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il tazebao
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13-11-2006
il tazebao
Giornale autogestito
ANNO 4 - NUMERO UNO
13-11-2006
Sommario
non c’è tre
senza quattro...
Casa internazio- 2
nale delle donne
Lara 3G
Commento al
3
Papa
Ferdinando 5A
Fatti e opinioni 4
David Braha
I dolori del gio- 5
vane Walter
Fabrizio 5A
Elementi di dia- 6
lettica comune
Alessandro 5A
“Iene” censurate 7
Ferdinando 5A
Dopo quattro anni, siamo ancora qua. I nostri
lettori più affezionati avranno sicuramente notato alcune differenze rispetto agli anni precedenti: veste grafica rinnovata, sistema di direzione cambiato (introducendo il ruolo del vicedirettore) e una redazione in continua evoluzione. Come ogni anno è importante ricordare
che il giornale è aperto a chiunque sia interessato a parteciparvi, nessuno escluso: abbiamo
voluto creare un giornale assolutamente libero da censure, dove chiunque possa scrivere
di qualsiasi cosa, o anche di niente (si ricordi
in proposito l’articolo dell’anno scorso del nostro compianto ex collega Matteo Salvarezza,
ora studente di Fisica, che pubblicò un puro
esercizio di stile assolutamente vuoto nei contenuti). Nel corso degli anni si è scelto di cambiare la forma organizzativa scegliendo di eleggere di anno in anno un direttore che si occupasse dell’organizzazione delle riunioni e
assicurasse uscite regolari. Questo sistema ha
portato i suoi frutti e “il Tazebao” l’anno scorso
(primo anno in cui si è eletto un direttore) ha
superato tutti i record come numero di uscite e
numero di pagine! Con la speranza di poter
ulteriormente superare gli attuali record abbiamo deciso quest’anno di introdurre la figura
del vicedirettore, in modo da garantire al giornale un forma sempre migliore e un’organizzazione più stabile.
È comunque per me un vanto poter affermare
che, nonostante questo nuovo sistema di organizzazione i miei timori non si sono verificati
e il giornale ha mantenuto, contrariamente a
quanto mi aspettassi, un carattere di assoluta
libertà di espressione (e ricordo a riguardo l’introduzione polemica ad un mio articolo dell’anno scorso causato da un alterco con l’attuale
ex direttore). Un altro importante cambiamento
è quello relativo al sito web del giornale
(www.iltazebao.altervista.org), su cui sono
inseriti regolarmente tutti i numeri del giornale,
prima ancora prima dell’uscita cartacea, che
speriamo diventerà un’importante archivio on
line (tutti gli articoli da me citati possono esse(Segue in ultima pagina)
Dizionario infor- 8
matico
Michele 5A
Il telecomando 9
Fabio 4F
A Matter of life 10
and death
Niccolò e
Fabrizio 5A
Who’s next
12
Teo 4F
Wolfmother
13
Marco 5G
Burocrazia uni- 14
ca via
Giulio 3D
Dylan Dog
15
Alessandro 5A
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Casa internazionale delle donne
tra storia e ideologia
La “Casa Internazionale delle Donne” si
trova a Roma, in via
della Lungara 19, occupa circa 1900 mq e
comprende: un ampio
cortile interno, un ristorante, una foresteria, un centro congressi, una biblioteca,
“Archivia”, una libreria, un “bioristoro”,
una bottega equosolidale e un ostello per donne. L`edificio, inoltre, ospita iniziative e incontri più o meno inerenti l’ambito femminile come ad esempio centri di consulenza psicologica e legale, presentazioni di libri, mostre, dibattiti e
corsi promossi da esperte del settore. La casa è gestita da circa quaranta associazioni composte unicamente da donne e la sua nascita ed evoluzione sono strettamente correlate ad esse. Per saperne di più ho chiesto di poter incontrare una delle “storiche” del posto; in
poco tempo ho ottenuto un appuntamento per il giorno
seguente. Donatella si presenta, ci sediamo in giardino e mi racconta a grandi linee la storia del luogo.
Nacque intorno al 1600 come primo reclusorio femminile carmelitano dello Stato della Chiesa, funzione che
manterrà per molti secoli fino a diventare con l’avvento
del regno d’Italia, un carcere statale amministrato da
suore. Nel 1895 il carcere si trasferì poco lontano, a
Regina Coeli. Nel 1983 le suore lasciarono l’edificio,
che verrà poi destinato “a finalità sociali, con particolare riguardo alla cittadinanza femminile (Casa della
donna, sede dei movimenti femministi)” (delibera n.
6325 del Comune di Roma) e assegnato, in parte, al
Centro Femminista Separatista costituito da dieci associazioni e gruppi che, in cambio di questa sede, lasciarono la casa delle donne di Via del Governo Vecchio (dove a breve si terrà una mostra a tema). Seguono anni di contrattazione con il Comune e, nel 2000, si ottiene l’approvazione finale del progetto. “È un
luogo aperto, libero, dove incontrarci” conclude Donatella. Mi chiedo cosa accomuni tante donne ed ho subito la mia risposta:”la coscienza femminista. Essa
parte dall’esperienza di un corpo sessuato, intriso di
relazioni che fa tutt’uno con il pensiero e il linguaggio”.
Donatella cita Tamara Pitch dal XII Simposio IAPH
(Associazione Internazionale delle Filosofe). ”In questa frase c’è tutto” mi fa notare, ”c’è il discorso della
concezione della sessualità della donna, che viene
messa in primo piano dal movimento femminista, c’è
l’aspetto del rapporto
con il proprio e l’altrui
sesso, e il discorso
“moderno” del linguaggio”. Linguaggio?
Donatella me ne parla: il lavoro va avanti
da molto e in vari paesi, quello che si sta
facendo è cercare di
rivedere alcune regole
grammaticali. Tra tutte, la piu` discussa è
quella che impone l’uso del plurale maschile per un
insieme di cose o gente nel quale ci sia anche una
sola cosa o persona maschile, poiché “chi non viene
nominato non esiste”. Mi viene in mente il presidente
Ciampi con il suo: ”cittadini e cittadine…”. A questo
punto passa un’altra delle donne storiche della casa,
che avvisa l’amica della fiaccolata del 14/10 contro le
violenze sessiste a causa dell’ennesimo stupro. Mi
stupisce che usi l’espressione “violenze sessiste” e
non sessuali, quindi mi spiega: ”il concetto di sessuale
è troppo bello, troppo importante per noi che non riesco ad accostarlo alla parola “violenza”. Lo stupro è un
crimine che non ha nulla di sessuale, è un crimine che
va contro le donne, le riporta alla concezione di
“corpo” contro la quale abbiamo combattuto per anni”.
Il concetto di sessualità è stato affrontato più volte durante questo incontro e degli anni ‘70 restano celebri
slogan come: “il corpo è mio e me lo gestisco io“ ma,
chiedo, perchè molto si basa su questo aspetto? “Il
controllo della sessualità femminile è alla radice della
separazione tra sfera privata e pubblica” come afferma
Tamara Pitch. “È quello che ci ha permesso di uscire
dal silenzio quando ci siamo “partorite da sole”, come
si diceva negli anni di fermento, ed è anche quello che
ci ha fatto capire che il solo movimento d’emancipazione, che puntava unicamente ad un’universalizzazione
dei diritti, non bastava per poter rendere universale la
società” conclude Donatella. “Bisogna muoversi ancora per arrivare ad una parità effettiva tra i sessi”. Oggi
come si presentano i movimenti femministi? ”Non sono morti, come ad alcuni piace sostenere, ma vengono percepiti più come rivoli sotterranei, non riescono
più ad emergere come negli anni ‘70. In quel periodo
abbiamo ottenuto svolte significative: l’abolizione del
delitto d’onore, la possibilità di abortire statalmente
assistite,ecc… e tutto questo basato sull’autocoscienza”. Adesso quali potrebbero essere delle conquiste
per le donne? ”Oggi la concezione del lavoro come
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identità è radicata in voi,ma il lavoro non ha ancora in
sé la concezione delle donne; si sentono ancora, durante colloqui, domande sul matrimonio o sui figli. C’è
un discorso positivo riguardo ai “bilanci di genere” che
stanno prendendo piede già in molte città come Aosta,
Genova e Modena. Potrebbero veramente offrire una
lettura diversa della gestione dei fondi destinati al pubblico. Prevedono infatti una ridistribuzione finanziaria e
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un’erogazione di risorse in base ai bisogni delle donne. Sarebbe potuto essere un buon traguardo anche il
referendum sulla fecondazione assistita che invece si
è rivelato un grande fallimento del femminismo italiano”.
