Il personale odontoiatrico - centro servizi odontoiatrici montagna
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Il personale odontoiatrico - centro servizi odontoiatrici montagna
o d o n t o i a t r i c a p r a t i c a l a Le patologie professionali del personale odontoiatrico e il contenzioso odontoiatra-paziente PRESENTAZIONE DELLA COLLANA Nel panorama editoriale di odontoiatria in Italia oggi sono prevalentemente presenti molti testi superspecialistici e di approfondimento di ogni singola branca della disciplina, o testi di clinica odontoiatrica estremamente generici e teorici e poco adatti a un utilizzo clinico pratico. La collana di Odontoiatria pratica e ragionata, che si propone di colmare il divario esistente, è costruita sulla base dell’esperienza clinica quotidiana oltre che dello studio e della ricerca di diversi autori, ognuno cultore di una parte della materia e contemporaneamente professionista e operatore pratico. È quindi attingendo alle conoscenze ed alle esperienze maturate in anni di lavoro professionale svolto alla poltrona che gli autori sviluppano volume per volume gli argomenti che, come un mosaico, compongono l’odontoiatria generale. Ogni autore, infatti, si è rifatto nella stesura della sua parte dell’opera, oltre che alla sua esperienza clinica, a protocolli internazionali accettati e ai dati più recenti della letteratura scientifico-odontoiatrica. Il piano dell’opera, dopo una esposizione semplice e pratica degli aspetti di medicina del lavoro e medico-legali legati alla professione, segue il percorso ideale del paziente che necessita di cure e che si rivolge allo studio professionale: dapprima l’igiene orale, successivamente la chirurgia, poi endodonzia, conservativa, parodontologia, ortodonzia, protesi ecc.: infatti, dapprima si pulisce la bocca del paziente con l’igiene orale e con le estrazioni degli elementi considerati persi o la cui presenza può essere causa di patologie, quindi, in relazione al piano di lavoro, si esegue il recupero degli elementi residui, la terapia parodontale e così via fino alla riabilitazione completa dell’apparato. Lo stesso piano dell’opera è, dunque, una guida pratica per l’odontoiatria generale, così come ogni volume offre un percorso diagnostico-terapeutico attuabile quotidianamente nella pratica ambulatoriale Questa è perciò un’opera di grande utilità per il dentista di odontoiatria generale: per il dentista vero, colui che quotidianamente è chiamato a risolvere i problemi più vari del paziente. Nell’accingerci a questo lavoro ci siamo proposti di realizzare una guida attraverso le immagini, estremamente utile agli interventi, con testi immediati, sintetici e pratici. Certo di lavorare nell’interesse della grandissima maggioranza dei colleghi, e in particolare dei giovani che si avvicinano alla professione, con giustificato orgoglio presento questa collana. Vincenzo Bucci Sabattini COLLABORATORI Donato CALISTA Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Dermatologia e in Malattie infettive. Dirigente di primo livello, Reparto di Dermatologia dell’Ospedale Bufalini di Cesena Claudio CROSARA Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Otorinolaringoiatria e in Audiologia Luigi M. DALEFFE Medico Chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia. Presidente nazionale ANDI Giuseppe FERRONATO Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Odontostomatologia, in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva e in Chirurgia Maxillo-facciale. Cattedra e Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Università degli Studi di Padova. Direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Maxillo-facciale e della Scuola di Specializzazione di Ortognatodonzia dell’Università degli Studi di Padova Riccardo LUCCA Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia Marco L. SCARPELLI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia Mario TOMMASI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Terapia fisica e Riabilitazione Marco VIANINI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Oculistica PREFAZIONE L’obiettivo posto alla base del progetto di questo libro è duplice e consiste nel presentare un panorama aggiornato su due diversi argomenti inerenti alla professione odontoiatrica: la medicina del lavoro, cioè i rischi dovuti all’attività lavorativa per il personale sanitario operante negli studi odontoiatrici, la medicina legale, ovvero il problema della responsabilità professionale nel contenzioso tra odontoiatra e paziente. Questi argomenti hanno ricevuto negli ultimi anni forti e numerosi impulsi normativi e legislativi, che riconoscono una matrice comune nell’intento del legislatore di rispondere alla richiesta della società di tutelare il diritto alla salute dei lavoratori e dei pazienti. Si impone, quindi, una lettura dinamica del rapporto ambivalente, tra odontoiatri e società, che richiede l’acquisizione di una nuova mentalità capace di assorbire concetti di solito non abituali per il classico bagaglio culturale degli operatori. Lo studente, infatti, non trova nel suo curriculum di studi accademici queste materie e l’odontoiatra, successivamente, vedrà frequentemente mutare, nel corso della propria vita, sia le normative, sia le interpretazioni, sia gli adempimenti previsti per legge. Il numero delle pubblicazioni in materia e il flusso continuo di norme e di leggi ha proporzioni tali da fare abbandonare in partenza ogni velleitaria speranza di completezza e di stabilità delle conclusioni raggiunte. L’obiettivo prefisso non è una certosina raccolta di dati o documenti; bensì quello di fare provvisoriamente il punto sulla situazione di due argomenti che possono, a buon diritto, essere considerati delle subspecialità caratterizzate da un proprio specifico corpo e fisionomia: l’odontoiatria legale e la medicina del lavoro odontoiatrica. Questi argomenti, pur interessando potenzialmente una vasta categoria di operatori odontoiatrici, stimata in Italia nell’ordine di 200.000 persone circa, sembrano essere stati sempre tenuti in scarsa considerazione; come dimostra anche l’assoluta carenza di manuali che trattino specificamente e in modo unitario tali importanti aspetti. La frammentarietà dei trattati disponibili, peraltro, è frutto di sforzi isolati da parte di specialisti in medicina del lavoro e medicina legale, le cui considerazioni appaiono all’odontoiatra spesso svincolate dalla realtà lavorativa, quindi perlopiù incomprensibili o inapplicabili nella prassi clinica quotidiana. In quest’ottica serve, quindi, un continuo ruolo di traduzione tra diverse competenze in modo da facilitare la diffusione e la promozione di questi aspetti di cultura necessari all’attività professionale. Nell’accettare l’invito a realizzare questo volume, ho rispettato i suggerimenti ricevuti di semplicità e chiarezza, ponendomi costantemente il problema della scelta di che cosa sia più importante trasmettere a chi legge e come renderlo percepibile. Il testo è scritto per gli odontoiatri, ma è rivolto a tutto il personale che lavora nelle strutture odontoiatriche. Per tale motivo ho cercato di utilizzare un linguaggio comprensibile, pur nel rigore scientifico, in modo da favorire la lettura del testo anche da parte di operatori con formazioni e competenze professionali diverse. Sommacampagna 30 marzo 2001 Fabrizio Montagna INDICE Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX MEDICINA DEL LAVORO 11 Medicina del lavoro in odontoiatria Il personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . Le patologie occupazionali in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La valutazione in medicina del lavoro . Terminologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 4 5 7 9 11 14 14 16 13 Infezioni occupazionali ematogene Patologie trasmissibili in odontoiatria Modalità di esposizione occupazionale . Fattori di rischio per una trasmissione efficace . . . . . . . . . . . . . Epidemiologia delle infezioni occupazionali nel personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 24 25 14 Norme universali per la prevenzione delle infezioni ematogene occupazionali Norme universali di prevenzione (NUP) ................. 30 32 33 35 44 48 15 Disinfezione delle protesi 12 La salute del lavoratore: legislazione e giurisprudenza La normativa in tema di sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La tutela assicurativa dell’INAIL . . . . . . . La responsabilità civile e penale . . . . . . . . L’infezione occupazionale: orientamenti giurisprudenziali e medico-legali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Informazione e formazione professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Controllare il proprio stato di salute . . . . Evitare il contatto con il sangue e la saliva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rendere lo strumentario sicuro per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Limitare la disseminazione di sangue e la contaminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Identificazione e limitazione delle situazioni a rischio . . . . . . . . . . . . . . 30 Disinfezione delle impronte . . . . . . . . . . . . . 51 Modalità di invio di materiale protesico al laboratorio odontotecnico . . . . . . . . . . 52 Disinfezione delle protesi . . . . . . . . . . . . . . . . 53 16 Profilassi post-esposizione Il pronto soccorso nello studio odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Il rischio di epatite virale da HBV e HCV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Il rischio di infezione da HIV . . . . . . . . . . . 59 17 Dermatosi professionali Epidemiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dermatite irritativa da contatto (DIC) . Dermatite allergica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dermatiti infettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 63 64 66 18 Patologie muscolo-scheletriche Rachialgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Sindromi muscolo-scheletriche del distretto cervico-brachiale . . . . . . . . 75 XII INDICE 19 Radiazioni ionizzanti MEDICINA LEGALE 78 79 80 Cenni di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radiobiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radioprotezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione della popolazione . . . . . . . . . . . Orientamenti per la prevenzione . . . . . . . . 80 81 82 10 Patologie oculari Illuminazione del luogo di lavoro . . . . . . . 83 Radiazioni ottiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Traumi chimici e fisici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 11 Tossicologia professionale Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mercurio e amalgama dentale . . . . . . . . . . . Gas anestetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Protossido di azoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Disinfettanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 92 99 99 101 12 Patologie acustiche Elementi di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fisiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il rumore e la patologia correlata . . . . . . . Legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale e rischio occupazionale in odontoiatria . . . . . . . . 102 103 104 107 107 15 Epidemiologia del contenzioso La morfologia del contenzioso . . . . . . . . . . . La tariffazione del rischio e il premio assicurativo . . . . . . . . . . . . . . . La responsabilità e la quantificazione del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La percezione del problema da parte degli odontoiatri . . . . . . . . . . . . . Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 128 129 130 131 16 I motivi di insoddisfazione Il rapporto tra odontoiatra e società . . . . L’aumento del contenzioso sfavorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Motivi contingenti di insoddisfazione nella prassi clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prospettive e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 134 136 139 17 La prevenzione e la gestione delle situazioni difficili Aspetti psicologici nel rapporto odontoiatra-paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . La comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La contrapposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il conflitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 142 143 143 144 18 La prevenzione del contenzioso Come inizia il contenzioso .............. 148 13 Patologie respiratorie Le polveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Controllo della qualità dell’aria negli ambienti confinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Patologie respiratorie da polveri disperse e vapori nell’ambiente . . . . . . . Malattie infettive respiratorie . . . . . . . . . . . 110 111 112 113 113 14 Stress e patologie del comportamento La patologia psicosomatica . . . . . . . . . . . . . . 119 La patologia psichica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 19 La gestione del contenzioso stragiudiziale La conciliazione diretta tra odontoiatra e paziente . . . . . . . . . . . . La commissione di conciliazione dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri . . . . . . . . . . . . . . . . L’arbitrato irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La liquidazione del danno mediante la compagnia assicurativa . . . . . . . . . . . . 152 153 154 155 20 Il procedimento giudiziario La gestione del contenzioso giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 INDICE Il processo penale nelle sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 Il processo civile nelle sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 21 La modulistica per lo studio odontoiatrico 178 179 180 181 181 23 Casistica Modulo per il consenso alle cure . . . . . . . . . Tutela della privacy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esame medico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dispositivi su misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 171 171 174 22 La polizza assicurativa per responsabilità professionale Le condizioni generali di polizza La denuncia di sinistro . . . . . . . . . . . . . . . . . . La responsabilità di garanzia . . . . . . . . . . . L’efficacia temporale della polizza . . . . . . Il patto di gestione della lite e il conflitto di interessi . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XIII ....... 178 Caso 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia ..................................... 184 185 186 187 188 189 190 191 DELLA STESSA COLLANA (in preparazione) Bucci Sabattini V., Roncati Parma Benfenati M. – Parodontologia Crippa R. – Patologia orale Tessore G. – Odontoiatria conservativa Zerbinati A., Merlini R., Zerbinati F. – Chirurgia Per una consultazione dell’intero catalogo, visitate il sito internet http:// www.masson.it Fabrizio Montagna Le patologie professionali del personale odontoiatrico e il contenzioso odontoiatra-paziente Rischi, prevenzione, normative e responsabilità LA PRATICA ODONTOIATRICA collana diretta da Vincenzo Bucci Sabattini MASSON Tutte le copie devono portare il contrassegno della SIAE © 2001 - Masson S.p.A. - Milano Printed in Italy I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’AIDRO, via delle Erbe 2, 20121 Milano - Tel. e Fax 02/809506. La medicina è una scienza in continua evoluzione. La ricerca e l’esperienza clinica ampliano costantemente le nostre conoscenze, soprattutto in relazione alle modalità terapeutiche e alla farmacologia. Qualora il testo faccia riferimento al dosaggio o alla posologia di farmaci, il lettore può essere certo che autori, curatori ed editore hanno fatto il possibile per garantire che tali riferimenti siano conformi allo stato delle conoscenze al momento della pubblicazione del libro. Tuttavia, si consiglia il lettore di leggere attentamente i foglietti illustrativi dei farmaci per verificare personalmente se i dosaggi raccomandati o le controindicazioni specificate differiscano da quanto indicato nel testo. Ciò è particolarmente importante nel caso di farmaci usati raramente o immessi di recente sul mercato. Masson è una società del gruppo Havas Masson S.p.A. - Via F.lli Bressan 2, 20126 Milano Tel. 02.27.074.1 - Fax 02.27.074.553 - E-mail: [email protected] PRESENTAZIONE DELLA COLLANA Nel panorama editoriale di odontoiatria in Italia oggi sono prevalentemente presenti molti testi superspecialistici e di approfondimento di ogni singola branca della disciplina, o testi di clinica odontoiatrica estremamente generici e teorici e poco adatti a un utilizzo clinico pratico. La collana di Odontoiatria pratica e ragionata, che si propone di colmare il divario esistente, è costruita sulla base dell’esperienza clinica quotidiana oltre che dello studio e della ricerca di diversi autori, ognuno cultore di una parte della materia e contemporaneamente professionista e operatore pratico. È quindi attingendo alle conoscenze ed alle esperienze maturate in anni di lavoro professionale svolto alla poltrona che gli autori sviluppano volume per volume gli argomenti che, come un mosaico, compongono l’odontoiatria generale. Ogni autore, infatti, si è rifatto nella stesura della sua parte dell’opera, oltre che alla sua esperienza clinica, a protocolli internazionali accettati e ai dati più recenti della letteratura scientifico-odontoiatrica. Il piano dell’opera, dopo una esposizione semplice e pratica degli aspetti di medicina del lavoro e medico-legali legati alla professione, segue il percorso ideale del paziente che necessita di cure e che si rivolge allo studio professionale: dapprima l’igiene orale, successivamente la chirurgia, poi endodonzia, conservativa, parodontologia, ortodonzia, protesi ecc.: infatti, dapprima si pulisce la bocca del paziente con l’igiene orale e con le estrazioni degli elementi considerati persi o la cui presenza può essere causa di patologie, quindi, in relazione al piano di lavoro, si esegue il recupero degli elementi residui, la terapia parodontale e così via fino alla riabilitazione completa dell’apparato. Lo stesso piano dell’opera è, dunque, una guida pratica per l’odontoiatria generale, così come ogni volume offre un percorso diagnostico-terapeutico attuabile quotidianamente nella pratica ambulatoriale Questa è perciò un’opera di grande utilità per il dentista di odontoiatria generale: per il dentista vero, colui che quotidianamente è chiamato a risolvere i problemi più vari del paziente. Nell’accingerci a questo lavoro ci siamo proposti di realizzare una guida attraverso le immagini, estremamente utile agli interventi, con testi immediati, sintetici e pratici. Certo di lavorare nell’interesse della grandissima maggioranza dei colleghi, e in particolare dei giovani che si avvicinano alla professione, con giustificato orgoglio presento questa collana. Vincenzo Bucci Sabattini COLLABORATORI Donato CALISTA Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Dermatologia e in Malattie infettive. Dirigente di primo livello, Reparto di Dermatologia dell’Ospedale Bufalini di Cesena Claudio CROSARA Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Otorinolaringoiatria e in Audiologia Luigi M. DALEFFE Medico Chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia. Presidente nazionale ANDI Giuseppe FERRONATO Medico chirurgo. Diplomi di Specializzazione in Odontostomatologia, in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva e in Chirurgia Maxillo-facciale. Cattedra e Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-facciale dell’Università degli Studi di Padova. Direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Maxillo-facciale e della Scuola di Specializzazione di Ortognatodonzia dell’Università degli Studi di Padova Riccardo LUCCA Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia Marco L. SCARPELLI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Odontostomatologia Mario TOMMASI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Terapia fisica e Riabilitazione Marco VIANINI Medico chirurgo. Diploma di Specializzazione in Oculistica PREFAZIONE L’obiettivo posto alla base del progetto di questo libro è duplice e consiste nel presentare un panorama aggiornato su due diversi argomenti inerenti alla professione odontoiatrica: la medicina del lavoro, cioè i rischi dovuti all’attività lavorativa per il personale sanitario operante negli studi odontoiatrici, la medicina legale, ovvero il problema della responsabilità professionale nel contenzioso tra odontoiatra e paziente. Questi argomenti hanno ricevuto negli ultimi anni forti e numerosi impulsi normativi e legislativi, che riconoscono una matrice comune nell’intento del legislatore di rispondere alla richiesta della società di tutelare il diritto alla salute dei lavoratori e dei pazienti. Si impone, quindi, una lettura dinamica del rapporto ambivalente, tra odontoiatri e società, che richiede l’acquisizione di una nuova mentalità capace di assorbire concetti di solito non abituali per il classico bagaglio culturale degli operatori. Lo studente, infatti, non trova nel suo curriculum di studi accademici queste materie e l’odontoiatra, successivamente, vedrà frequentemente mutare, nel corso della propria vita, sia le normative, sia le interpretazioni, sia gli adempimenti previsti per legge. Il numero delle pubblicazioni in materia e il flusso continuo di norme e di leggi ha proporzioni tali da fare abbandonare in partenza ogni velleitaria speranza di completezza e di stabilità delle conclusioni raggiunte. L’obiettivo prefisso non è una certosina raccolta di dati o documenti; bensì quello di fare provvisoriamente il punto sulla situazione di due argomenti che possono, a buon diritto, essere considerati delle subspecialità caratterizzate da un proprio specifico corpo e fisionomia: l’odontoiatria legale e la medicina del lavoro odontoiatrica. Questi argomenti, pur interessando potenzialmente una vasta categoria di operatori odontoiatrici, stimata in Italia nell’ordine di 200.000 persone circa, sembrano essere stati sempre tenuti in scarsa considerazione; come dimostra anche l’assoluta carenza di manuali che trattino specificamente e in modo unitario tali importanti aspetti. La frammentarietà dei trattati disponibili, peraltro, è frutto di sforzi isolati da parte di specialisti in medicina del lavoro e medicina legale, le cui considerazioni appaiono all’odontoiatra spesso svincolate dalla realtà lavorativa, quindi perlopiù incomprensibili o inapplicabili nella prassi clinica quotidiana. In quest’ottica serve, quindi, un continuo ruolo di traduzione tra diverse competenze in modo da facilitare la diffusione e la promozione di questi aspetti di cultura necessari all’attività professionale. Nell’accettare l’invito a realizzare questo volume, ho rispettato i suggerimenti ricevuti di semplicità e chiarezza, ponendomi costantemente il problema della scelta di che cosa sia più importante trasmettere a chi legge e come renderlo percepibile. Il testo è scritto per gli odontoiatri, ma è rivolto a tutto il personale che lavora nelle strutture odontoiatriche. Per tale motivo ho cercato di utilizzare un linguaggio comprensibile, pur nel rigore scientifico, in modo da favorire la lettura del testo anche da parte di operatori con formazioni e competenze professionali diverse. Sommacampagna 30 marzo 2001 Fabrizio Montagna INDICE Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX MEDICINA DEL LAVORO 11 Medicina del lavoro in odontoiatria Il personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . Le patologie occupazionali in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La valutazione in medicina del lavoro . Terminologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 4 5 7 9 11 14 14 16 13 Infezioni occupazionali ematogene Patologie trasmissibili in odontoiatria Modalità di esposizione occupazionale . Fattori di rischio per una trasmissione efficace . . . . . . . . . . . . . Epidemiologia delle infezioni occupazionali nel personale odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 24 25 14 Norme universali per la prevenzione delle infezioni ematogene occupazionali Norme universali di prevenzione (NUP) ................. 30 32 33 35 44 48 15 Disinfezione delle protesi 12 La salute del lavoratore: legislazione e giurisprudenza La normativa in tema di sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La tutela assicurativa dell’INAIL . . . . . . . La responsabilità civile e penale . . . . . . . . L’infezione occupazionale: orientamenti giurisprudenziali e medico-legali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Informazione e formazione professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Controllare il proprio stato di salute . . . . Evitare il contatto con il sangue e la saliva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rendere lo strumentario sicuro per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Limitare la disseminazione di sangue e la contaminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Identificazione e limitazione delle situazioni a rischio . . . . . . . . . . . . . . 30 Disinfezione delle impronte . . . . . . . . . . . . . 51 Modalità di invio di materiale protesico al laboratorio odontotecnico . . . . . . . . . . 52 Disinfezione delle protesi . . . . . . . . . . . . . . . . 53 16 Profilassi post-esposizione Il pronto soccorso nello studio odontoiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Il rischio di epatite virale da HBV e HCV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Il rischio di infezione da HIV . . . . . . . . . . . 59 17 Dermatosi professionali Epidemiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dermatite irritativa da contatto (DIC) . Dermatite allergica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dermatiti infettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 63 64 66 18 Patologie muscolo-scheletriche Rachialgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Sindromi muscolo-scheletriche del distretto cervico-brachiale . . . . . . . . 75 XII INDICE 19 Radiazioni ionizzanti MEDICINA LEGALE 78 79 80 Cenni di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radiobiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radioprotezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione della popolazione . . . . . . . . . . . Orientamenti per la prevenzione . . . . . . . . 80 81 82 10 Patologie oculari Illuminazione del luogo di lavoro . . . . . . . 83 Radiazioni ottiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Traumi chimici e fisici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 11 Tossicologia professionale Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mercurio e amalgama dentale . . . . . . . . . . . Gas anestetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Protossido di azoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Disinfettanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 92 99 99 101 12 Patologie acustiche Elementi di fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fisiologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il rumore e la patologia correlata . . . . . . . Legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale e rischio occupazionale in odontoiatria . . . . . . . . 102 103 104 107 107 15 Epidemiologia del contenzioso La morfologia del contenzioso . . . . . . . . . . . La tariffazione del rischio e il premio assicurativo . . . . . . . . . . . . . . . La responsabilità e la quantificazione del danno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La percezione del problema da parte degli odontoiatri . . . . . . . . . . . . . Alcune considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 128 129 130 131 16 I motivi di insoddisfazione Il rapporto tra odontoiatra e società . . . . L’aumento del contenzioso sfavorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Motivi contingenti di insoddisfazione nella prassi clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prospettive e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 134 136 139 17 La prevenzione e la gestione delle situazioni difficili Aspetti psicologici nel rapporto odontoiatra-paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . La comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La contrapposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il conflitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 142 143 143 144 18 La prevenzione del contenzioso Come inizia il contenzioso .............. 148 13 Patologie respiratorie Le polveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Controllo della qualità dell’aria negli ambienti confinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Patologie respiratorie da polveri disperse e vapori nell’ambiente . . . . . . . Malattie infettive respiratorie . . . . . . . . . . . 110 111 112 113 113 14 Stress e patologie del comportamento La patologia psicosomatica . . . . . . . . . . . . . . 119 La patologia psichica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Esposizione professionale in odontoiatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 19 La gestione del contenzioso stragiudiziale La conciliazione diretta tra odontoiatra e paziente . . . . . . . . . . . . La commissione di conciliazione dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri . . . . . . . . . . . . . . . . L’arbitrato irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La liquidazione del danno mediante la compagnia assicurativa . . . . . . . . . . . . 152 153 154 155 20 Il procedimento giudiziario La gestione del contenzioso giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 INDICE Il processo penale nelle sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 Il processo civile nelle sue linee generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 21 La modulistica per lo studio odontoiatrico 178 179 180 181 181 23 Casistica Modulo per il consenso alle cure . . . . . . . . . Tutela della privacy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esame medico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dispositivi su misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 171 171 174 22 La polizza assicurativa per responsabilità professionale Le condizioni generali di polizza La denuncia di sinistro . . . . . . . . . . . . . . . . . . La responsabilità di garanzia . . . . . . . . . . . L’efficacia temporale della polizza . . . . . . Il patto di gestione della lite e il conflitto di interessi . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XIII ....... 178 Caso 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia ..................................... 184 185 186 187 188 189 190 191 MEDICINA DEL LAVORO INTRODUZIONE 1 MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA 2 LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA 3 INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE 4 NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI 5 DISINFEZIONE DELLE PROTESI 6 PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE 7 DERMATOSI PROFESSIONALI 8 PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE 9 RADIAZIONI IONIZZANTI 10 PATOLOGIE OCULARI 11 TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE 12 PATOLOGIE ACUSTICHE 13 PATOLOGIE RESPIRATORIE 14 STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO Le disposizioni legislative in materia di tutela della salute dei lavoratori si risolvono in un inevitabile aumento di responsabilità dell’odontoiatra nel suo ruolo di datore di lavoro. L’aumento delle relative incombenze è, da molti, interpretato come un noioso e inutile aumento del carico burocratico ed economico; peraltro ingiustificato per una professione che è caratterizzata da un basso rischio di patologie professionali. Personalmente ho sempre vissuto questo problema con molteplici e contrastanti sentimenti: come odontoiatra clinico partecipo al malessere dei colleghi e preferirei ignorare l’argomento; come esperto in medicina legale sono attratto dagli aspetti legislativi e giurisprudenziali della materia; come medico sono affascinato dalle patologie sistemiche e dalle correlazioni tra medicina e odontoiatria. Inoltre, come membro dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani, sono convinto che sia necessario per gli odontoiatri interessarsi della medicina del lavoro nel loro ambito, in modo da indirizzare il legislatore verso scelte corrette che costituiscano un aiuto e non un ostacolo all’esercizio della professione. Quando, però, per aggiornarmi sull’argomento, ho cercato delle fonti bibliografiche, sono rimasto sorpreso nel rilevare che nel panorama editoriale italiano non esisteva un’opera che compendiasse le diverse informazioni che risultavano, invece, sparse in modo inorganico in diverse pubblicazioni. Fiducioso nel fatto che le mie conoscenze in infettivologia costituissero una buona base di partenza e lusingato dalla curiosità sulla materia, ho iniziato a scrivere sull’argomento. Si è rivelata un’esperienza più faticosa del previsto, ma piacevole perché mi ha confermato alcune intuizioni di ordine generale. Innanzitutto, che l’odontoiatria è una professione sicura, ma che la conoscenza dei pur minimi rischi ad essa collegati permette di viverla più compiutamente e serenamente. In secondo luogo, che anche la materia a prima vista più ostica, una volta studiata e compresa, diviene straordinariamente interessante, forse anche perché ognuno di noi si affeziona alle proprie competenze. Omnia venenum sunt; nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non sit Qualsiasi cosa è velenosa: nessuna è priva di capacità venefica. È solo la dose che fa in modo che una sostanza non sia velenosa. Filippo Aurelio Teofrasto Bombast di Hohenhainm, noto con lo pseudonimo di Paracelso, 1493-1541 Lotio post mensam tibi confert munera bina: mundificat palmas et lumina reddit acuta, si fore vis sanus, ablue saepe manus Il lavarsi dopo cena ti dà un duplice beneficio: ti purifichi le palme e rende gli occhi acuti, se vuoi stare sano lavati spesso le mani. Scuola Salernitana, De utilitate lotionis manus, XIII secolo CAPITOLO 1 MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA F. Montagna Il personale odontoiatrico In base a dati stimati attualmente, nel nostro paese il personale odontoiatrico ammonterebbe a circa 180.000-200.000 unità che lavorano quasi totalmente in strutture private (tabella 1). Tuttavia, nonostante la notevole rilevanza dal punto di vista sia numerico che economico e sociale, il personale odontoiatrico è trascurato per quanto riguarda l’analisi dei fattori di rischio specifici inerenti l’attività e l’ambiente di lavoro. In particolare non esistono statistiche di settore su infortuni e malattie professionali, utilizzando, a tal fine, per estensione i dati derivati da altre attività sanitarie con profili di rischio molto diversi. Il pericolo di tali estrapolazioni è rappresentato Tab. 1 Numero e tipologia degli operatori odontoiatrici in Italia TIPOLOGIA DI OPERATORI ODONTOIATRICI • • • • • • • • • Odontoiatri* Maschi Femmine Rapporto odontoiatra/abitanti Esercenti abusivi la professione** Assistenti dentali** (100% sesso femminile) Igieniste dentali** Laboratori odontotecnici*** Totale NUMERO 37.842 79,7% 20,3% 1/1523,97 10.000-15.000 80.000-90.000 1400 2000 180.000-200.000 * Censimento FNOMCeO del febbraio 2000 (comprendente anche le doppie iscrizioni all’Albo degli odontoiatri e annotazione all’Albo dei medici). ** Dati stimati. *** Attività che risultano registrate presso il Ministero della Sanità nel 2000; il numero stimato di odontotecnici è di circa 45.000 unità. dall’alimentazione di ingiustificati timori, dalla proposizione di controlli immotivati o adempimenti legislativi onerosi e di limitata concreta utilità. Dalla carenza di dati deriva, inoltre, la difficoltà ad impostare un programma nazionale uniforme di informazione e formazione del personale odontoiatrico sui rischi professionali e sulle più adeguate misure preventive sia per il benessere degli operatori, nonché in funzione della normativa legislativa in tema di sicurezza degli ambienti di lavoro. In linea di massima il personale che lavora in strutture odontoiatriche può essere classificato in due linee di addetti in base alle funzioni a cui è adibito: • il personale sanitario (odontoiatra, igienista dentale, assistente dentale) con compiti di diagnosi e cura, per il quale esistono rischi specifici determinati dal contatto con malattie, farmaci, materiali dentali e dispositivi medici; • il personale non sanitario (addetto alla segreteria, all’amministrazione, alla pulizia) per il quale esistono rischi generici sovrapponibili ad altri ambiti lavorativi o domestici (microclima, organizzazione del lavoro). La suddivisione non può essere netta considerato che la maggior parte degli studi dentistici è di tipo monoprofessionale ed il limitato numero di operatori svolge più mansionari che si sovrappongono sulla stessa persona; ne consegue che tutto il personale di studio è generalmente esposto agli stessi fattori di rischio. Nel novero e nella trattazione svolta in questo manuale non è stato incluso il personale odontotecnico che presenta rischi professionali diversi dal personale dello studio odontoiatrico, più simili all’industria che al settore sanitario. 4 MEDICINA DEL LAVORO Le patologie occupazionali in odontoiatria È preliminarmente importante ribadire che la professione odontoiatrica è relativamente sicura e che il rischio per gli operatori è ridotto nei confronti di altre categorie di sanitari. Del resto, in mancanza di registrazioni o di raccolte sistematiche di dati inerenti alle morbosità occupazionali nel personale odontoiatrico in Italia, possiamo trarre le informazioni da alcune ricerche svolte prevalentemente mediante sondaggi individuali con interviste e questionari (tabella 2). Maggiore affidabilità offrono invece alcuni studi svolti all’estero mediante diagnosi di laboratorio per le malattie infettive e l’analisi dei registri nazionali delle malattie professionali. L’osservazione globale dei dati permette alcune considerazioni inerenti agli operatori odontoiatrici. • Le entità nosologiche considerate sono quasi esclusivamente rappresentate da patologie croniche e/o degenerative. • Le patologie osteoarticolari e nervose non sembrano presentare negli operatori odontoiatrici una prevalenza superiore a quella stimata nella popolazione generale e non costituiscono quindi un apprezzabile fattore di rischio. • Per quanto riguarda la prevalenza delle patologie infettive, la percentuale della sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV) e delle epatiti virali (HBV, HCV) è sovrapponibile a quella stimata nella popolazione generale. • Le dermatosi rappresentano vere e proprie malattie professionali con una prevalenza perlo- meno sovrapponibile ad altre categorie di operatori sanitari. Nell’ambito della medicina del lavoro, per quanto attiene le patologie professionali, si è soliti classificare in quattro gruppi gli agenti lesivi che possono presentarsi nell’ambiente. • I gruppo: non specifici dell’ambiente di lavoro, non nocivi di per se stessi, possono diventarlo allorché presenti in eccesso o carenti (illuminazione, rumorosità, microclima). • II gruppo: tipici e specifici dell’ambiente di lavoro come agenti lesivi chimici (polveri, gas, vapori), fisici (rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non, elettricità), biologici (virus, batteri, miceti). • III gruppo: legati alla fatica muscolare e in grado di provocare affaticamento acuto o, più frequentemente, a insorgenza progressiva; essi possono causare una riduzione del potere di concentrazione e attenzione. • IV gruppo: legati all’organizzazione del lavoro come turni, ritmi, ripetitività, rapporti gerarchici. La precedente suddivisione, per quanto artificiosa, permette di introdurre una classificazione dei fattori di rischio teorici, presenti nell’ambiente di lavoro, potenzialmente patogeni per il personale odontoiatrico (tabella 3). Non si tratta, evidentemente di patologie professionali specifiche, ma piuttosto di rischi potenziali a cui sono esposti gli operatori. L’incidenza di alcune di queste patologie, del resto, risulta rara, se non addirittura eccezionale o non ipotizzabile, soprattutto quando ci si riferisca ai danni da radiazioni ionizzanti, lesioni della retina per uso dei laser, ipoacusia da rumore, micromercurialismo. Tab. 2 Prevalenza delle patologie occupazionali in odontoiatria TIPO DI PATOLOGIA PREVALENZA QUADRO CLINICO • Patologie osteoarticolari 36-40% (Borea 1984, Gennari 1985) Low back pain syndrome • Patologie nervose 10,05% (Gennari 1985) Stress, nevrosi, disturbi del comportamento • Dermatosi 9,6% (Munksgard 1996) Dermatiti irritative 2/3 Dermatite allergica 1/3 • Malattie infettive HIV 0-0,1% (Klein 1986, Gruniger 1990) HBV 0,4% (ADA 1993) HCV 0,7 (Thomas 1996) Infezione da HIV, AIDS Epatite virale CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA 5 Tab. 3 Fattori e rischi potenziali per il personale odontoiatrico FATTORE AGENTE ESPOSIZIONE PATOLOGIA A RISCHIO • Fisico Radiazioni ionizzanti Radiazioni ottiche Apparecchi radiologici Danni stocastici o probabilistici (genotossicità, embriotossicità, cancerogenicità) Affaticamento visivo, astenopia Radiazioni sonore • Chimico Gas anestetici Protossido d’azoto Disinfettanti Glutaraldeide Clorodonatori Ammoni quaternari Resine Lattice Materiali dentari Detergenti, solventi Vapori di mercurio Sostanze allergizzanti Metalli • Biologico Lavoro con elevate esigenze visive Scarsa illuminazione Fotopolimerizzatori (UV, luce alogena) Laser Strumentario rotante Apparecchiature a ultrasuoni Aspiratore ad alta velocità Virus, batteri Epatotossicità Embriotossicità Dermatite irritativa da contatto* Irritazione di mucose respiratorie e congiuntive* Dermatite allergica da contatto Orticaria da contatto Altre forme di allergia (rinocongiuntiviti, asma, anafilassi) Micromercurialismo HBV, HCV, HDV, HIV HSV, batteri piogeni Infezioni ematogene (epatite virale, AIDS)* Infezioni da contatto alle mani (patereccio, cellulite)* Infezioni respiratorie, malattie esantematiche* Altri virus, batteri • Organizzazione Infortunio • del lavoro Postura Stress Cheratocongiuntivite, diminuzione acuità visiva, cataratta Lesioni retina Ipoacusia transitoria Taglienti, aghi Cadute Posizioni di lavoro statiche, errate Lavoro complesso, prolungato, con elevato ritmo Ferite* Contusioni, distorsioni, fratture Patologia muscolo-scheletrica (lombalgia, cervico-brachialgia) Disturbi comportamentali, nevrosi, burn-out * Patologie che rappresentano un potenziale rischio generico, sebbene la prevalenza e la gravità negli operatori odontoiatrici non risultino superiori alla popolazione generale. Per le altre patologie il rischio non è ipotizzabile o eccezionale. Invece, il rischio di dermatosi professionali e infezioni ematogene è reale, anche se le percentuali di prevalenza spesso non sono superiori alla popolazione generale. La valutazione in medicina del lavoro La medicina del lavoro ha progressivamente trasferito il proprio interesse prevalente dal momento clinico e riabilitativo a quello di prevenzione dei rischi sul lavoro; cioè, si occupa di pre- venire gli effetti nocivi che derivano dall’ambiente e dalle condizioni di lavoro sulla salute del lavoratore. La definizione di effetto avverso attualmente più accreditata è quella proposta da Sherwin (1983): un effetto avverso sulla salute è una situazione capace di causare, promuovere, facilitare e/o aggravare una compromissione strutturale e/o funzionale; sottointendendo come questa compromissione sia potenzialmente capace di abbassare la qualità della vita, determinare una malattia invalidante o condurre a morte prematura. 6 MEDICINA DEL LAVORO L’esposizione a un agente lesivo può agire sulla salute dell’individuo con diverse modalità, determinando: • un continuum di effetti, in sequenza progressiva, con una relazione di proporzionalità tra l’entità della dose e l’entità degli effetti; tipico degli agenti lesivi che presentino una dose soglia al di sotto della quale non si osservano effetti avversi (NOAEL - No Observed Adverse Effect Level); tra questi si possono ricordare, come esempio, alcune sostanze tossiche (il mercurio, i gas anestetici) e i rumori; • un effetto diretto e completo, caratteristico degli agenti privi di valore soglia per i quali il rischio vale zero solo a dose zero (ad esempio le radiazioni ionizzanti, i microrganismi patogeni, le allergie). Gli strumenti utilizzati in medicina del lavoro per finalizzare l’obiettivo della tutela della salute dei lavoratori negli ambienti di lavoro, sui quali ci soffermeremo in particolare, sono tre con diverse definizioni e obiettivi: • il monitoraggio ambientale; • il monitoraggio biologico; • la sorveglianza sanitaria. Va inoltre ricordato che, ad integrare tali parametri, concorrono anche altre misure di prevenzione, tra le quali: la progettazione e realizzazione dei locali (layout) e degli impianti (apparecchi radiologici e impianti elettrici e termici); l’audit, la formazione e l’analisi soggettiva dei rischi con il coinvolgimento dei lavoratori come previsto dalle normative vigenti. Nel paragrafo inerente alle considerazioni del presente capitolo, vedremo come solo alcune delle misure precedentemente esposte siano utili in odontoiatria. Il monitoraggio ambientale è definito secondo la Commissione Salute e Sicurezza della CEE: la misura e la valutazione degli agenti lesivi negli ambienti di lavoro e la valutazione della esposizione e dei rischi della salute a esse associati utilizzando appropriati limiti di riferimento. Il monitoraggio ambientale rappresenta la prima fase del processo di prevenzione attraverso la determinazione della dose esterna di un tossico, ovvero della quantità di sostanza presente nell’ambiente di lavoro, nel momento in cui viene eseguita una campionatura (raccolta con apposite apparecchiature) che viene successivamente sottoposta ad analisi. Secondo la definizione del Bureau International du Travail (1977) per i limiti di riferimento di esposizioni occupazionali del monitoraggio ambientale si intende: la concentrazione nell’aria di una sostanza nociva che, se le norme vengono rispettate, non ha generalmente effetti dannosi – anche a lungo termine e nelle generazioni successive – sulla salute dei lavoratori esposti da 8-10 ore al giorno, per 40 ore alla settimana. Questa esposizione è considerata accettata dalla Autorità competente che ne determina i limiti, ma è possibile che non garantisca completamente la tutela della salute di tutti i lavoratori. Il limite di esposizione non costituisce, quindi, una linea di demarcazione assoluta tra le concentrazioni nocive, ma mira soltanto a servire da guida alla prevenzione. Il monitoraggio biologico è definito come la misura degli agenti tossici o dei loro metaboliti presenti nei tessuti, secreti, escreti o aria espirata del lavoratore esposto. Tale scopo viene ottenuto con indicatori diversi: • gli indicatori di dose interna sono rappresentati dal dosaggio della sostanza o dei suoi metaboliti assorbiti dal lavoratore; • gli indicatori di effetto consentono di valutare effetti precoci e reversibili che si producono a livello dell’organo critico, ovvero dell’organo bersaglio nel quale per primo avvengono modificazioni biochimiche e strutturali in seguito all’esposizione a una sostanza tossica. La sorveglianza sanitaria costituisce “la valutazione periodica medico-fisiologica dei lavoratori esposti con l’obiettivo di proteggere la salute e prevenire le malattie correlate al lavoro”; è svolta con l’accertamento clinico periodico (visita medica) dei lavoratori e la prescrizione di esami da parte del medico competente. La valutazione conclusiva in medicina del lavoro si basa sul confronto dei risultati ottenuti con i monitoraggi con dei valori di riferimento presenti nella popolazione generale non esposta per motivi professionali o in lavoratori esposti privi di effetti avversi. Gli indici biologici di esposizione (BEI), ottenuti con il monitoraggio biologico, rappresentano insieme al valore limite di soglia (TLV), ottenuto con il monitoraggio ambientale, gli strumenti disponibili per la tutela della salute dei lavoratori. Attualmente in Italia esistono alcune norme di legge, relative a poche sostanze e agenti fisici, CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA che indicano le concentrazioni accettabili dei monitoraggi ambientali e biologici; per il resto ci si affida alla lista elaborata dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Il superamento dei limiti fa scattare tutta una serie di obblighi per la riduzione dell’esposizione; il compito di controllo e verifica dell’applicazione delle norme è assegnato all’organo di controllo delle ASL e all’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro). Terminologia La conoscenza degli aspetti di medicina del lavoro riconosce essenzialmente l’obiettivo di prevenire le patologie occupazionali, cioè impedire che l’esposizione agli agenti lesivi di natura professionale o le condizioni di lavoro possano provocare danni organici permanenti e invalidanti. L’acquisizione di una corretta terminologia costituisce un necessario approccio preliminare allo studio delle patologie occupazionali (o professionali); termine, quest’ultimo, che riassume entità nosologiche causalmente diverse nell’ambito della medicina del lavoro, comprendendo gli infortuni, le malattie professionali e la patologia correlata al lavoro. Il rischio professionale Il concetto di rischio, in ambito biologico, è definito come un evento potenzialmente in grado di determinare un’alterazione dello stato di salute o del benessere psicofisico dei soggetti esposti. Si distinguono diversi tipi di rischio. • Il rischio specifico, cioè direttamente connesso alla specifica attività lavorativa (ad esempio, l’infezione occupazionale a seguito di esposizione accidentale a materiale biologico per gli operatori sanitari). • Il rischio generico, che può concretizzarsi per qualsiasi individuo indipendentemente dall’attività lavorativa (vecchiaia, malattia, morte). • Il rischio generico aggravato, in cui il lavoratore risulta esposto a un maggior rischio generico proprio per le condizioni richieste dall’attività lavorativa (patologie muscolo-scheletriche dovute alla posizione di lavoro). 7 • Il rischio ambiente quando il lavoratore subisce l’effetto dannoso da parte di un rischio presente nell’ambiente di lavoro e non direttamente connesso alla sua attività (ad esempio, per il microclima dovuto all’illuminazione, al condizionamento, al rumore). I parametri di accettabilità del rischio in medicina del lavoro non rappresentano un optimum astratto; si tratta, cioè, di accettare un limitato numero di eventi patologici che sono ritenuti inevitabili per diverse situazioni. • Alcuni rischi specifici dell’attività lavorativa risultano, almeno parzialmente, ineliminabili; come, ad esempio, il rischio di infezione occupazionale a seguito di esposizione a materiale biologico per il personale sanitario. • La risposta ad un agente patogeno, in un gruppo esposto, non è mai omogenea per l’esistenza di una diversa suscettibilità individuale. In pratica all’interno di un gruppo i fenomeni sono distribuiti secondo una curva gaussiana: mentre una piccola percentuale di soggetti può risultare più resistente, un’altra può andare incontro ad alterazioni dello stato di salute in seguito all’esposizione a sostanze che nella maggior parte della popolazione non provocano alcun effetto. Quest’ultima osservazione introduce il concetto di ipersuscettibilità, definita come una situazione di abnorme reattività o predisposizione individuale che determina un rischio aggravato per la comparsa di patologia a seguito dell’esposizione a un agente patogeno (tabella 4). In questo ambito trovano collocazione alcuni tipi di personalità “accident prone”. La definizione trae origine dall’osservazione da parte di alcuni autori (Campbell e coll. 1981) che la maggior parte degli infortuni accade a un ristretto gruppo di lavoratori nei quali sembra esistere una predisposizione individuale agli incidenti: soggetti giovani, impulsivi, anticonformisti, ribelli nei confronti di regole e disposizioni, con bassa percezione del rischio. L’infortunio L’infortunio professionale, secondo la definizione adottata dall’INAIL, è qualsiasi lesione avvenuta per causa violenta, in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o una invalidità permanente, assoluta o parziale, ovvero una invalidità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. 8 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 4 Ipersuscettibilità e rischio aggravato per patologie correlate al lavoro in odontoiatria FATTORI ESEMPLIFICAZIONE RISCHIO AGGRAVATO • Condizioni genetiche Iperreattività cutanea Dermatiti irritative da contatto • Stati fisiologici Gravidanza Effetti stocastici delle radiazioni ionizzanti (genetici) Embriotossicità del protossido d’azoto (aborto) • Abitudini di vita Sedentarietà, obesità Patologie muscolo-scheletriche del rachide lombare • Stati patologici Allergia Dermatiti allergiche da contatto • Personalità Accident prone Nevrosi e disturbi del comportamento Infortuni Stress, burn-out L’infortunio è, quindi, un evento dannoso per la salute dell’individuo il cui accadimento dipende da un evento causale nella cui definizione entrano più concetti. • Causa violenta che abbia agito per una limitata durata di tempo, convenzionalmente considerata in un turno di lavoro (8 ore). • In occasione di lavoro, cioè che abbia agito mentre il soggetto si trovava sul luogo di lavoro oppure stava compiendo una qualche azione correlata ad esso. • Per caso fortuito, rispettando le norme di sicurezza dell’ambiente di lavoro stabilite per legge. Gli infortuni più frequenti in odontoiatria sono rappresentati prevalentemente dalle ferite da punta, causate da aghi da siringa e per le quali la procedura più pericolosa è il reincappucciamento dopo l’uso, e da taglio, causate da strumenti affilati, durante le manovre operatorie o nel corso delle procedure di riordino, disinfezione, sterilizzazione. Il rischio è di tipo specifico, insito nella possibilità che l’ago sia contaminato da sangue infetto e che l’operatore possa contrarre patologie infettive ematogene (epatiti virali, infezione da HIV); l’evento in ambito assicurativo è riconosciuto e indennizzato come infortunio sul lavoro. Un’altra categoria di infortuni del personale odontoiatrico è rappresentata dalle cadute, principali cause di contusioni e distorsioni, che assumono rilevanza come infortuni quando dipendano da un rischio ambiente; cioè quando il lavoratore subisca l’effetto dannoso da parte di un rischio presente nell’ambiente di lavoro ove egli svolge la sua mansione (ad esempio, l’uso di calzature inadatte, la presenza di pavimenti scivolosi, ostacoli architettonici). Le malattie professionali Per definizione sono riconosciuti come malattie professionali quegli eventi, dannosi per la salute dell’individuo, che rispondono alle seguenti caratteristiche: • la causa agisce in un tempo prolungato e per motivi di lavoro; • il nesso di causalità materiale, tra esposizione occupazionale e malattia professionale, è riconosciuto. Il riconoscimento del rischio professionale nel campo delle malattie professionali era inizialmente limitato a quei rischi e a quelle malattie riconosciute dal legislatore e indicate in un sistema tabellare chiuso (Allegati 4 e 5 del D.P.R. 30/6/65 n. 1124, sostituiti dal D.P.R. 13/4/94 n. 336). Questo sistema è stato praticamente trasformato in un sistema aperto dalla sentenza n. 179/88 della Corte di Cassazione che, nel rispetto del principio costituzionale della previdenza dei lavoratori, ammetteva la tutela assicurativa anche delle malattie non tabellate per le quali è riconosciuto un nesso causale con l’esposizione sul lavoro. CAPITOLO 1 • MEDICINA DEL LAVORO IN ODONTOIATRIA La differenza, che attualmente permane, consiste quindi nei criteri di indennizzabilità: • le malattie tabellate sono direttamente indennizzabili in quanto la prova dell’eziologia professionale è presunta all’atto dell’assicurazione (presunzione legale del nesso di causalità); • per le malattie non tabellate l’indennizzo è subordinato all’onere della prova a carico del lavoratore di dimostrarne l’eziologia professionale. In odontoiatria le malattie professionali (“occupational deseases”) sono quasi totalmente rappresentate dalle dermatosi professionali con il rischio analogo ad altre categorie di operatori sanitari. Le patologie correlate al lavoro In questa definizione sono ricomprese le cosiddette “job (work) related deseases” o, in altri termini, le affezioni a genesi multifattoriale (perlopiù di tipo cronico-degenerativo o a genesi psicosomatica) che possono trovare nell’attività lavorativa elementi causali non univoci o concausali di diversa rilevanza. Si tratta di patologie connesse a un rischio generico, che può concretizzarsi per qualsiasi individuo indipendentemente dall’attività lavorativa, o a un rischio generico aggravato, in cui il lavoratore risulta esposto a un maggior rischio generico proprio per le condizioni richieste dall’attività lavorativa. In questo ambito sono raggruppate la maggior parte delle patologie di interesse in odontoiatria e che rappresentano l’argomento principale della nostra trattazione, come, ad esempio, le patologie muscolo-scheletriche del rachide lombare che possono riconoscere in scorrette posizioni di lavoro un fattore concausale; lo stress che può essere aggravato da una cattiva organizzazione del lavoro. È comunque da ritenere che il ruolo marginale di tali fattori nel nesso di causalità tra patologia ed esposizione lavorativa non sia tale da assoggettare il personale odontoiatrico a procedimenti di sorveglianza sanitaria a cura di un medico competente. Alcune considerazioni Considerando l’esposizione professionale a fattori potenzialmente nocivi e, quindi, il rischio di insorgenza di possibili patologie professionali, sorge 9 spontanea la domanda sulla necessità e sulla opportunità di assoggettare il personale odontoiatrico a provvedimenti di prevenzione, oltre gli adempimenti previsti per legge. La distinzione tra accertamenti facoltativi e obbligatori è, peraltro, importante, in quanto l’espletamento di questi ultimi comporta un onere non indifferente per la professione odontoiatrica, richiedendo l’introduzione di controlli periodici a cura di medici competenti. In particolare ci si domanda, tra i controlli facoltativi, quali possano essere inopportuni e quali opportuni, anche solo come scelta individuale per prevenire potenziali rischi di patologie correlate al lavoro che risultino, comunque, dimostrate su base scientifica. Le analisi attualmente disponibili, sintetizzate in tassi di morbosità degli operatori odontoiatrici, derivano da indagini frammentarie, eseguite perlopiù in realtà diverse e in paesi stranieri; i dati, comunque, avvalorano una sostanziale assenza di rischi specifici, definendo l’odontoiatria come una professione sicura. In statistica biomedica, per esprimere il maggiore rischio di ammalarsi di coloro che sono esposti a un fattore rispetto ai non esposti, si utilizza il rapporto rischio relativo (RR); l’ideale valore pari a 1, nella formula seguente, vuole supportare l’affermazione per cui l’esercizio della professione odontoiatrica è ininfluente sullo sviluppo di malattie: RR = incidenza di patologie negli operatori odontoiatrici incidenza di patologie nella popolazione generale =1 Nei singoli capitoli di questo libro saranno affrontati i potenziali fattori di rischio che sono sempre presenti nell’attività odontoiatrica; ma le conclusioni possono essere anticipate come premessa per fungere da filo conduttore nella lettura dell’opera (tabella 5). Il monitoraggio ambientale è obbligatorio solo per quanto attiene la radioprotezione, risultando inopportuna la misurazione di altri parametri. La sorveglianza sanitaria, con visite periodiche, non è né obbligatoria, né opportuna. Il monitoraggio biologico è non obbligatorio e non opportuno, con una limitazione. Parziale eccezione a quest’ultima affermazione è rappresentata dal monitoraggio del rischio microbiologico inerente le patologie infettive a trasmis- 10 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 5 Strumenti per la tutela della salute degli operatori odontoiatrici ADEMPIMENTI APPLICAZIONE INDICAZIONI • Progettare e realizzare • ambienti di lavoro sicuri • ed ergonomici (layout) Illuminazione; aerazione; suddivisione degli spazi; impianti elettrico, termico e idrico-sanitario Obbligatorio Regolamenti edilizi comunali Autorizzazione ASL Autorizzazione Vigili del fuoco D.P.R. 412/93 (impianti termici) L. 46/90, D.P.R. 547/55 (impianti elettrici) • Acquistare e utilizzare • attrezzature mediche a norma Dispositivi medici con autorizzazioni, certificazioni e marchio CE; manutenzione regolare Obbligatorio L. 46/97 (93/42 EEC) • Analisi del rischio • e formazione degli operatori Audit, peer review, analisi soggettiva con coinvolgimento dei lavoratori Obbligatorio D.Lgs. 626/94 • Monitoraggio biologico Esami sierologici periodici, immunoprofilassi Facoltativo, opportuno, limitato a: esami sierologici per HIV, HBV, HCV; immunoprofilassi per HBV • Monitoraggio ambientale Radioprotezione (progettazione e sorveglianza fisica eseguita da esperto qualificato) Obbligatorio D.Lgs. 230/95 Non necessari altri controlli • Sorveglianza sanitaria Visita medica e controllo da parte di medico competente Non necessaria sione ematogena (HBV, HCV, HIV). Indicazione facoltativa, ma opportuna, che dovrebbe essere svolta ottemperando un protocollo minimo di esami sierologici ed ematochimici la cui stesura dovrebbe essere condivisa e demandata alle associazioni professionali. Questa soluzione ha il pregio di risultare intermedia tra affidare l’incarico di sorveglianza sanitaria a un medico competente (onere non obbligatorio per legge) e ignorare qualsiasi provvedimento per il controllo dello stato di salute dei lavoratori (atteggiamento facoltativo moralmente non condivisibile). CAPITOLO 2 LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA F. Montagna La normativa in tema di sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro La legislazione sulla tutela dei lavoratori risulta alquanto complessa, essendo costituita da centinaia di normative emanate in momenti diversi e non compendiate in un unico testo; per carenza legislativa, infatti, non è mai stato emanato il Testo Unico in materia di Igiene e Sicurezza del Lavoro come previsto dall’art. 24 della legge 833 del 1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale). I principi e le norme legislative di maggiore rilevanza in materia di sicurezza del lavoro e prevenzione del rischio professionale sono state riportate nei singoli capitoli specificatamente inerenti le patologie occupazionali. In questo ambito ci soffermeremo sull’analisi del D.Lgs. 19/9/94 n. 626 (modificato ed integrato dal decreto legislativo 19/3/96 n. 242) che rappresenta la norma di chiusura del sistema giuridico sulla salute dei lavoratori e degli ambienti di lavoro. Il decreto legislativo 626/94 Il D.Lgs. 19/9/94 n. 626, come modificato ed integrato dal D.Lgs. 19/3/96 n. 242, recepisce le direttive dell’Unione Europea; deve essere applicato a tutti i settori di attività pubblici e privati indipendentemente dal numero di persone occupate (art. 1). Il decreto recepisce sette direttive comunitarie (Attuazione delle direttive n. 89/391/CEE, n. 89/654/CEE, n. 89/655/CEE, n. 90/269/CEE, n. 90/270/CEE, n. 90/394/CEE e n. 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro) e modifiche, integrandoli il D.P.R. 547/55 e il D.P.R. 303/56. Gli interventi a cui è tenuto il datore di lavoro per la prevenzione delle malattie professionali e gli infortuni sul lavoro possono essere classificati in tre gruppi: sull’uomo, sull’ambiente e sull’attività lavorativa (tabella 1). Particolare enfasi è riposta sull’attività di informazione e formazione dei lavoratori in merito all’adozione di adeguate misure preventive, in modo da eliminare o ridurre le cause di rischio riconducibili a scorretti comportamenti. Le principali misure per la protezione della salute e la sicurezza dei lavoratori sono (D.Lgs. 626/94 art. 3): • Valutazione dei rischi. • Eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non sia possibile, loro riduzione al minimo. • Riduzione dei rischi alla fonte. • Programmazione della prevenzione. • Sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso. • Rispetto dei principi ergonomici. • Priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale. • Limitazione al minimo del numero di lavoratori esposti al rischio. • Misure igieniche. • Misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, lotta antincendio, evacuazione. • Regolare manutenzione di ambienti, attrezzature e impianti. • Informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro. • Istruzioni adeguate ai lavoratori. 12 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 1 Interventi per la sicurezza del lavoro in odontoiatria TIPO DI INTERVENTO SCOPO APPLICAZIONE • Uomo Istruire il personale sui rischi e le misure di prevenzione Informazione su infortuni e malattie professionali (corsi di aggiornamento, circolari, avvisi) Formazione sulla utilizzazione e manutenzione delle attrezzature • Ambiente Realizzare ambienti e acquistare attrezzature in regola con i requisiti di sicurezza Ambienti ergonomici (aerazione, illuminazione, microclima) Impianti civili a norma (riscaldamento, elettrico, idrico) Impianti medici in regola con i requisiti di sicurezza e muniti di autorizzazioni e/o certificazioni • Attività lavorativa Applicare le misure di prevenzione nell’organizzazione del lavoro Utilizzazione di dispositivi medici sicuri, muniti di autorizzazione e certificazioni Disponibilità di mezzi di protezione adeguati (misure di barriera, vestiario) Organizzazione del lavoro per evitare sovraccarico lavorativo fisico e psichico (turni, mansionari) Pronto soccorso in caso di infortunio Soggetti previsti I soggetti coinvolti sono: il datore di lavoro (DdL), il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP), il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RSL), i lavoratori. Nel decreto legislativo in esame, il DdL è definito come soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o, comunque, il soggetto che ha la responsabilità dell’attività (art. 2). Il RSPP è persona designata dal datore di lavoro e per gli studi odontoiatrici il ruolo può essere assunto dallo stesso odontoiatra-datore di lavoro; deve possedere specifiche competenze ed è richiesta la frequenza al corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro nel caso sia stato nominato dopo il 31/12/96 (art. 95); tale corso di formazione può essere promosso dalle associazioni datoriali. Il RSL è persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro (art. 2). Il RSL non deve possedere capacità particolari, in quanto è prevista la frequenza obbligatoria di un apposito corso di formazione (art. 19, comma 1; art. 22, comma 4). I principali compiti cui è soggetto il RSL sono i seguenti (art. 19, comma 1): • Accedere ai documenti relativi alla valutazione e al registro degli infortuni. • Essere consultato preliminarmente alla stesura della valutazione dei rischi e dei programmi di prevenzione e organizzazione della formazione. • Ricevere informazioni dal servizio di vigilanza. • Promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione. • Formulare osservazioni in occasione di visite effettuate dalle autorità competenti. • Partecipare alle riunioni del servizio di prevenzione. • Avvertire il responsabile dell’azienda dei rischi individuati. • Ricorrere all’autorità competente qualora le misure di protezione adottate dal datore di lavoro non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute. Gli adempimenti imposti dalla normativa variano in relazione al numero di dipendenti, risultando più complessi nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupino più di 10 dipendenti (tabella 2). Tra le altre figure previste dal decreto è individuato anche il profilo del medico competente; a tale proposito va sottolineato che, a causa del ridotto rischio professionale, non è necessario nominare il medico competente negli studi odontoiatrici; inoltre non è necessario sottoporre a sorveglianza sanitaria gli odontoiatri e il personale assistente. CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA 13 Tab. 2 Linee guida ANDI per gli adempimenti previsti dal D.Lgs. 626/94 per l’odontoiatra-datore di lavoro che assuma anche l’incarico di RSPP PER CHI HA MENO DI 10 DIPENDENTI PER CHI HA PIÙ DI 10 DIPENDENTI 1. Informare i lavoratori dell’obbligo di eleggere il proprio responsabile dei lavoratori per la sicurezza (RSL)* verbalizzandone la nomina 2. Nominarsi responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP)* e inviare comunicazione a: - azienda ASL competente - Ispettorato del Lavoro - RSL 3. Nominare l’addetto al pronto soccorso (PS)* 4. Nominare l’addetto al pronto intervento (PI)* 5. Informare e formare i lavoratori sui rischi e sulle misure di prevenzione 6. Compilare il modulo di autocertificazione (l’autocertificazione non esime il DdL dalla valutazione dei rischi) da inviare a: - azienda ASL competente - Ispettorato del Lavoro - RSL 7. Si consiglia, pur non essendo obbligatorio, di compilare le liste di controllo (da tenere in studio) insieme al RSL, modificandole ed adattandole per renderle adeguate alla propria realtà 8. In caso di carenza di sicurezza: programmare l’esecuzione delle migliorie e poi attuarle concretamente 9. Nel registro infortuni (da tenere obbligatoriamente presso lo studio) annotare ogni infortunio che comporti assenza dal lavoro di almeno 1 giorno 10. Partecipare al corso ANDI per i RSPP (chi ha assunto l’incarico prima del 31/12/96 è esentato ma è consigliata comunque la partecipazione) 11. Far partecipare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza al corso apposito (RSL) 1. Tutti gli adempimenti della colonna precedente (tranne il punto 6) 2. Elaborare il documento di valutazione del rischio (da tenere in studio) 3. Stesura di un piano di emergenza ed evacuazione 4. Organizzare una riunione periodica (annuale per le unità produttive con più di 15 dipendenti) di prevenzione e protezione dai rischi (art. 11) a cui partecipano il DdL, il RSPP, il medico competente,** il RSL Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti: - l’idoneità dei mezzi di protezione individuale - i programmi di informazione e formazione dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute Il DdL provvede alla redazione del verbale della riunione che è tenuto a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che abbiano riflessi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori * La normativa permette l’attribuzione del ruolo di PS, PI, RSPP allo stesso datore di lavoro (DdL) con una autonomina. ** Negli studi odontoiatrici non è necessaria la nomina del medico competente. Sanzioni In base a tale decreto la presenza o assenza delle attrezzature di sicurezza acquista una rilevanza essenziale; gli adempimenti imposti dal decreto riguardano sia il datore di lavoro che il lavoratore che deve prendersi cura della propria salute e di quella delle altre persone (artt. 4 e 5). L’inosservanza delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 626/94 è punita con gravi sanzioni amministrative e penali: • il datore di lavoro ed il dirigente che non ottemperino ai propri obblighi sono puniti a seconda delle norme violate con l’arresto e la reclusione da due a sei mesi o con un’ammenda da due a otto milioni di lire; • i lavoratori che non osservino le disposizioni o non utilizzino i materiali disponibili sono puniti con l’ammenda da lire 200.000 a lire 1.200.000. Per quanto attiene agli obblighi di progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori, ricordiamo che sono vietate la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la locazione finanziaria (leasing) di macchine, attrezzature e di impianti non rispondenti alla legislazione vigente (art. 6). Per i contratti di appalto o contratti d’opera sono previsti obblighi a carico del datore di lavoro in merito a informazione, cooperazione con gli altri datori di lavoro e coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione (art. 7). 14 MEDICINA DEL LAVORO La tutela assicurativa dell’INAIL Nel nostro paese l’ente che si occupa di assicurare e indennizzare gli infortuni e le malattie professionali è l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione degli Infortuni sul Lavoro (INAIL); l’assicurazione è obbligatoria e a carico del datore di lavoro (D.P.R. 30/6/65 n. 1124, Testo Unico per l’Assicurazione Obbligatoria contro gli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali). L’assicurazione include tutti i casi di infortunio e malattia professionale, che abbiano determinato morte o una inabilità temporanea o permanente, avvenuti per causa e in occasione di lavoro; garantisce un indennizzo per il periodo di mancato guadagno e per la ridotta attitudine permanente al lavoro, purché superiore ai limiti di franchigia: • una invalidità temporanea che causi un’astensione per più di tre giorni; • una invalidità permanente che sia superiore all’11% della capacità lavorativa totale; nel qual caso è corrisposta una diaria mensile con rendita proporzionale al grado del danno. La tutela assicurativa da parte del datore di lavoro, nel caso di specie il dentista titolare dello studio, non lo garantisce, tuttavia, dall’obbligo risarcitorio, civilisticamente inteso, del danno alla persona, ove venisse documentata una sua colpa nella verificazione dell’infortunio. L’azione indennizzatrice operata dall’INAIL è circoscrivibile, infatti, alla garanzia “ridotta attitudine al lavoro” (capacità lavorativa generica) e non già al danno biologico in senso proprio, che abbiamo visto è il danno base (cosiddetto “danno evento”) sempre presente e tuttavia estraneo alla tutela INAIL. Ciò vuol dire che il dentista, in caso di sua responsabilità, può trovarsi esposto al rischio di dover autonomamente risarcire il danno sofferto dal lavoratore dipendente. Si tratta di un punto fermo nella evoluzione giurisprudenziale a partire dalla sentenza n. 356/91 della Corte Costituzionale e ribadito dalla Corte di Cassazione: Cass. n. 8325 8/7/92 L’esonero da responsabilità civile del datore di lavoro previsto dall’art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, a seguito delle sentenze n. 87 e n. 356 del 1991 della Corte Costituzionale, non può ritenersi esteso anche al c.d. danno biolo- gico, talché il lavoratore, al fine di ottenere il risarcimento, può rivolgersi direttamente al datore di lavoro il quale rimane responsabile qualora il fatto dannoso derivi da un comportamento colposo (anche se non avente rilievo penale) a lui o a un suo sottoposto addebitabile, mentre detta responsabilità rimane esclusa solo nel caso di evento dovuto a caso fortuito, forza maggiore o a colpa esclusiva del lavoratore. È opportuno inoltre ricordare che esistono alcune situazioni in cui può risultare non operante la garanzia assicurativa o è ipotizzabile la rivalsa da parte dell’ente sul datore di lavoro responsabile della sicurezza. • Assenza di assicurazione. • Mancata denuncia di infortunio. • Denuncia oltre il termine di 48 ore dal momento in cui si viene a conoscenza dei fatti (generalmente sanzionato con multa). • Incarico di lavoro illegittimo (attività non prevista dal mansionario; utilizzazione di strumenti non previsti dal profilo professionale). • Mancato rispetto delle norme di sicurezza dell’ambiente e delle attrezzature di lavoro. Da quanto esposto deriva la necessità, per il titolare dello studio, di assicurare con polizze integrative la responsabilità civile conseguente a patologia professionale del personale dipendente, in modo da essere manlevato dalle spese per il risarcimento di danni riconducibili ad atteggiamento colposo nella conduzione di locali, attrezzature ed attività di studio. La responsabilità civile e penale La normativa sul lavoro sancisce in maniera inequivocabile il dovere di sicurezza che il datore di lavoro ha nei confronti dei lavoratori dipendenti ed il diritto di questi ultimi alla tutela della propria integrità. Il principio base del sistema normativo e giurisprudenziale italiano in materia di sicurezza sul lavoro è rappresentato dal concetto di “rischio accettabile”, cioè il rischio residuo che si realizza quando siano state attuate tutte le misure atte ad assicurare la massima sicurezza tecnologicamente realizzabile, in modo da CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA Cass. 15/3/82 […] tutelare nel miglior modo la sicurezza, ponendo in essere i più avanzati ritrovati tecnici in relazione alle continue scoperte della scienza moderna. Le misure di sicurezza devono essere mirate al particolare rischio presente e basarsi su conoscenze tecniche e scientifiche aggiornate; la loro applicazione riconosce come unico limite la fattibilità tecnica e prescinde da qualunque valutazione di tipo economico. In contrapposizione si pone il concetto di “rischio indebito” o giuridicamente inaccettabile che consiste in un rischio dannoso che si verifica per la mancata diminuzione o bonifica tecnologica che era possibile realizzare. Nell’ipotesi in cui alla base di una patologia professionale esista il mancato rispetto di norme di sicurezza stabilite per legge, la magistratura può venire coinvolta allo scopo di accertare eventuali responsabilità personali (del datore di lavoro, dei compagni, dell’infortunato stesso) nello svolgimento dei fatti e, nel caso, per punire il responsabile secondo i termini di legge (figura 1). Nella maggior parte dei casi si configura l’ipotesi di responsabilità a carico del datore di lavoro stante l’individuazione della responsabilità in capo al medesimo da parte della normativa. Nel Codice Civile il fondamento dell’obbligo generale di tutela per la sicurezza dei lavoratori è ricavabile dall’art. 