ARCHEOROMA n.2 aprilegiugno 2015

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ARCHEOROMA n.2 aprilegiugno 2015
Trimestrale di informazione e discussione culturale a cura dell’Archeoclub di Roma – XXXIIII 2015 - n. 2 apr-giu
Roma capitale
e Rome & you
Lo avevamo scritto tre anni fa (v.
ArcheoRoma 2012, n. 1-2, p.1) che
la dizione “Roma Capitale” era
superflua, pleonastica se non, addirittura, riduttiva. “Roma è Roma –
facevamo osservare – E questo
basta. Capitale, poi, lo è per antonomasia… Roma è capitale o,
meglio, Caput mundi nel senso più
nobile e significativo, di “luogo
alto” dello spirito e della civiltà
universale, punto di riferimento – e
di richiamo – dell’intera umanità”.
In Campidoglio se ne sono accorti
ora e hanno finalmente convenuto
che “Roma non ha bisogno di altri
(?) attributi o aggettivi”. Pertanto è
stato deciso di fare marcia indietro
(dopo tanto spreco di danaro pubblico fatto per “aggiornare” tutte le
scritte, dalla carta intestata alle
divise dei vigili urbani, dai segnali
stradali alle autovetture comunali...
che ora, con altra spesa, andranno
cancellate e sostituite!).
Il nuovo “marchio istituzionale”
dunque, tornerà ad essere quello
con la scritta “Roma” e lo scudetto
sormontato dalla corona e con il
tradizionale SPQR, preceduto da
una piccola croce greca, di traverso.
Accanto ad esso, è stato intanto
introdotto un “logo relazionale”
che dovrebbe servire per i “messaggi internazionali” necessari a “rilanciare l’immagine e la promozione
della città” (che non ne ha alcun
bisogno) e invece è già comparso –
ad uso interno – sui manifesti per
la raccolta differenziata dell’AMA.
Si tratta di uno scudetto sormontato da cinque palline colorate e con
la scritta “Rome & you”. Ma –
dato e non concesso che servisse un
“logo” diverso da quello istituzionale – era proprio necessario indulContinua a pag. 8
BREVE STORIA
DEL COMPRENSORIO DI
VIA DEI FORI IMPERIALI
La storia – o, se si vuole, la vicenda – del comprensorio che, da poco più di ottanta anni, fa capo a quella che oggi chiamiamo via dei Fori imperiali e fu già via
dell’Impero, ebbe inizio, propriamente, oltre duemila anni orsono – a Roma,
sono cose che capitano – ma con “precedenti” che risalgono fino alla fine dell’età
del bronzo e alla prima età del ferro. Essa si è svolta con singolari, e significativi,
“momenti” di interruzioni, ma anche di… ritorni, di riprese, di coincidenze, di
analogie, nell’ambito di una sostanziale continuità fino ai nostri giorni.
Tutto cominciò quando, prima Cesare e poi Augusto, decisero, l’uno, di dare
“respiro” con un nuovo spazio “attrezzato” al vecchio Foro Romano, e, l’altro, di
ampliare ulteriormente quello spazio per dare sedi più adeguate a organismi istituzionali, come i tribunali, ma anche per riaffermare quegli aspetti propagandistici e celebrativi che, col rinnovamento urbanistico ed edilizio del centro politico-amministrativo e monumentale della città, avevano accompagnato la nascita e
il consolidamento del nuovo regime.
Nel giro di un cinquantennio, in due riprese, furono così realizzati il Forum
Iulium, o Foro di Cesare (su un’area di metri 60 per 75), dedicato nel 46 a.C. ma
iniziato nel 54, e il contiguo Forum Augusti, o Foro di Augusto (su un’area di m.
125 per 118), inaugurato nel 2 d.C. ma votato nel 42 a.C., alla vigilia della battaglia di Filippi. Tutto, a spese di un intero “quartiere” – l’Argiletum – che sorgeva tra il Foro Romano e le estreme pendici del Quirinale e dell’Esquilino ed era
andato formandosi a partire dalla fine del IV secolo a.C. su un terreno, un tempo
spesso impantanato, in parte utilizzato, tra la fine del secolo XI e gli inizi del X
a.C., per sepolture; poi, tra VIII e VII secolo, occupato da capanne d’abitazione;
e, finalmente, bonificato nel corso del secolo VI con un canale che convogliava
verso il Tevere le acque di dilavamento dai colli diventato, in seguito, la Cloaca
Maxima.
