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Pesci
Rostroraja alba (Lacépède, 1803)
sinonimo Raja alba (Lacepède, 1803)
regno animali
fam. Rajidae
Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini –
Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967.
Questa razza, che viene volgarmente chiamata razza bianca o razza gigante, ma
che non è la più grande del Mediterraneo, mostra caratteristiche abbastanza
distintive e particolari. Queste caratteristiche, però, non hanno impedito allo
scopritore di prendere il cosiddetto abbaglio, classificando due esemplari della
stessa specie come se fossero appartenuti a due specie diverse. Infatti Lacepède
classificò un esemplare giovane di Rostroraja alba, con il nome Raja marginata,
perché presentava una netta differenziazione cromatica rispetto all’adulto. Fu
Doderlein, nel 1881, a comprendere che Raja marginata altro non era che lo stadio
giovanile di Raja bramante, classificata da Sassi nel 1842. Doderlein ritenne anche
che Raja bramante fosse la forma mediterranea di Raja alba. Contemporaneamente
Moreau, un altro studioso, si accorse che gli esemplari di Raja bramante e Raja
alba erano identici e i nomi erano quindi sinonimi. Inoltre stabilì anche la priorità
del nome Raja alba su quello di Raja marginata, visto che era già stato appurato
che Raja marginata fosse una classificazione erronea. La classificazione finale
fu confermata da Clark nel 1926. Il genere Rostroraja, nel quale venne inserita
questa specie, fu introdotto da Hulley nel 1972.
Questa specie condivide il “muso lungo” con altre tre specie europee, ma con esse
condivide anche il disco rombico un po’ più largo che lungo. In questa specie il
disco è quasi una volta e mezza più largo che lungo. La parte posteriore affusolata
del corpo appare solitamente, ma non sempre, leggermente più corta della parte
anteriore del corpo (disco rombico).
Si tratta in pratica di un pesce piatto cartilagineo, con il corpo costituito da una
parte anteriore, con forma a rombo più largo che lungo, e da una parte posteriore
assottigliata e che termina molto affusolata. I margini anteriori del disco
rombico appaiono sinuosi, con rostro anteriore e centrale piuttosto prominente
e che termina appuntito, ma che si sviluppa quasi improvvisamente dal margine
anteriore, abbastanza largo, dell’animale. Le pinne pettorali che formano il disco
rombico hanno gli apici laterali che terminano formando un angolo acuto.
Gli occhi sono di media grandezza e gli spiracoli sono appena curvi o
vagamente ovali e situati posteriormente agli occhi. Nelle razze le aperture
branchiali sono cinque, ventrali, piccole e disposte a formare due serie oblique
situate posteriormente alla bocca. Le narici sono anch’esse ventrali, disposte
anteriormente alla bocca. Quest’ultima è di medie dimensioni e con curvatura
rivolta in avanti. All’interno di essa si trovano le mascelle che mostrano numerose
serie di dentini (da 40 a 48) molto piccoli e appuntiti. Al centro delle mascelle si
trovano un massimo di 6-8 dentini molto lunghi, con base allargata e aspetto a
forma di cono. I denti laterali sono invece smussati e con punte meno sviluppate.
In questa razza appare rettilineo o quasi il contorno dei canali di Lorenzini, posti
alla base delle pinne pettorali. I canali non mostrano o quasi ala, curva e punta.
La superficie dorsale della razza bianca appare liscia nei giovani esemplari, ma
non sulla parte affusolata posteriore del corpo e nell’area che sta intorno alle
orbite, dove sono presenti alcune spine. Infatti è presente 1 spina davanti e
talvolta anche 1 dietro gli occhi, mentre sono presenti tre serie di spine sulla
parte terminale del corpo (“coda”). Il numero di spine è compreso tra 10 e 16
nella serie dorsale, che raramente raggiunge le pinne dorsali, e tra 7 e 17 nelle
serie laterali.