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro) il cui disposto obbliga l’imprenditore ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori. Nel Codice Penale l’omissione o la rimozione colposa o dolosa di cautele per la prevenzione degli infortuni sul lavoro è specificatamente prevista e sancita dall’art. 451 (Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) e dall’art. 437 (Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro). Lesioni personali o morte derivanti dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni NORMATIVA SULLA SICUREZZA DEL LAVORATORE E DEGLI AMBIENTI DI LAVORO Obblighi dei dipendenti Conoscenza del problema (aggiornamento e istruzione in norme e regolamenti) Applicazione delle norme di sicurezza (diligenza, prudenza, perizia) Obblighi del datore di lavoro Informazione generale e specifica (avvisi, circolari, corsi di aggiornamento) Fornitura di dispositivi medici e ambienti sicuri Verifica e controllo della applicazione della normativa Misure di prevenzione PATOLOGIA OCCUPAZIONALE (infortunio, malattia professionale, patologia correlata al lavoro) RISCHIO INDEBITO PER INOSSERVANZA DELLE NORMATIVE Responsabilità del lavoratore Ammenda a carico del lavoratore Risarcimento a carico dell’INAIL Fig. 1 Attribuzione di responsabilità 15 Responsabilità del datore di lavoro Risarcimento a carico dell’INAIL e rivalsa sul responsabile (azione limitata alla invalidità lavorativa) Risarcimento del danno biologico in sede civile Azione penale Sanzioni amministrative (ammenda e detenzione) 16 MEDICINA DEL LAVORO sul lavoro sono considerate con maggior severità nei confronti di altre eventualità attraverso un inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio anche in caso di lesioni colpose (art. 589 c.p., Omicidio colposo; art. 590 c.p., Lesioni personali colpose). Per concludere nella figura 2.1 è sintetizzato, attraverso un diagramma di flusso, la ratio medicolegale nella attribuzione della responsabilità nell’ipotesi di patologia occupazionale. L’infezione occupazionale: orientamenti giurisprudenziali e medico-legali La terapia odontoiatrica è una pratica invasiva che espone l’operatore al rischio di trasmissione di gravi patologie infettive a trasmissione ematogena quali le epatiti virali e l’infezione da HIV, mediante diverse modalità di esposizione che sono rappresentate dalla via parenterale (ferita, taglio, puntura accidentale) e parenterale inapparente (contaminazione di lesioni cutanee difficilmente individuabili, esposizione di mucose e congiuntive). Nella maggior parte dei casi di operatori sanitari infettati, non è impossibile con l’anamnesi risalire ad un episodio di esposizione parenterale responsabile del contagio ed in questi casi si ammette che l’infezione sia avvenuta attraverso la via parenterale inapparente o per comportamenti a rischio dell’operatore stesso (promiscuità sessuale, tossicodipendenza, ecc.). Del resto l’adozione di precauzioni universali non elimina il rischio di esposizione a materiale biologico infetto che può avvenire accidentalmente per gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza. Tali considerazioni introducono due diversi problemi: la responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro a cui consegua una infezione occupazionale; il problema della operatività della tutela assicurativa. L’importanza di tali osservazioni è evidente, se ci soffermiamo a considerare che in uno studio libero-professionale il dentista riassume in sé la figura di responsabile del servizio e direzione sanitaria su cui ricade l’obbligo di sicurezza dell’ambiente di lavoro. Il nesso di causalità tra infortunio e infezione occupazionale Per la definizione di infezione occupazionale accertata devono essere soddisfatti alcuni criteri che rappresentano i requisiti necessari per ricostruire una relazione diretta tra l’evento a rischio, lo stato di malattia del paziente e la sieroconversione dell’operatore. In alcuni centri inoltre è possibile eseguire la tipizzazione virale per dimostrare la somiglianza genomica tra il ceppo infettante del paziente e dell’operatore. Tale definizione è utilizzata per lo studio statistico delle infezioni occupazionali e rappresenta sostanzialmente un parametro scientifico di elevata affidabilità, che tuttavia è difficilmente applicabile nella pratica. È, quindi, evidente che in ambito assicurativo, medico-legale e giurisprudenziale nasca la necessità di mediare, nelle fattispecie concrete, una soluzione logica tra la richiesta di risarcimento o indennità per una presunta infezione occupazionale e la effettiva difficoltà di provarne la genesi, il più delle volte in base a criteri di probabilità o possibilità. Per ottenere e attivare la garanzia assicurativa è importante dimostrare il nesso di causalità materiale tra infortunio e malattia conseguente, visto che in ambito infortunistico non vige il principio di presunzione legale di origine come nelle malattie professionali tabellate. In caso di esposizione accidentale, va sottolineata l’importanza del comportamento da tenere per potere dimostrare il nesso di causalità tra l’evento e il futuro sviluppo di una infezione occupazionale: CRITERI DI DEFINIZIONE DI INFEZIONE OCCUPAZIONALE • Documentata esposizione a materiale biologico appartenente a paziente con infezione accertata • Assenza di altri fattori di rischio (prima dell’incidente e durante il follow up) • Sieronegatività precedente documentata con esami sierologici negativi a distanza di pochi giorni dall’incidente • Sieroconversione dimostrata in un tempo compatibile con l’incubazione della patologia (6-12 mesi) CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA • riportare sul registro degli infortuni la data e le modalità di esposizione accidentale a materiale biologico; azione obbligatoria prevista dal D.Lgs. n. 626/94; • comprovare con esami sierologici immediati lo stato di salute dell’operatore al momento dell’infortunio (stato anteriore). Secondo l’orientamento giuridico prevalente, nel caso di epatite virale l’alto rischio depone a favore del lavoratore anche in difetto di prova, come ribadito da varie sentenze dalla Corte di Cassazione: Cass. n. 5746/82 […] causa violenta in occasione di lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo-fisiologico, purché la suddetta azione sia in rapporto accettabile anche in presunzione semplice con lo svolgimento dell’attività lavorativa … il ricorso a presunzioni semplici e la concorrenza di determinate circostanze obiettive può essere in tali casi sufficiente per la formazione del convincimento […] Analoga è la sentenza della Sezione Lavoro relativa al caso di un infermiere che si era visto negare dall’INAIL una rendita di invalidità permanente per epatite virale cronicizzata per la mancata individuazione dell’evento lesivo: Sez. Lav. n. 3090 13/3/92 […] è certamente viziata la sentenza impugnata, nella quale, pur ammettendo la possibilità di ricollegare l’affezione con l’espletamento delle mansioni svolte dall’appellante, si nega l’esistenza di un rapporto causale tra la prima e la seconda sulla base di argomentazioni del tutto fragili, come la mancata individuazione di un preciso evento, 17/9/83, e la conclamazione della malattia, 22/9/83, attese le difficoltà di cui si è detto scientificamente riconosciute; come il rilievo circa la notevole distanza di tempo tra l’asserito infortunio e la data di denuncia dello stesso, 8/8/96 […] Tale presunzione non è operante nel caso di infezione da HIV per il basso rischio professionale e la difficoltà di escludere altre cause come comportamenti a rischio; diviene quindi fondamentale la tempestiva segnalazione di infortunio all’INAIL o all’assicurazione per comprovare il nesso di causalità. Da ricordare infine la L. 25/2/92 n. 210 e la Circolare 17 Ministeriale 10/4/92 n. 500 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati) in base alle quali rientrano tra le categorie gli operatori sanitari che abbiano contratto infezione da HIV a seguito di esposizione professionale o danneggiati a seguito di vaccinazioni. Il consenso informato per l’esecuzione di accertamenti sanitari sul personale dipendente La nostra Costituzione sancisce: Cost. art. 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Detto articolo si pone in linea evidente con quanto espresso anche dall’art. 13 della Costituzione e cioè il principio fondamentale della inviolabilità della libertà personale, nel quale si ritiene compresa la libertà di salvaguardare l’integrità fisicopsichica della persona. Alcuni autori ritengono che proprio dalla connessione di queste due norme costituzionali si possa ricavare, come norma universale, che qualsiasi trattamento sanitario, diretto unicamente a vantaggio del singolo, presupponga il consenso della parte interessata. Dalle regole generali deriva che nessuno può essere sottoposto a prelievo di sangue per l’accertamento della sieropositività della infezione da HIV contro oppure senza la sua volontà; inoltre il sangue prelevato ad altri fini non può essere utilizzato per l’accertamento della sieropositività. Quindi la volontarietà costituisce la regola ed ogni deroga costituisce un’eccezione che deve essere provata e giustificata rigorosamente. Solo un interesse diretto della collettività potrebbe giustificare l’imposizione di un obbligo da parte del legislatore, come per esempio nei casi in cui sia necessario prevenire e reprimere malattie altamente contagiose che, diffondendosi, possano costituire un diretto danno sociale; vale a dire che la compressione degli interessi individuali può essere giustificata so- 18 MEDICINA DEL LAVORO lo ed esclusivamente dalla prevalenza di interessi generali. I trattamenti sanitari obbligatori (TSO) previsti da specifica disposizione di legge necessitano di presupposti oggettivi per non ricadere in ambito costituzionalmente illegittimo (L. 13/5/78 n. 180, L. 23/12/78 n. 833); l’accertamento sanitario obbligatorio o l’imposizione di una terapia è da considerarsi costituzionalmente illegittima qualora non si ravvisi una minaccia seria per la collettività, limite previsto dall’ultima parte del secondo comma dell’art. 32 della Costituzione il quale attiene al rispetto della persona umana nei cui confronti è disposto il trattamento sanitario. Il TSO deve essere considerato come “extrema ratio”, cui ricorrere solo quando non sia possibile ottenere il consenso del singolo interessato; la richiesta dell’interessato rimane la regola, l’obbligatorietà l’eccezione. Qualora il medico, alla luce di queste disposizioni, sottoponga un soggetto a terapia o ad accertamenti non richiesti, incorre in responsabilità di carattere civile e penale: nella fattispecie civilistica può essere chiesto il risarcimento per danno biologico, figura da qualche tempo riconosciuta dalla giurisprudenza come diretta conseguenza dell’applicazione dell’art. 2043 c.c.; in sede penale, oltre alla responsabilità per lesioni personali, potrebbe delinearsi nella condotta arbitraria del medico il reato di violenza privata (art. 610 c.p.). Il provvedimento viene tradotto in quella che è la legge quadro in materia di AIDS, L. 5/6/90 n. 135 che espressamente dispone: Art. 5 comma 4 Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate. Una radicale innovazione alla legge quadro in materia di AIDS sulla necessità del consenso al test HIV viene apportata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2/6/94 che stabilisce il primato della tutela della salute “diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività”; la consulta afferma che la salute, bene primario e costituzionalmente altamente protetto, implica il dovere dell’individuo di non ledere né di porre a rischio la salute altrui. La questione di legittimità era stata sollevata dal pretore di Padova in relazione al caso di una dipendente di una casa di cura per persone non autosufficienti che si era rifiutata di sottoporsi ad esami sanitari, presso una struttura pubblica, disposti dall’amministrazione dell’istituto per accertare se fosse o meno affetta da sindrome di immunodeficienza acquisita. La consulta ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 5 comma 3 e 5 della legge 5/6/90 n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS), nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività all’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute di terzi. La questione riguarda il delicato problema della individuazione dei confini all’interno dei quali è consentito operare il difficile bilanciamento dei valori ai quali la Costituzione assegna uno specifico risalto. Il primo termine di riferimento della Corte è la tutela della salute come bene primario, alla cui stregua è stata valutata la scelta legislativa del divieto di screening obbligatorio senza consenso. Sotto questo profilo non è venuto meno il divieto di test senza consenso ma, ponendo in rilievo le condizioni del tutto particolari di alcune attività di lavoro, peraltro non specificate, dove non si è ritenuto che esistesse il rischio di contagio, sulla base di una semplice possibilità di un incontro fisico, si è introdotto l’onere degli accertamenti ematici, per fornire piena garanzia di tutela al bene salute collettiva. Tale sentenza della Corte Costituzionale è stata supportata dalla seguente motivazione: Il principio della tutela della salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione Corte Cost. n. 218 2/6/94 […] implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. L’interesse comune della salute collettiva e l’esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell’esercizio delle attività stesse. CAPITOLO 2 • LA SALUTE DEL LAVORATORE: LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA Sembra, dunque, evidente che la decisione della Corte, come si desume dalla motivazione della decisione adottata, è funzionale esclusivamente alla tutela della salute dei terzi e non del singolo presunto portatore del morbo. La Corte quindi delinea un generico ambito di “sanità pubblica” riferito ad attività di lavoro non determinate ma ritenute potenziali cause di contagio da HIV, la cui individuazione è necessariamente rimessa ai titolari del potere normativo. L’unica indicazione che si ritrova nella sentenza in esame riguarda l’attività di assistenza e cura della persona, che è quella che ha fatto sorgere la questione di legittimità costituzionale. Ma anche in questo caso, l’assoluta indeterminatezza dell’asserto impone necessariamente una integrazione normativa che specifichi le concrete attività più esposte sotto il profilo del rischio di contagio a terzi. Responsabilità del datore di lavoro in caso di infezione occupazionale Il problema della trasmissione dell’infezione nello studio odontoiatrico riguarda il sanitario, dal punto di vista medico-legale, sotto l’aspetto della responsabilità professionale e quello degli adempimenti obbligatori per legge. Il problema della responsabilità professionale si configura sotto il duplice aspetto penale e civile nei confronti del paziente, del personale dipendente e collaboratore, di qualsiasi altra terza persona, compresi i familiari. Nell’ipotesi di trasmissione di una grave infezione nel corso di terapie odontoiatriche si configura una colpa professionale per imprudenza e negligenza, derivante da atteggiamento omissivo nella applicazione delle norme universali di protezione, riconducibile ad uno dei seguenti atteggiamenti: • insufficiente presenza di presidi ambientali e strumentali che assicurino la sterilizzazione e l’asepsi dello strumentario (sterilizzatrici, autoclavi, centro di sterilizzazione); • assenza di utilizzazione di misure di barriera (camice, guanti, mascherina, occhiali schermo) in quanto non fornite, non disponibili; • assenza di istruzione e sorveglianza del personale in relazione all’applicazione delle norme universali. I presupposti fondamentali ci portano a considerare i problemi del nesso di causalità materiale tra 19 danno conseguito, evento infortunio occorso nello studio odontoiatrico e la dimostrata responsabilità. In ambito penale può realizzarsi il reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p., Lesioni personali colpose) ed omicidio colposo (art. 589 c.p., Omicidio colposo). L’omissione delle attività di prevenzione, inoltre, può costituire comportamenti professionali difformi dalle disposizioni dell’Autorità giudiziaria per inosservanza dei provvedimenti (art. 650 c.p., Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità). La responsabilità civile e l’obbligo di risarcimento da fatto illecito derivano dall’art. 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) e dall’art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro) per quanto riguarda la salute degli operatori e ausiliari. La possibilità di trasmettere una infezione crociata durante la terapia odontoiatrica per diverse malattie è ampiamente dimostrata; tuttavia nel singolo caso può risultare complesso o impossibile ricostruire la catena epidemiologica per dimostrare il nesso di causalità tra condotta dell’operatore odontoiatrico e contagio. A tale proposito ricordiamo che la maggior parte delle infezioni avviene in presenza di anamnesi negativa per infortuni o esposizioni evidenti a materiale biologico (infezione inapparente) e che le malattie possono decorrere in modo asintomatico per lunghi periodi di tempo. La dimostrazione di un nesso causale certo non è agevole ed in molti casi l’assenza dei presupposti indicati in precedenza porterà a conclusioni di indimostrabilità o mera possibilità. In questi casi, comunque, parte del quesito formulato dal magistrato e dell’indagine medico-legale verterà sulla richiesta di provare se nello studio siano state rispettate le disposizioni idonee a prevenire un contatto accidentale tra cute e mucose e materiali biologici a rischio, in ottemperanza alla attuale legislazione. Appare chiaro che indipendentemente dall’accertamento del rapporto causale, la dimostrazione di un mancato utilizzo di mezzi di barriera o altre misure atte a prevenire un contagio potrebbe essere sufficiente a promuovere un procedimento giudiziario e la richiesta di un risarcimento in sede civile e/o penale. A dimostrazione riportiamo la sentenza del pretore di Torino del 22/3/89 su di un caso di infezione occupazionale, decisione che ci riporta al problema dell’infortunio sul lavoro e alla responsabilità del dentista in quanto datore di lavoro. Una infermiera in servizio presso l’Ospedale Maggiore di Torino, reparto di rianimazione, mentre 20 MEDICINA DEL LAVORO accompagnava una paziente nel reparto di radiologia, a seguito della rottura di un transduttore di pressione arteriosa, veniva investita nell’occhio da un getto di sangue. Il paziente era affetto da HIV nel periodo finestra (non evidenziabili con le ricerche sierologiche gli anticorpi anti-HIV) e l’infermiera fu contagiata. Il primario fu processato e condannato per lesioni colpose perché la dotazione di mezzi era insufficiente (occhiali); il primario non aveva disposto e preteso che i singoli lavoratori portassero i mezzi di protezione a loro disposizione; il personale non era stato adeguatamente informato ed addestrato. Etica e deontologia professionale: l’operatore con infezioni ematogene e il rifiuto di assistenza Un fertile dibattito di etica e deontologia professionale ed uno sviluppo della normativa si è sviluppato negli anni ottanta a seguito della spinta emozionale collettiva determinata dalla comparsa della epidemia di AIDS, che ha risvegliato una presa di coscienza del problema delle patologie infettive diffusive. Le moderne misure di prevenzione hanno ridotto il rischio di infezione crociata ad un livello accettabile; non è necessaria inoltre alcuna specializzazione o particolare attrezzatura per trattare questi pazienti. È scientificamente ed eticamente inaccettabile non trattare un paziente portatore di malattia infettiva solo sulla base del proprio sierostato e l’utilizzo di tali argomentazioni rappresenta un pretesto per mascherare una ingiustificabile discriminazione. Il libero professionista, a cui si riconosce la discrezionalità della prestazione, eserciterebbe in tal modo una discriminazione eticamente censurabile e sanzionabile come responsabilità deontologica dall’ordine professionale; l’incaricato di pubblico servizio commetterebbe il reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.). L’interruzione del piano di terapia deve essere motivato dalla rottura del rapporto fiduciario non diversamente da altri pa- zienti (mancati appuntamenti, mancato pagamento della parcella, divergenze sul piano terapeutico, aperte critiche). La decisione di non trattare è giustificabile qualora sia presa nell’interesse del paziente sulla base di criteri di prudenza analoghi a quelli utilizzati su pazienti con altre patologie; oppure qualora il dentista ritenga di non esser in grado di trattare correttamente il paziente per assenza di attrezzature, conoscenza, esperienza; o in presenza di condizioni sistemiche che presentino un rischio perioperatorio non accettabile. In questi casi, previa onesta discussione ed accordo, il paziente può essere inviato ad un collega disponibile al trattamento o a strutture pubbliche dove sia possibile un trattamento gravato da minori costi. Il dentista affetto da malattie infettive trasmissibili rappresenta un problema sociale e di etica professionale il cui approccio potrà registrare futuri cambiamenti sotto la pressione dell’opinione pubblica. La L. 5/6/90 n. 135, Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS, negli artt. 5 e 6 sancisce il diritto all’anonimato per il paziente HIV positivo; vieta la discriminazione del malato in attività sportive, scolastiche e lavorative. Secondo l’attuale legislazione italiana un operatore sanitario con infezione a trasmissione ematica: • può continuare ad esercitare; • non ha l’obbligo di informare i propri pazienti; • non ha l’obbligo di sottoporsi ad accertamenti ematochimici periodici o preassunzione; • è naturalmente obbligatoria l’adozione delle misure di barriera come per qualsiasi altro operatore. L’etica professionale suggerisce di limitare l’attività di operatori infetti da gravi patologie infettive, escludendoli dalle manovre invasive, potenziale fonte di incidenti ed infezione crociata. In questa ottica è consigliabile limitare i mansionari di operatori infetti, riducendo le manualità chirurgiche o, in alternativa dove possibile (ad esempio in strutture con numeroso personale), assegnandoli ad altri incarichi con maggiore impegno amministrativo e minore peso assistenziale. CAPITOLO 3 INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE F. Montagna, G. Ferronato Patologie trasmissibili in odontoiatria La terapia odontoiatrica espone operatori e pazienti a possibili infezioni crociate da parte di un elevato numero di patologie con caratteristiche differenti di morbosità e contagiosità. Da una parte possiamo considerare malattie esantematiche, infezioni dell’apparato respiratorio ed altre patologie contraddistinte da una bassa mortalità che, invalidanti per periodi ridotti e generalmente prive di conseguenze, non rappresentano particolare fonte di preoccupazioni cliniche e sono prive di interesse medico-legale. Il rischio maggiore per la tramissione di infezioni occupazionali è, invece, rappresentato da alcune patologie a trasmissione parenterale in grado di evolvere in forme gravi con un decorso asintomati- co instaurando uno stato di portatore cronico: infezione da HIV (tabella 1), epatiti B, C, D (tabella 2). Considerata globalmente, la prevalenza stimata di queste patologie nella popolazione generale in Italia è del 2-3% ma può raggiungere valori elevati in alcuni gruppi di comportamento a rischio (tabella 3). Modalità di esposizione occupazionale Storicamente la prevenzione della contaminazione crociata si focalizzava sulla protezione dei pazienti ed in minore misura sui pericoli per gli operatori; più recentemente, con il riconoscimento dei pericoli dell’epatite B e dell’AIDS, il personale si è sempre più preoccupato del pericolo in cui in- Tab. 1 Patologie a trasmissione parenterale: sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) • Agente eziologico • Prevalenza nella popolazione generale HIV (RNA retrovirus) 1-3/1000 • Via di trasmissione Parenterale (sangue, sperma e secrezioni genitali) 101-105 / mm3 Da poche ore a 3 giorni 56° calore secco x 30 min glutaraldeide 2% x 10 min 0,2-0,5% • Concentrazione ml sangue • Resistenza all’ambiente esterno • Inattivazione • Rischio di infezione post-esposizione • (puntura d’ago) • Incubazione • Sintomi d’esordio • Letalità • Esami ematochimici • Profilassi post-esposizione 30-90 gg Sindromi similmononucleosiche; varianti asintomatiche 90-100% dopo 12-14 anni senza terapia Anti-HIV, ag P24, CD4+, CD8+ AZT, 3TC, INDINAVIR, per 4-6 settimane • Efficacia profilassi Non dimostrata 22 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 2 Patologie a trasmissione parenterale: epatiti B, C, D EPATITE B EPATITE C • Agente eziologico • Prevalenza nella popolazione generale • Via di trasmissione HBV (DNA virus) 0,5-1,2% Parenterale e sessuale (sangue, saliva, essudati, sperma e secrezioni vaginali) • • • • • • • Concentrazione ml sangue Concentrazione ml nella saliva Resistenza all’ambiente esterno Inattivazione Rischio di infezione post-esposizione Incubazione Sintomi d’esordio 106-1013 102-103 Sei mesi a temperatura ambiente 85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min 15-30% 30-180 gg Sindrome similinfluenzale e ittero (10%); varianti asintomatiche (90%) • • • • • • Letalità acuta Cronicizzazione Esami ematochimici Profilassi attiva Profilassi passiva Efficacia vaccino 1% 5-10% HBsAg, anti-HBsAg, HBeAg, anti-HBeAg, HBV-DNA Vaccino IgGB 95% • Agente eziologico • Prevalenza nella popolazione generale • Via di trasmissione • • • • • • Concentrazione ml sangue Resistenza all’ambiente esterno Inattivazione Rischio di infezione post-esposizione Incubazione Sintomi d’esordio • Letalità • Cronicizzazione • Esami ematochimici • Profilassi EPATITE D • • • • • • • • • Agente eziologico Prevalenza nella popolazione generale Via di trasmissione Concentrazione ml sangue Resistenza all’ambiente esterno Inattivazione Rischio di infezione post-esposizione Incubazione Sintomi d’esordio • Letalità • Cronicizzazione • • • • Esami ematochimici Profilassi attiva Profilassi passiva Efficacia HCV (RNA virus) 0,7-1,4% Parenterale (sangue 90%, sperma e secrezioni vaginali 10%) 106-107 Alcuni giorni 85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min 4-10% 30-180 gg Sindrome similinfluenzale e ittero (20-30%); varianti asintomatiche (70-80%) Acuta rara 50-70% dei casi, dei quali il 20% evolve in cirrosi dopo un periodo medio di 15-20 anni Anti-HCV Assente HDV (RNA virus difettivo): è una sovrainfezione di HBV 15% dei portatori cronici di HBV (HBsAg+) Parenterale 1010-1011 Sei mesi a temperatura ambiente 85° x 60 min; glutaraldeide 2% x 10 min 4-10% 30-180 gg Sindrome similinfluenzale e ittero; varianti asintomatiche 2% per infezione simultanea B + D; 17% per superinfezione D in HBsAg+ 10% per coinfezione; 90% per sovrainfezione; mortalità 20-40% in 6-7 anni Anti-HDV Vaccino HBV IgGB Vaccino 95% CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE Tab. 3 Prevalenza di alcune malattie infettive nella popolazione generale in Italia PATOLOGIE INFETTIVE • • • • • • % POPOLAZIONE GENERALE HIV HBV HCV HDV Tubercolosi Sifilide 0,1-0,3 0,5-1,2 0,7-1,4 5 HBsAg+* 0,007 0,0008 * HDV colpisce i portatori cronici di epatite B. corre nel curare pazienti infetti. L’infezione occupazionale avviene tra paziente infetto e operatore: • per esposizione accidentale a materiale biologico durante le procedure assistenziali o di manutenzione dello strumentario mediante differenti modalità di trasmissione: attraverso la via cutanea, mucosa e parenterale; • diretta mediante il contatto con materiali biologici; • indiretta tramite veicoli costituiti dallo strumentario contaminato. In molti casi di operatori infettati, non è possibile con l’anamnesi risalire ad un episodio di esposizione parenterale (ferita, taglio o puntura) responsabile del contagio ed in questi casi si ammette che l’infezione sia avvenuta attraverso lesioni difficilmente individuabili della cute e delle mucose (via parenterale inapparente) o per comportamenti a rischio (promiscuità sessuale, tossicodipendenza, ecc.). Le manovre più a rischio e le possibili vie di esposizione parenterale a liquidi biologici nella pratica odontoiatrica identificabili e prevenibili con una corretta condotta sono le seguenti: • le punture accidentali durante l’esecuzione dell’anestesia locale e il reincappucciamento dell’ago da anestesia; il 94% degli operatori sanitari impiegati in gabinetti dentistici riportano incidenti da ago (Klein, 1988); • le ferite accidentali con strumentario chirurgico o frese nel corso delle manovre terapeutiche; • ferite accidentali durante le attività di pulizia/riordino (smontare le frese dal manipolo, decontaminazione, lavaggio, manutenzione, imbustamento); • l’esposizione delle mucose congiuntivale, respiratorie ed orale con schizzi di sangue, goccioline di saliva ed aerosol (strumentario rotante); • la contaminazione di lesioni cutanee aperte con una superficie infetta (maniglie e attrezzature) toccata in seguito ad interruzione delle attività cliniche o a seguito di percolazione di liquidi biologici attraverso fori o rotture dei guanti. I tipi di strumenti più comunemente associati agli incidenti per il dentista generico sono le frese (40% degli incidenti extraorali) e gli aghi della siringa da anestesia (32% degli incidenti intraorali), mentre risultano meno implicati i taglienti (come bisturi, curettes) e altri strumenti. La maggior parte degli incidenti interessa le mani o le dita della mano prevalente (la destra nei soggetti destrimani) ed avviene più frequentemente al di fuori della cavità orale durante la preparazione o l’eliminazione del materiale. Lo stesso D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90), Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche e private, all’art. 2 indica norme specifiche sulla prevenzione degli incidenti e l’eliminazione di aghi e taglienti; all’art. 4 (Precauzioni per gli operatori odontoiatrici) raccomanda di non reincappucciare aghi e manipolare taglienti infetti. Tab. 4 Frequenza degli infortuni con esposizione percutanea a sangue AUTORE Siew Siew Gooch Cleveland Malviz Siew Cleveland 23 ANNO N. INFORTUNI/MESE 1987 1991 1992 1993 1993 1995 1997 0,83 0,29 0,31 0,33 0,30-0,44 0,28 0,25 SPECIALIZZAZIONE Dentisti generici Dentisti generici Chirurghi orali Dentisti generici Igienisti dentali Dentisti generici Dentisti generici e chirurghi orali e chirurghi orali e chirurghi orali e chirurghi orali 24 MEDICINA DEL LAVORO Caratteristiche del microrganismo Virulenza del ceppo Resistenza all’ambiente esterno e alla disinfezione Via di penetrazione Cutanea Mucosa Parenterale Completa INFEZIONE Carica microrganismica infettante Fase della malattia (attiva replicazione virale) Modalità di esposizione (entità e tipo di materiale biologico) Resistenza all’ospite Aspecifica (immunodeficienze, ecc.) Specifica (immunitaria) Fig. 1 Condizioni per una trasmissione efficace dopo singola esposizione ad agente patogeno Le campagne di prevenzione e informazione sul rischio di infezione crociata professionale e la diffusa applicazione delle norme di prevenzione universali da parte degli operatori odontoiatrici hanno ridotto, nel periodo 1987-1997, di tre volte la frequenza degli infortuni con esposizione percutanea a sangue. Il numero degli infortuni è rapidamente diminuito tra il 1987 (10 all’anno) e il 1991 (3 all’anno) ed è rimasto poi stabile (tabella 4). Fattori di rischio per una trasmissione efficace I fattori implicati nella trasmissione efficace di una patologia contagiosa sono molteplici e possono essere sintetizzati in diversi punti (figura 1, tabella 5): • il soggetto fonte dell’esposizione sia affetto da una malattia contagiosa; • il soggetto esposto al rischio infettivo non sia resistente per immunità attiva a seguito di precedente infezione o vaccino; • la carica microbica sia per quantità superiore alla dose infettante, ricordando che non è stata ancora definita la quantità minima di inoculo ematico sufficiente a trasmettere l’infezione; • le modalità di esposizione siano avvenute attraverso una via di penetrazione efficace. La maggior parte delle esposizioni in odontoiatria, comunque, veicola piccole quantità di sangue e tale situazione, unitamente alla minor frequenza degli infortuni in odontoiatria nei confronti di altre specialità medico-chirurgiche, giustifica il basso rischio di infezione professionale ematogena per il Tab. 5 Criteri per la valutazione del rischio di infezione occupazionale ematogena in relazione alle diverse modalità di esposizione TIPO DI ESPOSIZIONE MODALITÀ RISCHIO • Parenterale certa Iniezione, taglio, ferita Elevato • Parenterale possibile o dubbia Contatto di mucosa e cute con ferite aperte o dermatiti secernenti (eczema, psoriasi, ecc.) Probabile/possibile Esposizione a cute e mucosa integra* Improbabile • Non parenterale * Le mucose e la congiuntiva sono fragili, possono presentare soluzioni di continuità e quindi un maggior rischio di contagio. CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE Tab. 6 Efficacia di trasmissione dell’infezione da HBV, HCV, HIV per singola puntura accidentale* PATOLOGIA FONTE • HBV HBsAg+ HBeAg + 30 HBsAg+ HBeAg- 15 Anti-HCV+ HCV-RNA+ 15 • HCV RISCHIO % Anti-HCV+ HCV-RNA • HIV Anti-HIV+ 3 0,2-0,5 * Quantità di sangue trasmissibile con puntura accidentale determinata su modello sperimentale pari a 0,034 microlitri. personale odontoiatrico. Il valore ottenuto da studi prospettici consente di definire un generico rischio di infezione calcolato sulla base dell’efficacia di trasmissione a seguito di una singola esposizione al sangue di soggetto infetto (tabella 6). Risulta, comunque, evidente che per determinare il rischio specifico nei singoli casi è necessario considerare i diversi fattori che sono in grado di influire sull’entità del rischio. Tra questi, si devono considerare una serie di fattori secondari, dipendenti prevalentemente dalle caratteristiche del microrganismo, che sono in grado di mutare in misura sostanziale la contagiosità e quindi l’entità del rischio per esposizioni analoghe: • la virulenza e la patogenicità del microrganismo che può variare tra ceppi diversi; la presenza di HBeAg, ad esempio, è indice di elevata infettività nelle epatiti virali di tipo B; • il materiale biologico fonte dell’esposizione (sangue, saliva, secrezioni) che può contenere cariche virali diverse in relazione al tropismo del microrganismo; • la carica virale che può variare nel tempo per lo stesso soggetto; nelle epatiti virali, ad esempio, la presenza di HBV-DNA e HCV-RNA è indice di attiva replicazione virale; nella infezione da HIV, invece, la viremia varia nelle diverse fasi della malattia e risulta più elevata nelle fasi terminali della malattia (a causa dell’immunosoppressione) e nelle fasi iniziali (per l’assenza di anticorpi specifici); • la resistenza del microrganismo a fattori inattivanti dell’ambiente esterno, fattore importante nei casi di contagio indiretto (elevata per l’HBV e ridotta per l’HIV). Negli incidenti professionali non è stata associata alcuna relazione con l’esperienza del dentista, misurata in anni di pratica; sono state comunque identificate alcune situazioni che sono in grado di aumentare il rischio. Epidemiologia delle infezioni occupazionali nel personale odontoiatrico Data la carenza di indagini specifiche sul territorio nazionale è necessario utilizzare ricerche epidemiologiche eseguite in paesi stranieri che presentino condizioni di professionalità odontoiatrica e prevalenza di malattie infettive nella popolazione generale sovrapponibili all’Italia (tabella 7). Le indagini epidemiologiche indicano l’odontoiatria come una professione relativamente sicura per quanto attiene il rischio infettivo occupazionale. L’indice statistico utilizzato è rappresentato dal rischio relativo (RR) che consiste nel rapporto tra l’incidenza di una patologia in soggetti esposti e non esposti allo stesso fattore di rischio; se il fat- Tab. 7 Rischio relativo di infezione occupazionale PATOLOGIA • Infezione da HIV • Infezione da HBV • Infezione da HCV PREVALENZA NELLA POPOLAZIONE GENERALE* 1/1000 0,5%-1,2% 0,7%-1,4% 25 PREVALENZA NEGLI ODONTOIATRI** 0,57/1000 7-8% (non vaccinati) 0,7-2% * In Italia. ** In paesi stranieri con prevalenza di malattie infettive nella popolazione generale sovrapponibile all’Italia. RISCHIO RELATIVO OCCUPAZIONALE STIMATO (RR) 0,5 8 1,5 26 MEDICINA DEL LAVORO PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO DI INFEZIONE OCCUPAZIONALE Rischio maggiore Rischio minore Fattori in relazione al paziente 1. Prevalenza della patologia nei pazienti 2. Fase dell’infezione Elevato Fase acuta avanzata Basso Fase intermedia Elevato Basso Lungo Basso Alto Breve Numerosi Rari Contagiosità elevata Lesione penetrante Contagiosità bassa Lesione superficiale Aspecifico Non adesione Assente Instabile Presenza di ansia Specifico Adesione Sviluppato Stabile Assenza di ansia Ridotto Presente Scarso Ridotto Assente Assente Sufficiente Assente Elevato Sufficiente Presente Presente Fattori in relazione all’agente 1. Trasmissibilità 2. Carica minima infettante 3. Sopravvivenza in ambiente esterno Fattori inerenti alla procedura 1. Numero di eventi a rischio 1. (manovre invasive) nel tempo 2. Quantità di sangue trasferito 3. Tipo di esposizione Fattori legati alla professionalità 1. Addestramento 2. Applicazione norme universali 3. Percezione del rischio 4. Posizione di lavoro 5. Stato psicologico Fattori in relazione all’ambiente 1. Spazio 2. Affollamento 3. Luminosità 4. Tempo di prestazione 5. Disponibilità immediata presidi prevenzione 6. Controllo attivo del responsabile tore non ha influenza sulla malattia il rapporto risulta pari o inferiore a 1; il valore è superiore a 1 se vi è associazione statistica. indagini di prevalenza in operatori sanitari che riferivano all’anamnesi esposizioni accidentali a materiale biologico in assenza di altri fattori di riTab. 8 Sieroprevalenza per HIV fra odontoiatri negli USA Infezione da HIV I dati riportati in letteratura non indicano un rischio significativo di infezione occupazionale da HIV per gli odontoiatri (tabella 8). Dalla prima osservazione di infezione occupazionale da HIV, nel 1984, al 1997 si sono avuti nel mondo 65 casi segnalati in letteratura di infezione occupazionale accertata tra il personale sanitario, dei quali 3 in Italia; nessun caso era rappresentato da un operatore odontoiatrico. Sono stati segnalati inoltre 117 casi di infezioni rilevate nel corso di AUTORE ANNO N. SOGGETTI Klein Gruniger Gruniger Gruniger Gruniger Siew 1986 1987 1988 1989 1990 1992 1132* 1195 1165 1480 1466 321** * Esclusi i dentisti con rischio diverso. ** Chirurghi orali. N. SIEROPOSITIVI 1 0 1 0 0 0 CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE 27 Tab. 9 Prevalenza di marker sierologici di pregressa epatite B in operatori odontoiatrici non vaccinati (USA 1979-1981)* CATEGORIA N. ESAMINATO Chirurghi orali (Schiff 1996) Dentisti (Schiff 1996) Igienisti dentali Odontotecnici Assistenti dentali Addetti alla segreteria Altri N. POSITIVI 59 155 350 56 9 % POSITIVI 10 22 45 5 0 25-30 15-18 16,9 14,2 12,9 8,9 0 * Cottone, 1986. schio; in tale comparto statistico erano presenti 2 casi di operatori odontoiatrici. Del resto anche la probabilità statistica di contrarre una infezione occupazionale da HIV si dimostra numericamente irrilevante (1 caso su alcuni milioni) considerando il basso tasso di sieroconversione (2-5 ogni 1000 esposizioni efficaci) e la ridotta prevalenza della patologia nella popolazione generale (1-3/1000). Infezione da HBV Infezioni occupazionali di HBV rappresentano eventualità ampiamente dimostrate in letteratura odontoiatrica. Si può asserire che il rischio di infezione occupazionale per il personale odontoiatrico è in diminuzione costante, grazie alla estensiva applicazione delle norme universali e per la diffusione delle vaccinazioni per l’HBV. Sebbene l’infezione da HBV fosse rara tra gli adulti negli Stati Uniti (1-2%), negli anni settanta-ottanta le sorveglianze sierologiche indicarono che il 10-30% degli operatori odontoiatrici non vaccinati mostravano evidenza di infezione pregressa o presente con HBV (tabella 9). Il numero di dentisti non vaccinati per HBV che presentano marker sierologici di pregressa epatite B è dal 1975 in costante diminuzione (tabella 9). La sieroprevalenza per HBV tra gli odontoiatri si è ridotta di un terzo dal 1970 (epoca prevaccinica) al 1990, rimanendo successivamente stabile (tabella 10); il declino è dovuto in parte all’uso del vaccino e in parte all’adozione delle misure universali che prima erano scarsamente utilizzate. Il numero di dentisti portatori cronici di epatite B Tab. 10 Sieroprevalenza per HBV (marker sierologici di pregressa epatite) fra odontoiatri negli USA AUTORE ANNO Feldman et al. Mosley Smith et al. Weil et al. Siew Siew Siew et al. Gruniger Cleveland ADA meeting Thomas 1975 1975 1976 1977 1983 1985 1989 1989 1992 1993 1996 INFEZIONE IN ATTO O PREGRESSA (%) 18 14 14 21 15 12 10,9 9 9 8 7,8 VACCINATI (%) 0 17 37 72 85 - 28 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 11 Prevalenza del numero di dentisti portatori cronici di epatite B (USA) AUTORE Feldman e Schiff Mosley et al. Smith et al. Hollinger, Grander, Nickel e Suarez Weil, Lyman, Jackson e Bernstein Siew, Gruninger, Chang e Verrusio ADA, Sessione Annuale ANNO N. ESAMINATO N. HBsAg+ % HBsAg+* 1975 1974 1976 1977 1977 1989 1993 236 1245 174 94 511 1339 - 3 11 3 4 4 - 1,27 0,90 1,70 3,20 0,80 0,60 0,40 * Circa lo 0,3% della popolazione statunitense risulta HBsAg+. (HBsAg+) confrontati alla popolazione generale mostra una progressiva riduzione nel tempo, la quale ha portato a dati attualmente sovrapponibili. Il rischio per operatori non vaccinati per l’epatite B rimane comunque elevato ed è in relazione al fattore di esposizione al sangue durante l’assistenza e quindi al tipo di lavoro svolto: molto elevato per i chirurghi orali; più basso e sovrapponibile per odontoiatri generici ed igienisti dentali; progressivamente più ridotto per altre categorie di operatori odontoiatrici (tabella 11). Infezione da HCV I dati confermano che il rischio per HCV è considerevolmente più basso nei confronti dell’HBV; comunque la sieroprevalenza per HCV è rimasta costante negli ultimi anni. La maggior frequenza di HCV è rilevabile fra i soggetti con maggior numero di anni di attività clinica e fra coloro che sono anche HBV positivi. Inoltre il rischio di HCV e HBV è maggiore per i chirurghi orali e minore ma sovrapponibile tra odontoiatri generici, igienisti, assistenti dentali e odontotecnici (tabella 12). Tab. 12 Sieroprevalenza per HCV fra gli odontoiatri negli USA AUTORE SOGGETTI NUMERO Klein, 1991* Chirurghi orali Odontoiatri generici 43 413 9,3 0,97 - Thomas, 1996 Chirurghi orali Odontoiatri generici 343 305 2 0,7 21,2 7,8 * N. complessivo di soggetti esaminati 456 dei quali 1,75% HCV+. ** Infezione in atto o pregressa. HCV POSITIVI % ** HBV POSITIVI % ** CAPITOLO 3 • INFEZIONI OCCUPAZIONALI EMATOGENE 29 Situazioni igieniche a confronto Il confronto è paradossale ma vuole significare che l’igiene (dalla pulizia alla sterilità) consiste in un atteggiamento e in un’educazione, oltre che nel possesso di attrezzature specifiche e moderne. Siamo certi che un comportamento negligente da parte di moderni operatori non possa concretare lo stesso rischio infettivo, rendendo le due situazioni estreme solo apparentemente antitetiche? CAPITOLO 4 NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI F. Montagna, G. Ferronato Norme universali di prevenzione (NUP) Le pratiche odontoiatriche sono classificabili come manovre invasive che espongono l’operatore sanitario al rischio di infezione occupazionale, che possiamo considerare ridotto nelle condizioni di lavoro abituale utilizzando norme universali di prevenzione (tabella 1). Attualmente vi è l’indicazione ad adottare le precauzioni universali con tutti i pazienti per la prevenzione del contagio, prescindendo dalla conoscenza dello stato di infezione del singolo soggetto. L’identificazione dello stato di malattia, infatti, è impossibile per svariati motivi. • I pazienti possono non essere a conoscenza del proprio stato immunitario (assenza di diagnosi). • Le malattie infettive possono essere contagiose prima della conversione delle indagini sierologiche (periodo finestra) e della comparsa di sintomatologia clinica (periodo di incubazione). • Il paziente a conoscenza della propria patologia può non riferire all’operatore il proprio stato. In questo caso va considerato anche il tipo di implicazione psicologica rappresentato dalle domande che devono essere formulate dall’operatore al paziente per individuare comportamenti a rischio (tossicodipendenza e rapporti a rischio). • Le attuali terapie hanno indotto una patomorfosi per la quale, all’esame clinico, molti pazienti, pur affetti da gravi patologie, possono presentarsi clinicamente asintomatici sino a stadi avanzati della malattia. • La bassa prevalenza della patologia infettiva nella popolazione generale, il basso rischio di sieroconversione per l’operatore sanitario che adotti le precauzioni universali, la necessità di erogare tempestivamente le terapie odontoiatri- che, il costo rappresentato da una indagine di screening estesa su vaste fasce di utenza dei servizi sanitari sono tutti fattori che controindicano l’esecuzione sistematica di esami sierologici nei pazienti, non solo in ambito odontoiatrico ma anche medico. Informazione e formazione professionale L’istruzione del personale è una necessità e un obbligo normativo (D.Lgs. 626/94) che ricade sul responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) in collaborazione con il responsabile della sicurezza (RSL). La normativa consente di attribuire i due ruoli allo stesso soggetto, datore di lavoro odontoiatra. Gli operatori devono essere istruiti sull’epidemiologia, modalità di trasmissione e norme di prevenzione delle infezioni. Poiché il compito di prevenire la trasmissione delle patologie infettive è affidato a tutti i componenti dell’équipe odontoiatrica, è necessaria la circolarità della comunicazione e la formulazione di piani di lavoro deve essere svolta in collaborazione con tutti i suoi membri (odontoiatra, assistente dentale, igienista) in modo da ottenere protocolli applicabili nella propria realtà operativa. Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90), Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche e private, all’art. 8 sancisce che il responsabile deve attivarsi per rendere edotti ed informare gli operatori dei rischi a cui sono sottoposti; assicurare mezzi, presidi e materiali per la protezione; disporre e vigilare affinché le norme per la prevenzione del contagio siano utilizzate dal personale. CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI 31 Tab. 1 Norme universali per la prevenzione delle infezioni ematogene NORMA UNIVERSALE APPLICAZIONE COMMENTO • Informazione e formazione • professionale Educazione del personale sanitario sull’epidemiologia, modalità di trasmissione, norme di prevenzione delle infezioni L’istruzione del personale è obbligatoria in base al D.Lgs. 626/94 • Controllare lo stato di salute Vaccinazione e richiami per HBV Richiami per tetano La profilassi attiva per HBV è facoltativa, gratuita per gli operatori sanitari, raccomandata per l’elevata efficacia (D.M. Sanità 10/5/90) Esami sierologici per anti-HBV, HCV, HIV a cadenza periodica Facoltativi, consigliati per le possibili esposizioni parenterali inapparenti e la presenza di forme paucisintomatiche • Evitare il contatto con il sangue Adozione di misure di barriera (guanti, camici, occhiali, schermi, mascherine, camici monouso) Uso obbligatorio delle barriere L’adozione di misure di barriera è obbligatoria (D.M. Sanità 28/10/90) Curare l’igiene delle mani (lavare le mani, proteggere la cute dalle dermatiti) Rischio di esposizione inapparente anche con guanti in presenza di dermatiti • Rendere lo strumentario sicuro • per l’uso Disinfezione, sterilizzazione di strumentario, attrezzature e protesi Per materiali non decontaminabili utilizzare il monouso Sterilizzazione obbligatoria degli stumenti riutilizzabili (D.M. Sanità 28/10/90) • Non diffondere • la contaminazione Diminuire la contaminazione ambientale con: norme di comportamento degli operatori, disinfezione della zona operativa Eliminare il rischio di contagio indiretto • Identificare e limitare • le situazioni a rischio Mansionari specifici per revisione delle procedure di assistenza a rischio di esposizione accidentale Discussione e analisi con lo staff dei comportamenti applicabili in concreto (D.Lgs. 626/94) Limitazione e/o astensione di particolari categorie di soggetti dalle procedure di assistenza a rischio Facoltativa, consigliata temporaneamente sino a risoluzione di alcune situazioni (dermatiti essudative o secernenti delle mani; gravidanza) Facoltativa, consigliata per operatori con infezioni trasmissibili Protocollo post-esposizione per primo intervento, sorveglianza sanitaria, offerta di chemioprofilassi Obbligatorio (D.Lgs. 626/94) • Gestire l’emergenza 32 MEDICINA DEL LAVORO Art. 8 (Obblighi degli organi preposti) Gli organi preposti alle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private, i titolari di studi professionali e laboratori […] debbono: 1) rendere edotti con adeguati strumenti di informazione gli operatori dei rischi specifici a cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme di prevenzione di cui al presente decreto; 2) assicurare agli operatori mezzi, presidi e materiali per l’attuazione delle presenti norme; 3) disporre e vigilare affinché gli operatori osservino le precauzioni stabilite ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione. Inoltre le malattie prese in esame possono presentarsi in forme paucisintomatiche a seguito di esposizioni parenterali inapparenti, ragione per cui il personale odontoiatrico può non riconoscere l’esordio della patologia. Per tale motivo agli operatori odontoiatrici sono raccomandate, anche se facoltative: • le vaccinazioni per l’epatite B e il tetano; • l’esecuzione di controlli ematochimici periodici annuali dello stato sierologico (HBV, HCV, TBC, HIV). Inoltre In Italia le vaccinazioni per il tetano, la difterite, la poliomielite e l’epatite B (quest’ultima per i nati dopo il 1980, L. 27/5/91 n. 165) sono obbligatorie (tabella 2). Una misura specifica di protezione di elevata efficacia, altamente consigliata per il personale odontoiatrico, è la vaccinazione per l’epatite B; tale vaccino è dotato di elevata efficacia ed è valido anche nella prevenzione della epatite delta. Attualmente non esistono misure di profilassi attiva o passiva per l’epatite C e per l’infezione da HIV di provata efficacia. Il D.M. 4/10/91, Offerta gratuita della vaccinazione contro l’epatite B alle categorie a rischio, all’art. 1 include i soggetti che svolgono attività di lavoro nell’ambito della sanità pubblica e privata. La vaccinazione per l’epatite B è da eseguirsi preferenzialmente al momento dell’assunzione e prevedere, quindi, successivi richiami periodici. Un mese dopo aver completato il ciclo di vaccinazione è utile eseguire il dosaggio degli anticorpi antiHBs per sapere se il soggetto è suscettibile all’infezione o ha acquisito una immunità permanente; possono verificarsi tre possibilità: Art. 9 (Obblighi degli operatori) Tutti gli operatori di cui all’articolo 1 debbono: 1) osservare le norme del presente decreto nonché le misure correntemente riconosciute idonee per il controllo delle infezioni; 2) usare nelle circostanze previste dal presente decreto i mezzi di protezione messi a loro disposizione; 3) comunicare immediatamente all’organo preposto l’accidentale esposizione a sangue o ad altri liquidi biologici per l’adozione degli opportuni provvedimenti; […] Controllare il proprio stato di salute L’adozione di misure di barriera non elimina il rischio di esposizione a materiale biologico infetto che può avvenire accidentalmente per gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza in modo apparente o inapparente. Vaccinazioni Tab. 2 Vaccinazioni consigliate al personale odontoiatrico* PATOLOGIA IMMUNIZZAZIONE PRIMARIA RICHIAMO NOTE • Epatite B Schema normale: 3 dosi im (0, 1, 6 mesi) Schema rapido: 4 dosi im (0, 1, 2, 12 mesi) Ogni 5 anni Obbligatoria per i nati dopo il 1980 Facoltativa ma raccomandata • Tetano 3 dosi im (0, 1, 6-12 mesi) Ogni 10 anni Obbligatoria la vaccinazione nei bambini Richiami facoltativi ma raccomandati * Per altre misure di profilassi attiva si veda il capitolo 13, Patologie respiratorie. CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI 33 1. soggetti che non hanno anticorpi anti-HBs o inferiori ad un titolo di 10 mUI/ml (si considera protettivo un titolo di anticorpi uguale o maggiore a tale valore); si somministra una nuova dose e si valuteranno dosi successive sino ad ottenere una risposta soddisfacente; 2. soggetti che hanno anticorpi anti-HBs a basso titolo (compreso tra 10 e 100 mUI/ml); si somministra una nuova dose e si può considerare opportuna una dose di richiamo ogni anno; 3. soggetti con titolo di anticorpi maggiore di 100 mUl/ml rappresentano la quasi totalità delle risposte; la protezione è completa ma è necessaria la dose di richiamo ogni 5 anni, perché nel tempo si riduce la protezione immunitaria. Soprattutto tale ultima necessità è spesso disattesa come dimostra un’indagine in Gran Bretagna che ha dimostrato che il 94% dei dentisti era in fase di immunizzazione o già immunizzato, ma che il 53% aveva superato i 4-5 anni dalla vaccinazione e di questi l’81% non aveva effettuato la dose di richiamo. che prevedano un comportamento comune per l’immunoprofilassi (HBV) e una serie di esami sierologici periodici, dovrebbe costituire azione delle associazioni professionali. Questa soluzione ha il pregio di risultare intermedia tra l’affidare l’incarico di sorveglianza sanitaria a un medico competente (onere non obbligatorio per legge) e l’ignorare qualsiasi provvedimento per il controllo dello stato di salute dei lavoratori (atteggiamento moralmente non condivisibile). Esami sierologici periodici Adottare le misure di protezione Le malattie prese in esame possono presentarsi in forme paucisintomatiche a seguito di esposizioni parenterali inapparenti, per cui il personale odontoiatrico può non riconoscere l’esordio della patologia e non essere attento a proteggere se stesso e gli altri dal rischio di infezione crociata. Per questi motivi è consigliabile che lo staff odontoiatrico esegua degli esami periodici, indicativamente a cadenza annuale (tabella 3). Va sottolineato, comunque, che non esiste un obbligo normativo di sorveglianza sanitaria periodica e che tali indicazioni rivestono un valore discrezionale e precauzionale, affidato ai singoli soggetti. La diffusione delle raccomandazioni, che siano condivise dalla maggior parte dei dentisti e I guanti in lattice offrono una migliore protezione rispetto ad altri materiali e sono sufficienti a garantire una valida protezione dalle infezioni se correttamente utilizzati. • Vanno cambiati per ogni paziente e in caso di rottura. • Non si devono portare al di sotto anelli o braccialetti, che rappresentano un sito di contaminazione non detergibile. • Le mani devono essere lavate ogni volta si cambino i guanti, perché vi è una abbondante replicazione batterica nel microambiente umido sottostante; inoltre, nei guanti vi sono delle porosità con diametro maggiore dei microrganismi che permettono l’aspirazione di liquidi orali contaminati con i movimenti delle mani. • Nell’assistenza a pazienti infetti alcuni operatori preferiscono indossare due paia di guanti sovrapposti. • Guanti pesanti in gomma per uso domestico sono indicati per: lavori di riordino e manutenzione di strumentario infetto; pulizia, sanitizzazione e sanificazione di zone e superfici contaminate. Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90), Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche e private, sancisce: Tab. 3 Esami sierologici annuali consigliati EPATITE B HBsAg* EPATITE C INFEZIONE DA HIV Anti-HCV Anti-HIV Anti-HBc Anti-HBs * HBsAg omessi in pazienti vaccinati. Evitare il contatto con il sangue e la saliva Durante le procedure assistenziali si deve cercare di ridurre al minimo il rischio di esposizione accidentale degli operatori seguendo semplici regole che devono essere analizzate e spiegate ai membri dell’équipe odontoiatrica. 34 MEDICINA DEL LAVORO Art. 1 (Precauzioni di carattere generale) Tutti gli operatori, nelle strutture sanitarie e assistenziali, pubbliche e private… debbono adottare misure di barriera idonee e prevenire l’esposizione della cute e delle mucose nei casi in cui sia prevedibile un contatto accidentale con il sangue o altri liquidi biologici. Si riferisce specificatamente alla categoria odontoiatrica e sancisce l’obbligo di adozione delle precauzioni universali: Art. 4 (Precauzioni per gli operatori odontoiatrici) Gli operatori odontoiatrici, oltre ad osservare le precauzioni di carattere generale, debbono indossare i guanti durante le manovre che possono comportare contatto con mucose, sangue, saliva e fluido gengivale, sostituendoli per ogni singolo paziente. Si devono utilizzare mascherine ad elevata capacità di filtrazione e cambiarle quando siano inumidite, dopo ogni paziente e, comunque, dopo un’ora di attività a causa della loro progressiva perdita di efficacia. Gli schermi e gli occhiali proteggono le mucose e le congiuntive durante l’assistenza; non offrono una protezione completa dagli schizzi che possono passare lateralmente o dalla parte inferiore; vanno indossati in aggiunta alla mascherina e decontaminati dopo ogni paziente. La cuffia è consigliata per proteggere i capelli dagli schizzi di materiale biologico e per non contaminare il campo operatorio con i capelli durante la chirurgia. L’abbigliamento (generalmente una divisa in stoffa) ideale deve prevedere le maniche corte per poter lavare le braccia sino al gomito e non trasportare contaminazioni con i polsini. Gli indumenti contaminati vanno riposti in sacchi per il trasporto, maneggiati con guanti, inviati alla lavanderia o lavati a parte; possono essere lavati a caldo in lavatrice (70 °C per 25 min) o a freddo con un detersivo a base di cloro. Un camice monouso (il TNT, o tessuto non tessuto, offre la migliore protezione) con maniche lunghe coperto dal guanto sul polsino è indicato durante l’esecuzione di manovre a rischio; deve essere cambiato quando visibilmente contaminato da sangue o saliva e comunque sempre dopo il trattamento di un paziente con patologie infettive contagiose. IL LAVAGGIO SOCIALE PER L’IGIENE DELLE MANI Indossare una divisa adatta • Non indossare anelli, bracciali e orologi durante il lavoro • Maniche corte Predisporre un lavandino • • • • Nei pressi del posto di lavoro Con comando a pedale o fotocellula (evitare rubinetto a manopola) Con dispensatore di sapone detergente Asciugare con salviette di carta monouso o aria calda (evitare asciugamani di stoffa) Adottare una buona tecnica di lavaggio • Lavare prima e dopo il trattamento di ciascun paziente con detergente e/o antisettico • Strofinare palmi, dorso delle mani, solchi tra le dita, polsi ripetendo 5-6 volte per 1 min • Coprire tagli e abrasioni con medicazione prima di indossare i guanti Curare le mani (prevenire dermatiti) • • • • • Asciugare adeguatamente Alternare gli antisettici (rischio di sensibilizzazione) Usare creme emollienti e protettive a fine giornata Tenere unghie corte e pulite Indossare i guanti CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI Igiene delle mani L’igiene, la cura e la protezione delle mani acquistano una particolare importanza poiché sono un potenziale veicolo di infezione crociata per molteplici motivi: • i guanti presentano delle perforazioni intrinseche; si deve ricordare che lo studio microscopico dei guanti in lattice può evidenziare canali di 5 micron di diametro a tutto spessore e fori di 3-15 micron profondi fino a 30 micron in assenza di difetti visibili; tali dimensioni sono sufficienti alla percolazione di particelle virali al di sotto dei guanti in assenza di soluzioni di continuità visibili; • i guanti sono soggetti a rotture macroscopiche che permettono dall’ambiente orale la contaminazione delle mani di difficile asportazione per l’anatomia complessa (pieghe, solchi, unghie); • la protezione dal contagio parenterale, costituita dalla continuità dell’epidermide e del film idrolipidico superficiale, può essere alterata dalla presenza di ferite e dermatiti secernenti. Di consuetudine si dividono le tecniche di lavaggio in sociale e chirurgico, che si distinguono per la diversa lunghezza dei tempi applicati per eliminare la contaminazione e la flora residente della cute: • il lavaggio sociale con sapone detergente elimina parte della flora transitoria disposta negli strati superficiali della cute; • il lavaggio chirurgico con sapone antisettico tende a rimuovere la contaminazione negli strati profondi della cute. Gli operatori odontoiatrici devono applicare costantemente il lavaggio sociale nella propria pratica lavorativa per la prevenzione delle infezioni occupazionali, riservando il lavaggio chi- 35 rurgico alla preparazione di interventi di chirurgia orale nei quali va ridotto al minimo il rischio di contaminazione del campo operatorio. Rendere lo strumentario sicuro per l’uso Il D.M. 28/9/90 (pubblicato sulla G.U. 8/10/90), Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie e assistenziali pubbliche e private, si riferisce specificatamente alla categoria odontoiatrica e sancisce l’obbligo di sterilizzazione e disinfezione dello strumentario: Art. 4 (Precauzioni per gli operatori odontoiatrici) I manipoli, gli ablatori ad ultrasuoni, le siringhe aria/acqua, le frese e qualsiasi altro strumento che venga a contatto con le mucose, dopo l’utilizzo, se riutilizzabili, vanno sterilizzati per ogni singolo paziente. Nei casi in cui la sterilizzazione non sia tecnicamente possibile, è obbligatoria la disinfezione degli strumenti con sostanze chimiche di riconosciuta efficacia sull’HIV. Tutti i rifiuti dei gabinetti dentistici debbono essere eliminati secondo la procedura di cui alla legge 10/2/89 n. 45. Gli strumenti medico-chirurgici possono essere classificati in base al livello di rischio che ne condiziona il livello di decontaminazione consigliato (tabella 4). L’attrezzatura odontoiatrica deve essere considerata nella maggior parte dei casi articolo critico caratterizzato da elevato rischio e destinato al contatto con tessuti sterili e mucose lesionate; deve quindi essere sottoposto a sterilizzazione fisica; Tab. 4 Livello di rischio e attrezzature LIVELLO DI RISCHIO CLASSIFICAZIONE LIVELLO DI DECONTAMINAZIONE • Alto Articolo critico (contatto con tessuti sterili e mucose lesionate) Sterilizzazione • Medio Articolo semicritico (contatto con mucose integre) Sterilizzazione o alta disinfezione • Basso Articolo non critico (contatto con cute integra) Disinfezione a livello medio-basso • Minimo Nessun contatto con il paziente Detersione 36 MEDICINA DEL LAVORO l’alta disinfezione e la sterilizzazione chimica vanno limitate ai materiali non autoclavabili. Un trattamento efficace consiste in un ciclo di procedure composte da più passaggi eseguito in una centrale di sterilizzazione attrezzata. Decontaminazione e detersione La decontaminazione serve ad abbassare la carica batterica per rendere più sicuro l’articolo per l’operatore durante le successive operazioni di detersione. Poiché durante la decontaminazione la presenza di materiale inorganico inattiva il disinfettante e protegge i microrganismi, lo strumentario al termine dell’operazione presenta ancora una contaminazione residua e deve essere trattato con guanti di gomma. La detersione è indispensabile prima della disinfezione o della sterilizzazione, per permetterne l’azione a fondo. Il termodisinfettore è il sistema più sicuro per una contemporanea detersione e decontaminazione (90 °C per 15 minuti), perché minimizza il rischio di esposizione accidentale per l’operatore, ma è poco utilizzato in odontoiatria per il costo elevato; più utilizzata nella pratica clinica è la decontaminazione in bagno di disinfettante seguita dalla detersione manuale con spazzola e meccanica a ultrasuoni. La sequenza delle operazioni per la decontaminazione e detersione è di seguito illustrata per esteso nella tabella 5. • Per la raccolta e il trasporto degli strumenti dalla sala operativa al centro di sterilizzazione vanno utilizzati vassoi o bacinelle; per raccogliere gli strumenti in disordine o ammassati utilizzare pinze, per evitare lesioni accidentali. • Gli strumenti devono essere immersi in bagno di decontaminazione (disinfettante) per 30 minuti in modo da diminuire la carica microrganismica ed evitare l’essiccamento di residui organici che possono proteggere i microrganismi. Si Tab. 5 La sequenza delle procedure antimicrobiche • Raccolta e trasporto al centro di sterilizzazione Utilizzare pinze e bacinelle Evitare disidratazione dei detriti (ne rende difficile l’asportazione) • Decontaminazione Immergere in un bagno di disinfettante per 30 min (ad esempio glutaraldeide 2% o clorodonatori 5000-10000 ppm) • Lavare, sciacquare Utilizzare acqua calda; ridurre gli schizzi Utilizzare guanti da lavoro (plastica spessa) • Detersione Manuale Meccanica ultrasuoni 10 min, termodisinfezione 90 °C per 15 min • Risciacquo e asciugatura Utilizzare guanti in gomma spessi per la contaminazione residua presente sugli strumenti; decontaminare i guanti dopo l’uso • Manutenzione Affilatura Lubrificazione • Imbustamento Utilizzare carte speciali e indicare: • data di scadenza • procedimento subito • Sterilizzazione Mezzi fisici (autoclave 3-10 min a 134 °C) Disinfettanti (glutaraldeide 2% per 3-10 ore) • Ridistribuzione, immagazzinamento Rispettare: • data di scadenza delle buste • condizioni di immagazzinamento (assenza di polvere e umidità) CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI • • • • • • • • deve cambiare la soluzione quotidianamente o quando sia visibilmente sporca; il recipiente deve essere chiuso per evitare l’evaporazione del prodotto che può risultare tossico per congiuntive e mucose (schizzi, vapori). È necessario indossare guanti di gomma spessi da lavoro, guanti e mascherine, e operare in modo da ridurre schizzi durante la manipolazione del materiale decontaminato, a causa della possibile contaminazione residua. Prelevare e sciacquare gli strumenti dal bagno di decontaminazione con l’apposita reticella o con pinze per proseguire le operazioni. La detersione manuale è eseguita con spazzola sotto l’acqua corrente con detergente per asportare sangue e detriti che possono inattivare il processo di sterilizzazione. La pulizia a ultrasuoni è la metodica più utilizzata in odontoiatria in associazione alla detersione meccanica; una corretta applicazione deve soddisfare i seguenti requisiti: – tenere coperta la vasca per evitare aerosolizzazioni o nebulizzazioni di vapori tossici di disinfettanti; – il ciclo va fatto con una apposita soluzione detergente per 10 minuti; – non caricare eccessivamente il cestello per non diminuire l’efficacia del procedimento; – non ammassare gli strumenti per evitare contatto, sfregamento e danneggiamento conseguente; – non mescolare metalli diversi, per evitare colorazioni e corrosioni; – scolare, sciacquare ed asciugare dopo il trattamento. Asciugare prima della sterilizzazione, poiché il liquido residuo può diluire le soluzioni disinfettanti o corrodere durante la sterilizzazione a caldo. Decontaminare spazzole e guanti pesanti dopo l’uso (ipoclorito di sodio 1%). Eseguire la manutenzione degli strumenti (affilatura/lubrificazione). In presenza di strumenti taglienti che durante la manutenzione presentino un elevato rischio di ferite accidentali, si può eseguire una sterilizzazione preliminare alla manipolazione da parte del personale (doppia sterilizzazione di sicurezza). Decontaminazione: impiego di agenti disinfettanti su “articoli” non detersi per abbassare la carica microbica e renderli più sicuri per l’operatore addetto alla detersione e manutenzione. 37 • Se possibile usare agenti fisici (es. calore in lavastrumenti). • Usare agenti chimici scarsamente inattivati dal materiale organico e ad ampio spettro. • Adottare, prima e dopo la decontaminazione, misure di barriera (guanti pesanti); la presenza di materiale organico e di alta carica microbica ostacola l’azione degli agenti disinfettanti. Detersione: rimozione e allontanamento del materiale organico e di parte dei microrganismi. • Intervento obbligatorio prima di disinfezione e sterilizzazione. • Intervento sufficiente in situazioni a rischio infettivo limitato (superfici). • Risultato migliore effettuato con mezzi meccanici (es. lavastrumenti e ultrasuoni). Sterilizzazione La sterilizzazione con mezzi fisici o chimici è un procedimento che elimina tutti i microrganismi, comprese le spore. La sterilizzazione con mezzi fisici è preferibile e la metodica con calore umido in autoclave è il procedimento più valido per economicità, affidabilità e possibilità di verifica del processo (tabella 6). La sterilizzazione a secco e la chemiclave mancano, invece, di standardizzazione internazionale. La sterilizzazione chimica a freddo è il sistema meno affidabile, gravato da elevato costo, elevato rischio di errori, non effettuabilità dei controlli di efficacia, inidoneità per articoli confezionati; tale procedimento va riservato agli articoli danneggiati dal calore. Tab. 6 Sterilizzazione con calore umido in autoclavi • Temperatura/Tempo 134 °C / 3-10 min 121 °C / 15-20 min • Vantaggi • • • • • Rapidità, semplicità Affidabilità Economicità Verifica di processo Idoneità per materiali confezionati o porosi • Svantaggi • Effetti dannosi su taglienti e plastica • Azione corrosiva su metalli 38 MEDICINA DEL LAVORO Le manovre di decontaminazione, disinfezione, sterilizzazione, immagazzinaggio Il processo di disinfezione-sterilizzazione è composto da una serie complessa di procedure (tabella 5) che è bene siano ricordate e schematizzate con alcune illustrazioni per fissarne i concetti. Gli strumenti devono essere prelevati dalla zona operatoria utilizzando le pinzette odontoiatriche in modo da prevenire ferite accidentali. Lo strumentario viene quindi rovesciato nel bagno di decontaminazione con sollecitudine per evitare che le secrezioni si secchino diventando difficilmente asportabili. Il tempo minimo di permanenza nella soluzione di decontaminazione è di 20 minuti per ottenere un effetto battericida; nel caso di riordino differito la permanenza prolungata permette un’azione più efficace. I contenitori devono essere chiusi per evitare l’evaporazione e la dispersione di vapori tossici nell’ambiente. La soluzione di decontaminazione va cambiata quando visibilmente sporca o superati i tempi di attività segnalati sulla confezione. Il prelevamento dal bagno di decontaminazione espone al rischio di schizzi di disinfettante e irritazioni chimiche da contatto; per tale motivo è opportuno utilizzare barriere meccaniche (guanti, schermi) e ventilare il locale. Lo strumentario decontaminato non è ancora sicuro dopo la contaminazione in quanto eventuali concrezioni o secrezioni possono proteggere meccanicamente i microrganismi o inattivare il disinfettante. La successiva manutenzione deve essere eseguita utilizzando guanti pesanti in plastica che vanno decontaminati al termine delle operazioni per essere riutilizzati. La pulizia manuale può essere facilitata o evitata da strumenti meccanici (vaschette a ultrasuoni, termodisinfettori o semplici lavapiatti). CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI 39 Dopo le operazioni di pulizia e manutenzione gli strumenti decontaminati vanno risciacquati e asciugati per eliminare tracce di disinfettante potenzialmente tossico. La preparazione di tray e buste termosigillate deve essere ordinata, eseguita con un numero ridotto di strumenti non ammassati in modo da permettere la penetrazione del vapore e la sterilizzazione. Il caricamento dell’autoclave deve rispettare dei limiti per permettere la libera circolazione del vapore acqueo. Nel caso in esame, l’autoclave era stata sovraccaricata e il controllo evidenziava la mancata sterilizzazione dovuta alla formazione di bolle d’aria, pur in presenza del raggiungimento dei normali parametri di tempo-temperatura-vapore. Ogni ciclo di sterilizzazione va controllato con gli indicatori di efficacia del processo. Inoltre, periodicamente, il funzionamento dell’autoclave va verificato con le prove microbiologiche. L’atto finale consiste nell’immagazzinamento che deve avvenire in luoghi protetti dal passaggio e dalla polvere (cassetti, mobili, vetrine). Gli involucri in carta asciutti e sigillati mantengono la sterilità degli strumenti per circa un mese. 40 MEDICINA DEL LAVORO FASI NELLA STERILIZZAZIONE IN AUTOCLAVE Impacchettare strumenti puliti • • • • • Lasciare gli strumenti a cerniera (forbici, pinze) aperti durante il processo Impacchettare ogni strumento che deve essere sterile e non di immediata utilizzazione Ogni pacco deve avere un indicatore di processo Scrivere su ogni pacco la data di sterilizzazione Posizionare un indicatore di processo dentro ogni pacco grosso e al centro di ogni carico di strumenti non impacchettati per controllare la penetrazione del vapore e l’efficacia del ciclo Eseguire il processo di sterilizzazione • Caricare la camera in modo che il vapore possa circolare liberamente attorno a ogni pacco • Portare la temperatura al valore di sterilizzazione, lasciare che tutte le parti del carico raggiungano tale temperatura, eseguire il processo Conservazione • • • • Impacchettare gli strumenti sterilizzati senza imbustamento Mantenere gli strumenti impacchettati sino a quando devono esser utilizzati Conservare in luoghi dove i pacchi non siano strappati o bagnati Strumenti in pacchi rotti, strappati, bagnati devono essere reimpacchettati e risterilizzati CAUSE DI MANCATA STERILIZZAZIONE IN AUTOCLAVE Errato imbustamento • Pacchi troppo grossi non permettono la penetrazione del vapore Errato caricamento della camera • Carico eccessivo o ammassato non permette la diffusione del vapore Bolle d’aria nell’autoclave • La presenza di sacche d’aria ostacola la penetrazione del vapore (trappola per l’aria) Vapore umido • Il pacco è bagnato, l’efficacia del ciclo ridotta, facilitata la contaminazione; mancato preriscaldamento, malfunzionamento delle valvole di drenaggio, apertura precoce ed eccessiva della porta METODICHE DI MONITORAGGIO DELLA STERILIZZAZIONE CON MEZZI FISICI Controlli fisici Strumentazione installata sulle apparecchiature: • registratore di diagrammi • avvisatore elettrico (spia luminosa, suoneria) Controlli chimici Viraggio di colore di inchiostri e gruppi cromofori • indicatori di processo • indicatori di sterilizzazione (tempo-temperatura-vapore) Controlli biologici Incubazione di microrganismi sporigeni Ogni ciclo Ogni ciclo Ogni ciclo Mensile e dopo riparazione CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI Le fasi inerenti alla sterilizzazione fisica sono molteplici, l’efficacia della sterilizzazione va verificata con prove di controllo eseguite con regolarità e si devono tenere presenti alcuni errori che possono invalidare l’efficacia del procedimento. Per garantire l’efficacia delle apparecchiature per la sterilizzazione con mezzi fisici si devono rispettare le indicazioni di seguito illustrate. • Asciugare gli strumenti dopo la detersione per evitare che l’acqua causi corrosione durante la sterilizzazione. • Caricare la sterilizzatrice e confezionare gli strumenti in modo da permettere la circolazione di aria; disporre gli oggetti sui ripiani adeguatamente distanziati e non ammassati: – non eccedere il limite di carico indicato dal produttore; – i contenitori solidi chiusi (metallo o vetro) vanno lasciati semiaperti per permettere l’entrata e l’azione sterilizzante del vapore umido – i pacchi non devono essere incartati strettamente; – utilizzare carte e buste speciali per sterilizzazione; – utilizzare buste e pacchi di dimensioni piccole; pacchi più grandi richiedono cicli più lunghi, mentre strumenti non confezionati o confezionati singolarmente sono sterilizzabili con cicli brevi. • In caso di interruzione del ciclo iniziare nuovamente da capo. • Utilizzare gli indicatori di efficacia del processo e biologici, per verificare il funzionamento dell’autoclave. Infatti le attrezzature con l’utilizzazione si usurano e possono perdere efficacia. 