazione delle relazioni da attivare tra i partner (connessioni) è un compito che ricade sul soggetto che governa il processo (nell’ipotesi di rete centrata), il quale definisce la quantità (frequenza) e la qualità (intensità) delle stesse (Boldizzoni, Serio, 1996). Tale soggetto, quindi, stabilisce il grado di apertura e di formalizzazione della struttura organizzativa e ne fissa le regole decisionali che rappresentano un elemento centrale nel funzionamento del sistema. Il soggetto che governa la rete deve, inoltre, assicurare la vitalità dei nodi, selezionando e sviluppando le connessioni critiche e individuando idonei meccanismi per far convivere una pluralità di soggetti che perseguono obiettivi specifici e personalistici (Butera, 1997). Rispetto al quadro teorico illustrato, il lavoro fa prevalentemente riferimento al modello elaborato da Butera (1997) dal momento che lo stesso è particolarmente focalizzato sul processo di costruzione della rete e sulle 3 Una classificazione dei meccanismi di coordinamento è proposta da GRANDORI e SODA (1991, 1995) che individuano le seguenti forme: – meccanismi istituzionali; – meccanismi contrattuali; – meccanismi organizzativi; – meccanismi sociali; – tecnologie di coordinamento. Azienda Pubblica 2.2009 208 Saggi Governance e pianificazione strategica configurazioni strutturali. Il modello peraltro riprende molti degli aspetti rilevanti evidenziati in dottrina e sinteticamente descritti in questo lavoro. In particolare, una architettura reticolare può assumere configurazioni diverse al cui interno si possono distinguere due categorie idealtipiche che Butera (1997) definisce: rete naturale e rete governata. La rete naturale si caratterizza per la presenza di agenti che hanno una elevata capacità di autoregolazione e per l’assenza di una struttura gerarchica unitaria (Butera, 1997) ed è assimilabile alla rete paritetica. La rete governata è invece assimilabile alla rete centrata, come la definisce altra parte della dottrina (Grandori, Soda, 1991; Ricciardi, 2003). Essa presenta uno o più centri intorno ai quali orbitano gli altri attori che, nella classificazione tassonomica proposta da Butera (1997, p. 58), assume le seguenti configurazioni: • a base gerarchica, in cui è dominante la struttura gerarchica interna, ma vi sono forti relazioni di influenza con gli altri soggetti; • a centro di gravità concentrato, in cui vi è una sola agenzia strategica che influenza gli altri attori; • con centri di gravità multipli, in cui il sistema ruota intorno a più agenzie strategiche, con relazioni di influenza complesse e variabili nel tempo; • senza centro, in cui manca una struttura centrale e l’identità del sistema è garantita dal territorio (distretti, filiere, ecc.). Da queste premesse è stata derivata la prima domanda di ricerca, che ha natura puramente descrittiva ed è finalizzata ad inquadrare il fenomeno indagato: D1) a quale configurazione teorica è possibile assimilare, in linea generale, l’insieme delle esperienze di pianificazione strategica delle città italiane? Effettuato tale inquadramento, è quindi possibile procedere all’analisi delle modalità rilevanti che caratterizzano il processo di assunzione delle decisioni nel fenomeno indagato. Nella sua analisi sui processi decisionali di natura politica Pettigrew (1973) critica il modello di Simon poiché ritiene eccessiva l’attenzione prestata al problema dell’incertezza e scarsa quella posta sul conflitto di interessi dei soggetti coinvolti. I processi decisionali di natura politica sono caratterizzati da negoziazioni di tipo competitivo, basate sulla forza, e di tipo cooperativo, basate sullo scambio (Mariani, 2003). Anche le decisioni assunte nelle organizzazioni sono il risultato dell’interazione dei vari attori coinvolti e richiedono, quindi, una mediazione tra gli obiettivi contrastanti portati da ciascuno. Il processo decisionale di natura organizzativa ha pertanto alcune caratteristiche della decisione politica e, di conseguenza, della decisione collettiva. Una delle due domande che March (1994) pone per interpretare il funzionamento di un sistema organizzativo come un siste209 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica ma politico può aiutarci nello studio di uno degli aspetti che questo lavoro affronta. Tale domanda riguarda il sistema di reclutamento dei partner e le modalità con cui sono definiti e fatti rispettare gli accordi. In particolare Hickson (1995) ha sottolineato come il problema principale delle decisioni collettive sia proprio quello dell’implementazione, ossia l’individuazione di meccanismi appropriati per indurre gli attori a mettere in atto le decisioni. Da queste posizioni della teoria è possibile quindi porre la seguente prima ipotesi: H1) l’attivazione di un processo di pianificazione che coinvolge una pluralità di attori dà luogo a un processo decisionale di natura collettiva che dovrebbe prevedere dei meccanismi tesi a stimolare l’attuazione delle decisioni. Accertata, con la domanda descrittiva D1, la sussistenza di configurazioni tendenzialmente reticolari, per verificare se le realtà analizzate hanno attivato processi coerenti con le affermazioni della teoria è possibile porre la seguente domanda di ricerca: D2) sono stati attivati meccanismi operativi tesi a indurre i soggetti alla realizzazione delle azioni programmate? La creazione di una rete porta di fatto alla nascita di una coalizione tra i partecipanti. La dottrina ritiene che le coalizioni siano strutturalmente instabili dal momento che richiedono (Mariani, 2003): a) un’attenzione continua degli attori verso gli obiettivi (tuttavia, dal momento che gli individui non sono macchine, tale attenzione risulta difficile da garantire nel tempo); b) una stabilità del contesto, che confermi nel tempo priorità e obiettivi (ipotesi questa chiaramente ed evidentemente poco realistica). Tale instabilità caratterizza anche le reti ove l’incoerenza tra gli obiettivi degli attori e il conflitto tra gli stessi è una situazione normale e non transitoria (Grandori, 1995). Si pone quindi il problema della costruzione di una identità organizzativa che cerchi di evitare che le preferenze individuali possano distorcere la decisione collettiva. Un meccanismo integrativo, capace di rendere governabili organizzazioni pluralistiche, che di recente ha ricevuto particolare attenzione dalla letteratura organizzativa (Mariani, 2003), è la negoziazione. Questa favorisce lo sviluppo, tra i partecipanti, di interconnessioni e della consapevolezza della loro interdipendenza. Negli studi organizzativi (Crozier, Friedberg, 1977; Grandori, 1991), la negoziazione non viene considerata un processo organizzativo, ma una forma di governo esplicita e accettata, che talora viene istituzionalizzata e formalizzata. La negoziazione si presenta, quindi, come una modalità per risolvere i problemi decisionali diversa dal mercato, dall’autorità e dalla guerra Azienda Pubblica 2.2009 210 Saggi Governance e pianificazione strategica (Raiffa, 1982). Sulla base di quanto si è appena rappresentato è possibile formulare la seguente seconda ipotesi: H2) la negoziazione è un meccanismo che facilita il governo di un processo decisionale che coinvolge una pluralità di attori. Per verificare questa ipotesi di ricerca viene posta la seguente domanda: D3) l’attivazione di un processo di negoziazione degli obiettivi agevola l’implementazione del piano? La gestione di una rete richiede l’attivazione di idonei meccanismi organizzativi. Butera (1997) sostiene che una organizzazione reticolare per funzionare abbia bisogno di sistemi operativi, di regole e di cultura. Riguardo a questo ultimo aspetto l’autore evidenzia l’importanza della gestione delle connessioni, il saper scambiare e gestire le informazioni per generare condivisione di valori. Le relazioni rappresentano il “ … vero contenitore e regolatore dei processi economici e organizzativi” (Butera, 1997, p. 54). La sottolineata centralità dei processi di comunicazione, quindi, consente di indurre la formulazione della seguente terza ipotesi: H3) la comunicazione è un meccanismo che facilita il governo di un processo di pianificazione che coinvolge una pluralità di attori. La verifica di questa ipotesi di ricerca è operata ponendo le seguenti domande: D4) la mancata comunicazione delle regole della concertazione e delle fasi del processo operativo allunga i tempi di definizione e approvazione del piano? D5) la mancata comunicazione delle regole della concertazione e delle fasi del processo operativo rende più complessa l’implementazione del piano? D6) la mancata articolazione degli obiettivi incrementa le problematiche di implementazione del piano? 3. L’oggetto dell’indagine L’analisi ha riguardato tutte le città italiane aderenti alla REte delle Città con piani Strategici (RECS) che risultavano censite sul sito web dell’associazione nel periodo della rilevazione (10.1.2008-29.2.2008) e che avevano illustrato lo stato e lo sviluppo del processo di elaborazione del piano attraverso la rete internet. 211 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica La rete RECS nasce per favorire lo sviluppo e il consolidamento dei processi di pianificazione strategica e di governo locale stimolando, allo stesso tempo, il confronto con procedure e strumenti già adottati a livello europeo da altre amministrazioni urbane. I principali obiettivi della rete possono essere sintetizzati: a) nella diffusione della pianificazione strategica quale modello di governance; b) nella promozione delle attività di benchmarking al fine di far circolare, sia fra gli addetti ai lavori sia fra i policy maker, le metodologie applicative dando conto dei risultati raggiunti e del loro impatto sullo sviluppo della città; c) nella realizzazione di un osservatorio che garantisca, tra gli altri compiti, l’accesso e l’utilizzo a tutti gli interessati di tutta la documentazione sulle politiche di governo locale. Alla rete, inizialmente costituita dal cosiddetto gruppo promotore, possono aderire tutte quelle città che intendono adottare il modello della pianificazione strategica integrando nella logica di governo una visione di lungo periodo. Per partecipare alla rete non è necessaria, quindi, una dimensione particolare ma solo la concreta volontà di sperimentare nuovi modelli di governance da condividere con tutti gli attori del processo e con tutti gli aderenti alla rete stessa. In particolare, nel periodo considerato sono presenti con un apposito link sul sito dell’associazione trentatré città (tabella 1). Di queste quasi il 50% risulta localizzato nel sud e nelle isole (rispettivamente 7 città nelle isole e 7 al meridione) mentre la rimanente parte è più o meno equamente distribuita fra il centro (con 10 città) e il nord (con 9 città di cui 5 al nord est e 4 al nord ovest) (tabella 1). Tabella 1 – Distribuzione delle città associate alla RECS e di quelle che afferendo alla RECS hanno attivato un sito internet e/o pubblicato materiale Città aderenti RECS nord ovest nord est Totale nord centro sud isole Totale sud e isole N. 4 5 9 10 7 7 14 Totale generale 33 Azienda Pubblica 2.2009 % 12,12% 15,15% 27,27% 30,30% 21,21% 21,21% 42,42% 212 Città con sito e/o materiali pubblicati nord ovest nord est Totale nord centro sud isole Totale sud e isole N. 3 5 8 7 2 1 4 Totale generale 18 % 16,67% 27,78% 44,44% 38,89% 11,11% 5,56% 16,67% Saggi Governance e pianificazione strategica L’indagine è stata realizzata solo su 18 delle predette città, ossia quelle per le quali si è avuta disponibilità di dati e documenti sullo sviluppo del processo e sul suo stato di avanzamento. Rispetto all’universo, dunque, l’indagine ha riguardato il 54,54% del totale che è una percentuale comunque significativa rispetto al fenomeno. Ciò che, invece, lascia quanto meno perplessi è la distribuzione delle 18 città che hanno dato luogo a un processo di comunicazione delle loro attività. Si assiste infatti a una totale modificazione della distribuzione originaria con una forte riduzione della rappresentatività delle città censite al meridione e nelle isole. Delle 14 città meridionali, solo 3 (di cui 1 nelle isole) hanno attivato un concreto processo di comunicazione delle attività connesse all’elaborazione del piano strategico. La maggioranza delle città componenti il campione è localizzata al nord, che con 8 città contribuisce per oltre il 40%. Per le città del centro Italia, infine, si rileva che solo 3 su 10 non hanno ancora attivato alcun processo di comunicazione. La perplessità sulla distribuzione geografica delle città rispetto al processo di comunicazione induce alcune considerazioni che, lungi dall’essere descrittive di uno stato (cosa ovviamente non possibile stante le finalità dell’indagine qui condotta), consente tuttavia di elaborare alcune ipotesi di ricerca future. Il comportamento delle città meridionali, che di fatto si affrettano nell’associarsi salvo poi non attivare alcun reale processo di comunicazione, può rappresentare – laddove il processo di elaborazione del piano strategico sia stato avviato – una mera disattenzione che segnala, tuttavia, da un lato la scarsa propensione alla condivisione di know-how e quindi a una partecipazione attiva al network RECS e, dall’altro, una scarsa attenzione ai processi di comunicazione. Ma tale comportamento potrebbe anche nascondere, laddove il piano non fosse stato nei fatti mai avviato, una mera operazione di immagine per creare visibilità politica. Il piano strategico, infatti, è un documento non obbligatorio e la sua peculiarità risiede proprio nel fatto che gli amministratori desiderano coinvolgere partner e stakeholder nel processo di governo, condividendone le complessità che lo caratterizzano. Senza voler esprimere giudizi non supportati da idonea documentazione si può quindi rilevare che l’iscrizione alla rete, senza un comportamento coerente con le finalità della stessa, sia quanto meno espressione di una certa disattenzione rispetto alle logiche reticolari. L’indagine poi ha rivelato che le due città del sud che hanno attivato un processo di comunicazione non hanno ancora completato la costruzione del piano; tali città sono state considerate per dare risposta alla domanda D1 (che descrive la configurazione della rete) e non sono state poi utilizzate per le domande da D2 a D6 (che riguardano gli aspetti e i problemi derivanti dalla implementazione dei piani). 213 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica 4. La metodologia della ricerca La scelta della metodologia di ricerca dipende dalle caratteristiche del fenomeno che si vuole indagare e dagli aspetti che si vogliono analizzare. L’utilizzo di un approccio quantitativo presuppone l’identificazione di relazioni di causa – effetto, la loro riduzione a specifiche ipotesi e domande di ricerca, l’individuazione di idonee variabili, la loro misura e la successiva verifica rispetto alle ipotesi e alla teoria (Creswell, 2003). Pertanto le metodologie quantitative presuppongono una precisa definizione dei fattori da indagare prima di avviare l’indagine. Nello specifico ciò implica l’individuazione ex ante delle relazioni significative e la loro generalizzazione. L’obiettivo che si pone questo lavoro, invece, è di verificare se le esperienze di pianificazione strategica delle città hanno dato vita a una rete, quali meccanismi operativi sono stati utilizzati e se gli stessi hanno influito positivamente sul raggiungimento degli obiettivi. Pertanto non si ritiene significativa alcuna ipotesi di relazione causale formulata ex ante poiché il processo di conoscenza richiede l’assunzione di una prospettiva costruttivista, che ricerchi nelle diverse esperienze esaminate degli elementi di comunanza generalizzabili. In questa situazione in letteratura si raccomanda l’adozione di un approccio qualitativo (4) che risulta particolarmente adatto a indagare la natura di un fenomeno le cui caratteristiche non sono ben definite ex ante. Nel lavoro che qui si presenta il quadro teorico di riferimento non sembra potersi ritenere caratterizzato da consolidata modellizzazione. Sul fenomeno delle reti Lorenzoni (1993, p. XV) così si esprimeva: “Le espressioni ‘rete’ e ‘organizzazioni a rete’ hanno avuto successo in tempi recenti, anche se sussiste una mancanza di chiarezza sul loro significato e scarse informazioni sulle loro applicazioni”. Tuttavia, ancora oggi nel lavoro di Cropper, Ebers, Huxham e Smith Ring (2008, p. 5), che fa il punto sullo stato dell’arte degli studi aventi ad oggetto le relazioni interorganizzative, si evidenzia la mancanza di un quadro teorico condiviso e l’assenza di una terminologia universalmente accettata tanto che, a termini di uso comune, come ad esempio collaborazione, costellazione, network, ecc., sono attribuiti significati differenti dai diversi autori. È poi vero che le rilevazioni empiriche sono diffuse, ma è anche vero che i fattori che intervengono nei processi di costruzione e sviluppo di una struttura a rete vengono interpretati in modi spesso sostanzialmente differenti (D’Alessio, 2002). La ricerca che qui si presenta, avendo ad oggetto l’analisi di un sistema delimitato nel tempo e nello spazio (città dotate di pani strategici in un dato momento), è stata condotta utilizzando due delle principali procedure per 4 “A qualitative approach is one in which the inquirer often makes knowledge claims based primarily on constructivist perspectives (i.e. the multiple meanings of individual experiences, meanings socially and historically constructed, with an intent of developing a theory or pattern) or advocacy/participatory perspectives (i.e. political, issue-oriented, collaborative or change oriented) or both” (CRESWELL, 2003, p. 18). Azienda Pubblica 2.2009 214 Saggi Governance e pianificazione strategica la raccolta dati attraverso ricerche qualitative raccomandate in letteratura (Creswell, 1998), ossia l’analisi documentale e l’intervista in profondità. L’analisi documentale è stata finalizzata alla messa in evidenza delle relazioni e delle dinamiche attivate nella fase di costruzione e di implementazione del piano strategico nonché dei meccanismi operativi attivati. A tal fine sono state utilizzate alcune tecniche di content analysis di tipo non esclusivamente quantitativo (Krippendorf, 1980; Stempel, 2003) suddividendo i documenti in paragrafi e ricercandovi i riferimenti necessari per l’attribuzione dei punteggi. Questa analisi ha consentito di ricostruire alcune relazioni significative su come è stato gestito il processo di pianificazione, sull’intensità della relazione attivata con gli stakeholder, sul grado di condivisione degli obiettivi e sulla loro coerenza rispetto all’analisi generale dello scenario competitivo (si veda § 5). La stessa analisi ha inoltre consentito l’emersione di alcune problematiche particolarmente rilevanti che sono state quindi approfondite nell’intervista in profondità realizzata con interlocutori qualificati, rappresentati da soggetti che ricoprono o hanno ricoperto un ruolo di responsabilità nella progettazione o nella gestione del piano strategico della città (si veda § 5). L’intervista è stata utilizzata, pertanto, come strumento per approfondire le deduzioni emerse nella lettura della documentazione e per ricostruire, come raccomanda la letteratura (Weiss, 1994), un quadro più completo del fenomeno, ricercando, attraverso domande a risposta aperta, aspetti e meccanismi relazionali che non emergono da un mero studio documentale. 5. L’organizzazione e lo sviluppo dell’indagine L’indagine è stata sviluppata in due momenti. In un primo momento si è provveduto alla raccolta di tutta la documentazione pubblicata dalle singole città sul sito RECS e sui loro siti. Il minimo comune denominatore caratterizzante tale attività di ricerca è stato, come anticipato, la disponibilità del piano strategico, ovvero un preliminare dello stesso. Ad ogni buon conto, nella maggioranza dei casi è stato possibile rinvenire anche altro materiale (documentazione illustrativa del processo di pianificazione e delle sue fasi, protocolli e/o convenzioni firmati con gli stakeholder, ecc.) che ha consentito di approfondire l’intero processo di governance. Di poi si è provveduto a elaborare una check list, con oggetti a risposta chiusa (del tipo “sì”, “no”, “non rilevabile”, “altro”), focalizzata sugli elementi ritenuti utili all’approfondimento del problema di ricerca. Gli elementi ricompresi nella check list riguardano: – le modalità di avvio, di sviluppo e di governo del processo di pianificazione (per tale aspetto sono stati predisposti nella lista dieci oggetti di rilevazione); – le modalità di elaborazione del piano (per tale aspetto sono stati predisposti nella lista ventisei oggetti di rilevazione); 215 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica – le modalità di implementazione del piano (per tale aspetto sono stati predisposti nella lista quattro oggetti di rilevazione). La check list è stata applicata a tutta la documentazione raccolta. Sulla base dei risultati emersi dallo studio documentale, come detto (si veda § 4), è stato poi predisposto un questionario somministrato attraverso intervista diretta ai responsabili dei piani strategici. (5) Tale secondo strumento di indagine si compone di 5 domande a risposta aperta e/o guidata e ha la finalità di valutare il tasso di implementazione e il grado di raggiungimento degli obiettivi previsti e individuati dal piano, (6) nonché le problematiche di implementazione percepite dal soggetto che governa il processo. 6. La descrizione del fenomeno: rete naturale o governata? Tutte le città indagate (cfr. § 3) ritengono che il processo di governo strategico del territorio passi attraverso il coinvolgimento degli stakeholder. In quasi tutti i casi (15 su 18), l’avvio delle attività è avvenuto su iniziativa del Comune. In oltre il 30% dei casi, però, il Comune dopo aver innescato il processo, delega il governo delle attività ad altri attori che di solito sono specificamente costituiti per lo scopo (si tratta di associazioni o di comitati in cui sono rappresentati i principali stakeholder). Un differente atteggiamento si riscontra nelle città del meridione dove non si evidenzia alcun processo di delega. La metà dei piani esaminati ha visto l’avvio del processo fra il 2000 e il 2003 (9 piani). In media l’orizzonte temporale dei piani è di 10 anni, elemento questo che consente di concludere che almeno nelle intenzioni si è compreso che i piani strategici devono essere riferiti a periodi superiori al singolo mandato elettorale. La durata media del processo di elaborazione del piano è risultata di circa 20 mesi, cosa che ovviamente implica l’utilizzo di quasi la metà del mandato elettorale. In 9 casi su 18 (7) si procede alla esplicitazione del metodo di lavoro e in 10 casi (8) sono individuate le fasi del processo in via preliminare. La lettura di questi ultimi dati consente di ipotizzare che il fenomeno indagato rappresenti, nella maggioranza dei casi, un tentativo di costruzione di una rete governata. Per cercare di capire se e a quale tipologia di rete governata (a base gerarchica, a centro di gravità concentrato, con centri di gravità multipli 5 Si tratta di un funzionario del comune e/o dell’associazione all’uopo costituita a cui è assegnata la responsabilità del processo di costruzione e di implementazione del piano strategico. 6 Gli intervistati hanno riferito il dato percentuale globale di realizzazione delle diverse azioni e/o progetti. Il dato è ovviamente riferito alla data dell’intervista ed è un dato totale non normalizzato. Tale dato è stato ovviamente riportato soltanto in quei casi in cui la città avesse implementato un processo di monitoraggio delle attività previste dal piano. 7 Per 3 casi il dato non è stato esplicitato. 8 Per 2 casi il dato non è stato esplicitato. segue Azienda Pubblica 2.2009 216 Saggi Governance e pianificazione strategica ovvero senza centro) è assimilabile il fenomeno indagato, ci si è basati sui seguenti assunti: – sia nelle reti a base gerarchica che in quelle a centro di gravità concentrata vi è un unico soggetto che dà avvio alla rete e la governa nel tempo; – nelle reti a centro di gravità multiplo vi sono più soggetti che avviano la rete e che la governano nel tempo; – nelle reti senza centro il governo è diffuso e non è riconducibile ad alcuno. Si è pertanto verificata l’esistenza di una eventuale correlazione (costruendo l’indice di Fischer) fra il soggetto che avvia la concertazione e il soggetto che governa il processo di costruzione del piano, nonché fra il soggetto che governa il processo di costruzione del piano e il soggetto che lo implementa. I risultati sono stati riportati nella tabella 2. Tabella 2 – Avvio del processo, governo e implementazione Soggetto che ha avviato la concertazione Ente locale Soggetto che governa il processo 15 Ente locale 11 Associazione tra stakeholder 2 Associazione tra stakeholder Altro NR 1 Altro 3 0 NR 1 18 18 Indice di correlazione 0,991891 Soggetto che governa il processo Soggetto che implementa il piano Ente locale 11 3 Ente locale 8 Associazione tra stakeholder 3 Associazione tra stakeholder 7 Altro NR 3 Altro 0 1 NR 3 18 Indice di correlazione 18 0,630295 Mentre vi è una sostanziale identità tra chi avvia la concertazione e colui che governa il processo, si riscontra una riduzione della correlazione nella fase di implementazione: in essa, in particolare, si registra un cambiamento del soggetto di riferimento. L’implementazione del piano viene talvolta affidata a strutture esterne (ad esempio, associazioni di stakeholder). In questi casi la letteratura ha evidenziato come il ricorso a strutture esterne possa generare (Martinelli, 2005): 217 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica 1. un indebolimento della capacità attuativa, specie in quei casi in cui manca un “referente” per l’attuazione del piano con chiare responsabilità, poteri, risorse e competenze tecniche; 2. una riduzione della capacità di indirizzo dell’attore pubblico. Dai dati, opportunamente incrociati con alcune specifiche osservazioni della letteratura, possiamo, quindi, desumere che il fenomeno studiato non sia sovrapponibile alle reti senza centro e probabilmente neppure alle reti a centro di gravità multiplo. Lo stesso, invece, almeno nella fase di avvio è assimilabile a modelli reticolari a base gerarchica o a centro di gravità concentrata. Nel passaggio dalla fase progettuale a quella implementativa si assiste, in taluni casi, a una modificazione non dell’architettura ma del suo architetto. Il dato sull’individuazione preliminare degli stakeholder può essere utilizzato come indicatore dell’intensità del processo di governo. È evidente, infatti, che chi effettua una selezione preliminare degli stakeholder è contestualmente arbitro e valutatore dei convitati al processo di pianificazione strategica. Tale individuazione preliminare (9) si riscontra solo in 7 casi sui 13 nei quali tale indicazione è fornita. Si può quindi ritenere che l’intensità del processo di governo non sia particolarmente elevata se si considera il fenomeno nel suo complesso. 7. I meccanismi di stimolo all’attuazione delle decisioni L’analisi dei piani ha consentito di verificare che spesso sono utilizzati alcuni meccanismi operativi per vincolare gli attori coinvolti e indurre specifici comportamenti. Tali meccanismi sono i seguenti: – – – – protocollo preliminare (generalmente sui principi generali); convenzione di dettaglio su specifici comportamenti; implementazione di un sistema di controllo del piano; identificazione di soggetti responsabili, completamente o parzialmente, dei progetti cantierabili; – coinvolgimento degli stakeholder nella definizione dei progetti cantierabili. In circa il 70% dei casi rilevati (9 su 12 dal momento che per 6 non è stata possibile alcuna rilevazione), le città ricorrono alla stipula di un protocollo preliminare. Ciò avviene con una frequenza molto elevata nelle città del nord (5 casi su 6 rilevati) e in quelle del centro (3 casi su 4 rilevati). Tale protocollo preliminare mira a rafforzare la partecipazione al processo attraverso la condivisione delle finalità, senza entrare nel dettaglio dei problemi. Infatti, in tutti i casi questi accordi si caratterizzano per l’estrema semplicità, 9 L’individuazione preliminare è stata distinta dall’ascolto degli stakeholder, che avviene, invece, in 13 casi rispetto ai 15 che forniscono questa informazione. Azienda Pubblica 2.2009 218 Saggi Governance e pianificazione strategica per la disciplina di “principi di massima” e per l’assenza di meccanismi sanzionatori in caso di inadempimento. Solo in tre casi sui quindici, tutti di città del nord del Paese, si è andati oltre le mere dichiarazioni di intento stipulando vere e proprie convenzioni con gli stakeholder che si sono impegnati a svolgere, per quanto di loro competenza, attività specifiche connesse con l’implementazione dei progetti previsti dal piano strategico. In relazione al sistema di controllo si osserva che in ben 10 casi su 18 non si procede ad alcuna enunciazione degli obiettivi e dei risultati attesi dal piano e in 11 casi non vi è alcuna traccia della previsione di criteri di controllo. (10) Riguardo agli ultimi due meccanismi utilizzati (cfr. supra) si rileva che il coinvolgimento degli stakeholder nella definizione dei progetti cantierabili avviene solo in 5 casi (di cui 3 al nord) mentre l’identificazione dei soggetti responsabili di singoli progetti/azioni avviene in tre soli casi (tutti al nord). I meccanismi operativi utilizzati sono sostanzialmente riconducibili a due tipologie: – contrattuale (protocollo e convenzione); – non contrattuale (sistema di controllo, identificazione e coinvolgimento stakeholder). Tali meccanismi, però, mancano di qualsiasi sistema di incentivo/sanzione. Per tale motivo essi possono essere considerati degli elementi di rinforzo, che si potrebbe definire “aggiuntivi”, dal momento che presentano una capacità non elevata di stimolo dell’attuazione delle decisioni e di velocizzazione dell’implementazione del piano. Questa considerazione è supportata anche dai dati presentati nella tabella 3 in cui il numero “1” indica la presenza del meccanismo e “0” la sua assenza. È facile riscontrare casi in cui i meccanismi individuati non sono stati attivati (o ne sono stati attivati solo alcuni) che, tuttavia, presentano un significativo grado di realizzazione del piano. Pertanto si può ritenere che i meccanismi operativi utilizzati nelle diverse esperienze non rappresentino gli elementi chiave per favorire la successiva implementazione del piano la quale, probabilmente, dipende da altri fattori, anche di natura immateriale (11) (tabella 3). 10 Questo aspetto consente di sottolineare come nelle amministrazioni pubbliche non siano state ancora del tutto assimilate le prescrizioni scaturenti dalle attività di controllo direzionale. Probabilmente si ritiene il controllo uno strumento di natura prettamente contabile e non una metodologia a supporto dei processi decisionali che risulta funzionale alla verifica contestuale della bontà delle scelte operate, alla correzione di tali scelte, all’assunzione di future decisioni e infine allo stimolo verso l’attuazione delle decisioni. 11 La fiducia reciproca delle parti o l’affidabilità delle stesse potrebbero essere alcuni di questi elementi. In tal senso può essere emblematico il caso di una città ove il cambio della maggioranza politica ha portato alla disattivazione del piano strategico precedentemente approvato. Chiaramente un soggetto che deve realizzare un investimento è particolarmente attento all’ambiente politico, soprattutto quando l’ente pubblico è coinvolto nello stesso o in termini finanziari (cofinanziamento del progetto) o in termini materiali (realizzazione di infrastrutture funzionali). 219 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica Tabella 3 – Meccanismi di stimolo e tasso di implementazione del piano Piani * 1 2 3 5 6 7 8 1 Meccanismi Protocollo preliminare 1 0 1 1 1 1 Convenzione con singoli stakeholder 1 0 0 1 0 0 Implementazione sistema di controllo 1 1 0 1 0 0 1 Identificazione soggetti responsabili dei progetti cantierabili 1 0 0 1 1 0 0 Coinvolgimento stakeholder 1 0 0 1 0 0 0 Totale 5 1 1 5 2 1 2 73% 12% 0 50% 56% 66% 30% 15% 12% 0 10% 11% 13% 10% Tasso percentuale di implementazione al 31.12.2007 Tasso medio annuo di implementazione * Per ragioni di riservatezza i nomi delle città sono stati sostituiti con codici numerici. Ad ogni codice numerico corrisponde nelle successive tabelle sempre la stessa città. 8. Il processo di negoziazione Il fenomeno concertativo dovrebbe essere caratterizzato dall’individuazione degli stakeholder, dal loro ascolto e conseguente coinvolgimento nel processo di pianificazione, nonché dalla valutazione del contributo apportato a tale processo. In relazione al primo aspetto, è emerso che gli stakeholder da coinvolgere e contattare non sempre sono individuati in via preliminare (ciò si riscontra in soli 7 casi). In taluni casi, il processo di concertazione si sviluppa spontaneamente e senza alcuna mappatura degli stakeholder. In particolare alcuni enti (dell’area centro-settentrionale) hanno consentito (attraverso forum e/o gruppi di ascolto) a chiunque avesse interesse di partecipare alle fasi iniziali del processo e/o a quelle di diagnosi del sistema territoriale. Questo spiega il motivo per cui gli stakeholder individuati in via preliminare risultano censiti in un numero oscillante da un minimo di 5 a un massimo di 70 con una media di 31, mentre gli stakeholder generalmente ascoltati o coinvolti nel corso del processo, a prescindere da una loro individuazione preliminare, vanno da un minimo di 12 a un massimo di 500. Si rileva quindi un incremento della numerosità degli stakeholder coinvolti nel corso del processo. D’altra parte, a prescindere dalla mappatura preliminare, quasi sempre (13 volte su 15) (12) si procede all’ascolto degli stakeholder. La modalità attraverso cui si realizza l’ascolto degli stakeholder è rappresentata dall’intervista individuale (7 ricorrenze su 14 rilevate) o dal ricorso alla costituzione di gruppi di ascolto e forum (7 ricorrenze su 14 rilevate). 12 Per tre casi non è stata possibile alcuna rilevazione. Azienda Pubblica 2.2009 220 Saggi Governance e pianificazione strategica La motivazione più frequente (6 su 16) (13) che porta all’ascolto degli stakeholder è rappresentata dall’individuazione e dalla valutazione dei problemi e dei bisogni della collettività amministrata. In due casi tale motivazione risiede nella definizione della vision e in altri due casi è funzionale allo sviluppo della SWOT analysis. Significativo è il dato che solo in un caso si utilizza lo strumento di ascolto per definire il metodo di lavoro insieme agli stakeholder coinvolti. In 7 dei 13 casi in cui gli stakeholder sono ascoltati, gli stessi svolgono un ruolo meramente “passivo”. Con tale termine si fa riferimento a una partecipazione “non contributiva”, ma meramente recettiva. Dai dati rilevati attraverso la somministrazione del questionario emerge una situazione molto diversificata rispetto al grado di avanzamento dei piani e al periodo di tempo intercorso dalla loro approvazione. Per rendere minimamente confrontabile il dato sul grado di implementazione del piano è stato calcolato un valore medio annuale. Tale valore, nei casi rilevati oscilla fra il 10% e il 15%: esso risulta generalmente migliore in quelle città nelle quali gli stakeholder hanno avuto un ruolo partecipativo nel processo. Pertanto, probabilmente, questo è uno dei fattori che ha un impatto positivo sulla realizzazione del piano (tabella 4). Nello studio della qualità del fenomeno concertativo si è assegnato un punteggio ogni qualvolta si è riscontrata la presenza degli elementi indagati. Nessun valore ovviamente è stato assegnato laddove l’elemento non è risultato presente. Per la valutazione della contribuzione al fine di non inquinare l’analisi con valutazioni arbitrarie si è ipotizzato che la variabile “comportamento degli stakeholder” (ancorché non dicotomica del tipo presente-assente) potesse avere solo i seguenti caratteri: comportamento passivo (valore 0), comportamento attivo (laddove gli stakeholder si sono limitati a partecipare al processo di analisi e diagnosi, cui è stato assegnato valore 1), comportamento partecipativo (laddove gli stakeholder hanno anche contribuito, assumendo responsabilità intere o parziali, nello sviluppo di progetti o linee di azione, cui è stato assegnato valore 2). Tabella 4 – Negoziazione e tasso di implementazione del piano Piani* Aspetti della negoziazione Individuazione preliminare stakeholder Ascolto e coinvolgimento stakeholder nel processo Ruolo stakeholder Totale Tasso di implementazione al 31.12.2007 Tasso medio annuale di implementazione 1 2 5 6 1 1 2 4 73% 15% 0 1 1 2 12% 12% 1 1 2 4 50% 10% 0 1 1 2 56% 11% 7 8 1 n.r. 1 n.r. 2 n.r. 4 66% 30% 13% 10% 13 In due casi la motivazione non è esplicitata. 221 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica 9. Il processo di comunicazione Per l’analisi del processo di comunicazione sono state prese in considerazione due proprietà: 1. la comunicazione e condivisione delle fasi del processo di governo/ pianificazione; 2. la declinazione ed enunciazione degli elementi e delle componenti che caratterizzano la definizione di un obiettivo. La proprietà sub 1) è stata analizzata rispetto ai caratteri della esplicitazione e comunicazione del metodo di lavoro, delle fasi del processo di pianificazione e della vision. La proprietà sub 2) è stata analizzata verificando se nei diversi piani gli obiettivi/progetti fossero stati definiti rispetto ai caratteri: outcome (impatto finale), output (cosa fare), soggetto titolare/responsabile (chi deve fare), tempo (quando fare), costi (aspetto economico), risorse (aspetto finanziario). La comunicazione del metodo di lavoro e delle fasi del processo di pianificazione avviene in circa il 50% dei casi (rispettivamente 9 su 15 rilevati e 10 su 16). In 13 casi, su 17 rilevati, si procede a una esplicitazione della vision del piano anche se si deve osservare che in 3 occasioni la vision è definita in maniera impropria, nel senso che viene dichiarato tale un concetto che non chiarisce concretamente l’idea o le idee di sviluppo sottese ai piani. Osservazioni similari si possono fare rispetto alla proprietà sub 2. Se è vero che 11 città, che rispecchiano sostanzialmente la composizione geografica del campione (rispettivamente 5 casi sono del nord, 4 del centro e 2 del sud), definiscono i progetti con riferimento ad almeno uno dei caratteri sopra indicati, è anche vero che solo al nord si riscontra una concreta attenzione alle dimensioni del risultato (output), delle risorse (aspetto finanziario), del tempo e della responsabilità, mentre al centro viene considerata soprattutto la dimensione di impatto sulla collettività (outcome), che rappresenta evidentemente solo un primo passo lungo la strada della misurabilità degli obiettivi. Nello sviluppo dell’analisi si è anche provato a verificare se le variabili evidenziassero una correlazione con l’implementazione del piano. Per tali caratteri, quindi, si è proceduto con il criterio della verifica di presenza/ assenza in ciascun piano, assegnando il punteggio rispettivamente di “1” e “0” per ogni tratto rilevato o non rilevato. La proprietà sub 1) è stata raffrontata rispettivamente alla durata del processo di pianificazione (calcolata in mesi e in particolare adottando come terminus a quo la data del primo documento di pianificazione strategica e come terminus ad quem la data di approvazione del piano) – cfr. tabella 5 – e alle problematiche scaturite in sede di implementazione (tabella 6). Con riferimento alle problematiche di implementazione, l’intervista ha verificato se il responsabile dell’attuazione del piano avesse avuto la Azienda Pubblica 2.2009 222 Saggi Governance e pianificazione strategica percezione di problematiche scaturenti dall’eccessiva genericità degli obiettivi, dalla mancanza della variabile tempo, dalla mancata individuazione delle risorse nel piano, dal mancato stanziamento di risorse da parte degli stakeholder coinvolti, dall’esistenza di problematiche di cantierabilità, dai difficili rapporti con gli stakeholder (a causa della mancata individuazione ovvero per la mancata responsabilizzazione o anche per l’inadempimento dei partner o per la burocrazia dei partner pubblici ovvero per l’assenza di un coordinamento dei partner) e in generale dall’indicazione di altre problematiche singolarmente percepite dagli intervistati. La proprietà sub 2), viceversa, è stata posta in correlazione con le problematiche di implementazione come appena descritte (tabella 7). I dati riportati danno conto dell’inesistenza di una relazione significativa fra l’esplicitazione di metodo di lavoro, processo di pianificazione e vision e durata del processo di elaborazione del piano (tasso di risposta del campione pari al 75%). Peraltro questa affermazione è confermata anche dal calcolo del χ2 (che assume il valore di 3,675) che è stato normalizzato attraverso il calcolo dell’indice φ2 di Pizzetti-Pearson (che assume valore di 0,15). Il calcolo, riportato in appendice, è stato effettuato raggruppando i tempi di approvazione del piano in tre classi. In altri termini, la individuazione e comunicazione delle fasi del lavoro e la esplicitazione della finalità non influenza il tempo necessario al completamento del processo (cfr. tabella 5). Allo stesso modo, anche la condivisione e comunicazione del metodo di lavoro, delle fasi e della vision, non sembrano correlate alle problematiche di implementazione dei piani (cfr. tabella 6). La tabella 7 evidenzia che l’esplicitazione di outcome e output, la specificazione di chi fa che cosa e dei tempi in cui deve farlo, la valutazione dei costi e l’individuazione delle risorse per finanziare il progetto non influiscono direttamente sulle problematiche di implementazione del piano. Lo studio delle motivazioni di questo fenomeno esula dalla presente indagine. Tuttavia è possibile evidenziare che nelle interviste condotte, in più occasioni, la fiducia fra promotori del piano, stakeholder e soggetti attuatori è stata segnalata quale elemento critico per il raggiungimento degli obiettivi previsti. Tabella 5 – Il rapporto fra comunicazione/condivisione e durata del piano Piani* Aspetti della comunicazione/ condivisione Esplicitazione metodo lavoro 1 2 3 4 5 6 7 9 10 11 12 13 1 1 0 1 1 0 1 0 0 1 0 1 Esplicitazione fasi del processo di pianificazione Esplicitazione vision 1 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 Totale 3 2 1 3 3 2 2 1 1 1 1 3 25 21 24 18 24 24 24 9 18 26 36 15 Durata processo 223 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica Tabella 6 – Il rapporto fra comunicazione/condivisione e problematiche di implementazione Piani* Aspetti della comunicazione/condivisione Esplicitazione metodo lavoro 1 2 5 6 7 8 1 1 1 0 1 0 Esplicitazione fasi del processo di pianificazione 1 0 1 1 0 1 Esplicitazione vision 1 1 1 1 1 1 Totale 3 2 3 2 2 2 Tipologie di problematiche di implementazione percepite - genericità degli obiettivi 1 1 - mancanza variabile tempo 1 1 1 1 - mancata individuazione risorse nel piano 1 1 1 1 1 1 - mancato stanziamento risorse enti coinvolti - idea utilizzo risorse comunitarie Esistenza problematiche cantierabilità 1 - mancata individuazione 1 1 - mancata responsabilizzazione 1 1 1 - inadempimento dei partner - burocrazia partner pubblici - assenza coordinamento partner 1 1 Altre problematiche nella fase di implementazione 1 1 1 1 1 1 Totale 7 2 4 5 3 5 10. Conclusioni È abbastanza evidente che, almeno nelle intenzioni degli enti locali, la elaborazione del processo di pianificazione strategica dovrebbe assumere i caratteri della rete governata. I dati presentati e commentati in precedenza chiariscono che il fenomeno studiato non è sovrapponibile alle reti senza centro e probabilmente neppure alle reti a centro di gravità multiplo. È, invece, almeno nella fase di avvio, assimilabile a modelli reticolari a base gerarchica o a centro di gravità concentrata. Tale conclusione dovrebbe implicare, da un punto di vista teorico, una maggiore capacità nel governo delle relazioni. Invece l’intensità del governo non è certamente elevata rispetto al fenomeno nel suo complesso anche perché, come detto, si registra spesso un cambiamento del soggetto responsabile del processo (in particolare nella fase di implementazione). Tale aspetto è evidenziato anche da Martinelli (2005), che sottolinea l’importanza di un leader, spesso rappresentato da una “figura carismatica” piuttosto che dall’Istituzione pubblica, ponendo così il “problema della continuità del processo laddove l’alternanza politica ha comportato la sostituzione del Sindaco” (Martinelli, 2005, p. 329). L’analisi ha evidenziato che il processo di pianificazione strategica Azienda Pubblica 2.2009 224 Saggi Governance e pianificazione strategica Tabella 7 – Il problema della corretta declinazione degli obiettivi Piani* Variabili di definizione degli obiettivi - Tempo - Output - Outcome - Risultato finanziario - Costo del progetto - Responsabilità Totale Tipologie di problematiche di implementazione percepite - genericità degli obiettivi - mancanza variabile tempo Esistenza problematiche finanziarie - mancata individuazione risorse nel piano - mancato stanziamento risorse enti coinvolti - idea utilizzo risorse comunitarie Esistenza problematiche cantierabilità Esistenza problematiche con partner - mancata individuazione - mancata responsabilizzazione - inadempimento dei partner - burocrazia partner pubblici - assenza coordinamento partner Altre problematiche nella fase di implementazione Totale 1 2 5 1 1 1 1 1 6 7 8 9 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 3 1 3 1 3 1 3 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 6 1 2 1 4 1 5 1 3 1 5 1 5 delle città dà luogo a un processo decisionale di natura collettiva che in quanto tale richiede l’attivazione di meccanismi che fungano da stimolo alla successiva attuazione delle decisioni. Sia Martinelli (2005) che Healey (2003) sottolineano come nel processo di costruzione dei piani strategici notevole importanza ed esplicita considerazione debbano essere attribuite alla partecipazione e al coinvolgimento del maggior numero possibile di attori nella definizione degli obiettivi e della strategia. Entrambi, tuttavia, riconoscono l’esistenza di alcuni fattori che facilitano il conseguimento dei risultati quali, ad esempio, una attitudine alla cooperazione tra i diversi livelli di governo e tra attori pubblici e privati, nonché un clima di fiducia nei confronti sia del governo che degli altri attori locali. 225 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica L’esistenza di almeno una tipologia di problemi di implementazione è stata riscontrata in tutti i casi per i quali è stata data risposta all’intervista. I meccanismi sperimentati dalle città italiane, però, non hanno una elevata capacità coercitiva, ossia non riescono a influenzare l’implementazione del piano e sembrano essere più dei fattori di supporto. In altri termini essi al più possono essere considerati dei fattori collaterali ad altri che probabilmente risultano prioritari. La letteratura sulle reti infatti fa, in questi casi, generalmente riferimento a fattori tipicamente fiduciari o di relazione fondata su rapporti personali e comunque in genere a meccanismi cosiddetti sociali (Soda, 1998). Vi è un piano (tabella 3, caso 1) in cui risultano attivati tutti gli strumenti e al quinto anno la realizzazione è del 73%: tale caso potrebbe far pensare che gli strumenti abbiano funzionato adeguatamente. Questo dato, però, contrasta con quanto rilevato in un altro caso (tabella 3, caso 6), che, pur avendo attivato solo uno degli strumenti individuati al quinto anno ha realizzato il 66% del piano. Pertanto è possibile ritenere che gli strumenti individuati dalle “città strategiche” da soli non abbiano una elevata capacità di stimolare l’attuazione delle decisioni, ma gli stessi debbano essere rafforzati da altri meccanismi forse di natura immateriale (fiducia nei politici e nella loro capacità di realizzare il progetto, stabilità politica, individuazione delle priorità per selezionare le azioni e i progetti e da realizzare, (14) ecc.) che probabilmente rappresentano i veri fattori critici nell’implementazione del piano. L’ipotesi che la negoziazione sia un meccanismo che facilita il governo di un processo decisionale, per quanto meglio specificato al precedente § 8, sembra essere sostanzialmente confermata. L’ipotesi secondo cui il governo della rete sia facilitato da processi di comunicazione nella sostanza sembra essere confutata. In particolare, la definizione degli elementi e delle componenti degli obiettivi non garantisce rispetto all’insorgenza di problematiche di implementazione nella fase di attuazione del piano. Non vi è una relazione fra processo di comunicazione/ condivisione e insorgenza di successive problematiche di implementazione, così come del tutto irrilevante è il rapporto fra il processo di comunicazione/ condivisione e la durata del processo di elaborazione del piano. Rispetto a questo ultimo dato sembra esserci un limite inferiore alla durata del processo che quasi mai scende sotto i 18 mesi. In conclusione, la ricerca condotta si muove lungo lo stesso sentiero 14 L’analisi ha evidenziato che i piani hanno un numero medio di azioni superiore a 100. Tale dato potrebbe indurre a ritenere che i piani, in alcuni casi, siano stati interpretati come dei contenitori generali e omnicomprensivi chiamati a disciplinare tutti gli aspetti del governo della città. Se è vero che la numerosità elevata possa essere talvolta sinonimo della volontà di specificare le modalità con cui implementare le linee strategiche, non si può non osservare nel contempo che ciò, però, potrebbe creare difficoltà di implementazione sia rispetto alla priorità temporale da assegnare ai singoli progetti, sia rispetto ai progetti sui quali concentrare le risorse finanziarie. In una intervista, infatti, è stata sottolineata, come criticità, proprio la difficoltà nell’individuare un ordine di priorità dei progetti per agevolare la successiva implementazione degli stessi. Azienda Pubblica 2.2009 226 Saggi Governance e pianificazione strategica tracciato da altri studiosi italiani che si sono occupati del tema della pianificazione strategica delle città come ad esempio Cavenago (2004) e Mazzara (2006). Nell’articolo si cerca di superare il mero riferimento a comportamenti quali quelli scaturenti dalle indicazioni della letteratura e/o rilevati da casi di successo per tentare una indagine sulla aderenza dei comportamenti riscontrati nella realtà rispetto a quelli indicati dalla letteratura. La ricerca è evidentemente non esaustiva (né potrebbe esserlo a causa della notevole ampiezza del fenomeno). Essa infatti non focalizza chiaramente l’attenzione su ulteriori fattori meritevoli di approfondimento (quali, ad esempio, la modalità di costruzione degli output, degli outcome, le modalità di controllo, il raccordo fra il piano strategico e gli altri documenti di pianificazione finanziaria dell’ente locale, ecc.). Le osservazioni che si presentano, tuttavia, già da sole contribuiscono a una migliore illustrazione delle problematiche poste dal processo di costruzione e gestione del piano strategico di una città. Appendice Tabella 8 – Il rapporto fra la comunicazione/condivisione e la durata del piano Distribuzione delle frequenze per classi 0-12 13-24 24-36 Totale 1 1 2 2 5 2 0 3 1 4 3 0 3 0 3 1 8 3 12 Classi di durata Valori Totale Tabella 9 – Il rapporto fra la comunicazione/condivisione e la durata del piano Distribuzione delle frequenze teoriche 0-12 13-24 24-36 Totale 1 0,416 3,333 1,25 5 2 0,333 2,666 1 4 0,25 2 0,75 3 1 8 3 12 Classi di durata Valori 3 Totale χ2 3,675 φ2 0,15 227 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Governance e pianificazione strategica Riferimenti bibliografici BARNES J.A. (1972), Social Networks, MA, Addison Wesley: Reading. BARNEY J.B., OUCHI W.G. (1985), “Costi delle informazioni e strutture economiche di governo delle transazioni”, in C.D. NACAMULLI, A. RUGIADINI, Organizzazione e Mercato, Bologna: Il Mulino. BOLDIZZONI D., SERIO L. (a cura di) (1996), Il fenomeno piccola impresa. Una prospettiva pluridisciplinare, Milano: Guerini e Associati. BUTERA F. 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L’esigenza sempre più pressante per gli enti locali di ricorrere a forme alternative di finanziamento, unitamente allo schema di regolamentazione del patrimonio emanato dal Comitato di Basilea (noto come Basilea 2) pongono la necessità di valutare se il Rendiconto degli enti locali, così come prescritto dalla normativa vigente, sia in grado di offrire le informazioni idonee a valutare la capacità di indebitamento e, in particolare, la sua solvibilità. A tal fine, considerate anche le modalità seguite dalle principali agenzie di rating, si propone un modello per l’analisi del cash flow ed una griglia di indicatori in grado di integrare le informazioni promananti dal rendiconto. Il modello è stato applicato a tre enti locali e si presentano i primi risultati emersi. This research proposes a classification model of the financial statement of Local Governments (LGs) and a grid of ratios to support financial analysts in their solvability estimates. On one side, as a consequence of their increased financial autonomy, LGs show a growing need to resort to various forms of borrowing. On the other side, the Basel 2 agreement requests financial institutions to carry out a thorough assessment of the solvability of all potential borrowers, including LGs. After reviewing the main domains rating agencies consider for their analyses, this paper focuses on the assessment of the financial situation and debt position of LGs. The proposed reclassification plan and the relevant grid of ratios have been applied to three local LGs, in order to test whether these tools could provide a thorough assessment of the financial situation of any LGs. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno - Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 ed è stato insignito del secondo premio presso tale Workshop. L’autore ringrazia i referee per i suggerimenti e le indicazioni offerti. Parole chiave: analisi di bilancio – solvibilità – enti locali Key words: cash flow analysis – solvability – local government 231 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali 1. Introduzione Gli enti locali, anche a seguito della Riforma costituzionale del 2001, negli ultimi anni hanno visto crescere il proprio grado di autonomia finanziaria: ciò ha comportato la possibilità/necessità di ricorrere a forme alternative di finanziamento, tra cui la cartolarizzazione dei crediti, le operazioni di leasing finanziario, le operazioni di Interest rate swap e l’emissione di prestiti obbligazionari a copertura delle spese per investimenti. A fronte di tale tendenza, va considerato che lo schema di regolamentazione del patrimonio emanato dal Comitato di Basilea (noto come Basilea 2) ha sensibilizzato l’intero sistema bancario a prestare maggiore cura alla misurazione del rischio di credito. (1) Gli enti locali, assimilati in funzione del loro potere di imposizione fiscale ai soggetti sovrani, sono sottoposti anch’essi a una valutazione circa tale rischio. Va notato, tuttavia, come il sistema contabile attualmente adottato nel nostro Paese, basato sulla contabilità finanziaria, non consenta in via immediata di costruire indicatori idonei a valutare il grado di solvibilità di tali aziende pubbliche. Il contesto attuale spinge, di conseguenza, queste particolari aziende a comunicare il valore della propria gestione finanziaria, vuoi per dar conto ai cittadini delle scelte poste in essere, vuoi per offrire ai finanziatori informazioni adeguate sul proprio equilibrio economico, finanziario e patrimoniale. Partendo da queste considerazioni, la presente ricerca si propone di verificare se il rendiconto degli enti locali, così come prescritto dalla normativa vigente, è in grado di offrire le informazioni idonee a valutare la capacità di indebitamento e, in particolare, la sua solvibilità, tenendo anche conto delle modalità seguite a tal fine dalle agenzie di rating, per poi proporre un modello per l’analisi del cash flow e una griglia di indicatori in grado di integrare le informazioni promananti dal rendiconto. Il lavoro è articolato in cinque paragrafi oltre alla presente introduzione. Il prossimo presenta il contesto attuale degli enti locali e tenta di individuare quali siano i soggetti cui coloro che governano tali aziende pubbliche debbono rendere conto. Il terzo paragrafo propone alcune considerazioni circa la capacità informativa del rendiconto medesimo ai fini dell’analisi finanziaria. Il quarto illustra i criteri applicati dalle agenzie di rating insieme ad alcune prime considerazioni sull’utilità e la completezza del rendiconto rispetto alla necessità di stimare la solvibilità e il merito creditizio dell’ente locale. Il quinto propone uno schema di cash flow e una griglia di indicatori tesi a valutare nel complesso l’equilibrio finanziario; viene, inoltre, presentata 1 Il nuovo accordo consente alle banche di scegliere tra l’adozione di un sistema di rating evoluto (Internal Rating Based - IRB) o semplificato (Standard). Nell’approccio IRB, l’affidabilità del prenditore viene stimata direttamente dal prestatore attraverso un sistema di valutazione sviluppato internamente e sottoposto a continui aggiornamenti. Adottando il metodo Standard, invece, la banca può decidere di continuare a quantificare la misura del rischio in base a coefficienti prestabiliti, oppure acquisirla tramite agenzie di rating specializzate. Si rinvia a BASEL COMMITTEE (2004), § 411. Azienda Pubblica 2.2009 232 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali un’applicazione di questa metodologia di analisi ai rendiconti di tre enti locali. L’ultimo paragrafo tenta di trarre una serie di considerazioni relativamente alla possibilità di effettuare valutazioni sulla solvibilità, utilizzando un sistema di contabilità finanziaria, e in conclusione accenna a possibili implicazioni rispetto a ricerche future. 