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Azienda Pubblica
2.2009
Teoria ed esperienze di management
Rivista trimestrale
anno XXII
numero 2
aprile • giugno
2009
Sommario
Editoriale
ELIO BORGONOVI
Il diritto dovere di valutare e premiare il merito
nelle amministrazioni pubbliche
199
ANTONIO BOTTI,
MASSIMILIANO VESCI
Il piano strategico della città come strumento
di governance: potenzialità e criticità
205
FRANCESCA MANES ROSSI
L’analisi della solvibilità negli enti locali alla luce
di Basilea 2
231
GIANFRANCO REBORA,
MATTEO TURRI
La governance del sistema universitario
in Italia: 1989-2008
259
Saggi
Esperienze innovative
LUCA DEL BENE,
STEFANO MARASCA
Misurare le performance per migliorare la gestione:
il caso della Provincia di Ancona
285
PAOLO RICCI,
TIZIANA LANDI
La governance delle società per azioni dei servizi
pubblici locali: attualità e prospettive
311
ROBERTA SANTOPIETRO
Il sistema contabile della Commissione europea
335
Fonti di approfondimento
GIULIA CAPPELLARO,
CORRADO CUCCURULLO,
MARTA MARSILIO
Public private partnership: un’analisi
bibliometrica
357
Spoglio riviste
383
In libreria
385
197
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Editoriale
Il diritto dovere di valutare e premiare il merito nelle amministrazioni pubbliche
Elio Borgonovi
La
valutazione di qualsiasi istituzione è un dovere per tutti, secondo le diverse posizioni e
responsabilità, in quanto essa è il processo tramite cui si esprime un giudizio sulla capacità di
raggiungere i propri fini e costituisce stimolo al continuo miglioramento. Nello schema del rapporto tra singoli cittadini e altri soggetti giuridici e istituzioni pubbliche, la valutazione è anche
un diritto, in quanto consente di esprimere un giudizio sul rispetto del principio di equilibrio e di
equità tra poteri sovraordinati tipici della istituzione pubblica e garanzia delle persone fisiche e
giuridiche private che tali poteri siano effettivamente esercitati nell’interesse generale/pubblico
e non per perseguire interessi particolari.
Oggi il processo di valutazione delle amministrazioni pubbliche è ancor più rilevante rispetto
al passato, poiché oltre alla dimensione istituzionale (equilibrio diritti-doveri nel modello di Stato
di diritto) e quella del confronto di diverse concezioni della società tramite processi politici di
tipo democratico (dimensione politica), esiste una significativa dimensione economica, ossia
di sostenibilità del processo di sviluppo. Esso, infatti, si è realizzato storicamente tramite una
evoluzione che può essere sintetizzata in modo semplice, ma non semplicistico, nei seguenti
termini.
L’aumento della produttività nello svolgimento delle attività primarie, caccia, pesca, agricoltura,
pastorizia, ecc. ha consentito durante i secoli di accrescere la capacità di rispondere ai bisogni
primari di un numero crescente di persone, alle diverse comunità (famiglie in senso allargato,
villaggi, tribù, ecc.) di soddisfare anche i bisogni di persone che non erano in grado di farlo
autonomamente. Oppure, l’aumento di produttività nello svolgimento delle attività primarie ha
consentito di acquisire una forza militare per difendersi da altre popolazioni o per estendere
il proprio potere e dominio su di esse. Oppure, ancora, ha consentito di dedicare tempo e
risorse a espressioni culturali o alla costruzione di opere di ingegno o di opere d’arte che oggi
costituiscono il patrimonio archeologico e culturale di molte nazioni.
Passando a tempi più recenti, si può rilevare che l’aumento della produttività delle attività
del settore primario (tipicamente agricoltura e allevamento) dell’economia ha generato quel
surplus di risorse che ha consentito di trasformare le scoperte della scienza nella messa a punto
di macchine e di strumenti tramite cui aumentare la capacità di produrre beni già esistenti, o
nuovi in quanto non presenti in natura, in numero sempre maggiore e a costi sempre minori. Si
tratta del fenomeno della rivoluzione industriale (produzione di beni a mezzo di beni) e della
seconda rivoluzione industriale (definita anche rivoluzione dell’innovazione tecnologica) degli
ultimi trenta-quaranta anni che ha aumentato enormemente la capacità di rispondere a bisogni
antichi (primari) e a bisogni nuovi per una popolazione sempre più ampia.
A sua volta, l’aumento della produttività del settore industriale-manifatturiero di beni materiali
(commodities nella terminologia anglosassone) ha creato le condizioni affinché un numero sempre
più rilevante di persone potesse dedicarsi ad attività di produzione di “beni immateriali”, di
svolgere attività innovative (quali la consegna a domicilio di beni o il collegamento a distanza,
via voce e poi con l’immagine, lo scambio di informazioni e i collegamenti in rete. Si è sviluppata
la cosiddetta economia dei servizi.
Nell’attuale società, appare così ancora più evidente che i problemi critici sono sempre meno
quelli della produzione di beni utili a soddisfare bisogni anche crescenti, ma quelli:
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Editoriale
a) del corretto uso dei beni e dei servizi disponibili, aspetto dell’aumento della razionalità dei
consumi (privati e pubblici) e della produttività dei consumi, intesa come livello di benessere
prodotto in rapporto alla ricchezza, ai beni utilizzati, ecc.;
b) della distribuzione delle opportunità di soddisfare bisogni, aspetto della concentrazione della
ricchezza visto non solo nella dimensione etica o ideale-ideologica dell’equità, ma anche nella
dimensione di sostenibilità dello sviluppo nel futuro;
c) della tutela dell’ambiente, aspetto della sostenibilità ambientale;
d) dei limiti posti dall’uso di risorse non rinnovabili, ad esempio energia, e della ricerca di fonti
rinnovabili, oltre che non inquinanti.
La valutazione delle amministrazioni pubbliche si pone su quest’ultimo fronte e risponde alla
duplice domanda:
a) quali sistemi attuare per fare in modo che le risorse messe a disposizione della comunità, in
forma coattiva tramite i tributi, o in forma volontaria tramite prezzi pagati per servizi pubblici
utilizzati invece di quelli privati (esempio trasporti) o tramite prestito agli enti pubblici, siano
utilizzate per migliorare le generali condizioni di vita e di benessere di individui e di intere
comunità?
b) Come garantire che le risorse “pubbliche” siano utilizzate per costruire infrastrutture e per
erogare servizi di qualità elevata ed efficienti, tali da aumentare la produttività di imprese, la
loro competitività a livello internazionale e tali da stimolare comportamenti di consumi privati e
pubblici maggiormente sostenibili (esempio raccolta differenziata dei rifiuti, acquisto di bevande confezionate in contenitori biodegradabili, riutilizzo di bottiglie o contenitori per l’acquisto
di generi alimentari e altri prodotti distribuiti periodicamente in appositi punti), stili di vita che
prevengano e impediscano l’insorgere di malattie che comporterebbero costi elevati per la
tutela della salute?
Sull’esigenza di introdurre, dove non esistono, o di rendere più rigorosi e razionali, dove già
esistono, i sistemi di valutazione del settore pubblico, agiscono stimoli forti ed è presente un
ampio accordo, anche se non vanno sottovalutate le resistenze e il potere ostacolante di chi a
parole si dice favorevole e nei fatti è contrario, perché vede il rischio della messa in discussione
di privilegi acquisiti nel tempo. In questo il Ministro Brunetta troverà un largo consenso. Tuttavia,
il tema non è semplice da applicare nel concreto per una serie di motivi che dovranno essere
attentamente considerati.
Innanzitutto, occorre chiarire cosa si valuta, poiché nel dibattito pubblico, nella percezione
delle persone, molte volte anche nelle ricerche e nelle indagini di carattere scientifico, si confonde, o comunque non è esplicitato chiaramente, se si intende valutare le politiche (capacità
della classe politica di affrontare i problemi della società con le corrette priorità) la funzionalità
degli apparati amministrativi (dei Ministeri, degli Assessorati), la qualità e la professionalità
delle persone, a sua volta spesso distinta implicitamente o esplicitamente nella componente della
dirigenza pubblica o di tutto il personale pubblico.
Certamente la qualità degli amministratori di carica politica (a livello locale, regionale,
nazionale e anche sovranazionale) influenza i livelli di efficacia delle amministrazioni, intese
come sistemi di persone che, sulla base di conoscenze, competenze e capacità professionali,
svolgono funzioni pubbliche o di pubblico interesse, regolano il comportamento di privati,
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esempio di soggetti privati che erogano servizi per conto delle amministrazioni, verificano il
rispetto non solo delle leggi, ma anche di altre regole, ad esempio la corretta esecuzione degli
appalti. Tuttavia, non va dimenticato che la funzionalità delle singole amministrazioni e di interi
comparti dell’amministrazione pubblica (enti locali, sanità, giustizia, ecc.) è spesso condizionata
da leggi obsolete (a volte vecchie di decenni e che regolano una realtà che non esiste più), da
pressioni esterne. A volte si manifesta addirittura la contraddizione di interventi che, avendo
una finalità positiva, ad esempio di rendere più trasparente l’attività amministrativa o di ridurre
i livelli di sprechi tramite il blocco generalizzato (totale o parziale) delle assunzioni e del turnover, rendono più complessa l’attività amministrativa. Ad esempio, norme sulla trasparenza non
coordinate con norme sulla semplificazione della raccolta e trasmissione delle informazioni, o
blocco delle assunzioni generalizzato, impediscono a certe amministrazioni di sostituire persone
dotate di professionalità specifiche e uniche nell’ente e, quindi, causano la riduzione dei i livelli
di funzionalità.
Se, poi, si considera la valutazione delle persone, si deve sottolineare che essa dovrebbe
essere basata su sistemi in grado di distinguere:
a) la professionalità intrinseca della persona (manager pubblico o altra figura professionale);
b) le condizioni dell’amministrazione in cui la persona opera (ad esempio in un ente in equilibrio
economico sostanziale, in un ente in dissesto, in un ente con personale motivato e qualificato o
in un ente in cui prevale personale non professionale, non motivato e, in molti casi, “protetto”
sul piano politico).
Valutare e, ancor più, mettere a confronto persone che operano in contesti molto differenti, può
portare a risultati completamente diversi, se non opposti, a quelli desiderati. Certamente non è
facile definire sistemi di valutazione in grado di distinguere tra le componenti sopra indicate.
Non è casuale il fatto che H. Minzberg, M. Porter e altri studiosi di management e di organizational theory considerino quelle pubbliche come le organizzazioni “a più elevata complessità
in assoluto”. Tuttavia, queste considerazioni dovrebbero suggerire a chi scriverà i Decreti sulla
valutazione e a tutti coloro che vorranno introdurre seriamente sistemi di valutazione di non
fare affidamento su strumenti semplicistici, spesso abbandonati da decenni dalle imprese perché
errati e generatori di distorsione, come sono i sistemi della tipologia “valutazioni sulla base del
paradigma dei tempi e metodi”, di utilizzare con determinazione, trasparenza, ma altrettanto
controllo, questi sistemi. Inoltre, al contrario di quanto comunemente si crede, almeno negli ultimi
due decenni, un certo numero di enti ha introdotto, sperimentato e applicato sistemi di valutazione dei propri risultati e del proprio personale che nulla hanno da invidiare a quelli delle best
practices di imprese o di amministrazioni di altri Paesi. Studiarli a fondo e attivare processi di
“trasferimento ad altre amministrazioni” sarebbe la prima cosa da fare. (1)
Con riferimento al funzionamento, vari sono gli aspetti che possono essere valutati. La quantità o qualità dei servizi erogati in rapporto ai bisogni reali. Come ad esempio, il numero dei
certificati anagrafici o di stato civile, considerando anche il tempo di attesa medio, minimo o
massimo dei cittadini; il numero di autorizzazioni e certificazioni per le imprese, anche in questo
caso qualificato dal tempo di attesa; il numero e la qualità degli interventi per la pulizia dei
1 Per chi ha adottato e adotta tali strumenti di valutazione, trovare il modo per farli conoscere e inviare articoli ad
Azienda Pubblica può essere uno dei canali per raggiungere l’obiettivo.
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luoghi pubblici, per la sicurezza, di interventi di diagnosi e cura appropriati (nel caso di strutture
sanitarie), di controlli igenico-sanitari sugli alimenti, di fondi erogati a sostegno di persone o
famiglie in stato di disagio o a favore di imprese in fase di avvio, per favorirne lo sviluppo, o
per consentire loro di affrontare e superare periodi di crisi, come quello attuale. Si può, invece,
valutare la soddisfazione di cittadini, di imprese e di altri soggetti che interagiscono con le amministrazioni pubbliche. È uno degli aspetti posti al centro dell’attenzione dal Ministro Brunetta
che collega elementi oggettivi, effettiva qualità dei servizi e rispondenza ai bisogni, con elementi
soggettivi, esempio attese dei cittadini o delle imprese che, a volte, si aspettano dall’amministrazione servizi che non rientrano nelle sue funzioni o che non è in grado di erogare per vincoli
vari (esempio non ha i poteri formali di intervenire su certi comportamenti). A volte, il livello di
soddisfazione/insoddisfazione nei confronti delle amministrazioni dipende da comportamenti di
altri soggetti, nei casi limite da comportamenti degli stessi soggetti che si dichiarano insoddisfatti,
come nel caso di chi lascia l’auto in sosta (anche se temporanea) in seconda fila e allo stesso
tempo si lamenta per la congestione del traffico, o nel caso di imprese che (pur adeguatamente
informate e supportate) non presentano tutta la documentazione richiesta e poi si lamentano dei
“tempi lunghi della burocrazia”. Certamente la rilevazione, con strumenti sempre più adeguati,
del livello di soddisfazione è un necessario passo in avanti nella logica di una amministrazione
che deve “essere al servizio” della società. Rilevazioni che devono consentire comparazioni
con altre amministrazioni simili e nel tempo (evoluzione), ma che devono essere attentamente
valutate prima di trarne giudizi e prendere delle decisioni. Ad esempio, verificare, con opportuni
strumenti, che non vi siano distorsioni strutturali, quali il fatto che fanno sentire la propria voce
solo o prevalentemente i soggetti insoddisfatti, mentre quelli soddisfatti non si preoccupano di
segnalarlo, poiché “ritengono naturale aver ottenuto un certo servizio”. È simile a quanto accade
nelle manifestazioni di protesta, motivate o pregiudiziali, nelle quali poche centinaia o poche
migliaia di persone organizzate sembrano o si autodefiniscono espressione di insoddisfazione
generalizzata, quando invece la larga maggioranza della popolazione (la cosiddetta “maggioranza silenziosa”) di fatto è o si ritiene almeno sufficientemente soddisfatta.
Nei confronti tra diverse realtà, poi, occorre tenere conto delle diverse culture e dei diversi
atteggiamenti riguardo all’intervento pubblico. C’è chi ha attese molto elevate in rapporto a
quanto egli fa per favorire la tutela degli interessi pubblici e chi ha attese “più equilibrate” in
rapporto alle difficoltà oggettive. Le popolazioni del primo tipo tenderanno ad esprimere livelli
di insoddisfazione mediamente e strutturalmente più elevati dei secondi a parità di qualità dei
servizi e di efficienza. Va considerata con favore la politica di rilevare il livello di soddisfazione
dei cittadini, delle imprese, di altri soggetti, ma si suggerisce di utilizzare la prima fase di questo
processo per capire ed eliminare le possibili distorsioni o uso strumentale delle informazioni. Si
auspica, soprattutto, che nella prima fase in cui il sistema non è ancora ben radicato, si evitino
le “classifiche” dei più bravi e dei meno bravi che, si ripete, potrebbero dare una rappresentazione distorta della realtà e si suggerisce di utilizzare queste rilevazioni soprattutto per analisi
interne finalizzate a migliorare il servizio.
La valutazione dell’amministrazione, poi, può riguardare i risultati economico-finanziari,
aspetto particolarmente rilevante in questa fase storica per la necessità di rispetto del patto di
stabilità e negli ultimi mesi a causa dell’effetto combinato della crisi economica: minori entrate
per la riduzione del Pil e dei redditi soggetti a tassazione e aumento della pressione per utilizzare
la spesa pubblica con finalità anticiclica. Molte sono le considerazioni che si possono fare al
riguardo. Come valutare un positivo equilibrio economico-finanziario e, indirettamente, come
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valutare i dirigenti e gli amministratori pubblici, in realtà dissestate che hanno ottenuto rilevanti
miglioramenti senza raggiungere situazioni di equilibrio, rispetto a dirigenti e amministratori che
hanno agito in situazioni già solide o, comunque, meno problematiche? Come valutare chi ottiene
l’equilibrio economico-finanziario agendo su livelli di efficienza interna e, quindi, mantenendo
(o addirittura aumentando) i livelli di servizi, e chi ottiene l’equilibrio cercando di individuare
ed eliminare servizi non appropriati, inutili o di scarsa utilità e chi, invece, persegue e ottiene
l’equilibrio economico-finanziario ricorrendo a “tagli indiscriminati e omogenei di spesa”?
Occorre, poi, richiamare l’attenzione sul fatto che, come avviene anche nelle imprese, si
possono adottare politiche che consentono di raggiungere l’equilibrio di breve periodo, ma
trasferiscono al futuro problemi e vincoli di rigidità o invece perseguire e raggiungere l’equilibrio nel breve periodo tenendo presenti le esigenze di mantenere un equilibrio anche nel lungo
periodo. L’orientamento all’equilibrio di breve o di medio-lungo periodo può caratterizzare sia
la dirigenza, per motivi di carriera o per differenti professionalità, sia gli amministratori di carica
politica, per ragioni di consenso elettorale. Sono noti, anche dall’esperienza di imprese, banche,
famiglie, assicurazioni non profit, i problemi e le gravi crisi causate da sistemi di valutazione
e da conseguenti decisioni eccessivamente orientati a risultati (di servizi, di soddisfazione, di
equilibrio economico-finanziario) di breve periodo. Nelle amministrazioni pubbliche logiche e
strumenti di valutazione non bilanciati ed eccessivamente orientati al breve, possono di fatto,
anche se non nelle intenzioni, ostacolare scelte di riforme strutturali i cui effetti si manifestano solo
nel medio-lungo periodo. A seguito della limitata attenzione data finora all’aspetto della valutazione rispetto a quello della programmazione e della definizione (promessa) di obiettivi, oggi ci
si trova in una situazione che si può definire “l’incudine”, attuare riforme e scelte strutturali, e “il
martello”, necessità comunque di applicare sistemi di valutazione in grado di esprimere giudizi
equilibrati sulle performance di breve periodo per mettere in crisi, e possibilmente eliminare,
la cultura dell’autoreferenzialità che ancora caratterizza una parte troppo estesa delle amministrazioni pubbliche, anche se non mancano e non sono pochi gli esempi di amministrazioni
pubbliche che da anni usano sistemi di valutazione dei vari aspetti sopra ricordati, alcuni dei
quali potrebbero essere presi da esempio anche da imprese e da realtà del privato.
Le tecniche e i processi di valutazione, sono condizionati dal fine prescelto che può essere
quello di:
a) riconoscere e premiare, anche sul piano economico tramite la componente di “retribuzione
legata ai risultati”, dei dirigenti e di altre posizioni organizzative;
b) realizzare migliori processi di progressione economica, all’interno delle fasce di inquadramento o di carriera;
c) individuare, far emergere e valorizzare persone dotate di alto potenziale che, non di rado,
nelle amministrazioni pubbliche rappresentano “risorse sprecate” poiché non accettano logiche
di schieramento, di appartenenza o, più semplicemente, perché fanno con impegno e dedizione
il proprio dovere senza preoccuparsi di mettersi in mostra o di privilegiare l’apparenza rispetto
all’essere e all’operare.
Al riguardo si sottolinea che efficaci sistemi di valutazione devono supportare sistemi di incentivazione economica mirati e selezionati, superando la consuetudine ancora presente in molte
amministrazioni di “distribuzione a pioggia” o a “rotazione programmata” della retribuzione di
risultati. Per essere efficaci i sistemi di valutazione e di incentivazione devono premiare i singoli,
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Editoriale
ma allo stesso tempo devono evitare di diffondere anche nelle amministrazioni la cultura del
“rampantismo” che ha causato non pochi e non marginali danni a molte imprese e all’economia
di mercato. Occorre ricordarsi sempre che i risultati di una istituzione, di una azienda pubblica
o privata, dipendono dal contributo di ogni singola persona, ma anche dalla collaborazione
tra persone che appartengono allo stesso servizio, unità organizzativa, direzione, Comune,
Provincia, Regione, Ministero, altra amministrazione. Di conseguenza, i sistemi di valutazione e
di collegati riconoscimenti economici e non economici devono premiare i singoli, il che è positivo
anche per coloro che, in un dato periodo, non ottengono riconoscimenti poiché costituisce stimolo
al miglioramento. Tuttavia, occorre applicare sistemi di valutazione o di motivazione idonei a
riconoscere e a premiare elementi di collaborazione tra persone, tra unità organizzative. Ad
esempio, introducendo e dando un coerente peso ai cosiddetti “obiettivi trasversali”, ossia che
sono raggiungibili e raggiunti solo se vi è un elevato spirito di collaborazione. I sistemi di valutazione e di correlata motivazione devono essere tali da stimolare contemporaneamente lo spirito
di emulazione e la volontà di continuo miglioramento dei singoli e da rafforzare il senso del
lavoro di équipe e di appartenenza. Se non si è in grado di trovare un soddisfacente equilibrio,
che è diverso nelle diverse amministrazioni, si rischia di generare quello che può essere definito
“schizofrenia organizzativa” o “stress da valutazione”. Ognuno cerca di ottenere valutazioni
(e incentivi) individuali dando sempre limitato peso a quegli aspetti dell’amministrazione che
richiedono forte coordinamento e collaborazione. L’effetto finale potrebbe paradossalmente essere
il miglioramento dei singoli servizi o aree di attività, ma il peggioramento complessivo della
funzionalità dell’amministrazione. Il rischio connesso al ricorso a sistemi di valutazione troppo
semplicistici e immediati rispetto alla complessità oggettiva, soggettiva, istituzionale, politica delle
amministrazioni pubbliche potrebbe dare una ulteriore conferma di uno dei postulati matematici:
in un sistema, la somma degli ottimi parziali non costituisce l’ottimo del sistema stesso.
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Saggi
Governance e pianificazione strategica
Il piano strategico della città come strumento di governance:
potenzialità e criticità
Antonio Botti
Ricercatore presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università di Salerno
Massimiliano Vesci
Ricercatore presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università di Salerno
SOMMARIO: 1. Premessa: gli obiettivi del lavoro. 2. Base di partenza scientifica: il quadro teorico di riferimento e le ipotesi
di ricerca. 3. L’oggetto dell’indagine. 4. La metodologia della ricerca. 5. L’organizzazione e lo sviluppo dell’indagine.
6. La descrizione del fenomeno: rete naturale o governata? 7. I meccanismi di stimolo all’attuazione delle decisioni. 8.
Il processo di negoziazione. 9. Il processo di comunicazione. 10. Conclusioni. Appendice.
Il mutamento del contesto competitivo ha indotto molte città (sia europee che italiane) a progettare
il proprio futuro attraverso la redazione di un piano strategico. Il lavoro si propone di analizzare,
basandosi sulle esperienze italiane, alcune problematiche di governance che si riscontrano nella
formulazione e nella implementazione di un piano strategico territoriale. Le problematiche sono
analizzate ipotizzando che i soggetti che partecipano al processo di costruzione, prima, e alla
implementazione, poi, di un piano strategico si muovano secondo logiche di network dando luogo
ad una configurazione organizzativa “a rete”.
In the last decade, changes in the competitive environment have led a lot of municipalities to plan
their activities by the formulation of a strategic plan. The paper analyzes the characteristics of
“governance” during the process of elaboration and implementation of the plan. The work focuses
on the Italian experience. The hypothesis is that the stakeholders involved in the planning process
create a network organization with their behaviours.
L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e
programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno
– Università degli Studi del Sannio, giugno 2008.
Pur essendo l’intero lavoro frutto di uno sforzo congiunto, i §§ 2, 3, 7 sono stati redatti da Antonio Botti, i §§ 4, 5, 6,
8, 9 da Massimiliano Vesci e i §§ 1 e 10 da entrambi gli autori.
Il presente lavoro è un risultato delle attività di ricerca svolte nell’ambito dei seguenti progetti presso l’Università degli
Studi di Salerno: 1. “Il ruolo dei processi di programmazione e controllo nella managerializzazione della pubblica amministrazione” ex 60% anno 2007; 2. “Analisi delle condizioni di ambiente interne ed esterne a supporto dell’intensità
manageriale nella pubblica amministrazione”, ex 60% anno 2007
Parole chiave: governance – reti – pianificazione strategica
Key words: governance – network – strategic planning
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Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
1. Premessa: gli obiettivi del lavoro
La globalizzazione dei mercati, il processo di integrazione europea, la devoluzione dei poteri dal centro verso la periferia sono solo tre dei fenomeni
che stanno contribuendo a ridefinire il ruolo dello Stato, rinforzando i livelli
locali di governo.
Il mutamento del contesto competitivo è certamente uno dei fattori che
hanno indotto un certo numero di città a progettare il proprio futuro attraverso la redazione di un piano strategico. Questo strumento è stato utilizzato
sia in aree caratterizzate da esigenze di riconversione, conseguenti alla
crisi di alcune attività economiche (è questo il caso delle città di Amburgo,
Birmingham, Liverpool e Manchester), sia in città molto dinamiche chiamate
ad affrontare problemi di forte competizione internazionale (come Lione,
Barcellona, Amsterdam e Torino). In Italia, l’introduzione del piano strategico come strumento di governance ha visto anche la creazione di una rete
(www.recs.it) tesa a favorire la condivisione delle esperienze e lo scambio
delle good practices.
La progettazione del futuro di una città o di un territorio attraverso
l’articolazione di un piano strategico, che i promotori spesso definiscono
come “un atto di condivisione”, tra una molteplicità di attori, “di un futuro
desiderato per il territorio”, attiva logiche di governance diverse rispetto
al tradizionale paradigma verticistico, che prevede la definizione degli
interventi secondo uno schema di tipo rigidamente top-down.
Il presente lavoro si rifà al concetto di governance inteso come capacità
dei governi di modellare strutture e processi socio-economici (Mayntz, 1999)
in cui le relazioni tra autorità politiche e altri soggetti sono gestite adottando
uno stile cooperativo e interattivo (Eljassen-Kooiman, 1993).
Il lavoro si propone di analizzare, basandosi sulle esperienze italiane,
alcune problematiche di governance che si riscontrano nella formulazione e
nella implementazione di un piano strategico territoriale. Tali problematiche
sono analizzate ipotizzando che i soggetti che partecipano al processo di
costruzione, prima, e alla implementazione, poi, di un piano strategico si
muovano secondo logiche di network dando luogo a una configurazione
organizzativa “a rete”. (1) Il modello reticolare viene pertanto utilizzato come
lente diaframmatica per leggere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra
i soggetti che partecipano alla pianificazione strategica della città al fine
di verificare se nella realtà si riscontrano le caratteristiche peculiari che la
teoria evidenzia per tale struttura organizzativa ovvero per analizzare se e
quanto i processi e le strutture organizzative si avvicinano o si discostano
dal framework teorico.
I problemi che generalmente pone la formulazione e la successiva im-
1 In dottrina si riscontrano numerose posizioni che considerano la rete una forma organizzativa autonoma, distinta e non residuale rispetto al mercato e alla gerarchia (GRANDORI 1989,
1995, 1997; LORENZONI, 1990, 1997; SODA, 1998; RICCIARDI, 2003).
Azienda Pubblica 2.2009
206
Saggi
Governance e pianificazione strategica
plementazione di un piano strategico di una città possono essere ricondotti
ai seguenti aspetti (Cavenago, 2004; Mazzara, 2006):
– attivazione e gestione della rete degli stakeholder;
– coordinamento tra azioni, interventi previsti e dinamica finanziaria;
– gestione delle misure e degli interventi;
– controllo del grado di avanzamento del piano.
2. Base di partenza scientifica: il quadro teorico di riferimento
e le ipotesi di ricerca
L’ipotesi di base di questo lavoro è che la struttura organizzativa a rete
sia il modello teorico cui si suppone possa essere ricondotto il processo
di pianificazione che caratterizza la costruzione e l’implementazione dei
piani strategici delle città.
La scelta di analizzare il fenomeno della pianificazione strategica territoriale attraverso il modello reticolare discende dalla flessibilità del concetto
di rete, che può essere agevolmente adattato a diverse situazioni (Barnes,
1972), nonché dalle potenzialità di tale modello che, come sottolinea Collins
(1992), consente di coniugare la dimensione micro (comportamenti degli
attori coinvolti) con quella macro (effetti economico-sociali).
La rete nasce come strumento concettuale per descrivere ed esplorare le
relazioni sociali nelle comunità, nei gruppi e nelle istituzioni. Tale modello è
stato poi applicato allo studio delle relazioni tra imprese, portando parte della
dottrina a considerarlo una specifica modalità organizzativa (cfr. nota 1).
La vasta categoria di forme organizzative riconducibili al concetto di rete
è stata studiata ipotizzando un continuum di assetti istituzionali, contrattuali e
organizzativi che si pongono in posizione intermedia tra l’impresa integrata
(gerarchia) e il mercato perfetto. (2) Gli studi, pertanto, si sono concentrati
sullo sviluppo delle relazioni, sul potere decisionale, sugli strumenti di
coordinamento e sulle differenze istituzionali e organizzative (Grandori,
1989, 1995, 1997; Grandori, Soda, 1995; Lorenzoni, 1997), proponendo
diverse classificazioni (Soda, 1998) basate su specifiche variabili incentrate
sull’intensità e la forza delle relazioni, sul grado di formalizzazione e sul
tipo di interdipendenza.
L’aspetto relazionale interessa le modalità di sviluppo della rete. Essa
può essere promossa da un soggetto che assume una posizione baricentrica
e svolge un ruolo di coordinamento: si parla in tal caso di rete centrata
(Grandori, Soda, 1991; Ricciardi, 2003). In mancanza di un attore centrale, invece, la dottrina definisce la rete paritetica (Grandori, Soda, 1991) o
simmetrica (Ricciardi, 2003).
2 Di impresa rete si parla sia con riferimento al caso di imprese giuridicamente autonome legate da vincoli associativi, sia nel caso di accordi di natura contrattuale, sia ancora nel caso
di imprese che hanno una struttura proprietaria e organizzativa unica, ma che si articolano
al loro interno in strutture con elevata autonomia (BUTERA, 1997).
207
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
Il potere decisionale è ricollegato al controllo proprietario detenuto dal
soggetto che è al centro della rete (Soda, 1998) mentre gli strumenti di
coordinamento (3) risultano differenziati in funzione di come si configurano
i rapporti tra gli attori. Il coordinamento può essere formalizzato attraverso
contratti di scambio o di associazione: è questo il caso della rete burocratica (Grandori, Soda, 1995), che può essere sia centrata che paritetica.
Ai meccanismi di controllo burocratico spesso sono associati meccanismi
sociali di coordinamento quali la fiducia, la condivisione delle informazioni
e l’orizzonte temporale del rapporto (Soda, 1998). Queste ultime forme di
reti, teorizzate da Barney e Ouchi (1985), presentano contemporaneamente
meccanismi di coordinamento di mercato e sociali o di clan.
Nella rete si ha, quindi, lo sviluppo di un rapporto collaborativo tra una
pluralità di soggetti che cooperano verso il perseguimento di un obiettivo
comune (Soda, 1998). Tale circostanza si riscontra anche nei casi esaminati
di pianificazione strategica delle città in cui il coinvolgimento degli stakeholder è indicato come un obiettivo del processo.
Gli elementi che formano una struttura reticolare sono costituiti da (Lomi,
1991, Butera, 1997):
–
–
–
–
nodi o sistemi, rappresentati da entità orientate ai risultati;
connessioni, ossia gli elementi che collegano i nodi;
strutture, che sono la configurazione dei nodi e delle connessioni;
proprietà operative, che sono le regole che disciplinano il funzionamento
della rete.
La progettazione delle relazioni da attivare tra i partner (connessioni) è un
compito che ricade sul soggetto che governa il processo (nell’ipotesi di rete
centrata), il quale definisce la quantità (frequenza) e la qualità (intensità)
delle stesse (Boldizzoni, Serio, 1996). Tale soggetto, quindi, stabilisce il
grado di apertura e di formalizzazione della struttura organizzativa e ne
fissa le regole decisionali che rappresentano un elemento centrale nel funzionamento del sistema.
Il soggetto che governa la rete deve, inoltre, assicurare la vitalità dei
nodi, selezionando e sviluppando le connessioni critiche e individuando
idonei meccanismi per far convivere una pluralità di soggetti che perseguono
obiettivi specifici e personalistici (Butera, 1997).
Rispetto al quadro teorico illustrato, il lavoro fa prevalentemente riferimento al modello elaborato da Butera (1997) dal momento che lo stesso
è particolarmente focalizzato sul processo di costruzione della rete e sulle
3 Una classificazione dei meccanismi di coordinamento è proposta da GRANDORI e SODA
(1991, 1995) che individuano le seguenti forme:
– meccanismi istituzionali;
– meccanismi contrattuali;
– meccanismi organizzativi;
– meccanismi sociali;
– tecnologie di coordinamento.
Azienda Pubblica 2.2009
208
Saggi
Governance e pianificazione strategica
configurazioni strutturali. Il modello peraltro riprende molti degli aspetti
rilevanti evidenziati in dottrina e sinteticamente descritti in questo lavoro.
In particolare, una architettura reticolare può assumere configurazioni
diverse al cui interno si possono distinguere due categorie idealtipiche che
Butera (1997) definisce: rete naturale e rete governata.
La rete naturale si caratterizza per la presenza di agenti che hanno
una elevata capacità di autoregolazione e per l’assenza di una struttura
gerarchica unitaria (Butera, 1997) ed è assimilabile alla rete paritetica. La
rete governata è invece assimilabile alla rete centrata, come la definisce
altra parte della dottrina (Grandori, Soda, 1991; Ricciardi, 2003). Essa
presenta uno o più centri intorno ai quali orbitano gli altri attori che, nella
classificazione tassonomica proposta da Butera (1997, p. 58), assume le
seguenti configurazioni:
• a base gerarchica, in cui è dominante la struttura gerarchica interna, ma
vi sono forti relazioni di influenza con gli altri soggetti;
• a centro di gravità concentrato, in cui vi è una sola agenzia strategica
che influenza gli altri attori;
• con centri di gravità multipli, in cui il sistema ruota intorno a più agenzie
strategiche, con relazioni di influenza complesse e variabili nel tempo;
• senza centro, in cui manca una struttura centrale e l’identità del sistema
è garantita dal territorio (distretti, filiere, ecc.).
Da queste premesse è stata derivata la prima domanda di ricerca, che ha
natura puramente descrittiva ed è finalizzata ad inquadrare il fenomeno
indagato:
D1) a quale configurazione teorica è possibile assimilare, in linea generale,
l’insieme delle esperienze di pianificazione strategica delle città italiane?
Effettuato tale inquadramento, è quindi possibile procedere all’analisi delle
modalità rilevanti che caratterizzano il processo di assunzione delle decisioni
nel fenomeno indagato.
Nella sua analisi sui processi decisionali di natura politica Pettigrew
(1973) critica il modello di Simon poiché ritiene eccessiva l’attenzione
prestata al problema dell’incertezza e scarsa quella posta sul conflitto di
interessi dei soggetti coinvolti. I processi decisionali di natura politica sono
caratterizzati da negoziazioni di tipo competitivo, basate sulla forza, e di
tipo cooperativo, basate sullo scambio (Mariani, 2003). Anche le decisioni
assunte nelle organizzazioni sono il risultato dell’interazione dei vari attori
coinvolti e richiedono, quindi, una mediazione tra gli obiettivi contrastanti
portati da ciascuno. Il processo decisionale di natura organizzativa ha
pertanto alcune caratteristiche della decisione politica e, di conseguenza,
della decisione collettiva. Una delle due domande che March (1994) pone
per interpretare il funzionamento di un sistema organizzativo come un siste209
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
ma politico può aiutarci nello studio di uno degli aspetti che questo lavoro
affronta. Tale domanda riguarda il sistema di reclutamento dei partner e
le modalità con cui sono definiti e fatti rispettare gli accordi. In particolare
Hickson (1995) ha sottolineato come il problema principale delle decisioni
collettive sia proprio quello dell’implementazione, ossia l’individuazione di
meccanismi appropriati per indurre gli attori a mettere in atto le decisioni.
Da queste posizioni della teoria è possibile quindi porre la seguente prima
ipotesi:
H1) l’attivazione di un processo di pianificazione che coinvolge una pluralità
di attori dà luogo a un processo decisionale di natura collettiva che dovrebbe
prevedere dei meccanismi tesi a stimolare l’attuazione delle decisioni.
Accertata, con la domanda descrittiva D1, la sussistenza di configurazioni
tendenzialmente reticolari, per verificare se le realtà analizzate hanno
attivato processi coerenti con le affermazioni della teoria è possibile porre
la seguente domanda di ricerca:
D2) sono stati attivati meccanismi operativi tesi a indurre i soggetti alla
realizzazione delle azioni programmate?
La creazione di una rete porta di fatto alla nascita di una coalizione tra i
partecipanti. La dottrina ritiene che le coalizioni siano strutturalmente instabili
dal momento che richiedono (Mariani, 2003):
a) un’attenzione continua degli attori verso gli obiettivi (tuttavia, dal momento che gli individui non sono macchine, tale attenzione risulta difficile
da garantire nel tempo);
b) una stabilità del contesto, che confermi nel tempo priorità e obiettivi
(ipotesi questa chiaramente ed evidentemente poco realistica).
Tale instabilità caratterizza anche le reti ove l’incoerenza tra gli obiettivi degli
attori e il conflitto tra gli stessi è una situazione normale e non transitoria
(Grandori, 1995). Si pone quindi il problema della costruzione di una identità
organizzativa che cerchi di evitare che le preferenze individuali possano
distorcere la decisione collettiva. Un meccanismo integrativo, capace di
rendere governabili organizzazioni pluralistiche, che di recente ha ricevuto
particolare attenzione dalla letteratura organizzativa (Mariani, 2003), è la
negoziazione. Questa favorisce lo sviluppo, tra i partecipanti, di interconnessioni e della consapevolezza della loro interdipendenza. Negli studi
organizzativi (Crozier, Friedberg, 1977; Grandori, 1991), la negoziazione
non viene considerata un processo organizzativo, ma una forma di governo
esplicita e accettata, che talora viene istituzionalizzata e formalizzata.
La negoziazione si presenta, quindi, come una modalità per risolvere
i problemi decisionali diversa dal mercato, dall’autorità e dalla guerra
Azienda Pubblica 2.2009
210
Saggi
Governance e pianificazione strategica
(Raiffa, 1982). Sulla base di quanto si è appena rappresentato è possibile
formulare la seguente seconda ipotesi:
H2) la negoziazione è un meccanismo che facilita il governo di un processo
decisionale che coinvolge una pluralità di attori.
Per verificare questa ipotesi di ricerca viene posta la seguente domanda:
D3) l’attivazione di un processo di negoziazione degli obiettivi agevola
l’implementazione del piano?
La gestione di una rete richiede l’attivazione di idonei meccanismi organizzativi. Butera (1997) sostiene che una organizzazione reticolare per
funzionare abbia bisogno di sistemi operativi, di regole e di cultura. Riguardo a questo ultimo aspetto l’autore evidenzia l’importanza della gestione
delle connessioni, il saper scambiare e gestire le informazioni per generare
condivisione di valori. Le relazioni rappresentano il “ … vero contenitore e
regolatore dei processi economici e organizzativi” (Butera, 1997, p. 54).
La sottolineata centralità dei processi di comunicazione, quindi, consente
di indurre la formulazione della seguente terza ipotesi:
H3) la comunicazione è un meccanismo che facilita il governo di un processo
di pianificazione che coinvolge una pluralità di attori.
La verifica di questa ipotesi di ricerca è operata ponendo le seguenti domande:
D4) la mancata comunicazione delle regole della concertazione e delle
fasi del processo operativo allunga i tempi di definizione e approvazione
del piano?
D5) la mancata comunicazione delle regole della concertazione e delle
fasi del processo operativo rende più complessa l’implementazione del
piano?
D6) la mancata articolazione degli obiettivi incrementa le problematiche di
implementazione del piano?
3. L’oggetto dell’indagine
L’analisi ha riguardato tutte le città italiane aderenti alla REte delle Città con
piani Strategici (RECS) che risultavano censite sul sito web dell’associazione
nel periodo della rilevazione (10.1.2008-29.2.2008) e che avevano illustrato lo stato e lo sviluppo del processo di elaborazione del piano attraverso
la rete internet.
211
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
La rete RECS nasce per favorire lo sviluppo e il consolidamento dei
processi di pianificazione strategica e di governo locale stimolando, allo
stesso tempo, il confronto con procedure e strumenti già adottati a livello
europeo da altre amministrazioni urbane.
I principali obiettivi della rete possono essere sintetizzati:
a) nella diffusione della pianificazione strategica quale modello di governance;
b) nella promozione delle attività di benchmarking al fine di far circolare, sia
fra gli addetti ai lavori sia fra i policy maker, le metodologie applicative
dando conto dei risultati raggiunti e del loro impatto sullo sviluppo della
città;
c) nella realizzazione di un osservatorio che garantisca, tra gli altri compiti,
l’accesso e l’utilizzo a tutti gli interessati di tutta la documentazione sulle
politiche di governo locale.
Alla rete, inizialmente costituita dal cosiddetto gruppo promotore, possono
aderire tutte quelle città che intendono adottare il modello della pianificazione strategica integrando nella logica di governo una visione di lungo
periodo. Per partecipare alla rete non è necessaria, quindi, una dimensione
particolare ma solo la concreta volontà di sperimentare nuovi modelli di
governance da condividere con tutti gli attori del processo e con tutti gli
aderenti alla rete stessa.
In particolare, nel periodo considerato sono presenti con un apposito
link sul sito dell’associazione trentatré città (tabella 1). Di queste quasi il
50% risulta localizzato nel sud e nelle isole (rispettivamente 7 città nelle
isole e 7 al meridione) mentre la rimanente parte è più o meno equamente
distribuita fra il centro (con 10 città) e il nord (con 9 città di cui 5 al nord
est e 4 al nord ovest) (tabella 1).
Tabella 1 – Distribuzione delle città associate alla RECS e di quelle che afferendo alla RECS hanno
attivato un sito internet e/o pubblicato materiale
Città aderenti RECS
nord ovest
nord est
Totale nord
centro
sud
isole
Totale sud e isole
N.
4
5
9
10
7
7
14
Totale generale
33
Azienda Pubblica 2.2009
%
12,12%
15,15%
27,27%
30,30%
21,21%
21,21%
42,42%
212
Città con sito e/o
materiali pubblicati
nord ovest
nord est
Totale nord
centro
sud
isole
Totale sud e isole
N.
3
5
8
7
2
1
4
Totale generale
18
%
16,67%
27,78%
44,44%
38,89%
11,11%
5,56%
16,67%
Saggi
Governance e pianificazione strategica
L’indagine è stata realizzata solo su 18 delle predette città, ossia quelle
per le quali si è avuta disponibilità di dati e documenti sullo sviluppo del
processo e sul suo stato di avanzamento.
Rispetto all’universo, dunque, l’indagine ha riguardato il 54,54% del
totale che è una percentuale comunque significativa rispetto al fenomeno.
Ciò che, invece, lascia quanto meno perplessi è la distribuzione delle
18 città che hanno dato luogo a un processo di comunicazione delle loro
attività. Si assiste infatti a una totale modificazione della distribuzione
originaria con una forte riduzione della rappresentatività delle città
censite al meridione e nelle isole. Delle 14 città meridionali, solo 3 (di
cui 1 nelle isole) hanno attivato un concreto processo di comunicazione
delle attività connesse all’elaborazione del piano strategico. La maggioranza delle città componenti il campione è localizzata al nord, che con
8 città contribuisce per oltre il 40%. Per le città del centro Italia, infine,
si rileva che solo 3 su 10 non hanno ancora attivato alcun processo di
comunicazione.
La perplessità sulla distribuzione geografica delle città rispetto al processo di comunicazione induce alcune considerazioni che, lungi dall’essere
descrittive di uno stato (cosa ovviamente non possibile stante le finalità
dell’indagine qui condotta), consente tuttavia di elaborare alcune ipotesi
di ricerca future. Il comportamento delle città meridionali, che di fatto si
affrettano nell’associarsi salvo poi non attivare alcun reale processo di comunicazione, può rappresentare – laddove il processo di elaborazione del
piano strategico sia stato avviato – una mera disattenzione che segnala,
tuttavia, da un lato la scarsa propensione alla condivisione di know-how e
quindi a una partecipazione attiva al network RECS e, dall’altro, una scarsa
attenzione ai processi di comunicazione.
Ma tale comportamento potrebbe anche nascondere, laddove il piano
non fosse stato nei fatti mai avviato, una mera operazione di immagine
per creare visibilità politica. Il piano strategico, infatti, è un documento
non obbligatorio e la sua peculiarità risiede proprio nel fatto che gli amministratori desiderano coinvolgere partner e stakeholder nel processo di
governo, condividendone le complessità che lo caratterizzano. Senza voler
esprimere giudizi non supportati da idonea documentazione si può quindi
rilevare che l’iscrizione alla rete, senza un comportamento coerente con le
finalità della stessa, sia quanto meno espressione di una certa disattenzione
rispetto alle logiche reticolari.
L’indagine poi ha rivelato che le due città del sud che hanno attivato un
processo di comunicazione non hanno ancora completato la costruzione del
piano; tali città sono state considerate per dare risposta alla domanda D1
(che descrive la configurazione della rete) e non sono state poi utilizzate per
le domande da D2 a D6 (che riguardano gli aspetti e i problemi derivanti
dalla implementazione dei piani).
213
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
4. La metodologia della ricerca
La scelta della metodologia di ricerca dipende dalle caratteristiche del fenomeno che si vuole indagare e dagli aspetti che si vogliono analizzare. L’utilizzo di un approccio quantitativo presuppone l’identificazione di relazioni di
causa – effetto, la loro riduzione a specifiche ipotesi e domande di ricerca,
l’individuazione di idonee variabili, la loro misura e la successiva verifica
rispetto alle ipotesi e alla teoria (Creswell, 2003). Pertanto le metodologie
quantitative presuppongono una precisa definizione dei fattori da indagare
prima di avviare l’indagine. Nello specifico ciò implica l’individuazione ex
ante delle relazioni significative e la loro generalizzazione.
L’obiettivo che si pone questo lavoro, invece, è di verificare se le esperienze di pianificazione strategica delle città hanno dato vita a una rete,
quali meccanismi operativi sono stati utilizzati e se gli stessi hanno influito
positivamente sul raggiungimento degli obiettivi. Pertanto non si ritiene
significativa alcuna ipotesi di relazione causale formulata ex ante poiché
il processo di conoscenza richiede l’assunzione di una prospettiva costruttivista, che ricerchi nelle diverse esperienze esaminate degli elementi di
comunanza generalizzabili. In questa situazione in letteratura si raccomanda
l’adozione di un approccio qualitativo (4) che risulta particolarmente adatto
a indagare la natura di un fenomeno le cui caratteristiche non sono ben
definite ex ante.
Nel lavoro che qui si presenta il quadro teorico di riferimento non
sembra potersi ritenere caratterizzato da consolidata modellizzazione. Sul
fenomeno delle reti Lorenzoni (1993, p. XV) così si esprimeva: “Le espressioni ‘rete’ e ‘organizzazioni a rete’ hanno avuto successo in tempi recenti,
anche se sussiste una mancanza di chiarezza sul loro significato e scarse
informazioni sulle loro applicazioni”. Tuttavia, ancora oggi nel lavoro di
Cropper, Ebers, Huxham e Smith Ring (2008, p. 5), che fa il punto sullo
stato dell’arte degli studi aventi ad oggetto le relazioni interorganizzative,
si evidenzia la mancanza di un quadro teorico condiviso e l’assenza di una
terminologia universalmente accettata tanto che, a termini di uso comune,
come ad esempio collaborazione, costellazione, network, ecc., sono attribuiti
significati differenti dai diversi autori. È poi vero che le rilevazioni empiriche
sono diffuse, ma è anche vero che i fattori che intervengono nei processi di
costruzione e sviluppo di una struttura a rete vengono interpretati in modi
spesso sostanzialmente differenti (D’Alessio, 2002).
La ricerca che qui si presenta, avendo ad oggetto l’analisi di un sistema
delimitato nel tempo e nello spazio (città dotate di pani strategici in un dato
momento), è stata condotta utilizzando due delle principali procedure per
4 “A qualitative approach is one in which the inquirer often makes knowledge claims based
primarily on constructivist perspectives (i.e. the multiple meanings of individual experiences,
meanings socially and historically constructed, with an intent of developing a theory or pattern)
or advocacy/participatory perspectives (i.e. political, issue-oriented, collaborative or change
oriented) or both” (CRESWELL, 2003, p. 18).
Azienda Pubblica 2.2009
214
Saggi
Governance e pianificazione strategica
la raccolta dati attraverso ricerche qualitative raccomandate in letteratura
(Creswell, 1998), ossia l’analisi documentale e l’intervista in profondità.
L’analisi documentale è stata finalizzata alla messa in evidenza delle
relazioni e delle dinamiche attivate nella fase di costruzione e di implementazione del piano strategico nonché dei meccanismi operativi attivati. A
tal fine sono state utilizzate alcune tecniche di content analysis di tipo non
esclusivamente quantitativo (Krippendorf, 1980; Stempel, 2003) suddividendo i documenti in paragrafi e ricercandovi i riferimenti necessari per
l’attribuzione dei punteggi.
Questa analisi ha consentito di ricostruire alcune relazioni significative
su come è stato gestito il processo di pianificazione, sull’intensità della relazione attivata con gli stakeholder, sul grado di condivisione degli obiettivi
e sulla loro coerenza rispetto all’analisi generale dello scenario competitivo
(si veda § 5). La stessa analisi ha inoltre consentito l’emersione di alcune
problematiche particolarmente rilevanti che sono state quindi approfondite
nell’intervista in profondità realizzata con interlocutori qualificati, rappresentati da soggetti che ricoprono o hanno ricoperto un ruolo di responsabilità
nella progettazione o nella gestione del piano strategico della città (si veda
§ 5). L’intervista è stata utilizzata, pertanto, come strumento per approfondire
le deduzioni emerse nella lettura della documentazione e per ricostruire,
come raccomanda la letteratura (Weiss, 1994), un quadro più completo del
fenomeno, ricercando, attraverso domande a risposta aperta, aspetti e meccanismi relazionali che non emergono da un mero studio documentale.
5. L’organizzazione e lo sviluppo dell’indagine
L’indagine è stata sviluppata in due momenti. In un primo momento si è
provveduto alla raccolta di tutta la documentazione pubblicata dalle singole
città sul sito RECS e sui loro siti. Il minimo comune denominatore caratterizzante tale attività di ricerca è stato, come anticipato, la disponibilità del
piano strategico, ovvero un preliminare dello stesso. Ad ogni buon conto,
nella maggioranza dei casi è stato possibile rinvenire anche altro materiale
(documentazione illustrativa del processo di pianificazione e delle sue fasi,
protocolli e/o convenzioni firmati con gli stakeholder, ecc.) che ha consentito
di approfondire l’intero processo di governance.
Di poi si è provveduto a elaborare una check list, con oggetti a risposta
chiusa (del tipo “sì”, “no”, “non rilevabile”, “altro”), focalizzata sugli elementi
ritenuti utili all’approfondimento del problema di ricerca.
Gli elementi ricompresi nella check list riguardano:
– le modalità di avvio, di sviluppo e di governo del processo di pianificazione (per tale aspetto sono stati predisposti nella lista dieci oggetti di
rilevazione);
– le modalità di elaborazione del piano (per tale aspetto sono stati predisposti nella lista ventisei oggetti di rilevazione);
215
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
– le modalità di implementazione del piano (per tale aspetto sono stati
predisposti nella lista quattro oggetti di rilevazione).
La check list è stata applicata a tutta la documentazione raccolta.
Sulla base dei risultati emersi dallo studio documentale, come detto (si
veda § 4), è stato poi predisposto un questionario somministrato attraverso
intervista diretta ai responsabili dei piani strategici. (5) Tale secondo strumento
di indagine si compone di 5 domande a risposta aperta e/o guidata e ha la
finalità di valutare il tasso di implementazione e il grado di raggiungimento
degli obiettivi previsti e individuati dal piano, (6) nonché le problematiche
di implementazione percepite dal soggetto che governa il processo.
6. La descrizione del fenomeno: rete naturale o governata?
Tutte le città indagate (cfr. § 3) ritengono che il processo di governo strategico
del territorio passi attraverso il coinvolgimento degli stakeholder.
In quasi tutti i casi (15 su 18), l’avvio delle attività è avvenuto su iniziativa del Comune. In oltre il 30% dei casi, però, il Comune dopo aver
innescato il processo, delega il governo delle attività ad altri attori che di
solito sono specificamente costituiti per lo scopo (si tratta di associazioni o
di comitati in cui sono rappresentati i principali stakeholder). Un differente
atteggiamento si riscontra nelle città del meridione dove non si evidenzia
alcun processo di delega.
La metà dei piani esaminati ha visto l’avvio del processo fra il 2000 e
il 2003 (9 piani). In media l’orizzonte temporale dei piani è di 10 anni,
elemento questo che consente di concludere che almeno nelle intenzioni si
è compreso che i piani strategici devono essere riferiti a periodi superiori
al singolo mandato elettorale.
La durata media del processo di elaborazione del piano è risultata di
circa 20 mesi, cosa che ovviamente implica l’utilizzo di quasi la metà del
mandato elettorale.
In 9 casi su 18 (7) si procede alla esplicitazione del metodo di lavoro
e in 10 casi (8) sono individuate le fasi del processo in via preliminare. La
lettura di questi ultimi dati consente di ipotizzare che il fenomeno indagato
rappresenti, nella maggioranza dei casi, un tentativo di costruzione di una
rete governata.
Per cercare di capire se e a quale tipologia di rete governata (a base
gerarchica, a centro di gravità concentrato, con centri di gravità multipli
5 Si tratta di un funzionario del comune e/o dell’associazione all’uopo costituita a cui è assegnata la responsabilità del processo di costruzione e di implementazione del piano strategico.
6 Gli intervistati hanno riferito il dato percentuale globale di realizzazione delle diverse azioni e/o progetti. Il dato è ovviamente riferito alla data dell’intervista ed è un dato totale non
normalizzato. Tale dato è stato ovviamente riportato soltanto in quei casi in cui la città avesse
implementato un processo di monitoraggio delle attività previste dal piano.
7 Per 3 casi il dato non è stato esplicitato.
8 Per 2 casi il dato non è stato esplicitato.
segue
Azienda Pubblica 2.2009
216
Saggi
Governance e pianificazione strategica
ovvero senza centro) è assimilabile il fenomeno indagato, ci si è basati sui
seguenti assunti:
– sia nelle reti a base gerarchica che in quelle a centro di gravità concentrata
vi è un unico soggetto che dà avvio alla rete e la governa nel tempo;
– nelle reti a centro di gravità multiplo vi sono più soggetti che avviano la
rete e che la governano nel tempo;
– nelle reti senza centro il governo è diffuso e non è riconducibile ad
alcuno.
Si è pertanto verificata l’esistenza di una eventuale correlazione (costruendo
l’indice di Fischer) fra il soggetto che avvia la concertazione e il soggetto
che governa il processo di costruzione del piano, nonché fra il soggetto
che governa il processo di costruzione del piano e il soggetto che lo implementa.
I risultati sono stati riportati nella tabella 2.
Tabella 2 – Avvio del processo, governo e implementazione
Soggetto che ha avviato
la concertazione
Ente locale
Soggetto che governa
il processo
15
Ente locale
11
Associazione tra stakeholder
2
Associazione tra stakeholder
Altro
NR
1
Altro
3
0
NR
1
18
18
Indice di correlazione
0,991891
Soggetto che governa
il processo
Soggetto che implementa
il piano
Ente locale
11
3
Ente locale
8
Associazione tra stakeholder
3
Associazione tra stakeholder
7
Altro
NR
3
Altro
0
1
NR
3
18
Indice di correlazione
18
0,630295
Mentre vi è una sostanziale identità tra chi avvia la concertazione e colui
che governa il processo, si riscontra una riduzione della correlazione nella
fase di implementazione: in essa, in particolare, si registra un cambiamento
del soggetto di riferimento. L’implementazione del piano viene talvolta affidata a strutture esterne (ad esempio, associazioni di stakeholder). In questi
casi la letteratura ha evidenziato come il ricorso a strutture esterne possa
generare (Martinelli, 2005):
217
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
1. un indebolimento della capacità attuativa, specie in quei casi in cui manca
un “referente” per l’attuazione del piano con chiare responsabilità, poteri,
risorse e competenze tecniche;
2. una riduzione della capacità di indirizzo dell’attore pubblico.
Dai dati, opportunamente incrociati con alcune specifiche osservazioni
della letteratura, possiamo, quindi, desumere che il fenomeno studiato non
sia sovrapponibile alle reti senza centro e probabilmente neppure alle reti
a centro di gravità multiplo. Lo stesso, invece, almeno nella fase di avvio
è assimilabile a modelli reticolari a base gerarchica o a centro di gravità
concentrata. Nel passaggio dalla fase progettuale a quella implementativa
si assiste, in taluni casi, a una modificazione non dell’architettura ma del
suo architetto.
Il dato sull’individuazione preliminare degli stakeholder può essere utilizzato come indicatore dell’intensità del processo di governo. È evidente,
infatti, che chi effettua una selezione preliminare degli stakeholder è contestualmente arbitro e valutatore dei convitati al processo di pianificazione
strategica. Tale individuazione preliminare (9) si riscontra solo in 7 casi sui
13 nei quali tale indicazione è fornita. Si può quindi ritenere che l’intensità
del processo di governo non sia particolarmente elevata se si considera il
fenomeno nel suo complesso.
7. I meccanismi di stimolo all’attuazione delle decisioni
L’analisi dei piani ha consentito di verificare che spesso sono utilizzati alcuni
meccanismi operativi per vincolare gli attori coinvolti e indurre specifici
comportamenti. Tali meccanismi sono i seguenti:
–
–
–
–
protocollo preliminare (generalmente sui principi generali);
convenzione di dettaglio su specifici comportamenti;
implementazione di un sistema di controllo del piano;
identificazione di soggetti responsabili, completamente o parzialmente,
dei progetti cantierabili;
– coinvolgimento degli stakeholder nella definizione dei progetti cantierabili.
In circa il 70% dei casi rilevati (9 su 12 dal momento che per 6 non è stata
possibile alcuna rilevazione), le città ricorrono alla stipula di un protocollo
preliminare. Ciò avviene con una frequenza molto elevata nelle città del
nord (5 casi su 6 rilevati) e in quelle del centro (3 casi su 4 rilevati). Tale
protocollo preliminare mira a rafforzare la partecipazione al processo attraverso la condivisione delle finalità, senza entrare nel dettaglio dei problemi.
Infatti, in tutti i casi questi accordi si caratterizzano per l’estrema semplicità,
9 L’individuazione preliminare è stata distinta dall’ascolto degli stakeholder, che avviene, invece, in 13 casi rispetto ai 15 che forniscono questa informazione.
Azienda Pubblica 2.2009
218
Saggi
Governance e pianificazione strategica
per la disciplina di “principi di massima” e per l’assenza di meccanismi
sanzionatori in caso di inadempimento.