41 • Eseguire la manutenzione della attrezzatura periodicamente: – pulizia giornaliera con acqua e detergente della camera di sterilizzazione; – controllare giornalmente il livello dell’acqua o soluzione nel serbatoio; – settimanalmente lavare il sistema di scarico. Disinfezione La gestione può essere ottenuta con mezzi fisici (termodisinfezione) e chimici; in questo capitolo si affronteranno i disinfettanti il cui uso è attualmente preponderante in odontoiatria. Disinfezione: utilizzazione di agenti fisici o chimici per abbassare sino a livelli di sicurezza la carica microbica. Porta all’uccisione di microrganismi patogeni ma non necessariamente di tutti i microrganismi presenti; non uccide le spore batteriche. Disinfettante: prodotto antimicrobico da usare su materiali od oggetti. Antisettico: prodotto antimicrobico da usare su cute o mucose. Per la gestione dei disinfettanti vanno rispettate alcune indicazioni per non invalidare l’efficacia del procedimento. • Utilizzare un prodotto efficace secondo le referenze indicate dal produttore, rispettando concentrazione d’uso e tempi. PROBLEMI PRATICI NELLA GESTIONE DEI DISINFETTANTI • Per ogni specifico impiego scegliere un prodotto commerciale efficace valutando: – il principio attivo e la sua concentrazione – le referenze di attività indicate dal produttore e quelle riportate in letteratura • Adottare una prassi sicura di diluizione: usare il tipo di acqua indicato (di rubinetto, distillata, ecc.), misurare in modo esatto i quantitativi • Conservare i disinfettanti in recipienti di piccole dimensioni, che consentano un loro rapido utilizzo. I contenitori devono sempre essere con etichetta che indichi con precisione: il nome del disinfettante, la concentrazione, le indicazioni d’uso, la data di preparazione (o di apertura del flacone) • Tutti i contenitori destinati ai disinfettanti devono essere lavati, sciacquati e asciugati ogni volta che si rinnova la soluzione. È scorretto rabboccare il flacone • Le soluzioni disinfettanti, soprattutto se in acqua, dovrebbero essere usate entro 7-10 giorni 42 MEDICINA DEL LAVORO DISINFETTANTI DI USO COMUNE IN ODONTOIATRIA LIVELLO AZIONE DISINFETTANTE Alto Azione sporicida • Aldeide glutarica 2% • Clorodonatori 1000-5000 ppm Intermedio Attivi su bacilli acido-alcool resistenti e su alcune specie di miceti e virus • • • • • Clorodonatori 500-1000 ppm Alcool 70% Iodofori 75-150 ppm Fenoli sp* Agenti ossidanti sp* Basso Attivi su forme vegetative di batteri (escluse spore e batteri acido-alcool resistenti), su molti miceti ed i virus più sensibili Possibile insorgenza di resistenza batterica • • • • Clorodonatori 100-500 ppm QUAC (composti ammonio quaternario) soluzione acquosa sp* Clorexidina in soluzione acquosa (0,05-4%) *sp: secondo produttore. ALDEIDE GLUTARICA Tempi di contatto (soluzione 2%) per sterilizzazione e disinfezione ad alto livello 3-10 ore per spore batteriche 45-60 min per micobatterio TBC 10-20 min per HBV 4 min per batteri vegetativi Vantaggi Idoneità per articoli danneggiati dal calore Svantaggi Non sono effettuabili controlli di efficacia Non idoneo per articoli confezionati Elevato rischio di errori Tossicità verso pazienti, operatori, ambiente Possibili effetti corrosivi Metodo costoso Note: • Attenzione al reimpiego: può portare a diluizione del prodotto. • Tossicità umana verso paziente (necessità di accurato risciacquo) e verso gli operatori sanitari (usare recipienti coperti, operare con guanti ed in ambienti ben aerati). • Tossicità ambientale (rifiuto tossico?). • Scarsa inattivazione da parte del materiale organico. CLORODONATORI Comprendono diversi prodotti che vengono tutti valutati in funzione del quantitativo di cloro disponibile (1% = 10000 ppm). Le differenze tra di essi sono relative alla stabilità e alla corrosività. 1. SODIO IPOCLORITO (candeggina) 2. SODIO IPOCLORITO STABILIZZATO (es. Milton) 3. CLOROSSIDANTE ELETTROLITICO (es. Amuchina) 4. SODIO DICLOROISOCIANURATO (es. Presept) 5. CLORAMINA (es. Euclorina) Concentrazioni d’uso: Note: 5000-10000 1000 500 100 ppm ppm ppm ppm CI CI disp. CI disp. CI disp. • Molto inattivati dal materiale organico. • Instabilità 5 < 4 < 3 < 2 < 1 (molto importante per sodio ipoclorito). • Effetti corrosivi più o meno marcati. • Tossicità non trascurabile (elevata per ipoclorito di sodio). • Rapidità d’azione 1 > 2, 3, 4 > 5. disponibile in presenza di materiale organico attività alta attività media attività bassa CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI IODOFORI IODOFORI ANTISETTICI (es. betadine) IODOFORI DISINFETTANTI (es. wescodyne) Concentrazione d’uso: 75-150 ppm di iodio attivo per disinfezione di medio livello Note: • Sono inattivati dal materiale organico. • Hanno effetti corrosivi, anche se meno marcati dei cloroderivati. • Le referenze in letteratura sono limitate. • La percentuale di iodio attivo è sensibilmente differente nei due tipi di preparato: è quindi necessario rispettare l’indicazione d’uso. DERIVATI FENOLICI 1. SOLUZIONI DI PRINCIPI ATTIVI SINGOLI (es. soluzione di ortofenifenolo) 2. ASSOCIAZIONI FENOLICHE (es. ortofenilfenolo + paraclorometacresolo) 3. ASSOCIAZIONI FENOLICHE DETERGENTI (es. 2 + detergente compatibile) Note: • Le referenze dell’attività non sono sempre concordi. • Bisogna verificare le caratteristiche di attività delle singole preparazioni. • Sono scarsamente inattivati dal materiale organico. • Efficacia antimicrobica delle formulazioni: 3 > 2 > 1 per disinfezione di medio livello. DISINFETTANTI A BASSO LIVELLO DI ATTIVITÀ* 1. SALI DI AMMONIO QUATERNARIO (soluzioni acquose) 2. CLOREXIDINA (soluzioni acquose) Note: • 1. Limitato spettro di attività. • 1. Facile contaminazione. • 1. Facile inattivazione da materiale organico. • 2. Limitato spettro di attività. • 2. Facile contaminazione. * I disinfettanti a basso livello di attività hanno determinato fenomeni di resistenza batterica. CAUSE DOCUMENTATE DI FALLIMENTO NELL’IMPIEGO DI DISINFETTANTI • Inadeguata detersione preliminare (es. presenza di materiale organico inattivante i clorodonatori) • Scelta impropria del principio attivo o della formulazione d’uso (es. soluzione acquosa o soluzione alcolica) • Mancata esposizione di alcune parti dell’oggetto all’azione del disinfettante (es. per la presenza di bolle d’aria e di incrostazioni di materiali) • Insufficiente concentrazione d’uso e/o tempo di contatto • Non corretta diluizione (es. mancata valutazione delle caratteristiche e della quantità di acqua usata) • Errori in corso di conservazione del disinfettante (mancato controllo di fattori inattivanti come luce, temperatura, tempo, ecc.) 43 44 MEDICINA DEL LAVORO • Diluire correttamente misurando le quantità e la formulazione d’uso (soluzione alcolica o acquosa). • Conservare in contenitori chiusi, al riparo dalla luce, contraddistinti da una etichetta che indichi: tipo di disinfettante, data di preparazione e scadenza, concentrazione, indicazioni d’uso. • Lavare i contenitori al termine dell’uso e non rabboccare le soluzioni residue. • Rispettare la data di scadenza. I disinfettanti utilizzati in odontoiatria sono classificati in tre livelli di attività (si veda la scheda di pag. 42-43). Per il trattamento di articoli critici che entrano in contatto con materiali contaminati e tessuti del paziente si deve eseguire una disinfezione ad alto livello.L’aldeide glutarica è un disinfettante con scarsa corrosività; stabile nel tempo dopo attivazione per 15 giorni in assenza di contaminazione; indicato per una disinfezione ad alto livello (superiore a 20 min) e la sterilizzazione (3-10 ore). I clorodonatori sono inattivati da materiali organici, corrosivi sui metalli, instabili nel tempo e forniscono una disinfezione ad alto livello per un tempo superiore a 20 minuti alla concentrazione 0,1-0,5% (1000-5000 ppm).In commercio sono disponibili associazioni di diversi disinfettanti ad azione bassa e intermedia con agente tensioattivo ed in soluzione alcolica che aumentano l’attività della soluzione. Tali formulazioni devono essere utilizzate dagli operatori secondo le loro caratteristiche e le indicazioni delle ditte produttrici; data la complessità del problema in questa sede sono stati presi in esame solo alcuni principi attivi semplici, di più comune utilizzo (si veda la scheda di pag. 42-43). Mantenimento e imbustamento dello strumentario I materiali imbustati dopo la sterilizzazione o non imbustati sono definiti sterilizzati, poiché sono soggetti a contaminazione ambientale; per oggetti sterili si intendono strumenti prima imbustati e poi sterilizzati. La durata della sterilità del materiale imbustato varia in relazione al tipo di confezionamento, mantenimento e stoccaggio adottati. Pacchi di carta speciale e stoffa non sono utilizzati in odontoiatria; sono invece utilizzati gli involucri combinati, con un lato in carta speciale da sterilizzazione ed un lato in materiale trasparente, per rendere visibile il contenuto della busta. Per il mantenimento di un pacco sterile devono essere soddisfatti alcuni principi. • Gli strumenti vanno imbustati singolarmente o in numero ridotto. • Lo spazio di immagazzinamento dei pacchi sterili deve essere chiuso e protetto, con minimo flusso d’aria, lontano dal traffico, con temperatura e umidità costante, non soggetto a manipolazione per evitare contaminazioni e rotture. • La durata della sterilità varia a seconda del tipo di materiale di confezionamento e delle condizioni di immagazzinamento: – involucro combinato (carta e plastica) in spessore semplice sino a 30-40 giorni; – confezioni con doppio strato sino a 60-90 giorni. • Ogni pacco deve presentare le indicazioni della data di sterilizzazione, della scadenza e del tipo di procedimento subito; le termosaldature dovrebbero essere di 8 mm se in unico strato o perlomeno doppie, per evitare l’apertura accidentale dei pacchi. Limitare la disseminazione di sangue e la contaminazione Il programma di lavoro per tutti gli operatori dovrebbe essere stabilito sotto forma di mansionari (chi, come, perché, quando, dove) in conformità alla situazione specifica dello studio, individuando le persone competenti e motivandole periodicamente. Preparazione della zona operativa Prima di iniziare una seduta operativa si deve preparare lo studio per l’intervento eseguendo una sequenza di operazioni. Le aree di difficile disinfezione (caratterizzate da superficie non liscia e non detergibile o soggetta a contaminazione grossolana) vanno protette con fogli di plastica; infatti la procedura di copertura di queste superfici è più rapida e sicura della pulizia e disinfezione successiva alla contaminazione. Le schede cliniche e le radiografie vanno mantenute lontano dalla zona di lavoro, in modo che non siano contaminate con le mani; infatti la scheda contaminata sarebbe successivamente riposta in archivio estendendo la contaminazione alla segreteria. Lo strumentario, i vassoi e i materiali vanno disposti in prossimità della zona operativa in modo da non richiedere interruzioni di terapia, poiché azioni come aprire cassetti o cercare strumenti au- CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI 45 PREPARAZIONE PER UN CICLO DI CURA • Proteggere le superfici non disinfettabili con fogli di plastica • Preparare materiali e schede cliniche (proteggendoli dalla contaminazione) • Montare manipoli, turbine e siringhe (sterilizzati per ogni paziente) • Far funzionare i moduli (micromotori e turbine) per 30 sec (2 min per il primo paziente) mentano il rischio di estendere la contaminazione ambientale in modo incontrollato. Lo strumentario rotante (manipoli, turbine) deve essere sterilizzato e fatto funzionare a vuoto per eliminare residui di lubrificante per 30 secondi per ogni nuovo paziente; per il primo paziente della giornata si deve far funzionare a vuoto i manipoli per 2 minuti in modo da pulire le condutture dai microrganismi che si sono replicati nelle tubature durante il periodo di inattività. Comportamento durante l’intervento Per contenere la contaminazione ambientale, nella zona operativa e circostante, alcune norme devono essere rispettate da tutti i membri dell’équipe odontoiatrica. • Far sciacquare la bocca al paziente con collutorio (iodiopovidone 1% o clorexidina 0,20%) per ridurre la carica batterica del cavo orale, che sarebbe trasportata nell’ambiente dall’aerosolizzazione causata dagli strumenti rotanti. • Identificare entro la zona operativa tre aree distinte che rappresentano esigenze e caratteristiche diverse, in modo da operare in maniera ordinata: • • • • • – zona sterile per strumentario non ancora utilizzato; – zona contaminata in cui depositare ordinatamente gli strumenti in utilizzazione ripetitiva durante l’intervento; – zona per il deposito di strumenti e attrezzature contaminati e materiali biologici. Evitare di toccare accidentalmente superfici esterne alla zona operativa per non estendere la contaminazione (particolare attenzione al telefono, tastiere di elaboratori, interruttori, ripiani, cassetti, maniglie, ecc.). Una situazione ottimale è impiegare due assistenti: una assistente alla poltrona (contaminata) ed una per la preparazione dei materiali al di fuori della zona operativa (passaferri non contaminata). Nel caso si utilizzi una sola assistente, predisporre in dosi monouso i materiali dentali prima dell’intervento, per non doversi allontanare nel corso dell’intervento. Utilizzare la diga negli interventi dove possibile e posizionare l’aspiratore ad alta velocità vicino allo strumento rotante, per ridurre al minimo la formazione di aerosol. Privilegiare l’uso di materiale monouso e monodose per non contaminare le confezioni intere. L’involucro delle radiografie endorali deve essere disinfettato con una salvietta monouso e di- MISURE PER LIMITARE LA CONTAMINAZIONE AMBIENTALE • • • • • • • • Identificare zone di lavoro operative Coprire con protezioni le superfici non disinfettabili Evitare di toccare superfici esterne alla zona operatoria Disinfettare le superfici contaminate al termine della seduta operativa Utilizzare diga ed aspiratore ad alta velocità Utilizzare materiale monodose e monouso Disinfettare le radiografie endorali e non contaminare la sviluppatrice Disporre materiali monouso e recipienti per i rifiuti vicino alla zona di utilizzazione 46 MEDICINA DEL LAVORO La diffusione della contaminazione durante l’intervento Diversi studi sono stati eseguiti per verificare il modo in cui gli operatori muovendosi disseminino l’infezione attorno alla zona operatoria. L’esemplificazione più suggestiva è stata definita come la procedura del dito bagnato (wet finger procedure). L’operatore inserisce le mani in bocca al paziente contaminando i guanti, quindi nel corso della seduta odontoiatrica esegue una serie di gesti abituali: muove la lampada per illuminare il campo operatorio; regola l’altezza della faretra portastrumenti o il seggiolino; apre e preleva materiali dai cassetti del servomobile; esegue una radiografia; accende la luce della stanza; risponde al telefono; digita sul computer le cure eseguite. In questo modo la contaminazione viene diffusa a superfici diverse, anche lontane dalla zona operatoria, aumentando il rischio di infezione indiretta mediante veicoli. sinfettante prima dello sviluppo; in alternativa si può coprire con foglio di plastica le radiografie endorali ed eliminare la copertura prima di inserirle nella scatola di sviluppo. • Disporre materiali di barriera e contenitori per rifiuti in prossimità del luogo di utilizzazione per una pronta disponibilità. • Un tipico comportamento errato è stato descritto come “tecnica del dito bagnato” che consiste nel toccare superfici e piani di lavoro esterni alla zona operativa diffondendo la contaminazione nell’ambiente in modo difficilmente controllabile. Il riordino della zona operativa Il riassetto e il riordino dello studio al termine di una seduta, prima di far accomodare il paziente successivo, rappresenta un intervento complesso per il quale è necessario programmare nell’agenda appuntamenti un tempo medio variabile tra 5-15 minuti in relazione alla disponibilità di attrezzature, addestramento del personale ed entità della contaminazione. Inizialmente si devono raccogliere gli strumenti in vassoi o bacinelle e trasportarli al centro di sterilizzazione utilizzando gli stessi guanti indossati nel CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI RIORDINO AL TERMINE DI UN INTERVENTO 47 DISINFEZIONE “BY WEEPING” DI SUPERFICI CONTAMINATE • Eliminare i rifiuti: taglienti in contenitori rigidi, • Utilizzare guanti materiali contaminati in rifiuti sanitari per termo- • Coprire le superfici con soluzione disinfettante distruzione, liquidi di sviluppo in canestri, rifiuti spray ad elevata attività e lasciare agire (clorodomestici donatori 5000-10000 ppm, iodofori 150-300 ppm, • Raccolta e trasporto al centro di sterilizzazione glutaraldeide 2%, fenoli) delle attrezzature • Asportare la miscela sangue-disinfettante con • Togliere guanti in lattice, lavaggio igienico delle panno monouso mani, indossare guanti di gomma, decontaminare • Passare ripetutamente la superficie con la soluguanti e visiere zione, assicurando un conveniente tempo di con• Disinfezione delle superfici: passaggio ripetuto tatto di alcuni minuti (10-30 min) con panno monouso (glutaraldeide 2%, clorodo- • Risciacquare la superficie ed aerare il locale nel natori 1000-5000 ppm) caso si usino prodotti dotati di tossicità • Decontaminazione dei condotti di aspirazione e • Decontaminare i guanti ed eliminare il materiale raffreddamento: aspirare liquido, far funzionare a utilizzato, evitando di toccare altre superfici vuoto i manipoli per 30 secondi; attivare il ciclo di disinfezione automatico • Pulizia ad umido del locale ed aerazione • Togliere i guanti da lavoro e decontaminarli corso della seduta operatoria e servendosi per prelevarli, in presenza di strumenti ammassati, di pinze per ridurre il rischio di ferite durante la raccolta. Successivamente si tolgono e si eliminano i guanti contaminati utilizzati durante l’intervento; si lavano le mani con detergente e disinfettante tenendo conto che, a causa della presenza di microporosità del lattice, i contaminanti batterici possono permeare sotto la barriera meccanica. È necessario indossare un paio di guanti spessi di gomma da lavoro per eseguire le operazioni di igiene ambientale successive; si decontaminano, inoltre, le visiere e gli occhiali lavandoli con disinfettante. Per la disinfezione delle superfici della zona operativa si deve ricordare che la contaminazione avviene con due modalità: per contatto con le mani e per caduta di aerosol o schizzi causati da strumenti rotanti; la contaminazione da schizzi risulta più cospicua attorno alla zona operativa per un metro. La disinfezione delle superfici di lavoro che non siano state protette con fogli di plastica, circostanti la zona operativa (ripiani, riunito, apparecchiature radiografiche, ecc.) è attuata spruzzando un disinfettante sulle superfici contaminate e strofinando ripetutamente un panno monouso, poiché nel primo passaggio il disinfettante è inattivato dal materiale organico presente. La pulizia del riunito deve essere completata facendo scorrere l’acqua nella sputacchiera ed aspirando del liquido con l’aspiratore per pulire condutture e filtri; facendo funzionare gli strumenti rotanti a vuoto per 30 secondi (manovra indispensabile nei riuniti non provvisti di valvola antireflusso) per pulire il condotto da acqua contaminata aspirata. Il locale va aerato e ventilato per disperdere la nube aerosolica prodotta durante la seduta operativa. Quando è necessario eseguire una pulizia del pavimento, si utilizza il sistema a umido (spazzolone e due secchi con acqua e disinfettante); va evitata la scopatura a secco per non alzare polvere, poiché, in questo modo, aerosol e contaminanti caduti a terra possono essere rialzati in aria e rappresentare un nuovo pericolo di infezione. Gestione dei taglienti e dei rifiuti La legge 10/2/89 n. 45 e il D.Lgs. 5/2/97 n. 22 (decreto Ronchi) obbligano ad eliminare i rifiuti se- 48 MEDICINA DEL LAVORO condo precise modalità a ditte specializzate per lo smaltimento dei rifiuti con obbligo di un registro di carico e scarico e della dichiarazione annuale (tabella 7). Le stesse leggi hanno distinto i rifiuti provenienti da strutture sanitarie in: • rifiuti speciali derivanti da medicazioni, attività terapeutiche e strutture destinate alla cura di pazienti con malattie infettive; • rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani. In uno studio odontoiatrico devono, quindi, essere disponibili diversi tipi di contenitori disposti vicino alle zone operative, in modo da evitare di diffondere la contaminazione nell’ambiente, e con caratteristiche diverse per lo smaltimento differenziato (la legislazione è in rapida evoluzione e le interpretazioni sono spesso divergenti). I rifiuti speciali sono ritirati dalle ditte specializzate nello smaltimento iscritte in un apposito albo, che hanno lo scopo di fornire i contenitori, compilare il registro di carico e scarico ed eseguire la dichiarazione annuale obbligatoria. I taglienti, i materiali biologici e contaminati vanno nei rifiuti sanitari destinati alla termodistruzione: • i taglienti sono costituiti da aghi, bisturi, courette, specilli, forbici, ecc.; la condotta deve prevenire ferite accidentali; la puntura d’ago rappresenta l’incidente più frequente nell’ambito delle esposizioni professionali; devono esser smaltiti in contenitori rigidi; • i materiali biologici e contaminati (denti, garze, attrezzatura monouso e coperture di plastica) vanno messi in sacchi di plastica; una volta riempiti, devono essere spruzzati con disinfettante, chiusi e trasportati in contenitori di cartone recanti la scritta “rifiuti sanitari trattati” ed il timbro dello studio. Identificazione e limitazione delle situazioni a rischio Le tecniche chirurgiche e le manovre di assistenza potenziali cause di esposizione accidentale devono essere discusse ed analizzate dai componenti i gruppi di lavoro, per una revisione che riduca al minimo il rischio di contagio. I flussi di lavoro e protocolli devono essere tradotti in mansionari specifici per operatore, applicabili nella situazione pratica (chi, come, perché, quando e dove). Evitare le ferite accidentali I guanti non proteggono, comunque, da ferite accidentali con strumenti che avvengono con maggior frequenza all’indice e pollice della mano non dominante ed è quindi necessario determinare un protocollo di condotta durante la seduta operativa. • Identificare ed evitare le manovre a rischio evitando di tenere le mani in prossimità di taglienti nella zona operativa, come può avvenire nelle seguenti operazioni: – divaricare i tessuti con le mani; – incappucciare l’ago dopo l’uso; – manipolare l’ago di sutura e taglienti con le dita; – aiutarsi con le dita durante l’estrazione con leve. • Discutere e analizzare con i componenti del gruppo le procedure potenziale causa di esposizione accidentale per ridurre al minimo il rischio di esposizione accidentale; preannunciare verbalmente le operazioni a rischio. Tab. 7 Tipi di contenitori e indicazioni • Rigidi in polietilene • con chiusura ermetica Aghi e taglienti Al termine dell’uso disinfettare e chiudere • Cartone rigido con sacco • in polietilene chiudibile Medicazioni, garze, guanti e materiale anatomico Inserire nel contenitore di cartone rigido • Sacchi in plastica Rifiuti urbani Assimilabili ai normali rifiuti • Contenitori ermetici Amalgama Chiusura ermetica per evitare uscita di vapori • Canestri Liquidi di svilupppo radiologico Chiusura stagna per evitare spandimenti CAPITOLO 4 • NORME UNIVERSALI PER LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI EMATOGENE OCCUPAZIONALI • Assicurare la libertà dello spazio operativo per evitare ferite accidentali controllando i seguenti punti: – allontanare la faretra portastrumenti quando non in uso e non sovrapporla al portavassoi, per evitare ferite causate dalle frese montate sui manipoli pendenti; – evitare di incrociare le mani con l’assistente sulle stesse zone per evitare collisioni; – riporre ordinatamente gli strumenti utilizzati lasciando spazio intermedio in modo da evitare esposizioni accidentali, mentre si raccoglie un oggetto; utilizzare una pinza per prelevare strumenti ammassati. Astensione o limitazione delle procedure assistenziali Pur non presentando l’operatore odontoiatrico un elevato rischio professionale, si devono considerare alcune situazioni in cui se ne consiglia una limitazione nelle procedure assistenziali invasive o la manipolazione di strumenti contaminati. • Gli operatori portatori di lesioni essudative o dermatiti secernenti delle mani fino alla risolu- zione della condizione morbosa, in quanto in caso di rottura dei guanti sono maggiormente esposti al contagio per via percutanea. • Le operatrici in gravidanza, in quanto, in caso di esposizione accidentale, esporrebbero il figlio al rischio di infezione per trasmissione perinatale. • Gli operatori con epatite cronica tipo B, in quanto, nel caso di rischio di sovrainfezione con HDV, presentano un decorso prognostico sfavorevole della epatopatia; inoltre potrebbero trasmettere la patologia al paziente (il rischio è elevato in presenza di HBeAg+). • Operatori HIV+, in quanto possono trasmettere l’infezione ai pazienti e, in caso di grave deficit immunologico, l’esposizione a patologie ad elevata trasmissibilità ne può aggravare lo stato di salute generale. In questi casi si deve considerare l’adozione di particolari misure: • limitazione del mansionario prevedendo l’astensione da procedure assistenziali invasive e la manipolazione di strumenti contaminati; • utilizzazione di misure di barriera in modo da assicurare protezione massima (ad esempio due paia di guanti); • trasferimento ad altro incarico che non preveda contatto con pazienti. PREVENZIONE DELLE LESIONI ACCIDENTALI DA TAGLIENTI DURANTE LA SEDUTA OPERATIVA Misure di protezione individuali • Lavaggio igienico delle mani prima e dopo l’intervento • Utilizzazione di barriere meccaniche • Controllo dell’integrità dei mezzi di barriera e loro sostituzione Misure per evitare ferite accidentali • • • • • • • • • • • • 49 Assicurare lo spazio operativo Identificare le manovre a rischio Preannunciare verbalmente e concordare manovre pericolose Utilizzare bisturi e taglienti monouso e non ricoprire dopo l’uso Non reincappucciare, piegare, rompere o rimuovere gli aghi dalla siringa dopo l’uso Eliminare immediatamente dopo l’uso tutti gli aghi e i taglienti negli appositi contenitori Sistemare i contenitori in posizione comoda rispetto al posto di utilizzazione Trasportare in contenitori strumenti taglienti, appuntiti e di vetro (non portare in mano o in tasca) Non cercare di raccogliere strumenti che stanno cadendo Non prelevare nulla dai contenitori di smaltimento Agire con la massima attenzione durante la manipolazione Utilizzare guanti antitaglio o in gomma spessi per lo smaltimento di strumenti contaminati 50 MEDICINA DEL LAVORO Le manovre a rischio durante la seduta odontoiatrica L’analisi delle procedure operative evidenzia come gli errori, causa di esposizione accidentale a materiali biologici, riconoscano cause spesso sovrapponibili che sono state schematizzate nelle figure successive. Il reincappucciare l’ago è la manovra scorretta che più spesso causa infortuni; può essere evitata o eseguita con apposite precauzioni, come, ad esempio, l’uso di appositi strumenti rigidi. L’abitudine di riporre disordinatamente gli strumenti, utilizzati nel corso dell’intervento, su un unico piano di lavoro e la frequente necessità di riprenderli successivamente, è una delle cause più frequenti di ferite alle mani. Il rischio è facilmente eliminabile distribuendo gli strumenti ordinatamente su posizioni diverse identificate sul servomobile e sui ripiani come: zona degli strumenti puliti; zona degli strumenti contaminati ancora in uso; zona degli strumenti contaminati non più necessari. In particolare, la disposizione del portafrese al di sotto degli strumenti dinamici pendenti dalla faretra presenta due svantaggi che consistono nel rischio di ferite accidentali e di facile contaminazione delle frese pulite. Divaricare i tessuti con le dita può provocare ferite alla mano non prevalente per lo scivolamento degli strumenti taglienti; in caso di difficile estrazione è una procedura più sicura eseguire un lembo chirurgico ed evitare manovre di forza. L’armadietto nello spogliatoio deve avere almeno tre comparti (abbigliamento pulito, contaminato, calzature). Ammassare gli indumenti professionali contaminati con gli abiti è indice di scarsa igiene. CAPITOLO 5 DISINFEZIONE DELLE PROTESI F. Montagna Prima di procedere alla esemplificazione delle metodiche è importante ricordare alcune situazioni che possono ostacolare l’eradicazione completa dei microrganismi dalle protesi che sono state nella bocca dei pazienti e richiedono quindi l’utilizzazione delle misure di barriera nella manipolazione delle protesi, anche se disinfettate. • Le caratteristiche di alcuni materiali danno adito all’infezione batterica in profondità e durante la lavorazione possono essere esposte parti infette precedentemente coperte da strati superficiali (rugosità, incrostazioni di materiale organico, porosità della resina, bolle nel materiale di impronta). • La fragilità di alcuni materiali, che non permette una disinfezione senza subire alterazioni volumetriche o di superficie; per essi è applicabile solo una decontaminazione. • La sopravvivenza di alcuni microrganismi patogeni per diverso tempo in condizioni ambientali avverse (HIV, HCV possono resistere qualche giorno su strumentari e materiali in particolari condizioni di umidità e protezione; HBV e tubercolosi possono resistere per mesi). Si deve inoltre ricordare che i prodotti di disinfezione vanno testati su campioni di materiale prima della loro introduzione nel ciclo di lavorazione, per verificare come agiscono sul substrato (corrosione e colorazione). Disinfezione delle impronte Le impronte richiedono precisione e sono costituite da materiali poco resistenti che non sopportano procedimenti radicali; perciò la disinfezione ad alto livello, che richiede una permanenza di 810 ore del materiale nel disinfettante, aumenta i rischi di alterazioni per la maggior parte dei materiali ed è di rischiosa attuazione. Per tale motivo le procedure utilizzate sono più brevi e tendono ad una decontaminazione di superficie che riduce il rischio infettivo senza eradicare eventuali contaminazioni profonde o forme microbiologiche resistenti. I materiali di impronta sottoposti ad azioni di decontaminazione/disinfezione possono essere soggetti a variazioni dimensionali e di superficie, determinate più dalla tecnica di disinfezione e dalle caratteristiche del materiale che dall’azione del disinfettante. Attualmente le procedure sono rappresentate dalla nebulizzazione con spray e dall’immersione. La decontaminazione attraverso immersione per un periodo di tempo di 30 minuti è una procedura più efficace e quindi di prima scelta nei casi in cui è utilizzabile. Per la disinfezione delle impronte si consiglia di rispettare alcune precauzioni generali. • L’impronta va pulita con acqua ed un pennellino per rimuovere tracce di sangue e saliva che potrebbero proteggere i germi o inattivare il disinfettante; la pulizia deve essere eseguita immediatamente dopo l’estrazione dalla bocca per evitare l’indurimento delle secrezioni che causerebbe una maggiore difficoltà di rimozione. • L’impronta va disinfettata con un prodotto compatibile, utilizzando tempo e concentrazioni stabilite, per garantire l’azione del disinfettante. È opportuno verificare preventivamente su campioni la compatibilità dei materiali, per evitare l’alterazione volumetrica o di superficie. • Terminata la disinfezione l’impronta va lavata accuratamente prima della colatura, per impedire interferenze causate dai residui di disinfettante con la reazione di presa del gesso. • Le soluzioni disinfettanti a freddo presentano un tempo di attività al termine del quale il degrado blocca l’attività biocida: gli agenti ossi- 52 MEDICINA DEL LAVORO danti e l’ipoclorito di sodio hanno una durata limitata e vanno cambiati quotidianamente; la glutaraldeide, in alcune formulazioni, rimane attiva fino a 15 giorni; ovviamente una soluzione sporca, in cui sono state inserite più impronte non pulite in precedenza, diminuisce rapidamente l’attività e deve essere cambiata. • La disinfezione delle impronte eradica la possibile infezione attraverso i modelli in gesso. Il gesso è di difficile decontaminazione, poiché può essere alterato da trattamenti termici e in caso venga bagnato subisce una espansione igroscopica. In caso di necessità un modello di gesso può essere decontaminato con uno spray a base di alcool. Le impronte in materiali idrofili (alginati e idrocollodi reversibili) richiedono particolare attenzione per evitare alterazioni volumetriche causate dall’assorbimento di acqua durante la disinfezione: per essi è possibile solo una decontaminazione superficiale, applicando sistemi che prevedono la nebulizzazione con spray o un limitato periodo di immersione nel disinfettante (glutaraldeide 2%, ipoclorito di sodio 0,5-1%, acqua ossigenata 6-10%, acido peracetico 1-6%) lasciando poi agire per 30 minuti, prima di risciacquare. Le impronte in silicone sono idrofobe, possono sopportare le procedure di disinfezione con minori conseguenze e per tale motivo dovrebbero essere preferite nel trattamento di pazienti a rischio. Una decontaminazione valida può essere ottenuta con l’immersione prolungata (ipoclorito di sodio allo 0,5-1%, in glutaraldeide al 2% o in iodofori per 30 minuti). I polieteri sono materiali idrofili sensibili ad azioni di disinfezione protratta e richiedono procedure più rapide di disinfezione (tabella 1). Modalità di invio di materiale protesico al laboratorio odontotecnico Per quanto possibile, l’odontoiatra dovrebbe evitare di inviare all’odontotecnico materiale contaminato senza una preventiva disinfezione, in quanto dispone di personale addestrato, conoscenza e attrezzature specifiche non disponibili comunemente in laboratorio; tuttavia, è possibile derogare da tale principio, a patto che sia preventivamente concordato un programma di igiene con il responsabile odontotecnico. Nello studio odontoiatrico gli operatori, prima di inviare il materiale al laboratorio odontotecnico, devono svolgere le seguenti operazioni: • lavare il manufatto protesico o l’impronta, per asportare residui di saliva e sangue che possano inattivare il disinfettante e risultino di difficile asportazione una volta seccati ed induriti; • sterilizzare il materiale in grado di sopportare il trattamento in autoclave o disinfezione fisica (metalli e ceramiche); decontaminare con disinfettante i materiali inadatti a trattamenti fisici (impronte, cere, resine); • inserire il materiale in un sacchetto sigillato con striscia adesiva (non utilizzare spilli o graffette o sistemi che richiedano l’uso di taglienti per l’apertura); • il modulo di richiesta va posizionato in una busta separata di plastica, per evitarne la contaminazione; • per garantire il segreto professionale e la confidenzialità dell’informazione clinica in caso di pa- Tab. 1 Disinfezione e decontaminazione per i materiali di impronta MATERIALE PROBLEMI TRATTAMENTO • Idrocolloidi Idrofili; alterazioni volumetriche causate dall’assorbimento di acqua durante la disinfezione Decontaminazione con nebulizzazione o immersione istantanea (10 sec); risciacquo dopo 30 min • Polieteri Lievemente idrofili e sensibili alla disinfezione protratta Decontaminazione con nebulizzazione o immersione rapida (10 min); risciacquo • Siliconi, polisolfuri Stabili, sopportano procedure di disinfezione protratte Disinfezione con immersione prolungata (30 min); risciacquo CAPITOLO 5 • DISINFEZIONE DELLE PROTESI NORME PER LA SPEDIZIONE DI MATERIALE AL LABORATORIO ODONTOTECNICO • Lavare il materiale • Decontaminare con disinfettanti o sterilizzare con agenti fisici • Spedire in buste sigillate • Segnalare il pericolo di infezione • Garantire la confidenzialità dell’informazione • • • • • ziente portatore di patologie infettive si utilizza un codice in anonimato, per segnalare il rischio; utilizzare per il trasporto un contenitore rigido con chiusura di sicurezza; apporre una etichetta che evidenzi il pericolo di contagio e specifichi le operazioni eventuali di disinfezione svolte; protesi dentali, apparecchi e portaimpronte in arrivo dal laboratorio devono essere disinfettati prima di essere provati in bocca al paziente; i contenitori per il trasporto devono essere disinfettati dopo ogni singola fase di lavorazione; è indispensabile concordare con il responsabile di laboratorio le modalità di invio del materiale e la pertinenza delle operazioni di disinfezione. Disinfezione delle protesi Solo le protesi nuove che non hanno mai avuto contatto con i liquidi orali del paziente possono 53 essere considerate sicure; mentre le protesi in riparazione ed i materiali che siano stati provati in bocca al paziente non sono sempre completamente decontaminabili e possono essere un veicolo di contagio indiretto così come le frese utilizzate per i ritocchi e le correzioni, qualora non siano sterilizzate dopo l’uso. In particolare si segnalano alcuni problemi che potrebbero sorgere con cicli di disinfezione per i più comuni materiali protesici: • l’ipoclorito di sodio è corrosivo su manufatti metallici; • gli iodofori e clorexidina hanno un livello basso di attività, possono causare colorazioni sui materiali porosi (ad esempio resina); • trattamenti con calore alterano i manufatti in resina. I disinfettanti dotati di elevata attività più utilizzati attualmente per la sterilizzazione o disinfezione ad alto livello sono a base di glutaraldeide e tale principio si è confermato valido per la disinfezione (20-30 min) e sterilizzazione (8-10 ore); presenta una buona stabilità nel tempo (fino a 15 giorni per una soluzione stabilizzata e pulita), non è inattivato da residui organici ed è scarsamente corrosivo. Va segnalato comunque che i vapori del prodotto sono tossici, per cui è opportuno indossare guanti durante la manipolazione, sciacquare i prodotti dopo la disinfezione e tenere chiusi con coperchio i recipienti usati per la disinfezione per immersione. I disinfettanti consigliati sono stati riassunti nella tabella 2. Tab. 2 Disinfezione delle protesi TIPO DI PROTESI METODO DI STERILIZZAZIONE • Metallo e metallo ceramica • Sterilizzazione con calore (autoclave 134 °C per 10 min, stufa a secco 180 °C per due ore) • Glutaraldeide 2% 30 min • Iodofori 150-300 ppm • Metallo resina • Glutaraldeide 2% 30 min • Agenti ossidanti 30 min (acqua ossigenata 6-10%) • Iodofori 150-300 ppm • Resina • • • • Cloroderivati 30 min (ipoclorito di sodio 0,5-1%) Agenti ossidanti 30 min (acqua ossigenata 6-10%) Glutaraldeide 2% 30 min Iodofori 150-300 ppm 54 MEDICINA DEL LAVORO Disinfezione delle impronte e delle protesi Per concludere, è utile esemplificare con alcune immagini quanto esposto per la disinfezione delle protesi, in modo da fissarne i concetti. La scelta dei materiali d’impronta deve tenere conto della possibilità di decontaminazione, che è in relazione alla resistenza del materiale ai disinfettanti: elevata per le gomme e limitata per gli idrocolloidi. Per tale motivo nei pazienti con infezioni ematogene è opportuno evitare gli alginati e le resine resilienti, che risultano facilmente alterabili dalle manovre di disinfezione. Le impronte appena estratte dalla bocca devono essere risciacquate ed eventualmente pulite con un pennellino, per asportare le secrezioni e i liquidi biologici. Le impronte, quindi, vanno inviate al laboratorio odontotecnico chiuse in un sacchetto di plastica e in un contenitore rigido. Il biglietto di prescrizione va tenuto separato dall’impronta, per evitarne la contaminazione. CAPITOLO 5 • DISINFEZIONE DELLE PROTESI 55 In caso di paziente con patologia infettiva, il rischio va segnalato con sistemi convenzionali, garantendo l’anonimato. I contenitori in plastica vanno disinfettati dopo ogni invio per la possibile contaminazione. La disinfezione è eseguita con diversi metodi: lo spray o l’immersione rapida per i materiali alterabili dai disinfettanti o dall’acqua rappresenta il metodo meno efficace; l’immersione prolungata (preferibilmente oltre i 20 min) è utilizzata per i materiali resistenti. Tale procedura rende sicuro il modello di gesso che è difficilmente decontaminabile senza causarne alterazioni. Dopo la disinfezione le impronte sono risciacquate ed eventualmente ripassate con un pennellino e un impasto di acqua e polvere di gesso, in modo da eliminare i residui di disinfettante, che possono alterare la superficie del modello di gesso che, bagnato, andrebbe incontro a nuova espansione igroscopica. Comunque, anche le impronte decontaminate non garantiscono una sicurezza dal rischio infettivo a causa della presenza di porosità e bolle, che possono contenere liquidi biologici; per tale motivo devono essere sempre trattate utilizzando i guanti nelle fasi successive di lavorazione. 56 MEDICINA DEL LAVORO Si deve, inoltre, ricordare che i manufatti protesici, provati in bocca al paziente, non devono essere reinseriti sul modello di gesso. I manufatti devono essere imbustati e rispediti con la scatola di trasporto in modo da rimanere separati dai modelli di gesso, che non sono decontaminabili. Le protesi in metallo possono essere sterilizzate in autoclave o decontaminate con spray ad elevata temperatura. Le protesi in resina sono, invece, solo parzialmente decontaminabili, per la porosità del materiale, che risulta imbevuto di liquidi organici; inoltre, gli ultrasuoni o decontaminazione per immersione risultano inefficaci. Per tale motivo è sempre opportuno lavorare le vecchie protesi utilizzando le misure di barriera (guanti, mascherina o schermo); gli strumenti utilizzati per la lavorazione devono essere disinfettati o sterilizzati dopo l’uso. Le zone umide, con incrostazioni e sporche, sono un luogo ideale per la sopravvivenza e la replicazione di microrganismi patogeni; lavandini, cassetti, banchi di lavoro e lucidatrici devono essere conservati in ordine e puliti, per non mantenere situazioni igieniche precarie. CAPITOLO 6 PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE F. Montagna, G. Ferronato L’adozione di precauzioni universali non elimina il rischio di esposizione a materiale biologico infetto che può avvenire accidentalmente per gli operatori sanitari nel corso di normali manovre di assistenza e riordino. L’esposizione professionale a materiali biologici rappresenta un infortunio sul lavoro per il quale è necessario disporre di un protocollo d’intervento e informare i dipendenti, per ottemperare agli obblighi di legge. Comunque, si deve ricordare che dopo una esposizione accidentale, non sempre è necessario eseguire sistematicamente un programma di esami sierologici periodici e tantomeno una profilassi farmacologica, in quanto il rischio e la condotta possono variare non solo in relazione alle modalità dell’infortunio ma anche per le diverse patologie accertate o sospettate sul paziente fonte (tabella 1). Il pronto soccorso nello studio odontoiatrico In base alla attuale legislazione sulla sicurezza dei lavoratori (D.Lgs. 626/94) negli ambienti di lavoro sono previsti alcuni obblighi per la prevenzione e il pronto soccorso in caso di infortuni: • la presenza di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione o RSPP (generalmente, nello studio odontoiatrico coincide con l’odontoiatra-datore di lavoro DdL); • un addetto al pronto soccorso (PS), ruolo che può essere assunto dallo stesso DdL-odontoiatra; • un registro infortuni da tenere presso lo studio in cui annotare ogni infortunio che comporti assenza dal lavoro di almeno 1 giorno. Nello schema a pagina seguente è stato sintetizzato il comportamento da tenere in caso di esposizione accidentale degli operatori a materiale biologico contaminato. Il rischio di epatite virale da HBV e HCV Per l’epatite C non sono disponibili trattamenti post-esposizione e la condotta si riduce alla sorveglianza sanitaria e al monitoraggio biologico periodico nei mesi successivi. Tab. 1 Criteri per la valutazione del rischio in relazione alle diverse modalità di esposizione ai fini di una profilassi TIPO DI ESPOSIZIONE MODALITÀ DI ESPOSIZIONE RISCHIO PROFILASSI FARMACOLOGICA SORVEGLIANZA SANITARIA CON ESAMI EMATOCHIMICI • Parenterale certa Iniezione, taglio, ferita Elevato Raccomandata Necessaria immediata e programmata nel tempo • Parenterale Esposizione di • possibile o dubbia mucose e cute lesa Probabile Valutare efficacia e lasciare la decisione all’operatore esposto Necessaria immediata e programmata nel tempo • Non parenterale Improbabile Sconsigliata Periodica, con esami annuali, eventualmente anticipati Esposizione a cute integra o ferite con tessuto di granulazione 58 MEDICINA DEL LAVORO PROTOCOLLO DI INTERVENTO DOPO ESPOSIZIONE A MATERIALE BIOLOGICO Responsabili Azioni Osservazioni • Infortunato • Informare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e l’addetto al pronto soccorso (PS) • Sottoporsi ai controlli • Evitare il rischio di contagio crociato Descrivere le modalità di infortunio e individuare il paziente Nel periodo di sorveglianza (12 mesi consecutivi): – avere rapporti sessuali protetti ed evitare gravidanze non donare sangue – comunicare alla direzione sanitaria ogni eventuale sintomatologia infettiva • Addetto al pronto soccorso (PS)* • In caso di esposizione parenterale (taglio o puntura, esposizione a cute lesa) Aumentare il sanguinamento, detergere la ferita con acqua e sapone, disinfettare (povidone-iodio 7,5%, clorossidante elettrolitico 5-10%) Lavare con acqua corrente, collutorio • In caso di esposizione mucosa (schizzi in bocca e occhi) • Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)* • Valutare le modalità di esposizione e informare l’oiperatore sull’entità del rischio di infezione crociata • Invio a struttura sanitaria pubblica competente territorialmente • Annotazione sul registro degli infortuni • Denuncia all’INAIL • Struttura sanitaria • Sorveglianza sanitaria pubblica competente con esami ematochimici territorialmente (Servizi per tossicodipendenza, Reparti malattie infettive, Pronto soccorso dell’ospedale, Ufficio di igiene e profilassi) • Profilassi farmacologica * L’odontoiatra DdL può assumere il ruolo di PS e RSPP. Rischio presente per esposizione parenterale certa e dubbia (ferite, soluzioni di continuità della cute, esposizioni della congiuntiva) Rischio improbabile per esposizione a cute integra Inviare nei casi di esposizione certa o dubbia e comunque in caso di richiesta dell’operatore Chiedere il consenso al paziente per la disponibilità ad eseguire esami sierologici Data Nome dell’operatore Modalità dell’infortunio Azioni di assistenza e profilassi intraprese Apposito modulo da inoltrare entro 48 ore Informazione dell’operatore esposto sul rischio e sulla profilassi (counseling pre e post-test) Consenso agli esami sierologici Esami sierologici seriati (0, 3, 6, 12 mesi) Profilassi post-esposizione CAPITOLO 6 • PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE 59 Tab. 2 Trattamento post-esposizione per l’epatite B OPERATORE ESPOSTO PAZIENTE HBsAg+ PAZIENTE HBsAg– PAZIENTE SCONOSCIUTO O NON SOTTOPOSTO A ESAMI Non vaccinato 1. Iniziare il vaccino per l’epatite B inoltre 2. Eseguire 1 dose singola di globulina antiepatitica B (HBIG) immediatamente o entro le 24 ore, se possibile Iniziare il vaccino per l’epatite B Iniziare il vaccino per l’epatite B Nessun trattamento Nessun trattamento • Non responder 1. L’operatore riceve 2 dosi di HBIG • conosciuto (una subito e la seconda dopo 1 mese) altrimenti 2. L’operatore riceve 1 dose di HBIG più 1 dose di vaccino Nessun trattamento Se paziente ad alto rischio trattare l’operatore come se il paziente fosse HBsAg positivo • Risposta • non nota Nessun trattamento Esaminare l’operatore per anti-HBs: 1. Se titolo inadeguato, 1 dose HBIG più dose richiamo di vaccino 2. Se titolo adeguato, nessun trattamento* Vaccinato in precedenza per l’epatite B • Responder • conosciuto Esaminare l’operatore per l’anti-HBs: 1. Se titolo adeguato, nessun trattamento 2. Se titolo inadeguato, richiamo per vaccinazione dell’epatite B Esaminare l’operatore per anti-HBs: 1. Se titolo inadeguato, 1 dose HBIG più dose richiamo di vaccino 2. Se titolo adeguato, nessun trattamento* * Titolo di anti-HBs adeguato è >10 ml internazionali. Per l’epatite B la condotta post-esposizione varia in relazione alle diverse possibili combinazioni di fattori (tabella 2): • operatore vaccinato con livelli anticorpali protettivi (responder) o con anticorpi insufficienti (non responder); • operatore non vaccinato; • paziente fonte con epatite cronica, sano o sconosciuto. Il rischio di infezione da HIV Il rischio è mediamente dello 0,3% ma l’identificazione di alcuni fattori suggerisce un rischio maggiore, come ad esempio i pazienti in periodo finestra e nelle fasi terminali che presentano una virulenza più elevata e un maggiore rischio. FATTORI ASSOCIATI A RISCHIO AUMENTATO DI TRASMISSIONE DI INFEZIONE DA HIV A SEGUITO DI ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE Tipo di esposizione • Ferita profonda (spontaneamente sanguinante) • Puntura con ago cavo utilizzato per prelievo • Presenza di sangue in quantità visibile sulla superficie del presidio implicato nell’incidente • Contaminazione congiuntivale massiva Caratteristiche del paziente • Paziente in fase terminale • Paziente con infezione acuta • Paziente con > 30.000/ml copie virali di HIV-RNA • Paziente con sospetta resistenza a farmaci antiretrovirali (in trattamento da 6-12 mesi con segni di progressione clinica) 60 MEDICINA DEL LAVORO Nei casi di contagio improbabile è sufficiente informare l’infortunato della reale entità del rischio, con tempestività, per ridurre lo stato d’ansia, concertando l’esecuzione di esami o terapie solo su espressa richiesta dello stesso. Nei casi di contagio probabile, o comunque su richiesta del medesimo, l’infortunato deve essere inviato alle strutture sanitarie competenti per l’esecuzione degli esami sierologici, il counseling pre-test e post-test, la profilassi farmacologica. Prima di iniziare un trattamento farmacologico devono essere spiegate sicurezza, tossicità, efficacia del farmaco, per ottenere un consenso informato; ulteriori informazioni dovrebbero essere fornite alla persona esposta riguardo alla condotta da tenere per evitare la potenziale diffusione del contagio per tutta la durata del periodo di osservazione e di incubazione. I protocolli di utilizzazione della chemioprofilassi post-esposizione per l’HIV sono stati così standardizzati: • deve essere offerta per ogni esposizione a rischio proveniente da paziente con infezione da HIV accertata; • può essere offerta su una base di valutazione ca- so per caso in caso di paziente fonte sieronegativo o mai testato, che possa essere ritenuto ad alto rischio di infezione per comportamenti a rischio (tossicodipendenti, partner di persone con infezione da HIV, politrasfusi prima del 1986); • è sconsigliata nelle esposizioni occupazionali che non rispondono ai criteri di inclusione soprariportati, pur considerando l’impossibilità della definizione del rischio. Infatti, dal momento che la maggior parte delle esposizioni non determina rischio, la potenziale tossicità della PPE ne sconsiglia l’offerta; • la gravidanza è un criterio assoluto di esclusione. La PPE deve essere iniziata il più precocemente possibile, preferibilmente entro 1-4 ore e non è raccomandata quando sono trascorse più di 24 ore dall’incidente. La durata ottimale è fissata in 4 settimane e il follow up, composto da una visita medica e ricerca degli anti-HIV, va eseguito a tempo zero e successivamente a 6, 12 settimane e 6 mesi (tabella 3). L’efficacia della profilassi con zidovudina (ZDV) è stata dimostrata in alcuni studi con una riduzione Tab. 3 Trattamento post-esposizione HIV dell’operatore IL PAZIENTE È IN AIDS, SIEROPOSITIVO PER HIV O RIFIUTA IL TEST IL PAZIENTE È TESTATO E TROVATO SIERONEGATIVO E NON PRESENTA SINTOMI DI AIDS O INFEZIONE DA HIV IL PAZIENTE NON PUÒ ESSERE IDENTIFICATO 1. L’operatore deve essere informato del rischio Nessun successivo follow up a meno che: La decisione sul follow up deve essere individualizzata 2. L’operatore deve essere valutato clinicamente e sierologicamente per evidenziare l’infezione da HIV appena possibile 1. l’evidenza suggerisca che il paziente sia stato esposto di recente (periodo finestra) 2. richiesto dall’operatore o raccomandato dal medico Esami sierologici devono essere eseguiti se l’operatore, preoccupato del contagio, richiede il follow up 3. L’operatore deve essere avvisato di notare e riferire qualsiasi malattia febbrile che compaia entro le 12 settimane dopo l’esposizione 4. L’operatore deve essere informato della profilassi farmacologica con farmaci antiretrovirali 5. L’operatore deve essere avvisato di evitare donazioni di sangue e usare protezioni nei rapporti sessuali durante il periodo di follow up, specialmente le prime 6-12 settimane dopo l’esposizione 6. Un operatore inizialmente sieronegativo deve essere esaminato 6, 12 settimane e 6 mesi dopo l’esposizione per verificare se è avvenuto il contagio Dopo l’esame sierologico seguire la prima colonna CAPITOLO 6 • PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE 61 Tab. 4 Associazioni di farmaci utilizzabili nella PPE per HIV SCELTA I FARMACO II FARMACO III FARMACO • I scelta Zidovudina Lamivudina Indinavir • II scelta Stavudina Didanosina Dideossicitidina • III scelta Didanosina Dideossicitidina Ritonavir del 79% del rischio di sieroconversione per HIV a seguito di esposizione percutanea con sangue contaminato. Tuttavia sono stati riportati casi di insuccesso per i quali si suppone che una delle motivazioni sia riconducibile all’esposizione a un ceppo resistente al farmaco; tale eventualità ha suggerito la necessità di impiegare più farmaci (inibitori nucleosidici o non nucleosidici della transcriptasi inversa, inibitori della proteasi) (tabella 4). Gli effetti collaterali più frequenti sono rappresentati da sintomi gastrointestinali. CAPITOLO 7 DERMATOSI PROFESSIONALI F. Montagna, D. Calista Epidemiologia L’impiego di un numero sempre maggiore di prodotti chimici ha determinato un considerevole aumento delle patologie professionali di tipo allergico e irritativo tra il personale odontoiatrico. L’apparato interessato è senza dubbio quello cutaneo e diversi studi epidemiologici dimostrano come le patologie più frequenti siano le dermatosi localizzate alle mani che possono consistere in entità nosologiche diverse (tabella 1). Diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza le caratteristiche delle dermatiti irritative e allergiche delle mani, che rappresentano il 90% delle dermatosi professionali in odontoiatria. • In alcuni paesi costituiscono il 70% tra tutte le denunce di malattie professionali (Kanerva 1999). • Sono più frequenti tra le assistenti dentali nei confronti degli odontoiatri, a causa dei mansio- nari che pongono le prime a contatto con numerosi irritanti e allergeni chimici come disinfettanti e detersivi (Hoerauf 1996). • Una percentuale variabile di odontoiatri (19,244%), intervistata con specifici questionari, afferma di essere stata affetta da dermatosi alle mani riferibili a materiali odontoiatrici (Morken 1999, Hill 1998, Checchi 1999) con una prevalenza puntuale del 9,6% (Munksgaard 1996). Le dermatiti rappresentano un problema non indifferente per gli operatori sanitari poiché, oltre alla sintomatologia locale, collateralmente aumentano il rischio di infezioni crociate ematogene per contaminazione dall’ambiente orale. • I guanti presentano intrinseche porosità e fori microscopici (Arnold 1988) sufficienti a permettere una percolazione di microrganismi anche in assenza di rotture evidenti. • Con frequenza si verificano rotture accidentali a carico dell’indice e del pollice della mano pre- Tab. 1 Dermatosi professionali del personale odontoiatrico DERMATOSI AGENTE EZIOLOGICO SINTOMATOLOGIA • Dermatite irritativa da contatto (DIC) Agenti chimici Uso prolungato di guanti (disidrosi) Lavaggio ripetuto delle mani (acqua, saponi) Eritema, ipercheratosi, ragadi • Dermatite allergica da contatto (DAC) Agenti chimici Eritema, vescicole, prurito • Orticaria da contatto (OC) Agenti chimici Lesioni eritemato-pomfoidi fugaci • Dermatiti infettive Batteri aerobi gram-positivi (stafilococchi, streptococchi) Herpes simplex Follicolite, patereccio, impetigine, erisipela, cellulite Eruzioni vescicolose (patereccio erpetico) Onicopatia, eritema macerato interdigitale Miceti (dermatofiti, Candida) CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI 63 IRRITANTI E ALLERGENI PROFESSIONALI PIÙ COMUNI IN ODONTOIATRIA Irritanti Allergeni • Abrasivi: pomice, silice • Lattice • Resine acriliche: acrilati, metacrilati, catalizzatori • Antisettici: cresolo, clorofenolo, esaclorofene, timolo, benzalconio cloruro, etanolo, iodoformio • Adesivi: bisfenolo A, resine epossidiche, cianacrilati • Anestetici locali: esteri e amidi dell’acido paraminobenzoico • Oli essenziali: eugenolo, mentolo, eucaliptolo • Metalli: mercurio, nichel, cromo-cobalto, palladio, rame • Solventi: alcool, cloroformio • Acidi e basi: acido ortofosforico, ipoclorito di sodio • Disinfettanti e antisettici: glutaraldeide, cloroderivati, fenoli, composti dell’ammonio quaternario • Saponi e detergenti • Gomme e materiali da impronta: gruppo mercapto, gruppo tiuram, catalizzatori • Resine e adesivi: acrilati, metacrilati, catalizzatori, bisfenolo A, resine epossidiche, cianacrilati • Oli essenziali: eugenolo, mentolo, eucaliptolo • Altre sostanze: antibiotici, colofonia, assorbenti raggi UV • Contatto prolungato con l’acqua valente del personale odontoiatrico nel corso delle manovre operative. • L’asportazione del film idrolipidico, determinata dalla necessità di frequenti lavaggi, e discontinuità della barriera cutanea rappresentano la potenziale porta d’entrata di agenti patogeni. • Esiste una obiettiva difficoltà di antisepsi in presenza di cute eczematosa o lesa. • Infezioni cutanee locali rappresentate da sovrainfezioni piogeniche (stafilococchi e streptococchi) e micotiche complicano spesso il quadro clinico in forma di eczema impetiginizzato e micosi interdigitali e periungueali. prurito. L’evoluzione della DIC è legata al contatto con l’agente irritante: allorché tale contatto viene eliminato, essa regredisce rapidamente; in caso contrario la dermatite può divenire cronica ed in tale evenienza la cute può farsi piuttosto asciutta, desquamante e possono formarsi dolorose fissurazioni ragadiformi (figure 1, 2 e 3). Una caratteristica costante delle dermatiti irritative è la loro rapida regressione una volta eliminato il contatto con il prodotto irritante, ma in occasione di nuovi contatti la recidiva è inevitabile. Dermatite irritativa da contatto (DIC)* La DIC è un processo infiammatorio caratterizzato dall’insorgenza di chiazze eritematose sulla superficie cutanea venuta a contatto con una sostanza irritante. Tali lesioni possono essere accompagnate da sensazione di bruciore e talora da * Un vivo ringraziamento al professor Giorgio Borea per i preziosi consigli e alcune utili illustrazioni fornite per la stesura dei paragrafi riguardanti le dermatiti. Fig. 1 Dermatite irritativa da contatto causata da glutaraldeide 64 MEDICINA DEL LAVORO Fig. 2 Dermatite irritativa da contatto causata da clorexidina La DIC è la dermatosi professionale più frequente, rappresentando almeno i 2/3 delle dermatosi professionali degli operatori odontoiatrici. Essa è indotta dal danneggiamento dell’integrità del film idrolipidico cutaneo con conseguente comparsa di una reazione infiammatoria nel derma sottostante. Tale aggressione avviene per opera di agenti fisici o chimici che vengono qualificati come irritanti perché danneggiano la cute per azione tossica diretta. In ambiente odontoiatrico la DIC è frequentemente indotta dal prolungato contatto con l’acqua che, penetrando con una certa facilità attraverso lo strato corneo, ne macera e scolla le fibre. Le frequenti detersioni con sapone o altri detergenti, soprattutto se aggressivi, l’alta umidità, l’alta temperatura, la sudorazione indotte dall’occlusione prodotta dall’uso di guanti contribuiscono all’instaurarsi del processo irritativo e ad aggravarne la sintomatologia. Nella diagnosi differenziale con le dermatiti allergiche (DA) sono significative alcune caratteristiche cliniche delle lesioni che: • sono localizzate solo alle sedi di contatto senza tendenza ad estendersi; • si trovano tutte nella stessa fase clinico-evolutiva (monomorfismo); • il prurito è un sintomo poco rilevante, mentre sono spesso presenti bruciore e dolore nelle fasi acute; • nelle DIC i test epicutanei sono negativi, ma tale dermatite può preludere alla sensibilizzazione ed alla insorgenza di una dermatite allergica da contatto vera e propria. La terapia utilizza applicazioni di steroidi topici (creme o unguenti a seconda della secchezza cutanea), creme idratanti e creme barriera. Orientamenti per la prevenzione La prevenzione si basa sull’informazione del personale in modo che acquisisca il rispetto di precise norme igieniche per la cura delle proprie mani, cercando di evitare i fattori favorenti che ne renderebbero più vulnerabile la cute. • I fenomeni di macerazione compaiono se le mani sono mantenute bagnate per periodi prolungati. Per tale motivo è consigliabile indossare guanti protettivi per i lavori in ambiente umido (riordino, igiene, disinfezione) e asciugare accuratamente le mani dopo il lavaggio. • I ripetuti lavaggi con detergenti aggressivi, con solventi (alcool), con acqua a temperature elevate disidratano la cute e alterano l’acidità del protettivo film idrolipidico. • È consigliabile invece utilizzare acqua tiepida con quantità moderate di detergenti e/o antisettici a pH neutro e limitare i prodotti aggressivi o disidratanti. • Il lavaggio con abrasivi o spazzole per le mani (lavaggio chirurgico) rappresenta fonte di traumi meccanici ripetuti e deve essere utilizzato solo quando necessario, preferendo di routine quando sufficiente il lavaggio sociale. • Idratare le mani con creme idratanti ed emollienti al termine della giornata lavorativa. Dermatite allergica Fig. 3 Dermatite irritativa da guanti in lattice. Studi longitudinali hanno evidenziato negli anni un progressivo aumento del tasso di incidenza delle dermatiti allergiche nel personale odontoiatrico: per gli odontoiatri dal 5,4/10000 nel 1982 al 67/10000 nel 1994; per le assistenti dentali dal 47/100.000 nel 1982 all’87/10000 nel 1994 (Kanerva 1999). CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI Si stima che il rischio occupazionale per gli operatori odontoiatrici per le dermatiti allergiche sia 6 volte superiore a quello della popolazione generale. Per l’allergia al lattice la prevalenza è del 5-12% tra gli operatori sanitari e minore dell’1% nella popolazione generale (Liss 1999); meno frequente invece risulta l’allergia ai metacrilati (1-2%). In questo gruppo nosologico si ricomprendono due distinte entità: la dermatite allergica da contatto (DAC) e l’orticaria da contatto (OC); per quanto riguarda la frequenza la DAC è maggiore della OC (3:1) Dermatite allergica da contatto La dermatite allergica da contatto (DAC) è una dermatite eczematosa provocata da una sostanza verso la quale si è sviluppata una sensibilizzazione “da contatto”. Tale dermatite insorge in quei soggetti che, nel corso del tempo e di ripetuti contatti con una data sostanza, ne sono diventati allergici. La fase acuta della DAC è caratterizzata da una dermatite essudativa per la formazione e la rottu- 65 ra di vescicole accompagnata da intenso prurito. La vescicolazione può essere da molto contenuta a francamente bollosa (figura 4). Se non trattata, la fase acuta evolve verso una dermatite subacuta nella quale la comparsa di squamocroste e di ispessimento cutaneo (lichenificazione) divengono l’aspetto clinico predominante. L’eczema cronico è invece una dermatite secca, caratterizzata da lichenificazione, ipercheratosi e spacchi ragadiformi (figure 5, 6). La diagnosi della dermatite da contatto di origine professionale può essere sospettata quando: • l’anamnesi evidenzia l’inizio del disturbo, l’evoluzione, i miglioramenti in caso di sospensione dell’attività lavorativa e i peggioramenti alla ripresa; • la localizzazione delle lesioni iniziali e circoscritta alla zona di contatto con l’allergene; • la morfologia è caratterizzata dal polimorfismo delle lesioni (in contrasto con l’aspetto monomorfico nella DIC). Talora la DAC può presentare caratteri clinici sovrapponibili a quelli della DIC e porre problemi di diagnosi differenziale. In tali casi l’esecuzione di patch test consente di formulare una diagnosi precisa. Orticaria da contatto Fig. 4 Eczema acuto essudante L’orticaria da contatto è una causa di dermatite rara delle mani in ambiente odontoiatrico. Essa è caratterizzata da manifestazioni eritemato-pomfoidi pruriginose ad insorgenza rapida e durata variabile (1224 ore) e può essere sostenuta da meccanismi patogenetici sia immunologici (orticaria allergica) che non immunologici (orticaria da contatto irritativa). Un esempio di orticaria da contatto di tipo irritativo è quello che si sviluppa in seguito al contatto con le ortiche. In ambito odontoiatrico sono state Fig. 5 Eczema cronico Fig. 6 Eczema cronico 66 MEDICINA DEL LAVORO segnalate orticarie irritative da contatto da benzoato di sodio, acido benzoico, acido ascorbico, balsamo del Perú ed alcool etilico. L’orticaria a patogenesi non immunologica può svilupparsi anche in seguito al primo contatto, è circoscritta alla cute e riproduce per localizzazione, forma ed estensione la zona di contatto con la sostanza responsabile. Si sviluppa nella maggior parte dei soggetti esposti ed è legata a fattori quali la concentrazione dell’agente, il tempo di contatto, più che la predisposizione individuale. Nelle forme allergiche, invece, le lesioni compaiono dopo ripetuti contatti che rappresentano la fase di sensibilizzazione; interessano pochi individui sul totale di quelli esposti; possono rimanere localizzate o estendersi progressivamente ad altri organi e apparati (rino-congiuntivite, asma bronchiale, disturbi gastrointestinali) sino a reazioni sistemiche (shock anafilattico). L’orticaria da contatto di tipo allergico è estremamente rara in odontoiatria, le lesioni eritematopomfoidi compaiono dopo pochi minuti dal contatto una volta avvenuta la sensibilizzazione. La disidrosi Orientamenti per la terapia e la prevenzione La terapia si basa su medicazioni con steroidi topici usati in differenti preparazioni farmaceutiche a seconda della fase clinica: creme, lozioni nelle forme essudative; pomate, unguenti nelle forme secche. Nella fase cronica si utilizzano anche emollienti e idratanti in modo da proteggere la barriera cutanea. La prevenzione secondaria mira a evitare le recidive e pertanto si basa sul riconoscimento dell’allergene, affinché venga escluso ogni ulteriore contatto. È utile sottolineare l’importanza di un programma comportamentale: a livello dell’organizzazione del lavoro, fornendo i mezzi idonei per la protezione personale, come ad esempio i guanti anallergici (le creme barriera si sono rivelate di scarsissima utilità nel proteggere la cute); a livello individuale tramite una attenta educazione sanitaria dell’operatore. Dermatiti infettive È una dermatite delle mani e dei piedi caratterizzata dall’insorgenza di piccole vescicole, tese, pruriginose alla superficie laterale delle dita o in sede palmo-plantare. Nella fase iniziale tali vescicole appaiono su cute di aspetto normale, successivamente dopo 24-48 ore dalla loro formazione tendono a rompersi e a dissolvere il loro contenuto nell’ambiente esterno. La cute circostante diviene eritematosa ed intensamente pruriginosa, mentre l’epitelio tende a sfaldarsi producendo un collaretto biancogrigiastro. Le recidive sono frequenti (figura 7). L’herpes simplex (HSV) è responsabile del patereccio erpetico che si presenta come papule e vescicole localizzate sulle dita degli operatori sanitari. La trasmissione avviene mediante il contatto diretto con lesioni floride (herpes labialis) del paziente e l’inoculazione del virus attraverso soluzioni di continuo della cute. Le forme lievi tendono all’autorisoluzione in pochi giorni e non richiedono terapia, mentre per le forme più impegnative sono disponibili formulazioni topiche di aciclovir al 3% e al 5% (figura 8). L’operatore infettato deve evitare l’autoinoculazio- Fig. 7 Disidrosi Fig. 8 Patereccio erpetico CAPITOLO 7 • DERMATOSI PROFESSIONALI Fig. 9 Patereccio batterico conseguente a lesione accidentale con leva ne in altre zone limitrofe e a distanza; ad esempio il contatto accidentale con gli occhi può causare la comparsa di una cherato-congiuntivite erpetica. Alcuni batteri aerobi gram-positivi (stafilococchi e streptococchi) possono causare negli operatori sanitari delle piodermiti da inoculazione secondaria a microtraumi e ferite accidentali con strumentario infetto (figura 9). Il patereccio è un’infezione stafilococcica della piega prossimale dell’unghia; la falangetta si presenta edematosa, gonfia, dolente con formazione di una raccolta purulenta: • l’impetigine si presenta con vescico-bolle subcornee molto fragili con alone eritematoso; alla rottura segue un’essudazione che si rapprende in croste giallo brunastre; la lesione tende a estendersi perifericamente; • l’erisipela e la cellulite sono processi infettivi acuti che interessano il derma profondo e l’ipoderma; si presentano con chiazze eritematose calde e dolenti, rialzo febbrile e linfoadenopatia satellite. La terapia topica antibiotica è di solito sufficiente nelle forme lievi; mentre la terapia sistemica va riservata alle forme profonde; le forme ascessualizzate possono richiedere l’incisione e il drenaggio. Le candidosi superficiali sono causate dal genere 67 Fig. 10 Eczema cronico da cemento all’ossifosfato Fig. 11 Onicomicosi da Candida (stesso caso foto precedente) Candida, lievito saprofita in condizioni normali, in grado di divenire patogeno opportunista nel soggetto sano con il verificarsi di condizioni favorenti, quali la macerazione della cute come avviene nel personale sanitario per la frequente necessità di lavarsi le mani e di indossare costantemente i guanti. La lesione caratteristica è l’intertrigine rappresentata da macerazione, ragade, eritema e desquamazione delle pieghe cutanee interdigitali. La terapia richiede l’uso di formulazioni antimicotiche topiche (figure 10, 11). CAPITOLO 8 PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE F. Montagna, M. Tommasi Tra gli operatori sanitari è consolidata la constatazione di un nesso di causalità tra determinate condizioni lavorative di sovraccarico meccanico e disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico. Volendo valutare il costo sociale e lavorativo di tali patologie, basti pensare che le assenze dal lavoro, valutate tra tutte le categorie di operatori sanitari, ammontano al 16-30% del totale e sono seconde solo all’influenza. Alcune statistiche in ambito odontoiatrico hanno evidenziato che circa il 30-40% degli operatori odontoiatrici soffre frequentemente di dolori al rachide, al collo e alle spalle; è da notare che tale percentuale non è superiore alla prevalenza registrata nella popolazione generale. Risultano eccezionali le lesioni da sforzo con in- sorgenza acuta, tipiche delle altre categorie di operatori sanitari; mentre sono frequenti le affezioni cronico-degenerative, dovute ad atteggiamenti posturali scorretti e al mantenimento di posture fisse. Le sindromi sono da ascrivere alla vasta schiera di “work related deseases” o, in altri termini, di affezioni a genesi multifattoriale che possono trovare nell’attività lavorativa elementi causali non univoci o concausali di diversa rilevanza, rappresentati dall’obesità, dalla vita sedentaria e la cattiva postura. Si tratta, quindi, di un rischio generico non aggravato dall’attività lavorativa (certo, non di un rischio specifico) visto che le condizioni tipiche dell’odontoiatria sono quelle di un lavoro “non pe- Tab. 1 Sindromi muscolo-scheletriche correlate alla professione odontoiatrica PATOLOGIA SEGNI E SINTOMI • Patologie muscolo-scheletriche • del rachide • (back pain syndrome) Lombalgia Lombalgia, cruralgia, sciatalgia, parestesia e ipostenia agli arti inferiori Muscolatura paravertebrale contratta e apofisi spinose lombari dolenti alla palpazione Dorsalgia Dolore parascapolare e al trapezio con eventuale irradiazione radicolare in sede toracica anteriore • Sindromi muscolo-scheletriche • del distretto cervico-brachiale • (cumulative trauma disorders) Sindrome da tensione cervicale Peso, limitazione, impaccio funzionale e dolore del collo Dolore e parestesie irradiate al trapezio e alle braccia Muscolatura paravertebrale e apofisi spinose cervicali dolenti alla palpazione Trigger points: inserzione del trapezio all’occipite e angolo interno della scapola Sindrome del tunnel carpale Dolore e parestesia alle prime tre dita della mano (prevalentemente sul lato palmare di pollice, indice, medio), deficit di pronazione, ipostenia muscolare; test di Phelan e Tinel positivi Tendinopatie del polso Dolore durante i movimenti della mano, soprattutto estensione del primo dito (sindrome di De Quervain) e flessione del polso contro resistenza (tenosinovite) CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE sante”, che non richiede sviluppo di forza manuale; poco ripetitivo e alternato da periodi di recupero e riposo; di precisione, svolto, cioè, in condizioni statiche per favorire i micromovimenti. Il nesso di causalità tra lavoro e patologia muscolo-scheletrica in odontoiatria appare non sufficientemente dimostrato da evidenze scientifiche e con una percentuale di morbosità non superiore alla popolazione generale. In tale senso è da ritenersi che tali patologie non comportino l’obbligo di assoggettare il personale odontoiatrico a sorveglianza sanitaria. Fra le affezioni del rachide (“back pain syndrome”, o BPS), la lombalgia o “low back pain syndrome” (LBP) è senza dubbio la più diffusa e studiata (tabella 1). Le affezioni muscolo-scheletriche degli arti superiori presentano, invece, una prevalenza minore; sono definite nella letteratura specializzata con terminologie differenti: “overuse syndrome”, “repetitive strain injuries”, “repetitive motion injuries”, “occupational cervicobrachial disorders”, “cumulative trauma disorders” (CTD), terminologie che riflettono lievi differenze concettuali nel loro inquadramento ma che sono sostanzialmente assimilabili. Rachialgia Anatomia e fisiopatologia del rachide Per trattare la patogenesi della BPS di origine occupazionale è opportuno prendere in considerazione l’anatomia del rachide dal punto di vista morfo-funzionale. La colonna è costituita dalla sovrapposizione di 24 vertebre (cervicali, toraciche e lombari) separate da dischi intervertebrali; seguite da 9-10 vertebre fuse a formare l’osso sacro e il coccige. La colonna vista sul piano frontale è verticale, mentre sul piano sagittale presenta delle curve che le conferiscono una forma a S modificata (figure 1, 2): • una convessità anteriore nel tratto cervicale definita lordosi cervicale (7 vertebre); • una convessità posteriore a livello toracico definita cifosi dorsale (12 vertebre); • una convessità anteriore nel tratto lombare definita lordosi lombare (5 vertebre); • una convessità posteriore nel tratto sacrale definita curva sacrale (5 vertebre). 