la scienza elettrica si fa tecnica

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la scienza elettrica si fa tecnica
FISICA/MENTE
FISICA/
MENTE
LA SCIENZA ELETTRICA SI FA
TECNICA
PRIME APPLICAZIONI
Roberto Renzetti
INTRODUZIONE
Intorno al 1830 la scienza elettrica e magnetica era pronta per le applicazioni pratiche.
Vi era stata una grande accelerazione a partire dalla scoperta della pila proprio
nell'anno 1800 che aveva visto la realizzazione dell'accumulatore elettrico (il tedesco J.
Ritter - 1803), quella dell'arco elettrico(1) (l'inglese H. Davy - 1809), l'elettromagnete(2)
(l'inglese W. Sturgeon - 1825), la pila Daniel (l'inglese J. Daniel
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L'elettromagnete di Sturgeon. Transactions of
the Society for
the Encouragement of the Arts
43 (1824), Plate 3, Fig. 13.
Smithsonian neg. no. 46,761-D.
- 1830), e vari altri ritrovati tra cui strumenti di misura ed affinamenti teorici.
Nel 1821 (3 e 4 settembre) vi fu un'altra accelerazione a seguito della scoperta di
Faraday della rotazione elettromagnetica.
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Michel Faraday
Il pregiudizio di azioni circolari che Faraday condivise con Oersted, fu da guida alla
realizzazione, da parte dello stesso Faraday(3), del principio del primo motore elettrico. Con
l'apparato sperimentale di figura
La rotazione elettromagnetica di Faraday
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La rotazione elettromagnetica di Faraday vista in modo schematico
riuscì a realizzare il moto circolare di un magnete intorno ad una corrente e,
simultaneamente, di un filo percorso da corrente intorno ad un magnete. L'apparato è
costituito da due coppe di vetro; all'interno delle coppe vi è del mercurio che permette la
chiusura del circuito mediante un contatto strisciante (il conduttore rigido si muove
mantenendo il contatto elettrico con il mercurio); i conduttori che escono da sotto le coppe
sono collegati ad una batteria; quando passa corrente il magnete della coppa di sinistra ed il
conduttore della coppa di destra cominciano a ruotare vorticosamente intorno,
rispettivamente, al conduttore fisso ed al magnete fisso. E' il principio del motore elettrico
che occorreva rendere praticamente utilizzabile, anche se da qui la cosa sembra fantastica.
Eppure, appena 10 anni dopo, lo statunitense Joseph Henry (1797-1878) costruisce il primo
motore elettrico (si tratta in realtà di un elettromagnete oscillante) che resta un apparato
dimostrativo pur mostrando più da vicino l'utilizzabilità della scoperta di Faraday.
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Joseph Henry
Henry's oscillating electromagnet
motor. From Silliman's American
Journal of Science 20 (July 1831): 342.
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Smithsonian neg. no. 46,797-E.
Per seguire la seguente illustrazione si tenga presente anche la figura più sotto. A-B sono due
elettromagneti vincolati ad oscillare nel piano di figura. C e D sono due magneti permanenti con la
medesima polarità rivolta verso l'alto. Quando i fili o p che alimentano l'elettromagnete di sinistra
sono collegati in l m alla pila G, l'elettromagnete A acquista la stessa polarità del magnete
permanente C che è sotto e quindi viene respinto (tende a salire). Con questa azione accadono due
cose: 1) i contatti o p con l m si interrompono e l'elettromagnete A cessa di essere tale; 2) si vanno a
realizzare i contatti di q r con s t della pila F di modo che entra in funzione l'elettromagnete B che
presenta la stessa polarità affacciata con D. Allora D respinge B, nel farlo si interrompono i contatti
della pila F ... eccetera.
L'elettromagnete oscillante di Henry visto in modo schematico
Reconstruction of Henry's original
oscillating electromagnet motor.
N.M.A.H. Cat. No. 244,904.
Smithsonian neg. no. 24,976-A.
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Henry's modified oscillating
electromagnet motor, at Princeton.
Smithsonian neg. no. 16,188.
Sempre nel 1831 si ebbe un'altra fondamentale scoperta di Faraday: l'induzione
elettromagnetica che devo illustrare in breve perché si capisca ciò che seguirà.
L'INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Sembra che l'idea di tentare la strada delle esperienze che seguono siano state
suggerite a Faraday dal suo amico G. Moll(4), il quale aveva scoperto che gli elettromagneti
molto potenti avevano la proprietà di cambiare immediatamente la polarità se si cambiava
in essi il verso della corrente. Egli iniziò con il realizzare un elettromagnete che, per la sua
forma, doveva risultare molto intenso e tale da magnetizzare istantaneamente un circuito
vicino. Scelse un grande anello di ferro nella metà del quale arrotolò più volte un filo
conduttore le cui estremità erano collegate ad una pila. Nell'altra metà dell'anello arrotolò
più volte un filo conduttore le cui estremità erano collegate ad un galvanometro come
mostrato in figura
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Schema del dispositivo con cui Faraday scoprì l'induzione elettromagnetica
Apparato originale di Faraday
Come realizzare facilmente l'esperienza di Faraday
Collegando la batteria, l'anello di ferro si magnetizzava ed il galvanometro indicava un
breve passaggio di corrente. Allo scollegare la pila, l'anello si smagnetizzava ed il
galvanometro registrava ancora un breve passaggio di corrente.
Con tale esperienza Faraday aveva fatto varie cose insieme. Mentre Oersted aveva
fatto vedere che l'elettricità produce effetti magnetici, egli inverte la questione e fa vedere
che fenomeni magnetici diventano elettricità. E riesce a cogliere un aspetto fondamentale:
ogni volta che si ha una variazione "del magnetismo", cioè del campo magnetico, nasce
una corrente. Detto meglio: intorno ad un elettromagnete (o magnete che sia) vi è un campo
magnetico, costituito, come pensato da Faraday, da un certo numero di linee di forza. Se noi
mettiamo in questo campo un filo conduttore collegato, in un semplice circuito, ad un
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galvanometro, osserveremo che se magnete e circuito sono in quiete relativa non accade
nulla; ma se o il magnete o il circuitino si muovono l'uno rispetto all'altro, allora il
galvanometro segna passaggio di corrente. E' il moto relativo tra magnete (campo
magnetico, che indicheremo con B) e circuito che provoca il passaggio di corrente nel
circuito stesso non alimentato altrimenti. E, a tale moto relativo, si associa una variazione
del numero (o del flusso, che indicheremo con F) delle linee di forza concatenate con il
circuito (o tagliate dal circuito). Per ottenere tale moto relativo si può agire in differenti
modi che ora illustro (alcuni dei quali dovuti allo stesso Faraday che si dilungò molto su
queste esperienze con l'abilità, l'inventiva e la grande manualità che lo contraddistingueva).
Il primo modo di ottenere correnti indotte dal moto relativo di un magnete o
elettromagnete ed un circuito non altrimenti alimentato è quello di figura seguente:
Induzione elettromagnetica che si ottiene muovendo un magnete dentro una bobina.
Abbiamo a che fare con un magnete permanente che viene alternativamente infilato e
sfilato da una bobina di filo di conduttore di rame che si chiude su un galvanometro (verso
il quale portano i due fili f ed f'). Finché c'è moto relativo (è anche possibile mantenere
fermo il magnete e fare muovere in su ed in già la bobina o fare muovere entrambi), il
galvanometro segnerà passaggio di corrente, in un verso quando il magnete viene infilato ed
in verso opposto quando viene sfilato. Vale la pena dire che più velocemente si ha il
movimento, quanto maggiore è la corrente che circola nel circuito. Quindi, in definitiva è
meglio dire che la corrente indotta è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità di
variazione del flusso del campo magnetico. Questa situazione è molto schematicamente
rappresentata anche dalla figura seguente:
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e seguente:
Il secondo modo è quello di figura seguente:
Ora l'induzione elettromagnetica si ottiene senza spostamenti ma facendo variare il
campo magnetico. Si collega e si scollega la pila alternativamente. Al collegarla, nella
bobina B circola una corrente e quindi si crea un campo magnetico; analogamente
scollegando la pila: in tal caso un campo magnetico esistente viene annullato e quindi anche
qui vi è variazione.
Il terzo modo è quello di figura seguente:
La variazione di flusso del campo magnetico si ottiene ora facendo variare l'intensità
della corrente cha va alla bobina. Poiché a maggior corrente circolante in una bobina
corrisponde maggior campo magnetico, se si inserisce una resistenza variabile (quella
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indicata con d) e la si fa variare, varia la corrente circolante nella bobina e varia il campo
magnetico. Come nei casi precedenti il campo magnetico variabile induce (meglio sarebbe
dire autoinduce) sulla bobina una corrente.
La figura seguente è l'ultimo modo che presento:
Siamo ora come nel primo modo visto, con la differenza che il magnete permanente è
sostituito da un elettromagnete alimentato da una pila.
Per i non addetti ai lavori sembra difficile cogliere applicazioni pratiche di queste
sensazionali esperienze. Eppure qui vi è nientemeno che la corrente alternata, le dinamo ed
ogni apparato moderno di elettricità industriale. Cerco di descriverne i vagiti.
Inizio con il mostrare lo schema di principio dell'apparato per la produzione di
corrente alternata (alternatore), che segue immediatamente dalla scoperta di Faraday. Mi
riferirò alla figura seguente:
Schema di principio di un alternatore: N-S sono le espansioni polari di un magnete
chiuso ad anello (può anche essere un elettromagnete alimentato da parte della
corrente che viene prodotta); ABCD è un circuito elettrico elementare (una spira) che
ha i suoi terminali costituiti da due spazzole s s' che strofinano su due anelli a a'
collegati ad un galvanometro G. Le frecce indicano il verso di rotazione della spira nel
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campo magnetico del magnete, rappresentato dalle linee di forza che vanno da N ad S.
Se con una manovella mettiamo in rotazione la spira immersa nel campo magnetico,
avremo una variabilità continua delle linee di forza del campo concatenate con il circuito
medesimo. La situazione di figura ci dà il massimo di linee di forza concatenate con il
circuito ma, al ruotare della spira si presentano, al primo giro le seguenti situazioni:
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
In (1) la spira è sistemata come nello schema dell'alternatore mostrato nella figura
precedente. Siamo con la spira perpendicolare alle linee di forza del campo magnetico
indicato con B. La spira raccoglie il massimo numero di linee di forza che vanno dal polo
N al polo S.
In (2) la spira ha ruotato, nel verso indicato dallo schema ed intorno all'asse tratteggiato di
figura, di 90°. In questa situazione nessuna linea di forza del campo magnetico attraverserà
più la spira.
In (3) è continuata la rotazione della spira di altri 90°. Siamo tornati ad una situazione
simile alla (1) sono che ora le linee di forza del campo magnetico entrano dalla parte
opposta della spira.
In (4) altra rotazione di 90° e ritorno alla situazione (2).
In (5) ultimi 90° per chiudere un giro completo di 360°e ritorno alla situazione (1).
In tutto questo giro si è realizzato un continuo cambiamento delle linee di forza
concatenate(5) con il circuito. Il giro si ripete e tutto si svolge ancora come ora descritto.
Nelle macchine industriali che sfruttano questo principio il numero di giri è in genere di 50
al secondo (ma può arrivare a 60 al secondo). E' ciò che conosciamo come una caratteristica
della nostra corrente che diciamo essere di 50 hertz (Hz). Naturalmente si otterrebbero più
vantaggi a fare, ad esempio, una corrente da 100 Hz ma quando dalla fisica si passa alle
realizzazioni pratiche si deve tener conto di svariate compatibilità. In questo caso, avere un
sistema meccanico che ruota a velocità gigantesche può distruggere l'intero sistema per
l'intensità delle forze centrifughe messe in gioco.
Passo ora in breve a vedere come tutto questo e quanto detto in precedenza
sull'induzione elettromagnetica possa essere formalizzato. Intanto è utile osservare che
Faraday non conosceva la matematica e tutte le cose le scriveva nei dettagli ma senza
utilizzare formule. Fu relativamente facile per il matematico tedesco Franz Ernst Neumann
(1798-1895)(6), della Scuola Elettrodinamica Tedesca che annoverava nientemeno che C. F.
Gauss (1777-1855), Wilhelm Weber (1804-1891), Bernhard Riemann (1826-1866),
scrivere una relazione matematica che descrivesse questi fenomeni. Vediamola.