Una strada, che metteva in comunicazione il Foro Romano con la Suburra, divideva il quartiere in due settori: uno, ad oriente, con impianti di carattere commerciale (mercati di generi alimentari e botteghe di artigiani), l’altro, a occidente, con case d’abitazione: soggette, queste, a una vera e propria attività di speculazione immobiliare (da parte dei proprietari appartenenti all’aristocrazia senatoria) e, alla vigilia della loro distruzione, ridotte in condizioni di estremo degrado
e fatiscenza. Inequivocabile, in proposito, la testimonianza di Cicerone che, come
il fratello Quinto, possedeva nel quartiere appartamenti e tabernae dati in affitto
(e con i cui proventi si poteva permettere di mantenere il figlio agli studi in
Grecia), il quale scrive che da quegli abituri “se ne fuggivano non solo gli inquilini, ma persino i topi”.
Lo stesso Cicerone (in una lettera all’amico Attico, del 54 a.C.) attesta che il terreno necessario alla realizzazione del Foro di Cesare fu acquistato, per una spesa
complessiva tra i sessanta e i centomila sesterzi, con un’operazione alla quale egli
stesso – con un evidente ma taciuto “conflitto d’interessi” – fu incaricato di provvedere. Al medesimo modo, anche per il Foro di Augusto, il terreno venne acquistato dai privati (col ricavato dai bottini di guerra – ex manubiis – come lo stesso
Augusto ricorda nella sua “autobiografia”) risultando, peraltro, inferiore a quello
previsto, giacché si ritenne di non dover ricorrere alle maniere forti per convincere i proprietari riottosi che si rifiutarono di vendere.
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Nella seconda metà dello stesso secolo I d.C., Vespasiano e
Domiziano occuparono le aree residue dell’Argiletum verso
oriente, fino alle pendici della Velia che, al di là della strada che
andava dalla via Sacra alle Carinae, sul Fagutale, chiudeva tutta
la zona su quel versante. E ciò avvenne a spese dei vecchi
impianti pubblici di servizio (come il Macellum, il grande mercato coperto che sorgeva immediatamente a nord del Foro
Romano) che si trovavano ancora nella zona.
Dal 71 al 75, per celebrare la vittoria della guerra giudaica (e,
come al solito, coi proventi del bottino), Vespasiano fece realizzare il Templum Pacis, il Tempio della Pace, che, essendo
anch’esso nella forma e nell’aspetto di una piazza monumentale, si presentò in tutto simile a un foro (e fu perciò anche chiamato, in epoca tarda, Foro della Pace). A Domiziano non rimase che “monumentalizzare” quanto rimaneva dello spazio tra il
Foro di Augusto e il Tempio della Pace, percorso dalla strada
che andava alla Suburra e trasformarlo in una piazza lunga e
stretta (di m. 120 per 45), al punto che, non potendo essere
fornita, come tutte le precedenti, di un vero portico, fu dotata
solo di un colonnato appena sporgente dal muro perimetrale.
Data la sua posizione topografica – e la sua funzione – al nuovo
Foro fu dato il nome, provvisorio, di Transitorium (qualcosa
come “di passaggio”), ma dopo il suo completamento e l’inaugurazione effettuata nel 97 dal successore di Domiziano,
Nerva, si ebbe da questi il nome definitivo di Forum Nervae
(Foro di Nerva).
Quando, al principio del II secolo, Traiano volle costruire
anche lui il suo Foro, addirittura in proporzioni assai più ampie
dei precedenti, non essendoci più spazio disponibile, essendo
ad ovest incombente il lembo scosceso del Quirinale che, senza
soluzione di continuità, declinava verso il Campidoglio (quasi
una “sella” di congiungimento tra i due colli), fu necessario
ideare e mettere in atto una coraggiosa e drastica soluzione: giusto lo smantellamento del diaframma collinare che separava la
zona dei Fori imperiali e la pianura del Campo Marzio.
L’operazione – verosimilmente ideata e diretta dall’architetto
Apollodoro di Damasco – fu realizzata su un fronte di circa
duecento metri per una profondità all’incirca uguale e un’altezza di circa quaranta metri (come si deduce dalla iscrizione dedicatoria incisa sul basamento della Colonna Traiana). Se ne ricavò non solo tutto lo spazio necessario per l’edificazione del
Forum Traiani (il Foro di Traiano, inaugurato l’anno 112 su
una superficie di m. 300 per 185), ma anche l’apertura di una
comunicazione diretta, e in piano, tra l’intera area dei Fori e i
quartieri della città nuova che andavano continuamente sorgendo nel Campo Marzio (mentre al “taglio” del Quirinale fu
addossato quel vasto complesso di edifici che chiamiamo dei
Mercati Traianei). Si deve però dire, per l’esattezza, che l’altura
distrutta era già stata in parte “intaccata”, marginalmente, per
dare maggiore spazio ai Fori di Cesare e di Augusto, e poi,
ancora, ad opera di Domiziano che, a ridosso e a copertura del
suo “taglio”, aveva provveduto a far sistemare quella che oggi
chiamiamo la “terrazza domizianea” (sulla quale, nel
Quattrocento, fu elevata la Loggia dei Cavalieri di Rodi che
domina ancora tutta la zona).
