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pagina 22 Sesso estremo nell’alta società milanese ELISABETTA BUCCIARELLI "Dalla parte del torto" pp. 408, euro 17 Mursia, 2007 icorda un po’Il maestro di nodi di Carlotto, ma forse lo supera se non in qualità nella resa icastica questo noir di Elisabetta Bucciarelli. Spingendo il sesso e le sue depravazioni oltre: oltre le penetrazioni di ogni genere, oltre il sesso anale, orale, oltre il fetish e il sadomaso. Oltre: cioè dentro la mente, è lei la grande penetrata. Morire di desiderio: con l’orgasmo che diventa forte e folle e incontrollabile perché, appunto, si consuma solo lì, nel pensiero: desiderando. Dalla parte del torto, secondo giallo della Bucciarelli pubblicato da Mursia, ha un pregio che è anche il suo maggior difetto: ti conquista leggendolo, non subito. Subito certo, c’è il delitto, c’è l’ispettrice Dolores Vergani (creata dall’autrice nel suo libro d’esordio, sempre Mursia, Happy hour), c’è il mistero. E c’è, anche, un linguaggio anomalo. Occorre chiarezza, su questo: la Bucciarelli scrive bene. È elegante, musicale. Dosa bene gli aggettivi, rifugge dagli avverbi, escogita il gerundio dopo il virgolettato. Usa neologismi da ventenni, «minigonnata e ombelicata», ma attinge, anche, a piene mani da un italiano elegante, «alto» (sia pure condito, forse, con troppi termini inglesi, anche se di uso corrente). Cerca insomma, e ci riesce, di fondere il linguaggio di due generazioni lontane: quella del dopoguerra con quella dei ragazzi di oggi. La novità stilistica si fonde dunque al tema del sesso estremo nell’alta società milanese. E poi c’è il mestiere. La Bucciarelli è abile: fa in modo che ci si innamori dell’ispettore Dolores Vergani. Che non è infallibile. Che ha bisogno di un gruppo di amici e di un’amica soprattutto, perché quel che vede, e quel che vede è «dalla parte del torto», lei lo confronta con se stessa, con le sue fragilità, le sue debolezze di donna sfortunata in amore, la sua purezza, anche, il suo cercare di restare lontana da rumori e fragori. Il libro è strutturato come un giallo tradizionale ma con un pizzico di surrealismo. Elisabetta Bucciarelli, che vive e respira tutto ciò che è di Milano, di Milano conosce bene tutto ciò che sa di giallo: la nera del "Corriere della Sera", la libreria di Tecla Dozio, i libri di Scerbanenco. Milano però è un pretesto e la squadra dell’ispettrice Dolores Vergani è bislacca, strana: sono amici suoi, artisti, che la consigliano, investigando con lei. Ne consegue che il giallo, alla fine, è anomalo, lontano dalla realtà ma vicino a ciò che preme maggiormente all’autrice: scandagliare l’animo umano uscendo dai soliti canoni del giallo. Ma il pàthos, quello c’è, ed è, come detto, un pàthos che monta, in crescendo e che propone quegli inconvenienti e quelle virate che il lettore di giallo scafato ama: insomma, l’imprevedibile, ma senza acrobazie, di un’incredibile Milano in una storia credibile. Una storia che è anche un’accusa, un prendere le distanze. Quel mondo «dalla parte del torto» di sesso esasperato con videocamere, chat, partite di poker e abiti griffati, quel mondo - sembrano volerci dire l’ispettrice e la scrittrice - esiste, c’è, avanza. E fa anche paura. Vera. Remo Bassini R l mondo è un ring dove tutti proclamano di essere i signori e padroni del proprio desiderio ma in realtà lo imitano dagli altri, mutuando ambizioni, passioni e scopi dai loro idoli, espliciti o latenti. Tutti guardano l’oggetto dei loro desideri attraverso il filtro inconscio del proprio «mediatore». Nessuno è originale e nessuno è puro, ma anzi il primo passo verso la piena consapevolezza è rendersi conto di come la tela dei desideri ereditati, copiati e rubati ci avvolga tutti, e nessuno sia più innocente. La teoria mimetica di René Girard, affascinante quanto discussa nel suo profilarsi come una antropologia generale