Innanzitutto fissiamo alcune grandezze. Una è il flusso del campo magnetico F(B) che
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indica quante linee di forza del campo magnetico B passano attraverso una data superficie,
l'altra è la variazione di tale grandezza nel tempo che si indica con d/dt (derivata o
variazione istantanea rispetto al tempo). Ebbene, se si fa variare nel tempo il flusso del
campo magnetico concatenato con una spira, ai suoi capi si ottiene una tensione o forza
elettromotrice che indichiamo con E (e che avrà un andamento di tipo sinusoidale). In
definitiva, la legge di Faraday - Neumann (1845) è:
e quanto dicevo a proposito dell'andamento sinusoidale è all'interno della funzione F(B)
che non è ora il caso di studiare. Il fatto che la E sia una grandezza sinusoidale fa dire che
le tensioni prodotte dagli alternatori sono alternate e quindi che le corrente prodotte da tali
tensioni sono correnti alternate.
Dalla legge scritta si vede subito che per avere una grande tensione E occorre avere un
grande campo magnetico B, un grande flusso di B, ed una grande velocità di variazione di
tale flusso che, come già detto, si ottiene facendo ruotare non già una spira ma delle bobine
opportunamente sistemate all'interno di un campo magnetico con una velocità di 50 giri al
secondo.
Prima di passare a vedere qualche figura di tale macchine nella loro evoluzione, è utile
osservare che l'alternatore che abbiamo discusso è una macchina che può essere realizzata
non più per produrre correnti alternate ma correnti continue o quasi (dinamo)(8) e concepita
per funzionare alla rovescia. Ho ora descritto un sistema al quale si forniva moto meccanico
per avere corrente elettrica. E' possibile invece avere la stessa macchina (con accorgimenti
opportunamente diversi) alla quale si fornisce energia elettrica perché essa ci dia energia
meccanica. Ed è questa la struttura di tutti quelli che oggi conosciamo ed usiamo come
motori elettrici (una vera quantità): trapani, torni, frullatori, spremiagrumi, ... ma anche
giostre, filobus, treni, ...
LE MACCHINE MAGNETO-ELETTRICHE
Le prime macchine che vennero realizzate non godevano ancora delle classificazioni
che oggi facciamo (in prima approssimazione: motori elettrici e generatori di elettricità, con
questi ultimi che si possono suddividere in alternatori e dinamo). Venivano su così, una
dopo l'altra, mescolando sistemi e modalità di funzionamento. Preferisco seguire per un
poco il susseguirsi storico delle diverse macchine per poi definire una qualche
classificazione.
La prima macchina che sfruttava la teoria di Faraday per produrre corrente elettrica fu
realizzata dal costruttore di strumenti scientifici Hippolyte Pixii (1808-1835) nel 1832 e
presentata all'Accademia delle Scienze di Parigi nel 1832. Nella sua macchina,
rappresentata in figura, Pixii fa ruotare manualmente il magnete a-b con la manovella
visibile in basso, producendo in tal modo una variazione del
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Macchina di Pixii
campo magnetico nelle due bobine B e B' fissate in alto sull'armatura di legno. Le bobine,
soggette a questa variazione di campo magnetico forniscono corrente elettrica che viene
trasferita e quindi è possibile prelevare in E ed E'.
Solo un anno dopo ad un congresso a Cambridge fu presentata da Saxton una
macchina che funzionava con un principio opposto a quella di Pixii: invece di far ruotare un
magnete permanente e mantenere fisso l'elettromagnete, si mantenne fisso il magnete
permanente e si mise in rotazione l'elettromagnete. Sempre nel 1833 lo stesso Pixii sostituì i
contatti striscianti su anelli con un commutatore(8) per avere una corrente quasi continua o
meglio unidirezionale (l'accorgimento gli era stato consigliato da Ampère).
Il primo costruttore su scala commerciale di tali macchine fu il londinese E. M. Clarke
che ideò un generatore magneto - elettrico e lo commercializzò a Londra (1834). La
macchina di Clarke, che utilizza il sistema Saxton, è mostrata in figura.
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Macchina di Clarke
In essa, anziché avere le variazioni di flusso di campo magnetico al di sotto dei poli
magnetici, la si originava a fianco del magnete permanente A mediante due bobine B e B'
messe in rotazione da un sistema a manovella R. Si può notare che a e b sono i due contatti
striscianti che lavorano su un commutatore (se così non fosse non si avrebbe l'elettrolisi
dell'acqua come mostrato nella figura piccola a lato nella quale la corrente prodotta viene
convogliata ad un voltametro). Tale macchina era essenzialmente utilizzata in laboratori
scientifici perché poteva fornire corrente in modo più economico (ed a maggiore intensità)
delle pile. Ma se ne vendevano molte per le solite e mai finite manie terapeutiche: il
paziente prendeva i terminali elettrici e qualcuno azionava la manovella. La quantità di
corrente che avrebbe dovuto alleviare le pene dei pazienti poteva essere variata variando la
velocità di rotazione della manovella.
Macchine di questo tipo, più sofisticate, furono realizzate a Lipsia nel 1843 da Stohrer.
In esse gli effetti venivano moltiplicati facendo ruotare con un sistema
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Macchina di Stohrer
a manovella tre magneti permanenti collegati tra loro sotto sei bobine fisse.
Nel 1850 vi fu invece il primo tentativo da parte del francese F. Nollet (1794-1853),
parente del Nollet dell'elettrostatica, di utilizzare queste macchine per l'illuminazione
mediante fari. Occorreva quindi una macchina molto grande per produrre l'energia richiesta.
L'energia elettrica richiesta serviva per sostituire il metodo di illuminazione Drummond
in uso intorno al 1850 producendo le grandi quantità di idrogeno ed ossigeno richieste
mediante elettrolisi dell'acqua. Nollet non riuscì a realizzare la macchina che aveva pensato
ed essa restò nelle mani di Joseph van Malderen capomastro della società di illuminazione
Compagnie de l'Alliance che aveva finanziato Nollet. Il progetto originale fu modificato al
fine di produrre direttamente illuminazione con la macchina e per realizzare il tutto si
chiese la
(9)
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Macchina di Nollet e Van Malderen (altezza della macchina: 1,65 metri; peso: circa 2 tonnellate)
consulenza del britannico Frederick Hale Holmes. Questo progetto non andò in porto per il
fallimento della Compagnie anche se la macchina realizzata da Holmes risultava efficiente
(e l'azienda si ricostituì non più al fine di illuminazione ma per la produzione dei generatori
che erano stati realizzati). Holmes, per parte sua aveva acquisito tanta esperienza da
riportarla in Gran Bretagna dove tra il 1856 ed il 1860 ottenne vari brevetti per generatori
magneto-elettrici.
Fornisco in breve alcune caratteristiche della macchina di Nollet e Van Malderen. Su
di un telaio di ghisa delle traverse di legno sostengono 8 serie di 5 fasci magnetizzati F, F,
F, ... , magnetizzati al punto che ciascuno può sostenere fino a 70 kg. Il sistema ha la
disposizione di figura con cinque corone parallele di 8 magneti ciascuna i cui 16 poli,
alternativamente contrari, sono disposti lungo una circonferenza. Questa parte della
macchina è fissa (induttore) contrariamente a quella che ora descrivo, ruotante intorno ad
un asse centrale (indotto) e mosso da una macchina a vapore di 4 cavalli(10). Si tratta di 4
dischi di bronzo (uno di essi è rappresentato nella figura seguente) alloggiati tra le corone di
magneti; su ciascuno dei dischi sono disposte sedici bobine (A, B, C, ...) con avvolgimenti
nello stesso
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verso a distanze regolari; esse sono collegate tra loro mediante un conduttore elettrico che
passa da un estremità di una bobina a quella opposta della seguente (di modo che una stessa
corrente le attraversa in direzioni opposte) allo stesso modo con cui si collegano delle pile
in serie (ma i collegamenti possono essere fatti in modo diverso a seconda se si vuole
utilizzare la macchina come generatore di alte tensioni o di alte correnti). Queste bobine
passano successivamente davanti ai 16 poli dei magneti tra i quali si muovono producendo
32 correnti indotte, con versi alternativamente opposti. Proprio questa eventualità rendeva
difficile applicare a questa macchina un commutatore per raddrizzare la corrente totale
prodotta. Così è restata come macchina che produce corrente alternata perché
empiricamente si è scoperto che era in grado di mantenere acceso il potente arco voltaico
dei fari per navigazione, se il numero di giri della parte in movimento era di almeno 4 al
minuto (con il massimo di intensità raggiunto a 235 giri al minuto).
Per parte sua la macchina di Holmes dette dei risultati analoghi anche se la sua
concezione differiva da quella ora illustrata (i magneti erano qui in rotazione e si aveva il
commutatore). Il suo rendimento era molto basso perché a 600 giri al minuto forniva solo
1,5 Kw. Comunque entusiasmò Faraday che fece in modo che alcuni fari per la guida della
navigazione ne fossero dotati. Quando furono installate le prime macchine ordinate (1858),
avevano subito sostanziali miglioramenti in particolare facendo ruotare le bobine invece dei
magneti. Ulteriori miglioramenti si ebbero in seguito, questa volta lavorando sulla
dimensione delle macchine che arrivarono fino ad avere un'altezza di circa 2,5 metri (anche
se la potenza che veniva fuori non superava mai i 2 Kw). Tutto ciò, sia in Francia che in
Gran Bretagna, andò avanti fino a circa il 1870, quando la macchina di Z. T. Gramme
(1826-1901) soppiantò le altre per i costi più bassi e per le più piccole dimensioni.
Prima di passare oltre è utile osservare che da parte scientifica si studiavano questi
rendimenti alla luce del Principio di conservazione dell'energia che, come già detto,
Helmholtz aveva formulato nel 1847. In particolare si studiavano i trasferimenti da energia
meccanica ad energia termica (la luce era una conseguenza del riscaldamento) alla luce, in
particolare, dei lavori teorici e sperimentali di James Prescott Joule sugli effetti termici
della corrente elettrica.
EFFETTI TERMICI DELLA CORRENTE: JOULE
La pila di Volta data al 1800. Vari studiosi avevano tentato di capire quale potesse
essere l'effetto del riscaldamento dei fili percorsi da corrente ma ogni sforzo era stato vano.
Vi erano troppe grandezze, unità di misura, variabili e parametri poco chiari e poco definiti
per poter tentare uno studio scientifico. Si andava per teorie che lasciavano il tempo che
trovavano senza il sostegno dell'esperienza. I lavori di Ohm del 1826 e 1827 e le successive
elaborazioni del francese A. C. Becquerel (1788-1878), dell'inglese Barlow (1776-1862) e
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dal tedesco G. T. Fechner (1801-1887) avevano messo dei punti fermi di grande
G. T. Fechner
importanza e permisero che si potesse affrontare l'argomento. In particolare la non
conoscenza della legge di Ohm portava gli sperimentatori a cambiare i fili pensando di
cambiare la sola resistenza ed in realtà variando anche l'intensità di corrente.
Fu l'inglese Joule (1818 - 1889) che nel 1841 (Joule, J.P. (1841) - On the heat evolved
by metallic conductors of electricity - Philosophical Magazine, 19, 260) affrontò il
problema. Questo lavoro era stato preceduto da un breve resoconto fatto alla Royal Society
(On the Production of Heat by Voltaic Electricity) da P. M. Roget il 17 dicembre del 1840
che si mostrò molto scettica tanto da pubblicarne solo un sunto sui Proceedings of the
Royal Society. Joule partì con il tarare accuratamente lo strumento di misura che utilizzava
(una bussola delle tangenti)(11) alla maniera di Faraday (con l'inserimento di un voltametro
nel circuito).
J. P. Joule
Quindi egli mostrò, utilizzando dei calorimetri nei quali inseriva delle resistenze elettriche
per scaldare delle definite quantità d'acqua, che la quantità di calore Q sviluppata in un
secondo in un filo di resistenza R percorso dalla corrente I è data da (legge di Joule):
Q = k. I2R t
dove k è una costante. Da qui si può risalire alla potenza W (utilizzando il Primo Principio
della termodinamica) data da:
W = k .I2R
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Egli tornò sull'argomento nel 1843 (Joule, J.P. - Philosophical Magazine, 23, 263) con
un'altra memoria che riportava i risultati dei suoi molteplici esperimenti (questa volta estesi
dai conduttori metallici della prima ai conduttori elettrolitici ed alle correnti indotte). Dopo
aver verificato la generale validità della legge trovata nel 1841, questa volta mostrò che
l'effetto che aveva dimostrato nel 1841 era dovuto al calore prodotto nel conduttore e non
da un qualche altro fenomeno all'interno del circuito utilizzato. Inoltre calcolò la quantità di
lavoro meccanico necessario a produrre un'equivalente quantità di calore (l'equivalente
meccanico della caloria). Joule trovò anche che comunque l'elettricità è prodotta (o per via
chimica o meccanica), il calore risultante è sempre lo stesso. Egli cerca anche di capire se
l'energia meccanica diventa prima calore e poi energia elettrica. Questo lavoro fu presentato
alla British Association for the Advancement of Science che, come la Royal Society, si
mostrò dubbiosa (e varie riviste scientifiche inglesi rifiutarono i lavori di Joule, come varie
riviste tedesche rifiutarono quelli di Mayer che lavorava su analoghi problemi di
trasformazioni energetiche).