69 Vertebre cervicali Parte dorsale Vertebre toraciche Parte vendrale Vertebre lombari Fori intervertebrali Promontorio Fascetta auricolare a b Sacro Coccige Fig. 1 Colonna vertebrale umana vista posteriormente (a) e lateralmente (b) con esempi di corpi vertebrali la cui forma varia nei singoli tratti della colonna vertebrale Legamento longitudinale anteriore Corpo vertebrale Legamento longitudinale posteriore Disco intervertebrale Radici nervose Articolazione apofisaria Fig. 2 Anatomia dei corpi vertebrali e legamenti Giova ricordare che il disco intervertebrale è una struttura priva di vasi, che riceve le sostanze nutritive ed espelle i cataboliti unicamente per diffusione. ➞ ➞ MEDICINA DEL LAVORO ➞ 70 a b c Fig. 3 Compressione e decompressione del disco intervertebrale in diverse situazioni di carico e scarico a. Segmento intervertebrale con piccola articolazione vertebrale in posizione centrale sotto carico normale b. Assottigliamento dello spazio intervertebrale e dell’interlinea articolare sotto forte carico c. Allargamento dello spazio intervertebrale e apertura dell’interlinea articolare conseguente a condizioni di diminuito carico Per tale motivo l’insieme dello spazio intradiscale, dei piatti cartilaginei, dell’anello fibroso, dei tessuti paravertebrali e della spongiosa delle vertebre adiacenti può essere considerato un sistema osmotico: applicando una forza meccanica sul sistema osmotico si ottiene una fuoriuscita di liquidi dal disco e vi è tendenziale espulsione di cataboliti; venendo a diminuire la pressione meccanica si ha un richiamo di liquidi all’interno del disco ed è favorito l’ingresso di sostanze nutritive (figure 3, 4). Quando si è sdraiati o seduti si è in condizione di sottocarico; passando in posizioni in piedi o assise senza appoggio o di sollevamento di un carico si ottiene una situazione di sovraccarico (figura 5). Il regolare alternarsi di condizioni di sovra e sottocarico del disco determina il ricambio di fluidi e quindi di metaboliti e di cataboliti, cioè il disco è nutrito. Il meccanismo patogenetico della BPS è progressivo nel tempo: < 80 kg ➞ ➞ ➞ ➞ ➞ > 80 kg ➞ ➞ ➞ ➞ ➞ ➞ Fig. 4 Nutrizione del disco intervertebrale per effetto dell’aumento e della diminuzione del carico di pressione come in un sistema osmotico CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE Dura madre spinale 223 kg Fibre nervose Piede dell’arco vertebrale 4° disco intervertebrale 175 kg 71 Piede dell’arco vertebrale 1 L4 2 Radice nervosa L4 L5 142 kg 140 kg 100 kg 5° disco intervertebrale Radice nervosa L5 a 075 kg 025 kg Fig. 5 Pressione del carico all’interno del 3° disco lombare in diverse posizioni e movimenti del rachide (da Nachemson e Morris) • inizialmente le patologie sono muscolari con quadri di affaticamento cronico e conseguente dolorabilità prodotta dalle contrazioni isometriche dei muscoli (contratture, fibromialgie); • successivamente le patologie divengono osteoarticolari; i carichi extrassiali sui dischi intervertebrali possono causare una compressione dal lato dello sforzo e tendenza alla protrusione o all’ernia sul lato opposto, cioè di spondilolistesi in presenza di spondilolisi, discopatie, ernie discali, spondiloartrosi (figure 6, 7). I sintomi sono rappresentati da dolore (cefalea nucale con irradiazione occipito-parieto-frontale, (cervicalgia, cervicobrachialgia, brachialgia, dorsalgia, lombalgia, lombosciatalgia), sintomi neurologici (deficit radicolari: parestesie, ipoestesie), alterazioni posturali (ipercifosi, iperlordosi, scoliosi), obliquità dei cingoli, rettilineizzazione lombare e cervicale, inversione della lordosi cervicale, sovraccarico vertebrale cervicale (a livello di C5-C6 e C6-C7) e lombare (a livello di L4-L5 e L5S1) come raffigurato nella figura 8. S1 b Fig. 6 Ernia laterale del disco in zona lombare (in rappresentazione schematica posteriore) a. Normale posizione delle radici nervose rispetto ai dischi. Gli archi vertebrali e il tetto dell’osso sacro sono stati tolti. b. Lesione della radice nervosa in presenza di ernia al disco (1 = ernia laterale a sinistra con interessamento delle radici L4 e L5; 2 = ernia laterale a sinistra con interessamento della radice S1). Gli archi vertebrali sono stati tolti. a b Fig. 7 Discopatia ed ernia discale a. Fissurazioni e crepe che lasciano presagire uno spostamento del disco b. Protrusione laterale (a sinistra) del disco con compressione della radice nervosa (possibile la regressione) 72 MEDICINA DEL LAVORO Il mantenimento protratto di posture corrette Particolarmente in odontoiatria, il meccanismo eziologico della BPS non è tanto l’entità intrinseca della tensione che agisce sui dischi lombari, quanto piuttosto il fatto che tale pressione non sia frequentemente variata e alternata. Il mantenimento protratto di posizioni di lavoro assise o erette, corrette ma sostanzialmente fisse, comporta un arresto del ricambio per diffusione di liquidi nei dischi; una interferenza con i processi nutritivi dei dischi intervertebrali; l’innesto di una sofferenza discale e una precoce tendenza alla degenerazione. Il meccanismo patogenetico, quindi, consiste nella presenza di una pressione costante invariata sui dischi intervertebrali che ne altera il metabolismo e quindi la resistenza al carico meccanico. S1 S1 a b c Fig. 8 Esempi di deficit neurologici in presenza di ernia del 5° disco lombare a. Difetto sensitivo (parestesia, disestesia) del dermatomero S1 b. Paresi per il danneggiamento della radice nervosa S1: impossibilità di reggersi su una sola gamba L’assunzione di posture errate c. Paresi completa della radice nervosa L5: impossibilità di sollevare il piede e le dita del piede. Esposizione professionale Il danno del rachide determinato dalle posture di lavoro può verificarsi con due diversi meccanismi derivanti da posture corrette o scorrette, statiche o dinamiche. a b c Le posture errate agiscono, invece, attraverso un meccanismo di sovraccarico e le condizioni più sfavorevoli sono quelle che determinano pressioni assiali sulle vertebre costantemente superiori ai 70 kg e che generalmente si accompagnano a condizioni di contrazione muscolare statica (isometrica) della muscolatura posteriore del rachide e del cingolo scapolare. Alcune posizioni asimmetriche di squilibrio sono abbastanza frequenti e ripetitive. La posizione seduta sul bordo di un seggiolino odontoiatrico con il corpo piegato in avanti non supportato dallo schienale, lo sguardo rivolto in basso e in avanti provoca la scomparsa della “S” d e Fig. 9 Variazione della postura del rachide in posizione seduta scorretta (a, b), in piedi (c), su seggiola ergonomica di tipo Bambach (d, e) CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE naturale del rachide e la trasforma in una “C” con sovraccarico in zona lombare (L4-L5, L5-S1), cervicale bassa (C5-C6, C6-C7) e cifosi globale (figura 9 a, b) ben diversa dalla situazione in posizione eretta (figura 9 c) o posizionata su apposite sedie ergonomiche (figura 9 d, e). Lavorare in posizione eretta pone l’operatore in posizione unipode disequilibrata che richiede una serie di compensazioni posturali (corpo proteso in avanti strapiombante lateralmente, abbassamento della spalla del lato prevalente e innalzamento dell’altra, flessione laterale del rachide e torsione delle vertebre cervico-dorsali); ne deriva un sovraccarico vertebrale e discale, delle faccette articolari, con sintomatologia algica che a sua volta accentua la contrattura muscolare. Orientamenti per la prevenzione Gli interventi di prevenzione delle sindromi muscolo-scheletriche vanno affidati ad una pluralità di azioni in genere tra loro integrate e complementari. Le azioni di struttura riguardano gli strumenti e la progettazione del posto di lavoro secondo criteri ergonomici normalmente adottati dalla tecnologia e ingegneria delle industrie del settore dentale. Le azioni organizzative riguardano i tempi, le pause e la ripartizione di diversi compiti e carichi di lavoro, compito facilmente ottenibile in odontoiatria; attività che tipicamente lascia una sostanziale discrezionalità agli operatori. Le azioni educative tendono a chiarire il significato e l’importanza e le concrete modalità di applicazione per gli operatori in modo che possano adottare le misure di prevenzione (nozioni di anatomia e fisiopatologia, consigli di comportamento nell’esecuzione di gesti lavorativi ed extralavorativi). Esistono posture fortemente consigliabili per la salvaguardia di muscoli, ossa e articolazioni, mentre altre sono del tutto errate; non esiste comunque una posizione perfetta e non è da escludere che occasionalmente posizioni scorrette possano essere assunte per brevi periodi per esigenze operatorie. È quindi importante rispettare alcune prescrizioni fondamentali nella prevenzione delle patologie del rachide: • assumere posizioni di lavoro corrette che permettano l’obiettivo teorico di mantenere il più possibile il rachide in asse sui due piani frontale e sagittale (cioè schiena ben distesa); • evitare posture sbilanciate o inclinate lateralmente che provocano carichi extrassiali sui dischi intervertebrali o posizioni curvate in avanti che alterino le curvature fisiologiche del rachide; • controllare i fattori sistemici di rischio per la lombalgia (obesità, vita sedentaria); • applicare modelli di esercizio fisico compensatorio (stretching, ginnastica medica, posture antalgiche). Esistono precise e definite figure per una corretta posizione di lavoro che possono essere sinteticamente ricordate. FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DELLA LOW BACK PAIN SYNDROME Fattori di rischio Prevenzione • Fattori predisponenti sistemici Sedentarietà Obesità Corrette abitudini alimentari Esercizio fisico compensatorio • Postura scorretta Posizione eretta unipode Posizione seduta curvata in avanti Adottare posizioni fisiologiche senza torsioni del rachide: • regolando la posizione del paziente • lavorando eretti, allargare i piedi per garantire • una base di appoggio allargata • lavorando seduti, mantenere il rachide in asse • Postura statica Mantenimento per lunghi periodi di tempo della stessa posizione anche se corretta 73 Mutare posizione 5-10 minuti ogni ora Controllare il ritmo e l’ampiezza respiratoria 74 MEDICINA DEL LAVORO • Sedersi in modo centrato e bilanciato sul seggiolino e regolarne l’altezza in modo da avere l’asse del femore parallelo al pavimento, un angolo di 105-115° al ginocchio, la pianta dei piedi appoggiata al suolo. • Mantenere il corpo simmetrico e bilanciato (spalle rilassate e parallele al pavimento; rachide esteso, allungato e appoggiato allo schienale del seggiolino; gabbia toracica espansa; avambraccia rilassate e parallele al pavimento; gomiti vicino al corpo). • Posizionare il paziente (regolando la poltrona, il poggiatesta e spostando la testa del paziente) e scegliere la posizione di lavoro “a orologio” in modo da assicurare la visibilità del sestante operativo senza dovere inclinare il capo e il busto più di 15° in avanti o di lato. • Controllare periodicamente (circa ogni quarto d’ora) la propria postura per correggere posizioni errate. • Interrompere e cambiare periodicamente la posizione di lavoro anche se corretta. Si stima che alternanze sostanziali della postura devono intervenire per periodi di 5/10 minuti almeno ogni ora. • Controllare periodicamente il ritmo respiratorio, ricercando una effettiva espansione toracica (spesso respiriamo con escursione troppo ri- 90° Fig. 10 Postura del rachide scorretta con sedia tradizionale dotta) e controllando che l’espirazione sia lievemente più lunga della inspirazione (ad esempio, espirazione 4 secondi ed inspirazione 3 secondi). In tal modo viene ridotto il volume residuo di aria polmonare e aumentato il volume corrente, garantendo una miglior ossigenazione di tutti i tessuti e quindi dei muscoli. Per gli operatori sanitari affetti da rachialgia è consigliabile utilizzare delle particolari sedie regolabili, disponibili sul mercato, che consentono una corretta postura (simile a quella ortostatica) per la prevenzione delle algie vertebrali. Una risoluzione ergonomica è caratterizzata dalla presenza di un piano di appoggio inclinato in avanti che consente una flessione ideale di 60-70° delle anche, lo scarico di una parte del peso sulle ginocchia (figure 10 e 11). In tale modo l’angolo di inclinazione del piano sacrale (angolo formato dal margine superiore della prima vertebra sacrale con il piano orizzontale) viene mantenuto su un valore di 20-50° simile alla posizione ortostatica; garantendo, quindi, una distribuzione fisiologica delle pressioni interdiscali. Una ulteriore possibilità è data dal seggiolino a sella di Bambach, che persegue gli stessi obiettivi ed è stata appositamente adattata per gli operatori sanitari. 60° a 70° Fig. 11 Correzione della postura del rachide con seggiola ergonomica CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE Sindromi muscoloscheletriche del distretto cervico-brachiale Sotto il profilo pratico CTD è un termine collettivo per le sindromi muscolo-scheletriche del distretto cervico-brachiale, caratterizzate da affaticamento, limitazione funzionale, disabilità, dolore persistente a carico di articolazioni, muscoli, tendini, nervi e tessuti molli senza lesioni organiche evidenti. Il meccanismo patogenetico con cui il sovraccarico meccanico agisce è da ascrivere a un affaticamento cronico delle strutture muscolari e articolari (faccette), a una irritazione delle strutture tendinee e peritendinee; il perdurare nel tempo può condurre a coinvolgimento dei nervi periferici (plesso brachiale) e forme canalicolari. La sindrome da tensione cervicale è una cervicobrachialgia di origine posturale causata da posizioni scorrette di lavoro; in particolare dall’abitudine di lavorare in visione diretta, posizionandosi di lato al paziente seduto, situazione che obbliga, per i sestanti latero-superiori, ad allungare e inclinare il capo causando un sovraccarico del rachide in zona cervicale bassa con possibile radico- 75 patia C6-C7 e parestesia nel territorio di innervazione ulnare (dito mignolo e anulare). Il tipo più comune di CTD è la sindrome del tunnel carpale, una neuropatia da compressione del nervo mediano nel tunnel carpale. Il nervo mediano innerva il pollice, l’indice, il medio, la superficie cutanea mediale dell’anulare e il palmo della mano; il tunnel è formato dall’arco disegnato dalle ossa carpali e dal legamento carpale trasverso. Un tipico meccanismo lesivo si verifica nella scorretta esecuzione dello scaling quando l’operatore, tenendo lo strumento con l’impugnatura a penna modificata mediante indice, medio e pollice, omette di esercitare l’azione di fulcro con l’anulare sull’arcata dentale; il movimento di attivazione scorretto, limitato all’uso delle dita e del polso, provoca un’eccessiva tensione flessoria del polso e la compressione del nervo periferico (figura 12). I sintomi della sindrome sono costituiti da parestesie e disestesie a comparsa spontanea notturna e diurna, ipoestesia e ipostenia della zona irrorata dal nervo mediano; i pazienti possono lamentare un senso di fatica con parziale difficoltà ad afferrare oggetti sottili od occasionali cadute di mano degli oggetti stessi, dita fredde e dolore spontaneo (figura 13). Ossa carpali Legamento carpale trasverso Nervo mediano a b Fig 12 Effetti della posizione di lavoro del polso a. Posizione corretta di lavoro del polso, disteso e in linea con il braccio b. Il piegamento del polso per una posizione di lavoro scorretta può comprimere ripetutamente il nervo mediano nel tunnel causando la sindrome del tunnel carpale 76 MEDICINA DEL LAVORO FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DEL CUMULATIVE TRAUMA DISORDERS Fattori di rischio • Ripetitività Movimenti ripetuti di flessione, estensione e rotazione dell’avambraccio gli appuntamenti • Forza Prese prolungate e con pressione elevata degli strumenti di lavoro Presa a penna modificata senza utilizzazione dell’anulare come fulcro • Postura scorretta Spalle e schiena curve, braccia in posizione elevata, gomiti piegati più di 90°, posizioni forzate del polso • Postura statica Mantenimento per lunghi periodi di tempo della stessa posizione anche se corretta Nervo radiale Nervo mediano Nervo ulnare Fig. 13 Sintomatologia della sindrome del tunnel carpale Prevenzione Evitare movimenti ripetitivi o intervallarli con adeguati periodi di riposo, programmando Diminuire l’utilizzazione della forza Utilizzare strumenti adatti per diametro dell’impugnatura e caratteristiche che permettano una utilizzazione senza sforzo Mantenere spalle, gomiti e polsi in posizioni naturali e rilassate Lavorare in una posizione corretta senza inclinare la testa e la schiena Eseguire esercizi compensatori (stretching) per avambracci, collo, spalle e schiena. Eseguire attività di scarico sul rachide in toto (attività motoria o rilassamento in acqua) Due tipici segni diagnostici sono: • test di Phelan che consiste nel posizionare le superfici dorsali delle mani a contatto e quindi nel flettere di 90° i polsi mantenendo la posizione per un minuto; il test è positivo nel caso compaia parestesia; • test di Tinel, che consiste nel picchiettare con il dito sulla superficie ventrale del polso in corrispondenza del nervo mediano; il test è positivo in caso di comparsa di dolore o sensazione di scossa. La prevenzione per diminuire l’incidenza della sindrome si basa sull’utilizzazione corretta degli strumenti e delle posizioni di lavoro. CAPITOLO 8 • PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE Ginnastica compensatoria nelle lombalgie Torsione lombo-pelvica e trazione verticale del rachide lombare alla spalliera. Stretching dei muscoli ischio-crurali e glutei Stretching dei muscoli dorsali e lombari dalla posizione quadrupedica. 77 CAPITOLO 9 RADIAZIONI IONIZZANTI F. Montagna, R. Lucca Cenni di fisica una energia maggiore rispetto alle seconde alle quali è associata una quantità di energia minore. Una radiazione è definita ionizzante quando la sua energia è sufficiente a causare la perdita di elettroni da atomi stabili della materia in cui si propaga. Le fonti di irraggiamento sono molteplici, tra cui ricordiamo, in particolare, quelle che maggiormente preoccupano l’odontoiatra: il fondo naturale (valore medio annuo calcolato in 2 mSv) e gli impianti di generatori di raggi X utilizzati per la diagnosi. I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche definite da una lunghezza d’onda, un periodo e una frequenza; schematizzando, possiamo sintetizzare la loro azione come il passaggio attraverso la materia e la cessione della loro energia che determi- Per radiazione si intende l’energia trasferita attraverso lo spazio, misurata in elettronvolt (eV). In base alla loro capacità di ionizzazione, le radiazioni si distinguono in ionizzanti (ad esempio, raggi X, raggi gamma, radiazioni alfa, beta e neutroni, radiazioni ionizzanti elettromagnetiche) e non ionizzanti (ad esempio, radiazioni ottiche e sonore, radiofrequenze, microonde, campi elettromagnetici) come riportato nella figura 1. Le prime sono misurate in elettronvolt (> 12 eV) e determinano un rischio biologico elevato a seguito di esposizione professionale, in quanto associate a Radiazioni non ionizzanti (NIR) ELF Radiazione ottica Radiazioni ionizzanti RF MW 300 MHz IR VIS UV gamma X raggi cosmici 300 GHz f (Hz) 760 nm 1m 1 mm 100 nm 10-4 nm 400 nm 12 Fig. 1 Spettro elettromagnetico λ (m) hf (eV) CAPITOLO 9 • RADIAZIONI IONIZZANTI 79 Tab. 1 Effetti stocastici e non stocastici delle radiazioni ionizzanti (da Mays 1988) EFFETTI DOSE SOGLIA GRAVITÀ/DOSE NO NO SÌ SÌ Dermatite Cataratta Sterilità Anemia • Classe II NO SÌ Ritardo mentale Ritardo di crescita Teratogenesi • Classe III SÌ NO Stocastici (probabilistici) Non stocastici (deterministici) • Classe I na l’espulsione dall’atomo di un elettrone (ionizzazione). Il danno chimico che si determina nella materia vivente e gli effetti sulle cellule dipendono dalla dose assorbita e dalla durata di esposizione e consistono in alterazioni del DNA, attraverso una complessa catena di fenomeni chimico-fisici e alterazioni biologiche. I meccanismi di azione ipotizzati sono diversi ma riconoscono come tappa finale la formazione di radicali liberi; cioè di molecole (o atomi) elettricamente neutre, molto reattive che tendono a interagire con altre molecole accoppiando (ossidazione) o cedendo (riduzione) l’elettrone spaiato presente nell’orbita esterna. La formazione di radicali liberi può avvenire per azione diretta (teoria dell’urto) o indiretta per attivazione dell’acqua intracellulare (radiolisi). ESEMPI Neoplasie maligne Effetti genetici (mutazioni) Carcinoma cutaneo Radiobiologia La radiobiologia studia le interazioni delle radiazioni ionizzanti con la materia vivente, gli effetti che ne derivano e le loro conseguenze. Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sono classificati in due categorie (tabella 1). • Graduati (deterministici o non stocastici) che avvengono sistematicamente dopo l’esposizione; sono legati ad una dose soglia e la gravità del loro effetto sui tessuti è direttamente proporzionale e dipendente dalla dose; causano danni di tipo esclusivamente somatico e il loro effetto è a carico di più cellule (policitico). • Stocastici (probabilistici), che possono verificarsi dopo irradiazione; sono gravi e irreversibili; si realizzano sulla persona irradiata (effetti somatici) o nella sua discendenza (effetti gene- CRITERI PER LA RADIOPROTEZIONE SECONDO LA ICRP • Principio della giustificazione, secondo cui non si devono usare radiazioni ionizzanti se non si produce un netto beneficio (principio della prevenzione del rischio indebito) • Principio della ottimizzazione secondo cui i vantaggi, ottenuti riducendo la dose al di sotto dei limiti raccomandati, devono essere ponderati con l’aumento dei costi che ne risulta; quindi, ogni esposizione deve essere mantenuta al livello più basso che si possa ragionevolmente ottenere, tenendo conto degli aspetti economici e sociali (principio ALARA, “as low as reasonably achievable”) • Principio della limitazione delle esposizioni individuali, secondo cui l’equivalente di dose non deve superare i limiti raccomandati 80 MEDICINA DEL LAVORO tici); non riconoscono una dose soglia, anche se l’aumentare della dose aumenta la probabilità di comparsa dell’effetto, effetto che è a carico di una o poche cellule (aplocitico). Il modello assunto dalla ICRP (International Commission on Radiological Protection) assume la proporzionalità lineare senza soglia, per cui ogni dose, anche la più piccola, potrebbe essere in grado di indurre un tumore o un danno genetico. Radioprotezione La radioprotezione si pone l’obiettivo di preservare lo stato di salute e di benessere dei lavoratori e dei soggetti che compongono la popolazione, riducendo i rischi sanitari da radiazioni ionizzanti nelle diverse attività che ne comportano l’esposizione. I principi fondamentali fanno riferimento alla ICRP che ha sancito i tre criteri basilari della radioprotezione, il cui scopo consiste nell’impedire gli effetti deterministici, fissando i limiti massimi di dose annua, e di limitare gli effetti probabilistici (stocastici) a livelli considerati accettabili. Tra le grandezze fondamentali della dosimetria e le relative unità di misura ricordiamo i tre parametri importanti, ai fini del monitoraggio del rischio biologico: • la dose di esposizione misurata in Sv (sievert); • la dose assorbita che misura la quantità di energia ceduta in una massa unitaria di tessuto: la unità di misura corrente è il gray (Gy) pari a 1 joule/kg; • l’unità di dose equivalente (H) che è la grandezza dosimetrica convenzionale (indicatore di effetto) che tiene conto della dose assorbita e del suo effetto. La normativa di riferimento per la radioprotezione è rappresentata dal D.P.R. n. 185 del 13/2/64, il D.M. 2/2/71 e il D.Lgs. 230 del 17/3/95 che recepisce le direttive EURATOM dal 1980 al 1992. In base a tali normative per la radioprotezione in ambito medico vengono individuati alcuni concetti: • una zona controllata, in cui il rischio è maggiore ed è necessaria la sorveglianza fisica; mentre la sorveglianza medica è obbligatoria se vi è la presenza di “lavoratori esposti”; • una zona sorvegliata, in cui il rischio è minore ed è necessario esercitare solo la sorveglianza fisica; • i lavoratori esposti sono classificati in categorie (A e B) con obblighi, inerenti alla sorveglianza sanitaria periodica, differenziati in relazione alle dosi individuali annuali a cui sono esposti (D.Lgs. 230 del 17/3/95). Per la radioprotezione in odontoiatria, la situazione è semplificata in relazione alle diverse applicazioni e condizioni di lavoro che sottendono un minore rischio da radiazioni. La zona sorvegliata di norma non viene individuata poiché compresa all’interno della zona controllata, che, per definizione, dovendo avere l’accesso regolamentato e contrassegnato, si fa corrispondere a tutta la sala odontoiatrica. La classificazione del personale odontoiatrico consiste in “lavoratori non esposti” e “persone del pubblico”; categorie che non presentano il rischio di contaminazione o sovraesposizione accidentale oltre i limiti individuali di dose di 1 mSv/anno raccomandati dall’ICRP n. 60 e sanciti dal D.Lgs. 230/95. Per tali motivi non risulta necessaria la sorveglianza medica e i controlli, obbligatori per legge, sono limitati alla sorveglianza fisica affidata all’esperto qualificato che effettua: • la delimitazione delle zone; • l’esame e il controllo dei dispositivi di protezione (esame preventivo dei progetti e modifiche); • la prima verifica di nuovi impianti; • controllo periodico dell’efficacia dei dispositivi tecnici di protezione, delle buone condizioni di funzionamento e del loro impiego corretto. Per tali attività l’esperto qualificato è delegato dal datore di lavoro che resta, comunque, il principale responsabile dell’osservanza delle norme di sicurezza. Esposizione professionale in odontoiatria Le attuali misure di prevenzione e controllo sono più che sufficienti per garantire l’assoluta tranquillità degli operatori che si attengono alle norme di sicurezza e non sono ipotizzabili sovraesposizioni o contaminazioni accidentali. A conferma di questa asserzione la assoluta mancanza di danni da radiazione denunciati all’INAIL da parte del settore odontoiatrico e la costante negatività dei controlli dosimetrici, constatate nella pratica clinica. Citiamo, come esempio, un controllo eseguito su 139 letture trimestrali per un periodo di 6 anni (Leghissa 1995) che ha evidenziato due soli controlli CAPITOLO 9 • RADIAZIONI IONIZZANTI superiori a 40 microsievert in due diverse annualità; valori che non hanno, quindi, mai superato la dose soglia. Va ricordato peraltro che il controllo dosimetrico rappresenta un procedimento di sorveglianza medica individuale non obbligatorio in ambito odontoiatrico ma eseguito occasionalmente a scopo di controllo, come misura facoltativa, da alcuni odontoiatri sensibili alla problematica della radioprotezione. Rimane tuttavia un rischio potenziale (teorico) che consiste in danni stocastici (probabilistici) a insorgenza tardiva essenzialmente rappresentati da effetti genetici sulla prole o neoplasie maligne. In odontoiatria il rischio che radiografie endorali possano provocare neoplasie è stata valutata in 2,3 casi per milione (Wall e Kendall 1983) e correlato all’uso scorretto di apparecchiature malfunzionanti o non protette da schermature. Esposizione della popolazione Per quanto attiene all’impatto delle radiografie odontoiatriche sulla popolazione è opportuno considerare che esse rappresentano una parte cospicua delle radiazioni diagnostiche e terapeutiche; ma che, comunque, l’esame della letteratura non evidenzia un significativo rischio di danno da radiazioni per i pazienti. • Nel 1982 Gibbs stimava che il rischio di neoplasia da radiazioni dentali fosse un caso per milione di abitanti, mentre il rischio di danni genetici era valutato un caso su un miliardo; il livello di rischio era ritenuto sostanzialmente sovrapponibile per le ortopanoramiche e per l’esame completo con endorali. • Nel 1983, Wall e coll. pubblicavano i risultati di una vasta ricerca effettuata nel 1981 in Gran Bretagna, secondo cui nel 1981 erano state effettuate circa 6,7 milioni di endorali e 910.000 ortopantomografie. Il rischio di tumori mortali era calcolato rispettivamente in 0,33 e 1,3 casi per milione; mentre la dose collettiva assorbita era stimata in circa 212 Sy, che, tenendo conto di fattori come età e sesso, produceva circa 3 ulteriori casi mortali per anno. • Nel 1987, Stentsom e coll. calcolavano la dose equivalente effettiva per 20 esposizioni con film D-speed e 65 kV, ritenendola equivalente a 0,23 mSy con collimatori circolari e a 0,14 mSy con 81 collimatori rettangolari. Queste dosi corrispondevano, rispettivamente, ad un tempo d’esposizione alla radiazione naturale di 6 e 3 settimane circa. • Nel 1990 Danforth e coll. calcolavano che il rischio di contrarre una leucemia da una Rx endorale (90 kV) era di un caso su 7,69 milioni di abitanti; statisticamente equivalente al rischio di morte per cancro fumando 0,94 sigarette nel corso di tutta la vita o al rischio di morire per incidente d’auto guidando per 3,7 km. Per avere effetti dannosi (non stocastici) alla cataratta occorrono circa 10.900 endorali. • Nel 1992 White valutava il rischio totale in 2,5 neoplasie mortali per 10 milioni di indagini complete con endorali, eseguite con pellicole D-speed e collimatore circolare. I rischi erano maggiori (secondo dati ICRP) per leucemie e tumori della tiroide. • Nel 1995 Langlais e coll. accertavano che i rischi da Rx dentali riguardavano principalmente i tessuti somatici e poco i tessuti genetici. Inoltre il rischio relativo risultava, generalmente, 10 volte superiore per un esame completo tramite endorali che per una ortopantomografia. Secondo i loro risultati per le lavoratrici in gravidanza poteva essere accettato come valore soglia un decimo del limite normale di esposizione ritenuto sicuro per la popolazione generale. Accanto a questi dati, comunque, alcune indagini epidemiologiche eseguite sulla pratica radiologica e sulle conoscenze di radioprotezione da parte degli odontoiatri ha, talora, evidenziato alcune carenze di preparazione specifica e atteggiamenti clinici che sottendono un ingiustificato aumento del rischio da radiazioni per la popolazione esposta a indagini radiologiche odontoiatriche. • Nel 1989 Goren e coll. utilizzavano un questionario, riempito da 132 dentisti del Long Island Medical Center di New York, da cui, tra l’altro, si accertava che solo il 13% utilizzava i film di classe E a bassa esposizione. • Nel 1994 Bohay e coll. effettuavano una interessante indagine statistica su 963 dentisti della provincia dell’Ontario (Canada): dall’analisi dei dati si evinceva che più del 75% delle radiografie era stato effettuato da circa il 10% degli intervistati; le pellicole veloci E-speed erano usate solo dall’11%; il collimatore rettangolare dall’8%; mentre il 2% faceva ancora tenere la lastrina dal paziente. • Sempre nel 1994 Horner valutava in più di 16 milioni le Rx dentali effettuate in un anno nella sola Inghilterra e Galles. 82 MEDICINA DEL LAVORO Un problema particolarmente dibattuto è inerente all’utilità di eseguire esami radiologici sistematici sulla popolazione, prevalentemente con ortopantomografie; numerose indagini ritengono non giustificato il rapporto costo-beneficio (numero di diagnosi eseguite in rapporto all’aumento del rischio da radiazioni) di questa prassi e sconsigliano, quindi, l’esecuzione di screening in assenza di specifiche indicazioni diagnostiche. • Nel 1989 Ignelzi e coll. effettuavano 849 ortopanoramiche relative a bambini dai 3 ai 9 anni, pazienti della scuola di odontoiatria del North Carolina: dal loro esame emergeva che il 2,4% aveva dei soprannumerari, il 7,8% aveva delle agenesie, il 9,1% aveva eruzioni ectopiche. Sulla scorta dei risultati raggiunti concludevano che non vi è una reale necessità di screening come quello da loro effettuato. • Nel 1996 Rushton e coll. valutavano in circa 1,5 milioni le ortopanoramiche effettuate in Inghilterra e Galles, effettuavano quindi una profonda revisione della letteratura sulla qualità e precisione diagnostica delle OPT. Sulla base delle indagini esaminate suggerivano una maggiore attenzione nella indicazione, a causa di molti difetti di diagnosi per la cattiva qualità delle immagini. • Nel 1997 Richardson sottoponeva a screening dentali con OPT un gruppo di 1101 reclute della RAF (Royal Air Force) britannica, dell’età media di 19 anni. Vennero riscontrate: 3 grosse aree radiotrasparenti, 75 aree radiotrasparenti periradicolari, 4 probabili cisti, 1187 terzi molari non erotti. Le sue conclusioni furono che “la possibilità di rivelare le predette patologie con Rx endorali mirate dalla clinica non giustificava l’uso di screening OPT nei giovani”. Orientamenti per la prevenzione L’odontoiatra che utilizzi apparecchiature radiologiche deve rispettare gli obblighi di legge previsti dal D.Lgs. n. 230 del 17/3/95 (Attuazione delle direttice EURATOM 80/836, 84/466, 84/467, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti). È necessario procedere a nominare un esperto qualificato (EQ) per la sorveglianza fisica della radioprotezione e seguirne le indicazioni che consistono in misure diverse: • individuare e limitare gli ambienti in cui sussistono rischi da radiazioni; • predisporre norme interne di protezione e sicurezza; curare che copia di tali norme sia consultabile dai lavoratori; controllare che tali norme siano rispettate; • informare i lavoratori sui rischi connessi; • fornire i mezzi di protezione previsti; • aggiornare la documentazione in seguito a modifiche degli apparecchi radiologici (tipo, numero, disposizione, modalità di impiego) o dell’ambiente (modifiche, demolizioni, spostamento dei riuniti); • controllare periodicamente l’efficacia dei dispositivi ed effettuare la sorveglianza fisica dell’ambiente. In conclusione, non vi è dubbio che tutte le fonti bibliografiche esaminate indichino che il rischio rappresentato dalle radiazioni ionizzanti, utilizzate in odontoiatria, sia poco significativo, sia per i pazienti che per gli operatori. Considerando, comunque, l’elevato numero di esami radiografici effettuato, è opportuno valutare il possibile danno di tipo stocastico (cioè non dose-dipendente) utilizzando ogni accorgimento praticabile per ridurre la dose di radiazioni assorbita dalla popolazione, o accidentalmente dagli operatori. In pratica, evitare screening non giustificati con ortopantomografie o radiografie endorali corrisponde al principio di giustificazione e a quello di limitazione delle esposizioni individuali; mentre utilizzare metodiche radioprotezionistiche soddisfa il principio di ottimizzazione. In questo ultimo ambito va ricordata l’importanza di utilizzare misure che sono in grado di ridurre l’esposizione alle radiazioni in modo consistente (dal 20 al 60%), come l’adozione di apparecchiature moderne, film ultraveloci, collimatori (per le radiografie endorali), schermi di intensificazione e filtri a base di terre rare (per le ortopantomografie). CAPITOLO 10 PATOLOGIE OCULARI F. Montagna, M. Vianini Lo studio delle patologie oculari occupazionali rimanda a tre ordini di considerazioni in materia di patologie occupazionali. • I traumi causati da agenti chimici e fisici inquadrabili come infortuni professionali. • I danni oculari causati dall’esposizione, prolungata o acuta, a radiazioni ottiche (fotopolimerizzatori, laser) inquadrabili nell’ambito degli infortuni o delle malattie professionali. • Disturbi oculari, visivi e/o generali dovuti alle condizioni del luogo di lavoro (illuminazione, videoterminali) e al tipo di attività svolta. In realtà le patologie oculari non rappresentano un rischio professionale e l’importanza delle radiazioni ottiche in odontoiatria è limitata ad una corretta illuminazione del campo operatorio per la corretta percezione dei colori e la discriminazione di particolari anatomici nella esecuzione delle cure. Unica eccezione consiste nei traumi oculari da corpi estranei, forieri di patologie acute, temporanee e di scarsa gravità. Improbabili o eccezionali appaiono, invece, altre ipotesi di danni oculari, peraltro analizzate in questo capitolo per esigenze di completezza. l’illuminamento (e), cioè il flusso luminoso che raggiunge una unità di superficie, espressa in lux (lux = lumen/m2). La luminanza (l) è invece l’intensità luminosa riferita all’unità di superficie; la sua unità di misura è la candela. Va sottolineato che, oltre alla quantità della luce, in realtà sono molte le variabili che concorrono a rendere congrue le condizioni illuminotecniche, la cui importanza in odontoiatria è fondamentale, per una corretta percezione del colore, importante per il risultato estetico. Le funzioni visive in una attività lavorativa che implica l’osservazione di un punto di fissazione tra i 30 e i 50 cm sono diverse. • L’acuità visiva corrisponde alla capacità dell’occhio di discriminare dettagli spaziali e quindi di poter distinguere nettamente due punti o due linee come immagini distinte. I fattori che la condizionano sono lo stato refrattivo (miopia, presbiopia), l’intensità luminosa, il contrasto, la CONDIZIONI ILLUMINOTECNICHE Illuminazione del luogo di lavoro Nel lavoro odontoiatrico la funzione visiva è sollecitata in modo consistente dalle specifiche condizioni di lavoro nelle quali possono coesistere due situazioni a rischio come l’illuminazione inadeguata e l’attività ad elevato impegno visivo. Cenni di fisica e fisiologia Tra le principali grandezze fotometriche, utilizzate per misurare l’illuminazione, la più conosciuta è • L’illuminamento, misurato in lux, è il flusso luminoso che raggiunge l’unità di superficie, cioè la quantità della luce • La temperatura di colore di una sorgente luminosa, misurata in gradi kelvin, indica il colore apparente ed è fondamentale per ridurre le modificazioni cromatiche di ciò che l’occhio umano percepisce • L’indice massimo indica la continuità dello spettro luminoso, nella luce bianca naturale è del 100% • Il punto di colore indica il rapporto tra i vari componenti della luce (blu, rosso, giallo) • Altre variabili sono rappresentate dal contrasto, i fenomeni di riflessione e l’abbagliamento 84 MEDICINA DEL LAVORO trasparenza dei mezzi diottrici (cristallino), la funzionalità retinica e del nervo ottico. • Il complesso della visione da vicino, cioè l’azione sinergica fra: – l’accomodazione, meccanismo automatico dell’occhio per ottenere la visione nitida di oggetti posti a distanza diversa, grazie alla proprietà del cristallino di poter variare la sua curvatura; – la convergenza, movimento disgiunto (vergenza) che provoca un aumento dell’angolo formato dagli assi visivi, il cui risultato è una posizione convergente degli assi visivi; – il restringimento pupillare, che avviene nel mettere a fuoco oggetti vicini. • L’adattamento rappresenta la capacità dell’occhio di adeguarsi al variare dell’illuminazione dell’ambiente, attraverso diversi meccanismi (riflesso fotomotore pupillare, sensibilità retinica alla luce, modulazione della frequenza degli impulsi lungo le vie ottiche). Illuminazione, funzioni visive e lavoro in odontoiatria La prestazione odontoiatrica consiste in un lavoro che sollecita l’apparato visivo a causa di molteplici caratteristiche: necessita di una ottimale focalizzazione di oggetti piccoli a una distanza di circa 30-50 cm con una area di lavoro ristretta e di dimensioni ridotte; richiede una elevata illuminazione che, dato il ristretto campo operatorio, può facilmente essere inadeguata in alcune posizioni. L’uso di una elevata illuminazione, inoltre, può causare situazioni di abbagliamento; fenomeno che è dato da una eccessiva differenza di luminanza tra due superfici e che, nei casi estremi, porta a vedere solo l’oggetto luminoso abbagliante e non il campo circostante. Se gli impegni occupazionali richiesti sono superiori alle capacità funzionali dell’apparato visivo ne può derivare una diminuzione delle prestazioni, un aumento di errori e l’insorgenza di veri e propri disturbi visivi, oculari e/o generali che possono essere definiti con il termine di fatica visiva o astenopia. Con il termine di astenopia si intende una sindrome clinica, causata da un disagio della visione, che si manifesta con un insieme di sintomi e segni in prevalenza oculari ma anche generali. Le manifestazioni della astenopia, varie, multiformi, più o meno associate fra loro, sono riportate nella tabella 1. Numerosi sono i fattori all’origine dell’affaticamento visivo e possono essere divisi in ambientali, oculari e sistemici. Tra i fattori ambientali occorre ricordare soprattutto le carenze della illuminazione (insufficiente o maldistribuita) e i difetti del campo di osservazione quali minuzia dei dettagli (caratteri di stampa molto piccoli, miniature dell’industria elettronica o dell’artigianato), scarsità del contrasto (come in molti caratteri tipografici moderni), movimenti ritmici e continui (processi industriali a catena, pagine in lettura durante i viaggi). Molti sono i fattori oculari: ametropie non corrette, disturbi accomodativi, eteroforie, deficit della convergenza, deficit della fusione, aniseiconia. Infine, vanno ricordati i fattori sistemici, sia organici, quali debolezza costituzionale, deperimento generale nella convalescenza, nel puerperio, nell’allattamento, nella scarsa nutrizione, stati di surmenage, sia funzionali, come neurolabilità, emozioni, stati ansiosi, ecc. Tab. 1 Sintomi e segni dell’astenopia ASPETTI VISIVI ASPETTI OCULARI ASPETTI GENERALI Riduzione della acuità visiva Miopizzazione transitoria Transitorio allontanamento del punto prossimo Comparsa o aumento di forie Fotofobia Visione sfocata Visione sdoppiata Aloni colorati Effetto McCollough (visione rosata) Lacrimazione Ammiccamento aumentato Prurito Irritazione Secchezza Bruciore Sensazione di sabbia sotto le palpebre Pesantezza dei bulbi Dolore, arrossamento congiuntivale Alterazioni qualitative/quantitative Cefalea Astenia Nausea Dispepsia Vertigine Tensione generale CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI Va infine ricordato che il D.Lgs. 626/94 impone una valutazione dei rischi da videoterminali (VDT) e la sorveglianza sanitaria in tutti i posti di lavoro ove questi siano utilizzati per più di 4 ore continuative. Allo stato attuale non sono disponibili dati scientifici che sostengano affaticamento visivo e astenopia a seguito dell’uso di sistemi ingranditori il cui uso si sta diffondendo in odontoiatria (occhiali ingranditori, stereomicroscopi). Orientamenti di prevenzione Per quanto riguarda gli ambienti di lavoro, l’illuminazione deve rispondere ad alcuni requisiti fondamentali in modo da risultare: • sufficiente al compito visivo richiesto; • non riflettente-abbagliante; • uniforme con un giusto equilibrio tra luce ed ombra; • di composizione spettrale simile alla luce naturale. La qualità della luce in odontoiatria per la corretta percezione dei colori è di 4500-6000 kelvin e indice simile alla luce naturale (100%). Il range di illuminamento nello studio odontoiatrico varia nelle diverse zone a seconda dei compiti richiesti come indicato dalla normativa Din 67505 che indica i seguenti valori: • 2400 lux nel campo operatorio (bocca del paziente); • 1000 lux nella zona perioperatoria (0,5 m attorno alla bocca); • 550 lux nella zona di servizio (0,5-1 m attorno alla bocca). Nella tabella 2 sono stati riportati nelle prime due colonne i valori orientativi comunemente accetta- 85 ti in ambito di medicina del lavoro per i diversi compiti; nella terza la zona operatoria, che può essere considerata equivalente nello studio odontoiatrico. Radiazioni ottiche Con il termine di radiazioni non ionizzanti (NIR) si intendono tutte le forme di radiazioni elettromagnetiche il cui meccanismo primario di interazione con gli organismi viventi è differente da quello della ionizzazione. Sono considerate NIR quindi le radiazioni ottiche costituite dall’ultravioletto (UV), dal visibile (VIS) e dall’infrarosso (IR); le radiofrequenze (RF), le microonde (MW) fino ai campi elettromagnetici caratterizzati da frequenze estremamente basse (ELF). In odontoiatria rivestono interesse biomedico esclusivamente le radiazioni ottiche la cui utilizzazione può comportare, in alcune condizioni di impiego scorrette, un rischio professionale per il personale sanitario. Le radiazioni elettromagnetiche presentano evidenti caratteristiche ondulatorie che sono costituite dalla frequenza e dalla lunghezza d’onda (figura 1). • La frequenza consiste nel numero di oscillazioni al secondo dell’onda e la sua unità di misura è l’hertz (Hz); un’onda che ha una oscillazione al secondo ha una frequenza di 1 Hz. • La lunghezza d’onda è la distanza minima tra due punti in fase (o distanza tra i picchi o i ventri di due onde successive); si misura in unità metriche. • Frequenza e lunghezza d’onda sono legate da una relazione costante e risultano quindi grandezze inversamente proporzionali. Dal punto di vista biomedico è importante tenere Tab. 2 Livelli di illuminamento raccomandati in odontoiatria per diversi compiti visivi COMPITI VISIVI • Compito visivo di notevole difficoltà • Compito visivo con speciali requisiti • Compito visivo con dettagli critici RANGE DI ILLUMINAMENTO (LUX) > 2000 1500-2000 700-1500 PROPOSTA PER ZONA OPERATIVA Campo operatorio (bocca del paziente) Zona perioperatoria (0,5 m attorno alla bocca) • Esigenza visiva elevata 500-700 Zona di servizio (0,5-1 m attorno alla bocca) • Esigenza visiva media • Esigenza visiva semplice 300-500 200-300 Zona periferica 86 MEDICINA DEL LAVORO Banda spettrale (nm) UVC 100 INTERAZIONE UVB 280 PREVALENTE UVA 315 VSBL IRA 400 FOTOCHIMICA 760 IRB 1400 IRC 3000 PREVALENTE 10000 TERMICA PENETRAZIONE RELATIVA DELLA RADIAZIONE Fig. 1 Spettro delle radiazioni ottiche presente che l’energia trasportata da una radiazione (quindi la sua pericolosità) cresce al crescere della frequenza; le radiazioni più energetiche avranno quindi un’alta frequenza e una corta lunghezza d’onda e viceversa. Raggi ultravioletti I raggi ultravioletti si dividono in UVA, UVB, UVC a seconda della lunghezza d’onda: i raggi UVC sono associati a una maggiore quantità di energia (elevata frequenza) e sono quindi dotati di una maggiore lesività; gli UVA possiedono un maggiore potere di penetrazione in relazione all’elevata lunghezza d’onda. I principali usi delle radiazioni UV (B e C) IR (B e C) ottiche UV in ambito odontoiatrico consistono: • nel mantenimento di strumentario chirurgico sterilizzato in appositi armadietti per le loro caratteristiche germicide; modalità che non comporta rischi per il personale sanitario dal momento che gli spazi chiusi esercitano una schermatura; • nell’indurimento di resine fotopolimerizzanti che possono causare danni oculari limitati in caso di uso scorretto; apparecchiature non più attualmente in produzione in quanto soppiantate da attrezzature più moderne. Per quanto riguarda l’occhio la maggior parte dei raggi ultravioletti (UVB, UVC) si ferma sulla cornea (figura 2). A seconda della intensità della radiazione alla quale si è esposti, del tempo di esposizione e della distanza dalla fonte gli effetti dell’e- UV (A) Fig. 2 Assorbimento della radiazione ottica nelle diverse strutture oculari VIS IR (A) CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI sposizione consistono in un insieme di sintomi soggettivi e segni obiettivi che formano un quadro clinico caratterizzato da sensazione di corpo estraneo o di sabbia, fotofobia, lacrimazione, blefarospasmo, con eritema della cute palpebrale, iperemia congiuntivale e disepitelizzazione corneale. I disturbi si manifestano, in genere, dopo un periodo di 6-10 ore dall’esposizione (nelle radiazioni fortissime la latenza può essere molto ridotta). I sintomi durano 6-8 ore e in genere scompaiono nel giro delle 48 ore; nei casi più gravi scompaiono nel giro di alcuni giorni. La possibilità che gli UVA per usi prolungati raggiungano il cristallino e lo danneggino in modo permanente (cataratta) troverebbe conferma nel fatto che nella patogenesi della cataratta senile siano implicate le radiazioni ultraviolette della luce solare. Comunque, il dato attende ulteriori evidenze scientifiche. Lampade alogene e ARC plasma La segnalazione di casi di cheratocongiuntiviti e cataratte con perdita dell’acuità visiva tra operatori odontoiatrici dovute all’azione dei raggi ultravioletti ha portato alla graduale sostituzione con altri tipi di polimerizzatori per resine composite: • le lampade alogene la cui potenza è mediamente di 400 mwatt/cm2 nella maggior parte dei modelli (di recente immissione sul mercato modelli con potenza di 1000 mwatt/cm2); • le lampade ARC plasma per la polimerizzazione rapida, settore in rapida evoluzione in cui la potenza è mediamente di 20.000 mwatt/cm2. 87 Il rischio di danni permanenti dovuti a questi apparecchi rappresenta una ipotesi remota; è comunque possibile che esposizioni violente possano provocare ustione dei ricettori retinici, mentre esposizioni brevi ma ripetute possano provocare un progressivo invecchiamento degli stessi. Le precauzioni consistono nell’evitare di guardare la luce diretta e nell’utilizzare occhiali protettivi. Laser Laser è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, amplificazione della luce per mezzo dell’emissione stimolata di radiazione. È un fascio di radiazioni elettromagnetiche monocromatiche, coerenti e collimate, utilizzato in odontoiatria per diverse applicazioni come la chirurgia (incisione, escissione di neoformazioni), la conservativa (preparazione di cavità) e l’endodonzia (sterilizzazione dei canali radicolari). In commercio esistono diversi tipi di laser, che si differenziano in base alla sostanza dalla cui eccitazione deriva il fascio di radiazioni; ciascun prodotto presenta caratteristiche peculiari (lunghezza d’onda, potenza, collimabilità) che ne condizionano il settore di applicazione (Martelli, De Leo, Zinno 2000). Il meccanismo biologico alla base dell’azione del laser consiste nell’assorbimento dell’energia elettromagnetica da parte di quei cromofori del tessuto (emoglobina, acqua, pigmenti) che sono dotati di un picco di assorbimento corrispondente alla lunghezza d’onda del laser utilizzato; il successivo rilasciamento termico determina una fototermolisi. PERICOLOSITÀ, LUNGHEZZA D’ONDA E POTENZA DEI LASER • Le radiazioni con lunghezza d’onda situata nel campo visibile (VIS, 400-760 nm) e le radiazioni infrarosse di tipo A prossime alla regione della luce visibile (IRA, 760-1400 nm) sono in grado di attraversare l’occhio e di danneggiare la retina. Il fascio di raggi, infatti, può facilmente venire fatto convergere ed essere focalizzato dal cristallino sulla macula lutea (zona deputata alla visione distinta e alla percezione dei colori), determinando un elevato rischio di distruzione con esiti di cecità parziale o completa • Le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata nella regione dei raggi ultravioletti più vicini alla luce visibile (UVA, 315-400 nm) riescono ad attraversare le prime strutture dell’occhio, cioè la cornea e l’umor acqueo e possono raggiungere il cristallino danneggiandolo (cheratocongiuntivite, cataratta) • Le radiazioni laser con lunghezza d’onda situata a maggior distanza dalla luce visibile si arrestano invece in corrispondenza della congiuntiva e della cornea, potendo causare cheratocongiuntiviti; si tratta in questo caso dei raggi ultravioletti a lunghezza d’onda più corta (UVB 280-315 nm, UVC 100-280 nm) e degli infrarossi dotati di maggior lunghezza d’onda (IRB 1400-3000 nm, IRC 3000-10000 nm) 88 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 3 Prevenzione dei danni biologici da laser RISCHIO Danni oculari per radiazione • diretta PREVENZIONE • riflessa (speculare, diffusa) Non guardare il raggio con visione diretta Non usare strumenti ottici non schermati (microscopi, occhiali ingranditori) Utilizzare gli schermi specifici (occhiali protettivi, filtri montati su sistemi ottici) Non usare strumentario riflettente (specchi, strumenti lisci non satinati) Ustioni accidentali Mirare e dosare l’applicazione su cute e mucose Combustione, esplosione Eliminare dal campo operatorio il materiale infiammabile (garze, solventi) Il principale organo bersaglio del laser, potenziale fonte di rischio professionale per gli operatori, è l’occhio, in cui il danno può variare dalla congiuntivite alla cheratite, alla cataratta, alle lesioni retiniche con cecità. La pericolosità dei laser è in relazione alla lunghezza d’onda e alla potenza che determinano la capacità di penetrazione nelle strutture oculari, e quindi l’entità del danno. Le superfici cutanee e mucose possono essere, invece, sede di lesioni localizzate come ustioni di diversa profondità che possono guarire senza esiti o con cicatrici in caso di coinvolgimento più profondo sino al derma o alla tonaca sottomucosa. La prima e più importante misura preventiva per gli operatori consiste nel non guardare mai direttamente il fascio laser, sia visibile sia invisibile, per evitare danni oculari da radiazione diretta. Esiste inoltre il rischio di danni oculari da radiazione indiretta, considerato che quando una luce laser colpisce una superficie può venirne riflessa con due diversi meccanismi: • per riflessione speculare, con cui il fascio tende a non disperdersi; come ad esempio avviene da parte di strumenti che funzionino come superfici riflettenti; • per riflessione a carattere diffuso quando il fascio tende a disperdersi; come ad esempio avviene da parte di mucose e sangue. La radiazione riflessa specularmente è più pericolosa di quella diffusa, in quanto tutta l’energia rimane concentrata in un piccolo raggio d’azione senza disperdersi su una superficie più ampia, mantenendo intatta la forza e il potere lesivo. Per evitare i danni da radiazione riflessa si devono eliminare dal campo operatorio gli oggetti metallici o riflettenti, come ad esempio gli strumenti chirurgici lisci e gli specchi endorali; in alternati- va si possono ricoprire gli oggetti con materiale antiriflesso o utilizzare strumenti satinati. È evidente inoltre che osservare il campo operatorio mediante sistemi ottici non schermati aumenta la pericolosità, considerando l’amplificazione e la focalizzazione sulla macula lutea della retina causata dal sistema ottico. Una ulteriore precauzione consiste nel fare indossare al paziente e agli operatori gli appositi occhiali che schermano l’occhio anche lateralmente e muniti di lenti specifiche del laser; si deve ricordare infatti che gli occhiali adatti per proteggersi da un tipo di laser non assolvono la stessa funzione per altri laser a diversa lunghezza d’onda. Infine si deve tenere presente che il laser può facilmente provocare la combustione di materiali e gas infiammabili (carta, stoffa, alcool, etere, gas anestetici); poiché anche l’ossigeno in alte concentrazioni è infiammabile, si deve evitare l’uso in soggetti in ossigenoterapia o ventilazione artificiale. Una buona precauzione anticombustione può consistere nel bagnare i telini e le garze utilizzate nel campo operatorio (tabella 3). Traumi chimici e fisici Le lesioni di natura fisica sono dovute a manualità diagnostiche o terapeutiche svoltesi in modo scorretto per imperizia o per cause fortuite. I traumatismi oculari in genere sono rappresentati da corpi estranei cheratocongiuntivali e causticazioni da sostanze chimiche. La prevenzione si basa sull’uso di occhiali protettivi e schermi durante le manovre di fresatura delle protesi, limatura dei denti e utilizzazioni di sostanze chimiche come antisettici e disinfettanti nel corso di manovre terapeutiche o di riordino. CAPITOLO 10 • PATOLOGIE OCULARI Fig. 3 Grave lesione corneale cronica da alcali (calce) Fig. 4 Pulizia del fornice congiuntivale superiore Lesioni chimiche da sostanze corrosive Le cause vanno ricercate negli schizzi di sostanze chimiche diverse che sono prodotti durante la terapia o il riordino degli strumenti nella centrale di sterilizzazione. Tra gli acidi vanno ricordati, ad esempio l’ipoclorito di sodio, utilizzato per i lavaggi canalari in endodonzia, che può raggiungere il viso dell’operatore in caso di distacco dell’ago dalla siringa; l’acido ortofosforico per mordenzatura che, rimosso con spray dalla cavità di otturazione, può raggiungere gli occhi dell’operatore; solventi e antisettici veicolati dalle stesse mani dell’odontoiatra con movimenti istintivi sul viso. Tra gli alcali va menzionato l’idrossido di calcio utilizzato nella terapia ocalessica in endodonzia; può essere schizzato negli occhi durante il funzionamento a vuoto del lentulo non inserito nel lume canalare. Gli effetti delle sostanze chimiche determinano una cheratocongiuntivite la cui gravità dipende 89 dal genere, dalla quantità, dalla concentrazione e dal valore del pH del prodotto chimico. Le ustioni da acidi sono meno progressive e meno penetranti: gli acidi precipitano rapidamente le proteine dei tessuti e quindi creano delle barriere fisiche alla penetrazione negli stessi tessuti. La successiva neutralizzazione degli acidi, prodotta dalle proteine dei tessuti circostanti, tende a localizzare il danno all’area di contatto. Questi fattori, purtroppo, non valgono per le ustioni da alcali che producono un disfacimento totale delle cellule, con rammollimento dei tessuti. Nuovi alcali possono, perciò, penetrare rapidamente e l’effetto continua, con tendenza a progredire e diffondersi, peggiorando il danno (figura 3). Occorre intervenire d’urgenza sul luogo di lavoro e il metodo più indicato per l’eliminazione dell’agente lesivo è l’immediato lavaggio con soluzione fisiologica o acqua, particolarmente accurato e prolungato nei casi di alcali. Per la pulizia del fornice congiuntivale superiore si deve afferrare con una mano le ciglia, scostare la palpebra, premere con un bastoncino al disopra del bordo della palpebra in modo che il tarso si rivolti all’esterno (figura 4). Per la pulizia del fornice congiuntivale inferiore è sufficiente invitare il paziente a guardare verso l’alto mentre si stira la palpebra inferiore. Lesioni meccaniche da corpi estranei I corpi estranei liberati da manualità odontoiatriche sono, in genere, di minime dimensioni e derivano da schegge e frammenti di fresatura provo- Fig. 5 Cheratocongiuntivite da corpo estraneo 90 MEDICINA DEL LAVORO cati durante il ritocco di protesi (resine, metalli) o la limatura dei denti (smalto, dentina, amalgama, frese spezzate). Se il corpo estraneo è libero nel sacco congiuntivale può essere allontanato con un lavaggio o l’estremità di una garza sterile; mentre se è conficcato nella cornea è necessario rivolgersi all’oculista. Si deve comunque tenere presente che l’infortunato può non accorgersi o sottostimare la modesta sintomatologia che può essere prodotta da piccoli residui che possono permanere nel sacco congiuntivale e produrre complicazioni quali: estese abrasioni della cornea e infezioni dell’area traumatizzata (figura 5). CAPITOLO 11 TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE F. Montagna Introduzione Il polmone, in tossicologia, costituisce la principale via di penetrazione di numerose sostanze che possono essere inalate in forma di polveri, aerosol (solidi e liquidi), gas e vapori. Infatti, l’elevata superficie di scambio (80-100 m2 di superficie alveolare), l’estrema sottigliezza della membrana alveolo-capillare (strato monocellulare < 1 micron), il veloce flusso ematico favoriscono l’assorbimento delle sostanze allo stato gassoso e di vapore. Minore importanza, invece, rivestono altre vie di assorbimento quali il tratto gastrointestinale, la cute e la mucosa oculare. Preliminarmente è utile chiarire la terminologia di riferimento dedotta dalla medicina del lavoro e utilizzata in questo capitolo. Gli indici biologici di esposizione (BEI, biological exposure index), ottenuti con il monitoraggio biologico, rappresentano insieme al valore limite di soglia (TLV, threshold limit value), ottenuto con il monitoraggio ambientale, gli strumenti disponibili per la tutela della salute dei lavoratori. I diversi termini rappresentati da valore limite di esposizione, valore limite di soglia e valore limite ponderato (VLP) sono sinonimi e si riferiscono a concentrazioni atmosferiche di sostanze che non comportano effetti nocivi per i lavoratori esposti, secondo la definizione del comitato tecnico insediato nel 1977 dal Ministero del Lavoro: Il valore limite di esposizione rappresenta la concentrazione atmosferica di gas, vapori, nebbie, fumi, polveri alla quale può essere esposta per il turno lavorativo di 8 ore per una settimana lavorativa di 40 ore e per tutta la vita lavorativa la massima parte di lavoratori sani, salvo i casi di reattività e suscettibilità particolari. Tale definizione corrisponde al TLV-TWA (threshold limit value-time weighted average) che si riferisce a una concentrazione media per un giorno lavorativo di 8 ore e per una settimana lavorativa di 40 ore; mentre il TLV-C (ceiling) è la concentrazione da non superare mai durante l’esposizione lavorativa. I risultati ottenuti dal monitoraggio biologico vanno confrontati con gli indici biologici di esposizione che rappresentano le quantità di una sostanza o dei suoi cataboliti nei tessuti, liquidi biologici, aria espirata di lavoratori sani esposti a livelli di concentrazione ambientale vicini al TLV-TWA. A tale scopo ci si avvale degli specifici elenchi, che propongono per ogni composto più limiti in funzione del tipo di campione biologico (sangue, urina, aria). Attualmente in Italia esistono alcune norme di legge, relative a poche sostanze e agenti fisici, che indicano le concentrazioni accettabili dei monitoraggi ambientali e biologici; per il resto ci si affida all’elenco dei TLV e dei BEI elaborati dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Per suggerire i limiti di esposizione il procedimento generale passa attraverso l’identificazione di livelli dose senza effetto (NOAEL, non observable adverse effect level), definiti come la massima dose utilizzata in condizioni sperimentali dimostratasi non in grado di produrre alcun effetto nocivo osservabile. Il NOAEL viene poi diviso per un fattore di protezione, solitamente chiamato fattore di sicurezza o di incertezza per arrivare così a un valore numerico che verrà proposto come limite a protezione della salute (TLV, BEI). L’applicazione dei fattori di sicurezza serve a limitare le conseguenze delle possibili incertezze scientifiche. 92 MEDICINA DEL LAVORO Gli indici biologici di esposizione non rappresentano, comunque, un limite netto tra esposizione pericolosa ed esposizione non pericolosa. Infatti per la variabilità della risposta individuale, la quantità misurata di un indicatore biologico può superare il limite proposto per il tossico senza che vi sia un rischio potenziale della salute; mentre la patologia può comparire per limiti inferiori in soggetti ipersuscettibili. Va preliminarmente rimarcato che non è dimostrato dalla letteratura scientifica la presenza di livelli di sostanze tossiche nello studio odontoiatrico superiori ai TLV e TLV-C, superiori cioè ai livelli soglia comunemente ammessi come livello di sicurezza in medicina del lavoro. Tale situazione sancisce l’odontoiatria come una professione sicura per quanto attiene la tossicologia, rendendo inutile qualsivoglia controllo o monitoraggio nello studio odontoiatrico in questo ambito. Mercurio e amalgama dentale L’amalgama dentale è un dispositivo medico costituito da una fase dispersa (solida) composta da diversi metalli (argento, rame, zinco, stagno e palladio o indio) e da una fase disperdente (liquida) rappresentata dal mercurio. Il materiale è utilizzato in odontoiatria per otturazioni da oltre un secolo, ma in questi ultimi anni è stato sempre più fortemente attaccato negli ambienti ecologici per la sua possibile tossicità correlata al contenuto di mercurio. Per tale motivo questo materiale è stato oggetto di numerose ricerche, svolte spesso con metodologie non omogenee e difficilmente confrontabili, suscitando l’impressione che il dibattito abbia radicato due opposte posizioni fideistiche a favore e contro l’uso dell’amalgama. Il dubbio può essere sintetizzato con la domanda spesso posta da pazienti e operatori: Considerando che il mercurio è tossico e che esiste in proposito una legislazione per lo smaltimento dell’amalgama dentale come rifiuto speciale, questo materiale può essere messo con tranquillità nella bocca dei pazienti o può rappresentare un parametro di rischio professionale per gli operatori? Fare il punto della situazione non è semplice per la difficoltà di orientarsi nell’elevatissimo numero di studi e di pubblicazioni concernenti l’argomento; il quesito merita comunque una risposta preliminare che non pretende di essere completa e tanto meno definitiva. Esaminando la letteratura si scopre che non sono mai state trovate prove dirette che il mercurio dentale causi qualche patologia particolare (nonostante le decine di migliaia di studi reperibili nelle banche dati informatiche). In pratica, i restauri in amalgama sono ben tollerati dai pazienti; inoltre, sia nei pazienti che negli operatori, non sono dimostrate patologie riconducibili a tossicità da mercurio. Tutto questo pur essendo stato dimostrato come, sia nell’organismo di pazienti e operatori che nell’ambiente di lavoro, l’uso dell’amalgama può causare un aumento dei valori di mercurio. Questa apparente contraddizione può essere spiegata in vari modi. • I livelli di rischio non sono normalmente superati e, quando questo avviene, si tratta di episodio occasionale, limitato nel tempo, tale da non indurre effetti collaterali, in quanto i dosaggi sono ridotti. • Misurare nell’ambiente di lavoro o nella bocca del paziente livelli di mercurio elevati non significa dimostrarne la tossicità, considerando che l’assorbimento varia sia in relazione al tipo di composto sia alla via di esposizione (diverso per via polmonare e gastroenterica, per i diversi composti). • I valori di mercurio nel sangue e nelle urine non rilevano valori indicativi di rischio sia nei pazienti che negli operatori; rappresentano la quota in fase di eliminazione, senza fornire dati sul dosaggio a livello degli organi bersaglio (cervello, rene). Al timore di idrargirismo, manca, quindi, un riscontro scientifico certo, mentre l’amalgama rimane il materiale più stabile e duraturo per le otturazioni. Tuttavia è netta la sensazione che l’amalgama dentale sia un prodotto destinato ad un progressivo abbandono, per una serie di motivazioni extrascientifiche. I materiali alternativi (resina, ceramiche) presentano un elevato valore estetico più gradito ai pazienti e agli odontoiatri. Inoltre, gli stessi materiali sono caratterizzati da minore durata nel tempo, più frequenti esigenze di rifacimenti e maggiori costi di produzione e vendita commerciale. Fattori, questi, non sgraditi all’industria dentale, ai professionisti ed in ultima CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE 93 Tab. 1 Introduzione e ritenzione giornaliera di mercurio nella popolazione non esposta professionalmente* FONTE DI ESPOSIZIONE • • • • • Aria Alimenti a base di pesce Altri alimenti Acqua potabile Amalgama dentale Totale VAPORI DI MERCURIO METALLICO (mg/die) COMPOSTI INORGANICI DI MERCURIO (mg/die) METILMERCURIO (mg/die) 0,030 (0,024) 0 0 0 3,8-21 (3-17) 0,002 (0,001) 0,60 (0,042) 3,6 (0,25) 0,050 (0,0035) 0 0,008 (0,0064) 2,4 (2,3) 0 0 0 3,9-21 (3,1-17) 4,3 (0,3) 2,41 (2,31) * I valori riportati rappresentano l’introduzione media giornaliera stimata; tra parentesi la quantità media stimata ritenuta nell’organismo di un soggetto adulto. analisi alla stessa logica della società dei consumi in cui viviamo. Farmacocinetica del mercurio Il mercurio (simbolo chimico Hg) è un metallo che ha la capacità di legarsi ad altri metalli per amalgamazione, dando luogo a diversi sali con caratteristiche chimiche differenti; possiamo distinguere vari composti la cui farmacocinetica differisce, quindi, in modo notevole: • i vapori di mercurio metallico, che sono scarsamente assorbiti per via intestinale; • i sali inorganici monovalenti o mercurosi (Hg+) sono poco solubili in acqua; tra essi ricordiamo l’ossido (Hg2O), il calomelano (Hg2Cl2), e il nitrato (Hg2[NO3]2); questi composti sono assorbiti per via intestinale dopo ossidazione a composti bivalenti; • i sali inorganici bivalenti o mercurici (Hg++) sono più solubili in acqua; tra essi sono ricompresi l’ossido (HgO), il solfuro (HgS) e il sublimato corrosivo (HgCl2); questi composti sono parzialmente assorbibili per via gastrointestinale; • i sali organici, in cui l’Hg è legato ad un atomo di carbonio, che sono più solubili nei lipidi che in acqua; sono rappresentati in prevalenza dal metilmercurio (CH3Hg) che è quasi completamente assorbito per via gastrointestinale (95%). Il mercurio viene introdotto nell’organismo della popolazione non professionalmente esposta con diverse modalità: • inalato per via polmonare sotto forma di vapori contenuti nell’aria, come inquinante atmosferico; • introdotto dagli alimenti (particolarmente con il pesce come metilmercurio) e assorbito dall’apparato digerente; • liberato da otturazioni in amalgama di argento (come vapori metallici) e scarsamente assorbito dall’apparato digerente; solo 1/100 del mercurio proveniente dalle otturazioni in amalgama in bocca viene assorbito (Lehnertt, Henschler 1983). Il problema dell’assorbimento di mercurio è stato affrontato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed i risultati delle ricerche sono riportati nella tabella 1. Tossicità ed effetti collaterali del mercurio Nessun rischio è stato descritto per esposizioni contenute entro i valori soglia fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità di 45 microgrammi/die per periodi continuativi (tabella 2) e anche dosi maggiori per brevi periodi non comportano danno; in presenza, invece, di valori superiori esiste il rischio di intossicazione. Dopo l’assorbimento, dato il particolare tropismo per l’ambiente endocellulare, il mercurio viene eliminato in quantità minime e rimane depositato negli organi critici che sono nell’esposizione acuta il polmone; nell’esposizione protratta il sistema nervoso centrale e il rene. Il grado di affinità del mercurio con diversi gruppi organici (SH > CONH2 > NH2 > COOH > PO4) spiega le reazioni con i diversi costituenti cellulari (proteine, enzimi, acidi nucleici), le interferenze con il metabolismo e gli effetti tossici che il metallo esplica anche a basse dosi sull’organismo. La particolare affinità dei composti mercurici 94 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 2 Tossicità del mercurio PARAMETRO QUANTITÀ Valori di esposizione ammessi • Valore soglia OMS 45 microgrammi/die per periodi continuati • Valore soglia nell’ambiente di lavoro • (NIOSH, ACGIH, D.P.R. 303/56) 50 microgrammi/m3 per 40 ore settimanali Indicatori biologici di esposizione • Valori limite OMS 35 microgrammi HgB/l 150 microgrammi HgU/l • Valori limite in Italia (D.P.R. 303/56) 15 microgrammi HgB/l 35 microgrammi/gr creatinina (HgU) Misurazioni • Esposizione media giornaliera stimata per un individuo • non professionalmente esposto 0,5-27 microgrammi/die (metà per ingestione da alimenti) • Valore medio di vapori di mercurio misurato in studi odontoiatrici • dove si eseguono otturazioni in amalgama (Wirz 1990) 40 microgrammi/m3 • Valore medio riscontrato in operatori odontoiatrici, • con monitoraggio biologico (Wirz 1990) 7,4-8,1 microgrammi HgB/l 1,7-1,8 microgrammi HgU/l • Valore medio riscontrato in pazienti con otturazioni • in amalgama, con monitoraggio biologico (Wirz 1990) 3,7 microgrammi HgB/l 1,5 microgrammi HgU/l • Valore medio riscontrato in pazienti senza otturazioni • in amalgama, con monitoraggio biologico (Wirz 1990) 3,6 microgrammi HgB/l 1,3 microgrammi HgU/l (Hg++) con i gruppi tiolici (SH), in particolare, è responsabile del blocco di diversi sistemi enzimatici intracellulari e del ciclo di Krebs. Gli effetti collaterali del mercurio sono riconducibili a due categorie: • l’allergia, fenomeno inferiore allo 0,1% (Lussi 1987); • la tossicità per inalazione, ingestione, contatto cutaneo con quadri di intossicazione acuta e cronica (idrargirismo). L’intossicazione acuta è molto rara, anche nell’ambito industriale, ed è conseguente a esposizioni a elevati dosaggi a partire da 1,2 mg/m3; anche se segni marginali di avvelenamento sono stati riportati con dosaggi inferiori a 0,1 mg/m3. Il quadro clinico principale è rappresentato da una polmonite chimica; altri sintomi si manifestano entro 5 ore dopo l’inizio dell’esposizione: tremore intenzionale dei muscoli, delle palpebre, della lingua, delle dita e successivamente degli arti, con difficoltà di favella e deambulazione; eretismo mercuriale con irritabilità e insonnia. L’intossicazione cronica consegue, invece, a esposi- zione protratta e si verifica con valori di HgB > 400 nanogrammi/ml; la sintomatologia è proteiforme, potendo rimanere subclinica: eccitabilità (tremore intenzionale, eretismo, timore, insonnia), depressione, scrittura e favella alterate, sindrome nefrosica. Per esposizioni più modeste e prolungate, è stata descritta una sindrome denominata micromercurialismo, i cui sintomi clinici sono rappresentati da anoressia, calo ponderale, impercettibile tremore, insonnia, debolezza. I sintomi possono verificarsi per esposizioni a valori ambientali < 100 microgrammi/m3 (valore considerato limite fino a 15 anni fa) e valori di HgB > 100-200 nanogrammi/ml. Dosaggio del mercurio Il monitoraggio ambientale del valore limite di soglia (TLV) e gli indicatori biologici di esposizione (BEI), dosando il mercurio ematico (HgB) e urinario (HgU), sono i metodi utilizzati in medicina del lavoro. CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE Ad esempio, nei casi di accertato rischio professionale nell’industria sussiste l’obbligo di sorveglianza sanitaria trimestrale (HgB, HgU, funzionalità renale), i cui valori di riferimento sono riportati nella tabella 2. La critica maggiore mossa alla validità di questi test, applicati in ambito odontoiatrico, consiste nell’osservazione che questi esami si rivelano meno efficaci per monitorare le ridotte variazioni che rappresentano il timore di pazienti e operatori odontoiatrici nei confronti di intossicazioni subcliniche da esposizione cronica. Infatti, proprio per il tropismo per l’ambiente endocellulare del mercurio, l’emivita plasmatica è breve e l’eliminazione urinaria ridotta, nei confronti della maggiore quota che si deposita nei tessuti. I valori degli indicatori biologici, quindi, non permetterebbero di valutare l’entità del mercurio depositato a livello dell’organo critico (sistema nervoso centrale, rene), causa di intossicazione cronica subclinica. Negli ultimi anni sono stati perfezionati altri test per evidenziare l’esistenza di effetti precoci a carico di diversi organi allorquando le esposizioni superino i valori limite: • test neurocomportamentali che evidenziano le alterazioni a carico delle funzioni motorie, delle funzioni intellettive e del tono dell’umore; • test di funzionalità renale che misurano precoci alterazioni dell’albuminuria, microproteinuria ed enzimuria. Un sistema di dosaggio biologico del mercurio rilasciato dagli amalgami dentali nella bocca dei pazienti (Hansen 1993) prevede tre esami che non sono comunque di comune utilizzazione, ma sono riportati per completezza: • test al DMPS (sodio 2,3dimercaptopropano 1solfato), sostanza chelante il mercurio che somministrata permette di dosare il metallo nelle feci e nelle urine; • chew test, che consiste nel fare masticare una piccola massa di lattice, come una gomma da masticare; dopo la masticazione si misurano le concentrazioni di microgrammi di mercurio per grammo di lattice; tale misurazione evidenzia un aumento della quantità di mercurio proporzionale al numero delle otturazioni in amalgama presenti in bocca; • test del capello eseguito con il metodo dell’assorbimento atomico, peraltro contestato nella sua attendibilità. 