Il personale odontoiatrico - centro servizi odontoiatrici montagna

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Il personale odontoiatrico - centro servizi odontoiatrici montagna
o d o n t o i a t r i c a
p r a t i c a
l a
Le patologie professionali
del personale odontoiatrico
e il contenzioso
odontoiatra-paziente
PRESENTAZIONE
DELLA COLLANA
Nel panorama editoriale di odontoiatria in Italia oggi sono prevalentemente presenti molti testi superspecialistici e di approfondimento di ogni singola branca della disciplina, o testi di clinica odontoiatrica
estremamente generici e teorici e poco adatti a un utilizzo clinico pratico.
La collana di Odontoiatria pratica e ragionata, che si propone di colmare il divario esistente, è costruita
sulla base dell’esperienza clinica quotidiana oltre che dello studio e della ricerca di diversi autori, ognuno cultore di una parte della materia e contemporaneamente professionista e operatore pratico.
È quindi attingendo alle conoscenze ed alle esperienze maturate in anni di lavoro professionale svolto alla poltrona che gli autori sviluppano volume per volume gli argomenti che, come un mosaico, compongono l’odontoiatria generale.
Ogni autore, infatti, si è rifatto nella stesura della sua parte dell’opera, oltre che alla sua esperienza clinica, a protocolli internazionali accettati e ai dati più recenti della letteratura scientifico-odontoiatrica.
Il piano dell’opera, dopo una esposizione semplice e pratica degli aspetti di medicina del lavoro e medico-legali legati alla professione, segue il percorso ideale del paziente che necessita di cure e che si rivolge allo studio professionale: dapprima l’igiene orale, successivamente la chirurgia, poi endodonzia, conservativa, parodontologia, ortodonzia, protesi ecc.: infatti, dapprima si pulisce la bocca del paziente con
l’igiene orale e con le estrazioni degli elementi considerati persi o la cui presenza può essere causa di patologie, quindi, in relazione al piano di lavoro, si esegue il recupero degli elementi residui, la terapia parodontale e così via fino alla riabilitazione completa dell’apparato.
Lo stesso piano dell’opera è, dunque, una guida pratica per l’odontoiatria generale, così come ogni volume offre un percorso diagnostico-terapeutico attuabile quotidianamente nella pratica ambulatoriale
Questa è perciò un’opera di grande utilità per il dentista di odontoiatria generale: per il dentista vero, colui che quotidianamente è chiamato a risolvere i problemi più vari del paziente.
Nell’accingerci a questo lavoro ci siamo proposti di realizzare una guida attraverso le immagini, estremamente utile agli interventi, con testi immediati, sintetici e pratici.
Certo di lavorare nell’interesse della grandissima maggioranza dei colleghi, e in particolare dei giovani
che si avvicinano alla professione, con giustificato orgoglio presento questa collana.
Vincenzo Bucci Sabattini
COLLABORATORI
Donato
CALISTA
Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Dermatologia
e in Malattie infettive. Dirigente di primo livello, Reparto
di Dermatologia dell’Ospedale Bufalini di Cesena
Claudio
CROSARA
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Otorinolaringoiatria e in Audiologia
Luigi M.
DALEFFE
Medico Chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia. Presidente nazionale ANDI
Giuseppe
FERRONATO
Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione
in Odontostomatologia, in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
e in Chirurgia Maxillo-facciale. Cattedra e Unità Operativa
di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Università degli Studi di Padova.
Direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia
Maxillo-facciale e della Scuola di Specializzazione
di Ortognatodonzia dell’Università degli Studi di Padova
Riccardo
LUCCA
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia
Marco L.
SCARPELLI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia
Mario
TOMMASI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Terapia fisica
e Riabilitazione
Marco
VIANINI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Oculistica
PREFAZIONE
L’obiettivo posto alla base del progetto di questo libro è duplice e consiste nel presentare un panorama
aggiornato su due diversi argomenti inerenti alla professione odontoiatrica: la medicina del lavoro, cioè
i rischi dovuti all’attività lavorativa per il personale sanitario operante negli studi odontoiatrici, la medicina legale, ovvero il problema della responsabilità professionale nel contenzioso tra odontoiatra e paziente.
Questi argomenti hanno ricevuto negli ultimi anni forti e numerosi impulsi normativi e legislativi, che riconoscono una matrice comune nell’intento del legislatore di rispondere alla richiesta della società di tutelare il diritto alla salute dei lavoratori e dei pazienti.
Si impone, quindi, una lettura dinamica del rapporto ambivalente, tra odontoiatri e società, che richiede
l’acquisizione di una nuova mentalità capace di assorbire concetti di solito non abituali per il classico bagaglio culturale degli operatori. Lo studente, infatti, non trova nel suo curriculum di studi accademici queste materie e l’odontoiatra, successivamente, vedrà frequentemente mutare, nel corso della propria vita,
sia le normative, sia le interpretazioni, sia gli adempimenti previsti per legge. Il numero delle pubblicazioni in materia e il flusso continuo di norme e di leggi ha proporzioni tali da fare abbandonare in partenza ogni velleitaria speranza di completezza e di stabilità delle conclusioni raggiunte.
L’obiettivo prefisso non è una certosina raccolta di dati o documenti; bensì quello di fare provvisoriamente il punto sulla situazione di due argomenti che possono, a buon diritto, essere considerati delle subspecialità caratterizzate da un proprio specifico corpo e fisionomia: l’odontoiatria legale e la medicina del
lavoro odontoiatrica.
Questi argomenti, pur interessando potenzialmente una vasta categoria di operatori odontoiatrici, stimata in Italia nell’ordine di 200.000 persone circa, sembrano essere stati sempre tenuti in scarsa considerazione; come dimostra anche l’assoluta carenza di manuali che trattino specificamente e in modo unitario
tali importanti aspetti. La frammentarietà dei trattati disponibili, peraltro, è frutto di sforzi isolati da parte di specialisti in medicina del lavoro e medicina legale, le cui considerazioni appaiono all’odontoiatra
spesso svincolate dalla realtà lavorativa, quindi perlopiù incomprensibili o inapplicabili nella prassi clinica quotidiana.
In quest’ottica serve, quindi, un continuo ruolo di traduzione tra diverse competenze in modo da facilitare la diffusione e la promozione di questi aspetti di cultura necessari all’attività professionale.
Nell’accettare l’invito a realizzare questo volume, ho rispettato i suggerimenti ricevuti di semplicità e
chiarezza, ponendomi costantemente il problema della scelta di che cosa sia più importante trasmettere
a chi legge e come renderlo percepibile.
Il testo è scritto per gli odontoiatri, ma è rivolto a tutto il personale che lavora nelle strutture odontoiatriche. Per tale motivo ho cercato di utilizzare un linguaggio comprensibile, pur nel rigore scientifico, in
modo da favorire la lettura del testo anche da parte di operatori con formazioni e competenze professionali diverse.
Sommacampagna 30 marzo 2001
Fabrizio Montagna
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX
MEDICINA DEL LAVORO
11 Medicina del lavoro in odontoiatria
Il personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . .
Le patologie occupazionali
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La valutazione in medicina del lavoro .
Terminologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
4
5
7
9
11
14
14
16
13 Infezioni occupazionali ematogene
Patologie trasmissibili in odontoiatria
Modalità di esposizione occupazionale .
Fattori di rischio per
una trasmissione efficace . . . . . . . . . . . . .
Epidemiologia delle infezioni
occupazionali nel personale
odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
21
21
24
25
14 Norme universali per la prevenzione
delle infezioni ematogene occupazionali
Norme universali
di prevenzione (NUP)
.................
30
32
33
35
44
48
15 Disinfezione delle protesi
12 La salute del lavoratore: legislazione
e giurisprudenza
La normativa in tema di sicurezza
dei lavoratori e degli ambienti
di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La tutela assicurativa dell’INAIL . . . . . . .
La responsabilità civile e penale . . . . . . . .
L’infezione occupazionale:
orientamenti giurisprudenziali
e medico-legali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Informazione e formazione
professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Controllare il proprio stato di salute . . . .
Evitare il contatto con il sangue
e la saliva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rendere lo strumentario
sicuro per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Limitare la disseminazione di sangue
e la contaminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Identificazione e limitazione
delle situazioni a rischio . . . . . . . . . . . . . .
30
Disinfezione delle impronte . . . . . . . . . . . . . 51
Modalità di invio di materiale protesico
al laboratorio odontotecnico . . . . . . . . . . 52
Disinfezione delle protesi . . . . . . . . . . . . . . . . 53
16 Profilassi post-esposizione
Il pronto soccorso nello studio
odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Il rischio di epatite virale da HBV
e HCV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Il rischio di infezione da HIV . . . . . . . . . . . 59
17 Dermatosi professionali
Epidemiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dermatite irritativa da contatto (DIC) .
Dermatite allergica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dermatiti infettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
62
63
64
66
18 Patologie muscolo-scheletriche
Rachialgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
Sindromi muscolo-scheletriche
del distretto cervico-brachiale . . . . . . . . 75
XII
INDICE
19 Radiazioni ionizzanti
MEDICINA LEGALE
78
79
80
Cenni di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Radiobiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Radioprotezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione della popolazione . . . . . . . . . . .
Orientamenti per la prevenzione . . . . . . . .
80
81
82
10 Patologie oculari
Illuminazione del luogo di lavoro . . . . . . . 83
Radiazioni ottiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
Traumi chimici e fisici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
11 Tossicologia professionale
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Mercurio e amalgama dentale . . . . . . . . . . .
Gas anestetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Protossido di azoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Disinfettanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
91
92
99
99
101
12 Patologie acustiche
Elementi di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fisiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il rumore e la patologia correlata . . . . . . .
Legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale e rischio
occupazionale in odontoiatria . . . . . . . .
102
103
104
107
107
15 Epidemiologia del contenzioso
La morfologia del contenzioso . . . . . . . . . . .
La tariffazione del rischio
e il premio assicurativo . . . . . . . . . . . . . . .
La responsabilità e la quantificazione
del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La percezione del problema
da parte degli odontoiatri . . . . . . . . . . . . .
Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127
128
129
130
131
16 I motivi di insoddisfazione
Il rapporto tra odontoiatra e società . . . .
L’aumento del contenzioso
sfavorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Motivi contingenti di insoddisfazione
nella prassi clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prospettive e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
132
134
136
139
17 La prevenzione e la gestione
delle situazioni difficili
Aspetti psicologici nel rapporto
odontoiatra-paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La contrapposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il conflitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
141
142
143
143
144
18 La prevenzione del contenzioso
Come inizia il contenzioso
..............
148
13 Patologie respiratorie
Le polveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Controllo della qualità dell’aria negli
ambienti confinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Patologie respiratorie da polveri
disperse e vapori nell’ambiente . . . . . . .
Malattie infettive respiratorie . . . . . . . . . . .
110
111
112
113
113
14 Stress e patologie del comportamento
La patologia psicosomatica . . . . . . . . . . . . . . 119
La patologia psichica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
19 La gestione del contenzioso
stragiudiziale
La conciliazione diretta
tra odontoiatra e paziente . . . . . . . . . . . .
La commissione di conciliazione
dell’ordine dei medici
chirurghi e odontoiatri . . . . . . . . . . . . . . . .
L’arbitrato irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La liquidazione del danno mediante
la compagnia assicurativa . . . . . . . . . . . .
152
153
154
155
20 Il procedimento giudiziario
La gestione del contenzioso
giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
INDICE
Il processo penale nelle
sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
Il processo civile nelle
sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
21 La modulistica
per lo studio odontoiatrico
178
179
180
181
181
23 Casistica
Modulo per il consenso alle cure . . . . . . . . .
Tutela della privacy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esame medico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dispositivi su misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
170
171
171
174
22 La polizza assicurativa
per responsabilità professionale
Le condizioni generali di polizza
La denuncia di sinistro . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La responsabilità di garanzia . . . . . . . . . . .
L’efficacia temporale della polizza . . . . . .
Il patto di gestione della lite
e il conflitto di interessi . . . . . . . . . . . . . . .
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XIII
.......
178
Caso 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia
.....................................
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DELLA STESSA COLLANA (in preparazione)
Bucci Sabattini V., Roncati Parma Benfenati M. – Parodontologia
Crippa R. – Patologia orale
Tessore G. – Odontoiatria conservativa
Zerbinati A., Merlini R., Zerbinati F. – Chirurgia
Per una consultazione dell’intero catalogo,
visitate il sito internet http:// www.masson.it
Fabrizio Montagna
Le patologie professionali
del personale odontoiatrico
e il contenzioso
odontoiatra-paziente
Rischi, prevenzione, normative e responsabilità
LA PRATICA ODONTOIATRICA
collana diretta da Vincenzo Bucci Sabattini
MASSON
Tutte le copie devono portare il contrassegno della SIAE
© 2001 - Masson S.p.A. - Milano
Printed in Italy
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.
L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume.
Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’AIDRO, via delle Erbe 2, 20121 Milano - Tel. e Fax 02/809506.
La medicina è una scienza in continua evoluzione. La ricerca e l’esperienza clinica ampliano costantemente le nostre conoscenze,
soprattutto in relazione alle modalità terapeutiche e alla farmacologia. Qualora il testo faccia riferimento al dosaggio o alla posologia di farmaci, il lettore può essere certo che autori, curatori ed editore hanno fatto il possibile per garantire che tali riferimenti
siano conformi allo stato delle conoscenze al momento della pubblicazione del libro. Tuttavia, si consiglia il lettore di leggere attentamente i foglietti illustrativi dei farmaci per verificare personalmente se i dosaggi raccomandati o le controindicazioni
specificate differiscano da quanto indicato nel testo. Ciò è particolarmente importante nel caso di farmaci usati raramente o immessi di recente sul mercato.
Masson è una società del gruppo Havas
Masson S.p.A. - Via F.lli Bressan 2, 20126 Milano
Tel. 02.27.074.1 - Fax 02.27.074.553 - E-mail: [email protected]
PRESENTAZIONE
DELLA COLLANA
Nel panorama editoriale di odontoiatria in Italia oggi sono prevalentemente presenti molti testi superspecialistici e di approfondimento di ogni singola branca della disciplina, o testi di clinica odontoiatrica
estremamente generici e teorici e poco adatti a un utilizzo clinico pratico.
La collana di Odontoiatria pratica e ragionata, che si propone di colmare il divario esistente, è costruita
sulla base dell’esperienza clinica quotidiana oltre che dello studio e della ricerca di diversi autori, ognuno cultore di una parte della materia e contemporaneamente professionista e operatore pratico.
È quindi attingendo alle conoscenze ed alle esperienze maturate in anni di lavoro professionale svolto alla poltrona che gli autori sviluppano volume per volume gli argomenti che, come un mosaico, compongono l’odontoiatria generale.
Ogni autore, infatti, si è rifatto nella stesura della sua parte dell’opera, oltre che alla sua esperienza clinica, a protocolli internazionali accettati e ai dati più recenti della letteratura scientifico-odontoiatrica.
Il piano dell’opera, dopo una esposizione semplice e pratica degli aspetti di medicina del lavoro e medico-legali legati alla professione, segue il percorso ideale del paziente che necessita di cure e che si rivolge allo studio professionale: dapprima l’igiene orale, successivamente la chirurgia, poi endodonzia, conservativa, parodontologia, ortodonzia, protesi ecc.: infatti, dapprima si pulisce la bocca del paziente con
l’igiene orale e con le estrazioni degli elementi considerati persi o la cui presenza può essere causa di patologie, quindi, in relazione al piano di lavoro, si esegue il recupero degli elementi residui, la terapia parodontale e così via fino alla riabilitazione completa dell’apparato.
Lo stesso piano dell’opera è, dunque, una guida pratica per l’odontoiatria generale, così come ogni volume offre un percorso diagnostico-terapeutico attuabile quotidianamente nella pratica ambulatoriale
Questa è perciò un’opera di grande utilità per il dentista di odontoiatria generale: per il dentista vero, colui che quotidianamente è chiamato a risolvere i problemi più vari del paziente.
Nell’accingerci a questo lavoro ci siamo proposti di realizzare una guida attraverso le immagini, estremamente utile agli interventi, con testi immediati, sintetici e pratici.
Certo di lavorare nell’interesse della grandissima maggioranza dei colleghi, e in particolare dei giovani
che si avvicinano alla professione, con giustificato orgoglio presento questa collana.
Vincenzo Bucci Sabattini
COLLABORATORI
Donato
CALISTA
Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Dermatologia
e in Malattie infettive. Dirigente di primo livello, Reparto
di Dermatologia dell’Ospedale Bufalini di Cesena
Claudio
CROSARA
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Otorinolaringoiatria e in Audiologia
Luigi M.
DALEFFE
Medico Chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia. Presidente nazionale ANDI
Giuseppe
FERRONATO
Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione
in Odontostomatologia, in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
e in Chirurgia Maxillo-facciale. Cattedra e Unità Operativa
di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Università degli Studi di Padova.
Direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia
Maxillo-facciale e della Scuola di Specializzazione
di Ortognatodonzia dell’Università degli Studi di Padova
Riccardo
LUCCA
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia
Marco L.
SCARPELLI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione
in Odontostomatologia
Mario
TOMMASI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Terapia fisica
e Riabilitazione
Marco
VIANINI
Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Oculistica
PREFAZIONE
L’obiettivo posto alla base del progetto di questo libro è duplice e consiste nel presentare un panorama
aggiornato su due diversi argomenti inerenti alla professione odontoiatrica: la medicina del lavoro, cioè
i rischi dovuti all’attività lavorativa per il personale sanitario operante negli studi odontoiatrici, la medicina legale, ovvero il problema della responsabilità professionale nel contenzioso tra odontoiatra e paziente.
Questi argomenti hanno ricevuto negli ultimi anni forti e numerosi impulsi normativi e legislativi, che riconoscono una matrice comune nell’intento del legislatore di rispondere alla richiesta della società di tutelare il diritto alla salute dei lavoratori e dei pazienti.
Si impone, quindi, una lettura dinamica del rapporto ambivalente, tra odontoiatri e società, che richiede
l’acquisizione di una nuova mentalità capace di assorbire concetti di solito non abituali per il classico bagaglio culturale degli operatori. Lo studente, infatti, non trova nel suo curriculum di studi accademici queste materie e l’odontoiatra, successivamente, vedrà frequentemente mutare, nel corso della propria vita,
sia le normative, sia le interpretazioni, sia gli adempimenti previsti per legge. Il numero delle pubblicazioni in materia e il flusso continuo di norme e di leggi ha proporzioni tali da fare abbandonare in partenza ogni velleitaria speranza di completezza e di stabilità delle conclusioni raggiunte.
L’obiettivo prefisso non è una certosina raccolta di dati o documenti; bensì quello di fare provvisoriamente il punto sulla situazione di due argomenti che possono, a buon diritto, essere considerati delle subspecialità caratterizzate da un proprio specifico corpo e fisionomia: l’odontoiatria legale e la medicina del
lavoro odontoiatrica.
Questi argomenti, pur interessando potenzialmente una vasta categoria di operatori odontoiatrici, stimata in Italia nell’ordine di 200.000 persone circa, sembrano essere stati sempre tenuti in scarsa considerazione; come dimostra anche l’assoluta carenza di manuali che trattino specificamente e in modo unitario
tali importanti aspetti. La frammentarietà dei trattati disponibili, peraltro, è frutto di sforzi isolati da parte di specialisti in medicina del lavoro e medicina legale, le cui considerazioni appaiono all’odontoiatra
spesso svincolate dalla realtà lavorativa, quindi perlopiù incomprensibili o inapplicabili nella prassi clinica quotidiana.
In quest’ottica serve, quindi, un continuo ruolo di traduzione tra diverse competenze in modo da facilitare la diffusione e la promozione di questi aspetti di cultura necessari all’attività professionale.
Nell’accettare l’invito a realizzare questo volume, ho rispettato i suggerimenti ricevuti di semplicità e
chiarezza, ponendomi costantemente il problema della scelta di che cosa sia più importante trasmettere
a chi legge e come renderlo percepibile.
Il testo è scritto per gli odontoiatri, ma è rivolto a tutto il personale che lavora nelle strutture odontoiatriche. Per tale motivo ho cercato di utilizzare un linguaggio comprensibile, pur nel rigore scientifico, in
modo da favorire la lettura del testo anche da parte di operatori con formazioni e competenze professionali diverse.
Sommacampagna 30 marzo 2001
Fabrizio Montagna
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX
MEDICINA DEL LAVORO
11 Medicina del lavoro in odontoiatria
Il personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . .
Le patologie occupazionali
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La valutazione in medicina del lavoro .
Terminologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
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5
7
9
11
14
14
16
13 Infezioni occupazionali ematogene
Patologie trasmissibili in odontoiatria
Modalità di esposizione occupazionale .
Fattori di rischio per
una trasmissione efficace . . . . . . . . . . . . .
Epidemiologia delle infezioni
occupazionali nel personale
odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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24
25
14 Norme universali per la prevenzione
delle infezioni ematogene occupazionali
Norme universali
di prevenzione (NUP)
.................
30
32
33
35
44
48
15 Disinfezione delle protesi
12 La salute del lavoratore: legislazione
e giurisprudenza
La normativa in tema di sicurezza
dei lavoratori e degli ambienti
di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La tutela assicurativa dell’INAIL . . . . . . .
La responsabilità civile e penale . . . . . . . .
L’infezione occupazionale:
orientamenti giurisprudenziali
e medico-legali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Informazione e formazione
professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Controllare il proprio stato di salute . . . .
Evitare il contatto con il sangue
e la saliva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rendere lo strumentario
sicuro per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Limitare la disseminazione di sangue
e la contaminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Identificazione e limitazione
delle situazioni a rischio . . . . . . . . . . . . . .
30
Disinfezione delle impronte . . . . . . . . . . . . . 51
Modalità di invio di materiale protesico
al laboratorio odontotecnico . . . . . . . . . . 52
Disinfezione delle protesi . . . . . . . . . . . . . . . . 53
16 Profilassi post-esposizione
Il pronto soccorso nello studio
odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Il rischio di epatite virale da HBV
e HCV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Il rischio di infezione da HIV . . . . . . . . . . . 59
17 Dermatosi professionali
Epidemiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dermatite irritativa da contatto (DIC) .
Dermatite allergica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dermatiti infettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
62
63
64
66
18 Patologie muscolo-scheletriche
Rachialgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
Sindromi muscolo-scheletriche
del distretto cervico-brachiale . . . . . . . . 75
XII
INDICE
19 Radiazioni ionizzanti
MEDICINA LEGALE
78
79
80
Cenni di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Radiobiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Radioprotezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione della popolazione . . . . . . . . . . .
Orientamenti per la prevenzione . . . . . . . .
80
81
82
10 Patologie oculari
Illuminazione del luogo di lavoro . . . . . . . 83
Radiazioni ottiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
Traumi chimici e fisici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
11 Tossicologia professionale
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Mercurio e amalgama dentale . . . . . . . . . . .
Gas anestetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Protossido di azoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Disinfettanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
91
92
99
99
101
12 Patologie acustiche
Elementi di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fisiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il rumore e la patologia correlata . . . . . . .
Legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale e rischio
occupazionale in odontoiatria . . . . . . . .
102
103
104
107
107
15 Epidemiologia del contenzioso
La morfologia del contenzioso . . . . . . . . . . .
La tariffazione del rischio
e il premio assicurativo . . . . . . . . . . . . . . .
La responsabilità e la quantificazione
del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La percezione del problema
da parte degli odontoiatri . . . . . . . . . . . . .
Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127
128
129
130
131
16 I motivi di insoddisfazione
Il rapporto tra odontoiatra e società . . . .
L’aumento del contenzioso
sfavorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Motivi contingenti di insoddisfazione
nella prassi clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prospettive e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
132
134
136
139
17 La prevenzione e la gestione
delle situazioni difficili
Aspetti psicologici nel rapporto
odontoiatra-paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La contrapposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il conflitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
141
142
143
143
144
18 La prevenzione del contenzioso
Come inizia il contenzioso
..............
148
13 Patologie respiratorie
Le polveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Controllo della qualità dell’aria negli
ambienti confinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Patologie respiratorie da polveri
disperse e vapori nell’ambiente . . . . . . .
Malattie infettive respiratorie . . . . . . . . . . .
110
111
112
113
113
14 Stress e patologie del comportamento
La patologia psicosomatica . . . . . . . . . . . . . . 119
La patologia psichica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Esposizione professionale
in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
19 La gestione del contenzioso
stragiudiziale
La conciliazione diretta
tra odontoiatra e paziente . . . . . . . . . . . .
La commissione di conciliazione
dell’ordine dei medici
chirurghi e odontoiatri . . . . . . . . . . . . . . . .
L’arbitrato irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La liquidazione del danno mediante
la compagnia assicurativa . . . . . . . . . . . .
152
153
154
155
20 Il procedimento giudiziario
La gestione del contenzioso
giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
INDICE
Il processo penale nelle
sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
Il processo civile nelle
sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
21 La modulistica
per lo studio odontoiatrico
178
179
180
181
181
23 Casistica
Modulo per il consenso alle cure . . . . . . . . .
Tutela della privacy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esame medico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dispositivi su misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
170
171
171
174
22 La polizza assicurativa
per responsabilità professionale
Le condizioni generali di polizza
La denuncia di sinistro . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La responsabilità di garanzia . . . . . . . . . . .
L’efficacia temporale della polizza . . . . . .
Il patto di gestione della lite
e il conflitto di interessi . . . . . . . . . . . . . . .
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XIII
.......
178
Caso 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia
.....................................
184
185
186
187
188
189
190
191
MEDICINA
DEL LAVORO
INTRODUZIONE
1 MEDICINA DEL LAVORO
IN ODONTOIATRIA
2 LA SALUTE DEL LAVORATORE:
LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA
3 INFEZIONI OCCUPAZIONALI
EMATOGENE
4 NORME UNIVERSALI PER LA
PREVENZIONE DELLE INFEZIONI
EMATOGENE OCCUPAZIONALI
5 DISINFEZIONE DELLE PROTESI
6 PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE
7 DERMATOSI PROFESSIONALI
8 PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
9 RADIAZIONI IONIZZANTI
10 PATOLOGIE OCULARI
11 TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
12 PATOLOGIE ACUSTICHE
13 PATOLOGIE RESPIRATORIE
14 STRESS E PATOLOGIE
DEL COMPORTAMENTO
Le disposizioni legislative in materia di tutela della salute dei lavoratori si risolvono in un inevitabile aumento di responsabilità dell’odontoiatra nel
suo ruolo di datore di lavoro. L’aumento delle relative incombenze è, da molti, interpretato come
un noioso e inutile aumento del carico burocratico ed economico; peraltro ingiustificato per una
professione che è caratterizzata da un basso rischio di patologie professionali.
Personalmente ho sempre vissuto questo problema con molteplici e contrastanti sentimenti: come
odontoiatra clinico partecipo al malessere dei colleghi e preferirei ignorare l’argomento; come
esperto in medicina legale sono attratto dagli
aspetti legislativi e giurisprudenziali della materia;
come medico sono affascinato dalle patologie sistemiche e dalle correlazioni tra medicina e odontoiatria.
Inoltre, come membro dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani, sono convinto che sia necessario per gli odontoiatri interessarsi della medicina
del lavoro nel loro ambito, in modo da indirizzare
il legislatore verso scelte corrette che costituiscano un aiuto e non un ostacolo all’esercizio della
professione.
Quando, però, per aggiornarmi sull’argomento, ho
cercato delle fonti bibliografiche, sono rimasto sorpreso nel rilevare che nel panorama editoriale italiano non esisteva un’opera che compendiasse le
diverse informazioni che risultavano, invece, sparse in modo inorganico in diverse pubblicazioni.
Fiducioso nel fatto che le mie conoscenze in infettivologia costituissero una buona base di partenza
e lusingato dalla curiosità sulla materia, ho iniziato a scrivere sull’argomento.
Si è rivelata un’esperienza più faticosa del previsto, ma piacevole perché mi ha confermato alcune
intuizioni di ordine generale.
Innanzitutto, che l’odontoiatria è una professione
sicura, ma che la conoscenza dei pur minimi rischi
ad essa collegati permette di viverla più compiutamente e serenamente.
In secondo luogo, che anche la materia a prima vista più ostica, una volta studiata e compresa, diviene straordinariamente interessante, forse anche perché ognuno di noi si affeziona alle proprie
competenze.
Omnia venenum sunt; nec sine veneno quicquam
existit.
Dosis sola facit, ut venenum non sit
Qualsiasi cosa è velenosa: nessuna è priva di capacità
venefica.
È solo la dose che fa in modo che una sostanza non sia
velenosa.
Filippo Aurelio Teofrasto Bombast di Hohenhainm,
noto con lo pseudonimo di Paracelso, 1493-1541
Lotio post mensam tibi confert munera bina:
mundificat palmas et lumina reddit acuta, si fore vis
sanus, ablue saepe manus
Il lavarsi dopo cena ti dà un duplice beneficio:
ti purifichi le palme e rende gli occhi acuti, se vuoi
stare sano lavati spesso le mani.
Scuola Salernitana,
De utilitate lotionis manus, XIII secolo
CAPITOLO 1
MEDICINA DEL LAVORO
IN ODONTOIATRIA
F. Montagna
Il personale odontoiatrico
In base a dati stimati attualmente, nel nostro paese il personale odontoiatrico ammonterebbe a
circa 180.000-200.000 unità che lavorano quasi totalmente in strutture private (tabella 1).
Tuttavia, nonostante la notevole rilevanza dal
punto di vista sia numerico che economico e sociale, il personale odontoiatrico è trascurato per
quanto riguarda l’analisi dei fattori di rischio specifici inerenti l’attività e l’ambiente di lavoro.
In particolare non esistono statistiche di settore
su infortuni e malattie professionali, utilizzando, a
tal fine, per estensione i dati derivati da altre attività sanitarie con profili di rischio molto diversi.
Il pericolo di tali estrapolazioni è rappresentato
Tab. 1 Numero e tipologia degli operatori odontoiatrici in
Italia
TIPOLOGIA DI OPERATORI
ODONTOIATRICI
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Odontoiatri*
Maschi
Femmine
Rapporto odontoiatra/abitanti
Esercenti abusivi la professione**
Assistenti dentali**
(100% sesso femminile)
Igieniste dentali**
Laboratori odontotecnici***
Totale
NUMERO
37.842
79,7%
20,3%
1/1523,97
10.000-15.000
80.000-90.000
1400
2000
180.000-200.000
* Censimento FNOMCeO del febbraio 2000 (comprendente anche le doppie
iscrizioni all’Albo degli odontoiatri e annotazione all’Albo dei medici).
** Dati stimati.
*** Attività che risultano registrate presso il Ministero della Sanità nel 2000;
il numero stimato di odontotecnici è di circa 45.000 unità.
dall’alimentazione di ingiustificati timori, dalla
proposizione di controlli immotivati o adempimenti legislativi onerosi e di limitata concreta utilità.
Dalla carenza di dati deriva, inoltre, la difficoltà ad
impostare un programma nazionale uniforme di
informazione e formazione del personale odontoiatrico sui rischi professionali e sulle più adeguate misure preventive sia per il benessere degli
operatori, nonché in funzione della normativa legislativa in tema di sicurezza degli ambienti di lavoro.
In linea di massima il personale che lavora in
strutture odontoiatriche può essere classificato in
due linee di addetti in base alle funzioni a cui è
adibito:
• il personale sanitario (odontoiatra, igienista
dentale, assistente dentale) con compiti di
diagnosi e cura, per il quale esistono rischi
specifici determinati dal contatto con malattie, farmaci, materiali dentali e dispositivi medici;
• il personale non sanitario (addetto alla segreteria, all’amministrazione, alla pulizia) per il
quale esistono rischi generici sovrapponibili
ad altri ambiti lavorativi o domestici (microclima, organizzazione del lavoro).
La suddivisione non può essere netta considerato che la maggior parte degli studi dentistici è di
tipo monoprofessionale ed il limitato numero di
operatori svolge più mansionari che si sovrappongono sulla stessa persona; ne consegue che
tutto il personale di studio è generalmente esposto agli stessi fattori di rischio.
Nel novero e nella trattazione svolta in questo
manuale non è stato incluso il personale odontotecnico che presenta rischi professionali
diversi dal personale dello studio odontoiatrico, più simili all’industria che al settore sanitario.
4
MEDICINA DEL LAVORO
Le patologie occupazionali
in odontoiatria
È preliminarmente importante ribadire che la professione odontoiatrica è relativamente sicura e
che il rischio per gli operatori è ridotto nei confronti di altre categorie di sanitari.
Del resto, in mancanza di registrazioni o di raccolte sistematiche di dati inerenti alle morbosità occupazionali nel personale odontoiatrico in Italia,
possiamo trarre le informazioni da alcune ricerche svolte prevalentemente mediante sondaggi individuali con interviste e questionari (tabella 2).
Maggiore affidabilità offrono invece alcuni studi
svolti all’estero mediante diagnosi di laboratorio
per le malattie infettive e l’analisi dei registri nazionali delle malattie professionali.
L’osservazione globale dei dati permette alcune
considerazioni inerenti agli operatori odontoiatrici.
• Le entità nosologiche considerate sono quasi
esclusivamente rappresentate da patologie croniche e/o degenerative.
• Le patologie osteoarticolari e nervose non sembrano presentare negli operatori odontoiatrici
una prevalenza superiore a quella stimata nella
popolazione generale e non costituiscono quindi un apprezzabile fattore di rischio.
• Per quanto riguarda la prevalenza delle patologie infettive, la percentuale della sindrome da
immunodeficienza acquisita (HIV) e delle epatiti virali (HBV, HCV) è sovrapponibile a quella
stimata nella popolazione generale.
• Le dermatosi rappresentano vere e proprie malattie professionali con una prevalenza perlo-
meno sovrapponibile ad altre categorie di operatori sanitari.
Nell’ambito della medicina del lavoro, per quanto
attiene le patologie professionali, si è soliti classificare in quattro gruppi gli agenti lesivi che possono presentarsi nell’ambiente.
• I gruppo: non specifici dell’ambiente di lavoro,
non nocivi di per se stessi, possono diventarlo
allorché presenti in eccesso o carenti (illuminazione, rumorosità, microclima).
• II gruppo: tipici e specifici dell’ambiente di lavoro come agenti lesivi chimici (polveri, gas,
vapori), fisici (rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non, elettricità), biologici (virus, batteri, miceti).
• III gruppo: legati alla fatica muscolare e in grado
di provocare affaticamento acuto o, più frequentemente, a insorgenza progressiva; essi possono
causare una riduzione del potere di concentrazione e attenzione.
• IV gruppo: legati all’organizzazione del lavoro
come turni, ritmi, ripetitività, rapporti gerarchici.
La precedente suddivisione, per quanto artificiosa, permette di introdurre una classificazione dei
fattori di rischio teorici, presenti nell’ambiente di
lavoro, potenzialmente patogeni per il personale
odontoiatrico (tabella 3). Non si tratta, evidentemente di patologie professionali specifiche, ma
piuttosto di rischi potenziali a cui sono esposti gli
operatori. L’incidenza di alcune di queste patologie, del resto, risulta rara, se non addirittura eccezionale o non ipotizzabile, soprattutto quando ci si
riferisca ai danni da radiazioni ionizzanti, lesioni
della retina per uso dei laser, ipoacusia da rumore,
micromercurialismo.
Tab. 2 Prevalenza delle patologie occupazionali in odontoiatria
TIPO DI PATOLOGIA
PREVALENZA
QUADRO CLINICO
• Patologie osteoarticolari
36-40%
(Borea 1984, Gennari 1985)
Low back pain syndrome
• Patologie nervose
10,05%
(Gennari 1985)
Stress, nevrosi, disturbi del comportamento
• Dermatosi
9,6%
(Munksgard 1996)
Dermatiti irritative 2/3
Dermatite allergica 1/3
• Malattie infettive
HIV 0-0,1%
(Klein 1986, Gruniger 1990)
HBV 0,4% (ADA 1993)
HCV 0,7 (Thomas 1996)
Infezione da HIV, AIDS
Epatite virale
CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA
5
Tab. 3 Fattori e rischi potenziali per il personale odontoiatrico
FATTORE
AGENTE
ESPOSIZIONE
PATOLOGIA A RISCHIO
• Fisico
Radiazioni
ionizzanti
Radiazioni
ottiche
Apparecchi radiologici
Danni stocastici o probabilistici
(genotossicità, embriotossicità, cancerogenicità)
Affaticamento visivo, astenopia
Radiazioni
sonore
• Chimico
Gas anestetici
Protossido d’azoto
Disinfettanti
Glutaraldeide
Clorodonatori
Ammoni quaternari
Resine
Lattice
Materiali dentari
Detergenti, solventi
Vapori di mercurio
Sostanze
allergizzanti
Metalli
• Biologico
Lavoro con elevate esigenze visive
Scarsa illuminazione
Fotopolimerizzatori
(UV, luce alogena)
Laser
Strumentario rotante
Apparecchiature a ultrasuoni
Aspiratore ad alta velocità
Virus, batteri
Epatotossicità
Embriotossicità
Dermatite irritativa da contatto*
Irritazione di mucose respiratorie e congiuntive*
Dermatite allergica da contatto
Orticaria da contatto
Altre forme di allergia
(rinocongiuntiviti, asma, anafilassi)
Micromercurialismo
HBV, HCV, HDV, HIV
HSV, batteri piogeni
Infezioni ematogene (epatite virale, AIDS)*
Infezioni da contatto alle mani
(patereccio, cellulite)*
Infezioni respiratorie, malattie esantematiche*
Altri virus, batteri
• Organizzazione Infortunio
• del lavoro
Postura
Stress
Cheratocongiuntivite, diminuzione acuità visiva,
cataratta
Lesioni retina
Ipoacusia transitoria
Taglienti, aghi
Cadute
Posizioni di lavoro statiche, errate
Lavoro complesso, prolungato,
con elevato ritmo
Ferite*
Contusioni, distorsioni, fratture
Patologia muscolo-scheletrica
(lombalgia, cervico-brachialgia)
Disturbi comportamentali, nevrosi, burn-out
* Patologie che rappresentano un potenziale rischio generico, sebbene la prevalenza e la gravità negli operatori odontoiatrici non risultino superiori alla popolazione generale. Per le altre patologie il rischio non è ipotizzabile o eccezionale.
Invece, il rischio di dermatosi professionali e infezioni ematogene è reale, anche se le percentuali di
prevalenza spesso non sono superiori alla popolazione generale.
La valutazione in medicina
del lavoro
La medicina del lavoro ha progressivamente trasferito il proprio interesse prevalente dal momento clinico e riabilitativo a quello di prevenzione dei rischi sul lavoro; cioè, si occupa di pre-
venire gli effetti nocivi che derivano dall’ambiente e dalle condizioni di lavoro sulla salute del lavoratore.
La definizione di effetto avverso attualmente
più accreditata è quella proposta da Sherwin
(1983): un effetto avverso sulla salute è una
situazione capace di causare, promuovere,
facilitare e/o aggravare una compromissione
strutturale e/o funzionale; sottointendendo
come questa compromissione sia potenzialmente capace di abbassare la qualità della vita, determinare una malattia invalidante o
condurre a morte prematura.
6
MEDICINA DEL LAVORO
L’esposizione a un agente lesivo può agire sulla salute dell’individuo con diverse modalità, determinando:
• un continuum di effetti, in sequenza progressiva, con una relazione di proporzionalità tra l’entità della dose e l’entità degli effetti; tipico degli
agenti lesivi che presentino una dose soglia al
di sotto della quale non si osservano effetti avversi (NOAEL - No Observed Adverse Effect
Level); tra questi si possono ricordare, come
esempio, alcune sostanze tossiche (il mercurio,
i gas anestetici) e i rumori;
• un effetto diretto e completo, caratteristico degli agenti privi di valore soglia per i quali il rischio vale zero solo a dose zero (ad esempio le
radiazioni ionizzanti, i microrganismi patogeni,
le allergie).
Gli strumenti utilizzati in medicina del lavoro per
finalizzare l’obiettivo della tutela della salute dei
lavoratori negli ambienti di lavoro, sui quali ci soffermeremo in particolare, sono tre con diverse definizioni e obiettivi:
• il monitoraggio ambientale;
• il monitoraggio biologico;
• la sorveglianza sanitaria.
Va inoltre ricordato che, ad integrare tali parametri, concorrono anche altre misure di prevenzione,
tra le quali: la progettazione e realizzazione dei locali (layout) e degli impianti (apparecchi radiologici e impianti elettrici e termici); l’audit, la formazione e l’analisi soggettiva dei rischi con il coinvolgimento dei lavoratori come previsto dalle normative vigenti. Nel paragrafo inerente alle considerazioni del presente capitolo, vedremo come solo alcune delle misure precedentemente esposte
siano utili in odontoiatria.
Il monitoraggio ambientale è definito secondo
la Commissione Salute e Sicurezza della CEE:
la misura e la valutazione degli agenti lesivi
negli ambienti di lavoro e la valutazione della
esposizione e dei rischi della salute a esse
associati utilizzando appropriati limiti di riferimento.
Il monitoraggio ambientale rappresenta la prima
fase del processo di prevenzione attraverso la determinazione della dose esterna di un tossico, ovvero della quantità di sostanza presente nell’ambiente di lavoro, nel momento in cui viene eseguita una campionatura (raccolta con apposite apparecchiature) che viene successivamente sottoposta ad analisi.
Secondo la definizione del Bureau International du Travail (1977) per i limiti di riferimento
di esposizioni occupazionali del monitoraggio
ambientale si intende: la concentrazione nell’aria di una sostanza nociva che, se le norme
vengono rispettate, non ha generalmente effetti dannosi – anche a lungo termine e nelle
generazioni successive – sulla salute dei lavoratori esposti da 8-10 ore al giorno, per 40 ore
alla settimana. Questa esposizione è considerata accettata dalla Autorità competente che
ne determina i limiti, ma è possibile che non
garantisca completamente la tutela della salute di tutti i lavoratori. Il limite di esposizione
non costituisce, quindi, una linea di demarcazione assoluta tra le concentrazioni nocive,
ma mira soltanto a servire da guida alla prevenzione.
Il monitoraggio biologico è definito come la misura degli agenti tossici o dei loro metaboliti presenti nei tessuti, secreti, escreti o aria espirata
del lavoratore esposto. Tale scopo viene ottenuto
con indicatori diversi:
• gli indicatori di dose interna sono rappresentati dal dosaggio della sostanza o dei suoi metaboliti assorbiti dal lavoratore;
• gli indicatori di effetto consentono di valutare
effetti precoci e reversibili che si producono a
livello dell’organo critico, ovvero dell’organo
bersaglio nel quale per primo avvengono modificazioni biochimiche e strutturali in seguito
all’esposizione a una sostanza tossica.
La sorveglianza sanitaria costituisce “la valutazione periodica medico-fisiologica dei lavoratori
esposti con l’obiettivo di proteggere la salute e
prevenire le malattie correlate al lavoro”; è svolta con l’accertamento clinico periodico (visita
medica) dei lavoratori e la prescrizione di esami
da parte del medico competente.
La valutazione conclusiva in medicina del lavoro
si basa sul confronto dei risultati ottenuti con i
monitoraggi con dei valori di riferimento presenti nella popolazione generale non esposta per
motivi professionali o in lavoratori esposti privi
di effetti avversi.
Gli indici biologici di esposizione (BEI), ottenuti
con il monitoraggio biologico, rappresentano insieme al valore limite di soglia (TLV), ottenuto
con il monitoraggio ambientale, gli strumenti disponibili per la tutela della salute dei lavoratori.
Attualmente in Italia esistono alcune norme di
legge, relative a poche sostanze e agenti fisici,
CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA
che indicano le concentrazioni accettabili dei
monitoraggi ambientali e biologici; per il resto ci
si affida alla lista elaborata dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists
(ACGIH).
Il superamento dei limiti fa scattare tutta una serie di obblighi per la riduzione dell’esposizione; il
compito di controllo e verifica dell’applicazione
delle norme è assegnato all’organo di controllo
delle ASL e all’ISPESL (Istituto Superiore per la
Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro).
Terminologia
La conoscenza degli aspetti di medicina del lavoro riconosce essenzialmente l’obiettivo di
prevenire le patologie occupazionali, cioè impedire che l’esposizione agli agenti lesivi di natura professionale o le condizioni di lavoro possano provocare danni organici permanenti e invalidanti.
L’acquisizione di una corretta terminologia costituisce un necessario approccio preliminare allo
studio delle patologie occupazionali (o professionali); termine, quest’ultimo, che riassume entità
nosologiche causalmente diverse nell’ambito della
medicina del lavoro, comprendendo gli infortuni,
le malattie professionali e la patologia correlata al
lavoro.
Il rischio professionale
Il concetto di rischio, in ambito biologico, è definito come un evento potenzialmente in grado di
determinare un’alterazione dello stato di salute o
del benessere psicofisico dei soggetti esposti.
Si distinguono diversi tipi di rischio.
• Il rischio specifico, cioè direttamente connesso
alla specifica attività lavorativa (ad esempio,
l’infezione occupazionale a seguito di esposizione accidentale a materiale biologico per gli
operatori sanitari).
• Il rischio generico, che può concretizzarsi
per qualsiasi individuo indipendentemente
dall’attività lavorativa (vecchiaia, malattia,
morte).
• Il rischio generico aggravato, in cui il lavoratore risulta esposto a un maggior rischio generico
proprio per le condizioni richieste dall’attività
lavorativa (patologie muscolo-scheletriche dovute alla posizione di lavoro).
7
• Il rischio ambiente quando il lavoratore subisce
l’effetto dannoso da parte di un rischio presente nell’ambiente di lavoro e non direttamente
connesso alla sua attività (ad esempio, per il microclima dovuto all’illuminazione, al condizionamento, al rumore).
I parametri di accettabilità del rischio in medicina
del lavoro non rappresentano un optimum astratto; si tratta, cioè, di accettare un limitato numero
di eventi patologici che sono ritenuti inevitabili
per diverse situazioni.
• Alcuni rischi specifici dell’attività lavorativa risultano, almeno parzialmente, ineliminabili; come, ad esempio, il rischio di infezione occupazionale a seguito di esposizione a materiale biologico per il personale sanitario.
• La risposta ad un agente patogeno, in un gruppo esposto, non è mai omogenea per l’esistenza di una diversa suscettibilità individuale. In
pratica all’interno di un gruppo i fenomeni sono distribuiti secondo una curva gaussiana:
mentre una piccola percentuale di soggetti
può risultare più resistente, un’altra può andare incontro ad alterazioni dello stato di salute
in seguito all’esposizione a sostanze che nella
maggior parte della popolazione non provocano alcun effetto.
Quest’ultima osservazione introduce il concetto di
ipersuscettibilità, definita come una situazione di
abnorme reattività o predisposizione individuale
che determina un rischio aggravato per la comparsa di patologia a seguito dell’esposizione a un
agente patogeno (tabella 4). In questo ambito trovano collocazione alcuni tipi di personalità “accident prone”. La definizione trae origine dall’osservazione da parte di alcuni autori (Campbell e
coll. 1981) che la maggior parte degli infortuni
accade a un ristretto gruppo di lavoratori nei quali sembra esistere una predisposizione individuale agli incidenti: soggetti giovani, impulsivi, anticonformisti, ribelli nei confronti di regole e disposizioni, con bassa percezione del rischio.
L’infortunio
L’infortunio professionale, secondo la definizione adottata dall’INAIL, è qualsiasi lesione avvenuta per causa violenta, in occasione di lavoro,
da cui sia derivata la morte o una invalidità permanente, assoluta o parziale, ovvero una invalidità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.
8
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 4 Ipersuscettibilità e rischio aggravato per patologie correlate al lavoro in odontoiatria
FATTORI
ESEMPLIFICAZIONE
RISCHIO AGGRAVATO
• Condizioni genetiche
Iperreattività cutanea
Dermatiti irritative da contatto
• Stati fisiologici
Gravidanza
Effetti stocastici delle radiazioni
ionizzanti (genetici)
Embriotossicità del protossido
d’azoto (aborto)
• Abitudini di vita
Sedentarietà, obesità
Patologie muscolo-scheletriche
del rachide lombare
• Stati patologici
Allergia
Dermatiti allergiche da contatto
• Personalità
Accident prone
Nevrosi e disturbi del
comportamento
Infortuni
Stress, burn-out
L’infortunio è, quindi, un evento dannoso per la salute dell’individuo il cui accadimento dipende da
un evento causale nella cui definizione entrano
più concetti.
• Causa violenta che abbia agito per una limitata
durata di tempo, convenzionalmente considerata in un turno di lavoro (8 ore).
• In occasione di lavoro, cioè che abbia agito
mentre il soggetto si trovava sul luogo di lavoro
oppure stava compiendo una qualche azione
correlata ad esso.
• Per caso fortuito, rispettando le norme di sicurezza dell’ambiente di lavoro stabilite per
legge.
Gli infortuni più frequenti in odontoiatria sono
rappresentati prevalentemente dalle ferite da
punta, causate da aghi da siringa e per le quali la
procedura più pericolosa è il reincappucciamento
dopo l’uso, e da taglio, causate da strumenti affilati, durante le manovre operatorie o nel corso
delle procedure di riordino, disinfezione, sterilizzazione.
Il rischio è di tipo specifico, insito nella possibilità
che l’ago sia contaminato da sangue infetto e che
l’operatore possa contrarre patologie infettive
ematogene (epatiti virali, infezione da HIV); l’evento in ambito assicurativo è riconosciuto e indennizzato come infortunio sul lavoro.
Un’altra categoria di infortuni del personale odontoiatrico è rappresentata dalle cadute, principali
cause di contusioni e distorsioni, che assumono rilevanza come infortuni quando dipendano da un
rischio ambiente; cioè quando il lavoratore subisca l’effetto dannoso da parte di un rischio presente nell’ambiente di lavoro ove egli svolge la sua
mansione (ad esempio, l’uso di calzature inadatte,
la presenza di pavimenti scivolosi, ostacoli architettonici).
Le malattie professionali
Per definizione sono riconosciuti come malattie
professionali quegli eventi, dannosi per la salute
dell’individuo, che rispondono alle seguenti caratteristiche:
• la causa agisce in un tempo prolungato e per
motivi di lavoro;
• il nesso di causalità materiale, tra esposizione
occupazionale e malattia professionale, è riconosciuto.
Il riconoscimento del rischio professionale nel
campo delle malattie professionali era inizialmente limitato a quei rischi e a quelle malattie riconosciute dal legislatore e indicate in un sistema tabellare chiuso (Allegati 4 e 5 del D.P.R. 30/6/65 n.
1124, sostituiti dal D.P.R. 13/4/94 n. 336).
Questo sistema è stato praticamente trasformato
in un sistema aperto dalla sentenza n. 179/88 della
Corte di Cassazione che, nel rispetto del principio
costituzionale della previdenza dei lavoratori, ammetteva la tutela assicurativa anche delle malattie
non tabellate per le quali è riconosciuto un nesso
causale con l’esposizione sul lavoro.
CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA
La differenza, che attualmente permane, consiste
quindi nei criteri di indennizzabilità:
• le malattie tabellate sono direttamente indennizzabili in quanto la prova dell’eziologia professionale è presunta all’atto dell’assicurazione
(presunzione legale del nesso di causalità);
• per le malattie non tabellate l’indennizzo è subordinato all’onere della prova a carico del lavoratore di dimostrarne l’eziologia professionale.
In odontoiatria le malattie professionali (“occupational deseases”) sono quasi totalmente rappresentate dalle dermatosi professionali con il rischio
analogo ad altre categorie di operatori sanitari.
Le patologie correlate al lavoro
In questa definizione sono ricomprese le cosiddette “job (work) related deseases” o, in altri termini,
le affezioni a genesi multifattoriale (perlopiù di tipo cronico-degenerativo o a genesi psicosomatica) che possono trovare nell’attività lavorativa
elementi causali non univoci o concausali di diversa rilevanza.
Si tratta di patologie connesse a un rischio generico, che può concretizzarsi per qualsiasi individuo
indipendentemente dall’attività lavorativa, o a un
rischio generico aggravato, in cui il lavoratore
risulta esposto a un maggior rischio generico proprio per le condizioni richieste dall’attività lavorativa.
In questo ambito sono raggruppate la maggior parte delle patologie di interesse in odontoiatria e che
rappresentano l’argomento principale della nostra
trattazione, come, ad esempio, le patologie muscolo-scheletriche del rachide lombare che possono riconoscere in scorrette posizioni di lavoro un
fattore concausale; lo stress che può essere aggravato da una cattiva organizzazione del lavoro.
È comunque da ritenere che il ruolo marginale di
tali fattori nel nesso di causalità tra patologia ed
esposizione lavorativa non sia tale da assoggettare il personale odontoiatrico a procedimenti di
sorveglianza sanitaria a cura di un medico competente.
Alcune considerazioni
Considerando l’esposizione professionale a fattori
potenzialmente nocivi e, quindi, il rischio di insorgenza di possibili patologie professionali, sorge
9
spontanea la domanda sulla necessità e sulla opportunità di assoggettare il personale odontoiatrico a provvedimenti di prevenzione, oltre gli adempimenti previsti per legge.
La distinzione tra accertamenti facoltativi e obbligatori è, peraltro, importante, in quanto l’espletamento di questi ultimi comporta un onere non indifferente per la professione odontoiatrica, richiedendo l’introduzione di controlli periodici a cura
di medici competenti.
In particolare ci si domanda, tra i controlli facoltativi, quali possano essere inopportuni e quali opportuni, anche solo come scelta individuale per
prevenire potenziali rischi di patologie correlate al
lavoro che risultino, comunque, dimostrate su base scientifica.
Le analisi attualmente disponibili, sintetizzate in
tassi di morbosità degli operatori odontoiatrici,
derivano da indagini frammentarie, eseguite perlopiù in realtà diverse e in paesi stranieri; i dati,
comunque, avvalorano una sostanziale assenza di
rischi specifici, definendo l’odontoiatria come una
professione sicura.
In statistica biomedica, per esprimere il maggiore
rischio di ammalarsi di coloro che sono esposti a
un fattore rispetto ai non esposti, si utilizza il rapporto rischio relativo (RR); l’ideale valore pari a 1,
nella formula seguente, vuole supportare l’affermazione per cui l’esercizio della professione
odontoiatrica è ininfluente sullo sviluppo di malattie:
RR =
incidenza di patologie
negli operatori odontoiatrici
incidenza di patologie
nella popolazione generale
=1
Nei singoli capitoli di questo libro saranno affrontati i potenziali fattori di rischio che sono sempre
presenti nell’attività odontoiatrica; ma le conclusioni possono essere anticipate come premessa
per fungere da filo conduttore nella lettura dell’opera (tabella 5).
Il monitoraggio ambientale è obbligatorio solo per
quanto attiene la radioprotezione, risultando inopportuna la misurazione di altri parametri.
La sorveglianza sanitaria, con visite periodiche,
non è né obbligatoria, né opportuna.
Il monitoraggio biologico è non obbligatorio e non
opportuno, con una limitazione.
Parziale eccezione a quest’ultima affermazione è
rappresentata dal monitoraggio del rischio microbiologico inerente le patologie infettive a trasmis-
10
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 5 Strumenti per la tutela della salute degli operatori odontoiatrici
ADEMPIMENTI
APPLICAZIONE
INDICAZIONI
• Progettare e realizzare
• ambienti di lavoro sicuri
• ed ergonomici (layout)
Illuminazione; aerazione; suddivisione
degli spazi; impianti elettrico, termico
e idrico-sanitario
Obbligatorio
Regolamenti edilizi comunali
Autorizzazione ASL
Autorizzazione Vigili del fuoco
D.P.R. 412/93 (impianti termici)
L. 46/90, D.P.R. 547/55 (impianti elettrici)
• Acquistare e utilizzare
• attrezzature mediche a norma
Dispositivi medici con autorizzazioni,
certificazioni e marchio CE;
manutenzione regolare
Obbligatorio
L. 46/97 (93/42 EEC)
• Analisi del rischio
• e formazione degli operatori
Audit, peer review, analisi soggettiva
con coinvolgimento dei lavoratori
Obbligatorio
D.Lgs. 626/94
• Monitoraggio biologico
Esami sierologici periodici,
immunoprofilassi
Facoltativo, opportuno, limitato a:
esami sierologici per HIV, HBV, HCV;
immunoprofilassi per HBV
• Monitoraggio ambientale
Radioprotezione (progettazione
e sorveglianza fisica eseguita da esperto
qualificato)
Obbligatorio
D.Lgs. 230/95
Non necessari altri controlli
• Sorveglianza sanitaria
Visita medica e controllo da parte
di medico competente
Non necessaria
sione ematogena (HBV, HCV, HIV). Indicazione facoltativa, ma opportuna, che dovrebbe essere
svolta ottemperando un protocollo minimo di esami sierologici ed ematochimici la cui stesura dovrebbe essere condivisa e demandata alle associazioni professionali.
Questa soluzione ha il pregio di risultare intermedia
tra affidare l’incarico di sorveglianza sanitaria a un
medico competente (onere non obbligatorio per legge) e ignorare qualsiasi provvedimento per il controllo dello stato di salute dei lavoratori (atteggiamento facoltativo moralmente non condivisibile).
CAPITOLO 2
LA SALUTE DEL LAVORATORE:
LEGISLAZIONE
E GIURISPRUDENZA
F. Montagna
La normativa in tema
di sicurezza dei lavoratori
e degli ambienti di lavoro
La legislazione sulla tutela dei lavoratori risulta
alquanto complessa, essendo costituita da centinaia di normative emanate in momenti diversi e
non compendiate in un unico testo; per carenza
legislativa, infatti, non è mai stato emanato il Testo Unico in materia di Igiene e Sicurezza del Lavoro come previsto dall’art. 24 della legge 833 del
1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale).
I principi e le norme legislative di maggiore rilevanza in materia di sicurezza del lavoro e prevenzione del rischio professionale sono state riportate nei singoli capitoli specificatamente inerenti le
patologie occupazionali.
In questo ambito ci soffermeremo sull’analisi del
D.Lgs. 19/9/94 n. 626 (modificato ed integrato dal
decreto legislativo 19/3/96 n. 242) che rappresenta la norma di chiusura del sistema giuridico sulla salute dei lavoratori e degli ambienti
di lavoro.
Il decreto legislativo 626/94
Il D.Lgs. 19/9/94 n. 626, come modificato ed integrato dal D.Lgs. 19/3/96 n. 242, recepisce le direttive dell’Unione Europea; deve essere applicato
a tutti i settori di attività pubblici e privati indipendentemente dal numero di persone occupate
(art. 1).
Il decreto recepisce sette direttive comunitarie
(Attuazione delle direttive n. 89/391/CEE, n.
89/654/CEE, n. 89/655/CEE, n. 90/269/CEE, n.
90/270/CEE, n. 90/394/CEE e n. 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e
della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro) e
modifiche, integrandoli il D.P.R. 547/55 e il D.P.R.
303/56.
Gli interventi a cui è tenuto il datore di lavoro per
la prevenzione delle malattie professionali e gli
infortuni sul lavoro possono essere classificati in
tre gruppi: sull’uomo, sull’ambiente e sull’attività
lavorativa (tabella 1). Particolare enfasi è riposta
sull’attività di informazione e formazione dei lavoratori in merito all’adozione di adeguate misure
preventive, in modo da eliminare o ridurre le cause di rischio riconducibili a scorretti comportamenti.
Le principali misure per la protezione della salute
e la sicurezza dei lavoratori sono (D.Lgs. 626/94
art. 3):
• Valutazione dei rischi.
• Eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e,
ove ciò non sia possibile, loro riduzione al minimo.
• Riduzione dei rischi alla fonte.
• Programmazione della prevenzione.
• Sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che
non lo è o è meno pericoloso.
• Rispetto dei principi ergonomici.
• Priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale.
• Limitazione al minimo del numero di lavoratori
esposti al rischio.
• Misure igieniche.
• Misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, lotta antincendio, evacuazione.
• Regolare manutenzione di ambienti, attrezzature e impianti.
• Informazione, formazione, consultazione e
partecipazione dei lavoratori sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di
lavoro.
• Istruzioni adeguate ai lavoratori.
12
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 1 Interventi per la sicurezza del lavoro in odontoiatria
TIPO DI INTERVENTO
SCOPO
APPLICAZIONE
• Uomo
Istruire il personale sui rischi
e le misure di prevenzione
Informazione su infortuni e malattie
professionali (corsi di aggiornamento,
circolari, avvisi)
Formazione sulla utilizzazione e manutenzione
delle attrezzature
• Ambiente
Realizzare ambienti e acquistare
attrezzature in regola con
i requisiti di sicurezza
Ambienti ergonomici
(aerazione, illuminazione, microclima)
Impianti civili a norma
(riscaldamento, elettrico, idrico)
Impianti medici in regola con i requisiti di sicurezza
e muniti di autorizzazioni e/o certificazioni
• Attività lavorativa
Applicare le misure di prevenzione
nell’organizzazione del lavoro
Utilizzazione di dispositivi medici sicuri, muniti
di autorizzazione e certificazioni
Disponibilità di mezzi di protezione adeguati
(misure di barriera, vestiario)
Organizzazione del lavoro per evitare sovraccarico
lavorativo fisico e psichico (turni, mansionari)
Pronto soccorso in caso di infortunio
Soggetti previsti
I soggetti coinvolti sono: il datore di lavoro (DdL),
il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP), il rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza (RSL), i lavoratori.
Nel decreto legislativo in esame, il DdL è definito
come soggetto titolare del rapporto di lavoro con
il lavoratore, o, comunque, il soggetto che ha la responsabilità dell’attività (art. 2).
Il RSPP è persona designata dal datore di lavoro e
per gli studi odontoiatrici il ruolo può essere assunto dallo stesso odontoiatra-datore di lavoro;
deve possedere specifiche competenze ed è richiesta la frequenza al corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro nel
caso sia stato nominato dopo il 31/12/96 (art. 95);
tale corso di formazione può essere promosso dalle associazioni datoriali.
Il RSL è persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro (art. 2).
Il RSL non deve possedere capacità particolari, in
quanto è prevista la frequenza obbligatoria di un
apposito corso di formazione (art. 19, comma 1;
art. 22, comma 4).
I principali compiti cui è soggetto il RSL sono i seguenti (art. 19, comma 1):
• Accedere ai documenti relativi alla valutazione
e al registro degli infortuni.
• Essere consultato preliminarmente alla stesura della valutazione dei rischi e dei programmi
di prevenzione e organizzazione della formazione.
• Ricevere informazioni dal servizio di vigilanza.
• Promuovere l’elaborazione, l’individuazione e
l’attuazione delle misure di prevenzione.
• Formulare osservazioni in occasione di visite
effettuate dalle autorità competenti.
• Partecipare alle riunioni del servizio di prevenzione.
• Avvertire il responsabile dell’azienda dei rischi
individuati.
• Ricorrere all’autorità competente qualora le misure di protezione adottate dal datore di lavoro
non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute.
Gli adempimenti imposti dalla normativa variano
in relazione al numero di dipendenti, risultando
più complessi nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupino più di 10 dipendenti (tabella 2).
Tra le altre figure previste dal decreto è individuato anche il profilo del medico competente; a
tale proposito va sottolineato che, a causa del ridotto rischio professionale, non è necessario nominare il medico competente negli studi odontoiatrici; inoltre non è necessario sottoporre a
sorveglianza sanitaria gli odontoiatri e il personale assistente.
CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA
13
Tab. 2 Linee guida ANDI per gli adempimenti previsti dal D.Lgs. 626/94 per l’odontoiatra-datore di lavoro che assuma anche l’incarico di RSPP
PER CHI HA MENO DI 10 DIPENDENTI
PER CHI HA PIÙ DI 10 DIPENDENTI
1. Informare i lavoratori dell’obbligo di eleggere
il proprio responsabile dei lavoratori per la sicurezza
(RSL)* verbalizzandone la nomina
2. Nominarsi responsabile dei servizi di prevenzione
e protezione (RSPP)* e inviare comunicazione a:
- azienda ASL competente
- Ispettorato del Lavoro
- RSL
3. Nominare l’addetto al pronto soccorso (PS)*
4. Nominare l’addetto al pronto intervento (PI)*
5. Informare e formare i lavoratori sui rischi e sulle
misure di prevenzione
6. Compilare il modulo di autocertificazione
(l’autocertificazione non esime il DdL dalla
valutazione dei rischi) da inviare a:
- azienda ASL competente
- Ispettorato del Lavoro
- RSL
7. Si consiglia, pur non essendo obbligatorio, di
compilare le liste di controllo (da tenere in studio)
insieme al RSL, modificandole ed adattandole per
renderle adeguate alla propria realtà
8. In caso di carenza di sicurezza: programmare l’esecuzione
delle migliorie e poi attuarle concretamente
9. Nel registro infortuni (da tenere obbligatoriamente
presso lo studio) annotare ogni infortunio
che comporti assenza dal lavoro di almeno 1 giorno
10. Partecipare al corso ANDI per i RSPP (chi ha assunto
l’incarico prima del 31/12/96 è esentato ma è
consigliata comunque la partecipazione)
11. Far partecipare il rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza al corso apposito (RSL)
1. Tutti gli adempimenti della colonna precedente (tranne
il punto 6)
2. Elaborare il documento di valutazione del rischio
(da tenere in studio)
3. Stesura di un piano di emergenza ed evacuazione
4. Organizzare una riunione periodica (annuale
per le unità produttive con più di 15 dipendenti)
di prevenzione e protezione dai rischi (art. 11)
a cui partecipano il DdL, il RSPP, il medico
competente,** il RSL
Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone
all’esame dei partecipanti:
- l’idoneità dei mezzi di protezione individuale
- i programmi di informazione e formazione
dei lavoratori ai fini della sicurezza e della
protezione della loro salute
Il DdL provvede alla redazione del verbale della
riunione che è tenuto a disposizione dei partecipanti
per la sua consultazione
La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali
significative variazioni delle condizioni di esposizione al
rischio, compresa la programmazione
e l’introduzione di nuove tecnologie che abbiano
riflessi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori
* La normativa permette l’attribuzione del ruolo di PS, PI, RSPP allo stesso datore di lavoro (DdL) con una autonomina.
** Negli studi odontoiatrici non è necessaria la nomina del medico competente.
Sanzioni
In base a tale decreto la presenza o assenza delle
attrezzature di sicurezza acquista una rilevanza essenziale; gli adempimenti imposti dal decreto riguardano sia il datore di lavoro che il lavoratore
che deve prendersi cura della propria salute e di
quella delle altre persone (artt. 4 e 5). L’inosservanza delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 626/94 è
punita con gravi sanzioni amministrative e penali:
• il datore di lavoro ed il dirigente che non ottemperino ai propri obblighi sono puniti a seconda delle norme violate con l’arresto e la reclusione da due a sei mesi o con un’ammenda
da due a otto milioni di lire;
• i lavoratori che non osservino le disposizioni o
non utilizzino i materiali disponibili sono puniti con l’ammenda da lire 200.000 a lire
1.200.000.
Per quanto attiene agli obblighi di progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori, ricordiamo che sono vietate la fabbricazione, la vendita, il noleggio
e la locazione finanziaria (leasing) di macchine, attrezzature e di impianti non rispondenti alla legislazione vigente (art. 6).
Per i contratti di appalto o contratti d’opera sono
previsti obblighi a carico del datore di lavoro in
merito a informazione, cooperazione con gli altri
datori di lavoro e coordinamento degli interventi
di prevenzione e protezione (art. 7).
14
MEDICINA DEL LAVORO
La tutela assicurativa
dell’INAIL
Nel nostro paese l’ente che si occupa di assicurare e indennizzare gli infortuni e le malattie professionali è l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione
degli Infortuni sul Lavoro (INAIL); l’assicurazione
è obbligatoria e a carico del datore di lavoro
(D.P.R. 30/6/65 n. 1124, Testo Unico per l’Assicurazione Obbligatoria contro gli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali).
L’assicurazione include tutti i casi di infortunio e
malattia professionale, che abbiano determinato
morte o una inabilità temporanea o permanente,
avvenuti per causa e in occasione di lavoro; garantisce un indennizzo per il periodo di mancato
guadagno e per la ridotta attitudine permanente al
lavoro, purché superiore ai limiti di franchigia:
• una invalidità temporanea che causi un’astensione per più di tre giorni;
• una invalidità permanente che sia superiore
all’11% della capacità lavorativa totale; nel qual
caso è corrisposta una diaria mensile con rendita proporzionale al grado del danno.
La tutela assicurativa da parte del datore di lavoro, nel caso di specie il dentista titolare dello studio, non lo garantisce, tuttavia, dall’obbligo risarcitorio, civilisticamente inteso, del danno alla persona, ove venisse documentata una sua colpa nella verificazione dell’infortunio.
L’azione indennizzatrice operata dall’INAIL è circoscrivibile, infatti, alla garanzia “ridotta attitudine al lavoro” (capacità lavorativa generica) e non
già al danno biologico in senso proprio, che abbiamo visto è il danno base (cosiddetto “danno
evento”) sempre presente e tuttavia estraneo alla
tutela INAIL.
Ciò vuol dire che il dentista, in caso di sua responsabilità, può trovarsi esposto al rischio di dover autonomamente risarcire il danno sofferto dal
lavoratore dipendente.
Si tratta di un punto fermo nella evoluzione giurisprudenziale a partire dalla sentenza n. 356/91 della Corte Costituzionale e ribadito dalla Corte di
Cassazione:
Cass. n. 8325 8/7/92
L’esonero da responsabilità civile del datore di
lavoro previsto dall’art. 10 del D.P.R. 30 giugno
1965 n. 1124, a seguito delle sentenze n. 87 e n.
356 del 1991 della Corte Costituzionale, non
può ritenersi esteso anche al c.d. danno biolo-
gico, talché il lavoratore, al fine di ottenere il
risarcimento, può rivolgersi direttamente al
datore di lavoro il quale rimane responsabile
qualora il fatto dannoso derivi da un comportamento colposo (anche se non avente rilievo
penale) a lui o a un suo sottoposto addebitabile, mentre detta responsabilità rimane esclusa solo nel caso di evento dovuto a caso fortuito, forza maggiore o a colpa esclusiva del lavoratore.
È opportuno inoltre ricordare che esistono alcune
situazioni in cui può risultare non operante la garanzia assicurativa o è ipotizzabile la rivalsa da
parte dell’ente sul datore di lavoro responsabile
della sicurezza.
• Assenza di assicurazione.
• Mancata denuncia di infortunio.
• Denuncia oltre il termine di 48 ore dal momento in cui si viene a conoscenza dei fatti (generalmente sanzionato con multa).
• Incarico di lavoro illegittimo (attività non prevista dal mansionario; utilizzazione di strumenti
non previsti dal profilo professionale).
• Mancato rispetto delle norme di sicurezza dell’ambiente e delle attrezzature di lavoro.
Da quanto esposto deriva la necessità, per il titolare dello studio, di assicurare con polizze integrative la responsabilità civile conseguente a patologia professionale del personale dipendente, in modo da essere manlevato dalle spese per il risarcimento di danni riconducibili ad atteggiamento colposo nella conduzione di locali, attrezzature ed attività di studio.
La responsabilità
civile e penale
La normativa sul lavoro sancisce in maniera inequivocabile il dovere di sicurezza che il datore di
lavoro ha nei confronti dei lavoratori dipendenti
ed il diritto di questi ultimi alla tutela della propria
integrità.
Il principio base del sistema normativo e giurisprudenziale italiano in materia di sicurezza sul lavoro è rappresentato dal concetto di “rischio accettabile”, cioè il rischio residuo che si realizza
quando siano state attuate tutte le misure atte ad
assicurare la massima sicurezza tecnologicamente
realizzabile, in modo da
CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA
Cass. 15/3/82
[…] tutelare nel miglior modo la sicurezza, ponendo in essere i più avanzati ritrovati tecnici
in relazione alle continue scoperte della scienza moderna.
Le misure di sicurezza devono essere mirate al
particolare rischio presente e basarsi su conoscenze tecniche e scientifiche aggiornate; la loro
applicazione riconosce come unico limite la fattibilità tecnica e prescinde da qualunque valutazione di tipo economico.
In contrapposizione si pone il concetto di “rischio
indebito” o giuridicamente inaccettabile che consiste in un rischio dannoso che si verifica per la
mancata diminuzione o bonifica tecnologica che
era possibile realizzare.
Nell’ipotesi in cui alla base di una patologia professionale esista il mancato rispetto di norme di
sicurezza stabilite per legge, la magistratura può
venire coinvolta allo scopo di accertare eventuali responsabilità personali (del datore di lavoro,
dei compagni, dell’infortunato stesso) nello svolgimento dei fatti e, nel caso, per punire il responsabile secondo i termini di legge (figura 1).
Nella maggior parte dei casi si configura l’ipotesi
di responsabilità a carico del datore di lavoro stante l’individuazione della responsabilità in capo al
medesimo da parte della normativa.
Nel Codice Civile il fondamento dell’obbligo generale di tutela per la sicurezza dei lavoratori è ricavabile dall’art. 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro) il cui disposto obbliga l’imprenditore ad
adottare nell’esercizio dell’impresa le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori.
Nel Codice Penale l’omissione o la rimozione colposa o dolosa di cautele per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro è specificatamente prevista e
sancita dall’art. 451 (Omissione colposa di cautele
o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) e
dall’art. 437 (Rimozione od omissione dolosa di
cautele contro infortuni sul lavoro).
Lesioni personali o morte derivanti dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni
NORMATIVA SULLA SICUREZZA
DEL LAVORATORE E DEGLI AMBIENTI DI LAVORO
Obblighi dei dipendenti
Conoscenza del problema
(aggiornamento e istruzione in norme e regolamenti)
Applicazione delle norme di sicurezza
(diligenza, prudenza, perizia)
Obblighi del datore di lavoro
Informazione generale e specifica
(avvisi, circolari, corsi di aggiornamento)
Fornitura di dispositivi medici e ambienti sicuri
Verifica e controllo della applicazione della normativa
Misure di prevenzione
PATOLOGIA OCCUPAZIONALE
(infortunio, malattia professionale,
patologia correlata al lavoro)
RISCHIO INDEBITO PER INOSSERVANZA
DELLE NORMATIVE
Responsabilità del lavoratore
Ammenda a carico del lavoratore
Risarcimento a carico dell’INAIL
Fig. 1 Attribuzione di responsabilità
15
Responsabilità del datore di lavoro
Risarcimento a carico
dell’INAIL e rivalsa
sul responsabile
(azione limitata
alla invalidità lavorativa)
Risarcimento del danno
biologico in sede civile
Azione penale
Sanzioni amministrative
(ammenda e detenzione)
16
MEDICINA DEL LAVORO
sul lavoro sono considerate con maggior severità
nei confronti di altre eventualità attraverso un
inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio anche in caso di lesioni colpose (art. 589
c.p., Omicidio colposo; art. 590 c.p., Lesioni personali colpose).
Per concludere nella figura 2.1 è sintetizzato, attraverso un diagramma di flusso, la ratio medicolegale nella attribuzione della responsabilità nell’ipotesi di patologia occupazionale.
L’infezione occupazionale:
orientamenti
giurisprudenziali
e medico-legali
La terapia odontoiatrica è una pratica invasiva
che espone l’operatore al rischio di trasmissione
di gravi patologie infettive a trasmissione ematogena quali le epatiti virali e l’infezione da HIV,
mediante diverse modalità di esposizione che sono rappresentate dalla via parenterale (ferita, taglio, puntura accidentale) e parenterale inapparente (contaminazione di lesioni cutanee difficilmente individuabili, esposizione di mucose e
congiuntive).
Nella maggior parte dei casi di operatori sanitari
infettati, non è impossibile con l’anamnesi risalire
ad un episodio di esposizione parenterale responsabile del contagio ed in questi casi si ammette
che l’infezione sia avvenuta attraverso la via parenterale inapparente o per comportamenti a rischio dell’operatore stesso (promiscuità sessuale,
tossicodipendenza, ecc.).