Questi lavori di Joule rimasero praticamente ignorati fino al 1847, quando
richiamarono l'attenzione di William Thomson, lo scienziato che più avanti diventerà Lord
Kelvin per meriti scientifici. Un altro fervente sostenitore di essi fu Faraday, insieme a
George Stokes. Solo quando nel 1849 Joule poté leggere la sua memoria On the
Mechanical Equivalent of Heat alla Royal Society, con il prestigioso Faraday come
sponsor, ebbe riconosciuti i suoi meriti con la pubblicazione della memoria e con la sua
elezione a membro della Società medesima. Intanto da due anni, la meno ingessata
Germania nascente aveva già riconosciuto la conservazione dell'energia, alla formulazione
della quale erano serviti anche i lavori dello stesso Joule.
Da questo momento altri ricercatori fecero una molteplicità di esperienze
sull'argomento di modo che, negli anni delle macchine magneto-elettriche, si era in grado di
valutare le perdite dovute al riscaldamento dei singoli componenti la macchina stessa.
GENERATORI DINAMO-ELETTRICI
Abbiamo visto lo schema di principio di un alternatore appena abbiamo iniziato a
parlare delle prime applicazioni delle correnti indotte. Una sola spira che ruotava in un
campo magnetico aveva seri inconvenienti perché la corrente (o tensione) indotta variava
molto al variare della velocità della spira. Si ha infatti un solo momento in una rotazione in
cui la corrente é massima. Il sistema per rimediare a questo inconveniente fu trovato
sostituendo ad una sola spira o bobina, una combinazione di bobine di modo che vi è quasi
sempre una bobina che sta fornendo il massimo di tensione (è un poco come in un motore a
scoppio: ogni pistone, nel suo moto nel cilindro, ha una sola fase attiva su quattro ma se
costruiamo il motore con quattro cilindri e li sfasiamo l'un l'altro di 90° avremo sempre una
fase attiva mentre negli altri cilindri vengono realizzate quelle passive).
L'accorgimento fu realizzato proprio per avere una certa costanza nella tensione
prodotta ad ogni velocità di rotazione del sistema di bobine. Abbiamo anche visto che per
molte macchine è preferibile disporre di elettromagneti anziché di magneti permanenti.
Quest'ultima circostanza porta ad una difficoltà ed al suo superamento. Un elettromagnete
deve infatti essere alimentato ed all'inizio, nelle macchine che li utilizzavano lo era
mediante sistemi di pile o accumulatori (soprattutto se gli elettromagneti dovevano
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FISICA/MENTE
mantenere sempre le medesime polarità). Fu un ingegnere danese che brevettò in Gran
Bretagna un sistema che prelevava parte della corrente prodotta dall'alternatore per
alimentare gli elettromagneti. Si tratta dell'autoeccitazione che fu realizzata nel 1855 (e mai
sfruttata dall'autore) da Søren Hjorth. Restava comunque la necessità di far partire la
macchina e questo doveva avvenire senza poter prelevare corrente che ancora essa non
forniva. Servivano quindi magneti permanenti per il primo avviamento (è un poco come
all'avviamento di un'automobile: al girare la chiavetta dell'avviamento si usa l'accumulatore
la cui corrente viene subito sostituita da quella prodotta dall'apparato elettrico messo in
movimento dal motore). Dieci anni dopo, comunque, si capì che il magnetismo residuo
degli elettromagneti era in grado di mettere in movimento la macchina elettrica, come
vedremo.
Intanto E. W. von Siemens (1816-1892) realizzava (1856) per primo un sistema
ruotante (l'indotto) che era mantenuto tutto all'interno di un campo
E.W. von Siemens
magnetico molto intenso. Gli avvolgimenti elettrici erano per la prima volta disposti non
trasversalmente all'asse dell'indotto ma longitudinalmente ad esso (ed erano avvolti intorno
ad una armatura che aveva una forma a doppia T). Nel
Armatura a doppia T
dicembre del 1866 egli presentò all'Accademia delle Scienze di Berlino una macchina per la
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conversione di energia meccanica in energia elettrica senza l'impiego di magneti
permanenti (autoeccitata) ed utilizzante il suo nuovo indotto.
Indotto Siemens
Vi furono polemiche ed azioni legali su quel sistema a doppia T che Siemens non aveva
sfruttato fino in fondo mentre in Gran Bretagna era entrato in uso per la sua maggiore
leggerezza e maneggevolezza che permettevano maggiori velocità di rotazione delle pesanti
macchine di Holmes. Ma la polemica riguardò anche l'autoeccitazione perché, come già
detto, la cosa fu comunicata da Siemens a dicembre del 1866 e fu pubblicata a febbraio del
1867 a cura del fratello Charles che presentò anche un modello funzionante.
Il primo, comunque, che viene dato per aver realizzato una macchina che sfruttava
l'autoeccitazione mediante l'uso del magnetismo residuo fu l'inglese C. F. Varley (18281883). Egli richiese il brevetto alla fine del 1866 ma lo ottenne nell'estate del 1867.
Macchina elettromagnetica ad autoeccitazione di Varley
Queste scoperte simultanee con rivendicazioni diverse e corsa ai brevetti, mostrano quanto
l'industria avesse capito delle potenzialità dell'elettricità. Dovrò quindi indicare varie
macchine che si susseguirono o furono realizzate simultaneamente in quel periodo. E' il
caso della macchina di Wilde del 1863, di
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Macchina di Wilde
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Schema della macchina di Wilde
quella dell'inglese C. Wheatstone (1802-1875) del 1867, quella dello statunitense
Wheatstone
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Moses G. Farmer (1820-1893) del 1866 ...
Macchina di Wheatstone costruita da Stroh nel 1867
Si può insomma dire che il 1866 è l'anno dell'affermazione dell'autoeccitazione. Ed in
questo anno si ebbe anche l'introduzione del neologismo dinamo. La parola sembra sia stata
introdotta da Siemens. Il problema era quello di distinguere la corrente continua fornita
dalle pile o accumulatori da quella fornita dinamicamente, con la rotazione, in macchine
elettriche. Fu così che la macchina che produceva corrente continua mediante parti in
rotazione ed il meccanismo del commutatore, fu chiamata dinamo.
Alcuni anni prima però ....
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L'ANELLO DI PACINOTTI
Avrete notato che l'Italia è assente da questo processo di produzione di macchine che
alimentano pezzi di industria e che si fanno esse stesse industria. Come si può parlare di
industria in un Paese dove non è passata la Rivoluzione Francese e dove ancora imperano
nobiltà e clero ? E la nobiltà è quella becera e cialtrona dei Savoia ? E la Chiesa è quella
oscurantista di Roma ? Quella che ancora nel 1870 manteneva alla Sapienza di Roma la
Cattedra di Fisica Sacra ? Vi sono nostri eccellenti studiosi ma devono faticare non poco a
non farsi rubare le loro realizzazioni, soprattutto se di uno pratico. Il primo grave problema
è la mancanza di una legge sui brevetti. Da noi, con spese immani e non sostenibili da
singoli inventori, occorre rivolgersi all'estero per brevettare e le cose non sono sempre
pulite. Non è qui il caso di ricordare i dettagli ma Matteucci e Barsanti che esponevano il
loro modello di motore a scoppio alla Fiera di Francoforte furono derubati da Otto e da
Beau de Rochas. E di esempi del genere ve ne sono molti. E' ora il caso di citarne un altro
di grande rilievo, quello di Antonio Pacinotti (1841-1912), uno dei grandi personaggi della
importantissima scuola elettrotecnica italiana.
Antonio Pacinotti
Egli, divenuto poi professore di fisica a Pisa, si era formato alla scuola dei fisdici
matematici pisani della seconda metà dell'Ottocento che contava con scienziati del calibro
di Ottaviano Fabrizio Massotti (1791-1863), Carlo Matteucci (1811-1868) e Riccardo Felici
(1819 - 1902). Egli iniziò con il progettare nel 1858 una macchina magneto-elettrica
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reversibile, in grado cioè di produrre energia elettrica ma anche da poter essere usata come
motore. Nel 1860 realizzò una macchina magneto-elettrica, in realtà una dinamo, di
concezione completamente diversa, con un indotto ad anello ed un commutatore multiplo
come mostrato in
Anello di Pacinotti
Particolare dell'anello
Modello dell'anello rotore al di fuori della sua sede
figura. Pacinotti non brevettò il dispositivo che descrisse in una memoria sul Nuovo
Cimento [Serie 1, Volume XIX (1864), pag. 378, fascicolo del giugno 1864, pubblicato il 3
maggio 1865](12) e, nello stesso anno, recatosi a Parigi per vendere i diritti di costruzione
alle officine Froment-Doumulin (in Italia l'industria non era in grado di realizzare una cosa
del genere e le officine Froment, dirette da Doumulin avevano già costruito delle macchine
elettriche), fu truffato dal capofficina che ormai tutti hanno individuato nel belga Zenobe
Théophile Gramme (1826-1901).
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FISICA/MENTE
Zenobe T. Gramme
Costui si era fatto raccontare il funzionamento della macchina che non fu più costruita dalla
Froment-Doumulin ma che Gramme brevettò nel 1869 per metterla in commercio nel 1871
(13).
Questa macchina aveva un sistema rotante (l'indotto) fatto ad anello con avvolgimenti
multipli di conduttore su di esso ed un multicommutatore (vedi grafici).
Grafici f della forza elettromotrice fornita da un anello di Pacinotti in funzione del
tempo t. Abbiamo visto che un commutatore semplice è formato da due metà di una
superficie cilindrica separate tra loro, ciascuna metà è collegata agli estremi di una
bobina. Questo commutatore origina f indotte rappresentate graficamente da
sinusoidi in cui la parte negativa risulta ribaltata. I grafici qui riportati rappresentano
il risultato di un anello in cui vi sono tre bobine collegate con sei strisce di superficie
cilindrica contrapposte a ciascuna coppia delle quali è collegata una bobina. Nella
rotazione dell'anello, ciascuna bobina con il suo collettore si comporta come quella
semplice discussa e origina un grafico di sinusoidi con la parte negativa ribaltata. Ora
le tre bobine sono sfasate tra loro in modo regolare sull'anello e ciascuna origina lo
stesso grafico solo che sfasato rispetto a quello immediatamente precedente. I tre
grafici originati dalle tre bobine sono disegnati sovrapposti nella figura a). Mentre in
b) vi è il risultato della somma dei tre grafici che, si può notare, non è una vera
corrente continua ma si avvicina di molto ad essa. Se si pensa che in un vero anello di
Pacinotti vi sono intorno alle 20 bobine, ci si rende conto che quella linea leggermente
ondulata si appiattisce sempre più fino ad essere apprezzabilmente quella di una
corrente continua.
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FISICA/MENTE
L'eccitazione era separata mediante una batteria. In tal modo, come accennato, la macchina
poteva funzionare in modo reversibile: o come un generatore di corrente elettrica continua
(dinamo) fornendo movimento meccanico all'anello; o come un motore elettrico (ne parlerò
più avanti) fornendo energia elettrica all'induttore (al sistema di elettromagneti(14) che
circondano l'anello).
L'INDOTTO DI GRAMME
Ho già detto che la prima macchina di Gramme utilizzava un anello del tutto simile a
quello di Pacinotti con avvolgimenti in bobine isolate le estremità delle quali erano
collegate tra loro in modo che risultasse un avvolgimento continuo. Inoltre i terminali delle
singole bobine erano connessi a due segmenti contrapposti del commutatore (si tratta
quindi, anche qui, di una dinamo). Infine l'indotto ruotava in un sistema magnetico a due
poli:
Dinamo di Gramme 1870
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Dinamo di Gramme 1874
Sezione dell'indotto ad anello di Gramme per illustrare
come erano avvolte le bobine su un nucleo di ferro non
massiccio ma costituito da tanti fili di ferro dolce tenuti
insieme per evitare le correnti di Foucault.
