Trib Pordenone 11/05/2016 - Dipartimento di Giurisprudenza

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Trib Pordenone 11/05/2016 - Dipartimento di Giurisprudenza
Trib. Pordenone Sez. lavoro, Sent., 11-05-2016
Fatto - Diritto P.Q.M.
LAVORO (RAPPORTO DI)
Categoria, qualifica, mansioni
in genere
Lavoro
subordinato in genere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Pordenone, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci
pronuncia la seguente
SENTENZA
nella causa in materia di lavoro e di previdenza promossa con ricorso depositato il 25 marzo 2013
DA
A.F.
rappresentato e difeso dagli avv.ti F. QUERIN, R. VALDI e D. ZOZZOLI
RICORRENTE
CONTRO
A.C.. SOC. COOP.
rappresentata e difesa dall'avv. L. GENNARI
RESISTENTE
Oggetto: IMPUGNATIVA PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI NONCHÉ LICENZIAMENTO/ ESCLUSIONE,
DEQUALIFICAZIONE, MOBBING E RISARCIMENTO DANNI
Causa discussa e decisa all'udienza del 10 marzo 2016 sulle seguenti
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Nel presente contenzioso, promosso con ricorso depositato in data 25/3/13 da A.F. - assunto a tempo
indeterminato ed ammesso a socio dalla Cooperativa convenuta a decorrere dal 2/1/09 con mansioni di
addetto al Magazzino D.S.C. (Divisione servizi condivisi - struttura regionale pubblica) di Pordenone
occupantesi della distribuzione del materiale occorrente ai presidi sanitari degli Ospedali di Pordenone - le
questioni sottoposte al vaglio dell'adito Tribunale concernono:
A) la sussistenza o meno della competenza funzionale del Giudice del lavoro;
B) l'accertamento in merito all'invalidità dei due primi provvedimenti disciplinari di sospensione
rispettivamente datati 15/3/12 e 26/4/12;
C) l'accertamento in merito all'illegittimità delle trattenute retributive relative ai mesi di settembre e
ottobre 2012;
D) la sussistenza di un invocato demansionamento;
E) la sussistenza di un asserito comportamento mobbizzante ad opera della società datoriale;
F) l'accertamento in merito all'invalidità del provvedimento di sospensione dd. 16/11/12;
G) l'asserita illegittimità del provvedimento di licenziamento/esclusione da socio cooperatore dd. 24/1/13.
Orbene:
Sub A) La questione preliminare, già affrontata dal decidente con Provv. 10 gennaio 2014 nel senso
attributivo della propria competenza in forza dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 40 c.p.c., prende
avvio dalla nota ordinanza N. 850 del 2005 della Suprema Corte che, interpretando la modifica dell'art. 1
della L. n. 142 del 2001 introdotta dalla L. n. 30 del 2003 secondo la quale in capo al socio lavoratore della
cooperativa coesistono un rapporto associativo avente connotazione mutualistica ed un ulteriore rapporto
di lavoro, è giunta a ritenere che SOLO LE CONTROVERSIE RELATIVE ALLA PRESTAZIONE MUTUALISTICA
SONO DI COMPETENZA DEL GIUDICE ORDINARIO EX ART. 5 COMMA 2 L. n. 142 del 2001 (laddove la
locuzione prestazione mutualistica non può essere intesa come coincidente ipso facto con la prestazione
lavorativa giungendo, se così fosse, al paradosso di venir attribuita al Giudice Ordinario la cognizione di
tutte le controversie in materia di lavoro tra soci e cooperativa).
Da ciò è scaturito l'orientamento consolidato consacrato attraverso la sentenza 6/10/15 N. 19775 della
Cassazione secondo cui QUALORA IL RAPPORTO DI LAVORO DEL SOCIO LAVORATORE DI COOPERATIVA
VENGA RISOLTO PER DUE CAUSE CONCORRENTI TRAENTI ORIGINE DA UNA STESSA CONDOTTA, IL
CONCORSO DELL'IMPUGNATIVA DELLA DELIBERA DI ESCLUSIONE E DEL PROVVEDIMENTO DI
LICENZIAMENTO CONFIGURA UN'IPOTESI DI CONNESSIONE DI CAUSE, una con riflessi sul rapporto
mutualistico e l'altra su quello lavorativo, DETERMINANTE LA COMPETENZA DEL GIUDICE DEL LAVORO IN
FORZA DELL'ART. 40 co 3 c.p.c.