Solo in tre casi sui quindici, tutti di città del nord del Paese, si è andati
oltre le mere dichiarazioni di intento stipulando vere e proprie convenzioni
con gli stakeholder che si sono impegnati a svolgere, per quanto di loro
competenza, attività specifiche connesse con l’implementazione dei progetti
previsti dal piano strategico.
In relazione al sistema di controllo si osserva che in ben 10 casi su 18
non si procede ad alcuna enunciazione degli obiettivi e dei risultati attesi
dal piano e in 11 casi non vi è alcuna traccia della previsione di criteri di
controllo. (10)
Riguardo agli ultimi due meccanismi utilizzati (cfr. supra) si rileva che il
coinvolgimento degli stakeholder nella definizione dei progetti cantierabili
avviene solo in 5 casi (di cui 3 al nord) mentre l’identificazione dei soggetti responsabili di singoli progetti/azioni avviene in tre soli casi (tutti al
nord).
I meccanismi operativi utilizzati sono sostanzialmente riconducibili a
due tipologie:
– contrattuale (protocollo e convenzione);
– non contrattuale (sistema di controllo, identificazione e coinvolgimento
stakeholder).
Tali meccanismi, però, mancano di qualsiasi sistema di incentivo/sanzione.
Per tale motivo essi possono essere considerati degli elementi di rinforzo, che
si potrebbe definire “aggiuntivi”, dal momento che presentano una capacità
non elevata di stimolo dell’attuazione delle decisioni e di velocizzazione
dell’implementazione del piano. Questa considerazione è supportata anche
dai dati presentati nella tabella 3 in cui il numero “1” indica la presenza
del meccanismo e “0” la sua assenza. È facile riscontrare casi in cui i meccanismi individuati non sono stati attivati (o ne sono stati attivati solo alcuni)
che, tuttavia, presentano un significativo grado di realizzazione del piano.
Pertanto si può ritenere che i meccanismi operativi utilizzati nelle diverse
esperienze non rappresentino gli elementi chiave per favorire la successiva
implementazione del piano la quale, probabilmente, dipende da altri fattori,
anche di natura immateriale (11) (tabella 3).
10 Questo aspetto consente di sottolineare come nelle amministrazioni pubbliche non siano
state ancora del tutto assimilate le prescrizioni scaturenti dalle attività di controllo direzionale.
Probabilmente si ritiene il controllo uno strumento di natura prettamente contabile e non una
metodologia a supporto dei processi decisionali che risulta funzionale alla verifica contestuale della bontà delle scelte operate, alla correzione di tali scelte, all’assunzione di future decisioni e infine allo stimolo verso l’attuazione delle decisioni.
11 La fiducia reciproca delle parti o l’affidabilità delle stesse potrebbero essere alcuni di questi
elementi. In tal senso può essere emblematico il caso di una città ove il cambio della maggioranza politica ha portato alla disattivazione del piano strategico precedentemente approvato. Chiaramente un soggetto che deve realizzare un investimento è particolarmente attento all’ambiente
politico, soprattutto quando l’ente pubblico è coinvolto nello stesso o in termini finanziari (cofinanziamento del progetto) o in termini materiali (realizzazione di infrastrutture funzionali).
219
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Tabella 3 – Meccanismi di stimolo e tasso di implementazione del piano
Piani *
1
2
3
5
6
7
8
1
Meccanismi
Protocollo preliminare
1
0
1
1
1
1
Convenzione con singoli stakeholder
1
0
0
1
0
0
Implementazione sistema di controllo
1
1
0
1
0
0
1
Identificazione soggetti responsabili
dei progetti cantierabili
1
0
0
1
1
0
0
Coinvolgimento stakeholder
1
0
0
1
0
0
0
Totale
5
1
1
5
2
1
2
73%
12%
0
50%
56%
66%
30%
15%
12%
0
10%
11%
13%
10%
Tasso percentuale
di implementazione al 31.12.2007
Tasso medio annuo
di implementazione
* Per ragioni di riservatezza i nomi delle città sono stati sostituiti con codici numerici. Ad ogni codice numerico
corrisponde nelle successive tabelle sempre la stessa città.
8. Il processo di negoziazione
Il fenomeno concertativo dovrebbe essere caratterizzato dall’individuazione
degli stakeholder, dal loro ascolto e conseguente coinvolgimento nel processo di pianificazione, nonché dalla valutazione del contributo apportato
a tale processo.
In relazione al primo aspetto, è emerso che gli stakeholder da coinvolgere
e contattare non sempre sono individuati in via preliminare (ciò si riscontra
in soli 7 casi). In taluni casi, il processo di concertazione si sviluppa spontaneamente e senza alcuna mappatura degli stakeholder. In particolare
alcuni enti (dell’area centro-settentrionale) hanno consentito (attraverso
forum e/o gruppi di ascolto) a chiunque avesse interesse di partecipare alle
fasi iniziali del processo e/o a quelle di diagnosi del sistema territoriale.
Questo spiega il motivo per cui gli stakeholder individuati in via preliminare
risultano censiti in un numero oscillante da un minimo di 5 a un massimo di
70 con una media di 31, mentre gli stakeholder generalmente ascoltati o
coinvolti nel corso del processo, a prescindere da una loro individuazione
preliminare, vanno da un minimo di 12 a un massimo di 500. Si rileva
quindi un incremento della numerosità degli stakeholder coinvolti nel corso
del processo.
D’altra parte, a prescindere dalla mappatura preliminare, quasi sempre
(13 volte su 15) (12) si procede all’ascolto degli stakeholder.
La modalità attraverso cui si realizza l’ascolto degli stakeholder è rappresentata dall’intervista individuale (7 ricorrenze su 14 rilevate) o dal ricorso
alla costituzione di gruppi di ascolto e forum (7 ricorrenze su 14 rilevate).
12 Per tre casi non è stata possibile alcuna rilevazione.
Azienda Pubblica 2.2009
220
Saggi
Governance e pianificazione strategica
La motivazione più frequente (6 su 16) (13) che porta all’ascolto degli
stakeholder è rappresentata dall’individuazione e dalla valutazione dei
problemi e dei bisogni della collettività amministrata. In due casi tale motivazione risiede nella definizione della vision e in altri due casi è funzionale
allo sviluppo della SWOT analysis. Significativo è il dato che solo in un caso
si utilizza lo strumento di ascolto per definire il metodo di lavoro insieme
agli stakeholder coinvolti.
In 7 dei 13 casi in cui gli stakeholder sono ascoltati, gli stessi svolgono
un ruolo meramente “passivo”. Con tale termine si fa riferimento a una
partecipazione “non contributiva”, ma meramente recettiva.
Dai dati rilevati attraverso la somministrazione del questionario emerge
una situazione molto diversificata rispetto al grado di avanzamento dei
piani e al periodo di tempo intercorso dalla loro approvazione. Per rendere
minimamente confrontabile il dato sul grado di implementazione del piano
è stato calcolato un valore medio annuale. Tale valore, nei casi rilevati
oscilla fra il 10% e il 15%: esso risulta generalmente migliore in quelle città
nelle quali gli stakeholder hanno avuto un ruolo partecipativo nel processo.
Pertanto, probabilmente, questo è uno dei fattori che ha un impatto positivo
sulla realizzazione del piano (tabella 4).
Nello studio della qualità del fenomeno concertativo si è assegnato un
punteggio ogni qualvolta si è riscontrata la presenza degli elementi indagati. Nessun valore ovviamente è stato assegnato laddove l’elemento non
è risultato presente. Per la valutazione della contribuzione al fine di non
inquinare l’analisi con valutazioni arbitrarie si è ipotizzato che la variabile
“comportamento degli stakeholder” (ancorché non dicotomica del tipo
presente-assente) potesse avere solo i seguenti caratteri: comportamento
passivo (valore 0), comportamento attivo (laddove gli stakeholder si sono
limitati a partecipare al processo di analisi e diagnosi, cui è stato assegnato
valore 1), comportamento partecipativo (laddove gli stakeholder hanno
anche contribuito, assumendo responsabilità intere o parziali, nello sviluppo
di progetti o linee di azione, cui è stato assegnato valore 2).
Tabella 4 – Negoziazione e tasso di implementazione del piano
Piani*
Aspetti della negoziazione
Individuazione preliminare stakeholder
Ascolto e coinvolgimento stakeholder nel processo
Ruolo stakeholder
Totale
Tasso di implementazione al 31.12.2007
Tasso medio annuale di implementazione
1
2
5
6
1
1
2
4
73%
15%
0
1
1
2
12%
12%
1
1
2
4
50%
10%
0
1
1
2
56%
11%
7
8
1
n.r.
1
n.r.
2
n.r.
4
66% 30%
13% 10%
13 In due casi la motivazione non è esplicitata.
221
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
9. Il processo di comunicazione
Per l’analisi del processo di comunicazione sono state prese in considerazione due proprietà:
1. la comunicazione e condivisione delle fasi del processo di governo/
pianificazione;
2. la declinazione ed enunciazione degli elementi e delle componenti che
caratterizzano la definizione di un obiettivo.
La proprietà sub 1) è stata analizzata rispetto ai caratteri della esplicitazione e comunicazione del metodo di lavoro, delle fasi del processo di
pianificazione e della vision.
La proprietà sub 2) è stata analizzata verificando se nei diversi piani gli
obiettivi/progetti fossero stati definiti rispetto ai caratteri: outcome (impatto
finale), output (cosa fare), soggetto titolare/responsabile (chi deve fare), tempo (quando fare), costi (aspetto economico), risorse (aspetto finanziario).
La comunicazione del metodo di lavoro e delle fasi del processo di pianificazione avviene in circa il 50% dei casi (rispettivamente 9 su 15 rilevati e 10
su 16). In 13 casi, su 17 rilevati, si procede a una esplicitazione della vision
del piano anche se si deve osservare che in 3 occasioni la vision è definita in
maniera impropria, nel senso che viene dichiarato tale un concetto che non
chiarisce concretamente l’idea o le idee di sviluppo sottese ai piani.
Osservazioni similari si possono fare rispetto alla proprietà sub 2. Se
è vero che 11 città, che rispecchiano sostanzialmente la composizione
geografica del campione (rispettivamente 5 casi sono del nord, 4 del
centro e 2 del sud), definiscono i progetti con riferimento ad almeno uno
dei caratteri sopra indicati, è anche vero che solo al nord si riscontra
una concreta attenzione alle dimensioni del risultato (output), delle risorse
(aspetto finanziario), del tempo e della responsabilità, mentre al centro viene
considerata soprattutto la dimensione di impatto sulla collettività (outcome),
che rappresenta evidentemente solo un primo passo lungo la strada della
misurabilità degli obiettivi.
Nello sviluppo dell’analisi si è anche provato a verificare se le variabili
evidenziassero una correlazione con l’implementazione del piano. Per tali
caratteri, quindi, si è proceduto con il criterio della verifica di presenza/
assenza in ciascun piano, assegnando il punteggio rispettivamente di “1”
e “0” per ogni tratto rilevato o non rilevato.
La proprietà sub 1) è stata raffrontata rispettivamente alla durata del
processo di pianificazione (calcolata in mesi e in particolare adottando come
terminus a quo la data del primo documento di pianificazione strategica e
come terminus ad quem la data di approvazione del piano) – cfr. tabella
5 – e alle problematiche scaturite in sede di implementazione (tabella 6).
Con riferimento alle problematiche di implementazione, l’intervista
ha verificato se il responsabile dell’attuazione del piano avesse avuto la
Azienda Pubblica 2.2009
222
Saggi
Governance e pianificazione strategica
percezione di problematiche scaturenti dall’eccessiva genericità degli obiettivi, dalla mancanza della variabile tempo, dalla mancata individuazione
delle risorse nel piano, dal mancato stanziamento di risorse da parte degli
stakeholder coinvolti, dall’esistenza di problematiche di cantierabilità, dai
difficili rapporti con gli stakeholder (a causa della mancata individuazione
ovvero per la mancata responsabilizzazione o anche per l’inadempimento
dei partner o per la burocrazia dei partner pubblici ovvero per l’assenza
di un coordinamento dei partner) e in generale dall’indicazione di altre
problematiche singolarmente percepite dagli intervistati.
La proprietà sub 2), viceversa, è stata posta in correlazione con le problematiche di implementazione come appena descritte (tabella 7).
I dati riportati danno conto dell’inesistenza di una relazione significativa
fra l’esplicitazione di metodo di lavoro, processo di pianificazione e vision
e durata del processo di elaborazione del piano (tasso di risposta del
campione pari al 75%). Peraltro questa affermazione è confermata anche
dal calcolo del χ2 (che assume il valore di 3,675) che è stato normalizzato
attraverso il calcolo dell’indice φ2 di Pizzetti-Pearson (che assume valore di
0,15). Il calcolo, riportato in appendice, è stato effettuato raggruppando i
tempi di approvazione del piano in tre classi.
In altri termini, la individuazione e comunicazione delle fasi del lavoro
e la esplicitazione della finalità non influenza il tempo necessario al completamento del processo (cfr. tabella 5).
Allo stesso modo, anche la condivisione e comunicazione del metodo di
lavoro, delle fasi e della vision, non sembrano correlate alle problematiche
di implementazione dei piani (cfr. tabella 6).
La tabella 7 evidenzia che l’esplicitazione di outcome e output, la specificazione di chi fa che cosa e dei tempi in cui deve farlo, la valutazione dei
costi e l’individuazione delle risorse per finanziare il progetto non influiscono
direttamente sulle problematiche di implementazione del piano. Lo studio delle motivazioni di questo fenomeno esula dalla presente indagine. Tuttavia è
possibile evidenziare che nelle interviste condotte, in più occasioni, la fiducia
fra promotori del piano, stakeholder e soggetti attuatori è stata segnalata
quale elemento critico per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
Tabella 5 – Il rapporto fra comunicazione/condivisione e durata del piano
Piani*
Aspetti della comunicazione/
condivisione
Esplicitazione metodo lavoro
1
2
3
4
5
6
7
9
10
11
12
13
1
1
0
1
1
0
1
0
0
1
0
1
Esplicitazione fasi del processo di
pianificazione
Esplicitazione vision
1
0
0
1
1
1
0
0
1
0
0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
0
0
1
1
Totale
3
2
1
3
3
2
2
1
1
1
1
3
25
21
24
18
24
24
24
9
18
26
36
15
Durata processo
223
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Governance e pianificazione strategica
Tabella 6 – Il rapporto fra comunicazione/condivisione e problematiche di implementazione
Piani*
Aspetti della comunicazione/condivisione
Esplicitazione metodo lavoro
1
2
5
6
7
8
1
1
1
0
1
0
Esplicitazione fasi del processo di pianificazione
1
0
1
1
0
1
Esplicitazione vision
1
1
1
1
1
1
Totale
3
2
3
2
2
2
Tipologie di problematiche
di implementazione percepite
- genericità degli obiettivi
1
1
- mancanza variabile tempo
1
1
1
1
- mancata individuazione risorse nel piano
1
1
1
1
1
1
- mancato stanziamento risorse enti coinvolti
- idea utilizzo risorse comunitarie
Esistenza problematiche cantierabilità
1
- mancata individuazione
1
1
- mancata responsabilizzazione
1
1
1
- inadempimento dei partner
- burocrazia partner pubblici
- assenza coordinamento partner
1
1
Altre problematiche nella fase di implementazione
1
1
1
1
1
1
Totale
7
2
4
5
3
5
10. Conclusioni
È abbastanza evidente che, almeno nelle intenzioni degli enti locali, la
elaborazione del processo di pianificazione strategica dovrebbe assumere
i caratteri della rete governata. I dati presentati e commentati in precedenza
chiariscono che il fenomeno studiato non è sovrapponibile alle reti senza
centro e probabilmente neppure alle reti a centro di gravità multiplo. È,
invece, almeno nella fase di avvio, assimilabile a modelli reticolari a base
gerarchica o a centro di gravità concentrata. Tale conclusione dovrebbe implicare, da un punto di vista teorico, una maggiore capacità nel governo delle relazioni. Invece l’intensità del governo non è certamente elevata rispetto
al fenomeno nel suo complesso anche perché, come detto, si registra spesso
un cambiamento del soggetto responsabile del processo (in particolare nella
fase di implementazione). Tale aspetto è evidenziato anche da Martinelli
(2005), che sottolinea l’importanza di un leader, spesso rappresentato da
una “figura carismatica” piuttosto che dall’Istituzione pubblica, ponendo così
il “problema della continuità del processo laddove l’alternanza politica ha
comportato la sostituzione del Sindaco” (Martinelli, 2005, p. 329).
L’analisi ha evidenziato che il processo di pianificazione strategica
Azienda Pubblica 2.2009
224
Saggi
Governance e pianificazione strategica
Tabella 7 – Il problema della corretta declinazione degli obiettivi
Piani*
Variabili di definizione degli obiettivi
- Tempo
- Output
- Outcome
- Risultato finanziario
- Costo del progetto
- Responsabilità
Totale
Tipologie di problematiche di
implementazione percepite
- genericità degli obiettivi
- mancanza variabile tempo
Esistenza problematiche finanziarie
- mancata individuazione risorse nel piano
- mancato stanziamento risorse enti coinvolti
- idea utilizzo risorse comunitarie
Esistenza problematiche cantierabilità
Esistenza problematiche con partner
- mancata individuazione
- mancata responsabilizzazione
- inadempimento dei partner
- burocrazia partner pubblici
- assenza coordinamento partner
Altre problematiche nella fase di implementazione
Totale
1
2
5
1
1
1
1
1
6
7
8
9
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
3
1
3
1
3
1
3
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
6
1
2
1
4
1
5
1
3
1
5
1
5
delle città dà luogo a un processo decisionale di natura collettiva che in
quanto tale richiede l’attivazione di meccanismi che fungano da stimolo
alla successiva attuazione delle decisioni. Sia Martinelli (2005) che Healey
(2003) sottolineano come nel processo di costruzione dei piani strategici
notevole importanza ed esplicita considerazione debbano essere attribuite
alla partecipazione e al coinvolgimento del maggior numero possibile di
attori nella definizione degli obiettivi e della strategia. Entrambi, tuttavia,
riconoscono l’esistenza di alcuni fattori che facilitano il conseguimento dei
risultati quali, ad esempio, una attitudine alla cooperazione tra i diversi
livelli di governo e tra attori pubblici e privati, nonché un clima di fiducia
nei confronti sia del governo che degli altri attori locali.
225
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Governance e pianificazione strategica
L’esistenza di almeno una tipologia di problemi di implementazione è
stata riscontrata in tutti i casi per i quali è stata data risposta all’intervista.
I meccanismi sperimentati dalle città italiane, però, non hanno una elevata
capacità coercitiva, ossia non riescono a influenzare l’implementazione del
piano e sembrano essere più dei fattori di supporto. In altri termini essi al più
possono essere considerati dei fattori collaterali ad altri che probabilmente
risultano prioritari. La letteratura sulle reti infatti fa, in questi casi, generalmente riferimento a fattori tipicamente fiduciari o di relazione fondata su
rapporti personali e comunque in genere a meccanismi cosiddetti sociali
(Soda, 1998). Vi è un piano (tabella 3, caso 1) in cui risultano attivati
tutti gli strumenti e al quinto anno la realizzazione è del 73%: tale caso
potrebbe far pensare che gli strumenti abbiano funzionato adeguatamente.
Questo dato, però, contrasta con quanto rilevato in un altro caso (tabella 3,
caso 6), che, pur avendo attivato solo uno degli strumenti individuati al
quinto anno ha realizzato il 66% del piano. Pertanto è possibile ritenere
che gli strumenti individuati dalle “città strategiche” da soli non abbiano
una elevata capacità di stimolare l’attuazione delle decisioni, ma gli stessi
debbano essere rafforzati da altri meccanismi forse di natura immateriale
(fiducia nei politici e nella loro capacità di realizzare il progetto, stabilità
politica, individuazione delle priorità per selezionare le azioni e i progetti
e da realizzare, (14) ecc.) che probabilmente rappresentano i veri fattori
critici nell’implementazione del piano.
L’ipotesi che la negoziazione sia un meccanismo che facilita il governo
di un processo decisionale, per quanto meglio specificato al precedente § 8,
sembra essere sostanzialmente confermata.
L’ipotesi secondo cui il governo della rete sia facilitato da processi di
comunicazione nella sostanza sembra essere confutata. In particolare, la
definizione degli elementi e delle componenti degli obiettivi non garantisce
rispetto all’insorgenza di problematiche di implementazione nella fase di
attuazione del piano. Non vi è una relazione fra processo di comunicazione/
condivisione e insorgenza di successive problematiche di implementazione,
così come del tutto irrilevante è il rapporto fra il processo di comunicazione/
condivisione e la durata del processo di elaborazione del piano. Rispetto a
questo ultimo dato sembra esserci un limite inferiore alla durata del processo
che quasi mai scende sotto i 18 mesi.
In conclusione, la ricerca condotta si muove lungo lo stesso sentiero
14 L’analisi ha evidenziato che i piani hanno un numero medio di azioni superiore a 100.
Tale dato potrebbe indurre a ritenere che i piani, in alcuni casi, siano stati interpretati come
dei contenitori generali e omnicomprensivi chiamati a disciplinare tutti gli aspetti del governo della città.
Se è vero che la numerosità elevata possa essere talvolta sinonimo della volontà di specificare le modalità con cui implementare le linee strategiche, non si può non osservare nel contempo che ciò, però, potrebbe creare difficoltà di implementazione sia rispetto alla priorità temporale da assegnare ai singoli progetti, sia rispetto ai progetti sui quali concentrare le risorse finanziarie. In una intervista, infatti, è stata sottolineata, come criticità, proprio la difficoltà nell’individuare un ordine di priorità dei progetti per agevolare la successiva implementazione degli stessi.
Azienda Pubblica 2.2009
226
Saggi
Governance e pianificazione strategica
tracciato da altri studiosi italiani che si sono occupati del tema della
pianificazione strategica delle città come ad esempio Cavenago (2004)
e Mazzara (2006). Nell’articolo si cerca di superare il mero riferimento
a comportamenti quali quelli scaturenti dalle indicazioni della letteratura
e/o rilevati da casi di successo per tentare una indagine sulla aderenza
dei comportamenti riscontrati nella realtà rispetto a quelli indicati dalla
letteratura. La ricerca è evidentemente non esaustiva (né potrebbe esserlo
a causa della notevole ampiezza del fenomeno). Essa infatti non focalizza
chiaramente l’attenzione su ulteriori fattori meritevoli di approfondimento
(quali, ad esempio, la modalità di costruzione degli output, degli outcome, le
modalità di controllo, il raccordo fra il piano strategico e gli altri documenti
di pianificazione finanziaria dell’ente locale, ecc.).
Le osservazioni che si presentano, tuttavia, già da sole contribuiscono
a una migliore illustrazione delle problematiche poste dal processo di costruzione e gestione del piano strategico di una città.
Appendice
Tabella 8 – Il rapporto fra la comunicazione/condivisione e la durata del piano
Distribuzione delle frequenze per classi
0-12
13-24
24-36
Totale
1
1
2
2
5
2
0
3
1
4
3
0
3
0
3
1
8
3
12
Classi di durata
Valori
Totale
Tabella 9 – Il rapporto fra la comunicazione/condivisione e la durata del piano
Distribuzione delle frequenze teoriche
0-12
13-24
24-36
Totale
1
0,416
3,333
1,25
5
2
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Classi di durata
Valori
3
Totale
χ2
3,675
φ2
0,15
227
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Saggi
Governance e pianificazione strategica
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Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
L’analisi della solvibilità negli enti locali alla luce di Basilea 2
Francesca Manes Rossi
Ricercatore presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università di Salerno
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Il contesto italiano e i potenziali utilizzatori del rendiconto. 3. Il rendiconto degli enti
locali: prime considerazioni ai fini della valutazione della solvibilità. 4. L’impatto di Basilea 2 sull’analisi finanziaria
degli enti locali. 5. Una proposta per l’analisi finanziaria negli enti locali. 6. Sintesi e conclusioni.
L’esigenza sempre più pressante per gli enti locali di ricorrere a forme alternative di finanziamento, unitamente allo schema di regolamentazione del patrimonio emanato dal Comitato di Basilea
(noto come Basilea 2) pongono la necessità di valutare se il Rendiconto degli enti locali, così come
prescritto dalla normativa vigente, sia in grado di offrire le informazioni idonee a valutare la capacità di indebitamento e, in particolare, la sua solvibilità. A tal fine, considerate anche le modalità
seguite dalle principali agenzie di rating, si propone un modello per l’analisi del cash flow ed una
griglia di indicatori in grado di integrare le informazioni promananti dal rendiconto. Il modello è
stato applicato a tre enti locali e si presentano i primi risultati emersi.
This research proposes a classification model of the financial statement of Local Governments (LGs)
and a grid of ratios to support financial analysts in their solvability estimates. On one side, as a
consequence of their increased financial autonomy, LGs show a growing need to resort to various
forms of borrowing. On the other side, the Basel 2 agreement requests financial institutions to
carry out a thorough assessment of the solvability of all potential borrowers, including LGs. After
reviewing the main domains rating agencies consider for their analyses, this paper focuses on the
assessment of the financial situation and debt position of LGs. The proposed reclassification plan
and the relevant grid of ratios have been applied to three local LGs, in order to test whether these
tools could provide a thorough assessment of the financial situation of any LGs.
L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e
programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno
- Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 ed è stato insignito del secondo premio presso tale Workshop.
L’autore ringrazia i referee per i suggerimenti e le indicazioni offerti.
Parole chiave: analisi di bilancio – solvibilità – enti locali
Key words: cash flow analysis – solvability – local government
231
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
1. Introduzione
Gli enti locali, anche a seguito della Riforma costituzionale del 2001, negli
ultimi anni hanno visto crescere il proprio grado di autonomia finanziaria:
ciò ha comportato la possibilità/necessità di ricorrere a forme alternative
di finanziamento, tra cui la cartolarizzazione dei crediti, le operazioni di
leasing finanziario, le operazioni di Interest rate swap e l’emissione di prestiti
obbligazionari a copertura delle spese per investimenti.
A fronte di tale tendenza, va considerato che lo schema di regolamentazione del patrimonio emanato dal Comitato di Basilea (noto come Basilea 2)
ha sensibilizzato l’intero sistema bancario a prestare maggiore cura alla
misurazione del rischio di credito. (1) Gli enti locali, assimilati in funzione
del loro potere di imposizione fiscale ai soggetti sovrani, sono sottoposti
anch’essi a una valutazione circa tale rischio. Va notato, tuttavia, come il
sistema contabile attualmente adottato nel nostro Paese, basato sulla contabilità finanziaria, non consenta in via immediata di costruire indicatori
idonei a valutare il grado di solvibilità di tali aziende pubbliche.
Il contesto attuale spinge, di conseguenza, queste particolari aziende
a comunicare il valore della propria gestione finanziaria, vuoi per dar
conto ai cittadini delle scelte poste in essere, vuoi per offrire ai finanziatori informazioni adeguate sul proprio equilibrio economico, finanziario e
patrimoniale.
Partendo da queste considerazioni, la presente ricerca si propone di verificare se il rendiconto degli enti locali, così come prescritto dalla normativa
vigente, è in grado di offrire le informazioni idonee a valutare la capacità
di indebitamento e, in particolare, la sua solvibilità, tenendo anche conto
delle modalità seguite a tal fine dalle agenzie di rating, per poi proporre
un modello per l’analisi del cash flow e una griglia di indicatori in grado
di integrare le informazioni promananti dal rendiconto.
Il lavoro è articolato in cinque paragrafi oltre alla presente introduzione.
Il prossimo presenta il contesto attuale degli enti locali e tenta di individuare quali siano i soggetti cui coloro che governano tali aziende pubbliche
debbono rendere conto. Il terzo paragrafo propone alcune considerazioni
circa la capacità informativa del rendiconto medesimo ai fini dell’analisi
finanziaria. Il quarto illustra i criteri applicati dalle agenzie di rating insieme
ad alcune prime considerazioni sull’utilità e la completezza del rendiconto
rispetto alla necessità di stimare la solvibilità e il merito creditizio dell’ente
locale. Il quinto propone uno schema di cash flow e una griglia di indicatori
tesi a valutare nel complesso l’equilibrio finanziario; viene, inoltre, presentata
1 Il nuovo accordo consente alle banche di scegliere tra l’adozione di un sistema di rating evoluto (Internal Rating Based - IRB) o semplificato (Standard). Nell’approccio IRB, l’affidabilità del
prenditore viene stimata direttamente dal prestatore attraverso un sistema di valutazione sviluppato internamente e sottoposto a continui aggiornamenti. Adottando il metodo Standard, invece, la banca può decidere di continuare a quantificare la misura del rischio in base a coefficienti prestabiliti, oppure acquisirla tramite agenzie di rating specializzate. Si rinvia a BASEL
COMMITTEE (2004), § 411.
Azienda Pubblica 2.2009
232
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
un’applicazione di questa metodologia di analisi ai rendiconti di tre enti
locali. L’ultimo paragrafo tenta di trarre una serie di considerazioni relativamente alla possibilità di effettuare valutazioni sulla solvibilità, utilizzando
un sistema di contabilità finanziaria, e in conclusione accenna a possibili
implicazioni rispetto a ricerche future.
2. Il contesto italiano e i potenziali utilizzatori del rendiconto
Gli enti locali hanno subito profondi cambiamenti negli ultimi due decenni:
a partire dal 1990, con l’emanazione della legge 142, essi hanno acquisito un livello crescente di autonomia sul piano gestionale e organizzativo.
In conseguenza alla Riforma costituzionale, introdotta con la legge 3 del
2001, anche il livello di autonomia finanziaria è andato progressivamente
ad aumentare, spostandosi in maniera decisiva verso un modello decentrato,
in cui a tali soggetti viene riconosciuto il potere impositivo. Tuttavia, occorre
precisare che alla crescente autonomia finanziaria definita dalle riforme non
è corrisposto un parallelo mutamento del contesto istituzionale, che resta
di fatto fortemente accentrato, con la conseguenza di ostacolare la chiara
programmazione delle risorse acquisibili e delle spese sostenibili. (2)
Gli enti locali rappresentano, attualmente, una realtà istituzionale
sempre più complessa: essi operano contemporaneamente come aziende
di pubblici servizi, svolgono un ruolo di regia rispetto alle aziende nelle
quali detengono partecipazioni e di regolamentazione, che è loro proprio
in qualità di authority locali e, infine, assicurano i servizi istituzionali alla
comunità servita. Allo stesso tempo, le profonde innovazioni sul piano organizzativo hanno indotto lo spostamento da un modello di tipo burocratico
a uno manageriale, secondo l’approccio del New Public Management
(NPM). Il processo di rinnovamento ha teso così a chiarire la fondamentale
distinzione tra ruolo politico e ruolo assegnato ai dirigenti, distinguendo
compiti e responsabilità. Si è affermata, in via di principio, la necessità
di impiegare strumenti che consentissero di conoscere le modalità con le
quali le risorse pubbliche vengono impiegate, rendendo “trasparenti” tanto
i processi decisionali quanto quelli operativi. Il sistema contabile, pertanto,
è stato interessato da una serie di mutamenti idonei a sostenere l’autonomia
dei dirigenti (3) e soddisfare l’esigenza di accountability, (4) pur rimanendo
2 A titolo esemplificativo, si pensi alla recente eliminazione dell’Ici e ai mutamenti introdotti
nel meccanismo del Patto di stabilità interno, condizioni che, mentre riducono le entrate per
gli enti locali, definiscono limiti tanto alla spesa quanto alla possibilità di ricorrere a forme di
indebitamento, inducendo spesso gli enti ad adottare manovre che nella sostanza eludono i
limiti stessi. PEZZANI (2008), pp.10-13.
3 Esiste un ampio dibattito nella dottrina straniera sulle relazioni che legano il sistema contabile a quello manageriale, ed in particolare al New Public Management (LAPSLY, 1999; MEYER,
1998; OLSEN et al., 1998; OSBORNE, GAEBLER, 1993). Nel nostro Paese sono state condotte alcune ricerche sugli elementi che hanno indotto l’evoluzione del sistema contabile degli enti locali (BUCCOLIERO et al., 2005; DE MATTEIS, PREITE, 2005).
4 Non è questa la sede per alimentare il dibattito sull’accountability. Sembra, tuttavia, doveroso ricordare come tale principio sia stato diversamente definito: SINCLARE (1995), in base
al contesto di riferimento distingue un’accountability pubblica, politica, manageriale, ammi233
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
ancorato al tradizionale sistema di contabilità finanziaria. (5)
Un primo aspetto da chiarire è, dunque, a chi debba rendere conto l’ente
locale.
L’approccio al NPM adottato in Italia è stato di tipo normativo, imposto
dall’alto e omnicomprensivo, coerentemente con la tradizione legalistica
tipica del settore pubblico nel nostro Paese. Pertanto, gli enti locali hanno
in primo luogo l’obbligo di fornire informazioni al governo centrale, responsabile del controllo della spesa pubblica. Con l’acquisizione del potere
impositivo, tuttavia, si è progressivamente avvertita la necessità di dimostrare
ai cittadini quale fosse il valore dei servizi pubblici offerti e il risultato delle
politiche implementate a livello sociale, culturale e istituzionale. Esiste un
interesse generale rispetto alla possibilità di misurare l’impatto delle politiche
pubbliche sull’equilibrio finanziario dell’ente. I cittadini, allo stesso tempo,
sono interessati a valutare la sostenibilità nel lungo termine delle scelte
operate dalla classe politica e a verificare l’equità intergenerazionale. In
sostanza, deve essere possibile valutare le modalità attraverso le quali i
dirigenti hanno impiegato le risorse loro affidate rispetto ai risultati ottenuti;
d’altro canto, gli stessi dirigenti necessitano di un sistema a supporto delle
decisioni, che consenta di centrare l’attenzione sul valore creato piuttosto
che sulle obbligazioni assolte.
Le diverse categorie di potenziali utilizzatori del rendiconto degli enti
locali (da taluni autori suddivisi in esterni e interni, Steccolini, 2004) presentano esigenze conoscitive variegate; ciò implica che il rendiconto dovrebbe
essere in grado di soddisfare i possibili fruitori, ma così non è. Il problema
sta nel riuscire a valutare, rispetto alle specifiche richieste di ogni singola
categoria di stakeholder, quali informazioni siano ritraibili dal rendiconto e
quali non possano essere adeguatamente soddisfatte, comportando così la
necessità di poter accedere ad altri dati.
Un tipo di ricerca simile travalica i limiti del presente lavoro; l’intento, in
questa sede è quello di valutare, in prima istanza, se dal rendiconto degli
enti locali è possibile trarre le informazioni necessarie a valutare il rischio
finanziario, come si cercherà di evidenziare nel prosieguo.
nistrativa e professionale, evidenziando come talvolta “being accountable in one form often requires compromises of other sorts of accountability”. Conclusioni similari sono proposte nell’ambito della grounded theory elaborata da GODDARD (2005). Altri autori presentano
definizioni diverse in relazione ai criteri di riferimento (GRAY, JENKINS, 1993) o al principale
obiettivo che si cerca di raggiungere attraverso le informazioni prodotte (RUBIN, 1996). Anche presso la nostra dottrina è stato evidenziato il ruolo del principio in oggetto (CAPERCHIONE,
PEZZANI, 2000). Va sottolineato come esso si modifichi nel tempo, in base alle esigenze degli
utilizzatori delle informazioni. STECCOLINI (2004) definisce l’accountability come “a multifaceted and evolving concept”.
5 Il dibattito sulla scelta del sistema contabile più idoneo a soddisfare le esigenze informative di tutti gli stakeholder è assai ampio, nel nostro Paese come all’estero. In particolare, esiste un’ampia letteratura a sostegno della coerenza del sistema di contabilità finanziaria con
le esigenze di governo e di autorizzazione preventiva alla spesa, che ha ugualmente sottolineato la difficoltà di correlare entrate e spese secondo i criteri propri della competenza economica e che pure ha evidenziato come sia particolarmente rilevante fornire informazioni circa le modalità di finanziamento della spesa (MA, MATTHEWS, 1993; GUTHRIE, JOHNSON, 1994;
MONSEN, NÄSI, 1998, 1999 e 2000; GUTHRIE 1998). Sull’esperienza italiana risulta interessante il lavoro condotto da ANESSI-PESSINA, STECCOLINI (2007).
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Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
3. Il rendiconto degli enti locali: prime considerazioni ai fini
della valutazione della solvibilità
In base al dettato normativo del d.lgs. 267/2000, (artt. 227-231) entro il
30 giugno di ogni anno il Consiglio dell’ente deve approvare il rendiconto,
composto da:
1) conto del bilancio, di diretta derivazione dal sistema di contabilità finanziaria, che evidenzia le entrate in termini di somme accertate, incassate
e residui attivi e le spese dell’esercizio, impegnate e pagate, oltre ai
residui passivi;
2) conto del patrimonio, in cui si rappresenta il patrimonio dell’ente, valutato
secondo i criteri contenuti nella medesima norma;
3) conto economico, che espone le spese/costi e le entrate/ricavi, secondo
il principio di competenza economica.
A tali documenti il legislatore richiede che venga allegato il prospetto di
conciliazione, impiegato per rettificare i dati della contabilità finanziaria,
riconducendoli a una dimensione economica, così da “convertire” i valori
espressi nel conto del bilancio e poter pervenire alla redazione del conto
del patrimonio e del conto economico. Ugualmente, devono essere allegati
al rendiconto la relazione predisposta dalla Giunta, la relazione dei revisori
dei conti, l’elenco dei residui attivi e passivi, distinti per anno di provenienza,
la tabella dei parametri di deficitarietà e quella dei parametri gestionali,
unitamente a ulteriori parametri di efficienza e di efficacia elaborati dal
singolo ente.
La prima considerazione da fare, rispetto all’accostamento di un sistema
di contabilità finanziaria con prospetti di bilancio aventi derivazione economica, sta nella difficoltà che si incontra, in un ente locale, nell’individuare
una correlazione economica tra entrate e spese. Un limite evidenziato
dalla dottrina internazionale attiene alla confusione che la coesistenza tra
i due sistemi contabili (finanziaria ed economica) può creare nei dirigenti
(Guthrie, 1998), al punto da condurre all’“atrofia” del sistema contabile
(Anthony, 2000): esiste la concreta possibilità che le informazioni a valenza
economica così prodotte siano in realtà di scarso interesse. (6)
In relazione alla valutazione sulla solvibilità dell’ente a partire dai dati
evidenziati nel rendiconto, tema centrale della presente ricerca, va detto che
6 Sotto un profilo teorico, le innovazioni legislative introdotte sono state criticate per aver
operato la forzatura di far coesistere due sistemi contabili, nonostante il supposto vantaggio
di consentire una transizione poco traumatica a sistemi di contabilità economica, a cui occorre adeguarsi in funzione delle pressanti spinte che operano sul piano internazionale (in
particolare la pressione esercitata dalla Ue e la necessità di adeguarsi agli Ipsab). Il risultato ottenuto, in molti casi, è stato la riduzione del Rendiconto basato sulla contabilità economica ad una mera formalità, (BORGONOVI 1996; EZZANI, 1997). Anche le ricerche condotte sui
risvolti della nuova normativa in tema di Rendiconto (CAPERCHIONE 2003; CACCIA, STECCOLINI,
2005) hanno evidenziato empiricamente i limiti dell’accostamento di documenti aventi natura e funzioni diverse.
235
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
sul piano internazionale tanto le banche quanto le altre istituzioni finanziarie hanno da tempo segnalato la carenza di dati e informazioni adeguate
(Boyett, Giroux, 1978; Daniels, Daniels, 1991).
Minore attenzione a tali aspetti era stata prestata nel nostro Paese in
passato, in virtù dell’esistenza di un sistema di finanza derivata. Nel contesto
attuale, invece, agli enti locali è richiesto di evidenziare il proprio equilibrio
finanziario attuale e prospettico: all’autonomia finanziaria si è accompagnata la possibilità di emettere titoli di credito e, più in generale, di ricorrere a
forme diverse di finanziamento. (7) L’accesso al mercato finanziario, anche
alla luce delle novità introdotte da Basilea 2, pone la necessità di fornire
informazioni sulla solvibilità attuale e prospettica dell’ente medesimo.
Come evidenziato in precedenza, negli ultimi dieci anni gli enti locali
hanno vissuto un periodo di restrizione rispetto alla politica fiscale, come
conseguenza dell’applicazione del Trattato di Maastricht e dell’applicazione
del Patto di stabilità e crescita: pur avendo acquisito il potere impositivo,
essi hanno ricevuto contestualmente notevoli limitazioni da parte del Governo centrale rispetto al potere di spesa. Per di più, in un periodo come
quello attuale, caratterizzato da una crescita economica assai lenta, gli enti
locali non riescono a ottenere elevati livelli di entrate proprie. È chiaro che
la politica tributaria e le scelte tariffarie sono da correlare strettamente ai
servizi che l’ente è in grado di offrire ai suoi cittadini.
Nel contesto delineato, se la classe politica intende assicurare alla
collettività servita un adeguato livello quantitativo e qualitativo di servizi
pubblici e istituzionali, diviene inevitabile il ricorso ai mutui e ad altre forme
di indebitamento. I dati elaborati presso il Ministero dell’economia e delle
finanze, Dipartimento del tesoro, al 30 novembre 2007, evidenziano un
ampio ricorso all’indebitamento tanto attraverso i mutui quanto attraverso
le emissioni di prestiti: l’indebitamento totale degli enti locali è pari a
57.943.686.901,10 euro di cui 13.307.392.025,70 euro per emissioni
con il sistema bancario. Al 31 dicembre 2007 risulta altresì che un consistente numero di enti locali ha sottoscritto derivati (541 enti). Naturalmente, la
contrazione di prestiti, l’emissione di titoli, o la cartolarizzazione dei crediti
comportano il sostenimento di interessi e altri oneri finanziari che finiscono
per gravare sul risultato economico dell’ente locale.
A maggior ragione, è necessario definire quali informazioni, utili a valutare la capacità di indebitamento e, quindi, la solvibilità dell’ente locale,
siano direttamente ritraibili dal rendiconto e quali debbano essere ricercate
in altri documenti. (8)
7 Sulle possibili forme di finanziamento a cui possono ricorrere gli enti locali si vedano BRUSATI
(2002) e MENEGUZZO (2003).
8 Una soluzione auspicabile potrebbe essere quella di inserire un’introduzione al rendiconto
a carattere descrittivo e una presentazione analitica delle attività finanziarie come pure della
posizione finanziaria dell’ente locale, sul modello del Management’s Discussion and Analysis ed anche del Required Supplementary Information, richiesti alle amministrazioni pubbliche
americane dal GASB Statement N. 34 (KRAVCHUK E VOORHEES, 2001). Sull’impatto del GASB
34 sul rating si rinvia a JACOB (2004).
Azienda Pubblica 2.2009
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Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Prima di procedere in questa direzione, occorre chiarire che gli enti
locali sono chiamati a rispettare alcuni limiti normativi nella contrazione dei
debiti di finanziamento: in via generale, il legislatore richiede che si osservi
il rispetto degli equilibri di bilancio, nell’arco dell’intero periodo di durata del
prestito e definisce anche un limite massimo in termini di interessi finanziari
che l’ente può sostenere, espresso come percentuale rispetto alle entrate
correnti. (9) In ogni caso, a seguito del novellato sesto comma dell’art. 119
della Costituzione, è possibile accedere a nuove forme di indebitamento
solo per finanziare investimenti in immobilizzazioni. Va segnalato, tuttavia,
come tali limiti si siano rivelati per lo più inefficaci in termini di controllo
dell’equilibrio patrimoniale: occorrerebbe, in realtà, estendere l’analisi allo
stock di debito acceso dall’ente, muovendo dall’analisi del Conto del patrimonio, anche in una visione consolidata che tenga conto delle relazioni con
le aziende partecipate (Guarini, 2008: p. 47).
Coloro che amministrano l’ente locale dovranno, quindi, operare oculate
scelte di investimento, raccordandole adeguatamente alle politiche tributarie e tariffarie e alle modalità di gestione dei servizi pubblici prescelte; la
considerazione delle modalità e degli strumenti a sostegno di tali decisioni
superano i limiti assegnati a questo lavoro.
Si vuole, invece, ricondurre l’attenzione al tema portante della presente
ricerca: una volta che l’ente ha deciso di indebitarsi e ha scelto le modalità
di finanziamento più idonee a soddisfare le proprie esigenze, i potenziali
finanziatori potranno ritrarre dall’analisi dei prospetti che compongono il
rendiconto dell’ente locale tutte le informazioni necessarie a valutare la
capacità finanziaria dell’ente e la sua solvibilità nel tempo?
Ponendo l’attenzione sui dati utili a effettuare un’analisi della solvibilità,
va sottolineato fin da ora come dal rendiconto non sia possibile ottenere
indicazioni circa i tempi di restituzione dei debiti contratti o i tempi di riscossione dei crediti. Fra l’altro, occorre considerare come la necessità di
valutare l’equilibrio finanziario dell’ente induca a compiere non solo una
mera analisi finanziaria, ma anche a considerare gli andamenti prospettici
dell’ente medesimo.
Per rispondere alle esigenze informative dei potenziali finanziatori e offrire
un giudizio imparziale sulla propria affidabilità, negli ultimi dieci anni si è
andata diffondendo la prassi, presso gli enti locali di grandi e medie dimensioni, di ottenere il rating da parte delle principali agenzie specializzate, in
particolare in vista dell’emissione di titoli di credito. Sembra pertanto necessario indagare su quali aspetti venga in genere incentrata l’attenzione delle
principali agenzie, evidenziando di volta in volta se i relativi dati siano o
meno individuabili dalla lettura del rendiconto, per valutare poi se questo set di
informazioni sia sufficiente a emettere un giudizio sulla solvibilità dell’ente.
9 Si tratta di una percentuale che in genere varia, di anno in anno, secondo le indicazioni della legge finanziaria. L’art. 204 del d.lgs. 267/2000 lo aveva inizialmente fissato al
25%. La finanziaria per il 2009 ha confermato tale limite, già da due anni definito nella misura del 15%.
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Valutare la solvibilità degli enti locali
4. L’impatto di Basilea 2 sull’analisi finanziaria degli enti locali
Le agenzie di rating sono generalmente ritenute tra i principali fruitori
delle informazioni finanziarie promananti dal rendiconto degli enti locali,
sebbene negli ultimi dieci anni anche altri interlocutori presenti sui mercati
finanziari (come altri soggetti che emettono titoli, sottoscrittori, fondi comuni
di investimento e altri) hanno acquisito un crescente interesse alle suddette
informazioni. In via generale, gli analisti finanziari tendono a valutare la
capacità del soggetto emittente i titoli di rimborsare le somme prese in prestito
e l’intento di ripagare tanto gli interessi quanto il capitale.
Sono già trascorsi vent’anni da quando Lamb e Rappaport (1987: p. 62)
posero in evidenza come l’analisi finanziaria degli enti locali fosse prevalente
appannaggio delle agenzie di rating e come in genere si tendesse a considerare l’enfasi posta sia da Standard & Poor’s sul substrato socio-economico
dell’ente emittente, sia l’enfasi posta da Moody’s sugli oneri finanziari che
gravano sul soggetto emittente i titoli. (10) Fitch, in realtà, tende a porre l’attenzione sul grado di “dipendenza” o “indipendenza” di ogni ente pubblico
assoggettato a rating, come elemento preliminare dell’analisi. (11)
In ogni caso, sia le suddette agenzie, sia altri analisti, concentrano la
loro attenzione sui medesimi elementi di valutazione: a) fattori finanziari;
b) peso degli oneri finanziari; c) incidenza della gestione amministrativa;
d) fattori economici.
Con l’applicazione dell’Accordo di Basilea 2, è aumentata l’esigenza
di ottenere informazioni idonee a valutare il merito creditizio (12): tanto
l’approccio Internal Rating Based (IRB) (13) quanto l’approccio Standard
richiedono, a coloro che vogliono accedere al credito, di fornire tutte le
informazioni rilevanti e significative ai fini della valutazione del loro grado
di solvibilità. Con il primo approccio (IRB) tutte le informazioni devono essere
raccolte direttamente dagli istituti di credito in funzione del proprio sistema di
valutazione del merito creditizio: in pratica, ogni banca deve sviluppare una
propria metodologia per assegnare il rating ai soggetti richiedenti credito,
seguendo le linee guida indicate dagli organi di sorveglianza del sistema
10 Si veda STANDARD & POOR’S GLOBAL RATINGS CRITERIA (1997) e MOODY’S RATING SYMBOLS & DEFINITIONS (2005).
11 Si rinvia a FITCH RATINGS (2007).
12 In base all’accordo di Basilea 2, dal 1° gennaio 2007 il patrimonio di vigilanza delle
banche deve essere commisurato a tre parametri di rischio: la probabilità di default (PD), la
Loss Given Default (LGD) e la probabilità di esposizione al default (EAD). I tre parametri devono essere ponderati in funzione della scadenza del prestito.
13 L’approccio IRB può essere applicato secondo due modalità diverse: con l’approccio IRB
base, l’istituto finanziatore valuta il rischio di insolvenza del debitore, ma la corrispondente
quota del patrimonio di vigilanza viene calcolata in base ad una formula fissata dall’accordo. Diversamente, in base all’approccio IRB Avanzato la banca fissa tutti e tre i parametri (PD,
LGD e EAD). L’approccio IRB garantisce una significativa flessibilità nella misurazione del rischio di credito ed offre alle banche un incentivo a modificare il proprio approccio, secondo
le linee guida predisposte dagli organi competenti.
Azienda Pubblica 2.2009
238
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
bancario. (14) Con il secondo approccio (Standard) la banca può optare tra
il continuare a valutare il rischio in base a una serie di parametri prefissati
e l’avvalersi di un rating esterno rilasciato da agenzie specializzate. In
entrambi gli approcci, l’ente locale dovrà essere in grado di fornire tutte le
informazioni necessarie a valutare l’insieme di elementi oggetto di esame
in precedenza menzionati.
Coerentemente con l’intento prioritario di questa ricerca, risulta necessario cercare di dare una risposta a un interrogativo fondamentale:
Le informazioni richieste dagli analisti finanziari, alla luce delle indicazioni contenute in Basilea 2, sono tutte direttamente ritraibili dal rendiconto
dell’ente locale?
La situazione nel nostro Paese presenta sicuramente dei caratteri peculiari:
per lungo tempo vi è stata una situazione di monopolio da parte della
Cassa depositi e prestiti, unico istituto abilitato a finanziare gli enti locali.
Lo scenario è mutato dalla metà degli anni ’90, quando il mercato è stato
aperto agli altri Istituti di credito. In via generale, tuttavia, la concessione
di un finanziamento si verifica quando gli istituti svolgono presso gli stessi
enti anche la funzione di Tesoreria: in tale contesto, la banca ha modo di
conoscere direttamente i flussi monetari collegati alle entrate e alle spese
dei soggetti affidati.
Nell’ambito della ricerca sono stati condotti una serie di colloqui (15)
con operatori dei principali istituti di credito operanti in Italia, compresa
la Cassa depositi e prestiti, da cui è emerso come l’uso sia quello di valutare l’affidabilità dell’ente partendo dall’esame degli indicatori allegati al
rendiconto.
Le agenzie di rating, in particolare Fitch, Moody’s and Standard &
Poor’s, adottano criteri di valutazione tendenzialmente simili, come evidenziano le sottostanti tabelle in cui sono state riportate le scale di rating
utilizzate. (16)
La tabella 1 riporta le scale di rating assegnate dalle tre agenzie per i
titoli a medio e lungo termine.
14 A seguito dell’applicazione dell’accordo di Basilea 2, ogni autorità responsabile dell’emanazione dei regolamenti in materia (in Italia, ad esempio, è la Banca d’Italia), assume una
responsabilità diretta nel validare i modelli sviluppati ed impiegati dalle istituzioni creditizie
sotto la loro vigilanza.
15 Coerentemente con un approccio di tipo qualitativo, le interviste condotte sono state non
strutturate, tendendo ad evidenziare a quali documenti i diversi istituti facessero riferimento ai
fini della concessione del credito agli enti locali.
16 Va evidenziato che secondo il metodo standard previsto dall’accordo di Basilea 2, le banche sono tenute a creare una riserva di capitale sufficiente ad assorbire le perdite attese, proporzionalmente al grado di rischio medio a cui si è esposti. I crediti verso Stati sono pesati
con 0% se la valutazione varia tra AAA e AA-, 20% se il rating varia tra A+ ed A, 50% se il
rating oscilla tra BBB+ e BBB-, 100% se il rating varia tra BB+ e B- o se non c’è rating, 150%
se il rating è più basso di B-. Tuttavia va precisato che, in via generale, nessun ente pubblico
può ottenere un rating più elevato di quello dello Stato di appartenenza.
239
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Tabella 1 – Scale di rating per titoli a medio-lungo termine
Fitch Ratings
Standard & Poor’s
Moody’s
Investment grade
AAA
Investment grade
rischio di credito estrema- capacità di rimborso del Aaa
mente basso
debito molto alta
AA+
AA
AA
AAA+
A
A
A-
Aa1
rischio di credito molto capacità di rimborso del
basso; capacità di rim- debito molto alta, di poco Aa
borso molto solida
inferiore a AAA
elevata capacità di rimborso del debito ma inaspettativa bassa di rifluenzabile da eventuali
schio di credito; adeguaA
cambiamenti della situata capacità di rimborso
zione economica e finanziaria
BB+
BB
B
BB-
bassissimo grado di rischio dell’investimento
capacità di rimborso
adeguata ma soggetta a
cambiamenti collegati al
ciclo economico
Aa2
Aa3
A1
A2
A3
adeguata capacità di rimborso del debito, con più
alta probabilità di indebolimento in presenza di Baa
condizioni economiche e
finanziarie sfavorevoli
Baa1
adeguata capacità di rimborso del debito, con più
alta probabilità di indebolimento in presenza di Ba
condizioni economiche e
finanziarie sfavorevoli
Ba1
Baa2
Baa3
Speculative grade
BB+
BB
BB
BB-
B+
possibilità di rischio di
credito, soprattutto se la
situazione economica non
è favorevole
Ba2
Ba3
B1
CCC, CC
eC
elevate possibilità di in- CC indica un alto grado
solvenza
di speculazione; C riservato ai titoli per cui non Caa
sono stati pagati interessi
Caa1
DDD, DD
eD
titoli altamente specula- D per titoli in stato di insol- Ca & C
tivi
venza (S&P)
B
B-
adeguati elementi di garanzia per il pagamento
degli interessi e del capitale alla scadenza, che
possono deteriorarsi per
il futuro
adeguate possibilità di
pagamento degli interessi del rimborso del capitale, tuttavia influenzabile da fattori esogeni
Speculative grade
significativo rischio di cre- condizioni economiche e fidito pur essendovi un lie- nanziarie avverse potrebve margine di garanzia bero quasi annullare la B
capacità di rimborso
B
bassissimo grado di rischio dell’investimento ma
con garanzie per il pagamento degli interessi
inferiore a Aaa
B2
B3
Caa2
copertura degli interessi
e del capitale – titoli con
caratteristiche leggermente speculative
investimento non sicuro;
poche garanzie di pagamento quota interesse e
quota capitale
possibili condizioni di insolvenza
Caa3
scarsissima possibilità di
pagamento degli interessi e di rimborso della
quota di capitale
Nella tabella 2 si riporta una sintesi generale dei fattori che le agenzie di
rating considerano rilevanti onde pervenire alla valutazione del rischio di
credito degli enti locali sottoposti ad analisi. Le diverse agenzie tendono a
porre in evidenza alcuni dei seguenti aspetti in misura prevalente rispetto
agli altri, ma in ogni caso tutti gli aspetti riportati nella tabella sono oggetto
di analisi.
Azienda Pubblica 2.2009
240
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Tabella 2 – Aree di analisi
Aree di analisi
sistema politico ed amministrativo
dello Stato di appartenenza
sistema politico ed amministrativo
locale
struttura socio-economica del territorio
flussi finanziari e situazione debitoria
dell’ente
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Elementi oggetto di valutazione
grado di decentramento
funzioni delegate agli enti territoriali
grado di stabilità del sistema politico
grado di stabilità del sistema politico
struttura organizzativa
grado di preparazione dei dirigenti
gestione del personale
evoluzione demografica prevista
base economica ed infrastrutturale
e prospettive a medio-lungo termine
piani di sviluppo territoriali
struttura delle entrate e delle uscite
livello di liquidità
indebitamento attuale e trend atteso
È immediatamente rilevabile come le informazioni richieste siano di carattere
sia qualitativo sia quantitativo, connesse tanto a fattori esogeni quanto a
fattori endogeni. Nel cercare di ritrovare nell’ambito del rendiconto tutte le
informazioni necessarie, appare subito evidente che la più grave carenza
informativa riguarda principalmente gli aspetti qualitativi, soprattutto di tipo
esogeno. La norma vigente richiede che venga illustrato il contesto sociale
ed economico del territorio solo nell’ambito dei documenti di programmazione, in particolare nella relazione previsionale e programmatica. Esiste,
in realtà, un’apposita sezione della relazione al rendiconto predisposta
ad opera della Giunta, nell’ambito della quale la norma (17) chiede di evidenziare i principali scostamenti intervenuti rispetto alle previsioni, come
pure di offrire chiarimenti rispetto alle cause che li hanno determinati. Se le
medesime informazioni venissero adeguatamente palesate, risulterebbero
particolarmente utili per valutare la capacità dell’ente nel fissare obiettivi
concretamente raggiungibili piuttosto che approntare i “libri dei sogni”.
Ciò sarebbe rilevante per stimare l’attitudine a formulare programmi che
rappresentano una linea all’azione, idonei a garantire l’equilibrio finanziario
ed economico dell’ente.
Un’informazione cui le agenzie dedicano particolare attenzione e che
assume un notevole peso nel processo di assegnazione del rating, attiene al
livello di stabilità del sistema istituzionale e al grado di supporto offerto dai
diversi livelli di governo. (18) Tale prima area di analisi non trova immediato
riscontro nei contenuti del rendiconto.
17 Art. 231, d.lgs. 267/2000.
18 “La capacità di un livello istituzionale gerarchicamente più elevato di definire i livelli di
spesa (o gli standard dei servizi) che un altro ente deve rispettare senza che si accompagnino adeguati trasferimenti di risorse o un corrispondente potere impositivo è considerato come
un fattore negativo. I trasferimenti sono valutati in funzione della loro misura, prevedibilità ed
elasticità con la quale possono essere modificati in base al variare del contesto di riferimento.”, STANDARD & POOR’S (1997: p. 3).
241
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Allo stesso modo, le informazioni attinenti la seconda area di analisi
(sistema politico e amministrativo locale) non sono contenute nei documenti
di sintesi di fine periodo.
Altro aspetto che richiede un’adeguata considerazione concerne le
condizioni di sviluppo economico del territorio: l’ammontare complessivo
delle entrate, infatti, è strettamente correlato a tale sviluppo. In via generale,
molte risorse di entrata, quali imposte e tasse dirette e indirette, così come
pure le tariffe, dipendono dall’andamento economico del territorio: ciò
significa che le informazioni ritraibili dal rendiconto devono essere interpretate in maniera congiunta con quelle relative alla struttura economica,
allo sviluppo demografico e alle prospettive di crescita del singolo ente.
