n. 1 - Febbraio 2011

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n. 1 - Febbraio 2011
0_SIPO copertina 1.2011
17-02-2011
16:40
Pagina 1
Rivista Italiana di
Pediatria Ospedaliera
Rivista della SIPO (Società Italiana Pediatria Ospedaliera)
VOCI DELLA PEDIATRIA ITALIANA
Sip, Società scientifiche affiliate Sip, ONSP, Operatori Sanitari
Come definire
la Pediatria Italiana
nelle sue diversificate competenze?
Ci piace pensare
a tante perle preziose
infilate in un filo color arcobaleno.
Un gioiello per i nostri
bambini e i loro genitori.
COLLABORAZIONE OSPEDALE / TERRITORIO
COLLABORAZIONI CON LE SOCIETA’ SCIENTIFICHE Di Riferimento
AREA DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO NAZIONALE
AREA DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE
NOTIZIARIO REGIONALE
OSPEDALITA’
ATTIVITA’ SIPO
I Progetti di Educazione alla Salute
FUTURO PROSSIMO / FUTURO REMOTO
Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici
Volume 4 - n. 1 - Febbraio 2011
R i v i s t a I t a l i a n a d i
Pediatria Ospedaliera
Fondata da Salvatore Vendemmia
Volume 4 - n. 1 - Febbraio 2011
DIREZIONE E REDAZIONE
ASSISTENTI DI REDAZIONE
Direttore Generale
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Chirichiello, Giuseppe Claps, Angelo Elio Coletta, Giuseppe Colucci, Antonio Correra, Giovanni
Corsello, Alfonso D’Apuzzo, Raffaele Domenici, Salvatore Di Maio, Pasquale Di Pietro,
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Giustardi, Paolo Indolfi, Raffaele Iorio, Marcello Lanari, Franco Locatelli, Riccardo Longhi,
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Felice Nunziata, Filippo Oliveri, Roberto Paludetto, Francesco Paravati, Giuseppe Parisi,
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Marco Somaschini, Mauro Stronati, Luciano Tatò, Gianfranco Temporin, Roberto Trunfio,
G. Alberto Ugazio, Massimo Ummarino, Pietro Vajro, Alberto Villani, Antonio Vitale
EDITORIAL BOARD INTERNAZIONALE
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Uzi Bodman (Fort Lauderdale, USA), Salwa Chafaï (Casablanca, Marocco), Robert Chevalier
(Charlotte Ville - Virginia, USA), Hercilia Guimãraes (Porto, Portogallo), Giorgina Mieli
Vergani (Londra, UK), Giovanni Piedimonte (Virginia, USA), Gamal Samy Aly (Cairo, Egitto),
Umberto Simeoni (Marsiglia, Francia), Teresa Tomè (Lisbona, Portogallo), Diego Vergani
(Londra, UK), Murat Yurdakok (Ankara, Turchia)
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
SIPO
Società Italiana di Pediatria Ospedaliera
CONSIGLIO DIRETTIVO TRIENNIO 2008-2011
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Roma
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Aversa
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Roma
Tesoriere
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Ostuni
Consiglieri
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Torino
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Milano
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Roma
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Napoli
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Roberto Antonucci
Cagliari
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
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Per la richiesta di pubblicazione di articoli inviare corrispondenza elettronica a:
Prof. Salvatore Vendemmia c/o Segreteria di Redazione EDITEAM: [email protected]
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L’Editore declina, dopo attenta e ripetuta correzione delle bozze, ogni responsabilità derivante da eventuali errori di stampa, peraltro sempre possibili.
Autorizzazione Tribunale Bologna n° 7836 del 10/03/2008
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2011.
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
INDICE
Editoriale
Il nuovo sito web della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera
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Roberto Antonucci
Voci della Pediatria Italiana
Il pediatra, la letteratura e il cinema per l’infanzia: spunti e riflessioni . . . . .
Goffredo Parisi, Mario Grasso, Angela Paladini, Luigi Cataldi
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
Ipospadia
...............................................................................................
Giuseppe Stranieri
Collaborazione Ospedale / Territorio
Comunicazione: la nuova frontiera della medicina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pietro Falco, Italo Farnetani
Notiziario Regionale
Malattia da graffio di gatto con interessamento epatosplenico:
descrizione di un caso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Adele Civino, Anna Lubelli, Annalisa Fracchiolla, Giuseppe Presta, Carmelo Perrone
Futuro Prossimo / Futuro Remoto Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cari Colleghi,
in qualità di Responsabile Scientifico del sito
web della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera, incarico che oramai ricopro da circa 2 anni, ho
il grande piacere di presentare a voi tutti il nuovo
sito web della nostra Società.
Dopo un’onorata carriera, infatti, il “vecchio”
sito web è andato in pensione, essendo ormai superato dai tempi e bisognevole di rilevanti quanto difficili aggiornamenti di natura tecnica.
Pertanto, con l’indispensabile contributo del Dr.
Daniele Ibba, webmaster del nostro sito web, che
ha messo a disposizione della Società la dedizione, l’entusiasmo e la competenza tecnica di cui è
capace, il sottoscritto ha preso la decisione di dar
vita al nuovo sito web della SIPO.
Tale importante scelta, peraltro necessaria, comporta per la nostra Società solo ed esclusivamente dei vantaggi: infatti, il nuovo sito presenta un’interfaccia grafica più accattivante e moderna ed una
navigazione più rapida al suo interno, consente una
migliore indicizzazione (e quindi una maggiore visibilità) nei più importanti motori di ricerca (Google ed altri), e rende possibile l’implementazione
di nuove soluzioni tecniche prima precluse. Infine, va sottolineato che il nuovo sito web non è costato alla SIPO neppure un euro, essendo stato realizzato a titolo gratuito dal sottoscritto e dal webmaster come tangibile segno di attaccamento alla
nostra Società Scientifica.
Desidero riassumere in breve alcune novità del
nuovo sito web, che è apparso online a partire dagli ultimi giorni del mese di Dicembre 2010.
➢ Nella home page sono state inserite 2 funzioni molto utili:
• la prima riguarda la possibilità di fruire di
news pediatriche sempre aggiornate, a cura di Medical News Today;
• la seconda, invece, è relativa alla possibilità di effettuare rapidamente ricerche biblio-
Editoriale
IL NUOVO SITO WEB DELLA
SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA OSPEDALIERA
grafiche su uno dei più importanti archivi
medico-scientifici al mondo, e cioè PubMed,
grazie alla creazione di un link tra il nostro
sito e quello di PubMed.
➢ La sezione inerente i links utili, cioè i collegamenti con siti nazionali o internazionali attraverso i quali reperire abstracts, lavori scientifici full-text o altro materiale, è stata arricchita e
lo sarà ancor più nel futuro grazie ad accordi
presi direttamente con detti siti.
➢ È stata creata ex-novo l’Area Video Didattici:
in tale sezione del sito sarà possibile visualizzare una selezione di video didattici di interesse neonatologico o pediatrico.
➢ Altre sezioni del sito di particolare interesse
sono:
• quella inerente la Rivista della SIPO (di cui
sono disponibili online tutti i numeri pubblicati);
• quella relativa al Calendario Congressi (dove vengono pubblicati i programmi di Congressi di ambito Pediatrico);
• infine quelle più prettamente istituzionali.
Ogni Società Scientifica ha necessità di dotarsi di strumenti operativi, come il sito web o altri,
ma ha altrettanto bisogno di un loro continuo aggiornamento ed adeguamento rispetto ad esigenze e sfide sempre nuove. Come Responsabile del
sito e come Consigliere Nazionale della SIPO, ho
voluto dare un contributo in tal senso, nella speranza che esso trovi in voi tutti, Soci e simpatizzanti della nostra Società, una favorevole accoglienza.
Un cordiale saluto
Roberto Antonucci
Responsabile scientifico
Sito web della Società Italiana
di Pediatria Ospedaliera
1
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Goffredo Parisi, Mario Grasso, Angela Paladini*, Luigi Cataldi**
U.O. Pediatrico-Neonatologica P.O. Vasto, A.S.L. 02 Lanciano-Vasto-Chieti - Regione Abruzzo,
*Facoltà di Medicina e Chirurgia, Campus Bio-Medico, Roma
**Istituto di Clinica Pediatrica, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Policlinico Universitario “A. Gemelli”, Roma
“Non occorre fare tanta strada per dimostrare a te
stesso quello che puoi essere: quello che eri è sempre dietro di te, e neanche troppo lontano”
(Anonimo)
Premessa
La lettura e le immagini costituiscono la strategia più efficace per tenere desta l’attenzione del
bambino e al tempo stesso trasmettergli dei contenuti. La carta stampata, al di là del suo fascino,
rimane perciò, assieme alle immagini, un caposaldo della strutturazione del linguaggio, della comprensione delle cose, dell’accostamento al mondo e alla maturità del soggetto in età evolutiva.
È paradossale che nel mondo attuale, che fa della comunicazione e della multimedialità un emblema, i piccoli rischino di trovarsi da soli ad organizzare in modo personalizzato e costruttivo la
massa di stimoli più eterogenei che quotidianamente li investe.
Il pediatra del III millennio:
nuove attitudini e funzioni
I nuovi o rinnovati contesti che reclamano un
adeguamento formativo del pediatra, che vada ad
affiancarsi al tradizionale profilo clinico e di gestore di risorse e di beni comuni, disegnano un professionista nuovo, un “knowledge worker” che, in
maniera autonoma o dipendente, singolarmente o
all’interno di “team”, reti strategiche ed azioni concertate volte alla produzione, difesa e diffusione di
salute e benessere psico-sociale del bambino, offre un “capitale intellettuale” con la piena consa-
Voci della Pediatria Italiana
IL PEDIATRA, LA LETTERATURA E IL CINEMA
PER L’INFANZIA: SPUNTI E RIFLESSIONI
pevolezza del grado di coinvolgimento culturale
che esso mobilita nella propria prestazione, al di
là della capacità di “operativizzare” le conoscenze acquisite (1). In tale contesto e data la crisi delle abituali agenzie di socializzazione, il pediatra
può svolgere un ruolo, non convenzionale nè secondario, di supporto ed integrazione con “gli anelli deboli” della catena formativa, “king-maker” operativo, “opinion-leader” culturale, mentore (2, 3)
o “altro significativo”* (4) cui non sono estranei i
compiti di “adviser” discreto, autorevole e benevolo, di indirizzi e scelte concernenti la sfera ludico-ricreativa, sportiva, del tempo libero e delle
attività connesse.
In quest’ottica, i messaggi su cui il pediatra deve agire provengono da carta stampata, cinema,
TV e Internet, per volgere a favore del bambino
(o ragazzo-adolescente) l’indubbia carica di coinvolgimento e condizionamento che tali strumenti possiedono, sublimandone l’appeal e l’influenza nell’individuazione di modelli e figure di riferimento affidabili e gratificanti, contrastando in tal
modo il rischio di eccessi espositivi, l’isolamento
materiale ed emozionale, l’”assuefazione all’orrido”, l’assunzione di modelli malati e devianti, insomma, buona parte di quella “new-morbidity” (5)
(che qualcuno ha anche definito “male dell’anima”) che costituisce la nuova frontiera del disagio, della crisi e dell’emergenza giovanile e, nello stesso tempo, delle sfide di prevenzione, contrasto, contenimento e rigenerazione bio-psico-sociale di cui occorre farsi carico. Questo “target”,
se raggiunto, facilita ai ragazzi l’acquisizione dello stato di un sé autocurante, un “care taker self”
rassicurante e positivo, capace di aprire le porte
della nuova dimensione biologica ed esistenziale che li attende (6).
* “altro significativo”, in base alla teoria dello sviluppo del “sistema comportamentale di attaccamento” (J. Bowlby, 1991), che indica nella qualità del legame affettivo “primario” (interazione tra individuo e prima figura accudente) la base per lo sviluppo dei
rapporti sociali e la scelta della/e persona/e di riferimento secondario e terziario (famiglia, scuola, società) da prendere a modello negli anni successivi. Le interazioni dinamiche tra l’individuo e i vari livelli di sistemi, apprendimento, istituzioni e contesti sociali determinano lo sviluppo; strumento essenziale di esito positivo risultano essere l’amplificazione della comunicazione affettiva e la presenza di ascolto da parte degli “altri significativi”.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Voci della Pediatria Italiana
Letteratura e cinema per
l’infanzia
Fino a 3-4 secoli fa non esisteva una letteratura per l’infanzia vera e propria perché in un certo
senso l’infanzia non esisteva, in quanto priva di una
identità sociale e di genere definita. Di fatto, la “materia prima” letteraria e narrativa era in gran parte
derivata dalla tradizione orale di racconti popolari, fiabe, leggende, miti, filastrocche e cantate. Fu
solo con l’avvento della stampa (XV secolo) che si
registrò una produzione libraria con interessi nuovi rispetto alla favolistica allegorico-moraleggiante del periodo greco-romano (Esopo-Fedro), rivolti alla storia recente ed alla contemporaneità sotto un profilo preminentemente educativo e pedagogico, pur se in una cornice avventurosa (“Robinson Crusoe” di D. Defoe; “I viaggi di Gulliver” di
J. Swift, dove l’ingegno e l’audacia del protagonista diventano espressione del liberalismo e dell’individualismo borghese del tempo, risultando apprezzati da un pubblico adulto anche per la forza
satirica in essi contenuta e, al tempo stesso, da un
pubblico infantile per la novità e libertà dell’invenzione fantastica) (7).