95 Tossicità degli amalgami dentali per i pazienti Gli amalgami dentali rappresentano una potenziale fonte di esposizione al mercurio per i pazienti della quale non è, comunque, stata dimostrata la tossicità. L’amalgama, infatti, non è un materiale stabile ma si modifica nel tempo, subendo processi di riorganizzazione strutturale e perdita di elementi; ogni otturazione contiene inizialmente il 4354% di mercurio e dopo 5 anni ne perde circa il 50%, scendendo in un rapporto argento/mercurio da 2:3 a 1:1. Considerando quindi il peso di un’otturazione in circa 1 grammo e un numero medio di otturazioni nell’adulto pari a 10, si può calcolare una dose di mercurio pari a 5 grammi/persona dei quali la metà viene liberata nell’ambiente orale nell’arco di alcuni anni. La maggiore liberazione di amalgama avviene subito dopo l’esecuzione dell’otturazione in accordo ai parametri che registrano: un aumento iniziale del tasso di mercurio nelle urine e nel sangue che raggiunge il valore massimo dopo circa 4 giorni; una discesa dopo circa due settimane ai valori iniziali. In particolare uno studio (Hellwig 1990), su modelli sperimentali di laboratorio, ha dimostrato che la quantità di mercurio liberata da ricostruzioni in amalgama è maggiore nei primi 2 giorni (1025 microgrammi per 50 mm2 di superficie); mentre successivamente si stabilizza in 2 microgrammi a causa dell’ossidazione di superficie, e le variazioni notate dipendono dal tipo e dalla lavorazione dell’amalgama. Secondo tale studio il livello critico stabilito dall’OMS potrebbe essere raggiunto solo per brevi periodi eseguendo 10 ricostruzioni di moncone in amalgama; il raggiungimento di tale soglia per brevi periodi non comporta rischi tossici per i pazienti, rischi che, per verificarsi, richiedono invece una esposizione prolungata a valori costantemente superiori ai valori soglia. La perdita nel tempo di mercurio dall’amalgama è legata alla sua instabilità fisica, che lo predispone a corrosione elettrochimica per fenomeni elettrici interni ed esterni che lo portano a dissoluzione; visivamente queste alterazioni si traducono in un amalgama nero e ruvido. Diversi studi hanno dimostrato questa progressiva perdita di mercurio dalle otturazioni in amalgama 96 MEDICINA DEL LAVORO CAUSE CHE PROVOCANO LA PERDITA DI MERCURIO DALL’AMALGAMA • Polimetallismo interno al restauro (per la sua composizione eterogenea) o esterno (presenza di altre leghe da protesi in bocca con diverso potenziale ossido-riduttivo) • Stress meccanico (flessioni dovute a pressione masticatoria; forma e dimensioni non corrette del restauro) e stress termico (calore) • Differenze di tensione di ossigeno (zone deterse e sporche, microcavità della superficie, ruvidità, irregolarità strutturali del restauro) (Bruno, Ronchi, Cavallè 1998; Krauss et al.) misurando alcuni parametri locali stomatologici: • una quantità di vapori di mercurio in bocca dei pazienti con otturazioni dieci volte superiore a quella di controllo senza otturazioni (4,91+/– 0,90 microgrammi/m3 contro 0,54+/– 0,37); • un rapido aumento del rilascio di mercurio dai denti otturati durante la masticazione, che si protrae per 90 minuti (valore medio 29,10+/– 6,07 microgrammi/m3); • il rilascio medio di un soggetto con un numero medio di otturazioni è stimato in 10 microgrammi/die con una variabilità individuale compresa tra 1,2 e 100 microgrammi/die, rappresentando la principale sorgente di questo elemento. Altri studi eseguiti (Wirz 1990) su soggetti con e senza otturazioni in amalgama hanno, invece, dimostrato livelli praticamente sovrapponibili nelle due coorti a livello sistemico (HgB 3,6 contro 3,7 microgrammi/l; HgU 1,3 contro 1,5 microgrammi/l). In base ai dati presentati, vengono a fronteggiarsi due diverse teorie pro e antiamalgama. Nell’ottica antiamalgama, tra i diversi lavori, il più completo è rappresentato dal rapporto Bureau of Medical Devices canadese (Richardson 1995) nel quale si sostiene che, per non avere un dosaggio tossico di mercurio (considerando l’apporto alimentare e ambientale), non bisogna superare la soglia di 0,014 microgrammi/kg di peso/die; il che significa un numero di otturazioni massimo di 1 nei bambini e 4 nell’adulto. Nell’ottica proamalgama i lavori disponibili sostengono che le punte massime arrivano a rappresentare al più il 50% del mercurio che i pazienti ingeriscono con i cibi e sono di gran lunga inferiori ai tassi ritenuti tossici dall’OMS (si veda tabella 2). Esposizione professionale al mercurio in odontoiatria Il mercurio è un inquinante ambientale dello studio dentistico dove si eseguano otturazioni in amalgama. La fonte primaria di assorbimento professionale è rappresentata da inalazione, e quindi assorbimento polmonare di vapori metallici nel corso di alcune procedure cliniche: rimozione di vecchi amalgami o lucidatura di nuove e vecchie otturazioni; apertura delle capsule predosate dopo la miscelazione o l’esecuzione di nuove otturazioni. L’esposizione lavorativa può avvenire anche per ingestione sia diretta che indiretta, cioè dopo inalazione di particelle di amalgama e veicolazione nell’apparato digerente per effetto della clearance mucociliare dell’epitelio dell’albero respiratorio; comunque, nel suo complesso, l’entità per via digerente è molto inferiore rispetto a quella polmonare. È invece impensabile, oggi, in odontoiatria l’assorbimento transcutaneo dovuto alla manipolazione dell’amalgama, a seguito dell’introduzione delle capsule predosate e l’abbandono delle vecchie metodiche di manipolazione dell’amalgama in fase plastica, che in passato avveniva spremendo il mercurio in eccesso con una pelle di camoscio. Numerosi studi evidenziano che l’esposizione professionale al mercurio nel personale odontoiatrico può determinare fenomeni di limitato accumulo rispetto a un campione di controllo rappresentato da popolazione non esposta (tabella 3). Comunque, per quanto l’esposizione professionale al mercurio sia inevitabile (Eggleston 1988), studi recenti negano l’associazione tra qualsiasi tipo di danno alla salute e l’esposizione professionale del personale odontoiatrico a vapori di mercurio, definendo l’amalgama come un prodotto sicuro (Schuurs 1999; McComb 1997; Barregard 1998; Woods 1998; Dahl 1999). Legislazione Le indicazioni per limitare l’uso dell’amalgama sono fermamente contrastate da autorevoli fonti quali l’American Dentist Association (ADA 18/87 e 120/90), la British Dentist Association (BDJ 175/93) e l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani (ANDI 1997) che definiscono l’amalgama un ottimo materiale da restauro, con buona tenuta marginale, lunga durata e basso costo. CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE 97 Tab. 3 Esposizione professionale al mercurio: dati a confronto di personale odontoiatrico e gruppo di controllo non esposto CONCENTRAZIONE MEDIA IN DIVERSI TESSUTI PERSONALE ODONTOIATRICO ESPOSTO GRUPPO DI CONTROLLO NON ESPOSTO • • • • • • 5-10 nanogrammi/ml 7,4 microgrammi/l 15,3 mg 21,6 nanogrammi/g 14,5 nanogrammi/g 24,5 nanogrammi/g 0-5 nanogrammi/ml 3,6 microgrammi/l 3,9 mg 14,5 nanogrammi/g 5,3 nanogrammi/g 12,0 nanogrammi/g Nel sangue (Goldmann 1989) Nel sangue (Wirz 1990) Nelle urine (Naleway, Sakaguchi et al. 1985) Nel corion (Messite 1989) Nella membrana amniotica (Messite 1989) Nella placenta (Messite 1989) Alcuni paesi, comunque, hanno adottato delle leggi restrittive sull’uso dell’amalgama dentale definendolo un prodotto tossico: la Svezia (18 febbraio 1994), seguita dalla Norvegia, ha vietato l’uso dell’amalgama per i giovani sino a 19 anni, per rischi autoimmuni, e per le gravide, per teratogenicità; la California ha adottato una legge che obbliga il dentista ad ottenere il consenso informato da parte del paziente per inserire amalgama nella bocca. In tale senso in Italia il Ministero della Sanità ha indicato alcune raccomandazioni tese a limitare l’uso del prodotto comunicando il parere del Consiglio Superiore di Sanità sull’uso dell’amalgama dentale, espresso nell’assemblea generale del 14/4/99. Parere del Consiglio Superiore di Sanità 14/4/99 […] Premesso che l’amalgama dentale è un dispositivo medico ai sensi del D.Lgs. 24/2/97 n. 46, attuazione della Direttiva 93/42 CEE e pertanto con obbligo di marcatura CE; che l’amalgama è costituito da una lega di metalli (argento, rame, zinco, ecc.) e dal mercurio che devono trovarsi in posizione ottimale di 1:1, perché non vi siano eccessi di mercurio e perché questo non si disperda nell’ambiente; che oggi l’uso di capsule predosate ed ermetiche, di vibratori per la miscelazione e di separatori nello scarico dei riuniti odontoiatrici ha praticamente eliminato l’inquinamento da mercurio nello studio odontoiatrico; che l’amalgama, in uso ormai da oltre un secolo, costituisce ancora oggi il materiale di scelta per i restauri nei settori posteriori in odontoiatria conservativa in virtù delle sue qualità fisiche di resistenza all’usura e di adattamento marginale. Considerato che l’incidenza dell’allergia al mercurio è in incremento, ma non ci sono dimostrazioni che questa osservazione valga anche per i pazienti portatori di otturazioni in amalgama in mercurio; che si può parlare di allergia ai metalli presenti ed in particolare al mercurio degli amalgami dentali se sono contemporaneamente presenti le seguenti situazioni: a) sintomi indicativi (lesioni infiammatorie della mucosa buccale, lesioni cutanee sistemiche di tipo orticarico-angioedematoso o eczematoso); b) patch test positivi per il mercurio o composti contenenti mercurio; c) scomparsa dei sintomi dopo la rimozione dell’otturazione contenente mercurio. Considerato altresì che dagli studi eseguiti sulla tossicità e biocompatibilità dell’amalgama non vi è motivo di concludere che il mercurio proveniente dalle otturazioni in amalgama possa costituire un rischio per la popolazione; che gli effetti tossicologici del mercurio sono stati descritti in gruppi professionalmente esposti per dosi significativamente più elevate rispetto a quelle ipotizzabili per gli amalgami; inoltre, anche nell’ambito della tossicità in seguito ad esposizione lavorativa si sono dimostrate notevoli diversità individuali nella comparsa e nella entità degli effetti stessi; 98 MEDICINA DEL LAVORO che dagli studi pubblicati sulla correlazione tra la presenza di amalgami dentali e la presenza di mercurio in tessuti, sangue ed urine, quest’ultima appare scarsamente considerabile e comunque non raggiunge mai un livello che possa essere considerato tossico; che occorrono ricerche per valutare l’eventuale tossicità degli attuali materiali alternativi all’amalgama. Inoltre Il fatto che le segnalazioni di insorgenza di patologie correlate all’uso dell’amalgama riguardano essenzialmente malattie multifattoriali dovrebbe invitare alla massima prudenza nell’accettare questi dati; infatti: • è inconsistente l’ipotesi di una correlazione tra sclerosi multipla (patologia del sistema nervoso che riconosce svariati fattori eziopatogenetici, fra i quali la predisposizione genetica) e l’amalgama, come dimostrato in un recente studi caso-controllo, di Bangasi et al., effettuato in Canada (International Journal of Epidemiology 27: 667-671, 1998) • non risultano elementi concreti o verosimili che consentano di identificare nella presenza di amalgama in una otturazione dentale un elemento patogeneticamente causale di affezioni oculari secondarie. Valutato altresì che un aspetto che deve indurre cautela è quello dell’esistenza, per la popolazione generale, di fonti multiple di esposizione al mercurio: alimentazione, ecodispersione, uso di farmaci; che esiste sia il problema di sottogruppi di popolazione particolarmente suscettibili (bambini, donne in gravidanza, ecc.) da tutelare maggiormente, sia quello di particolari situazioni che possono esporre a picchi di Hg anche importanti. Ritiene opportuno definire raccomandazioni e limitazioni d’uso in particolari situazioni quali: pazienti con allergie per l’amalgama, donne in stato di gravidanza, bambini sotto i 6 anni, pazienti con gravi nefropatie […] che il Ministero della Sanità predisponga una campagna informativa sull’amalgama dentale. Evidenzia che non vi è indicazione alla rimozione di un amalgama dentale se non in caso, sicuramente accertato, di allergia a tale materiale. […] Orientamenti per la prevenzione Il rispetto delle normali metodiche di utilizzazione esclude il pericolo di tossicità conseguente a esposizione professionale, che potrebbe concretarsi solo come risultato della totale, permanente assenza delle più elementari misure di precauzione. Infatti, durante la rimozione di un amalgama dentale si hanno nell’aria circostante dosaggi superiori ai valori soglia che sono di 300-600 microgrammi/m3, con punte che superano i 1000 in assenza di una aspirazione sufficiente effettuata con l’aspiratore chirurgico. Per tale motivo è opportuno rispettare alcune precauzioni durante la rimozione degli amalgami in modo da ridurre la dispersione di vapori di mercurio: • utilizzare frese diamantate o al carburo di tungsteno con buon taglio in modo da evitare di surriscaldare l’amalgama; • indossare misure di barriera (mascherine, occhiali, schermi); • lavorare sotto diga con un buon getto di spray di raffreddamento e aspirazione ad alta velocità. Si deve infine evitare, durante l’esecuzione delle otturazioni, di manipolare l’amalgama in fase plastica a mani nude. Recenti ricerche hanno evidenziato che se nello studio odontoiatrico si usano determinate precauzioni (uso di capsule predosate, utilizzo di amalgami non gamma 2, ecc.) i vapori di mercurio nell’aria sono minimi, valutati intorno a 0,004 mg/m3, CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE quindi inferiori di 1/10 rispetto ai valori massimi di concentrazione considerata tossica (0,005 mg/m3). Per questo motivo l’utilizzazione di rilevatori di vapori di mercurio nello studio dentistico appare inutile e immotivata; non sono, cioè, raccomandati i misuratori dei vapori di mercurio per l’aria ambiente (fotometri all’ultravioletto, come ad esempio il Mercury Vapor Sniffer di Bacharach) o per la misurazione sull’aria espirata (misuratore di Beckam, Jerome Mercury Tester), la cui attendibilità, come attrezzature, attende ulteriori conferme. Gas anestetici Il problema dei gas anestetici (alotano, enfluorano, isofluorano) è attualmente in progressiva espansione per l’aumentato utilizzo di anestesia generale e soprattutto della sedazione con protossido di azoto da parte di un numero maggiore di odontoiatri. La fonte di esposizione è rappresentata dalle perdite di gas anestetico dall’apparecchiatura di erogazione: per insufficiente manutenzione dei sistemi di aspirazione e convogliamento all’esterno di gas; inadeguatezza dei sistemi di ventilazione ambientale; perdita dei raccordi, tubi, flussometri, maschere facciali. Il valore critico è fissato dalla Circolare Ministeriale n. 5 del marzo 1999: Circ. Min. n. 5/99 […] indici guida del controllo della accettabilità delle condizioni igienico-ambientali delle sale operatorie il valore di 100 ppm per le sale operatorie esistenti e di 50 ppm per le sale operatorie di nuova costruzione o ristrutturate, entrambi riferite al protossido di azoto preso come inquinante guida”. Le principali conseguenze dell’esposizione cronica ai gas anestetici comprendono la riduzione della capacità sensoriale e l’aumento di malattie epatiche, neoplasie, aborti spontanei. Studi estesi (Messite 1989, eseguito su un campione di 4797 dentisti e 2642 assistenti) hanno mostrato un aumento del 78% di aborti spontanei su odontoiatri di sesso femminile esposte ad inalazione di gas anestetici e un aumento del 156% di malattie epatiche. Una analisi statistica effettuata nel 1985 (Buring e coll.), sui gas e vapori anestetici, ha calcolato il rischio relativo (RR) ponderato su sei studi precedenti dai quali erano emerse importanti evidenze: 99 • aumentato rischio di aborto spontaneo, statisticamente significativo, tra i medici di sesso femminile (RR 1,4) e tra le infermiere (RR 1,3) di sala operatoria; • rischio di malformazioni congenite, aumentato solo per i medici di sesso femminile esposti (RR 1,4); • aumentato rischio di epatopatie (RR uomini 1,6; RR donne 1,5) e malattie renali (RR donne 1,3). Gli stessi autori, comunque, hanno concluso che, in base alle discordanze tra gli studi, non si poteva affermare con assoluta certezza l’esistenza di un rapporto causale del rischio esclusivamente con l’esposizione professionale agli anestetici per inalazione. Sicuramente le migliorate condizioni ambientali e delle attrezzature hanno avuto una importanza fondamentale nella riduzione del rischio di aborto e malformazione della prole; è comunque divenuta prassi operativa, in ambito ospedaliero italiano, allontanare le lavoratrici gravide dall’esposizione a gas anestetici. Protossido di azoto Tossicità Il protossido di azoto è una sostanza poco solubile nel sangue e nei tessuti, solo parzialmente metabolizzata dall’organismo, che viene rapidamente eliminata per via polmonare, al cessare dell’esposizione. Per quanto riguarda gli effetti biologici, la maggior parte degli studi documentano l’esistenza di tossicità da esposizione elevata e/o protratta: • epatotossicità lieve (Proke 1997); • neurotossicità per inattivazione della vitamina B12, dimostrata anche su lavoratori fortemente esposti in anestesia odontoiatrica (parestesie, tremori, disturbi motori); • mielotossicità per dosi relativamente basse, ma superiori a 500 ppm, mediante un meccanismo di inibizione della sintesi di vitamina B12, con comparsa di anemia perniciosiforme e depressione midollare fino all’anemia aplastica. Per quanto sia stato dimostrato che il protossido di azoto è un veleno mitotico, gli effetti delle sperimentazioni non sono concordi su genotossicità e mutageneticità; gli studi più recenti su animali risultano negativi, in contrasto con altri autori che in passato hanno, invece, riportato un aumento di 100 MEDICINA DEL LAVORO aborti spontanei e anomalie congenite in assistenti dentali e mogli di dentisti. Esposizione professionale Le sorgenti di contaminazione sono rappresentate: • dalla valvola espiratoria delle maschere prive di sistema di eliminazione o convogliamento all’esterno del gas; • dal perimetro della mascherina nasale che può non aderire perfettamente al viso del paziente; • dal paziente stesso a causa della respirazione orale, il ridere o il parlare; • da perdite dell’unità di sedazione inalatoria per deterioramento di tubi, raccordi e connettori. Alcuni studi hanno dimostrato la sicurezza dell’utilizzazione di protossido d’azoto che non ha raggiunto valori critici anche in assenza di convogliamento all’esterno dei gas espirati e ventilazione ambientale (Markhorst 1996; Hoerauf 1997). Una differenza sostanziale è stata dimostrata utilizzando diversi tipi di mascherina (tabella 4) e misurando i livelli di N2O a 30 cm dal viso del dentista o dell’assistente (Whitcher 1977): • con le mascherine convenzionali con valvola espiratoria a dispersione ambientale o passiva del gas aspirato, si possono raggiungere i livelli critici per gli operatori; • con le mascherine con sistema di eliminazione attiva, al di fuori della sala operatoria, la concentrazione di N2O risulta diminuita del 95% e quindi sicura (figura 1). Per tale motivo è opportuno usare mascherine nasali con evacuazione di gas in uscita. Gas esalati Gas freschi Fig. 1 Mascherina per protossido di azoto con sistema di eliminazione attiva all’esterno dell’ambiente di lavoro Raccomandazioni Non esistono vincoli di legge per gli ambienti o restrizioni per l’utilizzazione sui pazienti del protossido d’azoto nello studio odontoiatrico; si devono comunque rispettare alcuni atteggiamenti prudenziali per evitare lo scoppio o la rottura con perdita di gas sotto pressione: • fissare le bombole con catenelle anticaduta al muro o al mobiletto apposito per evitarne la caduta; • evitare di surriscaldare la bombola posizionandola vicino a fonti di calore, luoghi soleggiati, temperature superiori ai 50 °C; • durante il trasporto o i movimenti mantenere l’apposito coperchio sulla bombola; • avvitare i manometri a secco senza utilizzare alcun tipo di grasso (grasso, ossigeno, protossido Tab. 4 Livelli di N2O (ppm) nelle zone respiratorie con diversi tipi di mascherine CATEGORIA Mascherine con valvola di espirazione • Studio dentistico generico • Studio di pedodonzia • Studio di chirurgia orale Mascherine con sistema di eliminazione • Studio dentistico generico • Studio di pedodonzia • Studio di chirurgia orale Livello critico di N2O nell’ambiente ODONTOIATRA ASSISTENTE MEDIA AMBIENTE 775 ± 73 940 ± 92 1000 ± 130 440 ± 52 112 ± 23 1600 ± 250 310 ± 37 280 ± 52 310 ± 47 21 ± 1,9 33 ± 4 36 ± 4,1 13 ± 1,3 8,7 ± 3,3 36 ± 4,4 11 ± 0,79 16 ± 2,6 16 ± 2,6 50 ppm CAPITOLO 11 • TOSSICOLOGIA PROFESSIONALE d’azoto possono formare una miscela esplosiva); è fatto divieto ai lavoratori di lubrificare il cannello, il riduttore, le valvole, ecc., con oli e grassi, in quanto a contatto con l’ossigeno si infiammano facilmente; devono essere, invece, utilizzate miscele a base di glicerina o grafite. Per evitare la contaminazione ambientale oltre i limiti di sicurezza è consigliabile: • utilizzare mascherine con sistema di evacuazione; • scegliere mascherine della misura più idonea per adattarsi al viso del paziente; • utilizzare flussi di gas ridotti in relazione agli obiettivi; • al termine dell’intervento mantenere la maschera erogando solo ossigeno (5 min) per far espirare al paziente il gas nel sistema di evacuazione; • assicurare adeguata ventilazione della stanza; ricordare che il protossido di azoto si deposita a livello del pavimento perché più pesante dell’aria; • controllare periodicamente l’impianto per verificare eventuali perdite. Disinfettanti Glutaraldeide Risulta degna di menzione tra gli altri disinfettanti la glutaraldeide utilizzata nella sterilizzazione chimica a freddo per immersione di strumenti medicali per la sua attività sporicida, virucida, fungicida. Il composto chimico è dotato di un forte potere irritante per le mucose oculari e nasali, già alla concentrazione di 0,3 ppm. I più recenti studi escludono effetti mutageni e cancerogeni, ma sono possibili alterazioni del sistema nervoso centrale per effetto tossico negli animali. La ACGIH ha fissato precauzionalmente un valore critico (TLV-C) pari a 0,2 ppm. Il rischio è stato ripreso nell’Allegato III del D.M. 16/2/93 e successive modifiche e integrazioni. I problemi con questa sostanza sono in relazione: • agli effetti tossici legati alla manipolazione e all’inalazione; • alla presenza di residui (sugli oggetti e nell’ambiente); 101 • al corretto risciacquo, specie su oggetti destinati all’impiego umano (in cavità, a contatto con mucose, ecc.), con acqua distillata sterile; • alla permanenza di detti residui, in funzione di vari materiali trattati e negli ambienti. Per l’utilizzazione da parte del personale odontoiatrico è necessario rispettare alcune precauzioni per proteggere cute, mucose e congiuntive durante le manovre di disinfezione e sterilizzazione: • mantenere chiusi con coperchio recipienti di immersione; • non produrre schizzi durante l’immersione o il prelievo di strumentario; • ventilare il locale; • indossare guanti in gomma e mascherine; • risciacquare gli strumenti dopo la disinfezione con acqua sterile. Ossido di etilene La metodica è utilizzata nella sterilizzazione di materiale sanitario termolabile (guanti, maschere per anestesia). L’esposizione acuta per via inalatoria è pericolosa in quanto la soglia di percezione è alta (700 ppm) e i sintomi si manifestano solo alcune ore dopo l’inalazione per esposizioni di 500 ppm: nausea, vomito, cefalea, sonnolenza, debolezza muscolare, irritazioni oculari e delle prime vie aeree, dispnea, edema polmonare, incoordinazione motoria, convulsioni. L’esposizione cronica causa polineuriti, encefalopatia; la sostanza è indicata come cancerogena. Il limite ambientale ACGIH è di 1 ppm (2 mg/m3). Il rischio è stato ripreso nell’Allegato III del D.M. 16/2/93 e successive modifiche e integrazioni. L’ossido di etilene è stato abbandonato in odontoiatria per svariati motivi: si solubilizza nella gomma e il materiale trattato; pertanto richiede un’aerazione prolungata e accurata per eliminare i residui su oggetti destinati ad uso umano; richiede controlli di igiene ambientale e non può essere utilizzato in piccole centrali di sterilizzazione. Attualmente l’ossido di etilene è utilizzabile solo in ambito ospedaliero, nel pieno rispetto di condizioni d’uso ben stabilite e riservato ai soli materiali che non possono essere bonificati con calore o vapore. CAPITOLO 12 PATOLOGIE ACUSTICHE F. Montagna, C. Crosara Elementi di fisica In termini generali il suono è uno stimolo che ha la capacità di generare una sensazione uditiva; in pratica, quasi tutti gli oggetti che possiedono una inerzia e una elasticità possono essere posti in vibrazione e produrre suoni. La vibrazione più semplice è rappresentata da un’onda sinusoidale che si diffonde nei tre piani dello spazio ed è descritta da tre parametri: ampiezza, frequenza e lunghezza d’onda (figura 1). L’ampiezza è la misura di spostamento in termini di picco; il movimento di andata e ritorno inizia da una posizione di riposo sino a un massimo positivo, per andare a un massimo negativo e ritornare alla posizione di partenza. L’ampiezza dell’oscillazione indica la massima oscillazione dell’onda ed è responsabile del livello dell’intensità sonora (suono forte o debole). Se l’intensità di un suono venisse indicata direttamente con la sua intensità fisica rapportata alla soglia di riferimento, dovremmo usare dei numeri con molte cifre e questo sarebbe poco pratico; si è proposto, allora, di indicare l’intensità e la pressione con una espressione logaritmica conosciuta come decibel (dB). Va ricordato che, in quanto espressione logaritmica, l’aumento di alcuni decibel si traduce in un aumento significativo dell’intensità del suono e una variazione da 10 a 30 dB rappresenta un aumento della intensità sonora di 1000 volte; inoltre, non è possibile effettuare con i dB operazioni aritmetiche, come la somma e la sottrazione. Ne consegue che un raddoppio dell’intensità sonora, che si ottiene aggiungendo allo stesso am- x λ y h e z Fig. 1 Rappresentazione tridimensionale di onda piana che si propaga lungo un’asse z CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE 103 Tab. 1 Valori di intensità e di pressione in rapporto ai decibel INTENSITÀ PRESSIONE DEL SUONO (SPL) DECIBEL (dB) 1 1 0 10 3,162 10 100 10 20 1000 31,62 30 100 40 100.000 10000 316,2 50 1.000.000 1000 60 biente una seconda macchina identica a una prima e della stessa rumorosità, comporterà un aumento di soli 3 dB (80 dB + 80 dB = 83 dB); mentre se le macchine nello stesso ambiente fossero 10 si otterrebbe un aumento complessivo di 10 dB (80 dB macchina iniziale + 9 macchine ciascuna da 80 dB = 90 dB). Nella tabella 1 è possibile vedere i differenti valori di intensità e pressione del suono (sound pressure level o SPL) in rapporto alla scala di decibel. La frequenza è la misura del numero di vibrazioni per unità di tempo; si misura in hertz (Hz) o vibrazioni al secondo. La lunghezza d’onda è la distanza minima tra picchi e ventri di due onde successive, si misura in unità metriche ed è inversamente proporzionale alla frequenza. In base alla periodicità delle onde sonore si possono distinguere tre tipi di suoni: i toni puri e quelli complessi che sono periodici: la funzione che rappresenta il suono si ripete a intervalli uguali e regolari nel tempo; i rumori, invece, non sono periodici, poiché la loro ampiezza fluttua casualmente nel tempo. Il suono si propaga dalla sorgente vibrante nell’area circostante attraverso onde meccaniche di compressione e rarefazione dell’aria; perturbazioni sferiche a cui corrisponde una variazione ondulatoria della pressione. Il valore di questo parametro fisico si riduce progressivamente con il crescere della distanza di rilevazione dalla sorgente sonora e, più in particolare, l’intensità acustica risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza; ovvero, raddoppiando la distanza, l’intensità si riduce di quattro volte (figura 2). Il campo sonoro più semplice e ideale è quello libero, nel quale le onde viaggiano senza incontrare ostacoli; negli ambienti comuni esistono, invece, degli ostacoli che causano fenomeni di trasmissione, assorbimento, riflessione, diffrazione, interferenza che condizionano la percentuale di energia sonora. Fisiologia L’orecchio umano è capace di udire suoni compresi in una grande estensione di intensità: in altre parole possiede un range dinamico enormemente esteso. Fra l’intensità minima, alla quale è possibile percepire un suono, di 1000 Hz (soglia di udibilità) e l’inten- Fonte del suono W r 2r 3r Fig. 2 La dispersione del suono da una fonte acustica è inversamente proporzionale al quadrato della distanza 104 MEDICINA DEL LAVORO sità massima alla quale è possibile percepire lo stesso suono, prima di avere una sensazione di dolore (soglia di dolore) c’è un rapporto di 1:1000 miliardi. La soglia uditiva dell’orecchio umano non è però la stessa su tutte le frequenze: si avvicina allo 0 di riferimento sulla frequenza 1000 Hz, mentre è più elevata per le frequenze più acute. Mentre la soglia uditiva varia in rapporto alla frequenza, la soglia del dolore è uguale per tutte le frequenze ed è situata a un livello di intensità sonora tra i 120-130 dB SPL; al di sotto, a un livello di circa 100 dB, può essere indicata la soglia del fastidio, anche questa abbastanza uniforme per tutte le frequenze. Tra soglia uditiva e soglia del dolore è compreso il campo uditivo, indicato con il grafico di Wegel che riporta l’intensità di vari suoni presenti nell’ambiente e la loro intensità (figura 3). Il rumore si misura per mezzo di uno strumento chiamato fonometro, che è costituito essenzialmente da un microfono che converte le variazioni di pressione acustica trasmesse dall’aria in una tensione elettrica proporzionale; questa, attraver- 140 Soglia del dolore 130 120 120 110 100 90 Il rumore e la patologia correlata 80 80 70 60 Il rumore acustico dal punto di vista delle caratteristiche fisiche viene definito come un suono complesso a bassa o nulla periodicità; esaminando i possibili effetti uditivi ed extrauditivi esso può provocare nel nostro organismo un danno fisico e psichico, temporaneo o permanente. Fon 60 50 40 40 30 so gl Intensità e pressione del suono (decibel) (Re. 20 µ Pa) 100 so complessi circuiti, va a uno strumento di misura che consente la lettura diretta dell’intensità sonora espressa in dB. Data la diversa sensibilità in frequenza dell’apparato uditivo umano, nel fonometro sono normalmente inseriti anche dei filtri che ci consentono di ridurre il peso da attribuire ai suoni compresi in alcune bande di frequenza. Si è visto, in pratica, che la scala di ponderazione A è sufficientemente valida da permettere la valutazione del disturbo e del danno che il rumore può provocare sull’orecchio umano; la misurazione in decibel viene quindi normalmente indicata con la sigla dBA. Ci sono, inoltre, fonometri che consentono di registrare variazioni di rumore in funzione del tempo; particolarmente utili per valutare i possibili effetti del rumore, quando la sua intensità è soggetta a sensibili variazioni. Per mezzo di formule particolari è poi possibile calcolare il livello di rumore equivalente (Leq) i cui effetti possono essere considerati analoghi a quelli di un rumore ininterrotto, di intensità variabile, con effetti equivalenti a quello misurato. Questo ci permette di pensare al rumore come a una energia, con un valore energetico medio, che possiamo definire con il valore in dBA SPL, di rumore continuo che ha la stessa energia sonora di tutti gli eventi acustici misurati nel periodo di osservazione (integrale del tempo). La misura del dBA Leq è importante per determinare il livello di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) che rappresenta il limite previsto dalla normativa. 20 ia 20 l de l'u 10 di to n or male Effetti del rumore sull’apparato uditivo 0 -10 10 50 100 500 1000 5000 10000 Frequenza Hz Fig. 3 Tipici SPL (sound pressure level) di fonti comuni di rumore (da Wegel) La fatica uditiva è l’innalzamento temporaneo della soglia uditiva che si registra dopo l’esposizione ad un suono di intensità elevata. CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE Dopo l’ascolto di un tono puro, il massimo di fatica si osserva mezza ottava sopra la frequenza del suono che ha provocato il fenomeno; mentre dopo l’ascolto di un rumore, che si è esteso per varie bande di frequenza, il massimo innalzamento della soglia si ha in corrispondenza della frequenza di 4000 Hz e, in misura minore, delle frequenze vicine (figura 4). Si distinguono 4 tipi di fatica uditiva che vengono indicati con la sigla TTS (temporary threshold shift, o variazione temporanea di soglia). 1. Il TTS di brevissima durata (inferiore a mezzo secondo), detto anche mascheramento residuo, è da mettere in rapporto con una temporanea inibizione di alcuni elementi nervosi. 2. Il TTS a breve termine si osserva dopo esposizione prolungata a suoni di moderata intensità (30-80 dB SPL), e si esaurisce in 1-2 minuti; è uniforme su tutte le frequenze superiori a 800 Hz e molto modesto per quelle inferiori a 500 Hz, indipendentemente dalla durata dell’esposizione e dall’intensità del suono. 3. Il TTS normale o fatica fisiologica è caratterizzato dal suo valore misurato 2 minuti dopo la cessazione dell’esposizione e si esaurisce entro un tempo massimo di 16 ore; il recupero avviene in maniera esponenziale e cioè lineare con il logaritmo del tempo. 4. Il TTS di lunga durata o fatica patologica. È l’innalzamento che persiste oltre 16 ore dalla cessazione dell’esposizione. Se l’esposizione al rumore è contenuta entro certi 105 limiti di tempo e di intensità è possibile avere un completo recupero della funzione uditiva dopo il cessare del fenomeno della fatica uditiva nelle sue varie forme sopra descritte. Se questi limiti vengono però superati, l’alterazione dell’udito diviene permanente, instaurandosi così una ipoacusia da trauma acustico o da traumatismo sonoro, detta anche sordità da rumore. Il limite di 16 ore, per distinguere il TTS normale di lunga durata, non è scelto a caso, ma risponde al periodo normale di riposo, per un lavoratore che sia impegnato nella sua attività per 8 ore al giorno. È evidente che se l’udito non sarà tornato ai livelli precedenti entro 16 ore, l’effetto della nuova esposizione al rumore si sommerà al deficit residuato dalla precedente esposizione e si avrà così un progressivo deterioramento dell’udito. Nel caso della sordità professionale ci troviamo quasi sempre di fronte a rumori che interessano tutto il campo delle frequenze udibili e che si estendono talvolta anche in quello degli infrasuoni e ultrasuoni. In queste condizioni, la maggior perdita di udito, prima temporanea e poi permanente, si osserva sempre tra 3000 e 6000 Hz e più frequentemente a livello di 4000 Hz. L’audiogramma mostra una incisura (o deep) sulla frequenza di 4000 Hz che, con l’aggravarsi della sordità, si allarga progressivamente alle frequenze vicine, sino a estendersi anche nel campo delle frequenze medie e gravi che risultano però interessate sempre in misura sensibilmente minore. 24 ore 10 1 ora 20 30 15 minuti 40 1 minuto 50 125 250 500 1000 2000 4000 8000 Fig. 4 Fatica uditiva: innalzamento temporaneo della soglia (TTS) provocato dalla esposizione per 15 minuti ad un rumore Hz bianco alla intensità di 110 dB 106 MEDICINA DEL LAVORO Nella figura 5 è illustrata l’evoluzione del deficit uditivo da rumore. La sordità da rumore è di tipo neurosensoriale e si realizza attraverso un danno alle cellule ciliate dell’organo del Corti disposte nella coclea (principale componente dell’organo dell’udito) mediante un meccanismo non ancora ben definito. L’esame obiettivo è negativo e la sintomatologia è molto modesta, specie all’inizio, ridotta a una modesta ipoacusia o senso di ovattamento che scompare nel giro di poche ore. Il soggetto non si accorge nemmeno del progressivo deterioramento della soglia sui 4000 Hz, sino a quando non siano interessate anche le frequenze di 3000-2000 Hz, in cui si accorge di una certa difficoltà a percepire alcuni particolari suoni (ticchettio dell’orologio, suono del campanello). La difficoltà a comprendere la parola, quindi per la normale vita di relazione, compare molto più tardi, quando il deficit uditivo interessa le frequenze inferiori a 3000 Hz (particolarmente tra 500 e 2000 Hz) che sono le più importanti per l’intelligibilità della parola. Altre caratteristiche della sordità professionale da rumore sono la bilateralità e l’assoluta simmetria dei tracciati; se si eccettuano casi rarissimi, nella quale il lavoratore è costretto ad una posizione obbligata con la sorgente del rumore situata da un lato. Comunque, per differenza di soglia tra i due orecchi superiore a 5-10 dB, bisogna sempre pensare ad altre cause patologiche associate. Effetti extrauditivi del rumore Oltre agli effetti sull’apparato uditivo, il rumore esplica il suo effetto dannoso anche sul sistema neurovegetativo, sulla psiche e sul comportamento. Da ricerche eseguite da Jansen risulta che reazioni vegetative si possono avere per rumori di 60 dB e che il rischio di danno del sistema neurovegetativo inizia per rumori superiori a 80 dB. Gli effetti extrauditivi del rumore sono mediati dal sistema nervoso autonomo su diversi apparati. • La risposta di allarme, che consiste in una reazione adrenergica (tachicardia, tachipnea e polipnea, vasocostrizione periferica, aumento delle tensione muscolare). • La risposta neurovegetativa, o risposta N, che consiste in effetti cardiocircolatori (ipertensione arteriosa), effetti gastroenterici (ipermotilità e ipersecrezione gastrica e ipersecrezione salivare), sudorazione, effetti endocrini (ipercortisolemia), effetti neuropsichici (aumentata vigilanza, insonnia, astenia, cefalea, irritabilità, ansia, depressione). Sono state, inoltre, dimostrate alterazioni dell’attività della corteccia cerebrale e dei centri della base con suoni non molto intensi e anche con ultrasuoni. Il rumore, inoltre, occupa uno tra i primi posti delle cause ansiogene della vita moderna, poiché coinvolge i centri sottocorticali del sistema nervo- prova tonale -10 0 -10 udito normale 0 a 10 b c 20 30 d perdita (dB) HTL 40 10 20 30 40 e 50 50 60 60 70 70 80 80 90 90 100 100 110 110 120 750 125 250 500 1500 1000 3000 2000 frequenza (Hz) 4000 6000 11000 8000 120 Fig. 5 Audiogramma che mostra il progressivo aggravarsi della sordità da rumore a. tracciato audiometrico normale; b.-e. stadi evolutivi successivi dell’innalzamento di soglia uditiva. Le frequenze della voce di conversazione sono contenute nell’area delimitata dalle due linee tratteggiate verticali. CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE so a una reazione di emergenza che produce, inevitabilmente, una tensione psichica. Ricerche in ambito industriale hanno evidenziato che l’attività mentale e l’apprendimento sono disturbati dal rumore e per tale motivo si consiglia un livello particolarmente basso per scuole, biblioteche e per i locali nei quali si svolge attività prevalentemente mentale. L’aumento di livello del rumore nelle officine provoca un calo nel rendimento degli operai, con conseguenti maggior numero di errori e incremento degli infortuni sul lavoro. Legislazione Il rumore è un fattore di rischio professionale in grado di determinare sui lavoratori esposti effetti sull’apparato uditivo (effetti uditivi) e su altri apparati (effetti extrauditivi). La sordità da rumore si può osservare anche per occasionale esposizione a rumori particolarmente intensi, ma è soprattutto provocata dall’esposizione protratta per anni al rumore prodotto dalle macchine in alcuni ambienti di lavoro. L’ampia letteratura scientifica disponibile dimostra che l’esposizione prolungata a rumore continuo inferiore a 80 dBA per 8 ore al giorno e per molti anni non provoca nella maggior parte dei lavoratori esposti alcun danno permanente a carico dell’udito; mentre l’ipoacusia da trauma acustico cronico è generalmente provocata dall’esposizione professionale prolungata a livelli sonori superiori a 85 dBA, livelli sonori ritenuti sicuramente lesivi. In modo conforme alla letteratura scientifica l’ACGIH (American Conference Governmental Industrial Hygienists) ha fissato il valore soglia (TLV) della dose di rumore assorbito in 85 dBA per 8 ore di lavoro. Peraltro la valutazione dell’esposizione professionale deve tenere conto delle intensità sonore e della durata di esposizione del lavoratore (cioè dei tempi di permanenza nell’ambiente di lavoro rumoroso); fattori che possono compensarsi reciprocamente secondo specifiche tabelle formulate dall’ACGIH che prevedono uno scambio di 3 dBA: cioè a dire che in 4 ore a 88 dBA si assume la stessa dose di rumore che si assume esponendosi per 8 ore a 85 dBA. Tale valore soglia è stato accettato dal D.L. 277 del 15/8/91 che fissa il valore limite di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) che fa 107 scattare i provvedimenti per le misure di tutela del lavoratore e conseguenti responsabilità del datore di lavoro: • 80 dBA (LEP, d) per la valutazione del rischio e l’informazione dei lavoratori; • 85 dBA (LEP, d) per l’adozione di corsi di formazione, fornitura di mezzi protettivi individuali e controlli sanitari periodici. Esposizione professionale e rischio occupazionale in odontoiatria Nella tabella 2 è stato riportato il livello di intensità del rumore (dBA SPL) registrato nello studio dentistico durante l’uso singolo o combinato delle diverse apparecchiature odontoiatriche presenti. Le misurazioni sono state eseguite ad una distanza di circa 40 cm dall’apparecchiatura in funzione per simulare la distanza della testa del dentista dalla fonte di rumore; fattore importante considerando che l’intensità diminuisce in proporzione inversa al quadrato della distanza. La rumorosità di un ablatore per il tartaro utilizzato con l’aspiratore ad alta velocità è, ad esempio, di 80,5 dBA a 40 cm di distanza dalla fonte, ma aumenta a 82,4 a 20 cm. Come già detto, inoltre, in quanto espressione logaritmica non è possibile effettuare con i decibel operazioni aritmetiche, come la somma e la sottrazione, e tale fatto permette di inserire alcune interessanti osservazioni: l’uso contemporaneo di più apparecchiature di pari rumorosità innalza di poco il valore in dBA, spesso senza superare i valori soglia per gli effetti uditivi. È comunque logico affermare che non esiste un livello di inquinamento sonoro preoccupante per l’odontoiatra; soprattutto considerando che nelle 8 ore giornaliere lavorative il valore critico (85 dBA) può essere raggiunto nello studio odontoiatrico solo per brevi periodi; tali da non comportare un livello di rischio professionale considerato nelle 8 ore di lavoro (fissato a 85 LEP, d). Ciò vuol dire che il valore del livello di rumore equivalente (dBA Leq) misurato nelle ore di lavoro non supera il valore limite di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) prevista come valore soglia (TLV) dalla normativa, valore oltre il quale si ammette possano verificarsi danni riconducibili a malattia professionale. 108 MEDICINA DEL LAVORO Tab. 2 Livelli di esposizione al rumore, rilevazioni fonometriche nello studio odontoiatrico • Fonti di rumore nello studio odontoiatrico • (valori di picco misurati in dBA SPL)* Aspirasaliva Aspiratore ad alta velocità 75 Trapano a turbina ad alta velocità (AVA) 68,6 Trapano elettromeccanico (micromotore) 72,5 Vibratore d’amalgama 71 Ablatore del tartaro 81 Impianto di condizionamento 52 Aspirasaliva + turbina Aspirasaliva + turbina + AVA AVA + ablatore • Valore limite dell’intensità sonora ammesso • negli ambienti di lavoro 79,1 82,5 88 80,5 85 dBA LEP, d • Valori registrati negli studi odontoiatrici • (per funzionamento contemporaneo di 3 sorgenti) 76 dBA LEP, d ** • Danno alla persona da rumore Improbabile e /o molto limitato consistente in fatica uditiva (per spostamento temporaneo della soglia uditiva) • Prevenzione Non necessaria * Le misurazioni fornite dall’ANDI nel 1994 erano: turbina 87 dBA, micromotore 68 dBA, AVA 66 dBA. ** Livello esposizione personale in 8 ore di lavoro (Circolare del 1994 del Presidente Nazionale ANDI). Tale fatto rende inutili i controlli sanitari e l’utilizzazione di mezzi protettivi personali (cuffie, tappi auricolari). Il livello di rumore è, infatti, normalmente ridotto proprio in virtù delle caratteristiche stesse del lavoro odontoiatrico e di costruzione delle attrezzature, considerando che: • le sofisticate attrezzature sono dotate di accorgimenti costruttivi di serie fonoassorbenti (schermi, cappottature); • il funzionamento delle diverse attrezzature non è quasi mai simultaneo; • l’utilizzo delle strumentazioni è discontinuo in quanto limitato a solo alcune fasi di lavorazione, con significative pause per tutte quelle attività che non richiedono attrezzature rumorose. I possibili effetti del rumore a cui sono esposti gli operatori odontoiatrici sono, quindi, solo riconducibili a disturbi transitori seguiti da completo recupero: • lo spostamento temporaneo della soglia uditiva o fatica uditiva (TTS a breve termine); • gli effetti extrauditivi del rumore, solo in soggetti predisposti, considerando che si tratta di valori presenti anche nella vita normale; si trat- ta, cioè, comunque di effetti aspecifici, che possono essere causati anche da stimoli diversi non correlati al lavoro. In letteratura sono disponibili pochi studi specifici del settore odontoiatrico, rari quelli che sostengono un rischio professionale peraltro limitato, in contrasto con le affermazioni sopraesposte. Una ricerca di Ward e coll. (1969) ha dimostrato che il pericolo di danni uditivi, utilizzando strumenti rotanti ad alta velocità, è limitato ma non da escludersi. Il lavoro più completo è stato condotto da Taylor e coll. (1965) che ha controllato il danno subito dai dentisti con una esposizione di 85 dB a livello dell’orecchio e una banda sonora di 4-8 kHz, trovando una caduta uditiva di 5 dB a 4 kHz e 7 dB a 8 kHz. Orientamenti per la prevenzione Il rumore non è un fattore di rischio professionale in odontoiatria visto che i valori regi- CAPITOLO 12 • PATOLOGIE ACUSTICHE strati di intensità sonora sono inferiori ai valori limite. La misura del livello di rumore equivalente (dBA Leq) non supera nelle otto ore il valore limite di esposizione professionale quotidiana personale (LEP, d) considerato il rischio per patologie occupazionali. Le normali caratteristiche di costruzione delle apparecchiature odontoiatriche sono sufficienti ad escludere danni acustici da rumore correlati al lavoro. Soggetti ipersensibili possono attuare alcune semplici precauzioni per ridurre il rumore, qualora ne aumenti l’esigenza soggettiva. 109 NORME PER RIDURRE IL RUMORE • Mantenere in ordine le attrezzature odontoiatriche • Adattare i locali di lavoro (pannelli fonoassorbenti al soffitto, tendaggi antirumore, pavimentazione in materiale elastico, razionale collocazione del compressore) • Evitare l’accensione contemporanea di più attrezzature se non necessaria • Utilizzare misure di protezione personale (tappi auricolari) appare una misura applicata occasionalmente da alcuni operatori. CAPITOLO 13 PATOLOGIE RESPIRATORIE F. Montagna Il polmone, in tossicologia, costituisce la principale via di penetrazione di numerose sostanze che possono essere inalate in forma di polveri, aerosol (solidi e liquidi), gas e vapori. Il tratto respiratorio superiore (naso e laringe) e l’albero bronchiale, rivestiti da un epitelio ciliato colonnare e secretorio a struttura pseudostratificata, svolgono un ruolo di filtro ed eliminazione del materiale inalato, impedendone la progressione (clearence mucociliare e riflesso della tosse). I bronchioli respiratori, i dotti alveolari e gli alveoli costituiscono l’acino, unità funzionale del polmone, coperta da cellule squamose (pneumociti); le difese sono affidate alla fagocitosi operata dai macrofagi alveolari, granulociti neutrofili ed eosinofili, linfociti; gli acini polmonari (lunghezza 0,5-1 mm) sono molto sensibili agli agenti esogeni inalati per la loro incapacità di mitosi e rigenerazione cellulare. L’elevata superficie di scambio (80-100 m2 di superficie alveolare), l’estrema sottigliezza della membrana alveolo-capillare (strato monocellulare < 1 micron), il veloce flusso ematico favoriscono l’assorbimento delle sostanze allo stato gassoso e di vapore. Poiché l’aria inalata è carica di particellato (allergeni, pollutanti e inquinanti) e contaminanti biologici, ne consegue che il tratto respiratorio è il bersaglio di diverse sostanze aerodisperse potenzialmente dannose. Nell’ambito della medicina del lavoro si distinguono le polveri organiche e inorganiche, con differenti implicazioni patologiche in ambito industriale. Le polveri organiche sono formate da microrganismi (batteri 0,5-2 micron, virus 10-300 millimicron), proteine di origine animale e composti chimici organici (vernici, plastiche e farmaci); sono associate a tre sindromi polmonari: l’asma allergi- co, la sindrome tossica da polveri organiche e la polmonite da ipersensibilità. Le polveri inorganiche sono formate da metalli, polveri inorganiche fibrosanti (silice libera), fibre minerali sintetiche e gas tossici inalati; sono associate con diversi tipi di patologie respiratorie: asma bronchiale; tracheobronchite, polmonite chimica; polmonite da ipersensibilità; fibrosi polmonare diffusa. Le polveri Le polveri aerodisperse rappresentano uno dei principali problemi dell’igiene ambientale sia perché sono degli inquinanti ubiquitari, sia perché la loro composizione e la loro granulometria possono variare entro limiti ampi. Il particolato (o particellato) sospeso è costituito da particelle di forma irregolare, di dimensioni sino a 100 micron, la cui composizione chimica è complessa e può comprendere sostanze inorganiche, organiche di varia natura, gas e vapori adsorbiti. Questa complessità rende utile suddividere il particolato in classi comprendenti particelle le cui caratteristiche variano entro limiti più ristretti. Due sono le classificazioni più importanti: la prima è basata sull’attività biologica e distingue le polveri inerti o fastidiose, quelle fibrinogene o sclerogene e altre alle quali è associato un rischio chimico e/o biologico a causa dei costituenti (metalli, sostanze organiche, virus e batteri, gas e vapori). L’altra classificazione riguarda l’aspetto dimensionale delle particelle che compongono le polveri che è importante per il comportamento in atmosfera e anche per il segmento dell’apparato respiratorio dove le particelle andranno a depositarsi. CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE Le particelle inalate penetrano nelle vie aeree e si distribuiscono a seconda delle dimensioni, delle forme, della massa, cioè delle loro caratteristiche aerodinamiche, dell’igroscopicità e della densità; a seconda del tratto interessato si distinguono: • deposizione extratoracica, caratteristica delle particelle più grandi che vengono bloccate per impatto sulla mucosa nasale e da qui vengono rimosse entro pochi minuti per trasporto meccanico con secrezioni; • deposizione tracheobronchiale le particelle che si depositano in questa regione hanno un diametro aerodinamico inferiore a 30 micron e vengono rimosse entro alcune ore a opera del sistema mucociliare. Le particelle più voluminose (> 20 micron) vengono catturate per sedimentazione e filtrazione dalla mucosa del naso, orofaringe e laringe. Le particelle con diametro compreso tra 5/20 micron si depositano per sedimentazione gravitazionale e impatto inerziale nell’albero tracheobronchiale; sono allontanate mediante la clearance mucociliare e quindi espettorate o deglutite; • deposizione alveolare, che riguarda particelle con dimensioni inferiori a 10 micron; la loro rimozione è lenta (anni) e avviene per solubilizzazione o fagocitosi con successivo trasporto all’esterno (sistema mucociliare e linfatico). Le particelle con diametro 0,5-5 micron penetrano e si depositano nei bronchioli respiratori, nei dotti alveolari, negli alveoli dei lobi superiori dei polmoni. Il particellato di questo diametro costituisce la maggior parte della frazione respirabile della polvere e contiene microrganismi (dimensioni dei batteri 0,5-2 micron); • le particelle < 0,5 micron possono comportarsi come gas e non depositarsi, rimangono in gran parte sospese nel flusso aereo e sono espirate. 111 Controllo della qualità dell’aria negli ambienti confinati La metodologia di studio della qualità dell’aria indoor può avvalersi di diverse indagini strumentali per evidenziare gli inquinanti ambientali. Il termine particolato o particellato aerodisperso (PM) è considerato uno tra gli indicatori più generici dell’inquinamento dell’aria; è dosato con sistemi automatici di rilevazione (dosimetri) ad alta specificità. La quantità di polveri nell’aria è espressa in mg/m3 per valutare il valore critico (limite di soglia, TLV) che comunque varia per ogni singola diversa sostanza; un TLV superiore a 0,7 mg/m3 di polveri insolubili è tale comunque da superare le difese dell’albero respiratorio. Per l’ACGIH esistono tre categorie di polveri in rapporto alla loro dimensione (tabella 1): • massa delle particelle inalabili (MPI), generalmente definita polverosità totale, che ha una grandezza di 100 micron e quindi interessa i moti respiratori; • massa delle particelle toraciche (MPT), data da particelle fino a 25 micron e che interessano la parte ciliata dell’albero respiratorio (trachea, bronchi e bronchioli); • massa delle particelle respirabili (MPR) che raggiunge i 7-10 micron di diametro ed è costituita da polvere in grado di pervenire agli alveoli polmonari. La pericolosità degli inquinanti aerodispersi è tanto maggiore quanto minore è il diametro, visto che particelle di 0,5-5 micron possono raggiungere gli alveoli polmonari; i materiali organici insolubili (silice cristallina) con diametro 0,5-0,7 micron hanno la maggior capacità di accumularsi nei tessuti polmonari ed hanno un effetto fibrogeno in grado di indurre sclerogenesi. Tab. 1 Dimensioni delle polveri e rischio biologico CLASSIFICAZIONE DIMENSIONE COMPORTAMENTO • • • • < < < < Deposizione extratoracica Deposizione tracheobronchiale Deposizione alveolare Non deposizione, espirazione Massa delle particelle inalabili (MPI) Massa delle particelle toraciche (MPT) Massa delle particelle respirabili (MPR) Particelle espirabili 100 30 10 0,5 micron micron micron micron 112 MEDICINA DEL LAVORO Nell’arco di 8 ore, per convenzione, si presume che un soggetto al lavoro necessiti di 8-10 m3 di aria per sopperire agli scambi respiratori. La dose di sostanza assorbita per inalazione in un turno di lavoro può essere espressa, in prima approssimazione, come quantità di sostanza per metro cubo d’aria (concentrazione ambientale) moltiplicata per il tempo di esposizione e il volume d’aria inspirato: anestetici. Mentre è evidente che tali considerazioni non valgono per gli agenti privi di valore soglia per i quali il rischio vale zero solo a dose zero (ad esempio, i microrganismi patogeni e le allergie). mg/m3 x 8 ore x 10 metri cubi = quantità di sostanza inalata in un turno di lavoro La contaminazione ambientale da particellato aerodisperso (PM) nello studio odontoiatrico può essere di tipo organico, inorganico, con diversi gradi di contaminazione microbiologica. Con il termine aerosol si intendono le particelle con diametro compreso tra 0,5-5 micron che, liberate nell’aria, rimangono sospese senza depositarsi per ore; mentre con il termine di nebulizzazione si intendono particelle superiori a 30 micron che tendono a depositarsi per la gravità. Il rischio di Tali considerazioni rivestono importanza per quegli agenti lesivi che presentano una relazione di proporzionalità tra l’entità della dose e l’entità degli effetti; tipico degli agenti lesivi che presentano una dose soglia al di sotto della quale non si osservano effetti avversi (NOAEL, no observed adverse effect level) come ad esempio il mercurio e i gas Esposizione professionale in odontoiatria Tab. 2 Classificazione dell’attività biologica e del rischio da inalanti ATTIVITÀ BIOLOGICA SOSTANZE FONTE, DIMENSIONI • Inerti Acqua Talco Bicarbonato Metalli (oro, platino, ecc.) Spray (turbine, siringa aria-acqua, apparecchi a ultrasuoni) Guanti Air polishers Fresatura di protesi Materiali insolubili inorganici di silice cristallina (quarzo): Porcellana Ossido di silicio Fresatura di protesi Sistemi di air abrasion • Rischio tossico Mercurio Protossido d’azoto, gas anestetici Resine (vapori di monomero) Otturazioni in amalgama Anestesia per inalazione Lavorazioni protesiche • Rischio chimico/irritante Glutaraldeide Ossido di etilene Ipoclorito di sodio Disinfettanti • Rischio microbiologico Microrganismi aerodispersi (virus, batteri, miceti) Materiali organici: smalto, cemento, dentina Liquidi organici: sangue, saliva Spray, tosse, sternuti Preparazione e limatura di denti Lattice Guanti, diga • Rischio di sclerogenesi • Rischio allergico Interventi chirurgici CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE patologie respiratorie in odontoiatria è comunque ridotto, e verrà analizzato secondo due comparti: • patologie da polveri disperse nell’ambiente; • malattie infettive. Si può premettere che le patologie polmonari non rappresentano una malattia professionale tale da richiedere controlli o accertamenti sanitari particolari. L’incidenza delle patologie polmonari negli operatori odontoiatrici non presenta, infatti, dati di morbosità superiori alla popolazione generale. Patologie respiratorie da polveri disperse e vapori nell’ambiente Le polveri inorganiche sono formate da metalli, polveri inorganiche fibrosanti (silice libera), fibre minerali sintetiche e gas tossici inalati (N2O); possono essere associate con patologie respiratorie di tipo allergico o irritativo (tabella 2). Il rischio è riconducibile a reazioni irritative delle prime vie respiratorie provocate dalla esposizione acuta a concentrazioni elevate di sostanze chimiche, per una loro errata utilizzazione; come ad esempio, le riniti, le laringotracheiti e tracheobronchiti causate da esposizioni acute a vapori di disinfettanti (glutaraldeide, ossido di etilene). Frequentemente è posta la domanda sulla esistenza di un rischio rappresentato da polveri inorganiche di silice cristallina (quarzo), come ad esempio l’ossido di silicio utilizzato in conservativa per la preparazione di cavità da otturazione (air abrasion system) e il bicarbonato (air polishers). 113 Tale eventualità è solo teorica, come dimostrato da studi statistici recenti che escludono un rischio professionale per gli operatori da polveri inorganiche respirabili: • per gli air abrasion system il particolato misurato extraoralmente non è superiore a quello causato da strumenti rotanti tradizionali (Ghiabi 1998); • l’uso delle normali precauzioni (aspirazione ad alta velocità) è una misura sufficiente ad eliminare il rischio da polveri respirabili (Muzzin 1999; Wright 1999). Le polveri organiche sono formate da microrganismi (batteri 0,5-2 micron, virus 10-300 millimicron), proteine di origine animale (lattice) o umana (cellule di desquamazione della cute), composti chimici organici (vapori di resine). La presenza di proteine di origine animale (lattice) nell’ambiente può essere associata a reazioni allergiche scatenate da basse concentrazioni di antigene in soggetti sensibilizzati, come ad esempio riniti e asma bronchiale; in particolare l’allergia al lattice può causare orticaria, rinocongiuntivite, asma, shock anafilattico. Malattie infettive respiratorie Le terapie odontoiatriche espongono operatori e pazienti a possibili infezioni crociate per via aerea per un elevato numero di patologie con caratteristiche differenti di morbosità e contagiosità. Si tratta prevalentemente di malattie esantematiche e infezioni dell’apparato respiratorio contraddistinte da una bassa mortalità, invalidanti per periodi ridotti e generalmente prive di conseguenze. Tab. 3 Goccioline e aerosol microbici MECCANISMO DI PRODUZIONE ZONA DI FORMAZIONE DIAMETRO DISTANZA RAGGIUNTA NUMERO • Vociferazione Parte anteriore della cavità orale 25-2000 micron 30 cm Varia in rapporto alla quantità di saliva • Starnuto Naso-faringe < 100 micron Qualche metro 20.000 goccioline • Tosse Trachea, bronchi Vario Qualche metro 10-100 goccioline • Attrezzature • odontoiatriche Cavità orale Vario Qualche metro Diverse migliaia di goccioline 114 MEDICINA DEL LAVORO La sorgente di infezione è rappresentata da persone malate con una infezione attiva o in incubazione sottoposte a terapie odontoiatriche, le quali eliminano secrezioni infette attraverso la via buccale (saliva) o respiratoria (secreto tracheobronchiale). La trasmissione avviene per via interumana indiretta, infettando soggetti nelle immediate vicinanze o lontani dopo dispersione nell’ambiente. Il veicolo dell’infezione è rappresentato dall’aria e può avvenire attraverso diverse modalità (tabella 3): • le goccioline di Flugge formate con la vociferazione, tosse, sternuto; • gli aerosol prodotti dalle attrezzature odontoiatriche. Le goccioline possono essere formate da muco, saliva, acqua, residui epiteliali, leucociti. L’esito delle goccioline, una volta pervenute nell’atmosfera, dipende dalla loro grandezza, peso e forza di propulsione. Le più grosse, in obbedienza alla legge di gravità, sedimentano nello spazio di pochi secondi, mentre le più piccole (< 100 micron) evaporano rapidamente dando luogo alla formazione di nuclei di goccioline. Questi possono rimanere nell’atmosfera per ore o addirittura per giorni, e, in presenza di notevole umidità, possono condensare vapore di acqua e costituire gli aerosol microbici. I nuclei di goccioline, in particolare, possono trasmettere l’infezione a notevole distanza nello spazio e nel tempo, soprattutto in relazione alla resistenza dell’agente patogeno all’ambiente esterno. Le goccioline che sedimentano non possono considerarsi del tutto innocue; una volta sedimentate evaporano più o meno rapidamente e i germi, in esse contenuti, possono aderire ai granuli di polvere e risollevandosi con questi costituire un nuovo pericolo; da qui si deduce l’importanza della pulizia delle superfici e della ventilazione degli ambienti di lavoro. Tab. 4 Criteri indicativi per la classificazione della concentrazione di batteri nell’aria LIVELLO • • • • • Molto basso Basso Medio Alto Molto alto CONCENTRAZIONE di unità formanti colonia (CFU) < 50 50-100 101-500 501-2000 > 2000 • saliva e secrezioni (goccioline di Flugge) infette con microrganismi del cavo orale e delle vie aeree superiori espettorate con la respirazione, i colpi di tosse e gli sternuti, considerando la distanza minima tra operatore e paziente nel corso delle cure; • apparecchiature odontoiatriche in grado di formare spray contaminato da microrganismi del cavo orale, come lo strumentario rotante, la siringa aria-acqua, gli ablatori ultrasonici. Per quantificare la contaminazione aerea nell’ambiente si campionano i contaminanti microbiologici disponendo nell’ambiente delle piastre di Petri; si utilizzano terreni di coltura di tipo generale per la conta totale di batteri e funghi, o terreni selettivi per la ricerca di determinati microrganismi di interesse. Le concentrazioni vengono espresse in unità formanti colonia dopo incubazione (CFU). Nessun paese ha raccomandato limiti specifici per la concentrazione di batteri nell’aria; i criteri riportati nella tabella 4 sono indicativi e il loro superamento non comporta necessariamente effetti sulla salute. È evidente che in tale classificazione non sono compresi i patogeni aerodispersi, che rappresentano elemento di rischio indipendentemente dalle concentrazioni osservate. Particellato liberato dalle persone Contaminanti microbiologici Uno dei maggiori problemi in odontoiatria è rappresentato dalla contaminazione ambientale da inquinamento biologico che può derivare da fonti diverse: • liberazione nell’aria di particellato dalla desquamazione dell’epidermide di persone che si muovono nell’ambiente confinato dell’unità operativa; La liberazione nell’aria del corpuscolato, da parte di persone presenti nell’ambiente, è elevato e tale da rappresentare una considerevole fonte di contaminazione. Consideriamo, infatti, che la pelle di un essere umano pesa mediamente 5 kg con una superficie di 1,75 m2; che ogni 4 giorni si verifica un ricambio dello strato corneo dell’epidermide; che su ogni centimetro quadrato di pelle vivono 1000-10000 colonie di microrganismi. CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE 115 MALATTIE A DIFFUSIONE AEREA TRASMISSIBILI IN ODONTOIATRIA (ELIMINAZIONE E PENETRAZIONE ATTRAVERSO LE VIE RESPIRATORIE) Patologia • Difterite • • • • Influenza Legionellosi Malattia respiratoria acuta febbrile Raffreddore comune • Polmonite stafilococcica • Malattie streptococciche (angina, scarlattina) • Meningite meningococcica • Mononucleosi infettiva • Morbillo • Parotite • Pertosse • Polmonite pneumococcica • Rosolia • Tubercolosi • Varicella Periodo di contagiosità Variabile da 2 a 4 settimane; sino a quando sono presenti batteri nella secrezione delle lesioni. I portatori cronici possono diffondere i microrganismi per 6 mesi Probabilmente limitato a 3 giorni dall’inizio della malattia La trasmissione interumana non è stata documentata Per tutta la durata della fase attiva della malattia Il liquido ottenuto dal lavaggio nasale eseguito 24 ore prima e per 5 giorni dopo l’esordio della malattia ha provocato sintomi involontari, infettati sperimentalmente Fino a quando le lesioni purulente continuano a secernere o persiste lo stato di portatore 10-21 giorni nei casi non trattati e senza complicazioni; nei casi non trattati con secrezioni purulente è di settimane o mesi. Con terapia penicillinica la trasmissione termina entro 24/48 ore Fino a che i meningococchi non sono più presenti nelle secrezioni del naso e della bocca. Gli organismi sensibili alla terapia scompaiono dal naso-faringe entro 24 ore dall’inizio della terapia. Il trattamento con penicillina determina completa eradicazione dei microrganismi dall’oro-faringe Prolungato, l’escrezione faringea può persistere per un anno dopo l’infezione. Il 15-20% degli adulti sani sono portatori orofaringei Da poco prima dell’inizio del periodo prodromico fino a 4 giorni dalla comparsa dell’esantema; la contagiosità è minima dopo il secondo giorno del rash cutaneo Virus isolato nella saliva da 6 giorni prima della tumefazione delle ghiandole salivari fino a 9 giorni dopo; maggior contagiosità nelle 48 ore prima della tumefazione Altamente contagiosa nei primi stadi catarrali. Successivamente la contagiosità diminuisce gradualmente e diviene trascurabile entro 3 settimane, nonostante il persistere della tosse spasmodica. La terapia antibiotica riduce l’infettività a 5-7 giorni dopo l’inizio della somministrazione Probabilmente fino a che le secrezioni della bocca e del naso contengono pneumococchi in numero significativo. La penicillina rende il paziente non infettante in 24-48 ore Da circa 1 settimana prima ad almeno 4 giorni dopo l’esordio del rash. Altamente contagiosa La tubercolosi polmonare aperta è contagiosa finché nelle secrezioni sono presenti bacilli tubercolari. Pazienti non trattati possono essere espettorato-trasmettivi a intermittenza per anni. Una terapia antibiotica efficace riduce rapidamente la contagiosità. La tubercolosi extrapolmonare chiusa non è contagiosa 5 giorni, di solito 1-2 giorni prima dell’inizio del rash e non più di 6 giorni dopo la prima ondata di vescicole 116 MEDICINA DEL LAVORO I batteri rilasciati dalle persone che stazionano nelle zone operative sono cospicue e variano in relazione alla attività fisica: • 100.000 particelle/min per una persona seduta • 1.000.000 particelle/min per movimenti moderati • 5.000.000 particelle/min camminando • 7.500.000 particelle/min correndo • 15-30.000.000 particelle/min facendo ginnastica. Il rischio non riguarda tanto gli operatori odontoiatrici, quanto la sepsi del campo operatorio in chirurgia, stante la dimostrata correlazione tra l’aumento del conteggio di batteri nell’area della sala operatoria di chirurgia generale e il pericolo di sepsi (Blowers e Wallace 1960). La contaminazione da particellato è ridotta utilizzando un adatto abbigliamento in grado di trattenere tali particelle. A tale riguardo risultano fattori importanti per i camici non solo il tipo di tessuto ma anche la forma. Per il tipo di tessuto si deve adottare un compromesso tra la necessità di protezione e la scomodità, visto che l’impermeabilità è inversamente proporzionale alla vestibilità, traspirazione e comfort per l’operatore: il vestiario in cotone è sufficiente nella maggior parte dei casi; i camici in tessuto non tessuto (TNT) trovano indicazione in ambito chirurgico. Limitatamente alla carica batterica sono inoltre da preferire i camici attillati considerando che: • un alto grado di attività con un camice largo permette una dispersione di 50.000 batteri/min, un camice attillato di 3200 batteri/min; • un basso grado di attività 7000 batteri/min con camice largo e 1500 batteri/min con camice attillato (D’Apolito 1991). Particellato liberato dalla terapia odontoiatrica L’aerosol può essere provocato dalla utilizzazione di diversi strumenti: • la turbina per preparare una cavità produce un incremento di batteri nell’aria del 2200%; • gli ablatori ultrasonici del 3000%; • gli air abrasion system producono rischi equivalenti a quelli causati da strumenti rotanti tradizionali (Ghiabi 1998). Peraltro è stato dimostrato che la grande maggioranza delle particelle (95%) negli aerosol in odontoiatria è inferiore a 5 micron e il 75% è contaminato da microrganismi (Cooley 1989); dei quali al- cuni seguono la via di trasmissione inalatoria (Mycobacterium tubercolosis, Rotavirus, virus influenzali, Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Aspergillus). Una epidemia da Mycoplasma pneumoniae è stata segnalata nel personale odontotecnico a seguito di inalazione di aerosol generato dalla lavorazione di materiale infetto (Messite 1989). Una ricerca condotta di Grappiolo (1992) posizionando piastre di Petri in 3, 6, 9, 12 ore a 50 cm dal volto del paziente nel corso di 60 sedute terapeutiche ha dimostrato che non vi è differenza sostanziale nelle diverse posizioni e che la contaminazione batterica è pressoché uniforme; gli schizzi di sangue, invece, sono molto più presenti in 9 ore (100%) diminuendo in 6 ore (24,7%), 3 ore (14,11%), 12 ore (11,76%) entro un’area di 50 cm dalla bocca. Non è stato a tutt’oggi ancora risolto in modo definitivo il problema sulla esistenza di una diretta responsabilità dell’aerosol, provocato da strumenti odontoiatrici, nell’aumento di malattie aerogene del personale odontoiatrico e tale eventualità è ritenuta possibile. L’uso delle normali precauzioni (aspirazione ad alta velocità, mascherine, schermi, occhiali) è comunque una misura sufficiente a contenere l’ipotetico rischio entro parametri sicuramente accettabili. La tubercolosi Il rischio più temuto dagli operatori sanitari consiste nell’esposizione al Mycobacterium tubercolosis; eventualità, comunque, rara considerando la bassissima prevalenza della patologia nella popolazione generale (tabella 5). Recentemente si è imposto il problema del contagio nosocomiale per gli operatori sanitari in ambito medico, documentato da un aumento della conversione al test cutaneo della PPD dal 18 al 21% e dalla segnalazione di epidemie nosocomiali. Il rischio esiste, in misura minore, anche per il personale odontoiatrico, come dimostrato in passato dall’incremento di positività al test della tubercolina verificato negli studenti di odontoiatria dal 5% nel primo anno sino al 33% nell’ultimo (Cooley 1960). Il rischio di infezione post-esposizione è del 510% : la metà delle persone infettate sviluppa la patologia entro il primo anno e l’altra metà in qualunque momento nell’arco della vita, poiché l’infezione rimane latente (persisters). Il rischio di trasmissione agli operatori è ridotto per una serie di motivi: CAPITOLO 13 • PATOLOGIE RESPIRATORIE 117 Tab. 5 Tubercolosi • Agente eziologico • Prevalenza nella popolazione generale • Via di trasmissione Mycobacterium tubercolosis e bovis 7/100.000 Aerea da pazienti con tubercolosi polmonare aperta; enterica; cutanea • Resistenza all’ambiente esterno • Inattivazione Sei mesi Luce solare in poche ore; calore umido 60 °C per 30 min; glutaraldeide 2% 60 min • Rischio di infezione post-esposizione • Incubazione • Sintomi di esordio • Letalità • Cronicizzazione • Esami • Profilassi attiva 5-10% 4-6 settimane Febbre, tosse, sintomi aspecifici Rara con terapia Rara con terapia; reinfezioni endogene Intradermoreazione di Mantoux, Tine test, Rx torace • Chemioprofilassi • Efficacia vaccino • la patologia è rara nella popolazione generale e risulta elevata solo nei pazienti con AIDS dove può raggiungere il 10%; • il rischio è rappresentato solo dalle forme polmonari attive (tubercolosi polmonare aperta); • il semplice porre la mano davanti alla bocca quando si starnutisce o si ride riduce considerevolmente l’emissione di particelle infettanti (goccioline di Flugge); • solo il 35-40% dei pazienti con escreato positivo all’esame colturale è infettante; • la chemioterapia antitubercolare riduce drasticamente l’infettività nell’arco di 2 settimane; • la produzione di aerosol contenenti il M. tubercolosis durante le cure odontoiatriche non è stata mai dimostrata; • la ventilazione e l’illuminazione (M. tubercolosis è sensibile ai raggi solari o UV) e la normale pulizia sono sufficienti a prevenire la contaminazione ambientale. Le raccomandazioni di base sono quindi ridotte. È stata indicata l’opportunità per gli operatori odontoiatrici di eseguire l’intradermoreazione di Mantoux e la vaccinazione con vaccino BCG (bacillo di Calmette e Guerin) dei soggetti cutinegativi; comunque, tale profilassi non garantisce una protezione completa. La durata dell’immunità è di 3-5 anni; la protezione di fronte all’infezione naturale è stata valutata intorno al 60-80%. La vaccinazione entro 3-5 settimane causa la comparsa della reazione tubercolinica (intradermoreazione di Mantoux); Vaccino BCG Isoniazide Parziale 60-80% la rivaccinazione potrà essere effettuata nei casi in cui le reazioni tubercoliniche siano tornate negative. La legge n. 1088 del 14/12/70 ha inserito tra le categorie per le quali sussiste l’obbligo della vaccinazione antitubercolare, i soggetti cutinegativi addetti a ospedali, cliniche e ospedali psichiatrici e gli studenti di medicina all’atto di iscrizione all’università. Con D.P.R. n. 447/75 e 25/6/76 