La macchina risultò molto affidabile ed ebbe un grande successo commerciale perché il
mercato da tempo attendeva un prodotto di tale qualità ed affidabilità che non soffrisse di
surriscaldamento. Fu usata nei fari marini, per illuminare le fabbriche, per segnali luminosi
e per i processi di galvanostegia (rivestimento mediante elettrolisi, di metalli comuni con
altri aventi particolari caratteristiche: inossidabilità, brillantezza, resistenza ad abrasione, ...).
Perfezionamenti importanti alla macchina di Gramme vennero realizzati con
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l'introduzione dell'indotto a tamburo da parte del progettista F. von Hefner Alteneck della
Siemens che si sentì minacciata dal successo di Gramme. Altri perfezionamenti vennero
dalla dinamo progettata da Emil Bürgin di Basilea (e
Macchina Alteneck Siemens
Macchina Bürgin Crompton
costruita in Gran Bretagna dalla Crompton & Co), che introdusse un tipo di indotto che si
avvicina molto a quelli oggi in uso, e dallo svedese J. Wenström (1880). Tutte queste
macchine erano sempre alimentate da macchine a vapore con la sola eccezione di quelle in
uso nei laboratori che erano alimentate dal lavoro di una manovella.
Indotto della macchina Bürgin Crompton
Resta solo da osservare che, con l'introduzione del commutatore alle macchine tipo Pixii,
quasi tutti gli apparati in commercio erano delle dinamo, erano cioè macchine a corrente
continua. Fu proprio nell'ultimo quarto dell'Ottocento che si iniziò a sentire la necessità di
macchine di altro tipo.
GLI ALTERNATORI E GALILEO FERRARIS
C'è poco da aggiungere ai principi di funzionamento che conosciamo già. Si tratta di
capire quali sono i vantaggi degli alternatori rispetto alle dinamo o, meglio, dove conviene
usare gli uni e dove le altre. Ma se le due macchine hanno prestazioni diverse dovranno
anche avere delle caratteristiche diverse e quindi converrà dare un'occhiata.
Un alternatore molto perfezionato fu presentato nel 1880 dal barone francese A. de
Méritens. Tale macchina era costituita da un indotto avente un avvolgimento distribuito in
grado di fornire una sinusoide in uscita molto regolare.
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FISICA/MENTE
Alternatore de Meritens
Erano utilizzati per i fari fornivano più o meno 4,5 Kw a 830 giri al minuto e sono stati in
uso, dove erano in funzione, fino al 1947. Avevano il difetto di costare il doppio di una
dinamo di Gramme e questo ne limitò la diffusione.
In quegli anni vi era un altro ostacolo alla diffusione degli alternatori: la disponibilità
di funzionali ed affidabili motori a corrente alternata che invece vi era per quelli a corrente
continua. Ma iniziavano i problemi delle dinamo che richiedevano macchine a vapore per il
loro azionamento, macchine di tipo orizzontale che lavoravano con un basso numero di giri
insufficiente per un buon funzionamento delle dinamo. La dinamo era poi connessa alla
macchina a vapore mediante trasmissioni moltiplicatrici a cinghia che davano tantissimi
problemi meccanici, insieme a perdite notevoli di energia(15). In compenso la corrente
prodotta dalla dinamo poteva essere trasportata a distanza senza i problemi di impedenza
che invece presentava la corrente alternata (qui serviva chiarire la vicenda teoricamente
come farà Galileo Ferraris) ed a costi più bassi. Il pregio delle dinamo nasceva dalla poca
diffusione della corrente medesima e dalla sua utilizzazione vicino al luogo dove si
produceva. Con la diffusione della corrente e con la necessità di approvvigionare di
combustibili o similari le centrali elettriche, diventa indispensabile localizzare la
produzione in luoghi diversi dall'utilizzazione, con la conseguente necessità di trasportare la
corrente a distanza. In tal caso le correnti fornite dalla dinamo non hanno alcuna possibilità
di successo mentre, con una opportuna utilizzazione dei trasformatori elettrici (che, a partire
dalla loro invenzione nel 1840, vanno sviluppandosi fino ad arrivare a maturità intorno al
1883)(16), la corrente alternata permette il suo trasporto anche a grandi distanze purché, in
accordo con la l'effetto di riscaldamento dei conduttori di Joule, si possa abbassare
l'intensità di corrente elevando la tensione (il loro prodotto è costante e quindi le due
grandezze sono inversamente proporzionali) per evitare perdite enormi e con l'altra
necessità di ritrasformare il tutto al momento dell'utilizzazione.
Per parte loro gli alternatori di Wilde (1867) si scaldavano troppo a seguito delle
correnti di Foucault che erano accentuate dal tipo di corrente pulsante. Questi alternatori
furono migliorati ed anche Gramme ne realizzò intorno al 1878 ma i problemi restarono.
Intervenne anche William Thomson (Lord Kelvin) che propose dei cambiamenti negli
avvolgimenti. Una macchina con tali modifiche fu realizzata dall'inglese Sebastian Ziani de
Ferranti (1864-1930) era destinato agli impianti di illuminazione e risultò estremamente
affidabile e di grande potenza.
L'intervento decisivo per il successo di tali macchine fu dovuto all'italiano Galileo
Ferraris (1847-1897), docente di Fisica Tecnica presso il Regio Museo
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FISICA/MENTE
Galileo Ferraris
Industriale di Torino, che nel 1885 pubblicò una memoria teorica in cui chiariva i termini
dei problemi in gioco (Metodo per la trattazione del vettori rotanti o alternativi e una
applicazione di essi ai motori elettrici a corrente alternata seguita dall'altra Teoria
geometrica dei campi vettoriali e sulla teoria matematica della propagazione dell'elettricità
nei solidi omogenei ). In tali memorie studia l'uso dei trasformatori per il trasporto
dell'energia a distanza e determina quantitativamente il modo di determinare la potenza
elettrica in un circuito alimentato da corrente alternata (una linea di trasmissione elettrica è
un tale circuito). La formula che Ferraris presenta è fondamentale:
W = V.I. cos Φ
dove W è la potenza elettrica che il circuito fornisce, V è la tensione del circuito, I è
l'intensità di corrente che circola e cosΦ è il coseno dello sfasamento tra tensione e
corrente. E qui due parole di chiarimento. Nel caso di corrente continua, la potenza è data
dal solo prodotto di tensione e corrente. Qui occorre moltiplicare il tutto per il coseno dello
sfasamento tra le due grandezze. E le due grandezze si sfasano proprio per l'impedenza o
reattanza del circuito. La massima potenza che si può utilizzare in tali circuiti in alternata è
quella corrispondente a sfasamento zero, in tal caso il coseno vale uno e la formula ora vista
ci dà il suo valore massimo. In particolari condizioni è possibile avere uno sfasamento tra V
ed I di 90°: in tal caso circuito non è in grado di dare potenza perché il coseno dello
sfasamento vale zero con la conseguenza che la potenza vale zero. Questa corrente è
chiamata swattata e il coseno dello sfasamento è chiamato fattore di potenza.
Nello stesso anno gli provò anche, in una conferenza pubblica, l'esistenza del campo
magnetico rotante(17) generato da due bobine fisse, tra loro perpendicolari, percorse da
correnti di medesima frequenza; un cilindretto di rame,
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FISICA/MENTE
Modello di motore elettrico di Galileo Ferraris con tre
correnti sfasate tra loro di 90°. Il tutto funziona mediante
la scoperta del campo magnetico rotante
immerso nel campo magnetico, si mette in movimento sotto l'azione delle forze
elettrodinamiche tra campo rotante e correnti indotte. E' il principio del motore
Modello del primo motore di Galileo Ferraris
oggi noto come asincrono (in grado di produrre energia elettrica alternata bifase(18)),
motore che Ferraris presentò a Chicago nel 1893 riscuotendo un grande successo per la sua
robustezza e semplicità. Questa eventualità sarà alla base della immediata diffusione
dell'energia elettrica nel mondo. Va sottolineato che i motori elettrici di Ferraris, proprio
per le loro caratteristiche di accoppiabilità con qualsiasi alternatore, velocità , frequenza e
numero di poli resero i medesimi alternatori preferibili alle dinamo.
Noto solo che anche Ferraris fu assillato da un serbo diventato cittadino americano nel
1891, Nikola Tesla (1857-1943). Questi sostenne di aver brevettato
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FISICA/MENTE
Nikola Tesla
lui un tal motore nel 1887. La cosa fu decisa dai tribunali americani che, per una volta,
dettero ragione ad un italiano, a Ferraris. Di passaggio, Tesla (insieme a Westinghouse che
produsse varie sue macchine) fu uno dei più ferventi sostenitori delle correnti alternate
rispetto alle continue (i sostenitori della continua erano invece W. Thomson e T. A. Edison,
il quale ultimo usava dire: "Parlare dell'uso della corrente alternata al posto della corrente
continua è indegno di uomini pensanti").
Prima di chiudere questo paragrafo, presento uno degli alternatori maggiormente in
uso alla fine dell'Ottocento:
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FISICA/MENTE
Alternatore con una dinamo eccitatrice accoppiata
ed un disegno che mostra la reversibilità (energia meccanica, energia elettrica, energia
meccanica) delle macchine magneto-elettriche:
L'ILLUMINAZIONE ELETTRICA
Era da tempo che le macchine si perfezionavano e crescevano in potenze disponibili.
Gli accoppiamenti con macchine a vapore mediante cinghie di trasmissione veniva via via
sostituito con l'applicazione diretta del moto rotatorio tramite sistemi a turbina. In pratica o
si comincia ad utilizzare l'acqua in caduta per originare il moto della turbina accoppiata
all'alternatore (fra il 1886 e il 1893 la Westinghouse costruì negli USA la centrale di
Niagara Falls da 200.000CV, con propri alternatori e turbine idrauliche Francis), o questa
turbina è messa in moto dal vapore prodotto in una centrale in cui si bruciano combustibili
fossili. Questi accoppiamenti insieme a macchine sempre più affidabili, permisero via via
l'uso industriale dell'elettricità. In parallelo alle ricerche sulle macchine elettriche per
produrre elettricità, andava avanti anche la ricerca sul come prelevarla per
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FISICA/MENTE
Centrale elettrica in costruzione (Deptford, 1889)
illuminare, particolarmente per l'illuminazione pubblica. Le prime esperienze riguardarono
dimostrazioni con lampade ad arco (che ebbero diverse e successive varianti dalla loro
invenzione al 1876) alimentate da dinamo ad anello di Gramme che rendeva l'operazione
relativamente economica e applicazioni limitate come quelle per illuminare una fabbrica a
Mülhausen in Germania (ormai unificata), la Gare du Nord di Parigi (1875), il Gaiety
Theatre di Dublino (1878). Ma senza uno sviluppo delle lampade non si sarebbe andati
molto avanti.
La svolta si ebbe nel 1879 quando lo statunitense Thomas Alva Edison (1847-1931)
brevettò nel dicembre del 1878 una lampada ad incandescenza con
T. A. Edison
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filamento di platino. Il fatto è che Edison era uno dei furbastri americani che brevettava
pure l'aria, fregando in tal modo ogni concorrente che avesse avuto una tale invenzione ma
in grado di funzionare (analogo personaggio fu Bell). Gli studi e le esperienze in tal senso
furono dell'inglese Joseph Swann (1828-1914) che
J. Swann
aveva iniziato molto prima, sperimentando con lampade ad incandescenza utilizzanti
filamenti di carbone. Swann, basandosi su un vecchio brevetto di J. W. Starr (1822-1847)
che aveva osservato lo scaldarsi e l'illuminare di filamenti di carbone percorsi da corrente, a
partire dal 1848 iniziò a realizzare diversi marchingegni che avrebbero dovuto portarlo ad
un sistema di illuminazione diverso dall'arco voltaico. Capì che qualunque fosse stato il
materiale da rendere incandescente, l'impresa del suo mantenimento incandescenze sarebbe
risultata momentanea se non si fosse riusciti a realizzare l'incandescenza dentro un bulbo di
vetro in cui fosse fatto un buon vuoto. In quegli anni però le pompe da vuoto non erano
ancora all'altezza delle caratteristiche richieste. Swann tornò sulla questione solo dopo che
Hermann Sprengel nel 1865, non ebbe realizzato una pompa da vuoto molto perfezionata (a
vapori di mercurio). Tale pompa era stata utilizzata con successo da William Crookes per
esperienze sul vuoto e da qui Swann ritrovò lo stimolo della ricerca sulle lampade ad
incandescenza, presentando una tale lampada (non in funzione) in una riunione della
Chemical Society di Newcastle-upon-Tyne nel dicembre 1878.