In Francia, i primi due libri di grande successo
furono “Le favole” di La Fontaine, (suddivise in 12
libri, di cui i primi 6 uscirono nel 1668, gli altri
cinque nel 1678-79 e l’ultimo nel 1692). L’Autore, il più geniale favolista di tutti i tempi, ampiamente ispiratosi a Esopo, Fedro, ai favolisti medioevali e a Bidpay, seppe però aggiungere alla narrazione nuovo vigore ed interesse, pur in una cifra
classicamente gnomico-sentenziosa; e, poco dopo, “I racconti di Mamma Oca” (1697), di C. Perrault, contenente alcune delle più belle fiabe di sempre, come “La bella addormentata”, “Barbablù”,
“Cenerentola” (8) (quest’ultima tratta in realtà dall’opera e dalla fantasia di un cavaliere napoletano, Giambattista Basile, duca di Montemarano, frequentatore di corti e di bassi, che sessant’anni prima aveva raccolto la fiaba della ragazzina coperta di cenere - Zezolla il nome dell’orfanella napoletana - nel suo “Pentamerone o Cunto de li Cunti de le peccerille”, affidandola ad un dialetto barocco lontanissimo dal francese letterario di Perrault). È stato il Basile con “La Gatta Cenerentola”
a scrivere per primo la fiaba dell’orfana che diventa regina; e sembra ormai certo che Perrault abbia
attinto proprio da lui, anche se Cenerentola è un
personaggio-ponte che si presta alla perfezione per
parlare ai bambini di alterità e diversità, con il suo
andare e venire tra varie culture (la fiaba, sia in forma scritta che nella tradizione orale, è diffusa in
oltre 700 versioni, in quasi tutti i continenti e le
sole scarpe di Cenerentola, nelle varie espressioni geografiche di provenienza della fiaba, hanno
assunto un ruolo di indicatori sociali e marcatori
di culture).
Altri eventi cruciali per lo sviluppo e la caratterizzazione in senso specifico della letteratura per
ragazzi furono: la pubblicazione dell’”Emilio” di
J.J. Rousseau (1762), che orientò in senso decisamente pedagogico i modelli narrativi di tutto il secolo ed oltre; la “scoperta dell’infanzia” da parte
della società borghese del XVIII secolo sotto la spinta Illuministica; l’avvento del Romanticismo Ottocentesco, che generò una nuova fioritura di miti e
leggende come frutto di un rinnovato interesse per
il folclore (fratelli Grimm; H.C. Andersen); John
Dewey (“Scuola e Società”, 1899) e le teorie dello sviluppo cognitivo e, infine, la “stagione del riconoscimento dei diritti dell’infanzia” (XIX-XX secolo), congruenti e le une e l’altra nel calamitare
finalmente sul “soggetto” bambino le attenzioni e
l’interesse del mondo scientifico, sociale, culturale e politico. Nell’Ottocento, come si è detto, si consolidava in tutta Europa il filone storico-avventuroso sulla scia del grande successo dell’”Ivanhoe”
di W. Scott (1819), a partire dai romanzi di A. Dumas père (1802-1870), ambientati nella Francia del
XVII secolo (“I tre moschettieri”, “Il Conte di Montecristo”, “Vent’anni dopo”), che descrivevano l’alta società del tempo impegnata in fantasiosi intrecci e macchinazioni (e schermaglie amorose), segnando in pratica l’inizio del genere c.d. “Cappa
e spada” che trovò presto numerosi epigoni. Non
molto tempo dopo (1860-1873) J. Verne dette vita ad un nuovo filone che riscosse molto successo sia tra gli adulti che i bambini, attraverso romanzi (“Viaggio al centro della Terra”, “Ventimila leghe sotto i mari”, “Il giro del mondo in 80 giorni”)
ai quali si fa risalire la nascita della moderna fantascienza (9).
In Inghilterra C. Dickens fu considerato autore
adatto ad un pubblico composito. I suoi romanzi
ritraggono la società inglese dell’epoca (primi decenni del 1800), denunciandone le molte ingiustizie (come il lavoro minorile, ferocemente stigmatizzato in “Oliver Twist”) e il disinteresse per il tema dell’infanzia infelice, i cui personali ricordi restarono in lui così vivi da costituire il fulcro di quello che molti ritengono, assieme al “Circolo
Pickwick”, il suo capolavoro, “David Copperfield”,
la prima puntata del quale fu pubblicata nel 1849.
In America nello stesso periodo la letteratura per
ragazzi (e adulti) si sviluppò su tre linee: quella avventurosa, legata al mito della frontiera ed all’epopea del West (“L’ultimo dei Mohicani”, di J.F.
Cooper; “Zanna Bianca”, di J. London); quella antropologico-sociale, legata al problema del razzismo verso i neri d’America (“La capanna dell zio
Tom”, di H.B. Stowe); quella avventuroso-umoristica (“Le avventure di Tom Sawyer” e “Le avventure di Huckleberry Finn”, che ne rappresenta l’ideale continuazione, entrambe di M. Twain), ironicamente tematizzante il conflitto tra libertà e spontaneità fanciullesca e gli schemi convenzionali soffocanti dell’epoca (7-10).
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Lo stesso gusto del fantastico permea ed intride i 14 romanzi (il primo datato 1900: “Saga di Oz”)
dedicati da L.F. Baum al Mago di Oz (11), personaggio che ha goduto di diverse trasposizioni cinematografiche, tra cui la prima curata dallo stesso autore L.F. Baum; ma fu solo con “The Wizard
of Oz”, costosissimo musical a firma Victor Fleming
(1939), che la magia del Technicolor rivestì di una
dimensione quasi onirica la vicenda, offrendo a Dorothy, nel momento di abbandonare il Kansas per
immergersi nella colorata realtà di un regno incantato, la tecnologia per farlo.
Il “Caso de Saint-Exupéry
Il Piccolo Principe” e il
“Mondo rovesciato dei sogni
di William Faulkner”
Ci piace riportare due felici “incursioni” nel
mondo delle fiabe di due grandissimi Autori dedicati a un genere diverso, Antoine de Saint-Exupéry
con “Il Piccolo Principe” (1943) e il Nobel per la
letteratura 1949, William Faulkner, con “L’albero
dei desideri”, un testo redatto nel 1927 ma pubblicato solo nel 1967.
“Il Piccolo Principe” (12) è un racconto autobiografico che costituisce come un momento di riposo dalla tensione umana ed eroica degli altri libri; durante tutta la vita Saint-Exupéry conservò la
particolarità di arrossire invece di rispondere quando gli si presentavano situazioni di imbarazzo, comportamento insolito, tenace residuo dell’infanzia in
un uomo temprato e coraggioso, un umanista ed
aviatore civile e di guerra, la cui fede nella natura dell’uomo e l’eroismo personale hanno sempre
esercitato un fascino profondo, specie sui giovani. Il suo personaggio poetico, il Piccolo Principe,
presentatoglisi improvvisamente nel deserto del
Sahara dopo un incidente di volo, aveva la stessa
caratteristica di arrossire senza rispondere alle domande e l’età apparente di 6 anni: il bambino è
evidentemente un’altra parte di se stesso, una parte che il Narratore Saint-Exupéry ebbe la fortuna
di incontrare, dal pianeta della sua infanzia forse,
senza la quale il pilota avrebbe finito per dimenticare, “come di solito succede ai grandi”. Aveva
6 anni il Narratore quando, avendo perduto il padre, diventò malinconico e imparò il gusto dolceamaro della solitudine, la stessa età, pressappoco,
in cui gli adulti scoraggiarono la sua vocazione per
il disegno, “convincendosi a non vedere nient’altro che un cappello nel serpente boa che aveva ingoiato un elefante tutto intero”. L’ex-bambino aveva sempre conservato quel foglio, che gli ricordava a che punto la mancanza di immaginazione degli adulti potesse essere grande e deludente.
A 50 anni dalla pubblicazione del libro negli
Stati Uniti, “Il Piccolo Principe”, favola del bambino dai capelli d’oro, è diventato un long-seller
internazionale ed un testo chiave di formazione.
Il suo autore narra la storia di quell’altra parte di
sé che non aveva mai finito di esistere, affidandola ad una figura tenera ed enigmatica (il Piccolo
Principe) che, lasciato l’asteroide dove viveva, un
mondo meraviglioso, fatto di poche cose, ma tutte importanti, vagava per prendere conoscenza degli altri pianeti che esistevano oltre al suo e cercare di comprenderne l’apparente assoluta bizzarria.
Fino al punto che, a distanza di un anno dal
suo arrivo sulla terra, decide di farsi mordere dal
suo amico serpente per offrirsi alla morte e ritornare sulla sua stella. È in questo epilogo che il racconto diventa confessione, visione, presagio: qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro,
il pilota-poeta Saint-Exupéry scomparve in una missione aerea sul Mar Mediterraneo, nel luglio 1944.
Malgrado le ricerche il suo corpo, così come
la carcassa del suo Lightning da ricognizione, non
furono mai ritrovati: errore umano, incidente, abbattuto dai tedeschi, tutte ipotesi possibili che non
intaccano la sorprendente analogia con l’epilogo
Voci della Pediatria Italiana
Verso la fine del secolo nacque una nuova modalità editoriale, il fumetto, esordito in Germania
con W. Busch nel 1860 ed esploso in America con
la magia Disneyana di “Mickey Mouse” (Topolino),
disegnato da Ub Iwkers nel 1928 e diventato presto famoso e amatissimo in tutto il mondo. Il genere fantastico continuò in questo periodo a mietere successi con due personaggi straordinari: l’Alice (in “Wonderful”), nata dalla penna del reverendo C.L. Dodgson, compassato professore a
Oxford che, sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll
(1865), diede vita ad una delle più belle e “difficili” storie di tutta la letteratura per l’infanzia, cosparsa com’è di filastrocche, giochi di parole, nonsense. Un capolavoro ingannevole quanto seducente, un vero e proprio rompicapo per critici, matematici, psicoanalisti, traduttori, storici della letteratura: semplicemente, una favola deliziosa per i
bambini che non temono i salti della fantasia, non
distinguono tra vero e verosimile e si fidano dei sogni. Diverse sono state le trasposizioni cinematografiche di cui l’ultimissima (2010, “Alice in Wonderland”) (11) realizza un incontro epocale tra il
più grande creatore di sogni degli ultimi 20 anni,
al suo culmine visionario, l’unico in grado di incantare e terrorizzare grandi e piccoli scardinando logica, estetica ed anatomia: Tim Burton, giunto ormai al settimo incontro con Johnny Depp, cui
ha affidato la parte del Cappellaio Matto; e, dall’altra parte, il bizzarro universo partorito da un reverendo matematico pudibondo e forse perverso
come molti eminenti vittoriani, una sfida al senso
(e alla morale) comune che in quasi 150 anni non
ha perso un grammo del suo fascino e ingigantito
i contorni ed i contenuti del personaggio della sua
musa bambina, Alice Liddell.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Voci della Pediatria Italiana
del racconto. Ma la favola del ragazzino dai capelli d’oro e del suo Narratore continua ad emozionare e commuovere...
“L’Albero dei Desideri” (13), fu un regalo speciale che William Faulkner fece in occasione del
suo ottavo compleanno alla piccola Victoria, figlia
del primo matrimonio di Estelle Oldham Franklin,
la compagna di giochi dell’infanzia, la donna da
sempre amata che l’autore de “L’urlo e il furore”
si apprestava finalmente a sposare. Non a caso la
protagonista della favola è Dulcie, piccola coetanea di Victoria, che la sera prima del suo compleanno “entra nel letto con il piede sinistro e gira il cuscino prima di dormire, ed allora può succedere
di tutto”, proprio come nei sogni.
Va da sé che la materia dei sogni e della Fiaba, è volubile e cangiante. Dulcie, come “Alice nel
Paese delle Meraviglie”, si troverà nel bel mezzo
di un mondo rovesciato ed imprevedibile, sospeso tra realtà e nonsense, in compagnia di una piccola brigata di bambini e adulti guidata da Maurice, il ragazzino dai capelli fiammeggianti capace di “soffiare” la vita nei giocattoli che cela nella cartella, tutti insieme alla ricerca di un prodigioso Albero che può esaudire ogni desiderio e le
cui foglie, interamente bianche, si colorano dei desideri di chi le stringe tra le mani. Eppure, non lo
riconosceranno e useranno addirittura così maldestramente quelle foglie da cacciarsi ogni volta nei
guai. Alla fine è uno straordinario San Francesco,
letteralmente coperto di uccelli, mobili e fruscianti “foglie di mille colori diversi”, a svelare il segreto dell’Albero dei desideri ed alla piccola Dulcie
non resterà che l’incanto di un uccellino azzurro,
prezioso regalo di compleanno che l’attende al risveglio. L’allegoria e la morale sono evidenti, al lettore più attento restano l’eleganza e l’humour di
un fuoriclasse della letteratura, capace di regalare anche sogni in una occasione di sortita dalle tematiche narrative abituali.
Evoluzione in Italia della
tematica
In Italia lo sviluppo di una autentica letteratura per ragazzi avvenne più tardi, nel corso del XIX
secolo, in parte per lo scarso sviluppo dell’editoria ma soprattutto a causa degli altissimi livelli di
analfabetismo; gli anni d’oro si collocano immediatamente a ridosso dell’unità nazionale, con le
due opere più significative, “Le avventure di Pinocchio”, di C. Collodi e “Cuore” di E. De Amicis, i
due libri italiani per ragazzi più tradotti in tutto il
mondo, frutto di una duplice esigenza, quella educativa e quella di costruire una coscienza civile nazionale (7, 14). Il posto di assoluto rilievo che spetta al fiorentino Carlo Lorenzini (Collodi), autore di
un autentico capolavoro della letteratura “all-time”,
oggetto di illustrazione da parte di innumerevoli
disegnatori e “Cartoonist” e di una imponente esegetica, trasposto in fumetti, film d’animazione, cartoni animati, consegna alle giovani generazioni un
personaggio, Pinocchio, che continua a parlargli,
sprigionando quello spirito libertario che si legge
dietro l’esortazione all’obbedienza e al conformismo che fanno da cornice morale. La complessità
del romanzo, che è anche una satira di una società
repressiva come quella ottocentesca, è stata più volte utilizzata dal cinema (il “top” - che peraltro piaceva poco a L. Comencini, autore di un memorabile Pinocchio televisivo - è quello firmato W. Disney del 1940). Rinnovare nei ragazzi l’interesse
per le avventure di Pinocchio è un modo per non
fissare l’immagine del burattino in un unico modello (che sia quello Disneyano o quello del vasto “merchandising” che ne è derivato), per continuare a conservarne intatta la grandezza stilistica e la carica di provocazione.
Notevole anche nei primi decenni del XX secolo “Il giornalino di Gian Burrasca”, di Vamba (L.
Bertelli), la cui creatura, Giannino Stoppani, portatrice di una carica di ribellismo dissacrante, si guadagnò presto una folta schiera di “fans” attraverso
le 52 puntate pubblicate nel biennio 1907-1908.