Contemporaneamente, analizzare le risorse provenienti dall’imposizione
fiscale e la capacità di incidere sul livello generale di entrate, consente
alle agenzie di rating di valutare correttamente la sostenibilità complessiva
delle spese. Anche rispetto a questa terza area di indagine il rendiconto
risulta carente. (19)
In riferimento all’ultima area (flussi finanziari e situazione debitoria
dell’ente) occorre ancora considerare che la stragrande maggioranza delle
informazioni ottenibili dalla lettura del rendiconto sono impiegabili per la
valutazione dei flussi finanziari e della capacità di indebitamento dell’ente,
ma non sono necessariamente esaustive. I dati forniti dagli enti locali consentono di individuare la composizione delle entrate e il loro andamento
futuro, i trasferimenti di parte corrente distinti in base alla tipologia, le
imposte a carattere locale, ugualmente distinte per tipologia, come pure le
tasse e le tariffe per i servizi a domanda individuale, e le entrate derivanti
dalla riscossione di dividendi e interessi attivi. Tale articolazione, tuttavia,
non è sufficiente ai fini dell’analisi finanziaria: per poter adeguatamente
valutare quali risorse possono essere destinate a rimborsare i debiti contratti, occorrerebbe distinguere le entrate a destinazione vincolata dalle
altre entrate, che possono indistintamente finanziare le spese. La prima
categoria di entrate ha carattere trasversale (comprendendo sia le entrate
di parte corrente che le entrate per investimenti) ed è ottenuta con vincolo
di destinazione alla copertura di specifiche voci di spesa. Anche questo
tipo di informazione attualmente non può essere dedotta direttamente dal
rendiconto, ma solo dai dati interni.
Altri dati sui quali centrare l’attenzione ai fini delle analisi sulla solvibilità, riguardano la relazione tra spese correnti e spese di investimento: la
normativa obbliga gli enti locali a raggiungere e preservare il cosiddetto
“equilibrio economico”, inteso come differenza tra entrate e spese correnti
(inclusi gli oneri e i proventi finanziari). (20) Se tale condizione viene rispet19 È appena il caso di sottolineare che qualunque analista ha la possibilità di accedere ad
altre fonti informative, esterne all’ente, dalle quali acquisire le informazioni relative alle prime tre aree di indagine (dati della Banca d’Italia, dell’Istat, del Ministero dell’economia, delle Camere di commercio, ecc.).
20 Appare evidente che tale grandezza, così come definita dal legislatore, ha poco a che vedere con il concetto di equilibrio economico formulato nella dottrina italiana. Le entrate correnAzienda Pubblica 2.2009
242
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
tata, le entrate a lungo termine (da trasferimenti, dalla contrazione di nuovi
prestiti o da rimborsi di prestiti concessi) devono essere impiegate per investimenti a lungo termine. Gli analisti considerano, altresì, i dati relativi agli
investimenti programmati e ai loro finanziamenti, con riferimento anche alla
loro articolazione temporale. Tuttavia, dai dati del rendiconto è possibile
pervenire alla misurazione del cosiddetto equilibrio economico, mentre per
valutare i programmi futuri o gli ulteriori sviluppi previsti per gli investimenti
in infrastrutture è necessario ricorrere ai documenti della programmazione,
ai quali le agenzie di rating non fanno riferimento, considerandoli in genere
inattendibili.
Tutte le informazioni inerenti alle scelte adottate in tema di gestione della
liquidità sono ugualmente rilevanti, così come pure i dati atti a valutare
l’incidenza dei fondi rischi o i debiti assunti da imprese possedute o controllate: tutti i succitati elementi incidono sulla posizione finanziaria dell’ente,
rispetto sia alla liquidità, sia al peso dell’indebitamento. Sotto questo profilo
le agenzie di rating, per esempio, valutano anche l’incidenza dei debiti
previsti e il grado di indebitamento dei soggetti che operano trasferimenti
a vantaggio dell’ente (Stato e Regioni) rispetto al prodotto interno lordo
globale e pro capite (21): la solvibilità del prenditore, infatti, dipende anche
dalla concreta capacità che hanno le entità istituzionalmente sovraordinate
e deputate a trasferire alcune risorse, di provvedere regolarmente agli
obblighi assunti.
Un ulteriore elemento cui occorre dare il giusto peso attiene alla presenza
e alla misura dei debiti fuori bilancio: in questa posta vengono ricompresi i
debiti determinati, direttamente o indirettamente, da altri soggetti pubblici,
inclusi quelli causati dalle aziende partecipate.
Ugualmente, sono oggetto di analisi i dati relativi al processo di formazione dei residui attivi e passivi, in quanto influenzano il risultato di amministrazione dell’ente: a parità di risultato, ma con un differente livello di
“anzianità” dei residui attivi, gli analisti dovrebbero assegnare un giudizio
migliore all’ente che rileva un tasso di smaltimento dei residui più rapido.
È chiaro che se i residui attivi e passivi non sono distintamente indicati nel
rendiconto per anno di provenienza, solo gli analisti che godono della
possibilità di un accesso diretto ai dati dell’ente potranno compiere le opportune considerazioni su questi aspetti. La completezza delle informazioni
provenienti dal rendiconto, rispetto a questi ultimi elementi, è fortemente
influenzata dal grado di dettaglio presentato dalla relazione della Giunta
e dalla completezza e attendibilità dei dati attinenti la composizione dei
residui attivi e passivi.
ti, difatti, non corrispondono ai ricavi né d’esercizio, né della gestione caratteristica né, tanto meno, ciò accade per le spese correnti rispetto ai costi. Sul concetto di equilibrio economico si rinvia a GIANNESSI (1969: p. 586).
21 Un’incidenza dei debiti previsti superiore al 100% delle entrate previste e un indebitamento dei soggetti che operano trasferimenti a favore dell’ente superiore al 25% del prodotto interno lordo globale in genere è considerato negativamente.
243
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Ultimo aspetto, non meno rilevante, attiene all’attendibilità del sistema
informativo contabile: gli analisti, come già evidenziato, tendono a non
prendere in considerazione i documenti di carattere programmatico, considerati aleatori e poco coerenti con la realtà. Troppo spesso, infatti, il bilancio
preventivo degli enti locali finisce per essere il risultato di un accordo politico.
Sul piano dell’analisi finanziaria tale atteggiamento ha un forte impatto:
se le previsioni tendono a sovrastimare le spese per investimenti futuri,
anche le previsioni relative alla contrazione di prestiti saranno effettuate
proporzionalmente, sebbene tutto ciò non sia assolutamente indicativo di
una strategia finanziaria prescelta ma derivi solo dall’obbligo di deliberare
il bilancio preventivo in pareggio. Ovvia conseguenza di quanto detto, il
bilancio preventivo non può essere comparato con il consuntivo, e così gli
analisti, quando pure leggono i documenti della programmazione, compiono
le loro valutazioni rettificando le indicazioni contenute nei documenti ufficiali, al fine di individuare la reale capacità di spesa dell’ente. La situazione
descritta è sintomatica di come gli enti locali si dedichino soprattutto alla
redazione dei documenti collegati al processo di programmazione, senza
dare adeguata rilevanza alla necessaria coerenza che dovrebbe sussistere
tra tutti i prospetti contabili (sia quelli relativi alla fase della programmazione, sia quelli relativi ai risultati ottenuti) ugualmente rilevanti per valutare
l’esposizione finanziaria e l’evoluzione dell’ente sotto il profilo economico.
Le carenze riscontrate nell’attuale schema di rendiconto inducono le agenzie di rating a compiere l’analisi, in particolare sul contesto economico e
sociale, fondandosi su dati rilevati autonomamente. Non possono tacersi
gli eclatanti casi di insolvenza degli enti locali nel nostro Paese, rilevati talvolta all’indomani dell’ottenimento di rating positivi. Tale situazione induce
ulteriormente a sottolineare la necessità di:
– pervenire alla valutazione del capitale “sociale” riferibile al territorio e,
quindi, delle prospettive di sviluppo concretamente riferibili all’ente;
– valutare la dimensione economica e finanziaria dell’ente in maniera
consolidata, estendendo l’analisi alle aziende partecipate sulle quali
talvolta si trasferiscono i debiti così da eludere i vincoli normativi all’indebitamento;
– arricchire le informazioni contenute nel rendiconto, come si specificherà
in seguito.
5. Una proposta per l’analisi finanziaria negli enti locali
Sulla scorta delle notazioni finora condotte, resta ora da trovare una risposta
all’interrogativo iniziale: come si può valutare la solvibilità dell’ente locale
e quindi, in via definitive, la sua PD? I metodi classici di valutazione del
rischio non possono trovare applicazione: i modelli di scoring non sono
utilmente applicabili, in considerazione del numero relativamente basso
di dati sul dissesto di enti locali, così come non sono impiegabili i modelli
Azienda Pubblica 2.2009
244
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
option-contingent in quanto i servizi pubblici non hanno un prezzo di mercato
e non è di conseguenza possibile stimare la volatilità del loro valore. (22)
La seguente parte del lavoro, concentrando l’attenzione sulla quarta area
di analisi considerata dalle agenzie di rating (flussi finanziari e situazione
debitoria dell’ente), è dedicata all’illustrazione di un modello di analisi
finanziaria basata sull’esame del cash flow e su una griglia di indicatori
della solvibilità aziendale, predisposto partendo dai dati contenuti nel rendiconto. Il modello è stato applicato a tre Comuni, appartenenti alla medesima
Regione, così da far riferimento al medesimo contesto socio-economico,
rappresentativi di tre classi demografiche diverse: il caso A per un piccolo
comune (15.000 ab.), il B per uno di medie dimensioni (40.000 ab.) e il
C per un ulteriore, di maggiori dimensioni (80.000 ab.). (23)
Si è privilegiato l’approccio del case-study, (24) in considerazione del
fatto che l’analisi finanziaria per gli enti locali italiani è ancora ai primi
passi: in Italia esiste una letteratura nascente sul tema e poche ricerche
empiriche. L’intento è quello di applicare un modello di analisi composito in
modo da poter valutare il merito creditizio, evidenziando anche quali altri
dati siano necessari per stimare l’equilibrio finanziario attuale e prospettico
dell’ente esaminato. (25) Generalmente i nuclei fondamentali che sono oggetto di indagine da parte degli analisti finanziari, riguardano il grado di
patrimonializzazione, le modalità di copertura del fabbisogno finanziario
e la redditività operativa (Galeotti, 2007). Per poter analizzare tali profili
il primo problema che si pone è quello di riclassificare le voci del bilancio
finanziario, per poi procedere a considerare i singoli aspetti.
Sarebbe interessante operare un’analisi simile sui bilanci preventivi, così
da stimare le tendenze previste rispetto all’impiego del capitale proprio e
di indebitamento. Tuttavia, considerata la scarsa significatività attribuibile a
questi dati, una tale estensione sarebbe priva di significato, o rischierebbe
addirittura di essere fuorviante.
La metodologia proposta è necessariamente sintetica, ponendo l’attenzione solo sui principali aggregati dei prospetti che compongono il
rendiconto, ma un’indagine più approfondita, finalizzata a esprimere
22 Per una comparazione sui modelli di valutazione del rischio si rinvia a GORDY (2000). I
modelli di scoring sono stati messi a punto dagli anni ’70 e poi perfezionati nel tempo. Si rinvia a ALTMAN et al. (2004).
23 Per le motivazioni suddette, i dati impiegati nell’analisi di seguito proposta si riferiscono
a quelli del rendiconto per l’esercizio 2006 di tre Comuni della Provincia di Napoli: il caso
A riguarda il Comune di Villaricca, il caso B il Comune di Frattamaggiore, il caso C il Comune di Pozzuoli.
24 È stato privilegiato un approccio qualitativo soprattutto nell’intento di comprendere le dinamiche finanziarie negli enti locali, considerando anche le diverse dimensioni territoriali. Sui
metodi applicabili alla ricerca sociale si rinvia a CORBETTA (2003). In particolare sul confronto
tra metodi quantitativi e qualitativi, p. 86 e ss.
25 Di fatto, tutte le informazioni derivanti da questa analisi richiedono una necessaria integrazione con le informazioni relative al contesto socio-economico: questi dati sugli aspetti di
carattere esogeno, che possono influire sullo sviluppo futuro dell’ente, possono essere ottenuti da altre fonti, ma i limiti assegnati al presente lavoro non consentono anche la costruzione di una griglia per definire in maniera analitica quali informazioni considerare e a quali fonti attingere.
245
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
un giudizio sulla solvibilità, richiede un’analisi attenta sul contenuto delle
singole voci, al fine di evitare equivoci interpretativi. Alcuni errori di valutazione, infatti, potrebbero derivare da una classificazione non adeguata
di talune voci; a titolo esemplificativo, si consideri l’ipotesi in cui alcune
spese di investimento vengono qualificate come spese correnti o viceversa:
è evidente che tale classificazione incide direttamente sul calcolo del risultato operativo e sulle conseguenti valutazioni. A ciò si aggiunge che alcuni
equivoci rispetto alla classificazione delle voci di bilancio nascono dalle
stesse previsioni normative: sempre a scopo esemplificativo, si consideri
come di recente il legislatore abbia concesso ai Comuni di iscrivere tra
le entrate correnti anche le entrate derivanti da concessioni a edificare.
Tuttavia, queste somme sono raccolte per assicurare le manutenzioni e la
fruibilità delle infrastrutture; di conseguenza, sembra più corretto riclassificarle tra le entrate per investimenti per il loro intero ammontare. Non
sfugge come la corretta classificazione di tali voci modifichi sensibilmente
il risultato operativo, soprattutto nel caso in cui l’ente conti su questi introiti
per finanziare la spesa corrente.
Un altro punto fondamentale da considerare ai fini dell’analisi finanziaria
riguarda, come già notato in precedenza, la distinzione tra entrate “libere”
ed entrate a “destinazione vincolata”: l’ente locale non può beneficiare di
alcuna entrata a destinazione vincolata, nemmeno in via temporanea, per
impieghi diversi da quelli a fronte dei quali è stata ottenuta. Ciò significa, in
altre parole, che non si può condurre un’analisi corretta, al fine di valutare il
cash flow impiegabile, senza aver operato questo tipo di distinzione. In via
generale, ad esempio, tutti i trasferimenti per investimenti sono a destinazione
vincolata, così come pure le somme ottenute a seguito della contrazione
di nuovi debiti di finanziamento a lungo termine. Purtroppo, questo tipo di
informazione non è ottenibile dal rendiconto, ma occorrono altre informazioni interne per supportare la classificazione. Anche nell’ambito dell’analisi
presentata questa distinzione è risultata impossibile da attuare, disponendo
solo dei documenti ufficiali.
Un problema fondamentale da risolvere, poi, riguarda la conversione
dei dati dalla competenza “giuridica” (basati su impegni e accertamenti)
alla competenza di cassa: partendo dall’insieme di considerazioni svolte,
è fondamentale considerare solo i flussi di cassa per valutare la solvibilità
dell’ente locale. Ciò significa separare le somme riscosse da quelle accertate e poi, nell’ambito del primo gruppo, distinguere quelle riscosse dalla
competenza rispetto a quelle riscosse da residui, così da valutare l’incidenza
delle gestioni passate sui flussi di cassa attuali. La medesima distinzione,
ovviamente, deve essere fatta anche sul fronte della spesa, separando le
somme pagate per la competenza da quelle pagate in conto residui. Il
problema nasce a causa della distanza temporale, talvolta considerevole,
tra il momento in cui gli accertamenti/impegni vengono assunti e quello in
cui si genera il movimento di cassa.
L’analisi di seguito presentata è stata elaborata sui dati del conto del
Azienda Pubblica 2.2009
246
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
bilancio: nella tabella 3 vengono presentati direttamente i risultati dell’applicazione del modello ai tre comuni precedentemente indicati.
Il conto del bilancio è stato riclassificato in modo da separare le entrate
e le spese correnti dai movimenti che riguardano elementi della gestione
finanziaria e straordinaria, in modo da ottenere il cash flow della gestione
operativa. (26) Successivamente sono stati sommati i risultati della gestione
finanziaria e per investimenti, in modo da calcolare il cash flow netto,
prima dell’incidenza della gestione finanziaria. Questo primo risultato è
rappresentativo della gestione ordinaria: in tutti i casi esaminati, esso è
risultato negativo sebbene, sommando la consistenza della cassa all’inizio
dell’esercizio è chiaro che tutti gli enti si trovano ancora in condizioni di
equilibrio finanziario. Tuttavia, è anche possibile notare che per i Comuni
A e C il cash flow netto sarebbe risultato assolutamente positivo, senza l’influenza degli oneri straordinari. Questo dato può essere interpretato come
il risultato di una buona gestione ordinaria.
Aggiungendo il flusso di cassa dell’indebitamento (Δ Debiti e interessi
passivi) al cash flow netto, è stata calcolata la variazione netta della liquidità
disponibile; sommando questo risultato al fondo cassa iniziale è possibile
addivenire all’individuazione dell’ammontare disponibile per ulteriori impieghi (correnti o di investimento).
Dall’applicazione del modello è possibile effettuare un’altra interessante
considerazione: gli enti locali appongono nel proprio bilancio una serie di
voci che riguardano alcune operazioni nelle quali in realtà operano come
meri intermediari. Si tratta delle cosiddette entrate e spese “per conto terzi”.
Osservando i flussi finanziari, è possibile evidenziare come queste voci
abbiano un peso negativo sulla solvibilità stimata: ciò si verifica in quanto
generalmente l’ente si trova ad anticipare somme che successivamente verranno rimborsate da terzi. Tuttavia, è possibile che si debbano sostenere
interessi passivi per anticipare somme che non dovrebbero incidere in alcun
modo sui risultati della sua gestione (tabella 3).
Aggregando i dati diversamente, in particolare escludendo le variazioni
derivanti dall’indebitamento, è anche possibile porre in evidenza il surplus da
investire o il deficit da colmare. In tutti i tre casi considerati è risultato che la
gestione condotta nell’esercizio ha generato un deficit, sebbene ampiamente
assorbito dalla consistenza della cassa all’inizio del periodo.
Risulta altresì utile confrontare il cash flow originato dalla gestione
operativa con il risultato della gestione finanziaria (inteso come differenza
tra interessi attivi e passivi). I valori ottenuti appaiono significativi: sebbene
tutti i Comuni esaminati abbiano rispettato le indicazioni normative, che
nel 2006 richiedevano di non superare il limite del 12% di interessi passivi
26 Si vuol notare che l’International Public Sector Accounting Standard Board nel 2000 ha
elaborato il principio Ipsas n. 2 - Cash flow statements, sul modello dello IAS 7; tuttavia tale
documento ha un’impostazione diversa, essendo strutturato per essere applicato ad un bilancio redatto secondo criteri di competenza economica.
247
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Tabella 3 – Analisi del cash flow
Municipalità A
Municipalità B
Municipalità C
Riscossioni da E correnti*
12.914.928,84
19.152.605,31
80.174.272,08
(-) pagamenti spese correnti*
11.720.910,04
17.612.602,68
76.211.642,26
1.194.018,80
1.540.002,63
3.962.629,82
1.326.732,91
2.511.536,66
7.399.962,16
2.483.750,64
7.281.988,09
10.289.286,22
-1.157.017,73
-4.770.451,43
-2.889.324,06
0,00
0,00
0,00
1.930.920,17
53.005,55
2.416.365,87
-1.930.920,17
-53.005,55
-2.416.365,87
-1.893.919,10
-3.283.454,35
-1.343.060,11
341.003,01
3.438.069,32
1.708.043,65
(1)= Flusso di cassa da attività
operativa
Riscossioni da alienazioni patrimoniali,
trasferimenti in c/capitale, crediti
(-) pagamenti per spese in conto/
capitale
(2) = Flusso di cassa da attività di
investimento
Riscossioni da proventi straordinari
(-) Pagamenti per oneri straordinari
(3) = Flusso di cassa da gestione
straordinaria
(1+2+3) A: flusso di cassa netto
Nuovi debiti (entrate da contrazione
di prestiti)
(-) rimborsi prestiti
503.900,41
964.127,95
3.069.181,76
(-) interessi passivi
255.552,73
1.080.398,06
2.105.857,36
(4) =Flusso di cassa del debito
-418.450,13
1.393.543,31
-3.466.995,47
5.204,26
2.317,2
5.255,15
-2.307.164,97
-1.887.593,84
-4.804.800,43
3.265.323,17
16.598.093,52
6.276.060,61
(5) interessi attivi
((1+2+3)+4+5) B : Variazione netta
liquidità disponibile
(+) liquidità iniziale (fondo cassa)
(6) = Liquidità disponibile finale
958.158,20
14.710.499,68
1.471.260,18
Riscossioni per servizi conto terzi
1.130.294,30
2.611.133,88
10.967.638,60
(-) Pagamenti per servizi conto terzi
1.337.585,46
2.874.095,22
11.659.896,34
-262.961,34
-692.257,74
14.447.538,34
779.002,44
Municipalità A
Municipalità B
Municipalità C
1.194.018,80
1.540.002,63
3.962.629,82
-1.157.017,73
-4.770.451,43
-2.889.324,06
(7)= Flusso di cassa per servizi conto
-207.291,16
terzi
(6+7=) Fondo cassa finale
750.867,04
*al netto di elementi finanziari e straordinari
Tabella 4 – Analisi del surplus/deficit finanziario
(1) Flusso di cassa da attività operative
(2) +Flusso di cassa da attività di
investimento
(+) interessi attivi
(-) interessi passivi
5.204,26
2.317,20
5.255,15
255.552,73
1.080.398,06
2.105.857,36
0,00
0,00
0,00
(+)proventi straordinari
(-) oneri straordinari
(=)Surplus o deficit finanziario
Azienda Pubblica 2.2009
1.930.920,17
53.005,55
2.416.365,87
-2.144.267,57
-4.361.535,21
-3.443.662,32
248
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
rispetto alle entrate correnti, i tre enti presentano un risultato sensibilmente
diverso in termini di incidenza degli oneri e proventi finanziari sulla gestione
operativa, che risultano pari a circa il 21% per il Comune A, il 70% per il
Comune B e il 53% per il Comune C (tabella 4).
A completamento dell’analisi si potrebbe anche calcolare il livello massimo
di indebitamento (MLD). Al fine di individuare tale grandezza è necessario
conoscere il costo medio dell’indebitamento e rapportarlo al limite posto
dalle norme vigenti; considerando che attualmente gli interessi passivi non
possono essere superiori al 15% delle entrate correnti, si avrà:
se
equivale a
ovvero
15%= Interessi passivi /Entrate correnti
15%= tasso medio x MLD/ Entrate correnti
(15% / tasso medio)x Entrate correnti = MLD
Sarebbe estremamente interessante estendere l’analisi agli esercizi successivi, partendo dai dati del bilancio di previsione e impiegando un modello
di previsione dinamico, come il RAPD approach (Montesi, Papiro, 2008).
Appare evidente, comunque, che un’analisi previsionale può essere condotta
in modo utile solo partendo da dati affidabili, come è stato ampiamente
evidenziato in precedenza.
Un’ulteriore analisi potrebbe essere effettuata partendo dai dati del conto
del bilancio, con un attento esame della composizione delle singole voci
di entrata e di spesa. In particolare, come già evidenziato, l’osservazione
della dinamica con la quale si sviluppano incassi e pagamenti può essere
rivelatrice rispetto all’abilità dell’ente locale di effettuare impegni di spesa
e accertamenti di entrata attendibili, così come della capacità di riscuotere
e pagare entro i tempi previsti i propri crediti e debiti. Nella tabella 5 vengono presentati alcuni indicatori elaborati per tutti i tre Comuni analizzati,
relativi alla velocità di riscossione e pagamento delle entrate e delle spese,
articolate in gruppi omogenei, in base alla loro origine. Quanto più è elevata la velocità di raccolta, più ampia è la capacità dell’ente nell’effettuare
accertamenti corretti e nel riscuoterli. Chiaramente, questo aspetto influisce
direttamente sulla possibilità di pagare le spese entro le loro scadenze ordinarie, senza dover sopportare ulteriori costi per anticipazioni di cassa.
Per le medesime ragioni, risulta rilevante l’incidenza delle somme incassate
nell’anno in conto competenza, rispetto a quelle incassate da residui, in
modo da misurare l’incidenza della gestione pregressa su quella attuale.
A titolo esemplificativo, osservando il Comune A, che ha già dimostrato
nell’analisi precedente un buon livello di solvibilità, anche se il totale delle
somme riscosse rispetto a quelle accertate non è elevato, dall’analisi per titoli
è possibile notare che la causa è rintracciabile nei tempi di riscossione dei
trasferimenti da altri enti sovraordinati. Di conseguenza, solo se il sistema
istituzionale è considerato meritevole sotto il profilo creditizio, l’ente potrà
ottenere un giudizio positivo.
249
Azienda Pubblica 2.2009
Azienda Pubblica 2.2009
250
Tasso di
smaltimento
RP su Sp. c/terzi
riscossione RA
RA es. precedenti
Tasso smaltimento
RA* su accensione di riscossione RA
prestiti
RA es. precedenti
riscossione RA
RA es. precedenti
riscossione RA
RA es. precedenti
Tasso smaltimento
RA su ent.
da trasf correnti
Tasso smaltimento
RA da alienazioni
immob., trasf.
capit., riscossione
crediti.
riscossione RA
RA es. precedenti
riscossione RA
RA es. precedenti
riscossione RA
RA es. precedenti
Tasso smaltimento
RA su ent.
Extra Trib
Tasso smaltimento
RA su ent. Trib.
Tasso smaltimento
RA
Analisi del livello di riscossione
RA c.comp. da e.t.
accertamenti e.t.
Incidenza RA dalla
competenza
su entrate tributarie
4,88
3,99
12.246,00 35,42
34.572,64
341.003,01
8.547.762,62
1.322.036,15 27,08
4.881.086,29
225.173,74
4.613.506,33
2.087.606,41 25,26
8.264.034,36
77,87
1.340.108,76
1.720.930,88
5.328.174,07 18,99
28.061.893,12
2.510.574,13 37,55
6.685.991,31
26.708.400,51 140,7
18.975.419,40
8.585.430,15 45,25
18.975.419,40
%
528.642,98
548.037,24
3.438.069,32
20.662.845,01
1.360.882,47
6.052.632,49
472.116,48
2.759.493,43
2.052.769,29
3.630.221,74
3.249.107,11
13.442.744,82
11.101.587,65
47.095.974,73
3.829.539,80
8.421.100,78
96,46
16,64
22,48
17,11
56,55
24,17
23,57
45,48
37.992.423,86 148,51
25.583.015,36
8.968.940,64
35,06
25.583.015,36
Analisi dell’impatto dei residui attivi (RA)
Municipalità A
%
Municipalità B
Incidenza RA
dalla competenza
Composizione
indicatori
totale RA
accertamenti
nuovi RA
accertamenti
Incidenza totale
Residui Attivi
Indicatori
Tabella 5 (a) – Analisi dell’impatto dei residui
%
indicatori
163.176,15
1.592.920,78
1.708.043,65
25.984.981,33
5.124.157,57
51.288.208,12
4.781.273,08
26.377.509,22
15.328.340,09
8.540.949,68
27.112.869,43
5.892.473,66
26.210.073,79
147.684.828,97
10,24
6,57
9,99
18,13
38,44
31,50
17,75
Tasso di
smaltimento RP
su Sp. c/terzi
Tasso di
smaltimento RP
sul rimborso
finanz.
Tasso di
smaltimento RP
su sp. di inv.
Tasso di
smaltimento RP
su spese corr.
pgamenti RP
RP es. precedenti
pgamenti RP
RP es. precedenti
pgamenti RP
RP es. precedenti
pgamenti RP
RP es. precedenti
Analisi del livello di pagamento
Tasso totale di
smaltimento RP
pgamenti RP
RP es. precedenti
210.572,56
238.995,54
0,00
2.130.821,94
19.843.456,38
2.705.884,66
10.577.244,90
5.047.279,16
30.659.696,82
4.795.108,94
15.996.607,22
26.222.676,21
21.705.117,88
8.519.777,59
21.705.117,88
88,11
0,00
10,74
25,58
16,46
29,98
39,2
120,8
765.148,14
791.211,74
0,00
0,00
5.914.182,68
38.404.468,01
4.326.692,24
11.251.077,03
11.006.023,06
50.446.756,78
5.726.458,64
20.145.772,69
41.286.827,72
27.569.204,15
8.709.009,66
27.569.204,15
Analisi dell’impatto dei residui passivi (RP)
Composizione
Municipalità A
%
Municipalità B
indicatori
154.339.008,50 141,47 Incidenza totale
totale RP**
Residui Passivi
109.096.016,30
impegni
35.050.918,45 32,13
nuovi RP
Incidenza RP
dalla
competenza
109.096.016,30
impegni
28,51 Incidenza RP dalla
nuovi RP su sp. cor.
competnza
9.038.063,48
su spese correnti annual commitment
31.705.671,12
on current exp.
Municipalità C
Municipalità C
%
96,7
0%
15,4
38,5
10,2
32,3
72,4
1.296.813,69 42,24
3.069.988,54
144.734,14 89,56
161.599,02
9.963.361,63
97.292.096,98
14.691.142,00
45.505.730,14
21,8 105.752.229,81
146.029.414,68
149,8 149.165.041,60 133,4
111.849.928,03
31,6
32.193.749,68
28,8
111.849.928,03
28,4
23,1
19.844.537,31
85.887.260,80
%
Valutare la solvibilità degli enti locali
Saggi
251
0,21
0,00
98,72
4.696,76
2.244.696,76
0,00
519.993,31
1.118.048,30
1.132.495,29
Tot.riscossioni nell’es.
Accertamenti nell’es.
Tot.riscossioni nell’es.
Accertamenti nell’es.
Tot.riscossioni nell’es.
Accertamenti nell’es.
28,81
5.673.394,88
3.233.145,09
19.909.620,48
Municipalità C
56,99
67,21
90,54
0,00
36,99
53,52
81,28
68.593.742,35
15.928.620,02
88.914.178,04
60.964.830,81
10.804.462,45
10.846.145,17
0,00
6.459.389,06
5.124.157,57
51.288.208,12
6.828.869,24
16.407.620,63
31.468.353,93
40.800.886,29
74.045.097,85
109.096.016,30
54,52 22.667.607,64
31.705.671,12
64,94
%
3,06
548.037,24
2.611.133,88
20,99
34.572,64
1.130.294,30
6.052.632,49 240,99
2.511.536,66
RA es. precedenti
Totale riscossioni
367,90
3.630.221,74
37,10
9.785.073,95
2.759.493,43 180,46
1.529.180,47
8.547.762,62 2.506,65 20.662.845,01 601,00
341.003,01
3.438.069,32
4.881.086,29
1.326.732,91
RA es. precedenti
Totale riscossioni
28,97
643,73
RA es. precedenti
Totale riscossioni
1.720.930,88
5.940.422,50
4.613.506,33
716.687,01
RA es. precedenti
Totale riscossioni
RA es. precedenti
Totale riscossioni
Impatto dei RA da
entrate extra-trib.
Impatto dei RA da
trasferimenti di
parte corrente
Impatto dei RA da
entrate per alien.
di immobili, traf.
inc/cap. e crediti
131,95 13.442.744,82 171,45
7.840.668,09
86,88
23,22
68,57
99,62
0,00
9,99
41,62
77,13
67,87
71,49
%
tot. Pag. c/comp.
impegni
Velocità di
pagamento delle
altre spese
1.592.920,78
10.967.638,60
14,52
25.984.981,33 1.521,33
1.708.043,65
RP da es. prec.
totale pagamenti
RP da es. prec.
totale pagamenti
RP da es. prec.
totale pagamenti
RP da es. prec.
totale pagamenti
tot. Pag. c/comp.
impegni
Velocità di pagamento delle spese
da rimb. prestiti
Impatto dei RP da
spese
tot. Pag. c/comp.
impegni
totale impegni
tot. Pag. c/comp.
impegni
Composizione
indicatori
tot. Pag. c/comp.
Velocità di pagamento delle spese
da investimenti
Velocità di
pagamento delle
spese
Velocità di
pagamento delle
spese correnti
Indicatori
15.328.340,09 41,03 Impatto dei RP da
Spese per invest.
37.360.827,59
26.377.509,22 227,19
Impatto dei
RP da debiti di
11.610.142,32
finanz.
51.288.208,12 693,09 Impatto dei RP da
altre spese
7.399.962,16
27.112.869,43
31.208.557,32
Impatto dei RA di esercizi precedenti sul totale delle riscossioni
8.264.034,36
6.263.023,59
Impatto dei RA da RA es. precedenti
entrate tributarie Totale riscossioni
Impatto dei RA
da entrate da
prestiti
Impatto dei RA da
altre entrate
2.082.490,90
2.300.078,26
0,00
262.816,22
1.150.654,19
3.110.500,40
1.057.063,99
1.975.102,18
61,46 13.380.929,63
17,34
491.513,27
2.834.585,65
Tot.riscossioni nell’es.
Accertamenti nell’es.
7.732.304,66
9.513.417,52
82,77
4.600.313,74
5.557.657,08
Tot.riscossioni nell’es.
Accertamenti nell’es.
Municipalità B
54,75 16.614.074,74
25.583.015,36
62,45 4.591.560,98
8.421.100,78
%
Tot.riscossioni nell’es. 10.389.989,25
Accertamenti nell’es. 18.975.419,40
Tot.riscossioni nell’es. 4.175.417,18
Accertamenti nell’es.
6.685.991,31
Municipalità A
Tasso di velocità di riscossione delle entrate di competenza
Composizione
indicatori
Tot.riscossioni
9.267.244,19
correnti nell’es.
Accertamenti correnti 15.078.234,04
nell’es.
1.122.745,06
Velocità di riscos- Tot.riscossioni non
sione delle entrate correnti nell’es.
da investimenti
Accertamenti non
3.897.185,36
correnti nell’es.
Velocità di riscossione delle entrate
extra-tributarie
Velocità di
riscossione dei
trasferimenti
correnti
Velocità di
riscossione delle
E da alienazione
di immobili,
trasferimenti in c/
capit e crediti
Velocità di riscossione su nuovi
finanziamenti
Velocità di
riscossione su
altre entrate
Velocità di riscossione delle entrate
correnti
Velocità di riscossione delle entrate
tributarie
Velocità di riscossione
Indicatori
Tabella 5 (b) – Analisi per indici
8,67
70,02
60,75
99,52
10.363.082,65
10.846.145,17
2.924.447,62
3.023.907,22
325.924,59
12.092.614,84
79.656.178,35
111.849.928,03
66.042.723,49
85.887.260,80
Municipalità B
95,55
96,71
2,70
76,89
71,22
%
76,05
238.995,54
1.337.585,46
17,87
19.843.456,38 798,93
2.483.750,64
0,00 0,00
503.900,41
10.577.244,90
13.907.382,94
3.069.988,54
11.659.896,34
97.292.096,98
10.289.286,22
161.599,02
3.069.181,76
45.505.730,14
80.733.865,49
26,33
5,27
945,57
56,37
%
2,70
10.363.082,65 95,55
10.846.145,17
2.924.447,62 96,71
3.023.907,22
325.924,59
12.092.614,84
79.656.178,35 71,22
111.849.928,03
66.042.723,49 76,89
85.887.260,80
Municipalità C
3.069.988,54 26,33
11.659.896,34
97.292.096,98 945,57
10.289.286,22
161.599,02 5,27
3.069.181,76
45.505.730,14 56,37
80.733.865,49
Impatto dei Residui Passivi di esercizi precedenti sui pagamenti
1.127.012,90
1.132.495,29
503.900,41 100,00
503.900,41
352.928,70
4.072.114,96
13.185.340,29
21.705.117,88
11.201.498,28
15.996.607,22
%
Tasso di velocità di pagamento delle spese
Municipalità A
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
Si è consapevoli che lo strumento proposto da solo non è sufficiente a
compiere un’analisi esaustiva della solvibilità. In tal senso si ritiene necessario:
– chiarire il sistema che regola il processo di acquisizione delle risorse
degli enti locali, sia proprie, sia ottenute attraverso i trasferimenti;
– migliorare la trasparenza e l’accountability dei documenti contabili, nel
rispetto del principio di veridicità, al di là di facili manipolazioni tendenti
a soddisfare solo sul piano formale i requisiti indicati dal governo centrale
(quali il Patto di stabilità);
– pervenire all’obbligatoria redazione di un bilancio consolidato, atto a
evidenziare in maniera aggregata lo stock di debito esistente in capo
all’ente.
6. Sintesi e conclusioni
La letteratura su Basilea 2 tende a porre in evidenza gli effetti della relazione
banca-impresa, ma ben poco si è detto su quelli tra banche e amministrazioni pubbliche. In realtà, il nuovo accordo potrebbe rappresentare una
spinta per gli enti locali a migliorare il proprio sistema informativo, così
da ottenere un maggior grado di accountability dal proprio rendiconto.
Lo stesso Comitato di Basilea ha incoraggiato lo sviluppo di regolamentazioni specifiche, idonee a migliorare il livello di disclosure, che possano
consentire agli attori sul mercato di valutare correttamente le informazioni
fondamentali.
La ricerca condotta ha posto in evidenza come il rendiconto degli enti
locali soffra ancora di gravi carenze informative, a partire dalla mancata
illustrazione del contesto economico e sociale.
Ai fini delle analisi di solvibilità, occorre:
– acquisire alcune informazioni “qualitative” relative a dati quantitativi; in
particolare, si ritengono indispensabili informazioni circa:
• le entrate a destinazione vincolata;
• l’esercizio di provenienza dei residui attivi e passivi, onde valutare
l’opportunità della loro sussistenza in bilancio;
• gli indicatori allegati al rendiconto: occorre predisporre non solo
indicatori in relazione alle movimentazioni avvenute rispetto ai singoli
titoli dell’entrata e della spesa, ma costruirne altri, più analitici, sia per
approfondire l’analisi degli aspetti finanziari (es. impatto dei residui) sia
per un’analisi di efficienza sulle attività svolte (es. costi relativi ai servizi
a domanda individuale o alle funzioni istituzionali);
– operare un confronto chiaro e dettagliato con i dati del relativo Bilancio
di previsione;
– verificare che i programmi e i progetti presentati nei documenti programmatici non siano semplicemente il risultato di accordi politici o mere ipotesi,
Azienda Pubblica 2.2009
252
Saggi
Valutare la solvibilità degli enti locali
tanto affascinanti quanto irrealizzabili, ma strumenti idonei a supportare
i dirigenti nel tradurre gli obiettivi strategici in azioni concrete.
Resta da chiedersi se questo tipo di integrazioni possano essere sufficienti
a valutare il merito creditizio dell’ente locale.
In via generale, si considera che un’azienda abbia un buon equilibrio
finanziario quando la composizione delle fonti di finanziamento complessive,
patrimonio netto e mezzi di terzi, assicurano la massimizzazione del risultato
economico o il più basso livello di costo per l’indebitamento. È piuttosto
difficile ottenere questo tipo di misurazioni negli enti locali italiani, dove
vige un sistema di contabilità finanziaria, basata su impegni e obblighi,
dove le informazioni sulla competenza economica sono prodotte solo al
termine dell’esercizio e, spesso, con un grado di correlazione e significatività
veramente scarso, come ricerche recenti hanno posto in evidenza. I risultati
raggiunti da questa ricerca consentono, tuttavia, di affermare che un’analisi
attenta dei flussi finanziari è in grado di offrire informazioni assai più utili
di quelle ottenibili ricercando una correlazione economica impossibile tra
entrate e spese dell’ente locale.
Da un’attenta analisi dei flussi di cassa, cui si aggiungono una serie di
opportune informazioni sul contesto socio-economico e sul livello di efficienza
raggiunto nella produzione dei servizi, le banche e le istituzioni finanziarie
possono valutare la solvibilità dell’ente locale e, a condizione di disporre di
documenti programmatici ispirati alla veridicità e attendibilità, con l’impiego
appropriato di modelli di previsione dinamici, possono estendere l’analisi agli
esercizi successivi e stimare congruamente la probabilità di default.
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Saggi
La governance dell’università italiana
La governance del sistema universitario in Italia: 1989-2008
Gianfranco Rebora
Professore ordinario di Organizzazione e direttore Istituto di Economia aziedale dell’Università Cattaneo – LIUC
Matteo Turri
Ricercatore di Economia aziendale Dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università degli
Studi di Milano
SOMMARIO: 1. La governance del sistema universitario: un modello di analisi. 2. L’evoluzione della governance dell’università italiana: quattro periodi. 3. Dalla frammentazione al pluralismo? 4. Governance e valutazione.
Il paper analizza l’evoluzione della governance del sistema universitario italiano lungo il ventennio 1989-2008, mettendo alla prova il modello proposto da Olsen nel 1988 e utilizzandone una
versione riveduta. Dal 1989 le università italiane hanno conosciuto un processo di decentramento
che ne ha modificato nel tempo in modo rilevante il rapporto con gli organi centrali di governo.
L’analisi svolta porta a concludere che lo sviluppo di strutture e comportamenti differenziati nelle
università italiane rappresenta un processo vitale. Il perdurare dell’impegno dello Stato nell’istruzione
superiore richiede che si consegua un assetto di steering at a distance con la messa in atto di una
piattaforma di garanzie compatibile con le diverse scelte strategiche e linee di comportamento
adottate dalle università.
The paper analyses the evolution of university system governance in Italy in the twenty year period
between 1989 and 2008, putting the model proposed by Olsen in 1988 to the test and applying
a modified version of the model. Decentralisation has been taking place in Italian universities since
1989 and over time this process has led to great changes in the relationship with government bodies.
The analysis shows that the development of differentiated structures and behaviour is vital for Italian
universities. Ongoing State commitment to Higher Education calls for steering from a distance with
the implementation of a platform that is consistent with the different strategic choices and patterns
of behaviour in universities and at the same time provides guarantees.
L’articolo nasce dall’approfondimento di un contributo in inglese (con il titolo “Governance in Higher Education: an
analysis of the Italian experience”) pubblicato nel volume di J. HUISMAN eds (2009) International perspectives on the
governance of higher education, Abingdon: Routledge.
Dati tratti dal sito CNVSU (ultimo accesso 20 dicembre 2008). Il numero delle università comprende le università telematiche, le università per stranieri, le scuole superiori universitarie e gli istituti di alta formazione dottorale.
Parole chiave: università – istruzione terziaria – valutazione
Key words: university – higher education – quality assurance
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Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
1. La governance del sistema universitario: un modello di
analisi
L’università italiana è cambiata molto negli ultimi 50 anni, si è trasformata
per l’impulso di forze ed energie sia esterne al mondo accademico sia presenti al suo interno. È opportuno inquadrare i diversi fenomeni di questa
evoluzione nella cornice della governance del sistema universitario.
Governance è un concetto che ha tante versioni e sul quale non c’è consenso generale. Originariamente era un sinonimo di government o di assetto
istituzionale e di governo, ma dagli anni ’80 ha iniziato a essere associato
a una visione di cambiamento con attenzione particolare per le reti che
connettono diversi aspetti della vita civile e dello Stato. Solitamente ci si
riferisce a un modello di regole caratterizzato da reti che connettono la
società civile e lo Stato (Bevir, Rhodes, Weller, 2003; Hood, 1991). C’è
in questo una sovrapposizione di schemi logici improntati a diverse concezioni che riflettono anche tradizioni amministrative e culture proprie di
diversi Paesi.
Nel periodo indicato, le caratteristiche del modello politico istituzionale si
combinano in molti Paesi con l’ondata di riforme più specificamente amministrative, cui ci si riferisce con temine di new public management, e che
porta a focalizzarsi non solo sulle politiche, ma sul management, sulla valutazione dei risultati e sull’efficacia. L’attenzione è rivolta ad aspetti come
la suddivisione delle burocrazie pubbliche in agenzie orientate ai risultati e
che operano in una logica economica e di contratti espliciti, oppure come
l’utilizzo della leva della competizione all’interno dei sistemi pubblici. I
programmi di taglio di costi e le formule di outsourcing di servizi sono gli
interventi più diffusi. Spesso si insiste anche su uno stile di management
che valorizza gli incentivi economici e il perseguimento di obiettivi ben
definiti (Bevir, Rhodes, Weller, 2003).
Negli ultimi tempi (Dent et al., 2007), il concetto sta evolvendo al di là
dell’associazione con il NPM, per considerare il tema delle reti che presiedono al funzionamento di pubblici servizi e le modalità di regolazione
e autoregolazione di sistemi complessi, partecipati da molteplici soggetti
e stakeholder.
Questo sfondo concettuale aiuta a leggere e interpretare le tendenze di
cambiamento dell’istruzione superiore italiana, che si può considerare un
sistema complesso caratterizzato dalla presenza di università statali e non
statali, o private, e da un composito nucleo centrale istituzionale che si
sforza di orientarne e guidarne l’attività. La governance di questo sistema
è in continua evoluzione almeno da 30 anni.
Lo studioso norvegese Olsen (2005 e 2007) ha analizzato i cambiamenti
della governance universitaria in Europa, applicandovi un proprio modello
concettuale, in origine elaborato osservando i processi evolutivi degli Stati
(Olsen, 1988). Secondo questa visione esistono e si fronteggiano due concezioni fondamentalmente diverse dell’università: quella che è propria di
Azienda Pubblica 2.2009
260
Saggi
La governance dell’università italiana
chi la considera strumento di politiche o di fini di soggetti distinti ed esterni
e quella sostenuta da chi la vede come istituzione sociale dove predominano istanze e fini di ordine interno. La governance del sistema può, quindi,
caratterizzarsi per il prevalere della concezione dell’università come strumento, oppure come istituzione. L’assetto di governance risente però anche
di una seconda variabile, che riguarda il ruolo degli attori che influenzano
i processi decisionali e in particolare il fatto che questi condividano obiettivi e norme di comportamento, oppure che esprimano in proposito istanze
differenti e anche conflittuali.
Per chi aderisce alla concezione istituzionale, l’università è una comunità di studiosi governata da regole condivise, se prevale la comunanza di
obiettivi. Diventa invece una democrazia rappresentativa se gli obiettivi e le
norme comportamentali fatti propri dai soggetti principali sono differenziati
e conflittuali e devono quindi trovare una mediazione. Diversamente, nella
versione strumentale, l’università è pensata come vettore di politiche nazionali (e relative agende) nel caso che esista condivisione degli obiettivi. Se
prevale invece il pluralismo o la diversità di riferimenti e di idee, l’università
appare come un ente che offe una varietà di servizi immerso in un contesto
di interazioni aperto anche alla competizione di mercato.
Ciascuna delle quattro visioni dispiega una propria coerenza interna che
si esprime in un’ampia gamma di caratteristiche: le concezioni ideali, i
principi di fondo, gli elementi culturali e anche eventi reali, azioni messe in
atto da diversi soggetti, politiche pubbliche, norme, meccanismi di finanziamento e incentivazione, ecc. Particolare attenzione è dedicata al piano
delle idee, dei diversi concetti di università che si confrontano, alimentando il dibattito in materia e influenzando le azioni dei diversi stakeholder. Le
quattro visioni competono una con l’altra nei dibattiti e di fatto coesistono
in una continua dialettica che prospetta una serie di dilemmi dalla cui
risoluzione dipende lo scenario che si affermerà come sfondo per l’azione
delle università del futuro.
Si propone qui una versione modificata del modello di Olsen, portando
maggiore attenzione in primo luogo alle modalità di relazione tra i diversi
livelli decisionali e i connessi strumenti di regolazione, di finanziamento e di informazione/comunicazione (Hood, 1983). Inoltre, si assegna
un peso maggiore agli elementi di fatto, come eventi, decisioni politiche,
norme, comportamenti, ecc. rispetto alle sole idee e concezioni espresse
dagli attori. Quest’ultimo punto è molto rilevante per l’Italia, che vede un
sistematico divario tra il piano delle idee e delle concezioni pubblicamente espresse e quello delle azioni e dei comportamenti effettivi: il fatto di
concentrarsi su questi ultimi aiuta a sviluppare analisi più puntuali e attente
alla sostanza.
Nello schema proposto, i possibili profili della governance di un sistema
universitario nazionale si caratterizzano per un locus e un focus:
– il locus è definito dal fatto che le sedi, o i centri decisionali, che influen261
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
zano o condizionano gli eventi e le scelte rilevanti per la governance di
sistema siano interni, oppure esterni alla sfera istituzionale dell’università,
ai suoi organismi, ai soggetti che ne fanno parte;
– il focus è invece determinato dal fatto che il processo decisionale a livello
di sistema esprima una razionalità strategica, guidata da scopi e valori
condivisi dai diversi soggetti coinvolti, oppure debba confrontarsi con
pluralismo e conflittualità di scopi e valori. Nel primo caso un focus di
governance razionale e strategico consente di dispiegare pienamente
una strategia e una programmazione su basi razionali; nel secondo caso,
un focus di governance incrementale e conflittuale evidenzia fragili basi
per l’elaborazione di una strategia condivisa e quindi necessariamente
il processo decisionale segue le strade privilegiate della negoziazione,
della gestione dei conflitti, e anche del coltivare le onde emozionali
dell’opinione pubblica alla ricerca del consenso.
La combinazione fra diversi assetti di locus e focus della governance produce quattro diverse situazioni (v. figura 1). L’autogoverno orientato da
valori intellettuali esprime la classica concezione dell’università europea di
tipo humboldtiano: qui il locus è interno e il focus razionale, dato che i soggetti più influenti che emergono all’interno del sistema universitario, e ne
rappresentano valori ed ethos, sono in grado di esercitare una leadership
e definire una strategia che orientano l’intero sistema. Quando il sistema
universitario continua ad autoregolarsi in base a criteri maturati al proprio
interno ma non riesce a esprimere una leadership unitaria e condivisa, il
suo locus interno deve adattarsi a un focus conflittuale e negoziale. Gli
esponenti di diverse sedi locali, discipline scientifiche, e tendenze culturali
sono divisi da concezioni e interessi contrastanti e le decisioni fondamentali per il sistema derivano quindi da processi negoziali improntati a una
logica incrementale. Alleanza di feudi indipendenti è la formula che può
sintetizzare questa seconda situazione.
La più forte tendenza di cambiamento in atto negli ultimi 20-30 anni vede
tuttavia una pressione per lo spostamento della governance dei sistemi
universitari dal locus interno verso quello esterno, con l’emergere della concezione strumentale sottolineata da Olsen. La terza e la quarta situazione
derivano entrambe da questa perdita da parte del sistema universitario della capacità di regolarsi in base a criteri propri e dalla necessità di confrontarsi seriamente con le istanze poste dal contesto esterno e con l’influenza
di attori che operano in questo ambito. L’azione delle università diviene
così interpretabile come strumento di politiche pubbliche quando il sistema
mantiene una sua coesione e gli attori politici che lo governano riescono a
orientarlo in base a una strategia condivisa (focus razionale e strategico):
è la terza delle quattro situazioni possibili. La quarta e ultima situazione è
più complessa: qui il sistema non è in grado di definire e realizzare una
strategia unitaria in risposta a istanze e spinte provenienti dal suo esterno,
perché le diverse unità che lo compongono perseguono propri obiettivi, a
Azienda Pubblica 2.2009
262
Saggi
La governance dell’università italiana
volte conflittuali ma comunque diversi ed eterogenei. Emergono, quindi,
relazioni complesse e mutevoli tra una molteplicità di soggetti istituzionali
che sfuggono a un ordinamento gerarchico. Si tratta di una configurazione
di network, che può assumere valenze diverse nel senso del pluralismo ma
anche della frammentazione.
Figura 1 – Quattro possibili configurazioni di governance del sistema universitario
Il modello presentato può aiutare a leggere l’evoluzione nel tempo della
governance di sistema dell’università italiana. Questa è ricostruita sulla
base dell’esperienza diretta degli autori, corroborata dall’esame della
letteratura italiana e internazionale sulla materia e della documentazione disponibile sui siti web delle principali istituzioni coinvolte: Ministero,
Cun (Consiglio universitario nazionale), Crui (Conferenza dei Rettori delle
Università italiane), CIVR (Comitato indirizzo valutazione della ricerca) e
CNVSU (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario).
2. L’evoluzione della governance dell’università italiana: quattro periodi
Le traiettorie di evoluzione sono meglio osservabili se si individuano distinti
cicli temporali dotati di una propria caratterizzazione. Occorre quindi in
primo luogo individuare le date critiche. La scelta fatta è la seguente:
263
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
Tabella 1 – Dati di sintesi sul sistema universitario
N. totale delle
Studenti
Università
Statali Private % degli immatricolati
N. totale
sui diciannovenni
studenti
iscritti
Docenti di ruolo
Laureati
nell’anno
Ordinari e
associati
Ricercatori
1980
40
11
28,4
1.060.274
73.927
8.122
1989
1999
45
57
10
13
67
27
1.362.734
1.673.960
1.823.886
(anno
accademico
2005/06)
85.811
152.341
301.298
(anno
accademico
2005/06)
28.182
30.945
2006
36,5
43,3
56,1
(anno
accademico
2005/06)
16.411
(assistenti,...)
14.495
19.556
38.928
23.046
Fonte: elaborazione propria dati CNVSU
•
•
•
•
prima del 1989: alleanza di feudi indipendenti;
periodo 1989-1998: le spinte verso una governance esterna;
periodo 1999-2006: l’effetto vaso di Pandora;
periodo dal 2007: l’attesa.
Nell’analizzare i cambiamenti nell’arco di oltre 20 anni è importante considerare gli andamenti dei fondamentali parametri strutturali del sistema.
La tabella 1 sintetizza i numeri riferiti alle università, statali e non statali,
agli studenti e ai docenti con rapporto di lavoro stabile negli anni assunti
come riferimento.
Il periodo anteriore al 1989: l’alleanza di feudi indipendenti
Nel 1989 prende avvio una corrente di riforme che attraverserà poi tutti
gli anni ’90. È l’anno che vede l’approvazione di una legge importante
di riforma dell’università (n. 168/1989), dovuta all’impulso del Ministro
Antonio Ruberti, portatore di un disegno complesso e innovativo di rinnovamento. Fino a quel momento il sistema era molto accentrato e vedeva
un potere formalmente forte del Ministero della pubblica istruzione che
controllava e destinava le risorse pubbliche, mentre le singole università
rispondevano a regole rigide.
Ancora nel 1988 la mappa dell’assetto di governance del sistema universitario (v. figura 2) è semplice, caratterizzata dalla presenza di pochi
soggetti istituzionali al livello centrale.
Uno di questi è il Consiglio universitario nazionale (Cun), un’assemblea
elettiva con rappresentanze delle diverse categorie professionali e anche
degli studenti che svolge un ruolo soprattutto consultivo e propositivo verso
il Ministero della pubblica istruzione. Questo accentra i poteri formali, alloAzienda Pubblica 2.2009
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Saggi
La governance dell’università italiana
Figura 2 – La governance dell’università prima del 1989
ORGANI E SOGGETTI
A LIVELLO NAZIONALE
ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ
MINISTERO DELLA
PUBBLICA ISTRUZIONE
Programmazione e coordinamento generale delle
politiche universitarie
CUN
Consulenza e
pareri al Ministro
CRUI
Confronto con gli
organismi centrali;
elaborazione di
indirizzi comuni
CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
Sovrintende alla gestione
amministrativa ed economica
COLLEGIO DEI
REVISORI
Verifica la gestione
economica e
amministrativa
RETTORE
Legale rappresentante
dell’istituzione ne coordina
tutte le attività
SENATO
ACCADEMICO
Indirizza e programma
lo sviluppo
DIRETTORE
AMMINISTRATIVO
Dirige l’organizzazione
amministrativa e dei servizi;
cura l’attuazione dei programmi
definiti dagli organi di governo
DIPARTIMENTI
Programmazione e coordinamento
delle attività di ricerca nel rispetto
delll’autonomia di ogni docente
FACOLTÀ/CORSI DI LAUREA
Programmazione e coordinamento
delle attività didattiche
e delle relative risorse
DOCENTI
Responsabili del processo di insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di
diritto o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a.
ORGANIZZAZIONI
SINDACALI
CCNL nazionali,
confronti sullo sviluppo
del sistema
PERSONALE
AMMINISTRATIVO E DI
GESTIONE DEI SERVIZI
Svolge specifiche attività professionali, è rappresentato nei consigli
STUDENTI
Rappresentati negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia
cando le risorse attraverso un sistema di pianificazione impostato su base
poliennale. Le università sono però poche (una quarantina), con un nucleo
di sedi storiche e una decina di più recente istituzione, sorte soprattutto nel
corso degli anni ’80. La Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane) costituisce un momento di confronto e dibattito che i rettori utilizzano
per canalizzare al ministro istanze di interesse comune.
In questo contesto anche le regole non sono molto numerose e lasciano
di fatto molti spazi ai processi di aggiustamento e negoziazione tra gli attori principali che si conoscono tutti direttamente per lunga consuetudine.
Anche la mappa della governance interna alle università è semplice,
riflette quella tradizionale aggiornata dalla legge n. 382 del 1980, e si
impernia sugli organi collegiali del Consiglio di amministrazione, del Senato accademico e dei Consigli di facoltà, cui si aggiungono, a partire
dal 1980, i Dipartimenti preposti alla ricerca. Il rettore, organo elettivo,
e il direttore amministrativo, designato dal rettore, sono le figure chiave
responsabili della gestione, con netta preminenza del primo.
Al di là dei dati formali, peraltro, la componente docente prevale a tutti
i livelli. Gli attori-chiave sono una ristretta cerchia di professori ordinari,
leader di scuole accademiche o delle varie aggregazioni disciplinari, cui
corrispondono gli idealtipi del maestro (in accezione positiva) e del barone
(in accezione negativa) che esercitano un ruolo cruciale nell’ingresso e nella carriera del personale docente e influenzano in pratica tutte le decisioni
265
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
all’interno degli atenei. Si tratta di un elemento distintivo dell’università
italiana, caratterizzata da un elevato livello di gerarchia del personale
accademico (Moscati 2001) che, secondo Clark (1977), è un’eredità delle
gilde professionali medievali. Il rettore, come i presidi, è un primus inter
pares, il cui principale compito è in realtà quello di agevolare il bilanciamento tra gli interessi dei gruppi disciplinari (Capano, 2008).
Le relazioni informali tra questi soggetti costituiscono i veri meccanismi
di coordinamento sia a livello delle sedi locali che a quello dell’intero
sistema che “was based on informal, but persistent, interrelations between
the most powerful local chair-holders (or groups thereof) and the ministerial
bureaucracy” (Capano, 2006).
Si tratta di un sistema centralizzato solo in teoria, perché, di fatto, i
sistemi di programmazione e controllo sono solo una struttura burocratica
formale, mentre le decisioni reali conseguono ai rapporti tra le maggiori
personalità accademiche e gli organismi ministeriali. Questi rapporti sono
diretti, di dialogo, interazione e negoziazione continua (Boffo, 1997; Boffo, Moscati, 1998; Capano, 2008).
Il rapporto con il Ministero è interpretato in termini di interesse e contrattazione con lo scopo di ottenere risorse per specifiche università e talvolta
per specifico professore (Boffo, 1997), “il tutto si configura come una comoda strada per evitare le responsabilità” (Boffo e Moscati 1999). Il Cun è l’organo che meglio di altri raffigura questo equilibrio, esso infatti rappresenta
principalmente le diverse discipline accademiche e le categorie di personale universitario piuttosto che il Ministro e le università (Boffo, 1997).
Nelle università i professori ordinari compongono ed egemonizzano
i pochi e fondamentali collegi che presiedono al funzionamento: facoltà,
senato accademico, consiglio di amministrazione. Intorno a loro ruota tutto
il resto, gli studenti, il cui numero è peraltro molto cresciuto a partire dagli
anni ’70, gli assistenti e i collaboratori, il personale tecnico e d’ordine, che
svolge un ruolo subalterno. Al professore è riconosciuta piena autonomia,
di diritto e di fatto, e la forza della personalità di ciascuno ha un grande
spazio, come ben ricorda chi ha studiato a quei tempi.
Il locus della governance è sicuramente interno al sistema universitario.