Com’è facile immaginare, nell’operazione andarono perduti
lembi della città con edifici e strutture anche in perfetta efficienza. Tali – per quanto ne sappiamo – il tratto delle vecchie
mura urbane repubblicane che, scendendo dal Quirinale (nella
zona odierna di largo Magnanapoli) andavano ad attestarsi alle
fortificazioni dell’Arce capitolina. Poi, i condotti delle Acque
Marcia e Tepula, che (forse appoggiandosi alle stesse mura),
salivano al Campidoglio. Infine, e soprattutto, a ridosso del
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Foro di Cesare e lungo le pendici dell’altura fino alla sommità,
il complesso dell’Atrium Libertatis (la “Casa della Libertà”),
sede dell’Archivio dei Censori e luogo deputato per le pratiche
dell’affrancamento degli schiavi le cui funzioni vennero peraltro trasferite nella Basilica Ulpia del Foro Traiano (così come,
nello stesso Foro, fu data nuova sede alle Biblioteche aggiunte
all’Atrium in età augustea).
Rimasto tutto il complesso forense in attività fino al IV secolo,
iniziò proprio allora una fase – anche se non uniforme e contemporanea – di progressiva decadenza e di trasformazione, a
partire dalle strutture monumentali. Già all’inizio del secolo,
ad esempio, il Foro della Pace perse le sue funzioni e il suo stesso aspetto quando in esso, con molta probabilità, vennero trasferite le attività di carattere commerciale che fino a quel
momento avevano occupato il luogo, adiacente, sulla Velia,
destinato alla costruzione della Basilica di Massenzio. Allo scadere del secolo vennero chiusi definitivamente e, di fatto,
abbandonati tutti i grandi templi (di Venere Genitrice, di
Marte Ultore, della Pace, di Minerva e del Divo Traiano).
Nel V secolo, intorno al 408, viene ancora dedicata una statua
all’imperatore d’Oriente, Arcadio, nel Foro di Cesare e una
certa utilizzazione del Foro di Traiano è attestata fino almeno
alla metà dello stesso secolo. Ma, tra la fine del V e gli inizi del
VI (negli anni della occupazione gotica), si cominciarono a
smantellare i templi, ad eccezione di quello di Minerva, nel
Foro di Nerva, sopravvissuto pressoché integro fino agli inizi
del Seicento (quando fu “smontato” a favore del Fontanone del
Gianicolo!) e, mentre iniziava l’asportazione delle lastre marmoree pavimentali, si avviò un processo di interramento degli
spazi aperti delle grandi piazze forensi. In qualche caso, come
nel Foro di Cesare, vennero impiantate piccole attività produttive ed artigianali, mentre nel Foro della Pace, intorno alla metà
del VI secolo, distrutto anche l’“horreum” costruito all’inizio
del IV, una parte dello spazio resosi disponibile venne adibito a
cimitero e un’aula rivolta verso la via Sacra fu trasformata nella
chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
Nel Foro di Nerva, invece, le cose andarono diversamente.
Infatti, al di sopra della pavimentazione marmorea risparmiata,
venne creato un viottolo (successivamente acciottolato) che,
col suo percorso irregolarmente obliquo, garantì una certa frequentazione riprendendo l’antica funzione di collegamento tra
la zona del Foro Romano e quella della Suburra che, prima
della realizzazione del Foro, era stata propria della via
“dell’Argileto”.
Il VII e l’VIII furono secoli “bui” (se non altro per assenza di
documentazione, indice tuttavia di un abbandono verosimilmente pressoché assoluto dell’intera zona).
Un “risveglio” di vita tutto particolare tornò col IX secolo. Ma
si trattò soprattutto di una sistematica opera di “saccheggio” e
di spoliazione di ogni tipo di “rivestimento” marmoreo e di
rimozione delle innumerevoli colonne dei portici, quasi certamente promossa dalle stesse autorità cittadine, verosimilmente
in coincidenza con iniziative edilizie prese nel periodo (che è
quello che si suole definire, non senza una certa enfasi, “carolingio”).
Di pari passo, attraverso semplici forme di “occupazione di
fatto”, si verificò un processo di vera e propria privatizzazione
delle aree forensi (ancora singolarmente riconoscibili per la
generale sopravvivenza dei rispettivi muri perimetrali) e la loro
utilizzazione per scopi abitativi e per funzioni produttive,
segnatamente di carattere agricolo. Le quali, giovandosi, per il
rifornimento idrico, degli ancora efficienti impianti fognari del
passato, finirono per diventare preminenti dando luogo a un
fenomeno di generale “ruralizzazione” del comprensorio, destinato a continuare, in alcune parti, fino al secolo XIII. Ad esso
s’accompagnò la nascita di una modesta viabilità di tipo “campestre”, fatta di sentieri, talvolta acciottolati, delimitati da
cunette di scolo per le acque piovane, che solo in seguito assumeranno l’aspetto di strade.