Negli esemplari adulti sono invece sei le spine nel margine interno dell’orbita
e sembrano presenti piccole spine sulla punta acuminata del rostro. In questi
esemplari appare sempre una serie di spine medio dorsali, da 16 a 30, che si
sviluppa, dapprima lievemente, a partire da dietro agli occhi sino a gran parte
della parte affusolata posteriore del corpo dell’animale. Alcune delle spine
appaiono smussate o possono mancare. Oltre alla serie di spine dorsali, negli
adulti esistono anche due serie laterali di spine robuste e allungate, costituite da
17 a 29 elementi, relativamente distanziate e disposte irregolarmente. Una spina
si trova anche tra le due pinne dorsali.
Il lato ventrale è liscio nei giovani esemplari, ad eccezione della pelle della zona
preorale e di quella della metà superiore del margine anteriore del disco rombico.
Negli esemplari adulti la pelle è più o meno riccamente ricoperta di processi
spinulosi, ad eccezione di ampie aree che si trovano sulle pinne pettorali e,
sembra, sul muso.
In questa specie, come in altre specie di pesci simili, le pinne pettorali sono molto
ampie e vanno a formare il disco rombico dell’animale. Le pinne pelviche sono
parzialmente ricoperte da quelle pettorali e si mostrano bilobate.
Nei maschi possono mostrare anche pterigopodi (organi copulatori), molto
sviluppati e portati lungo la parte posteriore affusolata del corpo del pesce. Le
pinne dorsali sono piccole e simili, hanno apice largamente arrotondato e sono
portate all’estremità posteriore del corpo dell’animale. La pinna caudale è esile e
piccola.
La colorazione degli esemplari adulti appare grigio cenere o grigio bluastra,
cosparsa di piccole macchie biancastre più o meno abbondanti. Inferiormente la
colorazione appare biancastra o bianco grigiastra, ma comunque molto chiara e
senza pori nerastri.
I giovani sono bruno rossicci, sembra talvolta con macchie bluastre, e
ventralmente presentano ampie bande bruno grigiastre sul margine delle pinne
pettorali.
Gli esemplari più grandi appartenenti a questa specie sono stati descritti con
lunghezze superiori ai 2 metri. Sembra che le dimensioni massime registrate
nei maschi catturati abbiano raggiunto i 2,30 metri di lunghezza, mentre quelle
registrate per gli esemplari femminili abbiano superato di poco i 2 metri di
lunghezza. Le dimensioni degli esemplari catturati comunemente sono comunque
inferiori a quelle citate e comprese tra i 50-60 centimetri ed i 150 centimetri di
lunghezza.
Come altre razze, anche quella bianca vive sui fondali marini ed è tipica di fondi
sabbiosi e detritici che si trovano solitamente nelle acque relativamente prossime
alle coste, a partire da circa 40 metri di profondità e sino a circa 400 metri sotto il
livello del mare.
Qualche ricercatore (De Built) ritiene che questa specie abiti anche fondi rocciosi
e che sia addirittura prevalente in essi.
La specie è quindi considerata demersale ed è stata pescata talvolta anche
a maggiori profondità e sino a -500/-550 metri, ma non oltre questa quota
sottomarina.
I fondali che frequentano gli esemplari di questa specie andrebbero quindi
da quelli prossimi alla costa a quelli che si trovano al margine superiore della
scarpata continentale. Da un punto di vista ecologico la specie è stata poco
studiata, perché la sua vita si svolge a profondità poco esplorate dall’uomo.
La razza bianca è una specie ovipara e si riproduce quindi deponendo uova.
Da alcune stime, sembra che la lunghezza degli esemplari fertili si aggiri intorno
al metro e trenta per i maschi ed al metro e venti per le femmine.
Il periodo di estro per le femmine va da aprile a giugno. La gestazione invece ha
una durata piuttosto lunga e sembra prolungarsi per ben 15 mesi se non anche
sino a 18 mesi.