Lina Wertmüller ne trasse liberamente 8 episodi musicali (serial del 1984) che rappresentano un momento importante della storia televisiva italiana, grazie anche alla “verve” della “piccola” Rita Pavone, cantante-attrice in grado di restituire integralmente, tra brio, gestualità istintiva e carica espressiva, la forza eversiva della creatura di Vamba.
A cavallo tra Ottocento e Novecento si consuma la stagione del Verismo, filiazione e appendice del Naturalismo francese. Ricordiamo in Italia
“Rosso malpelo”, di G. Verga, ripreso cinematograficamente da Pasquale Scimeca nel 2007 e fatto assurgere a simbolo dell’infanzia sfruttata; in Ungheria “I ragazzi della via Paal”, capolavoro di F. Molnàr,
ambientato in una laboriosa e fagocitante Budapest primo Novecento, con una guerra di ragazzi contro un gruppo rivale, combattuta senza l’aiuto degli adulti per difendere uno spazio fortificato alla
periferia della città, che si conclude purtroppo con
la “morte eroica” del piccolo Nemecsek. Il messaggio è pacifista: la guerra - come tutte le guerre
- e il sacrificio del ragazzo si rivelano inutili: il campo sparirà, il progresso che avanza lo sostituirà con
un edificio. Frank Borzage nel 1934 ne ha tratto
un film che rispecchia pienamente la poetica di
Molnàr, seguendo fedelmente gli avvenimenti, sottolineando allo stesso modo l’impotenza delle azioni umane di fronte ai disegni del destino.
Nella prima metà del Novecento, mentre a Hollywood si celebrava il trionfo del divo-bambino, artificiosa rappresentazione dell’immaginario degli
adulti sulla vita infantile, in Italia con l’avvento del
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
“I bambini ci guardano” (1943), “Sciuscià”
(1946), “Ladri di biciclette” (1948), di V. De Sica
e “Paisà” (1946), “Germania anno zero” (1947), di
R. Rossellini sono i film più significativi del Neorealismo, una stagione d’oro per il cinema italiano, cui si collegherà più tardi (Neorealismo “rosa”) L. Comencini, un regista autenticamente “di
bambini”, come egli stesso amava definirsi, con opere come “Le avventure di Pinocchio” (1972) e “Cuore” (1984), in cui si sforza di superare l’intento didascalico con cui erano state concepite dai loro
autori, per descrivere bambini veri, psicologie complesse, caratteri differenziati, un mondo cioè con
regole, comportamenti, valori e sentimenti peculiari, che solo per necessità si raffronta con quello degli adulti.
L’infanzia distrutta ad opera dei grandi e dei loro egoismi è il tema più caro ad un altro regista
italiano molto attento ai cambiamenti sociali e della famiglia, Gianni Amelio, autore de “Il ladro di
bambini” (1992); mentre un poetico, vibrante atto d’amore nei confronti del cinema, dei suoi protagonisti dai più grandi ai più umili, della loro comune volontà di tramandarne e perpetuarne la magia, la forza aggregante e l’immortalità è la tematica di “Nuovo cinema Paradiso” (1988), di Giuseppe Tornatore, che è valso al suo autore l’Oscar
nel 1990 per il miglior film straniero.
L’avvento della scolarizzazione di massa del secondo dopoguerra in Italia implicò una proporzionale crescita dell’editoria scolastica e narrativa, di
elevato livello qualitativo. Ricordiamo il “Grande
Affabulatore” (come è stato definito) Gianni Rodari (1920-1980), scrittore e poeta, autore della amatissima “Grammatica della fantasia” e di decine di
altri scritti dedicati all’infanzia, la cui modernità (dice Pino Boero) consiste proprio in quel suo lasciare la pagina aperta, senza morali nè appesantimenti, parlando in modo leggero di argomenti serissimi, il lavoro, la partecipazione civile, la fratellanza, facendo proprie le ragioni dell’immaginazione, difendendo la fiaba e mostrandone la complessità, citando Propp e Cappuccetto Rosso, gli strutturalisti sovietici, il Gatto con gli Stivali, Novalis e
l’orso di pezza. Facendo sempre divertire il lettore consentendogli di scoprire il gusto del fantastico e il piacere di leggere, mettendo sempre al primo posto il valore educativo dell’utopia. Così il
“Grande Affabulatore” (16), che ha riempito delle
sue opere tutte le Biblioteche scolastiche, fornendo un contributo formidabile alla modernizzazione e diffusione della letteratura per l’infanzia contemporanea, si colloca di diritto a fianco di Tofano, Gatto, Zavattini, Campanile, Flaiano, Buzzati,
di quegli scrittori cioè che più di altri hanno coltivato quella sulfurea vena surreale da “irregolari”
per scelta.
Primi bagliori del XXI Secolo:
eroi fantastici, epopea, epoche
fuori del tempo
Voci della Pediatria Italiana
Neorealismo si avviava una esperienza cinematografica di segno esattamente opposto (15). Registi
come V. De Sica e R. Rossellini mettono al centro
della scena bambini costretti a diventare adulti o
che subiscono il mondo dei grandi diventando specchio della loro incapacità, malvagità o debolezza,
in un meccanismo scenico di “inversione dei ruoli”, alla ricerca di una nuova posizione morale nei
confronti della realtà.
È doveroso infine, riferendosi al cinema dei primi anni del III Millennio, citare il clamoroso successo del genere “epopee-fantasy” (i cui riferimenti classici possono essere individuati in E.A. Poe e
H.P. Lovecraft), che deve la sua fortuna - ben al di
là dei meriti letterari - allo sviluppo delle straordinarie possibilità di spettacolarizzazione offerte dalla tecnologia di computer grafica: la “Trilogia degli Anelli” (saga ricavata dal romanzo del 1954 di
J.R.R. Tolkien, rinomato docente a Oxford); la serie di “Harry Potter”, dal romanzo di J.K. Rowling
del 1997; le “Cronache di Narnia”, saga tratta da
un romanzo di C.S. Lewis del 1950 ne sono i campioni più rappresentativi. In essi lo spettatore (adulto e bambino) si trova catapultato in un universo
altro, in un mondo fantastico e magico capace di
far dimenticare il grigiore quotidiano, inebriandolo della libertà assoluta dell’immaginazione e facendogli riscoprire la forza e il fascino del pensiero magico, dell’incantesimo, del sogno.
Fiaba, magia, pensiero magico:
perché sono ancora attuali
Il pensiero magico è presente nei miti di tutte
le culture, nei racconti tramandati oralmente dagli “storyteller” africani come nella patinata letteratura occidentale. È una costante dell’umanità, che
il XVII secolo e l’Illuminismo separarono dalla scienza. Anche nella letteratura il fascino della magia
è stato sempre potente: ciò è in parte dovuto alla
sua funzione di riparare i torti agli innocenti ma
anche a quella che gli eventi magici hanno espletato di ricollegarci ad un passato “animista” della
nostra storia, per cui oggetti, piante, animali e fenomeni naturali erano dominati da forze vitali che
l’uomo cercava di interpretare e controllare attraverso l’azione di sciamani e maghi (Merlino, figura centrale del ciclo narrativo bretone, ne è l’esempio più famoso). Ma la magia nella letteratura ha
anche un’altra funzione: sul piano psicologico infatti i racconti magici e fiabeschi sono un potente
mezzo di sublimazione della realtà. Permettono,
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Voci della Pediatria Italiana
come nel caso dell’antica fiaba di Cenerentola, di
riscattarsi, capovolgendo “per magia” vissuti di povertà e prevaricazione, con repentini cambiamenti di condizioni personali e di famiglia, come ad
esempio ne “Le mille e una notte”, raccolta di novelle orientali datata intorno al X secolo. Le magie qui raccontate, così come nella rielaborazione di fiabe e racconti della tradizione popolare tedesca dei fratelli Grimm e persino in “Pinocchio”,
di C. Collodi, rispettano il c.d. “schema di Propp”.
Vladimir Propp, linguista e antropologo russo (18951970), autore di una “Morfologia della fiaba” (1928),
in cui, individuando schemi, funzioni e strutture
ben definite nelle storie fiabesche, descrive ben 31
situazioni tipiche che si ripetono nelle trame (17).
Comunque, e più semplicemente, anche prescindendo dalle ragioni filologiche, la magia sopravvive nel mondo occidentale perchè nasce nell’infanzia, con l’uomo nero e la paura del buio, l’amico immaginario e l’idea di figure protettrici come Babbo Natale o la Befana. Ed anche arte, poesia, letteratura ed immagini sanno dare sensazioni di meraviglia e stupore simili alla percezione del
magico. Gli ingredienti del magico sono così collaudati in letteratura, così efficaci per colpire l’inconscio collettivo che libri come “Il signore degli
Anelli” e tutta la serie di “Harry Potter”, ultimo eroe
fantastico, sono stati negli ultimi anni best-seller da
milioni e milioni di copie e film di grande successo. Tutto grazie alla forza del pensiero magico che,
fra un pensiero razionale ed un altro, continua a
sopravvivere dentro di noi.
Dal libro al film, dal film al libro
Non vi è dubbio a riconoscere gli anni più vicini a noi come i migliori anni della letteratura e
del cinema per ragazzi in quanto a progettualità,
qualità, approfondimento della dimensione percettiva e psicologica e delle ragioni pedagogiche, ma
occorre non dimenticare che la logica del mercato ha imposto una riconoscibilità spesso differente allo stesso prodotto-libro e prodotto-filmico, producendo molti modi ed angoli visuali con cui affrontare il rapporto tra cinema, letteratura e infanzia, al punto che sarebbe possibile partire dall’interno della costruzione filmica, per osservare come sia utile lo “sguardo infantile” per guardare la
storia narrata cogliendone aspetti sfuggiti all’occhio
dell’adulto o mettendo in evidenza le contraddizioni dei “grandi”, le loro miserie, la loro crudeltà (18).
Reciprocamente, la trasposizione filmica di testi per l’infanzia, pur non offrendo grandi spunti
culturali e di riflessione teorica, sicuramente gratifica chi lavora sulla specificità della produzione
per bambini, perchè nelle trasposizioni cinematografiche di tanti testi per l’infanzia scopre gli indici di durata di un successo letterario (almeno a li-
vello di memoria), i segni di mutamento del gusto
(infantile ma soprattutto adulto) e della fruizione,
l’alternarsi di vocazione ludica ed impegno didattico.
Portare sullo schermo la pagina scritta è pratica vecchia quanto il cinema: si parte dal 1902 dalla magia di Georges Méliès col suo “Viaggio nella Luna” (tratto da un romanzo di J. Verne del 1865),
inaugurando il percorso verso la suggestione e i giochi del fantastico che ha costituito nutrimento per
l’immaginario di molte generazioni e si giunge ai
tempi nostri con “Un ponte per Terabithia”, di Gabor Csupo (2007), tratto dal romanzo di K. Paterson (1977), che ha venduto 2 milioni di copie nel
mondo procurando all’autrice fama internazionale, col “pieno” realizzato in molti Paesi solo dopo
l’uscita del film.
Il percorso, giocato sulla cronologia dei testi letterari, parte da “Pelle d’asino”, di Perrault (1696)
per approdare ai tempi nostri con “Mirrormask” di
Neil Gaiman (2005), col libro che esce dopo il film.
L’indicazione complessiva ricavabile è che esistono libri che rimangono nell’immaginario collettivo senza bisogno di aiuti esterni, altri che per non
essere dimenticati devono ricorrere all’onda lunga di media più appetibili al pubblico; e che l’autonomia vera del cinema risiede soprattutto nella
sua capacità di farsi “serbatoio” del fantastico, del
fiabesco, dell’avventuroso, dell’intimistico, di ancorarsi cioè ai capitoli della storia universale ed eterna della formazione e delle emozioni umane.
Tutti insieme,
appassionatamente
Un contributo sostanziale che apre nuovi spazi di comprensione a livello storico, pedagogicodidattico, psicologico, letterario e di costume, relativamente a rapporti intrafamiliari, aspetti sociali, aspetti educazionali e funzione filmico-letteraria ci viene da F. Rotondo, coautore di “100 anni
di piccolo cinema Paradiso” (1995):
«Il grande bisogno infantile e adolescenziale, l’immutabile bisogno di fabulazione e narrazione oggi si incontra con una tendenza, che ha la sua massima espressione in televisione, alla omologazione
di gusti e consumi che unifica adulti e bambini davanti al piccolo schermo. Tale processo di unificazione e omogeneizzazione degli spettatori, trasformati in pubblico indifferenziato e indistinto per età,
si sviluppa attraverso una duplice spinta, speculare e convergente insieme, alla precocizzazione e
adultizzazione dei minori da una parte e dall’altra
alla infantilizzazione degli adulti, come, del resto,
dell’intera cultura di massa» (19).
Se le sette età dell’uomo shakespeariano possedevano una loro distinguibile autonomia, funzionale allo scambio generazionale e alla riproduzio-
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questo modello sociale ed economico consumistico ma allontana spesso da un ethos civico, educazionale, relazionale e valoriale che occorre a tutti i costi recuperare.
Insomma, se come canta (il poeta) Jacques Brel
“ci vuole del talento per invecchiare senza diventare adulti”, ce ne vuole di più per diventare adulti senza invecchiare nell’animo.
Una sintesi difficile,
una scelta impegnativa
A questo punto è d’obbligo tentare una sintesi
di generi ed opzioni, difficile se si considera l’eterogeneità di età, di gusti e di comprensione critica dei fruitori ma possibile se si mettono da parte conformismo ed ipocrisia: le c.d. “pagine evergreen”:
L’altro ieri
Ieri
Oggi
rosa
Piccole donne
Nancy Drew
Twilight
street
I ragazzi della via Paal
Christiane F. Noi, i ragazzi
dello zoo di Berlino
Tutto Chuck Palahniuk
misticismo
Siddharta
Richard Bach/Coelho
Nicholas Sparks
avventura
I tre moschettieri
Il Signore degli Anelli
Harry Potter
introspezione
Il giovane Werther
Il giovane Holden
L’opera struggente di un formidabile
genio
fiaba
Pinocchio
Il piccolo principe
Geronimo Stilton
vita
Il buio oltre la siepe
Tutto Dino Buzzati
Gomorra
fantasy
Ventimila leghe sotto i mari Gli Urania/1984 di Orwell
Le cronache di Narnia/Isaac Asimov
femminile
Tutta Jane Austen
Valeria Parrella/La Dichiarazione
sesso
L’amante di Lady Chatterley Porci con le ali
Melissa P.
melassa
Cuore
Scusa, ma ti chiamo amore
Banana Yoshimoto
Va’ dove ti porta il cuore
Alle soglie della maturità,
tra immaginazione e
consapevolezza
«Con rischi indicibili e traversie innumerevoli io
ho ritrovato la strada per questo castello oltre la città
dei Goblin, per riprendere il bambino che tu hai
rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio
regno altrettanto grande. Tu non hai nessun potere su di me!» (Sarah a Jareth).
