ARCHEOROMA n.2 aprilegiugno 2015
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ARCHEOROMA n.2 aprilegiugno 2015
Trimestrale di informazione e discussione culturale a cura dell’Archeoclub di Roma – XXXIIII 2015 - n. 2 apr-giu Roma capitale e Rome & you Lo avevamo scritto tre anni fa (v. ArcheoRoma 2012, n. 1-2, p.1) che la dizione “Roma Capitale” era superflua, pleonastica se non, addirittura, riduttiva. “Roma è Roma – facevamo osservare – E questo basta. Capitale, poi, lo è per antonomasia… Roma è capitale o, meglio, Caput mundi nel senso più nobile e significativo, di “luogo alto” dello spirito e della civiltà universale, punto di riferimento – e di richiamo – dell’intera umanità”. In Campidoglio se ne sono accorti ora e hanno finalmente convenuto che “Roma non ha bisogno di altri (?) attributi o aggettivi”. Pertanto è stato deciso di fare marcia indietro (dopo tanto spreco di danaro pubblico fatto per “aggiornare” tutte le scritte, dalla carta intestata alle divise dei vigili urbani, dai segnali stradali alle autovetture comunali... che ora, con altra spesa, andranno cancellate e sostituite!). Il nuovo “marchio istituzionale” dunque, tornerà ad essere quello con la scritta “Roma” e lo scudetto sormontato dalla corona e con il tradizionale SPQR, preceduto da una piccola croce greca, di traverso. Accanto ad esso, è stato intanto introdotto un “logo relazionale” che dovrebbe servire per i “messaggi internazionali” necessari a “rilanciare l’immagine e la promozione della città” (che non ne ha alcun bisogno) e invece è già comparso – ad uso interno – sui manifesti per la raccolta differenziata dell’AMA. Si tratta di uno scudetto sormontato da cinque palline colorate e con la scritta “Rome & you”. Ma – dato e non concesso che servisse un “logo” diverso da quello istituzionale – era proprio necessario indulContinua a pag. 8 BREVE STORIA DEL COMPRENSORIO DI VIA DEI FORI IMPERIALI La storia – o, se si vuole, la vicenda – del comprensorio che, da poco più di ottanta anni, fa capo a quella che oggi chiamiamo via dei Fori imperiali e fu già via dell’Impero, ebbe inizio, propriamente, oltre duemila anni orsono – a Roma, sono cose che capitano – ma con “precedenti” che risalgono fino alla fine dell’età del bronzo e alla prima età del ferro. Essa si è svolta con singolari, e significativi, “momenti” di interruzioni, ma anche di… ritorni, di riprese, di coincidenze, di analogie, nell’ambito di una sostanziale continuità fino ai nostri giorni. Tutto cominciò quando, prima Cesare e poi Augusto, decisero, l’uno, di dare “respiro” con un nuovo spazio “attrezzato” al vecchio Foro Romano, e, l’altro, di ampliare ulteriormente quello spazio per dare sedi più adeguate a organismi istituzionali, come i tribunali, ma anche per riaffermare quegli aspetti propagandistici e celebrativi che, col rinnovamento urbanistico ed edilizio del centro politico-amministrativo e monumentale della città, avevano accompagnato la nascita e il consolidamento del nuovo regime. Nel giro di un cinquantennio, in due riprese, furono così realizzati il Forum Iulium, o Foro di Cesare (su un’area di metri 60 per 75), dedicato nel 46 a.C. ma iniziato nel 54, e il contiguo Forum Augusti, o Foro di Augusto (su un’area di m. 125 per 118), inaugurato nel 2 d.C. ma votato nel 42 a.C., alla vigilia della battaglia di Filippi. Tutto, a spese di un intero “quartiere” – l’Argiletum – che sorgeva tra il Foro Romano e le estreme pendici del Quirinale e dell’Esquilino ed era andato formandosi a partire dalla fine del IV secolo a.C. su un terreno, un tempo spesso impantanato, in parte utilizzato, tra la fine del secolo XI e gli inizi del X a.C., per sepolture; poi, tra VIII e VII secolo, occupato da capanne d’abitazione; e, finalmente, bonificato nel corso del secolo VI con un canale che convogliava verso il Tevere le acque di dilavamento dai colli diventato, in seguito, la Cloaca Maxima. Una strada, che metteva in comunicazione il Foro Romano con la Suburra, divideva il quartiere in due settori: uno, ad oriente, con impianti di carattere commerciale (mercati di generi alimentari e botteghe di artigiani), l’altro, a occidente, con case d’abitazione: soggette, queste, a una vera e propria attività di speculazione immobiliare (da parte dei proprietari appartenenti all’aristocrazia senatoria) e, alla vigilia della loro distruzione, ridotte in condizioni di estremo degrado e