del destino umano, quel «desiderio triangolare» che è alla base di libri epocali come Menzogna romantica e verità romanzesca, è lo stimolo che ha mobilitato Giulio Milani e Marco Rovelli, i curatori di questa antologia con cui l’editore Transeuropa torna alla vocazione che l’ha reso famoso: quella per la narrativa contemporanea (ricordiamo gli "Under 25" a cura di Tondelli che vent’anni fa fecero epoca). Diciannove i nomi di una lista varia per inclinazioni e stili: oltre ai due curatori troviamo Christian Raimo, Gianni Biondillo, Jacopo Masini, Valerio Evangelisti, Francesco Forlani, Carlo D’Amicis, Giuseppe Casa, Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Davide Bregola, Ivan Carozzi, Matteo De Simone, Nicola Montenz, Omar Cerchierini, Francesco Longo, Giorgio Vasta e Tommaso Ottonieri. Va detto che questa rinascita di Transeuropa s’inscrive esplicitamente nel segno di Girard: le uscite della collana "Tondelliana", nel 2004, hanno mostrato come la presenza di Girard nell’opera dello scrittore di Correggio sia fitta e consapevole; in una collana intitolata appunto "Girardiana", Transeuropa ha inoltre pubblicato due raccolte di saggi inediti del pensatore francese. Ma è molto più che un rilancio e molto più che un’antologia I Persecutori. Non è un’operazione di scouting letterario come ne abbiamo viste negli ultimi anni, ma l’occasione per far funzionare in parallelo, su uno stimolo forte, autori affermati e giovani leve sui trent’anni, tutte o quasi esordienti; non è, almeno nelle intenzioni, una I S t los schede libri mera giustapposizione di brani narrativi ma un «concept-book» dove le storie si disegnano a vicenda e si sovrascrivono determinando il complesso romanzo della rivalità nel nostro mondo. Si può scrivere un racconto governato per filiazione meccanica dalle teorie girardiane oppure farsi suggestionare da queste ultime per avventurarsi in un territorio solo in parte influenzato dalla dinamica del desiderio mimetico, oppure ancora provocare visioni pervase dall’ottica religiosa (e segnatamente cristiana) implicita nel punto finale del percorso dell’autore del "Capro espiatorio". Magnetizzati o meno da Girard, gli autori dei Persecutori - alcuni dei quali sono il presente e il probabile futuro della narrativa italiana - disegnano un percorso nei fatti molto composito, che si apre con un trittico di racconti, come tre sono i piani successivi su cui si articola la rivalità universale: il triangolo, il capro espiatorio e il sacrificio. Christian Raimo ("L’anno prima dell’anno del dragone") porta in scena il giorno dei funerali di Falcone inserendovi il triangolo desiderante che nasce fra tre amici; la dinamica del capro espiatorio svelata nel corpo sociale è protagonista del racconto di Gianni Biondillo; Jacopo Masini, in "Pandemia" con umori vagamente rustici e toscani, parla del precipitare della «crisi sacrificale» tra due paesi vicini che si incolpano a vicenda di un’epidemia mortale, annientandosi. Ma nell’antologia di cui parliamo non c’è il tentativo di dare una tesi oppure una teoria girardiana more fabulatorio demonstrata (i curatori si premurano persino di chiarire di non voler fondare nessun «movimento»), quanto invece quello di affiancare brani compositi in un disegno di sviluppo «romanzesco» - con il ritorno degli stessi luoghi, degli stessi personaggi in più racconti - che esprima la soggiacenza su molti piani della vita quotidiana della spirale mimetica, del contagio descritto da Girard. Un’infezione talmente generalizzata da risultare invisibile. Il punto - il vero punto - è la violenza, osservata come un prisma in tutte le sue implicazioni politiche, relazionali, sessuali. L’analisi del male che apparentemente «viene da fuori» lo sve- Nelle foto superiori Elisabetta Bucciarelli e Sara Durantini. In basso, in senso orario, Valerio Evangelisti, Giuseppe Casa, Franz Krauspenhaar