Disposizione quest'ultima che per l'appunto prevede, per le cause connesse da trattarsi Luna con rito
ordinario e l'altra con il rito del lavoro, che la vis attrattiva sia esercitata dal procedimento da trattarsi con il
rito del lavoro.
Statuizione questa costituente NORMA GENERALE ECCEZIONALMENTE DEROGATA DALL'ART. 5 comma 1
della L. n. 142 del 2001.
L'accertata competenza funzionale del Giudice del Lavoro fa venir meno anche l'invocata applicabilità della
CLAUSOLA ARBITRALE alla presente fattispecie, fermo restando:
1) che secondo quanto anche chiarito dalla giurisprudenza di legittimità SIA L'ARBITRATO RITUALE CHE
QUELLO IRRITUALE SONO AMMESSI SOLO SE PREVISTI DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA (ed in tal
senso nulla è stato dedotto o richiesto di provare dalla società convenuta sul punto);
2) che entrambe dette forme costituiscono STRUMENTO ALTERNATIVO E NON ESCLUSIVO PER LA
RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE DI LAVORO.
Prima di entrare nel merito delle ulteriori questioni, necessita una precisazione preliminare in fatto
imprescindibile per la comprensione e valutazione degli aspetti trattati nei punti che seguono.
In data 20/6/2012 il ricorrente veniva sottoposto a visita presso la Commissione medica per l'accertamento
della capacità globale ai fini del collocamento mirato (all. 21) la quale esprimeva una diagnosi di cardiopatia
ipertensiva con episodi di tachicardia parossistica. Detto organo giudicava il signor A. invalido al 50% e lo
considerava controindicato in relazione ad attività che potevano comportare: esposizione a rischio da
movimentazione manuale dei carichi sin dai 3 kg, rischio da turno notturno, mantenimento obbligatorio di
posizioni in piedi per la maggior parte del turno; lavori a catena a ritmi elevati; esposizione a microclima
caldo; necessità di concentrazione ed attenzione.
Su successivo incarico a lui affidato dalla convenuta Cooperativa il medico competente Dott. Vacca Daniele
con nota dd. 11/9/12 esprimeva giudizio di inidoneità permanente del dipendente alle mansioni di addetto
al magazzino, addetto alla preparazione, carrellista.
Con lettera dd. 18/9/12 A. proponeva ricorso avanti lo S.P.S.A.L. di Pordenone che con nota dd. 17/10/12
(all. 32) riformulava il giudizio nel senso di ritenere il lavoratore "IDONEO ALLA MANSIONE DI ADDETTO AL
MAGAZZINO, ADDETTO ALLA PREPARAZIONE, CARRELLISTA".
In data 10/12/12 in seguito ad un forte dolore alla schiena l'odierno attore era costretto a ricorrere alle
CURE DEL PRONTO SOCCORSO OVE GLI VENIVA DIAGNOSTICATA UNA LOMBALGIA CRONICA (all. 48).
Sub B) Con i provvedimenti disciplinari di sospensione rispettivamente datati 15/3/12 e 26/4/12 la
Cooperativa sanzionava il signor A. per due fattispecie aventi la stessa configurazione, ovvero L'ASSERITO
USO IMPROPRIO DEL TELEFONO AZIENDALE SULLA SCORTA DI DOCUMENTAZIONE (fattura intestata alla
Cooperativa e tabulati telefonici) NELLA QUALE SI FACEVA RIFERIMENTO A CONSUMI PER SERVIZI A
PAGAMENTO, non inerenti all'attività in seno alla società, M.A..