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Lampada ad incandescenza di Swann
Swann non riteneva ancora di brevettare in quanto i suoi studi erano in corso. ma arrivò
Edison e nel gennaio 1880 brevettò una lampada ad incandescenza (fatta funzionare per la
prima volta il 21 ottobre 1879). Fu comunque Swann che proseguì gli studi sul
miglioramento del filamento che, con le prime lampade, non superava le 40 ore di
accensione. E' da notare che in Italia, Alessandro Cruto
In A lampada di Edison a filamento di carbone (1881); in B altra lampada di Edison (1882); in C
gruppo di lampade Edison.
(1847-1908) realizzò una lampada ad incandescenza 35 giorni dopo quella di
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FISICA/MENTE
A. Cruto
Edison con la differenza che i suoi filamenti avevano una durata di 500 ore. Una fabbrica di
lampadine Cruto nella cintura di Torino venne rilevata dalla Philips. Le cose migliorarono a
partire dal 1903 quando William. T. Coolidge realizzò il filamento di tungsteno che portò la
durata delle lampade ad incandescenza a 1000 ore.
Ormai la strada all'uso completo che oggi conosciamo dell'elettricità era aperta. Una
cosa di rilievo va detta. L'energia elettrica è estremamente più utile dell'energia da vapore
perché ha la caratteristica della trasportabilità e della controllabilità locale. Ciò vuol dire
che essa può essere prodotta in un dato luogo per essere utilizzata in un altro e che si può
trasportare dove si vuole con un semplice cavo.
Iniziò allora l'industria elettrica con tutto ciò che ruota intorno ad esse (fonti, centrali
in muratura, alternatori, dinamo, turbine, cavi elettrici, trasformatori, lampade e strumenti
d'uso, strumenti di misura (per fatturare), ...
Altra applicazione immediata delle grandi istallazioni per la produzione della corrente
fu nel trasporto elettrico, tram e treni. Il principio è semplice: una centrale è dotata di
macchine per la produzione elettrica con una potenza sufficiente per i motori elettrici che
sono all'interno del tram o della locomotiva. La corrente è trasportata in andata attraverso
una linea aerea che va ad alimentare il motore elettrico all'interno del tram ed al ritorno
attraverso la rotaia che chiude il circuito.
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Centrale elettrica per l'alimentazione della stazione della Great Western Railway (1885)
TELEGRAFO
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FISICA/MENTE
Altra fondamentale applicazione elettromagnetica è quella del telegrafo. Per la prima
volta, a grandi distanze si potevano trasmettere dei messaggi, anche superando la curvatura
terrestre. I primi telegrafi necessitavano di fili e, per molte utenze, di veri e propri cavi di
grande diametro. Una delle grandi imprese di fine
Posa del cavo telegrafico sottomarino attraverso la Manica (1850)
secolo scorso fu proprio la posa di cavi telegrafici transoceanici. In linea di principio è
possibile spiegare con facilità il sistema servendoci della figura:
Da una stazione trasmittente (Estación emisora) si chiude un tasto che fa circolare una
corrente lungo una linea che lo porta fino alla stazione ricevente (Estación receptora) per
poi chiudere il circuito attraverso la terra. All'arrivo alla stazione ricevente la corrente mette
in funzione un elettromagnete E che attrae un martelletto metallico A. Questo martelletto
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FISICA/MENTE
spinge una punta S bagnata d'inchiostro su una striscia di carta che scorre. Se dalla stazione
trasmittente si tiene spinto il tasto per breve tempo, sulla striscia di carta della stazione
ricevente si avrà un punto, se dalla stazione trasmittente si tiene spinto il pulsante per un
breve tempo, alla stazione ricevente, sulla striscia di carta vi sarà una linea. Per comunicare
tra due stazioni, un sistema identico andava dalla stazione ricevente a quella trasmittente di
modo che ambedue potevano trasmettere e ricevere. Ma per capire i messaggi serviva un
codice che accoppiasse linee e punti con lettere dell'alfabeto. Si tratta appunto del codice
Morse che riporto qui sotto osservando che il famoso
segnale di aiuto SOS proviene proprio da questo codice essendo le lettere S ed O le più
semplici da trasmettere (tre punti la S e tre linee la O).
Questo apparato fu inventato dallo statunitense Samuel Finley Breese Morse (17911872) nel 1838 e il 24 Maggio 1844 fu inaugurata la prima linea telegrafica che collegava
Washington con Baltimora. In Italia la prima linea telegrafica fu realizzata nel 1847 e
collegava Livorno con Pisa. Mancava la trasmissione di segnali senza fili per un utilizzo
anche in mare aperto. Questa cosa fu realizzata da Guglielmo Marconi sul finire del secolo
e ci si rese conto dell'enorme importanza della sua invenzione solo dopo che l'inaffondabile
Titanic affondò portandosi in fondo al mare il suo carico umano solo perché quella nave
non disponeva del sistema telegrafico senza fili. E mancava la trasmissione tramite
radiosegnali che fu ancora realizzata da Marconi. Il telefono invece era stato inventato da
Antonio Meucci (1808-1889), un emigrato italiano negli USA che si affidò ad un sistema di
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Antonio Meucci
brevetti disonesto. Meucci, nel 1871, riuscì a depositare un brevetto temporaneo, chiamato
caveat, per il suo “telegrafo parlante” al Patent Office di New York. Convinto delle grandi
potenzialità della sua invenzione, cercò finanziamenti in patria tramite l’amico Bendelari
ma senza successo. Grazie agli aiuti di amici riuscì a prorogare il brevetto per due anni, ma
la scarsità di mezzi finanziari gli impedì di rinnovare le successive scadenze annuali e nel
1876 Alexander Graham Bell (1847- 1922) presentò la sua domanda di brevetto ottenendo
la regolare
A. G. Bell
concessione. Si noti che Bell, rubò anche il brevetto del volo ai fratelli Wright.
Altre invenzioni ed applicazioni vennero a cascata in modo inarrestabile. Ricordo solo
la scoperta dei raggi X che fu resa possibile con un opportuno uso di un rocchetto di
Ruhmkorff (vedi nota 16) collegato ad un tubo di Crookes. La
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Apparato per raggi Roentgen
scoperta del 1895 è di Wilhelm Conrad Roentgen (1845-1923).
.... Se la scarica di di una bobina di induzione abbastanza grande è fatta
passare attraverso un tubo sotto vuoto di Hittford, o attraverso un tubo di
Lenard, di Crookes o altri simili apparati, sufficientemente vuotati, e il tubo è
ricoperto con cura mediante un sottile cartoncino nero, e se l’intero apparato è
posto in una camera completamente buia, ad ogni scarica si osserva una
brillante illuminazione di uno schermo di carta ricoperto con cianuro di
platino e bario, posto in vicinanza della bobina di induzione, la fluorescenza
così prodotta è interamente indipendente dal fatto che lo schermo sia rivolto
verso il tubo a scarica con la superficie rivestita o quella non rivestita. Questa
fluorescenza è visibile anche quando lo schermo fluorescente è disposto ad una
distanza di 2 metri dall’apparato...
La scoperta fu casuale. L’8 novembre 1895, Röntgen, stava compiendo al buio degli
esperimenti con un tubo a raggi catodici, nel suo laboratorio, quando notò una luce verde
proveniente da un pezzo di cartone che si trovava in un’altra parte della stanza. Il cartone
era ricoperto di una sostanza chimica luminescente, che risplendeva se colpita dalla luce.
Ma non c’era luce nel laboratorio. Röntgen tolse la corrente al tubo catodico e quella luce
verde sparì. Ridiede corrente e mise la mano tra il tubo e il cartone: con suo grande stupore,
vide proiettata sul cartone l’ombra delle ossa della mano. Non avevo idea di cosa fossero
quei raggi scrisse in seguito perciò li chiamai semplicemente raggi X, essendo x il simbolo
matematico di una grandezza incognita. Questi raggi passavano attraverso la carta, il legno,
la carne, ma non attraverso le ossa e i metalli, e inoltre impressionavano le lastre
fotografiche. La loro scoperta rivoluzionò il mondo della medicina, perché per la prima
volta i medici potevano guardare all’interno del corpo. Infatti, già nel 1896, i raggi X erano
utilizzati per esaminare le fratture ossee.
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QUALCHE CONSIDERAZIONE
Scrivono Umberto Eco e Gian Battista Zorzoli:
In piena fioritura della Belle Époque, la lampadina elettrica rappresentò
un segno tangibile, un simbolo immaginoso del progresso in marcia. Da secoli
immemorabili la luce era stata per l'uomo l'emblema della conoscenza, della
vita, della rivelazione, della saggezza infusa. Ora bastava girare una chiavetta,
e la saggezza infusa circolava per casa un tanto al kilowattora. Nell'inge-nua
allegoria del Ballo Excelsior la Dea Elettricità appariva sfolgorante a
entusiasmare i nostri fiduciosissimi antenati. E in realtà occorre sottolineare
l'enorme influenza che una buona illuminazione alla portata di tutti ebbe sullo
sviluppo della cultura e sull'affinamento dei costumi. Per centinaia di migliaia
di persone l'unico tempo libero è costituito dalle ore serali: una civiltà che
consenta a costoro di utilizzare queste ore per una vita associata che non
debba più svolgersi faticosamente al lume della candela o del focolare,
mancherà forse di poesia, ma apre maggiori orizzonti. Anche la presenza di
una lampadina può cambiare il destino di un individuo.
L'introduzione dell'illuminazione elettrica ebbe naturalmente una influenza
determinante sui mutamenti del paesaggio urbano; dalle vie semibuie
illuminate dai lampioni a gas si è giunti alle moderne grandi arterie cittadine
in cui la facciata degli edifici scompare sotto una nervatura di tubi al neon: le
scariche delle primitive lampade a arco si realizzano ora attraverso gas
rarefatti, vapori di sodio o di mercurio variamente trattati, che forniscono tutte
le variazioni cromatiche desiderate: la civiltà dei lumi, sognata dagli eredi
positivistici della Rivoluzione Francese, si è avviata piuttosto a diventare una
«civiltà delle luci». Immediatezza e superficialità del richiamo visivo,
distrazione e stordimento decorativo, risoluzione e camuffamento della realtà
nello sfolgorio fittizio dei gas incandescenti... Ecco il volto negativo di una
«civiltà delle luci» e il contraltare del Ballo Excelsior.
Queste considerazioni sono state fatte sull'energia elettrica oltre 50 anni fa. La cosa si può
facilmente sottoscrivere per ogni campo del progresso scientifico e tecnologico. Vi è poi un
altro aspetto, quello dell'impatto sul mondo produttivo e sui modi di produzione che non
spetta a me indagare ma che certamente comporta modificazioni profonde del modo di vita
di ciascuno di noi. Oggi possiamo aggiungere che la produzione selvaggia che serve solo
alla massimizzazione del profitto ha aggredito l'ambiente in modo irreversibile, tanto da far
temere per la sopravvivenza dell'intera umanità. Ma a queste cose non vengono assegnati
fondi per la ricerca. Guardarsi allo specchio, in certi momenti non è gradevole. Ci fidiamo
di Bush che paga scienziati per far dire al mondo che tutto va bene e che, comunque,
nessuno deve mettere in discussione il modo di vita americano che tutti, in modo
quantomeno incosciente, prendono a modello.
In due lettere di Werner a Karl Siemens vi è il primitivo spirito del capitano d'industria
nei riguardi dell'energia elettrica. Leggiamo:
Charlottenburg, 6 dicembre 1887.
A Karl Siemens, St. Petersburg.
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...È ormai tempo di costruire centrali elettriche in tutto il mondo, e finora ne
costruiscono solo gli americani e noi, cioè la Siemens & Halske e la
Allgemeine Elektrizitats-Gesellschaft (già Edison). In Inghilterra non esiste
ancora alcuna centrale che fornisca l'illuminazione, e in Francia stiamo ora
costruendo la prima a Lione insieme alla Società di Costruzioni Meccaniche
Mülhausen-Belfort...
Charlottenburg, 25 dicembre 1887.
A Karl Siemens, St. Petersburg.