Questo pesce produce tra le 50 e le oltre 150 (156) capsule ovariche (uova)
all’anno. Le capsule sono oblunghe e sono quasi piatte da un lato, fortemente
convesse dall’altro e mostrano due coppie di appendici (Corna dalle punte) da
ogni lato e agli angoli della capsula. Due appendici sono lunghe e nastriformi
(appiattite), mentre altre due sono vagamente a forma di gancio. Le capsule
misurano da (130) 166 a 193 millimetri di lunghezza, escludendo le appendici,
e tra i (100) 130 ed i 150 millimetri di larghezza. Le uova sono deposte dalle
femmine, sembra a coppie, in primavera, sui fondali sabbiosi o fangosi. Secondo
Clark i piccoli, che si nutrono quindi esclusivamente del tuorlo contenuto
nell’uovo, misurerebbero alla nascita poco meno di 30 centimetri.
La capsula ovarica in questa specie ha dimensioni rilevanti e sarebbe talvolta più
larga che lunga, o frequentemente anche quadrata. Inoltre, lungo la sua superficie
vi sarebbero creste rilevate che correrebbero da un’estremità all’altra.
La razza bianca è carnivora, ma in quest’ambito abbastanza onnivora, e si nutre
di molti animali che trova sui fondali. Tra quelli che trova predilige comunque
pesci, molluschi cefalopodi e crostacei. Tra i pesci preda soprattutto quelli ossei,
ma anche quelli cartilaginei, e sembra anche nutrirsi di resti di pesci morti. Tra
i molluschi, questa razza sembra capace di attaccare e predare polpi e seppie,
mentre tra i crostacei dovrebbe nutrirsi di piccoli gamberetti, come quelli
appartenenti alla famiglia Mysidae o ad altre famiglie, e di granchi di specie
diverse.
Molti parassiti possono invece infastidire questa grossa razza ed in particolare
platelminti monogenei del genere Rajonchocotyle, tra i quali Rajonchocotyle alba,
e cestodi, come quelli della famiglia Acanthobothrium, e tra essi Acanthobothrium
rajaebatis.
Questa razza può essere parassitata anche da crostacei copepodi della specie
Trebius caudatus. L’areale attuale di questa specie, che è essenzialmente
Atlantico-Mediterraneo, è particolare perché si sviluppa a partire dai fondali che
si trovano lungo la costa meridionale dell’Irlanda, lambendo le coste occidentali
dell’Inghilterra e la Cornovaglia, e, scivolando lungo le coste occidentali della
Bretagna, raggiunge senza soluzione di continuità le coste sudafricane. Quindi
l’areale atlantico comprende alcune acque territoriali dell’Inghilterra (Regno
Unito) e le acque costiere (tutte o in parte) di Irlanda, Francia, Spagna e Canarie,
Portogallo, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal, Gambia, GuineaBissau, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa D’avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria,
Camerun, Guinea Equatoriale, Congo, Gabon, Angola, Namibia e Sudafrica.
Questa razza potrebbe essere presente anche in altri mari europei del nord, ma
non esiste una documentazione certa a provare questo dato potenziale o basato su
presunte osservazioni. Nel Golfo di Biscaglia e anche nel Mare d’Irlanda la specie
sarebbe stata presente ma oggi sarebbe estinta.
Nel Mediterraneo, questa razza è stata segnalata prevalentemente nel bacino
occidentale, lungo le coste africane di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia e lungo
quelle europee di Spagna, Francia e Corsica, paesi dell’ex Jugoslavia, Albania,
Malta, Grecia e Turchia. In Italia, intorno al 1950, sembra sia stata segnalata
lungo tutte le coste ancora come specie comune. Sempre in quella data, nel Mar
Adriatico Settentrionale erano segnalati solo esemplari giovani.
Per correttezza, va inoltre segnalato che esiste anche una ridotta parte dell’areale
di questa specie che “sfora” nell’Oceano Indiano e che comprende le coste
sudafricane e del Mozambico.
Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), questa
specie nel 2013 è stata definita in pericolo critico di estinzione. Precedentemente,
nel 2006, la stima era stata più favorevole, ma alla luce delle scarse catture
registrate nell’areale della specie, l’unione ha ritenuto di emettere una nuova e
più “drammatica” valutazione.
Non sembrano esistere dati relativi alle catture di razza bianca lungo le coste
africane, che nella valutazione globale dello stato della specie dovrebbero essere
valutati.