“Labyrinth-Dove tutto è possibile” è un film fantastico del 1986, uno splendido cammeo diretto da
Jim Henson (creatore dei Muppets, pupazzi animati molto in voga nei paesi anglosassoni).
Interpreti principali sono una deliziosa Jennifer Connelly (Sarah) e un sorprendente David Bowie,
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ne dell’organismo sociale, uno dei tratti più evidenti delle società post-moderne è la loro tendenziale assimilazione ad un modello infantilistico e
giovanilistico, come diversi segnali dei comportamenti individuali nell’era dell’iper-consumismo sembrano dimostrare. La pervasività della “strategia del
branding”, la “cross medialità” del prodotto seriale di immagine offerto trasversalmente a giovani e
meno giovani che allarga la maglia del consumo
con l’indotto, secondo la logica subdola del binomio inclusione-esclusione, la colonizzazione consumistica dell’infanzia e manieristica dell’adulto (forse alla ricerca di un comunque problematico collante familiare e intergenerazionale) e una sorta di
istupidimento “da induzione” determinano quella condizione generalizzata, di cui parla Rotondo,
di “adultescenza”, ben diversa dall’idea creativa di
adolescenza permanente teorizzata dal 1968, che
appare altamente efficiente per la rigenerazione di
affermata rock-star mondiale (Jareth, re dei Goblin),
più una serie di pupazzi o una combinazione di
performance umana e di pupazzi. La trama si basa sul percorso di Sarah in uno strano labirinto fantastico, che deve superare per procedere nella ricerca del fratellino Toby, rapito dal Re dei Goblin.
Riuscirà nella sua impresa, dopo aver scoperto il
turbamento della rivelazione a se stessa, attraverso Jareth, della sensualità e della maturità a cui sta
pervenendo, anzi è già pervenuta.
Questa consapevolezza vena di malinconia il
suo ritorno a casa col fratellino ritrovato e la rende confusa e riluttante ad accettarsi nel nuovo ruolo di giovane donna che le compete. Riuscirà a farlo, ma solo dopo aver dichiarato alle creature sue
compagne di avventura, che vede riflesse nello specchio della sua camera da letto, che “avrà sempre
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bisogno di loro”, con ciò affermando con decisione il suo rifiuto di abbandonare l’immaginazione
e il fascino della fantasia anche nella nuova dimensione di vita che si appresta ad affrontare.
Il simbolismo, espresso secondo modi pudibondi e garbatamente delicati, che sottende questo visionario viaggio fantastico, le sorprese, i trucchi e
trabocchetti, la bizzarra simpatia delle divertenti
creature che incontriamo di continuo, la colonna
sonora, il tema del disagio psicologico e della sensualità adolescenziale e quello dell’immaginazione come compagna inseparabile di percorso e forza vitale, rendono il film qualcosa di più che un
prodotto per bambini. I realizzatori del film ammisero diverse influenze, come “Alice nel Paese delle meraviglie”, “Il mago di Oz” e le opere di Maurice Sendak e di M.C. Escher.
Ne seguì una cospicua produzione artistica e
mediatica “di rimbalzo” (film- sequel, libro, videogames, fumetto stile “manga” in tre volumi: ”Ritorno a Labyrinth”), oltre che l’ispirazione per la
mangaka Kaori Yuki (la creatrice della famosissima
“Lady Oscar”) per il suo manga “Angel Sanctuary”,
dove riproduce il labirinto di Henson nel capitolo dell’Inferno.
Una curiosità: il produttore esecutivo è George Lucas, quello di “Guerre Stellari”; una considerazione a margine: è incomprensibile l’ostracismo
degli abituali circuiti di diffusione e ridistribuzione nei confronti di un film così ben riuscito, gradevole, delicato e denso di significato, per di più
inserito in un filone fantastico-musicale, dimostratosi sempre capace di non deludere.
“I Goonies”, di Richard Donner, regista che condivide con Robert Zemekis (trilogia di “Ritorno al
futuro”, “A Christmas Carol”, “Chi ha incastrato Roger Rabbit”) il ruolo di epigoni più prossimi al genio creativo e all’eclettismo artistico del grande S.
Spielberg, è un film del 1985 che compie oggi, quindi, 25 anni ma non li dimostra affatto. “Cult-movie” dei favolosi anni Ottanta, periodo ricco di icone cinematografiche sì da alimentare odierni sussulti di passione “vintage” (fino ad una “reunion”
del cast organizzata da Donner e in presenza dello stesso Spielberg a Los Angeles nel marzo di quest’anno), il film è la storia di un gruppo di ragazzini alla ricerca del tesoro di Willy l’Orbo nascosto nel sottosuolo del sobborgo dell’Oregon dove
vivono, Goon Docks di Astoria.
“I Goonies” ha letteralmente ipnotizzato i quindicenni amanti dell’avventura vecchio stampo, reinventando il tema della caccia al tesoro con umorismo weird e un’intensa storia di amicizia. Il segreto del successo sta nel fatto che la banda di ragazzini protagonisti avrebbe potuto essere quella
che tutti incontravamo per giocare il pomeriggio
sotto casa: i Goonies, però, vivono peripezie ai limiti del possibile. Li aspetta un percorso pieno di
passaggi segreti, trabocchetti, teschi, pipistrelli, gallerie, dinamite e sono inseguiti da un trio di malviventi, la banda Fratello, con molte sequenze filmiche entrate dritte nell’antologia degli anni Ottanta.
Il film è un inno al brivido e alla paura che sembrano attrarre e affascinare i protagonisti, gli intraprendenti ragazzini, motivati peraltro all’impresa
dalla necessità di salvare le proprie abitazioni minacciate di demolizione per fare posto ad un campo da golf: e questo li immette di diritto nella “topten” dei buoni sentimenti (e della capacità “scoppiettante” di comunicarli). Tutto si risolve in uno
splendido, realistico “divertissement” in maschera, un’avventura a mezza strada tra letteratura e giochi in scatola, ovviamente con il ‘”lieto fine” e la
gratitudine e la benedizione di mamma e papà.
In aggiunta (e per gli addetti ai lavori) il film sembra possedere l’intero ventaglio di quegli elementi (formali, di contenuto e tecnici, spesso purtroppo disattesi), che rendono un’opera effettivamente appropriata per un pubblico di ragazzi: trama
semplice e lineare, ritmo narrativo spedito ma non
frenetico, protagonisti come eroi positivi e modello di comportamento, linguaggio appropriato, pochi personaggi essenziali, lieto-fine, scarso o nullo ricorso a tecniche di ripresa “spiazzanti” per fruitori non adulti (15).
E allora, senza retorica né eccesso di enfasi:
“bentornati, Goonies!”.
“Stand by Me - ricordo di un’estate”, di Richard
Donner (1986). Genere avventura, categoria adolescenza, amicizia, introspezione; tratto da un racconto del mitico Stephen King (“Il corpo”), tutto il
film è un lungo “flashback”, che prende vita grazie alla voce fuori campo di un uomo sulla quarantina (Richard Dreyfuss, il biologo marino de “Lo
Squalo” di S. Spielberg e l’allucinato elettricista Roy
di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, capolavoro fantascientifico dello stesso Spielberg) che torna con la mente al suo ultimo anno da liceale, quando visse con altri tre amici la più straordinaria avventura della sua vita: andare alla ricerca del cadavere di un ragazzo che la polizia non riesce a
trovare. La celebre canzone che dà il titolo al film,
cardine di tutta la colonna sonora, rende indimenticabili le immagini cui si accompagna, contrappuntando allo stesso modo i momenti di esaltazione dei protagonisti e la strisciante malinconia di
un’età che sta per finire.
Si parla di amicizia, di adolescenza, del viaggio verso l’età adulta, in una fase della vita in cui
sembra possibile fare nuove scoperte, nuove conquiste ogni giorno. Mentre sullo sfondo si impone
un ritratto per nulla edificante di una vita di provincia volgare e violenta.
Film da rivedere sicuramente, assieme agli altri due citati, per gli over-40 e da consigliare senza dubbio a ragazzi e adolescenti, che si potran-
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Indifferenza, peggiore dei mali:
due testimonianze esemplari
“All the invisible children”, film presentato alla mostra di Venezia nel 2005, prodotto da tre donne italiane fra cui M.G. Cucinotta, firmato da registi come Spike Lee, Ridley Scott e John Woo, sostenuto dall’UNICEF e dal Ministero dello Sviluppo: è rimasto lettera morta, con un “flop” assoluto ai botteghini e tra gli addetti ai lavori.
“Achtung bambini”, di G. Crisalli, “Reportage
dal mondo dell’infanzia rubata” (2009): una pubblicazione-denuncia degli orrori perpetrati a danno dell’infanzia che tutti dovremmo conoscere, se
ci sta a cuore la sorte dei bambini, di tutti i bambini del mondo, anche per “fare qualcosa - come
osserva lo stesso autore - almeno per non continuare a provare vergogna” (20).
Emozioni, pensiero, personalità:
quali legami?
Le fiabe sono valorizzate da Daniel Goleman
(21) come “intelligenza emotiva” (ovvero, una capacità distinta di discernimento che ci permette di
percepire, identificare, esprimere e saper catalogare le emozioni in modo da poter organizzare di conseguenza le nostre vite e le nostre relazioni: D. Goleman, 1995). C’è un rapporto stretto tra intelligenza e affettività: la facoltà di ragionare può essere
ridotta, se non annullata, da un deficit di emozione; l’affievolimento della capacità emozionale può
anche essere all’origine di comportamenti irrazionali e, per certi versi, la capacità emozionale è indispensabile alla messa in opera di comportamenti razionali. Non esiste quindi un piano superiore
della ragione che domini l’emozione, bensì un anello intelletto
affetto, secondo Edgar Morin (22).
Per questa→ragione, le fiabe e la narrazione, ricche di “humus” emozionale, hanno una funzione
formativa. Le loro storie sono capaci di allargare i
confini della vita di ogni bambino e ragazzo, di farlo identificare con personaggi sempre diversi; il modello comportamentale dell’eroe fiabesco o romanzesco o cinematografico, il suo coraggio, la sua intelligenza, il suo ottimismo nelle difficoltà sono un
validissimo strumento di evocazione di tratti positivi, attivabile in ogni momento sì da permettere
di costruire nel tempo un arricchimento della dimensione emotiva e creativa, un approfondimento di quella percettiva, una capacità di trasformare il potere delle parole in saldo possesso delle cose, generando un piacere che si prolunga nella realtà
(23). Il bambino-ragazzo compie al cinema o con
un libro i suoi primi viaggi spirituali che, se non
disturbati o distorti da ingerenze o inferenze scompositive provenienti da settori in “défaillance” della catena formativa, lo allontanano dal “deserto della comunicazione emotiva”, ponendo le basi per
costruire nel tempo un profilo etico, estetico, psicologico e sociale maturo, composto e positivamente aperto al futuro, con cui può affrontare al meglio, ovvero “istruito e formato”, la prova più dura della vita, quella dell’adolescenza.
Considerazioni conclusive e
commento degli Autori
Voci della Pediatria Italiana
no riconoscere nello spirito avventuroso e nella psicologia dei personaggi-chiave (9).
Già dall’epoca dell’”Arrivo del treno alla stazione di La Ciotat” (1895) e dell’”Arroseur arrosé”,
dei fratelli Lumière (1896), primissimi tentativi di
presentare il nuovo mezzo espressivo, e dal
“Viaggio nella Luna” (1902), di Georges Méliès, il
cinema (che Ricciotto Canudo in Francia nel 1911
aveva battezzato “settima arte”) aveva trovato sin
dagli albori i due poli d’attrazione intorno ai quali si svilupperà la sua storia: la realtà e la favola,
l’osservazione e la fantasia. Oggi, “Avatar”, di J. Cameron (11), attesissimo “blockbuster” in 3D comparso recentissimamente (2010) nelle sale cinematografiche, favola “a rovescio” del III Millennio, che
racconta un mondo alieno in pace con la natura
minacciato dagli uomini, ripropone e fissa un modello espressivo di tecnologica spettacolarizzazione a cui anche i più giovani fruitori sono ormai preparati, anzi “addestrati”, a patto però che non venga scalfita la purezza, la libertà e la capacità di generare emozioni della “materia prima” dell’immaginario, oggi come ieri.
Dal “Book of Courtesy” (Libro della Cortesia,
del 1470) di W. Caxton, raccolta di poemi ritmati
che definisce le regole di comportamento per il
bambino saggio e dal “Pifferaio magico” (1810) dei
fratelli Grimm, esempio in fiaba di truculento senso di giustizia e teutonico rigore (percorsi da una
sottile venatura “gotico-noir”, appannaggio peraltro abituale della poetica degli autori) applicati a
spese della collettività infantile di Hamelin, in Bassa Sassonia sul fiume Weser, per una promessa non
mantenuta dal Borgomastro della cittadina, a “La
Dichiarazione” (24) di Gemma Malley (romanzo
d’esordio, del 2008, e già caso editoriale dei nostri giorni, che racconta un mondo, l’Inghilterra del
2140, che garantisce l’eternità a chi rinuncia a generare figli, visione agghiacciante ma - a dire della stessa Malley - un modo per esorcizzare un futuro così immaginato), passando attraverso l’introspezione, l’intimismo e la magistrale resa della complessità psicologica di “Misunderstood” (Incompreso) di Florence Montgomery (1869), immergendosi nelle storie gioiose e colorate sfornate “a getto
continuo” dalla fabbrica dei sogni Disneyana, nel-
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
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Voci della Pediatria Italiana
le mirabolanti avventure delle saghe di “Indiana Jones”, “Guerre Stellari” e “Star Trek” o, più semplicemente, nelle esilaranti vicende narrate nei capitoli di “Shrek” (9), ribaltamento in chiave ironica
del mondo delle fiabe e parodia dissacrante della
narrativa e del cinema nei suoi artefici più significativi (la cui fonte letteraria è un racconto breve
di pari titolo di William Steig, famoso vignettista
del “New Yorker” e, come “seconda occupazione”,
scrittore per ragazzi), immagini e narrazione hanno descritto, accompagnato, analizzato, sottolineato, anticipato, scandito, ritmato e contrappuntato
il cammino dell’“elemento infantile”, facendosi
specchio fedele (benché partecipe) delle vicissitudini di una realtà umana, psicologica e sociale “in
progress”, via via pervenuta, attraverso un percorso faticoso (esattamente come nella realtà) a diventare finalmente “soggetto” nell’immaginario collettivo (25).