...Certo mi sono affannato anche per ottenere il guadagno e la ricchezza, non
per goderne, ma come mezzo per poter eseguire altri progetti ed altre imprese
e per poter ottenere con il successo la conferma della fondatezza delle mie
azioni, e dell'utilità del mio lavoro. Così mi sono agitato fin da giovane per la
fondazione di un'impresa di portata mondiale come quella di Fugger, che desse
potenza e lustro non solo a me ma anche ai miei posteri in tutto il mondo e
fornisse i mezzi per innalzare a migliori condizioni di vita anche i miei fratelli
e parenti più prossimi... Vedo nel commercio soltanto in seconda linea un
modo per far denaro; per me si tratta piuttosto di un regno che io ho fondato, e
che vorrei tramandare ai miei posteri nella sua integrità, perché continuino ad
operare in esso...
NOTE
(1) Collegando i poli terminali della sua batteria di pile da 2000 elementi a due carboni (3 cm di
lunghezza, 4 mm di diametro e separati da 0,5 mm) si accende una luce intensissima e continua
nella separazione tra i carboni. Aumentando la distanza tra i carboni la luce cambia di forma
(diventa un arco) ed intensità ma mantenendo un chiarore paragonabile a quello del Sole. La luce è
caldissima (è in grado di fondere facilmente il platino) ed i carboni si arroventano fino a circa metà
della loro lunghezza. Se la distanza supera un certo valore, la luce si spegne.
Arco voltaico
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Meccanismo di Duboscq per regolare la distanza tra i carboni di un arco voltaico
Con l'arco si sono realizzati potentissimi fari per illuminazione, da quando si è potuto disporre di
fonti energetiche molto meno costose delle pile. Ancora oggi i riflettori per uso cinematografico o
quelli in uso nella protezione civile sono archi voltaici (fino a poche decine di anni fa, quando ancora
esistevano pellicole cinematografiche con fotogrammi, le macchine da proiezione nelle sale
cinematografiche si servivano di archi).
Osservo che questa scoperta è legata a quella del riscaldamento dei fili elettrici percorsi da corrente.
La cosa sarà sfruttata più avanti per la realizzazione di lampadine con filamento ad incandescenza.
(2) L'elettromagnete più semplice è costituito da un nucleo di ferro intorno a cui è avvolta una
bobina di rame (solenoide). Quando si fa passare corrente nella bobina, il ferro si magnetizza.
Facendo cessare la corrente, il nucleo di ferro si smagnetizza (quasi
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Elettromagnete rettilineo
completamente). Il fenomeno, molto debole, riguarda anche il solo avvolgimento di rame che
diventa un magnete quando in esso si fa passare della corrente. La cosa fu studiata
approfonditamente da Ampère. Questa scoperta fu di grande importanza per successive scoperte in
ambito fisico e per applicazioni pratiche, ad esempio, nei relé, nel telefono, nel telegrafo, negli
interruttori magnetotermici, per il sollevamento di masse di materiali ferrosi. Servì poi a rendere
possibile la produzione di un'azione meccanica a distanza per mezzo di una corrente elettrica e la
cosa è alla base della trasmissione di segnali a distanza e quindi del funzionamento del telegrafo,
come quello inventato nel 1837 da W.F.Cooke e C.Wheatstone che brevettano un telegrafo ad aghi
magnetici. In esso le lettere dell'alfabeto sono stampate su 5 o 6 quadranti, ciascuno con un ago
magnetico, e dotato di un conduttore che produce un campo magnetico. Per trasmettere una lettera
si sceglie il quadrante su cui compare e si fa passare una corrente che fa puntare l'ago
corrispondente verso la lettera desiderata (questo primitivo sistema è stato usato in Gran Bretagna
fino al 1870).
Elettromagnete a ferro di cavallo, il primo efficiente dei quali fu realizzato da
Sturgeon. Si è ora utilizzata una barra di ferro piegata ad U con due avvolgimenti di
rame alle due estremità. In questo caso il rame deve essere avvolto in versi opposti nei
due poli. La prima figura è relativa al semplice elettromagnete, la seconda dispone di
un pezzo di ferro disposto tra i due poli che ha la funzione di chiudere il circuito
magnetico
Naturalmente anche gli elettromagneti hanno avuto una gigantesca evoluzione e lo studio delle
sostanze da sistemare dentro il solenoide per avere elettromagneti più pronti ha fornito molto
materiale allo studio della struttura della materia (spesso occorrono materiali che sino molto pronti,
che abbiano cioè la capacità di magnetizzarsi e smagnetizzarsi rapidissimamente).
(3) Faraday fece tantissime scoperte che ebbero successivamente uso pratico. Il suo nome faceva
vendere tanto è vero che era utilizzato nella pubblicità.
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(4) La ricostruzione delle fasi che portarono Faraday a questa scoperta sono dubbie per tutti gli
storici (W. Berkson, Percy Williams, Agassi, ...). Percy Williams afferma che anche la costruzione di
alcuni grandi elettromagneti da parte di Henry ad Albany, abbia spinto Faraday a tornare
sull'argomento. Di certo vi è il fatto che Faraday intendeva ritornare ad alcune sue esperienze non
riuscite del 1825 e lo faceva, come suo costume, dopo aver pensato molto su tutto il contesto della
fenomenologia che metteva in campo.
(5) Avevo detto qualche riga più su che vi sono due modi di variare il flusso del campo magnetico,
variando il flusso concatenato delle linee di forza o variando il flusso tagliato. Faccio vedere un
esempio di come si può variare il flusso tagliato che risulta utile in varie applicazioni:
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Muovendo alternativamente la spira nel senso della doppia freccia (si tagliano le linee di forza del
campo magnetico) si ottiene passaggio di corrente registrato nel milliamperometro mA (quasi un
galvanometro).
(6) E' doveroso precisare che Neumann formalizza le scoperte di Faraday, anche se si muoveva in
un contesto diverso. In breve: mentre Faraday sosteneva la teoria di campo con azioni a contatto,
Neumann e la scuola elettrodinamica tedesca alla quale apparteneva, sostenevano l'azione a
distanza con velocità infinita.
Neumann è, tra l'altro, in un ambiente culturale in cui si muovono: R. Kohlrausch (1809-1858), G.
Kirchhoff (1824-1887), Hermann Helmholtz (1827-1894), H. Hertz (1857-1934).
(7) Nella relazione scritta compare un segno meno. Tale segno rappresenta simbolicamente la legge
del fisico russo Emilij Kristianovic Lenz (1804-1865). Negli anni
E. K. Lenz
in cui fu scritta la relazione di cui ci occupiamo ancora non era stata definita la conservazione
dell'energia da parte di Helmholtz (1847). Nonostante ciò Lenz, che scoprì l'induzione
indipendentemente da Faraday, capì (1834)che la legge di Faraday - Neumann (che non aveva quel
segno meno) non tornava in termini energetici. Egli ragionò pressappoco così (mi riferisco alla
figura del testo in cui un magnete viene mosso all'interno di una bobina): se infilando (ad esempio)
il nord del magnete nella bobina ottengo che la bobina si magnetizza, occorrerà stabilire le polarità
del magnete-bobina. Ebbene tale polarità non potrà essere un sud rivolto al magnete permanente
perché in tal caso si violerebbe il principio di conservazione dell'energia (avvicinando il magnete
alla bobina si avrebbero due poli che si attraggono e si creerebbe un movimento spontaneo e
dell'energia elettrica nella bobina a spese di nulla); nella bobina, affacciato al magnete, dovrà
crearsi un polo nord (stesso segno del magnete che si avvicina) cosicché si origina repulsione tra
magnete e bobina; è proprio il vincere tale repulsione con uno sforzo meccanico che ci fornisce
energia elettrica. Quel segno meno sta a dire che le correnti che si originano per induzione hanno
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sempre un verso tale da creare una opposizione alla causa che le origina. Quanto detto è illustrato
nelle figure seguenti:
Il caso che ora discusso
Il caso del magnete che viene estratto: per quando discusso, ora il movimento di sfilare
il magnete dovrà essere impedito da una attrazione che la bobina esercita su di esso e
quindi nella bobina la corrente dovrà circolare in modo da creare un sud dalla parte
del magnete che si allontana per attrarlo.
(8) E' utile vedere subito come un alternatore può diventare una macchina che fornisce corrente
quasi continua. Basta sostituire gli anelli su cui strofinano le spazzole di un alternatore con un
commutatore . Per comprendere di cosa si tratta si vedano le figure seguenti dove si confrontano
anelli e commutatore con i relativi grafici che ci danno l'andamento della corrente prodotta in
funzione del tempo.
(a)
(b)
In (a) sono rappresentati gli anelli che già abbiamo visto nello schema di alternatore. In (b) vi è
invece un commutatore (il più semplice possibile). Le spazzole della bobina strofinano su due
semianelli in modo tale che, ad ogni mezzo giro (180°, il verso della corrente nella bobina risulta
invertito cosicché mentre il grafico che rappresenta la corrente in funzione del tempo di (a) in un
giro è quello rappresentato in (d), lo stesso grafico relativo al commutatore (b) è rappresentato in
(c).
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Il grafico di (c) è una sinusoide come (d) nella quale, ogni mezzo giro, viene ribaltata la
semisinusoide negativa con il risultato che la corrente non passa per valori negativi ma ha sempre
valori positivi. Una tale corrente viene chiamata continua anche se, come si vede, non lo è (una
corrente continua, del tipo di quella fornita dalla pila, è rappresentata da una retta parallela
all'asse orizzontale delle ascisse). Si può chiamare meglio una tale corrente come pulsante o
unidirezionale. Per raddrizzare sempre più una corrente di un alternatore si usano dei commutatori
più sofisticati nei quali il verso alla corrente cambia, in un giro, più e più volte. La figura che segue
mostra al centro un
commutatore costituito da un cilindro suddiviso in tanti settori che, successivamente, vanno a
toccare, da bande opposte, le spazzole in m ed n. Ad ogni nuovo settore che arriva in contatto con le
spazzole in m ed n corrisponde un cambiamento di verso di circolazione di corrente nella bobina
(Circuit extérieur).
(9) Alcune sorgenti luminose, non utilizzano la combustione di una qualche sostanza, ma il calore
sviluppato nella combustione stessa. Se si introduce un cilindretto di ossido di calcio al forte calore
della fiamma ossidrica, questo diventa incandescente e fornisce una luce molto intensa. E' questa
una lampada di Drummond illustrata nella figura seguente:
Nei due rubinetti visibili sulla destra si immettono idrogeno ed ossigeno che bruciano nel becco di
sinistra nella fiamma ossidrica. Tale fiamma va ad incidere sul silindretto disposto immediatamente
davanti al becco.
(10) Si ha a che fare con due unità di misura, ormai obsolete (meno che nei Paesi di lingua inglese
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che continuano con unità di misura ormai fuori dalle leggi internazionali), che si chiamano cavallo.
Il cavallo vapore HP introdotto in Gran Bretagna che vale: 1 HP = 745,7 w ed il cavallo potenza CV
introdotto successivamente in Francia che vale: 1CV = 736 w.
(11) La bussola delle tangenti è un misuratore di intensità di corrente elettrica (un amperometro
molto sensibile). Al centro di una spira posta lungo un meridiano magnetico, è sistemato un ago
magnetico Se attraverso la spira passa corrente, l'ago ruoterà in funzione dell'intensità di corrente
che passa nella spira. In un dato luogo, l'intensità di corrente è proporzionale alla tangente
dell'angolo di deviazione dell'ago.
Bussola delle tangenti
(12) Riporto di seguito l'articolo di Pacinotti citato (http://www.fondazionegalileogalilei.it )
DESCRIZIONE DI UNA MACCHINETTA ELETTRO-MAGNETICA
DEL DOTT. ANTONIO PACINOTTI
Nel 1860 ebbi occasione di far costruire per conto del Gabinetto di Fisica Tecnologica
dell'Università di Pisa un modelletto di macchina elettro-magnetica da me immaginata, e che ora mi
risolvo a descrivere specialmente per far conoscere una elettro-calamita di genere particolare usata
nella costruzione di quella, la quale oltre la novità che presenta, mi sembra adattata a dar maggior
regolarità e costanza di azione in tali macchine elettro-magnetiche, come anche la sua forma mi
sembra conveniente per raccogliere la somma delle correnti indotte in una macchina magnetoelettrica.