Del resto l’adozione di precauzioni universali non
elimina il rischio di esposizione a materiale biologico infetto che può avvenire accidentalmente per
gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza.
Tali considerazioni introducono due diversi problemi: la responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro a cui consegua una infezione occupazionale; il problema della operatività della tutela assicurativa.
L’importanza di tali osservazioni è evidente, se ci
soffermiamo a considerare che in uno studio libero-professionale il dentista riassume in sé la figura di responsabile del servizio e direzione sanitaria su cui ricade l’obbligo di sicurezza dell’ambiente di lavoro.
Il nesso di causalità tra infortunio
e infezione occupazionale
Per la definizione di infezione occupazionale accertata devono essere soddisfatti alcuni criteri
che rappresentano i requisiti necessari per ricostruire una relazione diretta tra l’evento a rischio,
lo stato di malattia del paziente e la sieroconversione dell’operatore.
In alcuni centri inoltre è possibile eseguire la tipizzazione virale per dimostrare la somiglianza genomica tra il ceppo infettante del paziente e dell’operatore.
Tale definizione è utilizzata per lo studio statistico
delle infezioni occupazionali e rappresenta sostanzialmente un parametro scientifico di elevata
affidabilità, che tuttavia è difficilmente applicabile
nella pratica.
È, quindi, evidente che in ambito assicurativo,
medico-legale e giurisprudenziale nasca la necessità di mediare, nelle fattispecie concrete, una soluzione logica tra la richiesta di risarcimento o indennità per una presunta infezione occupazionale
e la effettiva difficoltà di provarne la genesi, il più
delle volte in base a criteri di probabilità o possibilità.
Per ottenere e attivare la garanzia assicurativa è
importante dimostrare il nesso di causalità materiale tra infortunio e malattia conseguente, visto
che in ambito infortunistico non vige il principio
di presunzione legale di origine come nelle malattie professionali tabellate.
In caso di esposizione accidentale, va sottolineata
l’importanza del comportamento da tenere per potere dimostrare il nesso di causalità tra l’evento e
il futuro sviluppo di una infezione occupazionale:
CRITERI DI DEFINIZIONE
DI INFEZIONE OCCUPAZIONALE
• Documentata esposizione a materiale biologico appartenente a paziente con infezione accertata
• Assenza di altri fattori di rischio (prima dell’incidente e durante il follow up)
• Sieronegatività precedente documentata con
esami sierologici negativi a distanza di pochi
giorni dall’incidente
• Sieroconversione dimostrata in un tempo
compatibile con l’incubazione della patologia
(6-12 mesi)
CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA
• riportare sul registro degli infortuni la data e le
modalità di esposizione accidentale a materiale
biologico; azione obbligatoria prevista dal
D.Lgs. n. 626/94;
• comprovare con esami sierologici immediati lo
stato di salute dell’operatore al momento dell’infortunio (stato anteriore).
Secondo l’orientamento giuridico prevalente, nel
caso di epatite virale l’alto rischio depone a favore
del lavoratore anche in difetto di prova, come ribadito da varie sentenze dalla Corte di Cassazione:
Cass. n. 5746/82
[…] causa violenta in occasione di lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo-fisiologico, purché la suddetta azione sia in rapporto accettabile anche in presunzione semplice con lo svolgimento dell’attività lavorativa … il ricorso a presunzioni semplici e la concorrenza di determinate circostanze obiettive
può essere in tali casi sufficiente per la formazione del convincimento […]
Analoga è la sentenza della Sezione Lavoro relativa al caso di un infermiere che si era visto negare
dall’INAIL una rendita di invalidità permanente
per epatite virale cronicizzata per la mancata individuazione dell’evento lesivo:
Sez. Lav. n. 3090 13/3/92
[…] è certamente viziata la sentenza impugnata, nella quale, pur ammettendo la possibilità
di ricollegare l’affezione con l’espletamento
delle mansioni svolte dall’appellante, si nega
l’esistenza di un rapporto causale tra la prima
e la seconda sulla base di argomentazioni del
tutto fragili, come la mancata individuazione
di un preciso evento, 17/9/83, e la conclamazione della malattia, 22/9/83, attese le difficoltà di cui si è detto scientificamente riconosciute; come il rilievo circa la notevole distanza di tempo tra l’asserito infortunio e la data di
denuncia dello stesso, 8/8/96 […]
Tale presunzione non è operante nel caso di infezione da HIV per il basso rischio professionale e la
difficoltà di escludere altre cause come comportamenti a rischio; diviene quindi fondamentale la tempestiva segnalazione di infortunio all’INAIL o all’assicurazione per comprovare il nesso di causalità.
Da ricordare infine la L. 25/2/92 n. 210 e la Circolare
17
Ministeriale 10/4/92 n. 500 (Indennizzo a favore dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati) in base alle quali rientrano
tra le categorie gli operatori sanitari che abbiano
contratto infezione da HIV a seguito di esposizione
professionale o danneggiati a seguito di vaccinazioni.
Il consenso informato
per l’esecuzione
di accertamenti sanitari
sul personale dipendente
La nostra Costituzione sancisce:
Cost. art. 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Detto articolo si pone in linea evidente con quanto espresso anche dall’art. 13 della Costituzione e
cioè il principio fondamentale della inviolabilità
della libertà personale, nel quale si ritiene compresa la libertà di salvaguardare l’integrità fisicopsichica della persona. Alcuni autori ritengono
che proprio dalla connessione di queste due norme costituzionali si possa ricavare, come norma
universale, che qualsiasi trattamento sanitario, diretto unicamente a vantaggio del singolo, presupponga il consenso della parte interessata.
Dalle regole generali deriva che nessuno può essere sottoposto a prelievo di sangue per l’accertamento della sieropositività della infezione da HIV
contro oppure senza la sua volontà; inoltre il sangue prelevato ad altri fini non può essere utilizzato per l’accertamento della sieropositività. Quindi
la volontarietà costituisce la regola ed ogni deroga
costituisce un’eccezione che deve essere provata
e giustificata rigorosamente. Solo un interesse diretto della collettività potrebbe giustificare l’imposizione di un obbligo da parte del legislatore, come per esempio nei casi in cui sia necessario prevenire e reprimere malattie altamente contagiose
che, diffondendosi, possano costituire un diretto
danno sociale; vale a dire che la compressione degli interessi individuali può essere giustificata so-
18
MEDICINA DEL LAVORO
lo ed esclusivamente dalla prevalenza di interessi
generali. I trattamenti sanitari obbligatori (TSO)
previsti da specifica disposizione di legge necessitano di presupposti oggettivi per non ricadere in
ambito costituzionalmente illegittimo (L. 13/5/78
n. 180, L. 23/12/78 n. 833); l’accertamento sanitario
obbligatorio o l’imposizione di una terapia è da
considerarsi costituzionalmente illegittima qualora non si ravvisi una minaccia seria per la collettività, limite previsto dall’ultima parte del secondo
comma dell’art. 32 della Costituzione il quale attiene al rispetto della persona umana nei cui confronti è disposto il trattamento sanitario.
Il TSO deve essere considerato come “extrema ratio”, cui ricorrere solo quando non sia possibile ottenere il consenso del singolo interessato; la richiesta dell’interessato rimane la regola, l’obbligatorietà l’eccezione. Qualora il medico, alla luce di
queste disposizioni, sottoponga un soggetto a terapia o ad accertamenti non richiesti, incorre in responsabilità di carattere civile e penale: nella fattispecie civilistica può essere chiesto il risarcimento
per danno biologico, figura da qualche tempo riconosciuta dalla giurisprudenza come diretta conseguenza dell’applicazione dell’art. 2043 c.c.; in sede
penale, oltre alla responsabilità per lesioni personali, potrebbe delinearsi nella condotta arbitraria
del medico il reato di violenza privata (art. 610 c.p.).
Il provvedimento viene tradotto in quella che è la
legge quadro in materia di AIDS, L. 5/6/90 n. 135
che espressamente dispone:
Art. 5 comma 4
Nessuno può essere sottoposto, senza il suo
consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per necessità clinica nel
suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di
programmi epidemiologici, soltanto quando i
campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla
identificazione delle persone interessate.
Una radicale innovazione alla legge quadro in materia di AIDS sulla necessità del consenso al test
HIV viene apportata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2/6/94 che stabilisce il primato della tutela della salute “diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività”; la
consulta afferma che la salute, bene primario e costituzionalmente altamente protetto, implica il dovere dell’individuo di non ledere né di porre a rischio la salute altrui. La questione di legittimità
era stata sollevata dal pretore di Padova in relazione al caso di una dipendente di una casa di cura per persone non autosufficienti che si era rifiutata di sottoporsi ad esami sanitari, presso una
struttura pubblica, disposti dall’amministrazione
dell’istituto per accertare se fosse o meno affetta
da sindrome di immunodeficienza acquisita. La
consulta ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 5 comma 3 e 5 della legge
5/6/90 n. 135 (Programma di interventi urgenti
per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS), nella
parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività all’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di attività che
comportano rischi per la salute di terzi. La questione riguarda il delicato problema della individuazione dei confini all’interno dei quali è consentito operare il difficile bilanciamento dei valori ai
quali la Costituzione assegna uno specifico risalto.
Il primo termine di riferimento della Corte è la tutela della salute come bene primario, alla cui stregua è stata valutata la scelta legislativa del divieto
di screening obbligatorio senza consenso. Sotto
questo profilo non è venuto meno il divieto di test
senza consenso ma, ponendo in rilievo le condizioni del tutto particolari di alcune attività di lavoro,
peraltro non specificate, dove non si è ritenuto che
esistesse il rischio di contagio, sulla base di una
semplice possibilità di un incontro fisico, si è introdotto l’onere degli accertamenti ematici, per fornire piena garanzia di tutela al bene salute collettiva.
Tale sentenza della Corte Costituzionale è stata
supportata dalla seguente motivazione: Il principio della tutela della salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione
Corte Cost. n. 218 2/6/94
[…] implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto
di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del
coesistente diritto degli altri. L’interesse comune della salute collettiva e l’esigenza della
preventiva protezione dei terzi consentono in
questo caso, e talvolta rendono obbligatori,
accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste
un serio rischio di contagio, sia affetto da una
malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell’esercizio delle attività stesse.
CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA
Sembra, dunque, evidente che la decisione della
Corte, come si desume dalla motivazione della decisione adottata, è funzionale esclusivamente alla
tutela della salute dei terzi e non del singolo presunto portatore del morbo.
La Corte quindi delinea un generico ambito di “sanità pubblica” riferito ad attività di lavoro non determinate ma ritenute potenziali cause di contagio
da HIV, la cui individuazione è necessariamente rimessa ai titolari del potere normativo.
L’unica indicazione che si ritrova nella sentenza in
esame riguarda l’attività di assistenza e cura della
persona, che è quella che ha fatto sorgere la questione di legittimità costituzionale.
Ma anche in questo caso, l’assoluta indeterminatezza dell’asserto impone necessariamente una integrazione normativa che specifichi le concrete attività più esposte sotto il profilo del rischio di contagio a terzi.
Responsabilità del datore
di lavoro in caso di infezione
occupazionale
Il problema della trasmissione dell’infezione nello
studio odontoiatrico riguarda il sanitario, dal punto
di vista medico-legale, sotto l’aspetto della responsabilità professionale e quello degli adempimenti
obbligatori per legge. Il problema della responsabilità professionale si configura sotto il duplice
aspetto penale e civile nei confronti del paziente,
del personale dipendente e collaboratore, di qualsiasi altra terza persona, compresi i familiari.
Nell’ipotesi di trasmissione di una grave infezione
nel corso di terapie odontoiatriche si configura
una colpa professionale per imprudenza e negligenza, derivante da atteggiamento omissivo nella
applicazione delle norme universali di protezione,
riconducibile ad uno dei seguenti atteggiamenti:
• insufficiente presenza di presidi ambientali e
strumentali che assicurino la sterilizzazione e
l’asepsi dello strumentario (sterilizzatrici, autoclavi, centro di sterilizzazione);
• assenza di utilizzazione di misure di barriera
(camice, guanti, mascherina, occhiali schermo)
in quanto non fornite, non disponibili;
• assenza di istruzione e sorveglianza del personale in relazione all’applicazione delle norme
universali.
I presupposti fondamentali ci portano a considerare i problemi del nesso di causalità materiale tra
19
danno conseguito, evento infortunio occorso nello studio odontoiatrico e la dimostrata responsabilità. In ambito penale può realizzarsi il reato di
lesioni personali colpose (art. 590 c.p., Lesioni
personali colpose) ed omicidio colposo (art. 589
c.p., Omicidio colposo). L’omissione delle attività
di prevenzione, inoltre, può costituire comportamenti professionali difformi dalle disposizioni dell’Autorità giudiziaria per inosservanza dei provvedimenti (art. 650 c.p., Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità).
La responsabilità civile e l’obbligo di risarcimento
da fatto illecito derivano dall’art. 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) e dall’art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro) per quanto riguarda la salute degli operatori e ausiliari.
La possibilità di trasmettere una infezione crociata
durante la terapia odontoiatrica per diverse malattie è ampiamente dimostrata; tuttavia nel singolo
caso può risultare complesso o impossibile ricostruire la catena epidemiologica per dimostrare il
nesso di causalità tra condotta dell’operatore odontoiatrico e contagio. A tale proposito ricordiamo
che la maggior parte delle infezioni avviene in presenza di anamnesi negativa per infortuni o esposizioni evidenti a materiale biologico (infezione inapparente) e che le malattie possono decorrere in modo asintomatico per lunghi periodi di tempo.
La dimostrazione di un nesso causale certo non è
agevole ed in molti casi l’assenza dei presupposti
indicati in precedenza porterà a conclusioni di indimostrabilità o mera possibilità. In questi casi,
comunque, parte del quesito formulato dal magistrato e dell’indagine medico-legale verterà sulla
richiesta di provare se nello studio siano state rispettate le disposizioni idonee a prevenire un contatto accidentale tra cute e mucose e materiali biologici a rischio, in ottemperanza alla attuale legislazione.
Appare chiaro che indipendentemente dall’accertamento del rapporto causale, la dimostrazione di
un mancato utilizzo di mezzi di barriera o altre misure atte a prevenire un contagio potrebbe essere
sufficiente a promuovere un procedimento giudiziario e la richiesta di un risarcimento in sede civile e/o penale. A dimostrazione riportiamo la sentenza del pretore di Torino del 22/3/89 su di un caso di infezione occupazionale, decisione che ci
riporta al problema dell’infortunio sul lavoro e alla responsabilità del dentista in quanto datore di
lavoro.
Una infermiera in servizio presso l’Ospedale Maggiore di Torino, reparto di rianimazione, mentre
20
MEDICINA DEL LAVORO
accompagnava una paziente nel reparto di radiologia, a seguito della rottura di un transduttore di
pressione arteriosa, veniva investita nell’occhio da
un getto di sangue.
Il paziente era affetto da HIV nel periodo finestra
(non evidenziabili con le ricerche sierologiche gli
anticorpi anti-HIV) e l’infermiera fu contagiata.
Il primario fu processato e condannato per lesioni
colpose perché la dotazione di mezzi era insufficiente (occhiali); il primario non aveva disposto e
preteso che i singoli lavoratori portassero i mezzi
di protezione a loro disposizione; il personale non
era stato adeguatamente informato ed addestrato.
Etica e deontologia professionale:
l’operatore con infezioni
ematogene e il rifiuto di assistenza
Un fertile dibattito di etica e deontologia professionale ed uno sviluppo della normativa si è sviluppato negli anni ottanta a seguito della spinta
emozionale collettiva determinata dalla comparsa
della epidemia di AIDS, che ha risvegliato una presa di coscienza del problema delle patologie infettive diffusive.
Le moderne misure di prevenzione hanno ridotto
il rischio di infezione crociata ad un livello accettabile; non è necessaria inoltre alcuna specializzazione o particolare attrezzatura per trattare
questi pazienti. È scientificamente ed eticamente
inaccettabile non trattare un paziente portatore
di malattia infettiva solo sulla base del proprio
sierostato e l’utilizzo di tali argomentazioni rappresenta un pretesto per mascherare una ingiustificabile discriminazione. Il libero professionista, a cui si riconosce la discrezionalità della prestazione, eserciterebbe in tal modo una discriminazione eticamente censurabile e sanzionabile
come responsabilità deontologica dall’ordine
professionale; l’incaricato di pubblico servizio
commetterebbe il reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.). L’interruzione del piano di terapia deve essere motivato dalla rottura del rapporto fiduciario non diversamente da altri pa-
zienti (mancati appuntamenti, mancato pagamento della parcella, divergenze sul piano terapeutico, aperte critiche). La decisione di non trattare è
giustificabile qualora sia presa nell’interesse del
paziente sulla base di criteri di prudenza analoghi
a quelli utilizzati su pazienti con altre patologie;
oppure qualora il dentista ritenga di non esser in
grado di trattare correttamente il paziente per assenza di attrezzature, conoscenza, esperienza; o
in presenza di condizioni sistemiche che presentino un rischio perioperatorio non accettabile. In
questi casi, previa onesta discussione ed accordo,
il paziente può essere inviato ad un collega disponibile al trattamento o a strutture pubbliche
dove sia possibile un trattamento gravato da minori costi.
Il dentista affetto da malattie infettive trasmissibili rappresenta un problema sociale e di etica professionale il cui approccio potrà registrare futuri
cambiamenti sotto la pressione dell’opinione pubblica.
La L. 5/6/90 n. 135, Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS,
negli artt. 5 e 6 sancisce il diritto all’anonimato per
il paziente HIV positivo; vieta la discriminazione
del malato in attività sportive, scolastiche e lavorative.
Secondo l’attuale legislazione italiana un operatore sanitario con infezione a trasmissione ematica:
• può continuare ad esercitare;
• non ha l’obbligo di informare i propri pazienti;
• non ha l’obbligo di sottoporsi ad accertamenti
ematochimici periodici o preassunzione;
• è naturalmente obbligatoria l’adozione delle misure di barriera come per qualsiasi altro operatore.
L’etica professionale suggerisce di limitare l’attività di operatori infetti da gravi patologie infettive,
escludendoli dalle manovre invasive, potenziale
fonte di incidenti ed infezione crociata.
In questa ottica è consigliabile limitare i mansionari di operatori infetti, riducendo le manualità
chirurgiche o, in alternativa dove possibile (ad
esempio in strutture con numeroso personale), assegnandoli ad altri incarichi con maggiore impegno amministrativo e minore peso assistenziale.
CAPITOLO 3
INFEZIONI OCCUPAZIONALI
EMATOGENE
F. Montagna, G. Ferronato
Patologie trasmissibili
in odontoiatria
La terapia odontoiatrica espone operatori e pazienti a possibili infezioni crociate da parte di un
elevato numero di patologie con caratteristiche
differenti di morbosità e contagiosità.
Da una parte possiamo considerare malattie esantematiche, infezioni dell’apparato respiratorio ed
altre patologie contraddistinte da una bassa mortalità che, invalidanti per periodi ridotti e generalmente prive di conseguenze, non rappresentano
particolare fonte di preoccupazioni cliniche e sono prive di interesse medico-legale.
Il rischio maggiore per la tramissione di infezioni
occupazionali è, invece, rappresentato da alcune
patologie a trasmissione parenterale in grado di
evolvere in forme gravi con un decorso asintomati-
co instaurando uno stato di portatore cronico: infezione da HIV (tabella 1), epatiti B, C, D (tabella 2).
Considerata globalmente, la prevalenza stimata di
queste patologie nella popolazione generale in Italia è del 2-3% ma può raggiungere valori elevati in
alcuni gruppi di comportamento a rischio (tabella 3).
Modalità di esposizione
occupazionale
Storicamente la prevenzione della contaminazione crociata si focalizzava sulla protezione dei pazienti ed in minore misura sui pericoli per gli operatori; più recentemente, con il riconoscimento
dei pericoli dell’epatite B e dell’AIDS, il personale
si è sempre più preoccupato del pericolo in cui in-
Tab. 1 Patologie a trasmissione parenterale: sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)
• Agente eziologico
• Prevalenza nella popolazione generale
HIV (RNA retrovirus)
1-3/1000
• Via di trasmissione
Parenterale
(sangue, sperma e secrezioni genitali)
101-105 / mm3
Da poche ore a 3 giorni
56° calore secco x 30 min
glutaraldeide 2% x 10 min
0,2-0,5%
• Concentrazione ml sangue
• Resistenza all’ambiente esterno
• Inattivazione
• Rischio di infezione post-esposizione
• (puntura d’ago)
• Incubazione
• Sintomi d’esordio
• Letalità
• Esami ematochimici
• Profilassi post-esposizione
30-90 gg
Sindromi similmononucleosiche;
varianti asintomatiche
90-100% dopo 12-14 anni senza terapia
Anti-HIV, ag P24, CD4+, CD8+
AZT, 3TC, INDINAVIR, per 4-6 settimane
• Efficacia profilassi
Non dimostrata
22
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 2 Patologie a trasmissione parenterale: epatiti B, C, D
EPATITE B
EPATITE C
• Agente eziologico
• Prevalenza nella popolazione generale
• Via di trasmissione
HBV (DNA virus)
0,5-1,2%
Parenterale e sessuale (sangue, saliva, essudati, sperma
e secrezioni vaginali)
•
•
•
•
•
•
•
Concentrazione ml sangue
Concentrazione ml nella saliva
Resistenza all’ambiente esterno
Inattivazione
Rischio di infezione post-esposizione
Incubazione
Sintomi d’esordio
106-1013
102-103
Sei mesi a temperatura ambiente
85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min
15-30%
30-180 gg
Sindrome similinfluenzale e ittero (10%);
varianti asintomatiche (90%)
•
•
•
•
•
•
Letalità acuta
Cronicizzazione
Esami ematochimici
Profilassi attiva
Profilassi passiva
Efficacia vaccino
1%
5-10%
HBsAg, anti-HBsAg, HBeAg, anti-HBeAg, HBV-DNA
Vaccino
IgGB
95%
• Agente eziologico
• Prevalenza nella popolazione generale
• Via di trasmissione
•
•
•
•
•
•
Concentrazione ml sangue
Resistenza all’ambiente esterno
Inattivazione
Rischio di infezione post-esposizione
Incubazione
Sintomi d’esordio
• Letalità
• Cronicizzazione
• Esami ematochimici
• Profilassi
EPATITE D
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Agente eziologico
Prevalenza nella popolazione generale
Via di trasmissione
Concentrazione ml sangue
Resistenza all’ambiente esterno
Inattivazione
Rischio di infezione post-esposizione
Incubazione
Sintomi d’esordio
• Letalità
• Cronicizzazione
•
•
•
•
Esami ematochimici
Profilassi attiva
Profilassi passiva
Efficacia
HCV (RNA virus)
0,7-1,4%
Parenterale (sangue 90%, sperma
e secrezioni vaginali 10%)
106-107
Alcuni giorni
85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min
4-10%
30-180 gg
Sindrome similinfluenzale e ittero (20-30%);
varianti asintomatiche (70-80%)
Acuta rara
50-70% dei casi, dei quali il 20% evolve in cirrosi dopo
un periodo medio di 15-20 anni
Anti-HCV
Assente
HDV (RNA virus difettivo): è una sovrainfezione di HBV
15% dei portatori cronici di HBV (HBsAg+)
Parenterale
1010-1011
Sei mesi a temperatura ambiente
85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min
4-10%
30-180 gg
Sindrome similinfluenzale e ittero;
varianti asintomatiche
2% per infezione simultanea B + D;
17% per superinfezione D in HBsAg+
10% per coinfezione; 90% per sovrainfezione;
mortalità 20-40% in 6-7 anni
Anti-HDV
Vaccino HBV
IgGB
Vaccino 95%
CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE
Tab. 3 Prevalenza di alcune malattie infettive nella popolazione generale in Italia
PATOLOGIE INFETTIVE
•
•
•
•
•
•
% POPOLAZIONE
GENERALE
HIV
HBV
HCV
HDV
Tubercolosi
Sifilide
0,1-0,3
0,5-1,2
0,7-1,4
5 HBsAg+*
0,007
0,0008
* HDV colpisce i portatori cronici di epatite B.
corre nel curare pazienti infetti. L’infezione occupazionale avviene tra paziente infetto e operatore:
• per esposizione accidentale a materiale biologico durante le procedure assistenziali o di manutenzione dello strumentario mediante differenti modalità di trasmissione: attraverso la via
cutanea, mucosa e parenterale;
• diretta mediante il contatto con materiali biologici;
• indiretta tramite veicoli costituiti dallo strumentario contaminato.
In molti casi di operatori infettati, non è possibile
con l’anamnesi risalire ad un episodio di esposizione parenterale (ferita, taglio o puntura) responsabile del contagio ed in questi casi si ammette
che l’infezione sia avvenuta attraverso lesioni difficilmente individuabili della cute e delle mucose
(via parenterale inapparente) o per comportamenti a rischio (promiscuità sessuale, tossicodipendenza, ecc.).
Le manovre più a rischio e le possibili vie di esposizione parenterale a liquidi biologici nella pratica
odontoiatrica identificabili e prevenibili con una
corretta condotta sono le seguenti:
• le punture accidentali durante l’esecuzione dell’anestesia locale e il reincappucciamento dell’ago da anestesia; il 94% degli operatori sanitari impiegati in gabinetti dentistici riportano incidenti da ago (Klein, 1988);
• le ferite accidentali con strumentario chirurgico
o frese nel corso delle manovre terapeutiche;
• ferite accidentali durante le attività di pulizia/riordino (smontare le frese dal manipolo,
decontaminazione, lavaggio, manutenzione,
imbustamento);
• l’esposizione delle mucose congiuntivale, respiratorie ed orale con schizzi di sangue, goccioline di saliva ed aerosol (strumentario rotante);
• la contaminazione di lesioni cutanee aperte con
una superficie infetta (maniglie e attrezzature)
toccata in seguito ad interruzione delle attività
cliniche o a seguito di percolazione di liquidi
biologici attraverso fori o rotture dei guanti.
I tipi di strumenti più comunemente associati agli
incidenti per il dentista generico sono le frese
(40% degli incidenti extraorali) e gli aghi della siringa da anestesia (32% degli incidenti intraorali),
mentre risultano meno implicati i taglienti (come
bisturi, curettes) e altri strumenti.
La maggior parte degli incidenti interessa le mani
o le dita della mano prevalente (la destra nei soggetti destrimani) ed avviene più frequentemente al
di fuori della cavità orale durante la preparazione
o l’eliminazione del materiale.
Lo stesso D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U.
8/10/90), Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche e private, all’art. 2 indica
norme specifiche sulla prevenzione degli incidenti
e l’eliminazione di aghi e taglienti; all’art. 4 (Precauzioni per gli operatori odontoiatrici) raccomanda di non reincappucciare aghi e manipolare
taglienti infetti.
Tab. 4 Frequenza degli infortuni con esposizione percutanea a sangue
AUTORE
Siew
Siew
Gooch
Cleveland
Malviz
Siew
Cleveland
23
ANNO
N. INFORTUNI/MESE
1987
1991
1992
1993
1993
1995
1997
0,83
0,29
0,31
0,33
0,30-0,44
0,28
0,25
SPECIALIZZAZIONE
Dentisti generici
Dentisti generici
Chirurghi orali
Dentisti generici
Igienisti dentali
Dentisti generici
Dentisti generici
e chirurghi orali
e chirurghi orali
e chirurghi orali
e chirurghi orali
24
MEDICINA DEL LAVORO
Caratteristiche
del microrganismo
Virulenza del ceppo
Resistenza all’ambiente
esterno
e alla disinfezione
Via di penetrazione
Cutanea
Mucosa
Parenterale
Completa
INFEZIONE
Carica microrganismica
infettante
Fase della malattia
(attiva replicazione virale)
Modalità di esposizione
(entità e tipo
di materiale biologico)
Resistenza all’ospite
Aspecifica
(immunodeficienze, ecc.)
Specifica (immunitaria)
Fig. 1 Condizioni per una trasmissione efficace dopo singola esposizione ad agente patogeno
Le campagne di prevenzione e informazione sul rischio di infezione crociata professionale e la diffusa applicazione delle norme di prevenzione universali da parte degli operatori odontoiatrici hanno ridotto, nel periodo 1987-1997, di tre volte la
frequenza degli infortuni con esposizione percutanea a sangue. Il numero degli infortuni è rapidamente diminuito tra il 1987 (10 all’anno) e il 1991
(3 all’anno) ed è rimasto poi stabile (tabella 4).
Fattori di rischio
per una trasmissione efficace
I fattori implicati nella trasmissione efficace di una
patologia contagiosa sono molteplici e possono essere sintetizzati in diversi punti (figura 1, tabella 5):
• il soggetto fonte dell’esposizione sia affetto da
una malattia contagiosa;
• il soggetto esposto al rischio infettivo non sia
resistente per immunità attiva a seguito di precedente infezione o vaccino;
• la carica microbica sia per quantità superiore
alla dose infettante, ricordando che non è stata ancora definita la quantità minima di inoculo ematico sufficiente a trasmettere l’infezione;
• le modalità di esposizione siano avvenute attraverso una via di penetrazione efficace.
La maggior parte delle esposizioni in odontoiatria,
comunque, veicola piccole quantità di sangue e tale situazione, unitamente alla minor frequenza degli infortuni in odontoiatria nei confronti di altre
specialità medico-chirurgiche, giustifica il basso
rischio di infezione professionale ematogena per il
Tab. 5 Criteri per la valutazione del rischio di infezione occupazionale ematogena in relazione alle diverse modalità di
esposizione
TIPO DI ESPOSIZIONE
MODALITÀ
RISCHIO
• Parenterale certa
Iniezione, taglio, ferita
Elevato
• Parenterale possibile o dubbia
Contatto di mucosa e cute con ferite aperte
o dermatiti secernenti (eczema, psoriasi, ecc.)
Probabile/possibile
Esposizione a cute e mucosa integra*
Improbabile
• Non parenterale
* Le mucose e la congiuntiva sono fragili, possono presentare soluzioni di continuità e quindi un maggior rischio di contagio.
CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE
Tab. 6 Efficacia di trasmissione dell’infezione da HBV,
HCV, HIV per singola puntura accidentale*
PATOLOGIA
FONTE
• HBV
HBsAg+
HBeAg +
30
HBsAg+
HBeAg-
15
Anti-HCV+
HCV-RNA+
15
• HCV
RISCHIO %
Anti-HCV+
HCV-RNA
• HIV
Anti-HIV+
3
0,2-0,5
* Quantità di sangue trasmissibile con puntura accidentale determinata su
modello sperimentale pari a 0,034 microlitri.
personale odontoiatrico. Il valore ottenuto da studi prospettici consente di definire un generico rischio di infezione calcolato sulla base dell’efficacia di trasmissione a seguito di una singola esposizione al sangue di soggetto infetto (tabella 6).
Risulta, comunque, evidente che per determinare
il rischio specifico nei singoli casi è necessario
considerare i diversi fattori che sono in grado di
influire sull’entità del rischio. Tra questi, si devono
considerare una serie di fattori secondari, dipendenti prevalentemente dalle caratteristiche del microrganismo, che sono in grado di mutare in misura sostanziale la contagiosità e quindi l’entità
del rischio per esposizioni analoghe:
• la virulenza e la patogenicità del microrganismo
che può variare tra ceppi diversi; la presenza di
HBeAg, ad esempio, è indice di elevata infettività nelle epatiti virali di tipo B;
• il materiale biologico fonte dell’esposizione
(sangue, saliva, secrezioni) che può contenere
cariche virali diverse in relazione al tropismo
del microrganismo;
• la carica virale che può variare nel tempo per lo
stesso soggetto; nelle epatiti virali, ad esempio, la
presenza di HBV-DNA e HCV-RNA è indice di attiva replicazione virale; nella infezione da HIV, invece, la viremia varia nelle diverse fasi della malattia
e risulta più elevata nelle fasi terminali della malattia (a causa dell’immunosoppressione) e nelle
fasi iniziali (per l’assenza di anticorpi specifici);
• la resistenza del microrganismo a fattori inattivanti dell’ambiente esterno, fattore importante
nei casi di contagio indiretto (elevata per l’HBV
e ridotta per l’HIV).
Negli incidenti professionali non è stata associata
alcuna relazione con l’esperienza del dentista, misurata in anni di pratica; sono state comunque
identificate alcune situazioni che sono in grado di
aumentare il rischio.
Epidemiologia
delle infezioni occupazionali
nel personale odontoiatrico
Data la carenza di indagini specifiche sul territorio
nazionale è necessario utilizzare ricerche epidemiologiche eseguite in paesi stranieri che presentino condizioni di professionalità odontoiatrica e
prevalenza di malattie infettive nella popolazione
generale sovrapponibili all’Italia (tabella 7). Le indagini epidemiologiche indicano l’odontoiatria come una professione relativamente sicura per
quanto attiene il rischio infettivo occupazionale.
L’indice statistico utilizzato è rappresentato dal rischio relativo (RR) che consiste nel rapporto tra
l’incidenza di una patologia in soggetti esposti e
non esposti allo stesso fattore di rischio; se il fat-
Tab. 7 Rischio relativo di infezione occupazionale
PATOLOGIA
• Infezione da HIV
• Infezione da HBV
• Infezione da HCV
PREVALENZA NELLA
POPOLAZIONE GENERALE*
1/1000
0,5%-1,2%
0,7%-1,4%
25
PREVALENZA NEGLI
ODONTOIATRI**
0,57/1000
7-8% (non vaccinati)
0,7-2%
* In Italia.
** In paesi stranieri con prevalenza di malattie infettive nella popolazione generale sovrapponibile all’Italia.
RISCHIO RELATIVO
OCCUPAZIONALE
STIMATO (RR)
0,5
8
1,5
26
MEDICINA DEL LAVORO
PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO DI INFEZIONE OCCUPAZIONALE
Rischio maggiore
Rischio minore
Fattori in relazione al paziente
1. Prevalenza della patologia nei pazienti
2. Fase dell’infezione
Elevato
Fase acuta avanzata
Basso
Fase intermedia
Elevato
Basso
Lungo
Basso
Alto
Breve
Numerosi
Rari
Contagiosità elevata
Lesione penetrante
Contagiosità bassa
Lesione superficiale
Aspecifico
Non adesione
Assente
Instabile
Presenza di ansia
Specifico
Adesione
Sviluppato
Stabile
Assenza di ansia
Ridotto
Presente
Scarso
Ridotto
Assente
Assente
Sufficiente
Assente
Elevato
Sufficiente
Presente
Presente
Fattori in relazione all’agente
1. Trasmissibilità
2. Carica minima infettante
3. Sopravvivenza in ambiente esterno
Fattori inerenti alla procedura
1. Numero di eventi a rischio
1. (manovre invasive) nel tempo
2. Quantità di sangue trasferito
3. Tipo di esposizione
Fattori legati alla professionalità
1. Addestramento
2. Applicazione norme universali
3. Percezione del rischio
4. Posizione di lavoro
5. Stato psicologico
Fattori in relazione all’ambiente
1. Spazio
2. Affollamento
3. Luminosità
4. Tempo di prestazione
5. Disponibilità immediata presidi prevenzione
6. Controllo attivo del responsabile
tore non ha influenza sulla malattia il rapporto risulta pari o inferiore a 1; il valore è superiore a 1
se vi è associazione statistica.
indagini di prevalenza in operatori sanitari che riferivano all’anamnesi esposizioni accidentali a
materiale biologico in assenza di altri fattori di riTab. 8 Sieroprevalenza per HIV fra odontoiatri negli USA
Infezione da HIV
I dati riportati in letteratura non indicano un rischio significativo di infezione occupazionale da
HIV per gli odontoiatri (tabella 8).
Dalla prima osservazione di infezione occupazionale da HIV, nel 1984, al 1997 si sono avuti nel
mondo 65 casi segnalati in letteratura di infezione
occupazionale accertata tra il personale sanitario,
dei quali 3 in Italia; nessun caso era rappresentato
da un operatore odontoiatrico. Sono stati segnalati inoltre 117 casi di infezioni rilevate nel corso di
AUTORE
ANNO
N. SOGGETTI
Klein
Gruniger
Gruniger
Gruniger
Gruniger
Siew
1986
1987
1988
1989
1990
1992
1132*
1195
1165
1480
1466
321**
* Esclusi i dentisti con rischio diverso.
** Chirurghi orali.
N. SIEROPOSITIVI
1
0
1
0
0
0
CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE
27
Tab. 9 Prevalenza di marker sierologici di pregressa epatite B in operatori odontoiatrici non vaccinati (USA 1979-1981)*
CATEGORIA
N. ESAMINATO
Chirurghi orali (Schiff 1996)
Dentisti (Schiff 1996)
Igienisti dentali
Odontotecnici
Assistenti dentali
Addetti alla segreteria
Altri
N. POSITIVI
59
155
350
56
9
% POSITIVI
10
22
45
5
0
25-30
15-18
16,9
14,2
12,9
8,9
0
* Cottone, 1986.
schio; in tale comparto statistico erano presenti 2
casi di operatori odontoiatrici.
Del resto anche la probabilità statistica di contrarre una infezione occupazionale da HIV si dimostra
numericamente irrilevante (1 caso su alcuni milioni) considerando il basso tasso di sieroconversione (2-5 ogni 1000 esposizioni efficaci) e la ridotta
prevalenza della patologia nella popolazione generale (1-3/1000).
Infezione da HBV
Infezioni occupazionali di HBV rappresentano
eventualità ampiamente dimostrate in letteratura
odontoiatrica.
Si può asserire che il rischio di infezione occupazionale per il personale odontoiatrico è in diminuzione costante, grazie alla estensiva applicazione
delle norme universali e per la diffusione delle
vaccinazioni per l’HBV.
Sebbene l’infezione da HBV fosse rara tra gli adulti negli Stati Uniti (1-2%), negli anni settanta-ottanta le sorveglianze sierologiche indicarono che
il 10-30% degli operatori odontoiatrici non vaccinati mostravano evidenza di infezione pregressa o
presente con HBV (tabella 9).
Il numero di dentisti non vaccinati per HBV che
presentano marker sierologici di pregressa epatite B è dal 1975 in costante diminuzione (tabella 9).
La sieroprevalenza per HBV tra gli odontoiatri si è
ridotta di un terzo dal 1970 (epoca prevaccinica)
al 1990, rimanendo successivamente stabile (tabella 10); il declino è dovuto in parte all’uso del
vaccino e in parte all’adozione delle misure universali che prima erano scarsamente utilizzate.
Il numero di dentisti portatori cronici di epatite B
Tab. 10 Sieroprevalenza per HBV (marker sierologici di pregressa epatite) fra odontoiatri negli USA
AUTORE
ANNO
Feldman et al.
Mosley
Smith et al.
Weil et al.
Siew
Siew
Siew et al.
Gruniger
Cleveland
ADA meeting
Thomas
1975
1975
1976
1977
1983
1985
1989
1989
1992
1993
1996
INFEZIONE IN ATTO
O PREGRESSA (%)
18
14
14
21
15
12
10,9
9
9
8
7,8
VACCINATI
(%)
0
17
37
72
85
-
28
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 11 Prevalenza del numero di dentisti portatori cronici di epatite B (USA)
AUTORE
Feldman e Schiff
Mosley et al.
Smith et al.
Hollinger, Grander, Nickel e Suarez
Weil, Lyman, Jackson e Bernstein
Siew, Gruninger, Chang e Verrusio
ADA, Sessione Annuale
ANNO
N. ESAMINATO
N. HBsAg+
% HBsAg+*
1975
1974
1976
1977
1977
1989
1993
236
1245
174
94
511
1339
-
3
11
3
4
4
-
1,27
0,90
1,70
3,20
0,80
0,60
0,40
* Circa lo 0,3% della popolazione statunitense risulta HBsAg+.
(HBsAg+) confrontati alla popolazione generale
mostra una progressiva riduzione nel tempo, la
quale ha portato a dati attualmente sovrapponibili.
Il rischio per operatori non vaccinati per l’epatite
B rimane comunque elevato ed è in relazione al
fattore di esposizione al sangue durante l’assistenza e quindi al tipo di lavoro svolto: molto elevato
per i chirurghi orali; più basso e sovrapponibile
per odontoiatri generici ed igienisti dentali; progressivamente più ridotto per altre categorie di
operatori odontoiatrici (tabella 11).
Infezione da HCV
I dati confermano che il rischio per HCV è considerevolmente più basso nei confronti dell’HBV;
comunque la sieroprevalenza per HCV è rimasta
costante negli ultimi anni. La maggior frequenza di
HCV è rilevabile fra i soggetti con maggior numero di anni di attività clinica e fra coloro che sono
anche HBV positivi. Inoltre il rischio di HCV e
HBV è maggiore per i chirurghi orali e minore ma
sovrapponibile tra odontoiatri generici, igienisti,
assistenti dentali e odontotecnici (tabella 12).
Tab. 12 Sieroprevalenza per HCV fra gli odontoiatri negli USA
AUTORE
SOGGETTI
NUMERO
Klein, 1991*
Chirurghi orali
Odontoiatri generici
43
413
9,3
0,97
-
Thomas, 1996
Chirurghi orali
Odontoiatri generici
343
305
2
0,7
21,2
7,8
* N. complessivo di soggetti esaminati 456 dei quali 1,75% HCV+.
** Infezione in atto o pregressa.
HCV POSITIVI % **
HBV POSITIVI % **
CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE
29
Situazioni igieniche a confronto
Il confronto è paradossale ma vuole significare che l’igiene (dalla pulizia alla sterilità) consiste in un atteggiamento e in un’educazione, oltre che nel possesso di attrezzature specifiche e moderne.
Siamo certi che un comportamento negligente da parte di moderni operatori non possa concretare lo
stesso rischio infettivo, rendendo le due situazioni estreme solo apparentemente antitetiche?
CAPITOLO 4
NORME UNIVERSALI
PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI
EMATOGENE OCCUPAZIONALI
F. Montagna, G. Ferronato
Norme universali
di prevenzione (NUP)
Le pratiche odontoiatriche sono classificabili come manovre invasive che espongono l’operatore
sanitario al rischio di infezione occupazionale, che
possiamo considerare ridotto nelle condizioni di
lavoro abituale utilizzando norme universali di
prevenzione (tabella 1).
Attualmente vi è l’indicazione ad adottare le precauzioni universali con tutti i pazienti per la prevenzione del contagio, prescindendo dalla conoscenza dello stato di infezione del singolo soggetto. L’identificazione dello stato di malattia, infatti,
è impossibile per svariati motivi.
• I pazienti possono non essere a conoscenza del
proprio stato immunitario (assenza di diagnosi).
• Le malattie infettive possono essere contagiose
prima della conversione delle indagini sierologiche (periodo finestra) e della comparsa di sintomatologia clinica (periodo di incubazione).
• Il paziente a conoscenza della propria patologia
può non riferire all’operatore il proprio stato. In
questo caso va considerato anche il tipo di implicazione psicologica rappresentato dalle domande che devono essere formulate dall’operatore al paziente per individuare comportamenti
a rischio (tossicodipendenza e rapporti a rischio).
• Le attuali terapie hanno indotto una patomorfosi per la quale, all’esame clinico, molti pazienti,
pur affetti da gravi patologie, possono presentarsi clinicamente asintomatici sino a stadi
avanzati della malattia.
• La bassa prevalenza della patologia infettiva
nella popolazione generale, il basso rischio di
sieroconversione per l’operatore sanitario che
adotti le precauzioni universali, la necessità di
erogare tempestivamente le terapie odontoiatri-
che, il costo rappresentato da una indagine di
screening estesa su vaste fasce di utenza dei
servizi sanitari sono tutti fattori che controindicano l’esecuzione sistematica di esami sierologici nei pazienti, non solo in ambito odontoiatrico ma anche medico.
Informazione
e formazione professionale
L’istruzione del personale è una necessità e un obbligo normativo (D.Lgs. 626/94) che ricade sul responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) in collaborazione con il responsabile
della sicurezza (RSL).
La normativa consente di attribuire i due ruoli allo stesso soggetto, datore di lavoro odontoiatra.
Gli operatori devono essere istruiti sull’epidemiologia, modalità di trasmissione e norme di prevenzione delle infezioni.
Poiché il compito di prevenire la trasmissione delle patologie infettive è affidato a tutti i componenti dell’équipe odontoiatrica, è necessaria la circolarità della comunicazione e la formulazione di
piani di lavoro deve essere svolta in collaborazione con tutti i suoi membri (odontoiatra, assistente
dentale, igienista) in modo da ottenere protocolli
applicabili nella propria realtà operativa.
Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90),
Norme di protezione dal contagio professionale
da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali
pubbliche e private, all’art. 8 sancisce che il responsabile deve attivarsi per rendere edotti ed
informare gli operatori dei rischi a cui sono sottoposti; assicurare mezzi, presidi e materiali per la
protezione; disporre e vigilare affinché le norme
per la prevenzione del contagio siano utilizzate dal
personale.
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
31
Tab. 1 Norme universali per la prevenzione delle infezioni ematogene
NORMA UNIVERSALE
APPLICAZIONE
COMMENTO
• Informazione e formazione
• professionale
Educazione del personale
sanitario sull’epidemiologia,
modalità di trasmissione,
norme di prevenzione
delle infezioni
L’istruzione del personale è obbligatoria
in base al D.Lgs. 626/94
• Controllare lo stato di salute
Vaccinazione e richiami per HBV
Richiami per tetano
La profilassi attiva per HBV è facoltativa,
gratuita per gli operatori sanitari,
raccomandata per l’elevata efficacia
(D.M. Sanità 10/5/90)
Esami sierologici
per anti-HBV, HCV, HIV
a cadenza periodica
Facoltativi, consigliati per le possibili
esposizioni parenterali inapparenti
e la presenza di forme
paucisintomatiche
• Evitare il contatto con il sangue Adozione di misure di barriera
(guanti, camici, occhiali, schermi,
mascherine, camici monouso)
Uso obbligatorio delle barriere
L’adozione di misure di barriera
è obbligatoria
(D.M. Sanità 28/10/90)
Curare l’igiene delle mani (lavare
le mani, proteggere la cute dalle
dermatiti)
Rischio di esposizione inapparente anche
con guanti in presenza di dermatiti
• Rendere lo strumentario sicuro
• per l’uso
Disinfezione, sterilizzazione
di strumentario, attrezzature
e protesi
Per materiali non decontaminabili
utilizzare il monouso
Sterilizzazione obbligatoria
degli stumenti riutilizzabili
(D.M. Sanità 28/10/90)
• Non diffondere
• la contaminazione
Diminuire la contaminazione
ambientale con: norme
di comportamento
degli operatori,
disinfezione della
zona operativa
Eliminare il rischio di contagio indiretto
• Identificare e limitare
• le situazioni a rischio
Mansionari specifici
per revisione
delle procedure di assistenza
a rischio di esposizione
accidentale
Discussione e analisi con lo staff
dei comportamenti applicabili in concreto
(D.Lgs. 626/94)
Limitazione e/o astensione
di particolari categorie di soggetti
dalle procedure di assistenza
a rischio
Facoltativa, consigliata temporaneamente
sino a risoluzione di alcune situazioni
(dermatiti essudative o secernenti delle mani;
gravidanza)
Facoltativa, consigliata per operatori
con infezioni trasmissibili
Protocollo post-esposizione
per primo intervento,
sorveglianza sanitaria,
offerta di chemioprofilassi
Obbligatorio (D.Lgs. 626/94)
• Gestire l’emergenza
32
MEDICINA DEL LAVORO
Art. 8 (Obblighi degli organi preposti)
Gli organi preposti alle strutture sanitarie ed
assistenziali pubbliche e private, i titolari di
studi professionali e laboratori […] debbono:
1) rendere edotti con adeguati strumenti di
informazione gli operatori dei rischi specifici a
cui sono esposti e portare a loro conoscenza
le norme di prevenzione di cui al presente decreto;
2) assicurare agli operatori mezzi, presidi e materiali per l’attuazione delle presenti norme;
3) disporre e vigilare affinché gli operatori osservino le precauzioni stabilite ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione.
Inoltre le malattie prese in esame possono presentarsi in forme paucisintomatiche a seguito di esposizioni parenterali inapparenti, ragione per cui il
personale odontoiatrico può non riconoscere l’esordio della patologia.
Per tale motivo agli operatori odontoiatrici sono
raccomandate, anche se facoltative:
• le vaccinazioni per l’epatite B e il tetano;
• l’esecuzione di controlli ematochimici periodici
annuali dello stato sierologico (HBV, HCV, TBC,
HIV).
Inoltre
In Italia le vaccinazioni per il tetano, la difterite, la
poliomielite e l’epatite B (quest’ultima per i nati
dopo il 1980, L. 27/5/91 n. 165) sono obbligatorie
(tabella 2).
Una misura specifica di protezione di elevata efficacia, altamente consigliata per il personale odontoiatrico, è la vaccinazione per l’epatite B; tale
vaccino è dotato di elevata efficacia ed è valido
anche nella prevenzione della epatite delta.
Attualmente non esistono misure di profilassi attiva o passiva per l’epatite C e per l’infezione da HIV
di provata efficacia.
Il D.M. 4/10/91, Offerta gratuita della vaccinazione contro l’epatite B alle categorie a rischio, all’art. 1 include i soggetti che svolgono
attività di lavoro nell’ambito della sanità pubblica e privata.
La vaccinazione per l’epatite B è da eseguirsi preferenzialmente al momento dell’assunzione e prevedere, quindi, successivi richiami periodici. Un
mese dopo aver completato il ciclo di vaccinazione è utile eseguire il dosaggio degli anticorpi antiHBs per sapere se il soggetto è suscettibile all’infezione o ha acquisito una immunità permanente;
possono verificarsi tre possibilità:
Art. 9 (Obblighi degli operatori)
Tutti gli operatori di cui all’articolo 1 debbono:
1) osservare le norme del presente decreto
nonché le misure correntemente riconosciute
idonee per il controllo delle infezioni;
2) usare nelle circostanze previste dal presente decreto i mezzi di protezione messi a loro
disposizione;
3) comunicare immediatamente all’organo
preposto l’accidentale esposizione a sangue o
ad altri liquidi biologici per l’adozione degli
opportuni provvedimenti; […]
Controllare il proprio
stato di salute
L’adozione di misure di barriera non elimina il rischio di esposizione a materiale biologico infetto
che può avvenire accidentalmente per gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza in modo apparente o inapparente.
Vaccinazioni
Tab. 2 Vaccinazioni consigliate al personale odontoiatrico*
PATOLOGIA
IMMUNIZZAZIONE PRIMARIA
RICHIAMO
NOTE
• Epatite B
Schema normale: 3 dosi im (0, 1, 6 mesi)
Schema rapido: 4 dosi im (0, 1, 2, 12 mesi)
Ogni 5 anni
Obbligatoria per i nati dopo il 1980
Facoltativa ma raccomandata
• Tetano
3 dosi im (0, 1, 6-12 mesi)
Ogni 10 anni
Obbligatoria la vaccinazione nei bambini
Richiami facoltativi ma raccomandati
* Per altre misure di profilassi attiva si veda il capitolo 13, Patologie respiratorie.
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
33
1. soggetti che non hanno anticorpi anti-HBs o inferiori ad un titolo di 10 mUI/ml (si considera
protettivo un titolo di anticorpi uguale o maggiore a tale valore); si somministra una nuova
dose e si valuteranno dosi successive sino ad
ottenere una risposta soddisfacente;
2. soggetti che hanno anticorpi anti-HBs a basso
titolo (compreso tra 10 e 100 mUI/ml); si somministra una nuova dose e si può considerare
opportuna una dose di richiamo ogni anno;
3. soggetti con titolo di anticorpi maggiore di 100
mUl/ml rappresentano la quasi totalità delle risposte; la protezione è completa ma è necessaria la dose di richiamo ogni 5 anni, perché nel
tempo si riduce la protezione immunitaria.
Soprattutto tale ultima necessità è spesso disattesa
come dimostra un’indagine in Gran Bretagna che ha
dimostrato che il 94% dei dentisti era in fase di immunizzazione o già immunizzato, ma che il 53% aveva superato i 4-5 anni dalla vaccinazione e di questi
l’81% non aveva effettuato la dose di richiamo.
che prevedano un comportamento comune per
l’immunoprofilassi (HBV) e una serie di esami sierologici periodici, dovrebbe costituire azione delle
associazioni professionali.
Questa soluzione ha il pregio di risultare intermedia tra l’affidare l’incarico di sorveglianza sanitaria a un medico competente (onere non obbligatorio per legge) e l’ignorare qualsiasi provvedimento
per il controllo dello stato di salute dei lavoratori
(atteggiamento moralmente non condivisibile).
Esami sierologici periodici
Adottare le misure di protezione
Le malattie prese in esame possono presentarsi in
forme paucisintomatiche a seguito di esposizioni
parenterali inapparenti, per cui il personale odontoiatrico può non riconoscere l’esordio della patologia e non essere attento a proteggere se stesso e
gli altri dal rischio di infezione crociata.
Per questi motivi è consigliabile che lo staff odontoiatrico esegua degli esami periodici, indicativamente a cadenza annuale (tabella 3).
Va sottolineato, comunque, che non esiste un obbligo normativo di sorveglianza sanitaria periodica e che tali indicazioni rivestono un valore discrezionale e precauzionale, affidato ai singoli
soggetti. La diffusione delle raccomandazioni, che
siano condivise dalla maggior parte dei dentisti e
I guanti in lattice offrono una migliore protezione
rispetto ad altri materiali e sono sufficienti a garantire una valida protezione dalle infezioni se
correttamente utilizzati.
• Vanno cambiati per ogni paziente e in caso di
rottura.
• Non si devono portare al di sotto anelli o braccialetti, che rappresentano un sito di contaminazione non detergibile.
• Le mani devono essere lavate ogni volta si
cambino i guanti, perché vi è una abbondante
replicazione batterica nel microambiente umido sottostante; inoltre, nei guanti vi sono delle
porosità con diametro maggiore dei microrganismi che permettono l’aspirazione di liquidi
orali contaminati con i movimenti delle mani.
• Nell’assistenza a pazienti infetti alcuni operatori preferiscono indossare due paia di guanti sovrapposti.
• Guanti pesanti in gomma per uso domestico sono indicati per: lavori di riordino e manutenzione di strumentario infetto; pulizia, sanitizzazione e sanificazione di zone e superfici contaminate.
Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90),
Norme di protezione dal contagio professionale
da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali
pubbliche e private, sancisce:
Tab. 3 Esami sierologici annuali consigliati
EPATITE B
HBsAg*
EPATITE C
INFEZIONE DA HIV
Anti-HCV
Anti-HIV
Anti-HBc
Anti-HBs
* HBsAg omessi in pazienti vaccinati.
Evitare il contatto
con il sangue e la saliva
Durante le procedure assistenziali si deve cercare
di ridurre al minimo il rischio di esposizione accidentale degli operatori seguendo semplici regole
che devono essere analizzate e spiegate ai membri
dell’équipe odontoiatrica.
34
MEDICINA DEL LAVORO
Art. 1 (Precauzioni di carattere generale)
Tutti gli operatori, nelle strutture sanitarie e
assistenziali, pubbliche e private… debbono
adottare misure di barriera idonee e prevenire
l’esposizione della cute e delle mucose nei casi in cui sia prevedibile un contatto accidentale con il sangue o altri liquidi biologici.
Si riferisce specificatamente alla categoria odontoiatrica e sancisce l’obbligo di adozione delle precauzioni universali:
Art. 4 (Precauzioni per gli operatori
odontoiatrici)
Gli operatori odontoiatrici, oltre ad osservare
le precauzioni di carattere generale, debbono
indossare i guanti durante le manovre che possono comportare contatto con mucose, sangue, saliva e fluido gengivale, sostituendoli per
ogni singolo paziente.
Si devono utilizzare mascherine ad elevata capacità di filtrazione e cambiarle quando siano inumidite, dopo ogni paziente e, comunque, dopo un’ora di attività a causa della loro progressiva perdita
di efficacia.
Gli schermi e gli occhiali proteggono le mucose e
le congiuntive durante l’assistenza; non offrono
una protezione completa dagli schizzi che possono passare lateralmente o dalla parte inferiore;
vanno indossati in aggiunta alla mascherina e decontaminati dopo ogni paziente.
La cuffia è consigliata per proteggere i capelli dagli schizzi di materiale biologico e per non contaminare il campo operatorio con i capelli durante
la chirurgia.
L’abbigliamento (generalmente una divisa in stoffa) ideale deve prevedere le maniche corte per
poter lavare le braccia sino al gomito e non trasportare contaminazioni con i polsini.
Gli indumenti contaminati vanno riposti in sacchi
per il trasporto, maneggiati con guanti, inviati alla lavanderia o lavati a parte; possono essere lavati a caldo in lavatrice (70 °C per 25 min) o a
freddo con un detersivo a base di cloro.
Un camice monouso (il TNT, o tessuto non tessuto,
offre la migliore protezione) con maniche lunghe
coperto dal guanto sul polsino è indicato durante
l’esecuzione di manovre a rischio; deve essere
cambiato quando visibilmente contaminato da sangue o saliva e comunque sempre dopo il trattamento di un paziente con patologie infettive contagiose.
IL LAVAGGIO SOCIALE PER L’IGIENE DELLE MANI
Indossare una divisa adatta
• Non indossare anelli, bracciali e orologi durante il lavoro
• Maniche corte
Predisporre un lavandino
•
•
•
•
Nei pressi del posto di lavoro
Con comando a pedale o fotocellula (evitare rubinetto a manopola)
Con dispensatore di sapone detergente
Asciugare con salviette di carta monouso o aria calda (evitare asciugamani di stoffa)
Adottare una buona tecnica di lavaggio
• Lavare prima e dopo il trattamento di ciascun paziente con detergente e/o antisettico
• Strofinare palmi, dorso delle mani, solchi tra le dita, polsi ripetendo 5-6 volte per 1 min
• Coprire tagli e abrasioni con medicazione prima di indossare i guanti
Curare le mani (prevenire dermatiti)
•
•
•
•
•
Asciugare adeguatamente
Alternare gli antisettici (rischio di sensibilizzazione)
Usare creme emollienti e protettive a fine giornata
Tenere unghie corte e pulite
Indossare i guanti
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
Igiene delle mani
L’igiene, la cura e la protezione delle mani acquistano una particolare importanza poiché sono un
potenziale veicolo di infezione crociata per molteplici motivi:
• i guanti presentano delle perforazioni intrinseche; si deve ricordare che lo studio microscopico dei guanti in lattice può evidenziare canali di 5 micron di diametro a tutto spessore e fori di 3-15 micron profondi fino a 30 micron in
assenza di difetti visibili; tali dimensioni sono
sufficienti alla percolazione di particelle virali
al di sotto dei guanti in assenza di soluzioni di
continuità visibili;
• i guanti sono soggetti a rotture macroscopiche
che permettono dall’ambiente orale la contaminazione delle mani di difficile asportazione per l’anatomia complessa (pieghe, solchi,
unghie);
• la protezione dal contagio parenterale, costituita dalla continuità dell’epidermide e del film
idrolipidico superficiale, può essere alterata
dalla presenza di ferite e dermatiti secernenti.
Di consuetudine si dividono le tecniche di lavaggio in sociale e chirurgico, che si distinguono per
la diversa lunghezza dei tempi applicati per eliminare la contaminazione e la flora residente della cute:
• il lavaggio sociale con sapone detergente elimina parte della flora transitoria disposta negli
strati superficiali della cute;
• il lavaggio chirurgico con sapone antisettico
tende a rimuovere la contaminazione negli strati profondi della cute.
Gli operatori odontoiatrici devono applicare costantemente il lavaggio sociale nella propria
pratica lavorativa per la prevenzione delle infezioni occupazionali, riservando il lavaggio chi-
35
rurgico alla preparazione di interventi di chirurgia orale nei quali va ridotto al minimo il rischio di contaminazione del campo operatorio.
Rendere lo strumentario
sicuro per l’uso
Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90),
Norme di protezione dal contagio professionale
da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali
pubbliche e private, si riferisce specificatamente
alla categoria odontoiatrica e sancisce l’obbligo di
sterilizzazione e disinfezione dello strumentario:
Art. 4 (Precauzioni per gli operatori
odontoiatrici)
I manipoli, gli ablatori ad ultrasuoni, le siringhe aria/acqua, le frese e qualsiasi altro strumento che venga a contatto con le mucose,
dopo l’utilizzo, se riutilizzabili, vanno sterilizzati per ogni singolo paziente. Nei casi in cui la
sterilizzazione non sia tecnicamente possibile,
è obbligatoria la disinfezione degli strumenti
con sostanze chimiche di riconosciuta efficacia sull’HIV. Tutti i rifiuti dei gabinetti dentistici debbono essere eliminati secondo la procedura di cui alla legge 10/2/89 n. 45.
Gli strumenti medico-chirurgici possono essere
classificati in base al livello di rischio che ne condiziona il livello di decontaminazione consigliato (tabella 4).
L’attrezzatura odontoiatrica deve essere considerata nella maggior parte dei casi articolo critico
caratterizzato da elevato rischio e destinato al
contatto con tessuti sterili e mucose lesionate; deve quindi essere sottoposto a sterilizzazione fisica;
Tab. 4 Livello di rischio e attrezzature
LIVELLO DI RISCHIO
CLASSIFICAZIONE
LIVELLO DI DECONTAMINAZIONE
• Alto
Articolo critico
(contatto con tessuti sterili e mucose lesionate)
Sterilizzazione
• Medio
Articolo semicritico (contatto con mucose integre)
Sterilizzazione o alta disinfezione
• Basso
Articolo non critico (contatto con cute integra)
Disinfezione a livello medio-basso
• Minimo
Nessun contatto con il paziente
Detersione
36
MEDICINA DEL LAVORO
l’alta disinfezione e la sterilizzazione chimica vanno limitate ai materiali non autoclavabili.
Un trattamento efficace consiste in un ciclo di
procedure composte da più passaggi eseguito in
una centrale di sterilizzazione attrezzata.
Decontaminazione e detersione
La decontaminazione serve ad abbassare la carica
batterica per rendere più sicuro l’articolo per l’operatore durante le successive operazioni di detersione.
Poiché durante la decontaminazione la presenza di
materiale inorganico inattiva il disinfettante e protegge i microrganismi, lo strumentario al termine dell’operazione presenta ancora una contaminazione residua e deve essere trattato con guanti di gomma.
La detersione è indispensabile prima della disinfezione o della sterilizzazione, per permetterne l’azione a fondo. Il termodisinfettore è il sistema più
sicuro per una contemporanea detersione e decontaminazione (90 °C per 15 minuti), perché minimizza il rischio di esposizione accidentale per
l’operatore, ma è poco utilizzato in odontoiatria
per il costo elevato; più utilizzata nella pratica clinica è la decontaminazione in bagno di disinfettante seguita dalla detersione manuale con spazzola e meccanica a ultrasuoni.
La sequenza delle operazioni per la decontaminazione e detersione è di seguito illustrata per esteso nella tabella 5.
• Per la raccolta e il trasporto degli strumenti dalla sala operativa al centro di sterilizzazione vanno utilizzati vassoi o bacinelle; per raccogliere
gli strumenti in disordine o ammassati utilizzare pinze, per evitare lesioni accidentali.
• Gli strumenti devono essere immersi in bagno
di decontaminazione (disinfettante) per 30 minuti in modo da diminuire la carica microrganismica ed evitare l’essiccamento di residui organici che possono proteggere i microrganismi. Si
Tab. 5 La sequenza delle procedure antimicrobiche
• Raccolta e trasporto al centro di sterilizzazione
Utilizzare pinze e bacinelle
Evitare disidratazione dei detriti (ne rende difficile l’asportazione)
• Decontaminazione
Immergere in un bagno di disinfettante per 30 min
(ad esempio glutaraldeide 2% o clorodonatori 5000-10000 ppm)
• Lavare, sciacquare
Utilizzare acqua calda; ridurre gli schizzi
Utilizzare guanti da lavoro (plastica spessa)
• Detersione
Manuale
Meccanica ultrasuoni 10 min, termodisinfezione 90 °C per 15 min
• Risciacquo e asciugatura
Utilizzare guanti in gomma spessi per la contaminazione residua
presente sugli strumenti; decontaminare i guanti dopo l’uso
• Manutenzione
Affilatura
Lubrificazione
• Imbustamento
Utilizzare carte speciali e indicare:
• data di scadenza
• procedimento subito
• Sterilizzazione
Mezzi fisici (autoclave 3-10 min a 134 °C)
Disinfettanti (glutaraldeide 2% per 3-10 ore)
• Ridistribuzione, immagazzinamento
Rispettare:
• data di scadenza delle buste
• condizioni di immagazzinamento (assenza di polvere e umidità)
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
•
•
•
•
•
•
•
•
deve cambiare la soluzione quotidianamente o
quando sia visibilmente sporca; il recipiente deve essere chiuso per evitare l’evaporazione del
prodotto che può risultare tossico per congiuntive e mucose (schizzi, vapori).
È necessario indossare guanti di gomma spessi
da lavoro, guanti e mascherine, e operare in
modo da ridurre schizzi durante la manipolazione del materiale decontaminato, a causa della possibile contaminazione residua.
Prelevare e sciacquare gli strumenti dal bagno
di decontaminazione con l’apposita reticella o
con pinze per proseguire le operazioni.
La detersione manuale è eseguita con spazzola
sotto l’acqua corrente con detergente per
asportare sangue e detriti che possono inattivare il processo di sterilizzazione.
La pulizia a ultrasuoni è la metodica più utilizzata in odontoiatria in associazione alla detersione meccanica; una corretta applicazione deve soddisfare i seguenti requisiti:
– tenere coperta la vasca per evitare aerosolizzazioni o nebulizzazioni di vapori tossici di
disinfettanti;
– il ciclo va fatto con una apposita soluzione
detergente per 10 minuti;
– non caricare eccessivamente il cestello per
non diminuire l’efficacia del procedimento;
– non ammassare gli strumenti per evitare contatto, sfregamento e danneggiamento conseguente;
– non mescolare metalli diversi, per evitare colorazioni e corrosioni;
– scolare, sciacquare ed asciugare dopo il trattamento.
Asciugare prima della sterilizzazione, poiché il liquido residuo può diluire le soluzioni disinfettanti o corrodere durante la sterilizzazione a caldo.
Decontaminare spazzole e guanti pesanti dopo
l’uso (ipoclorito di sodio 1%).
Eseguire la manutenzione degli strumenti (affilatura/lubrificazione).
In presenza di strumenti taglienti che durante
la manutenzione presentino un elevato rischio
di ferite accidentali, si può eseguire una sterilizzazione preliminare alla manipolazione da
parte del personale (doppia sterilizzazione di
sicurezza).
Decontaminazione: impiego di agenti disinfettanti
su “articoli” non detersi per abbassare la carica microbica e renderli più sicuri per l’operatore addetto
alla detersione e manutenzione.
37
• Se possibile usare agenti fisici (es. calore in lavastrumenti).
• Usare agenti chimici scarsamente inattivati dal
materiale organico e ad ampio spettro.
• Adottare, prima e dopo la decontaminazione, misure di barriera (guanti pesanti); la presenza di
materiale organico e di alta carica microbica ostacola l’azione degli agenti disinfettanti.
Detersione: rimozione e allontanamento del materiale organico e di parte dei microrganismi.
• Intervento obbligatorio prima di disinfezione e
sterilizzazione.
• Intervento sufficiente in situazioni a rischio infettivo limitato (superfici).
• Risultato migliore effettuato con mezzi meccanici (es. lavastrumenti e ultrasuoni).
Sterilizzazione
La sterilizzazione con mezzi fisici o chimici è un
procedimento che elimina tutti i microrganismi,
comprese le spore.
La sterilizzazione con mezzi fisici è preferibile e la
metodica con calore umido in autoclave è il procedimento più valido per economicità, affidabilità
e possibilità di verifica del processo (tabella 6).
La sterilizzazione a secco e la chemiclave mancano, invece, di standardizzazione internazionale.
La sterilizzazione chimica a freddo è il sistema meno affidabile, gravato da elevato costo, elevato rischio di errori, non effettuabilità dei controlli di
efficacia, inidoneità per articoli confezionati; tale
procedimento va riservato agli articoli danneggiati dal calore.
Tab. 6 Sterilizzazione con calore umido in autoclavi
• Temperatura/Tempo 134 °C / 3-10 min
121 °C / 15-20 min
• Vantaggi
•
•
•
•
•
Rapidità, semplicità
Affidabilità
Economicità
Verifica di processo
Idoneità per materiali
confezionati o porosi
• Svantaggi
• Effetti dannosi su taglienti
e plastica
• Azione corrosiva su metalli
38
MEDICINA DEL LAVORO
Le manovre di decontaminazione, disinfezione, sterilizzazione, immagazzinaggio
Il processo di disinfezione-sterilizzazione è composto da una serie complessa di procedure (tabella 5) che
è bene siano ricordate e schematizzate con alcune illustrazioni per fissarne i concetti.
Gli strumenti devono essere prelevati dalla zona operatoria utilizzando le pinzette odontoiatriche in modo da prevenire ferite accidentali.
Lo strumentario viene quindi rovesciato nel bagno di decontaminazione con sollecitudine per evitare che
le secrezioni si secchino diventando difficilmente asportabili.
Il tempo minimo di permanenza nella soluzione di decontaminazione è di 20 minuti per ottenere un effetto battericida; nel caso di riordino differito la permanenza prolungata permette un’azione più efficace.
I contenitori devono essere chiusi per evitare l’evaporazione e la dispersione di vapori tossici nell’ambiente. La soluzione di decontaminazione va cambiata quando visibilmente sporca o superati i tempi di
attività segnalati sulla confezione.
Il prelevamento dal bagno di decontaminazione espone al rischio di schizzi di disinfettante e irritazioni
chimiche da contatto; per tale motivo è opportuno utilizzare barriere meccaniche (guanti, schermi) e ventilare il locale.
Lo strumentario decontaminato non è ancora sicuro dopo la contaminazione in quanto eventuali concrezioni o secrezioni possono proteggere meccanicamente i microrganismi o inattivare il disinfettante.
La successiva manutenzione deve essere eseguita utilizzando guanti pesanti in plastica che vanno decontaminati al termine delle operazioni per essere riutilizzati. La pulizia manuale può essere facilitata o
evitata da strumenti meccanici (vaschette a ultrasuoni, termodisinfettori o semplici lavapiatti).
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
39
Dopo le operazioni di pulizia e manutenzione gli strumenti decontaminati vanno risciacquati e asciugati
per eliminare tracce di disinfettante potenzialmente tossico.
La preparazione di tray e buste termosigillate deve essere ordinata, eseguita con un numero ridotto di
strumenti non ammassati in modo da permettere la penetrazione del vapore e la sterilizzazione.
Il caricamento dell’autoclave deve rispettare dei limiti per permettere la libera circolazione del vapore acqueo. Nel caso in esame, l’autoclave era stata sovraccaricata e il controllo evidenziava la mancata sterilizzazione dovuta alla formazione di bolle d’aria, pur in presenza del raggiungimento dei normali parametri
di tempo-temperatura-vapore.
Ogni ciclo di sterilizzazione va controllato con gli indicatori di efficacia del processo. Inoltre, periodicamente, il funzionamento dell’autoclave va verificato con le prove microbiologiche.
L’atto finale consiste nell’immagazzinamento che deve avvenire in luoghi protetti dal passaggio e dalla
polvere (cassetti, mobili, vetrine). Gli involucri in carta asciutti e sigillati mantengono la sterilità degli
strumenti per circa un mese.
40
MEDICINA DEL LAVORO
FASI NELLA STERILIZZAZIONE IN AUTOCLAVE
Impacchettare strumenti puliti
•
•
•
•
•
Lasciare gli strumenti a cerniera (forbici, pinze) aperti durante il processo
Impacchettare ogni strumento che deve essere sterile e non di immediata utilizzazione
Ogni pacco deve avere un indicatore di processo
Scrivere su ogni pacco la data di sterilizzazione
Posizionare un indicatore di processo dentro ogni pacco grosso e al centro di ogni carico di strumenti
non impacchettati per controllare la penetrazione del vapore e l’efficacia del ciclo
Eseguire il processo di sterilizzazione
• Caricare la camera in modo che il vapore possa circolare liberamente attorno a ogni pacco
• Portare la temperatura al valore di sterilizzazione, lasciare che tutte le parti del carico raggiungano
tale temperatura, eseguire il processo
Conservazione
•
•
•
•
Impacchettare gli strumenti sterilizzati senza imbustamento
Mantenere gli strumenti impacchettati sino a quando devono esser utilizzati
Conservare in luoghi dove i pacchi non siano strappati o bagnati
Strumenti in pacchi rotti, strappati, bagnati devono essere reimpacchettati e risterilizzati
CAUSE DI MANCATA STERILIZZAZIONE IN AUTOCLAVE
Errato imbustamento
• Pacchi troppo grossi non permettono la penetrazione del vapore
Errato caricamento della camera
• Carico eccessivo o ammassato non permette la diffusione del vapore
Bolle d’aria nell’autoclave
• La presenza di sacche d’aria ostacola la penetrazione del vapore (trappola per l’aria)
Vapore umido
• Il pacco è bagnato, l’efficacia del ciclo ridotta, facilitata la contaminazione;
mancato preriscaldamento, malfunzionamento delle valvole di drenaggio, apertura precoce
ed eccessiva della porta
METODICHE DI MONITORAGGIO
DELLA STERILIZZAZIONE CON MEZZI FISICI
Controlli fisici
Strumentazione installata sulle apparecchiature:
• registratore di diagrammi
• avvisatore elettrico (spia luminosa, suoneria)
Controlli chimici
Viraggio di colore di inchiostri e gruppi cromofori
• indicatori di processo
• indicatori di sterilizzazione (tempo-temperatura-vapore)
Controlli biologici
Incubazione di microrganismi sporigeni
Ogni ciclo
Ogni ciclo
Ogni ciclo
Mensile e
dopo riparazione
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
Le fasi inerenti alla sterilizzazione fisica sono
molteplici, l’efficacia della sterilizzazione va verificata con prove di controllo eseguite con regolarità e si devono tenere presenti alcuni errori
che possono invalidare l’efficacia del procedimento.
Per garantire l’efficacia delle apparecchiature per
la sterilizzazione con mezzi fisici si devono rispettare le indicazioni di seguito illustrate.
• Asciugare gli strumenti dopo la detersione per
evitare che l’acqua causi corrosione durante la
sterilizzazione.
• Caricare la sterilizzatrice e confezionare gli
strumenti in modo da permettere la circolazione di aria; disporre gli oggetti sui ripiani
adeguatamente distanziati e non ammassati:
– non eccedere il limite di carico indicato dal
produttore;
– i contenitori solidi chiusi (metallo o vetro)
vanno lasciati semiaperti per permettere l’entrata e l’azione sterilizzante del vapore umido
– i pacchi non devono essere incartati strettamente;
– utilizzare carte e buste speciali per sterilizzazione;
– utilizzare buste e pacchi di dimensioni piccole; pacchi più grandi richiedono cicli più lunghi, mentre strumenti non confezionati o
confezionati singolarmente sono sterilizzabili con cicli brevi.
• In caso di interruzione del ciclo iniziare nuovamente da capo.
• Utilizzare gli indicatori di efficacia del processo
e biologici, per verificare il funzionamento dell’autoclave. Infatti le attrezzature con l’utilizzazione si usurano e possono perdere efficacia.
41
• Eseguire la manutenzione della attrezzatura periodicamente:
– pulizia giornaliera con acqua e detergente
della camera di sterilizzazione;
– controllare giornalmente il livello dell’acqua
o soluzione nel serbatoio;
– settimanalmente lavare il sistema di scarico.
Disinfezione
La gestione può essere ottenuta con mezzi fisici
(termodisinfezione) e chimici; in questo capitolo
si affronteranno i disinfettanti il cui uso è attualmente preponderante in odontoiatria.
Disinfezione: utilizzazione di agenti fisici o chimici
per abbassare sino a livelli di sicurezza la carica microbica.
Porta all’uccisione di microrganismi patogeni ma
non necessariamente di tutti i microrganismi presenti; non uccide le spore batteriche.