2. Il contesto italiano e i potenziali utilizzatori del rendiconto Gli enti locali hanno subito profondi cambiamenti negli ultimi due decenni: a partire dal 1990, con l’emanazione della legge 142, essi hanno acquisito un livello crescente di autonomia sul piano gestionale e organizzativo. In conseguenza alla Riforma costituzionale, introdotta con la legge 3 del 2001, anche il livello di autonomia finanziaria è andato progressivamente ad aumentare, spostandosi in maniera decisiva verso un modello decentrato, in cui a tali soggetti viene riconosciuto il potere impositivo. Tuttavia, occorre precisare che alla crescente autonomia finanziaria definita dalle riforme non è corrisposto un parallelo mutamento del contesto istituzionale, che resta di fatto fortemente accentrato, con la conseguenza di ostacolare la chiara programmazione delle risorse acquisibili e delle spese sostenibili. (2) Gli enti locali rappresentano, attualmente, una realtà istituzionale sempre più complessa: essi operano contemporaneamente come aziende di pubblici servizi, svolgono un ruolo di regia rispetto alle aziende nelle quali detengono partecipazioni e di regolamentazione, che è loro proprio in qualità di authority locali e, infine, assicurano i servizi istituzionali alla comunità servita. Allo stesso tempo, le profonde innovazioni sul piano organizzativo hanno indotto lo spostamento da un modello di tipo burocratico a uno manageriale, secondo l’approccio del New Public Management (NPM). Il processo di rinnovamento ha teso così a chiarire la fondamentale distinzione tra ruolo politico e ruolo assegnato ai dirigenti, distinguendo compiti e responsabilità. Si è affermata, in via di principio, la necessità di impiegare strumenti che consentissero di conoscere le modalità con le quali le risorse pubbliche vengono impiegate, rendendo “trasparenti” tanto i processi decisionali quanto quelli operativi. Il sistema contabile, pertanto, è stato interessato da una serie di mutamenti idonei a sostenere l’autonomia dei dirigenti (3) e soddisfare l’esigenza di accountability, (4) pur rimanendo 2 A titolo esemplificativo, si pensi alla recente eliminazione dell’Ici e ai mutamenti introdotti nel meccanismo del Patto di stabilità interno, condizioni che, mentre riducono le entrate per gli enti locali, definiscono limiti tanto alla spesa quanto alla possibilità di ricorrere a forme di indebitamento, inducendo spesso gli enti ad adottare manovre che nella sostanza eludono i limiti stessi. PEZZANI (2008), pp.10-13. 3 Esiste un ampio dibattito nella dottrina straniera sulle relazioni che legano il sistema contabile a quello manageriale, ed in particolare al New Public Management (LAPSLY, 1999; MEYER, 1998; OLSEN et al., 1998; OSBORNE, GAEBLER, 1993). Nel nostro Paese sono state condotte alcune ricerche sugli elementi che hanno indotto l’evoluzione del sistema contabile degli enti locali (BUCCOLIERO et al., 2005; DE MATTEIS, PREITE, 2005). 4 Non è questa la sede per alimentare il dibattito sull’accountability. Sembra, tuttavia, doveroso ricordare come tale principio sia stato diversamente definito: SINCLARE (1995), in base al contesto di riferimento distingue un’accountability pubblica, politica, manageriale, ammi233 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali ancorato al tradizionale sistema di contabilità finanziaria. (5) Un primo aspetto da chiarire è, dunque, a chi debba rendere conto l’ente locale. L’approccio al NPM adottato in Italia è stato di tipo normativo, imposto dall’alto e omnicomprensivo, coerentemente con la tradizione legalistica tipica del settore pubblico nel nostro Paese. Pertanto, gli enti locali hanno in primo luogo l’obbligo di fornire informazioni al governo centrale, responsabile del controllo della spesa pubblica. Con l’acquisizione del potere impositivo, tuttavia, si è progressivamente avvertita la necessità di dimostrare ai cittadini quale fosse il valore dei servizi pubblici offerti e il risultato delle politiche implementate a livello sociale, culturale e istituzionale. Esiste un interesse generale rispetto alla possibilità di misurare l’impatto delle politiche pubbliche sull’equilibrio finanziario dell’ente. I cittadini, allo stesso tempo, sono interessati a valutare la sostenibilità nel lungo termine delle scelte operate dalla classe politica e a verificare l’equità intergenerazionale. In sostanza, deve essere possibile valutare le modalità attraverso le quali i dirigenti hanno impiegato le risorse loro affidate rispetto ai risultati ottenuti; d’altro canto, gli stessi dirigenti necessitano di un sistema a supporto delle decisioni, che consenta di centrare l’attenzione sul valore creato piuttosto che sulle obbligazioni assolte. Le diverse categorie di potenziali utilizzatori del rendiconto degli enti locali (da taluni autori suddivisi in esterni e interni, Steccolini, 2004) presentano esigenze conoscitive variegate; ciò implica che il rendiconto dovrebbe essere in grado di soddisfare i possibili fruitori, ma così non è. Il problema sta nel riuscire a valutare, rispetto alle specifiche richieste di ogni singola categoria di stakeholder, quali informazioni siano ritraibili dal rendiconto e quali non possano essere adeguatamente soddisfatte, comportando così la necessità di poter accedere ad altri dati. Un tipo di ricerca simile travalica i limiti del presente lavoro; l’intento, in questa sede è quello di valutare, in prima istanza, se dal rendiconto degli enti locali è possibile trarre le informazioni necessarie a valutare il rischio finanziario, come si cercherà di evidenziare nel prosieguo. nistrativa e professionale, evidenziando come talvolta “being accountable in one form often requires compromises of other sorts of accountability”. Conclusioni similari sono proposte nell’ambito della grounded theory elaborata da GODDARD (2005). Altri autori presentano definizioni diverse in relazione ai criteri di riferimento (GRAY, JENKINS, 1993) o al principale obiettivo che si cerca di raggiungere attraverso le informazioni prodotte (RUBIN, 1996). Anche presso la nostra dottrina è stato evidenziato il ruolo del principio in oggetto (CAPERCHIONE, PEZZANI, 2000). Va sottolineato come esso si modifichi nel tempo, in base alle esigenze degli utilizzatori delle informazioni. STECCOLINI (2004) definisce l’accountability come “a multifaceted and evolving concept”. 5 Il dibattito sulla scelta del sistema contabile più idoneo a soddisfare le esigenze informative di tutti gli stakeholder è assai ampio, nel nostro Paese come all’estero. In particolare, esiste un’ampia letteratura a sostegno della coerenza del sistema di contabilità finanziaria con le esigenze di governo e di autorizzazione preventiva alla spesa, che ha ugualmente sottolineato la difficoltà di correlare entrate e spese secondo i criteri propri della competenza economica e che pure ha evidenziato come sia particolarmente rilevante fornire informazioni circa le modalità di finanziamento della spesa (MA, MATTHEWS, 1993; GUTHRIE, JOHNSON, 1994; MONSEN, NÄSI, 1998, 1999 e 2000; GUTHRIE 1998). Sull’esperienza italiana risulta interessante il lavoro condotto da ANESSI-PESSINA, STECCOLINI (2007). Azienda Pubblica 2.2009 234 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali 3. Il rendiconto degli enti locali: prime considerazioni ai fini della valutazione della solvibilità In base al dettato normativo del d.lgs. 267/2000, (artt. 227-231) entro il 30 giugno di ogni anno il Consiglio dell’ente deve approvare il rendiconto, composto da: 1) conto del bilancio, di diretta derivazione dal sistema di contabilità finanziaria, che evidenzia le entrate in termini di somme accertate, incassate e residui attivi e le spese dell’esercizio, impegnate e pagate, oltre ai residui passivi; 2) conto del patrimonio, in cui si rappresenta il patrimonio dell’ente, valutato secondo i criteri contenuti nella medesima norma; 3) conto economico, che espone le spese/costi e le entrate/ricavi, secondo il principio di competenza economica. A tali documenti il legislatore richiede che venga allegato il prospetto di conciliazione, impiegato per rettificare i dati della contabilità finanziaria, riconducendoli a una dimensione economica, così da “convertire” i valori espressi nel conto del bilancio e poter pervenire alla redazione del conto del patrimonio e del conto economico. Ugualmente, devono essere allegati al rendiconto la relazione predisposta dalla Giunta, la relazione dei revisori dei conti, l’elenco dei residui attivi e passivi, distinti per anno di provenienza, la tabella dei parametri di deficitarietà e quella dei parametri gestionali, unitamente a ulteriori parametri di efficienza e di efficacia elaborati dal singolo ente. La prima considerazione da fare, rispetto all’accostamento di un sistema di contabilità finanziaria con prospetti di bilancio aventi derivazione economica, sta nella difficoltà che si incontra, in un ente locale, nell’individuare una correlazione economica tra entrate e spese. Un limite evidenziato dalla dottrina internazionale attiene alla confusione che la coesistenza tra i due sistemi contabili (finanziaria ed economica) può creare nei dirigenti (Guthrie, 1998), al punto da condurre all’“atrofia” del sistema contabile (Anthony, 2000): esiste la concreta possibilità che le informazioni a valenza economica così prodotte siano in realtà di scarso interesse. (6) In relazione alla valutazione sulla solvibilità dell’ente a partire dai dati evidenziati nel rendiconto, tema centrale della presente ricerca, va detto che 6 Sotto un profilo teorico, le innovazioni legislative introdotte sono state criticate per aver operato la forzatura di far coesistere due sistemi contabili, nonostante il supposto vantaggio di consentire una transizione poco traumatica a sistemi di contabilità economica, a cui occorre adeguarsi in funzione delle pressanti spinte che operano sul piano internazionale (in particolare la pressione esercitata dalla Ue e la necessità di adeguarsi agli Ipsab). Il risultato ottenuto, in molti casi, è stato la riduzione del Rendiconto basato sulla contabilità economica ad una mera formalità, (BORGONOVI 1996; EZZANI, 1997). Anche le ricerche condotte sui risvolti della nuova normativa in tema di Rendiconto (CAPERCHIONE 2003; CACCIA, STECCOLINI, 2005) hanno evidenziato empiricamente i limiti dell’accostamento di documenti aventi natura e funzioni diverse. 235 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali sul piano internazionale tanto le banche quanto le altre istituzioni finanziarie hanno da tempo segnalato la carenza di dati e informazioni adeguate (Boyett, Giroux, 1978; Daniels, Daniels, 1991). Minore attenzione a tali aspetti era stata prestata nel nostro Paese in passato, in virtù dell’esistenza di un sistema di finanza derivata. Nel contesto attuale, invece, agli enti locali è richiesto di evidenziare il proprio equilibrio finanziario attuale e prospettico: all’autonomia finanziaria si è accompagnata la possibilità di emettere titoli di credito e, più in generale, di ricorrere a forme diverse di finanziamento. (7) L’accesso al mercato finanziario, anche alla luce delle novità introdotte da Basilea 2, pone la necessità di fornire informazioni sulla solvibilità attuale e prospettica dell’ente medesimo. Come evidenziato in precedenza, negli ultimi dieci anni gli enti locali hanno vissuto un periodo di restrizione rispetto alla politica fiscale, come conseguenza dell’applicazione del Trattato di Maastricht e dell’applicazione del Patto di stabilità e crescita: pur avendo acquisito il potere impositivo, essi hanno ricevuto contestualmente notevoli limitazioni da parte del Governo centrale rispetto al potere di spesa. Per di più, in un periodo come quello attuale, caratterizzato da una crescita economica assai lenta, gli enti locali non riescono a ottenere elevati livelli di entrate proprie. È chiaro che la politica tributaria e le scelte tariffarie sono da correlare strettamente ai servizi che l’ente è in grado di offrire ai suoi cittadini. Nel contesto delineato, se la classe politica intende assicurare alla collettività servita un adeguato livello quantitativo e qualitativo di servizi pubblici e istituzionali, diviene inevitabile il ricorso ai mutui e ad altre forme di indebitamento. I dati elaborati presso il Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro, al 30 novembre 2007, evidenziano un ampio ricorso all’indebitamento tanto attraverso i mutui quanto attraverso le emissioni di prestiti: l’indebitamento totale degli enti locali è pari a 57.943.686.901,10 euro di cui 13.307.392.025,70 euro per emissioni con il sistema bancario. Al 31 dicembre 2007 risulta altresì che un consistente numero di enti locali ha sottoscritto derivati (541 enti). Naturalmente, la contrazione di prestiti, l’emissione di titoli, o la cartolarizzazione dei crediti comportano il sostenimento di interessi e altri oneri finanziari che finiscono per gravare sul risultato economico dell’ente locale. A maggior ragione, è necessario definire quali informazioni, utili a valutare la capacità di indebitamento e, quindi, la solvibilità dell’ente locale, siano direttamente ritraibili dal rendiconto e quali debbano essere ricercate in altri documenti. (8) 7 Sulle possibili forme di finanziamento a cui possono ricorrere gli enti locali si vedano BRUSATI (2002) e MENEGUZZO (2003). 8 Una soluzione auspicabile potrebbe essere quella di inserire un’introduzione al rendiconto a carattere descrittivo e una presentazione analitica delle attività finanziarie come pure della posizione finanziaria dell’ente locale, sul modello del Management’s Discussion and Analysis ed anche del Required Supplementary Information, richiesti alle amministrazioni pubbliche americane dal GASB Statement N. 34 (KRAVCHUK E VOORHEES, 2001). Sull’impatto del GASB 34 sul rating si rinvia a JACOB (2004). Azienda Pubblica 2.2009 236 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Prima di procedere in questa direzione, occorre chiarire che gli enti locali sono chiamati a rispettare alcuni limiti normativi nella contrazione dei debiti di finanziamento: in via generale, il legislatore richiede che si osservi il rispetto degli equilibri di bilancio, nell’arco dell’intero periodo di durata del prestito e definisce anche un limite massimo in termini di interessi finanziari che l’ente può sostenere, espresso come percentuale rispetto alle entrate correnti. (9) In ogni caso, a seguito del novellato sesto comma dell’art. 119 della Costituzione, è possibile accedere a nuove forme di indebitamento solo per finanziare investimenti in immobilizzazioni. Va segnalato, tuttavia, come tali limiti si siano rivelati per lo più inefficaci in termini di controllo dell’equilibrio patrimoniale: occorrerebbe, in realtà, estendere l’analisi allo stock di debito acceso dall’ente, muovendo dall’analisi del Conto del patrimonio, anche in una visione consolidata che tenga conto delle relazioni con le aziende partecipate (Guarini, 2008: p. 47). Coloro che amministrano l’ente locale dovranno, quindi, operare oculate scelte di investimento, raccordandole adeguatamente alle politiche tributarie e tariffarie e alle modalità di gestione dei servizi pubblici prescelte; la considerazione delle modalità e degli strumenti a sostegno di tali decisioni superano i limiti assegnati a questo lavoro. Si vuole, invece, ricondurre l’attenzione al tema portante della presente ricerca: una volta che l’ente ha deciso di indebitarsi e ha scelto le modalità di finanziamento più idonee a soddisfare le proprie esigenze, i potenziali finanziatori potranno ritrarre dall’analisi dei prospetti che compongono il rendiconto dell’ente locale tutte le informazioni necessarie a valutare la capacità finanziaria dell’ente e la sua solvibilità nel tempo? Ponendo l’attenzione sui dati utili a effettuare un’analisi della solvibilità, va sottolineato fin da ora come dal rendiconto non sia possibile ottenere indicazioni circa i tempi di restituzione dei debiti contratti o i tempi di riscossione dei crediti. Fra l’altro, occorre considerare come la necessità di valutare l’equilibrio finanziario dell’ente induca a compiere non solo una mera analisi finanziaria, ma anche a considerare gli andamenti prospettici dell’ente medesimo. Per rispondere alle esigenze informative dei potenziali finanziatori e offrire un giudizio imparziale sulla propria affidabilità, negli ultimi dieci anni si è andata diffondendo la prassi, presso gli enti locali di grandi e medie dimensioni, di ottenere il rating da parte delle principali agenzie specializzate, in particolare in vista dell’emissione di titoli di credito. Sembra pertanto necessario indagare su quali aspetti venga in genere incentrata l’attenzione delle principali agenzie, evidenziando di volta in volta se i relativi dati siano o meno individuabili dalla lettura del rendiconto, per valutare poi se questo set di informazioni sia sufficiente a emettere un giudizio sulla solvibilità dell’ente. 9 Si tratta di una percentuale che in genere varia, di anno in anno, secondo le indicazioni della legge finanziaria. L’art. 204 del d.lgs. 267/2000 lo aveva inizialmente fissato al 25%. La finanziaria per il 2009 ha confermato tale limite, già da due anni definito nella misura del 15%. 237 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali 4. L’impatto di Basilea 2 sull’analisi finanziaria degli enti locali Le agenzie di rating sono generalmente ritenute tra i principali fruitori delle informazioni finanziarie promananti dal rendiconto degli enti locali, sebbene negli ultimi dieci anni anche altri interlocutori presenti sui mercati finanziari (come altri soggetti che emettono titoli, sottoscrittori, fondi comuni di investimento e altri) hanno acquisito un crescente interesse alle suddette informazioni. In via generale, gli analisti finanziari tendono a valutare la capacità del soggetto emittente i titoli di rimborsare le somme prese in prestito e l’intento di ripagare tanto gli interessi quanto il capitale. Sono già trascorsi vent’anni da quando Lamb e Rappaport (1987: p. 62) posero in evidenza come l’analisi finanziaria degli enti locali fosse prevalente appannaggio delle agenzie di rating e come in genere si tendesse a considerare l’enfasi posta sia da Standard & Poor’s sul substrato socio-economico dell’ente emittente, sia l’enfasi posta da Moody’s sugli oneri finanziari che gravano sul soggetto emittente i titoli. (10) Fitch, in realtà, tende a porre l’attenzione sul grado di “dipendenza” o “indipendenza” di ogni ente pubblico assoggettato a rating, come elemento preliminare dell’analisi. (11) In ogni caso, sia le suddette agenzie, sia altri analisti, concentrano la loro attenzione sui medesimi elementi di valutazione: a) fattori finanziari; b) peso degli oneri finanziari; c) incidenza della gestione amministrativa; d) fattori economici. Con l’applicazione dell’Accordo di Basilea 2, è aumentata l’esigenza di ottenere informazioni idonee a valutare il merito creditizio (12): tanto l’approccio Internal Rating Based (IRB) (13) quanto l’approccio Standard richiedono, a coloro che vogliono accedere al credito, di fornire tutte le informazioni rilevanti e significative ai fini della valutazione del loro grado di solvibilità. Con il primo approccio (IRB) tutte le informazioni devono essere raccolte direttamente dagli istituti di credito in funzione del proprio sistema di valutazione del merito creditizio: in pratica, ogni banca deve sviluppare una propria metodologia per assegnare il rating ai soggetti richiedenti credito, seguendo le linee guida indicate dagli organi di sorveglianza del sistema 10 Si veda STANDARD & POOR’S GLOBAL RATINGS CRITERIA (1997) e MOODY’S RATING SYMBOLS & DEFINITIONS (2005). 11 Si rinvia a FITCH RATINGS (2007). 12 In base all’accordo di Basilea 2, dal 1° gennaio 2007 il patrimonio di vigilanza delle banche deve essere commisurato a tre parametri di rischio: la probabilità di default (PD), la Loss Given Default (LGD) e la probabilità di esposizione al default (EAD). I tre parametri devono essere ponderati in funzione della scadenza del prestito. 13 L’approccio IRB può essere applicato secondo due modalità diverse: con l’approccio IRB base, l’istituto finanziatore valuta il rischio di insolvenza del debitore, ma la corrispondente quota del patrimonio di vigilanza viene calcolata in base ad una formula fissata dall’accordo. Diversamente, in base all’approccio IRB Avanzato la banca fissa tutti e tre i parametri (PD, LGD e EAD). L’approccio IRB garantisce una significativa flessibilità nella misurazione del rischio di credito ed offre alle banche un incentivo a modificare il proprio approccio, secondo le linee guida predisposte dagli organi competenti. Azienda Pubblica 2.2009 238 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali bancario. (14) Con il secondo approccio (Standard) la banca può optare tra il continuare a valutare il rischio in base a una serie di parametri prefissati e l’avvalersi di un rating esterno rilasciato da agenzie specializzate. In entrambi gli approcci, l’ente locale dovrà essere in grado di fornire tutte le informazioni necessarie a valutare l’insieme di elementi oggetto di esame in precedenza menzionati. Coerentemente con l’intento prioritario di questa ricerca, risulta necessario cercare di dare una risposta a un interrogativo fondamentale: Le informazioni richieste dagli analisti finanziari, alla luce delle indicazioni contenute in Basilea 2, sono tutte direttamente ritraibili dal rendiconto dell’ente locale? La situazione nel nostro Paese presenta sicuramente dei caratteri peculiari: per lungo tempo vi è stata una situazione di monopolio da parte della Cassa depositi e prestiti, unico istituto abilitato a finanziare gli enti locali. Lo scenario è mutato dalla metà degli anni ’90, quando il mercato è stato aperto agli altri Istituti di credito. In via generale, tuttavia, la concessione di un finanziamento si verifica quando gli istituti svolgono presso gli stessi enti anche la funzione di Tesoreria: in tale contesto, la banca ha modo di conoscere direttamente i flussi monetari collegati alle entrate e alle spese dei soggetti affidati. Nell’ambito della ricerca sono stati condotti una serie di colloqui (15) con operatori dei principali istituti di credito operanti in Italia, compresa la Cassa depositi e prestiti, da cui è emerso come l’uso sia quello di valutare l’affidabilità dell’ente partendo dall’esame degli indicatori allegati al rendiconto. Le agenzie di rating, in particolare Fitch, Moody’s and Standard & Poor’s, adottano criteri di valutazione tendenzialmente simili, come evidenziano le sottostanti tabelle in cui sono state riportate le scale di rating utilizzate. (16) La tabella 1 riporta le scale di rating assegnate dalle tre agenzie per i titoli a medio e lungo termine. 14 A seguito dell’applicazione dell’accordo di Basilea 2, ogni autorità responsabile dell’emanazione dei regolamenti in materia (in Italia, ad esempio, è la Banca d’Italia), assume una responsabilità diretta nel validare i modelli sviluppati ed impiegati dalle istituzioni creditizie sotto la loro vigilanza. 15 Coerentemente con un approccio di tipo qualitativo, le interviste condotte sono state non strutturate, tendendo ad evidenziare a quali documenti i diversi istituti facessero riferimento ai fini della concessione del credito agli enti locali. 16 Va evidenziato che secondo il metodo standard previsto dall’accordo di Basilea 2, le banche sono tenute a creare una riserva di capitale sufficiente ad assorbire le perdite attese, proporzionalmente al grado di rischio medio a cui si è esposti. I crediti verso Stati sono pesati con 0% se la valutazione varia tra AAA e AA-, 20% se il rating varia tra A+ ed A, 50% se il rating oscilla tra BBB+ e BBB-, 100% se il rating varia tra BB+ e B- o se non c’è rating, 150% se il rating è più basso di B-. Tuttavia va precisato che, in via generale, nessun ente pubblico può ottenere un rating più elevato di quello dello Stato di appartenenza. 239 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Tabella 1 – Scale di rating per titoli a medio-lungo termine Fitch Ratings Standard & Poor’s Moody’s Investment grade AAA Investment grade rischio di credito estrema- capacità di rimborso del Aaa mente basso debito molto alta AA+ AA AA AAA+ A A A- Aa1 rischio di credito molto capacità di rimborso del basso; capacità di rim- debito molto alta, di poco Aa borso molto solida inferiore a AAA elevata capacità di rimborso del debito ma inaspettativa bassa di rifluenzabile da eventuali schio di credito; adeguaA cambiamenti della situata capacità di rimborso zione economica e finanziaria BB+ BB B BB- bassissimo grado di rischio dell’investimento capacità di rimborso adeguata ma soggetta a cambiamenti collegati al ciclo economico Aa2 Aa3 A1 A2 A3 adeguata capacità di rimborso del debito, con più alta probabilità di indebolimento in presenza di Baa condizioni economiche e finanziarie sfavorevoli Baa1 adeguata capacità di rimborso del debito, con più alta probabilità di indebolimento in presenza di Ba condizioni economiche e finanziarie sfavorevoli Ba1 Baa2 Baa3 Speculative grade BB+ BB BB BB- B+ possibilità di rischio di credito, soprattutto se la situazione economica non è favorevole Ba2 Ba3 B1 CCC, CC eC elevate possibilità di in- CC indica un alto grado solvenza di speculazione; C riservato ai titoli per cui non Caa sono stati pagati interessi Caa1 DDD, DD eD titoli altamente specula- D per titoli in stato di insol- Ca & C tivi venza (S&P) B B- adeguati elementi di garanzia per il pagamento degli interessi e del capitale alla scadenza, che possono deteriorarsi per il futuro adeguate possibilità di pagamento degli interessi del rimborso del capitale, tuttavia influenzabile da fattori esogeni Speculative grade significativo rischio di cre- condizioni economiche e fidito pur essendovi un lie- nanziarie avverse potrebve margine di garanzia bero quasi annullare la B capacità di rimborso B bassissimo grado di rischio dell’investimento ma con garanzie per il pagamento degli interessi inferiore a Aaa B2 B3 Caa2 copertura degli interessi e del capitale – titoli con caratteristiche leggermente speculative investimento non sicuro; poche garanzie di pagamento quota interesse e quota capitale possibili condizioni di insolvenza Caa3 scarsissima possibilità di pagamento degli interessi e di rimborso della quota di capitale Nella tabella 2 si riporta una sintesi generale dei fattori che le agenzie di rating considerano rilevanti onde pervenire alla valutazione del rischio di credito degli enti locali sottoposti ad analisi. Le diverse agenzie tendono a porre in evidenza alcuni dei seguenti aspetti in misura prevalente rispetto agli altri, ma in ogni caso tutti gli aspetti riportati nella tabella sono oggetto di analisi. Azienda Pubblica 2.2009 240 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Tabella 2 – Aree di analisi Aree di analisi sistema politico ed amministrativo dello Stato di appartenenza sistema politico ed amministrativo locale struttura socio-economica del territorio flussi finanziari e situazione debitoria dell’ente • • • • • • • • • • • • • Elementi oggetto di valutazione grado di decentramento funzioni delegate agli enti territoriali grado di stabilità del sistema politico grado di stabilità del sistema politico struttura organizzativa grado di preparazione dei dirigenti gestione del personale evoluzione demografica prevista base economica ed infrastrutturale e prospettive a medio-lungo termine piani di sviluppo territoriali struttura delle entrate e delle uscite livello di liquidità indebitamento attuale e trend atteso È immediatamente rilevabile come le informazioni richieste siano di carattere sia qualitativo sia quantitativo, connesse tanto a fattori esogeni quanto a fattori endogeni. Nel cercare di ritrovare nell’ambito del rendiconto tutte le informazioni necessarie, appare subito evidente che la più grave carenza informativa riguarda principalmente gli aspetti qualitativi, soprattutto di tipo esogeno. La norma vigente richiede che venga illustrato il contesto sociale ed economico del territorio solo nell’ambito dei documenti di programmazione, in particolare nella relazione previsionale e programmatica. Esiste, in realtà, un’apposita sezione della relazione al rendiconto predisposta ad opera della Giunta, nell’ambito della quale la norma (17) chiede di evidenziare i principali scostamenti intervenuti rispetto alle previsioni, come pure di offrire chiarimenti rispetto alle cause che li hanno determinati. Se le medesime informazioni venissero adeguatamente palesate, risulterebbero particolarmente utili per valutare la capacità dell’ente nel fissare obiettivi concretamente raggiungibili piuttosto che approntare i “libri dei sogni”. Ciò sarebbe rilevante per stimare l’attitudine a formulare programmi che rappresentano una linea all’azione, idonei a garantire l’equilibrio finanziario ed economico dell’ente. Un’informazione cui le agenzie dedicano particolare attenzione e che assume un notevole peso nel processo di assegnazione del rating, attiene al livello di stabilità del sistema istituzionale e al grado di supporto offerto dai diversi livelli di governo. (18) Tale prima area di analisi non trova immediato riscontro nei contenuti del rendiconto. 17 Art. 231, d.lgs. 267/2000. 18 “La capacità di un livello istituzionale gerarchicamente più elevato di definire i livelli di spesa (o gli standard dei servizi) che un altro ente deve rispettare senza che si accompagnino adeguati trasferimenti di risorse o un corrispondente potere impositivo è considerato come un fattore negativo. I trasferimenti sono valutati in funzione della loro misura, prevedibilità ed elasticità con la quale possono essere modificati in base al variare del contesto di riferimento.”, STANDARD & POOR’S (1997: p. 3). 241 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Allo stesso modo, le informazioni attinenti la seconda area di analisi (sistema politico e amministrativo locale) non sono contenute nei documenti di sintesi di fine periodo. Altro aspetto che richiede un’adeguata considerazione concerne le condizioni di sviluppo economico del territorio: l’ammontare complessivo delle entrate, infatti, è strettamente correlato a tale sviluppo. In via generale, molte risorse di entrata, quali imposte e tasse dirette e indirette, così come pure le tariffe, dipendono dall’andamento economico del territorio: ciò significa che le informazioni ritraibili dal rendiconto devono essere interpretate in maniera congiunta con quelle relative alla struttura economica, allo sviluppo demografico e alle prospettive di crescita del singolo ente. Contemporaneamente, analizzare le risorse provenienti dall’imposizione fiscale e la capacità di incidere sul livello generale di entrate, consente alle agenzie di rating di valutare correttamente la sostenibilità complessiva delle spese. Anche rispetto a questa terza area di indagine il rendiconto risulta carente. (19) In riferimento all’ultima area (flussi finanziari e situazione debitoria dell’ente) occorre ancora considerare che la stragrande maggioranza delle informazioni ottenibili dalla lettura del rendiconto sono impiegabili per la valutazione dei flussi finanziari e della capacità di indebitamento dell’ente, ma non sono necessariamente esaustive. I dati forniti dagli enti locali consentono di individuare la composizione delle entrate e il loro andamento futuro, i trasferimenti di parte corrente distinti in base alla tipologia, le imposte a carattere locale, ugualmente distinte per tipologia, come pure le tasse e le tariffe per i servizi a domanda individuale, e le entrate derivanti dalla riscossione di dividendi e interessi attivi. Tale articolazione, tuttavia, non è sufficiente ai fini dell’analisi finanziaria: per poter adeguatamente valutare quali risorse possono essere destinate a rimborsare i debiti contratti, occorrerebbe distinguere le entrate a destinazione vincolata dalle altre entrate, che possono indistintamente finanziare le spese. La prima categoria di entrate ha carattere trasversale (comprendendo sia le entrate di parte corrente che le entrate per investimenti) ed è ottenuta con vincolo di destinazione alla copertura di specifiche voci di spesa. Anche questo tipo di informazione attualmente non può essere dedotta direttamente dal rendiconto, ma solo dai dati interni. Altri dati sui quali centrare l’attenzione ai fini delle analisi sulla solvibilità, riguardano la relazione tra spese correnti e spese di investimento: la normativa obbliga gli enti locali a raggiungere e preservare il cosiddetto “equilibrio economico”, inteso come differenza tra entrate e spese correnti (inclusi gli oneri e i proventi finanziari). (20) Se tale condizione viene rispet19 È appena il caso di sottolineare che qualunque analista ha la possibilità di accedere ad altre fonti informative, esterne all’ente, dalle quali acquisire le informazioni relative alle prime tre aree di indagine (dati della Banca d’Italia, dell’Istat, del Ministero dell’economia, delle Camere di commercio, ecc.). 20 Appare evidente che tale grandezza, così come definita dal legislatore, ha poco a che vedere con il concetto di equilibrio economico formulato nella dottrina italiana. Le entrate correnAzienda Pubblica 2.2009 242 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali tata, le entrate a lungo termine (da trasferimenti, dalla contrazione di nuovi prestiti o da rimborsi di prestiti concessi) devono essere impiegate per investimenti a lungo termine. Gli analisti considerano, altresì, i dati relativi agli investimenti programmati e ai loro finanziamenti, con riferimento anche alla loro articolazione temporale. Tuttavia, dai dati del rendiconto è possibile pervenire alla misurazione del cosiddetto equilibrio economico, mentre per valutare i programmi futuri o gli ulteriori sviluppi previsti per gli investimenti in infrastrutture è necessario ricorrere ai documenti della programmazione, ai quali le agenzie di rating non fanno riferimento, considerandoli in genere inattendibili. Tutte le informazioni inerenti alle scelte adottate in tema di gestione della liquidità sono ugualmente rilevanti, così come pure i dati atti a valutare l’incidenza dei fondi rischi o i debiti assunti da imprese possedute o controllate: tutti i succitati elementi incidono sulla posizione finanziaria dell’ente, rispetto sia alla liquidità, sia al peso dell’indebitamento. Sotto questo profilo le agenzie di rating, per esempio, valutano anche l’incidenza dei debiti previsti e il grado di indebitamento dei soggetti che operano trasferimenti a vantaggio dell’ente (Stato e Regioni) rispetto al prodotto interno lordo globale e pro capite (21): la solvibilità del prenditore, infatti, dipende anche dalla concreta capacità che hanno le entità istituzionalmente sovraordinate e deputate a trasferire alcune risorse, di provvedere regolarmente agli obblighi assunti. Un ulteriore elemento cui occorre dare il giusto peso attiene alla presenza e alla misura dei debiti fuori bilancio: in questa posta vengono ricompresi i debiti determinati, direttamente o indirettamente, da altri soggetti pubblici, inclusi quelli causati dalle aziende partecipate. Ugualmente, sono oggetto di analisi i dati relativi al processo di formazione dei residui attivi e passivi, in quanto influenzano il risultato di amministrazione dell’ente: a parità di risultato, ma con un differente livello di “anzianità” dei residui attivi, gli analisti dovrebbero assegnare un giudizio migliore all’ente che rileva un tasso di smaltimento dei residui più rapido. È chiaro che se i residui attivi e passivi non sono distintamente indicati nel rendiconto per anno di provenienza, solo gli analisti che godono della possibilità di un accesso diretto ai dati dell’ente potranno compiere le opportune considerazioni su questi aspetti. La completezza delle informazioni provenienti dal rendiconto, rispetto a questi ultimi elementi, è fortemente influenzata dal grado di dettaglio presentato dalla relazione della Giunta e dalla completezza e attendibilità dei dati attinenti la composizione dei residui attivi e passivi. ti, difatti, non corrispondono ai ricavi né d’esercizio, né della gestione caratteristica né, tanto meno, ciò accade per le spese correnti rispetto ai costi. Sul concetto di equilibrio economico si rinvia a GIANNESSI (1969: p. 586). 21 Un’incidenza dei debiti previsti superiore al 100% delle entrate previste e un indebitamento dei soggetti che operano trasferimenti a favore dell’ente superiore al 25% del prodotto interno lordo globale in genere è considerato negativamente. 243 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Ultimo aspetto, non meno rilevante, attiene all’attendibilità del sistema informativo contabile: gli analisti, come già evidenziato, tendono a non prendere in considerazione i documenti di carattere programmatico, considerati aleatori e poco coerenti con la realtà. Troppo spesso, infatti, il bilancio preventivo degli enti locali finisce per essere il risultato di un accordo politico. Sul piano dell’analisi finanziaria tale atteggiamento ha un forte impatto: se le previsioni tendono a sovrastimare le spese per investimenti futuri, anche le previsioni relative alla contrazione di prestiti saranno effettuate proporzionalmente, sebbene tutto ciò non sia assolutamente indicativo di una strategia finanziaria prescelta ma derivi solo dall’obbligo di deliberare il bilancio preventivo in pareggio. Ovvia conseguenza di quanto detto, il bilancio preventivo non può essere comparato con il consuntivo, e così gli analisti, quando pure leggono i documenti della programmazione, compiono le loro valutazioni rettificando le indicazioni contenute nei documenti ufficiali, al fine di individuare la reale capacità di spesa dell’ente. La situazione descritta è sintomatica di come gli enti locali si dedichino soprattutto alla redazione dei documenti collegati al processo di programmazione, senza dare adeguata rilevanza alla necessaria coerenza che dovrebbe sussistere tra tutti i prospetti contabili (sia quelli relativi alla fase della programmazione, sia quelli relativi ai risultati ottenuti) ugualmente rilevanti per valutare l’esposizione finanziaria e l’evoluzione dell’ente sotto il profilo economico. Le carenze riscontrate nell’attuale schema di rendiconto inducono le agenzie di rating a compiere l’analisi, in particolare sul contesto economico e sociale, fondandosi su dati rilevati autonomamente. Non possono tacersi gli eclatanti casi di insolvenza degli enti locali nel nostro Paese, rilevati talvolta all’indomani dell’ottenimento di rating positivi. Tale situazione induce ulteriormente a sottolineare la necessità di: – pervenire alla valutazione del capitale “sociale” riferibile al territorio e, quindi, delle prospettive di sviluppo concretamente riferibili all’ente; – valutare la dimensione economica e finanziaria dell’ente in maniera consolidata, estendendo l’analisi alle aziende partecipate sulle quali talvolta si trasferiscono i debiti così da eludere i vincoli normativi all’indebitamento; – arricchire le informazioni contenute nel rendiconto, come si specificherà in seguito. 5. Una proposta per l’analisi finanziaria negli enti locali Sulla scorta delle notazioni finora condotte, resta ora da trovare una risposta all’interrogativo iniziale: come si può valutare la solvibilità dell’ente locale e quindi, in via definitive, la sua PD? I metodi classici di valutazione del rischio non possono trovare applicazione: i modelli di scoring non sono utilmente applicabili, in considerazione del numero relativamente basso di dati sul dissesto di enti locali, così come non sono impiegabili i modelli Azienda Pubblica 2.2009 244 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali option-contingent in quanto i servizi pubblici non hanno un prezzo di mercato e non è di conseguenza possibile stimare la volatilità del loro valore. (22) La seguente parte del lavoro, concentrando l’attenzione sulla quarta area di analisi considerata dalle agenzie di rating (flussi finanziari e situazione debitoria dell’ente), è dedicata all’illustrazione di un modello di analisi finanziaria basata sull’esame del cash flow e su una griglia di indicatori della solvibilità aziendale, predisposto partendo dai dati contenuti nel rendiconto. Il modello è stato applicato a tre Comuni, appartenenti alla medesima Regione, così da far riferimento al medesimo contesto socio-economico, rappresentativi di tre classi demografiche diverse: il caso A per un piccolo comune (15.000 ab.), il B per uno di medie dimensioni (40.000 ab.) e il C per un ulteriore, di maggiori dimensioni (80.000 ab.). (23) Si è privilegiato l’approccio del case-study, (24) in considerazione del fatto che l’analisi finanziaria per gli enti locali italiani è ancora ai primi passi: in Italia esiste una letteratura nascente sul tema e poche ricerche empiriche. L’intento è quello di applicare un modello di analisi composito in modo da poter valutare il merito creditizio, evidenziando anche quali altri dati siano necessari per stimare l’equilibrio finanziario attuale e prospettico dell’ente esaminato. (25) Generalmente i nuclei fondamentali che sono oggetto di indagine da parte degli analisti finanziari, riguardano il grado di patrimonializzazione, le modalità di copertura del fabbisogno finanziario e la redditività operativa (Galeotti, 2007). Per poter analizzare tali profili il primo problema che si pone è quello di riclassificare le voci del bilancio finanziario, per poi procedere a considerare i singoli aspetti. Sarebbe interessante operare un’analisi simile sui bilanci preventivi, così da stimare le tendenze previste rispetto all’impiego del capitale proprio e di indebitamento. Tuttavia, considerata la scarsa significatività attribuibile a questi dati, una tale estensione sarebbe priva di significato, o rischierebbe addirittura di essere fuorviante. La metodologia proposta è necessariamente sintetica, ponendo l’attenzione solo sui principali aggregati dei prospetti che compongono il rendiconto, ma un’indagine più approfondita, finalizzata a esprimere 22 Per una comparazione sui modelli di valutazione del rischio si rinvia a GORDY (2000). I modelli di scoring sono stati messi a punto dagli anni ’70 e poi perfezionati nel tempo. Si rinvia a ALTMAN et al. (2004). 23 Per le motivazioni suddette, i dati impiegati nell’analisi di seguito proposta si riferiscono a quelli del rendiconto per l’esercizio 2006 di tre Comuni della Provincia di Napoli: il caso A riguarda il Comune di Villaricca, il caso B il Comune di Frattamaggiore, il caso C il Comune di Pozzuoli. 24 È stato privilegiato un approccio qualitativo soprattutto nell’intento di comprendere le dinamiche finanziarie negli enti locali, considerando anche le diverse dimensioni territoriali. Sui metodi applicabili alla ricerca sociale si rinvia a CORBETTA (2003). In particolare sul confronto tra metodi quantitativi e qualitativi, p. 86 e ss. 25 Di fatto, tutte le informazioni derivanti da questa analisi richiedono una necessaria integrazione con le informazioni relative al contesto socio-economico: questi dati sugli aspetti di carattere esogeno, che possono influire sullo sviluppo futuro dell’ente, possono essere ottenuti da altre fonti, ma i limiti assegnati al presente lavoro non consentono anche la costruzione di una griglia per definire in maniera analitica quali informazioni considerare e a quali fonti attingere. 245 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali un giudizio sulla solvibilità, richiede un’analisi attenta sul contenuto delle singole voci, al fine di evitare equivoci interpretativi. Alcuni errori di valutazione, infatti, potrebbero derivare da una classificazione non adeguata di talune voci; a titolo esemplificativo, si consideri l’ipotesi in cui alcune spese di investimento vengono qualificate come spese correnti o viceversa: è evidente che tale classificazione incide direttamente sul calcolo del risultato operativo e sulle conseguenti valutazioni. A ciò si aggiunge che alcuni equivoci rispetto alla classificazione delle voci di bilancio nascono dalle stesse previsioni normative: sempre a scopo esemplificativo, si consideri come di recente il legislatore abbia concesso ai Comuni di iscrivere tra le entrate correnti anche le entrate derivanti da concessioni a edificare. Tuttavia, queste somme sono raccolte per assicurare le manutenzioni e la fruibilità delle infrastrutture; di conseguenza, sembra più corretto riclassificarle tra le entrate per investimenti per il loro intero ammontare. Non sfugge come la corretta classificazione di tali voci modifichi sensibilmente il risultato operativo, soprattutto nel caso in cui l’ente conti su questi introiti per finanziare la spesa corrente. Un altro punto fondamentale da considerare ai fini dell’analisi finanziaria riguarda, come già notato in precedenza, la distinzione tra entrate “libere” ed entrate a “destinazione vincolata”: l’ente locale non può beneficiare di alcuna entrata a destinazione vincolata, nemmeno in via temporanea, per impieghi diversi da quelli a fronte dei quali è stata ottenuta. Ciò significa, in altre parole, che non si può condurre un’analisi corretta, al fine di valutare il cash flow impiegabile, senza aver operato questo tipo di distinzione. In via generale, ad esempio, tutti i trasferimenti per investimenti sono a destinazione vincolata, così come pure le somme ottenute a seguito della contrazione di nuovi debiti di finanziamento a lungo termine. Purtroppo, questo tipo di informazione non è ottenibile dal rendiconto, ma occorrono altre informazioni interne per supportare la classificazione. Anche nell’ambito dell’analisi presentata questa distinzione è risultata impossibile da attuare, disponendo solo dei documenti ufficiali. Un problema fondamentale da risolvere, poi, riguarda la conversione dei dati dalla competenza “giuridica” (basati su impegni e accertamenti) alla competenza di cassa: partendo dall’insieme di considerazioni svolte, è fondamentale considerare solo i flussi di cassa per valutare la solvibilità dell’ente locale. Ciò significa separare le somme riscosse da quelle accertate e poi, nell’ambito del primo gruppo, distinguere quelle riscosse dalla competenza rispetto a quelle riscosse da residui, così da valutare l’incidenza delle gestioni passate sui flussi di cassa attuali. La medesima distinzione, ovviamente, deve essere fatta anche sul fronte della spesa, separando le somme pagate per la competenza da quelle pagate in conto residui. Il problema nasce a causa della distanza temporale, talvolta considerevole, tra il momento in cui gli accertamenti/impegni vengono assunti e quello in cui si genera il movimento di cassa. L’analisi di seguito presentata è stata elaborata sui dati del conto del Azienda Pubblica 2.2009 246 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali bilancio: nella tabella 3 vengono presentati direttamente i risultati dell’applicazione del modello ai tre comuni precedentemente indicati. Il conto del bilancio è stato riclassificato in modo da separare le entrate e le spese correnti dai movimenti che riguardano elementi della gestione finanziaria e straordinaria, in modo da ottenere il cash flow della gestione operativa. (26) Successivamente sono stati sommati i risultati della gestione finanziaria e per investimenti, in modo da calcolare il cash flow netto, prima dell’incidenza della gestione finanziaria. Questo primo risultato è rappresentativo della gestione ordinaria: in tutti i casi esaminati, esso è risultato negativo sebbene, sommando la consistenza della cassa all’inizio dell’esercizio è chiaro che tutti gli enti si trovano ancora in condizioni di equilibrio finanziario. Tuttavia, è anche possibile notare che per i Comuni A e C il cash flow netto sarebbe risultato assolutamente positivo, senza l’influenza degli oneri straordinari. Questo dato può essere interpretato come il risultato di una buona gestione ordinaria. Aggiungendo il flusso di cassa dell’indebitamento (Δ Debiti e interessi passivi) al cash flow netto, è stata calcolata la variazione netta della liquidità disponibile; sommando questo risultato al fondo cassa iniziale è possibile addivenire all’individuazione dell’ammontare disponibile per ulteriori impieghi (correnti o di investimento). Dall’applicazione del modello è possibile effettuare un’altra interessante considerazione: gli enti locali appongono nel proprio bilancio una serie di voci che riguardano alcune operazioni nelle quali in realtà operano come meri intermediari. Si tratta delle cosiddette entrate e spese “per conto terzi”. Osservando i flussi finanziari, è possibile evidenziare come queste voci abbiano un peso negativo sulla solvibilità stimata: ciò si verifica in quanto generalmente l’ente si trova ad anticipare somme che successivamente verranno rimborsate da terzi. Tuttavia, è possibile che si debbano sostenere interessi passivi per anticipare somme che non dovrebbero incidere in alcun modo sui risultati della sua gestione (tabella 3). Aggregando i dati diversamente, in particolare escludendo le variazioni derivanti dall’indebitamento, è anche possibile porre in evidenza il surplus da investire o il deficit da colmare. In tutti i tre casi considerati è risultato che la gestione condotta nell’esercizio ha generato un deficit, sebbene ampiamente assorbito dalla consistenza della cassa all’inizio del periodo. Risulta altresì utile confrontare il cash flow originato dalla gestione operativa con il risultato della gestione finanziaria (inteso come differenza tra interessi attivi e passivi). I valori ottenuti appaiono significativi: sebbene tutti i Comuni esaminati abbiano rispettato le indicazioni normative, che nel 2006 richiedevano di non superare il limite del 12% di interessi passivi 26 Si vuol notare che l’International Public Sector Accounting Standard Board nel 2000 ha elaborato il principio Ipsas n. 2 - Cash flow statements, sul modello dello IAS 7; tuttavia tale documento ha un’impostazione diversa, essendo strutturato per essere applicato ad un bilancio redatto secondo criteri di competenza economica. 247 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Tabella 3 – Analisi del cash flow Municipalità A Municipalità B Municipalità C Riscossioni da E correnti* 12.914.928,84 19.152.605,31 80.174.272,08 (-) pagamenti spese correnti* 11.720.910,04 17.612.602,68 76.211.642,26 1.194.018,80 1.540.002,63 3.962.629,82 1.326.732,91 2.511.536,66 7.399.962,16 2.483.750,64 7.281.988,09 10.289.286,22 -1.157.017,73 -4.770.451,43 -2.889.324,06 0,00 0,00 0,00 1.930.920,17 53.005,55 2.416.365,87 -1.930.920,17 -53.005,55 -2.416.365,87 -1.893.919,10 -3.283.454,35 -1.343.060,11 341.003,01 3.438.069,32 1.708.043,65 (1)= Flusso di cassa da attività operativa Riscossioni da alienazioni patrimoniali, trasferimenti in c/capitale, crediti (-) pagamenti per spese in conto/ capitale (2) = Flusso di cassa da attività di investimento Riscossioni da proventi straordinari (-) Pagamenti per oneri straordinari (3) = Flusso di cassa da gestione straordinaria (1+2+3) A: flusso di cassa netto Nuovi debiti (entrate da contrazione di prestiti) (-) rimborsi prestiti 503.900,41 964.127,95 3.069.181,76 (-) interessi passivi 255.552,73 1.080.398,06 2.105.857,36 (4) =Flusso di cassa del debito -418.450,13 1.393.543,31 -3.466.995,47 5.204,26 2.317,2 5.255,15 -2.307.164,97 -1.887.593,84 -4.804.800,43 3.265.323,17 16.598.093,52 6.276.060,61 (5) interessi attivi ((1+2+3)+4+5) B : Variazione netta liquidità disponibile (+) liquidità iniziale (fondo cassa) (6) = Liquidità disponibile finale 958.158,20 14.710.499,68 1.471.260,18 Riscossioni per servizi conto terzi 1.130.294,30 2.611.133,88 10.967.638,60 (-) Pagamenti per servizi conto terzi 1.337.585,46 2.874.095,22 11.659.896,34 -262.961,34 -692.257,74 14.447.538,34 779.002,44 Municipalità A Municipalità B Municipalità C 1.194.018,80 1.540.002,63 3.962.629,82 -1.157.017,73 -4.770.451,43 -2.889.324,06 (7)= Flusso di cassa per servizi conto -207.291,16 terzi (6+7=) Fondo cassa finale 750.867,04 *al netto di elementi finanziari e straordinari Tabella 4 – Analisi del surplus/deficit finanziario (1) Flusso di cassa da attività operative (2) +Flusso di cassa da attività di investimento (+) interessi attivi (-) interessi passivi 5.204,26 2.317,20 5.255,15 255.552,73 1.080.398,06 2.105.857,36 0,00 0,00 0,00 (+)proventi straordinari (-) oneri straordinari (=)Surplus o deficit finanziario Azienda Pubblica 2.2009 1.930.920,17 53.005,55 2.416.365,87 -2.144.267,57 -4.361.535,21 -3.443.662,32 248 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali rispetto alle entrate correnti, i tre enti presentano un risultato sensibilmente diverso in termini di incidenza degli oneri e proventi finanziari sulla gestione operativa, che risultano pari a circa il 21% per il Comune A, il 70% per il Comune B e il 53% per il Comune C (tabella 4). A completamento dell’analisi si potrebbe anche calcolare il livello massimo di indebitamento (MLD). Al fine di individuare tale grandezza è necessario conoscere il costo medio dell’indebitamento e rapportarlo al limite posto dalle norme vigenti; considerando che attualmente gli interessi passivi non possono essere superiori al 15% delle entrate correnti, si avrà: se equivale a ovvero 15%= Interessi passivi /Entrate correnti 15%= tasso medio x MLD/ Entrate correnti (15% / tasso medio)x Entrate correnti = MLD Sarebbe estremamente interessante estendere l’analisi agli esercizi successivi, partendo dai dati del bilancio di previsione e impiegando un modello di previsione dinamico, come il RAPD approach (Montesi, Papiro, 2008). Appare evidente, comunque, che un’analisi previsionale può essere condotta in modo utile solo partendo da dati affidabili, come è stato ampiamente evidenziato in precedenza. Un’ulteriore analisi potrebbe essere effettuata partendo dai dati del conto del bilancio, con un attento esame della composizione delle singole voci di entrata e di spesa. In particolare, come già evidenziato, l’osservazione della dinamica con la quale si sviluppano incassi e pagamenti può essere rivelatrice rispetto all’abilità dell’ente locale di effettuare impegni di spesa e accertamenti di entrata attendibili, così come della capacità di riscuotere e pagare entro i tempi previsti i propri crediti e debiti. Nella tabella 5 vengono presentati alcuni indicatori elaborati per tutti i tre Comuni analizzati, relativi alla velocità di riscossione e pagamento delle entrate e delle spese, articolate in gruppi omogenei, in base alla loro origine. Quanto più è elevata la velocità di raccolta, più ampia è la capacità dell’ente nell’effettuare accertamenti corretti e nel riscuoterli. Chiaramente, questo aspetto influisce direttamente sulla possibilità di pagare le spese entro le loro scadenze ordinarie, senza dover sopportare ulteriori costi per anticipazioni di cassa. Per le medesime ragioni, risulta rilevante l’incidenza delle somme incassate nell’anno in conto competenza, rispetto a quelle incassate da residui, in modo da misurare l’incidenza della gestione pregressa su quella attuale. A titolo esemplificativo, osservando il Comune A, che ha già dimostrato nell’analisi precedente un buon livello di solvibilità, anche se il totale delle somme riscosse rispetto a quelle accertate non è elevato, dall’analisi per titoli è possibile notare che la causa è rintracciabile nei tempi di riscossione dei trasferimenti da altri enti sovraordinati. Di conseguenza, solo se il sistema istituzionale è considerato meritevole sotto il profilo creditizio, l’ente potrà ottenere un giudizio positivo. 