Nell’anno 2007, nel Regno Unito, questa specie è stata inserita nel Piano di
Azione per la Biodiversità di questo paese (BAP). L’inserimento di fatto non
origina nessuna forma di tutela per la specie, anche se definisce alcune linee
guida, utili per emanare una normativa europea di tutela di questi pesci. Le linee
prevedono di iniziare a rendere stabili le popolazioni laddove esistano aree di
rifugio, facilitando di seguito la migrazione degli animali “in eccesso” verso aree
dove le popolazioni sono depauperate o addirittura estinte.
In effetti, nel 2009, il Consiglio Europeo ha stabilito di proteggere la specie nelle
zone atlantiche CIEM VI, VIIa-c, VIIe-k, VIII e IX. Sulla base di questa norma,
i pescatori non possono catturare direttamente esemplari di questa specie e
se qualche razza bianca viene pescata accidentalmente, con le reti o con altri
attrezzi, deve essere obbligatoriamente rilasciata, anche sulla base del fatto che
i pesci cartilaginei, non avendo vescica natatoria, hanno maggiori possibilità di
sopravvivere dopo la liberazione.
Per il Mediterraneo esiste una raccomandazione emanata dalla FAO-SAC
(Sottocommissione per la Protezione dell’Ambiente e degli Ecosistemi). In questa
raccomandazione è chiesto agli stati di attuare un piano d’azione mediterraneo
per la gestione e la conservazione dei pesci cartilaginei. Questo piano appare
equivalente al piano internazionale emanato, sempre dalla FAO, per la gestione di
questi pesci in ambito internazionale e mondiale.
Di seguito al piano è stato attivato un progetto (MEDLEM) per il monitoraggio e la
raccolta dati relativi alle specie di grandi pesci cartilaginei presenti nel bacino del
Mar Mediterraneo.
Questi pesci sono elencati anche nell’appendice III della Convenzione di Berna,
che tutela le specie e gli ambienti naturali. Convenzione che prevede comunque
che gli stati si impegnino per tutelare la specie. In Italia, per questo motivo, è
stato attivato un piano di azione nazionale, chiamato PAN-SQUALI, che è stato
coordinato dall’ICRAM (attualmente ISPRA) che segue le linee guida indicate
proprio dalla precedente convenzione citata e dall’IPOA SHARK della FAO.
Negli allegati ASPIM, che derivano dalla Convenzione di Barcellona, la specie è
attualmente elencata nel III°, che prevede uno sfruttamento regolamentato della
risorsa ittica. Attualmente questa classificazione potrebbe essere insufficiente,
vista l’estrema rarità degli esemplari di razza bianca presenti nel Mediterraneo.
Anche Greenpeace, nel 2010, ha inserito la razza bianca nella sua lista rossa degli
animali catturati quasi sicuramente attraverso attività di pesca non sostenibili e il
cui commercio è libero e nemmeno regolamentato.
La pesca eccessiva è stata sicuramente la causa primaria che ha gravemente
danneggiato le popolazioni di questi pesci, impoverendole o addirittura
portandole all’estinzione in varie zone.
Per alcune aree geografiche del regno Unito vale ancora una norma generica
della quale può beneficiare anche la razza bianca. In Inghilterra e Galles, infatti,
non si possono sbarcare razze più corte di 40 centimetri. Esiste anche un totale
ammissibile di catture (TAC) che può in qualche modo favorire anche la razza
bianca, ma vista la sua rarità occorrerebbe attivare altre misure.
Questa grossa razza ha un tasso riproduttivo ridotto e comunque grandi
dimensioni. Inoltre le femmine producono relativamente poche uova, e queste
sono grosse e vulnerabili, proprio perché ben visibili e liberate su fondi sabbiosi,
dove possono esser facilmente predate o pescate.
Anche per questi motivi, dopo il sovrasfruttamento delle sue popolazioni
provocato da pesca eccessiva, le popolazioni fanno fatica a riprendersi e occorre
comunque molto tempo agli esemplari prima di raggiungere le dimensioni e le età
necessarie per riprodursi.
