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Pesci Rostroraja alba (Lacépède, 1803) sinonimo Raja alba (Lacepède, 1803) regno animali fam. Rajidae Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini – Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967. Questa razza, che viene volgarmente chiamata razza bianca o razza gigante, ma che non è la più grande del Mediterraneo, mostra caratteristiche abbastanza distintive e particolari. Queste caratteristiche, però, non hanno impedito allo scopritore di prendere il cosiddetto abbaglio, classificando due esemplari della stessa specie come se fossero appartenuti a due specie diverse. Infatti Lacepède classificò un esemplare giovane di Rostroraja alba, con il nome Raja marginata, perché presentava una netta differenziazione cromatica rispetto all’adulto. Fu Doderlein, nel 1881, a comprendere che Raja marginata altro non era che lo stadio giovanile di Raja bramante, classificata da Sassi nel 1842. Doderlein ritenne anche che Raja bramante fosse la forma mediterranea di Raja alba. Contemporaneamente Moreau, un altro studioso, si accorse che gli esemplari di Raja bramante e Raja alba erano identici e i nomi erano quindi sinonimi. Inoltre stabilì anche la priorità del nome Raja alba su quello di Raja marginata, visto che era già stato appurato che Raja marginata fosse una classificazione erronea. La classificazione finale fu confermata da Clark nel 1926. Il genere Rostroraja, nel quale venne inserita questa specie, fu introdotto da Hulley nel 1972. Questa specie condivide il “muso lungo” con altre tre specie europee, ma con esse condivide anche il disco rombico un po’ più largo che lungo. In questa specie il disco è quasi una volta e mezza più largo che lungo. La parte posteriore affusolata del corpo appare solitamente, ma non sempre, leggermente più corta della parte anteriore del corpo (disco rombico). Si tratta in pratica di un pesce piatto cartilagineo, con il corpo costituito da una parte anteriore, con forma a rombo più largo che lungo, e da una parte posteriore assottigliata e che termina molto affusolata. I margini anteriori del disco rombico appaiono sinuosi, con rostro anteriore e centrale piuttosto prominente e che termina appuntito, ma che si sviluppa quasi improvvisamente dal margine anteriore, abbastanza largo, dell’animale. Le pinne pettorali che formano il disco rombico hanno gli apici laterali che terminano formando un angolo acuto. Gli occhi sono di media grandezza e gli spiracoli sono appena curvi o vagamente ovali e situati posteriormente agli occhi. Nelle razze le aperture branchiali sono cinque, ventrali, piccole e disposte a formare due serie oblique situate posteriormente alla bocca. Le narici sono anch’esse ventrali, disposte anteriormente alla bocca. Quest’ultima è di medie dimensioni e con curvatura rivolta in avanti. All’interno di essa si trovano le mascelle che mostrano numerose serie di dentini (da 40 a 48) molto piccoli e appuntiti. Al centro delle mascelle si trovano un massimo di 6-8 dentini molto lunghi, con base allargata e aspetto a forma di cono. I denti laterali sono invece smussati e con punte meno sviluppate. In questa razza appare rettilineo o quasi il contorno dei canali di Lorenzini, posti alla base delle pinne pettorali. I canali non mostrano o quasi ala, curva e punta. La superficie dorsale della razza bianca appare liscia nei giovani esemplari, ma non sulla parte affusolata posteriore del corpo e nell’area che sta intorno alle orbite, dove sono presenti alcune spine. Infatti è presente 1 spina davanti e talvolta anche 1 dietro gli occhi, mentre sono presenti tre serie di spine sulla parte terminale del corpo (“coda”). Il numero di spine è compreso tra 10 e 16 nella serie dorsale, che raramente raggiunge le pinne dorsali, e tra 7 e 17 nelle serie laterali. Negli esemplari adulti sono invece sei le spine nel margine interno dell’orbita e sembrano presenti piccole spine sulla