e Davide Bregola ALMANACCO Elisabetta Bucciarelli / Sara Durantini / Giampaolo Vincenzi Una vigilia come stato di veglia GIAMPAOLO VINCENZI "La vigilia dei nostri sensi" pp. 76, euro 10 Giulio Perrone, 2007 esordio poetico di Giampaolo Vincenzi è inaspettatamente maturo, compiuto, meditato. È un frutto che non ha avuto fretta di cadere dal ramo di una tradizione letteraria studiata con passione infinita, metabolizzata e fatalmente compresa. Un’eredità preziosa di versi e visioni reinterpretata secondo un canone personalissimo, che unisce alla citazione più o meno esplicita dei classici - da Dante a Montale - un’autonoma ricerca sugli strumenti metrici e linguistici. Tanto forte l’eco dei classici che lo stesso titolo del libro è già in sé un aperto tributo alla dantesca «picciola vigilia d’i nostri sensi» del canto XXVI dell’Inferno, qui ripresa come memento ed epigrafe in apertura della raccolta. Una «vigilia» che è un accorto stato di veglia, un’attenzione sempre destata agli uomini e alla vita, una ricettività emotiva e poetica pronta a trasporsi in versi ad ogni nuova sollecitazione dei sensi, quale primo e privilegiato mezzo di comunicazione e interazione dell’io, nella sua inscindibile dualità corpo - psiché, col mondo esterno. Il «mestiere» di Vincenzi, nella serietà del suo esercizio, è evidente già nell’assetto formale dei componimenti, caratterizzato da una grande duttilità nelle scelte metriche, tale da passare dall’obbedienza all’endecasillabo alla frequentazione del verso libero e liberissimo; la stessa disposizione grafica arriva a rievocare, in taluni casi, esperimenti storici come i Calligrammi d’avanguardia di Apollinaire, o ancora ripropone un recupero sottile e divertito dell’acrostico. Ma è forse nelle scelte lessicali che la poetica di Giampaolo Vincenzi manifesta tutta la sua peculiarità: la sua lingua si fa infatti una trama di influssi, rimandi, memorie che alle stratificazioni letterarie unisce quelle proprie del vissuto personale dell’autore. Si osserva così la coabitazione di termini vagamente arcaicizzanti (come il verbo «lucciolare», che richiama, anche per mimesi fonetica, il significato del luccicare e quello meno consueto, etimologico, del piangere con grosse lacrime), e di fantasiosi neologismi strettamente legati al quotidiano del poeta, al suo dialetto, ai suoi luoghi: tra questi spiccano una «Maceratabularasa», in cui il nome di città s’annoda alla classica locuzione latina diventandone ingegnosa apposizione - (e lo stesso nome del resto s’appalesa nascosto nello scorrere del verso «macera/ taciti bastioni»), o ancora il verbo «didoneggi», che richiama irresistibilmente certe invenzioni classiche, in particolare certe vertigini lessicali leopardiane. Un percorso individuale e poetico mai compiaciuto dei suoi risultati, e semmai reso ancora più vitale dall’umiltà di una ricerca faticosa e costante, stemperata in rivoli di grande piacevolezza grazie a un’ironia colta e sottile che attraversa i testi contenuti nella raccolta come benefica linfa, in un approccio al reale e alla propria interiorità che garantisce sopravvivenza, salutare distacco, salvifica difesa. Cristina Babino L’ Il romanzo della rivalità nel nostro oggi la invece come cuore oscuro dei nostri stessi desideri. Il meccanismo vittimario che tiene in piedi la società, quando esplode, tocca i cieli della teologia innescando quella crisi sacrificale con cui essa si purga dei suoi conflitti interni sfogandosi su una vittima innocente. Vittime e carnefici sono presi in un circo dei desideri in cui il primo a non essere esterno al gioco è proprio chi si autodichiara tale, e l’u- AA. VV. "I Persecutori - racconti (di desideri e di rivalità)" pp. 278, euro 12,90 Transeuropa, 2007 nica vittima innocente è il capro espiatorio su cui si scaricano tutte le colpe della società precipitata nella spirale del contagio mimetico, in