Nelle ordinarie elettro-calamite anche quando vi è adattato un commutatore sogliono i poli
magnetici comparire sempre nelle medesime posizioni, mentre servendosi del commutatore che va
unito alla elettro-calamita che descrivo, i poli si possono far muovere nel ferro sottoposto alla
magnetizzazione. La forma del ferro di tale elettro-calamita è quella di un anello circolare. Per
concepir facilmente l’andamento ed il modo d'agire della corrente magnetizzante, supponiamo che
si avvolga sul nostro anello di ferro un filo di rame coperto di seta, e quando sia compita la prima
spira in luogo di continuare l’elica montando sopra a quella già costruita, si chiuda il filo metallico
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TAV. 4
saldando fra loro i due capi che si trovano l’uno presso dell' altro; così avremo ricoperto l' anello di
ferro con una spirale chiusa isolata tutta diretta in un verso. Ora, se facciamo comunicare con i due
poli della pila due punti assai distanti del filo metallico di quest’ elica, la corrente bipartendosi
percorre 1'elica su l' una parte e sull’ altra fra i punti di comunicazione, e le direzioni che assume
son tali che il ferro dovrà magnetizzarsi presentando i poli là dove sono applicati i reofori.
La linea retta che congiunge questi poli si potrà dir l'asse magnetico, al quale potremo mutando i
punti in comunicazione con la pila fare assumere qualunque posizione trasversale alla figura o
cerchio di ferro, dell'elettro-calamita, che per questo mi piace chiamare elettro-calamita
trasversale. I due pezzi di calamita posti dai due lati della retta (nella nostra macchina è il
diametro ) che unisce i reofori della pila si possono considerare come due elettro-calamite curve
contrapposte, con i poli del medesimo nome in presenza.
Per costruire su tal principio la elettro-calamita con la quale ho montata la macchinetta elettromagnetica, presi un anello di ferro tornito, avente a guisa di rota 16 denti uguali, come sono
accennati nella figura 1.a (Tav. IV). Questo anello è sostenuto da quattro raggi d'ottone aaaa (fig. 4)
che lo uniscono all' asse della macchina. Tra dente e dente dei piccoli prismi triangolari m (fig 1. e
4.) di legno lasciano dei solchi incavati, entro i quali avvolgendo del filo di rame coperto di seta son
venuto ad ottenere fra dente e dente di questa ruota di ferro tante eliche o gomitoli elettro-dinamici
bene isolati. In tutti questi rocchetti alcuni dei quali sono accennati con r (fig.3. 4) il filo è avvolto
nel medesimo verso ed ognuno di essi risulta di 9 spire. Due rocchetti qualunque consecutivi come i
due r r' son fra loro separati da un dente di ferro della ruota e dal pezzetto o prisma triangolare di
legno m m (fig. 1. 3. 4). Passando da un rocchetto a costruire il successivo ho lasciato libero un
fiocco o staffa di filo di rame fissandolo al pezzo di legno m, che separa i due rocchetti. Sull'asse M
M (fig. 3.) ove è annessa la rota così costruita, ho portato tutti i fiocchi che costituiscono con un
capo il fine di un rocchetto e coll' altro il principio del successivo facendoli passare per convenienti
fori praticati in un collare di legno centrato sull' asse medesimo, e quindi attaccando ciascuno al
commutatore c (fig. 3.) pure centrato sul medesimo asse. Questo commutatore consiste in un basso
cilindretto
di bossolo con due ranghi di incavi attorno alle estremità della superficie cilindrica nei quali sono
incastrati 16 pezzetti di ottone, otto al di sopra ed altrettanti al di sotto; i primi alternati con i
secondi, tutti concentrici al cilindro di legno, un poco sporgenti e tramezzati dal legno. Nella figura
c del commutatore i pezzetti d'ottone sono accennati dagli spazi oscuri. Ciascuno di questi pezzetti
di ottone è saldato col corrispondente fiocco congiuntivo fra due rocchetti. Sicché tutti i rocchetti
comunicano fra loro, ciascuno essendo unito al successivo da un conduttore del quale fa parte uno
dei pezzetti d'ottone del commutatore, e quindi mettendo in comunicazione con i poli di una pila
due di questi per mezzo di due rotelle metalliche k k (fig. 3. 4.), la corrente bipartendosi percorrerà
l’ elica sovra un lato e sull'altro dei punti d'onde partono i fiocchi uniti ai due pezzetti comunicanti,
ed i poli magnetici compariranno nel ferro del cerchio in N, S. Sopra tali poli N, S agiscono i poli di
una elettro-calamita fissa A B, e determinano la rotazione della elettro-calamita trasversale attorno
al suo asse M M; giacché in essa anche quando è in movimento i poli si producon sempre nelle solite
posizioni N, S che corrispondono alle comunicazioni con la pila.
Questa elettro-calamita fissa come mostrano le figure 3 e 4 è composta di due cilindri di ferro A B
raggiunti insieme da una traversa F F di ferro alla quale uno sta fissamente avvitato e l’altro è
formato da una vite sottoposta G che gli permette di scorrere lungo un solco per avvicinare o
allontanare i poli dei cilindri A B ai denti della ruota. La corrente della pila entrando dal reoforo h
passa per un filo metallico alla comunicazione l e da quella alla rotella k circola tutti i rocchetti
della ruota e ritorna per la comunicazione l’ che la fa per altro filo di rame passare all' elica che
fascia il cilindro A. Da questa riuscendo passa all'elica del cilindro B, e si riporta per altro filo di
rame al secondo reoforo h’.
Ho trovato molto vantaggioso l' aggiungere ai due poli della elettro-calamita fissa due armature di
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ferro AAA, BBB dolce delle quali ciascuna abbraccia per più di un terzo di cerchio la ruota che
costituisce la elettro-calamita trasversale, ponendole assai prossime ai denti della medesima, e
collegandole fra loro con delle guide d'ottone EE, EE, come si vede nella proiezione orizzontale (f ig.
4). Queste armature non sono state disegnate nella proiezione verticale (fig. 3) della macchina
perchè avrebbero occultati troppo i rocchetti e i denti della ruota. La macchina agisce anche
quando la corrente passa solo per l’elettro calamita circolare, ma ha assai meno forza che quando la
corrente passa anche per l’elettro calamita fissa.
Feci alcune esperienze tenendo conto del lavoro meccanico che la macchina produceva e del
corrispondente consumo della pila.
Tali esperimenti erano sistemati nel modo seguente:
L' albero della macchinetta elettro-magnetica portava un rocchetto Q Q (f ig. 3) il quale era
abbracciato da un cordoncino che si chiudeva attorno ad una ruota assai grande e l’obbligava a
girare quando la macchinetta elettro-magnetica si moveva. L' asse di questa
ruota era orizzontale e su di esso avvolgendosi una corda sollevava un peso. Ad una delle estremità
dell' asse orizzontale dell' arganetto era un freno che veniva aggravato talmente che il peso da
sollevarsi, fosse sufficiente a porre in stato prossimo al moto tutto l' apparecchio compresa la
macchinetta elettro-magnetica non percorsa dalla corrente.
In tal disposizione allorché la macchina agisce, il lavoro meccanico speso per vincer gli attriti è
uguale a quello impiegato a sollevare il peso, e per avere il lavoro totale fatto dalla macchina elettromagnetica bastava raddoppiare quello ottenuto dal moltiplicare il peso attaccato per l’ altezza a cui
era stato sollevato. Valutato così il lavoro meccanico prodotto, per conoscere il consumo che si
faceva nella pila onde produrre un tal lavoro, era interposto nel circuito della corrente un
voltametro a solfato di rame, del quale le lastre di rame venivan pesate avanti e dopo l’esperimento.
Riporterò i numeri ottenuti in una di tali esperienze con la macchinetta ad elettro-calamita
trasversale. Questa macchinetta che aveva la ruota del diametro di 13 centimetri era mossa da una
pila di 4 piccoli elementi alla Bunsen, e sollevò ad 8m,66 un peso di 3k,2812 valutati gli attriti :
sicché fece un lavoro meccanico di 28km,7415. I1 rame positivo del voltametro diminuì in peso di
grammi 0gm,224, il rame negativo aumentò di 0gm,235, sicché in media il lavoro chimico nel
voltametro può dirsi 0g,229. Questo numero moltiplicato pel rapporto dell' equivalente dello zinco a
quello del rame, e pel numero degli elementi della pila, dà pel peso dello zinco consumato 0g,951.
Quindi per produrre un chilogrammetro di lavoro meccanico sono stati consumati nella pila 33
milligrammi di zinco. In un' altra esperienza fatta con 5 elementi il consumo è stato di 36
milligrammi per ogni chilogrammetro. Questi resultati sebbene non pongano il nuovo modello
notabilmente al di sopra delle altre macchinette elettro-magnetiche , pure non mi sembran cattivi
quando penso che in esso esistono dei difetti di costruzione che non si rinvengono nelle altre
macchinette di tal genere. Fra questi devo notare che il commutatore è fatto in ottone e mal centrato
sull' asse di modo che non tutti i contatti si compion sempre sufficientemente bene.
Le ragioni che mi indussero a costruire la macchinetta elettro-magnetica col sistema descritto
furono le seguenti : 1.a Nella disposizione adottata la corrente non cessa mai di circolare nelle
eliche, e la macchina non si muove per una serie di impulsi che si succedono più o meno
rapidamente, ma per una coppia di forze che agiscono continuamente. 2.a La costruzione circolare
nella calamita ruotante contribuisce insieme col precedente modo di successiva magnetizzazione a
dare regolarità nel movimento, e minimo disperdimento di forza viva in urti o in attriti. 3.a In essa
non si cerca che la magnetizzazione e smagnetizzazione del ferro delle elettro-calamite si compia
istantaneamente, cosa alla quale si oppongono e le estracorrenti e la forza coercitiva della quale non
si può mai spogliare completamente il ferro; ma si chiede solo che ogni porzione del ferro della
elettro-calamita trasversale sottoposta sempre alle convenienti forze elettro-dinamiche passi
successivamente per i vari gradi di magnetizzazione. 4.a E le estese armature della elettro-calamita
fissa seguitando ad agire sovra i denti della ruota magnetica, ed abbracciandone un numero assai
grande non abbandonano la sua azione finché in quelli rimanga magnetismo. 5.a Le scintille
vengono aumentate di numero ma molto diminuite d'intensità, giacché non si hanno forti
estracorrenti all' aprire del circuito che può star sempre chiuso, e solo mentre la macchina agisce
una corrente indotta continua diretta in verso contrario della corrente di pila.
Mi sembra che possa crescere il pregio in questo modello il poter ridur con facilità la macchina da
una elettro-magnetica ad una magneto-elettrica con corrente continua. Quando in luogo della
elettro-calamita A B (fig. 3. 4.) vi fosse una calamita permanente e
si facesse girare la elettro-calamita trasversale, si avrebbe infatti una macchina magneto-elettrica
che darebbe una corrente indotta continua diretta sempre nel medesimo verso. Per trovare la
posizione più conveniente degli scandagli sul commutatore, onde raccogliere la corrente indotta,
osserviamo che per influenza sulla elettro-calamita mobile si formano i poli opposti alle estremità di
un diametro in presenza ai poli della calamita fissa. Questi poli N S mantengono una posizione fissa
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anche quando la elettro-calamita trasversale ruota sul suo asse, quindi rispetto al magnetismo, e
conseguentemente anche
alle correnti indotte, potremo considerare, o supporre, che i rocchetti di fil di rame girino inflati
sopra la calamita circolare restando questa immobile. Per studiare le correnti indotte che sopra tali
rocchetti si sviluppano, prendiamo in esame uno di essi nelle varie posizioni che può assumere. Dal
polo N (fig. 2.) , andando verso il polo S: in esso si svilupperà una corrente diretta in un verso fino
che sia giunto al punto di mezzo a, da questo punto in poi la corrente assumerà una direzione
inversa. Da S poi procedendo verso N fino che siamo giunti al punto di mezzo b le correnti
manterranno la stessa direzione che avevano fra a ed S ; dopo b di nuovo si invertiranno di
direzione riprendendo quella che avevano fra N ed a. Ora siccome tutti i rocchetti comunicano fra
loro, le forze elettro-motrici di una data direzione si sommeranno e daranno alla corrente totale la
disposizione indicata dalle frecce nella figura 2, e per raccoglierla, le posizioni più convenienti per
gli scandagli saranno a, b; ossia gli scandagli sul commutatore van posti ad angolo retto con la linea
di magnetismo della elettro-calamita. La corrente indotta varia d i r e z i o n e cangiando il verso
della rotazione. Ed in quanto al commutatore, quando gli scandagli sono sul diametro
corrispondente alla linea di magnetismo comunque la elettro-calamita giri, essi non raccolgono
alcuna corrente. Da tal posizione spostandogli su di un lato si ha corrente diretta in verso contrario
a quella che si otterrebbe spostandogli sull' altro lato.