punta acuminata del rostro. In questi esemplari appare sempre una serie di spine medio dorsali, da 16 a 30, che si sviluppa, dapprima lievemente, a partire da dietro agli occhi sino a gran parte della parte affusolata posteriore del corpo dell’animale. Alcune delle spine appaiono smussate o possono mancare. Oltre alla serie di spine dorsali, negli adulti esistono anche due serie laterali di spine robuste e allungate, costituite da 17 a 29 elementi, relativamente distanziate e disposte irregolarmente. Una spina si trova anche tra le due pinne dorsali. Il lato ventrale è liscio nei giovani esemplari, ad eccezione della pelle della zona preorale e di quella della metà superiore del margine anteriore del disco rombico. Negli esemplari adulti la pelle è più o meno riccamente ricoperta di processi spinulosi, ad eccezione di ampie aree che si trovano sulle pinne pettorali e, sembra, sul muso. In questa specie, come in altre specie di pesci simili, le pinne pettorali sono molto ampie e vanno a formare il disco rombico dell’animale. Le pinne pelviche sono parzialmente ricoperte da quelle pettorali e si mostrano bilobate. Nei maschi possono mostrare anche pterigopodi (organi copulatori), molto sviluppati e portati lungo la parte posteriore affusolata del corpo del pesce. Le pinne dorsali sono piccole e simili, hanno apice largamente arrotondato e sono portate all’estremità posteriore del corpo dell’animale. La pinna caudale è esile e piccola. La colorazione degli esemplari adulti appare grigio cenere o grigio bluastra, cosparsa di piccole macchie biancastre più o meno abbondanti. Inferiormente la colorazione appare biancastra o bianco grigiastra, ma comunque molto chiara e senza pori nerastri. I giovani sono bruno rossicci, sembra talvolta con macchie bluastre, e ventralmente presentano ampie bande bruno grigiastre sul margine delle pinne pettorali. Gli esemplari più grandi appartenenti a questa specie sono stati descritti con lunghezze superiori ai 2 metri. Sembra che le dimensioni massime registrate nei maschi catturati abbiano raggiunto i 2,30 metri di lunghezza, mentre quelle registrate per gli esemplari femminili abbiano superato di poco i 2 metri di lunghezza. Le dimensioni degli esemplari catturati comunemente sono comunque inferiori a quelle citate e comprese tra i 50-60 centimetri ed i 150 centimetri di lunghezza. Come altre razze, anche quella bianca vive sui fondali marini ed è tipica di fondi sabbiosi e detritici che si trovano solitamente nelle acque relativamente prossime alle coste, a partire da circa 40 metri di profondità e sino a circa 400 metri sotto il livello del mare. Qualche ricercatore (De Built) ritiene che questa specie abiti anche fondi rocciosi e che sia addirittura prevalente in essi. La specie è quindi considerata demersale ed è stata pescata talvolta anche a maggiori profondità e sino a -500/-550 metri, ma non oltre questa quota sottomarina. I fondali che frequentano gli esemplari di questa specie andrebbero quindi da quelli prossimi alla costa a quelli che si trovano al margine superiore della scarpata continentale. Da un punto di vista ecologico la specie è stata poco studiata, perché la sua vita si svolge a profondità poco esplorate dall’uomo. La razza bianca è una specie ovipara e si riproduce quindi deponendo uova. Da alcune stime, sembra che la lunghezza degli esemplari fertili si aggiri intorno al metro e trenta per i maschi ed al metro e venti per le femmine. Il periodo di estro per le femmine va da aprile a giugno. La gestazione invece ha una durata piuttosto lunga e sembra prolungarsi per ben 15 mesi se non anche sino a 18 mesi. Questo pesce produce tra le 50 e le oltre 150 (156) capsule ovariche (uova) all’anno. Le capsule sono oblunghe e sono quasi piatte da un lato, fortemente convesse dall’altro e mostrano due coppie di appendici (Corna dalle punte) da ogni lato e agli angoli della capsula. Due appendici sono lunghe e nastriformi (appiattite), mentre altre due sono vagamente a forma di gancio. Le capsule misurano da (130) 166 a 193 millimetri di lunghezza, escludendo le appendici, e tra i (100) 130 ed i 150 millimetri di larghezza. Le uova sono deposte dalle femmine, sembra a coppie, in primavera, sui fondali sabbiosi o fangosi. Secondo Clark i piccoli, che si nutrono quindi esclusivamente del tuorlo contenuto nell’uovo, misurerebbero alla nascita poco meno di 30 centimetri. La capsula ovarica in questa specie ha dimensioni rilevanti e sarebbe talvolta più larga che lunga, o frequentemente anche quadrata. Inoltre, lungo la sua superficie vi sarebbero creste rilevate che correrebbero da un’estremità all’altra. La razza bianca è carnivora, ma in quest’ambito abbastanza onnivora, e si nutre di molti animali che trova sui fondali. Tra quelli che trova predilige comunque pesci, molluschi cefalopodi e crostacei. Tra i pesci preda soprattutto quelli ossei, ma anche quelli cartilaginei, e sembra anche nutrirsi di resti di pesci morti. Tra i molluschi, questa razza sembra capace di attaccare e predare polpi e seppie, mentre tra i crostacei dovrebbe nutrirsi di piccoli gamberetti, come quelli appartenenti alla famiglia Mysidae o ad altre famiglie, e di granchi di specie diverse. Molti parassiti possono invece infastidire questa grossa razza ed in particolare platelminti monogenei del genere Rajonchocotyle, tra i quali Rajonchocotyle alba, e cestodi, come quelli della famiglia Acanthobothrium, e tra essi Acanthobothrium rajaebatis. Questa razza può essere parassitata anche da crostacei copepodi della specie Trebius caudatus. L’areale attuale di questa specie, che è essenzialmente Atlantico-Mediterraneo, è particolare perché si sviluppa a partire dai fondali che si trovano lungo la costa meridionale dell’Irlanda, lambendo le coste occidentali dell’Inghilterra e la Cornovaglia, e, scivolando lungo le coste occidentali della Bretagna, raggiunge senza soluzione di continuità le coste sudafricane. Quindi l’areale atlantico comprende alcune acque territoriali dell’Inghilterra (Regno Unito) e le acque costiere (tutte o in parte) di Irlanda, Francia, Spagna e Canarie, Portogallo, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal, Gambia, GuineaBissau, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa D’avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Camerun, Guinea Equatoriale, Congo, Gabon, Angola, Namibia e Sudafrica. Questa razza potrebbe essere presente anche in altri mari europei del nord, ma non esiste una documentazione certa a provare questo dato potenziale o basato su presunte osservazioni. Nel Golfo di Biscaglia e anche nel Mare d’Irlanda la specie sarebbe stata presente ma oggi sarebbe estinta. Nel Mediterraneo, questa razza è stata segnalata prevalentemente nel bacino occidentale, lungo le coste africane di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia e lungo quelle europee di Spagna, Francia e Corsica, paesi dell’ex Jugoslavia, Albania, Malta, Grecia e Turchia. In Italia, intorno al 1950, sembra sia stata segnalata lungo tutte le coste ancora come specie comune. Sempre in quella data, nel Mar Adriatico Settentrionale erano segnalati solo esemplari giovani. Per correttezza, va inoltre segnalato che esiste anche una ridotta parte dell’areale di questa specie che “sfora” nell’Oceano Indiano e che comprende le coste sudafricane e del Mozambico. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), questa specie nel 2013 è stata definita in pericolo critico di estinzione. Precedentemente, nel 2006, la stima era stata più favorevole, ma alla luce delle scarse catture registrate nell’areale della specie, l’unione ha ritenuto di emettere una nuova e più “drammatica” valutazione. Non sembrano esistere dati relativi alle catture di razza bianca lungo le coste africane, che nella valutazione globale dello stato della specie dovrebbero essere valutati. Nell’anno 2007, nel Regno Unito, questa specie è stata inserita nel Piano di Azione per la Biodiversità di questo paese (BAP). L’inserimento di fatto non origina nessuna forma di tutela per la specie, anche se definisce alcune linee guida, utili per emanare una normativa europea di tutela di questi pesci. Le linee prevedono di iniziare a rendere stabili le popolazioni laddove esistano aree di rifugio, facilitando di seguito la migrazione degli animali “in eccesso” verso aree dove le popolazioni sono depauperate o addirittura estinte. In effetti, nel 2009, il Consiglio Europeo ha stabilito di proteggere la specie nelle zone atlantiche CIEM VI, VIIa-c, VIIe-k, VIII e IX. Sulla base di questa norma, i pescatori non possono catturare direttamente esemplari di questa specie e se qualche razza bianca viene pescata accidentalmente, con le reti o con altri attrezzi, deve essere obbligatoriamente rilasciata, anche sulla base del fatto che i pesci cartilaginei, non avendo vescica natatoria, hanno maggiori possibilità di sopravvivere dopo la liberazione. Per il Mediterraneo esiste una raccomandazione emanata dalla FAO-SAC (Sottocommissione per la Protezione dell’Ambiente e degli Ecosistemi). In questa raccomandazione è chiesto agli stati di attuare un piano d’azione mediterraneo per la gestione e la conservazione dei pesci cartilaginei. Questo piano appare equivalente al piano internazionale emanato, sempre dalla FAO, per la gestione di questi pesci in ambito internazionale e mondiale. Di seguito al piano è stato attivato un progetto (MEDLEM) per il monitoraggio e la raccolta dati relativi alle specie di grandi pesci cartilaginei presenti nel bacino del Mar Mediterraneo. Questi pesci sono elencati anche nell’appendice III della Convenzione di Berna, che tutela le specie e gli ambienti naturali. Convenzione che prevede comunque che gli stati si impegnino per tutelare la specie. In Italia, per questo motivo, è stato attivato un piano di azione nazionale, chiamato PAN-SQUALI, che è stato coordinato dall’ICRAM (attualmente ISPRA) che segue le linee guida indicate proprio dalla precedente convenzione citata e dall’IPOA SHARK della FAO. Negli allegati ASPIM, che derivano dalla Convenzione di Barcellona, la specie è attualmente elencata nel III°, che prevede uno sfruttamento regolamentato della risorsa ittica. Attualmente questa classificazione potrebbe essere insufficiente, vista l’estrema rarità degli esemplari di razza bianca presenti nel Mediterraneo. Anche Greenpeace, nel 2010, ha inserito la razza bianca nella sua lista rossa degli animali catturati quasi sicuramente attraverso attività di pesca non sostenibili e il cui commercio è libero e nemmeno regolamentato. La pesca eccessiva è stata sicuramente la causa primaria che ha gravemente danneggiato le popolazioni di questi pesci, impoverendole o addirittura portandole all’estinzione in varie zone. Per alcune aree geografiche del regno Unito vale ancora una norma generica della quale può beneficiare anche la razza bianca. In Inghilterra e Galles, infatti, non si possono sbarcare razze più corte di 40 centimetri. Esiste anche un totale ammissibile di catture (TAC) che può in qualche modo favorire anche la razza bianca, ma vista la sua rarità occorrerebbe attivare altre misure. Questa grossa razza ha un tasso riproduttivo ridotto e comunque grandi dimensioni. Inoltre le femmine producono relativamente poche uova, e queste sono grosse e vulnerabili, proprio perché ben visibili e liberate su fondi sabbiosi, dove possono esser facilmente predate o pescate. Anche per questi motivi, dopo il sovrasfruttamento delle sue popolazioni provocato da pesca eccessiva, le popolazioni fanno fatica a riprendersi e occorre comunque molto tempo agli esemplari prima di raggiungere le dimensioni e le età necessarie per riprodursi. Soprattutto la pesca a strascico ha inciso sullo stato della specie. In ogni caso questa razza sembra sia stata catturata anche con altre tecniche di pesca e raramente