Quanto alle utilizzazioni di tipo abitativo, soltanto nel Foro di
Nerva, ai lati della già ricordata strada diretta alla Suburra (e
proprio per la sua presenza), direttamente sull’antico lastricato,
vennero edificate, con materiali di spoglio, alcune case di famiglie agiate del tipo di quelle che le fonti chiamano “domus solarate”, cioè munite di un solaio e quindi di un piano superiore
(accessibile da una scala esterna di legno), alle quali, nella
seconda metà dello stesso secolo IX, venne talvolta aggiunto un
portico ad arcate. Ma, tra la fine del secolo X e gli inizi dell’XI,
quelle case andarono in disuso e al loro posto, per breve tempo,
sorsero strutture precarie, fino a che, alla fine dello stesso secolo XI, tutto fu abbandonato e sostuito da una … discarica (una
certa ripresa si avrà poi, fra XIII e XV secolo, quando la solita
strada sarà fiancheggiata da botteghe di macellai e di artigiani,
con piccoli orti e campicelli coltivati).
Nel Foro di Cesare (dove continuavano a crescere i livelli di calpestio per via dei ripetuti riporti di terra) lo sfruttamento agricolo, con coltivazioni promiscue di ortaggi, viti e alberi da frutto, cessò tra la fine del secolo IX e gli inizi del X, quando venne
realizzata una strada che attraversava longitudinalmente tutta
44°
panorama / calendario delle manifestazione dell’Archeoclub di Roma
Anno sociale quarantaquattresimo - aprile-giugno 2015
ATTENZIONE: Tutte le attività in programma - comprese le conferenze - sono riservate ai Soci e ai loro
Familiari, Amici o Ospiti. Per tutte le attività - tranne che per le conferenze - è richiesta l’adesione con
prenotazione in segreteria, anche telefonicamente (06.48.18.839).
aprile
MERCOLEDI
SABATO
8
Riapertura della Segreteria con le 18 visita guidata
consuete modalità
dal dott. Antonio
SABATO
11
visita guidata a sorpresa
(da non perdere) a cura del Presidente –
Insalaco alle
Collezioni dei Musei Capitolini nella
Centrale Montemartini (II parte) – via
Ostiense 106 – ore 10.30
ore 10.30 davanti all’ingresso della Biblioteca Naz. Centrale, viale Castro
Pretorio 105
DOMENICA
19
archeosimposio del Natale di
Roma
GIOVEDI
16
conferenza
del ciclo a cura dell’Associaz. Ital. di
Ristorante Orazio
(Piazzale Numa
Pompilio) – ore
13.30 – prenotazione obbligatoria
Cultura Classica: prof. Manuela Mari,
Perché leggere Erodoto oggi? – ore
16.00, presso il Liceo Giulio Cesare,
corso Trieste 45
Nella mattinata: invito ad assistere alla
sfilata dei Gruppi storici in via dei Fori
imperiali
MARTEDI
21
Lectiones Transtiberinae
“Letture d’Oltretevere”: Testi e Autori di
ieri e di oggi. Orazio, le odi ... patriottiche, in occasione del Natale di Roma – a
cura del prof. Romolo A. Staccioli e del
dott. Maurizio Vignuda – presso la
Fondazione Einaudi, largo dei
Fiorentini, 1 – ore 17.00
GIOVEDI
30
visita guidata speciale
al Lapidario dei Musei Vaticani (II
parte), a cura del
direttore prof.
Giorgio Filippi –
ore 15.30 all’ingresso dei Musei
Vaticani
maggio
GIOVEDI
SABATO
7
conferenza
9
escursione
del prof. Romolo A. Staccioli, sul tema:
dell’intera giornata lungo la Via
Il Campo Marzio occidentale nell’antichità, tra la Vallicella e il Tevere (in collaborazione con “I Sermoni dell’Oratorio”) – via della Chiesa Nuova 3, ore
18.30
VENERDI
Ateneo di Archeoroma
Inizio del Corso di Egittologia, del prof.