249 Azienda Pubblica 2.2009 Azienda Pubblica 2.2009 250 Tasso di smaltimento RP su Sp. c/terzi riscossione RA RA es. precedenti Tasso smaltimento RA* su accensione di riscossione RA prestiti RA es. precedenti riscossione RA RA es. precedenti riscossione RA RA es. precedenti Tasso smaltimento RA su ent. da trasf correnti Tasso smaltimento RA da alienazioni immob., trasf. capit., riscossione crediti. riscossione RA RA es. precedenti riscossione RA RA es. precedenti riscossione RA RA es. precedenti Tasso smaltimento RA su ent. Extra Trib Tasso smaltimento RA su ent. Trib. Tasso smaltimento RA Analisi del livello di riscossione RA c.comp. da e.t. accertamenti e.t. Incidenza RA dalla competenza su entrate tributarie 4,88 3,99 12.246,00 35,42 34.572,64 341.003,01 8.547.762,62 1.322.036,15 27,08 4.881.086,29 225.173,74 4.613.506,33 2.087.606,41 25,26 8.264.034,36 77,87 1.340.108,76 1.720.930,88 5.328.174,07 18,99 28.061.893,12 2.510.574,13 37,55 6.685.991,31 26.708.400,51 140,7 18.975.419,40 8.585.430,15 45,25 18.975.419,40 % 528.642,98 548.037,24 3.438.069,32 20.662.845,01 1.360.882,47 6.052.632,49 472.116,48 2.759.493,43 2.052.769,29 3.630.221,74 3.249.107,11 13.442.744,82 11.101.587,65 47.095.974,73 3.829.539,80 8.421.100,78 96,46 16,64 22,48 17,11 56,55 24,17 23,57 45,48 37.992.423,86 148,51 25.583.015,36 8.968.940,64 35,06 25.583.015,36 Analisi dell’impatto dei residui attivi (RA) Municipalità A % Municipalità B Incidenza RA dalla competenza Composizione indicatori totale RA accertamenti nuovi RA accertamenti Incidenza totale Residui Attivi Indicatori Tabella 5 (a) – Analisi dell’impatto dei residui % indicatori 163.176,15 1.592.920,78 1.708.043,65 25.984.981,33 5.124.157,57 51.288.208,12 4.781.273,08 26.377.509,22 15.328.340,09 8.540.949,68 27.112.869,43 5.892.473,66 26.210.073,79 147.684.828,97 10,24 6,57 9,99 18,13 38,44 31,50 17,75 Tasso di smaltimento RP su Sp. c/terzi Tasso di smaltimento RP sul rimborso finanz. Tasso di smaltimento RP su sp. di inv. Tasso di smaltimento RP su spese corr. pgamenti RP RP es. precedenti pgamenti RP RP es. precedenti pgamenti RP RP es. precedenti pgamenti RP RP es. precedenti Analisi del livello di pagamento Tasso totale di smaltimento RP pgamenti RP RP es. precedenti 210.572,56 238.995,54 0,00 2.130.821,94 19.843.456,38 2.705.884,66 10.577.244,90 5.047.279,16 30.659.696,82 4.795.108,94 15.996.607,22 26.222.676,21 21.705.117,88 8.519.777,59 21.705.117,88 88,11 0,00 10,74 25,58 16,46 29,98 39,2 120,8 765.148,14 791.211,74 0,00 0,00 5.914.182,68 38.404.468,01 4.326.692,24 11.251.077,03 11.006.023,06 50.446.756,78 5.726.458,64 20.145.772,69 41.286.827,72 27.569.204,15 8.709.009,66 27.569.204,15 Analisi dell’impatto dei residui passivi (RP) Composizione Municipalità A % Municipalità B indicatori 154.339.008,50 141,47 Incidenza totale totale RP** Residui Passivi 109.096.016,30 impegni 35.050.918,45 32,13 nuovi RP Incidenza RP dalla competenza 109.096.016,30 impegni 28,51 Incidenza RP dalla nuovi RP su sp. cor. competnza 9.038.063,48 su spese correnti annual commitment 31.705.671,12 on current exp. Municipalità C Municipalità C % 96,7 0% 15,4 38,5 10,2 32,3 72,4 1.296.813,69 42,24 3.069.988,54 144.734,14 89,56 161.599,02 9.963.361,63 97.292.096,98 14.691.142,00 45.505.730,14 21,8 105.752.229,81 146.029.414,68 149,8 149.165.041,60 133,4 111.849.928,03 31,6 32.193.749,68 28,8 111.849.928,03 28,4 23,1 19.844.537,31 85.887.260,80 % Valutare la solvibilità degli enti locali Saggi 251 0,21 0,00 98,72 4.696,76 2.244.696,76 0,00 519.993,31 1.118.048,30 1.132.495,29 Tot.riscossioni nell’es. Accertamenti nell’es. Tot.riscossioni nell’es. Accertamenti nell’es. Tot.riscossioni nell’es. Accertamenti nell’es. 28,81 5.673.394,88 3.233.145,09 19.909.620,48 Municipalità C 56,99 67,21 90,54 0,00 36,99 53,52 81,28 68.593.742,35 15.928.620,02 88.914.178,04 60.964.830,81 10.804.462,45 10.846.145,17 0,00 6.459.389,06 5.124.157,57 51.288.208,12 6.828.869,24 16.407.620,63 31.468.353,93 40.800.886,29 74.045.097,85 109.096.016,30 54,52 22.667.607,64 31.705.671,12 64,94 % 3,06 548.037,24 2.611.133,88 20,99 34.572,64 1.130.294,30 6.052.632,49 240,99 2.511.536,66 RA es. precedenti Totale riscossioni 367,90 3.630.221,74 37,10 9.785.073,95 2.759.493,43 180,46 1.529.180,47 8.547.762,62 2.506,65 20.662.845,01 601,00 341.003,01 3.438.069,32 4.881.086,29 1.326.732,91 RA es. precedenti Totale riscossioni 28,97 643,73 RA es. precedenti Totale riscossioni 1.720.930,88 5.940.422,50 4.613.506,33 716.687,01 RA es. precedenti Totale riscossioni RA es. precedenti Totale riscossioni Impatto dei RA da entrate extra-trib. Impatto dei RA da trasferimenti di parte corrente Impatto dei RA da entrate per alien. di immobili, traf. inc/cap. e crediti 131,95 13.442.744,82 171,45 7.840.668,09 86,88 23,22 68,57 99,62 0,00 9,99 41,62 77,13 67,87 71,49 % tot. Pag. c/comp. impegni Velocità di pagamento delle altre spese 1.592.920,78 10.967.638,60 14,52 25.984.981,33 1.521,33 1.708.043,65 RP da es. prec. totale pagamenti RP da es. prec. totale pagamenti RP da es. prec. totale pagamenti RP da es. prec. totale pagamenti tot. Pag. c/comp. impegni Velocità di pagamento delle spese da rimb. prestiti Impatto dei RP da spese tot. Pag. c/comp. impegni totale impegni tot. Pag. c/comp. impegni Composizione indicatori tot. Pag. c/comp. Velocità di pagamento delle spese da investimenti Velocità di pagamento delle spese Velocità di pagamento delle spese correnti Indicatori 15.328.340,09 41,03 Impatto dei RP da Spese per invest. 37.360.827,59 26.377.509,22 227,19 Impatto dei RP da debiti di 11.610.142,32 finanz. 51.288.208,12 693,09 Impatto dei RP da altre spese 7.399.962,16 27.112.869,43 31.208.557,32 Impatto dei RA di esercizi precedenti sul totale delle riscossioni 8.264.034,36 6.263.023,59 Impatto dei RA da RA es. precedenti entrate tributarie Totale riscossioni Impatto dei RA da entrate da prestiti Impatto dei RA da altre entrate 2.082.490,90 2.300.078,26 0,00 262.816,22 1.150.654,19 3.110.500,40 1.057.063,99 1.975.102,18 61,46 13.380.929,63 17,34 491.513,27 2.834.585,65 Tot.riscossioni nell’es. Accertamenti nell’es. 7.732.304,66 9.513.417,52 82,77 4.600.313,74 5.557.657,08 Tot.riscossioni nell’es. Accertamenti nell’es. Municipalità B 54,75 16.614.074,74 25.583.015,36 62,45 4.591.560,98 8.421.100,78 % Tot.riscossioni nell’es. 10.389.989,25 Accertamenti nell’es. 18.975.419,40 Tot.riscossioni nell’es. 4.175.417,18 Accertamenti nell’es. 6.685.991,31 Municipalità A Tasso di velocità di riscossione delle entrate di competenza Composizione indicatori Tot.riscossioni 9.267.244,19 correnti nell’es. Accertamenti correnti 15.078.234,04 nell’es. 1.122.745,06 Velocità di riscos- Tot.riscossioni non sione delle entrate correnti nell’es. da investimenti Accertamenti non 3.897.185,36 correnti nell’es. Velocità di riscossione delle entrate extra-tributarie Velocità di riscossione dei trasferimenti correnti Velocità di riscossione delle E da alienazione di immobili, trasferimenti in c/ capit e crediti Velocità di riscossione su nuovi finanziamenti Velocità di riscossione su altre entrate Velocità di riscossione delle entrate correnti Velocità di riscossione delle entrate tributarie Velocità di riscossione Indicatori Tabella 5 (b) – Analisi per indici 8,67 70,02 60,75 99,52 10.363.082,65 10.846.145,17 2.924.447,62 3.023.907,22 325.924,59 12.092.614,84 79.656.178,35 111.849.928,03 66.042.723,49 85.887.260,80 Municipalità B 95,55 96,71 2,70 76,89 71,22 % 76,05 238.995,54 1.337.585,46 17,87 19.843.456,38 798,93 2.483.750,64 0,00 0,00 503.900,41 10.577.244,90 13.907.382,94 3.069.988,54 11.659.896,34 97.292.096,98 10.289.286,22 161.599,02 3.069.181,76 45.505.730,14 80.733.865,49 26,33 5,27 945,57 56,37 % 2,70 10.363.082,65 95,55 10.846.145,17 2.924.447,62 96,71 3.023.907,22 325.924,59 12.092.614,84 79.656.178,35 71,22 111.849.928,03 66.042.723,49 76,89 85.887.260,80 Municipalità C 3.069.988,54 26,33 11.659.896,34 97.292.096,98 945,57 10.289.286,22 161.599,02 5,27 3.069.181,76 45.505.730,14 56,37 80.733.865,49 Impatto dei Residui Passivi di esercizi precedenti sui pagamenti 1.127.012,90 1.132.495,29 503.900,41 100,00 503.900,41 352.928,70 4.072.114,96 13.185.340,29 21.705.117,88 11.201.498,28 15.996.607,22 % Tasso di velocità di pagamento delle spese Municipalità A Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Azienda Pubblica 2.2009 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali Si è consapevoli che lo strumento proposto da solo non è sufficiente a compiere un’analisi esaustiva della solvibilità. In tal senso si ritiene necessario: – chiarire il sistema che regola il processo di acquisizione delle risorse degli enti locali, sia proprie, sia ottenute attraverso i trasferimenti; – migliorare la trasparenza e l’accountability dei documenti contabili, nel rispetto del principio di veridicità, al di là di facili manipolazioni tendenti a soddisfare solo sul piano formale i requisiti indicati dal governo centrale (quali il Patto di stabilità); – pervenire all’obbligatoria redazione di un bilancio consolidato, atto a evidenziare in maniera aggregata lo stock di debito esistente in capo all’ente. 6. Sintesi e conclusioni La letteratura su Basilea 2 tende a porre in evidenza gli effetti della relazione banca-impresa, ma ben poco si è detto su quelli tra banche e amministrazioni pubbliche. In realtà, il nuovo accordo potrebbe rappresentare una spinta per gli enti locali a migliorare il proprio sistema informativo, così da ottenere un maggior grado di accountability dal proprio rendiconto. Lo stesso Comitato di Basilea ha incoraggiato lo sviluppo di regolamentazioni specifiche, idonee a migliorare il livello di disclosure, che possano consentire agli attori sul mercato di valutare correttamente le informazioni fondamentali. La ricerca condotta ha posto in evidenza come il rendiconto degli enti locali soffra ancora di gravi carenze informative, a partire dalla mancata illustrazione del contesto economico e sociale. Ai fini delle analisi di solvibilità, occorre: – acquisire alcune informazioni “qualitative” relative a dati quantitativi; in particolare, si ritengono indispensabili informazioni circa: • le entrate a destinazione vincolata; • l’esercizio di provenienza dei residui attivi e passivi, onde valutare l’opportunità della loro sussistenza in bilancio; • gli indicatori allegati al rendiconto: occorre predisporre non solo indicatori in relazione alle movimentazioni avvenute rispetto ai singoli titoli dell’entrata e della spesa, ma costruirne altri, più analitici, sia per approfondire l’analisi degli aspetti finanziari (es. impatto dei residui) sia per un’analisi di efficienza sulle attività svolte (es. costi relativi ai servizi a domanda individuale o alle funzioni istituzionali); – operare un confronto chiaro e dettagliato con i dati del relativo Bilancio di previsione; – verificare che i programmi e i progetti presentati nei documenti programmatici non siano semplicemente il risultato di accordi politici o mere ipotesi, Azienda Pubblica 2.2009 252 Saggi Valutare la solvibilità degli enti locali tanto affascinanti quanto irrealizzabili, ma strumenti idonei a supportare i dirigenti nel tradurre gli obiettivi strategici in azioni concrete. Resta da chiedersi se questo tipo di integrazioni possano essere sufficienti a valutare il merito creditizio dell’ente locale. In via generale, si considera che un’azienda abbia un buon equilibrio finanziario quando la composizione delle fonti di finanziamento complessive, patrimonio netto e mezzi di terzi, assicurano la massimizzazione del risultato economico o il più basso livello di costo per l’indebitamento. È piuttosto difficile ottenere questo tipo di misurazioni negli enti locali italiani, dove vige un sistema di contabilità finanziaria, basata su impegni e obblighi, dove le informazioni sulla competenza economica sono prodotte solo al termine dell’esercizio e, spesso, con un grado di correlazione e significatività veramente scarso, come ricerche recenti hanno posto in evidenza. I risultati raggiunti da questa ricerca consentono, tuttavia, di affermare che un’analisi attenta dei flussi finanziari è in grado di offrire informazioni assai più utili di quelle ottenibili ricercando una correlazione economica impossibile tra entrate e spese dell’ente locale. Da un’attenta analisi dei flussi di cassa, cui si aggiungono una serie di opportune informazioni sul contesto socio-economico e sul livello di efficienza raggiunto nella produzione dei servizi, le banche e le istituzioni finanziarie possono valutare la solvibilità dell’ente locale e, a condizione di disporre di documenti programmatici ispirati alla veridicità e attendibilità, con l’impiego appropriato di modelli di previsione dinamici, possono estendere l’analisi agli esercizi successivi e stimare congruamente la probabilità di default. Riferimenti bibliografici ALTMAN E., RESTI A., SIRONI A. 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Dalla frammentazione al pluralismo? 4. Governance e valutazione. Il paper analizza l’evoluzione della governance del sistema universitario italiano lungo il ventennio 1989-2008, mettendo alla prova il modello proposto da Olsen nel 1988 e utilizzandone una versione riveduta. Dal 1989 le università italiane hanno conosciuto un processo di decentramento che ne ha modificato nel tempo in modo rilevante il rapporto con gli organi centrali di governo. L’analisi svolta porta a concludere che lo sviluppo di strutture e comportamenti differenziati nelle università italiane rappresenta un processo vitale. Il perdurare dell’impegno dello Stato nell’istruzione superiore richiede che si consegua un assetto di steering at a distance con la messa in atto di una piattaforma di garanzie compatibile con le diverse scelte strategiche e linee di comportamento adottate dalle università. The paper analyses the evolution of university system governance in Italy in the twenty year period between 1989 and 2008, putting the model proposed by Olsen in 1988 to the test and applying a modified version of the model. Decentralisation has been taking place in Italian universities since 1989 and over time this process has led to great changes in the relationship with government bodies. The analysis shows that the development of differentiated structures and behaviour is vital for Italian universities. Ongoing State commitment to Higher Education calls for steering from a distance with the implementation of a platform that is consistent with the different strategic choices and patterns of behaviour in universities and at the same time provides guarantees. L’articolo nasce dall’approfondimento di un contributo in inglese (con il titolo “Governance in Higher Education: an analysis of the Italian experience”) pubblicato nel volume di J. HUISMAN eds (2009) International perspectives on the governance of higher education, Abingdon: Routledge. Dati tratti dal sito CNVSU (ultimo accesso 20 dicembre 2008). Il numero delle università comprende le università telematiche, le università per stranieri, le scuole superiori universitarie e gli istituti di alta formazione dottorale. Parole chiave: università – istruzione terziaria – valutazione Key words: university – higher education – quality assurance 259 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana 1. La governance del sistema universitario: un modello di analisi L’università italiana è cambiata molto negli ultimi 50 anni, si è trasformata per l’impulso di forze ed energie sia esterne al mondo accademico sia presenti al suo interno. È opportuno inquadrare i diversi fenomeni di questa evoluzione nella cornice della governance del sistema universitario. Governance è un concetto che ha tante versioni e sul quale non c’è consenso generale. Originariamente era un sinonimo di government o di assetto istituzionale e di governo, ma dagli anni ’80 ha iniziato a essere associato a una visione di cambiamento con attenzione particolare per le reti che connettono diversi aspetti della vita civile e dello Stato. Solitamente ci si riferisce a un modello di regole caratterizzato da reti che connettono la società civile e lo Stato (Bevir, Rhodes, Weller, 2003; Hood, 1991). C’è in questo una sovrapposizione di schemi logici improntati a diverse concezioni che riflettono anche tradizioni amministrative e culture proprie di diversi Paesi. Nel periodo indicato, le caratteristiche del modello politico istituzionale si combinano in molti Paesi con l’ondata di riforme più specificamente amministrative, cui ci si riferisce con temine di new public management, e che porta a focalizzarsi non solo sulle politiche, ma sul management, sulla valutazione dei risultati e sull’efficacia. L’attenzione è rivolta ad aspetti come la suddivisione delle burocrazie pubbliche in agenzie orientate ai risultati e che operano in una logica economica e di contratti espliciti, oppure come l’utilizzo della leva della competizione all’interno dei sistemi pubblici. I programmi di taglio di costi e le formule di outsourcing di servizi sono gli interventi più diffusi. Spesso si insiste anche su uno stile di management che valorizza gli incentivi economici e il perseguimento di obiettivi ben definiti (Bevir, Rhodes, Weller, 2003). Negli ultimi tempi (Dent et al., 2007), il concetto sta evolvendo al di là dell’associazione con il NPM, per considerare il tema delle reti che presiedono al funzionamento di pubblici servizi e le modalità di regolazione e autoregolazione di sistemi complessi, partecipati da molteplici soggetti e stakeholder. Questo sfondo concettuale aiuta a leggere e interpretare le tendenze di cambiamento dell’istruzione superiore italiana, che si può considerare un sistema complesso caratterizzato dalla presenza di università statali e non statali, o private, e da un composito nucleo centrale istituzionale che si sforza di orientarne e guidarne l’attività. La governance di questo sistema è in continua evoluzione almeno da 30 anni. Lo studioso norvegese Olsen (2005 e 2007) ha analizzato i cambiamenti della governance universitaria in Europa, applicandovi un proprio modello concettuale, in origine elaborato osservando i processi evolutivi degli Stati (Olsen, 1988). Secondo questa visione esistono e si fronteggiano due concezioni fondamentalmente diverse dell’università: quella che è propria di Azienda Pubblica 2.2009 260 Saggi La governance dell’università italiana chi la considera strumento di politiche o di fini di soggetti distinti ed esterni e quella sostenuta da chi la vede come istituzione sociale dove predominano istanze e fini di ordine interno. La governance del sistema può, quindi, caratterizzarsi per il prevalere della concezione dell’università come strumento, oppure come istituzione. L’assetto di governance risente però anche di una seconda variabile, che riguarda il ruolo degli attori che influenzano i processi decisionali e in particolare il fatto che questi condividano obiettivi e norme di comportamento, oppure che esprimano in proposito istanze differenti e anche conflittuali. Per chi aderisce alla concezione istituzionale, l’università è una comunità di studiosi governata da regole condivise, se prevale la comunanza di obiettivi. Diventa invece una democrazia rappresentativa se gli obiettivi e le norme comportamentali fatti propri dai soggetti principali sono differenziati e conflittuali e devono quindi trovare una mediazione. Diversamente, nella versione strumentale, l’università è pensata come vettore di politiche nazionali (e relative agende) nel caso che esista condivisione degli obiettivi. Se prevale invece il pluralismo o la diversità di riferimenti e di idee, l’università appare come un ente che offe una varietà di servizi immerso in un contesto di interazioni aperto anche alla competizione di mercato. Ciascuna delle quattro visioni dispiega una propria coerenza interna che si esprime in un’ampia gamma di caratteristiche: le concezioni ideali, i principi di fondo, gli elementi culturali e anche eventi reali, azioni messe in atto da diversi soggetti, politiche pubbliche, norme, meccanismi di finanziamento e incentivazione, ecc. Particolare attenzione è dedicata al piano delle idee, dei diversi concetti di università che si confrontano, alimentando il dibattito in materia e influenzando le azioni dei diversi stakeholder. Le quattro visioni competono una con l’altra nei dibattiti e di fatto coesistono in una continua dialettica che prospetta una serie di dilemmi dalla cui risoluzione dipende lo scenario che si affermerà come sfondo per l’azione delle università del futuro. Si propone qui una versione modificata del modello di Olsen, portando maggiore attenzione in primo luogo alle modalità di relazione tra i diversi livelli decisionali e i connessi strumenti di regolazione, di finanziamento e di informazione/comunicazione (Hood, 1983). Inoltre, si assegna un peso maggiore agli elementi di fatto, come eventi, decisioni politiche, norme, comportamenti, ecc. rispetto alle sole idee e concezioni espresse dagli attori. Quest’ultimo punto è molto rilevante per l’Italia, che vede un sistematico divario tra il piano delle idee e delle concezioni pubblicamente espresse e quello delle azioni e dei comportamenti effettivi: il fatto di concentrarsi su questi ultimi aiuta a sviluppare analisi più puntuali e attente alla sostanza. Nello schema proposto, i possibili profili della governance di un sistema universitario nazionale si caratterizzano per un locus e un focus: – il locus è definito dal fatto che le sedi, o i centri decisionali, che influen261 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana zano o condizionano gli eventi e le scelte rilevanti per la governance di sistema siano interni, oppure esterni alla sfera istituzionale dell’università, ai suoi organismi, ai soggetti che ne fanno parte; – il focus è invece determinato dal fatto che il processo decisionale a livello di sistema esprima una razionalità strategica, guidata da scopi e valori condivisi dai diversi soggetti coinvolti, oppure debba confrontarsi con pluralismo e conflittualità di scopi e valori. Nel primo caso un focus di governance razionale e strategico consente di dispiegare pienamente una strategia e una programmazione su basi razionali; nel secondo caso, un focus di governance incrementale e conflittuale evidenzia fragili basi per l’elaborazione di una strategia condivisa e quindi necessariamente il processo decisionale segue le strade privilegiate della negoziazione, della gestione dei conflitti, e anche del coltivare le onde emozionali dell’opinione pubblica alla ricerca del consenso. La combinazione fra diversi assetti di locus e focus della governance produce quattro diverse situazioni (v. figura 1). L’autogoverno orientato da valori intellettuali esprime la classica concezione dell’università europea di tipo humboldtiano: qui il locus è interno e il focus razionale, dato che i soggetti più influenti che emergono all’interno del sistema universitario, e ne rappresentano valori ed ethos, sono in grado di esercitare una leadership e definire una strategia che orientano l’intero sistema. Quando il sistema universitario continua ad autoregolarsi in base a criteri maturati al proprio interno ma non riesce a esprimere una leadership unitaria e condivisa, il suo locus interno deve adattarsi a un focus conflittuale e negoziale. Gli esponenti di diverse sedi locali, discipline scientifiche, e tendenze culturali sono divisi da concezioni e interessi contrastanti e le decisioni fondamentali per il sistema derivano quindi da processi negoziali improntati a una logica incrementale. Alleanza di feudi indipendenti è la formula che può sintetizzare questa seconda situazione. La più forte tendenza di cambiamento in atto negli ultimi 20-30 anni vede tuttavia una pressione per lo spostamento della governance dei sistemi universitari dal locus interno verso quello esterno, con l’emergere della concezione strumentale sottolineata da Olsen. La terza e la quarta situazione derivano entrambe da questa perdita da parte del sistema universitario della capacità di regolarsi in base a criteri propri e dalla necessità di confrontarsi seriamente con le istanze poste dal contesto esterno e con l’influenza di attori che operano in questo ambito. L’azione delle università diviene così interpretabile come strumento di politiche pubbliche quando il sistema mantiene una sua coesione e gli attori politici che lo governano riescono a orientarlo in base a una strategia condivisa (focus razionale e strategico): è la terza delle quattro situazioni possibili. La quarta e ultima situazione è più complessa: qui il sistema non è in grado di definire e realizzare una strategia unitaria in risposta a istanze e spinte provenienti dal suo esterno, perché le diverse unità che lo compongono perseguono propri obiettivi, a Azienda Pubblica 2.2009 262 Saggi La governance dell’università italiana volte conflittuali ma comunque diversi ed eterogenei. Emergono, quindi, relazioni complesse e mutevoli tra una molteplicità di soggetti istituzionali che sfuggono a un ordinamento gerarchico. Si tratta di una configurazione di network, che può assumere valenze diverse nel senso del pluralismo ma anche della frammentazione. Figura 1 – Quattro possibili configurazioni di governance del sistema universitario Il modello presentato può aiutare a leggere l’evoluzione nel tempo della governance di sistema dell’università italiana. Questa è ricostruita sulla base dell’esperienza diretta degli autori, corroborata dall’esame della letteratura italiana e internazionale sulla materia e della documentazione disponibile sui siti web delle principali istituzioni coinvolte: Ministero, Cun (Consiglio universitario nazionale), Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane), CIVR (Comitato indirizzo valutazione della ricerca) e CNVSU (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario). 2. L’evoluzione della governance dell’università italiana: quattro periodi Le traiettorie di evoluzione sono meglio osservabili se si individuano distinti cicli temporali dotati di una propria caratterizzazione. Occorre quindi in primo luogo individuare le date critiche. La scelta fatta è la seguente: 263 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana Tabella 1 – Dati di sintesi sul sistema universitario N. totale delle Studenti Università Statali Private % degli immatricolati N. totale sui diciannovenni studenti iscritti Docenti di ruolo Laureati nell’anno Ordinari e associati Ricercatori 1980 40 11 28,4 1.060.274 73.927 8.122 1989 1999 45 57 10 13 67 27 1.362.734 1.673.960 1.823.886 (anno accademico 2005/06) 85.811 152.341 301.298 (anno accademico 2005/06) 28.182 30.945 2006 36,5 43,3 56,1 (anno accademico 2005/06) 16.411 (assistenti,...) 14.495 19.556 38.928 23.046 Fonte: elaborazione propria dati CNVSU • • • • prima del 1989: alleanza di feudi indipendenti; periodo 1989-1998: le spinte verso una governance esterna; periodo 1999-2006: l’effetto vaso di Pandora; periodo dal 2007: l’attesa. Nell’analizzare i cambiamenti nell’arco di oltre 20 anni è importante considerare gli andamenti dei fondamentali parametri strutturali del sistema. La tabella 1 sintetizza i numeri riferiti alle università, statali e non statali, agli studenti e ai docenti con rapporto di lavoro stabile negli anni assunti come riferimento. Il periodo anteriore al 1989: l’alleanza di feudi indipendenti Nel 1989 prende avvio una corrente di riforme che attraverserà poi tutti gli anni ’90. È l’anno che vede l’approvazione di una legge importante di riforma dell’università (n. 168/1989), dovuta all’impulso del Ministro Antonio Ruberti, portatore di un disegno complesso e innovativo di rinnovamento. Fino a quel momento il sistema era molto accentrato e vedeva un potere formalmente forte del Ministero della pubblica istruzione che controllava e destinava le risorse pubbliche, mentre le singole università rispondevano a regole rigide. Ancora nel 1988 la mappa dell’assetto di governance del sistema universitario (v. figura 2) è semplice, caratterizzata dalla presenza di pochi soggetti istituzionali al livello centrale. Uno di questi è il Consiglio universitario nazionale (Cun), un’assemblea elettiva con rappresentanze delle diverse categorie professionali e anche degli studenti che svolge un ruolo soprattutto consultivo e propositivo verso il Ministero della pubblica istruzione. Questo accentra i poteri formali, alloAzienda Pubblica 2.2009 264 Saggi La governance dell’università italiana Figura 2 – La governance dell’università prima del 1989 ORGANI E SOGGETTI A LIVELLO NAZIONALE ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE Programmazione e coordinamento generale delle politiche universitarie CUN Consulenza e pareri al Ministro CRUI Confronto con gli organismi centrali; elaborazione di indirizzi comuni CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Sovrintende alla gestione amministrativa ed economica COLLEGIO DEI REVISORI Verifica la gestione economica e amministrativa RETTORE Legale rappresentante dell’istituzione ne coordina tutte le attività SENATO ACCADEMICO Indirizza e programma lo sviluppo DIRETTORE AMMINISTRATIVO Dirige l’organizzazione amministrativa e dei servizi; cura l’attuazione dei programmi definiti dagli organi di governo DIPARTIMENTI Programmazione e coordinamento delle attività di ricerca nel rispetto delll’autonomia di ogni docente FACOLTÀ/CORSI DI LAUREA Programmazione e coordinamento delle attività didattiche e delle relative risorse DOCENTI Responsabili del processo di insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di diritto o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a. ORGANIZZAZIONI SINDACALI CCNL nazionali, confronti sullo sviluppo del sistema PERSONALE AMMINISTRATIVO E DI GESTIONE DEI SERVIZI Svolge specifiche attività professionali, è rappresentato nei consigli STUDENTI Rappresentati negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia cando le risorse attraverso un sistema di pianificazione impostato su base poliennale. Le università sono però poche (una quarantina), con un nucleo di sedi storiche e una decina di più recente istituzione, sorte soprattutto nel corso degli anni ’80. La Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane) costituisce un momento di confronto e dibattito che i rettori utilizzano per canalizzare al ministro istanze di interesse comune. In questo contesto anche le regole non sono molto numerose e lasciano di fatto molti spazi ai processi di aggiustamento e negoziazione tra gli attori principali che si conoscono tutti direttamente per lunga consuetudine. Anche la mappa della governance interna alle università è semplice, riflette quella tradizionale aggiornata dalla legge n. 382 del 1980, e si impernia sugli organi collegiali del Consiglio di amministrazione, del Senato accademico e dei Consigli di facoltà, cui si aggiungono, a partire dal 1980, i Dipartimenti preposti alla ricerca. Il rettore, organo elettivo, e il direttore amministrativo, designato dal rettore, sono le figure chiave responsabili della gestione, con netta preminenza del primo. Al di là dei dati formali, peraltro, la componente docente prevale a tutti i livelli. Gli attori-chiave sono una ristretta cerchia di professori ordinari, leader di scuole accademiche o delle varie aggregazioni disciplinari, cui corrispondono gli idealtipi del maestro (in accezione positiva) e del barone (in accezione negativa) che esercitano un ruolo cruciale nell’ingresso e nella carriera del personale docente e influenzano in pratica tutte le decisioni 265 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana all’interno degli atenei. Si tratta di un elemento distintivo dell’università italiana, caratterizzata da un elevato livello di gerarchia del personale accademico (Moscati 2001) che, secondo Clark (1977), è un’eredità delle gilde professionali medievali. Il rettore, come i presidi, è un primus inter pares, il cui principale compito è in realtà quello di agevolare il bilanciamento tra gli interessi dei gruppi disciplinari (Capano, 2008). Le relazioni informali tra questi soggetti costituiscono i veri meccanismi di coordinamento sia a livello delle sedi locali che a quello dell’intero sistema che “was based on informal, but persistent, interrelations between the most powerful local chair-holders (or groups thereof) and the ministerial bureaucracy” (Capano, 2006). Si tratta di un sistema centralizzato solo in teoria, perché, di fatto, i sistemi di programmazione e controllo sono solo una struttura burocratica formale, mentre le decisioni reali conseguono ai rapporti tra le maggiori personalità accademiche e gli organismi ministeriali. Questi rapporti sono diretti, di dialogo, interazione e negoziazione continua (Boffo, 1997; Boffo, Moscati, 1998; Capano, 2008). Il rapporto con il Ministero è interpretato in termini di interesse e contrattazione con lo scopo di ottenere risorse per specifiche università e talvolta per specifico professore (Boffo, 1997), “il tutto si configura come una comoda strada per evitare le responsabilità” (Boffo e Moscati 1999). Il Cun è l’organo che meglio di altri raffigura questo equilibrio, esso infatti rappresenta principalmente le diverse discipline accademiche e le categorie di personale universitario piuttosto che il Ministro e le università (Boffo, 1997). Nelle università i professori ordinari compongono ed egemonizzano i pochi e fondamentali collegi che presiedono al funzionamento: facoltà, senato accademico, consiglio di amministrazione. Intorno a loro ruota tutto il resto, gli studenti, il cui numero è peraltro molto cresciuto a partire dagli anni ’70, gli assistenti e i collaboratori, il personale tecnico e d’ordine, che svolge un ruolo subalterno. Al professore è riconosciuta piena autonomia, di diritto e di fatto, e la forza della personalità di ciascuno ha un grande spazio, come ben ricorda chi ha studiato a quei tempi. Il locus della governance è sicuramente interno al sistema universitario. Un’alleanza di fatto tra la burocrazia ministeriale e i centri del potere accademico governa il sistema, in ottica di continuità con la tradizione universitaria italiana. L’influenza di centri di interesse esterni al mondo universitario appare invece molto limitata. I sindacati si limitano a pressioni di basso profilo che riguardano le condizioni di lavoro del personale non docente; le forze dell’economia non esprimono particolari attese. Del resto la categoria dei professori è molto presente e influente, sia nel mondo politico, con molti docenti presenti in Parlamento e molte volte anche ministri e presidenti del consiglio, sia in quello economico con amministratori di banche e imprese sia private che a partecipazione statale (Regonini, 1993). L’accademia, influente all’esterno, non lascia spazi rilevanti in casa propria. Azienda Pubblica 2.2009 266 Saggi La governance dell’università italiana Il focus della governance, a sua volta, si esprime in processi decisionali caratterizzati dalla ricerca del consenso attraverso la negoziazione, la composizione dei conflitti e gli accordi fra centri di potere, sviluppandosi quindi per vie poco trasparenti e slegate dai percorsi formalmente previsti. Questi si rivelano il più delle volte mere sanzioni formali di decisioni prese in altre sedi. L’aspetto della razionalità cede quindi il passo a una logica incrementale, non particolarmente conflittuale ma orientata alla ricerca del consenso attraverso continue mediazioni aperte soltanto ai gruppi realmente influenti. In questo contesto di governance negoziale un ruolo rilevante è svolto da pochi attori chiave, posti al vertice della burocrazia ministeriale, depositari di un potere spesso superiore a quello del Ministro di turno (che è oggetto di frequenti avvicendamenti), accumulato e stratificato negli anni attraverso l’accentramento delle relazioni e una gestione molto paziente e sapiente, ma anche poco trasparente, delle relazioni con i principali esponenti accademici. Anche l’assetto democratico del sistema, con l’elettività e collegialità degli organi, rappresenta più un rituale, una veste esteriore con un ruolo legittimante, che non un metodo operativo reale. In proposito Boffo (1997) definisce il sistema universitario italiano come un tipico esempio di un sistema continentale di distribuzione del potere, una combinazione tra gilde accademiche e burocrazia statale e Capano (2008) afferma che le università come istituzioni completamente autonome non esistono, poiché non sono nella posizione di decidere nulla di importante per loro stesse. La metafora dell’alleanza tra “feudi” indipendenti rispecchia quindi bene una realtà che vede la preminenza di poteri di fatto, che prevalgono nei vari punti del sistema, senza corrispondere a precisi assetti istituzionali e organizzativi, retti da regole formali. Questa denominazione è preferibile a quella, adottata da Olsen, di università come representative democracy. Infatti in Italia un’idea democratica può aver ispirato la redazione formale di una serie di norme, e soprattutto della riforma del 1980, ma non ha avuto una reale incidenza sui fatti. Chi ha la responsabilità di governo del sistema viene a patti con una realtà che non cerca di modificare e adotta quindi un modello di governance negoziale che resta interno ai confini del mondo universitario. Come osserva ancora Capano (2006): “the most important decisions those regarding budget allocation, academic recruitment and strategic planning were in the hands of the system’s central powers (and were governed by the previously mentioned informal bargaining process). This meant that in the internal decision-making process, real authority lay not with the universities’ official, ‘‘democratically elected’’ governing bodies (the Senate, the Administrative Board, faculty councils, etc.), but with the individual professors with tenure, the so-called university ‘barons’, and with their powerful networks. Individuals with formal power (such as Rectors and Deans) were expected to mediate between the different, often divergent, interests of internal groupings”. 267 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana I rapporti diretti tra pochi attori accademici, la burocrazia ministeriale e il potere politico risolvono pragmaticamente le questioni per via negoziale. Il periodo 1989-1998: le spinte verso una governance esterna Il 1989 si configura come anno di svolta per l’università italiana. L’approvazione della legge n. 168/1989 porta all’istituzione di uno specifico Ministero dell’Università e della ricerca scientifica, ma apre soprattutto la strada lungo tutto un decennio a una serie di importanti provvedimenti di riforma. Il disegno di rinnovamento è dovuto alla figura di Antonio Ruberti, già rettore dell’università di Roma “La Sapienza”, il primo uomo politico ad assumere la responsabilità del nuovo Ministero. Gli anni ’90 portano altre consistenti novità. La mappa della governance, (v. figura 3) viene ridisegnata con la riconfigurazione del Cun, il rafforzamento del ruolo istituzionale della Crui, l’istituzione del Consiglio nazionale degli studenti (CNSU), l’avvio dell’esperienza di valutazione che vede l’istituzione dell’Osservatorio nazionale e dei nuclei di valutazione nelle università statali. Una maggiore complessità del sistema consegue anche all’aumento del numero delle università, in seguito a una serie di provvedimenti. Diventano università autonome le sedi decentrate già in precedenza aperte da alcuni atenei in territori confinanti. La politica di “decongestionamento” delle Figura 3 – L’assetto di governance del sistema universitario tra il 1989 e il 1999 ORGANI E SOGGETTI SOVRANAZIONALI ORGANI E SOGGETTI NAZIONALI MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E RICERCA Programmazione e coordinamento generale CUN Consulenza, pareri e proposte al Ministro CRUI Confronto con gli organismi centrali; elaborazione di indirizzi comuni CNSU Pareri e proposte al Ministro OSSERVATORIO PER LA VALUTAZIONE Coordinamento delle attività valutative del sistema universitario MINISTERO DELL’ECONOMIA Programmazione economica e finanziaria CODAU Associa i dirigenti amministrativi e promuove confronti di esperienze e consulenza tecnica ORGANIZZAZIONI SINDACALI CCNL nazionali, confronti sullo sviluppo del sistema Azienda Pubblica 2.2009 MINISTRI EUROPEI DELL’ ISTRUZIONE SUPERIORE Incontri periodici di coordinamento dellle politiche PRESIDENTE C.M. Piano nazionale della ricerca CONFERENZA EUROPEA DEI RETTORI Confronto e indirizzi comuni EUA Confronto e progetti di approfondimento ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Sovrintende alla gestione amministrativa ed economica COLLEGIO DEI REVISORI Verifica la gestione economica e amministrativa RETTORE Legale rappresentante dell’istituzione ne coordina tutte le attività DIRETTORE AMMINISTRATIVO Dirige l’organizzazione amministrativa e dei servizi; cura l’attuazione dei programmi definiti dagli organi di governo CONSIGLI DI FACOLTÀ Programmazione e coordinamento delle attività didattiche e delle relative risorse SENATO ACCADEMICO Indirizza e programma lo sviluppo NUCLEO DI VALUTAZIONE Verifica l’efficacia di ricerca e didattica e la corretta gestione delle risorse DIPARTIMENTI Programmazione e coordinamento delle attività di ricerca nel rispetto dell’autonomia di ogni docente ORGANI E SOGGETTI REGIONALI E LOCALI CONSIGLI E GOVERNI REGIONALI Sostegno alle università attraverso FSE COMITATO REGIONALE DI COORDINAMENTO sviluppo del sistema universitario regionale ENTI LOCALI Contribuiscono al sostegno di iniziative didattiche e di ricerca DOCENTI Responsabili del processo d’insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di diritto o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a. PERSONALE AMMINISTRATIVO E DI GESTIONE DEI SERVIZI Svolge specifiche attività professionali, è rappresentato nei consigli 268 STUDENTI Rappresentanti negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia RSU - Rappresentanza dei Lavoratori (esclusi docenti) FONDAZIONI BANCARIE Finanziamento di ricerca e altre iniziative Saggi La governance dell’università italiana grandi università genera nuovi atenei in città come Roma (dove da “La Sapienza” si staccano Roma 2 e Roma 3), Milano (dove nasce l’Università Bicocca), Napoli dove si costituisce la Seconda Università). Inoltre, viene data via libera ad alcune nuove università non statali. Il numero complessivo supera la soglia di 70, ma subito iniziano anche a proliferare nuove sedi di corsi decentrati nel territorio. Il disegno di rafforzamento dell’autonomia universitaria si vale in questa fase anche di meno appariscenti cambiamenti nei vincoli decisionali imposti dal centro al management delle università, che hanno in realtà potenti effetti. I sistemi di finanziamento cambiano con un alleggerimento dei vincoli della pianificazione che in pratica liberalizza la gestione del budget: un’intelligente norma della legge finanziaria del 1994 (legge n. 537/1993), suggerita dall’economista Piero Giarda allora sottosegretario al Tesoro, consente di uscire da un regime in cui le dotazioni organiche dei docenti e del personale sono soggette ad approvazione ministeriale. Ora si può disporre di un budget globale senza eccessivi vincoli rispetto alle diverse voci di destinazione. Secondo Moscati (2001) si tratta del primo reale step verso l’autonomia universitaria ed è significativo constatare come non sia stato l’esito di un dibattito ma di una disposizione ministeriale calata sul sistema universitario. Inoltre anche l’istituzione di nuovi curriculum viene liberalizzata con il solo vincolo della sostenibilità economica da parte dei bilanci delle università. Per l’effetto cumulato di questi cambiamenti, il locus della governance inizia a spostarsi verso l’esterno del sistema universitario, perché forze estranee a questo mondo entrano in gioco non solo come stimoli ma anche come attori direttamente coinvolti nel processo di riforma. L’idea di una università che esce dal tradizionale atteggiamento di distacco per ricercare in modo attivo partnership nella società e nell’economia è sicuramente uno dei criteri ispiratori fondamentali delle nuove politiche avviate da Ruberti. L’implementazione di questi primi provvedimenti di riforma si incontra con una serie di driving forces che provengono dall’esterno del sistema. L’Europa, innanzitutto, assume questo ruolo di spinta attraverso una molteplicità di canali, quali i programmi quadro della ricerca, gli scambi internazionali di studenti e docenti, che partono con numeri piccoli ma si sviluppano poi notevolmente, e più tardi con l’avviarsi del Bologna process. Finocchietti e Capucci (2004) notano in proposito come la trasposizione dei principi del processo di Bologna nella legislazione italiana sia immediata. In questa fase si sviluppano molto anche i rapporti con Confindustria e le altre organizzazioni del mondo produttivo. Ciò trova un innesco significativo nell’avvio dei diplomi universitari triennali, con obiettivi di professionalizzazione (Luzzatto e Moscati, 2005). Il progetto Campus (in seguito evoluto in Campus One) promosso dalla Crui con una serie di partner non accademici diventa un fondamentale catalizzatore di energie offrendo alle università risorse economiche per sperimentare una maggior attenzione alla progettazione, all’innovazione e alla qualità della gestione dei corsi 269 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana di studio (Turri, 2005; Stefani, 2006). Anche il rapporto con i sindacati si intensifica; è spinto anche dalla riforma dell’impiego pubblico che uniforma al diritto civile il rapporto di lavoro del personale universitario (tranne che per i docenti di ruolo) e amplia lo spazio di autonomia contrattuale delle parti. In questo contesto la Crui diventa molto più attiva, costituisce un ambito diffusivo delle pratiche e delle esperienze di apertura al mondo esterno introdotte da alcuni rettori e sostiene le università nello sviluppare a tutto campo nuovi contatti e partnership. Il focus della governance, invece, non sembra modificarsi significativamente, rispetto al periodo precedente, e permane caratterizzato dal prevalere di modalità di decisione incrementali e negoziali. Le riforme della fase iniziale del decennio hanno aperto la strada a energie interne al sistema, che hanno saputo collegarsi a soggetti e forze presenti all’esterno dello stesso, sia nell’area europea, che al livello nazionale e anche a quello dei territori di insediamento delle diverse università. Lo sviluppo del sistema appare così guidato dal basso, molto più che da un indirizzo centrale e pianificato. In questa fase compare un fenomeno nuovo, l’affacciarsi sulla scena di una serie di leader locali, impersonati soprattutto da rettori che divengono imprenditori delle proprie Università, facendo leva sul rapporto con il territorio e la società locale. Personaggi come Augusto Preti a Brescia, come Rodolfo Zich e Adriano DeMajo ai Politecnici di Torino e Milano, Massimo Egidi a Trento, Fabio Roversi Monaco a Bologna, come Luigi Berlinguer, che diventerà poi Ministro, a Siena, come Luciano Modica a Pisa e Fulvio Tessitore alla Federico II di Napoli, che entreranno poi in Parlamento, Gennaro Ferrara alla Parthenope di Napoli e Roberto Schmidt a Pavia, sono alcuni dei più significativi rappresentanti di questa nuova imprenditorialità accademica. Essi riescono a rafforzare le proprie strutture facendo leva su un complesso mix di risorse apportate da soggetti molteplici, stabilendo alleanze ad ampio raggio che coinvolgono le associazioni industriali e produttive, il mondo professionale, i sindacati, le Regioni, gli enti locali e le Camere di commercio. Essi operano a tutto campo non disdegnando anche i rapporti con il mondo politico ma riuscendo a mantenere l’iniziativa nelle proprie mani, a gestire l’apertura al mondo esterno senza subire troppo subordinazioni e condizionamenti di vario genere. I nuovi corsi triennali professionalizzanti, i progetti Campus e poi CampusOne, i programmi e i progetti di ricerca europei, l’utilizzazione delle rilevanti risorse del fondo sociale europeo attraverso la mediazione delle regioni sono in questa fase i vettori fondamentali che alimentano una rinnovata iniziativa delle università anche in campi nuovi e diversi rispetto alla tradizione. Sotto questa spinta le università evolvono anche nel profilo organizzativo: un nucleo di dirigenza tecnica e amministrativa si afferma grazie alle nuove condizioni contrattuali che differenziano il rapporto di lavoro dei dirigenti da quello del restante personale. In particolare si rafforzano le figure dei direttori amministrativi, che sentono l’esigenza di promuovere un loro organismo di coordinamento nazionale, che rifletta Azienda Pubblica 2.2009 270 Saggi La governance dell’università italiana lo schema della Crui, partecipano attivamente ai dibattiti e si confrontano con più forza che in passato con la burocrazia ministeriale. Significativamente, una di loro è dal 1996 il Capo di gabinetto del Ministro Berlinguer (1996-1998). In questa fase la governance del sistema ha conosciuto quindi una notevole trasformazione, è divenuta molto più complessa e ha visto soprattutto crescere lo spazio di azione delle università, sopratutto di quelle più dinamiche che hanno saputo cogliere una serie di opportunità. Tuttavia l’idea di fondo della nuova politica avviata nel periodo Ruberti, di università come vettore di nuova competitività per il Paese, si realizza in un modo diverso da quanto ci si poteva attendere (Conraths et al., 2003). Se ha funzionato lo spostamento di locus della governance da interno a esterno, così non è stato per la seconda variabile. La consolidata tradizione dell’accademia italiana, dominata da gruppi ristretti che si identificano in aree disciplinari, scuole di riferimento, persino singoli maestri e leader professionali, molto più che nelle strutture ufficiali, finisce per riorientare l’implementazione delle riforme secondo le logiche consuete: in sostanza le leggi di autonomia in assenza di coesione e di obiettivi realmente condivisi aprono la strada alle energie presenti nel sistema, ma non riescono ad attivare quel modello di steering at a distance che era nelle intenzioni e rifletteva l’esperienza di altri Paesi europei. Ciò prelude invece a quella frammentazione del sistema, che si manifesterà compiutamente nel periodo successivo. La stessa azione dei rettori imprenditori che caratterizza gli anni ’90 non solo non è guidata dal centro, ma si trova condizionata e forse deviata dalle resistenze interne al mondo universitario molto più che dai rapporti con i soggetti esterni. Le stesse idee che guidavano le politiche universitarie a livello europeo, poi sfociate nella Bologna Declaration e negli obiettivi di Lisbona, producono una riflessione critica debole e incompleta all’interno dell’accademia italiana (Egidi, 2006). Questo ritardo culturale finisce per limitare la spinta innovativa. Pochi degli stessi leader accademici prima citati superano la boa del 2000 ancora al governo delle rispettive università: alcuni passano in ruoli politici, altri semplicemente non vengono rieletti, tutti soffrono in misura crescente per i conflitti e le divisioni interne al mondo dei docenti che tendono a interpretare le nuove prospettive aperte dalle loro iniziative alla luce di vantaggi di breve termine, o di mera estensione del potere accademico secondo categorie tradizionali. Alla fine di questa fase l’università italiana sembra quindi uscita dallo stato di “alleanza di feudi indipendenti”, ma più che come “strumento di politiche pubbliche” il suo ruolo sembra interpretabile come “network pluralista”, o forse meglio ancora “frammentato”. Il periodo 1999-2006: l’effetto vaso di Pandora Il 1999 costituisce un secondo anno di svolta. Esso conosce due importanti provvedimenti che assecondano la spinta in direzione dell’autonomia ma 271 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana la cui attuazione facilita la successiva deriva verso una sempre più accentuata frammentazione del sistema. Durante il Ministero Berlinguer, il Parlamento definisce una nuova regolamentazione del reclutamento dei professori, che ne decentra la gestione alle singole sedi (legge n. 210/ 1998); subito dopo trova applicazione la riforma degli ordinamenti didattici, nella scia della Bologna Declaration, con l’adozione di nuovi curriculum under e post graduate. Le decisioni specifiche sui corsi di studio sono demandate alle diverse università con un debole coordinamento e controllo degli organi centrali (Finocchietti e Capucci, 2004; Agasisti et al., 2008). Ciò equivale all’apertura di una sorta di vaso di Pandora dell’autonomia accademica. Sarà poi l’implementazione effettiva, attuata dalle diverse sedi, molto più che il contenuto intrinseco di questi provvedimenti (Capano, 2006), a dare il segno di un completo cedimento alla frammentazione. Nel corso di questa fase, la mappa del sistema universitario si complica ulteriormente (v. figura 4). Il numero delle università ufficialmente riconosciute aumenta notevolmente e nel 2006 raggiunge il totale di 95. L’incremento è dovuto soprattutto a nuove università non statali e a 11 università telematiche (abilitate soltanto per la formazione a distanza) previste da un provvedimento del 2003. In molti casi si tratta di strutture deboli la cui istituzione alimenta discussioni e polemiche sulla stampa. Ma il fenomeno della proliferazione incontrollata di strutture didattiche è più complesso e si manifesta su grande scala Figura 4 – L’assetto di governance del sistema universitario negli anni 2000 ORGANI E SOGGETTI SOVRANAZIONALI ORGANI E SOGGETTI NAZIONALI MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E RICERCA Programmazione e coordinamento generale CUN Consulenza, pareri e proposte al Ministro CRUI Confronto con gli organismi centrali; elaborazione di indirizzi comuni CNSU Pareri e proposte al Ministro CNSVUCIVR (del 2007 ANVUR) Valutazione risultati di didattica, ricerca, servizi, regia della quality assurance MINISTERO DELL’ECONOMIA Programmazione economica e finanziaria MINISTERO SVIL. ECONOMICO Politiche di innovazione industriale e trasferimento tecnologico MINISTERO DELL’INNOVAZIONE Politiche di innovazione industriale e trasferimento tecnologico CODAU Associa i dirigenti amministrativi e promuove confronti di esperienze e consulenza tecnica ORGANIZZAZIONI SINDACALI CCNL nazionali, confronti sullo sviluppo del sistema Azienda Pubblica 2.2009 MINISTRI EUROPEI DELL’ ISTRUZIONE SUPERIORE Incontri periodici di coordinamento delle politiche PRESIDENTE C.M. Piano nazionale della ricerca CONFERENZA EUROPEA DEI RETTORI Confronto e indirizzi comuni ENQA Accreditamento delle Agenzie di quality assurance EUA Confronto e progetti di approfondimento ERC Promozione e finanziamento ricerca di eccellenza ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Sovrintende alla gestione amministrativa ed economica COLLEGIO DEI REVISORI Verifica la gestione economica e amministrativa RETTORE Legale rappresentante dell’istituzione ne coordina tutte le attività DIRETTORE AMMINISTRATIVO Dirige l’organizzazione amministrativa e dei servizi; cura l’attuazione dei programmi definiti dagli organi di governo SENATO ACCADEMICO Indirizza e programma lo sviluppo NUCLEO DI VALUTAZIONE Verifica l’efficacia di ricerca e didattica e la corretta gestione delle risorse Scuole di dottorato Facoltà Corsi di laurea magistrale Corsi di laurea CONSIGLIO COLLEGI Programmazione e coordinamento delle attività didattiche e delle relative risorse DIPARTIMENTI Programmazione e coordinamento delle attività di ricerca nel rispetto dell’autonomia di ogni docente CENTRI DI RICERCA Svolgono ricerche per incarico di soggetti esterni DOCENTI Responsabili del processo d’insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di diritto o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a. PERSONALE AMMINISTRATIVO E DI GESTIONE DEI SERVIZI Svolge specifiche attività professionali, è rappresentato nei consigli 272 STUDENTI Rappresentanti negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia RSU - Rappresentanza dei Lavoratori (esclusi docenti) ORGANI E SOGGETTI REGIONALI E LOCALI CONSIGLI E GOVERNI REGIONALI Competenze concorrenti con quelle statali su università e ricerca COMITATO REGIONALE DI COORDINAMENTO sviluppo del sistema universitario regionale ENTI LOCALI Contribuiscono al sostegno di iniziative didattiche e di ricerca ASSOCIAZIONI ECONOMICHE E PROFESSIONALI Consultazione per le nuove iniziative formative FONDAZIONI BANCARIE Finanziamento di ricerca e altre iniziative Saggi La governance dell’università italiana attraverso l’apertura di nuove sedi territoriali da parte di molti atenei che raccolgono favorevolmente la richiesta di comuni e province di localizzare iniziative formative presso edifici da loro approntati. In tutto si arriva a contare non meno di 350 comuni italiani sede di attività universitarie di un tipo o dell’altro. Questo fenomeno si salda quindi con il grande incremento di corsi di studio generato dall’applicazione della riforma del 1999. Sono attivati circa 5.000 diversi corsi di laurea di primo livello e 3.000 di secondo livello (laurea specialistica). Analoghi sviluppi riguardano poi i master universitari. Un provvedimento approvato durante il Ministero Moratti consente che convenzioni tra università ed enti pubblici riconoscano a figure di professionals di questi enti fino a 140 crediti (su 180 totali) per le esperienze professionali sviluppate nel tempo, consentendo in pratica di “laurearli sul campo”. Di pari passo procede l’espansione degli organici universitari; i docenti di ruolo passano da 50.500 a quasi 62.000. Le modalità di selezione per quanto rinnovate, tuttavia, sembrano riproporre le precedenti dinamiche interne alle discipline (Moscati, 2001). L’applicazione della riforma del reclutamento ha significato soprattutto generalizzate progressioni di carriera per i docenti già inseriti con un corrispondente incremento dell’età media dei docenti di ruolo. L’espansione più grande è quella delle figure di docenza con contratti a termine, borse di studio o altre configurazioni precarie; è grazie a questa massiccia immissione che il sistema fronteggia la nuova articolazione di corsi di studio, molti dei quali hanno pochi studenti ma necessitano comunque di figure che tengano i corsi. Al centro si rafforzano gli organismi di valutazione, con nuovi compiti affidati al CNSVU (1999) e ai nuclei nelle università, che vengono previsti in modo obbligatorio anche per le non statali. Nasce il CIVR, incaricato della valutazione della ricerca di università e altri enti, che gestirà in tempi brevi un importante esercizio triennale (2001-2004) di valutazione dei prodotti di ricerca (Minelli, Rebora, Turri, 2008). Il Bologna process continua con la partecipazione attiva delle diverse componenti del sistema italiano. Il Cun mantiene e affina il ruolo di consultazione per il Ministro ma anche di autorità incaricata di verificare i nuovi corsi di studio: l’impegno in questo ambito non riesce tuttavia ad arginare i fenomeni prima descritti. La Crui accresce la sua visibilità nazionale e si sforza di produrre idee e proposte per il miglioramento del sistema ma subisce una sorta di spinta inerziale alla rivendicazione di maggiori risorse. Emerge intanto il ruolo del Ministero dell’economia, interlocutore già presente in passato ma che ora diviene più critico per l’accresciuta esigenza di finanziamenti. Questo rapporto sfocia in conflitti con i Ministri dell’università, da Moratti a Mussi, che chiedono entrambi con scarso successo maggiori risorse per università e ricerca scientifica. Interlocutori rilevanti del sistema universitario divengono anche il Ministero dell’innovazione e quello dello sviluppo economico che si occupa di trasferimento tecnologico. 