anche da pescatori ricreativi. Si tratta comunque di un pesce commestibile che poteva o meno essere apprezzato nei diversi mercati ittici europei o africani. Per questo motivo anche il prezzo di vendita variava notevolmente da zona a zona. Il più delle volte, comunque, veniva indicato come un pesce di minor qualità rispetto a quelli più pregiati. Storicamente la razza bianca era particolarmente consumata ed apprezzata in Francia, ma la pesca nei tempi passati non aveva le potenzialità che ha raggiunto soprattutto intorno al 1960. È in quel periodo che in regioni marine come il Mare d’Irlanda ed il Golfo di Biscaglia si registra il grave declino delle popolazioni di questi pesci, catturati assiduamente per anni. In quelle zone le popolazioni sono state rapidamente distrutte perché erano localizzate e quindi facilmente prese di mira. Sembra che anche al largo dell’Inghilterra la situazione sia gravissima per questa specie. Lungo le coste europee continentali la situazione sembrerebbe apparentemente migliore. Alcuni studiosi sostengono però che i risultati dei monitoraggi relativi alla razza bianca in questa zona non sarebbero corretti, perché conterrebbero registrazioni nelle quali si sarebbe fatta confusione con altre specie di razze, come la razza di Fuller (Leucoraja fullonica) e la razza rotonda (Leucoraja circularis). Nel Mediterraneo non sarebbe esistita di fatto una pesca mirata a questa specie di razza. In ogni caso a danneggiarla gravemente sarebbe stata la pesca a strascico. Durante questo tipo di pesca, la razza bianca costituiva una delle tante catture possibili della pesca multispecie. A partire dal 1960-1970, la pesca a strascico ha continuato ad “arare” i fondali sempre più in profondità, catturando pesci su vastissime aree della piattaforma continentale e anche su fondali che si trovano nella parte superiore della scarpata continentale. Nel Mar Adriatico la forte pressione di pesca, originata anche dal fatto che in questo mare esistono flotte pescherecce di molti paesi, ha sicuramente inciso negativamente sui gruppi di giovani esemplari di razza bianca che erano segnalati in questo mare, soprattutto quando le maglie delle reti a strascico sono state ridotte sino a due centimetri di lato per pescare pesce di minori dimensioni. Alla nascita, infatti, i piccoli di questa specie hanno già dimensioni particolarmente grandi e un corpo ampio. Sono quindi suscettibili di essere pescati, così come le uova, che finiscono spesso nelle reti. Dati storici indicano che in Adriatico, nel 1948, la razza bianca veniva catturata nel 4% delle cale, durante l’attività di pesca a strascico effettuata su fondali profondi sino a 400 metri. Gran parte di questi pesci venivano pescati lungo le coste di Tunisia e Marocco e anche, ma accidentalmente, lungo le coste settentrionali del Mediterraneo. Almeno fino al 1970 la specie veniva considerata una cattura relativamente frequente anche in zone dove questo pesce poteva essere meno diffuso, come lungo le coste della Francia (tra il 1950 ed il 1960) e nei mari italiani. A: giovane esemplare visto ventralmente dove si notano le bande laterali scure; B: aspetto della bocca e delle narici ventrali in questa specie; C: disegno schematico che mostra il contorno esterno dei canali di Lorenzini – a) ala; b) curva; c) punta. In basso a destra il disegno di una capsula ovigera di razza bianca. Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini – Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967. Esistono però una serie di dati contrastanti, relativi al Golfo del Leone, dove, tra il 1957 ed il 1995, in una serie di quasi 1.400 cale, effettuate da pescherecci a strascico tra le basse profondità costiere e gli 800 metri di profondità, non sono mai stati catturati esemplari di questa specie. Il progetto MEDITS sulle catture effettuate durante la pesca a strascico, che è stato attivato a partire dal 1985 lungo le coste mediterranee, ha confermato che la specie è ormai molto rara e ridotta ad una piccola percentuale della popolazione originaria. In Italia la specie potrebbe essere ormai quasi scomparsa, mentre in passato (1960-1970) era di fatto considerata comune o almeno diffusa. L’ultima cattura è stata registrata tra il 2000 ed il 2005 nel mare di Livorno, mentre alcune segnalazioni sono relative al Canale di Sicilia. La rarità di questa specie si registra anche lungo le coste africane del Mediterraneo, dove un tempo la razza bianca era diffusa. La situazione quindi, almeno in questo mare, è veramente critica. Come si è accennato, i dati relativi a questi pesci nel Mediterraneo derivano da due indagini distinte. La prime sono state attivate nel 1982 dal Gruppo di studiosi italiani che fanno capo al Gruppo Nazionale per la Valutazione delle Risorse Demersali (GRUND) e le seconde sono state previste dal progetto “MEDITS”, che ha avuto inizio un po’ più tardi e precisamente nel 1985. I dati di entrambe le indagini, relativi alle catture di razza bianca, sono molto scarsi e in pratica questi pesci, nel periodo monitorato, sono comparsi in due o tre levate (2,6%) ogni cento cale monitorate. Nell’Adriatico, secondo le analisi del GRUND, i pesci sono comparsi nel periodo monitorato in una o due levate (1,7%) ogni cento cale. I dati del progetto MEDITS si riferiscono alla costa del Mediterraneo, dal Marocco Occidentale al Mar Egeo. Grazie al progetto, sono stati effettuati sondaggi in quattro settori, da occidente (coste marocchine, francesi e spagnole) ad oriente (coste greche e turche), passando per area tirrenica ed area adriatico-ionica. Le cale monitorate sono state effettuate da pochi metri sotto la superficie, sino a 800 metri di profondità. I dati sono relativi ad oltre 6.000 cale, effettuate tra il 1994 ed il 1999. I dati, per il periodo 1998-1999, indicano l’assenza di catture di esemplari di questa specie nelle aree centrali e settentrionali del Mediterraneo, mentre, per le aree meridionali del Mediterraneo, indicano una percentuale pari a 1,4% di cale nelle quali è comparsa la razza bianca. Secondo alcuni studiosi, i dati potrebbero essere falsati da errate classificazioni degli esemplari pescati, che possono essere stati confusi con Dipturus oxyrhinchus e Leucoraja circularis. Tra le ultime segnalazioni registrate, relative ad esemplari di questa specie, esiste una cattura effettuata nel 2003 con reti a strascico nei pressi di Livorno. Per il Mar Ionio esiste invece un dato relativo al 1997. Quello che sembrano aver messo in luce i risultati del progetto MEDITS è il fatto che l’areale mediterraneo della razza bianca si è probabilmente ridotto alla parte occidentale e meridionale del bacino (coste marocchine, spagnole e francesi). In ogni caso la specie sarebbe comunque molto rara e limitata alle coste francesi occidentali, prossime al confine spagnolo. Le tre specie di razze mediterranee a “muso lungo” che si possono confondere tra loro. In alto la razza bianca (Rostroraja alba), al centro quella che può raggiungere le maggiori dimensioni ossia la razza bavosa (Dipturus batis) e in basso la razza monaca (Dipturus oxyrinchus). Fonte immagine Disegno originale contenuto in “Atlante dei pesci delle coste italiane”, di Giorgio Bini – Volume 1 – Mondo Sommerso Editrice 1967. Anche nell’Atlantico la gran parte delle razze bianche superstiti possono finire per diventare catture accessorie dei pescherecci che effettuano la pesca a strascico finalizzata a catturare esemplari di specie diverse (pesca multispecie). Questo tipo di pesca viene effettuata soprattutto al largo delle coste spagnoli e portoghesi. Per questa zona marina, le informazioni sono piuttosto scarse e non danno chiare indicazioni su quello che in effetti sembrerebbe il grave stato di questo pesce, probabilmente già estinto nel Mare Celtico. Anche dagli sbarchi lungo le coste francesi, si capisce che la specie è in grave sofferenza. A Concarneau, gli