quella lotta intestina che porta all’annientamento se non opportunamente curata dal sacrificio. Il normale dinamismo del male si esplica nel misterioso disegno composto dai movimenti di carnefici e vittime: che siano, queste ultime, clande- L’amore strano di un padre per una figlia SARA DURANTINI "Nel nome del padre" pp. 159, euro 12 Fernandel, 2007 l romanzo d’esordio di Sara Durantini racconta la storia di una relazione sessuale tra un padre e la propria figlia; rapporto d’amore, per una volta, e non di violenza, che solo nelle ultimissime pagine si consuma. Sebbene annunciato fin dal prologo - «Diventò il suo amante una notte d’estate, quando si infilò nel suo letto» -, alluso dal titolo - Nel nome del padre -, reso scoperto dalla quarta di copertina, solo alla fine si compie, e nonostante il continuo tentativo di eluderlo, attraverso rimozioni e omissioni, anche sul piano narrativo. Il libro racconta il percorso di Sara, nel suo doloroso labirinto, fino alle soglie, non oltre, del rapporto amoroso col padre. La storia, in breve. Sara vive coi genitori legati ormai solo da reciproci rancori: il marito rincasa tardi, la sera, di ritorno dai furtivi incontri con l’amante, la moglie ad attenderlo astiosa, invano a chiedere spiegazioni. La donna si sente abbandonata anche dalla figlia, che col padre ha un rapporto speciale, assieme infatti dormono e fanno la doccia. Fino a quando l’uomo andrà via di casa. Confessare a Sara di avere un’amante porterà alla rottura tra i due: ma il tradimento è sofferto e condannato forse più come donna che come figlia. Sara verrà attratta da figure maschili, prima un compagno di scuola poi altri uomini, più grandi, proiezioni della figura paterna, al cui confronto, alla lunga, si eclisseranno. In seguito, da un passato oscuro che aveva cercato di rimuovere, torneranno le angosce degli abusi sessuali subiti dal nonno materno, su di sé bambina e sulla madre, che sapeva. Il tratto autobiografico, peraltro comune a racconti del genere, di adolescenti che scoprono il sesso e attraverso il sesso cercano disperatamente la via per trovare espressione, identità, trova il suo sigillo nel nome della protagonista, Sara, lo stesso della giovane autrice, come a non poter sfuggire all’urgenza autobiografica. Al lettore è così suggerita l’identificazione diretta tra autrice e protagonista, operazione tante volte attuata in passato, in storie consimili di adolescenti e di sesso, per chiari fini pubblicitari. Fin troppo facile sarebbe stato perseguire quel piano con una storia come questa, nella quale si aggiunge agli altri lo scandalo dell’incesto - parola che mai s’incontra dalla prima pagina all’ultima (per dire una delle omissioni ricordate all’inizio) -, ma se tutto ciò è alieno dal romanzo, particolare che gli conferisce originalità di non poco merito, è perché del tutto privo appare di morbosità. Anziché caricare - e non ce ne sarebbe a ben guardare bisogno, considerato il tema - la Durantini toglie, rimuove, elude, alleggerisce, e là dove altri avrebbero grandemente sovraccaricato, esibito, lei procede lieve, con delicatezza perfino, si legga per tutte la scena topica e conclusiva dell’amplesso tra padre e figlia. Diario di una ragazzina di Phoebe Gloeckner, uscito lo scorso anno sempre da Fernandel, costituisce per molti tratti un precedente ideale di questo libro e, forse, l’abbrivio per una precisa linea, centrata sul sesso, dentro il filone giovanilista, asse portante nella produzione dell’editore ravennate. Marcello D’Alessandra I stini rumeni o giornalisti assassinati, ingenui ventenni presi in un mondo di relazioni inautentiche o i mutilati di guerra dell’ex Jugoslavia. Alcuni racconti dei Persecutori si pongono su una linea di deciso intervento sul presente, mostrando sia la valenza tutta attuale e tutta politica del triangolo girardiano, sia le dinamiche sacrificali che si nascondono