273 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana Intanto anche gli attori economici esterni aumentano la loro presenza nelle questioni dell’università, assumendo posizioni più dialettiche che in passato. Confindustria in particolare non è più soltanto un partner di iniziative comuni ma diviene un interlocutore continuativo che assume spesso il ruolo di voce critica (Fortuna, 2003). Nei primi anni 2000 inizia a farsi strada la sensazione che gli organi di governo centrale perdano il controllo di quanto avviene nelle università, che i diversi fenomeni descritti prendano la mano, non siano neppure avvertiti per tempo. Di fatto nessuno degli organismi competenti, né il Ministero, né la Crui e il Cun, né gli organi centrali o i nuclei decentrati di valutazione, ha modo di orientare i processi in atto alimentati da un grande attivismo alla base che sembra però rifiutare un coordinamento e una guida. La steering at a distance non funziona in pratica e il mercato è lontano dal poter esercitare un ruolo di regolatore del sistema in un contesto di regole che rimane immutato, ovvero basato sul valore legale del titolo di studio e su una forte dipendenza finanziaria degli atenei dai trasferimenti statali. L’accesso a professioni e impieghi resta condizionato dal possesso di titoli di studio rilasciati dagli atenei riconosciuti e oltre il 60% del totale delle entrate delle università statali continua a dipendere dal finanziamento dello Stato a fronte di un peso delle tasse studentesche limitato al 12%. Le università sono ormai lanciate nel rincorrere obiettivi molto particolari che non hanno più lo smalto innovativo conosciuto nella fase dei rettori imprenditori: i corsi di studio sono pubblicizzati in modo spregiudicato sui giornali, alla radio e alla televisione, si apre una corsa inusitata ad attribuire lauree honoris causa a personaggi noti dello spettacolo e dello sport, addirittura si vede una università, che poi cadrà in una profonda crisi economica, sponsorizzare i Giochi Olimpici del 2004. In questa fase il mondo dell’università si trova molto più che in passato coinvolto in polemiche e discussioni che arrivano sui media, la grande stampa e la televisione. Gli sbocchi cui le riforme sono giunte sono oggetto di critiche anche radicali che il più delle volte sono espresse da professori universitari, opinionisti dei principali quotidiani del Paese. Tuttavia, molto spesso le posizioni espresse si rivelano un misto di sana indignazione per alcune scelte chiaramente incongrue e di un meno comprensibile rimpianto per condizioni passate, di una università elitaria e chiusa al mondo esterno che non solo non esiste più ma appare ormai improponibile in un Paese evoluto dell’occidente. La mancanza di idee forti condivise dalle diverse componenti del mondo universitario e dagli stessi leader della classe accademica appare manifesta. Nel frattempo cresce, però, anche il peso di università più esposte all’ambiente internazionale e più orientate al mercato. Alcune di queste sono private, come la Bocconi, altre sono statali, come i Politecnici di Milano e Torino, o come l’Università di Bologna. L’eredità dei rettori imprenditori che avevano stimolato molte iniziative in queste sedi e in altre non è andata perduta, sembra avere generato anche una maggiore coesione Azienda Pubblica 2.2009 274 Saggi La governance dell’università italiana interna intorno ad alcune iniziative di internazionalizzazione, di alta formazione nelle scuole di dottorato, di soluzioni più avanzate nei rapporti con l’industria. In alcuni di questi casi viene utilizzato lo strumento della Fondazione, in altri si assiste alla formazione di piani strategici di mediolungo raggio, una novità assoluta in Italia almeno per le università statali (Catalano, 2002; Catalano, 2004; Bolognani, Catalano, 2007). Il sistema si è evoluto quindi in modo differenziato, è divenuto più complesso, ha visto aumentare i suoi rapporti con il mondo esterno, è cresciuto sia pure disordinatamente di dimensione, ma soprattutto ha dato spazio a una diversità sconosciuta in passato. Dal vaso di Pandora è uscita una grande varietà di fenomeni e non tutti hanno significato, però, solo involuzione e degenerazione. Il locus della governance resta caratterizzato dallo spostamento verso l’esterno già compiuto nel periodo precedente, ma ora evolve radicalmente anche in senso plurale, nel senso dei loci, dato che le più diverse spinte delle realtà locali trovano accoglienza dalle scelte dell’università, in particolare per quanto riguarda l’impostazione dei curriculum. Il cambiamento di governo dopo le elezioni del 2001 non arresta ma enfatizza questa tendenza con l’apertura a forze esterne al sistema che promuovono nuove università non statali e soprattutto “telematiche”, il più delle volte con deboli presupposti di contenuti. In pratica, gli elementi di autonomia introdotti nella fase precedente, in presenza di una accentuata dipendenza da risorse esterne, hanno aperto la strada non tanto (e non solo) a logiche di mercato ma alla ricerca di ogni tipo di possibile sostegno senza dar prova di grande capacità di selezione. Il focus della governance, peraltro, resta incrementale e negoziale, e vede anzi aumentare la sua carica conflittuale. L’apertura all’esterno non si è accompagnata a una maggiore coesione interna ma gli sviluppi delle iniziative hanno enfatizzato le divisioni e i conflitti interni. Soggetti esterni e interni all’università si sono spesso saldati in alleanze e progetti di vario spessore e significato, difficili comunque da ricomprendere nell’ambito di una strategia comune, sia a livello delle singole università che, a maggior ragione, dell’intero sistema. Questo tipo di sviluppi finisce per mettere chiaramente in crisi gli organi centrali di governo, che sono stati spiazzati dalla velocizzazione prodotta con il decentramento alle sedi universitarie di processi amministrativi che un tempo erano centralizzati. Negli anni ’80 i concorsi nazionali per professori di ruolo avvenivano una sola volta ogni 4-5 anni e l’espletamento di una tornata non durava meno di due anni. Ora in pochi mesi le università, anche grazie all’impiego massiccio di Internet, aprono e chiudono tutte le procedure concorsuali che deliberano, i cui effetti per di più abilitano figure in eccesso di idonei che premono sul sistema per avere una sistemazione. Altrettanto veloce risulta la procedura di istituzione di nuovi curriculum. L’ultima fase del Ministero Moratti e l’avvio di quello Mussi sono segnati dalla necessità di correre ai ripari e arginare lo sviluppo incontrollato del 275 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana sistema. Diversi provvedimenti sono presi in questo senso sia sul versante dei concorsi che su quello dei curriculum didattici, fino ad arrivare alla fine del 2006 ad una sorta di blocco della situazione. La governance delle università viene individuata come questione fondamentale da affrontare e diviene oggetto di commissioni di studio a vari livelli, di dibattito in diverse sedi, di progetti di riforma annunciati. È ormai palese che almeno a livello del sistema nazionale è in atto un blocco della governance. Il vaso di Pandora è stato chiuso, ma troppo tardi per controllare la situazione. Di fronte alla dispersione e frammentazione mancano le risorse per impostare una nuova politica di sviluppo. Una pausa è necessaria e quasi tutti gli attori sembrano porsi ora in posizione di attesa. L’interpretazione della governance universitaria in termini di network con elementi forti sia di pluralismo che di frammentazione sembra quindi valida anche in questo periodo. L’arresto subito dalla fase espansiva secondo una logica imprenditoriale manifesta comunque l’instabilità di questa situazione e la sua difficile compatibilità con il permanere di una forte dipendenza dalle risorse allocate da organi centrali che peraltro non dispongono di altre e diverse leve di orientamento e controllo del sistema. Il periodo dal 2007: l’attesa Il 2007 è quindi segnato dall’attesa. Le caratteristiche del sistema universitario descritte per il periodo precedente sono ancora in atto ma è stato posto un freno allo sviluppo caotico e incontrollato. Ormai, quasi tutti i commentatori e i principali attori coinvolti, a cominciare dal Ministro, sono convinti che una riforma della governance del sistema è necessaria (Astrid, 2006; Potì, Reale, 2006; Capano, 2008). Molte attese sono rivolte alla valutazione, ma la nuova ANVUR non è ancora operativa. Il progredire dei processi europei di Bologna e Lisbona produce nuovi stimoli. Grande attenzione è dedicata al tema della ricerca che attira discussioni, polemiche, proposte, con i centri più attivi e le associazioni di ricercatori che premono sul Governo per ottenere maggiori risorse. L’esercizio di valutazione triennale del CIVR ha riscosso grande interesse, l’idea che i ricercatori siano valutati sui risultati incontra il favore di molti dopo una sperimentazione discussa ma giudicata positivamente. Nel contempo si constata che il ruolo e la presenza dell’università nella società sono cresciuti, però ciò è avvenuto per elementi sparsi e iniziative di singoli e gruppi, in assenza di politiche e programmi organici. Nella nuova fase che si apre, il locus esterno di governance appare un fatto ormai acquisito, uno stato quasi naturale. L’università deve rapportarsi con la società e rispondere ad essa, non solo in logica di scambio e di mercato, ma attivando rapporti a tutto campo, con attenzione sia ai network della ricerca internazionale, sia alle esigenze dei territori di insediamento. Azienda Pubblica 2.2009 276 Saggi La governance dell’università italiana Il focus della governance resta incrementale, negoziale e conflittuale, in conformità a caratteristiche culturali e sociali del Paese che si rivelano stabili nel tempo. Solo singole istituzioni universitarie, private e pubbliche, riescono a staccarsi da questo, fino a fare strategia in termini nuovi, ma non vi riesce ancora il sistema, che mantiene debole capacità di governo. L’idea di un recupero di una steering at a distance sembra quella su cui puntano i fautori di nuove e più efficaci riforme, di cui la governance diverrebbe passaggio essenziale. Esiste però una linea di evoluzione che il sistema sembra avere bene assimilato: si tratta della diversità. Sembra difficile e probabilmente non utile ritornare indietro su questa strada. È improbabile ormai il recupero di una unità di intenti, obiettivi, visioni che è percepita come anacronistica nel mondo moderno, non solo respinta dai vizi congeniti del contesto italiano. Il passaggio critico che invece si potrebbe configurare per il futuro è quello dal conflitto al pluralismo; un modo forse di vincere la frammentazione facendo emergere strategie decisionali più solide, rafforzando quella parte del sistema che si sta dimostrando capace di porsi obiettivi più evoluti e ambiziosi. In ogni caso, la fine anticipata della XV legislatura interrompe all’inizio del 2008 i progetti attivati e rimanda al nuovo Governo ogni iniziativa. 3. Dalla frammentazione al pluralismo? La lettura compiuta del percorso evolutivo del sistema universitario italiano mette quindi in luce il passaggio avvenuto, lungo gli anni ’90, da una situazione definibile in base al concetto di alleanza di “feudi” indipendenti verso un locus di tipo esterno, che configura una situazione di network, frammentato o pluralista. Il passaggio compiuto non porta certamente in Italia a una situazione del tipo strumento di politiche pubbliche. Questo riferimento corrisponde in parte all’idea politica di università che ha improntato le riforme italiane degli anni ’90. Si è visto come questo modello non arriva a consolidarsi perché l’assetto di partenza per “feudi” indipendenti utilizza i nuovi spazi di autonomia concessi dalle riforme un modo che resiste ai tentativi di steering at a distance ispirati all’esperienza di altri Paesi europei. Le stesse tecnostrutture ministeriali, abituate a gestire l’informazione in chiave del proprio potere negoziale, non sono adatte a questo compito e non può bastare la buona volontà di qualche politico illuminato. Il superamento della configurazione di governance come alleanza di feudi indipendenti avviene quindi mediante una nuova apertura all’esterno, spinta anche dal basso, ma non porta all’adozione di un metodo di decisione razionale e strategico. Ciò prelude invece a quella ulteriore frammentazione del sistema, che si manifesterà compiutamente nel periodo successivo. La fase degli anni ’90 e anche la successiva dei primi 2000 restano quindi leggibili come configurazioni di governance negoziale esterna, che 277 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana però solo parzialmente risentono dell’attrazione di una logica di mercato e implicano invece una congerie di rapporti che non riflettono vere e proprie transazioni economiche. Sul mercato, in ogni caso, si confrontano molto spesso singoli individui e gruppi, più che strutture ufficiali e università nel loro insieme. Le caratteristiche proprie delle università imprenditoriali restano deboli nel caso italiano (Clark, 1999). La configurazione di service entreprises individuata da Olsen per le esperienze del nord Europa non rappresenta in Italia né una descrizione della realtà, né una meta ideale che qualcuno si pone. L’analisi svolta fa emergere che ci possono essere modi diversi per combinare un locus esterno di governance (anzi una serie di loci plurali) con un focus negoziale e conflittuale. Una configurazione di rete non governata dal centro appare un riferimento chiaro, che però si sdoppia in due diverse possibili varianti nel senso della frammentazione piuttosto che del pluralismo (v. figura 5). Questa lettura coglie la presenza di un’ambiguità. La deriva inerziale è sicuramente verso un assetto frammentato. Cogliendone il pericolo, con gli effetti manifesti nei primi anni 2000, i responsabili politici sembrano voler riproporre la via delle politiche pubbliche o dello steering at a distance, attraverso una serie di misure che lo stallo del 2007 dimostra essere problematica da attuare. Tutta la storia italiana suggerirebbe di imboccare una via diversa, abFigura 5 – Percorso evolutivo della governance del sistema universitario italiano Azienda Pubblica 2.2009 278 Saggi La governance dell’università italiana bandonando definitivamente le velleità di sviluppare un focus di governance strategica al livello di sistema, con le sue necessarie conseguenze in termini di coesione e condivisione di scopi. La strada alternativa è quella che persegue un obiettivo di pluralismo. Questa si rivela più moderna e probabilmente più allineata con le tendenze internazionali. 4. Governance e valutazione Se si guarda a questo punto al futuro e non più alla storia, lo schema dei quattro quadranti sinora seguiti perde gran parte della sua utilità, dato che alternative credibili rispetto alla situazione di locus esterno e focus negoziale/conflittuale non sembrano in grado di profilarsi. Ciò risulta del resto in linea con i temi che emergono da numerose analisi condotte in Europa dagli anni ’90 in poi. Massen e Van Vought (1994) ripropongono un modello di autoregolazione, basata sulla cybernetic perspective (Ashby, 1956; Steinbrunner, 1971) che considera il governo come un attore che custodisce le regole di un gioco condotto da soggetti relativamente autonomi e che cambia queste regole quando capisce che il gioco stesso non è più in grado di produrre risultati soddisfacenti (Massen, Van Vought, 1994: p. 41). Questo approccio genera maggiore innovazione e flessibilità negli atenei (Massen, Van Vought, 1994: p. 57) e incrementa la diversità nei sistemi universitari (Goedegebuure, 1996). In questa logica, il governo incoraggia e favorisce la differenziazione delle strutture accademiche perché riconosce che questa aumenta la capacità complessiva del sistema di rispondere a richieste sempre più differenziate provenienti dalla società. Si torna così al tema della diversità che nell’higher education ha, del resto radici lontane e trova alimento nel passaggio all’università di massa con la necessità di diversificare e distinguere le missioni e l’offerta didattica al fine di rispondere a esigenze molto più estese e variegate (Trow, 1974). Ma la diversità ha un carattere ambiguo, che molti negli ultimi anni sottolineano a partire da Neave (2000) che ne richiama anche gli aspetti potenzialmente negativi quali la frammentazione e balcanizzazione delle responsabilità. La governance di sistema deve affrontare una pluralità di dimensioni in cui si manifesta la diversità, come l’apertura al mercato e alla concorrenza, la differenziazione dei comportamenti e dei servizi, l’affermarsi della logica di network che coinvolge ampi insiemi di soggetti pubblici e privati. L’apertura al mercato può promuovere una maggiore rispondenza a bisogni differenziati ma anche comportamenti imitativi poco critici se prevale una “stratificazione reputazionale” che limita alla fine l’autoregolazione del settore (Meek, 2000, King, 2007). A sua volta il coinvolgimento di un numero maggiore di stakeholder può significare una forma evoluta di regolazione, una sorta di steering through network dove emerge il ruolo anche di nuovi attori. A livello nazionale ciò è già avvenuto in Italia, ad esempio con l’affacciarsi dei Mini279 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana steri dell’economia e delle attività produttive su decisioni che riguardano l’università. Le tematiche della società della conoscenza e del trasferimento tecnologico aprono la scena dell’istruzione superiore anche a molti attori attivi nei sistemi regionali e locali. Si fa strada ormai in molti Paesi europei la possibilità di un assetto di governance partecipato da molti attori e articolato su più livelli, dove gli enti di governo partecipano al management della rete (Stensaker, Enders, de Boer, 2006; Potì, Reale, 2006). Ma questo può anche tradursi nella diluizione di responsabilità nell’ambito di un sistema ingovernato e ingovernabile. L’evoluzione della governance di sistema per l’università italiana si trova davanti all’alternativa tra network pluralista e network frammentato in modo più reale e concreto di quanto valga per la presunta alternativa tra dirigismo e opzione di mercato, oppure tra disegno intelligente e darwinismo sociale. Il dirigismo infatti è definitivamente spiazzato dal grado di diversità espresso dal sistema universitario, dalle sue componenti, dai vari stakeholder, dalla stessa domanda sociale. Il mercato dei servizi universitari è esso stesso uno dei fattori essenziali che generano diversità e l’opzione di privilegiare il suo ruolo di regolazione può solo indurre la completa frammentazione del sistema. Lo stesso vale per il ricorso a forme di selezione delle strutture universitarie ispirate al darwinismo sociale, mentre la logica del disegno intelligente dal canto suo non dà risposta al problema di come attivare i cambiamenti necessari derivanti da un progetto organico e razionale, se non riproducendo forme di dirigismo centralista. Un sistema pluralista significa invece fondamentalmente la compresenza di università forti e differenziate per finalità, governance interna, modello strategico e organizzativo. Per forti si intendono università dotate di buona reputazione nel contesto di riferimento (locale, nazionale e internazionale), attrattive per studenti e docenti, capaci di un’elaborazione strategica autonoma, dinamiche e adattive rispetto al contesto. La differenziazione significa la compresenza di una pluralità di modelli di riferimento, non predefiniti in modo rigido, ma aperti all’espressione di specifici intenti strategici. Esempi significativi in questo senso possono essere quelli dell’università di territorio, dell’università a vocazione internazionale, dell’università non statale espressione di specifiche comunità, dell’università imprenditoriale capace di fare appello a risorse locali e di attrarre forme di external funding anche usando il supporto di organi nazionali. La governance di un sistema pluralista è chiamata quindi a presidiare questa combinazione di forza e dinamismo delle strutture universitarie con la diversità dei relativi modelli di riferimento. La dimensione della diversità deve trovare un limite nei requisiti di forza e dinamismo attraverso idonei filtri stabiliti e gestiti dalla governance di sistema. Questo ragionamento rimanda al concetto stesso di università, all’esiAzienda Pubblica 2.2009 280 Saggi La governance dell’università italiana genza di definire un fondamento comune a tutte le istituzioni universitarie che possa essere riconosciuto come necessario senza sacrificare la differenziazione. Un’operazione di questo tipo è stata compiuta in Europa con la Magna Charta Universitatum, firmata a Bologna nel 1988 dai rappresentanti dei principali Paesi europei in occasione del nono centenario di quell’università, che ha definito le caratteristiche ideali dell’istituzione universitaria nel solco della tradizione medievale e della sua evoluzione nel tempo. Secondo la Magna Charta le università sono istituzioni dedicate a elaborare e preservare la conoscenza, trasmettendola alle generazioni successive al fine anche di ampliare i limiti per l’espressione del potenziale umano. E i tre pilastri portanti dell’università sono così individuati nell’autonomia istituzionale, nella indivisibilità di ricerca e insegnamento e nella prospettiva internazionale e universale propria dell’istruzione superiore. L’essenza del ruolo dell’università viene individuata nell’incrementare l’influenza della ragione nella società contemporanea, attraverso la ricerca, la didattica e la loro interazione. In questa prospettiva si pone l’esigenza che l’università eserciti un ruolo più attivo rispetto ai problemi e alle discussioni che animano la società, sviluppando la capacità di esercitare una leadership intellettuale (Felt, 2004). Un compito che per il vero non può essere solo riconosciuto istituzionalmente, ma deve essere piuttosto conseguito nei fatti. Una definizione di questo tipo chiarisce i connotati di base dell’istituzione universitaria, in termini coerenti con il requisito di forza e di dinamismo, senza chiudere spazi per la dimensione di diversità e differenziazione propria del pluralismo. Si sostiene in pratica che non può essere riconosciuto il carattere, il marchio stesso, di università a qualunque struttura formativa. Spetta alla governance di sistema garantire che le istituzioni riconosciute come università dispongano dei requisiti insiti nel concetto condiviso e promuovere le condizioni per il miglioramento di queste caratteristiche. È possibile un vero steering at a distance attraverso una piattaforma che funziona anche quando esistono differenti spinte e comportamenti da parte delle università. Un sistema pluralista deve quindi dotarsi di capacità e strumenti per organizzare, stimolare e accompagnare l’evoluzione del sistema valorizzando l’autonoma spinta intellettuale e imprenditoriale delle università statali e private, sostenute dai loro territori e dai rispettivi stakeholder. Alla radice di questo ruolo è posta una capacità fondamentale: quella di valutare i requisiti, lo stato e i risultati delle università e delle rispettive fondamentali funzioni e attività. Riferimenti bibliografici AGASISTI T. et al. (2008), “Strategic management accounting in universities: the Italian experience”, Higher Education, 55, pp. 1-15. 281 Azienda Pubblica 2.2009 Saggi La governance dell’università italiana ASHBY R. (1956), An introduction to Cybernetics, Londra: Chpman and Hall. AZZONE G., DENTE B. (2004), “Dall’autonomia alla governance. Il caso del Politecnico di Milano”, Il Mulino, 54(3), pp. 479-488. BEVIR M. et al. 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Il caso della Provincia di Ancona: le condizioni di contesto e il processo di formazione finalizzato al cambiamento. 6. La proposta di percorso formativo e il modello organizzativo per il controlling nella Provincia di Ancona. 7. La metodologia adottata per l’individuazione delle attività. 8. Il sistema degli indicatori. 9. Alcuni risultati ottenuti e criticità rilevate. L’importanza della misurazione delle performance nel settore pubblico sta assumendo sempre maggior importanza anche a livello internazionale, soprattutto a seguito del ruolo che le unità pubbliche svolgono nel processo di sviluppo sociale ed economico, della varietà dei servizi offerti, della difficoltà di misurare l’impatto sui bisogni di alcuni output. Inoltre, la valutazione del valore nelle pubbliche amministrazioni, per il tipo di servizi prodotti e le modalità con cui vengono offerti non hanno consentito di ottenere misure sintetiche condivise. Obiettivo del paper è quello di individuare, sulla base degli approcci teorici e delle prassi più evolute, le condizioni che assicurino la funzionalità dei sistemi di performance measurement nel settore pubblico, con un focus sulla progettazione di un sistema di misurazioni analitiche, parziali e intermedie riferite ad aree o enti organizzativi di una Provincia, che costituiscono, attraverso un sistema di relazioni di causa-effetto, presupposto fondamentale per l’ottenimento delle performance globali e sintetiche. The public organizations performance measurement and management has had a growing importance on an international scale. This is due to the role that the units examined undertake in the process of economical and social development of referring communities, to the variety of services offered and to the difficulties to measure the impact on the need, referred to such outputs. The evaluation of value in public administrations, for the type of services produced and the methods with which they are provided (that is, through atypical forms of exchange without the use of price) has still not found synthetic measurement methods which are agreed upon. The aim of this paper is to single out the conditions assuring the effectiveness of performance measurement systems in public sector. The paper focuses the design of a analytical, partial and intermediate measure system referred to areas or organizative body of a province which make up, by means of a cause-effect relations system, basis for global and syntethic perfomance. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno - Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 Pur essendo il paper frutto del comune lavoro Luca Del Bene è autore della premessa e dei §§ 2, 3, 4 e 10 e Stefano Marasca è autore dei §§ 5, 6, 7, 8 e 9 Parole chiave: misurazione – performance – attività Key words: measurement – performance – activity 285 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative 1. Premessa La misura del quadro concettuale di riferimento risulta funzionale agli obiettivi posti a base della ricerca e sintetizzabili, nel caso della Provincia di Ancona, nella progettazione del supporto informativo del controllo riguardante le misure di performance. Il sistema così strutturato avrebbe dovuto consentire l’ottenimento di un quadro sufficientemente esaustivo degli andamenti delle singole aree e informazioni circa i riflessi di questi in un’ottica più ampia, rappresentata dal processo in cui sono inserite o dai risultati complessivi. Dal punto di vista teorico, alcune assunzioni rilevanti riguardano, in primis, la riaffermazione convinta dell’utilità di un sistema di misurazione della performance nelle amministrazioni pubbliche locali, quale passaggio necessario per attivare e garantire efficacia a sistemi di controllo in senso più ampio. Tale “utilità” va intesa, prima ancora che come supporto ai processi decisionali dei responsabili gestionali, come incremento di conoscenza e consapevolezza a fini di governo di un’unità organizzativa e delle relazioni esistenti con altre unità. Conoscenza e consapevolezza che coinvolgono, altresì, le variabili che influenzano la performance, il tessuto di relazioni di causa-effetto che lega tali variabili e consente di definire un “modello” interpretativo utile al responsabile dell’unità organizzativa. Le esigenze descritte sono particolarmente avvertite nelle province in considerazione dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nelle attività e nelle competenze loro assegnate e nel conseguente modello organizzativo adottato. A tal fine, si è ritenuto necessario focalizzare l’attenzione su tre principali direttrici di analisi: 1) la problematica della misurazione e le sue criticità nella pubblica amministrazione; 2) l’incapacità delle variabili economico-finanziarie di rappresentare, in una realtà come quella della Provincia, un quadro esauriente degli andamenti mediante misure complessive e di sintesi e quindi l’esigenza di misurare le performance secondo una molteplicità di dimensioni di analisi; 3) conseguentemente, l’esigenza di porre l’attenzione sulla progettazione di un sistema di misurazioni analitiche, parziali e intermedie riferite ad aree o enti organizzativi che costituiscono, attraverso il sistema di relazioni di causa-effetto in cui le stesse vengono inserite nello svolgimento delle varie attività, presupposto fondamentale per l’ottenimento delle performance globali. 2. Misurazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche: un’opportunità per il miglioramento dei risultati Considerando la prima tematica, la misurazione costituisce fattore centrale per il governo dell’azienda e svolge quindi, una funzione critica. Uno degli Azienda Pubblica 2.2009 286 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione aspetti chiave della misurazione in campo aziendale non è solo quello riferibile alla capacità di rappresentare quanto più fedelmente possibile l’andamento delle variabili oggetto di osservazione in un modo, che potremmo definire neutrale o, come alcuni sostengono, scientifico (Stevens, 1967, p. 20). Esso incorpora anche la funzionalità a presentare i fenomeni secondo una prospettiva che stimoli una regolazione dei comportamenti degli operatori aziendali destinatari delle informazioni, indirizzandoli verso il conseguimento degli obiettivi (Mason, Swanson, 1979, p. 4; Flamholtz, 1981, p. 83). Due sono quindi le dimensioni dell’informazione: la prima consente di apprezzare i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi, costituendo la base per il feedback correttivo e per la valutazione delle prestazioni; l’altra attiene al processo di misurazione, per cui gli individui tendono a modificare il loro comportamento rivolgendo maggiore attenzione alle dimensioni delle quali è nota la misurazione. L’obiettivo della misurazione può essere di tipo informativo (su quali problemi va orientata l’attenzione); di carattere prescrittivo (quali azioni devono essere intraprese); di tipo valutativo (l’azione svolta è corretta) (March, Simon, 1958, p. 161; Mason, Swanson, 1979, p. 11). L’importanza della misurazione delle performance è efficacemente espressa da Hatry: “Unless you are keeping score, it is difficult to know whether you are winning or loosing”(Hatry, 1978, pp. 28-37), e, ancora, Osborne e Gaebler (1992, pp. 147, 152, 198) affermano “If you don’t measure results, you can’t tell success from failure. (…) if you can’t recognize failure, you can’t correct it (…) if you can’t see success, you can’t reward it”. La rilevanza della misurazione in ambito pubblico è accresciuta dalla particolare missione istituzionale che caratterizza le unità appartenenti al settore. La funzione di soddisfacimento di bisogni individuali e collettivi e di promozione del benessere sociale ed economico della comunità servita, la molteplicità di interessi che gravitano intorno alle pubbliche amministrazioni, la cui tutela implica un adeguato livello di conoscenza, rendono la misurazione delle performance fattore indispensabile (Carter, 1988, pp. 369-375). Questa esigenza di accountability (1) e, per converso, la possibilità di svolgere efficacemente il ruolo di cittadino nell’esercizio dei propri diritti, impone la progettazione di sistemi di misurazione e valutazione delle performance solidi dal punto di vista concettuale, condivisi e chiari nel funzionamento per evitare che l’organizzazione acquisisca “autonomia rispetto al suo ambiente di riferimento e quindi ai destinatari della sua azione” (Rebora, 1998). La misurazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni evidenzia elementi di complessità derivanti dalle peculiarità istituzionali che caratterizzano il contesto di riferimento. Alludiamo in particolare: all’etero1 Sul tema, tra gli altri, METCALFE, RICHARDS (1987); DUBNIK, ROMZEK (1987); GREY, JENKINS (1993); HORLOW (2002); PEZZANI (2003); HUSE, (2005). 287 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative geneità dell’attività svolta, da cui discende diversità nei processi operativi che sovrintendono alla loro produzione, nella tipologia e nelle modalità di impiego dei fattori produttivi, nelle implicazioni organizzative e, conseguentemente, nelle modalità di misurazione e valutazione delle performance; alle modalità di cessione delle prestazioni, che non consentono di impostare relazioni significative tra svolgimento dell’attività e reperimento delle risorse e creano difficoltà nel misurare il valore creato attraverso misure di sintesi condivise; (2) alle difficoltà di modellizzare le relazioni esistenti tra attività svolta e outcome ottenuti (Noordegraaf, Abma, 2003, pp. 853-871) data la molteplicità di variabili incidenti. Anche la presenza di una dimensione politico-istituzionale e di una più tipicamente aziendale condiziona la configurazione del sistema di misure attinenti ai due processi (Borgonovi, 2005). Sotto l’aspetto politico-istituzionale l’attività svolta si concretizza nella attitudine ad interpretare il consenso, le attese e le esigenze dei cittadini, traducendole in programmi e la successiva capacità di trasporli in azioni e indirizzi concreti. Questa costituisce, insieme alla misurazione propria della dimensione aziendale, ciò che Rebora definisce “rendimento istituzionale”. La seconda dimensione può essere monitorata considerando le modalità di utilizzo delle risorse, la rispondenza delle attività svolte e degli output ottenuti alle esigenze della comunità servita in termini quantitativi e qualitativi e, infine, l’equità, intesa come “equilibrata soddisfazione degli interessi in gioco, (…) che consente alle prestazioni valide sotto il profilo della qualità tecnica di tradursi in effettivo valore pubblico” (Rebora, 1999, p. 47). Con particolare riferimento all’attività, è consolidata l’opinione relativa all’esistenza di una certa difficoltà nel misurare in modo non controverso l’output delle amministrazioni pubbliche, data anche dalla sua immaterialità e complessità (Bondino, Bruzzo, 1988, p. 252; Mussari, 1994, p. 208; Farneti, Mazzara, Savioli, 1996, p. 138). Anche assumendo una definizione condivisa di output, come “risultato ottenuto dallo svolgimento di un’attività, mentre le misure di output sono una misura del volume di un’attività o della quantità di output” (Brimson, Antos, 1999, p. 73), è rilevabile un elevato grado di complessità che limita la possibilità di esprimere significativamente i risultati di una pubblica amministrazione in termini sintetici e complessivi. Per identificare una misura di output espressiva e attendibile si deve pertanto specificare progressivamente l’ambito di osservazione, fino a che le attività svolte non manifestino un livello di omogeneità tale da consen2 “The difficulty in measuring value in public service organizations is not the mere lack of a share price; it is the reason why, in public services, there cannot be a true price at all. Government is not in the business of seeking an economic profit. Rather, it is in the business of delivering various public goods whose actual value to stakeholders cannot be easily expressed in monetary terms”, COLE, PARSTON (2006) p. 51. Azienda Pubblica 2.2009 288 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione tire di rappresentare le prestazioni effettuate con un parametro comune. Non c’è altresì dubbio che l’impostazione non è risolutiva, perché alcune difficoltà permangono ma, come affermano Anthony e Young (1999, p. 402) “disporre di dati sull’output, per quanto approssimativi, è meglio che non averne nessuno”. In ogni caso, la misurazione dell’output appare di basilare importanza per costruire poi gli indicatori relativi all’efficienza, all’efficacia e alla qualità. Data l’inesistenza di modelli di misurazione delle performance universalmente validi, nell’approccio utilizzato alla Provincia di Ancona è sembrato maggiormente corretto, dal punto di vista metodologico, orientarsi verso la definizione di alcuni criteri di progettazione funzionali alla costruzione del sistema di grandezze. (3) Uno dei primi elementi da prendere in considerazione riguarda la definizione degli obiettivi della misurazione delle performance, che costituisce fattore rilevante con riferimento all’impostazione dei relativi sistemi poiché, secondo una posizione ormai piuttosto consolidata in letteratura, sono gli scopi che determinano il tipo di misure da utilizzare (Kravchuk, Schack, 1996; Hatry, 1999; Behn, 2003). Molteplici sono le classificazioni elaborate circa le finalità della misurazione che, in linea generale, possono essere condensate intorno ad alcuni macro obiettivi: valutare, migliorare i processi di pianificazione, programmazione e controllo, conoscere, migliorare, rendere l’amministrazione accountable (Holzer, Halachmi, 1996, pp. 1921-1944; Behn, 2003). In realtà, conoscere è esigenza comune a tutti gli altri scopi, così come l’obiettivo di miglioramento costituisce, in estrema sintesi, la cornice entro cui anche gli altri vengono ricompresi, divenendo quindi finalità ultima. “Thus, although the purpose of measurement systems is to help improve performance through influencing decisions, they cannot be expected to control or dictate what those decisions will be (…) but even at lower management levels they [informations] can be ignored and will not automatically be used”, Poister (2003) p. 19. 3. Prospettive di analisi delle performance La seconda direttrice di indagine si riferisce al tipo di indicatori utilizzabili per delineare adeguatamente le performance. Innanzitutto, è riferibile anche alle amministrazioni pubbliche il concetto secondo cui la base di riferimento per l’elaborazione delle misure di performance è costituita dall’orientamento strategico seguito e, conseguentemente, dall’individuazione dei fattori critici di successo e quindi della (o delle) variabili-chiave e dei parametri che ne rappresentano l’andamento (Bergamin Barbato, Collini, 1993, p. 19; Dixon, Nanni, Vollmann, 1990, p. 2). Con l’evolversi della dottrina e delle prassi, sono emersi progressiva3 Sui criteri di progettazione del sistema di misurazione delle performance, DE BRUIJN (2007) pp. 55-56; TUCK-ZALESKI (1996), pp. 1945-1978. 289 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative mente i limiti delle misure di performance espresse sotto forma monetaria, in termini di completezza, analisi, tempestività, selettività, focalizzazione sul breve termine. Esse si rivelano quindi insoddisfacenti per misurare l’andamento della gestione. Inoltre, gli indicatori economico-finanziari hanno scarsa propensione diagnostica poiché misurano gli effetti e non le cause dei fenomeni. In particolare, poi, i parametri di estrema sintesi costituiscono espressione omnicomprensiva di una pluralità di fenomeni del più vario genere e tipologia, alcuni dei quali non rappresentabili attraverso misure monetarie e che possono avere con la performance complessiva un legame solamente indiretto (Silvi, 1995, p. 43). La questione si allarga fino a comprendere anche gli altri parametri tipici di questa impostazione, funzionali alla responsabilizzazione dei manager (spesa, costo, ricavo, risultato economico, rendimento degli investimenti, ecc.), che non riescono a rappresentare efficacemente l’andamento dell’attività svolta e supportare adeguatamente i processi valutativi e decisionali. In questa prospettiva, si può essere d’accordo con Guatri, quando sostiene “che le misure economico-finanziarie di misura delle performance, anche quando siano formulate in modo da tenere almeno indirettamente conto dell’interesse delle varie categorie di stakeholder, escludono inevitabilmente talune componenti dell’interesse generale, sociali, etiche, ecc. (…) che pure sono momenti rilevanti della vita delle imprese”(Guatri, 1997, p. 143). Tali considerazioni valgono a maggior ragione per le amministrazioni pubbliche per le quali, a causa delle finalità istituzionali e delle condizioni operative, della loro proiezione all’esterno (che impone il monitoraggio della capacità di soddisfare i bisogni e di impattare sui loro livelli), della molteplicità di obiettivi e di dimensioni coinvolte e della presenza di situazioni dove molti eventi non trovano riscontro nelle misurazioni contabili, gli indicatori di tale derivazione non possono offrire un quadro interpretativo esauriente di tutto ciò che viene ritenuto rilevante e del livello di funzionalità dell’organizzazione (o delle sue ripartizioni). La performance delle amministrazioni pubbliche nell’ottica della creazione del valore non è quindi misurabile con i classici indicatori utilizzati allo scopo (p.e. l’EVA, il MVA, il REI, il REIR). L’aspetto economico-finanziario dovrà essere integrato da altri di tipo tecnico riferibili ai molteplici aspetti ritenuti strategicamente rilevanti, che possano dimostrare in modo completo il ruolo e le modalità di svolgimento delle funzioni operative tipiche, le condizioni di sviluppo e la legittimazione all’esistenza (Moore, 2003, pp. 151 e ss.). Si rende, allora, necessaria l’impostazione di un sistema di indicatori di performance in grado di: 1) evidenziare le cause e non i sintomi degli andamenti; 2) offrire informazioni tempestive e non ritardate degli accadimenti; 3) elaborare un quadro della situazione rivolto al futuro anziché al passato; 4) creare un collegamento tra scelte strategiche e operative. Azienda Pubblica 2.2009 290 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione Johnson e Kaplan (1989, p. 258) proponevano già una determinazione di indicatori non monetari che “dovrebbero basarsi sulla strategia che l’azienda persegue e dovrebbero comprendere parametri-chiave di successo delle attività di produzione, di marketing, di ricerca e sviluppo”. Pur non escludendo, comunque, l’utilizzo di informazioni di carattere economico-finanziario, il controllo basato sulla misurazione delle performance sposta l’ottica di osservazione da questa prospettiva verso i fattori critici per la creazione del valore, come qualità, tempi, soddisfazione del cliente. La teorizzazione della creazione di valore pubblico può allora costituire la sintesi tra le condizioni interne ed esterne di funzionamento e, date le condizioni prima citate, “the best way to measure the value created by nonprofit organizations is by developing measures of their success in achieving their mission. That usually requires non financial measures” (Moore, 2003, p. 6). In tal senso, il riferimento alla creazione di valore costituisce, allora, elemento unificante e generalizzante, rappresentabile mediante un insieme multidimensionale di parametri, che consentono di raffigurare sinteticamente “le manifestazioni di essi, [gli andamenti] valutandone poi il peso relativo mediante l’analisi degli indicatori economici, finanziari, competitivi, tecnici, sociali che si ritengono rappresentativi degli aspetti sostanziali della gestione” (Ferraris, Franceschi, 1998, p. 202). Conseguentemente, anche l’attività dei singoli responsabili, per essere convenientemente monitorata e messa in relazione agli obiettivi generali, abbisogna di un’analisi multidimensionale. Insieme a parametri economici e/o finanziari, il cui ruolo va apprezzato con riferimento alle condizioni di operatività, devono essere inseriti indicatori fisico-tecnici relativi agli aspetti ritenuti rilevanti per il monitoraggio dell’attività controllata coerentemente con le sue peculiarità (Silvi, 1995; Merchant, Riccaboni, 2001; Mazzara, 2003). Dal punto di vista metodologico, la questione della multidimensionalità non può essere risolta definendo semplicemente una pluralità di indicatori espressi in termini fisico-tecnici da affiancare a quelli economico-finanziari. L’analisi dovrebbe rivolgersi, innanzitutto, alle prospettive in funzione delle quali si ritiene necessario interpretare la performance aziendale, così da individuare mediante quali misure si renda possibile ottenere una chiara completa, non ambigua ed esaustiva visione degli andamenti di un’area. Sarà così possibile individuare, da ogni punto di vista ritenuto importante ai fini dell’orientamento alla missione, le aree nelle quali l’azienda dovrà mettere in pratica una serie di iniziative indispensabili per dare concreta realizzazione alla strategia. È condivisibile l’opinione di chi sostiene che viene rovesciato il processo evidenziato da Flamholtz, secondo cui l’attenzione è diretta a ciò che viene misurato e conseguentemente diventa importante, per riconoscere ciò che è importante e successivamente misurarlo (Baraldi, 2005, p. 25). 291 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative 4. Sistema di misurazione ed esigenze di integrazione e coordinamento Relativamente all’ultima prospettiva di analisi è possibile affrontare la problematica partendo dalla considerazione che, nelle aziende, gli indicatori di sintesi espressi in termini economico-finanziari costituiscono manifestazione complessiva del variegato combinarsi delle performance ottenute nei vari sottosistemi, i quali possono manifestare anche legami di sequenzialità non sempre percepibili, sia in termini logici che temporali, rispetto ai primi. In situazioni come quelle della Provincia, nelle quali l’ottenimento di una prestazione complessiva deriva dal contributo coordinato delle varie unità partecipanti al processo, il rapporto di cofinalizzazione e strumentalità, che lega le attività svolte all’interno delle varie unità organizzative rispetto all’ottenimento dei risultati complessivi, rende necessaria l’esplicitazione dell’apporto (e dei suoi principali attributi) che esse possono offrire. Infatti, di frequente, sono proprio le modalità con cui queste relazioni si sviluppano che incidono notevolmente sulle performance globali in termini di efficacia, efficienza e qualità e sui relativi processi di miglioramento (Lorino, 1992, p. 53). Nella Provincia di Ancona si è ritenuto opportuno impostare l’analisi attraverso la configurazione del classico rapporto tra cliente e fornitore, in questo caso, interni all’organizzazione (Morrow, 1992). L’impostazione e la gestione di queste relazioni non possono essere lasciate a meccanismi estemporanei legati ad accordi informali e spontanei; devono invece essere opportunamente organizzate le modalità di interazione tra le unità in base alle quali saranno definite le condizioni di svolgimento delle attività e i comportamenti degli operatori coinvolti. Attraverso la dimensione di processo è possibile colmare le lacune dell’ottica funzionale che, se da un lato favorisce la specializzazione e l’efficienza delle singole unità, dall’altro crea divisioni tra gli enti organizzativi (Hammer, Champy 1995), in conseguenza delle quali ogni unità finisce per lavorare in modo autonomo e indipendente dalle altre pur essendo coinvolta nello stesso processo, provocando difficoltà di coordinamento, ripetizione delle operazioni, allungamento dei tempi e perdite di efficienza ed efficacia complessive. Le problematiche emergenti da questo approccio si sono riferite all’identificazione delle unità organizzative coinvolte nei vari processi e, quindi, alla costruzione della rete di relazioni che le legano e all’analisi delle caratteristiche delle attività svolte (Del Bene, 2008). Riguardo al primo aspetto, è opportuno evidenziare come le varie unità aziendali possano essere classificate in relazione alla tipologia di attività svolta, a seconda che, utilizzando l’impostazione porteriana, entrino direttamente nella prestazione del servizio finale reso (anche se diretto ad altre unità interne) e quindi essere considerate dirette o primarie, che ricoprano un ruolo di supporto a quelle dirette o, infine, che realizzino una funzione di coordinamento e di sostegno a livello manageriale. Le ultime due tipoloAzienda Pubblica 2.2009 292 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione gie comprendono attività rivolte prevalentemente, se non unicamente, ad altre unità organizzative interne all’amministrazione. La costruzione della rete di relazioni tra le varie unità aziendali deve essere effettuata considerando quelle che svolgono attività ritenute critiche per l’ottenimento del servizio finale, secondo le caratteristiche ritenute essenziali per la soddisfazione del cliente e nel rispetto delle compatibilità aziendali. Si evita così di individuare rapporti difficilmente ricostruibili e modellizzabili da un punto di vista organizzativo e operativo, rivolgendo l’attenzione prevalentemente a quelle unità organizzative che svolgono attività dirette e di supporto. L’esame del sistema dei collegamenti tra le attività svolte dalle unità aziendali assume significato sotto due prospettive di cui ricercare la coerenza: quella del destinatario (feed-back da cliente a fornitore), con lo scopo di creare una particolare attenzione sulle relative attese, che divengono elementi basilari di riferimento per l’impostazione delle modalità di esecuzione dell’attività (Silvi, 1995); quella di chi eroga le attività, per verificare la rispondenza tra caratteristiche ritenute rilevanti dal responsabile dell’unità fornitrice e quelle attese dal destinatario. L’impostazione del sistema di misurazione delle performance dovrebbe tener conto della situazione descritta sia relativamente al tipo di misure che è opportuno attivare, sia al livello delle prestazioni attese, sviluppando la qualità delle relazioni che legano varie attività e talvolta differenti unità organizzative. La definizione degli indicatori trova riferimento basilare nelle variabili che vengono ritenute strategiche (puntualità, correttezza, completezza, efficienza, rapidità, ecc.) per la creazione di valore nell’ottenimento di un particolare servizio. Pur potendo, per ogni servizio, monitorare tutte le variabili possibili, reputiamo debba essere data priorità a quelle che vengono ritenute determinanti ai fini dei processi di programmazione, realizzazione e di controllo. Circa le prestazioni attese, si dovrà innanzitutto progettare il livello delle performance che la Provincia intende ottenere nella produzione del servizio complessivo. È sulla base di questa determinazione che verranno impostate coerentemente le performance delle attività intermedie coinvolte. Lo standard di performance di queste trova, infatti, riferimento in quello del servizio complessivo, essendo da quest’ultimo che prende avvio la definizione del contributo atteso dalle attività intermedie, osservabili quindi in un’ottica funzionale. L’esperienza si inserisce in un quadro di evidenze empiriche ultradecennali che, fatte salve alcune apprezzabili eccezioni, tra le quali si segnala il progetto Best Practices promosso dal Dipartimento della funzione pubblica (Mussari, 2001), testimoniano l’esistenza di fattori ostativi di contesto, unitamente ad approcci superficiali e acritici in sede progettuale e di implementazione, che hanno provocato una diffusione limitata del controllo di gestione in vari tipi di amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli enti locali (Del Bene, 2006), divenendo adempimenti aggiuntivi che non assolvono 293 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative la funzione di stimolo e supporto che le è propria. (4) Fra i fattori ostativi individuati si ritiene, tuttavia, che due assumano un particolare rilievo e che, fino ad oggi, siano stati generalmente affrontati con strumenti poco efficaci. Si tratta, in primo luogo, delle modalità di coinvolgimento delle persone interessate, a vario titolo, dall’introduzione di processi di rilevazione, analisi, misurazione e valutazione. In secondo luogo, rileva l’insistenza con cui teoria e prassi hanno focalizzato l’attenzione su misure di sintesi di natura economico-finanziaria, dalle quali poi, eventualmente, far derivare misure analitiche e intermedie – afferenti qualità delle prestazioni, efficienza tecnica e efficacia – a beneficio delle singole unità organizzative. Tale ultima circostanza è spiegabile con il tentativo di trasferire alle realtà pubbliche logiche e strumenti informativi consolidati nelle imprese. Il tentativo è stato, ovviamente, animato dalle migliori intenzioni ma, in molti casi, non ha portato i sistemi di controllo e i connessi strumenti informativi ad incidere nei processi decisionali delle organizzazioni di riferimento (Del Bene, 2004), né relativamente ai responsabili politico-amministrativi, comunque concentrati sulla dimensione politico-istituzionale dell’ente più che su quella aziendale, né tanto meno ai responsabili, in quanto le misure proposte risultano difficilmente correlabili all’attività quotidiana di tanti responsabili di unità e/o di processo elementare. 