Lara Vivian III G
Commento al discorso del Papa
all’Università Gregoriana
L’importanza di una vita unica e finita
Oggi, venerd’ 3 novembre, il Papa, nel discorso tenuto
alla pontificia università gregoriana, ha affermato, tra
le altre cose, che «il destino dell'uomo senza un riferimento a Dio non può che essere la desolazione dell'angoscia che conduce alla disperazione». Forse sarà
solo un opinione mia, ma, in
tutta franchezza, penso che se
non vuole essere tacciato di
pesante ipocrisia Benedetto XVI
(pron. icsvì) dovrebbe dichiararsi l'ultima persona in grado di
sapere come si sente un non
credente. Ovverosia quello che
mi chiedo è: come fa lui a sapere come si sente uno che non
crede a ciò cui lui ha dedicato la
sua esistenza? Casomai il papa
potrà sapere come si sentirebbe
lui se fosse privato di questa
certezza, o può parlare per il
cattolico tipo. Se l'avesse posta in questi termini avrebbe evitato una sommaria generalizzazione e avrebbe evitato di dare l'impressione di non aver mai
sentito parlare di Epicuro, ma dubito che avrebbe ottenuto lo stesso impatto mediatico.
Il papa sbaglia con il suo universalizzato finalismo. E'
possibile vivere serenamente con la convinzione che
in capo a cent'anni (massì, siamo pure ottimisti, la longevità sta aumentando rapidamente) saremo sicuri di
ritrovarci sotto terra/in un loculo/cremati/lasciati a
scheletrire da qualche parte. Io (e come me molti altri)
vedo la consapevolezza che il mio tempo è destinato a
finire e che un giorno uscirò di scena per sempre come qualcosa che renda prezioso e saporito il mio vivere, e in un certo qual modo sono anche lieto che sia
così. Perchè ne sono lieto? Certo non per masochismo o per tedio esistenziale. Io amo la vita e sono felice di come io sto conducendo la mia, ma l'idea di vivere per sempre mi scuote un po'. Se dopo la morte ci
fosse un'altra vita, allora alla lunga si trasformerebbe
in qualcosa di terribilmente tedioso, senza contare il
prosaico problema del sovraffollamento incredibile di
anime che ci sarebbe sulla terra. Vivere per sempre
sarebbe tedioso appunto perché sarebbe qualcosa di
orribilmente uguale a se stesso. Pensateci bene: osservare come i progetti da noi lasciati incompiuti in vita
sono terminati da altri potrebbe essere interessante,
seguire i propri discendenti dopo la propria morte potrebbe essere una esperienza stuzzicante, osservare
l'evoluzione della propria società può risultare stimolante,
chiacchierare con gente di vari
periodi storici e con i novelli defunti può essere costruttivo, ma
per quanto tempo ciò ci porterà
piacere? Cent'anni? Duecento
anni? Cinquecento anni? Mille
anni, addirittura? Ma questo
tempo è in confronto all'eternità
molto più piccolo di un granello
di sabbia a confronto con un
intera galassia. Cosa troveremmo di nostro interesse dopo
centomila anni, che cosa non ci
causerà una straziante nostalgia (sappiamo quanto chi
ha vissuto tanto ne soffra) quando saremo sopravvissuti ad una terra precipitata dentro un espansivo sole
oramai rosso? Come potremmo sopportare un eventuale trasloco dal nostro sistema solare ad un altro,
quando, dopo cinque miliardi, la razza umana si sarà
estinta o sarà diventata completamente irriconoscibile
e il sole si sarà spento? Oppure, come potremmo rimanere a nostri agio nel buio nulla dello spazio se ci
rifiutassimo di andarcene?Come potremmo evitare il
tedio di sgomitare in una folla di miliardi di miliardi di
persone che avremo avuto fin troppo tempo per conoscere e per, dopo miliardi di anni di forzata convivenza, ritenere insopportabile? L'unico modo per evitare
questo tedio immane è fermarsi a quei 70, 80, 90 anni
che speriamo la vita ci conceda. Oppure non ricordare
niente di quanto ci è successo prima, con la reincarnazione. Vista così, ecco che la vita eterna non è più tanto desiderabile.
Per quanto riguarda il valore della vita breve in quanto
tale, propongo solo un paragone: più una qualche cosa è rara, unica e in quantità limitata e più è preziosa.
Ferdinando Randisi V A
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I fatti sono fatti.
Le opinioni si discutono
Nonostante il conflitto, la vita continua
Cari redattori de “il Tazebao” e studenti del Righi,
a diversi mesi dall’ultima uscita di questo giornale scolastico, rispondo nuovamente ad un articolo di Federico Bobbio (“il Tazebao” anno 3 n. 5) che a sua volta
rispondeva ad una mia lettera sul tema del Sionismo
(“il Tazebao” anno 3 n. 4).
Prima di tutto ci tenevo a ringraziare Federico per le
sue “precisazioni” su ciò che ho scritto; ma chi voglio
ringraziare più di tutti è la persona misteriosa che ha
redatto per mano di Federico il suddetto articolo, in
quanto dubito fortemente che un ragazzo di secondo
liceo invece dei fumetti e dei libri che gli assegnano a
scuola va a cercarsi letture nella biblioteca dell’ONU.
Ciò premesso, cito la frase con la quale ho concluso il
mio ultimo pezzo: “E allora, cari lettori, […] riflettete su
un fatto: le opinioni sono e devono essere oggetto di
discussione. I fatti no”.
Già queste parole rispondono quindi al primo punto, in
cui Federico riporta il pensiero di Nathan Chofshi sulla
presunta violenza e crudeltà con la quale gli ebrei obbligarono gli arabi a lasciare le proprie case. Egli infatti
esprime una ben precisa opinione su determinati fatti,
e non una verità oggettiva. Ognuno di noi, come è normale che sia, ha le proprie idee e, quando può, le esprime. Invito quindi Federico e, naturalmente tutti i
lettori di questo giornale, ad analizzare i fatti storici e
non le interpretazioni che le persone (chiunque esse
siano) danno di questi.
Per rispondere al secondo punto, userò un procedimento che in matematica chiamano “dimostrazione
per assurdo”.
Federico scrive: “Il 15/5/48 gli Stati arabi entrarono in
conflitto con Israele per difendere i Palestinesi del territorio assegnato dall’O.N.U. agli arabi, senza mai entrare nel territorio dello Stato Ebraico”. Noi sappiamo
che Israele, dichiarandosi indipendente, ha preso il
controllo esclusivamente dei territori assegnatigli dall’U.N. . In altre parole, gli ebrei “non entrarono a casa
degli arabi”. Ma secondo le parole che ho appena citato, anche gli arabi “non sarebbero entrati in casa degli
ebrei”. Allora, se nessuno è entrato in casa dell’altro,
cosa si è combattuto a fare?!
Nelle parole di Federico vi è un’ulteriore imprecisione:
rileggendo quelle righe, egli parla di “Palestinesi”. Il
problema è che, a quell’epoca, i Palestinesi non esistevano. Fino ad appena venti anni prima (ai tempi
della Prima Guerra Mondiale), il Medio-Oriente era
controllato dall’Impero Ottomano, all’interno del quale
non erano mai esistite delle vere e proprie identità popolari o nazionali (per intenderci, un popolo libanese,
un popolo palestinese ecc…). Gli arabi che abitavano
la regione nel ’48 quindi non solo non erano un popolo, ma addirittura non si sentivano tali! Per quanto queste parole possano apparire paradossali, ciò è confermato dal fatto che essi non avevano una struttura amministrativa e/o dei leaders. La vera identità palestinese, che oggi rivendica la nascita di uno Stato indipendente (ci tengo a sottolineare che io sono più che favorevole alla nascita di uno Stato Palestinese, ma
questa è una mia opinione J), nacque a seguito della
guerra del 1967 grazie alla presenza di strutture come
l’OLP e al carisma di un personaggio come Yasser
Arafat.
Anche questa volta per problemi di “spazio editoriale”,
mi asterrò dal rispondere al terzo punto. Ci tengo piuttosto a parlare di un’altra cosa.
