gaetano fichera - Ordine dei Medici di Pavia
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gaetano fichera - Ordine dei Medici di Pavia
Appunti di Storia della Medicina Pavese: GAETANO FICHERA di Luigi Bonandrini Gaetano Fichera nasce a Catania l’8 marzo 1880. Compie gli studi medi e superiori in Sicilia, iscrivendosi poi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma. Fin da studente Fichera frequenta la Scuola Chirurgica romana di Francesco Durante, un nome noto in tutte le sale operatorie per la sua apprezzatissima pinza chirurgica “a manina”. Durante, nativo di Letojanni nel messinese, studia Medicina prima a Messina e poi a Napoli, dove si laurea nel 1864. Dopo la laurea soggiorna nelle principali capitali europee; a Vienna è allievo di Theodor Billroth, a Berlino di Rudolf Virchow, a Londra di Joseph Lister. Rientrato in Italia, gli viene affidata prima la Patologia e poi la Clinica Chirurgica dell’Università di Roma. Durante è un chirurgo poliedrico, un operatore insigne ed uno straordinario caposcuola, con sedici allievi in cattedra e moltissimi primari ospedalieri. Fichera diviene allievo di Durante e si laurea all’Università di Roma il 13 luglio 1903; Durante ha una spiccata predilezione per gli allievi siciliani e l’esser nati in Trinacria è il miglior biglietto da visita per entrare nella scuola del grande maestro. I primi anni della vita professionale di Fichera, avvengono al momento del passaggio nel nuovo secolo, quando la chirurgia vive l’esperienza del trapasso da un’arte meccanica ad un’arte biologica; l’anestesia è rudimentale, l’antisepsi è ancora rozza ed irritante, l’asepsi non esiste. Pur con eccessivi entusiasmi, la chirurgia resta empirica, approssimativa, molto incerta. Fichera, su indicazione di Durante, intuisce, prima di altri, che la sala operatoria passa per la strada del laboratorio e della ricerca; è su questo cammino che Fichera diviene un antesignano degli studi biologici. Gaetano Fichera Assistente ed Aiuto della Clinica Chirurgica di Roma, Fichera, nel 1914, passa sulla cattedra di Patologia Chirurgica prima di Cagliari e poi, nel 1921, di Messina, dove viene incaricato anche dell’insegnamento di Clinica Chirurgica. Il ritorno in Sicilia sembra preludere ad una stabilizzazione di Fichera, ma così non è perchè, nel 1923, Fichera viene chiamato sulla cattedra di Patologia Chirurgica dell’Università di Pavia, dove rimane fino al 1931, anno in cui sale alla cattedra di Clinica Chirurgica della stessa università. Fichera occupa la cattedra di Clinica Chirurgica fino al 1933, quando passa alla direzione dell’Istituto Nazionale dei tumori di Milano, al tempo denominato Istituto Vittorio Emanuele III. Una curiosità. Durante il periodo trascorso a Cagliari, Fichera, uomo vivace e intraprendente, il 30 maggio 1920 fonda il Cagliari I Football Club, la più importante società isolana di calcio. Nel 1970, il Cagliari, capitanato dal bomber mancino Gigi Riva, diverrà sorprendentemente campione d’Italia. Il Cagliari, unica squadra al mondo fondata da un chirurgo, su indicazione di Fichera, nasce con una casacca nera e azzurra, trasformata poi, nel 1926, nella attuale divisa rossa e blu. Un’altra curiosità. Una vecchia foto del 1932, riprende Fichera nell’aula della Clinica Chirurgica, mentre illustra i nuovi reparti alla regina Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III. Sullo sfondo si vede la lapide dedicata ad Enrico Bottini, padre fondatore dell’antisepsi All’Università di Pavia e nell’Ospedale S. Matteo, Fichera si dimostra uno studioso raffinato, un ricercatore non banale ed un clinico efficace; è anche un innovatore, nel senso che imposta alcuni studi nel campo della chirurgia sperimentale. La sua produzione scientifica è notevole e riguarda numerosi argomenti: la chirurgia delle arterie, la fisiopatologia dell’ipofisi, la