Un’alleanza di fatto tra la burocrazia ministeriale e i centri del potere
accademico governa il sistema, in ottica di continuità con la tradizione
universitaria italiana. L’influenza di centri di interesse esterni al mondo
universitario appare invece molto limitata. I sindacati si limitano a pressioni
di basso profilo che riguardano le condizioni di lavoro del personale non
docente; le forze dell’economia non esprimono particolari attese. Del resto
la categoria dei professori è molto presente e influente, sia nel mondo
politico, con molti docenti presenti in Parlamento e molte volte anche ministri e presidenti del consiglio, sia in quello economico con amministratori
di banche e imprese sia private che a partecipazione statale (Regonini,
1993). L’accademia, influente all’esterno, non lascia spazi rilevanti in casa
propria.
Azienda Pubblica 2.2009
266
Saggi
La governance dell’università italiana
Il focus della governance, a sua volta, si esprime in processi decisionali
caratterizzati dalla ricerca del consenso attraverso la negoziazione, la
composizione dei conflitti e gli accordi fra centri di potere, sviluppandosi
quindi per vie poco trasparenti e slegate dai percorsi formalmente previsti.
Questi si rivelano il più delle volte mere sanzioni formali di decisioni prese
in altre sedi. L’aspetto della razionalità cede quindi il passo a una logica
incrementale, non particolarmente conflittuale ma orientata alla ricerca del
consenso attraverso continue mediazioni aperte soltanto ai gruppi realmente influenti.
In questo contesto di governance negoziale un ruolo rilevante è svolto
da pochi attori chiave, posti al vertice della burocrazia ministeriale, depositari di un potere spesso superiore a quello del Ministro di turno (che è
oggetto di frequenti avvicendamenti), accumulato e stratificato negli anni
attraverso l’accentramento delle relazioni e una gestione molto paziente
e sapiente, ma anche poco trasparente, delle relazioni con i principali
esponenti accademici.
Anche l’assetto democratico del sistema, con l’elettività e collegialità
degli organi, rappresenta più un rituale, una veste esteriore con un ruolo
legittimante, che non un metodo operativo reale. In proposito Boffo (1997)
definisce il sistema universitario italiano come un tipico esempio di un sistema continentale di distribuzione del potere, una combinazione tra gilde accademiche e burocrazia statale e Capano (2008) afferma che le università
come istituzioni completamente autonome non esistono, poiché non sono
nella posizione di decidere nulla di importante per loro stesse.
La metafora dell’alleanza tra “feudi” indipendenti rispecchia quindi
bene una realtà che vede la preminenza di poteri di fatto, che prevalgono
nei vari punti del sistema, senza corrispondere a precisi assetti istituzionali
e organizzativi, retti da regole formali. Questa denominazione è preferibile
a quella, adottata da Olsen, di università come representative democracy.
Infatti in Italia un’idea democratica può aver ispirato la redazione formale
di una serie di norme, e soprattutto della riforma del 1980, ma non ha
avuto una reale incidenza sui fatti. Chi ha la responsabilità di governo del
sistema viene a patti con una realtà che non cerca di modificare e adotta
quindi un modello di governance negoziale che resta interno ai confini del
mondo universitario. Come osserva ancora Capano (2006): “the most important decisions those regarding budget allocation, academic recruitment
and strategic planning were in the hands of the system’s central powers
(and were governed by the previously mentioned informal bargaining process). This meant that in the internal decision-making process, real authority
lay not with the universities’ official, ‘‘democratically elected’’ governing
bodies (the Senate, the Administrative Board, faculty councils, etc.), but
with the individual professors with tenure, the so-called university ‘barons’,
and with their powerful networks. Individuals with formal power (such as
Rectors and Deans) were expected to mediate between the different, often
divergent, interests of internal groupings”.
267
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
I rapporti diretti tra pochi attori accademici, la burocrazia ministeriale
e il potere politico risolvono pragmaticamente le questioni per via negoziale.
Il periodo 1989-1998: le spinte verso una governance esterna
Il 1989 si configura come anno di svolta per l’università italiana. L’approvazione della legge n. 168/1989 porta all’istituzione di uno specifico
Ministero dell’Università e della ricerca scientifica, ma apre soprattutto la
strada lungo tutto un decennio a una serie di importanti provvedimenti di
riforma. Il disegno di rinnovamento è dovuto alla figura di Antonio Ruberti,
già rettore dell’università di Roma “La Sapienza”, il primo uomo politico ad
assumere la responsabilità del nuovo Ministero.
Gli anni ’90 portano altre consistenti novità. La mappa della governance, (v. figura 3) viene ridisegnata con la riconfigurazione del Cun, il
rafforzamento del ruolo istituzionale della Crui, l’istituzione del Consiglio
nazionale degli studenti (CNSU), l’avvio dell’esperienza di valutazione
che vede l’istituzione dell’Osservatorio nazionale e dei nuclei di valutazione nelle università statali.
Una maggiore complessità del sistema consegue anche all’aumento del
numero delle università, in seguito a una serie di provvedimenti. Diventano
università autonome le sedi decentrate già in precedenza aperte da alcuni atenei in territori confinanti. La politica di “decongestionamento” delle
Figura 3 – L’assetto di governance del sistema universitario tra il 1989 e il 1999
ORGANI E SOGGETTI SOVRANAZIONALI
ORGANI E SOGGETTI
NAZIONALI
MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ
E RICERCA
Programmazione
e coordinamento generale
CUN
Consulenza, pareri
e proposte al Ministro
CRUI
Confronto con gli organismi
centrali; elaborazione
di indirizzi comuni
CNSU
Pareri e proposte al Ministro
OSSERVATORIO PER LA
VALUTAZIONE
Coordinamento delle attività
valutative del sistema universitario
MINISTERO DELL’ECONOMIA
Programmazione economica
e finanziaria
CODAU
Associa i dirigenti amministrativi
e promuove confronti di esperienze e consulenza tecnica
ORGANIZZAZIONI
SINDACALI
CCNL nazionali, confronti sullo
sviluppo del sistema
Azienda Pubblica 2.2009
MINISTRI EUROPEI DELL’
ISTRUZIONE SUPERIORE
Incontri periodici di
coordinamento dellle politiche
PRESIDENTE C.M.
Piano nazionale
della ricerca
CONFERENZA EUROPEA DEI
RETTORI
Confronto e indirizzi comuni
EUA
Confronto e progetti di
approfondimento
ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ
CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
Sovrintende alla gestione
amministrativa ed economica
COLLEGIO DEI
REVISORI
Verifica la gestione
economica
e amministrativa
RETTORE
Legale rappresentante
dell’istituzione ne coordina tutte le attività
DIRETTORE AMMINISTRATIVO
Dirige l’organizzazione
amministrativa e dei servizi;
cura l’attuazione
dei programmi definiti dagli
organi di governo
CONSIGLI DI FACOLTÀ
Programmazione e coordinamento
delle attività didattiche
e delle relative risorse
SENATO
ACCADEMICO
Indirizza e programma
lo sviluppo
NUCLEO DI
VALUTAZIONE
Verifica l’efficacia di ricerca
e didattica e la corretta
gestione delle risorse
DIPARTIMENTI
Programmazione e coordinamento
delle attività di ricerca nel rispetto
dell’autonomia di ogni docente
ORGANI E SOGGETTI
REGIONALI E LOCALI
CONSIGLI E GOVERNI
REGIONALI
Sostegno alle università
attraverso FSE
COMITATO REGIONALE
DI COORDINAMENTO
sviluppo del sistema
universitario regionale
ENTI LOCALI
Contribuiscono al sostegno di
iniziative didattiche e di ricerca
DOCENTI
Responsabili del processo d’insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di diritto
o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a.
PERSONALE AMMINISTRATIVO
E DI GESTIONE DEI SERVIZI
Svolge specifiche attività
professionali, è rappresentato
nei consigli
268
STUDENTI
Rappresentanti negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia
RSU - Rappresentanza dei Lavoratori
(esclusi docenti)
FONDAZIONI BANCARIE
Finanziamento di ricerca
e altre iniziative
Saggi
La governance dell’università italiana
grandi università genera nuovi atenei in città come Roma (dove da “La
Sapienza” si staccano Roma 2 e Roma 3), Milano (dove nasce l’Università
Bicocca), Napoli dove si costituisce la Seconda Università). Inoltre, viene
data via libera ad alcune nuove università non statali. Il numero complessivo supera la soglia di 70, ma subito iniziano anche a proliferare nuove
sedi di corsi decentrati nel territorio.
Il disegno di rafforzamento dell’autonomia universitaria si vale in questa fase anche di meno appariscenti cambiamenti nei vincoli decisionali
imposti dal centro al management delle università, che hanno in realtà
potenti effetti. I sistemi di finanziamento cambiano con un alleggerimento
dei vincoli della pianificazione che in pratica liberalizza la gestione del
budget: un’intelligente norma della legge finanziaria del 1994 (legge n.
537/1993), suggerita dall’economista Piero Giarda allora sottosegretario
al Tesoro, consente di uscire da un regime in cui le dotazioni organiche
dei docenti e del personale sono soggette ad approvazione ministeriale.
Ora si può disporre di un budget globale senza eccessivi vincoli rispetto
alle diverse voci di destinazione. Secondo Moscati (2001) si tratta del primo reale step verso l’autonomia universitaria ed è significativo constatare
come non sia stato l’esito di un dibattito ma di una disposizione ministeriale calata sul sistema universitario. Inoltre anche l’istituzione di nuovi curriculum viene liberalizzata con il solo vincolo della sostenibilità economica
da parte dei bilanci delle università.
Per l’effetto cumulato di questi cambiamenti, il locus della governance
inizia a spostarsi verso l’esterno del sistema universitario, perché forze
estranee a questo mondo entrano in gioco non solo come stimoli ma anche
come attori direttamente coinvolti nel processo di riforma. L’idea di una università che esce dal tradizionale atteggiamento di distacco per ricercare
in modo attivo partnership nella società e nell’economia è sicuramente uno
dei criteri ispiratori fondamentali delle nuove politiche avviate da Ruberti.
L’implementazione di questi primi provvedimenti di riforma si incontra con
una serie di driving forces che provengono dall’esterno del sistema. L’Europa, innanzitutto, assume questo ruolo di spinta attraverso una molteplicità
di canali, quali i programmi quadro della ricerca, gli scambi internazionali
di studenti e docenti, che partono con numeri piccoli ma si sviluppano poi
notevolmente, e più tardi con l’avviarsi del Bologna process. Finocchietti
e Capucci (2004) notano in proposito come la trasposizione dei principi
del processo di Bologna nella legislazione italiana sia immediata. In questa fase si sviluppano molto anche i rapporti con Confindustria e le altre
organizzazioni del mondo produttivo. Ciò trova un innesco significativo
nell’avvio dei diplomi universitari triennali, con obiettivi di professionalizzazione (Luzzatto e Moscati, 2005). Il progetto Campus (in seguito evoluto in Campus One) promosso dalla Crui con una serie di partner non
accademici diventa un fondamentale catalizzatore di energie offrendo alle
università risorse economiche per sperimentare una maggior attenzione
alla progettazione, all’innovazione e alla qualità della gestione dei corsi
269
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
di studio (Turri, 2005; Stefani, 2006). Anche il rapporto con i sindacati si
intensifica; è spinto anche dalla riforma dell’impiego pubblico che uniforma al diritto civile il rapporto di lavoro del personale universitario (tranne
che per i docenti di ruolo) e amplia lo spazio di autonomia contrattuale
delle parti. In questo contesto la Crui diventa molto più attiva, costituisce
un ambito diffusivo delle pratiche e delle esperienze di apertura al mondo
esterno introdotte da alcuni rettori e sostiene le università nello sviluppare
a tutto campo nuovi contatti e partnership.
Il focus della governance, invece, non sembra modificarsi significativamente, rispetto al periodo precedente, e permane caratterizzato dal prevalere di modalità di decisione incrementali e negoziali. Le riforme della fase
iniziale del decennio hanno aperto la strada a energie interne al sistema,
che hanno saputo collegarsi a soggetti e forze presenti all’esterno dello
stesso, sia nell’area europea, che al livello nazionale e anche a quello dei
territori di insediamento delle diverse università. Lo sviluppo del sistema
appare così guidato dal basso, molto più che da un indirizzo centrale e
pianificato. In questa fase compare un fenomeno nuovo, l’affacciarsi sulla
scena di una serie di leader locali, impersonati soprattutto da rettori che
divengono imprenditori delle proprie Università, facendo leva sul rapporto con il territorio e la società locale. Personaggi come Augusto Preti a
Brescia, come Rodolfo Zich e Adriano DeMajo ai Politecnici di Torino e
Milano, Massimo Egidi a Trento, Fabio Roversi Monaco a Bologna, come
Luigi Berlinguer, che diventerà poi Ministro, a Siena, come Luciano Modica
a Pisa e Fulvio Tessitore alla Federico II di Napoli, che entreranno poi in
Parlamento, Gennaro Ferrara alla Parthenope di Napoli e Roberto Schmidt
a Pavia, sono alcuni dei più significativi rappresentanti di questa nuova
imprenditorialità accademica. Essi riescono a rafforzare le proprie strutture
facendo leva su un complesso mix di risorse apportate da soggetti molteplici, stabilendo alleanze ad ampio raggio che coinvolgono le associazioni
industriali e produttive, il mondo professionale, i sindacati, le Regioni, gli
enti locali e le Camere di commercio. Essi operano a tutto campo non
disdegnando anche i rapporti con il mondo politico ma riuscendo a mantenere l’iniziativa nelle proprie mani, a gestire l’apertura al mondo esterno
senza subire troppo subordinazioni e condizionamenti di vario genere.
I nuovi corsi triennali professionalizzanti, i progetti Campus e poi CampusOne, i programmi e i progetti di ricerca europei, l’utilizzazione delle
rilevanti risorse del fondo sociale europeo attraverso la mediazione delle
regioni sono in questa fase i vettori fondamentali che alimentano una rinnovata iniziativa delle università anche in campi nuovi e diversi rispetto
alla tradizione. Sotto questa spinta le università evolvono anche nel profilo
organizzativo: un nucleo di dirigenza tecnica e amministrativa si afferma grazie alle nuove condizioni contrattuali che differenziano il rapporto
di lavoro dei dirigenti da quello del restante personale. In particolare si
rafforzano le figure dei direttori amministrativi, che sentono l’esigenza di
promuovere un loro organismo di coordinamento nazionale, che rifletta
Azienda Pubblica 2.2009
270
Saggi
La governance dell’università italiana
lo schema della Crui, partecipano attivamente ai dibattiti e si confrontano
con più forza che in passato con la burocrazia ministeriale. Significativamente, una di loro è dal 1996 il Capo di gabinetto del Ministro Berlinguer
(1996-1998).
In questa fase la governance del sistema ha conosciuto quindi una
notevole trasformazione, è divenuta molto più complessa e ha visto soprattutto crescere lo spazio di azione delle università, sopratutto di quelle più
dinamiche che hanno saputo cogliere una serie di opportunità.
Tuttavia l’idea di fondo della nuova politica avviata nel periodo Ruberti,
di università come vettore di nuova competitività per il Paese, si realizza in
un modo diverso da quanto ci si poteva attendere (Conraths et al., 2003).
Se ha funzionato lo spostamento di locus della governance da interno a
esterno, così non è stato per la seconda variabile. La consolidata tradizione
dell’accademia italiana, dominata da gruppi ristretti che si identificano in
aree disciplinari, scuole di riferimento, persino singoli maestri e leader professionali, molto più che nelle strutture ufficiali, finisce per riorientare l’implementazione delle riforme secondo le logiche consuete: in sostanza le leggi di
autonomia in assenza di coesione e di obiettivi realmente condivisi aprono
la strada alle energie presenti nel sistema, ma non riescono ad attivare quel
modello di steering at a distance che era nelle intenzioni e rifletteva l’esperienza di altri Paesi europei. Ciò prelude invece a quella frammentazione
del sistema, che si manifesterà compiutamente nel periodo successivo.
La stessa azione dei rettori imprenditori che caratterizza gli anni ’90
non solo non è guidata dal centro, ma si trova condizionata e forse deviata
dalle resistenze interne al mondo universitario molto più che dai rapporti
con i soggetti esterni. Le stesse idee che guidavano le politiche universitarie
a livello europeo, poi sfociate nella Bologna Declaration e negli obiettivi di
Lisbona, producono una riflessione critica debole e incompleta all’interno
dell’accademia italiana (Egidi, 2006). Questo ritardo culturale finisce per
limitare la spinta innovativa. Pochi degli stessi leader accademici prima citati superano la boa del 2000 ancora al governo delle rispettive università:
alcuni passano in ruoli politici, altri semplicemente non vengono rieletti, tutti soffrono in misura crescente per i conflitti e le divisioni interne al mondo
dei docenti che tendono a interpretare le nuove prospettive aperte dalle
loro iniziative alla luce di vantaggi di breve termine, o di mera estensione
del potere accademico secondo categorie tradizionali.
Alla fine di questa fase l’università italiana sembra quindi uscita dallo
stato di “alleanza di feudi indipendenti”, ma più che come “strumento di
politiche pubbliche” il suo ruolo sembra interpretabile come “network pluralista”, o forse meglio ancora “frammentato”.
Il periodo 1999-2006: l’effetto vaso di Pandora
Il 1999 costituisce un secondo anno di svolta. Esso conosce due importanti
provvedimenti che assecondano la spinta in direzione dell’autonomia ma
271
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
la cui attuazione facilita la successiva deriva verso una sempre più accentuata frammentazione del sistema. Durante il Ministero Berlinguer, il Parlamento definisce una nuova regolamentazione del reclutamento dei professori, che ne decentra la gestione alle singole sedi (legge n. 210/ 1998);
subito dopo trova applicazione la riforma degli ordinamenti didattici, nella
scia della Bologna Declaration, con l’adozione di nuovi curriculum under
e post graduate. Le decisioni specifiche sui corsi di studio sono demandate
alle diverse università con un debole coordinamento e controllo degli organi centrali (Finocchietti e Capucci, 2004; Agasisti et al., 2008).
Ciò equivale all’apertura di una sorta di vaso di Pandora dell’autonomia accademica. Sarà poi l’implementazione effettiva, attuata dalle diverse
sedi, molto più che il contenuto intrinseco di questi provvedimenti (Capano,
2006), a dare il segno di un completo cedimento alla frammentazione.
Nel corso di questa fase, la mappa del sistema universitario si complica
ulteriormente (v. figura 4).
Il numero delle università ufficialmente riconosciute aumenta notevolmente
e nel 2006 raggiunge il totale di 95. L’incremento è dovuto soprattutto a
nuove università non statali e a 11 università telematiche (abilitate soltanto
per la formazione a distanza) previste da un provvedimento del 2003. In
molti casi si tratta di strutture deboli la cui istituzione alimenta discussioni
e polemiche sulla stampa. Ma il fenomeno della proliferazione incontrollata di strutture didattiche è più complesso e si manifesta su grande scala
Figura 4 – L’assetto di governance del sistema universitario negli anni 2000
ORGANI E SOGGETTI SOVRANAZIONALI
ORGANI E SOGGETTI
NAZIONALI
MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ
E RICERCA
Programmazione
e coordinamento generale
CUN
Consulenza, pareri
e proposte al Ministro
CRUI
Confronto con gli organismi
centrali; elaborazione
di indirizzi comuni
CNSU
Pareri e proposte al Ministro
CNSVUCIVR (del 2007 ANVUR)
Valutazione risultati di
didattica, ricerca, servizi, regia
della quality assurance
MINISTERO DELL’ECONOMIA
Programmazione economica
e finanziaria
MINISTERO SVIL. ECONOMICO
Politiche di innovazione
industriale e trasferimento
tecnologico
MINISTERO DELL’INNOVAZIONE
Politiche di innovazione industriale e trasferimento tecnologico
CODAU
Associa i dirigenti amministrativi
e promuove confronti di esperienze e consulenza tecnica
ORGANIZZAZIONI
SINDACALI
CCNL nazionali, confronti sullo
sviluppo del sistema
Azienda Pubblica 2.2009
MINISTRI EUROPEI DELL’
ISTRUZIONE SUPERIORE
Incontri periodici di
coordinamento delle politiche
PRESIDENTE C.M.
Piano nazionale
della ricerca
CONFERENZA EUROPEA DEI
RETTORI
Confronto e indirizzi comuni
ENQA
Accreditamento delle Agenzie
di quality assurance
EUA
Confronto e progetti di
approfondimento
ERC
Promozione e finanziamento
ricerca di eccellenza
ORGANI E SOGGETTI INTERNI ALLE UNIVERSITÀ
CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
Sovrintende alla gestione
amministrativa ed economica
COLLEGIO DEI
REVISORI
Verifica la gestione
economica
e amministrativa
RETTORE
Legale rappresentante
dell’istituzione ne coordina tutte le attività
DIRETTORE AMMINISTRATIVO
Dirige l’organizzazione
amministrativa e dei servizi;
cura l’attuazione
dei programmi definiti dagli
organi di governo
SENATO
ACCADEMICO
Indirizza e programma
lo sviluppo
NUCLEO DI
VALUTAZIONE
Verifica l’efficacia di ricerca
e didattica e la corretta
gestione delle risorse
Scuole di dottorato
Facoltà
Corsi di laurea magistrale
Corsi di laurea
CONSIGLIO COLLEGI
Programmazione e coordinamento
delle attività didattiche
e delle relative risorse
DIPARTIMENTI
Programmazione e coordinamento
delle attività di ricerca nel rispetto
dell’autonomia di ogni docente
CENTRI DI RICERCA
Svolgono ricerche per
incarico di soggetti esterni
DOCENTI
Responsabili del processo d’insegnamento-apprendimento e di ricerca - Membri di
diritto o comunque rappresentanti in consigli di facoltà, c.d.l. e dipartimento - c.d.a.
PERSONALE AMMINISTRATIVO
E DI GESTIONE DEI SERVIZI
Svolge specifiche attività
professionali, è rappresentato
nei consigli
272
STUDENTI
Rappresentanti negli organi collegiali, partecipano all’attuazione e sviluppo dell’autonomia
RSU - Rappresentanza dei Lavoratori
(esclusi docenti)
ORGANI E SOGGETTI
REGIONALI E LOCALI
CONSIGLI E GOVERNI
REGIONALI
Competenze concorrenti con quelle
statali su università e ricerca
COMITATO REGIONALE
DI COORDINAMENTO
sviluppo del sistema
universitario regionale
ENTI LOCALI
Contribuiscono al sostegno di
iniziative didattiche e di ricerca
ASSOCIAZIONI ECONOMICHE
E PROFESSIONALI
Consultazione per le nuove
iniziative formative
FONDAZIONI BANCARIE
Finanziamento di ricerca
e altre iniziative
Saggi
La governance dell’università italiana
attraverso l’apertura di nuove sedi territoriali da parte di molti atenei che
raccolgono favorevolmente la richiesta di comuni e province di localizzare
iniziative formative presso edifici da loro approntati. In tutto si arriva a
contare non meno di 350 comuni italiani sede di attività universitarie di un
tipo o dell’altro. Questo fenomeno si salda quindi con il grande incremento di corsi di studio generato dall’applicazione della riforma del 1999.
Sono attivati circa 5.000 diversi corsi di laurea di primo livello e 3.000
di secondo livello (laurea specialistica). Analoghi sviluppi riguardano poi i
master universitari. Un provvedimento approvato durante il Ministero Moratti consente che convenzioni tra università ed enti pubblici riconoscano
a figure di professionals di questi enti fino a 140 crediti (su 180 totali) per
le esperienze professionali sviluppate nel tempo, consentendo in pratica di
“laurearli sul campo”. Di pari passo procede l’espansione degli organici
universitari; i docenti di ruolo passano da 50.500 a quasi 62.000.
Le modalità di selezione per quanto rinnovate, tuttavia, sembrano riproporre le precedenti dinamiche interne alle discipline (Moscati, 2001).
L’applicazione della riforma del reclutamento ha significato soprattutto generalizzate progressioni di carriera per i docenti già inseriti con un corrispondente incremento dell’età media dei docenti di ruolo. L’espansione
più grande è quella delle figure di docenza con contratti a termine, borse
di studio o altre configurazioni precarie; è grazie a questa massiccia immissione che il sistema fronteggia la nuova articolazione di corsi di studio,
molti dei quali hanno pochi studenti ma necessitano comunque di figure
che tengano i corsi.
Al centro si rafforzano gli organismi di valutazione, con nuovi compiti
affidati al CNSVU (1999) e ai nuclei nelle università, che vengono previsti
in modo obbligatorio anche per le non statali. Nasce il CIVR, incaricato
della valutazione della ricerca di università e altri enti, che gestirà in tempi
brevi un importante esercizio triennale (2001-2004) di valutazione dei prodotti di ricerca (Minelli, Rebora, Turri, 2008). Il Bologna process continua
con la partecipazione attiva delle diverse componenti del sistema italiano.
Il Cun mantiene e affina il ruolo di consultazione per il Ministro ma anche di
autorità incaricata di verificare i nuovi corsi di studio: l’impegno in questo
ambito non riesce tuttavia ad arginare i fenomeni prima descritti. La Crui
accresce la sua visibilità nazionale e si sforza di produrre idee e proposte
per il miglioramento del sistema ma subisce una sorta di spinta inerziale
alla rivendicazione di maggiori risorse.
Emerge intanto il ruolo del Ministero dell’economia, interlocutore già
presente in passato ma che ora diviene più critico per l’accresciuta esigenza di finanziamenti. Questo rapporto sfocia in conflitti con i Ministri
dell’università, da Moratti a Mussi, che chiedono entrambi con scarso
successo maggiori risorse per università e ricerca scientifica. Interlocutori
rilevanti del sistema universitario divengono anche il Ministero dell’innovazione e quello dello sviluppo economico che si occupa di trasferimento
tecnologico.
273
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
Intanto anche gli attori economici esterni aumentano la loro presenza
nelle questioni dell’università, assumendo posizioni più dialettiche che in
passato. Confindustria in particolare non è più soltanto un partner di iniziative comuni ma diviene un interlocutore continuativo che assume spesso
il ruolo di voce critica (Fortuna, 2003).
Nei primi anni 2000 inizia a farsi strada la sensazione che gli organi
di governo centrale perdano il controllo di quanto avviene nelle università, che i diversi fenomeni descritti prendano la mano, non siano neppure
avvertiti per tempo. Di fatto nessuno degli organismi competenti, né il Ministero, né la Crui e il Cun, né gli organi centrali o i nuclei decentrati di
valutazione, ha modo di orientare i processi in atto alimentati da un grande attivismo alla base che sembra però rifiutare un coordinamento e una
guida. La steering at a distance non funziona in pratica e il mercato è lontano dal poter esercitare un ruolo di regolatore del sistema in un contesto
di regole che rimane immutato, ovvero basato sul valore legale del titolo di
studio e su una forte dipendenza finanziaria degli atenei dai trasferimenti
statali. L’accesso a professioni e impieghi resta condizionato dal possesso
di titoli di studio rilasciati dagli atenei riconosciuti e oltre il 60% del totale
delle entrate delle università statali continua a dipendere dal finanziamento
dello Stato a fronte di un peso delle tasse studentesche limitato al 12%.
Le università sono ormai lanciate nel rincorrere obiettivi molto particolari che non hanno più lo smalto innovativo conosciuto nella fase dei rettori
imprenditori: i corsi di studio sono pubblicizzati in modo spregiudicato
sui giornali, alla radio e alla televisione, si apre una corsa inusitata ad
attribuire lauree honoris causa a personaggi noti dello spettacolo e dello
sport, addirittura si vede una università, che poi cadrà in una profonda
crisi economica, sponsorizzare i Giochi Olimpici del 2004.
In questa fase il mondo dell’università si trova molto più che in passato
coinvolto in polemiche e discussioni che arrivano sui media, la grande
stampa e la televisione. Gli sbocchi cui le riforme sono giunte sono oggetto
di critiche anche radicali che il più delle volte sono espresse da professori
universitari, opinionisti dei principali quotidiani del Paese. Tuttavia, molto
spesso le posizioni espresse si rivelano un misto di sana indignazione per
alcune scelte chiaramente incongrue e di un meno comprensibile rimpianto
per condizioni passate, di una università elitaria e chiusa al mondo esterno
che non solo non esiste più ma appare ormai improponibile in un Paese
evoluto dell’occidente. La mancanza di idee forti condivise dalle diverse
componenti del mondo universitario e dagli stessi leader della classe accademica appare manifesta.
Nel frattempo cresce, però, anche il peso di università più esposte
all’ambiente internazionale e più orientate al mercato. Alcune di queste
sono private, come la Bocconi, altre sono statali, come i Politecnici di Milano e Torino, o come l’Università di Bologna. L’eredità dei rettori imprenditori che avevano stimolato molte iniziative in queste sedi e in altre non
è andata perduta, sembra avere generato anche una maggiore coesione
Azienda Pubblica 2.2009
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Saggi
La governance dell’università italiana
interna intorno ad alcune iniziative di internazionalizzazione, di alta formazione nelle scuole di dottorato, di soluzioni più avanzate nei rapporti
con l’industria. In alcuni di questi casi viene utilizzato lo strumento della
Fondazione, in altri si assiste alla formazione di piani strategici di mediolungo raggio, una novità assoluta in Italia almeno per le università statali
(Catalano, 2002; Catalano, 2004; Bolognani, Catalano, 2007).
Il sistema si è evoluto quindi in modo differenziato, è divenuto più complesso, ha visto aumentare i suoi rapporti con il mondo esterno, è cresciuto
sia pure disordinatamente di dimensione, ma soprattutto ha dato spazio
a una diversità sconosciuta in passato. Dal vaso di Pandora è uscita una
grande varietà di fenomeni e non tutti hanno significato, però, solo involuzione e degenerazione.
Il locus della governance resta caratterizzato dallo spostamento verso
l’esterno già compiuto nel periodo precedente, ma ora evolve radicalmente anche in senso plurale, nel senso dei loci, dato che le più diverse spinte
delle realtà locali trovano accoglienza dalle scelte dell’università, in particolare per quanto riguarda l’impostazione dei curriculum. Il cambiamento
di governo dopo le elezioni del 2001 non arresta ma enfatizza questa
tendenza con l’apertura a forze esterne al sistema che promuovono nuove università non statali e soprattutto “telematiche”, il più delle volte con
deboli presupposti di contenuti. In pratica, gli elementi di autonomia introdotti nella fase precedente, in presenza di una accentuata dipendenza da
risorse esterne, hanno aperto la strada non tanto (e non solo) a logiche di
mercato ma alla ricerca di ogni tipo di possibile sostegno senza dar prova
di grande capacità di selezione.
Il focus della governance, peraltro, resta incrementale e negoziale, e
vede anzi aumentare la sua carica conflittuale. L’apertura all’esterno non
si è accompagnata a una maggiore coesione interna ma gli sviluppi delle
iniziative hanno enfatizzato le divisioni e i conflitti interni. Soggetti esterni
e interni all’università si sono spesso saldati in alleanze e progetti di vario
spessore e significato, difficili comunque da ricomprendere nell’ambito di
una strategia comune, sia a livello delle singole università che, a maggior
ragione, dell’intero sistema.
Questo tipo di sviluppi finisce per mettere chiaramente in crisi gli organi
centrali di governo, che sono stati spiazzati dalla velocizzazione prodotta
con il decentramento alle sedi universitarie di processi amministrativi che
un tempo erano centralizzati. Negli anni ’80 i concorsi nazionali per professori di ruolo avvenivano una sola volta ogni 4-5 anni e l’espletamento di
una tornata non durava meno di due anni. Ora in pochi mesi le università,
anche grazie all’impiego massiccio di Internet, aprono e chiudono tutte le
procedure concorsuali che deliberano, i cui effetti per di più abilitano figure in eccesso di idonei che premono sul sistema per avere una sistemazione. Altrettanto veloce risulta la procedura di istituzione di nuovi curriculum.
L’ultima fase del Ministero Moratti e l’avvio di quello Mussi sono segnati
dalla necessità di correre ai ripari e arginare lo sviluppo incontrollato del
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Saggi
La governance dell’università italiana
sistema. Diversi provvedimenti sono presi in questo senso sia sul versante
dei concorsi che su quello dei curriculum didattici, fino ad arrivare alla fine
del 2006 ad una sorta di blocco della situazione. La governance delle
università viene individuata come questione fondamentale da affrontare e
diviene oggetto di commissioni di studio a vari livelli, di dibattito in diverse
sedi, di progetti di riforma annunciati.
È ormai palese che almeno a livello del sistema nazionale è in atto un
blocco della governance. Il vaso di Pandora è stato chiuso, ma troppo tardi
per controllare la situazione. Di fronte alla dispersione e frammentazione
mancano le risorse per impostare una nuova politica di sviluppo. Una pausa è necessaria e quasi tutti gli attori sembrano porsi ora in posizione di
attesa.
L’interpretazione della governance universitaria in termini di network
con elementi forti sia di pluralismo che di frammentazione sembra quindi valida anche in questo periodo. L’arresto subito dalla fase espansiva
secondo una logica imprenditoriale manifesta comunque l’instabilità di
questa situazione e la sua difficile compatibilità con il permanere di una
forte dipendenza dalle risorse allocate da organi centrali che peraltro non
dispongono di altre e diverse leve di orientamento e controllo del sistema.
Il periodo dal 2007: l’attesa
Il 2007 è quindi segnato dall’attesa. Le caratteristiche del sistema universitario descritte per il periodo precedente sono ancora in atto ma è stato
posto un freno allo sviluppo caotico e incontrollato. Ormai, quasi tutti i
commentatori e i principali attori coinvolti, a cominciare dal Ministro, sono
convinti che una riforma della governance del sistema è necessaria (Astrid,
2006; Potì, Reale, 2006; Capano, 2008).
Molte attese sono rivolte alla valutazione, ma la nuova ANVUR non è
ancora operativa. Il progredire dei processi europei di Bologna e Lisbona
produce nuovi stimoli. Grande attenzione è dedicata al tema della ricerca
che attira discussioni, polemiche, proposte, con i centri più attivi e le associazioni di ricercatori che premono sul Governo per ottenere maggiori
risorse. L’esercizio di valutazione triennale del CIVR ha riscosso grande
interesse, l’idea che i ricercatori siano valutati sui risultati incontra il favore
di molti dopo una sperimentazione discussa ma giudicata positivamente.
Nel contempo si constata che il ruolo e la presenza dell’università nella
società sono cresciuti, però ciò è avvenuto per elementi sparsi e iniziative
di singoli e gruppi, in assenza di politiche e programmi organici.
Nella nuova fase che si apre, il locus esterno di governance appare un
fatto ormai acquisito, uno stato quasi naturale. L’università deve rapportarsi con la società e rispondere ad essa, non solo in logica di scambio
e di mercato, ma attivando rapporti a tutto campo, con attenzione sia ai
network della ricerca internazionale, sia alle esigenze dei territori di insediamento.
Azienda Pubblica 2.2009
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Saggi
La governance dell’università italiana
Il focus della governance resta incrementale, negoziale e conflittuale,
in conformità a caratteristiche culturali e sociali del Paese che si rivelano
stabili nel tempo. Solo singole istituzioni universitarie, private e pubbliche,
riescono a staccarsi da questo, fino a fare strategia in termini nuovi, ma
non vi riesce ancora il sistema, che mantiene debole capacità di governo.
L’idea di un recupero di una steering at a distance sembra quella su
cui puntano i fautori di nuove e più efficaci riforme, di cui la governance
diverrebbe passaggio essenziale.
Esiste però una linea di evoluzione che il sistema sembra avere bene
assimilato: si tratta della diversità. Sembra difficile e probabilmente non
utile ritornare indietro su questa strada. È improbabile ormai il recupero
di una unità di intenti, obiettivi, visioni che è percepita come anacronistica nel mondo moderno, non solo respinta dai vizi congeniti del contesto
italiano.
Il passaggio critico che invece si potrebbe configurare per il futuro è
quello dal conflitto al pluralismo; un modo forse di vincere la frammentazione facendo emergere strategie decisionali più solide, rafforzando quella
parte del sistema che si sta dimostrando capace di porsi obiettivi più evoluti e ambiziosi.
In ogni caso, la fine anticipata della XV legislatura interrompe all’inizio
del 2008 i progetti attivati e rimanda al nuovo Governo ogni iniziativa.
3. Dalla frammentazione al pluralismo?
La lettura compiuta del percorso evolutivo del sistema universitario italiano
mette quindi in luce il passaggio avvenuto, lungo gli anni ’90, da una situazione definibile in base al concetto di alleanza di “feudi” indipendenti
verso un locus di tipo esterno, che configura una situazione di network,
frammentato o pluralista. Il passaggio compiuto non porta certamente in
Italia a una situazione del tipo strumento di politiche pubbliche. Questo
riferimento corrisponde in parte all’idea politica di università che ha improntato le riforme italiane degli anni ’90. Si è visto come questo modello
non arriva a consolidarsi perché l’assetto di partenza per “feudi” indipendenti utilizza i nuovi spazi di autonomia concessi dalle riforme un modo
che resiste ai tentativi di steering at a distance ispirati all’esperienza di altri
Paesi europei. Le stesse tecnostrutture ministeriali, abituate a gestire l’informazione in chiave del proprio potere negoziale, non sono adatte a questo
compito e non può bastare la buona volontà di qualche politico illuminato.
Il superamento della configurazione di governance come alleanza di feudi
indipendenti avviene quindi mediante una nuova apertura all’esterno, spinta anche dal basso, ma non porta all’adozione di un metodo di decisione
razionale e strategico. Ciò prelude invece a quella ulteriore frammentazione del sistema, che si manifesterà compiutamente nel periodo successivo.
La fase degli anni ’90 e anche la successiva dei primi 2000 restano
quindi leggibili come configurazioni di governance negoziale esterna, che
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Saggi
La governance dell’università italiana
però solo parzialmente risentono dell’attrazione di una logica di mercato e
implicano invece una congerie di rapporti che non riflettono vere e proprie
transazioni economiche. Sul mercato, in ogni caso, si confrontano molto
spesso singoli individui e gruppi, più che strutture ufficiali e università nel
loro insieme. Le caratteristiche proprie delle università imprenditoriali restano deboli nel caso italiano (Clark, 1999). La configurazione di service
entreprises individuata da Olsen per le esperienze del nord Europa non
rappresenta in Italia né una descrizione della realtà, né una meta ideale
che qualcuno si pone.
L’analisi svolta fa emergere che ci possono essere modi diversi per
combinare un locus esterno di governance (anzi una serie di loci plurali)
con un focus negoziale e conflittuale. Una configurazione di rete non governata dal centro appare un riferimento chiaro, che però si sdoppia in
due diverse possibili varianti nel senso della frammentazione piuttosto che
del pluralismo (v. figura 5).
Questa lettura coglie la presenza di un’ambiguità. La deriva inerziale è
sicuramente verso un assetto frammentato. Cogliendone il pericolo, con gli
effetti manifesti nei primi anni 2000, i responsabili politici sembrano voler
riproporre la via delle politiche pubbliche o dello steering at a distance,
attraverso una serie di misure che lo stallo del 2007 dimostra essere problematica da attuare.
Tutta la storia italiana suggerirebbe di imboccare una via diversa, abFigura 5 – Percorso evolutivo della governance del sistema universitario italiano
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Saggi
La governance dell’università italiana
bandonando definitivamente le velleità di sviluppare un focus di governance strategica al livello di sistema, con le sue necessarie conseguenze in
termini di coesione e condivisione di scopi.
La strada alternativa è quella che persegue un obiettivo di pluralismo.
Questa si rivela più moderna e probabilmente più allineata con le tendenze internazionali.
4. Governance e valutazione
Se si guarda a questo punto al futuro e non più alla storia, lo schema dei
quattro quadranti sinora seguiti perde gran parte della sua utilità, dato
che alternative credibili rispetto alla situazione di locus esterno e focus
negoziale/conflittuale non sembrano in grado di profilarsi. Ciò risulta del
resto in linea con i temi che emergono da numerose analisi condotte in
Europa dagli anni ’90 in poi. Massen e Van Vought (1994) ripropongono
un modello di autoregolazione, basata sulla cybernetic perspective (Ashby,
1956; Steinbrunner, 1971) che considera il governo come un attore che
custodisce le regole di un gioco condotto da soggetti relativamente autonomi e che cambia queste regole quando capisce che il gioco stesso non è
più in grado di produrre risultati soddisfacenti (Massen, Van Vought, 1994:
p. 41). Questo approccio genera maggiore innovazione e flessibilità negli
atenei (Massen, Van Vought, 1994: p. 57) e incrementa la diversità nei
sistemi universitari (Goedegebuure, 1996). In questa logica, il governo
incoraggia e favorisce la differenziazione delle strutture accademiche perché riconosce che questa aumenta la capacità complessiva del sistema di
rispondere a richieste sempre più differenziate provenienti dalla società.
Si torna così al tema della diversità che nell’higher education ha, del resto
radici lontane e trova alimento nel passaggio all’università di massa con la
necessità di diversificare e distinguere le missioni e l’offerta didattica al fine
di rispondere a esigenze molto più estese e variegate (Trow, 1974). Ma la
diversità ha un carattere ambiguo, che molti negli ultimi anni sottolineano a
partire da Neave (2000) che ne richiama anche gli aspetti potenzialmente
negativi quali la frammentazione e balcanizzazione delle responsabilità.
La governance di sistema deve affrontare una pluralità di dimensioni in
cui si manifesta la diversità, come l’apertura al mercato e alla concorrenza,
la differenziazione dei comportamenti e dei servizi, l’affermarsi della logica
di network che coinvolge ampi insiemi di soggetti pubblici e privati.
L’apertura al mercato può promuovere una maggiore rispondenza a bisogni differenziati ma anche comportamenti imitativi poco critici se prevale
una “stratificazione reputazionale” che limita alla fine l’autoregolazione
del settore (Meek, 2000, King, 2007).
A sua volta il coinvolgimento di un numero maggiore di stakeholder
può significare una forma evoluta di regolazione, una sorta di steering
through network dove emerge il ruolo anche di nuovi attori. A livello nazionale ciò è già avvenuto in Italia, ad esempio con l’affacciarsi dei Mini279
Azienda Pubblica 2.2009
Saggi
La governance dell’università italiana
steri dell’economia e delle attività produttive su decisioni che riguardano
l’università. Le tematiche della società della conoscenza e del trasferimento
tecnologico aprono la scena dell’istruzione superiore anche a molti attori
attivi nei sistemi regionali e locali. Si fa strada ormai in molti Paesi europei
la possibilità di un assetto di governance partecipato da molti attori e articolato su più livelli, dove gli enti di governo partecipano al management
della rete (Stensaker, Enders, de Boer, 2006; Potì, Reale, 2006).
Ma questo può anche tradursi nella diluizione di responsabilità nell’ambito di un sistema ingovernato e ingovernabile.
L’evoluzione della governance di sistema per l’università italiana si trova davanti all’alternativa tra network pluralista e network frammentato in
modo più reale e concreto di quanto valga per la presunta alternativa tra
dirigismo e opzione di mercato, oppure tra disegno intelligente e darwinismo sociale.
Il dirigismo infatti è definitivamente spiazzato dal grado di diversità
espresso dal sistema universitario, dalle sue componenti, dai vari stakeholder, dalla stessa domanda sociale. Il mercato dei servizi universitari è
esso stesso uno dei fattori essenziali che generano diversità e l’opzione di
privilegiare il suo ruolo di regolazione può solo indurre la completa frammentazione del sistema. Lo stesso vale per il ricorso a forme di selezione
delle strutture universitarie ispirate al darwinismo sociale, mentre la logica
del disegno intelligente dal canto suo non dà risposta al problema di come
attivare i cambiamenti necessari derivanti da un progetto organico e razionale, se non riproducendo forme di dirigismo centralista.
Un sistema pluralista significa invece fondamentalmente la compresenza di università forti e differenziate per finalità, governance interna, modello strategico e organizzativo.
Per forti si intendono università dotate di buona reputazione nel contesto di riferimento (locale, nazionale e internazionale), attrattive per studenti
e docenti, capaci di un’elaborazione strategica autonoma, dinamiche e
adattive rispetto al contesto.
La differenziazione significa la compresenza di una pluralità di modelli
di riferimento, non predefiniti in modo rigido, ma aperti all’espressione
di specifici intenti strategici. Esempi significativi in questo senso possono
essere quelli dell’università di territorio, dell’università a vocazione internazionale, dell’università non statale espressione di specifiche comunità,
dell’università imprenditoriale capace di fare appello a risorse locali e
di attrarre forme di external funding anche usando il supporto di organi
nazionali.
La governance di un sistema pluralista è chiamata quindi a presidiare
questa combinazione di forza e dinamismo delle strutture universitarie con
la diversità dei relativi modelli di riferimento. La dimensione della diversità
deve trovare un limite nei requisiti di forza e dinamismo attraverso idonei
filtri stabiliti e gestiti dalla governance di sistema.
Questo ragionamento rimanda al concetto stesso di università, all’esiAzienda Pubblica 2.2009
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Saggi
La governance dell’università italiana
genza di definire un fondamento comune a tutte le istituzioni universitarie
che possa essere riconosciuto come necessario senza sacrificare la differenziazione.
Un’operazione di questo tipo è stata compiuta in Europa con la Magna
Charta Universitatum, firmata a Bologna nel 1988 dai rappresentanti dei
principali Paesi europei in occasione del nono centenario di quell’università, che ha definito le caratteristiche ideali dell’istituzione universitaria nel
solco della tradizione medievale e della sua evoluzione nel tempo. Secondo la Magna Charta le università sono istituzioni dedicate a elaborare e
preservare la conoscenza, trasmettendola alle generazioni successive al
fine anche di ampliare i limiti per l’espressione del potenziale umano. E i
tre pilastri portanti dell’università sono così individuati nell’autonomia istituzionale, nella indivisibilità di ricerca e insegnamento e nella prospettiva
internazionale e universale propria dell’istruzione superiore. L’essenza del
ruolo dell’università viene individuata nell’incrementare l’influenza della
ragione nella società contemporanea, attraverso la ricerca, la didattica e
la loro interazione. In questa prospettiva si pone l’esigenza che l’università eserciti un ruolo più attivo rispetto ai problemi e alle discussioni che
animano la società, sviluppando la capacità di esercitare una leadership
intellettuale (Felt, 2004). Un compito che per il vero non può essere solo riconosciuto istituzionalmente, ma deve essere piuttosto conseguito nei fatti.
Una definizione di questo tipo chiarisce i connotati di base dell’istituzione universitaria, in termini coerenti con il requisito di forza e di dinamismo,
senza chiudere spazi per la dimensione di diversità e differenziazione
propria del pluralismo.
Si sostiene in pratica che non può essere riconosciuto il carattere, il
marchio stesso, di università a qualunque struttura formativa.
Spetta alla governance di sistema garantire che le istituzioni riconosciute come università dispongano dei requisiti insiti nel concetto condiviso
e promuovere le condizioni per il miglioramento di queste caratteristiche.
È possibile un vero steering at a distance attraverso una piattaforma che
funziona anche quando esistono differenti spinte e comportamenti da parte
delle università.
Un sistema pluralista deve quindi dotarsi di capacità e strumenti per organizzare, stimolare e accompagnare l’evoluzione del sistema valorizzando l’autonoma spinta intellettuale e imprenditoriale delle università statali e
private, sostenute dai loro territori e dai rispettivi stakeholder. Alla radice
di questo ruolo è posta una capacità fondamentale: quella di valutare i
requisiti, lo stato e i risultati delle università e delle rispettive fondamentali
funzioni e attività.
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Misurare le performance per migliorare la gestione:
il caso della Provincia di Ancona
Luca Del Bene
Professore associato presso il Dipartimento di Management e organizzazione industriale - Facoltà di Economia “G.
Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche
Stefano Marasca
Professore ordinario presso il Dipartimento di Management e organizzazione industriale - Facoltà di Economia “G.
Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Misurazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche: un’opportunità per il miglioramento dei risultati. 3. Prospettive di analisi delle performance. 4. Sistema di misurazione ed esigenze di integrazione
e coordinamento. 5. Il caso della Provincia di Ancona: le condizioni di contesto e il processo di formazione finalizzato
al cambiamento. 6. La proposta di percorso formativo e il modello organizzativo per il controlling nella Provincia di
Ancona. 7. La metodologia adottata per l’individuazione delle attività. 8. Il sistema degli indicatori. 9. Alcuni risultati
ottenuti e criticità rilevate.
L’importanza della misurazione delle performance nel settore pubblico sta assumendo sempre
maggior importanza anche a livello internazionale, soprattutto a seguito del ruolo che le unità
pubbliche svolgono nel processo di sviluppo sociale ed economico, della varietà dei servizi offerti,
della difficoltà di misurare l’impatto sui bisogni di alcuni output. Inoltre, la valutazione del valore
nelle pubbliche amministrazioni, per il tipo di servizi prodotti e le modalità con cui vengono offerti
non hanno consentito di ottenere misure sintetiche condivise. Obiettivo del paper è quello di individuare, sulla base degli approcci teorici e delle prassi più evolute, le condizioni che assicurino
la funzionalità dei sistemi di performance measurement nel settore pubblico, con un focus sulla
progettazione di un sistema di misurazioni analitiche, parziali e intermedie riferite ad aree o enti
organizzativi di una Provincia, che costituiscono, attraverso un sistema di relazioni di causa-effetto,
presupposto fondamentale per l’ottenimento delle performance globali e sintetiche.
The public organizations performance measurement and management has had a growing importance
on an international scale. This is due to the role that the units examined undertake in the process
of economical and social development of referring communities, to the variety of services offered
and to the difficulties to measure the impact on the need, referred to such outputs. The evaluation
of value in public administrations, for the type of services produced and the methods with which
they are provided (that is, through atypical forms of exchange without the use of price) has still not
found synthetic measurement methods which are agreed upon. The aim of this paper is to single
out the conditions assuring the effectiveness of performance measurement systems in public sector.
The paper focuses the design of a analytical, partial and intermediate measure system referred
to areas or organizative body of a province which make up, by means of a cause-effect relations
system, basis for global and syntethic perfomance.
L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e
programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno
- Università degli Studi del Sannio, giugno 2008
Pur essendo il paper frutto del comune lavoro Luca Del Bene è autore della premessa e dei §§ 2, 3, 4 e 10 e Stefano
Marasca è autore dei §§ 5, 6, 7, 8 e 9
Parole chiave: misurazione – performance – attività
Key words: measurement – performance – activity
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Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
1. Premessa
La misura del quadro concettuale di riferimento risulta funzionale agli obiettivi
posti a base della ricerca e sintetizzabili, nel caso della Provincia di Ancona,
nella progettazione del supporto informativo del controllo riguardante le
misure di performance. Il sistema così strutturato avrebbe dovuto consentire
l’ottenimento di un quadro sufficientemente esaustivo degli andamenti delle
singole aree e informazioni circa i riflessi di questi in un’ottica più ampia,
rappresentata dal processo in cui sono inserite o dai risultati complessivi.
Dal punto di vista teorico, alcune assunzioni rilevanti riguardano, in primis,
la riaffermazione convinta dell’utilità di un sistema di misurazione della
performance nelle amministrazioni pubbliche locali, quale passaggio necessario per attivare e garantire efficacia a sistemi di controllo in senso più
ampio. Tale “utilità” va intesa, prima ancora che come supporto ai processi
decisionali dei responsabili gestionali, come incremento di conoscenza e
consapevolezza a fini di governo di un’unità organizzativa e delle relazioni
esistenti con altre unità. Conoscenza e consapevolezza che coinvolgono,
altresì, le variabili che influenzano la performance, il tessuto di relazioni
di causa-effetto che lega tali variabili e consente di definire un “modello”
interpretativo utile al responsabile dell’unità organizzativa. Le esigenze
descritte sono particolarmente avvertite nelle province in considerazione
dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nelle attività e nelle competenze loro assegnate e nel conseguente modello organizzativo adottato.
A tal fine, si è ritenuto necessario focalizzare l’attenzione su tre principali
direttrici di analisi:
1) la problematica della misurazione e le sue criticità nella pubblica amministrazione;
2) l’incapacità delle variabili economico-finanziarie di rappresentare, in
una realtà come quella della Provincia, un quadro esauriente degli andamenti mediante misure complessive e di sintesi e quindi l’esigenza
di misurare le performance secondo una molteplicità di dimensioni di
analisi;
3) conseguentemente, l’esigenza di porre l’attenzione sulla progettazione
di un sistema di misurazioni analitiche, parziali e intermedie riferite ad
aree o enti organizzativi che costituiscono, attraverso il sistema di relazioni di causa-effetto in cui le stesse vengono inserite nello svolgimento
delle varie attività, presupposto fondamentale per l’ottenimento delle
performance globali.
2. Misurazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche: un’opportunità per il miglioramento dei risultati
Considerando la prima tematica, la misurazione costituisce fattore centrale
per il governo dell’azienda e svolge quindi, una funzione critica. Uno degli
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
aspetti chiave della misurazione in campo aziendale non è solo quello riferibile alla capacità di rappresentare quanto più fedelmente possibile l’andamento delle variabili oggetto di osservazione in un modo, che potremmo
definire neutrale o, come alcuni sostengono, scientifico (Stevens, 1967, p.
20). Esso incorpora anche la funzionalità a presentare i fenomeni secondo
una prospettiva che stimoli una regolazione dei comportamenti degli operatori aziendali destinatari delle informazioni, indirizzandoli verso il conseguimento degli obiettivi (Mason, Swanson, 1979, p. 4; Flamholtz, 1981,
p. 83). Due sono quindi le dimensioni dell’informazione: la prima consente
di apprezzare i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi, costituendo la base
per il feedback correttivo e per la valutazione delle prestazioni; l’altra attiene al processo di misurazione, per cui gli individui tendono a modificare il
loro comportamento rivolgendo maggiore attenzione alle dimensioni delle
quali è nota la misurazione.
L’obiettivo della misurazione può essere di tipo informativo (su quali problemi va orientata l’attenzione); di carattere prescrittivo (quali azioni devono essere intraprese); di tipo valutativo (l’azione svolta è corretta) (March,
Simon, 1958, p. 161; Mason, Swanson, 1979, p. 11). L’importanza della
misurazione delle performance è efficacemente espressa da Hatry: “Unless
you are keeping score, it is difficult to know whether you are winning or
loosing”(Hatry, 1978, pp. 28-37), e, ancora, Osborne e Gaebler (1992,
pp. 147, 152, 198) affermano “If you don’t measure results, you can’t tell
success from failure. (…) if you can’t recognize failure, you can’t correct it (…)
if you can’t see success, you can’t reward it”.
La rilevanza della misurazione in ambito pubblico è accresciuta dalla
particolare missione istituzionale che caratterizza le unità appartenenti al
settore. La funzione di soddisfacimento di bisogni individuali e collettivi e
di promozione del benessere sociale ed economico della comunità servita,
la molteplicità di interessi che gravitano intorno alle pubbliche amministrazioni, la cui tutela implica un adeguato livello di conoscenza, rendono la
misurazione delle performance fattore indispensabile (Carter, 1988, pp.
369-375). Questa esigenza di accountability (1) e, per converso, la possibilità di svolgere efficacemente il ruolo di cittadino nell’esercizio dei propri
diritti, impone la progettazione di sistemi di misurazione e valutazione
delle performance solidi dal punto di vista concettuale, condivisi e chiari
nel funzionamento per evitare che l’organizzazione acquisisca “autonomia rispetto al suo ambiente di riferimento e quindi ai destinatari della sua
azione” (Rebora, 1998).
La misurazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni evidenzia elementi di complessità derivanti dalle peculiarità istituzionali che
caratterizzano il contesto di riferimento. Alludiamo in particolare: all’etero1 Sul tema, tra gli altri, METCALFE, RICHARDS (1987); DUBNIK, ROMZEK (1987); GREY, JENKINS (1993);
HORLOW (2002); PEZZANI (2003); HUSE, (2005).
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Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
geneità dell’attività svolta, da cui discende diversità nei processi operativi
che sovrintendono alla loro produzione, nella tipologia e nelle modalità
di impiego dei fattori produttivi, nelle implicazioni organizzative e, conseguentemente, nelle modalità di misurazione e valutazione delle performance; alle modalità di cessione delle prestazioni, che non consentono di
impostare relazioni significative tra svolgimento dell’attività e reperimento
delle risorse e creano difficoltà nel misurare il valore creato attraverso
misure di sintesi condivise; (2) alle difficoltà di modellizzare le relazioni
esistenti tra attività svolta e outcome ottenuti (Noordegraaf, Abma, 2003,
pp. 853-871) data la molteplicità di variabili incidenti.
Anche la presenza di una dimensione politico-istituzionale e di una più
tipicamente aziendale condiziona la configurazione del sistema di misure
attinenti ai due processi (Borgonovi, 2005).
Sotto l’aspetto politico-istituzionale l’attività svolta si concretizza nella
attitudine ad interpretare il consenso, le attese e le esigenze dei cittadini,
traducendole in programmi e la successiva capacità di trasporli in azioni
e indirizzi concreti. Questa costituisce, insieme alla misurazione propria
della dimensione aziendale, ciò che Rebora definisce “rendimento istituzionale”.
La seconda dimensione può essere monitorata considerando le modalità di utilizzo delle risorse, la rispondenza delle attività svolte e degli
output ottenuti alle esigenze della comunità servita in termini quantitativi e
qualitativi e, infine, l’equità, intesa come “equilibrata soddisfazione degli
interessi in gioco, (…) che consente alle prestazioni valide sotto il profilo della qualità tecnica di tradursi in effettivo valore pubblico” (Rebora,
1999, p. 47).
Con particolare riferimento all’attività, è consolidata l’opinione relativa
all’esistenza di una certa difficoltà nel misurare in modo non controverso
l’output delle amministrazioni pubbliche, data anche dalla sua immaterialità e complessità (Bondino, Bruzzo, 1988, p. 252; Mussari, 1994,
p. 208; Farneti, Mazzara, Savioli, 1996, p. 138). Anche assumendo una
definizione condivisa di output, come “risultato ottenuto dallo svolgimento
di un’attività, mentre le misure di output sono una misura del volume di
un’attività o della quantità di output” (Brimson, Antos, 1999, p. 73), è rilevabile un elevato grado di complessità che limita la possibilità di esprimere significativamente i risultati di una pubblica amministrazione in termini
sintetici e complessivi.
Per identificare una misura di output espressiva e attendibile si deve
pertanto specificare progressivamente l’ambito di osservazione, fino a che
le attività svolte non manifestino un livello di omogeneità tale da consen2 “The difficulty in measuring value in public service organizations is not the mere lack of a
share price; it is the reason why, in public services, there cannot be a true price at all. Government is not in the business of seeking an economic profit. Rather, it is in the business of delivering various public goods whose actual value to stakeholders cannot be easily expressed
in monetary terms”, COLE, PARSTON (2006) p. 51.
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
tire di rappresentare le prestazioni effettuate con un parametro comune.
Non c’è altresì dubbio che l’impostazione non è risolutiva, perché alcune
difficoltà permangono ma, come affermano Anthony e Young (1999, p.
402) “disporre di dati sull’output, per quanto approssimativi, è meglio che
non averne nessuno”. In ogni caso, la misurazione dell’output appare di
basilare importanza per costruire poi gli indicatori relativi all’efficienza,
all’efficacia e alla qualità.
Data l’inesistenza di modelli di misurazione delle performance universalmente validi, nell’approccio utilizzato alla Provincia di Ancona è sembrato maggiormente corretto, dal punto di vista metodologico, orientarsi
verso la definizione di alcuni criteri di progettazione funzionali alla costruzione del sistema di grandezze. (3)
Uno dei primi elementi da prendere in considerazione riguarda la definizione degli obiettivi della misurazione delle performance, che costituisce
fattore rilevante con riferimento all’impostazione dei relativi sistemi poiché,
secondo una posizione ormai piuttosto consolidata in letteratura, sono gli
scopi che determinano il tipo di misure da utilizzare (Kravchuk, Schack,
1996; Hatry, 1999; Behn, 2003). Molteplici sono le classificazioni elaborate circa le finalità della misurazione che, in linea generale, possono
essere condensate intorno ad alcuni macro obiettivi: valutare, migliorare i
processi di pianificazione, programmazione e controllo, conoscere, migliorare, rendere l’amministrazione accountable (Holzer, Halachmi, 1996, pp.