5. Il caso della Provincia di Ancona: le condizioni di contesto e il processo di formazione finalizzato al cambiamento Lo studio del caso della Provincia di Ancona costituisce il momento induttivo o la fase di sperimentazione in vivo di un costrutto teorico frutto di un processo deduttivo. Tale processo ha coinvolto un ampio ventaglio di contributi teorici volti ad individuare i fattori ostativi ad un diffuso utilizzo dei sistemi di controllo e dei relativi supporti di misurazione nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, nella fattispecie enti locali (Bergamin Barbato, 1997; Anselmi et al., 1997; Rebora, 1999; Adinolfi, 2005; Borgonovi, 2002). In tale ambito, lo studio del caso della Provincia di Ancona, incentrato sulla costruzione di un sistema di misurazione multidimensionale della performance, non consente in alcun modo una generalizzazione statistica ma, semmai, una generalizzazione analitica rispetto a proposizioni teoriche: una prova empirica, potenzialmente e astrattamente replicabile, di quanto sostenuto e argomentato sul piano teorico (Yin, 2003). Lo studio del caso non può prescindere dalla considerazione del con4 Sulle principali cause della scarsa incisività delle tecniche manageriali si vedano, tra gli altri, REBORA (1999); MENEGUZZO (1997); MARASCA (2006). Lo scarso utilizzo dei sistemi di controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche è indirettamente dimostrato anche dalle esperienze dei nuclei di valutazione. Sul tema, cfr. MARASCA (2001); VALOTTI (1997); POZZOLI, NARDO (2007). Azienda Pubblica 2.2009 294 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione testo che caratterizza l’unità di analisi. Nella Provincia di Ancona, nel periodo antecedente la ricerca, la struttura organizzativa risentiva di modelli e stratificazioni tipiche della cultura burocratica, con una dominanza di logiche “passive”, di responsabilità di adempimento e di relativa “irrilevanza” del consumo di risorse in rapporto agli output prodotti. Più in generale, mancava una cultura manageriale diffusa che si manifestasse anche nella capacità di governare attività e processi attraverso una selezione di variabili critiche e strumenti di rappresentazione in grado di garantire sia la coerenza con le attese dei destinatari che la minimizzazione delle risorse impiegate. La carenza non era ravvisabile specificamente in ambito dirigenziale quanto ai vari livelli dell’organizzazione, a cominciare da quelli di primo supporto alla dirigenza. La stratificazione di ruoli, tipica di un modello organizzativo multilivello, creava varie posizioni con ambiti di autonomia e responsabilità sempre vissuti con una logica gerarchica, dal punto di vista organizzativo, e in termini adempimentali, dal punto di vista dei contenuti. Da qui, la necessità di promuovere un cambiamento significativo del contesto organizzativo e delle prassi gestionali dell’ente. Particolarmente avvertita era l’esigenza di diffondere la consapevolezza che l’efficacia dell’azione amministrativa si misura attraverso la qualità, percepita dall’utenza, dei risultati forniti, ovviamente in un quadro di compatibilità di risorse economiche, finanziarie e organizzative. Tale consapevolezza, sulla base di dottrina consolidata, impone l’adozione di un approccio manageriale alle attività svolte e, pertanto, una conoscenza approfondita dei meccanismi di base, delle relazioni di causa-effetto, dell’impatto sulle risorse che la produzione e l’erogazione di servizi richiede. Nel caso di specie, si ravvisava pertanto l’opportunità di adottare un sistema di misurazione della performance in grado di fornire informazioni, strumenti di monitoraggio e valutazione ai vari responsabili, favorendo i loro processi interpretativi e l’assunzione di decisioni. Per soddisfare le attese di cambiamento emerse è stato definito, di comune accordo con un gruppo di esperti esterni, un processo di formazione volto a garantire un vasto coinvolgimento degli operatori così da renderli protagonisti fin dalla fase di progettazione del sistema di misurazione e, quindi, lungo tutto il percorso di definizione delle specifiche del sistema stesso. Era, infatti, opinione condivisa che un reale cambiamento organizzativo potesse essere favorito da un’innovazione “di processo” nelle modalità di approvvigionamento del know-how tecnico proveniente dagli esperti esterni e nella formulazione di percorsi formativi per le risorse professionali nell’ente. I due momenti richiamati sono invece proposti, nella generalità dei casi, come distinti, spesso anche da un punto di vista cronologico oltre che logico. La sequenza più invalsa prevede, anzitutto, una formazione 295 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative di aula tradizionale per il trasferimento di concetti di base sui sistemi di misurazione e controllo, quando non già di specifiche di funzionamento di un determinato modello pre-confezionato. Successivamente, l’esperto esterno mette a disposizione le sue competenze per attivare il sistema, cercando di coinvolgere il responsabile del progetto per l’ente e pochi altri “eletti”, sviluppando la dimensione tecnica del sistema, gli indicatori, le elaborazioni da fare, magari i report periodici da produrre per una platea di potenziali destinatari. Seguono poi momenti “istituzionali” di confronto e di periodico review di alcuni dettagli e, talvolta, una sessione formativa finale per la messa a regime delle tecnicalità del sistema e un follow-up formativo e valutativo per eventuali messe a punto. Per favorire il cambiamento nelle idee e nei comportamenti organizzativi nella Provincia di Ancona si è, invece, deciso di saldare i due momenti fondamentali: la progettazione del sistema di misurazione e la formazione, definendo in modo preciso il ruolo di quest’ultima e la sua finalità rispetto al problema specifico. In questo modo, infatti, si è ritenuto di coniugare efficacemente il momento dell’apprendimento con quello dell’azione, ossia con la concreta realizzazione del sistema, favorendo la potenziale replicabilità delle metodologie acquisite (Borgonovi, 1998). Ciò è stato realizzato costruendo un percorso ad hoc formativo e di affiancamento destinato ad un gruppo significativo di operatori dell’amministrazione pubblica e co-progettando contenuti e metodologie didattiche sulla base di alcuni chiari obiettivi formativi condivisi. Con la modalità descritta, l’ente non ha acquistato un software o la consulenza di un esperto per realizzare un “sistema di indicatori”; ma ha acquistato e utilizzato contestualmente un know-how che è soprattutto metodologico e che è volto alla “produzione interna” del sistema di misurazione. Mutuando espressioni tipiche della contabilità analitica, si è passati da un’ipotesi buy a un’ipotesi make. Per ciò che attiene ai contenuti della formazione, si è optato per un capovolgimento dell’approccio alla costruzione del sistema di misurazione della performance. Al fine di garantire la produzione di informazioni utili per le decisioni dei responsabili e, quindi, in grado di incidere in misura significativa sui comportamenti organizzativi, si è ritenuto opportuno “partire dal basso” definendo un sistema diffuso di misure analitiche e di performance parziale e intermedia. Ciò ha richiesto di sviluppare una “mappatura” puntuale delle attività, dei condizionamenti fra attività diverse e delle relative misure di performance. Si è ritenuto, infatti, che questo fosse un passaggio fondamentale per creare una base dati che consentisse di avviare processi di misurazione ripetitivi e valutazioni di efficienza, efficacia, adeguatezza e individuare percorsi di miglioramento. La scelta operata è risultata gravida di rischi per l’ampiezza e l’eterogeneità dei dati e la difficoltà di raggrupparli con una logica univoca che permettesse di lavorare sulle interdipendenze. Tali circostanze, peraltro riconosciute in dottrina (Bianchi, 2007), sono state Azienda Pubblica 2.2009 296 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione fronteggiate ricorrendo alla logica per processi e all’innesto di un knowhow specifico in determinate fasi del progetto. 6. La proposta di percorso formativo e il modello organizzativo per il controlling nella Provincia di Ancona Il percorso formativo e di affiancamento ha coinvolto un gruppo di dipendenti della Provincia di Ancona destinati a occuparsi, con ruoli e responsabilità differenziate, di rilevazione ed elaborazione di informazioni di supporto ai processi manageriali. L’impostazione didattica adottata, comunemente definita project work, è stata incentrata sulle tecniche di learning by doing (Cercola, 1998). I partecipanti, infatti, oltre a essere i “clienti” del pacchetto formativo, sono stati soggetti attivi nella costruzione del sistema di misurazione e, in quanto tali, sono stati chiamati a dare risposte concrete alle problematiche operative, facendo leva sulle indicazioni di tipo teorico e metodologico fornite dal “team didattico” composto da docenti e tutor. In una prima fase, i formatori hanno effettuato interventi didattici tradizionali impostati su concetti e metodologie di base. Successivamente, il team didattico ha realizzato una vera e propria attività di affiancamento dei discenti secondo due modalità distinte (5): a) l’intervento periodico del docente che ha condotto apposite sessioni di “laboratorio” in cui sono stati sviscerati i problemi di implementazione incontrati dai discenti, afferenti sia questioni tecniche, sia aspetti organizzativi, con l’obiettivo di socializzare e condividere soluzioni in un’ottica di apprendimento in base alle sperimentazioni (action learning); b) il sostegno operativo da parte di tutor disponibili per interventi di analisi e problem-solving mirati, su casi applicativi specifici e con cadenze più ravvicinate rispetto alle sessioni istituzionali di laboratorio (formazione on job). Le competenze così acquisite dal gruppo dei dipendenti hanno consentito l’esplicazione di un definito modello organizzativo per il controlling nella Provincia di Ancona. Gli operatori coinvolti nel progetto hanno, infatti, costituito il primo nucleo di professionalità orientate al sistema dei controlli. Le mansioni, cui gli obiettivi dell’iniziativa sono stati coerentemente correlati, sono state identificate in due profili di ruolo e responsabilità strettamente connessi, ma funzionalmente distinti. Il primo profilo ha riguardato il ruolo del controller, cioè lo specialista del controllo di gestione, il responsabile del sistema centrale di controllo, 5 Sulla crescente rilevanza dell’attività di affiancamento si vedano le considerazioni a margine della Prima conferenza nazionale sulla formazione del settore pubblico (ADINOLFI, 1998: p. 166). 297 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative attività centralizzata di staff al servizio dei settori operativi dell’ente. Il ruolo, ovviamente, non è riferito a una persona fisica in particolare ma a un’unità operativa, composta di alcune persone portatrici di competenze tecniche altamente specialistiche nonché di peculiari caratteristiche attitudinali. Il secondo profilo ha riguardato il ruolo di “referente” per il controllo di gestione, cioè l’interlocutore privilegiato dell’ufficio centrale del controllo di gestione fra le unità di personale incardinate in un determinato settore organizzativo. Si tratta, in altre parole, di un collaboratore di fiducia del dirigente, titolare di specifiche mansioni all’interno del settore e, in aggiunta, facilitatore del processo di controllo nell’unità organizzativa di appartenenza. (6) Per questo secondo profilo le competenze tecniche di controllo di gestione risultano utili e necessarie, ma assume un rilievo particolare la disponibilità di elevate capacità relazionali, di gestione dei rapporti interpersonali, di problem-solving e di orientamento al risultato. La previsione di un referente del controllo di gestione in ogni settore dell’ente è stata motivata dalla ricerca di una maggiore aderenza alle peculiarità delle diverse unità organizzative. Allo stesso tempo, tale scelta ha imposto meccanismi organizzativi volti a garantire un elevato grado di coordinamento tra unità centrale e unità periferiche al fine di arginare il rischio di burocratizzazione del processo di controllo (Bianchi, 2007). 7. La metodologia adottata per l’individuazione delle attività Il sistema di misurazione della performance della Provincia di Ancona è stato sviluppato con un orientamento alle attività, in considerazione della loro rilevanza ai fini dell’ottenimento della performance delle singole unità organizzative e dell’ente nel complesso. Agendo sulle attività si è, infatti, in grado di far convergere l’azione individuale verso gli obiettivi organizzativi, riuscendo anche a programmare e monitorare le risorse necessarie. Il sistema di misurazione è stato, altresì, improntato alla logica della gestione per processi favorendone, in questo modo, la graduale adozione. Per ciascun settore della Provincia di Ancona sono state, quindi, individuate le attività significative considerando congiuntamente due criteri: il consumo di risorse, principalmente tempo-uomo, e il valore dell’output nell’ottica del cliente (interno-esterno) a cui esso è destinato. Al fine di garantire uniformità e completezza nell’identificazione delle attività, gli elementi strutturali delle stesse sono stati descritti in un’apposita scheda, definita dal team didattico e condivisa dal gruppo dei discenti. Tale scheda riprende, con alcuni adattamenti, la struttura più accreditata in letteratura (Brimson, 1992; Miolo Vitali, 2003). 6 A titolo esemplificativo, si pensi alla collaborazione nella definizione dei flussi informativi contabili ed extra-contabili, nell’attivazione di procedure di raccolta e rielaborazione di dati disponibili nel settore e convogliabili nel sistema informativo generale a disposizione del controllo di gestione. Azienda Pubblica 2.2009 298 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione La scheda adottata risulta articolata in quattro aree: • • • • descrizione analitica dell’attività; evento esterno; risultato; tempi. Nello specifico, il primo item prevede la descrizione analitica delle operazioni elementari che danno luogo all’attività. L’area di analisi “evento esterno” è articolata in tre campi distinti: input, ente fornitore e caratteristiche qualitative. L’input identifica il bene/comunicazione/servizio ricevuto che segna l’avvio dell’attività. Esso, in sostanza, rappresenta l’evento esterno stricto sensu, il cui surrogato informativo è generalmente rappresentato da un documento cartaceo o elettronico, in seguito al quale inizia lo svolgimento dell’attività. (7) L’ente fornitore può essere interno, ad esempio altre unità organizzative della Provincia, o esterno, ad esempio, categorie di utenti o altre amministrazioni. L’item relativo alle caratteristiche qualitative dell’input esprime gli aspetti rilevanti ai fini dell’attività da svolgere, poiché identifica gli attributi dell’evento esterno o del suo surrogato informativo che ne agevolano l’esecuzione. L’area di analisi “risultato” è, anch’essa, suddivisa in tre campi distinti: output, ente destinatario e caratteristiche qualitative. L’output rappresenta il bene/comunicazione/servizio ceduto ed è il risultato dello svolgimento delle operazioni elementari che danno luogo all’attività. L’ente destinatario dell’output identifica il soggetto o i soggetti che beneficiano dell’output realizzato. Tali destinatari possono coincidere con l’ente fornitore dell’input oppure essere soggetti diversi, interni o esterni, utilizzatori finali o ulteriori trasformatori dell’output ottenuto. L’item relativo alle caratteristiche qualitative dell’output riguarda gli aspetti critici per i destinatari dell’output e, dunque, meritevoli di attenzione. Si badi che tale giudizio di criticità è deliberatamente chiesto ai soggetti responsabili dello svolgimento dell’attività e non ai destinatari dell’output. In effetti, l’espressione di analogo giudizio da parte del cliente, soggetto “istituzionalmente deputato”, può essere comunque raccolta nell’ambito del sistema, in altro supporto informativo. In particolare, nel caso di clienti interni, l’informazione sarà desumibile da una scheda di attività che si colloca a valle di quella considerata, dove i soggetti responsabili saranno chiamati ad esplicitare le caratteristiche qualitative dell’input ricevuto. Anzi, 7 Ad esempio, il malfunzionamento del PC (evento esterno) si traduce in una richiesta di assistenza tecnica (documento fisico o elettronico) che fa partire l’attività di manutenzione/riparazione. 299 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative in questo modo, si genera un vantaggio informativo dal notevole potenziale organizzativo: l’incrocio dei giudizi di criticità, espressi dal cliente e dal fornitore, permette di “misurare” il livello di conoscenza delle esigenze dei destinatari del proprio lavoro e il livello di “scambio delle informazioni”. In altri termini, si può apprezzare il grado di consapevolezza della logica di interdipendenza fra attività sequenziali, tipica della gestione per processi. Qualora, invece, si tratti di cliente esterno occorre integrare il sistema di misurazione con una rilevazione periodica, anche su base campionaria, delle informazioni di cui sopra. Le modalità di reperimento possono essere le più diverse ma è fondamentale che anche per gli utenti esterni vi sia la possibilità di raccogliere il giudizio di criticità e di qualità degli output ricevuti, incrociandolo opportunamente con il giudizio espresso dalle unità organizzative dell’ente deputate allo svolgimento delle attività. Infine, l’area di analisi relativa ai “tempi” accoglie dati inerenti una sorta di tempi-ciclo, intesi come unità di tempo necessarie per ottenere una unità di output. Nella fattispecie, il tempo medio di produzione dell’output può essere inteso in due accezioni, comunque interessanti a fini conoscitivi: il tempo processo e il tempo risorsa. La prima espressione indica, in media, i giorni/ore che intercorrono tra input e output, ossia tra l’evento esterno che segna l’avvio dell’attività e la cessione al destinatario dell’output prodotto, considerando anche ordinari tempi di attesa, fisiologici o meno. Il tempo risorsa fornisce invece informazioni in merito alle ore/ giorni uomo impiegati, in media, per la produzione di una unità di output, intendendo strettamente il mero tempo di esecuzione delle operazioni necessarie. Al fine di garantire coerenza e omogeneità nell’individuazione delle attività tra i diversi settori dell’ente, il team didattico ha effettuato un controllo rigoroso delle schede, talvolta compilate dai discenti in modo solo in parte coerente con le indicazioni fornite. Le schede sono state sottoposte, durante le sessioni di laboratorio e gli interventi di problem-solving mirati, a un controllo di tipo sia formale che sostanziale. Da un punto di vista formale, è stata verificata la corretta e completa compilazione degli item della scheda. Il controllo sostanziale ha riguardato, invece, l’articolazione delle attività proposta dai discenti. In particolare, attività con incidenza complessiva troppo esigua o marginali rispetto alle competenze specifiche dei diversi settori e, quindi a scarsa rilevanza ai fini del supporto dei processi manageriali, sono state accorpate mediante l’individuazione di macro-attività. Tali accorpamenti sono stati, in ogni caso, realizzati dai formatori in accordo con gli operatori. Pertanto, la ridefinizione di alcune schede di analisi delle attività è stata sempre il frutto di un percorso di condivisione con i discenti. Di seguito, sono presentate, a titolo esemplificativo, le schede delle attività di “Gestione borse di studio” (tabella 1) e di “Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere” (tabella 2). Azienda Pubblica 2.2009 300 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione Tabella 1 – Scheda dell’attività “Gestione borse di studio” Gestione borse di studio Descrizione analitica dell’attività 1. Stipula delle convenzioni con ogni beneficiario 2. Verifica documenti obbligatori per l’inizio dell’attività 3. Presa d’atto delle comunicazioni periodiche di continuità nello svolgimento della borsa e conseguente autorizzazione all’erogazione della borsa; gestione delle comunicazioni, delle assenze e dei giustificativi dei borsisti e registrazione informatizzata 4. Presa d’atto dei verbali del Funzionario del controllo ed eventuale applicazione delle sanzioni previste per i casi di irregolarità; verifica sussistenza cause di decadenza ed eventuale revoca del finanziamento 5. Rilascio attestazione dell’attività svolta Input Graduatoria dei beneficiari approvata all’esito di apposito bando pubblico Ente fornitore dell’input U.O. Formazione e lavoro Caratteristiche qualitative dell’input Tempestività e correttezza della graduatoria Tempo medio di produzione dell’output Tempo processo: … gg. Tempo risorsa: … gg. Output Progetti di ricerca finanziati mediante borsa di studio Ente destinatario dell’output Diplomati o laureati beneficiari della borsa di studio Imprese in cui vengono svolte le attività finanziate Caratteristiche qualitative dell’output Progetto finanziato regolare e portato a termine Tempestività nei pagamenti ai soggetti beneficiari Capacità del progetto finanziato di favorire l’inserimento lavorativo e la crescita professionale del beneficiario Tabella 2 – Scheda dell’attività “Classificazione delle strutture alberghiere ed extra alberghiere” Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere Descrizione analitica dell’attività 1. Predisposizione e invio modelli di classificazione alle strutture ricettive 2. Ricezione dei modelli compilati dai gestori ed eventuale richiesta di integrazioni 3. Emissione provvedimenti di classificazione 4. Trasmissione dei provvedimenti al Servizio turismo della Regione Marche, al Comune territorialmente competente e al BUR della Regione Marche 5. Inserimento della classificazione di ogni struttura nel database Input D’ufficio (l.r. 42/1994, l.r. 23/1999 e successive modificazioni/integrazioni) Ente fornitore dell’input U.O. Turismo Caratteristiche qualitative dell’input Rispetto della normativa e dei termini di legge Tempo medio di produzione dell’output Tempo processo: … gg. Tempo risorsa: … h/gg. Output Provvedimenti di classificazione Ente destinatario dell’output Titolari/gestori di strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere – Comuni – Regione Caratteristiche qualitative dell’output Rispetto della normativa e dei termini 301 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative 8. Il sistema degli indicatori Completata l’individuazione delle attività, le schede di analisi sono state utilizzate per la progettazione di un sistema di indicatori in grado di monitorare le performance dei diversi settori e quella complessiva dell’ente. Nello specifico, per ciascuna attività mappata sono state identificate le seguenti tipologie di indicatori: • • • • di output; di tempo medio di produzione; di efficacia gestionale e sociale; di efficienza tecnica ed economica. (8) Gli indicatori proposti con riferimento alle attività in precedenza individuate sono riportati nelle tabelle 3 e 4. Tabella 3 – Indicatori dell’attività “Gestione borse di studio” Gestione borse di studio Tempo medio di produzione dell’output Indicatori di output N. progetti di ricerca finanziati Tempo processo Indicatori di efficacia gestionale e sociale Indicatori di efficienza tecnica ed economica N. progetti di ricerca finanziati / N. domande processate Ore impiegate / N. progetti di ricerca finanziati N. progetti di ricerca conclusi / N. progetti di ricerca finanziati Costo ore impiegate / N. progetti di ricerca N. pagamenti effettuati entro x finanziati gg. obiettivo / N. pagamenti effettuati Tabella 4 – Indicatori dell’attività “Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere” Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere Indicatori di output N. provvedimenti di classificazione adottati Tempo medio di produzione dell’output Indicatori di efficacia gestionale e sociale Indicatori di efficienza tecnica ed economica Tempo processo N. provvedimenti di classificazio- Ore impiegate / N. provne adottati / N. strutture ricettive vedimenti di classificazioda classificare ne adottati N. provvedimenti di classificazio- Costo ore impiegate / N. ne adottati entro x gg. obiettivo / provvedimenti di classificaN. provvedimenti di classificazio- zione adottati ne adottati 8 Per approfondimenti sulla classificazione proposta si rinvia a MULAZZANI (1992); ZANGRANDI (1994); FARNETI, MAZZARA, SAVIOLI (1996). Azienda Pubblica 2.2009 302 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione Gli indicatori di output, nello specifico numero progetti di ricerca finanziati e numero provvedimenti di classificazione adottati, misurano la quantità di servizi prodotta in un determinato periodo di tempo. Tali indicatori, oltre a descrivere l’andamento delle attività nel tempo, rappresentano la base per la costruzione di ulteriori misure di performance. Tra di esse figura, innanzitutto, il tempo medio di produzione dell’output e, in particolare, il tempo-processo. (9) L’efficacia dell’attività è, invece, monitorata considerando essenzialmente aspetti gestionali e, in misura più limitata, l’impatto sociale degli output prodotti. Relativamente alle attività considerate, gli indicatori di efficacia gestionale fanno riferimento alla capacità di rispettare la tempistica programmata (% pagamenti effettuati entro x gg obiettivo e % provvedimenti di classificazione adottati entro x gg obiettivo). Gli indicatori di efficacia sociale, di contro, monitorano la capacità dell’ente di soddisfare quantitativamente la domanda espressa (numero progetti di ricerca finanziati/numero domande processate e numero provvedimenti di classificazione adottati/numero strutture ricettive da classificare). La soddisfazione degli utenti riguardo alla qualità dei servizi erogati, altra tipica espressione di efficacia sociale, è invece valutata ricorrendo a indicatori proxy e, nel caso specifico della gestione delle borse di studio, a numero progetti di ricerca conclusi/numero progetti di ricerca finanziati. L’efficienza tecnica ed economica è, infine, monitorata considerando, rispettivamente, il tempo-uomo impiegato per ottenere una unità di output e la relativa valorizzazione in termini monetari. La scelta di focalizzare l’attenzione sulle ore uomo è derivata dalla constatazione che il personale costituisce la principale risorsa utilizzata nello svolgimento delle attività dell’ente. È bene precisare che il sistema degli indicatori della Provincia di Ancona è stato progettato “su misura” considerando, cioè, le specificità istituzionali, organizzative e operative del contesto nel quale esso è applicato; in questo modo si ha garanzia della coerenza e utilità del supporto informativo a fini gestionali. In ogni caso, per tutte le attività per cui è risultato possibile, sono stati individuati degli indicatori riconducibili a misure proposte nell’ambito di progetti simili realizzati da altre amministrazioni provinciali o da associazioni di enti territoriali particolarmente sensibili ai temi della misurazione e del controllo di gestione. Tale scelta è stata principalmente motivata dalla volontà di favorire la comparabilità con altre realtà, così da identificare i punti di forza e di debolezza della Provincia di Ancona, nonché i riferimenti di eccellenza a cui tendere. L’obiettivo educativo, in questo caso, appare evidente: avviare l’organizzazione a un managing by numbers con riferi9 Rispetto a quanto espresso supra nel paragrafo 7, il riferimento è solo al tempo-processo in quanto l’ulteriore informazione denominata tempo risorsa è destinata alla misurazione dell’efficienza tecnica dell’attività. 303 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative mento non solo alla propria realtà e alla relativa evoluzione nel tempo (10), ma anche a un proficuo confronto spaziale in ottica di benchmarking. È bene sottolineare, in ogni caso, che il sistema degli indicatori deve essere dinamico e, quindi, adattarsi ai cambiamenti che si manifestano nel corso del tempo. Tali aggiornamenti e modifiche sono, in parte, da ricondurre a un processo fisiologico legato alle dinamiche di apprendimento organizzativo. Attraverso l’utilizzo della strumentazione, gli operatori verificano la capacità segnaletica delle misure, individuando, laddove necessario, le modifiche atte a garantire una maggiore aderenza del sistema alla realtà rappresentata. Una costante manutenzione del sistema è, inoltre, necessaria per rispondere ai mutevoli fabbisogni informativi dei destinatari delle informazioni; in altri termini, un costante monitoraggio e aggiornamento del set degli indicatori è garanzia di funzionalità, poiché evita lo sviluppo di una sovrastruttura che, invece di guidare la gestione, introduce ulteriori elementi di rigidità. Infine, è appena il caso di richiamare alcune avvertenze metodologiche per una corretta interpretazione della funzione segnaletica delle misure. In primo luogo è da rilevare che ciascun indicatore, di per sé, non offre supporto ai processi manageriali: è opportuno, piuttosto, adottare un’ottica sistemica nella lettura e nell’interpretazione dei dati, sia relativi alla stessa attività, che riguardanti attività diverse in una logica di processo. Solo dalla lettura congiunta degli indicatori è possibile comprendere se i miglioramenti registrati nella gestione di una determinata variabile (es. tempestività nella produzione dell’output) abbiano o meno comportato peggioramenti in altre variabili critiche (es. correttezza dell’output prodotto), o in altre attività realizzate a monte o a valle. In secondo luogo, alla produzione del dato deve necessariamente accompagnarsi un momento, successivo e complementare, di interpretazione e analisi delle risultanze del sistema di misurazione, volto a comprendere le cause del fenomeno osservato e a individuare gli opportuni atti di gestione per eventuali azioni di miglioramento. In tale ambito entrano in gioco le competenze e la sensibilità dei soggetti destinatari delle informazioni prodotte dal sistema, cui spetta la gestione dell’ente e dei suoi processi caratterizzanti. 9. Alcuni risultati ottenuti e criticità rilevate Le molteplici esperienze di scarsa funzionalità dei sistemi di misurazione delle performance nel settore pubblico dimostrano come alcuni principi di progettazione e condizioni di utilizzo consolidati in letteratura non abbiano trovato adeguata e diffusa declinazione nelle pubbliche amministrazio10 In sede di condivisione del progetto era stata prevista l’attivazione del sistema informativo con la sistematica rilevazione degli indicatori individuati nel rispetto di una definita frequenza temporale. Ciò al fine di consentire l’individuazione di standard di riferimento indispensabili per migliorare l’azione amministrativa e il processo di programmazione nei settori di intervento dell’ente. Azienda Pubblica 2.2009 304 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione ni o non siano state precostituite le necessarie condizioni di contesto. In questa prospettiva, il caso analizzato consente di trarre alcune indicazioni potenzialmente utili ai fini del miglioramento dell’efficacia dei sistemi manageriali nelle pubbliche amministrazioni. Innanzitutto, va sottolineata la scelta di rovesciare l’approccio classico di progettazione del sistema di misure, enfatizzando il percorso logico che individua nel funzionamento delle attività e delle relazioni che le legano, presupposto per l’ottenimento delle performance finali e complessive. La scelta di effettuare la mappatura delle attività, come fase iniziata di questo processo, ha provocato una serie di effetti positivi con riferimento agli aspetti tecnici del sistema di misurazione e a quelli più tipicamente immateriali. Il primo di questi si riferisce al fatto che l’attenzione dei responsabili viene rivolta alla conoscenza degli aspetti originari della performance (ciò che l’ente fa e come lo fa), consentendo un ampliamento dell’ottica di analisi verso l’apprezzamento delle implicazioni gestionali e organizzative riferibili sia alla singola attività, sia alla loro sequenza logica ed evitando la focalizzazione su questioni operative e sulla ricerca della soluzione tecnica al problema singolo. Ciò permette di facilitare la definizione delle relazioni di causa-effetto alla base dell’ottenimento dei risultati, potendo risalire all’individuazione delle variabili causali, esigenza di più difficile soddisfazione, concentrando prevalentemente l’attenzione sull’aspetto economico-finanziario. Un ulteriore aspetto che assume rilievo è rappresentato dalla ricerca di un ampio coinvolgimento del personale nella progettazione, gestione e sviluppo di un sistema che, quindi, risulta maggiormente conforme alle esigenze informative e decisionali dei destinatari delle informazioni. Ciò consente di sviluppare alcuni degli aspetti immateriali che influenzano l’efficacia dei sistemi di management riferibili alla loro capacità di motivare gli individui a operare nel senso voluto dall’organizzazione. L’elevato coinvolgimento non ha, infatti, riflessi solo sulla qualità della progettazione, ma anche sull’interiorizzazione delle logiche e delle finalità di funzionamento del sistema, che significa aumentare la probabilità di ottenere comportamenti volti a utilizzare e migliorare il sistema anziché a batterlo. Secondo questo approccio, gli indicatori costituiscono il risultato finale di un processo logico di elaborazione nel quale essi risultano espressione dell’andamento di un fenomeno esprimibile attraverso variabili ritenute efficacemente rappresentative dai destinatari delle informazioni. Il sistema (anche per l’individuazione di un referente del controllo per settore) risulta così più “vicino” ai responsabili, condizione indispensabile affinché possa costituire un reale supporto per i processi decisionali e valutativi, divenendo strumento di uso corrente. Ulteriore risultato di questo approccio è stato quello di spostare l’attenzione dall’esecuzione dell’adempimento formale, alla logica della gestione attraverso i numeri, orientandosi verso il confronto tra risultati e obiettivi 305 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative e l’analisi degli andamenti rispetto agli effetti attesi. Concentrare l’attenzione sulle attività, sui processi e sulle relative misure di performance significa infatti indirizzare gli sforzi alla comprensione delle modalità operative per dare concreta attuazione ai programmi elaborati dal livello politico e rispondere in maniera coerente ai bisogni da soddisfare (individuali o collettivi). Da ciò deriva la possibilità di ottenere: a) maggiori integrazione e coordinamento tra i vari interventi e gli operatori che partecipano al processo; b) migliori livelli di qualità ed efficacia delle iniziative; c) l’attenzione all’impiego delle risorse e quindi l’eliminazione degli sprechi derivanti da duplicazioni, sovrapposizioni e mancanza di coordinamento. La progettazione di un sistema di misure di performance svolge, infatti, funzione strumentale e non finalistica, in quanto funzionale all’acquisizione, da parte di un responsabile, di un’adeguata conoscenza del funzionamento dell’area attribuita alla sua competenza e, quindi, supporto ai processi manageriali di programmazione e controllo, favorendo un governo razionale, anche se ciò non garantisce quali e come le decisioni verranno assunte (Anthony, Young, 1999; Busco, Riccaboni, 1999; Mussari, 1999; Garlatti, Pezzani, 2000). Dal punto di vista organizzativo, un risultato utile fa riferimento alla sostanziale autonomia che la definizione delle attività presenta rispetto alle specifiche del disegno organizzativo (Brimson, 1992; Lorino, 1992), offrendo, quindi, la possibilità di effettuare anche valutazioni circa la collocazione delle attività. In tale ambito, viene così osservata, da un punto di vista diverso rispetto alla logica organizzativa tradizionale, la coerenza della struttura di base e delle aree di responsabilità ai fini di uno svolgimento efficace ed efficiente delle attività e dei processi. Alcune delle criticità rilevate sono ascrivibili non tanto al progetto in sé o agli output ottenuti, quanto a condizioni tecniche o di contesto che possono limitarne l’efficacia futura e che possono essere in qualche misura generalizzate. Come in tutti i progetti che assumono valenza di carattere strategico perché implicano cambiamenti sostanziali nella cultura, nelle modalità di approccio e soluzione dei problemi e implicano, quindi, un importante investimento, è fondamentale la presenza costante della direzione e la sponsorship politica nell’attivare, supportare e accreditare continuamente il progetto. Esse costituiscono, infatti, una parte rilevante di quei fattori immateriali che incidono sull’efficacia dei sistemi di management nelle amministrazioni pubbliche. La questione non può comunque essere risolta con una pur meditata ed efficace organizzazione del percorso formativo, in quanto la presenza dello sponsor deve essere costante e duratura anche assumendo comportamenti coerenti. Azienda Pubblica 2.2009 306 Esperienze innovative Misurare le performance della pubblica amministrazione È inoltre necessaria un’adeguata preparazione culturale dell’organizzazione, che manifesti così una predisposizione favorevole alle esigenze che l’approccio richiede, allargando la prospettiva operativa e focalizzando l’attenzione al contributo utile all’intero percorso. Di qui la necessità di integrare la dimensione fattuale del progetto con un sapiente dosaggio dei momenti e dei contenuti didattici nella dimensione formativa. L’identificazione delle attività rappresenta una fase fondamentale per il funzionamento del sistema con riferimento all’attendibilità delle informazioni prodotte e, quindi, ai riflessi in termini di programmazione e controllo della gestione. L’efficacia di questa fase potrebbe però essere influenzata da congetture, effettuate dal personale coinvolto nella rilevazione (soluzione peraltro necessaria), circa la futura valutazione dell’apporto in termini di valore delle attività svolte. Al fine di evitare distorsioni patologiche nella rilevazione, si è reso allora necessario effettuare una fase di verifica topdown delle attività evidenziate. Un’altra criticità è costituita dal sistema informativo necessario a supportare il funzionamento del sistema. A tal fine, la scelta è stata quella di utilizzare, ove possibile, le informazioni già presenti all’interno dell’ente. Una parte consistente delle informazioni necessarie, però, ha richiesto l’attivazione di nuovi processi di rilevazione trattamento ed elaborazione dei dati. Un miglioramento del sistema informativo (Saita, 1988; Marchi, 1993; Amigoni, Beretta, 1998) che consenta la misurazione delle performance sia delle singole attività che del processo dal punto di vista economico e tecnico-operativo costituisce, dunque, fattore imprescindibile. Infatti, aver identificato attività e relativi percorsi senza predisporre le condizioni per la loro rilevazione, sotto le molteplici ottiche ritenute necessarie (economica, finanziaria, fisica, tecnica), rende inutile il lavoro precedente e impossibile il monitoraggio degli andamenti. L’avvio e la gestione dell’iniziativa implicano un impegno considerevole in termini di analisi, progettazione, produzione e gestione delle informazioni. La macchinosità del progetto e l’entità di risorse necessarie potrebbero provocare il rischio di non portarlo a termine, rimanendo “a metà del guado”. Riferimenti bibliografici ADINOLFI P. (1998), “L’evoluzione dei paradigmi formativi nella p.a.: considerazioni a margine della Prima Conferenza Nazionale Sulla Formazione Del Settore Pubblico”, Azienda Pubblica, 1-2, pp. 161-175. ANSELMI L., DEL BENE L., GIOVANELLI L., MARINÒ L., ZUCCARDI MERLI M., DONATO F. (1997), Il controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche, Rimini: Maggioli. ANTHONY R.N., YOUNG D.W. (1999), Management Control in Nonprofit Organizations, 6a ed., New York: McGraw-Hill. BARALDI S. (2005), Il balanced scorecard nelle aziende sanitarie, Milano: McGraw-Hill. 307 Azienda Pubblica 2.2009 Misurare le performance della pubblica amministrazione Esperienze innovative BEHN R.D. (2003), “Why measure performance? Different purposes require different measures”, Public Adiministration Review, vol. 63, 5, pp. 586-606. 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Le società per azioni dei servizi pubblici locali – 4. La gestione dei servizi pubblici locali: riflessioni conclusive e prospettive. L’obiettivo del lavoro, incentrato sul settore delle Public utilities, è quello di illustrare i recenti sviluppi normativi e di delineare un possibile modello di governance da applicare alle nuove fattispecie e alle diverse tipologie di società per azioni a totale partecipazione pubblica. Il contributo che si vuole dare consiste nell’arricchimento degli attuali sistemi di gestione e controllo delle aziende pubbliche proponendo un nuovo assetto di relazioni tra ente pubblico e società gestore in un’ottica di sistema e di integrazione per implementare un corpo organico di regole di comportamento che sia volto all’adozione di un sistema di governance estesa, intesa quale modello manageriale nel cui ambito le funzioni decisionali, di programmazione e di controllo siano attuate nell’interesse di tutti gli stakeholder, e di un sistema di accountability pubblica adeguato. The present paper aims at critically question in which play a leading role the public utilities sector. In the paper the different patterns of organization and control of local public services are analyzed, focusing on managerial innovation undertaken in the relationship between local authority and controlled company implementing a new model of governance in which are contemplate the interests of all stakeholder. The paper also attempts at pointing out the positive outcome that a suitable accountability system can have for the whole sector of local public services. Pur essendo il paper frutto del lavoro comune, i §§ 1 e 2 sono a cura di Tiziana Landi, il § 3 è opera di Paolo Ricci, mentre il § 4 è frutto della ricerca congiunta dei due autori. Per ulteriori approfondimenti, richiami bibliografici o eventuali chiarimenti è possibile contattare Tiziana Landi all’indirizzo e-mail: [email protected] Parole chiave: governance – accountability – public utilities Key words: governance – accountability – public utilities 311 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities 1. Introduzione L’attuale sistema della Pubblica amministrazione (in seguito anche p.a.) si trova in una situazione di forte instabilità e incertezza dovuta al rapido emergere di nuovi bisogni e nuove richieste da parte dei cittadini. In risposta alle incalzanti richieste di servizi e di assistenza pubblica, si è determinata una crescente formazione di società per azioni a totale partecipazione pubblica individuate per l’erogazione di quei servizi ritenuti meritori (merit goods) (Savas, 2000), in quanto definiti, da un punto di vista economicosociale e politico, di “interesse collettivo” (Borgonovi, 2005) a volte senza il dovuto rispetto dei principi di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa. La situazione attuale si presenta, infatti, alquanto confusa a seguito della “carrellata” di riforme e controriforme volte a realizzare una riorganizzazione strutturale e amministrativa non solo della p.a. in generale, ma del ruolo e delle funzioni che l’ente locale, in modo particolare, andrà a svolgere in questo turbolento processo di trasformazione. Le cause di un tale cambiamento sono da ricercarsi sia nel mutato contesto socio-economico in cui la p.a. si trova oggi a dover operare, sia negli effetti del noto processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati che impone maggiore efficienza, efficacia e competitività dell’azione amministrativa a livello nazionale e internazionale. La riforma che va sotto il nome di New Public Management (in seguito NPM) ha avuto origine nei Paesi anglosassoni in cui è stato evidente il passaggio dal soggetto pubblico a quello privato per alcune importanti funzioni e attività amministrative al fine di realizzare effettivamente un processo di “privatizzazione” e quindi di “managerializzazione” dell’azienda pubblica. In Italia, invece, tale cambiamento, che si esprime in un pacato processo di aziendalizzazione della p.a., non si è manifestato con la stessa intensità tanto che la separazione tra soggetto pubblico e soggetto privato resta tutt’ora incerta, soprattutto per quanto riguarda l’affidamento e l’erogazione di alcuni importanti servizi, che fin dall’inizio del ‘900 erano di competenza esclusiva di Comuni ed enti pubblici locali (Corso, 1997, p. 24 e ss.) (collettivizzazione). Il sistema amministrativo italiano necessita, quindi, di interventi volti a rafforzare la capacità delle amministrazioni di erogare servizi di qualità e di realizzare politiche pubbliche efficaci. Tale priorità assume rilievo anche al fine di assicurare il contributo della p.a. al conseguimento degli obiettivi di sviluppo economico del Paese. Il motivo che ha portato l’Italia lontano dai principi e dalle linee guida del “paradigma” del NPM è da ricercarsi nel fatto che, secondo alcuni studiosi italiani e stranieri (Meneguzzo, 2004; Pollit, Bouckaert, 2002, p. 131 e ss.), l’orientamento al NPM ha portato innumerevoli benefici in termini di effettivo recupero dell’efficienza per quelle amministrazioni, per lo più europee, che hanno deciso di attuarlo, ma è pur vero che lo stesso modello si avvicina troppo al mondo delle imprese private, con l’evidente conseguenza di porre in essere percorsi di imitazione acritica delle tecniche manageriali, senza tener conto dovutamente delle specificità decisionali e gestionali che contraddistinguono Azienda Pubblica 2.2009 312 Esperienze innovative La governance delle public utilities la p.a., in particolar modo quella italiana. La realtà italiana è caratterizzata infatti da una visione di governo più orientata verso l’ambiente esterno, cioè verso tutti quei fattori e quei soggetti che ruotano intorno alla macchina amministrativa e che ne condizionano e ne influenzano le decisioni e le scelte. Tale approccio, che si differenzia da quello internazionale del NPM, prende in Italia il nome di Public Governance proprio perché caratterizzato da (Meneguzzo, 1997, p. 587 e ss.): a) centralità delle interazioni con gli attori presenti ai vari livelli nel contesto politico e sociale; b) governo e coordinamento di network e reti; c) orientamento all’esterno, in particolare verso l’ambiente economico e sociale. Il fulcro si sposta quindi dal livello di singola organizzazione pubblica (“micro”) e di sistema di aziende e di organizzazioni pubbliche (“meso”) a quello di governance del livello “macro” relativo al sistema socio-economico complessivo in cui la p.a. è responsabile delle performance di un sistema complesso di organizzazioni (Meneguzzo, 1997, pp. 587 e ss.). Non essendoci una definizione e una concezione univoca di NPM, in letteratura è oramai diffusa l’idea generale di un cammino verso uno Stato migliore, una “ridefinizione dello Stato” caratterizzato da progresso e da maturità in cui si condensano le componenti del NPM individuate, attraverso numerose e preziose indagini teoriche e pratiche, in: a) i dieci principi di Osborne e Gaebler (Osborne, Gaebler, 1993) per conferire imprenditorialità alle organizzazioni pubbliche, miranti alla trasformazione dell’amministrazione tradizionale in una nuova, caratterizzata dall’essere “catalizzatrice”, “appartenente alla comunità”, “concorrenziale”, “vocata a una mission”, “orientata al cliente”, “intraprendente”, “anticipatrice”, “orientata ai risultati”, “orientata al mercato”; b) i cinque elementi distintivi di Hood (1995) riguardanti la pubblica amministrazione: “globalizzazione”, “economicizzazione”, “managerializzazione”, “informatizzazione” e “giuridicizzazione”; c) le cinque “r” di Jones e Thomson (1997): “ristrutturare”, “riprogettare”, “reinventare”, “riallineare”, “reideare”. Secondo autorevole dottrina (Ferlie, et al., 1996), le iniziative di tipo NPM nonostante si siano diffuse nei Paesi OCSE e abbiano raggiunto la maggior parte dei Paesi del Commonwealth, senza peraltro escludere gli ex Paesi comunisti, non hanno ancora trovato una completa uniformità d’applicazione. Anzi, a tal proposito è possibile evidenziare differenze da un Paese all’altro, poiché i profili di modernizzazione spaziano da una completa apertura alle forze di mercato e alla privatizzazione (Gran Bretagna), a una radicale reimpostazione del settore pubblico secondo il modello del 313 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities settore privato (Nuova Zelanda), da casi di rapidi avanzamenti verso una gestione manageriale, a casi di coesistenza di legami persistenti con le più tradizionali forme di governo burocratico secondo regole predefinite (Giappone, Germania, Austria). È stato rilevato un maggior impatto delle idee di tipo NPM nei contesti anglosassoni (anche se con differenze interne), rispetto ai contesti delle aree occidentali del continente europeo. Questo è ragionevolmente imputabile a una lunga tradizione basata sulla predominanza, nella maggioranza dei Paesi europei, tra cui l’Italia, di una scuola di pensiero della pubblica amministrazione di tipo giuridico in cui lo scopo di tale “modernità” è quello di espandere al massimo grado possibile le organizzazioni formali (vale a dire “strumenti creati chiaramente per il raggiungimento di scopi specifici”) (Brunsson, Olsen, 1993). Anche il settore privato tende ad assolvere ruoli differenti nei due modelli: seguendo un approccio NPM, infatti, esso rappresenterebbe la “cassetta degli attrezzi” dalla quale la p.a. dovrebbe attingere; in un’ottica di Public Governance, invece, diventa soggetto attivo nel processo di miglioramento complessivo dell’azione amministrativa secondo una logica di collaborazione e scambio reciproco. Per quanto brevemente illustrato pocanzi, in Italia è preferibile parlare di un processo di riforma maggiormente orientato verso la Public Governance che non verso il paradigma del NPM, giungendo alla definizione di politiche e di programmi reciprocamente vantaggiosi, sia per le istituzioni e la p.a. in generale, sia per gli attori (pubblici o privati che siano) coinvolti nelle attività di decision-making, di produzione di servizi (gestori e utenti), di controllo e monitoraggio, attuati nell’interesse di tutti gli stakeholder (governance istituzionale). (1) La posizione di collaborazione e di partnership con gli attori esterni, e in particolare con il soggetto privato, è stata però raggiunta solo di recente, quando la p.a. si è resa effettivamente conto di non poter più far fronte “da sola” alla crescente complessità dei bisogni pubblici, senza aggravare ulteriormente i già disastrati conti dello Stato (Barbagallo, 2007, p. 9). Anche il legislatore italiano si è così espresso a favore di processi di esternalizzazione e outsourcing di alcune importanti attività pubbliche istituzionali sostanzialmente per tre ordini di motivi (Savas, 2000): 1) migliorare i risultati economici e ridurre il debito pubblico; 2) introdurre logiche manageriali da realizzarsi con accurati percorsi di formazione e responsabilizzazione; 3) migliorare la qualità dei servizi introducendo anche politiche di marketing e di customer satisfaction (Borgonovi, pp. 298 e ss.). La peculiarità dei processi di privatizzazione o esternalizzazione che si sono avuti in Italia e che sono tutt’ora in corso è il ruolo che la p.a. continua a svolgere, mantenendo sempre una forma di indirizzo/coordinamento verso 1 Cfr. RHODES (1997). Azienda Pubblica 2.2009 314 Esperienze innovative La governance delle public utilities quei soggetti individuati per la gestione dei servizi. La nostra attenzione verrà quindi incentrata su questo particolare aspetto che riguarda l’affidamento, la gestione e il coordinamento dei servizi pubblici locali (di seguito anche SPL). Il ruolo dell’ente pubblico locale Il principio guida del – seppur lento – processo di trasformazione e rinnovamento della macchina amministrativa è stato sin dall’inizio il noto principio di sussidiarietà (Cesarini, 2000) orizzontale e verticale rimarcato e istituzionalizzato dalla riforma costituzionale (legge costituzionale n. 3/2001), inteso come la necessità di attribuire il potere decisionale al livello territoriale più prossimo alle esigenze da soddisfare favorendo e incentivando l’iniziativa privata. Tuttavia la logica che ha caratterizzato l’azione amministrativa sin dai primi anni del ’900 non è stata sempre la stessa; infatti, le funzioni ad essa attribuite sono cambiate nel tempo, a volte capovolgendo completamente i ruoli di riferimento. Il primo strumento utilizzato dall’ente locale per la gestione e l’erogazione dei SPL è stato “l’azienda municipalizzata”, gestita in regime di riserva originaria (monopolio) dagli enti territoriali, il cui ricorso è stato giustificato, almeno in un primo momento, da ragioni di costi elevati a fronte di bassi rendimenti che non configuravano il servizio appetibile per i privati e che, conseguentemente, rendevano necessario che la gestione venisse assunta direttamente dai pubblici poteri. Agli inizi del secolo scorso, (2) quindi, la p.a. partecipava direttamente, o tramite propri “bracci operativi”, alla gestione ed erogazione dei SPL al fine di garantire parità di trattamento tra i cittadini, anche per le fasce più deboli, e godere delle rendite monopolistiche che in precedenza venivano incassate dai privati che avevano in concessione tali servizi (Padovani, 2004, p. 80). Successivamente, tale impostazione è stata completamente stravolta dagli interventi normativi avutisi nei primi anni ’90 del secolo scorso, (3) tutti in chiave “esternalizzante”, che hanno comportato il graduale processo di emancipazione dell’azienda pubblica locale volto a riconoscere crescenti margini di indipendenza e responsabilità e a dare all’azienda una veste più aderente alla forma di impresa (Barbagallo, 2007, pp. 18 e ss.). Tale percorso di trasformazione è stato altresì accelerato dall’avanzare del processo di integrazione europea e dal graduale affermarsi dei principi comunitari di libera concorrenza, che hanno reso incompatibili le gestioni dirette tipiche delle realtà dei servizi pubblici e, congiuntamente, hanno portato all’affer2 Con la legge Giolitti, emanata nel 1903, si pose finalmente rimedio ad una situazione che si trascinava dal 1898. Gli interessi dei soggetti privati erogatori dei principali servizi pubblici locali contrastavano con l’interesse collettivo, generando inevitabilmente un fallimento di mercato per tutto il settore. 3 Nel periodo tra le due guerre, infatti, l’intervento pubblico divenne ancora più necessario tanto da favorire e poi accompagnare le fasi della ripresa e dello sviluppo, noto come boom economico, che va dagli inizi degli anni ‘50 a circa gli inizi degli anni ‘70, anni in cui l’intervento dello Stato, da sostegno ai cittadini, si tramutò in uno sperpero di risorse e in una crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico. 315 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities mazione di nuove logiche di governo indirizzate al contenimento dei costi (Patto di stabilità interno), nonché ai principi di economicità, competitività e trasparenza della gestione. In un tale contesto risulta evidente per l’ente locale la necessità di reimpostare i tradizionali assetti organizzativi favorendo il graduale abbandono delle funzioni di erogatore diretto dei servizi pubblici e offrendo la possibilità di affidare il servizio a gestioni, pubbliche o private, con un assetto organizzativo effettivamente imprenditoriale capace di rispettare i nuovi principi. Il primo intervento significativo si è avuto solo nel 1990 con la legge n. 142 per il riordino delle autonomie locali. In tale occasione si è voluto regolamentare il ricorso a forme alternative di gestione dei servizi pubblici, (4) superando in modo definitivo l’attuale status quo. In effetti, il legislatore del ‘90 lasciava come forma residuale la gestione diretta ritenendola necessaria solo quando per le modeste dimensioni o per la natura del servizio non sia conveniente costituire una istituzione o una azienda (art. 22, legge n. 142/1990). La principale novità è stata proprio l’individuazione della società di capitali come forma alternativa di gestione, (5) la quale presentava, e presenta ancora oggi, un duplice vantaggio: da un lato, consente di unire le forze di diversi soggetti, pubblici e privati, in termini di capitali e competenze gestionali; dall’altro, favorisce una maggiore flessibilità dovuta proprio al ricorso alla normativa del diritto privato liberandosi dalle “ingessature” della disciplina pubblicistica (Padovani, 2004, p. 83). Il nuovo quadro normativo ha favorito quindi un processo di “privatizzazione formale” mantenendo pur sempre un modello di corporate governance, in cui l’amministrazione pubblica locale (in seguito anche APL) continua a essere proprietaria o, quantomeno, il controllore di maggioranza dei soggetti gestori configurandosi come holding di un sistema di società (Anselmi, 2001, p. 46). La permanenza di numerose residue gestioni dirette è dimostrazione senza dubbio della debolezza di questi primi interventi normativi, in quanto permangono ancora elementi di sovrapposizione dei ruoli e di scarsa trasparenza di relazioni contrattuali e ciò vale sia nell’ipotesi di affidamenti diretti ad aziende pubbliche che in quella di concessioni a imprese private. (6) Nel caso di un affidamento diretto a un’azienda pubblica a prevalente proprietà dell’ente locale, il ruolo di governo e quello proprietario coincidono con una commistione di obiettivi tra loro spesso in conflitto. La proprietà di tutto o comunque gran parte del capitale delle aziende trasformate viene infatti 4 Con la legge n. 142/1990 alla gestione in economia si affianca un più vasto ventaglio di possibilità per la gestione dei servizi pubblici: le aziende speciali, dotate di personalità giuridica, autonomia imprenditoriale e proprio statuto; le società per azioni a prevalente capitale pubblico; i consorzi tra più enti locali; le istituzioni; le società per azioni minoritarie e poi anche a responsabilità limitate (che sono quelle a cui si è fatto meno ricorso). 5 Fino al 2001 si contano ben 372 società di capitali per la gestione dei servizi pubblici locali, di cui 309 s.p.a. a prevalente capitale pubblico e solo 10 a maggioranza privata. Rapporto Confservizi del 2001. 