Come il mio caro amico Federico ed altre persone del
Righi sanno, io ho concluso il mio ciclo di studi in questa scuola appena tre mesi fa. A meno di un mese dalla fine della Maturità, sono andato in Israele, e più precisamente a Gerusalemme, per proseguire i miei studi
universitari. Vi scrivo questo non per raccontarvi la
storia della mia vita, ma per rendervi partecipi di ciò
che segue.
Vivendo da dentro una situazione delicata come questa, si capiscono molte cose in quanto le si vedono da
punti di vista completamente nuovi e diversi. Personalmente dentro l’università ho conosciuto numerosi ragazzi palestinesi, due dei quali si trovano in classe con
me, con cui ho legato in maniera stupenda e soprattutto serena. È per questo che mettersi a fare questo
ping-pong di articoli, ora che vivo sulla mia pelle tutto
ciò che succede, trovo che sia estremamente inutile e
banale. Lo trovo banale perché, di nuovo, non discutiamo opinioni ma fatti; lo trovo inutile perché, continuando così, non se ne uscirebbe mai fuori. Io sono
più che disposto a discutere (per esempio) su problemi come la legittimità della risoluzione O.N.U. che im-
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pose la spartizione dei territori fra ebrei ed arabi: quella è
una questione di posizioni in
quanto uno può essere d’accordo o meno; non sono invece disposto a discutere su
invenzioni e falsità degne di
un libro di fantasia che certa
gente, o certe fonti, spacciano per vere. A questo punto il
confronto perderebbe di significato in quanto si discuterebbe, come si dice, di “aria
fritta”.
Dovete inoltre sapere che un buon 80% di quello che i
mass media riportano (lo stato di guerra totale, continuo e distruttivo; scontri, combattimenti, morti, feriti
ecc…), non corrisponde a verità. A Gerusalemme, come nella maggior parte degli altri luoghi, la vita prosegue serenamente tanto quanto da voi a Roma. Purtroppo, i giornali non fanno gli interessi delle parti in
causa ma fanno solo ed unicamente i propri: narrare in
maniera eccessiva storie di sangue, violenza e morte
procura più “audience” e comporta vendite maggiori;
se tutto va liscio invece, la gente non è interessata. Ed
è per questo che vengono fin troppo spesso tralascia-
te immagini come quelle che
potete vedere in questa pagina (soldati israeliani che
giocano a calcio e che
scherzano serenamente con
bambini palestinesi). In fin
dei conti gente, tutto quello
che io e voi, così come la
stragrande maggioranza di
israeliani e di palestinesi desideriamo è una sola cosa:
la pace. Ma il cammino per
raggiungerla non è di certo
semplice, anzi…
Ma un ottimo passo per aiutare questi due popoli a
raggiungerla è smetterla di raccontare bugie, guardare
ai fatti così come sono e, se necessario discutere le
opinioni. È per questo che invito tutti voi lettori, e naturalmente anche Federico, a credere solo ed unicamente a quello che vedete con i vostri occhi, e non a
quello che vi raccontano.
David Braha, ex studente del Righi
(5H 05-06), ora studente alla Hebrew University of
Jerusalem
RACCONTO
I dolori del giovane Walter
Dopo l’ora d’educazione fisica
Walter, tornando in classe avverte che qualcosa non va:
il suo intestino sta borbottando
come una caffettiera.
Con la fronte imperlata di fredde
gocce di sudore corre verso un
bidello per chiedere un soffice,
candido, vellutato rotolo di carta
igienica.
Utilizzando tutta la gentilezza
che la sua condizione fisica consenta si rivolge all’uomo seduto
sulla sedia che sta contando assorto una miriade di gessetti contenuti in una scatola.
In risposta all’accorata supplica
del ragazzo il collaboratore scolastico dapprima impreca contro il ragazzo che gli ha fatto perdere il conto e
poi gli porge distrattamente un foglio di carta.
- Non hai qualcosa di meglio?- chiede il giovane le cui
gambe incominciano piegarsi dal dolore.
- Non hai capito! Questo è il modulo 32/b per la richiesta di materiale extra-curricolare. Va compilato e portato giù in segreteria.La risposta dell’uomo produce sul volto dello sventurato una smorfia degna dei migliori film di Fantozzi, e
presa una penna incomincia a riempire il modulo.
Superato quest’odioso ostacolo l’alunno si dirige tra-
felato verso le scale:
Ogni passo fatto è un sussulto,
ogni gradino sceso è un’ impresa.
Scese le scale, Marco corre in la
segreteria e consegna un modulo
pieno di “orrori” grammaticali,
reso umido dal sudore della mano che trema per la sofferenza,
mentre le gambe si contorcono
con le movenze di un twist anni
’60 per contenere l’ospite indesiderato.
Ormai sente che la meta agognata è vicina, nella sua mente
riesce quasi a palpare la soddisfazione che proverà fra qualche
minuto.
Con le ultime forze rimaste si dirige verso il bagno che
si trova dalla parte opposta del corridoio: il dolore è
insopportabile.
Giunto davanti alla porta degli igienici la sua speranza
naufraga alla lettura di un mesto cartello
attaccato alla porta:
FUORI SERVIZIO.
Fabrizio Vitale V A
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Elementi di dialettica comune
“Non vorrei mai morire per le mie idee, assieme a noi, vediamo il prossimo come un ostacolo
perché potrebbero essere sbagliate.” all’affermazione delle nostre idee, contrapposte senza
Bertrand Russell possibilità di cambiamento, quasi a livello esistenziale.
Ma sappiamo che tutti quelli che hanno improntato la
Dal momento che, nella scuola e nella città, assistia- vita a questa contrapposizione, in genere, ce l’hanno
mo spesso all’emersione di ideali diversi dai nostri, rimessa.
bisognerà in primo luogo capire come avvengono e Spero quindi di dire una cosa universale, quando afcome si regolano gli scambi di idee tra persone civili. fermo che il rispetto per la persona viene a priori delle
Quasi mai, e questo è sotto gli occhi di tutti, si riesce a sue idee.
mantenere un dialogo costruttivo: si finisce in caciara,
ovvero a un continuo urlarsi addosso dove ognuno La conoscenza è il fine
rimane sulle proprie posizioni irremovibili, dettate dalle Quali sono allora i metodi e i fini del dibattito tra idee?
ideologie, se non addirittura qualche volta si passa alle Ricordiamo sempre che non siamo solo noi a scegliemani.
re come discutere, ma anche i nostri interlocutori. Un
È positivo un dibattito del genere? Arricchisce l’ascol- pericolo si presenta spesso quando abbiamo a che
tatore, oltre a sostenere le parti in causa? Garantisce fare con interlocutori politici, che mirano unicamente a
lo scambio sereno e libero di idee? Permette a chiun- confutare le idee altrui. Ed è una trappola in cui si rique di esprimere la propria opinione? No.
schia di cadere: anche il più bravo e rispettoso comunicatore, se provocato, spesso risponde all’offesa, prePrima delle idee viene la persona
cipitando al basso livello di chi provoca. E questo è
In questi casi l’ideologia costituisce un fattore negati- solo un esempio di tattica di chi cerca intenzionalmenvo, a partire dal rapporto con l’interlocutore che ci si te lo scontro. Di fronte a ciò bisogna mantenere l’intentrova davanti. Se uno sa di parzione di comunicare realmente
lare con qualcuno di idee connon soltanto attraverso la forma,
trapposte, per pregiudizio si poma denunciandolo esplicitamenne su un rapporto di opposiziote; mettere a nudo le intenzioni
ne al proprio interlocutore che
conflittuali per esprimere la voautomaticamente diventa un
glia di costruzione.
alieno, la personificazione del
Finora si è detto di quanto il dinemico che bisogna combattere
battito serva al progresso di ene sconfiggere. Personalmente lo
trambe le parti; ma magari qualtrovo un sistema ripugnante,
cuno, all’uso reiterato e nauseperché è lampante che non poante di questa parola progresso,
trà mai portare a un progresso
si sta un attimo confondendo. E
ma sarà soltanto fonte di una
ha ragione: con il termine proparalisi delle idee e dell’agire. Al
gresso le teorie deterministe e
contrario, quando si incontra
positiviste hanno giustificato nelqualcuno con una concezione
la società e nella storia i più ordel mondo diversa dalla nostra,
rendi crimini: classismo, liberibisognerebbe come prima cosa
smo, eugenetica, razzismo, e
ascoltarlo e capire da dove napiù in generale un processo di
scono le sue idee. E questo
disumanizzazione collettiva.