Orbene:
1) In forza della specifica previsione di cui all'art. 25 Regolamento Aziendale, secondo il quale "In tutte le
fasi del procedimento disciplinare DEVE ESSERE RICONOSCIUTO ALL'INCOLPATO IL PIÙ AMPIO DIRITTO
ALLA DIFESA", reputa il giudicante come gravasse sulla Cooperativa stessa l'obbligo di messa a disposizione
del lavoratore dei documenti aziendali laddove l'esame degli stessi si renda necessario al fine di consentire
al dipendente coinvolto in un procedimento disciplinare un'adeguata tutela (Cass. sent. 15169/12).
Ora non v'è chi non veda come la mancata consultazione di documenti aziendali (proprio sulla scorta dei
quali nel caso di specie è stato mosso il duplice addebito) abbia minato radicalmente il diritto alla difesa
dell'odierno attore, il quale per tale motivo è stato costretto a rendere delle giustificazioni del tutto
generiche.
2) Difetta in sede di contestazione scritta l'enunciazione di specifici ed altrettanto imprescindibili elementi
fattuali (quali fossero gli accessi WAP a cui si riferiva l'azienda, quando si sarebbero verificati, quali fossero i
servizi a pagamento a cui avrebbe asseritamente avuto accesso il signor A.).
3) Nulla risulta poi essere stato provato nel merito ad opera della convenuta, quale soggetto onerato, circa
l'invocato utilizzo per scopi extra aziendali del traffico telefonico.
Dall'accertata e dichiarata illegittimità dei provvedimenti disciplinari comminati consegue il diritto del
ricorrente alla restituzione delle incontestate, peraltro di evidenza documentale, somme trattenute in
busta paga.
Sub C) Costituisce dato incontroverso che la Cooperativa resistente ha trattenuto l'intera retribuzione
attorea nei mesi di settembre e ottobre 2012 per complessivi Euro 2.049,60. Orbene:
1) La Suprema Corte ha avuto più volte modo di affermare che il datore di lavoro può legittimamente
omettere il pagamento della retribuzione solo nel caso in cui la prestazione lavorativa sia divenuta
impossibile ovvero sia stato stipulato un accordo modificativo del contratto individuale di lavoro in forza del
quale le parti convengono che per un certo periodo non saranno eseguite le prestazioni e le
controprestazioni (sospensione del rapporto).
Nulla di tutto ciò è accaduto nel caso di specie, ove la mancata ripresa al lavoro non è stata determinata
dalla volontà dell'A. ma da una DISFUNZIONE ORGANIZZATIVA DATORIALE TUTTALTRO CHE IMPREVEDIBILE
ED INEVITABILE (ferie del RSPP).
2) Per giunta IL RICORRENTE NON ERA STATO GIUDICATO TOTALMENTE INIDONEO ALL'ATTIVITÀ
LAVORATIVA MA UNICAMENTE ALLA MANSIONE ben potendo questi essere adibito ad altra attività, come
espressamente riconosciuto dalla Cooperativa con lettera 13/9/12 (all. 29) dove riservava al RSPP "di
verificare con la massima sollecitudine la sussistenza di mansioni adeguate alle sue condizioni fisiche
nell'ambito dell'attività svolta da A.C.".
E ciò a prescindere dal fatto che il giudizio di inidoneità espresso dal Medico Competente è stato, come
visto in precedenza, integralmente disatteso dalla Commissione dello SPSAL sì da ritenere la sospensione
dal lavoro inutilmente effettuata.
Ne consegue il diritto dell'A. alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute anche a fronte della
messa in mora operata con raccomandata 10/9/12 (all. 27) e 15/10/12 (all. 34: "Sono a vostra disposizione
per lavorare").
Sub D) Quanto alla sussistenza dell'invocato demansionamento, nell'indubbia contrapposizione delle
deposizioni acquisite in corso di causa, ritiene l'adito Tribunale maggiormente attendibili i testi introdotti
dall'attore V.T., G.R. e P.M. non solo per la loro situazione soggettiva (ben due di loro, segnatamente V. e
G., non hanno più al momento della relativa assunzione la pendenza del rapporto di lavoro determinante
una riconosciuta e per così dire naturale coazione psicologica) ma anche per l'assenza di incongruenze o di
significative reticenze che invece contraddistinguono le dichiarazioni rese nel contraddittorio dai signori
S.V., F.V. e Z.F., i primi due peraltro ancora dipendenti al momento del loro racconto.