Fabrizio Felici Ridolfi sul tema: De
Aegyptiaca Natura (Animali, vegetali e
minerali nella vita quotidiana e nella religione dell’antico Egitto) - Via della
Chiesa Nuova 3 - ore 17.00 - ( iscrizioni
in Segreteria entro mercoledi 29 aprile)
8
Flaminia per la visita dell’Arco di
Malborghetto e di CIVITA CASTELLANA (Forte del Sangallo e
Museo Archeologico dell’Agro
Falisco, Duomo) – partenza ore 8.30
dal piazzale
dei
Partigiani
LUNEDI
11
conferenza
del ciclo a cura dell’Associaz. Ital. di
Cultura Classica: prof. Maria Grazia
Iodice, Perché leggere Ovidio, oggi? -
ore 16.00, presso il Liceo Giulio Cesare,
corso Trieste 45
VENERDI
15
Ateneo di Archeoroma
seconda lezione del Corso di Egittologia
SABATO
16
visita guidata
dal prof. Romolo A. Staccioli, ai Mitrei
Ostiensi – ore 10.00 all’ingresso degli
Scavi di Ostia Antica
MERCOLEDI
20
Lectiones Transtiberinae
“Letture d’Oltretevere”. Testi e Autori di
ieri e di oggi: Pasquinate, a cura della
dott. Laura Trellini Marino – presso la
Sede sociale, via Pietro Cossa 41 (5°
piano) – ore 17.00
Archeoclub d’Italia
SEDE DI ROMA
CONTRIBUTI E INTERVENTI
Via Pietro Cossa, 41 (00193)
tel. 06.48.18.839
(con segreteria telefonica e fax)
c.c.p. 77897007
(intestato: Archeoclub di Roma)
SEGRETERIA:
lunedì, mercoledì, venerdì ore 10-12
VENERDI
22
Ateneo di Archeoroma
terza lezione del Corso di Egittologia
SABATO
23
visita guidata
dalla dott. Laura Trellini Marino, alla
Basilica di Santa Cecilia, in Trastevere –
ore 10.30, davanti alla Chiesa
VENERDI
29
Ateneo di Archeoroma
quarta e ultima lezione del Corso di
Egittologia
SABATO
30
escursione
dell’intera giornata ad ORVIETO per la
visita della Necropoli etrusca, dei Musei
Faina e Archeologico Nazionale e del
Duomo – partenza ore 7.45 dal piazzale
dei Partigiani, ore 8.00 dal piazzale della
Stazione Tiburtina (Hotel Gemini)
giugno
GIOVEDI
4
Lectiones Transtiberinae
“Letture d’Oltretevere”. Testi e Autori di
ieri e di oggi: Alberto Angela. I tre giorni di Pompei - a cura del dott. Maurizio
Vignuda – presso la Sede sociale, via
Pietro Cossa, 41 (5° piano) – ore 17.00
SABATO
passeggiata
della serie In nostra Urbe peregrinantes,
col prof. Romolo A. Staccioli, sul Collis
Sanqualis al Quirinale – ore 10.30 in via
Nazionale, angolo Largo Magnanapoli
6
9
MARTEDI - VENERDI
Quinta edizione della festa
CEREALIA
programma a parte
12
Il latino e l’informatica
Un recente articolo su Repubblica a
firma I. Dionigi (22 dicembre 2014) ha
messo in luce la modernità del latino
nella sua possibilità di applicazione a
twitter che è un metodo di comunicazione informatica basato sull’estrema concisione del testo.
Per chi legge oggi i classici per motivi
professionali o anche per il piacere di
gustarli nella stesura originale è osservazione comune che se la pagina a fronte
del testo latino porta la traduzione italiana questa occupa di necessità maggiore
spazio rispetto al latino.
Quasi tutte le lingue moderne presentano la stessa prolissità rispetto al testo
classico tranne forse l’inglese che si adatta a twitter per una maggiore concisione,
però ricorre, in modo per il lettore non
sempre comprensibile, all’uso di sigle,
ormai così numerose da richiedere uno
sgradevole sforzo di memoria.
È evidente che è praticamente impossibile oggi scrivere in latino, ma la concisione del latino si fa ammirare proprio per
la sua immediatezza: plus significare
quam loqui scrive Seneca per mettere in
evidenza quanto significato si può comunicare con poche parole.
ArcheoRoma (1997, 2 - 3) aveva pubblicato un articolo del prof. Michele
Coccia, “Il greco e il latino alle ortiche”,
fortemente critico sulle proposte di limitare nel corso degli studi liceali lo spazio
concesso al latino, sia nel liceo classico
che scientifico e al greco nel liceo classico.
Il prontuario di Archeoroma “Verba
manent” (il nostro latino quotidiano), a
cura del prof. R.A. Staccioli, aveva messo
in evidenza quanto latino rimane tuttora
nel nostro parlare quotidiano (e in pubblicazioni più recenti), quanto latino c’è
anche nel linguaggio per altri versi un po’
“fasullo” del “politichese” e quanto latino
c’è nell’etimologia di parole moderne che
indicano oggetti, invenzioni, scoperte. È
del resto constatazione comune nel parlare corrente la pregnanza e l’incisività di
espressioni come ab urbe condita, urbi et
orbi, di frasi come alea iacta est, ad impossibilia nemo tenetur, condicio sine qua
non, tertium non datur, ubi maior minor
cessat.
La recente constatazione del citato articolo di Repubblica sulla teorica, anche se
irrealizzabile, applicabilità a twitter della
brevitas della nostra lingua d’origine
quasi ci commuove per la dimostrazione
dell’attualità delle nostre radici.