6 È del tutto evidente che in tali situazioni non si può parlare di mercati liberalizzati: l’impresa concessionaria gode infatti di rilevanti rendite, potendo contare per periodi lunghi di una condizione di esclusiva nella gestione del servizio e potendo utilizzare, generalmente con oneri modesti, beni pubblici, SPADONI (2006). Azienda Pubblica 2.2009 316 Esperienze innovative La governance delle public utilities Tavola 1 – Principali interventi normativi in ambito di Servizi pubblici locali Ordinamento delle autonomie locali Legge n. 142/1990 Leggi per il riordino delle maggiori utilities locali tese a garantire l’aggregazione verticale e orizzontale delle gestioni con l’obiettivo di ricomporre cicli settoriali integrati (ATO) Legge n. 36 del 1994 (Galli) D.lgs. n. 22 del 1997 (Ronchi) D.lgs. n. 422 del 1997 e n. 400 del 1999 D.lgs. n. 79 del 1999 (Bersani) D.lgs. n. 164 del 2000 Testo unico sull’ordinamento degli enti locali D.lgs. n. 267/2000 Legge finanziaria per il 2002 Legge n. 488/2001 Decreto Bersani - Visco Disegno di legge Lanzillotta Legge n. 248/2006 D.d.l. n. 772 del 2006 Decreto Brunetta Legge n. 133/2008 Art. 22: forme di gestione dei Servizi Pubblici Per il settore idrico Per l’ambiente e rifiuti Per il settore del trasporto pubblico Per il settore dell’energia elettrica Per il settore del gas Art. 113: erogazione dei SPL di rilevanza economica • a società di capitali individuate attraverso gara pubblica • a società a capitale misto pubblico privato • a società a capitale interamente pubblico nel rispetto dei vincoli della gestione in house 1 Art. 35: • l’APL è responsabile della sola funzione pubblica • obbligo di gara con procedimento ad evidenza pubblica • definire una scadenza alla durata degli affidamenti 2 Decreto sulle liberalizzazioni Codice delle Autonomie Art. 23-bis: affidamento e gestione dei SPL di rilevanza economica in applicazione della disciplina comunitaria e dei principi di concorrenza nota 1: “(…) per essere in house, precisa l’art. 113, una società deve rispondere a tre requisiti: 1. essere a capitale interamente pubblico; 2. realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano; 3. su di essa l’ente o gli enti pubblici devono esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”. POZZOLI in MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 26-31. nota 2: Con tali disposizioni si sancisce, almeno teoricamente, la fine del monopolio pubblico a favore della concorrenza per il mercato, laddove la concorrenza nel mercato non sia realizzabile. La previsione però, se pur in forma residuale, dell’affidamento diretto nel rispetto dei vincoli e delle condizioni della gestione in house, sembra riportare alle “vecchie municipalizzate”, lasciando comunque un quadro normativo di riferimento poco chiaro e di non facile interpretazione soprattutto nel definire il ruolo riservato all’ente locale. mantenuta presso l’ente locale che dunque si caratterizza a un tempo come soggetto affidante del servizio, soggetto regolatore e soggetto proprietario. Il rischio, in queste circostanze, consiste in una perdita di coerenza degli indirizzi formulati dall’ente locale che possono così risultare incompatibili con l’efficienza e l’economicità della gestione. In effetti l’esercizio del potere di indirizzo in termini di imposizione di impegni incompatibili con la situazione dell’azienda, oltre a vanificare il conseguimento degli obiettivi, finisce per indurre comportamenti opportunistici da parte dell’impresa che svuotano lo stesso ruolo dell’ente locale. Le aziende, dunque, per un verso sono ancora gravate da legami e tutele spesso paralizzanti, dall’altro sono garantite nella loro posizione di monopolio, legale o di fatto; circostanze, entrambe, che non mettono in condizione e non stimolano comportamenti imprenditoriali. Si assiste, da un lato, alla presenza di monopoli verticalmente integrati estesi ben oltre l’area tecni317 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities camente definibile di monopolio naturale, dall’altro a una frammentazione orizzontale con la presenza di numerose aziende che esercitano il servizio su ridotte aree locali protette, mantenendosi fortemente al di sotto di soglie dimensionali accettabili. (7) Successivamente, sulla scia del processo di liberalizzazione in atto a livello comunitario, il legislatore ha dovuto ovviare a situazioni incontrollabili che si erano create a seguito di abusi da parte sia di soggetti pubblici che privati, avviando un ulteriore percorso di riforma dei SPL e delle modalità di affidamento. La tavola 1 riassume brevemente i principali interventi normativi avutisi dal 1990 al 2008 per il riordino dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali. La prospettiva della riforma è quella di vedere l’APL trasmigrare progressivamente da una posizione di intervento diretto con un alto grado di presenza all’interno delle aziende di gestione, a uno status di soggetto meramente regolatore con scarsa o nulla presenza nel capitale sociale. (8) Anche le relazioni con i cittadini e con gli utenti, in tale scenario, si arricchiscono di nuove potenzialità e opportunità, in quanto nella regolazione di questi mercati una speciale attenzione viene riservata ai bisogni dei cittadini e ai conseguenti impegni in materia di qualità, trasparenza ed efficienza (accountability democratica). In altri termini il quadro regolatorio che emerge configura un sistema decisionale articolato su tre protagonisti principali: cittadini, enti locali, gestori, i cui rapporti sono ispirati a logiche negoziali. (9) 2. La governance Dato l’emergente ruolo che l’APL è chiamata nuovamente a svolgere nell’attuale processo di esternalizzazione dei SPL, diventa condizione necessaria per gli enti locali dotarsi di nuovi strumenti e nuove regole che consentano di raggiungere il giusto equilibrio tra economicità e qualità dei servizi offerti, secondo una logica di cooperazione e collaborazione con le società partecipate. Da qui la necessità per l’APL di attuare politiche di direzione capaci di armonizzare interessi, potenzialmente contrastanti, su obiettivi comuni e condivisi, il cui grado di perseguimento venga comunque monitorato, attraverso un rinnovato disegno dei sistemi di controllo interni ed esterni, e dimostrato all’esterno mediante innovativi strumenti di accountability. Adottare una corretta governance delle partecipate implica, innanzitutto, garantire in senso positivo quanto appena descritto sia in termini qualitativi sia economici e finanziari; in secondo luogo, consente un’apertura dell’ente 7 Cfr. SPADONI (2006). 8 Ricerche empiriche hanno dimostrato che gli enti locali hanno reagito al nuovo assetto normativo stringendo alleanze con altre imprese pubbliche locali al fine di fronteggiare le minacce della concorrenza, cfr. ELEFANTI (2006), pp. 38 e ss. 9 I rapporti tra ente locale e società gestore vengono infatti regolati e disciplinati nel “contratto di servizio”, mentre gli obblighi verso i cittadini/utenti vengono declinati nella “carta dei servizi”. Azienda Pubblica 2.2009 318 Esperienze innovative La governance delle public utilities a un contesto allargato a tutti gli attori coinvolti nell’azione amministrativa, trasformandosi esso stesso da stockholder (azionista/proprietario) a stakeholder (portatore di interessi) (Mulazzani 2005). Il concetto di governance introdotto e importato dalla letteratura anglosassone, in Italia resta di non facile interpretazione dato il suo aspetto multi-dimensionale. A detta di alcuni studiosi (Pierre, Peters, 2000), il segreto del suo successo è dovuto proprio alla vaghezza concettuale e alla flessibilità interpretativa che lo rendono “duttile” e adattabile a differenti contesti e situazioni accrescendo di volta in volta la sua utilità. (10) Facendo un breve excursus della letteratura italiana e straniera si evidenziano diverse interpretazioni che solo in alcuni casi trovano significativi punti di contatto. Secondo un’interpretazione prettamente anglosassone (Schick, 2003) la governance viene identificata con l’espressione governing without government che sta a significare il superamento dello Stato-Nazione, ritenuto troppo distante dai cittadini, appesantito da strutture burocratiche, insensibile alle esigenze dei cittadini, troppo orientato al rispetto della norma e non dei risultati e incapace di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno (Cepiku, 2005). Qui la governance viene quindi intesa come modello sostitutivo di quello tradizionale, basandosi su un forte decentramento delle risorse e delle funzioni dalla p.a. centrale a quella locale, e sulla esternalizzazione verso soggetti privati per una gestione più efficiente dei propri servizi. Secondo alcuni autori (Kickert, 2004), di stampo olandese, sarebbe meglio parlare di public governance, intesa come influenza che la p.a. riesce a esercitare sui processi sociali che si sviluppano all’interno di reti complesse di attori autonomi ma allo stesso tempo interdipendenti tra loro. In questo contesto nessun attore è dominante ma solo influente, compresa la p.a. La differenza tra i due approcci consiste proprio nell’apertura della seconda impostazione (public governance) verso l’esterno, cioè verso tutti quei soggetti coinvolti nelle attività decisorie. Questo è il tipico approccio seguito anche dalla nostra tradizione italiana, di cui si è già fatto cenno nei paragrafi precedenti. Lo studio viene condotto raffrontando la governance con i tradizionali modelli di government adottati finora dalla p.a., evidenziando il passaggio da uno stile autoritativo a uno di tipo partecipativo. Autorevole dottrina afferma che la governance non è “decidere sui problemi in modo autonomo, dopo aver consultato altri soggetti” ma determinare “i criteri e i processi per decidere sui problemi di interesse comune, tenendo conto delle diversità, per adottare politiche, indirizzi e scelte capaci di far convergere tutti gli interessi verso soluzioni reciprocamente accettabili” (Borgonovi, 2005, pp. 36-37). In tal senso, la governance di impostazione italiana rappresenterebbe un superamento del “paradigma” del NPM (Meneguzzo, 1997), volta ad affinare gli strumenti di coinvolgimento degli stakeholder nella definizione e implementazione di politiche pubbliche e a migliorare 10 “A key reason for the popularity of this concept is its capability to cover the whole range of institutions and relationship involved in the process of governing”, PIERRE, PETERS (2000). 319 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities gli aspetti di accountability della p.a. verso i cittadini/utenti (accountability democratica) (Cepiku, 2005). Dimensioni di governance Il problema che si pone a questo punto è di andare a verificare l’aderenza della teoria di governance appena illustrata al contesto delle public utilities locali. Si scontrano nella realtà due visioni radicalmente contrapposte. Da un lato, vi è chi sostiene che la trasformazione della forma giuridica (società per azioni) delle imprese pubbliche di servizi determini una perfetta rispondenza del modello di corporate governance di stampo privato con la governance che l’ente locale esercita sulle sue partecipate in quanto proprietario del gruppo. All’estremo opposto vi è, invece, la posizione di chi ritiene che le peculiarità delle aziende pubbliche locali richiedano una specifica configurazione dei sistemi di governance, più rispondenti alle esigenze di tutela degli interessi collettivi, oltre che di quelli propri dell’azienda e dei suoi stakeholder. (11) La visione di governance pubblica implica quindi un concetto più allargato di gestione che non vede l’ente sovraordinato alle società partecipate ma quale soggetto partner di un’unica grande holding che opera per il perseguimento di interessi comuni. L’obiettivo che ci si pone in un’ottica di governance pubblica è proprio quello di gestire tali relazioni definendo ruoli e funzioni tra APL e società di servizi senza alcun limite di terziarietà tra soggetti ma secondo una logica di collaborazione reciproca, di trasparenza e lealtà. L’ente locale dovrebbe infatti assolvere alle funzioni di indirizzo strategico e di coordinamento politico al fine di raggiungere il giusto equilibrio tra interessi collettivi e durabilità aziendale; (12) le società, quali soggetti operativi del gruppo, dovrebbero proporre programmi e piani aziendali che siano coerenti con le finalità indicate dall’ente locale elaborando report periodici di breve periodo, al fine di ridefinire congiuntamente le azioni da perseguire (Mulazzani, 2005). Il quadro di riferimento dei soggetti coinvolti nell’implementazione e della definizione dell’azione amministrativa non si limita alle sole società partecipate. Infatti la public governance, che l’ente locale si trova a dover esercitare quale coordinatore e regista dei vari attori che operano nell’ambiente locale, si estende e si sviluppa su tre diversi livelli: a) governance o governabilità interna, ossia il complesso di strumenti e metodologie contabili e organizzative che consentono la gestione efficiente ed efficace della struttura amministrativa; b) governance o governabilità esterna, che consiste nell’insieme di strumenti e criteri che regolano proprio i rapporti tra ente pubblico e società 11 VALOTTI G., in ELEFANTI (2006), p. 106. 12 Che può essere raggiunta solo mantenendo elevati livelli di redditività ed economicità. FARNETI (2005). Azienda Pubblica 2.2009 320 Esperienze innovative La governance delle public utilities partecipate al fine di coordinare e ottimizzare lo svolgimento dei servizi esternalizzati; c) governance o governabilità inter-istituzionale, che va a definire regole, procedure e strumenti da attivare per facilitare l’integrazione operativa e strategica di soggetti istituzionali che operano sulla stessa comunità di riferimento. La funzione dell’APL è quella quindi di pianificare attività, risultati ed effetti al fine di promuovere il progresso – in tutte le dimensioni – della collettività amministrata e anche al fine di tutelare, trasformare, valorizzare il territorio e le sue istituzioni per conservarne e aumentarne il valore, sia per la generazione attuale, sia per quelle future (Mulazzani 2008). Attuare una buona governance pubblica consente il perseguimento di questi obiettivi mantenendo sempre una impostazione di collaborazione reciproca. 3. Le società per azioni dei servizi pubblici locali Come già ampiamente descritto nei paragrafi precedenti, gli ultimi anni sono stati intensi per la p.a. italiana, sia nella decisiva azione di esternalizzazione dei propri servizi, sia nella proliferazione delle aziende cosiddette strumentali, che, pur assumendo nuove sembianze, hanno nella sostanza riprodotto vecchi schemi e consolidate logiche di gestione. (13) Partendo dalla ricerca di una definizione di servizio pubblico e dai principali aspetti normativi che concernono la materia, appare utile soffermarsi sui modelli di governance che sembrerebbero meglio interpretare le specifiche esigenze di governo e di controllo degli enti locali partecipanti e delle loro aziende partecipate, per individuare delle soluzioni alle evidenti problematiche poste da una organizzazione dei servizi spesso inadeguata e incoerente rispetto alle risorse investite e alle attese di cittadini e utenti. (14) In merito alla definizione di servizio pubblico locale, il legislatore, lungi dall’individuarne i tratti fondanti attraverso una dettagliata e analitica rappresentazione, ne tratteggia la configurazione mediante l’indicazione dei noti elementi tipizzanti quali l’oggetto, consistente nella produzione di beni e attività, e la natura funzionale, ovvero la realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali. 13 Ciò è ancora più vero se si pensa alla specificità degli enti locali italiani e alla loro storia: prima le municipalizzazioni, poi le privatizzazioni e infine le liberalizzazioni lo dimostrano. Ma evidenti sono purtroppo anche i ritardi accumulati. “Nei servizi pubblici locali la stessa privatizzazione ha fatto pochi passi avanti; la liberalizzazione manca quasi del tutto, tanto che la gestione può essere affidata senza gara a società pubbliche o miste. Le amministrazioni locali detengono ancora il controllo di molte imprese operanti nella fornitura di servizi pubblici. In taluni casi ambiscono ad ampliare la gamma dei servizi offerti, innescando fenomeni di ripubblicizzazione”. Dalle Considerazioni Finali del Governatore Mario Draghi alla 112° assemblea generale ordinaria della Banca d’Italia, svoltasi il 31 maggio 2006. “(…) il processo di privatizzazione imposto dal Legislatore è stato più di natura formale che sostanziale”. Cfr. MINGARELLI, in PERULLI, MINGARELLI, (2008), p. 77. 14 Il presente contributo, tra l’altro, riprende, sviluppa e aggiorna anche alcune questioni già trattate in RICCI (2006). 321 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities La definizione normativa, non particolarmente esaustiva e soprattutto “fluida e duttile”, (15) consente interessanti spunti di riflessione già accennati in precedenza: 1) i titolari dei servizi pubblici locali sono tutti gli enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane, le Comunità montane, le Comunità isolane e le Unioni di comuni), a differenza di quanto disposto in origine all’art. 22 della legge n. 142/1990; 2) la titolarità si estende entro i confini delle competenze dei predetti enti, individuate nell’ambito delle funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, come costituzionalmente previsto, e naturalmente entro i confini fisici del territorio di appartenenza; 3) l’individuazione delle diverse produzioni e attività da parte degli enti locali è libera, rispondendo esclusivamente a vincoli di scopo e di oggetto e considerando le effettive esigenze delle comunità servite. L’assenza di una definizione puntuale ha prodotto, tra l’altro, l’effetto di rendere non del tutto pacifica in dottrina (anzi nelle dottrine, giuridica ed economica) la qualificazione di servizio pubblico. Sulla questione si annoverano almeno tre scuole di pensiero. Secondo un primo filone di pensiero (soggettivista) il servizio sarebbe qualificabile pubblico in relazione al soggetto giuridico che si assume la responsabilità della erogazione: in questa direzione sono pubblici tutti i servizi prestati da soggetti o entità economiche appartenenti alla p.a. Un secondo filone di pensiero (oggettivista) ritiene che la qualificazione pubblica di un servizio debba farsi discendere in considerazione non del soggetto che materialmente è chiamato a prestarlo, pubblico o privato che sia, ma piuttosto dalla protezione giuridica e dal merito di tutela riconosciuti al diritto di utilizzo o di accesso al servizio. Un terzo filone di pensiero (Landolfi, 1999) sostiene, infine, una posizione intermedia definendo “servizio pubblico quell’attività di facere (con eventuale dare strumentale al facere stesso) non autoritativa, o limitatamente autoritativa, svolta dall’ente pubblico o da un privato (relativamente, però, a compiti degli enti pubblici e purché questi sia, in qualche modo inserito nella p.a.) attraverso un modello di organizzazione tipizzato e finalizzato al perseguimento di un fine sociale”. D’altro lato, anche nella dottrina economico-aziendale, si conferma, (16) a ragione, che i servizi pubblici non siano “una categoria economica rigida nel tempo, né uguale nelle varie comunità locali, poiché il loro oggetto cambia e si amplia nel tempo”. Anche dal punto di vista normativo le risposte 15 Gli enti locali conservano la più ampia discrezionalità nell’individuazione delle diverse attività qualificabili quali servizi pubblici locali, nel rispetto delle prescrizioni normative relative all’oggetto ed allo scopo, in base alle concrete esigenze delle comunità locali di cui l’Ente esponenziale è l’interprete primario”, A. TERRAZZA, in CARINGELLA, GIUNCATO, ROMANO (2001), pp. 592-594. 16 MULAZZANI, in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 11. Azienda Pubblica 2.2009 322 Esperienze innovative La governance delle public utilities hanno assunto via via un significato diverso che si è concretizzato (17) nel “passaggio dal concetto tradizionale di servizio pubblico della legislazione nazionale a quello di servizio di interesse generale del diritto comunitario, esposto inizialmente in Direttive sui servizi a rete (ma riferibili a tutti), nel Trattato dell’Unione europea, nel Libro verde e, infine, recepito nella Costituzione europea”. Sul punto è interessante notare che la “categoria dei servizi di interesse generale comprende servizi sia di interesse economico che non economico; essa deriva da quella di servizi di interesse economico generale usata nel Trattato dell’Unione europea”. Occorre precisare che anche la distinzione tra servizi pubblici economici e non economici non è affatto approfondita in sede comunitaria: unico elemento di distinzione la presenza o meno di un mercato di riferimento, o se si preferisce la presenza o meno di una finalità lucrativa. Sul punto è bene ricordare che la predetta distinzione, accolta dall’ordinamento nazionale, ha prodotto l’effetto di far dichiarare incostituzionale (Corte Costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004) l’articolo 113-bis. (Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica), non giustificandosi, in assenza di elementi di tutela della concorrenza, l’intervento del legislatore statale. (18) La questione riposa nelle mani dei legislatori regionali a cui compete un ulteriore sforzo di chiarificazione degli ambiti e delle competenze. Dopo aver definito, o ancora meglio dopo aver tentato di definire, il concetto di servizio pubblico, entriamo nel vivo del presente lavoro occupandoci del fenomeno della esternalizzazione che costituisce, in parte, un significativo conseguente ambito di riflessione. Il fenomeno della esternalizzazione (19) nella p.a. è fenomeno relativamente recente. (20) Un processo di trasferimento all’esterno, da parte di una o più amministrazioni pubbliche, della gestione di un’attività di erogazione e/o di produzione utilizzando specifiche forme di governo o appositi modelli contrattuali. L’emergente realtà fa riferimento anche a un crescente fenomeno di esternalizzazione non sempre giuridicamente indotto e in molti casi spinto da ragioni di opportunità o convenienza economica. (21) A questo fenomeno è possibile ricondurre un insieme di pregi e di difetti o di vantaggi 17 MULAZZANI, in MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 11-12. 18 Trattandosi di servizi privi di rilevanza economica non si individua un mercato concorrenziale e di conseguenza il legislatore statale è indebitamente intervenuto disciplinando una materia, non concernente la libertà di concorrenza, di competenza regionale e locale. 19 “Esternalizzare significa affidare una specifica produzione all’esterno di una data unità e, di conseguenza, instaurare un rapporto di tipo contrattuale, fra cliente (amministrazione) e fornitore (azienda). Spesso, è denominato, anche nella letteratura italiana, outsourcing deriva dalla fusione di due termini inglesi outside e resourcing o anche contracting out. (…)”. MUSSARI, in D’AUTILIA, ZAMARO ( 2005), p. 13. 20 Cfr. FARNETI (2008). 21 “Il processo di decentramento produttivo, sicuramente visto con favore, nei suoi diversi modi di essere, richiede un’azione consapevole e professionale di regia accompagnata ad una progressiva perdita di coinvolgimento diretto nella produzione delle attività lucrative, delineando un futuro secondo la concezione del Comune holding. L’emergente realtà impone anche lo sviluppo, negli enti, di elevate capacità professionali da parte dei soggetti aziendali, per la conduzione strategica e manageriale, al fine di pilotare, regolare e controllare i processi innovativi che caratterizzano il nuovo modello di APL”, GROSSI (2005), p. 136. 323 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities e di svantaggi, o ancora meglio di opportunità e di rischi, ben individuati in dottrina. (22) Le seguenti norme del Tuel disciplinano la materia dei servizi pubblici: – articolo 113: Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; – articolo 113-bis: Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica; – articolo 114: Aziende speciali e istituzioni. Rimanendo al tema del presente contributo, con specifico riferimento alle forme attraverso cui i SPL possono essere gestiti, si vuole approfondire la loro genesi, organizzazione e gestione anche con riferimento alle cosiddette società in house previste dall’art. 113 del Tuel deputate allo svolgimento di quelle attività considerate a rilevanza economica. Con specifico riferimento ad alcuni comparti, come ad esempio quello idrico, è interessante notare che alla fattispecie delle società in house si sia aggiunta quella dei cosiddetti “enti gestori salvaguardati”, ovvero enti per i quali proseguono gli affidamenti in assenza di gare, dei prescritti requisiti dell’affidamento diretto, e di altre determinazioni delle Autorità di ambito. La predetta norma (Tuel) attiene alle modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali con riguardo alla tutela della libertà di concorrenza, come in precedenza in qualche modo sottolineato, disciplinando, separatamente dalla gestione dei servizi, (23) la gestione delle reti, disponendo che gli enti locali per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali si avvalgono: a) di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, cui può essere affidata tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure a evidenza pubblica. Qualunque sia il tipo di attività affidata, e senza trascurare l’influenza delle singole norme di settore che in ogni caso possono incidere e incidono sulle decisioni degli assetti proprietari e di governo – si pensi ad esempio all’art. 153, comma 1, del decreto legislativo 152/2006 (Codice ambiente) che, prevedendo la concessione in uso gratuito delle infrastrutture idriche all’ente gestore del servizio idrico, pone serie questioni sul futuro delle società patrimoniali titolari delle reti – resta il problema di definire quali modelli di gestione e di controllo siano auspicabili, soprattutto per una società in 22 Cfr. MUSSARI, in D’AUTILIA, ZAMARO ( 2005), pp. 25-26. 23 In merito alle varie forme previste dal Tuel per la gestione dei servizi si rimanda alla tavola 1, p. 7 del presente contributo. Sulla questione si consulti anche D’ORTA, MARCONI (2002), p. 75: “(…) L’orientamento a esternalizzare la gestione dei servizi è ribadito anche per i servizi privi di rilevanza industriale, attraverso l’affidamento di questa a istituzioni, aziende speciali, anche consortili e società di capitali, costituite o partecipate dagli enti locali”. Azienda Pubblica 2.2009 324 Esperienze innovative La governance delle public utilities house. Si intende nella sostanza soffermarsi sulla relazione tra governance e accountability, tenuto conto delle tendenze del quadro normativo comunitario (Lostorto, 2007, pp. 107-117), che confermano tra l’altro uno spiccato orientamento verso il principio di liberalizzazione dei servizi pubblici. Anche dando uno sguardo alle Utilities degli altri Paesi europei, e in particolare di quelle dell’Est da poco entrati nell’Europa dei 25, è interessante notare come le condizioni di esistenza e le scelte di governance cambino decisamente. Una recente ricerca (24) ha potuto verificare che: – il ruolo delle capitali è fortissimo. Città come Varsavia, Budapest, Praga condizionano da sole leggi, norme, regolamenti, tariffe. Rappresentano più del 50% del mercato nazionale; – nel settore idrico, è molto diffuso e prevale il principio che ogni città abbia la sua azienda locale per la distribuzione dell’acqua, fatta eccezione per la Repubblica Ceca e l’Ungheria a seguito della presenza di multinazionali occidentali. La risorsa idrica è abbondante e le uniche preoccupazioni provengono dalla gestione della depurazione e delle fognature; – nel settore energia, sono forti i conflitti interni ad ogni Paese e le aziende locali, a controllo azionario delle municipalità, sono fortemente vincolate dalle pressioni politiche soprattutto in materia di tariffe; – nel settore gas, le differenze con il resto dell’Europa si attenuano per effetto della presenza di aziende fortemente orientate alla gestione manageriale. La governance delle società dei servizi e loro accountability In generale si afferma (Vaccari, 2006): “Il sistema dei controlli di società di proprietà pubblica deve coniugare tanto il controllo della contabilità, della gestione quanto la coerenza dei risultati, sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo. La partecipazione dell’ente locale nella società pubblica, (…), nasce e si sviluppa per erogare primariamente servizi, anche in senso lato, e presenta l’obiettivo principale di garantire un sempre più elevato livello qualitativo e un contenimento dei costi e dei prezzi”. Questa affermazione, pienamente condivisibile, riafferma la necessità di rendere massimamente efficaci e professionali tutti i rapporti tra partecipante e partecipata, nella ferma convinzione della complessità delle relazioni che esistono e si sviluppano tra ente pubblico e stakeholder, consumatore o utente finale, relazioni che comunque non vengono ad essere interrotte, o addirittura negate, per effetto del processo di esternalizzazione. In questa direzione diventa importante individuare modelli, formulare regole, tracciare procedure e percorsi utili al complessivo disegno di realizzare gli obiettivi che dovrebbero essere tipici della gestione di ogni servizio pubblico: economicità, accessibilità, 24 CANONICI (2007). La ricerca ha riguardato i seguenti Paesi: Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Cipro, Estonia, Lituania, Malta, Slovacchia. 325 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities universalità, fruibilità, comparabilità. “Il sistema di controllo di una società a partecipazione pubblica da parte di un ente locale ha come obiettivo, quindi, i risultati ottenuti nella attuazione di precisi indirizzi forniti da parte dei soggetti partecipati” (Vaccari, 2006). In questo senso le assemblee elettive degli enti locali formulano gli indirizzi e dettano gli orientamenti strategici, ma devono fornire anche precise indicazioni per le forme del sistema di controllo da adottare; i rappresentanti dell’ente (Sindaco, Presidente della Provincia, ecc.), per parte loro, partecipando alle assemblee, e più in generale agli organi societari e alla vita sociale, diffondono e assicurano la volontà degli enti partecipanti. Sono evidenti e occorre considerare almeno quattro relazioni che influenzano il modello di governance da scegliere: 1) relazione tra utenti (elettori) ed ente o enti partecipanti; 2) relazione tra enti partecipanti (in caso di più enti coinvolti); 3) relazione tra ente o enti partecipanti e azienda partecipata; 4) relazione tra utenti e azienda partecipata. A queste relazioni potrebbero, inoltre, aggiungersi la relazione tra enti e partiti politici, che si sviluppa per effetto del concorso e del sostegno dei partiti nelle scelte amministrative degli enti, e la relazione utenti/elettori e partiti politici, che si sostanzia nella ricerca del consenso politico e nella funzione interpretativa e organizzativa dei bisogni collettivi normalmente svolta dai partiti. Funzione costituzionalmente garantita che assegna ai partiti politici il ruolo di veri e propri soggetti economici delle aziende partecipate. La numerosità delle relazioni e la complessità delle stesse richiede senza dubbio sforzi di indirizzo, programmazione, controllo e coordinamento elevatissimi, sforzi che possono essere messi in efficienza attraverso un modello di governo adeguato, rispondente a tutti gli interessi in gioco. È giusto ritenere, come ampiamente affermato in dottrina, che l’adeguatezza della governance possa realizzarsi attraverso la scelta di diversi modelli e l’applicazione di varie formule organizzative tutte in grado di affrontare, e si spera risolvere, gli aspetti prevalenti della complessità delle relazioni individuate (Persiani, 2003; Garlatti, 2004; D’Aries, Sarcina, 2006); ma appare comunque confermato che nella società di capitali che adotta il modello dualistico possa effettivamente trovare sintesi il governo efficiente delle aziende dei servizi. (25) In particolare, la presenza del Consiglio di sorveglianza, che può assistere alle riunioni del Consiglio di gestione, consente di svolgere diverse funzioni di controllo antecedente, concomitante e susseguente prima impensabili. Il sistema dualistico contenuto negli articoli 2409-octies e seguenti del codice civile contempla, infatti, la possibilità che lo statuto della società preveda che l’amministrazione e il controllo siano esercitati da un Consiglio 25 Sul tema si veda POZZOLI in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 28. Azienda Pubblica 2.2009 326 Esperienze innovative La governance delle public utilities di gestione e da un Consiglio di sorveglianza. Al primo spetta la gestione della società e lo svolgimento di tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale. Il secondo (Di Sabato, 2004, p. 218) “ha funzioni miste, fungendo da trait d’union (o meglio trait de separation) tra l’assemblea e l’organo gestorio dell’impresa sociale (…).”. Il Consiglio di sorveglianza, infatti, affianca ai compiti di controllo, che sono riconosciuti al Tavola 2 – L’architettura del sistema dualistico Organo/Varie Organo Organo assembleare di Controllo Organo amministrativo Controllo Contabile Denominazione Assemblea dei Consiglio di sorveglianza soci Consiglio di gestione Società di revisione o revisore contabile iscritta nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia Composizione Soci azionisti Sono nominati dall’Assemblea. Almeno un componente effettivo deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia. Possibilità di prevedere particolari requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza attribuiti nell’ambito del principio generale di autonomia statutaria Sono nominati dal Consiglio di sorveglianza e possono anche non essere soci. Il numero in ogni caso non può essere inferiore a due Società di revisione o revisore contabile iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia Ipotesi Enti locali soci Nominati dall’Assemblea dei soci, in base alla presentazione di liste che garantiscano la presenza delle minoranze con previsione di un quorum. Nell’organo può essere prevista la presenza di: rappresentanti di altri enti (Regione, Provincia, Autorità di ambito) interessati alla vita dell’azienda, rappresentanti dei lavoratori, rappresentanti dei consumatori, nonché soggetti indipendenti professionalmente qualificati Devono essere nomina- Considerando i nuovi orientati soggetti in possesso menti di particolari requisiti professionali: iscritti ad albi professionali, amministratori e/o dirigenti di azienda per un certo numero di anni, altri requisiti Funzioni Nomina il Consiglio di sorveglianza. Promuove l’azione sociale di responsabilità Nomina e revoca dei componenti il Consiglio di gestione; approva il bilancio d’esercizio; valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile; delibera, se previsto dallo statuto, i piani strategici, industriali e finanziari Gestione dell’impresa, compie tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Può delegare proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti Ipotesi Approva il Piano generale di sviluppo e la Costituzione di comitati per l’Utenza Redige e sottopone all’As- Riferisce trimestralmen- Considerando i nuovi orientasemblea per l’approvazione il te al Consiglio di sor- menti Piano generale di sviluppo e veglianza la Costituzione di comitati per l’utenza. Riferisce all’Assemblea semestralmente anche con mezzi tecnologici avanzati 327 Verifica nel corso dell’esercizio e con periodicità almeno trimestrale, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione. Verifica se il bilancio d’esercizio corrisponde alle risultanze delle scritture contabili Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities Collegio sindacale nel sistema tradizionale societario, alcuni compiti propri dell’Assemblea (come ad esempio nomina e revoca dei consiglieri di gestione, approvazione del bilancio, ecc.). Sul punto è interessante considerare la tavola 2 che mette in chiaro i principali elementi e l’architettura interna del sistema dualistico (26) e identifica una ipotesi applicativa. Fin qui le questioni relative al sistema di governance auspicabile. Entrando nello specifico dell’attività di controllo, occorre analizzare il problema della definizione del controllo analogo, carattere richiesto alle società in house, premessa indispensabile per individuare il sistema di accountability maggiormente rispondente alle esigenze di tutti gli stakeholder aziendali. Una parte della dottrina sostiene (27) che realizzarlo “attraverso gli strumenti del controllo di gestione è illusorio, anche se questo, purtroppo, è ciò che ambiguamente” afferma la circolare 1727/2001 del Dipartimento delle politiche comunitarie. Si condivide sul punto l’idea di riferirsi all’art. 114 del Tuel per l’individuazione di quelli che si possono ritenere gli atti fondamentali o i riferimenti documentali indispensabili per un orientamento del controllo analogo (28): – il Piano programma (Piano strategico, Piano generale di sviluppo, ecc.); – i Bilanci economici di previsione pluriennale e annuale; – il Conto consuntivo; – il Bilancio di esercizio. Naturalmente non può esaurirsi l’attività di controllo solo nell’esame o nella verifica dei predetti documenti, occorre poter ispirare a principi di gestione comuni e condivisi l’intera azione di gestione. Tale questione vede accresciuta la sua complessità se osservata nelle società partecipate contestualmente da più enti locali. La giurisprudenza comunitaria e amministrativa sul punto è concorde nel ritenere indispensabile che l’esercizio del controllo: – sia congiunto; – avvenga dall’esterno della società; – impieghi strumenti di tipo pubblicistico. (29) Occorre, in altri termini, poter contare su un efficace e pregnante sistema di accountability che possa stimolare comportamenti di resa del conto, verso 26 Senza trascurare gli articoli 2449 e 2450 del codice civile. 27 POZZOLI In MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 26-29. 28 “Adattando questi principi alla realtà delle società di capitali sembra assolutamente ragionevole che il soggetto economico, in questo caso l’ente locale, possa pretendere di approvare, come dovrebbe fare per altro in ogni caso, il piano programma della società”, POZZOLI in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 27. 29 MINGARELLI in PERULLI, MINGARELLI (2008), p. 102. Azienda Pubblica 2.2009 328 Esperienze innovative La governance delle public utilities l’esterno, sia nei confronti dell’ente partecipante sia nei confronti degli utenti, e, all’interno, nei confronti della struttura manageriale, e che soprattutto sia in sintonia con il modello di governance scelto. Per realizzare un sistema di accountability efficace e che risponda adeguatamente alle esigenze di un modello di relazioni interistituzionali notevolmente mutato occorre (Ricci, 2005, p. 14): – – – – – – – un articolato e chiaro processo di programmazione; una trasparente definizione delle responsabilità interne ed esterne; un adeguato sistema di rilevazione contabile; un efficace sistema interno di controllo e di valutazione; una periodica attività informativa sull’azione svolta; una significativa attività di benchmarking; un apprezzabile impiego della tecnologia nei processi di comunicazione. In questa direzione, appaiono significative, soprattutto per le potenzialità meditative, le aree di controllo, a preventivo e a consuntivo, proposte da alcuni studiosi (30) in specifici modelli o sistemi di controllo degli enti strumentali. In particolare, si sostiene l’opportunità di elaborare modelli di governo ed esercitare forme di controllo sulla società partecipata con riferimento alle seguenti dimensioni: a) obiettivi e strategie; b) livello, struttura e periodicità degli investimenti; c) definizione del sistema tariffario; d) equilibri economici, patrimoniali e finanziari; e) rilevazione e misurazione del grado di soddisfazione dell’utenza; f) adeguatezza delle procedure di comunicazione interne ed esterne. Sulla prima dimensione di intervento è del tutto evidente che occorre esercitare rigorose forme di controllo per valutare la corrispondenza dei programmi e delle strategie con i bisogni della comunità servita e con le interpretazioni provenienti dall’ente o dagli enti locali partecipanti. Gli obiettivi e le strategie dovrebbero essere oggetto di apposita approvazione da parte dell’Assemblea dei soci. Il documento programmatico potrebbe essere preparato dal Consiglio di sorveglianza con il concorso di Comitati dei consumatori o per l’utenza: il Piano generale di sviluppo dovrebbe riguardare anche il livello, la struttura e la periodicità degli investimenti nonché la definizione del sistema tariffario. (31) Il Piano dovrebbe tener conto e fare proprie le indicazioni contenute nei documenti programmatici delle Autorità d’ambito, 30 STECCOLINI I., in MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 535-540. 31 Dimensione importante è rappresentata dalla costruzione delle tariffe, costruzione che non può prescindere: dal rispetto delle norme e degli impegni assunti con le altre istituzioni, dalla copertura dei costi di erogazione dei servizi, dalla compatibilità con le politiche e gli interventi sociali dell’ente e dai complessivi impatti di natura economico-sociale. 329 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities laddove previste. Per quanto concerne gli equilibri economico-finanziari risulta indispensabile, invece, poter conoscere e approfondire i legami tra obiettivi prefissati e risorse destinate alla loro realizzazione, poter valutare la congruità dei risultati raggiunti in termini quantitativi, poter verificare la sostenibilità finanziaria nel tempo delle azioni intraprese. Questa dimensione potrebbe essere controllata direttamente del Consiglio di sorveglianza sulla base di report periodici e di rendiconti forniti dal Consiglio di gestione, sulla base di set di indicatori condivisi e ritenuti esaustivi delle esigenze cognitive dei diversi soggetti interessati alla vita aziendale. Il grado di soddisfazione dell’utenza dovrebbe essere costantemente monitorato con il contributo dei Comitati dei consumatori, o di altri organi similari, attraverso una serie di strumenti di rilevazione della qualità e della quantità dei servizi erogati. Infine, si reputa non trascurabile la dimensione comunicazione. La comunicazione, quale veicolo dell’informazione, tra i soggetti interessati (ente partecipante, società partecipata, utenti) deve presentare i caratteri della affidabilità tecnologica, della utilità, della tempestività e della periodicità. 4. La gestione dei servizi pubblici locali: riflessioni conclusive e prospettive Da un’attenta analisi delle questioni e dei problemi richiamati sinteticamente in questo contributo è evidente la situazione di incertezza in cui versa oggi la gestione dei SPL, quei servizi cioè che, per definizione, dovrebbero assicurare ai cittadini maggiore stabilità, sicurezza e benessere sociale. Nonostante i continui tentativi del legislatore di indirizzare il settore dei SPL verso la liberalizzazione, lasciando l’opzione dell’affidamento diretto come alternativa residuale (art. 113, comma 5, Tuel), dall’ultimo censimento realizzato da Legautonomie (32) sugli affidamenti dei Comuni capoluogo risulta che ben il 70% avviene in forma diretta e che l’incidenza maggiore (circa l’85%) si registra proprio nei capoluoghi del sud Italia. Al fine di accelerare il processo di riforma dei SPL, la legge Bersani prima (n. 248/2006) e il decreto Brunetta poi (n. 112/2008) (33), tentano di ricondurre l’affidamento della gestione dei SPL alle procedure a evidenza pubblica come scelta obbligata, in via ordinaria, “nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità”. (34) Il nuovo disposto della cosiddetta “manovra d’estate” sposterebbe in tal modo l’affidamento diretto alle società in house, in via del tutto “eccezionale” e dietro adeguata motivazione, solo a causa di “peculiari caratteristiche economiche, sociali, 32 Tratto da Il Sole24Ore del 21 luglio 2008, n. 200. 33 Decreto legge convertito in legge n. 133 del 2008. 34 Legge n. 133 del 2008, art. 23-bis, comma 2. Azienda Pubblica 2.2009 330 Esperienze innovative La governance delle public utilities ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento risultanti da una adeguata analisi del mercato dandone comunicazione a mezzo di relazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle Autorità di regolazione del settore, ove costituite”. (35) Lo schema di d.P.R. emesso il 26 febbraio 2009, recante regolamento di attuazione dell’art. 23-bis, comma 10, della legge n. 133/2008 ricalca tendenzialmente la norma, aggiungendo alle suddette condizioni per l’affidamento diretto dei SPL in deroga alle modalità di affidamento ordinario mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, due ulteriori elementi-chiave: il rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e la prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. (36) Su quest’ultimo punto è interessante notare come possa esercitarsi un controllo analogo qualora la società fosse partecipata da una pluralità di enti soci tra loro completamente diversi o anche omogenei tra di loro, ma comunque molto numerosi senza che nessuno di questi detenga una quota di maggioranza rispetto agli altri. Analogo problema si presenta, secondo parte della dottrina, (37) nel momento in cui la società di servizi a totale partecipazione pubblica si trovi a dover rispettare i vincoli del Patto di stabilità interno previsto per gli enti che la controllano secondo quanto disposto dallo schema di regolamento attuativo del 23-bis (art. 4). Tale disposizione, infatti, oltre a limitare gli investimenti anche per quei settori in cui sarebbero necessari, non specifica a quale Patto la società dovrebbe partecipare, di quale ente. Tralasciando di seguito le questioni irrisolte sembra interessante rilevare, invece, l’importanza, a parere di chi scrive, dell’estensione alle società con affidamento diretto delle norme previste per la p.a. per le assunzioni di personale e per gli acquisti di beni e servizi. (38) Questo consentirebbe di limitare il ricorso “improprio” alle società a totale partecipazione pubblica per fini opportunistici o di mantenimento del consenso politico, favorendo meccanismi di selezione meritocratica e di scelte basate sulla convenienza economica e sull’efficienza. I propositi della recente riforma sono, quindi, innovativi e se realmente applicati potrebbero portare a un reale cambiamento del settore dei SPL in termini di maggiore trasparenza e competitività; basti pensare, ad esempio, che la durata dell’affidamento (39) deve essere commisurata alla durata degli investimenti necessari per l’espletamento del servizio, proiettando il 35 Legge n. 133 del 2008, art. 23-bis, commi 3 e 4. Sul punto è intervenuto anche il Tar Campania-Napoli, sezione I, con la sentenza n. 18797 del 28 ottobre 2008, dicendo che, in tali casi, l’ente affidante deve: a) dare adeguata pubblicità alla scelta; b) motivare la decisione in base ad un’analisi di mercato; c) trasmettere la relazione con gli esiti della verifica all’Antitrust e alle autorità di regolazione di settore per l’espressione di un parere entro 60 giorni dalla relazione. 36 Art. 2, comma 1, lett. b), dello schema di d.P.R. 26 febbraio 2009. 37 Cfr. POZZOLI S., Sul Patto indispensabili scelte chiare e di buon senso, in Il Sole24Ore del 9 marzo 2009, n. 67, p. 11. 38 Art. 10, legge n. 133/2008 a cui rinviano gli artt. 5 e 6 dello schema di d.P.R. recante regolamento di attuazione. 39 Si rimanda all’art. 23-bis, legge n. 133/2008, commi 8 e 9. 331 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La governance delle public utilities complesso delle attività nel mercato potenziale attraverso la redazione di una sorta di business plan che dimostri la convenienza dell’affidamento. (40) Il tema resta comunque complesso e i nodi da sciogliere sono ancora tanti, a partire dalla stessa definizione di servizio pubblico e quindi individuazione delle attività e delle prestazioni da qualificare come tali e alle quali far poi corrispondere specifiche regole e particolari tutele, alla definizione dei limiti e delle condizioni per gli affidamenti, fino a giungere alla governance e all’accountability per le società di gestione. Date le suddette proposte, resta sempre e solo alla discrezionalità e alla responsabilità di chi governa e amministra il buon senso delle scelte effettuate. Riferimenti bibliografici ANSELMI L. (2001), L’Azienda Comune. Principi e metodologie economicoaziendali per gli enti locali, Rimini: Maggioli. BARBAGALLO B. (2007), “L’azienda ente locale tra prospettive di outsourcing dei servizi pubblici locali e difficoltà di governante”, Rirea, novembredicembre, n. 11-12. BORGONOVI E. (2005), Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Milano: Egea. BRUNSSON N., OLSEN J.P. (1993), The Reforming Organization, London: Routledge. CANONICI A. (2007), Alla ricerca delle Utilities nella nuova Europa, Roma: FederUtility. CARINGELLA F., GIUNCATO A., ROMANO F. (a cura di) (2001), L’ordinamento degli enti locali nel testo unico, Milano: Ipsoa. CEPIKU D. 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Si analizza il modo in cui l’informazione contabile viene prodotta, ex ante, secondo criteri utili per il controllo (ex post) delle risorse impiegate e dei risultati conseguiti e, infine, i vantaggi ottenuti dalla Commissione europea a seguito dell’adozione del nuovo sistema contabile rispetto alle esigenze del controllo organizzativo The aim of this paper is to verify if the new accounting system of the European Commission is suitable for the production of information useful to make decisions and to check if the organization has reached its targets. The paper examines how to produce, ex ante, accounting information useful to allow (ex post) the check on the amount of resources used and targets reached and, finally, the advantages gained from the European Commission by implementing the new accounting system in order to comply with the requirements of the management control. Si ringraziano il Professor Armando Camillo Buccellato (Università di Cagliari) e la dottoressa Rita Dedola per il prezioso contributo Parole chiave: competenza economica – cultura del risultato – management Key words: accrual – object oriented – management 335 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea 1. Introduzione L’obiettivo del lavoro è quello di verificare se l’informazione fornita dal sistema contabile adottato dalla Commissione europea nel 2005 è utile ai fini del perseguimento degli obiettivi organizzativi. Più precisamente, l’articolo si propone di indagare l’idoneità dell’informazione elaborata dal nuovo sistema di contabilità a soddisfare le esigenze informative degli utilizzatori interni alla Commissione europea, ossia tutti coloro i quali sono chiamati a decidere sulle politiche da svolgere, sulle relative modalità di svolgimento e sulle risorse da impiegare. La necessità di gestire le politiche e le azioni comunitarie nel rispetto del principio di efficienza, (1) ha costituito l’elemento principale che ha spinto la Commissione europea ad adottare nel 2005 un sistema di contabilità per competenza (accrual o economico-patrimoniale) che fornisce un quadro esaustivo della situazione finanziaria, economica e patrimoniale delle Comunità europee e consente di tenere traccia delle risorse provvedute e di quelle consumate per periodo. L’implementazione di un sistema di contabilità per competenza è avvenuta gradualmente nel corso degli anni. Già nel 2000, con l’adozione del Libro bianco sulla riforma (Commissione delle Comunità Europee, 2000), la Commissione ha introdotto mutamenti di grande portata per quel che riguarda il modello di gestione delle attività e delle politiche comunitarie: ci si era resi conto che la semplice osservanza di regole giuridiche e procedurali nella gestione delle politiche e azioni comunitarie non sempre garantisce il rispetto dei principi di efficienza e il raggiungimento di obiettivi di crescita e di sviluppo comuni agli Stati membri dell’Unione. Il passaggio a un modello manageriale basato sulla cultura del risultato, implica che la mission (Simons, 2004, p. 34) e gli obiettivi che la Commissione intende raggiungere siano formulati ed esplicitati in maniera chiara a tutti coloro che contribuiscono al raggiungimento di risultati attesi affinché pongano in essere azioni che siano funzionali all’obiettivo da raggiungere e che in fase di pianificazione vengano individuate le attività e stanziate le risorse necessarie per poter ottenere una performance che non si discosti, o si discosti lievemente, da quella attesa. In pratica con l’adozione del Libro bianco sulla riforma, la Commissione europea ha avvertito la necessità di dotarsi di un sistema centrale di controllo (Flamholtz, 2002) per mezzo del quale poter gestire in maniera sistemica le politiche e le azioni comunitarie attraverso una serie di attività (pianificazione, operazioni, misurazione, feedback e valutazione/ricompensa) che siano strettamente legate e interdipendenti tra loro e volte a creare valore nella collettività di riferimento; dal 1° gennaio 2003 è entrato in vigore il regolamento n. 2342/2002 della Commissione in base al quale, secondo “il principio della contabilità per competenza, (…) 1 Per efficienza si intende il rispetto del “dovuto equilibrio tra risorse impiegate e risultati conseguiti” (SIMONS, 2005: p. IX). Azienda Pubblica 2.2009 336 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea le operazioni e gli eventi sono contabilizzati nel momento in cui si verificano e non in occasione del pagamento o del recupero effettivi [e devono essere] registrati nei conti degli esercizi ai quali si riferiscono” (art. 194), e infine, nel 2005, è stata completata la riforma contabile e quella dei controlli interni (2) e si è avuto l’adeguamento ai principi contabili internazionali del settore pubblico Ipsas. In pratica, la principale finalità della riforma del Libro bianco è quella di consentire alla Commissione europea di portare a termine in maniera eccellente gli obiettivi stabiliti dall’Unione europea; pertanto l’adozione di un sistema di contabilità per competenza, supportato da un sistema informativo integrato Erp (Enterprise Resource Planning), ha costituito lo strumento la cui introduzione si ritiene possa consentire alla Commissione europea l’adeguamento ai cambiamenti culturali e gestionali dettati dal Libro bianco sulla riforma. Di conseguenza, partendo dall’ipotesi che un utilizzo razionale delle risorse di cui la Commissione dispone favorisce il raggiungimento di un elevato livello di efficienza che, a sua volta, si traduce in un beneficio per gli Stati membri e per la collettività di riferimento, (3) il problema della ricerca è quello di verificare se il nuovo sistema contabile è capace di produrre informazioni utili per le decisioni e il controllo del perseguimento dei fini organizzativi; se con la contabilità economico-patrimoniale (IFAC, 2003; Archibald, 1994), gestita mediante l’ausilio di un sistema informativo integrato, si è in grado di misurare i consumi e il livello di efficienza conseguito dalla Commissione europea e quali sono i vantaggi ottenuti con il nuovo sistema contabile rispetto alle esigenze del controllo organizzativo. 2. Premesse metodologiche Le teorie e i paradigmi propri del controllo organizzativo, “inteso quale processo che consiste nel controllare o influenzare il comportamento delle persone in quanto membri di un’organizzazione formale per incrementare la probabilità che essi raggiungano gli scopi organizzativi” (Flamholtz, 2002, p. 7), costituiranno il riferimento principale nello svolgimento del lavoro, in quanto applicabili a qualsiasi tipo di organizzazione dotata di risorse, umane e non, che dovranno essere organizzate e coordinate per raggiungere risultati prefissati. È importante ricordare che “le organizzazioni non hanno obiettivi: solo le persone che la costituiscono hanno obiettivi” 2 Con la riforma del Libro bianco, le attività di controllo, prima affidate a un controllore finanziario della Commissione, sono state decentrate nelle Direzioni generali in modo da responsabilizzare i Direttori generali nell’utilizzo razionale delle risorse affidategli. A livello centrale, è stato creato un servizio finanziario, un servizio di audit interno e un comitato di vigilanza per l’audit i cui compiti si concretizzano nel coordinamento e nel controllo dell’operato delle Direzioni generali. 3 In termini di maggiori quantità di risorse finanziarie erogate dalla Commissione o, il che è lo stesso, a parità di fondi erogati dalla Commissione europea, l’ammontare di denaro conferito dagli Stati membri risulta essere minore. 337 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea (Anthony et al., 2001, p. 231) che, in alcuni casi, possono divergere da quelli dell’organizzazione alla quale appartengono. Di conseguenza, la probabilità per un’organizzazione di raggiungere i risultati attesi è tanto più alta quanto maggiore è la coincidenza tra gli obiettivi delle persone che la compongono e quelli organizzativi; lo scopo del sistema di controllo organizzativo è perciò quello di indurre i membri dell’organizzazione ad adottare comportamenti coerenti con i fini e gli scopi (4) da raggiungere. Il fine della Commissione europea, sancito dal Trattato che istituisce la Comunità europea (articolo 211, comma 1), è quello “di assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune nella Comunità” attraverso lo svolgimento di attività che utilizzano risorse finanziarie provenienti principalmente dagli Stati membri; (5) tali risorse in entrata vengono impiegate per l’acquisizione nel mercato di altre risorse, per le quali viene pagato un prezzo, e che risultano essere funzionali allo svolgimento di attività e politiche attraverso le quali la ricchezza accumulata viene ridistribuita agli Stati membri sotto forma di fondi e contributi, oppure ad altri soggetti a titolo di partecipazione a programmi che la Commissione europea intende portare avanti (6) (figura 1). In pratica, nella sequenza: input > processo > output, il denaro costituisce per la Commissione europea il fattore di input (risorse provenienti dagli Stati membri) ma anche di output (risorse erogate agli Stati membri); il processo di produzione della Commissione europea consiste quindi nella redistribuzione del denaro nel tempo e nello spazio. Figura 1 – Sistema delle relazioni finanziarie della Commissione europea Stati Membri contribuenti (risorse finanziarie) Mercato Commissione Europea (fattori produttivi) Stati Membri destinatari (risorse finanziarie) 4 FLAMOLTZ (2002) distingue i fini dagli scopi. Il termine “fini” viene usato per indicare gli obiettivi a medio/lungo termine; mentre il termine “scopi” viene usato in relazione ad obiettivi di breve termine che sono strumentali al raggiungimento di più ampi fini. 5 Fatta eccezione per le risorse proprie tradizionali (RPT), consistenti principalmente in dazi doganali percepiti sulle importazioni di prodotti provenienti dai paesi terzi. Esse costituiscono circa il 15% delle entrate totali. 