malattia ulcerosa gastro-duodenale, la patologia delle vie biliari. Va ricordato che Fichera descrive “in maniera magistrale” la cosiddetta cistifellea a fragola, una patologia della quale offre connotazioni ben precise. Sono molte le pubblicazioni di Fichera ed hanno la caratteristica di essere quasi tutte monografiche. La figura di Fichera è legata soprattutto allo studio dei tumori, alla loro patogenesi e all’analisi dei fattori che predispongono al loro sviluppo. Questi studi, durati molti anni, inducono Fichera ad elaborare la “teoria dello squilibrio endocrino”, una ipotesi suggestiva fondata sulla presenza, nei malati di cancro, di fattori costituzionali correlati ad “una disarmonia del complesso funzionale delle ghiandole endocrine”. La teoria dà grandissimo lustro a Fichera, ma provoca non pochi contrasti scientifici, allorquando attribuisce alla milza ”uno specifico potere antitumorale”. L’intuizione di Fichera nasce dall’osservazione che raramente la milza viene coinvolta dal processo neoplastico dei tumori solidi; più problematica diviene la dimostrazione della correlazione fra la milza e lo squilibrio oncogeno. In sostan- za Fichera ipotizza un equilibrio fra eccitatori della proliferazione cellulare (ipofisi, paratiroidi, ovaie e testicoli) ed inibitori della proliferazione stessa (timo, fegato, pancreas, midollo, linfatici e placenta). La “risorsa naturale antitumorale “sarebbe da ricondurre a tale equilibrio, che rappresenta la vera ed unica barriera difensiva antitumorale. Elementi costituzionali, processi di invecchiamento e patologie comitate, possono interferire in questo equilibrio, determinando una patologica attività proliferativa quale, appunto, è il cancro. La teoria, di per sè, presenta rilevanti spunti scientifici di discussione, ma viene attaccata quando Fichera, prendendo spunto da essa, coinvolge specificamente il ruolo della milza, al punto da proporre un particolare trattamento del cancro a base di estratti della milza stessa; la milza verrebbe cioè coinvolta non solo come sistema di protezione del cancro, ma anche come possibile risorsa terapeutica. Questo scatena non poche critiche nel mondo scientifico, che però non modificano la posizione pervicace ed ostinata di Fichera. Antonio Pensa, preside di Facoltà, che ben conosce Fichera, fa un commento molto pertinente: “Se Fichera avesse contenuto le sue ricerche e i suoi studi nel solo campo della ricerca sperimentale, con indirizzo puramente scientifico nel quale era provetto, altre maggiori soddisfazioni avrebbe potuto avere”. Parole sante, perchè si tratta, come spesso accade in medicina, di un eccesso di vanità da parte di Fichera, nel voler imporre un particolare e indiscutibile trattamento del cancro a base di estratti di milza. L’applicazione terapeutica anticancro del metodo Fichera stenta a dare i risultati aspettati e non è, come dice lo scopritore, “di efficacia provvidenziale”. Per qualche verso Fichera anticipa le posizioni e le vicende della terapia anticancro di Antonio Di Bella: il mondo scientifico assume cioè due posizioni nettamente contrapposte, pro o contro. Nel caso della terapia Fichera, solo pochi medici, a dire il vero, si schierano a favore della sua efficacia. Conviene però ribadire che, ai tempi di Fichera, il cancro è chiamato “male oscuro” e II tutti, medici e pazienti, sono convinti che sia “un male impossibile da curare”. Quando Fichera passa dalla Patologia alla Clinica Chirurgica, nel 1931, si innesca un meccanismo perverso e difficile da controllare; viene velenosamente criticata non solo “la sua scoperta di cura del cancro”, ma anche “la reputazione che di lui si andava formando come operatore”. Nascono, accanto alle molte riserve scientifice, le critiche “non favorevoli” sulle capacità chirurgiche di Fichera. Può darsi che il giudizio sia in parte pretestuoso, ma certo