sono stati emanati i regolamenti relativi alle modalità di esecuzione degli accertamenti, tecnica, tipo di vaccino e controllo della vaccinazione. RACCOMANDAZIONI DEL CENTER FOR DESEASES CONTROL (1994) PER PREVENIRE LA TUBERCOLOSI • Richiedere consulenza medica per i pazienti che presentino sintomi di tubercolosi attiva • Rinviare le cure di elezione e posporle alla terapia medica • Per le cure urgenti e indilazionabili inviare il paziente con tubercolosi polmonare aperta in fase attiva in strutture con appropriate metodiche di controllo per l’infezione per via respiratoria (respiratori, maschere con filtrazione inferiore a 1 micron, unità operative con pressione negativa) 118 MEDICINA DEL LAVORO Orientamenti di prevenzione Il controllo della contaminazione da inalanti rappresenta un problema di agevole risoluzione in ambito odontoiatrico. • L’adozione delle normali precauzioni (aspirazione ad alta velocità, mascherine, schermi, occhiali) è comunque una misura sufficiente a contenere l’ipotetico rischio da inalanti organici e inorganici entro parametri sicuramente accettabili. • La pulizia delle superfici è il sistema più valido per migliorare l’igiene ambientale. La carica batterica dell’aria è riducibile con l’igiene e la pulizia degli ambienti, la disinfezione periodica delle superfici e dell’ambiente. • Gli ambienti devono assicurare un adeguato ricambio d’aria. Il sistema più valido si ottiene con la ventilazione naturale aprendo le finestre e consentendo uno scambio con l’aria esterna. Nelle zone urbane ad alto inquinamento possono essere utilizzati dei depuratori dell’aria dell’ambiente per evitare, aprendo le finestre, la penetrazione di inquinamento da rumore e polluzione atmosferica dall’esterno. Gli impianti di aria condizionata consigliati sono i sistemi tradizionali che rispondano ai seguenti requisiti: deve essere prescritto il ricircolo dell’aria e utilizzato il costante prelievo di aria pura dall’esterno; l’ispezionabilità per poter procedere alla pulizia, alla disinfezione delle condotte e al ricambio dei filtri. Lo studio odontoiatrico è un ambulatorio con un basso rischio per quanto attiene alle infezioni crociate per via aerea e sono accettabili parametri medi di concentrazione di batteri nell’aria pari a 100500 CFU. Non sono quindi necessari protocolli di disinfezione spinti e, in particolare, non trova indicazione la disinfezione continua in presenza di persone. Per tale motivo scarsa applicabilità riconoscono i sistemi di decontaminazione dell’aria: gli aerosolizzatori e i nebulizzatori abbattono la carica batterica, ma possono esporre gli operatori ad agenti chimici potenzialmente tossici; la decontaminazione dell’aria con flussi laminari è improponibile in uno studio odontoiatrico per gli elevati costi. Le vaccinazioni per alcune patologie a trasmissione aerea sono raccomandate per il personale odontoiatrico, il quale è particolarmente esposto al contagio per la posizione di lavoro ravvicinata alle vie respiratorie del paziente; un programma di immunizzazione attiva è consigliabile al momento dell’assunzione e quindi con successivi richiami periodici. I benefici per gli operatori odontoiatrici sono sostanzialmente duplici e consistono: • per patologie lievi (influenza, morbillo, parotite) nell’evitare di contrarre malattie causa di invalidità temporanea ed astensione dal lavoro e non diffondere l’epidemia a pazienti in cura; • per patologie gravi nell’evitare il rischio di contrarre patologie croniche (tubercolosi) e con complicazioni (malformazioni fetali nel caso di rosolia in donne in gravidanza). VACCINAZIONI CONSIGLIATE AL PERSONALE ODONTOIATRICO Patologia Immunizzazione Richiamo Note Influenza 1 dose im Ogni anno Facoltativa, ripetuta ogni anno Parotite 1 dose sc Nessun richiamo Facoltativa nei soggetti non immuni Morbillo 1 dose sc Nessun richiamo Facoltativa nei soggetti non immuni Rosolia 1 dose sc Nessun richiamo Facoltativa nei soggetti non immuni; raccomandata nelle donne in età fertile Tubercolosi 1 dose In caso di cutinegatività Raccomandata nei cutinegativi al PPD CAPITOLO 14 STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO F. Montagna Lo stress è uno stato di disagio psichico che si può generare quando l’ambiente esterno pone richieste e oneri che sollecitano l’individuo a sostenere prestazioni superiori al normale, sia qualitativamente che quantitativamente. Gli induttori di stress (stressori) sono fattori in grado di produrre disagio e difficoltà di adattamento ai propri compiti, all’ambiente o all’organizzazione del lavoro. Qualora la persona sappia far fronte a tali stimoli, si hanno dei benefici sulla sua performance (eustress); qualora, invece, non sia in grado di reagire efficacemente, può crearsi in lui un senso di inadeguatezza e sottostima di sé (distress). Nell’uso comune il termine di stress è sinonimo di reazione negativa (distress) che può manifestarsi con sintomatologia psichica e/o psicosomatica. D’altra parte per ciascun individuo, in diverse fasi della vita, esistono intervalli ottimali di attivazione fisiologica e psicologica, continuamente perturbati da stimoli insufficienti o eccessivi; la risposta ad un identico stressore è, quindi, individuale per ogni singolo soggetto e variabile nei diversi periodi della vita. Le conseguenze dello stress si manifestano a tre diversi livelli: • operatore, con disturbi psicologici, psicosomatici e somatici; • utenza, influendo negativamente sul rapporto con i pazienti e i familiari; • sociale, con detrimento della qualità del servizio assistenziale. La patologia psicosomatica Il processo di adattamento dell’uomo all’ambiente e il mantenimento dell’omeostasi fisiologica richiedono un intervento integrato del sistema nervoso centrale e del sistema endocrino. La risposta dell’asse ipofisi-surrene allo stress è stata per la prima volta descritta da Hans Selie (1956) che ha introdotto il concetto di “sindrome generale di adattamento” caratterizzata da: • una fase di allarme dominata da una scarica adrenergica conseguente alla stimolazione simpatica della midollare surrenale; • una fase di adattamento in cui prevale la secrezione di glucocorticoidi in risposta all’increzione di ACTH e di endorfine; • una fase di esaurimento in cui si manifesta l’incapacità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene a garantire risposte immediate. Peraltro, sulle dimensioni psicologiche dello stress e sui correlati ormonali della risposta individuale alle situazioni critiche si stanno accumulando informazioni relative al coinvolgimento di altri sistemi ormonali. Una situazione critica può essere affrontata in modo diverso sotto il profilo psicologico: la percezione di esercitare un controllo sugli eventi porta a scarse modificazioni ormonali che aumentano, invece, quando l’individuo si sente sovrastato e impotente, di fronte a una situazione stressante. Se l’individuo è incapace di manipolare le condizioni esterne o di modificare le sue capacità di adattamento agli stimoli ambientali attraverso l’allenamento, la situazione di sovra o sottostimolazione condurrà a conseguenze patologiche riferite tradizionalmente allo stress, ma in realtà mediate dalle disfunzioni neuroendocrine dell’organismo incapace di adattarsi: cardiovascolari (ipertensione arteriosa, extrasistolia, cardiopatia ischemica), digestive (ulcera duodenale, colite spastica) (figura 1). La patologia psichica Numerose sono le teorie sui processi psicologici che conducono allo sviluppo di tratti patologici della personalità; in questo ambito ci riferiremo al- 120 MEDICINA DEL LAVORO Stress Attivazione neuroendocrina trauma idrodinamico • dieta arteriolari lesione endoteliale → aggregazione piastrinica → • sedentarietà ipertrofia pareti → • fumo → trombossano resetting barocettori → • alcol → Effetti comportamentali catecolamine resetting curva tolleranza glucidica → glucosio → → → → pressione-natriuresi COL e TRIG NEFA → Mg ionizzato vasospasmo Coronaropatie → → → → Aterosclerosi → Ipertensione Fig. 1 Ipotesi patogenetica su stress-coronaropatia-ipertensione le teorie psicoanalitiche che ci appaiono di più immediata percezione e adattabilità alle problematiche affrontate (figura 2). Il termine di conflitto è uno stato psicologico di indecisione, che nasce quando un individuo è influenzato da due forze contrapposte di intensità simile, oppure quando qualche ostacolo blocca o arresta la traduzione in atto di una risposta. Gli ostacoli in odontoiatria possono essere esterni (inerenti all’ambiente e all’organizzazione del lavoro) o anche interni (psicologici legati alla personalità del soggetto). Il termine frustrazione indica una situazione in cui un individuo incontra un ostacolo che non gli consente di soddisfare un bisogno o raggiungere un obiettivo. Queste condizioni sono capaci di suscitare reazioni positive di compensazione oppure di sollecitare capacità di difesa e di soluzione presenti in ciascun individuo; quando la situazione supera la capacità di tolleranza insorgono, invece, comportamenti di risposta non costruttivi: • l’aggressività, meccanismo di scarico spesso trasferito su un obiettivo innocente (capro espiatorio); • la regressione, tipica la regressione alla fase orale che trova soddisfazione negli eccessi alimentari; • la fissazione, cioè un arresto dello sviluppo della personalità o l’adozione di comportamenti tanto ripetitivi quanto inutili; • la razionalizzazione, che consiste nel costruire ragioni false, anche se plausibili, per giustificare una realtà a se stessi inaccettabile; • la rimozione, che è un meccanismo che allontana dalla coscienza le esperienze frustranti per spostarle a livello inconscio. Tale meccanismo non elimina le frustrazioni che permangono come pulsioni nell’inconscio e ridivengono evidenti quando si riducono le energie per controllarle. Le nevrosi sono le conseguenze di un conflitto tra pulsioni presenti nell’individuo. Il tipo di ostacolo, unitamente al tipo di personalità, alla diversa soglia di tolleranza e ai meccanismi compensatori, spiega la diversità delle reazioni individuali. Esposizione professionale in odontoiatria È opportuno sottolineare che la maggiore sorgente di stress è determinata dal modo in cui l’individuo recepisce le situazioni che si presentano; cioè CAPITOLO 14 • STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO 121 Stressori • individuali • intrinseci al lavoro • legati alla carriera • relazionali • organizzativi Stress • conflitto • insoddisfazione • delusione • frustrazione Soluzione Patologia psichica Patologia somatica • superamento • senso di inadeguatezza e incom- • risposta neuroendocrina • compensazione (sindrome generale di adatta- petenza • crollo dell’autostima e dell’orgo- mento) glio • senso di inferiorità • autodenigrazione/focalizzazione sugli insuccessi Effetti Affaticamento, stanchezza Disturbi psicosomatici • demotivazione, disinteresse • senso di colpa Patologie cardiovascolari • ansia (ipertensione arteriosa, extrasistolia, cardiopatia ischemica) Effetti Nevrosi Depressione Patologie digestive Sindrome del burn-out (ulcera duodenale, colite spastica) Fig. 2 Patologia psicologica da stress l’elemento caratteriale e la personalità fanno vivere in modo estremamente stressante ad alcuni situazioni assolutamente accettabili per altri. Alcuni stressori si presentano, comunque, ricorrentemente nella professione odontoiatrica. Una spiegazione particolare è da segnalare per alcuni percorsi psicologici tipici di un concetto esasperato delle caratteristiche di una libera professione di successo. Alcuni odontoiatri manifestano una spinta verso il perfezionismo con tendenza a catalogare in modo netto le situazioni (insuccesso-successo), ad adottare uno stile di vita efficientista (competenza, puntualità) quale parametro per incrementare e autodeterminare i propri redditi in rapporto alla propria condotta e impegno. Inoltre il continuo desiderio di migliorarsi può in parte derivare dalla necessità avvertita di risultare competitivi nei confronti della concorrenza di altri professionisti, con i quali è difficile il confronto, dato l’isolamento a cui conduce il frequente svolgimento dell’attività lavorativa in uno studio monoprofessionale. Perfezionismo ed efficientismo, iperattività e polarizzazione degli interessi rappresentano tipici trat- ti della personalità; rischiosi in quanto alterano la soglia di tolleranza a situazioni casuali, come ad esempio una diminuzione o un aumento di lavoro, la mancata realizzazione di aspettative lavorative o addirittura un insuccesso o un contenzioso. La sindrome del burn-out Alcuni autori inquadrano la fenomenologia dello stress di origine professionale dell’operatore sanitario sotto l’etichetta di sindrome del burn-out. Alla base della sindrome vi è un meccanismo di difesa di tipo regressivo, in quanto l’operatore si sottrae alla situazione estraniandosi e generando così un senso di sconfitta e frustrazione. Il soggetto attraversa un primo periodo di impegno e di entusiasmo nel quale non risparmia energie; segue poi una fase in cui percepisce una condizione di inutilità dei propri sforzi, che lo conduce, infine, a manifestare un progressivo distacco e disinteresse per i propri compiti, accompagnato da sintomi di affaticamento e da disturbi psicosomatici. 122 MEDICINA DEL LAVORO INDUTTORI DELLO STRESS IN ODONTOIATRIA Stressori Descrizione • Individuali Personalità a rischio frequenti tra i dentisti (perfezionismo, competitività, efficientismo, elevata autostima, polarizzazione degli interessi o work adict) • Intrinseci al lavoro Attenzione visiva e manuale costante in campo operativo ridotto Posture di lavoro statiche, squilibrate e prolungate Condizioni ergonomiche e ambientali sfavorevoli (microclima, rumore, illuminazione, disposizione delle attrezzature) • Legati alla carriera Mancata realizzazione di aspettative lavorative (incongruità del ruolo rispetto alle proprie capacità stimate, scarse prospettive di evoluzione professionale, livello retributivo inadeguato rispetto all’impegno) • Organizzativi Rigidità (parcellizzazione dei compiti, routinarietà e ripetitività delle mansioni) Cattiva gestione del tempo (tempi limitati per incontri, ritardi, spazi improduttivi) Carico e ritmo di lavoro eccessivo o scarso (overload, underload) • Relazionali Assenza di comunicazione (tempi di lavoro ristretti, assenza di dialogo con il paziente; mancanza di contatti con altri professionisti e isolamento) Gestione di pazienti difficili (bambini, ansia, odontofobia) Percezione di immagine negativa del dentista (svalutazione del ruolo sociale) Conflitto e contenzioso con i pazienti (pazienti con aspettative di cura elevate e problemi economici; errori tecnici del dentista) Si verifica, quindi, un inaridimento della persona che tende a ridurre al minimo il contatto trasformandosi in un “burocrate ligio ai regolamenti”. L’esaurimento emozionale porta a un processo di spersonalizzazione che mina la comunicazione, sfociando in un sentimento negativo di deprezzamento verso se stessi e sensi di colpa. Alla base del sentimento di ridotta realizzazione personale vi è un senso di inadeguatezza rispetto ai propri compiti, il crollo dell’autostima, il rischio di depressione o di rinuncia ai propri ideali professionali. Alcuni autori hanno schematizzato il progressivo acuirsi della conflittualità in diverse fasi successive. 1. Nella prima fase di allarme il dentista diviene irritabile e impaziente; non può concentrarsi e proietta il suo nervosismo sugli altri (pazienti, collaboratori, famiglia). 2. Nella seconda fase appare un’aggressività agitata, in cui il dentista comincia a dubitare di se stesso e sembra girare a vuoto; per verificare la sua forza aumenta il lavoro e la responsabilità senza accordarsi riposo; appare il quadro dell’astenia cronica. 3. Nella fase di esaurimento domina la tristezza, l’ansia, la depressione di vario grado da disturbi psicosomatici (gastrite, ipertensione arteriosa, ecc.) sino a idee suicidiarie. 4. Sindrome del burn-out conclamata con dipendenza cronica da sostanze da abuso (alcol, droghe). Orientamenti per la prevenzione L’andamento della sindrome del burn-out è progressivo in quanto all’interno di un gruppo professionale si innesta una sorta di reazione a catena: la presenza di un individuo stressato può infatti agire quale induttore di stress sull’intera équipe, causando un contagio a macchia d’olio. È importante tamponare il fenomeno fino dai suoi esordi. Il dentista può favorire l’adattamento a situazioni professionali difficili oppure acuire la conflittualità progressivamente in diverse fasi patologiche. L’intervento di tipo preventivo e/o terapeutico dipende dalla gravità della crisi, dalla coscienza che il dentista ha delle sue difficoltà, dalla disponibi- CAPITOLO 14 • STRESS E PATOLOGIE DEL COMPORTAMENTO 123 SUGGERIMENTI PER LA PREVENZIONE E LA TERAPIA DELLO STRESS ODONTOIATRICO • Non arrendersi Prendere coscienza dei motivi di stress esterni (inerenti all’ambiente e all’organizzazione del lavoro) e interni (meccanismi psicologici) per affrontare la situazione • Intensificare lo sforzo Analizzare gli stressori; confrontarsi con colleghi; rimotivarsi come persona e professionista migliorando le proprie conoscenze e capacità • Cambiare i mezzi Provare un percorso diverso nella programmazione e organizzazione dell’ambiente e delle procedure di lavoro • Sostituire l’obiettivo Compensare le situazioni non risolvibili, rivolgendosi a obiettivi diversi (riposo, vacanze, sport, attività fisiche, hobby) • Essere flessibili e saggi Modificare i propri atteggiamenti mentali e comportamenti; analizzare la situazione da più punti di vista; essere meno coinvolti emotivamente da ansie e tensioni • Domandare aiuto Superata la tolleranza individuale rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta lità al cambiamento, dalle risorse umane e ambientali. Il dentista deve imparare a conoscere i limiti di tollerabilità dello stress personale e, una volta superati, prendere provvedimenti di autoprotezione analizzando ed eliminando gli stressori presenti nell’ambiente di lavoro. Le misure antistress si dividono in preventive e compensative. Le misure preventive riducono o aboliscono le cause dello stress: organizzazione dell’ambiente di lavoro e del personale in modo da lavorare con raziocinio e metodo; riduzione del numero degli appuntamenti e delle ore di attività eccessive rispetto alle proprie capacità di adattamento. Le misure sono compensative se sono in grado di aumentare la resistenza allo stress: controllo delle proprie abitudini, dedicando più tempo alla propria vita privata, ai passatempi e ai rapporti sociali; un periodo di riposo può essere efficace e necessario per interrompere il carattere progressivo della crisi; il lavoro in associazione con altri professionisti permette di delegare parte dei propri impegni, di uscire dall’isolamento e trovare forme di solidarietà e amicizia; la frequentazione di corsi di aggiornamento permette di apprendere nuove tecniche, uscire dall’abitudinarietà e rimotivarsi professionalmente. La scelta dell’approccio dipende dalla profondità del disturbo e dalla motivazione del dentista. Alcune persone più propense all’autocritica trovano il pretesto per una introspezione personale e trasformano un conflitto in una crisi esistenziale feconda. Altre con una visione funzionale della vita e un rifiuto dell’inconscio sono portati a scegliere soluzioni basate sul modo di risolvere lo stress senza troppo preoccuparsi del perché, utilizzando passatempi, hobby, tecniche di rilassamento o di training autogeno. Nei soggetti in stato depressivo ansioso e/o incapaci di riconoscere lo stress o indisponibili al cambiamento può essere necessaria una psicoterapia o una terapia medica. MEDICINA LEGALE INTRODUZIONE 15 EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO 16 I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE 17 LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI 18 LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO 19 LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE 20 IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO 21 LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO 22 LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE 23 CASISTICA Per introdurre questa parte del libro concedetemi la piaggeria di ripercorrere brevemente la mia esperienza in questo specifico settore. Nel 1990 ho eseguito la mia prima consulenza tecnica d’ufficio in materia di responsabilità professionale; nel 1995, riflettendo sulla banale affermazione di un collega, ho elaborato l’idea del progetto Odontoiatria Legale; nel 1998 ho pubblicato il libro La responsabilità nella professione odontoiatrica; nel 1999 è nata la Commissione di odontoiatria legale dell’ANDI, di cui sono membro, ed è iniziata la Scuola per i consulenti dell’Associazione, iscritti in uno specifico albo, per fornire assistenza medico-legale ai colleghi e ai pazienti; nel 2001 l’ANDI ha attivato la prima polizza specifica per la responsabilità professionale odontoiatrica. Sono particolarmente legato a questi fatti perché credo di avere contribuito a far nascere un’idea di collaborazione, in un’ottica di giustizia sia per i pazienti che per gli odontoiatri, destinata a proseguire e perdurare oltre il mio impegno personale. Molti sono gli estimatori e i detrattori del mio operato, sia per motivi personali sia per questioni dottrinali legate alla materia trattata. Ma poiché stimo che gli amici siano spinti da motivazioni più sincere dei nemici, il bilancio, al di là di ogni calcolo numerico, è sicuramente positivo. In questi anni ho maturato una mole considerevole di nozioni tecniche medico-legali e giuridiche, ma se mi chiedeste di trasmettere ciò che di più importante ho imparato sceglierei poche parole. In primo luogo, il contenzioso tra odontoiatra e paziente è una sconfitta personale, umana e pro- fessionale, che può essere evitata, nella maggior parte dei casi, semplicemente con un poco di umanità e disponibilità reciproche. Le liti giudiziarie, poi, vanno prevenute, poiché in esse nessuno dei contendenti vince, ma gli unici a guadagnare sono i consulenti legali e medico-legali. Se alla fine della lettura vi sarà chiara l’importanza della prevenzione del contenzioso e le sue modalità, allora sarò soddisfatto per essere riuscito a comunicare questo messaggio, frutto della mia esperienza, che ritengo la cosa più importante. Sicut medico imputari eventus mortalitatis non debet, ita quod per imperitiam commisit imputari ei debet. Come al medico non si può far colpa dell’eventuale morte del malato, si deve invece imputare a lui ciò che egli commise per imperizia. Domizio Ulpiano II secolo d.C. - 228 Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum pericolosum, iudicium difficile. La vita è breve, l’arte e lunga, l’occasione fuggevole, lo sperimentare pericoloso, il giudicare difficile. Ippocrate di Coo 460-377 a.C. CAPITOLO 15 EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe Gli operatori del settore giuridico, sanitario e assicurativo sono concordi nel riconoscere che negli ultimi anni si è verificato un allarmante aumento del contenzioso in odontoiatria; poggiano le proprie affermazioni su esperienze o sensazioni personali che sfuggono ad una esatta quantificazione, spesso desunte per analogia con l’ambito medico. In effetti non esiste alcun ufficio ed ente deputato alla raccolta dei dati inerenti l’odontoiatria, che finiscono quindi con il confluire, confondendosi, nella responsabilità medica o, addirittura, nel più vasto ambito della responsabilità professionale. Per ottenere dati indicativi sulla reale estensione del problema è stato, quindi, necessario raccogliere, analizzare e comporre dati frammentari, di provenienza eterogenea, raccolti nel corso del biennio 1998-1999: • 597 questionari posti a odontoiatri in due diverse indagini; • denunce di sinistri per responsabilità professionale eseguite in un campione di 3195 polizze sottoscritte da odontoiatri con diverse compagnie assicurative; • casistiche personali. Quando fate una ricerca ci sarà sempre qualcuno che sosterrà che, raccogliendo abbastanza dati, qualsiasi tesi può essere dimostrata e che il campione osservato era sbagliato non avendo nulla a che vedere con il problema. Questo si inquadra nella teoria più generale secondo la quale i saggi amano scoprire la verità delle cose, gli idioti gli errori del prossimo. Indipendentemente da come interpretiate una statistica, dovete, comunque, ammettere che se riuscite a rimanere tranquilli, quando tutti attorno a voi si preoccupano, sicuramente non avete capito il problema. La morfologia del contenzioso Per comprendere le voci della tabella 1 sono necessarie alcune spiegazioni inerenti al modo in cui i dati sono stati raccolti ed il loro significato; ferma restando la necessità di ulteriori studi prima di Tab. 1 Tassi specifici dei sinistri per responsabilità professionale in odontoiatria TASSI DI SINISTROSITÀ QUANTIFICAZIONE (in percentuale) Incidenza annuale Prevalenza puntuale Prevalenza periodale 7 (1/3 per danno alle cose, 2/3 per danno alla persona) 16 25 Frequenza per branca odontoiatrica Protesi Implantologia Chirurgia Conservativa/endodonzia Parodontologia Ortodonzia Altro non specificato 50 20 10 10 5 3 2 128 MEDICINA LEGALE formulare dati definitivi per evitare errori casuali (random) dovuti alla esiguità del campione. L’incidenza annuale dei sinistri si riferisce a uno studio longitudinale, riferito alle denunce di nuovi casi pervenute alla compagnia assicuratrice dagli odontoiatri nell’arco di un anno. In questo tasso sono stati distinti: il danno alla persona, con cui si intende il danno biologico conseguente a lesione anatomica, risarcimento spesso rilevante; i danni alle cose o agli oggetti personali (macchie di indumenti, furti nella sala d’aspetto, ecc.) più modesti per valore economico e meno frequenti. La prevalenza puntuale dei sinistri si riferisce a uno studio trasversale, che enumera tutti i dentisti che in un questionario hanno risposto di avere un contenzioso aperto al momento del sondaggio. Tale misura considera tutti i casi verificatisi di recente, o a comparsa remota, che sono presenti al momento dell’indagine e dipende, pertanto, sia dalla durata del contenzioso che dall’incidenza pregressa. Ne consegue che, se l’incidenza annuale è del 6% e la prevalenza puntuale è del 16%, significa che la durata media del contenzioso è di circa 3 anni. Tale dato non deve stupire considerando che alcuni casi sono risolti in via transattiva stragiudiziale molto rapidamente e che la durata media di un procedimento giudiziario è attualmente in Italia di 3-6 anni. La prevalenza periodale di sinistri nella vita professionale intende misurare il numero di dentisti che dichiarano di avere avuto un contenzioso per responsabilità nel periodo compreso tra il momento in cui hanno iniziato a lavorare e quello del rilevamento statistico con questionario. La frequenza per branca odontoiatrica quantifica l’esistenza del fenomeno in rapporto alle diverse branche specialistiche; evidentemente non consente di avere la misura del rischio che un certo evento si verifichi in quanto non è commisurata a un termine di riferimento. La misura dimostra, però, che il contenzioso aumenta con l’entità del costo della prestazione (è maggiore, ad esempio, per la protesi rispetto alla conservativa) e nell’eventualità di un danno biologico permanente da chirurgia (ad esempio, un danno neurologico). L’elevata percentuale del contenzioso in protesi, rispetto a tutte le altre branche, non dovrebbe, inoltre, stupire qualora si consideri che essa rappresenta frequentemente la conclusione di piani di terapia complessi in cui gli errori, commessi in diverse branche odontoiatriche propedeutiche, possono confluire a determinare l’insuccesso. Si determina, cioè, nella statistica un errore sistematico di classificazione delle cause che hanno determinato il contenzioso (bias di informazione e di confondimento). La tariffazione del rischio e il premio assicurativo Le compagnie di assicurazione non sono attualmente in grado di estrapolare l’incidenza dei sinistri odontoiatrici, in quanto la categoria è poco numerosa e suddivisa tra diversi enti assicurativi. Per tale motivo nelle statistiche i dati inerenti l’odontoiatria vengono assimilati all’andamento della RCP medica comprensiva di tutte le specialità, il cui andamento è estremamente sfavorevole con un rapporto sinistri/premi insostenibile (circa del 300%) dovuta ad una escalation del fenomeno che comporta una incalcolabilità a priori del rischio giuridico. La responsabilità professionale sanitaria risulta quindi un ramo sgradito in quanto fonte di perdite e di conseguenza le compagnie tendono ad appli- Tab. 2 Caratteristiche delle polizze per RCP odontoiatrica • Premio annuo medio • Massimale Lire 1.226.368 40,38% (1 miliardo) 19,60% (1,5 miliardi) 25% (3 miliardi) • • • • 19,71% 17,37% 13,71% Lire 948.620 Polizze secondo rischio Polizze disdettate dalle compagnie assicurative nel 1999 Proposte di aumento dei premi nell’ultima annualità Aumento del premio medio proposto dalle compagnie assicurative CAPITOLO 15 • EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO 129 Tab. 3 Liquidazione del danno in ambito assicurativo* • • • • • • • Sinistri senza seguito Sinistri liquidati per responsabilità Sinistri non liquidati (assenza di responsabilità) Rapporto sinistri/premi Costo medio per sinistro per danno alle cose ** Costo medio per sinistro per danno alla persona** Premio puro per assicurato 15,73% 95,34% 4,66% 60% Lire 300.000 / 350.000 Lire 6.500.000 Lire 300.000 * Anno 1998: portafoglio contratti di 2728 polizze; numero complessivo sinistri denunciati 178. ** Valore comprensivo dell’importo liquidato e riservato. care all’odontoiatria le stesse procedure di gestione assicurativa del rischio sanitario usate per la medicina (tabella 2). Tali metodiche di gestione del rischio sono normalmente adottate quando il rapporto sinistri/premi supera il 75%, incidendo sul 25% che rappresenta il costo di gestione e l’utile dell’attività assicurativa. Tale timore ha portato ad una estrema eterogeneità delle polizze per RCP odontoiatrica sia per garanzie che per costi che possono variare di 20 volte dalle 400.000 sino agli 8.000.000 di lire. Diversamente gli studi eseguiti dall’Associazione Nazionale Dentisti Italiani dimostrano un andamento dell’odontoiatria in controtendenza nei confronti della medicina (tabella 3). L’errore di valutazione è evidente quando si pensi alla differenza in termini di costi di un danno sistemico in ambito ostetrico, chirurgico o anestesiologico, in contrapposizione alla scarsa rilevanza di un danno odontoiatrico. Il valore economico medio del contenzioso, limitatamente alla valutazione medico-legale, è notevolmente inferiore alle altre branche specialistiche mediche; spesso limitato alla sola restituzione del corrispettivo pagato dal paziente a fronte di una prestazione inutile (risoluzione del contratto per inadempienza). Il falso mito della progressiva inassicurabilità del rischio odontoiatrico in quanto specializzazione tra le più esposte a litigiosità non trova, quindi, riscontro nei dati statistici che supportano l’evidenza di un contenzioso ridotto, liquidato con importi di risarcimento limitati: il rapporto sinistri/premi è del 40% con un margine di utile del 60% per le compagnie di assicurazione. Infine gli importi destinati a riserva da alcune compagnie, per il contenzioso in essere non liquidato entro l’anno di competenza, appaiono esorbitanti nei confronti della quantificazione delle li- quidazioni realmente erogate per sinistri sovrapponibili nelle annualità precedenti. Per quanto i dati disponibili provengano da fonti disomogenee, da campioni numericamente ridotti o studiati per periodi di osservazione brevi, l’andamento tendenziale delle diverse fonti, in realtà territoriali nazionali diverse, si dimostra, comunque, sovrapponibile in modo da rappresentare un dato attendibile che rende ingiustificato l’eccessiva cautela delle compagnie e l’applicazione in ambito odontoiatrico delle tecniche di gestione del rischio sanitario. La responsabilità e la quantificazione del danno L’elaborazione dei dati ottenuti da ricerche svolte su campioni territoriali ridotti, per quanto parziali e non esaustivi, ha permesso di stimare alcuni dati utili alla quantificazione e comprensione del problema. In ambito stragiudiziario da parte di privati e di compagnie di assicurazione si registra un aumento di richieste di valutazioni relative a profili specifici di responsabilità professionale odontoiatrica. I dati inerenti i sinistri denunciati alle assicurazioni nel 1998-1999 confermano, ed in parte compendiano, i risultati evidenziati in una precedente ricerca del 1995-1996 in tema di responsabilità civile in odontoiatria. L’incidenza annuale delle denunce di sinistro alle assicurazioni nel 1998-1999 ammonta al 7% delle polizze; ma solo 2/3 dei casi (4,5%) sono inerenti al contenzioso per responsabilità professionale per danni alla persona. Il dato è parzialmente sovrapponibile ai risultati evidenziati con una ricerca svolta presso un campione ridotto di medici-legali 130 MEDICINA LEGALE Tab. 4 La percezione del problema assicurativo da parte dell’odontoiatra* DOMANDA • • • • • • • Esegue una verifica annuale della polizza? Conosce l’esistenza della estensione “spese legali”? Conosce la differenza tra danno contrattuale ed extracontrattuale? Soddisfatto della propria compagnia assicurativa? Ritiene utile una struttura di consulenza dell’ANDI? Valuta utile una polizza specifica per RCP odontoiatrica? Ha mai partecipato a consulenze medico-legali? SÌ (%) NO (%) 68 32 34 50 99 99 20 32 68 66 50 1 1 80 * Questionario sottoposto a 489 dentisti operanti a Milano e nel Veneto. nel 1995-1996, che riportava una percentuale di contenzioso per danno alla persona del 2,5-3%. La differenza in aumento (circa 1-2%) rappresenta verosimilmente la percentuale di aumento del contenzioso che si è verificata in odontoiatria nel triennio. Il contenzioso giudiziario è inquadrato nella maggior parte dei casi come illecito civile; invece l’eventualità penale è inferiore allo 0,5% (3 casi su un campione di 675 in una casistica personale) e rappresenta l’eccezione, in contrapposizione a quanto avviene per altre specialità mediche. Si rileva, comunque, una recente tendenza all’incremento dei processi penali, utilizzati come strumento di pressione psicologica per accelerare i tempi ed aumentare l’entità del risarcimento; tendenza non disgiunta da un sentimento di giustizialismo da parte di taluni pazienti e legali, a fronte di lesioni personali, peraltro inconsistenti ai fini della quantificazione del danno biologico. La valutazione quantitativa del danno alla persona in sede civilistica è incredibilmente variabile e non merita commenti. Si passa dai 6.500.000 lire, liquidazione media delle compagnie di assicurazione in transazione, ai 25-30.000.000 di lire rappresentati soprattutto dall’aggravio inerente alle spese legali e di giudizio che vengono a raddoppiare o triplicare il costo complessivo, ma in misura molto minore del risarcimento al danneggiato, alle richieste di centinaia di milioni nelle citazioni degli avvocati di parte attrice. La prevalenza di un profilo di responsabilità professionale accertata, nei casi giunti in ambito giudiziario e assicurativo, è elevata (superiore al 95%); inoltre, nella maggior parte dei casi, il risultato sfavorevole per il sanitario era ampiamente prevedibile con anticipo. La percezione del problema da parte degli odontoiatri L’analisi statistica, eseguita attraverso questionari con domande chiuse, ha evidenziato che gli odontoiatri conoscono poco le polizze assicurative che sottoscrivono: non conoscono, ad esempio, il rischio di dovere pagare di tasca propria un danno o le spese legali per una manleva parziale da parte dell’assicurazione; ignorano la possibilità di richiedere una garanzia aggiuntiva “spese legali”, che permetta loro di controllare e gestire la lite in modo da evitare un conflitto di interessi con l’assicurazione (tabelle 4 e 5). Per un servizio alla professione, quindi, l’obiettivo a breve termine può correttamente essere identificato: nel proporre polizza chiusa di categoria per la RCP odontoiatrica; fondata su una corretta analisi del rischio per adeguare i premi e controllare l’attuale immotivata tendenza all’aumento dei premi, in modo da permettere una efficace ed efficiente assistenza in ambito assicurativo. Tab. 5 Efficacia della copertura assicurativa* Presenza di polizza operante Sì No 97% 3% Entità della manleva assicurativa 10% 17% 15% 58% dei dei dei dei casi casi casi casi * 60 dentisti con contenzioso pregresso. 0% 10- 40% 40-80% 100% CAPITOLO 15 • EPIDEMIOLOGIA DEL CONTENZIOSO Alcune considerazioni Pur in assenza di dati statistici in tema di responsabilità professionale odontoiatrica, la situazione nazionale presenta un quadro caratterizzato dalla scarsa utilizzazione di procedure stragiudiziali e da una forte tendenza a definire in modo giurisdizionale le controversie anche a fronte di evidenti previsioni di soccombenza ed aumento esponenziale dei costi. I catalizzatori, ad un primo esame, corrispondono a carenze poliedriche: • una generale impreparazione degli odontoiatri a comprendere i rischi del contenzioso; • una difficoltà delle compagnie di assicurazione ad affrontare con efficienza ed efficacia i problemi della responsabilità professionale; • valutazioni e condotte spregiudicate di consulenti legali e medico-legali privi di deontologia 131 professionale, i quali interpretano un’attività di pubblica utilità come occasione di lucro. L’insuccesso terapeutico, la complicanza o l’errore rappresentano un rischio delle attività medicochirurgiche e non sono sempre evitabili; quello che possiamo fare è comprenderne le ragioni intrinseche per ridurne l’incidenza e imparare a gestire le situazioni sfavorevoli nell’interesse comune dei pazienti, degli odontoiatri e quindi della società. In quest’ambito di prevenzione, oltre che nelle valutazioni specifiche, l’odontoiatria legale riconosce la sua massima espressione e non è delegabile a specialisti di altre discipline, avulsi da quella capacità clinica che permette di giudicare e proporre soluzioni di miglioramento. In questo senso, inoltre, sempre più frequentemente le compagnie e i magistrati preferiscono nominare in veste di consulenti odontoiatri con esperienza medico-legale. CAPITOLO 16 I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE F. Montagna La patologia iatrogenica rappresenta il vero e proprio nodo centrale dell’attuale aumento di conflittualità tra medici e società. Sicuramente l’odontoiatria è divenuta nel tempo una disciplina medico-chirurgica caratterizzata da una sempre maggiore complessità di conoscenze e da una delicatezza degli impegni, con un elevato rischio di errori e un ridotto margine di giustificazione; ma i professionisti di oggi si sono ben adeguati alla necessità di aggiornamento e specializzazione e non sbagliano più che nel passato. Del resto un incidente terapeutico (misadventure o dommage abnormal) non è direttamente correlabile a un profilo di responsabilità, potendo rientrare, in molti casi, nei margini di insuccesso, complicanze o effetti indesiderati, riconosciuti come esiti ineluttabili di una corretta prestazione in assenza di malpractice. La vera causa dell’attuale aumento del contenzioso va, quindi, ricercata in una serie di fattori sociali nel rapporto tra odontoiatri-società e particolari tra odontoiatra-paziente. In questo senso lo studio della giurisprudenza, della dottrina giuridica, del contenzioso stragiudiziario, ma anche della psicologia e sociologia medica, è senza dubbio strumento di grande interesse per fornire alcune delle risposte che la categoria degli odontoiatri si attende sia in ordine alle condotte più idonee per evitare censure, sia nella prospettiva di soluzioni legislative. Nell’antichità Galeno sosteneva che il migliore medico è la natura poiché guarisce tre quarti delle malattie e non sparla dei suoi colleghi. L’affermazione è, ancora oggi, attuale, visto che alla base di ogni contenzioso tra medico e paziente, c’è sempre un collega che spinge. Il rapporto tra odontoiatra e società Una domanda che ci si pone frequentemente riguarda quale sia l’immagine professionale dell’odontoiatra agli occhi dei pazienti e della società. Nel rapporto tra odontoiatri e società esiste un’ambivalenza di fondo connotata da atteggiamenti contrapposti che predispone al contenzioso: da un lato, un sentimento positivo di fiduciosa attesa di benessere e salute; dall’altro, un sentimento negativo di riprovazione e risentimento reattivo per le delusioni causate dall’insuccesso terapeutico o dal danno iatrogenico. Diversi sondaggi, interviste e indagini demoscopiche dimostrano che i pazienti hanno fiducia e apprezzano l’odontoiatra, sicuramente in misura maggiore di quanto siano portati a ritenere gli stessi operatori (tabella 1). • I pazienti indicano l’onestà del proprio dentista come ragione principale di scelta; tra i fattori di fiducia, la conoscenza di tecniche aggiornate è più importante della gentilezza, delle terapie indolori e della qualità del trattamento (Kelly 1990). • Gli odontoiatri occupano il terzo posto nella classifica delle professioni più etiche; è curioso il risultato di un sondaggio che li fa seguire agli ecclesiastici e ai farmacisti (Hegick 1991). • La maggioranza dei pazienti intervistati (58%) dichiara che il motivo principale per accettare i trattamenti è la fiducia nell’odontoiatra e solo nell’8% dei casi la necessità; in modo opposto i dentisti ritenendo che il 40% dei pazienti accetti per necessità (Boswell 1997). • La maggior parte dei pazienti considera motivate e accettabili le tariffe del proprio odontoiatra: il 40% le ritiene buone od ottime; il 40% le giudica oneste; il 20% moderate (ADA 1991). CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE 133 Tab. 1 Indagini demoscopiche sul rapporto tra odontoiatra e paziente (ADA 1991) MOTIVO PER CAMBIARE ODONTOIATRA UTENTI (%) • Qualità delle cure • Rapporto con l’odontoiatra • Costo dei servizi odontoiatrici PERCEZIONE DI TARIFFE EQUE IN RELAZIONE AL SERVIZIO 76 62 47 • • • • • Solo la metà dei pazienti (47%) ritiene importante il livello delle tariffe nella scelta del professionista; per l’altra metà sono importanti altri aspetti quali la qualità terapeutica e il rapporto personale con l’odontoiatra (ADA 1991). A fronte di tale immagine positiva, tuttavia, si è registrato negli ultimi anni un progressivo e costante incremento del contenzioso giudiziario per responsabilità odontoiatrica, incremento che individua un allarmante deterioramento del rapporto tra odontoiatra e società a detrimento della stessa immagine della figura professionale. Va premesso che tale fenomeno non rappresenta un problema strettamente odontoiatrico ma interessa più globalmente l’intero ambito medico e riconosce cause generali sovranazionali. I fattori negativi che possono alterare il rapporto tra odontoiatra e paziente sono tra loro embricati da complesse relazioni e sono causa di uno stato Igiene dentale Trattamento dei denti doloranti Cura preventiva e otturazioni Altre cure conservative UTENTI (%) 89 82 49 21 di ipersensibilità dei pazienti nei confronti degli operatori sanitari. Un primo aspetto è tipicamente inerente alla disciplina odontoiatrica che è caratterizzata da interventi di elezione con un elevato valore estetico e tratta patologie per la maggior parte delle quali sono giustificate attese ottimistiche; dispone, quindi, di una maggiore prevedibilità dei risultati e un ridotto margine di giustificazione dell’errore in comparazione con altre branche mediche, sulle quali grava maggiormente l’aleatorietà del risultato. Un secondo ordine di ragionamento si riferisce alle mutate aspettative e richieste dei pazienti in relazione a una esasperazione del concetto di diritto alla salute e, quindi, a una elevata insoddisfazione in caso di insuccesso terapeutico. L’attesa di guarigione appartiene alle speranze radicali, la cui delusione è accettata dal paziente solo nel caso in cui l’interessato sia convinto che LE CAUSE DI IPERSENSIBILITÀ NEL RAPPORTO TRA ODONTOIATRA E SOCIETÀ Fattore negativo Conseguenza • Errata informazione Informazione individuale reticente per non dissuadere la richiesta Certezza di risultati pubblicizzata dai mezzi di comunicazione di massa Ridotto margine di giustificazione dell’errore per eccessiva fiducia nel progresso scientifico e nelle possibilità terapeutiche • Esasperazione del concetto di diritto del malato Maggiore difficoltà a distinguere le complicanze inevitabili dagli errori Reazione di rifiuto ai danni iatrogenici Attesa di guarigione mutata in pretesa del paziente • Ipermedicalizzazione Aumento dello spettro delle prestazioni erogate Maggiore aggressività e invasività terapeutica Minore senso del limite e della prudenza Aumento di rischi, complicanze e insuccessi 134 MEDICINA LEGALE questa non possa essere stata in tutto o in parte causata dal sanitario e che non avrebbe potuto essere evitata. Vale a dire che la reazione di rifiuto all’insuccesso da parte del paziente è proporzionale alla prevedibilità e prevenibilità dell’evento negativo; in molti casi l’attesa di guarigione del paziente si trasforma in una pretesa di successo terapeutico nei confronti del sanitario. Inoltre è ben difficile per i pazienti distinguere i casi sfavorevoli attribuibili a negligenza e imperizia (malpractice), da quelli oggettivamente ineluttabili, imprevedibili e imprevenibili anche con un atteggiamento corretto. Un terzo fattore, che alimenta l’ipersensibilità nei confronti degli operatori sanitari, risiede nella distorsione delle informazioni individuali e collettive fornite al pubblico. I progressi dell’odontoiatria, quasi quotidianamente vantati attraverso i mezzi di comunicazione di massa, dilatano agli occhi del profano le prospettive di successo, contribuendo ad alimentare la difficoltà a distinguere tra errore e complicazioni, casi rimediabili e casi irrimediabili. Lo stesso progresso scientifico e la sua pubblicizzazione, del resto, presentano un rovescio della medaglia, in quanto contribuiscono ad aumentare le prospettive di successo e riducono i margini di giustificazione dell’errore del sanitario. Contribuisce al medesimo equivoco anche la reticente informazione fornita da alcuni professionisti ai propri pazienti sia per ragioni di prudenza, per non indurre una situazione psicologica di esagerato timore, sia per non dissuaderli dalla richiesta di prestazioni di non sicura necessità. Quest’ultima considerazione introduce il quarto punto che consiste nell’ipermedicalizzazione, le cui cause sono plurime, ma in linea di massima ricondotte a interessi economici. La tendenza all’ipertrattamento porta con sé inevitabilmente eccessi di prestazioni con il loro carico di rischio; l’efficacia delle prestazioni, frutto di una maggiore aggressività, ha il suo prezzo in rischi un tempo insussistenti; vale a dire, cioè, che i danni iatrogenici, un tempo molto meno numerosi, sono oggi più frequenti a causa dell’ampio spettro delle prestazioni invasive. L’aspetto dei costi, infine, è un fattore negativo rilevante quanto insuperabile; dal momento che si tratta di prestazioni che richiedono un’alta tecnologia e un impegno di tempo elevato dell’équipe odontoiatrica per ogni singolo paziente. La rilevante discrepanza tra le possibilità teoriche di diagnosi e cura e il costo economico contribuisce a generare frustrazioni e reazioni. L’aumento del contenzioso sfavorevole L’evoluzione giurisprudenziale nell’ultimo ventennio è gradualmente mutata: da una fase iniziale di “comprensione” nei confronti dei sanitari contraddistinta dalla distinzione tra errore scusabile e colpa che ne diminuiva la responsabilità, si è passati successivamente a una interpretazione improntata a maggiore “severità”, che ha ridotto i margini di giustificazione dell’errore portando all’attuale situazione. L’analisi dei dati disponibili, già citata, permette di verificare che un profilo di responsabilità a carico dell’odontoiatra viene individuata nella quasi totalità dei casi (95%) sia in ambito giudiziario che stragiudiziario. Questa situazione dipende da una serie di fattori che interessano l’evoluzione della sensibilità FATTORI INERENTI ALL’AUMENTO DEL CONTENZIOSO CON ESITO SFAVOREVOLE • Società Maggiore aspettativa di salute e consapevolezza dei diritti del malato • Giurisprudenza Interpretazione dell’aspettativa collettiva di tutela del diritto alla salute Riduzione dei margini di giustificazione dei sanitari e maggiore severità nelle sentenze • Professione Accentuato pragmatismo e impreparazione psicologica e culturale Crisi degli ideali e delle motivazioni Difficoltà a comprendere e adeguare il proprio ruolo alla mutata richiesta sociale CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE sociale, della giurisprudenza e del ruolo dei sanitari, la comprensione dei quali è importante per formulare successivamente delle ipotesi di terapia. La salute, nella moderna società, rappresenta un bene inalienabile, diritto del singolo cittadino e in questa ottica vengono a dilatarsi le aspettative e le esigenze dei pazienti, accentuandosi, in caso di danno iatrogenico conseguente a errore, il risentimento e il senso di rivalsa nei confronti dei sani- 135 tari. I magistrati, nella inscindibile veste di giudici ma anche di membri della società, sono inevitabilmente partecipi degli stessi sentimenti che animano la comunità intera nei confronti della medicina; costituiscono, quindi, una interfaccia solo apparentemente asettica ed equidistante tra i contendenti. L’inevitabile partecipazione, quanto forse inconsapevole, dei magistrati alla mutata sensibilità sociale nei confronti del diritto alla salute, spiega il I PIÙ COMUNI MOTIVI DI INSODDISFAZIONE RIFERITI DAI PAZIENTI Qualità insoddisfacente delle terapie • Competenza clinica inadeguata • Insufficiente igiene Organizzazione inadeguata • Inefficienza nel sistema di appuntamenti (tempi di attesa prolungati, difficoltà a fissare gli appuntamenti, visite mancate o in ritardo) • Mancato invio per consulenza (all’ospedale o allo specialista) • Impossibilità a raggiungere il sanitario (irreperibilità per telefono, scarsa disponibilità di orari dello studio) • Lesioni (errori per malpractice, complicanze) • Prolungamento dei tempi di cura • Insuccesso terapeutico (mancato raggiungimento del risultato atteso) Scorrettezza del compenso Insufficiente informazione • Rapporto costo-beneficio sfavorevole (costo eccessivo) • Insufficiente prefigurazione delle possibilità ed evoluzioni sfavorevoli (decorso post-operatorio, complicanze, insuccessi, tecniche alternative, risultato atteso) • Rimorso dell’acquirente • Mancanza di consenso • Mancata preventivazione • Aumento immotivato della parcella (o non comunicato durante le cure) Scarsa empatia • Scarso impegno (frettolosità, superficialità) • Indisponibilità al dialogo (disinteresse per le opinioni e priorità del paziente, scarsa considerazione e sensazione di essere trascurato) Maleducazione • Atteggiamenti o frasi offensive (segretaria, assistente dentale, odontoiatra, sostituto e collaboratori) 136 MEDICINA LEGALE progressivo abbandono di un orientamento più comprensivo nei confronti dei sanitari e il passaggio a una giurisprudenza più severa, non di rado eccessiva. Il piatto della bilancia giudiziaria è connotato attualmente da spostamento a favore dei pazienti, come si deduce dalle reinterpretazioni restrittive della normativa a sfavore dei sanitari: • i sanitari rispondono sempre per colpa lieve; • il mancato riconoscimento della speciale difficoltà dei problemi tecnici da risolvere (ex art. 2236 codice civile) è la regola; • trova costante applicazione il principio di presunzione della colpa e inversione dell’onere della prova. I confini della colpa lieve risultano in sede giudiziaria sempre più incerti, confondendosi con la responsabilità oggettiva; mentre l’obbligazione di mezzi tipica del contratto tra sanitario e paziente viene di fatto, in alcuni casi, considerata come obbligazione di risultato. In sostanza, guardando alla pratica medico-legale e giurisprudenziale, si ricava la sensazione che il brocardo “in dubio pro reo” sia stato travisato “in dubio contra medicum”. Un atteggiamento e metro di giudizio, di una parte della giurisprudenza, diametralmente opposti alle affermazioni della dottrina, la quale ribadisce la necessità di mantenere la responsabilità medica nell’ambito della colpa. Del resto il diritto positivo è un fenomeno storico identificabile con la morale vigente in una certa società in un determinato periodo e la sua stessa evoluzione non rappresenta altro che l’interpretazione e la codificazione delle aspettative e aspirazioni collettive della società. L’evoluzione etica del concetto di salute è molto esigente, poiché mette in discussione anche il contenuto e le giustificazioni degli impegni storicamente richiesti ai sanitari. In particolare, a fronte della evoluzione sociale e giurisprudenziale del concetto di diritto di tutela della salute, gli odontoiatri in parte sono colti impreparati per una serie di fattori intrinseci alla loro professione. L’odontoiatria è una professione mutevole, dipendente da una serie di condizionamenti strutturali e organizzativi, inerenti alla variabilità biologica del paziente e alle conoscenze scientifiche; caratterizzata da un predominante bagaglio di conoscenze tecniche specifiche e manualità che richiedono un continuo aggiornamento per mantenere uno standard adeguato; svolta quasi esclusivamente in re- gime libero professionale, cioè in condizioni di isolamento da altri professionisti. Queste caratteristiche, proprie della professione, rendono talvolta difficile per gli odontoiatri comprendere e adeguarsi al nuovo ruolo richiesto al sanitario dalla società, probabilmente per una mancanza di preparazione. Si deve inoltre sottolineare che oggi c’è una diffusa esigenza di risposte razionalmente convincenti ai nuovi problemi posti dalla evoluzione etica; stiamo assistendo al tramonto del paternalismo in medicina, l’idea cioè che il medico, in forza della sua esperienza e competenza, abbia il diritto di decidere in nome del paziente. Oggi si ritiene auspicabile adottare un modello di rapporto medico-paziente di tipo deliberativo, aiutando il paziente ad individuare i valori implicati nelle diverse opzioni diagnostiche e terapeutiche in modo non coercitivo, attraverso il dialogo e il rispetto della sua libertà. La vocazione, il senso di missione e le attitudini intellettuali e psicologiche hanno un’enorme valenza per adeguare i propri ruoli; ma le prevalenti ragioni che motivano la scelta della professione odontoiatrica rispondono a esigenze più pratiche che ideali e per molti operatori consistono in una prospettiva di superiori guadagni, nel desiderio di una collocazione ritenuta di prestigio nella società, in un lavoro tecnico che permetta una certa libertà. Per eccessivo pragmatismo alcuni professionisti scambiano i propri doveri morali con un esasperato tecnicismo o addirittura con il mansionario delle prestazioni, limitato alla conoscenza dei propri doveri per evitare i rischi legali connessi. In molti casi, quindi, alla base del contenzioso si registra un indebolimento del rapporto medico-paziente, divenuto più arido per quei professionisti affannati e distratti per mancanza di tempo, con una difficoltà psicologica nell’instaurare e mantenere i rapporti interpersonali, sostanzialmente a causa di una crisi delle motivazioni e dell’entusiasmo. Motivi contingenti di insoddisfazione nella prassi clinica Analizzando la casistica che giunge all’osservazione medico-legale, ci si rende agevolmente conto che i più comuni motivi di insoddisfazione che alimentano il contenzioso sono solo in parte costitui- CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE 137 INIZIATIVE SPECIFICHE PER RIDURRE IL CONTENZIOSO • Ricerca sul tema della responsabilità Corsi di perfezionamento per preparare consulenti tecnici e periti competenti (odontoiatri legali) Gruppi di studio per indirizzare la giurisprudenza di merito (odontoiatria forense) e individuare proposte legislative innovative (odontoiatria giuridica) Ricerche statistiche per individuare e classificare gli errori più comuni, fonte di responsabilità professionale e stabilirne la valutazione • Soluzioni normative penali, civili e assicurative Depenalizzazione della responsabilità medica Assicurazione sociale obbligatoria per responsabilità medica (indennità dell’incidente terapeutico per responsabilità oggettiva e non fondato sulla colpa medica) • Comitati etici Funzione culturale promuovendo l’aggiornamento sui temi della bioetica e della deontologia Funzione di consulenza per fornire suggerimenti e soluzioni di comportamento sui problemi etici e deontologici della professione Funzione di verifica nell’esame di protocolli di ricerca e di sperimentazione clinica Codice deontologico dell’odontoiatra • Informazione Senso del limite delle possibilità terapeutiche e del rapporto costo-beneficio Tipo e numero di incidenti fonte di contenzioso Linee guida Diffondere la conoscenza tra gli odontoiatri degli errori più comuni, fonte di responsabilità professionale (conoscenza = prevenzione) ti da fattori sostanziali e concreti, cioè da terapie scorrette e danni iatrogenici (malpractice) o da complicazioni imprevenibili e imprevedibili (cause di giustificazione non foriere di responsabilità). In molti casi, invece, entrano in gioco fattori formali, cioè errori di comunicazione tra odontoiatra e paziente, che finiscono col divenire la causa rilevante delle proteste; persino nei casi di danno ingiusto, per molti pazienti assumono maggior rilievo violazioni che non configurano illeciti (né penali, né civili) ma comportamenti dell’odontoiatra che accentuano il risentimento e il desiderio di rivalsa. In molti casi, inoltre, l’odontoiatra matura la sensazione che qualcosa di intangibile si sia in- sinuato nel rapporto con il paziente, senza riuscire ad appurarne la reale motivazione; situazione comprensibile, considerando che oltre la metà dei pazienti, in assenza di domande esplicite e aperte, è riluttante a chiedere informazioni o a esternare le proprie preoccupazioni al proprio medico curante. Per quanto riguarda i motivi economici, dobbiamo tenere presente che questi possono intervenire anche in un momento successivo all’accettazione del piano cura e relativo preventivo, quando il paziente maturi la sensazione di avere acquistato in modo precipitoso, senza giustificazione, un servizio troppo costoso; situazione definita come “rimorso dell’acquirente”. 138 MEDICINA LEGALE SOGGETTI, FINALITÀ E METODI IMPLICATI NELLA VRQ E NELLA MCQ IN ODONTOIATRIA Soggetti e finalità • Facoltà universitarie Formazione e aggiornamento • Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri Tutela dell’immagine professionale • Stato Intervento legislativo e riorganizzazione • Tribunale dei diritti dei malati Tutela delle aspettative dei pazienti • Società scientifiche Metodi Numero chiuso di studenti programmato in base alle possibilità di formazione e alle necessità sul territorio Preparazione reale e concreta degli studenti nelle branche tecniche Preparazione degli studenti in psicologia, deontologia ed etica professionale Corsi di specializzazione, perfezionamento e aggiornamento postlaurea Controllo reale e rigoroso sul comportamento degli iscritti Attività disciplinare per infrazioni del codice deontologico Istituzione di commissioni di conciliazione tra odontoiatra e paziente Rapporto permanente con i tribunali del malato e i mezzi di comunicazione di massa per migliorare l’informazione dei cittadini sui problemi e sui limiti della terapia Accreditamento dei servizi odontoiatrici (strutture, procedure, aggiornamento) Aumento e ridistribuzione delle risorse economiche per la sanità pubblica coinvolgendo anche l’assistenza privata (attualmente il 90% dell’odontoiatria in Italia è privata) Promulgazione di soluzioni normative penali, civili e assicurative della responsabilità professionale Valutazione della consistenza giuridica delle lamentele dei pazienti (azione di filtro) Ruolo di intermediazione tra cittadini e odontoiatri Carta dei diritti dei malati Aggiornamento continuo Implementazione di linee guida, consensus conference ed evidence based dentistry (EBD) • Associazioni professionali Difesa della libera professione e tutela dell’immagine del professionista Rappresentazione delle istanze e delle esigenze concrete dei professionisti nella intermediazione con altri soggetti o enti pubblici Valutazione degli effetti e delle ricadute delle normative sulla professione e proposta di soluzioni legislative e assicurative efficienti ed efficaci (odontoiatria giuridica, “de iure condendo”) Promozione della conoscenza degli adempimenti di legge Aggiornamento culturale CAPITOLO 16 • I MOTIVI DI INSODDISFAZIONE Prospettive e soluzioni La tendenza a fornire risposte attraverso la via giudiziaria si iscrive in un fenomeno più generale tipico dell’attuale periodo. Inevitabilmente, anche in ambito sanitario, il clima generale descritto sfocia in un aumento dei procedimenti penali e civili, nei quali la severa evoluzione giurisprudenziale ha assunto una evidente e non contestabile impronta giustizialistica nei confronti dei sanitari. Per questi motivi è necessario trovare urgenti rimedi alla situazione di esasperato ricorso alla giustizia, che con gli impropri strumenti del processo, della pena e del risarcimento, viene a sostituirsi a interventi più organici che dovrebbero essere attuati dal mondo politico e dal legislatore a favore della sanità nel suo complesso. La verifica e revisione della qualità (VRQ) e il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza (MCQ) sono obiettivi ambiziosi che devono essere perseguiti sinergicamente da diversi soggetti ai quali competono contributi differenti. Anche la ricerca sul tema della responsabilità in odontoiatria è uno strumento indispensabile per affrontare il problema, in quanto sensibilizzare i giuristi può consentire di individuare il migliore assetto della dottrina per indirizzare la giurisprudenza di merito nei tribunali (odontoiatria forense) e per progettare una legislazione specifica opportunamente articolata (odontoiatria giuridica). Gli obiettivi da perseguire in futuro, in odontoiatria giuridica (“de iure condendo”), sono la depenalizzazione della responsabilità medica in ambito penale e l’assicurazione sociale obbligatoria per i rischi iatrogenici in ambito civile e assicurativo. La minaccia di un processo penale è oggi frequentemente utilizzata come uno strumento di pressione, spesso associato a campagne di stampa, per ottenere il risarcimento indipendentemente dall’accertamento della responsabilità. Per depenalizzazione si intende la convinzione che il trattamento medico-chirurgico debba essere annoverato tra le scriminanti non codificate e che la responsabilità medica debba essere considerata come un aspetto del tutto particolare della responsabilità penale da prospettarsi solo per colpa grave, intesa come conclamata violazione di elementari norme di condotta. Tale soluzione è contestata da chi ritiene che si verrebbe a creare una situazione di impunità per i medici, quasi un’involuzione giuridica del concetto di 139 responsabilità e tutela della salute. In diversi stati (Svezia 1975, Finlandia 1986, Danimarca 1992) è operativo da anni un sistema di patient insurance, obbligatorio e a carico di tutti i cittadini, che organizza un risarcimento parziale dei danni iatrogenici indipendentemente dal profilo di colpa del sanitario (selective no-fault compensation system). L’idea consiste nel garantire, con un sistema di assicurazione sociale, un equo indennizzo (non un globale risarcimento) ai pazienti danneggiati, in tutti i casi di incidenti medici sia in presenza di malpractice, sia per eventi ineluttabili (responsabilità oggettiva). Questo strumento assicurativo di riparazione si è rivelato un ottimo sistema di prevenzione del contenzioso giuridico, vista la rilevante perdita di interesse da parte dei danneggiati di ricorrere ai tribunali; sposta inoltre l’attenzione dall’autore del danno, e quindi dall’accanita ricerca di una colpa, alla vittima reintegrando il soggetto menomato secondo un principio di solidarietà sociale. Il progetto è simile al Fondo di Garanzia che esiste per gli incidenti stradali; ma sebbene vari studi e disegni di legge siano stati avanzati in Italia (Zana 1993, Scalisi 1995, Tomassini 1996, Mirone 1997) tale iniziativa non è stata recepita dal legislatore. Per quanto riguarda i comitati etici, va ricordato che si tratta di organismi costituiti da medici e non, il cui compito è di fornire pareri e creare occasioni formative sugli aspetti etici della prassi e della ricerca nelle scienze biomediche e, in particolare, di verificare che vengano salvaguardati la sicurezza, l’integrità psicofisica e i diritti umani delle persone coinvolte. In Italia attualmente esistono e sono regolamentati esclusivamente all’interno di luoghi di degenza o degli istituti di ricerca. Per il loro sviluppo si possono individuare tre livelli: un primo livello nazionale (Comitato Nazionale per la Bioetica); un secondo livello istituzionale (università, ordini professionali, commissioni regionali); un terzo livello locale (aziende sanitarie e ospedaliere). Da ultimo va sottolineato che, come esigenza di giustizia, i medici e gli odontoiatri richiedono di essere giudicati da persone esperte e competenti nella materia, in possesso di pratica clinica e conoscenza medico-legale. In tale ottica è da ritenersi indispensabile, sul modello del progetto iniziato dall’Associazione Nazionale Dentisti Italiani, la formazione di odontoiatri legali, cioè laureati in odontoiatria, con una buona pratica clinica e consolidate nozioni in medicina legale applicata all’odontoiatria in grado di fornire un giudizio competente. CAPITOLO 17 LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI F. Montagna Con il termine “difficili” intendiamo comprendere una serie di situazioni, inquadrate secondo una gerarchia di gravità, che sono superabili e risolvibili con una buona comunicazione tra odontoiatra e paziente (tabella 1). Per quanto riguarda l’importanza delle situazioni difficili basta ricordare che esse rappresentano, nella maggior parte dei casi, il segno premonitore di un contenzioso in ambito assicurativo o giuridico. Del resto il paziente, insoddisfatto del trattamento, molto spesso si rivolge all’odontoiatra prima che all’avvocato e, in queste situazioni, una buona tecnica di comunicazione può permettere di intercettare e risolvere i problemi più gravi. La vita professionale di un odontoiatra è costellata di incidenti che lo colgono di sorpresa e di momenti in cui avrebbe bisogno di influire sulle persone e sulle situazioni circostanti. La gestione delle situazioni difficili può essere riassunta in poche regole di buon senso. • Ascoltare l’interlocutore, perché due monologhi non fanno un dialogo. • Essere duttili mentalmente, poiché in ogni serie di circostanze la corretta linea d’azione è determinata dagli eventi successivi e schemi che funzionano in teoria spesso risultano inapplicabili nella realtà. • Prima negare la colpa ma poi negoziare una soluzione. • Non discutere mai con un idiota, perché la gente potrebbe non notare la differenza. Senza un’idea preventiva, la maggior parte degli operatori si trova ad affidarsi all’istinto e alle reazioni più immediate, con inevitabile rischio di insuccesso, perché quando un paziente esprime una preoccupazione o una critica vi sono modi corretti e modi sbagliati di formulare la risposta. Tab. 1 La gerarchia delle situazioni difficili e il counseling LIVELLO DEFINIZIONE SOLUZIONE POSSIBILE • Contrapposizione Espressione, verbale o gestuale, di dubbio o perplessità Ascoltare, identificare il problema, spiegare, verificare la comprensione • Contrasto Manifesto disaccordo, assenza di compliance Chiarire la divergenza e sollecitare la soluzione lasciando la possibilità per ulteriori interventi • Conflitto Atteggiamento di accusa per errori tecnici o di comportamento Permettere la verbalizzazione dei motivi Accettare la critica senza irrigidimenti Evitare la polemica Discutere il problema Negoziare la soluzione • Contenzioso Lite in ambito stragiudiziario o giudiziario, caratterizzata da un’ipotesi di azione illecita e da una richiesta di risarcimento danni Avvalersi dell’intervento di un consulente o esperto con garanzia di obiettività e competenza CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI Considerando che molte situazioni sono ricorrenti, si può programmare un sistema di risposte per affrontare il problema in modo efficiente ed efficace; del resto nella vita ci sono pochi ambiti in cui la pianificazione non ripaga dello sforzo. Ad esempio, per affrontare un paziente difficile è utile seguire alcuni consigli, una sorta di pianificazione che permetta di estraniarsi dal problema per gestire con successo situazioni in cui un atteggiamento impulsivo potrebbe creare delle difficoltà. Nel rapporto odontoiatra-paziente lo scontro diretto non è mai positivo ma questo non significa che l’odontoiatra debba sempre dare ragione o assecondare il paziente, rinunciando al proprio ruolo di guida verso atteggiamenti, conoscenze, scelte più adeguati e più utili. Aspetti psicologici nel rapporto odontoiatra-paziente L’odontoiatria è una professione tecnica, indirizzata su un organo specifico, ma l’odontoiatra nella gestione quotidiana del rapporto con il paziente si trova frequentemente a superare questo limite. In questo contesto non può evitare il rapporto con gli aspetti emotivi ed è importante che impari a gestire l’aspetto psicologico con un buon distacco emozionale e senza banalizzazioni. • Il paziente ha emozioni riguardo alla propria salute (preoccupazioni, paura, speranza) e riguardo al dentista e le terapie odontoiatriche (fiducia, sfiducia, gratitudine, rabbia, simpatia, antipatia). • L’odontoiatra ha emozioni in risposta alle emozioni del paziente (fastidio per le eccessive preoccupazioni e per la paura, rabbia per la sfiducia, ecc.) o anche più in generale nei confronti dei propri insuccessi, o di determinati tipi e personalità di pazienti. Per fronteggiare il carico emotivo in modo efficace, è importante che l’odontoiatra impari a gestire il rapporto con il paziente attraverso una buona conoscenza delle motivazioni alla base della relazione terapeutica. Alcuni odontoiatri ritengono che la propria abilità nel risolvere il problema tecnico costituisca il fattore preponderante nella relazione terapeutica; tale relazione terapeutica si realizza, comunque, in modo esclusivo solo nei pazienti che tendono ad affidarsi ad un esperto per la risoluzione di uno 141 specifico problema, instaurando una “relazione scientifica, di consulenza o di affidamento”. La classificazione di Schneider (1972) ci sembra particolarmente utile perché, pur derivando dalla psichiatria e psicologia medica, è estensibile a tutti i campi dell’attività medica. La gamma si estende da un rapporto del malato vissuto come “cosa” (la sindrome, la patologia) fino all’identificazione e alla costruzione di una relazione psicoterapeutica. La classificazione tiene, cioè, conto non della oggettività astratta della relazione, ma della soggettività e del ruolo che, più o meno consapevolmente, il curante sceglie di giocare nel rapporto medicopaziente. È importante notare come aspetti parziali di ogni tipo di relazione rientrano nella normale attività odontoiatrica anche se spesso costituiscono una risorsa non riconosciuta e utilizzata. • Nella relazione scientifica il soggetto è colto soggetto di studio, ricerca e verifica teorica. • Il servizio di riparazione è centrato sulla malattia o fase acuta. • Il servizio di manutenzione sull’intervento cronico. • La relazione del consulente implica una valutazione per indirizzare o confermare una terapia senza prendere in carico il caso. • La relazione dell’esperto si basa sull’affidamento per la soluzione tecnica di problemi specialistici. • La relazione pedagogica è denominata anche di guida o informazione. • La relazione suggestiva può essere identificata in odontoiatria nella esibizione di innovazioni tecniche per persuadere il paziente. • La relazione di sostegno consiste negli interventi di chiarificazione e di tranquillizzazione. • La relazione di aiuto implica un ruolo più attivo e concreto del medico rispetto al sostegno. • La relazione interpersonale soggettiva si basa sulla identificazione con il paziente per costruire un relazione psicoterapeutica. Nella maggior parte dei casi, invece, la valutazione del paziente comprende una serie di fattori disparati, tra i quali la capacità oggettiva del professionista può rivelarsi marginale rispetto ad altre considerazioni prevalentemente soggettive. • La capacità di comunicare e consigliare (relazione di sostegno e di informazione). • L’abilità di tranquillizzare e di mettere a proprio agio riducendo ansia, paura e dolore (relazione interpersonale). 