fatiscenza. Inequivocabile, in proposito, la testimonianza di Cicerone che, come il fratello Quinto, possedeva nel quartiere appartamenti e tabernae dati in affitto (e con i cui proventi si poteva permettere di mantenere il figlio agli studi in Grecia), il quale scrive che da quegli abituri “se ne fuggivano non solo gli inquilini, ma persino i topi”. Lo stesso Cicerone (in una lettera all’amico Attico, del 54 a.C.) attesta che il terreno necessario alla realizzazione del Foro di Cesare fu acquistato, per una spesa complessiva tra i sessanta e i centomila sesterzi, con un’operazione alla quale egli stesso – con un evidente ma taciuto “conflitto d’interessi” – fu incaricato di provvedere. Al medesimo modo, anche per il Foro di Augusto, il terreno venne acquistato dai privati (col ricavato dai bottini di guerra – ex manubiis – come lo stesso Augusto ricorda nella sua “autobiografia”) risultando, peraltro, inferiore a quello previsto, giacché si ritenne di non dover ricorrere alle maniere forti per convincere i proprietari riottosi che si rifiutarono di vendere. 2 Nella seconda metà dello stesso secolo I d.C., Vespasiano e Domiziano occuparono le aree residue dell’Argiletum verso oriente, fino alle pendici della Velia che, al di là della strada che andava dalla via Sacra alle Carinae, sul Fagutale, chiudeva tutta la zona su quel versante. E ciò avvenne a spese dei vecchi impianti pubblici di servizio (come il Macellum, il grande mercato coperto che sorgeva immediatamente a nord del Foro Romano) che si trovavano ancora nella zona. Dal 71 al 75, per celebrare la vittoria della guerra giudaica (e, come al solito, coi proventi del bottino), Vespasiano fece realizzare il Templum Pacis, il Tempio della Pace, che, essendo anch’esso nella forma e nell’aspetto di una piazza monumentale, si presentò in tutto simile a un foro (e fu perciò anche chiamato, in epoca tarda, Foro della Pace). A Domiziano non rimase che “monumentalizzare” quanto rimaneva dello spazio tra il Foro di Augusto e il Tempio della Pace, percorso dalla strada che andava alla Suburra e trasformarlo in una piazza lunga e stretta (di m. 120 per 45), al punto che, non potendo essere fornita, come tutte le precedenti, di un vero portico, fu dotata solo di un colonnato appena sporgente dal muro perimetrale. Data la sua posizione topografica – e la sua funzione – al nuovo Foro fu dato il nome, provvisorio, di Transitorium (qualcosa come “di passaggio”), ma dopo il suo completamento e l’inaugurazione effettuata nel 97 dal successore di Domiziano, Nerva, si ebbe da questi il nome definitivo di Forum Nervae (Foro di Nerva). Quando, al principio del II secolo, Traiano volle costruire anche lui il suo Foro, addirittura in proporzioni assai più ampie dei precedenti, non essendoci più spazio disponibile, essendo ad ovest incombente il lembo scosceso del Quirinale che, senza soluzione di continuità, declinava verso il Campidoglio (quasi una “sella” di congiungimento tra i due colli), fu necessario ideare e mettere in atto una coraggiosa e drastica soluzione: giusto lo smantellamento del diaframma collinare che separava la zona dei Fori imperiali e la pianura del Campo Marzio. L’operazione – verosimilmente ideata e diretta dall’architetto Apollodoro di Damasco – fu realizzata su un fronte di circa duecento metri per una profondità all’incirca uguale e un’altezza di circa quaranta metri (come si deduce dalla iscrizione dedicatoria incisa sul basamento della Colonna Traiana). Se ne ricavò non solo tutto lo spazio necessario per l’edificazione del Forum Traiani (il Foro di Traiano, inaugurato l’anno 112 su una superficie di m. 300 per 185), ma anche l’apertura di una comunicazione diretta, e in piano, tra l’intera area dei Fori e i quartieri della città nuova che andavano continuamente sorgendo nel Campo Marzio (mentre al “taglio” del Quirinale fu addossato quel vasto complesso di edifici che chiamiamo dei Mercati Traianei). Si deve però dire, per l’esattezza, che l’altura distrutta era già stata in parte “intaccata”, marginalmente, per dare maggiore spazio ai Fori di Cesare e di Augusto, e poi, ancora, ad opera di Domiziano che, a ridosso e a copertura del suo “taglio”, aveva provveduto a far sistemare quella che oggi chiamiamo la “terrazza domizianea” (sulla quale, nel Quattrocento, fu elevata la Loggia dei Cavalieri di Rodi che domina ancora tutta la zona). Com’è facile immaginare, nell’operazione