Fichera non può dedicare molto tempo all’attività operatoria per i numerosi e gravosi impegni scientifici ed istituzionali. Infatti, fin dal 1926, Fichera è autorizzato dal Rettore di Pavia a risiedere a Milano, dove tiene la direzione provvisoria dell’Istituto per la cura del cancro. Fichera è poliglotta ed è spesso invitato a tenere conferenze sui tumori in molte capitali europee ed extraeuropee (Parigi, Londra, Vienna, Budapest, Buenos Aires). Inoltre Fichera fa parte della Commissione Ministeriale d’inchiesta sui tumori maligni, che si riunisce a Roma con una certa frequenza. Il risultato è che il fascicolo personale universitario di Fichera, è disseminato di permessi, congedi, nulla-osta, licenze e missioni. Nasce da qui il detto: “Fichera l’ghé mai, e quand’al ghé, l’è dré a ndà via”. Forse non è del tutto vero, ma è certo che viene aperta un’inchiesta da parte del Rettore dell’Università di Pavia per stabilire la compatibilità fra le molteplici attività di Fichera e “la direzione di un istituto universitario che richiede la cura chirurgica di ammalati”. La risposta, lapidaria, è affidata ad Aldo Perroncito, nipote e successore di Camillo Golgi: “Dal momento dell’inizio del funzionamento dell’Istituto Vittorio Emanuele III di Milano, le due direzioni sono assolutamente incompatibili senza alcuna possibile discussione”. La vicenda si trascina per alcuni anni, ha dei risvolti inaspettati e sfocia in un evento del tutto imprevedibile. Nel novembre del 1933, Fichera lascia la direzione della Clinica Chirurgica dell’Università di Pavia per dimissioni volontarie, caso unico nella storia chirurgica pavese; l’uomo, fiero ed orgoglioso, lascia la cattedra più prestigiosa dell’Università e decide di andare a dirigere l’Istituto dei Tumori di Milano. Il passo, cioè la decisione, non è semplice, perchè sono a confronto posizioni fra loro contrastanti. Fichera, con moglie e tre figli, (Adelfo, Luisa e Anna Maria), risiede a Milano, in ossequio ad una presunta mentalità aristocratica degli insegnanti, volta a superare la “provincialità” di Pavia. A Milano è nata da poco, dal 1924, l’Università Statale e Fichera spera in una nuova prospettiva accademica. Fichera non è avido di danaro, ma al danaro è molto sensibile come dimostrano alcune vertenze con i pazienti e Milano offre opportunità pecuniarie inimmaginabili rispetto a Pavia. Fichera, per sua natura, ha l’animus del ricercatore, è portato ad approfondire i suoi studi sul cancro e Milano rappresenta un’occasione irripetibile. Infine una grande ditta farmaceutica promette a Fichera tutto il supporto finanziario per affermare la “sua” terapia dei tumori. La possibilità e il fascino di poter fare ricerche avanzate, la seduzione di una disponibilità economica illimitata, il prestigio di dirigere una struttura innovativa, fanno scattare nel cervello di Fichera la molla di una decisione molto sofferta. C’è anche un “tarlo” in un anfratto della mente di Fichera: il sogno di un premio Nobel assegnato finalmente ad un chirurgo dopo Theodor Kocher, un Nobel ingiustamente sottratto ad Enrico Bottini, altro illustre chirurgo di scuola pavese. La scelta di Milano, si rivela, per Fichera come per qualche altro docente pavese, una “polpetta avvelenata”. Ambizione, gloria, prestigio, vanità, divengono uno specchietto per allodole, una trappola ed un calappio insidioso ed ingannevole. I “sogni” di Fichera si trasformano, all’improvviso, in chimere. Abituato a comandare e ad essere ubbidito, Fichera si ritrova in un mondo nuovo, difficile, a lui ostile ed estraneo. La nuova struttura è in via di completamento, non è del tutto III autonoma e non ha ancora efficienza gestionale ed organizzativa. La sua scoperta viene messa in discussione ed anche “ridicolizzata”. La grande ditta farmaceutica, dopo tante promesse, decide di togliere ogni finanziamento a