dietro l’età della mediatizzazione totale e della guerra preventiva: Gianni Biondillo applica un convincente paradigma a più voci alla cronaca del disabile picchiato a scuola e diffuso su You Tube ("Sono io il colpevole"), Valerio Evangelisti osserva gli orrori di Guantanamo attraverso la voce interiore di un internato, Rachid, in inesorabile corsa verso la morte. Carlo D’Amicis, in "Gabbiani a Las Vegas", racconta incisivamente una «rivelazione mimetica» durante una strana festa in memoria organizzata dalla madre di un soldato ucciso in Iraq; Helena Janeczek fonde autobiografia ed emergenze dell’oggi disegnando un profilo di Anna Politkovskaja, mentre Franz Krauspenhaar ("L’invidia di Basemah") mette in luce un fondamentale aspetto mimetico dei delitti: un’infermiera uccide perché non può avere un bambino. "L’oroscopo di Vlad" di Marco Rovelli scende negli inferni quotidiani dei clandestini romeni con lo sguardo di un reporter e una sensibilità che non vuole fermarsi alle semplici verità consensuali propinateci dai media. Ma l’estremizzazione del desiderio triangolare parla la lingua della religione, e così il discorso sul divino è scimmiottato alla maniera gnostica da Davide Bregola: il suo racconto, "Profezie per il XXI secolo", è il punto di snodo del percorso dei Persecutori e si chiude con una frenetica scena visionaria di sacrificio. Giulio Milani e Omar Cerchierini puntano invece sul sesso l’obiettivo della loro indagine. La dinamica dell’esclusione sociale è analizzata da Nicola Montenz nel suo "L’uomo dei lupi", a contatto con un misterioso maestro amato-odiato, mentre Francesco Longo ("Le ombre del promontorio") racconta la normale alienazione borghese di ragazzi della jeunesse dorée romana in vacanza a Sabaudia, con un gusto molto significativo del particolare, che atomizza nomi, volti e percezioni in una generale anestesia, quella di vite che si reggono solo sul desiderio di mostrarsi e mostrare. I particolari diventano invece dettagliati fino a risultare urticanti, causa l’intollerabile esattezza dello sguardo, nel racconto di Giorgio Vasta, un’autopsia dell’Est europeo - e del rapporto mimetico che lo lega all’Occidente - a partire dal corpo, dalle cicatrici e dalle mutilazioni di una guerra avvenuta solo ieri. Il pezzo di Tommaso Ottonieri che chiude la raccolta è l’outsider stilistico della selezione, un affondo della scrittura nella biologia condotto con furia sperimentale, una visione del concepimento e della nascita che si avvale di un uso della puntuazione tale da provocare effetti stranianti a livello ritmico. Tra le parole ricorrenti nei Persecutori ce n’è una che spicca su tutte, ed è ovviamente «contagio»: contagio della colpa nei racconti di D’Amicis e Rovelli, o del sublime in quello di Ivan Carozzi che racconta un’epifania divina sotto forma di levitazione da parte di una ragazzina albanese in un quartiere degradato; contagio di desiderio in un’Europa dell’Est osservata sotto la lente metaforica, ma poi non troppo, delle pornoattrici che «prendono in bocca il sesso occidentale e tenendolo guardano verso l’alto e lo disprezzano» (Giorgio Vasta). Queste sono le radici della rivalità in un mondo in cui gli uomini finiscono per essere dèi gli uni per gli altri. I brani dei Persecutori che agiscono più a lungo sul lettore sono gli autentici pugni nello stomaco come i racconti di Biondillo, Krauspenhaar e D’Amicis, e quelli che pur guardando alla teoria girardiana non la ricalcano pedissequamente, ma affondano le armi della scrittura in un vissuto personale che sa trasformarsi in visionarietà (di quest’ultima sono generosissimi i brani di Carozzi e Vasta). Sondando da vari lati il prisma della violenza, questi scrittori italiani ci suggeriscono di non dare sempre per scontato il male del presente, e soprattutto vengono a ricordarci perché non possiamo non dirci girardiani. Fabio Pedone