1921-1944; Behn, 2003). In realtà, conoscere è esigenza comune a tutti
gli altri scopi, così come l’obiettivo di miglioramento costituisce, in estrema
sintesi, la cornice entro cui anche gli altri vengono ricompresi, divenendo
quindi finalità ultima.
“Thus, although the purpose of measurement systems is to help improve
performance through influencing decisions, they cannot be expected to
control or dictate what those decisions will be (…) but even at lower management levels they [informations] can be ignored and will not automatically be used”, Poister (2003) p. 19.
3. Prospettive di analisi delle performance
La seconda direttrice di indagine si riferisce al tipo di indicatori utilizzabili per delineare adeguatamente le performance. Innanzitutto, è riferibile anche alle amministrazioni pubbliche il concetto secondo cui la base
di riferimento per l’elaborazione delle misure di performance è costituita
dall’orientamento strategico seguito e, conseguentemente, dall’individuazione dei fattori critici di successo e quindi della (o delle) variabili-chiave
e dei parametri che ne rappresentano l’andamento (Bergamin Barbato,
Collini, 1993, p. 19; Dixon, Nanni, Vollmann, 1990, p. 2).
Con l’evolversi della dottrina e delle prassi, sono emersi progressiva3 Sui criteri di progettazione del sistema di misurazione delle performance, DE BRUIJN (2007)
pp. 55-56; TUCK-ZALESKI (1996), pp. 1945-1978.
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mente i limiti delle misure di performance espresse sotto forma monetaria,
in termini di completezza, analisi, tempestività, selettività, focalizzazione
sul breve termine. Esse si rivelano quindi insoddisfacenti per misurare l’andamento della gestione. Inoltre, gli indicatori economico-finanziari hanno
scarsa propensione diagnostica poiché misurano gli effetti e non le cause
dei fenomeni. In particolare, poi, i parametri di estrema sintesi costituiscono espressione omnicomprensiva di una pluralità di fenomeni del più vario
genere e tipologia, alcuni dei quali non rappresentabili attraverso misure
monetarie e che possono avere con la performance complessiva un legame
solamente indiretto (Silvi, 1995, p. 43).
La questione si allarga fino a comprendere anche gli altri parametri tipici
di questa impostazione, funzionali alla responsabilizzazione dei manager
(spesa, costo, ricavo, risultato economico, rendimento degli investimenti,
ecc.), che non riescono a rappresentare efficacemente l’andamento dell’attività svolta e supportare adeguatamente i processi valutativi e decisionali.
In questa prospettiva, si può essere d’accordo con Guatri, quando sostiene “che le misure economico-finanziarie di misura delle performance, anche
quando siano formulate in modo da tenere almeno indirettamente conto
dell’interesse delle varie categorie di stakeholder, escludono inevitabilmente
talune componenti dell’interesse generale, sociali, etiche, ecc. (…) che pure
sono momenti rilevanti della vita delle imprese”(Guatri, 1997, p. 143).
Tali considerazioni valgono a maggior ragione per le amministrazioni
pubbliche per le quali, a causa delle finalità istituzionali e delle condizioni
operative, della loro proiezione all’esterno (che impone il monitoraggio
della capacità di soddisfare i bisogni e di impattare sui loro livelli), della
molteplicità di obiettivi e di dimensioni coinvolte e della presenza di situazioni dove molti eventi non trovano riscontro nelle misurazioni contabili, gli
indicatori di tale derivazione non possono offrire un quadro interpretativo
esauriente di tutto ciò che viene ritenuto rilevante e del livello di funzionalità dell’organizzazione (o delle sue ripartizioni).
La performance delle amministrazioni pubbliche nell’ottica della creazione del valore non è quindi misurabile con i classici indicatori utilizzati
allo scopo (p.e. l’EVA, il MVA, il REI, il REIR). L’aspetto economico-finanziario dovrà essere integrato da altri di tipo tecnico riferibili ai molteplici
aspetti ritenuti strategicamente rilevanti, che possano dimostrare in modo
completo il ruolo e le modalità di svolgimento delle funzioni operative tipiche, le condizioni di sviluppo e la legittimazione all’esistenza (Moore,
2003, pp. 151 e ss.).
Si rende, allora, necessaria l’impostazione di un sistema di indicatori di
performance in grado di:
1) evidenziare le cause e non i sintomi degli andamenti;
2) offrire informazioni tempestive e non ritardate degli accadimenti;
3) elaborare un quadro della situazione rivolto al futuro anziché al passato;
4) creare un collegamento tra scelte strategiche e operative.
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Johnson e Kaplan (1989, p. 258) proponevano già una determinazione
di indicatori non monetari che “dovrebbero basarsi sulla strategia che
l’azienda persegue e dovrebbero comprendere parametri-chiave di successo delle attività di produzione, di marketing, di ricerca e sviluppo”.
Pur non escludendo, comunque, l’utilizzo di informazioni di carattere
economico-finanziario, il controllo basato sulla misurazione delle performance sposta l’ottica di osservazione da questa prospettiva verso i fattori
critici per la creazione del valore, come qualità, tempi, soddisfazione
del cliente.
La teorizzazione della creazione di valore pubblico può allora costituire
la sintesi tra le condizioni interne ed esterne di funzionamento e, date le
condizioni prima citate, “the best way to measure the value created by nonprofit organizations is by developing measures of their success in achieving
their mission. That usually requires non financial measures” (Moore, 2003,
p. 6). In tal senso, il riferimento alla creazione di valore costituisce, allora,
elemento unificante e generalizzante, rappresentabile mediante un insieme multidimensionale di parametri, che consentono di raffigurare sinteticamente “le manifestazioni di essi, [gli andamenti] valutandone poi il peso
relativo mediante l’analisi degli indicatori economici, finanziari, competitivi, tecnici, sociali che si ritengono rappresentativi degli aspetti sostanziali
della gestione” (Ferraris, Franceschi, 1998, p. 202).
Conseguentemente, anche l’attività dei singoli responsabili, per essere
convenientemente monitorata e messa in relazione agli obiettivi generali,
abbisogna di un’analisi multidimensionale. Insieme a parametri economici
e/o finanziari, il cui ruolo va apprezzato con riferimento alle condizioni
di operatività, devono essere inseriti indicatori fisico-tecnici relativi agli
aspetti ritenuti rilevanti per il monitoraggio dell’attività controllata coerentemente con le sue peculiarità (Silvi, 1995; Merchant, Riccaboni, 2001;
Mazzara, 2003).
Dal punto di vista metodologico, la questione della multidimensionalità
non può essere risolta definendo semplicemente una pluralità di indicatori
espressi in termini fisico-tecnici da affiancare a quelli economico-finanziari.
L’analisi dovrebbe rivolgersi, innanzitutto, alle prospettive in funzione delle
quali si ritiene necessario interpretare la performance aziendale, così da
individuare mediante quali misure si renda possibile ottenere una chiara
completa, non ambigua ed esaustiva visione degli andamenti di un’area.
Sarà così possibile individuare, da ogni punto di vista ritenuto importante
ai fini dell’orientamento alla missione, le aree nelle quali l’azienda dovrà
mettere in pratica una serie di iniziative indispensabili per dare concreta
realizzazione alla strategia. È condivisibile l’opinione di chi sostiene che
viene rovesciato il processo evidenziato da Flamholtz, secondo cui l’attenzione è diretta a ciò che viene misurato e conseguentemente diventa importante, per riconoscere ciò che è importante e successivamente misurarlo
(Baraldi, 2005, p. 25).
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Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
4. Sistema di misurazione ed esigenze di integrazione e coordinamento
Relativamente all’ultima prospettiva di analisi è possibile affrontare la problematica partendo dalla considerazione che, nelle aziende, gli indicatori
di sintesi espressi in termini economico-finanziari costituiscono manifestazione complessiva del variegato combinarsi delle performance ottenute nei
vari sottosistemi, i quali possono manifestare anche legami di sequenzialità
non sempre percepibili, sia in termini logici che temporali, rispetto ai primi.
In situazioni come quelle della Provincia, nelle quali l’ottenimento di una
prestazione complessiva deriva dal contributo coordinato delle varie unità
partecipanti al processo, il rapporto di cofinalizzazione e strumentalità,
che lega le attività svolte all’interno delle varie unità organizzative rispetto
all’ottenimento dei risultati complessivi, rende necessaria l’esplicitazione
dell’apporto (e dei suoi principali attributi) che esse possono offrire. Infatti,
di frequente, sono proprio le modalità con cui queste relazioni si sviluppano che incidono notevolmente sulle performance globali in termini di efficacia, efficienza e qualità e sui relativi processi di miglioramento (Lorino,
1992, p. 53).
Nella Provincia di Ancona si è ritenuto opportuno impostare l’analisi
attraverso la configurazione del classico rapporto tra cliente e fornitore, in
questo caso, interni all’organizzazione (Morrow, 1992). L’impostazione e
la gestione di queste relazioni non possono essere lasciate a meccanismi
estemporanei legati ad accordi informali e spontanei; devono invece essere opportunamente organizzate le modalità di interazione tra le unità in
base alle quali saranno definite le condizioni di svolgimento delle attività
e i comportamenti degli operatori coinvolti. Attraverso la dimensione di
processo è possibile colmare le lacune dell’ottica funzionale che, se da un
lato favorisce la specializzazione e l’efficienza delle singole unità, dall’altro crea divisioni tra gli enti organizzativi (Hammer, Champy 1995), in
conseguenza delle quali ogni unità finisce per lavorare in modo autonomo
e indipendente dalle altre pur essendo coinvolta nello stesso processo,
provocando difficoltà di coordinamento, ripetizione delle operazioni, allungamento dei tempi e perdite di efficienza ed efficacia complessive.
Le problematiche emergenti da questo approccio si sono riferite all’identificazione delle unità organizzative coinvolte nei vari processi e, quindi,
alla costruzione della rete di relazioni che le legano e all’analisi delle
caratteristiche delle attività svolte (Del Bene, 2008).
Riguardo al primo aspetto, è opportuno evidenziare come le varie unità
aziendali possano essere classificate in relazione alla tipologia di attività
svolta, a seconda che, utilizzando l’impostazione porteriana, entrino direttamente nella prestazione del servizio finale reso (anche se diretto ad altre
unità interne) e quindi essere considerate dirette o primarie, che ricoprano
un ruolo di supporto a quelle dirette o, infine, che realizzino una funzione
di coordinamento e di sostegno a livello manageriale. Le ultime due tipoloAzienda Pubblica 2.2009
292
Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
gie comprendono attività rivolte prevalentemente, se non unicamente, ad
altre unità organizzative interne all’amministrazione.
La costruzione della rete di relazioni tra le varie unità aziendali deve
essere effettuata considerando quelle che svolgono attività ritenute critiche
per l’ottenimento del servizio finale, secondo le caratteristiche ritenute essenziali per la soddisfazione del cliente e nel rispetto delle compatibilità
aziendali. Si evita così di individuare rapporti difficilmente ricostruibili e
modellizzabili da un punto di vista organizzativo e operativo, rivolgendo
l’attenzione prevalentemente a quelle unità organizzative che svolgono
attività dirette e di supporto.
L’esame del sistema dei collegamenti tra le attività svolte dalle unità
aziendali assume significato sotto due prospettive di cui ricercare la coerenza: quella del destinatario (feed-back da cliente a fornitore), con lo
scopo di creare una particolare attenzione sulle relative attese, che divengono elementi basilari di riferimento per l’impostazione delle modalità di
esecuzione dell’attività (Silvi, 1995); quella di chi eroga le attività, per verificare la rispondenza tra caratteristiche ritenute rilevanti dal responsabile
dell’unità fornitrice e quelle attese dal destinatario.
L’impostazione del sistema di misurazione delle performance dovrebbe
tener conto della situazione descritta sia relativamente al tipo di misure che
è opportuno attivare, sia al livello delle prestazioni attese, sviluppando la
qualità delle relazioni che legano varie attività e talvolta differenti unità organizzative. La definizione degli indicatori trova riferimento basilare nelle
variabili che vengono ritenute strategiche (puntualità, correttezza, completezza, efficienza, rapidità, ecc.) per la creazione di valore nell’ottenimento
di un particolare servizio. Pur potendo, per ogni servizio, monitorare tutte
le variabili possibili, reputiamo debba essere data priorità a quelle che
vengono ritenute determinanti ai fini dei processi di programmazione, realizzazione e di controllo.
Circa le prestazioni attese, si dovrà innanzitutto progettare il livello
delle performance che la Provincia intende ottenere nella produzione del
servizio complessivo. È sulla base di questa determinazione che verranno
impostate coerentemente le performance delle attività intermedie coinvolte.
Lo standard di performance di queste trova, infatti, riferimento in quello del
servizio complessivo, essendo da quest’ultimo che prende avvio la definizione del contributo atteso dalle attività intermedie, osservabili quindi in
un’ottica funzionale.
L’esperienza si inserisce in un quadro di evidenze empiriche ultradecennali che, fatte salve alcune apprezzabili eccezioni, tra le quali si segnala il
progetto Best Practices promosso dal Dipartimento della funzione pubblica
(Mussari, 2001), testimoniano l’esistenza di fattori ostativi di contesto, unitamente ad approcci superficiali e acritici in sede progettuale e di implementazione, che hanno provocato una diffusione limitata del controllo di
gestione in vari tipi di amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli enti locali
(Del Bene, 2006), divenendo adempimenti aggiuntivi che non assolvono
293
Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
la funzione di stimolo e supporto che le è propria. (4) Fra i fattori ostativi
individuati si ritiene, tuttavia, che due assumano un particolare rilievo e
che, fino ad oggi, siano stati generalmente affrontati con strumenti poco
efficaci.
Si tratta, in primo luogo, delle modalità di coinvolgimento delle persone
interessate, a vario titolo, dall’introduzione di processi di rilevazione, analisi, misurazione e valutazione. In secondo luogo, rileva l’insistenza con cui
teoria e prassi hanno focalizzato l’attenzione su misure di sintesi di natura
economico-finanziaria, dalle quali poi, eventualmente, far derivare misure
analitiche e intermedie – afferenti qualità delle prestazioni, efficienza tecnica e efficacia – a beneficio delle singole unità organizzative. Tale ultima
circostanza è spiegabile con il tentativo di trasferire alle realtà pubbliche
logiche e strumenti informativi consolidati nelle imprese. Il tentativo è stato,
ovviamente, animato dalle migliori intenzioni ma, in molti casi, non ha
portato i sistemi di controllo e i connessi strumenti informativi ad incidere nei processi decisionali delle organizzazioni di riferimento (Del Bene,
2004), né relativamente ai responsabili politico-amministrativi, comunque
concentrati sulla dimensione politico-istituzionale dell’ente più che su quella
aziendale, né tanto meno ai responsabili, in quanto le misure proposte
risultano difficilmente correlabili all’attività quotidiana di tanti responsabili
di unità e/o di processo elementare.
5. Il caso della Provincia di Ancona: le condizioni di contesto e
il processo di formazione finalizzato al cambiamento
Lo studio del caso della Provincia di Ancona costituisce il momento induttivo o la fase di sperimentazione in vivo di un costrutto teorico frutto di un
processo deduttivo. Tale processo ha coinvolto un ampio ventaglio di contributi teorici volti ad individuare i fattori ostativi ad un diffuso utilizzo dei
sistemi di controllo e dei relativi supporti di misurazione nell’ambito delle
pubbliche amministrazioni, nella fattispecie enti locali (Bergamin Barbato,
1997; Anselmi et al., 1997; Rebora, 1999; Adinolfi, 2005; Borgonovi,
2002).
In tale ambito, lo studio del caso della Provincia di Ancona, incentrato
sulla costruzione di un sistema di misurazione multidimensionale della performance, non consente in alcun modo una generalizzazione statistica ma,
semmai, una generalizzazione analitica rispetto a proposizioni teoriche:
una prova empirica, potenzialmente e astrattamente replicabile, di quanto
sostenuto e argomentato sul piano teorico (Yin, 2003).
Lo studio del caso non può prescindere dalla considerazione del con4 Sulle principali cause della scarsa incisività delle tecniche manageriali si vedano, tra gli altri, REBORA (1999); MENEGUZZO (1997); MARASCA (2006). Lo scarso utilizzo dei sistemi di controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche è indirettamente dimostrato anche dalle
esperienze dei nuclei di valutazione. Sul tema, cfr. MARASCA (2001); VALOTTI (1997); POZZOLI, NARDO (2007).
Azienda Pubblica 2.2009
294
Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
testo che caratterizza l’unità di analisi. Nella Provincia di Ancona, nel periodo antecedente la ricerca, la struttura organizzativa risentiva di modelli
e stratificazioni tipiche della cultura burocratica, con una dominanza di
logiche “passive”, di responsabilità di adempimento e di relativa “irrilevanza” del consumo di risorse in rapporto agli output prodotti. Più in generale,
mancava una cultura manageriale diffusa che si manifestasse anche nella
capacità di governare attività e processi attraverso una selezione di variabili critiche e strumenti di rappresentazione in grado di garantire sia la
coerenza con le attese dei destinatari che la minimizzazione delle risorse
impiegate.
La carenza non era ravvisabile specificamente in ambito dirigenziale
quanto ai vari livelli dell’organizzazione, a cominciare da quelli di primo
supporto alla dirigenza. La stratificazione di ruoli, tipica di un modello
organizzativo multilivello, creava varie posizioni con ambiti di autonomia
e responsabilità sempre vissuti con una logica gerarchica, dal punto di
vista organizzativo, e in termini adempimentali, dal punto di vista dei contenuti.
Da qui, la necessità di promuovere un cambiamento significativo del
contesto organizzativo e delle prassi gestionali dell’ente.
Particolarmente avvertita era l’esigenza di diffondere la consapevolezza che l’efficacia dell’azione amministrativa si misura attraverso la qualità, percepita dall’utenza, dei risultati forniti, ovviamente in un quadro
di compatibilità di risorse economiche, finanziarie e organizzative. Tale
consapevolezza, sulla base di dottrina consolidata, impone l’adozione di
un approccio manageriale alle attività svolte e, pertanto, una conoscenza approfondita dei meccanismi di base, delle relazioni di causa-effetto,
dell’impatto sulle risorse che la produzione e l’erogazione di servizi richiede. Nel caso di specie, si ravvisava pertanto l’opportunità di adottare un
sistema di misurazione della performance in grado di fornire informazioni,
strumenti di monitoraggio e valutazione ai vari responsabili, favorendo i
loro processi interpretativi e l’assunzione di decisioni.
Per soddisfare le attese di cambiamento emerse è stato definito, di comune accordo con un gruppo di esperti esterni, un processo di formazione
volto a garantire un vasto coinvolgimento degli operatori così da renderli
protagonisti fin dalla fase di progettazione del sistema di misurazione e,
quindi, lungo tutto il percorso di definizione delle specifiche del sistema
stesso.
Era, infatti, opinione condivisa che un reale cambiamento organizzativo potesse essere favorito da un’innovazione “di processo” nelle modalità
di approvvigionamento del know-how tecnico proveniente dagli esperti
esterni e nella formulazione di percorsi formativi per le risorse professionali nell’ente.
I due momenti richiamati sono invece proposti, nella generalità dei
casi, come distinti, spesso anche da un punto di vista cronologico oltre
che logico. La sequenza più invalsa prevede, anzitutto, una formazione
295
Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
di aula tradizionale per il trasferimento di concetti di base sui sistemi di
misurazione e controllo, quando non già di specifiche di funzionamento
di un determinato modello pre-confezionato. Successivamente, l’esperto
esterno mette a disposizione le sue competenze per attivare il sistema,
cercando di coinvolgere il responsabile del progetto per l’ente e pochi altri
“eletti”, sviluppando la dimensione tecnica del sistema, gli indicatori, le
elaborazioni da fare, magari i report periodici da produrre per una platea
di potenziali destinatari. Seguono poi momenti “istituzionali” di confronto
e di periodico review di alcuni dettagli e, talvolta, una sessione formativa
finale per la messa a regime delle tecnicalità del sistema e un follow-up
formativo e valutativo per eventuali messe a punto.
Per favorire il cambiamento nelle idee e nei comportamenti organizzativi nella Provincia di Ancona si è, invece, deciso di saldare i due momenti
fondamentali: la progettazione del sistema di misurazione e la formazione,
definendo in modo preciso il ruolo di quest’ultima e la sua finalità rispetto
al problema specifico. In questo modo, infatti, si è ritenuto di coniugare
efficacemente il momento dell’apprendimento con quello dell’azione, ossia
con la concreta realizzazione del sistema, favorendo la potenziale replicabilità delle metodologie acquisite (Borgonovi, 1998).
Ciò è stato realizzato costruendo un percorso ad hoc formativo e di
affiancamento destinato ad un gruppo significativo di operatori dell’amministrazione pubblica e co-progettando contenuti e metodologie didattiche
sulla base di alcuni chiari obiettivi formativi condivisi.
Con la modalità descritta, l’ente non ha acquistato un software o la
consulenza di un esperto per realizzare un “sistema di indicatori”; ma
ha acquistato e utilizzato contestualmente un know-how che è soprattutto
metodologico e che è volto alla “produzione interna” del sistema di misurazione. Mutuando espressioni tipiche della contabilità analitica, si è passati
da un’ipotesi buy a un’ipotesi make.
Per ciò che attiene ai contenuti della formazione, si è optato per un
capovolgimento dell’approccio alla costruzione del sistema di misurazione
della performance. Al fine di garantire la produzione di informazioni utili
per le decisioni dei responsabili e, quindi, in grado di incidere in misura significativa sui comportamenti organizzativi, si è ritenuto opportuno
“partire dal basso” definendo un sistema diffuso di misure analitiche e
di performance parziale e intermedia. Ciò ha richiesto di sviluppare una
“mappatura” puntuale delle attività, dei condizionamenti fra attività diverse e delle relative misure di performance.
Si è ritenuto, infatti, che questo fosse un passaggio fondamentale per
creare una base dati che consentisse di avviare processi di misurazione
ripetitivi e valutazioni di efficienza, efficacia, adeguatezza e individuare
percorsi di miglioramento. La scelta operata è risultata gravida di rischi
per l’ampiezza e l’eterogeneità dei dati e la difficoltà di raggrupparli con
una logica univoca che permettesse di lavorare sulle interdipendenze. Tali
circostanze, peraltro riconosciute in dottrina (Bianchi, 2007), sono state
Azienda Pubblica 2.2009
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Misurare le performance della pubblica amministrazione
fronteggiate ricorrendo alla logica per processi e all’innesto di un knowhow specifico in determinate fasi del progetto.
6. La proposta di percorso formativo e il modello organizzativo per il controlling nella Provincia di Ancona
Il percorso formativo e di affiancamento ha coinvolto un gruppo di dipendenti della Provincia di Ancona destinati a occuparsi, con ruoli e responsabilità differenziate, di rilevazione ed elaborazione di informazioni di
supporto ai processi manageriali.
L’impostazione didattica adottata, comunemente definita project work,
è stata incentrata sulle tecniche di learning by doing (Cercola, 1998).
I partecipanti, infatti, oltre a essere i “clienti” del pacchetto formativo,
sono stati soggetti attivi nella costruzione del sistema di misurazione e, in
quanto tali, sono stati chiamati a dare risposte concrete alle problematiche
operative, facendo leva sulle indicazioni di tipo teorico e metodologico
fornite dal “team didattico” composto da docenti e tutor.
In una prima fase, i formatori hanno effettuato interventi didattici tradizionali impostati su concetti e metodologie di base. Successivamente, il
team didattico ha realizzato una vera e propria attività di affiancamento
dei discenti secondo due modalità distinte (5):
a) l’intervento periodico del docente che ha condotto apposite sessioni di
“laboratorio” in cui sono stati sviscerati i problemi di implementazione
incontrati dai discenti, afferenti sia questioni tecniche, sia aspetti organizzativi, con l’obiettivo di socializzare e condividere soluzioni in un’ottica di apprendimento in base alle sperimentazioni (action learning);
b) il sostegno operativo da parte di tutor disponibili per interventi di analisi
e problem-solving mirati, su casi applicativi specifici e con cadenze più
ravvicinate rispetto alle sessioni istituzionali di laboratorio (formazione
on job).
Le competenze così acquisite dal gruppo dei dipendenti hanno consentito
l’esplicazione di un definito modello organizzativo per il controlling nella
Provincia di Ancona. Gli operatori coinvolti nel progetto hanno, infatti, costituito il primo nucleo di professionalità orientate al sistema dei controlli. Le
mansioni, cui gli obiettivi dell’iniziativa sono stati coerentemente correlati,
sono state identificate in due profili di ruolo e responsabilità strettamente
connessi, ma funzionalmente distinti.
Il primo profilo ha riguardato il ruolo del controller, cioè lo specialista
del controllo di gestione, il responsabile del sistema centrale di controllo,
5 Sulla crescente rilevanza dell’attività di affiancamento si vedano le considerazioni a margine della Prima conferenza nazionale sulla formazione del settore pubblico (ADINOLFI, 1998:
p. 166).
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attività centralizzata di staff al servizio dei settori operativi dell’ente. Il
ruolo, ovviamente, non è riferito a una persona fisica in particolare ma a
un’unità operativa, composta di alcune persone portatrici di competenze
tecniche altamente specialistiche nonché di peculiari caratteristiche attitudinali.
Il secondo profilo ha riguardato il ruolo di “referente” per il controllo di
gestione, cioè l’interlocutore privilegiato dell’ufficio centrale del controllo
di gestione fra le unità di personale incardinate in un determinato settore
organizzativo. Si tratta, in altre parole, di un collaboratore di fiducia del
dirigente, titolare di specifiche mansioni all’interno del settore e, in aggiunta, facilitatore del processo di controllo nell’unità organizzativa di appartenenza. (6) Per questo secondo profilo le competenze tecniche di controllo
di gestione risultano utili e necessarie, ma assume un rilievo particolare la
disponibilità di elevate capacità relazionali, di gestione dei rapporti interpersonali, di problem-solving e di orientamento al risultato. La previsione di
un referente del controllo di gestione in ogni settore dell’ente è stata motivata dalla ricerca di una maggiore aderenza alle peculiarità delle diverse
unità organizzative. Allo stesso tempo, tale scelta ha imposto meccanismi
organizzativi volti a garantire un elevato grado di coordinamento tra unità
centrale e unità periferiche al fine di arginare il rischio di burocratizzazione del processo di controllo (Bianchi, 2007).
7. La metodologia adottata per l’individuazione delle attività
Il sistema di misurazione della performance della Provincia di Ancona è
stato sviluppato con un orientamento alle attività, in considerazione della
loro rilevanza ai fini dell’ottenimento della performance delle singole unità
organizzative e dell’ente nel complesso. Agendo sulle attività si è, infatti, in
grado di far convergere l’azione individuale verso gli obiettivi organizzativi, riuscendo anche a programmare e monitorare le risorse necessarie. Il
sistema di misurazione è stato, altresì, improntato alla logica della gestione
per processi favorendone, in questo modo, la graduale adozione.
Per ciascun settore della Provincia di Ancona sono state, quindi, individuate le attività significative considerando congiuntamente due criteri:
il consumo di risorse, principalmente tempo-uomo, e il valore dell’output
nell’ottica del cliente (interno-esterno) a cui esso è destinato. Al fine di
garantire uniformità e completezza nell’identificazione delle attività, gli
elementi strutturali delle stesse sono stati descritti in un’apposita scheda,
definita dal team didattico e condivisa dal gruppo dei discenti. Tale scheda
riprende, con alcuni adattamenti, la struttura più accreditata in letteratura
(Brimson, 1992; Miolo Vitali, 2003).
6 A titolo esemplificativo, si pensi alla collaborazione nella definizione dei flussi informativi
contabili ed extra-contabili, nell’attivazione di procedure di raccolta e rielaborazione di dati
disponibili nel settore e convogliabili nel sistema informativo generale a disposizione del controllo di gestione.
Azienda Pubblica 2.2009
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
La scheda adottata risulta articolata in quattro aree:
•
•
•
•
descrizione analitica dell’attività;
evento esterno;
risultato;
tempi.
Nello specifico, il primo item prevede la descrizione analitica delle operazioni elementari che danno luogo all’attività.
L’area di analisi “evento esterno” è articolata in tre campi distinti: input,
ente fornitore e caratteristiche qualitative.
L’input identifica il bene/comunicazione/servizio ricevuto che segna
l’avvio dell’attività. Esso, in sostanza, rappresenta l’evento esterno stricto
sensu, il cui surrogato informativo è generalmente rappresentato da un
documento cartaceo o elettronico, in seguito al quale inizia lo svolgimento
dell’attività. (7) L’ente fornitore può essere interno, ad esempio altre unità
organizzative della Provincia, o esterno, ad esempio, categorie di utenti o
altre amministrazioni.
L’item relativo alle caratteristiche qualitative dell’input esprime gli
aspetti rilevanti ai fini dell’attività da svolgere, poiché identifica gli attributi dell’evento esterno o del suo surrogato informativo che ne agevolano
l’esecuzione.
L’area di analisi “risultato” è, anch’essa, suddivisa in tre campi distinti:
output, ente destinatario e caratteristiche qualitative.
L’output rappresenta il bene/comunicazione/servizio ceduto ed è il
risultato dello svolgimento delle operazioni elementari che danno luogo
all’attività.
L’ente destinatario dell’output identifica il soggetto o i soggetti che beneficiano dell’output realizzato. Tali destinatari possono coincidere con
l’ente fornitore dell’input oppure essere soggetti diversi, interni o esterni,
utilizzatori finali o ulteriori trasformatori dell’output ottenuto.
L’item relativo alle caratteristiche qualitative dell’output riguarda gli
aspetti critici per i destinatari dell’output e, dunque, meritevoli di attenzione. Si badi che tale giudizio di criticità è deliberatamente chiesto ai soggetti responsabili dello svolgimento dell’attività e non ai destinatari dell’output.
In effetti, l’espressione di analogo giudizio da parte del cliente, soggetto
“istituzionalmente deputato”, può essere comunque raccolta nell’ambito
del sistema, in altro supporto informativo. In particolare, nel caso di clienti
interni, l’informazione sarà desumibile da una scheda di attività che si
colloca a valle di quella considerata, dove i soggetti responsabili saranno
chiamati ad esplicitare le caratteristiche qualitative dell’input ricevuto. Anzi,
7 Ad esempio, il malfunzionamento del PC (evento esterno) si traduce in una richiesta di assistenza tecnica (documento fisico o elettronico) che fa partire l’attività di manutenzione/riparazione.
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Misurare le performance della pubblica amministrazione
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in questo modo, si genera un vantaggio informativo dal notevole potenziale organizzativo: l’incrocio dei giudizi di criticità, espressi dal cliente e dal
fornitore, permette di “misurare” il livello di conoscenza delle esigenze dei
destinatari del proprio lavoro e il livello di “scambio delle informazioni”. In
altri termini, si può apprezzare il grado di consapevolezza della logica di
interdipendenza fra attività sequenziali, tipica della gestione per processi.
Qualora, invece, si tratti di cliente esterno occorre integrare il sistema di
misurazione con una rilevazione periodica, anche su base campionaria,
delle informazioni di cui sopra. Le modalità di reperimento possono essere
le più diverse ma è fondamentale che anche per gli utenti esterni vi sia
la possibilità di raccogliere il giudizio di criticità e di qualità degli output
ricevuti, incrociandolo opportunamente con il giudizio espresso dalle unità
organizzative dell’ente deputate allo svolgimento delle attività.
Infine, l’area di analisi relativa ai “tempi” accoglie dati inerenti una
sorta di tempi-ciclo, intesi come unità di tempo necessarie per ottenere una
unità di output. Nella fattispecie, il tempo medio di produzione dell’output
può essere inteso in due accezioni, comunque interessanti a fini conoscitivi: il tempo processo e il tempo risorsa. La prima espressione indica, in
media, i giorni/ore che intercorrono tra input e output, ossia tra l’evento
esterno che segna l’avvio dell’attività e la cessione al destinatario dell’output prodotto, considerando anche ordinari tempi di attesa, fisiologici o
meno. Il tempo risorsa fornisce invece informazioni in merito alle ore/
giorni uomo impiegati, in media, per la produzione di una unità di output,
intendendo strettamente il mero tempo di esecuzione delle operazioni necessarie.
Al fine di garantire coerenza e omogeneità nell’individuazione delle
attività tra i diversi settori dell’ente, il team didattico ha effettuato un controllo rigoroso delle schede, talvolta compilate dai discenti in modo solo in
parte coerente con le indicazioni fornite. Le schede sono state sottoposte,
durante le sessioni di laboratorio e gli interventi di problem-solving mirati,
a un controllo di tipo sia formale che sostanziale.
Da un punto di vista formale, è stata verificata la corretta e completa
compilazione degli item della scheda.
Il controllo sostanziale ha riguardato, invece, l’articolazione delle attività proposta dai discenti. In particolare, attività con incidenza complessiva
troppo esigua o marginali rispetto alle competenze specifiche dei diversi
settori e, quindi a scarsa rilevanza ai fini del supporto dei processi manageriali, sono state accorpate mediante l’individuazione di macro-attività.
Tali accorpamenti sono stati, in ogni caso, realizzati dai formatori in accordo con gli operatori. Pertanto, la ridefinizione di alcune schede di analisi
delle attività è stata sempre il frutto di un percorso di condivisione con i
discenti.
Di seguito, sono presentate, a titolo esemplificativo, le schede delle
attività di “Gestione borse di studio” (tabella 1) e di “Classificazione delle
strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere” (tabella 2).
Azienda Pubblica 2.2009
300
Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Tabella 1 – Scheda dell’attività “Gestione borse di studio”
Gestione borse di studio
Descrizione analitica dell’attività
1. Stipula delle convenzioni con ogni beneficiario
2. Verifica documenti obbligatori per l’inizio dell’attività
3. Presa d’atto delle comunicazioni periodiche di continuità nello svolgimento della borsa e conseguente autorizzazione all’erogazione della borsa;
gestione delle comunicazioni, delle assenze e dei giustificativi dei borsisti
e registrazione informatizzata
4. Presa d’atto dei verbali del Funzionario del controllo ed eventuale applicazione delle sanzioni previste per i casi di irregolarità; verifica sussistenza
cause di decadenza ed eventuale revoca del finanziamento
5. Rilascio attestazione dell’attività svolta
Input
Graduatoria dei beneficiari approvata all’esito di apposito bando pubblico
Ente fornitore dell’input
U.O. Formazione e lavoro
Caratteristiche qualitative dell’input Tempestività e correttezza della graduatoria
Tempo medio di produzione
dell’output
Tempo processo: … gg.
Tempo risorsa: … gg.
Output
Progetti di ricerca finanziati mediante borsa di studio
Ente destinatario dell’output
Diplomati o laureati beneficiari della borsa di studio
Imprese in cui vengono svolte le attività finanziate
Caratteristiche qualitative
dell’output
Progetto finanziato regolare e portato a termine
Tempestività nei pagamenti ai soggetti beneficiari
Capacità del progetto finanziato di favorire l’inserimento lavorativo e la
crescita professionale del beneficiario
Tabella 2 – Scheda dell’attività “Classificazione delle strutture alberghiere ed extra alberghiere”
Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere
Descrizione analitica dell’attività
1. Predisposizione e invio modelli di classificazione alle strutture ricettive
2. Ricezione dei modelli compilati dai gestori ed eventuale richiesta di integrazioni
3. Emissione provvedimenti di classificazione
4. Trasmissione dei provvedimenti al Servizio turismo della Regione Marche,
al Comune territorialmente competente e al BUR della Regione Marche
5. Inserimento della classificazione di ogni struttura nel database
Input
D’ufficio (l.r. 42/1994, l.r. 23/1999 e successive modificazioni/integrazioni)
Ente fornitore dell’input
U.O. Turismo
Caratteristiche qualitative dell’input Rispetto della normativa e dei termini di legge
Tempo medio di produzione
dell’output
Tempo processo: … gg.
Tempo risorsa: … h/gg.
Output
Provvedimenti di classificazione
Ente destinatario dell’output
Titolari/gestori di strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere – Comuni – Regione
Caratteristiche qualitative
dell’output
Rispetto della normativa e dei termini
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Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
8. Il sistema degli indicatori
Completata l’individuazione delle attività, le schede di analisi sono state
utilizzate per la progettazione di un sistema di indicatori in grado di monitorare le performance dei diversi settori e quella complessiva dell’ente.
Nello specifico, per ciascuna attività mappata sono state identificate le
seguenti tipologie di indicatori:
•
•
•
•
di output;
di tempo medio di produzione;
di efficacia gestionale e sociale;
di efficienza tecnica ed economica. (8)
Gli indicatori proposti con riferimento alle attività in precedenza individuate sono riportati nelle tabelle 3 e 4.
Tabella 3 – Indicatori dell’attività “Gestione borse di studio”
Gestione borse di studio
Tempo medio di
produzione dell’output
Indicatori di output
N. progetti di ricerca
finanziati
Tempo processo
Indicatori di efficacia
gestionale e sociale
Indicatori di efficienza
tecnica ed economica
N. progetti di ricerca finanziati /
N. domande processate
Ore impiegate / N. progetti di ricerca finanziati
N. progetti di ricerca conclusi /
N. progetti di ricerca finanziati
Costo ore impiegate /
N. progetti di ricerca
N. pagamenti effettuati entro x
finanziati
gg. obiettivo / N. pagamenti
effettuati
Tabella 4 – Indicatori dell’attività “Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere”
Classificazione delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere
Indicatori di output
N. provvedimenti di
classificazione adottati
Tempo medio di
produzione dell’output
Indicatori di efficacia
gestionale e sociale
Indicatori di efficienza
tecnica ed economica
Tempo processo
N. provvedimenti di classificazio- Ore impiegate / N. provne adottati / N. strutture ricettive vedimenti di classificazioda classificare
ne adottati
N. provvedimenti di classificazio- Costo ore impiegate / N.
ne adottati entro x gg. obiettivo / provvedimenti di classificaN. provvedimenti di classificazio- zione adottati
ne adottati
8 Per approfondimenti sulla classificazione proposta si rinvia a MULAZZANI (1992); ZANGRANDI
(1994); FARNETI, MAZZARA, SAVIOLI (1996).
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302
Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Gli indicatori di output, nello specifico numero progetti di ricerca finanziati
e numero provvedimenti di classificazione adottati, misurano la quantità di
servizi prodotta in un determinato periodo di tempo. Tali indicatori, oltre
a descrivere l’andamento delle attività nel tempo, rappresentano la base
per la costruzione di ulteriori misure di performance. Tra di esse figura,
innanzitutto, il tempo medio di produzione dell’output e, in particolare, il
tempo-processo. (9)
L’efficacia dell’attività è, invece, monitorata considerando essenzialmente aspetti gestionali e, in misura più limitata, l’impatto sociale degli
output prodotti.
Relativamente alle attività considerate, gli indicatori di efficacia gestionale fanno riferimento alla capacità di rispettare la tempistica programmata (% pagamenti effettuati entro x gg obiettivo e % provvedimenti di
classificazione adottati entro x gg obiettivo).
Gli indicatori di efficacia sociale, di contro, monitorano la capacità
dell’ente di soddisfare quantitativamente la domanda espressa (numero
progetti di ricerca finanziati/numero domande processate e numero provvedimenti di classificazione adottati/numero strutture ricettive da classificare). La soddisfazione degli utenti riguardo alla qualità dei servizi erogati,
altra tipica espressione di efficacia sociale, è invece valutata ricorrendo a
indicatori proxy e, nel caso specifico della gestione delle borse di studio, a
numero progetti di ricerca conclusi/numero progetti di ricerca finanziati.
L’efficienza tecnica ed economica è, infine, monitorata considerando,
rispettivamente, il tempo-uomo impiegato per ottenere una unità di output
e la relativa valorizzazione in termini monetari. La scelta di focalizzare
l’attenzione sulle ore uomo è derivata dalla constatazione che il personale
costituisce la principale risorsa utilizzata nello svolgimento delle attività
dell’ente.
È bene precisare che il sistema degli indicatori della Provincia di Ancona è stato progettato “su misura” considerando, cioè, le specificità istituzionali, organizzative e operative del contesto nel quale esso è applicato;
in questo modo si ha garanzia della coerenza e utilità del supporto informativo a fini gestionali.
In ogni caso, per tutte le attività per cui è risultato possibile, sono stati
individuati degli indicatori riconducibili a misure proposte nell’ambito di
progetti simili realizzati da altre amministrazioni provinciali o da associazioni di enti territoriali particolarmente sensibili ai temi della misurazione e
del controllo di gestione. Tale scelta è stata principalmente motivata dalla
volontà di favorire la comparabilità con altre realtà, così da identificare i
punti di forza e di debolezza della Provincia di Ancona, nonché i riferimenti
di eccellenza a cui tendere. L’obiettivo educativo, in questo caso, appare
evidente: avviare l’organizzazione a un managing by numbers con riferi9 Rispetto a quanto espresso supra nel paragrafo 7, il riferimento è solo al tempo-processo in
quanto l’ulteriore informazione denominata tempo risorsa è destinata alla misurazione dell’efficienza tecnica dell’attività.
303
Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
mento non solo alla propria realtà e alla relativa evoluzione nel tempo (10),
ma anche a un proficuo confronto spaziale in ottica di benchmarking.
È bene sottolineare, in ogni caso, che il sistema degli indicatori deve
essere dinamico e, quindi, adattarsi ai cambiamenti che si manifestano
nel corso del tempo. Tali aggiornamenti e modifiche sono, in parte, da
ricondurre a un processo fisiologico legato alle dinamiche di apprendimento organizzativo. Attraverso l’utilizzo della strumentazione, gli operatori verificano la capacità segnaletica delle misure, individuando, laddove
necessario, le modifiche atte a garantire una maggiore aderenza del sistema alla realtà rappresentata. Una costante manutenzione del sistema
è, inoltre, necessaria per rispondere ai mutevoli fabbisogni informativi dei
destinatari delle informazioni; in altri termini, un costante monitoraggio e
aggiornamento del set degli indicatori è garanzia di funzionalità, poiché
evita lo sviluppo di una sovrastruttura che, invece di guidare la gestione,
introduce ulteriori elementi di rigidità.
Infine, è appena il caso di richiamare alcune avvertenze metodologiche
per una corretta interpretazione della funzione segnaletica delle misure. In
primo luogo è da rilevare che ciascun indicatore, di per sé, non offre supporto ai processi manageriali: è opportuno, piuttosto, adottare un’ottica
sistemica nella lettura e nell’interpretazione dei dati, sia relativi alla stessa
attività, che riguardanti attività diverse in una logica di processo. Solo dalla lettura congiunta degli indicatori è possibile comprendere se i miglioramenti registrati nella gestione di una determinata variabile (es. tempestività
nella produzione dell’output) abbiano o meno comportato peggioramenti
in altre variabili critiche (es. correttezza dell’output prodotto), o in altre
attività realizzate a monte o a valle. In secondo luogo, alla produzione
del dato deve necessariamente accompagnarsi un momento, successivo
e complementare, di interpretazione e analisi delle risultanze del sistema
di misurazione, volto a comprendere le cause del fenomeno osservato e a
individuare gli opportuni atti di gestione per eventuali azioni di miglioramento. In tale ambito entrano in gioco le competenze e la sensibilità dei
soggetti destinatari delle informazioni prodotte dal sistema, cui spetta la
gestione dell’ente e dei suoi processi caratterizzanti.
9. Alcuni risultati ottenuti e criticità rilevate
Le molteplici esperienze di scarsa funzionalità dei sistemi di misurazione
delle performance nel settore pubblico dimostrano come alcuni principi di
progettazione e condizioni di utilizzo consolidati in letteratura non abbiano trovato adeguata e diffusa declinazione nelle pubbliche amministrazio10 In sede di condivisione del progetto era stata prevista l’attivazione del sistema informativo con la sistematica rilevazione degli indicatori individuati nel rispetto di una definita frequenza temporale. Ciò al fine di consentire l’individuazione di standard di riferimento indispensabili per migliorare l’azione amministrativa e il processo di programmazione nei settori di intervento dell’ente.
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Misurare le performance della pubblica amministrazione
ni o non siano state precostituite le necessarie condizioni di contesto.
In questa prospettiva, il caso analizzato consente di trarre alcune indicazioni potenzialmente utili ai fini del miglioramento dell’efficacia dei sistemi manageriali nelle pubbliche amministrazioni. Innanzitutto, va sottolineata la scelta di rovesciare l’approccio classico di progettazione del sistema
di misure, enfatizzando il percorso logico che individua nel funzionamento
delle attività e delle relazioni che le legano, presupposto per l’ottenimento
delle performance finali e complessive.
La scelta di effettuare la mappatura delle attività, come fase iniziata di
questo processo, ha provocato una serie di effetti positivi con riferimento
agli aspetti tecnici del sistema di misurazione e a quelli più tipicamente
immateriali.
Il primo di questi si riferisce al fatto che l’attenzione dei responsabili
viene rivolta alla conoscenza degli aspetti originari della performance (ciò
che l’ente fa e come lo fa), consentendo un ampliamento dell’ottica di
analisi verso l’apprezzamento delle implicazioni gestionali e organizzative
riferibili sia alla singola attività, sia alla loro sequenza logica ed evitando la focalizzazione su questioni operative e sulla ricerca della soluzione
tecnica al problema singolo. Ciò permette di facilitare la definizione delle
relazioni di causa-effetto alla base dell’ottenimento dei risultati, potendo
risalire all’individuazione delle variabili causali, esigenza di più difficile soddisfazione, concentrando prevalentemente l’attenzione sull’aspetto
economico-finanziario.
Un ulteriore aspetto che assume rilievo è rappresentato dalla ricerca
di un ampio coinvolgimento del personale nella progettazione, gestione
e sviluppo di un sistema che, quindi, risulta maggiormente conforme alle
esigenze informative e decisionali dei destinatari delle informazioni. Ciò
consente di sviluppare alcuni degli aspetti immateriali che influenzano l’efficacia dei sistemi di management riferibili alla loro capacità di motivare gli individui a operare nel senso voluto dall’organizzazione. L’elevato
coinvolgimento non ha, infatti, riflessi solo sulla qualità della progettazione, ma anche sull’interiorizzazione delle logiche e delle finalità di funzionamento del sistema, che significa aumentare la probabilità di ottenere
comportamenti volti a utilizzare e migliorare il sistema anziché a batterlo.
Secondo questo approccio, gli indicatori costituiscono il risultato finale di
un processo logico di elaborazione nel quale essi risultano espressione
dell’andamento di un fenomeno esprimibile attraverso variabili ritenute efficacemente rappresentative dai destinatari delle informazioni. Il sistema
(anche per l’individuazione di un referente del controllo per settore) risulta
così più “vicino” ai responsabili, condizione indispensabile affinché possa
costituire un reale supporto per i processi decisionali e valutativi, divenendo strumento di uso corrente.
Ulteriore risultato di questo approccio è stato quello di spostare l’attenzione dall’esecuzione dell’adempimento formale, alla logica della gestione attraverso i numeri, orientandosi verso il confronto tra risultati e obiettivi
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Azienda Pubblica 2.2009
Misurare le performance della pubblica amministrazione
Esperienze innovative
e l’analisi degli andamenti rispetto agli effetti attesi. Concentrare l’attenzione sulle attività, sui processi e sulle relative misure di performance significa infatti indirizzare gli sforzi alla comprensione delle modalità operative
per dare concreta attuazione ai programmi elaborati dal livello politico
e rispondere in maniera coerente ai bisogni da soddisfare (individuali o
collettivi).
Da ciò deriva la possibilità di ottenere:
a) maggiori integrazione e coordinamento tra i vari interventi e gli operatori
che partecipano al processo;
b) migliori livelli di qualità ed efficacia delle iniziative;
c) l’attenzione all’impiego delle risorse e quindi l’eliminazione degli sprechi derivanti da duplicazioni, sovrapposizioni e mancanza di coordinamento.
La progettazione di un sistema di misure di performance svolge, infatti,
funzione strumentale e non finalistica, in quanto funzionale all’acquisizione, da parte di un responsabile, di un’adeguata conoscenza del funzionamento dell’area attribuita alla sua competenza e, quindi, supporto ai processi manageriali di programmazione e controllo, favorendo un governo
razionale, anche se ciò non garantisce quali e come le decisioni verranno
assunte (Anthony, Young, 1999; Busco, Riccaboni, 1999; Mussari, 1999;
Garlatti, Pezzani, 2000).
Dal punto di vista organizzativo, un risultato utile fa riferimento alla
sostanziale autonomia che la definizione delle attività presenta rispetto
alle specifiche del disegno organizzativo (Brimson, 1992; Lorino, 1992),
offrendo, quindi, la possibilità di effettuare anche valutazioni circa la collocazione delle attività. In tale ambito, viene così osservata, da un punto
di vista diverso rispetto alla logica organizzativa tradizionale, la coerenza
della struttura di base e delle aree di responsabilità ai fini di uno svolgimento efficace ed efficiente delle attività e dei processi.
Alcune delle criticità rilevate sono ascrivibili non tanto al progetto in
sé o agli output ottenuti, quanto a condizioni tecniche o di contesto che
possono limitarne l’efficacia futura e che possono essere in qualche misura
generalizzate.
Come in tutti i progetti che assumono valenza di carattere strategico
perché implicano cambiamenti sostanziali nella cultura, nelle modalità di
approccio e soluzione dei problemi e implicano, quindi, un importante
investimento, è fondamentale la presenza costante della direzione e la
sponsorship politica nell’attivare, supportare e accreditare continuamente
il progetto. Esse costituiscono, infatti, una parte rilevante di quei fattori
immateriali che incidono sull’efficacia dei sistemi di management nelle amministrazioni pubbliche. La questione non può comunque essere risolta con
una pur meditata ed efficace organizzazione del percorso formativo, in
quanto la presenza dello sponsor deve essere costante e duratura anche
assumendo comportamenti coerenti.
Azienda Pubblica 2.2009
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Esperienze innovative
Misurare le performance della pubblica amministrazione
È inoltre necessaria un’adeguata preparazione culturale dell’organizzazione, che manifesti così una predisposizione favorevole alle esigenze
che l’approccio richiede, allargando la prospettiva operativa e focalizzando l’attenzione al contributo utile all’intero percorso. Di qui la necessità di
integrare la dimensione fattuale del progetto con un sapiente dosaggio dei
momenti e dei contenuti didattici nella dimensione formativa.
L’identificazione delle attività rappresenta una fase fondamentale per il
funzionamento del sistema con riferimento all’attendibilità delle informazioni prodotte e, quindi, ai riflessi in termini di programmazione e controllo
della gestione. L’efficacia di questa fase potrebbe però essere influenzata
da congetture, effettuate dal personale coinvolto nella rilevazione (soluzione peraltro necessaria), circa la futura valutazione dell’apporto in termini
di valore delle attività svolte. Al fine di evitare distorsioni patologiche nella
rilevazione, si è reso allora necessario effettuare una fase di verifica topdown delle attività evidenziate.
Un’altra criticità è costituita dal sistema informativo necessario a supportare il funzionamento del sistema. A tal fine, la scelta è stata quella di
utilizzare, ove possibile, le informazioni già presenti all’interno dell’ente. Una parte consistente delle informazioni necessarie, però, ha richiesto
l’attivazione di nuovi processi di rilevazione trattamento ed elaborazione
dei dati. Un miglioramento del sistema informativo (Saita, 1988; Marchi,
1993; Amigoni, Beretta, 1998) che consenta la misurazione delle performance sia delle singole attività che del processo dal punto di vista economico e tecnico-operativo costituisce, dunque, fattore imprescindibile. Infatti,
aver identificato attività e relativi percorsi senza predisporre le condizioni
per la loro rilevazione, sotto le molteplici ottiche ritenute necessarie (economica, finanziaria, fisica, tecnica), rende inutile il lavoro precedente e
impossibile il monitoraggio degli andamenti.
L’avvio e la gestione dell’iniziativa implicano un impegno considerevole
in termini di analisi, progettazione, produzione e gestione delle informazioni.
La macchinosità del progetto e l’entità di risorse necessarie potrebbero provocare il rischio di non portarlo a termine, rimanendo “a metà del guado”.
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Azienda Pubblica 2.2009
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
La governance delle società per azioni dei servizi pubblici locali:
attualità e prospettive
Paolo Ricci
Professore ordinario di Economia aziendale e di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso
l’Università degli Studi del Sannio
Tiziana Landi
Dottoranda presso il Dipartimento di Analisi dei sistemi economici e sociali dell’Università degli Studi del Sannio
SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La governance – 3. Le società per azioni dei servizi pubblici locali – 4. La gestione dei
servizi pubblici locali: riflessioni conclusive e prospettive.
L’obiettivo del lavoro, incentrato sul settore delle Public utilities, è quello di illustrare i recenti sviluppi
normativi e di delineare un possibile modello di governance da applicare alle nuove fattispecie
e alle diverse tipologie di società per azioni a totale partecipazione pubblica. Il contributo che
si vuole dare consiste nell’arricchimento degli attuali sistemi di gestione e controllo delle aziende
pubbliche proponendo un nuovo assetto di relazioni tra ente pubblico e società gestore in un’ottica
di sistema e di integrazione per implementare un corpo organico di regole di comportamento che
sia volto all’adozione di un sistema di governance estesa, intesa quale modello manageriale nel
cui ambito le funzioni decisionali, di programmazione e di controllo siano attuate nell’interesse di
tutti gli stakeholder, e di un sistema di accountability pubblica adeguato.
The present paper aims at critically question in which play a leading role the public utilities sector.
In the paper the different patterns of organization and control of local public services are analyzed,
focusing on managerial innovation undertaken in the relationship between local authority and controlled company implementing a new model of governance in which are contemplate the interests
of all stakeholder. The paper also attempts at pointing out the positive outcome that a suitable accountability system can have for the whole sector of local public services.
Pur essendo il paper frutto del lavoro comune, i §§ 1 e 2 sono a cura di Tiziana Landi, il § 3 è opera di Paolo Ricci,
mentre il § 4 è frutto della ricerca congiunta dei due autori. Per ulteriori approfondimenti, richiami bibliografici o eventuali
chiarimenti è possibile contattare Tiziana Landi all’indirizzo e-mail: [email protected]
Parole chiave: governance – accountability – public utilities
Key words: governance – accountability – public utilities
311
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
1. Introduzione
L’attuale sistema della Pubblica amministrazione (in seguito anche p.a.) si
trova in una situazione di forte instabilità e incertezza dovuta al rapido
emergere di nuovi bisogni e nuove richieste da parte dei cittadini. In risposta
alle incalzanti richieste di servizi e di assistenza pubblica, si è determinata
una crescente formazione di società per azioni a totale partecipazione
pubblica individuate per l’erogazione di quei servizi ritenuti meritori (merit
goods) (Savas, 2000), in quanto definiti, da un punto di vista economicosociale e politico, di “interesse collettivo” (Borgonovi, 2005) a volte senza
il dovuto rispetto dei principi di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa. La situazione attuale si presenta, infatti, alquanto confusa a
seguito della “carrellata” di riforme e controriforme volte a realizzare una
riorganizzazione strutturale e amministrativa non solo della p.a. in generale,
ma del ruolo e delle funzioni che l’ente locale, in modo particolare, andrà a
svolgere in questo turbolento processo di trasformazione. Le cause di un tale
cambiamento sono da ricercarsi sia nel mutato contesto socio-economico in
cui la p.a. si trova oggi a dover operare, sia negli effetti del noto processo
di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati che impone maggiore
efficienza, efficacia e competitività dell’azione amministrativa a livello
nazionale e internazionale. La riforma che va sotto il nome di New Public
Management (in seguito NPM) ha avuto origine nei Paesi anglosassoni in
cui è stato evidente il passaggio dal soggetto pubblico a quello privato per
alcune importanti funzioni e attività amministrative al fine di realizzare effettivamente un processo di “privatizzazione” e quindi di “managerializzazione”
dell’azienda pubblica. In Italia, invece, tale cambiamento, che si esprime in
un pacato processo di aziendalizzazione della p.a., non si è manifestato con
la stessa intensità tanto che la separazione tra soggetto pubblico e soggetto
privato resta tutt’ora incerta, soprattutto per quanto riguarda l’affidamento e
l’erogazione di alcuni importanti servizi, che fin dall’inizio del ‘900 erano
di competenza esclusiva di Comuni ed enti pubblici locali (Corso, 1997,
p. 24 e ss.) (collettivizzazione). Il sistema amministrativo italiano necessita,
quindi, di interventi volti a rafforzare la capacità delle amministrazioni di
erogare servizi di qualità e di realizzare politiche pubbliche efficaci. Tale
priorità assume rilievo anche al fine di assicurare il contributo della p.a. al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo economico del Paese. Il motivo che
ha portato l’Italia lontano dai principi e dalle linee guida del “paradigma” del
NPM è da ricercarsi nel fatto che, secondo alcuni studiosi italiani e stranieri
(Meneguzzo, 2004; Pollit, Bouckaert, 2002, p. 131 e ss.), l’orientamento
al NPM ha portato innumerevoli benefici in termini di effettivo recupero
dell’efficienza per quelle amministrazioni, per lo più europee, che hanno
deciso di attuarlo, ma è pur vero che lo stesso modello si avvicina troppo al
mondo delle imprese private, con l’evidente conseguenza di porre in essere
percorsi di imitazione acritica delle tecniche manageriali, senza tener conto
dovutamente delle specificità decisionali e gestionali che contraddistinguono
Azienda Pubblica 2.2009
312
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
la p.a., in particolar modo quella italiana. La realtà italiana è caratterizzata
infatti da una visione di governo più orientata verso l’ambiente esterno, cioè
verso tutti quei fattori e quei soggetti che ruotano intorno alla macchina
amministrativa e che ne condizionano e ne influenzano le decisioni e le
scelte. Tale approccio, che si differenzia da quello internazionale del NPM,
prende in Italia il nome di Public Governance proprio perché caratterizzato
da (Meneguzzo, 1997, p. 587 e ss.):
a) centralità delle interazioni con gli attori presenti ai vari livelli nel contesto
politico e sociale;
b) governo e coordinamento di network e reti;
c) orientamento all’esterno, in particolare verso l’ambiente economico e
sociale.
Il fulcro si sposta quindi dal livello di singola organizzazione pubblica
(“micro”) e di sistema di aziende e di organizzazioni pubbliche (“meso”) a
quello di governance del livello “macro” relativo al sistema socio-economico
complessivo in cui la p.a. è responsabile delle performance di un sistema
complesso di organizzazioni (Meneguzzo, 1997, pp. 587 e ss.). Non essendoci una definizione e una concezione univoca di NPM, in letteratura
è oramai diffusa l’idea generale di un cammino verso uno Stato migliore,
una “ridefinizione dello Stato” caratterizzato da progresso e da maturità in
cui si condensano le componenti del NPM individuate, attraverso numerose
e preziose indagini teoriche e pratiche, in:
a) i dieci principi di Osborne e Gaebler (Osborne, Gaebler, 1993) per
conferire imprenditorialità alle organizzazioni pubbliche, miranti alla
trasformazione dell’amministrazione tradizionale in una nuova, caratterizzata dall’essere “catalizzatrice”, “appartenente alla comunità”, “concorrenziale”, “vocata a una mission”, “orientata al cliente”, “intraprendente”,
“anticipatrice”, “orientata ai risultati”, “orientata al mercato”;
b) i cinque elementi distintivi di Hood (1995) riguardanti la pubblica amministrazione: “globalizzazione”, “economicizzazione”, “managerializzazione”, “informatizzazione” e “giuridicizzazione”;
c) le cinque “r” di Jones e Thomson (1997): “ristrutturare”, “riprogettare”,
“reinventare”, “riallineare”, “reideare”.