Giovanna De Paola
SABATO
13 visita guidata dal prof. Romolo
A. Staccioli all’Arco di Costantino, nel
XVII centenario della sua dedica – ore
10.30 presso il monumento
MERCOLEDI
17
conferenza
del dott. Antonio Insalaco sul tema: La
riscoperta di un monumento sotterraneo. Il criptoportico di San Gregorio –
via della Chiesa Nuova, 3 – ore 17.30
SABATO
20 escursione
di “chiusura del semestre” a
Sperlonga per la visita alla Grotta di
Tiberio (con i resti della Villa e il
Museo) –
partenza ore
8.00 dal
piazzale dei
Partigiani
6
l’area (e sarà in seguito continuata dall’asse delle vie Cremona
e della Salara Vecchia) e, lungo di essa, furono costruite modeste case del tipo “domus terrine” (col solo piano terreno), proprie della gran massa della popolazione. Nel corso del secolo
XI, però, l’intera zona fu abbandonata a causa dell’impaludamento originato dall’andata fuori uso di qualsiasi vecchio
impianto di smaltimento delle acque.
Nel Foro di Augusto, dopo la spoliazione delle lastre pavimentali, tra IX e X secolo, sorse sul podio del tempio di Marte un
monastero di monaci greci (Monastero di San Basilio) che, tra
la fine del secolo XII e l’inizio del XIII – mentre nella zona,
peraltro presto impaludatasi, s’andavano formando impianti di
tipo rurale – passerà in proprietà dei Cavalieri di San Giovanni
(poi di Rodi e quindi di Malta) che ne fecero la sede del
Priorato romano.
Una sorte diversa ebbe il Foro di Traiano. Dopo la consueta
spoliazione pavimentale nel corso del secolo IX, infatti, e un
lungo periodo di accumulo di depositi causato dal ristagno
delle acque, nella seconda metà del secolo X la situazione mutò
radicalmente. Per iniziativa di privati, di comunità religiose e
dell’amministrazione pubblica, la zona venne bonificata e suddivisa in lotti delimitati da strade acciottolate e destinati ad abitazioni e orti. Le case furono allineate a schiera, per il lato
corto, lungo le strade, a volte con un piccolo portico antistante e poi un cortile con un pozzo e due o tre piani superiori. Gli
abitanti, com’era nel costume dell’epoca, appartenevano a ceti
sociali diversi. Così, fino a tutto il secolo XIII mentre s’estendevano le proprietà dei Cavalieri che vi costruirono un piccolo
ospedale. Alla fine del medioevo quella del Foro di Traiano era
praticamente l’unica zona dei Fori ad essere abitata.
La storia dell’intero comprensorio forense cambia decisamente
all’inizio dell’età moderna. Ma si trattò d’un cambiamento che,
per certi versi, finì per configurarsi come una sorta di “ritorno”
al passato: addirittura al passato più remoto. In ogni caso, a
quello anteriore agli stessi Fori.
Alle fasi della ruralizzazione e dell’abbandono succedette quella di una nuova urbanizzazione, che, da quella dell’antico
Argileto, differì per il fatto che l’insediamento abitativo non
s’impiantò in un terreno sostanzialmente privo di occupazione
precedente, bensì tra i resti di una grande fase monumentale
(come era stata quella dei Fori). Quei resti, peraltro, benché
ancora cospicui, furono praticamente ignorati, salvo inglobarli
nelle nuove costruzioni ma solo raramente lasciandoli in vista
(come nel caso del muraglione di fondo del Foro di Augusto e
dell’emiciclo dei Mercati Traianei).
Tutto avvenne nella seconda metà del secolo XVI, in coincidenza con un periodo di forte espansione demografica della
città e con la prospettiva di buoni profitti per i proprietari delle
aree fabbricabili che, nello specifico, erano famiglie molto
importanti (come quella Della Valle e quella del papa Pio V
Ghisleri). Oltre ai soliti Cavalieri che intanto, pur avendo trasferito, alla fine del XIV secolo, la sede del Priorato
all’Aventino, avevano esteso le loro proprietà su gran parte della
zona.
A gestire l’operazione urbanistica fu, in particolare, il cardinale
Michele Bonelli (detto, per la sua città natale, il Cardinale
Alessandrino) che, nel 1568, era stato nominato dal papa, suo
zio, priore dei Cavalieri. All’inizio degli anni ottanta, su sua iniziativa, fu dato l’avvio all’imprescindibile risanamento della
zona (chiamata, nel frattempo, non a caso, “I Pantani”) con
lavori di bonifica che si giovarono del “ripristino”, a un livello
più alto, dell’antica Cloaca Massima al posto della quale fu scavato il “Chiavicone della Suburra”. Nel 1584 cominciò l’urbanizzazione vera e propria con l’apertura di strade (le future vie
Alessandrina, Cremona, Bonella, della Salara Vecchia, ecc.) e la
predisposizione di lotti di terreno dati in enfiteusi dove gli assegnatari, molti dei quali immigrati, costruirono in proprio case
dapprima piuttosto modeste, via via sostituite da altre di maggiore impegno.