142 MEDICINA LEGALE • L’abilità nel risolvere la patologia con rapidità ed efficienza (servizio di manutenzione e restauro o di intervento cronico). Altri fattori determinanti per la scelta del paziente sono, inoltre, inerenti alle disparate situazioni contingenti, quali ad esempio: la comodità degli orari e della ubicazione dello studio; un costo accessibile alle proprie possibilità economiche e la percezione di un rapporto favorevole costo-beneficio; i rapporti interpersonali con operatori o con altri pazienti della struttura. Il problema dell’informazione e del consenso rappresentano uno dei nodi centrali nell’interazione tra sanitario e paziente e sono stati descritti quattro modelli principali in diverso rapporto tra loro (Emmanuel 1992). • Il modello paternalistico, definito anche sacerdotale (priestly), pone l’autonomia del paziente in secondo piano. Il sanitario presenta un’informazione selezionata che incoraggia il paziente a prestare il consenso agli interventi che il curante ritiene migliori. • Nel modello informativo (scientifico o consumer model) l’autonomia del paziente è posta in prevalenza e distingue tra fatti e valori, lasciando al paziente la scelta definitiva. Il sanitario fornisce tutte le informazioni indispensabili, lasciando libero il paziente di scegliere le prestazioni che preferisce e che il curante eseguirà. • Il modello interpretativo individua i valori di riferimento del paziente, che sono ritenuti precostituiti e fissi, per aiutarlo ad analizzare e scegliere in armonia con quei valori. • Il modello deliberativo considera i valori del paziente aperti allo sviluppo e alla revisione attraverso la discussione. Il medico aiuta il paziente a decidere individuando i tipi di valori implicati nelle opzioni diagnostiche e terapeutiche. Attualmente si ritiene che il modello deliberativo sia il più auspicabile, ma non sempre applicabile. Per concludere è importante sottolineare che le personalità dell’odontoiatra e del paziente, la relazione terapeutica e gli aspetti contingenti sono un insieme eterogeneo di fattori che caratterizzano il rapporto professionale e determinano le peculiarità del caso specifico. Per tale motivo, per quanto sia possibile proporre schemi di comportamento, nella prassi clinica si deve utilizzare una condotta flessibile, prendendo atto della diversità dei pazienti e delle circostanze. La comunicazione È assodato che oggi i pazienti vorrebbero comunicare con l’odontoiatra più di quanto lui sia disposto a fare con loro. Alcune ricerche rivelano che i pazienti, però, sono riluttanti a porre domande, a SINTESI DELLE TIPOLOGIE DELLA RELAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE In base al ruolo e alla richiesta di trattamento Ai fini dell’informazione e del consenso • Relazione scientifica • Modello paternalistico • Relazione del servizio di riparazione • Modello informativo • Relazione del servizio di manutenzione • Modello interpretativo • Relazione del consulente • Modello deliberativo • Relazione dell’esperto o dell’affidamento • Relazione pedagogica o di guida/informazione • Relazione suggestiva • Relazione di sostegno • Relazione di aiuto • Relazione interpersonale soggettiva CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI 143 chiedere informazioni o a esternare le loro preoccupazioni: il 45% dei problemi e il 54% dei reclami vengono taciuti. Inoltre i pazienti che pongono domande dirette sono in genere più soddisfatti rispetto a quei pazienti che invece pongono domande indirette (Wright 1997). Per coltivare il successo professionale risulta più efficace, quindi, incoraggiare i pazienti ad esprimere le proprie perplessità, tenendo presente che, in caso di dubbi inespressi, molti di loro si rivolgeranno a un altro studio ma pochi comunicheranno il motivo dell’insoddisfazione. Non rappresenta una alternativa altrettanto valida l’obiezione opposta, “non svegliare il cane che dorme”, basata sul rischio di creare dubbi e timori che, non riconosciuti, non sarebbero mai sorti. Ragionamenti di opportunità devono guidare le scelte comportamentali nei singoli casi, ma si deve sapere che preoccupazioni latenti e irrisolte dei pazienti rappresentano il punto di partenza di situazioni difficili che possono evolvere in contenzioso. Comunicare, comunque, è più facile con persone prevedibili e simpatiche, mentre diviene difficile a fronte di pazienti problematici che pongono quesiti provocatori, critiche e contestazioni. In queste situazioni, infatti, non è sempre facile scegliere automaticamente la risposta giusta per una determinata situazione e per quel paziente; per contro risposte errate non consolidano il rapporto ma lo pregiudicano, spingendo il paziente ad abbandonare le cure o ad aprire un contenzioso. In questo senso si riconferma l’assioma del management secondo il quale le capacità cliniche del professionista sono essenziali per il successo di uno studio, ma da sole non bastano se non sono accompagnate dalla capacità di comunicare. La soddisfazione del paziente è determinata in massima parte dalla capacità comunicativa di chi presta l’assistenza, e gli utenti soddisfatti sono meno portati a criticare l’operato del sanitario e la qualità delle cure e i costi. In ultima analisi la qualità dell’assistenza è determinata dalla capacità comunicativa del professionista più che dalla competenza clinica e la realtà tende a identificarsi con la percezione dei pazienti della qualità dell’assistenza. Quando un paziente fa un’affermazione inesatta o esprime un’opinione che non è condivisibile (ad esempio un dubbio sulla diagnosi o terapia che abbiamo proposto) la reazione spontanea è di correggerlo o contraddirlo con frasi del tipo: “Lei dice che… ma invece le cose non stanno così”. Questo può essere fatto con maggiore o minore eleganza ed educazione, ma viene comunque a creare una situazione di contrapposizione. Nel colloquio non è importante stabilire la verità e non è necessario contrapporsi; ciò che interessa è impostare un’azione sul modello del counseling, cioè intervenire nel processo valutativo o decisionale del paziente per promuoverne un cambiamento. Non è necessario mutare il proprio stile di comunicazione nel rapporto odontoiatra-paziente, ma per rispondere alle obiezioni si devono rispettare alcune regole, mantenendo un clima di empatia. • Pianificare e preparare una risposta inappuntabile per ogni domanda che potrebbe emergere. • Ascoltare per capire che cosa crede il paziente ed eventualmente formulare delle domande aperte per chiarire l’argomento. • Rendere esplicito il percorso logico che il paziente sta seguendo e a quali conclusioni porta. • Rispondere sinteticamente dando la giusta quantità di informazioni ed evitando le ripetizioni, secondo l’obiettivo di aiutare il paziente a capire e fare deduzioni. • Ottenere la conferma di avere risposto all’obiezione (feed-back) rivolgendo delle domande dirette: “Ho risposto alla sua domanda? L’ho convinta? Desidera altre informazioni?”. L’errore più comune dell’odontoiatra consiste nel non cogliere le affermazioni inesatte e le perplessità (anche inespresse verbalmente, ma solo gestualmente) del paziente, lasciando spazio a ipotesi non verificate che possono successivamente radicarsi o progredire in un contrasto; vale, infatti, il principio che un paziente non convinto o insoddisfatto è più critico e meno collaborativo. La contrapposizione Il contrasto In questo ambito sono comprese molte delle domande difficili che l’odontoiatra si sente rivolgere quotidianamente dai pazienti e a cui deve rispondere in modo convincente. Il contrasto si verifica quando le decisioni, le diagnosi o le terapie proposte dall’odontoiatra non sono condivise dal paziente, non si verifica cioè la compliance in una situazione di manifesto disaccordo. Posso fidarmi di lei? Sarò in buone mani? Vale la pena eseguire la terapia? Perché costa tanto? Perché adottare questa linea di condotta? 144 MEDICINA LEGALE L’odontoiatra deve gestire il colloquio in modo da evidenziare le differenze tra la sua opinione e quella del paziente, rendendo possibile il superamento del contrasto. • Inquadrare ed enunciare la divergenza da affrontare: “A questo punto dobbiamo affrontare questo problema…”. • Proporre un primo argomento di discussione in vista di una decisione: “Affrontiamo subito questo problema. Che cosa le rende difficile decidere o proseguire…”. • Ristrutturare la risposta del paziente evidenziando incoerenze e contraddizioni, correggendo affermazioni inesatte: “Lei deve essere molto chiaro con se stesso, più che con me. Io non intendo forzarla, ma il problema esiste. Lasciamo perdere e facciamo finta di niente? Ne è convinto?”. • Ridefinire il problema centrale evitando discussioni periferiche sulle convinzioni e sulla forza del carattere: “È inutile discutere sulla validità della diagnosi o degli esami. Parliamo di lei. Il punto adesso è questo: rinunciare a una terapia efficace o proseguire. Qual è il vero problema: il tempo, la paura, il costo?”. • Mantenere un clima empatico, qualunque sia la decisione del paziente, per lasciare aperta la possibilità di un ulteriore intervento: “Io non sono d’accordo sul fatto che lei corra questo rischio anche se in questo momento lei non se la sente di decidere. Dal momento che deve ritornare per altri controlli, prenda tempo per ripensarci e cambiare idea…”. Il conflitto Nelle situazioni di conflitto il paziente assume un atteggiamento di accusa nei confronti dell’odontoiatra per motivi diversi: la convinzione che abbia commesso un errore a suo danno, che lo abbia trascurato, che gli neghi un suo diritto, ecc. L’obiettivo del sanitario è comunque sempre quello di non “perdere il suo paziente”. Aggredirlo, contraddirlo violentemente, cercare di costringerlo può allontanarlo irrimediabilmente; ma anche un atteggiamento troppo condiscendente e un eccessivo timore dello scontro possono essere controproducenti. Il paziente deve sentire in ogni momento che l’odontoiatra controlla la situazione compresa la rabbia e l’aggressività del suo paziente; accetta che il paziente sia adirato senza risentirsi a sua volta. La scorretta gestione delle situazioni di conflitto può rappresentare il fattore determinante per l’insorgere di un contenzioso giuridico ed è perciò importante che l’odontoiatra utilizzi una corretta tecnica di comunicazione. Le indicazioni riportate possono essere insufficienti in caso di forte coinvolgimento emotivo; situazioni di particolare difficoltà nelle quali, comunque, l’odontoiatra preparato sarà in grado di comprendere le proprie difficoltà e individuare il tipo più adeguato di comunicazione. Permettere la verbalizzazione dei problemi per riconoscere le istanze Innanzitutto, di fronte a un paziente insoddisfatto, che esprima il proprio disappunto alla presenza di altri, è opportuno trasferire la discussione nello studio in privato in quanto la comunicazione è più difficile in pubblico. Nell’impostare il colloquio con il paziente, l’odontoiatra deve tenere ben presente che, dimostrando di non accettare o di non volere riconoscere le emozioni proprie e altrui, esclude la comunicazione in modo negativo. Nel caso si sovrappongano numerose contestazioni, si devono affrontare gli argomenti uno per volta. Alcuni pazienti non riuscendo ad esprimere le proprie ansie e preoccupazioni possono diventare aggressivi, insistenti, accusatori o comunque difficili da capire e apparentemente irrazionali nei loro comportamenti. Una buona tecnica di conversazione è assicurata dall’ascolto attivo (secondo Rogers), che consiste nel capire ciò che l’altra persona sta dicendo e sta provando, per poi riesprimerlo con parole proprie (cioè con una parafrasi o con domande riflesse) per entrare in sintonia. Per contro, durante l’ascolto vanno evitate le parole e le frasi che tendono a creare resistenze nell’interlocutore: “ma… non sono d’accordo… presumo che… che cosa vuol dire… ecc.”. Ascoltare il paziente significa prendere atto della sua posizione, sforzandosi di guardare la situazione con i suoi occhi per individuare e ottenere un quadro completo del problema e delle attese di chi si trova di fronte. CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI Tono della voce 38% Linguaggio del corpo 55% Parole usate 7% Fig. 1 Valore di impatto del linguaggio verbale e non verbale sugli altri al primo incontro Per meglio verificare la consistenza del problema possono dimostrarsi utili alcune domande aperte, servendosi di un linguaggio positivo ed evitando le domande guidate, retoriche o con finalità critiche “Qual è il problema? Che effetto le ha fatto? In che modo a suo parere può essere risolto?”. La comunicazione è infinitamente di più dell’insieme delle nostre parole che sono solo una componente dell’espressività umana; come visualizzato nella figura 1, l’impatto che esercitiamo su un interlocutore è determinato solo in minima parte dal contenuto di ciò che diciamo (circa il 7%), mentre la maggior parte del messaggio è comunicato mediante il linguaggio del corpo (55%) e dal tono della voce (38%). Per accrescere la comunicazione dobbiamo assicurarci di rinforzare con il linguaggio del corpo (postura e gestualità) il messaggio che vogliamo esprimere, utilizzando allo scopo alcuni atteggiamenti per i quali, comunque, non esistono regole fisse. Si pensa generalmente che rappresentino indici di attenzione: • non distogliere lo sguardo dalla persona; • porsi a livello del paziente in posizione rilassata, ferma e composta; • avvicinarsi, sporgendosi in avanti (piuttosto che rimanere reclinati indietro a braccia incrociate); • abbracciare il mento con una mano tenendo l’indice appoggiato alla guancia e il capo reclinato; • sottolineare con il gesto l’ascolto (annuire e sorridere mentre il paziente parla). 145 Accettare la critica senza irrigidimenti Per fronteggiare in modo efficace il carico emotivo determinato da una situazione conflittuale, è importante che l’odontoiatra impari a gestire il rapporto con il paziente attraverso una conoscenza dell’aspetto psicologico, un buon distacco emozionale e senza banalizzazioni. Si deve inoltre tenere presente quanto sia importante mantenere la calma, in quanto l’impeto emotivo non ci permette di essere obiettivi sulla nostra reale responsabilità nella genesi del conflitto. Di fronte ad un’insistenza potenzialmente conflittuale, l’odontoiatra deve lasciare che il paziente esprima le sue ragioni considerando che l’aggressività può emergere da un’accusa corretta (o supposta tale), ma può essere anche lo stile comunicativo abituale di un determinato paziente. L’aggressività può celare un conflitto di potere (Vediamo chi è il più forte) che spesso si trasforma in un conflitto senza fine (escalation). La reazione di accettazione dell’odontoiatra deve comunicare il tentativo di affrontare insieme la reazione; il paziente dovrebbe sentire in ogni momento che il sanitario sa padroneggiare le situazioni, compresa la rabbia e l’aggressività. Se qualcuno esprime dubbi sulla sua credibilità, non è auspicabile per l’odontoiatra cullare il narcisismo ferito precipitandosi in propria difesa. Nella conversazione vengono lanciati due punti di vista, il suo e quello del paziente, che difenderà la propria posizione finché il medico non ne abbia preso atto. Si tratta, in buona sostanza, di recuperare la credibilità con il paziente; fiducia che è sicuramente superiore a quanto egli non mostri in quel momento, considerato che aveva precedentemente scelto lui come curante e che ora si sta impegnando a parlargli dei problemi insorti per cercare una risoluzione. La fiducia del paziente si basa su un giudizio globale di credibilità del professionista, fondata su competenza, impegno, franchezza, sicurezza e onestà; questa è l’immagine che dovete comunicare di nuovo per potere esercitare un’influenza positiva sulla soluzione del conflitto. Evitare la polemica A fronte di una critica educata si deve mantenere un atteggiamento cortese, ma anche reagire in modo fermo a una critica sleale o maleducata con 146 MEDICINA LEGALE frasi del tipo: “Vorrei risolvere la situazione, ma diventa difficile farlo se lei mi parla in questo modo e non mi consente di intervenire”. In quest’ottica sono da evitare gli atteggiamenti di indifferenza (riluttanza a comunicare), insensibilità (ignorare le priorità del paziente), provocazione (condannare a priori il punto di vista del paziente) od offesa (criticare il paziente), atteggiamenti che provocherebbero una escalation del conflitto rendendolo irrisolvibile con il rischio di sfociare in un contenzioso giudiziario. In ogni caso è sempre consigliabile non accentuare la conflittualità con la polemica negando, aggredendo, contraddicendo violentemente, interrompendo o svalutando con commenti o atteggiamenti non verbali, recriminando inutilmente sul passato. Un atteggiamento positivo consiste nel restare fermo sul problema odontoiatrico ed evitando di lasciarsi trascinare su problemi teorici e di principio; è inoltre necessario non accettare lo scambio di accuse, limitandosi a ribadire la propria posizione e tralasciando di discutere o esprimere apprezzamenti sul paziente. Discutere il problema In caso di contrasto, l’odontoiatra dovrà gestire il colloquio in modo da evidenziare le differenze fra la sua opinione e quella del paziente, ma dovrà farlo in modo da rendere possibile il superamento del contrasto. • Inquadrare ed enunciare con chiarezza la divergenza da affrontare (A questo punto affrontiamo subito questo problema che la disturba). • Proporre un primo argomento di discussione riportando il problema al presente momento concreto di cura (Cosa fare adesso per la sua salute?). • Ristrutturare la risposta del paziente evidenziando incoerenze e contraddizioni, correggendo affermazioni inesatte (Lei deve essere molto chiaro con se stesso oltre che con me). • Ridefinire il problema centrale esponendo con chiarezza e fermezza il suo punto di vista (È inutile discutere sulla validità di… Il punto adesso è questo…). • Mantenere un clima empatico per lasciare aperta la possibilità di un ulteriore intervento. • Ammettere, se c’è stato, l’errore (o quello che il paziente sembra considerare tale) evitando di giustificarsi, di minimizzare, di cercare scuse e attenuanti che pongono in posizione di inferiorità. Se avvertiamo che un conflitto di personalità sta interferendo nel rapporto è importante riconoscere e interpretare le caratteristiche della personalità dell’interlocutore; adattando il tipo di approccio al carattere del paziente si ha la possibilità di instaurare un clima di empatia, rispettarne la suscettibilità e influenzarne il parere in merito alla bontà della soluzione proposta (figura 2). Un soggetto con personalità attiva-leader tende a dominare la conversazione con uno stile che può risultare intimidatorio; è sensibile a termini che evochino eccellenza. Lo stile di approccio più efficace a questa mentalità aggressiva è di tipo assertivo, con un atteggiamento diretto e fermo; mentre un atteggiamento sottomesso può essere controproducente. Un soggetto con personalità analitica-ascoltatrice è molto obiettivo e determinato, preferisce lasciare all’interlocutore l’onere del discorso, puntualizzandone poi gli errori; elabora le sue decisioni con calma riflettendo sui dati disponibili; è sensibile a frasi che riguardino argomentazioni e aspetti statistici. Lo stile di approccio a questa mentalità lineare e attenta al dettaglio deve essere logico e puntuale nei dati; un approccio autoritario è votato all’insuccesso. Un soggetto con personalità reattivo-gregaria è riservato, cauto, preferisce attendere che sia l’interlocutore a prendere l’iniziativa e procrastina le decisioni; su questa personalità fanno leva termini come sicurezza, garanzia, cautela. La chiave per comunicare consiste in una relazione persuasiva di supporto e rassicurazione Un soggetto con personalità creativa-comunicativa è socievole, desideroso di mantenere la relazione e, spesso, disorganizzato nell’esposizione come nell’organizzazione; sono particolarmente efficaci DOMINANTE E S T R O V E R S O Attivoleader Analiticoascoltatore Creativocomunicativo Reattivogregario SOTTOMESSO Fig. 2 Tipi di personalità I N T R O V E R S O CAPITOLO 17 • LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DIFFICILI termini quali facilità, convenienza, apprezzamento. La chiave per comunicare è il controllo della conversazione e l’appello all’emotività. Negoziare la soluzione Obiettivo deve essere la conclusione della situazione conflittuale e non la vittoria del conflitto. Molti pazienti non hanno bisogno che sia accettato il loro punto di vista per sentirsi soddisfatti, ma percepire di essere stati ascoltati con attenzione e che il loro modo di vedere sia stato compreso; altri richiedono la negoziazione di una nuova soluzione. Vi sono alcuni suggerimenti da seguire. • Cercare di individuare quello che l’interlocutore si prefigge. • Essere flessibili continuando a cercare una via d’uscita dalle situazioni di stallo per quanto improbabile essa possa sembrare. Ricordare che anche la controparte ha tutto l’interesse a negoziare una soluzione; se è così non c’è alcun bisogno di litigare per sbloccare punti morti apparentemente insuperabili. • Non partire da posizioni preconcette di difesa o di critica tali da fare sembrare impossibile un accordo; sarà, infatti, inevitabile abbassare il tiro durante la negoziazione. La negoziazione non è una semplice e sbrigativa rassicurazione ma può essere, di volta in volta, una soluzione diversa che deve comunque sempre essere espressa verbalmente in modo da dare una conclusione accettabile al conflitto. 147 • L’uso consapevole dell’autorità professionale nell’accettare la soluzione proposta (È importante che lei decida di avere fiducia in me). • L’accoglimento della rimostranza individuando concessioni, modificazioni del piano di terapia, rifacimenti della prestazione (È normale che lei si senta così, c’è qualcosa che potrebbe limitare gli effetti negativi?). • Dilazioni o riduzioni del pagamento del corrispettivo. • L’interruzione del contratto, eventualmente restituendo la parcella inutilmente corrisposta dal paziente a fronte di una prestazione scorretta o non ultimata. Tale onere, peraltro, ricade sul professionista e non è manlevabile, secondo la maggior parte dei contratti stipulati con le polizze delle compagnie assicurative. Inutile dire che la negoziazione funziona bene solo se l’interlocutore intende collaborare alla soluzione del problema. I motivi che possono indurre le persone a non ritenere convincente la proposta dell’odontoiatra, facendo cadere nel vuoto lo sforzo di informare e rassicurazioni, possono essere diversi: • insufficiente fiducia nei confronti del professionista e della sua organizzazione; • insufficiente comprensione delle implicazioni della proposta dell’odontoiatra; • decisione già maturata di avvalersi di un altro professionista; • costo eccessivo. Va comunque ricordato che, anche se lo scontro diretto non è positivo, ciò non significa che si debba rinunciare al proprio ruolo tralasciando di guidare il paziente; infatti anche un atteggiamento troppo condiscendente, un eccessivo timore del conflitto possono essere controproducenti. CAPITOLO 18 LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO F. Montagna Il termine contenzioso racchiude in sé il concetto di lite: è tutto ciò che, stante una controversia tra due o più parti, può essere sottoposto alla decisione di una terza persona (ad esempio un giudice). Il contenzioso parte sempre da un’ipotesi di azione illecita e quindi da una richiesta di risarcimento danni non componibile con un accordo diretto e interpersonale tra le parti. Rappresenta l’ultima ratio di un conflitto insolubile e sancisce per l’odontoiatra l’insuccesso completo su tutti i fronti: sul piano umano per il fallimento del rapporto interpersonale; a livello deontologico per l’incapacità di gestire il rapporto odontoiatra-paziente; professionalmente per la perdita del rapporto economico che riguarda non solo il paziente, ma anche tutta la cerchia di persone che si riferiscono allo stesso. Tale evoluzione non è comunque evitabile nelle situazioni in cui la negoziazione è impossibile, come ad esempio quando ci si confronti con accuse immotivate o pretestuose; richieste di danno esorbitanti e ingiustificate; litigiosità insormontabile della controparte per questioni di un mal interpretato “principio morale” più correttamente identificabile in giustizialismo, vendetta o rivalsa. Con il termine contenzioso stragiudiziale si fa riferimento agli atti compiuti dalle parti in lite al di fuori del procedimento giudiziario e pertanto non davanti al giudice (transazioni, liquidazioni di sinistri da parte delle compagnie assicurative). La giurisdizione contenziosa, invece, è una forma di attività giurisdizionale che viene esercitata dal giudice per comporre una lite; può investire ambiti diversi (ad esempio amministrativo, giudiziario, tributario, contabile, ecc.) e nel caso di responsabilità professionale odontoiatrica e inerente ai processi civili e penali. Nelle discussioni si ha la sensazione che, consultando un numero sufficiente di esperti, si possa confermare qualsiasi opinione e che le proposte siano sempre capite dagli altri in modo diverso da chi le formula; c’è sempre cioè qualcuno che non capisce o a cui non piace la soluzione proposta. La virulenza, poi, delle polemiche è inversamente proporzionale alla reale importanza dell’argomento stesso. Questo è in relazione al fatto che, spesso, tutti mentono e nessuno sta ad ascoltare, per malafede o per stupidità. È proprio vero che se la gente potesse ascoltarsi parlerebbe di meno. Come inizia il contenzioso Accingendosi a raccogliere l’anamnesi e la storia clinica, sia da pazienti che da odontoiatri, per stendere una consulenza o una perizia medico-legale si matura spesso la sensazione di un déjà-vu; di rileggere, cioè, un medesimo copione in cui cambiano i personaggi ma si ripetono le medesime situazioni e le stesse trame. Si rinnovano, cioè, i medesimi interrogativi, commenti, evoluzioni ed esiti peraltro prevedibili con larga anticipazione sin dall’inizio; ma ciò che più impressiona è la ripetitività del modo di innesco del contenzioso attraverso poche e sempre identiche modalità. Lo studio e la comprensione di questi meccanismi da parte degli odontoiatri è importante per cogliere quei segnali di allarme, premonitori di un contenzioso, che richiedono un riesame del rapporto paziente-odontoiatra per istituire un tentativo di prevenzione o prepararsi a gestire il contenzioso. CAPITOLO 18 • LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO Progressivo peggioramento di una situazione difficile Le recriminazioni più frequenti dei pazienti attengono all’indisponibilità al dialogo del professionista; a questo tipo di innesco appartengono frasi del tipo: “Avevo un problema, mi sono lamentato più volte ma non mi ha ascoltato… Ad un certo punto si è disinteressato di me e mi ha abbandonato… Ha detto che è colpa mia e che ho dei problemi…”. La decisione di passare dalle proteste generiche all’azione legale è, infatti, spesso motivata più da una mancanza di comunicazione del sanitario che dall’effettivo errore; incidente terapeutico che il paziente avrebbe tollerato a fronte di un atteggiamento disponibile da parte del professionista a riparare o diminuire l’incidenza del danno. In molti casi si ha la sensazione che l’odontoiatra abbia sbagliato due volte: la prima, meno grave, commettendo l’errore tecnico; la seconda, determinante per la nascita del contenzioso, perdendo la possibilità di recuperare la propria credibilità e la fiducia del paziente, reagendo e impegnandosi tempestivamente con franchezza e onestà. 149 cella poiché ha ricevuto una prestazione scorretta e che abbia deciso di non ritornare nello studio del professionista, senza tuttavia protestare o iniziare un procedimento legale. Se in questa situazione il paziente si vedrà recapitare un decreto ingiuntivo dall’ufficiale giudiziario si troverà davanti a due sole scelte: pagare il lavoro difettoso (beffato e danneggiato) o bloccare l’azione giudiziaria, iniziando un procedimento civile con domanda riconvenzionale di risarcimento danni. In questo modo, per recuperare cifre modeste, molti professionisti intraprendono un procedimento giudiziario che li vedrà inevitabilmente soccombenti. A tale riguardo i consigli utili in tema di prevenzione consistono: • per il professionista controllare la documentazione clinica e verificare la corretta esecuzione dei lavori eseguiti sui pazienti morosi prima di procedere a ingiunzione; • per la Commissione Odontoiatri dell’ordine, chiamata a vidimare la parcella con parere di congruità, proporre un tentativo di conciliazione tra le parti, cercando di intercettare, in tal modo, situazioni potenzialmente foriere di contenzioso. Procedimento di ingiunzione Un secondo meccanismo di innesco del contenzioso consiste nell’attivare un procedimento di ingiunzione di pagamento nei confronti di un paziente moroso. Il procedimento di ingiunzione (cosiddetto decreto ingiuntivo) è un procedimento speciale differenziato rispetto al rito ordinario che prevede, per il creditore-odontoiatra, la possibilità di ricorrere ad una procedura semplificata per ottenere il pagamento di quanto gli è dovuto. • Il creditore presenta un ricorso al giudice competente unitamente ai documenti che dovrebbero provare il credito, chiedendo l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del debitore. • Il giudice può rigettare la domanda o accoglierla ingiungendo il pagamento al debitore entro 20 giorni e autorizzando in caso contrario l’esecuzione del credito. • Il debitore può proporre opposizione instaurando un vero e proprio giudizio di merito. Per capire la pericolosità insita nel procedimento, si immagini che un paziente rifiuti di pagare la par- Critica da parte di un collega In molti casi, senza preavviso, l’odontoiatra riceve una lettera di costituzione in mora del legale, che contesta un danno, spesso con una ineccepibile terminologia odontoiatrica e medico-legale. Si tratta di casi che riconoscono genesi diverse, ma il “primum movens” più frequente è la critica, eccessiva e raramente disinteressata, di un altro collega con frasi esagerate, in alcuni casi francamente diffamatorie: “Chi le ha fatto questo lavoro?... è stata rovinata… la situazione è irrecuperabile… il danno è enorme… necessiteranno spese elevate per riparare il danno…”. Se a tale atteggiamento si somma la combinazione di un paziente intransigente, un medico-legale compiacente e un legale professionalmente aggressivo, la situazione diviene irrisolvibile “ab initio” per il lievitare delle richieste di risarcimento. L’ipotesi di prevenzione, in questi casi, è suggestiva, ma allo stato attuale ampiamente inattuabile, considerando la difficoltà che sussiste nel dimostrare l’atteggiamento non deontologico di un col- 150 MEDICINA LEGALE lega e la inveterata torpidità dell’ordine nell’intraprendere procedimenti disciplinari. In Inghilterra la British Dental Association si pose, alcuni anni fa, il problema del whistle blowing, cioè la segnalazione all’associazione da parte degli odontoiatri stessi di colleghi con uno standard di prestazioni professionali inadeguato o comportamenti non deontologici. Tale intervento trovava motivazione nel prevenire l’insorgere di contenziosi o comunque di interventi disciplinari da parte del General Dental Council o del National Health System. Sarebbe comunque un’ipotesi percorribile sottoporre al vaglio di una commissione disciplinare una consulenza scorretta, incompetente o addirittura sottoscritta da un medesimo odontoiatra, nella duplice veste di curante e medico-legale, che censuri il presunto danneggiante con un chiaro atteggiamento di rivalsa economica per incrementare il proprio reddito. Nella pratica nazionale, attualmente, si verifica piuttosto il contrario: chi si occupa di odontoiatria legale può trovarsi segnalato all’ordine proprio dal collega autore del danno, con una richiesta di sanzione disciplinare spesso immotivata nella sostanza nel tentativo di difendere la propria malin- tesa professionalità o, meglio, il proprio narcisismo ferito. L’evento di danno patrimoniale In molti casi il motivo delle contestazioni del paziente è riconducibile a un danno emergente meramente economico a fronte della necessità di rifacimento della prestazione e un corrispettivo inutilmente pagato. Non bisogna irrigidirsi e cadere nel tipico errore: “Poiché ho lavorato e ho avuto delle spese, devo essere pagato indipendentemente dal risultato”. È opportuno proporre una soluzione immedesimandosi nell’ottica del paziente e formulare una proposta franca e onesta che risulti accettabile per ambedue le parti come, ad esempio, offrire di rieseguire il lavoro o restituire la parcella nel caso di interruzione del rapporto fiduciario. La soluzione negoziale trova motivazioni specifiche nella legislazione oltre che nella deontologia: • il codice civile prevede che, in caso di prestazione inadeguata, il professionista decada dalla titolarità del diritto al compenso (art. LE MODALITÀ DI INIZIO DEL CONTENZIOSO Modalità Prevenzione • Progressivo peggioramento di una situazione dif- • Migliorare la comunicazione e il rapporto odonficile (perdita di fiducia del paziente per la sentoiatra-paziente (ascoltare le lamentele e le critisazione di essere stato trascurato o ingiustache, individuarne i motivi, affrontare il problema) mente trattato) • Interrompere il rapporto professionale in caso di perdita del rapporto fiduciario • Decreto di ingiunzione di pagamento a paziente • Verificare i motivi della morosità prima di procedere a richiesta (documentazione, convocazione) moroso (per prestazione scorretta) • Azione di conciliazione dell’ordine • Critica da parte di un collega • Segnalazione all’ordine di colleghi o di consulenti tecnici e periti scorretti (whistle blowing) • Applicazione delle sanzioni (per infrazione del codice deontologico) • Evento di danno patrimoniale (insuccesso in pro- • Proporre soluzioni concrete e accettabili (riesetesi, emendabile) cuzione gratuita delle cure, atto di transazione con restituzione del corrispettivo) • Evento di danno biologico (lesione chirurgica • Riconoscere preventivamente le situazioni a riinemendabile) schio (statistica, informazione e aggiornamento; attivazione della manleva assicurativa) CAPITOLO 18 • LA PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO 1453 c.c., Risoluzione del contratto per inadempimento); • la parcella non è coperta da garanzia secondo la maggior parte dei contratti stipulati con le polizze delle compagnie assicurative; ciò vuol dire che in giudizio ci si troverà di fronte a due richieste che consistono nella restituzione della parcella, che ricade sul professionista, e il risarcimento del danno biologico manlevato dall’assicurazione. A tal proposito segnaliamo una sentenza, che costituisce un tipico esempio di restituzione del compenso in corso di causa civile: Tribunale, Sez. 1ª civ., n. 6050 - 11/7/91 est. D’Agostino …Quando l’opera medica di un dentista non sia stata eseguita a regola d’arte nonostante l’assenza di particolari difficoltà tecniche, quando cioè, tra gli interventi eseguiti in maniera scorretta e il danno lamentato vi sia un rapporto di causalità diretta, è suffragata la responsabilità del dentista per un comportamento inescusabilmente colposo. 151 Conseguentemente dovrà essere risarcito il danno consistente nel costo di rifacimento dell’opera e nella restituzione della somma versata a titolo di acconto dovendosi intendere risolto per inadempimento il contratto d’opera, previa rivalutazione monetaria avendo la restituzione funzione anch’essa risarcitoria… L’evento di danno biologico Diversa è la situazione di una lesione chirurgica o la perdita di un dente per cure scorrette: il danno biologico è per sua natura inemendabile, può essere cioè quantificato e risarcito, ma la menomazione non è eliminabile anatomicamente, per quanto, in alcuni casi, possa esserne ridotta l’incidenza con una protesi. La garanzia assicurativa è operante e il risarcimento del danno è manlevato, qualora sia stipulata una polizza e non siano presenti specifiche esclusioni. Il comportamento dell’odontoiatra si limita, quindi, a spiegare in modo franco il fatto al paziente e denunciare il sinistro alla compagnia assicurativa. CAPITOLO 19 LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE F. Montagna Se sai distinguere un cattivo suggerimento da uno buono, non hai bisogno di consigli, ma di ricordarti di alcuni moniti. Il tempo che ci vuole ad aggiustare una situazione è inversamente proporzionale a quello che ci è voluto per guastarla. Le cose lasciate a se stesse tendono ad andare di male in peggio. Le probabilità di accordo e i costi sono inversamente proporzionali al numero degli esperti interpellati. Gli unici a non rimetterci mai sono i consulenti; fidati solo di quelli che rischiano di perdere quanto te se le cose vanno male. La situazione italiana presenta un quadro caratterizzato, in generale, dall’assenza di “filtri” nel ricorso al giudice ordinario e dalla scarsa utilizzazione di procedure non giurisdizionali per la risoluzione dei conflitti. Si evidenzia, invece, una forte tendenza a definire in modo contenzioso le controversie civili. Nell’ultimo periodo si è cominciato a porsi il problema della composizione stragiudiziale, almeno delle liti di minore entità; iniziative economicamente convenienti, non soltanto per le parti, ma anche in termini generali, in quanto comportano la riduzione dei carichi di lavoro dei magistrati, la semplificazione delle procedure di risoluzione delle controversie, la velocizzazione delle risposte che l’amministrazione della giustizia deve ai cittadini. La conciliazione, la transazione, la liquidazione del danno e l’arbitrato, perseguiti con metodi diversi, rappresentano le modalità di risoluzione del contenzioso stragiudiziario previste dal codice. Il termine conciliazione indica l’attività di una persona, giudice o arbitro, avente per scopo la composizione amichevole di una controversia; con tale vocabolo, però, si intende anche l’atto scritto nel quale sono consacrate le condizioni dell’accordo transattivo. Con tale definizione viene introdotto il concetto di transazione: contratto regolato dagli artt.1965-1976 c.c., col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Il contratto di transazione deve essere stilato per atto scritto e produce tra le parti gli stessi effetti di una sentenza passata in giudicato, costituisce, cioè, un titolo esecutivo; può, comunque, essere annullata o impugnata in alcuni casi che ne inficino la validità (inadempimento, esecuzione su documenti in seguito ritenuti falsi, temerarietà della pretesa, malafede di una delle parti). Esistono svariati buoni motivi per incrementare la risoluzione stragiudiziale del contenzioso tra odontoiatra e paziente una volta esercitata un’azione di filtro che abbia eliminato le richieste immotivate: • la tutela dell’immagine dell’odontoiatra, e in termini più generali della professione, da una pubblicità negativa; • l’elevata percentuale di sentenze sfavorevoli ai sanitari in ambito giudiziario, stante la severità della giurisprudenza in materia di tutela del diritto alla salute; • l’elevato aumento delle spese determinate dal ricorso alla giustizia, oneri di soccombenza per spese tecniche e legali che non infrequentemente vengono a raddoppiare o triplicare la quantificazione del danno. La conciliazione diretta tra odontoiatra e paziente La conciliazione eseguita direttamente tra odontoiatra e paziente, eventualmente con l’ausilio di consulenti legali e medico-legali, può risultare uti- CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE le soprattutto nelle situazioni nelle quali sia assente o inefficace una polizza assicurativa: • prestazione non coperta da garanzia (ad esempio implantologia); • periodo di vacanza o assenza della polizza; • prestazione non assicurabile per dolo o illecito penale (ad esempio per concorso nel reato di abuso di professione da parte di un odontoiatra); • contenzioso ridotto alla restituzione del corrispettivo dell’indebito inutilmente pagato. Allo scopo proponiamo un modulo che rappresenta un atto scritto di transazione in ambito stragiudiziale, che può essere adottato per documentare la risoluzione del contratto e la restituzione del corrispettivo. 153 Naturalmente consigliamo di modificare il documento con l’aiuto di un esperto, in modo da adattarlo alle specifiche situazioni. La commissione di conciliazione dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri Le Commissioni degli Odontoiatri, istituite con la legge 409/85, possono esercitare le funzioni attribuite dal D.L.CPS 233/46: SPECIMEN PER TRANSAZIONE EXTRAGIUDIZIALE ATTO DI TRANSAZIONE tra il sig. ________________________________________ rappresentato e difeso dall’avv. ____________________________________ e il dott._______________________________________ rappresentato e difeso dall’avv. ____________________________________ PREMESSO • che in data _____________ il sig. _____________________ proponeva nei confronti del dott. ______________________ richiesta per risarcimento danni per asserita responsabilità professionale civile odontoiatrica conseguente a terapie odontoiatriche ritenute scorrette; • che il dott. _____________ respingeva ogni responsabilità in proposito, sia sotto il profilo del merito, sia sotto il profilo soggettivo; • che, tuttavia, nelle more del giudizio, le parti, pro bono pacis, hanno acconsentito a trovare una soluzione transattiva della vicenda. Tutto ciò premesso CONVENGONO 1) Il dott. _________________ corrisponde al sig. ____________________, a saldo e stralcio di quanto richiestogli per danni asseritamente connessi e/o conseguenti alle circostanze per cui è causa, la somma di lire ______________ con le seguenti modalità: • Lire ____________________________________ alla sottoscrizione del presente atto e cioè in data____________________ • Lire ____________________________________ in data _____________ a mezzo di assegni circolari non trasferibili, intestati. 2) Il sig. __________________ dichiara di accettare la somma di cui al punto 1), con le relative modalità e tempi di pagamento, a saldo e stralcio di quanto richiesto per le causali di cui alla premessa. 3) Il sig. __________________, per i fatti oggetto de quo, si impegna a non inoltrare alcuna azione civile, penale e disciplinare nei confronti del dott. ___________________ e di chiunque altro abbia preso parte agli stessi eventi. 4) Le parti dichiarano che al termine dell’esecuzione della presente transazione, null’altro avranno a pretendere l’uno dall’altro, a qualsiasi titolo. Luogo ______________________________ data _______________________________ Firma ______________________________ Firma ______________________________ Sottoscrivono la presente transazione ai fini della rinuncia alla solidarietà ex art. 68 L.P. Avv. ______________________________ Avv. ________________________________ 154 MEDICINA LEGALE Art. 3 g) Interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di spese, di onorari o per altre questioni inerenti all’esercizio professionale, procurando la conciliazione delle vertenze, in caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle controversie stesse. Tale soluzione, per quanto normativamente prevista, rappresenta, comunque, attualmente l’eccezione tra le varie possibilità nelle situazioni di contenzioso; in quanto non sono istituite commissioni di conciliazione presso la stragrande maggioranza degli ordini professionali. Inoltre non esiste su tale argomento un modello univoco e quindi il campo è aperto a proposte teoriche nell’ambito di iniziative diverse. I momenti di attivazione più probabili della commissione di conciliazione sono rappresentati da quelle situazioni che più spesso rappresentano fasi preliminari di un contenzioso giuridico, rappresentando in tal modo una vera e propria azione di intercettazione e prevenzione di successivi procedimenti giudiziari per responsabilità professionale a carico di odontoiatri; non possono naturalmente essere escluse altre modalità peculiari in casi specifici: • richiesta di procedimenti speciali (ingiunzione di pagamento, accertamento tecnico preventivo); • segnalazione da parte di un paziente di un comportamento non deontologico dell’odontoiatra, azione spesso affiancata o preliminare a un procedimento giudiziario. I procedimenti speciali sono riti differenziati rispetto a quello ordinario, necessari per rispondere a particolari richieste proposte dall’attore o dalla materia della controversia; tra questi vanno ricordati: il procedimento di ingiunzione e l’accertamento tecnico preventivo. L’odontoiatra per procedere a ingiunzione di pagamento nei confronti di un paziente moroso deve richiedere congruità della parcella all’ordine. In questa eventualità, la Commissione Odontoiatri può valutare la possibilità di proporre l’azione di conciliazione; ottimo momento di prevenzione poiché spesso tali procedimenti si risolvono con una opposizione a decreto ingiuntivo e quindi in una causa di merito per risarcimento danni da parte di pazienti che ritengano di avere ricevuto una terapia incongrua. L’accertamento tecnico preventivo è una misura cautelare d’urgenza volta ad assicurare a un futu- ro giudizio delle prove, di cui si teme o si ha la certezza che potrebbero essere non più utilmente assumibili all’epoca del processo. Anche in questo caso, avuta notizia del ricorso per accertamento tecnico preventivo, la commissione potrebbe proporre alle parti un tentativo di conciliazione. Il procedimento di conciliazione da parte della commissione dovrebbe svolgersi seguendo alcune fasi: mettere tutte le parti coinvolte in condizione di partecipare al contraddittorio; suggerire un accordo, senza la necessità di emettere documenti o giudizi, che potrebbero in qualche modo alterare l’equilibrio tra le parti in un futuro giudizio. Si tratta cioè di promuovere una transazione e non di emettere una sentenza. Il limite più importante che può incontrare tale procedura consiste nella difficoltà di coinvolgere nella decisione la compagnia assicurativa che generalmente procede autonomamente con propri fiduciari alla determinazione del danno. L’arbitrato irrituale Con il termine di arbitrato si fa riferimento a un procedimento che affida la lite ad arbitri; si distingue un arbitrato rituale disciplinato dal codice FASI DEL PROCEDIMENTO DI CONCILIAZIONE PRESSO L’ORDINE DEI MEDICI • Ascoltare le tesi e le richieste del paziente, eventualmente assistito da un consulente • Verificare la competenza per territorio (ad esempio l’iscrizione del sanitario all’ordine provinciale) e per materia (presenza di illecito deontologico e assenza di reati procedibili d’ufficio) • Convocare l’odontoiatra per chiarimenti • Analizzare la documentazione, consulenze e testimonianze per formare, in concreto, un giudizio sulla consistenza della domanda del paziente e l’eventuale profilo di responsabilità del sanitario • Spiegare alle parti le rispettive posizioni chiarendo la consistenza delle rispettive ragioni e i rischi in caso di proseguimento in contenzioso giudiziario • Promuovere una transazione per la quale può essere utilizzato un modulo modificato dallo specimen CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE (artt. 806-840 c.c.) ed uno irrituale che non avviene secondo le norme sopraccitate e che si concreta in un componimento amichevole della controversia secondo ragioni di equità. L’arbitrato irrituale è di uso frequente in ambito assicurativo, dove le parti decidono anticipatamente che le controversie nascenti dal contratto stipulato andranno risolte in via arbitrale (clausola compromissoria). Volendo applicare l’arbitrato irrituale ad una controversia già insorta tra odontoiatra, il procedimento deve rispettare alcune modalità: • l’accordo deve risultare da un atto scritto (compromesso); • la controversia può essere decisa da un solo arbitro o da un collegio formato da un numero dispari; • gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno; • la decisione (lodo) è vincolante per le parti, ma può essere impugnata in presenza di ipotesi di nullità previste dal codice civile. 155 Tale procedimento, comunque, è di eccezionale applicazione sia per gli onorari degli arbitri, generalmente elevati, sia per una scarsa cultura giuridica. Di seguito è stata proposta una forma sintetica di lodo arbitrale che può essere, comunque, integrata da una descrizione del fatto e dalle motivazioni della decisione per una maggiore chiarezza. La liquidazione del danno mediante la compagnia assicurativa Rappresenta un’evenienza frequente in quanto il contratto assicurativo trasferisce la gestione della lite alla compagnia di assicurazione; in pratica il liquidatore procede in modo autonomo alla trattativa con il paziente sulla base della valutazione medico-legale di un fiduciario. Per quanto sia interesse liquidare con sollecitudine il contenzioso al fine di contenere le spese legali e SPECIMEN PER LODO PER ARBITRATO IRRITUALE Oggetto: Lodo di arbitrato irrituale per la quantificazione del danno odontoiatrico Dati identificativi sinistro: ________________________________________________________________________________________ Documentazione ________________________________________________________________________________________________ Il fatto __________________________________________________________________________________________________________ Verbale _________________________________________________________________________________________________________ Motivazione della decisione ______________________________________________________________________________________ I sottoscritti incaricati di procedere ad arbitrato irrituale sulla controversia, come risulta dal compromesso datato ___________________________ e firmato dalle parti; esaminato il periziando e la documentazione disponibile, sulla base del confronto delle rispettive valutazioni, convengono sulla valutazione del risarcimento del danno di competenza medico-legale nella misura della seguente quantificazione. Spese emergenti risarcibili (utili, necessarie ed opportune) • Sostenute__________________________________________________________ di lire ___________________________________ • Future (rifacimenti)_________________________________________________ di lire ___________________________________ Danno biologico permanente • ________________________________________________ % Danno biologico temporaneo • assoluto (100%) in giorni _________________________ • parziale (50%) in giorni __________________________ • parziale (____%) in giorni ________________________ Città ______________________________ Firme degli arbitri __________________________________ data _______________________________ _____________________________________________________ 156 MEDICINA LEGALE di giudizio, nei casi caratterizzati da ridotti margini defensionali, avviene comunque frequentemente che l’attivazione della difesa sia lenta per motivi organizzativi interni alla compagnia, determinandosi in tal modo una condizione sfavorevole alla tranquillità ed al buon nome del professionista. Va, inoltre, rimarcato che la compagnia ha interesse a difendere l’odontoiatra entro i limiti previsti dal contratto. Non infrequentemente, quindi, possono determinarsi situazioni di conflitto di interessi, tra assicurato e assicuratore, nei casi che si prestino a divergenze interpretative (operatività della garanzia a copertura del sinistro, restituzione del corrispettivo, modalità di gestione della lite). Riteniamo quindi importante sottolineare i punti che sono fondamentali per la corretta gestione della lite. • Verificare l’operatività della copertura della polizza nello specifico caso (franchigia, massimale, esclusioni, limiti temporali). • Raccogliere la documentazione disponibile e duplicarla redigendo una memoria difensiva da consegnare ai consulenti tecnici propri e assicurativi. Gli originali vanno invece mantenuti in quanto potrebbero essere danneggiati o persi negli uffici delle assicurazioni o cancellerie dei tribunali. • Trasmettere con sollecitudine la richiesta alla compagnia: immediatamente in caso di querela o citazione per consentire la costituzione in giudizio ed evitare il rischio di contumacia; entro un anno in caso di richiesta extragiudiziale (generalmente una lettera del paziente o del suo legale rappresentante) per evitare che decada l’obbligo di manleva. Il termine di tre giorni, genericamente indicato nelle polizze, non è perentorio e privo di implicazioni negative qualora disatteso. • Non consegnare alla controparte dichiarazioni scritte di responsabilità che possano pregiudicare la difesa, in quanto tale situazione può determinare la sospensione della garanzia assicurativa. • Superare le difficoltà inerenti ad una efficace difesa legale sottoscrivendo una polizza aggiun- LA STRATEGIA DELLA GESTIONE DEL CONTENZIOSO ASSICURATIVO DOPO LA COSTITUZIONE IN MORA Fasi • Costituzione in mora • Denuncia di sinistro alla compagnia assicurativa • Attivazione della clausola di difesa legale prevista dalla polizza • Raccogliere e duplicare la documentazione, stendere una relazione • Fare valutare il caso a un esperto dell’ANDIodontoiatria legale • Valutazione collegiale con odontoiatra legale e avvocato • Informare la compagnia assicurativa • Valutare la richiesta di danni e proporre una transazione Condotta suggerita • La lettera di richiesta di risarcimento del legale o del paziente costituisce l’inizio formale del contenzioso • Lettera raccomandata con ricevuta di ritorno per aprire il sinistro e attivare il diritto di manleva • Nominare legale e consulente tecnico di fiducia evitando di affidare completamente la gestione della lite e le situazioni di conflitto di interessi tra compagnia di assicurazione e assicurato • Registrare date, fatti, testimonianze; evitare impressioni o apprezzamenti personali • Presenza di responsabilità, quantificazione del danno secondo parametri oggettivi e standardizzati • Argomentazioni a favore e contrarie (attacco e difesa), profili civilistico e penalistico, previsione dei costi di gestione della lite • Documenti, relazione tecnica, valutazioni • Restituzione del corrispettivo a carico dell’odontoiatra; spese emergenti, danno biologico permanente e temporaneo, danno morale, spese legali a carico della compagnia assicurativa CAPITOLO 19 • LA GESTIONE DEL CONTENZIOSO STRAGIUDIZIALE tiva per l’assistenza legale che permetta all’assicurato di nominare un medico-legale e un avvocato di propria fiducia da affiancare, senza onere economico, ai consulenti della compagnia di assicurazione. • Aderire alla specifica polizza per Responsabilità Professionale formulata dall’ANDI, che 157 prevede la possibilità di un arbitrato per la risoluzione delle situazioni di conflitto di interessi che ostacolino la rapida soluzione del caso, oltre una serie di garanzie e clausole tese, specificamente, a mantenere indenne l’odontoiatra da oneri economici e perdita di immagine. CAPITOLO 20 IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO F. Montagna Il nocumento arrecato a una persona, a causa di un atto illecito riconducibile a responsabilità professionale odontoiatrica, può consistere in diverse fattispecie, spesso coesistenti: • un danno patrimoniale in senso stretto (art. 2043 c.c.), generalmente inquadrabile in un danno emergente per spese di cura; materia di diritto privato regolata dal codice civile; • un danno biologico (pregiudizio alla sfera fisica e psichica), che è considerato un danno patrimoniale anche se non un danno economico in senso stretto; delitto di lesioni colpose punibile solo a querela della persona offesa, qualunque sia la durata della malattia (art. 92, legge 689/91); • un danno non patrimoniale o morale che può essere risarcito solo se l’atto illecito che l’ha cagionato costituisce, almeno ipoteticamente, reato (artt. 2059 c.c., 185 c.p.); riportato in concreto a una somma di denaro, non essendo possibili altre forme di indennizzo. Si tratta di diritti di natura privata, per i quali il singolo è lasciato completamente libero di determinare come e quando tutelare i propri interessi nei modi che ritenga più opportuni, in via sia stragiudiziale che giudiziale (figura 1). La caratteristica del diritto soggettivo consiste nel riconoscere a un determinato soggetto il potere di agire “facultas agendi” per il raggiungimento dei CITTADINO INSODDISFATTO Stampa Giudice penale Giudice civile Richiesta stragiudiziale Ordine dei medici Centro per i diritti del malato PERSONALE SANITARIO IMPLICATO NELLA VICENDA Ordine dei medici Avvocato Compagnia assicurazione dell'interessato Fig. 1 La libertà d’azione tipica del diritto privato soggettivo Compagnia assicurazione ASL ASL CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO propri scopi ed esclude il potere di instaurare un’autonoma iniziativa da parte di un organo pubblico. Ciò che lascia più sconcertato gli odontoiatri è l’assenza di norme di diritto oggettivo che indichino il ricorso alla giurisdizione ordinaria civile piuttosto che penale; azione quest’ultima utilizzata anche per lesioni lievi come arma di pressione psicologica o con chiari intenti ricattatori. Un aforisma latino riporta “tot capita, tot sententiae”, frase che amo tradurre liberamente come “tutto capita nelle sentenze”; il senno di poi non è una scienza esatta e il numero di motivazioni che possono essere formulate a posteriori, per spiegare un qualsiasi fatto, sembrano infinite. Così il più delle volte il giudizio è una verità di carta che non ha nulla a che vedere con la realtà clinica. Una sensazione spiacevole, in molti casi, è quella di non poter vincere, non poter pareggiare e nemmeno poter abbandonare. La gestione del contenzioso giudiziario Se il contenzioso non è componibile per indisponibilità delle parti, richieste eccessive, dubbia presenza di responsabilità, inizia il processo giudiziario, per la cui gestione, data la complessità della materia, è utile disporre di linee guida e conoscenze specifiche. Il processo penale per lesioni personali colpose prende avvio dalla querela della persona offesa presentata entro 3 mesi dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza del reato (prescrizione penale, ex art. 124 c.p.). Il processo civile è iniziato dall’atto di citazione e la responsabilità contrattuale si prescrive entro 10 anni dal momento in cui la persona ha avuto conoscenza del danno (ex art. 2946 c.c.); in questo capitolo si fa prevalente riferimento alla giurisdizione civile in quanto rappresenta l’ipotesi più frequente. Trasmettere l’atto di citazione alla compagnia assicurativa Per gli atti giudiziari che sono stati notificati, la primissima cosa da fare per il professionista è di rivolgersi alla propria compagnia di assicurazione (oppure ad un legale) per la costituzione in giudi- 159 zio, onde evitare che scadano termini perentori per svolgere eventuali difese, il che potrebbe rivelarsi gravemente pregiudizievole per una corretta impostazione della strategia processuale. La costituzione in giudizio deve avvenire almeno 20 giorni prima dell’udienza e quindi la comunicazione ai consulenti deve essere data per tempo (art. 166 c.p.c.). Produrre documentazione È importante redigere una memoria dei fatti utile alla difesa e raccogliere la documentazione del caso (cartella clinica, esami radiografici, modelli). Da ricordare, inoltre, che in base al Nuovo Codice di Procedura Civile la documentazione deve essere prodotta in giudizio nel corso delle prime udienze, perdendosi, diversamente, la possibilità di presentare nuovi documenti nel prosieguo del giudizio (ex art. 183,184,184 bis c.p.c.). Ricordiamo infatti che spesso nella pratica avviene l’opposto: il paziente presenta una documentazione rilevante, mentre il dentista non fornisce alcun dato utile per organizzare una difesa. Insistiamo, altresì, sul consiglio di duplicare la documentazione da consegnare in copia ai consulenti, trattenendo per sé gli originali per evitarne il possibile smarrimento. Per quanto attiene alla documentazione, ricordiamo che nel caso il paziente, affetto da patologia di probabile origine iatrogenica, abbia necessità immediata di procedere a nuove cure, può chiedere, come procedura d’urgenza prima del giudizio, un accertamento tecnico preventivo per determinare la situazione prima di successivi mutamenti che renderebbero difficile una successiva valutazione (art. 692 c.p.c., Assunzione di testimoni; art. 693 c.p.c., Istanza; art. 694 c.p.c., Ordine di comparizione; art. 695 c.p.c., Ammissione del mezzo di prova; art. 696 c.p.c., Accertamento tecnico e ispezione giudiziale). Seguire gli sviluppi del procedimento giudiziario Esaurita questa prima serie di attività preliminari, è opportuno non dimenticarsi del sinistro ma dedicargli l’attenzione che merita, seguendo gli sviluppi in relazione alla sua complessità. È chiaro che la situazione potrà tranquillamente essere gestita dalla compagnia di assicurazione che tutelerà al meglio, nominando un collegio di- 160 MEDICINA LEGALE LA STRATEGIA DELLA GESTIONE DEL CONTENZIOSO GIUDIZIARIO CIVILE Fasi Condotta suggerita e osservazioni • Atto di citazione • Costituisce l’inizio formale del contenzioso giuridico • Inviare l’atto di citazione alla compagnia assicu- • Spedire immediatamente copia dell’atto di citarativa zione con lettera raccomandata e ricevuta di ritorno per evitare la prescrizione del diritto di manleva (1 anno) o la mancata costituzione in giudizio entro i termini (contumacia) • Attivazione della clausola di difesa legale • In caso di conflitto di interessi con l’assicurazione affiancare propri consulenti attivando la clausola di assistenza legale • Preparare la strategia di difesa processuale • Verificare presenza e validità della garanzia assicurativa (massimale, franchigia, prestazioni previste) Raccogliere la documentazione (duplicare), stendere memoria Analizzare il caso con avvocato e medico-legale • Costituzione in giudizio • Fornire al legale i dati per eseguire una comparsa di risposta e domanda riconvenzionale • Conciliazione • Il tentativo di conciliazione può essere effettuato in sede giudiziale “banco iudicis” o stragiudiziale In alcuni casi è consigliabile integrare la proposta della assicurazione con la restituzione della parcella percepita Inevitabile resistere in giudizio nell’evento di richieste esorbitanti il danno (causa temeraria) o per assenza di responsabilità (causa ingiusta) • Fissazione della materia • Produrre documenti, testimonianze nelle prime udienze di fissazione della materia • Consulenze tecniche • Chiedere la sostituzione del CTU in caso di in(accertamenti tecnici preventivi, consulenze teccompetenza o incompatibilità niche di ufficio, perizie) Presenziare di persona, con consulenti e legali alle operazioni peritali Valutare la consulenza tecnica (completezza, logicità, errori formali) Eseguire controdeduzioni in caso di valutazioni scorrette • Sentenza • Valutare le motivazioni e la possibilità di ricorso in appello fensivo, quando non penda nei confronti dell’odontoiatra un processo penale; la polizza abbia un massimale adeguato in rapporto alla richiesta della controparte; la garanzia assicurativa sia presente ed efficace senza limitazioni ed esclusioni. Nel caso di massimale inadeguato e/o querela, è opportuno chiarire con la compagnia di assicurazione quale strategia adottare nel prosieguo della lite: non sempre, infatti, gli interessi di compagnia ed assicurato coincidono (contrasto di interessi). Non coincidono, ad esempio, nel momento in cui il massimale sia inadeguato e la compagnia scelga di liberarlo in favore dell’avente diritto, lasciando l’odontoiatra assicurato a fronteggiare da solo le ulteriori richieste della controparte. Non coincidono, ad esempio, anche nel caso in cui alla compagnia possa interessare, in sede penale, la prospettiva di un patteggiamento da parte dell’odontoia- CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO tra, per poi discutere solo in sede civile il “quantum” della pretesa, cosa che potrebbe risultare non accettabile al professionista ritenendo che sussistano ottime ragioni per sostenere un processo penale con valide possibilità di assoluzione piena. Talvolta si verifica il caso contrario, in cui l’assicurato non ha la minima intenzione di affrontare il dibattimento penale, mentre la compagnia ravvisi profili e strategie difensive percorribili in giudizio. Per tali motivi è opportuno, nei casi all’evidenza più delicati, avere a disposizione un collegio di difesa proprio (legale di fiducia e odontoiatra legale) da affiancare ai consulenti assicurativi che possa chiarire i pro ed i contro di una strategia difensiva piuttosto che di un’altra. Il costo di tale operazione è coperto qualora la polizza preveda la clausola Spese legali e tutela giudiziaria, rimanendo, diversamente, a carico del professionista. Tutte queste segnalazioni non sono frutto di una diffidenza generalizzata, ma, viceversa, intendono costituire una forma di autodifesa nei confronti di un sistema burocratico-tecnicogiudiziario che, affinandosi sempre più e complicandosi di conseguenza, richiede una vigilanza più attenta da parte del soggetto in questione. Valutare la Consulenza Tecnica d’Ufficio Ricordiamo la possibilità di ricusare un consulente d’ufficio nominato dal tribunale prima dell’assunzione dell’incarico, nel caso esistano le condizioni che impediscano un giudizio sereno e corretto (art. 63 c.p.c., Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente). Le parti possono intervenire alle operazioni di consulenza di persona o a mezzo di propri consulenti tecnici o difensori e presentare istanze ed osservazioni (art. 194 c.p.c., Attività del consulente); le condizioni migliori si verificano quando si dispone di un odontoiatra legale o, in alternativa, di un collegio formato da un medico-legale e un odontoiatra. Dopo il deposito della CTU è importante verificarne l’esito e analizzare la metodologia utilizzata per arrivare alle conclusioni, in modo da individuare errori di metodo o arbitrarietà che si prestino a controdeduzioni utili a diminuire o escludere la responsabilità professionale. Nel caso di CTU incompleta, si devono eseguire le controdeduzioni e richiedere un supplemento di indagine medico-legale o chiarimenti; qualora la 161 consulenza risulti scorretta, si può valutare se richiedere la sostituzione del CTU (art. 196, c.p.c., Rinnovazione delle indagini e sostituzione del consulente). Nel caso di CTU corretta e sfavorevole al dentista si può, ancora, considerare la possibilità di proporre una transazione giudiziale o lasciare procedere il processo fino a sentenza. Valutare la sentenza Qualora le parti non si adeguassero alla decisione del giudice di merito di primo grado, si può impugnare la sentenza e proporre ricorso al grado successivo (Appello, Cassazione) previa valutazione del rapporto rischio-beneficio e dell’opportunità. La sentenza di condanna in un procedimento civile può comportare diverse conseguenze di tipo economico: • risoluzione del contratto e restituzione della parcella da parte del professionista (art. 1453 c.c.); • risarcimento del danno a carico dell’assicurazione entro i limiti delle condizioni di polizza ed a carico del professionista per rischio non coperto; • spese legali diversamente divise, secondo parere del magistrato, a carico della parte soccombente, ripartite tra le parti, a carico del danneggiato nel caso di causa temeraria. Si deve considerare che le spese aumentano proporzionalmente al numero dei consulenti tecnici e dei legali chiamati in causa e ordinariamente il magistrato pone le spese legali e di giudizio a carico della parte soccombente. Si consideri ancora che nella pratica, proprio per l’atteggiamento radicato di maggiore garantismo nei confronti del paziente/cliente, anche nel caso di soccombenza di questi, il magistrato può decidere per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. È del tutto eccezionale, in definitiva, che sia riconosciuta al paziente la temerarietà dell’iniziativa processuale, condizione questa necessaria perché tutti i costi processuali siano a suo carico. Ciò vuol dire, in buona sostanza, che il dentista dovrà essere pronto ad affrontare certe spese, quand’anche gli venga riconosciuta ragione piena; costi di lite non raramente prossimi se non francamente superiori all’oggetto del contendere, così da rappresentare, una volta che la lite si sia radicata, un ostacolo ad una equilibrata soluzione transattiva. 162 MEDICINA LEGALE Tali considerazioni motivano la necessità della clausola Spese legali e tutela giudiziaria nella polizza assicurativa e, comunque, il perseguire sistematico dei tentativi di transazione stragiudiziale, prima di adire a procedimenti giudiziari con rischio di soccombenza. In giurisdizione penale la competenza è definita secondo alcuni criteri di base, la materia e il grado di giudizio; inoltre il processo è svolto nella circoscrizione giudiziaria del luogo dove il reato è stato consumato (tabella 1). Le indagini preliminari Il processo penale nelle sue linee generali Il processo penale si realizza per un interesse pubblico e costituisce lo strumento attraverso il quale viene verificata la legittimità della pretesa dello Stato di sanzionare una persona accusata di un reato. Con l’entrata in vigore del Nuovo Codice di Procedura Penale, nell’ottobre 1988, lo “spirito di fondo” della struttura del processo si è spostato dal modello inquisitorio (che presuppone una forte soggezione dell’imputato all’azione di un organo pubblico inquirente) a quello accusatorio. Il modello accusatorio è caratterizzato da alcuni elementi fondamentali, che costruiscono un processo come una contesa di parti contrapposte che si confrontano con armi tendenzialmente pari di fronte a un arbitro neutrale: • la distinzione netta tra i soggetti processuali e in particolare tra il giudice e l’accusatore (pubblico ministero); • la parità assoluta di poteri tra accusa e difesa; • la formazione della prova in dibattimento davanti al giudice (principio dell’oralità); • l’esclusione di poteri istruttori del giudice che deve limitarsi a decidere su prove fornite dalle parti (terzietà). Il procedimento parte quando l’ufficio del pubblico ministero (PM), situato presso la Procura della Repubblica della pretura o del tribunale, riceve comunicazione, o, più genericamente, prende conoscenza, circa l’avvenuta o probabile verificazione di un fatto che potrebbe costituire reato (notizia di reato). Il PM e la polizia giudiziaria possono prendere notizia dei reati di propria iniziativa o riceverla da parte di soggetti estranei all’attività d’indagine. • La denuncia, atto scritto obbligatorio per i pubblici ufficiali e facoltativo, salvo poche eccezioni (delitti contro la personalità dello Stato), per i privati. • Il referto, che è una denuncia a cui sono obbligati tutti i sanitari che abbiano prestato la loro opera in casi che possano presentare i caratteri di delitto perseguibile d’ufficio. • La querela, atto facoltativo eseguito da un privato, che rappresenta ad un tempo veicolo della notizia di reato e atto formale con cui la parte offesa espressamente richiede di promuovere l’azione penale. Alcune figure di reato inerenti a interessi di natura pubblica sono perseguibili d’ufficio ed in ordine ad essi si può procedere liberamente alle indagini e all’esercizio dell’azione penale; a tale categoria si contrappone quella dei reati procedibili a querela della Tab. 1 I gradi della giurisdizione penale • Primo grado Giudice di pace Competente per contravvenzioni e reati minori Tribunale Competente per reati che non rientrano nella competenza del giudice di pace o della Corte d’Assise Corte d’Assise Competente per reati punibili con pena detentiva non inferiore a 24 anni o con l’ergastolo • Secondo grado Tribunale Giudizio d’appello contro le sentenze del giudice di pace Corte d’Appello Giudizio d’appello contro le sentenze pronunciate dal tribunale Corte d’Assise d’Appello Giudizio d’appello contro le sentenze pronunciate dalla Corte d’Assise • Terzo grado Corte di Cassazione CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO parte offesa, essenzialmente rappresentati da illeciti che offendono la sfera degli interessi personali. Per quanto attiene alla prescrizione dell’azione penale, basti ricordare che la querela deve essere presentata entro 3 mesi dal momento in cui la parte offesa è venuta a conoscenza del reato e che di regola può essere revocata (remissione). L’obbligatorietà dell’azione penale è un principio costituzionalmente sancito che esclude qualsiasi discrezionalità: ogni qualvolta il PM ha notizia di un reato, ha la doverosità di instaurare un procedimento penale ed è impedito a concentrarsi su alcune inchieste piuttosto che su altre per privilegiare la repressione di alcune categorie di reati. Il nome dell’indagato è iscritto nel registro delle notizie di reato, le iscrizioni sono segrete e le indagini preliminari devono essere concluse entro termini di tempo prefissati (6-24 mesi). Nei casi in cui sia compiuto un atto al quale debba intervenire un difensore viene inviata una informazione di garanzia, che rappresenta un avviso all’indagato di una indagine in corso nei suoi confronti e che in quanto tale: non è sempre necessaria; ha lo scopo di consentire all’indagato una efficace e immediata difesa; non rappresenta sinonimo di colpa, stante il principio costituzionale di presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva. L’istruttoria (indagini preliminari) viene diretta dal PM, svolta materialmente dalla polizia giudiziaria e controllata dal giudice delle indagini preliminari (GIP), al quale il PM deve rivolgersi per l’adozione di provvedimenti, che non può disporre direttamente, tesi allo scopo di: • raccogliere le prove (perquisizioni, accertamenti tecnici, sequestri, interrogatori, ricognizioni di persone e cose, intercettazioni telefoniche, ecc.); • evitare che i responsabili fuggano o commettano ulteriori reati (custodia in carcere, arresti domiciliari, divieto di espatrio, divieto di esercitare determinate attività, ecc.). Al termine delle indagini preliminari il PM formula al GIP la richiesta di: • archiviazione del caso, qualora ritenga di non aver acquisito elementi sufficienti per chiedere la condanna dell’indagato; • rinvio a giudizio al magistrato competente qualora ritenga di aver acquisito elementi sufficienti di colpevolezza dell’indagato. 163 Udienza preliminare Nel caso di rinvio a giudizio si svolge un’apposita udienza preliminare che costituisce una autonoma fase processuale intermedia con funzione di filtro tra le indagini preliminari e il giudizio. L’udienza non è pubblica (porte chiuse) e ha lo scopo di eseguire un primo vaglio della fondatezza degli elementi; tale procedimento può esaurirsi con diverse modalità: la sentenza di non luogo a procedere o il rinvio a giudizio. In quest’ultimo caso si procede alla formazione del fascicolo del dibattimento ottenuto estraendo dal fascicolo del PM solo alcuni dei documenti, che rappresentano gli unici dati noti al giudice prima del dibattimento. Su richiesta dell’imputato possono essere applicate diverse specie di riti alternativi, accomunati dall’intento di consentire una semplificazione e rapida conclusione del processo (giudizio abbreviato, immediato, direttissimo, patteggiamento, procedimento per decreto, ecc.). Sicuramente il procedimento alternativo più noto è il patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti) con cui l’imputato rinuncia al dibattimento in cambio di alcuni vantaggi previsti per legge, quali ad esempio il minor clamore, la riduzione di 1/3 della pena, la decisione della parte civile di non richiedere i danni, il non pagamento delle spese processuali, l’estinzione del reato entro un determinato periodo in assenza di altri reati. Il giudizio ordinario Se non viene instaurato nessuno dei procedimenti alternativi, ha luogo il dibattimento pubblico nelle forme ordinarie davanti al competente giudice di primo grado (tribunale, Corte d’Assise). È necessario sottolineare che il processo penale vero e proprio nasce solo in questa fase che costituisce l’esercizio dell’azione penale e rappresenta un punto di non ritorno; si conclude con la sentenza di proscioglimento o di condanna dell’imputato. Prima di dare inizio al dibattimento il giudice verifica preliminarmente che tutte le parti siano state effettivamente in condizione di partecipare al contraddittorio (fase di verifica) e risolve eventuali questioni processuali (ad esempio in tema di com- 164 MEDICINA LEGALE LE FASI DEL PROCESSO PENALE NELLE SUE LINEE GENERALI Fasi fondamentali Nozioni e terminologia Esiti • Indagini preliminari Notizia di reato (denuncia, quere- Archiviazione la, referto) Rinvio a giudizio Iscrizione nel registro degli indagati Informazione di garanzia • Udienza preliminare Imputazione • Giudizio ordinario (giudizio di merito di primo grado) Fase di verifica Condanna Istruzione dibattimentale Assoluzione (proscioglimento) Sentenza (dispositivo, motivazioni) • Appello (giudizio di merito di secondo grado) Impugnazione (ricorso) Riesame degli atti Rinnovazione dibattimentale Rigetto per inammissibilità Conferma della sentenza di primo grado Riforma della sentenza di primo grado • Cassazione (giudizio di legittimità) Nuove motivazioni Passaggio in giudicato Esecuzione della sentenza Dichiarazione di inammissibilità del ricorso Rettificazione di errori di diritto Annullamento della sentenza Annullamento con rinvio al giudice di merito • Revisione Corte d’Appello Rigetto Revoca della sentenza Riparazione petenza per territorio, costituzione di parte civile). L’istruzione dibattimentale è la fase di concreta assunzione delle prove (testimonianze, confronti, perizie, ecc.) e vige il principio della formazione orale della prova in dibattimento. Nel dibattimento le parti, PM e difesa, sottopongono al giudice le rispettive tesi e propongono l’acquisizione di determinate prove, ripercorrendo e rinnovando quanto avvenuto in istruttoria. Gli esami testimoniali vengono condotti dalle parti (cross examination) che, sotto il controllo del giudice, interrogano direttamente i testimoni, i consulenti tecnici e i periti; il giudice può rivolgere domande per sopperire alle lacune istruttorie delle parti. Successivamente, esaurita l’assunzione delle prove, le parti illustrano le rispettive conclusioni e richieste. Riti alternativi (patteggiamento) Rinvio a giudizio Sentenza di non luogo a procedere La sentenza viene adottata dopo deliberazione in camera di consiglio e si compone di due parti: • un dispositivo nel quale sono enunciate le decisioni e gli articoli di legge applicati; • una motivazione nella quale sono indicate le motivazioni di diritto e di fatto che hanno determinato la decisione. In caso di condanna viene irrogata la pena principale (detentiva o pecuniaria), applicate le pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, ecc.) e le eventuali misure di sicurezza e, ricorrendone le condizioni, concessi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziario. L’assoluzione può riconoscere diverse motivazioni, riassunte in altrettante formule nel dispositivo, come ad esempio: CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO • perché il fatto non sussiste (la fattispecie, cioè, non è un reato penale ma può essere inquadrata come illecito di altra natura); • per non aver commesso il fatto; • perché il fatto non costituisce reato (il fatto corrisponde a un reato ma è considerato giustificato per la presenza di scriminanti, cause di giustificazione, assenza del nesso di causalità psicologico o materiale). È stata abolita la formula dubitativa per insufficienza di prove. Tale caratteristica di rigido dualismo di giudizio (positivo o negativo) è tipica del procedimento penale, cioè la responsabilità esiste o non esiste; in contrapposizione al giudizio civile, dove il profilo di colpa può essere modulato secondo diverse gradazioni (assenza, presunzione, possibilità, probabilità o certezza). Il giudice, quando vi è costituzione di parte civile, se pronuncia sentenza di condanna, decide anche in ordine alla domanda di risarcimento danni. Spesso si verifica che, essendo certa la responsabilità ma non essendovi sufficienti elementi per la quantificazione esatta del danno, il giudice penale condanni l’imputato al pagamento di una somma a titolo provvisionale, rimettendo le parti al giudice civile che provvederà alla liquidazione della somma a titolo di risarcimento. I gradi di giudizio successivo L’impugnazione è il termine tecnico con cui si indica la richiesta delle parti di un nuovo esame del provvedimento del giudice. Il sistema penale assicura tre gradi di giudizio per ottenere la maggiore garanzia possibile di giustizia: la sentenza che conclude il giudizio di primo grado è appellabile in secondo grado (Corte d’Appello, Corte di Assise d’Appello) e successivamente in terzo grado (Corte di Cassazione). I passaggi effettivi possono essere comunque ben più di tre in quanto non infrequentemente la Corte di Appello e di Cassazione possono annullare la sentenza con rinvio al giudice di primo grado e sostanzialmente ricominciare il processo. L’appello è un secondo giudizio di merito ed è svolto limitatamente ai punti su cui si è lamentato l’appellante; il dibattimento è disciplinato in maniera analoga a quello di primo grado e può articolarsi esclusivamente sul riesame degli atti del processo di primo grado o avere uno sviluppo autonomo con la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale; la decisione finale può essere di annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado, di 165 conferma o di riforma. Quando l’appello è proposto solo dall’imputato, vige il principio del divieto di “reformatio in pejus” e la sentenza può essere modificata solo in senso più favorevole al condannato; comunque, per evitare la presentazione di appelli pretestuosi, tale divieto decade nel caso la parte avversa presenti, anche in un secondo tempo, un appello incidentale. Il ricorso per cassazione non origina un terzo grado di giudizio di merito, ma dà luogo a un giudizio di cosiddetta legittimità, vale a dire a un controllo sulla corretta applicazione delle norme sostanziali e processuali nel corso dei precedenti giudizi; i motivi del ricorso possono essere l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ecc. La decisione finale può essere di rigetto (dichiarazione di inammissibilità del ricorso), di rettificazione di errori di diritto, di annullamento della sentenza con eventuale rinvio al giudice di merito. In ogni caso arriva il momento in cui la sentenza non è più ricorribile in cassazione e passa in giudicato, diventa definitiva e il PM procede alla esecuzione del provvedimento. Revisione Non potendosi escludere l’errore giudiziario, anche per le sentenze di condanna già passate in giudicato è stata prevista la possibilità da parte del condannato di ottenere la revisione del processo in determinati casi (nuove prove di innocenza, esistenza di sentenza di condanna di due persone diverse per lo stesso fatto, ecc.). Se la richiesta di revisione viene rigettata, la parte che l’ha proposta viene condannata al pagamento delle spese; se accolta, la sentenza di condanna è revocata e l’imputato prosciolto ha diritto ad una riparazione commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena. Non è invece possibile la revisione delle sentenze definitive di assoluzione. Il processo civile nelle sue linee generali In ambito civile ci si muove dalla considerazione che oggetto del giudizio sono diritti di natura privata, nella quale le parti sono lasciate completamente libere di determinare quando e come tutelare i propri interessi. 