Fichera. Una vicenda solo in apparenza marginale, coinvolge Fichera: la sua nomina all’Accademia d’Italia, vista come una rivalsa verso il mondo accademico e scientifico. Fichera la dà per certa, ma Raffaele Bastianelli, grande chirurgo romano, si oppone con accanimento e la corsa finisce a favore dell’anatomo-patologo Giuseppe Pianese. Il carattere di Fichera si inasprisce e l’uomo, dapprima pacioso, diviene ruvido, duro, anche scorbutico. La sirena delle lusinghe gli gioca un brutto scherzo, facendogli abbandonare la Clinica Chirurgicadi Pavia, il posto più autorevole dell’Università. Fichera lascia il certo per l’incerto, dimenticando che nella vita, come in chirurgia, il meglio è nemico del bene. In fondo Fichera si innamora di un’illusione, come fanno i sognatori, gli idealisti, gli utopisti. Convinto di fare il passo decisivo della vita, Fichera scivola banalmente; i pensieri “forti” svaniscono nel labirinto dei pensieri “deboli”. Il dubbio amletico di una scelta sbagliata tormenta i suoi pensieri e la sua anima. A cinquantacinque anni, Fichera cade nel vortice mentale della depressione. E si spara. È il 12 maggio 1935. Fichera incarna la figura carismatica del chirurgo-ricercatore. Molti chirurghi, nella storia del ventesimo secolo, possono essere indicati come protagonisti di nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche, ma per pochi o per pochissimi di loro, come ad esempio Alexis Carrel, si può affermare che talento, istinto ed intuizione siano quelli del ricercatore puro. La chirurgia, che a volte richiede fantasia, creatività ed inventiva, si presta bene alla ricerca applicata, ma si presta meno bene alla ricerca di base; per natura stessa il fare chirurgico tende a “sovrastare” il campo della ricerca. Fichera abbandona troppo e troppe cose; lascia il nuovissimo Policlinico S. Matteo appena inaugurato, lascia una città dove è il primo chirurgo, lascia un’università antichissima, lascia una carriera accademica fino a quel momento rapida e precoce. Proviene da una grande scuola, è ancor giovane e forse decide nel momento sbagliato. La sua caratterialità un poco introversa, la manifesta ostilità scientifica, la delusione del nuovo ambiente, l’avvilimento per i mancati fondi di ricerca, l’umiliazione per la mancata nomina all’Accademia, la mortificazione per aver lasciato inutilmente un posto di prestigio, certamente gettano Fichera nello sconforto. La sua personalità non è semplice da decodificare. In perenne combattimento con sè stesso e col mondo, l’uomo è dotato di una intelligenza fuori dal comune; ingegno e perspicacia sono parte integrante del suo bagaglio intellettuale. Fichera è però un’anima inquieta, sempre alla ricerca di cose nuove e di nuove esperienze. Dietro la sua figura imponente e bonaria, si nasconde uno spirito contorto, dibattuto fra scelte professionali complesse. Per tutta la vita un conflitto si nasconde nella sua identità, sospesa fra il ricercatore e il chirurgo. La vicenda di Fichera suggerisce il legame fra creatività e mente umana, un viaggio sempre difficile e sempre affascinante. Fichera si può definire un uomo geniale, ma i cosiddetti “geni” hanno una spiccata originalità ed una parallela eccentricità; per questo sono esposti al pericolo della sofferenza psichica. Anche la ricerca è una forma di arte ed è frequente il rapporto fra disagio mentale e produzione artistica. Pensiero, inconscio e follia finiscono per mescolarsi nella mente tribolata di Fichera. William Shakespeare, nel monologo di Amleto, offre una magistrale lettura di anatomia della psiche: “Chi mai vorrebbe sopportare le sferzate e le irrisioni del tempo, i torti dell’oppressore, le offese dei superbi, l’arroganza dei potenti, lo strazio di un amore respinto, ..., potendo trovar pace, da se stesso, con la semplice lama di un pugnale?” È questa la scelta di Fichera. IV