Soprattutto la pesca a strascico ha inciso sullo stato della specie. In ogni caso
questa razza sembra sia stata catturata anche con altre tecniche di pesca e
raramente anche da pescatori ricreativi.
Si tratta comunque di un pesce commestibile che poteva o meno essere apprezzato
nei diversi mercati ittici europei o africani. Per questo motivo anche il prezzo di
vendita variava notevolmente da zona a zona. Il più delle volte, comunque, veniva
indicato come un pesce di minor qualità rispetto a quelli più pregiati.
Storicamente la razza bianca era particolarmente consumata ed apprezzata in
Francia, ma la pesca nei tempi passati non aveva le potenzialità che ha raggiunto
soprattutto intorno al 1960. È in quel periodo che in regioni marine come il Mare
d’Irlanda ed il Golfo di Biscaglia si registra il grave declino delle popolazioni di
questi pesci, catturati assiduamente per anni. In quelle zone le popolazioni sono
state rapidamente distrutte perché erano localizzate e quindi facilmente prese di
mira. Sembra che anche al largo dell’Inghilterra la situazione sia gravissima per
questa specie.
Lungo le coste europee continentali la situazione sembrerebbe apparentemente
migliore. Alcuni studiosi sostengono però che i risultati dei monitoraggi relativi
alla razza bianca in questa zona non sarebbero corretti, perché conterrebbero
registrazioni nelle quali si sarebbe fatta confusione con altre specie di razze, come
la razza di Fuller (Leucoraja fullonica) e la razza rotonda (Leucoraja circularis).
Nel Mediterraneo non sarebbe esistita di fatto una pesca mirata a questa specie di
razza. In ogni caso a danneggiarla gravemente sarebbe stata la pesca a strascico.
Durante questo tipo di pesca, la razza bianca costituiva una delle tante catture
possibili della pesca multispecie.
A partire dal 1960-1970, la pesca a strascico ha continuato ad “arare” i fondali
sempre più in profondità, catturando pesci su vastissime aree della piattaforma
continentale e anche su fondali che si trovano nella parte superiore della
scarpata continentale. Nel Mar Adriatico la forte pressione di pesca, originata
anche dal fatto che in questo mare esistono flotte pescherecce di molti paesi,
ha sicuramente inciso negativamente sui gruppi di giovani esemplari di razza
bianca che erano segnalati in questo mare, soprattutto quando le maglie delle
reti a strascico sono state ridotte sino a due centimetri di lato per pescare pesce
di minori dimensioni. Alla nascita, infatti, i piccoli di questa specie hanno già
dimensioni particolarmente grandi e un corpo ampio. Sono quindi suscettibili
di essere pescati, così come le uova, che finiscono spesso nelle reti. Dati storici
indicano che in Adriatico, nel 1948, la razza bianca veniva catturata nel 4% delle
cale, durante l’attività di pesca a strascico effettuata su fondali profondi sino a
400 metri.
Gran parte di questi pesci venivano pescati lungo le coste di Tunisia e Marocco
e anche, ma accidentalmente, lungo le coste settentrionali del Mediterraneo.
Almeno fino al 1970 la specie veniva considerata una cattura relativamente
frequente anche in zone dove questo pesce poteva essere meno diffuso, come
lungo le coste della Francia (tra il 1950 ed il 1960) e nei mari italiani.
A: giovane esemplare visto ventralmente dove si notano le bande laterali scure; B: aspetto della bocca e
delle narici ventrali in questa specie; C: disegno schematico che mostra il contorno esterno dei canali di
Lorenzini – a) ala; b) curva; c) punta. In basso a destra il disegno di una capsula ovigera di razza bianca.
Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini –
Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967.
Esistono però una serie di dati contrastanti, relativi al Golfo del Leone, dove, tra
il 1957 ed il 1995, in una serie di quasi 1.400 cale, effettuate da pescherecci a
strascico tra le basse profondità costiere e gli 800 metri di profondità, non sono
mai stati catturati esemplari di questa specie.
Il progetto MEDITS sulle catture effettuate durante la pesca a strascico, che è
stato attivato a partire dal 1985 lungo le coste mediterranee, ha confermato che
la specie è ormai molto rara e ridotta ad una piccola percentuale della popolazione
originaria.