Secondo autorevole dottrina (Ferlie, et al., 1996), le iniziative di tipo NPM
nonostante si siano diffuse nei Paesi OCSE e abbiano raggiunto la maggior
parte dei Paesi del Commonwealth, senza peraltro escludere gli ex Paesi
comunisti, non hanno ancora trovato una completa uniformità d’applicazione. Anzi, a tal proposito è possibile evidenziare differenze da un Paese
all’altro, poiché i profili di modernizzazione spaziano da una completa
apertura alle forze di mercato e alla privatizzazione (Gran Bretagna), a
una radicale reimpostazione del settore pubblico secondo il modello del
313
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
settore privato (Nuova Zelanda), da casi di rapidi avanzamenti verso una
gestione manageriale, a casi di coesistenza di legami persistenti con le
più tradizionali forme di governo burocratico secondo regole predefinite
(Giappone, Germania, Austria). È stato rilevato un maggior impatto delle
idee di tipo NPM nei contesti anglosassoni (anche se con differenze interne),
rispetto ai contesti delle aree occidentali del continente europeo. Questo è
ragionevolmente imputabile a una lunga tradizione basata sulla predominanza, nella maggioranza dei Paesi europei, tra cui l’Italia, di una scuola
di pensiero della pubblica amministrazione di tipo giuridico in cui lo scopo
di tale “modernità” è quello di espandere al massimo grado possibile le
organizzazioni formali (vale a dire “strumenti creati chiaramente per il raggiungimento di scopi specifici”) (Brunsson, Olsen, 1993). Anche il settore
privato tende ad assolvere ruoli differenti nei due modelli: seguendo un
approccio NPM, infatti, esso rappresenterebbe la “cassetta degli attrezzi”
dalla quale la p.a. dovrebbe attingere; in un’ottica di Public Governance,
invece, diventa soggetto attivo nel processo di miglioramento complessivo
dell’azione amministrativa secondo una logica di collaborazione e scambio
reciproco. Per quanto brevemente illustrato pocanzi, in Italia è preferibile
parlare di un processo di riforma maggiormente orientato verso la Public
Governance che non verso il paradigma del NPM, giungendo alla definizione di politiche e di programmi reciprocamente vantaggiosi, sia per
le istituzioni e la p.a. in generale, sia per gli attori (pubblici o privati che
siano) coinvolti nelle attività di decision-making, di produzione di servizi
(gestori e utenti), di controllo e monitoraggio, attuati nell’interesse di tutti gli
stakeholder (governance istituzionale). (1)
La posizione di collaborazione e di partnership con gli attori esterni, e
in particolare con il soggetto privato, è stata però raggiunta solo di recente,
quando la p.a. si è resa effettivamente conto di non poter più far fronte “da
sola” alla crescente complessità dei bisogni pubblici, senza aggravare ulteriormente i già disastrati conti dello Stato (Barbagallo, 2007, p. 9). Anche
il legislatore italiano si è così espresso a favore di processi di esternalizzazione e outsourcing di alcune importanti attività pubbliche istituzionali
sostanzialmente per tre ordini di motivi (Savas, 2000):
1) migliorare i risultati economici e ridurre il debito pubblico;
2) introdurre logiche manageriali da realizzarsi con accurati percorsi di
formazione e responsabilizzazione;
3) migliorare la qualità dei servizi introducendo anche politiche di marketing
e di customer satisfaction (Borgonovi, pp. 298 e ss.).
La peculiarità dei processi di privatizzazione o esternalizzazione che si sono
avuti in Italia e che sono tutt’ora in corso è il ruolo che la p.a. continua a
svolgere, mantenendo sempre una forma di indirizzo/coordinamento verso
1 Cfr. RHODES (1997).
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
quei soggetti individuati per la gestione dei servizi. La nostra attenzione
verrà quindi incentrata su questo particolare aspetto che riguarda l’affidamento, la gestione e il coordinamento dei servizi pubblici locali (di seguito
anche SPL).
Il ruolo dell’ente pubblico locale
Il principio guida del – seppur lento – processo di trasformazione e rinnovamento della macchina amministrativa è stato sin dall’inizio il noto principio di
sussidiarietà (Cesarini, 2000) orizzontale e verticale rimarcato e istituzionalizzato dalla riforma costituzionale (legge costituzionale n. 3/2001), inteso
come la necessità di attribuire il potere decisionale al livello territoriale più
prossimo alle esigenze da soddisfare favorendo e incentivando l’iniziativa
privata. Tuttavia la logica che ha caratterizzato l’azione amministrativa sin
dai primi anni del ’900 non è stata sempre la stessa; infatti, le funzioni ad
essa attribuite sono cambiate nel tempo, a volte capovolgendo completamente i ruoli di riferimento. Il primo strumento utilizzato dall’ente locale
per la gestione e l’erogazione dei SPL è stato “l’azienda municipalizzata”,
gestita in regime di riserva originaria (monopolio) dagli enti territoriali, il
cui ricorso è stato giustificato, almeno in un primo momento, da ragioni di
costi elevati a fronte di bassi rendimenti che non configuravano il servizio
appetibile per i privati e che, conseguentemente, rendevano necessario che
la gestione venisse assunta direttamente dai pubblici poteri. Agli inizi del
secolo scorso, (2) quindi, la p.a. partecipava direttamente, o tramite propri
“bracci operativi”, alla gestione ed erogazione dei SPL al fine di garantire
parità di trattamento tra i cittadini, anche per le fasce più deboli, e godere
delle rendite monopolistiche che in precedenza venivano incassate dai
privati che avevano in concessione tali servizi (Padovani, 2004, p. 80).
Successivamente, tale impostazione è stata completamente stravolta dagli
interventi normativi avutisi nei primi anni ’90 del secolo scorso, (3) tutti in
chiave “esternalizzante”, che hanno comportato il graduale processo di
emancipazione dell’azienda pubblica locale volto a riconoscere crescenti
margini di indipendenza e responsabilità e a dare all’azienda una veste più
aderente alla forma di impresa (Barbagallo, 2007, pp. 18 e ss.). Tale percorso di trasformazione è stato altresì accelerato dall’avanzare del processo
di integrazione europea e dal graduale affermarsi dei principi comunitari di
libera concorrenza, che hanno reso incompatibili le gestioni dirette tipiche
delle realtà dei servizi pubblici e, congiuntamente, hanno portato all’affer2 Con la legge Giolitti, emanata nel 1903, si pose finalmente rimedio ad una situazione che
si trascinava dal 1898. Gli interessi dei soggetti privati erogatori dei principali servizi pubblici locali contrastavano con l’interesse collettivo, generando inevitabilmente un fallimento di
mercato per tutto il settore.
3 Nel periodo tra le due guerre, infatti, l’intervento pubblico divenne ancora più necessario
tanto da favorire e poi accompagnare le fasi della ripresa e dello sviluppo, noto come boom
economico, che va dagli inizi degli anni ‘50 a circa gli inizi degli anni ‘70, anni in cui l’intervento dello Stato, da sostegno ai cittadini, si tramutò in uno sperpero di risorse e in una crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico.
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La governance delle public utilities
mazione di nuove logiche di governo indirizzate al contenimento dei costi
(Patto di stabilità interno), nonché ai principi di economicità, competitività
e trasparenza della gestione. In un tale contesto risulta evidente per l’ente
locale la necessità di reimpostare i tradizionali assetti organizzativi favorendo il graduale abbandono delle funzioni di erogatore diretto dei servizi
pubblici e offrendo la possibilità di affidare il servizio a gestioni, pubbliche
o private, con un assetto organizzativo effettivamente imprenditoriale capace
di rispettare i nuovi principi. Il primo intervento significativo si è avuto solo
nel 1990 con la legge n. 142 per il riordino delle autonomie locali. In tale
occasione si è voluto regolamentare il ricorso a forme alternative di gestione
dei servizi pubblici, (4) superando in modo definitivo l’attuale status quo.
In effetti, il legislatore del ‘90 lasciava come forma residuale la gestione
diretta ritenendola necessaria solo quando per le modeste dimensioni o per
la natura del servizio non sia conveniente costituire una istituzione o una
azienda (art. 22, legge n. 142/1990).
La principale novità è stata proprio l’individuazione della società di capitali come forma alternativa di gestione, (5) la quale presentava, e presenta
ancora oggi, un duplice vantaggio: da un lato, consente di unire le forze
di diversi soggetti, pubblici e privati, in termini di capitali e competenze
gestionali; dall’altro, favorisce una maggiore flessibilità dovuta proprio al
ricorso alla normativa del diritto privato liberandosi dalle “ingessature” della
disciplina pubblicistica (Padovani, 2004, p. 83). Il nuovo quadro normativo
ha favorito quindi un processo di “privatizzazione formale” mantenendo
pur sempre un modello di corporate governance, in cui l’amministrazione
pubblica locale (in seguito anche APL) continua a essere proprietaria o,
quantomeno, il controllore di maggioranza dei soggetti gestori configurandosi come holding di un sistema di società (Anselmi, 2001, p. 46).
La permanenza di numerose residue gestioni dirette è dimostrazione
senza dubbio della debolezza di questi primi interventi normativi, in quanto
permangono ancora elementi di sovrapposizione dei ruoli e di scarsa trasparenza di relazioni contrattuali e ciò vale sia nell’ipotesi di affidamenti diretti
ad aziende pubbliche che in quella di concessioni a imprese private. (6) Nel
caso di un affidamento diretto a un’azienda pubblica a prevalente proprietà
dell’ente locale, il ruolo di governo e quello proprietario coincidono con
una commistione di obiettivi tra loro spesso in conflitto. La proprietà di tutto
o comunque gran parte del capitale delle aziende trasformate viene infatti
4 Con la legge n. 142/1990 alla gestione in economia si affianca un più vasto ventaglio di
possibilità per la gestione dei servizi pubblici: le aziende speciali, dotate di personalità giuridica, autonomia imprenditoriale e proprio statuto; le società per azioni a prevalente capitale
pubblico; i consorzi tra più enti locali; le istituzioni; le società per azioni minoritarie e poi anche a responsabilità limitate (che sono quelle a cui si è fatto meno ricorso).
5 Fino al 2001 si contano ben 372 società di capitali per la gestione dei servizi pubblici locali, di cui 309 s.p.a. a prevalente capitale pubblico e solo 10 a maggioranza privata. Rapporto Confservizi del 2001.
6 È del tutto evidente che in tali situazioni non si può parlare di mercati liberalizzati: l’impresa concessionaria gode infatti di rilevanti rendite, potendo contare per periodi lunghi di una
condizione di esclusiva nella gestione del servizio e potendo utilizzare, generalmente con oneri modesti, beni pubblici, SPADONI (2006).
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316
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
Tavola 1 – Principali interventi normativi in ambito di Servizi pubblici locali
Ordinamento delle autonomie locali
Legge n. 142/1990
Leggi per il riordino delle maggiori
utilities locali tese a garantire l’aggregazione verticale e orizzontale delle
gestioni con l’obiettivo di ricomporre
cicli settoriali integrati
(ATO)
Legge n. 36 del 1994 (Galli)
D.lgs. n. 22 del 1997 (Ronchi)
D.lgs. n. 422 del 1997 e n. 400 del 1999
D.lgs. n. 79 del 1999 (Bersani)
D.lgs. n. 164 del 2000
Testo unico sull’ordinamento degli enti
locali
D.lgs. n. 267/2000
Legge finanziaria per il 2002
Legge n. 488/2001
Decreto Bersani - Visco
Disegno di legge Lanzillotta
Legge n. 248/2006
D.d.l. n. 772 del 2006
Decreto Brunetta
Legge n. 133/2008
Art. 22: forme di gestione dei Servizi
Pubblici
Per il settore idrico
Per l’ambiente e rifiuti
Per il settore del trasporto pubblico
Per il settore dell’energia elettrica
Per il settore del gas
Art. 113: erogazione dei SPL di rilevanza
economica
• a società di capitali individuate attraverso gara pubblica
• a società a capitale misto pubblico
privato
• a società a capitale interamente pubblico nel rispetto dei vincoli della gestione
in house 1
Art. 35:
• l’APL è responsabile della sola funzione
pubblica
• obbligo di gara con procedimento ad
evidenza pubblica
• definire una scadenza alla durata degli
affidamenti 2
Decreto sulle liberalizzazioni
Codice delle Autonomie
Art. 23-bis: affidamento e gestione dei
SPL di rilevanza economica in applicazione della disciplina comunitaria e dei
principi di concorrenza
nota 1: “(…) per essere in house, precisa l’art. 113, una società deve rispondere a tre requisiti: 1. essere a capitale interamente
pubblico; 2. realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano; 3. su di essa
l’ente o gli enti pubblici devono esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”. POZZOLI in MULAZZANI, POZZOLI
(2006), pp. 26-31.
nota 2: Con tali disposizioni si sancisce, almeno teoricamente, la fine del monopolio pubblico a favore della concorrenza per il
mercato, laddove la concorrenza nel mercato non sia realizzabile. La previsione però, se pur in forma residuale, dell’affidamento
diretto nel rispetto dei vincoli e delle condizioni della gestione in house, sembra riportare alle “vecchie municipalizzate”, lasciando
comunque un quadro normativo di riferimento poco chiaro e di non facile interpretazione soprattutto nel definire il ruolo riservato
all’ente locale.
mantenuta presso l’ente locale che dunque si caratterizza a un tempo come
soggetto affidante del servizio, soggetto regolatore e soggetto proprietario.
Il rischio, in queste circostanze, consiste in una perdita di coerenza degli
indirizzi formulati dall’ente locale che possono così risultare incompatibili
con l’efficienza e l’economicità della gestione.
In effetti l’esercizio del potere di indirizzo in termini di imposizione di
impegni incompatibili con la situazione dell’azienda, oltre a vanificare il
conseguimento degli obiettivi, finisce per indurre comportamenti opportunistici da parte dell’impresa che svuotano lo stesso ruolo dell’ente locale. Le
aziende, dunque, per un verso sono ancora gravate da legami e tutele spesso
paralizzanti, dall’altro sono garantite nella loro posizione di monopolio,
legale o di fatto; circostanze, entrambe, che non mettono in condizione e
non stimolano comportamenti imprenditoriali. Si assiste, da un lato, alla
presenza di monopoli verticalmente integrati estesi ben oltre l’area tecni317
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
camente definibile di monopolio naturale, dall’altro a una frammentazione
orizzontale con la presenza di numerose aziende che esercitano il servizio
su ridotte aree locali protette, mantenendosi fortemente al di sotto di soglie
dimensionali accettabili. (7)
Successivamente, sulla scia del processo di liberalizzazione in atto a
livello comunitario, il legislatore ha dovuto ovviare a situazioni incontrollabili
che si erano create a seguito di abusi da parte sia di soggetti pubblici che
privati, avviando un ulteriore percorso di riforma dei SPL e delle modalità di
affidamento. La tavola 1 riassume brevemente i principali interventi normativi
avutisi dal 1990 al 2008 per il riordino dell’affidamento e della gestione
dei servizi pubblici locali.
La prospettiva della riforma è quella di vedere l’APL trasmigrare progressivamente da una posizione di intervento diretto con un alto grado di presenza
all’interno delle aziende di gestione, a uno status di soggetto meramente
regolatore con scarsa o nulla presenza nel capitale sociale. (8) Anche le relazioni con i cittadini e con gli utenti, in tale scenario, si arricchiscono di nuove
potenzialità e opportunità, in quanto nella regolazione di questi mercati una
speciale attenzione viene riservata ai bisogni dei cittadini e ai conseguenti
impegni in materia di qualità, trasparenza ed efficienza (accountability
democratica). In altri termini il quadro regolatorio che emerge configura un
sistema decisionale articolato su tre protagonisti principali: cittadini, enti
locali, gestori, i cui rapporti sono ispirati a logiche negoziali. (9)
2. La governance
Dato l’emergente ruolo che l’APL è chiamata nuovamente a svolgere nell’attuale processo di esternalizzazione dei SPL, diventa condizione necessaria
per gli enti locali dotarsi di nuovi strumenti e nuove regole che consentano di
raggiungere il giusto equilibrio tra economicità e qualità dei servizi offerti,
secondo una logica di cooperazione e collaborazione con le società partecipate. Da qui la necessità per l’APL di attuare politiche di direzione capaci
di armonizzare interessi, potenzialmente contrastanti, su obiettivi comuni
e condivisi, il cui grado di perseguimento venga comunque monitorato,
attraverso un rinnovato disegno dei sistemi di controllo interni ed esterni,
e dimostrato all’esterno mediante innovativi strumenti di accountability.
Adottare una corretta governance delle partecipate implica, innanzitutto,
garantire in senso positivo quanto appena descritto sia in termini qualitativi
sia economici e finanziari; in secondo luogo, consente un’apertura dell’ente
7 Cfr. SPADONI (2006).
8 Ricerche empiriche hanno dimostrato che gli enti locali hanno reagito al nuovo assetto normativo stringendo alleanze con altre imprese pubbliche locali al fine di fronteggiare le minacce della concorrenza, cfr. ELEFANTI (2006), pp. 38 e ss.
9 I rapporti tra ente locale e società gestore vengono infatti regolati e disciplinati nel “contratto di servizio”, mentre gli obblighi verso i cittadini/utenti vengono declinati nella “carta
dei servizi”.
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La governance delle public utilities
a un contesto allargato a tutti gli attori coinvolti nell’azione amministrativa,
trasformandosi esso stesso da stockholder (azionista/proprietario) a stakeholder (portatore di interessi) (Mulazzani 2005). Il concetto di governance
introdotto e importato dalla letteratura anglosassone, in Italia resta di non
facile interpretazione dato il suo aspetto multi-dimensionale. A detta di alcuni
studiosi (Pierre, Peters, 2000), il segreto del suo successo è dovuto proprio
alla vaghezza concettuale e alla flessibilità interpretativa che lo rendono
“duttile” e adattabile a differenti contesti e situazioni accrescendo di volta in
volta la sua utilità. (10) Facendo un breve excursus della letteratura italiana
e straniera si evidenziano diverse interpretazioni che solo in alcuni casi
trovano significativi punti di contatto.
Secondo un’interpretazione prettamente anglosassone (Schick, 2003) la
governance viene identificata con l’espressione governing without government che sta a significare il superamento dello Stato-Nazione, ritenuto troppo
distante dai cittadini, appesantito da strutture burocratiche, insensibile alle
esigenze dei cittadini, troppo orientato al rispetto della norma e non dei
risultati e incapace di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno (Cepiku,
2005). Qui la governance viene quindi intesa come modello sostitutivo di
quello tradizionale, basandosi su un forte decentramento delle risorse e
delle funzioni dalla p.a. centrale a quella locale, e sulla esternalizzazione
verso soggetti privati per una gestione più efficiente dei propri servizi. Secondo alcuni autori (Kickert, 2004), di stampo olandese, sarebbe meglio
parlare di public governance, intesa come influenza che la p.a. riesce a
esercitare sui processi sociali che si sviluppano all’interno di reti complesse
di attori autonomi ma allo stesso tempo interdipendenti tra loro. In questo
contesto nessun attore è dominante ma solo influente, compresa la p.a. La
differenza tra i due approcci consiste proprio nell’apertura della seconda
impostazione (public governance) verso l’esterno, cioè verso tutti quei soggetti coinvolti nelle attività decisorie. Questo è il tipico approccio seguito
anche dalla nostra tradizione italiana, di cui si è già fatto cenno nei paragrafi precedenti. Lo studio viene condotto raffrontando la governance con i
tradizionali modelli di government adottati finora dalla p.a., evidenziando
il passaggio da uno stile autoritativo a uno di tipo partecipativo. Autorevole
dottrina afferma che la governance non è “decidere sui problemi in modo
autonomo, dopo aver consultato altri soggetti” ma determinare “i criteri e i
processi per decidere sui problemi di interesse comune, tenendo conto delle
diversità, per adottare politiche, indirizzi e scelte capaci di far convergere
tutti gli interessi verso soluzioni reciprocamente accettabili” (Borgonovi,
2005, pp. 36-37). In tal senso, la governance di impostazione italiana
rappresenterebbe un superamento del “paradigma” del NPM (Meneguzzo,
1997), volta ad affinare gli strumenti di coinvolgimento degli stakeholder
nella definizione e implementazione di politiche pubbliche e a migliorare
10 “A key reason for the popularity of this concept is its capability to cover the whole range
of institutions and relationship involved in the process of governing”, PIERRE, PETERS (2000).
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
gli aspetti di accountability della p.a. verso i cittadini/utenti (accountability
democratica) (Cepiku, 2005).
Dimensioni di governance
Il problema che si pone a questo punto è di andare a verificare l’aderenza
della teoria di governance appena illustrata al contesto delle public utilities
locali. Si scontrano nella realtà due visioni radicalmente contrapposte. Da
un lato, vi è chi sostiene che la trasformazione della forma giuridica (società per azioni) delle imprese pubbliche di servizi determini una perfetta
rispondenza del modello di corporate governance di stampo privato con la
governance che l’ente locale esercita sulle sue partecipate in quanto proprietario del gruppo. All’estremo opposto vi è, invece, la posizione di chi ritiene
che le peculiarità delle aziende pubbliche locali richiedano una specifica
configurazione dei sistemi di governance, più rispondenti alle esigenze di
tutela degli interessi collettivi, oltre che di quelli propri dell’azienda e dei
suoi stakeholder. (11) La visione di governance pubblica implica quindi un
concetto più allargato di gestione che non vede l’ente sovraordinato alle
società partecipate ma quale soggetto partner di un’unica grande holding
che opera per il perseguimento di interessi comuni. L’obiettivo che ci si pone
in un’ottica di governance pubblica è proprio quello di gestire tali relazioni
definendo ruoli e funzioni tra APL e società di servizi senza alcun limite di
terziarietà tra soggetti ma secondo una logica di collaborazione reciproca,
di trasparenza e lealtà. L’ente locale dovrebbe infatti assolvere alle funzioni
di indirizzo strategico e di coordinamento politico al fine di raggiungere il
giusto equilibrio tra interessi collettivi e durabilità aziendale; (12) le società,
quali soggetti operativi del gruppo, dovrebbero proporre programmi e
piani aziendali che siano coerenti con le finalità indicate dall’ente locale
elaborando report periodici di breve periodo, al fine di ridefinire congiuntamente le azioni da perseguire (Mulazzani, 2005). Il quadro di riferimento
dei soggetti coinvolti nell’implementazione e della definizione dell’azione
amministrativa non si limita alle sole società partecipate. Infatti la public
governance, che l’ente locale si trova a dover esercitare quale coordinatore
e regista dei vari attori che operano nell’ambiente locale, si estende e si
sviluppa su tre diversi livelli:
a) governance o governabilità interna, ossia il complesso di strumenti e metodologie contabili e organizzative che consentono la gestione efficiente
ed efficace della struttura amministrativa;
b) governance o governabilità esterna, che consiste nell’insieme di strumenti e criteri che regolano proprio i rapporti tra ente pubblico e società
11 VALOTTI G., in ELEFANTI (2006), p. 106.
12 Che può essere raggiunta solo mantenendo elevati livelli di redditività ed economicità.
FARNETI (2005).
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
partecipate al fine di coordinare e ottimizzare lo svolgimento dei servizi
esternalizzati;
c) governance o governabilità inter-istituzionale, che va a definire regole,
procedure e strumenti da attivare per facilitare l’integrazione operativa
e strategica di soggetti istituzionali che operano sulla stessa comunità di
riferimento.
La funzione dell’APL è quella quindi di pianificare attività, risultati ed effetti
al fine di promuovere il progresso – in tutte le dimensioni – della collettività
amministrata e anche al fine di tutelare, trasformare, valorizzare il territorio e le sue istituzioni per conservarne e aumentarne il valore, sia per la
generazione attuale, sia per quelle future (Mulazzani 2008). Attuare una
buona governance pubblica consente il perseguimento di questi obiettivi
mantenendo sempre una impostazione di collaborazione reciproca.
3. Le società per azioni dei servizi pubblici locali
Come già ampiamente descritto nei paragrafi precedenti, gli ultimi anni
sono stati intensi per la p.a. italiana, sia nella decisiva azione di esternalizzazione dei propri servizi, sia nella proliferazione delle aziende cosiddette
strumentali, che, pur assumendo nuove sembianze, hanno nella sostanza
riprodotto vecchi schemi e consolidate logiche di gestione. (13)
Partendo dalla ricerca di una definizione di servizio pubblico e dai
principali aspetti normativi che concernono la materia, appare utile soffermarsi sui modelli di governance che sembrerebbero meglio interpretare le
specifiche esigenze di governo e di controllo degli enti locali partecipanti e
delle loro aziende partecipate, per individuare delle soluzioni alle evidenti
problematiche poste da una organizzazione dei servizi spesso inadeguata
e incoerente rispetto alle risorse investite e alle attese di cittadini e utenti. (14)
In merito alla definizione di servizio pubblico locale, il legislatore, lungi
dall’individuarne i tratti fondanti attraverso una dettagliata e analitica rappresentazione, ne tratteggia la configurazione mediante l’indicazione dei
noti elementi tipizzanti quali l’oggetto, consistente nella produzione di beni
e attività, e la natura funzionale, ovvero la realizzazione di fini sociali e la
promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali.
13 Ciò è ancora più vero se si pensa alla specificità degli enti locali italiani e alla loro storia: prima le municipalizzazioni, poi le privatizzazioni e infine le liberalizzazioni lo dimostrano. Ma evidenti sono purtroppo anche i ritardi accumulati. “Nei servizi pubblici locali la stessa privatizzazione ha fatto pochi passi avanti; la liberalizzazione manca quasi del tutto, tanto che la gestione può essere affidata senza gara a società pubbliche o miste. Le amministrazioni locali detengono ancora il controllo di molte imprese operanti nella fornitura di servizi
pubblici. In taluni casi ambiscono ad ampliare la gamma dei servizi offerti, innescando fenomeni di ripubblicizzazione”. Dalle Considerazioni Finali del Governatore Mario Draghi alla
112° assemblea generale ordinaria della Banca d’Italia, svoltasi il 31 maggio 2006. “(…) il
processo di privatizzazione imposto dal Legislatore è stato più di natura formale che sostanziale”. Cfr. MINGARELLI, in PERULLI, MINGARELLI, (2008), p. 77.
14 Il presente contributo, tra l’altro, riprende, sviluppa e aggiorna anche alcune questioni
già trattate in RICCI (2006).
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
La definizione normativa, non particolarmente esaustiva e soprattutto
“fluida e duttile”, (15) consente interessanti spunti di riflessione già accennati
in precedenza:
1) i titolari dei servizi pubblici locali sono tutti gli enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane, le Comunità montane, le Comunità isolane e
le Unioni di comuni), a differenza di quanto disposto in origine all’art.
22 della legge n. 142/1990;
2) la titolarità si estende entro i confini delle competenze dei predetti enti,
individuate nell’ambito delle funzioni amministrative proprie e di quelle
conferite con legge statale o regionale, come costituzionalmente previsto,
e naturalmente entro i confini fisici del territorio di appartenenza;
3) l’individuazione delle diverse produzioni e attività da parte degli enti
locali è libera, rispondendo esclusivamente a vincoli di scopo e di oggetto
e considerando le effettive esigenze delle comunità servite.
L’assenza di una definizione puntuale ha prodotto, tra l’altro, l’effetto di
rendere non del tutto pacifica in dottrina (anzi nelle dottrine, giuridica ed
economica) la qualificazione di servizio pubblico. Sulla questione si annoverano almeno tre scuole di pensiero.
Secondo un primo filone di pensiero (soggettivista) il servizio sarebbe
qualificabile pubblico in relazione al soggetto giuridico che si assume la
responsabilità della erogazione: in questa direzione sono pubblici tutti i
servizi prestati da soggetti o entità economiche appartenenti alla p.a. Un
secondo filone di pensiero (oggettivista) ritiene che la qualificazione pubblica
di un servizio debba farsi discendere in considerazione non del soggetto
che materialmente è chiamato a prestarlo, pubblico o privato che sia, ma
piuttosto dalla protezione giuridica e dal merito di tutela riconosciuti al
diritto di utilizzo o di accesso al servizio. Un terzo filone di pensiero (Landolfi, 1999) sostiene, infine, una posizione intermedia definendo “servizio
pubblico quell’attività di facere (con eventuale dare strumentale al facere
stesso) non autoritativa, o limitatamente autoritativa, svolta dall’ente pubblico
o da un privato (relativamente, però, a compiti degli enti pubblici e purché
questi sia, in qualche modo inserito nella p.a.) attraverso un modello di
organizzazione tipizzato e finalizzato al perseguimento di un fine sociale”.
D’altro lato, anche nella dottrina economico-aziendale, si conferma, (16) a
ragione, che i servizi pubblici non siano “una categoria economica rigida
nel tempo, né uguale nelle varie comunità locali, poiché il loro oggetto cambia e si amplia nel tempo”. Anche dal punto di vista normativo le risposte
15 Gli enti locali conservano la più ampia discrezionalità nell’individuazione delle diverse
attività qualificabili quali servizi pubblici locali, nel rispetto delle prescrizioni normative relative all’oggetto ed allo scopo, in base alle concrete esigenze delle comunità locali di cui l’Ente esponenziale è l’interprete primario”, A. TERRAZZA, in CARINGELLA, GIUNCATO, ROMANO (2001),
pp. 592-594.
16 MULAZZANI, in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 11.
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
hanno assunto via via un significato diverso che si è concretizzato (17) nel
“passaggio dal concetto tradizionale di servizio pubblico della legislazione
nazionale a quello di servizio di interesse generale del diritto comunitario,
esposto inizialmente in Direttive sui servizi a rete (ma riferibili a tutti), nel
Trattato dell’Unione europea, nel Libro verde e, infine, recepito nella Costituzione europea”. Sul punto è interessante notare che la “categoria dei
servizi di interesse generale comprende servizi sia di interesse economico
che non economico; essa deriva da quella di servizi di interesse economico
generale usata nel Trattato dell’Unione europea”. Occorre precisare che
anche la distinzione tra servizi pubblici economici e non economici non è
affatto approfondita in sede comunitaria: unico elemento di distinzione la
presenza o meno di un mercato di riferimento, o se si preferisce la presenza
o meno di una finalità lucrativa. Sul punto è bene ricordare che la predetta
distinzione, accolta dall’ordinamento nazionale, ha prodotto l’effetto di far
dichiarare incostituzionale (Corte Costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004)
l’articolo 113-bis. (Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza
economica), non giustificandosi, in assenza di elementi di tutela della concorrenza, l’intervento del legislatore statale. (18) La questione riposa nelle mani
dei legislatori regionali a cui compete un ulteriore sforzo di chiarificazione
degli ambiti e delle competenze. Dopo aver definito, o ancora meglio dopo
aver tentato di definire, il concetto di servizio pubblico, entriamo nel vivo
del presente lavoro occupandoci del fenomeno della esternalizzazione che
costituisce, in parte, un significativo conseguente ambito di riflessione. Il
fenomeno della esternalizzazione (19) nella p.a. è fenomeno relativamente
recente. (20) Un processo di trasferimento all’esterno, da parte di una o più
amministrazioni pubbliche, della gestione di un’attività di erogazione e/o
di produzione utilizzando specifiche forme di governo o appositi modelli
contrattuali. L’emergente realtà fa riferimento anche a un crescente fenomeno di esternalizzazione non sempre giuridicamente indotto e in molti casi
spinto da ragioni di opportunità o convenienza economica. (21) A questo
fenomeno è possibile ricondurre un insieme di pregi e di difetti o di vantaggi
17 MULAZZANI, in MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 11-12.
18 Trattandosi di servizi privi di rilevanza economica non si individua un mercato concorrenziale e di conseguenza il legislatore statale è indebitamente intervenuto disciplinando una materia, non concernente la libertà di concorrenza, di competenza regionale e locale.
19 “Esternalizzare significa affidare una specifica produzione all’esterno di una data unità
e, di conseguenza, instaurare un rapporto di tipo contrattuale, fra cliente (amministrazione)
e fornitore (azienda). Spesso, è denominato, anche nella letteratura italiana, outsourcing deriva dalla fusione di due termini inglesi outside e resourcing o anche contracting out. (…)”.
MUSSARI, in D’AUTILIA, ZAMARO ( 2005), p. 13.
20 Cfr. FARNETI (2008).
21 “Il processo di decentramento produttivo, sicuramente visto con favore, nei suoi diversi modi di essere, richiede un’azione consapevole e professionale di regia accompagnata ad una progressiva perdita di coinvolgimento diretto nella produzione delle attività lucrative, delineando un futuro secondo la concezione del Comune holding. L’emergente realtà impone anche lo sviluppo, negli enti, di elevate capacità professionali da parte dei
soggetti aziendali, per la conduzione strategica e manageriale, al fine di pilotare, regolare e controllare i processi innovativi che caratterizzano il nuovo modello di APL”, GROSSI (2005), p. 136.
323
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
e di svantaggi, o ancora meglio di opportunità e di rischi, ben individuati
in dottrina. (22)
Le seguenti norme del Tuel disciplinano la materia dei servizi pubblici:
– articolo 113: Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica;
– articolo 113-bis: Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza
economica;
– articolo 114: Aziende speciali e istituzioni.
Rimanendo al tema del presente contributo, con specifico riferimento alle
forme attraverso cui i SPL possono essere gestiti, si vuole approfondire la
loro genesi, organizzazione e gestione anche con riferimento alle cosiddette
società in house previste dall’art. 113 del Tuel deputate allo svolgimento
di quelle attività considerate a rilevanza economica. Con specifico riferimento ad alcuni comparti, come ad esempio quello idrico, è interessante
notare che alla fattispecie delle società in house si sia aggiunta quella dei
cosiddetti “enti gestori salvaguardati”, ovvero enti per i quali proseguono
gli affidamenti in assenza di gare, dei prescritti requisiti dell’affidamento
diretto, e di altre determinazioni delle Autorità di ambito.
La predetta norma (Tuel) attiene alle modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali con riguardo alla tutela della libertà di
concorrenza, come in precedenza in qualche modo sottolineato, disciplinando, separatamente dalla gestione dei servizi, (23) la gestione delle reti,
disponendo che gli enti locali per la gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali si avvalgono: a) di società di capitali con
la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, cui può essere affidata
tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi; b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure a evidenza
pubblica.
Qualunque sia il tipo di attività affidata, e senza trascurare l’influenza
delle singole norme di settore che in ogni caso possono incidere e incidono
sulle decisioni degli assetti proprietari e di governo – si pensi ad esempio
all’art. 153, comma 1, del decreto legislativo 152/2006 (Codice ambiente)
che, prevedendo la concessione in uso gratuito delle infrastrutture idriche
all’ente gestore del servizio idrico, pone serie questioni sul futuro delle società
patrimoniali titolari delle reti – resta il problema di definire quali modelli
di gestione e di controllo siano auspicabili, soprattutto per una società in
22 Cfr. MUSSARI, in D’AUTILIA, ZAMARO ( 2005), pp. 25-26.
23 In merito alle varie forme previste dal Tuel per la gestione dei servizi si rimanda alla tavola
1, p. 7 del presente contributo. Sulla questione si consulti anche D’ORTA, MARCONI (2002), p.
75: “(…) L’orientamento a esternalizzare la gestione dei servizi è ribadito anche per i servizi
privi di rilevanza industriale, attraverso l’affidamento di questa a istituzioni, aziende speciali,
anche consortili e società di capitali, costituite o partecipate dagli enti locali”.
Azienda Pubblica 2.2009
324
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
house. Si intende nella sostanza soffermarsi sulla relazione tra governance
e accountability, tenuto conto delle tendenze del quadro normativo comunitario (Lostorto, 2007, pp. 107-117), che confermano tra l’altro uno spiccato
orientamento verso il principio di liberalizzazione dei servizi pubblici. Anche
dando uno sguardo alle Utilities degli altri Paesi europei, e in particolare di
quelle dell’Est da poco entrati nell’Europa dei 25, è interessante notare come
le condizioni di esistenza e le scelte di governance cambino decisamente.
Una recente ricerca (24) ha potuto verificare che:
– il ruolo delle capitali è fortissimo. Città come Varsavia, Budapest, Praga
condizionano da sole leggi, norme, regolamenti, tariffe. Rappresentano
più del 50% del mercato nazionale;
– nel settore idrico, è molto diffuso e prevale il principio che ogni città abbia
la sua azienda locale per la distribuzione dell’acqua, fatta eccezione per
la Repubblica Ceca e l’Ungheria a seguito della presenza di multinazionali
occidentali. La risorsa idrica è abbondante e le uniche preoccupazioni
provengono dalla gestione della depurazione e delle fognature;
– nel settore energia, sono forti i conflitti interni ad ogni Paese e le aziende
locali, a controllo azionario delle municipalità, sono fortemente vincolate
dalle pressioni politiche soprattutto in materia di tariffe;
– nel settore gas, le differenze con il resto dell’Europa si attenuano per
effetto della presenza di aziende fortemente orientate alla gestione manageriale.
La governance delle società dei servizi e loro accountability
In generale si afferma (Vaccari, 2006): “Il sistema dei controlli di società
di proprietà pubblica deve coniugare tanto il controllo della contabilità,
della gestione quanto la coerenza dei risultati, sotto l’aspetto qualitativo e
quantitativo. La partecipazione dell’ente locale nella società pubblica, (…),
nasce e si sviluppa per erogare primariamente servizi, anche in senso lato,
e presenta l’obiettivo principale di garantire un sempre più elevato livello
qualitativo e un contenimento dei costi e dei prezzi”. Questa affermazione,
pienamente condivisibile, riafferma la necessità di rendere massimamente
efficaci e professionali tutti i rapporti tra partecipante e partecipata, nella
ferma convinzione della complessità delle relazioni che esistono e si sviluppano tra ente pubblico e stakeholder, consumatore o utente finale, relazioni
che comunque non vengono ad essere interrotte, o addirittura negate, per
effetto del processo di esternalizzazione. In questa direzione diventa importante individuare modelli, formulare regole, tracciare procedure e percorsi
utili al complessivo disegno di realizzare gli obiettivi che dovrebbero essere
tipici della gestione di ogni servizio pubblico: economicità, accessibilità,
24 CANONICI (2007). La ricerca ha riguardato i seguenti Paesi: Lettonia, Polonia, Repubblica
Ceca, Slovenia, Ungheria, Cipro, Estonia, Lituania, Malta, Slovacchia.
325
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
universalità, fruibilità, comparabilità. “Il sistema di controllo di una società
a partecipazione pubblica da parte di un ente locale ha come obiettivo,
quindi, i risultati ottenuti nella attuazione di precisi indirizzi forniti da parte
dei soggetti partecipati” (Vaccari, 2006).
In questo senso le assemblee elettive degli enti locali formulano gli indirizzi e dettano gli orientamenti strategici, ma devono fornire anche precise
indicazioni per le forme del sistema di controllo da adottare; i rappresentanti
dell’ente (Sindaco, Presidente della Provincia, ecc.), per parte loro, partecipando alle assemblee, e più in generale agli organi societari e alla vita
sociale, diffondono e assicurano la volontà degli enti partecipanti.
Sono evidenti e occorre considerare almeno quattro relazioni che influenzano il modello di governance da scegliere:
1) relazione tra utenti (elettori) ed ente o enti partecipanti;
2) relazione tra enti partecipanti (in caso di più enti coinvolti);
3) relazione tra ente o enti partecipanti e azienda partecipata;
4) relazione tra utenti e azienda partecipata.
A queste relazioni potrebbero, inoltre, aggiungersi la relazione tra enti e partiti politici, che si sviluppa per effetto del concorso e del sostegno dei partiti
nelle scelte amministrative degli enti, e la relazione utenti/elettori e partiti
politici, che si sostanzia nella ricerca del consenso politico e nella funzione
interpretativa e organizzativa dei bisogni collettivi normalmente svolta dai
partiti. Funzione costituzionalmente garantita che assegna ai partiti politici
il ruolo di veri e propri soggetti economici delle aziende partecipate.
La numerosità delle relazioni e la complessità delle stesse richiede senza
dubbio sforzi di indirizzo, programmazione, controllo e coordinamento
elevatissimi, sforzi che possono essere messi in efficienza attraverso un
modello di governo adeguato, rispondente a tutti gli interessi in gioco. È
giusto ritenere, come ampiamente affermato in dottrina, che l’adeguatezza
della governance possa realizzarsi attraverso la scelta di diversi modelli e
l’applicazione di varie formule organizzative tutte in grado di affrontare,
e si spera risolvere, gli aspetti prevalenti della complessità delle relazioni
individuate (Persiani, 2003; Garlatti, 2004; D’Aries, Sarcina, 2006); ma
appare comunque confermato che nella società di capitali che adotta il
modello dualistico possa effettivamente trovare sintesi il governo efficiente
delle aziende dei servizi. (25)
In particolare, la presenza del Consiglio di sorveglianza, che può assistere alle riunioni del Consiglio di gestione, consente di svolgere diverse
funzioni di controllo antecedente, concomitante e susseguente prima impensabili. Il sistema dualistico contenuto negli articoli 2409-octies e seguenti
del codice civile contempla, infatti, la possibilità che lo statuto della società
preveda che l’amministrazione e il controllo siano esercitati da un Consiglio
25 Sul tema si veda POZZOLI in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 28.
Azienda Pubblica 2.2009
326
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
di gestione e da un Consiglio di sorveglianza. Al primo spetta la gestione
della società e lo svolgimento di tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale. Il secondo (Di Sabato, 2004, p. 218) “ha
funzioni miste, fungendo da trait d’union (o meglio trait de separation) tra
l’assemblea e l’organo gestorio dell’impresa sociale (…).”. Il Consiglio di
sorveglianza, infatti, affianca ai compiti di controllo, che sono riconosciuti al
Tavola 2 – L’architettura del sistema dualistico
Organo/Varie
Organo
Organo
assembleare di Controllo
Organo
amministrativo
Controllo
Contabile
Denominazione
Assemblea dei Consiglio di sorveglianza
soci
Consiglio di gestione
Società di revisione o revisore
contabile iscritta nel registro dei
revisori contabili istituito presso il
Ministero della giustizia
Composizione
Soci azionisti
Sono nominati dall’Assemblea. Almeno un componente
effettivo deve essere iscritto
nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero
della giustizia. Possibilità di
prevedere particolari requisiti
di onorabilità, professionalità e indipendenza attribuiti
nell’ambito del principio generale di autonomia statutaria
Sono nominati dal Consiglio di sorveglianza
e possono anche non
essere soci. Il numero
in ogni caso non può
essere inferiore a due
Società di revisione o revisore
contabile iscritti nel registro dei
revisori contabili istituito presso il
Ministero della giustizia
Ipotesi
Enti locali soci
Nominati dall’Assemblea dei
soci, in base alla presentazione di liste che garantiscano
la presenza delle minoranze
con previsione di un quorum.
Nell’organo può essere prevista la presenza di: rappresentanti di altri enti (Regione,
Provincia, Autorità di ambito)
interessati alla vita dell’azienda, rappresentanti dei lavoratori, rappresentanti dei
consumatori, nonché soggetti
indipendenti professionalmente qualificati
Devono essere nomina- Considerando i nuovi orientati soggetti in possesso menti
di particolari requisiti
professionali:
iscritti
ad albi professionali,
amministratori e/o dirigenti di azienda per
un certo numero di
anni, altri requisiti
Funzioni
Nomina il Consiglio di sorveglianza.
Promuove
l’azione sociale
di responsabilità
Nomina e revoca dei componenti il Consiglio di gestione;
approva il bilancio d’esercizio; valuta l’adeguatezza
dell’assetto
organizzativo,
amministrativo e contabile; delibera, se previsto dallo statuto, i piani strategici, industriali
e finanziari
Gestione dell’impresa,
compie tutte le operazioni necessarie per
l’attuazione dell’oggetto sociale. Può delegare proprie attribuzioni
a uno o più dei suoi
componenti
Ipotesi
Approva il Piano generale di
sviluppo e la
Costituzione
di comitati per
l’Utenza
Redige e sottopone all’As- Riferisce trimestralmen- Considerando i nuovi orientasemblea per l’approvazione il te al Consiglio di sor- menti
Piano generale di sviluppo e veglianza
la Costituzione di comitati per
l’utenza. Riferisce all’Assemblea semestralmente anche
con mezzi tecnologici avanzati
327
Verifica nel corso dell’esercizio e con periodicità almeno
trimestrale, la regolare tenuta
della contabilità sociale e la
corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione.
Verifica se il bilancio d’esercizio
corrisponde alle risultanze delle
scritture contabili
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
Collegio sindacale nel sistema tradizionale societario, alcuni compiti propri
dell’Assemblea (come ad esempio nomina e revoca dei consiglieri di gestione, approvazione del bilancio, ecc.). Sul punto è interessante considerare
la tavola 2 che mette in chiaro i principali elementi e l’architettura interna
del sistema dualistico (26) e identifica una ipotesi applicativa.
Fin qui le questioni relative al sistema di governance auspicabile. Entrando
nello specifico dell’attività di controllo, occorre analizzare il problema
della definizione del controllo analogo, carattere richiesto alle società in
house, premessa indispensabile per individuare il sistema di accountability
maggiormente rispondente alle esigenze di tutti gli stakeholder aziendali.
Una parte della dottrina sostiene (27) che realizzarlo “attraverso gli strumenti
del controllo di gestione è illusorio, anche se questo, purtroppo, è ciò che
ambiguamente” afferma la circolare 1727/2001 del Dipartimento delle
politiche comunitarie. Si condivide sul punto l’idea di riferirsi all’art. 114
del Tuel per l’individuazione di quelli che si possono ritenere gli atti fondamentali o i riferimenti documentali indispensabili per un orientamento del
controllo analogo (28):
– il Piano programma (Piano strategico, Piano generale di sviluppo,
ecc.);
– i Bilanci economici di previsione pluriennale e annuale;
– il Conto consuntivo;
– il Bilancio di esercizio.
Naturalmente non può esaurirsi l’attività di controllo solo nell’esame o nella
verifica dei predetti documenti, occorre poter ispirare a principi di gestione
comuni e condivisi l’intera azione di gestione. Tale questione vede accresciuta la sua complessità se osservata nelle società partecipate contestualmente
da più enti locali.
La giurisprudenza comunitaria e amministrativa sul punto è concorde
nel ritenere indispensabile che l’esercizio del controllo:
– sia congiunto;
– avvenga dall’esterno della società;
– impieghi strumenti di tipo pubblicistico. (29)
Occorre, in altri termini, poter contare su un efficace e pregnante sistema di
accountability che possa stimolare comportamenti di resa del conto, verso
26 Senza trascurare gli articoli 2449 e 2450 del codice civile.
27 POZZOLI In MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 26-29.
28 “Adattando questi principi alla realtà delle società di capitali sembra assolutamente ragionevole che il soggetto economico, in questo caso l’ente locale, possa pretendere di approvare, come dovrebbe fare per altro in ogni caso, il piano programma della società”, POZZOLI
in MULAZZANI, POZZOLI (2006), p. 27.
29 MINGARELLI in PERULLI, MINGARELLI (2008), p. 102.
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328
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
l’esterno, sia nei confronti dell’ente partecipante sia nei confronti degli utenti,
e, all’interno, nei confronti della struttura manageriale, e che soprattutto sia
in sintonia con il modello di governance scelto. Per realizzare un sistema
di accountability efficace e che risponda adeguatamente alle esigenze di
un modello di relazioni interistituzionali notevolmente mutato occorre (Ricci,
2005, p. 14):
–
–
–
–
–
–
–
un articolato e chiaro processo di programmazione;
una trasparente definizione delle responsabilità interne ed esterne;
un adeguato sistema di rilevazione contabile;
un efficace sistema interno di controllo e di valutazione;
una periodica attività informativa sull’azione svolta;
una significativa attività di benchmarking;
un apprezzabile impiego della tecnologia nei processi di comunicazione.
In questa direzione, appaiono significative, soprattutto per le potenzialità
meditative, le aree di controllo, a preventivo e a consuntivo, proposte da
alcuni studiosi (30) in specifici modelli o sistemi di controllo degli enti strumentali. In particolare, si sostiene l’opportunità di elaborare modelli di governo
ed esercitare forme di controllo sulla società partecipata con riferimento alle
seguenti dimensioni:
a) obiettivi e strategie;
b) livello, struttura e periodicità degli investimenti;
c) definizione del sistema tariffario;
d) equilibri economici, patrimoniali e finanziari;
e) rilevazione e misurazione del grado di soddisfazione dell’utenza;
f) adeguatezza delle procedure di comunicazione interne ed esterne.
Sulla prima dimensione di intervento è del tutto evidente che occorre esercitare rigorose forme di controllo per valutare la corrispondenza dei programmi
e delle strategie con i bisogni della comunità servita e con le interpretazioni
provenienti dall’ente o dagli enti locali partecipanti. Gli obiettivi e le strategie
dovrebbero essere oggetto di apposita approvazione da parte dell’Assemblea dei soci. Il documento programmatico potrebbe essere preparato dal
Consiglio di sorveglianza con il concorso di Comitati dei consumatori o
per l’utenza: il Piano generale di sviluppo dovrebbe riguardare anche il
livello, la struttura e la periodicità degli investimenti nonché la definizione
del sistema tariffario. (31) Il Piano dovrebbe tener conto e fare proprie le
indicazioni contenute nei documenti programmatici delle Autorità d’ambito,
30 STECCOLINI I., in MULAZZANI, POZZOLI (2006), pp. 535-540.
31 Dimensione importante è rappresentata dalla costruzione delle tariffe, costruzione che non
può prescindere: dal rispetto delle norme e degli impegni assunti con le altre istituzioni, dalla copertura dei costi di erogazione dei servizi, dalla compatibilità con le politiche e gli interventi sociali dell’ente e dai complessivi impatti di natura economico-sociale.
329
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
laddove previste. Per quanto concerne gli equilibri economico-finanziari
risulta indispensabile, invece, poter conoscere e approfondire i legami tra
obiettivi prefissati e risorse destinate alla loro realizzazione, poter valutare
la congruità dei risultati raggiunti in termini quantitativi, poter verificare la
sostenibilità finanziaria nel tempo delle azioni intraprese. Questa dimensione
potrebbe essere controllata direttamente del Consiglio di sorveglianza sulla
base di report periodici e di rendiconti forniti dal Consiglio di gestione, sulla
base di set di indicatori condivisi e ritenuti esaustivi delle esigenze cognitive
dei diversi soggetti interessati alla vita aziendale. Il grado di soddisfazione
dell’utenza dovrebbe essere costantemente monitorato con il contributo dei
Comitati dei consumatori, o di altri organi similari, attraverso una serie di
strumenti di rilevazione della qualità e della quantità dei servizi erogati.
Infine, si reputa non trascurabile la dimensione comunicazione. La comunicazione, quale veicolo dell’informazione, tra i soggetti interessati (ente
partecipante, società partecipata, utenti) deve presentare i caratteri della
affidabilità tecnologica, della utilità, della tempestività e della periodicità.
4. La gestione dei servizi pubblici locali: riflessioni conclusive
e prospettive
Da un’attenta analisi delle questioni e dei problemi richiamati sinteticamente
in questo contributo è evidente la situazione di incertezza in cui versa oggi
la gestione dei SPL, quei servizi cioè che, per definizione, dovrebbero
assicurare ai cittadini maggiore stabilità, sicurezza e benessere sociale. Nonostante i continui tentativi del legislatore di indirizzare il settore
dei SPL verso la liberalizzazione, lasciando l’opzione dell’affidamento
diretto come alternativa residuale (art. 113, comma 5, Tuel), dall’ultimo
censimento realizzato da Legautonomie (32) sugli affidamenti dei Comuni
capoluogo risulta che ben il 70% avviene in forma diretta e che l’incidenza
maggiore (circa l’85%) si registra proprio nei capoluoghi del sud Italia. Al
fine di accelerare il processo di riforma dei SPL, la legge Bersani prima
(n. 248/2006) e il decreto Brunetta poi (n. 112/2008) (33), tentano di
ricondurre l’affidamento della gestione dei SPL alle procedure a evidenza
pubblica come scelta obbligata, in via ordinaria, “nel rispetto dei principi
del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi
ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità
di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità”. (34) Il nuovo disposto
della cosiddetta “manovra d’estate” sposterebbe in tal modo l’affidamento
diretto alle società in house, in via del tutto “eccezionale” e dietro adeguata
motivazione, solo a causa di “peculiari caratteristiche economiche, sociali,
32 Tratto da Il Sole24Ore del 21 luglio 2008, n. 200.
33 Decreto legge convertito in legge n. 133 del 2008.
34 Legge n. 133 del 2008, art. 23-bis, comma 2.
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330
Esperienze innovative
La governance delle public utilities
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento risultanti
da una adeguata analisi del mercato dandone comunicazione a mezzo
di relazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle
Autorità di regolazione del settore, ove costituite”. (35) Lo schema di d.P.R.
emesso il 26 febbraio 2009, recante regolamento di attuazione dell’art.
23-bis, comma 10, della legge n. 133/2008 ricalca tendenzialmente la
norma, aggiungendo alle suddette condizioni per l’affidamento diretto dei
SPL in deroga alle modalità di affidamento ordinario mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, due ulteriori elementi-chiave: il rispetto
dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla
società e la prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti
pubblici che la controllano. (36) Su quest’ultimo punto è interessante notare
come possa esercitarsi un controllo analogo qualora la società fosse partecipata da una pluralità di enti soci tra loro completamente diversi o anche
omogenei tra di loro, ma comunque molto numerosi senza che nessuno di
questi detenga una quota di maggioranza rispetto agli altri. Analogo problema si presenta, secondo parte della dottrina, (37) nel momento in cui la
società di servizi a totale partecipazione pubblica si trovi a dover rispettare
i vincoli del Patto di stabilità interno previsto per gli enti che la controllano
secondo quanto disposto dallo schema di regolamento attuativo del 23-bis
(art. 4). Tale disposizione, infatti, oltre a limitare gli investimenti anche per
quei settori in cui sarebbero necessari, non specifica a quale Patto la società
dovrebbe partecipare, di quale ente. Tralasciando di seguito le questioni
irrisolte sembra interessante rilevare, invece, l’importanza, a parere di chi
scrive, dell’estensione alle società con affidamento diretto delle norme previste per la p.a. per le assunzioni di personale e per gli acquisti di beni e
servizi. (38) Questo consentirebbe di limitare il ricorso “improprio” alle società
a totale partecipazione pubblica per fini opportunistici o di mantenimento
del consenso politico, favorendo meccanismi di selezione meritocratica e
di scelte basate sulla convenienza economica e sull’efficienza.
I propositi della recente riforma sono, quindi, innovativi e se realmente
applicati potrebbero portare a un reale cambiamento del settore dei SPL in
termini di maggiore trasparenza e competitività; basti pensare, ad esempio,
che la durata dell’affidamento (39) deve essere commisurata alla durata
degli investimenti necessari per l’espletamento del servizio, proiettando il
35 Legge n. 133 del 2008, art. 23-bis, commi 3 e 4. Sul punto è intervenuto anche il Tar
Campania-Napoli, sezione I, con la sentenza n. 18797 del 28 ottobre 2008, dicendo che,
in tali casi, l’ente affidante deve: a) dare adeguata pubblicità alla scelta; b) motivare la decisione in base ad un’analisi di mercato; c) trasmettere la relazione con gli esiti della verifica all’Antitrust e alle autorità di regolazione di settore per l’espressione di un parere entro 60
giorni dalla relazione.
36 Art. 2, comma 1, lett. b), dello schema di d.P.R. 26 febbraio 2009.
37 Cfr. POZZOLI S., Sul Patto indispensabili scelte chiare e di buon senso, in Il Sole24Ore del
9 marzo 2009, n. 67, p. 11.
38 Art. 10, legge n. 133/2008 a cui rinviano gli artt. 5 e 6 dello schema di d.P.R. recante
regolamento di attuazione.
39 Si rimanda all’art. 23-bis, legge n. 133/2008, commi 8 e 9.
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Esperienze innovative
La governance delle public utilities
complesso delle attività nel mercato potenziale attraverso la redazione di
una sorta di business plan che dimostri la convenienza dell’affidamento. (40)
Il tema resta comunque complesso e i nodi da sciogliere sono ancora tanti, a
partire dalla stessa definizione di servizio pubblico e quindi individuazione
delle attività e delle prestazioni da qualificare come tali e alle quali far poi
corrispondere specifiche regole e particolari tutele, alla definizione dei limiti
e delle condizioni per gli affidamenti, fino a giungere alla governance e
all’accountability per le società di gestione. Date le suddette proposte, resta
sempre e solo alla discrezionalità e alla responsabilità di chi governa e
amministra il buon senso delle scelte effettuate.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
Il sistema contabile della Commissione europea
Roberta Santopietro
Dottore di ricerca in Economia e Direzione delle Aziende Pubbliche presso l’Università di Salerno
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Premesse metodologiche. 3. Il sistema della pianificazione. 4. Operazioni. 5. Il sistema
delle misurazioni. 6. Contributi del nuovo sistema contabile al miglioramento della conoscenza e dei processi decisionali
interni alla Commissione. 7. Conclusioni
Il presente lavoro si propone di verificare l’idoneità del nuovo sistema contabile della Commissione
europea a produrre informazioni utili al processo decisionale e al controllo del perseguimento
degli obiettivi organizzativi. Si analizza il modo in cui l’informazione contabile viene prodotta, ex
ante, secondo criteri utili per il controllo (ex post) delle risorse impiegate e dei risultati conseguiti e,
infine, i vantaggi ottenuti dalla Commissione europea a seguito dell’adozione del nuovo sistema
contabile rispetto alle esigenze del controllo organizzativo
The aim of this paper is to verify if the new accounting system of the European Commission is suitable for the production of information useful to make decisions and to check if the organization has
reached its targets. The paper examines how to produce, ex ante, accounting information useful
to allow (ex post) the check on the amount of resources used and targets reached and, finally, the
advantages gained from the European Commission by implementing the new accounting system in
order to comply with the requirements of the management control.
Si ringraziano il Professor Armando Camillo Buccellato (Università di Cagliari) e la dottoressa Rita Dedola per il prezioso contributo
Parole chiave: competenza economica – cultura del risultato – management
Key words: accrual – object oriented – management
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
1. Introduzione
L’obiettivo del lavoro è quello di verificare se l’informazione fornita dal sistema contabile adottato dalla Commissione europea nel 2005 è utile ai fini
del perseguimento degli obiettivi organizzativi. Più precisamente, l’articolo
si propone di indagare l’idoneità dell’informazione elaborata dal nuovo
sistema di contabilità a soddisfare le esigenze informative degli utilizzatori
interni alla Commissione europea, ossia tutti coloro i quali sono chiamati a
decidere sulle politiche da svolgere, sulle relative modalità di svolgimento
e sulle risorse da impiegare.
La necessità di gestire le politiche e le azioni comunitarie nel rispetto del
principio di efficienza, (1) ha costituito l’elemento principale che ha spinto
la Commissione europea ad adottare nel 2005 un sistema di contabilità
per competenza (accrual o economico-patrimoniale) che fornisce un quadro esaustivo della situazione finanziaria, economica e patrimoniale delle
Comunità europee e consente di tenere traccia delle risorse provvedute e
di quelle consumate per periodo.