andarono perduti lembi della città con edifici e strutture anche in perfetta efficienza. Tali – per quanto ne sappiamo – il tratto delle vecchie mura urbane repubblicane che, scendendo dal Quirinale (nella zona odierna di largo Magnanapoli) andavano ad attestarsi alle fortificazioni dell’Arce capitolina. Poi, i condotti delle Acque Marcia e Tepula, che (forse appoggiandosi alle stesse mura), salivano al Campidoglio. Infine, e soprattutto, a ridosso del 3 Foro di Cesare e lungo le pendici dell’altura fino alla sommità, il complesso dell’Atrium Libertatis (la “Casa della Libertà”), sede dell’Archivio dei Censori e luogo deputato per le pratiche dell’affrancamento degli schiavi le cui funzioni vennero peraltro trasferite nella Basilica Ulpia del Foro Traiano (così come, nello stesso Foro, fu data nuova sede alle Biblioteche aggiunte all’Atrium in età augustea). Rimasto tutto il complesso forense in attività fino al IV secolo, iniziò proprio allora una fase – anche se non uniforme e contemporanea – di progressiva decadenza e di trasformazione, a partire dalle strutture monumentali. Già all’inizio del secolo, ad esempio, il Foro della Pace perse le sue funzioni e il suo stesso aspetto quando in esso, con molta probabilità, vennero trasferite le attività di carattere commerciale che fino a quel momento avevano occupato il luogo, adiacente, sulla Velia, destinato alla costruzione della Basilica di Massenzio. Allo scadere del secolo vennero chiusi definitivamente e, di fatto, abbandonati tutti i grandi templi (di Venere Genitrice, di Marte Ultore, della Pace, di Minerva e del Divo Traiano). Nel V secolo, intorno al 408, viene ancora dedicata una statua all’imperatore d’Oriente, Arcadio, nel Foro di Cesare e una certa utilizzazione del Foro di Traiano è attestata fino almeno alla metà dello stesso secolo. Ma, tra la fine del V e gli inizi del VI (negli anni della occupazione gotica), si cominciarono a smantellare i templi, ad eccezione di quello di Minerva, nel Foro di Nerva, sopravvissuto pressoché integro fino agli inizi del Seicento (quando fu “smontato” a favore del Fontanone del Gianicolo!) e, mentre iniziava l’asportazione delle lastre marmoree pavimentali, si avviò un processo di interramento degli spazi aperti delle grandi piazze forensi. In qualche caso, come nel Foro di Cesare, vennero impiantate piccole attività produttive ed artigianali, mentre nel Foro della Pace, intorno alla metà del VI secolo, distrutto anche l’“horreum” costruito all’inizio del IV, una parte dello spazio resosi disponibile venne adibito a cimitero e un’aula rivolta verso la via Sacra fu trasformata nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Nel Foro di Nerva, invece, le cose andarono diversamente. Infatti, al di sopra della pavimentazione marmorea risparmiata, venne creato un viottolo (successivamente acciottolato) che, col suo percorso irregolarmente obliquo, garantì una certa frequentazione riprendendo l’antica funzione di collegamento tra la zona del Foro Romano e quella della Suburra che, prima della realizzazione del Foro, era stata propria della via “dell’Argileto”. Il VII e l’VIII furono secoli “bui” (se non altro per assenza di documentazione, indice tuttavia di un abbandono verosimilmente pressoché assoluto dell’intera zona). Un “risveglio” di vita tutto particolare tornò col IX secolo. Ma si trattò soprattutto di una sistematica opera di “saccheggio” e di spoliazione di ogni tipo di “rivestimento” marmoreo e di rimozione delle innumerevoli colonne dei portici, quasi certamente promossa dalle stesse autorità cittadine, verosimilmente in coincidenza con iniziative edilizie prese nel periodo (che è quello che si suole definire, non senza una certa enfasi, “carolingio”). Di pari passo, attraverso semplici forme di “occupazione di fatto”, si verificò un processo di vera e propria privatizzazione delle aree forensi (ancora singolarmente riconoscibili per la generale sopravvivenza dei rispettivi muri perimetrali) e la loro utilizzazione per scopi abitativi e per funzioni produttive, segnatamente di carattere agricolo. Le quali, giovandosi, per il rifornimento idrico, degli ancora efficienti impianti fognari del passato, finirono per diventare preminenti dando luogo a un fenomeno di generale “ruralizzazione” del comprensorio, destinato a continuare, in alcune parti, fino al secolo XIII. Ad esso s’accompagnò la nascita di una modesta