Disinfettante: prodotto antimicrobico da usare su
materiali od oggetti.
Antisettico: prodotto antimicrobico da usare su cute
o mucose.
Per la gestione dei disinfettanti vanno rispettate
alcune indicazioni per non invalidare l’efficacia
del procedimento.
• Utilizzare un prodotto efficace secondo le referenze indicate dal produttore, rispettando concentrazione d’uso e tempi.
PROBLEMI PRATICI NELLA GESTIONE DEI DISINFETTANTI
• Per ogni specifico impiego scegliere un prodotto commerciale efficace valutando:
– il principio attivo e la sua concentrazione
– le referenze di attività indicate dal produttore e quelle riportate in letteratura
• Adottare una prassi sicura di diluizione: usare il tipo di acqua indicato (di rubinetto, distillata, ecc.), misurare in modo esatto i quantitativi
• Conservare i disinfettanti in recipienti di piccole dimensioni, che consentano un loro rapido utilizzo. I
contenitori devono sempre essere con etichetta che indichi con precisione: il nome del disinfettante, la
concentrazione, le indicazioni d’uso, la data di preparazione (o di apertura del flacone)
• Tutti i contenitori destinati ai disinfettanti devono essere lavati, sciacquati e asciugati ogni volta che si
rinnova la soluzione. È scorretto rabboccare il flacone
• Le soluzioni disinfettanti, soprattutto se in acqua, dovrebbero essere usate entro 7-10 giorni
42
MEDICINA DEL LAVORO
DISINFETTANTI DI USO COMUNE IN ODONTOIATRIA
LIVELLO
AZIONE
DISINFETTANTE
Alto
Azione sporicida
• Aldeide glutarica 2%
• Clorodonatori 1000-5000 ppm
Intermedio
Attivi su bacilli acido-alcool resistenti
e su alcune specie di miceti e virus
•
•
•
•
•
Clorodonatori 500-1000 ppm
Alcool 70%
Iodofori 75-150 ppm
Fenoli sp*
Agenti ossidanti sp*
Basso
Attivi su forme vegetative di batteri
(escluse spore e batteri acido-alcool resistenti),
su molti miceti ed i virus più sensibili
Possibile insorgenza di resistenza batterica
•
•
•
•
Clorodonatori 100-500 ppm
QUAC (composti ammonio
quaternario) soluzione acquosa sp*
Clorexidina in soluzione acquosa (0,05-4%)
*sp: secondo produttore.
ALDEIDE GLUTARICA
Tempi di contatto (soluzione 2%)
per sterilizzazione e disinfezione ad alto livello
3-10 ore per spore batteriche
45-60 min per micobatterio TBC
10-20 min per HBV
4 min per batteri vegetativi
Vantaggi
Idoneità per articoli danneggiati dal calore
Svantaggi
Non sono effettuabili controlli di efficacia
Non idoneo per articoli confezionati
Elevato rischio di errori
Tossicità verso pazienti, operatori, ambiente
Possibili effetti corrosivi
Metodo costoso
Note:
• Attenzione al reimpiego: può portare a diluizione del prodotto.
• Tossicità umana verso paziente (necessità di accurato risciacquo) e verso gli operatori sanitari (usare recipienti coperti, operare con guanti ed in ambienti ben aerati).
• Tossicità ambientale (rifiuto tossico?).
• Scarsa inattivazione da parte del materiale organico.
CLORODONATORI
Comprendono diversi prodotti che vengono tutti valutati in funzione del quantitativo di cloro disponibile (1% = 10000
ppm). Le differenze tra di essi sono relative alla stabilità e alla corrosività.
1. SODIO IPOCLORITO (candeggina)
2. SODIO IPOCLORITO STABILIZZATO (es. Milton)
3. CLOROSSIDANTE ELETTROLITICO (es. Amuchina)
4. SODIO DICLOROISOCIANURATO (es. Presept)
5. CLORAMINA (es. Euclorina)
Concentrazioni d’uso:
Note:
5000-10000
1000
500
100
ppm
ppm
ppm
ppm
CI
CI disp.
CI disp.
CI disp.
• Molto inattivati dal materiale organico.
• Instabilità 5 < 4 < 3 < 2 < 1 (molto importante per sodio ipoclorito).
• Effetti corrosivi più o meno marcati.
• Tossicità non trascurabile (elevata per ipoclorito di sodio).
• Rapidità d’azione 1 > 2, 3, 4 > 5.
disponibile in presenza di materiale organico
attività alta
attività media
attività bassa
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
IODOFORI
IODOFORI ANTISETTICI (es. betadine)
IODOFORI DISINFETTANTI (es. wescodyne)
Concentrazione d’uso: 75-150 ppm di iodio attivo per disinfezione di medio livello
Note:
• Sono inattivati dal materiale organico.
• Hanno effetti corrosivi, anche se meno marcati dei cloroderivati.
• Le referenze in letteratura sono limitate.
• La percentuale di iodio attivo è sensibilmente differente nei due tipi di preparato: è quindi necessario rispettare l’indicazione d’uso.
DERIVATI FENOLICI
1. SOLUZIONI DI PRINCIPI ATTIVI SINGOLI (es. soluzione di ortofenifenolo)
2. ASSOCIAZIONI FENOLICHE (es. ortofenilfenolo + paraclorometacresolo)
3. ASSOCIAZIONI FENOLICHE DETERGENTI (es. 2 + detergente compatibile)
Note:
• Le referenze dell’attività non sono sempre concordi.
• Bisogna verificare le caratteristiche di attività delle singole preparazioni.
• Sono scarsamente inattivati dal materiale organico.
• Efficacia antimicrobica delle formulazioni: 3 > 2 > 1 per disinfezione di medio livello.
DISINFETTANTI A BASSO LIVELLO DI ATTIVITÀ*
1. SALI DI AMMONIO QUATERNARIO (soluzioni acquose)
2. CLOREXIDINA (soluzioni acquose)
Note:
• 1. Limitato spettro di attività.
• 1. Facile contaminazione.
• 1. Facile inattivazione da materiale organico.
• 2. Limitato spettro di attività.
• 2. Facile contaminazione.
* I disinfettanti a basso livello di attività hanno determinato fenomeni di resistenza batterica.
CAUSE DOCUMENTATE DI FALLIMENTO NELL’IMPIEGO DI DISINFETTANTI
• Inadeguata detersione preliminare
(es. presenza di materiale organico inattivante i clorodonatori)
• Scelta impropria del principio attivo o della formulazione d’uso
(es. soluzione acquosa o soluzione alcolica)
• Mancata esposizione di alcune parti dell’oggetto all’azione del disinfettante
(es. per la presenza di bolle d’aria e di incrostazioni di materiali)
• Insufficiente concentrazione d’uso e/o tempo di contatto
• Non corretta diluizione
(es. mancata valutazione delle caratteristiche e della quantità di acqua usata)
• Errori in corso di conservazione del disinfettante
(mancato controllo di fattori inattivanti come luce, temperatura, tempo, ecc.)
43
44
MEDICINA DEL LAVORO
• Diluire correttamente misurando le quantità e
la formulazione d’uso (soluzione alcolica o acquosa).
• Conservare in contenitori chiusi, al riparo dalla
luce, contraddistinti da una etichetta che indichi: tipo di disinfettante, data di preparazione e
scadenza, concentrazione, indicazioni d’uso.
• Lavare i contenitori al termine dell’uso e non
rabboccare le soluzioni residue.
• Rispettare la data di scadenza.
I disinfettanti utilizzati in odontoiatria sono classificati in tre livelli di attività (si veda la scheda di
pag. 42-43). Per il trattamento di articoli critici che
entrano in contatto con materiali contaminati e tessuti del paziente si deve eseguire una disinfezione
ad alto livello.L’aldeide glutarica è un disinfettante
con scarsa corrosività; stabile nel tempo dopo attivazione per 15 giorni in assenza di contaminazione;
indicato per una disinfezione ad alto livello (superiore a 20 min) e la sterilizzazione (3-10 ore). I clorodonatori sono inattivati da materiali organici,
corrosivi sui metalli, instabili nel tempo e forniscono una disinfezione ad alto livello per un tempo superiore a 20 minuti alla concentrazione 0,1-0,5%
(1000-5000 ppm).In commercio sono disponibili
associazioni di diversi disinfettanti ad azione bassa
e intermedia con agente tensioattivo ed in soluzione alcolica che aumentano l’attività della soluzione. Tali formulazioni devono essere utilizzate dagli
operatori secondo le loro caratteristiche e le indicazioni delle ditte produttrici; data la complessità
del problema in questa sede sono stati presi in esame solo alcuni principi attivi semplici, di più comune utilizzo (si veda la scheda di pag. 42-43).
Mantenimento e imbustamento
dello strumentario
I materiali imbustati dopo la sterilizzazione o non
imbustati sono definiti sterilizzati, poiché sono
soggetti a contaminazione ambientale; per oggetti
sterili si intendono strumenti prima imbustati e
poi sterilizzati.
La durata della sterilità del materiale imbustato varia in relazione al tipo di confezionamento, mantenimento e stoccaggio adottati. Pacchi di carta speciale e stoffa non sono utilizzati in odontoiatria; sono invece utilizzati gli involucri combinati, con un
lato in carta speciale da sterilizzazione ed un lato
in materiale trasparente, per rendere visibile il contenuto della busta. Per il mantenimento di un pacco sterile devono essere soddisfatti alcuni principi.
• Gli strumenti vanno imbustati singolarmente o
in numero ridotto.
• Lo spazio di immagazzinamento dei pacchi sterili deve essere chiuso e protetto, con minimo
flusso d’aria, lontano dal traffico, con temperatura e umidità costante, non soggetto a manipolazione per evitare contaminazioni e rotture.
• La durata della sterilità varia a seconda del tipo
di materiale di confezionamento e delle condizioni di immagazzinamento:
– involucro combinato (carta e plastica) in
spessore semplice sino a 30-40 giorni;
– confezioni con doppio strato sino a 60-90
giorni.
• Ogni pacco deve presentare le indicazioni della
data di sterilizzazione, della scadenza e del tipo di
procedimento subito; le termosaldature dovrebbero essere di 8 mm se in unico strato o perlomeno doppie, per evitare l’apertura accidentale
dei pacchi.
Limitare la disseminazione
di sangue e la contaminazione
Il programma di lavoro per tutti gli operatori dovrebbe essere stabilito sotto forma di mansionari
(chi, come, perché, quando, dove) in conformità alla situazione specifica dello studio, individuando le
persone competenti e motivandole periodicamente.
Preparazione della zona operativa
Prima di iniziare una seduta operativa si deve preparare lo studio per l’intervento eseguendo una sequenza di operazioni.
Le aree di difficile disinfezione (caratterizzate da
superficie non liscia e non detergibile o soggetta a
contaminazione grossolana) vanno protette con
fogli di plastica; infatti la procedura di copertura
di queste superfici è più rapida e sicura della pulizia e disinfezione successiva alla contaminazione.
Le schede cliniche e le radiografie vanno mantenute
lontano dalla zona di lavoro, in modo che non siano
contaminate con le mani; infatti la scheda contaminata sarebbe successivamente riposta in archivio
estendendo la contaminazione alla segreteria.
Lo strumentario, i vassoi e i materiali vanno disposti in prossimità della zona operativa in modo
da non richiedere interruzioni di terapia, poiché
azioni come aprire cassetti o cercare strumenti au-
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
45
PREPARAZIONE PER UN CICLO DI CURA
• Proteggere le superfici non disinfettabili con fogli di plastica
• Preparare materiali e schede cliniche (proteggendoli dalla contaminazione)
• Montare manipoli, turbine e siringhe (sterilizzati per ogni paziente)
• Far funzionare i moduli (micromotori e turbine) per 30 sec (2 min per il primo paziente)
mentano il rischio di estendere la contaminazione
ambientale in modo incontrollato.
Lo strumentario rotante (manipoli, turbine) deve
essere sterilizzato e fatto funzionare a vuoto per
eliminare residui di lubrificante per 30 secondi per
ogni nuovo paziente; per il primo paziente della
giornata si deve far funzionare a vuoto i manipoli
per 2 minuti in modo da pulire le condutture dai
microrganismi che si sono replicati nelle tubature
durante il periodo di inattività.
Comportamento
durante l’intervento
Per contenere la contaminazione ambientale, nella zona operativa e circostante, alcune norme devono essere rispettate da tutti i membri dell’équipe odontoiatrica.
• Far sciacquare la bocca al paziente con collutorio (iodiopovidone 1% o clorexidina 0,20%) per
ridurre la carica batterica del cavo orale, che
sarebbe trasportata nell’ambiente dall’aerosolizzazione causata dagli strumenti rotanti.
• Identificare entro la zona operativa tre aree distinte che rappresentano esigenze e caratteristiche diverse, in modo da operare in maniera
ordinata:
•
•
•
•
•
– zona sterile per strumentario non ancora utilizzato;
– zona contaminata in cui depositare ordinatamente gli strumenti in utilizzazione ripetitiva
durante l’intervento;
– zona per il deposito di strumenti e attrezzature contaminati e materiali biologici.
Evitare di toccare accidentalmente superfici
esterne alla zona operativa per non estendere la
contaminazione (particolare attenzione al telefono, tastiere di elaboratori, interruttori, ripiani, cassetti, maniglie, ecc.).
Una situazione ottimale è impiegare due assistenti: una assistente alla poltrona (contaminata) ed una per la preparazione dei materiali al di
fuori della zona operativa (passaferri non contaminata). Nel caso si utilizzi una sola assistente, predisporre in dosi monouso i materiali dentali prima dell’intervento, per non doversi allontanare nel corso dell’intervento.
Utilizzare la diga negli interventi dove possibile
e posizionare l’aspiratore ad alta velocità vicino
allo strumento rotante, per ridurre al minimo la
formazione di aerosol.
Privilegiare l’uso di materiale monouso e monodose per non contaminare le confezioni intere.
L’involucro delle radiografie endorali deve essere disinfettato con una salvietta monouso e di-
MISURE PER LIMITARE LA CONTAMINAZIONE AMBIENTALE
•
•
•
•
•
•
•
•
Identificare zone di lavoro operative
Coprire con protezioni le superfici non disinfettabili
Evitare di toccare superfici esterne alla zona operatoria
Disinfettare le superfici contaminate al termine della seduta operativa
Utilizzare diga ed aspiratore ad alta velocità
Utilizzare materiale monodose e monouso
Disinfettare le radiografie endorali e non contaminare la sviluppatrice
Disporre materiali monouso e recipienti per i rifiuti vicino alla zona di utilizzazione
46
MEDICINA DEL LAVORO
La diffusione della contaminazione durante l’intervento
Diversi studi sono stati eseguiti per verificare il modo in cui gli operatori muovendosi disseminino l’infezione attorno alla zona operatoria. L’esemplificazione più suggestiva è stata definita come la procedura
del dito bagnato (wet finger procedure).
L’operatore inserisce le mani in bocca al paziente contaminando i guanti, quindi nel corso della seduta
odontoiatrica esegue una serie di gesti abituali: muove la lampada per illuminare il campo operatorio; regola l’altezza della faretra portastrumenti o il seggiolino; apre e preleva materiali dai cassetti del servomobile; esegue una radiografia; accende la luce della stanza; risponde al telefono; digita sul computer le
cure eseguite.
In questo modo la contaminazione viene diffusa a superfici diverse, anche lontane dalla zona operatoria,
aumentando il rischio di infezione indiretta mediante veicoli.
sinfettante prima dello sviluppo; in alternativa
si può coprire con foglio di plastica le radiografie endorali ed eliminare la copertura prima di
inserirle nella scatola di sviluppo.
• Disporre materiali di barriera e contenitori per
rifiuti in prossimità del luogo di utilizzazione
per una pronta disponibilità.
• Un tipico comportamento errato è stato descritto come “tecnica del dito bagnato” che consiste nel toccare superfici e piani di lavoro
esterni alla zona operativa diffondendo la contaminazione nell’ambiente in modo difficilmente controllabile.
Il riordino della zona operativa
Il riassetto e il riordino dello studio al termine di
una seduta, prima di far accomodare il paziente
successivo, rappresenta un intervento complesso
per il quale è necessario programmare nell’agenda
appuntamenti un tempo medio variabile tra 5-15
minuti in relazione alla disponibilità di attrezzature, addestramento del personale ed entità della
contaminazione.
Inizialmente si devono raccogliere gli strumenti in
vassoi o bacinelle e trasportarli al centro di sterilizzazione utilizzando gli stessi guanti indossati nel
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
RIORDINO AL TERMINE
DI UN INTERVENTO
47
DISINFEZIONE “BY WEEPING”
DI SUPERFICI CONTAMINATE
• Eliminare i rifiuti: taglienti in contenitori rigidi, • Utilizzare guanti
materiali contaminati in rifiuti sanitari per termo- • Coprire le superfici con soluzione disinfettante
distruzione, liquidi di sviluppo in canestri, rifiuti
spray ad elevata attività e lasciare agire (clorodomestici
donatori 5000-10000 ppm, iodofori 150-300 ppm,
• Raccolta e trasporto al centro di sterilizzazione
glutaraldeide 2%, fenoli)
delle attrezzature
• Asportare la miscela sangue-disinfettante con
• Togliere guanti in lattice, lavaggio igienico delle
panno monouso
mani, indossare guanti di gomma, decontaminare • Passare ripetutamente la superficie con la soluguanti e visiere
zione, assicurando un conveniente tempo di con• Disinfezione delle superfici: passaggio ripetuto
tatto di alcuni minuti (10-30 min)
con panno monouso (glutaraldeide 2%, clorodo- • Risciacquare la superficie ed aerare il locale nel
natori 1000-5000 ppm)
caso si usino prodotti dotati di tossicità
• Decontaminazione dei condotti di aspirazione e • Decontaminare i guanti ed eliminare il materiale
raffreddamento: aspirare liquido, far funzionare a
utilizzato, evitando di toccare altre superfici
vuoto i manipoli per 30 secondi; attivare il ciclo di
disinfezione automatico
• Pulizia ad umido del locale ed aerazione
• Togliere i guanti da lavoro e decontaminarli
corso della seduta operatoria e servendosi per prelevarli, in presenza di strumenti ammassati, di pinze
per ridurre il rischio di ferite durante la raccolta.
Successivamente si tolgono e si eliminano i guanti contaminati utilizzati durante l’intervento; si lavano le mani con detergente e disinfettante tenendo conto che, a causa della presenza di microporosità del lattice, i contaminanti batterici possono
permeare sotto la barriera meccanica.
È necessario indossare un paio di guanti spessi di
gomma da lavoro per eseguire le operazioni di
igiene ambientale successive; si decontaminano,
inoltre, le visiere e gli occhiali lavandoli con disinfettante.
Per la disinfezione delle superfici della zona operativa si deve ricordare che la contaminazione
avviene con due modalità: per contatto con le
mani e per caduta di aerosol o schizzi causati da
strumenti rotanti; la contaminazione da schizzi
risulta più cospicua attorno alla zona operativa
per un metro.
La disinfezione delle superfici di lavoro che non
siano state protette con fogli di plastica, circostanti la zona operativa (ripiani, riunito, apparecchiature radiografiche, ecc.) è attuata spruzzando
un disinfettante sulle superfici contaminate e strofinando ripetutamente un panno monouso, poiché
nel primo passaggio il disinfettante è inattivato dal
materiale organico presente.
La pulizia del riunito deve essere completata facendo scorrere l’acqua nella sputacchiera ed aspirando del liquido con l’aspiratore per pulire condutture e filtri; facendo funzionare gli strumenti
rotanti a vuoto per 30 secondi (manovra indispensabile nei riuniti non provvisti di valvola antireflusso) per pulire il condotto da acqua contaminata aspirata.
Il locale va aerato e ventilato per disperdere la nube aerosolica prodotta durante la seduta operativa.
Quando è necessario eseguire una pulizia del pavimento, si utilizza il sistema a umido (spazzolone
e due secchi con acqua e disinfettante); va evitata
la scopatura a secco per non alzare polvere, poiché, in questo modo, aerosol e contaminanti caduti a terra possono essere rialzati in aria e rappresentare un nuovo pericolo di infezione.
Gestione dei taglienti
e dei rifiuti
La legge 10/2/89 n. 45 e il D.Lgs. 5/2/97 n. 22 (decreto Ronchi) obbligano ad eliminare i rifiuti se-
48
MEDICINA DEL LAVORO
condo precise modalità a ditte specializzate per lo
smaltimento dei rifiuti con obbligo di un registro
di carico e scarico e della dichiarazione annuale
(tabella 7). Le stesse leggi hanno distinto i rifiuti
provenienti da strutture sanitarie in:
• rifiuti speciali derivanti da medicazioni, attività
terapeutiche e strutture destinate alla cura di
pazienti con malattie infettive;
• rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani.
In uno studio odontoiatrico devono, quindi, essere disponibili diversi tipi di contenitori disposti vicino alle zone operative, in modo da evitare di diffondere la contaminazione nell’ambiente, e con caratteristiche diverse per lo smaltimento differenziato (la legislazione è in rapida
evoluzione e le interpretazioni sono spesso divergenti).
I rifiuti speciali sono ritirati dalle ditte specializzate nello smaltimento iscritte in un apposito albo, che hanno lo scopo di fornire i contenitori,
compilare il registro di carico e scarico ed eseguire la dichiarazione annuale obbligatoria.
I taglienti, i materiali biologici e contaminati vanno nei rifiuti sanitari destinati alla termodistruzione:
• i taglienti sono costituiti da aghi, bisturi, courette, specilli, forbici, ecc.; la condotta deve
prevenire ferite accidentali; la puntura d’ago
rappresenta l’incidente più frequente nell’ambito delle esposizioni professionali; devono
esser smaltiti in contenitori rigidi;
• i materiali biologici e contaminati (denti, garze,
attrezzatura monouso e coperture di plastica)
vanno messi in sacchi di plastica; una volta
riempiti, devono essere spruzzati con disinfettante, chiusi e trasportati in contenitori di cartone recanti la scritta “rifiuti sanitari trattati” ed
il timbro dello studio.
Identificazione
e limitazione
delle situazioni a rischio
Le tecniche chirurgiche e le manovre di assistenza
potenziali cause di esposizione accidentale devono essere discusse ed analizzate dai componenti i
gruppi di lavoro, per una revisione che riduca al
minimo il rischio di contagio. I flussi di lavoro e
protocolli devono essere tradotti in mansionari
specifici per operatore, applicabili nella situazione
pratica (chi, come, perché, quando e dove).
Evitare le ferite accidentali
I guanti non proteggono, comunque, da ferite accidentali con strumenti che avvengono con maggior frequenza all’indice e pollice della mano
non dominante ed è quindi necessario determinare un protocollo di condotta durante la seduta
operativa.
• Identificare ed evitare le manovre a rischio evitando di tenere le mani in prossimità di taglienti nella zona operativa, come può avvenire nelle seguenti operazioni:
– divaricare i tessuti con le mani;
– incappucciare l’ago dopo l’uso;
– manipolare l’ago di sutura e taglienti con le
dita;
– aiutarsi con le dita durante l’estrazione con
leve.
• Discutere e analizzare con i componenti del
gruppo le procedure potenziale causa di esposizione accidentale per ridurre al minimo il rischio di esposizione accidentale; preannunciare verbalmente le operazioni a rischio.
Tab. 7 Tipi di contenitori e indicazioni
• Rigidi in polietilene
• con chiusura ermetica
Aghi e taglienti
Al termine dell’uso disinfettare e chiudere
• Cartone rigido con sacco
• in polietilene chiudibile
Medicazioni, garze, guanti
e materiale anatomico
Inserire nel contenitore di cartone rigido
• Sacchi in plastica
Rifiuti urbani
Assimilabili ai normali rifiuti
• Contenitori ermetici
Amalgama
Chiusura ermetica per evitare uscita di vapori
• Canestri
Liquidi di svilupppo radiologico
Chiusura stagna per evitare spandimenti
CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI
• Assicurare la libertà dello spazio operativo per
evitare ferite accidentali controllando i seguenti punti:
– allontanare la faretra portastrumenti quando
non in uso e non sovrapporla al portavassoi,
per evitare ferite causate dalle frese montate
sui manipoli pendenti;
– evitare di incrociare le mani con l’assistente
sulle stesse zone per evitare collisioni;
– riporre ordinatamente gli strumenti utilizzati
lasciando spazio intermedio in modo da evitare esposizioni accidentali, mentre si raccoglie un oggetto; utilizzare una pinza per
prelevare strumenti ammassati.
Astensione o limitazione
delle procedure assistenziali
Pur non presentando l’operatore odontoiatrico un
elevato rischio professionale, si devono considerare alcune situazioni in cui se ne consiglia una limitazione nelle procedure assistenziali invasive o
la manipolazione di strumenti contaminati.
• Gli operatori portatori di lesioni essudative o
dermatiti secernenti delle mani fino alla risolu-
zione della condizione morbosa, in quanto in
caso di rottura dei guanti sono maggiormente
esposti al contagio per via percutanea.
• Le operatrici in gravidanza, in quanto, in caso di
esposizione accidentale, esporrebbero il figlio al
rischio di infezione per trasmissione perinatale.
• Gli operatori con epatite cronica tipo B, in
quanto, nel caso di rischio di sovrainfezione
con HDV, presentano un decorso prognostico
sfavorevole della epatopatia; inoltre potrebbero
trasmettere la patologia al paziente (il rischio è
elevato in presenza di HBeAg+).
• Operatori HIV+, in quanto possono trasmettere
l’infezione ai pazienti e, in caso di grave deficit
immunologico, l’esposizione a patologie ad elevata trasmissibilità ne può aggravare lo stato di
salute generale.
In questi casi si deve considerare l’adozione di
particolari misure:
• limitazione del mansionario prevedendo l’astensione da procedure assistenziali invasive e
la manipolazione di strumenti contaminati;
• utilizzazione di misure di barriera in modo da
assicurare protezione massima (ad esempio
due paia di guanti);
• trasferimento ad altro incarico che non preveda
contatto con pazienti.
PREVENZIONE DELLE LESIONI ACCIDENTALI
DA TAGLIENTI DURANTE LA SEDUTA OPERATIVA
Misure di protezione individuali
• Lavaggio igienico delle mani prima e dopo l’intervento
• Utilizzazione di barriere meccaniche
• Controllo dell’integrità dei mezzi di barriera e loro sostituzione
Misure per evitare ferite accidentali
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
49
Assicurare lo spazio operativo
Identificare le manovre a rischio
Preannunciare verbalmente e concordare manovre pericolose
Utilizzare bisturi e taglienti monouso e non ricoprire dopo l’uso
Non reincappucciare, piegare, rompere o rimuovere gli aghi dalla siringa dopo l’uso
Eliminare immediatamente dopo l’uso tutti gli aghi e i taglienti negli appositi contenitori
Sistemare i contenitori in posizione comoda rispetto al posto di utilizzazione
Trasportare in contenitori strumenti taglienti, appuntiti e di vetro (non portare in mano o in tasca)
Non cercare di raccogliere strumenti che stanno cadendo
Non prelevare nulla dai contenitori di smaltimento
Agire con la massima attenzione durante la manipolazione
Utilizzare guanti antitaglio o in gomma spessi per lo smaltimento di strumenti contaminati
50
MEDICINA DEL LAVORO
Le manovre a rischio durante la seduta odontoiatrica
L’analisi delle procedure operative evidenzia come gli errori, causa di esposizione accidentale a materiali
biologici, riconoscano cause spesso sovrapponibili che sono state schematizzate nelle figure successive.
Il reincappucciare l’ago è la manovra scorretta che più spesso causa infortuni; può essere evitata o eseguita con apposite precauzioni, come, ad esempio, l’uso di appositi strumenti rigidi.
L’abitudine di riporre disordinatamente gli strumenti, utilizzati nel corso dell’intervento, su un unico piano di lavoro e la frequente necessità di riprenderli successivamente, è una delle cause più frequenti di ferite alle mani. Il rischio è facilmente eliminabile distribuendo gli strumenti ordinatamente su posizioni diverse identificate sul servomobile e sui ripiani come: zona degli strumenti puliti; zona degli strumenti contaminati ancora in uso; zona degli strumenti contaminati non più necessari.
In particolare, la disposizione del portafrese al di sotto degli strumenti dinamici pendenti dalla faretra presenta due svantaggi che consistono nel rischio di ferite accidentali e di facile contaminazione delle frese pulite.
Divaricare i tessuti con le dita può provocare ferite alla mano non prevalente per lo scivolamento degli
strumenti taglienti; in caso di difficile estrazione è una procedura più sicura eseguire un lembo chirurgico ed evitare manovre di forza.
L’armadietto nello spogliatoio deve avere almeno tre comparti (abbigliamento pulito, contaminato, calzature). Ammassare gli indumenti professionali contaminati con gli abiti è indice di scarsa igiene.
CAPITOLO 5
DISINFEZIONE DELLE PROTESI
F. Montagna
Prima di procedere alla esemplificazione delle metodiche è importante ricordare alcune situazioni
che possono ostacolare l’eradicazione completa
dei microrganismi dalle protesi che sono state nella bocca dei pazienti e richiedono quindi l’utilizzazione delle misure di barriera nella manipolazione
delle protesi, anche se disinfettate.
• Le caratteristiche di alcuni materiali danno adito all’infezione batterica in profondità e durante la lavorazione possono essere esposte parti
infette precedentemente coperte da strati superficiali (rugosità, incrostazioni di materiale
organico, porosità della resina, bolle nel materiale di impronta).
• La fragilità di alcuni materiali, che non permette una disinfezione senza subire alterazioni volumetriche o di superficie; per essi è applicabile solo una decontaminazione.
• La sopravvivenza di alcuni microrganismi patogeni per diverso tempo in condizioni ambientali avverse (HIV, HCV possono resistere qualche
giorno su strumentari e materiali in particolari
condizioni di umidità e protezione; HBV e tubercolosi possono resistere per mesi).
Si deve inoltre ricordare che i prodotti di disinfezione vanno testati su campioni di materiale prima
della loro introduzione nel ciclo di lavorazione,
per verificare come agiscono sul substrato (corrosione e colorazione).
Disinfezione delle impronte
Le impronte richiedono precisione e sono costituite da materiali poco resistenti che non sopportano procedimenti radicali; perciò la disinfezione
ad alto livello, che richiede una permanenza di 810 ore del materiale nel disinfettante, aumenta i rischi di alterazioni per la maggior parte dei materiali ed è di rischiosa attuazione.
Per tale motivo le procedure utilizzate sono più
brevi e tendono ad una decontaminazione di superficie che riduce il rischio infettivo senza eradicare eventuali contaminazioni profonde o forme
microbiologiche resistenti.
I materiali di impronta sottoposti ad azioni di decontaminazione/disinfezione possono essere soggetti a variazioni dimensionali e di superficie, determinate più dalla tecnica di disinfezione e dalle
caratteristiche del materiale che dall’azione del disinfettante.
Attualmente le procedure sono rappresentate dalla nebulizzazione con spray e dall’immersione. La
decontaminazione attraverso immersione per un
periodo di tempo di 30 minuti è una procedura più
efficace e quindi di prima scelta nei casi in cui è
utilizzabile.
Per la disinfezione delle impronte si consiglia di rispettare alcune precauzioni generali.
• L’impronta va pulita con acqua ed un pennellino
per rimuovere tracce di sangue e saliva che potrebbero proteggere i germi o inattivare il disinfettante; la pulizia deve essere eseguita immediatamente dopo l’estrazione dalla bocca per
evitare l’indurimento delle secrezioni che causerebbe una maggiore difficoltà di rimozione.
• L’impronta va disinfettata con un prodotto
compatibile, utilizzando tempo e concentrazioni stabilite, per garantire l’azione del disinfettante. È opportuno verificare preventivamente
su campioni la compatibilità dei materiali, per
evitare l’alterazione volumetrica o di superficie.
• Terminata la disinfezione l’impronta va lavata
accuratamente prima della colatura, per impedire interferenze causate dai residui di disinfettante con la reazione di presa del gesso.
• Le soluzioni disinfettanti a freddo presentano
un tempo di attività al termine del quale il degrado blocca l’attività biocida: gli agenti ossi-
52
MEDICINA DEL LAVORO
danti e l’ipoclorito di sodio hanno una durata limitata e vanno cambiati quotidianamente; la
glutaraldeide, in alcune formulazioni, rimane
attiva fino a 15 giorni; ovviamente una soluzione sporca, in cui sono state inserite più impronte non pulite in precedenza, diminuisce rapidamente l’attività e deve essere cambiata.
• La disinfezione delle impronte eradica la possibile infezione attraverso i modelli in gesso. Il
gesso è di difficile decontaminazione, poiché
può essere alterato da trattamenti termici e in
caso venga bagnato subisce una espansione
igroscopica. In caso di necessità un modello di
gesso può essere decontaminato con uno spray
a base di alcool.
Le impronte in materiali idrofili (alginati e idrocollodi reversibili) richiedono particolare attenzione per evitare alterazioni volumetriche causate
dall’assorbimento di acqua durante la disinfezione: per essi è possibile solo una decontaminazione
superficiale, applicando sistemi che prevedono la
nebulizzazione con spray o un limitato periodo di
immersione nel disinfettante (glutaraldeide 2%,
ipoclorito di sodio 0,5-1%, acqua ossigenata 6-10%,
acido peracetico 1-6%) lasciando poi agire per 30
minuti, prima di risciacquare.
Le impronte in silicone sono idrofobe, possono
sopportare le procedure di disinfezione con minori conseguenze e per tale motivo dovrebbero
essere preferite nel trattamento di pazienti a rischio.
Una decontaminazione valida può essere ottenuta con l’immersione prolungata (ipoclorito di sodio allo 0,5-1%, in glutaraldeide al 2% o in iodofori per 30 minuti). I polieteri sono materiali idrofili sensibili ad azioni di disinfezione protratta e richiedono procedure più rapide di disinfezione
(tabella 1).
Modalità di invio
di materiale protesico
al laboratorio
odontotecnico
Per quanto possibile, l’odontoiatra dovrebbe evitare di inviare all’odontotecnico materiale contaminato senza una preventiva disinfezione, in quanto dispone di personale addestrato, conoscenza e
attrezzature specifiche non disponibili comunemente in laboratorio; tuttavia, è possibile derogare da tale principio, a patto che sia preventivamente concordato un programma di igiene con il
responsabile odontotecnico.
Nello studio odontoiatrico gli operatori, prima di
inviare il materiale al laboratorio odontotecnico,
devono svolgere le seguenti operazioni:
• lavare il manufatto protesico o l’impronta, per
asportare residui di saliva e sangue che possano inattivare il disinfettante e risultino di
difficile asportazione una volta seccati ed induriti;
• sterilizzare il materiale in grado di sopportare il
trattamento in autoclave o disinfezione fisica
(metalli e ceramiche); decontaminare con disinfettante i materiali inadatti a trattamenti fisici (impronte, cere, resine);
• inserire il materiale in un sacchetto sigillato
con striscia adesiva (non utilizzare spilli o graffette o sistemi che richiedano l’uso di taglienti
per l’apertura);
• il modulo di richiesta va posizionato in una busta separata di plastica, per evitarne la contaminazione;
• per garantire il segreto professionale e la confidenzialità dell’informazione clinica in caso di pa-
Tab. 1 Disinfezione e decontaminazione per i materiali di impronta
MATERIALE
PROBLEMI
TRATTAMENTO
• Idrocolloidi
Idrofili; alterazioni volumetriche causate
dall’assorbimento di acqua durante
la disinfezione
Decontaminazione con nebulizzazione
o immersione istantanea (10 sec);
risciacquo dopo 30 min
• Polieteri
Lievemente idrofili e sensibili alla disinfezione
protratta
Decontaminazione con nebulizzazione
o immersione rapida (10 min); risciacquo
• Siliconi, polisolfuri
Stabili, sopportano procedure
di disinfezione protratte
Disinfezione con immersione prolungata
(30 min); risciacquo
CAPITOLO 5 • DISINFEZIONE DELLE PROTESI
NORME PER LA SPEDIZIONE
DI MATERIALE AL LABORATORIO
ODONTOTECNICO
• Lavare il materiale
• Decontaminare con disinfettanti o sterilizzare
con agenti fisici
• Spedire in buste sigillate
• Segnalare il pericolo di infezione
• Garantire la confidenzialità dell’informazione
•
•
•
•
•
ziente portatore di patologie infettive si utilizza
un codice in anonimato, per segnalare il rischio;
utilizzare per il trasporto un contenitore rigido
con chiusura di sicurezza;
apporre una etichetta che evidenzi il pericolo di
contagio e specifichi le operazioni eventuali di
disinfezione svolte;
protesi dentali, apparecchi e portaimpronte in
arrivo dal laboratorio devono essere disinfettati prima di essere provati in bocca al paziente;
i contenitori per il trasporto devono essere disinfettati dopo ogni singola fase di lavorazione;
è indispensabile concordare con il responsabile
di laboratorio le modalità di invio del materiale
e la pertinenza delle operazioni di disinfezione.
Disinfezione delle protesi
Solo le protesi nuove che non hanno mai avuto
contatto con i liquidi orali del paziente possono
53
essere considerate sicure; mentre le protesi in riparazione ed i materiali che siano stati provati in
bocca al paziente non sono sempre completamente decontaminabili e possono essere un veicolo di
contagio indiretto così come le frese utilizzate per
i ritocchi e le correzioni, qualora non siano sterilizzate dopo l’uso.
In particolare si segnalano alcuni problemi che
potrebbero sorgere con cicli di disinfezione per i
più comuni materiali protesici:
• l’ipoclorito di sodio è corrosivo su manufatti
metallici;
• gli iodofori e clorexidina hanno un livello basso
di attività, possono causare colorazioni sui materiali porosi (ad esempio resina);
• trattamenti con calore alterano i manufatti in
resina.
I disinfettanti dotati di elevata attività più utilizzati attualmente per la sterilizzazione o disinfezione ad alto livello sono a base di glutaraldeide e
tale principio si è confermato valido per la disinfezione (20-30 min) e sterilizzazione (8-10 ore);
presenta una buona stabilità nel tempo (fino a 15
giorni per una soluzione stabilizzata e pulita), non
è inattivato da residui organici ed è scarsamente
corrosivo.
Va segnalato comunque che i vapori del prodotto
sono tossici, per cui è opportuno indossare guanti durante la manipolazione, sciacquare i prodotti
dopo la disinfezione e tenere chiusi con coperchio i recipienti usati per la disinfezione per immersione.
I disinfettanti consigliati sono stati riassunti nella
tabella 2.
Tab. 2 Disinfezione delle protesi
TIPO DI PROTESI
METODO DI STERILIZZAZIONE
• Metallo e metallo ceramica
• Sterilizzazione con calore
(autoclave 134 °C per 10 min, stufa a secco 180 °C per due ore)
• Glutaraldeide 2% 30 min
• Iodofori 150-300 ppm
• Metallo resina
• Glutaraldeide 2% 30 min
• Agenti ossidanti 30 min (acqua ossigenata 6-10%)
• Iodofori 150-300 ppm
• Resina
•
•
•
•
Cloroderivati 30 min (ipoclorito di sodio 0,5-1%)
Agenti ossidanti 30 min (acqua ossigenata 6-10%)
Glutaraldeide 2% 30 min
Iodofori 150-300 ppm
54
MEDICINA DEL LAVORO
Disinfezione delle impronte e delle protesi
Per concludere, è utile esemplificare con alcune immagini quanto esposto per la disinfezione delle protesi, in modo da fissarne i concetti. La scelta dei materiali d’impronta deve tenere conto della possibilità di
decontaminazione, che è in relazione alla resistenza del materiale ai disinfettanti: elevata per le gomme e
limitata per gli idrocolloidi. Per tale motivo nei pazienti con infezioni ematogene è opportuno evitare gli
alginati e le resine resilienti, che risultano facilmente alterabili dalle manovre di disinfezione.
Le impronte appena estratte dalla bocca devono essere risciacquate ed eventualmente pulite con un pennellino, per asportare le secrezioni e i liquidi biologici.
Le impronte, quindi, vanno inviate al laboratorio odontotecnico chiuse in un sacchetto di plastica e in un
contenitore rigido. Il biglietto di prescrizione va tenuto separato dall’impronta, per evitarne la contaminazione.
CAPITOLO 5 • DISINFEZIONE DELLE PROTESI
55
In caso di paziente con patologia infettiva, il rischio va segnalato con sistemi convenzionali, garantendo
l’anonimato. I contenitori in plastica vanno disinfettati dopo ogni invio per la possibile contaminazione.
La disinfezione è eseguita con diversi metodi: lo spray o l’immersione rapida per i materiali alterabili dai disinfettanti o dall’acqua rappresenta il metodo meno efficace; l’immersione prolungata (preferibilmente oltre i
20 min) è utilizzata per i materiali resistenti. Tale procedura rende sicuro il modello di gesso che è difficilmente decontaminabile senza causarne alterazioni. Dopo la disinfezione le impronte sono risciacquate ed
eventualmente ripassate con un pennellino e un impasto di acqua e polvere di gesso, in modo da eliminare i
residui di disinfettante, che possono alterare la superficie del modello di gesso che, bagnato, andrebbe incontro a nuova espansione igroscopica. Comunque, anche le impronte decontaminate non garantiscono una
sicurezza dal rischio infettivo a causa della presenza di porosità e bolle, che possono contenere liquidi biologici; per tale motivo devono essere sempre trattate utilizzando i guanti nelle fasi successive di lavorazione.
56
MEDICINA DEL LAVORO
Si deve, inoltre, ricordare che i manufatti protesici, provati in bocca al paziente, non devono essere reinseriti sul modello di gesso. I manufatti devono essere imbustati e rispediti con la scatola di trasporto in
modo da rimanere separati dai modelli di gesso, che non sono decontaminabili. Le protesi in metallo possono essere sterilizzate in autoclave o decontaminate con spray ad elevata temperatura. Le protesi in resina sono, invece, solo parzialmente decontaminabili, per la porosità del materiale, che risulta imbevuto di
liquidi organici; inoltre, gli ultrasuoni o decontaminazione per immersione risultano inefficaci. Per tale motivo è sempre opportuno lavorare le vecchie protesi utilizzando le misure di barriera (guanti, mascherina
o schermo); gli strumenti utilizzati per la lavorazione devono essere disinfettati o sterilizzati dopo l’uso.
Le zone umide, con incrostazioni e sporche, sono un luogo ideale per la sopravvivenza e la replicazione
di microrganismi patogeni; lavandini, cassetti, banchi di lavoro e lucidatrici devono essere conservati in
ordine e puliti, per non mantenere situazioni igieniche precarie.
CAPITOLO 6
PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE
F. Montagna, G. Ferronato
L’adozione di precauzioni universali non elimina il
rischio di esposizione a materiale biologico infetto che può avvenire accidentalmente per gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza e riordino.
L’esposizione professionale a materiali biologici
rappresenta un infortunio sul lavoro per il quale è
necessario disporre di un protocollo d’intervento e
informare i dipendenti, per ottemperare agli obblighi di legge. Comunque, si deve ricordare che dopo
una esposizione accidentale, non sempre è necessario eseguire sistematicamente un programma di
esami sierologici periodici e tantomeno una profilassi farmacologica, in quanto il rischio e la condotta possono variare non solo in relazione alle modalità dell’infortunio ma anche per le diverse patologie
accertate o sospettate sul paziente fonte (tabella 1).
Il pronto soccorso
nello studio odontoiatrico
In base alla attuale legislazione sulla sicurezza dei
lavoratori (D.Lgs. 626/94) negli ambienti di lavoro
sono previsti alcuni obblighi per la prevenzione e
il pronto soccorso in caso di infortuni:
• la presenza di un responsabile del servizio di
prevenzione e protezione o RSPP (generalmente, nello studio odontoiatrico coincide con l’odontoiatra-datore di lavoro DdL);
• un addetto al pronto soccorso (PS), ruolo che
può essere assunto dallo stesso DdL-odontoiatra;
• un registro infortuni da tenere presso lo studio
in cui annotare ogni infortunio che comporti assenza dal lavoro di almeno 1 giorno.
Nello schema a pagina seguente è stato sintetizzato il comportamento da tenere in caso di esposizione accidentale degli operatori a materiale biologico contaminato.
Il rischio di epatite virale
da HBV e HCV
Per l’epatite C non sono disponibili trattamenti
post-esposizione e la condotta si riduce alla sorveglianza sanitaria e al monitoraggio biologico periodico nei mesi successivi.
Tab. 1 Criteri per la valutazione del rischio in relazione alle diverse modalità di esposizione ai fini di una profilassi
TIPO
DI ESPOSIZIONE
MODALITÀ
DI ESPOSIZIONE
RISCHIO
PROFILASSI
FARMACOLOGICA
SORVEGLIANZA SANITARIA
CON ESAMI EMATOCHIMICI
• Parenterale certa
Iniezione, taglio,
ferita
Elevato
Raccomandata
Necessaria immediata e
programmata nel tempo
• Parenterale
Esposizione di
• possibile o dubbia mucose e cute lesa
Probabile
Valutare efficacia e
lasciare la decisione
all’operatore esposto
Necessaria immediata e
programmata nel tempo
• Non parenterale
Improbabile
Sconsigliata
Periodica, con esami annuali,
eventualmente anticipati
Esposizione a cute
integra o ferite con
tessuto di granulazione
58
MEDICINA DEL LAVORO
PROTOCOLLO DI INTERVENTO DOPO ESPOSIZIONE A MATERIALE BIOLOGICO
Responsabili
Azioni
Osservazioni
• Infortunato
• Informare il responsabile
del servizio di prevenzione
e protezione (RSPP) e l’addetto
al pronto soccorso (PS)
• Sottoporsi ai controlli
• Evitare il rischio di contagio
crociato
Descrivere le modalità di infortunio
e individuare il paziente
Nel periodo di sorveglianza
(12 mesi consecutivi):
– avere rapporti sessuali protetti
ed evitare gravidanze
non donare sangue
– comunicare alla direzione
sanitaria ogni eventuale
sintomatologia infettiva
• Addetto al pronto
soccorso (PS)*
• In caso di esposizione
parenterale
(taglio o puntura, esposizione
a cute lesa)
Aumentare il sanguinamento,
detergere la ferita con acqua e
sapone, disinfettare
(povidone-iodio 7,5%, clorossidante
elettrolitico 5-10%)
Lavare con acqua corrente,
collutorio
• In caso di esposizione mucosa
(schizzi in bocca e occhi)
• Responsabile
del servizio
di prevenzione
e protezione (RSPP)*
• Valutare le modalità
di esposizione e informare
l’oiperatore sull’entità
del rischio di infezione crociata
• Invio a struttura sanitaria
pubblica competente
territorialmente
• Annotazione sul registro
degli infortuni
• Denuncia all’INAIL
• Struttura sanitaria
• Sorveglianza sanitaria
pubblica competente
con esami ematochimici
territorialmente
(Servizi per tossicodipendenza,
Reparti malattie infettive,
Pronto soccorso dell’ospedale,
Ufficio di igiene e profilassi) • Profilassi farmacologica
* L’odontoiatra DdL può assumere il ruolo di PS e RSPP.
Rischio presente per esposizione
parenterale certa e dubbia (ferite,
soluzioni di continuità della cute,
esposizioni della congiuntiva)
Rischio improbabile per esposizione
a cute integra
Inviare nei casi di esposizione certa
o dubbia e comunque in caso
di richiesta dell’operatore
Chiedere il consenso al paziente per
la disponibilità ad eseguire esami
sierologici
Data
Nome dell’operatore
Modalità dell’infortunio
Azioni di assistenza e profilassi
intraprese
Apposito modulo da inoltrare entro
48 ore
Informazione dell’operatore esposto
sul rischio e sulla profilassi
(counseling pre e post-test)
Consenso agli esami sierologici
Esami sierologici seriati
(0, 3, 6, 12 mesi)
Profilassi post-esposizione
CAPITOLO 6 • PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE
59
Tab. 2 Trattamento post-esposizione per l’epatite B
OPERATORE
ESPOSTO
PAZIENTE HBsAg+
PAZIENTE HBsAg–
PAZIENTE SCONOSCIUTO O
NON SOTTOPOSTO A ESAMI
Non vaccinato
1. Iniziare il vaccino per l’epatite B
inoltre
2. Eseguire 1 dose singola di globulina
antiepatitica B (HBIG) immediatamente
o entro le 24 ore, se possibile
Iniziare il vaccino
per l’epatite B
Iniziare il vaccino
per l’epatite B
Nessun trattamento
Nessun trattamento
• Non responder 1. L’operatore riceve 2 dosi di HBIG
• conosciuto
(una subito e la seconda dopo 1 mese)
altrimenti
2. L’operatore riceve 1 dose di HBIG
più 1 dose di vaccino
Nessun trattamento
Se paziente ad alto rischio
trattare l’operatore come
se il paziente fosse
HBsAg positivo
• Risposta
• non nota
Nessun trattamento
Esaminare l’operatore
per anti-HBs:
1. Se titolo inadeguato, 1 dose
HBIG più dose richiamo di vaccino
2. Se titolo adeguato, nessun
trattamento*
Vaccinato in precedenza
per l’epatite B
• Responder
• conosciuto
Esaminare l’operatore per l’anti-HBs:
1. Se titolo adeguato, nessun trattamento
2. Se titolo inadeguato, richiamo per
vaccinazione dell’epatite B
Esaminare l’operatore per anti-HBs:
1. Se titolo inadeguato, 1 dose HBIG
più dose richiamo di vaccino
2. Se titolo adeguato, nessun
trattamento*
* Titolo di anti-HBs adeguato è >10 ml internazionali.
Per l’epatite B la condotta post-esposizione varia
in relazione alle diverse possibili combinazioni di
fattori (tabella 2):
• operatore vaccinato con livelli anticorpali protettivi (responder) o con anticorpi insufficienti
(non responder);
• operatore non vaccinato;
• paziente fonte con epatite cronica, sano o sconosciuto.
Il rischio di infezione
da HIV
Il rischio è mediamente dello 0,3% ma l’identificazione di alcuni fattori suggerisce un rischio maggiore, come ad esempio i pazienti in periodo finestra e nelle fasi terminali che presentano una virulenza più elevata e un maggiore rischio.
FATTORI ASSOCIATI A RISCHIO AUMENTATO DI TRASMISSIONE
DI INFEZIONE DA HIV A SEGUITO DI ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE
Tipo di esposizione
• Ferita profonda (spontaneamente sanguinante)
• Puntura con ago cavo utilizzato per prelievo
• Presenza di sangue in quantità visibile sulla
superficie del presidio implicato nell’incidente
• Contaminazione congiuntivale massiva
Caratteristiche del paziente
• Paziente in fase terminale
• Paziente con infezione acuta
• Paziente con > 30.000/ml copie virali di HIV-RNA
• Paziente con sospetta resistenza a farmaci
antiretrovirali (in trattamento da 6-12 mesi
con segni di progressione clinica)
60
MEDICINA DEL LAVORO
Nei casi di contagio improbabile è sufficiente
informare l’infortunato della reale entità del rischio, con tempestività, per ridurre lo stato d’ansia, concertando l’esecuzione di esami o terapie
solo su espressa richiesta dello stesso.
Nei casi di contagio probabile, o comunque su richiesta del medesimo, l’infortunato deve essere
inviato alle strutture sanitarie competenti per l’esecuzione degli esami sierologici, il counseling
pre-test e post-test, la profilassi farmacologica.
Prima di iniziare un trattamento farmacologico
devono essere spiegate sicurezza, tossicità, efficacia del farmaco, per ottenere un consenso informato; ulteriori informazioni dovrebbero essere
fornite alla persona esposta riguardo alla condotta da tenere per evitare la potenziale diffusione del
contagio per tutta la durata del periodo di osservazione e di incubazione. I protocolli di utilizzazione della chemioprofilassi post-esposizione per
l’HIV sono stati così standardizzati:
• deve essere offerta per ogni esposizione a rischio proveniente da paziente con infezione da
HIV accertata;
• può essere offerta su una base di valutazione ca-
so per caso in caso di paziente fonte sieronegativo o mai testato, che possa essere ritenuto ad
alto rischio di infezione per comportamenti a rischio (tossicodipendenti, partner di persone con
infezione da HIV, politrasfusi prima del 1986);
• è sconsigliata nelle esposizioni occupazionali
che non rispondono ai criteri di inclusione soprariportati, pur considerando l’impossibilità
della definizione del rischio. Infatti, dal momento che la maggior parte delle esposizioni
non determina rischio, la potenziale tossicità
della PPE ne sconsiglia l’offerta;
• la gravidanza è un criterio assoluto di esclusione.
La PPE deve essere iniziata il più precocemente
possibile, preferibilmente entro 1-4 ore e non è
raccomandata quando sono trascorse più di 24 ore
dall’incidente.
La durata ottimale è fissata in 4 settimane e il follow up, composto da una visita medica e ricerca
degli anti-HIV, va eseguito a tempo zero e successivamente a 6, 12 settimane e 6 mesi (tabella 3).
L’efficacia della profilassi con zidovudina (ZDV) è
stata dimostrata in alcuni studi con una riduzione
Tab. 3 Trattamento post-esposizione HIV dell’operatore
IL PAZIENTE È IN AIDS, SIEROPOSITIVO
PER HIV O RIFIUTA IL TEST
IL PAZIENTE È TESTATO E TROVATO
SIERONEGATIVO E NON PRESENTA
SINTOMI DI AIDS O INFEZIONE DA HIV
IL PAZIENTE NON PUÒ ESSERE
IDENTIFICATO
1. L’operatore deve essere informato
del rischio
Nessun successivo follow up
a meno che:
La decisione sul follow up
deve essere individualizzata
2. L’operatore deve essere valutato
clinicamente e sierologicamente
per evidenziare l’infezione
da HIV appena possibile
1. l’evidenza suggerisca che il paziente sia
stato esposto di recente (periodo finestra)
2. richiesto dall’operatore o
raccomandato dal medico
Esami sierologici devono
essere eseguiti se l’operatore,
preoccupato del contagio,
richiede il follow up
3. L’operatore deve essere avvisato
di notare e riferire qualsiasi
malattia febbrile che compaia
entro le 12 settimane dopo
l’esposizione
4. L’operatore deve essere informato
della profilassi farmacologica con
farmaci antiretrovirali
5. L’operatore deve essere avvisato
di evitare donazioni di sangue e
usare protezioni nei rapporti
sessuali durante il periodo di
follow up, specialmente le prime
6-12 settimane dopo l’esposizione
6. Un operatore inizialmente
sieronegativo deve essere esaminato
6, 12 settimane e 6 mesi dopo
l’esposizione per verificare se è
avvenuto il contagio
Dopo l’esame sierologico seguire la prima colonna
CAPITOLO 6 • PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE
61
Tab. 4 Associazioni di farmaci utilizzabili nella PPE per HIV
SCELTA
I FARMACO
II FARMACO
III FARMACO
• I scelta
Zidovudina
Lamivudina
Indinavir
• II scelta
Stavudina
Didanosina
Dideossicitidina
• III scelta
Didanosina
Dideossicitidina
Ritonavir
del 79% del rischio di sieroconversione per HIV a
seguito di esposizione percutanea con sangue
contaminato.
Tuttavia sono stati riportati casi di insuccesso per
i quali si suppone che una delle motivazioni sia riconducibile all’esposizione a un ceppo resistente
al farmaco; tale eventualità ha suggerito la necessità di impiegare più farmaci (inibitori nucleosidici o non nucleosidici della transcriptasi inversa,
inibitori della proteasi) (tabella 4). Gli effetti collaterali più frequenti sono rappresentati da sintomi gastrointestinali.
CAPITOLO 7
DERMATOSI PROFESSIONALI
F. Montagna, D. Calista
Epidemiologia
L’impiego di un numero sempre maggiore di prodotti chimici ha determinato un considerevole aumento delle patologie professionali di tipo allergico e irritativo tra il personale odontoiatrico.
L’apparato interessato è senza dubbio quello cutaneo e diversi studi epidemiologici dimostrano come le patologie più frequenti siano le dermatosi localizzate alle mani che possono consistere in entità nosologiche diverse (tabella 1).
Diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza le caratteristiche delle dermatiti irritative e
allergiche delle mani, che rappresentano il 90%
delle dermatosi professionali in odontoiatria.
• In alcuni paesi costituiscono il 70% tra tutte le denunce di malattie professionali (Kanerva 1999).
• Sono più frequenti tra le assistenti dentali nei
confronti degli odontoiatri, a causa dei mansio-
nari che pongono le prime a contatto con numerosi irritanti e allergeni chimici come disinfettanti e detersivi (Hoerauf 1996).
• Una percentuale variabile di odontoiatri (19,244%), intervistata con specifici questionari, afferma di essere stata affetta da dermatosi alle
mani riferibili a materiali odontoiatrici (Morken
1999, Hill 1998, Checchi 1999) con una prevalenza puntuale del 9,6% (Munksgaard 1996).
Le dermatiti rappresentano un problema non indifferente per gli operatori sanitari poiché, oltre
alla sintomatologia locale, collateralmente aumentano il rischio di infezioni crociate ematogene per
contaminazione dall’ambiente orale.
• I guanti presentano intrinseche porosità e fori
microscopici (Arnold 1988) sufficienti a permettere una percolazione di microrganismi anche in assenza di rotture evidenti.
• Con frequenza si verificano rotture accidentali
a carico dell’indice e del pollice della mano pre-
Tab. 1 Dermatosi professionali del personale odontoiatrico
DERMATOSI
AGENTE EZIOLOGICO
SINTOMATOLOGIA
• Dermatite irritativa da contatto (DIC)
Agenti chimici
Uso prolungato di guanti (disidrosi)
Lavaggio ripetuto delle mani
(acqua, saponi)
Eritema, ipercheratosi, ragadi
• Dermatite allergica da contatto (DAC)
Agenti chimici
Eritema, vescicole, prurito
• Orticaria da contatto (OC)
Agenti chimici
Lesioni eritemato-pomfoidi fugaci
• Dermatiti infettive
Batteri aerobi gram-positivi
(stafilococchi, streptococchi)
Herpes simplex
Follicolite, patereccio, impetigine,
erisipela, cellulite
Eruzioni vescicolose
(patereccio erpetico)
Onicopatia, eritema macerato
interdigitale
Miceti (dermatofiti, Candida)
CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI
63
IRRITANTI E ALLERGENI PROFESSIONALI PIÙ COMUNI IN ODONTOIATRIA
Irritanti
Allergeni
• Abrasivi: pomice, silice
• Lattice
• Resine acriliche: acrilati, metacrilati, catalizzatori
• Antisettici: cresolo, clorofenolo, esaclorofene,
timolo, benzalconio cloruro, etanolo, iodoformio
• Adesivi: bisfenolo A, resine epossidiche, cianacrilati
• Anestetici locali: esteri e amidi dell’acido paraminobenzoico
• Oli essenziali: eugenolo, mentolo, eucaliptolo
• Metalli: mercurio, nichel, cromo-cobalto, palladio, rame
• Solventi: alcool, cloroformio
• Acidi e basi: acido ortofosforico, ipoclorito di
sodio
• Disinfettanti e antisettici: glutaraldeide, cloroderivati, fenoli, composti dell’ammonio quaternario
• Saponi e detergenti
• Gomme e materiali da impronta: gruppo mercapto, gruppo tiuram, catalizzatori
• Resine e adesivi: acrilati, metacrilati, catalizzatori, bisfenolo A, resine epossidiche, cianacrilati
• Oli essenziali: eugenolo, mentolo, eucaliptolo
• Altre sostanze: antibiotici, colofonia, assorbenti raggi UV
• Contatto prolungato con l’acqua
valente del personale odontoiatrico nel corso
delle manovre operative.
• L’asportazione del film idrolipidico, determinata dalla necessità di frequenti lavaggi, e discontinuità della barriera cutanea rappresentano la
potenziale porta d’entrata di agenti patogeni.
• Esiste una obiettiva difficoltà di antisepsi in
presenza di cute eczematosa o lesa.
• Infezioni cutanee locali rappresentate da sovrainfezioni piogeniche (stafilococchi e streptococchi) e micotiche complicano spesso il
quadro clinico in forma di eczema impetiginizzato e micosi interdigitali e periungueali.
prurito. L’evoluzione della DIC è legata al contatto
con l’agente irritante: allorché tale contatto viene
eliminato, essa regredisce rapidamente; in caso
contrario la dermatite può divenire cronica ed in
tale evenienza la cute può farsi piuttosto asciutta,
desquamante e possono formarsi dolorose fissurazioni ragadiformi (figure 1, 2 e 3).
Una caratteristica costante delle dermatiti irritative è la loro rapida regressione una volta eliminato
il contatto con il prodotto irritante, ma in occasione di nuovi contatti la recidiva è inevitabile.
Dermatite irritativa
da contatto (DIC)*
La DIC è un processo infiammatorio caratterizzato dall’insorgenza di chiazze eritematose sulla superficie cutanea venuta a contatto con una sostanza irritante. Tali lesioni possono essere accompagnate da sensazione di bruciore e talora da
* Un vivo ringraziamento al professor Giorgio Borea per i preziosi consigli e alcune utili illustrazioni fornite per la stesura
dei paragrafi riguardanti le dermatiti.
Fig. 1 Dermatite irritativa da contatto causata da glutaraldeide
64
MEDICINA DEL LAVORO
Fig. 2 Dermatite irritativa da contatto causata da clorexidina
La DIC è la dermatosi professionale più frequente,
rappresentando almeno i 2/3 delle dermatosi professionali degli operatori odontoiatrici. Essa è indotta dal danneggiamento dell’integrità del film
idrolipidico cutaneo con conseguente comparsa di
una reazione infiammatoria nel derma sottostante.
Tale aggressione avviene per opera di agenti fisici o
chimici che vengono qualificati come irritanti perché danneggiano la cute per azione tossica diretta.
In ambiente odontoiatrico la DIC è frequentemente indotta dal prolungato contatto con l’acqua che,
penetrando con una certa facilità attraverso lo
strato corneo, ne macera e scolla le fibre.
Le frequenti detersioni con sapone o altri detergenti, soprattutto se aggressivi, l’alta umidità, l’alta temperatura, la sudorazione indotte dall’occlusione prodotta dall’uso di guanti contribuiscono
all’instaurarsi del processo irritativo e ad aggravarne la sintomatologia.
Nella diagnosi differenziale con le dermatiti allergiche (DA) sono significative alcune caratteristiche cliniche delle lesioni che:
• sono localizzate solo alle sedi di contatto senza
tendenza ad estendersi;
• si trovano tutte nella stessa fase clinico-evolutiva (monomorfismo);
• il prurito è un sintomo poco rilevante, mentre
sono spesso presenti bruciore e dolore nelle fasi acute;
• nelle DIC i test epicutanei sono negativi, ma tale dermatite può preludere alla sensibilizzazione ed alla insorgenza di una dermatite allergica
da contatto vera e propria.
La terapia utilizza applicazioni di steroidi topici
(creme o unguenti a seconda della secchezza cutanea), creme idratanti e creme barriera.
Orientamenti per la prevenzione
La prevenzione si basa sull’informazione del personale in modo che acquisisca il rispetto di precise norme igieniche per la cura delle proprie mani,
cercando di evitare i fattori favorenti che ne renderebbero più vulnerabile la cute.
• I fenomeni di macerazione compaiono se le mani sono mantenute bagnate per periodi prolungati. Per tale motivo è consigliabile indossare
guanti protettivi per i lavori in ambiente umido
(riordino, igiene, disinfezione) e asciugare accuratamente le mani dopo il lavaggio.
• I ripetuti lavaggi con detergenti aggressivi, con
solventi (alcool), con acqua a temperature elevate disidratano la cute e alterano l’acidità del
protettivo film idrolipidico.
• È consigliabile invece utilizzare acqua tiepida con
quantità moderate di detergenti e/o antisettici a pH
neutro e limitare i prodotti aggressivi o disidratanti.
• Il lavaggio con abrasivi o spazzole per le mani
(lavaggio chirurgico) rappresenta fonte di traumi meccanici ripetuti e deve essere utilizzato
solo quando necessario, preferendo di routine
quando sufficiente il lavaggio sociale.
• Idratare le mani con creme idratanti ed emollienti al termine della giornata lavorativa.
Dermatite allergica
Fig. 3 Dermatite irritativa da guanti in lattice.
Studi longitudinali hanno evidenziato negli anni un
progressivo aumento del tasso di incidenza delle
dermatiti allergiche nel personale odontoiatrico:
per gli odontoiatri dal 5,4/10000 nel 1982 al 67/10000
nel 1994; per le assistenti dentali dal 47/100.000 nel
1982 all’87/10000 nel 1994 (Kanerva 1999).
CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI
Si stima che il rischio occupazionale per gli operatori odontoiatrici per le dermatiti allergiche sia 6
volte superiore a quello della popolazione generale. Per l’allergia al lattice la prevalenza è del 5-12%
tra gli operatori sanitari e minore dell’1% nella popolazione generale (Liss 1999); meno frequente invece risulta l’allergia ai metacrilati (1-2%).
In questo gruppo nosologico si ricomprendono due
distinte entità: la dermatite allergica da contatto
(DAC) e l’orticaria da contatto (OC); per quanto riguarda la frequenza la DAC è maggiore della OC (3:1)
Dermatite allergica da contatto
La dermatite allergica da contatto (DAC) è una dermatite eczematosa provocata da una sostanza verso
la quale si è sviluppata una sensibilizzazione “da
contatto”. Tale dermatite insorge in quei soggetti
che, nel corso del tempo e di ripetuti contatti con
una data sostanza, ne sono diventati allergici.
La fase acuta della DAC è caratterizzata da una
dermatite essudativa per la formazione e la rottu-
65
ra di vescicole accompagnata da intenso prurito.
La vescicolazione può essere da molto contenuta
a francamente bollosa (figura 4).
Se non trattata, la fase acuta evolve verso una dermatite subacuta nella quale la comparsa di squamocroste e di ispessimento cutaneo (lichenificazione) divengono l’aspetto clinico predominante.
L’eczema cronico è invece una dermatite secca,
caratterizzata da lichenificazione, ipercheratosi e
spacchi ragadiformi (figure 5, 6).
La diagnosi della dermatite da contatto di origine
professionale può essere sospettata quando:
• l’anamnesi evidenzia l’inizio del disturbo, l’evoluzione, i miglioramenti in caso di sospensione dell’attività lavorativa e i peggioramenti alla ripresa;
• la localizzazione delle lesioni iniziali e circoscritta alla zona di contatto con l’allergene;
• la morfologia è caratterizzata dal polimorfismo
delle lesioni (in contrasto con l’aspetto monomorfico nella DIC).
Talora la DAC può presentare caratteri clinici sovrapponibili a quelli della DIC e porre problemi di diagnosi differenziale. In tali casi l’esecuzione di patch test
consente di formulare una diagnosi precisa.
Orticaria da contatto
Fig. 4 Eczema acuto essudante
L’orticaria da contatto è una causa di dermatite rara
delle mani in ambiente odontoiatrico. Essa è caratterizzata da manifestazioni eritemato-pomfoidi pruriginose ad insorgenza rapida e durata variabile (1224 ore) e può essere sostenuta da meccanismi patogenetici sia immunologici (orticaria allergica) che
non immunologici (orticaria da contatto irritativa).
Un esempio di orticaria da contatto di tipo irritativo è quello che si sviluppa in seguito al contatto
con le ortiche. In ambito odontoiatrico sono state
Fig. 5 Eczema cronico
Fig. 6 Eczema cronico
66
MEDICINA DEL LAVORO
segnalate orticarie irritative da contatto da benzoato di sodio, acido benzoico, acido ascorbico,
balsamo del Perú ed alcool etilico.
L’orticaria a patogenesi non immunologica può
svilupparsi anche in seguito al primo contatto, è
circoscritta alla cute e riproduce per localizzazione, forma ed estensione la zona di contatto con la
sostanza responsabile. Si sviluppa nella maggior
parte dei soggetti esposti ed è legata a fattori quali la concentrazione dell’agente, il tempo di contatto, più che la predisposizione individuale.
Nelle forme allergiche, invece, le lesioni compaiono dopo ripetuti contatti che rappresentano la fase di sensibilizzazione; interessano pochi individui
sul totale di quelli esposti; possono rimanere localizzate o estendersi progressivamente ad altri organi e apparati (rino-congiuntivite, asma bronchiale, disturbi gastrointestinali) sino a reazioni sistemiche (shock anafilattico).
L’orticaria da contatto di tipo allergico è estremamente rara in odontoiatria, le lesioni eritematopomfoidi compaiono dopo pochi minuti dal contatto una volta avvenuta la sensibilizzazione.
La disidrosi
Orientamenti per la terapia
e la prevenzione
La terapia si basa su medicazioni con steroidi topici
usati in differenti preparazioni farmaceutiche a seconda della fase clinica: creme, lozioni nelle forme
essudative; pomate, unguenti nelle forme secche.
Nella fase cronica si utilizzano anche emollienti e
idratanti in modo da proteggere la barriera cutanea.
La prevenzione secondaria mira a evitare le recidive e pertanto si basa sul riconoscimento dell’allergene, affinché venga escluso ogni ulteriore contatto.
È utile sottolineare l’importanza di un programma
comportamentale: a livello dell’organizzazione del
lavoro, fornendo i mezzi idonei per la protezione
personale, come ad esempio i guanti anallergici
(le creme barriera si sono rivelate di scarsissima
utilità nel proteggere la cute); a livello individuale
tramite una attenta educazione sanitaria dell’operatore.
Dermatiti infettive
È una dermatite delle mani e dei piedi caratterizzata dall’insorgenza di piccole vescicole, tese, pruriginose alla superficie laterale delle dita o in sede palmo-plantare. Nella fase iniziale tali vescicole appaiono su cute di aspetto normale, successivamente dopo 24-48 ore dalla loro formazione tendono a
rompersi e a dissolvere il loro contenuto nell’ambiente esterno. La cute circostante diviene eritematosa ed intensamente pruriginosa, mentre l’epitelio
tende a sfaldarsi producendo un collaretto biancogrigiastro. Le recidive sono frequenti (figura 7).
L’herpes simplex (HSV) è responsabile del patereccio erpetico che si presenta come papule e vescicole localizzate sulle dita degli operatori sanitari.
La trasmissione avviene mediante il contatto diretto con lesioni floride (herpes labialis) del paziente e l’inoculazione del virus attraverso soluzioni di continuo della cute.
Le forme lievi tendono all’autorisoluzione in pochi
giorni e non richiedono terapia, mentre per le forme più impegnative sono disponibili formulazioni
topiche di aciclovir al 3% e al 5% (figura 8).
L’operatore infettato deve evitare l’autoinoculazio-
Fig. 7 Disidrosi
Fig. 8 Patereccio erpetico
CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI
Fig. 9 Patereccio batterico conseguente a lesione accidentale con leva
ne in altre zone limitrofe e a distanza; ad esempio
il contatto accidentale con gli occhi può causare la
comparsa di una cherato-congiuntivite erpetica.
Alcuni batteri aerobi gram-positivi (stafilococchi e
streptococchi) possono causare negli operatori
sanitari delle piodermiti da inoculazione secondaria a microtraumi e ferite accidentali con strumentario infetto (figura 9).
Il patereccio è un’infezione stafilococcica della
piega prossimale dell’unghia; la falangetta si presenta edematosa, gonfia, dolente con formazione
di una raccolta purulenta:
• l’impetigine si presenta con vescico-bolle subcornee molto fragili con alone eritematoso; alla
rottura segue un’essudazione che si rapprende
in croste giallo brunastre; la lesione tende a
estendersi perifericamente;
• l’erisipela e la cellulite sono processi infettivi acuti che interessano il derma profondo e l’ipoderma;
si presentano con chiazze eritematose calde e dolenti, rialzo febbrile e linfoadenopatia satellite.
La terapia topica antibiotica è di solito sufficiente
nelle forme lievi; mentre la terapia sistemica va riservata alle forme profonde; le forme ascessualizzate possono richiedere l’incisione e il drenaggio.
Le candidosi superficiali sono causate dal genere
67
Fig. 10 Eczema cronico da cemento all’ossifosfato
Fig. 11 Onicomicosi da Candida (stesso caso foto precedente)
Candida, lievito saprofita in condizioni normali, in
grado di divenire patogeno opportunista nel soggetto sano con il verificarsi di condizioni favorenti, quali la macerazione della cute come avviene
nel personale sanitario per la frequente necessità
di lavarsi le mani e di indossare costantemente i
guanti. La lesione caratteristica è l’intertrigine rappresentata da macerazione, ragade, eritema e desquamazione delle pieghe cutanee interdigitali. La
terapia richiede l’uso di formulazioni antimicotiche topiche (figure 10, 11).
CAPITOLO 8
PATOLOGIE
MUSCOLO-SCHELETRICHE
F. Montagna, M. Tommasi
Tra gli operatori sanitari è consolidata la constatazione di un nesso di causalità tra determinate condizioni lavorative di sovraccarico meccanico e disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico.
Volendo valutare il costo sociale e lavorativo di tali patologie, basti pensare che le assenze dal lavoro, valutate tra tutte le categorie di operatori sanitari, ammontano al 16-30% del totale e sono seconde solo all’influenza.
Alcune statistiche in ambito odontoiatrico hanno
evidenziato che circa il 30-40% degli operatori
odontoiatrici soffre frequentemente di dolori al rachide, al collo e alle spalle; è da notare che tale
percentuale non è superiore alla prevalenza registrata nella popolazione generale.
Risultano eccezionali le lesioni da sforzo con in-
sorgenza acuta, tipiche delle altre categorie di
operatori sanitari; mentre sono frequenti le affezioni cronico-degenerative, dovute ad atteggiamenti posturali scorretti e al mantenimento di posture fisse.
Le sindromi sono da ascrivere alla vasta schiera di
“work related deseases” o, in altri termini, di affezioni a genesi multifattoriale che possono trovare
nell’attività lavorativa elementi causali non univoci o concausali di diversa rilevanza, rappresentati
dall’obesità, dalla vita sedentaria e la cattiva postura.
Si tratta, quindi, di un rischio generico non aggravato dall’attività lavorativa (certo, non di un rischio specifico) visto che le condizioni tipiche dell’odontoiatria sono quelle di un lavoro “non pe-
Tab. 1 Sindromi muscolo-scheletriche correlate alla professione odontoiatrica
PATOLOGIA
SEGNI E SINTOMI
• Patologie muscolo-scheletriche
• del rachide
• (back pain syndrome)
Lombalgia
Lombalgia, cruralgia, sciatalgia, parestesia e ipostenia agli arti inferiori
Muscolatura paravertebrale contratta e apofisi spinose lombari dolenti
alla palpazione
Dorsalgia
Dolore parascapolare e al trapezio con eventuale irradiazione
radicolare in sede toracica anteriore
• Sindromi muscolo-scheletriche
• del distretto cervico-brachiale
• (cumulative trauma disorders)
Sindrome da tensione cervicale
Peso, limitazione, impaccio funzionale e dolore del collo
Dolore e parestesie irradiate al trapezio e alle braccia
Muscolatura paravertebrale e apofisi spinose cervicali dolenti alla palpazione
Trigger points: inserzione del trapezio all’occipite e angolo interno della scapola
Sindrome del tunnel carpale
Dolore e parestesia alle prime tre dita della mano (prevalentemente sul lato
palmare di pollice, indice, medio), deficit di pronazione, ipostenia muscolare;
test di Phelan e Tinel positivi
Tendinopatie del polso
Dolore durante i movimenti della mano, soprattutto estensione del primo dito
(sindrome di De Quervain) e flessione del polso contro resistenza (tenosinovite)
CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
sante”, che non richiede sviluppo di forza manuale; poco ripetitivo e alternato da periodi di recupero e riposo; di precisione, svolto, cioè, in condizioni statiche per favorire i micromovimenti.
Il nesso di causalità tra lavoro e patologia muscolo-scheletrica in odontoiatria appare non sufficientemente dimostrato da evidenze scientifiche e
con una percentuale di morbosità non superiore
alla popolazione generale.
In tale senso è da ritenersi che tali patologie non
comportino l’obbligo di assoggettare il personale
odontoiatrico a sorveglianza sanitaria.