sbarchi di questi pesci sono diminuiti di oltre il 99% dal 1965 al 2006. La pesca di questi pesci in pratica non esiste più in Bretagna. Vista la rarità della razza bianca in generale, la pesca diretta di questa specie non ha più motivo di esistere, per l’esaurimento delle popolazioni localizzate, ma a preoccupare è la pesca a strascico, citata prima, che al largo della Penisola Iberica può incidere su popolazioni residue e ancora presenti lungo la costa atlantica europea. A studiare gli elasmobranchi lungo questa costa esiste il CIEM che ha indicato il drastico calo, a partire dal 1960, degli sbarchi di questi pesci, soprattutto lungo le coste di Bretagna e del Golfo di Biscaglia. La pesca di questi pesci è praticamente azzerata anche nel Mare di Irlanda e lungo le coste meridionali del Regno Unito, dove non si registrano più nemmeno catture accidentali e dove il pesce potrebbe essere scomparso. Invece, lungo le coste della Penisola Iberica, la razza bianca fa ancora parte delle catture della pesca a strascico e in Portogallo va a costituire lo 0,3% di tutte le catture di razze e pesci simili. Come sembrerebbe accaduto nei monitoraggi effettuati in Mediterraneo, anche in questa zona il numero degli esemplari conteggiati durante il monitoraggio delle catture della pesca a strascico potrebbe essere inesatto a causa della tendenza a confondere gli esemplari di questa specie con quelli appartenenti a specie come Leucoraja fullonica e Leucoraja circularis. La razza bianca, quindi, pare particolarmente minacciata dagli attrezzi da pesca a strascico in ogni stadio della vita. Si è visto che piccoli e addirittura uova possono finire nelle reti, distruggendo intere nuove generazioni di pesci. L’attività di pesca a strascico viene effettuata proprio sui fondali che rappresentano l’habitat di questa specie. Non sempre inoltre i giovani e le uova vengono rilasciati dai pescatori e comunque, in caso affermativo, possono aver già subito traumi gravi. Inoltre, le uova, dopo essere rigettate in mare, potrebbero essere divorate da predatori. Laddove opera la pesca a strascico, quindi, questa specie è fortemente minacciata di estinzione. Si è visto che questa specie si può confondere con altre simili come, Dipturus oxyrinchus e Dipturus batis. Alcuni possono confonderla anche con Leucoraja circularis e Leucoraja fullonica. La razza monaca (Dipturus oxyrinchus) mostra un rostro molto allungato e distintivo e quindi i margini anteriori del disco rombico appaiono arcuati, molto di più di quelli della razza bianca. Vive a profondità elevate e il colore è marrone violaceo. La razza bavosa (Dipturus batis) ha il rostro più allungato della razza bianca e quindi i margini anteriori del disco rombico appaiono abbastanza arcuati, più di quelli della razza bianca. Il colore in questa specie è verdastro, con macchie arrotondate e giallastre, e possono vedersi talvolta due ocelli, anche appena accennati, sul dorso delle pettorali, più visibili in alcuni giovani. Il colore e più scuro in genere di quello della razza bianca e i giovani hanno molti punti neri sul ventre. La razza di Fullon (Leucoraja fullonica) si può distinguere perché a differenza della bianca mostra i margini anteriori rettilinei e non ondulati, ossia dalla punta del rostro a quella dei lati delle pinne, che tra l’altro è arrotondata, si può tirare una linea retta che segue il margine delle pinne stesse. La razza rotonda (Leucoraja circularis) si distingue per il perimetro del disco rombico, che di fatto è rotondeggiante. Si distingue anche per il bordo delle pettorali arrotondato, che non presenta l’apice laterale. La capsula ovigera della razza bianca, secondo alcuni studiosi, è simile a quella della razza “bionda” Raja brachyura. Attenzione la scheda potrebbe contenere lievi inesattezze o imprecisioni in quanto non è stata ancora controllata da un esperto dello specifico gruppo sistematico cui appartiene la specie descritta.