Orbene nel delineato quadro l'espletata istruttoria ha dimostrato senza ombra di dubbio che il ricorrente è
stato illegittimamente adibito a mansioni inferiori a quelle precedentemente esercitate, avendo SEMPRE
SVOLTO - prima di entrare in malattia all'inizio del 2012 - LE MANSIONI DI CAPOSERVIZIO che prevedevano
la gestione del magazzino, la gestione degli ordini in via informatica, la gestione della preparazione del
materiale, il coordinamento tra i reparti spedizione, ricevimento farmaci, farmacia ed economato e del
relativo personale (vedasi cap. 12 del ricorso confermato da V.T.).
L'espletamento di tale attività ad opera dell'A. ha trovato puntuale riscontro soprattutto nelle dichiarazioni
rese da G.R. (che in tutto il 2011 e sino a febbraio 2012 ha svolto il ruolo di "capocommessa" in A.C.) il
quale così si è significativamente espresso:
"Posso dire per riscontro diretto che il ricorrente faceva un po' di tutto. Si occupava della fase operativa del
magazzino, intesa come movimentazione delle merci, prelievi, stoccaggi e tutto ciò, in pratica, che era
inerente all'attività di magazzino. IN PIÙ SVOLGEVA ANCHE FUNZIONI DI COORDINAMENTO DEI VARI
REPARTI. Posso dire che l'A. COORDINAVA CIRCA UNA TRENTINA DI PERSONE, in media soggetti che poi, nel
corso del tempo, sono venuti ad aumentare. Voglio precisare che IL RICORRENTE DAVA INDICAZIONI
OPERATIVE Al VARI SOGGETTI i quali, in prima battuta, si rivolgevano a lui ove fossero sussistite delle
problematiche. POSSO DIRE CHE IL RICORRENTE SVOLGEVA IL RUOLO DI CAPOSERVIZIO, DA INTENDERSI
COME RESPONSABILE DI MAGAZZINO".
Dal canto suo V.T. ha riferito di aver RISCONTRATO DE VISU IN AZIENDA LA PRESENZA DI UN
ORGANIGRAMMA DOVE RISULTAVANO INDICATE LE MANSIONI DEGLI OPERATORI TRA CUI QUELLA DI
CAPOSERVIZIO ATTRIBUITA ALL'A..
Per contro i testi F. e S. - a detta dei quali il ruolo di "caposervizio" sarebbe stato introdotto solo a partire
dal 2012 con l'aumento delle commesse da gestire - nel riferire in udienza come nel periodo antecedente le
indicazioni o direttive così come il coordinamento del personale fossero di pertinenza del G. sono stati
AMPIAMENTE SCONFESSATI DA QUEST'ULTIMO, CHE INVECE HA INTESO FAR DIRETTAMENTE RICADERE
SULL'A. DETTE ATTIVITÀ.
Risulta poi altrettanto pacifico e dimostrato che l'azienda, dopo il rientro dalla malattia del ricorrente
nell'ottobre 2012, del tutto improvvisamente e senza alcun motivo ha MUTATO LE MANSIONI DI
QUEST'ULTIMO AFFIDANDOGLI IN VIA ESCLUSIVA UN RUOLO MERAMENTE ESECUTIVO DI
MOVIMENTAZIONE DEL MATERIALE, fermo il rilievo che non è stata oggetto di contestazione la circostanza
che le mansioni di caposervizio precedentemente esercitate fossero controindicate rispetto allo stato di
salute del ricorrente.
Orbene può ragionevolmente ritenersi, facendo leva su elementi di prova di natura presuntiva, come
l'accertato demansionamento abbia prodotto un grave danno alla dignità personale ed al prestigio
professionale del lavoratore, tutelati dall'art. 35 comma 1 Cost., 2087 e 2103 c.c.
In punto determinazione a livello quantitativo del pregiudizio subito e prendendo a riferimento in via
equitativa una quota pari al 50% della retribuzione mensile lorda (Euro 1.536,64) da moltiplicarsi per tutto il
periodo di dequalificazione (da ottobre 2012 alla cessazione del rapporto del gennaio 2013), si perviene
all'importo complessivo di Euro 2.304,96 (ovvero Euro 768,32 x3) debitamente maggiorato di interessi
legali e rivalutazione monetaria.