Fra le affezioni del rachide (“back pain syndrome”, o BPS), la lombalgia o “low back pain syndrome” (LBP) è senza dubbio la più diffusa e studiata (tabella 1).
Le affezioni muscolo-scheletriche degli arti superiori presentano, invece, una prevalenza minore; sono definite nella letteratura specializzata con terminologie differenti: “overuse syndrome”, “repetitive
strain injuries”, “repetitive motion injuries”, “occupational cervicobrachial disorders”, “cumulative
trauma disorders” (CTD), terminologie che riflettono lievi differenze concettuali nel loro inquadramento ma che sono sostanzialmente assimilabili.
Rachialgia
Anatomia e fisiopatologia
del rachide
Per trattare la patogenesi della BPS di origine occupazionale è opportuno prendere in considerazione l’anatomia del rachide dal punto di vista
morfo-funzionale.
La colonna è costituita dalla sovrapposizione di 24
vertebre (cervicali, toraciche e lombari) separate
da dischi intervertebrali; seguite da 9-10 vertebre
fuse a formare l’osso sacro e il coccige.
La colonna vista sul piano frontale è verticale, mentre sul piano sagittale presenta delle curve che le
conferiscono una forma a S modificata (figure 1, 2):
• una convessità anteriore nel tratto cervicale definita lordosi cervicale (7 vertebre);
• una convessità posteriore a livello toracico definita cifosi dorsale (12 vertebre);
• una convessità anteriore nel tratto lombare definita lordosi lombare (5 vertebre);
• una convessità posteriore nel tratto sacrale definita curva sacrale (5 vertebre).
69
Vertebre
cervicali
Parte
dorsale
Vertebre
toraciche
Parte
vendrale
Vertebre
lombari
Fori
intervertebrali
Promontorio
Fascetta
auricolare
a
b
Sacro
Coccige
Fig. 1 Colonna vertebrale umana vista posteriormente (a)
e lateralmente (b) con esempi di corpi vertebrali la cui forma varia nei singoli tratti della colonna vertebrale
Legamento
longitudinale
anteriore
Corpo
vertebrale
Legamento
longitudinale
posteriore
Disco
intervertebrale
Radici nervose
Articolazione
apofisaria
Fig. 2 Anatomia dei corpi vertebrali e legamenti
Giova ricordare che il disco intervertebrale è una
struttura priva di vasi, che riceve le sostanze nutritive ed espelle i cataboliti unicamente per diffusione.
➞
➞
MEDICINA DEL LAVORO
➞
70
a
b
c
Fig. 3 Compressione e decompressione del disco intervertebrale in diverse situazioni di carico e scarico
a. Segmento intervertebrale con piccola articolazione vertebrale in posizione centrale sotto carico normale
b. Assottigliamento dello spazio intervertebrale e dell’interlinea articolare sotto forte carico
c. Allargamento dello spazio intervertebrale e apertura dell’interlinea articolare conseguente a condizioni di diminuito
carico
Per tale motivo l’insieme dello spazio intradiscale,
dei piatti cartilaginei, dell’anello fibroso, dei tessuti paravertebrali e della spongiosa delle vertebre
adiacenti può essere considerato un sistema osmotico: applicando una forza meccanica sul sistema
osmotico si ottiene una fuoriuscita di liquidi dal disco e vi è tendenziale espulsione di cataboliti; venendo a diminuire la pressione meccanica si ha un
richiamo di liquidi all’interno del disco ed è favorito l’ingresso di sostanze nutritive (figure 3, 4).
Quando si è sdraiati o seduti si è in condizione di
sottocarico; passando in posizioni in piedi o assise
senza appoggio o di sollevamento di un carico si
ottiene una situazione di sovraccarico (figura 5).
Il regolare alternarsi di condizioni di sovra e sottocarico del disco determina il ricambio di fluidi e
quindi di metaboliti e di cataboliti, cioè il disco è
nutrito.
Il meccanismo patogenetico della BPS è progressivo nel tempo:
< 80 kg
➞
➞
➞
➞
➞
> 80 kg
➞
➞
➞
➞ ➞
➞
Fig. 4 Nutrizione del disco intervertebrale per effetto dell’aumento e della diminuzione del carico di pressione come in un
sistema osmotico
CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
Dura madre
spinale
223 kg
Fibre
nervose
Piede dell’arco
vertebrale
4° disco
intervertebrale
175 kg
71
Piede dell’arco
vertebrale
1
L4
2
Radice
nervosa L4
L5
142 kg
140 kg
100 kg
5° disco
intervertebrale
Radice
nervosa L5
a
075 kg
025 kg
Fig. 5 Pressione del carico all’interno del 3° disco lombare
in diverse posizioni e movimenti del rachide (da Nachemson e Morris)
• inizialmente le patologie sono muscolari con
quadri di affaticamento cronico e conseguente dolorabilità prodotta dalle contrazioni isometriche dei muscoli (contratture, fibromialgie);
• successivamente le patologie divengono osteoarticolari; i carichi extrassiali sui dischi intervertebrali possono causare una compressione
dal lato dello sforzo e tendenza alla protrusione
o all’ernia sul lato opposto, cioè di spondilolistesi in presenza di spondilolisi, discopatie, ernie discali, spondiloartrosi (figure 6, 7).
I sintomi sono rappresentati da dolore (cefalea
nucale con irradiazione occipito-parieto-frontale,
(cervicalgia, cervicobrachialgia, brachialgia, dorsalgia, lombalgia, lombosciatalgia), sintomi neurologici (deficit radicolari: parestesie, ipoestesie),
alterazioni posturali (ipercifosi, iperlordosi, scoliosi), obliquità dei cingoli, rettilineizzazione lombare e cervicale, inversione della lordosi cervicale, sovraccarico vertebrale cervicale (a livello di
C5-C6 e C6-C7) e lombare (a livello di L4-L5 e L5S1) come raffigurato nella figura 8.
S1
b
Fig. 6 Ernia laterale del disco in zona lombare (in rappresentazione schematica posteriore)
a. Normale posizione delle radici nervose rispetto ai dischi. Gli archi vertebrali e il tetto dell’osso sacro sono
stati tolti.
b. Lesione della radice nervosa in presenza di ernia al disco (1 = ernia laterale a sinistra con interessamento delle radici L4 e L5; 2 = ernia laterale a sinistra con interessamento della radice S1). Gli archi vertebrali sono
stati tolti.
a
b
Fig. 7 Discopatia ed ernia discale
a. Fissurazioni e crepe che lasciano presagire uno spostamento del disco
b. Protrusione laterale (a sinistra) del disco con compressione della radice nervosa (possibile la regressione)
72
MEDICINA DEL LAVORO
Il mantenimento protratto di posture corrette
Particolarmente in odontoiatria, il meccanismo
eziologico della BPS non è tanto l’entità intrinseca
della tensione che agisce sui dischi lombari, quanto piuttosto il fatto che tale pressione non sia frequentemente variata e alternata. Il mantenimento
protratto di posizioni di lavoro assise o erette, corrette ma sostanzialmente fisse, comporta un arresto del ricambio per diffusione di liquidi nei dischi;
una interferenza con i processi nutritivi dei dischi
intervertebrali; l’innesto di una sofferenza discale
e una precoce tendenza alla degenerazione.
Il meccanismo patogenetico, quindi, consiste nella presenza di una pressione costante invariata sui
dischi intervertebrali che ne altera il metabolismo
e quindi la resistenza al carico meccanico.
S1
S1
a
b
c
Fig. 8 Esempi di deficit neurologici in presenza di ernia
del 5° disco lombare
a. Difetto sensitivo (parestesia, disestesia) del dermatomero S1
b. Paresi per il danneggiamento della radice nervosa S1:
impossibilità di reggersi su una sola gamba
L’assunzione di posture errate
c. Paresi completa della radice nervosa L5: impossibilità
di sollevare il piede e le dita del piede.
Esposizione professionale
Il danno del rachide determinato dalle posture di
lavoro può verificarsi con due diversi meccanismi
derivanti da posture corrette o scorrette, statiche
o dinamiche.
a
b
c
Le posture errate agiscono, invece, attraverso un
meccanismo di sovraccarico e le condizioni più
sfavorevoli sono quelle che determinano pressioni
assiali sulle vertebre costantemente superiori ai 70
kg e che generalmente si accompagnano a condizioni di contrazione muscolare statica (isometrica) della muscolatura posteriore del rachide e del
cingolo scapolare. Alcune posizioni asimmetriche
di squilibrio sono abbastanza frequenti e ripetitive.
La posizione seduta sul bordo di un seggiolino
odontoiatrico con il corpo piegato in avanti non
supportato dallo schienale, lo sguardo rivolto in
basso e in avanti provoca la scomparsa della “S”
d
e
Fig. 9 Variazione della postura del rachide in posizione seduta scorretta (a, b), in piedi (c), su seggiola ergonomica di tipo
Bambach (d, e)
CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
naturale del rachide e la trasforma in una “C” con
sovraccarico in zona lombare (L4-L5, L5-S1), cervicale bassa (C5-C6, C6-C7) e cifosi globale (figura 9 a, b) ben diversa dalla situazione in posizione
eretta (figura 9 c) o posizionata su apposite sedie
ergonomiche (figura 9 d, e).
Lavorare in posizione eretta pone l’operatore in
posizione unipode disequilibrata che richiede una
serie di compensazioni posturali (corpo proteso in
avanti strapiombante lateralmente, abbassamento
della spalla del lato prevalente e innalzamento dell’altra, flessione laterale del rachide e torsione delle vertebre cervico-dorsali); ne deriva un sovraccarico vertebrale e discale, delle faccette articolari, con sintomatologia algica che a sua volta accentua la contrattura muscolare.
Orientamenti per la prevenzione
Gli interventi di prevenzione delle sindromi muscolo-scheletriche vanno affidati ad una pluralità
di azioni in genere tra loro integrate e complementari.
Le azioni di struttura riguardano gli strumenti e la
progettazione del posto di lavoro secondo criteri
ergonomici normalmente adottati dalla tecnologia
e ingegneria delle industrie del settore dentale.
Le azioni organizzative riguardano i tempi, le pause e la ripartizione di diversi compiti e carichi di
lavoro, compito facilmente ottenibile in odontoiatria; attività che tipicamente lascia una sostanziale discrezionalità agli operatori.
Le azioni educative tendono a chiarire il significato e l’importanza e le concrete modalità di applicazione per gli operatori in modo che possano adottare le misure di prevenzione (nozioni di anatomia
e fisiopatologia, consigli di comportamento nell’esecuzione di gesti lavorativi ed extralavorativi).
Esistono posture fortemente consigliabili per la
salvaguardia di muscoli, ossa e articolazioni, mentre altre sono del tutto errate; non esiste comunque una posizione perfetta e non è da escludere
che occasionalmente posizioni scorrette possano
essere assunte per brevi periodi per esigenze operatorie.
È quindi importante rispettare alcune prescrizioni
fondamentali nella prevenzione delle patologie del
rachide:
• assumere posizioni di lavoro corrette che permettano l’obiettivo teorico di mantenere il più
possibile il rachide in asse sui due piani frontale e sagittale (cioè schiena ben distesa);
• evitare posture sbilanciate o inclinate lateralmente che provocano carichi extrassiali sui dischi intervertebrali o posizioni curvate in avanti che alterino le curvature fisiologiche del rachide;
• controllare i fattori sistemici di rischio per la
lombalgia (obesità, vita sedentaria);
• applicare modelli di esercizio fisico compensatorio (stretching, ginnastica medica, posture
antalgiche).
Esistono precise e definite figure per una corretta
posizione di lavoro che possono essere sinteticamente ricordate.
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DELLA LOW BACK PAIN SYNDROME
Fattori di rischio
Prevenzione
• Fattori predisponenti sistemici
Sedentarietà
Obesità
Corrette abitudini alimentari
Esercizio fisico compensatorio
• Postura scorretta
Posizione eretta unipode
Posizione seduta curvata in avanti
Adottare posizioni fisiologiche senza torsioni
del rachide:
• regolando la posizione del paziente
• lavorando eretti, allargare i piedi per garantire
• una base di appoggio allargata
• lavorando seduti, mantenere il rachide in asse
• Postura statica
Mantenimento per lunghi periodi di tempo
della stessa posizione anche se corretta
73
Mutare posizione 5-10 minuti ogni ora
Controllare il ritmo e l’ampiezza respiratoria
74
MEDICINA DEL LAVORO
• Sedersi in modo centrato e bilanciato sul seggiolino e regolarne l’altezza in modo da avere
l’asse del femore parallelo al pavimento, un angolo di 105-115° al ginocchio, la pianta dei piedi
appoggiata al suolo.
• Mantenere il corpo simmetrico e bilanciato
(spalle rilassate e parallele al pavimento; rachide esteso, allungato e appoggiato allo schienale
del seggiolino; gabbia toracica espansa; avambraccia rilassate e parallele al pavimento; gomiti vicino al corpo).
• Posizionare il paziente (regolando la poltrona,
il poggiatesta e spostando la testa del paziente)
e scegliere la posizione di lavoro “a orologio” in
modo da assicurare la visibilità del sestante
operativo senza dovere inclinare il capo e il busto più di 15° in avanti o di lato.
• Controllare periodicamente (circa ogni quarto
d’ora) la propria postura per correggere posizioni errate.
• Interrompere e cambiare periodicamente la
posizione di lavoro anche se corretta. Si stima
che alternanze sostanziali della postura devono
intervenire per periodi di 5/10 minuti almeno
ogni ora.
• Controllare periodicamente il ritmo respiratorio, ricercando una effettiva espansione toracica (spesso respiriamo con escursione troppo ri-
90°
Fig. 10 Postura del rachide scorretta con sedia tradizionale
dotta) e controllando che l’espirazione sia lievemente più lunga della inspirazione (ad esempio, espirazione 4 secondi ed inspirazione 3 secondi). In tal modo viene ridotto il volume residuo di aria polmonare e aumentato il volume
corrente, garantendo una miglior ossigenazione
di tutti i tessuti e quindi dei muscoli.
Per gli operatori sanitari affetti da rachialgia è
consigliabile utilizzare delle particolari sedie regolabili, disponibili sul mercato, che consentono una
corretta postura (simile a quella ortostatica) per la
prevenzione delle algie vertebrali.
Una risoluzione ergonomica è caratterizzata dalla
presenza di un piano di appoggio inclinato in avanti che consente una flessione ideale di 60-70° delle
anche, lo scarico di una parte del peso sulle ginocchia (figure 10 e 11).
In tale modo l’angolo di inclinazione del piano
sacrale (angolo formato dal margine superiore
della prima vertebra sacrale con il piano orizzontale) viene mantenuto su un valore di 20-50° simile alla posizione ortostatica; garantendo, quindi, una distribuzione fisiologica delle pressioni interdiscali.
Una ulteriore possibilità è data dal seggiolino a
sella di Bambach, che persegue gli stessi obiettivi
ed è stata appositamente adattata per gli operatori sanitari.
60°
a 70°
Fig. 11 Correzione della postura del rachide con seggiola
ergonomica
CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
Sindromi muscoloscheletriche del distretto
cervico-brachiale
Sotto il profilo pratico CTD è un termine collettivo per le sindromi muscolo-scheletriche del distretto cervico-brachiale, caratterizzate da affaticamento, limitazione funzionale, disabilità, dolore persistente a carico di articolazioni, muscoli,
tendini, nervi e tessuti molli senza lesioni organiche evidenti.
Il meccanismo patogenetico con cui il sovraccarico meccanico agisce è da ascrivere a un affaticamento cronico delle strutture muscolari e articolari (faccette), a una irritazione delle strutture
tendinee e peritendinee; il perdurare nel tempo
può condurre a coinvolgimento dei nervi periferici (plesso brachiale) e forme canalicolari.
La sindrome da tensione cervicale è una cervicobrachialgia di origine posturale causata da posizioni scorrette di lavoro; in particolare dall’abitudine di lavorare in visione diretta, posizionandosi
di lato al paziente seduto, situazione che obbliga,
per i sestanti latero-superiori, ad allungare e inclinare il capo causando un sovraccarico del rachide in zona cervicale bassa con possibile radico-
75
patia C6-C7 e parestesia nel territorio di innervazione ulnare (dito mignolo e anulare).
Il tipo più comune di CTD è la sindrome del tunnel carpale, una neuropatia da compressione del
nervo mediano nel tunnel carpale.
Il nervo mediano innerva il pollice, l’indice, il medio, la superficie cutanea mediale dell’anulare e il
palmo della mano; il tunnel è formato dall’arco disegnato dalle ossa carpali e dal legamento carpale trasverso.
Un tipico meccanismo lesivo si verifica nella
scorretta esecuzione dello scaling quando l’operatore, tenendo lo strumento con l’impugnatura a
penna modificata mediante indice, medio e pollice, omette di esercitare l’azione di fulcro con l’anulare sull’arcata dentale; il movimento di attivazione scorretto, limitato all’uso delle dita e del
polso, provoca un’eccessiva tensione flessoria del
polso e la compressione del nervo periferico (figura 12).
I sintomi della sindrome sono costituiti da parestesie e disestesie a comparsa spontanea notturna e diurna, ipoestesia e ipostenia della zona irrorata dal nervo mediano; i pazienti possono lamentare un senso di fatica con parziale difficoltà ad
afferrare oggetti sottili od occasionali cadute di
mano degli oggetti stessi, dita fredde e dolore
spontaneo (figura 13).
Ossa carpali
Legamento carpale trasverso
Nervo mediano
a
b
Fig 12 Effetti della posizione di lavoro del polso
a. Posizione corretta di lavoro del polso, disteso e in linea con il braccio
b. Il piegamento del polso per una posizione di lavoro scorretta può comprimere ripetutamente il nervo mediano nel tunnel causando la sindrome del tunnel carpale
76
MEDICINA DEL LAVORO
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DEL CUMULATIVE TRAUMA DISORDERS
Fattori di rischio
• Ripetitività
Movimenti ripetuti di flessione, estensione
e rotazione dell’avambraccio
gli appuntamenti
• Forza
Prese prolungate e con pressione elevata
degli strumenti di lavoro
Presa a penna modificata senza utilizzazione
dell’anulare come fulcro
• Postura scorretta
Spalle e schiena curve, braccia in posizione
elevata, gomiti piegati più di 90°,
posizioni forzate del polso
• Postura statica
Mantenimento per lunghi periodi di tempo
della stessa posizione anche se corretta
Nervo radiale
Nervo mediano
Nervo ulnare
Fig. 13 Sintomatologia della sindrome del tunnel carpale
Prevenzione
Evitare movimenti ripetitivi o intervallarli
con adeguati periodi di riposo, programmando
Diminuire l’utilizzazione della forza
Utilizzare strumenti adatti per diametro
dell’impugnatura e caratteristiche che permettano
una utilizzazione senza sforzo
Mantenere spalle, gomiti e polsi in posizioni
naturali e rilassate
Lavorare in una posizione corretta senza inclinare
la testa e la schiena
Eseguire esercizi compensatori (stretching)
per avambracci, collo, spalle e schiena. Eseguire
attività di scarico sul rachide in toto
(attività motoria o rilassamento in acqua)
Due tipici segni diagnostici sono:
• test di Phelan che consiste nel posizionare le
superfici dorsali delle mani a contatto e quindi
nel flettere di 90° i polsi mantenendo la posizione per un minuto; il test è positivo nel caso
compaia parestesia;
• test di Tinel, che consiste nel picchiettare con il
dito sulla superficie ventrale del polso in corrispondenza del nervo mediano; il test è positivo
in caso di comparsa di dolore o sensazione di
scossa.
La prevenzione per diminuire l’incidenza della sindrome si basa sull’utilizzazione corretta degli strumenti e delle posizioni di lavoro.
CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
Ginnastica compensatoria nelle lombalgie
Torsione lombo-pelvica e trazione verticale del rachide lombare alla spalliera.
Stretching dei muscoli ischio-crurali e glutei
Stretching dei muscoli dorsali e lombari dalla posizione quadrupedica.
77
CAPITOLO 9
RADIAZIONI IONIZZANTI
F. Montagna, R. Lucca
Cenni di fisica
una energia maggiore rispetto alle seconde alle
quali è associata una quantità di energia minore.
Una radiazione è definita ionizzante quando la sua
energia è sufficiente a causare la perdita di elettroni da atomi stabili della materia in cui si propaga.
Le fonti di irraggiamento sono molteplici, tra cui ricordiamo, in particolare, quelle che maggiormente
preoccupano l’odontoiatra: il fondo naturale (valore medio annuo calcolato in 2 mSv) e gli impianti
di generatori di raggi X utilizzati per la diagnosi.
I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche definite da una lunghezza d’onda, un periodo e una
frequenza; schematizzando, possiamo sintetizzare
la loro azione come il passaggio attraverso la materia e la cessione della loro energia che determi-
Per radiazione si intende l’energia trasferita attraverso lo spazio, misurata in elettronvolt (eV).
In base alla loro capacità di ionizzazione, le radiazioni si distinguono in ionizzanti (ad esempio, raggi X, raggi gamma, radiazioni alfa, beta e neutroni,
radiazioni ionizzanti elettromagnetiche) e non ionizzanti (ad esempio, radiazioni ottiche e sonore,
radiofrequenze, microonde, campi elettromagnetici) come riportato nella figura 1.
Le prime sono misurate in elettronvolt (> 12 eV) e
determinano un rischio biologico elevato a seguito
di esposizione professionale, in quanto associate a
Radiazioni non ionizzanti (NIR)
ELF
Radiazione ottica
Radiazioni ionizzanti
RF
MW
300 MHz
IR
VIS
UV
gamma X
raggi cosmici
300 GHz
f (Hz)
760 nm
1m
1 mm
100 nm
10-4 nm
400 nm
12
Fig. 1 Spettro elettromagnetico
λ (m)
hf (eV)
CAPITOLO 9 • RADIAZIONI IONIZZANTI
79
Tab. 1 Effetti stocastici e non stocastici delle radiazioni ionizzanti (da Mays 1988)
EFFETTI
DOSE SOGLIA
GRAVITÀ/DOSE
NO
NO
SÌ
SÌ
Dermatite
Cataratta
Sterilità
Anemia
• Classe II
NO
SÌ
Ritardo mentale
Ritardo di crescita
Teratogenesi
• Classe III
SÌ
NO
Stocastici (probabilistici)
Non stocastici (deterministici)
• Classe I
na l’espulsione dall’atomo di un elettrone (ionizzazione).
Il danno chimico che si determina nella materia vivente e gli effetti sulle cellule dipendono dalla dose assorbita e dalla durata di esposizione e consistono in alterazioni del DNA, attraverso una complessa catena di fenomeni chimico-fisici e alterazioni biologiche.
I meccanismi di azione ipotizzati sono diversi ma
riconoscono come tappa finale la formazione di
radicali liberi; cioè di molecole (o atomi) elettricamente neutre, molto reattive che tendono a interagire con altre molecole accoppiando (ossidazione) o cedendo (riduzione) l’elettrone spaiato
presente nell’orbita esterna. La formazione di radicali liberi può avvenire per azione diretta (teoria
dell’urto) o indiretta per attivazione dell’acqua intracellulare (radiolisi).
ESEMPI
Neoplasie maligne
Effetti genetici (mutazioni)
Carcinoma cutaneo
Radiobiologia
La radiobiologia studia le interazioni delle radiazioni ionizzanti con la materia vivente, gli effetti
che ne derivano e le loro conseguenze.
Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sono
classificati in due categorie (tabella 1).
• Graduati (deterministici o non stocastici) che
avvengono sistematicamente dopo l’esposizione; sono legati ad una dose soglia e la gravità
del loro effetto sui tessuti è direttamente proporzionale e dipendente dalla dose; causano
danni di tipo esclusivamente somatico e il loro
effetto è a carico di più cellule (policitico).
• Stocastici (probabilistici), che possono verificarsi dopo irradiazione; sono gravi e irreversibili; si realizzano sulla persona irradiata (effetti
somatici) o nella sua discendenza (effetti gene-
CRITERI PER LA RADIOPROTEZIONE SECONDO LA ICRP
• Principio della giustificazione, secondo cui non si devono usare radiazioni ionizzanti se non si produce un netto beneficio (principio della prevenzione del rischio indebito)
• Principio della ottimizzazione secondo cui i vantaggi, ottenuti riducendo la dose al di sotto dei limiti
raccomandati, devono essere ponderati con l’aumento dei costi che ne risulta; quindi, ogni esposizione deve essere mantenuta al livello più basso che si possa ragionevolmente ottenere, tenendo conto
degli aspetti economici e sociali (principio ALARA, “as low as reasonably achievable”)
• Principio della limitazione delle esposizioni individuali, secondo cui l’equivalente di dose non deve superare i limiti raccomandati
80
MEDICINA DEL LAVORO
tici); non riconoscono una dose soglia, anche se
l’aumentare della dose aumenta la probabilità
di comparsa dell’effetto, effetto che è a carico
di una o poche cellule (aplocitico). Il modello
assunto dalla ICRP (International Commission
on Radiological Protection) assume la proporzionalità lineare senza soglia, per cui ogni dose,
anche la più piccola, potrebbe essere in grado
di indurre un tumore o un danno genetico.
Radioprotezione
La radioprotezione si pone l’obiettivo di preservare lo stato di salute e di benessere dei lavoratori e
dei soggetti che compongono la popolazione, riducendo i rischi sanitari da radiazioni ionizzanti
nelle diverse attività che ne comportano l’esposizione.
I principi fondamentali fanno riferimento alla
ICRP che ha sancito i tre criteri basilari della radioprotezione, il cui scopo consiste nell’impedire
gli effetti deterministici, fissando i limiti massimi
di dose annua, e di limitare gli effetti probabilistici (stocastici) a livelli considerati accettabili.
Tra le grandezze fondamentali della dosimetria e
le relative unità di misura ricordiamo i tre parametri importanti, ai fini del monitoraggio del rischio biologico:
• la dose di esposizione misurata in Sv (sievert);
• la dose assorbita che misura la quantità di energia ceduta in una massa unitaria di tessuto: la
unità di misura corrente è il gray (Gy) pari a 1
joule/kg;
• l’unità di dose equivalente (H) che è la grandezza dosimetrica convenzionale (indicatore di effetto) che tiene conto della dose assorbita e del
suo effetto.
La normativa di riferimento per la radioprotezione
è rappresentata dal D.P.R. n. 185 del 13/2/64, il
D.M. 2/2/71 e il D.Lgs. 230 del 17/3/95 che recepisce le direttive EURATOM dal 1980 al 1992.
In base a tali normative per la radioprotezione in
ambito medico vengono individuati alcuni concetti:
• una zona controllata, in cui il rischio è maggiore ed è necessaria la sorveglianza fisica; mentre
la sorveglianza medica è obbligatoria se vi è la
presenza di “lavoratori esposti”;
• una zona sorvegliata, in cui il rischio è minore
ed è necessario esercitare solo la sorveglianza
fisica;
• i lavoratori esposti sono classificati in categorie
(A e B) con obblighi, inerenti alla sorveglianza
sanitaria periodica, differenziati in relazione alle dosi individuali annuali a cui sono esposti
(D.Lgs. 230 del 17/3/95).
Per la radioprotezione in odontoiatria, la situazione è semplificata in relazione alle diverse applicazioni e condizioni di lavoro che sottendono un minore rischio da radiazioni.
La zona sorvegliata di norma non viene individuata poiché compresa all’interno della zona controllata, che, per definizione, dovendo avere l’accesso
regolamentato e contrassegnato, si fa corrispondere a tutta la sala odontoiatrica.
La classificazione del personale odontoiatrico
consiste in “lavoratori non esposti” e “persone del
pubblico”; categorie che non presentano il rischio
di contaminazione o sovraesposizione accidentale
oltre i limiti individuali di dose di 1 mSv/anno raccomandati dall’ICRP n. 60 e sanciti dal D.Lgs.
230/95.
Per tali motivi non risulta necessaria la sorveglianza medica e i controlli, obbligatori per legge,
sono limitati alla sorveglianza fisica affidata all’esperto qualificato che effettua:
• la delimitazione delle zone;
• l’esame e il controllo dei dispositivi di protezione (esame preventivo dei progetti e modifiche);
• la prima verifica di nuovi impianti;
• controllo periodico dell’efficacia dei dispositivi
tecnici di protezione, delle buone condizioni di
funzionamento e del loro impiego corretto.
Per tali attività l’esperto qualificato è delegato dal
datore di lavoro che resta, comunque, il principale responsabile dell’osservanza delle norme di sicurezza.
Esposizione professionale
in odontoiatria
Le attuali misure di prevenzione e controllo sono
più che sufficienti per garantire l’assoluta tranquillità degli operatori che si attengono alle norme
di sicurezza e non sono ipotizzabili sovraesposizioni o contaminazioni accidentali.
A conferma di questa asserzione la assoluta mancanza di danni da radiazione denunciati all’INAIL
da parte del settore odontoiatrico e la costante negatività dei controlli dosimetrici, constatate nella
pratica clinica.
Citiamo, come esempio, un controllo eseguito su
139 letture trimestrali per un periodo di 6 anni (Leghissa 1995) che ha evidenziato due soli controlli
CAPITOLO 9 • RADIAZIONI IONIZZANTI
superiori a 40 microsievert in due diverse annualità; valori che non hanno, quindi, mai superato la
dose soglia.
Va ricordato peraltro che il controllo dosimetrico
rappresenta un procedimento di sorveglianza medica individuale non obbligatorio in ambito odontoiatrico ma eseguito occasionalmente a scopo di
controllo, come misura facoltativa, da alcuni
odontoiatri sensibili alla problematica della radioprotezione.
Rimane tuttavia un rischio potenziale (teorico)
che consiste in danni stocastici (probabilistici) a
insorgenza tardiva essenzialmente rappresentati
da effetti genetici sulla prole o neoplasie maligne.
In odontoiatria il rischio che radiografie endorali
possano provocare neoplasie è stata valutata in
2,3 casi per milione (Wall e Kendall 1983) e correlato all’uso scorretto di apparecchiature malfunzionanti o non protette da schermature.
Esposizione
della popolazione
Per quanto attiene all’impatto delle radiografie
odontoiatriche sulla popolazione è opportuno
considerare che esse rappresentano una parte cospicua delle radiazioni diagnostiche e terapeutiche; ma che, comunque, l’esame della letteratura
non evidenzia un significativo rischio di danno da
radiazioni per i pazienti.
• Nel 1982 Gibbs stimava che il rischio di neoplasia da radiazioni dentali fosse un caso per milione di abitanti, mentre il rischio di danni genetici era valutato un caso su un miliardo; il livello di rischio era ritenuto sostanzialmente sovrapponibile per le ortopanoramiche e per l’esame completo con endorali.
• Nel 1983, Wall e coll. pubblicavano i risultati di
una vasta ricerca effettuata nel 1981 in Gran
Bretagna, secondo cui nel 1981 erano state effettuate circa 6,7 milioni di endorali e 910.000
ortopantomografie. Il rischio di tumori mortali
era calcolato rispettivamente in 0,33 e 1,3 casi
per milione; mentre la dose collettiva assorbita
era stimata in circa 212 Sy, che, tenendo conto
di fattori come età e sesso, produceva circa 3
ulteriori casi mortali per anno.
• Nel 1987, Stentsom e coll. calcolavano la dose
equivalente effettiva per 20 esposizioni con film
D-speed e 65 kV, ritenendola equivalente a 0,23
mSy con collimatori circolari e a 0,14 mSy con
81
collimatori rettangolari. Queste dosi corrispondevano, rispettivamente, ad un tempo d’esposizione alla radiazione naturale di 6 e 3 settimane
circa.
• Nel 1990 Danforth e coll. calcolavano che il rischio di contrarre una leucemia da una Rx endorale (90 kV) era di un caso su 7,69 milioni di
abitanti; statisticamente equivalente al rischio
di morte per cancro fumando 0,94 sigarette nel
corso di tutta la vita o al rischio di morire per
incidente d’auto guidando per 3,7 km. Per avere
effetti dannosi (non stocastici) alla cataratta
occorrono circa 10.900 endorali.
• Nel 1992 White valutava il rischio totale in 2,5
neoplasie mortali per 10 milioni di indagini
complete con endorali, eseguite con pellicole
D-speed e collimatore circolare. I rischi erano
maggiori (secondo dati ICRP) per leucemie e
tumori della tiroide.
• Nel 1995 Langlais e coll. accertavano che i rischi da Rx dentali riguardavano principalmente
i tessuti somatici e poco i tessuti genetici. Inoltre il rischio relativo risultava, generalmente, 10
volte superiore per un esame completo tramite
endorali che per una ortopantomografia. Secondo i loro risultati per le lavoratrici in gravidanza poteva essere accettato come valore soglia un decimo del limite normale di esposizione ritenuto sicuro per la popolazione generale.
Accanto a questi dati, comunque, alcune indagini
epidemiologiche eseguite sulla pratica radiologica
e sulle conoscenze di radioprotezione da parte degli odontoiatri ha, talora, evidenziato alcune carenze di preparazione specifica e atteggiamenti
clinici che sottendono un ingiustificato aumento
del rischio da radiazioni per la popolazione esposta a indagini radiologiche odontoiatriche.
• Nel 1989 Goren e coll. utilizzavano un questionario, riempito da 132 dentisti del Long Island
Medical Center di New York, da cui, tra l’altro,
si accertava che solo il 13% utilizzava i film di
classe E a bassa esposizione.
• Nel 1994 Bohay e coll. effettuavano una interessante indagine statistica su 963 dentisti della provincia dell’Ontario (Canada): dall’analisi dei dati
si evinceva che più del 75% delle radiografie era
stato effettuato da circa il 10% degli intervistati; le
pellicole veloci E-speed erano usate solo dall’11%; il collimatore rettangolare dall’8%; mentre il
2% faceva ancora tenere la lastrina dal paziente.
• Sempre nel 1994 Horner valutava in più di 16
milioni le Rx dentali effettuate in un anno nella
sola Inghilterra e Galles.
82
MEDICINA DEL LAVORO
Un problema particolarmente dibattuto è inerente
all’utilità di eseguire esami radiologici sistematici
sulla popolazione, prevalentemente con ortopantomografie; numerose indagini ritengono non giustificato il rapporto costo-beneficio (numero di
diagnosi eseguite in rapporto all’aumento del rischio da radiazioni) di questa prassi e sconsigliano, quindi, l’esecuzione di screening in assenza di
specifiche indicazioni diagnostiche.
• Nel 1989 Ignelzi e coll. effettuavano 849 ortopanoramiche relative a bambini dai 3 ai 9 anni, pazienti della scuola di odontoiatria del North Carolina: dal loro esame emergeva che il 2,4% aveva dei soprannumerari, il 7,8% aveva delle agenesie, il 9,1% aveva eruzioni ectopiche. Sulla
scorta dei risultati raggiunti concludevano che
non vi è una reale necessità di screening come
quello da loro effettuato.
• Nel 1996 Rushton e coll. valutavano in circa 1,5
milioni le ortopanoramiche effettuate in Inghilterra e Galles, effettuavano quindi una profonda
revisione della letteratura sulla qualità e precisione diagnostica delle OPT. Sulla base delle indagini esaminate suggerivano una maggiore attenzione nella indicazione, a causa di molti difetti di diagnosi per la cattiva qualità delle immagini.
• Nel 1997 Richardson sottoponeva a screening
dentali con OPT un gruppo di 1101 reclute della RAF (Royal Air Force) britannica, dell’età
media di 19 anni. Vennero riscontrate: 3 grosse
aree radiotrasparenti, 75 aree radiotrasparenti
periradicolari, 4 probabili cisti, 1187 terzi molari non erotti. Le sue conclusioni furono che “la
possibilità di rivelare le predette patologie con
Rx endorali mirate dalla clinica non giustificava
l’uso di screening OPT nei giovani”.
Orientamenti
per la prevenzione
L’odontoiatra che utilizzi apparecchiature radiologiche deve rispettare gli obblighi di legge previsti
dal D.Lgs. n. 230 del 17/3/95 (Attuazione delle direttice EURATOM 80/836, 84/466, 84/467,
89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni
ionizzanti).
È necessario procedere a nominare un esperto
qualificato (EQ) per la sorveglianza fisica della radioprotezione e seguirne le indicazioni che consistono in misure diverse:
• individuare e limitare gli ambienti in cui sussistono rischi da radiazioni;
• predisporre norme interne di protezione e sicurezza; curare che copia di tali norme sia consultabile dai lavoratori; controllare che tali norme
siano rispettate;
• informare i lavoratori sui rischi connessi;
• fornire i mezzi di protezione previsti;
• aggiornare la documentazione in seguito a modifiche degli apparecchi radiologici (tipo, numero, disposizione, modalità di impiego) o dell’ambiente (modifiche, demolizioni, spostamento dei riuniti);
• controllare periodicamente l’efficacia dei dispositivi ed effettuare la sorveglianza fisica dell’ambiente.
In conclusione, non vi è dubbio che tutte le fonti
bibliografiche esaminate indichino che il rischio
rappresentato dalle radiazioni ionizzanti, utilizzate
in odontoiatria, sia poco significativo, sia per i pazienti che per gli operatori.
Considerando, comunque, l’elevato numero di
esami radiografici effettuato, è opportuno valutare il possibile danno di tipo stocastico (cioè non
dose-dipendente) utilizzando ogni accorgimento
praticabile per ridurre la dose di radiazioni assorbita dalla popolazione, o accidentalmente dagli
operatori.
In pratica, evitare screening non giustificati con
ortopantomografie o radiografie endorali corrisponde al principio di giustificazione e a quello di
limitazione delle esposizioni individuali; mentre
utilizzare metodiche radioprotezionistiche soddisfa il principio di ottimizzazione.
In questo ultimo ambito va ricordata l’importanza
di utilizzare misure che sono in grado di ridurre l’esposizione alle radiazioni in modo consistente (dal
20 al 60%), come l’adozione di apparecchiature moderne, film ultraveloci, collimatori (per le radiografie endorali), schermi di intensificazione e filtri
a base di terre rare (per le ortopantomografie).
CAPITOLO 10
PATOLOGIE OCULARI
F. Montagna, M. Vianini
Lo studio delle patologie oculari occupazionali rimanda a tre ordini di considerazioni in materia di
patologie occupazionali.
• I traumi causati da agenti chimici e fisici inquadrabili come infortuni professionali.
• I danni oculari causati dall’esposizione, prolungata o acuta, a radiazioni ottiche (fotopolimerizzatori, laser) inquadrabili nell’ambito degli
infortuni o delle malattie professionali.
• Disturbi oculari, visivi e/o generali dovuti alle
condizioni del luogo di lavoro (illuminazione,
videoterminali) e al tipo di attività svolta.
In realtà le patologie oculari non rappresentano un
rischio professionale e l’importanza delle radiazioni ottiche in odontoiatria è limitata ad una corretta illuminazione del campo operatorio per la corretta percezione dei colori e la discriminazione di
particolari anatomici nella esecuzione delle cure.
Unica eccezione consiste nei traumi oculari da
corpi estranei, forieri di patologie acute, temporanee e di scarsa gravità.
Improbabili o eccezionali appaiono, invece, altre
ipotesi di danni oculari, peraltro analizzate in questo capitolo per esigenze di completezza.
l’illuminamento (e), cioè il flusso luminoso che
raggiunge una unità di superficie, espressa in lux
(lux = lumen/m2).
La luminanza (l) è invece l’intensità luminosa riferita all’unità di superficie; la sua unità di misura è
la candela.
Va sottolineato che, oltre alla quantità della luce,
in realtà sono molte le variabili che concorrono a
rendere congrue le condizioni illuminotecniche, la
cui importanza in odontoiatria è fondamentale,
per una corretta percezione del colore, importante per il risultato estetico.
Le funzioni visive in una attività lavorativa che implica l’osservazione di un punto di fissazione tra i
30 e i 50 cm sono diverse.
• L’acuità visiva corrisponde alla capacità dell’occhio di discriminare dettagli spaziali e quindi di
poter distinguere nettamente due punti o due linee come immagini distinte. I fattori che la condizionano sono lo stato refrattivo (miopia, presbiopia), l’intensità luminosa, il contrasto, la
CONDIZIONI ILLUMINOTECNICHE
Illuminazione
del luogo di lavoro
Nel lavoro odontoiatrico la funzione visiva è sollecitata in modo consistente dalle specifiche condizioni di lavoro nelle quali possono coesistere due
situazioni a rischio come l’illuminazione inadeguata e l’attività ad elevato impegno visivo.
Cenni di fisica e fisiologia
Tra le principali grandezze fotometriche, utilizzate
per misurare l’illuminazione, la più conosciuta è
• L’illuminamento, misurato in lux, è il flusso luminoso che raggiunge l’unità di superficie, cioè
la quantità della luce
• La temperatura di colore di una sorgente luminosa, misurata in gradi kelvin, indica il colore
apparente ed è fondamentale per ridurre le modificazioni cromatiche di ciò che l’occhio umano percepisce
• L’indice massimo indica la continuità dello spettro luminoso, nella luce bianca naturale è del 100%
• Il punto di colore indica il rapporto tra i vari
componenti della luce (blu, rosso, giallo)
• Altre variabili sono rappresentate dal contrasto,
i fenomeni di riflessione e l’abbagliamento
84
MEDICINA DEL LAVORO
trasparenza dei mezzi diottrici (cristallino), la
funzionalità retinica e del nervo ottico.
• Il complesso della visione da vicino, cioè l’azione sinergica fra:
– l’accomodazione, meccanismo automatico
dell’occhio per ottenere la visione nitida di
oggetti posti a distanza diversa, grazie alla
proprietà del cristallino di poter variare la
sua curvatura;
– la convergenza, movimento disgiunto (vergenza) che provoca un aumento dell’angolo
formato dagli assi visivi, il cui risultato è una
posizione convergente degli assi visivi;
– il restringimento pupillare, che avviene nel
mettere a fuoco oggetti vicini.
• L’adattamento rappresenta la capacità dell’occhio di adeguarsi al variare dell’illuminazione
dell’ambiente, attraverso diversi meccanismi
(riflesso fotomotore pupillare, sensibilità retinica alla luce, modulazione della frequenza degli
impulsi lungo le vie ottiche).
Illuminazione, funzioni visive
e lavoro in odontoiatria
La prestazione odontoiatrica consiste in un lavoro
che sollecita l’apparato visivo a causa di molteplici caratteristiche: necessita di una ottimale focalizzazione di oggetti piccoli a una distanza di circa
30-50 cm con una area di lavoro ristretta e di dimensioni ridotte; richiede una elevata illuminazione che, dato il ristretto campo operatorio, può facilmente essere inadeguata in alcune posizioni.
L’uso di una elevata illuminazione, inoltre, può
causare situazioni di abbagliamento; fenomeno
che è dato da una eccessiva differenza di luminanza tra due superfici e che, nei casi estremi, porta a
vedere solo l’oggetto luminoso abbagliante e non
il campo circostante.
Se gli impegni occupazionali richiesti sono superiori alle capacità funzionali dell’apparato visivo ne
può derivare una diminuzione delle prestazioni, un
aumento di errori e l’insorgenza di veri e propri disturbi visivi, oculari e/o generali che possono essere definiti con il termine di fatica visiva o astenopia.
Con il termine di astenopia si intende una sindrome clinica, causata da un disagio della visione, che
si manifesta con un insieme di sintomi e segni in
prevalenza oculari ma anche generali.
Le manifestazioni della astenopia, varie, multiformi, più o meno associate fra loro, sono riportate
nella tabella 1. Numerosi sono i fattori all’origine
dell’affaticamento visivo e possono essere divisi
in ambientali, oculari e sistemici.
Tra i fattori ambientali occorre ricordare soprattutto le carenze della illuminazione (insufficiente
o maldistribuita) e i difetti del campo di osservazione quali minuzia dei dettagli (caratteri di stampa molto piccoli, miniature dell’industria elettronica o dell’artigianato), scarsità del contrasto (come in molti caratteri tipografici moderni), movimenti ritmici e continui (processi industriali a catena, pagine in lettura durante i viaggi).
Molti sono i fattori oculari: ametropie non corrette, disturbi accomodativi, eteroforie, deficit della
convergenza, deficit della fusione, aniseiconia.
Infine, vanno ricordati i fattori sistemici, sia organici, quali debolezza costituzionale, deperimento generale nella convalescenza, nel puerperio,
nell’allattamento, nella scarsa nutrizione, stati di
surmenage, sia funzionali, come neurolabilità,
emozioni, stati ansiosi, ecc.
Tab. 1 Sintomi e segni dell’astenopia
ASPETTI VISIVI
ASPETTI OCULARI
ASPETTI GENERALI
Riduzione della acuità visiva
Miopizzazione transitoria
Transitorio allontanamento del punto prossimo
Comparsa o aumento di forie
Fotofobia
Visione sfocata
Visione sdoppiata
Aloni colorati
Effetto McCollough (visione rosata)
Lacrimazione
Ammiccamento aumentato
Prurito
Irritazione
Secchezza
Bruciore
Sensazione di sabbia sotto le palpebre
Pesantezza dei bulbi
Dolore, arrossamento congiuntivale
Alterazioni qualitative/quantitative
Cefalea
Astenia
Nausea
Dispepsia
Vertigine
Tensione generale
CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI
Va infine ricordato che il D.Lgs. 626/94 impone una
valutazione dei rischi da videoterminali (VDT) e la
sorveglianza sanitaria in tutti i posti di lavoro ove
questi siano utilizzati per più di 4 ore continuative.
Allo stato attuale non sono disponibili dati scientifici che sostengano affaticamento visivo e astenopia a seguito dell’uso di sistemi ingranditori il cui
uso si sta diffondendo in odontoiatria (occhiali ingranditori, stereomicroscopi).
Orientamenti di prevenzione
Per quanto riguarda gli ambienti di lavoro, l’illuminazione deve rispondere ad alcuni requisiti fondamentali in modo da risultare:
• sufficiente al compito visivo richiesto;
• non riflettente-abbagliante;
• uniforme con un giusto equilibrio tra luce ed
ombra;
• di composizione spettrale simile alla luce naturale.
La qualità della luce in odontoiatria per la corretta
percezione dei colori è di 4500-6000 kelvin e indice simile alla luce naturale (100%).
Il range di illuminamento nello studio odontoiatrico varia nelle diverse zone a seconda dei compiti
richiesti come indicato dalla normativa Din 67505
che indica i seguenti valori:
• 2400 lux nel campo operatorio (bocca del paziente);
• 1000 lux nella zona perioperatoria (0,5 m attorno alla bocca);
• 550 lux nella zona di servizio (0,5-1 m attorno
alla bocca).
Nella tabella 2 sono stati riportati nelle prime due
colonne i valori orientativi comunemente accetta-
85
ti in ambito di medicina del lavoro per i diversi
compiti; nella terza la zona operatoria, che può essere considerata equivalente nello studio odontoiatrico.
Radiazioni ottiche
Con il termine di radiazioni non ionizzanti (NIR) si
intendono tutte le forme di radiazioni elettromagnetiche il cui meccanismo primario di interazione con gli organismi viventi è differente da quello
della ionizzazione.
Sono considerate NIR quindi le radiazioni ottiche
costituite dall’ultravioletto (UV), dal visibile (VIS) e
dall’infrarosso (IR); le radiofrequenze (RF), le microonde (MW) fino ai campi elettromagnetici caratterizzati da frequenze estremamente basse (ELF).
In odontoiatria rivestono interesse biomedico
esclusivamente le radiazioni ottiche la cui utilizzazione può comportare, in alcune condizioni di impiego scorrette, un rischio professionale per il personale sanitario. Le radiazioni elettromagnetiche
presentano evidenti caratteristiche ondulatorie
che sono costituite dalla frequenza e dalla lunghezza d’onda (figura 1).
• La frequenza consiste nel numero di oscillazioni al secondo dell’onda e la sua unità di misura
è l’hertz (Hz); un’onda che ha una oscillazione
al secondo ha una frequenza di 1 Hz.
• La lunghezza d’onda è la distanza minima tra due
punti in fase (o distanza tra i picchi o i ventri di
due onde successive); si misura in unità metriche.
• Frequenza e lunghezza d’onda sono legate da
una relazione costante e risultano quindi grandezze inversamente proporzionali.
Dal punto di vista biomedico è importante tenere
Tab. 2 Livelli di illuminamento raccomandati in odontoiatria per diversi compiti visivi
COMPITI VISIVI
• Compito visivo di notevole difficoltà
• Compito visivo con speciali requisiti
• Compito visivo con dettagli critici
RANGE DI ILLUMINAMENTO (LUX)
> 2000
1500-2000
700-1500
PROPOSTA PER ZONA OPERATIVA
Campo operatorio (bocca del paziente)
Zona perioperatoria
(0,5 m attorno alla bocca)
• Esigenza visiva elevata
500-700
Zona di servizio
(0,5-1 m attorno alla bocca)
• Esigenza visiva media
• Esigenza visiva semplice
300-500
200-300
Zona periferica
86
MEDICINA DEL LAVORO
Banda
spettrale
(nm)
UVC
100
INTERAZIONE
UVB
280
PREVALENTE
UVA
315
VSBL
IRA
400
FOTOCHIMICA
760
IRB
1400
IRC
3000
PREVALENTE
10000
TERMICA
PENETRAZIONE
RELATIVA
DELLA
RADIAZIONE
Fig. 1 Spettro delle radiazioni ottiche
presente che l’energia trasportata da una radiazione (quindi la sua pericolosità) cresce al crescere
della frequenza; le radiazioni più energetiche
avranno quindi un’alta frequenza e una corta lunghezza d’onda e viceversa.
Raggi ultravioletti
I raggi ultravioletti si dividono in UVA, UVB, UVC
a seconda della lunghezza d’onda: i raggi UVC sono associati a una maggiore quantità di energia
(elevata frequenza) e sono quindi dotati di una
maggiore lesività; gli UVA possiedono un maggiore potere di penetrazione in relazione all’elevata
lunghezza d’onda. I principali usi delle radiazioni
UV (B e C)
IR (B e C)
ottiche UV in ambito odontoiatrico consistono:
• nel mantenimento di strumentario chirurgico sterilizzato in appositi armadietti per le loro caratteristiche germicide; modalità che non comporta
rischi per il personale sanitario dal momento che
gli spazi chiusi esercitano una schermatura;
• nell’indurimento di resine fotopolimerizzanti
che possono causare danni oculari limitati in
caso di uso scorretto; apparecchiature non più
attualmente in produzione in quanto soppiantate da attrezzature più moderne.
Per quanto riguarda l’occhio la maggior parte dei
raggi ultravioletti (UVB, UVC) si ferma sulla cornea (figura 2). A seconda della intensità della radiazione alla quale si è esposti, del tempo di esposizione e della distanza dalla fonte gli effetti dell’e-
UV (A)
Fig. 2 Assorbimento della radiazione ottica nelle diverse strutture oculari
VIS
IR
(A)
CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI
sposizione consistono in un insieme di sintomi
soggettivi e segni obiettivi che formano un quadro
clinico caratterizzato da sensazione di corpo estraneo o di sabbia, fotofobia, lacrimazione, blefarospasmo, con eritema della cute palpebrale, iperemia congiuntivale e disepitelizzazione corneale.
I disturbi si manifestano, in genere, dopo un periodo di 6-10 ore dall’esposizione (nelle radiazioni
fortissime la latenza può essere molto ridotta).
I sintomi durano 6-8 ore e in genere scompaiono
nel giro delle 48 ore; nei casi più gravi scompaiono nel giro di alcuni giorni. La possibilità che gli
UVA per usi prolungati raggiungano il cristallino e
lo danneggino in modo permanente (cataratta)
troverebbe conferma nel fatto che nella patogenesi della cataratta senile siano implicate le radiazioni ultraviolette della luce solare. Comunque, il
dato attende ulteriori evidenze scientifiche.
Lampade alogene e ARC plasma
La segnalazione di casi di cheratocongiuntiviti e
cataratte con perdita dell’acuità visiva tra operatori odontoiatrici dovute all’azione dei raggi ultravioletti ha portato alla graduale sostituzione con
altri tipi di polimerizzatori per resine composite:
• le lampade alogene la cui potenza è mediamente di 400 mwatt/cm2 nella maggior parte dei modelli (di recente immissione sul mercato modelli con potenza di 1000 mwatt/cm2);
• le lampade ARC plasma per la polimerizzazione
rapida, settore in rapida evoluzione in cui la potenza è mediamente di 20.000 mwatt/cm2.
87
Il rischio di danni permanenti dovuti a questi apparecchi rappresenta una ipotesi remota; è comunque possibile che esposizioni violente possano provocare ustione dei ricettori retinici, mentre
esposizioni brevi ma ripetute possano provocare
un progressivo invecchiamento degli stessi.
Le precauzioni consistono nell’evitare di guardare
la luce diretta e nell’utilizzare occhiali protettivi.
Laser
Laser è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, amplificazione
della luce per mezzo dell’emissione stimolata di
radiazione. È un fascio di radiazioni elettromagnetiche monocromatiche, coerenti e collimate, utilizzato in odontoiatria per diverse applicazioni come
la chirurgia (incisione, escissione di neoformazioni), la conservativa (preparazione di cavità) e l’endodonzia (sterilizzazione dei canali radicolari).
In commercio esistono diversi tipi di laser, che si differenziano in base alla sostanza dalla cui eccitazione
deriva il fascio di radiazioni; ciascun prodotto presenta caratteristiche peculiari (lunghezza d’onda,
potenza, collimabilità) che ne condizionano il settore di applicazione (Martelli, De Leo, Zinno 2000).
Il meccanismo biologico alla base dell’azione del
laser consiste nell’assorbimento dell’energia elettromagnetica da parte di quei cromofori del tessuto (emoglobina, acqua, pigmenti) che sono dotati
di un picco di assorbimento corrispondente alla
lunghezza d’onda del laser utilizzato; il successivo
rilasciamento termico determina una fototermolisi.
PERICOLOSITÀ, LUNGHEZZA D’ONDA E POTENZA DEI LASER
• Le radiazioni con lunghezza d’onda situata nel campo visibile (VIS, 400-760 nm) e le radiazioni infrarosse di tipo A prossime alla regione della luce visibile (IRA, 760-1400 nm) sono in grado di attraversare
l’occhio e di danneggiare la retina. Il fascio di raggi, infatti, può facilmente venire fatto convergere ed
essere focalizzato dal cristallino sulla macula lutea (zona deputata alla visione distinta e alla percezione dei colori), determinando un elevato rischio di distruzione con esiti di cecità parziale o completa
• Le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata nella regione dei raggi ultravioletti più vicini alla luce
visibile (UVA, 315-400 nm) riescono ad attraversare le prime strutture dell’occhio, cioè la cornea e l’umor acqueo e possono raggiungere il cristallino danneggiandolo (cheratocongiuntivite, cataratta)
• Le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata a maggior distanza dalla luce visibile si arrestano invece in corrispondenza della congiuntiva e della cornea, potendo causare cheratocongiuntiviti; si tratta in
questo caso dei raggi ultravioletti a lunghezza d’onda più corta (UVB 280-315 nm, UVC 100-280 nm) e degli infrarossi dotati di maggior lunghezza d’onda (IRB 1400-3000 nm, IRC 3000-10000 nm)
88
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 3 Prevenzione dei danni biologici da laser
RISCHIO
Danni oculari per radiazione
• diretta
PREVENZIONE
• riflessa (speculare, diffusa)
Non guardare il raggio con visione diretta
Non usare strumenti ottici non schermati (microscopi, occhiali ingranditori)
Utilizzare gli schermi specifici (occhiali protettivi, filtri montati su sistemi ottici)
Non usare strumentario riflettente (specchi, strumenti lisci non satinati)
Ustioni accidentali
Mirare e dosare l’applicazione su cute e mucose
Combustione, esplosione
Eliminare dal campo operatorio il materiale infiammabile (garze, solventi)
Il principale organo bersaglio del laser, potenziale
fonte di rischio professionale per gli operatori, è
l’occhio, in cui il danno può variare dalla congiuntivite alla cheratite, alla cataratta, alle lesioni retiniche con cecità.
La pericolosità dei laser è in relazione alla lunghezza d’onda e alla potenza che determinano la
capacità di penetrazione nelle strutture oculari, e
quindi l’entità del danno.
Le superfici cutanee e mucose possono essere, invece, sede di lesioni localizzate come ustioni di diversa profondità che possono guarire senza esiti o
con cicatrici in caso di coinvolgimento più profondo sino al derma o alla tonaca sottomucosa.
La prima e più importante misura preventiva per
gli operatori consiste nel non guardare mai direttamente il fascio laser, sia visibile sia invisibile,
per evitare danni oculari da radiazione diretta.
Esiste inoltre il rischio di danni oculari da radiazione indiretta, considerato che quando una luce
laser colpisce una superficie può venirne riflessa
con due diversi meccanismi:
• per riflessione speculare, con cui il fascio tende
a non disperdersi; come ad esempio avviene da
parte di strumenti che funzionino come superfici riflettenti;
• per riflessione a carattere diffuso quando il fascio tende a disperdersi; come ad esempio avviene da parte di mucose e sangue.
La radiazione riflessa specularmente è più pericolosa di quella diffusa, in quanto tutta l’energia rimane concentrata in un piccolo raggio d’azione
senza disperdersi su una superficie più ampia,
mantenendo intatta la forza e il potere lesivo.
Per evitare i danni da radiazione riflessa si devono eliminare dal campo operatorio gli oggetti metallici o riflettenti, come ad esempio gli strumenti
chirurgici lisci e gli specchi endorali; in alternati-
va si possono ricoprire gli oggetti con materiale
antiriflesso o utilizzare strumenti satinati.
È evidente inoltre che osservare il campo operatorio mediante sistemi ottici non schermati aumenta la pericolosità, considerando l’amplificazione e la focalizzazione sulla macula lutea della retina causata dal sistema ottico.
Una ulteriore precauzione consiste nel fare indossare al paziente e agli operatori gli appositi occhiali che schermano l’occhio anche lateralmente
e muniti di lenti specifiche del laser; si deve ricordare infatti che gli occhiali adatti per proteggersi
da un tipo di laser non assolvono la stessa funzione per altri laser a diversa lunghezza d’onda.
Infine si deve tenere presente che il laser può facilmente provocare la combustione di materiali e
gas infiammabili (carta, stoffa, alcool, etere, gas
anestetici); poiché anche l’ossigeno in alte concentrazioni è infiammabile, si deve evitare l’uso in
soggetti in ossigenoterapia o ventilazione artificiale. Una buona precauzione anticombustione può
consistere nel bagnare i telini e le garze utilizzate
nel campo operatorio (tabella 3).
Traumi chimici e fisici
Le lesioni di natura fisica sono dovute a manualità
diagnostiche o terapeutiche svoltesi in modo scorretto per imperizia o per cause fortuite.
I traumatismi oculari in genere sono rappresentati da corpi estranei cheratocongiuntivali e causticazioni da sostanze chimiche.
La prevenzione si basa sull’uso di occhiali protettivi e schermi durante le manovre di fresatura delle protesi, limatura dei denti e utilizzazioni di sostanze chimiche come antisettici e disinfettanti
nel corso di manovre terapeutiche o di riordino.
CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI
Fig. 3 Grave lesione corneale cronica da alcali (calce)
Fig. 4 Pulizia del fornice congiuntivale superiore
Lesioni chimiche da sostanze
corrosive
Le cause vanno ricercate negli schizzi di sostanze
chimiche diverse che sono prodotti durante la terapia o il riordino degli strumenti nella centrale di
sterilizzazione.
Tra gli acidi vanno ricordati, ad esempio l’ipoclorito di sodio, utilizzato per i lavaggi canalari in endodonzia, che può raggiungere il viso dell’operatore in caso di distacco dell’ago dalla siringa; l’acido ortofosforico per mordenzatura che, rimosso
con spray dalla cavità di otturazione, può raggiungere gli occhi dell’operatore; solventi e antisettici
veicolati dalle stesse mani dell’odontoiatra con
movimenti istintivi sul viso.
Tra gli alcali va menzionato l’idrossido di calcio
utilizzato nella terapia ocalessica in endodonzia;
può essere schizzato negli occhi durante il funzionamento a vuoto del lentulo non inserito nel lume
canalare.
Gli effetti delle sostanze chimiche determinano
una cheratocongiuntivite la cui gravità dipende
89
dal genere, dalla quantità, dalla concentrazione e
dal valore del pH del prodotto chimico.
Le ustioni da acidi sono meno progressive e meno
penetranti: gli acidi precipitano rapidamente le
proteine dei tessuti e quindi creano delle barriere
fisiche alla penetrazione negli stessi tessuti.
La successiva neutralizzazione degli acidi, prodotta dalle proteine dei tessuti circostanti, tende a localizzare il danno all’area di contatto.
Questi fattori, purtroppo, non valgono per le ustioni da alcali che producono un disfacimento totale
delle cellule, con rammollimento dei tessuti.
Nuovi alcali possono, perciò, penetrare rapidamente e l’effetto continua, con tendenza a progredire e diffondersi, peggiorando il danno (figura 3).
Occorre intervenire d’urgenza sul luogo di lavoro
e il metodo più indicato per l’eliminazione dell’agente lesivo è l’immediato lavaggio con soluzione
fisiologica o acqua, particolarmente accurato e
prolungato nei casi di alcali.
Per la pulizia del fornice congiuntivale superiore
si deve afferrare con una mano le ciglia, scostare
la palpebra, premere con un bastoncino al disopra
del bordo della palpebra in modo che il tarso si rivolti all’esterno (figura 4).
Per la pulizia del fornice congiuntivale inferiore è
sufficiente invitare il paziente a guardare verso
l’alto mentre si stira la palpebra inferiore.
Lesioni meccaniche
da corpi estranei
I corpi estranei liberati da manualità odontoiatriche sono, in genere, di minime dimensioni e derivano da schegge e frammenti di fresatura provo-
Fig. 5 Cheratocongiuntivite da corpo estraneo
90
MEDICINA DEL LAVORO
cati durante il ritocco di protesi (resine, metalli) o
la limatura dei denti (smalto, dentina, amalgama,
frese spezzate).
Se il corpo estraneo è libero nel sacco congiuntivale può essere allontanato con un lavaggio o l’estremità di una garza sterile; mentre se è conficcato nella cornea è necessario rivolgersi all’oculista.
Si deve comunque tenere presente che l’infortunato può non accorgersi o sottostimare la modesta
sintomatologia che può essere prodotta da piccoli
residui che possono permanere nel sacco congiuntivale e produrre complicazioni quali: estese
abrasioni della cornea e infezioni dell’area traumatizzata (figura 5).
CAPITOLO 11
TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
F. Montagna
Introduzione
Il polmone, in tossicologia, costituisce la principale via di penetrazione di numerose sostanze che
possono essere inalate in forma di polveri, aerosol
(solidi e liquidi), gas e vapori.
Infatti, l’elevata superficie di scambio (80-100 m2
di superficie alveolare), l’estrema sottigliezza della membrana alveolo-capillare (strato monocellulare < 1 micron), il veloce flusso ematico favoriscono l’assorbimento delle sostanze allo stato gassoso e di vapore. Minore importanza, invece, rivestono altre vie di assorbimento quali il tratto gastrointestinale, la cute e la mucosa oculare.
Preliminarmente è utile chiarire la terminologia di
riferimento dedotta dalla medicina del lavoro e
utilizzata in questo capitolo.
Gli indici biologici di esposizione (BEI, biological
exposure index), ottenuti con il monitoraggio biologico, rappresentano insieme al valore limite di
soglia (TLV, threshold limit value), ottenuto con il
monitoraggio ambientale, gli strumenti disponibili
per la tutela della salute dei lavoratori.
I diversi termini rappresentati da valore limite di
esposizione, valore limite di soglia e valore limite
ponderato (VLP) sono sinonimi e si riferiscono a
concentrazioni atmosferiche di sostanze che non
comportano effetti nocivi per i lavoratori esposti,
secondo la definizione del comitato tecnico insediato nel 1977 dal Ministero del Lavoro:
Il valore limite di esposizione rappresenta la
concentrazione atmosferica di gas, vapori,
nebbie, fumi, polveri alla quale può essere
esposta per il turno lavorativo di 8 ore per una
settimana lavorativa di 40 ore e per tutta la vita lavorativa la massima parte di lavoratori sani, salvo i casi di reattività e suscettibilità particolari.
Tale definizione corrisponde al TLV-TWA (threshold limit value-time weighted average) che si riferisce a una concentrazione media per un giorno
lavorativo di 8 ore e per una settimana lavorativa
di 40 ore; mentre il TLV-C (ceiling) è la concentrazione da non superare mai durante l’esposizione
lavorativa.
I risultati ottenuti dal monitoraggio biologico vanno confrontati con gli indici biologici di esposizione che rappresentano le quantità di una sostanza o
dei suoi cataboliti nei tessuti, liquidi biologici, aria
espirata di lavoratori sani esposti a livelli di concentrazione ambientale vicini al TLV-TWA. A tale
scopo ci si avvale degli specifici elenchi, che propongono per ogni composto più limiti in funzione
del tipo di campione biologico (sangue, urina,
aria).
Attualmente in Italia esistono alcune norme di
legge, relative a poche sostanze e agenti fisici, che
indicano le concentrazioni accettabili dei monitoraggi ambientali e biologici; per il resto ci si affida
all’elenco dei TLV e dei BEI elaborati dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH).
Per suggerire i limiti di esposizione il procedimento generale passa attraverso l’identificazione di livelli dose senza effetto (NOAEL, non observable
adverse effect level), definiti come
la massima dose utilizzata in condizioni sperimentali dimostratasi non in grado di produrre
alcun effetto nocivo osservabile.
Il NOAEL viene poi diviso per un fattore di protezione, solitamente chiamato fattore di sicurezza o
di incertezza per arrivare così a un valore numerico che verrà proposto come limite a protezione
della salute (TLV, BEI). L’applicazione dei fattori di
sicurezza serve a limitare le conseguenze delle
possibili incertezze scientifiche.
92
MEDICINA DEL LAVORO
Gli indici biologici di esposizione non rappresentano, comunque, un limite netto tra esposizione
pericolosa ed esposizione non pericolosa. Infatti
per la variabilità della risposta individuale, la
quantità misurata di un indicatore biologico può
superare il limite proposto per il tossico senza che
vi sia un rischio potenziale della salute; mentre la
patologia può comparire per limiti inferiori in soggetti ipersuscettibili.
Va preliminarmente rimarcato che non è dimostrato dalla letteratura scientifica la presenza di livelli di sostanze tossiche nello studio odontoiatrico superiori ai TLV e TLV-C, superiori cioè ai livelli soglia comunemente ammessi come livello di sicurezza in medicina del lavoro.
Tale situazione sancisce l’odontoiatria come una professione sicura per quanto attiene la tossicologia, rendendo inutile qualsivoglia controllo o monitoraggio
nello studio odontoiatrico in questo ambito.
Mercurio
e amalgama dentale
L’amalgama dentale è un dispositivo medico costituito da una fase dispersa (solida) composta da diversi metalli (argento, rame, zinco, stagno e palladio o indio) e da una fase disperdente (liquida) rappresentata dal mercurio.
Il materiale è utilizzato in odontoiatria per otturazioni da oltre un secolo, ma in questi ultimi anni è
stato sempre più fortemente attaccato negli ambienti ecologici per la sua possibile tossicità correlata al contenuto di mercurio.
Per tale motivo questo materiale è stato oggetto di
numerose ricerche, svolte spesso con metodologie non omogenee e difficilmente confrontabili,
suscitando l’impressione che il dibattito abbia radicato due opposte posizioni fideistiche a favore e
contro l’uso dell’amalgama.
Il dubbio può essere sintetizzato con la domanda
spesso posta da pazienti e operatori:
Considerando che il mercurio è tossico e che esiste
in proposito una legislazione per lo smaltimento
dell’amalgama dentale come rifiuto speciale, questo materiale può essere messo con tranquillità nella bocca dei pazienti o può rappresentare un parametro di rischio professionale per gli operatori?
Fare il punto della situazione non è semplice per
la difficoltà di orientarsi nell’elevatissimo numero
di studi e di pubblicazioni concernenti l’argomento; il quesito merita comunque una risposta preliminare che non pretende di essere completa e tanto meno definitiva.
Esaminando la letteratura si scopre che non sono
mai state trovate prove dirette che il mercurio
dentale causi qualche patologia particolare (nonostante le decine di migliaia di studi reperibili nelle
banche dati informatiche).
In pratica, i restauri in amalgama sono ben tollerati dai pazienti; inoltre, sia nei pazienti che negli
operatori, non sono dimostrate patologie riconducibili a tossicità da mercurio.
Tutto questo pur essendo stato dimostrato come,
sia nell’organismo di pazienti e operatori che nell’ambiente di lavoro, l’uso dell’amalgama può causare un aumento dei valori di mercurio.
Questa apparente contraddizione può essere spiegata in vari modi.
• I livelli di rischio non sono normalmente superati e, quando questo avviene, si tratta di episodio occasionale, limitato nel tempo, tale da non
indurre effetti collaterali, in quanto i dosaggi sono ridotti.
• Misurare nell’ambiente di lavoro o nella bocca
del paziente livelli di mercurio elevati non significa dimostrarne la tossicità, considerando
che l’assorbimento varia sia in relazione al tipo
di composto sia alla via di esposizione (diverso
per via polmonare e gastroenterica, per i diversi composti).
• I valori di mercurio nel sangue e nelle urine non
rilevano valori indicativi di rischio sia nei pazienti che negli operatori; rappresentano la quota in fase di eliminazione, senza fornire dati sul
dosaggio a livello degli organi bersaglio (cervello, rene).
Al timore di idrargirismo, manca, quindi, un riscontro scientifico certo, mentre l’amalgama rimane il materiale più stabile e duraturo per le otturazioni.
Tuttavia è netta la sensazione che l’amalgama dentale sia un prodotto destinato ad un progressivo
abbandono, per una serie di motivazioni extrascientifiche.
I materiali alternativi (resina, ceramiche) presentano un elevato valore estetico più gradito ai pazienti e agli odontoiatri.
Inoltre, gli stessi materiali sono caratterizzati da
minore durata nel tempo, più frequenti esigenze di
rifacimenti e maggiori costi di produzione e vendita commerciale. Fattori, questi, non sgraditi all’industria dentale, ai professionisti ed in ultima
CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
93
Tab. 1 Introduzione e ritenzione giornaliera di mercurio nella popolazione non esposta professionalmente*
FONTE
DI ESPOSIZIONE
•
•
•
•
•
Aria
Alimenti a base di pesce
Altri alimenti
Acqua potabile
Amalgama dentale
Totale
VAPORI DI MERCURIO
METALLICO (mg/die)
COMPOSTI INORGANICI
DI MERCURIO (mg/die)
METILMERCURIO
(mg/die)
0,030 (0,024)
0
0
0
3,8-21 (3-17)
0,002 (0,001)
0,60 (0,042)
3,6 (0,25)
0,050 (0,0035)
0
0,008 (0,0064)
2,4 (2,3)
0
0
0
3,9-21 (3,1-17)
4,3 (0,3)
2,41 (2,31)
* I valori riportati rappresentano l’introduzione media giornaliera stimata; tra parentesi la quantità media stimata ritenuta nell’organismo di un soggetto adulto.
analisi alla stessa logica della società dei consumi in cui viviamo.
Farmacocinetica del mercurio
Il mercurio (simbolo chimico Hg) è un metallo che
ha la capacità di legarsi ad altri metalli per amalgamazione, dando luogo a diversi sali con caratteristiche chimiche differenti; possiamo distinguere
vari composti la cui farmacocinetica differisce,
quindi, in modo notevole:
• i vapori di mercurio metallico, che sono scarsamente assorbiti per via intestinale;
• i sali inorganici monovalenti o mercurosi (Hg+)
sono poco solubili in acqua; tra essi ricordiamo
l’ossido (Hg2O), il calomelano (Hg2Cl2), e il nitrato (Hg2[NO3]2); questi composti sono assorbiti per via intestinale dopo ossidazione a composti bivalenti;
• i sali inorganici bivalenti o mercurici (Hg++) sono più solubili in acqua; tra essi sono ricompresi l’ossido (HgO), il solfuro (HgS) e il sublimato
corrosivo (HgCl2); questi composti sono parzialmente assorbibili per via gastrointestinale;
• i sali organici, in cui l’Hg è legato ad un atomo
di carbonio, che sono più solubili nei lipidi che
in acqua; sono rappresentati in prevalenza dal
metilmercurio (CH3Hg) che è quasi completamente assorbito per via gastrointestinale (95%).
Il mercurio viene introdotto nell’organismo della
popolazione non professionalmente esposta con
diverse modalità:
• inalato per via polmonare sotto forma di vapori
contenuti nell’aria, come inquinante atmosferico;
• introdotto dagli alimenti (particolarmente con
il pesce come metilmercurio) e assorbito dall’apparato digerente;
• liberato da otturazioni in amalgama di argento
(come vapori metallici) e scarsamente assorbito dall’apparato digerente; solo 1/100 del mercurio proveniente dalle otturazioni in amalgama in bocca viene assorbito (Lehnertt, Henschler 1983).
Il problema dell’assorbimento di mercurio è stato
affrontato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed i risultati delle ricerche sono riportati nella tabella 1.
Tossicità ed effetti collaterali
del mercurio
Nessun rischio è stato descritto per esposizioni
contenute entro i valori soglia fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità di 45 microgrammi/die per periodi continuativi (tabella 2) e anche
dosi maggiori per brevi periodi non comportano
danno; in presenza, invece, di valori superiori esiste il rischio di intossicazione. Dopo l’assorbimento, dato il particolare tropismo per l’ambiente endocellulare, il mercurio viene eliminato in quantità
minime e rimane depositato negli organi critici che
sono nell’esposizione acuta il polmone; nell’esposizione protratta il sistema nervoso centrale e il rene.
Il grado di affinità del mercurio con diversi gruppi
organici (SH > CONH2 > NH2 > COOH > PO4) spiega le reazioni con i diversi costituenti cellulari
(proteine, enzimi, acidi nucleici), le interferenze
con il metabolismo e gli effetti tossici che il metallo esplica anche a basse dosi sull’organismo.
La particolare affinità dei composti mercurici
94
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 2 Tossicità del mercurio
PARAMETRO
QUANTITÀ
Valori di esposizione ammessi
• Valore soglia OMS
45 microgrammi/die per periodi continuati
• Valore soglia nell’ambiente di lavoro
• (NIOSH, ACGIH, D.P.R. 303/56)
50 microgrammi/m3
per 40 ore settimanali
Indicatori biologici di esposizione
• Valori limite OMS
35 microgrammi HgB/l
150 microgrammi HgU/l
• Valori limite in Italia (D.P.R. 303/56)
15 microgrammi HgB/l
35 microgrammi/gr creatinina (HgU)
Misurazioni
• Esposizione media giornaliera stimata per un individuo
• non professionalmente esposto
0,5-27 microgrammi/die
(metà per ingestione da alimenti)
• Valore medio di vapori di mercurio misurato in studi odontoiatrici
• dove si eseguono otturazioni in amalgama (Wirz 1990)
40 microgrammi/m3
• Valore medio riscontrato in operatori odontoiatrici,
• con monitoraggio biologico (Wirz 1990)
7,4-8,1 microgrammi HgB/l
1,7-1,8 microgrammi HgU/l
• Valore medio riscontrato in pazienti con otturazioni
• in amalgama, con monitoraggio biologico (Wirz 1990)
3,7 microgrammi HgB/l
1,5 microgrammi HgU/l
• Valore medio riscontrato in pazienti senza otturazioni
• in amalgama, con monitoraggio biologico (Wirz 1990)
3,6 microgrammi HgB/l
1,3 microgrammi HgU/l
(Hg++) con i gruppi tiolici (SH), in particolare, è
responsabile del blocco di diversi sistemi enzimatici intracellulari e del ciclo di Krebs.
Gli effetti collaterali del mercurio sono riconducibili a due categorie:
• l’allergia, fenomeno inferiore allo 0,1% (Lussi
1987);
• la tossicità per inalazione, ingestione, contatto
cutaneo con quadri di intossicazione acuta e
cronica (idrargirismo).