viabilità di tipo “campestre”, fatta di sentieri, talvolta acciottolati, delimitati da cunette di scolo per le acque piovane, che solo in seguito assumeranno l’aspetto di strade. Quanto alle utilizzazioni di tipo abitativo, soltanto nel Foro di Nerva, ai lati della già ricordata strada diretta alla Suburra (e proprio per la sua presenza), direttamente sull’antico lastricato, vennero edificate, con materiali di spoglio, alcune case di famiglie agiate del tipo di quelle che le fonti chiamano “domus solarate”, cioè munite di un solaio e quindi di un piano superiore (accessibile da una scala esterna di legno), alle quali, nella seconda metà dello stesso secolo IX, venne talvolta aggiunto un portico ad arcate. Ma, tra la fine del secolo X e gli inizi dell’XI, quelle case andarono in disuso e al loro posto, per breve tempo, sorsero strutture precarie, fino a che, alla fine dello stesso secolo XI, tutto fu abbandonato e sostuito da una … discarica (una certa ripresa si avrà poi, fra XIII e XV secolo, quando la solita strada sarà fiancheggiata da botteghe di macellai e di artigiani, con piccoli orti e campicelli coltivati). Nel Foro di Cesare (dove continuavano a crescere i livelli di calpestio per via dei ripetuti riporti di terra) lo sfruttamento agricolo, con coltivazioni promiscue di ortaggi, viti e alberi da frutto, cessò tra la fine del secolo IX e gli inizi del X, quando venne realizzata una strada che attraversava longitudinalmente tutta 44° panorama / calendario delle manifestazione dell’Archeoclub di Roma Anno sociale quarantaquattresimo - aprile-giugno 2015 ATTENZIONE: Tutte le attività in programma - comprese le conferenze - sono riservate ai Soci e ai loro Familiari, Amici o Ospiti. Per tutte le attività - tranne che per le conferenze - è richiesta l’adesione con prenotazione in segreteria, anche telefonicamente (06.48.18.839). aprile MERCOLEDI SABATO 8 Riapertura della Segreteria con le 18 visita guidata consuete modalità dal dott. Antonio SABATO 11 visita guidata a sorpresa (da non perdere) a cura del Presidente – Insalaco alle Collezioni dei Musei Capitolini nella Centrale Montemartini (II parte) – via Ostiense 106 – ore 10.30 ore 10.30 davanti all’ingresso della Biblioteca Naz. Centrale, viale Castro Pretorio 105 DOMENICA 19 archeosimposio del Natale di Roma GIOVEDI 16 conferenza del ciclo a cura dell’Associaz. Ital. di Ristorante Orazio (Piazzale Numa Pompilio) – ore 13.30 – prenotazione obbligatoria Cultura Classica: prof. Manuela Mari, Perché leggere Erodoto oggi? – ore 16.00, presso il Liceo Giulio Cesare, corso Trieste 45 Nella mattinata: invito ad assistere alla sfilata dei Gruppi storici in via dei Fori imperiali MARTEDI 21 Lectiones Transtiberinae “Letture d’Oltretevere”: Testi e Autori di ieri e di oggi. Orazio, le odi ... patriottiche, in occasione del Natale di Roma – a cura del prof. Romolo A. Staccioli e del dott. Maurizio Vignuda – presso la Fondazione Einaudi, largo dei Fiorentini, 1 – ore 17.00 GIOVEDI 30 visita guidata speciale al Lapidario dei Musei Vaticani (II parte), a cura del direttore prof. Giorgio Filippi – ore 15.30 all’ingresso dei Musei Vaticani maggio GIOVEDI SABATO 7 conferenza 9 escursione del prof. Romolo A. Staccioli, sul tema: dell’intera giornata lungo la Via Il Campo Marzio occidentale nell’antichità, tra la Vallicella e il Tevere (in collaborazione con “I Sermoni dell’Oratorio”) – via della Chiesa Nuova 3, ore 18.30 VENERDI Ateneo di Archeoroma Inizio del Corso di Egittologia, del prof. Fabrizio Felici Ridolfi sul tema: De Aegyptiaca Natura (Animali, vegetali e minerali nella vita quotidiana e nella religione dell’antico Egitto) - Via della Chiesa Nuova 3 - ore 17.00 - ( iscrizioni in Segreteria entro mercoledi 29 aprile) 8 Flaminia per la visita dell’Arco di Malborghetto e di CIVITA CASTELLANA (Forte del Sangallo e Museo Archeologico dell’Agro Falisco, Duomo) – partenza ore 8.30 dal piazzale dei Partigiani LUNEDI 11 conferenza del ciclo a cura dell’Associaz. Ital. di Cultura Classica: prof. Maria Grazia Iodice, Perché leggere Ovidio, oggi? - ore 16.00, presso il Liceo Giulio Cesare, corso Trieste 45 VENERDI 15 Ateneo di Archeoroma seconda lezione del Corso di Egittologia SABATO 16 visita guidata dal prof. Romolo A. Staccioli, ai Mitrei Ostiensi – ore 10.00 all’ingresso degli Scavi di Ostia Antica MERCOLEDI 20 Lectiones Transtiberinae “Letture d’Oltretevere”. Testi e Autori