L’implementazione di un sistema di contabilità per competenza è avvenuta gradualmente nel corso degli anni. Già nel 2000, con l’adozione del
Libro bianco sulla riforma (Commissione delle Comunità Europee, 2000),
la Commissione ha introdotto mutamenti di grande portata per quel che
riguarda il modello di gestione delle attività e delle politiche comunitarie:
ci si era resi conto che la semplice osservanza di regole giuridiche e procedurali nella gestione delle politiche e azioni comunitarie non sempre
garantisce il rispetto dei principi di efficienza e il raggiungimento di obiettivi
di crescita e di sviluppo comuni agli Stati membri dell’Unione. Il passaggio
a un modello manageriale basato sulla cultura del risultato, implica che la
mission (Simons, 2004, p. 34) e gli obiettivi che la Commissione intende
raggiungere siano formulati ed esplicitati in maniera chiara a tutti coloro
che contribuiscono al raggiungimento di risultati attesi affinché pongano in
essere azioni che siano funzionali all’obiettivo da raggiungere e che in fase
di pianificazione vengano individuate le attività e stanziate le risorse necessarie per poter ottenere una performance che non si discosti, o si discosti
lievemente, da quella attesa. In pratica con l’adozione del Libro bianco sulla
riforma, la Commissione europea ha avvertito la necessità di dotarsi di un
sistema centrale di controllo (Flamholtz, 2002) per mezzo del quale poter
gestire in maniera sistemica le politiche e le azioni comunitarie attraverso
una serie di attività (pianificazione, operazioni, misurazione, feedback e
valutazione/ricompensa) che siano strettamente legate e interdipendenti tra
loro e volte a creare valore nella collettività di riferimento; dal 1° gennaio
2003 è entrato in vigore il regolamento n. 2342/2002 della Commissione
in base al quale, secondo “il principio della contabilità per competenza, (…)
1 Per efficienza si intende il rispetto del “dovuto equilibrio tra risorse impiegate e risultati conseguiti” (SIMONS, 2005: p. IX).
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
le operazioni e gli eventi sono contabilizzati nel momento in cui si verificano
e non in occasione del pagamento o del recupero effettivi [e devono essere]
registrati nei conti degli esercizi ai quali si riferiscono” (art. 194), e infine,
nel 2005, è stata completata la riforma contabile e quella dei controlli
interni (2) e si è avuto l’adeguamento ai principi contabili internazionali del
settore pubblico Ipsas.
In pratica, la principale finalità della riforma del Libro bianco è quella
di consentire alla Commissione europea di portare a termine in maniera
eccellente gli obiettivi stabiliti dall’Unione europea; pertanto l’adozione
di un sistema di contabilità per competenza, supportato da un sistema
informativo integrato Erp (Enterprise Resource Planning), ha costituito lo
strumento la cui introduzione si ritiene possa consentire alla Commissione
europea l’adeguamento ai cambiamenti culturali e gestionali dettati dal
Libro bianco sulla riforma.
Di conseguenza, partendo dall’ipotesi che un utilizzo razionale delle
risorse di cui la Commissione dispone favorisce il raggiungimento di un
elevato livello di efficienza che, a sua volta, si traduce in un beneficio per gli
Stati membri e per la collettività di riferimento, (3) il problema della ricerca
è quello di verificare se il nuovo sistema contabile è capace di produrre
informazioni utili per le decisioni e il controllo del perseguimento dei fini
organizzativi; se con la contabilità economico-patrimoniale (IFAC, 2003;
Archibald, 1994), gestita mediante l’ausilio di un sistema informativo integrato, si è in grado di misurare i consumi e il livello di efficienza conseguito
dalla Commissione europea e quali sono i vantaggi ottenuti con il nuovo
sistema contabile rispetto alle esigenze del controllo organizzativo.
2. Premesse metodologiche
Le teorie e i paradigmi propri del controllo organizzativo, “inteso quale
processo che consiste nel controllare o influenzare il comportamento delle
persone in quanto membri di un’organizzazione formale per incrementare
la probabilità che essi raggiungano gli scopi organizzativi” (Flamholtz,
2002, p. 7), costituiranno il riferimento principale nello svolgimento del
lavoro, in quanto applicabili a qualsiasi tipo di organizzazione dotata di
risorse, umane e non, che dovranno essere organizzate e coordinate per
raggiungere risultati prefissati. È importante ricordare che “le organizzazioni
non hanno obiettivi: solo le persone che la costituiscono hanno obiettivi”
2 Con la riforma del Libro bianco, le attività di controllo, prima affidate a un controllore finanziario della Commissione, sono state decentrate nelle Direzioni generali in modo da responsabilizzare i Direttori generali nell’utilizzo razionale delle risorse affidategli. A livello centrale, è stato creato un servizio finanziario, un servizio di audit interno e un comitato di vigilanza per l’audit i cui compiti si concretizzano nel coordinamento e nel controllo dell’operato
delle Direzioni generali.
3 In termini di maggiori quantità di risorse finanziarie erogate dalla Commissione o, il che è
lo stesso, a parità di fondi erogati dalla Commissione europea, l’ammontare di denaro conferito dagli Stati membri risulta essere minore.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
(Anthony et al., 2001, p. 231) che, in alcuni casi, possono divergere da
quelli dell’organizzazione alla quale appartengono. Di conseguenza, la
probabilità per un’organizzazione di raggiungere i risultati attesi è tanto
più alta quanto maggiore è la coincidenza tra gli obiettivi delle persone
che la compongono e quelli organizzativi; lo scopo del sistema di controllo
organizzativo è perciò quello di indurre i membri dell’organizzazione ad
adottare comportamenti coerenti con i fini e gli scopi (4) da raggiungere.
Il fine della Commissione europea, sancito dal Trattato che istituisce la
Comunità europea (articolo 211, comma 1), è quello “di assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune nella Comunità” attraverso
lo svolgimento di attività che utilizzano risorse finanziarie provenienti principalmente dagli Stati membri; (5) tali risorse in entrata vengono impiegate
per l’acquisizione nel mercato di altre risorse, per le quali viene pagato
un prezzo, e che risultano essere funzionali allo svolgimento di attività e
politiche attraverso le quali la ricchezza accumulata viene ridistribuita agli
Stati membri sotto forma di fondi e contributi, oppure ad altri soggetti a
titolo di partecipazione a programmi che la Commissione europea intende
portare avanti (6) (figura 1). In pratica, nella sequenza: input > processo >
output, il denaro costituisce per la Commissione europea il fattore di input
(risorse provenienti dagli Stati membri) ma anche di output (risorse erogate
agli Stati membri); il processo di produzione della Commissione europea
consiste quindi nella redistribuzione del denaro nel tempo e nello spazio.
Figura 1 – Sistema delle relazioni finanziarie della Commissione europea
Stati Membri
contribuenti
(risorse finanziarie)
Mercato
Commissione
Europea
(fattori produttivi)
Stati Membri
destinatari
(risorse finanziarie)
4 FLAMOLTZ (2002) distingue i fini dagli scopi. Il termine “fini” viene usato per indicare gli obiettivi a medio/lungo termine; mentre il termine “scopi” viene usato in relazione ad obiettivi di
breve termine che sono strumentali al raggiungimento di più ampi fini.
5 Fatta eccezione per le risorse proprie tradizionali (RPT), consistenti principalmente in dazi
doganali percepiti sulle importazioni di prodotti provenienti dai paesi terzi. Esse costituiscono circa il 15% delle entrate totali.
6 Si tratta di attività e politiche comunitarie svolte con Paesi terzi o con organizzazioni internazionali. Essendo una modalità di intervento “non principale”, le relazioni finanziarie che
ne derivano non vengono evidenziate in figura 1. L’esamina delle modalità di gestione delle
operazioni della Commissione europea verrà svolta nel § 4.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
La gestione di risorse comunitarie e lo svolgimento di attività e politiche
finalizzate a soddisfare bisogni ed esigenze avvertite dalla collettività di
riferimento richiamano l’attenzione sull’importanza che il sistema delle misurazioni, finanziarie e non finanziarie, ha all’interno della Commissione
europea per fornire indicazioni sui risultati raggiunti e indirizzare le persone
verso il conseguimento dei fini e degli scopi dell’organizzazione. Coloro
i quali partecipano al processo di implementazione delle politiche e delle
azioni comunitarie devono conoscere qual è l’obiettivo da raggiungere, le
azioni da compiere e le risorse e gli strumenti a loro disposizione al fine di
poter intervenire in maniera concreta e tempestiva nel processo di creazione
di valore. Le informazioni relative ai risultati raggiunti risultano indispensabili
per poter valutare se le azioni e i processi realizzati conducono effettivamente l’organizzazione verso gli obiettivi stabiliti ex ante; se è necessario
correggere eventuali errori che sono stati commessi durante l’attività di
gestione vera e propria o anche durante l’attività di pianificazione, e per
poter impostare l’attività futura sulla base dei risultati ottenuti.
Il sistema delle misurazioni può costituire un punto di forza per la Commissione europea nel momento in cui l’organizzazione è dotata di un sistema
centrale di controllo attraverso il quale le attività di pianificazione, gestione,
misurazione, correzione e valutazione – ricompensa, vengono gestite in
maniera sistemica in vista del raggiungimento di fini e scopi strumentali alla
soddisfazione delle esigenze e delle istanze provenienti dalla collettività
Figura 2 – Modello schematico del sistema centrale di controllo
Fonte: FLAMHOLTZ (2002).
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
degli amministrati. Di conseguenza, per l’elaborazione del presente lavoro
è stato preso come riferimento il modello del sistema centrale di controllo
elaborato dal professor Flamholtz (2002) in quanto coerente con la cultura
del risultato su cui si è basata la riforma del Libro bianco; tale modello è
composto da cinque sottosistemi, che sono:
– pianificazione;
– operazioni;
– misurazione;
– correzione (o feedback);
– valutazione/ricompensa.
La funzione di misurazione rappresenta quindi solo uno dei cinque sotto
sistemi ciascuno dei quali, funzionando correttamente, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi organizzativi (figura 2).
3. Il sistema della pianificazione
All’interno della Commissione europea, il processo di definizione dei fini
risulta essere già in parte delineato dalle finalità che il Trattato che istituisce la Comunità europea assegna alla Commissione (articolo 211), dalle
priorità politiche adottate dal Consiglio europeo e dagli obiettivi definiti
nella Strategia di Lisbona. Di conseguenza, gli obiettivi quinquennali (fini)
stabiliti dalla Commissione europea all’inizio del suo mandato (7) riprendono
i grandi temi politici stabiliti a livello europeo, a loro volta formulati a seguito
dell’analisi dei bisogni della collettività di riferimento e nella consapevolezza
che l’intervento dell’Unione europea in specifici settori possa costituire un
fattore di sviluppo economico e politico. (8) I fini della Commissione europea
vengono poi tradotti in scopi, ossia in obiettivi annuali che la Commissione
si impegna a raggiungere in un esercizio specifico (programmazione);
tali scopi rappresentano il punto di riferimento per l’individuazione delle
azioni strumentali al raggiungimento dei risultati attesi (progettazione), per
l’organizzazione e il coordinamento delle attività e dei processi da svolgere
(organizzazione) e, infine, per il budgeting.
L’attività di pianificazione all’interno della Commissione ha, quindi, il
suo punto di partenza nella definizione di specifici fini e scopi che rappresentano la risultante di un processo di comunicazione bi-direzionale (topdown e bottom-up) tra il Consiglio e la Commissione europea, e finalizzato
7 Gli obiettivi strategici della Commissione europea per il periodo 2005-2009 sono: prosperità; solidarietà; sicurezza e libertà; Europa come partner internazionale. Per approfondimenti, cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE (2005).
8 In questo contesto, il ruolo della Commissione europea è quello di fungere da anello di collegamento tra la collettività di riferimento e il potere esecutivo esercitato dal Consiglio europeo e cui spetta il compito di stabilire i fini da raggiungere e le risorse finanziarie da provvedere per un periodo di tempo di sette anni. Il Consiglio europeo è composto da un rappresentante per Stato membro; rappresenta il soggetto economico dell’Unione.
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La contabilità della Commissione europea
ad individuare i risultati attesi, le risorse necessarie e gli indicatori utili per
misurare, e quindi valutare, in termini non monetari i progressi e gli obiettivi
generati dallo svolgimento di una data politica comunitaria. Tale metodologia
di gestione delle politiche comunitarie ha le sue fondamenta teoriche nel
Management By Objective (MBO); (9) tuttavia, l’utilizzo della sola metodologia del MBO non è di per sé sufficiente a garantire alla Commissione
europea il raggiungimento dei fini e degli scopi stabiliti. L’utilizzo, a partire
dal 2004, dell’Activity Based Management (ABM) a supporto della progettazione, organizzazione e nello svolgimento delle attività della Commissione
europea ha voluto costituire una risposta al problema dell’impiego razionale
delle risorse scarse in vista del raggiungimento di un dato risultato, (10)
generando notevoli cambiamenti nell’organizzazione delle risorse e nella
gestione dei processi interni. (11) Più precisamente, l’impiego della metodologia ABM presuppone che, all’interno della Commissione europea, avvenga
un continuo reengineering dei processi e delle attività da svolgere al fine di
individuare, per ciascuno degli scopi stabiliti, le attività generatrici di valore
e coordinarle tra loro secondo i principi dell’analisi di processo (Candiotto,
2003). Si crea, così, una relazione circolare tra obiettivi, attività e risorse,
ove la definizione degli obiettivi da raggiungere determina l’individuazione delle attività da svolgere e delle risorse da provvedere e, viceversa, le
attività da svolgere e le risorse disponibili influiscono sulla definizione degli
obiettivi da raggiungere (figura 3).
9 “Il Management By Objective (MBO) viene trattato da PETER DRUCKER (1954; 1965) in un libro innovativo sulla pratica manageriale: “In altre parole, la gestione per obiettivi è un processo mediante il quale i dirigenti e i collaboratori individuano insieme gli obiettivi comuni,
definiscono i settori di responsabilità di ciascuno in termini di risultati richiesti e utilizzano la
valutazione sui risultati conseguiti per gestire risorse e attività, nonché per valutare il contributo di ciascun membro dell’organizzazione. È quindi un metodo, uno strumento gestionale che
può contribuire al miglioramento del sistema e della produttività dell’unità organizzativa tramite la valutazione delle prestazioni del singolo sulla base di obiettivi stabiliti e concordati a
priori” (BOCCHINO, 2000, p. 377).
10 L’Activity Based Management si basa sulla logica che “per il conseguimento del vantaggio competitivo è necessario superare l’ottica di prodotto e impegnarsi sul controllo delle attività lungo la catena del valore, al fine di valutare come le attività consumano le risorse e
come contribuiscono a realizzare la soddisfazione del cliente. Conseguentemente si deve procedere ad un continuo ridisegno dei processi, con la eliminazione delle attività che non generano valore aggiunto ed il miglioramento delle modalità operative delle attività inefficienti, finalizzando l’impiego delle risorse aziendali all’obiettivo primario, che è quello del conseguimento del vantaggio competitivo attraverso la massima soddisfazione del cliente” (PASTORE, 1995, p. 71).
11 Con l’adozione dell’ABM, anche la struttura organizzativa della Commissione europea è
stata oggetto di modifiche in quanto si è propeso per un’organizzazione per funzioni in cui
ciascuna Direzione generale (DG) è specializzata in un settore specifico. In pratica, un’azione comunitaria viene svolta grazie al contributo di una o più Direzioni generali competenti in
determinati settori, mentre il coordinamento delle attività della Commissione è garantito dal
Segretario generale. Nel caso in cui la Commissione ritenesse di non essere dotata di risorse
adeguate per poter raggiungere gli obiettivi stabiliti, può far ricorso all’esternalizzazione di
specifiche attività (fatta eccezione per le attività di tipo normativo o negoziale e le operazioni di stanziamento di fondi che comportano l’esercizio di poteri discrezionali di cui può essere investita solo un’amministrazione pubblica). L’attività politica, invece, è affidata ai Commissari impegnati, in fase collegiale, nel definire gli indirizzi politici della Commissione; mentre singolarmente ciascun Commissario assicura il buon funzionamento dei servizi della Direzione generale di cui è responsabile ed il compimento delle funzioni fondamentali strumentali allo sviluppo delle politiche nel settore di competenza della DG.
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La contabilità della Commissione europea
Figura 3 – Relazione obiettivi – attività – risorse del sistema ABM nella Commissione europea
L’attività di budgeting diventa così parte integrante del processo decisionale;
ciò è tanto più vero nel momento in cui il budget (o Progetto preliminare
di bilancio – PPB – per la Commissione europea) viene costruito utilizzando la stessa logica e i medesimi principi su cui si basa l’ABM e l’MBO
utilizzati dalla Commissione europea. A tal fine, l’adozione dell’Activity
Based Budgeting (ABB) (Pastore, 1995; Zanenga et al., 1994) consente
di quantificare le risorse necessarie per il raggiungimento di risultati attesi
sulla base dell’ammontare delle risorse finanziarie che si prevede di erogare
nel periodo di riferimento; detto in altri termini, il Progetto preliminare di
bilancio della Commissione europea, redatto secondo la metodologia ABB,
viene costruito partendo dagli scopi da raggiungere e serve ad evidenziare
quanta ricchezza spendibile viene prodotta, (12) come viene ripartita tra le
diverse azioni comunitarie e qual è il costo da sostenere per il funzionamento
dell’apparato amministrativo.
La tabella 1 evidenzia come l’informazione finanziaria viene organizzata
sulla base delle decisioni relative agli obiettivi da raggiungere e alle attività
da svolgere mostrando quanta ricchezza spendibile ciascuna Direzione
generale prevede di produrre, come le risorse finanziarie vengono ripartite
tra le diverse priorità politiche e il costo di funzionamento per ciascuna DG
(colonna 5 “Amministrazione”).
La conciliazione tra i dati di budget della Commissione e quelli dell’Unione europea avviene nella riga “Altre istituzioni (escluse le pensioni)” del
PPB della Commissione in cui viene riportato il costo del funzionamento
delle altre istituzioni comunitarie, quali: Parlamento europeo, Consiglio dei
ministri, Corte di giustizia, Corte dei conti, Comitato economico e sociale,
Comitato delle regioni, Mediatore europeo, Garante della protezione dei
dati. La Commissione europea è l’unica, tra le istituzioni dell’Unione, ad
aver adottato la classificazione per funzione (o destinazione) secondo la
logica ABB per la redazione del budget e del bilancio consuntivo; le altre
istituzioni continuano a mantenere una classificazione delle spese per origine
(o natura). Di conseguenza, con l’espressione “bilancio della Commissione
12 La ricchezza spendibile prodotta è data dalla differenza tra le risorse finanziarie assegnate e quelle consumate dalla Commissione europea per lo svolgimento delle politiche comunitarie (riassunte nella colonna 5 – Amministrazione); costituisce, cioè, l’ammontare di risorse
finanziarie erogate per ciascuna priorità politica.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
europea” si fa riferimento a tutti quei valori generati dalla sola Commissione per lo svolgimento delle attività di gestione e che vengono classificati
secondo la logica ABB; mentre con l’espressione “bilancio delle Comunità
europee” si fa riferimento ai valori generati dal funzionamento di tutte le
istituzioni comunitarie.
Tabella 1 – Progetto preliminare di bilancio (PPB) 2008 per settore e per rubrica
del quadro finanziario
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La contabilità della Commissione europea
4. Operazioni
La “fabbricazione” in senso stretto di un determinato risultato si realizza
attraverso il sistema delle operazioni che costituiscono l’insieme delle attività,
progettate e organizzate in fase decisionale, che vengono materialmente
svolte dalla Commissione europea per l’attuazione delle politiche comunitarie.
In alcuni casi, le operazioni di gestione vengono svolte interamente dalla
Commissione europea; si parla quindi di gestione centralizzata diretta delle
azioni comunitarie. Viceversa, nella maggior parte delle ipotesi, le azioni
comunitarie vengono attuate grazie all’intervento di agenzie esecutive, (13)
agenzie tradizionali, (14) e agenzie nazionali, configurandosi una gestione
centralizzata indiretta; o ancora attraverso una gestione concorrente (con
gli Stati membri), decentralizzata (con Paesi terzi) o congiunta (con organizzazioni internazionali) (figura 4).
Figura 4 – Modalità di gestione delle operazioni della Commissione europea
13 Sono organizzazioni istituite per svolgere determinati compiti relativi alla gestione di uno
o più programmi comunitari. Hanno una durata determinata e devono essere ubicate nella
sede della Commissione europea (Bruxelles o Lussemburgo).
14 Sono organismi di diritto pubblico europeo, distinte dalle istituzioni comunitarie e dotate
di personalità giuridica. Sono istituite con atto di diritto derivato (atti poste in essere dalle istituzioni comunitarie per la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal Trattato) e svolgono compiti molto specifici di natura tecnica o scientifica, ovvero di gestione nell’ambito del “primo pilastro” dell’Unione europea (costituito dal meccanismo comunitario, ossia dai Trattati istitutivi delle Comunità europee).
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La contabilità della Commissione europea
La gestione concorrente costituisce la principale modalità di intervento della
Commissione europea a supporto degli Stati membri e avviene attraverso
l’erogazione di risorse finanziarie sotto forma di sovvenzioni, appalti pubblici, fondi strutturali e programmi per giovani. Nella gestione concorrente,
la Commissione europea, una volta erogate le risorse finanziarie, ha il
compito di controllare il corretto impiego dei fondi da parte degli Stati
membri beneficiari.
5. Il sistema delle misurazioni
Ex post, i processi vengono esaminati per le azioni di verifica dei risultati e
pertanto vengono inclusi nell’attività di controllo, necessaria per individuare e analizzare eventuali cause di scostamento e per reimpostare l’attività
futura. Seguendo questa logica, il sistema delle misurazioni (composto dal
sistema contabile e dal sistema informativo) assume un ruolo fondamentale
in quanto idoneo a fornire informazioni quantitative sui risultati ottenuti
(Anthony et al., 2001).
Il controllo sulle risorse finanziarie, che consente di ottenere informazioni
sulla ricchezza spendibile e sul tasso di esecuzione del bilancio, (15) avviene
a livello di singole Direzioni generali responsabili delle risorse consumate
e dei risultati raggiunti misurabili in termini di flussi di risorse finanziarie
erogate; mentre il controllo sugli indicatori dei progressi e degli obiettivi
avviene sulla base dei dati provenienti dagli Stati membri beneficiari degli
aiuti comunitari. Nell’ambito di questo paragrafo viene analizzato il sistema
contabile della Commissione europea, ponendo particolare attenzione al
tipo di informazione prodotta, e al modo in cui l’informazione viene gestita
secondo una logica di integrazione.
Il nuovo sistema contabile della Commissione europea
Il nuovo sistema contabile della Commissione europea si compone della
(Reg. n. 2342/2002, artt. 209-219):
• Contabilità di bilancio, il cui fine è quello di determinare, per ciascun
periodo, il risultato di amministrazione e il fondo cassa. Corrisponde alla
contabilità pubblica già utilizzata in precedenza; rileva i fatti di gestione
secondo il criterio di competenza giuridica e utilizza il metodo della partita
semplice (Pessina, 2000; Gabrovec Mei, 1995).
La tenuta della contabilità di bilancio è determinata dall’esigenza di
ottenere informazioni sui flussi finanziari (CNDC, 2003: pp. 45-68; Ipsas
2) e sull’ammontare di denaro di cui la Commissione dispone in un dato
momento e che dovrà essere ripartito tra le priorità politiche stabilite in fase di
pianificazione attraverso l’utilizzo della metodologia ABM (cfr. figura 3).
15 Il tasso di esecuzione del bilancio indica il grado di attuazione delle politiche comunitarie in termini di risorse finanziarie erogate.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
• Contabilità generale (o economico-patrimoniale), che utilizza il metodo
della partita doppia per la rilevazione dei fatti di gestione e il cui fine è
quello della determinazione del reddito d’esercizio e del patrimonio di
funzionamento.
Sotto un profilo informativo, il risultato d’esercizio per un’azienda pubblica costituisce un indicatore essenziale per valutare la sua capacità di
mantenere l’equilibrio tra risorse appropriate e risorse spese; più precisamente, per la Commissione europea un reddito d’esercizio positivo esprime
l’attitudine della collettività di riferimento di coprire, con proprie risorse,
l’onere derivante del soddisfacimento di un dato livello di bisogni in un periodo di tempo determinato mentre, se negativo, segnala la presenza di costi
superiori ai ricavi probabilmente a causa di una gestione poco razionale
delle risorse scarse o del soddisfacimento di un livello di bisogni superiore
a quello consentito. In entrambi i casi, un livello di costi superiore ai ricavi
genera un onere a carico delle future generazioni chiamate a reintegrare
le risorse consumate in precedenza.
Lo stato patrimoniale (Amodeo, 1994), invece, fornisce informazioni
inerenti la consistenza e la composizione degli elementi attivi e passivi di
cui la Commissione europea dispone in un dato momento per lo svolgimento delle attività di gestione; tali elementi compongono il patrimonio di
funzionamento, dato dall’ “accumulo di ricchezza generato dalle scelte del
passato” (Borgonovi, 2004, p. 110), e costituente “una fonte specifica da
cui trarre le utilità che variamente compattate o assemblate consentono di
predisporre i beni e i servizi atti al soddisfacimento dei vecchi e dei nuovi
bisogni” (Catturi, 1994, p. 2). Pertanto, le decisioni relative alle modalità
di utilizzo e di coordinamento delle risorse disponibili producono effetti sia
sul modo in cui la Commissione europea interviene, in un dato momento,
per la soddisfazione dei bisogni avvertiti dalla collettività di riferimento, ma
anche sulla ricchezza trasferita alle generazioni future. (16)
Così come progettato, il sistema contabile della Commissione europea
viene definito un “sistema duplice” in quanto l’applicazione del principio
della contabilità per competenza riguarda solo ed esclusivamente la contabilità generale, mentre l’esecuzione del bilancio resta soggetta al principio
della competenza giuridica.
Al termine di ciascun esercizio, in linea con quanto stabilito dai principi
contabili internazionali per il settore pubblico – Ipsas 1, vengono redatti i
seguenti prospetti:
16 L’analisi dello Stato patrimoniale della Commissione europea, redatto al termine dell’esercizio 2006, evidenzia l’esistenza di un attivo netto che potrà essere o finanziato nel breve
termine attingendo alle risorse di bilancio già approvate, oppure a lungo termine dagli Stati
membri. In entrambi i casi i cittadini europei dovranno sopportare un sacrificio maggiore rispetto ai benefici ottenuti in termini di minori bisogni soddisfatti o anche di maggiori risorse
finanziarie da corrispondere all’Unione europea. Per approfondimenti, cfr. GAZZETTA UFFICIALE
DELL’UNIONE EUROPEA, 2007/C 274.
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
a) Stato patrimoniale;
b) Conto economico;
c) Prospetto di variazione delle poste di attivo netto/patrimonio netto;
d) Rendiconto finanziario;
e) Principi contabili e note al bilancio;
che evidenziano la situazione patrimoniale, finanziaria e l’andamento
economico delle Comunità europee e sono strumentali a “fornire informazioni utili per prendere decisioni ed evidenziare la responsabilità dell’entità
economica per le risorse a essa affidate” (Ipsas 1: § 13).
Il sistema ABAC
L’acronimo ABAC, deriva dalle iniziali di Accrual Based Accounting, e indica
il sistema informatico introdotto dalla Commissione europea nel 2005 per
la rilevazione e il trattamento dei fatti di gestione secondo il principio della
competenza economica (accrual). Inteso quale componente del sistema
centrale di controllo della Commissione europea, ABAC rappresenta lo
strumento che consente ai Commissari, ai Direttori generali e ai Dirigenti
operativi, chiamati a decidere in merito agli obiettivi da raggiungere, alle
risorse da impiegare, e alle attività da svolgere, di ottenere informazioni
chiare, aggiornate e affidabili sulla situazione patrimoniale e finanziaria delle Comunità europee in un determinato istante e sul risultato economico.
Il sistema ABAC funziona grazie all’esistenza di un unico database capace di elaborare i dati e le informazioni di gestione interna e necessarie
al processo decisionale; l’esistenza di più moduli collegati al database
Figura 5 – Architettura informatica ABAC
347
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
centrale, favorisce sia il coordinamento tra fasi operative tra loro separate
e strumentali allo svolgimento di un intero processo, sia il controllo del flusso
di informazioni tra le Direzioni generali.
La natura modulare del sistema ABAC è illustrata nella figura 5 in cui
risulta evidente come le informazioni provenienti dalle Direzioni generali
ed elaborate da ciascun modulo, confluiscono nel sistema contabile (Sap)
della Commissione europea ove vengono contabilizzate. L’attività di rendicontazione viene svolta per mezzo del datawarehouse, mentre la gestione
dei pagamenti e la raccolta delle entrate viene effettuata attraverso la rete
SWIFT (acronimo di: Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) (figura 5).
Analizzando il contenuto delle informazioni elaborate dai singoli moduli,
si può dedurre che il sistema ABAC prevede:
a) alcune funzionalità tipiche della contabilità finanziaria (come, ad esempio, la possibilità di rilevare i fatti di gestione nella fase dell’impegno o
dell’accertamento, ossia in momenti antecedenti al sorgere del debito o
del credito rilevati dalla contabilità per competenza);
b) una banca dati con le informazioni relative alle richieste provenienti da
organismi pubblici o privati e dalle persone fisiche (Legal Entities – LE;
Bank Account – BA) con le quali la Commissione europea instaura rapporti
che danno luogo a variazioni nei valori economici e patrimoniali;
c) il trattamento dell’aspetto numerario dei fatti di gestione (gestione fatture
e autorizzazione pagamenti);
d) la gestione delle garanzie prestate e/o ottenute dalla Commissione
europea. Si tratta di conti i cui valori non rientrano nella redazione del
bilancio delle Comunità europee;
e) la gestione dei contratti; ossia una banca dati che raccoglie “tutti gli
accordi finanziari e i contratti conclusi dalla Commissione. (…) La banca dati contiene tutte le informazioni relative all’oggetto del contratto,
al contraente, ai beneficiari (compresi i principali beneficiari indiretti) e
all’attuazione” (Commissione delle Comunità Europee, 2000, parte II,
cap. V, azione 74); non è obbligatorio l’inserimento di dati e informazioni
relative a contratti di valore inferiore a 1.050 euro;
f) la gestione delle immobilizzazioni materiali e immateriali e la rilevazione
di ogni loro eventuale variazione (acquisto, ritiro dall’uso, rivalutazione,
svalutazione, ecc.).
La rilevazione dell’aspetto derivato dei fatti di gestione avviene nel sistema contabile (SAP) della Commissione europea, costituito da due blocchi
principali, che sono: FI (Financial accounting) e FM (Fund Management).
In pratica, i dati provenienti dal sistema ABAC confluiscono nel modulo di
contabilità finanziaria (FI) dove trovano una loro contropartita attraverso
il General Ledger, supportato da una serie di sottoconti e aggiornati per
Azienda Pubblica 2.2009
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Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
mezzo di interfacce automatiche e di codici – oggetto; (17) il Fund Management, invece, contiene informazioni di budget e consuntive in quanto
costituito dall’insieme dei conti che mostrano la situazione patrimoniale (e
le relative variazioni finanziarie) della Commissione in un periodo di tempo
determinato. Il modulo CO (Controlling) consente il controllo di gestione
interno (alla Commissione europea e alle singole Direzioni generali) al fine
del coordinamento dei processi e alla misurazione delle risorse impiegate
e dei risultati conseguiti; il modulo AM (Asset Management) contiene informazioni sulle immobilizzazioni (materiali e immateriali) possedute (di
proprietà o con contratto di leasing) dalla Commissione europea. Qualsiasi variazione di AM, costituisce oggetto di aggiornamento automatico
e in tempo reale del General Ledger; infine, il modulo PS contiene dati e
informazioni non contabili utili per la gestione delle attività e delle politiche
comunitarie (figura 6).
Un’architettura informatica così strutturata consente di gestire l’informazione
secondo una logica integrata; ciò vuol dire amministrare una serie di messaggi in maniera sistemica, tenendo cioè presente che “il tutto è maggiore
della somma delle parti” (Aristotele). L’output del processo di elaborazione
dei dati si concretizza in una serie di informazioni idonee a fornire al riFigura 6 – Il sistema contabile Sap adottato dalla Commissione europea
17 Il termine “codice – oggetto” indica la numerazione (codice) attribuita ai dati provenienti dal sistema ABAC e che trovano una loro contropartita nel momento in cui vengono inseriti
nel “General Ledger”. In altre parole, il codice-oggetto consente di collegare la contabilità di
bilancio con la contabilità generale.
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La contabilità della Commissione europea
cevente una visione unitaria ed esaustiva del fenomeno trattato e a ridurre
l’incertezza nell’ambito del processo decisionale (Zanda, 2006). In altre
parole, per la Commissione europea l’integrazione avviene per mezzo di
un sistema Erp basato sull’esistenza di un unico database e sulla gestione
delle attività secondo una logica per processi.
La presenza di un unico database favorisce la diminuzione dell’asimmetria informativa tra gli operatori del sistema che possono accedere alle
informazioni disponibili in tempo reale; mentre l’adozione della logica
per processi, supportata dall’introduzione di un sistema Erp, implica che
l’informazione generata dai fatti di gestione viene dapprima inserita in
un contesto i cui contorni sono stati già definiti in fase di pianificazione
attraverso l’utilizzo delle metodologie MBO, ABM e ABB, per poi essere
classificata secondo criteri idonei al controllo delle risorse impiegate, alla
valutazione delle performance ottenute e all’attivazione di meccanismi di
punizione-ricompensa; naturalmente l’accrescimento complessivo di valore
generato dalla gestione sistemica delle funzioni che compongono il sistema
di controllo della Commissione avviene nel momento in cui esiste coerenza
tra obiettivi stabiliti, attività svolte e criteri di valutazione adottati.
La figura 7 illustra come avviene il collegamento, per le operazioni che
danno origine ad un’uscita di denaro, tra le informazioni di gestione e quelle
di budget all’interno della Commissione europea e precisamente:
1) si definisce il motivo per il quale il fatto di gestione viene rilevato nel
sistema informativo della Commissione (18) (Document Type);
2) si specifica chi sta spendendo e controllando i fondi erogati e il modo in
cui le risorse stanziate nel budget della Commissione europea vengono
utilizzate (19) (Budget Management Type);
3) si applica un criterio economico (per che cosa si effettua la spesa) per
l’individuazione del tipo di conto da utilizzare (20) (GL Type);
4) in ultimo si individua la controparte (legal entity) a sua volta inserita in
uno specifico gruppo di conti a seconda delle caratteristiche possedute (21)
(Chart of Accounts). In questa fase, l’utilizzo del codice-oggetto è indi18 Rilevazione di una fattura, di una nota spese o di un anticipo. Corrisponde a: invoices
vendors e receipts di Sap (figura 6).
19 I fondi possono essere gestiti, direttamente (Central Direct) o indirettamente (Central Indirect), dalla Commissione Europea; dagli Stati membri (Shared); da Paesi Terzi (Decentralised) o, ancora, da organizzazioni internazionali (Joint). Le spese generate dal lavoro della Commissione (Central Direct e Central Indirect) vengono ulteriormente ripartite in OPS (operating costs) e ADM (administrative expenses). Le spese relative all’amministrazione (ADM)
sorgono a seguito dello svolgimento di attività di gestione vera e propria della Commissione, non sono cioè legate a specifici progetti. I dati di budget sono contenuti nel blocco FM
di Sap (figura 6).
20 Contenuto nel General Ledger (figura 6).
21 Ad esempio, la categoria degli organismi pubblici comprende i conti accesi alle istituzioni, alle altre entità della Commissione europea, agli Stati membri, alle Organizzazioni internazionali, ecc; la categoria degli organismi privati comprende i conti accesi alle organizzazioni che operano per il profitto; la categoria delle persone private comprende tutti i conti accesi alle persone fisiche, e così via. L’insieme di conti accesi ai soggetti creditori o debitori
delle Comunità europee è contenuto in Sap FI (figura 6).
Azienda Pubblica 2.2009
350
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
spensabile per collegare i conti della contabilità finanziaria (Chart of
Accounts) con quelli della contabilità economico-patrimoniale (GL Type),
con i valori di budget (Budget Management Type) e con il tipo di documento che ha originato la rilevazione del fatto di gestione (Document
Type) (figura 7).
Figura 7 – I quattro livelli nel trattamento dell’informazione della Commissione
europea
Figura 8 – ABAC Invoices
351
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
Per l’utilizzatore finale, il trattamento dell’informazione secondo una logica
integrata produce un output costituito da un insieme di dati e informazioni,
riassunti in un’unica schermata, e utili sia ai fini del controllo delle risorse
impiegate e dei processi effettuati, sia ai fini della responsabilizzazione delle
persone nell’utilizzo efficiente delle risorse comunitarie. A titolo di esempio,
si riporta la schermata visibile dall’utente del sistema nel momento in cui
viene rilevata una fattura per l’acquisto di beni e/o servizi e addebitato il
relativo costo a colui il quale utilizza le risorse acquistate (figura 8).
Per le operazioni che danno origine ad un’entrata di denaro, viene utilizzata
la stessa metodologia di trattamento dell’informazione contabile illustrata
in figura 8.
6. Contributi del nuovo sistema contabile al miglioramento
della conoscenza e dei processi decisionali interni alla Commissione
I risultati scaturenti dall’analisi dei dati inerenti gli effetti che l’adozione
del sistema ABAC, supportato da un sistema integrato Erp, ha avuto sul
conseguimento del grado di efficienza all’interno della Commissione
europea, sono pienamente soddisfacenti. Tali risultati positivi riguardano
la regolarità delle entrate percepite e dei pagamenti effettuati dalle casse
dell’Unione europea (G.U.U.E, 2006: pp. 12-16; G.U.U.E. 2007/C 273:
pp. 8-11) e il tasso di esecuzione del bilancio che nel 2006 ha raggiunto il
99,3%. Nello stesso esercizio, una gestione razionale delle risorse scarse
ha consentito di potenziare i fondi per la competitività, aumentati del 19%
rispetto al 2005, e di erogare fondi, a beneficio degli Stati membri, del 91%
della spesa complessiva dell’Unione europea. (22) Nel 2007, invece, per la
sola politica di coesione è stato raggiunto un valore record, in quanto sono
stati erogati fondi per più di 41 miliardi di euro, rispetto ai 33 miliardi di
euro del 2006. (23) Dal lato delle entrate, invece, le risorse proprie di cui
l’Unione europea dispone per lo svolgimento delle politiche e delle azioni
comunitarie ammontano, per il 2006, allo 0,93% del Reddito nazionale
lordo dell’Unione europea (a fronte dello 0,97% del 2005), (24) mentre per il
2008 il fabbisogno stimato di risorse proprie è pari allo 0,95% del RNL.
L’analisi dei dati menzionati (ammontare di risorse proprie dell’Unione,
tasso di esecuzione del bilancio e ammontare di ricchezza spendibile erogata agli Stati membri), richiama l’attenzione sull’importanza che ha, per
la Commissione europea, l’informazione contabile per il perseguimento
22 Dichiarazione del Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio,
Dalia Grybauskaité, pubblicata nell’articolo del 24 settembre 2007, scaricabile dal sito internet dell’Unione europea all’indirizzo: http://ec.europa.eu/italia/news/11537ef2b6f.html.
23 Dichiarazione del Commissario responsabile della politica regionale, Danuta Hubner, pubblicata nell’articolo del 12 febbraio 2008, scaricabile dal sito internet dell’Unione europea
all’indirizzo: http://ec.europa.eu/regional_policy/index_it.htm.
24 Articolo del 24 settembre 2007, cit.
Azienda Pubblica 2.2009
352
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
degli obiettivi organizzativi. Più precisamente, stabilito che gli obiettivi della
Commissione europea vengono attuati attraverso lo svolgimento di politiche
comunitarie che si concretizzano prevalentemente nell’erogazione di fondi
agli Stati membri, il ruolo dell’informazione contabile è quello di dimostrare,
in termini monetari, l’ammontare delle risorse disponibili, il costo per il funzionamento delle istituzioni dell’Unione e la quota di ricchezza spendibile da
erogare (o erogata) agli Stati membri. Il grado di efficienza raggiunto viene
così valutato in relazione al costo di funzionamento dell’Unione europea
(25) e alla quota di ricchezza spendibile; un utilizzo razionale delle risorse
scarse favorisce il miglioramento del livello di efficienza raggiunta in termini
di diminuzione del costo di funzionamento dell’Unione e di aumento della
ricchezza spendibile. Naturalmente, il raggiungimento di un elevato livello
di efficienza è strettamente dipendente dal tasso di esecuzione di bilancio
che misura quanta parte delle risorse stanziate sono state effettivamente
erogate.
A tal fine, risulta evidente che la funzione della misurazione non può
prescindere dalla funzione della pianificazione; inoltre l’adozione dei medesimi criteri di classificazione delle informazioni contabili, per il budget e
per il consuntivo, risulta essere di estrema importanza. Del resto, la redazione del progetto preliminare di bilancio (PPB) della Commissione europea
attraverso l’utilizzo dell’ABB, che consente di classificare l’informazione
contabile secondo un criterio funzionale, è la risultante di un processo
di “negoziazione” dei fini e degli scopi da raggiungere, delle attività da
svolgere e delle risorse da impiegare, tra coloro i quali partecipano al processo di creazione di valore comunitario e che adotteranno comportamenti
funzionali agli obiettivi da raggiungere, nel momento in cui percepiscono
come realistici (e non impossibili o iniqui) i fini e gli scopi stabiliti e i criteri
adottati per la valutazione delle performance. È questo lo scopo del sistema
di controllo organizzativo della Commissione europea. Seguendo questa
logica, la rilevazione in fase di misurazione di eventuali scostamenti tra i
valori di budget e quelli effettivamente realizzati può dipendere in larga
parte da eventi non prevedibili a priori o comunque non legati ad un utilizzo
poco razionale delle risorse disponibili. Ciò è tanto più vero nel momento
in cui si considera il livello di dettaglio dell’informazione fornita dal sistema
ABAC in cui, oltre alla classificazione funzionale dei dati contabili, viene
indicato, per ciascuna spesa, il responsabile del consumo delle risorse al
quale verrà addebitato il relativo costo (figura 8 – sezione DG). In questo
modo, la determinazione del livello di efficienza raggiunto da ciascuna
Direzione generale, unità o persona, costituisce informazione preziosa per
l’attivazione di meccanismi di valutazione e ricompensa della risorsa umana;
25 Il costo di funzionamento è dato dalla somma tra il costo di funzionamento della Commissione europea e quello delle altre istituzioni comunitarie iscritto in bilancio nella voce “Amministrazione”. Ai fini del presente studio, il costo di funzionamento delle altre istituzioni comunitarie viene considerato un costo indiretto in quanto non strettamente connesso con l’attività
svolta dalla Commissione europea.
353
Azienda Pubblica 2.2009
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
tali meccanismi sono a loro volta strumentali ad aumentare la probabilità
che ci sia, quanto più possibile, coincidenza tra gli obiettivi organizzativi
e gli obiettivi delle persone che partecipano al processo di creazione di
valore comunitario.
Si può così concludere che per la Commissione europea l’adozione,
dal 2005 in poi, del sistema ABAC supportato da un sistema integrato
Erp, rappresenta lo strumento che concorre al miglioramento del grado
di efficienza interna, senza peraltro costituire la soluzione al problema
dell’utilizzo razionale delle risorse scarse: si è consapevoli del fatto che il
raggiungimento degli obiettivi organizzativi non dipende esclusivamente
dal sistema delle misurazioni contabili ma deriva dall’adozione di una
cultura del risultato che interessa principalmente le persone coinvolte nel
processo di creazione di valore e, di conseguenza, le modalità di gestione
dei processi, delle attività e delle risorse comunitarie.
7. Conclusioni
I dati forniti dai Commissari europei e dalla Corte dei conti, relativi agli
effetti generati dal nuovo sistema contabile della Commissione, risultano
essere positivi in quanto evidenziano il raggiungimento di un elevato livello
di efficienza che, soprattutto nel 2006, si è tradotto in un incremento nell’ammontare dei fondi erogati agli Stati membri a fronte di un livello di entrate
inferiore a quello del 2005. (26) Tuttavia, si ritiene che tali dati non sono
sufficienti per dimostrare, secondo un approccio induttivo, l’adeguatezza
del nuovo sistema contabile della Commissione europea al perseguimento
dei fini organizzativi; i motivi sono diversi.
In primis, essendo stato il 2005 il primo anno in cui alla contabilità finanziaria già in uso è stata affiancata la contabilità economico-patrimoniale, i
dati relativi al miglioramento del livello di efficienza raggiunto riguardano,
prevalentemente, il confronto tra l’esercizio 2005 e 2006 (solo pochi dati
relativi all’esercizio 2007 sono disponibili); ulteriori analisi sugli effetti che
l’informazione prodotta dal nuovo sistema contabile può eventualmente avere
sul perseguimento dei fini organizzativi potranno essere svolte nel momento
in cui si disporranno di dati relativi a più esercizi consecutivi. Del resto,
secondo la dottrina, “non mancano criticità ed elementi di dibattito, anche
perché finora l’introduzione della contabilità economico-patrimoniale sembra
aver prodotto scarsi miglioramenti nella qualità dell’informativa fornita ai
dirigenti e agli altri destinatari, quindi nelle decisioni e operazioni aziendali”
(Borgonovi, 2004, p. 279); in un’ottica sistemica, invece, l’utilizzo della
contabilità economico-patrimoniale risulta estremamente utile in quanto funge
da collegamento tra la contabilità finanziaria e la contabilità analitica.
In secondo luogo, l’adozione di un sistema di contabilità economico26 Le entrate del 2006 dell’Unione europea ammontano allo 0,93% del RNL, mentre le entrate del 2005 risultano essere pari allo 0,97% del RNL.
Azienda Pubblica 2.2009
354
Esperienze innovative
La contabilità della Commissione europea
patrimoniale interessa la funzione della misurazione che, come è stato
ampiamente dimostrato nel presente lavoro, non può prescindere dalla
funzione della pianificazione, ai fini della valutazione dell’adeguatezza
dei risultati raggiunti e delle risorse impiegate all’interno della Commissione europea. Più precisamente, dato che l’adozione del Libro bianco sulla
riforma ha comportato un reengineering dei processi e delle attività interne
alla Commissione, si può ragionevolmente presumere che il raggiungimento,
dal 2005 in poi, di elevati livelli di efficienza può derivare dall’interazione
tra le varie funzioni aziendali, e in particolare dallo stretto legame tra la
pianificazione (che utilizza la metodologia dell’MBO, ABM e ABB) e la
misurazione (in cui le informazioni contabili vengono classificate secondo
il criterio funzionale utilizzato anche per il budget). Inoltre, l’utilizzo di un
sistema integrato Erp agevola la tenuta di una contabilità analitica a livello
di singole Direzioni generali e unità organizzative favorendo la misurazione
dei risultati raggiunti e delle risorse impiegate; tali informazioni costituiscono
la materia prima per l’attivazione di feedback correttivi, utili per eliminare
eventuali scostamenti verificatisi, e feedback valutativi, che alimentano il
sistema di valutazione e ricompensa della risorsa umana, il cui contributo è
essenziale per il raggiungimento dei fini e degli scopi che la Commissione
europea si propone.
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Azienda Pubblica 2.2009
356
Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
Public private partnership: un’analisi bibliometrica
Giulia Cappellaro
Ricercatrice, CERGAS Bocconi
Corrado Cuccurullo
Ricercatore, Seconda Università degli Studi di Napoli
Marta Marsilio
Assistant professor, Università degli Studi di Trento
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Metodologia. 3. Risultati: l’analisi descrittiva dei riferimenti bibliografici. 4. Risultati: la
struttura concettuale. 5. Conclusioni.
L’articolo analizza la struttura intellettuale del filone di ricerca sulle Public Private Partnership (PPP)
attraverso l’impiego di strumenti bibliometrici. L’analisi si sviluppa a partire da un database di
pubblicazioni estratte dal Social Science Citation Index nel periodo temporale 1990-2007. L’analisi
delle citazioni e delle co-citazioni consente: (i) di definire gli autori e i lavori maggiormente citati
nel panorama delle PPP; (ii) di individuare i cluster che costituiscono l’attuale struttura intellettuale
del filone di analisi; (ii) di determinare le relazioni e i legami concettuali tra i diversi cluster, evidenziando gli autori maggiormente influenti; (iv) di visualizzare graficamente tramite una mappa
bidimensionale le “distanze concettuali” tra singoli autori/cluster del filone di ricerca sulle PPP.
This paper investigates the intellectual structure of Public Private Partnerships (PPPs) field through
bibliometric analysis. By using authors as units of analysis and incorporating all the citations that
are included in the Social Science Citation Index, the intellectual roots of the PPPs research during
the period 1990–2007 are drawn. The use of a co-citation analysis enabled to (1) delineate the
subfields that constitute the intellectual structure of the field; (2) determine the relationships between
the subfields; (3) identify authors who play a pivotal role in bridging two or more conceptual domains
of research; and (4) graphically map the intellectual structure in a bidimensional space in order to
visualize spatial distances between intellectual themes.
Sebbene l’articolo sia frutto di un comune lavoro di riflessione e ricerca, sono da attribuirsi a Giulia Cappellaro il § 3,
a Corrado Cuccurullo i §§ 2 e 5 e a Marta Marsilio i §§ 1 e 4.
Parole chiave: public private partnership – analisi bibliometrica – citazioni e co-cocitazioni
Key words: public private partnership – bibliometric analysis – citation and co-citation analysis
357
Azienda Pubblica 2.2009
Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
1. Introduzione
La tensione a un progressivo contenimento della spesa pubblica a livello
locale e nazionale (determinata dai vincoli all’indebitamento, dai vincoli
alla crescita della spesa corrente, dai vincoli di bilancio e dalle disposizioni
delle recenti leggi finanziarie) sta spingendo molti enti a ricorrere a fonti e
strumenti di finanziamento, gestione e fornitura di servizi pubblici alternativi
a quelli che tradizionalmente hanno caratterizzato il settore pubblico (trasferimenti dal governo centrale e indebitamento), sperimentando soluzioni
che coinvolgono operatori privati nel reperimento delle risorse necessarie
per la realizzazione delle opere e del know-how specifico per la gestione
delle stesse, secondo la logica di public private partnership (PPP). (1)
Le PPP si sono progressivamente diffuse negli ultimi due decenni, tanto
a livello internazionale (2) che nazionale. (3)
Il modello delle PPP è stato sperimentato in molti contesti, con diversi
gradi di successo, con l’obiettivo di raggiungere adeguati livelli nell’erogazione dei servizi pubblici in condizioni di risorse limitate. A tal fine si sono
utilizzate PPP a varia configurazione istituzionale e organizzativa, con una
gamma riconducibile a forme che spaziano dall’erogazione diretta della
prestazione da parte di un’amministrazione pubblica a forme più o meno
estese di esternalizzazione, fino alla parziale o totale privatizzazione di
una funzione, con il ruolo di erogatore assunto dal soggetto privato e con il
mantenimento in capo al soggetto pubblico della responsabilità di definire
e regolare adeguati standard e livelli quali-quantitativi di servizio (Panozzo,
2000; Mele, 2003). Le PPP costituiscono di conseguenza anche una forma di
apertura dei settori in cui i servizi erano tradizionalmente erogati attraverso
l’intervento pubblico diretto alla partecipazione di operatori privati mediante
schemi di accordi e impegni reciproci (conventional relationship), in cui i
soggetti privati assumono responsabilità e funzioni diverse in relazione alla
programmazione dell’offerta, alla gestione dei servizi e al finanziamento
della spesa. L’utilizzo del termine partnership richiama, inoltre, uno spirito
di collaborazione, integrazione e condivisione del rischio che dovrebbe
caratterizzare questo tipo di operazioni. (4)
1 In generale, è possibile definire una partnership come una relazione di collaborazione fondata sulla convergenza di interessi e finalizzata al conseguimento di congiunti obiettivi economici e non economici, da cui i singoli soggetti partecipanti traggono indirettamente vantaggi individuali. Il presupposto per il successo di tali relazioni è un significativo coinvolgimento dei partner che si concretizza con l’apporto e lo scambio di (ZUFFADA, 2000): risorse
umane; competenze distintive; risorse finanziarie e tecnologiche; capacità manageriali ed imprenditoriali.
2 Tra i primi Paesi a utilizzare forme di PPP si ricordano la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda
e l’Australia nei settori del trasporto pubblico, della sanità e dell’educazione.
3 L’Osservatorio InfoPieffe pubblica rapporti periodici sull’andamento del settore del Partenariato Pubblico e Privato, con particolare focus sul Project Finance. Per maggiori dettagli si rimanda al sito internet: http://www.infopieffe.it/.
4 Per un approfondimento sul tema dei limiti del modello dicotomico di contrapposizione tra
pubblico e privato per la comprensione dei fenomeni reali all’interno degli attuali sistemi socio-economici e sulla necessità di adottare un approccio interpretativo basato sul modello di
competizione collaborativa si vedano: (FOX, 1982; BORGONOVI, 1991; BORGONOVI, 1996; DAS,
TENG, 1998).
Azienda Pubblica 2.2009
358
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Tale fenomeno ha suscitato un crescente interesse della comunità scientifica nazionale e internazionale. Ad oggi, sul tema è disponibile una copiosa
letteratura, composta da approcci diversi e collocabile in vari ambiti disciplinari. In particolare, in Italia, i processi di riforma e aziendalizzazione
del settore pubblico, attuati a partire dagli anni ‘90, hanno costituito lo
stimolo al diffondersi dell’interesse per il tema da parte degli studiosi di
discipline economico-aziendali (Rebora, Meneguzzo, 1990; Cafferata,
1993; Rondo Brovetto, 1996; Zuffada, 2000; Borgonovi, Marsilio et al.,
2006), che, per esigenze di inquadramento, hanno prevalentemente collocato le PPP nell’ambito dei network interaziendali nel settore pubblico (5)
(Meneguzzo, 1996; Borgonovi, 2000; Meneguzzo, 2000; Lega, 2001;
Lega, 2002; Cuccurullo, 2005; Longo, 2005). La multidisciplinarietà degli
studi costituisce un’indubbia ricchezza, offrendo una disponibilità di chiavi
interpretative diversificate e complementari per una realtà tanto complessa
e variegata. Tuttavia, a distanza di ormai due decenni dalle prime sperimentazioni e pubblicazioni, la mancanza di una sintesi e di una sistematica
revisione della letteratura fin ad ora prodotta deve considerarsi un limite per
lo sviluppo scientifico del tema. Rispetto a quanto pratica e ricerca hanno
prodotto fino ad oggi, paiono emergere due esigenze ineludibili (Hodge,
Greve, 2007). La prima è una rassegna critica delle esperienze finora
condotte perché le PPP possano svilupparsi in modo meno estemporaneo e
più consapevole, anche alla luce di un maggior orientamento delle aziende
pubbliche a collaborazioni di più lungo periodo e maggiormente strutturate
con imprese private. La seconda consiste nel costruire una base concettuale
comune, anche per poter progredire negli studi rispetto ad una realtà in
continuo divenire.
In questo scenario, scopo del presente contributo è valutare lo stato
dell’arte della ricerca sulle PPP, in modo da fornire un quadro di riferimento,
indicando punti di forza e limiti e offrendo spunti per una sua evoluzione;
si propone inoltre una riflessione circa il grado di maturità della ricerca
su un tema relativamente recente come quello delle PPP, evidenziando
i prevalenti approcci interpretativi, i loro aspetti comuni e le principali
divergenze.
Dopo aver illustrato il metodo utilizzato per l’analisi bibliometrica,
l’articolo presenta e discute i principali risultati, concludendo con alcune
riflessioni al fine di offrire spunti futuri di ricerca all’analisi in senso manageriale delle PPP.
5 I network interaziendali sono definiti come forme organizzative e strumenti strategici finalizzati all’acquisizione di vantaggi competitivi, di economie di scala e di scopo, all’accesso
all’innovazione tecnologica, alla condivisione di rischi tra partner e, specificatamente in ambito pubblico, a conseguire obiettivi di innovazione gestionale, produttiva, organizzativa e finanziaria (CUCCURULLO, 2005).
359
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2. Metodologia
Le analisi della letteratura, di frequente, riflettono la personale impressione
che i ricercatori traggono dall’esame dei contributi e ciò costituisce, per la
soggettività del giudizio, il limite principale delle rassegne critiche tematiche.
Per ridurre il grado di variabilità interpretativa nella valutazione dello stato
dell’arte della ricerca, si è scelto di adottare una metodologia maggiormente
oggettiva che consenta l’analisi dei principali contributi pubblicati in un arco
temporale significativo attraverso l’utilizzo di strumenti bibliometrici, che
permettono l’impiego di tecniche di statistica descrittiva, fondate sull’analisi delle citazioni e delle co-citazioni, al fine di individuare gli autori e i
lavori che hanno maggiormente influenzato lo sviluppo della ricerca (6) e
di raggruppare in cluster logici contributi, temi, metodi e prospettive, e, di
conseguenza, di comprendere le interrelazioni che si formano all’interno
di un’area di studio. (7)
L’uso della bibliometria non è nuovo per le discipline economicoaziendali. Vari studi hanno mappato la struttura intellettuale della ricerca
sull’organizzazione (Usdiken, Pasadeos, 1995) e sul comportamento organizzativo (Culnan, O’Reailly et al., 1990), sul marketing (Pasadeos, Phelps
et al., 1998) e sui consumatori (Hoffman, Holbrook, 1993), sulla gestione
della produzione (Pilkington, Liston-Heyes, 1999) e dei sistemi informativi
(Culnan, 1987), sul knowledge management (Ponzi, Koenig, 2002), sull’imprenditorialità (Gartner, Davidsson et al., 2006), sul management strategico
(Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ) e sull’influenza dei journal (Tahai,
Meyer, 1999). A conoscenza di chi scrive, tuttavia, paiono mancare studi
basati sull’impiego di tecniche bibliometriche sul tema delle PPP.
Il presente lavoro, quindi, copre una lacuna degli studi, applicando la
bibliometria con l’obiettivo di integrare i risultati di altri studi che hanno
valutato la letteratura specifica con un approccio più qualitativo.
Le analisi bibliometriche, in genere, evidenziano l’attività pubblicistica
sul tema in esame in termini di impatto e di influenza, come pure i collegamenti e le interazioni tra i diversi ricercatori e i differenti campi di ricerca,
consentendo un’approfondita descrizione del contenuto di ricerca e dei suoi
sviluppi che aiutano a comprendere la struttura concettuale del tema.
Per raggiungere tale scopo, lo studio è suddiviso in due parti (figura 1).
La prima fase consiste nel censimento e nell’analisi descrittiva dei contributi
identificati e dei loro riferimenti bibliografici allo scopo di identificare i lavori
6 L’analisi delle citazioni si fonda sul presupposto che gli autori citino nei propri lavori documenti che ritengono fondamentali per lo sviluppo della ricerca; per questo l’individuazione degli autori maggiormente citati dovrebbe evidenziare i lavori che hanno maggiormente influenzato lo sviluppo della ricerca su uno specifico tema o disciplina (CULNAN, 1987; TAHAI, MEYER, 1999).
7 L’analisi delle cocitazioni, che evidenzia i contributi citati in più documenti, consente di esaminare le interrelazioni che si formano all’interno di un’area di ricerca (WHITE, GRIFFITH, 1981;
MCCAIN, 1990; WHITE, MCCAIN, 1998).
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360
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Figura 1 – Le fasi dello studio
e gli autori più influenti e verificare l’esistenza di una comunità di ricerca
dedicata. La seconda è un’analisi delle co-citazioni fondata sugli autori maggiormente citati presenti nel campione allo scopo di identificare le relazioni
che intercorrono tra di essi, gli approcci di ricerca, i temi prevalenti.