semplicemente perché può alSe po’ dì ‘na cosa? Un dibattito
largare i nostri orizzonti, farci
non deve per forza portare al
conoscere una visione diversa dalla nostra che non è progresso delle parti (vedi al capitolo tesi, antitesi, andetto sia tanto lontana. Ma sarebbe proficuo tentare di nullamento di entrambe → sintesi). Anzi, il progresso
cogliere i punti che ci accomunano prima di quelli che non dovrebbe neppure esserne il fine. Il fine di un diaci dividono, per sviluppare una riflessione se non co- logo infatti è la conoscenza. Poi dalla conoscenza demune almeno in contatto; e questa sarebbe già una riverà un’evoluzione, e da questa un progresso. Ma
scelta totalmente controcorrente rispetto alla cultura non è così scontato come sembra.
politica che impone di vedere tra tutti noi quello che ci Quando incontriamo idee diverse, per forza queste
distingue prima di quello che ci accomuna.
mettono in crisi le idee che avevamo precedentemenProprio questa distorsione crea una visione del prossi- te. O si scontrano due ipotesi, e si genera una conmo non come un nostro simile bensì come un nostro traddizione che deriva dalla differenza dei principi ideavversario: e così, invece di considerare che si ha a ali, oppure si introduce una riflessione che magari non
che fare con persone come noi, magari diverse in atto è stata affrontata, o lo è stata in modo diverso, e quema uguali nelle potenzialità, che non sono dei graniti sto sicuramente porta a una diversa visione delle coimmobili ma possono evolversi, riflettere e cambiare se. Se poi si vuole pensare a quello che ci viene detto,
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si vuole capire profondamente l’impulso che ci viene
dato, questo per forza genererà un cambiamento e
magari un miglioramento. Altrimenti no, mi spiace tanto.
Per questo dico che una discussione può anche non
portare a niente: perché l’impatto sulla persona e sugli
ascoltatori non è così immediato come sembra dalla
dialettica politica. Se vogliamo fare in quel modo, allora non importa cosa dirà l’altro, tanto noi appena avremo capito qual è il tema della discussione staremo a
pensare una risposta da dire subito, indifferentemente
da cosa si è detto prima, per non farci sembrare dubbiosi, aperti e magari persino autocritici: efferati crimini
in una democrazia parlamentare.
Perciò, non vergogniamoci di cambiare idea, di mantenere sempre delle riserve su quello che si dice, di considerare le proprie idee legate a una nostra visione
della realtà e non a una verità oggettiva. Il grande Bertrand Russell citato in apertura è un vero esempio:
scriveva delle sue idee, ma non le imponeva a nessun
altro. Argomentava, non urlava. Se incontrava qualcuno dalle idee diverse, cercava di mettere in comune la
riflessione, piuttosto che confutare qualsiasi argomentazione altrui.
E così, secondo la mia costruzione mentale, bisognerebbe facessimo anche noi: nelle assemblee come per
strada, nei corridoi e in cortile, al bar e allo stadio. Dovunque, c’è bisogno di un nuovo modo di discutere.
Libero dalle ideologie, dalle culture della conflittualità,
volto al rispetto e alla conoscenza reciproca.
Sto parlando di utopia? Beh, è proprio questo il bello!
Lo scorso 10 ottobre la nuova stagione delle iene doveva iniziare
con un servizio-bomba: 16 parlamentari su 50 risultano positivi ad
un ufficioso controllo antidroga. Il
test (denominato drug wipe, o
tampone frontale) rivela l'uso di
sostanze stupefacenti nelle ultime
36 ore, ed è stato somministrato ai
parlamentari a loro insaputa da
una presunta troupe di una televisione satellitare, ovviamente costituita da iene travestite. Il meccanismo era semplice:
un cameraman, una truccatrice, una proposta di intervista, una passata di spugna sulla fronte sudata del
parlamentare uscito or ora da una “faticosa e rovente
discussione politica”, ed ecco prelevato un campione
da analizzare in laboratorio. Risultato: un parlamentare su tre si rivela uno stucchino, facendo uso di cannabis o cocaina. O entrambe.
Il fatto, rilevatosi la conferma di un ciò che sotto sotto
tutti sospettavamo, ha subito scatenato un gran polverone. Ma il pomeriggio prima della messa in onda del
servizio arriva il no dal garante della privacy, e la messa in onda del servizio salta.
Quanto di legittimo c'è dietro tutto questo? Dopo un
primo esame appare evidente quanto si sia abusato
del potere per infangare una notizia compromettente,
visto che la motivazione addotta dal garante non avrebbe violato la privacy di nessuno. Infatti, sarebbe
stato impossibile riconoscere chi si celasse dietro il
dischetto bianco che sarebbe stato messo sopra la
faccia di ogni politico presente nel servizio. In realtà,
nessuna informazione sarebbe stata rilasciata su di
loro, eccezion fatta per la loro appartenenza al parlamento.
Con l'oscuramento di questo
sevizio abbiamo perso una buona occasione di svago e un
buon modo per toccare con mano la corruzione e l'ipocrisia
della classe politica, ma forse
possiamo volgere la cosa a nostro vantaggio ponendoci una
semplice, infantile domanda:
cosa abbiamo imparato da tutto
questo?
Abbiamo imparato che la burocrazia, che a noi comuni mortali appare spesso come
una macchina infernale creata per complicare le cose
più semplici e per rallentare all'infinito la più stupida
delle beghe, può in certi casi essere risolutiva, rapida
e soprattutto efficiente. Ovviamente solo se si hanno i
contatti giusti. O se si è i contatti giusti.
Ma soprattutto abbiamo imparato che in questi casi ci
sono due possibili modi di reagire ad una notizia simile. Infatti, se in condizioni standard si sarebbe valutata
l'istituzione di un test periodico per accertarsi della pulizia del sangue dei parlamentari, e forse si sarebbero
addirittura sentite tuonare, forconi e torce alla mano, le
richieste infuocate dell'opinione pubblica benpensante
di sapere chi esattamente è stato sorpreso a violare la
legge, se c'è di mezzo un numero significativo di politici presi da vari partiti che hanno interesse al che qualcosa sia occultato allora possiamo stare sicuri che il
dito verrà puntato sui giornalisti cattivi che “volevano
violare la legge sulla privacy”.
Tale è la politica (italiana?).
Alessandro Manacorda V A
Ferdinando Randisi V A
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il tazebao
INFORMATICA
Piccolo Dizionario
dei termini informatici
Ho scelto di continuare quest’anno il progetto iniziato l’anno scorso: creare un piccolo dizionario (in più “puntate”) delle unità di
misura e dei termini informatici. La mia speranza è quella di poter rendere più comprensibili possibile e poter spiegare la reale
utilità di termini che a prima vista possono sembrare “alieni”. L’anno scorso i termini da me scelti appartenevano quasi interamente al mondo dell’ “Hardware” (mia principale passione), quest’anno, invece, ho intenzione di inserire alcuni termini appartenenti
anche al mondo del software.
Michele A. Cecchi V A
Hardware e
software
Presumo che la maggior parte di voi sia sicuramente a conoscenza della differenza tra
hardware e software, ma preferisco non dare nulla per scontato. Dare una definizione precisa risulterebbe molto difficile (anche per tutta la storia che questi due termini hanno alle
spalle) quindi cercherò di semplificare molto la cosa, a discapito della precisione. Appartengono all’Hardware tutte le componenti materiali di un computer (motherboard, processore,
schermo, mouse etc.) tutte quelle parti che hanno “consistenza fisica”. Software sono invece
i programmi. Possiamo riunire nella categoria software principalmente tre grandi categorie
Sistemi Operativi, Driver e Programmi Applicativi. Ho già in programma di scrivere qualche
cosa sui sistemi operativi nel prossimo numero, quindi, per questa volta mi limiterò a citarli.
La principale differenza, se non si fosse ancora capita, sta semplicemente nel fatto che l’hardware lo si può vedere e toccare, il software lo si può usare e osservare, ma non “toccare”.