Sub E) Nel presente caso deve ritenersi altresì integrata la condotta di mobbing, che come noto
rappresenta un concetto contenitore di condotte sistematiche e protratte nel tempo con caratteristiche
oggettive di persecuzione e discriminazione ove la pluralità di azioni debba essere valutata e interpretata
non in modo atomistico ma nel suo insieme, nella compenetrazione cioè del loro svilupparsi e del loro
interagire sicché anche episodi in sé leciti possano assurgere a fattispecie illecite nel momento in cui, per le
modalità di estrinsecazione degli stessi o per altri fattori, si pongano in una prospettiva diversa da quelli ad
essa naturale.
Si osserva in proposito che anche nella recente pronuncia N. 63/2015 la Suprema Corte ha statuito che
l'intento vessatorio e persecutorio è dimostrabile attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti i cui
elementi devono essere valorizzati nel loro insieme e non attraverso un indizio alla volta.
Nel caso di specie vanno considerati, quali significativi aspetti:
1) plurimi procedimenti disciplinari, molti dei quali azionati in pendenza di malattia;
2) l'accertata dequalificazione da caposervizio;
3) stress lavorativo correlato all'osservanza dell'obbligo di reperibilità ed all'eccessivo carico di lavoro, come
comprovato dal teste V.T. il quale ha riferito:
"Evidenzio che l'A. era sempre reperibile mentre altri lo erano a turno.
Sub 16: Confermo la circostanza con riferimento ad un incremento di orario di lavoro.
Posso dire che QUESTO INCREMENTO non HA RIGUARDATO la generalità degli operatori ma IN MODO
PRESSOCHÈ ESCLUSIVO L'A.";
4) mancata e, come sopra visto, ingiustificata erogazione della retribuzione a settembre ed ottobre 2012;
5) ordine rivolto al lavoratore, nell'arco di due giorni (segnatamente il 17 e 19 dicembre 2012) di fare il
"picking", attività consistente nel prelevare il materiale in magazzino tramite un terminale mobile e l'utilizzo
di un carrello detto "commissionatore" (mansione ritenuta dal diretto interessato non idonea sul
presupposto che comportava la necessità di restare a lungo in piedi ed a movimentare materiale pesante
con continue sollecitazioni alla schiena, circostanze tutte controindicate sia con riferimento alle limitazioni
indicate dall'INPS sia in relazione ai postumi della lombalgia di cui all'allegato 48);
6) licenziamento IN TRONCO con estromissione istantanea del dipendente.
In sede di perizia espletata in corso di causa il Dott. Gaiatto ha dal canto suo certificato il nesso di causa tra
il disturbo psichiatrico manifestato dal signor A. e le condotte datoriali qualora le circostanze fattuali, in
proposito capitolate dall'odierno attore, avessero trovato definitiva conferma in sede giudiziale.
Per quanto concerne la quantificazione del danno alla salute, deve farsi necessario riferimento alle
risultanze dell'elaborato in cui è stata ravvisata la sussistenza di un'incidenza percentuale di menomazione
temporanea dell'efficienza psico- fisica del lavoratore del 30% nel periodo decorrente da gennaio 2012 a
luglio 2012.
Sicché, applicate le tabelle del Tribunale di Milano col valore minimo giornaliero di Euro 96,00 e
considerato il periodo di 212 giorni indicato dal CTU, si perviene ad una liquidazione del danno non
patrimoniale pari ad Euro 6.105,60 (96 x 212 x 30/100).
Sub F) Il relativo provvedimento disciplinare nasce dalla contestazione dd. 6/11/2012 del seguente tenore:
"In data 31/10/12, verso le ore 8.30 ca., al ricevimento merci lei si è rifiutato di scaricare un mezzo con il
transpallet elettrico di merce che il magazzino stava aspettando per chiudere gli ordini di preparazione
richiesti dagli ospedali utenti, quali Sacchi Igiene, Manopole per Igiene Pazienti e Coprilenzuola per
Pazienti".