In Italia la specie potrebbe essere ormai quasi scomparsa, mentre in passato
(1960-1970) era di fatto considerata comune o almeno diffusa. L’ultima cattura
è stata registrata tra il 2000 ed il 2005 nel mare di Livorno, mentre alcune
segnalazioni sono relative al Canale di Sicilia.
La rarità di questa specie si registra anche lungo le coste africane del
Mediterraneo, dove un tempo la razza bianca era diffusa. La situazione quindi,
almeno in questo mare, è veramente critica.
Come si è accennato, i dati relativi a questi pesci nel Mediterraneo derivano da
due indagini distinte. La prime sono state attivate nel 1982 dal Gruppo di studiosi
italiani che fanno capo al Gruppo Nazionale per la Valutazione delle Risorse
Demersali (GRUND) e le seconde sono state previste dal progetto “MEDITS”, che ha
avuto inizio un po’ più tardi e precisamente nel 1985.
I dati di entrambe le indagini, relativi alle catture di razza bianca, sono molto
scarsi e in pratica questi pesci, nel periodo monitorato, sono comparsi in due o
tre levate (2,6%) ogni cento cale monitorate. Nell’Adriatico, secondo le analisi del
GRUND, i pesci sono comparsi nel periodo monitorato in una o due levate (1,7%)
ogni cento cale.
I dati del progetto MEDITS si riferiscono alla costa del Mediterraneo, dal Marocco
Occidentale al Mar Egeo. Grazie al progetto, sono stati effettuati sondaggi in
quattro settori, da occidente (coste marocchine, francesi e spagnole) ad oriente
(coste greche e turche), passando per area tirrenica ed area adriatico-ionica.
Le cale monitorate sono state effettuate da pochi metri sotto la superficie, sino
a 800 metri di profondità. I dati sono relativi ad oltre 6.000 cale, effettuate tra il
1994 ed il 1999.
I dati, per il periodo 1998-1999, indicano l’assenza di catture di esemplari di
questa specie nelle aree centrali e settentrionali del Mediterraneo, mentre, per le
aree meridionali del Mediterraneo, indicano una percentuale pari a 1,4% di cale
nelle quali è comparsa la razza bianca. Secondo alcuni studiosi, i dati potrebbero
essere falsati da errate classificazioni degli esemplari pescati, che possono essere
stati confusi con Dipturus oxyrhinchus e Leucoraja circularis.
Tra le ultime segnalazioni registrate, relative ad esemplari di questa specie, esiste
una cattura effettuata nel 2003 con reti a strascico nei pressi di Livorno. Per il
Mar Ionio esiste invece un dato relativo al 1997.
Quello che sembrano aver messo in luce i risultati del progetto MEDITS è il fatto
che l’areale mediterraneo della razza bianca si è probabilmente ridotto alla parte
occidentale e meridionale del bacino (coste marocchine, spagnole e francesi). In
ogni caso la specie sarebbe comunque molto rara e limitata alle coste francesi
occidentali, prossime al confine spagnolo.
Le tre specie di razze mediterranee a “muso lungo” che si possono confondere tra loro.
In alto la razza bianca (Rostroraja alba), al centro quella che può raggiungere le maggiori dimensioni ossia la
razza bavosa (Dipturus batis) e in basso la razza monaca (Dipturus oxyrinchus).
Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini –
Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967.
Anche nell’Atlantico la gran parte delle razze bianche superstiti possono finire per
diventare catture accessorie dei pescherecci che effettuano la pesca a strascico
finalizzata a catturare esemplari di specie diverse (pesca multispecie). Questo tipo
di pesca viene effettuata soprattutto al largo delle coste spagnoli e portoghesi.
Per questa zona marina, le informazioni sono piuttosto scarse e non danno chiare
indicazioni su quello che in effetti sembrerebbe il grave stato di questo pesce,
probabilmente già estinto nel Mare Celtico. Anche dagli sbarchi lungo le coste
francesi, si capisce che la specie è in grave sofferenza. A Concarneau, gli sbarchi
di questi pesci sono diminuiti di oltre il 99% dal 1965 al 2006. La pesca di questi
pesci in pratica non esiste più in Bretagna.