L’intossicazione acuta è molto rara, anche nell’ambito industriale, ed è conseguente a esposizioni a
elevati dosaggi a partire da 1,2 mg/m3; anche se segni marginali di avvelenamento sono stati riportati con dosaggi inferiori a 0,1 mg/m3. Il quadro clinico principale è rappresentato da una polmonite
chimica; altri sintomi si manifestano entro 5 ore
dopo l’inizio dell’esposizione: tremore intenzionale dei muscoli, delle palpebre, della lingua, delle
dita e successivamente degli arti, con difficoltà di
favella e deambulazione; eretismo mercuriale con
irritabilità e insonnia.
L’intossicazione cronica consegue, invece, a esposi-
zione protratta e si verifica con valori di HgB > 400
nanogrammi/ml; la sintomatologia è proteiforme, potendo rimanere subclinica: eccitabilità (tremore intenzionale, eretismo, timore, insonnia), depressione,
scrittura e favella alterate, sindrome nefrosica.
Per esposizioni più modeste e prolungate, è stata
descritta una sindrome denominata micromercurialismo, i cui sintomi clinici sono rappresentati
da anoressia, calo ponderale, impercettibile tremore, insonnia, debolezza.
I sintomi possono verificarsi per esposizioni a valori ambientali < 100 microgrammi/m3 (valore considerato limite fino a 15 anni fa) e valori di HgB >
100-200 nanogrammi/ml.
Dosaggio del mercurio
Il monitoraggio ambientale del valore limite di soglia (TLV) e gli indicatori biologici di esposizione
(BEI), dosando il mercurio ematico (HgB) e urinario (HgU), sono i metodi utilizzati in medicina
del lavoro.
CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
Ad esempio, nei casi di accertato rischio professionale nell’industria sussiste l’obbligo di sorveglianza sanitaria trimestrale (HgB, HgU, funzionalità renale), i cui valori di riferimento sono riportati nella tabella 2.
La critica maggiore mossa alla validità di questi
test, applicati in ambito odontoiatrico, consiste
nell’osservazione che questi esami si rivelano meno efficaci per monitorare le ridotte variazioni
che rappresentano il timore di pazienti e operatori odontoiatrici nei confronti di intossicazioni subcliniche da esposizione cronica.
Infatti, proprio per il tropismo per l’ambiente endocellulare del mercurio, l’emivita plasmatica è
breve e l’eliminazione urinaria ridotta, nei confronti della maggiore quota che si deposita nei tessuti.
I valori degli indicatori biologici, quindi, non permetterebbero di valutare l’entità del mercurio depositato a livello dell’organo critico (sistema nervoso centrale, rene), causa di intossicazione cronica subclinica.
Negli ultimi anni sono stati perfezionati altri test
per evidenziare l’esistenza di effetti precoci a carico di diversi organi allorquando le esposizioni
superino i valori limite:
• test neurocomportamentali che evidenziano
le alterazioni a carico delle funzioni motorie,
delle funzioni intellettive e del tono dell’umore;
• test di funzionalità renale che misurano precoci
alterazioni dell’albuminuria, microproteinuria
ed enzimuria.
Un sistema di dosaggio biologico del mercurio rilasciato dagli amalgami dentali nella bocca dei pazienti (Hansen 1993) prevede tre esami che non
sono comunque di comune utilizzazione, ma sono
riportati per completezza:
• test al DMPS (sodio 2,3dimercaptopropano
1solfato), sostanza chelante il mercurio che
somministrata permette di dosare il metallo
nelle feci e nelle urine;
• chew test, che consiste nel fare masticare una
piccola massa di lattice, come una gomma da
masticare; dopo la masticazione si misurano le
concentrazioni di microgrammi di mercurio per
grammo di lattice; tale misurazione evidenzia
un aumento della quantità di mercurio proporzionale al numero delle otturazioni in amalgama presenti in bocca;
• test del capello eseguito con il metodo dell’assorbimento atomico, peraltro contestato nella
sua attendibilità.
95
Tossicità degli amalgami dentali
per i pazienti
Gli amalgami dentali rappresentano una potenziale fonte di esposizione al mercurio per i pazienti
della quale non è, comunque, stata dimostrata la
tossicità.
L’amalgama, infatti, non è un materiale stabile
ma si modifica nel tempo, subendo processi di
riorganizzazione strutturale e perdita di elementi; ogni otturazione contiene inizialmente il 4354% di mercurio e dopo 5 anni ne perde circa il
50%, scendendo in un rapporto argento/mercurio
da 2:3 a 1:1.
Considerando quindi il peso di un’otturazione in
circa 1 grammo e un numero medio di otturazioni
nell’adulto pari a 10, si può calcolare una dose di
mercurio pari a 5 grammi/persona dei quali la
metà viene liberata nell’ambiente orale nell’arco
di alcuni anni.
La maggiore liberazione di amalgama avviene subito dopo l’esecuzione dell’otturazione in accordo ai parametri che registrano: un aumento iniziale del tasso di mercurio nelle urine e nel sangue che raggiunge il valore massimo dopo circa 4
giorni; una discesa dopo circa due settimane ai
valori iniziali.
In particolare uno studio (Hellwig 1990), su modelli sperimentali di laboratorio, ha dimostrato
che la quantità di mercurio liberata da ricostruzioni in amalgama è maggiore nei primi 2 giorni (1025 microgrammi per 50 mm2 di superficie); mentre
successivamente si stabilizza in 2 microgrammi a
causa dell’ossidazione di superficie, e le variazioni
notate dipendono dal tipo e dalla lavorazione dell’amalgama.
Secondo tale studio il livello critico stabilito dall’OMS potrebbe essere raggiunto solo per brevi periodi eseguendo 10 ricostruzioni di moncone in
amalgama; il raggiungimento di tale soglia per brevi periodi non comporta rischi tossici per i pazienti, rischi che, per verificarsi, richiedono invece
una esposizione prolungata a valori costantemente superiori ai valori soglia.
La perdita nel tempo di mercurio dall’amalgama è
legata alla sua instabilità fisica, che lo predispone
a corrosione elettrochimica per fenomeni elettrici
interni ed esterni che lo portano a dissoluzione; visivamente queste alterazioni si traducono in un
amalgama nero e ruvido.
Diversi studi hanno dimostrato questa progressiva
perdita di mercurio dalle otturazioni in amalgama
96
MEDICINA DEL LAVORO
CAUSE CHE PROVOCANO LA PERDITA
DI MERCURIO DALL’AMALGAMA
• Polimetallismo interno al restauro (per la sua
composizione eterogenea) o esterno (presenza di altre leghe da protesi in bocca con diverso potenziale ossido-riduttivo)
• Stress meccanico (flessioni dovute a pressione masticatoria; forma e dimensioni non corrette del restauro) e stress termico (calore)
• Differenze di tensione di ossigeno (zone deterse e sporche, microcavità della superficie,
ruvidità, irregolarità strutturali del restauro)
(Bruno, Ronchi, Cavallè 1998; Krauss et al.) misurando alcuni parametri locali stomatologici:
• una quantità di vapori di mercurio in bocca dei
pazienti con otturazioni dieci volte superiore a
quella di controllo senza otturazioni (4,91+/–
0,90 microgrammi/m3 contro 0,54+/– 0,37);
• un rapido aumento del rilascio di mercurio dai
denti otturati durante la masticazione, che si
protrae per 90 minuti (valore medio 29,10+/–
6,07 microgrammi/m3);
• il rilascio medio di un soggetto con un numero
medio di otturazioni è stimato in 10 microgrammi/die con una variabilità individuale compresa
tra 1,2 e 100 microgrammi/die, rappresentando
la principale sorgente di questo elemento.
Altri studi eseguiti (Wirz 1990) su soggetti con e
senza otturazioni in amalgama hanno, invece,
dimostrato livelli praticamente sovrapponibili
nelle due coorti a livello sistemico (HgB 3,6 contro 3,7 microgrammi/l; HgU 1,3 contro 1,5 microgrammi/l).
In base ai dati presentati, vengono a fronteggiarsi
due diverse teorie pro e antiamalgama.
Nell’ottica antiamalgama, tra i diversi lavori, il più
completo è rappresentato dal rapporto Bureau of
Medical Devices canadese (Richardson 1995) nel
quale si sostiene che, per non avere un dosaggio
tossico di mercurio (considerando l’apporto alimentare e ambientale), non bisogna superare la
soglia di 0,014 microgrammi/kg di peso/die; il che
significa un numero di otturazioni massimo di 1
nei bambini e 4 nell’adulto.
Nell’ottica proamalgama i lavori disponibili sostengono che le punte massime arrivano a rappresentare al più il 50% del mercurio che i pazienti ingeriscono con i cibi e sono di gran lunga inferiori ai
tassi ritenuti tossici dall’OMS (si veda tabella 2).
Esposizione professionale
al mercurio in odontoiatria
Il mercurio è un inquinante ambientale dello studio dentistico dove si eseguano otturazioni in
amalgama.
La fonte primaria di assorbimento professionale è
rappresentata da inalazione, e quindi assorbimento polmonare di vapori metallici nel corso di alcune procedure cliniche: rimozione di vecchi amalgami o lucidatura di nuove e vecchie otturazioni;
apertura delle capsule predosate dopo la miscelazione o l’esecuzione di nuove otturazioni.
L’esposizione lavorativa può avvenire anche per
ingestione sia diretta che indiretta, cioè dopo inalazione di particelle di amalgama e veicolazione
nell’apparato digerente per effetto della clearance
mucociliare dell’epitelio dell’albero respiratorio;
comunque, nel suo complesso, l’entità per via digerente è molto inferiore rispetto a quella polmonare.
È invece impensabile, oggi, in odontoiatria l’assorbimento transcutaneo dovuto alla manipolazione
dell’amalgama, a seguito dell’introduzione delle
capsule predosate e l’abbandono delle vecchie
metodiche di manipolazione dell’amalgama in fase
plastica, che in passato avveniva spremendo il
mercurio in eccesso con una pelle di camoscio.
Numerosi studi evidenziano che l’esposizione professionale al mercurio nel personale odontoiatrico
può determinare fenomeni di limitato accumulo
rispetto a un campione di controllo rappresentato
da popolazione non esposta (tabella 3).
Comunque, per quanto l’esposizione professionale
al mercurio sia inevitabile (Eggleston 1988), studi
recenti negano l’associazione tra qualsiasi tipo di
danno alla salute e l’esposizione professionale del
personale odontoiatrico a vapori di mercurio, definendo l’amalgama come un prodotto sicuro
(Schuurs 1999; McComb 1997; Barregard 1998;
Woods 1998; Dahl 1999).
Legislazione
Le indicazioni per limitare l’uso dell’amalgama sono fermamente contrastate da autorevoli fonti
quali l’American Dentist Association (ADA 18/87 e
120/90), la British Dentist Association (BDJ
175/93) e l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani
(ANDI 1997) che definiscono l’amalgama un ottimo materiale da restauro, con buona tenuta marginale, lunga durata e basso costo.
CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
97
Tab. 3 Esposizione professionale al mercurio: dati a confronto di personale odontoiatrico e gruppo di controllo non esposto
CONCENTRAZIONE MEDIA
IN DIVERSI TESSUTI
PERSONALE ODONTOIATRICO
ESPOSTO
GRUPPO DI CONTROLLO
NON ESPOSTO
•
•
•
•
•
•
5-10 nanogrammi/ml
7,4 microgrammi/l
15,3 mg
21,6 nanogrammi/g
14,5 nanogrammi/g
24,5 nanogrammi/g
0-5 nanogrammi/ml
3,6 microgrammi/l
3,9 mg
14,5 nanogrammi/g
5,3 nanogrammi/g
12,0 nanogrammi/g
Nel sangue (Goldmann 1989)
Nel sangue (Wirz 1990)
Nelle urine (Naleway, Sakaguchi et al. 1985)
Nel corion (Messite 1989)
Nella membrana amniotica (Messite 1989)
Nella placenta (Messite 1989)
Alcuni paesi, comunque, hanno adottato delle leggi
restrittive sull’uso dell’amalgama dentale definendolo un prodotto tossico: la Svezia (18 febbraio
1994), seguita dalla Norvegia, ha vietato l’uso dell’amalgama per i giovani sino a 19 anni, per rischi autoimmuni, e per le gravide, per teratogenicità; la California ha adottato una legge che obbliga il dentista
ad ottenere il consenso informato da parte del paziente per inserire amalgama nella bocca.
In tale senso in Italia il Ministero della Sanità ha indicato alcune raccomandazioni tese a limitare l’uso
del prodotto comunicando il parere del Consiglio
Superiore di Sanità sull’uso dell’amalgama dentale,
espresso nell’assemblea generale del 14/4/99.
Parere del Consiglio Superiore di Sanità 14/4/99
[…]
Premesso
che l’amalgama dentale è un dispositivo medico ai sensi del D.Lgs. 24/2/97 n. 46, attuazione della Direttiva 93/42 CEE e pertanto con obbligo di marcatura CE; che l’amalgama è costituito da una lega di
metalli (argento, rame, zinco, ecc.) e dal mercurio che devono trovarsi in posizione ottimale di 1:1,
perché non vi siano eccessi di mercurio e perché questo non si disperda nell’ambiente;
che oggi l’uso di capsule predosate ed ermetiche, di vibratori per la miscelazione e di separatori nello scarico dei riuniti odontoiatrici ha praticamente eliminato l’inquinamento da mercurio nello studio
odontoiatrico; che l’amalgama, in uso ormai da oltre un secolo, costituisce ancora oggi il materiale di
scelta per i restauri nei settori posteriori in odontoiatria conservativa in virtù delle sue qualità fisiche
di resistenza all’usura e di adattamento marginale.
Considerato
che l’incidenza dell’allergia al mercurio è in incremento, ma non ci sono dimostrazioni che questa osservazione valga anche per i pazienti portatori di otturazioni in amalgama in mercurio;
che si può parlare di allergia ai metalli presenti ed in particolare al mercurio degli amalgami dentali
se sono contemporaneamente presenti le seguenti situazioni:
a) sintomi indicativi (lesioni infiammatorie della mucosa buccale, lesioni cutanee sistemiche di tipo
orticarico-angioedematoso o eczematoso);
b) patch test positivi per il mercurio o composti contenenti mercurio;
c) scomparsa dei sintomi dopo la rimozione dell’otturazione contenente mercurio.
Considerato altresì
che dagli studi eseguiti sulla tossicità e biocompatibilità dell’amalgama non vi è motivo di concludere che
il mercurio proveniente dalle otturazioni in amalgama possa costituire un rischio per la popolazione;
che gli effetti tossicologici del mercurio sono stati descritti in gruppi professionalmente esposti per
dosi significativamente più elevate rispetto a quelle ipotizzabili per gli amalgami; inoltre, anche nell’ambito della tossicità in seguito ad esposizione lavorativa si sono dimostrate notevoli diversità individuali nella comparsa e nella entità degli effetti stessi;
98
MEDICINA DEL LAVORO
che dagli studi pubblicati sulla correlazione tra la presenza di amalgami dentali e la presenza di mercurio in tessuti, sangue ed urine, quest’ultima appare scarsamente considerabile e comunque non raggiunge mai un livello che possa essere considerato tossico;
che occorrono ricerche per valutare l’eventuale tossicità degli attuali materiali alternativi all’amalgama.
Inoltre
Il fatto che le segnalazioni di insorgenza di patologie correlate all’uso dell’amalgama riguardano essenzialmente malattie multifattoriali dovrebbe invitare alla massima prudenza nell’accettare questi
dati; infatti:
• è inconsistente l’ipotesi di una correlazione tra sclerosi multipla (patologia del sistema nervoso che
riconosce svariati fattori eziopatogenetici, fra i quali la predisposizione genetica) e l’amalgama, come dimostrato in un recente studi caso-controllo, di Bangasi et al., effettuato in Canada (International Journal of Epidemiology 27: 667-671, 1998)
• non risultano elementi concreti o verosimili che consentano di identificare nella presenza di amalgama in una otturazione dentale un elemento patogeneticamente causale di affezioni oculari secondarie.
Valutato altresì
che un aspetto che deve indurre cautela è quello dell’esistenza, per la popolazione generale, di fonti
multiple di esposizione al mercurio: alimentazione, ecodispersione, uso di farmaci;
che esiste sia il problema di sottogruppi di popolazione particolarmente suscettibili (bambini, donne
in gravidanza, ecc.) da tutelare maggiormente, sia quello di particolari situazioni che possono esporre a picchi di Hg anche importanti.
Ritiene opportuno
definire raccomandazioni e limitazioni d’uso in particolari situazioni quali: pazienti con allergie per
l’amalgama, donne in stato di gravidanza, bambini sotto i 6 anni, pazienti con gravi nefropatie […] che
il Ministero della Sanità predisponga una campagna informativa sull’amalgama dentale.
Evidenzia
che non vi è indicazione alla rimozione di un amalgama dentale se non in caso, sicuramente accertato, di allergia a tale materiale.
[…]
Orientamenti per la prevenzione
Il rispetto delle normali metodiche di utilizzazione
esclude il pericolo di tossicità conseguente a esposizione professionale, che potrebbe concretarsi
solo come risultato della totale, permanente assenza delle più elementari misure di precauzione.
Infatti, durante la rimozione di un amalgama dentale si hanno nell’aria circostante dosaggi superiori ai valori soglia che sono di 300-600 microgrammi/m3, con punte che superano i 1000 in assenza di
una aspirazione sufficiente effettuata con l’aspiratore chirurgico.
Per tale motivo è opportuno rispettare alcune precauzioni durante la rimozione degli amalgami in modo da ridurre la dispersione di vapori di mercurio:
• utilizzare frese diamantate o al carburo di tungsteno con buon taglio in modo da evitare di surriscaldare l’amalgama;
• indossare misure di barriera (mascherine, occhiali, schermi);
• lavorare sotto diga con un buon getto di spray
di raffreddamento e aspirazione ad alta velocità.
Si deve infine evitare, durante l’esecuzione delle
otturazioni, di manipolare l’amalgama in fase plastica a mani nude.
Recenti ricerche hanno evidenziato che se nello
studio odontoiatrico si usano determinate precauzioni (uso di capsule predosate, utilizzo di amalgami non gamma 2, ecc.) i vapori di mercurio nell’aria sono minimi, valutati intorno a 0,004 mg/m3,
CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
quindi inferiori di 1/10 rispetto ai valori massimi di
concentrazione considerata tossica (0,005 mg/m3).
Per questo motivo l’utilizzazione di rilevatori di vapori di mercurio nello studio dentistico appare
inutile e immotivata; non sono, cioè, raccomandati i misuratori dei vapori di mercurio per l’aria ambiente (fotometri all’ultravioletto, come ad esempio il Mercury Vapor Sniffer di Bacharach) o per la
misurazione sull’aria espirata (misuratore di
Beckam, Jerome Mercury Tester), la cui attendibilità, come attrezzature, attende ulteriori conferme.
Gas anestetici
Il problema dei gas anestetici (alotano, enfluorano,
isofluorano) è attualmente in progressiva espansione per l’aumentato utilizzo di anestesia generale e
soprattutto della sedazione con protossido di azoto
da parte di un numero maggiore di odontoiatri.
La fonte di esposizione è rappresentata dalle perdite di gas anestetico dall’apparecchiatura di erogazione: per insufficiente manutenzione dei sistemi di aspirazione e convogliamento all’esterno di
gas; inadeguatezza dei sistemi di ventilazione ambientale; perdita dei raccordi, tubi, flussometri,
maschere facciali.
Il valore critico è fissato dalla Circolare Ministeriale n. 5 del marzo 1999:
Circ. Min. n. 5/99
[…] indici guida del controllo della accettabilità delle condizioni igienico-ambientali delle
sale operatorie il valore di 100 ppm per le sale
operatorie esistenti e di 50 ppm per le sale
operatorie di nuova costruzione o ristrutturate, entrambi riferite al protossido di azoto preso come inquinante guida”.
Le principali conseguenze dell’esposizione cronica ai gas anestetici comprendono la riduzione della capacità sensoriale e l’aumento di malattie epatiche, neoplasie, aborti spontanei.
Studi estesi (Messite 1989, eseguito su un campione di 4797 dentisti e 2642 assistenti) hanno mostrato un aumento del 78% di aborti spontanei su
odontoiatri di sesso femminile esposte ad inalazione di gas anestetici e un aumento del 156% di
malattie epatiche.
Una analisi statistica effettuata nel 1985 (Buring e
coll.), sui gas e vapori anestetici, ha calcolato il rischio relativo (RR) ponderato su sei studi precedenti dai quali erano emerse importanti evidenze:
99
• aumentato rischio di aborto spontaneo, statisticamente significativo, tra i medici di sesso femminile (RR 1,4) e tra le infermiere (RR 1,3) di sala operatoria;
• rischio di malformazioni congenite, aumentato solo per i medici di sesso femminile esposti (RR 1,4);
• aumentato rischio di epatopatie (RR uomini 1,6;
RR donne 1,5) e malattie renali (RR donne 1,3).
Gli stessi autori, comunque, hanno concluso che,
in base alle discordanze tra gli studi, non si poteva
affermare con assoluta certezza l’esistenza di un
rapporto causale del rischio esclusivamente con
l’esposizione professionale agli anestetici per inalazione.
Sicuramente le migliorate condizioni ambientali e
delle attrezzature hanno avuto una importanza
fondamentale nella riduzione del rischio di aborto
e malformazione della prole; è comunque divenuta prassi operativa, in ambito ospedaliero italiano,
allontanare le lavoratrici gravide dall’esposizione
a gas anestetici.
Protossido di azoto
Tossicità
Il protossido di azoto è una sostanza poco solubile nel sangue e nei tessuti, solo parzialmente metabolizzata dall’organismo, che viene rapidamente
eliminata per via polmonare, al cessare dell’esposizione.
Per quanto riguarda gli effetti biologici, la maggior
parte degli studi documentano l’esistenza di tossicità da esposizione elevata e/o protratta:
• epatotossicità lieve (Proke 1997);
• neurotossicità per inattivazione della vitamina
B12, dimostrata anche su lavoratori fortemente
esposti in anestesia odontoiatrica (parestesie,
tremori, disturbi motori);
• mielotossicità per dosi relativamente basse, ma
superiori a 500 ppm, mediante un meccanismo
di inibizione della sintesi di vitamina B12, con
comparsa di anemia perniciosiforme e depressione midollare fino all’anemia aplastica.
Per quanto sia stato dimostrato che il protossido
di azoto è un veleno mitotico, gli effetti delle sperimentazioni non sono concordi su genotossicità e
mutageneticità; gli studi più recenti su animali risultano negativi, in contrasto con altri autori che
in passato hanno, invece, riportato un aumento di
100
MEDICINA DEL LAVORO
aborti spontanei e anomalie congenite in assistenti dentali e mogli di dentisti.
Esposizione professionale
Le sorgenti di contaminazione sono rappresentate:
• dalla valvola espiratoria delle maschere prive di
sistema di eliminazione o convogliamento all’esterno del gas;
• dal perimetro della mascherina nasale che può
non aderire perfettamente al viso del paziente;
• dal paziente stesso a causa della respirazione
orale, il ridere o il parlare;
• da perdite dell’unità di sedazione inalatoria per
deterioramento di tubi, raccordi e connettori.
Alcuni studi hanno dimostrato la sicurezza dell’utilizzazione di protossido d’azoto che non ha raggiunto valori critici anche in assenza di convogliamento all’esterno dei gas espirati e ventilazione
ambientale (Markhorst 1996; Hoerauf 1997).
Una differenza sostanziale è stata dimostrata utilizzando diversi tipi di mascherina (tabella 4) e misurando i livelli di N2O a 30 cm dal viso del dentista o dell’assistente (Whitcher 1977):
• con le mascherine convenzionali con valvola
espiratoria a dispersione ambientale o passiva
del gas aspirato, si possono raggiungere i livelli
critici per gli operatori;
• con le mascherine con sistema di eliminazione
attiva, al di fuori della sala operatoria, la concentrazione di N2O risulta diminuita del 95% e
quindi sicura (figura 1).
Per tale motivo è opportuno usare mascherine nasali con evacuazione di gas in uscita.
Gas esalati
Gas freschi
Fig. 1 Mascherina per protossido di azoto con sistema di
eliminazione attiva all’esterno dell’ambiente di lavoro
Raccomandazioni
Non esistono vincoli di legge per gli ambienti o restrizioni per l’utilizzazione sui pazienti del protossido d’azoto nello studio odontoiatrico; si devono
comunque rispettare alcuni atteggiamenti prudenziali per evitare lo scoppio o la rottura con perdita
di gas sotto pressione:
• fissare le bombole con catenelle anticaduta al
muro o al mobiletto apposito per evitarne la caduta;
• evitare di surriscaldare la bombola posizionandola vicino a fonti di calore, luoghi soleggiati,
temperature superiori ai 50 °C;
• durante il trasporto o i movimenti mantenere
l’apposito coperchio sulla bombola;
• avvitare i manometri a secco senza utilizzare alcun tipo di grasso (grasso, ossigeno, protossido
Tab. 4 Livelli di N2O (ppm) nelle zone respiratorie con diversi tipi di mascherine
CATEGORIA
Mascherine con valvola di espirazione
• Studio dentistico generico
• Studio di pedodonzia
• Studio di chirurgia orale
Mascherine con sistema di eliminazione
• Studio dentistico generico
• Studio di pedodonzia
• Studio di chirurgia orale
Livello critico di N2O nell’ambiente
ODONTOIATRA
ASSISTENTE
MEDIA AMBIENTE
775 ± 73
940 ± 92
1000 ± 130
440 ± 52
112 ± 23
1600 ± 250
310 ± 37
280 ± 52
310 ± 47
21 ± 1,9
33 ± 4
36 ± 4,1
13 ± 1,3
8,7 ± 3,3
36 ± 4,4
11 ± 0,79
16 ± 2,6
16 ± 2,6
50 ppm
CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE
d’azoto possono formare una miscela esplosiva); è fatto divieto ai lavoratori di lubrificare il
cannello, il riduttore, le valvole, ecc., con oli e
grassi, in quanto a contatto con l’ossigeno si infiammano facilmente; devono essere, invece,
utilizzate miscele a base di glicerina o grafite.
Per evitare la contaminazione ambientale oltre i
limiti di sicurezza è consigliabile:
• utilizzare mascherine con sistema di evacuazione;
• scegliere mascherine della misura più idonea
per adattarsi al viso del paziente;
• utilizzare flussi di gas ridotti in relazione agli
obiettivi;
• al termine dell’intervento mantenere la maschera
erogando solo ossigeno (5 min) per far espirare
al paziente il gas nel sistema di evacuazione;
• assicurare adeguata ventilazione della stanza;
ricordare che il protossido di azoto si deposita
a livello del pavimento perché più pesante dell’aria;
• controllare periodicamente l’impianto per verificare eventuali perdite.
Disinfettanti
Glutaraldeide
Risulta degna di menzione tra gli altri disinfettanti
la glutaraldeide utilizzata nella sterilizzazione chimica a freddo per immersione di strumenti medicali per la sua attività sporicida, virucida, fungicida. Il composto chimico è dotato di un forte potere irritante per le mucose oculari e nasali, già alla
concentrazione di 0,3 ppm.
I più recenti studi escludono effetti mutageni e cancerogeni, ma sono possibili alterazioni del sistema
nervoso centrale per effetto tossico negli animali.
La ACGIH ha fissato precauzionalmente un valore
critico (TLV-C) pari a 0,2 ppm.
Il rischio è stato ripreso nell’Allegato III del D.M.
16/2/93 e successive modifiche e integrazioni.
I problemi con questa sostanza sono in relazione:
• agli effetti tossici legati alla manipolazione e all’inalazione;
• alla presenza di residui (sugli oggetti e nell’ambiente);
101
• al corretto risciacquo, specie su oggetti destinati all’impiego umano (in cavità, a contatto con
mucose, ecc.), con acqua distillata sterile;
• alla permanenza di detti residui, in funzione
di vari materiali trattati e negli ambienti.
Per l’utilizzazione da parte del personale odontoiatrico è necessario rispettare alcune precauzioni per proteggere cute, mucose e congiuntive durante le manovre di disinfezione e sterilizzazione:
• mantenere chiusi con coperchio recipienti di
immersione;
• non produrre schizzi durante l’immersione o il
prelievo di strumentario;
• ventilare il locale;
• indossare guanti in gomma e mascherine;
• risciacquare gli strumenti dopo la disinfezione
con acqua sterile.
Ossido di etilene
La metodica è utilizzata nella sterilizzazione di materiale sanitario termolabile (guanti, maschere per
anestesia).
L’esposizione acuta per via inalatoria è pericolosa
in quanto la soglia di percezione è alta (700 ppm)
e i sintomi si manifestano solo alcune ore dopo l’inalazione per esposizioni di 500 ppm: nausea, vomito, cefalea, sonnolenza, debolezza muscolare,
irritazioni oculari e delle prime vie aeree, dispnea,
edema polmonare, incoordinazione motoria, convulsioni.
L’esposizione cronica causa polineuriti, encefalopatia; la sostanza è indicata come cancerogena.
Il limite ambientale ACGIH è di 1 ppm (2 mg/m3).
Il rischio è stato ripreso nell’Allegato III del D.M.
16/2/93 e successive modifiche e integrazioni.
L’ossido di etilene è stato abbandonato in odontoiatria per svariati motivi: si solubilizza nella
gomma e il materiale trattato; pertanto richiede
un’aerazione prolungata e accurata per eliminare i
residui su oggetti destinati ad uso umano; richiede
controlli di igiene ambientale e non può essere utilizzato in piccole centrali di sterilizzazione.
Attualmente l’ossido di etilene è utilizzabile solo in
ambito ospedaliero, nel pieno rispetto di condizioni d’uso ben stabilite e riservato ai soli materiali che
non possono essere bonificati con calore o vapore.
CAPITOLO 12
PATOLOGIE ACUSTICHE
F. Montagna, C. Crosara
Elementi di fisica
In termini generali il suono è uno stimolo che ha la
capacità di generare una sensazione uditiva; in
pratica, quasi tutti gli oggetti che possiedono una
inerzia e una elasticità possono essere posti in vibrazione e produrre suoni.
La vibrazione più semplice è rappresentata da
un’onda sinusoidale che si diffonde nei tre piani
dello spazio ed è descritta da tre parametri: ampiezza, frequenza e lunghezza d’onda (figura 1).
L’ampiezza è la misura di spostamento in termini
di picco; il movimento di andata e ritorno inizia da
una posizione di riposo sino a un massimo positivo, per andare a un massimo negativo e ritornare
alla posizione di partenza. L’ampiezza dell’oscillazione indica la massima oscillazione dell’onda ed
è responsabile del livello dell’intensità sonora
(suono forte o debole).
Se l’intensità di un suono venisse indicata direttamente con la sua intensità fisica rapportata alla
soglia di riferimento, dovremmo usare dei numeri
con molte cifre e questo sarebbe poco pratico; si è
proposto, allora, di indicare l’intensità e la pressione con una espressione logaritmica conosciuta
come decibel (dB).
Va ricordato che, in quanto espressione logaritmica, l’aumento di alcuni decibel si traduce in un
aumento significativo dell’intensità del suono e
una variazione da 10 a 30 dB rappresenta un aumento della intensità sonora di 1000 volte; inoltre, non è possibile effettuare con i dB operazioni aritmetiche, come la somma e la sottrazione.
Ne consegue che un raddoppio dell’intensità sonora, che si ottiene aggiungendo allo stesso am-
x
λ
y
h
e
z
Fig. 1 Rappresentazione tridimensionale di onda piana che si propaga lungo un’asse z
CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE
103
Tab. 1 Valori di intensità e di pressione in rapporto ai decibel
INTENSITÀ
PRESSIONE
DEL SUONO (SPL)
DECIBEL (dB)
1
1
0
10
3,162
10
100
10
20
1000
31,62
30
100
40
100.000
10000
316,2
50
1.000.000
1000
60
biente una seconda macchina identica a una prima e della stessa rumorosità, comporterà un aumento di soli 3 dB (80 dB + 80 dB = 83 dB); mentre se le macchine nello stesso ambiente fossero
10 si otterrebbe un aumento complessivo di 10
dB (80 dB macchina iniziale + 9 macchine ciascuna da 80 dB = 90 dB).
Nella tabella 1 è possibile vedere i differenti valori di intensità e pressione del suono (sound pressure level o SPL) in rapporto alla scala di decibel.
La frequenza è la misura del numero di vibrazioni
per unità di tempo; si misura in hertz (Hz) o vibrazioni al secondo. La lunghezza d’onda è la distanza minima tra picchi e ventri di due onde successive, si misura in unità metriche ed è inversamente proporzionale alla frequenza.
In base alla periodicità delle onde sonore si possono distinguere tre tipi di suoni: i toni puri e quelli complessi che sono periodici: la funzione che
rappresenta il suono si ripete a intervalli uguali e
regolari nel tempo; i rumori, invece, non sono periodici, poiché la loro ampiezza fluttua casualmente nel tempo.
Il suono si propaga dalla sorgente vibrante nell’area circostante attraverso onde meccaniche di
compressione e rarefazione dell’aria; perturbazioni sferiche a cui corrisponde una variazione ondulatoria della pressione.
Il valore di questo parametro fisico si riduce progressivamente con il crescere della distanza di rilevazione dalla sorgente sonora e, più in particolare, l’intensità acustica risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza; ovvero, raddoppiando la distanza, l’intensità si riduce di quattro volte (figura 2).
Il campo sonoro più semplice e ideale è quello libero, nel quale le onde viaggiano senza incontrare
ostacoli; negli ambienti comuni esistono, invece,
degli ostacoli che causano fenomeni di trasmissione, assorbimento, riflessione, diffrazione, interferenza che condizionano la percentuale di energia
sonora.
Fisiologia
L’orecchio umano è capace di udire suoni compresi in una grande estensione di intensità: in altre parole possiede un range dinamico enormemente esteso.
Fra l’intensità minima, alla quale è possibile percepire un suono, di 1000 Hz (soglia di udibilità) e l’inten-
Fonte del
suono W
r
2r
3r
Fig. 2 La dispersione del suono da una fonte acustica è inversamente proporzionale al quadrato della distanza
104
MEDICINA DEL LAVORO
sità massima alla quale è possibile percepire lo stesso suono, prima di avere una sensazione di dolore
(soglia di dolore) c’è un rapporto di 1:1000 miliardi.
La soglia uditiva dell’orecchio umano non è però
la stessa su tutte le frequenze: si avvicina allo 0 di
riferimento sulla frequenza 1000 Hz, mentre è più
elevata per le frequenze più acute.
Mentre la soglia uditiva varia in rapporto alla
frequenza, la soglia del dolore è uguale per tutte
le frequenze ed è situata a un livello di intensità
sonora tra i 120-130 dB SPL; al di sotto, a un livello di circa 100 dB, può essere indicata la soglia del fastidio, anche questa abbastanza uniforme per tutte le frequenze. Tra soglia uditiva e soglia del dolore è compreso il campo uditivo, indicato con il grafico di Wegel che riporta l’intensità di vari suoni presenti nell’ambiente e la loro
intensità (figura 3).
Il rumore si misura per mezzo di uno strumento
chiamato fonometro, che è costituito essenzialmente da un microfono che converte le variazioni
di pressione acustica trasmesse dall’aria in una
tensione elettrica proporzionale; questa, attraver-
140
Soglia del dolore
130
120
120
110
100
90
Il rumore
e la patologia correlata
80
80
70
60
Il rumore acustico dal punto di vista delle caratteristiche fisiche viene definito come un suono complesso a bassa o nulla periodicità; esaminando i
possibili effetti uditivi ed extrauditivi esso può
provocare nel nostro organismo un danno fisico e
psichico, temporaneo o permanente.
Fon
60
50
40
40
30
so
gl
Intensità e pressione del suono (decibel) (Re. 20 µ Pa)
100
so complessi circuiti, va a uno strumento di misura che consente la lettura diretta dell’intensità sonora espressa in dB.
Data la diversa sensibilità in frequenza dell’apparato uditivo umano, nel fonometro sono normalmente inseriti anche dei filtri che ci consentono di
ridurre il peso da attribuire ai suoni compresi in
alcune bande di frequenza. Si è visto, in pratica,
che la scala di ponderazione A è sufficientemente
valida da permettere la valutazione del disturbo e
del danno che il rumore può provocare sull’orecchio umano; la misurazione in decibel viene quindi normalmente indicata con la sigla dBA.
Ci sono, inoltre, fonometri che consentono di registrare variazioni di rumore in funzione del tempo;
particolarmente utili per valutare i possibili effetti
del rumore, quando la sua intensità è soggetta a sensibili variazioni. Per mezzo di formule particolari è
poi possibile calcolare il livello di rumore equivalente (Leq) i cui effetti possono essere considerati analoghi a quelli di un rumore ininterrotto, di intensità
variabile, con effetti equivalenti a quello misurato.
Questo ci permette di pensare al rumore come a
una energia, con un valore energetico medio, che
possiamo definire con il valore in dBA SPL, di rumore continuo che ha la stessa energia sonora di
tutti gli eventi acustici misurati nel periodo di osservazione (integrale del tempo).
La misura del dBA Leq è importante per determinare il livello di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) che rappresenta il limite
previsto dalla normativa.
20
ia
20
l
de
l'u
10
di
to
n or
male
Effetti del rumore
sull’apparato uditivo
0
-10
10
50
100
500
1000
5000 10000
Frequenza Hz
Fig. 3 Tipici SPL (sound pressure level) di fonti comuni di
rumore (da Wegel)
La fatica uditiva è l’innalzamento temporaneo della soglia uditiva che si registra dopo l’esposizione
ad un suono di intensità elevata.
CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE
Dopo l’ascolto di un tono puro, il massimo di fatica si osserva mezza ottava sopra la frequenza del
suono che ha provocato il fenomeno; mentre dopo
l’ascolto di un rumore, che si è esteso per varie
bande di frequenza, il massimo innalzamento della soglia si ha in corrispondenza della frequenza di
4000 Hz e, in misura minore, delle frequenze vicine (figura 4).
Si distinguono 4 tipi di fatica uditiva che vengono
indicati con la sigla TTS (temporary threshold
shift, o variazione temporanea di soglia).
1. Il TTS di brevissima durata (inferiore a mezzo
secondo), detto anche mascheramento residuo,
è da mettere in rapporto con una temporanea
inibizione di alcuni elementi nervosi.
2. Il TTS a breve termine si osserva dopo esposizione prolungata a suoni di moderata intensità
(30-80 dB SPL), e si esaurisce in 1-2 minuti; è
uniforme su tutte le frequenze superiori a 800
Hz e molto modesto per quelle inferiori a 500
Hz, indipendentemente dalla durata dell’esposizione e dall’intensità del suono.
3. Il TTS normale o fatica fisiologica è caratterizzato dal suo valore misurato 2 minuti dopo la
cessazione dell’esposizione e si esaurisce entro
un tempo massimo di 16 ore; il recupero avviene in maniera esponenziale e cioè lineare con il
logaritmo del tempo.
4. Il TTS di lunga durata o fatica patologica. È l’innalzamento che persiste oltre 16 ore dalla cessazione dell’esposizione.
Se l’esposizione al rumore è contenuta entro certi
105
limiti di tempo e di intensità è possibile avere un
completo recupero della funzione uditiva dopo il
cessare del fenomeno della fatica uditiva nelle sue
varie forme sopra descritte.
Se questi limiti vengono però superati, l’alterazione dell’udito diviene permanente, instaurandosi
così una ipoacusia da trauma acustico o da traumatismo sonoro, detta anche sordità da rumore.
Il limite di 16 ore, per distinguere il TTS normale di
lunga durata, non è scelto a caso, ma risponde al
periodo normale di riposo, per un lavoratore che
sia impegnato nella sua attività per 8 ore al giorno.
È evidente che se l’udito non sarà tornato ai livelli precedenti entro 16 ore, l’effetto della nuova
esposizione al rumore si sommerà al deficit residuato dalla precedente esposizione e si avrà così
un progressivo deterioramento dell’udito.
Nel caso della sordità professionale ci troviamo
quasi sempre di fronte a rumori che interessano
tutto il campo delle frequenze udibili e che si
estendono talvolta anche in quello degli infrasuoni e ultrasuoni.
In queste condizioni, la maggior perdita di udito,
prima temporanea e poi permanente, si osserva
sempre tra 3000 e 6000 Hz e più frequentemente a
livello di 4000 Hz.
L’audiogramma mostra una incisura (o deep) sulla
frequenza di 4000 Hz che, con l’aggravarsi della
sordità, si allarga progressivamente alle frequenze
vicine, sino a estendersi anche nel campo delle
frequenze medie e gravi che risultano però interessate sempre in misura sensibilmente minore.
24 ore
10
1 ora
20
30
15 minuti
40
1 minuto
50
125
250
500
1000
2000
4000
8000
Fig. 4 Fatica uditiva: innalzamento temporaneo della soglia
(TTS) provocato dalla esposizione per 15 minuti ad un rumore
Hz bianco alla intensità di 110 dB
106
MEDICINA DEL LAVORO
Nella figura 5 è illustrata l’evoluzione del deficit
uditivo da rumore.
La sordità da rumore è di tipo neurosensoriale e si
realizza attraverso un danno alle cellule ciliate dell’organo del Corti disposte nella coclea (principale componente dell’organo dell’udito) mediante
un meccanismo non ancora ben definito.
L’esame obiettivo è negativo e la sintomatologia è
molto modesta, specie all’inizio, ridotta a una modesta ipoacusia o senso di ovattamento che scompare nel giro di poche ore.
Il soggetto non si accorge nemmeno del progressivo deterioramento della soglia sui 4000 Hz, sino a
quando non siano interessate anche le frequenze
di 3000-2000 Hz, in cui si accorge di una certa difficoltà a percepire alcuni particolari suoni (ticchettio dell’orologio, suono del campanello).
La difficoltà a comprendere la parola, quindi per la
normale vita di relazione, compare molto più tardi, quando il deficit uditivo interessa le frequenze
inferiori a 3000 Hz (particolarmente tra 500 e 2000
Hz) che sono le più importanti per l’intelligibilità
della parola. Altre caratteristiche della sordità
professionale da rumore sono la bilateralità e l’assoluta simmetria dei tracciati; se si eccettuano casi rarissimi, nella quale il lavoratore è costretto ad
una posizione obbligata con la sorgente del rumore situata da un lato.
Comunque, per differenza di soglia tra i due orecchi superiore a 5-10 dB, bisogna sempre pensare
ad altre cause patologiche associate.
Effetti extrauditivi del rumore
Oltre agli effetti sull’apparato uditivo, il rumore
esplica il suo effetto dannoso anche sul sistema
neurovegetativo, sulla psiche e sul comportamento.
Da ricerche eseguite da Jansen risulta che reazioni vegetative si possono avere per rumori di 60 dB
e che il rischio di danno del sistema neurovegetativo inizia per rumori superiori a 80 dB.
Gli effetti extrauditivi del rumore sono mediati dal
sistema nervoso autonomo su diversi apparati.
• La risposta di allarme, che consiste in una reazione adrenergica (tachicardia, tachipnea e polipnea, vasocostrizione periferica, aumento delle tensione muscolare).
• La risposta neurovegetativa, o risposta N, che
consiste in effetti cardiocircolatori (ipertensione arteriosa), effetti gastroenterici (ipermotilità
e ipersecrezione gastrica e ipersecrezione salivare), sudorazione, effetti endocrini (ipercortisolemia), effetti neuropsichici (aumentata vigilanza, insonnia, astenia, cefalea, irritabilità, ansia, depressione).
Sono state, inoltre, dimostrate alterazioni dell’attività della corteccia cerebrale e dei centri della base con suoni non molto intensi e anche con ultrasuoni.
Il rumore, inoltre, occupa uno tra i primi posti delle cause ansiogene della vita moderna, poiché
coinvolge i centri sottocorticali del sistema nervo-
prova tonale
-10
0
-10
udito normale
0
a
10
b
c
20
30
d
perdita (dB) HTL
40
10
20
30
40
e
50
50
60
60
70
70
80
80
90
90
100
100
110
110
120
750
125
250
500
1500
1000
3000
2000
frequenza (Hz)
4000
6000
11000
8000
120
Fig. 5 Audiogramma che mostra il progressivo aggravarsi della sordità da rumore
a. tracciato audiometrico normale;
b.-e. stadi evolutivi successivi dell’innalzamento di soglia uditiva. Le frequenze
della voce di conversazione sono contenute nell’area delimitata dalle due linee tratteggiate verticali.
CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE
so a una reazione di emergenza che produce, inevitabilmente, una tensione psichica.
Ricerche in ambito industriale hanno evidenziato
che l’attività mentale e l’apprendimento sono disturbati dal rumore e per tale motivo si consiglia
un livello particolarmente basso per scuole, biblioteche e per i locali nei quali si svolge attività
prevalentemente mentale.
L’aumento di livello del rumore nelle officine provoca un calo nel rendimento degli operai, con conseguenti maggior numero di errori e incremento
degli infortuni sul lavoro.
Legislazione
Il rumore è un fattore di rischio professionale in
grado di determinare sui lavoratori esposti effetti
sull’apparato uditivo (effetti uditivi) e su altri apparati (effetti extrauditivi).
La sordità da rumore si può osservare anche per
occasionale esposizione a rumori particolarmente
intensi, ma è soprattutto provocata dall’esposizione protratta per anni al rumore prodotto dalle
macchine in alcuni ambienti di lavoro.
L’ampia letteratura scientifica disponibile dimostra che l’esposizione prolungata a rumore continuo inferiore a 80 dBA per 8 ore al giorno e per
molti anni non provoca nella maggior parte dei lavoratori esposti alcun danno permanente a carico
dell’udito; mentre l’ipoacusia da trauma acustico
cronico è generalmente provocata dall’esposizione professionale prolungata a livelli sonori superiori a 85 dBA, livelli sonori ritenuti sicuramente
lesivi.
In modo conforme alla letteratura scientifica l’ACGIH (American Conference Governmental Industrial Hygienists) ha fissato il valore soglia (TLV)
della dose di rumore assorbito in 85 dBA per 8 ore
di lavoro.
Peraltro la valutazione dell’esposizione professionale deve tenere conto delle intensità sonore e
della durata di esposizione del lavoratore (cioè dei
tempi di permanenza nell’ambiente di lavoro rumoroso); fattori che possono compensarsi reciprocamente secondo specifiche tabelle formulate
dall’ACGIH che prevedono uno scambio di 3 dBA:
cioè a dire che in 4 ore a 88 dBA si assume la stessa dose di rumore che si assume esponendosi per
8 ore a 85 dBA.
Tale valore soglia è stato accettato dal D.L. 277 del
15/8/91 che fissa il valore limite di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) che fa
107
scattare i provvedimenti per le misure di tutela del
lavoratore e conseguenti responsabilità del datore
di lavoro:
• 80 dBA (LEP, d) per la valutazione del rischio e
l’informazione dei lavoratori;
• 85 dBA (LEP, d) per l’adozione di corsi di formazione, fornitura di mezzi protettivi individuali e controlli sanitari periodici.
Esposizione professionale
e rischio occupazionale
in odontoiatria
Nella tabella 2 è stato riportato il livello di intensità del rumore (dBA SPL) registrato nello studio
dentistico durante l’uso singolo o combinato delle diverse apparecchiature odontoiatriche presenti.
Le misurazioni sono state eseguite ad una distanza di circa 40 cm dall’apparecchiatura in funzione
per simulare la distanza della testa del dentista
dalla fonte di rumore; fattore importante considerando che l’intensità diminuisce in proporzione inversa al quadrato della distanza.
La rumorosità di un ablatore per il tartaro utilizzato con l’aspiratore ad alta velocità è, ad esempio,
di 80,5 dBA a 40 cm di distanza dalla fonte, ma aumenta a 82,4 a 20 cm.
Come già detto, inoltre, in quanto espressione logaritmica non è possibile effettuare con i decibel
operazioni aritmetiche, come la somma e la sottrazione, e tale fatto permette di inserire alcune interessanti osservazioni: l’uso contemporaneo di
più apparecchiature di pari rumorosità innalza di
poco il valore in dBA, spesso senza superare i valori soglia per gli effetti uditivi.
È comunque logico affermare che non esiste un livello di inquinamento sonoro preoccupante per
l’odontoiatra; soprattutto considerando che nelle
8 ore giornaliere lavorative il valore critico (85
dBA) può essere raggiunto nello studio odontoiatrico solo per brevi periodi; tali da non comportare un livello di rischio professionale considerato
nelle 8 ore di lavoro (fissato a 85 LEP, d).
Ciò vuol dire che il valore del livello di rumore
equivalente (dBA Leq) misurato nelle ore di lavoro non supera il valore limite di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) prevista
come valore soglia (TLV) dalla normativa, valore
oltre il quale si ammette possano verificarsi danni
riconducibili a malattia professionale.
108
MEDICINA DEL LAVORO
Tab. 2 Livelli di esposizione al rumore, rilevazioni fonometriche nello studio odontoiatrico
• Fonti di rumore nello studio odontoiatrico
• (valori di picco misurati in dBA SPL)*
Aspirasaliva
Aspiratore ad alta velocità
75
Trapano a turbina ad alta velocità (AVA)
68,6
Trapano elettromeccanico (micromotore)
72,5
Vibratore d’amalgama
71
Ablatore del tartaro
81
Impianto di condizionamento
52
Aspirasaliva + turbina
Aspirasaliva + turbina + AVA
AVA + ablatore
• Valore limite dell’intensità sonora ammesso
• negli ambienti di lavoro
79,1
82,5
88
80,5
85 dBA LEP, d
• Valori registrati negli studi odontoiatrici
• (per funzionamento contemporaneo di 3 sorgenti)
76 dBA LEP, d **
• Danno alla persona da rumore
Improbabile e /o molto limitato consistente in fatica uditiva
(per spostamento temporaneo della soglia uditiva)
• Prevenzione
Non necessaria
* Le misurazioni fornite dall’ANDI nel 1994 erano: turbina 87 dBA, micromotore 68 dBA, AVA 66 dBA.
** Livello esposizione personale in 8 ore di lavoro (Circolare del 1994 del Presidente Nazionale ANDI).
Tale fatto rende inutili i controlli sanitari e l’utilizzazione di mezzi protettivi personali (cuffie, tappi
auricolari).
Il livello di rumore è, infatti, normalmente ridotto
proprio in virtù delle caratteristiche stesse del lavoro odontoiatrico e di costruzione delle attrezzature, considerando che:
• le sofisticate attrezzature sono dotate di accorgimenti costruttivi di serie fonoassorbenti
(schermi, cappottature);
• il funzionamento delle diverse attrezzature non
è quasi mai simultaneo;
• l’utilizzo delle strumentazioni è discontinuo in
quanto limitato a solo alcune fasi di lavorazione,
con significative pause per tutte quelle attività
che non richiedono attrezzature rumorose.
I possibili effetti del rumore a cui sono esposti gli
operatori odontoiatrici sono, quindi, solo riconducibili a disturbi transitori seguiti da completo recupero:
• lo spostamento temporaneo della soglia uditiva
o fatica uditiva (TTS a breve termine);
• gli effetti extrauditivi del rumore, solo in soggetti predisposti, considerando che si tratta di
valori presenti anche nella vita normale; si trat-
ta, cioè, comunque di effetti aspecifici, che possono essere causati anche da stimoli diversi
non correlati al lavoro.
In letteratura sono disponibili pochi studi specifici del settore odontoiatrico, rari quelli che sostengono un rischio professionale peraltro limitato, in
contrasto con le affermazioni sopraesposte.
Una ricerca di Ward e coll. (1969) ha dimostrato
che il pericolo di danni uditivi, utilizzando strumenti rotanti ad alta velocità, è limitato ma non da
escludersi.
Il lavoro più completo è stato condotto da Taylor e
coll. (1965) che ha controllato il danno subito dai
dentisti con una esposizione di 85 dB a livello dell’orecchio e una banda sonora di 4-8 kHz, trovando
una caduta uditiva di 5 dB a 4 kHz e 7 dB a 8 kHz.
Orientamenti
per la prevenzione
Il rumore non è un fattore di rischio professionale in odontoiatria visto che i valori regi-
CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE
strati di intensità sonora sono inferiori ai valori
limite.
La misura del livello di rumore equivalente
(dBA Leq) non supera nelle otto ore il valore
limite di esposizione professionale quotidiana
personale (LEP, d) considerato il rischio per patologie occupazionali.
Le normali caratteristiche di costruzione delle
apparecchiature odontoiatriche sono sufficienti
ad escludere danni acustici da rumore correlati
al lavoro.
Soggetti ipersensibili possono attuare alcune
semplici precauzioni per ridurre il rumore, qualora ne aumenti l’esigenza soggettiva.
109
NORME PER RIDURRE IL RUMORE
• Mantenere in ordine le attrezzature odontoiatriche
• Adattare i locali di lavoro (pannelli fonoassorbenti al soffitto, tendaggi antirumore, pavimentazione in materiale elastico, razionale
collocazione del compressore)
• Evitare l’accensione contemporanea di più attrezzature se non necessaria
• Utilizzare misure di protezione personale
(tappi auricolari) appare una misura applicata
occasionalmente da alcuni operatori.
CAPITOLO 13
PATOLOGIE RESPIRATORIE
F. Montagna
Il polmone, in tossicologia, costituisce la principale via di penetrazione di numerose sostanze che
possono essere inalate in forma di polveri, aerosol
(solidi e liquidi), gas e vapori.
Il tratto respiratorio superiore (naso e laringe) e
l’albero bronchiale, rivestiti da un epitelio ciliato
colonnare e secretorio a struttura pseudostratificata, svolgono un ruolo di filtro ed eliminazione
del materiale inalato, impedendone la progressione (clearence mucociliare e riflesso della
tosse).
I bronchioli respiratori, i dotti alveolari e gli alveoli costituiscono l’acino, unità funzionale del
polmone, coperta da cellule squamose (pneumociti); le difese sono affidate alla fagocitosi operata
dai macrofagi alveolari, granulociti neutrofili ed
eosinofili, linfociti; gli acini polmonari (lunghezza
0,5-1 mm) sono molto sensibili agli agenti esogeni
inalati per la loro incapacità di mitosi e rigenerazione cellulare.
L’elevata superficie di scambio (80-100 m2 di superficie alveolare), l’estrema sottigliezza della
membrana alveolo-capillare (strato monocellulare
< 1 micron), il veloce flusso ematico favoriscono
l’assorbimento delle sostanze allo stato gassoso e
di vapore.
Poiché l’aria inalata è carica di particellato (allergeni, pollutanti e inquinanti) e contaminanti biologici, ne consegue che il tratto respiratorio è il bersaglio di diverse sostanze aerodisperse potenzialmente dannose.
Nell’ambito della medicina del lavoro si distinguono le polveri organiche e inorganiche, con
differenti implicazioni patologiche in ambito industriale.
Le polveri organiche sono formate da microrganismi (batteri 0,5-2 micron, virus 10-300 millimicron), proteine di origine animale e composti chimici organici (vernici, plastiche e farmaci); sono
associate a tre sindromi polmonari: l’asma allergi-
co, la sindrome tossica da polveri organiche e la
polmonite da ipersensibilità.
Le polveri inorganiche sono formate da metalli,
polveri inorganiche fibrosanti (silice libera), fibre
minerali sintetiche e gas tossici inalati; sono associate con diversi tipi di patologie respiratorie:
asma bronchiale; tracheobronchite, polmonite
chimica; polmonite da ipersensibilità; fibrosi polmonare diffusa.
Le polveri
Le polveri aerodisperse rappresentano uno dei
principali problemi dell’igiene ambientale sia perché sono degli inquinanti ubiquitari, sia perché la
loro composizione e la loro granulometria possono variare entro limiti ampi.
Il particolato (o particellato) sospeso è costituito
da particelle di forma irregolare, di dimensioni
sino a 100 micron, la cui composizione chimica è
complessa e può comprendere sostanze inorganiche, organiche di varia natura, gas e vapori
adsorbiti.
Questa complessità rende utile suddividere il particolato in classi comprendenti particelle le cui
caratteristiche variano entro limiti più ristretti.
Due sono le classificazioni più importanti: la prima è basata sull’attività biologica e distingue le
polveri inerti o fastidiose, quelle fibrinogene o
sclerogene e altre alle quali è associato un rischio
chimico e/o biologico a causa dei costituenti (metalli, sostanze organiche, virus e batteri, gas e vapori).
L’altra classificazione riguarda l’aspetto dimensionale delle particelle che compongono le polveri che è importante per il comportamento in atmosfera e anche per il segmento dell’apparato respiratorio dove le particelle andranno a depositarsi.
CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE
Le particelle inalate penetrano nelle vie aeree e si
distribuiscono a seconda delle dimensioni, delle
forme, della massa, cioè delle loro caratteristiche
aerodinamiche, dell’igroscopicità e della densità;
a seconda del tratto interessato si distinguono:
• deposizione extratoracica, caratteristica delle
particelle più grandi che vengono bloccate per
impatto sulla mucosa nasale e da qui vengono
rimosse entro pochi minuti per trasporto meccanico con secrezioni;
• deposizione tracheobronchiale le particelle
che si depositano in questa regione hanno un
diametro aerodinamico inferiore a 30 micron e
vengono rimosse entro alcune ore a opera del
sistema mucociliare.
Le particelle più voluminose (> 20 micron)
vengono catturate per sedimentazione e filtrazione dalla mucosa del naso, orofaringe e laringe.
Le particelle con diametro compreso tra 5/20
micron si depositano per sedimentazione gravitazionale e impatto inerziale nell’albero tracheobronchiale; sono allontanate mediante la
clearance mucociliare e quindi espettorate o
deglutite;
• deposizione alveolare, che riguarda particelle
con dimensioni inferiori a 10 micron; la loro rimozione è lenta (anni) e avviene per solubilizzazione o fagocitosi con successivo trasporto all’esterno (sistema mucociliare e linfatico).
Le particelle con diametro 0,5-5 micron penetrano e si depositano nei bronchioli respiratori, nei dotti alveolari, negli alveoli dei lobi
superiori dei polmoni. Il particellato di questo
diametro costituisce la maggior parte della frazione respirabile della polvere e contiene microrganismi (dimensioni dei batteri 0,5-2 micron);
• le particelle < 0,5 micron possono comportarsi
come gas e non depositarsi, rimangono in gran
parte sospese nel flusso aereo e sono espirate.
111
Controllo della qualità
dell’aria
negli ambienti confinati
La metodologia di studio della qualità dell’aria indoor può avvalersi di diverse indagini strumentali
per evidenziare gli inquinanti ambientali.
Il termine particolato o particellato aerodisperso
(PM) è considerato uno tra gli indicatori più generici dell’inquinamento dell’aria; è dosato con sistemi automatici di rilevazione (dosimetri) ad alta
specificità.
La quantità di polveri nell’aria è espressa in mg/m3
per valutare il valore critico (limite di soglia, TLV)
che comunque varia per ogni singola diversa sostanza; un TLV superiore a 0,7 mg/m3 di polveri insolubili è tale comunque da superare le difese dell’albero respiratorio.
Per l’ACGIH esistono tre categorie di polveri in
rapporto alla loro dimensione (tabella 1):
• massa delle particelle inalabili (MPI), generalmente definita polverosità totale, che ha una
grandezza di 100 micron e quindi interessa i moti respiratori;
• massa delle particelle toraciche (MPT), data da
particelle fino a 25 micron e che interessano la
parte ciliata dell’albero respiratorio (trachea,
bronchi e bronchioli);
• massa delle particelle respirabili (MPR) che
raggiunge i 7-10 micron di diametro ed è costituita da polvere in grado di pervenire agli alveoli polmonari.
La pericolosità degli inquinanti aerodispersi è tanto maggiore quanto minore è il diametro, visto che
particelle di 0,5-5 micron possono raggiungere gli
alveoli polmonari; i materiali organici insolubili
(silice cristallina) con diametro 0,5-0,7 micron
hanno la maggior capacità di accumularsi nei tessuti polmonari ed hanno un effetto fibrogeno in
grado di indurre sclerogenesi.
Tab. 1 Dimensioni delle polveri e rischio biologico
CLASSIFICAZIONE
DIMENSIONE
COMPORTAMENTO
•
•
•
•
<
<
<
<
Deposizione extratoracica
Deposizione tracheobronchiale
Deposizione alveolare
Non deposizione, espirazione
Massa delle particelle inalabili (MPI)
Massa delle particelle toraciche (MPT)
Massa delle particelle respirabili (MPR)
Particelle espirabili
100
30
10
0,5
micron
micron
micron
micron
112
MEDICINA DEL LAVORO
Nell’arco di 8 ore, per convenzione, si presume
che un soggetto al lavoro necessiti di 8-10 m3 di
aria per sopperire agli scambi respiratori.
La dose di sostanza assorbita per inalazione in un
turno di lavoro può essere espressa, in prima approssimazione, come quantità di sostanza per metro cubo d’aria (concentrazione ambientale) moltiplicata per il tempo di esposizione e il volume
d’aria inspirato:
anestetici. Mentre è evidente che tali considerazioni non valgono per gli agenti privi di valore soglia
per i quali il rischio vale zero solo a dose zero (ad
esempio, i microrganismi patogeni e le allergie).
mg/m3 x 8 ore x 10 metri cubi =
quantità di sostanza inalata in un turno di lavoro
La contaminazione ambientale da particellato aerodisperso (PM) nello studio odontoiatrico può
essere di tipo organico, inorganico, con diversi
gradi di contaminazione microbiologica.
Con il termine aerosol si intendono le particelle
con diametro compreso tra 0,5-5 micron che, liberate nell’aria, rimangono sospese senza depositarsi per ore; mentre con il termine di nebulizzazione
si intendono particelle superiori a 30 micron che
tendono a depositarsi per la gravità. Il rischio di
Tali considerazioni rivestono importanza per quegli agenti lesivi che presentano una relazione di
proporzionalità tra l’entità della dose e l’entità degli effetti; tipico degli agenti lesivi che presentano
una dose soglia al di sotto della quale non si osservano effetti avversi (NOAEL, no observed adverse
effect level) come ad esempio il mercurio e i gas
Esposizione professionale
in odontoiatria
Tab. 2 Classificazione dell’attività biologica e del rischio da inalanti
ATTIVITÀ BIOLOGICA
SOSTANZE
FONTE, DIMENSIONI
• Inerti
Acqua
Talco
Bicarbonato
Metalli (oro, platino, ecc.)
Spray (turbine, siringa aria-acqua,
apparecchi a ultrasuoni)
Guanti
Air polishers
Fresatura di protesi
Materiali insolubili inorganici
di silice cristallina (quarzo):
Porcellana
Ossido di silicio
Fresatura di protesi
Sistemi di air abrasion
• Rischio tossico
Mercurio
Protossido d’azoto, gas anestetici
Resine (vapori di monomero)
Otturazioni in amalgama
Anestesia per inalazione
Lavorazioni protesiche
• Rischio chimico/irritante
Glutaraldeide
Ossido di etilene
Ipoclorito di sodio
Disinfettanti
• Rischio microbiologico
Microrganismi aerodispersi
(virus, batteri, miceti)
Materiali organici: smalto,
cemento, dentina
Liquidi organici: sangue, saliva
Spray, tosse, sternuti
Preparazione e limatura di denti
Lattice
Guanti, diga
• Rischio di sclerogenesi
• Rischio allergico
Interventi chirurgici
CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE
patologie respiratorie in odontoiatria è comunque
ridotto, e verrà analizzato secondo due comparti:
• patologie da polveri disperse nell’ambiente;
• malattie infettive.
Si può premettere che le patologie polmonari non
rappresentano una malattia professionale tale da
richiedere controlli o accertamenti sanitari particolari. L’incidenza delle patologie polmonari negli operatori odontoiatrici non presenta, infatti,
dati di morbosità superiori alla popolazione generale.
Patologie respiratorie
da polveri disperse
e vapori nell’ambiente
Le polveri inorganiche sono formate da metalli,
polveri inorganiche fibrosanti (silice libera), fibre
minerali sintetiche e gas tossici inalati (N2O); possono essere associate con patologie respiratorie
di tipo allergico o irritativo (tabella 2).
Il rischio è riconducibile a reazioni irritative delle
prime vie respiratorie provocate dalla esposizione
acuta a concentrazioni elevate di sostanze chimiche, per una loro errata utilizzazione; come ad
esempio, le riniti, le laringotracheiti e tracheobronchiti causate da esposizioni acute a vapori di
disinfettanti (glutaraldeide, ossido di etilene).
Frequentemente è posta la domanda sulla esistenza di un rischio rappresentato da polveri inorganiche di silice cristallina (quarzo), come ad esempio
l’ossido di silicio utilizzato in conservativa per la
preparazione di cavità da otturazione (air abrasion system) e il bicarbonato (air polishers).
113
Tale eventualità è solo teorica, come dimostrato
da studi statistici recenti che escludono un rischio
professionale per gli operatori da polveri inorganiche respirabili:
• per gli air abrasion system il particolato misurato extraoralmente non è superiore a quello
causato da strumenti rotanti tradizionali (Ghiabi 1998);
• l’uso delle normali precauzioni (aspirazione ad
alta velocità) è una misura sufficiente ad eliminare il rischio da polveri respirabili (Muzzin
1999; Wright 1999).
Le polveri organiche sono formate da microrganismi (batteri 0,5-2 micron, virus 10-300 millimicron), proteine di origine animale (lattice) o umana (cellule di desquamazione della cute), composti chimici organici (vapori di resine).
La presenza di proteine di origine animale (lattice) nell’ambiente può essere associata a reazioni allergiche scatenate da basse concentrazioni di
antigene in soggetti sensibilizzati, come ad esempio riniti e asma bronchiale; in particolare l’allergia al lattice può causare orticaria, rinocongiuntivite, asma, shock anafilattico.
Malattie infettive respiratorie
Le terapie odontoiatriche espongono operatori e
pazienti a possibili infezioni crociate per via aerea
per un elevato numero di patologie con caratteristiche differenti di morbosità e contagiosità.
Si tratta prevalentemente di malattie esantematiche e infezioni dell’apparato respiratorio contraddistinte da una bassa mortalità, invalidanti per periodi ridotti e generalmente prive di conseguenze.
Tab. 3 Goccioline e aerosol microbici
MECCANISMO
DI PRODUZIONE
ZONA
DI FORMAZIONE
DIAMETRO
DISTANZA
RAGGIUNTA
NUMERO
• Vociferazione
Parte anteriore
della cavità orale
25-2000 micron
30 cm
Varia in rapporto
alla quantità di saliva
• Starnuto
Naso-faringe
< 100 micron
Qualche metro
20.000 goccioline
• Tosse
Trachea, bronchi
Vario
Qualche metro
10-100 goccioline
• Attrezzature
• odontoiatriche
Cavità orale
Vario
Qualche metro
Diverse migliaia
di goccioline
114
MEDICINA DEL LAVORO
La sorgente di infezione è rappresentata da persone malate con una infezione attiva o in incubazione sottoposte a terapie odontoiatriche, le quali eliminano secrezioni infette attraverso la via buccale (saliva) o respiratoria (secreto tracheobronchiale).
La trasmissione avviene per via interumana indiretta, infettando soggetti nelle immediate vicinanze o lontani dopo dispersione nell’ambiente. Il veicolo dell’infezione è rappresentato dall’aria e può
avvenire attraverso diverse modalità (tabella 3):
• le goccioline di Flugge formate con la vociferazione, tosse, sternuto;
• gli aerosol prodotti dalle attrezzature odontoiatriche.
Le goccioline possono essere formate da muco,
saliva, acqua, residui epiteliali, leucociti.
L’esito delle goccioline, una volta pervenute nell’atmosfera, dipende dalla loro grandezza, peso e
forza di propulsione.
Le più grosse, in obbedienza alla legge di gravità,
sedimentano nello spazio di pochi secondi, mentre le più piccole (< 100 micron) evaporano rapidamente dando luogo alla formazione di nuclei di
goccioline.
Questi possono rimanere nell’atmosfera per ore o
addirittura per giorni, e, in presenza di notevole
umidità, possono condensare vapore di acqua e
costituire gli aerosol microbici. I nuclei di goccioline, in particolare, possono trasmettere l’infezione a notevole distanza nello spazio e nel tempo,
soprattutto in relazione alla resistenza dell’agente
patogeno all’ambiente esterno.
Le goccioline che sedimentano non possono considerarsi del tutto innocue; una volta sedimentate
evaporano più o meno rapidamente e i germi, in
esse contenuti, possono aderire ai granuli di polvere e risollevandosi con questi costituire un nuovo pericolo; da qui si deduce l’importanza della
pulizia delle superfici e della ventilazione degli
ambienti di lavoro.
Tab. 4 Criteri indicativi per la classificazione della concentrazione di batteri nell’aria
LIVELLO
•
•
•
•
•
Molto basso
Basso
Medio
Alto
Molto alto
CONCENTRAZIONE
di unità formanti colonia (CFU)
< 50
50-100
101-500
501-2000
> 2000
• saliva e secrezioni (goccioline di Flugge) infette con microrganismi del cavo orale e delle vie
aeree superiori espettorate con la respirazione,
i colpi di tosse e gli sternuti, considerando la distanza minima tra operatore e paziente nel corso delle cure;
• apparecchiature odontoiatriche in grado di formare spray contaminato da microrganismi del
cavo orale, come lo strumentario rotante, la siringa aria-acqua, gli ablatori ultrasonici.
Per quantificare la contaminazione aerea nell’ambiente si campionano i contaminanti microbiologici disponendo nell’ambiente delle piastre di Petri;
si utilizzano terreni di coltura di tipo generale per
la conta totale di batteri e funghi, o terreni selettivi per la ricerca di determinati microrganismi di
interesse. Le concentrazioni vengono espresse in
unità formanti colonia dopo incubazione (CFU).
Nessun paese ha raccomandato limiti specifici per
la concentrazione di batteri nell’aria; i criteri riportati nella tabella 4 sono indicativi e il loro superamento non comporta necessariamente effetti
sulla salute. È evidente che in tale classificazione
non sono compresi i patogeni aerodispersi, che
rappresentano elemento di rischio indipendentemente dalle concentrazioni osservate.
Particellato liberato dalle persone
Contaminanti microbiologici
Uno dei maggiori problemi in odontoiatria è rappresentato dalla contaminazione ambientale da inquinamento biologico che può derivare da fonti diverse:
• liberazione nell’aria di particellato dalla desquamazione dell’epidermide di persone che si
muovono nell’ambiente confinato dell’unità
operativa;
La liberazione nell’aria del corpuscolato, da parte
di persone presenti nell’ambiente, è elevato e tale
da rappresentare una considerevole fonte di contaminazione.
Consideriamo, infatti, che la pelle di un essere
umano pesa mediamente 5 kg con una superficie
di 1,75 m2; che ogni 4 giorni si verifica un ricambio
dello strato corneo dell’epidermide; che su ogni
centimetro quadrato di pelle vivono 1000-10000
colonie di microrganismi.
CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE
115
MALATTIE A DIFFUSIONE AEREA TRASMISSIBILI IN ODONTOIATRIA
(ELIMINAZIONE E PENETRAZIONE ATTRAVERSO LE VIE RESPIRATORIE)
Patologia
• Difterite
•
•
•
•
Influenza
Legionellosi
Malattia respiratoria acuta febbrile
Raffreddore comune
• Polmonite stafilococcica
• Malattie streptococciche
(angina, scarlattina)
• Meningite meningococcica
• Mononucleosi infettiva
• Morbillo
• Parotite
• Pertosse
• Polmonite pneumococcica
• Rosolia
• Tubercolosi
• Varicella
Periodo di contagiosità
Variabile da 2 a 4 settimane; sino a quando sono presenti batteri
nella secrezione delle lesioni. I portatori cronici possono diffondere i microrganismi per 6 mesi
Probabilmente limitato a 3 giorni dall’inizio della malattia
La trasmissione interumana non è stata documentata
Per tutta la durata della fase attiva della malattia
Il liquido ottenuto dal lavaggio nasale eseguito 24 ore prima e per
5 giorni dopo l’esordio della malattia ha provocato sintomi involontari, infettati sperimentalmente
Fino a quando le lesioni purulente continuano a secernere o persiste lo stato di portatore
10-21 giorni nei casi non trattati e senza complicazioni; nei casi
non trattati con secrezioni purulente è di settimane o mesi. Con
terapia penicillinica la trasmissione termina entro 24/48 ore
Fino a che i meningococchi non sono più presenti nelle secrezioni del naso e della bocca. Gli organismi sensibili alla terapia
scompaiono dal naso-faringe entro 24 ore dall’inizio della terapia.
Il trattamento con penicillina determina completa eradicazione
dei microrganismi dall’oro-faringe
Prolungato, l’escrezione faringea può persistere per un anno dopo
l’infezione. Il 15-20% degli adulti sani sono portatori orofaringei
Da poco prima dell’inizio del periodo prodromico fino a 4 giorni
dalla comparsa dell’esantema; la contagiosità è minima dopo il
secondo giorno del rash cutaneo
Virus isolato nella saliva da 6 giorni prima della tumefazione delle ghiandole salivari fino a 9 giorni dopo; maggior contagiosità
nelle 48 ore prima della tumefazione
Altamente contagiosa nei primi stadi catarrali. Successivamente
la contagiosità diminuisce gradualmente e diviene trascurabile
entro 3 settimane, nonostante il persistere della tosse spasmodica. La terapia antibiotica riduce l’infettività a 5-7 giorni dopo l’inizio della somministrazione
Probabilmente fino a che le secrezioni della bocca e del naso contengono pneumococchi in numero significativo. La penicillina
rende il paziente non infettante in 24-48 ore
Da circa 1 settimana prima ad almeno 4 giorni dopo l’esordio del
rash. Altamente contagiosa
La tubercolosi polmonare aperta è contagiosa finché nelle secrezioni sono presenti bacilli tubercolari. Pazienti non trattati possono essere espettorato-trasmettivi a intermittenza per anni. Una
terapia antibiotica efficace riduce rapidamente la contagiosità.
La tubercolosi extrapolmonare chiusa non è contagiosa
5 giorni, di solito 1-2 giorni prima dell’inizio del rash e non più di
6 giorni dopo la prima ondata di vescicole
116
MEDICINA DEL LAVORO
I batteri rilasciati dalle persone che stazionano
nelle zone operative sono cospicue e variano in relazione alla attività fisica:
• 100.000 particelle/min per una persona seduta
• 1.000.000 particelle/min per movimenti moderati
• 5.000.000 particelle/min camminando
• 7.500.000 particelle/min correndo
• 15-30.000.000 particelle/min facendo ginnastica.
Il rischio non riguarda tanto gli operatori odontoiatrici, quanto la sepsi del campo operatorio in
chirurgia, stante la dimostrata correlazione tra
l’aumento del conteggio di batteri nell’area della
sala operatoria di chirurgia generale e il pericolo
di sepsi (Blowers e Wallace 1960).
La contaminazione da particellato è ridotta utilizzando un adatto abbigliamento in grado di trattenere tali particelle. A tale riguardo risultano fattori importanti per i camici non solo il tipo di tessuto ma anche la forma.
Per il tipo di tessuto si deve adottare un compromesso tra la necessità di protezione e la scomodità, visto che l’impermeabilità è inversamente
proporzionale alla vestibilità, traspirazione e
comfort per l’operatore: il vestiario in cotone è
sufficiente nella maggior parte dei casi; i camici in
tessuto non tessuto (TNT) trovano indicazione in
ambito chirurgico.
Limitatamente alla carica batterica sono inoltre da
preferire i camici attillati considerando che:
• un alto grado di attività con un camice largo
permette una dispersione di 50.000 batteri/min,
un camice attillato di 3200 batteri/min;
• un basso grado di attività 7000 batteri/min con
camice largo e 1500 batteri/min con camice attillato (D’Apolito 1991).
Particellato liberato
dalla terapia odontoiatrica
L’aerosol può essere provocato dalla utilizzazione
di diversi strumenti:
• la turbina per preparare una cavità produce un
incremento di batteri nell’aria del 2200%;
• gli ablatori ultrasonici del 3000%;
• gli air abrasion system producono rischi equivalenti a quelli causati da strumenti rotanti tradizionali (Ghiabi 1998).