Orbene:
1) Come condivisibilmente espresso dal patrocinio dell'odierno attore, nel momento in cui l'adito Tribunale
accerta esserci stata dequalificazione (ed è proprio il caso di specie), ANCHE LE CONTESTAZIONI INERENTI
GLI ASSERITI RIFIUTI DI SVOLGERE MANSIONI DEQUALIFICATE CADONO AUTOMATICAMENTE stante la
pregressa violazione datoriale al precetto legale di cui all'art. 2103 cc. secondo il noto brocardo
INADIMPLENTI NON EST ADIMPLENDUM.
2) In ogni caso la svolta istruttoria ha consentito di appurare in modo incontrovertibile come l'A. NON
AVESSE INTESO RIFIUTARSI PURAMENTE E SEMPLICEMENTE DI SVOLGERE DELLA MANSIONI (fatto questo
contestato dalla ditta) RICHIEDENDO INVECE DI ESPLETARLE CON MODALITÀ DIVERSE (ovvero con un
carrello elevatore di tipo diverso) CERCANDO SOLO DI PROTEGGERE IL PROPRIO STATO DI SALUTE
attraverso il ricorso ad ausili tecnici, a suo parere in grado di evitare peggioramenti alle proprie condizioni
fisiche.
Così si è espresso in proposito il teste S.V.:
"L'ADESIONE DEL LAVORATORE ERA SUBORDINATA ALL'UTILIZZO DI UN DETERMINATO MEZZO
COMPATIBILE CON LE SUE CONDIZIONI.
Il ricorrente intendeva lavorare con un carrello laterale che però non è idoneo allo scarico dei mezzi per
motivi di sicurezza indicati dal costruttore".
Secondo poi quanto dichiarato dal F.: "IL RIFIUTO DEL RICORRENTE NON VA INTESO IN TERMINE ASSOLUTO
NEL SENSO CHE EGLI INTENDEVA SVOLGERE L'ATTIVITÀ SERVENDOSI DI UN CARRELLO NON IDONEO ALLO
SCARICO in quanto non dotato di guida laterale e con dei bilancieri non rispettosi della norma di sicurezza".
Si deve soltanto rilevare in questa sede L'INIDONEITÀ DEI PREDETTI TESTI A (///) CIRCOSTANZE TECNICHE (E
NON SU FATTI) PERALTRO ASSOLUTAMENTE INDIMOSTRATE.
Sub G) La convenuta Cooperativa ha licenziato l'odierno attore sulla scorta dell'asserito rifiuto del
dipendente a svolgere le mansioni di picking nelle giornate del 17 e 19 dicembre 2012. Orbene:
1) Nell'intimare il recesso la società ha TENUTO CONTO DELLA RECIDIVA IN ORDINE ALLE SANZIONI
DISCIPLINARI DI SOSPENSIONE COMMINATE NEI DUE ANNI PRECEDENTI, INCLUSI I PROVV. 15 MARZO 2012,
PROVV. 26 APRILE 2012 E PROVV. 16 NOVEMBRE 2012, oggetto dell'odierno ricorso quanto
all'accertamento della loro illegittimità.
Ora non v'è chi non veda come con il giudizialmente dichiarato annullamento degli stessi viene meno
l'elemento fondante il comminato atto espulsivo, tale da farlo caducare anche solo per questo motivo.
2) Si è già argomentato in precedenza che nel momento in cui il Giudice verifichi esserci stata
dequalificazione, ANCHE LA CONTESTAZIONE INERENTE GLI ASSERITI RIFIUTI DI SVOLGERE LE MANSIONI
DEMANSIONANTI CADE AUTOMATICAMENTE, stante la pregressa violazione datoriale alla norma dell'art.
2103 cc. secondo il noto brocardo Inadimplenti non est adimplendum.
Né può sostenersi che l'esercizio di tali mansioni fosse stato concordato con il dipendente, atteso da un lato
il difetto di prova di un accordo in tal senso e dall'altro che un'eventuale intesa sarebbe stata comunque
illegittima in base alla citata disposizione normativa.