Per fare sviluppare una corrente indotta dalla macchina costruita avvicinava alla ruota magnetica i
poli opposti di due calamite permanenti, o magnetizzava con una corrente la elettro-calamita fissa
che vi si trova, e obbligava a girare sul suo asse la elettro-calamita trasversale. Tanto nel primo che
nel secondo modo otteneva una corrente indotta continuamente diretta nel medesimo verso, che
mostrava ad una bussola una discreta intensità, anche dopo d' avere attraversato il solfato di rame
o l’ acqua acidulata, con acido solforico.
Ben si scorge che il secondo modo non può esser conveniente, ma che riman facile porre una
calamita permanente in luogo della tomporaria AFFB, ed allora la macchina magneto-elettrica che
ne resulta avrà il vantaggio di dare correnti indotte sommate e dirette tutte nello stesso verso, senza
bisogno di organi meccanici che lo separino da altre opposte, o che rendano cospiranti le une colle
altre. E questo modelloben mostra come la macchina elettro-magnetica sia opposta alla magnetoelettrica, giacché nella prima circolando per i rocchetti la corrente elettrica, introdottavi dai reofori
l l’ si otteneva il moto della ruota e il suo lavoro meccanico, e nella seconda impiegando un lavoro
meccanico per far girare la ruota si ottiene per effetto dalla calamita permanente una corrente che
circola nei rocchetti, e si porta ai reofori l l’ per essere introdotta nel corpo sul quale deve agire.
[Da Il Nuovo Cimento, Serie 1, Volume XIX (1864), pag. 378, fascicolo del giugno 1864, pubblicato il
3 maggio 1865].
(13) E' vergognoso il modo in cui alcuni storici NON raccontano la storia, neppure in modo
ipotetico. E' il caso di una prestigiosa "Storia della tecnologia" come quella coordinata da Singer
(vedi Bibliografia). Parlando in 9 righe dell'anello di Pacinotti, conclude:
"L'apparecchio venne descritto in un giornale italiano del 1864, ma a quel tempo non
sembra che suscitasse più di un interesse casuale".
(14) Fino ad ora ho parlato di elettromagneti senza soffermarmi sul nucleo metallico intorno al
quale è avvolta la bobina. In genere tale nucleo è di ferro dolce o di acciaio ma ha delle
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caratteristiche costruttive speciali a seguito di una scoperta dovuta al fisico Léon Foucault (18191868), quello del pendolo per dimostrare la rotazione della Terra su se
Léon Foucault
stessa (1851) e quello che dimostrò che la velocità della luce è maggiore nei mezzi meno densi (18491850). Facendo esperienze con elettromagneti (1855) Foucault si accorse del forte riscaldamento cui
era soggetto il nucleo massiccio di ferro su cui era arrotolata la bobina. La cosa era dovuta
all'induzione (ed anche a fenomeni d'isteresi dei quali qui non mi occupo): la bobina in cui passava
corrente elettrica induceva nel ferro massiccio intensissime correnti che, data la legge di Joule (il
riscaldamento dei conduttori va con il quadrato dell'intensità di corrente), provocavano un forte
riscaldamento del nucleo metallico. Sostituendo i nuclei metallici massicci con nuclei costituiti da
lamierini isolati l'un l'altro ed assemblati per avere la forma del nucleo massiccio, l'effetto di
riscaldamento si riduceva di molto. Da quel momento ogni oggetto metallico che debba muoversi
dentro campi magnetici e perciò soggetto ad induzione deve essere ridotto a strisce sottili, isolate e
poi riassemblate per evitare un grande dispendio di energia, quando non la rottura degli apparati
per eccessivo riscaldamento.
E' anche possibile utilizzare le correnti di Foucault (dette correnti parassite) in alcuni apparati
tecnologici, come i freni elettromagnetici. Riferendoci alla figura seguente, se con la manovella
mettiamo in moto il disco di rame massiccio, esso ruoterà sempre più velocemente. Se facciamo
passare corrente negli elettromagneti, si indurrà nel rame una corrente indotta che, per la legge di
Lenz, tenderà a circolare in modo da opporsi al movimento che la ha generata.
Tale movimento è quello del disco che verrà frenato. Quindi, azionando un interruttore elettrico (si
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pensi ad un pedale d'automobile), è possibile frenare un disco conduttore massiccio in rotazione.
Naturalmente non deve essere quella la ruota su cui cammina il veicolo ma può essere montato
coassialmente alle sue ruote. Tale sistema è in uso in evoluti sistemi a rimorchio. Se si vuole frenare
un rimorchio è semplice, tramite un cavo, inviare corrente alle sue ruote. Si ottiene la frenata in
simultanea con la motrice. Nei sistemi antiquati il freno dei rimorchi (molto pericoloso) avviene per
inerzia: quando la motrice frena, il rimorchio tende a proseguire per inerzia spingendo la motrice,
nel far ciò aziona una leva meccanica che aziona i freni.
(15) Nel 1881 fu progettata dalla Armington & Sims (175 CV e 1350 giri/minuto) una macchina a
vapore proprio al fine di alimentare la dinamo della centrale elettrica per illuminazione di Pearl
Street a New York (1882). I migliori risultati si ottennero però con l'invenzione della turbina a
vapore Parsons (dal nome dell'ingegnere inglese Charles Parsons) del 1884. Con il suo primo
modello si realizzò un accoppiamento a 18000 giri/minuto con una dinamo che produceva 7,5 Kw di
potenza elettrica.
(16) Il primo trasformatore, anche se nessuno se ne accorse era il primo anello d'induzione di
Faraday (1831). Furono Antoine Philibert Masson (1806-1858) in collaborazione con Louis Francois
Clement Breguet che introdussero (1840) le prime bobine che poi verranno usate da Ruhmkorff per
la realizzazione del suo rocchetto (che illustrerò subito dopo). Occorrerà però attendere il 1888
perché il vero e proprio trasformatore sia realizzato dal francese Lucien Galuard (1850-1888) ed
indipendentemente dall'americano J. Willard Gibbs (1839-1903), molto famoso per i suoi contributi
alla meccanica statistica.
J. W. Gibbs
Il principio di funzionamento di un trasformatore (statico e monofase) è semplice e basta una figura
per comprendere di cosa si tratta:
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Al centro vi è il trasformatore che ha un nucleo di ferro (traferro) costituito da tanti lamierini
assemblati (per evitare le correnti parassite di Foucault). Sulla sinistra del traferro (circuito
primario) vi è una corrente alternata con determinate caratteristiche di tensione e di corrente
trasportata da un conduttore che viene avvolto in un certo numero di spire N1. Poiché la corrente è
alternata vi sarà una continua variazione di flusso concatenato con l'avvolgimento sulla destra del
traferro (questo è il motivo per cui i trasformatori non sono utilizzabili in corrente continua: essa
fornisce un flusso costante). Questo avvolgimento, se ha lo stesso numero di spire del primario
allora la corrente verrà fuori identica (salvo le perdite) a quella del primario; se ha un numero di
spire maggiore vedrà aumentare la tensione e diminuire l'intensità della corrente (figura a destra
da confrontare con quella a sinistra), e questo è un trasformatore elevatore di tensione che è sempre
all'uscita di una centrale di produzione elettrica; se ha un numero di spire inferiore vedrà
aumentare l'intensità e diminuire la tensione della corrente, e questo è un trasformatore elevatore
di corrente che si usa sempre all'arrivo di una linea di trasmissione da un centrale di produzione
elettrica. La legge dei trasformatori è una proporzione che lega numero di spire del primario e
secondario, con le rispettive tensioni:
e2 : e1 = N2 : N1
con le e che rappresentano le tensioni rispettivamente del secondario e del primario e le N che
rappresentano il numero di spire, rispettivamente del secondario e del primario
Un cenno al rocchetto di Ruhmkorff per quello che ha poi permesso di scoprire. Lo strumento,
riportato in figura I (nella figura II vi è una sua sezione; nella figura III vi è un particolare della
figura precedente), funziona nel modo seguente. Ricordando la legge di Faraday-Neumann-Lenz, la
forza elettromotrice indotta E è data dalla velocità di variazione del flusso dell'induzione magnetica
(preceduta da un segno meno). Quando circola corrente nel primario (PP' di figura II) si crea un
grande campo elettromagnetico che va ad indurre una f.e.m. molto elevata nel secondario (SS di
figura II). Questa f.e.m. indotta sarebbe solo istantanea se non vi fosse una variazione del campo
inducente; a quest'ultima cosa provvede un interruttore V che, con estrema rapidità, porta a zero e
quindi di nuovo al massimo il campo inducente.
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(17) Per comprendere il funzionamento di questo motore osserviamo la figura seguente.
In essa un magnete che ruota trascina un ago magnetico. Si suole dire che il magnete genera un
campo magnetico rotante. L'esperienza mostra che un tale campo magnetico rotante si può ottenere
anche facendo passare le tre fasi di una corrente trifase in tre bobine distinte disposte tra loro a
120° come rappresenta la figura seguente perché, se
nel centro si pone un ago magnetico, si vede che questo ruota come nell'esperienza precedente. Ciò
avviene a seguito dei fenomeni d'induzione di ciascuna delle tre bobine. Se ora disponiamo di un
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alternatore trifase (o anche bifase) che alimenta un motore costituito dalle bobine di induzione
magnetica, queste ultime generano, nello spazio che corrisponde a quello in cui ruota l'induttore
dell'alternatore, campi magnetici variabili e alternati, che si compongono in un campo risultante
simile a quello di detto induttore, cioè rotante. Se la frequenza delle correnti è 50 Hz, il campo
rotante compie 50 giri al secondo. Ogni circuito chiuso, collocato in modo da essere investito da
questo flusso rotante, diventa sede di correnti indotte, che si manifestano con un effetto meccanico,
l'azione di una coppia di forze, perché l'indotto si oppone alle variazioni del flusso (legge di Lenz)
partecipando alla sua rotazione. Un indotto girevole attorno a un asse, viene messo in rotazione
dalla coppia, con un momento tanto più forte quanto più grande è la differenza fra la velocità di
rotazione del campo e quella dell'indotto (cioè la velocità relativa del rotore rispetto al campo
rotante).
Il campo magnetico rotante permette la realizzazione di ottimi motori elettrici, detti motori a
induzione o anche motori asìncroni, perché la velocità del rotore è indipendente dal periodo T nel
senso che può variare entro vasti limiti, svincolata dal periodo T della corrente alternata la loro
velocità è inoltre indipendente dal numero dei poli. Il motore asincrono Ferraris è dunque costituito
da uno statore, simile allo statore di un alternatore
trifase, e da un rotore costituito da un cilindro di rame, in seguito modificato in una «gabbia» di
sbarre di rame infilate in apposite cavità periferiche di un cilindro di ferro (un pacco di lamine
circolari) con gli estremi saldati a due anelli di rame. Questa miglioria (1890) fu dovuta al tedesco di
origine russa Mihail Osipovic von Dolivo-Dobrovolskij (1862-1919), al quale si deve anche la
realizzazione dei trasformatori trifase, che lavorava presso la AEG, filiale tedesca della Edison
americana (la Deutsche Edison-Gesellschaft fondata nel 1883).
Rotore a gabbia di scoiattolo
Nessun collettore: basta immettere nello statore le correnti alternate di un sistema trifase, già
collegate negli avvolgimenti interni dello statore stesso, regolandone inizialmente le intensità perché
il rotore si avvii e si conservi in rotazione.
(18) La corrente prodotta dal primo schema di principio di Faraday era monofase perché, in uscita
si aveva una sola sinusoide. Con particolari arrangiamenti tecnici e per ragioni commerciali, è
possibile che uno stesso alternatore fornisca due correnti o tre o quante se ne vuole, ciascuna
regolarmente sfasata rispetto alle altre e rappresentata da una sinusoide. Nel caso di una corrente
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trifase usciranno dall'alternatore tre correnti, ciascuna sfasata di 120° rispetto alle altre. Questa è
la situazione più favorevole perché si è scoperto che per portare le tre correnti non occorrono 6 fili
(tre per l'andata e tre per il ritorno) ma solo 4, tre per l'andata ed uno per il ritorno (se si pensa
questa situazione in linee di trasmissione di centinaia di chilometri, si capisce il ritorno economico).
BIBLIOGRAFIA
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(10) O. Murani - Trattato elementare di fisica - Hoepli, Milano, 1906
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(14) Charles Singer (a cura di) - Storia della tecnologia - Boringhieri 1965
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(16) F. Klemm - Storia della tecnica - Feltrinelli 1966
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(18) G. de Florentiis - Storia della tecnica - Vallardi 1968
(19) D. S. L. Cadrwell - Tecnologia, scienza e storia - il Mulino 1976
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