Peraltro è stato dimostrato che la grande maggioranza delle particelle (95%) negli aerosol in odontoiatria è inferiore a 5 micron e il 75% è contaminato da microrganismi (Cooley 1989); dei quali al-
cuni seguono la via di trasmissione inalatoria (Mycobacterium tubercolosis, Rotavirus, virus influenzali, Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Aspergillus).
Una epidemia da Mycoplasma pneumoniae è stata segnalata nel personale odontotecnico a seguito di inalazione di aerosol generato dalla lavorazione di materiale infetto (Messite 1989).
Una ricerca condotta di Grappiolo (1992) posizionando piastre di Petri in 3, 6, 9, 12 ore a 50 cm dal
volto del paziente nel corso di 60 sedute terapeutiche ha dimostrato che non vi è differenza sostanziale nelle diverse posizioni e che la contaminazione batterica è pressoché uniforme; gli schizzi di
sangue, invece, sono molto più presenti in 9 ore
(100%) diminuendo in 6 ore (24,7%), 3 ore (14,11%),
12 ore (11,76%) entro un’area di 50 cm dalla bocca.
Non è stato a tutt’oggi ancora risolto in modo definitivo il problema sulla esistenza di una diretta
responsabilità dell’aerosol, provocato da strumenti odontoiatrici, nell’aumento di malattie aerogene
del personale odontoiatrico e tale eventualità è ritenuta possibile.
L’uso delle normali precauzioni (aspirazione ad alta
velocità, mascherine, schermi, occhiali) è comunque una misura sufficiente a contenere l’ipotetico
rischio entro parametri sicuramente accettabili.
La tubercolosi
Il rischio più temuto dagli operatori sanitari consiste nell’esposizione al Mycobacterium tubercolosis; eventualità, comunque, rara considerando la
bassissima prevalenza della patologia nella popolazione generale (tabella 5).
Recentemente si è imposto il problema del contagio nosocomiale per gli operatori sanitari in ambito medico, documentato da un aumento della conversione al test cutaneo della PPD dal 18 al 21% e
dalla segnalazione di epidemie nosocomiali.
Il rischio esiste, in misura minore, anche per il personale odontoiatrico, come dimostrato in passato
dall’incremento di positività al test della tubercolina
verificato negli studenti di odontoiatria dal 5% nel
primo anno sino al 33% nell’ultimo (Cooley 1960).
Il rischio di infezione post-esposizione è del 510% : la metà delle persone infettate sviluppa la
patologia entro il primo anno e l’altra metà in qualunque momento nell’arco della vita, poiché l’infezione rimane latente (persisters).
Il rischio di trasmissione agli operatori è ridotto
per una serie di motivi:
CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE
117
Tab. 5 Tubercolosi
• Agente eziologico
• Prevalenza nella popolazione generale
• Via di trasmissione
Mycobacterium tubercolosis e bovis
7/100.000
Aerea da pazienti con tubercolosi polmonare aperta; enterica; cutanea
• Resistenza all’ambiente esterno
• Inattivazione
Sei mesi
Luce solare in poche ore; calore umido 60 °C per 30 min;
glutaraldeide 2% 60 min
• Rischio di infezione post-esposizione
• Incubazione
• Sintomi di esordio
• Letalità
• Cronicizzazione
• Esami
• Profilassi attiva
5-10%
4-6 settimane
Febbre, tosse, sintomi aspecifici
Rara con terapia
Rara con terapia; reinfezioni endogene
Intradermoreazione di Mantoux, Tine test, Rx torace
• Chemioprofilassi
• Efficacia vaccino
• la patologia è rara nella popolazione generale e
risulta elevata solo nei pazienti con AIDS dove
può raggiungere il 10%;
• il rischio è rappresentato solo dalle forme polmonari attive (tubercolosi polmonare aperta);
• il semplice porre la mano davanti alla bocca
quando si starnutisce o si ride riduce considerevolmente l’emissione di particelle infettanti
(goccioline di Flugge);
• solo il 35-40% dei pazienti con escreato positivo
all’esame colturale è infettante;
• la chemioterapia antitubercolare riduce drasticamente l’infettività nell’arco di 2 settimane;
• la produzione di aerosol contenenti il M. tubercolosis durante le cure odontoiatriche non è
stata mai dimostrata;
• la ventilazione e l’illuminazione (M. tubercolosis è sensibile ai raggi solari o UV) e la normale
pulizia sono sufficienti a prevenire la contaminazione ambientale.
Le raccomandazioni di base sono quindi ridotte.
È stata indicata l’opportunità per gli operatori
odontoiatrici di eseguire l’intradermoreazione di
Mantoux e la vaccinazione con vaccino BCG (bacillo di Calmette e Guerin) dei soggetti cutinegativi; comunque, tale profilassi non garantisce una
protezione completa.
La durata dell’immunità è di 3-5 anni; la protezione di fronte all’infezione naturale è stata valutata intorno al 60-80%. La vaccinazione entro
3-5 settimane causa la comparsa della reazione
tubercolinica (intradermoreazione di Mantoux);
Vaccino BCG
Isoniazide
Parziale 60-80%
la rivaccinazione potrà essere effettuata nei casi in cui le reazioni tubercoliniche siano tornate
negative.
La legge n. 1088 del 14/12/70 ha inserito tra le categorie per le quali sussiste l’obbligo della vaccinazione antitubercolare, i soggetti cutinegativi addetti a ospedali, cliniche e ospedali psichiatrici e
gli studenti di medicina all’atto di iscrizione all’università.
Con D.P.R. n. 447/75 e 25/6/76 sono stati emanati i
regolamenti relativi alle modalità di esecuzione
degli accertamenti, tecnica, tipo di vaccino e controllo della vaccinazione.
RACCOMANDAZIONI DEL CENTER
FOR DESEASES CONTROL (1994)
PER PREVENIRE LA TUBERCOLOSI
• Richiedere consulenza medica per i pazienti che presentino sintomi di tubercolosi attiva
• Rinviare le cure di elezione e posporle alla terapia medica
• Per le cure urgenti e indilazionabili inviare il
paziente con tubercolosi polmonare aperta in
fase attiva in strutture con appropriate metodiche di controllo per l’infezione per via respiratoria (respiratori, maschere con filtrazione
inferiore a 1 micron, unità operative con pressione negativa)
118
MEDICINA DEL LAVORO
Orientamenti di prevenzione
Il controllo della contaminazione da inalanti rappresenta un problema di agevole risoluzione in
ambito odontoiatrico.
• L’adozione delle normali precauzioni (aspirazione ad alta velocità, mascherine, schermi, occhiali) è comunque una misura sufficiente a
contenere l’ipotetico rischio da inalanti organici e inorganici entro parametri sicuramente accettabili.
• La pulizia delle superfici è il sistema più valido
per migliorare l’igiene ambientale. La carica
batterica dell’aria è riducibile con l’igiene e la
pulizia degli ambienti, la disinfezione periodica
delle superfici e dell’ambiente.
• Gli ambienti devono assicurare un adeguato ricambio d’aria. Il sistema più valido si ottiene
con la ventilazione naturale aprendo le finestre
e consentendo uno scambio con l’aria esterna.
Nelle zone urbane ad alto inquinamento possono
essere utilizzati dei depuratori dell’aria dell’ambiente per evitare, aprendo le finestre, la penetrazione di inquinamento da rumore e polluzione atmosferica dall’esterno.
Gli impianti di aria condizionata consigliati sono i
sistemi tradizionali che rispondano ai seguenti requisiti: deve essere prescritto il ricircolo dell’aria e
utilizzato il costante prelievo di aria pura dall’esterno; l’ispezionabilità per poter procedere alla
pulizia, alla disinfezione delle condotte e al ricambio dei filtri.
Lo studio odontoiatrico è un ambulatorio con un
basso rischio per quanto attiene alle infezioni crociate per via aerea e sono accettabili parametri medi di concentrazione di batteri nell’aria pari a 100500 CFU. Non sono quindi necessari protocolli di
disinfezione spinti e, in particolare, non trova indicazione la disinfezione continua in presenza di persone. Per tale motivo scarsa applicabilità riconoscono i sistemi di decontaminazione dell’aria: gli
aerosolizzatori e i nebulizzatori abbattono la carica
batterica, ma possono esporre gli operatori ad
agenti chimici potenzialmente tossici; la decontaminazione dell’aria con flussi laminari è improponibile in uno studio odontoiatrico per gli elevati costi.
Le vaccinazioni per alcune patologie a trasmissione aerea sono raccomandate per il personale
odontoiatrico, il quale è particolarmente esposto
al contagio per la posizione di lavoro ravvicinata
alle vie respiratorie del paziente; un programma di
immunizzazione attiva è consigliabile al momento
dell’assunzione e quindi con successivi richiami
periodici.
I benefici per gli operatori odontoiatrici sono sostanzialmente duplici e consistono:
• per patologie lievi (influenza, morbillo, parotite) nell’evitare di contrarre malattie causa di invalidità temporanea ed astensione dal lavoro e
non diffondere l’epidemia a pazienti in cura;
• per patologie gravi nell’evitare il rischio di contrarre patologie croniche (tubercolosi) e con
complicazioni (malformazioni fetali nel caso di
rosolia in donne in gravidanza).
VACCINAZIONI CONSIGLIATE AL PERSONALE ODONTOIATRICO
Patologia
Immunizzazione
Richiamo
Note
Influenza
1 dose im
Ogni anno
Facoltativa, ripetuta ogni anno
Parotite
1 dose sc
Nessun richiamo
Facoltativa nei soggetti non immuni
Morbillo
1 dose sc
Nessun richiamo
Facoltativa nei soggetti non immuni
Rosolia
1 dose sc
Nessun richiamo
Facoltativa nei soggetti non immuni;
raccomandata nelle donne in età fertile
Tubercolosi
1 dose
In caso
di cutinegatività
Raccomandata nei cutinegativi al PPD
CAPITOLO 14
STRESS E PATOLOGIE
DEL COMPORTAMENTO
F. Montagna
Lo stress è uno stato di disagio psichico che si può
generare quando l’ambiente esterno pone richieste e oneri che sollecitano l’individuo a sostenere
prestazioni superiori al normale, sia qualitativamente che quantitativamente.
Gli induttori di stress (stressori) sono fattori in
grado di produrre disagio e difficoltà di adattamento ai propri compiti, all’ambiente o all’organizzazione del lavoro.
Qualora la persona sappia far fronte a tali stimoli,
si hanno dei benefici sulla sua performance (eustress); qualora, invece, non sia in grado di reagire
efficacemente, può crearsi in lui un senso di inadeguatezza e sottostima di sé (distress).
Nell’uso comune il termine di stress è sinonimo di
reazione negativa (distress) che può manifestarsi
con sintomatologia psichica e/o psicosomatica.
D’altra parte per ciascun individuo, in diverse fasi
della vita, esistono intervalli ottimali di attivazione
fisiologica e psicologica, continuamente perturbati da stimoli insufficienti o eccessivi; la risposta ad
un identico stressore è, quindi, individuale per
ogni singolo soggetto e variabile nei diversi periodi della vita.
Le conseguenze dello stress si manifestano a tre
diversi livelli:
• operatore, con disturbi psicologici, psicosomatici e somatici;
• utenza, influendo negativamente sul rapporto
con i pazienti e i familiari;
• sociale, con detrimento della qualità del servizio assistenziale.
La patologia psicosomatica
Il processo di adattamento dell’uomo all’ambiente
e il mantenimento dell’omeostasi fisiologica richiedono un intervento integrato del sistema nervoso centrale e del sistema endocrino.
La risposta dell’asse ipofisi-surrene allo stress è
stata per la prima volta descritta da Hans Selie
(1956) che ha introdotto il concetto di “sindrome
generale di adattamento” caratterizzata da:
• una fase di allarme dominata da una scarica
adrenergica conseguente alla stimolazione simpatica della midollare surrenale;
• una fase di adattamento in cui prevale la secrezione di glucocorticoidi in risposta all’increzione di ACTH e di endorfine;
• una fase di esaurimento in cui si manifesta l’incapacità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene a
garantire risposte immediate.
Peraltro, sulle dimensioni psicologiche dello stress
e sui correlati ormonali della risposta individuale alle situazioni critiche si stanno accumulando informazioni relative al coinvolgimento di altri sistemi
ormonali. Una situazione critica può essere affrontata in modo diverso sotto il profilo psicologico: la
percezione di esercitare un controllo sugli eventi
porta a scarse modificazioni ormonali che aumentano, invece, quando l’individuo si sente sovrastato
e impotente, di fronte a una situazione stressante.
Se l’individuo è incapace di manipolare le condizioni esterne o di modificare le sue capacità di adattamento agli stimoli ambientali attraverso l’allenamento, la situazione di sovra o sottostimolazione
condurrà a conseguenze patologiche riferite tradizionalmente allo stress, ma in realtà mediate dalle
disfunzioni neuroendocrine dell’organismo incapace di adattarsi: cardiovascolari (ipertensione arteriosa, extrasistolia, cardiopatia ischemica), digestive (ulcera duodenale, colite spastica) (figura 1).
La patologia psichica
Numerose sono le teorie sui processi psicologici
che conducono allo sviluppo di tratti patologici
della personalità; in questo ambito ci riferiremo al-
120
MEDICINA DEL LAVORO
Stress
Attivazione neuroendocrina
trauma idrodinamico
• dieta
arteriolari
lesione endoteliale
→
aggregazione piastrinica
→
• sedentarietà
ipertrofia pareti
→
• fumo
→ trombossano
resetting barocettori
→
• alcol
→
Effetti comportamentali
catecolamine
resetting curva
tolleranza glucidica
→
glucosio
→
→
→
→
pressione-natriuresi
COL e TRIG
NEFA
→
Mg ionizzato
vasospasmo
Coronaropatie
→
→
→
→
Aterosclerosi
→
Ipertensione
Fig. 1 Ipotesi patogenetica su stress-coronaropatia-ipertensione
le teorie psicoanalitiche che ci appaiono di più immediata percezione e adattabilità alle problematiche affrontate (figura 2).
Il termine di conflitto è uno stato psicologico di indecisione, che nasce quando un individuo è influenzato da due forze contrapposte di intensità simile, oppure quando qualche ostacolo blocca o arresta la traduzione in atto di una risposta. Gli ostacoli in odontoiatria possono essere esterni (inerenti all’ambiente e all’organizzazione del lavoro)
o anche interni (psicologici legati alla personalità
del soggetto).
Il termine frustrazione indica una situazione in
cui un individuo incontra un ostacolo che non gli
consente di soddisfare un bisogno o raggiungere
un obiettivo. Queste condizioni sono capaci di suscitare reazioni positive di compensazione oppure
di sollecitare capacità di difesa e di soluzione presenti in ciascun individuo; quando la situazione
supera la capacità di tolleranza insorgono, invece,
comportamenti di risposta non costruttivi:
• l’aggressività, meccanismo di scarico spesso
trasferito su un obiettivo innocente (capro
espiatorio);
• la regressione, tipica la regressione alla fase
orale che trova soddisfazione negli eccessi alimentari;
• la fissazione, cioè un arresto dello sviluppo della personalità o l’adozione di comportamenti
tanto ripetitivi quanto inutili;
• la razionalizzazione, che consiste nel costruire ragioni false, anche se plausibili, per giustificare una realtà a se stessi inaccettabile;
• la rimozione, che è un meccanismo che allontana dalla coscienza le esperienze frustranti per
spostarle a livello inconscio. Tale meccanismo
non elimina le frustrazioni che permangono come pulsioni nell’inconscio e ridivengono evidenti quando si riducono le energie per controllarle. Le nevrosi sono le conseguenze di un conflitto tra pulsioni presenti nell’individuo.
Il tipo di ostacolo, unitamente al tipo di personalità, alla diversa soglia di tolleranza e ai meccanismi compensatori, spiega la diversità delle reazioni individuali.
Esposizione professionale
in odontoiatria
È opportuno sottolineare che la maggiore sorgente di stress è determinata dal modo in cui l’individuo recepisce le situazioni che si presentano; cioè
CAPITOLO 14 • STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO
121
Stressori
• individuali • intrinseci al lavoro • legati alla carriera • relazionali • organizzativi
Stress
• conflitto • insoddisfazione • delusione • frustrazione
Soluzione
Patologia psichica
Patologia somatica
• superamento
• senso di inadeguatezza e incom-
• risposta neuroendocrina
• compensazione
(sindrome generale di adatta-
petenza
• crollo dell’autostima e dell’orgo-
mento)
glio
• senso di inferiorità
• autodenigrazione/focalizzazione
sugli insuccessi
Effetti
Affaticamento, stanchezza
Disturbi psicosomatici
• demotivazione, disinteresse
• senso di colpa
Patologie cardiovascolari
• ansia
(ipertensione arteriosa, extrasistolia, cardiopatia ischemica)
Effetti
Nevrosi
Depressione
Patologie digestive
Sindrome del burn-out
(ulcera duodenale, colite spastica)
Fig. 2 Patologia psicologica da stress
l’elemento caratteriale e la personalità fanno vivere in modo estremamente stressante ad alcuni situazioni assolutamente accettabili per altri.
Alcuni stressori si presentano, comunque, ricorrentemente nella professione odontoiatrica.
Una spiegazione particolare è da segnalare per alcuni percorsi psicologici tipici di un concetto esasperato delle caratteristiche di una libera professione di successo.
Alcuni odontoiatri manifestano una spinta verso il
perfezionismo con tendenza a catalogare in modo
netto le situazioni (insuccesso-successo), ad adottare uno stile di vita efficientista (competenza,
puntualità) quale parametro per incrementare e
autodeterminare i propri redditi in rapporto alla
propria condotta e impegno. Inoltre il continuo
desiderio di migliorarsi può in parte derivare dalla
necessità avvertita di risultare competitivi nei
confronti della concorrenza di altri professionisti,
con i quali è difficile il confronto, dato l’isolamento a cui conduce il frequente svolgimento dell’attività lavorativa in uno studio monoprofessionale.
Perfezionismo ed efficientismo, iperattività e polarizzazione degli interessi rappresentano tipici trat-
ti della personalità; rischiosi in quanto alterano la
soglia di tolleranza a situazioni casuali, come ad
esempio una diminuzione o un aumento di lavoro,
la mancata realizzazione di aspettative lavorative o
addirittura un insuccesso o un contenzioso.
La sindrome del burn-out
Alcuni autori inquadrano la fenomenologia dello
stress di origine professionale dell’operatore sanitario sotto l’etichetta di sindrome del burn-out. Alla base della sindrome vi è un meccanismo di difesa di tipo regressivo, in quanto l’operatore si sottrae alla situazione estraniandosi e generando così un senso di sconfitta e frustrazione.
Il soggetto attraversa un primo periodo di impegno e di entusiasmo nel quale non risparmia energie; segue poi una fase in cui percepisce una condizione di inutilità dei propri sforzi, che lo conduce, infine, a manifestare un progressivo distacco e
disinteresse per i propri compiti, accompagnato
da sintomi di affaticamento e da disturbi psicosomatici.
122
MEDICINA DEL LAVORO
INDUTTORI DELLO STRESS IN ODONTOIATRIA
Stressori
Descrizione
• Individuali
Personalità a rischio frequenti tra i dentisti (perfezionismo, competitività,
efficientismo, elevata autostima, polarizzazione degli interessi o work
adict)
• Intrinseci al lavoro
Attenzione visiva e manuale costante in campo operativo ridotto
Posture di lavoro statiche, squilibrate e prolungate
Condizioni ergonomiche e ambientali sfavorevoli (microclima, rumore, illuminazione, disposizione delle attrezzature)
• Legati alla carriera
Mancata realizzazione di aspettative lavorative (incongruità del ruolo rispetto alle proprie capacità stimate, scarse prospettive di evoluzione professionale, livello retributivo inadeguato rispetto all’impegno)
• Organizzativi
Rigidità (parcellizzazione dei compiti, routinarietà e ripetitività delle mansioni)
Cattiva gestione del tempo (tempi limitati per incontri, ritardi, spazi improduttivi)
Carico e ritmo di lavoro eccessivo o scarso (overload, underload)
• Relazionali
Assenza di comunicazione (tempi di lavoro ristretti, assenza di dialogo con
il paziente; mancanza di contatti con altri professionisti e isolamento)
Gestione di pazienti difficili (bambini, ansia, odontofobia)
Percezione di immagine negativa del dentista (svalutazione del ruolo sociale)
Conflitto e contenzioso con i pazienti (pazienti con aspettative di cura elevate e problemi economici; errori tecnici del dentista)
Si verifica, quindi, un inaridimento della persona
che tende a ridurre al minimo il contatto trasformandosi in un “burocrate ligio ai regolamenti”. L’esaurimento emozionale porta a un processo di
spersonalizzazione che mina la comunicazione,
sfociando in un sentimento negativo di deprezzamento verso se stessi e sensi di colpa.
Alla base del sentimento di ridotta realizzazione
personale vi è un senso di inadeguatezza rispetto
ai propri compiti, il crollo dell’autostima, il rischio
di depressione o di rinuncia ai propri ideali professionali.
Alcuni autori hanno schematizzato il progressivo
acuirsi della conflittualità in diverse fasi successive.
1. Nella prima fase di allarme il dentista diviene irritabile e impaziente; non può concentrarsi e
proietta il suo nervosismo sugli altri (pazienti,
collaboratori, famiglia).
2. Nella seconda fase appare un’aggressività agitata, in cui il dentista comincia a dubitare di se
stesso e sembra girare a vuoto; per verificare la
sua forza aumenta il lavoro e la responsabilità
senza accordarsi riposo; appare il quadro dell’astenia cronica.
3. Nella fase di esaurimento domina la tristezza,
l’ansia, la depressione di vario grado da disturbi psicosomatici (gastrite, ipertensione arteriosa, ecc.) sino a idee suicidiarie.
4. Sindrome del burn-out conclamata con dipendenza cronica da sostanze da abuso (alcol,
droghe).
Orientamenti per la prevenzione
L’andamento della sindrome del burn-out è progressivo in quanto all’interno di un gruppo professionale si innesta una sorta di reazione a catena: la
presenza di un individuo stressato può infatti agire quale induttore di stress sull’intera équipe, causando un contagio a macchia d’olio. È importante
tamponare il fenomeno fino dai suoi esordi.
Il dentista può favorire l’adattamento a situazioni
professionali difficili oppure acuire la conflittualità progressivamente in diverse fasi patologiche.
L’intervento di tipo preventivo e/o terapeutico dipende dalla gravità della crisi, dalla coscienza che
il dentista ha delle sue difficoltà, dalla disponibi-
CAPITOLO 14 • STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO
123
SUGGERIMENTI PER LA PREVENZIONE E LA TERAPIA
DELLO STRESS ODONTOIATRICO
• Non arrendersi
Prendere coscienza dei motivi di stress esterni (inerenti all’ambiente e all’organizzazione del lavoro) e interni (meccanismi psicologici) per affrontare la situazione
• Intensificare lo sforzo
Analizzare gli stressori; confrontarsi con colleghi; rimotivarsi come persona
e professionista migliorando le proprie conoscenze e capacità
• Cambiare i mezzi
Provare un percorso diverso nella programmazione e organizzazione dell’ambiente e delle procedure di lavoro
• Sostituire l’obiettivo
Compensare le situazioni non risolvibili, rivolgendosi a obiettivi diversi (riposo, vacanze, sport, attività fisiche, hobby)
• Essere flessibili e saggi
Modificare i propri atteggiamenti mentali e comportamenti; analizzare la situazione da più punti di vista; essere meno coinvolti emotivamente da ansie
e tensioni
• Domandare aiuto
Superata la tolleranza individuale rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta
lità al cambiamento, dalle risorse umane e ambientali.
Il dentista deve imparare a conoscere i limiti di
tollerabilità dello stress personale e, una volta superati, prendere provvedimenti di autoprotezione
analizzando ed eliminando gli stressori presenti
nell’ambiente di lavoro.
Le misure antistress si dividono in preventive e
compensative.
Le misure preventive riducono o aboliscono le
cause dello stress: organizzazione dell’ambiente di
lavoro e del personale in modo da lavorare con raziocinio e metodo; riduzione del numero degli appuntamenti e delle ore di attività eccessive rispetto alle proprie capacità di adattamento.
Le misure sono compensative se sono in grado di
aumentare la resistenza allo stress: controllo delle
proprie abitudini, dedicando più tempo alla propria vita privata, ai passatempi e ai rapporti sociali; un periodo di riposo può essere efficace e necessario per interrompere il carattere progressivo
della crisi; il lavoro in associazione con altri professionisti permette di delegare parte dei propri
impegni, di uscire dall’isolamento e trovare forme
di solidarietà e amicizia; la frequentazione di corsi
di aggiornamento permette di apprendere nuove
tecniche, uscire dall’abitudinarietà e rimotivarsi
professionalmente.
La scelta dell’approccio dipende dalla profondità
del disturbo e dalla motivazione del dentista.
Alcune persone più propense all’autocritica trovano il pretesto per una introspezione personale e
trasformano un conflitto in una crisi esistenziale
feconda. Altre con una visione funzionale della vita e un rifiuto dell’inconscio sono portati a scegliere soluzioni basate sul modo di risolvere lo
stress senza troppo preoccuparsi del perché, utilizzando passatempi, hobby, tecniche di rilassamento o di training autogeno. Nei soggetti in stato
depressivo ansioso e/o incapaci di riconoscere lo
stress o indisponibili al cambiamento può essere
necessaria una psicoterapia o una terapia medica.
MEDICINA
LEGALE
INTRODUZIONE
15 EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO
16 I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
17 LA PREVENZIONE E LA GESTIONE
DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
18 LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO
19 LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO
STRAGIUDIZIALE
20 IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
21 LA MODULISTICA PER LO STUDIO
ODONTOIATRICO
22 LA POLIZZA ASSICURATIVA PER
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
23 CASISTICA
Per introdurre questa parte del libro concedetemi
la piaggeria di ripercorrere brevemente la mia
esperienza in questo specifico settore.
Nel 1990 ho eseguito la mia prima consulenza tecnica d’ufficio in materia di responsabilità professionale; nel 1995, riflettendo sulla banale affermazione di un collega, ho elaborato l’idea del progetto Odontoiatria Legale; nel 1998 ho pubblicato il libro La responsabilità nella professione odontoiatrica; nel 1999 è nata la Commissione di odontoiatria legale dell’ANDI, di cui sono membro, ed è iniziata la Scuola per i consulenti dell’Associazione,
iscritti in uno specifico albo, per fornire assistenza medico-legale ai colleghi e ai pazienti; nel 2001
l’ANDI ha attivato la prima polizza specifica per la
responsabilità professionale odontoiatrica.
Sono particolarmente legato a questi fatti perché
credo di avere contribuito a far nascere un’idea di
collaborazione, in un’ottica di giustizia sia per i pazienti che per gli odontoiatri, destinata a proseguire e perdurare oltre il mio impegno personale.
Molti sono gli estimatori e i detrattori del mio operato, sia per motivi personali sia per questioni dottrinali legate alla materia trattata. Ma poiché stimo
che gli amici siano spinti da motivazioni più sincere dei nemici, il bilancio, al di là di ogni calcolo numerico, è sicuramente positivo.
In questi anni ho maturato una mole considerevole di nozioni tecniche medico-legali e giuridiche,
ma se mi chiedeste di trasmettere ciò che di più
importante ho imparato sceglierei poche parole.
In primo luogo, il contenzioso tra odontoiatra e
paziente è una sconfitta personale, umana e pro-
fessionale, che può essere evitata, nella maggior
parte dei casi, semplicemente con un poco di umanità e disponibilità reciproche.
Le liti giudiziarie, poi, vanno prevenute, poiché in
esse nessuno dei contendenti vince, ma gli unici a
guadagnare sono i consulenti legali e medico-legali. Se alla fine della lettura vi sarà chiara l’importanza della prevenzione del contenzioso e le
sue modalità, allora sarò soddisfatto per essere
riuscito a comunicare questo messaggio, frutto
della mia esperienza, che ritengo la cosa più importante.
Sicut medico imputari eventus mortalitatis non
debet, ita quod per imperitiam commisit imputari ei
debet.
Come al medico non si può far colpa dell’eventuale
morte del malato, si deve invece imputare a lui ciò che
egli commise per imperizia.
Domizio Ulpiano
II secolo d.C. - 228
Vita brevis, ars longa, occasio praeceps,
experimentum pericolosum, iudicium difficile.
La vita è breve, l’arte e lunga, l’occasione fuggevole, lo
sperimentare pericoloso, il giudicare difficile.
Ippocrate di Coo 460-377 a.C.
CAPITOLO 15
EPIDEMIOLOGIA
DEL CONTENZIOSO
F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe
Gli operatori del settore giuridico, sanitario e assicurativo sono concordi nel riconoscere che negli
ultimi anni si è verificato un allarmante aumento
del contenzioso in odontoiatria; poggiano le proprie affermazioni su esperienze o sensazioni personali che sfuggono ad una esatta quantificazione,
spesso desunte per analogia con l’ambito medico.
In effetti non esiste alcun ufficio ed ente deputato
alla raccolta dei dati inerenti l’odontoiatria, che finiscono quindi con il confluire, confondendosi,
nella responsabilità medica o, addirittura, nel più
vasto ambito della responsabilità professionale.
Per ottenere dati indicativi sulla reale estensione
del problema è stato, quindi, necessario raccogliere, analizzare e comporre dati frammentari, di provenienza eterogenea, raccolti nel corso del biennio 1998-1999:
• 597 questionari posti a odontoiatri in due diverse indagini;
• denunce di sinistri per responsabilità professionale eseguite in un campione di 3195 polizze
sottoscritte da odontoiatri con diverse compagnie assicurative;
• casistiche personali.
Quando fate una ricerca ci sarà sempre qualcuno che sosterrà che, raccogliendo abbastanza dati, qualsiasi tesi può essere dimostrata e
che il campione osservato era sbagliato non
avendo nulla a che vedere con il problema.
Questo si inquadra nella teoria più generale
secondo la quale i saggi amano scoprire la verità delle cose, gli idioti gli errori del prossimo.
Indipendentemente da come interpretiate una
statistica, dovete, comunque, ammettere che
se riuscite a rimanere tranquilli, quando tutti
attorno a voi si preoccupano, sicuramente non
avete capito il problema.
La morfologia
del contenzioso
Per comprendere le voci della tabella 1 sono necessarie alcune spiegazioni inerenti al modo in cui
i dati sono stati raccolti ed il loro significato; ferma restando la necessità di ulteriori studi prima di
Tab. 1 Tassi specifici dei sinistri per responsabilità professionale in odontoiatria
TASSI DI SINISTROSITÀ
QUANTIFICAZIONE (in percentuale)
Incidenza annuale
Prevalenza puntuale
Prevalenza periodale
7 (1/3 per danno alle cose, 2/3 per danno alla persona)
16
25
Frequenza per branca odontoiatrica
Protesi
Implantologia
Chirurgia
Conservativa/endodonzia
Parodontologia
Ortodonzia
Altro non specificato
50
20
10
10
5
3
2
128
MEDICINA LEGALE
formulare dati definitivi per evitare errori casuali
(random) dovuti alla esiguità del campione.
L’incidenza annuale dei sinistri si riferisce a uno
studio longitudinale, riferito alle denunce di nuovi
casi pervenute alla compagnia assicuratrice dagli
odontoiatri nell’arco di un anno. In questo tasso
sono stati distinti: il danno alla persona, con cui si
intende il danno biologico conseguente a lesione
anatomica, risarcimento spesso rilevante; i danni
alle cose o agli oggetti personali (macchie di indumenti, furti nella sala d’aspetto, ecc.) più modesti
per valore economico e meno frequenti.
La prevalenza puntuale dei sinistri si riferisce a
uno studio trasversale, che enumera tutti i dentisti
che in un questionario hanno risposto di avere un
contenzioso aperto al momento del sondaggio.
Tale misura considera tutti i casi verificatisi di recente, o a comparsa remota, che sono presenti al
momento dell’indagine e dipende, pertanto, sia
dalla durata del contenzioso che dall’incidenza
pregressa. Ne consegue che, se l’incidenza annuale è del 6% e la prevalenza puntuale è del 16%, significa che la durata media del contenzioso è di
circa 3 anni. Tale dato non deve stupire considerando che alcuni casi sono risolti in via transattiva
stragiudiziale molto rapidamente e che la durata
media di un procedimento giudiziario è attualmente in Italia di 3-6 anni.
La prevalenza periodale di sinistri nella vita professionale intende misurare il numero di dentisti
che dichiarano di avere avuto un contenzioso per
responsabilità nel periodo compreso tra il momento in cui hanno iniziato a lavorare e quello del
rilevamento statistico con questionario.
La frequenza per branca odontoiatrica quantifica
l’esistenza del fenomeno in rapporto alle diverse
branche specialistiche; evidentemente non consente di avere la misura del rischio che un certo
evento si verifichi in quanto non è commisurata a
un termine di riferimento. La misura dimostra,
però, che il contenzioso aumenta con l’entità del
costo della prestazione (è maggiore, ad esempio,
per la protesi rispetto alla conservativa) e nell’eventualità di un danno biologico permanente da
chirurgia (ad esempio, un danno neurologico).
L’elevata percentuale del contenzioso in protesi,
rispetto a tutte le altre branche, non dovrebbe,
inoltre, stupire qualora si consideri che essa rappresenta frequentemente la conclusione di piani
di terapia complessi in cui gli errori, commessi in
diverse branche odontoiatriche propedeutiche,
possono confluire a determinare l’insuccesso.
Si determina, cioè, nella statistica un errore sistematico di classificazione delle cause che hanno
determinato il contenzioso (bias di informazione e
di confondimento).
La tariffazione
del rischio e il premio
assicurativo
Le compagnie di assicurazione non sono attualmente in grado di estrapolare l’incidenza dei sinistri odontoiatrici, in quanto la categoria è poco numerosa e suddivisa tra diversi enti assicurativi.
Per tale motivo nelle statistiche i dati inerenti l’odontoiatria vengono assimilati all’andamento della RCP medica comprensiva di tutte le specialità,
il cui andamento è estremamente sfavorevole con
un rapporto sinistri/premi insostenibile (circa del
300%) dovuta ad una escalation del fenomeno che
comporta una incalcolabilità a priori del rischio
giuridico.
La responsabilità professionale sanitaria risulta
quindi un ramo sgradito in quanto fonte di perdite
e di conseguenza le compagnie tendono ad appli-
Tab. 2 Caratteristiche delle polizze per RCP odontoiatrica
• Premio annuo medio
• Massimale
Lire 1.226.368
40,38% (1 miliardo)
19,60% (1,5 miliardi)
25% (3 miliardi)
•
•
•
•
19,71%
17,37%
13,71%
Lire 948.620
Polizze secondo rischio
Polizze disdettate dalle compagnie assicurative nel 1999
Proposte di aumento dei premi nell’ultima annualità
Aumento del premio medio proposto dalle compagnie assicurative
CAPITOLO 15 • EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO
129
Tab. 3 Liquidazione del danno in ambito assicurativo*
•
•
•
•
•
•
•
Sinistri senza seguito
Sinistri liquidati per responsabilità
Sinistri non liquidati (assenza di responsabilità)
Rapporto sinistri/premi
Costo medio per sinistro per danno alle cose **
Costo medio per sinistro per danno alla persona**
Premio puro per assicurato
15,73%
95,34%
4,66%
60%
Lire 300.000 / 350.000
Lire 6.500.000
Lire 300.000
* Anno 1998: portafoglio contratti di 2728 polizze; numero complessivo sinistri denunciati 178.
** Valore comprensivo dell’importo liquidato e riservato.
care all’odontoiatria le stesse procedure di gestione assicurativa del rischio sanitario usate per la
medicina (tabella 2).
Tali metodiche di gestione del rischio sono normalmente adottate quando il rapporto sinistri/premi supera il 75%, incidendo sul 25% che rappresenta il costo di gestione e l’utile dell’attività assicurativa.
Tale timore ha portato ad una estrema eterogeneità delle polizze per RCP odontoiatrica sia per
garanzie che per costi che possono variare di 20
volte dalle 400.000 sino agli 8.000.000 di lire.
Diversamente gli studi eseguiti dall’Associazione
Nazionale Dentisti Italiani dimostrano un andamento dell’odontoiatria in controtendenza nei
confronti della medicina (tabella 3).
L’errore di valutazione è evidente quando si pensi
alla differenza in termini di costi di un danno sistemico in ambito ostetrico, chirurgico o anestesiologico, in contrapposizione alla scarsa rilevanza di un danno odontoiatrico.
Il valore economico medio del contenzioso, limitatamente alla valutazione medico-legale, è notevolmente inferiore alle altre branche specialistiche mediche; spesso limitato alla sola restituzione
del corrispettivo pagato dal paziente a fronte di
una prestazione inutile (risoluzione del contratto
per inadempienza).
Il falso mito della progressiva inassicurabilità del
rischio odontoiatrico in quanto specializzazione
tra le più esposte a litigiosità non trova, quindi, riscontro nei dati statistici che supportano l’evidenza di un contenzioso ridotto, liquidato con importi di risarcimento limitati: il rapporto sinistri/premi è del 40% con un margine di utile del 60% per le
compagnie di assicurazione.
Infine gli importi destinati a riserva da alcune
compagnie, per il contenzioso in essere non liquidato entro l’anno di competenza, appaiono esorbitanti nei confronti della quantificazione delle li-
quidazioni realmente erogate per sinistri sovrapponibili nelle annualità precedenti. Per quanto i
dati disponibili provengano da fonti disomogenee, da campioni numericamente ridotti o studiati per periodi di osservazione brevi, l’andamento
tendenziale delle diverse fonti, in realtà territoriali nazionali diverse, si dimostra, comunque, sovrapponibile in modo da rappresentare un dato
attendibile che rende ingiustificato l’eccessiva
cautela delle compagnie e l’applicazione in ambito odontoiatrico delle tecniche di gestione del rischio sanitario.
La responsabilità
e la quantificazione
del danno
L’elaborazione dei dati ottenuti da ricerche svolte
su campioni territoriali ridotti, per quanto parziali
e non esaustivi, ha permesso di stimare alcuni dati utili alla quantificazione e comprensione del
problema.
In ambito stragiudiziario da parte di privati e di
compagnie di assicurazione si registra un aumento di richieste di valutazioni relative a profili specifici di responsabilità professionale odontoiatrica. I dati inerenti i sinistri denunciati alle assicurazioni nel 1998-1999 confermano, ed in parte
compendiano, i risultati evidenziati in una precedente ricerca del 1995-1996 in tema di responsabilità civile in odontoiatria.
L’incidenza annuale delle denunce di sinistro alle
assicurazioni nel 1998-1999 ammonta al 7% delle
polizze; ma solo 2/3 dei casi (4,5%) sono inerenti al
contenzioso per responsabilità professionale per
danni alla persona. Il dato è parzialmente sovrapponibile ai risultati evidenziati con una ricerca
svolta presso un campione ridotto di medici-legali
130
MEDICINA LEGALE
Tab. 4 La percezione del problema assicurativo da parte dell’odontoiatra*
DOMANDA
•
•
•
•
•
•
•
Esegue una verifica annuale della polizza?
Conosce l’esistenza della estensione “spese legali”?
Conosce la differenza tra danno contrattuale ed extracontrattuale?
Soddisfatto della propria compagnia assicurativa?
Ritiene utile una struttura di consulenza dell’ANDI?
Valuta utile una polizza specifica per RCP odontoiatrica?
Ha mai partecipato a consulenze medico-legali?
SÌ (%)
NO (%)
68
32
34
50
99
99
20
32
68
66
50
1
1
80
* Questionario sottoposto a 489 dentisti operanti a Milano e nel Veneto.
nel 1995-1996, che riportava una percentuale di
contenzioso per danno alla persona del 2,5-3%. La
differenza in aumento (circa 1-2%) rappresenta verosimilmente la percentuale di aumento del contenzioso che si è verificata in odontoiatria nel
triennio.
Il contenzioso giudiziario è inquadrato nella maggior parte dei casi come illecito civile; invece l’eventualità penale è inferiore allo 0,5% (3 casi su un
campione di 675 in una casistica personale) e rappresenta l’eccezione, in contrapposizione a quanto
avviene per altre specialità mediche.
Si rileva, comunque, una recente tendenza all’incremento dei processi penali, utilizzati come strumento di pressione psicologica per accelerare i
tempi ed aumentare l’entità del risarcimento; tendenza non disgiunta da un sentimento di giustizialismo da parte di taluni pazienti e legali, a fronte di
lesioni personali, peraltro inconsistenti ai fini della quantificazione del danno biologico.
La valutazione quantitativa del danno alla persona
in sede civilistica è incredibilmente variabile e non
merita commenti.
Si passa dai 6.500.000 lire, liquidazione media delle compagnie di assicurazione in transazione, ai
25-30.000.000 di lire rappresentati soprattutto
dall’aggravio inerente alle spese legali e di giudizio che vengono a raddoppiare o triplicare il costo complessivo, ma in misura molto minore del
risarcimento al danneggiato, alle richieste di centinaia di milioni nelle citazioni degli avvocati di
parte attrice.
La prevalenza di un profilo di responsabilità professionale accertata, nei casi giunti in ambito giudiziario e assicurativo, è elevata (superiore al
95%); inoltre, nella maggior parte dei casi, il risultato sfavorevole per il sanitario era ampiamente
prevedibile con anticipo.
La percezione del problema
da parte degli odontoiatri
L’analisi statistica, eseguita attraverso questionari
con domande chiuse, ha evidenziato che gli odontoiatri conoscono poco le polizze assicurative che
sottoscrivono: non conoscono, ad esempio, il rischio di dovere pagare di tasca propria un danno
o le spese legali per una manleva parziale da parte
dell’assicurazione; ignorano la possibilità di richiedere una garanzia aggiuntiva “spese legali”,
che permetta loro di controllare e gestire la lite in
modo da evitare un conflitto di interessi con l’assicurazione (tabelle 4 e 5).
Per un servizio alla professione, quindi, l’obiettivo
a breve termine può correttamente essere identificato: nel proporre polizza chiusa di categoria per
la RCP odontoiatrica; fondata su una corretta analisi del rischio per adeguare i premi e controllare
l’attuale immotivata tendenza all’aumento dei premi, in modo da permettere una efficace ed efficiente assistenza in ambito assicurativo.
Tab. 5 Efficacia della copertura assicurativa*
Presenza di polizza operante
Sì
No
97%
3%
Entità della manleva assicurativa
10%
17%
15%
58%
dei
dei
dei
dei
casi
casi
casi
casi
* 60 dentisti con contenzioso pregresso.
0%
10- 40%
40-80%
100%
CAPITOLO 15 • EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO
Alcune considerazioni
Pur in assenza di dati statistici in tema di responsabilità professionale odontoiatrica, la situazione
nazionale presenta un quadro caratterizzato dalla
scarsa utilizzazione di procedure stragiudiziali e
da una forte tendenza a definire in modo giurisdizionale le controversie anche a fronte di evidenti
previsioni di soccombenza ed aumento esponenziale dei costi.
I catalizzatori, ad un primo esame, corrispondono
a carenze poliedriche:
• una generale impreparazione degli odontoiatri
a comprendere i rischi del contenzioso;
• una difficoltà delle compagnie di assicurazione
ad affrontare con efficienza ed efficacia i problemi della responsabilità professionale;
• valutazioni e condotte spregiudicate di consulenti legali e medico-legali privi di deontologia
131
professionale, i quali interpretano un’attività di
pubblica utilità come occasione di lucro.
L’insuccesso terapeutico, la complicanza o l’errore rappresentano un rischio delle attività medicochirurgiche e non sono sempre evitabili; quello
che possiamo fare è comprenderne le ragioni intrinseche per ridurne l’incidenza e imparare a gestire le situazioni sfavorevoli nell’interesse comune dei pazienti, degli odontoiatri e quindi della società.
In quest’ambito di prevenzione, oltre che nelle valutazioni specifiche, l’odontoiatria legale riconosce la sua massima espressione e non è delegabile
a specialisti di altre discipline, avulsi da quella capacità clinica che permette di giudicare e proporre soluzioni di miglioramento.
In questo senso, inoltre, sempre più frequentemente le compagnie e i magistrati preferiscono
nominare in veste di consulenti odontoiatri con
esperienza medico-legale.
CAPITOLO 16
I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
F. Montagna
La patologia iatrogenica rappresenta il vero e proprio nodo centrale dell’attuale aumento di conflittualità tra medici e società.
Sicuramente l’odontoiatria è divenuta nel tempo
una disciplina medico-chirurgica caratterizzata
da una sempre maggiore complessità di conoscenze e da una delicatezza degli impegni, con un
elevato rischio di errori e un ridotto margine di
giustificazione; ma i professionisti di oggi si sono
ben adeguati alla necessità di aggiornamento e
specializzazione e non sbagliano più che nel passato.
Del resto un incidente terapeutico (misadventure
o dommage abnormal) non è direttamente correlabile a un profilo di responsabilità, potendo rientrare, in molti casi, nei margini di insuccesso,
complicanze o effetti indesiderati, riconosciuti come esiti ineluttabili di una corretta prestazione in
assenza di malpractice.
La vera causa dell’attuale aumento del contenzioso va, quindi, ricercata in una serie di fattori sociali nel rapporto tra odontoiatri-società e particolari tra odontoiatra-paziente.
In questo senso lo studio della giurisprudenza, della dottrina giuridica, del contenzioso stragiudiziario, ma anche della psicologia e sociologia medica,
è senza dubbio strumento di grande interesse per
fornire alcune delle risposte che la categoria degli
odontoiatri si attende sia in ordine alle condotte
più idonee per evitare censure, sia nella prospettiva di soluzioni legislative.
Nell’antichità Galeno sosteneva che il migliore
medico è la natura poiché guarisce tre quarti
delle malattie e non sparla dei suoi colleghi.
L’affermazione è, ancora oggi, attuale, visto
che alla base di ogni contenzioso tra medico e
paziente, c’è sempre un collega che spinge.
Il rapporto tra odontoiatra
e società
Una domanda che ci si pone frequentemente riguarda quale sia l’immagine professionale dell’odontoiatra agli occhi dei pazienti e della società.
Nel rapporto tra odontoiatri e società esiste
un’ambivalenza di fondo connotata da atteggiamenti contrapposti che predispone al contenzioso: da un lato, un sentimento positivo di fiduciosa
attesa di benessere e salute; dall’altro, un sentimento negativo di riprovazione e risentimento
reattivo per le delusioni causate dall’insuccesso
terapeutico o dal danno iatrogenico.
Diversi sondaggi, interviste e indagini demoscopiche dimostrano che i pazienti hanno fiducia e apprezzano l’odontoiatra, sicuramente in misura
maggiore di quanto siano portati a ritenere gli
stessi operatori (tabella 1).
• I pazienti indicano l’onestà del proprio dentista
come ragione principale di scelta; tra i fattori di
fiducia, la conoscenza di tecniche aggiornate è
più importante della gentilezza, delle terapie indolori e della qualità del trattamento (Kelly
1990).
• Gli odontoiatri occupano il terzo posto nella
classifica delle professioni più etiche; è curioso
il risultato di un sondaggio che li fa seguire agli
ecclesiastici e ai farmacisti (Hegick 1991).
• La maggioranza dei pazienti intervistati (58%)
dichiara che il motivo principale per accettare i
trattamenti è la fiducia nell’odontoiatra e solo
nell’8% dei casi la necessità; in modo opposto i
dentisti ritenendo che il 40% dei pazienti accetti per necessità (Boswell 1997).
• La maggior parte dei pazienti considera motivate e accettabili le tariffe del proprio odontoiatra: il 40% le ritiene buone od ottime; il 40% le
giudica oneste; il 20% moderate (ADA 1991).
CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
133
Tab. 1 Indagini demoscopiche sul rapporto tra odontoiatra e paziente (ADA 1991)
MOTIVO PER CAMBIARE
ODONTOIATRA
UTENTI
(%)
• Qualità delle cure
• Rapporto con l’odontoiatra
• Costo dei servizi odontoiatrici
PERCEZIONE DI TARIFFE EQUE
IN RELAZIONE AL SERVIZIO
76
62
47
•
•
•
•
• Solo la metà dei pazienti (47%) ritiene importante il livello delle tariffe nella scelta del professionista; per l’altra metà sono importanti
altri aspetti quali la qualità terapeutica e il
rapporto personale con l’odontoiatra (ADA
1991).
A fronte di tale immagine positiva, tuttavia, si è registrato negli ultimi anni un progressivo e costante incremento del contenzioso giudiziario per responsabilità odontoiatrica, incremento che individua un allarmante deterioramento del rapporto
tra odontoiatra e società a detrimento della stessa
immagine della figura professionale.
Va premesso che tale fenomeno non rappresenta
un problema strettamente odontoiatrico ma interessa più globalmente l’intero ambito medico e riconosce cause generali sovranazionali.
I fattori negativi che possono alterare il rapporto
tra odontoiatra e paziente sono tra loro embricati
da complesse relazioni e sono causa di uno stato
Igiene dentale
Trattamento dei denti doloranti
Cura preventiva e otturazioni
Altre cure conservative
UTENTI
(%)
89
82
49
21
di ipersensibilità dei pazienti nei confronti degli
operatori sanitari.
Un primo aspetto è tipicamente inerente alla disciplina odontoiatrica che è caratterizzata da interventi di elezione con un elevato valore estetico
e tratta patologie per la maggior parte delle quali
sono giustificate attese ottimistiche; dispone,
quindi, di una maggiore prevedibilità dei risultati
e un ridotto margine di giustificazione dell’errore
in comparazione con altre branche mediche, sulle quali grava maggiormente l’aleatorietà del risultato.
Un secondo ordine di ragionamento si riferisce alle mutate aspettative e richieste dei pazienti in relazione a una esasperazione del concetto di diritto
alla salute e, quindi, a una elevata insoddisfazione
in caso di insuccesso terapeutico.
L’attesa di guarigione appartiene alle speranze radicali, la cui delusione è accettata dal paziente solo nel caso in cui l’interessato sia convinto che
LE CAUSE DI IPERSENSIBILITÀ NEL RAPPORTO TRA ODONTOIATRA E SOCIETÀ
Fattore negativo
Conseguenza
• Errata informazione
Informazione individuale reticente per non dissuadere la richiesta
Certezza di risultati pubblicizzata dai mezzi di comunicazione
di massa
Ridotto margine di giustificazione dell’errore per eccessiva fiducia nel progresso scientifico e nelle possibilità terapeutiche
• Esasperazione del concetto
di diritto del malato
Maggiore difficoltà a distinguere le complicanze inevitabili
dagli errori
Reazione di rifiuto ai danni iatrogenici
Attesa di guarigione mutata in pretesa del paziente
• Ipermedicalizzazione
Aumento dello spettro delle prestazioni erogate
Maggiore aggressività e invasività terapeutica
Minore senso del limite e della prudenza
Aumento di rischi, complicanze e insuccessi
134
MEDICINA LEGALE
questa non possa essere stata in tutto o in parte
causata dal sanitario e che non avrebbe potuto essere evitata. Vale a dire che la reazione di rifiuto
all’insuccesso da parte del paziente è proporzionale alla prevedibilità e prevenibilità dell’evento
negativo; in molti casi l’attesa di guarigione del paziente si trasforma in una pretesa di successo terapeutico nei confronti del sanitario. Inoltre è ben
difficile per i pazienti distinguere i casi sfavorevoli attribuibili a negligenza e imperizia (malpractice), da quelli oggettivamente ineluttabili, imprevedibili e imprevenibili anche con un atteggiamento
corretto.
Un terzo fattore, che alimenta l’ipersensibilità nei
confronti degli operatori sanitari, risiede nella distorsione delle informazioni individuali e collettive fornite al pubblico. I progressi dell’odontoiatria, quasi quotidianamente vantati attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, dilatano agli occhi del profano le prospettive di successo, contribuendo ad alimentare la difficoltà a distinguere tra
errore e complicazioni, casi rimediabili e casi irrimediabili.
Lo stesso progresso scientifico e la sua pubblicizzazione, del resto, presentano un rovescio della
medaglia, in quanto contribuiscono ad aumentare
le prospettive di successo e riducono i margini di
giustificazione dell’errore del sanitario. Contribuisce al medesimo equivoco anche la reticente informazione fornita da alcuni professionisti ai propri
pazienti sia per ragioni di prudenza, per non indurre una situazione psicologica di esagerato timore, sia per non dissuaderli dalla richiesta di prestazioni di non sicura necessità.
Quest’ultima considerazione introduce il quarto
punto che consiste nell’ipermedicalizzazione, le
cui cause sono plurime, ma in linea di massima ricondotte a interessi economici.
La tendenza all’ipertrattamento porta con sé inevitabilmente eccessi di prestazioni con il loro carico
di rischio; l’efficacia delle prestazioni, frutto di
una maggiore aggressività, ha il suo prezzo in rischi un tempo insussistenti; vale a dire, cioè, che i
danni iatrogenici, un tempo molto meno numerosi, sono oggi più frequenti a causa dell’ampio spettro delle prestazioni invasive.
L’aspetto dei costi, infine, è un fattore negativo rilevante quanto insuperabile; dal momento che si
tratta di prestazioni che richiedono un’alta tecnologia e un impegno di tempo elevato dell’équipe
odontoiatrica per ogni singolo paziente.
La rilevante discrepanza tra le possibilità teoriche
di diagnosi e cura e il costo economico contribuisce a generare frustrazioni e reazioni.
L’aumento del contenzioso
sfavorevole
L’evoluzione giurisprudenziale nell’ultimo ventennio è gradualmente mutata: da una fase iniziale di
“comprensione” nei confronti dei sanitari contraddistinta dalla distinzione tra errore scusabile e colpa che ne diminuiva la responsabilità, si è passati
successivamente a una interpretazione improntata a maggiore “severità”, che ha ridotto i margini
di giustificazione dell’errore portando all’attuale
situazione.
L’analisi dei dati disponibili, già citata, permette di
verificare che un profilo di responsabilità a carico
dell’odontoiatra viene individuata nella quasi totalità dei casi (95%) sia in ambito giudiziario che
stragiudiziario.
Questa situazione dipende da una serie di fattori che interessano l’evoluzione della sensibilità
FATTORI INERENTI ALL’AUMENTO DEL CONTENZIOSO CON ESITO SFAVOREVOLE
• Società
Maggiore aspettativa di salute e consapevolezza dei diritti del malato
• Giurisprudenza
Interpretazione dell’aspettativa collettiva di tutela del diritto alla salute
Riduzione dei margini di giustificazione dei sanitari e maggiore severità
nelle sentenze
• Professione
Accentuato pragmatismo e impreparazione psicologica e culturale
Crisi degli ideali e delle motivazioni
Difficoltà a comprendere e adeguare il proprio ruolo alla mutata richiesta
sociale
CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
sociale, della giurisprudenza e del ruolo dei sanitari, la comprensione dei quali è importante
per formulare successivamente delle ipotesi di
terapia.
La salute, nella moderna società, rappresenta un
bene inalienabile, diritto del singolo cittadino e in
questa ottica vengono a dilatarsi le aspettative e le
esigenze dei pazienti, accentuandosi, in caso di
danno iatrogenico conseguente a errore, il risentimento e il senso di rivalsa nei confronti dei sani-
135
tari. I magistrati, nella inscindibile veste di giudici
ma anche di membri della società, sono inevitabilmente partecipi degli stessi sentimenti che animano la comunità intera nei confronti della medicina;
costituiscono, quindi, una interfaccia solo apparentemente asettica ed equidistante tra i contendenti.
L’inevitabile partecipazione, quanto forse inconsapevole, dei magistrati alla mutata sensibilità sociale nei confronti del diritto alla salute, spiega il
I PIÙ COMUNI MOTIVI DI INSODDISFAZIONE RIFERITI DAI PAZIENTI
Qualità insoddisfacente delle terapie
• Competenza clinica inadeguata
• Insufficiente igiene
Organizzazione inadeguata
• Inefficienza nel sistema di appuntamenti
(tempi di attesa prolungati, difficoltà a fissare
gli appuntamenti, visite mancate o in ritardo)
• Mancato invio per consulenza
(all’ospedale o allo specialista)
• Impossibilità a raggiungere il sanitario
(irreperibilità per telefono, scarsa disponibilità
di orari dello studio)
• Lesioni (errori per malpractice, complicanze)
• Prolungamento dei tempi di cura
• Insuccesso terapeutico
(mancato raggiungimento del risultato atteso)
Scorrettezza del compenso
Insufficiente informazione
• Rapporto costo-beneficio sfavorevole
(costo eccessivo)
• Insufficiente prefigurazione
delle possibilità ed evoluzioni sfavorevoli
(decorso post-operatorio, complicanze, insuccessi, tecniche alternative, risultato atteso)
• Rimorso dell’acquirente
• Mancanza di consenso
• Mancata preventivazione
• Aumento immotivato della parcella
(o non comunicato durante le cure)
Scarsa empatia
• Scarso impegno (frettolosità, superficialità)
• Indisponibilità al dialogo
(disinteresse per le opinioni e priorità
del paziente, scarsa considerazione e sensazione
di essere trascurato)
Maleducazione
• Atteggiamenti o frasi offensive
(segretaria, assistente dentale, odontoiatra, sostituto e collaboratori)
136
MEDICINA LEGALE
progressivo abbandono di un orientamento più
comprensivo nei confronti dei sanitari e il passaggio a una giurisprudenza più severa, non di rado
eccessiva.
Il piatto della bilancia giudiziaria è connotato attualmente da spostamento a favore dei pazienti,
come si deduce dalle reinterpretazioni restrittive
della normativa a sfavore dei sanitari:
• i sanitari rispondono sempre per colpa lieve;
• il mancato riconoscimento della speciale difficoltà dei problemi tecnici da risolvere (ex art.
2236 codice civile) è la regola;
• trova costante applicazione il principio di presunzione della colpa e inversione dell’onere della prova.
I confini della colpa lieve risultano in sede giudiziaria sempre più incerti, confondendosi con la responsabilità oggettiva; mentre l’obbligazione di
mezzi tipica del contratto tra sanitario e paziente
viene di fatto, in alcuni casi, considerata come obbligazione di risultato.
In sostanza, guardando alla pratica medico-legale
e giurisprudenziale, si ricava la sensazione che il
brocardo “in dubio pro reo” sia stato travisato “in
dubio contra medicum”. Un atteggiamento e metro di giudizio, di una parte della giurisprudenza,
diametralmente opposti alle affermazioni della
dottrina, la quale ribadisce la necessità di mantenere la responsabilità medica nell’ambito della
colpa.
Del resto il diritto positivo è un fenomeno storico
identificabile con la morale vigente in una certa
società in un determinato periodo e la sua stessa
evoluzione non rappresenta altro che l’interpretazione e la codificazione delle aspettative e aspirazioni collettive della società.
L’evoluzione etica del concetto di salute è molto
esigente, poiché mette in discussione anche il contenuto e le giustificazioni degli impegni storicamente richiesti ai sanitari.
In particolare, a fronte della evoluzione sociale e
giurisprudenziale del concetto di diritto di tutela
della salute, gli odontoiatri in parte sono colti impreparati per una serie di fattori intrinseci alla loro professione.
L’odontoiatria è una professione mutevole, dipendente da una serie di condizionamenti strutturali e
organizzativi, inerenti alla variabilità biologica del
paziente e alle conoscenze scientifiche; caratterizzata da un predominante bagaglio di conoscenze
tecniche specifiche e manualità che richiedono un
continuo aggiornamento per mantenere uno standard adeguato; svolta quasi esclusivamente in re-
gime libero professionale, cioè in condizioni di
isolamento da altri professionisti.
Queste caratteristiche, proprie della professione,
rendono talvolta difficile per gli odontoiatri comprendere e adeguarsi al nuovo ruolo richiesto al
sanitario dalla società, probabilmente per una
mancanza di preparazione. Si deve inoltre sottolineare che oggi c’è una diffusa esigenza di risposte
razionalmente convincenti ai nuovi problemi posti
dalla evoluzione etica; stiamo assistendo al tramonto del paternalismo in medicina, l’idea cioè
che il medico, in forza della sua esperienza e competenza, abbia il diritto di decidere in nome del paziente.
Oggi si ritiene auspicabile adottare un modello di
rapporto medico-paziente di tipo deliberativo, aiutando il paziente ad individuare i valori implicati
nelle diverse opzioni diagnostiche e terapeutiche
in modo non coercitivo, attraverso il dialogo e il rispetto della sua libertà. La vocazione, il senso di
missione e le attitudini intellettuali e psicologiche
hanno un’enorme valenza per adeguare i propri
ruoli; ma le prevalenti ragioni che motivano la
scelta della professione odontoiatrica rispondono
a esigenze più pratiche che ideali e per molti operatori consistono in una prospettiva di superiori
guadagni, nel desiderio di una collocazione ritenuta di prestigio nella società, in un lavoro tecnico
che permetta una certa libertà.
Per eccessivo pragmatismo alcuni professionisti
scambiano i propri doveri morali con un esasperato tecnicismo o addirittura con il mansionario delle prestazioni, limitato alla conoscenza dei propri
doveri per evitare i rischi legali connessi.
In molti casi, quindi, alla base del contenzioso si
registra un indebolimento del rapporto medico-paziente, divenuto più arido per quei professionisti
affannati e distratti per mancanza di tempo, con
una difficoltà psicologica nell’instaurare e mantenere i rapporti interpersonali, sostanzialmente a
causa di una crisi delle motivazioni e dell’entusiasmo.
Motivi contingenti
di insoddisfazione
nella prassi clinica
Analizzando la casistica che giunge all’osservazione medico-legale, ci si rende agevolmente conto
che i più comuni motivi di insoddisfazione che alimentano il contenzioso sono solo in parte costitui-
CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
137
INIZIATIVE SPECIFICHE PER RIDURRE IL CONTENZIOSO
• Ricerca sul tema
della responsabilità
Corsi di perfezionamento per preparare consulenti tecnici e periti competenti (odontoiatri legali)
Gruppi di studio per indirizzare la giurisprudenza di merito
(odontoiatria forense) e individuare proposte legislative innovative (odontoiatria giuridica)
Ricerche statistiche per individuare e classificare gli errori più
comuni, fonte di responsabilità professionale e stabilirne la valutazione
• Soluzioni normative penali,
civili e assicurative
Depenalizzazione della responsabilità medica
Assicurazione sociale obbligatoria per responsabilità medica
(indennità dell’incidente terapeutico per responsabilità oggettiva e non fondato sulla colpa medica)
• Comitati etici
Funzione culturale promuovendo l’aggiornamento sui temi della bioetica e della deontologia
Funzione di consulenza per fornire suggerimenti e soluzioni di
comportamento sui problemi etici e deontologici della professione
Funzione di verifica nell’esame di protocolli di ricerca e di sperimentazione clinica
Codice deontologico dell’odontoiatra
• Informazione
Senso del limite delle possibilità terapeutiche e del rapporto costo-beneficio
Tipo e numero di incidenti fonte di contenzioso
Linee guida
Diffondere la conoscenza tra gli odontoiatri degli errori più comuni, fonte di responsabilità professionale (conoscenza = prevenzione)
ti da fattori sostanziali e concreti, cioè da terapie
scorrette e danni iatrogenici (malpractice) o da
complicazioni imprevenibili e imprevedibili (cause
di giustificazione non foriere di responsabilità).
In molti casi, invece, entrano in gioco fattori formali, cioè errori di comunicazione tra odontoiatra
e paziente, che finiscono col divenire la causa rilevante delle proteste; persino nei casi di danno
ingiusto, per molti pazienti assumono maggior
rilievo violazioni che non configurano illeciti (né
penali, né civili) ma comportamenti dell’odontoiatra che accentuano il risentimento e il desiderio di
rivalsa.
In molti casi, inoltre, l’odontoiatra matura la
sensazione che qualcosa di intangibile si sia in-
sinuato nel rapporto con il paziente, senza riuscire ad appurarne la reale motivazione; situazione comprensibile, considerando che oltre la
metà dei pazienti, in assenza di domande esplicite e aperte, è riluttante a chiedere informazioni o a esternare le proprie preoccupazioni al
proprio medico curante.
Per quanto riguarda i motivi economici, dobbiamo tenere presente che questi possono intervenire anche in un momento successivo all’accettazione del piano cura e relativo preventivo,
quando il paziente maturi la sensazione di avere
acquistato in modo precipitoso, senza giustificazione, un servizio troppo costoso; situazione
definita come “rimorso dell’acquirente”.
138
MEDICINA LEGALE
SOGGETTI, FINALITÀ E METODI IMPLICATI NELLA VRQ
E NELLA MCQ IN ODONTOIATRIA
Soggetti e finalità
• Facoltà universitarie
Formazione e aggiornamento
• Ordini dei medici chirurghi
e odontoiatri
Tutela dell’immagine
professionale
• Stato
Intervento legislativo
e riorganizzazione
• Tribunale dei diritti
dei malati
Tutela delle aspettative
dei pazienti
• Società scientifiche
Metodi
Numero chiuso di studenti programmato in base alle possibilità di
formazione e alle necessità sul territorio
Preparazione reale e concreta degli studenti nelle branche tecniche
Preparazione degli studenti in psicologia, deontologia ed etica professionale
Corsi di specializzazione, perfezionamento e aggiornamento postlaurea
Controllo reale e rigoroso sul comportamento degli iscritti
Attività disciplinare per infrazioni del codice deontologico
Istituzione di commissioni di conciliazione tra odontoiatra e paziente
Rapporto permanente con i tribunali del malato e i mezzi di comunicazione di massa per migliorare l’informazione dei cittadini sui problemi e sui limiti della terapia
Accreditamento dei servizi odontoiatrici (strutture, procedure,
aggiornamento)
Aumento e ridistribuzione delle risorse economiche per la sanità
pubblica coinvolgendo anche l’assistenza privata (attualmente il 90%
dell’odontoiatria in Italia è privata)
Promulgazione di soluzioni normative penali, civili e assicurative della responsabilità professionale
Valutazione della consistenza giuridica delle lamentele dei pazienti
(azione di filtro)
Ruolo di intermediazione tra cittadini e odontoiatri
Carta dei diritti dei malati
Aggiornamento continuo
Implementazione di linee guida, consensus conference ed evidence
based dentistry (EBD)
• Associazioni professionali
Difesa della libera
professione e tutela
dell’immagine
del professionista
Rappresentazione delle istanze e delle esigenze concrete
dei professionisti nella intermediazione con altri soggetti
o enti pubblici
Valutazione degli effetti e delle ricadute delle normative sulla professione e proposta di soluzioni legislative e assicurative efficienti
ed efficaci (odontoiatria giuridica, “de iure condendo”)
Promozione della conoscenza degli adempimenti di legge
Aggiornamento culturale
CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE
Prospettive e soluzioni
La tendenza a fornire risposte attraverso la via giudiziaria si iscrive in un fenomeno più generale tipico dell’attuale periodo.
Inevitabilmente, anche in ambito sanitario, il clima generale descritto sfocia in un aumento dei
procedimenti penali e civili, nei quali la severa
evoluzione giurisprudenziale ha assunto una evidente e non contestabile impronta giustizialistica
nei confronti dei sanitari.
Per questi motivi è necessario trovare urgenti rimedi alla situazione di esasperato ricorso alla giustizia, che con gli impropri strumenti del processo,
della pena e del risarcimento, viene a sostituirsi a
interventi più organici che dovrebbero essere attuati dal mondo politico e dal legislatore a favore
della sanità nel suo complesso.
La verifica e revisione della qualità (VRQ) e il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza
(MCQ) sono obiettivi ambiziosi che devono essere
perseguiti sinergicamente da diversi soggetti ai
quali competono contributi differenti.
Anche la ricerca sul tema della responsabilità in
odontoiatria è uno strumento indispensabile per
affrontare il problema, in quanto sensibilizzare i
giuristi può consentire di individuare il migliore
assetto della dottrina per indirizzare la giurisprudenza di merito nei tribunali (odontoiatria forense) e per progettare una legislazione specifica opportunamente articolata (odontoiatria giuridica).
Gli obiettivi da perseguire in futuro, in odontoiatria giuridica (“de iure condendo”), sono la depenalizzazione della responsabilità medica in ambito
penale e l’assicurazione sociale obbligatoria per i
rischi iatrogenici in ambito civile e assicurativo.
La minaccia di un processo penale è oggi frequentemente utilizzata come uno strumento di pressione, spesso associato a campagne di stampa, per
ottenere il risarcimento indipendentemente dall’accertamento della responsabilità.
Per depenalizzazione si intende la convinzione
che il trattamento medico-chirurgico debba essere
annoverato tra le scriminanti non codificate e che
la responsabilità medica debba essere considerata
come un aspetto del tutto particolare della responsabilità penale da prospettarsi solo per colpa
grave, intesa come conclamata violazione di elementari norme di condotta.
Tale soluzione è contestata da chi ritiene che si verrebbe a creare una situazione di impunità per i medici, quasi un’involuzione giuridica del concetto di
139
responsabilità e tutela della salute. In diversi stati
(Svezia 1975, Finlandia 1986, Danimarca 1992) è
operativo da anni un sistema di patient insurance,
obbligatorio e a carico di tutti i cittadini, che organizza un risarcimento parziale dei danni iatrogenici
indipendentemente dal profilo di colpa del sanitario
(selective no-fault compensation system). L’idea
consiste nel garantire, con un sistema di assicurazione sociale, un equo indennizzo (non un globale
risarcimento) ai pazienti danneggiati, in tutti i casi
di incidenti medici sia in presenza di malpractice,
sia per eventi ineluttabili (responsabilità oggettiva).
Questo strumento assicurativo di riparazione si è
rivelato un ottimo sistema di prevenzione del contenzioso giuridico, vista la rilevante perdita di interesse da parte dei danneggiati di ricorrere ai tribunali; sposta inoltre l’attenzione dall’autore del
danno, e quindi dall’accanita ricerca di una colpa,
alla vittima reintegrando il soggetto menomato secondo un principio di solidarietà sociale.
Il progetto è simile al Fondo di Garanzia che esiste
per gli incidenti stradali; ma sebbene vari studi e
disegni di legge siano stati avanzati in Italia (Zana
1993, Scalisi 1995, Tomassini 1996, Mirone 1997)
tale iniziativa non è stata recepita dal legislatore.
Per quanto riguarda i comitati etici, va ricordato
che si tratta di organismi costituiti da medici e
non, il cui compito è di fornire pareri e creare occasioni formative sugli aspetti etici della prassi e
della ricerca nelle scienze biomediche e, in particolare, di verificare che vengano salvaguardati la
sicurezza, l’integrità psicofisica e i diritti umani
delle persone coinvolte.
In Italia attualmente esistono e sono regolamentati esclusivamente all’interno di luoghi di degenza o
degli istituti di ricerca. Per il loro sviluppo si possono individuare tre livelli: un primo livello nazionale (Comitato Nazionale per la Bioetica); un secondo livello istituzionale (università, ordini professionali, commissioni regionali); un terzo livello
locale (aziende sanitarie e ospedaliere).
Da ultimo va sottolineato che, come esigenza di
giustizia, i medici e gli odontoiatri richiedono di
essere giudicati da persone esperte e competenti
nella materia, in possesso di pratica clinica e conoscenza medico-legale.
In tale ottica è da ritenersi indispensabile, sul modello del progetto iniziato dall’Associazione Nazionale Dentisti Italiani, la formazione di odontoiatri legali, cioè laureati in odontoiatria, con una
buona pratica clinica e consolidate nozioni in medicina legale applicata all’odontoiatria in grado di
fornire un giudizio competente.
CAPITOLO 17
LA PREVENZIONE E LA GESTIONE
DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
F. Montagna
Con il termine “difficili” intendiamo comprendere
una serie di situazioni, inquadrate secondo una
gerarchia di gravità, che sono superabili e risolvibili con una buona comunicazione tra odontoiatra
e paziente (tabella 1).
Per quanto riguarda l’importanza delle situazioni
difficili basta ricordare che esse rappresentano,
nella maggior parte dei casi, il segno premonitore di un contenzioso in ambito assicurativo o
giuridico.
Del resto il paziente, insoddisfatto del trattamento, molto spesso si rivolge all’odontoiatra
prima che all’avvocato e, in queste situazioni,
una buona tecnica di comunicazione può permettere di intercettare e risolvere i problemi
più gravi.
La vita professionale di un odontoiatra è costellata
di incidenti che lo colgono di sorpresa e di momenti in cui avrebbe bisogno di influire sulle persone e sulle situazioni circostanti.
La gestione delle situazioni difficili può essere
riassunta in poche regole di buon senso.
• Ascoltare l’interlocutore, perché due monologhi non fanno un dialogo.
• Essere duttili mentalmente, poiché in ogni
serie di circostanze la corretta linea d’azione
è determinata dagli eventi successivi e schemi che funzionano in teoria spesso risultano
inapplicabili nella realtà.
• Prima negare la colpa ma poi negoziare una
soluzione.
• Non discutere mai con un idiota, perché la
gente potrebbe non notare la differenza.
Senza un’idea preventiva, la maggior parte degli
operatori si trova ad affidarsi all’istinto e alle
reazioni più immediate, con inevitabile rischio di
insuccesso, perché quando un paziente esprime
una preoccupazione o una critica vi sono modi
corretti e modi sbagliati di formulare la risposta.
Tab. 1 La gerarchia delle situazioni difficili e il counseling
LIVELLO
DEFINIZIONE
SOLUZIONE POSSIBILE
• Contrapposizione
Espressione, verbale o gestuale,
di dubbio o perplessità
Ascoltare, identificare il problema,
spiegare, verificare la comprensione
• Contrasto
Manifesto disaccordo,
assenza di compliance
Chiarire la divergenza e sollecitare la soluzione
lasciando la possibilità per ulteriori interventi
• Conflitto
Atteggiamento di accusa
per errori tecnici o di comportamento
Permettere la verbalizzazione dei motivi
Accettare la critica senza irrigidimenti
Evitare la polemica
Discutere il problema
Negoziare la soluzione
• Contenzioso
Lite in ambito stragiudiziario o giudiziario,
caratterizzata da un’ipotesi di azione illecita
e da una richiesta di risarcimento danni
Avvalersi dell’intervento di un consulente
o esperto con garanzia di obiettività
e competenza
CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
Considerando che molte situazioni sono ricorrenti, si può programmare un sistema di risposte per
affrontare il problema in modo efficiente ed efficace; del resto nella vita ci sono pochi ambiti in
cui la pianificazione non ripaga dello sforzo. Ad
esempio, per affrontare un paziente difficile è utile seguire alcuni consigli, una sorta di pianificazione che permetta di estraniarsi dal problema per
gestire con successo situazioni in cui un atteggiamento impulsivo potrebbe creare delle difficoltà.
Nel rapporto odontoiatra-paziente lo scontro diretto non è mai positivo ma questo non significa
che l’odontoiatra debba sempre dare ragione o assecondare il paziente, rinunciando al proprio ruolo di guida verso atteggiamenti, conoscenze, scelte più adeguati e più utili.
Aspetti psicologici
nel rapporto
odontoiatra-paziente
L’odontoiatria è una professione tecnica, indirizzata su un organo specifico, ma l’odontoiatra nella
gestione quotidiana del rapporto con il paziente si
trova frequentemente a superare questo limite.
In questo contesto non può evitare il rapporto con
gli aspetti emotivi ed è importante che impari a gestire l’aspetto psicologico con un buon distacco
emozionale e senza banalizzazioni.
• Il paziente ha emozioni riguardo alla propria salute (preoccupazioni, paura, speranza) e riguardo al dentista e le terapie odontoiatriche (fiducia,
sfiducia, gratitudine, rabbia, simpatia, antipatia).
• L’odontoiatra ha emozioni in risposta alle emozioni del paziente (fastidio per le eccessive
preoccupazioni e per la paura, rabbia per la sfiducia, ecc.) o anche più in generale nei confronti dei propri insuccessi, o di determinati tipi e personalità di pazienti.
Per fronteggiare il carico emotivo in modo efficace, è importante che l’odontoiatra impari a gestire
il rapporto con il paziente attraverso una buona
conoscenza delle motivazioni alla base della relazione terapeutica.