Motherboard
Nel breve testo precedente ho citato questa importante componente hardware. Ma che cos’è
in realtà una “scheda madre”? È una piastra con tanti microcircuiti che ha la principale funzione di mettere in collegamento le varie componenti necessarie in un assemblaggio. Una
motherboard presenta tanti “slot” (spazi vuoi in cui si posso inserire componenti informatiche) che vanno riempite con i “pezzi giusti” affinché il computer funzioni. La motherboard
ospita più spazi per moduli Ram, spazi per connettori IDE o SATA (per la connessione di
Dischi rigidi o lettori cd, o comunque unità ottiche in generale), uno slot per processore e
uno per scheda video (nei casi dei più comuni PC da casa) e vari slot per periferiche PCI
(come schede di rete o di acquisizione video, solo per citarne un paio, che aggiungono funzionalità alla macchina), porte per periferiche esterne (come porte seriali parallele e USB,
solo per citarne alcune) e una quantità di componenti integrate che non sto a citare. Inutile
dire che per le sue caratteristiche la scheda madre è una componente fondamentale nell’assemblaggio.
Dissipatori
Un’altra componente essenziale in un computer sono i dissipatori. Durante il funzionamento
il computer produce calore (in particolare i processori); per far sì che queste componenti non
si brucino (smettendo poi di funzionare) o funzionino più lentamente è necessario dissipare
il calore correttamente, ovvero sottrarlo dalla
superficie e disperderlo nell’ambiente. La cura
per i dissipatori è spesso praticata unicamente
da coloro che vogliono “overclockare” il processore (cioè spingerlo oltre le velocità per cui
è stato predisposto). Questo è un grave errore: succede spesso che la polvere intasi la
ventola posta sopra il dissipatore (nei dissipatori attivi, il tipo più comune), impedendone il
corretto funzionamento. È consigliabile controllare ogni tanto lo stato del dissipatore. Un altro tipo di problema che può essere causato
dal dissipatore è l’eccessiva rumorosità del computer, a cui si può rimediare installando una
nuova ventola o inserendo un dissipatore passivo (senza ventola, come quello in foto). Per
poterne installare uno di questo tipo è necessario, però, avere un computer con almeno un
paio di ventole sul case.
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il tazebao
Firewall
Un firewall è un importante sistema di protezione che può essere utile installare sul proprio
computer. L’azione che compie un firewall è molto diversa da quella che compie un antivirus: un antivirus cerca e elimina (nei migliori casi!) i virus; un firewall, invece, cerca di prevenire intrusioni da parte di altre persone nel nostro computer e controlla i programmi che accedono ad internet. Per questa ragione l’installazione di tale software è decisamente consigliata per coloro che sono connessi alla rete per molte ore al giorno ed è superflua per quelli
che non si connettono mai o al massimo solo per pochi minuti senza avventurasi in reti interne o siti pericolosi.
Peer To Peer
Esistono molti programmi che utilizzano questo sistema di comunicazione. Il termine vuol
dire “da pari a pari” ed è un sistema molto impiegato nei programmi per condividere file online (come ad esempio eMule o dc++). Il peer to peer è una modalità di trasferimento di dati
senza intermediari: i file vengono inviati direttamente da colui che possiede i file a colui che
vuole scaricarli. Il server serve solo come snodo e come luogo di “incontro” tra vari utenti,
ma non ospita nessun file, senza violare, quindi, nessuna legge sul copyright.
Il telecomando
LA RIFORMA DEL SISTEMA
D’INFORMAZIONE è stata
approvata all’unanimità dal
Consiglio dei Ministri il testo
di Gentiloni – Ministro delle
Comunicazioni – che si distacca completamente dalla
precedente legge Gasparri. Il
commento di Prodi è stato :
“è una riforma che risponde
alle esigenze di concorrenza
e pluralismo del mondo radio televisivo italiano”. Berlusconi insorge e accusa il governo di vendicarsi contro
Mediaset : egli si riferisce al fatto che nella manovra
sia prevista una concentrazione pubblicitaria massima
del 45% (abbondantemente sforato da Canale 5 e
compagnia) e dichiara che “una democrazia non è più
tale nel momento in cui una fazione andata al governo
aggredisce lo schieramento opposto nel suo leader e
nelle sue aziende”
Ma quali aziende?! Berlusconi non ha aziende, le ha
tutte lasciate ai suoi figli e amici, lui non ha più il controllo su nulla... o almeno così ha detto… che non sia
vero? Mentiva dunque? Incredibile…
Ma tornando a noi siamo davvero certi che questa legge vada contro Mediaset? Da quanto deciso RAI3 e
RETE4 andranno sul satellite… RAI3 diventerebbe a
tutti gli effetti canale culturale… e della Rai cosa resta? La Ventura che grida di non arrendersi anche se
il vicino di tenda russa e sull’isola piove da 3 giorni…
Bello… Interessante… Per attirare l’audience sarebbe
magari più utile approfondire lo sport, cosa che fa oggettivamente meglio Mediaset senza contare che ITALIA1 trasmette un’entusiasmante MotoGp contro una
noiosissima F1 della Rai.
Wild West e Reality Circus
passando per Campioni, Operazione Trionfo, l’Isola dei
Famosi, la Fattoria, Amici di
Maria de Filippi, la Talpa,
Music Farm, Ballando con le
stelle, Unan1mous, il Ristorante, La Pupa e il Secchione. Probabilmente ne ho anche dimenticato qualcuno…
Inutile sperare che il telespettatore maturi… Bisogna sperare semmai in una crisi di
rigetto verso il “Reality” in generale. E tutto sommato
si può essere speranzosi visti i flop delle ultime settimane di alcuni di questi show… Speriamo che il troppo “stroppi” pure in questo caso.
PROGRAMMAZIONE AUTUNNALE - Per quanto riguarda le trasmissioni di attualità, politica e informazione, hanno ripreso regolarmente l’Infedele di Gad
Lerner e Ballarò di Giovanni Floris, senza stupire per
gli ascolti, ne in bene ne in male. E’ tornato sulla Rai
Santoro con Anno zero, con l’evidente intenzione di
evocare Sciuscià, la sua precedente trasmissione, tuttavia gli ascolti sono stati piuttosto bassi. Proprio lunedì 16 ottobre è tornato Crozza Italia su La 7 a tratti
davvero di un ottimo livello comico non solo di Maurizio Crozza, ma anche della moglie Carla Signoris e
dello straordinario Elio, proprio il cantante di “Elio e le
storie tese”. Sempre su buoni livelli anche Le Iene,
che continuano a denunciare le anomalie del nostro
paese. A parte questi programmi però, siamo costretti
a riconoscere con rammarico che il livello del palinsesto tv sta continuando a scendere vertiginosamente…
Per chi non ama le soap, ad eccezione dei Simpson al
pomeriggio sono rimaste solo trasmissioni indecorose
REALITY - Senza scendere nei dettagli è chiaro a tutti come L’Italia sul 2, Al Posto Tuo o La Vita in Diretta
che se hanno questo successo sono visti da molta più con un pietoso Cucuzza. Che amarezza.
gente di quanto si possa credere… I reality-show ci
calano in un mondo completamente trasparente che
Fabio Perrone IV F
cade però troppo spesso nella crudezza e nell’obbrobrio senza limiti… Dal Grande Fratello si è arrivati a
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il tazebao
MUSICA
A matter of life and death
(Una questione di vita o di morte)
Band : Iron Maiden
Durata : 72 min.
Produttore: Steve Harris e Kevin Shirley
Etichetta : Columbia records,EMI
Finalmente, a tre hanni (come scrisse Gianmarco Trulli) dall’uscita di “Dance Of Death”, il 25 Agosto è uscito
il nuovo lavoro in studio degli Iron Maiden, aspettato
con trepidazione dai numerosi fan. Primo nella classifica dei cd più venduti sin dai primi giorni (in Italia, Spagna, Finlandia e Svezia), “A Matter Of Life And Death”
sembra aver riscosso un gran successo, di certo non
inaspettato, viste le vendite dei biglietti per i concerti,
che si terranno a Milano il 2/12 e il 3/12 (entrambi
sold-out da mesi). L’album composto alla fine del 2005
è stato ultimato e registrato in presa diretta nei Sarm
West Studios di Londra; il titolo dell'album è ispirato
all'omonimo film di Michael Powell e Emeric Pressburger del 1946. Con questo progetto la band londinese
sembra così restare al centro della scena musicale
mondiale, raccogliendo però alcune critiche negative.