di ieri e di oggi: Pasquinate, a cura della dott. Laura Trellini Marino – presso la Sede sociale, via Pietro Cossa 41 (5° piano) – ore 17.00 Archeoclub d’Italia SEDE DI ROMA CONTRIBUTI E INTERVENTI Via Pietro Cossa, 41 (00193) tel. 06.48.18.839 (con segreteria telefonica e fax) c.c.p. 77897007 (intestato: Archeoclub di Roma) SEGRETERIA: lunedì, mercoledì, venerdì ore 10-12 VENERDI 22 Ateneo di Archeoroma terza lezione del Corso di Egittologia SABATO 23 visita guidata dalla dott. Laura Trellini Marino, alla Basilica di Santa Cecilia, in Trastevere – ore 10.30, davanti alla Chiesa VENERDI 29 Ateneo di Archeoroma quarta e ultima lezione del Corso di Egittologia SABATO 30 escursione dell’intera giornata ad ORVIETO per la visita della Necropoli etrusca, dei Musei Faina e Archeologico Nazionale e del Duomo – partenza ore 7.45 dal piazzale dei Partigiani, ore 8.00 dal piazzale della Stazione Tiburtina (Hotel Gemini) giugno GIOVEDI 4 Lectiones Transtiberinae “Letture d’Oltretevere”. Testi e Autori di ieri e di oggi: Alberto Angela. I tre giorni di Pompei - a cura del dott. Maurizio Vignuda – presso la Sede sociale, via Pietro Cossa, 41 (5° piano) – ore 17.00 SABATO passeggiata della serie In nostra Urbe peregrinantes, col prof. Romolo A. Staccioli, sul Collis Sanqualis al Quirinale – ore 10.30 in via Nazionale, angolo Largo Magnanapoli 6 9 MARTEDI - VENERDI Quinta edizione della festa CEREALIA programma a parte 12 Il latino e l’informatica Un recente articolo su Repubblica a firma I. Dionigi (22 dicembre 2014) ha messo in luce la modernità del latino nella sua possibilità di applicazione a twitter che è un metodo di comunicazione informatica basato sull’estrema concisione del testo. Per chi legge oggi i classici per motivi professionali o anche per il piacere di gustarli nella stesura originale è osservazione comune che se la pagina a fronte del testo latino porta la traduzione italiana questa occupa di necessità maggiore spazio rispetto al latino. Quasi tutte le lingue moderne presentano la stessa prolissità rispetto al testo classico tranne forse l’inglese che si adatta a twitter per una maggiore concisione, però ricorre, in modo per il lettore non sempre comprensibile, all’uso di sigle, ormai così numerose da richiedere uno sgradevole sforzo di memoria. È evidente che è praticamente impossibile oggi scrivere in latino, ma la concisione del latino si fa ammirare proprio per la sua immediatezza: plus significare quam loqui scrive Seneca per mettere in evidenza quanto significato si può comunicare con poche parole. ArcheoRoma (1997, 2 - 3) aveva pubblicato un articolo del prof. Michele Coccia, “Il greco e il latino alle ortiche”, fortemente critico sulle proposte di limitare nel corso degli studi liceali lo spazio concesso al latino, sia nel liceo classico che scientifico e al greco nel liceo classico. Il prontuario di Archeoroma “Verba manent” (il nostro latino quotidiano), a cura del prof. R.A. Staccioli, aveva messo in evidenza quanto latino rimane tuttora nel nostro parlare quotidiano (e in pubblicazioni più recenti), quanto latino c’è anche nel linguaggio per altri versi un po’ “fasullo” del “politichese” e quanto latino c’è nell’etimologia di parole moderne che indicano oggetti, invenzioni, scoperte. È del resto constatazione comune nel parlare corrente la pregnanza e l’incisività di espressioni come ab urbe condita, urbi et orbi, di frasi come alea iacta est, ad impossibilia nemo tenetur, condicio sine qua non, tertium non datur, ubi maior minor cessat. La recente constatazione del citato articolo di Repubblica sulla teorica, anche se irrealizzabile, applicabilità a twitter della brevitas della nostra lingua d’origine quasi ci commuove per la dimostrazione dell’attualità delle nostre radici. Giovanna De Paola SABATO 13 visita guidata dal prof. Romolo A. Staccioli all’Arco di Costantino, nel XVII centenario della sua dedica – ore 10.30 presso il monumento MERCOLEDI 17 conferenza del dott. Antonio Insalaco sul tema: La riscoperta di un monumento sotterraneo. Il criptoportico di San Gregorio – via della Chiesa Nuova, 3 – ore 17.30 SABATO 20 escursione di “chiusura del semestre” a Sperlonga per la visita alla Grotta di Tiberio (con i resti della Villa e il Museo) – partenza ore 8.00 dal piazzale dei Partigiani 6 l’area (e sarà in seguito continuata dall’asse delle vie Cremona e della Salara Vecchia) e, lungo di essa, furono costruite