Alcuni odontoiatri ritengono che la propria abilità
nel risolvere il problema tecnico costituisca il fattore preponderante nella relazione terapeutica; tale relazione terapeutica si realizza, comunque, in
modo esclusivo solo nei pazienti che tendono ad
affidarsi ad un esperto per la risoluzione di uno
141
specifico problema, instaurando una “relazione
scientifica, di consulenza o di affidamento”.
La classificazione di Schneider (1972) ci sembra
particolarmente utile perché, pur derivando dalla
psichiatria e psicologia medica, è estensibile a tutti i campi dell’attività medica. La gamma si estende
da un rapporto del malato vissuto come “cosa” (la
sindrome, la patologia) fino all’identificazione e alla costruzione di una relazione psicoterapeutica.
La classificazione tiene, cioè, conto non della oggettività astratta della relazione, ma della soggettività e del ruolo che, più o meno consapevolmente,
il curante sceglie di giocare nel rapporto medicopaziente. È importante notare come aspetti parziali di ogni tipo di relazione rientrano nella normale
attività odontoiatrica anche se spesso costituiscono una risorsa non riconosciuta e utilizzata.
• Nella relazione scientifica il soggetto è colto
soggetto di studio, ricerca e verifica teorica.
• Il servizio di riparazione è centrato sulla malattia o fase acuta.
• Il servizio di manutenzione sull’intervento
cronico.
• La relazione del consulente implica una valutazione per indirizzare o confermare una
terapia senza prendere in carico il caso.
• La relazione dell’esperto si basa sull’affidamento per la soluzione tecnica di problemi
specialistici.
• La relazione pedagogica è denominata anche di guida o informazione.
• La relazione suggestiva può essere identificata in odontoiatria nella esibizione di innovazioni tecniche per persuadere il paziente.
• La relazione di sostegno consiste negli interventi di chiarificazione e di tranquillizzazione.
• La relazione di aiuto implica un ruolo più attivo e concreto del medico rispetto al sostegno.
• La relazione interpersonale soggettiva si basa sulla identificazione con il paziente per
costruire un relazione psicoterapeutica.
Nella maggior parte dei casi, invece, la valutazione
del paziente comprende una serie di fattori disparati, tra i quali la capacità oggettiva del professionista può rivelarsi marginale rispetto ad altre considerazioni prevalentemente soggettive.
• La capacità di comunicare e consigliare (relazione di sostegno e di informazione).
• L’abilità di tranquillizzare e di mettere a proprio
agio riducendo ansia, paura e dolore (relazione
interpersonale).
142
MEDICINA LEGALE
• L’abilità nel risolvere la patologia con rapidità
ed efficienza (servizio di manutenzione e restauro o di intervento cronico).
Altri fattori determinanti per la scelta del paziente sono, inoltre, inerenti alle disparate situazioni
contingenti, quali ad esempio: la comodità degli
orari e della ubicazione dello studio; un costo accessibile alle proprie possibilità economiche e la
percezione di un rapporto favorevole costo-beneficio; i rapporti interpersonali con operatori o
con altri pazienti della struttura.
Il problema dell’informazione e del consenso rappresentano uno dei nodi centrali nell’interazione
tra sanitario e paziente e sono stati descritti quattro modelli principali in diverso rapporto tra loro
(Emmanuel 1992).
• Il modello paternalistico, definito anche
sacerdotale (priestly), pone l’autonomia
del paziente in secondo piano. Il sanitario
presenta un’informazione selezionata che
incoraggia il paziente a prestare il consenso agli interventi che il curante ritiene migliori.
• Nel modello informativo (scientifico o consumer model) l’autonomia del paziente è posta in prevalenza e distingue tra fatti e valori, lasciando al paziente la scelta definitiva.
Il sanitario fornisce tutte le informazioni indispensabili, lasciando libero il paziente di
scegliere le prestazioni che preferisce e che
il curante eseguirà.
• Il modello interpretativo individua i valori di
riferimento del paziente, che sono ritenuti
precostituiti e fissi, per aiutarlo ad analizzare e scegliere in armonia con quei valori.
• Il modello deliberativo considera i valori del
paziente aperti allo sviluppo e alla revisione
attraverso la discussione. Il medico aiuta il
paziente a decidere individuando i tipi di valori implicati nelle opzioni diagnostiche e terapeutiche.
Attualmente si ritiene che il modello deliberativo
sia il più auspicabile, ma non sempre applicabile.
Per concludere è importante sottolineare che le
personalità dell’odontoiatra e del paziente, la relazione terapeutica e gli aspetti contingenti sono un
insieme eterogeneo di fattori che caratterizzano il
rapporto professionale e determinano le peculiarità del caso specifico.
Per tale motivo, per quanto sia possibile proporre
schemi di comportamento, nella prassi clinica si
deve utilizzare una condotta flessibile, prendendo
atto della diversità dei pazienti e delle circostanze.
La comunicazione
È assodato che oggi i pazienti vorrebbero comunicare con l’odontoiatra più di quanto lui sia disposto a fare con loro. Alcune ricerche rivelano che i
pazienti, però, sono riluttanti a porre domande, a
SINTESI DELLE TIPOLOGIE
DELLA RELAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE
In base al ruolo e alla richiesta
di trattamento
Ai fini dell’informazione
e del consenso
• Relazione scientifica
• Modello paternalistico
• Relazione del servizio di riparazione
• Modello informativo
• Relazione del servizio di manutenzione
• Modello interpretativo
• Relazione del consulente
• Modello deliberativo
• Relazione dell’esperto o dell’affidamento
• Relazione pedagogica o di guida/informazione
• Relazione suggestiva
• Relazione di sostegno
• Relazione di aiuto
• Relazione interpersonale soggettiva
CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
143
chiedere informazioni o a esternare le loro preoccupazioni: il 45% dei problemi e il 54% dei reclami
vengono taciuti. Inoltre i pazienti che pongono domande dirette sono in genere più soddisfatti rispetto a quei pazienti che invece pongono domande indirette (Wright 1997).
Per coltivare il successo professionale risulta più
efficace, quindi, incoraggiare i pazienti ad esprimere le proprie perplessità, tenendo presente che,
in caso di dubbi inespressi, molti di loro si rivolgeranno a un altro studio ma pochi comunicheranno il motivo dell’insoddisfazione.
Non rappresenta una alternativa altrettanto valida
l’obiezione opposta, “non svegliare il cane che
dorme”, basata sul rischio di creare dubbi e timori che, non riconosciuti, non sarebbero mai sorti.
Ragionamenti di opportunità devono guidare le
scelte comportamentali nei singoli casi, ma si deve
sapere che preoccupazioni latenti e irrisolte dei pazienti rappresentano il punto di partenza di situazioni difficili che possono evolvere in contenzioso.
Comunicare, comunque, è più facile con persone
prevedibili e simpatiche, mentre diviene difficile a
fronte di pazienti problematici che pongono quesiti provocatori, critiche e contestazioni. In queste
situazioni, infatti, non è sempre facile scegliere automaticamente la risposta giusta per una determinata situazione e per quel paziente; per contro risposte errate non consolidano il rapporto ma lo
pregiudicano, spingendo il paziente ad abbandonare le cure o ad aprire un contenzioso.
In questo senso si riconferma l’assioma del management secondo il quale le capacità cliniche del
professionista sono essenziali per il successo di
uno studio, ma da sole non bastano se non sono
accompagnate dalla capacità di comunicare.
La soddisfazione del paziente è determinata in
massima parte dalla capacità comunicativa di chi
presta l’assistenza, e gli utenti soddisfatti sono meno portati a criticare l’operato del sanitario e la
qualità delle cure e i costi. In ultima analisi la qualità dell’assistenza è determinata dalla capacità comunicativa del professionista più che dalla competenza clinica e la realtà tende a identificarsi con la
percezione dei pazienti della qualità dell’assistenza.
Quando un paziente fa un’affermazione inesatta o
esprime un’opinione che non è condivisibile (ad
esempio un dubbio sulla diagnosi o terapia che abbiamo proposto) la reazione spontanea è di correggerlo o contraddirlo con frasi del tipo: “Lei dice che… ma invece le cose non stanno così”.
Questo può essere fatto con maggiore o minore
eleganza ed educazione, ma viene comunque a
creare una situazione di contrapposizione.
Nel colloquio non è importante stabilire la verità e
non è necessario contrapporsi; ciò che interessa è
impostare un’azione sul modello del counseling,
cioè intervenire nel processo valutativo o decisionale del paziente per promuoverne un cambiamento.
Non è necessario mutare il proprio stile di comunicazione nel rapporto odontoiatra-paziente, ma
per rispondere alle obiezioni si devono rispettare
alcune regole, mantenendo un clima di empatia.
• Pianificare e preparare una risposta inappuntabile per ogni domanda che potrebbe emergere.
• Ascoltare per capire che cosa crede il paziente
ed eventualmente formulare delle domande
aperte per chiarire l’argomento.
• Rendere esplicito il percorso logico che il paziente sta seguendo e a quali conclusioni porta.
• Rispondere sinteticamente dando la giusta
quantità di informazioni ed evitando le ripetizioni, secondo l’obiettivo di aiutare il paziente a
capire e fare deduzioni.
• Ottenere la conferma di avere risposto all’obiezione (feed-back) rivolgendo delle domande dirette: “Ho risposto alla sua domanda? L’ho
convinta? Desidera altre informazioni?”.
L’errore più comune dell’odontoiatra consiste nel
non cogliere le affermazioni inesatte e le perplessità (anche inespresse verbalmente, ma solo gestualmente) del paziente, lasciando spazio a ipotesi non verificate che possono successivamente radicarsi o progredire in un contrasto; vale, infatti, il
principio che un paziente non convinto o insoddisfatto è più critico e meno collaborativo.
La contrapposizione
Il contrasto
In questo ambito sono comprese molte delle domande difficili che l’odontoiatra si sente rivolgere
quotidianamente dai pazienti e a cui deve rispondere in modo convincente.
Il contrasto si verifica quando le decisioni, le diagnosi o le terapie proposte dall’odontoiatra non sono
condivise dal paziente, non si verifica cioè la compliance in una situazione di manifesto disaccordo.
Posso fidarmi di lei? Sarò in buone mani? Vale la pena eseguire la terapia? Perché costa tanto? Perché
adottare questa linea di condotta?
144
MEDICINA LEGALE
L’odontoiatra deve gestire il colloquio in modo da
evidenziare le differenze tra la sua opinione e quella del paziente, rendendo possibile il superamento
del contrasto.
• Inquadrare ed enunciare la divergenza da affrontare: “A questo punto dobbiamo affrontare
questo problema…”.
• Proporre un primo argomento di discussione in
vista di una decisione: “Affrontiamo subito
questo problema. Che cosa le rende difficile decidere o proseguire…”.
• Ristrutturare la risposta del paziente evidenziando incoerenze e contraddizioni, correggendo affermazioni inesatte: “Lei deve essere molto chiaro con se stesso, più che con me. Io non
intendo forzarla, ma il problema esiste. Lasciamo perdere e facciamo finta di niente? Ne
è convinto?”.
• Ridefinire il problema centrale evitando discussioni periferiche sulle convinzioni e sulla
forza del carattere: “È inutile discutere sulla
validità della diagnosi o degli esami. Parliamo di lei. Il punto adesso è questo: rinunciare a una terapia efficace o proseguire.
Qual è il vero problema: il tempo, la paura, il
costo?”.
• Mantenere un clima empatico, qualunque sia la
decisione del paziente, per lasciare aperta la
possibilità di un ulteriore intervento: “Io non
sono d’accordo sul fatto che lei corra questo rischio anche se in questo momento lei non se la
sente di decidere. Dal momento che deve ritornare per altri controlli, prenda tempo per ripensarci e cambiare idea…”.
Il conflitto
Nelle situazioni di conflitto il paziente assume un
atteggiamento di accusa nei confronti dell’odontoiatra per motivi diversi: la convinzione che abbia
commesso un errore a suo danno, che lo abbia trascurato, che gli neghi un suo diritto, ecc.
L’obiettivo del sanitario è comunque sempre quello di non “perdere il suo paziente”.
Aggredirlo, contraddirlo violentemente, cercare
di costringerlo può allontanarlo irrimediabilmente; ma anche un atteggiamento troppo condiscendente e un eccessivo timore dello scontro possono essere controproducenti.
Il paziente deve sentire in ogni momento che l’odontoiatra controlla la situazione compresa la
rabbia e l’aggressività del suo paziente; accetta
che il paziente sia adirato senza risentirsi a sua
volta.
La scorretta gestione delle situazioni di conflitto
può rappresentare il fattore determinante per l’insorgere di un contenzioso giuridico ed è perciò importante che l’odontoiatra utilizzi una corretta tecnica di comunicazione.
Le indicazioni riportate possono essere insufficienti in caso di forte coinvolgimento emotivo; situazioni di particolare difficoltà nelle quali, comunque, l’odontoiatra preparato sarà in grado di
comprendere le proprie difficoltà e individuare il
tipo più adeguato di comunicazione.
Permettere la verbalizzazione
dei problemi
per riconoscere le istanze
Innanzitutto, di fronte a un paziente insoddisfatto,
che esprima il proprio disappunto alla presenza di
altri, è opportuno trasferire la discussione nello
studio in privato in quanto la comunicazione è più
difficile in pubblico.
Nell’impostare il colloquio con il paziente, l’odontoiatra deve tenere ben presente che, dimostrando
di non accettare o di non volere riconoscere le
emozioni proprie e altrui, esclude la comunicazione in modo negativo.
Nel caso si sovrappongano numerose contestazioni, si devono affrontare gli argomenti uno per
volta.
Alcuni pazienti non riuscendo ad esprimere le proprie ansie e preoccupazioni possono diventare aggressivi, insistenti, accusatori o comunque difficili da capire e apparentemente irrazionali nei loro
comportamenti.
Una buona tecnica di conversazione è assicurata
dall’ascolto attivo (secondo Rogers), che consiste
nel capire ciò che l’altra persona sta dicendo e sta
provando, per poi riesprimerlo con parole proprie
(cioè con una parafrasi o con domande riflesse)
per entrare in sintonia.
Per contro, durante l’ascolto vanno evitate le parole e le frasi che tendono a creare resistenze nell’interlocutore: “ma… non sono d’accordo… presumo che… che cosa vuol dire… ecc.”.
Ascoltare il paziente significa prendere atto della
sua posizione, sforzandosi di guardare la situazione con i suoi occhi per individuare e ottenere
un quadro completo del problema e delle attese di
chi si trova di fronte.
CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
Tono
della voce 38%
Linguaggio
del corpo 55%
Parole
usate 7%
Fig. 1 Valore di impatto del linguaggio verbale e non verbale sugli altri al primo incontro
Per meglio verificare la consistenza del problema possono dimostrarsi utili alcune domande
aperte, servendosi di un linguaggio positivo ed
evitando le domande guidate, retoriche o con finalità critiche “Qual è il problema? Che effetto le
ha fatto? In che modo a suo parere può essere
risolto?”.
La comunicazione è infinitamente di più dell’insieme delle nostre parole che sono solo una componente dell’espressività umana; come visualizzato
nella figura 1, l’impatto che esercitiamo su un interlocutore è determinato solo in minima parte dal
contenuto di ciò che diciamo (circa il 7%), mentre
la maggior parte del messaggio è comunicato mediante il linguaggio del corpo (55%) e dal tono della voce (38%).
Per accrescere la comunicazione dobbiamo assicurarci di rinforzare con il linguaggio del corpo
(postura e gestualità) il messaggio che vogliamo
esprimere, utilizzando allo scopo alcuni atteggiamenti per i quali, comunque, non esistono regole
fisse.
Si pensa generalmente che rappresentino indici di
attenzione:
• non distogliere lo sguardo dalla persona;
• porsi a livello del paziente in posizione rilassata, ferma e composta;
• avvicinarsi, sporgendosi in avanti (piuttosto
che rimanere reclinati indietro a braccia incrociate);
• abbracciare il mento con una mano tenendo
l’indice appoggiato alla guancia e il capo reclinato;
• sottolineare con il gesto l’ascolto (annuire e
sorridere mentre il paziente parla).
145
Accettare la critica
senza irrigidimenti
Per fronteggiare in modo efficace il carico emotivo determinato da una situazione conflittuale, è
importante che l’odontoiatra impari a gestire il
rapporto con il paziente attraverso una conoscenza dell’aspetto psicologico, un buon distacco emozionale e senza banalizzazioni.
Si deve inoltre tenere presente quanto sia importante mantenere la calma, in quanto l’impeto emotivo non ci permette di essere obiettivi sulla nostra
reale responsabilità nella genesi del conflitto.
Di fronte ad un’insistenza potenzialmente conflittuale, l’odontoiatra deve lasciare che il paziente
esprima le sue ragioni considerando che l’aggressività può emergere da un’accusa corretta (o supposta tale), ma può essere anche lo stile comunicativo abituale di un determinato paziente.
L’aggressività può celare un conflitto di potere
(Vediamo chi è il più forte) che spesso si trasforma in un conflitto senza fine (escalation).
La reazione di accettazione dell’odontoiatra deve
comunicare il tentativo di affrontare insieme la
reazione; il paziente dovrebbe sentire in ogni momento che il sanitario sa padroneggiare le situazioni, compresa la rabbia e l’aggressività.
Se qualcuno esprime dubbi sulla sua credibilità,
non è auspicabile per l’odontoiatra cullare il narcisismo ferito precipitandosi in propria difesa.
Nella conversazione vengono lanciati due punti di
vista, il suo e quello del paziente, che difenderà la
propria posizione finché il medico non ne abbia
preso atto. Si tratta, in buona sostanza, di recuperare la credibilità con il paziente; fiducia che è sicuramente superiore a quanto egli non mostri in
quel momento, considerato che aveva precedentemente scelto lui come curante e che ora si sta impegnando a parlargli dei problemi insorti per cercare una risoluzione.
La fiducia del paziente si basa su un giudizio globale di credibilità del professionista, fondata su
competenza, impegno, franchezza, sicurezza e
onestà; questa è l’immagine che dovete comunicare di nuovo per potere esercitare un’influenza positiva sulla soluzione del conflitto.
Evitare la polemica
A fronte di una critica educata si deve mantenere
un atteggiamento cortese, ma anche reagire in
modo fermo a una critica sleale o maleducata con
146
MEDICINA LEGALE
frasi del tipo: “Vorrei risolvere la situazione, ma
diventa difficile farlo se lei mi parla in questo
modo e non mi consente di intervenire”.
In quest’ottica sono da evitare gli atteggiamenti di
indifferenza (riluttanza a comunicare), insensibilità (ignorare le priorità del paziente), provocazione (condannare a priori il punto di vista del paziente) od offesa (criticare il paziente), atteggiamenti che provocherebbero una escalation del
conflitto rendendolo irrisolvibile con il rischio di
sfociare in un contenzioso giudiziario.
In ogni caso è sempre consigliabile non accentuare la conflittualità con la polemica negando, aggredendo, contraddicendo violentemente, interrompendo o svalutando con commenti o atteggiamenti
non verbali, recriminando inutilmente sul passato.
Un atteggiamento positivo consiste nel restare fermo sul problema odontoiatrico ed evitando di lasciarsi trascinare su problemi teorici e di principio; è inoltre necessario non accettare lo scambio
di accuse, limitandosi a ribadire la propria posizione e tralasciando di discutere o esprimere apprezzamenti sul paziente.
Discutere il problema
In caso di contrasto, l’odontoiatra dovrà gestire il
colloquio in modo da evidenziare le differenze fra
la sua opinione e quella del paziente, ma dovrà farlo in modo da rendere possibile il superamento del
contrasto.
• Inquadrare ed enunciare con chiarezza la divergenza da affrontare (A questo punto affrontiamo subito questo problema che la disturba).
• Proporre un primo argomento di discussione
riportando il problema al presente momento
concreto di cura (Cosa fare adesso per la sua
salute?).
• Ristrutturare la risposta del paziente evidenziando incoerenze e contraddizioni, correggendo affermazioni inesatte (Lei deve essere molto
chiaro con se stesso oltre che con me).
• Ridefinire il problema centrale esponendo con
chiarezza e fermezza il suo punto di vista (È
inutile discutere sulla validità di… Il punto
adesso è questo…).
• Mantenere un clima empatico per lasciare aperta la possibilità di un ulteriore intervento.
• Ammettere, se c’è stato, l’errore (o quello che il
paziente sembra considerare tale) evitando di
giustificarsi, di minimizzare, di cercare scuse e attenuanti che pongono in posizione di inferiorità.
Se avvertiamo che un conflitto di personalità sta
interferendo nel rapporto è importante riconoscere e interpretare le caratteristiche della personalità dell’interlocutore; adattando il tipo di approccio al carattere del paziente si ha la possibilità di
instaurare un clima di empatia, rispettarne la suscettibilità e influenzarne il parere in merito alla
bontà della soluzione proposta (figura 2).
Un soggetto con personalità attiva-leader tende a
dominare la conversazione con uno stile che può
risultare intimidatorio; è sensibile a termini che
evochino eccellenza. Lo stile di approccio più efficace a questa mentalità aggressiva è di tipo assertivo, con un atteggiamento diretto e fermo; mentre
un atteggiamento sottomesso può essere controproducente.
Un soggetto con personalità analitica-ascoltatrice
è molto obiettivo e determinato, preferisce lasciare all’interlocutore l’onere del discorso, puntualizzandone poi gli errori; elabora le sue decisioni con
calma riflettendo sui dati disponibili; è sensibile a
frasi che riguardino argomentazioni e aspetti statistici. Lo stile di approccio a questa mentalità lineare e attenta al dettaglio deve essere logico e
puntuale nei dati; un approccio autoritario è votato all’insuccesso.
Un soggetto con personalità reattivo-gregaria è riservato, cauto, preferisce attendere che sia l’interlocutore a prendere l’iniziativa e procrastina le decisioni; su questa personalità fanno leva termini
come sicurezza, garanzia, cautela. La chiave per
comunicare consiste in una relazione persuasiva
di supporto e rassicurazione
Un soggetto con personalità creativa-comunicativa è socievole, desideroso di mantenere la relazione e, spesso, disorganizzato nell’esposizione come
nell’organizzazione; sono particolarmente efficaci
DOMINANTE
E
S
T
R
O
V
E
R
S
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Attivoleader
Analiticoascoltatore
Creativocomunicativo
Reattivogregario
SOTTOMESSO
Fig. 2 Tipi di personalità
I
N
T
R
O
V
E
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S
O
CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI
termini quali facilità, convenienza, apprezzamento. La chiave per comunicare è il controllo della
conversazione e l’appello all’emotività.
Negoziare la soluzione
Obiettivo deve essere la conclusione della situazione conflittuale e non la vittoria del conflitto.
Molti pazienti non hanno bisogno che sia accettato
il loro punto di vista per sentirsi soddisfatti, ma percepire di essere stati ascoltati con attenzione e che
il loro modo di vedere sia stato compreso; altri richiedono la negoziazione di una nuova soluzione.
Vi sono alcuni suggerimenti da seguire.
• Cercare di individuare quello che l’interlocutore si prefigge.
• Essere flessibili continuando a cercare una
via d’uscita dalle situazioni di stallo per
quanto improbabile essa possa sembrare.
Ricordare che anche la controparte ha tutto
l’interesse a negoziare una soluzione; se è
così non c’è alcun bisogno di litigare per
sbloccare punti morti apparentemente insuperabili.
• Non partire da posizioni preconcette di difesa o di critica tali da fare sembrare impossibile un accordo; sarà, infatti, inevitabile abbassare il tiro durante la negoziazione.
La negoziazione non è una semplice e sbrigativa
rassicurazione ma può essere, di volta in volta,
una soluzione diversa che deve comunque sempre
essere espressa verbalmente in modo da dare una
conclusione accettabile al conflitto.
147
• L’uso consapevole dell’autorità professionale
nell’accettare la soluzione proposta (È importante che lei decida di avere fiducia in me).
• L’accoglimento della rimostranza individuando
concessioni, modificazioni del piano di terapia,
rifacimenti della prestazione (È normale che lei
si senta così, c’è qualcosa che potrebbe limitare gli effetti negativi?).
• Dilazioni o riduzioni del pagamento del corrispettivo.
• L’interruzione del contratto, eventualmente restituendo la parcella inutilmente corrisposta
dal paziente a fronte di una prestazione scorretta o non ultimata. Tale onere, peraltro, ricade sul professionista e non è manlevabile, secondo la maggior parte dei contratti stipulati
con le polizze delle compagnie assicurative.
Inutile dire che la negoziazione funziona bene solo
se l’interlocutore intende collaborare alla soluzione
del problema. I motivi che possono indurre le persone a non ritenere convincente la proposta dell’odontoiatra, facendo cadere nel vuoto lo sforzo di
informare e rassicurazioni, possono essere diversi:
• insufficiente fiducia nei confronti del professionista e della sua organizzazione;
• insufficiente comprensione delle implicazioni
della proposta dell’odontoiatra;
• decisione già maturata di avvalersi di un altro
professionista;
• costo eccessivo.
Va comunque ricordato che, anche se lo scontro
diretto non è positivo, ciò non significa che si debba rinunciare al proprio ruolo tralasciando di guidare il paziente; infatti anche un atteggiamento
troppo condiscendente, un eccessivo timore del
conflitto possono essere controproducenti.
CAPITOLO 18
LA PREVENZIONE
DEL CONTENZIOSO
F. Montagna
Il termine contenzioso racchiude in sé il concetto
di lite: è tutto ciò che, stante una controversia tra
due o più parti, può essere sottoposto alla decisione di una terza persona (ad esempio un giudice).
Il contenzioso parte sempre da un’ipotesi di
azione illecita e quindi da una richiesta di risarcimento danni non componibile con un accordo
diretto e interpersonale tra le parti.
Rappresenta l’ultima ratio di un conflitto insolubile e sancisce per l’odontoiatra l’insuccesso
completo su tutti i fronti: sul piano umano per il
fallimento del rapporto interpersonale; a livello
deontologico per l’incapacità di gestire il rapporto odontoiatra-paziente; professionalmente
per la perdita del rapporto economico che
riguarda non solo il paziente, ma anche tutta la
cerchia di persone che si riferiscono allo stesso.
Tale evoluzione non è comunque evitabile nelle
situazioni in cui la negoziazione è impossibile,
come ad esempio quando ci si confronti con accuse immotivate o pretestuose; richieste di danno esorbitanti e ingiustificate; litigiosità insormontabile della controparte per questioni di un
mal interpretato “principio morale” più correttamente identificabile in giustizialismo, vendetta
o rivalsa.
Con il termine contenzioso stragiudiziale si fa
riferimento agli atti compiuti dalle parti in lite al
di fuori del procedimento giudiziario e pertanto
non davanti al giudice (transazioni, liquidazioni
di sinistri da parte delle compagnie assicurative).
La giurisdizione contenziosa, invece, è una forma
di attività giurisdizionale che viene esercitata dal
giudice per comporre una lite; può investire ambiti diversi (ad esempio amministrativo, giudiziario, tributario, contabile, ecc.) e nel caso di responsabilità professionale odontoiatrica e inerente ai processi civili e penali.
Nelle discussioni si ha la sensazione che, consultando un numero sufficiente di esperti, si
possa confermare qualsiasi opinione e che le
proposte siano sempre capite dagli altri in modo diverso da chi le formula; c’è sempre cioè
qualcuno che non capisce o a cui non piace la
soluzione proposta. La virulenza, poi, delle polemiche è inversamente proporzionale alla
reale importanza dell’argomento stesso.
Questo è in relazione al fatto che, spesso, tutti mentono e nessuno sta ad ascoltare, per malafede o per stupidità.
È proprio vero che se la gente potesse ascoltarsi parlerebbe di meno.
Come inizia
il contenzioso
Accingendosi a raccogliere l’anamnesi e la storia
clinica, sia da pazienti che da odontoiatri, per
stendere una consulenza o una perizia medico-legale si matura spesso la sensazione di un déjà-vu;
di rileggere, cioè, un medesimo copione in cui
cambiano i personaggi ma si ripetono le medesime
situazioni e le stesse trame.
Si rinnovano, cioè, i medesimi interrogativi, commenti, evoluzioni ed esiti peraltro prevedibili con
larga anticipazione sin dall’inizio; ma ciò che più
impressiona è la ripetitività del modo di innesco
del contenzioso attraverso poche e sempre identiche modalità.
Lo studio e la comprensione di questi meccanismi da parte degli odontoiatri è importante per
cogliere quei segnali di allarme, premonitori di
un contenzioso, che richiedono un riesame del
rapporto paziente-odontoiatra per istituire un
tentativo di prevenzione o prepararsi a gestire il
contenzioso.
CAPITOLO 18 • LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO
Progressivo peggioramento
di una situazione difficile
Le recriminazioni più frequenti dei pazienti attengono all’indisponibilità al dialogo del professionista; a questo tipo di innesco appartengono frasi
del tipo: “Avevo un problema, mi sono lamentato
più volte ma non mi ha ascoltato… Ad un certo
punto si è disinteressato di me e mi ha abbandonato… Ha detto che è colpa mia e che ho dei
problemi…”.
La decisione di passare dalle proteste generiche
all’azione legale è, infatti, spesso motivata più da
una mancanza di comunicazione del sanitario che
dall’effettivo errore; incidente terapeutico che il
paziente avrebbe tollerato a fronte di un atteggiamento disponibile da parte del professionista a riparare o diminuire l’incidenza del danno.
In molti casi si ha la sensazione che l’odontoiatra
abbia sbagliato due volte: la prima, meno grave,
commettendo l’errore tecnico; la seconda, determinante per la nascita del contenzioso, perdendo
la possibilità di recuperare la propria credibilità e
la fiducia del paziente, reagendo e impegnandosi
tempestivamente con franchezza e onestà.
149
cella poiché ha ricevuto una prestazione scorretta
e che abbia deciso di non ritornare nello studio del
professionista, senza tuttavia protestare o iniziare
un procedimento legale.
Se in questa situazione il paziente si vedrà recapitare un decreto ingiuntivo dall’ufficiale giudiziario
si troverà davanti a due sole scelte: pagare il lavoro difettoso (beffato e danneggiato) o bloccare l’azione giudiziaria, iniziando un procedimento civile
con domanda riconvenzionale di risarcimento
danni.
In questo modo, per recuperare cifre modeste,
molti professionisti intraprendono un procedimento giudiziario che li vedrà inevitabilmente soccombenti.
A tale riguardo i consigli utili in tema di prevenzione consistono:
• per il professionista controllare la documentazione clinica e verificare la corretta esecuzione dei lavori eseguiti sui pazienti morosi
prima di procedere a ingiunzione;
• per la Commissione Odontoiatri dell’ordine,
chiamata a vidimare la parcella con parere
di congruità, proporre un tentativo di conciliazione tra le parti, cercando di intercettare,
in tal modo, situazioni potenzialmente foriere di contenzioso.
Procedimento di ingiunzione
Un secondo meccanismo di innesco del contenzioso consiste nell’attivare un procedimento di ingiunzione di pagamento nei confronti di un paziente moroso.
Il procedimento di ingiunzione (cosiddetto decreto ingiuntivo) è un procedimento speciale differenziato rispetto al rito ordinario che prevede,
per il creditore-odontoiatra, la possibilità di ricorrere ad una procedura semplificata per ottenere il
pagamento di quanto gli è dovuto.
• Il creditore presenta un ricorso al giudice
competente unitamente ai documenti che dovrebbero provare il credito, chiedendo l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del
debitore.
• Il giudice può rigettare la domanda o accoglierla ingiungendo il pagamento al debitore entro
20 giorni e autorizzando in caso contrario l’esecuzione del credito.
• Il debitore può proporre opposizione instaurando un vero e proprio giudizio di merito.
Per capire la pericolosità insita nel procedimento,
si immagini che un paziente rifiuti di pagare la par-
Critica da parte di un collega
In molti casi, senza preavviso, l’odontoiatra riceve
una lettera di costituzione in mora del legale, che
contesta un danno, spesso con una ineccepibile
terminologia odontoiatrica e medico-legale.
Si tratta di casi che riconoscono genesi diverse,
ma il “primum movens” più frequente è la critica,
eccessiva e raramente disinteressata, di un altro
collega con frasi esagerate, in alcuni casi francamente diffamatorie: “Chi le ha fatto questo lavoro?... è stata rovinata… la situazione è irrecuperabile… il danno è enorme… necessiteranno spese elevate per riparare il danno…”.
Se a tale atteggiamento si somma la combinazione
di un paziente intransigente, un medico-legale
compiacente e un legale professionalmente aggressivo, la situazione diviene irrisolvibile “ab initio” per il lievitare delle richieste di risarcimento.
L’ipotesi di prevenzione, in questi casi, è suggestiva, ma allo stato attuale ampiamente inattuabile,
considerando la difficoltà che sussiste nel dimostrare l’atteggiamento non deontologico di un col-
150
MEDICINA LEGALE
lega e la inveterata torpidità dell’ordine nell’intraprendere procedimenti disciplinari.
In Inghilterra la British Dental Association si pose,
alcuni anni fa, il problema del whistle blowing,
cioè la segnalazione all’associazione da parte degli
odontoiatri stessi di colleghi con uno standard di
prestazioni professionali inadeguato o comportamenti non deontologici.
Tale intervento trovava motivazione nel prevenire
l’insorgere di contenziosi o comunque di interventi disciplinari da parte del General Dental Council
o del National Health System.
Sarebbe comunque un’ipotesi percorribile sottoporre al vaglio di una commissione disciplinare
una consulenza scorretta, incompetente o addirittura sottoscritta da un medesimo odontoiatra, nella duplice veste di curante e medico-legale, che
censuri il presunto danneggiante con un chiaro atteggiamento di rivalsa economica per incrementare il proprio reddito.
Nella pratica nazionale, attualmente, si verifica
piuttosto il contrario: chi si occupa di odontoiatria
legale può trovarsi segnalato all’ordine proprio dal
collega autore del danno, con una richiesta di sanzione disciplinare spesso immotivata nella sostanza nel tentativo di difendere la propria malin-
tesa professionalità o, meglio, il proprio narcisismo ferito.
L’evento di danno patrimoniale
In molti casi il motivo delle contestazioni del paziente è riconducibile a un danno emergente meramente economico a fronte della necessità di rifacimento della prestazione e un corrispettivo inutilmente pagato.
Non bisogna irrigidirsi e cadere nel tipico errore:
“Poiché ho lavorato e ho avuto delle spese, devo
essere pagato indipendentemente dal risultato”.
È opportuno proporre una soluzione immedesimandosi nell’ottica del paziente e formulare una
proposta franca e onesta che risulti accettabile
per ambedue le parti come, ad esempio, offrire di
rieseguire il lavoro o restituire la parcella nel caso
di interruzione del rapporto fiduciario.
La soluzione negoziale trova motivazioni specifiche nella legislazione oltre che nella deontologia:
• il codice civile prevede che, in caso di prestazione inadeguata, il professionista decada
dalla titolarità del diritto al compenso (art.
LE MODALITÀ DI INIZIO DEL CONTENZIOSO
Modalità
Prevenzione
• Progressivo peggioramento di una situazione dif- • Migliorare la comunicazione e il rapporto odonficile (perdita di fiducia del paziente per la sentoiatra-paziente (ascoltare le lamentele e le critisazione di essere stato trascurato o ingiustache, individuarne i motivi, affrontare il problema)
mente trattato)
• Interrompere il rapporto professionale in caso di
perdita del rapporto fiduciario
• Decreto di ingiunzione di pagamento a paziente • Verificare i motivi della morosità prima di procedere a richiesta (documentazione, convocazione)
moroso (per prestazione scorretta)
• Azione di conciliazione dell’ordine
• Critica da parte di un collega
• Segnalazione all’ordine di colleghi o di consulenti tecnici e periti scorretti (whistle blowing)
• Applicazione delle sanzioni (per infrazione del
codice deontologico)
• Evento di danno patrimoniale (insuccesso in pro- • Proporre soluzioni concrete e accettabili (riesetesi, emendabile)
cuzione gratuita delle cure, atto di transazione
con restituzione del corrispettivo)
• Evento di danno biologico (lesione chirurgica • Riconoscere preventivamente le situazioni a riinemendabile)
schio (statistica, informazione e aggiornamento;
attivazione della manleva assicurativa)
CAPITOLO 18 • LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO
1453 c.c., Risoluzione del contratto per inadempimento);
• la parcella non è coperta da garanzia secondo la
maggior parte dei contratti stipulati con le polizze delle compagnie assicurative; ciò vuol dire
che in giudizio ci si troverà di fronte a due richieste che consistono nella restituzione della
parcella, che ricade sul professionista, e il risarcimento del danno biologico manlevato dall’assicurazione.
A tal proposito segnaliamo una sentenza, che costituisce un tipico esempio di restituzione del
compenso in corso di causa civile:
Tribunale, Sez. 1ª civ., n. 6050 - 11/7/91
est. D’Agostino
…Quando l’opera medica di un dentista non
sia stata eseguita a regola d’arte nonostante
l’assenza di particolari difficoltà tecniche,
quando cioè, tra gli interventi eseguiti in maniera scorretta e il danno lamentato vi sia un
rapporto di causalità diretta, è suffragata la responsabilità del dentista per un comportamento inescusabilmente colposo.
151
Conseguentemente dovrà essere risarcito il
danno consistente nel costo di rifacimento
dell’opera e nella restituzione della somma
versata a titolo di acconto dovendosi intendere risolto per inadempimento il contratto d’opera, previa rivalutazione monetaria avendo la
restituzione funzione anch’essa risarcitoria…
L’evento di danno biologico
Diversa è la situazione di una lesione chirurgica o
la perdita di un dente per cure scorrette: il danno
biologico è per sua natura inemendabile, può essere cioè quantificato e risarcito, ma la menomazione non è eliminabile anatomicamente, per
quanto, in alcuni casi, possa esserne ridotta l’incidenza con una protesi. La garanzia assicurativa è
operante e il risarcimento del danno è manlevato,
qualora sia stipulata una polizza e non siano presenti specifiche esclusioni.
Il comportamento dell’odontoiatra si limita, quindi, a spiegare in modo franco il fatto al paziente e
denunciare il sinistro alla compagnia assicurativa.
CAPITOLO 19
LA GESTIONE
DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE
F. Montagna
Se sai distinguere un cattivo suggerimento da
uno buono, non hai bisogno di consigli, ma di
ricordarti di alcuni moniti.
Il tempo che ci vuole ad aggiustare una situazione è inversamente proporzionale a quello
che ci è voluto per guastarla.
Le cose lasciate a se stesse tendono ad andare
di male in peggio.
Le probabilità di accordo e i costi sono inversamente proporzionali al numero degli esperti
interpellati.
Gli unici a non rimetterci mai sono i consulenti; fidati solo di quelli che rischiano di perdere
quanto te se le cose vanno male.
La situazione italiana presenta un quadro caratterizzato, in generale, dall’assenza di “filtri” nel ricorso al giudice ordinario e dalla scarsa utilizzazione di procedure non giurisdizionali per la risoluzione dei conflitti. Si evidenzia, invece, una forte tendenza a definire in modo contenzioso le controversie civili.
Nell’ultimo periodo si è cominciato a porsi il problema della composizione stragiudiziale, almeno
delle liti di minore entità; iniziative economicamente convenienti, non soltanto per le parti, ma
anche in termini generali, in quanto comportano la
riduzione dei carichi di lavoro dei magistrati, la
semplificazione delle procedure di risoluzione delle controversie, la velocizzazione delle risposte
che l’amministrazione della giustizia deve ai cittadini.
La conciliazione, la transazione, la liquidazione del
danno e l’arbitrato, perseguiti con metodi diversi,
rappresentano le modalità di risoluzione del contenzioso stragiudiziario previste dal codice.
Il termine conciliazione indica l’attività di una persona, giudice o arbitro, avente per scopo la composizione amichevole di una controversia; con tale vocabolo, però, si intende anche l’atto scritto
nel quale sono consacrate le condizioni dell’accordo transattivo.
Con tale definizione viene introdotto il concetto di
transazione: contratto regolato dagli artt.1965-1976
c.c., col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o
prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Il contratto di transazione deve essere stilato per
atto scritto e produce tra le parti gli stessi effetti
di una sentenza passata in giudicato, costituisce,
cioè, un titolo esecutivo; può, comunque, essere
annullata o impugnata in alcuni casi che ne inficino la validità (inadempimento, esecuzione su documenti in seguito ritenuti falsi, temerarietà della
pretesa, malafede di una delle parti).
Esistono svariati buoni motivi per incrementare la
risoluzione stragiudiziale del contenzioso tra odontoiatra e paziente una volta esercitata un’azione di
filtro che abbia eliminato le richieste immotivate:
• la tutela dell’immagine dell’odontoiatra, e in termini più generali della professione, da una pubblicità negativa;
• l’elevata percentuale di sentenze sfavorevoli ai
sanitari in ambito giudiziario, stante la severità
della giurisprudenza in materia di tutela del diritto alla salute;
• l’elevato aumento delle spese determinate dal
ricorso alla giustizia, oneri di soccombenza per
spese tecniche e legali che non infrequentemente vengono a raddoppiare o triplicare la
quantificazione del danno.
La conciliazione diretta
tra odontoiatra e paziente
La conciliazione eseguita direttamente tra odontoiatra e paziente, eventualmente con l’ausilio di
consulenti legali e medico-legali, può risultare uti-
CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE
le soprattutto nelle situazioni nelle quali sia assente o inefficace una polizza assicurativa:
• prestazione non coperta da garanzia (ad esempio implantologia);
• periodo di vacanza o assenza della polizza;
• prestazione non assicurabile per dolo o illecito
penale (ad esempio per concorso nel reato di
abuso di professione da parte di un odontoiatra);
• contenzioso ridotto alla restituzione del corrispettivo dell’indebito inutilmente pagato.
Allo scopo proponiamo un modulo che rappresenta
un atto scritto di transazione in ambito stragiudiziale,
che può essere adottato per documentare la risoluzione del contratto e la restituzione del corrispettivo.
153
Naturalmente consigliamo di modificare il documento con l’aiuto di un esperto, in modo da adattarlo alle specifiche situazioni.
La commissione
di conciliazione
dell’ordine dei medici
chirurghi e odontoiatri
Le Commissioni degli Odontoiatri, istituite con la
legge 409/85, possono esercitare le funzioni attribuite dal D.L.CPS 233/46:
SPECIMEN PER TRANSAZIONE EXTRAGIUDIZIALE
ATTO DI TRANSAZIONE
tra
il sig. ________________________________________ rappresentato e difeso dall’avv. ____________________________________
e
il dott._______________________________________ rappresentato e difeso dall’avv. ____________________________________
PREMESSO
• che in data _____________ il sig. _____________________ proponeva nei confronti del dott. ______________________ richiesta per risarcimento danni per asserita responsabilità professionale civile odontoiatrica conseguente a terapie
odontoiatriche ritenute scorrette;
• che il dott. _____________ respingeva ogni responsabilità in proposito, sia sotto il profilo del merito, sia sotto il profilo soggettivo;
• che, tuttavia, nelle more del giudizio, le parti, pro bono pacis, hanno acconsentito a trovare una soluzione transattiva
della vicenda.
Tutto ciò premesso
CONVENGONO
1) Il dott. _________________ corrisponde al sig. ____________________, a saldo e stralcio di quanto richiestogli per danni
asseritamente connessi e/o conseguenti alle circostanze per cui è causa, la somma di lire ______________ con le seguenti
modalità:
• Lire ____________________________________ alla sottoscrizione del presente atto e cioè in data____________________
• Lire ____________________________________ in data _____________
a mezzo di assegni circolari non trasferibili, intestati.
2) Il sig. __________________ dichiara di accettare la somma di cui al punto 1), con le relative modalità e tempi di pagamento, a saldo e stralcio di quanto richiesto per le causali di cui alla premessa.
3) Il sig. __________________, per i fatti oggetto de quo, si impegna a non inoltrare alcuna azione civile, penale e disciplinare nei confronti del dott. ___________________ e di chiunque altro abbia preso parte agli stessi eventi.
4) Le parti dichiarano che al termine dell’esecuzione della presente transazione, null’altro avranno a pretendere l’uno
dall’altro, a qualsiasi titolo.
Luogo ______________________________
data _______________________________
Firma ______________________________
Firma ______________________________
Sottoscrivono la presente transazione ai fini della rinuncia alla solidarietà ex art. 68 L.P.
Avv. ______________________________
Avv. ________________________________
154
MEDICINA LEGALE
Art. 3
g) Interporsi, se richiesto, nelle controversie fra
sanitario e sanitario o fra sanitario e persona
o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la propria opera professionale,
per ragioni di spese, di onorari o per altre
questioni inerenti all’esercizio professionale,
procurando la conciliazione delle vertenze,
in caso di non riuscito accordo, dando il suo
parere sulle controversie stesse.
Tale soluzione, per quanto normativamente prevista, rappresenta, comunque, attualmente l’eccezione tra le varie possibilità nelle situazioni di contenzioso; in quanto non sono istituite commissioni
di conciliazione presso la stragrande maggioranza
degli ordini professionali.
Inoltre non esiste su tale argomento un modello
univoco e quindi il campo è aperto a proposte teoriche nell’ambito di iniziative diverse.
I momenti di attivazione più probabili della commissione di conciliazione sono rappresentati da quelle
situazioni che più spesso rappresentano fasi preliminari di un contenzioso giuridico, rappresentando
in tal modo una vera e propria azione di intercettazione e prevenzione di successivi procedimenti giudiziari per responsabilità professionale a carico di
odontoiatri; non possono naturalmente essere
escluse altre modalità peculiari in casi specifici:
• richiesta di procedimenti speciali (ingiunzione di
pagamento, accertamento tecnico preventivo);
• segnalazione da parte di un paziente di un comportamento non deontologico dell’odontoiatra,
azione spesso affiancata o preliminare a un procedimento giudiziario.
I procedimenti speciali sono riti differenziati rispetto a quello ordinario, necessari per rispondere
a particolari richieste proposte dall’attore o dalla
materia della controversia; tra questi vanno ricordati: il procedimento di ingiunzione e l’accertamento tecnico preventivo. L’odontoiatra per procedere a ingiunzione di pagamento nei confronti
di un paziente moroso deve richiedere congruità
della parcella all’ordine. In questa eventualità, la
Commissione Odontoiatri può valutare la possibilità di proporre l’azione di conciliazione; ottimo
momento di prevenzione poiché spesso tali procedimenti si risolvono con una opposizione a decreto ingiuntivo e quindi in una causa di merito per risarcimento danni da parte di pazienti che ritengano di avere ricevuto una terapia incongrua.
L’accertamento tecnico preventivo è una misura
cautelare d’urgenza volta ad assicurare a un futu-
ro giudizio delle prove, di cui si teme o si ha la certezza che potrebbero essere non più utilmente assumibili all’epoca del processo. Anche in questo
caso, avuta notizia del ricorso per accertamento
tecnico preventivo, la commissione potrebbe proporre alle parti un tentativo di conciliazione.
Il procedimento di conciliazione da parte della
commissione dovrebbe svolgersi seguendo alcune
fasi: mettere tutte le parti coinvolte in condizione
di partecipare al contraddittorio; suggerire un accordo, senza la necessità di emettere documenti o
giudizi, che potrebbero in qualche modo alterare
l’equilibrio tra le parti in un futuro giudizio.
Si tratta cioè di promuovere una transazione e non di
emettere una sentenza. Il limite più importante che
può incontrare tale procedura consiste nella difficoltà di coinvolgere nella decisione la compagnia assicurativa che generalmente procede autonomamente con propri fiduciari alla determinazione del danno.
L’arbitrato irrituale
Con il termine di arbitrato si fa riferimento a un
procedimento che affida la lite ad arbitri; si distingue un arbitrato rituale disciplinato dal codice
FASI DEL PROCEDIMENTO
DI CONCILIAZIONE
PRESSO L’ORDINE DEI MEDICI
• Ascoltare le tesi e le richieste del paziente,
eventualmente assistito da un consulente
• Verificare la competenza per territorio (ad esempio l’iscrizione del sanitario all’ordine provinciale) e per materia (presenza di illecito deontologico e assenza di reati procedibili d’ufficio)
• Convocare l’odontoiatra per chiarimenti
• Analizzare la documentazione, consulenze e
testimonianze per formare, in concreto, un
giudizio sulla consistenza della domanda del
paziente e l’eventuale profilo di responsabilità
del sanitario
• Spiegare alle parti le rispettive posizioni chiarendo la consistenza delle rispettive ragioni e
i rischi in caso di proseguimento in contenzioso giudiziario
• Promuovere una transazione per la quale può
essere utilizzato un modulo modificato dallo
specimen
CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE
(artt. 806-840 c.c.) ed uno irrituale che non avviene
secondo le norme sopraccitate e che si concreta in
un componimento amichevole della controversia
secondo ragioni di equità.
L’arbitrato irrituale è di uso frequente in ambito assicurativo, dove le parti decidono anticipatamente
che le controversie nascenti dal contratto stipulato andranno risolte in via arbitrale (clausola compromissoria).
Volendo applicare l’arbitrato irrituale ad una controversia già insorta tra odontoiatra, il procedimento deve rispettare alcune modalità:
• l’accordo deve risultare da un atto scritto (compromesso);
• la controversia può essere decisa da un solo arbitro o da un collegio formato da un numero dispari;
• gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più
opportuno;
• la decisione (lodo) è vincolante per le parti, ma
può essere impugnata in presenza di ipotesi di
nullità previste dal codice civile.
155
Tale procedimento, comunque, è di eccezionale
applicazione sia per gli onorari degli arbitri, generalmente elevati, sia per una scarsa cultura giuridica. Di seguito è stata proposta una forma sintetica
di lodo arbitrale che può essere, comunque, integrata da una descrizione del fatto e dalle motivazioni della decisione per una maggiore chiarezza.
La liquidazione
del danno mediante
la compagnia assicurativa
Rappresenta un’evenienza frequente in quanto il
contratto assicurativo trasferisce la gestione della
lite alla compagnia di assicurazione; in pratica il liquidatore procede in modo autonomo alla trattativa con il paziente sulla base della valutazione medico-legale di un fiduciario.
Per quanto sia interesse liquidare con sollecitudine
il contenzioso al fine di contenere le spese legali e
SPECIMEN PER LODO PER ARBITRATO IRRITUALE
Oggetto: Lodo di arbitrato irrituale per la quantificazione del danno odontoiatrico
Dati identificativi sinistro: ________________________________________________________________________________________
Documentazione ________________________________________________________________________________________________
Il fatto __________________________________________________________________________________________________________
Verbale _________________________________________________________________________________________________________
Motivazione della decisione ______________________________________________________________________________________
I sottoscritti incaricati di procedere ad arbitrato irrituale sulla controversia, come risulta dal compromesso datato ___________________________ e firmato dalle parti; esaminato il periziando e la documentazione disponibile, sulla base del confronto delle rispettive valutazioni, convengono sulla valutazione del risarcimento del danno di competenza medico-legale nella misura della seguente quantificazione.
Spese emergenti risarcibili (utili, necessarie ed opportune)
• Sostenute__________________________________________________________ di lire ___________________________________
• Future (rifacimenti)_________________________________________________ di lire ___________________________________
Danno biologico permanente
•
________________________________________________ %
Danno biologico temporaneo
• assoluto (100%) in giorni _________________________
• parziale (50%) in giorni __________________________
• parziale (____%) in giorni ________________________
Città ______________________________
Firme degli arbitri __________________________________
data _______________________________
_____________________________________________________
156
MEDICINA LEGALE
di giudizio, nei casi caratterizzati da ridotti margini
defensionali, avviene comunque frequentemente
che l’attivazione della difesa sia lenta per motivi
organizzativi interni alla compagnia, determinandosi in tal modo una condizione sfavorevole alla
tranquillità ed al buon nome del professionista.
Va, inoltre, rimarcato che la compagnia ha interesse a difendere l’odontoiatra entro i limiti previsti
dal contratto.
Non infrequentemente, quindi, possono determinarsi situazioni di conflitto di interessi, tra assicurato e assicuratore, nei casi che si prestino a divergenze interpretative (operatività della garanzia
a copertura del sinistro, restituzione del corrispettivo, modalità di gestione della lite).
Riteniamo quindi importante sottolineare i punti
che sono fondamentali per la corretta gestione
della lite.
• Verificare l’operatività della copertura della polizza nello specifico caso (franchigia, massimale, esclusioni, limiti temporali).
• Raccogliere la documentazione disponibile e
duplicarla redigendo una memoria difensiva da
consegnare ai consulenti tecnici propri e assicurativi. Gli originali vanno invece mantenuti in
quanto potrebbero essere danneggiati o persi
negli uffici delle assicurazioni o cancellerie dei
tribunali.
• Trasmettere con sollecitudine la richiesta alla
compagnia: immediatamente in caso di querela
o citazione per consentire la costituzione in giudizio ed evitare il rischio di contumacia; entro
un anno in caso di richiesta extragiudiziale (generalmente una lettera del paziente o del suo legale rappresentante) per evitare che decada
l’obbligo di manleva. Il termine di tre giorni, genericamente indicato nelle polizze, non è perentorio e privo di implicazioni negative qualora disatteso.
• Non consegnare alla controparte dichiarazioni
scritte di responsabilità che possano pregiudicare la difesa, in quanto tale situazione può determinare la sospensione della garanzia assicurativa.
• Superare le difficoltà inerenti ad una efficace
difesa legale sottoscrivendo una polizza aggiun-
LA STRATEGIA DELLA GESTIONE DEL CONTENZIOSO ASSICURATIVO
DOPO LA COSTITUZIONE IN MORA
Fasi
• Costituzione in mora
• Denuncia di sinistro alla compagnia assicurativa
• Attivazione della clausola di difesa legale prevista
dalla polizza
• Raccogliere e duplicare la documentazione, stendere una relazione
• Fare valutare il caso a un esperto dell’ANDIodontoiatria legale
• Valutazione collegiale con odontoiatra legale e
avvocato
• Informare la compagnia assicurativa
• Valutare la richiesta di danni e proporre una transazione
Condotta suggerita
• La lettera di richiesta di risarcimento del legale o
del paziente costituisce l’inizio formale del contenzioso
• Lettera raccomandata con ricevuta di ritorno per
aprire il sinistro e attivare il diritto di manleva
• Nominare legale e consulente tecnico di fiducia
evitando di affidare completamente la gestione
della lite e le situazioni di conflitto di interessi tra
compagnia di assicurazione e assicurato
• Registrare date, fatti, testimonianze; evitare impressioni o apprezzamenti personali
• Presenza di responsabilità, quantificazione del danno secondo parametri oggettivi e standardizzati
• Argomentazioni a favore e contrarie (attacco e difesa), profili civilistico e penalistico, previsione
dei costi di gestione della lite
• Documenti, relazione tecnica, valutazioni
• Restituzione del corrispettivo a carico dell’odontoiatra; spese emergenti, danno biologico permanente e temporaneo, danno morale, spese legali a
carico della compagnia assicurativa
CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE
tiva per l’assistenza legale che permetta all’assicurato di nominare un medico-legale e un avvocato di propria fiducia da affiancare, senza onere economico, ai consulenti della compagnia di
assicurazione.
• Aderire alla specifica polizza per Responsabilità Professionale formulata dall’ANDI, che
157
prevede la possibilità di un arbitrato per la risoluzione delle situazioni di conflitto di interessi che ostacolino la rapida soluzione del
caso, oltre una serie di garanzie e clausole tese, specificamente, a mantenere indenne l’odontoiatra da oneri economici e perdita di immagine.
CAPITOLO 20
IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
F. Montagna
Il nocumento arrecato a una persona, a causa di
un atto illecito riconducibile a responsabilità professionale odontoiatrica, può consistere in diverse
fattispecie, spesso coesistenti:
• un danno patrimoniale in senso stretto (art.
2043 c.c.), generalmente inquadrabile in un danno emergente per spese di cura; materia di diritto privato regolata dal codice civile;
• un danno biologico (pregiudizio alla sfera fisica
e psichica), che è considerato un danno patrimoniale anche se non un danno economico in
senso stretto; delitto di lesioni colpose punibile
solo a querela della persona offesa, qualunque
sia la durata della malattia (art. 92, legge 689/91);
• un danno non patrimoniale o morale che può
essere risarcito solo se l’atto illecito che l’ha cagionato costituisce, almeno ipoteticamente,
reato (artt. 2059 c.c., 185 c.p.); riportato in concreto a una somma di denaro, non essendo possibili altre forme di indennizzo.
Si tratta di diritti di natura privata, per i quali il singolo è lasciato completamente libero di determinare come e quando tutelare i propri interessi nei
modi che ritenga più opportuni, in via sia stragiudiziale che giudiziale (figura 1).
La caratteristica del diritto soggettivo consiste nel
riconoscere a un determinato soggetto il potere di
agire “facultas agendi” per il raggiungimento dei
CITTADINO INSODDISFATTO
Stampa
Giudice
penale
Giudice
civile
Richiesta
stragiudiziale
Ordine
dei medici
Centro
per i diritti
del malato
PERSONALE SANITARIO
IMPLICATO NELLA VICENDA
Ordine
dei medici
Avvocato
Compagnia
assicurazione
dell'interessato
Fig. 1 La libertà d’azione tipica del diritto privato soggettivo
Compagnia
assicurazione
ASL
ASL
CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
propri scopi ed esclude il potere di instaurare un’autonoma iniziativa da parte di un organo pubblico.
Ciò che lascia più sconcertato gli odontoiatri è
l’assenza di norme di diritto oggettivo che indichino il ricorso alla giurisdizione ordinaria civile piuttosto che penale; azione quest’ultima utilizzata anche per lesioni lievi come arma di pressione psicologica o con chiari intenti ricattatori.
Un aforisma latino riporta “tot capita, tot sententiae”, frase che amo tradurre liberamente come
“tutto capita nelle sentenze”; il senno di poi non
è una scienza esatta e il numero di motivazioni
che possono essere formulate a posteriori, per
spiegare un qualsiasi fatto, sembrano infinite.
Così il più delle volte il giudizio è una verità di
carta che non ha nulla a che vedere con la
realtà clinica.
Una sensazione spiacevole, in molti casi, è
quella di non poter vincere, non poter pareggiare e nemmeno poter abbandonare.
La gestione
del contenzioso giudiziario
Se il contenzioso non è componibile per indisponibilità delle parti, richieste eccessive, dubbia presenza di responsabilità, inizia il processo giudiziario, per la cui gestione, data la complessità della
materia, è utile disporre di linee guida e conoscenze specifiche. Il processo penale per lesioni
personali colpose prende avvio dalla querela della
persona offesa presentata entro 3 mesi dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza del
reato (prescrizione penale, ex art. 124 c.p.).
Il processo civile è iniziato dall’atto di citazione e la
responsabilità contrattuale si prescrive entro 10 anni dal momento in cui la persona ha avuto conoscenza del danno (ex art. 2946 c.c.); in questo capitolo si fa prevalente riferimento alla giurisdizione
civile in quanto rappresenta l’ipotesi più frequente.
Trasmettere l’atto di citazione
alla compagnia assicurativa
Per gli atti giudiziari che sono stati notificati, la
primissima cosa da fare per il professionista è di
rivolgersi alla propria compagnia di assicurazione
(oppure ad un legale) per la costituzione in giudi-
159
zio, onde evitare che scadano termini perentori
per svolgere eventuali difese, il che potrebbe rivelarsi gravemente pregiudizievole per una corretta
impostazione della strategia processuale.
La costituzione in giudizio deve avvenire almeno
20 giorni prima dell’udienza e quindi la comunicazione ai consulenti deve essere data per tempo
(art. 166 c.p.c.).
Produrre documentazione
È importante redigere una memoria dei fatti utile
alla difesa e raccogliere la documentazione del caso (cartella clinica, esami radiografici, modelli).
Da ricordare, inoltre, che in base al Nuovo Codice
di Procedura Civile la documentazione deve essere prodotta in giudizio nel corso delle prime udienze, perdendosi, diversamente, la possibilità di presentare nuovi documenti nel prosieguo del giudizio (ex art. 183,184,184 bis c.p.c.).
Ricordiamo infatti che spesso nella pratica avviene
l’opposto: il paziente presenta una documentazione
rilevante, mentre il dentista non fornisce alcun dato
utile per organizzare una difesa. Insistiamo, altresì,
sul consiglio di duplicare la documentazione da
consegnare in copia ai consulenti, trattenendo per
sé gli originali per evitarne il possibile smarrimento.
Per quanto attiene alla documentazione, ricordiamo
che nel caso il paziente, affetto da patologia di probabile origine iatrogenica, abbia necessità immediata di procedere a nuove cure, può chiedere, come
procedura d’urgenza prima del giudizio, un accertamento tecnico preventivo per determinare la situazione prima di successivi mutamenti che renderebbero difficile una successiva valutazione (art. 692
c.p.c., Assunzione di testimoni; art. 693 c.p.c., Istanza; art. 694 c.p.c., Ordine di comparizione; art. 695
c.p.c., Ammissione del mezzo di prova; art. 696
c.p.c., Accertamento tecnico e ispezione giudiziale).
Seguire gli sviluppi
del procedimento giudiziario
Esaurita questa prima serie di attività preliminari,
è opportuno non dimenticarsi del sinistro ma dedicargli l’attenzione che merita, seguendo gli sviluppi in relazione alla sua complessità.
È chiaro che la situazione potrà tranquillamente
essere gestita dalla compagnia di assicurazione
che tutelerà al meglio, nominando un collegio di-
160
MEDICINA LEGALE
LA STRATEGIA DELLA GESTIONE DEL CONTENZIOSO GIUDIZIARIO CIVILE
Fasi
Condotta suggerita e osservazioni
• Atto di citazione
• Costituisce l’inizio formale del contenzioso giuridico
• Inviare l’atto di citazione alla compagnia assicu- • Spedire immediatamente copia dell’atto di citarativa
zione con lettera raccomandata e ricevuta di ritorno per evitare la prescrizione del diritto di
manleva (1 anno) o la mancata costituzione in
giudizio entro i termini (contumacia)
• Attivazione della clausola di difesa legale
• In caso di conflitto di interessi con l’assicurazione affiancare propri consulenti attivando la clausola di assistenza legale
• Preparare la strategia di difesa processuale
• Verificare presenza e validità della garanzia assicurativa (massimale, franchigia, prestazioni previste)
Raccogliere la documentazione (duplicare), stendere memoria
Analizzare il caso con avvocato e medico-legale
• Costituzione in giudizio
• Fornire al legale i dati per eseguire una comparsa
di risposta e domanda riconvenzionale
• Conciliazione
• Il tentativo di conciliazione può essere effettuato
in sede giudiziale “banco iudicis” o stragiudiziale
In alcuni casi è consigliabile integrare la proposta
della assicurazione con la restituzione della parcella percepita
Inevitabile resistere in giudizio nell’evento di richieste esorbitanti il danno (causa temeraria) o
per assenza di responsabilità (causa ingiusta)
• Fissazione della materia
• Produrre documenti, testimonianze nelle prime
udienze di fissazione della materia
• Consulenze tecniche
• Chiedere la sostituzione del CTU in caso di in(accertamenti tecnici preventivi, consulenze teccompetenza o incompatibilità
niche di ufficio, perizie)
Presenziare di persona, con consulenti e legali alle operazioni peritali
Valutare la consulenza tecnica (completezza, logicità, errori formali)
Eseguire controdeduzioni in caso di valutazioni
scorrette
• Sentenza
• Valutare le motivazioni e la possibilità di ricorso
in appello
fensivo, quando non penda nei confronti dell’odontoiatra un processo penale; la polizza abbia un
massimale adeguato in rapporto alla richiesta della controparte; la garanzia assicurativa sia presente ed efficace senza limitazioni ed esclusioni. Nel
caso di massimale inadeguato e/o querela, è opportuno chiarire con la compagnia di assicurazione quale strategia adottare nel prosieguo della lite:
non sempre, infatti, gli interessi di compagnia ed
assicurato coincidono (contrasto di interessi).
Non coincidono, ad esempio, nel momento in cui il
massimale sia inadeguato e la compagnia scelga di
liberarlo in favore dell’avente diritto, lasciando l’odontoiatra assicurato a fronteggiare da solo le ulteriori richieste della controparte. Non coincidono, ad esempio, anche nel caso in cui alla compagnia possa interessare, in sede penale, la prospettiva di un patteggiamento da parte dell’odontoia-
CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
tra, per poi discutere solo in sede civile il “quantum” della pretesa, cosa che potrebbe risultare non
accettabile al professionista ritenendo che sussistano ottime ragioni per sostenere un processo penale con valide possibilità di assoluzione piena.
Talvolta si verifica il caso contrario, in cui l’assicurato non ha la minima intenzione di affrontare il
dibattimento penale, mentre la compagnia ravvisi
profili e strategie difensive percorribili in giudizio.
Per tali motivi è opportuno, nei casi all’evidenza
più delicati, avere a disposizione un collegio di difesa proprio (legale di fiducia e odontoiatra legale) da affiancare ai consulenti assicurativi che possa chiarire i pro ed i contro di una strategia difensiva piuttosto che di un’altra.
Il costo di tale operazione è coperto qualora la polizza preveda la clausola Spese legali e tutela giudiziaria, rimanendo, diversamente, a carico del
professionista. Tutte queste segnalazioni non sono
frutto di una diffidenza generalizzata, ma, viceversa, intendono costituire una forma di autodifesa
nei confronti di un sistema burocratico-tecnicogiudiziario che, affinandosi sempre più e complicandosi di conseguenza, richiede una vigilanza più
attenta da parte del soggetto in questione.
Valutare
la Consulenza Tecnica d’Ufficio
Ricordiamo la possibilità di ricusare un consulente d’ufficio nominato dal tribunale prima dell’assunzione dell’incarico, nel caso esistano le condizioni che impediscano un giudizio sereno e corretto (art. 63 c.p.c., Obbligo di assumere l’incarico e
ricusazione del consulente).
Le parti possono intervenire alle operazioni di
consulenza di persona o a mezzo di propri consulenti tecnici o difensori e presentare istanze ed osservazioni (art. 194 c.p.c., Attività del consulente);
le condizioni migliori si verificano quando si dispone di un odontoiatra legale o, in alternativa, di
un collegio formato da un medico-legale e un
odontoiatra. Dopo il deposito della CTU è importante verificarne l’esito e analizzare la metodologia utilizzata per arrivare alle conclusioni, in modo
da individuare errori di metodo o arbitrarietà che
si prestino a controdeduzioni utili a diminuire o
escludere la responsabilità professionale.
Nel caso di CTU incompleta, si devono eseguire le
controdeduzioni e richiedere un supplemento di
indagine medico-legale o chiarimenti; qualora la
161
consulenza risulti scorretta, si può valutare se richiedere la sostituzione del CTU (art. 196, c.p.c.,
Rinnovazione delle indagini e sostituzione del
consulente). Nel caso di CTU corretta e sfavorevole al dentista si può, ancora, considerare la possibilità di proporre una transazione giudiziale o lasciare procedere il processo fino a sentenza.
Valutare la sentenza
Qualora le parti non si adeguassero alla decisione
del giudice di merito di primo grado, si può impugnare la sentenza e proporre ricorso al grado successivo (Appello, Cassazione) previa valutazione
del rapporto rischio-beneficio e dell’opportunità.
La sentenza di condanna in un procedimento
civile può comportare diverse conseguenze di
tipo economico:
• risoluzione del contratto e restituzione della parcella da parte del professionista (art.
1453 c.c.);
• risarcimento del danno a carico dell’assicurazione entro i limiti delle condizioni di polizza ed a carico del professionista per rischio non coperto;
• spese legali diversamente divise, secondo
parere del magistrato, a carico della parte
soccombente, ripartite tra le parti, a carico
del danneggiato nel caso di causa temeraria.
Si deve considerare che le spese aumentano proporzionalmente al numero dei consulenti tecnici e
dei legali chiamati in causa e ordinariamente il
magistrato pone le spese legali e di giudizio a carico della parte soccombente. Si consideri ancora
che nella pratica, proprio per l’atteggiamento radicato di maggiore garantismo nei confronti del paziente/cliente, anche nel caso di soccombenza di
questi, il magistrato può decidere per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
È del tutto eccezionale, in definitiva, che sia riconosciuta al paziente la temerarietà dell’iniziativa
processuale, condizione questa necessaria perché
tutti i costi processuali siano a suo carico.
Ciò vuol dire, in buona sostanza, che il dentista dovrà essere pronto ad affrontare certe spese, quand’anche gli venga riconosciuta ragione piena; costi
di lite non raramente prossimi se non francamente
superiori all’oggetto del contendere, così da rappresentare, una volta che la lite si sia radicata, un ostacolo ad una equilibrata soluzione transattiva.
162
MEDICINA LEGALE
Tali considerazioni motivano la necessità della
clausola Spese legali e tutela giudiziaria nella
polizza assicurativa e, comunque, il perseguire sistematico dei tentativi di transazione stragiudiziale, prima di adire a procedimenti giudiziari con rischio di soccombenza.
In giurisdizione penale la competenza è definita
secondo alcuni criteri di base, la materia e il grado
di giudizio; inoltre il processo è svolto nella circoscrizione giudiziaria del luogo dove il reato è stato
consumato (tabella 1).
Le indagini preliminari
Il processo penale
nelle sue linee generali
Il processo penale si realizza per un interesse pubblico e costituisce lo strumento attraverso il quale
viene verificata la legittimità della pretesa dello Stato di sanzionare una persona accusata di un reato.
Con l’entrata in vigore del Nuovo Codice di Procedura Penale, nell’ottobre 1988, lo “spirito di fondo”
della struttura del processo si è spostato dal modello inquisitorio (che presuppone una forte soggezione dell’imputato all’azione di un organo pubblico inquirente) a quello accusatorio.
Il modello accusatorio è caratterizzato da alcuni elementi fondamentali, che costruiscono
un processo come una contesa di parti contrapposte che si confrontano con armi tendenzialmente pari di fronte a un arbitro neutrale:
• la distinzione netta tra i soggetti processuali e in particolare tra il giudice e l’accusatore (pubblico ministero);
• la parità assoluta di poteri tra accusa e difesa;
• la formazione della prova in dibattimento
davanti al giudice (principio dell’oralità);
• l’esclusione di poteri istruttori del giudice
che deve limitarsi a decidere su prove fornite dalle parti (terzietà).
Il procedimento parte quando l’ufficio del pubblico ministero (PM), situato presso la Procura della
Repubblica della pretura o del tribunale, riceve
comunicazione, o, più genericamente, prende conoscenza, circa l’avvenuta o probabile verificazione di un fatto che potrebbe costituire reato (notizia di reato).
Il PM e la polizia giudiziaria possono prendere notizia dei reati di propria iniziativa o riceverla da
parte di soggetti estranei all’attività d’indagine.
• La denuncia, atto scritto obbligatorio per i pubblici ufficiali e facoltativo, salvo poche eccezioni (delitti contro la personalità dello Stato), per
i privati.
• Il referto, che è una denuncia a cui sono obbligati tutti i sanitari che abbiano prestato la loro
opera in casi che possano presentare i caratteri
di delitto perseguibile d’ufficio.
• La querela, atto facoltativo eseguito da un privato, che rappresenta ad un tempo veicolo della notizia di reato e atto formale con cui la parte offesa espressamente richiede di promuovere l’azione penale.
Alcune figure di reato inerenti a interessi di natura
pubblica sono perseguibili d’ufficio ed in ordine ad
essi si può procedere liberamente alle indagini e all’esercizio dell’azione penale; a tale categoria si contrappone quella dei reati procedibili a querela della
Tab. 1 I gradi della giurisdizione penale
• Primo grado
Giudice di pace
Competente
per contravvenzioni
e reati minori
Tribunale
Competente per reati che
non rientrano nella competenza
del giudice di pace o della
Corte d’Assise
Corte d’Assise
Competente per reati
punibili con pena detentiva
non inferiore a 24 anni
o con l’ergastolo
• Secondo grado
Tribunale
Giudizio d’appello contro
le sentenze del giudice
di pace
Corte d’Appello
Giudizio d’appello contro
le sentenze pronunciate
dal tribunale
Corte d’Assise d’Appello
Giudizio d’appello contro
le sentenze pronunciate
dalla Corte d’Assise
• Terzo grado
Corte di Cassazione
CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
parte offesa, essenzialmente rappresentati da illeciti che offendono la sfera degli interessi personali.
Per quanto attiene alla prescrizione dell’azione penale, basti ricordare che la querela deve essere
presentata entro 3 mesi dal momento in cui la parte offesa è venuta a conoscenza del reato e che di
regola può essere revocata (remissione).
L’obbligatorietà dell’azione penale è un principio
costituzionalmente sancito che esclude qualsiasi
discrezionalità: ogni qualvolta il PM ha notizia di
un reato, ha la doverosità di instaurare un procedimento penale ed è impedito a concentrarsi su alcune inchieste piuttosto che su altre per privilegiare la repressione di alcune categorie di reati.
Il nome dell’indagato è iscritto nel registro delle
notizie di reato, le iscrizioni sono segrete e le indagini preliminari devono essere concluse entro
termini di tempo prefissati (6-24 mesi).
Nei casi in cui sia compiuto un atto al quale
debba intervenire un difensore viene inviata
una informazione di garanzia, che rappresenta
un avviso all’indagato di una indagine in corso
nei suoi confronti e che in quanto tale:
non è sempre necessaria; ha lo scopo di consentire all’indagato una efficace e immediata
difesa; non rappresenta sinonimo di colpa,
stante il principio costituzionale di presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva.
L’istruttoria (indagini preliminari) viene diretta
dal PM, svolta materialmente dalla polizia giudiziaria e controllata dal giudice delle indagini preliminari (GIP), al quale il PM deve rivolgersi per
l’adozione di provvedimenti, che non può disporre direttamente, tesi allo scopo di:
• raccogliere le prove (perquisizioni, accertamenti tecnici, sequestri, interrogatori, ricognizioni di persone e cose, intercettazioni telefoniche, ecc.);
• evitare che i responsabili fuggano o commettano ulteriori reati (custodia in carcere, arresti
domiciliari, divieto di espatrio, divieto di esercitare determinate attività, ecc.).
Al termine delle indagini preliminari il PM formula al GIP la richiesta di:
• archiviazione del caso, qualora ritenga di non
aver acquisito elementi sufficienti per chiedere
la condanna dell’indagato;
• rinvio a giudizio al magistrato competente qualora ritenga di aver acquisito elementi sufficienti di colpevolezza dell’indagato.
163
Udienza preliminare
Nel caso di rinvio a giudizio si svolge un’apposita
udienza preliminare che costituisce una autonoma
fase processuale intermedia con funzione di filtro
tra le indagini preliminari e il giudizio.
L’udienza non è pubblica (porte chiuse) e ha lo
scopo di eseguire un primo vaglio della fondatezza degli elementi; tale procedimento può esaurirsi
con diverse modalità: la sentenza di non luogo a
procedere o il rinvio a giudizio.
In quest’ultimo caso si procede alla formazione
del fascicolo del dibattimento ottenuto estraendo
dal fascicolo del PM solo alcuni dei documenti,
che rappresentano gli unici dati noti al giudice prima del dibattimento.
Su richiesta dell’imputato possono essere applicate diverse specie di riti alternativi, accomunati dall’intento di consentire una semplificazione e rapida conclusione del processo (giudizio abbreviato,
immediato, direttissimo, patteggiamento, procedimento per decreto, ecc.).
Sicuramente il procedimento alternativo più noto
è il patteggiamento (applicazione della pena su
richiesta delle parti) con cui l’imputato rinuncia al
dibattimento in cambio di alcuni vantaggi previsti
per legge, quali ad esempio il minor clamore, la
riduzione di 1/3 della pena, la decisione della parte civile di non richiedere i danni, il non pagamento delle spese processuali, l’estinzione del
reato entro un determinato periodo in assenza di
altri reati.
Il giudizio ordinario
Se non viene instaurato nessuno dei procedimenti
alternativi, ha luogo il dibattimento pubblico nelle
forme ordinarie davanti al competente giudice di
primo grado (tribunale, Corte d’Assise).