Bibliografia
La navigazione del vascello (o navicella?) dell’infanzia è stata nel tempo tutt’altro che agevole
e sicura come attraverso un lunare “Mare della tranquillità”; spesso è apparsa procedere a vista o “a
strappi”, attraverso terrestri (umane) indifferenze,
contraddizioni, inerzie, inadempienze, sterili teorizzazioni, ritardi, negazioni o vere e proprie insidie, sì da sembrare talvolta “nave senza nocchiero in gran tempesta” (26).
10. Cecconi L. I bambini nel cinema. Le rappresentazioni dell’infanzia
nella storia del cinema. Franco Angeli ed., Milano, 2006.
Ci auguriamo (e continueremo a batterci insieme a tutti gli altri a tale fine anche noi, pediatri del
“nuovo”, interlocutori privilegiati del soggetto in
età evolutiva ed interpreti della moderna medicina bio-psico-sociale, ovvero terapeuti del corpo,
dell’anima e delle relazioni, compagni fidati di percorso, mentori o “altri significativi”) che l’approdo nelle acque placide e rassicuranti dell’accettazione, dell’empatia, della soave leggerezza e della convinta responsabilizzazione del suo agire quotidiano (e del nostro a suo vantaggio), della fattiva ricerca delle opportunità da offrirgli e della trepida attenzione alla sorte ultima del “pianeta infanzia” possa alla fine compiersi appieno, consegnando al “soggetto” bambino il suo agognato
“happy-end” (27), che altro non è che il riconoscimento in ogni parte del mondo della sua dignità
e dei suoi diritti, realizzando così, se non quella
“sacralità” che gli riconosceva più di duemila anni fa Virgilio Marone (IV Bucolica, 42-39 a.C.), sicuramente comunque l’incontro col suo astrale destino, la naturale vocazione a porsi ed essere riconosciuto come autonomo intangibile “progetto” di
vita e per la vita, attuale e futura.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Giuseppe Stranieri
Dirigente 1° livello S.O.C. di Chirurgia Pediatrica A.O.P.C. di Catanzaro
Per Ipospadia si intende un’anomalia congenita del pene dovuta ad un incompleto sviluppo dell’uretra maschile.
L’ipospadia rappresenta un problema di frequente riscontro nella pratica pediatrica ed una delle
più comuni patologie congenite dell’apparato genitale maschile. La sua incidenza è compresa tra
il 3 e l’8 per 1.000 nati.
Uno dei quesiti che sono posti dai genitori dei
bambini affetti da ipospadia e, in generale, da
malformazioni congenite, riguarda il perché della
loro comparsa. A tale proposito sono state formulate numerose ipotesi eziologiche. Tra queste ricordiamo l’assunzione, da parte della madre, di estroprogestinici durante la gravidanza, un difetto dei
recettori per gli androgeni a carico dell’organo bersaglio (tubercolo genitale), anomalie genetiche.
È ipotizzabile, tuttavia, la presenza di fattori
eziologici multipli, tra di loro verosimilmente interdipendenti, che interferiscono con la normale
differenziazione degli organi sessuali in senso maschile.
È possibile affermare con certezza che non esiste una trasmissione ereditaria sul modello mendeliano. È possibile, infatti, che nel caso di due gemelli monocoriali, derivanti quindi da un unico ovulo, e con un identico patrimonio genetico, uno solo sia ipospadico. Esiste, invece, una predisposizione familiare all’ipospadia che può comparire in
individui della stessa famiglia. Il bambino ipospadico presenta nel 25% dei casi un congiunto affetto dalla stessa malformazione, nell’8% il padre
e nel 14% per cento un fratello. In linea generale,
per ogni bambino affetto da ipospadia esiste un 20%
di possibilità di avere un altro membro familiare
colpito.
Recenti studi epidemiologici hanno mostrato come l’incidenza della malformazione sia aumentata significativamente negli ultimi 25-30 anni. Un
esempio paradigmatico è quello concernente la popolazione dell’area metropolitana di Atlanta, negli Stati Uniti, in cui si è passati da 18 a 40 casi
per 10.000 nati. Una simile tendenza è stata confermata in altri studi condotti su vasta scala. A tale incremento numerico, che ha visto peraltro aumentare le forme più gravi d’ipospadia, non è possibile attribuire, allo stato attuale, una spiegazione scientifica plausibile.
Anatomia
Le caratteristiche anatomiche riscontrabili a carico del pene ipospadico possono essere molto variabili e talora certamente bizzarre. Bisogna, infatti, considerare come l’ipospadia rappresenti essenzialmente un difetto della virilizzazione dei genitali esterni dell’embrione e, come tale, presenta un
ampio spettro di condizioni che vanno da genitali la cui anatomia ricorda quella femminile ad anomalie minime in cui l’unica alterazione visibile è
rappresentata dalla schisi del prepuzio. Diverse metodiche di classificazione dell’ipospadia vengono
correntemente utilizzate ingenerando una certa confusione terminologica. Il limite di molte di queste
classificazioni è legato al fatto che esse tengono
presente la sola posizione del meato urinario e non
l’insieme delle caratteristiche morfologiche del pene malformato. Accade di frequente che ipospadie in cui il meato è situato a livello coronale, e
pertanto classificate come distali, siano caratterizzate da gravi alterazioni morfologiche dell’uretra
e da incurvamento tale da essere, di fatto, assimilabili alle forme più gravi.
Le forme anteriori (distali) rappresentano circa
il 65% (navicolare, balanica, coronale, peniena distale) mentre le forme medie (medio peniena) il
15%; le forme prossimali (peniena prossimale, penoscrotale, scrotale, perineale) costituiscono il restante 20%.
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
IPOSPADIA
Ipospadie distali
• glandulare
• coronale
• peniena distale
Ipospadie medie
• medio peniene
Ipospadie prossimali
• peniena prossimale
• scrotale
• perineale
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
Al di là della nomenclatura che si voglia adottare, in pratica la distinzione fondamentale tra le
varie forme di ipospadie è riconducibile essenzialmente a quella tra forme distali e forme prossimali e si basa su di una serie di problematiche per molti versi completamente differenti che distinguono
questi due gruppi di pazienti.
Il primo gruppo, numericamente maggiore (comprende circa il 70%), è rappresentato dalle cosiddette forme distali. Per ipospadia distale, viene comunemente indicata quella forma di ipospadia in
cui il meato uretrale esterno è situato in prossimità
del solco coronale o a livello glandulare. Il pene
di questi soggetti presenta dimensioni normali per
l’età gestazionale o minimamente ridotte. L’asta presenta una curvatura minima o assente e l’uretra peniena è di morfologia sostanzialmente normale soprattutto per quanto concerne il corpo spongioso.
Lo stesso dicasi riguardo gli elementi costitutivi dell’asta (dartos, fascia di Buck).
In molti di questi bambini è presente la classica malformazione del prepuzio ipospadico che consiste in una deficienza cutanea nella porzione ventrale dell’asta (prepuzio diastasato ventralmente).
La parte dorsale è ridondante e sono frequentemente presenti due markers cutanei rotondeggianti storicamente chiamati ‘occhi di Ombredanne’. Talvolta, tale porzione cutanea, assume un aspetto di tipo ‘scrotale’ e rappresenta un inestetismo tale da
non poter essere conservata nel corso della correzione chirurgica.
Più spesso invece è possibile una correzione
pressoché ottimale del normale cappuccio prepuziale secondo la tecnica di Righini. Da tenere presente che nella ricostruzione del prepuzio secondo Righini si costituisce di regola una fimosi iatrogena destinata comunque a recedere spontaneamente, o a seguito di terapia topica corticosteroidea, a distanza di tempo (occorre evitare ogni retrazione forzata del neoprepuzio prima di un anno dall’intervento di plastica). In genere la cute dell’asta presenta una netta zona di transizione verso il cappuccio prepuziale diastasato.
Alcuni bambini hanno una ipospadia glandulare con prepuzio integro. La diagnosi viene effet-
tuata nelle età successive della vita dopo che si sia
verificata la dilatazione dell’ostio prepuziale e la
risoluzione delle adesioni balano prepuziali. In molti casi di ipospadia distale, l’entità della malformazione e la sua importanza nella vita del bambino
sono trascurabili da un punto di vista urologico.
Rappresentano delle anomalie essenzialmente
estetiche che non impediscono al futuro adulto di
vivere una vita assolutamente normale.
L’altra popolazione di pazienti ipospadici è costituita da quei bambini che presentano le c.d. ipospadie prossimali: ipospadie medio-peniene, peniene prossimali e prossimali (scrotali o perineali). Rappresentano circa il 25-30% del totale. Tali
condizioni malformative assumono un significato
profondamente diverso rispetto le precedenti.
L’atteggiamento diagnostico e terapeutico nei
confronti di questi bambini deve essere completamente diverso per una serie di motivi. Il riscontro di tali forme di ipospadia può, infatti, rappresentare una delle manifestazioni di una sindrome
polimalformativa o di una anomalia della differenziazione sessuale. Basti pensare come l’ipospadia
rappresenti uno dei sintomi di circa 160 diverse sindromi malformative. È proprio in questi pazienti che
andrà posta particolare attenzione nel ricercare altri elementi che possano fornire un ulteriore sospetto di sindrome complessa. Tra questi la presenza
di una ritenzione testicolare mono o bilaterale rappresenta senza dubbio il più importante. Una ritenzione testicolare bilaterale con ipospadia prossimale è, ad esempio, la modalità di presentazione tipica del neonato con sindrome adrenogenitale. In molti pazienti con ipospadia prossimale ed
una ritenzione testicolare monolaterale può essere presente una disgenesia gonadica mista.
Gli studi embriologici finalizzati a definire l’eziologia della malformazione non hanno fornito
una risposta completamente esaustiva. L’elemento chiave nella sua genesi consiste nell’arresto della chiusura della doccia uretrale e nella conseguente incompleta formazione del canale uretrale. A questa anomalia centrale si associano alterazioni degli altri elementi costitutivi del pene quali anomalie di sviluppo della fascia di Buck, del dartos e della cute peniena ventrale. Osservando il pene ipospadico è possibile osservare come il punto in cui
inizia la separazione ventrale del prepuzio corrisponda all’arresto di sviluppo dell’uretra. A partire da questo punto la parte ventrale dell’asta è sprovvista dei normali elementi costitutivi ed è ricoperta da un esile epitelio tenacemente adeso all’albuginea dei corpi cavernosi. L’insufficiente sviluppo
delle strutture descritte nella porzione ventrale dell’asta genera un incurvamento ventrale e la comparsa di tessuto fibroso anelastico a ridosso della
porzione ventrale dell’albuginea peniena (“chordee”). Talora, nelle forme meno gravi, responsabi-
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
laterale, reflusso V.-U., ostruzione del giunto pielo-ureterale, megauretere. Frequente è il riscontro
di dilatazione dell’utricolo prostatico.
Esiste quindi una precisa indicazione a sottoporre i bambini affetti da ipospadia a screening dall’apparato urinario (ecografia) e, nei casi in cui l’ipospadia si associ a criptorchidia monolaterale con
testicolo non palpabile o criptorchidia bilaterale,
è opportuno fare l’esame del cariotipo ed eseguire i tests ormonali atti a valutare l’integrità dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi.
Trattamento
L’incurvamento è evidenziato meglio mediante l’iniezione diretta di soluzione fisiologica nei
corpi cavernosi dopo aver applicato un laccio alla base del pene (erezione artificiale). Tale procedura viene eseguita in anestesia al momento dell’intervento.
Più il meato uretrale esterno è situato prossimalmente maggiore è l’entità dell’incurvamento. Il meato urinario può assumere morfologie diverse ed è
abitualmente ristretto o puntiforme, sebbene raramente la stenosi sia responsabile di ostacolo al deflusso urinario.
Le dimensioni dell’asta tendono a essere tanto
più ridotte quanto più si tratta di una forma prossimale.
Un’altra frequente anomalia, presente nelle forme più complesse di ipospadia è, come già accennato, la malformazione della borsa scrotale, analogo maschile delle grandi labbra femminili. Essa
può essere divisa, in corrispondenza del rafe scrotale, in maniera parziale o totale. Talora lo scroto
assume il c.d. aspetto a cavaliere, rappresentato da
un ponte tissutale che collega le due metà dello
scroto al di sopra dell’asta.
Malformazioni associate
Frequente è l’associazione con patologie a carico del tratto urogenitale che possono essere presenti nel 3-15% dei casi. Tale correlazione è significativa nelle ipospadie prossimali (5,5%); raggiunge il 46% nei casi in cui coesista atresia ano-rettale o ano imperforato. È meno frequente nelle ipospadie distali (2%). Le patologie di più frequente
riscontro sono rappresentate da agenesia renale uni-
Il trattamento dell’ipospadia consiste nell’intervento correttivo la cui indicazione può essere solo estetica o anche funzionale: più il meato uretrale è posizionato prossimalmente maggiore è la
possibilità che il flusso urinario sia diretto verso il
basso il che obbliga il bambino ad urinare in posizione seduta. Questa anomalia è accentuata quando all’ipospadia si associa anche l’incurvamento
dell’asta. È intuitivo pensare che anche la fertilità
può essere interessata nel momento in cui l’alterata direzione in cui viene emesso l’eiaculato può
precludere un’efficace inseminazione oltre al fatto che l’incurvamento ventrale del pene potrebbe
impedire la penetrazione stessa. Anche se le forme più distali di ipospadia possono apparire insignificanti dal punto di vista fisiologico, oggi si tende ad eseguire comunque l’intervento correttivo dal
momento che l’anomalia genitale può essere alla
base di un disturbo psicologico.