modeste case del tipo “domus terrine” (col solo piano terreno), proprie della gran massa della popolazione. Nel corso del secolo XI, però, l’intera zona fu abbandonata a causa dell’impaludamento originato dall’andata fuori uso di qualsiasi vecchio impianto di smaltimento delle acque. Nel Foro di Augusto, dopo la spoliazione delle lastre pavimentali, tra IX e X secolo, sorse sul podio del tempio di Marte un monastero di monaci greci (Monastero di San Basilio) che, tra la fine del secolo XII e l’inizio del XIII – mentre nella zona, peraltro presto impaludatasi, s’andavano formando impianti di tipo rurale – passerà in proprietà dei Cavalieri di San Giovanni (poi di Rodi e quindi di Malta) che ne fecero la sede del Priorato romano. Una sorte diversa ebbe il Foro di Traiano. Dopo la consueta spoliazione pavimentale nel corso del secolo IX, infatti, e un lungo periodo di accumulo di depositi causato dal ristagno delle acque, nella seconda metà del secolo X la situazione mutò radicalmente. Per iniziativa di privati, di comunità religiose e dell’amministrazione pubblica, la zona venne bonificata e suddivisa in lotti delimitati da strade acciottolate e destinati ad abitazioni e orti. Le case furono allineate a schiera, per il lato corto, lungo le strade, a volte con un piccolo portico antistante e poi un cortile con un pozzo e due o tre piani superiori. Gli abitanti, com’era nel costume dell’epoca, appartenevano a ceti sociali diversi. Così, fino a tutto il secolo XIII mentre s’estendevano le proprietà dei Cavalieri che vi costruirono un piccolo ospedale. Alla fine del medioevo quella del Foro di Traiano era praticamente l’unica zona dei Fori ad essere abitata. La storia dell’intero comprensorio forense cambia decisamente all’inizio dell’età moderna. Ma si trattò d’un cambiamento che, per certi versi, finì per configurarsi come una sorta di “ritorno” al passato: addirittura al passato più remoto. In ogni caso, a quello anteriore agli stessi Fori. Alle fasi della ruralizzazione e dell’abbandono succedette quella di una nuova urbanizzazione, che, da quella dell’antico Argileto, differì per il fatto che l’insediamento abitativo non s’impiantò in un terreno sostanzialmente privo di occupazione precedente, bensì tra i resti di una grande fase monumentale (come era stata quella dei Fori). Quei resti, peraltro, benché ancora cospicui, furono praticamente ignorati, salvo inglobarli nelle nuove costruzioni ma solo raramente lasciandoli in vista (come nel caso del muraglione di fondo del Foro di Augusto e dell’emiciclo dei Mercati Traianei). Tutto avvenne nella seconda metà del secolo XVI, in coincidenza con un periodo di forte espansione demografica della città e con la prospettiva di buoni profitti per i proprietari delle aree fabbricabili che, nello specifico, erano famiglie molto importanti (come quella Della Valle e quella del papa Pio V Ghisleri). Oltre ai soliti Cavalieri che intanto, pur avendo trasferito, alla fine del XIV secolo, la sede del Priorato all’Aventino, avevano esteso le loro proprietà su gran parte della zona. A gestire l’operazione urbanistica fu, in particolare, il cardinale Michele Bonelli (detto, per la sua città natale, il Cardinale Alessandrino) che, nel 1568, era stato nominato dal papa, suo zio, priore dei Cavalieri. All’inizio degli anni ottanta, su sua iniziativa, fu dato l’avvio all’imprescindibile risanamento della zona (chiamata, nel frattempo, non a caso, “I Pantani”) con lavori di bonifica che si giovarono del “ripristino”, a un livello più alto, dell’antica Cloaca Massima al posto della quale fu scavato il “Chiavicone della Suburra”. Nel 1584 cominciò l’urbanizzazione vera e propria con l’apertura di strade (le future vie Alessandrina, Cremona, Bonella, della Salara Vecchia, ecc.) e la predisposizione di lotti di terreno dati in enfiteusi dove gli assegnatari, molti dei quali immigrati, costruirono in proprio case dapprima piuttosto modeste, via via sostituite da altre di maggiore impegno. Il quartiere – che diciamo “Alessandrino” (e che taluni pomposamente definiscono “rinascimentale”) – inglobò tutta l’area già edificata del Foro di Traiano, ma si fermò inizialmente al Foro di Nerva per estendersi fino alle pendici della Velia, solo ai primi del secolo XVII. Nei secoli successivi la situazione andò via via degradando e la maggior parte delle case addossate le une alle altre, vecchie e malandate, superaffollate