È necessario sottolineare che il processo penale vero e proprio nasce solo in questa fase
che costituisce l’esercizio dell’azione penale e
rappresenta un punto di non ritorno; si conclude con la sentenza di proscioglimento o di
condanna dell’imputato.
Prima di dare inizio al dibattimento il giudice verifica preliminarmente che tutte le parti siano state
effettivamente in condizione di partecipare al contraddittorio (fase di verifica) e risolve eventuali
questioni processuali (ad esempio in tema di com-
164
MEDICINA LEGALE
LE FASI DEL PROCESSO PENALE NELLE SUE LINEE GENERALI
Fasi fondamentali
Nozioni e terminologia
Esiti
• Indagini preliminari
Notizia di reato (denuncia, quere- Archiviazione
la, referto)
Rinvio a giudizio
Iscrizione nel registro degli indagati
Informazione di garanzia
• Udienza preliminare
Imputazione
• Giudizio ordinario (giudizio di
merito di primo grado)
Fase di verifica
Condanna
Istruzione dibattimentale
Assoluzione (proscioglimento)
Sentenza (dispositivo, motivazioni)
• Appello (giudizio di merito di
secondo grado)
Impugnazione (ricorso)
Riesame degli atti
Rinnovazione dibattimentale
Rigetto per inammissibilità
Conferma della sentenza di primo
grado
Riforma della sentenza di primo
grado
• Cassazione (giudizio di legittimità)
Nuove motivazioni
Passaggio in giudicato
Esecuzione della sentenza
Dichiarazione di inammissibilità
del ricorso
Rettificazione di errori di diritto
Annullamento della sentenza
Annullamento con rinvio al giudice di merito
• Revisione
Corte d’Appello
Rigetto
Revoca della sentenza
Riparazione
petenza per territorio, costituzione di parte civile).
L’istruzione dibattimentale è la fase di concreta assunzione delle prove (testimonianze, confronti,
perizie, ecc.) e vige il principio della formazione
orale della prova in dibattimento.
Nel dibattimento le parti, PM e difesa, sottopongono al giudice le rispettive tesi e propongono
l’acquisizione di determinate prove, ripercorrendo
e rinnovando quanto avvenuto in istruttoria.
Gli esami testimoniali vengono condotti dalle parti (cross examination) che, sotto il controllo del
giudice, interrogano direttamente i testimoni, i
consulenti tecnici e i periti; il giudice può rivolgere domande per sopperire alle lacune istruttorie
delle parti. Successivamente, esaurita l’assunzione delle prove, le parti illustrano le rispettive conclusioni e richieste.
Riti alternativi (patteggiamento)
Rinvio a giudizio
Sentenza di non luogo a procedere
La sentenza viene adottata dopo deliberazione in
camera di consiglio e si compone di due parti:
• un dispositivo nel quale sono enunciate le decisioni e gli articoli di legge applicati;
• una motivazione nella quale sono indicate le
motivazioni di diritto e di fatto che hanno determinato la decisione.
In caso di condanna viene irrogata la pena principale (detentiva o pecuniaria), applicate le pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, ecc.) e le
eventuali misure di sicurezza e, ricorrendone le
condizioni, concessi i benefici della sospensione
condizionale della pena e della non menzione nel
casellario giudiziario.
L’assoluzione può riconoscere diverse motivazioni, riassunte in altrettante formule nel dispositivo,
come ad esempio:
CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
• perché il fatto non sussiste (la fattispecie,
cioè, non è un reato penale ma può essere
inquadrata come illecito di altra natura);
• per non aver commesso il fatto;
• perché il fatto non costituisce reato (il fatto
corrisponde a un reato ma è considerato giustificato per la presenza di scriminanti, cause di giustificazione, assenza del nesso di
causalità psicologico o materiale).
È stata abolita la formula dubitativa per insufficienza
di prove. Tale caratteristica di rigido dualismo di giudizio (positivo o negativo) è tipica del procedimento
penale, cioè la responsabilità esiste o non esiste; in
contrapposizione al giudizio civile, dove il profilo di
colpa può essere modulato secondo diverse gradazioni (assenza, presunzione, possibilità, probabilità o
certezza). Il giudice, quando vi è costituzione di parte
civile, se pronuncia sentenza di condanna, decide anche in ordine alla domanda di risarcimento danni.
Spesso si verifica che, essendo certa la responsabilità
ma non essendovi sufficienti elementi per la quantificazione esatta del danno, il giudice penale condanni
l’imputato al pagamento di una somma a titolo provvisionale, rimettendo le parti al giudice civile che
provvederà alla liquidazione della somma a titolo di
risarcimento.
I gradi di giudizio successivo
L’impugnazione è il termine tecnico con cui si indica
la richiesta delle parti di un nuovo esame del provvedimento del giudice. Il sistema penale assicura tre
gradi di giudizio per ottenere la maggiore garanzia
possibile di giustizia: la sentenza che conclude il giudizio di primo grado è appellabile in secondo grado
(Corte d’Appello, Corte di Assise d’Appello) e successivamente in terzo grado (Corte di Cassazione).
I passaggi effettivi possono essere comunque ben
più di tre in quanto non infrequentemente la Corte
di Appello e di Cassazione possono annullare la
sentenza con rinvio al giudice di primo grado e sostanzialmente ricominciare il processo.
L’appello è un secondo giudizio di merito ed è svolto limitatamente ai punti su cui si è lamentato l’appellante; il dibattimento è disciplinato in maniera
analoga a quello di primo grado e può articolarsi
esclusivamente sul riesame degli atti del processo
di primo grado o avere uno sviluppo autonomo
con la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale;
la decisione finale può essere di annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado, di
165
conferma o di riforma. Quando l’appello è proposto solo dall’imputato, vige il principio del divieto
di “reformatio in pejus” e la sentenza può essere
modificata solo in senso più favorevole al condannato; comunque, per evitare la presentazione di appelli pretestuosi, tale divieto decade nel caso la
parte avversa presenti, anche in un secondo tempo, un appello incidentale.
Il ricorso per cassazione non origina un terzo grado di giudizio di merito, ma dà luogo a un giudizio
di cosiddetta legittimità, vale a dire a un controllo
sulla corretta applicazione delle norme sostanziali
e processuali nel corso dei precedenti giudizi; i motivi del ricorso possono essere l’inosservanza o
l’erronea applicazione della legge penale, la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ecc.
La decisione finale può essere di rigetto (dichiarazione di inammissibilità del ricorso), di rettificazione di errori di diritto, di annullamento della sentenza con eventuale rinvio al giudice di merito. In ogni
caso arriva il momento in cui la sentenza non è più
ricorribile in cassazione e passa in giudicato, diventa definitiva e il PM procede alla esecuzione del
provvedimento.
Revisione
Non potendosi escludere l’errore giudiziario, anche per le sentenze di condanna già passate in giudicato è stata prevista la possibilità da parte del
condannato di ottenere la revisione del processo
in determinati casi (nuove prove di innocenza, esistenza di sentenza di condanna di due persone diverse per lo stesso fatto, ecc.).
Se la richiesta di revisione viene rigettata, la parte
che l’ha proposta viene condannata al pagamento
delle spese; se accolta, la sentenza di condanna è
revocata e l’imputato prosciolto ha diritto ad una
riparazione commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena. Non è invece possibile la
revisione delle sentenze definitive di assoluzione.
Il processo civile
nelle sue linee generali
In ambito civile ci si muove dalla considerazione
che oggetto del giudizio sono diritti di natura privata, nella quale le parti sono lasciate completamente libere di determinare quando e come tutelare i propri interessi.
166
MEDICINA LEGALE
Si parla di processo dispositivo, termine contrapposto a inquisitorio; modello sovrapponibile a
quello accusatorio, già descritto in materia penale,
termine evidentemente non applicabile in ambito
civile, poiché non vi è un’accusa.
Un esempio fantasioso ma calzante equipara il
processo civile a un “duello” nel quale le parti si
confrontano alla presenza del giudice che ha la
funzione di arbitro imparziale per assicurare la regolarità della contesa e di deciderne il vincitore.
• Per far partire il processo il privato deve attivarsi per chiedere al giudice di tutelare un diritto privato e adottare una decisione.
• Una volta instaurato, il giudizio non prosegue
indipendentemente dalla volontà degli interessati, si arresta se le parti vi rinunciano o non
svolgono la necessaria attività processuale.
• La libertà si manifesta nell’assenza di poteri di
iniziativa del giudice in materia di prove; le parti devono enunciare e provare i fatti secondo la
regola della distribuzione dell’onere della prova.
• La condizione essenziale è il principio del contraddittorio, cioè che la parte contro la quale è
stato chiesto il provvedimento sia stata messa in
condizione di partecipare al giudizio e difendersi.
Al giudice civile possono essere chiesti tre tipi
di pronuncia:
• condannare il convenuto per il pagamento di
un corrispettivo o il risarcimento di un danno;
• modificare una esistente situazione giuridica (come ad esempio la risoluzione di un
contratto);
• verificare e dare certezza ad una situazione
giuridica già esistente senza modificarla (ad
esempio la determinazione delle clausole di
un contratto).
Nel processo civile, inoltre, a differenza del penale, non è sempre necessaria e non è automatica l’esecuzione del provvedimento dopo la decisione
del giudice, distinguendosi in tal modo:
• il processo di cognizione, che corrisponde al
giudizio ordinario di merito e che ha lo scopo di
verificare la legittimità della pretesa di un determinato soggetto ad ottenere il soddisfacimento di un proprio interesse;
• il processo di esecuzione necessario, qualora il
debitore non si adegui spontaneamente, per la
concreta realizzazione dello stesso diritto e ottenere con la forza quanto è dovuto al creditore; tale evenienza era più frequente prima della
riforma del 1990 che ha reso la maggior parte
delle sentenze automaticamente esecutive.
La competenza assegnata all’organo giudiziario in
giurisdizione civile è individuata con criteri diversi per valore, per competenza, per territorio funzionale. La competenza territoriale può essere determinata in più modi alternativi, ma il criterio base è che la competenza appartiene alla circoscrizione giudiziaria dove ha residenza la persona contro la quale è stata instaurata la controversia.
Nel processo civile si utilizza il criterio del valore e
della materia, ci si basa cioè sull’entità economica
dell’oggetto della controversia o sulla sua natura.
La competenza funzionale si riferisce al tipo specifico di funzioni svolte dal giudice e la sua semplificazione più ricorrente è la distinzione tra i giudici dei vari gradi di giudizio (tabella 2).
Il giudizio ordinario di merito
Il processo ha inizio con la presentazione della domanda (citazione o ricorso) con la quale la parte
Tab. 2 I gradi della giurisdizione civile
• Primo grado
Giudice di pace
Competente per cause di valore non superiore
a 5 milioni; per le cause di risarcimento danni
da circolazione stradale, fino a 30 milioni;
competenza esclusiva per alcune materie
(liti condominiali, immissioni e simili)
Tribunale
Competente per le cause che non rientrano
nella competenza del giudice di pace
• Secondo grado
Tribunale
Giudizio d’appello contro le sentenze
del giudice di pace
Corte d’Appello
Giudizio d’appello contro le sentenze
pronunciate dal tribunale
• Terzo grado
Corte di Cassazione
CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO
che agisce (attore) chiede al giudice una decisione
illustrando le ragioni giuridiche e di fatto che sostengono tale richiesta, indica i mezzi di prova di
cui intende avvalersi.
La citazione, o ricorso, viene notificata alla parte
avversa (convenuto) in modo da consentirgli di
entrare formalmente nel processo (costituzione
in giudizio) attraverso un atto (comparsa di risposta) con il quale contesta la fondatezza di
quanto preteso dall’attore e può chiedere una pronuncia di condanna nei confronti di quest’ultimo
(azione riconvenzionale).
In base alle competenze, il processo si svolge innanzi al giudice di pace o al giudice ordinario; dopo l’introduzione della riforma del “giudice unico”
le cause sono decise da un organo monocratico
(giudice istruttore o GI) ed è stato abolito l’ufficio
del pretore che rimane attivo solo in via transitoria per le cause al momento dell’introduzione della legge.
Con la riforma del Codice di Procedura Civile del
1990 si è voluto fissare l’oggetto del processo entro la prima udienza di trattazione o quella immediatamente successiva che rappresenta la fase di
167
fissazione della materia del contendere, dei mezzi
di prova e delle relative indagini.
Nella prima udienza le parti si presentano personalmente per essere interrogate dal giudice, il quale deve anche tentare la conciliazione.
Nella successiva fase istruttoria si svolgono le
udienze dedicate all’assunzione dei mezzi di prova
richiesti dalle parti e ammessi dal giudice (documenti, testimonianze, interrogatori, consulenze tecniche, ecc.). Esaurita la fase istruttoria, le parti definiscono e precisano le proprie richieste conclusive, segue la discussione finale e quindi il giudice decide la causa. La sentenza completa (motivazione e
dispositivo) è depositata presso la cancelleria del
tribunale e deve riguardare tutte le richieste delle
parti (corrispondenza tra chiesto e pronunciato).
I gradi di giudizio successivo
Le impugnazioni sono mezzi per provocare una
nuova decisione sulla stessa controversia da parte
di chi ha visto disattendere le proprie richieste dal
provvedimento del giudice.
IL PROCESSO CIVILE NELLE SUE LINEE GENERALI
Fasi fondamentali
• Giudizio ordinario di merito
(primo grado)
Nozioni e terminologia
Citazione
Rigetto della domanda dell’attore
Costituzione in giudizio, compar- Accoglimento della domanda delsa di risposta e domanda ricon- l’attore
venzionale
Fase di fissazione
Fase istruttoria
Provvedimento (decreto, ordinanza, sentenza)
• Appello
Riesame della causa di merito
(giudizio di merito di secondo
grado)
• Ricorso per cassazione
Esiti
Conferma della sentenza di primo
grado
Riforma della sentenza di primo
grado
Annullamento della sentenza di
primo grado
Giudizio di legittimità e non di me- Rigetto del ricorso
rito
Conferma della sentenza di secondo grado
Rinvio al giudice di merito
Decisione diretta
168
MEDICINA LEGALE
Con l’appello si richiede un riesame della causa di
merito; non si tratta di un nuovo giudizio poiché
esso rappresenta una revisione delle stesse questioni trattate in primo grado; poiché vi è il divieto
di porre nuove domande al giudice e non possono
esser proposte nuove eccezioni, né, di regola, nuove prove. La trattazione della causa è collegiale,
tranne che vengano ammesse nuove prove o disposta la rinnovazione di quelle già espletate in
primo grado, nel qual caso interviene il GI.
La sentenza d’appello può confermare o riformare
la sentenza di primo grado, annullarla rimettendola davanti al primo giudice.
Il ricorso per cassazione va effettuato per violazioni della legge sostanziale o processuale nella
quale è incorso il giudice che ha emesso il provvedimento, poiché la Cassazione è giudice di legittimità, cioè su questioni di diritto e non di merito
(cioè di fatto).
La Cassazione può rigettare il ricorso, confermando in tal modo la sentenza impugnata; accogliere
il ricorso rinviando la causa a un giudice di pari
grado di quello che ha emesso la sentenza; decidere direttamente la controversia.
Con la revocazione si chiede al giudice di annullare una propria sentenza che si sia rivelata oggettivamente ingiusta; ad esempio, fondata su prove
che si siano in seguito rivelate false.
L’opposizione di terzo è l’atto con cui una persona che è rimasta estranea a una controversia, lamenta che la relativa sentenza abbia recato pregiudizio ai propri diritti.
I procedimenti speciali
Rispetto a quello ordinario i procedimenti speciali sono riti differenziati necessari per rispondere a particolari tipi di richiesta proposti dall’attore o dalla materia della controversia.
Con il procedimento di ingiunzione (cosiddetto decreto ingiuntivo), il creditore ha la possibilità di ricorrere ad una procedura semplificata per ottenere il pagamento di quanto gli è
dovuto.
Il creditore presenta un ricorso al giudice competente unitamente ai documenti che dovrebbero provare il credito chiedendo l’emissione del
decreto ingiuntivo nei confronti del debitore.
Il giudice può rigettare la domanda o accoglierla, ingiungendo al debitore il pagamento entro
20 giorni e autorizzando in caso contrario l’esecuzione del credito.
Il debitore può proporre opposizione instaurando un vero e proprio giudizio di merito.
I procedimenti di istruzione preventiva sono
misure cautelari volte ad assicurare a un futuro
giudizio delle prove di cui si teme o si ha la certezza che non potrebbero essere più utilmente
assumibili all’epoca del processo; come, ad
esempio, l’audizione a futura memoria di un
testimone.
Tra le misure cautelari, comunemente indicate
nella prassi forense come art. 700, compaiono anche i provvedimenti di urgenza, quali l’accertamento tecnico preventivo.
CAPITOLO 21
LA MODULISTICA
PER LO STUDIO ODONTOIATRICO
F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe
Sempre più va diffondendosi l’interesse alla modulistica di studio ed al suo utilizzo nell’ambito clinico. Le ragioni possono essere individuate nella
grande diffusione dell’utilizzo dei mezzi informatici, nel maggiore grado di coscienza dei propri doveri professionali ed etici che spingono a codificare la maggior parte del rapporto contrattuale
odontoiatra-paziente (piano di cure, preventivo,
ecc.). Inoltre gioca un ruolo importante a livello
psicologico il senso di sicurezza e di protezione
che offrono i moduli compilati.
È prassi ormai diffusa utilizzare dei prestampati
per raccogliere l’anamnesi, compilare piani di cura e preventivi, aggiornare la cartella clinica (si
consideri, ad esempio, la cartella del parodontologo che esegue da sempre un lavoro preliminare di
valutazione, molto accurato).
Vengono infine proposti da più parti moduli per la
raccolta del cosiddetto consenso informato, adattati o adattabili a situazioni cliniche specifiche.
Se pure molti colleghi hanno a lungo lavorato senza alcun modulo, soprattutto affidandosi alla propria memoria ed alla propria esperienza con ottimi risultati, al giorno d’oggi, con le nuove problematiche che hanno investito la professione (ad
esempio i problemi legati al trattamento dei dati
del paziente ed il rispetto della privacy) e con le
esigenze di standardizzazione dell’approccio clinico, ha acquisito importanza la modulistica in supporto alla comunicazione con il paziente.
A tale proposito va sottolineato come tale modulistica possa nascere da un’opera di revisione collettiva in cui, di nuovo, è necessario l’intervento
delle associazioni di categoria allo scopo di proporre e diffondere moduli clinici il più possibile
uniformi, elemento prezioso anche nell’ambito del
contenzioso medico-legale.
Per queste ragioni l’ANDI ha fatto proprio questo tema creando, a livello nazionale, un gruppo di studio
specifico che ha lavorato alla produzione di una mo-
L’affermazione secondo la quale non esiste
una modulistica valida per tutte le situazioni è
corretta ma banale, visto che i modelli ideali
non coincidono mai con la realtà.
Se non volete leggere e utilizzare i moduli proposti da altri, potete idearne di nuovi purché
evitiate di espanderli, altrimenti non funzionano più. È facile rendere le cose complicate,
ma è complicato renderle semplici.
dulistica standard da proporre a tutti gli associati.
Naturalmente, in caso di contestazione di responsabilità professionale, non basterà mostrare di
avere raccolto un’anamnesi o un consenso scritto,
ma elementi di questo tipo consentiranno di presentare una posizione del professionista sul caso
in esame “aperta”, senza nulla da nascondere; l’errore, se errore si è verificato, potrà così essere meglio circoscritto.
D’altra parte, se il professionista riterrà di poter
dimostrare d’aver lavorato diligentemente, i moduli raccolti (una cartella debitamente compilata,
un piano di cura completo di opzioni, costi e previsione di durata delle cure, un modulo di consenso controfirmato dal paziente) costituiscono
elementi che consentono di meglio dimostrare un
corretto approccio alla pratica clinica.
Nella pratica quotidiana, viceversa, si rileva frequentemente che il collega, cui viene mossa la
contestazione, sa gestire e rappresentare male la
propria posizione professionale, per carenze soprattutto nella gestione dell’archivio clinico e dei
supporti radiografici; troppo spesso, ad esempio,
il paziente reclama la restituzione, peraltro giustificata, delle panoramiche, consegnate all’odontoiatra all’inizio del trattamento.
Di fronte a queste situazioni che sono, di fatto, all’ordine del giorno, ci si può rendere conto di
quanta distanza vi sia tra i presupposti teorici, le
intenzioni e la realtà.
170
MEDICINA LEGALE
L’altro elemento preoccupante è che il contenzioso, nell’ambito odontoiatrico, sta crescendo a dismisura sia per la già citata sindrome da risarcimento, sia per le evidenti implicazioni economiche connesse ai complessi trattamenti odontoiatrici, sia per una maggiore coscienza sociale del
diritto alla salute da parte dell’utenza.
Modulo per il consenso
alle cure
In assenza di un preciso richiamo codicistico, la
definizione di consenso risulta dalla lettura e interpretazione di diverse norme (art. 50 c.p., Consenso dell’avente diritto; art. 32 Cost.; artt. 2, 33,
della L. 833/78) che lo pongono quale condizione
di legittimazione dell’atto medico per ogni trattamento o accertamento sanitario.
Il consenso deve intendersi valido quando non sia
contrario alla legge, sia fornito da un paziente con
capacità di agire o dal genitore (o tutore) per pazienti minori ai 18 anni di età, soggetti a interdizione o infermità di mente (art. 5 c.p., Atti di disposizione del proprio corpo; L. 39/75; art. 414 c.c., Persone che devono essere interdette; art. 424 c.c., Tutela dell’interdetto e curatela dell’inabilitato).
Secondo concorde giurisprudenza disattendere tale obbligo può sostanziare un profilo autonomo di
colpa (art. 610 c.p., Violenza privata) che può contestualmente integrarsi con il reato di lesioni volontarie (art. 582 c.p., Lesioni personali; art. 590
c.p., Lesioni personali colpose).
Nei confronti dell’obbligo dell’informazione gli interventi odontoiatrici si configurano con particolari, opposte esigenze: le prestazioni sono di elezione ed escludono le condizioni di liceità che esimano da tale dovere (art. 54 c.p., Stato di necessità); un eccesso di informazioni può avere un effetto controproducente, che paralizza la terapia,
allarmando inutilmente il paziente e/o obbligando
il sanitario ad un inutile eccesso di spiegazioni e
raccolta di documentazione. L’orientamento in
dottrina è concorde nell’affermare che:
il consenso presunto (implicito) è sufficiente
nei casi ordinari che richiedano l’impiego di
mezzi diagnostici e terapeutici di comune applicazione e noti al paziente; invece, il consenso esplicito (o informato dopo dettagliata ed
esaustiva informazione) è necessario quando
la terapia aumenti di rischio e complessità.
È possibile affermare che, per la maggior parte
delle prestazioni professionali, sia sufficiente un
consenso esplicito orale in quanto raramente è
contestabile l’assenza di informazione, soprattutto
considerando che le cure sono erogate su pazienti
coscienti, attraverso appuntamenti numerosi e
procrastinati nel tempo, utilizzando tecniche in
genere sufficientemente note al pubblico.
Il consenso informato scritto è consigliabile nei
casi complessi, contraddistinti da almeno una tra
le seguenti caratteristiche:
• tecniche di non comune utilizzo nella pratica
odontoiatrica;
• terapie non note alla maggior parte dei pazienti
o di difficile comprensione;
• sperimentazioni di tecniche e/o materiali;
• utilizzazione di biomateriali;
• cure prestate a minori, infermi di mente o interdetti.
Si può consigliare una documentazione scritta del
consenso utilizzando uno schema di modulo che
può essere applicato alla maggioranza delle situazioni, in cui sia comunque possibile introdurre alcune specifiche e personalizzazioni.
Vanno richiamati, comunque, gli evidenti limiti del
consenso la cui acquisizione è un prerequisito non
prescritto da alcuna norma:
è revocabile in ogni momento e deve essere
riacquisito in caso di cambiamento del piano
di terapia; ha il solo scopo di comprovare l’avvenuta informazione e il consenso del paziente che, nell’ipotesi di sviluppi giudiziari, dovrebbe essere dimostrato attraverso prove testimoniali; non esonera il sanitario dalla responsabilità per errori di diagnosi, terapia o
scelte tecniche ingiustificatamente rischiose.
Per l’informazione del paziente ai fini del
consenso è sufficiente prefigurare esclusivamente le complicanze fondatamente e concretamente prevedibili evitando una eccessiva analiticità in relazione a fatti ipotizzabili solo in
astratto (deve essere superata una soglia di apprezzabilità del rischio peraltro non definibile
con parametri fissi).
È, altresì, opportuno richiamare sinteticamente
il piano di terapia, il risultato atteso e il rapporto
rischio-beneficio nei confronti di tecniche alternative e devono essere indicati i nomi del sanitario a cui il consenso è diretto e di eventuali altri specialisti a cui siano affidati interventi specifici.
CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO
171
MODULO PER IL CONSENSO INFORMATO
In questo modulo vengono riassunti i concetti già discussi nel corso della visita, in modo da ottenere per iscritto il Suo
consenso informato alla esecuzione delle terapie concordate poiché il consenso del paziente rappresenta il limite alla discrezionalità riconosciuta al sanitario nella scelta ed esecuzione delle cure.
Lo scopo della sottoscrizione del consenso è quindi di codificare e rendere più trasparente il rapporto paziente/odon€ toiatra, non pone limite alla libertà ed all’autonomia decisionale del paziente ma sottolinea il dovere dell’odontoiatra di porsi come obiettivo principale, in ogni fase della terapia, la salute del paziente.
L’informazione mi è stata resa dal dott. ___________________________
Ho preso visione dell’allegato piano di cure odontoiatriche e del relativo preventivo dei costi.
In particolare mi è stato chiaramente spiegato che eventuali modifiche in corso di esecuzione mi verranno sottoposte, di
volta in volta, per approvazione.
Ho chiaramente compreso le finalità del trattamento cui verrò sottoposto/a, le eventuali alternative terapeutiche percorribili nel mio caso, i rischi impliciti nel trattamento, le principali caratteristiche funzionali ed estetiche dei manufatti che
mi verranno applicati.
Sono stato altresì informato che per la conservazione nel tempo di una buona salute dentale sono opportune sedute periodiche di controllo clinico/igiene (secondo le istruzioni che ho ricevuto)
Data_______________________
Firma___________________________________
Nel proporre un modulo per l’acquisizione del
consenso informato vanno scartati:
• i supporti troppo brevi e semplificati, poiché di
limitato valore giuridico;
• troppo particolareggiati ed applicabili in una
unica branca odontoiatrica, poiché nella pratica clinica i piani di terapia sono spesso complessi e richiederebbero quindi un elevato numero di moduli per lo stesso paziente nelle varie fasi di cura.
Riteniamo invece di proporre un modulo unico
sufficientemente esteso e dettagliato per rappresentare un valido strumento di comunicazione,
personalizzabile con eventuali allegati da ogni singolo dentista in base alle proprie esigenze ed alla
particolarità del caso clinico.
Il cosiddetto “consenso informato” deve rispondere a quattro fondamentali principi: deve essere
esplicito, personale, specifico e consapevole (Santosuosso 1996). Nel corso del colloquio odontoiatra/paziente, l’odontoiatra, oltre a preoccuparsi di
informare il paziente sul piano terapeutico che intende attuare, dovrà informarlo anche delle opzioni alternative ed anche del motivo per cui alcune
opzioni non vengono ritenute, nel caso specifico,
valide e quindi scartate.
È evidente che il modulo di consenso informato,
standardizzato per ogni situazione clinica, non può
e non deve sostituire il colloquio odontoiatra/paziente, ma rappresenta la prova scritta che il paziente è stato informato ed il consenso è stato reso.
Tutela della privacy
Il modulo per la tutela della privacy si utilizza in
alcune specifiche situazioni cliniche, ma in generale quando, per motivi comunque strettamente
clinici o scientifici, i dati vadano divulgati o trasmessi ad altri.
La parte introduttiva informa il paziente dei
principi generali che regolano il “trattamento
dei dati personali” allo scopo di tutelarne la riservatezza.
Se richiesto, tali informazioni potranno essere integrate verbalmente;
è consigliabile tenere in studio, a disposizione dei pazienti che ne facciano eventuale richiesta, il testo completo del dispositivo di
legge.
Esame medico
Per facilitare l’applicazione estensiva nella pratica
quotidiana, l’esame medico deve risultare di
agevole esecuzione, in modo da rispettare le esigenze di rapidità e sintesi senza intralciare inutilmente l’operatività clinica; deve essere inoltre
adeguato alle competenze e possibilità diagnostiche del dentista.
A tale scopo è utile adottare una metodica di indagine che permetta di:
172
MEDICINA LEGALE
MODULO PER LA TUTELA DELLA PRIVACY
Egregio Paziente, la preghiamo di leggere e sottoscrivere questo modulo che ha la finalità di raccogliere il Suo consenso
al trattamento dei dati sensibili in base alla cosiddetta “legge sulla privacy”.
Informazioni
In data 8 maggio 1997 è entrata in vigore la legge 31 dicembre 1996 n. 675, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
La normativa prevede alcune incombenze per il medico curante che, per la sua attività professionale, ha necessità di raccogliere, registrare in archivio cartaceo o informatico e utilizzare i dati personali dei pazienti per sole finalità di diagnosi e cura. In particolare, ai sensi degli articoli 9, 10, 11, 12, 13 e 14 della legge citata, si rende necessario, per il sanitario,
acquisire il consenso scritto del paziente che lo autorizza a raccogliere, registrare ed utilizzare i dati personali esclusivamente per la diagnosi e la cura. Il consenso concesso dal paziente al sanitario di fiducia si estende, per evidenti motivi di
continuità terapeutica, anche ai sostituti in caso di assenza del medesimo.
Consenso
Io sottoscritto autorizzo il dott. _________________________________ a raccogliere, registrare e utilizzare i dati personali ai
fini di diagnosi e cura.
Inoltre
AUTORIZZO ovvero NON AUTORIZZO (cancellare la voce che non interessa)
la utilizzazione dei dati a scopo di ricerca scientifica, purché sia assicurata la riservatezza degli stessi.
Data_______________________
Firma___________________________________
individuare i pazienti con patologie a rischio;
graduare lo sforzo all’entità del rischio medico
presente, cogliendo esclusivamente gli approfondimenti indispensabili al caso specifico.
Un’anamnesi sommaria deve essere eseguita su
tutti i pazienti per identificare i soggetti a rischio;
a tal fine si può utilizzare un modulo prestampato
con caratteristiche sovrapponibili al modulo per
anamnesi medica, che presentiamo; la sua compilazione può essere demandata al paziente con l’eventuale aiuto del personale parasanitario.
Un rilievo negativo permette di escludere la maggior parte dei pazienti da successive indagini ed
indica l’assenza di limitazioni sistemiche alla terapia odontoiatrica. Invece, la presenza di riscontri
patologici in questa prima fase obbliga il dentista
ad approfondire le indagini per verificare e quantificare la presenza di un rischio medico che richieda variazioni del piano di trattamento.
In questo caso l’anamnesi mirata deve essere svolta personalmente dal dentista attraverso un colloquio approfondito atto ad instaurare un ideale rapporto tra sanitario e paziente.
L’esame obiettivo è semplificato e si limita:
• all’aspetto generale;
• all’esame del capo e del collo;
• alla registrazione dei parametri vitali in condi-
zioni di riposo ritenuti necessari a fornire un
termine di raffronto in caso di emergenza.
La consulenza medica ed eventuali esami ematochimici possono servire per quantificare il rischio
quando siano necessari interventi estesi in pazienti
sintomatici o in situazione dubbia che presentino:
• patologie con elevato rischio di complicazioni;
• instabilità evidenziata da sintomi frequenti e recenti peggioramenti;
• difficile controllo medico rappresentato da terapie multifarmacologiche, recenti aggiustamenti
posologici e assenza di visite mediche recenti.
La richiesta di consulenza medica deve specificare il motivo e le indicazioni richieste spiegando in
particolare al medico il tipo di trattamento odontoiatrico proposto (entità del trauma operatorio e
complicanze possibili) e la rinviabilità, l’urgenza e
i trattamenti alternativi possibili. Gli esami ematochimici di interesse per il dentista sono una minima parte di quelli disponibili in medicina:
• glicemia;
• esami della coagulazione (PT, PTT, tempo di
emorragia, conta piastrinica);
• emocromo (conta eritrocitaria, emoglobina,
ematocrito, conta e formula leucocitaria);
• funzionalità epatica (transaminasi);
• esami sierologici (HBsAg, anti-HBsAg, antiHCV, anti-HIV).
CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO
173
ANAMNESI MEDICA (da sottoporre a tutti i pazienti)
Nome e cognome___________________________ Data di nascita ______________________________________________________
Indirizzo________________________________________ Città _______________________________ Tel.________________________
Nome e indirizzo del medico curante______________________________________________________________________________
Risponda alle seguenti domande completando gli spazi dove richiesto; le risposte sono necessarie per la programmazione del trattamento terapeutico; in ottemperanza alla legislazione vigente sono confidenziali, riservate al nostro archivio
e protette dal segreto professionale.
Nel caso riscontri difficoltà nel compilare il questionario segnali il fatto al personale assistente o al dentista che provvederanno ad aiutarla.
Gode attualmente di buona salute?
SI
NO
Ha sofferto o soffre di una delle seguenti patologie?
1) Malattie del cuore
SI
NO
2) Malattie del sangue
SI
NO
(anemia, leucemia, ecc.)
3) Malattie emorragiche
SI
NO
4) Ipertensione arteriosa
SI
NO
5) Malattie allergiche
SI
NO
6) Malattie del rene
SI
NO
7) Malattie dell’apparato digerente
SI
NO
8) Malattie polmonari
SI
NO
Ha avuto malattie gravi, ricoveri ospedalieri,
operazioni chirurgiche negli ultimi cinque anni?
9)
10)
11)
12)
13)
14)
15)
16)
Malattie del sistema nervoso
SI
NO
Diabete
SI
NO
Malattie della tiroide
SI
NO
Epatite virale
SI
NO
Epatite cronica (cirrosi)
SI
NO
Infezione da HIV (AIDS)
SI
NO
Allergia a farmaci
SI
NO
Altre malattie non elencate
SI
NO
Quali? _______________________________________
SI
NO
È allergico a farmaci
Quali? ____________________________________________________
SI
NO
Sta assumendo farmaci?
Quali? _____________________________________________________
SI
NO
SI
NO
È fumatore?
SI
NO
È in gravidanza
In che mese? _______________________________________________
Complicazioni nel corso della gravidanza?
Quali? _____________________________________________________
SI
NO
SI
NO
Si sente nervoso o agitato per la visita odontoiatrica?
SI
NO
Ha avuto complicanze in precedenti interventi
chirurgici odontoiatrici?
(emorragia, sanguinamenti, infezioni)
Quali? _____________________________________________________
Motivo della visita odontoiatrica _________________________________________________________________________________
Le risposte fornite sono corrette in base alle mie attuali conoscenze; mi impegno ad informare l’odontoiatra tempestivamente nel caso si verificassero cambiamenti nel mio stato di salute.
Data_______________________
Firma del paziente _____________________________________
Conclusioni (riservato all’odontoiatra)
Patologia sistemica
SI
NO
DUBBIO
Rischio medico nel corso di terapia odontoiatrica
SI
NO
DUBBIO
Necessità di consulenza o esami medici
SI
NO
Osservazioni: ____________________________________________________________________________________________________
Data_______________________
Firma dell’odontoiatra __________________________________
174
MEDICINA LEGALE
Dispositivi su misura
L’adeguamento della legislazione nazionale alla direttiva 93/42 CE ha catalogato i manufatti protesici e ortodontici come dispositivi su misura, inserendo alcune definizioni e obblighi specifici per la
professione odontoiatrica. L’odontotecnico assume la qualifica di fabbricante assumendone gli
adempimenti previsti dalla normativa.
L’odontoiatra è il responsabile degli aspetti progettuali e clinici e quindi, in particolare, della progettazione, della prescrizione e dell’adattamento
dei manufatti.
La circolare ministeriale 17/7/98 prevede che nella
prescrizione debba essere riportato nome e cognome del paziente oppure il suo codice fiscale,
senza comunicare al laboratorio patologie pregresse o attuali. Prevede inoltre che il dentista
possa scegliere liberamente tra consegnare al pa-
ziente una copia della dichiarazione di conformità
del fabbricante alla direttiva 93/42 CE del tutto
anonima, oppure consegnargli una propria certificazione attestante che il dispositivo su misura è
stato fabbricato nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla direttiva, indicando i
materiali adoperati.
L’ANDI, accogliendo le indicazioni fornite dal
gruppo di lavoro costituito per lo studio della direttiva 93/42, ha consigliato ai propri associati di
utilizzare la seconda soluzione, proponendo alcuni moduli in grado di semplificare la compilazione
sia della prescrizione sia della certificazione previste dal disposto legislativo.
A questo proposito vale ricordare che non sono previste sanzioni per l’odontoiatra che esegua errore od ometta la compilazione della
prescrizione e che non consegni la certificazione di conformità.
DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
Io sottoscritto dott.______________________________________________________________________________________________
ATTESTO
che la protesi del signor/ della signora ___________________________________________________________________________ ,
come da dichiarazione di conformità n. __________________________________ del laboratorio odontotecnico registrato
presso il Ministero della Sanità con il n. __________________________________ , è stata fabbricata dal predetto laboratorio
nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza e qualità di cui agli allegati I e VIII della direttiva 93/42 CE utilizzando i seguenti materiali:
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
La suddetta dichiarazione di conformità è conservata agli atti del mio studio ed è a disposizione dell’assistito per i prossimi cinque anni.
Data_______________________
Firma del dentista ______________________________________
CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO
175
SCHEDA DI PRESCRIZIONE - ORTODONZIA
Mittente
Dentista
N. iscrizione albo odontoiatri e/o medici ________________
Provincia in cui si è iscritti _____________________________
STUDIO
Ragione sociale _______________________________________
Via __________________________________________________
Città _________________________________________________
Telefono _____________________________________________
Prescrizione e progettazione clinica n. __________________
Data _________________________________________________
Destinatario
Laboratorio
N. registrazione Ministero Sanità_______________________
Ragione sociale _______________________________________
Via __________________________________________________
Città _________________________________________________
Telefono _____________________________________________
Paziente (cognome e nome ovvero codice fiscale)
_____________________________________________________
Sesso w M
wF
Età
Bruxista w Sì
w No
Altri dispositivi presenti e loro materiali costitutivi _________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Particolari precauzioni da adottare nella fabbricazione _____________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Realizzazione del dispositivo ortodontico
Tipo ____________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Progettazione ___________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Con inseriti i seguenti dispositivi
w Molle
w Archi
w Viti
w Ganci
Ausili ortodontici rimovibili
PIANO:
w Masticante
w Liscio
w Altro
COSTRUZIONE:
w Come cera
w Con arco facciale
w Altro
MATERIALI:
w Caucciù
w Vinilico
AUSILIARI:
w Gangi
w Guide
w Silicone
w Altro
w Altro
ALTRO: _________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Materiali allegati
w Modelli
w Sup.
w Inf.
w Rif. Cefalom.
w Bande
w Arco facciale
w Cera costruzione
w Altro
w Impronte
w Sup.
w Inf.
Disinfettante:
w Cera
w Altro
w Sì
w No
176
MEDICINA LEGALE
SCHEDA DI PRESCRIZIONE - PROTESI
Mittente
Dentista
N. iscrizione albo odontoiatri e/o medici ________________
Provincia in cui si è iscritti _____________________________
STUDIO
Ragione sociale _______________________________________
Via __________________________________________________
Città _________________________________________________
Telefono _____________________________________________
Destinatario
Laboratorio
N. registrazione Ministero Sanità_______________________
Ragione sociale _______________________________________
Via __________________________________________________
Città _________________________________________________
Telefono _____________________________________________
Prescrizione e progettazione clinica n. __________________
Data _________________________________________________
Paziente (cognome e nome ovvero codice fiscale)
_____________________________________________________
Sesso w M
wF
Età
Bruxista w Sì
w No
Altri dispositivi presenti e loro materiali costitutivi _________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Particolari precauzioni da adottare nella fabbricazione _____________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
Realizzazione del dispositivo medico su misura_____________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________
18
17
16
15
14
13
12
11
21
22
23
24
25
26
27
28
48
47
46
45
44
43
42
41
31
32
33
34
35
36
37
38
Colore:
Tipo di lega da utilizzare:
w Oro
w Palladiata
forma del viso
w▼
w Cr.Co
w●
w■
w Altro
Materiali allegati
w Foto
w Diapositive
w Impronte
w Ceratura diagnostica
w Modelli studio: w Sup.
Rilevate in ______________________________
w Inf.
Disinfettante:
w Modelli già sviluppati
w Sì
w No
Registrazioni occlusali
w Cere
w Siliconi
w Resine
w Gesso
w Arco facciale
w Registrazione pantografica
1° prova per________________ 4° prova per________________ Consegna per _________________________________________
2° prova per________________ 5° prova per________________
3° prova per________________ 6° prova per________________ Firma del dentista prescrittore
CAPITOLO 22
LA POLIZZA ASSICURATIVA
PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe
L’assicurazione di responsabilità, al di là delle sigle convenzionali (RCT, RCA, RCP), nasce, sul piano socioeconomico, per coprire un danno all’integrità psicofisica, cioè un diritto assoluto e, per tale motivo, assistiamo al moltiplicarsi delle assicurazioni obbligatorie.
In particolare le coperture di RC medicale sono
quelle meno standardizzate e che più risentono
della evoluzione giurisprudenziale compressa tra
due esigenze contrapposte: la difesa del principio
di responsabilità per colpa del sanitario e l’esigenza di tutela del leso con un sistema di assicurazio-
ne sociale (cioè la volontà di indennizzare sempre
la vittima dell’incidente terapeutico).
È innegabile che nella prassi giudiziaria dell’ultimo ventennio si sia verificato un serio inasprimento della valutazione della responsabilità medicale e che la situazione non sia ormai troppo lontana dal sistema americano “no fault”, terminologia traducibile con i termini di “sine colpa” o colpa oggettiva.
La crescita esponenziale dei sinistri che ha determinato nel mercato rapporti sinistri/premi del 300%
ha collocato la RC medicale tra i rischi “sgraditi”.
TECNICHE DI GESTIONE ASSICURATIVA DEL RISCHIO IN RCP MEDICA
Politica di sottoscrizione
Attraverso l’adeguamento del profilo tecnico e delle condizioni contrattuali di polizza:
• Criterio di operatività della garanzia basato sulla definizione claims made con pregressa limitata e loss
occurrency con postuma limitata per ridurre l’incidenza di sinistri tardivi
• Riduzione della operatività delle polizze esistenti con esclusione o limitazione di garanzie (copertura di
terzi, colpa professionale grave, facoltà di rivalsa sul responsabile)
• Proposta di nuove polizze complementari per copertura delle esclusioni e limitazioni
Profilo tariffario
•
•
•
•
Storno delle polizze
Aumento dei premi delle polizze
Franchigia in aggregato per il risarcimento dei piccoli sinistri
Premiazione e disincentivazione in relazione alla condotta (bonus-malus)
Gestione del rischio sanitario
Per risk management e loss prevention si intende l’assicurabilità concessa a seguito della analisi del rischio sanitario e della copertura economica necessaria, eseguita mediante:
• Compilazione di una proposta-questionario
• Sopralluoghi di esperti presso le strutture analizzando gli aspetti organizzativi, logistico-strutturali, tecnologici, gestione danni
• Adozione di linee guida (consenso informato, cartella clinica e documentazione, metodologie di terapia)
178
MEDICINA LEGALE
Sicuramente l’attuale situazione è insoddisfacente
sia per l’assicurato, sia per l’assicuratore, sia per il
danneggiato: le procedure giudiziarie per il danneggiato necessitano di tempi lunghi; non esiste
una tutela della tranquillità e del buon nome del
professionista; l’assicuratore rimane incerto sul risultato economico della lite, stante l’assoluta imprevedibilità dei criteri di giudizio.
Nel capitolo “Epidemiologia del contenzioso” è
stato, comunque, dimostrato che l’odontoiatria è
in controtendenza nei confronti della medicina e
ancora rappresenta per le compagnie una felice
area di investimento, oltre che un mezzo per entrare nel mercato dei rami assicurativi collaterali.
Appare, quindi, ingiustificato il timore della crescita esponenziale dei danni, timore che ha spinto
le società assicuratrici a reagire estendendo, anche in ambito odontoiatrico, le tecniche di gestione del rischio medico.
L’opinione di molte persone sulle assicurazioni è riassumibile in pochi punti.
Non chiedete mai a un agente assicurativo se
avete bisogno di una polizza, se le condizioni
sono eque e il prezzo buono.
La richiesta di pagamento del premio arriva
sempre puntuale e completa, la liquidazione
del danno solo qualche volta, ridotta e in ritardo.
Le condizioni generali
di polizza
Tecnicamente, per sinistro si intende l’evento a
cui le condizioni di polizza collegano l’obbligo della prestazione, trasferendo le conseguenze patrimoniali in capo all’assicuratore e lasciando indenne l’assicurato (manleva).
Nel nostro caso, l’oggetto dell’assicurazione è costituito principalmente dall’attività di odontoiatra;
ma, accanto ad essa, vanno previsti tutti i rischi
complementari o comunque ricollegabili all’attività professionale, convenzionalmente definiti rischi aggiuntivi da RCT e RCO: proprietà e conduzione degli immobili, custodia, responsabilità civile verso i dipendenti, ecc.
L’assicurabilità non implica, comunque, nella prassi
assicurativa, una esatta coincidenza tra responsabilità e garanzie poiché normalmente la copertura
non è generica ma ristretta a quelle conseguenze
specificamente indicate nel contratto (polizza).
I rischi esclusi, che più frequentemente limitano
l’oggetto dell’assicurazione, si riferiscono alle richieste già presentate prima dell’inizio del periodo
di assicurazione e alla responsabilità di garanzia
che sarà analizzata di seguito in questo capitolo.
Le condizioni, valide solo se espressamente richiamate, possono consistere in situazioni diverse, come ad esempio:
• gli ampliamenti di garanzia per corresponsione
di un sovrappremio (implantologia);
• le limitazioni di garanzia a fronte di uno sconto sul
premio nel caso di coesistenza di altre assicurazioni (clausola di secondo rischio, art. 1910 c.c.).
Per quanto riguarda l’efficacia della copertura, il
limite più importante è il massimale, poiché il sistema assicurativo prevede un limite di indennizzo massimo per sinistro e, quasi sempre, anche
per anno. In tale senso è indispensabile scegliere
massimali adeguati e la possibilità di reintegrazione, versando un sovrappremio, in caso di esaurimento del massimale assicurato per effetto di più
sinistri nella stessa annualità.
Le franchigie e gli scoperti hanno lo scopo di incentivare la diligenza del professionista, lasciando
una parte del risarcimento, dalla quale l’assicuratore si affranca, a carico dell’assicurato; ma il
meccanismo e, quindi, l’effetto sono diversi:
la franchigia rappresenta una somma espressa
in valore assoluto; lo scoperto è espresso in
percentuale del risarcimento, normalmente con
un minimo ed un massimo in cifra assoluta.
Altre condizioni generali sono prevalentemente
un richiamo della disciplina legale del contratto di
assicurazione: diritto di recesso (artt. 1897, 1898
c.c.); il diritto di surrogazione (art. 1916 c.c.); l’arbitrato irrituale; l’assistenza legale in giudizio, ecc.
Nella tabella 1 è riportato l’indice delle condizioni
generali previste della polizza assicurativa dell’ANDI che attualmente rappresenta il prodotto
assicurativo più completo ed evoluto in materia di
RCP odontoiatrica.
La denuncia di sinistro
La denuncia di sinistro all’assicurazione deve rispettare alcune caratteristiche fondamentali: il
termine di presentazione (entro i termini di prescrizione della manleva), la tempestività, la completezza, la sincerità.
Il termine temporale di presentazione della de-
CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
179
Tab. 1 Le clausole inerenti alle condizioni generali della polizza nazionale ANDI per RCP odontoiatrica
•
•
•
•
Dichiarazioni dell’assicurato,
aggravamento e diminuzione
del rischio
Cessazione dell’assicurazione
• Adesioni
• Oggetto della responsabilità RCT
• e RCO
• Esemplificazioni e rischi aggiuntivi
• Recesso in caso di sinistro
• Premio minimo di convenzione
•
•
•
•
•
•
•
•
•
• Variazioni e comunicazioni
• Interpretazione del contratto
• Proroga della convenzione
• e dei singoli certificati
• Norme di legge
• Coesistenza di altre assicurazioni
• Massimali, scoperti e spese
• Diritto di surrogazione
Certificati, decorrenza, durata,
proroga, forma di pagamento
Premio annuo
Partecipazione agli utili,
controllo statistico
Reintegro automatico delle somme
assicurate
Coassicurazione
Foro competente
nuncia è disciplinato dall’art. 1913 c.c. in 3 giorni;
tuttavia tale periodo ha scarsa portata pratica, poiché il ritardo comporta conseguenze solo se determina maggiori oneri per l’assicuratore, generalmente improbabili.
Termine perentorio è invece da considerarsi il
disposto dell’art. 2952 c.c. che disciplina la prescrizione dell’assicurato verso l’assicuratore in un
anno dal fatto: denunce inoltrate oltre tale termine annullano l’obbligo di manleva da parte della
compagnia.
Comunque per la RC, secondo concorde giurisprudenza, il termine “a quo” per la prescrizione della manleva (cioè il periodo di tempo dopo il quale decade l’obbligo dell’assicuratore a
risarcire il danno in luogo dell’assicurato) viene considerato decorrere non dal fatto (sinistro), ma dalla costituzione in mora rappresentata dalla richiesta di risarcimento stragiudiziale o giudiziale pervenuta all’assicurato
(solitamente una lettera del paziente o del legale che richiede i danni all’odontoiatra).
Quanto detto non vuole suggerire atteggiamenti
negligenti: una buona gestione del sinistro dipende anche dalla tempestività, così come dipende
dalla completezza della denuncia che deve contenere tutti gli elementi rilevanti (i dati completi della controparte, gli elementi obiettivi conosciuti in
ordine al danno, le valutazioni professionali in ordine alle cause).
• Novero di terzi
• Esclusioni
• Inizio e termine di garanzia
•
•
•
•
•
•
Limiti di indennizzo e scoperto
Denuncia e altre comunicazioni
di responsabilità
Gestione del sinistro, arbitrato
irrituale
Nomina di legali e periti
Ultimo requisito è la sincerità: il voler sostenere
tesi non difendibili è inutile e dannoso in quanto
crea confusione, allungando i tempi di valutazione
e i costi del sinistro. Risultano, invece, prive di utilità le denunce cautelative eseguite dal professionista per segnalare una ipotetica, futura richiesta
di danni da parte del paziente non ancora ufficialmente formulata: infatti, in ambito assicurativo, il
sinistro viene perfezionato esclusivamente dalla
costituzione in mora del paziente (art. 2952 c.c.).
La responsabilità di garanzia
Una domanda che viene spesso formulata dagli
odontoiatri riguarda il rimborso del compenso
percepito a fronte di una prestazione incongrua:
spetta al professionista o all’assicurazione?
Tale aspetto viene definito in ambito assicurativo come responsabilità di garanzia per l’inesatto inadempimento dell’obbligazione contrattuale; si ritiene
normalmente che la restituzione dell’indebito inutilmente corrisposto dal paziente a fronte di una prestazione incongrua sia estranea alla copertura assicurativa RC. Il risvolto pratico di tale osservazione
consiste nel fatto che, in ipotesi di danno al paziente,
l’assicurazione è generalmente tenuta a rispondere solo dell’ammontare economico
equivalente alla stima del danno biologico (lesione alla persona) e spese emergenti per cure
tese a emendarlo;
180
MEDICINA LEGALE
mentre pende sempre in capo al professionista la
restituzione del corrispettivo, cifra che il medesimo è tenuto a mettere a disposizione per il risarcimento del danno (ripetizione dell’indebito per risoluzione del contratto per inadempimento ex art.
1453 c.c.).
Ne discende, logicamente, che nel caso il danno
sia limitato alla sola spesa emergente per il rifacimento della prestazione incongrua, in assenza di
danno biologico, è inutile sperare nella manleva
assicurativa o convenire in causa l’assicurazione.
Naturalmente il contratto potrebbe disporre anche diversamente, ma la tendenza in atto è quella
di esplicitare l’esclusione o ritenerla sottintesa,
piuttosto che concederne l’estensione che, comunque, è operativa solo se espressamente richiamata come condizione aggiuntiva.
Questo, al di là di ogni considerazione etica, può
apparire corretto anche sul piano tecnico, poiché
rappresenta un incentivo alla diligenza come già
segnalato per la franchigia e lo scoperto.
L’efficacia temporale
della polizza
Sul piano del buonsenso la copertura assicurativa
della polizza è valida per i sinistri che avvengono
durante il periodo della sua operatività; questo era
il criterio “naturale” pattiziamente previsto dalle
polizze in passato; cioè il principio temporale logico di accadimento (loss occurency evenement),
secondo il quale sono assicurati i sinistri avvenuti
nel periodo di validità della polizza, in qualsiasi
momento vengano denunciati.
Particolarmente nella RCP medica si verifica che
il principio della loss occurency presenta notevoli
inconvenienti poiché, soprattutto in caso di cicli
di cura successivi, non è sempre facile determinare il momento dell’accadimento e il danno può manifestarsi con notevole ritardo rispetto al periodo
assicurato.
Questa difficoltà di carattere medico-legale presenta inevitabili ricadute assicurative e giuridiche,
in quanto se è difficile individuare il momento dell’accadimento è anche difficile individuare l’assicuratore impegnato, se questi nel tempo è variato
o si sono stipulate nuove polizze con diverse compagnie.
Si tratta del fenomeno dei cosiddetti sinistri tardivi, che presentano notevoli problemi per gli assicuratori, ma anche per assicurati e danneggiati,
in quanto può lasciare alcuni sinistri privi di copertura finanziaria. In altre parole, il sinistro tardivo ha rappresentato nell’assicurazione della RC
un fenomeno nuovo e così imponente da mettere
in discussione la tradizionale disciplina temporale
dell’accadimento.
Si è, per tale motivo, giunti a sostituire la formula
naturalistica loss occurency con quella convenzionale e artificiale di claims made con cui il sinistro
è definito e perfezionato in base alla data di richiesta del risarcimento;
si assicurano, cioè, non i sinistri accaduti nel
corso del contratto, ma quelli denunciati in tale periodo anche se avvenuti anteriormente;
per contro non sono assicurati i sinistri denunciati dopo la cessazione del contratto anche se avvenuti nel periodo di validità della polizza.
Le norme previste dal codice civile in tema di prescrizione (art. 2952 c.c. 3° comma) contengono in
sé il principio del sistema claims made, poiché stabiliscono per l’assicurazione di RC che la prescrizione e, quindi, il perfezionamento del sinistro avvenga con la richiesta del terzo danneggiato.
Confrontando i sistemi possiamo schematizzare
che:
• nella loss occurency l’assicuratore si fa carico
del presente e del futuro (denunce successive
alla cessazione del rapporto);
• nella claims made l’assicuratore si fa carico del
passato e del presente ma non del futuro.
Nello scegliere una polizza per il professionista, è
un buon suggerimento utilizzare entrambe le possibilità unendo il sistema claims made ad una definizione pattizia di sinistro che lo concretizzi assicurativamente al momento della conoscenza di
un errore che possa ragionevolmente far prevedere la copertura di future pretese risarcitorie.
Tra i due opposti, assicurare tutto e restringere sino ad annullare l’efficacia temporale, sono state
nel tempo proposte soluzioni e condizioni generali di polizza che hanno apportato infinite varianti,
tra le quali ricordiamo:
• limitazione della responsabilità pregressa a un
numero esiguo di anni (solitamente 5);
• concessione di una accettazione di denunce postume per un periodo più o meno ampio;
• possibilità di tutela assicurativa postuma, dopo
la cessione dell’attività, pagando un premio ridotto.
Il controllo dell’efficacia temporale del contratto
risulta determinante nella valutazione della qua-
CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
181
lità della copertura RC, quando si pensi, ad esempio, ad un ipotetico contratto che sommi negativamente gli aspetti restrittivi sull’efficacia temporale dello schema di loss occurency e di claims
made: si assicurano cioè solo i sinistri accaduti e
denunciati nel corso del contratto (presente), lasciando il professionista praticamente privo di tutela assicurativa sul passato e sul futuro.
Un altro problema legato alla efficacia temporale
della polizza può verificarsi quando l’assicurato
cambi compagnia di assicurazione o cessi l’attività
(morte, raggiunti limiti di età), poiché l’interruzione del rapporto assicurativo o la sua sostituzione
può lasciare periodi scoperti tra le nuove e le vecchie polizze.
Immaginiamo il caso di un dentista che cambi
compagnia di assicurazione nel momento in cui
sia a conoscenza di una possibile futura richiesta
danni che non sia stata ancora formulata. In tale
situazione, non ha valore giuridico la denuncia
cautelativa per aprire il sinistro.
Nel caso in cui successivamente la richiesta risarcitoria sia formulata, può verificarsi che:
• la vecchia assicurazione non risponda poiché il
contratto è terminato (inefficacia temporale
postuma);
• l’attuale, perché non preveda i sinistri avvenuti
anteriormente (inefficacia temporale pregressa);
• o semplicemente escluda i fatti già noti al momento della stipula (cause di esclusione).
Per tale motivo si deve ottenere dal nuovo assicuratore un’estensione della copertura (pregressa o
postuma assicurativa) che corrisponda il più possibile all’esposizione legale del professionista e
tenda al termine ideale di 10 anni per la responsabilità contrattuale (peraltro difficilmente accettato dalle compagnie) per la copertura di risarcimenti futuri.
con la polizza; il che significa che la compagnia assicurativa può adottare comportamenti diversi:
• liquidare il danno di sua competenza e abbandonare in giudizio l’odontoiatra a sostenere i
costi di difesa inerenti all’eventuale prosecuzione processuale che sia costretto o abbia interesse a compiere;
• non liquidare il danno portando l’odontoiatra in
giudizio contro la sua volontà, con un notevole
pregiudizio di immagine e di prestigio e conseguenti ricadute economiche e morali non facilmente quantificabili.
Per ovviare a queste situazioni, una polizza per
RCP deve prevedere clausole che permettano
all’assicurato di venire informato sulla gestione
del sinistro e di avere la possibilità di intervenire quando si trovi in disaccordo; ciò, in pratica,
significa che tempi, modalità, opportunità transattive non devono essere di esclusiva e incontrollata competenza della compagnia assicuratrice.
• Obbligare la compagnia a proseguire la difesa
al di là del proprio interesse, ossia la liquidazione del sinistro, prevedendo, nella polizza, la
clausola di assistenza legale che permette di
nominare un legale o un consulente di fiducia
le cui spese siano a carico della compagnia assicuratrice. Con tale clausola aggiuntiva, inoltre, l’odontoiatra, ha la possibilità di essere
informato e controllare la gestione della lite,
cosa che in ipotesi diversa, regolarmente, non
avviene.
• Prevedere un arbitrato irrituale che obblighi la
compagnia a definire il danno in via amichevole, nei casi in cui il sinistro di responsabilità
professionale possa avere ricadute di immagine
e di prestigio che superino come conseguenze
economiche il valore del risarcimento RC.
Il patto di gestione della lite
e il conflitto di interessi
Conclusioni
Quando il sinistro non si risolve in una rapida e
bonaria definizione e sfocia in un contenzioso giudiziario, nascono spesso conflitti di interessi tra
assicurato ed assicuratore; inconvenienti che di
solito le polizze non regolano in maniera soddisfacente nella tutela dell’assicurato.
Innanzitutto, la difesa legale viene presa in carico
dall’assicuratore fino a che ne ha interesse e ne è
obbligata dal contratto assicurativo sottoscritto
Esaminandole nel loro complesso, le polizze di responsabilità professionale presentano, allo stato
attuale, un panorama eterogeneo e inadeguato alle esigenze della professione odontoiatrica in continua evoluzione:
• mancanza di un modello univoco di contratto
specifico per la responsabilità odontoiatrica;
• presenza sul mercato assicurativo di proposte
diverse, per lo più derivate da modifiche marginali di polizze generiche per responsabilità civile, o per responsabilità medica;
182
MEDICINA LEGALE
CARATTERISTICHE IDEALI DI UNA POLIZZA DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
• Delimitazione del rischio
Responsabilità contrattuale
diretta
Responsabilità contrattuale
indiretta
Responsabilità extracontrattuale
Ampia delimitazione geografica
Rischio postumo
Rischio pregresso
Copertura di tutte le attività cliniche eseguite con esplicito richiamo alle specializzazioni (implantologia, attività peritale, ecc.)
Responsabilità per ausiliari e sanitari collaboratori nello svolgimento
delle mansioni di loro competenza
Tutela di danni derivanti dalla conduzione dello studio, attrezzature e impianti fissi (incidenti e infortuni di pazienti e personale dipendente)
Estensione a tutte le sedi dell’attività (Italia, CEE, ecc.)
Operatività sia nell’attività pubblica che privata
Copertura per richieste di danni successive alla sospensione dell’attività dell’operatore (periodo ideale di 10 anni)
Copertura per richieste di danni avvenuti in epoca precedente e non
noti al momento della stipula della polizza (periodo ideale di 10 anni)
• Franchigia, scoperto
e massimale
Massimale consigliato non inferiore a 1-1,5 miliardi di lire per sinistro
e/o annualità
Reintegro automatico del massimale dopo ogni sinistro
Franchigia e scoperto di importo limitato (riducibili per mantenere il
costo della polizza e aumentare il massimale)
• Verifica periodica e durata
La scadenza annuale è preferibile per introdurre clausole aderenti a
nuove esigenze individuate (cessazione, riduzione, aggravamento del rischio); ridefinire i premi in relazione alla sinistrosità
• Assistenza giudiziale
e stragiudiziale
Copertura legale e peritale stragiudiziale e giudiziaria in ambito sia civile che penale. Possibilità di scelta di propri periti e legali con costi a
carico della compagnia
• Diritti dell’assicurato
Assenza di clausole onerose
Velocità di liquidazione
Reclamo e arbitrato
• Obblighi dell’assicurato
Denuncia del sinistro
Collaborazione
Salvataggio
Facoltà di recesso dell’assicuratore non disciplinata
Proroga del contratto in caso di mancata disdetta entro un determinato termine eccessivamente lungo
Obblighi eccessivi per la denuncia di sinistro (ad esempio, un termine perentorio eccessivamente breve)
Elezione foro competente lontano dalla residenza dell’assicurato (ad
esempio, dove ha sede la compagnia)
Esclusioni di particolari tipi di danni (ad esempio, l’estetico)
Diritto di rivalsa in caso di colpa grave nei confronti di dipendenti
Evitare la lentezza di liquidazione per garantire la soddisfazione dei
danneggiati e la difesa del prestigio del professionista
Prevedere procedure per la risoluzione di controversie e conflitti di interesse tra assicurato e assicuratore entro un tempo definito e con parametri di equità
Denunciare il danno entro 3 giorni dal momento della conoscenza; oltre l’anno si perde il diritto alla manleva
Eseguire una denuncia corretta ed esauriente fornendo i dati disponibili alla valutazione medico-legale
Non esercitare azioni che pregiudichino la difesa dell’assicurazione
(ammissioni di colpa)
Diminuire o evitare il danno con l’uso della normale diligenza
CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
• assenza di un criterio uniforme nel parametrare
premi, massimali, franchigie e limitazioni di garanzia tra le diverse compagnie di assicurazione.
Come abbiamo spiegato, il sinistro, anche quando
risulta specificamente assicurato, raramente e comunque solo per aspetti marginali, ha una vita autonoma dalle previsioni contrattuali:
sono le condizioni contrattuali della polizza
che ne condizionano il percorso, il grado di ricaduta patrimoniale e morale sull’assicurato.
Questa osservazione rafforza ancora di più i suggerimenti di attenzione e precauzione già formulati e l’odontoiatra deve verificare la qualità della
propria polizza ed ottenere mediante l’inserimento di semplici correttivi una polizza più consona
alle proprie necessità.
183
A tal riguardo è disponibile una polizza specifica per l’odontoiatra, stipulata dall’ANDI con
una compagnia di primaria importanza ed elaborata dalla Commissione di Odontoiatria Legale e dalla Commissione Assicurazioni dell’Associazione.
Tale polizza chiusa di categoria, riservata agli associati dell’ANDI, è controllata su base annuale e
adeguata alle esigenze in continua evoluzione, attraverso un sistema di monitoraggio, da parte di
un osservatorio statistico.
Essa rappresenta, al momento attuale, il miglior
prodotto assicurativo specifico per la RCP, per
completezza e corrispondenza alle esigenze della
libera professione odontoiatrica, sicuramente
uno dei più validi contributi dell’Associazione
Nazionale Dentisti Italiani quale servizio ai propri associati.
CAPITOLO 23
CASISTICA
F. Montagna
Caso 1
Una paziente di 30 anni si rivolse ad un odontoiatra per la terapia di una malocclusione di seconda classe,
aggravata dalla presenza di un canino incluso (1.3) e dall’assenza di spazio in arcata a seguito della mesializzazione dei denti contigui. L’ortodontista, consulente dello studio, redigeva un piano di lavoro che
prevedeva l’estrazione del primo premolare (1.4), l’esecuzione di un opercolo, una terapia con apparecchiatura fissa per la disinclusione del canino e la correzione della malocclusione. La terapia chirurgica fu
eseguita dall’odontoiatra titolare dello studio e il trattamento chirurgico dall’ortodontista. A due anni di distanza, il trattamento ortodontico non presentava miglioramento della posizione del canino e la paziente
si rivolgeva a un altro odontoiatra che, posta diagnosi di anchilosi, procedeva all’estrazione del dente (1.3).
Nel corso dell’intervento si staccava la parete ossea vestibolare da secondo premolare (1.5) a incisivo
centrale (1.1) con perdita dell’incisivo laterale (1.2) e atrofia ossea del segmento alveolare.
Considerata l’atrofia ossea residua, la paziente si sottoponeva, presso un istituto pubblico, a due interventi di rigenerazione ossea guidata con innesto di osso autologo (prelievo da cresta iliaca in anestesia
generale), per operare nella zona una riabilitazione implantoprotesica dei tre denti mancanti (1.2, 1.3,
1.4). Le complicazioni infettive, verificatesi durante i decorsi post-operatori, portarono a un totale insuccesso e a un aggravamento dell’atrofia ossea settoriale sull’emimascellare destro.
CAPITOLO 23 • CASISTICA
185
L’analisi medico-legale portò alla valutazione di responsabilità a carico soltanto di due dei sanitari intervenuti nel caso (ortodontista e odontoiatra che aveva estratto il canino incluso), escludendo il profilo di
colpa a carico del titolare dello studio e dell’équipe dell’istituto pubblico.
La responsabilità a carico dell’ortodontista fu individuata nella seguente condotta:
• avere intrapreso la terapia di disinclusione di un dente in posizione sfavorevole (orizzontale), probabilmente già anchilosato (in relazione all’età della paziente), quindi certamente o molto verosimilmente irrecuperabile ab initio;
• avere prescritto l’estrazione inutile di un dente in arcata (1.4) in assenza di consenso informato della
paziente sull’elevato rischio di insuccesso prevedibile.
La responsabilità dell’odontoiatra che aveva estratto il canino (1.3), causando la perdita dell’incisivo laterale (1.2), era dovuta all’impiego di una tecnica chirurgica scorretta, che consisteva in una manovra caratterizzata da forza eccessiva.
La conseguente frattura della corticale vestibolare, in presenza di una situazione anatomica già indebolita
dal precedente intervento di opercolizzazione (con osteoresezione palatina), rappresentava, quindi, una
complicanza prevedibile e prevenibile con una corretta tecnica operatoria.
Caso 2
Un paziente si rivolse ad un odontoiatra per l’estrazione di un molare mascellare (1.6) e un dente del giudizio (3.8) in disodontiasi.
Nel corso dell’intervento si verificarono due diverse complicanze causa di postumi:
• spinta della radice palatina del molare nel seno mascellare; frammento che veniva recuperato dal medesimo operatore nel corso della stessa seduta con intervento di revisione sinusale e successiva terapia farmacologica.
A tale situazione residuava, comunque, una sinusite mascellare cronica sinistra che richiedeva un intervento di revisione mascellare secondo Caldwell-Luc;
• lesione del nervo mandibolare con parestesia dell’emilabbro sinistro.
L’analisi medico-legale escluse il profilo di colpa per la sinusite mascellare, considerata complicanza accidentale non prevedibile e/o prevenibile a fronte di una corretta tecnica operatoria e adeguata prescrizione di terapia farmacologica.
La lesione neurologica del nervo mandibolare diede luogo a risarcimento in quanto, sebbene fosse stato
ritenuto improbabile un errore di tecnica chirurgica, il paziente non era stato avvertito del rischio prevedibile in base ai rapporti di contiguità anatomica tra dente e nervo, evidenziati dalla ortopantomografia
pre-operatoria.
186
MEDICINA LEGALE
Caso 3
Un paziente parzialmente edentulo si rivolse ad un odontoiatra per l’esecuzione di una riabilitazione implantoprotesica all’arcata superiore, che consisteva in una griglia sottoperiostea fissata con viti orizzontali trasversali attraverso il processo alveolare.
Il decorso veniva complicato da fistolizzazioni recidivanti ed esposizione della griglia, trattate, nell’arco
di circa due anni dallo stesso operatore, con ripetuti interventi di curettaggio e sutura; in un caso con
rimozione della griglia e riposizionamento dello stesso manufatto, dopo toilette chirurgica del sito implantare.
La successiva rimozione presso una struttura ospedaliera evidenziava un riassorbimento pressoché totale del processo alveolare del mascellare superiore; situazione risolta mediante innesto di osso autologo
da cresta iliaca e implantologia con cilindri cavi sommersi.
CAPITOLO 23 • CASISTICA
187
Il profilo di responsabilità del professionista fu individuato non tanto sul tipo di tecnica utilizzata (impianto iuxtaosseo), considerata corretta in base alle indicazioni riportate in letteratura all’epoca dei fatti; quanto per l’imprudenza e la negligenza dell’operatore, il quale aveva mantenuto in situ un manufatto
implantare che configurava un evidente fallimento clinico, perpetuando uno stato prolungato e continuo
di infezione, dilazionando la rimozione che causava il grave riassorbimento osseo.
Caso 4
Una paziente si sottopose a una complessa riabilitazione e, dopo avere eseguito alcuni controlli
saltuari per due anni presso lo stesso odontoiatra, sospese le visite per circa tre anni.
A distanza di 5 anni circa, dal momento dalla protesizzazione, si ripresentò dallo stesso odontoiatra lamentando:
• decementazione del ponte mandibolare sinistro con distruzione cariosa del pilastro posteriore (3.7) e frattura del secondo premolare
(3.5) pilastro anteriore;
• frattura della saldatura tra gli elementi intermedi del ponte mandibolare destro con decementazione del segmento anteriore;
• periodontite apicale a carico del secondo premolare (4.5) con cura canalare incongrua.
Il profilo di responsabilità fu individuato, a carico
del professionista, per l’insufficiente spessore delle saldature tra gli elementi intermedi del ponte
destro.
Invece, a incuria della paziente veniva attribuito il
fallimento del ponte sinistro, posto in relazione alla mancanza di controlli periodici.
Il danno, verosimilmente causato da una carie
del pilastro distale (imputabile a scarsa igiene)
con conseguente basculamento protratto nel
tempo e frattura del pilastro mesiale, era, infatti,
ritenuto prevenibile mediante l’esecuzione di visite di controllo periodiche.
188
MEDICINA LEGALE
Caso 5
Una paziente si rivolse ad un odontoiatra per alcune cure conservative:
• terapia canalare di un molare superiore destro (1.6), già precedentemente trattato e sintomatico;
• frattura di un molare mandibolare sinistro (3.6)
portatore di un precedente perno moncone.
L’odontoiatra eseguiva le seguenti prestazioni:
• rizectomia e protesi a ponte sul molare inferiore, utilizzando come pilastri la radice mesiale
del 3.6 e il dente 3.7;
• cura canalare e ricostruzione del dente 1.6 in
attesa di guarigione.
A breve distanza dal termine delle cure si verificavano alcune complicazioni:
• il dente 1.6 si fratturava a distanza di circa un
mese dal trattamento conservativo e veniva
estratto da un altro professionista;
• il ponte mandibolare destro doveva essere rimosso per una periodontite cronica riacutizzata a carico della radice mesiale del dente 3.6; lesione,
peraltro, dimostrata preesistente al trattamento e
della quale non era ancora avvenuta la completa
guarigione prima della protesizzazione.
La paziente, quindi, al termine del trattamento
aveva perso ambedue i denti trattati a fronte della
corresponsione di un cospicuo onorario al professionista.
Il professionista fu riconosciuto responsabile per
avere protesizzato una radice rizectomizzata (3.6)
da ritenersi irrecuperabile in precedenza; ne conseguiva la sola restituzione della parcella.
La frattura del dente 1.6 fu, invece, stimata evento
accidentale, non prevedibile e non prevenibile a
fronte di una corretta condotta terapeutica di attesa di guarigione dopo la terapia canalare, prima
di procedere a protesizzazione.
CAPITOLO 23 • CASISTICA
189
Caso 6
Una paziente di 9-10 anni iniziò un trattamento ortodontico fisso per una occlusione di seconda classe.
Il trattamento veniva terminato all’età di 12 anni con un buon allineamento dentario e correzione di classe,
ottenuta, peraltro, al limite delle indicazioni cefalometriche con una espansione trasversale e proinclinazione vestibolare della dentatura senza eseguire estrazioni in accordo con i genitori.
All’età di 16 anni si presentava una recidiva di malocclusione con grave affollamento dentario nei settori
anteriori.
La valutazione medico-legale ritenne il trattamento effettuato accettabile entro la media professionale e
sufficientemente documentato, escludendo una responsabilità del sanitario. La recidiva fu imputata ai
fattori funzionali persistenti (deglutizione atipica), a una scarsa attitudine della paziente a sottoporsi a
controlli successivi al termine della terapia (contenzione portata per un periodo ridotto, interruzione delle visite di controllo), infine a una crescita sfavorevole non prevedibile o prevenibile.
190
MEDICINA LEGALE
Caso 7
Nel corso di un intervento di implantologia nel mascellare superiore (zona 2.6), progettato dall’odontoiatra senza procedure di incremento osseo, l’impianto veniva spinto nella cavità del seno mascellare e successivamente rimosso, previo trasferimento in ospedale, in anestesia generale.
L’analisi medico-legale identificò una responsabilità professionale, poiché la tecnica di posizionamento
non era indicata in assenza di una procedura di implantologia avanzata, cioè di un intervento di grande rialzo del seno mascellare da eseguirsi in uno o due tempi per quanto riguardava l’inserimento dell’impianto.
Quel 4% degli odontoiatri che annualmente ha del contenzioso con i propri pazienti e coloro che hanno letto attentamente questo libro potrebbero essere presi da una sorta di scoramento pensando che
nel 95% dei casi in giudizio verrà loro dato torto.
Soprattutto pensando che niente è così facile come sembra e che se c’è la possibilità che una cosa vada male, sarà sicuramente proprio sulla persona su cui non si voleva.
Inoltre, si ha la sensazione che, per quanto nascosta sia la pecca in lavoro, la natura riuscirà sempre
a scovarla e possibilmente nel momento peggiore, a dispetto dell’impegno profuso.
Per chi lavora in équipe, le cose non sembrano migliorare, visto che: “Errare humanum est”, dare la
colpa a un altro lo è ancora di più, ma non sempre riesce.
Voglio almeno in parte confortare chi ha questi dubbi, ricordando che il giudizio medico-legale o processuale rappresenta spesso una parvenza di verità; cioè una verità di carta che spesso ha poca o nulla attinenza con la realtà clinica e lo svolgimento dei fatti.
A proposito, sapete qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista? L’ottimista crede di vivere
nel migliore dei mondi possibili, il pessimista teme che sia vero.
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