Il quartiere – che diciamo “Alessandrino” (e che taluni pomposamente definiscono “rinascimentale”) – inglobò tutta l’area già
edificata del Foro di Traiano, ma si fermò inizialmente al Foro
di Nerva per estendersi fino alle pendici della Velia, solo ai
primi del secolo XVII. Nei secoli successivi la situazione andò
via via degradando e la maggior parte delle case addossate le
une alle altre, vecchie e malandate, superaffollate e in pessime
condizioni igieniche non dovettero essere tanto diverse da quelle cui un tempo alludeva Cicerone per il quartiere dell’Argileto.
Agli inizi del secolo XIX s’affacciò una importante novità: promossi dall’amministrazione napoleonica e nell’ambito di un
progetto più vasto (sebbene solo genericamente definito) si
procedette deliberatamente ai primi scavi archeologici, nel settore settentrionale del Foro di Traiano e nel sito della Basilica
Ulpia. Fu come il preludio (subito interrotto dalla restaurazione pontificia) di una nuova fase che sarà tuttavia attuata più
d’un secolo dopo. Un progetto di “sventramento” del quartiere
tra piazza Venezia e largo Corrado Ricci venne infatti inserito
nel piano regolatore del 1909, dopo che già nel 1873 e poi nel
1883 era stato deciso di far sboccare a piazza Venezia la via
Cavour (aperta da pochi anni) con un percorso corrispondente
al tratto occidentale dell’attuale via dei Fori imperiali. Un certo
interesse archeologico riaffiorò nel 1911 con la proposta dello
scavo parziale del Foro di Augusto. Ma i lavori iniziarono solamente nel 1924 (con la demolizione del Monastero della SS.
Annunziata edificato sopra il Tempio di Marte Ultore, dei resti
del Monastero di S. Basilio e della chiesa dei Cavalieri). E andarono avanti dopo che nel 1931 il nuovo piano regolatore riprese il progetto del collegamento diretto tra via Cavour e piazza
Venezia con una strada che avrebbe dovuto proseguire dall’altra parte verso il Colosseo mediante un imprecisato aggiramento della collina della Velia. Che, finalmente, fu deciso di “tagliare”, dietro la Basilica di Massenzio, per la realizzazione, al di là
del Foro della Pace, di quella che avrebbe dovuto essere la “via
dei Monti” e fu invece la via dell’Impero).
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Diciotto secoli dopo lo spianamento della sella tra il Quirinale
e il Campidoglio, sul versante opposto veniva realizzata un’operazione analoga, anche se di minori proporzioni. Infatti, contro
un “fronte” di circa 200 metri, una profondità all’incirca uguale e un’altezza di una quarantina di metri dello sbancamento
antico s’oppose il “taglio” moderno condotto per una lunghezza di circa 200 metri, una larghezza intorno ai settanta e un’altezza massima di circa venticinque. Il risultato fu, comunque,
del tutto simile: l’apertura della valle dei Fori, naturalmente
racchiusa tra le pendici di cinque colli, verso i “quartieri” nuovi,
un tempo nel Campo Marzio, ora al di là del Colosseo. Tornava
inoltre operante una “linea di comunicazione” diretta tra il settore nordoccidentale e quello sudorientale della città, che era
stata in vita per secoli, con la via Sacra, nell’antichità, e con il
viale fiancheggiato da olmi, tra gli archi di Settimio Severo e di
Tito, nel periodo papale, fino alla sua soppressione per gli scavi
del Foro Romano.
Intanto, con imponenti lavori di demolizione e di sbancamento,
si procedeva all’eliminazione del quartiere (i cui abitanti furono
trasferiti in borgate periferiche appositamente costruite). Così,
in poco più di un anno e mezzo, nasceva la via dell’Impero.
Inaugurata il 28 ottobre del 1932 (dall’allora capo del governo
Benito Mussolini che l’aveva fortemente voluta, al punto da ...