Infatti una parte dei fan (nostalgici delle produzioni
degli anni ’80) che hanno ascoltato il cd sono rimasti
deluse dalle sue sonorità, che ricalcano quelle dei precedenti “Brave New World” (2000) e il già citato
“Dance Of Death” (2003). Forse speravano in qualcosa di più simile agli immortali
“Powerslave” (1984) o “Iron Maiden” (1980); d’altronde né si può pretendere che si suoni la stessa musica per
più di cinque lustri (ventisei anni per
l’esattezza) né si può avere la sfrontatezza di chiedere ad un gruppo di tornare a suonare in quel modo, soprattutto
se parliamo di una delle band che ha
inventato il metal! Difatti la “Vergine di
Ferro” non sarebbe certo diventata così
celebre se non avesse ricercato un’evoluzione della propria musica e tornare
indietro sarebbe impossibile, perché se
è pur vero che gli album storici sono
delle pietre miliari del genere (e nessuno
può negarlo!) ormai sono prodotti di venti anni e fa rimanere ostinatamente attaccati a qualcosa del passato può avere il solo effetto di rovinarne il ricordo.
L’album affronta tematiche d’attualità
come la guerra e il progresso accantonando (ma non del tutto) i temi più epici
e aggressivi che hanno impresso il loro
marchio nella storia della musica (vedi
“Run To The Hills”, “The Trooper”,
“Killers” o la celeberrima “The Number
Of The Beast”).
L’album si apre con “Different World”, classica
“apripista” degli album dei Maiden, sostenuta da una
chitarra ritmica incalzante da linee melodiche coinvolgenti. Nel testo si affronta il tema del modo che ognuno ha di vivere la propria vita e come non si finisca
mai di imparare.
Questa è seguita dalla suite “These Colours Don’t
Run”, che parla della figura del soldato, uomo comune
che rischia la vita per il proprio lavoro, una critica alla
guerra e ai suoi effetti dannosi. Si apre con un arpeggio di chitarra accompagnata da un basso dal suono
caldo e da un sottofondo di una chitarra distorta che ci
accompagnano in un crescendo che culmina con il
ritornello(da cantare a squarciagola) in cui possiamo
apprezzare la qualità vocali di Bruce Dickinson.
Segue “Brighter Than A Thousand Suns”, nella quale
si possono notare delle influenze prog (infatti la strofa
della canzone è in 7/4). Nella strofa troviamo una ritmica incisiva diretta dai colpi secchi di Niko McBrain sul
rullante. Il testo affronta una critica alla società moderna rappresentata dalla bomba atomica e alla corsa
folle per il progresso (definita “the race to suicide”), la
canzone termina con una constatazione espressa a
voce bassa, quasi morente: Holy Father we have sinned .
Quindi abbiamo “The Pilgrim”, dal ritmo cadenzato e
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sostenuto. Gli assoli hanno un suono che richiama
sonorità orientali (dovuto al fatto che sono composti su
scale armoniche).
“The Longest Day” è una canzone dai toni cupi
(accentuati da una chitarra distorta effettata con il flanger), un oscuro giro di basso ci trasporta sulle spiagge
della Normandia dove i soldati affrontano la morte e
nuotano in un mare tinto di rosso per raggiungere il
nemico.
“Out of the Shadows”, la sesta traccia dell’ album è
una semi-ballata dove il connubio chitarra acustica ed
elettrica produce una melodia trascinante con influenze blues in cui si nota il consistente apporto dato da
Dickinson alla composizione del brano.
Finalmente si arriva al primo singolo dell’album “The
Reincarnation Of Benjamin Breeg”, caratterizzato da
un tema più epico e un’introduzione di chitarra e basso
che forma un’atmosfera cupa, che farà da eco ad un
ritmo cavalcato, sostenuto dalla voce dai toni misti di
tristezza e rabbia di Bruce.
In “For The Greater Good Of God” troviamo di nuovo il
tema dell’uomo e guerra che si concentra nel ritornello
dalla linea vocale epica e nel verso dal ritmo serrato.
“Lord Of Light” ha forse uno dei testi più epici (su Dio e
Lucifero) dell’intero album, scandito da un intro cupo di
chitarra con una voce quasi sussurrata, che fanno da
preludio ad una cavalcata “vecchio stile.
Ultima viene “The Legacy”, dalle influenze più prog e
un’atmosfera fra le più cupe dell’album.
I riff armonizzati incalzanti delle chitarre e il basso dal
tocco duro e incisivo fanno sì che questo quattordicesimo album in studio degli Iron Maiden si chiuda in
bellezza con una canzone molto originale; le idee racchiuse in questo brano sono fulminanti, il ritornello è
particolare e d'impatto e la parte strumentale è ben
congeniata.
La qualità di alcune canzoni (“These colours don’t
il tazebao
run”, “The Legacy”) rende il cd pregevole.
Senza dubbio l’album per essere apprezzato nella sua
completezza necessita di maggior numero di ascolti
rispetto agli storici album degli anni ’80 che li hanno
consacrati quali “signori del metal”.
I tempi sono mutati, assieme alla musica e chi l’ha
composta.
Dal punto di vista tecnico le chitarre di Adrian & co.
delineano un’ armonia originale data dalla ricerca di un
suono compatto e potente; purtroppo l’album non contiene assoli che spicchino.
Il basso di Steve Harris (l’anima del gruppo) è impeccabile come sempre: caldo e dal suono morbido, o
duro e incisivo a seconda delle necessità.
Niko Mc Brain, con la sua batteria, dirige questa piccola orchestra metallara aggiungendo una buona dose di
adrenalina alle canzoni.
Infine Dickinson colora con toni epici l’intero album
come nei precedenti.
Ma l’età comincia a farsi sentire anche per lui tanto
che la sua formidabile voce risulti talvolta forzata e
innaturale negli acuti (“Brighter than Thousand Suns”).
Complessivamente l’album raggiunge un buon livello
(forse migliore rispetto al precedente) dimostrando che
questi “ragazzi” (età media 50 anni) hanno ancora
molta voglia di stupire e divertirsi con un lavoro che
merita di stare nella playlist di un amante del heavy
metal.
UP THE IRONS!!!
VOTO: 80/100
Niccolò De Maria V A
Fabrizio Vitale V A
THE GREATEST ROCK ALBUMS
OF ALL TIMES
In questa rubrica vogliamo dedicarci alla presentazione ed all'analisi dei grandi album della storia del rock,
la cui storia si protrae con alti e bassi dalla fine degli
anni '50 fino ai giorni nostri. Questo essenzialmente
per due motivi: uno è l'integrare una porzione di sapere, quella musicale, che nella nostra società può venir
sviluppata soltanto individualmente, cosa grave considerato il grande interesse e la naturale propensione
che si ha verso la musica; il secondo motivo è che,
tutta la musica ma il rock in particolar modo, è specchio del mondo in cui viviamo, veicolo di idee, critiche
e sentimenti, quindi più semplicemente espressione
dell'essere umano. E' bellissimo ascoltare buona mu-
sica, ma ancora più bello è secondo me discuterne,
analizzarne i testi e i contenuti di essi. Spero che questo spazio sia adatto per poterlo fare.
Poniamo ora la prima pietra, ma invitiamo chiunque
volesse a seguire l'esempio inviandoci una sua recensione/commento/etc. di un disco del quale è particolarmente affezionato.
Let's rock.