Gli obiettivi che ci si propone nel trattamento
dell’ipospadia sono i seguenti:
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
le dell’incurvamento è l’insufficiente sviluppo della cute che riveste ventralmente il pene (corde cutanee).
• creare un pene dritto mediante la correzione dell’incurvamento quando presente (ortoplastica);
• creare un’uretra il cui meato sia posizionato all’apice del glande (uretroplastica);
• riconfigurare il glande in modo da dargli una
più naturale forma conica (glanduloplastica);
• riuscire a ricoprire con la cute il pene in maniera esteticamente accettabile e creare uno
scroto di aspetto normale nei casi in cui si presenti bifido.
Dal punto di vista funzionale il pene ricostruito, oltre ad avere un aspetto esteticamente accettabile dovrà consentire al paziente di urinare in posizione eretta e di avere un normale rapporto sessuale.
Quando procedere alla correzione?
Prima degli anni ‘80 l’intervento correttivo per
l’ipospadia veniva intrapreso in bambini di età superiore ai 3 anni; eseguire la chirurgia genitale a
questa età può generare disturbi psicologici impor-
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
tanti nel bambino, che comportano comportamenti aberranti, senso di colpa, e confusione nell’identità di genere. In verità oggi crediamo che dai 2 ai
5 anni sia il momento peggiore per procedere alla correzione del difetto, in quanto si tratta di bambini non ancora abbastanza grandi da capire e per
poter collaborare in qualche modo nel postoperatorio, essendo nel contempo troppo grandicelli per
poter sopportare passivamente come nei più piccoli.
Attualmente viene accettato dalla maggior
parte dei chirurghi che si occupano dell’argomento un range di età dai 9 ai 15 mesi per la correzione (qualcuno parla anche di 6 mesi); in questo
modo si ottengono migliori risultati dal punto di
vista emotivo e psicologico a fronte di difficoltà tecniche non significativamente aumentate.
3. GLANDULOPASTICA: i lembi laterali del glande vengono mobilizzati e ruotati ventralmente
per coprire la neo-uretra distale in modo da riportare le parti che divergono lateralmente verso la linea mediana e ridare al glande stesso una
forma più conica e più vicina al normale.
4. PLASTICA DELLA CUTE: l’eccesso di cute sulla parte dorsale del pene viene mobilizzato verso la parte ventrale deficitaria per consentire la
copertura dell’asta nelle sede della ricostruzione uretrale.
Nel post-operatorio viene generalmente usato
un catetere uretrale (o altri tipi di derivazione urinaria) per consentire il drenaggio della vescica per
tutto il tempo necessario alla guarigione dell’uretroplastica, salvo nelle forme più distali.
Quale tipo di intervento chirurgico?
Accennare a tutte o a gran parte delle tecniche
descritte per la correzione dell’ipospadia richiederebbe un testo dedicato o un atlante specialistico.
Tuttavia nonostante siano estremamente numerose, tutte le tecniche descritte fino ad oggi sottendono alcuni principi di base ai quali possono essere ricondotte. L’aspetto più complesso in questo
tipo di chirurgia è proprio scegliere adeguatamente il tipo di intervento per la specifica forma di ipospadia che ci si trova ad affrontare.
Dal punto di vista pratico, invece, ciascun intervento ricostruttivo prevede sempre gli stessi passaggi che sono:
Nei casi in cui l’ipospadia si presenti associata ad inversione penoscrotale l’intervento di trasposizione viene generalmente eseguito in un tempo
successivo a quello dell’uretroplastica in quanto le
incisioni necessarie a questa procedura potrebbero compromettere il peduncolo vascolare dei lembi cutanei usati per l’uretroplastica. In genere questa seconda procedura viene differita di almeno 6
mesi per consentire lo sviluppo di vasi collaterali.
1. ORTOPLASTICA: consiste nel denudare completamente il pene dalla cute circostante allo
scopo di correggere qualunque forma di incurvamento dopo averlo verificato mediante l’erezione artificiale; in rari casi il piatto uretrale contribuisce a determinare l’incurvamento dell’asta e pertanto si rende necessario sezionarlo per
risolvere l’incurvamento; questa manovra, ovviamente, preclude l’utilizzo del tessuto uretrale nativo nell’uretroplastica.
Nella maggioranza dei casi la riparazione dell’ipospadia viene eseguita mediante un singolo intervento.
Tuttavia, nei casi in cui esista un eccessivo incurvamento (che renda necessaria la sezione del
piatto uretrale) o quando ci sia carenza di cute circostante o ci si trovi di fronte ad un pene di piccole dimensioni è consigliabile eseguire la ricostruzione in due stadi: nel primo viene affrontata la correzione dell’incurvamento ventrale e si procede alla trasposizione di tessuto (cute o altro lembo libero) sulla faccia ventrale del pene, e nel secondo (quando si sia avuto il completo attecchimento del tessuto trasposto) si procede all’uretroplastica e alla glanduloplastica vere e proprie.
2. URETROPLASTICA: volendo riassumere i principi fondamentali alla base di tutte le tecniche
descritte, l’uretra può essere ricostruita mediante: a) la tubulizzazione del piatto uretrale esistente; b) l’uso di lembi vascolarizzati di tessuti vicini all’uretra nativa stessa; c) procedure di avanzamento del meato ipospadico; d) uso
di lembi liberi di mucosa buccale (quando non
c’è disponibilità di tessuti vicini all’uretra o nei
reinterventi dovuti ad insuccesso della precedente ricostruzione). La mucosa buccale risulta molto adatta a questo scopo data la sua disponibilità, la facilità del prelievo e la sua adattabilità e resistenza in un ambiente diverso dalla bocca.
Sebbene non esista una terapia medica per la
correzione dell’ipospadia, nei bambini con pene
di dimensioni estremamente ridotte è stata usata
una terapia ormonale adiuvante. Prima di procedere all’intervento correttivo viene somministrato
testosterone (mediante iniezioni intramuscolari o
mediante una crema applicata localmente) o gonadotropina corionica umana (hCG) che favoriscono la crescita del pene. Secondo alcuni autori tale trattamento migliorerebbe anche l’incurvamento diminuendo così la gravità dell’ipospadia.
Questo approccio non viene però condiviso da
tutti in quanto la somministrazione di androgeni
in epoca prepuberale potrebbe inficiare la crescita definitiva del pene alla pubertà.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
tessuto uretrale ridondante e nel riconfezionamento dell’uretra di calibro adeguato.
Nell’immediato post-operatorio
L’edema locale e piccole perdite di sangue si
verificano quasi sempre e non devono destare alcuna preoccupazione. È raro che si verifichi un sanguinamento post-operatorio e in questi casi la sola medicazione compressiva è sufficiente a risolvere il problema; è molto improbabile che si debba reintervenire chirurgicamente per evacuare l’ematoma e trattare la fonte del sanguinamento. L’infezione post-operatoria è altrettanto rara al giorno
d’oggi dato l’uso routinario di un’adeguata preparazione della cute e della terapia antibiotica preoperatoria che viene generalmente mantenuta fino
a quando il catetere urinario rimane in sede.
A lungo termine
• Fistola: il formarsi di un tramite fistoloso tra l’uretra ricostruita e l’esterno è uno dei problemi
principali che ci si trova a fronteggiare nella chirurgia dell’ipospadia. L’incidenza di fistola uretro-cutanea negli interventi in tempo unico si
aggira intorno al 10% ma può aumentare fino
al 40% nelle ricostruzioni più complesse o nei
reinterventi. È molto raro assistere alla chiusura spontanea di una fistola e la sua riparazione richiede un nuovo intervento che miri alla
chiusura con molti strati di lembi cutanei ottenuti dal tessuto vicino.
• Stenosi del meato uretrale: una complicanza
di questo tipo può passare inosservata nell’immediato post-operatorio in quanto il catetere uretrale può mascherare il problema. Tuttavia la presenza di un sottile getto urinario associato a sforzo durante la minzione generalmente richiede
una revisione chirurgica del meato.
• Stenosi uretrale: le stenosi possono verificarsi
a lungo termine dall’intervento e richiedono
un’incisione endoscopica, un’escissione di un
tratto di uretra con nuova anastomosi o l’innesto di un lembo di tessuto libero o peduncolato per ampliare il calibro del tratto di uretra stenotico.
• Diverticoli: la comparsa di dilatazioni sacculari lungo l’uretra ricostruita si evidenziano mediante il rigonfiamento della stessa durante la
minzione. Alla loro origine può esserci una stenosi distale che causa un’ostruzione al deflusso di urina. Talvolta questa complicanza può verificarsi in assenza di ostruzione distale come
accade nelle ricostruzioni mediante lembi liberi o peduncolati in cui all’uretra ricostruita manca un supporto connettivale e muscolare adeguato. Il trattamento consiste nell’escissione del
Conclusioni
Il significato clinico dell’ipospadia è correlato
non solo all’aspetto estetico, ma soprattutto alle importanti ripercussioni sul piano funzionale che la
malformazione comporta. L’anomala posizione del
meato rende impossibile la minzione eretta. L’incurvamento dell’asta determina erezione dolorosa e, nell’adulto, difficoltà nella penetrazione sino all’incapacità copulatoria. La malformazione
comporta inoltre l’insorgenza di problematiche di
tipo psicologico che costituiscono, da sole, una valida indicazione alla correzione dell’anomalia. In
pochi campi della chirurgia così com’è accaduto
per l’ipospadia si assiste ad una continua evoluzione delle tecniche chirurgiche e delle modalità
di trattamento pre e post-operatorio.
Molte delle tecniche chirurgiche utilizzate in
passato prevedevano la differenziazione dei tempi chirurgici relativi alla ricostruzione dell’uretra
e alla correzione dell’incurvamento. La stessa ricostruzione uretrale poteva essere effettuata in più
tempi chirurgici. Ciò comportava per il paziente
molteplici interventi prima di giungere alla definitiva ricostruzione dell’organo. Esiste una cospicua
bibliografia relativa al follow-up dei pazienti operati in passato, durante la fase ‘pionieristica’ della
correzione dell’ipospadia. Tali osservazioni hanno
dimostrato come al raggiungimento della maturità
sessuale, nella vasta maggioranza dei casi, i risultati in termini funzionali ed estetici siano stati piuttosto deludenti con gravi ripercussioni sul piano psichico e della vita di relazione. L’atteggiamento della classe medica nei confronti del problema ipospadia ha subito, negli ultimi anni, una sostanziale modifica dell’approccio terapeutico. La caduta
dei tabù psicologici relativi alle patologie della sfera genitale insieme alla maggiore informazione sostenuta dai mass media riguardo al normale sviluppo del bambino hanno fatto si che il bambino ipospadico venga sottoposto all’attenzione dei sanitari molto prima e più frequentemente di quanto
accadesse in passato. Presidi tecnici più sofisticati quali materiali di sutura, strumentario chirurgico e sistemi di magnificazione ottica, hanno permesso di abbassare a 9-15 mesi l’età in cui i bambini vengono sottoposti a intervento, con innegabili vantaggi psicologici per il bambino e per la famiglia.
Collaborazione con le Società scientifiche di Riferimento
Complicanze
Nuove tecniche vengono utilizzate ed i risultati estetici e funzionali ottenuti sembrano deporre favorevolmente in termini di una correzione chirurgica sostanzialmente soddisfacente a breve e lungo termine.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione Ospedale / Territorio
COMUNICAZIONE:
LA NUOVA FRONTIERA DELLA MEDICINA
Pietro Falco*, Italo Farnetani**
*Medico Chirurgo tirocinante, Dipartimento di Pediatria Seconda Università, Napoli
**Professore a contratto di Comunicazione, Università di Milano Bicocca
Diagnosi e terapia hanno sempre costituito l’aspetto essenziale e fondamentale dell’attività del
medico.
Piuttosto recentemente, si è aggiunta la prevenzione e l’educazione alla salute.
Oggi, con molta urgenza, dobbiamo dare spazio alla comunicazione, elemento ormai integrante dell’attuale società, da cui perciò la medicina
non può prescindere e che il medico deve integrare alle proprie conoscenze.
I destinatari del messaggio, cioè i pazienti (nel
caso del pediatra bambini, adolescenti e genitori)
hanno un maggior livello culturale, infatti basta vedere la notevole diminuzione dell’analfabetismo
e, dall’altro, l’aumento delle persone che frequentano, pur se non obbligate, le scuole medie superiori.
Su questa base c’è l’enorme diffusione dei mezzi di comunicazione, principalmente la televisione, che ha abituato a decodificare il messaggio della comunicazione che permette di ricevere spiegazioni approfondite e con l’ausilio di schemi, filmati o interviste.
Gli argomenti che riguardano la salute trovano
ampio spazio in quotidiani e periodici. Infine c’è
la possibilità di accedere, attraverso internet a centinaia di siti che offrono informazioni mediche o
paramediche, la cui attendibilità, in molti casi, è
scarsa e talvolta fuorviante.
Il medico, perciò, deve saper comunicare il proprio messaggio con semplicità, chiarezza e comprensibilità, basandosi sulle tecniche e possibilità
delle moderne tecniche di comunicazione.
In questo modo il medico, senza nulla togliere
ai requisiti e alle caratteristiche della propria professione, potrà formulare e comunicare meglio la
diagnosi e far capire le finalità e le modalità della
terapia in modo da assicurarsene una più corretta,
precisa e puntuale esecuzione. Usando un linguaggio adeguato è certo di essere capito dal paziente
in modo completo, senza creare equivoci o dimenticare qualcosa, mentre apprendere gli elementi fondamentali di scienza della comunicazione in medicina gli permette di usare giornali, periodici, radio, televisione e anche le vie telematiche per effettuare un’educazione alla salute collettiva, che può
moltiplicare enormemente le possibilità offerte dal
singolo colloquio medico-paziente.
Preliminare indispensabile alla comunicazione col paziente è necessario migliorare il linguaggio proprio della medicina, presupposto indispensabile per poter modificare il codice della comunicazione per adattarlo ai soggetti riceventi non
medici.
Il linguaggio della medicina:
“Medico cura te stesso”
Il linguaggio è lo strumento basilare della comunicazione e oggi quello della medicina è “malato” come peraltro il lessico in generale. Il linguaggio della medicina è oggi brutto, affrettato, pieno
di tecnicismi (termini specifici della singola disciplina) e forestierismi (sono termini presi in prestito da altre lingue inseriti in testi redatti in italiano). I “sintomi”, cioè gli errori che si compiono,
sono raggruppabili in sei gruppi:
1. I neologismi sono quasi sempre affrettati e
banali, senza mediazione umanistica, per
esempio palatabilità.