3) Nel merito della contestazione va ulteriormente segnalato, rimandando al concetto di picking già
enunciato nonché alle condizioni di salute del signor A.:
- che assai significativamente i testi indotti da parte convenuta, a precisa domanda del giudice, NON
RAMMENTANO SE IL DIPENDENTE ABBIA DICHIARATO QUALCOSA A GIUSTIFICAZIONE DEL PROPRIO
RIFIUTO;
- che quest'ultimo in quelle due precise occasioni NON SI È COMUNQUE SOTTRATTO DALLO SVOLGIMENTO
DI ULTERIORI ATTIVITÀ quali ad esempio l'esecuzione dell'inventario, lasciando invece intendere la
sollevata contestazione che A. si fosse rifiutato di fare tutto.
Il F. per giunta, sebbene presente, ha altresì dichiarato in udienza: "Non ricordo esattamente se un fatto
analogo a livello di rifiuto si sia verificato anche qualche giorno dopo".
Dall'accertata e dichiarata pronuncia di illegittimità del provvedimento datoriale dd. 24/1/13 nella
prospettazione sia di estinzione del rapporto societario che lavorativo, consegue il diritto dell'odierno
attore alla riammissione in Cooperativa in qualità di socio nonché alla ricostituzione del rapporto lavorativo
con pagamento del risarcimento del danno secondo gli ordinari criteri civilistici, stante la messa in mora
circa la disponibilità a rendere la prestazione (cfr. la raccomandata 18/2/13 di cui all'allegato 53).
Ne discende la condanna della società resistente al pagamento delle retribuzioni tutte nel (///) maturate
sino all'effettiva riammissione in servizio dell'A. secondo gli emolumenti di cui ai prospetti paga dimessi in
causa.
Le spese di lite infine nonché l'accollo dell'intero costo della CTU seguono naturalmente la soccombenza e
si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pordenone in funzione di Giudice del Lavoro in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci,
definitivamente pronunciando nell'ambito del procedimento promosso con ricorso da A.F. e depositato il
25.03.2013, così provvede:
Ribadita la propria competenza funzionale
1) Accerta e dichiara l'illegittimità dei provvedimenti disciplinari di sospensione dd. 15.03.2012, 26.04.2012,
15.11.2012 e 24.12.2012 con conseguente diritto del ricorrente alla restituzione delle incontestate somme
trattenute in busta paga (Euro 219,20).
2) Accerta e dichiara altresì l'illegittimità delle trattenute delle retribuzioni relative ai mesi di settembre ed
ottobre 2012 a titolo di assenza ingiustificata per il complessivo importo di Euro 2.049,60.
3) Accerta e dichiara ancora l'illegittimità ed inefficacia del provvedimento di esclusione dd. 24.01.2013
della Cooperativa e della conseguente cessazione del rapporto di lavoro e per l'effetto
4) Dispone la riammissione del sig. A.F. in qualità di socio nonché la ricostituzione del rapporto lavorativo
con condanna della società convenuta al pagamento delle retribuzioni maturate dal 18 febbraio 2013
(raccomandata di messa in mora) sino all'effettiva esecuzione del disposto giudiziale secondo gli importi di
cui ai prospetti paga dimessi in causa.
5) Ravvisata altresì la fattispecie di demansionamento nonché la sussistenza di una condotta mobbizzante
ad opera della Cooperativa, condanna quest'ultima, in persona del legale rappresentante pro tempore, a
corrispondere al ricorrente A.F.:
- Euro 2.304, 96 a titolo di pregiudizio alla professionalità;
- Euro 6.105, 60 a titolo di danno non patrimoniale.
Somme tutte maggiorate di interessi e rivalutazione dalla maturazione delle singole poste creditorie al
soddisfo.
6) Condanna infine A.C. Soc. C.., accollato il costo dell'espletata CTU, a rifondere all'odierno attore le spese
di lite, che complessivamente liquida in Euro 14.000,00 oltre accessori.
Fissa per il deposito della motivazione il termine di 60 giorni dall'odierna pronuncia.
Così deciso in Pordenone, il 10 marzo 2016.
Depositata in Cancelleria il 11 maggio 2016.