Teo Martin IV F
Marco Bernardini V G
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WHO'S NEXT - The Who
La storia di questo grandissimo
album ha inizio nel 1970, quando,
un hanno dopo il grande successo della sua prima rock opera
"Tommy" Pete Townshend, poliedrico e geniale chitarrista-leader
dei The Who, si mette al lavoro
per un altro concept album,
"Lifehouse"*. Sulla cresta dell'onda di un eccezionale successo
(che li vede ancora sul palco dopo 40 anni di onorata carriera musicale), impegnati dalle numerose
date dei tour, il progetto fallisce
momentaneamente, quindi Pete
decide di raccogliere le canzoni
composte per Lifehouse e di farne un album, "Who's
Next" appunto, pubblicato nel giugno 1971. La tracklist
originale conta 9 brani cui se ne aggiungono altri 7
nella riedizione di metà anni '90. Il brano d'apertura,
"Baba O'Riley", poggia su una base di sintetizzatore
che già dall'inizio infiamma gli animi e che, passo passo, viene arricchita dal continuo aggiungersi di nuovi
elementi, prima il basso monolitico di Entwistle, poi la
voce di Daltrey e la batteria di Moon, quindi la chitarra
di Townshend. I suoi piccoli interventi, rivestendo la
duplice veste di cantante e chitarrista, sono quei particolari che sommati fanno uscir fuori un capolavoro. Il
pezzo si chiude con un crescendo, un bellissimo assolo di violino a cui fa da base la cavalcante base arricchita da basso e chitarra. Per quanto riguarda il testo
ci colleghiamo con un altro capolavoro assoluto, anch'esso contenuto nel disco, "Won't Get Fooled Again". E' di rivolta generazionale, di lotta per l'affermazione della propria individualità che si parla, temi oltremodo attuali e cari al gruppo fin da "My Generation".
Gli altri brani della raccolta originale sono canzoni d'amore struggenti, in cui ad un romanticismo e ad una
devozione portati agli estremi s'aggiunge anche l'ironia
("My Wife"). "Behind Blue Eyes" è forse la più bella
ballad dell'album, sia per i fantastici versi ma soprattutto per la musica, in cui assistiamo ad un iniziale arpeggio di chitarra acustica per esplodere poi in una
scarica di rock puro e genuino.
Per quanto riguarda i brani aggiunti nella ristampa essi
sono vecchi pezzi che non erano stati inclusi negli album precedenti, ma noti al pubblico ("Water" e "I Don't
Even Know Myself" per esempio) per le frequenti esibizioni live, come quello storico concerto dell'agosto
1970 all'Isle of White Festival. E' poi presente una seconda versione di "Behind Blue Eyes", leggermente
differente.
e di emissione radiofonica, più che
meritato. Musicalmente sono intoccabili, Entwistle e Moon sono
considerati tra i migliori (se non i
migliori) bassista e batterista rispettivamente della storia del
rock, Townshend ha rivoluzionato
il modo di suonare la chitarra e
anche Daltrey ha fatto storia; ma
c'è di più: loro sono stati uno dei
simboli d'un'epoca, per la loro rabbia generazionale che qui trova
una tra le sue più grandi espressioni.
Teo Martin IV F
Tracklist
1. Baba O'Riley - 5:08
2. Bargain - 5:32
3. Love Ain't For Keeping - 2:11
4. My Wife - 3:41
5. The Song Is Over - 6:16
6. Getting In Tune - 4:50
7. Going Mobile - 3:42
8. Behind Blue Eyes - 3:41
9. Won't Get Fooled Again - 8:32
10. Pure And Easy - 4:19
11. Baby Don't You Do It - 5:13
12. Naked Eye - 5:22
13. Water - 6:25
14. Too Much Of Anything - 4:24
15. I Don't Even Know Myself - 4:54
16. Behind Blue Eyes - 3:25
The Who - Formazione
Roger Daltrey - voce.
John Entwistle - basso, cori.
Pete Townshend - chitarra, voce, tastiere.
Keith Moon - batteria, cori.
*Il progetto "Lifehouse" viene portato a compimento
dal solo Townshend nel 2004, con le rappresentazioni
teatrali svoltesi a New York e a Londra. Lo documenta
anche il dvd "Pete Townshend Psychoderelict Live In
New York".
"I'll tip my hat to the new constitution
Take a bow for the new revolution
Smile and grin at the change all around
Pick up my guitar and play
Insomma, non sta a me dire se "Who's Next" è il mi- Just like yesterday
glior album della produzione dei The Who, senz'altro è Then I'll get on my knees and pray
quello che ha avuto il maggior successo commerciale We don't get fooled again."
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il tazebao
Wolfmother,
la rinascita dell’Hard Rock
Wolfmother, un nome poco conosciuto ma che a breve potrebbe
diventare protagonista dell’attuale
paronama musicale internazionale.
Il Trio australiano, Andrew Stockdale (voce e chitarra), Chris
Ross (basso e tastiere), Myles
Heskett (batteria), tramite l’album
omonimo e grazie al suono inconfondibilmente 70’s (con influenze
di Led Zeppelin, Black Sabbath e
Deep Purple) è riuscito in pochi
mesi a sfondare in patria e, successivamente, in Europa e Nord
America.
Il successo è sicuramente dovuto all’astinenza da
Hard Rock che il pubblico faceva ormai fatica a sopportare: basti pensare che dal disco, una miscela esplosiva di interminabili e potenti riff, assoli e grida
strazianti, sono stati estratti solo in Australia ben 11
singoli (tra qui "Mind's Eye", "Woman" , “White Unicorn”, “Love Train”, "Dimension").
Nel 2005 il gruppo, inserito da “Rolling Stone” fra le
“10 band da tenere d’occhio nel 2006”, è stato invitato
a numerosi festival in giro per il
mondo coronando così il loro successo, e recentemente sono impegnati nel Tour 2006 dei Pearl Jam
Gli addetti ai lavori tuttavia si dividono: c’è chi esalta il “power trio”
definendo la loro apparizione come la rinascita del rock, quello
vero, e chi invece, senza avere
torto, critica il gruppo per la sua
impostazione ormai anacronistica,
mancante di innovazioni stilistiche,
apportate invece da band quali
Radiohead (con la nuova psichedelica sperimentale), Muse, Strokes, Franz Ferdinand.
Fatto sta che “Wolfmolther” è uno di quei dischi che si
è stabilmente inserito tra le migliori produzioni musicali
degli ultimi anni, in grado di far sognare i nostalgici di
quel sound, ribelle e allo stesso tempo così semplice
nella sua potenza espressiva, colonna sonora della
grande rivoluzione SOCIO-culturale (più che politica)
degli anni ’60-’70.
Marco Bernardini V G
!!!!!!!!!!! ROCK ‘N ROLLLLLLLLLL !!!!!!!!!!! Tracklist (Versione Internazionale)
1. Dimension – 4:21
2. White Unicorn – 5:04
3. Woman – 2:56
4. Where Eagles Have Been – 5:33
5. Apple Tree – 3:30
6. Joker & The Thief – 4:40
7. Colossal – 5:04
8. Mind's Eye – 4:54
9. Pyramid – 4:28
10. Witchcraft – 3:25
11. Tales – 3:39
12. Love Train – 3:03
13. Vagabond – 3:50
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Burocrazia unica via
È una fredda mattina di
novembre, come spesso
può capitare il mio autobus
si intoppa e arrivo a scuola
con quindici minuti di ritardo. La mia rigida prof della
prima è molto fiscale e non
posso entrare oltre il limite.
“Poco male - penso ignaro
- potrò fare una colazione
come si deve”, conclusione
errata: una volta entrati a
scuola, se minorenne, non
puoi uscire fino alla fine
delle lezioni!
Abbozzo un attimo e aspetto di fare il permesso
per entrare in seconda,
permesso negato: sarebbe
la quarta nel trimestre, per
entrare devono venire i
miei genitori a firmare!
Chiamare una madre alle 9
del mattino non è mai una
cosa buona, qualsiasi tentativo di poter fare giustificazioni telefoniche o altro è
impossibile, deve venire
qui. Infatti passa un’ora e l’esercente della famosa patria potestà scrive finalmente il suo nome su un pezzo
di carta, rendendomi libero di non poter essere libero.
Torno in classe e girano voci di un collettivo da mettere nell’ora di latino del giorno dopo. Ecco che tocca
scrivere la richiesta e scendere giù dalla vicepreside a
farla firmare, sbagliato ancora: un fogliaccio di carta
non è degno del mio collettivo di classe, dovevo scaricarmi il modulo dal sito!
La mia speranza di poter sbrigare tutto la mattina dopo
è breve quanto fallimentare: non si può chiedere un
collettivo per il giorno stesso, la macchina della burocrazia non è così rapida come noi!
Triste e shockato me ne ritorno nella mia classe, la
cara Antonietta entra con un pacchetto di fogli di carta,
sono circolari. Il professore tenta l’impresa di leggerne
qualcuna: la prima circolare parla delle olimpiadi di
matematica, la seconda dello sportello di latino, la terza dello spostamento dello sportello di latino al giorno
successivo, la quarta lo riporta al giorno precedente, la
quinta invece lo trasforma in uno sportello di inglese,
poi vedendo di non essere arrivato neanche a metà si
arrende e torna alla fisica.