6 Si tratta di attività e politiche comunitarie svolte con Paesi terzi o con organizzazioni internazionali. Essendo una modalità di intervento “non principale”, le relazioni finanziarie che ne derivano non vengono evidenziate in figura 1. L’esamina delle modalità di gestione delle operazioni della Commissione europea verrà svolta nel § 4. Azienda Pubblica 2.2009 338 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea La gestione di risorse comunitarie e lo svolgimento di attività e politiche finalizzate a soddisfare bisogni ed esigenze avvertite dalla collettività di riferimento richiamano l’attenzione sull’importanza che il sistema delle misurazioni, finanziarie e non finanziarie, ha all’interno della Commissione europea per fornire indicazioni sui risultati raggiunti e indirizzare le persone verso il conseguimento dei fini e degli scopi dell’organizzazione. Coloro i quali partecipano al processo di implementazione delle politiche e delle azioni comunitarie devono conoscere qual è l’obiettivo da raggiungere, le azioni da compiere e le risorse e gli strumenti a loro disposizione al fine di poter intervenire in maniera concreta e tempestiva nel processo di creazione di valore. Le informazioni relative ai risultati raggiunti risultano indispensabili per poter valutare se le azioni e i processi realizzati conducono effettivamente l’organizzazione verso gli obiettivi stabiliti ex ante; se è necessario correggere eventuali errori che sono stati commessi durante l’attività di gestione vera e propria o anche durante l’attività di pianificazione, e per poter impostare l’attività futura sulla base dei risultati ottenuti. Il sistema delle misurazioni può costituire un punto di forza per la Commissione europea nel momento in cui l’organizzazione è dotata di un sistema centrale di controllo attraverso il quale le attività di pianificazione, gestione, misurazione, correzione e valutazione – ricompensa, vengono gestite in maniera sistemica in vista del raggiungimento di fini e scopi strumentali alla soddisfazione delle esigenze e delle istanze provenienti dalla collettività Figura 2 – Modello schematico del sistema centrale di controllo Fonte: FLAMHOLTZ (2002). 339 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea degli amministrati. Di conseguenza, per l’elaborazione del presente lavoro è stato preso come riferimento il modello del sistema centrale di controllo elaborato dal professor Flamholtz (2002) in quanto coerente con la cultura del risultato su cui si è basata la riforma del Libro bianco; tale modello è composto da cinque sottosistemi, che sono: – pianificazione; – operazioni; – misurazione; – correzione (o feedback); – valutazione/ricompensa. La funzione di misurazione rappresenta quindi solo uno dei cinque sotto sistemi ciascuno dei quali, funzionando correttamente, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi organizzativi (figura 2). 3. Il sistema della pianificazione All’interno della Commissione europea, il processo di definizione dei fini risulta essere già in parte delineato dalle finalità che il Trattato che istituisce la Comunità europea assegna alla Commissione (articolo 211), dalle priorità politiche adottate dal Consiglio europeo e dagli obiettivi definiti nella Strategia di Lisbona. Di conseguenza, gli obiettivi quinquennali (fini) stabiliti dalla Commissione europea all’inizio del suo mandato (7) riprendono i grandi temi politici stabiliti a livello europeo, a loro volta formulati a seguito dell’analisi dei bisogni della collettività di riferimento e nella consapevolezza che l’intervento dell’Unione europea in specifici settori possa costituire un fattore di sviluppo economico e politico. (8) I fini della Commissione europea vengono poi tradotti in scopi, ossia in obiettivi annuali che la Commissione si impegna a raggiungere in un esercizio specifico (programmazione); tali scopi rappresentano il punto di riferimento per l’individuazione delle azioni strumentali al raggiungimento dei risultati attesi (progettazione), per l’organizzazione e il coordinamento delle attività e dei processi da svolgere (organizzazione) e, infine, per il budgeting. L’attività di pianificazione all’interno della Commissione ha, quindi, il suo punto di partenza nella definizione di specifici fini e scopi che rappresentano la risultante di un processo di comunicazione bi-direzionale (topdown e bottom-up) tra il Consiglio e la Commissione europea, e finalizzato 7 Gli obiettivi strategici della Commissione europea per il periodo 2005-2009 sono: prosperità; solidarietà; sicurezza e libertà; Europa come partner internazionale. Per approfondimenti, cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE (2005). 8 In questo contesto, il ruolo della Commissione europea è quello di fungere da anello di collegamento tra la collettività di riferimento e il potere esecutivo esercitato dal Consiglio europeo e cui spetta il compito di stabilire i fini da raggiungere e le risorse finanziarie da provvedere per un periodo di tempo di sette anni. Il Consiglio europeo è composto da un rappresentante per Stato membro; rappresenta il soggetto economico dell’Unione. Azienda Pubblica 2.2009 340 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea ad individuare i risultati attesi, le risorse necessarie e gli indicatori utili per misurare, e quindi valutare, in termini non monetari i progressi e gli obiettivi generati dallo svolgimento di una data politica comunitaria. Tale metodologia di gestione delle politiche comunitarie ha le sue fondamenta teoriche nel Management By Objective (MBO); (9) tuttavia, l’utilizzo della sola metodologia del MBO non è di per sé sufficiente a garantire alla Commissione europea il raggiungimento dei fini e degli scopi stabiliti. L’utilizzo, a partire dal 2004, dell’Activity Based Management (ABM) a supporto della progettazione, organizzazione e nello svolgimento delle attività della Commissione europea ha voluto costituire una risposta al problema dell’impiego razionale delle risorse scarse in vista del raggiungimento di un dato risultato, (10) generando notevoli cambiamenti nell’organizzazione delle risorse e nella gestione dei processi interni. (11) Più precisamente, l’impiego della metodologia ABM presuppone che, all’interno della Commissione europea, avvenga un continuo reengineering dei processi e delle attività da svolgere al fine di individuare, per ciascuno degli scopi stabiliti, le attività generatrici di valore e coordinarle tra loro secondo i principi dell’analisi di processo (Candiotto, 2003). Si crea, così, una relazione circolare tra obiettivi, attività e risorse, ove la definizione degli obiettivi da raggiungere determina l’individuazione delle attività da svolgere e delle risorse da provvedere e, viceversa, le attività da svolgere e le risorse disponibili influiscono sulla definizione degli obiettivi da raggiungere (figura 3). 9 “Il Management By Objective (MBO) viene trattato da PETER DRUCKER (1954; 1965) in un libro innovativo sulla pratica manageriale: “In altre parole, la gestione per obiettivi è un processo mediante il quale i dirigenti e i collaboratori individuano insieme gli obiettivi comuni, definiscono i settori di responsabilità di ciascuno in termini di risultati richiesti e utilizzano la valutazione sui risultati conseguiti per gestire risorse e attività, nonché per valutare il contributo di ciascun membro dell’organizzazione. È quindi un metodo, uno strumento gestionale che può contribuire al miglioramento del sistema e della produttività dell’unità organizzativa tramite la valutazione delle prestazioni del singolo sulla base di obiettivi stabiliti e concordati a priori” (BOCCHINO, 2000, p. 377). 10 L’Activity Based Management si basa sulla logica che “per il conseguimento del vantaggio competitivo è necessario superare l’ottica di prodotto e impegnarsi sul controllo delle attività lungo la catena del valore, al fine di valutare come le attività consumano le risorse e come contribuiscono a realizzare la soddisfazione del cliente. Conseguentemente si deve procedere ad un continuo ridisegno dei processi, con la eliminazione delle attività che non generano valore aggiunto ed il miglioramento delle modalità operative delle attività inefficienti, finalizzando l’impiego delle risorse aziendali all’obiettivo primario, che è quello del conseguimento del vantaggio competitivo attraverso la massima soddisfazione del cliente” (PASTORE, 1995, p. 71). 11 Con l’adozione dell’ABM, anche la struttura organizzativa della Commissione europea è stata oggetto di modifiche in quanto si è propeso per un’organizzazione per funzioni in cui ciascuna Direzione generale (DG) è specializzata in un settore specifico. In pratica, un’azione comunitaria viene svolta grazie al contributo di una o più Direzioni generali competenti in determinati settori, mentre il coordinamento delle attività della Commissione è garantito dal Segretario generale. Nel caso in cui la Commissione ritenesse di non essere dotata di risorse adeguate per poter raggiungere gli obiettivi stabiliti, può far ricorso all’esternalizzazione di specifiche attività (fatta eccezione per le attività di tipo normativo o negoziale e le operazioni di stanziamento di fondi che comportano l’esercizio di poteri discrezionali di cui può essere investita solo un’amministrazione pubblica). L’attività politica, invece, è affidata ai Commissari impegnati, in fase collegiale, nel definire gli indirizzi politici della Commissione; mentre singolarmente ciascun Commissario assicura il buon funzionamento dei servizi della Direzione generale di cui è responsabile ed il compimento delle funzioni fondamentali strumentali allo sviluppo delle politiche nel settore di competenza della DG. 341 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea Figura 3 – Relazione obiettivi – attività – risorse del sistema ABM nella Commissione europea L’attività di budgeting diventa così parte integrante del processo decisionale; ciò è tanto più vero nel momento in cui il budget (o Progetto preliminare di bilancio – PPB – per la Commissione europea) viene costruito utilizzando la stessa logica e i medesimi principi su cui si basa l’ABM e l’MBO utilizzati dalla Commissione europea. A tal fine, l’adozione dell’Activity Based Budgeting (ABB) (Pastore, 1995; Zanenga et al., 1994) consente di quantificare le risorse necessarie per il raggiungimento di risultati attesi sulla base dell’ammontare delle risorse finanziarie che si prevede di erogare nel periodo di riferimento; detto in altri termini, il Progetto preliminare di bilancio della Commissione europea, redatto secondo la metodologia ABB, viene costruito partendo dagli scopi da raggiungere e serve ad evidenziare quanta ricchezza spendibile viene prodotta, (12) come viene ripartita tra le diverse azioni comunitarie e qual è il costo da sostenere per il funzionamento dell’apparato amministrativo. La tabella 1 evidenzia come l’informazione finanziaria viene organizzata sulla base delle decisioni relative agli obiettivi da raggiungere e alle attività da svolgere mostrando quanta ricchezza spendibile ciascuna Direzione generale prevede di produrre, come le risorse finanziarie vengono ripartite tra le diverse priorità politiche e il costo di funzionamento per ciascuna DG (colonna 5 “Amministrazione”). La conciliazione tra i dati di budget della Commissione e quelli dell’Unione europea avviene nella riga “Altre istituzioni (escluse le pensioni)” del PPB della Commissione in cui viene riportato il costo del funzionamento delle altre istituzioni comunitarie, quali: Parlamento europeo, Consiglio dei ministri, Corte di giustizia, Corte dei conti, Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni, Mediatore europeo, Garante della protezione dei dati. La Commissione europea è l’unica, tra le istituzioni dell’Unione, ad aver adottato la classificazione per funzione (o destinazione) secondo la logica ABB per la redazione del budget e del bilancio consuntivo; le altre istituzioni continuano a mantenere una classificazione delle spese per origine (o natura). Di conseguenza, con l’espressione “bilancio della Commissione 12 La ricchezza spendibile prodotta è data dalla differenza tra le risorse finanziarie assegnate e quelle consumate dalla Commissione europea per lo svolgimento delle politiche comunitarie (riassunte nella colonna 5 – Amministrazione); costituisce, cioè, l’ammontare di risorse finanziarie erogate per ciascuna priorità politica. Azienda Pubblica 2.2009 342 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea europea” si fa riferimento a tutti quei valori generati dalla sola Commissione per lo svolgimento delle attività di gestione e che vengono classificati secondo la logica ABB; mentre con l’espressione “bilancio delle Comunità europee” si fa riferimento ai valori generati dal funzionamento di tutte le istituzioni comunitarie. Tabella 1 – Progetto preliminare di bilancio (PPB) 2008 per settore e per rubrica del quadro finanziario 343 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea 4. Operazioni La “fabbricazione” in senso stretto di un determinato risultato si realizza attraverso il sistema delle operazioni che costituiscono l’insieme delle attività, progettate e organizzate in fase decisionale, che vengono materialmente svolte dalla Commissione europea per l’attuazione delle politiche comunitarie. In alcuni casi, le operazioni di gestione vengono svolte interamente dalla Commissione europea; si parla quindi di gestione centralizzata diretta delle azioni comunitarie. Viceversa, nella maggior parte delle ipotesi, le azioni comunitarie vengono attuate grazie all’intervento di agenzie esecutive, (13) agenzie tradizionali, (14) e agenzie nazionali, configurandosi una gestione centralizzata indiretta; o ancora attraverso una gestione concorrente (con gli Stati membri), decentralizzata (con Paesi terzi) o congiunta (con organizzazioni internazionali) (figura 4). Figura 4 – Modalità di gestione delle operazioni della Commissione europea 13 Sono organizzazioni istituite per svolgere determinati compiti relativi alla gestione di uno o più programmi comunitari. Hanno una durata determinata e devono essere ubicate nella sede della Commissione europea (Bruxelles o Lussemburgo). 14 Sono organismi di diritto pubblico europeo, distinte dalle istituzioni comunitarie e dotate di personalità giuridica. Sono istituite con atto di diritto derivato (atti poste in essere dalle istituzioni comunitarie per la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal Trattato) e svolgono compiti molto specifici di natura tecnica o scientifica, ovvero di gestione nell’ambito del “primo pilastro” dell’Unione europea (costituito dal meccanismo comunitario, ossia dai Trattati istitutivi delle Comunità europee). Azienda Pubblica 2.2009 344 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea La gestione concorrente costituisce la principale modalità di intervento della Commissione europea a supporto degli Stati membri e avviene attraverso l’erogazione di risorse finanziarie sotto forma di sovvenzioni, appalti pubblici, fondi strutturali e programmi per giovani. Nella gestione concorrente, la Commissione europea, una volta erogate le risorse finanziarie, ha il compito di controllare il corretto impiego dei fondi da parte degli Stati membri beneficiari. 5. Il sistema delle misurazioni Ex post, i processi vengono esaminati per le azioni di verifica dei risultati e pertanto vengono inclusi nell’attività di controllo, necessaria per individuare e analizzare eventuali cause di scostamento e per reimpostare l’attività futura. Seguendo questa logica, il sistema delle misurazioni (composto dal sistema contabile e dal sistema informativo) assume un ruolo fondamentale in quanto idoneo a fornire informazioni quantitative sui risultati ottenuti (Anthony et al., 2001). Il controllo sulle risorse finanziarie, che consente di ottenere informazioni sulla ricchezza spendibile e sul tasso di esecuzione del bilancio, (15) avviene a livello di singole Direzioni generali responsabili delle risorse consumate e dei risultati raggiunti misurabili in termini di flussi di risorse finanziarie erogate; mentre il controllo sugli indicatori dei progressi e degli obiettivi avviene sulla base dei dati provenienti dagli Stati membri beneficiari degli aiuti comunitari. Nell’ambito di questo paragrafo viene analizzato il sistema contabile della Commissione europea, ponendo particolare attenzione al tipo di informazione prodotta, e al modo in cui l’informazione viene gestita secondo una logica di integrazione. Il nuovo sistema contabile della Commissione europea Il nuovo sistema contabile della Commissione europea si compone della (Reg. n. 2342/2002, artt. 209-219): • Contabilità di bilancio, il cui fine è quello di determinare, per ciascun periodo, il risultato di amministrazione e il fondo cassa. Corrisponde alla contabilità pubblica già utilizzata in precedenza; rileva i fatti di gestione secondo il criterio di competenza giuridica e utilizza il metodo della partita semplice (Pessina, 2000; Gabrovec Mei, 1995). La tenuta della contabilità di bilancio è determinata dall’esigenza di ottenere informazioni sui flussi finanziari (CNDC, 2003: pp. 45-68; Ipsas 2) e sull’ammontare di denaro di cui la Commissione dispone in un dato momento e che dovrà essere ripartito tra le priorità politiche stabilite in fase di pianificazione attraverso l’utilizzo della metodologia ABM (cfr. figura 3). 15 Il tasso di esecuzione del bilancio indica il grado di attuazione delle politiche comunitarie in termini di risorse finanziarie erogate. 345 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea • Contabilità generale (o economico-patrimoniale), che utilizza il metodo della partita doppia per la rilevazione dei fatti di gestione e il cui fine è quello della determinazione del reddito d’esercizio e del patrimonio di funzionamento. Sotto un profilo informativo, il risultato d’esercizio per un’azienda pubblica costituisce un indicatore essenziale per valutare la sua capacità di mantenere l’equilibrio tra risorse appropriate e risorse spese; più precisamente, per la Commissione europea un reddito d’esercizio positivo esprime l’attitudine della collettività di riferimento di coprire, con proprie risorse, l’onere derivante del soddisfacimento di un dato livello di bisogni in un periodo di tempo determinato mentre, se negativo, segnala la presenza di costi superiori ai ricavi probabilmente a causa di una gestione poco razionale delle risorse scarse o del soddisfacimento di un livello di bisogni superiore a quello consentito. In entrambi i casi, un livello di costi superiore ai ricavi genera un onere a carico delle future generazioni chiamate a reintegrare le risorse consumate in precedenza. Lo stato patrimoniale (Amodeo, 1994), invece, fornisce informazioni inerenti la consistenza e la composizione degli elementi attivi e passivi di cui la Commissione europea dispone in un dato momento per lo svolgimento delle attività di gestione; tali elementi compongono il patrimonio di funzionamento, dato dall’ “accumulo di ricchezza generato dalle scelte del passato” (Borgonovi, 2004, p. 110), e costituente “una fonte specifica da cui trarre le utilità che variamente compattate o assemblate consentono di predisporre i beni e i servizi atti al soddisfacimento dei vecchi e dei nuovi bisogni” (Catturi, 1994, p. 2). Pertanto, le decisioni relative alle modalità di utilizzo e di coordinamento delle risorse disponibili producono effetti sia sul modo in cui la Commissione europea interviene, in un dato momento, per la soddisfazione dei bisogni avvertiti dalla collettività di riferimento, ma anche sulla ricchezza trasferita alle generazioni future. (16) Così come progettato, il sistema contabile della Commissione europea viene definito un “sistema duplice” in quanto l’applicazione del principio della contabilità per competenza riguarda solo ed esclusivamente la contabilità generale, mentre l’esecuzione del bilancio resta soggetta al principio della competenza giuridica. Al termine di ciascun esercizio, in linea con quanto stabilito dai principi contabili internazionali per il settore pubblico – Ipsas 1, vengono redatti i seguenti prospetti: 16 L’analisi dello Stato patrimoniale della Commissione europea, redatto al termine dell’esercizio 2006, evidenzia l’esistenza di un attivo netto che potrà essere o finanziato nel breve termine attingendo alle risorse di bilancio già approvate, oppure a lungo termine dagli Stati membri. In entrambi i casi i cittadini europei dovranno sopportare un sacrificio maggiore rispetto ai benefici ottenuti in termini di minori bisogni soddisfatti o anche di maggiori risorse finanziarie da corrispondere all’Unione europea. Per approfondimenti, cfr. GAZZETTA UFFICIALE DELL’UNIONE EUROPEA, 2007/C 274. Azienda Pubblica 2.2009 346 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea a) Stato patrimoniale; b) Conto economico; c) Prospetto di variazione delle poste di attivo netto/patrimonio netto; d) Rendiconto finanziario; e) Principi contabili e note al bilancio; che evidenziano la situazione patrimoniale, finanziaria e l’andamento economico delle Comunità europee e sono strumentali a “fornire informazioni utili per prendere decisioni ed evidenziare la responsabilità dell’entità economica per le risorse a essa affidate” (Ipsas 1: § 13). Il sistema ABAC L’acronimo ABAC, deriva dalle iniziali di Accrual Based Accounting, e indica il sistema informatico introdotto dalla Commissione europea nel 2005 per la rilevazione e il trattamento dei fatti di gestione secondo il principio della competenza economica (accrual). Inteso quale componente del sistema centrale di controllo della Commissione europea, ABAC rappresenta lo strumento che consente ai Commissari, ai Direttori generali e ai Dirigenti operativi, chiamati a decidere in merito agli obiettivi da raggiungere, alle risorse da impiegare, e alle attività da svolgere, di ottenere informazioni chiare, aggiornate e affidabili sulla situazione patrimoniale e finanziaria delle Comunità europee in un determinato istante e sul risultato economico. Il sistema ABAC funziona grazie all’esistenza di un unico database capace di elaborare i dati e le informazioni di gestione interna e necessarie al processo decisionale; l’esistenza di più moduli collegati al database Figura 5 – Architettura informatica ABAC 347 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea centrale, favorisce sia il coordinamento tra fasi operative tra loro separate e strumentali allo svolgimento di un intero processo, sia il controllo del flusso di informazioni tra le Direzioni generali. La natura modulare del sistema ABAC è illustrata nella figura 5 in cui risulta evidente come le informazioni provenienti dalle Direzioni generali ed elaborate da ciascun modulo, confluiscono nel sistema contabile (Sap) della Commissione europea ove vengono contabilizzate. L’attività di rendicontazione viene svolta per mezzo del datawarehouse, mentre la gestione dei pagamenti e la raccolta delle entrate viene effettuata attraverso la rete SWIFT (acronimo di: Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) (figura 5). Analizzando il contenuto delle informazioni elaborate dai singoli moduli, si può dedurre che il sistema ABAC prevede: a) alcune funzionalità tipiche della contabilità finanziaria (come, ad esempio, la possibilità di rilevare i fatti di gestione nella fase dell’impegno o dell’accertamento, ossia in momenti antecedenti al sorgere del debito o del credito rilevati dalla contabilità per competenza); b) una banca dati con le informazioni relative alle richieste provenienti da organismi pubblici o privati e dalle persone fisiche (Legal Entities – LE; Bank Account – BA) con le quali la Commissione europea instaura rapporti che danno luogo a variazioni nei valori economici e patrimoniali; c) il trattamento dell’aspetto numerario dei fatti di gestione (gestione fatture e autorizzazione pagamenti); d) la gestione delle garanzie prestate e/o ottenute dalla Commissione europea. Si tratta di conti i cui valori non rientrano nella redazione del bilancio delle Comunità europee; e) la gestione dei contratti; ossia una banca dati che raccoglie “tutti gli accordi finanziari e i contratti conclusi dalla Commissione. (…) La banca dati contiene tutte le informazioni relative all’oggetto del contratto, al contraente, ai beneficiari (compresi i principali beneficiari indiretti) e all’attuazione” (Commissione delle Comunità Europee, 2000, parte II, cap. V, azione 74); non è obbligatorio l’inserimento di dati e informazioni relative a contratti di valore inferiore a 1.050 euro; f) la gestione delle immobilizzazioni materiali e immateriali e la rilevazione di ogni loro eventuale variazione (acquisto, ritiro dall’uso, rivalutazione, svalutazione, ecc.). La rilevazione dell’aspetto derivato dei fatti di gestione avviene nel sistema contabile (SAP) della Commissione europea, costituito da due blocchi principali, che sono: FI (Financial accounting) e FM (Fund Management). In pratica, i dati provenienti dal sistema ABAC confluiscono nel modulo di contabilità finanziaria (FI) dove trovano una loro contropartita attraverso il General Ledger, supportato da una serie di sottoconti e aggiornati per Azienda Pubblica 2.2009 348 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea mezzo di interfacce automatiche e di codici – oggetto; (17) il Fund Management, invece, contiene informazioni di budget e consuntive in quanto costituito dall’insieme dei conti che mostrano la situazione patrimoniale (e le relative variazioni finanziarie) della Commissione in un periodo di tempo determinato. Il modulo CO (Controlling) consente il controllo di gestione interno (alla Commissione europea e alle singole Direzioni generali) al fine del coordinamento dei processi e alla misurazione delle risorse impiegate e dei risultati conseguiti; il modulo AM (Asset Management) contiene informazioni sulle immobilizzazioni (materiali e immateriali) possedute (di proprietà o con contratto di leasing) dalla Commissione europea. Qualsiasi variazione di AM, costituisce oggetto di aggiornamento automatico e in tempo reale del General Ledger; infine, il modulo PS contiene dati e informazioni non contabili utili per la gestione delle attività e delle politiche comunitarie (figura 6). Un’architettura informatica così strutturata consente di gestire l’informazione secondo una logica integrata; ciò vuol dire amministrare una serie di messaggi in maniera sistemica, tenendo cioè presente che “il tutto è maggiore della somma delle parti” (Aristotele). L’output del processo di elaborazione dei dati si concretizza in una serie di informazioni idonee a fornire al riFigura 6 – Il sistema contabile Sap adottato dalla Commissione europea 17 Il termine “codice – oggetto” indica la numerazione (codice) attribuita ai dati provenienti dal sistema ABAC e che trovano una loro contropartita nel momento in cui vengono inseriti nel “General Ledger”. In altre parole, il codice-oggetto consente di collegare la contabilità di bilancio con la contabilità generale. 349 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea cevente una visione unitaria ed esaustiva del fenomeno trattato e a ridurre l’incertezza nell’ambito del processo decisionale (Zanda, 2006). In altre parole, per la Commissione europea l’integrazione avviene per mezzo di un sistema Erp basato sull’esistenza di un unico database e sulla gestione delle attività secondo una logica per processi. La presenza di un unico database favorisce la diminuzione dell’asimmetria informativa tra gli operatori del sistema che possono accedere alle informazioni disponibili in tempo reale; mentre l’adozione della logica per processi, supportata dall’introduzione di un sistema Erp, implica che l’informazione generata dai fatti di gestione viene dapprima inserita in un contesto i cui contorni sono stati già definiti in fase di pianificazione attraverso l’utilizzo delle metodologie MBO, ABM e ABB, per poi essere classificata secondo criteri idonei al controllo delle risorse impiegate, alla valutazione delle performance ottenute e all’attivazione di meccanismi di punizione-ricompensa; naturalmente l’accrescimento complessivo di valore generato dalla gestione sistemica delle funzioni che compongono il sistema di controllo della Commissione avviene nel momento in cui esiste coerenza tra obiettivi stabiliti, attività svolte e criteri di valutazione adottati. La figura 7 illustra come avviene il collegamento, per le operazioni che danno origine ad un’uscita di denaro, tra le informazioni di gestione e quelle di budget all’interno della Commissione europea e precisamente: 1) si definisce il motivo per il quale il fatto di gestione viene rilevato nel sistema informativo della Commissione (18) (Document Type); 2) si specifica chi sta spendendo e controllando i fondi erogati e il modo in cui le risorse stanziate nel budget della Commissione europea vengono utilizzate (19) (Budget Management Type); 3) si applica un criterio economico (per che cosa si effettua la spesa) per l’individuazione del tipo di conto da utilizzare (20) (GL Type); 4) in ultimo si individua la controparte (legal entity) a sua volta inserita in uno specifico gruppo di conti a seconda delle caratteristiche possedute (21) (Chart of Accounts). In questa fase, l’utilizzo del codice-oggetto è indi18 Rilevazione di una fattura, di una nota spese o di un anticipo. Corrisponde a: invoices vendors e receipts di Sap (figura 6). 19 I fondi possono essere gestiti, direttamente (Central Direct) o indirettamente (Central Indirect), dalla Commissione Europea; dagli Stati membri (Shared); da Paesi Terzi (Decentralised) o, ancora, da organizzazioni internazionali (Joint). Le spese generate dal lavoro della Commissione (Central Direct e Central Indirect) vengono ulteriormente ripartite in OPS (operating costs) e ADM (administrative expenses). Le spese relative all’amministrazione (ADM) sorgono a seguito dello svolgimento di attività di gestione vera e propria della Commissione, non sono cioè legate a specifici progetti. I dati di budget sono contenuti nel blocco FM di Sap (figura 6). 20 Contenuto nel General Ledger (figura 6). 21 Ad esempio, la categoria degli organismi pubblici comprende i conti accesi alle istituzioni, alle altre entità della Commissione europea, agli Stati membri, alle Organizzazioni internazionali, ecc; la categoria degli organismi privati comprende i conti accesi alle organizzazioni che operano per il profitto; la categoria delle persone private comprende tutti i conti accesi alle persone fisiche, e così via. L’insieme di conti accesi ai soggetti creditori o debitori delle Comunità europee è contenuto in Sap FI (figura 6). Azienda Pubblica 2.2009 350 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea spensabile per collegare i conti della contabilità finanziaria (Chart of Accounts) con quelli della contabilità economico-patrimoniale (GL Type), con i valori di budget (Budget Management Type) e con il tipo di documento che ha originato la rilevazione del fatto di gestione (Document Type) (figura 7). Figura 7 – I quattro livelli nel trattamento dell’informazione della Commissione europea Figura 8 – ABAC Invoices 351 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea Per l’utilizzatore finale, il trattamento dell’informazione secondo una logica integrata produce un output costituito da un insieme di dati e informazioni, riassunti in un’unica schermata, e utili sia ai fini del controllo delle risorse impiegate e dei processi effettuati, sia ai fini della responsabilizzazione delle persone nell’utilizzo efficiente delle risorse comunitarie. A titolo di esempio, si riporta la schermata visibile dall’utente del sistema nel momento in cui viene rilevata una fattura per l’acquisto di beni e/o servizi e addebitato il relativo costo a colui il quale utilizza le risorse acquistate (figura 8). Per le operazioni che danno origine ad un’entrata di denaro, viene utilizzata la stessa metodologia di trattamento dell’informazione contabile illustrata in figura 8. 6. Contributi del nuovo sistema contabile al miglioramento della conoscenza e dei processi decisionali interni alla Commissione I risultati scaturenti dall’analisi dei dati inerenti gli effetti che l’adozione del sistema ABAC, supportato da un sistema integrato Erp, ha avuto sul conseguimento del grado di efficienza all’interno della Commissione europea, sono pienamente soddisfacenti. Tali risultati positivi riguardano la regolarità delle entrate percepite e dei pagamenti effettuati dalle casse dell’Unione europea (G.U.U.E, 2006: pp. 12-16; G.U.U.E. 2007/C 273: pp. 8-11) e il tasso di esecuzione del bilancio che nel 2006 ha raggiunto il 99,3%. Nello stesso esercizio, una gestione razionale delle risorse scarse ha consentito di potenziare i fondi per la competitività, aumentati del 19% rispetto al 2005, e di erogare fondi, a beneficio degli Stati membri, del 91% della spesa complessiva dell’Unione europea. (22) Nel 2007, invece, per la sola politica di coesione è stato raggiunto un valore record, in quanto sono stati erogati fondi per più di 41 miliardi di euro, rispetto ai 33 miliardi di euro del 2006. (23) Dal lato delle entrate, invece, le risorse proprie di cui l’Unione europea dispone per lo svolgimento delle politiche e delle azioni comunitarie ammontano, per il 2006, allo 0,93% del Reddito nazionale lordo dell’Unione europea (a fronte dello 0,97% del 2005), (24) mentre per il 2008 il fabbisogno stimato di risorse proprie è pari allo 0,95% del RNL. L’analisi dei dati menzionati (ammontare di risorse proprie dell’Unione, tasso di esecuzione del bilancio e ammontare di ricchezza spendibile erogata agli Stati membri), richiama l’attenzione sull’importanza che ha, per la Commissione europea, l’informazione contabile per il perseguimento 22 Dichiarazione del Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, Dalia Grybauskaité, pubblicata nell’articolo del 24 settembre 2007, scaricabile dal sito internet dell’Unione europea all’indirizzo: http://ec.europa.eu/italia/news/11537ef2b6f.html. 23 Dichiarazione del Commissario responsabile della politica regionale, Danuta Hubner, pubblicata nell’articolo del 12 febbraio 2008, scaricabile dal sito internet dell’Unione europea all’indirizzo: http://ec.europa.eu/regional_policy/index_it.htm. 24 Articolo del 24 settembre 2007, cit. Azienda Pubblica 2.2009 352 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea degli obiettivi organizzativi. Più precisamente, stabilito che gli obiettivi della Commissione europea vengono attuati attraverso lo svolgimento di politiche comunitarie che si concretizzano prevalentemente nell’erogazione di fondi agli Stati membri, il ruolo dell’informazione contabile è quello di dimostrare, in termini monetari, l’ammontare delle risorse disponibili, il costo per il funzionamento delle istituzioni dell’Unione e la quota di ricchezza spendibile da erogare (o erogata) agli Stati membri. Il grado di efficienza raggiunto viene così valutato in relazione al costo di funzionamento dell’Unione europea (25) e alla quota di ricchezza spendibile; un utilizzo razionale delle risorse scarse favorisce il miglioramento del livello di efficienza raggiunta in termini di diminuzione del costo di funzionamento dell’Unione e di aumento della ricchezza spendibile. Naturalmente, il raggiungimento di un elevato livello di efficienza è strettamente dipendente dal tasso di esecuzione di bilancio che misura quanta parte delle risorse stanziate sono state effettivamente erogate. A tal fine, risulta evidente che la funzione della misurazione non può prescindere dalla funzione della pianificazione; inoltre l’adozione dei medesimi criteri di classificazione delle informazioni contabili, per il budget e per il consuntivo, risulta essere di estrema importanza. Del resto, la redazione del progetto preliminare di bilancio (PPB) della Commissione europea attraverso l’utilizzo dell’ABB, che consente di classificare l’informazione contabile secondo un criterio funzionale, è la risultante di un processo di “negoziazione” dei fini e degli scopi da raggiungere, delle attività da svolgere e delle risorse da impiegare, tra coloro i quali partecipano al processo di creazione di valore comunitario e che adotteranno comportamenti funzionali agli obiettivi da raggiungere, nel momento in cui percepiscono come realistici (e non impossibili o iniqui) i fini e gli scopi stabiliti e i criteri adottati per la valutazione delle performance. È questo lo scopo del sistema di controllo organizzativo della Commissione europea. Seguendo questa logica, la rilevazione in fase di misurazione di eventuali scostamenti tra i valori di budget e quelli effettivamente realizzati può dipendere in larga parte da eventi non prevedibili a priori o comunque non legati ad un utilizzo poco razionale delle risorse disponibili. Ciò è tanto più vero nel momento in cui si considera il livello di dettaglio dell’informazione fornita dal sistema ABAC in cui, oltre alla classificazione funzionale dei dati contabili, viene indicato, per ciascuna spesa, il responsabile del consumo delle risorse al quale verrà addebitato il relativo costo (figura 8 – sezione DG). In questo modo, la determinazione del livello di efficienza raggiunto da ciascuna Direzione generale, unità o persona, costituisce informazione preziosa per l’attivazione di meccanismi di valutazione e ricompensa della risorsa umana; 25 Il costo di funzionamento è dato dalla somma tra il costo di funzionamento della Commissione europea e quello delle altre istituzioni comunitarie iscritto in bilancio nella voce “Amministrazione”. Ai fini del presente studio, il costo di funzionamento delle altre istituzioni comunitarie viene considerato un costo indiretto in quanto non strettamente connesso con l’attività svolta dalla Commissione europea. 353 Azienda Pubblica 2.2009 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea tali meccanismi sono a loro volta strumentali ad aumentare la probabilità che ci sia, quanto più possibile, coincidenza tra gli obiettivi organizzativi e gli obiettivi delle persone che partecipano al processo di creazione di valore comunitario. Si può così concludere che per la Commissione europea l’adozione, dal 2005 in poi, del sistema ABAC supportato da un sistema integrato Erp, rappresenta lo strumento che concorre al miglioramento del grado di efficienza interna, senza peraltro costituire la soluzione al problema dell’utilizzo razionale delle risorse scarse: si è consapevoli del fatto che il raggiungimento degli obiettivi organizzativi non dipende esclusivamente dal sistema delle misurazioni contabili ma deriva dall’adozione di una cultura del risultato che interessa principalmente le persone coinvolte nel processo di creazione di valore e, di conseguenza, le modalità di gestione dei processi, delle attività e delle risorse comunitarie. 7. Conclusioni I dati forniti dai Commissari europei e dalla Corte dei conti, relativi agli effetti generati dal nuovo sistema contabile della Commissione, risultano essere positivi in quanto evidenziano il raggiungimento di un elevato livello di efficienza che, soprattutto nel 2006, si è tradotto in un incremento nell’ammontare dei fondi erogati agli Stati membri a fronte di un livello di entrate inferiore a quello del 2005. (26) Tuttavia, si ritiene che tali dati non sono sufficienti per dimostrare, secondo un approccio induttivo, l’adeguatezza del nuovo sistema contabile della Commissione europea al perseguimento dei fini organizzativi; i motivi sono diversi. In primis, essendo stato il 2005 il primo anno in cui alla contabilità finanziaria già in uso è stata affiancata la contabilità economico-patrimoniale, i dati relativi al miglioramento del livello di efficienza raggiunto riguardano, prevalentemente, il confronto tra l’esercizio 2005 e 2006 (solo pochi dati relativi all’esercizio 2007 sono disponibili); ulteriori analisi sugli effetti che l’informazione prodotta dal nuovo sistema contabile può eventualmente avere sul perseguimento dei fini organizzativi potranno essere svolte nel momento in cui si disporranno di dati relativi a più esercizi consecutivi. Del resto, secondo la dottrina, “non mancano criticità ed elementi di dibattito, anche perché finora l’introduzione della contabilità economico-patrimoniale sembra aver prodotto scarsi miglioramenti nella qualità dell’informativa fornita ai dirigenti e agli altri destinatari, quindi nelle decisioni e operazioni aziendali” (Borgonovi, 2004, p. 279); in un’ottica sistemica, invece, l’utilizzo della contabilità economico-patrimoniale risulta estremamente utile in quanto funge da collegamento tra la contabilità finanziaria e la contabilità analitica. In secondo luogo, l’adozione di un sistema di contabilità economico26 Le entrate del 2006 dell’Unione europea ammontano allo 0,93% del RNL, mentre le entrate del 2005 risultano essere pari allo 0,97% del RNL. Azienda Pubblica 2.2009 354 Esperienze innovative La contabilità della Commissione europea patrimoniale interessa la funzione della misurazione che, come è stato ampiamente dimostrato nel presente lavoro, non può prescindere dalla funzione della pianificazione, ai fini della valutazione dell’adeguatezza dei risultati raggiunti e delle risorse impiegate all’interno della Commissione europea. Più precisamente, dato che l’adozione del Libro bianco sulla riforma ha comportato un reengineering dei processi e delle attività interne alla Commissione, si può ragionevolmente presumere che il raggiungimento, dal 2005 in poi, di elevati livelli di efficienza può derivare dall’interazione tra le varie funzioni aziendali, e in particolare dallo stretto legame tra la pianificazione (che utilizza la metodologia dell’MBO, ABM e ABB) e la misurazione (in cui le informazioni contabili vengono classificate secondo il criterio funzionale utilizzato anche per il budget). Inoltre, l’utilizzo di un sistema integrato Erp agevola la tenuta di una contabilità analitica a livello di singole Direzioni generali e unità organizzative favorendo la misurazione dei risultati raggiunti e delle risorse impiegate; tali informazioni costituiscono la materia prima per l’attivazione di feedback correttivi, utili per eliminare eventuali scostamenti verificatisi, e feedback valutativi, che alimentano il sistema di valutazione e ricompensa della risorsa umana, il cui contributo è essenziale per il raggiungimento dei fini e degli scopi che la Commissione europea si propone. Riferimenti Bibliografici AMODEO D. (1994), Ragioneria generale delle imprese, Napoli: Giannini Editore. ANTHONY R.N., HAWKINS D.F., MACRÌ D.M., MERCHANT K.A. (2001), Sistemi di controllo. Analisi economiche per le decisioni aziendali, Milano: McGraw-Hill. ARCHIBALD V. (1994), Accruals accounting in the public sector, Harlow Essex: Longman. BOCCHINO U. 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L’analisi si sviluppa a partire da un database di pubblicazioni estratte dal Social Science Citation Index nel periodo temporale 1990-2007. L’analisi delle citazioni e delle co-citazioni consente: (i) di definire gli autori e i lavori maggiormente citati nel panorama delle PPP; (ii) di individuare i cluster che costituiscono l’attuale struttura intellettuale del filone di analisi; (ii) di determinare le relazioni e i legami concettuali tra i diversi cluster, evidenziando gli autori maggiormente influenti; (iv) di visualizzare graficamente tramite una mappa bidimensionale le “distanze concettuali” tra singoli autori/cluster del filone di ricerca sulle PPP. This paper investigates the intellectual structure of Public Private Partnerships (PPPs) field through bibliometric analysis. By using authors as units of analysis and incorporating all the citations that are included in the Social Science Citation Index, the intellectual roots of the PPPs research during the period 1990–2007 are drawn. The use of a co-citation analysis enabled to (1) delineate the subfields that constitute the intellectual structure of the field; (2) determine the relationships between the subfields; (3) identify authors who play a pivotal role in bridging two or more conceptual domains of research; and (4) graphically map the intellectual structure in a bidimensional space in order to visualize spatial distances between intellectual themes. Sebbene l’articolo sia frutto di un comune lavoro di riflessione e ricerca, sono da attribuirsi a Giulia Cappellaro il § 3, a Corrado Cuccurullo i §§ 2 e 5 e a Marta Marsilio i §§ 1 e 4. Parole chiave: public private partnership – analisi bibliometrica – citazioni e co-cocitazioni Key words: public private partnership – bibliometric analysis – citation and co-citation analysis 357 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca 1. Introduzione La tensione a un progressivo contenimento della spesa pubblica a livello locale e nazionale (determinata dai vincoli all’indebitamento, dai vincoli alla crescita della spesa corrente, dai vincoli di bilancio e dalle disposizioni delle recenti leggi finanziarie) sta spingendo molti enti a ricorrere a fonti e strumenti di finanziamento, gestione e fornitura di servizi pubblici alternativi a quelli che tradizionalmente hanno caratterizzato il settore pubblico (trasferimenti dal governo centrale e indebitamento), sperimentando soluzioni che coinvolgono operatori privati nel reperimento delle risorse necessarie per la realizzazione delle opere e del know-how specifico per la gestione delle stesse, secondo la logica di public private partnership (PPP). (1) Le PPP si sono progressivamente diffuse negli ultimi due decenni, tanto a livello internazionale (2) che nazionale. (3) Il modello delle PPP è stato sperimentato in molti contesti, con diversi gradi di successo, con l’obiettivo di raggiungere adeguati livelli nell’erogazione dei servizi pubblici in condizioni di risorse limitate. A tal fine si sono utilizzate PPP a varia configurazione istituzionale e organizzativa, con una gamma riconducibile a forme che spaziano dall’erogazione diretta della prestazione da parte di un’amministrazione pubblica a forme più o meno estese di esternalizzazione, fino alla parziale o totale privatizzazione di una funzione, con il ruolo di erogatore assunto dal soggetto privato e con il mantenimento in capo al soggetto pubblico della responsabilità di definire e regolare adeguati standard e livelli quali-quantitativi di servizio (Panozzo, 2000; Mele, 2003). Le PPP costituiscono di conseguenza anche una forma di apertura dei settori in cui i servizi erano tradizionalmente erogati attraverso l’intervento pubblico diretto alla partecipazione di operatori privati mediante schemi di accordi e impegni reciproci (conventional relationship), in cui i soggetti privati assumono responsabilità e funzioni diverse in relazione alla programmazione dell’offerta, alla gestione dei servizi e al finanziamento della spesa. L’utilizzo del termine partnership richiama, inoltre, uno spirito di collaborazione, integrazione e condivisione del rischio che dovrebbe caratterizzare questo tipo di operazioni. (4) 1 In generale, è possibile definire una partnership come una relazione di collaborazione fondata sulla convergenza di interessi e finalizzata al conseguimento di congiunti obiettivi economici e non economici, da cui i singoli soggetti partecipanti traggono indirettamente vantaggi individuali. Il presupposto per il successo di tali relazioni è un significativo coinvolgimento dei partner che si concretizza con l’apporto e lo scambio di (ZUFFADA, 2000): risorse umane; competenze distintive; risorse finanziarie e tecnologiche; capacità manageriali ed imprenditoriali. 2 Tra i primi Paesi a utilizzare forme di PPP si ricordano la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda e l’Australia nei settori del trasporto pubblico, della sanità e dell’educazione. 3 L’Osservatorio InfoPieffe pubblica rapporti periodici sull’andamento del settore del Partenariato Pubblico e Privato, con particolare focus sul Project Finance. Per maggiori dettagli si rimanda al sito internet: http://www.infopieffe.it/. 4 Per un approfondimento sul tema dei limiti del modello dicotomico di contrapposizione tra pubblico e privato per la comprensione dei fenomeni reali all’interno degli attuali sistemi socio-economici e sulla necessità di adottare un approccio interpretativo basato sul modello di competizione collaborativa si vedano: (FOX, 1982; BORGONOVI, 1991; BORGONOVI, 1996; DAS, TENG, 1998). Azienda Pubblica 2.2009 358 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Tale fenomeno ha suscitato un crescente interesse della comunità scientifica nazionale e internazionale. Ad oggi, sul tema è disponibile una copiosa letteratura, composta da approcci diversi e collocabile in vari ambiti disciplinari. In particolare, in Italia, i processi di riforma e aziendalizzazione del settore pubblico, attuati a partire dagli anni ‘90, hanno costituito lo stimolo al diffondersi dell’interesse per il tema da parte degli studiosi di discipline economico-aziendali (Rebora, Meneguzzo, 1990; Cafferata, 1993; Rondo Brovetto, 1996; Zuffada, 2000; Borgonovi, Marsilio et al., 2006), che, per esigenze di inquadramento, hanno prevalentemente collocato le PPP nell’ambito dei network interaziendali nel settore pubblico (5) (Meneguzzo, 1996; Borgonovi, 2000; Meneguzzo, 2000; Lega, 2001; Lega, 2002; Cuccurullo, 2005; Longo, 2005). La multidisciplinarietà degli studi costituisce un’indubbia ricchezza, offrendo una disponibilità di chiavi interpretative diversificate e complementari per una realtà tanto complessa e variegata. Tuttavia, a distanza di ormai due decenni dalle prime sperimentazioni e pubblicazioni, la mancanza di una sintesi e di una sistematica revisione della letteratura fin ad ora prodotta deve considerarsi un limite per lo sviluppo scientifico del tema. Rispetto a quanto pratica e ricerca hanno prodotto fino ad oggi, paiono emergere due esigenze ineludibili (Hodge, Greve, 2007). La prima è una rassegna critica delle esperienze finora condotte perché le PPP possano svilupparsi in modo meno estemporaneo e più consapevole, anche alla luce di un maggior orientamento delle aziende pubbliche a collaborazioni di più lungo periodo e maggiormente strutturate con imprese private. La seconda consiste nel costruire una base concettuale comune, anche per poter progredire negli studi rispetto ad una realtà in continuo divenire. In questo scenario, scopo del presente contributo è valutare lo stato dell’arte della ricerca sulle PPP, in modo da fornire un quadro di riferimento, indicando punti di forza e limiti e offrendo spunti per una sua evoluzione; si propone inoltre una riflessione circa il grado di maturità della ricerca su un tema relativamente recente come quello delle PPP, evidenziando i prevalenti approcci interpretativi, i loro aspetti comuni e le principali divergenze. Dopo aver illustrato il metodo utilizzato per l’analisi bibliometrica, l’articolo presenta e discute i principali risultati, concludendo con alcune riflessioni al fine di offrire spunti futuri di ricerca all’analisi in senso manageriale delle PPP. 5 I network interaziendali sono definiti come forme organizzative e strumenti strategici finalizzati all’acquisizione di vantaggi competitivi, di economie di scala e di scopo, all’accesso all’innovazione tecnologica, alla condivisione di rischi tra partner e, specificatamente in ambito pubblico, a conseguire obiettivi di innovazione gestionale, produttiva, organizzativa e finanziaria (CUCCURULLO, 2005). 359 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca 2. Metodologia Le analisi della letteratura, di frequente, riflettono la personale impressione che i ricercatori traggono dall’esame dei contributi e ciò costituisce, per la soggettività del giudizio, il limite principale delle rassegne critiche tematiche. Per ridurre il grado di variabilità interpretativa nella valutazione dello stato dell’arte della ricerca, si è scelto di adottare una metodologia maggiormente oggettiva che consenta l’analisi dei principali contributi pubblicati in un arco temporale significativo attraverso l’utilizzo di strumenti bibliometrici, che permettono l’impiego di tecniche di statistica descrittiva, fondate sull’analisi delle citazioni e delle co-citazioni, al fine di individuare gli autori e i lavori che hanno maggiormente influenzato lo sviluppo della ricerca (6) e di raggruppare in cluster logici contributi, temi, metodi e prospettive, e, di conseguenza, di comprendere le interrelazioni che si formano all’interno di un’area di studio. (7) L’uso della bibliometria non è nuovo per le discipline economicoaziendali. Vari studi hanno mappato la struttura intellettuale della ricerca sull’organizzazione (Usdiken, Pasadeos, 1995) e sul comportamento organizzativo (Culnan, O’Reailly et al., 1990), sul marketing (Pasadeos, Phelps et al., 1998) e sui consumatori (Hoffman, Holbrook, 1993), sulla gestione della produzione (Pilkington, Liston-Heyes, 1999) e dei sistemi informativi (Culnan, 1987), sul knowledge management (Ponzi, Koenig, 2002), sull’imprenditorialità (Gartner, Davidsson et al., 2006), sul management strategico (Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ) e sull’influenza dei journal (Tahai, Meyer, 1999). A conoscenza di chi scrive, tuttavia, paiono mancare studi basati sull’impiego di tecniche bibliometriche sul tema delle PPP. Il presente lavoro, quindi, copre una lacuna degli studi, applicando la bibliometria con l’obiettivo di integrare i risultati di altri studi che hanno valutato la letteratura specifica con un approccio più qualitativo. Le analisi bibliometriche, in genere, evidenziano l’attività pubblicistica sul tema in esame in termini di impatto e di influenza, come pure i collegamenti e le interazioni tra i diversi ricercatori e i differenti campi di ricerca, consentendo un’approfondita descrizione del contenuto di ricerca e dei suoi sviluppi che aiutano a comprendere la struttura concettuale del tema. Per raggiungere tale scopo, lo studio è suddiviso in due parti (figura 1). La prima fase consiste nel censimento e nell’analisi descrittiva dei contributi identificati e dei loro riferimenti bibliografici allo scopo di identificare i lavori 6 L’analisi delle citazioni si fonda sul presupposto che gli autori citino nei propri lavori documenti che ritengono fondamentali per lo sviluppo della ricerca; per questo l’individuazione degli autori maggiormente citati dovrebbe evidenziare i lavori che hanno maggiormente influenzato lo sviluppo della ricerca su uno specifico tema o disciplina (CULNAN, 1987; TAHAI, MEYER, 1999). 7 L’analisi delle cocitazioni, che evidenzia i contributi citati in più documenti, consente di esaminare le interrelazioni che si formano all’interno di un’area di ricerca (WHITE, GRIFFITH, 1981; MCCAIN, 1990; WHITE, MCCAIN, 1998). Azienda Pubblica 2.2009 360 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Figura 1 – Le fasi dello studio e gli autori più influenti e verificare l’esistenza di una comunità di ricerca dedicata. La seconda è un’analisi delle co-citazioni fondata sugli autori maggiormente citati presenti nel campione allo scopo di identificare le relazioni che intercorrono tra di essi, gli approcci di ricerca, i temi prevalenti. Gli autori che svolgono la propria ricerca su un medesimo tema o ambito disciplinare tendono a citarsi reciprocamente, legittimandosi come fonti conoscitive. I loro lavori, di conseguenza, con elevati gradi di probabilità saranno co-citati da altri autori che indagano su un medesimo tema. Il risultato di questo processo è un’intricata rete di relazioni tra ricercatori che evidenzia i percorsi di creazione e diffusione della conoscenza. L’analisi delle citazioni di prestigiosi autori svela percorsi complessi di associazione che esistono tra di essi, utili a tracciare un quadro completo, statico e dinamico, delle radici concettuali della ricerca sul tema. Le radici sono capaci di esprimere l’influenza di un lavoro, ad esempio un testo oppure un articolo (Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ), di un autore (Nerur, Rasheed et al., 2007), oppure di un journal (Podsakoff, MacKenzie et al., 2005). Considerato lo spirito esplorativo della presente ricerca, l’unità di analisi è rappresentata dagli autori citati perché, trattandosi di un campo tematico relativamente recente e non consolidato, può non esistere ancora un corpus di riferimenti specifici, mentre l’intera opera di un autore citato, caratterizzandosi nel tempo per coerenza tematica, lascia emergere, se non altro, gli approcci e le prospettive di analisi di riferimento. Ciò è anche coerente con la metodologia della ricerca bibliometrica, che utilizzando metodi statistici, tende a preferire l’unità di analisi potenzialmente più ampia, in modo da o aumentare lo spazio di riflessione sulle radici concettuali del tema. 361 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca In questa analisi, dunque, si ritiene che la similarità concettuale tra due autori aumenti la probabilità di regolare co-citazione in altri lavori. L’analisi delle co-citazioni si basa sulla distribuzione delle frequenze delle citazioni bibliografiche delle pubblicazioni censite. In altri termini, si calcolano le frequenze di citazioni di due riferimenti in un medesimo lavoro, come misura di prossimità. Le frequenze sono riportate in una matrice simmetrica in cui la principale diagonale rimane indefinita. L’analisi svolta è stata limitata agli autori maggiormente citati, stabilendo quale frequenza minima, per l’inserimento nell’analisi, un numero di citazioni pari a cinque. La matrice è stata utilizzata per rappresentare graficamente il tessuto di relazioni tra queste co-citazioni, mediante il software di network analysis Pajek. Per mappare la struttura concettuale del tema in modo coerente a quanto avviene in altri studi (McCain, 1990) è stato impiegato l’algoritmo di Fructherman-Ringold (1991). Similmente ad altri algoritmi che possono usarsi per rappresentazioni dei tessuti relazionali, l’algoritmo di FruchtermanRingold consente di rappresentare i lavori percepiti come simili dagli autori graficamente prossimi. In altre parole, i nodi rappresentativi degli autori si respingono o si attraggono come poli elettrici; ciò permette di individuare per adiacenza lavori che costituiscono un medesimo cluster di riferimento. I seguenti due paragrafi riportano i risultati dello studio: l’analisi descrittiva dei riferimenti bibliografici censiti e l’analisi delle co-citazioni. 