e in pessime condizioni igieniche non dovettero essere tanto diverse da quelle cui un tempo alludeva Cicerone per il quartiere dell’Argileto. Agli inizi del secolo XIX s’affacciò una importante novità: promossi dall’amministrazione napoleonica e nell’ambito di un progetto più vasto (sebbene solo genericamente definito) si procedette deliberatamente ai primi scavi archeologici, nel settore settentrionale del Foro di Traiano e nel sito della Basilica Ulpia. Fu come il preludio (subito interrotto dalla restaurazione pontificia) di una nuova fase che sarà tuttavia attuata più d’un secolo dopo. Un progetto di “sventramento” del quartiere tra piazza Venezia e largo Corrado Ricci venne infatti inserito nel piano regolatore del 1909, dopo che già nel 1873 e poi nel 1883 era stato deciso di far sboccare a piazza Venezia la via Cavour (aperta da pochi anni) con un percorso corrispondente al tratto occidentale dell’attuale via dei Fori imperiali. Un certo interesse archeologico riaffiorò nel 1911 con la proposta dello scavo parziale del Foro di Augusto. Ma i lavori iniziarono solamente nel 1924 (con la demolizione del Monastero della SS. Annunziata edificato sopra il Tempio di Marte Ultore, dei resti del Monastero di S. Basilio e della chiesa dei Cavalieri). E andarono avanti dopo che nel 1931 il nuovo piano regolatore riprese il progetto del collegamento diretto tra via Cavour e piazza Venezia con una strada che avrebbe dovuto proseguire dall’altra parte verso il Colosseo mediante un imprecisato aggiramento della collina della Velia. Che, finalmente, fu deciso di “tagliare”, dietro la Basilica di Massenzio, per la realizzazione, al di là del Foro della Pace, di quella che avrebbe dovuto essere la “via dei Monti” e fu invece la via dell’Impero). 7 Diciotto secoli dopo lo spianamento della sella tra il Quirinale e il Campidoglio, sul versante opposto veniva realizzata un’operazione analoga, anche se di minori proporzioni. Infatti, contro un “fronte” di circa 200 metri, una profondità all’incirca uguale e un’altezza di una quarantina di metri dello sbancamento antico s’oppose il “taglio” moderno condotto per una lunghezza di circa 200 metri, una larghezza intorno ai settanta e un’altezza massima di circa venticinque. Il risultato fu, comunque, del tutto simile: l’apertura della valle dei Fori, naturalmente racchiusa tra le pendici di cinque colli, verso i “quartieri” nuovi, un tempo nel Campo Marzio, ora al di là del Colosseo. Tornava inoltre operante una “linea di comunicazione” diretta tra il settore nordoccidentale e quello sudorientale della città, che era stata in vita per secoli, con la via Sacra, nell’antichità, e con il viale fiancheggiato da olmi, tra gli archi di Settimio Severo e di Tito, nel periodo papale, fino alla sua soppressione per gli scavi del Foro Romano. Intanto, con imponenti lavori di demolizione e di sbancamento, si procedeva all’eliminazione del quartiere (i cui abitanti furono trasferiti in borgate periferiche appositamente costruite). Così, in poco più di un anno e mezzo, nasceva la via dell’Impero. Inaugurata il 28 ottobre del 1932 (dall’allora capo del governo Benito Mussolini che l’aveva fortemente voluta, al punto da ... “commissionarla” esplicitamente ai suoi urbanisti), correva, larga e rettilinea, da piazza Venezia al Colosseo, fiancheggiata sui due lati da ampie zone sistemate a giardini e con qualche “traccia” risparmiata del tessuto stradale del quartiere distrutto (a cominciare dalla via Alessandrina lungo la quale le demolizioni furono ultimate nel 1933). L’intero complesso venne a sovrapporsi alle aree pertinenti agli antichi Fori, ma il percorso della strada, abilmente tracciato sul “vuoto” delle piazze forensi devastate dalle spoliazioni medievali, rispettò i resti dei principali monumenti che, riportati bene in vista e adeguatamente restaurati e sistemati, con discreti ripristini, rialzamenti e integrazioni mai prevaricanti, vennero a formare uno “scenario” di grande impatto visivo e significativo. Ne risultò un “paesaggio” – arricchito di infrastrutture vegetazionali e di arredo urbano – completamente nuovo che, alla naturale stratificazione storica sostituì, in maniera armonica, la “rievocazione” univoca della fase imperiale risultando tale da soddisfare, nello stesso tempo, legittime esigenze di scenografica rappresentanza e riscuotendo autorevoli e pressoché unanimi consensi (G.C. Argan, tra gli altri, scrisse di “una soluzione urbanistica perfetta”). Durante la seconda guerra mondiale il “paesaggio” di via dell’Impero fu appena alterato da una sorta di effimera “riappa- 8 Roma capitale e Rome & you segue da pag. 1 gere al provincialismo dell’anglofonia? E, soprattutto, perché aver tradotto in inglese un nome che si scrive – e si pronuncia – sempre uguale da tremila anni e tutti conoscono in ogni angolo di mondo? Si scriva, dunque, ROMA (che, tra l’altro, letto al contrario, si legge” Amor”!) e il “richiamo” sarà assai più efficace. Oltre che più corretto, visto che Rome è il nome di diverse città degli USA (come dovrebbe sapere il Sindaco venuto dalla Lanterna). rizione” del medievale fenomeno della ruralizzazione. Nel 1941, infatti, gran parte dei giardini vennero trasformati in “orti di guerra”, con la pretesa di contribuire a rendere meno precari i rifornimenti alimentari. Ma fu un fallimento e, dopo un primo modesto ancorché magnificato raccolto, tutto fu lasciato andare in malora. Nell’immediato dopoguerra, poi, ci fu il cambio di denominazione della strada alla quale venne tolto il compito di ricordare l’impero romano e affidato, invece, quello di “evocare” la presenza degli antichi Fori. Una nuova fase è quella in atto. Preceduta da un’intensa campagna di stampa che rimetteva in discussione l’assetto dato alla zona appena cinquant’anni prima e reclamava l’eliminazione dello “stradone mussoliniano” per riportare integralmente alla luce i Fori imperiali, fu avviata agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso. Senza alcun circostanziato piano urbanistico ma col vago proposito di dare vita, per il Grande Giubileo del 2000, a un non meglio precisato Parco dei Fori, e approfittando dei “provvidenziali” giardini che avevano preso il posto delle assai più ... ingombranti case demolite, nel 1989 si dette inizio agli scavi archeologici, partendo dal Foro di Nerva. Poi, con lunghe interruzioni e varie riprese, nel 199596, tra il 1998 e il 2000 e dal 2005 al 2007, abbondantemente superato il Giubileo, si passò agli altri Fori, con risultati a volte apprezzabili, più spesso deludenti (specie per chi s’attendeva chissà cosa e a prescindere dalle acquisizioni di dati che uno scavo archeologico fornisce sempre, anche se di segno negativo). La situazione è ora di stallo (e complicata dalla invadente presenza dei cantieri per la metropolitana). Da una parte c’è un Sindaco che continua a proclamare il fermo proposito di realizzare (col Foro Romano e il Palatino, il Colosseo e il Circo Massimo) il “più grande Parco Archeologico del pianeta” e annuncia l’ennesima ripresa – motu proprio – degli scavi, a spese della via Alessandrina da lui stesso pomposamente “riaperta” dopo mesi d’incomprensibile chiusura. Da un’altra parte, c’è una Commissione ministeriale che l’idea del Parco, semplicemente e altrettanto fermamente, la respinge, nel timore – giustificato – che esso si trasformi in una sorta di “Archeosafari”, emarginato dalla vita quotidiana della città, buono solo per i turisti. E che propone, invece, la creazione di uno speciale “quartiere” della città viva, con la “restituzione ai cittadini e al mondo” delle antiche piazze forensi (ma, si dovrebbe dire, più onestamente, dei loro ... fantasmi, ridotte come esse sono a squallidi sterrati). Tutto ciò, mentre si continua a discutere della sorte da riservare alla stessa via dei Fori imperiali, con idee e fantasie che vanno dalla eliminazione (o, come è stato detto, “estirpazione”) alla pedonalizzazione (con l’aggiunta di una tranvia) fino alla trasformazione in soprelevata. Qualcuno ha persino proposto di interromperla prima del Colosseo facendola terminare contro una sorta di Velia “ricostruita” per via ... architettonica! In conclusione, la millenaria storia del comprensorio è ferma, per ora, a un “momento” caratterizzato da un preoccupante stato confusionale. EDIZIONI DI ARCHEOROMA novità quaderni di 16 MAURIZIO VIGNUDA EQUORUM PROBATIO Cavalli e cavalieri nell’antica Roma Rivolgersi alla Segreteria dell’Archeoclub Tel. 06 4818839 Pubblicazione riservata ai soci dell’Archeoclub, distribuzione gratuita. (propr. Staccioli) dirett. resp. Gastone Obino. Via Pietro Cossa, 41 00193 Roma, telefono 06.48.18.839 - Autorizz. Tribunale di Roma n. 00565/92 del 27-10-1992 - Roma - Stampa: 4-2015 Borgia s.r.l., Industrie Grafiche Editoriali Associate, Roma