2. Molti sono termini tecnici come enterorecettore o sigle, per esempio DRG o VQR.
3. Prevalgono le parole composte (ecotrasparente, cerebroleso, osteosonografia), alcuni
sostantivi (neuro, somato) o aggettivi (immune) si trasformano in prefissi per altre parole, oppure in cui ad un solo termine si sostituiscono locuzioni: radiologia si è ampliata in diagnostica per immagini, eczema è divenuto dermatite atopica.
4. Alcuni termini stanno scomparendo, perché
non vengono più usati: pubarca, telarca, ircarca, angina, dispareunia.
5. Esistono troppi sinonimi: che rendono difficoltosa la comunicazione anche fra noi medici: non è stabilito se una diarrea che dura più di 14 giorni si chiami persistente o cronica, molte malattie vengono indicate con
18
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
6. I forestierismi: il loro uso è quasi sempre ingiustificato, spesso esiste in italiano un termine corrispondente, o, quando non c’è, non
è difficile trovarlo, infatti nella lingua francese è eccezionale ricorrere a termini stranieri. L’uso dei forestierismi, oltre che contribuire a rendere criptico il linguaggio, può
esser fonte di equivoco.
Ad esempio “Evidence-based medicine” in
italiano viene tradotta come “medicina basata sull’evidenza”. Evidenza in italiano significa: immediata e totale visibilità o comprensibilità, perciò l’opposto del significato della parola inglese. La traduzione italiana corretta di evidence è prova.
Comunicazione fra medico e
medico
Nella pratica clinica quotidiana, come pure nell’attività didattica e scientifica, è importante, oltre
naturalmente alla chiarezza e comprensibilità del
messaggio, poter disporre di una terminologia comune. Spesso, invece, per esempio nelle risposte
degli esami diagnostici, che richiedono una valutazione soggettiva da parte dell’operatore, si ha un
uso di decine di sinonimi o termini equivalenti che
spesso non fanno identificare esattamente il pensiero dell’esaminatore con la difficoltà di trasferire da un medico all’altro la risposta dell’esame.
Nel campo dell’elaborazione di Linee Guida il
linguaggio è fondamentale per poter comunicare
i contenuti che si vogliono trasmettere. Fra i requi-
siti e le caratteristiche di una Linea Guida si dice:
“chiarezza: le Linee Guida nella pratica devono utilizzare un linguaggio non ambiguo, definire i termini con precisione e usare un modo di presentazione logico e facile da seguire… forma: occorre
prevedere un glossario per la definizione dei termini”.
Requisiti per poter comunicare attraverso
le Linee Guida
Una Linea Guida, per poter essere comunicata, perciò divenire trasmissibile e fruibile
dai vari operatori deve essere:
redatta con un linguaggio
• redatta con un linguaggio semplice, chiaro, comprensibile senza possibilità di false interpretazioni,
• dare un’informazione completa, cioè che
tratti tutti i vari aspetti dell’argomento,
• il testo deve essere scorrevole e facile
da leggere, perciò si preferiscano periodi brevi con una quantità minima di interpunzione; se in pochi righi si devono usare molte virgole significa che il testo è poco chiaro, ed è preferibile rivederlo, perciò potrebbe risultare non comprensibile,
• il linguaggio non deve contenere forestierismi,
• non si deve eccedere nell’uso dei tecnicismi o acronimi (sigle) soprattutto quelli che appartengono alla singola specialità, anziché essere un patrimonio comune dell’aria medica; per esempio tutti i
medici sanno cos’è l’ippocampo, ma
quanti medici, esclusi i pediatri e i gastroenterologi conoscono il significato di
EMA, o, ad eccezione dei neuropsichiatri infantili, sanno cos’è la baby-blues?,
• scegliere i termini (eponimi, nomi di malattie, termini scientifici…) usati correntemente,
• usare, anziché locuzioni o piccole frasi,
i termini scientifici più idonei da raccogliere in un glossario unitario, basandosi sui criteri delle classificazioni internazionali, curato, per l’età evolutiva, dalla Società Italiana di Pediatria: per esempio si deve dire ircarca, anziché comparsa di peluria alle ascelle, infatti parlando fra medici, se si usa il termine specifico, si rende più rapida la comprensione e si facilitano anche le ricerche telematiche. Naturalmente, come abbiamo
detto, vanno usati solo i termini che possono avere un uso interdisciplinare.
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un termine scientifico o con l’eponimo: acrodermatite papulosa infantile è conosciuta anche come Sindrome di Crosti-Gianotti, indicata altre volte Gianotti-Crosti (Gianotti è talvolta scritto erroneamente con la doppia n).
Un esempio è quello della fibrosi cistica:
- nel D.M. del 1 febbraio 1991 è chiamata fibrosi cistica del pancreas (art. 1, comma 26; art. 3, comma 33);
- nel D.M. del 5 febbraio 1992 la fibrosi
cistica dà diritto a due diverse percentuali di invalidità secondo il nome(!): la “fibrosi cistica del pancreas con pneumopatia cronica” dà diritto al 100% di invalidità, mentre la “bronchiectasia associata a mucoviscidosi” all’80%;
- la Legge n. 548 del 23 dicembre 1993
usa fibrosi cistica ma senza correggere le
altre espressioni usate in precedenza.
Il risultato: in molti casi al paziente fibrocistico sono state negate prestazioni a cui
aveva diritto solo perché, nei documenti rilasciati dal Centro dove veniva curato, la malattia era indicata con un altro
nome.
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Collaborazione Ospedale / Territorio
Comunicazione medicopaziente
Il tema delle vaccinazioni rappresenta un modello paradigmatico. Se parliamo di vaccino antiemofilo, solo alcuni sanno di cosa si tratti e in pochi chiedono informazioni. Se si parla di anti-haemophilus influenzae c’è il rischio, come è avvenuto, che venga scambiato con il vaccino contro l’influenza, mentre, se si chiama “vaccino antimeningite” si ottiene un altissimo livello di interesse.
La comunicazione con il paziente è il settore
in cui il medico è più carente, soprattutto quando, oltre che parlare con il singolo paziente, deve
elaborare e scrivere delle proprie Linee Guida per
un uso personale per esempio da distribuire o, ancor di più quando deve usare i mezzi di comunicazione di massa.
Ecco le 10 regole da seguire per poter comunicare in modo chiaro, comprensibile e perciò efficace:
1. Non si parla ai colleghi, ma ai pazienti: questo vale soprattutto quando si rilasciano interviste, si scrivono articoli o si realizzano trasmissioni per giornali, periodici, radio o televisione. In questo caso non ci si deve chiedere cosa dirà il collega, ma cosa sia utile che sappia
il lettore o l’ascoltatore e quali possano essere le sue domande. Un valido metodo è quello di rivivere “dalla parte del paziente” una o
più situazioni analoghe a quella di cui dobbiamo parlare e che in passato abbiamo gestito
come medici. Anzi è utile ed efficace riferire
proprio le domande che i genitori si pongono
più spesso, corredate naturalmente della risposta.
2. Correttezza: l’obbiettivo della comunicazione
è quello di effettuare un servizio per il paziente, perciò ci si deve basare sul più assoluto rigore scientifico, mai fornire notizie che non abbiano una sufficiente e attendibile documentazione. In particolare non si devono mai dare notizie, che possano alimentare ingiustificate speranze, per esempio quando si prospettano nuove terapie risolutive non si deve mai ricercare l’effetto sensazionale, ma specificare
bene quali sono i tempi perché le applicazioni possano riguardare la clinica e perciò tutti
i pazienti. La comunicazione non deve nemmeno divenire un mezzo per farsi pubblicità,
propagandando, per esempio, procedure o tecniche che vengono effettuate nel proprio
ospedale o nel proprio studio.
3. Semplificare al massimo i concetti: quando si
tratta qualunque argomento bisogna eliminare tutti quei concetti che non possono essere
verificati o coinvolgere i pazienti, per esempio
a loro interessa sapere come si pratica un esame per conoscere cosa gli possa “capitare” dovendolo eseguire, ma non i casi in cui sia utile o inutile effettuarlo. Per esempio della coprocoltura, vogliono sapere come debba essere il barattolo in cui raccogliere le feci, dove
eventualmente lo si acquista, come vada conservato il campione, se va bene raccogliere le
feci in qualunque ora della giornata ed entro
quanto tempo vada consegnato al laboratorio.
Gli interessa sapere anche come vadano interpretati i risultati ottenuti, cioè quali siano i valori normali e quelli patologici per interpretare la risposta del laboratorio.
Per selezionare gli argomenti che interessano
di più i pazienti, si può dire che è sempre bene partire dai sintomi, anziché dalle malattie
e descrivere queste ultime in modo enciclopedico solo quando siano molto comuni, conosciute e radicate nella cultura popolare (per
esempio si può parlare di pertosse, influenza,
otite, ma non della porpora trombocitopenica
idiopatica). In genere è sempre preferibile partire dal sintomo, perché è quello che può essere osservato dai genitori, nel caso del pediatra, o il paziente, o eventualmente da altre situazioni ben riscontrabili nell’ambiente (per
esempio quando il bambino non dorme, o non
vuole mangiare, ecc.) fornire i consigli e le indicazioni sulle cose da fare o non fare nella
specifica situazione e poi anche poter risalire
alle malattie che possono aver determinato il
sintomo.
4. Dare consigli ripetibili, cioè che il paziente possa essere capace di eseguire da solo. È inutile
spiegare come funzionano apparecchiature presenti solo in ospedale, oppure eccessivamente complicate, per esempio il rovesciamento
della palpebra superiore che forse nessun genitore si sente di effettuare, mentre è importante dire cosa fare in caso di ustione, se si tocca una medusa o in caso di raffreddore. Per
esempio, parlando dell’epistassi, il genitore vuol
sapere se deve far piegare al bambino la testa
in avanti o indietro, se gli deve applicare il
ghiaccio o stringergli le narici o quando portarlo all’ospedale, mentre non gli interessa sapere quali trattamenti gli possano essere eseguiti al Pronto Soccorso.
5. Dare una priorità ai vari concetti: non si può
pretendere di esaurire in modo completo gli argomenti da trattare, perciò si dovrà realizzare
una graduatoria di importanza, sia in base agli
interessi del paziente, sia alla priorità in base
all’impostazione medica. Per semplicità si possono numerare i vari concetti (anche solo mentalmente) per poterli trattare in modo decrescente di importanza ed essere certi secondo lo spa-
20
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Ecco due esempi:
- se si dice “evitare restrizioni dietetiche”, i
genitori o, nel caso degli adulti, i pazienti stessi, non capiscono se possono mangiare ogni tipo di cibo ed eventualmente
in quale quantità. È più chiaro se si dice
“può continuare il consueto tipo di alimentazione”, oppure “può mangiare ogni tipo
di cibo, ad eccezione…”
- il massimo dell’“incomunicabilità” si raggiunge quando, nei foglietti illustrativi o
nelle schede tecniche dei farmaci è riportata la frase “usare con cautela”: cosa significa?
6. Spiegare in modo chiaro e completo i concetti e non dare nulla per scontato; quando si parla ai non medici si deve ricordare che tutti sanno qualcosa di un determinato argomento, alcuni sono anche ben informati, ma non ci sono degli argomenti che raccolgano l’“unanimità
della conoscenza collettiva”, tali da poter essere omessi. Gli argomenti trattati non devono contenere concetti o informazioni sottintese, perciò non si deve dare nulla per scontato
(Tab. 1).
Tabella 1
ESEMPI DI CONCETTI POCO CHIARI
Per esempio, fra i consigli da dare quando un bambino presenta tosse secca:
• è sbagliato dire “umidificare l’ambiente”, perché il genitore non sa come possa farlo,
• porre attenzione ad eventuali modifiche della tosse: si deve specificare quali siano gli elementi da considerare
• “bere liquidi”: quali? devono essere caldi o freddi?
• “valutare il comportamento del bambino o eventuale comparsa di altri sintomi”: in questo caso si devono indicare in modo schematico i comportamenti e i sintomi che potrebbero essere il segno di un aggravamento della malattia,
• “chiamare il medico in caso di persistenza della febbre”: si deve specificare dopo quanti giorni vada chiamato il medico.
7. Tradurre il “medichese”, non usare parole straniere (forestierismi) o termini scientifici e tecnici (tecnicismi) o sigle (acronimi). Sempre per
agevolare la comprensione del testo, perciò la
comunicazione, si devono “tradurre” i termini medici, scientifici o tecnici.
Il termine incidenza è estremamente chiaro ed
efficace per gli “addetti ai lavori”, anche se sono molti, ma non certo per il grande pubblico: ecco l’esempio di un termine che si può
usare quando si parla o si scrive ai medici, ma
non quando si compie un’attività di divulgazione scientifica. Per esempio, non vanno usati termini come flogosi, iperemia, vascolarizzato, idropinico, che andranno sostituiti con la
relativa “traduzione”.
Non tutti conoscono l’inglese e ancora meno
sono in grado di poter tradurre i termini tecnico-scientifici, perciò è sempre bene usare la
corrispondente traduzione italiana: nella maggior parte dei casi esiste, sarà il medico che trova quella più appropriata. Cosa ne capisce un
genitore quando gli si dice che il proprio bambino “è stato inserito nel follow-up”, oppure
quando legge nel foglietto illustrativo di qualche vaccino che “va eseguita una dose booster”?
È bene non usare nemmeno le sigle, infatti se
di alcune, come per esempio AIDS il significato è noto a tutti, ma non di altre, usate dai
Collaborazione Ospedale / Territorio
zio o il tempo a disposizione di non omettere
informazioni essenziali.
medici correntemente, come SIDS, FUO, IVU,
oppure OMS o WHO.
8. Non usare concetti ansiogeni (Tab. 2), ma infondere un consapevole ottimismo; ci sono parole, locuzioni o frasi usate dai medici, ma che
nei pazienti potrebbero evocare fantasmi di malattie: per esempio “bronchite” ai genitori fa pensare alle malattie dei polmoni, perciò alla tbc,
mentre sono tranquilli se gli si dice “infezione
della gola” o “infezione delle prime vie aeree”.