Gli autori che svolgono la propria ricerca su un medesimo tema o ambito
disciplinare tendono a citarsi reciprocamente, legittimandosi come fonti
conoscitive. I loro lavori, di conseguenza, con elevati gradi di probabilità
saranno co-citati da altri autori che indagano su un medesimo tema. Il risultato di questo processo è un’intricata rete di relazioni tra ricercatori che
evidenzia i percorsi di creazione e diffusione della conoscenza. L’analisi
delle citazioni di prestigiosi autori svela percorsi complessi di associazione che esistono tra di essi, utili a tracciare un quadro completo, statico e
dinamico, delle radici concettuali della ricerca sul tema.
Le radici sono capaci di esprimere l’influenza di un lavoro, ad esempio
un testo oppure un articolo (Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ), di
un autore (Nerur, Rasheed et al., 2007), oppure di un journal (Podsakoff,
MacKenzie et al., 2005). Considerato lo spirito esplorativo della presente
ricerca, l’unità di analisi è rappresentata dagli autori citati perché, trattandosi di un campo tematico relativamente recente e non consolidato, può
non esistere ancora un corpus di riferimenti specifici, mentre l’intera opera
di un autore citato, caratterizzandosi nel tempo per coerenza tematica,
lascia emergere, se non altro, gli approcci e le prospettive di analisi di
riferimento. Ciò è anche coerente con la metodologia della ricerca bibliometrica, che utilizzando metodi statistici, tende a preferire l’unità di analisi
potenzialmente più ampia, in modo da o aumentare lo spazio di riflessione
sulle radici concettuali del tema.
361
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Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
In questa analisi, dunque, si ritiene che la similarità concettuale tra due
autori aumenti la probabilità di regolare co-citazione in altri lavori. L’analisi
delle co-citazioni si basa sulla distribuzione delle frequenze delle citazioni
bibliografiche delle pubblicazioni censite. In altri termini, si calcolano le
frequenze di citazioni di due riferimenti in un medesimo lavoro, come misura
di prossimità. Le frequenze sono riportate in una matrice simmetrica in cui
la principale diagonale rimane indefinita. L’analisi svolta è stata limitata
agli autori maggiormente citati, stabilendo quale frequenza minima, per
l’inserimento nell’analisi, un numero di citazioni pari a cinque.
La matrice è stata utilizzata per rappresentare graficamente il tessuto di
relazioni tra queste co-citazioni, mediante il software di network analysis
Pajek. Per mappare la struttura concettuale del tema in modo coerente a
quanto avviene in altri studi (McCain, 1990) è stato impiegato l’algoritmo
di Fructherman-Ringold (1991). Similmente ad altri algoritmi che possono
usarsi per rappresentazioni dei tessuti relazionali, l’algoritmo di FruchtermanRingold consente di rappresentare i lavori percepiti come simili dagli autori
graficamente prossimi. In altre parole, i nodi rappresentativi degli autori si
respingono o si attraggono come poli elettrici; ciò permette di individuare
per adiacenza lavori che costituiscono un medesimo cluster di riferimento.
I seguenti due paragrafi riportano i risultati dello studio: l’analisi descrittiva dei riferimenti bibliografici censiti e l’analisi delle co-citazioni.
3. Risultati: l’analisi descrittiva dei riferimenti bibliografici
I riferimenti bibliografici oggetto di analisi sono stati estrapolati dal Social
Science Citation Index (8) (SSCI). Il campione è stato costruito includendo
tutti gli articoli pubblicati dal 1990 al 2007 nelle riviste in lingua inglese,
utilizzando come riferimento due keyword (9):
• Public-private partnerships (PPP);
• Public-private collaboration (PPC).
La scelta di utilizzare l’intero database SSCI e due keyword generiche sono
coerenti con una finalità esplorativa dello studio.
L’arco temporale di 18 anni è stato successivamente suddiviso in tre
sub-periodi, ciascuno della durata di 6 anni (1990-1995; 1996-2001;
2002-2007), al fine di evidenziare l’evoluzione nel tempo dei contributi che
hanno maggiormente influenzato le ricerche in questo campo.
Le pubblicazioni estratte dal SSCI sono complessivamente 325. I contributi in tal modo selezionati sono stati trasferiti in un database bibliografico,
che è stato elaborato utilizzando il software bibliometrico Bibexcel. (10)
8 Il Social Science Citation Index (SSCI) è un database che contiene centinaia di migliaia di
articoli dei campi disciplinari afferenti alle scienze sociali.
9 Tali parole chiave sono state inserite nel campo “Topic”, che in ISIweb fa riferimento sia al
titolo del contributo, che all’abstract.
10 Bibexcel è un software progettato come una “cassetta degli attrezzi” per l’elaborazione
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362
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Il campione di referenze bibliografiche su cui è stata compiuta l’indagine
è formato da 323 pubblicazioni. (11)
L’analisi di tale campione di pubblicazioni ha evidenziato un interesse
crescente per la tematica delle PPP dal 1990 ad oggi, in particolar modo
negli anni a cavallo del nuovo secolo (figura 2).
Tale tendenza è da ricondursi al diffondersi e consolidarsi dei processi di
modernizzazione della pubblica amministrazione che hanno accompagnato
il diffondersi delle esperienze.
Oltre la metà dei contributi è stata pubblicata nell’ultimo quinquennio
(tabella 1), a dimostrazione di un campo di indagine piuttosto giovane,
con una netta prevalenza della caratterizzazione di partnership rispetto al
termine più generico di collaboration (figura 3).
Figura 2 – Numero pubblicazioni per anno
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
19
90
19
91
19
92
19
93
19
94
19
95
19
96
19
97
19
98
19
99
20
00
20
01
20
02
20
03
20
04
20
05
20
06
20
07
0
Tabella 1 – Prospetto riepilogativo del campione analizzato con Bibexcel
Key word
1990-95
1996-01
2002-07
TOTALE
Public private
partnerships
8%
26
26%
83
57%
185
91%
294
Public private
collaboration
2%
6
4%
12
3%
11
9%
29
TOTALE
10%
32
30%
95
60%
196
100%
323
di dati bibliografici. Consente di salvare i risultati ottenuti in file di testo leggibili da altri programmi e di combinare le informazioni derivanti da diversi campi di un record, calcolare le
frequenze e le co-citazioni.
11 A seguito dell’importazione dei contributi in Bibexcel, si è proceduto a ripulire il database
bibliografico per eliminare alcune incostistenze, come record duplicati o record che, pur facendo riferimento allo stesso articolo, venivano considerati dal software diversamente a causa di codifiche dissimili. L’esistenza di duplicati è giustificata dal fatto che il database finale è
stato costruito come sommatoria dei 6 differenti file estratti da Isiweb: 3 per i cluster temporali riferiti alla stringa di ricerca PPP e altrettanti per la stringa PPC. I duplicati sono stati rimossi da una funzione automatica del software.
363
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Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
Figura 3 – Frequenza pubblicazioni per cluster e parole chiave
In riferimento alla tipologia di pubblicazione (figura 4), si registra una sostanziale prevalenza di articoli (263, pari all’82% del totale pubblicazioni);
marginale è invece l’incidenza di recensioni e materiali editoriali, riviste e
altre tipologie minori.
Figura 4 – Distribuzione della tipologia di pubblicazione
Dall’analisi dei journal sui quali sono stati pubblicati i contributi si deduce
come il grado di specializzazione – inteso quale frequenza di pubblicazione
di articoli sulla stessa tematica oggetto di analisi – non sia elevato. Oltre il
70% (132) delle riviste ha infatti ospitato esclusivamente un unico contributo
sul tema delle collaborazioni pubblico-privato, mentre solamente il 16% un
numero pari o superiore a 3 articoli (figura 5).
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Fonti di approfondimento
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Frequenza riviste
Figura 5 – Frequenza delle pubblicazioni per rivista
Tabella 2 – Riviste con una frequenza di pubblicazioni almeno pari quattro e
relativo IF
Journal
Frequenza
assoluta
Impact
factor
15
ND
8
0.417
Behavioral healthcare Tomorrow
Public money & management
International review of administrative sciences
8
0.250
Public administration and development
6
0.581
Habitat international
6
0.389
Research policy
5
1.328
Cities
5
0.732
Journal of the american planning association
5
1.545
Nonprofit and voluntary sector quarterly
5
0.559
Health affairs
5
3.680
Public administration review
5
1.339
Food policy
5
0.942
American behavioral scientist
5
0.466
Local government studies
4
0.556
Public administration
4
1.188
Administration and policy in mental health
4
0.585
Economic development quarterly
4
0.451
Health policy and planning
4
1.750
Transportation quarterly
4
ND
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Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
Le (19) riviste con la maggiore frequenza di pubblicazioni (assumendo la
soglia di 4 articoli) sono richiamate in tabella 2, con esplicita indicazione
del numero di pubblicazioni e relativo impact factor (12) (IF). La rivista che
presenta la frequenza più elevata è Behavioral healthcare tomorrow, la
quale nell’arco temporale considerato (1990-2007) ha pubblicato 15 contributi sul tema (13). Rispetto all’IF dei journal, due riviste – tra cui la stessa
Behavioral healthcare tomorrow – non presentano IF; cinque presentano
un IF inferiore a 0,5; sei un IF compreso tra 0,5 e 1 e sei presentano un IF
superiore a 1 (tabella 2).
Tabella 3 – Dettaglio articoli pubblicati su riviste di discipline economico-sociali
Journal
Health Affairs
Autori
Shortell SM
Mccall N; Knickman J;
Bauer EJ
Hale VG; Woo K; Lipton
HL
Ramiah I; Reich MR
Riggin LJC; Grasso PG;
Westcott ML
Public Administration Review
Ghere RK
Hodge GA; Greve C
Bloomfield P
Noble G; Jones R
Public Administration
Koppenjan JFM
Grimshaw D; Vincent S;
Willmott H
Shretta R; Walt G; Brugha
R; Snow RW
Shiffman J
Health policy and
planning
Shiffman J; Stanton C;
Salazar AP
Goodman C; Kachur SP;
Abdulla S; Bloland P;
Mills A
Titolo
A model for state health-care reform
Public private partnerships - a new approach to long-term
care
Oxymoron no more: the potential of nonprofit drug
companies to deliver on the promise of medicines for the
developing world
Grant watch: report-public-private partnerships and antiretroviral drugs for hiv/aids: lessons from Botswana
A framework for evaluating housing and communitydevelopment partnership projects
Probing the strategic intricacies of public-private partnership:
the patent as a comparative reference
Public-private partnerships: an international performance
review
The challenging business of long-term public-private
partnerships: reflections on local experience
The role of boundary-spanning managers in the establishment
of public-private partners
The formation of public-private partnerships: Lessons from
nine transport infrastructure projects in the Netherlands
Going privately: Partnership and outsourcing in UK public
services
A political analysis of corporate drug donations: the example
of Malarone((R)) in Kenya
Donor funding priorities for communicable disease control
in the developing world
The emergence of political priority for safe motherhood
in Honduras
Drug shop regulation and malaria treatment in Tanzania
why do shops break the rules, and does it matter
12 Per la ricerca dell’impact factor di ciascuna rivista si è fatto riferimento a Journal Citation Reports.
13 Il subject degli articoli è uguale per tutti i contributi: “Psychology, Clinical; Health Policy
& Services”.
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Tra queste ultime, quattro sono quelle più prossime alle discipline economicoaziendali; si tratta di riviste correlate ai temi del management applicato al
settore delle amministrazioni pubbliche locali (Public administration review
e Public administration) o al settore sanitario (Health affairs e Health policy
and planning). Nella tabella 3 si mostra il dettaglio degli articoli pubblicati
nelle suddette quattro riviste, escludendo tutte le altre tipologie di pubblicazioni. (14)
Per quanto concerne le book review, i testi maggiormente recensiti sono
cinque (tabella 4); (15) tra di essi la pubblicazione con frequenza maggiore è rappresentata dal lavoro di Savas - Privatization and public-private
partnerships.
Tabella 4 – Dettaglio campione delle Book Review
1
2
3
Titolo
Privatization and public-private partnerships
Defending interests: public-private partnerships in wto litigation
Redefining a family support: innovations in public-private partnerships
4
Land conservation through public-private partnerships
5
Public-private collaboration in agricultural research: new institutional
arrangements and economic implications
Frequenza
Autore
5
Savas ES
4
Schaffer GC
4
Singer GHS, Powers
LE, Olson Al
2
A cura di
Eve Endicott
2
A cura di
Keith O. Fuglie,
David E. Schimmelpfennig
Frequenza autori
Figura 6 – Grado di produttività degli autori
14 La tabella riporta solo il dettaglio della produzione di articoli. Tre dei quattro journal citati presentavano infatti anche altre tipologie di pubblicazioni, in particolare: (i) Health Affairs:
1 materiale editoriale; (ii) Public administration review: 1 book review; (iii) Public Administration: 1 book review.
15 In totale sono stati recensiti 15 libri; oltre ai 5 della tabella, ve ne sono infatti altri 10 che
hanno avuto un’unica recensione.
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In riferimento alla produttività degli autori (figura 6), appare evidente l’assenza di una consolidata e riconosciuta comunità scientifica dedicata al tema:
il 94% (543) degli autori ha pubblicato un solo articolo, il 5% (29) due e
solo 1,1% (6) registra un numero di articoli superiore a due. (16)
Quattro sono gli autori più produttivi (tabella 5), selezionati assumendo quale
soglia di significatività una produzione pari o maggiore a 3 pubblicazioni
e limitando l’analisi ai soli articoli su riviste.
Tabella 5 – Autori maggiormente produttivi
Frequenza
Autori
3
Link AN
3
Croze C
3
Scott JT
3
Reich MR
Il numero di autori per pubblicazione può considerarsi un indicatore del
grado di “collaborazione” nella ricerca. (17) In questo caso (figura 7) non
si evidenzia un tasso di collaborazione molto elevato, in quanto quasi la
metà delle pubblicazioni è stata prodotta individualmente, un terzo da due
autori e solo il 20% da tre o più autori.
% pubblicazioni sul totale
Figura 7 – Grado di co-authorship delle pubblicazioni
16 Quale schema di calcolo è stato utilizzato il metodo Whole counting – ogni pubblicazione è assegnata interamente a ciascuna unità che ha contribuito a realizzarla. Gli altri due
schemi comunemente utilizzati sono invece il First address count – l’articolo è assegnato soltanto ad una unità, sulla base del primo posto ricoperto nella lista inclusa nel database – e il
Fractional counting – in caso n autori abbiano contribuito alla pubblicazione, ognuno assume il valore 1/n per articolo.
17 In Bibexcel tale profilo è ottenibile tramite l’utilizzo della funzione Fractionalise, ovvero,
se n unità (autori, istituzioni, Paesi, ecc.) hanno contribuito all’articolo, ognuno assume il valore 1/n per articolo.
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Sono state esaminate anche le keyword associate alle parole chiave impiegate per l’estrazione dei 323 contributi. Su un totale di 477 keyword, oltre
l’87% (417) sono state richiamate una sola volta, a testimonianza di una
rilevante frammentarietà della letteratura (figura 8).
Le keyword citate almeno tre volte sono soltanto 19 e per di più di senso
generico; in tabella 6 si riportano le sei principali, ovvero quelle che presentano una frequenza pari o maggiore a sette.
Oltre ai termini “public private partnerships” e “partnerships”, vengono
utilizzate sovente le parole chiave “privatizzazione/settore privato” e “regolamentazione” – concetti che richiamano il ruolo delle PPP nell’evoluzione
del ruolo dello Stato e dell’amministrazione pubblica verso la fase definita
dello “Stato regolatore” (La Spina, Majone, 2000; Borgonovi, 2004). Il
termine “developing countries” evidenzia, inoltre, come molte esperienze
di PPP vengano attuate nei Paesi in via di sviluppo per la produzione ed
erogazione di alcuni servizi essenziali; tale aspetto sarà ripreso ed esaminato
più approfonditamente nell’analisi delle cocitazioni.
Numero parole chiave
Figura 8 – Frequenza parole chiave nel database
Tabella 6 – Prospetto delle parole chiave con frequenza pari o maggiore a
sette
Keyword
Frequenza assoluta
Public private partnerships
57
Partnerships
10
Privatization
7
Private sector
7
Regulation
7
Developing countries
7
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Infine, anche l’esame degli ambiti disciplinari (66 sono quelli presenti
nel database) fornisce alcune utili indicazioni (tabella 7). I tre ambiti principali fanno riferimento ai temi dello sviluppo urbano, dell’amministrazione
pubblica e della sanità.
Tabella 7 – Distribuzione dei principali ambiti disciplinari
Frequenza
Ambito disciplinare
48
48
42
36
35
33
29
21
20
20
18
18
15
11
10
Planning & Development
Public Administration
Health Policy & Services
Urban Studies
Economics
Environmental Studies
Public, Environmental & Occupational Health
Health Care Sciences & Services
Management
Psychology, Clinical
Political Science
Social Sciences, Interdisciplinary
Geography
Social Issues
Law
Rispetto all’ambito del “management” si è indagato inoltre quali siano gli
altri ambiti che con esso vengono cocitati (18) (figura 9). L’ambito relativo allo
sviluppo urbano risulta ancora una volta quello più cocitato (con il termine
“Plannig&Development” e “Environmental studies”).
Figura 9 – Ambiti disciplinari cocitati con “Management”
cocitazioni
6
5
5
4
3
3
3
3
Frequenza
3
2
2
2
1
1
ne
ss
En
gi
Pu
ne
bl
er
ic
in
Ad
g
m
in
is
tra
tio
n
si
Bu
In
du
st
ria
En
l
vir
on
m
en
ta
l
Ec
on
om
ic
M
s
gm
tS
ci
en
So
ce
ci
al
Sc
ie
nc
es
Pl
an
&D
ev
0
Ambiti disciplinari cocitati
18 Esso è sempre cocitato, ad eccezione di un unico caso.
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370
1
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4. Risultati: la struttura concettuale
La rappresentazione dell’analisi delle co-citazioni in figura 10 fornisce interessanti spunti di riflessione sulla struttura concettuale dell’esistente letteratura
sulle PPP. La prossimità e il legame tra due autori indica che essi solitamente
sono citati congiuntamente; esso evidenzia, di conseguenza, l’esistenza di
comunanza o interconnessione tra i loro lavori.
Figura 10 – Mappa delle radici concettuali
La mappa delle cocitazioni evidenzia due cluster e un’area marginale.
Un primo cluster di contributi che esercita un’influenza in tema di PPP è
rappresentato dalle pubblicazioni redatte dalle principali istituzioni internazionali (OECD, World Bank, ONU, WHO, Buse) e da alcuni centri di
ricerca (IPPR).
Per quanto concerne i contributi delle Organizzazioni Internazionali, tali
lavori possono essere ulteriormente classificati in due macro categorie.
Un primo gruppo è rappresentato dai report annuali o periodici, quali
i World Development Report e World Development Indicators della World
Bank, i World Health Report del WHO, ovvero i Human Development Report dell’ONU. Essi rappresentano le fonti primarie di dati statistici a livello
aggregato citate dai contributi sulle PPP.
Un secondo gruppo è invece costituito dai lavori che rappresentano il punto
di riferimento teorico ed empirico sulle PPP “globali” in ambito sanitario,
un filone specifico di studi sul tema che tratta le partnership attivate prima371
Azienda Pubblica 2.2009
Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
riamente in Paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione. In tali
contesti, le PPP vengono considerate strumenti innovativi di governance del
settore pubblico, con un ruolo strategico nell’ottimizzazione delle funzioni
sociali dello Stato (Buse, Walt, 2000; Buse, Waxman, 2001). L’apporto di
capitali e competenze private può incidere in maniera determinante sui livelli
quali-quantitativi di servizi pubblici erogati, soprattutto in Paesi caratterizzati
da funzioni di governo scarsamente consolidate e da risorse pubbliche
finanziarie e di know-how insufficienti all’adeguata tutela e salvaguardia
della salute collettiva.
I principali contributi riconducibili a questo secondo gruppo sono quelli
di Kent Buse (Buse, Walt, 2000; Buse, Waxman, 2001; Buse, 2004), di
Lucas (2000) e della World Bank (2004). (19)
In particolare, l’opera di Buse, economista politico già consulente della
World Bank e WHO, (20) rappresenta la prima importante sistematizzazione
sul tema delle collaborazioni nel settore sanitario in Paesi in via di sviluppo.
L’autore (Buse, Walt, 2000) definisce le PPP “globali per lo sviluppo in sanità”, analizzando in particolare le motivazioni che hanno indotto i principali
organi dell’ONU (da UNCTAD a WHO, UNICEF, includendo anche la World
Bank) alla stipula di collaborazioni con il settore privato commerciale (ad
esempio, società farmaceutiche). A partire da una tassonomia delle partnership in funzione dello scopo della collaborazione (erogazione di beni/
servizi, sviluppo di prodotti ovvero definizione di programmi e progetti),
l’autore approfondisce il tema della governance nell’ambito delle PPP globali
in sanità in termini di legittimazione rappresentativa, accountability, competenza degli attori e appropriatezza del processo (Buse, Walt, 2000).
Per quanto concerne, invece, il contributo dei centri di ricerca, si evidenzia in particolare la produzione redatta dall’Institute for Public Private
Research (IPPR). Il think tank inglese si colloca in realtà in posizione relativamente periferica nel cluster di analisi, evidenziando legami significativi
con il filone della Nuova Economia Istituzionale, in particolar modo Porter
e Williamson. Le analisi condotte sulla tematica delle PPP (IPPR, 2001)
hanno quale oggetto d’indagine l’identificazione degli spazi di azione di
collaborazione all’interno del settore pubblico inglese, in particolar modo
sanità, servizi locali e istruzione; la ricerca di forme innovative di erogazione di servizi pubblici è accompagnata dalla identificazione di criteri che
assicurino l’accountability delle nuove istituzioni e la loro legittimazione sul
piano democratico.
Il secondo influente cluster nella letteratura delle partnership è costituito
da contributi socio-politologici, con autori come Savas (1987; 2000), Linder (1999; 2000) e Castells (2000) che assumono un ruolo centrale nella
struttura concettuale della ricerca sulle PPP. In termini generali, si tratta (i)
19 Per quanto concerne la tipologia di pubblicazione, ad eccezione di Buse, si tratta primariamente di press release, rapporti ovvero atti di convegni.
20 Lo stretto legame tra Buse e le suddette organizzazioni internazionali, specialmente il WHO,
è chiaramente rinvenibile anche nel grafico, dalla breve distanza che separa i due punti.
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di produzioni piuttosto recenti, a significare proprio la fase pioneristica
della disciplina, e (ii) nella maggior parte dei casi di testi e non di articoli,
differentemente dall’opinione diffusa che siano gli articoli scientifici e non
i manuali a costituire i principali riferimenti.
Linder (Linder, 1999; Linder, 2000) riflette sulla molteplicità di definizioni
e significati che vengono attribuiti al termine public private partnership (identificandone sei principali) e fornisce un’interpretazione delle PPP in relazione
a diversi approcci concettuali e ideologici. In particolare, l’autore evidenzia
come, per l’ideologia conservatrice, le PPP costituiscano una forma derivata
di privatizzazione, mentre, per le teorie antiliberali, esse rappresentino il
tentativo del settore pubblico di non perdere totalmente il controllo di alcune
funzioni. Infine, per le teorie delle riforme manageriali, le PPP costituiscono
forme alternative di governance ovvero strutture aziendali flessibili, i cui processi sono orientati ai risultati e ispirati alla logica del “cittadino-cliente”.
Sul tema della privatizzazione dei servizi pubblici, considerata la soluzione
istituzionale e organizzativa più efficace ed efficiente per l’erogazione di
tali servizi, Savas rientra sicuramente tra gli studiosi più prestigiosi (Savas,
1987). La sua estesa opera si inserisce all’interno dell’influente ambito
disciplinare del public management e costituisce un pilastro dottrinale fondamentale per lo studio delle PPP, che vengono indagate, congiuntamente
alle altre forme di privatizzazione, quali driver strategici per il miglioramento
del management pubblico (Savas, 2000). In particolare, Savas interpreta le
PPP come una forma derivata di privatizzazione, fondamentalmente basata
su aspetti contrattuali.
Manuel Castells completa il filone in esame. Il lavoro dell’autore (Castells,
1996; Castells, 1997; Castells, 1998), pubblicato come trilogia alla fine
degli anni ‘90 e ripubblicato nel 2000 (Castells, 2000) al termine di una
serie di seminari tenuti in varie università, è considerato un classico della
sociologia moderna e una delle più influenti opere che hanno contribuito
allo sviluppo del concetto di network society. La tesi centrale del sociologo
di origine spagnola si fonda sulla necessità di superare un approccio prettamente autoreferenziale del ruolo e delle funzioni dei soggetti pubblici, sociali
ed economici, e sull’esigenza di adottare un’ottica di sistema che consenta
un loro inquadramento come parti di reti più vaste. La nuova infrastruttura
sociale – reticolare, per l’appunto – è l’effetto di processi, avviati in decenni
precedenti, che convergono e accelerano, come la rivoluzione tecnologica,
il diffondersi di movimenti sociali, la crisi economica del capitalismo e del
comunismo.
La crisi delle ideologie, come spunto di analisi per la spiegazione anche
dell’emergere delle PPP, lega i contributi di Castells e di Linder al saggio
politologico di Jessop (2002), il quale, esponendo i limiti del liberalismo e
le diverse forme di neoliberalismo, individua nelle partnership, specie quelle
tra pubblico e privato, una forma di governance per evitare l’anarchia del
mercato e promuovere la sussidiarietà.
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Un ruolo preminente tra i fondamenti della letteratura sulle PPP è riconosciuto a Williamson e alla Transaction Costs Economics (TCE), filone
disciplinare della Nuova economia istituzionale. Williamson (1975; 1979)
e la TCE, di cui è il capo-scuola, considerano le partnership come strumento
alternativo di governance delle transazioni ai mercati e alle gerarchie. Le PPP
mitigherebbero, secondo la TCE, in casi specifici, le frizioni del mercato e i
limiti dell’esclusivo intervento della pubblica amministrazione. La TCE, nella
letteratura specifica sulle PPP, non è utilizzata come framework analitico,
bensì come supporto scientifico alla spiegazione della formazione delle PPP.
Ciò conferma la considerazione di uno stadio tuttora embrionale degli studi
sulle PPP, ancora fortemente incentrati alla spiegazione dei motivi sottostanti
la formazione delle partnership e non, invece, agli aspetti di gestione e
all’analisi degli effetti delle collaborazioni, come potrebbe attendersi per
il rilievo e la diffusione che esse hanno. Ad esempio, la TCE non è stata
impiegata per lo studio dei processi di scambio tra le parti, degli output e
degli outcome attesi (efficienza ed efficacia), della capacità di durare nel
tempo attraverso meccanismi di soluzione dei prevedibili conflitti, dei rapporti
con terze parti; né, ancora, per lo studio della progettazione organizzativa
della PPP e della complessità contrattuale, determinata dalla specificità degli
output, dalla storia collaborativa dei partner, dall’orizzonte temporale della
partnership e dalla sua rilevanza strategica.
A sua volta, Osborne S.P. (2000) ha curato un testo Public-Private Partnerships: Theory and Practice in International Perspective che, nell’ambito
delle teorie del public management, offre alcune chiavi interpretative sulle
motivazioni del ricorso alle PPP quali strumenti innovativi per l’erogazione di
servizi pubblici e sui fondamenti teorici delle stesse; l’autore solo marginalmente si sofferma sugli aspetti gestionali (tra cui la valutazione degli impatti),
primariamente attraverso l’analisi di casi in differenti contesti geografici. La
considerazione che le PPP possano rappresentare un’efficiente e innovativa
modalità di erogazione dei servizi pubblici è contenuta anche nel lavoro di
Osborne e Gaebler (Osborne, Gaebler, 1993).
Infine due autori del filone degli studi di strategia aziendale, Michael
Porter e Rosabeth Moss Kanter, contribuiscono in maniera marginale ai
fondamenti sulla letteratura delle PPP.
Porter costituisce il punto focale del complesso di studi sulla strategia
aziendale, come hanno tra l’altro dimostrato anche recenti studi bibliometrici (Ramos-Rodriguez, Ruiz-Navarro, 2004 ; Nerur, Rasheed et al., 2007);
egli ha contribuito in misura significativa alla comprensione della rilevanza
degli ambiti operativi delle aziende e delle interazioni tra gli attori sulla
performance aziendale, fornendo sul piano delle implicazioni manageriali,
per la prima volta in campo microeconomico, essenziali indicazioni per lo
sviluppo della strategia, specie quella competitiva. In tale ottica le PPP possono costituire strumenti a supporto del vantaggio competitivo delle singole
nazioni (Porter 1990). Sebbene non si voglia affrontare nel dettaglio in questa
sede l’accezione porteriana all’analisi delle PPP, preme ricordare come le
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analisi di Porter abbiano affrontato la tematica delle PPP anche da un punto
di vista empirico, analizzandole quali modalità di rilancio socio-economico
dei centri urbani depressi – inner cities (Porter, 1995) – e come strumento per
la gestione della questione ambientale (Porter, Van Der Linde, 1999).
Rosabeth Moss Kanter è, similmente a Porter, un’autorevole studiosa di
strategia, in particolare del cambiamento e dell’innovazione organizzativa,
e rappresenta uno dei precursori dello studio dello sviluppo di sinergie attraverso alleanze strategiche (Kanter, 1989). In merito alle PPP la Kanter ha
prodotto due importanti contributi: il primo – che riguarda il loro uso come
opportunità di crescita per le comunità locali (Kanter, 1995) – giustifica il
legame con i lavori delle Istituzioni internazionali e di Porter (1995), mentre
il secondo – che si concentra sul ruolo della cooperazione per la governance
locale (Kanter, 2000) – sintetizza la visione manageriale delle PPP e spiega,
quindi, il legame con la trattazione ideologica di Linder e Jessop.
5. Conclusioni
Le radici, la struttura e l’evoluzione della ricerca in un ambito disciplinare
o tematico sono rivelati da analisi bibliometriche delle citazioni e delle
co-citazioni che gli studiosi annotano tra le referenze bibliografiche dei
loro lavori. Questo lavoro, mediante l’analisi bibliometrica, consente di
descrivere lo stato e l’evoluzione della ricerca in tema di PPP, identificando
le fonti più autorevoli.
Il lavoro presenta alcuni limiti. Una prima limitazione riguarda l’impostazione del disegno di ricerca; in particolare si è fatto ricorso ad un
numero ristretto di keyword per l’estrazione delle referenze del campione
di analisi; si è scelto, inoltre, di limitare l’analisi solo ad alcune delle fonti
che compongono ISIweb (ovvero il SSCI) all’interno di uno specifico periodo
temporale, da considerarsi in ogni caso quello di maggiore interesse per il
tema. Tuttavia, è ragionevole che per un’analisi di tipo esplorativo, quale
è il presente lavoro, si effettuino scelte che consentano di esplorare il tema
con ampiezza e genericità.
Un secondo ordine di limitazioni è di tipo metodologico. L’uso della bibliometria non consente di conoscere, in prima istanza, i motivi per cui gli
autori citano altri lavori: se, ad esempio, la citazione manifesta un collegamento di tipo concettuale oppure una critica; se si tratta di un riferimento
sostanziale di inquadramento oppure a supporto di una tesi. Allo stesso
modo, non possono conoscersi le ragioni delle mancate citazioni di lavori
che potrebbero parimenti considerarsi autorevoli per il tema o la disciplina.
Quest’ultimo limite è piuttosto marginale, in genere, considerando il rigoroso
processo di referaggio che i journal svolgono prima della pubblicazione di
un articolo. Nel caso specifico delle PPP, è bene sottolinearlo, la maggior
parte dei journal che ospitano articoli sul tema non presenta, tuttavia, un
elevato indice di IF.
375
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Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
Anche l’analisi delle co-citazioni presenta alcuni limiti, dato che consente di classificare soltanto una parte limitata del più vasto campione e
che l’interpretazione della mappa grafica è, malgrado la base scientifica,
per natura soggettiva. Nonostante ciò i sottoinsiemi riprodotti nella mappa
rivelano con adeguata chiarezza l’esistenza di differenti nuclei e relazioni
all’interno dell’insieme dei contributi esistenti sul tema.
Nonostante questi limiti, i risultati emersi dall’analisi e presentati nelle precedenti sezioni consentono di formulare alcune riflessioni.
Dal 1990 ad oggi si nota un crescente interesse scientifico per le PPP,
intensificatosi negli ultimi anni, probabilmente per il progressivo diffondersi
delle esperienze in atto e per il consolidarsi dei processi di privatizzazione
dei servizi pubblici condotti negli anni ‘90. Questa tendenza induce a
pensare che gli studi siano experience-driven e che la ricerca stenti a far
prevalere sulla pratica impostazioni fondate scientificamente.
Certamente la teoria non è stata in grado, finora, di anticipare o accompagnare, con lo stesso ritmo, la progressiva diffusione delle esperienze,
indotta dai numerosi stimoli ambientali come ad esempio le istituzioni internazionali, magari verosimilmente per l’assenza di una comunità di ricercatori
dediti al tema. Soltanto un gruppo marginale di studiosi è in prevalenza
dedicato all’indagine delle PPP, peraltro con una piuttosto limitata specifica
produttività e un ridotto grado di collaborazione. La mancata costituzione
di una visibile comunità è testimoniata anche dall’assenza di journal di
riferimento che accolgano questi lavori (21). Poche riviste pubblicano più
di un articolo sull’argomento. I leading journal si collocano non tanto nelle
aree di “Business” o “Management”, quanto in quelle di “Public Management” e “Health Care”, presentando tra l’altro un indice di IF raramente
superiore ad 1. Sono, quindi, soprattutto gli studiosi di public management
ad essere interessati allo studio delle PPP e non identicamente gli studiosi
di economia di impresa, svelando, con buona probabilità, una necessità
avvertita specialmente in seno ai soggetti pubblici a collaborare con il privato
per migliorare i livelli quali-quantitativi dei servizi offerti e non, al contrario,
un interesse per le imprese di accedere, ad esempio, a settori con buone
opportunità di rendimento quali le utilities, la sanità, le infrastrutture.
La mancanza di un chiaro e condiviso quadro concettuale di riferimento
è riscontrabile anche nella multidisciplinarietà e varietà di approcci che
hanno interessato il tema.
Come testimonia l’analisi delle co-citazioni e delle keyword, il filone
prevalente è quello socio-politologico, orientato a spiegare l’emergere delle
partnership tra pubblico e privato attraverso la crisi di alcune ideologie e/o
l’affermarsi di processi socio-economici di vasta portata. La sua centralità
21 Si ricorda che la presente analisi prende a riferimento i Journal inseriti all’interno del Database SSCI. Sono nate tuttavia alcune riviste, non ancora indicizzate su ISI, che hanno ad
oggetto la tematica specifica delle PPP: si tratta in particolare dell’International Journal of Applied Public-Private Partnerships (IJAPPP) e de The International Journal of Public-Private Partnerships (IJPPP).
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Fonti di approfondimento
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è, a nostro giudizio, indice di uno stato ancora pioneristico della ricerca,
in cui si intende, innanzitutto, spiegare la genesi delle PPP, legittimandola
dal punto di vista “filosofico” con basi solide e universali. La prevalenza di
questa impostazione spinge a considerare le PPP come strumenti di governance utili, in particolar modo, al miglioramento delle funzioni e dei servizi
pubblici attraverso l’apporto di risorse e competenze messe a disposizione
da soggetti privati; tale esigenza è particolarmente avvertita in contesti ove
il settore pubblico è più debole e arretrato, come ad esempio i settori della
sanità e dello sviluppo urbano nei Paesi in via di sviluppo.
Un’altra radice concettuale significativa per gli studi sulle PPP è costituita dalla transaction cost of economics, la cui centralità è variamente
interpretabile. Da un lato non può negarsi che le configurazioni contrattuali
costituiscono la maggioranza dei casi dei rapporti di collaborazione tra
pubblico e privato, dall’altro il concetto d’impresa come nesso di contratti è
tra i principali paradigmi interpretativi d’azienda ed è dominante nel mondo
anglosassone. Quest’ultima ipotesi interpretativa della centralità della TCE
nella ricerca sulle PPP tende ad enfatizzare, inevitabilmente, le relazioni
contrattuali alla base della collaborazione, senza mai intendere la medesima quale entità autonoma e organica. In altri termini, la PPP equivale ad
essere un ambito di incontro tra molteplici e, talvolta, divergenti interessi,
che vanno appropriatamente regolati su base contrattuale per prevenire e
risolvere i conflitti attesi tra le parti e preservare, nel lungo periodo, la sopravvivenza della PPP. Il paradigma contrattuale si dimostra, tuttavia, debole
sul piano pratico perché non possono stipularsi contratti completi, in grado
di definire in dettaglio e anticipatamente i diritti e i doveri di ciascuno in
ogni possibile contingenza. L’ancoraggio alla TCE, di conseguenza, può
interpretarsi, a giudizio degli autori, anche come indicatore di uno stadio
non ancora evoluto, perché enfatizza:
– il pervasivo sistema di contrapposizioni e convenienze contrattuali che si
esplicitano. Di conseguenza, le PPP si ritengono orientate da un sistema di
relazioni che assolve prioritariamente a istanze individualistiche dei singoli
partner che collaborano convinti che le proprie convenienze possano
raggiungersi soltanto insieme a quelle della controparte. In questo senso,
la vita delle PPP è legata al perpetuarsi delle convenienze originarie;
– le contrapposizioni delle posizioni individuali - proprie di ogni rapporto
di transazione – lasciando irrisolto il problema della convergenza degli
interessi in esse, senza cogliere bene la stabilità dei rapporti e la convergenza durevole di interessi di alcune tipologie di PPP;
– l’efficienza di governo delle transazioni, tralasciando invece l’efficacia,
la dimensione strategica dei partecipanti e della PPP;
– la genesi delle PPP, dato che nascono come sistema contrattuale, senza
toccare gli aspetti del loro funzionamento e non tenendo conto, concentrandosi sull’efficienza delle transazioni tra i soggetti partecipanti, dei
riflessi che l’attività della PPP ha su soggetti diversi dai partecipanti.
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Fonti di approfondimento
Partnership pubblico-privato: trend di ricerca
La concezione contrattualistica, atomistica per definizione, è quindi da considerarsi riduttiva rispetto a una realtà, quale le PPP, in cui le interdipendenze
costituiscono il tratto essenziale e sostanziale, tanto da dotarsi di regole
condivise perché la collaborazione possa perdurare nel tempo.
Una teoria limitativa di analisi rispetto a un fenomeno di sempre più
vaste dimensioni e variegato – fatto di rapporti non episodici, talora de
facto, talora contrattualmente riconosciuti e previsti – e a collaborazioni che
sorgono, non tanto per finalità di ricerca di efficienza nel governo delle transazioni, ma per condividere obiettivi specifici. L’esistenza di un caratteristico
finalismo le rende soggetti nuovi: le PPP possono farsi carico stabilmente
e strutturalmente delle finalità specifiche dei cooperanti, assecondandole
attraverso il perseguimento delle proprie.
L’aspetto dell’omofinalismo, analogamente a quanto si è già posto per
gli aggregati aziendali, i gruppi aziendali, i distretti e le reti, non è affatto irrilevante ai fini dello studio delle PPP. Il loro progressivo diffondersi,
infatti, conferma la volontà, anche quando manifestata contrattualmente,
dei soggetti partecipanti a collaborare in modo durevole per perseguire un
medesimo fine. La collaborazione, di conseguenza, presuppone non solo il
coinvolgimento di parti distinte, ma anche lo svolgimento della strumentale
attività economica in modo coordinato, senza tuttavia negare l’eterofinalismo
delle singole realtà, che è tuttavia diverso dal progetto comune, riflesso di
un omofinalismo che congiuntamente si intende realizzare (Lai, 2004).
La durevolezza dei rapporti di collaborazione, la definizione di una
visione comune e il bisogno di un coordinamento, che rimanda a una logica
d’insieme, implicano la necessità di un’analisi unitaria e olistica delle PPP,
non solo quale forma di governance delle transazioni tra soggetti distinti,
proponendosi di comprendere più approfonditamente le loro caratteristiche
fondamentali e la loro essenza costitutiva, di analizzarne il funzionamento,
leggerne i risultati e prospettarne le evoluzioni.
A giudizio di chi scrive, per concludere, il rapido e progressivo diffondersi
delle PPP in Paesi diversi, sia industrializzati che in via di sviluppo, e in
settori diversi – dall’istruzione, alla sanità, ai servizi sociali, all’amministrazione penitenziaria, alla ricerca, all’ambiente, all’energia, ai trasporti, allo
sviluppo locale, alla trasformazione urbana, ai servizi culturali – nonché il
graduale superamento della fase sperimentale e il passaggio a uno stadio
di consolidamento devono essere supportati da contributi scientifici più
consistenti e rigorosi e di stampo manageriale, che accompagnino tale evoluzione per evitare dinamiche spontanee e risultati limitati. Appare dunque
necessario superare l’attuale fase pioneristica di approccio alle PPP, al fine
di intraprendere in modo sistematico un’indagine che le qualifichi e legittimi
pienamente dal punto di vista scientifico come entità formate da soggetti che
collaborano in modo durevole per la realizzazione di un medesimo fine,
attraverso lo svolgimento coordinato dell’attività economica strumentale,
senza negare tuttavia l’eterofinalismo dei singoli partecipanti.
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Fonti di approfondimento
Spoglio riviste
Spoglio riviste
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Public Administration
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FOLEY P., ALFONSO X., “E-government and the
Transformation Agenda”, vol. 87, n. 2, giugno 2009, pp. 371-396.
Public Administration Review
BEARFIELD D.A., “Equity at the Intersection:
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RUSAW A.C., “Administrative Leadership in
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DAWES S.S., CRESSWELL A.M., PARDO T.A.,
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FEIOCK R.C., JANG H.S., “Nonprofits as Local
Government Service Contractors”, vol. 69,
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Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly
Public Management Review
SLOAN M.F., “The Effects of Nonprofit Accountability Ratings on Donor Behavior”,
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Fonti di approfondimento
Spoglio riviste
VERSCHUERE B., BARBIERI D.,”Investigating the
‘NPM-ness’ of agencies in Italy and Flanders”, vol. 11, n. 3, maggio 2009, pp.
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Review of Public Personnel Administration
CUNNINGHAM R., OLSHFSKI D., ABDELRAZEK R.,
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TESSEMA M.T., SOETERS J.L., NGOMA A., “Decentralization of HR Functions: Lessons From
the Singapore Civil Service”, vol. 29, n. 2,
giugno 2009, pp. 168-188.
Azienda Pubblica 2.2009
384
Fonti di approfondimento
In libreria
In libreria
BANDINI FEDERICA
(a cura di)
Economia e
management delle
aziende non profit
e delle imprese
sociali
Padova: Cedam, 2009
pp. XVI-286, € 22,00
Indice del volume: Prefazione, di Elio Borgonovi. CAPITOLO
I. L’OGGETTO DI STUDIO: L’AZIENDA NON PROFIT E L’IMPRESA SOCIALE.
Premessa. 1. Definizioni. 1.1. L’impresa sociale. 1.2. L’impresa sociale in Italia e la ripresa del concetto di “bene comune”. Bibliografia. CAPITOLO II. PARTE I. GLI ASSETTI ISTITUZIONALI
DEGLI ENTI NON PROFIT: IMPLICAZIONI DAL PUNTO DI VISTA CIVILSTICO,
di Roberto Randazzo. 1. Introduzione. 2. Gli enti senza
scopo di lucro disciplinati dal codice civile: associazioni,
fondazioni, comitati. 3. La fondazione di partecipazione e
la legislazione speciale. 4. L’impresa sociale. Bibliografia.
PARTE II. L’IMPRESA SOCIALE IN EUROPA: IL CONTESTO ISTITUZIONALE DELLA GOVERNANCE IN UN’OTTICA COMPARATA. Premessa. 1. Impresa
sociale e imprenditorialità sociale. 2. L’impresa sociale attraverso le definizioni di centri di ricerca e organismi governativi europei. 2.1 L’impresa sociale nelle leggi europee. 3.
La governance dell’impresa sociale in Europa: caratteristiche comuni e differenze. Bibliografia. CAPITOLO III. PARTE I. LA
PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE NON PROFIT: L’APPROCCIO CONTINGENTE. Premessa. 1. La struttura organizzativa. 2.
L’approccio contingente alla progettazione della struttura
organizzativa. 2.1. Applicazioni del modello derivanti dalla ricerca empirica. 2.1.1. Strutture organizzative. 2.1.2.
Gestione delle risorse umane e meccanismi di coordinamento. 2.2. Conclusioni. Bibliografia. PARTE II. LA GOVERNANCE
DELL’IMPRESA SOCIALE. LE DIVERSE MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE DEGLI
STAKEHOLDERS, di Giuliana Baldassare. Premessa. 1. La finalità istituzionale dell’impresa sociale. 2. La natura multistakeholder dell’impresa sociale. 3. Lo sviluppo organizzativo
di tipo incrementale. 4. Un’ipotesi di schema interpretativo.
4.1. I diversi stakeholder e le motivazioni che sono alla
base del loro coinvolgimento. 4.2. Tipologie di aziende e
interessi prevalenti. 5. Conclusioni. Bibliografia. CAPITOLO
IV. LE CARATTERISTICHE DELLA GESTIONE DEL PERSONALE NELLE AZIENDE
NON PROFIT E NELLE IMPRESE SOCIALI. 1. Gli strumenti operativi di
gestione: la gestione del personale. 2. Il ruolo strategico del
personale nelle organizzazioni non profit. 3. I principi del
Management della qualità totale e la gestione del personale nelle aziende non profit. 4. Il personale volontario 4.1 I
Fattori caratterizzanti la gestione del personale volontario.
5. Comunicazione Interna. Bibliografia. CAPITOLO V. PARTE I.
PROGRAMMARE E VALUTARE LA GESTIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT, di
385
Azienda Pubblica 2.2009
Fonti di approfondimento
In libreria
Andrea Francesconi. 1. I sistemi di programmazione e controllo nelle aziende non profit: cenni generali. 2. I profili di
misurazione delle performance per le ANP. 2.1. Le dimensioni della performance nelle ANP: i concetti di efficienza
ed efficacia. 3. Il sistema di contabilità analitica nelle ANP.
4. Il sistema di reporting nelle ANP. 5. Il sistema di budget
nelle ANP. 6. Il sistema di Programmazione e Controllo nelle ANP: analisi di un’esperienza reale. 6.1 L’associazione
OSPE. 6.2. Il sistema di Programmazione e Controllo di
OSPE. Bibliografia. PARTE II. IL BILANCIO SOCIALE NELLE AZIENDE
NON PROFIT, di Filippo Giordano. 1. Il ruolo del bilancio sociale per le aziende non profit. 2. Gli elementi costitutivi
della rendicontazione sociale. 2.1. Le finalità. 2.2. Il processo. 3. I principali modelli di riferimento. 4. La struttura
del documento. 4.1. L’identità. 4.2. La rappresentazione
dei risultati economici. 4.3. La rappresentazione dei risultati sociali. Bibliografia. CAPITOLO VI. PARTE I. LA RACCOLTA FONDI:
PRINCIPI E METODOLOGIE, di Francesco Manfredi. 1. La raccolta
fondi. 2. Il concetto di scambio nella raccolta fondi. 3. Un
modello avanzato per la pianificazione della raccolta fondi. 4. La comunicazione per la raccolta fondi. 5. Il direct
marketing. 5.1. Il direct mail. 5.2. Il telemarketing. 5.3.
L’uso dei media. 6. La campagna di tesseramento soci. 7. I
grandi eventi. 8. Conclusioni. Bibliografia. PARTE II. LA CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE TRA
IMPRESA FOR PROFIT E NON PROFIT, di Giuseppe Ambrosio. 1. La
Corporate Social Responsibility. 2. Comunità locale e Non
Profit. 3. Le elargizioni liberali. 3.1. Monetarie . 3.2. Non
monetarie. 4. Gli investimenti nella comunità. 4.1. Le politiche sociali delle imprese e la Social Entrepreneurship (SE).
4.2. La Venture Philanthropy. 4.3. Lo Staff Involvement (SI).
5. Le iniziative commerciali. 5.1. Le sponsorizzazioni. 5.2.
Il Cause Related Marketing (CRM). Bibliografia. CAPITOLO
VII. GLI STRUMENTI DI FINANZIAMENTO PER L’IMPRESA SOCIALE: I FONDI
COMUNITARI E IL VENTURE CAPITAL, di Manuela Brusoni e Veronica
Vecchi. 1. Introduzione. 2. Il venture capital sociale. 2.1.
La doppia bottom line. 2.2. Aspetti tecnici: deal flow, exit
e dimensione dei fondi. 3. Il venture capital sostenibile. 4.
Il venture capital di Sviluppo locale. 5. La venture Philantropy. 6. I fondi Strutturali e i fondi Settoriali. 6.1. I fondi
strutturali. 6.2. I fondi settoriali. 7. L’approccio strategico
ai finanziamenti comunitari. 8. Le condizioni di accesso ai
finanziamenti comunitari da parte delle imprese sociali. Bibliografia.
Azienda Pubblica 2.2009
386
Fonti di approfondimento
L. BISIO, M. NICOLAI
Il patto di stabilità
e gli strumenti
di finanza locale
Rimini: Maggioli
Editore, 2009
pp. 422, € 34,00
ISBN 5106.4
GIAN CARLO COCCO
Gestire
un’associazione.
Strategia,
organizzazione
e marketing per
operatori di imprese
non profit
Milano: Franco Angeli,
2009
pp. 144, € 13,60
In libreria
Indice del volume: 1. Inquadramento del Patto di Stabilità e
Crescita a livello europeo. 2. I primi Patti di Stabilità Interni.
3. Il Patto di Stabilità Interno del 2002. 4. I Patti di Stabilità
2003 e 2004. 5. Il Patto di Stabilità per gli anni 2005 e
2006. 6. Il Patto per gli anni 2007, 2008 e 2009. 7. Il Patto
di Stabilità e gli strumenti finanziari. 8. Patto di Stabilità: fu
vera gloria?
Indice del volume: Premessa. Capitolo 1. Il marketing
associativo. 1.1. Breve panorama sull’associazionismo
culturale ed educativo. 1.2. Che cos’è il marketing e che
consiste il marketing associativo. 1.3. I criteri e gli strumenti per
la segmentazione delle associazioni culturali ed educative.
1.4. L’analisi della popolazione che compone le associazioni
culturali ed educative. 1.5. L’analisi della popolazione che
compone le associazioni. 1.6. La suddivisione tradizionale
delle associazioni educative e culturali, e i possibili
nuovi criteri di riferimento. 1.7. Le finalità del marketing
associativo. 1.8. La rilevazione dei dati delle associazioni
e la loro elaborazione. 1.9. Il marketing associativo e la
soddisfazione degli utenti. Capitolo 2. La forza associativa:
differenziazioni, integrazioni e sinergie tra le associazioni
culturali ed educative. 2.1. I vantaggi delle coalizioni
nella storia, nell’impresa e nella scienza e cultura. 2.2. I
vantaggi delle coalizioni tra le diverse associazioni culturali
ed educative. 2.3. Alcuni aforismi sulle associazioni e sulle
alleanze tra associazioni. Capitolo 3. L’organizzazione
delle associazioni: assetto, ruoli, funzionamento, regole
d’azione in relazione alle finalità. 3.1. Cenni introduttivi
sulla costituzione e sullo statuto di una associazione; La
lettura delle associazioni come sistemi organizzativi.
3.2. L’organizzazione interna di un’associazione. 3.3. Il
funzionamento degli organi collegiali delle associazioni.
3.4. Spunti applicativi. Capitolo 4. L’autonomia economica
e finanziaria e le fonti di finanziamento delle associazioni
non profit. 4.1. Lo sviluppo della sensibilità economica nella
gestione di un’associazione. 4.2. La contabilità generale
e il bilancio d’esercizio. 4.3. La contabilità analitica e
l’analisi dei costi. 4.4. Il bilancio preventivo e il controllo di
gestione. 4.5. Dotazioni, fondi e trasparenza. 4.6. Sintetico
387
Azienda Pubblica 2.2009
Fonti di approfondimento
In libreria
glossario amministrativo e finanziario. 4.7. L’autonomia
economica finanziaria e le fonti di finanziamento delle
associazioni non profit. 4.8. Appendice. Capitolo 5.
Comunicare tramite Internet. 5.1. Brevissima storia di
Internet. 5.2. La creazione di un sito informatico. 5.3.
Il caso dell’associazione Rinnovamento. 5.4. Esempi di
videate di un sito: l’associazione Rinnovamento. Capitolo 6.
I manager delle associazioni: vocazione o professione? 6.1.
Scoprire, riconoscere e sviluppare le capacità necessarie
per gestire un’associazione. 6.2. Il profilo del dirigente di
un’associazione educativa e culturale. 6.3. Modalità di
rilevazione delle capacità. Capitolo 7. Area emozionale.
Capitolo 8. Area intellettuale. Capitolo 9. Area gestionale.
Capitolo 10. Conclusioni.
Appendice. Un nuovo Servizio di Manageritalia destinato
ai figli dei dirigenti associati che hanno iniziato un’attività
lavorativa “Un Ponte sul Futuro”.
LORENZO D’AUTILIA, RENATO
RUFFINI, NEREO ZAMARO
(a cura di)
Il lavoro pubblico
tra cambiamento
e inerzie
organizzative
Milano: Bruno
Mondadori, 2009
pp. 323, € 28,00
ISBN
Azienda Pubblica 2.2009
Indice del volume: Introduzione di A. Naddeo. 1. Forme
organizzative e impiegati pubblici nell’epoca delle riforme,
di M.L. D’Autilia e N. Zamaro. 1.1. Il profilo mutevole della
questione amministrativa. 1.2. Riforma dell’amministrazione
e regolazione del personale in Italia. 1.3. Sulla dimensione
delle amministrazioni pubbliche in Italia: un quadro
d’insieme con alcuni approfondimenti. 2. La pianificazione
del personale nelle pubbliche amministrazioni tra fabbisogni
organizzativi e vincoli normativi, di P. Mastrogiuseppe. 2.1.
Premessa. 2.2. L’evoluzione della “pianificazione delle
risorse umane”. 2.3. La pianificazione delle risorse umane
nella pubblica amministrazione. 2.4. Il moto pendolare delle
riforme: aperture e chiusure nella gestione del personale e
degli organici. 2.5. Le conseguenze del moto pendolare:
il rischio della pianificazione come “adempimento
burocratico”. 2.6. Verso l’autonomia responsabile?. 3.
Strutture e organici tra il 1993 e il 2005, di F. Boscaino.
3.1. Strutture, funzioni e organici, tra legislature e governi.
3.2. Piante organiche e dotazioni organiche: la domanda di
lavoro della pubblica amministrazione. 3.3. Gli organici di
diritto e gli organici di fatto. 3.4. I movimenti del personale.
3.5. Caratteristiche strutturali del personale in servizio. 4.
La mobilità del personale, di R.B. Sanna. 4.1. Introduzione.
4.2. Le possibili forme di mobilità: definizioni operative.
4.3. La mobilità dei dipendenti pubblici: quadro generale.
388
Fonti di approfondimento
In libreria
4.4. La mobilità volontaria. 4.5. Alcune considerazioni sulla
mobilità territoriale. 4.6. La mobilità d’ufficio. 4.7. La mobilità
temporanea. 4.8. Conclusioni. 5. Concorsi e progressioni di
carriera, di M.L. D’Autilia e R.B. Sanna. 5.1. Introduzione.
5.2. I procedimenti. 5.3. Le progressioni di carriera. 6.
L’inquadramento professionale, di R.B. Sanna. 6.1. Premessa.
6.2. I sistemi di classificazione dei dipendenti pubblici. 6.3.
Lo stato di attuazione del nuovo sistema di classificazione e
i profili professionali. 6.4. Conclusioni. 7. La formazione del
personale, di F. Boscaino. 7.1. Apprendimento individuale e
apprendimento organizzativo. 7.2. La funzione formazione:
strutture, attori e strumenti. 7.3. La programmazione della
formazione. 7.4. Le attività formative: interventi e obiettivi,
modalità di erogazione e contenuti. 7.5. La valutazione
dell’attività formativa. 7.6. L’investimento in formazione. 8.
Linee di rinnovamento del lavoro pubblico, di R. Ruffini. 8.1.
I risultati delle riforme: un primo tentativo di sintesi. 8.2. Le
inerzie delle amministrazioni nell’applicazione della riforma
del pubblico impiego. 8.3. Le linee di intervento sul pubblico
impiego tra attualità e futuro.
A. NOBILE, A. SPADARO
Le forniture di
beni e servizi
nella pubblica
amministrazione
Rimini, Maggioli
Editore, 2009
pp. 722 con Cd-Rom
€ 70,00
ISBN 5124.2
Indice del volume: 1. Normativa di riferimento. 1.a. per
la scelta del fornitore di beni e servizi sopra la soglia
comunitaria. 1.b. per la scelta del fornitore di beni e servizi
sotto la soglia comunitaria. 1.c. per l’acquisizione di beni
e servizi nella P.A.. 1.d. di specifico richiamo in materia
contrattuale. 2. Gli adempimenti preliminari e preparatori
e l’attività contrattuale per l’acquisizione di beni e servizi.
3. La stipulazione del contratto e gli adempimenti per il
suo perfezionamento. 4. Le procedure alternative a quella
contrattuale. 5. Situazioni modificative del contratto. 6. I
contenuti contrattuali. 7. Procedure centralizzate secondo
le leggi finanziarie e procedure telematiche d’acquisto. 8.
Schemi di contratti. 9. Moduli convenzioni.
389
Azienda Pubblica 2.2009
Note per gli autori
Azienda Pubblica: note per gli autori
Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al
referaggio e la pubblicazione
La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura:
1) i contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in
formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È
richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni
successive.
2) I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità
con lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi
allegato), in forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede
l’impegno da parte degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per
la durata di tutto il processo di valutazione.
3) Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta
delle revisioni indicate.
4) La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle
modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui,
sottoposta agli stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore
modifica).
5) Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per
l’inserimento in un database di EGPA European Group of Public Administration).
Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti
condizioni:
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presentati per la considerazione presso altre riviste;
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bibliografici precisati di seguito.
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e necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro
riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio.
Invio dei contributi
I contributi devono essere presentati alla rivista presso:
Redazione Azienda Pubblica
Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità,
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di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo
completo, 5) eventuali ringraziamenti.
La seconda pagina: deve contenere 1) il titolo, 2) l’abstract in italiano, in inglese e francese
(massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di
tre) e 4) il Sommario.
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Azienda Pubblica 2.2009
Note per gli autori
Nella terza pagina: dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo.
La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione).
Non è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.).
Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati.
Si richiede il sommario iniziale.
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I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi
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Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici.
È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista.
Tabelle e figure: figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate
nel testo e riportate in file separato.
Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori.
Riferimenti bibliografici: i riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati
nel testo.
In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data.
La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347).
Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347).
Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno.
Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere
riportati a fine testo nella seguente forma:
Monografie
BRUNETTI G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli.
Pubblicazioni con più autori
BRUNS W.J., KAPLAN R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston,
MA: Harvard Business School Press.
Saggi in pubblicazioni
KAPLAN R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. CLARK, C. LORENZE
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Articoli in riviste
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pubblica, 4-5, pp. 489-512.
Rapporti/Atti
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Non pubblicati
ZITO A. (1994), “Epistemic communities in European policy-making”, Ph.D. dissertation, Department of
Political Science, University of Pittsburgh.
Stile e forma: si richiede uno stile lineare e scorrevole e il testo inviato deve essere già stato
sottoposto al controllo ortografico.
È raccomandato l’utilizzo della forma impersonale.
Azienda Pubblica 2.2009
392