“commissionarla” esplicitamente ai suoi urbanisti), correva, larga
e rettilinea, da piazza Venezia al Colosseo, fiancheggiata sui due
lati da ampie zone sistemate a giardini e con qualche “traccia”
risparmiata del tessuto stradale del quartiere distrutto (a cominciare dalla via Alessandrina lungo la quale le demolizioni furono
ultimate nel 1933). L’intero complesso venne a sovrapporsi alle
aree pertinenti agli antichi Fori, ma il percorso della strada, abilmente tracciato sul “vuoto” delle piazze forensi devastate dalle
spoliazioni medievali, rispettò i resti dei principali monumenti
che, riportati bene in vista e adeguatamente restaurati e sistemati, con discreti ripristini, rialzamenti e integrazioni mai prevaricanti, vennero a formare uno “scenario” di grande impatto visivo e significativo. Ne risultò un “paesaggio” – arricchito di infrastrutture vegetazionali e di arredo urbano – completamente
nuovo che, alla naturale stratificazione storica sostituì, in maniera armonica, la “rievocazione” univoca della fase imperiale risultando tale da soddisfare, nello stesso tempo, legittime esigenze di
scenografica rappresentanza e riscuotendo autorevoli e pressoché
unanimi consensi (G.C. Argan, tra gli altri, scrisse di “una soluzione urbanistica perfetta”).
Durante la seconda guerra mondiale il “paesaggio” di via
dell’Impero fu appena alterato da una sorta di effimera “riappa-
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Roma capitale
e Rome & you
segue da pag. 1
gere al provincialismo dell’anglofonia?
E, soprattutto, perché aver tradotto in
inglese un nome che si scrive – e si
pronuncia – sempre uguale da tremila
anni e tutti conoscono in ogni angolo
di mondo? Si scriva, dunque, ROMA
(che, tra l’altro, letto al contrario, si
legge” Amor”!) e il “richiamo” sarà
assai più efficace. Oltre che più corretto, visto che Rome è il nome di diverse
città degli USA (come dovrebbe sapere
il Sindaco venuto dalla Lanterna).
rizione” del medievale fenomeno della ruralizzazione. Nel 1941, infatti, gran parte
dei giardini vennero trasformati in “orti di guerra”, con la pretesa di contribuire a
rendere meno precari i rifornimenti alimentari. Ma fu un fallimento e, dopo un
primo modesto ancorché magnificato raccolto, tutto fu lasciato andare in malora.
Nell’immediato dopoguerra, poi, ci fu il cambio di denominazione della strada
alla quale venne tolto il compito di ricordare l’impero romano e affidato, invece,
quello di “evocare” la presenza degli antichi Fori.
Una nuova fase è quella in atto. Preceduta da un’intensa campagna di stampa che
rimetteva in discussione l’assetto dato alla zona appena cinquant’anni prima e
reclamava l’eliminazione dello “stradone mussoliniano” per riportare integralmente alla luce i Fori imperiali, fu avviata agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso. Senza alcun circostanziato piano urbanistico ma col vago proposito di dare
vita, per il Grande Giubileo del 2000, a un non meglio precisato Parco dei Fori,
e approfittando dei “provvidenziali” giardini che avevano preso il posto delle assai
più ... ingombranti case demolite, nel 1989 si dette inizio agli scavi archeologici,
partendo dal Foro di Nerva. Poi, con lunghe interruzioni e varie riprese, nel 199596, tra il 1998 e il 2000 e dal 2005 al 2007, abbondantemente superato il
Giubileo, si passò agli altri Fori, con risultati a volte apprezzabili, più spesso deludenti (specie per chi s’attendeva chissà cosa e a prescindere dalle acquisizioni di
dati che uno scavo archeologico fornisce sempre, anche se di segno negativo).
La situazione è ora di stallo (e complicata dalla invadente presenza dei cantieri per
la metropolitana). Da una parte c’è un Sindaco che continua a proclamare il fermo
proposito di realizzare (col Foro Romano e il Palatino, il Colosseo e il Circo
Massimo) il “più grande Parco Archeologico del pianeta” e annuncia l’ennesima
ripresa – motu proprio – degli scavi, a spese della via Alessandrina da lui stesso
pomposamente “riaperta” dopo mesi d’incomprensibile chiusura. Da un’altra
parte, c’è una Commissione ministeriale che l’idea del Parco, semplicemente e
altrettanto fermamente, la respinge, nel timore – giustificato – che esso si trasformi in una sorta di “Archeosafari”, emarginato dalla vita quotidiana della città,
buono solo per i turisti. E che propone, invece, la creazione di uno speciale “quartiere” della città viva, con la “restituzione ai cittadini e al mondo” delle antiche
piazze forensi (ma, si dovrebbe dire, più onestamente, dei loro ... fantasmi, ridotte come esse sono a squallidi sterrati).
Tutto ciò, mentre si continua a discutere della sorte da riservare alla stessa via dei
Fori imperiali, con idee e fantasie che vanno dalla eliminazione (o, come è stato
detto, “estirpazione”) alla pedonalizzazione (con l’aggiunta di una tranvia) fino
alla trasformazione in soprelevata. Qualcuno ha persino proposto di interromperla prima del Colosseo facendola terminare contro una sorta di Velia “ricostruita”
per via ... architettonica!
In conclusione, la millenaria storia del comprensorio è ferma, per ora, a un
“momento” caratterizzato da un preoccupante stato confusionale.
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Cavalli e cavalieri nell’antica Roma
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