3. Risultati: l’analisi descrittiva dei riferimenti bibliografici I riferimenti bibliografici oggetto di analisi sono stati estrapolati dal Social Science Citation Index (8) (SSCI). Il campione è stato costruito includendo tutti gli articoli pubblicati dal 1990 al 2007 nelle riviste in lingua inglese, utilizzando come riferimento due keyword (9): • Public-private partnerships (PPP); • Public-private collaboration (PPC). La scelta di utilizzare l’intero database SSCI e due keyword generiche sono coerenti con una finalità esplorativa dello studio. L’arco temporale di 18 anni è stato successivamente suddiviso in tre sub-periodi, ciascuno della durata di 6 anni (1990-1995; 1996-2001; 2002-2007), al fine di evidenziare l’evoluzione nel tempo dei contributi che hanno maggiormente influenzato le ricerche in questo campo. Le pubblicazioni estratte dal SSCI sono complessivamente 325. I contributi in tal modo selezionati sono stati trasferiti in un database bibliografico, che è stato elaborato utilizzando il software bibliometrico Bibexcel. (10) 8 Il Social Science Citation Index (SSCI) è un database che contiene centinaia di migliaia di articoli dei campi disciplinari afferenti alle scienze sociali. 9 Tali parole chiave sono state inserite nel campo “Topic”, che in ISIweb fa riferimento sia al titolo del contributo, che all’abstract. 10 Bibexcel è un software progettato come una “cassetta degli attrezzi” per l’elaborazione Azienda Pubblica 2.2009 362 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Il campione di referenze bibliografiche su cui è stata compiuta l’indagine è formato da 323 pubblicazioni. (11) L’analisi di tale campione di pubblicazioni ha evidenziato un interesse crescente per la tematica delle PPP dal 1990 ad oggi, in particolar modo negli anni a cavallo del nuovo secolo (figura 2). Tale tendenza è da ricondursi al diffondersi e consolidarsi dei processi di modernizzazione della pubblica amministrazione che hanno accompagnato il diffondersi delle esperienze. Oltre la metà dei contributi è stata pubblicata nell’ultimo quinquennio (tabella 1), a dimostrazione di un campo di indagine piuttosto giovane, con una netta prevalenza della caratterizzazione di partnership rispetto al termine più generico di collaboration (figura 3). Figura 2 – Numero pubblicazioni per anno 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 19 90 19 91 19 92 19 93 19 94 19 95 19 96 19 97 19 98 19 99 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05 20 06 20 07 0 Tabella 1 – Prospetto riepilogativo del campione analizzato con Bibexcel Key word 1990-95 1996-01 2002-07 TOTALE Public private partnerships 8% 26 26% 83 57% 185 91% 294 Public private collaboration 2% 6 4% 12 3% 11 9% 29 TOTALE 10% 32 30% 95 60% 196 100% 323 di dati bibliografici. Consente di salvare i risultati ottenuti in file di testo leggibili da altri programmi e di combinare le informazioni derivanti da diversi campi di un record, calcolare le frequenze e le co-citazioni. 11 A seguito dell’importazione dei contributi in Bibexcel, si è proceduto a ripulire il database bibliografico per eliminare alcune incostistenze, come record duplicati o record che, pur facendo riferimento allo stesso articolo, venivano considerati dal software diversamente a causa di codifiche dissimili. L’esistenza di duplicati è giustificata dal fatto che il database finale è stato costruito come sommatoria dei 6 differenti file estratti da Isiweb: 3 per i cluster temporali riferiti alla stringa di ricerca PPP e altrettanti per la stringa PPC. I duplicati sono stati rimossi da una funzione automatica del software. 363 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Figura 3 – Frequenza pubblicazioni per cluster e parole chiave In riferimento alla tipologia di pubblicazione (figura 4), si registra una sostanziale prevalenza di articoli (263, pari all’82% del totale pubblicazioni); marginale è invece l’incidenza di recensioni e materiali editoriali, riviste e altre tipologie minori. Figura 4 – Distribuzione della tipologia di pubblicazione Dall’analisi dei journal sui quali sono stati pubblicati i contributi si deduce come il grado di specializzazione – inteso quale frequenza di pubblicazione di articoli sulla stessa tematica oggetto di analisi – non sia elevato. Oltre il 70% (132) delle riviste ha infatti ospitato esclusivamente un unico contributo sul tema delle collaborazioni pubblico-privato, mentre solamente il 16% un numero pari o superiore a 3 articoli (figura 5). Azienda Pubblica 2.2009 364 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Frequenza riviste Figura 5 – Frequenza delle pubblicazioni per rivista Tabella 2 – Riviste con una frequenza di pubblicazioni almeno pari quattro e relativo IF Journal Frequenza assoluta Impact factor 15 ND 8 0.417 Behavioral healthcare Tomorrow Public money & management International review of administrative sciences 8 0.250 Public administration and development 6 0.581 Habitat international 6 0.389 Research policy 5 1.328 Cities 5 0.732 Journal of the american planning association 5 1.545 Nonprofit and voluntary sector quarterly 5 0.559 Health affairs 5 3.680 Public administration review 5 1.339 Food policy 5 0.942 American behavioral scientist 5 0.466 Local government studies 4 0.556 Public administration 4 1.188 Administration and policy in mental health 4 0.585 Economic development quarterly 4 0.451 Health policy and planning 4 1.750 Transportation quarterly 4 ND 365 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Le (19) riviste con la maggiore frequenza di pubblicazioni (assumendo la soglia di 4 articoli) sono richiamate in tabella 2, con esplicita indicazione del numero di pubblicazioni e relativo impact factor (12) (IF). La rivista che presenta la frequenza più elevata è Behavioral healthcare tomorrow, la quale nell’arco temporale considerato (1990-2007) ha pubblicato 15 contributi sul tema (13). Rispetto all’IF dei journal, due riviste – tra cui la stessa Behavioral healthcare tomorrow – non presentano IF; cinque presentano un IF inferiore a 0,5; sei un IF compreso tra 0,5 e 1 e sei presentano un IF superiore a 1 (tabella 2). Tabella 3 – Dettaglio articoli pubblicati su riviste di discipline economico-sociali Journal Health Affairs Autori Shortell SM Mccall N; Knickman J; Bauer EJ Hale VG; Woo K; Lipton HL Ramiah I; Reich MR Riggin LJC; Grasso PG; Westcott ML Public Administration Review Ghere RK Hodge GA; Greve C Bloomfield P Noble G; Jones R Public Administration Koppenjan JFM Grimshaw D; Vincent S; Willmott H Shretta R; Walt G; Brugha R; Snow RW Shiffman J Health policy and planning Shiffman J; Stanton C; Salazar AP Goodman C; Kachur SP; Abdulla S; Bloland P; Mills A Titolo A model for state health-care reform Public private partnerships - a new approach to long-term care Oxymoron no more: the potential of nonprofit drug companies to deliver on the promise of medicines for the developing world Grant watch: report-public-private partnerships and antiretroviral drugs for hiv/aids: lessons from Botswana A framework for evaluating housing and communitydevelopment partnership projects Probing the strategic intricacies of public-private partnership: the patent as a comparative reference Public-private partnerships: an international performance review The challenging business of long-term public-private partnerships: reflections on local experience The role of boundary-spanning managers in the establishment of public-private partners The formation of public-private partnerships: Lessons from nine transport infrastructure projects in the Netherlands Going privately: Partnership and outsourcing in UK public services A political analysis of corporate drug donations: the example of Malarone((R)) in Kenya Donor funding priorities for communicable disease control in the developing world The emergence of political priority for safe motherhood in Honduras Drug shop regulation and malaria treatment in Tanzania why do shops break the rules, and does it matter 12 Per la ricerca dell’impact factor di ciascuna rivista si è fatto riferimento a Journal Citation Reports. 13 Il subject degli articoli è uguale per tutti i contributi: “Psychology, Clinical; Health Policy & Services”. Azienda Pubblica 2.2009 366 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Tra queste ultime, quattro sono quelle più prossime alle discipline economicoaziendali; si tratta di riviste correlate ai temi del management applicato al settore delle amministrazioni pubbliche locali (Public administration review e Public administration) o al settore sanitario (Health affairs e Health policy and planning). Nella tabella 3 si mostra il dettaglio degli articoli pubblicati nelle suddette quattro riviste, escludendo tutte le altre tipologie di pubblicazioni. (14) Per quanto concerne le book review, i testi maggiormente recensiti sono cinque (tabella 4); (15) tra di essi la pubblicazione con frequenza maggiore è rappresentata dal lavoro di Savas - Privatization and public-private partnerships. Tabella 4 – Dettaglio campione delle Book Review 1 2 3 Titolo Privatization and public-private partnerships Defending interests: public-private partnerships in wto litigation Redefining a family support: innovations in public-private partnerships 4 Land conservation through public-private partnerships 5 Public-private collaboration in agricultural research: new institutional arrangements and economic implications Frequenza Autore 5 Savas ES 4 Schaffer GC 4 Singer GHS, Powers LE, Olson Al 2 A cura di Eve Endicott 2 A cura di Keith O. Fuglie, David E. Schimmelpfennig Frequenza autori Figura 6 – Grado di produttività degli autori 14 La tabella riporta solo il dettaglio della produzione di articoli. Tre dei quattro journal citati presentavano infatti anche altre tipologie di pubblicazioni, in particolare: (i) Health Affairs: 1 materiale editoriale; (ii) Public administration review: 1 book review; (iii) Public Administration: 1 book review. 15 In totale sono stati recensiti 15 libri; oltre ai 5 della tabella, ve ne sono infatti altri 10 che hanno avuto un’unica recensione. 367 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca In riferimento alla produttività degli autori (figura 6), appare evidente l’assenza di una consolidata e riconosciuta comunità scientifica dedicata al tema: il 94% (543) degli autori ha pubblicato un solo articolo, il 5% (29) due e solo 1,1% (6) registra un numero di articoli superiore a due. (16) Quattro sono gli autori più produttivi (tabella 5), selezionati assumendo quale soglia di significatività una produzione pari o maggiore a 3 pubblicazioni e limitando l’analisi ai soli articoli su riviste. Tabella 5 – Autori maggiormente produttivi Frequenza Autori 3 Link AN 3 Croze C 3 Scott JT 3 Reich MR Il numero di autori per pubblicazione può considerarsi un indicatore del grado di “collaborazione” nella ricerca. (17) In questo caso (figura 7) non si evidenzia un tasso di collaborazione molto elevato, in quanto quasi la metà delle pubblicazioni è stata prodotta individualmente, un terzo da due autori e solo il 20% da tre o più autori. % pubblicazioni sul totale Figura 7 – Grado di co-authorship delle pubblicazioni 16 Quale schema di calcolo è stato utilizzato il metodo Whole counting – ogni pubblicazione è assegnata interamente a ciascuna unità che ha contribuito a realizzarla. Gli altri due schemi comunemente utilizzati sono invece il First address count – l’articolo è assegnato soltanto ad una unità, sulla base del primo posto ricoperto nella lista inclusa nel database – e il Fractional counting – in caso n autori abbiano contribuito alla pubblicazione, ognuno assume il valore 1/n per articolo. 17 In Bibexcel tale profilo è ottenibile tramite l’utilizzo della funzione Fractionalise, ovvero, se n unità (autori, istituzioni, Paesi, ecc.) hanno contribuito all’articolo, ognuno assume il valore 1/n per articolo. Azienda Pubblica 2.2009 368 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Sono state esaminate anche le keyword associate alle parole chiave impiegate per l’estrazione dei 323 contributi. Su un totale di 477 keyword, oltre l’87% (417) sono state richiamate una sola volta, a testimonianza di una rilevante frammentarietà della letteratura (figura 8). Le keyword citate almeno tre volte sono soltanto 19 e per di più di senso generico; in tabella 6 si riportano le sei principali, ovvero quelle che presentano una frequenza pari o maggiore a sette. Oltre ai termini “public private partnerships” e “partnerships”, vengono utilizzate sovente le parole chiave “privatizzazione/settore privato” e “regolamentazione” – concetti che richiamano il ruolo delle PPP nell’evoluzione del ruolo dello Stato e dell’amministrazione pubblica verso la fase definita dello “Stato regolatore” (La Spina, Majone, 2000; Borgonovi, 2004). Il termine “developing countries” evidenzia, inoltre, come molte esperienze di PPP vengano attuate nei Paesi in via di sviluppo per la produzione ed erogazione di alcuni servizi essenziali; tale aspetto sarà ripreso ed esaminato più approfonditamente nell’analisi delle cocitazioni. Numero parole chiave Figura 8 – Frequenza parole chiave nel database Tabella 6 – Prospetto delle parole chiave con frequenza pari o maggiore a sette Keyword Frequenza assoluta Public private partnerships 57 Partnerships 10 Privatization 7 Private sector 7 Regulation 7 Developing countries 7 369 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Infine, anche l’esame degli ambiti disciplinari (66 sono quelli presenti nel database) fornisce alcune utili indicazioni (tabella 7). I tre ambiti principali fanno riferimento ai temi dello sviluppo urbano, dell’amministrazione pubblica e della sanità. Tabella 7 – Distribuzione dei principali ambiti disciplinari Frequenza Ambito disciplinare 48 48 42 36 35 33 29 21 20 20 18 18 15 11 10 Planning & Development Public Administration Health Policy & Services Urban Studies Economics Environmental Studies Public, Environmental & Occupational Health Health Care Sciences & Services Management Psychology, Clinical Political Science Social Sciences, Interdisciplinary Geography Social Issues Law Rispetto all’ambito del “management” si è indagato inoltre quali siano gli altri ambiti che con esso vengono cocitati (18) (figura 9). L’ambito relativo allo sviluppo urbano risulta ancora una volta quello più cocitato (con il termine “Plannig&Development” e “Environmental studies”). Figura 9 – Ambiti disciplinari cocitati con “Management” cocitazioni 6 5 5 4 3 3 3 3 Frequenza 3 2 2 2 1 1 ne ss En gi Pu ne bl er ic in Ad g m in is tra tio n si Bu In du st ria En l vir on m en ta l Ec on om ic M s gm tS ci en So ce ci al Sc ie nc es Pl an &D ev 0 Ambiti disciplinari cocitati 18 Esso è sempre cocitato, ad eccezione di un unico caso. Azienda Pubblica 2.2009 370 1 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca 4. Risultati: la struttura concettuale La rappresentazione dell’analisi delle co-citazioni in figura 10 fornisce interessanti spunti di riflessione sulla struttura concettuale dell’esistente letteratura sulle PPP. La prossimità e il legame tra due autori indica che essi solitamente sono citati congiuntamente; esso evidenzia, di conseguenza, l’esistenza di comunanza o interconnessione tra i loro lavori. Figura 10 – Mappa delle radici concettuali La mappa delle cocitazioni evidenzia due cluster e un’area marginale. Un primo cluster di contributi che esercita un’influenza in tema di PPP è rappresentato dalle pubblicazioni redatte dalle principali istituzioni internazionali (OECD, World Bank, ONU, WHO, Buse) e da alcuni centri di ricerca (IPPR). Per quanto concerne i contributi delle Organizzazioni Internazionali, tali lavori possono essere ulteriormente classificati in due macro categorie. Un primo gruppo è rappresentato dai report annuali o periodici, quali i World Development Report e World Development Indicators della World Bank, i World Health Report del WHO, ovvero i Human Development Report dell’ONU. Essi rappresentano le fonti primarie di dati statistici a livello aggregato citate dai contributi sulle PPP. Un secondo gruppo è invece costituito dai lavori che rappresentano il punto di riferimento teorico ed empirico sulle PPP “globali” in ambito sanitario, un filone specifico di studi sul tema che tratta le partnership attivate prima371 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca riamente in Paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione. In tali contesti, le PPP vengono considerate strumenti innovativi di governance del settore pubblico, con un ruolo strategico nell’ottimizzazione delle funzioni sociali dello Stato (Buse, Walt, 2000; Buse, Waxman, 2001). L’apporto di capitali e competenze private può incidere in maniera determinante sui livelli quali-quantitativi di servizi pubblici erogati, soprattutto in Paesi caratterizzati da funzioni di governo scarsamente consolidate e da risorse pubbliche finanziarie e di know-how insufficienti all’adeguata tutela e salvaguardia della salute collettiva. I principali contributi riconducibili a questo secondo gruppo sono quelli di Kent Buse (Buse, Walt, 2000; Buse, Waxman, 2001; Buse, 2004), di Lucas (2000) e della World Bank (2004). (19) In particolare, l’opera di Buse, economista politico già consulente della World Bank e WHO, (20) rappresenta la prima importante sistematizzazione sul tema delle collaborazioni nel settore sanitario in Paesi in via di sviluppo. L’autore (Buse, Walt, 2000) definisce le PPP “globali per lo sviluppo in sanità”, analizzando in particolare le motivazioni che hanno indotto i principali organi dell’ONU (da UNCTAD a WHO, UNICEF, includendo anche la World Bank) alla stipula di collaborazioni con il settore privato commerciale (ad esempio, società farmaceutiche). A partire da una tassonomia delle partnership in funzione dello scopo della collaborazione (erogazione di beni/ servizi, sviluppo di prodotti ovvero definizione di programmi e progetti), l’autore approfondisce il tema della governance nell’ambito delle PPP globali in sanità in termini di legittimazione rappresentativa, accountability, competenza degli attori e appropriatezza del processo (Buse, Walt, 2000). Per quanto concerne, invece, il contributo dei centri di ricerca, si evidenzia in particolare la produzione redatta dall’Institute for Public Private Research (IPPR). Il think tank inglese si colloca in realtà in posizione relativamente periferica nel cluster di analisi, evidenziando legami significativi con il filone della Nuova Economia Istituzionale, in particolar modo Porter e Williamson. Le analisi condotte sulla tematica delle PPP (IPPR, 2001) hanno quale oggetto d’indagine l’identificazione degli spazi di azione di collaborazione all’interno del settore pubblico inglese, in particolar modo sanità, servizi locali e istruzione; la ricerca di forme innovative di erogazione di servizi pubblici è accompagnata dalla identificazione di criteri che assicurino l’accountability delle nuove istituzioni e la loro legittimazione sul piano democratico. Il secondo influente cluster nella letteratura delle partnership è costituito da contributi socio-politologici, con autori come Savas (1987; 2000), Linder (1999; 2000) e Castells (2000) che assumono un ruolo centrale nella struttura concettuale della ricerca sulle PPP. In termini generali, si tratta (i) 19 Per quanto concerne la tipologia di pubblicazione, ad eccezione di Buse, si tratta primariamente di press release, rapporti ovvero atti di convegni. 20 Lo stretto legame tra Buse e le suddette organizzazioni internazionali, specialmente il WHO, è chiaramente rinvenibile anche nel grafico, dalla breve distanza che separa i due punti. Azienda Pubblica 2.2009 372 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca di produzioni piuttosto recenti, a significare proprio la fase pioneristica della disciplina, e (ii) nella maggior parte dei casi di testi e non di articoli, differentemente dall’opinione diffusa che siano gli articoli scientifici e non i manuali a costituire i principali riferimenti. Linder (Linder, 1999; Linder, 2000) riflette sulla molteplicità di definizioni e significati che vengono attribuiti al termine public private partnership (identificandone sei principali) e fornisce un’interpretazione delle PPP in relazione a diversi approcci concettuali e ideologici. In particolare, l’autore evidenzia come, per l’ideologia conservatrice, le PPP costituiscano una forma derivata di privatizzazione, mentre, per le teorie antiliberali, esse rappresentino il tentativo del settore pubblico di non perdere totalmente il controllo di alcune funzioni. Infine, per le teorie delle riforme manageriali, le PPP costituiscono forme alternative di governance ovvero strutture aziendali flessibili, i cui processi sono orientati ai risultati e ispirati alla logica del “cittadino-cliente”. Sul tema della privatizzazione dei servizi pubblici, considerata la soluzione istituzionale e organizzativa più efficace ed efficiente per l’erogazione di tali servizi, Savas rientra sicuramente tra gli studiosi più prestigiosi (Savas, 1987). La sua estesa opera si inserisce all’interno dell’influente ambito disciplinare del public management e costituisce un pilastro dottrinale fondamentale per lo studio delle PPP, che vengono indagate, congiuntamente alle altre forme di privatizzazione, quali driver strategici per il miglioramento del management pubblico (Savas, 2000). In particolare, Savas interpreta le PPP come una forma derivata di privatizzazione, fondamentalmente basata su aspetti contrattuali. Manuel Castells completa il filone in esame. Il lavoro dell’autore (Castells, 1996; Castells, 1997; Castells, 1998), pubblicato come trilogia alla fine degli anni ‘90 e ripubblicato nel 2000 (Castells, 2000) al termine di una serie di seminari tenuti in varie università, è considerato un classico della sociologia moderna e una delle più influenti opere che hanno contribuito allo sviluppo del concetto di network society. La tesi centrale del sociologo di origine spagnola si fonda sulla necessità di superare un approccio prettamente autoreferenziale del ruolo e delle funzioni dei soggetti pubblici, sociali ed economici, e sull’esigenza di adottare un’ottica di sistema che consenta un loro inquadramento come parti di reti più vaste. La nuova infrastruttura sociale – reticolare, per l’appunto – è l’effetto di processi, avviati in decenni precedenti, che convergono e accelerano, come la rivoluzione tecnologica, il diffondersi di movimenti sociali, la crisi economica del capitalismo e del comunismo. La crisi delle ideologie, come spunto di analisi per la spiegazione anche dell’emergere delle PPP, lega i contributi di Castells e di Linder al saggio politologico di Jessop (2002), il quale, esponendo i limiti del liberalismo e le diverse forme di neoliberalismo, individua nelle partnership, specie quelle tra pubblico e privato, una forma di governance per evitare l’anarchia del mercato e promuovere la sussidiarietà. 373 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Un ruolo preminente tra i fondamenti della letteratura sulle PPP è riconosciuto a Williamson e alla Transaction Costs Economics (TCE), filone disciplinare della Nuova economia istituzionale. Williamson (1975; 1979) e la TCE, di cui è il capo-scuola, considerano le partnership come strumento alternativo di governance delle transazioni ai mercati e alle gerarchie. Le PPP mitigherebbero, secondo la TCE, in casi specifici, le frizioni del mercato e i limiti dell’esclusivo intervento della pubblica amministrazione. La TCE, nella letteratura specifica sulle PPP, non è utilizzata come framework analitico, bensì come supporto scientifico alla spiegazione della formazione delle PPP. Ciò conferma la considerazione di uno stadio tuttora embrionale degli studi sulle PPP, ancora fortemente incentrati alla spiegazione dei motivi sottostanti la formazione delle partnership e non, invece, agli aspetti di gestione e all’analisi degli effetti delle collaborazioni, come potrebbe attendersi per il rilievo e la diffusione che esse hanno. Ad esempio, la TCE non è stata impiegata per lo studio dei processi di scambio tra le parti, degli output e degli outcome attesi (efficienza ed efficacia), della capacità di durare nel tempo attraverso meccanismi di soluzione dei prevedibili conflitti, dei rapporti con terze parti; né, ancora, per lo studio della progettazione organizzativa della PPP e della complessità contrattuale, determinata dalla specificità degli output, dalla storia collaborativa dei partner, dall’orizzonte temporale della partnership e dalla sua rilevanza strategica. A sua volta, Osborne S.P. (2000) ha curato un testo Public-Private Partnerships: Theory and Practice in International Perspective che, nell’ambito delle teorie del public management, offre alcune chiavi interpretative sulle motivazioni del ricorso alle PPP quali strumenti innovativi per l’erogazione di servizi pubblici e sui fondamenti teorici delle stesse; l’autore solo marginalmente si sofferma sugli aspetti gestionali (tra cui la valutazione degli impatti), primariamente attraverso l’analisi di casi in differenti contesti geografici. La considerazione che le PPP possano rappresentare un’efficiente e innovativa modalità di erogazione dei servizi pubblici è contenuta anche nel lavoro di Osborne e Gaebler (Osborne, Gaebler, 1993). Infine due autori del filone degli studi di strategia aziendale, Michael Porter e Rosabeth Moss Kanter, contribuiscono in maniera marginale ai fondamenti sulla letteratura delle PPP. Porter costituisce il punto focale del complesso di studi sulla strategia aziendale, come hanno tra l’altro dimostrato anche recenti studi bibliometrici (Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ; Nerur, Rasheed et al., 2007); egli ha contribuito in misura significativa alla comprensione della rilevanza degli ambiti operativi delle aziende e delle interazioni tra gli attori sulla performance aziendale, fornendo sul piano delle implicazioni manageriali, per la prima volta in campo microeconomico, essenziali indicazioni per lo sviluppo della strategia, specie quella competitiva. In tale ottica le PPP possono costituire strumenti a supporto del vantaggio competitivo delle singole nazioni (Porter 1990). Sebbene non si voglia affrontare nel dettaglio in questa sede l’accezione porteriana all’analisi delle PPP, preme ricordare come le Azienda Pubblica 2.2009 374 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca analisi di Porter abbiano affrontato la tematica delle PPP anche da un punto di vista empirico, analizzandole quali modalità di rilancio socio-economico dei centri urbani depressi – inner cities (Porter, 1995) – e come strumento per la gestione della questione ambientale (Porter, Van Der Linde, 1999). Rosabeth Moss Kanter è, similmente a Porter, un’autorevole studiosa di strategia, in particolare del cambiamento e dell’innovazione organizzativa, e rappresenta uno dei precursori dello studio dello sviluppo di sinergie attraverso alleanze strategiche (Kanter, 1989). In merito alle PPP la Kanter ha prodotto due importanti contributi: il primo – che riguarda il loro uso come opportunità di crescita per le comunità locali (Kanter, 1995) – giustifica il legame con i lavori delle Istituzioni internazionali e di Porter (1995), mentre il secondo – che si concentra sul ruolo della cooperazione per la governance locale (Kanter, 2000) – sintetizza la visione manageriale delle PPP e spiega, quindi, il legame con la trattazione ideologica di Linder e Jessop. 5. Conclusioni Le radici, la struttura e l’evoluzione della ricerca in un ambito disciplinare o tematico sono rivelati da analisi bibliometriche delle citazioni e delle co-citazioni che gli studiosi annotano tra le referenze bibliografiche dei loro lavori. Questo lavoro, mediante l’analisi bibliometrica, consente di descrivere lo stato e l’evoluzione della ricerca in tema di PPP, identificando le fonti più autorevoli. Il lavoro presenta alcuni limiti. Una prima limitazione riguarda l’impostazione del disegno di ricerca; in particolare si è fatto ricorso ad un numero ristretto di keyword per l’estrazione delle referenze del campione di analisi; si è scelto, inoltre, di limitare l’analisi solo ad alcune delle fonti che compongono ISIweb (ovvero il SSCI) all’interno di uno specifico periodo temporale, da considerarsi in ogni caso quello di maggiore interesse per il tema. Tuttavia, è ragionevole che per un’analisi di tipo esplorativo, quale è il presente lavoro, si effettuino scelte che consentano di esplorare il tema con ampiezza e genericità. Un secondo ordine di limitazioni è di tipo metodologico. L’uso della bibliometria non consente di conoscere, in prima istanza, i motivi per cui gli autori citano altri lavori: se, ad esempio, la citazione manifesta un collegamento di tipo concettuale oppure una critica; se si tratta di un riferimento sostanziale di inquadramento oppure a supporto di una tesi. Allo stesso modo, non possono conoscersi le ragioni delle mancate citazioni di lavori che potrebbero parimenti considerarsi autorevoli per il tema o la disciplina. Quest’ultimo limite è piuttosto marginale, in genere, considerando il rigoroso processo di referaggio che i journal svolgono prima della pubblicazione di un articolo. Nel caso specifico delle PPP, è bene sottolinearlo, la maggior parte dei journal che ospitano articoli sul tema non presenta, tuttavia, un elevato indice di IF. 375 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Anche l’analisi delle co-citazioni presenta alcuni limiti, dato che consente di classificare soltanto una parte limitata del più vasto campione e che l’interpretazione della mappa grafica è, malgrado la base scientifica, per natura soggettiva. Nonostante ciò i sottoinsiemi riprodotti nella mappa rivelano con adeguata chiarezza l’esistenza di differenti nuclei e relazioni all’interno dell’insieme dei contributi esistenti sul tema. Nonostante questi limiti, i risultati emersi dall’analisi e presentati nelle precedenti sezioni consentono di formulare alcune riflessioni. Dal 1990 ad oggi si nota un crescente interesse scientifico per le PPP, intensificatosi negli ultimi anni, probabilmente per il progressivo diffondersi delle esperienze in atto e per il consolidarsi dei processi di privatizzazione dei servizi pubblici condotti negli anni ‘90. Questa tendenza induce a pensare che gli studi siano experience-driven e che la ricerca stenti a far prevalere sulla pratica impostazioni fondate scientificamente. Certamente la teoria non è stata in grado, finora, di anticipare o accompagnare, con lo stesso ritmo, la progressiva diffusione delle esperienze, indotta dai numerosi stimoli ambientali come ad esempio le istituzioni internazionali, magari verosimilmente per l’assenza di una comunità di ricercatori dediti al tema. Soltanto un gruppo marginale di studiosi è in prevalenza dedicato all’indagine delle PPP, peraltro con una piuttosto limitata specifica produttività e un ridotto grado di collaborazione. La mancata costituzione di una visibile comunità è testimoniata anche dall’assenza di journal di riferimento che accolgano questi lavori (21). Poche riviste pubblicano più di un articolo sull’argomento. I leading journal si collocano non tanto nelle aree di “Business” o “Management”, quanto in quelle di “Public Management” e “Health Care”, presentando tra l’altro un indice di IF raramente superiore ad 1. Sono, quindi, soprattutto gli studiosi di public management ad essere interessati allo studio delle PPP e non identicamente gli studiosi di economia di impresa, svelando, con buona probabilità, una necessità avvertita specialmente in seno ai soggetti pubblici a collaborare con il privato per migliorare i livelli quali-quantitativi dei servizi offerti e non, al contrario, un interesse per le imprese di accedere, ad esempio, a settori con buone opportunità di rendimento quali le utilities, la sanità, le infrastrutture. La mancanza di un chiaro e condiviso quadro concettuale di riferimento è riscontrabile anche nella multidisciplinarietà e varietà di approcci che hanno interessato il tema. Come testimonia l’analisi delle co-citazioni e delle keyword, il filone prevalente è quello socio-politologico, orientato a spiegare l’emergere delle partnership tra pubblico e privato attraverso la crisi di alcune ideologie e/o l’affermarsi di processi socio-economici di vasta portata. La sua centralità 21 Si ricorda che la presente analisi prende a riferimento i Journal inseriti all’interno del Database SSCI. Sono nate tuttavia alcune riviste, non ancora indicizzate su ISI, che hanno ad oggetto la tematica specifica delle PPP: si tratta in particolare dell’International Journal of Applied Public-Private Partnerships (IJAPPP) e de The International Journal of Public-Private Partnerships (IJPPP). Azienda Pubblica 2.2009 376 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca è, a nostro giudizio, indice di uno stato ancora pioneristico della ricerca, in cui si intende, innanzitutto, spiegare la genesi delle PPP, legittimandola dal punto di vista “filosofico” con basi solide e universali. La prevalenza di questa impostazione spinge a considerare le PPP come strumenti di governance utili, in particolar modo, al miglioramento delle funzioni e dei servizi pubblici attraverso l’apporto di risorse e competenze messe a disposizione da soggetti privati; tale esigenza è particolarmente avvertita in contesti ove il settore pubblico è più debole e arretrato, come ad esempio i settori della sanità e dello sviluppo urbano nei Paesi in via di sviluppo. Un’altra radice concettuale significativa per gli studi sulle PPP è costituita dalla transaction cost of economics, la cui centralità è variamente interpretabile. Da un lato non può negarsi che le configurazioni contrattuali costituiscono la maggioranza dei casi dei rapporti di collaborazione tra pubblico e privato, dall’altro il concetto d’impresa come nesso di contratti è tra i principali paradigmi interpretativi d’azienda ed è dominante nel mondo anglosassone. Quest’ultima ipotesi interpretativa della centralità della TCE nella ricerca sulle PPP tende ad enfatizzare, inevitabilmente, le relazioni contrattuali alla base della collaborazione, senza mai intendere la medesima quale entità autonoma e organica. In altri termini, la PPP equivale ad essere un ambito di incontro tra molteplici e, talvolta, divergenti interessi, che vanno appropriatamente regolati su base contrattuale per prevenire e risolvere i conflitti attesi tra le parti e preservare, nel lungo periodo, la sopravvivenza della PPP. Il paradigma contrattuale si dimostra, tuttavia, debole sul piano pratico perché non possono stipularsi contratti completi, in grado di definire in dettaglio e anticipatamente i diritti e i doveri di ciascuno in ogni possibile contingenza. L’ancoraggio alla TCE, di conseguenza, può interpretarsi, a giudizio degli autori, anche come indicatore di uno stadio non ancora evoluto, perché enfatizza: – il pervasivo sistema di contrapposizioni e convenienze contrattuali che si esplicitano. Di conseguenza, le PPP si ritengono orientate da un sistema di relazioni che assolve prioritariamente a istanze individualistiche dei singoli partner che collaborano convinti che le proprie convenienze possano raggiungersi soltanto insieme a quelle della controparte. In questo senso, la vita delle PPP è legata al perpetuarsi delle convenienze originarie; – le contrapposizioni delle posizioni individuali - proprie di ogni rapporto di transazione – lasciando irrisolto il problema della convergenza degli interessi in esse, senza cogliere bene la stabilità dei rapporti e la convergenza durevole di interessi di alcune tipologie di PPP; – l’efficienza di governo delle transazioni, tralasciando invece l’efficacia, la dimensione strategica dei partecipanti e della PPP; – la genesi delle PPP, dato che nascono come sistema contrattuale, senza toccare gli aspetti del loro funzionamento e non tenendo conto, concentrandosi sull’efficienza delle transazioni tra i soggetti partecipanti, dei riflessi che l’attività della PPP ha su soggetti diversi dai partecipanti. 377 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca La concezione contrattualistica, atomistica per definizione, è quindi da considerarsi riduttiva rispetto a una realtà, quale le PPP, in cui le interdipendenze costituiscono il tratto essenziale e sostanziale, tanto da dotarsi di regole condivise perché la collaborazione possa perdurare nel tempo. Una teoria limitativa di analisi rispetto a un fenomeno di sempre più vaste dimensioni e variegato – fatto di rapporti non episodici, talora de facto, talora contrattualmente riconosciuti e previsti – e a collaborazioni che sorgono, non tanto per finalità di ricerca di efficienza nel governo delle transazioni, ma per condividere obiettivi specifici. L’esistenza di un caratteristico finalismo le rende soggetti nuovi: le PPP possono farsi carico stabilmente e strutturalmente delle finalità specifiche dei cooperanti, assecondandole attraverso il perseguimento delle proprie. L’aspetto dell’omofinalismo, analogamente a quanto si è già posto per gli aggregati aziendali, i gruppi aziendali, i distretti e le reti, non è affatto irrilevante ai fini dello studio delle PPP. Il loro progressivo diffondersi, infatti, conferma la volontà, anche quando manifestata contrattualmente, dei soggetti partecipanti a collaborare in modo durevole per perseguire un medesimo fine. La collaborazione, di conseguenza, presuppone non solo il coinvolgimento di parti distinte, ma anche lo svolgimento della strumentale attività economica in modo coordinato, senza tuttavia negare l’eterofinalismo delle singole realtà, che è tuttavia diverso dal progetto comune, riflesso di un omofinalismo che congiuntamente si intende realizzare (Lai, 2004). La durevolezza dei rapporti di collaborazione, la definizione di una visione comune e il bisogno di un coordinamento, che rimanda a una logica d’insieme, implicano la necessità di un’analisi unitaria e olistica delle PPP, non solo quale forma di governance delle transazioni tra soggetti distinti, proponendosi di comprendere più approfonditamente le loro caratteristiche fondamentali e la loro essenza costitutiva, di analizzarne il funzionamento, leggerne i risultati e prospettarne le evoluzioni. A giudizio di chi scrive, per concludere, il rapido e progressivo diffondersi delle PPP in Paesi diversi, sia industrializzati che in via di sviluppo, e in settori diversi – dall’istruzione, alla sanità, ai servizi sociali, all’amministrazione penitenziaria, alla ricerca, all’ambiente, all’energia, ai trasporti, allo sviluppo locale, alla trasformazione urbana, ai servizi culturali – nonché il graduale superamento della fase sperimentale e il passaggio a uno stadio di consolidamento devono essere supportati da contributi scientifici più consistenti e rigorosi e di stampo manageriale, che accompagnino tale evoluzione per evitare dinamiche spontanee e risultati limitati. Appare dunque necessario superare l’attuale fase pioneristica di approccio alle PPP, al fine di intraprendere in modo sistematico un’indagine che le qualifichi e legittimi pienamente dal punto di vista scientifico come entità formate da soggetti che collaborano in modo durevole per la realizzazione di un medesimo fine, attraverso lo svolgimento coordinato dell’attività economica strumentale, senza negare tuttavia l’eterofinalismo dei singoli partecipanti. Azienda Pubblica 2.2009 378 Fonti di approfondimento Partnership pubblico-privato: trend di ricerca Riferimenti bibliografici BORGONOVI E. (1991), “La logica di gestione aziendale come superamento della contrapposizione pubblico-privato nel sistema sanitario”, Economia Italiana, 2. BORGONOVI E. (1996), “Il comportamento economico dell’impresa tra il modello della competizione concorrenziale e il modello della competizione collaborativa”, in AA.VV., Il governo dell’economia e delle istituzioni, Milano: Giuffrè. BORGONOVI E. 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L’OGGETTO DI STUDIO: L’AZIENDA NON PROFIT E L’IMPRESA SOCIALE. Premessa. 1. Definizioni. 1.1. L’impresa sociale. 1.2. L’impresa sociale in Italia e la ripresa del concetto di “bene comune”. Bibliografia. CAPITOLO II. PARTE I. GLI ASSETTI ISTITUZIONALI DEGLI ENTI NON PROFIT: IMPLICAZIONI DAL PUNTO DI VISTA CIVILSTICO, di Roberto Randazzo. 1. Introduzione. 2. Gli enti senza scopo di lucro disciplinati dal codice civile: associazioni, fondazioni, comitati. 3. La fondazione di partecipazione e la legislazione speciale. 4. L’impresa sociale. Bibliografia. PARTE II. L’IMPRESA SOCIALE IN EUROPA: IL CONTESTO ISTITUZIONALE DELLA GOVERNANCE IN UN’OTTICA COMPARATA. Premessa. 1. Impresa sociale e imprenditorialità sociale. 2. L’impresa sociale attraverso le definizioni di centri di ricerca e organismi governativi europei. 2.1 L’impresa sociale nelle leggi europee. 3. La governance dell’impresa sociale in Europa: caratteristiche comuni e differenze. Bibliografia. CAPITOLO III. PARTE I. LA PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE NON PROFIT: L’APPROCCIO CONTINGENTE. Premessa. 1. La struttura organizzativa. 2. L’approccio contingente alla progettazione della struttura organizzativa. 2.1. Applicazioni del modello derivanti dalla ricerca empirica. 2.1.1. Strutture organizzative. 2.1.2. Gestione delle risorse umane e meccanismi di coordinamento. 2.2. Conclusioni. Bibliografia. PARTE II. LA GOVERNANCE DELL’IMPRESA SOCIALE. LE DIVERSE MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE DEGLI STAKEHOLDERS, di Giuliana Baldassare. Premessa. 1. La finalità istituzionale dell’impresa sociale. 2. La natura multistakeholder dell’impresa sociale. 3. Lo sviluppo organizzativo di tipo incrementale. 4. Un’ipotesi di schema interpretativo. 4.1. I diversi stakeholder e le motivazioni che sono alla base del loro coinvolgimento. 4.2. Tipologie di aziende e interessi prevalenti. 5. Conclusioni. Bibliografia. CAPITOLO IV. LE CARATTERISTICHE DELLA GESTIONE DEL PERSONALE NELLE AZIENDE NON PROFIT E NELLE IMPRESE SOCIALI. 1. Gli strumenti operativi di gestione: la gestione del personale. 2. Il ruolo strategico del personale nelle organizzazioni non profit. 3. I principi del Management della qualità totale e la gestione del personale nelle aziende non profit. 4. Il personale volontario 4.1 I Fattori caratterizzanti la gestione del personale volontario. 5. Comunicazione Interna. Bibliografia. CAPITOLO V. PARTE I. PROGRAMMARE E VALUTARE LA GESTIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT, di 385 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento In libreria Andrea Francesconi. 1. I sistemi di programmazione e controllo nelle aziende non profit: cenni generali. 2. I profili di misurazione delle performance per le ANP. 2.1. Le dimensioni della performance nelle ANP: i concetti di efficienza ed efficacia. 3. Il sistema di contabilità analitica nelle ANP. 4. Il sistema di reporting nelle ANP. 5. Il sistema di budget nelle ANP. 6. Il sistema di Programmazione e Controllo nelle ANP: analisi di un’esperienza reale. 6.1 L’associazione OSPE. 6.2. Il sistema di Programmazione e Controllo di OSPE. Bibliografia. PARTE II. IL BILANCIO SOCIALE NELLE AZIENDE NON PROFIT, di Filippo Giordano. 1. Il ruolo del bilancio sociale per le aziende non profit. 2. Gli elementi costitutivi della rendicontazione sociale. 2.1. Le finalità. 2.2. Il processo. 3. I principali modelli di riferimento. 4. La struttura del documento. 4.1. L’identità. 4.2. La rappresentazione dei risultati economici. 4.3. La rappresentazione dei risultati sociali. Bibliografia. CAPITOLO VI. PARTE I. LA RACCOLTA FONDI: PRINCIPI E METODOLOGIE, di Francesco Manfredi. 1. La raccolta fondi. 2. Il concetto di scambio nella raccolta fondi. 3. Un modello avanzato per la pianificazione della raccolta fondi. 4. La comunicazione per la raccolta fondi. 5. Il direct marketing. 5.1. Il direct mail. 5.2. Il telemarketing. 5.3. L’uso dei media. 6. La campagna di tesseramento soci. 7. I grandi eventi. 8. Conclusioni. Bibliografia. PARTE II. LA CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE TRA IMPRESA FOR PROFIT E NON PROFIT, di Giuseppe Ambrosio. 1. La Corporate Social Responsibility. 2. Comunità locale e Non Profit. 3. Le elargizioni liberali. 3.1. Monetarie . 3.2. Non monetarie. 4. Gli investimenti nella comunità. 4.1. Le politiche sociali delle imprese e la Social Entrepreneurship (SE). 4.2. La Venture Philanthropy. 4.3. Lo Staff Involvement (SI). 5. Le iniziative commerciali. 5.1. Le sponsorizzazioni. 5.2. Il Cause Related Marketing (CRM). Bibliografia. CAPITOLO VII. GLI STRUMENTI DI FINANZIAMENTO PER L’IMPRESA SOCIALE: I FONDI COMUNITARI E IL VENTURE CAPITAL, di Manuela Brusoni e Veronica Vecchi. 1. Introduzione. 2. Il venture capital sociale. 2.1. La doppia bottom line. 2.2. Aspetti tecnici: deal flow, exit e dimensione dei fondi. 3. Il venture capital sostenibile. 4. Il venture capital di Sviluppo locale. 5. La venture Philantropy. 6. I fondi Strutturali e i fondi Settoriali. 6.1. I fondi strutturali. 6.2. I fondi settoriali. 7. L’approccio strategico ai finanziamenti comunitari. 8. Le condizioni di accesso ai finanziamenti comunitari da parte delle imprese sociali. Bibliografia. Azienda Pubblica 2.2009 386 Fonti di approfondimento L. BISIO, M. NICOLAI Il patto di stabilità e gli strumenti di finanza locale Rimini: Maggioli Editore, 2009 pp. 422, € 34,00 ISBN 5106.4 GIAN CARLO COCCO Gestire un’associazione. Strategia, organizzazione e marketing per operatori di imprese non profit Milano: Franco Angeli, 2009 pp. 144, € 13,60 In libreria Indice del volume: 1. Inquadramento del Patto di Stabilità e Crescita a livello europeo. 2. I primi Patti di Stabilità Interni. 3. Il Patto di Stabilità Interno del 2002. 4. I Patti di Stabilità 2003 e 2004. 5. Il Patto di Stabilità per gli anni 2005 e 2006. 6. Il Patto per gli anni 2007, 2008 e 2009. 7. Il Patto di Stabilità e gli strumenti finanziari. 8. Patto di Stabilità: fu vera gloria? Indice del volume: Premessa. Capitolo 1. Il marketing associativo. 1.1. Breve panorama sull’associazionismo culturale ed educativo. 1.2. Che cos’è il marketing e che consiste il marketing associativo. 1.3. I criteri e gli strumenti per la segmentazione delle associazioni culturali ed educative. 1.4. L’analisi della popolazione che compone le associazioni culturali ed educative. 1.5. L’analisi della popolazione che compone le associazioni. 1.6. La suddivisione tradizionale delle associazioni educative e culturali, e i possibili nuovi criteri di riferimento. 1.7. Le finalità del marketing associativo. 1.8. La rilevazione dei dati delle associazioni e la loro elaborazione. 1.9. Il marketing associativo e la soddisfazione degli utenti. Capitolo 2. La forza associativa: differenziazioni, integrazioni e sinergie tra le associazioni culturali ed educative. 2.1. I vantaggi delle coalizioni nella storia, nell’impresa e nella scienza e cultura. 2.2. I vantaggi delle coalizioni tra le diverse associazioni culturali ed educative. 2.3. Alcuni aforismi sulle associazioni e sulle alleanze tra associazioni. Capitolo 3. L’organizzazione delle associazioni: assetto, ruoli, funzionamento, regole d’azione in relazione alle finalità. 3.1. Cenni introduttivi sulla costituzione e sullo statuto di una associazione; La lettura delle associazioni come sistemi organizzativi. 3.2. L’organizzazione interna di un’associazione. 3.3. Il funzionamento degli organi collegiali delle associazioni. 3.4. Spunti applicativi. Capitolo 4. L’autonomia economica e finanziaria e le fonti di finanziamento delle associazioni non profit. 4.1. Lo sviluppo della sensibilità economica nella gestione di un’associazione. 4.2. La contabilità generale e il bilancio d’esercizio. 4.3. La contabilità analitica e l’analisi dei costi. 4.4. Il bilancio preventivo e il controllo di gestione. 4.5. Dotazioni, fondi e trasparenza. 4.6. Sintetico 387 Azienda Pubblica 2.2009 Fonti di approfondimento In libreria glossario amministrativo e finanziario. 4.7. L’autonomia economica finanziaria e le fonti di finanziamento delle associazioni non profit. 4.8. Appendice. Capitolo 5. Comunicare tramite Internet. 5.1. Brevissima storia di Internet. 5.2. La creazione di un sito informatico. 5.3. Il caso dell’associazione Rinnovamento. 5.4. Esempi di videate di un sito: l’associazione Rinnovamento. Capitolo 6. I manager delle associazioni: vocazione o professione? 6.1. Scoprire, riconoscere e sviluppare le capacità necessarie per gestire un’associazione. 6.2. Il profilo del dirigente di un’associazione educativa e culturale. 6.3. Modalità di rilevazione delle capacità. Capitolo 7. Area emozionale. Capitolo 8. Area intellettuale. Capitolo 9. Area gestionale. Capitolo 10. Conclusioni. Appendice. Un nuovo Servizio di Manageritalia destinato ai figli dei dirigenti associati che hanno iniziato un’attività lavorativa “Un Ponte sul Futuro”. LORENZO D’AUTILIA, RENATO RUFFINI, NEREO ZAMARO (a cura di) Il lavoro pubblico tra cambiamento e inerzie organizzative Milano: Bruno Mondadori, 2009 pp. 323, € 28,00 ISBN Azienda Pubblica 2.2009 Indice del volume: Introduzione di A. Naddeo. 1. Forme organizzative e impiegati pubblici nell’epoca delle riforme, di M.L. D’Autilia e N. Zamaro. 1.1. Il profilo mutevole della questione amministrativa. 1.2. Riforma dell’amministrazione e regolazione del personale in Italia. 1.3. Sulla dimensione delle amministrazioni pubbliche in Italia: un quadro d’insieme con alcuni approfondimenti. 2. La pianificazione del personale nelle pubbliche amministrazioni tra fabbisogni organizzativi e vincoli normativi, di P. Mastrogiuseppe. 2.1. Premessa. 2.2. L’evoluzione della “pianificazione delle risorse umane”. 2.3. La pianificazione delle risorse umane nella pubblica amministrazione. 2.4. Il moto pendolare delle riforme: aperture e chiusure nella gestione del personale e degli organici. 2.5. Le conseguenze del moto pendolare: il rischio della pianificazione come “adempimento burocratico”. 2.6. Verso l’autonomia responsabile?. 3. Strutture e organici tra il 1993 e il 2005, di F. Boscaino. 3.1. Strutture, funzioni e organici, tra legislature e governi. 3.2. Piante organiche e dotazioni organiche: la domanda di lavoro della pubblica amministrazione. 3.3. Gli organici di diritto e gli organici di fatto. 3.4. I movimenti del personale. 3.5. Caratteristiche strutturali del personale in servizio. 4. La mobilità del personale, di R.B. Sanna. 4.1. Introduzione. 4.2. Le possibili forme di mobilità: definizioni operative. 4.3. La mobilità dei dipendenti pubblici: quadro generale. 388 Fonti di approfondimento In libreria 4.4. La mobilità volontaria. 4.5. Alcune considerazioni sulla mobilità territoriale. 4.6. La mobilità d’ufficio. 4.7. La mobilità temporanea. 4.8. Conclusioni. 5. Concorsi e progressioni di carriera, di M.L. D’Autilia e R.B. Sanna. 5.1. Introduzione. 5.2. I procedimenti. 5.3. Le progressioni di carriera. 6. L’inquadramento professionale, di R.B. Sanna. 6.1. Premessa. 6.2. I sistemi di classificazione dei dipendenti pubblici. 6.3. Lo stato di attuazione del nuovo sistema di classificazione e i profili professionali. 6.4. Conclusioni. 7. La formazione del personale, di F. Boscaino. 7.1. Apprendimento individuale e apprendimento organizzativo. 7.2. La funzione formazione: strutture, attori e strumenti. 7.3. La programmazione della formazione. 7.4. Le attività formative: interventi e obiettivi, modalità di erogazione e contenuti. 7.5. La valutazione dell’attività formativa. 7.6. L’investimento in formazione. 8. Linee di rinnovamento del lavoro pubblico, di R. Ruffini. 8.1. I risultati delle riforme: un primo tentativo di sintesi. 8.2. Le inerzie delle amministrazioni nell’applicazione della riforma del pubblico impiego. 8.3. Le linee di intervento sul pubblico impiego tra attualità e futuro. A. NOBILE, A. SPADARO Le forniture di beni e servizi nella pubblica amministrazione Rimini, Maggioli Editore, 2009 pp. 722 con Cd-Rom € 70,00 ISBN 5124.2 Indice del volume: 1. Normativa di riferimento. 1.a. per la scelta del fornitore di beni e servizi sopra la soglia comunitaria. 1.b. per la scelta del fornitore di beni e servizi sotto la soglia comunitaria. 1.c. per l’acquisizione di beni e servizi nella P.A.. 1.d. di specifico richiamo in materia contrattuale. 2. Gli adempimenti preliminari e preparatori e l’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi. 3. La stipulazione del contratto e gli adempimenti per il suo perfezionamento. 4. Le procedure alternative a quella contrattuale. 5. Situazioni modificative del contratto. 6. I contenuti contrattuali. 7. Procedure centralizzate secondo le leggi finanziarie e procedure telematiche d’acquisto. 8. Schemi di contratti. 9. Moduli convenzioni. 389 Azienda Pubblica 2.2009 Note per gli autori Azienda Pubblica: note per gli autori Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al referaggio e la pubblicazione La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura: 1) i contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni successive. 2) I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità con lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi allegato), in forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede l’impegno da parte degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per la durata di tutto il processo di valutazione. 3) Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta delle revisioni indicate. 4) La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui, sottoposta agli stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore modifica). 5) Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per l’inserimento in un database di EGPA European Group of Public Administration). Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti condizioni: – i manoscritti sottoposti ad Azienda Pubblica non devono essere già stati pubblicati o essere stati presentati per la considerazione presso altre riviste; – i manoscritti devono rispettare gli standard di struttura, abstract, note, tabelle, riferimenti bibliografici precisati di seguito. Gli autori sono invitati a rispettare le richieste relative alla forma e allo stile per minimizzare ritardi e necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio. Invio dei contributi I contributi devono essere presentati alla rivista presso: Redazione Azienda Pubblica Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità, Università L. Bocconi, IPAS – Via Röntgen, 1 – 20136 Milano e-mail: [email protected] Formato e stile carattere: arial 12 - margini: 3x3x3x3 La prima pagina: deve indicare 1) il titolo 2) i nomi degli autori, 3) i loro titoli e le istituzioni di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo completo, 5) eventuali ringraziamenti. La seconda pagina: deve contenere 1) il titolo, 2) l’abstract in italiano, in inglese e francese (massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di tre) e 4) il Sommario. 391 Azienda Pubblica 2.2009 Note per gli autori Nella terza pagina: dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo. La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione). Non è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.). Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati. Si richiede il sommario iniziale. Lunghezza: il contributo si intende di circa 40.000 caratteri (conteggio parole di word). I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi al referaggio. Note: le note si intendono a pié di pagina e devono essere identificate da un numero cardinale. Il numero delle note e la lunghezza di ciascuna nota devono essere ridotti al minimo indispensabile in modo da favorire la snellezza del testo. Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici. È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista. Tabelle e figure: figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate nel testo e riportate in file separato. Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori. Riferimenti bibliografici: i riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati nel testo. In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data. La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347). Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347). Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno. Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere riportati a fine testo nella seguente forma: Monografie BRUNETTI G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli. Pubblicazioni con più autori BRUNS W.J., KAPLAN R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston, MA: Harvard Business School Press. Saggi in pubblicazioni KAPLAN R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. CLARK, C. 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