Vista la rarità della razza bianca in generale, la pesca diretta di questa specie
non ha più motivo di esistere, per l’esaurimento delle popolazioni localizzate,
ma a preoccupare è la pesca a strascico, citata prima, che al largo della Penisola
Iberica può incidere su popolazioni residue e ancora presenti lungo la costa
atlantica europea. A studiare gli elasmobranchi lungo questa costa esiste il CIEM
che ha indicato il drastico calo, a partire dal 1960, degli sbarchi di questi pesci,
soprattutto lungo le coste di Bretagna e del Golfo di Biscaglia.
La pesca di questi pesci è praticamente azzerata anche nel Mare di Irlanda e lungo
le coste meridionali del Regno Unito, dove non si registrano più nemmeno catture
accidentali e dove il pesce potrebbe essere scomparso.
Invece, lungo le coste della Penisola Iberica, la razza bianca fa ancora parte delle
catture della pesca a strascico e in Portogallo va a costituire lo 0,3% di tutte le
catture di razze e pesci simili.
Come sembrerebbe accaduto nei monitoraggi effettuati in Mediterraneo, anche in
questa zona il numero degli esemplari conteggiati durante il monitoraggio delle
catture della pesca a strascico potrebbe essere inesatto a causa della tendenza a
confondere gli esemplari di questa specie con quelli appartenenti a specie come
Leucoraja fullonica e Leucoraja circularis.
La razza bianca, quindi, pare particolarmente minacciata dagli attrezzi da pesca a
strascico in ogni stadio della vita. Si è visto che piccoli e addirittura uova possono
finire nelle reti, distruggendo intere nuove generazioni di pesci.
L’attività di pesca a strascico viene effettuata proprio sui fondali che
rappresentano l’habitat di questa specie. Non sempre inoltre i giovani e le uova
vengono rilasciati dai pescatori e comunque, in caso affermativo, possono aver
già subito traumi gravi. Inoltre, le uova, dopo essere rigettate in mare, potrebbero
essere divorate da predatori. Laddove opera la pesca a strascico, quindi, questa
specie è fortemente minacciata di estinzione.
Si è visto che questa specie si può confondere con altre simili come, Dipturus
oxyrinchus e Dipturus batis. Alcuni possono confonderla anche con Leucoraja
circularis e Leucoraja fullonica.
La razza monaca (Dipturus oxyrinchus) mostra un rostro molto allungato e
distintivo e quindi i margini anteriori del disco rombico appaiono arcuati, molto
di più di quelli della razza bianca. Vive a profondità elevate e il colore è marrone
violaceo.
La razza bavosa (Dipturus batis) ha il rostro più allungato della razza bianca e
quindi i margini anteriori del disco rombico appaiono abbastanza arcuati, più
di quelli della razza bianca. Il colore in questa specie è verdastro, con macchie
arrotondate e giallastre, e possono vedersi talvolta due ocelli, anche appena
accennati, sul dorso delle pettorali, più visibili in alcuni giovani. Il colore e più
scuro in genere di quello della razza bianca e i giovani hanno molti punti neri sul
ventre.
La razza di Fullon (Leucoraja fullonica) si può distinguere perché a differenza
della bianca mostra i margini anteriori rettilinei e non ondulati, ossia dalla punta
del rostro a quella dei lati delle pinne, che tra l’altro è arrotondata, si può tirare
una linea retta che segue il margine delle pinne stesse.
La razza rotonda (Leucoraja circularis) si distingue per il perimetro del disco
rombico, che di fatto è rotondeggiante. Si distingue anche per il bordo delle
pettorali arrotondato, che non presenta l’apice laterale.
La capsula ovigera della razza bianca, secondo alcuni studiosi, è simile a quella
della razza “bionda” Raja brachyura.
Attenzione la scheda potrebbe contenere lievi inesattezze o imprecisioni in quanto non è stata ancora
controllata da un esperto dello specifico gruppo sistematico cui appartiene la specie descritta.