166 MEDICINA LEGALE Si parla di processo dispositivo, termine contrapposto a inquisitorio; modello sovrapponibile a quello accusatorio, già descritto in materia penale, termine evidentemente non applicabile in ambito civile, poiché non vi è un’accusa. Un esempio fantasioso ma calzante equipara il processo civile a un “duello” nel quale le parti si confrontano alla presenza del giudice che ha la funzione di arbitro imparziale per assicurare la regolarità della contesa e di deciderne il vincitore. • Per far partire il processo il privato deve attivarsi per chiedere al giudice di tutelare un diritto privato e adottare una decisione. • Una volta instaurato, il giudizio non prosegue indipendentemente dalla volontà degli interessati, si arresta se le parti vi rinunciano o non svolgono la necessaria attività processuale. • La libertà si manifesta nell’assenza di poteri di iniziativa del giudice in materia di prove; le parti devono enunciare e provare i fatti secondo la regola della distribuzione dell’onere della prova. • La condizione essenziale è il principio del contraddittorio, cioè che la parte contro la quale è stato chiesto il provvedimento sia stata messa in condizione di partecipare al giudizio e difendersi. Al giudice civile possono essere chiesti tre tipi di pronuncia: • condannare il convenuto per il pagamento di un corrispettivo o il risarcimento di un danno; • modificare una esistente situazione giuridica (come ad esempio la risoluzione di un contratto); • verificare e dare certezza ad una situazione giuridica già esistente senza modificarla (ad esempio la determinazione delle clausole di un contratto). Nel processo civile, inoltre, a differenza del penale, non è sempre necessaria e non è automatica l’esecuzione del provvedimento dopo la decisione del giudice, distinguendosi in tal modo: • il processo di cognizione, che corrisponde al giudizio ordinario di merito e che ha lo scopo di verificare la legittimità della pretesa di un determinato soggetto ad ottenere il soddisfacimento di un proprio interesse; • il processo di esecuzione necessario, qualora il debitore non si adegui spontaneamente, per la concreta realizzazione dello stesso diritto e ottenere con la forza quanto è dovuto al creditore; tale evenienza era più frequente prima della riforma del 1990 che ha reso la maggior parte delle sentenze automaticamente esecutive. La competenza assegnata all’organo giudiziario in giurisdizione civile è individuata con criteri diversi per valore, per competenza, per territorio funzionale. La competenza territoriale può essere determinata in più modi alternativi, ma il criterio base è che la competenza appartiene alla circoscrizione giudiziaria dove ha residenza la persona contro la quale è stata instaurata la controversia. Nel processo civile si utilizza il criterio del valore e della materia, ci si basa cioè sull’entità economica dell’oggetto della controversia o sulla sua natura. La competenza funzionale si riferisce al tipo specifico di funzioni svolte dal giudice e la sua semplificazione più ricorrente è la distinzione tra i giudici dei vari gradi di giudizio (tabella 2). Il giudizio ordinario di merito Il processo ha inizio con la presentazione della domanda (citazione o ricorso) con la quale la parte Tab. 2 I gradi della giurisdizione civile • Primo grado Giudice di pace Competente per cause di valore non superiore a 5 milioni; per le cause di risarcimento danni da circolazione stradale, fino a 30 milioni; competenza esclusiva per alcune materie (liti condominiali, immissioni e simili) Tribunale Competente per le cause che non rientrano nella competenza del giudice di pace • Secondo grado Tribunale Giudizio d’appello contro le sentenze del giudice di pace Corte d’Appello Giudizio d’appello contro le sentenze pronunciate dal tribunale • Terzo grado Corte di Cassazione CAPITOLO 20 • IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO che agisce (attore) chiede al giudice una decisione illustrando le ragioni giuridiche e di fatto che sostengono tale richiesta, indica i mezzi di prova di cui intende avvalersi. La citazione, o ricorso, viene notificata alla parte avversa (convenuto) in modo da consentirgli di entrare formalmente nel processo (costituzione in giudizio) attraverso un atto (comparsa di risposta) con il quale contesta la fondatezza di quanto preteso dall’attore e può chiedere una pronuncia di condanna nei confronti di quest’ultimo (azione riconvenzionale). In base alle competenze, il processo si svolge innanzi al giudice di pace o al giudice ordinario; dopo l’introduzione della riforma del “giudice unico” le cause sono decise da un organo monocratico (giudice istruttore o GI) ed è stato abolito l’ufficio del pretore che rimane attivo solo in via transitoria per le cause al momento dell’introduzione della legge. Con la riforma del Codice di Procedura Civile del 1990 si è voluto fissare l’oggetto del processo entro la prima udienza di trattazione o quella immediatamente successiva che rappresenta la fase di 167 fissazione della materia del contendere, dei mezzi di prova e delle relative indagini. Nella prima udienza le parti si presentano personalmente per essere interrogate dal giudice, il quale deve anche tentare la conciliazione. Nella successiva fase istruttoria si svolgono le udienze dedicate all’assunzione dei mezzi di prova richiesti dalle parti e ammessi dal giudice (documenti, testimonianze, interrogatori, consulenze tecniche, ecc.). Esaurita la fase istruttoria, le parti definiscono e precisano le proprie richieste conclusive, segue la discussione finale e quindi il giudice decide la causa. La sentenza completa (motivazione e dispositivo) è depositata presso la cancelleria del tribunale e deve riguardare tutte le richieste delle parti (corrispondenza tra chiesto e pronunciato). I gradi di giudizio successivo Le impugnazioni sono mezzi per provocare una nuova decisione sulla stessa controversia da parte di chi ha visto disattendere le proprie richieste dal provvedimento del giudice. IL PROCESSO CIVILE NELLE SUE LINEE GENERALI Fasi fondamentali • Giudizio ordinario di merito (primo grado) Nozioni e terminologia Citazione Rigetto della domanda dell’attore Costituzione in giudizio, compar- Accoglimento della domanda delsa di risposta e domanda ricon- l’attore venzionale Fase di fissazione Fase istruttoria Provvedimento (decreto, ordinanza, sentenza) • Appello Riesame della causa di merito (giudizio di merito di secondo grado) • Ricorso per cassazione Esiti Conferma della sentenza di primo grado Riforma della sentenza di primo grado Annullamento della sentenza di primo grado Giudizio di legittimità e non di me- Rigetto del ricorso rito Conferma della sentenza di secondo grado Rinvio al giudice di merito Decisione diretta 168 MEDICINA LEGALE Con l’appello si richiede un riesame della causa di merito; non si tratta di un nuovo giudizio poiché esso rappresenta una revisione delle stesse questioni trattate in primo grado; poiché vi è il divieto di porre nuove domande al giudice e non possono esser proposte nuove eccezioni, né, di regola, nuove prove. La trattazione della causa è collegiale, tranne che vengano ammesse nuove prove o disposta la rinnovazione di quelle già espletate in primo grado, nel qual caso interviene il GI. La sentenza d’appello può confermare o riformare la sentenza di primo grado, annullarla rimettendola davanti al primo giudice. Il ricorso per cassazione va effettuato per violazioni della legge sostanziale o processuale nella quale è incorso il giudice che ha emesso il provvedimento, poiché la Cassazione è giudice di legittimità, cioè su questioni di diritto e non di merito (cioè di fatto). La Cassazione può rigettare il ricorso, confermando in tal modo la sentenza impugnata; accogliere il ricorso rinviando la causa a un giudice di pari grado di quello che ha emesso la sentenza; decidere direttamente la controversia. Con la revocazione si chiede al giudice di annullare una propria sentenza che si sia rivelata oggettivamente ingiusta; ad esempio, fondata su prove che si siano in seguito rivelate false. L’opposizione di terzo è l’atto con cui una persona che è rimasta estranea a una controversia, lamenta che la relativa sentenza abbia recato pregiudizio ai propri diritti. I procedimenti speciali Rispetto a quello ordinario i procedimenti speciali sono riti differenziati necessari per rispondere a particolari tipi di richiesta proposti dall’attore o dalla materia della controversia. Con il procedimento di ingiunzione (cosiddetto decreto ingiuntivo), il creditore ha la possibilità di ricorrere ad una procedura semplificata per ottenere il pagamento di quanto gli è dovuto. Il creditore presenta un ricorso al giudice competente unitamente ai documenti che dovrebbero provare il credito chiedendo l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del debitore. Il giudice può rigettare la domanda o accoglierla, ingiungendo al debitore il pagamento entro 20 giorni e autorizzando in caso contrario l’esecuzione del credito. Il debitore può proporre opposizione instaurando un vero e proprio giudizio di merito. I procedimenti di istruzione preventiva sono misure cautelari volte ad assicurare a un futuro giudizio delle prove di cui si teme o si ha la certezza che non potrebbero essere più utilmente assumibili all’epoca del processo; come, ad esempio, l’audizione a futura memoria di un testimone. Tra le misure cautelari, comunemente indicate nella prassi forense come art. 700, compaiono anche i provvedimenti di urgenza, quali l’accertamento tecnico preventivo. CAPITOLO 21 LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe Sempre più va diffondendosi l’interesse alla modulistica di studio ed al suo utilizzo nell’ambito clinico. Le ragioni possono essere individuate nella grande diffusione dell’utilizzo dei mezzi informatici, nel maggiore grado di coscienza dei propri doveri professionali ed etici che spingono a codificare la maggior parte del rapporto contrattuale odontoiatra-paziente (piano di cure, preventivo, ecc.). Inoltre gioca un ruolo importante a livello psicologico il senso di sicurezza e di protezione che offrono i moduli compilati. È prassi ormai diffusa utilizzare dei prestampati per raccogliere l’anamnesi, compilare piani di cura e preventivi, aggiornare la cartella clinica (si consideri, ad esempio, la cartella del parodontologo che esegue da sempre un lavoro preliminare di valutazione, molto accurato). Vengono infine proposti da più parti moduli per la raccolta del cosiddetto consenso informato, adattati o adattabili a situazioni cliniche specifiche. Se pure molti colleghi hanno a lungo lavorato senza alcun modulo, soprattutto affidandosi alla propria memoria ed alla propria esperienza con ottimi risultati, al giorno d’oggi, con le nuove problematiche che hanno investito la professione (ad esempio i problemi legati al trattamento dei dati del paziente ed il rispetto della privacy) e con le esigenze di standardizzazione dell’approccio clinico, ha acquisito importanza la modulistica in supporto alla comunicazione con il paziente. A tale proposito va sottolineato come tale modulistica possa nascere da un’opera di revisione collettiva in cui, di nuovo, è necessario l’intervento delle associazioni di categoria allo scopo di proporre e diffondere moduli clinici il più possibile uniformi, elemento prezioso anche nell’ambito del contenzioso medico-legale. Per queste ragioni l’ANDI ha fatto proprio questo tema creando, a livello nazionale, un gruppo di studio specifico che ha lavorato alla produzione di una mo- L’affermazione secondo la quale non esiste una modulistica valida per tutte le situazioni è corretta ma banale, visto che i modelli ideali non coincidono mai con la realtà. Se non volete leggere e utilizzare i moduli proposti da altri, potete idearne di nuovi purché evitiate di espanderli, altrimenti non funzionano più. È facile rendere le cose complicate, ma è complicato renderle semplici. dulistica standard da proporre a tutti gli associati. Naturalmente, in caso di contestazione di responsabilità professionale, non basterà mostrare di avere raccolto un’anamnesi o un consenso scritto, ma elementi di questo tipo consentiranno di presentare una posizione del professionista sul caso in esame “aperta”, senza nulla da nascondere; l’errore, se errore si è verificato, potrà così essere meglio circoscritto. D’altra parte, se il professionista riterrà di poter dimostrare d’aver lavorato diligentemente, i moduli raccolti (una cartella debitamente compilata, un piano di cura completo di opzioni, costi e previsione di durata delle cure, un modulo di consenso controfirmato dal paziente) costituiscono elementi che consentono di meglio dimostrare un corretto approccio alla pratica clinica. Nella pratica quotidiana, viceversa, si rileva frequentemente che il collega, cui viene mossa la contestazione, sa gestire e rappresentare male la propria posizione professionale, per carenze soprattutto nella gestione dell’archivio clinico e dei supporti radiografici; troppo spesso, ad esempio, il paziente reclama la restituzione, peraltro giustificata, delle panoramiche, consegnate all’odontoiatra all’inizio del trattamento. Di fronte a queste situazioni che sono, di fatto, all’ordine del giorno, ci si può rendere conto di quanta distanza vi sia tra i presupposti teorici, le intenzioni e la realtà. 170 MEDICINA LEGALE L’altro elemento preoccupante è che il contenzioso, nell’ambito odontoiatrico, sta crescendo a dismisura sia per la già citata sindrome da risarcimento, sia per le evidenti implicazioni economiche connesse ai complessi trattamenti odontoiatrici, sia per una maggiore coscienza sociale del diritto alla salute da parte dell’utenza. Modulo per il consenso alle cure In assenza di un preciso richiamo codicistico, la definizione di consenso risulta dalla lettura e interpretazione di diverse norme (art. 50 c.p., Consenso dell’avente diritto; art. 32 Cost.; artt. 2, 33, della L. 833/78) che lo pongono quale condizione di legittimazione dell’atto medico per ogni trattamento o accertamento sanitario. Il consenso deve intendersi valido quando non sia contrario alla legge, sia fornito da un paziente con capacità di agire o dal genitore (o tutore) per pazienti minori ai 18 anni di età, soggetti a interdizione o infermità di mente (art. 5 c.p., Atti di disposizione del proprio corpo; L. 39/75; art. 414 c.c., Persone che devono essere interdette; art. 424 c.c., Tutela dell’interdetto e curatela dell’inabilitato). Secondo concorde giurisprudenza disattendere tale obbligo può sostanziare un profilo autonomo di colpa (art. 610 c.p., Violenza privata) che può contestualmente integrarsi con il reato di lesioni volontarie (art. 582 c.p., Lesioni personali; art. 590 c.p., Lesioni personali colpose). Nei confronti dell’obbligo dell’informazione gli interventi odontoiatrici si configurano con particolari, opposte esigenze: le prestazioni sono di elezione ed escludono le condizioni di liceità che esimano da tale dovere (art. 54 c.p., Stato di necessità); un eccesso di informazioni può avere un effetto controproducente, che paralizza la terapia, allarmando inutilmente il paziente e/o obbligando il sanitario ad un inutile eccesso di spiegazioni e raccolta di documentazione. L’orientamento in dottrina è concorde nell’affermare che: il consenso presunto (implicito) è sufficiente nei casi ordinari che richiedano l’impiego di mezzi diagnostici e terapeutici di comune applicazione e noti al paziente; invece, il consenso esplicito (o informato dopo dettagliata ed esaustiva informazione) è necessario quando la terapia aumenti di rischio e complessità. È possibile affermare che, per la maggior parte delle prestazioni professionali, sia sufficiente un consenso esplicito orale in quanto raramente è contestabile l’assenza di informazione, soprattutto considerando che le cure sono erogate su pazienti coscienti, attraverso appuntamenti numerosi e procrastinati nel tempo, utilizzando tecniche in genere sufficientemente note al pubblico. Il consenso informato scritto è consigliabile nei casi complessi, contraddistinti da almeno una tra le seguenti caratteristiche: • tecniche di non comune utilizzo nella pratica odontoiatrica; • terapie non note alla maggior parte dei pazienti o di difficile comprensione; • sperimentazioni di tecniche e/o materiali; • utilizzazione di biomateriali; • cure prestate a minori, infermi di mente o interdetti. Si può consigliare una documentazione scritta del consenso utilizzando uno schema di modulo che può essere applicato alla maggioranza delle situazioni, in cui sia comunque possibile introdurre alcune specifiche e personalizzazioni. Vanno richiamati, comunque, gli evidenti limiti del consenso la cui acquisizione è un prerequisito non prescritto da alcuna norma: è revocabile in ogni momento e deve essere riacquisito in caso di cambiamento del piano di terapia; ha il solo scopo di comprovare l’avvenuta informazione e il consenso del paziente che, nell’ipotesi di sviluppi giudiziari, dovrebbe essere dimostrato attraverso prove testimoniali; non esonera il sanitario dalla responsabilità per errori di diagnosi, terapia o scelte tecniche ingiustificatamente rischiose. Per l’informazione del paziente ai fini del consenso è sufficiente prefigurare esclusivamente le complicanze fondatamente e concretamente prevedibili evitando una eccessiva analiticità in relazione a fatti ipotizzabili solo in astratto (deve essere superata una soglia di apprezzabilità del rischio peraltro non definibile con parametri fissi). È, altresì, opportuno richiamare sinteticamente il piano di terapia, il risultato atteso e il rapporto rischio-beneficio nei confronti di tecniche alternative e devono essere indicati i nomi del sanitario a cui il consenso è diretto e di eventuali altri specialisti a cui siano affidati interventi specifici. CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO 171 MODULO PER IL CONSENSO INFORMATO In questo modulo vengono riassunti i concetti già discussi nel corso della visita, in modo da ottenere per iscritto il Suo consenso informato alla esecuzione delle terapie concordate poiché il consenso del paziente rappresenta il limite alla discrezionalità riconosciuta al sanitario nella scelta ed esecuzione delle cure. Lo scopo della sottoscrizione del consenso è quindi di codificare e rendere più trasparente il rapporto paziente/odon€ toiatra, non pone limite alla libertà ed all’autonomia decisionale del paziente ma sottolinea il dovere dell’odontoiatra di porsi come obiettivo principale, in ogni fase della terapia, la salute del paziente. L’informazione mi è stata resa dal dott. ___________________________ Ho preso visione dell’allegato piano di cure odontoiatriche e del relativo preventivo dei costi. In particolare mi è stato chiaramente spiegato che eventuali modifiche in corso di esecuzione mi verranno sottoposte, di volta in volta, per approvazione. Ho chiaramente compreso le finalità del trattamento cui verrò sottoposto/a, le eventuali alternative terapeutiche percorribili nel mio caso, i rischi impliciti nel trattamento, le principali caratteristiche funzionali ed estetiche dei manufatti che mi verranno applicati. Sono stato altresì informato che per la conservazione nel tempo di una buona salute dentale sono opportune sedute periodiche di controllo clinico/igiene (secondo le istruzioni che ho ricevuto) Data_______________________ Firma___________________________________ Nel proporre un modulo per l’acquisizione del consenso informato vanno scartati: • i supporti troppo brevi e semplificati, poiché di limitato valore giuridico; • troppo particolareggiati ed applicabili in una unica branca odontoiatrica, poiché nella pratica clinica i piani di terapia sono spesso complessi e richiederebbero quindi un elevato numero di moduli per lo stesso paziente nelle varie fasi di cura. Riteniamo invece di proporre un modulo unico sufficientemente esteso e dettagliato per rappresentare un valido strumento di comunicazione, personalizzabile con eventuali allegati da ogni singolo dentista in base alle proprie esigenze ed alla particolarità del caso clinico. Il cosiddetto “consenso informato” deve rispondere a quattro fondamentali principi: deve essere esplicito, personale, specifico e consapevole (Santosuosso 1996). Nel corso del colloquio odontoiatra/paziente, l’odontoiatra, oltre a preoccuparsi di informare il paziente sul piano terapeutico che intende attuare, dovrà informarlo anche delle opzioni alternative ed anche del motivo per cui alcune opzioni non vengono ritenute, nel caso specifico, valide e quindi scartate. È evidente che il modulo di consenso informato, standardizzato per ogni situazione clinica, non può e non deve sostituire il colloquio odontoiatra/paziente, ma rappresenta la prova scritta che il paziente è stato informato ed il consenso è stato reso. Tutela della privacy Il modulo per la tutela della privacy si utilizza in alcune specifiche situazioni cliniche, ma in generale quando, per motivi comunque strettamente clinici o scientifici, i dati vadano divulgati o trasmessi ad altri. La parte introduttiva informa il paziente dei principi generali che regolano il “trattamento dei dati personali” allo scopo di tutelarne la riservatezza. Se richiesto, tali informazioni potranno essere integrate verbalmente; è consigliabile tenere in studio, a disposizione dei pazienti che ne facciano eventuale richiesta, il testo completo del dispositivo di legge. Esame medico Per facilitare l’applicazione estensiva nella pratica quotidiana, l’esame medico deve risultare di agevole esecuzione, in modo da rispettare le esigenze di rapidità e sintesi senza intralciare inutilmente l’operatività clinica; deve essere inoltre adeguato alle competenze e possibilità diagnostiche del dentista. A tale scopo è utile adottare una metodica di indagine che permetta di: 172 MEDICINA LEGALE MODULO PER LA TUTELA DELLA PRIVACY Egregio Paziente, la preghiamo di leggere e sottoscrivere questo modulo che ha la finalità di raccogliere il Suo consenso al trattamento dei dati sensibili in base alla cosiddetta “legge sulla privacy”. Informazioni In data 8 maggio 1997 è entrata in vigore la legge 31 dicembre 1996 n. 675, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali. La normativa prevede alcune incombenze per il medico curante che, per la sua attività professionale, ha necessità di raccogliere, registrare in archivio cartaceo o informatico e utilizzare i dati personali dei pazienti per sole finalità di diagnosi e cura. In particolare, ai sensi degli articoli 9, 10, 11, 12, 13 e 14 della legge citata, si rende necessario, per il sanitario, acquisire il consenso scritto del paziente che lo autorizza a raccogliere, registrare ed utilizzare i dati personali esclusivamente per la diagnosi e la cura. Il consenso concesso dal paziente al sanitario di fiducia si estende, per evidenti motivi di continuità terapeutica, anche ai sostituti in caso di assenza del medesimo. Consenso Io sottoscritto autorizzo il dott. _________________________________ a raccogliere, registrare e utilizzare i dati personali ai fini di diagnosi e cura. Inoltre AUTORIZZO ovvero NON AUTORIZZO (cancellare la voce che non interessa) la utilizzazione dei dati a scopo di ricerca scientifica, purché sia assicurata la riservatezza degli stessi. Data_______________________ Firma___________________________________ individuare i pazienti con patologie a rischio; graduare lo sforzo all’entità del rischio medico presente, cogliendo esclusivamente gli approfondimenti indispensabili al caso specifico. Un’anamnesi sommaria deve essere eseguita su tutti i pazienti per identificare i soggetti a rischio; a tal fine si può utilizzare un modulo prestampato con caratteristiche sovrapponibili al modulo per anamnesi medica, che presentiamo; la sua compilazione può essere demandata al paziente con l’eventuale aiuto del personale parasanitario. Un rilievo negativo permette di escludere la maggior parte dei pazienti da successive indagini ed indica l’assenza di limitazioni sistemiche alla terapia odontoiatrica. Invece, la presenza di riscontri patologici in questa prima fase obbliga il dentista ad approfondire le indagini per verificare e quantificare la presenza di un rischio medico che richieda variazioni del piano di trattamento. In questo caso l’anamnesi mirata deve essere svolta personalmente dal dentista attraverso un colloquio approfondito atto ad instaurare un ideale rapporto tra sanitario e paziente. L’esame obiettivo è semplificato e si limita: • all’aspetto generale; • all’esame del capo e del collo; • alla registrazione dei parametri vitali in condi- zioni di riposo ritenuti necessari a fornire un termine di raffronto in caso di emergenza. La consulenza medica ed eventuali esami ematochimici possono servire per quantificare il rischio quando siano necessari interventi estesi in pazienti sintomatici o in situazione dubbia che presentino: • patologie con elevato rischio di complicazioni; • instabilità evidenziata da sintomi frequenti e recenti peggioramenti; • difficile controllo medico rappresentato da terapie multifarmacologiche, recenti aggiustamenti posologici e assenza di visite mediche recenti. La richiesta di consulenza medica deve specificare il motivo e le indicazioni richieste spiegando in particolare al medico il tipo di trattamento odontoiatrico proposto (entità del trauma operatorio e complicanze possibili) e la rinviabilità, l’urgenza e i trattamenti alternativi possibili. Gli esami ematochimici di interesse per il dentista sono una minima parte di quelli disponibili in medicina: • glicemia; • esami della coagulazione (PT, PTT, tempo di emorragia, conta piastrinica); • emocromo (conta eritrocitaria, emoglobina, ematocrito, conta e formula leucocitaria); • funzionalità epatica (transaminasi); • esami sierologici (HBsAg, anti-HBsAg, antiHCV, anti-HIV). CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO 173 ANAMNESI MEDICA (da sottoporre a tutti i pazienti) Nome e cognome___________________________ Data di nascita ______________________________________________________ Indirizzo________________________________________ Città _______________________________ Tel.________________________ Nome e indirizzo del medico curante______________________________________________________________________________ Risponda alle seguenti domande completando gli spazi dove richiesto; le risposte sono necessarie per la programmazione del trattamento terapeutico; in ottemperanza alla legislazione vigente sono confidenziali, riservate al nostro archivio e protette dal segreto professionale. Nel caso riscontri difficoltà nel compilare il questionario segnali il fatto al personale assistente o al dentista che provvederanno ad aiutarla. Gode attualmente di buona salute? SI NO Ha sofferto o soffre di una delle seguenti patologie? 1) Malattie del cuore SI NO 2) Malattie del sangue SI NO (anemia, leucemia, ecc.) 3) Malattie emorragiche SI NO 4) Ipertensione arteriosa SI NO 5) Malattie allergiche SI NO 6) Malattie del rene SI NO 7) Malattie dell’apparato digerente SI NO 8) Malattie polmonari SI NO Ha avuto malattie gravi, ricoveri ospedalieri, operazioni chirurgiche negli ultimi cinque anni? 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) Malattie del sistema nervoso SI NO Diabete SI NO Malattie della tiroide SI NO Epatite virale SI NO Epatite cronica (cirrosi) SI NO Infezione da HIV (AIDS) SI NO Allergia a farmaci SI NO Altre malattie non elencate SI NO Quali? _______________________________________ SI NO È allergico a farmaci Quali? ____________________________________________________ SI NO Sta assumendo farmaci? Quali? _____________________________________________________ SI NO SI NO È fumatore? SI NO È in gravidanza In che mese? _______________________________________________ Complicazioni nel corso della gravidanza? Quali? _____________________________________________________ SI NO SI NO Si sente nervoso o agitato per la visita odontoiatrica? SI NO Ha avuto complicanze in precedenti interventi chirurgici odontoiatrici? (emorragia, sanguinamenti, infezioni) Quali? _____________________________________________________ Motivo della visita odontoiatrica _________________________________________________________________________________ Le risposte fornite sono corrette in base alle mie attuali conoscenze; mi impegno ad informare l’odontoiatra tempestivamente nel caso si verificassero cambiamenti nel mio stato di salute. Data_______________________ Firma del paziente _____________________________________ Conclusioni (riservato all’odontoiatra) Patologia sistemica SI NO DUBBIO Rischio medico nel corso di terapia odontoiatrica SI NO DUBBIO Necessità di consulenza o esami medici SI NO Osservazioni: ____________________________________________________________________________________________________ Data_______________________ Firma dell’odontoiatra __________________________________ 174 MEDICINA LEGALE Dispositivi su misura L’adeguamento della legislazione nazionale alla direttiva 93/42 CE ha catalogato i manufatti protesici e ortodontici come dispositivi su misura, inserendo alcune definizioni e obblighi specifici per la professione odontoiatrica. L’odontotecnico assume la qualifica di fabbricante assumendone gli adempimenti previsti dalla normativa. L’odontoiatra è il responsabile degli aspetti progettuali e clinici e quindi, in particolare, della progettazione, della prescrizione e dell’adattamento dei manufatti. La circolare ministeriale 17/7/98 prevede che nella prescrizione debba essere riportato nome e cognome del paziente oppure il suo codice fiscale, senza comunicare al laboratorio patologie pregresse o attuali. Prevede inoltre che il dentista possa scegliere liberamente tra consegnare al pa- ziente una copia della dichiarazione di conformità del fabbricante alla direttiva 93/42 CE del tutto anonima, oppure consegnargli una propria certificazione attestante che il dispositivo su misura è stato fabbricato nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla direttiva, indicando i materiali adoperati. L’ANDI, accogliendo le indicazioni fornite dal gruppo di lavoro costituito per lo studio della direttiva 93/42, ha consigliato ai propri associati di utilizzare la seconda soluzione, proponendo alcuni moduli in grado di semplificare la compilazione sia della prescrizione sia della certificazione previste dal disposto legislativo. A questo proposito vale ricordare che non sono previste sanzioni per l’odontoiatra che esegua errore od ometta la compilazione della prescrizione e che non consegni la certificazione di conformità. DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ Io sottoscritto dott.______________________________________________________________________________________________ ATTESTO che la protesi del signor/ della signora ___________________________________________________________________________ , come da dichiarazione di conformità n. __________________________________ del laboratorio odontotecnico registrato presso il Ministero della Sanità con il n. __________________________________ , è stata fabbricata dal predetto laboratorio nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza e qualità di cui agli allegati I e VIII della direttiva 93/42 CE utilizzando i seguenti materiali: ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ La suddetta dichiarazione di conformità è conservata agli atti del mio studio ed è a disposizione dell’assistito per i prossimi cinque anni. Data_______________________ Firma del dentista ______________________________________ CAPITOLO 21 • LA MODULISTICA PER LO STUDIO ODONTOIATRICO 175 SCHEDA DI PRESCRIZIONE - ORTODONZIA Mittente Dentista N. iscrizione albo odontoiatri e/o medici ________________ Provincia in cui si è iscritti _____________________________ STUDIO Ragione sociale _______________________________________ Via __________________________________________________ Città _________________________________________________ Telefono _____________________________________________ Prescrizione e progettazione clinica n. __________________ Data _________________________________________________ Destinatario Laboratorio N. registrazione Ministero Sanità_______________________ Ragione sociale _______________________________________ Via __________________________________________________ Città _________________________________________________ Telefono _____________________________________________ Paziente (cognome e nome ovvero codice fiscale) _____________________________________________________ Sesso w M wF Età Bruxista w Sì w No Altri dispositivi presenti e loro materiali costitutivi _________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Particolari precauzioni da adottare nella fabbricazione _____________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Realizzazione del dispositivo ortodontico Tipo ____________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Progettazione ___________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Con inseriti i seguenti dispositivi w Molle w Archi w Viti w Ganci Ausili ortodontici rimovibili PIANO: w Masticante w Liscio w Altro COSTRUZIONE: w Come cera w Con arco facciale w Altro MATERIALI: w Caucciù w Vinilico AUSILIARI: w Gangi w Guide w Silicone w Altro w Altro ALTRO: _________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Materiali allegati w Modelli w Sup. w Inf. w Rif. Cefalom. w Bande w Arco facciale w Cera costruzione w Altro w Impronte w Sup. w Inf. Disinfettante: w Cera w Altro w Sì w No 176 MEDICINA LEGALE SCHEDA DI PRESCRIZIONE - PROTESI Mittente Dentista N. iscrizione albo odontoiatri e/o medici ________________ Provincia in cui si è iscritti _____________________________ STUDIO Ragione sociale _______________________________________ Via __________________________________________________ Città _________________________________________________ Telefono _____________________________________________ Destinatario Laboratorio N. registrazione Ministero Sanità_______________________ Ragione sociale _______________________________________ Via __________________________________________________ Città _________________________________________________ Telefono _____________________________________________ Prescrizione e progettazione clinica n. __________________ Data _________________________________________________ Paziente (cognome e nome ovvero codice fiscale) _____________________________________________________ Sesso w M wF Età Bruxista w Sì w No Altri dispositivi presenti e loro materiali costitutivi _________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Particolari precauzioni da adottare nella fabbricazione _____________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ Realizzazione del dispositivo medico su misura_____________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________ 18 17 16 15 14 13 12 11 21 22 23 24 25 26 27 28 48 47 46 45 44 43 42 41 31 32 33 34 35 36 37 38 Colore: Tipo di lega da utilizzare: w Oro w Palladiata forma del viso w▼ w Cr.Co w● w■ w Altro Materiali allegati w Foto w Diapositive w Impronte w Ceratura diagnostica w Modelli studio: w Sup. Rilevate in ______________________________ w Inf. Disinfettante: w Modelli già sviluppati w Sì w No Registrazioni occlusali w Cere w Siliconi w Resine w Gesso w Arco facciale w Registrazione pantografica 1° prova per________________ 4° prova per________________ Consegna per _________________________________________ 2° prova per________________ 5° prova per________________ 3° prova per________________ 6° prova per________________ Firma del dentista prescrittore CAPITOLO 22 LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE F. Montagna, M.L. Scarpelli, L.M. Daleffe L’assicurazione di responsabilità, al di là delle sigle convenzionali (RCT, RCA, RCP), nasce, sul piano socioeconomico, per coprire un danno all’integrità psicofisica, cioè un diritto assoluto e, per tale motivo, assistiamo al moltiplicarsi delle assicurazioni obbligatorie. In particolare le coperture di RC medicale sono quelle meno standardizzate e che più risentono della evoluzione giurisprudenziale compressa tra due esigenze contrapposte: la difesa del principio di responsabilità per colpa del sanitario e l’esigenza di tutela del leso con un sistema di assicurazio- ne sociale (cioè la volontà di indennizzare sempre la vittima dell’incidente terapeutico). È innegabile che nella prassi giudiziaria dell’ultimo ventennio si sia verificato un serio inasprimento della valutazione della responsabilità medicale e che la situazione non sia ormai troppo lontana dal sistema americano “no fault”, terminologia traducibile con i termini di “sine colpa” o colpa oggettiva. La crescita esponenziale dei sinistri che ha determinato nel mercato rapporti sinistri/premi del 300% ha collocato la RC medicale tra i rischi “sgraditi”. TECNICHE DI GESTIONE ASSICURATIVA DEL RISCHIO IN RCP MEDICA Politica di sottoscrizione Attraverso l’adeguamento del profilo tecnico e delle condizioni contrattuali di polizza: • Criterio di operatività della garanzia basato sulla definizione claims made con pregressa limitata e loss occurrency con postuma limitata per ridurre l’incidenza di sinistri tardivi • Riduzione della operatività delle polizze esistenti con esclusione o limitazione di garanzie (copertura di terzi, colpa professionale grave, facoltà di rivalsa sul responsabile) • Proposta di nuove polizze complementari per copertura delle esclusioni e limitazioni Profilo tariffario • • • • Storno delle polizze Aumento dei premi delle polizze Franchigia in aggregato per il risarcimento dei piccoli sinistri Premiazione e disincentivazione in relazione alla condotta (bonus-malus) Gestione del rischio sanitario Per risk management e loss prevention si intende l’assicurabilità concessa a seguito della analisi del rischio sanitario e della copertura economica necessaria, eseguita mediante: • Compilazione di una proposta-questionario • Sopralluoghi di esperti presso le strutture analizzando gli aspetti organizzativi, logistico-strutturali, tecnologici, gestione danni • Adozione di linee guida (consenso informato, cartella clinica e documentazione, metodologie di terapia) 178 MEDICINA LEGALE Sicuramente l’attuale situazione è insoddisfacente sia per l’assicurato, sia per l’assicuratore, sia per il danneggiato: le procedure giudiziarie per il danneggiato necessitano di tempi lunghi; non esiste una tutela della tranquillità e del buon nome del professionista; l’assicuratore rimane incerto sul risultato economico della lite, stante l’assoluta imprevedibilità dei criteri di giudizio. Nel capitolo “Epidemiologia del contenzioso” è stato, comunque, dimostrato che l’odontoiatria è in controtendenza nei confronti della medicina e ancora rappresenta per le compagnie una felice area di investimento, oltre che un mezzo per entrare nel mercato dei rami assicurativi collaterali. Appare, quindi, ingiustificato il timore della crescita esponenziale dei danni, timore che ha spinto le società assicuratrici a reagire estendendo, anche in ambito odontoiatrico, le tecniche di gestione del rischio medico. L’opinione di molte persone sulle assicurazioni è riassumibile in pochi punti. Non chiedete mai a un agente assicurativo se avete bisogno di una polizza, se le condizioni sono eque e il prezzo buono. La richiesta di pagamento del premio arriva sempre puntuale e completa, la liquidazione del danno solo qualche volta, ridotta e in ritardo. Le condizioni generali di polizza Tecnicamente, per sinistro si intende l’evento a cui le condizioni di polizza collegano l’obbligo della prestazione, trasferendo le conseguenze patrimoniali in capo all’assicuratore e lasciando indenne l’assicurato (manleva). Nel nostro caso, l’oggetto dell’assicurazione è costituito principalmente dall’attività di odontoiatra; ma, accanto ad essa, vanno previsti tutti i rischi complementari o comunque ricollegabili all’attività professionale, convenzionalmente definiti rischi aggiuntivi da RCT e RCO: proprietà e conduzione degli immobili, custodia, responsabilità civile verso i dipendenti, ecc. L’assicurabilità non implica, comunque, nella prassi assicurativa, una esatta coincidenza tra responsabilità e garanzie poiché normalmente la copertura non è generica ma ristretta a quelle conseguenze specificamente indicate nel contratto (polizza). I rischi esclusi, che più frequentemente limitano l’oggetto dell’assicurazione, si riferiscono alle richieste già presentate prima dell’inizio del periodo di assicurazione e alla responsabilità di garanzia che sarà analizzata di seguito in questo capitolo. Le condizioni, valide solo se espressamente richiamate, possono consistere in situazioni diverse, come ad esempio: • gli ampliamenti di garanzia per corresponsione di un sovrappremio (implantologia); • le limitazioni di garanzia a fronte di uno sconto sul premio nel caso di coesistenza di altre assicurazioni (clausola di secondo rischio, art. 1910 c.c.). Per quanto riguarda l’efficacia della copertura, il limite più importante è il massimale, poiché il sistema assicurativo prevede un limite di indennizzo massimo per sinistro e, quasi sempre, anche per anno. In tale senso è indispensabile scegliere massimali adeguati e la possibilità di reintegrazione, versando un sovrappremio, in caso di esaurimento del massimale assicurato per effetto di più sinistri nella stessa annualità. Le franchigie e gli scoperti hanno lo scopo di incentivare la diligenza del professionista, lasciando una parte del risarcimento, dalla quale l’assicuratore si affranca, a carico dell’assicurato; ma il meccanismo e, quindi, l’effetto sono diversi: la franchigia rappresenta una somma espressa in valore assoluto; lo scoperto è espresso in percentuale del risarcimento, normalmente con un minimo ed un massimo in cifra assoluta. Altre condizioni generali sono prevalentemente un richiamo della disciplina legale del contratto di assicurazione: diritto di recesso (artt. 1897, 1898 c.c.); il diritto di surrogazione (art. 1916 c.c.); l’arbitrato irrituale; l’assistenza legale in giudizio, ecc. Nella tabella 1 è riportato l’indice delle condizioni generali previste della polizza assicurativa dell’ANDI che attualmente rappresenta il prodotto assicurativo più completo ed evoluto in materia di RCP odontoiatrica. La denuncia di sinistro La denuncia di sinistro all’assicurazione deve rispettare alcune caratteristiche fondamentali: il termine di presentazione (entro i termini di prescrizione della manleva), la tempestività, la completezza, la sincerità. Il termine temporale di presentazione della de- CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE 179 Tab. 1 Le clausole inerenti alle condizioni generali della polizza nazionale ANDI per RCP odontoiatrica • • • • Dichiarazioni dell’assicurato, aggravamento e diminuzione del rischio Cessazione dell’assicurazione • Adesioni • Oggetto della responsabilità RCT • e RCO • Esemplificazioni e rischi aggiuntivi • Recesso in caso di sinistro • Premio minimo di convenzione • • • • • • • • • • Variazioni e comunicazioni • Interpretazione del contratto • Proroga della convenzione • e dei singoli certificati • Norme di legge • Coesistenza di altre assicurazioni • Massimali, scoperti e spese • Diritto di surrogazione Certificati, decorrenza, durata, proroga, forma di pagamento Premio annuo Partecipazione agli utili, controllo statistico Reintegro automatico delle somme assicurate Coassicurazione Foro competente nuncia è disciplinato dall’art. 1913 c.c. in 3 giorni; tuttavia tale periodo ha scarsa portata pratica, poiché il ritardo comporta conseguenze solo se determina maggiori oneri per l’assicuratore, generalmente improbabili. Termine perentorio è invece da considerarsi il disposto dell’art. 2952 c.c. che disciplina la prescrizione dell’assicurato verso l’assicuratore in un anno dal fatto: denunce inoltrate oltre tale termine annullano l’obbligo di manleva da parte della compagnia. Comunque per la RC, secondo concorde giurisprudenza, il termine “a quo” per la prescrizione della manleva (cioè il periodo di tempo dopo il quale decade l’obbligo dell’assicuratore a risarcire il danno in luogo dell’assicurato) viene considerato decorrere non dal fatto (sinistro), ma dalla costituzione in mora rappresentata dalla richiesta di risarcimento stragiudiziale o giudiziale pervenuta all’assicurato (solitamente una lettera del paziente o del legale che richiede i danni all’odontoiatra). Quanto detto non vuole suggerire atteggiamenti negligenti: una buona gestione del sinistro dipende anche dalla tempestività, così come dipende dalla completezza della denuncia che deve contenere tutti gli elementi rilevanti (i dati completi della controparte, gli elementi obiettivi conosciuti in ordine al danno, le valutazioni professionali in ordine alle cause). • Novero di terzi • Esclusioni • Inizio e termine di garanzia • • • • • • Limiti di indennizzo e scoperto Denuncia e altre comunicazioni di responsabilità Gestione del sinistro, arbitrato irrituale Nomina di legali e periti Ultimo requisito è la sincerità: il voler sostenere tesi non difendibili è inutile e dannoso in quanto crea confusione, allungando i tempi di valutazione e i costi del sinistro. Risultano, invece, prive di utilità le denunce cautelative eseguite dal professionista per segnalare una ipotetica, futura richiesta di danni da parte del paziente non ancora ufficialmente formulata: infatti, in ambito assicurativo, il sinistro viene perfezionato esclusivamente dalla costituzione in mora del paziente (art. 2952 c.c.). La responsabilità di garanzia Una domanda che viene spesso formulata dagli odontoiatri riguarda il rimborso del compenso percepito a fronte di una prestazione incongrua: spetta al professionista o all’assicurazione? Tale aspetto viene definito in ambito assicurativo come responsabilità di garanzia per l’inesatto inadempimento dell’obbligazione contrattuale; si ritiene normalmente che la restituzione dell’indebito inutilmente corrisposto dal paziente a fronte di una prestazione incongrua sia estranea alla copertura assicurativa RC. Il risvolto pratico di tale osservazione consiste nel fatto che, in ipotesi di danno al paziente, l’assicurazione è generalmente tenuta a rispondere solo dell’ammontare economico equivalente alla stima del danno biologico (lesione alla persona) e spese emergenti per cure tese a emendarlo; 180 MEDICINA LEGALE mentre pende sempre in capo al professionista la restituzione del corrispettivo, cifra che il medesimo è tenuto a mettere a disposizione per il risarcimento del danno (ripetizione dell’indebito per risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c.). Ne discende, logicamente, che nel caso il danno sia limitato alla sola spesa emergente per il rifacimento della prestazione incongrua, in assenza di danno biologico, è inutile sperare nella manleva assicurativa o convenire in causa l’assicurazione. Naturalmente il contratto potrebbe disporre anche diversamente, ma la tendenza in atto è quella di esplicitare l’esclusione o ritenerla sottintesa, piuttosto che concederne l’estensione che, comunque, è operativa solo se espressamente richiamata come condizione aggiuntiva. Questo, al di là di ogni considerazione etica, può apparire corretto anche sul piano tecnico, poiché rappresenta un incentivo alla diligenza come già segnalato per la franchigia e lo scoperto. L’efficacia temporale della polizza Sul piano del buonsenso la copertura assicurativa della polizza è valida per i sinistri che avvengono durante il periodo della sua operatività; questo era il criterio “naturale” pattiziamente previsto dalle polizze in passato; cioè il principio temporale logico di accadimento (loss occurency evenement), secondo il quale sono assicurati i sinistri avvenuti nel periodo di validità della polizza, in qualsiasi momento vengano denunciati. Particolarmente nella RCP medica si verifica che il principio della loss occurency presenta notevoli inconvenienti poiché, soprattutto in caso di cicli di cura successivi, non è sempre facile determinare il momento dell’accadimento e il danno può manifestarsi con notevole ritardo rispetto al periodo assicurato. Questa difficoltà di carattere medico-legale presenta inevitabili ricadute assicurative e giuridiche, in quanto se è difficile individuare il momento dell’accadimento è anche difficile individuare l’assicuratore impegnato, se questi nel tempo è variato o si sono stipulate nuove polizze con diverse compagnie. Si tratta del fenomeno dei cosiddetti sinistri tardivi, che presentano notevoli problemi per gli assicuratori, ma anche per assicurati e danneggiati, in quanto può lasciare alcuni sinistri privi di copertura finanziaria. In altre parole, il sinistro tardivo ha rappresentato nell’assicurazione della RC un fenomeno nuovo e così imponente da mettere in discussione la tradizionale disciplina temporale dell’accadimento. Si è, per tale motivo, giunti a sostituire la formula naturalistica loss occurency con quella convenzionale e artificiale di claims made con cui il sinistro è definito e perfezionato in base alla data di richiesta del risarcimento; si assicurano, cioè, non i sinistri accaduti nel corso del contratto, ma quelli denunciati in tale periodo anche se avvenuti anteriormente; per contro non sono assicurati i sinistri denunciati dopo la cessazione del contratto anche se avvenuti nel periodo di validità della polizza. Le norme previste dal codice civile in tema di prescrizione (art. 2952 c.c. 3° comma) contengono in sé il principio del sistema claims made, poiché stabiliscono per l’assicurazione di RC che la prescrizione e, quindi, il perfezionamento del sinistro avvenga con la richiesta del terzo danneggiato. Confrontando i sistemi possiamo schematizzare che: • nella loss occurency l’assicuratore si fa carico del presente e del futuro (denunce successive alla cessazione del rapporto); • nella claims made l’assicuratore si fa carico del passato e del presente ma non del futuro. Nello scegliere una polizza per il professionista, è un buon suggerimento utilizzare entrambe le possibilità unendo il sistema claims made ad una definizione pattizia di sinistro che lo concretizzi assicurativamente al momento della conoscenza di un errore che possa ragionevolmente far prevedere la copertura di future pretese risarcitorie. Tra i due opposti, assicurare tutto e restringere sino ad annullare l’efficacia temporale, sono state nel tempo proposte soluzioni e condizioni generali di polizza che hanno apportato infinite varianti, tra le quali ricordiamo: • limitazione della responsabilità pregressa a un numero esiguo di anni (solitamente 5); • concessione di una accettazione di denunce postume per un periodo più o meno ampio; • possibilità di tutela assicurativa postuma, dopo la cessione dell’attività, pagando un premio ridotto. Il controllo dell’efficacia temporale del contratto risulta determinante nella valutazione della qua- CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE 181 lità della copertura RC, quando si pensi, ad esempio, ad un ipotetico contratto che sommi negativamente gli aspetti restrittivi sull’efficacia temporale dello schema di loss occurency e di claims made: si assicurano cioè solo i sinistri accaduti e denunciati nel corso del contratto (presente), lasciando il professionista praticamente privo di tutela assicurativa sul passato e sul futuro. Un altro problema legato alla efficacia temporale della polizza può verificarsi quando l’assicurato cambi compagnia di assicurazione o cessi l’attività (morte, raggiunti limiti di età), poiché l’interruzione del rapporto assicurativo o la sua sostituzione può lasciare periodi scoperti tra le nuove e le vecchie polizze. Immaginiamo il caso di un dentista che cambi compagnia di assicurazione nel momento in cui sia a conoscenza di una possibile futura richiesta danni che non sia stata ancora formulata. In tale situazione, non ha valore giuridico la denuncia cautelativa per aprire il sinistro. Nel caso in cui successivamente la richiesta risarcitoria sia formulata, può verificarsi che: • la vecchia assicurazione non risponda poiché il contratto è terminato (inefficacia temporale postuma); • l’attuale, perché non preveda i sinistri avvenuti anteriormente (inefficacia temporale pregressa); • o semplicemente escluda i fatti già noti al momento della stipula (cause di esclusione). Per tale motivo si deve ottenere dal nuovo assicuratore un’estensione della copertura (pregressa o postuma assicurativa) che corrisponda il più possibile all’esposizione legale del professionista e tenda al termine ideale di 10 anni per la responsabilità contrattuale (peraltro difficilmente accettato dalle compagnie) per la copertura di risarcimenti futuri. con la polizza; il che significa che la compagnia assicurativa può adottare comportamenti diversi: • liquidare il danno di sua competenza e abbandonare in giudizio l’odontoiatra a sostenere i costi di difesa inerenti all’eventuale prosecuzione processuale che sia costretto o abbia interesse a compiere; • non liquidare il danno portando l’odontoiatra in giudizio contro la sua volontà, con un notevole pregiudizio di immagine e di prestigio e conseguenti ricadute economiche e morali non facilmente quantificabili. Per ovviare a queste situazioni, una polizza per RCP deve prevedere clausole che permettano all’assicurato di venire informato sulla gestione del sinistro e di avere la possibilità di intervenire quando si trovi in disaccordo; ciò, in pratica, significa che tempi, modalità, opportunità transattive non devono essere di esclusiva e incontrollata competenza della compagnia assicuratrice. • Obbligare la compagnia a proseguire la difesa al di là del proprio interesse, ossia la liquidazione del sinistro, prevedendo, nella polizza, la clausola di assistenza legale che permette di nominare un legale o un consulente di fiducia le cui spese siano a carico della compagnia assicuratrice. Con tale clausola aggiuntiva, inoltre, l’odontoiatra, ha la possibilità di essere informato e controllare la gestione della lite, cosa che in ipotesi diversa, regolarmente, non avviene. • Prevedere un arbitrato irrituale che obblighi la compagnia a definire il danno in via amichevole, nei casi in cui il sinistro di responsabilità professionale possa avere ricadute di immagine e di prestigio che superino come conseguenze economiche il valore del risarcimento RC. Il patto di gestione della lite e il conflitto di interessi Conclusioni Quando il sinistro non si risolve in una rapida e bonaria definizione e sfocia in un contenzioso giudiziario, nascono spesso conflitti di interessi tra assicurato ed assicuratore; inconvenienti che di solito le polizze non regolano in maniera soddisfacente nella tutela dell’assicurato. Innanzitutto, la difesa legale viene presa in carico dall’assicuratore fino a che ne ha interesse e ne è obbligata dal contratto assicurativo sottoscritto Esaminandole nel loro complesso, le polizze di responsabilità professionale presentano, allo stato attuale, un panorama eterogeneo e inadeguato alle esigenze della professione odontoiatrica in continua evoluzione: • mancanza di un modello univoco di contratto specifico per la responsabilità odontoiatrica; • presenza sul mercato assicurativo di proposte diverse, per lo più derivate da modifiche marginali di polizze generiche per responsabilità civile, o per responsabilità medica; 182 MEDICINA LEGALE CARATTERISTICHE IDEALI DI UNA POLIZZA DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE • Delimitazione del rischio Responsabilità contrattuale diretta Responsabilità contrattuale indiretta Responsabilità extracontrattuale Ampia delimitazione geografica Rischio postumo Rischio pregresso Copertura di tutte le attività cliniche eseguite con esplicito richiamo alle specializzazioni (implantologia, attività peritale, ecc.) Responsabilità per ausiliari e sanitari collaboratori nello svolgimento delle mansioni di loro competenza Tutela di danni derivanti dalla conduzione dello studio, attrezzature e impianti fissi (incidenti e infortuni di pazienti e personale dipendente) Estensione a tutte le sedi dell’attività (Italia, CEE, ecc.) Operatività sia nell’attività pubblica che privata Copertura per richieste di danni successive alla sospensione dell’attività dell’operatore (periodo ideale di 10 anni) Copertura per richieste di danni avvenuti in epoca precedente e non noti al momento della stipula della polizza (periodo ideale di 10 anni) • Franchigia, scoperto e massimale Massimale consigliato non inferiore a 1-1,5 miliardi di lire per sinistro e/o annualità Reintegro automatico del massimale dopo ogni sinistro Franchigia e scoperto di importo limitato (riducibili per mantenere il costo della polizza e aumentare il massimale) • Verifica periodica e durata La scadenza annuale è preferibile per introdurre clausole aderenti a nuove esigenze individuate (cessazione, riduzione, aggravamento del rischio); ridefinire i premi in relazione alla sinistrosità • Assistenza giudiziale e stragiudiziale Copertura legale e peritale stragiudiziale e giudiziaria in ambito sia civile che penale. Possibilità di scelta di propri periti e legali con costi a carico della compagnia • Diritti dell’assicurato Assenza di clausole onerose Velocità di liquidazione Reclamo e arbitrato • Obblighi dell’assicurato Denuncia del sinistro Collaborazione Salvataggio Facoltà di recesso dell’assicuratore non disciplinata Proroga del contratto in caso di mancata disdetta entro un determinato termine eccessivamente lungo Obblighi eccessivi per la denuncia di sinistro (ad esempio, un termine perentorio eccessivamente breve) Elezione foro competente lontano dalla residenza dell’assicurato (ad esempio, dove ha sede la compagnia) Esclusioni di particolari tipi di danni (ad esempio, l’estetico) Diritto di rivalsa in caso di colpa grave nei confronti di dipendenti Evitare la lentezza di liquidazione per garantire la soddisfazione dei danneggiati e la difesa del prestigio del professionista Prevedere procedure per la risoluzione di controversie e conflitti di interesse tra assicurato e assicuratore entro un tempo definito e con parametri di equità Denunciare il danno entro 3 giorni dal momento della conoscenza; oltre l’anno si perde il diritto alla manleva Eseguire una denuncia corretta ed esauriente fornendo i dati disponibili alla valutazione medico-legale Non esercitare azioni che pregiudichino la difesa dell’assicurazione (ammissioni di colpa) Diminuire o evitare il danno con l’uso della normale diligenza CAPITOLO 22 • LA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE • assenza di un criterio uniforme nel parametrare premi, massimali, franchigie e limitazioni di garanzia tra le diverse compagnie di assicurazione. Come abbiamo spiegato, il sinistro, anche quando risulta specificamente assicurato, raramente e comunque solo per aspetti marginali, ha una vita autonoma dalle previsioni contrattuali: sono le condizioni contrattuali della polizza che ne condizionano il percorso, il grado di ricaduta patrimoniale e morale sull’assicurato. Questa osservazione rafforza ancora di più i suggerimenti di attenzione e precauzione già formulati e l’odontoiatra deve verificare la qualità della propria polizza ed ottenere mediante l’inserimento di semplici correttivi una polizza più consona alle proprie necessità. 183 A tal riguardo è disponibile una polizza specifica per l’odontoiatra, stipulata dall’ANDI con una compagnia di primaria importanza ed elaborata dalla Commissione di Odontoiatria Legale e dalla Commissione Assicurazioni dell’Associazione. Tale polizza chiusa di categoria, riservata agli associati dell’ANDI, è controllata su base annuale e adeguata alle esigenze in continua evoluzione, attraverso un sistema di monitoraggio, da parte di un osservatorio statistico. Essa rappresenta, al momento attuale, il miglior prodotto assicurativo specifico per la RCP, per completezza e corrispondenza alle esigenze della libera professione odontoiatrica, sicuramente uno dei più validi contributi dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani quale servizio ai propri associati. CAPITOLO 23 CASISTICA F. Montagna Caso 1 Una paziente di 30 anni si rivolse ad un odontoiatra per la terapia di una malocclusione di seconda classe, aggravata dalla presenza di un canino incluso (1.3) e dall’assenza di spazio in arcata a seguito della mesializzazione dei denti contigui. L’ortodontista, consulente dello studio, redigeva un piano di lavoro che prevedeva l’estrazione del primo premolare (1.4), l’esecuzione di un opercolo, una terapia con apparecchiatura fissa per la disinclusione del canino e la correzione della malocclusione. La terapia chirurgica fu eseguita dall’odontoiatra titolare dello studio e il trattamento chirurgico dall’ortodontista. A due anni di distanza, il trattamento ortodontico non presentava miglioramento della posizione del canino e la paziente si rivolgeva a un altro odontoiatra che, posta diagnosi di anchilosi, procedeva all’estrazione del dente (1.3). Nel corso dell’intervento si staccava la parete ossea vestibolare da secondo premolare (1.5) a incisivo centrale (1.1) con perdita dell’incisivo laterale (1.2) e atrofia ossea del segmento alveolare. Considerata l’atrofia ossea residua, la paziente si sottoponeva, presso un istituto pubblico, a due interventi di rigenerazione ossea guidata con innesto di osso autologo (prelievo da cresta iliaca in anestesia generale), per operare nella zona una riabilitazione implantoprotesica dei tre denti mancanti (1.2, 1.3, 1.4). Le complicazioni infettive, verificatesi durante i decorsi post-operatori, portarono a un totale insuccesso e a un aggravamento dell’atrofia ossea settoriale sull’emimascellare destro. CAPITOLO 23 • CASISTICA 185 L’analisi medico-legale portò alla valutazione di responsabilità a carico soltanto di due dei sanitari intervenuti nel caso (ortodontista e odontoiatra che aveva estratto il canino incluso), escludendo il profilo di colpa a carico del titolare dello studio e dell’équipe dell’istituto pubblico. La responsabilità a carico dell’ortodontista fu individuata nella seguente condotta: • avere intrapreso la terapia di disinclusione di un dente in posizione sfavorevole (orizzontale), probabilmente già anchilosato (in relazione all’età della paziente), quindi certamente o molto verosimilmente irrecuperabile ab initio; • avere prescritto l’estrazione inutile di un dente in arcata (1.4) in assenza di consenso informato della paziente sull’elevato rischio di insuccesso prevedibile. La responsabilità dell’odontoiatra che aveva estratto il canino (1.3), causando la perdita dell’incisivo laterale (1.2), era dovuta all’impiego di una tecnica chirurgica scorretta, che consisteva in una manovra caratterizzata da forza eccessiva. La conseguente frattura della corticale vestibolare, in presenza di una situazione anatomica già indebolita dal precedente intervento di opercolizzazione (con osteoresezione palatina), rappresentava, quindi, una complicanza prevedibile e prevenibile con una corretta tecnica operatoria. Caso 2 Un paziente si rivolse ad un odontoiatra per l’estrazione di un molare mascellare (1.6) e un dente del giudizio (3.8) in disodontiasi. Nel corso dell’intervento si verificarono due diverse complicanze causa di postumi: • spinta della radice palatina del molare nel seno mascellare; frammento che veniva recuperato dal medesimo operatore nel corso della stessa seduta con intervento di revisione sinusale e successiva terapia farmacologica. A tale situazione residuava, comunque, una sinusite mascellare cronica sinistra che richiedeva un intervento di revisione mascellare secondo Caldwell-Luc; • lesione del nervo mandibolare con parestesia dell’emilabbro sinistro. L’analisi medico-legale escluse il profilo di colpa per la sinusite mascellare, considerata complicanza accidentale non prevedibile e/o prevenibile a fronte di una corretta tecnica operatoria e adeguata prescrizione di terapia farmacologica. La lesione neurologica del nervo mandibolare diede luogo a risarcimento in quanto, sebbene fosse stato ritenuto improbabile un errore di tecnica chirurgica, il paziente non era stato avvertito del rischio prevedibile in base ai rapporti di contiguità anatomica tra dente e nervo, evidenziati dalla ortopantomografia pre-operatoria. 186 MEDICINA LEGALE Caso 3 Un paziente parzialmente edentulo si rivolse ad un odontoiatra per l’esecuzione di una riabilitazione implantoprotesica all’arcata superiore, che consisteva in una griglia sottoperiostea fissata con viti orizzontali trasversali attraverso il processo alveolare. Il decorso veniva complicato da fistolizzazioni recidivanti ed esposizione della griglia, trattate, nell’arco di circa due anni dallo stesso operatore, con ripetuti interventi di curettaggio e sutura; in un caso con rimozione della griglia e riposizionamento dello stesso manufatto, dopo toilette chirurgica del sito implantare. La successiva rimozione presso una struttura ospedaliera evidenziava un riassorbimento pressoché totale del processo alveolare del mascellare superiore; situazione risolta mediante innesto di osso autologo da cresta iliaca e implantologia con cilindri cavi sommersi. CAPITOLO 23 • CASISTICA 187 Il profilo di responsabilità del professionista fu individuato non tanto sul tipo di tecnica utilizzata (impianto iuxtaosseo), considerata corretta in base alle indicazioni riportate in letteratura all’epoca dei fatti; quanto per l’imprudenza e la negligenza dell’operatore, il quale aveva mantenuto in situ un manufatto implantare che configurava un evidente fallimento clinico, perpetuando uno stato prolungato e continuo di infezione, dilazionando la rimozione che causava il grave riassorbimento osseo. Caso 4 Una paziente si sottopose a una complessa riabilitazione e, dopo avere eseguito alcuni controlli saltuari per due anni presso lo stesso odontoiatra, sospese le visite per circa tre anni. A distanza di 5 anni circa, dal momento dalla protesizzazione, si ripresentò dallo stesso odontoiatra lamentando: • decementazione del ponte mandibolare sinistro con distruzione cariosa del pilastro posteriore (3.7) e frattura del secondo premolare (3.5) pilastro anteriore; • frattura della saldatura tra gli elementi intermedi del ponte mandibolare destro con decementazione del segmento anteriore; • periodontite apicale a carico del secondo premolare (4.5) con cura canalare incongrua. Il profilo di responsabilità fu individuato, a carico del professionista, per l’insufficiente spessore delle saldature tra gli elementi intermedi del ponte destro. Invece, a incuria della paziente veniva attribuito il fallimento del ponte sinistro, posto in relazione alla mancanza di controlli periodici. Il danno, verosimilmente causato da una carie del pilastro distale (imputabile a scarsa igiene) con conseguente basculamento protratto nel tempo e frattura del pilastro mesiale, era, infatti, ritenuto prevenibile mediante l’esecuzione di visite di controllo periodiche. 188 MEDICINA LEGALE Caso 5 Una paziente si rivolse ad un odontoiatra per alcune cure conservative: • terapia canalare di un molare superiore destro (1.6), già precedentemente trattato e sintomatico; • frattura di un molare mandibolare sinistro (3.6) portatore di un precedente perno moncone. L’odontoiatra eseguiva le seguenti prestazioni: • rizectomia e protesi a ponte sul molare inferiore, utilizzando come pilastri la radice mesiale del 3.6 e il dente 3.7; • cura canalare e ricostruzione del dente 1.6 in attesa di guarigione. A breve distanza dal termine delle cure si verificavano alcune complicazioni: • il dente 1.6 si fratturava a distanza di circa un mese dal trattamento conservativo e veniva estratto da un altro professionista; • il ponte mandibolare destro doveva essere rimosso per una periodontite cronica riacutizzata a carico della radice mesiale del dente 3.6; lesione, peraltro, dimostrata preesistente al trattamento e della quale non era ancora avvenuta la completa guarigione prima della protesizzazione. La paziente, quindi, al termine del trattamento aveva perso ambedue i denti trattati a fronte della corresponsione di un cospicuo onorario al professionista. Il professionista fu riconosciuto responsabile per avere protesizzato una radice rizectomizzata (3.6) da ritenersi irrecuperabile in precedenza; ne conseguiva la sola restituzione della parcella. La frattura del dente 1.6 fu, invece, stimata evento accidentale, non prevedibile e non prevenibile a fronte di una corretta condotta terapeutica di attesa di guarigione dopo la terapia canalare, prima di procedere a protesizzazione. CAPITOLO 23 • CASISTICA 189 Caso 6 Una paziente di 9-10 anni iniziò un trattamento ortodontico fisso per una occlusione di seconda classe. Il trattamento veniva terminato all’età di 12 anni con un buon allineamento dentario e correzione di classe, ottenuta, peraltro, al limite delle indicazioni cefalometriche con una espansione trasversale e proinclinazione vestibolare della dentatura senza eseguire estrazioni in accordo con i genitori. All’età di 16 anni si presentava una recidiva di malocclusione con grave affollamento dentario nei settori anteriori. La valutazione medico-legale ritenne il trattamento effettuato accettabile entro la media professionale e sufficientemente documentato, escludendo una responsabilità del sanitario. La recidiva fu imputata ai fattori funzionali persistenti (deglutizione atipica), a una scarsa attitudine della paziente a sottoporsi a controlli successivi al termine della terapia (contenzione portata per un periodo ridotto, interruzione delle visite di controllo), infine a una crescita sfavorevole non prevedibile o prevenibile. 190 MEDICINA LEGALE Caso 7 Nel corso di un intervento di implantologia nel mascellare superiore (zona 2.6), progettato dall’odontoiatra senza procedure di incremento osseo, l’impianto veniva spinto nella cavità del seno mascellare e successivamente rimosso, previo trasferimento in ospedale, in anestesia generale. L’analisi medico-legale identificò una responsabilità professionale, poiché la tecnica di posizionamento non era indicata in assenza di una procedura di implantologia avanzata, cioè di un intervento di grande rialzo del seno mascellare da eseguirsi in uno o due tempi per quanto riguardava l’inserimento dell’impianto. Quel 4% degli odontoiatri che annualmente ha del contenzioso con i propri pazienti e coloro che hanno letto attentamente questo libro potrebbero essere presi da una sorta di scoramento pensando che nel 95% dei casi in giudizio verrà loro dato torto. Soprattutto pensando che niente è così facile come sembra e che se c’è la possibilità che una cosa vada male, sarà sicuramente proprio sulla persona su cui non si voleva. Inoltre, si ha la sensazione che, per quanto nascosta sia la pecca in lavoro, la natura riuscirà sempre a scovarla e possibilmente nel momento peggiore, a dispetto dell’impegno profuso. Per chi lavora in équipe, le cose non sembrano migliorare, visto che: “Errare humanum est”, dare la colpa a un altro lo è ancora di più, ma non sempre riesce. Voglio almeno in parte confortare chi ha questi dubbi, ricordando che il giudizio medico-legale o processuale rappresenta spesso una parvenza di verità; cioè una verità di carta che spesso ha poca o nulla attinenza con la realtà clinica e lo svolgimento dei fatti. A proposito, sapete qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista? L’ottimista crede di vivere nel migliore dei mondi possibili, il pessimista teme che sia vero. BIBLIOGRAFIA Medicina del lavoro ADA, The dental team and latex hypersensitivity, Council on Scientific Affairs, J. Am. Dent. Assoc., 130(2): 257-264, February 1999. ADA, When your patient asks about mercury in amalgam, JADA, 120:395-398, 1990. Ambrosi L., Foà V., Trattato di Medicina del lavoro, UTET, Torino 1996. Andorlini M., Dossier amalgama [allegato], Giornale odontognatologico, 19, 1999. Babich S., Burakoff R.P., Occupational hazards of dentistry. A review of literature from 1990, N.Y. State Dent. J., 63(8):26-31, October 1997. 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