Tabella 2
ESEMPI DI TERMINI ANSIOGENI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
soffio cardiaco/innocente
linfoadenopatia/linfonodo ingrossato
anemia
broncopolmonite
angioma
gastroenterite
salmonellosi
focolaio
morbo
crisi convulsiva/epilessia
Descrivendo le varie situazioni sia fisiologiche
che patologiche, è sempre bene sottolineare gli
21
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aspetti su cui i genitori possono intervenire, per
esempio, parlando della febbre, è giusto riferire che la principale, forse unica complicanza della febbre è costituita dalle convulsioni
febbrili, non ci si deve limitare a dire che non
hanno rapporto con l’epilessia o che possono
determinare sequele neurologiche o psichiche,
perché il genitore è più interessato a sapere cosa deve fare, quali farmaci possa usare da solo, dopo quanti giorni di febbre il bambino possa andare a scuola. Dovrà infondere un con-
sapevole ottimismo, spiegando che la febbre
è una “amica“ dell’organismo perché l’aumento della temperatura serve a distruggere molti
agenti infettivi e che gli animali che non erano capaci di “produrre la febbre” sono scomparsi durante la filogenesi. Si dovranno perciò
aiutare i genitori a non vivere ogni episodio febbrile come una malattia potenzialmente grave, ma come un fenomeno naturale che serve
al bambino per realizzare il proprio apprendimento immunologico (Tab. 3).
Tabella 3
ESEMPI DI MESSAGGI ALLARMISTICI
Un genitore che legge o ascolta simili consigli si immagina le vacanze come fonte di pericolo per il proprio figlio,
perciò non solo non si rilasserà, ma tenderà a iperproteggere il proprio figlio.
•
•
•
•
•
Assicurarsi che il luogo di vacanza sia facilmente raggiungibile dai mezzi di trasporto in caso di emergenza.
Proteggere il bambino da eventuali fonti di infezione.
Trovate subito un riferimento medico in caso di necessità (ospedale più vicino…).
Se andate in montagna portatevi una cassetta di pronto soccorso.
State attenti ai pericoli nascosti in montagna.
9. Evitare l’eccessiva medicalizzazione dei problemi (Tab. 4), evitare cioè che la tutela della
salute invada il campo della vita normale in cui
le persone possano scegliere e vivere liberamente. Per esempio durante la primavera e l’esta-
te si daranno i consigli per prevenire le punture di zecche, ma non si può certo, come propone qualche medico, disseminare le campagne e i boschi di cartelli che avvertono della
presenza del parassita.
Tabella 4
ECCESSIVA DI ECCESSIVA MEDICALIZZAZIONE
•
•
•
•
•
•
Preferire i mesi di giugno e/o settembre se si sceglie una località marina.
Evitare l’esposizione al sole nelle ore più calde della giornata.
Non portare il bambino in spiaggia dalle 12 alle 16.
Se siete al mare, stare sulla spiaggia massimo fino alle 10 del mattino e dopo le 16,30 del pomeriggio.
Non esporre il bambino al sole nelle ore più calde (all’incirca dalle 11 alle 15).
Utilizzare sempre il cappello.
Commento: se i genitori seguissero questi sei consigli, il medico gli condizionerebbe, in modo sostanziale, i quattro mesi dell’anno, da giugno a settembre, nonostante che sia il periodo in cui i bambini si ammalano di meno.
Una particolare raccomandazione va fatta per
chi usa fotografie o filmati, per esempio quando si partecipa a una trasmissione televisiva.
La scelta delle immagini dovrà evitare quelle
raccapriccianti (per esempio bambini malformati) o che comprendano la visione del sangue o sequenze di interventi chirurgici.
10. Condizionare le informazioni all’andamento
epidemiologico o stagionale delle malattie. La
comunicazione è efficace quando le informazioni fornite arrivano nel momento del massimo interesse delle persone che devono ricever-
le. Questo avviene quando le persone, i genitori nel caso del pediatra, sono già coinvolte nel
problema, non solo quando lo hanno vissuto
personalmente, ma anche ne hanno solo sentito parlare. Per questo è utile seguire l’andamento epidemiologico e stagionale delle varie
malattie: i calendari dei pollini, e perciò delle
varie manifestazioni allergiche, sono noti a tutti, mentre meno diffusi sono i dati sulla frequenza mensile delle varie malattie infettive, anche
quelle non soggette a denuncia obbligatoria, utili per programmare i vari interventi di educazione alla salute o di informazioni pratiche.
22
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
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215-223.
Collaborazione Ospedale / Territorio
Bibliografia
Notiziario Regionale
MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO CON
INTERESSAMENTO EPATOSPLENICO:
DESCRIZIONE DI UN CASO
Adele Civino*, Anna Lubelli**, Annalisa Fracchiolla*, Giuseppe Presta*, Carmelo Perrone**
*U.O.C. Pediatria - UTIN - A.O. “Card. G. Panico” Tricase, Lecce
**U.O.C. Pediatria e Neonatologia P.O. Maglie-Poggiardo-Scorrano - ASL LE
Riportiamo il caso di una bambina di 10 anni
sottoposta ad accertamenti in regime di ricovero
ospedaliero per febbre persistente da circa una settimana con picchi fino a 40°C associata ad adenopatia inguinale destra e dolori addominali ricorrenti.
L’esame obiettivo all’ingresso evidenziava un
linfonodo mobile in regione inguinale destra del
diametro di circa 2 cm e a livello della coscia destra si repertava un esito discromico da riferito graffio di gatto con una piccola papula satellite. La restante obiettività era normale e le condizioni generali erano buone.
Gli esami ematici evidenziavano un aumento
degli indici di flogosi (VES mm 71, PCR 10,7 mg/dl),
i valori dell’esame emocromocitometrico e la funzionalità epatica e renale risultavano nella norma.
L’ecografia inguinale destra mostrava un linfonodo a struttura disomogenea con ilo vascolarizzato (2,5x8x1,6 cm). L’ecografia addominale de-
scriveva fegato aumentato di volume con ecostruttura disomogenea per presenza di multiple lesioni ipoecogene di 1-2 cm intraparenchimali. All’ilo splenico si apprezzava altra lesione ovalare ipoecogena di 1 cm.
Veniva eseguita RMN addome con mezzo di
contrasto che evidenziava fegato aumentato di volume con segnale del parenchima disomogeneo per
presenza di multiple lesioni sostitutive rotondeggianti sparse nei vari segmenti, di media e piccola taglia. Le lesioni maggiori avevano un diametro
di due cm ed erano localizzate nei segmenti VIII,
II e VI, tutte con segnale lievemente iperintenso in
T2 e lievemente ipointenso in T1 e presentavano
aspetto cercinato con alone edemigeno perilesionale. Dopo mezzo di contrasto presentavano scarso enhancement periferico ad anello. All’ilo splenico si apprezzava formazione ovalare di 2,1 cm
con segnale simile al parenchima splenico ed area
centrale iperintensa in T2 (Fig. 1).
Figura 1. RMN addominale: lesioni epatospleniche da malattia da graffio di gatto.
24
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
graffio di gatto sebbene l’incidenza è sicuramente sottostimata poiché nei pazienti con forma tipica senza apparenti sintomi sistemici il possibile
coinvolgimento epato-splenico spesso non è indagato (5).
I dolori addominali sono descritti in circa il 60%
dei casi; non vengono in genere segnalate alterazioni della funzionalità epatica (6, 7).
Le caratteristiche dei pazienti nelle serie pediatriche più numerose riportate in letteratura sono riportate in tabella 1.
Le indagini strumentali documentano lesioni nodulari nel fegato e/o nella milza. Poiché non vi sono reperti radiologici specifici, per la diagnosi è necessario ricorrere alle ricerche sierologiche il cui
risultato positivo in presenza di dati anamnestici
suggestivi, può essere sufficiente per la diagnosi (8).
I test sierologici disponibili sono la ricerca degli anticorpi anti-Bartonella tramite tecnica IFA (immunofluorescence assay) ed ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) che presentano una specificità
> 90%, con minore sensibilità (IFA: sensibilità 53%
per IgM, 67% per IgG; ELISA sensibilità 65% per
IgM, 28% per IgG). Nei casi dubbi si ricorre alla
biopsia delle lesioni con ricerca del DNA della Bartonella henselae tramite PCR (polymerase chain
reaction) (9).
Nei casi riportati in letteratura sottoposti a biopsia delle lesioni, l’esame istologico dimostra lesioni granulomatose aspecifiche e la ricerca tramite PCR risulta in genere positiva (5, 6, 10, 11).
Non esiste un consenso sulla terapia da utilizzare nell’interessamento epatosplenico del soggetto immunocompetente.
I dati della letteratura dimostrano una netta discrepanza tra la drammatica risposta alla terapia
antibiotica nei soggetti immunodepressi con malattia sistemica rispetto alla minima efficacia dimostrata nell’immunocompetente (12).
La rifampicina è l’antibiotico più spesso impiegato nelle casistiche pediatriche con interessamento epatosplenico; altri farmaci utilizzati comprendono macrolidi, trimetropim cotrimossazolo, aminoglicosidi, chinolonici o associazioni di più antibiotici. La durata ottimale del trattamento per i
soggetti immunocompetenti con forme complicate non è stata definita (5, 6, 10-12).
Vi sono segnalazioni di regressioni spontanee
delle lesioni epatospleniche senza alcun trattamento in diagnosi retrospettive (13).
In un caso di interessamento epatosplenico con
febbre resistente a varie terapie antibiotiche è stata utilizzata con successo una terapia steroidea (14).
Notiziario Regionale
Gli esami sierologici eseguiti mediante tecnica IFA (indirect immunofluorescence assay) erano
indicativi di infezione recente da Bartonella henselae mostrando un incremento del titolo anticorpale specifico IgG da 1:256 a > 1:1024 a distanza di due settimane.
La bambina è stata inizialmente trattata con ceftriaxone e.v.; dopo la diagnosi sierologica che confermava una malattia da graffio di gatto con interessamento epatosplenico, è stata trattata con claritromicina orale per due settimane.
La febbre è durata complessivamente due settimane dall’esordio dei sintomi, gli indici infiammatori si sono negativizzati dopo tre mesi. Sono
stati eseguiti esami per valutare la funzione immunologica (dosaggio immunoglobuline, sottopopolazioni linfocitarie, dosaggio fattori del complemento, test di proliferazione linfocitaria in vitro) senza rilevare alterazioni.
Le lesioni epatiche si sono ridotte gradualmente di dimensione; dopo due settimane dal termine
della terapia antibiotica l’eco-contrastosonografia
spleno-epatica evidenziava ancora undici lesioni
nodulari disomogeneamente ipoecogene con tralci iperecogeni interni, sei nel lobo sinistro e cinque nel lobo destro, la maggiore delle quali misurava 1,7 cm, persisteva la lesione ipoecogena di
2,3 cm dell’ilo splenico. Tali lesioni risultavano non
captanti mezzo di contrasto.
La totale scomparsa delle lesioni si è osservata dopo cinque mesi, senza calcificazioni residue.
La malattia da graffio di gatto si manifesta nei
soggetti immunocompetenti generalmente come
una patologia acuta autolimitantesi con scarsi sintomi sistemici. La malattia è caratterizzata dalla
comparsa di una papula nel sito di inoculo della
Bartonella henselae, seguita da linfoadenopatia regionale reattiva dopo 1-4 settimane, con febbre di
breve durata. In un piccolo numero di pazienti (forma atipica) è possibile osservare febbre protratta
(per settimane o mesi), assenza di linfoadenopatia
e complicanze sistemiche più gravi incluso il coinvolgimento neurologico, oculare, epatico e/o splenico, linfatico, scheletrico o cutaneo (1).
Una casistica giapponese di 127 bambini con
diagnosi sierologica di malattia da graffio di gatto
riporta 75 (59,1%) forme tipiche con linfoadenopatia e 52 (40,9%) a decorso atipico. Tra queste ultime, 46 (36,2%) avevano febbre protratta, 23
(18,1%) assenza di adenopatia e 21 (16,5%) complicanze tra cui ascessi e lesioni ipoecogene epato-spleniche o manifestazioni neurologiche.
I bambini con forme complicate o caratterizzate da assenza di linfoadenopatia tendevano ad
avere una maggiore durata della febbre.
In diverse casistiche i casi con interessamento
sistemico esordiscono con febbre protratta senza
causa apparente (2-4).
I granulomi epatici rappresentano lo 0,3-0,7%
delle manifestazioni sistemiche della malattia da
Per quanto riguarda il follow-up radiologico, nelle poche casistiche in cui tale dato è riportato si
dimostra la possibilità di persistenza delle lesioni
con riduzione dimensionale anche dopo 2-3 anni
dalla diagnosi e comparsa di calcificazioni (5, 6,
10, 15).
25
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Tabella 1
CASISTICHE DI MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO CON INTERESSAMENTO
EPATOSPLENICO IN ETÀ PEDIATRICA
N.
Età
pz (range)
Durata
media
febbre
(range)
Linfo
Dolori
adenopatia addominali
(n. pz)
(n. pz)
VES
mm/h
(n. pz)
Sierologia
per
Bartonella h.
Localizzazioni
Terapia
Follow-up
radiologico
(range)
Milza Fegato Entrambi
Scolfaro C
2008
7
5-13
anni
22 gg
(5-56)*
4/7
3/7
(30-110)
7/7 positivi
(range 1:512->1:1024)
2
2
3
Eritromicina,
21 m (6-48)
Cirpofloxacina, 3/7risoluzione
Rifampicina,
4/7riduzione
Netilmicina,
Cotrimossazolo,
Macrolidi
Arisoy ES
1999
19
2-11
anni
22 gg
(7-56)
6/19
13/19
(52-114)
19/19 positivi
(range 1:128-1:8193)
3
3
13
Rifampicina,
#
Gentamicina,
Cotrimossazolo,
Clindamicina,
Ampicillina,
Claritromicina
Ventura A
1999
9
2-13
anni
51 gg
(21-112)
4/9
#
#
9/9 positivi
2
1
6
Rifampicina,
Ceftriaxone,
Imipemen,
Netilmicina,
Vancomicina,
Teicoplanina
* 1 pz apiressia
# non riportato
5 m (1-12)
3/7risoluz.°
1/7
calcificazioni
spleniche
° 1 pz senza trattamento
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