È interessante pensare al
fatto che in due mesi di
scuola abbiamo già raggiunto il numero di circolari
dell’anno scorso! Magari la
prossima volta usassero gli
sms, la Tim sarebbe molto
più ricca, ma l’Amazzonia
avrebbe qualche migliaio
di alberi in più.
Alla fine della mia giornata
spero di finire anche la mia
odissea nella burocrazia,
all’ultima ora con la classe
ci guardiamo un film con la
prof di inglese, cosa mai
potrà succedere? Scendiamo in aula multimediale e
ce la troviamo occupata;
ripieghiamo così nel vederlo magari in classe. Sciaguratamente, qualcuno ha
portato il televisore al secondo piano, cerchiamo di
portarlo in classe ma ci
bloccano: “se non c’è uno
del personale Ata, la tv
non si porta da nessuna
parte”, ci proponiamo noi di portarlo ma incontriamo
un altro rifiuto, ma che rischiamo di fulminarci mettendo le dita nella corrente?! (Nda: fatto realmente accaduto in un’altra classe).
L’ora passa nell’ozio e all’ultimo la professoressa mi
ricorda di portare la firma per l’assemblea di domani,
non la porterò: se la burocrazia è l’unica via, allora il
caos sarà la mia malattia.
Giulio Breglia III D
Ps: mi giunge voce che un giorno ci sono state 3
quinte che avevano un buco alle ultime due ore,
ma, visto che l'assenza dell'insegnante non costituisce un problema evidente, non sono stati fatti
uscire, anche se essendo maggiorenni potevano
benissimo farlo. (Ndr: evidentemente due ore del
tempo di uno studente non valgono niente se non
possono nemmeno mandarli a casa, magar a studiare, piuttosto che in classe a far niente.)
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FUMETTO
Dylan Dog:
Vent’anni portati bene
28 settembre 2006: Dylan Dog,
ha trent’anni da 20 anni. Era
una gelida e nebbiosa mattina
di un inizio autunno 1986 nel
segno dell’horror quando la Bonelli, evitando pericolosi agguati di morti viventi e gatti magici
consegnava alle edicole il primo numero di quello che sarebbe stato il maggiore successo
fumettistico degli anni ’90, che
si mantiene ancora oggi.
Ovviamente sto dicendo buffonate, dato che nel 1986 non ero
neanche nato, ma spero di aver
reso bene l’atmosfera che si
respira quando si legge uno
degli episodi di Dylan Dog. È
un fumetto straordinario. Ti
prende e non ti lascia più. È
capace di trasportarti in un
mondo realistico popolato da
vampiri, spettri, dimensioni parallele, demoni, inferni
che sembrano paradisi o viceversa, patti con il diavolo, avventure al confine tra il concetto di vita e di
morte. Sa farti dimenticare il mondo reale proiettandoti in una dimensione romantica della vita circondata da un’ironia onnipresente, il buon vecchio
Groucho, spalla marxista.
Dylan Dog attrae e piace, oltre perché è bello alto
con gli occhi azzurri e pieno di ragazze, proprio per
il suo scetticismo e il suo anticonformismo che non
fanno di lui uno snob o un presuntuoso, bensì uno che pensa
con la propria testa, costi quel
che costi. Talmente propria che
incarna esattamente la figura
dell’antieroe, in tutti i sensi: è
talmente lontano dall’eroe classico che potrebbe essere definito eroe romantico, se non fosse che questo causerebbe una
conformazione a un altro schema. E allora Dylan rinnega anche il romanticismo, con la sua
capacità dissacrante di ironizzare su tutto, di mantenere la
mente lucida ma non soltanto
raziocinante, pronto a sdrammatizzare anche il peggiore degli incubi con una battuta.
Forse è proprio la perdita di
questi elementi a stupirci di più
e a creare la bellissima atmosfera che si respira nei due numeri che festeggiano
il ventennale, Xabaras! e Nel nome del padre, usciti
nei mesi di ottobre e novembre. Una storia a due
puntate che ti fa aspettare un mese di angoscia per
sapere come va a finire (e che fine!) e che, una volta di più, esprime in pieno la bellezza di questo personaggio mitico.
Alessandro Manacorda V A
Gli alunni della classe 5 A rievocano la memoria del compianto compagno
GIANMARCO TRULLI
sparito prematuramente il giorno 7 novembre 2006, ora naviga in più liete acque (presso il “De Merode”).
Noi, suoi compagni ed amici, piangiamo la mancanza di un uomo che ci ha rappresentati adeguatamente e
che ha lasciato numerose tracce di sé sul registro di classe.
Ha frequentato assiduamente per quasi cinque anni il Liceo Augusto Righi dove sarà sempre ricordato con
affetto. Lascia 19 compagni di classe e un corpo docente profondamente addolorati.
Fu per noi un grande stimolo a migliorare: il suo parlare erudito fatto di antiche espressioni (“Sì zì!” - che
si pronuncia “süi zì” -, “No zì!”, “Amara!”, “Ve’?”) è sempre stato un obbiettivo da perseguire.
GRAZIE PER TUTTO
REQUIESCAT IN PACEM
Α†Ω
il tazebao
16
13-11-2006
(Segue dalla prima)
re, infatti, rintracciati sul sito). Per quest’anno si è scelto di concentrare le forze della redazione ormai “storica”
in rubriche, come quella da me iniziata l’anno scorso di informatica, crediamo che questa scelta possa garantirci sempre la presenza di articoli interessanti e possa aprire spazi per veri e propri dibatti. Colgo l’occasione
per presentare le varie rubriche. Non ho intenzione di seguire un ordine di importanza, ma le elencherò semplicemente come mi vengono in mente. Teo Martin si occuperà insieme a Marco Bernardini di musica, come anche altri i prodi Niccolò De Maria e Fabrizio Vitale, i quattro scriveranno in due gruppi articoli “a quattro mani”.
Teo e Marco scriveranno nella rubrica “The Greatest Rock Albums Of All Times” progetto che descrivono all’inzio del loro articolo e su cui non mi soffermerò di più. Fabrizio e Niccolò scriverano di nuovi dischi, offrendo
commenti tecnici e abbastanza precisi (almeno così paiono ad un profano come me!) in una rubrica cui stiamo
ancora cercando il nome (si accettano suggerimenti!!). Fabio Perrone, invece, si occuperà de “il Telecomando”
che, come suggerisce il nome tratterà di televisione. Alessandro Manacorda presenterà, invece, una rubrica
filosofica piena di tanti spunti interessanti da cogliere. Io, dal prossimo numero, dovrei riprendere la rubrica
iniziata l’anno scorso dove cercherò di trattare vari argomenti collegati con l’informatica. Come alcuni di voi
forse (spero…) si ricorderanno, l’anno scorso avevo incominciato un “piccolo dizionario dei termini informatici” (che invece continuerà a partire da questo numero) con definizioni esatte e reali significati dei termini informatici più comuni che, a volte, causano i più grandi problemi.
In fondo al giornale sarà inserita una parte, sopra lo spazio dedicato alla redazione, contenente i prossimi appuntamenti e riunioni della redazione (riunioni che, ricordo, sono aperte a tutti).
Inauguriamo così il quarto anno del giornale, sperando che anche quest’anno riesca ad essere centro della
comunicazione e del dibatto al Righi e che riesca a coinvolgere il maggior numero di studenti possibili, sia attivamente che passivamente.
Vi saluto, vi ringrazio e vi auguro buona lettura.
Michele Angelo Cecchi VA
il tazebao è il giornale autogestito degli studenti del Righi
Direttore: Michele Angelo Cecchi V A
Vicedirettore: Teo Martin IV F
Redazione: Niccolò De Maria, Alessandro Manacorda, Ferdinando Randisi, Fabrizio
Armando Vitale V A, Marco Bernardini V G, Fabio Perrone IV F, Giulio Breglia III
D, Lara Vivian III G
Hanno collaborato a questo numero: David Braha (ex studente)
Per informazioni, domande o richieste:
www.iltazebao.altervista.org - [email protected]
Prossima riunione del giornale:
Mercoledì 15 novembre ore 14 via Boncompagni
USCITO IN DATA 13 novembre 2006 - TIRATURA 600COPIE